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DI TORINO
Tomo XLIV
TORINO
CARLO CLAUSEN
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SERIE SECONDA
Libraio della A. Accademia delle Scienze
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MEMORIE
DELLA
REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI TORINO
MEMORIE
DELLA
REALE ACCADEMIA
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DELLE SCIENZE
DI TORINO
SERIE SECONDA
Tomo XLIV
TORINO
CARLO CLAUSEN
Libraio della A. Accademia delle Scienze
MDCCCXCIV
PROPRIETÀ LETTERARIA
Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi
e della Reale Accademia delle Scienze.
ELENCO
DEGLI
ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI
STRANIERI E CORRISPONDENTI
AL 1° OTTOBRE mpeccxcrv.
PRESIDENTE
Vice-PRESIDENTE
CARLE (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Leggi, Professore di Filosofia
del Diritto nella R. Università di Torino, Membro del Consiglio Superiore della
Istruzione Pubblica, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. #, e «s.
TESORIERE
CamerANO (Lorenzo), Dott. aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche
e naturali, Professore di Anatomia comparata nella R. Università di Torino, Socio
della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Membro della Società Zoologica di
Francia, Membro corrispondente della Società Zoologica di Londra.
Serie Il. Tom. XLIV. 2
VI
CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATBMATICHE E NATURALI
Direttore
D’Ovipro (Dott. Enrico), Professore di Algebra e Geometria analitica, incaricato
di Analisi superiore e Preside della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e natu-
rali nella R. Università di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze,
Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente della R. Accademia
delle Scienze di Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio dell’Ac-
cademia Pontaniana, ecc., Uffiz. &, Comm. es.
Segretario
Basso (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche
e naturali, Professore di Fisica matematica nella R. Università di Torino, Professore
di Fisica nella R. Accademia Militare, Socio della R. Accademia di Agricoltura di
Torino, Membro della Società degli Spettroscopisti Italiani, *, ©.
ACCADEMICI RESIDENTI
Sarvapori (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia, Vice-Direttore
del Museo Zoologico della R. Università di Torino, Professore di Storia naturale nel
R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della
Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro
Corrispondente della Società Zoologica di Londra, dell’Accademia delle Scienze di
Nuova York, della Società dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze
di Liegi, e della Reale Società delle Scienze Naturali delle Indie Neerlandesi, e del
R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro effettivo della Società Im-
periale dei Naturalisti di Mosca, Socio Straniero della British Ornithological Union,
Socio Straniero onorario del Nuttall Ornithological Club, Socio Straniero dell’ American
Ornithologist s Union, e Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, Membro
ordinario della Società Ornitologica tedesca, Uffiz. e», Cav. dell'O. di S. Giacomo
del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo).
VII
Cossa (Alfonso), Dottore in Medicina, Direttore della Regia Scuola d’Applicazione
degli Ingegneri in Torino, Professore di Chimica docimastica nella medesima Scuola,
e di Chimica minerale presso il R. Museo Industriale Italiano, Socio Nazionale della
R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corri-
spondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di
Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, e
della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio ordinario non residente dell’Istituto
d’Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, Presidente della Reale Accademia
di Agricoltura di Torino, e Socio dell’Accademia Gioenia di Catania, Socio effettivo
della Società Imperiale Mineralogica di Pietroburgo, Comm. #, e, e dell'O. d’Is.
Catt. di Sp.
BerrutI (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Italiano, e dell’Officina
governativa delle Carte-Valori, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino,
Gr. Uffiz. es; Comm. *, dell'O. di Francesco Giuseppe d’Austria, della L. d’O. di
Francia, e della Repubblica di S. Marino.
Sracci (Francesco), Senatore del Regno, Tenente Colonnello d’Artiglieria della
Riserva, Professore ordinario di Meccanica razionale nella R. Università di Napoli (già
di Meccanica superiore in quella di Torino), Professore onorario della R. Università
di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della
R. Accademia dei Lincei, e Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e
Lettere, e dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Uff. &, Comm. e.
Basso (Giuseppe), predetto.
D’Ovipio (Enrico), predetto.
Bizzozero (Giulio), Senatore del Regno, Professore e Direttore del Laboratorio
di Patologia generale nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Acca-
demia dei Lincei e delle RR. Accademie di Medicina e di Agricoltura di Torino, Socio
Straniero dell’Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum,
Socio Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto
Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di
Bologna, Membro del Consiglio Superiore di Sanità, ecc. Uffiz. & e Comm. e».
FerRrARIS (Galileo), Ingegnere, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche,
matematiche e naturali della R. Università di Torino, Prof. di Fisica tecnica e Di-
rettore del Laboratorio di Elettrotecnica nel R. Museo Industriale Italiano, Prof.
di Fisica nella R. Scuola di Guerra, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei,
Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente del R. Istituto
Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Socio della R. Accademia di Agricoltura di
Torino; Socio Straniero dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae
Curiosorum, Membro onorario della Società di Fisica di Francoforte sui Meno, e
dell’Associazione degli Ingegneri elettricisti dell'Istituto Montefiore di Liegi; Uff. &;
Comm. ee, dell'O. di Franc. Gius. d'Austria e dell’O. reale della Corona di Prussia.
VII
NACcARI (Andrea), Dottore in Matematica, Socio Corrispondente del R. Istituto
Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, e della R. Accademia dei Lincei, Professore di
Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, Uffiz. &, «e.
Mosso (Angelo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Fisiologia nella
R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Acca-
demia di Medicina di Torino, Socio Corrispondente del R. Istituto Lombardo di
Scienze e Lettere, e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’ Academia
Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, della Società Reale di
Scienze mediche e naturali di Bruxelles, ecc. ecc., £&, Comm. ws.
Spezia (Giorgio), Ingegnere, Professore di Mineralogia, e Direttore del Museo
mineralogico della Regia Università di Torino, ws.
GreeLLi (Giuseppe), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Botanica, e
Direttore dell'Orto botanico della R. Università di Torino, Socio Nazionale della
R. Accademia dei Lincei, *, es.
Giacomini (Carlo), Dott. aggregato in Medicina e Chirurgia, Prof. di Anatomia
umana, descrittiva, topografica ed Istologia, Corrispondente dell’Accademia delle
Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino, e
Direttore dell'Istituto Anatomico della Regia Università di Torino, *, es.
CamerANO (Lorenzo), predetto.
Sere (Corrado), Dott. in Matematica, Professore di Geometria superiore nella
R. Università di Torino, Corrispondente della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto
Lombardo di Scienze e Lettere, em.
Pranò !(Giuseppe), Dottore in Matematica, Prof. di Calcolo infinitesimale nella
'R. ‘Università di Torino.
ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI
MenaBreA (5. E. Conte Luigi Federigo), Marchese di Val Dora, Senatore del
Regno, Professore emerito di Costruzioni nella R. Università di Torino, Tenente
Generale, Primo Aiutante di campo Generale Onorario di S.-M., Uno «dei XL della
Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Cor-
rispondente dell’Istituto di Francia (Accademia delle Scienze), Membro Onorario del
R..Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, «del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere
ed Arti, della R. Accademia idi Lettere e Scienze di Modena, Uffiziale della Pubblica
Istruzione di -Francia, ‘ecc.; C. 0. S. SS. N., Gr. Cr. e Cons. &, Cav. e Cons. ©,
Gr. Cr. &, «&, dec. della Medaglia d’oro ‘al Valor Militare e della Med. d’oro :Mau-
riziana; Gr. Cr. dell'O. Supr. del Serafino di Svezia, dell'O. di S. Alessandro Newski
IX
di Russia, di Danebrog di Danim., Gr. Cr. dell'O. di Torre e Spada di Portogallo,
dell'O. del Leone Neerlandese, di Leop. del Belg. (Categ. Militare), della Probità di
Sassonia, della ‘Corona di Wurtemberg, e di Carlo II di Sp., Gr. Cr. dell'O. di
S. Stefano d'Ungheria, dell'O. di Leopoldo d'Austria, di quelli della Fedeltà e del
Leone di Zahringen di Baden, Gr. Cr. dell'Ordine del Salvatore di Grecia, Gr. Cr.
dell'Ordine di S. Marino, Gr. Cr. degli Ordmi del Nisham Ahid e del Nisham /ftigar
di Tunisi, Gr. Cr. dell'Ordine della L. d°O. di Francia, di Cristo di Portogallo, del
Merito di Sassonia, di S. Giuseppe di Toscana, Dottore in Leggi, honoris causa, delle
Università di Cambridge ‘e di Oxford, ecc., ecc.
Brroscnt (Francesco), Senatore del Regno, Direttore ‘del R. Istituto tecnico
superiore di Milano, Presidente della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della
Società Italiana delle Scienze, Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere,
della Reale Accademia delle Scienze di Napoli, dell'Istituto di Bologna, ecc., Cor-
rispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Geometria),
e delle Reali Accademie delle Scienze di Berlino, di Gottinga, di Pietroburgo, del
Belgio, di Praga, di Erlangen, ecce., Dottore ad honorem delle Università di Heidelberg
e di Dublino, Membro delle Società Matematiche di Parigi e di Londra e delle
Filosofiche di Cambridge e di Manchester, Gr. Cord. &, della Legion d'Onore; e, ©,
Comm. dell’O. di Cr. di Port.
CANNIZZARO (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di Chimica generale
nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio
Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio Corrispondente dell’Accademia delle
Scienze di Berlino, di Vienna, e di Pietroburgo, Socio Straniero della R. Accademia
delle Scienze di Baviera e della Società Reale di Londra, Comm. #, Gr. Uffiz. «es; ©.
SCHIAPARELLI (Giovanni), Direttore del R. Osservatorio astronomico di Milano,
Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio del R. Istituto Lombardo di
Scienze e Lettere, della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli
e dell’Istituto di Bologna, Socio Corrispondente dell’Istituto di Francia (Accademia
delle Scienze, Sezione di ‘Astronomia), delle Accademie di Monaco, di Vienna, di
Berlino, di Pietroburgo, di Stockolma, di Upsala, di Cracovia, della Società de’ Natu-
ralisti di Mosca, e della Società astronomica di Londra, Gr. Cord. «&; Comm. *; ©.
Cremona (Luigi), Senatore del Regno, Professore di Matematica superiore nella
R. Università di Roma, Direttore della Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri,
Vice Presidente del Consiglio Superiore dell'Istruzione Pubblica, Uno dei XL della
Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio
del KR. Istituto Lombardo, del R. Istituto d’Incoraggiamento di Napoli, dell’Accademia
dell’Istituto di Bologna, delle Società Reali di Londra, di Edimburgo, di Gottinga, di
Praga, di Liegi e di Copenaghen, delle Società matematiche di Londra, di Praga e
di Parigi, delle Reali Accademie di Napoli, di Amsterdam e di Monaco, Membro
onorario dell’Insigne Accademia romana di Belle Arti detta di San Luca, della Società
Filosofica di Cambridge e dell’Associazione britannica pel progresso delle Scienze,
x
Membro Straniero della Società delle Scienze di Harlem, Socio Corrispondente delle
Reali Accademie di Berlino e di Lisbona, Dottore (LL. D.) dell’Università di Edim-
burgo, Dottore (D. Sc.) dell’Università di Dublino, Professore emerito nell'Università
di Bologna, Gr. Uffiz. &, e e, Cav. e Cons. ©.
BeLrRAMI (Eugenio), Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL
della Società Italiana delle Scienze, Socio effettivo del R. Istituto Lombardo e della
R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio estero della R. Accademia
di Gottinga, Socio Corrispondente della R. Accademia di Berlino, della Società Reale
di Napoli, dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Meccanica),
della Società Matematica di Londra, Professore di Fisica matematica nella R. Uni-
versità di Roma, Comm. *; ee, ©.
ACCADEMICI STRANIERI
DANA (Giacomo), Professore a New Haven.
Hermire (Carlo), Professore nella Facoltà di Scienze, Parigi.
WriersrRAss (Carlo), Professore nell'Università di Berlino.
Tr#omson (Guglielmo), Professore nell'Università di Glasgow.
GreenBAUR (Carlo), Professore nell'Università di Heidelberg.
CavLey (Arturo), Professore nella Università di Cambridge.
VirocHow (Rodolfo), Professore nella Università di Berlino.
KoreLLiKER (Alberto), Professore nell'Università di Wurzburg.
CORRISPONDENTI
SEZIONE DI MATEMATICHE PURE
Tarpy (Placido), Professore emerito della R. Università di Genova Firenze
Cantor (Maurizio), Professore nell'Università di
Scawarz (Ermanno A.), Professore nell'Università di
KLein (Felice), Professore nell'Università di
Dini (Ulisse), Professore di Analisi superiore nella R. Università di
Bertini (Eugenio), Professore nella Regia Università di
DarBoux (G. Gastone), dell’Istituto di Francia
Porncaré (G. Enrico), dell’Istituto di Francia .
NorrHER (Massimiliano), Professore nell'Università di
BrancHi (Luigi), Professore nella R. Università di .
Heidelberg
Gottinga
Gottinga
Pisa
Pisa
Parigi
Parigi
Erlangen
Pisa
SEZIONE DI MATEMATICHE APPLICATE, ASTRONOMIA
FersoLA (Emanuele), Professore di Analisi superiore nella R. Uni-
versità di .
TaccHni (Pietro), Direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano
FaseLLA (Felice), Direttore della Scuola navale Superiore di .
E SCIENZA DELL'INGEGNERE CIVILE E MILITARE
Hopxkinson (Giovanni), della Società Reale di
ZeunER (Gustavo), Professore nel Politecnico di .
Ewine (Giovanni Alfredo), Professore nell'Università di
Napoli
Ioma
Genova
Londra
Dresda
Cambridge
XI
XII
SEZIONE DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE
BxkaseRNA (Pietro), Professore di Fisica sperimentale nella R. Uni-
versità di .
KonLrauscH (Federico), Professore nell'Istituto fisico di
Cornu (Maria Alfredo), dell'Istituto di Francia
FrLici (Riccardo), Professore di Fisica sperimentale nella R. Uni-
versità di
ViuLAri (Emilio), Professore nella R. Università di .
Rorri (Antonio), Professore nell’Istituto di Studi superiori pratici
e di perfezionamento in
WiepemanN (Gustavo), Professore nell'Università di .
Ricni (Augusto), Professore di Fisica sperimentale nella R. Uni-
versità di .
Lippwann (Gabriele), dell'Istituto di Francia
Herrz (Enrico Rodolfo), Professore nell’Univgrsità di
BartoLi (Adolfo), Professore di Fisica nella R. Università di
SEZIONE DI CHIMICA GENERALE ED APPLICATA
BonJean (Giuseppe) .
PLantAMoUR (Filippo), Prof. di Chimica .
Wii (Enrico), Professore di Chimica .
Bunsen (Roberto Guglielmo), Professore di, Chimica . .
BerrtHELOT (Marcellino), dell'Istituto di Francia
ParerNÒ (Emanuele), Professore di Chimica nella R. Università di
KérNnER (Guglielmo), Professore di Chimica organica nella R. Scuola
superiore d’Agricoltura in
Roma
Strasburgo
Parigi
Pisa
Napoli
Firenze
Lipsia
Bologna
Parigi
Bonn
Pavia
Chambéry
Ginevra
Giessen
Heidelberg
Parigi
Palermo
Milano.
FriepeL (Carlo), dell'Istituto di Francia .
FresenIus (Carlo Remigio), Professore a.
BaryER (Adolfo von), Professore nell'Università di
KekuLE (Augusto), Professore nell'Università di
WixLramson (Alessandro Guglielmo), della R. Società di
THoxsen (Giulio), Professore nell'Università di
LieBeNn (Adolfo), Professore nell'Università di .
MenpELEJErr (Demetrio), Professore nell’Imp. Università di
Horr (J. H. van't), Professore nell'Università di .
XIII
Parigi
Wiesbaden
Monaco (Baviera)
Bonn
Londra
Copenaghen
Vienna
Pietroburgo
Amsterdam
SEZIONE DI MINERALOGIA, GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA
STRUVER (Giovanni), Professore di Mineralogia nella R. Università di
Rosenpusca (Enrico), Professore nell'Università di
NorpenskI6LD (Adolfo Enrico), della R. Accademia delle Scienze di
DauBrée (Gabriele Augusto), dell'Istituto di Francia, Direttore
della Scuola Nazionale delle Miniere a .
ZigKEL (Ferdinando), Professore a
Francia .
CAPELLINI (Giovanni), Professore nella R. Università di.
TscHerRMAK (Gustavo), Professore nell'Università di .
ArzruniI (Andrea), Professore nell'Istituto tecnico sup. (technische
Hochschule)
KLxin (Carlo), Professore nell'Università di .
Gere (Arcibaldo), Direttore del Museo di Geologia pratica .
Serie IL Tom. XLIV.
Roma
Heidelberg
Stoccolma
Parigi
Lipsia
Parigi
Bologna
Vienna
Aquisgrana
Berlino
Londra
9
DI
XIV
SEZIONE DI BOTANICA E FISIOLOGIA VEGETALE
Trévisan pe Samr-Lfon (Conte Vittore), Corrispondente del
R. Istituto Lombardo .
GENNARI (Patrizio), Professore di Botanica nella R. Università di
CaruEL (Teodoro), Professore di Botanica nell'Istituto di Studi,
superiori pratici e di perfezionamento in
Arpissone (Francesco), Professore di Botanica nella R. Scuola
superiore d’Agricoltura in
SaccarDo (Andrea), Professore di Botanica nella R. Università di
Hooker (Giuseppe Daron), Direttore del Giardino Reale di Kew
SacHs (Giulio von), Professore nell'Università di .
DeLpino (Federico), Professore nella R. Università di
PirortA (Romualdo), Professore nella Regia Università di
STRASBURGER (Edoardo), Professore nell'Università di
Milano
Cagliari
Firenze
Milano
Padova
Londra
Wiirzburg
Bologna
Roma
Bonn
SEZIONE DI ZOOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA COMPARATA
De SeLys Lonecnamps (Edmondo)
ParLippI (Rodolfo Armando) .
Gonei (Camillo), Professore di Istologia, ecc., nella R. Università di
HarckeL (Ernesto), Professore nell'Università di .
ScLarer (Filippo LurLEY), Segretario della Società Zoologica di .
FATTO (Vittore), Dottore
KovarewskI (Alessandro), Professore nell'Università di .
Lupwie (Carlo), Professore nell'Università di
Locarp (Arnould), dell’Accademia delle Scienze di
Crauveau (G. B. Augusto), Professore alla Scuola di Medicina di
Fosrer (Michele), Professore nell’Università di.
HreINnDENHAIN (Rodolfo), Professore nell'Università di .
WaALDEYER (Guglielmo), Professore nell'Università di
GuentHER (Alberto), Direttore del Dipartimento zoologico del
Museo Britannico di
Hower (Guglielmo Enrico), Direttore del Museo di Storia naturale
Liegi
Santiago (Chiti)
Pavia
Jena
Londra
Ginevra
Odessa
Lipsia
Lione
Parigi
Cambridge
Breslavia
Berlino
Londra
Londra
CLASSE DI SCIBNZE MORALI, STORICHE B FILOLOGICHE
Direttore
Segretario
FrrrERO (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore aggregato alla Facoltà di
Lettere e Filosofia nella R. Università di Torino, Professore nell'Accademia Militare,
R. Ispettore per gli scavi e le scoperte di antichità nel Circondario di Torino, Con-
sigliere della Giunta Superiore per la Storia e l’Archeologia, Membro della Regia
Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le antiche Provincie e la Lombardia,
Membro e Segretario della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di
Torino, Socio Corrispondente della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie
di Romagna, dell’Imp. Instituto Archeologico Germanico, e della Società Nazionale
degli Antiquarii di Francia, fregiato della Medaglia del merito civile di 1* cl. della
Rep. di S. Marino, «ss.
ACCADEMICI RESIDENTI
PrvyRon (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario Onorario della Biblioteca
Nazionale di Torino, Socio Corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere
ed Arti, Gr. Uffiz. *, Uffiz.
VALLAURI (Tommaso), Senatore del Regno, Professore di Letteratura latina e
Dott. aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia nella Regia Università di Torino,
Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Accademico d'onore
della Romana Accademia delle Belle Arti di San Luca, Socio Corrispondente della
R. Accademia della Crusca, del Rk. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti,
dell’Accademia Romana di Archeologia, della R. Accademia Palermitana di Scienze,
Lettere ed Arti, della Società storica di Dallas Texas (America del Nord), Gr. Uffiz. *
e Comm. «=, Cav. dell'Ordine di S. Gregorio Magno.
NEVI
CLarETTA (Barone Gaudenzio), Dottore in Leggi, Socio e Segretario della Regia
Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Vice-Presidente della Società di Archeo-
logia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Membro della Commissione conservatrice
dei monumenti di antichità e belle arti della Provincia ecc., Comm. &, Gr. Uffiz. «ss.
Rossr (Francesco), Professore d’ Egittologia nella R. Università di Torino, Vice
Direttore del Museo di Antichità a riposo, Socio Corrispondente della R. Accademia
Manwo (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della R. Deputazione sovra
gli studi di Storia patria, Membro del Consiglio degli Archivi, Commissario di
S. M. presso la Consulta araldica, Dottore honoris causa della R. Università di Ti-
bingen, Comm. #, Gr. Uffiz. «=, Cav. d’on. e devoz. del S. 0. M. di Malta.
BorLari pi SarnT-Pierre (Barone Federigo Emanuele), Dottore in Leggi, Soprin-
tendente agli Archivi Piemontesi, e Direttore dell'Archivio di Stato in Torino,
Membro del Consiglio d’Amministrazione presso il R. Economato generale delle an-
iiche Provincie, Corrispondente della Consulta araldica, Vice-Presidente della Commis-
sione araldica per il Piemonte, Membro della R. Deputazione sopra gli studi di storia
vatria per le Antiche Provincie e la Lombardia, e della Società Accademica d'Aosta,
Socio corrispondente della Società Ligure di Storia patria, del R. Istituto Veneto di
Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova,
della Società Colombaria Fiorentina, della R. Deputazione di Storia patria per le
Provincie della Romagna, della nuova Società per la Storia di Sicilia, e della Società
di Storia e di Archeologia di Ginevra; Membro onorario della Società di Storia della
Svizzera Romanza, dell’Accademia del Chablais, e della Società Savoina di Storia e
di Archeologia ecc., Uffiz. &, Comm. ws.
ScHiaPARELLI (Luigi), Dottore aggregato, Professore di Storia antica nella
è. Università di Torino, Comm. &, e «ss
Prezzi (Domenico), Dottore aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia e Pro-
‘essore di Storia comparata delle lingue classiche e neo-latine nella R. Università
di Torino, #.
Ferrero (Ermanno), predetto.
CARLE (Giuseppe), predetto.
Nanr (Cesare), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza, Professore di
Storia del Diritto nella R. Università di Torino, Membro della R. Deputazione sovra
gli studi di Storia Patria, +, Uff. ess.
Berti (S. E. Domenico), Primo Segretario di S. M. pel Gran Magistero del-
Ordine Mauriziano, Cancelliere dell'Ordine della Corona d’Italia, Deputato al Par-
lamento nazionale, Professore emerito delle RR. Università di Torino, di Bologna,
e di Roma, Socio Nazionale della Regia Accademia dei Lincei, Socio Corrispondente
XVII
della R. Accademia della Crusca e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed
Arti, Membro delle RR. Deputazioni di Storia patria del Piemonte e dell'Emilia,
Gr. Cord. *, e «=; Cav. e Cons. ®, Gr. Cord. della Leg. d’O. di Francia, dell'Ordine
di Leopoldo del Belgio, dell'Ordine di San Marino, ecc. ecc.
Coenerti De Martns (Salvatore), Professore di Economia politica nella R. Uni-
versità di Torino, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, e della
R. Accademia dei Georgofili, +, Comm. css.
GrAr (Arturo), Rettore e Professore di Letteratura italiana nella R. Università
di Torino, Membro della Società romana di Storia patria, Uffiz. * e es.
BoseLLi (S. E. Paolo), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza della
R. Università di Genova, già Professore nella R. Università di Roma, Vice-Presi-
dente della R. Deputazione di Storia Patria, Socio Corrispondente dell’Accademia
dei Georgofili, Presidente della Società di Storia patria di Savona, Socio della R. Ac-
cademia di Agricoltura, Deputato al Parlamento nazionale, Ministro delle Finanze,
Presidente del Consiglio provinciale di Torino, Gr. Uffiz. *, Gr. Cord. «, Gr. Cord.
dell'Aquila Rossa di Prussia, dell'Ordine di Alberto di Sassonia e dell’Ord. di Ber-
toldo 1 di Zihringen (Baden), Gr. Uffiz. 0. di Leopoldo del Belgio, Uffiz. della Cor.
di Pr., della L. d’O. di Francia, e C. O. della Concezione del Portogallo.
CrpoLLa (Conte Carlo), Professore di Storia moderna nella R. Università di Torino,
Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie
e la Lombardia, Socio effettivo della R. Deputazione Veneta di Storia patria, Socio
Corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Monaco (Baviera), Socio Corrispondente
del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Uffiz. es.
ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI
Carumti DI Cantogno (Barone Domenico), Senatore del Regno, Presidente della
R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Socio Nazionale della R. Accademia
dei Lincei, Membro dell’Istituto Storico Italiano, Socio Straniero della R. Accademia
delle Scienze Neerlandese, e della Savoia, Socio Corrispondente della R. Accademia
delle Scienze di Monaco in Baviera, ecc. ecc. Gr. Uffiz. * e ass, Cav. e Cons. @, Gr.
Cord. dell'O. del Leone Neerlandese e dell'O. d’Is. la Catt. di Spagna, ecc.
Reymonp (Gian Giacomo), già Professore di Economia politica nella Regia Uni-
versità di Torino, &.
Ricet (Marchese Matteo), Senatore del Regno, Socio Residente della Reale Ac-
cademia della Crusca, Uffiz. +.
XVII
Canonico (Tancredi), Senatore del Regno, Professore, Presidente di Sezione della
Corte di Cassazione di Roma, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei,
Socio della R. Accad. delle Scienze del Belgio, e di quella di Palermo, della Società
Generale delle Carceri di Parigi, Comm. s, e Gr. Croce «2, Cav. =, Comm. dell’Ord. di
Carlo IN di Spagna, Gr. Uffiz. dell’Ord. di Sant’Olaf di Norvegia, Gr. Cord. dell’O.
di S. Stanislao di Russia.
Cantù (Cesare), Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e
del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia dei Lincei, di
quelle della Crusca, dell'Arcadia, di S. Luca, della Pontaniana, della Ercolanense, ecc.,
Socio Straniero dell’Istituto di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche),
Socio della R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti del Belgio, Gr. Cr. *, e «®,
Cav. e Cons. =, Comm. dell’O. di C. di Port., Gr. Uffiz. dell’O. della Guadalupa del
Messico, Gr. Cr. dell'O. della Rosa del Brasile, e dell'O. di Isabella la Catt. di
Spagna, ecc., Uffiz. della Pubblica Istruz. e della L. d’O. di Francia, ecc.
Tosri (D. Luigi), Abate Benedettino Cassinese, Vice Archivista degli Archivi
Vaticani.
Vicari (Pasquale), Senatore del Regno, Professore di Storia moderna nell'Istituto
di Studi superiori, pratici e di perfezionamento in Firenze, Membro del Consiglio
Superiore di Pubblica istruzione, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei,
della R. Accademia di Napoli, della R. Accademia dei Georgofili, Vice-presidente
della ih. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, l'Umbria e le Marche, Socio
di quella per le provincie di Romagna, Socio Straordinario della R. Accademia di
Baviera, della R. Accademia Ungherese, Dott. in Legge della Università di Édim-
burgo, Professore emerito della R. Università di Pisa, Gr. Uffiz. & e «=, Cav. £,
Cav. del Merito di Prussia, ecc., ecc.
ComparetTI (Domenico), Senatore del Regno, Professore emerito dell’Università
di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze,
Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente del R. Istituto
Lombardo, del R. Istituto Veneto, della R. Accademia delle Scienze di Napoli e
dell'Accademia della Crusca, Membro della Società Reale pei testi di lingua, Socio
corrispondente dell’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e
della R. Accademia delle Scienze di Monaco, Uff. *, Comm. «, Cav. >.
XIX
ACCADEMICI STRANIERI
Mowmwsen (Teodoro), Professore nella Regia Università di Berlino.
MiiLLer (Massimiliano), Professore nell'Università di Oxford.
MreyER (Paolo), Professore nel Collegio di Francia, Direttore dell’Ecoles des
Chartes a Parigi.
Paris (Gastone), Professore nel Collegio di Francia, Parigi.
BoòunrLINGK (Ottone), Professore nell'Università di Lipsia.
ToBLer (Adolfo), Professore nell'Università di Berlino.
Gnreist (Enrico Rodolfo), Professore nell’Università di Berlino.
ArneTi (Alfredo von), Direttore dell'Archivio imperiale di Vienna.
Maspero (Gastone), Professore nel Collegio di Francia.
XX
CORRISPONDENTI
SEZIONE DI SCIENZE FILOSOFICHE
RENDU:(Hugenio) -.°' ic. dan Lr arto
BonarELLI (Francesco), Professore nella Regia Università di . . Padova
FerrI (Luigi), Professore nella R. Università di . . . . . . Roma
BonsHi (Ruggero), Professore emerito della R. Università di , . Roma
SEZIONE DI SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI
LampeERTICO (Fedele), Senatore del Regno . . . . . . ... Zoma
SERAFINI (Filippo), Senatore del Regno, Professore nella R. Uni-
versità. di lot i e e a O RT I I So
SerpA PimenteL (Antonio di), Consigliere di Stato. . . . . . Lisbona
RoprIGuiz DE BrrLanca (Manuel). 0... . 0.0... 00. Malaga
Scnuprer (Francesco), Professore nella R. Università di. . . . Roma
Cossa (Luigi), Professore nella R. Università n SERA AA 0)
PerrIiLe (Antonio), Professore nella R. Università di . . . . . Padova
GasBA (Carlo Francesco), Professore nella R. Università di . . Pisa
Buonamici (Francesco), Professore nella R. Università di . . . Pisa
DarEstE (Rodolfo), dell'Istituto di Francia . . . .... . Parigi
SEZIONE DI SCIENZE STORICHE
AprianI (P. Giambattista), della R. Deputazione sovra gli studi di
Storia: Patria ci Li LR RE e o MO herasco
PerRENS (Francesco), dell'Istituto di Francia . . . . . . . . Parigi
HauLLEVILLE (Prospero de) .
De Leva (Giuseppe), Professore nella R. Università di
SvBeL (Enrico Carlo Ludolfo von), Direttore dell’Archivio di
Stato in
Watcon (Alessandro), Segretario perpetuo dell'Istituto di Francia
(Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere)
WixLewms (Pietro), Professore nell’ Università di .
BircH (Walter de Gray), del Museo Britannico di
Capasso (Bartolomeo), Sovrintendente degli Archivi Napoletani
CARINI (Mons. Isidoro), Prefetto della Biblioteca Vaticana
WarTENBACH (Guglielmo), Professore nell'Università di
CHEvALIER (Canonico Ulisse)
SEZIONE DI ARCHEOLOGIA
PALMA di CesnoLa (Conte Luigi) .
FroreLLI (Giuseppe), Senatore del Regno
Curtius (Ernesto), Professore nell'Università di
LartEs (Elia). Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e
Lettere
Poegi (Vittorio), Bibliotecario e Archivista civico a
PLevrE (Guglielmo), Conservatore del Museo Egizio a
Parma DI CesnoLa (Cav. Alessandro), Membro della Società degli
Antiquarii di
Mowar (Roberto), Membro della Società degli Antiquari di Francia
NaAparcLac (Marchese I. F. Alberto de)
Brizio (Eduardo), Professore nell'Università di
Serie II. Tom. XLIV.
xXI
Bruxelles
Padova
Berlino
Parigi
Lovanio
Londra
Napoli
Roma
Berlino
Romans
New- York
Roma
Berlino
Milano
Savona
Leida
Londra
Parigi
Parigi
Bologna
4
XXII
SEZIONE DI GEOGRAFIA
Neri (Barone Cristoforo), Console generale di I° Classe, Consultore
legale del Ministero degli Affari esteri . . . . . . . . . . . Torino
Kieperr (Enrico), Professore nell’Università di . . . . . . . Berlino
Pigorini (Luigi), Professore nella R. Università di . . . . . Roma
SEZIONE DI LINGUISTICA E FILOLOGIA ORIENTALE
KreHL (Ludolfo), Professore nell'Università di . . . .. ... Lipsia
SourIinbro Mozun Tagore; ili i ai Calcusia
Asconi (Graziadio), Senatore del Regno, Professore nella R. Acca-
demia. scientifico-letteraria di... iu ai e lano
WEBER (Alberto), Professore nell'Università di. . . . . . . Berlino
Kerpager (Michele), Professore nella R. Università di . . . . Napoli
MABRE (ATISHOO) cina e RR ne SS0N
(Francia)
Oppert (Giulio), Professore nel Collegio di Francia . . . . . Parigi
Gurpi (Ignazio), Professore nella R. Università di. . . . . . Roma
SEZIONE Di FILOLOGIA, STORIA LETTERARIA E BIBLIOGRAFIA
LinaAri (Conte Filippo), Senatore del Regno . . . . ...... Parma
BrfaL (Michele), Professore nel Collegio di Francia . . . . . Parigi
Negroni (Carlo), Senatore del Regno... ....... Novara
D'Ancona (Alessandro), Professore nella R. Università di . . . Pisa
Nigra (S. E. Conte Costantino), Ambasciatore d’Italia a . . . . Vienna
RAyNA (Pio), Professore nell'Istituto di Studi superiori pratici e
di. perfezionamento ini ii ara gia terno
DeL Lungo (Isidoro), Socio residente della R. Accademia della
CIUSscan, ti eni re A a e A E 21176
XXIII
MUTAZIONI
avvenute nel Corpo Accademico dal 1° Settembre 1893 al 1° Ottobre 1894.
ELEZIONI
SOCI
Lessona (Michele), rieletto Presidente dell’Accademia nell'adunanza plenaria
del 24 Giugno 1894.
CarLEe (Giuseppe), rieletto Vice-Presidente dell’Accademia nell'adunanza plenaria
del 24 Giugno, ed approvato con R. Decreto del 4 Agosto.
. Ferrero (Ermanno), rieletto Segretario della Classe di Scienze morali, storiche
e filologiche nell'adunanza del 24 Giugno, ed approvato con È. Decreto del 6 Agosto.
NorrHER (Massimiliano), Professore nell'Università di Erlangen, nominato Corri-
spondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Mate-
matica pura e Astronomia) nell'adunanza del 3 Dicembre 1893.
ZeuneR (Gustavo), Professore nel Politecnico di Dresda, id. id. (Sezione di
Matematica applicata e scienza dell’Ingegnere civile e militare) id. id.
Hertz (Enrico Rodolfo), Professore nell'Università di Bonn, id. id. (Sezione di
Fisica generale e sperimentale) id. id.
MenpELEJEFF (Demetrio), Professore nell’Imperiale Università di S. Pietroburgo,
id. id. (Sezione di Chimica generale ed applicata) id. id.
GergIE (Arcibaldo), Direttore del Museo di geologia pratica di Londra, id. id.
(Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia) id. id.
STRASBURGER (Edoardo), Professore nell'Università di Bomm, id. id. (Sezione di
Botanica e Fisiologia vegetale) id. id.
GuentHER (Alberto), Direttore del dipartimento zoologico del Museo Britannico,
id. id. (Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata) id. id.
BrancHI (Luigi), Professore di Matematica nella R. Università di Pisa, nominato
Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione
di Matematica pura ed Astronomia) nell'adunanza del 27 Maggio 1894.
Ewine (Giovanni Alfredo), Professore nell'Università di Cambridge, id. id. (Sezione
di Matematica applicata e Scienza dell’Ingegnere civile e militare) id. id.
BartoLI (Adolfo), Professore di Fisica nella R. Università di Pavia, id. id.
(Sezione di Fisica generale e sperimentale) id. id.
Hoss (J. H. van’t), Professore nell'Università di Amsterdam, id. id. (Sezione di
Chimica generale ed applicata) id. id.
FLower (Guglielmo Enrico), Direttore del Museo di Storia naturale di Londra,
id. id. (Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata) id. id.
XXIV
MORTI
12 Ottobre 1893.
Scaconi (Arcangelo), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze fisiche,
matematiche e naturali.
1 Gennaio 1894.
Herrz (Enrico), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche
e naturali (Sezione di Fisica generale e sperimentale).
14 Febbraio 1894.
CatALAN (Eugenio), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, mate-
matiche e naturali (Sezione di Matematica applicata e Scienza dell’Ingegnere civile
e militare).
20 Marzo 1894.
CnrampoLLion-Figrac (Amato), Socio Corrispondente della Classe di Scienze mo-
rali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze storiche).
15 Aprile 1894.
Marienac (Giovanni Carlo), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche,
matematiche e naturali (Sezione di Chimica generale ed applicata).
17 Aprile 1894.
Boncompagni (D. Baldassarre) dei Principi di Piombino, Socio Corrispondente
della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Matematica pura
ed Astronomia).
28 Aprile 1894.
BartAGLINI (Giuseppe), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze
fisiche, matematiche e naturali.
20 Maggio 1894.
Dacuer (Alessandro), Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, sto-
riche e filologiche.
6 Luglio 1894.
MaLLarD (Ernesto), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, mate-
matiche e naturali (Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia).
7 Luglio 1894.
Wuirney (Guglielmo), Socio straniero della Classe di Scienze morali, storiche
e filologiche.
20 Luglio 1894.
Lessona (Michele), Socio nazionale residente della Classe di Scienze fisiche,
matematiche e naturali.
8 Settembre 1894.
. Hermuorz (Ermanno Luigi Ferdinando), Socio straniero della Classe di Scienze
fisiche, matematiche e naturali.
15. Settembre. 1894.
FaBRETTI (Ariodante), Socio nazionale residente della Classe di Scienze morali,
storiche e filologiche.
20 Settembre 1894.
. De Rossr (Giovanni Battista), Socio nazionale non residente della Classe di
Scienze morali, storiche e. filologiche.
SCIENZE
FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
5 vago
7 Fg IMISOS
MIZINTNAI DI
di
a)
do
INDICE
CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE
E NATURALI
I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria descritti dal
Dott. Federico Sacco. — Parte XII (Conidae) (Fascicolo primo) pag.
Sulle proprietà termiche dei Vapori. — Parte V. Studio del vapore di alcool
rispetto alle leggi di Boyle e di Gay-Lussac; Memoria del Prof. Angelo
BATTELLI.
”
Latitudine di Torino determinata coi metodi di Guglielmo Struve da F. Porro ,
Ricerche di Geometria sulle Superficie algebriche; Memoria di Federigo
KENRIQUES
”
Rivista critica delle specie di “ Trifolium , italiane, comparate con quelle
straniere, della Sezione “ Lupinaster , (Buxbaum); Memoria del Dottore
S. BELLI
Sulle Equazioni Abeliane reciproche le cui radici si possono rappresentare
con x, dx, 0°,....., 0*7x; Memoria 1 di V. MoLLAME
»
”
Sopra le Curve di dato ordine e dei massimi generi in uno spazio qualunque;
Memoria di Gino Fano
»
Un metodo per la trattazione dei Vettori rotanti od alternativi ed una appli-
cazione di esso ai Motori elettrici a correnti alternate; Memoria del Socio
Galileo FERRARIS .
»
Lenta polarizzabilità dei Dielettrici — La Seta come dielettrico nella costru-
zione dei condensatori; Memoria dell’Ingegnere Luigi LomBARDI .
Ditteri del Messico. — Parte III. Muscidae calypteratae — Ocypterinae —
Gymnosominae — Phasinae — Phaninae — Tachininae — Dexinae —
Sarcophaginae; Memoria del Dott. E. GreLio-Tos
Uccelli del Somali raccolti da D. Eugenio dei Principi Ruspoli, descritti dal
Socio Tommaso SALVADORI
Studio sperimentale sulla riproduzione della Mucosa pilorica; Memoria del
Dott. R. VIvaNTE
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I MOLLUSCHI
DEI TERRENI TERZIARII
DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA
DESCRITTI
DAL
Dott. FEDERICO SACCO
Approvata nell’'Adunanza del 19 Febbraio 1893.
PARTE XII
(CONIDAE)
(FascrcoLo PRIMO)
Famiglia CONIDAE (Swaryson), 1840.
Genere COMUS Linw., 1758.
È ben noto come il genere Conus sia, fra i Molluschi, uno dei generi più ricchi
di forme. È pur noto che, mentre il zoologo basa la maggior parte delle sue de-
terminazioni dei Coni sopra le loro svariatissime colorazioni, tale carattere viene a
mancare pressochè completamente al paleontologo il quale deve quasi sempre studiare
esemplari affatto scolorati o, in qualche raro caso, con scarsissimi residui della colora-
zione originale, residui parziali che, talvolta, possono anche offrire un aspetto diverso
da quello della completa colorazione primitiva.
Ora è anche conosciuto come, fatta astrazione dei colori, studiando i Coni solo
riguardo alla loro forma, si debba ammettere che questa è cosiffattamente variabile
che una sola specie, e ne sia esempio il comune Conus mediterraneus, può nelle sue
svariatissime modificazioni non soltanto assumere la forma di altre specie dello stesso
sottogenere, ma eziandio di sottogeneri diversi. Inoltre anche fra le forme viventi
di Coni la loro ripartizione in diversi sottogeneri è ancor lungi dall’essere naturale
e soddisfacente e dovrà subire in avvenire non poche modificazioni. Di più sono pure
sovente notevolissime le variazioni che la stessa forma subisce dal periodo giova-
nile a quello adulto.
(1) Nota. — Il fascicolo secondo della Parte XIII, con numerose tavole, non potendo più essere
inserito, nel corrente anno accademico, nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino,
venne pubblicato a spese dell’Autore, affinchè non fosse troppo ritardata la pubblicazione della pre-
sente Monografia. — Nello stesso modo e per la stessa causa furono già pubblicate le Parti IX,
X e XII. — Tali parti trovansi in vendita presso la Libreria Loescner di C. Crausen — Torino.
Serie Il. Tom. XLIV. A
2 FEDERICO SACCO
Quindi se si tien conto della straordinaria variabilità dei Coni, della mancanza
di caratteri ornamentali che servano a guidarci nella loro determinazione, della scom-
parsa, nei fossili, dell’importantissimo carattere della colorazione, e dello immenso
loro numero nei depositi terziarii del Piemonte, si può comprendere come lo studio
dei Coni piemontesi siami stato particolarmente lungo e difficile, nè mi lusingo d’averlo
superato senza commettere errori che potranno essere eliminati in avvenire collo
studio di altri esemplari meglio conservati. Con tale pensiero ho pure tralasciato per
ora la determinazione di alcuni esemplari, specialmente del sottog. Chelyconus, che,
o per essere poco ben conservati o per rappresentare forti variazioni od anomalie,
non sapevo a quale specie attribuire, nè parevami logico fondarvi nuove specie.
D'altronde tali grandi difficoltà nella determinazione dei Coni fossili furono già
incontrate e dichiarate dal Brocchi, dal Borson, dal Michelotti, ecc., e ricordo al ri-
guardo come il compianto amico Prof. Bellardi parlandomi dei suoi futuri studi sui
Molluschi del Piemonte mi ebbe più volte a dire che quando sarebbe giunto a quello
dei Coni temeva di perderci la testa.
Il materiale che ebbi a mia disposizione fu straordinariamente abbondante, es-
sendo rappresentato da 20,000 esemplari ad un dipresso, di cui circa 5000 del Plio-
cene, e circa 15,000 del Miocene. Credo che tale ricchezza di materiale proveniente
da tutti i piani del Miocene e del Pliocene ed esaminato in una sola volta sia assai
importante permettendo di fare una larga comparazione e quindi di comprendere
meglio il concetto delle specie e le loro variazioni. Potei così convincermi che più
ricco è il materiale che si ha in esame, minore è il numero delle specie nuove che
si hanno a creare, poichè essendo possibile una estesa comparazione si vedono meglio
i legami delle varie forme, i loro gradualissimi passaggi, ecc.; quindi il concetto
della specie è naturalmente obbligato ad allargarsi alquanto per racchiudere una
serie di forme transitorie o irradianti, direi, che evidentemente non sono che modi-
ficazioni locali di una data specie della quale esse veggonsi conservare la facies
complessiva, ma che esaminate isolatamente parrebbero altrettante specie a sò. È
perciò che avendo avuto a studiare un 20,000 esemplari circa di Coni, non solo ebbi a
creare poche nuove specie e quasi soltanto fra le forme mioceniche finora, meno cono-
sciute, ma inoltre credetti dovere ridurre diverse forme, ritenute finora buone specie,
al grado di semplici varietà o di forme giovanili di specie prima. stabilite, mentre
che invece seguendo per esempio il metodo usato dal Bellardi nelle sue ultime Mono-
grafie avrei dovuto creare diverse centinaia di nuove specie di Coni, producendo così
tale confusione quale è facile immaginare.
In complesso potei constatare che ogni sottogenere di Coni, ad eccezione dei
Chelyconus, è rappresentato da poche specie per ogni orizzonte geologico, mentre in-
vece esse variano per lo più da un orizzonte all’altro, specialmente dal Tongriano:
all’Elveziano (ciò che si comprende facilmente) e dall’Elveziano al Tortoniano, perchè
la zona fossilifera dell’Elveziano torinese trovasi specialmente alla base dell’ Elveziano
ed è quindi sovente separata dal Tortoniano da oltre 1000 metri di depositi dell’ E/-.
veziano medio e superiore. Meno spiccato, ma pure assai notevole, è il cangiamento
delle specie dai Tortoniano al Piacenziano esistendo tra questi due orizzonti il piano
Messiniano, ed essendosi inoltre nel frattempo verificate importanti variazioni clima-
tiche, batimetriche, ecc. Quanto al cangiamento fra le specie piacenziane e quelle
ì
v
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 3
astiane, esso è spesso poco notevole ed è particolarmente dovuto a differenze bati-
metriche.
Noto infine che siccome col materiale raccolto in Piemonte in piani geologici
tra loro abbastanza distanti si può sovente constatare una serie di graduali pas-
saggi fra diverse specie, dalle più antiche alle più recenti, è logico ammettere che,
se si avesse un materiale proveniente da tutti i piani e sottopiani, rappresentati
eziandio dalle loro diverse facies, il graduale modificarsi e collegarsi delle specie e
la .successiva derivazione di un gran numero di esse risulterebbe ancor più chiara ed
evidente.
Riguardo al materiale ‘avuto in comunicazione debbo accennare che, oltre a quello
solito, importantissimo, proveniente dalle collezioni dei Musei geologici di Torino, di
Roma, di Modena, di Genova, di Pavia, di Milano e dalla collezione privata Rovasenda,
ebbi pure in esame altre raccolte assai ricche messe gentilmente a mia disposizione dai
loro proprietari, Clarence Bicknell (per la Liguria) ed Odoardo Bagatti (per il Piacen-
tino), nonchè parziali contribuzioni di privati collettori di fossili dei colli torinesi, quali
i signori Paravicini, Forma, ecc. Faccio ancora osservare come fra il materiale sovra
accennato sia specialmente interessante quello delle tipiche collezioni di Brocchi
(Museo di Milano), di Borson, Bonelli e Bellardi (Museo di Torino), di Michelotti
(Museo di Roma) e di Doderlein (Museo di Modena), giacchè queste racchiudono
numerosi preziosissimi tipi, coll’esame diretto dei quali potei non solo schivare, ma
anche chiarire e togliere una quantità di errori di determinazione, errori fatti spe-
cialmente nella seconda metà del corrente secolo a cominciare dal classico lavoro
dell’Hoernes che, riguardo ai Conus, offre molte inesatte determinazioni le quali fu-
rono causa di una lunga serie di errori successivi.
Fra i principali di questi ‘errori, noto specialmente la ‘confusione delle ‘specie
tipiche del Miocene con quelle plioceniche e viceversa, la moltiplicazione delle specie
fatte sovente su semplici varietà, talora persino sopra un esemplare difettoso -0 sopra
esemplari giovani, la falsata interpretazione di alcune specie del Lamarck, ecc.
Avverto che, per brevità, a cominciare dalla presente monografia nella descrizione
delle varietà tralascio la solita indicazione: Distinguunt hanc varietatem a specie typica
sequentes motae, per tutte quelle varietà la cui diagnosi comparativa si riferisce alla
specie tipica, solo più mantenendo la frase di comparazione quando la varietà che si
descrive viene paragonata ad altra varietà, la quale in tal caso viene naturalmente
indicata.
Sottogen, DENDROCONUS Swarns. 1840.
Questo sottogenere è specialmente sviluppato nel Tortoniano e nel Pliocene, mentre
scarseggia nei terreni più antichi. Alcune forme sembrano .quasi passare ai Litho-
conus ed ai Chelyconus. Per lo più esse si possono facilmente distinguere ‘osservandole
‘nella regione della spira, perchè quivi l’ultimo anfratto visibile è notevolissimamente
più largo degli altri, fatto che generalmente è meno spiccato negli altri sottogeneri.
»
4 FEDERICO SACCO
DENDROCONUS BETULINOIDES (Lx.)
(Tl'avellto 01)
C. Testa oblongo-turbinata, luevi; basi sulcis transversis obsoletis distantibus; spira
convexa, mucronata, basi rotundata (Lamarck).
Alt. 20-160 mm.: Largh. 12-80 mm.
1768. WOLCH u. KNORR, Naturgesch. Verstein., II, Tab. CI, fig. 3.
1798. Volutites N. 1. BORSON, Ad Orict. pedem. auctarium, pag. 176.
1810. Conus betulinoides Le. LAMARCK, Ann. Mus. Hist. Nat., pag. 440, n. 2.
1814. , 5) = BROCCHI, Conch. foss. subapp., II, pag. 286.
1818. , Vevigatus Defr. DEFRANCE, Dict. Hist. Nat., Tome X, pag. 263.
1818. , betulinoides Lk. È 1 È 33 n 264.
1820 pi iccf s ci BORSON, Oritt. piem., pag. 9 (188).
1820, e la BONELLI, Cat. m. s. Museo Zool. Torino, n. 3647, 3650.
18300 ch 7 li BORSON, Cat. Coll. min. Turin, pag. 605.
1891065, si di BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 13.
1842. ; A z SISMONDA, Syn. meth., 1° ed., pag. 43.
1845. , > A LAMARCK in DESHAYES, An. s. vert., vol. XI, pag. 153.
1847. |, A 5 SISMONDA, Syn. meth., 2% ed., pag. 44.
1848. , È 5 BRONN, Ind. paleont., pag. 328.
1851. , E È HOERNES, Foss. Moll. Wien. Beck., pag. 16-17.
1852....., È , D’ORBIGNY, Prodr. Pal. str., III, pag. 171.
1866... , a vi DA COSTA, Gaster. dep. tere. Portugal, pag. 6.
L8S5 nn » (Lk.) Hoern. DE GREGORIO, Conch. med. viv. e foss., pag. 352-353.
1890. , sà Lk. SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piem., n. 4377.
Tortoniano: Stazzano (rarissimo).
Piacenziano: Albenga (R. Torsero) (alquanto raro).
Astiano: Astigiana, Vezza d’Alba (non raro).
Osservazioni. — È la forma più gigantesca dei Coni piemontesi. Quanto al tipo
esso non venne ancora figurato, poichè le figure date di questa specie sono basate
su esemplari di località e di età diversa da quella del tipo, e non corrispondono
perfettamente alla descrizione del Lamarck. Ciò dicasi per esempio per la figura data
dall’Hoernes e che il De Gregorio vorrebbe adottare come tipo; mentre invece io pro-
porrei per tale forma, che è una semplice varietà del C. detulinoides, il nome di
pervindobonensis Sacco. (1851, Conus detulinoides Lk. — HoerNES, Foss. Moll. Tert. Beck.
Wien. — Tav. II, Fig. 1), non trattandosi affatto del C. Aldrovandi come suppone il
Doderlein. Credetti perciò conveniente assumere e far figurare come tipo l’esemplare
ritenuto come tale dal Brocchi e che corrisponde assai bene alla diagnosi del Lamarck.
Gli esemplari giovani ricordano alquanto il C. pyrula ed il C. laeviponderosus ; essi
sono in generale assai mucronati e quindi distinti da quelli adulti, in cui l’apice è in
gran parte eroso.
La tinta del fossile in esame è per lo più giallastra, ma spesso sonvi anche
larghe ed irregolari macchie rossigne, od anche tutta la conchiglia è roseo-rossastra.
Gli esemplari più giganteschi provengono quasi tutti da un banco dolo
inferiore affiorante al fondo di una valletta presso Vezza d’Alba. }
E notevole che gli esemplari tortoniani sono generalmente alquanto più conici
di quelli pliocenici, per modo da formare quasi un passaggio al D. Berghausi.
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 5
Il Conus cacellensis Da Costa nominato dal Cocconi fra i fossili pliocenici del
Piacentino “ En. Moll., ecc., pag. 148 ,, è probabilmente una varietà di C. detulinoides.
D. BETULINOIDES Var. SUPRAMAMILLATA SACC.
(Tav. I, fig. 2).
Testa plerumque magna. Spira converior, mamillaris. Anfractus rotundatiores.
Astiano: Astigiana, Vezza d'Alba (non rara).
OsseRvAZIONI. — Raggiunge spesso le massime dimensioni di questa specie.
D. BETULINOIDES Var. CHELYCONOIDES SACC.
(Tav. I, fig. 3).
Testa minus conica, subovoidea. Spira perelatior, conico-subconvexa, apice mucronatior.
Alt. 92 mm.; Lat. 60 mm.
Astiano: Vezza d'Alba (rara).
OssERvaZzIoNI. — Presenta molti caratteri di Chelyconus, ma nel suo complesso
è riferibile invece ai Dendroconus; potrebbe forse da alcuno essere eretta in specie
a parte, ma avendone un esemplare solo, trovato fra numerosi D. bdetulinoides, sem-
brami più logico di considerarla come una varietà di detta specie.
D. BETULINOIDES Var. EXLINEATA SACCO.
(Tav. I, fig. 4).
Testa subconica, sulculis linearibus remotis ornata; spira planiuscula; apice exerto;
anfractubus planatis, basi sulcata (Borson).
Distinguunt hanc var. a specie typica sequentes notae:
Spira elatior, subconica, apice magis mucronata. Anfractus superne minus converi,
laevissime subangulosi.
Alt. 20-100 mm.: Lat. 12-55 mm.
1820. Conus lineatus Bors. BORSON, Or:tt. piemont., pag. 10 (189).
183002 5 io 5 Cat. Coll. Min. Musée Turin, pag. 605.
1848. , & A BRONN, Index Paleont., pag. 330.
Tortoniano : Stazzano, S. Agata, Montegibbio (rara).
Astiano: Astigiana, Vezza d’Alba (frequente).
OssERvAZIONI. — Il nome di Borson cade in sinonimia col C. lineatus BRAND.
(1766). Potei ritrovare l'esemplare tipico su cui il Borson fondò la sua specie, e che
io quindi figuro come tipo di questa varietà; ma il secondo esemplare (colla retepora)
che accenna il Borson ha la spira più depressa e più concava, per modo da riunirsi
‘meglio alla var. concavespirata; ambidue sono dell’Astigiana.
Il carattere di questa varietà è in parte giovanile, direi, poichè negli esemplari
giovani esso è quasi costante, talora anzi spiccatissimo sui primi anfratti; ma con-
servasi anche in molti esemplari adulti.
6 FEDERICO SACCO
Gli esemplari tortoniani sono generalmente mal conservati, in generale un po’
più conici di quelli pliocenici.
Nell’Elveziano dei colli torinesi trovansi esemplari che ricordano questa varietà,
ma sono alquanto più rigonfi nella parte superiore per modo che forse debbono at-
tribuirsi ad altra forma.
D. BETULINOIDES Var. CONCAVESPIRATA Sacco.
(Tav. I, fig. 5).
Spira depressior, subplanata vel subconcava potius quam subconvera; anfractus
superne minus rotundati, laeviter subangulati.
Alt. 20-120 mm.: Lat. 12-70 mm.
EWeziano: Colli torinesi (rarissima).
Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo, Albenga (R. Torsero), Bordighera (non rara).
Astiano: Astigiana, Vezza d’Alba (non rara).
Osservazioni. — Presenta graduale passaggio sia al tipo che alla var. exlineata.
Ricorda talora di lontano un Lithoconus per la spira depressa. Gli esemplari elve-
ziani paiono far passaggio alla var. dertocanaliculata. Debbo accennare al riguardo
come nell’ Elveziano dei colli torinesi abbia osservato altre forme diverse (forse nuove)
di Dendroconus che per essere rappresentate solo da rari resti molto imperfetti
credetti più opportuno non descrivere per ora; in parte ricordano il D. bdetulinoides.
D. BETULINOIDES Var. DERTOSULCULELLATA SACC.
(Tav. I, fig. 6).
Testa aliquantulum magis conica; sulculelli prope suturam visibiliores.
Tortoniano: — S. Agata fossili, Stazzano (non rara).
Osservazioni. — Per la forma più conica tende verso il D. Berghausi, come l’af-
fine C. Mojsvari H. A., che io considererei pure solo come una varietà di passaggio
tra il D. detulinoides ed il D. Berghausi.
D. BETULINOIDES Var. DERTOMAMILLATA SACC.
(Tav. I, fig. 7).
Testa aliquantulum magis conica, crassa; spira inflata, convexo-mamillata. Anfractus
superne rotundatiores, ultimus prope suturam laevissime subcanaliculatus.
Alt. 100-103 mm.: Lat. 62 mm.
Tortoniano: Stazzano (non rara).
Osservazioni. — Per la sua relativa conicità altri potrebbe forse già riferirla
al D. Berghausi. La sua spira è molto simile a quella della var. supramamillata.
Forme simili si incontrano nel Miocene di Cacella, per quanto risulta dalle figure
del Da Costa (Gast. terc. Portugal., Tav. I, Fig. 1, Tav. II, Fig. 1, 2), e nel Miocene
viennese, come l’indica il D. hungaricus (H. A.).
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 7
D. BETULINOIDES Var. DERTOCANALICULATA SACC.
(Tav. I, fig. 8).
Testa aliquantulum magîs conica, crassa. Spira laeviter depressior. Anfractus su-
perne aliquantulum rotundatiores, prope suturam plus minusve sulculellati, ultimus
laeviter canaliculatus.
Alt. 40-100 mm.: Lat. 25-56 mm.
Elveziano: Colli torinesi (rarissima).
Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano, Montegibbio (non rara).
Osservazioni. — Passa gradatamente alla var. dertomamillata e quindi tende
pure verso il D. Berghausi. Le è affine, se non identico, il C. Mercatii secondo
Da Costa (Gast. terc. Portugal — Tav. III, fig. 1).
DexpRroconus BereHaAUSsI (MIcHT.)
(Tav. I, fig. 9).
Testa crassa, conica, abbreviata; spira mucronata, valde depressa; anfractibus (in
adultis) superne planulatis, laevigatis, ultimo obtuse rotundato; apertura coarctata, ad
basim subdilatata; columella inferne striata (Michelotti).
Alt. 13-85 mm.: Lat. 8-58 mm.
1847. Conus Berghausi Micht. MICHELOTTI, Descript. Foss. mioc., pag. 242, Tav. XII, fig. 9.
Sd, 5 A SISMONDA, Sy. meth., 2* ed., pag. 44.
LINE 7 3 HOERNES, Foss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 19.
1852. |, À, 2 D’ORBIGNY, Prod. Pal. strat., II, pag. 56.
1862000, È 5 DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Italia cent., pag. 25 (107).
136080 a n DA COSTA, Gast. dep. tere. Portugal, pag. 9.
1813-04 maculosus Grat. FISCHER et. TOURNOUER, Invert. foss. M. Leberon, pag. 127.
1803. > Berghausi Micht. COCCONI, En. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 147.
IO VATCASNINI maculosus Grat. LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 64.
1884. ., Berghausi Micht. DE GREGORIO, Conch. medit. viventi e fossili, pag. 358.
1890) P 5 SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piem., n. 4876.
Elveziano : Colli torinesi (raro).
Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano, Montegibbio (non raro).
Piacenziano: Piacentino (Gropparello) (rarissimo).
Osservazioni. — In complesso questa forma essenzialmente tortoniana è assaî
caratteristica e ben distinta dal D. detulinoides, per cui credo si possa ritenere come
una buona specie, ma è certo che per mezzo di alcune varietà essa sembra collegarsi
col D. betulinoides.
Quanto all'identità che alcuni, come il Fischer, il Tournouer, il Locard, ece.,
credettero ravvisare tra il C. Berghausi ed il C. maculosus GrAT., a me sembra che
essa non sia accettabile.
Questa specie è per lo più alta solo dai 2 ai 4 cm.: gli esemplari grandi sono
assai rari e sovente sembrano formare passaggio al D. betulinoides. È notevole che
la. forma tipica, stata figurata dal Michelotti, e che io figuro di nuovo, è relativa-
mente rara, mentre sono comunissime alcune delle varietà indicate im appresso.
8 FEDERICO SACCO
Rarissimi sono gli esemplari che conservino traccie della colorazione. Gli esem-
plari giovani sono generalmente meno conici ed a spire più elevate di quelli adulti.
Questa specie è molto variabile, per modo che alcune delle sue variazioni rice-
vettero nomi specifici diversi; così è forse il caso pel D. Daciae H. A., pel D. vo-
eslauensis H. A., per parte delle figure colle quali il Da Costa e l’Hoernes R. ed
Auinger indicano il C. subraristriatus DA Costa, ecc.
La forma indicata da “R. Hoernes ed Auinger come C. Loroisi KIENER (1889,
Gaster. I u. II Mioc. Med. Stufe, Tav. III, fig. 5) è distinta dalla forma vivente per
modo che le do il nome di exloroîsi SAco.; essa potrebbe forse anche considerarsi
come una varietà di D. Berghausi. Lo stesso deve forse ripetersi per il C. antiquus
di GratELouP (Atlas Conch. foss. Adour. 1840, Tav. 43, Fig. 1), forma che forse è
solo una varietà (che io appellerei var. exantigua Sacc.) del C. Berghausi.
D. BERGHAUSI var. SUBASPIRA SACC.
(1866. DA COSTA (Conus Berghausi) Gast. terc. Portugal, Tav. I, fig. 3).
Spira depressior, planoexcavata.
Tortoniano: Stazzano, S. Agata fossili (non rara).
D. BERGHAUSI var. PROPEBETULINOIDBS SACC.
a eo)
Testa plerumque major, aliquantulum elongatior. Spira. plerumque plus minusve
depressa. In anfractubus prope suturam sulculelli subvisibiles.
Alt. 58-72 mm.: Lat. 38-45 mm.
1842. Conus antiquus Lk. (pars) SISMONDA, Syn. meth., 1° ed. pag. 483.
Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano (non rara).
OsservazIoNI. — Si avvicina alquanto al D. bdetulinoides, specialmente alle sue
var. dertocanaliculata e dertosulculellata, tanto che talora la loro distinzione può sem-
brare incerta. Inoltre presenta caratteri di passaggio alla var. exfuscocingulata.
D. BERGHAUSI Var. BIFASCIOLATA SACC.
(Tav. I, fig. 11).
Testa affinis var. propebetulinoides, sed in regione ventrali medio-supera duo
fasciolae brunneae conspiciuntur.
Alt. 67 mm.: Lat. 45 mm.
Tortoniano: S. Agata fossili (rara).
Osservazioni. — Oltre alle due fascie più evidenti, altre se ne intravvedono
qua e là specialmente nella parte caudale.
D. BERGHAUSI Var. EXFUSCOCINGULATA SACC.
(Tav. I, fig. 12).
Testa plerumque minor, superne inflatior, spira elatior, cingulis fuscis, plus minusve
distantibus, transversim ornata.
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 9
Alt. 16-26 mm.: Lat. 10-17 mm.
1862. Conus fuscocingulatus Bronn. DODERLEIN,. Giac. terr. mioc. Italia centr., pag. 25 (107).
UTO LO ME s A COCCONI, En. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 148.
1890. , P 5 DELLA CAMPANA, Pliocene Borzoli, pag. 27.
1890001 n È SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 5440.
Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano (frequente).
Piacenziano: Borzoli, Piacentino (non rara).
Osservazioni. — Il carattere dei cingoli bruni, rilevati o no, credo che abbia
poca importanza, anzitutto perchè esso osservasi quasi solo negli esemplari giovani, ed
anche perchè lo ebbi a constatare su forme alquanto diverse; inoltre esso talora
appare solo per alterazione del calcare superficiale. Quindi credo trattisi piuttosto di
un carattere casualmente apparente nel gruppo del D. Berghausi, piuttosto che non
di un vero carattere inerente ad una data specie, tanto più che, come dissi, esso
osservasi specialmente sugli esemplari giovani.
D. BERGHAUSI var. MoRAVICA (H. A.).
(1851. M. HOERNES (C. fuscocingulatus). Foss. Moll. tert. Beck. Wien., Tav. I, fig. 4).
(1889. R. HOERNES u. AUINGER (Lithoconus moravicus). Gaster. I u. II mioc. Medit. stuf., pag. 29).
Tortoniano: Stazzano (rara).
OssERVAZIONI. — Come già dissi riguardo alla var. exfuscocingulata, credo che il
carattere dei cingoli trasversi abbia poca importanza, certamente non tale da costituire
una specie a parte. Gli esemplari di Stazzano sono più piccoli del tipo.
Notisi che il vero C. fuscocingulatus Bronn non è quello rappresentato dalla
fig. 4 (Tav. I del sovraccennato lavoro di M. Hoernes), ma bensì quello della fig. 5,
che non ha spiegazione al piede della tavola, donde nacquero molte confusioni.
D. BERGHAUSI var. MORAVICOIDES SACC.
(Tav. I, fig. 13).
Testa crassior, magis conica; spira elatior, subconica.
Alt. 27-40 mm.: Lat. 18-30 mm.
Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano (non rara).
OssERvAZIONI. — Questa forma si avvicina moltissimo alla var. moravica; se ne
distingue essenzialmente per la mancanza dei cingoli trasversi.
D. BERGHAUSI var. TRIANGULARIS SACC.
(Tav. I, fig. 14).
Testa crassa, valde magis conica, subtriangularis, superne perexpansa.
Alt. 36 mm.: Lat. 31 mm.
Tortoniano: Stazzano (rara).
OssERVAZIONE. — Può considerarsi come una esagerazione della var. moravicoides.
Serie II. Tom. XLIV. B
10 FEDERICO SACCO
D. BERGHAUSI var. PLANOCYLINDRICA SACCO.
(Tav. I, fig. 15).
Testa minus conica, inferne magis dilatata, deinde subeylindrica; spira depressa.
Alt. 26-38 mm.: Lat. 20-26 mm.
1827. Conus antiquus Lk. BONELLI, Cat. ms. Museo Zool. Torino, n. 3651,
1842. , ; È SISMONDA, Syn. meth., 1% ed. pag. 43 (pars).
Tortoniano: S. Agata fossili (non rara).
D. BERGHAUSI var. PERCOMMUNIS SACC.
(Tav. I, fig. 16).
Testa clavatior. Spira elatior. Anfractus superne regularius rotundatiores.
Alt. 13-80 mm.: Lat. 8-52 mm.
Elveziano: Colli torinesi (rarissima).
Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano, Montegibbio (frequentissima).
Osservazioni. — Molti esemplari erano indicati nelle diverse collezioni come
C. Aldrovandi. Sono rarissimi gli esemplari che conservino le colorazioni, come quelli
figurati; in generale sono scolorati. Questa varietà passa gradatamente sia alla var.
Vacecki (H. A.), sia alla var. Broteri (Da Costa).
D. BerenAUsI var. VAcECKI (H. À.).
(1851. M. HOERNES (C. Berghausî). Foss. Moll. tert. Beck. Wien., Tav. I. fig. 3).
(1879. R. HOERNES u. AUINGER, (C. Vacecki). Gaster. I u. II Mioc. Med. stuf., pag. 22).
Testa subglandiformis, superne inflatior, plus minusve submamillata.
Alt. 14-45 mm.: Lat. 8-30 mm.
? Elveziano : Colli torinesi (rara).
Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano, Montegibbio (frequente).
Piacenziano: Borzoli (rara).
OsseRvAZIONI. — Questa forma si collega per infiniti passaggi sia colla var. per-
communis, sia colla var. glandiformis, per modo che se ne potrebbero costituire numerose
altre varietà che credo invece più opportuno di raggruppare attorno alla forma figu-
rata da R. Hoernes. I colori quasi sempre sono scomparsi. Gli esemplari giovani sono
generalmente meno conici ed a spira più elevata che non quelli adulti.
Sono probabilmente ancora riferibili a queste varietà le forme figurate dal Da
Costa a Tav. IL (Fig. 3, 4, 5, 6) del suo lavoro Gast. Terc. Portugal. 1866.
D. BERGHAUSI var. GLANDIFORMIS SACC.
(Tav. I, fig. 17).
Testa affinis var. Vacecki, sed magis glandiformis; spira inflatior; anfractus su-
perne rotundatiores; puncticulis seriatis interdum ornata.
Alt. 35 mm.: Lat. 23 mm.
Tortoniano: Stazzano (rara).
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 11
Osservazioni. — Senza voler dare troppa importanza alle colorazioni tanto va-
riabili è notevole come in questa forma si osservino talora punteggiature invece di
macchiette quadrangolari come è per lo più il caso per le forme del D. Berghausi.
Essa passa gradualissimamente alla var. Vacecki. Questa forma è distintissima dalla
var. alpus De Gre. (1866 Conus Berghausi Micart. — DA Costa Gast. Terc. Portugal,
.Tav. I, Fig. 2) la quale sembra quasi avvicinarsi meglio al tipico D. bdetulinoides;
invece il Da Costa figura come C. Eschewegi in parte (Fig. 24 di Tav. IX) forme af-
fini, forse identificabili a quella in esame.
D. BERGHAUSI var. CONOTRIANGULA SACC.
(Tav. SInfio: 19):
Testa subbiconica. Spira elatior, sat regulariter conica. Anfractus superne obtuse
angulati.
Alt. 43 mm.: Lat. 27 mm.
Tortoniano: Stazzano (rara).
Osservazioni. — Ricorda alquanto il D. Steindachneri H. A. che potrebbe forse
essere anche considerato come una varietà di D. Berghausi.
D. BERGHAUSI var. SEMISULCATULA SACC.
(av. Kbeioagl):
Testa minus triangularis. Spira aliquantulum elatior. Anfractus semisulcati.
Tortoniano : Montegibbio (rara).
OsservazioNnI. — Ricorda alquanto il C. Neumayri H. A. che forse è solo una
varietà del D. Berghausi.
D. BERGHAUSI var. CONICOSPIRA SACC.
(Tav. I, fig. 20).
Testa affinis var. Vacecki, sed interdum aliquantulum elongatior, spira elatior,
plus minusve conica.
Alt. 14-45-155 mm. : Lat. 8-27-135 mm.
Eleziano: Colli torinesi, Baldissero (non comune).
Tortoniano: Stazzano, S. Agata fossili, Montegibbio (frequentissima).
OsseRvAZIONI. — Passa gradualissimamente alle var. Vacecki e glandiformis. Pre-
senta qualche rassomiglianza con qualcuna delle forme che il Da Costa riferisce al
C. subraristriatus (che forse è, in parte, soltanto una varietà del D. Berghausi), nonchè
col D. Steindachneri H. A. (= D. Hochstetteri H. A. in texto). Anche alcune forme (Fig. 20
e 22 di Tav. IX) figurate dal Da Costa come C. Eschewegi sono riferibili alla varietà
in esame.
D. BERGHAUSI var. PERMUCRONATA SACC.
(Tav. I, fig. 21).
Spira plus minusve subconica, elatius mucronata.
Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano (non rara).
12 i FEDERICO SACCO
OsservAZIONI. — Forma passaggio sia al tipo che alla var. percommunis; Linn
guesi dalla var. conicospira per avere la spira meno inflata.
DENDROCONUS DERTOVATUS SACC.
(Tav. I, fig. 22).
Testa subovato-conica. Spira elato-convexa, subconica, non scalarata, pagodaeformis.
Anfractus convexuli; ultimus permagnus, convexovatus, in regione medio-infera profunde
transversim sulcatus. Apertura constricta.
Alt. 16-27-45 mm.; Lat. 9-15 mm.
Tortoniano: Stazzano, S. Agata (non rara).
Osservazioni. — Questa forma sembra doversi elevare al grado di specie a
parte, quantunque si possa anche considerare come una forte variazione della
specie-gruppo D. Berghausi.
Riguardo al C. dertovatus debbo notare come su qualche esemplare abbia osser-
vato residui di lineette trasverse, ciò che, unitamente alla forma, avvicina alquanto
il D. dertovatus al tipico C. fuscocingulatus Bronn (HoerNnEs, Foss. Moll. Tert. Beck.
Wien, Tav. I, fig. 5, non 4). Credo quindi necessari ulteriori studii per chiarire la
vera posizione ed interpretazione del C. fuscocingulatus il quale sembra pure rap-
presentato in Piemonte; ma il materiale osservato non mi permette per ora di
giudicare nettamente al riguardo, tanto più che i colori caratteristici sovente man-
cano e forse non hanno quel valore assoluto che altri volle loro attribuire. Noto
infine che mentre il tipico 0. fuscocingulatus figurato da M. Hoernes rassomiglia
assai ad un Dendroconus, quelli figurati da R. Hoernes ed Auinger nella Tav. I del
loro recente lavoro “ Gastr. I u. II Mioc. Med. stufe , sono invece veri Chelyconus,
per modo che credo opportuno distinguerli con due nomi diversi, cioè var. ochreocin-
gulata Sacc. (fig. 10, 11) e var. pòoteleinsdorfensis Sacc. (fig. 13).
D. DERTOVATUS Var. CONNECTENS SACC.
(Tav. I, fig. 23).
Testa magis conica, minus ovata. Spira depressior.
Tortoniano: Stazzano (rara).
Osservazioni. — Sembra quasi costituire un anello di congiunzione fra il D. der-
tovatus e la var. conicospira del D. Berghausi.
Denproconus EscHEwEGI (DA Costa).
(13866. DA COSTA, Gaster. dep. tere. Portugal, pag. 29, Tav. IX, fig. 28).
Alt. 13-40 mm.: Lat. 8-20 mm.
? Elveziano: Colli torinesi (rara).
Tortoniano: Stazzano, S. Agata (alquanto rara).
? Piacenziano: Vezza d'Alba (rarissima).
OsservazIionI. — Il Da Costa istituendo questa specie ne lasciò i limiti così
larghi da includervi diverse varietà di D. Berghausi, a cui d’altronde essa è stret-
tamente connessa; perciò la specie del Da Costa si doveva o abolire o restringere
in limiti più definiti, come io credetti di fare ponendone a tipo la fig. 23. Un esem-
Attualità
Astiano
Piacenziano
Tortoniano
Elveziano
FEDERICO SACCO
D. betulinoides e var.
D. betulinoides e var.
D. betulinoides e var.
LI
Dendroconus betulinoides var.
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 13 bis
Quadro comparativo dei DENDROCONUS.
C. Loroisii — D. sumatrensis — D. betulinus — D. figulinus
supramamillata
chelyconoides
exlineata
concavespirata
concavespirata
i pervindobonensis
exlineata
dertomamillata —
dertocanaliculata —
dertosulculellata — ( propebetulinoides
I bifasciolata
hungarica
\ Moisvari
| conca vespirata
| dertocanaliculata
D. Berghausi var.
eafuscocingulata
Vacecki
eafuscocingulata
moravica
moravicoides
triangulariîs
planocylindrica
| percommunis
var. e D. Berghausi e var. (
D. Daciae —
D. pyruloides — |
D. Berghausi e var. |
Vacecki
glandiformis
conotriangula
semisulcatula
conicospira D. dertovatus e
var. connectens
permucronata
percommunis
2 Vacecki
conicospira
D. Eschewegi var. depressoastensis
Ì
D. Eschewegi e var. caelata
D. Eschewegi var. caelata
ir Mag h i:
ll
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(DA
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PUR
usi i)
ODO”
LIES
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 13
plare di Stazzano presenta un leggiero solco trasversale nella regione ventrale su-
periore, per modo che ricorda un C. ponderosus; si potrebbe perciò indicare come
var. ponderosulcatula.
D. EscHEwEGI var. cAELATA (Dop. SAcc.).
(Tav. I, fig. 24).
Spira minus elata, subrotundata.
1862. Conus caelatus Dod. DODERLEIN, Giae. terr. mioc. Italia centr., pag. 25 (107).
1890. , A È SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 5446.
Elveziano: Colli torinesi (rara).
Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (alquanto rara).
OsservazionI. — Il nome dato dal Doderlein essendo nome di catalogo non può
rappresentare la specie tipica. Per quanto mi risultò dall’esame della Collezione del
Museo geologico di Modena, una parte degli esemplari determinati dal Doderlein
come C. nisus D'ORrB. sono esemplari giovani di questa forma e del D. pyruloides.
D. ESCHEWEGI var. DEPRESSOASTENSIS SACC.
(Tav. I, fig. 25),
Testa minus ovata; spira valde depressior, convexula, vix apice aliquantulum
mucronata.
Piacenziano: Astigiana (rarissima).
Osservazioni. — È importante vedere che il D. Eschewegi giunge al Pliocene.
DeNnpROconUS PYRULOIDES (Dop. SAcc.).
(Tav. I, fig. 26).
Testa elongato-pyruloides. Spira subacuta, parum elata. Anfractus convexuli; ultimus
magnus, in dinvidia infera parte sulcis profundis transversim ornatus. Apertura elon-
gato-constricta.
Alt. 8-30-35 mm.: Lat. 7-14-17 mm.
1862. Conus pyruloides Dod. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Italia centr., pag. 25 (107).
8900 Ù 7 SACCO, Catal. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 5444.
Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (frequente).
OsseRVAZIONI. — Descrissi la specie sugli esemplari originali del Doderlein. Essa,
malgrado la sua somiglianza col Chelyconus pyrula (Br.), collegasi strettamente col
D. Berghausi.
Gli esemplari giovani, che poco differiscono da quelli del D. Berghausi, erano
| determinati nella collezione del Museo geol. di Modena in parte come C. nisus D’ORB.
| ed in parte come C. pyriformis Dop.
D. PYRULOIDES Var. PLANACUTISPIRA SAC.
(Tav. I, fig. 27).
Spira depressior, minus conica, apice acutior.
Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (frequente).
14 FEDERICO SACCO
Sottogen. LITHOCONUS MòrcH, 1850.
LirHoconus MERCATI! (BR.).
(Tav. II, fig. 1).
Testa oblongo-conica, spira acuta, anfractubus omnibus converiusculis, suturam
prope leviter canaliculati, basi confertim striata, rugosa (Brocchi).
Alt. 18-100 mm.: Lat. 8-58 mm.
raro MERCATI, Metallotheca vaticana, pag. 303, fig. 3.
1814. Conus Mercati Br. BROCCHI, Conch. foss. subapp., II, pag. 287, Tav. II, fig. 6.
Tisilissene n 5 DEFRANCE, Diet. Hist. natur., tome X, pag. 264.
1820... , Dale BORSON, Oritt. piemontese, pag. 18 (197).
192.10 5 x BASTEROT, Bass. tert. S. O. France, pag. 40.
T826.M00 È 7 RISSO, Prod. Europe mérid., IV, pag. 230.
182700, 5 È BONELLI, Cat. ms. Museo Zoolog. Torino, n. 2984, 2985, 3649.
18905: » FIA BORSON. Cat. Coll. min. Turin, pag. 606.
1831. , 5 3 BRONN, It. tert. Geb., pag. 13.
1832. , 5 Ò DESHAYES, Exped. scient. Morée, III, pag. 200, n. 354.
1836. , mediterraneus var. PHILIPPI, Enum. Molluscorum Siciliae, I, pag. 238.
1842. , Mercati Br. SISMONDA, Sym. meth., 1% ediz., pag. 43.
1845. , A " LAMARCK in DESHAYES, Hist. Nat. An. s. vert., XI, pag. 161.
1847. , L > SISMONDA, Syn. meth., 2% ediz., pag. 44.
1848. , mediterraneus Brug. var. BRONN, Index paleont., pag. 330.
1851. , Mercati Bronn. HOERNES, Foss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 23.
1852. , 5 È ? D'’ORBIGNY, Prod. Pal. str., III, pag. 171.
1866. , È , , E Gast. dep. terc. Portugal, pag. 11 (pars).
LS A a FISCHER et TOURNOUER, Invert. foss. M. Leberon, pag. 127.
80 È 5 COCCONI, Enum. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 149.
TSI na A 5 LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 65.
1881. , È 5 FONTANNES, Moll. Plioc. Vallée Rhòne, pag. 140.
189070 63 5 > SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piem., n. 4389.
Piacenziano: Castelnuovo d’Asti, Alba, Magnano nel Biellese, Piacentino (non rara).
Astiano: Astigiana (Buttigliera, Capriglio, Cortazzone, Baldichieri, Valle Andona,
Villafranca, Monteu-Roero, ecc., ecc.), Bra; Piacentino, ecc. (abbondantissima).
OssERVAZIONI. — Questa specie fu spesso erroneamente interpretata dai varii
autori, come risulta dalle figure date dall’Hoernes e da altri; inoltre ebbi a consta-
tare che gran parte degli esemplari di questa specie erano classificati come C. Al-
drovandi. Quindi riguardo a diversi autori (Risso, Sasso, Sismonda, Lamarck, D’Or-
bigny, ecc.) si dovrebbe anche porre nella sinonimia della specie in esame l’indi-
cazione: C. Aldrovandi; ma mi limito ad accennare il fatto, il quale spiega molte
confusioni verificatesi riguardo a queste due forme. È perciò che credetti opportuno
far figurare di nuovo l’esemplare tipico del Brocchi. Nella collezione Brocchi oltre
all’esemplare tipico di S. Miniato havvene un altro, quasi identico, delle crete senesi.
Gli anfratti presso la sutura sono talvolta più o meno striolati trasversalmente.
È a notarsi che nell’Astiano del Piemonte le forme del L. Mercati, quantunque
siano talora identificabili col tipo, in generale sono leggermente più allungate e supe-
riormente più strette, ad anfratti un po’ più gradinati nella spira, la quale è un
po’ più bassa, in modo da far quasi passaggio alla var. cincta.
1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 15
Gli esemplari giovani si distinguono per essere assai più allungati proporziona-
tamente al diametro trasversale, spesso substriolati presso la sutura, in modo che
sembrano far passaggio alla var. Caroli.
Anom. nIeRICANS Sacco. — Testa griseo-nigra.
Astiano — Astigiana (rara).
Anom. crasseLABIATA Sacc. (Tav. II, fig. 2). — Spira depressa, parum scalarata,
Anfractus ultimus aperturam versus et prope aperturam 2 cingulis longitudinalibus,
percrassis, irregularibus, munitus.
Astiano — Astigiana (rarissima).
Anom. ANOMALOSULCATA Sacc. (Tav. II, fig. 2%). — Anfractus ultimus transversim
sulcis subparallelis, plus minusve latis et profundis, inter se varie distantibus, munita.
1826. Conus Mercati Br. var. — BONELLI, Cat. ms. Museo Zool. Torino, n. 3648.
Astiano — Villanova d’Asti (rarissima).
L. MercaTI var. cincrA (Bors.).
(Tav. II fig. 3).
Anfractus transversim cingulis parallelis, subdepressis, interdum suboblitis, inter se
sat distantibus, ornata.
Alt. 40-55 mm.: Lat. 22-31 mm.
1798. Volutites 2°. BORSON, Ad. Orict. ped. auct., pag. 176.
1820. Conus cinetus Bors. 3 Oritt. piemont., pag. 13 (192).
TSBIOLA TANO È A È Cat. coll. min. Turin, pag. 605.
1848. , hi 5 BRONN, Index Paleont., pag. 329.
Astiano: Astigiana (non rara).
Osservazioni. — I caratteri di questa forma consistono nei cingolelli trasversi
o cordoncini visibili ad occhio nudo e rilevati, come dice il Borson, e non già in sulculi
come egli indica nella diagnosi. Essa potrebbe forse riguardarsi solo come un’ano-
malia, poichè i caratteri che la distinguono compaiono su forme alquanto diverse.
L. Mercati var. ALpROvANDI (BR.).
(Tav. II, fig. 4).
Testa conica, sulcis transversis remotis leviter impressis, spira convexoacuta depres-
siuscula, anfractubus rotundatis, extimo vix excavato, basi integra oblique striata, colu-
mella intorta, canaliculata (Brocchi).
Distinguunt hanc var. a specie typica sequentes notae:
Testa inflatior; spira minus scalarata. Anfractus prope suturam subrotundati, mi-
nime subcanaliculati.
Alt. 76 mm.: Lat. 48 mm.
1648. ALDROVANDI, Museum metallicum, pag. 471, fig. 1 (9)
1814. Conus Aldrovandi Br. BROCCHI, Conch. foss. subapp., II, pag. 287, Tav. II fig. 5.
dB1eono LI si DEFRANCE, Dict. Hist. Nat., tome X, pag. 264.
1323. , fi È BORSON, Or:tt. piem., pag. 172 (304).
16 FEDERICO SACCO
1826. Conus Aldrovandi Br. RISSO, Hist. Nat. Europe mérid., IV, pag. 228.
IS20 i et P È SASSO, Saggio geol. Bac. tere. Albenga, pag. 482.
182900 5 Fi DE-SERRES, Géognosie terr. tert., pag. 127.
1830. 5 È ” BORSON, Cat. gen. Coll. min. Turin, pag. 606.
1890, N pi 2 BRONN, Ital. tert. Gebild., pag. 13.
1842. |, ni ti SISMONDA, Syn. meth., 1% ed., pag. 43.
1845. |, i H LAMARCK in DESHAYES, Mist. Nat. An. s. vert, XI, pag. 160.
1847. , È A SISMONDA, Syn. meth., 1% ed., pag. 43.
1848. |, A si BRONN, Index paleont., pag. 328.
1351 3 È HOERNES, Foss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 18.
SO2A0a 3 5 D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 171.
VISTA 3 È DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Ital. centr., pag. 25 (107).
1863. |, n 3 DA COSTA, Gast. tere. Portugal, pag. 7.
MENSE d - FISCHER et TOURNOUER, Invert. foss. M. Leberon, pag. 127.
L87905, È È COCCONI, Enum. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 147.
WS è È LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 63.
IRON A Pi ISSEL, Fossili marne Genova, pag. 24.
1884. , betulinoides, forma div. DE GREGORIO, Conch. medit., pag. 66.
1886. , Aldrovandi? Br. SACCO, Valle Stura di Cuneo, pag. 66.
18900 2 n SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4368, 5433.
Piacenziano: Crete sanesi e Bologna (rara).
Osservazioni. — Debbo anzitutto accennare come le indicazioni segnate nella
sinonimia si riferiscano sovente a forme ben diverse dal vero C. Aldrovandi, come
potei convincermi confrontando l'esemplare tipico, sia colle figure o colle descrizioni
date dai diversi autori, sia cogli esemplari che nelle varie collezioni trovai determi-
nati come C. Aldrovandi, e che invece appartengono in parte al L. Mercatii, in parte
a Dendroconus, ed alcuni anche a Chelyconus. Ne derivò quindi una grande confusione
la quale si può solo eliminare ritornando all’esemplare tipico del Brocchi, che cre-
detti quindi necessario far nuovamente figurare.
Quanto a questo esemplare tipico notiamo dapprima come esso nella collezione
Brocchi sia ora unico, mentre in generale gli altri coni vi sono rappresentati da di-
versi esemplari per ogni forma; inoltre esso presenta l’ultimo anfratto più volte ed
irregolarmente interrotto e risaldato, con salti, ecc. (ciò che venne in parte omesso
dal disegnatore del tipo), per modo da indicarci di aver appartenuto ad un individuo
anomalo. Riguardo agli anfratti superiormente subrotondati noto come nello stesso
esemplare tipico del C. Mercatii vi sia già un accenno di detto carattere, il quale
meglio si accentua in alcuni individui ed in alcune varietà di detta specie e special-
mente nella var. elongatofusula e depressulospira, le quali varietà, fatto curioso, presen-
tano pure generalmente nell’ultimo anfratto forti rotture, salti e risaldature come
nell’esemplare tipico del C. Aldrovandi. D'altra parte anche in questo stesso esem-
plare del Brocchi scorgonsi, specialmente nell’ultimo anfratto, gli accenni della de-
pressione subcanalicolata del L. Mercatii.
Per tali motivi io inclinerei a considerare il C. Aldrovandi come una varietà
del L. Mercatii, nò parebbemi giusta l’interpretazione inversa, quantunque il 0. Mer-
catii sia stato descritto un numero dopo del C. Aldrovandi, poichè questa forma,
unica o rarissima, sembra quasi solo rappresentare un’anomalia.
Noto qui come la forma figurata da M. Hoernes come C. detulinoides non possa
appellarsi Karreri H. u. A. (1889), perchè già indicata come Hoernesi da Doderlein
(1862); il nome di Karreri va riservato alla forma figurata (Tav. IV, fig. 7) con
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 17
questo nome da R. Hoernes ed Auinger. Quanto alla forma figurata da questi ultimi
autori come C. Aldrovandi (1889 — Tav. IV, fig. 2) non ha che fare con tale specie,
per cui le do il nome di pseudaldrovandi Saco.
L. MERCATI var. ELONGATOFUSULA SACC.
(Tav. II, fig. 5).
Testa affinis var. Aldrovandi, sed elongatior, fusiformis, spira elatior.
Alt. 77 mm.: Lat. 40 mm.
Astiano: Astigiana (rarissima).
Osservazioni. — Trattasi forse solo di un'anomalia, come lo indicherebbero, oltre
che la sua rarità, anche le interruzioni degli anfratti. Dal Museo geologico di Pavia
ebbi in comunicazione un esemplare simile, ma più piccolo (mm. 48 X 24) proveniente
da Val d’Elsa. Alcune forme tortoniane si avvicinano a questa varietà.
L. MERCATII var. DEPRESSULOSPIRA SACC.
(Tav. II, fig. 6).
Testa elongatior, minus conica. Spira aliquantulum depressior. Anfractus ad suturam
subrotundati.
Alt. 33-45 mm.: Lat. 18-24 mm.
Piacenziano: Bordighera (rara).
Osservazioni. — Per la subrotondità degli anfratti nella regione subsuturale
sembra costituire una forma di passaggio fra il tipo ed il C. Aldrovandi.
Dal Museo geologico di Roma ebbi in comunicazione un esemplare di questa
forma, proveniente da Casaglia, a caratteri assai spiccati per modo che lo faccio
figurare come tipo. È notevole come gli esemplari che ebbi ad esaminare finora pre-
sentino gli anfratti irregolarmente interrotti longitudinalmente, come si è già notato
per le forme Aldrovandi ed elongatofusula ; ciò indicaci forse esemplari un po’
anomali.
L. MERCATII var. LONGOASTENSIS SACC.
(Tav. II, fig. 7).
Testa elongatior, fusulatior, minus conica.
Alt. 25-110 mm.: Lat. 12-60 mm.
‘ 1814. Conus antiquus Lk. — BROCCHI, Conch. foss. subapp., pag. 286.
Astiano: Astigiana (frequentissima).
Osservazioni. — Passa gradualmente al tipo. Le si avvicina la var. funiculigera
Fonr., il cui carattere del funicolo suturale credo abbia solo poca importanza.
Potei constatare l’erronea determinazione del Brocchi esaminando il grosso esem-
“plare dell’Astigiana che egli classificò come C. antiguus; siccome nella collezione
Brocchi esiste un solo esemplare così determinato, non vi è dubbio al riguardo. Tale
Sere Il. Tom. XLIV. c
18 FEDERICO SACCO
errore di determinazione ne originò molti altri nei lavori di Sismonda, Bronn, ecc.,
errori che credo inutile citare. Forse il C. ampitus Dr GREG. (1885 — Conch. medit.,
pag. 379) dell’Astigiana è affine a questa forma, ma essendo senza figure non mi
riuscì di identificarlo.
L. Mercati var. BALDICHIERI (BoRs.).
(Tav. II, fig. 8).
Testa crassa, conica; spira scalariformis; anfractubus omnibus canaliculatis, linea
impressa distinctis, majori superne subrotundato; basi rugosa (Borson).
Alt. 71 mm.: Lat. 40 mm.
1820. Conus Baldichieri Bors. BORSON, Or:tt. piem., pag. 14 (193) — Tav. I, fig. 1.
1826. . , È fi BONELLI, Catal. m. s. Museo Zool. Torino, n. 585.
1831. , Baldichierensis Bors. BORSON, Cat. rais. Coll. Min. Turin, pag. 606.
1842. , Baldichieri Bors. SISMONDA, Syn. meth., 1% ed., pag. 43.
1847. , D 5 8 SI n 2% ed., pag. 44.
1848506008 5 3 BRONN, Index paleont., pag. 328.
1880. , Mercati Bron. DE STEFANI e PANTANELLI, Moll. plioc. Siena, pag. 132.
1890. , Baldichieri Bors. SACCO, Catal. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4375.
Astiano: Baldichieri nell’Astigiana (rara).
OsservazionI. — Sembra solo una varietà di C. Mercatii a spira molto alta; le
è affinissima la forma Bitneri (H. A.) del Miocene viennese.
L. MERCATI! var. FUSULOIDEA SACC.
(Tav. II, fig. 9).
Testa subfusiformis. Anfractus superne minus angulosi, plus minusve prope suturam
transversim striolati, parum vel minime subcanaliculati. Spira minus scalarata.
Alt. 35-125 mm.: Lat. 18-62 mm.
Piacenziano: Astigiana, Bordighera (alquanto rara).
Astiano: Astigiana (rara).
Osservazioni. — Collegasi gradualmente colla var. longoastensis.
L. MERCATI var. CRASSOVATA SACC.
(Tav. II, fig. 10).
Testa aliquantulum crassior, ventrosior, subovata. Spira paullulo depressior.
Alt. 50-90 mm.: Lat. 30-54 mm.
Astiano: Astigiana (alquanto rara).
Osservazioni. — Si collega con passaggi alle var. longastensis e fusuloidea;
ricorda i Chelyconus.
L. Mercati var. CAROLI (Fuc.).
(Tav. II, fig. 11).
(1891. FUCINI (Conus Caroli). Il Plioc. di Cerreto Guidi, ecc., pag. 14, Tav. II fig. 1).
Testa minor, gracilior, fusulatior. Spira regularius scalarata. Anfractus superne
magis angulosi; prope suturam striolati, interdum laeviter subcanaliculati.
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 19
Alt. 17-35 mm.: Lat. 9-16 mm.
Tortoniano: Stazzano (rara).
Piacenziano: Astigiana (frequentissima).
Astiano: Astigiana (alquanto rara).
Osservazioni. — Dal Museo geologico di Modena mi vennero inviati esemplari
di questa forma coll’indicazione: Conus spirillus Dop.- Tortona, ma dubito che proven-
gano piuttosto dal Piacenziano che non dal Tortoniano di detta regione.
Probabilmente in parte trattasi solo di forme giovanili del L. Mercatii e delle
sue varietà fusiformi; infatti in diversi esemplari di L. Mercatii, sia giovani che adulti,
osservansi sulcature subsuturali, per modo che la var. Carolî essenzialmente rap-
presenterebbe solo l’accentuamento di tale carattere ornamentale. La forma indicata
dal De Gregorio (Conch. medit., pag. 363) come C. virginalis var. elgus potrebbe forse
corrispondere alla forma in esame, ma, trattandosi di un semplice dubbio, non credo
opportuno accettare tale nome. Si avvicina per diversi caratteri alla var. turricula.
L. MERCATI var. TURRICULA (BR.).
(Tav. II fig. 12).
Testa oblongo-conica, glabra; spira elevata acuta, anfractubus convexis suturam
prope leviter canaliculatis, arcuatim rugosis, basi sulcata (Brocchi).
1814. Conus turricula Br. . 7 : BROCCHI, Conch. foss. subapp., II, pag. 288, Tav. II, fig. 7.
1813. , £ n : 5 - DEFRANCE, Diet. Hist. Nat., tome X, pag. 264.
1820. , n A ; , b BORSON, Oritt. piemont., pag. 10 (189).
1826. , © turriculus , 7 3 È RISSO, Hist. Nat. Prod. Eur. merid., pag. 280.
1829, turricula , ; 3 i MARCEL DE SERRES, Geogn. terr. tert., pag. 127.
18305005 * 7 A : . BORSON, Cat. Mus. min. Turin, pag. 605.
1831. .., 5 A E È 7 BRONN, It. tert. Geb., pag. 13.
1836. , mediterraneus var. . 3 PHILIPPI, Enum. Moll. Siciliae, I, pag. 238.
1848. , mediterraneus Brug. var. . BRONN, Index paleont., pag. 330.
1868. , a 5 WEINKAUFF, Conch. Mittelmeeres, IL, pag. 147.
1884. , a I Pornfi iva DE GREGORIO, Conch. medit., pag. 371.
Piacenziano: Astigiana e Nizzardo (rara).
Osservazioni. — Sembrami solo una varietà di L. Mercati, a forma un po’ più
fusoide. Oltre all’esemplare tipico, che credetti opportuno far figurare di nuovo,
nella collezione Brocchi esistono altri tre individui, di cui due più piccoli, ad anfratti
superiormente più angolosi, a spira più gradinata; nel complesso parrebbero quasi
esemplari giovani ed hanno qualche rassomiglianza colla var. Caroli.
L. MERCATII var. CANALICULATODEPRESSA SACC.
(Tav. II, fig. 13).
Spira depressior. Anfractus prope suturam canaliculati, transversim plus minusve
striolati.
Alt. 50-137 mm.: Lat. 30-71 mm.
Piacenziano (rara) ed Astiano (frequente) — Astigiana.
OsservazIoNI. — A primo tratto parrebbe quasi una specie a sè, ma osservansi
esemplari diversi che fanno passaggio al tipo.
20 FEDERICO SACCO
L. MERCATI var. SUPRAINFLATA SACC.
(Tav. II, fig. 14).
Testa maior, crassior. Spira minus acuta, inflatior. Anfractus prope suturam magis
canaliculati.
Alt. 90 mm.: Lat. 50 mm.
Piacenziano: Albenga (rara).
OsservazionI. — Si collega gradualmente colla var. miocenica, nonchè colla var.
canaliculatodepressa.
L. MERCATII var. MIOCENICA SACC.
Testa maior, crassior. Spira plus minusve depressior. Anfractus prope suturam
subcanaliculati, transversim plus minusve substriolati.
Alt. 55-100 mm.: Lat. 25-55 mm.
1862. Conus Mercatii Br. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. It. centr., pag. 25 (107).
Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (rara).
OsservazioNnI. — Pongo a tipo di questa forma la figura data dall’Hoernes (Foss.
Moll. tert. Beck. Wien — Tav. 2, Fig. 1), non già le fig. 2 e 3 della stessa tavola
che rappresentano forme assai diverse e che io appello rispettivamente supracom-
pressa Sace. (Fig. 2) e conicomaculata Sacc. (Fig. 3).
L. MERCATII var. SUBAUSTRIACA SACCO.
(Tav. II, fig. 15).
Testa affinis C. Reussi H. A., sed minus pyriformis.
Tortoniano: Stazzano (rara).
Osservazioni. — La forma di Stazzano che ebbi ad esaminare, quantunque rap-
presentata da un solo esemplare incompleto, sembra avvicinarsi al C. Reussi H. A.
ed al C. austriacus H. A., che a mio parere rappresentano solo varietà di una stessa
specie.Questa specie è forse il L. Mercati, eccetto che di queste forme si voglia co-
stituire una specie a parte, essenzialmente tortoniana. Pure forme alquanto simili
sembranmi il C. gainfahrensis H. A. ed in parte anche il C. Neugeboreni H. A.
Credo interessante notare come queste forme ficoidee, direi, tanto frequenti nel
bacino viennese, sembrino quasi formare passaggio fra il tipo essenzialmente plioce-
nico del L. Mercatii e quello, specialmente miocenico, del L. antiquus.
Riguardo al tipo del L. Mercatii, forse gli si potrebbero ancora raggruppare
attorno il L. pseudaldrovandi Sacco (1889 — Conus Aldrovandi Br. — R. Hoernes
u. Auinger — Gast. I u. II Mioc. Med. stufe — Tav. IV, Fig. 2), il L. Karreri H. A.
(id. — Tav. IV, Fig. 7, non L. Hoernesi Dop. = C. Aldrovandi Br. figurato da Hoernes
in: Foss. Moll. tert. Beck. Wien — Tav. I, Fig. 2), il L. ungaricus H. A., il L. Fuchsti
H. A., ecc.
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 21
L. MERCATI var. TAUROMAXIMA (an species distinguenda ?) SAcc.
(Tav. II, fig. 16).
Testa affinis C. Reussi H. À., sed major, superne rapide inflata, potius quam regu-
lariter ficoides. Spira depressior, sulculellis transversis destituta.
Alt. 150 mm.: Lat. 88 mm.
Elveziano: Colli torinesi (rara).
OsseRvaAZIONI. — À primo aspetto parrebbe un vecchio L. antiquus, ma l'esame
della spira fa riconoscere che esso collegasi meglio col C. Reussi H. A. e colla var.
subaustriaca. Potrebbe forse considerarsi come una specie a sè, di cui la var. compres-
sicauda sarebbe una varietà.
L. MERCATI var. COMPRESSICAUDA SACC.
(Tav. II; fig. 17).
Testa affinis var. tauromaxima sed: minor; spira elatior, subscalarata; regio cau-
dalis valde constricta.
Alt. 75 mm.: Lat. 45 mm.
Eeziano: Colli torinesi, Sciolze (alquanto rara).
L. MERCATI var. ACANALICULATA SACC.
(Tav. II fig. 18).
Spira depressior. Anfractus superne prope suturam depressiores, subplanati, non
canaliculati.
Alt. 30-90 mm.: Lat. 12-50 mm.
Tortoniano: Stazzano (rara).
Piacenziano: Astigiana, Savona Fornaci, Zinola (non rara).
Astiano: Astigiana (rara).
Osservazioni. — Presenta passaggi alla var. canaliculatodepressa; però il suo
carattere principale si riscontra in forme alquanto diverse, cioè alcune un po’allun-
gate ed altre un po'rigonfie.
LirHoconus susacuMINATUS (D’ORB.).
(Tav. III, fig. 1).
Testa conica, acuminata; spira planiuscula, filo vel fune marginali, striisque circu-
laribus eleganter distineta; apice exerto; basi subsulcata (Borson).
Alt. 55-130 mm.: Lat. 25-65 mm.
1798. Volutites n. 5. BORSON, Ad. Oryct. ped. Auct., pag. 176.
1820. Conus acuminatus Bors. A Oritt. piemont., pag. 15, Tav. I, fig. 2.
1830. |, 5 È Di Cat. Colli min. Turin, pag.
1847. , DI n SISMONDA, Syn. meth., 2° ed., pag. 43.
1847. » bisulcatus Bell.e Micht. (pars) hi È ù ni AMICLE
1848. , acuminatus Bors. BRONN, Index paleont., pag. 328.
1852. , subacuminatus D’Orb. D’ORBIGNY, Prodr. pal. strat., III, pag. 56.
1852. , bisulcatus Bell. e Micht. (pars) 2 7 5 Lo iripags Al
1862. , acuminatus Bors. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Italia centr., pag. 25 (107).
1890. , subacuminatus D'Orb. SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piem., n. 4367.
1890. , acuminatus Bors. var. 5 È si n im 5497,
22 FEDERICO SACCO
Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (non rara).
Astiano: Astigiana (rarissima).
Osservazioni. — Il nome del Borson non può essere conservato, perchè già usato
anteriormente dal Bruguière (1789).
Gli esemplari esaminati erano classificati alcuni come C. antiquus, altri come
C. tarbellianus, altri come C. ponderosus, molti però erano indeterminati. Fortunata-
mente trovai nella collezione Borson l'esemplare tipico figurato, che credo opportuno
far rifigurare.
Fuori del Piemonte questa bella specie venne generalmente determinata come,
C. tarbellianus GrAT. A mio parere tale riferimento è erroneo, poichè il C. tarbdellianus
credo sia invece riferibile al L. antiquus Lx., come risulta dalle figure e dai paragoni
del Grateloup. Quanto alle forme figurate dal M. Hoernes come 0. tarbellianus, esse
sono probabilmente riferibili, come var. epellus De GrEa. (Tav. IV, Fig. 1), al L. Mercati;
qualche cosa di simile deve ripetersi per la figura data da R. Hoernes ed Auinger
(Tav. V, Fig. 1). Invece le forme riferite dal Da Costa al C. tardellianus sono in ge-
nerale veri L. subacuminatus, come risulta nettamente dalla Fig. 1 di Tav. VII del
noto lavoro “ Gast. dep. terc. Portugal — 1863 ,. Nel miocene (probabilmente. torto-
niano) del Portogallo questa specie sembra raggiungere dimensioni veramente colossali
(mm. 185 X 90 circa); tali esemplari vennero indicati dal De Gregorio come var.
grolpus.
Il L. subacuminatus è facilmente distinguibile dalle forme affini, specialmente col-
l'esame della spira, giacchè quivi gli anfratti sono profondamente scanalati, regolar-
mente e fortemente solcati, distinti da una sutura assai ampia, coi due margini quasi
eguali, ecc.
È notevole come questa specie, essenzialmente tortoniana, siasi ancora continuata
sino all’Astiano, come risultami dall’unico esemplare, gigantesco, proveniente dalle
sabbie gialle dell’Astigiana e che fa parte della Collezione Borson. Talora gli indi-
vidui di questa specie sono alquanto meno stretti superiormente che non quello tipico.
La forma tipica passa gradualmente alle seguenti varietà.
L. SUBACUMINATUS var. CONOIDOSPIRA SACC.
(Tav. III, fig. 2).
Spira regularius conica, non subexcavata et in regione centrali fortiter elato-mucro-
nata sicut in specie typica.
Tortoniano: Stazzano, Montegibbio (rara).
Osservazioni. — Forse trattasi di individui non completamente adulti; forme
simili vediamo figurate dal Da Costa.
L. SUBACUMINATUS Var. SUBPYRULATA SACC.
(Tav. III, fig. 3).
Testa superne inflatior, subpyriformis. Spira regularius conica.
Tortoniano: Sogliano (rara).
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 23
L. SUBACUMINATUS Var. SUBAMARGINATA SACC.
(Tav. III, fig. 4).
In regione supera anfractuum, margo externus canalis depressus, suboblitus.
Tortoniano: Stazzano (rara).
L. SUBACUMINATUS ? Var. TAUROCONNECTENS SACC.
(Tav. III, fig. 5).
Testa magna. Spira inflatior, in regione centrali minus elato-mucronata; striae
spirales parvuliores, numerosiores, in anfractu ultimo suboblitae.
Ebeziano: Albugnano (rara).
OsservaziIoNnI. — Potrebbe forse considerarsi come una specie a parte che col-
lega il L. ineditus ed il L. antiquus al L. subacuminatus, ma occorrono altri rinveni-
menti per rischiarare la questione. A primo tratto ricorda il L. antiquus var. elato-
canaliculata.
LiTtHOCONUS ANTIQUUS (LK.).
(Tav. II, fig. 6, 7).
C. Testa turbinata, superne dilatata, basi obsolete rugosa; spira plana, subcanali-
culata; labro arcuata (Lamarck).
Alt. 8-85-120 mm.: Lat. 4-48-65 mm.
1810. Conus antiquus Lk. LAMARCK, Ann. Mus. Hist. Nat., vol. 15, pag. 439 (pars).
T8l4 00, a " BROCCHI, Conch. foss. subapp., Il, pag. 268.
MEA 1 A DEFRANCE, Diet. Hist. Nat., tome X, pag. 263 (pars).
1820. ., virgo? Linn. BORSON, Oritt. Piemont., pag. 14 (193).
1820. , virginalis? Br. È a 0134192).
1827. , antiquus Lk. BONELLI, Cat. m. s. Mus. Zool. Torino, n. 3652, 3662, 3663, 3673.
1830. , vîrgo? Linn. BORSON, Cat. Mus. min. Turin, pag. 606.
1830. , virginalis? Br. È si n s fi Ti6005,
1831. , antiquus Lk. BRONN, It. tert. Gebild., pag. 13.
1842. , b: z SISMONDA, Syn. meth., 1% ediz., pag. 43 (pars).
1845. , È È DESHAYES in LAMARCK, Hist. Nat. An. s. vert., tom. XI, p. 153.
1847. , 5 5 SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 44.
184, > si MICHELOTTI, Foss. terr. mioc., pag. 342.
1847. , mediterraneus Brug. var.? BRONN, Index paleont., pag. 328, 330.
1852. , antiquus Lk. D’ORBIGNY, Prodr. Paleont. strat., III, pag. 57.
TTAIOSNE Ta n LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 62.
8908 SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piemonte, n. 4373.
inlisgiscsti COLg! var. producta Myl.MYLIUS, Forme ined. di Moll. mioc., pag. 8, fig. 2.
Ebeziano: Colli torinesi, Sciolze, Baldissero, Albugnano, ecc. (frequentissima).
OsseRvaZzIONI. — Per mancanza di figura questa bella e caratteristica specie
venne finora generalmente o ignorata o male interpretata. Così il Brocchi le riferì
esemplari di C. Mercati, il Borson ne attribuì vari individui al C. virgo ed i giovani
al C. virginalis, il Bronn credette trattarsi di una varietà di C. mediterraneus. Il Gra-
teloup diede del C. antiguus una figura che non corrisponde affatto alla descrizione del
. Lamarck e che anzi appartiene ad un gruppo diverso; invece non conoscendo il vero
L. antiquus egli costituì di questa forma una specie nuova: C. tardellianus, che quindi
24 FEDERICO SACCO
credo debba cadere in sinonimia del primo; tale errore del Grateloup venne poi con-
tinuato dall’ Hoernes, dal Neugeboren, dal Da Costa, ecc., e produsse una grande
confusione, tant'è che vediamo molti autori citare il C. antiquus, che è essenzialmente
elveziano, sia nel miocene che nel pliocene.
Il L. antiquus potrebbe forse considerarsi come il progenitore più o meno diretto
del L. Mercatii, specialmente delle sue varietà austriaca, eatarbelliana , canaliculato-
depressa, ecc.; si distingue però specialmente, almeno in linea generale, per essere quasi
sempre più ficoide-clavato, più stretto nella parte caudale, e perchè il canale che
presentano gli anfratti (quasi solo l’ultimo o gli ultimi) nella regione spirale è più
largo ed a margine esterno più stretto, più rapidamente rialzato e quindi più indi-
vidualizzato, direi; inoltre per lo più gli anfratti nella regione spirale centrale sono
appiattiti, non canalicolati, ben poco od anche per nulla scalarati.
Finora di questa specie si conobbero solo gli esemplari adulti, mentre i giovani
furono attribuiti a specie diverse; il Grateloup, per esempio, figurò un individuo
giovane come C. tarbdellianus var. virginalis Br. (Conch. terr. tert. Adour — Tav. 43,
Fig. 8); così pure il Borson li determinò come C. virginalis Br. Alla forma in esame
deve pur forse collegarsi la var. splendens GrAT.; noto al riguardo come ben diverse
sono le forme indicate dal Da Costa sotto questo nome nel suo lavoro “ Gastr. tere.
Portugal , per cui credo doverle indicare con nuovi nomi, cioè exsplendens.Sacc.
(per le forme di Tav. VII) e postsplendens Sacc. (per le forme di Tav. VII).
L. ANTIQUUS var. WreaATLEYI (MicHT.).
Testa parva, turbinato-conica, transversim sulcata; sulcis parallelis distinetis, aequa-
Libus, ubique conspicuis; spira producta, acuta; anfractibus subplanatibus, superne striatis
(Michelotti).
Alt. 15-40 mm.: Lat. 8-20 mm.
1847. Conus Wheatleyi Micht. MICHELOTTI, Descript. Foss. mioc., pag. 339, Tav. XIII, fig. 18.
1847. , A 5 SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 44.
1852000 È Ù D'’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 57.
1890. , Li 3 SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piem., n. 4403.
Ebeziano: Colli torinesi, Sciolze, Albugnano, Baldissero (non rara).
OsservAZIONI. — A primo tratto non solo ritenni questa forma come una buona
specie, ma parvemi riferibile ai Rhizoconus, rassomigliando assai per esempio al
R. monile Brue. In seguito però ricercando gli esemplari giovani del L. antiquus
venni a riconoscere la rassomiglianza grandissima che essi hanno colla forma in esame,
la quale in complesso potrebbe forse solo ritenersi come uno stadio giovanissimo del
C. antiquus. Sembrami affine a questa forma la Mitra peregrinula Mav.
Subvar. PERmucronATA Sacc. (Tav. III, fig. 8). — Spirae aper permucronatus.
Ebeziano: Colli torinesi (non rara).
Subvar. PERANGULATA Sacc. (Tav. III, fig. 9). — Testa superne latior, perangulata.
Eeziano: Colli torinesi, Baldissero (non rara).
ET E AA EE
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 25
L. ANTIQUUS Var. PLANOSPIRA (GRAT.).
(1840. GRATELOUP (C. tardellianus var. planospira). Conch. foss. Bass. Adour., PI. 43, fig. 2).
Spira depressior, subplana (parum vel non subcanaliculata), exceptis anfractibus
imitialibus elatis.
Elveziano: Colli torinesi (non rara).
L. ANTIQUUS var. CONCAVESPIRA SACC.
(Tav. III, fig. 10).
Spira valde depressior, planoconcava, vix apice subelata.
Eeziano: Colli torinesi (alquanto rara).
L. ANTIQUUS var. PERCANALICULATA SACC.
(Tav. II, fig. 11).
Spira, excepta regione apicali, canaliculata.
Elveziano: Colli torinesi, Sciolze, Baldissero (frequente).
L. ANTIQUUS Var. ACANALICULATA SACC.
(Tav. III fig. 12).
In regione spirae anfractus, etiam ultimus, subplanati non canaliculati.
Elveziano: Colli torinesi, Sciolze, Baldissero (frequente).
Osservazioni. — Si tratta di un carattere giovanile che talora persiste anche
allo stato adulto.
L. ANTIQUUS Var. ELATOCANALICULATA SACC.
(1840. GRATELOUP (C. tardellianus var. d.). Conch. terr. tert. Bass. Adour., PI. 45, fig. 23).
Spira elatior, interdum subinflatula; fere usque ad regionem apicalem subcanaliculata.
Elveziano: Colli torinesi, Sciolze (non rara).
Osservazioni. — Collegasi gradualmente col tipo e con alcune varietà (percana-
liculata, elatospirata, ecc.) del L. antiquus, ma presenta pure qualche rapporto col
L. subacuminatus.
L. ANTIQUUS Var. SUBSCALARATA SAcc.
(1840. C. intermedius — GRATELOUP, Conch. terz. tert. Bassin Adour., PI. 44, fig. 22).
Spira elatior, plus minusve scalarata.
EWeziano: Colli torinesi (non rara).
Osservazioni. — Si collega gradualmente colle var. elatocanaliculata ed elatospirata;
gli esemplari che presentano più spiccato il carattere della gradinatura (come per
esempio quello disegnato dal Grateloup) sono generalmente individui alquanto anomali.
Serie II. Tom. XLIV. D
26 FEDERICO SACCO
L. ANTIQUUS Var. ELATOSPIRATA SACC.
(Tav. III, fig. 13).
Spira plus minusve elatior, non scalarata, subconica.
Elveziano: Colli torinesi, Sciolze, Baldissero, Albugnano (frequentissima).
Osservazioni. — Rappresenta in complesso la persistenza del carattere giovanile
nell’adulto. La spira talora è conica fino alla sua parte periferica, talora invece, e
più comunemente, essa diventa quivi meno inclinata; inoltre essa è assai variabile
nel suo grado di conicità.
L. ANTIQUUS var. PERELATOSPIRA SACC.
(Tav. III, fig. 14).
Spira elatissima, conica, anfractus in regione spirae interdum trasversim striolati.
Elveziano: Colli torinesi (alquanto rara).
Osservazioni. — E una esagerazione, direi, della var. elatospirata.
L. ANTIQUUS var. ELONGATISSIMA SACCO.
(Tav. III, fig. 15).
Testa plus minusve elongatior; cauda longo-gracilior. Spira elatior.
Alt. 58-77 mm.: Lat. 28-33 mm. -
Elveziano: Colli torinesi (alquanto rara).
Osservazioni. — Forse trattasi di individui anomali piuttosto che di vere varietà.
Subvar. pLanopeRLoNca Sacc. — Spira depressior, subplanata (Alt. 60. mm.:
Lat. 30 mm.)
Ebeziano: Colli torinesi (rara).
LirBoconus InEDITUS (MIcHT.).
(Tav. III, fig. 16, 16 dis).
Testa turbinato-conica, spira acutiuscula, anfractibus angustis, angulatis, superne
leviter circumcincter striato-impressis, ultimo regulariter. conoideo, ad apicem tenuiter
atque oblique striato; apertura angusta; labro tenui, simplici, superne emarginato
(Michelotti).
Alt. 12-90 mm.: Lat. 6-47 mm.
1861. Conus ineditus Micht. MICHELOTTI, KH. Mioc. inf. Italie septentr., pag. 105, Tav. XI, fig. 11, 12.
189005 È do SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4864.
Tongriano : Cassinelle, Cosseria, Dego, Mornese, Carcare, Carpeneto, Pareto,
S. Giustina, Sassello, Mioglia, ecc. (frequente).
OsservazionI. — L’esemplare tipico figurato del Michelotti è giovane. Gli adulti si
presentano meno regolarmente conici, cioè sono più o meno notevolmente rigonfi nella
parte superiore, come nel L. antiquus; inoltre nella regione della spira gli anfratti
sono più profondamente canalicolati per il notevole rialzarsi del bordo esterno. Nella
parte ventrale superiore dei penultimi anfratti degli esemplari adulti sovente si os-
I MOLLUSCHI DEI TERRENÌ TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 27
serva una depressione o gradinatura trasversa che scompare però sempre nell’ultimo
anfratto; nel caso se ne volesse costituire una varietà, ciò che non sembrami oppot-
tuno, essa dovrebbe appellarsi var. depressa (Micat.), poichè il Michelotti, che osservò
tale carattere proponeva (nel caso lo si riconoscesse costante in queste forme) di
trarne il nome di C. depressus. Come esemplare adulto figuro appunto (fig. 16 dis),
quello di cui parla il Michelotti nell’ultimo periodo della descrizione del C. ineditus,
dicendolo lungo 65 mm. e dubitando doversi appellare C. depressus.
Questa specie presenta molti punti di contatto coll’eocenico L. diversiformis (DrsA.),
da cui potrebbe derivare, nonchè col L. antiquus e col L. subacuminatus che ne po-
trebbero essere le forme più o meno direttamente derivate.
L. INEDITUS Var. ASTRIOLATA SACC.
(Tav. III, fig. 17).
Testa plerumque parva. Anfractus in regione spirae cingulo externo et striolis
transversis destituti.
Alt. 20-45 mm.: Lat. 11-22 mm.
Tongriano: Sassello, S. Giustina, Pareto, Dego, Cassinelle (frequente).
Osservazioni. — Trattasi per lo più di esemplari giovani, a spira più o meno
elevata, spesso declive, scalarata o no, quasi sempre senza il cingolo esterno, con
semplici traccie, oppure mancanti affatto, delle striole trasverse di ornamentazione;
talora tali strie della regione spirale quando sono poco accentuate scompaiono colla
fossilizzazione.
L. INEDITUS Var. ASCALARATOSPIRA SACC.
(Tav. III fig. 18).
Anfractus in regione spirali fere acanaliculati, non scalarati, cingulo elato externo
fere destituti.
Tongriano: Cassinelle (alquanto rara).
L. INEDITUS Var. JUVENODEPRESSA SACC.
(Tav. III, fig. 19).
Testa pierumque minor. Spira depressior, subplanata (excepta regione centrali elata,
saepe mucronata).
Alt. 15-50 mm.: Lat. 8-26 mm.
Tongriano: Cassinelle, Carcare, Mioglia, Sassello (frequente).
Osservazioni. — Ricorda alquanto il L. Wheatlegi (Micum.), e, come quello,
credo si tratti essenzialmente di esemplari giovani.
L. INEDITUS Var. LONGISPIRATA SACC.
(Tav. III, fig. 20).
Spira elatior, plus minusve scalaratior.
28 FEDERICO SACCO
Tongriano: Cassinelle, Carcare, Carpeneto, Dego, Mioglia, Sassello, Pareto
(frequente).
Osservazioni. — Collegasi gradualmente colla ‘specie tipica.
L. INEDITUS Var. PAGODAEFORMIS SACC.
(Tav. III, fig. 21).
Testa plerumque elongatior, magis fusiformis; spira elatior, pagodaeformis.
Alt. 80-115 mm.: Lat. 40-50 mm.
Tongriano: Pareto, Mioglia, Dego (non rara).
L. INEDITUS Var. CONVEXOSPIRATA SACC.
(Tav. III, fig. 22).
Spira elatior, inflatior, subconvera.
Tongriano: Dego, Cassinelle (alquanto rara).
L. INEDITUS Var. PERPRODUCTA SACC.
(Tav. III, fig. 23).
Testa elongatior, aliquantulum constrictior.
Alt. 40-50 mm. Lat.: 18-22 mm.
Tongriano : Pareto, Carcare, Dego (non rara).
L. INEDITUS Var. FUNGIFORMIS SACC.
(Tav. III fig. 24).
Testa crassa, superne rapide inflata, clavata; spira elatior, subconvexa.
Alt. 90? mm.: Lat. 60 mm.
Tongriano: Pareto (rara).
LrtBoconus? parvicaupaTUs SAcc.
(Tav. III, fig. 25).
Testa subconica în regione caudali rapide imminuta; spira conica, mediocriter celata,
non vel minime scalarata. Anfractus, ultimus praecipue, in regione spirae plus minusve
subcanaliculati, in regione ventrali media caudam versus rapide imminuti, in regione
caudali subgraciles; in regione spirae maculis latis subregularibus, in regione ventrali
et caudali macularum seriebus regularibus subrectilineis transversis, interdum ornati.
Apertura obliqua, subconstricta.
Alt. 25-50 mm.: Lat. 15-27 mm.
Elveziano: Colli torinesi, Sciolze (non rara).
Attualità
Astiano
Piacenziano
Tortoniano
Elveziano
Tongriano
Bartoniano
Parisiano
FEDERICO SACCO
L. Mercatiù e var.
L. Mercatiù e var.
L. Mercati var.
L. Mercati ? var.
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA
29 bis
Quadro comparativo dei LITHOCONUS
cincta
elongatofusula
longoastensis
Baldichieri
fusuloidea
crassovata
Caroli
canaliculatodepressa
\ acanaliculata
Aldrovandi
depressulospira
funiculigera
fusuloidea
Caroli
turricula
canaliculatodepressa
suprainflata
acanaliculata
Caroli
miocenica
subuustriaca
acanaliculata
tauromaxima |
compressicauda \
— ? — L. antiquus e var.
i Wheathley
planospira
concavospira
percanaliculata
acanaliculata
elatocanaliculata
subscalarata
elatospirata
perelatospira
\ elongatissima
/
L. litteratus — L. millepunctatus, ecc.
L. subacuminatus
conoidospira
subpyrulata
subamarginata
L. subacuminatus e var.
— ? — L. subacuminatus ? var. tauroconnectens
astriolata
ascalaratospira
juvenodepressa
| longispirata
) pagodaeformis
convexospirata
perproducta
| fungiformis
L. ineditus e var.
L. diversiformis
|
|
L. Cossoni — L. conotruncus — L. derelictus — Lithoconus diversiformis e var. sauridens
4
; IGNARI È,
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 29
OsservazIONI. — Questa forma si avvicina assai per alcuni caratteri allo Stephe-
noconus Bredai per modo che quasi ne parrebbe una varietà senza tubercoli; d’altra
parte si accosta pure moltissimo ad alcune varietà del Chelyconus avellana, per modo
che, anche in considerazione del mediocre stato di conservazione dei fossili, rimango
per ora alquanto incerto nella determinazione della forma in esame. Quanto alle
colorazioni che appaiono in alcuni esemplari esse sembrano avvicinare questa forma
ai Lithoconus, ricordando ad esempio quella del L. litteratus; ma quando mancano i
colori, variando molto i caratteri di forma, i limiti di questa variabilissima specie
divengono assai incerti.
L. PARVICAUDATUS Var. TURBINATISSIMA SACe.
(Tav. II, fig. 26).
Testa turbinatior, subclaviformis; cauda constrictior.
Elveziano: ‘Colli torinesi (alquanto rara).
L. PARVICAUDATUS Var. TAUROTESSELLATA SACC.
(Tav. III, fig. 27).
Testa aliquantulum fusulatior. Anfractus superne subcanaliculati; maculis eviden-
tioribus ornati, duobus fasciis subochraceis, una in regione ventrali et una in regione
caudali, muniti.
Elveziano: Sciolze (rara).
OsseRvazionI. — Si tratta di un esemplare a colorazione assai ben conservata
e che ricorda molto, per le due fascie trasverse, il vivente L. tessellatus, ciò che ac-
cresce l'affinità della forma in esame ai veri Lithoconus.
30 FEDERICO SACCO
Sottogen. LEPTOCONUS Swanson, 1840.
Quantunque questo sottogenere comprenda tuttora forme assai diverse e che
dovranno in seguito collocarsi in sottogeneri diversi, tuttavia nel complesso esso
presenta caratteri tali da inglobare parecchie specie fossili.
Leproconus BroccHI (BRoNn.).
(Tav. IV, fig. 1).
Alt. 7-65 mm.: Lat. 3-22 mm.
1814. Conus deperditus Brug. BROCCHI, Conceh. foss. subap., Il, pag. 292, Tav. III fig. 2.
1820... 3 ta A BORSON, Or:tt. piem., pag. 12 (191).
IP 5 5 BASTEROT, Buss. tert. S. O. France, pag. 39.
1826..(01 7 Ti RISSO, Mist. Nat. Europe mér., IV, pag. 230.
1826... È È BONELLI, Catal. m.s. Museo zool. Torino, n. 576.
{S2A008 È, 73 SASSO, Saggio geol. Bac. terz. Albenga, pag. 482.
182990000 S ; DE SERRES, Géogn. terr. tert., pag. 127.
183100068 3 s (pars) BRONN, It. tert. Geb., p. 12. i
1891, Brocchi Bronn BRONN, It. tert. Gebild., pag. 12.
632000065 I D CRISTOFORI e JAN, Cat. Conch. foss. univalvi, pag. 15.
1837. , deperditus Brug. PUSCH, Polens Palaeontologie, pag. 115.
133800: 5 ; MICHELOTTI, Geogn. cool. Ansicht tert. Bild. Piemonts, pag. 397.
NASA x È SISMONDA, Syn. meth., 1* ed., pag. 43.
1843. , Brocchi Bronn. NYST, Coqu. et Polyp. foss. Belg., pag. 584.
1847. , 5 1 SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 44.
1847. , 3 È MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 337.
1848... 3 Ò BRONN, Index paleont., pag. 328.
1852. Li A D’ORBIGNY, Prodr. pal. strat., III, pag. 171.
1863. , 7 ci COCCONI, Enum. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 153.
Lett RE 3 ; FONTANNES, Moll. plioc. Rhòne, pag. 149.
1384. , canal. forma Brocchii Br. DE GREGORIO, Studi Conch. medit., pag. 360.
MESIA o Brocchi Bronn TRABUCCO, Foss. Bac. plioc. R. Orsecco, pag. 19.
L89000 È Si SACCO, Cat. pal. Bac. tert. Piemonte, n. 4382.
Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo, Rocca d’Arazzo, R. Orsecco; Piacentino;
Zinola, Albenga, Bordighera, Nizzardo (frequentissima).
Astiano: Astigiana, Piacentino (alquanto rara).
Osservazioni. — Nella collezione Brocchi, oltre all’esemplare tipico (la cui figura
nella tavola del lavoro del Brocchi non è fra le più riuscite), evvi ancora un altro
esemplare identico al primo e proveniente dal Piemonte.
Nella collezione Michelotti trovai 5 esemplari di questa specie coll’indicazione:
“ S. Maria Stazzano , il che indicherebbe una provenienza tortoniana, ma dubito
trattisi di un errore, sia perchè nell'esame di oltre 100 esemplari di ZL. Brocchi
di varie località e di diversi Musei, constatai essere essi tutti di provenienza plio-
cenica, sia perchè anche i 5 esemplari in questione per la natura del materiale che li
riempie sembrano derivare pure dal pliocene. Î
Gli autori, come il Borson, il Sismonda, ecc., i quali indicarono il C. deperditus
come trovato nel Miocene torinese, si riferivano ad esemplari di L. Allioni.
“
0% RE
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 31
L. BROCCHII ? var. EXCANALICULATA SACC.
Testa pyramidalis, transversim striata, spira conica, anfractubus ommibus canali-
culatis, basi sulcata (Brocchi).
1814. Conus canaliculatus Br. BROCCHI, Conch. foss. subapp., pag. 636, Tav. XV, fig. 28.
1820. , 5 L BORSON, Oritt. piem., pag. 17 (196).
1831. .c3 4 3 b Cat. Coll. min. Turin, pag. 606.
LIO SS a È BRONN, Ital. tert. Gebild., pag. 12.
1845. |, a s LAMARCK, Hist. Nat. An. s. vert., XI, pag. 159.
1848. , > È BRONN, Index paleont., pag. 329.
18730000 n z COCCONI, Enum. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 154.
IS 19900 È. n FISCHER et TOURNOUER, Invert. foss. M. Leberon, pag. 127.
1884. , 5 È DE GREGORIO, Studi Conch. medit. viv. e foss., pag. 359.
Piacenziano : Piacentino (rara).
Astiano: Valle d’Andona, Piacentino (rara).
Osservazioni. — Questa forma parrebbe riferibile al gruppo del L. Brocchi, se
pure non è un esemplare giovane di qualche altra forma; ma non avendo trovato
l'esemplare tipico nella collezione Brocchi non riescii a chiarire la cosa. Il nome
canaliculatus devesi abbandonare già esistendo sin dal 1795 un Conus canaliculatus
CHEMN.
L. BROCCHII var. ANTEDILUVIANOIDES SACC.
(Tav. IV, fi. 2).
Spira interdum aliquantulo longior. Funiculum (in angulo spirae situm) plus
minusve granulatum vel subgranulatum; sub funiculo striolae, 1 vel 2, plus minusve
evidentes.
Piacenziano : Astigiana, Piacentino, Zinola, Albenga, R. Torsero, Bordighera
(non rara).
Osservazioni. — Passa gradatissimamente al tipo. È interessante poichè sembra
indicarci una regolare transizione fra il gruppo del C. Brocchii e quello del C. ante-
diluvianus, per modo che la loro separazione in due sottogeneri differenti appare
alquanto arbitraria. Accenniamo però come nel complesso le forme che appartengono
al gruppo del C. antediluvianus, oltre ai noti caratteri differenziali, si presentino per
lo più leggermente inflate ed a granulazioni più grosse che non quelle del gruppo
del L. Brocchi.
L. BROCCHII var. FUSULOSPIRATA SACC.
(Tav. IV, fig. 3).
Testa elongatior, fusulatior; spira elatior, aliquantulum gracilior.
Alt. 34-38 mm.: Lat. 14-16 mm.
Piacenziano: Astigiana, Piacentino, Albenga, Bussana (non rara).
OssERvAZIONI. — Passa insensibilissimamente al tipo.
L. BROCCHI var. CRASSOSPIRATA SACC.
(Tav. IV, fig. 4).
Testa interdum crassior, latior. Spira minus elata, crassior, saepe minus fortiter
scalarata.
32 FEDERICO SACCO
Alt. 17-67 mm.: Lat. 8-33 mm.
Piacenziano: Astigiana, Piacentino, Zinola, Albenga, R. Torsero, Bordighera
(abbondantissima).
Astiano: Astigiana, Piacentino (non rara).
Osservazioni. — È più frequente del tipo al quale si collega graduatissima-
mente. Non pochi esemplari presentansi colla spira bassa ma sono assai scalarati im
modo da far passaggio alla var. bdrevidepressula.
L. BROCCHII var. BREVIDEPRESSULA SACC.
(Tav. IV, fig. 5).
Testa brevior. Spira depressior.
1890. Conus Brocchii Bronn. — DELLA CAMPANA, Pliocene Borzoli, pag. 27.
Piacenziano: Borzoli, Bussana (alquanto rara).
OsservazIoNI. — Esistono esemplari che formano passaggio graduale al tipo. Si
avvicina assai per la forma complessiva al L. Allionii, distinguendosene pel funicolo
meno tagliente, più rotondeggiante, per essere gli anfratti alquanto più ventricosi, ecc.
Leproconus ALuionn (MIcHT.).
(Tav. IV, fig. 6).
Testa turbinata, conica, laevigata; basi striata; spira plus minusve producta, sca-
lariformi; apertura angusta; labro arcuato, superne profunde emarginato (Michelotti).
Alt. 15-30 mm.: Lat. 7 !/x-17 mm.
1818. Conus deperditus Lk. DEFRANCE, Diet. Hist. nat., tome X, pag. 261.
1820... 5 Brug. BORSON, Orittogr. piemont., pag. 11, 12.
1820: % Di BONELLI, Cat. m. s. Museo Zool. Torino, n. 3661.
T8301 0 È di BORSON, Cat. Coll. Musée min. Turin, pag. 605.
1842. , È Ù SISMONDA, Syn. meth., 1% ed., pag. 43.
1847. ., Allioni Micht. MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 338, Tav. XVII, fig. I7.
1847. , 3 fi SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 43.
1852... È Lo D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 56.
18720 =, P È KOENEN, Mioc. Nord-Deutschl. u. seine Moll. Fauna, pag. 214.
1890008 Ù 2 SACCO, Cat. pal. Bac. terze. Piemonte, n. 4369.
Elveziano: Colli torinesi, Baldissero (frequente).
Osservazioni. — Riguardo a questa specie dobbiamo osservare anzi tutto come
le cifre date dal Michelotti riguardo alle sue dimensioni non corrispondano affatto
a quelle che mostra la figura presentata, mentre questa meglio collima colle dimen-
sioni date per il C. discors (che credo sia una varietà della specie in esame); ma
siccome il O. Allionii è descritto prima del C. discors, e ne è data una buona figura,
così non dubito di accettare il C. Allionii come specie tipica. Inoltre è notevole come
a tipo, che dobbiamo perciò conservare come tale, del C. Allioni venne figurato un
esemplare il quale rappresenta quasi un’ultima modificazione (a spira depressa) di una
forma che ha, molto più comunemente, una spira abbastanza regolarmente conica e
che con modificazioni nel senso opposto, cioè nell’elevazione della spira, giunge sino
nicizie re stesi di;
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 33
alla forma che il Michelotti appellò C. oblitus ; cioè il Michelotti costituì due specie
sopra due forme tra loro ben distinte, ma che a mio parere rappresentano le ultime
modificazioni, in senso opposto, di una stessa specie; quindi nè saprei trovare un
carattere specifico distintivo delle due forme, nè mi parrebbe perciò logico costituirne
due specie diverse, nello stesso modo come non sarebbe naturale elevare al grado
di specie le var. brevidepressula e fusulospirata del L. Brocchii.
D'altronde lo stesso Michelotti sembra essersi convinto di ciò, giacchè nella sua
collezione gli esemplari di C. AMionii, C. discors e C. oblitus, trovavansi ora riuniti
assieme. Il C. Allionii ha la precedenza come specie tipica perchè nel lavoro è de-
scritto al N. 4 (pag. 338), mentre il C. oblitus trovasi al N. 8 (pag. 340).
Anom. comPrEssuLa Sacco. — Spira depressior.
Eleziano: Colli torinesi (rara).
Anom. SEMISCALARATA Sacc. — Anfractus in regione centrali et media spirae sca-
larati, in regione externa spirae non scalarati, regulariter declives, funiculo subdestituti.
Elveziano: Colli torinesi (non rara).
L. ATLIONIT ? var. GRANULOCATENATA SACC.
(Tav. IV, fig. 7).
Testa plerumque minor. Spira plus minusve elatior. Anfractus in regione caudali
et interdum in regione ventrali sertis granularibus ornati.
Alt. 8-20 mm.: Lat. 4 !/,-10 mm.
Elveziano : Colli torinesi (non rara).
Osservazioni. — I caratteri della granulosità si incontrano specialmente nei
Conospirus, il che indica sempre più il nesso strettissimo che collega i Conospirus
ai Leptoconus. Nella specie in esame tali caratteri osservansi su forme un po’ diverse,
specialmente su quelle affini alla var. conicospirata, e per lo più su esemplari piccoli,
il che sembra indicare che le granulazioni in esame rappresentano un carattere sal-
tuario, proprio specialmente degli individui giovani.
L. ALLIONII var. CONICOSPIRATA SACC.
i (Tav. IV, fig. 8).
Spira plus minusve elatior, subregulariter conica.
Alt. 15-34 mm.: Lat. 8-15 mm.
Eleziano: Colli torinesi, Baldissero (frequente).
Osservazioni. — Passa gradualissimamente al tipo. Le si avvicina alquanto la
forma figurata dall’Hoernes (Foss. Moll. tert. Beck, Wien. — Tav. V, Fig. 7), come
Conus Dujardini.
L. ALLIONII Var. PERCONICOSPIRATA SACC.
(Tav. IV, fig. 9).
Testa elongatior, subfusoidea; spira valde elatior.
Alt. 18-31 mm.: Lat. 7-12 mm. i
Serie Il. Tom. XLIV. E
94 FEDERICO SACCO
EWeziano: Colli torinesi (non rara).
Osservazioni. — Collegasi gradualmente colla var. conicospirata.
L. AuLionII var. pIscORS (MICHT.).
(Tav. IV, fig. 10).
Testa interdum crassior. Spira subinflata, subconvera.
Alt. 20-45 mm.: Lat. 11-24 mm.
1847. Conus discors Micht. MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 338.
1890. , A 3 SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4885.
Elveziano: Colli torinesi (frequente).
Osservazioni. — Se si volesse considerare il 0. oblitus come specie a sè, la forma
discors se ne potrebbe considerare tome la varietà più depressa; ma essa collegasi
però affatto insensibilmente col L. Allionii e specialmente colla sua var. conicospirata.
Quanto al carattere indicato del Michelotti, che cioè nel C. discors gli anfratti sono
superiormente depresso-canalicolati, esso osservasi pure quasi sempre nel C. Allioni.
L. ALLIONII Var. PUPOIDESPIRA SACC.
(Tav. IV, fig. 11).
Distinguunt hanc var. a var. discors (Micht.) sequentes notae:
Testa fusulatior; spira elatior, inflatior, pupoidea.
Alt. 22-42 mm.: Lat. 11-22 mm.
Eleziano: Colli torinesi (frequentissima).
Osservazioni. — Il rigonfiamento della regione spirale sembra specialmente carat-
teristico delle forme mioceniche, come vedesi pure nel gruppo del C. antediluvianus.
Si collega colla var. discors, e col C. oblitus.
L. ALLIONII Var. PERPUPOIDESPIRA SACC.
(Tav. IV, fig. 12).
Distinguunt hanc var. a var. discors sequentes notae:
Testa valde fusulatior; spira valde elatior, inflatior, pagodaeformis.
Alt. 30-45 mm.: Lat. 14-19 mm.
Elveziano: Colli torinesi (non rara).
OsservaZzIoNI. — happresenta solo un’esagerazione, direi, dei caratteri della
var. pupoidespira.
L. Arion var. oBLITA (MicHT.) (an species distinguenda ?).
(Lav dIVerip.Ni9)!
Testa turbinata, conica, elongata, laevigata; basi laevigata; spira producta; anfra-
ctibus carinatis, scalariformibus; apertura angusta ; labro arcuato, superne late marginato
(Michelotti).
Distimguunt hanc var. a var. discors sequentes notae:
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 35
Testa fusulatior. Spira elatior, scalaratior; in regione marginali spirae funiculum
minus visibile, minus erectum, deinde angulus magis acutus.
Alt. 25-50 mm.: Lat. 11-20 mm.
1847. Conus oblitus Micht. MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 340, Tav. XIV, fig. 2.
184. 3 SIP SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 44.
DEGLI A È D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., II, pag. 57.
TECO 5 3 SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4391.
Elveziano: Colli torinesi (frequentissima).
OsservazionI. — Come già ebbi ad accennare trattando del tipo del L. Allioni?,
la forma in esame appare specificamente affatto distinta da detta specie, ma dubito
trattisi qui solo di estreme ed opposte modificazioni di una specie sola la cui forma
più frequente sarebbe la pupoidespira; d'altronde sonvi passaggi così insensibili fra
dette due forme, per quanto diverse alla comparazione diretta, che non sembra molto
naturale il dividerle specificamente. Così, per esempio, quando gli esemplari del C. oblitus
presentano la spira un po’ meno inflata, cioè più regolarmente conica, ne riesce so-
vente incertissima la delimitazione dalla var. perconicospirata del L. Allionii ; d'altronde
sia il rigonfiamento della spira, sia l'essere questa più comunemente scalarata (ciò
che per lo più osservasi nel gruppo del C. oblitus), non paionmi caratteri tali da
appoggiare una distinzione specifica che all'atto pratico diventa molto arbitraria.
Tale fatto sembra così chiaro che lo stesso Michelotti in questi ultimi anni riunì
assieme, nella sua raccolta, gli esemplari di queste due cosidette specie. Notiamo
infine come la forma in esame non sia da confondersi col gruppo del C. Dujardini,
come potrebbe forse supporsi a primo tratto, distinguendosene in generale nettamente
per la spira meno regolarmente acuta, per la parte superiore degli anfratti discen-
dente meno regolarmente verso il basso e eostituente un angolo assai meno acuto,
con un accenno più o meno evidente di funicolo od almeno di leggerissimo rilievo.
L. ALLIONII Var. PERFUNICULATA SACC.
(Tav. IV, fig. 14). É
Distinguunt hanc var. a var. oblita Micht. sequentes notae:
Angulus anfractuum minus acutus; funiculo magis visibile, plus minusve conspicuo,
munitus.
Elveziano: Colli torinesi (non rara).
OsservaZzIoONI. — E una semplice modificazione della var. oblita, alla quale passa
insensibilissimamente, e che ricorda alquanto il L. Brocchi.
Leproconus ELATUS (MicHT.).
(Tav. IV, fig. 15).
Testa conica, elongata; spirae exertae; anfractubus funiformibus: sutura incavata
distinctis; basi acuminata (Borson).
Testa conico-elongata, cylindrica; spira exerta; anfractibus supernis vix elatis, ro-
tundatis, mediis subangulatis, postremo angulato, rugulosis, sulcis longitudinalibus oblique
instruetis (Michelotti).
Alt. 40-150 mm.: Lat. 17-55 mm.
36 FEDERICO SACCO
1821. Conus elongatus Bors. BORSON, Oritt. piemont., pag. 19 (198), Tav. I, fig. 4.
1830: ,, da È 5 Cat. Coll. min. Turin, pag. 606.
1847. , elatus Micht. MICHELOTTI, Descript. foss. mioe., pag. 341, Tav. XIII, fig. 16.
1847. , A hi SISMONDA, Syn. meth., 2° ed., pag. 44.
18480008 elongatus Bors. BRONN, Index paleont., pag. 329.
LEI Haueri Partsch. HOERNES, Foss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 34.
852005 elatus Micht. D'’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 56.
13620685 Haveri Partsch. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Ital. centr., pag. 25 (107).
18/1200 5 RI LOCARD, Descr. Faune tert. Corse, pag. 69.
1890. elatus Micht. SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piemonte, n. 4887.
NB. Le indicazioni di Conus Puschi Micht. riguardanti fossili tortoniani rientrano generalmente
nella sinonimia del L. elatus.
Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (non rara).
Osservazioni. — Il nome elongatus di Borson non può essere adottato già esi-
stendo sin dal 1786 un Conus elongatus CaEMNITZ; quanto all’appellativo Haueri, quan-
tunque già indicato nel 1842 dal Partsch, rimase solo nome di Catalogo sino al 1851
quando l’Hornes figurò e descrisse la forma a cui esso era applicato, forma che quindi
deve solo più considerarsi come una varietà del C. elatus. L'indicazione data dal
Borson, che cioè questa forma si trovi nell’Astigiana è affatto errata, giacchè in quasi
un secolo di continue ricerche non si trovò nell’Astigiana alcun individuo di questa
specie, ed inoltre dall’esame dell'esemplare tipico su cui il Borson fondò il suo C. elon-
gatus potei accertarmi che anche esso proviene dal Tortoniano del Tortonese. Nella
parte superiore degli ultimi anfratti esiste talora un cordoncino trasverso più o meno
depresso, che però generalmente scompare nell’ultimo anfratto degli esemplari com-
pletamente adulti. I primi anfratti sono generalmente più o meno granulosi. Notisi
che nel tipo di questa specie gli anfratti sono alquanto angolosi e quindi la spira
risulta scalarata, mentre che invece generalmente gli anfratti si presentano più o
meno rotondeggianti.
Il riferimento del C. elatus ai Leptoconus può ancora presentare qualche dub-
biezza, quantunque a tale sottogenere si riferiscano forme viventi, alquanto simili,
così il C. gradatus Gray, il C. acuminatus Brua., ecc.; però alcuni caratteri avvi-
cinano il C. elatus ai Chelyconus.
L. ELATUS Var. DEPRESSULESPIRATA SACC.
(Tav. IV, fig. 16).
Spira minus elata, ratione habita, basi latiore; anfractus rotundatiores.
Alt. 80-25 mm.: Lat. 35-45 mm.
Tortoniano: Stazzano, Montegibbio (alquanto rara).
Osservazioni. — Si avvicina alla var. Haueri (PARTSCH.).
L. ELATUS Var. TAUROBREVIS SACC.
(Tav. IV, fig. 17).
Testa minus elongata, spira minus elata; anfractus rotundatiores.
Alt. 55 mm.: Lat. 27 mm.
|
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 37
Elveziano: Colli torinesi (rara).
OsseRvazIoNI. — Collegasi colla var. depressulespirata.
L. ELATUS Var. TAUROPARVA SACC.
(Tav. IV, fig. 18).
Testa minor, gracilior; spira scalaratior.
Alt. 40 mm.: Lat. 16 mm.
Elveziano: Colli torinesi (rara).
Osservazioni. — Ricorda alquanto il L. extensus (PARTSCH.), forma del Miocene
(specialmente tortoniano) viennese che riscontrai nell’Elveziano della Sardegna, ma che
finora non si incontrò in Piemonte.
L. ELATUS? var. TAUROTRANSIENS SACC.
(Tav. IV, fig. 19).
Testa plerumque minor; spira, ratione habita, elatior. Anfractus breviores.
Alt. 36-65 mm.: Lat. 16-26 mm.
Eleziano: Colli torinesi (non rara).
OsseRrvaZzIONI. — Sembra quasi far passaggio al C. oboesus MicHt., per modo che
la sua determinazione riesce alquanto incerta; alcuni esemplari hanno la spira supe-
riormente assai gracile, tanto da ricordare in piccolo la var. fusulatimspirata.
L. ELATUS Var. CONVEXULOIDES SACC.
(Tav. IV, fig. 21).
Spira minus scalarata, interdum aliquantulum elongatior. Anfractus converiores,
subrotundati.
Tortoniano : Stazzano, Montegibbio (non rara).
? Piacenziano: Borzoli (rarissima).
OsseRvAZIONI. — Un individuo gigantesco di questa varietà raggiunge la lun-
ghezza di 150 mm. Spesso nella parte superiore gli anfratti presentano un cordon-
cino trasversale depresso.
Quanto all’unico ed incompleto esemplare già citato dal Della Campana (1890,
Conus Haueri? PartscH, Pliocene Borzoli, pag. 28) conservato nel Museo geologico
di Genova coll’indicazione di provenienza: Borzoli, credo opportuno mantenere qualche
riserva sino ad ulteriori scoperte, trattandosi di una specie tanto schiettamente
miocenica, nè parendomi impossibile che detto esemplare possa provenire invece dal
tortonese.
38 FEDERICO SACCO -
L. ELATUS Var. FUSULATIMSPIRATA SACC.
(Tav. IV, fig. 22).
Testa aliquantulum elongatior. Spira valde elongatior, fusiformis; anfractus saepe
rotundatiores, ultimo excepto.
Alt. 70-125 mm.: Lat. 25-44 mm.
Tortoniano: Stazzano, S. Agata fossili (alquanto frequente).
Osservazioni. — L’esemplare molto guasto su cui il Borson fondò il suo C. elon-
gatus ricorda alquanto questa varietà. Ad essa sono in gran parte riferibili le forme
figurate nella Tav. VIII dal Da Costa come Conus Puschi.
L. ELATUS Var. FUSULOPARVA SACC.
(Tav. IV, fig. 23).
Testa minor, gracilis, fusiformis. Spira valde elongatior, fusulata. Anfractus ro-
tundatiores.
Alt. 50 mm.: Lat. 15 mm.
Tortoniano: S. Agata fossili (rara).
Osservazioni. — Probabilmente è forma non ancora completamente sviluppata.
L. ELATUS Var. PERCONICOSPIRATA SACC.
(Tav. IV, fig. 24).
Testa aliquantulum clongatior. Spira regulariter conica; anfractus rotundatiores.
Tortoniano : Stazzano, S. Agata (non rara).
Osservazioni. — È interessante osservare come la tipica spira pupoide allun-
gata, direi, si trasformi gradualmente in spira conica. Le è alquanto affine, ma più
depressa, la var. haueriana Sacc. (1851, Conus Haueri PartscH. — HoernEs, Foss.
Moll. Tert. Beck. Wien. — Tav. IV, fig. 5 (non 4)).
L. ELATUS var. FUNIFORMISPIRATA SACC.
(Tav. IV, fig. 25).
Spira subregulariter conica; anfractus perrotundanti, funiformes, profundis suturis
disjuncti.
Tortoniano : Stazzano (rara).
Osservazioni. — Collegasi specialmente colla var. perconicospirata.
L. ELATUS var. PERLONGESPIRATA SACC.
(Tav. IV, fig. 26).
Spira elongatior, in regione apicali constrictior, in regione basali valde dilatata.
Anfractus ultimus subcanaliculatus.
Tortoniano : Stazzano (rara).
Osservazioni. — Passa gradualmente al tipo ed alla var. fusulatimspirata.
Laccetti
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 39
LEPTOCONUS TAUROELATUS SACC.
(Tav. IV, fig. 27).
Testa elongata, subgracilis, subclaviformis. Spira elato-pupoides, in parte superiore
gracilis, subturrita, in regione externa rapide dilatata. Anfractus elongati, superne ro-
tundati (exceptis primis subangulatis), suturis profundis disjuncti, caudam versus rapide
imminuti. Apertura perlonga, perstricta.
Alt. 62 mm.: Lat. 22 mm.
Elveziano: Colli torinesi (rara).
OsseRvAZIONI. — Sembra appartenere al gruppo del L. elatus, ricordandone spe-
cialmente la var. perlongespirata; ma nel complesso pare dover costituire specie a sè.
Sottogen. CONOSPIRUS De GreEGoRrIo, 1890.
Il De Gregorio nella sua “ Monogr. Faune eoc. Alabama — pag. 21 , istituisce
questo nuovo sottogenere ponendovi a tipo il C. antediluvianus Brua. Dobbiamo però
subito notare come il De Gregorio riunisca in questo sottogenere forme assai distinte
appartenenti a sottogeneri diversi e già prima distinti, così per es. il C. stromboides
su cui nell’anno precedente (1889) il Cossmann aveva fondato il sottog. Hemiconus.
Inoltre, anche restringendo il sottog. Conospirus al gruppo del C. antediluvianus
e forme affini, è certo che esso presenta graduali passaggi ai Leptoconus, per modo
che tale distinzione mostrasi talora alquanto arbitraria. Contuttociò, pur riconoscendo
la strettissima affinità dei Conospirus coi Leptoconus, tanto che probabilmente altri
crederà opportuno tenerli riuniti, considerando però che le suddivisioni sottogeneriche
presentano talora passaggi fra loro, accetto per ora tale distinzione, come quella che
sembrami atta a meglio differenziare due gruppi di forme, bensì strettamente colle-
gate, ma complessivamente distinte.
CoNOSPIRUS ANTEDILUVIANUS (BRUG.).
1786. Volutilites WALCH u. KNORR, Naturg. Verstein., LI, pag. 160, Tav. CII, fig.6.
1792. Conus antidiluvianus Brug. BRUGUIERE, Encicl. meth. Vers, I, pag. 637, Tav. 347, fig. 6.
1798. Volutilites n. 4 BORSON, Ad Oryct. pedem. auct., pag. 176.
1810. Conus antidiluvianus Brug. LAMARCK, Ann. Mus. Hist. nat., tome XV, pag. 442.
1814. , È z BROCCHI, Conch. foss. subapp:, II, pag. 291, Tav. II, fig. 11.
TENISRAAiEe ds n DEFRANCE, Dict. Se. Nat., X, pag. 263.
182003 È si BORSON, Oritt. piemont., pag. 14 (193).
1824. , antediluvianus’ 8, DESHAYES, Descr. Coqu. foss. Paris, II, pag. 749, 750 (pars).
1826. , antidiluvianus , RISSO, Hist. Nat. Europe mérid., IV, pag. 230.
1826. , 5 A BONELLI, Cat. m. s. Museo Zool. Torino, n. 296.
1827. , antediluvianus€ , SASSO, Sagg. geol. Bac. tere. Albenga, pag. 482.
1830. , antidiluvianus , BORSON, Cat. Mus. min. Turin, pag. 606.
1831. , antediluvianus —, BRONN, Ital. tert. Gebild., pag. 12.
1881. , antidiluviamus , DUBOIS DE MONTPÉREUX, Conch. foss. Wolh., pag. 23 (pars).
40 FEDERICU SACCO
1837. Conus angutanculus Desh. PUSCH, Polens Palîiontologie, pag. 115 (pars).
1838. , «appenninicus Bronn. BRONN, Lethaea geogn., Il, pag. 1118, Tav. XLII, fig. 15.
1838. , antediluvianus , MICHELOTTI, Geogn. zool. Ansicht tert. Bild. Piemonts, pag. 397.
1842. , antidiluvianus Brug. SISMONDA, Sym. meth., 1% ed., pag. 44.
18483. , Bruguierii Nyst. NYST, Coqu. et Polip. foss. Belgique, pag. 585.
1845. , antediluvianus , DESHAYES in LAMARCK, Hist. Nat. An., s. vert., XI, pag. 155.
1847. , antidiluvianus , MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 336.
1847803 Ù 3 SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 43.
1848. , antediluvianus , BRONN, Index paleont., pag. 328.
180100 a 3 HOERNES, oss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 38.
1852. , apenninensis Bronn. D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 56.
1853. , antediluvianus Brug. BRONN, Lethaca Geogn., II, pag. 584, Tav. XLII, fig. 15.
SD n E 7 BEYRICH, Conch. Nord-Deutsch. tert. Geb., pag. 19.
1850 603 n È NEUGEBOREN, Tert. Moll. Ober-Lapugy, pag. 228.
859 La P n CHENU, Manuel de Conchiol., pag. 241, fig. 1482.
18624065 3 È DODERLEIN, Giac. terr. mioc. It. centr., pag. 25 (107).
1866. , hi È DESHAYES, Descript. An. s. vert. Bassin Paris, III, pag. 418.
872000 3 È KOENEN, Mioc. Nord-Deutschl. u. seine Moll. Fauna, pag. 213.
18783. , antidiluvianu , COCCONI, En. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 154.
IQITE/II0S È - LOCARD, Descript. Faune tert. corse, pag. 71.
1877. , antediluvianus , ISSEL, Fossili marne Genova, pag. 23.
MS} fepannna + ù PARONA, Plioc. oltrepò pavese, pag. 66.
1884. ., 7 A DE GREGORIO, Studi Conch. medit., pag. 360.
1880 piir È A SACCO, Mass. elev. Plioc. mar. al piede delle Alpi, pag. 7.
1885... 7 5 - Studi geo-pal. territorio Bene Vagienna, pag. 10.
eee n A È Valle Stura di Cuneo, pag. 66.
1890. , apenninensis Bronn. ni Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4372.
1890. , antediluvianus Brug. Cat. pal. Bac. tere. Piemonte, n. 4370.
TSI 5 da DELLA CAMPANA, Pliocene di Borzoli, pag. 27.
Alt. 10-45-90 mm.: Lat. 4-17-30 mm.
Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (rara).
Piacenziano: Astigiana, Chieri, Castelnuovo d’Asti, Bene Vagienna, Mondovì,
Carrù, Pianfei, Cervere, Cherasco; Volpedo; Piacentino; Genova, Borzoli, Zinola,
Albenga, R. Torsero, Bordighera, Bussana (abbondantissima).
Astiano: Astigiana, Piacentino (alquanto rara).
Osservazioni. — Questa bella specie è quasi caratteristica (colla sua grande ab-
bondanza) del Piacenziano, per essere forma essenzialmente di mare alquanto pro-
fondo e tranquillo e dei fondi fangosi.
Originariamente si credette che questa specie appartenesse all’eocene del bacino
parigino, mentre invece è quasi caratteristica del pliocene, dal che nacquero molti
errori e non poche confusioni, sia colle forme consimili veramente eoceniche, sia
col C. Dujardini e col C. acutangulus, donde la proposizione di nuovi nomi, come
appenninicus e Brughieri, per la forma pliocenica in esame.
Il Brocchi ne diede tre figure le quali corrispondono giustamente ai 3 stadî prin-
cipali di sviluppo di questa specie; è però notevole come nella regione della spira
degli esemplari figurati dal Brocchi, gli anfratti siano più depressi e quindi la spira
sì presenti meno fusulata, più scalariforme, di quanto si verifichi in generale negli
esemplari (circa mille) da me esaminati; quindi sugli esemplari che presentano più
accentuati tali caratteri differenziali credetti opportuno fondare una varietà, la quale,
in Piemonte ed in Liguria almeno, è assai più abbondante del tipo. Nella collezione
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 4l
Brocchi esistono 10 esemplari di cui però la maggior parte giovani e parecchi ap-
partenenti all’anom. pseudogibbosa.
Il Coppi (Paleont. mod., pag. 51) indica una var. major colle dimensioni di
mm. 100 X 35. \
Anom. pseudogibbosa Sacc. (Tav. IV, Fig. 28).
Anfractus ultimus, in regione medio-supera irregulariter ventricoso-inflata, gibbosa.
Tortoniano : S. Maria di Stazzano (rara).
Piacenziano: Piacentino, Bordighera (frequente).
C. ANTEDILUVIANUS Var. DERTONENSIS SACC.
(Tav. IV, fig. 29).
Testa plerumque minor. Anfractus in regione spirae aliquantulo depressiores, sub-
canaliculati. Granulationes perspicuiores; striolae transversae interdum etiam in regione
ventrali anfractuum visibiles.
Alt. 15-30-75 mm.: Lat. 7-12-23 mm.
Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (abbondantissima).
Piacenziano: Castelnuovo, Liguria (rara).
OssERvAZIONI. — Per quanto questa forma passi gradualmente al tipo, special-
mente agli individui giovani di esso, tuttavia sembrami che essa presenti nel com-
plesso una facies propria tale da potersene costituire una varietà che è essenzialmente
cararatteristica del Tortoniano. A questa forma avvicinasi alquanto il C. Berwerthi
H. A., che però forse rappresenta solo individui giovani.
C. ANTEDILUVIANUS Var. COMPRESSOSPIRA SACC.
(Tav. IV, fig. 30).
Spira depressior; granulationes interdum parvuliores.
Alt. 15-32 mm.: Lat. 8-12 mm.
Ebeziano: Colli torinesi (rarissima).
Tortoniano: Montegibbio (rara).
Piacenziano: Castelnuovo d'Asti, Bussana (alquanto rara).
Osservazioni. — Alcuni esemplari a granulazioni poco visibili si avvicinano a
certe forme di Leptoconus leggermente granulate.
C. ANTEDILUVIANUS Var. DERTOGRANOSA SACC.
(Tav. IV, fig. 31).
Testa plerumque minor; spira elatior, turritior. Granulationes perspicuiores, striolae
transversae interdum etiam in regione ventrali anfractuum subvisibiles.
Alt. 14-45 mm.: Lat. 6-13 mm.
Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (frequente).
OsservazioNnI. — Passa gradualmente alla var. dertonensis.
Serie II. Tom XLIV. F
42 FEDERICO SACCO
C. ANTEDILUVIANUS Var. TURRITOSPIRA SACC.
(Tav. IV, fig. 32).
Testa elongatior; spira elatior, turritior. Anfractus, ultimi praecipue, in regione
spirae aliquanto minus depressi.
Alt. 13-45-90 mm.: Lat. 4-14-27 mm.
Tortoniano: Stazzano (alquanto rara).
Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo, Chieri, Vezza, Cherasco, Bene-Vagienna, Carrù,
Masserano; Piacentino; Borzoli, Savona-Fornaci, Zinola, Albenga, R. Torsero, Bordi-
ghera, Bussana (abbondantissima).
Osservazioni. — Passa insensibilmente sia al tipo (di cui è quasi più comune),
sia alla var. turripina.
C. ANTEDILUVIANUS Var. TURRIPINA De GREG.
(Tav. IV, fig. 33).
Testa elongatior, fusuloidea; spira elatior, minus scalarata. Anfractus, ultimi prae-
cipue, in regione spirae valde minus depressi, valde obtusius angulati.
Alt. 22-50-80 mm.: Lat. 7-16-25 mm.
1884. Conus antedil. Brug. var. turripinus De Greg. — DE GREGORIO, Studi Conch. medit., pag. 361.
Tortoniano: Montegibbio, Stazzano (alquanto rara).
Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo, Chieri, Cherasco, Masserano; Piacentino; Bor-
zoli, Savona, Zinola, Albenga, R. Torsero, Bordighera, Bussana.
Astiano: Astigiana (rara).
Osservazioni. — Collegasi gradualissimamente colla forma tipica e colla var.
turritospira.
Anom. rusuLatIssima Sacc. (Tav. IV, fig. 34). — Testa fusulatior. Anfractus
rotundatiores.
Piacenziano: Castelnuovo d'Asti (rara).
OssERvAZIONE. — Rappresenta solo un’esagerazione, direi, della var. turripina.
C. ANTEDILUVIANUS Var. FASCIORNATA SACC.
(Tav. IV, fig. 35).
Anfractus ultimus tribus fasciis brunneo-ochraceis (media et infera sat regularibus,
supera subbifida et interrupta) munitus.
Piacenziano: Zinola (rara).
OssERVAZIONI. — Siccome generalmente il C. antediluvianus si presenta con tinta
uniforme, così credetti opportuno segnalare questa forma, la quale potrebbe rappre-
sentare o semplicemente un'anomalia, oppure un residuo della vera colorazione del
C. antediluvianus, ciò che ne accrescerebbe l’importanza pur facendola discendere dal
grado di varietà distinta.
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 43
C. ANTEDILUVIANUS Var. DERTOBLITA SACC.
(Tav. IV, fig. 36).
Testa crassa, fusulatior. Spira conica, saepe subinflatula, valde minus scalarata.
Anfractus ultimi in regione spirae declives, valde minus planato-depressi.
Alt. 30-66 mm.: Lat. 13-27 mm.
Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (non rara).
Piacenziano: R. Torsero (rarissima).
OssERvAZIONI. — À primo tratto parrebbe una specie a parte che ricorda alquanto
il C. oblitus Micnt. per gli esemplari a spira più inflata, ma per graduali passaggi
collegasi strettamente col solito tipo del C. antediluvianus. Questa forma deriva proba-
bilissimamente dalla var. tauroblitoides, a cui è affinissima. Nel bacino viennese tro-
vasi una forma simile come risulta dalla Fig. 2, di Tav. V, dell’opera di M. Hoernes:
“ Foss. Moll. tert. Beck. Wien. ,.
C. ANTEDILUVIANUS Var. CRASSOGRANOSA SACCO.
(Tav. IV, fig. 37).
Testa crassa. Spira conica. Granulationes valde crassiores, subrotundatae.
Tortoniano: Stazzano (rara).
C. ANTEDILUVIANUS Var. MIOBLITA SACC.
(Tav. IV, fig. 38).
Testa elongatior, fusulatior. Spira subscalarata, plus minusve conica. Anfractus in
regione spirae declives, non scalarati, non, vel parum, depresso-canaliculati. Granula-
tiones numero minores, depressae, plus minusve suboblitae.
Alt. 40-65 mm.: Lat. 11-25 mm.
Elveziano: Colli torinesi (non rara).
OsseRvAZIONI. — Questa varietà sembrerebbe quasi formare passaggio al C. oblitus
MicHm., tanto più che il C. oblitus si presenta talora leggermente subgranulato nei
primi anfratti; ma d’altra parte sonvi variazioni simili in forme plioceniche di C. ante-
diluvianus, come nella var. subagranulata, che è affinissima alla presente.
C. ANTEDILUVIANUS Var. TAUROBLITOIDES SACC.
(Tav. IV, fig. 39).
Testa affinis var. dertoblita, sed: minor; granulationes parvuliores, propinquiores,
rotundatiores, in anfractibus ultimis interdum suboblitae vel oblitae.
Alt. 15-40 mm.: Lat. 6 1/,-17 mm.
Elveziano: Colli torinesi (non rara).
OsseRvazioNnI. — Passa assai gradualmente alla var. dertoblita; per alcuni carat-
teri ricorda il C. oblitus MicHt.
C. ANTEDILUVIANUS Var. TAUROASCALARATA SAC.
(Tav. IV, fig. 40).
Testa affinis var. dertoblita, sed: spira regulariter conica, ascalarata; granula-
tiones parvuliores, depressiores, passim suboblitae.
44 FEDERICO SACCO
Alt. 40 mm.: Lat. 11 mm.
Elveziano: Colli torinesi (rarissima).
OsservazionI. — È solo una modificazione della var. tauroblitoides.
C. ANTEDILUVIANUS Var. MIOSUBAGRANOSA SACC.
(Tav. IV, fig. 41).
Testa affinis var. dertoblita, sed: minor; spira plerumque minus inflata, mucro-
nata; granulationes parvuliores, depressiores, plus minusve suboblitae.
Alt. 15-30 mm.: Lat. 6-11 mm,
Elveziano: Colli torinesi (non rara).
Osservazioni. — Collegasi assai bene colla var. tauroblitoides, e per la graduale
scomparsa delle granulazioni sembra passare ad alcune forme del L. Allioni e del
C. Dujardini (var. pseudoantediluviana). Le forme a spira turrita paiono mancare
nell’ Elveziano piemontese, ma esistettero altrove durante tutta l'epoca miocenica, come
ce lo indicano la var. junior GrAT. (= var. scalata GraTt. a pie’ della Tav. 45), la var.
princeps Sacc. (1853 — Conus antediluvianus Bru — BeyricK — Conch. Norddeutsch.
tert. Geb. Tav. I, Fig. 1), ecc.
C. ANTEDILUVIANUS Var. TAUROCATENATOIDES SACCO.
(Tav. IV, fig. 42).
Testa minor; spira turritior. Anfractus in regione spirae minus depressi, decli-
viores. Anfractus ultimus transverse, irregulariter, seriatim granulosus.
EWeziano: Colli torinesi (non rara).
OsservazionI. — Credo trattisi essenzialmente di forme giovanili, giacchè le
suddette granulazioni osservansi specialmente negli esemplari giovani di Conus appar-
tenenti a diversi sottogeneri, particolarmente ai Conospirus; è probabilmente in modo
simile che credo debbasi interpretare la forma excatenata SAcc. (1851 — Conus cate-
natus Sow. — Hoernes — Foss. Moll. tert. Beck Wien, pag. 42, Tav. V, fig. 4) che sem-
brami assai diverso dal vero C. catenatus, il Leptoconus Berwerthi H. A. (probabil-
mente varietà del C. antediluvianus), il Conus Jungi Bortt, il C. clanculus Mav., ecc.
Quindi io credo che tale carattere delle granulazioni, sul quale vennero fondate
diverse specie, non sia un carattere essenziale, ma sovente solo di età od individuale,
e quindi per lo più appena segnalabile a titolo di varietà, apparendo d’altronde qua
e là in diverse forme, così nel C. antediluvianus, nel C. Dujardini, nel C. Bronni, nel
Leptoconus Allionii, ecc., ecc.
C. ANTEDILUVIANUS var. EMPENA DE GREG.
(Tav. IV, fig. 43).
Spira brevior; in ultimis anfractibus gramnulationes oblitae.
1323. Conus antidiluvianus BORSON, Oritt. Piemont., pag. 172 (304).
1830. —, 7, À Cat. Coll. Min. Turin, pag. 607.
1384. , antediluvianus var. empenus De Greg. DE GREGORIO, Studi Conch. Medit., pag. 361.
13906 n 5 i SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4371, 5430.
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 45
Piacenziano: Astigiana, Masserano; Bordighera; Castellarquato (rara).
Osservazioni. — Il carattere di questa varietà è comunissimo negli esemplari
adulti di C. antediluvianus; alcuni individui sembrano quasi far passaggio al L. Broc-
chii var. antediluvianoides.
CONOSPIRUS ANTEDILUVIANUS Var. TRANSIENS SACC,
(Tav. IV, fig. 44).
Testa fusulatior; angulus cnfractuum crassus, subrotundus, granulationibus omnino
destitutus.
Alt. 47 mm.: Lat. 20 mm.
Astiano: Astigiana (rarissima).
OsservazionI. —- Questa forma per diversi caratteri avvicinasi moltissimo al
L. Brocchii, tanto che altri potrebbe forse riferirlo a detta specie; però nell’assieme
essa sembra piuttosto appartenere al gruppo del C. antediluvianus. Del resto credo
trattisi di una forma anomala di non grande importanza.
C. ANTEDILUVIANUS VaAr. SUBAGRANULATA SACC.
(Tav. IV, fig. 45).
Testa fusulatior. Spira plus minusve elatior, minus scalarata. Anfractus in regione
spirae decliviores, minus depressi; granulationes in anfractibus primis depressiores, sub-
oblitae, in anfractibus ultimis oblitae.
Alt. 26-73 mm.: Lat. 11-25 mm.
Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo; Piacentino ; Zinola, Rio Torsero, Bordighera
(non rara).
Osservazioni. — I caratteri di questa varietà si riscontrano generalmente negli
ultimi anfratti di tutti gli individui adulti; è la loro generalità in tutti gli anfratti
ed anche nelle forme giovani, che, assieme agli altri caratteri sovraccennati, mi in-
dusse ad elevare questa forma a varietà distinta; essa ricorda a primo tratto il
C. Dujardini, ma anche il solo carattere del canaletto che osservasi sopra l’angolo
degli anfratti, basta per distinguere nettamente le due forme; d’altra parte questa
varietà si avvicina pure alquanto al L. Brocchi.
Conospirus DUJARDINI (DESH.).
(1831. DESHAYES (C. acutangulus Desh., non C. acutangulus Chemn. 1772) in Appendix to Lyell's
Principles of Geology, pag. 40).
(1831. DU BOIS DE MONTPÉREUX (0. antidiluvianus), Conch. foss. Volhyn.-Podol., Tav. I, fig. 1).
(1845. DESHAYES in LAMARCK (0. Dujardini), Hist. Nat. An. s. vert., XI, pag. 158).
OsseRvAZIONI. — Questa forma credo sia molto importante costituendo quasi una
specie-gruppo, specialmente caratteristica del Miocene, ed attorno alla quale raggrup-
pansi molte e svariate forme. Sgraziatamente essa portò per lungo tempo un nome
che cadeva in sinonimia, ed inoltre il suo autore ne diede per tipo una figura pre-
sentata dal Dubois come C. antidiluvianus. Ne seguì una notevole confusione che dura
46 FEDERICO SACCO
tuttora, tant'è che a questa specie si attribuirono specie diverse e, viceversa, di molte
sue semplici varietà si crearono nuove specie. Inoltre è a notarsi come la figura del
Dubois, che dobbiamo prendere come tipo del L. Dujardini, come ha proposto l’au-
tore di questa specie, non rappresenti una delle forme più comuni di questo gruppo;
ad ogni modo il nome subacutangulus dato a questa forma nel 1852 dal D’Orbigny
cade assolutamente in sinonimia di C. Dujardini (1845).
Nel Tortoniano di Stazzano osservai un esemplare che si avvicina molto al tipo,
ma che per essere incompleto non è determinabile con certezza.
C. DUJARDINI Var. TAUROSTRIOLATA SACC.
(Lav iVenissi)
Testa plerumque aliquantulo minor. Spira paullulo acutior, magis pagodaeformis.
Anfractus acute angulati, sub angulo circumspirali striolati, plerumque bistriolati.
Alt. 5-28 mm.: Lat. 1!/-11 mm.
Eleziano: Colli torinesi (frequente); Sciolze (rara).
OsservAZzIONI. — Questa forma (come in generale i Conospirus) sembra avere
abitato specialmente i fondi melmosi, giacchè mentre essa fu sinora sconosciuta ai
paleontologi piemontesi [il cui materiale di studio proviene specialmente dai depositi
sabbiosi (molasse)], recentemente invece un raccoglitore dilettante il sig. Forma, me
ne portò una gran quantità proveniente da uno speciale strato marnoso che trovasi
al Monte dei Cappuccini.
La caratteristica presenza delle indicate striole (oltre alla forma generale ed
alle granulazioni dei primi anfratti) costituisce un nuovo punto di ravvicinamento del
O. Dujardini al C. antediluvianus, quantunque sovente queste striole non compaiano,
come, per esempio, nell’esemplare tipico figurato dal Dubois.
C. DUJARDINI var. PSEUDOANTEDILUVIANA SACC.
(Tav. V, fig. 2).
Testa affinis var. taurostriolata, sed: depressae granulationes etiam in ultimis an-
fractibus plus minusve visibiles.
Elveziano: Colli torinesi (rara).
Osservazioni. — Parrebbe quasi costituire un passaggio al C. antediluvianus.
C. DUJARDINI var. PSEUDOCATENATA SACC.
(Tav. V, fig. 3).
Testa affinis var. pseudoantediluviana, sed: spira minus scalarata; anfractus trans-
versim servis granularibus ornati.
Eeziano: Colli torinesi (rara).
Osservazioni. — Forma che da un lato indica sempre maggiormente il nesso
esistente fra il 0. Dujardini ed il C. antediluvianus e dall’altro fa sempre più rico-
noscere come il carattere delle granulosità sia spesso solo un carattere accidentale,
come già si disse parlando dell’affine C. antediluvianus var. taurocatenatoides.
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 47
C. DUJARDINI var. DEPRESSULINA SACC.
(Tav. V, fig. 4).
Testa affinis var. taurostriolata, sed spira depressior.
Alt. 20 mm.: Lat. 9 mm.
Elveziano: Colli torinesi (rara).
Osservazioni. — Collegasi insensibilmente colla var. taurostriolata.
C. DUJARDINI var. TAUROMINOR SACC.
(Tav. V, fig. 5).
Testa minor, fusulatior. Anfractus in regione spirae plerumque decliviores; ali-
quantulo minus acute angulati.
Alt. 13-23 mm.: Lat. 5-10 mm.
Eleziano: Colli torinesi (non rara).
OsservazionI. — Le striole accennate nelle altre varietà dell’ Elveziano torinese
quasi sempre mancano in questa forma, che sembra avvicinarsi ad alcune varietà
di C. Bronni.
C. DUJARDINI Var. BREVICAUDATA SACC.
(Tav. V, fig. 6).
Testa magis fusiformis. Spira elongatior. Cauda brevior. Sub angulo anfractuum
2 striolae transversae conspiciuntur.
Alt. 26 mm.: Lat. 12 mm.
Elveziano: Bersano S. Pietro (rara).
C. DUJARDINI Var. ASTENSIS SACC.
(Tav. V, fig. 7).
Testa aliquantulum latior. Spira magis conica. Granulationes suboblitae. Sub angulo
anfractuum 1 vel 2 striolae parvillimae perspiciuntur.
Alt. 50 mm.: Lat. 16 mm‘
Astiano: Astigiana (rarissima).
Osservazioni. — È notevole il grande prolungarsi di questa specie nel tempo,
quantunque a dire il vero*le forme tortoniane e plioceniche attribuite al 0. Dujardini,
come anche questa, tendano più o meno nettamente verso il gruppo del C. Bronni,
tanto che talora lasciano dubbi sulla loro precisa collocazione subgenerica. A. questa
categoria appartengono per esempio in parte le forme figurate (Tav. V, fig. 3) dal-
l’Hoernes (Foss. Moll. tert. Beck. Wien.) come C. Dujardini e che il De Gregorio
(1884, Studii Conch. Medit.) appellò asdensis, mentre il C. Brezinae H. A. tende
già più fortemente verso il C. Bronni. Qualche cosa di simile deve ripetersi pel
C. Dujardini var. funiculellata Saco. (1869, Conus Dujardini var.-MAnzonI, Fauna
mar. due lembi mioc. Alta Italia, pag. 482, tav. I, fig. 2).
48 FEDERICO SACCO
In conclusione possiamo dire: 1° che il tipico 0. Dujardini è specialmente carat-
teristico dell’Elveziano, mentre il tipico C. Bronni, di cui però esistono numerose
varietà nell’Elveziano, diventa particolarmente caratteristico del Tortoniano; 2° che
queste due specie presentano diverse forme di collegamento, le quali ne indicano gli
stretti rapporti, quantunque in complesso sembri più logico tener specificamente di-
stinte dette due forme.
Conospirus BronnI (MIcHT.).
(Tav. V, fig. 8).
Testa turbinato-clongata, turrita; spira dimidiam testacei partem efformante, scala-
riformi, exerta, acuta; anfractibus subcarinatis, infra carinam sulco praeditis; suturis
distinctis (Michelotti).
1847. Conus Bronnii Micht. MICHELOTTI, Descript. Foss. mioc., pag. 339, Tav. XIV, fig. 3.
1847. , oblitus Micht. var. SISMONDA, Syn. meth., 2% ed., pag. 44.
1852. , È Hi 3 D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 57.
1890. , Bronnii Micht. SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4881.
Tortoniano: Stazzano, S.Agata, Montegibbio (non rara).
OssERVAZIONI. — Questa forma, che pur sembra collegarsi col C. Dujardini, pare
se ne debba in complesso tener specificamente distinta; tale distinzione è certa-
mente nettissima se si comparano le forme tipiche di ciascuna specie, ma va ‘gra-
datamente diminuendo se si osservano le forme intermedie, specialmente quelle
elveziane. Notisi inoltre come l'esemplare tipico, che rifiguro, rappresenti in verità
una forma un po’ aberrante a spira molto svolta.
Le figure date dall’Hoernes e specialmente dal Da Costa provano come nei ter-
reni miocenici del Portogallo e di Vienna esistano numerose forme appartenenti a
questo gruppo, le quali però finora vennero generalmente attribuite al C. Dujardini, al
cui gruppo certamente si collegano. Negli esemplari meglio conservati si osserva
sovente che i primi anfratti sono leggermente subgranulosi, carattere che collega
sempre più il C. Bronni al C. Dujardini.
C. BRONNII var. STAZZANENSIS SACCO.
(Tav. V, fig. 9).
Testa aliquantulum latior, minus elongato-fusulata. Spira minus elongata, magis
conica.
Alt. 15-36 mm.: Lat. 7-14 mm.
1847. Conus acutangulus Desh. MICHELOTTI, Descript. Foss. mioc., pag. 387.
1851. , Dujardini Desh. HOERNES, oss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 40, 41.
1892000, È 3 BRONN, Lethaea geogn., III, pag. 584.
1862) “4 È È DODERLEIN, Giac. terr. mioc. It centr., pag. 107 (25).
1866....._ A x DA COSTA, Gast. terc. Portugal, pag. 27.
IST zi A LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 72.
1890. , > » var. SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piemonte, n. 5455.
? Elveziano: Colli torinesi (rara).
Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (frequentissima).
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 49
Piacenziano: Castelnuovo d'Asti (rarissima).
OssERVAZIONI. — Questa forma dovrebbe considerarsi come il vero tipo del
gruppo del 0. Bronnii, se il Michelotti non avesse figurato per tipo di questa specie un
esemplare alquanto aberrante. Le indicazioni indicate in sinonimia si riferiscono tutte
alle forme fortoniane del C. Bronnii e non già al vero C. Dujardini che rimase finora
sconosciuto nei depositi elveziani piemontesi. L'unico esemplare pliocenico che pos-
seggo tende alquanto verso la var. subascalarata.
C. BRONNII var. EVOLUTOSPIRA SACC.
(Tav. V, fig. 10).
Testa fusoidea. Spira perelata, rapide evoluta. Anfractus ultimi interdum minus
angulosi; striolae transversae sub angulo anfractuum suboblitae.
Alt. 17-30 mm.: Lat. 7-12 mm.
Elveziano: Colli torinesi, Albugnano (non rara).
OsseRvaZIONE. — Si potrebbe considerare come la forma corrispondente, nel-
l’Elveziano, alla forma tipica del Tortoniano.
C. BRONNII var. CRASSOCOLLIGENS SACC.
(Tav. V, fig. 11).
Testa crassior, latior, valde minus fusulata. Spira regularius conica.
Alt. 25-32 mm.: Lat. 11-13 mm.
Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (non rara).
OsservazIoNnI. — Paragonata col tipo del C. Bronnii ne parrebbe specificamente
diversa, presentando invece maggior somiglianza col 0. Dujardini; però credo debba
piuttosto collegarsi colla prima specie.
C. BRONNII var. DEPRESSOASTENSIS SACC.
(Tav. V, fig. 12).
Testa latior, valde minus fusulata. Spira depressior, subconica, scalarata; striolae
sub angulo anfractuum oblitae vel suboblitae.
Alt. 23 mm.: Lat. 11 mm.
Astiano: Astigiana (rarissima).
Osservazioni. — Nel complesso si avvicina alquanto alla var. crassocolligens,
ma tende pure molto verso il C. Dujardini.
C. BRONNII var. SUBBICONICA SACC.
(Tav. V, fig. 13).
Testa affinis var. subascalarata, sed anfractus minus elongati, magis angulati,
ratione habita latiores, striolis sub angulo interdum munùiti.
Alt. 20-28 mm.: Lat. 10-12 mm.
Tortoniano: Stazzano (non rara).
Piacenziano: Astigiana (rara).
OssERVAZIONE. — Parrebbe quasi una esagerazione, direi, della var. sudascalarata.
Serie Îl. Tom. XLIV. Cc)
50 FEDERICO SACCO
C. BRONNII Var. OBTUSANGULATA SACC.
(Tav. V, fig. 14).
Testa minus longo-fusulata. Spira minus rapide evoluta. Anfractus obtuse angulati,
interdum fere subrotundati. Striolae sub angulo anfractuum plerumque suboblitae.
Elveziano: Colli torinesi (non rara).
Tortoniano: Stazzano (non rara).
OsservazionI. — Le è forse affine il O. strombellus GrAT. var. minor GRAT.
C. BRONNII ? var. ROTUNDULATA SACC.
(Tav. V, fig. 15).
Testa minus longo-fusulata. Spira minus elongata. Anfractus non angulati sed sub-
rotundati, saepe transversim striolati, primi plus minusve subgranulosi. Striolae sub
angulo anfractuum interdum suboblitae.
Elveziano: Colli torinesi (non rara).
Osservazioni. — Per alcuni caratteri si avvicina alla var. obtusangulata ed alla
var. faurotransiens, ma per altri ricorda assai alcuni esemplari giovani di C. Puschi,
donde l'incertezza della sua determinazione; ciò tanto più che la forma in esame è
assai variabile per lunghezza di spira, rotondità di anfratti, maggior o minor inten-
sità ed estensione delle granulosità, ecc. Forse questa forma è alquanto affine al
C. laevis (GrAT.) 0 C. praelongus (GrAT.) indicata dal D'Orbigny come €. subalsiosus.
C. BRONNII ? var. ROTUNDOSPIRATISSIMA SACC.
Tav. V, fig. 15 dis.
Testa affinis var. rotundulata, sed magis fusiformis, spira valde elongatior.
Elveziano: Colii torinesi (alquanto rara).
C. BRONNII ? var. EXFUSUS SACC.
(Tav. V, fig. 16).
Testa fusiformis, spirae exertae, anfractubus striatis, granulis marginalibus asperis,
majori transversim subgranulato striato, basi acuta (Borson).
1823. Conus fusus Bors. BORSON, Oritt. piemont., pag. 173 (305), fig. 22.
1881. , fuscus Bors. 5 Cat. Coll. min. Turin, pag. 607.
1848. , fusus 3 BRONN, Index paleont., pag. 330.
Elveziano: Colli torinesi (alquanto rara).
Osservazioni. — Il nome del Borson non può mantenersi già esistendo un Conus
fusus di Gmelin. La forma in esame è un po’ variabile, poichè alcuni esemplari per
il loro assieme si scostano alquanto dal tipo del Borson e si avvicinano, per la
forma, alla var. taurotransiens, per modo che sembrano collegarsi a simili forme gra-
nulose osservate nel gruppo del C. antediluvianus e del C. Dujardini.
ì MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 51
C. BRONNII ? var. ROTUNDULOGRANOSA SACC.
(Tav. V, fig. 17).
Testa affinis var. rotundulata SAco., sed: anfractus seriis granularibus in regione
ventrali et infera ornati.
Elveziano: Colli torinesi (non rara).
Osservazioni. — Passa gradualissimamente alla var. exfusus, talora anzi ne
rappresenta solo una differenza di età, poichè i primi anfratti sono sovente angolosi
e gli ultimi subrotondati D'altra parte essa non è altro che la var. rotundulata or-
nata di cingolelli granulari, ciò che sempre più dimostra il collegamento di queste
varie forme e l’accidentalità delle granulazioni.
C. BRONNII ? var. TAUROTRANSIENS SACC.
(Tav. V, fig. 18).
Testa minus longo-fusulata. Spira minus elongata. Anfractus minus ventrosi; primi
interdum perdepresse subgranulosi. Striolae sub angulo anfractuum plerumque oblitae vel
suboblitae.
Alt. 20-30 mm.: Lat. 7 '/,-11 !/. mm.
Elveziano: Colli torinesi, Baldissero, Bersano, Albugnano (frequente).
OssERvAZIONI. — Questa forma alquanto variabile sembra talora far passaggio
al C. Dujardini (specialmente alla sua var. taurominor); alcuni esemplari a spira più
largamente conica paiono passare al C. Brezinae H. A. che credo debba conside-
rarsi piuttosto come una varietà che non come una specie a sè; collegasi d’altronde
per diversi caratteri colla var. subascalarata.
C. BRONNII ? var. SUBASCALARATA SAcc. (an species distinguenda).
(Tav. V, fig. 19).
Testa minus longo-fusulata. Spira regulariter conica, ascalarata vel subascalarata
Anfractus minus ventrosi. Striolae sub angulo anfractuum oblitae vel suboblitae. Anfractus
interdum transversim lineati.
Alt. 16-30-40 mm.: Lat. 7-12-14 mm.
Elveziano: Colli torinesi, Baldissero (straordinariamente comune).
Tortoniano: Stazzano (rara).
Osservazioni. — Parrebbe quasi una specie a sè, ma collegasi con altre varietà
del C. Bronni. Gli esemplari elveziani generalmente hanno gli anfratti più rettilinei,
un po’ meno ventrosi nella parte media e la spira più nettamente conica che non
gli esemplari tortoniani, per modo che ne potrebbero forse distinguere specificamente.
Se si volesse portare la forma in esame al grado di specie, la var. tauroafusula ne
costituirebbe una buona varietà.
C. BRONNIT ?_ var. FUSOLIVA SACC.
(Tav. V, fig. 20).
Testa affinis var. subascalarata sed fusulatior, olivaeformis; anfractuum angulus
superus subobtusus vel subrotundatus.
52 FEDERICO SACCO
Eleziano: Colli torinesi (alquanto rara).
Tortoniano: Stazzano (rara).
C. BRONNIL? var. TAUROAFUSULA SACC.
(Tav. V, fig. 21).
Testa affinis var. subascalarata, sed: saepe major et crassior; latior, minus fusoides;
spira brevior, latius conica.
Alt. 15-37 mm.: Lat. 7-16 mm.
Elveziano: Colli torinesi (frequente).
Osservazioni. — Questa forma collegasi colla var. subascalarata sempre più al-
lontanandosi dal tipico C. Bronni, per modo che parrebbe quasi logico di staccarnela
specificamente, tanto più che mancano le caratteristiche striole che nel C. Bronni
stanno sotto all'angolo degli anfratti. Nel complesso essa ricorda alquanto alcune
forme del gruppo del C. striatulus e del C. pelagicus.
CONOSPIRUS ? OBLONGOTURBINATUS (GRAT.).
(1840. GRATELOUP (Conus antediluvianus var. oblongoturbinata), Conch. Bassin Adour, PI. 44, fig. 2).
È questa forma una specie assai spiccata, finora poco conosciuta, forse anche
perchè la sua conchiglia è così gracile, almeno negli esemplari del Piemonte, che
facilmente si rompe. Seguendo il mio solito metodo ho conservato a questa forma
l’antico nome datole dal Grateloup, quantunque egli l’indicasse come varietà di una
specie ben diversa, mentre invece il D’Orbigny pensò di imporle un nuovo nome,
aquensis; sembrami assolutamente logico conservare i nomi primitivi, anche se dap-
prima furono considerati come nomi di varietà, almeno quando le denominazioni si
prestano, poichè in caso diverso si cade in una grande confusione che può trarre a
pericolose conseguenze, potendo anche influire sulla debole natura umana riguardo
al modo di considerare le specie e le varietà. La specie in esame sembra riferibile
ai Conospirus quantunque per diversi caratteri ricordi pure i Leptoconus, sempre più
dimostrandoci l’incertezza di tale distinzione sottogenerica.
La forma tipica manca in Piemonte ed è quindi desiderabile che di essa venga
presentata una diagnosi che manca tuttora. Pel confronto mi riferisco quindi solo
alla figura tipica data dal Grateloup.
0. OBLONGOTURBINATUS Var. PROPEGALLICA SACC.
(Tav. V, fig. 22).
Testa minor, gracilior, minus inflata. Spira elongatior, fusulatior.
Alt. 40-58 mm.: Lat. 16-20 mm.
Eeziano: Colli torinesi (alquanto rara).
Osservazione. — E la forma piemontese che meglio si avvicina al tipo francese.
È
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 583
C. OBLONGOTURBINATUS Var. TAUROGRACILIS SAC.
(Tav. V, fig. 23).
Testa minor, valde gracilior, perfusulata, spira elatior, acutior, gracilior. In regione
spirae anfractus primi granuloso-angulati, medi angulati, externi subangulati, decli-
viores. Cauda valde gracilior et elongatior.
Alt. 12-60 mm.: Lat. 4 !/-20 mm.
Elveziano: Colli torinesi (frequente).
Osservazioni. — Alcuni esemplari si presentano trasversalmente striolati in
modo da ricordare assai il vivente C. D’Orbignyi.
Anom. AnGuLATISSIMA Sacc. (Tav. V, fig. 24). — Spira perscalarata. Anfractus
angulatissimi.
Elveziano: Colli torinesi (rara).
Anom. rorunDaTISsIMA Saco. — Spira perscalarata, sed anfractus rotundatissimi.
Elveziano: Colli torinesi (rara).
C. OBLONGOTURBINATUS Var. FUSOLAEVIS SACcc.
(Tav. V, fig. 25).
Testa minor, gracilior, fusulatior, minus ventrosa. Spira minus scalarata. Anfractus
magis involuti, rotundatiores, ad suturam non depressi.
Elveziano: Colli torinesi (frequente).
C. OBLONGOTURBINATUS Var. BICONOLONGA SACC.
(Tav. V, fig. 26).
Testa minor, gracilior, fusulatior, valde minus ventrosa. Spira ascalarata, conico-
elongatissima. Anfractus regulariter involuti, ad suturam nihil subcanaliculati, suban-
gulati, suturis subsuperficialibus disjuncti.
Alt. 35-45 mm.: Lat. 11-14 mm.
Ebeziano: Colli torinesi (non rara).
OssERVAZIONE. — Ricorda alquanto il gruppo del C. Bronni.
C. OBLONGOTURBINATUS Var. PAUCISPIRALATA.
(Tav. V, fig. 27).
Testa affinis var. fusolaevis, sed: brevior et latior; spira valde depressior, in
regione externa subascalarata. Anfractus angulatiores.
Alt. 33-52 mm.: Lat. 13-20 mm.
Ebeziano: Colli torinesi (non rara).
C. OBLONGOTURBINATUS Var. TAUROCHELYCONOIDES SACC.
(Tav. V, fig. 28).
Testa subovatior. Spira aliquantulum brevior. Anfractus, ultimus praecipue, ad su-
turam superam minus depressi, rotundatiores.
54 FEDERICO SACCO
Eleziano: Colli torinesi (rara).
Osservazioni. — E quasi una forma intermedia fra il tipo e la var. subfusi-
formis Grat. Ricorda alcune forme di Chelyconus.
Avvertenza. — La fine, l’indice ed il resto delle Tavole della famiglia Conidae,
nonchè le Conorbdidae, si trovano nel fascicolo secondo della parte XIII, fascicolo
che non potendo più essere inserito nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze
di Torino, durante il corrente anno accademico, fu stampato a spese dell'Autore, come
le parti IX, X e XII, affinchè non fosse troppo ritardata la pubblicazione della presente
Monografia.
Tali parti trovansi in vendita presso la Libreria E. LorscHER di C. CLAuUSsEN - Torino.
tenziano
| L. arcuatus
L. thelassiarchus L. delessertianus
L. Sieboldii L. dispar
\ L. borneensis
L. Brocchi e var. crassospirata
FEDERICO SACCO
I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA
Quadro comparativo dei LEPTOCONUS e dei CONOSPIRUS
| __ | €. papillaris
i C. Orbignyi — C. granarius — O. gradatus — ©. insculptus
| C. acutangulus | |
transiens Var.
| fusulospirata COMPressospira
IS OUIDA crassospirata (| empena
SIA ATL antediluvianoides — È subagranulata
brevidepressula dertoblita
dertoblita
perfuniculata
granulocatenata
conicospirata
perconicospirata
oblita
discors
pupoidespira
perpupoidespira
L. Allionii e var.
compressospira
taurooblitoides
miosubagranosa
| compressospira
| tauroascalarata
gracilissima
mioblita
Leptoconus Ewaldig— L. Semperi (pars)
i
e C. antediluvianus e var. turripina
turripma
dertonensis
fasciornata
turritospira
var. e €. antediluv. e var.
—— __—_.
dertonensis
dertogranosa
turripina
turnitospira
crassogranosa
Berwerthi
excatenata
| var. e 0. antediluv. e var.
var. e 0. antediluv. var. (a = pseudoantedil.
taurocatenatoides pseudocatenata;
C. antediluv. var. princeps — ? — 0. plicatilis — C. Beyrichi
0.? parisiensis
Conospirus ? parisiensis
| C. scalaris
?
|
C. monilifer
C. Dujardini var. astensis
C. Dujardini var.
var. e C. Dujardini e var.
| asdensis |
Brezinae
| funiculellata )
taurostriolata
depressulina
taurominor
brevicaudata
— —
54 bis
p___—_ € spiculum
depressastensis var. 0. Bronni
stazzanensis var. €. Bronni
stazzanensis
crassocolligens
obtusangulata
subascalarata
subbiconica
tauroafusula
fusoliva I
)
‘ var. e €. Bronni
evolutospira
obtusangulata
subascalarata
taurotransiens
Brezinae
eafusus
rotundulata
rotundospiratissima
rotundulogranosa
stazzanensis ?
var. e €. Bronni
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Lit. Salussolia, Torino
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ter.
Località
Dendroconus betulinoides (Lx.) [es. preso a tipo dal BroccHi] Astigiana
Id. Id. var. supramamillata Sace. . Vezza d'Alba
Id. Id. var. chelyconoides Sacc. . 90, Id.
Id. Id. var. ezlineata Sacc. [tipo del C. l-
neatus Bors.] . Astigiana
Td. Id. Id. Id. (juv.) . Vezza d’Alba
Id. Id. var. concavespirata Sacc. Id.
Id. Id. var. dertosulculellata Sacc. . S. Agata
Id. Id. var. dertomamillata Sacc. . Stazzano
Id. Id. var. dertocanaliculata Sacc. ZON Id.
Id. Berghausi (Mrcer.) [esemplare tipico del MicarLorti] S. Maria-Stazzano
Id. Id. var. propebetulinoides Sacc. S. Agata
Id. Id. var. bifasciolata Sacc. Id.
Id, Id. var. exfuscocingulata . Borzoli
Id. Id. var. moravicoides Sacc. . Stazzano
Id. Id. var. triangularis Sacc. . Id.
Id. Id. var. planocylindrica Sacc. . S. Agata
Id. GL var. percommunis Sacc. . Stazzano
Id. Ta. Id. Id. (juo.) Id.
Id. Id. var. glandiformis Sacc. . Td.
Td. Td. var. ccnotriangula Sacc. . Td.
Id. Id. var. semisulcata Sacc. Montegibbio
Id. Id. var. conicospira Sacc. Stazzano
Td. Id. Toe: (Guv.) . Id.
Id. Id. var. permucronata Sacc. S. Agata
Id. CertOVATUSISACOHA QI e Stazzano
Id. Id. var. connectens Sacc. . Si Id.
Id. Eschewegi (DA Costa) var. caelata (Dop. Sacc.) . . Montegibbio
Id. Id. Id. Id. (juo.) Stazzano
Id. Id. Id. var. depressoastensis (SAcc.) . Astigiana
Id. pyruloides (Dop. Sacc.) S. Agata
Id. i IIGE Id. ua Td.
Id. Id. Id. (juov.) Td.
Id. Id. var. planacutispira Sacc.. Id.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I.
COLLEZIONE
in cui è conservato
l'esemplare figurato
Coll. Brocchi (Milano)
Museo geol. Torino
Td.
Id.
Id.
Id.
Id.
Museo geol. Roma
Id.
Id.
Museo geol. Torino
Td.
Museo geol. Genova
Museo geol. Torino
Id.
Joi
Id.
Id.
Id.
Id.
Museo geol. Modena
Museo geol. Torino
Id.
Museo geol. Modena
Museo geol. Torino
Id.
Museo geol. Modena
Museo geol. Torino
Id.
Id.
Fig.
1
1 dis.
2.
2 bis.
Lithoconus Mercatii (Br.) [esemplare tipico del Broccni) . . . S. Miniato Coll. Brocchi (Milano)
Id. Id. OOO AM RAI TITO Astigiana Museo geol. Torino
Id. Id. anom. crasselabiata Sacc. /. 0. Id. Id.
Id. Id. anom. anomalosulcata Sacc. . . . . . . Villanuovad’Asti Id.
Id. Td. vancicimeta (Borse e e Id. Id.
Id. Id. var. Aldrovandi (Br.)[esempl.tip.delBroccHi] Crete senesi Coll. Brocchi (Milano)
Id. Id. var. elongatofusula SAcc. . °°... 0 Astigiana Museo geol. Torino
Id. Id. var. depressulospira SACC. +. . 0 +0 Casaglia Museo geol. Roma
Id. Id. var. longoastensis Snec. 04. OI Astigiana Museo geol. Torino
Id. Id. var. Baldichieri (Bors.) . . Baldichieri (Astig.) Id.
Id. Id. var. fuswoidea SACCHI e Astigiana Id.
Id, Id. MAL: CHASSOVALASAOO; le n ee UNE Id. Id.
Id. Id. var Caroli (Puo) a aos Aia Id. Td.
Id, Id. var. turricula (Br.) [esempl. tip. del Brocca] Crete senesi Coll. Brocchi(Milano)
Id. Id. var. canaliculatodepressa SAcc. . . . 0. Astigiana Museo geol. Torino
Id. Id. VAr. SUPPONGA DACCI i e Albenga Id.
Id. Id. VALSSUVCUSINIOCONSACOL ILA COLI SR IO Stazzano Museo geol. Roma
Id. Id. ? var. tauromazima Sacc.. . . . +. + +. +. Colli torinesi Museo geol. Torino
Id. Id. ?var. compressicauda Sace... . 1... Id. Id.
Id. Id. var. acanaliculata Sace... +... . + + Savona-Fornaci Id.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IL
COLLEZIONE
Località in cui è conservato
l'esemplare figurato
LIV.
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Lex
-
9
Classe.
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pci LIS SEAT n
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SULLE
PROPRIETA TERMICHE
DE VAPORI
PARTE V.
STUDIO DEL VAPORE DI ALCOOL
RISPETTO ALLE LEGGI DI BOYLE E DI GAY-LUSSAC
MEMORIA
ANGELO BATTELLI
Professore di Fisica Sperimentale nella R. Università di Padova
Approvata nell’ Adunanza dell’11 Giugno 1893
1. — Le presenti esperienze vennero eseguite collo stesso apparecchio che mi
servì nello studio analogo del vapore di solfuro di carbonio.
La purificazione dell'alcool venne fatta con la massima cura; tenendo dapprima
l’alcool già distillato sopra la calce viva polverizzata, per tre giorni, distillando poi
il liquido decantato, e togliendo finalmente le ultime traccie di umidità con nuove
distillazioni sopra la potassa caustica nel vuoto.
2. Risultati delle esperienze. — Le tabelle che seguono, — come nelle prece-
denti Memorie, — contengono nella colonna t i pesi del vapore espressi in grammi;
| nella colonna v i volumi di un gramma di vapore, espressi in cm.8; nella colonna p
le pressioni esercitate sul vapore, espresse in millimetri di mercurio; nella colonna pv
i prodotti delle pressioni per i volumi; e finalmente nella colonna dè i valori delle
densità del vapore, riferite all’aria. I valori p, v, è, sono ridotti alla temperatura
media per ciascuna serie di esperienze.
Serie II. Tom. XLIV. H
58
ANGELO BATTELLI
Tabelle A.
É ! TT | v p ! pv (o)
| | | |
Temperatura media = — 160,24.
—16°,21 08”,00101 112564,0 3,08 346697 1,5947
—16 ,22 a 104336,8 3,31 345355 1,6008
—16 ,23 » 98514,0 3,51 345784 1,5989
—16 ,25 P 91043,3 3,80 345965 1,6017
—16 ,25 x 88656,2 3,90 345759 1,5990
—16 ,27 n 86278,5 4,00 345114 1,6020
Temperatura media = — 129,06.
—12°,01 08, 00101 99334,2 3,54 351643 1,5979
—12 ,01 3 91475,4 3,85 352180 1,5954
—12 ,04 n 86874,1 4,05 351840 1,5970
—12 ,06 h 80416,5 4,37 351420 1,5989
—12 ,06 n 75330,8 4,66 351042 1,6006
—12 ,08 n 69534,8 5,06 351846 1,5969
—12,10 3 67485,4 5,20 350924 1,6011
—12,11 3 65874,2 5,32 350451 1,6033
Temperatura media = — 89,54.
— 89,52 08,00101 84516,1 4,21 355813 1,6005
—8 ,52 * 78428,2 4,54 356064 1,5994
—8 ,52 3 72544,6 4,91 356194 1,5988
—8 ,52 p 66312,4 5,36 355435 1,6022
—8 ,53 7 65268,4 5,45 355713 1,6009
—8 ,54 c 61187,8 5,81 355501 1,6019
—8 ,56 7 54367,6 6,54 355564 1,6016
—8 ,56 5 53321,6 6,67 355655 1,6022
—8 ,57 5 51886,0 6,84 354900 1,6046
Temperatura media = — 1°,85.
— 19,80 0800101 72100,1 5,05 364105 1,6037
3 L 69800,2 5,22 364357 1,6026
3 7 60881,0 5,98 364068 1,6039
—1,84 3 52316,6 6,96 364123 1,6036
—1 ,82 5 49392,4 7,90 364022 1,6041
—1,86 P 46207,2 7,88 364113 1,6037
—1,88 A 43886,7 8,29 363821 1,6050
7) A 41353,3 8,80 363909 1,6046
5 * 40001,5 9,09 363614 1,6059
’ o 37453,9 9g 363671 1,6056
1396 x 34956,7 10,40 363550 1,6061
—1,87 5 31258,2 11,63 363533 1,6062
’ ” 30852,6 11,78 363444 1,6066
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI
IE ESSENZE
| | | | |
59,40 08-,00101 47254,3 (92 374269 1,6020
È | È 44809,2 8,35 374208 1,6023
s ; 42300,0 8,85 374368 1,6015
s 5 39863,3 9,39 374316 1,6017
5,42 ; 35890,2 10,42 374206 1,6023
| 7 0,00284 31541,8 11,82 373853 1,6037
È n 27442,0 13,60 373211 1,6065
5,39 5 24305,4 15,35 373088 1,6070
; 5 22005,5 16,95 372993 1,6074
5,98 A 21152,4 17,62 372705 1,6086
Temperatura media = 8°,75.
80,74 08”,00284 38916,8 9,70 377493 1,6074
È 5 36331,6 10,39 377485 1,6074
i 3 34004,7 11,10 377452 1,6076
x 5 33266,2 11,35 377571 1,6071
8,75 > 30198,5 12,51 377783 1,6062
S 3 28453,6 13,26 377295 1,6082
8,76 5 22354,0 16,89 377559 1,6071
di ; 20428,1 18,47 377307 1,6082
Ù Ù 17850,5 21,12 377002 1,6095
SAI 3 16806,3 22,42 376797 1,6104
Temperatura media = 160,22.
169,20 08” ,00284 21335,8 18,16 387495 1,6075
n x 18755,6 20,65 387303 1,6083
16 ,21 5 15963,2 24,27 387422 1,6078
si n 14005,0 27,65 387238 1,6086
16 ,23 x 12541,4 30,85 386902 1,6100
16 ,24 È 11567,7 33,50 386603 1,6112
5 n 10975,5 35,21 386448 1,6119
Temperatura media = 20°,41,
209,40 0800284 14144,2 27,67 391407 1,6125
; | ; 12193,7 32,15 392028 1,6120
20,41 | n 11434,5 34,26 391746 1,6131
5 7 10512,8 37,26 391706 1,6133
È Ù 9133,4 42,85 391366 1,6147
i 5 8740,3 44,77 391303 1,6150
8589,8 45,55 391265 1,6151
ANGELO BATTELLI
Temperatura media = 249,33.
240,30 0g”,00284 14251,6 27,88 397335 1,6117
24,81 " 12934,6 30,72 397351 1,6117
23,33 i 12003,7 33,10 397326 1,6118
2 ; 10964,2 36,22 397123 1,6126
i È 10004,8 39,65 396690 1,6143
24,34 ) 9356,8 42,35 396261 1,6161
i i 8831,0 44,86 396159 1,6165
i , 7261,5 54,54 396042 1,6170
i i 7042,8 56,21 395876 1,6177
24,36 ; 6990,9 56,62 395825 1,6179
Temperatura media = 589,46.
580,52 0g” 0248 4036,21 109,25 440956 1,6193
N) È 3625,14 121,80 441542 1,6172
58,50 ; 3525,63 124,92 440422 1,6213
58,48 f 3140,61 140,20 440313 1,6217
58,46 i 2514,80 175,10 440341 1,6216
58,44 i 2196,40 200,22 439763 1,6237
i i 2034,85 216,20 439935 1,6231
58,43 , 1983,41 291,58 439484 1,6248
S i 1775,54 247,18 438878 1,6270
; i 1631,14 269,05 438858 1,6270
; È 1457,02 301,10 438709 1,6276
} ; 1316,40 332,45 437637 1,6316
Temperatura media = 799,10.
799,15 0g”. 0248 2190,61 211,70 463752 1,6358
, A 1981,45 240,10 463741 1,6358
79,12 ; 1725,33 268,92 463976 1,6350
i ; 1420,80 326,20 463465 1,6368
79,11 ; 1075,35 431,10 463583 1,6364
79,10 i 816,27 567,00 462825 1,6390
79 ,08 i 704,35 655,75 461878 1,6424
79 ,07 ( 643,27 717,00 461182 1,6449
; ; 630,26 731,10 460876 1,6463
i; i 617,81 745,65 460670 1,6467
; i 602,51 764,10 460378 1,6477
i a 582,82 789,65 460224 1,6483
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI
Temperatura media = 99°,83.
150°,02
> 150,03
150,04
”
150 ,05
150 ,06
150,07
150 708
»”
1235,30
1070,43
983,83
961,53
948,33
905,36
781,26
725,30
645,27
532,68
490,260
415,745
375,264
305,281
283,152
Temperatura media = 134°,86.
908,10
837,26
803,64
772,09
684,46
603,28
523,27
442,817
314,659
198,315
175,264
148,515
126,100
109,312
100,900
Temperatura media = 150°,05.
891,33
804,52
671,81
584,32
502,26
412,280
294,614
186,349
98,314
76,616
70,420
68,358
67,400
398,20
459,60
499,70
511,20
518,15
542,70
627,35
675,20
757,80
915,15
993,50
1167,20
1289,00
1575,50
1694,40
595,7
645,6
672,2
700,05
788,1
892,3
1026,8
1210,4
1688,8
2630,55
2962,7
3462,4
4031,8
4597,7
4957,2
633,5
702,1
898,4
964,95
1118,8
1356,6
1880,4
2918,2
5300,5
6539,9
7140,7
7315,4
7415,1
491799
491970
491620
491534
491377
491339
490123
489723
488986
487482
487073
485257
483715
480909
479771
540955
540535
540207
540504
539423
938307
537294
535986
531396
521677
519255
914218
508410
502575
500182
964658
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563246
562543
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559299
503992
543804
521113
501061
502848
500066
499778
Ù,
62
1980,12
19814
198 ,18
198,18
198,20
198 ,21
198 ,23
198 ,25
198 127
198,29
198 732
198 733
2150,58
215 ,59
215 ,60
215 ,62
»”
”
ANGELO BATTELLI
0gr-,2262
»
”
0g” 2262
»”
Temperatura media = 178°,41.
454,698
421,368
411,760
385,648
360,262
312,486
254,109
210,751
156,248
128,650
105,852
87,480
71,564
59,247
51,654
47,256
40,334
36,518
34,351
418,332
406,815
393,648
385,461
360,456
325,492
286,252
267,451
208,254
175,267
120,816
89,312
77,253
52,348
38,264
29,816
22,564
382,405
361,580
343,648
316,905
283,615
249,310
Temperatura media = 1989,22.
Temperatura media = 215°,64.
| pv | lo)
|
1525,9 602532 1,6146
1421,6 599017 1,6241
1457,3 600058 1,6212
1550,2 597852 1,6273
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1901,5 594192 1,6372
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2790,8 588164 1,6540
3720,5 981321 1,6735
4466,2 974577 1,6981
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7650,9 047529 1,7768
9031,7 535101 1,8180
10162,3 924924 1,8538
10957,1 517789 1,8788
12501,4 504252 1,9294
13952,9 909532 1,9099
14203,5 487904 1,9959
1498,1 626703 1,6205
1540,0 626495 1,6210
1591,6 626537 1,6210
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1733,8 624959 1,6250
1917,0 623968 1,6276
2172,2 621797 1,6333
2320,5 620620 1,6364
2957,1 615829 1,6491
3495,6 612663 1,6576
4971,8 600673 1,6907
6620,5 591290 1,7176
1599,4 981978 1,7451
10661,0 558082 1,8198
13902,7 531973 1,9091
16923,5 904591 2,0127
20649,1 465926 2,1797
1698,0 649524 1,6219
1794,6 648892 1,6230
1886,9 648430 1,6242
2050,6 649845 1,6247
2282,9 647465 1,6266
2661,5 644908 1,6330
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI
215,62
215 ,63
215 ,64
»
215 ,66
215 167
215 ,68
231941
231,42
”
931 43
231 ,45
”
231 46
»”
931 47
231 48
231 149
231,50
”
”
”
2399,50
Segue Temperatura media = 215°,64.
085-,2262 185,963
7 161,564
1 125,541
3} 95,374
i 81,489
A 64,562
; 47,318
È 28,574
n 24,372
5 20,155
i 17,584
} 15,618
o 14,910
Temperatura
0gr 2262 322,971
i 304,622
: 285,624
È 261,504
$ 298,334
c 215,005
i 183,412
; 160,516
) 133,364
i 108,157
: 90,372
> 75,262
È 68,152
+ 52,314
; 41,268
0,4005 26,574
ù 21,348
i 17,646
ì 12,912
i 10,148
Temperatura
0gr,4005 297,510
i 283,264
Î 266,546
; 250,118
i 208,150
à 191,102
È 174,856
) 140,257
Ù 110,864
3440,5
3951,6
5029,9
6505,0
7520,8
9311,5
12260,0
18608,3
20961,3
23965,8
26156,4
28079,6
29100,2
media = 231°,46.
2057,5
2182,0
2326,3
37515,2
media = 239°,52.
2280,5
2395,2
2541,2
2708,5
39230,4
3509,8
3812,5
4721,6
5908,7
639806
638456
630453
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580119
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439558
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548495
519028
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380704
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673474
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677445
672408
670730
666638
662238
655062
1,9823
2.0949
21473
— 2,4980
2,8561
1,6282
1,6282
1,6306
1,6307
1,6429
1,6470
1,6571
1,6681
1,6864
63
64
ANGELO BATTELLI
2399,52
2419,58
241 ,59
241 ,60
”
241 ,62
241 765
241 (67
241,68
241 ,69
Segue Temperatura media = 239°,52.
084005 89,317
”
08”-,4005
80,182
65,464
48,648
24,187
18,206
15,502
14,048
12,974
11,250
9,239
8,622
| 7,791
Temperatura media = 241°,66.
280,416
274,714
251,180
230,773
215,710
197,511
168,334
140,574
131,875
109,874
96,310
72,476
65,264
48,340
33,255
25,186
20,314
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10,418
8,751
6,274
5,258
4,916
4,314
3.895
3,153
‘2,904
7284,0
8021,3
9538,2
12662,0
29846,9
28230,8
31512,4
38510,7
35121,0
37951,4
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42675,6
44151,8
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2480,2
2710,9
2941,2
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39784
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5031,6
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12808,7
17792,1
22302,1
26291,7
31400,0
35680,5
40065,2
43185,1
46134,6
47020,0
47305,4
47481,5
47851,8
49334,8
52908,3
650585
643164
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902598
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367949
D44824
681579
681546
680924
678750
676208
672900
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662016
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573884
561699
534090
498130
460814
417399
5779153
289449
247231
232553
204835
186383
155559
153646
1,6980
1,7176
1,7692
1,7934
1,9991
2,1493
22614
2,3466
24244
25874
2,8756
3,0023
3,2037
1,6276
1,6281
1,6291
1,6343
1,6405
1,6485
1,6564
1,6676
1,6756
1,6834
1,6936
1,7232
1,7372
1,7916
1,9330
1,9749
2.0770
2,2270
2.4073
2,6577
2,9354
3,8325
4,4870
4,7702
5,4157
5,9519
7,1315
7,2200
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 65
|
È | TT | v p pv | ò
| | | | |
Temperatura media = 244°,83.
244,79 08 4005 272,315 2524,1 687350 1,6238
5 È 231,334 2959,6 684656 1,6302
3 , 208,265 3280,5 683213 1,6337
244 ,80 3 164,831 4110,0 675897 1,6514
È 5 122,584 5471,7 670743 1,6640
244 ,81 s 97,362 6791,2 661205 1,6880
244 ,82 5 74,960 8680,3 650675 1,7154
244 ,83 3 51,305 12291,5 630615 l/099
244 ,84 A 28,166 20619,0 580755 1,9219
244 ,85 ; 17,426 29792,2 519159 2,1499
244 ,86 0,8620 10,742 40186,0 431678 2,5856
244 ,87 si 6,215 48256,0 299911 3,7216
5 i 4,883 49985,0 244077 4,5730
5 ù 3,268 54244, 1 177270 6,2964
3 x 2,754 64350,0 177220 6,2982
8. — Anche per il vapore d’alcool, come per quello delle altre sostanze da me
studiate, si verifica il fenomeno, che la tensione del vapore va crescendo ancora,
dopo cominciata la condensazione di mano in mano che il vapore si liquefa; sebbene
per l'alcool ciò si riveli soltanto ad alta temperatura, e meno sensibilmente che per
le altre sostanze.
Riferisco nel quadro seguente i valori dei volumi e delle tensioni del vapore,
dopo cominciata la condensazione; e riferisco a lato i rapporti ra fra i valori p"
assunti dalla pressione nel primo momento della condensazione, e quelli p' corrispon-
g SLM 6 : GV g è RIA Pg
denti alle tensioni massime, e i rapporti - fra gli aumenti subìti dalle pressioni
e i decrementi avvenuti nei volumi, fino a raggiungere le tensioni massime a partire
dal primo momento della condensazione.
Tabelle B.
v i p | v p | Rapporti
| | | I
Temperatura = — 169,24; p" = 492,00; p' = 4mm 00.
86278,5 4,00 80315,6 4,00 RL N00
848542 4,00 674612 4,00 pa
Serie Il. Tom. XLIV. I
66
ANGELO BATTELLI
v i p | v | p i Itapporti
| | | |
Temperatura = — 120,06; p' = 52,32; p' = 5mm,32.
65374,2 9,592 62245,8 9,32 | VAI 1.000
64186,8 9,52 49312,6 5,52 p i
Temperatura = — 89,54; p" = 6,84; p' = 6,84.
51886,0 6,84 47234,0 6,84 A
49658,4 6,84 40316,8 6,84 | p ?
Temperatura = — 19,85; p' = 11,78; p' = 11,78.
30852,6 11,78 22184,0 11,78 a
27484,5 11,78 17451,1 11,78 D ;
Temperatura = 5°,40; p' = 17,62; p' = 17,62.
21152,4 | 17,62 17453,0 17,62 TA 1.000
19374,8 | 17,62 12560,3 | 17,62 p :
Temperatura = 89,75; p' = 22,42; p' — 22,42.
16806,3 22,42 11564,6 22,42 piva 1.000
14324,0 22,42 9056,5 22,42 p {
Temperatura = 160,22; p'" = 35,21; p = 35,21.
10975,5 35,21 | 7325,1 35,21 BRA
9731,4 35,21 5931,6 35,21 DOSI
Temperatura = 20941; p' = 45,55; p‘ = 45,55.
8589,8 | 45,55 | 51364 | 45,55 PI
6934,6 45,95 | 4751,4 45,50 p 1
Temperatura = 249,93; p" = 56,62; p' = 56,62.
6990,9 | 56,62 5834,8 56:62-—laegro
66531,4 | 56,62 4136,8 56,62 p i
Temperatura = 589,46; p” = 332,44; p' = 332,45.
1318,4 332,44 1220,5 332,45 È, — 0,99997 0)
1310,5 332,44 1108,0 332,45 Ai
332,45 831,4 382,45 Ap = 0000303
1285,0
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI
67
v O p O v i p | Rapporti
| f | | I
Pemperatura =="19°,10;: p'-— 789,62; p' = 73965.
582,93 789,62 560,5 789,64 = = 0,99996 (2)
580,40 789,65 500,3 789,65 n
574,00 789,64 404,6 789,65 n, = 0000349
Temperatura == 999,83; p' = 1694,00; p' = 1694,40.
283,546 1694,00 Do pai Dia
251,340 1694,30 - = 0,99976
283,340 1694,20 D p
Ra 206,242 1694,40
281,204 1694,30 5 Av
? ? 100,356 1694,40
Temperatura = 134°,86; p' = 4954,4; p' = 4957,2.
90,156 4956,3 RE
Li e 81862 | 49570 P = (,99944
101,055 4954,5 v
MOL, 70,050 4957,2 i
100,870 4954,7 Mo 10 Ap _ (0088607
98,334 4954,2 ? Avi)
? ? 40,370 49572
Temperatura = 1509,05;: p" = 7401,2;. p' = 7415,1.
‘67,554 7401,2 50,812 7415,1 A
67,388 7408,3 41,362 7415,0 a
66,282 7410,0 33,505 7415,1 dr _ (51482
64,141 7414,0 7492,0 Av
56,314 7414,5
Temperatura = 178°,41;. p'" = 14188,7; p' = 14203,5.
34,610 | 14188,7 29.415 14203,8 P — (099896
34,315 14196,5 20,186 14203,5 v
33,200 14199,6 16,302 14203,5 Ap 1 GAdd
31,142 14202,0 14220,0 Av
26,208 14203,0
Temperatura = 198°,22; p' = 20604,0; p' = 20649,1.
29,855 20604,0 17,156 20649,0 2° — (,99782
99,548 20621,5 15,310 20649,0 v
292,004 20627,8 14,225 20649,1 dr _ 82000
21,126 20683,4 20833/0 | Av
19,304 20641,5
68 ANGELO BATTELLI
v i p | v i MEP | Rapporti
Temperatura = 215°,64; pp" = 29048,0; p' = 29100,2.
15,106 29048,0 11,318 29100,2 Fi Leti
14,874 29069,5 9,940 29100,2 p i
14,121 29088,5 Ap __
12340 | 290920 | Agi NE
Temperatura = 281°,46;. p" = 37432,0; p' = 37515,2.
10,301 37432,0 7,003 37515,2 DITA
10,151 37455,1 6,420 37515,2 D 099007
97240 STATLA 37740,8 Ap
8,030 370902, Noi GO,84r8
7.54 37514. . |
Temperatura = 2399,52;.\p" = (2); pl = 44151;8.
mr
I risultati mostrano che 1 rapporti no) tendono a diminuire leggermente man
Si 4 QUA 5
mano che la temperatura s'innalza; mentre i rapporti ai vanno crescendo coll’au-
mentare della temperatura.
4. — Ho applicato la formola di Biot ai valori delle tensioni massime del vapore
d’alcool :
log. p = a + da' + cB'.
Le costanti sono rispettivamente uguali ad
a= 5,0751023
b= . 0,0435271 log. è = -2,6387597
e = — 4,0217800 log. c = 0,6044184
log. a = 0,00336681
log. B = 71,99683015.
Per mostrare come la formola si adatti ai risultati sperimentali, riferisco nella
seguente tabella i valori delle tensioni massime dati dall’osservazione nella colonna p'o;
e di fronte ad essi, nella colonna p'., i valori relativi ottenuti dal calcolo.
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI
Tabella ©.
Il |
È D'o PD È
|
— 16°,26 4,00 3,8511 | 79,10 |
— 12,06 DIBIAO I 5:2898 99,83
Cigr54 6:84! |. © 68277 134,86
At.85 11,78 12,003 | 150,05
5,40 17,62 17,943 178,41
8,75 22,42 DOS se 198099
16,22 35,21 35,642 | 215,44
20 ,41 45,55 45,824 231,46
24,33 56,62 57,605 239,52
58 ,46 332,45 330,282 |
,
r
Po Po
789,65 790,803
1694,40 1691,14
4957,2 4954,76
71415,1 74144,35
14203,5 14287,37
20649,1 21414,22
29100,2 29743,5
Solo 39369,7
44151,8 24991,7
Anche Régnault (*) e Ramsay e Joung (**) determinarono fino ad alte tempe-
rature le tensioni massime del vapor d'alcool; e dedussero rispettivamente le costanti
dalla formola di Biot.
Sarà bene porre a confronto nella tabella seguente i valori che si hanno dalla
formola da me calcolata e dalle formole calcolate da Régnault e da Ramsay e Joung.
La colonna p'r contiene i valori secondo Régnault, la p'ry i valori secondo
Ramsay e Joung, e la colonna p'x i valori calcolati colla mia formola.
Tabella D.
t P'r I P'rr ! D'B
— 15° 4,69 5,10 _ 4,234
—ol:()0 6,58 6,47 — 6,153
— 5 9,21 9,09 — 8,824
0 12,83 12,70 12m, 24 12,498
5 17,73 17,62 = 17,488
10 24,30 24,283 23,73 24,180
15 33,02 32,98 — 33,061
20 44,48 44,46 43,97 44,712
25 99,95 59,37 — 59,843
30 78,49 718,52 78,11 79,280
35 102,87 102,91 — 103,969
40 133,64 133,69 133,42 135,250
45 | 172,14 172,18 — 174,288
50 219,88 219,90 219,82 222,584
(*) Mém. de V Acad. des Sciences, vol. 26, p. 349.
(**) Philos. Trans. of the Roy. Society, Parte I, 1886, p. 123.
70 ANGELO BATTELLI
t P'r D'rr D'E
55° 278,61 278,59 —_ 281,646
60 350,26 350,21 3502, 21 353,798
65 436,99 436,90 li 440,952
70 541,21 541,15 540,91 546,721
1/5) 665,52 665,54 — 671,545
80 812,76 812,91 811,81 817,115
85 985,97 935,40 - 994,066
90 11838,43 1189,30 1186,5 1196,409
95 1423,52 1425,153 — 1430,528
100 1694,92 1697,55 1692,3 1703,395
105 2006,34 2010,38 — 2013,907
110 2361,63. 2367,64 2359,8 2373,984
115 2764,74 2773,40 — 2783,630
120 38219,68 3231,73 3223,0 3234,670 |
125 3730,41 3746,88 — 37517,954
190 4301,04 4323,00 4318,7 4330,719
135 4935,40 4964,22 = i 4923,621
140 5637,00 674,59 5686,6 5710,809
145 6410,62 6458,10 — ‘6508,531
150 7258,73 7318,40 73683,7 (592,517
160 9409,9 9423,804
170 11858 11904,63
180 14764 14777,09
190 i 18185 18183,05
200 22182 22183,05
SIC 26825 26812,25
220 32196 32173,50
230 38389 38387,37
240 45519 45482,81
L'accordo dei risultati della mia formola con quelli delle formole di lucani
e di Ramsay e Joung è assai soddisfacente.
5. — Ho ricavato di poi i valori dei volumi specifici del vapor saturo alle
diverse temperature; e a tal uopo, identicamente a quanto avevo fatto per le prece-
denti sostanze, ho costruito le isotermiche fino al punto spettante al primo momento
della ‘condensazione; ed ho poi continuata ciascuna curva, secondo l'andamento che
aveva, fino a incontrare la ‘parallela all’asse delle ascisse condotta dall’ordinata della
tensione massima. Il volume corrispondente al punto d’incontro rappresentava il vo-
lume del vapore allo stato di saturazione completa.
Tali volumi del vapore saturo si trovano riferiti nella seguente tabella, sue
la lettera v,; mentre sotto la lettera e’, si hanno i volumi del vapore nel primo
momento della condensazione; nella stessa tabella le colonne è, e è’, contengono le
densità rispetto all’aria rispondenti ai suddetti due stati del vapore.
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI
Tabella E.
t DA ò, v', dI
— 16,24 86273,5 1,60201
— 12,06 65874,2 1,60335
— 8,54 51886,0 1,60465
— 1,85 30852,6 1,60665
5,40 21152,4 1,60499
8,75 16806,3 1,61041
16,22 10975,5 1,61190
20,41 8589,8 1,61514
24,33 6990,9 1,61792
58,46 1316,40 1,63161 131:7,47 1,62922
79,10 582,82 1,6483530 582,97 1,64793
99,83 283,152 1;67437 283,548 1,67242
134,86 100,900 1,75716 101,390 1,74964
150,05 67,400 1,82416 67,556 1,82335
178,41 34,351 1,99396 34,619 1,98059
198,22 22,564 2,17976 22,856 2,15660
215,64 14,910 2,42736 15,106 2,40017
231,46 10,148 2,85610 10,901 2,81983
239,52 7,191 3,2083872
Coi valori di v,, v'., è,, è’, come ordinate, e prendendo le temperature come
ascisse, ho descritto le curve che si trovano nella Tav. I, indicate successivamente
coi numeri 1, 2, 3, 4.
Il millimetro nelle ascisse rappresenta un grado di temperatura; e nelle ordi-
nate rappresenta 100° per le curve dei volumi, e il valore 0,01 per le curve delle
densità. Inoltre l’origine dei volumi è zero, quello delle densità è 7,6000. Come si
vede le due curve dei volumi v, e v’, in così piccola. scala, coincidono insieme.
6. — Nella Tav. Il poi ho riportato i disegni delle isotermiche del vapore di
alcool, in piccola scala. Esse sono distribuite in cinque gruppi.
Le curve del 1° gruppo corrispondono alle temperature —16°24, —129,06,
— 89,54, —1,85, +5°40. Esse sono disegnate, a tratto continuo; nelle ascisse 1 mm.
rappresenta 500°, e nelle ordinate 1 di millimetro di mercurio. L'origine degli assi
10
cui è riferito il gruppo ha, rispetto al sistema di assi della tavola, le coordinate
v= — 21152,4
pe — 3,08.
Le isotermiche del secondo gruppo (segnate per punti) sono quelle delle tempe-
rature +8°,75; 160,22; 200,41; 249,33. Esse sono riferite ad un sistema di assi la
cui origine rispetto al sistema della tavola ha per coordinate
di= 0
pz — 9,70;
72 ANGELO BATTELLI
e nelle ascisse 1 mm. equivale a 200°, e nelle ordinate a + di millimetro di
mercurio.
Le curve spettanti alle temperature di 58°,46; 79°,1; 99°,83 compongono il
3° gruppo e sono disegnate a punti e tratti. L'origine degli assi di questo gruppo
ha rispetto agli assi della tavola le coordinate
Di-N0
paMl00%
e 1 mm. nelle ascisse rappresenta 20°, e nelle ordinate la pressione di 10 milli-
metri di mercurio.
Le curve del 4° gruppo (disegnate a tratti interrotti) spettano alle temperature
di 134,86; 150,05; 198°,22; 215°,64. Per esse non si è fatto trasporto di coordi-
nate; e 1 mm. nelle ascisse vale 70°, e nelle ordinate 200 millim. di mercurio.
Infine il 5° gruppo di isotermiche è disegnato a tratti alternati con due punti.
In esso 1 mm. nelle ascisse rappresenta 3°, e nelle ordinate 500°. L'origine degli
assi cui sono riferite le curve ha rispetto agli assi della tavola le coordinate
DANZA)
p= + 35000.
Il quadro delle isotermiche porge il mezzo di determinare il punto critico. Però
non avendo più ottenuto la condensazione a 241°,66, ho dovuto costruire brevi tratti
di isotermica con determinazioni fatte alle temperature di 240,1, 240°,8, 241,2
temperature ottenute successivamente con grande stento dall’ebollizione di una stessa
qualità di petrolio frazionato. I tratti di tali isotermiche si trovano in piccola scala
nella Tav. I: così ho potuto riconoscere che la temperatura critica è posta fra 241°,2
e 241°,6. Ho preso come valore più approssimato
t. = 24194.
Ad essa corrisponde
pi = 47,848 mm. 0, 34,38" e0:
Dallo stesso quadro delle isotermiche disegnate in grande scala, ho dedotto i
volumi assunti dal vapore alle diverse temperature sotto le pressioni di 5®®», 10m,
sfmm, 200220. 30022, 5002. (8002-200022 500022, -10000m2-,200002m 3000010
ed ho calcolato sotto ciascuna pressione i coefficienti di dilatazione per successivi
intervalli di temperatura, mediante la solita formola:
pas Di rada
vali — vata”
Nelle tabelle seguenti si trovano i valori di tali coefficienti.
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI
73
Tabella F.
Pressione = 5 mm. Pressione = 10 mm.
Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti
SEI Ca . 0,0038806 » ca . 0,0038821
Mah i . 0,003784 Le | . 0,003778
BRbÌ . 0,003762 te: . 0,0083752
DE 4 i . 0,003732 STO i . 0,003730
mi . 0,003724
Pressione = 30 mm. Pressione = 200 mm.
Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti
i, . 0,0083985 | + A . 0,004025
i . 0,0038866 fai . 0,0038950
E . 0,0038781 SR . 0,0038882
Di . 0,003740 750 | . 0,003766
80 { . 0,003738
Pressione 300 mm. Pressione = 500 mm.
Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti
ta pa - 0,0041836 Trana - 0,004108
AV . 0,004100 gola . 0,004037
70 { . 0,003985 85 i . 0,003895
75 i . 0,003868 90 i . 0,0038801
80 { . 0,003781 95 i . 0,003768
Ri . 0,003764 ne . 0,0038749
90 i . 0,003748 110 { . 0,0037832
(fog . 0,0038710 ig oo al . 0,003720
iogta . 0,0038704
Serie II. Tom. XLIV.
74 ANGELO BATTELLI
Segue Tabella F.
Pressione = 800 mm.
Temperature Coefficienti
n: - 0,004110
e . 0,004050
120 i . 0,003902
13 { . 0,003820
140 . 0,003775
150 { . 0,003741
Pressione = 2000 mm.
Temperature Coefficienti
Ti 30°, - 0,0044835
150 { . 0,004287
160 ì . 0,003920
170 { . 0,003857
180 : . 0,003795
190 { . 0,003766
200 : . 0,003752
990) } . 0,003731
Pressione = 10000 mm.
Temperature Coefficienti
ERO . 0,004880
9210 i . 0,004621
915 { . 0,004339
22) i . 0,004107
230 { . 0,003980
240 i . 0,003906
Pressione = 20000 mm.
Temperature Coefficienti
a . 0,0058328
990) PAC II . 0,004948
230 fe ac 0004
940 { . 0,004380
Temperature
+ 230° C.
285. |
dot)
245
Da queste tabelle scaturiscono le medesime conclusioni a cui si giunse nello
studio delle precedenti sostanze, che, cioè :
1° I coefficienti di dilatazione del vapore d’alcool sotto pressione costante
aumentano col diminuire della temperatura e tanto più rapidamente quanto più il
vapore si avvicina alla liquefazione;
2° I valori assoluti dei coefficienti medesimi e le loro variazioni fra gli stessi
limiti di temperatura aumentano col crescere della pressione sotto cui trovasi il
vapore.
Pressione = 30000 mm.
Coefficienti
. 0,005178
. 0,004812
. 0,004668
signs eri in siti
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 75
7. — Dalle medesime isotermiche ho dedotto i valori delle pressioni corrispon-
denti a volumi eguali di un gramma di vapore, per le successive temperature; e
con questi valori ho poi costruite le curve di egual volume o isocore, che trovansi
disegnate in piccola scala nella Tav. IV, dove il millimetro nelle ascisse rappresenta
un grado di temperatura, e nelle ordinate rappresenta 200 millimetri di pressione.
Nella medesima tavola si trova la curva delle tensioni massime del vapore, la
quale congiunge le estremità di tutte le isocore. — Su ciascuna isocora ho scelto
poi a diversi intervalli tante coppie di punti abbastanza vicini da poter calcolare
dp
gp ossia il coefficiente di aumento di pres-
Z ì : 1
con buona approssimazione il rapporto ca
sione a volume costante.
I valori di tali coefficienti si trovano nelle tabelle che seguono:
Tabelle G.
Volume di 1 gr. di vapore = 10° Volume di 1 gr. di vapore = 20°
Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti
o . 0,008195 fa . 0,004510
296 i . 0,008051 919 { . 0,004430
240 { . 0,007940 215 } . 0,004400
944 i 2 .0.007710 990) } . 0,004335
995 { . 0,004280
930 } . 0,004210
935 i . 0,004160
940 i . 0,004065
Volume di 1 gr. di vapore = 40° Volume di 1 gr. di vapore = 60°
Temperature Coefficienti - Temperature Coefficienti
i. (0,008480 i ._0,003220
185 I . 0,0083264 170 i . 0,003185
190 { . 0,003150 180 { . 0,003048
200 { . 0,003050 190 i . 0,002920
910 | . 0,002970 200 I . 0,002835
290 { . 0,002890 910 . 0,002740
930 { . 0,002815 990) ; . 0,002648
930 } . 0,002563
70 ANGELO BATTELLI
Segue Tabelle G.
Volume di 1 gr. di vapore = 80°
Volume di 1 gr. di vapore = 100°
Temperature Coefficienti
i C., - 0,003180
LA . 0,002990
Lu . 0,002885
n . 0,002795
i . 0,002700
A . 0,002615
210 | . 0,002540
Temperature Coefficienti
SI - 0,00306
145 i . 0,002955
150 { . 0,002850
160 { . 0,002778
170 { . 0,002705
180 { . 0,002625
190 | . 0,002565
200 { . 0,002510
Volume di 1 gr. di vapore := 400°
Volume di 1 gr. di vapore = 800°
Temperature Coefficienti
950
e . 0,002825
110 { . 0,002741
120 : . 0,002690
130 { . 0,002630
140 i . 0,002580
150 { . 0,002530
Temperature Coefficienti
i . 0,002710
90 { . 0,002650
100 { . 0,002605
110 i . 0,002560
120 { . 0,002520
130 { . 0,002495
Volume di 1 gr. di vapore = 1500°
| Volume di 1 gr. di vapore = 12000
Temperature Coefficienti
ia . 0,0025835
65 | . 0,002495
70 ì . 0,0024600
75 } . 0,0024830
30 { . 0,002410
I valori riferiti ci dicono che:
Temperature Coefficienti
i - 0,002455
20 i . 0,002428
99 i . 0,002409
94 { . 0,002389
1° I coefficienti di aumento di pressione, per un dato volume, vanno dimi-
nuendo col crescere della temperatura ;
2° Tali variazioni si fanno più rapide di mano in mano che i volumi sono
più piccoli ;
3° Mentre i volumi vanno crescendo, diminuiscono i valori assoluti di questi
coefficienti.
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 17
8. Comportamento del vapor d’alcool rispetto alla legge di Boyle. —
Si può avere d’un colpo d’occhio l’idea del comportamento del vapor d’alcool rispetto
alla legge di Boyle, descrivendo come per i vapori delle sostanze precedenti anche
per esso le curve rappresentanti a ciascuna temperatura i valori dei prodotti pv in
funzione delle pressioni. Tali curve si trovano riportate in piccola scala nella Tav. II,
e sono distinte in cinque gruppi.
Quelle del 1° gruppo, disegnate a tratto continuo, corrispondono alle tempera-
ture di —169,24; — 129,06; —8°%,54; —1°,85. Per esse 1 millimetro sulle ascisse
rappresenta la pressione di * di millim. di mercurio, e sulle ordinate il valore 200.
L'origine del sistema cui sono riferite le curve ha, rispetto agli assi della tavola,
le coordinate
Ta)
y = — 845.114.
Le curve del 2° gruppo, disegnate per punti, spettano alle temperature di +5°,40;
89,75; 16,22; 20°,41. Per esse 1 millim. sulle ascisse vale RA di millim. di mer-
curio, e sulle ordinate 100 unità pv. L'origine delle ordinate è stata trasportata
verso il basso della quantità 372.705.
Nel terzo gruppo sono comprese le curve delle temperature di 24°,33; 589,46;
799,10; 99°,83, e sono segnate a tratti. Il millimetro sulle ascisse rappresenta 10
millim. di mercurio, e sulle ordinate 500 unità pv; mentre che l'origine delle ordi-
nate è stata trasportata verso il basso di 395.825.
Le curve a punti e tratti alternati riguardano le temperature di
134°,8; 150,05; 170°,41; 198,22.
Nelle ascisse 7 millim. corrisponde a 7100 millimetri di mercurio, e nelle ordi-
nate a 1000 unità pv. L'origine delle ordinate poi è trasportata verso il basso di
465.926.
Finalmente al 5° gruppo appartengono le curve spettanti alle temperature di
2150,64; 231,46; 2399,52; 241°,66.
Per esse / millim. rappresenta sulle ascisse 200 millim. di mercurio, e sulle
ordinate 200 unità pv.
L'origine degli assi cui le curve sono riferite ha, rispetto agli assi della tavola,
le coordinate
0
— 344.824.
x
%
Da queste curve poi ho ricavato i valori dei prodotti p,v, corrispondenti per
ciascuna temperatura allo stato di gas; ed ho calcolato quindi i valori di a nella
Pi
formola tar 1 + ao. Essi trovansi riferiti in parte nella tabella che segue :
78
p
ANGELO BATTELLI
Tabella Hi.
Temperatura = — 1°,85.
6,96 0,00021
7,37 0,00048
7,88 0,00023
8,29 0,00104
8,80 0,00079
9,09 0,00159
9,71 0,00145
10,40 0,00178
11,63 0,00183
11,78 0,00208
Temperatura = + 249,33.
33,10 0,00006
36,22 0,00057
39,65 0,00166
42,95 0,00272
44,86 0,00305
4,54 0,00332
56,21 0,00372
56,62 0,00385
Temperatura = 589,46.
124,92
140,20
175,10
200,22
216,20
221,58
247,18
269,05
332,45
0,00133
0,00158
0,00152
0,00284
0,00847
0,00486
0,00490
0,00525
0,00771
Temperatura = 99°,83.
511,20
518,15
542,70
627,35
675,20
757,80
0,00044
0,00076
0,00084
0,00332
0,00414
0,00565
Segue Temperatura = 99°,83.
915,15
993,50
1167,20
1289,00
1575,30 -
1694,40
0,00876
0,00960
0,01338
0,01661
0,02254
0,02497
Temperatura = 134°,86.
672,2
700,05
788,1
892,3
1026,8
1210,4
1688,8
2630,55
2962,7
3462,4
4031,8
4597,7
4957,2
0,00128
0,00019
0,00274
0,00482
0,00671
0,00917
0,01788
0,03682
0,04169
0,05189
0,06391
0,07626
0,08141
Temperatura = 178°,41.
1550,2
1653,6
1901,5
2326,6
2790,8
3720,5
4466,2
5368,7
6399,1
7650,9
9031,7
10162,3
10957,1
12501,4
13952,9
14203,5
0,00530
0,00885
0,01146
0,01656
0,02184
0,03385
0,04599
0,05756
0,07361
0,09766
0,12315
0,14493
0,16070
0,19191
0,17951
0,23180
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 79
Segue Tabella H.
p 0. p a
|
Temperatura = 215°,64. Temperatura = 239°,52.
2282,9 0,00253 2541,6 0,00150
2661,5 0,00650 2708,5 0,00151
3440,5 0,01453 3230,4 0,00902
3951,6 0,01670 3509,8 0,01154
5029,9 0,02958 3812,5 0,01775
6505,0 0,04625 4721,6 0,02451
7520,8 0,05913 5908,7 0,03573
| 9311,5 0,07974 7284,0 0,04286
12260,0 0,11891 8021,3 0,05489
18608,3 0,22077 9538,2 0,08658
20961,3 0,27052 12662,0 0,10145
23965,8 0,34381 22846,9 0,22778
26156,4 0,3537367 28230,8 0,32006
28079,6 0,43289 31512,4 0,38887
29100,2 0,46112 33510,7 0,44123
35121,0 0,48898
37951,4 0,58910
41580,0 0,76612
42675,6" 0,84392
44151,8 0,96758
I presenti dati bastano per mostrare :
1° Che i valori di a aumentano per ciascuna temperatura sempre più rapida-
mente, man mano che si avvicina lo stato di saturazione;
2° Che gli stessi valori, nelle vicinanze della saturazione, vanno crescendo
coll’aumentare della temperatura.
9. — Dalle medesime curve dei prodotti pv in funzione delle pressioni, ho rica-
vato i valori delle pressioni p, e quindi dei volumi v;, a cui può dirsi che il vapore
comincia a comportarsi come un gas ordinario.
Essi trovansi qui sotto riferiti :
80 ANGELO BATTELLI
Tabella ll.
t Pi Vi
— 169,24 3,40 101765
— 12,06 4,00 » 87975,0
— 8,54 4,90 72673,5
SSIS 5,90 61728,8
SEI5t40 8,45 44307,7
8,75 11,20 33714,3
16 ,22 20,00 19372,4
20 ,41 29,10 13460,5
Abita 35,40 l 11224,6
58 ,46 121,00 3644,71
79,10 265,00 1750,00
99 ,83 490,00 1003,57
134 ,86 650,50 832,154
150 ,05 830,00 680,241
178 ,41 1368,0 439,328
198 ,22 1598,0 392,058
215 ,64 1790,0 362,627
231 ,46 2050,0 324,390
239 ,52 2300,0 294,987
241 ,66 2400,0 283,958
La tabella dimostra, come trovai pure pei vapori delle precedenti sostanze, che
i valori delle pressioni p, vanno continuamente crescendo e quelli dei volumi v;
continuamente diminuendo coll’aumentare della temperatura.
10. — Ho fatto l’applicazione anche dei presenti risultati alle formole di Herwig
e di Clausius; o per meglio dire, ho calcolato alle diverse temperature i valori del
coefficiente che Herwig aveva creduto invariabile, ed ho determinato le costanti
della formola di Clausius, sotto la forma che avevo adottata pei vapori da me pre-
cedentemente studiati.
Formola di Herwig. — In questa formola:
DIA mm
Don = VT,
Pv, rappresenta il prodotto della pressione pel volume, allorchè il vapore comincia
a comportarsi come un gas, e p'v' il corrispondente prodotto spettante al vapore
nello stato di saturazione; c è una costante, e T è la temperatura assoluta.
(Qui sotto sono riportati i valori di c che risultano dalle mie esperienze :
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DII VAPORI 81
Da —= 0,062568 V273 — 16,24
s = 0,062161 V273 — 12,06
s = 0,061700 V273 — 8,54
e: (00608554273 = 1585
n = 0,060067 V273 + 5,40
poni 10)059702#V278 015875
gu c= 0058954! V27354 1622
n == 0,058445 V273 + 20,41
ai 810}058217 V2734E 24,38
n = 0,0558350 V273 + 58,46
E =+0:053 7010727915 79510
n = 0,0530838 /273 + 99,83
s ==\10,053547 V/273L 194,86
mini 10:054925) 278 CT150,05
FARO: 00 7077027903078 A
; 0,061943 V273 + 198,22
; 0,067677 V273 + 215,64
0,077772 V273 -L 281,46
|
I
I
Si vede adunque che i valori di c pel vapore d’alcool vanno diminuendo fino a
100° circa; dopo di che prendono a crescere continuamente colla temperatura. L’an-
damento di queste variazioni è ben rappresentato dalla curva controdistinta colla
lettera 4 nella Tav. I, la quale è costruita prendendo come ascisse le temperature
e come ordinate i valori di c. Un millimetro nelle ascisse rappresenta un grado, e
nelle ordinate il numero 0,0002. oltre l’origine delle ordinate è trasportata di 0,05
verso il basso.
11. Formola di Clausius. — Ho adottato per essa la forma da me usata per
l’innanzi :
RT mIN — nTV
ESILIO (0 + BA"
Le costanti hanno i valori seguenti :
Re==1343,30
= 432.449.000
TATO
0,71373
4,7151
0,941
=\0;851
Serie II. Tom. XLIV. K
POR SREERT SITI
Gi
82 ANGELO BATTELLI i
Nelle seguenti tabelle si trovano corrispondentemente a ciascun volume i valori
delle pressioni osservate e quelli delle pressioni calcolate colla presente formola. |
Tabelle ÎILa
- Te
Ù | p Ps Ù p Pe i
| i |
| | |
| Temperatura = — 169,24. | Segue Temperatura = — 1°,85.
112564,0 | 3,08 | 3,07 41353,3 8,80 8,80
104336,8 3,81 3,31 40001,5 9,09 9,10
98514.0 | = ‘3,51 3150 374533 971 9,72
91043,3 | 3,80 3,79 34956,7 10,40 10,41
88656,2 | 3,90 3,89 31258,2 11,63 11,64
86278,5 | 4,00 4,00 30852,6 11,78 11,19
Temperatura = + 59,40.
Temperatura = — 129,06.
47254,3 7,92 1590
99334,2 | 3,54 3,53 44869,2 8,35 8,33
91475,4 3,85 3,84 42300,0 8,85 8,84
86874,1: 4,05 4,04 39863,3 309 9,38
80416,5 4,37 4,36 35890,2 10,42 10,39
i 75330,8 4,66 4,65 31541,8 11,82 11,81
69534,8 5,06 5,04 27442,0 13,60 13,62
67485,4 5,20 5,19 24305,4 15,35 15,38
65874,2 5,32 5,92 22005,5 16,95 16,99
21152,4 17,62 17,67
Temperatura = — 89,54. Temperatura = 8°,75.
84516,1 4,21 4,20 38916,8 9340 | 9,68
78428,2 4,54 4,59 36331,6 10,39 10,41
72544,6 4,91 4,90 34004,7 IRIO, 11,13
66312,4 5,36 5,35 33266,2 11,35 11,38
65268,4 5,45 9,44 30198,5 12.51 12,54
61187,8 9,81 5,80 28453,6 13,26 13,30
54367,6 6,54 6,53 22354,0 16,89 16,92
53321,6 6,67 6,67 20428,1 18,47 18,51
51886,0 6,84 6,84 17850,5 21,12 21,19
16806,3 22,42 22,50
| Temperatura = — 19,85. Temperatura = 160,22.
72100,1 5,05 5,05 21335,8 18,16 18,21
69800,2 5,22 5,22 18755,6 20,65 20,70
60881,0 5,98 5,98 15963,2 24,27 24,32
52316,6 6,96 6,96 14005,0 27,65 27,01
| 493924 7,97 7,37 12541,4 30,85 30,94
46207,2 7,88 7,88 11567,7 33,50 33,54
43886,7 8,29 8,29 10975,5 35,21 35,35
v
14144,2
12193,7
11434,5
10512,8
9133,4
8740,3
85898
14251,6
12934,6
12003,7
10964,2
10004,8
9356,8
8831,0
7261,5
7042,8
6990,9
4036,21
3625,14
3525,63
3140,61
2514,80
2196,40
2034,85
1983,41
1775,54
1631,14
1457,02
1316,40
2190,61
1931,45
1725,83
1420,80
1075,35
816,27
704,35
643,27
630,26
|
» | p
| | |
Temperatura = 209,41. Segue Temperatura = 799,10.
27,67 27,82 617,81 745,65 750,33
32,15 32,29 602,51 764,10 ! 768,99
34,26 34,42 582,82 789,65 794,40
37,26 37,44
42,85 43,08
44,77 45,02 Temperatura = 99°,83.
45,55 45,80
1235,30 398,20 402,00
1070,43 459,60 463,11
Temperatura = 24°,33. 983,83 499,70 503,40
961,53 511,20 514,94
27,88 28,00 948,33 518,15 522,02
30,72 30,89 905,36 542,70 546,49
33,10 33,24 781,26 627,35 632,03
36,22 36,38 725,30 675,20 680,03
39,65 39,87 645,27 757,80 762,88
42,35 42,62 532,68 9dib5 920,66
44,86 45,15 490,260 993,50 998,47
54,54 54,89 415,745 1167,20 1172,49
56,21 56,59 375,264 1289,00 1295,10
56,62 57,00 305,281 1575,30 1580,81
283,152 1694,40 1699,28 -
Temperatura = 589,46.
Temperatura = 134°,86.
109,25 L09597
121,80 122,39 908,10 595,7 SO
124,92 125,83 837,26 645,6 647,32
140,20 141,18 803,64 672,2 674,08
175,10 176,12 772,09 700,05 700,91
200,22 200,55 684,46 788,1 789,85
216,20 217,37 603,28 892,3 894,47
221,58 222,97 523,27 1026,8 1028,67
247,18 248,86 442,817 1210,4 1211,71
269,05 270,70 314,659 1688,8 1690,38
301,10 302,74 198,315 2630,55 2634,68
332,45 334,92 175,264 2962,7 2963,03
148,515 3462,4 3461,16
126,10 4031,8 4028,94
Temperatura = 799,10. 109,312 4597, 4592,72
100,900 4957,2 4951,7
211,70 214,71
240,10 243,38
268,92 272,24 Temperatura = 150°,05.
326,20 330,08
431,10 434,87 891,33 633,5 630,90
567,00 570,75 804,52 702,1 699,05
655,75 659,81 671,81 838,4 855,39
717,00 721,28 584,32 964,95 958,62
731,10 735,81 502,26 1118,8 1112,52
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI
i
83
ANGELO BATTELLI
Segue Temperatura = 150°,05.
412,280 | 1356,6
294,614 18804
186,389 2918,2
98,314 5300,5
76,616 6539,9
70,420 7140,7
68,358 7315,4
67,400 7415,1
Temperatura =
454,638 1325,3
421,368 1421,6
411,760 1457,9
385,648 1550,2
360,262 1653,6
312,486 1901,5
254,109 2326,6
210,751 2790,8
156,248 3720,5
128,650 4466,2
105,852 5968,7
87,480 6399,1
71,564 7650,9
59,247 9031,7
51,654 10162,3
47,256 10957,1
40,334 12501,4
36,518 13952,9
34,351 14203,5
Temperatura =
418,832
406,815
393,648
385,461
360,456
325,492
286,252
267,451
208,254
175,267
120,816
89,312
77,253
52,348
38,264
29,816
22,564
1498,1
1540,0
1591,6
1623,9
1733,8
1917,0
9172,2
2320,5
2957,1
3495,6
4971,8
6620,5
7533,4
10661,0
13902,7
16923,5
20649,1
1350,22
1873,56
2911,10
5298,25
6515,56
7112,40
7297,96
7388
178041.
1512,65
7625,99
9005,12
10129,15
10914,55
1242057
13882,98
14124,07
193922:
1489,88
1581,88
1581,73
1614,76
1724,70
1906,17
2161,40
2309,56
2945,07
3478,25
4959,32
6603,06
7513,92
10628,16
13840,26
16844,98
20562,3
382,415
361,580
343,648
316,905
283,615
242,310
185,963
161,564
125,341
95,374
81,489
64,562
47,318
28,574
24,372
20,155
17,584
15,618
14,910
322,971
304,622
285,624
261,504
228,334
215,005
183,412
160,516
133,364
108,157
90,372
75,262
68,152
. 52,314
41,268
26,574
| 21,348
17,646
12,912
10,148
297,510
285,264
266,546
1698,0
1794,6
1886,9
2050,6
2982,9
2661,5
3440,5
3951,6
2057,5
2182,0
2326,3
2541,1
2998,4
3064,5
3572,9
4059,6
4847,8
5926,5
7031,2
8330,0
9133,4
11610,5
14298,1
20640,3
24312,7
28695,9
33710,0
37515,2
2280,5
92395,2
2541,6
|
LT
Temperatura = 2159,64.
1690,45
1786,19
1877,76
2035,75
2266,83
2643,67
3418,86
3916,93
4993,30
6463,04
7482,40
9262,87
12201,86
18518,96
20887,65
23885,35
26094, 4
27999,3
28937,1
Temperatura = 231°,46.
2048,75
2184,40
2328,28
2538,56
2898,54
3073,69
3587,42
4081,74
4878,42
5958,56
7060,31
8374,81
9177,63
11666,64
14374,51
20713,9
24455,7
27959,6
33834,5
37639,2
Temperatura = 129992
2275,16
2387,49
2534,33
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI o)
v | p Di » | P | DI
|
| Î | | |
| Segue Temperatura = 239,52. | Segue Temperatura = 241°,66.
250,118 27,08;5. |. 269736 65,264 9784,3 9798,89 |
208,150 | 3230,4 3227,62 48,340 12808,7 | 12869,43 |
191,102 | 3509,8 3507,87 933:255 1/792,1 | .17821,28
174,856 3812,5 | 3826,61 25,186 22302,1 | 22370,55
140,257 4721,6 4732,81 20,314 26291,7 | 26399,7
110,864 5908,7 5929,20 15,864 31400,0 931434,4
89,317 7284,0 7296,85 — | 12,915 35680,5 IDATO9
80,182 80213 8035,85 10,418 40065,2 40172,9
65,464 9538,2 9556,48 8,751 43185,1 43370,4
48,648 12662,0 12723,46 6,274 46134,6 47624,1
24,187 22846,9 22932,1 5,258 47020,0 48590,0
18,206 28230,8. | 28333,5 4,916 47305,4 | 48732,0
55020 31512;4. | ‘31603,2 4,314 47481,5 48875,0. |
14,048 SRDLONM 11" 33687,2 3,895 » 47851,8 | 491794
12,974 35121,0 35274,8 DRD 49334,8 52817,4
11,250 37951,4 38145,8 2,904 52908,3 56873,3
9,239 41580,0 40281,2
8,622 | 42675,6 | 46196,1
Moe 44151,8 44341,1 | Temperatura = 244°,83.
272,915 2524,1 2509,07
Temperatura = 241°,66. 2316334 2959,6 2943,92
| | 208,265 3280,5 3262,20
280,416 2430,6 2421,98 164,831 4110,0 4094,86
274,714 2480,2 2471,32 122,584 54/1,% 5463,38
251,180 210,9 2698,15 97,362 6791,2 6789,90
230,773 2941,2 2931,50 74,960 8680,3 8684,46
215,710 3134,8 3131,39 51,305 12291,5 12302,51
E) 70591 a GARNI 3406,9 3412,47 28,166 20619,0 20667,84
168,334 3978,4 3986,39 17,426 29792,2 29881,9
140,574 4732,0 4744,71 10,742 40186,0 40353,0
131,875 5031,6 5044,49 6,215 48256,0 49448,7 |
109,874 5997,5 6009,08 4,883 49985,0 51254,1
96,310 6801,0 6810,55 3,268 54244,1 56275,8
72,476 8882,4 8893,24 2,754 64350,1 66898,0
L'accordo fra i valori sperimentali e i valori calcolati può dirsi almeno discreto:
esso sarebbe più che soddisfacente, se non si incontrassero notevoli divergenze alle
più alte temperature sotto grandissime pressioni.
12. — Colla formola di Clausius si possono calcolare approssimativamente i
valori degli elementi critici. Sebbene le più recenti esperienze inducano a ritenere
che alla temperatura critica (definita dall’isotermica che non possiede più il tratto
rettilineo) non si abbia l'uguaglianza di densità fra il liquido ed il vapore, tuttavia
tale isotermica può sempre considerarsi come quella che presenta un punto d’infles-
sione, ove la tangente è parallela all'asse dei volumi. E allora si ha dalla formola
di Clausius :
86 ANGELO BATTELLI
o =@A + 2I;
miao 20 pe
T; e 8 RY;
Prglos Bla
Pe csi 8 Y ’
dove y = a + B.
Sostituendo i valori sopra notati delle costanti, si ottiene
v = ‘4°,525
T., = 513°,1 (contata dallo zero assoluto)
Pi = 48,096 mm.
Dall’esperienza si era ottenuto
e, = 4,88; T, = 51494; p, = 47.348 mm.
L'accordo fra i risultati dell'esperienza e del calcolo può ritenersi assai buono.
13. — Un'altra verificazione della formola di Clausius si avrà dalla relazione :
pri 225805,
rn ni
dove il numeratore: 2153,05 è il valore di R spettante all’aria, e 1,59479 è la
densità teorica del vapore d’alcool.
Il valore di R' dato da questa relazione concorda bene con quello adoperato
nella formola di Clausius.
14. — Ho finalmente calcolato anche pel vapore d’alcool il numero di gruppi
molecolari di due molecole che nello stato di incipiente condensazione si possono
formare alle diverse temperature. Tali numeri si trovano nella tabella seguente, e
s1 riferiscono ciascuno a mille molecole semplici, ossia sono stati calcolati mediante
la formola :
n= “= 1000;
dove n è il numero delle molecole doppie sopra mille molecole del vapore, e d e d,
sono rispettivamente la densità teorica e la densità nel primo momento della con-
densazione :
SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI
87
Tabella P.
Î È p n
| — 169,24 4,00 4,5272
| BE12:06 5,32 5,3675
SE 6,84 | 6,1826
Se 13:85 1678 7,4367
SES40 17,62 8,7159
8,75 22.42 9,7944
16 ,22 35,21 10,729
| 20 ,41 45,55 12,760
| 24 ,33 56,62 14,503
58 ,46 332,44 21,589
79 ,10 789,62 33,321
99 ,83 1694,00 48,677
134 ,86 49544 97,097
150 ,05 7401,2 143,32
178 ,41 14188,7 241,91
198 ,22 20604,0 352,28
| 215 ,64 29048,0 505,01
231 ,46 37432,0 768,15
239 ,52 44151,8 1008,9
La tabella mostra che il numero dei gruppi molecolari di due molecole che si
formano nel vapore d'alcool nel primo momento della condensazione, cresce rapi-
damente colla temperatura quando questa è elevata; e che al di sopra della tempe-
ratura critica si debbono formare, per sufficienti compressioni, anche molecole triple,
quadruple, ecc.
SS ANGELO BATTELLI
Conclusioni.
15. — Le esperienze riferite possono riassumersi nelle seguenti conclusioni :
1° La tensione del vapore d’alcool nel primo momento della condensazione,
a temperature superiori ai 50° C., si manifesta alquanto più piccola della tensione
massima dello stesso vapore: i rapporti fra le due tensioni tendono a diminuire
man mano aumenta la temperatura. Invece il rapporto fra la differenza delle tensioni
medesime e la corrispondente diminuzione di volume del vapore cresce colla tem-
peratura.
2° Le tensioni massime del vapore di alcool sono bene rappresentate dalla
formola di Biot, da —16° a +240° C
3° I valori dei prodotti pv Jula pressione per il volume, spettanti allo stato
di saturazione vanno dapprima aumentando col crescere della temperatura, fino a
circa 140° C., e da questa temperatura in su vanno poi sempre diminuendo.
4° I coefficienti di dilatazione del vapore d’alcool sotto pressione costante
aumentano col diminuire della temperatura e tanto più rapidamente quanto più il
vapore si avvicina alla saturazione. Aumentando la pressione sotto cui trovasi il
vapore, aumentano fra gli stessi limiti di temperatura i valori assoluti dei coeffi-
cienti, non che le loro variazioni.
5° I coefficienti di aumento di pressione per un dato volume, vanno diminuendo
col crescere della temperatura. Man mano poi che i volumi diventano più piccoli, i
valori assoluti di questi coefficienti divengono più grandi, e le loro variazioni si
fanno più rapide.
Pat
pv
a quello di vapore) per ciascuna temperatura vanno aumentando di man in mano
che il vapore si avvicina allo stato di saturazione; e alle diverse temperature, in
prossimità della saturazione, essi vanno crescendo rapidamente coll’innalzarsi delle
temperature stesse.
7° Anche per l’alcool, come per le sostanze da me precedentemente studiate,
i prodotti pv spettanti al principio dello stato di gas vanno continuamente crescendo
colla temperatura.
6° Le differenze a = 1 (essendo pv, spettante allo stato di gas e pv
DIE
8° Il rapporto della formola di Herwig (appartenendo p;v, allo stato
di gas, e p'v' a quello di vapore saturo) va per l'alcool via via diminuendo fino a
circa 110° €., dove tocca un minimo; e quindi comincia a crescere.
9° La formola di Clausius si adatta discretamente ai risultati delle esperienze
sull’alcool, quando le si dia la forma, che le diedi nel caso degli altri vapori da
me studiati, cioè
RT mT-R — aTV
Lea © + 8?
10° Il numero dei gruppi molecolari di due o più molecole che si formano
nel vapore d’acqua nel primo momento della condensazione cresce rapidamente colla
temperatura quando questa è elevata; e per lo meno al di sopra della temperatura
critica, si debbono per certo formare, a sufficienti compressioni, oltrechè molecole
doppie, anche molecole triple, quadruple, ecc.
Istituto Fisico dell’Università di Padova, Aprile 1893.
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LATITUDINE DI TORINO
DETERMINATA C0I METODI DI GUGLIELMO STRUVE
F. PORRO
Approvata nell’'Adunanza del 25 Giugno 1893.
INTRODUZIONE
Una Comunicazione Preliminare “ sulle determinazioni di latitudine eseguite negli
anni 1888, 1889, 1890 all'Osservatorio di Torino , è stata presentata all'Accademia
nell'adunanza del 27 aprile 1890 ed accolta nel volume XXV degli Atti. La discus-
sione definitiva dell'intero materiale d’osservazione, ivi annunziata, forma oggetto
della Memoria che oggi sollecita il medesimo onore.
Alle 120 osservazioni allora pubblicate (ed eseguite tutte, secondo il metodo di
Guglielmo Struve, con doppia inversione del cannocchiale) altre 12 qui si aggiungono,
nelle quali la estrema vicinanza della stella allo zenit rese necessario l’uso del filo
mobile, pure suggerito da Struve. Così l’intera determinazione fu condotta in confor-
mità alle classiche norme dettate dal grande astronomo di Dorpat, e può considerarsi
come un modesto, ma sincero omaggio che io sono lieto di rendere a tanto maestro,
mentre della sua nascita si commemora solennemente il centesimo anniversario.
Ben sessantotto osservazioni mancano ad esaurire il programma prestabilito.
Otto di esse, tutte relative alla stella y Ursae majoris, che culmina circa due minuti
d’arco al Nord dello zenit, furono eseguite nel 1888 all’istrumento Repsold C della
Commissione Geodetica, ma non poterono poi essere ridotte, essendosi guastato il
reticolo prima che io ne avessi compiuto il necessario studio. Alle altre ho rinun-
ziato per tre motivi, che non credo inutile esporre. Anzitutto me ne distolse la lunga
interruzione dovuta alle misure astronomiche e geodetiche dell’azimut assoluto di Monte
Vesco, che mi occuparono dall'aprile 1890 al settembre 1891. Ultimate queste, avrei
potuto ritornare alla latitudine, se non me lo avesse impedito lo stato di quasi
assoluta rovina del Cupolino Occidentale, destinato a proteggere la stazione. A. stento
sì riuscì dal 1885 in poi a riparare dalle intemperie gli strumenti collocati in questo
Cupolino, che ora va in isfacelo, come del resto più o meno tutta la vecchia ed
infelice costruzione del Plana; collocarvi adesso uno strumento delicato come il nostro
Repsold sarebbe un’imprudenza che io non oso commettere. Così l'Osservatorio di
Torino è costretto a tenere nelle casse l’unico apparecchio atto ad una ricerca astro-
nomica di alta precisione!
Serie II. Tom. XLIV.
90 F. PORRO
Il terzo motivo che mi ha indotto a sospendere le determinazioni merita mag-
giore spiegazione, perchè si connette ad una questione astronomica di grande attualità
ed importanza. È noto come nel 1888 il signor Kiistner, astronomo a Berlino (ora
meritamente chiamato a Bonn quale successore di Argelander e di Schonfeld), abbia
pubblicato un poderoso lavoro, avente per oggetto una nuova determinazione della
costante dell’aberrazione (1). Ritiene il Kiistner (e ne discusse profondamente le
ragioni) che la forte discordanza del valore da lui ottenuto, rispetto a quelli deter-
minati da Struve e da Nyren a Pulkova, non possa attribuirsi ad altra causa, che
ad un leggero spostamento dell’asse terrestre nell'interno del globo, per il quale la
latitudine di Berlino fu per due decimi di secondo inferiore nella primavera del 1885
di quanto fu nella primavera precedente. Un simile risultato non era nuovo, perchè
già molti astronomi, segnatamente italiani, avevano discusso le possibilità teoriche
di un movimento relativo delle verticali e dell'asse di rotazione della Terra, dovuto
all'influenza delle azioni geologiche e meteorologiche; e non erano mancati indizi di
effettive sensibili variazioni in molte serie di osservazioni di latitudine, fra le quali
meritano speciale menzione quelle del Nobile a Capodimonte (2). Ad ogni modo il
risveglio nelle ricerche teoriche e pratiche su tale importantissimo problema data
dalla pubblicazione del Kiistner, e dalla conseguente deliberazione dell’ Associazione
Geodetica Internazionale di istituire un sistema di osservazioni contemporanee in
differenti punti sopra la superficie del globo, eseguite con rigorosa uniformità di
metodo e con tutte le cautele atte ad eliminare le cause di errore. Dalla prima serie
di tali osservazioni concordate risultò una diminuzione di circa 0'",5, riconosciuta
simultaneamente a Berlino, a Potsdam ed a Praga fra il settembre 1889 ed il feb-
braio 1890; mentre la seconda serie, nella quale era inclusa una stazione molto
lontana in longitudine dalle tre ora citate (Honolulu nelle isole Sandwich) rivelò in
questa un andamento della latitudine affatto opposto a quello ottenuto nelle altre,
confermando così l'ipotesi di un effettivo spostamento dell’asse di rotazione entro la
massa del globo.
Con rapidità veramente americana il dott. S. C. Chandler ha approfittato di
queste scoperte per raccogliere e discutere in una serie di articoli dell’ Astronomical
Journal tutte le più importanti determinazioni di latitudine eseguite dalla metà del
secolo scorso in poi da molti astronomi con vari metodi e con diversi strumenti in
differenti Osservatorii; ed il risultato mirabile cui è giunto si riassume nelle due
leggi seguenti, da lui enunciate nel settimo de’ suoi articoli (3):
“ 1. La variazione osservata della latitudine è la curva che risulta da due flut-
“ tuazioni periodiche sovrapposte l’una all’altra. La prima di esse, e generalmente
“ la più considerevole, ha un periodo di circa 427 giorni, ed una semiamplitudine di
“ circa 0",12. La seconda ha un periodo annuo, con un'ampiezza variabile da 0,04
“a 0,20 durante l’ultimo mezzo secolo. Durante un’epoca intermedia di questo
(1) Neue Methode zur Bestimmung der Constante der Aberration nebst Untersuchungen iiber die
Vertinderlichkeit der Polhòhe (Berlin 1888, in-4°).
(2) Una estesa bibliografia di quanto si è pubblicato sull'argomento prima del 1890 si trova a
pagina 449 del tomo VI del Bulletin Astronomique.
(3) £ Astronomical Journal ,, N. 277, Vol. XII, 1892 novembre 4.
LATITUDINE DI TORINO 91
»
intervallo, caratterizzata all’ingrosso come compresa fra il 1860 e il 1880, prevalse
il valore rappresentato dal limite inferiore, ma prima e dopo queste date, il supe-
riore. Il minimo ed il massimo di questa componente annua della variazione acca-
dono, sul meridiano di Greenwich, circa dieci giorni avanti, rispettivamente, agli
equinozi di primavera e di autunno, e il suo annullarsi prima dei solstizi di
altrettanto.
“2. Come risultante di questi due movimenti la variazione effettiva della lati-
tudine è soggetta ad una alterazione sistematica in un ciclo della durata di sette
anni, che risulta dalla commensurabilità dei due periodi. Secondo che essi cospi-
rano od interferiscono, l'ampiezza totale varia fra un massimo di due terzi di
“ secondo, ed un minimo che, generalmente parlando, non è superiore a pochi cen-
n
Pai
»
x»
»
Pa
te
“ tesimi di secondo ,.
Non è questo il luogo di investigare le ragioni teoriche che si possono addurre
a spiegazione di queste singolari variazioni. Il Newcomb (1) ed il Gylden (2) hanno
ripreso in esame la teoria del movimento dell’asse istantaneo di rotazione della Terra
intorno all'asse di massimo momento od asse d’inerzia; ed hanno trovato che il
classico periodo di 305 giorni, stabilito da Eulero nell'ipotesi dell’assoluta rigidità
della Terra, si può aumentare sino a differire di pochissimo dal periodo del Chandler
(427 giorni), quando a quell’ipotesi inammessibile altre se ne sostituiscano, più con-
sentanee alle nozioni che la geografia fisica possiede (3). D'altra parte il periodo
secondario di un anno che si sovrappone al primo trova la sua spiegazione ovvia
in fenomeni aventi lo stesso periodo, come sarebbero ad esempio i fenomeni meteo-
rologici. Che poi l’una e l’altra variazione siano dovute ad un effettivo spostamento
dell'asse istantaneo entro il globo, e non ad un trasporto del polo astronomico (e
quindi di tutta la Terra insieme co’ suoi poli) è ingegnosamente dimostrato dal
Chandler col mettere in evidenza l’accordo delle determinazioni assolute colle relative
Quanto alle variazioni secolari, che furono le prime in ordine di data ad essere
sospettate (4), gli ultimi risultati delle ricerche del Chandler e delle conclusioni teo-
riche del Newcomb e del Gylden si accordano nel dimostrarle affatto problematiche;
nè gli argomenti dati dal Comstock nell’ultimo volume dell’ Astronomical Journal
(passim) sembrano resistere alle acute obbiezioni del Chandler.
Da questi cenni sommarii sulla storia della questione nell'ultimo quinquennio,
appare chiaro che lo stato delle cose ha subìto una radicale mutazione dal giorno
in cui comparve la mia Comunicazione Preliminare ad oggi; ed a questa mutazione
(1) On the Dynamics of the Earth's Rotation, with respect to the Periodie Variations of Latitude
(Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, Vol. LII, March 1892).
(2) Ueber die Erklàrung der periodischen Vertinderungen der Polhòhen (Astronomische Nachrichten,
N. 3157).
(8) È curioso notare che il periodo di Chandler supera la durata di una rivoluzione della Terra
esattamente di quanto questa supera il ciclo euleriano.
(4) FergoLa, Determinazione novella della latitudine del R. Osservatorio di Capodimonte (Napoli,
1872). A proposito di questa Memoria scrive il D’Abbadie nel nono volume del Bulletin Astronomique:
“ C'est peut-ètre è M. Fergola, astronome de Naples, que les historiens futurs de la Géodésie
“ décerneront l’honneur d’avoir mis en question l’invariabilité attribuée aux latitudes terrestres
“ quand on les détermine par l’observation des astres; il a certainement le mérite d’avoir porté
“ dernièrement cette affaire è l’ordre du jour et l’on s’en préoccupe enfin ,.
92 F. PORRO
corrispondere doveva un cambiamento nei criteri ai quali si ispirava il mio lavoro.
Già in quella Comunicazione ho esposto per quali motivi non era possibile far con-
correre l’opera mia (iniziata con più modeste intenzioni) alla ricerca delle leggi di
variazione dell’altezza del polo, che allora erano affatto sconosciute; ora, dopo che
una rappresentazione empirica di notevole precisione ci fa conoscere (appunto per
l'epoca abbracciata dalle mie osservazioni) l'ampiezza ed il periodo di quelle oscillazioni,
il contributo delle mie misure, eseguite nelle condizioni più sfavorevoli, non potrebbe
essere che illusorio. Senza discutere se variazioni superiori (e spesso doppie e triple)
dell’amplitudine massima determinata dal Chandler trovino o non trovino la loro
giustificazione in cause più o meno conosciute di errori sistematici locali, strumentali
o personali, credo onesto dichiarare francamente che serie di latitudine affette da
variazioni così cospicue ron debbono contribuire allo studio delle variazioni realmente
spettanti a spostamenti del polo. Come ben nota il Chandler in una sua Nota suc-
cessiva alle già citate, le variazioni periodiche della latitudine rimettono in questione
molti valori numerici ritenuti come fondamentali per l'astronomia, primo fra tutti
quello della costante di aberrazione; ed il voler fare concorrere una serie di lati-
tudine allo studio delle variazioni equivale al farla pure concorrere simultaneamente
alla ricerca di questa costante, della parallasse delle stelle osservate e di altre
minute correzioni del medesimo ordine di grandezza, legate fra loro da equazioni di
condizione. Si vede quindi che lo studio di quelle variazioni è ormai diventato uno
dei problemi più delicati dell'astronomia fondamentale, riservato a quei fortunati che
non hanno una stazione a 42 metri sul suolo, circondata da vie frequentatissime,
in una piazza percorsa da vetture, da carri e da tramways a vapore. Quand’anche
le mie condizioni d'osservazione fossero meno sfortunate, non sarebbe quello un
lavoro da intraprendersi così per incidenza, come corollario di altro lavoro meno
preciso e meno importante!
Ma se ho creduto conveniente di rinunziare all’attraente speranza di poter dire
anch'io una parola nell'argomento oggi di moda, non ritenni poi inutile di tener
conto per il mio scopo più modesto dei risultati già raggiunti da altri. Prescindere
dai risultati del Chandler non è più permesso; fortunatamente la sua formula empi-
rica si applica all’epoca delle mie osservazioni meglio che ad ogni altra, grazie alla
influenza predominante che nel determinarla ebbero le due serie di osservazioni cor-
rispondenti istituite dall’Associazione Geodetica intorno all’epoca stessa. Come dunque
ho preso per la mia determinazione le declinazioni dal Berliner Jahrbuch, Vaberra-
zione da Struve, e così via, così mi parve consentaneo al carattere relativo della
determinazione stessa prendere le variazioni della latitudine dal Chandler. Dirò a
luogo opportuno come il calcolo sia stato effettivamente condotto.
Ritornando alle osservazioni propriamente dette ed ai metodi di riduzione,
esporrò nelle due parti che seguono ordinatamente ciò che è necessario a dar ragione
dei risultati, destinando la prima parte alle osservazioni fatte col metodo di doppia
inversione e la seconda alle rimanenti, fatte col filo mobile. Nella terza parte saranno
raccolti e discussi i risultati definitivi.
Debbo qui una parola di sincero ringraziamento ai signori ing. Tomaso Aschieri
e dott. Alberto Manaira, che mi coadiuvarono efficacemente nelle riduzioni. L’opera
dell'ultimo in particolare mi fu veramente preziosa.
LATITUDINE DI TORINO 93
PARTE PRIMA
Osservazioni eseguite col metodo dell'inversione su entrambi i verticali.
Poco ho da aggiungere circa queste osservazioni a quanto ho detto nella Comu-
nicazione Preliminare, che appunto ad esse è destinata. Tutti i trattati di astronomia
contengono un'esposizione del metodo di Struve, e sarebbe affatto superfluo ripor-
tarla. Ciò che nessuno ha messo in evidenza, e che mi sembra meriti essere detto
e ripetuto, è l’incontestabile superiorità di questo metodo sopra ogni altro che si
possa applicare in osservazioni allo strumento dei passaggi in primo verticale. Tutta
la genialità del creatore di Pulkova si è trasfusa in questa pur semplice e, quasi
direi, ovvia modificazione del metodo di Bessel; eppure ancor oggi gli astronomi
tedeschi (ed anche italiani) vanno in cerca di ragioni più o meno fondate per non
abbandonare le norme dettate dal grande maestro di Kéonigsberg. L’Albrecht (al
quale nessuno può certo negare profonda competenza in materia) scrive a questo
proposito le seguenti parole (1):
“ Rispetto alla bontà di questo procedimento a paragone di quello dianzi accen-
“ nato, si deve riconoscere un reale inconveniente nella grande molteplicità del
“numero delle inversioni, perchè in un caso simile l’ipotesi della invariabilità del-
“«
l’azimut, che per osservazioni di questa natura è condizione indispensabile, è molto
“ meno garantita, che nel modo di procedere, per il quale il numero delle inversioni
“ è ridotto ad una o due per sera ,.
Questa obbiezione dell’illustre osservatore prussiano, ribadita da tutti coloro che
si trovarono a dar la preferenza al metodo di Bessel sopra il metodo di Struve, mi
pare non giustificata. Ammetto con lui che ogni inversione disturbi l’azimut del-
l’istrumento, e quindi che il numero delle inversioni debba essere ridotto al minimo,
sempre quando il vantaggio di questa precauzione non superi il danno dovuto ad
altre cause. Ma quando — come è raccomandato nelle Istruzioni dettate dallo stesso
Albrecht (2) — per evitare scosse all’istrumento lo si lascia per alcune ore di seguito
nella medesima posizione, osservando successivamente i passaggi di parecchie stelle
ad un Verticale, per poi riosservarli a cannocchiale invertito nell’altro Verticale, mi
domando se le scosse accidentali che l’istrumento riceve durante tutte queste ope-
razioni non siano più nocive alla stabilità azimutale di quella scossa dovuta alla
(1) Formeln und Hilfstafeln fiir Geographische Ortsbestimmungen — Zweite Auflage (Leipzig, 1879).
(2) Astronomisch-Geoditische Arbeiten in den Jahren 1881 und 1882 (Publication des k. Preuss.
Geoditischen Institutes. Berlin 1883; pag. 9).
94 F. PORRO
inversione, che un osservatore scrupoloso e prudente, adoperando un istrumento
solido e munito di un buon apparecchio di rovesciamento, può rendere piccola quanto
si vuole. Si noti poi che un brusco leggerissimo spostamento in azimut per effetto
dell’inversione può contribuire a far variare apparentemente l'errore di collimazione,
e può quindi eliminarsi per effetto di simmetria quasi completamente, come le con-
siderazioni seguenti mostrano senz'altro.
Uno spostamento in azimut per effetto di scosse dovute all’inversione può ascri-
versi a due cause, un urto ricevuto dai sostegni ed uno spostamento effettivo del-
l’asse di rotazione. Questa, che, se l’'istrumento è sorretto da solidi piedritti, sarà
inevitabilmente assai maggiore dell’altra causa, si comporrà alla sua volta di due
cause, una accidentale, che varierà da caso a caso senza legge alcuna, ed una costante,
dovuta alle irregolarità di figura dei perni e dei guanciali, che agirà in senso inverso
nelle due inversioni necessarie per ogni stella, secondo il metodo di Struve, e che
sarà l’unica alla quale sia applicabile una teoria. Esaminiamone l’effetto. Esso è di
aumentare l’azimut di una piccola quantità a (e quindi di ritardare l’appulso ai sin-
goli fili) per la seconda parte della osservazione ad Est e per la prima parte della
osservazione ad Ovest. Detti t,, to, t; e t#, i quattro istanti degli appulsi, avremo per
questa causa sostituito a t, e #3: t#,» — a cosec Q, #5 — a cosec @, dove, il termine cor-
rettivo sarà certamente una piccola frazione di secondo siderale, che potremo indi-
care con t. Allora, se ricordiamo la formula che dà la latitudine
tg p = tg d sec A sec 0,
dove
Ar a Ga
4 2060
dee at) +t@G—-%
4 9,
vediamo senz'altro che la doppia inversione elimina la correzione t. L'effetto di questo
errore sistematico rimane invece tutto quando si inverta una volta sola, nell’inter-
vallo fra i passaggi ad Est e ad Ovest.
Che poi la parte accidentale si possa rendere piccola assai, quando si inverte,
è cosa che non si può immediatamente dimostrare, senza lunghi calcoli sopra i risul-
tati delle osservazioni. Fortunatamente mi è facile trovare altrove argomenti che
confortano questa mia affermazione, così nel caso dell’istrumento Repsold C (che
servi alla piccola serie gennaio-giugno 1888), come in quello del nuovo Repsold,
adoperato dal novembre di quell’anno in poi. Il primo fu studiato in moltissime
determinazioni della Commissione Geodetica, e segnatamente nella determinazione di
azimut assoluto eseguita a Milano dal prof. Rajna (1); dell'altro mi resi ben conto
nell’analoga determinazione a Torino (2). Già nelle operazioni del Rajna e nelle
successive di longitudine le inversioni si sono moltiplicate senza scrupolo alcuno, e
gli effetti ne furono tutt’altro che tali da diminuire la precisione dei risultati; ma
nelle mie determinazioni di azimut sono arrivato al punto di invertire su ogni stella,
(1) Azimut Assoluto del Segnale trigonometrico del Monte Palanzone sull’orizzonte di Milano (Pub-
blicazioni del Reale Osservatorio di Brera in Milano, N. XXXI).
(2) Pubblicazioni del Reale Osservatorio di Torino, N. I.
LATITUDINE DI TORINO 95
portando il numero delle inversioni ad una ventina per sera, senza il menomo danno
apprezzabile alla stabilità dell’istrumento, facilmente controllabile in osservazioni di
questa natura. Un'altra conferma dell’innocuità assoluta delle inversioni si ha nel-
l’uso ormai generale di eseguire le livellazioni con inversione dell’asse senza solle-
varne il livello: data l’estrema mobilità di questo, e la squisita perfezione colla
quale presentemente lo si lavora, esso dovrebbe rivelare ben gravi anomalie ad ogni
inversione. Invece, come hanno mostrato molti osservatori (1), la determinazione
dell'errore di inclinazione con inversione dell'asse presenta molto minori cause d’er-
rore di quella con inversione del livello sui perni. Se adunque scomponiamo l’effetto
dell'urto prodotto dall’inversione in due parti, troviamo che quella verticale (presu-
mibilmente la più grande) è insensibile o quasi; e possiamo quindi inferirne che
anche l’altra non sarà molto grande.
Rimossa (od almeno grandemente attenuata) l’unica obbiezione seria al metodo
di Struve, non è chi non veda le forti ragioni che gli fanno avere la preferenza
sopra il besseliano. E sono:
I. L'eliminazione rigorosa su ogni verticale delle distanze dei fili, dell'errore
di collimazione e delle eventuali variazioni di questo col tempo (essendo ogni pas-
saggio osservato in pochi minuti, durante i quali soltanto la collimazione si deve
ritenere invariabile).
| II. La tranquillità assoluta nella quale l’istrumento rimane durante l'intervallo
fra il passaggio della Stella ad Est e ad Ovest; osservandosi ad una parte soltanto
del reticolo, non è neppur necessario trasportare l’oculare successivamente innanzi
ai fili colla vite di Maskeline.
III. La facilità e speditezza dei calcoli di riduzione.
| IV. La semplicità colla quale si elimina l’errore di azimut, quando questo sia
| tanto considerevole da dover essere tenuto in conto. Basta infatti moltiplicare tg @
| tthth&h+%
7 1
per il coseno di a —
Premesse queste giustificazioni relative alla scelta del metodo (che sarebbero
troppo prolisse veramente, se non fossero rese necessarie dall’opposizione che esso
| incontra ancor oggi), passiamo all’esame delle correzioni istrumentali.
| Collimazione. — Questo errore si elimina, come vedemmo, da ogni passaggio
osservato su di un verticale. Ad ogni modo, per curiosità, e per rendermi conto del
suo effetto nelle poche osservazioni eseguite coll’altro metodo, non ritenni inutile
determinarne alcuni valori, i quali mostrano colla loro costanza e regolarità di anda-
mento le eccellenti condizioni del nostro Repsold da questo punto di vista, dovute,
oltre che alla solida costruzione di ogni pezzo e dell'insieme, al felice accorgimento
i di collocare le viti di correzione dell’asse ottico non (come si usava dianzi) all’ocu-
| lare, bensì nell'interno del cubo; di guisa che la correzione si fa toccando il prisma.
(1) Vedasi ad esempio la pag. 5 della Memoria di Rajna sulla “ Determinazione della Latitu-
dine dell’Osservatorio di Brera in Milano e dell’Osservatorio della R. Università in Parma , (Pub-
blicazioni del Reale Osservatorio di Brera in Milano, N. XIX).
96 F. PORRO
Ecco le collimazioni, calcolate dalle stesse osservazioni di latitudine mediante
la formula (1):
sin c = sin o sin A cos ò sin ©:
Data C: Data C: Data e.
1888 Novembre 25 + 52”,47 1889 Febbraio 16 — 8",65 1889 Maggio 31 — 9,12
1889 Gennaio 7 — 16 ,96 19 — 9 ,45 Ottobre 23 — 3 ,00
19 — 7 54 24 — 8 ,42 Novem. 8 — 3 ,61
27 —_.5,,19 Marzo 14 — 8,51 15 — 5,74
31 — 7,73 16 — 10 ,62 17 —8,,81
Avverto che i due primi valori, troppo forti e discordi, appartengono al periodo
di prova, dopo il quale le viti di correzione non furono più toccate.
Inclinazione. — La grande importanza che in tutte le determinazioni di lati-
tudine spetta al livello, è inerente alla natura del problema; che si vuol conoscere
in fatti se non la posizione della verticale rispetto alle direzioni fondamentali della
sfera celeste? To credo che tutti gli sforzi degli artefici e degli osservatori per fissare
con esattezza la verticale senza ricorrere al livello a bolla d’aria (2) non abbiano
ancora raggiunto il loro intento, anzi ne siano ben lontani; pur ammirando gli
espedienti ingegnosissimi ideati a tale scopo, trovo che nelle mani del Kiistner e
degli altri astronomi di Berlino il livello ha dato recentemente risultati di alta pre-
cisione, che dimostrano ingiustificato 0, quanto meno, prematuro l’ostracismo che gli
si vuol dare. Nè mi sembra che procedimenti simili a quelli usati ora per il tele-
scopio zenitale (e segnatamente l’uso di un livello di controllo) siano inapplicabili
all’istrumento dei passaggi in primo verticale, dove l’errore delle livellazioni forma
tanta parte dell'errore totale di una determinazione.
Nelle mie osservazioni ho cercato di eliminare tutte le cause perturbatrici delle
indicazioni del livello; e, lasciando questo permanentemente appeso all’asse di rota-
zione, lo osservai con molta frequenza per ricavarne il valore possibilmente più esatto
dell’inclinazione. Non di meno, debbo riconoscere che le condizioni della stazione mi
impedirono di curare, come avrei voluto, questo elemento; credo anzi che l'incertezza
di esso e delle variazioni accidentali dell’azimut (delle quali parlerò in seguito) abbia
la massima parte nelle anomalie presentate dalle osservazioni. Nella discussione
finale mostrerò come l’imperfetta conoscenza degli errori strumentali spieghi il valore
relativamente forte di alcune divergenze di valori singoli dalla media; per ora mi
(1) Questa formula è valida quando l’inclinazione d e l’azimut % si ritengano zero. L'errore che
sì commette trascurando queste correzioni strumentali è dato da
— D sin 1” cos d cos © sin A + X sin 1" cos è cos o sin A,
ed è quindi trascurabile affatto.
(2) Scrive il D’Abbadie (Bulletin Astronomique, IX, pag. 93): “ L’emploi du niveau à bulle d’air
“ doit ètre exclu désormais de toutes les observations astronomiques où l’on voudra atteindre la
“ dernière limite de l’exactitude ,.
LATITUDINE DI TORINO 97
limito ad esprimere la mia convinzione che tutte queste minute cause d’errore,
trattate come accidentali, abbiano potuto compensarsi nella media finale.
Il valore di una divisione angolare del livello annesso al Repsold C risulta dalle
misure eseguite sull’esaminatore della Specola di Milano nel corso dell’anno 1885
per opera del prof. Rajna e mia. I risultati di queste misure sono rappresentati (1)
dalla formula:
1) 1° = 1”,5300 + 0”,0046 (Z — 359,0),
dove ? rappresenta la lunghezza della bolla (in divisioni del livello). Da una comu-
nicazione posteriore del medesimo collega Rajna risulta che anche le determinazioni
fatte nell’estate 1888 (quando l’istrumento fu adoperato nella determinazione della
differenza di longitudine Milano-Napoli) diedero valori quasi identici. Coi risultati
della formula (1), tenendo conto della lunghezza della bolla per calcolare il termine
dipendente dalla temperatura, si sono ridotte tutte le inclinazioni determinate fra
il gennaio ed il giugno 1888.
Quanto al nuovo Repsold, ecco i risultati delle determinazioni eseguite in
parecchie occasioni all’Osservatorio di Torino:
Data Temperatura Valore di una parte Osservatore
1888 Novembre 12,13 + 29,8 17230 Porro
1889 Aprile 12-16 + 14,9 1 ,6948 Aschieri
1890 Giugno 15-17 + 23,0 1 ,7019 Porro
1891 Ottobre 15-16 + 7,0 1 ,6960 Rizzo
1891 Dicembre 13 + 2,0 I ,7050 Rizzo
Se si pensa che queste determinazioni vennero eseguite in anni ed in stagioni
differenti, da tre diversi osservatori, con due diversi esaminatori (v. le mie citate
memorie sulla latitudine di Torino e sull’azimut di Monte Vesco), e che fra il 1890
e il 1891 fu cambiato il liquido nella bolla, si trova che il valore medio 1",71,
adottato. per calcolare tutte le osservazioni di latitudine fatte a questo strumento,
non si può ragionevolmente ritenere errato di più di un centesimo: di secondo.
Nella prima. serie la somma delle inclinazioni positive risultò di 8,057, quella
delle inclinazioni negative di 12”,501; abbiamo un’eccedenza negativa di 4,444,
ripartita sopra 16 osservazioni.
Invece nella seconda serie si ebbe una somma di inclinazioni positive uguale
a 102,056 ed una somma di negative uguale a 68",965.: differenza positiva 33/,091,
che si riparte sopra 104 osservazioni.
Nell'uno e: nell’altro caso sono osservate mediocremente le due prescrizioni di
tenere l’inclinazione possibilmente piccola e di equilibrare possibilmente i suoi valori
negativi e positivi. Meglio si sarebbe fatto, senza le oscillazioni periodiche ed acci-
(1) Porro, Determinazione della latitudine della Stazione Astronomica di Termoli mediante passaggi
di stelle al primo verticale (Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXII, adunanza
del 20: febbraio 1887).
Serie Il. Tom. XLIV. M
98 F. PORRO
dentali del livello, dovute all’ubicazione; ad ogni modo, data la cura colla quale si
è studiato l’uno e l’altro livello, si può essere certi che la latitudine non può riu-
scire errata, per un errore nella conversione delle letture in arco, di più di qualche
millesimo di secondo.
Azimut. — La correzione dovuta all’azimut non fu applicata alle osservazioni
pubblicate nella Comunicazione preliminare. Avendo poi riconosciuto che il suo effetto
doveva essere sensibile, sopratutto per il periodo maggio-giugno 1888, nel quale,
non so come, inavvertentemente lasciai l’istrumento molto fuori dal Primo Verticale,
mi decisi a calcolarla con rigore nel seguente modo.
Il logaritmo volgare di tg @ deve essere sommato con
log cos |a— + +4+4&+%4)],
essendo #,, to, #3, t, i tempi degli appulsi, corretti per l'inclinazione e per l’errore
dell’orologio. E perchè quel coseno è molto vicino all’unità, si potrà utilmente invece
sottrarre il logaritmo della secante. Questo termine negativo, in unità dell'ultima
decimale, è d'altra parte:
2M
20 do, essendo M il modulo dei logaritmi volgari,
d log tgp =
donde
do" = dio L da 3 = [5,3756096] d log tg @ = 237490,44 d log tg ©.
Data quindi, in unità della settima decimale, la correzione da applicarsi a log tg ©
(sempre negativa, ed uguale a log sec [a — | (t1+t+#+t.)], la correzione (pure
negativa) della latitudine si ottiene senz'altro, espressa in secondi, con una semplice
moltiplicazione per quel coefficiente costante.
L'esecuzione di questo calcolo per ciascuna delle 120 stelle ha potuto dare una
idea degli spostamenti dell’istrumento in azimut. Detto # il valore della media dei
quattro appulsi corretti come ho detto, l'andamento dei valori di a —? dà indizio di
forti sbalzi, più accidentali che progressivi, che si sottraggono fatalmente ad ogni
previsione e ad ogni interpretazione, e formano il più efficace commento alle mie
geremiadi sulla instabilità della Specola di Torino.
Formando le differenze fra valori successivi di a — # in una medesima sera, ho
trovato i seguenti numeri, che rappresentano le variazioni dell’azimut; per gli oppor-
tuni confronti ho posto a fronte anche le variazioni corrispondenti dell’inclinazione.
1888 A (a— 1) Ai 1889 A(a— è) Ai
Gennaio 19 + 2523 — 0",016 Gennaio 8 — 0505 + 0",305
Giugno 5 — 0,64 — 0,914 17 L06566
BA 208 18 (0.122 (0030)
8 — 0,49 — 1,558 Marzo 6 -- 0,40 — 0 ,169
fe, > si
i? RISI PC AD
ita i nh): +
LATITUDINE DI TORINO 99
1888 A(a—?) Ai 1889 A(a— t) Ai
Dicembre 1 — 1,43 + 0 ,996 Marzo 12 — 0,20 + 0 ,056
lO 304 l'i 41 02000962
3 — 0,11 + 0 ,602 25 + 0,18 — 0 ,183
7 — 0,11 +0 ,469 Giugno 6 + 0,04 — 0 ,866
10 — 0,16 + 0 ,564 6 + 0,92 — 1 ,039
15 + 0,09 — 1 ,482
17 + 0,48 — 0 ,688
19 — 0,93 — 0 ,903
Ottobre 23 — 0,65 + 0 ,208
Novembre 8° — 0,49 + 0 ,124
ORSO 086
Grandi conclusioni non si possono ricavare da questi numeri: irregolari tutti,
però dinotanti coll’aggruppamento di certi segni la persistenza di certe cause ad
operare per qualche tempo in una determinata direzione.
Passiamo ora alla esposizione dei risultati. Nel primo e più lungo quadro che
segue sono dati, stella per stella, i tempi dei quattro appulsi, e la latitudine che se
ne è ricavata, filo per filo, calcolata colle note tavole di Otto Struve (1), senza
tener conto dell'andamento dell’orologio e degli errori strumentali. Ogni osservazione
consta per lo più di trentadue appulsi ad otto fili; il quadretto relativo è seguìto
dal valore corrispondente di a —#? in secondi di tempo, dalla delinazione apparente
della stella osservata e dall’error medio e}, calcolato esclusivamente in base all’ac-
cordo dei fili. Si vedrà nell’ultima parte di questo lavoro che l’error medio e di
un'osservazione, calcolata in base all'accordo dei valori di latitudine forniti dalle
diverse osservazioni di una medesima stella, è uguale a + 0",405, mentre in gene-
rale le e, si aggirano intorno a + 0',100: dunque di gran lunga la parte maggiore
di e è imputabile all’imperfetta correzione degli errori strumentali, e solo dal numero
considerevole delle osservazioni, distribuite in anni e mesi differenti, si può sperare
una compensazione di questi errori.
Il secondo quadro raccoglie i valori medii della latitudine g' dati da ciascuna
stella, le correzioni relative all’inclinazione i dell’asse e all’azimut istrumentale, il
termine dovuto all'andamento dell'orologio (che si è dedotto a vista da alcune tavo-
lette calcolate per le singole stelle secondo le norme date a pag. v dell’introduzione
alle citate tavole di Struve) e finalmente il valore concluso della latitudine @.
Come ho detto nella Comunicazione preliminare, le declinazioni si sono dedotte
esclusivamente dal Berliner Jahrbuch: per interpolazione dalle effemeridi decadiche
quelle delle Fondamentali di Pulkova, calcolando la riduzione al luogo apparente
quelle delle altre stelle (Zusate-Sterne). Furono calcolati rigorosamente i piccoli ter-
mini della nutazione lunare.
(1) Tabulae Auriliares ad transitus per planum primum verticale reducendos inservientes — Edidit
Otto Struve, Speculae Pulcovensis director (Petropoli, 1868).
100 F. PORRO
QUADRO PRIMO
TEMPI DEGLI APPULSI E LATITUDINI DEDOTTE
1888 Gennaio 19 — B Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud _ Oculare Nord
Bho] “48:69: EAT 2827 6 40996201 4A OA O LIOS
21 58.63 39 9.25 2 50.41 209.03 8.10
22 50.64 37 23.24 4 37.92 19 22.03 7.15
24 19.65 S4 20.22 7 40.44 17. 40.52 9.74
25 12.66 83 1.71 857.45 16 48.01 9.14
26 8.67 31 45.70 10 16.46 15 53.00 9.76
ao —-t = — 85.89 dò = 440 56 3! 42 €,(== 10154595
1888 Gennaio 19 — X Ursae Majoris.
Ts A
Verticale Est © cia Verticale Ovest
TAL
EiS)
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
8° 50m 285.50 | Sh 57m 595.07 |11h 21m 575.54 | 11° 29m 34810 | 45° 4 11°.40
50 42.30 97 37.06 22 18.04 29 14.59 ko
51 0.01 97 18.06 22 37.65 28. 56.09 9NC29
ol 32.81 96 43.76 23 12.05 28 23.99 8 .62
51 50.71 56 24.95 23 831.05 28 6.08 8 41
02 8.02 96 5.85 23.50 .26 27 49.08 9.74
52 26.82 55 46.05 24 9.56 27 30.08 9.43
_—=====—————_—_—F—+—_—_—_——————F——+—_—_—_—_&—_—.—+—r——__+m€—&—k
a —-t= — 65.56 SAZIIZIGAZIAAO er = 17.4090
LATITUDINE DI TORINO
1888 Gennaio 20 — B Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
5a 202 57500 | 5° 41m 0522 | 6% 0 88884 | 6° 20% 405,51 45° 2° 9". 16
Dil cessi 88. 52.20 DETA8T3IO 19 53.00 9.26
DA ERI IU 2.68 AA SI 19 4 49 FEO
DOMANDO sb 24.16 ba 2r98 18 12.48 9 14
24 14.04 984 Teltd T 35.39 ANZASA 9.52
25 ed 2 NA40r63, 8 54.40 16 30 .96 9052
26 50 od 251.62 10 8.91 15 34.45 9.54
Asi Aste) 29 12.60 12 24.93 13 39 44 9 45
ORE gen VA) Eri "042089
1888 Gennaio 22 — B Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
o'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
aslomiz oss) 5h 4 8825 | 5° 59 40.30 | 6° 21% 45°,39 45° 4° 7".70
20 44.72 AONAAR2IZA 60985 20 21.02 (1 .94
Dei 2052 38. 36.70 2 28.87 19 34.01 7 48
DOM 8S 36 47.68 4 17.89 18. 44,50 1528
DA 85 7.16 5 55.90 17 53.99 8.19
242.05 99 48.14 (ETQ0OTAT 17 2.98 7 .36
24 55.86 32 28.13 8° 38.42 16 8.97 7.01
255107 Sdil302 Oro sS 15 14.16 l 24
27 46.08 28. 54.60 102 1 44 13 18.45 8.19
Oli 4995 0440056983 Ce #04231
1888 Maggio 3 — 33 Bootis.
Verticale Est
Oculare Nord
Oculare' Sud
14° 3 175,29 [14° 30m 245.41
50 .68
S4 .12
57.73
.20
22 .17
40 .16
29 .02
OLO Ut
vw
©
1
0.20
7.39
50 .81
28 .87
14 .36
48 47
45 .43
o —-t= + 529.72
Verticale U, st
Oculare Sud
14 47m 95.57
29.
20.
37.
59.
17.
31.
1 42.
d — 44° 59 1
Oculare Nord
15° 14 115.39
13 .34k.17
12
11
10
t0 5.
7 48.
6 58.
(16
45° 4' 8/.88
102
F., PORRO
1888 Maggio 6 — 33 Bootis.
Verticale Est Verticale Ovest
nr ii p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
14° 80 205.57 |14° 30% 355.16 |14° 46% 565.58 [15° 14% 115,39 Ad USI
FICO 28 8.06 49 21.58 13° 3428 8.69
4 19600 PO GIRI RI ISO 12, (55212 8.96
5 59.39 22° divo 492.89 ila 120 8.55
6Rr4IdO Dili 9459 Dal 00.24 10. 49.27 8.69
7 24.69 20 19.46 5 113.82 10 6.64 8.79
8 9.81 19 4.69 58 27.98 9 20.43 8.93
8 55 .49 IMSS 59 833.98 8 36.16 8.81
9 41.89 60528818 MIAO NS SED 7 49.36 8.88
sese LO eE037 eaA995 Ti 0.29 8.93
a — t = + 52508 dò == 44° 59) 17098 ci = 041250
1888 Maggio 9 — 33 Bootis.
Verticale Est Verticale Ovest
e ra SI I e er A p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
14. 7 485,40 [14° 19% 295.40 |14* 572 505.79 | 15° 9m 82531 450 ATI
832.80 18 19.43 59 05% 81 44.23 RS)
9 19.67 le 45600 7.02 7 59.07 8.07
10 9.24 16/9 eeble59 7 11.05 SESTA
10 58.94 TOO: Di dl088 620076 7 .55
aoT—-t= + 528.74 ON 244959417086 Gre 0'.1342
1888 Maggio 25 — 33 Bootis.
Verticale Est Verticale Ovest
RARO AAT p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord | Oculare Sud
14° 40 145,90 |14} 272 215,14 |14° 502% 05.67 [15° 13m 105.49 45° 4' 10!” .00
DOSI NA) 25. 16 .82 52 4.68 12 26.61 10 .55
6 17.17 22 26.99 b4 54.97 11 8.79 9.81
6 59.93 21 4.59 56 16.79 10 24.88 10 .02
R4AAI0D 19 49.40 DI RZINT 9 40.98 9.79
8 29.69 IR TLILZAII 58. 4230 8 57.60 10 .10
9 16.13 17 30.99 BOMEb50. Sal057 10 .24
10 2.91 1602/84 o e05529 MEZZO 10 .29
Lo 284 525007 le e748 6 33 .89 10 .60
ao —-t = + 459.72 dii = 44059023108 € = ‘00/0970
LATITUDINE DI TORINO
1888 Maggio 29 — 0 Herculis.
103
Verticale Est Verticale Ovest
i o'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
T4R'59m 9538 | 15° 5 12526 | 18° 4m 6518 |182 102 18°.02 45° 4' 10'”.60
SOR gro4 e 56041 4 23.02 | Oo 80 11 .10
59. 34.60 ALII 4 38.98 | 9 42 48 9.67
10) 0.54 4? 11.28 15; 6.93 ORELORA1 Si
0 15.18 DIDO DIES, 9 1.86 11 .90
VEE0IE7 35 41.86 ba3:a608) 8 49.37 12 .29
VEA4993 3 26.76 Do ihozio 8 32.59 10 .14
0 58.90 3 11.69 6 7.69 8 19.09 11 .98
Mesi: 2° 50.57 6 22.04 8 4.12 10 .86
28179 2 41.19 6 38.07 7 50.69 L20038
a — t= + 445,88 di == 499140" 18152 cad 185%
1888 Giugno 2 — 33 Bootis.
Verticale Est Verticale Ovest
| i RO I, I NRE IA rsa —————_——mkewo1.’ p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
14° 89m 445,35 [14° 30% 5579 |14° 47m 383971 |15° 140 19°.87 45° 4' 9".14
AGI 28° 30 42 49 30.22 13 39.69 8.64
5 1.60 26 36 .68 bee25hES2 13 1.78 8.86
6120.1005] 29 19.14 DAMIANO 11 38.48 912
7 9.07 2594 56 9.19 10 56.00 8.95
(52039 20 39.42 DI 26/155 10 12.86 9.02
8. 34.59 19 831.42 58 34.16 9 29.89 8.64
ORO 3t27 I S94 59 47.453 8 41.02 SOA:
MOTION NEI E09 AO 099 7 53.48 Se
Jo: 0.45 16 9.80 1 54.00 Ti 9.72 8.48
12 41.04 14 15.93 3 48.83 De2 593 8.79
ao —-t= + 46341 => 44582484 ei = 0".0635
1888 Giugno 5 — 33 Bootis.
Verticale Est Verticale Ovest
e RARE VC I sO IM (VV GONO SRO p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
14% bm 15,74 [14% 27m 52528 [14h 50% 32509 [15° 13m 295,99 45° 4' 4.88
DIRAZ5ION 25 54.42 520119090 ORA 72 4 .88
7 9.88 23 2.26 Boi 27.60 RTRANI2 886 4.67
T 47.26 ZIRATN5O 56 50.63 10 44.11 4 .69
SL ‘O2R42 2025592 58 0.09 9° 58.58 4.50
9 16.80 IERstele 59 11.04 91 1550 4.02
at =+ 44504
d = 44° 53' 25"”.62
e, = 0".1312
104 F. PORRO
1888 Giugno 5 — 0 Herculis,
Verticale Est Verticale Ovest
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
14° 59 41°50, | 15° 5m 29594 | 18% 40 405,38 |18* 10m 297.52 | 45° 4’ 6.90
59 59.95 òo 16.44 4 54.87 10:15:70 5.98
15 0 24.39 4 45.899 o 25.07 9 46.83 6.24
0 38.53 4 30.50 5 40.16 9 32.19 619
des21.99 3 46.07 6 24.57 8 48.85 5.07
1 36.60 3 31.19 6 39.93 8° 34.59 6.14
Ki -61..72 3 16.37 6 55.19 8 19.83 5.62
dò = 42° 40' 10/.55 e, = 012225
a —-t= + 435.40
1888 Giugno 5 — dò Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
soci Lode inni p'
Oculare Nord | Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
19° 9m 65.09 [19° 32m 25528 [19° 5Q@m 44522 [20° 28m 5524 | 45° 4" 7".76
9 43.17 80 51.44 (20. le 16.98 22 2540 6, .83
10 18.78 925.199 PA rRSC. tI ORI UG) 21 49.59 7.88
LISI 26: bl pae kes.da 20. 30.46 € .69
12 19.59 25, 42:10 6 24.78 19 49.91 TSO)
dI gi i0,52 24 374 Te 2.174 19 8.68 SII
13 42.89 Did g488 te 33 18. 26.47 E .D0
14 25.20 22. 35.09 ORA IT - 43.18 edi
15 10.14 2k.. 3740 10. 30.97 16. 59.61 TSO)
15 54.96 20, 39.29 11 27.86 16 11:97 EA
17 28.40 8:57.28 13 11.26 14. 40.37 7 43
a —t= + 425.96 d = 44° 51' 23/".06 e, = 0”.2001
1888 Giugno 7 — è Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest i
Oculare. Nord. Oculare. Sud. Oculare Sud Oculare Nord
19° 10m 185.27 |19® 29m 28573 | 20° 2 445,39 |20° 21m 54545 45° 4" 10".24
RS 597 26. 54.02 5. 19:.55 20, 34.06 10.39
2 655 25. 44.89 6. 127.96 19 54.65 MOTTA
12:. 58.37 24. 39:.04 % 32:.69 19. 13.,.99 10. .10
43, 40..99 23, 85..89 8 33..19 SVEZIA 10.55
JA. 23.73 22... 95.11 9. 35.52 IAA 10. .29
15 8.97 21, 8%.71 10, 32.86 17 4.83 9.98
IO 9498 20. 41.69 11 29.10 16, 18.27 9.88
17 26.00 18. 59.41 13. 13.16 14 47:98 10.19.
a: — # = + 449,62 dò = dio 51’ 23.78 e, = 0”.0808
LATITUDINE DI TORINO 105
1888 Giugno 8 — 0 Hereulis.
i _ __m_ _ _ °"_ | —‘1_’‘0‘16@‘‘060 _6_6b_—’_r__.rri.1.. tl’
Verticale Est Verticale Ovest
I IZZO! [Z! ZITTI TS LE:- KW _ ]XK]Kl]J.YÒYe0X:EB:EE p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
14° 59m 26537 | 15° 5 475.63 | 18° 4m 25526 |18° 102 46517 45° 4’ 8! 88
59. 41.03 5 82.28 4 40.85 10606853 8.60
59. 55.22 De dlazasviz AA JQ 17:65 8.02
150.06 23.71 RATEALE Es) IZ ZI 9 48.75 8.07
OE 91 4 32.40 5 40.19 GI 9810 6.98
Qi 52.63 LEE E 55129 9 19.97 io
1 6.40 4 2.98 6 9.59 9 Sl A:3
WS 22.07 SL 46135 6. 25.06 850.77 SII
136120 SOLO 6 40.09 836.00 (2
lee 00 3. 16.92 6055820 8 21.29 8.29
aes = LL 445.86 òo — 42° 40% P1".53 Ci == 05139032
1888 Giugno 8 — è Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
RR n i a SISSI I PERTIPORI ii ina Bei it er a p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Ocalare Nord
19° gm 35,98 [19° 322 305,58 [19° 59m 37529 |20* 23m 65.00 DIITAIESTOA
9 40.67 9000559002066 ADI 220029731 8.83
10. 18.29 295 3943 DANA? 21 52.67 8.67
lie 3740 260 56.57 Delo 895 20 33.62 8.83
NO LS: 27 DZ I 6 25.79 19 52.91 9.07
e 5841 24 40.58 (CECA NO RROS23 9.42
13. 49.99 23. 40 .12 SAS Tele 312 6.26
IA. 22.95 REA OMESSA 17 47.08 9759
15 8.08 DA ,2 10 32.00 107, 2.99 9.07
15 54:21 Q00043RA7 en 2 537 L61724 9.44
17 25.99 19 1.69 3 alle95 14 43.38 8.86
o—t= Ad. 445,37 d = (440° 51% 24.06 € = 0”.2735
1888 Novembre 19 — x Andromedae.
Verticale Est Verticale Ovest
nt SAVE DER MORE) PE CO TEO RI SIA p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
99h 14m 54521 (22% 28m 10°41 | 0% 33m 425,89 | 0% 472 0545 459 41. 3740
15. 24.76 ii GS 384 20.83 46.29.61 45
OA 27 10.99 34. 42.14 46 11.00 4.12
16 8.09 26. 42.40 95 11.44 45 45.99 4.12
6 9808 26, 12,81 35 40.84 45. 20.60 4.62
16 52.52 25 5I 44 36 1.87 45 2.38 4.986 |
Ie 24027 25. 15.96 30 SEE 44 30.42 4.96
18. 28.50 24 5.09 97 49.02 43 26.62 5.05
a—-t= + 65.40 dò —= 44° 483’ 16" .66 e, = 0”.1698
Serie Il. Tom. XLIV. N
106
Oculare Nord
DONVIOn
15
8°.88
QUO
F. PORRO
1888 Novembre 21 — k Andromedae.
Verticale Est
Oculare Sud
go 97m 15%47
59 .40
2421
55 .93
34 .48
58 48
48 .29
23 3.90
51.99
22 5.28
a —-t = + 65.89
Oculare Nord |
22° 14 26.13
14 57.81
15 .98
41 .19
16 6.49
25 .27
57.98
8 103
42 .59
93 .09
38 .78
1888 Novembre 22 — k Andromedae.
Verticale Est
Verticale Ovest
Oculare Sud
22% 270 45°.73
8.13
Oculare Sud
Ob 39m 17519
33
Sb
54
16
45
13
S4
11
21
BICHIMENO
17
SOMENO
.11
.22
.33
.3%
.65
.19
.88
.39
.66
.07
Oculare Nord
0% 46m 365.02
46 4.81
45. 46.20
45 21.25
44 56.22
44 .39
44 5.57
43. 1.29
42 .36
42 9.79
41 .03
d = 43° 43’ 16.97
1888 Novembre 23 — k Andromedae.
Verticale Est
Oculare Nord |
22% 14m 165.07
14 47.75
.13
.39
.98
.16
.12
.14
.47
.48
.84
Oculare Sud
Qoh gm 345.99
26 57.07
26 .64
267.09
25 49)
25 .55
24 .56
23 .93
22 .29
22 .57
21 .96
Verticale Ovest
Oculare Sud
| Oculare Nord
o. 332 6593
39 44.75
0° 46m 265.77
95.51
36 .51
219
.59
.86
.87
.25
71
.81
.72
Verticale Ovest
LIBRAI p'
Oculare Sud Oculare Nord
0. 34m 4877 | 0% 46 125.50 45° 4' 3".86
94 26.99 45. 54.27 4.12
34. 56 .08 45 28/27 deal
DISSI 45 3.29 8.88
85 46 .59 44 45.58 4.62
36. 22.07 44 13.51 8.76
37 32.86 43 9.59 4.07
38. 17.06 49, 27.93 4.02
38 29.68 42. 17.09 4.45
3901502 AI 32.81 3.76
di 499431 16188 e = 0"”.0969
P
45° 4' 4.64
.S1
.50
.38
19
.64
.74
.74
.76
.02
.29
> UT LI VI CI 0
e, = 0".1324
o'
45° 4' 51.52
9.67
Ut Ut Ut Ut Ot > Ut a O
pp
LATITUDINE DI TORINO 107
1888 Novembre 24 — a Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
————_—————_—__________—_r_rvr__——_——_—_—m———_ __———————m_ÈrÉ______——m__—___r——tÉm_——————————————@—_ —— p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
19% 56m 49873 |20° 272 385.81 |20° 38m 2525 | 21° 8m 56°.78 a LL sir
57 29.46 24 14.04 41 27.00 8 19.03 7.90
58. 23.40 21 9.91 44 32.46 1 24.12 7.60
59 18.99 18 44.66 46 59.55 6 29.42 7.83
20720 0.63 17 12.96 48.31.76 5 46.68 ‘42-30
IA 47 14 52.04 504653252 4 32.85 7 40
| 3 49.99 10 56.81 54 47.60 ISAIA) 7.02
| 4 36.18 9e57r08 55 47.68 IMelere0o5 (24
AMA 7. 9 44.13 56 0.02 il 0.21 6.98
bueslelt38 Oo 56 29.40 VStaio {Pol
a —-t= + 9924 e E Ei 0018
1888 Novembre 25 — x Andromedae.
Verticale Est Verticale Ovest
pi i no p'
Oculare Sud __ Oeuare Sud | Ocula Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
22% 14m 288.41 1 2° 26 285.71 | 0° 332 305.50 | 0° 452 25.46 | 45° 4' 6.67
14 58.86! 25/09/00 945 > 15,80 44 55.67 6.74
oe 21 x 25 26.83 940032150 44) 39614 TOEL7
15 46.30 242 581.08 Sb ‘0003 44 8.830 6.98
IO 57 24 28.79 IR I0S62 43 41.85 Vara Wi;
16 34.39 DAS 9505450 43 19.88 6 .83
Mi 6:.75 D9RE:28095 86 30.20 AD N48 10, ri Ur
| 18 10.89 2220431 SAM 8E50 41 43.20 6 .07
a — t= + 85.80 d' = 490 435 17.18 Ce W001321
1888 Dicembre 1 — a Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
NOI AZ TRS 2077 05 20 9704951 450 68129
26 38.0 ol 58.0 11 22.0 36 48.5 5 .8l
27 24.5 49 81.5 lo 530 36 2.0 5.67
28 34.0 46 40.0 16 48.0 d4 51.5 SIATE,
Sonoro 42 9.5 21 16.0 32 26.5 6 .26
a —t = + 105.00 dD'—= 440 58% 131.97 eji==#0/.1855
F. PORRO
1888 Dicembre 1 — 1 Andromedae.
Verticale Est
Verticale Ovest
ROMEA ra p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
21° 51% 7507 [21° 58m 48849 | 0° 562 30°.98 | 1° 4m 11°.63 45° 4 UO
bLiedeS7 Dex 10.59 56 57.30 8 46.91 4 .81
51 45.59 58 2.20 57 12.99 9 1920:29 5 .00
52 5.26 Die 41 84 BC 99578 AR PIA 0) | 4.48
521024028 57 20.89 bia 54:90 Da 5940 5.95
52 39.78 57 5.87 58 9.89 DACIA 4.05
59 LOS 56 40.26 58 DE QI TASDÀ 5.48
591 152.91 boe 48007 59 25.73 1 24.92 5 .98
a—-—t= + 85.57 6 — 4201992005 e.= 012421
1888 Dicembre 1 — v Persei.
Verticale Est Verticale Ovest
ACEA p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
1° 490 45,79 | 1° 552 17544 | BR 9m 545.08 | 5° 160 9593 450 4' 4.24
49 23.79 54 da 10 13.79 150 51:46 4.26
49. 39.20 5A 41899 10 29.95 IS 4.96
50 Dal 54. 17.68 10. 54.04 It S29 40524:
50 46.96 59 30 .89 IR A059 14 28.39 4.79
a—-t= + 88.47 di 0£20 19% 350/95 € = 0! .1054
1888 Dicembre 2 — 1 Andromedae.
Verticale Est Verticale Ovest
IA PANEL SIA BI p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
21° 50m 295.61 |21® 59 209.73 | 0° 55m 54305 | 1° 4m 48520 45° 4' 6”.00
50 58 .08 0) 5011952 AMO lo
51 10.96 58 36.16 56 38.16 4 1.82 5 .10
bl 29.80 58 15.43 56 58.97 CSI 6.02
BL 49.87 DI nASZ9 57 20.44 3. 22.99 5.76
52 6.82 bi 96095 ZIONI 3 5.67 4.83
525 91.05 57 10.76 58 3.80 dh 478 5.67
55. 20.01 56 h9:59 58 54.57 di 52.604 5.69
a —t= + 8546
è ==: 42° 39" 20”.10
e, = 0".1518
LATITUDINE DI TORINO
1888 Dicembre 3 — x Andromedae.
Verticale Est
Verticale Ovest
Lili (o)
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
99h j4m 91558 [222 262 17.96 | 0° 88m 215.15 | 0° 45 165.75 45° 4’ 6.50
TA 51-87 Digi]: 383 56.99 44 46.50 6.64
Io 15:29 25 16.20 94 23.62 44 24.03 6.57
I ae8959 24 47.88 94 51.58 43 58.92 6.76
16 5.68 CARINI 35 22.00 49: 92.55 24
16 27.58 LIDO 985 45 .67 43 10.95 6.98
16 59.82 23 18.69 36 20 .67 42 38.40 6 .07
| 18 4.10 22 8.76 37 30.05 41. 34.15 6.76
a —t= +4 85.63 OASI er 01145
1888 Dicembre 3 — v Persei.
Verticale Est Verticale Ovest
a o'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
est t9816 | dh 56 14.80 | 5% 82 50.50. | 5° 17m 28027 450 04 596
480025 13 SO ILA 9 14.40 16 40.37 5.24
48 41.22 Boi 8403 9 31.60 16 23.94 5.29
48 59.01 55: 15.10 9 50.25 16 6.22 5 .14
49. 17.79 54 55.66 10 10.01 15 47.67 4.95
49 33.85 BALT39r92 10 26.38 15 32.19 5 .02
49 56.10 54 15.61 10 49.71 15 9,82 4:93
50 40.82 536029017 11 36.50 14 24.45 5.00
(esa —- 85.52 dr ‘423°13N95/ 105 € = 0".0584
1888 Dicembre 4 — x Andromedae.
Verticale Est Verticale Ovest
LIERNA = p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
29h 15m 3570 |22% 25m 921898 | 0h 34m 105,49 | 0% 44m 29943 45° 4' 6".98
TOI 8550. 24 45.30 AIA 4900520. 7.02
15 58.95 24 23.89 95 8.23 43 38.52 7 .26
16 19.62 23. 55 .60 85 96.87 43 12.97 (07
16 45.10 PORN 20191 386. 4.83 42 47.46 1:29
nide7 4.81 23 6.92 86 25.79 42 28.50 1 A4
95 22 31.27 87 È 81 41 56.10 (24
SNA 229 Sl 22.43 88.10.25 40 50.78 A,
atiti—= + 85.98 Ò = 43° 43" 47" 46 ei = 0”.0670
110
F. PORRO
1888 Dicembre 5 — 1 Andromedae.
Verticale Est
Verticale Ovest
Ecate RARE EVE p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
21° 50m 55520 |21® 58m 34587 | 0° 56m 225.17 1° 40 1550 45° 4' 6!" .52
51 19.20 58 8.27 56 48.80 ZI PASSI
5IMeS4=I3 AES 57 3.76 AZZ) 6 .55
SLA DA 57. 81.07 DAT È) 2.70 7.64
Ii R95 57 10.43 cio 2 43.10 Ta9
5a 2745 56 55.90 58 0.27 2 129.58 7.00
59, 52.52 56 30.37 58 26.47 2 4.05 6.88
ez nu D675) 5139793 a 60) 1 14.63 (QUATATI
ao—-t= + 98.14 DI 1430994020026 Ei 0''.1943
1888 Dicembre 6 — 1 Andromedae.
Verticale Est Verticale Ovest
E ASINI Sr re p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
21° 51% 145.00 |21° 582 65.02 | 0° 562 445.18 | 1° 3m 35,35 45° 4' 8".50
bla s29763 57 50.70 56 59.56 SRO 8.10
5I 49.27 57 29.89 57 20.38 5) 1.49 7.64
52 8.65 57 9.20 BA 40074 De 41084 8.10
DI 2028 56 54.36 57. 55.64 di i27.65 7.10
52 47.90 56 28 .06 ZA 95 Z 2.62 7 45
59 97:60 Beto 69 59 12.41 o ek292 6 .60
a —t = + 85.98 d = 42° 39’ 20”.29 € = 0" .1885
1888 Dicembre 7 — 1 Andromedae.
Verticale Est Verticale Ovest
A p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
21% 51® 145.00 |21° 582 0570 | 0° 56m 425,84 | 1° 89m 295.46 45° 4' 6.90
51 34.26 DA I9TÀ 57 5.00 9 9.42 7.26
51 50.83 IT RROZI ri DI 22.74 diedro 7.14
a a 56 56.02 57 48.20 2 28.46 (SL
59 4.05 56 5.07 58 39.11 Met99E37 7 .81
Oni 9 di —a4200992.0""30 €= 0".0775
LATITUDINE DI TORINO Jil
1888 Dicembre 7 — v Persei.
——————————————-—— eo o— wmÉeeeo —e eee
Verticale Est Verticale Ovest
e —— _—————_—_—@—@—@—@ p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
1° 472 515.87 Jong «08798 (53. 8n-395090 5r 16m 48573 450 4° 6.39
4:80 18-35 55 37.60 9 2.65 16 26.66 6.17
48. 29.79 55.420€20 9 20.10 16 10.68 6.38
48. 47.33 55 150 9698675 5 59605 6 .43
49 ess DERRATE). 9 58.61 15Ì 84:07 6.55
49 21.39 54 25 40 10 14.75 ISS EOS 6.58
49 44.14 54 1.80 10 38.18 14. 56 .30 08324
50 29.07 DO 15:14 LR 2506 TAR 7 6 .60
att = _ 95.60 Ò — 42% 134 86198 Gue= 0”.0511
1888 Dicembre 8 — 1 Andromedae.
Verticale Est Verticale Ovest
uu __—_—r__—___ _ oc —____1£ p'
| Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
91° 50m 27569 |21} 58 435.66 | 0° 55m 53533 | 1° 4m 9595 4594 771.88
50. 52.00 58 17:08 56 19.60 3 45.68 8.02
51 6.28 58 1:92 56 35.01 ome 10841. 1-93
mi 5.60 57 40.93 BEEN. SLRAI2E08 lett
5lI 45.10 57 20.27 57 16.46 DIS PA) | 8.10
BI 59.60 57 5.18 bro 81393 2 38.09 8.14
52 24.40 56 39.05 57 37.80 2 13.56 81:99
heel 61 55 48.10 58 48.84 [Re 2 433 8.36
gl: piu 98.67 O — 429 9892-20! 98 Ei 0” .0702
1888 Dicembre 9 — 1 Andromedae.
Verticale Est Verticale Ovest
Siri lire iii iii tie e ia p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
Sl) 26192 | 23 58n 9873: | 08° 55m 52378.) 1h 40 4521 ASSI 71038
50 49.80 58. 13.40 DOLNler25 3 40 .56 7 .36
Dil: TESS DADI 56 37.38 SEI 7.60
51 26.69 57 34.14 565. 57.50 3 8.76 7.05
51 46.97 DA 12455 57 19:03 2 43.29 6.95
52 3.54 56° 54.78 57 36.50 2 26 .69 7 19
595 2843 56 28.93 58 1.95 2 2.98 7.05
53 16 .98 5) 58. 53.10 1 13.60 8.19
a —-t= + 98.72 di 429990020125 e, = 0".1423
112 F. PORRO
1888 Dicembre 10 — 1 Andromedae.
Verticale Est Verticale Ovest
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
21% 50m 245.20. (21% 58m 367,32.| 0h 55m 5041 | 13 4m 2518 45° 4" 7" .62
50 47.93 58 10.82 56 16.60 irta tetir (BASE)
DEI 57 51.97 56 34.39 320.94 6 .88
51 24.50 57 9k,49 56: 55.12 SL 7.40
51 44.67 57 10.04 57 16.50 2 41.46 (OLI
2.38 56 52:45 Dai 0498 Dai 24.69 10.86
52; 25.97 56 26.88 57 59.89 DATO TDI
53; 15..08 55 86.18 58 50.45 111,24 {AL
a —-t= + 85.79 ò =: 49% 39” 20.20 e, = 0”.1000
1888 Dicembre 10 — v. Persei,
Veltigalo Est | Veticalo (ORC)
Lio ia i ei A AE p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud. Oculare, Nord
1h 47% 56%57 | 1° 55% 38527 | 53 8Qm 45509) 5h 16m 26.90) 45° 4 6/71
48. 19.10 55. 14.08 IE 90 16 4.58 6.93
48. 32.62 54 59.97 9, 23.08 15 51.00 6.21
48. 50.77 54 41.06 9 42.52 15. 33.25 6 .50
49, 8.90 54 21.84 10; L407 15 14.98 6.05
49, 22.00 54 7.65 10. 15..59 15 1.96 6 .62
49, 44.73 d5, 44.06 10. 39.21 14 38.90 6.79
50. 30.29 59. 57.22: 11 25.70 13. 58.47 6 .40
a — t= + 85.63 dè = 420113: 96.87 € =:0%.1051
1888. Dicembre 13. — v. Persei.
p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare. Nord
I° 47m 485,66 | 1° 55m 27874) 5h gm 88820,] 5% 162 17°69| 4504 8.74
48. 10.99 vo 3.60 9 2:26 15 54.76 8.74
43. 24.70 od 49.12 9. 16.80 15 41.80 9.28
48, 42.62 54 30.25 9 35.80 15. 23.70 97.09
49 0.58 54 11.27 9 54.70 Toy oz61 9.07
49, 13.95 93. 57.18 10 8.69 14 52.40 9.23
49, 36.89 59. 89.59 10 32.49 14 29.38 8.83
50. 22.30 52: 47.08 Ti 197,20 13. 44.10 8.64
a —t= + 882 d = 420 18' 87"19 =. er = 0/.0866
LATITUDINE DI TORINO
1889 Gennaio 7 — v Persei.
113
Verticale Est
Verticale Ovest
cc (to)
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
1° 46% 135,78 | 1° 53m 56.66 | 5° 62 595.29 5h 14m 445,90 45° 4" 5" 24
46 36.50 IE Etei7} (02330 14 20.40 5 .55
46 49.59 So elz95 (ARS#30 14 6.61 4.95
47 7.61 52 58.95 50.09 13 48.90 5 .96
ACIDO: (04. FORIO 8 15.70 13 30.70 5 .96
47 38.80 YA or 81229187 TO RI750 5.98
48 2.00 52 Dal 8 53.65 12 54.58 b24
48 47 40 51 15.40 9 40.29 12 ORI Daali9
o—-t= - 63.58 è = 42% 13! 40".05 € == :04.1074
1889 Gennaio 8 — v Persei.
Verticale Est Verticale Ovest
een n p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
1° 462 385.04 | 1° 53m 235,90 | 5° 70 21530 5h 140 11°.80 45° 4’ 6".02
46 49.37 53 6.56 MECISAZO 13. 55.64 6 .19
47 7.66 52 47.92 TIRES 19 5.52
47 25.60 52, 27.90 Gti 1L6597 13 19.00 CISU
47 41.05 52 11.82 CEI 9E5S 13 3.40 6.50
48 3.78 51 48.39 856.80 12 40.85 6.17
48. 24.79 5I 26.36 9 19.00 12 19713 6.26
48 49.02 5I 1.50 9 43.00 1: 55.50 6 .12
a —t= + 65.44 dò = 42° 13' 40”.10 eli 0%21003
1889 Gennaio 8 — y° Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
barrio p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
5h 162 4541 | 5° 25m 595.66. | 7° 37m 1570) 7° 46 505.69 45° 4! 7" 43
16 26.93 25. 27.84 37 26.68 46. 28.831 7.29
16. 51.80 25 0.30 87 54.40 46 ta 6..83
ve 765 D4 91:25 OSIO 45. 9% :289 (38
17 39.90 24 7.09 ISMEA 45. 1519 6.88
18. 10.88 23. 32.60 39. 21.98 44. 43.88 7.26
18 41.91 29 0.10 40 INVE) 44 6.57 7.14
19. 15.13 22, 24.68 40. 30.27 AD DIL 7.60
ai È + 65.39 è —=r490041: 10/32 er = 0"”.0940
Serie II. Tom. XLIV.
114 F. PORRO
1889 Gennaio 17 — v Persei.
Verticale Est Verticale Ovest
si i lee I aeree SL Li ia riot p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
{è 452 408.77 | 1° 53m 175.79 5h Gm 26°.40 5h 14m 2510 450.4 BIO4
46 Do Io dd 6 49.62 13 40.28 8.96
46 19.09 5 aleielo 7 6.78 13. 24.00 SA
46. 36.99 5. 18.51 7 24.98 13 6.22 I
46. 54.92 51 58.70 db 2 12 47.61 8.74
47% (11:03 51 42.19 8 1.03 12. 32..02 Seali2
4 39.60 51 18.79 8 24.45 12 9.49 3.08
48.18.93 -50 81.90 9 11.62 LIZA I R0S
48.30.03 50 21.34 9 24.10 11 11.50 2.79
[ESA A, | 35.69 dò = 42° 13' 40”.68 € = 0”.1083
1889 Gennaio 17 — y° Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
META ME ST I p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
5. 15m 5535 | 5° 262 0550 | 7° 35m 545.17 | 7° 462 49°03 450 40/9486
15000505 25. 25.20 36 ..28047 46 18.80 3.95
15. 57.82 24 59.69 36 54.78 45. 55.91 8.97
16 22.90 24 31.79 SII AS ZII 8.69
16 48.60 24 2.68 87 50.98 45 5.20 4.10
E7 5 1077 2339 .03 9901590 44. 43.50 9IRIS
17 42.71 23 4 24 38 49.68 44 11.59 3.88
18. 46.33 2560017 39. 57.78 43 7.80 4:52.
19 4 41 21 38.00 40 15.70 42 49.99 SEMI
19 13.80 21 128.99 40 25.71 42. 40.82 DA
19 18.00 21 24.10 40 29.31 42 36.17 6)
atT-t= | 38.85 ò = 48% 41’ 11" 46 e = 0".0711
1889 Gennaio 18 — v Persei.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
1° 45m 375.96 | 1° 539 155.80 | 5° 60 23501 ig eno DE 45° 4’ 4" 40
46 0.72 SI 15) 6 47.02 1 Et ALETIIRZ
46. 14.17 52 37.39 7 1.99 LIZA 8.86
46 32.02 5a 89 e S20039 13 6.87 Do
46 50 .06 BI 59.29 (0939550) 12 49.19 4.52
47 9.67 51 45027 7 58.50 12 35.88 4.36
47 26.70 5I 21.50 LILLO 12. 12.92 Asi,
48 11.72 50 34.82 9 3.89 alza ni 4.24
,
ao —-t= ++ 8514 ò = 42° 13! 40".75 ei ==-0%.0789
LATITUDINE DI TORINO
1889 Gennaio 18 — y5 Aurigae.
115
Verticale Est Verticale Ovest
I EAAEAAAAAEeeeoecqqses0g8gso,F,|}]|)?‘|t9pmo—|otTttmOceen—__ — p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
5è 152 1540 | 53 25m 595.50 | 7° 352 505.39 | 7° 46% 485.70 | 45° 4" 5” 05
ta 32.62 25/. 22.88 96° 26138 46 16.80 4.90
15 50.99 258 4240 36 46.63 45 DIRO 4.88
6h 16.03 24 33.93 MI 15=16 ADINZIRIS 455
6 41.53 24 6.18 37 43.39 45. 8.40 4.40
ie 0.20 23: 45.80 98 4.28 44685038 pri
MONA 23. 10 .48 9 eMN99 50 44 17.69 4.79
18 36.19 29, 2618 SOR8A7050 L'RSS al
a —t= + 35.26 d —:49%41! b1".65 ca #00:0941
1889 Gennaio 19 — v Persei.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
1° 450 35588 | 1° 53m 135,30 | 5° 62 205.86 5ì 13m 58547 | 45° 4’ 4.29
405 RETTA] 52 48.80 6 44.67 ISEE S .59
46 12.01 52 34.80 6 59.04 13% 22630 SUi0o
46 29.98 52 15.81 7 18.00 TLOZ 3.78
46 47.90 51 56.90 TACITO 12 46.20 Ss .80
AAA 28 Bit 42.90 AM51R29 128298 4.112
47 24.48 51 18.99 814.60 12 10.40 3.29
4:80 9.92 0 92829 gni 1550 11 24.69 Seo
a T-t= + 85.08 di =42% 18° 40189 (EMA
1889 Gennaio 24 — e Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
RM e i e e a a p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
9. 29m 293,87 | 3° 40% 105.90 | 5° 51 365.36 | 6° 2m 28504 | 45° 4' 4”.10
290 52:68 39. 36.51 52 10.42 1 53.20 4.05
80. 15 .07 89 10.80 52 35.90 1 30.08 9.76
30. 39.77 99ì 459.28 BE 1 5.70 s .63
Seo e52 38. 14.99 58 831.60 0 40.02 3.29
ol 026..87 S7 50.70 53 55.40 0 18.40 3:95
91. 58 .48 87 16.63 54: 29.38 | 559. 47.15 3.90
sonarl92 386 9.70 55 36.40 Der d49E68 8.66
ao —-t= + 5521 dò = 43° 89’ 31”.66 ei = 0”.0940
116 F. PORRO
1889 Gennaio 25 — e Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
IR SEA ERI ESTE ON ri RA RE RIMANI p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
gh ogm 155,74 | 3% 400» 85,53 | 53 51m 295,80 | 6° 2 225,55 45° 4' 6".21
29 46.47 389 32.47 52 589 La niestà 6.26
30 5.24 89 11.75 52 26.23 TESE 6.12
30 30 .07 98. 44.09 52 54428 1 1.97 5 .81
30. 55 .18 38 16.18 59.21.62 0 43.01 5.60
S1 13.55 s7. 55.27 53 42.08 0 24.83 6.24
S1 45.66 37 20.50 54° 17,28 (5 985991 59530 6 .69
32 49.23 36 13.33 55 25.19 98 49.43 6.45
aT-t= + 58.27 Ò =—=4990994 3189 E = 0”.1250
1889 Gennaio 27 — € Awurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
Oculare Sud Oculare Nord Oculare: Nord Oculare Sud
23 gg 8503: | 94 40m (0529) 5° 51m 223.15] 6° 20 14600] 45° 4" 67.43
29 37.62 39 24.97 51 56.98 1 44.60 6.95
30 0.29 388 59.84 92 21.98 1 21.83 6.43
30. 24.62 38 31.89 92 49.32 0 57.27 6.62
30. 50.39 38. 4.13 53 18.16 0 31.94 6.57
Sl 12.12 37 40.54 53 41.83 0 10.10 6.24
31 43.81 37 6.10 54 15.70| 5 59 38.57 6.12
32 46.57 35. 58.50 55 23.00 98. 35.67 7.40
o —-t= + 65.10 dò = 43° 39' 31.86 e; == 0".1178
1889 Gennaio 31 — e Aurigae.
Werlicalo Est Verticale Ovest
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
3 28m 54587 | 8h 9gm 45510) 5° 51m 5560 | 6% 1m 56%50| 450 4° 27.93
29: 25 .08 39 8.73 ol 41.80 1 24.82 3.69
29: 42.70 38. 47 .68 92 2.00 1 7.20 4.12
30: 7.87 38 20 .13 52 30.09 O 41.99 3.79
30. 32.96 37 52.16 92 57.64 0; 1718 3 .81
30. 51.49 37 31.60 59 18.94 | 5 59. 58.77 4.50
31 23.14 36. 56.57 99. 99.29 59. 26.53 4 .52
32' 27.47 35° 49.40 dd 0.30 98 23.61 3.90
a — t' = + 95.25 dè =<49° 39* 32".31 ej = 0".1734
LATITUDINE DI TORINO 117
1889 Febbraio 1 — € Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
= _r—@ ume p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
gl ogm 48570 | 3° 39m 37596 | 53 5Im 3535 | 6 ia VIL0S 45° 4' 7.50
29 18.99 39 3.30 BI 38.38 ho 2eialy 7 76
29. 40.90 38 37 .96 52 SE0O 1 DIRO 7 48
30 5.93 38 10.68 BETA Sist 063.052 RESTA.
9 031.63 37 42.39 52 59.68 0 10.90 (DD
90005395 37 18.49 DI2IE45 DISSOREIGRO? 7.24
ZUM 71 36 44.40 53 56.90 59 17.49 12
92 28 .18 85 8693 55 4.90 58.13.95 7 .69
casi II cin nn nni
aoa—t= - 95.13 0° =r490E 99 2A € = 0'.0804
1889 Febbraio 5 — e Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
| LZ IE ——— ve q'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
9R 98m 28555 | 3° 39m 205.49 | 5% 502 425.80 | 6% im 35°.45 45° 4” 77.69
28 59 .63 38. 45 .07 DESETA 1 4 45 7.64
297883 38 23.72 51 38.83 0 46.10 7.60
DON A9 72 37 56.00 52 6.63 02017 6.62
30 Test S7 28.08 52 35.30 5 59 56.18 7.83
30° 26.47 37 7.60 52: 56.00 59 37.39 (0519
30° 58.57 36. 33.50 53. 3011 59 5.87 24
32 1.95 985 26.01 54 37.71 58 2.90 ressal
ò = 43° 39’ 32" .66 ej = 0".1419
1889 Febbraio 6 — e Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest l
SE LAI i ela n ——--_— P
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord' Oculare Sud
gh agm 25°13 | 3° 39% 13519/| 5* 50m 41530/| 6h 1m 28505°| 45° 4° 8".52
28. 55.19 38 38 .49 51 14.95 0 57.99 8.05
290 140.70 88° 12.90 51 40.67 0 35.71 8.19
29 41.89 870 44.67 52° 770 0 10.91 8.48
380 7.95 37 16.70 52- 37.07 | 5 59 44.92 8.26
30° 29 .03 36. 52.99 59 0.48 59° 23 45 8.52
SIL 0.48 36° 19.09 . 58. 34.55 58° 52-27 8 .60
od 14039 | 95 141821 54 41.08 57 48.78 8.38
Aci cei i Li
a — = + 85,00 DAI SISI ii 10.067
118 F. PORRO
1889 Febbraio 11 — e Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
SE RAI O VOS OST AA p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
È
gh 28m 25.02 | 3° 38m 545,33 | 5a 502 16527 | 6° Im 9518 45° 4’ 7"".90
28. 33.80 38. 18 .40 50 583 .09 0 38.66 8.52
28. 51.93 97 =D 49 51 12.89 0 20.09 7.98
29 16.48 37 29.30 Da 41/2 5 59 54.89 8655
29 41.52 DI 1.68 52 8.83 59 30.25 8.26
29 59.67 86 41.87 52 29.08 59. 1122 7.76
380. 31.87 36 6.98 53 do 58 39.52 7 .69
Sl 195.98 84 59.80 54 11.30 57 36.18 7.76
a —-t= + 58.70 d — 483° 39' 32" 93 ei == 01225
1889 Febbraio 13 — e Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
RAT NR INR He p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
gr 27m 55541 | 3° 38m 48519 | 53 50m 9580 | 6° 02 565.98 45° 4” 71.07
28. 25 44 38 8.69 50 43.90 0 27.09 6.90
28. 48.20 S7 43.50 51 9.58 0 4.90 6.40
29 12.69 37. 15.20 51 36.90 5 59 40.15 10:02
29 38.20 36 46.92 52 5.60 59 13.79 6 .69
30 0.17 36. 23.81 59 29.10 58. 52.09 6.26
30. 31.58 35 49.20 53 2.85 58 21.16 6.48
ol (94.78 54 41.39 54 10.81 Sa d/40D 7 .43
at-it= + 55.99 d —43%39/ 33/07 € = 0!.1530
1889 Febbraio 16 — e Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
AURORA LORIA p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
3° 270 48505 | 3° 88m 345,27 | 5° 490 555.30 | 6° 02 475.00 45° 4! 5".55
28. 14.08 87 58.09 50 31.20 0. 15.73 5.76
28 32.68 S7 37.70 50 51.80 5 59 57.89 5a50
28. 57.99 37 9.98 51 20.20 989,24 5.86
29.22.98 386 41.62 ere 59 17378 5: 579
29 40.76 36 21.43 52 8.13 585 4978 6 .05
30 12.66 85 46 .56 52. 43.00 58 17.58 6.10
Ole il6.79 34' 39.46 53 50.11 57 14.07 har99
a —t = + 55,29 dD 0499099) COS €i.= 0!” .0949
e rr ot
LATITUDINE DI TORINO 119
1889 Febbraio 19 — w? Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
5h 09m 53592-| 5. 33m 52.97 | 7° 43m 405.58 | 7° 54m 39584 45° 4°-6!31
2:9301251.25 SIA on4:0 LATTORI 54 8.09 6 .38
23004407 9208 559 Ad 37 43 53 49.39 5.74
24 OS SLA) 2 45 6.02 539 24.08 6 .05
24 34.06 SR 925 AS LS 52: 58055 5 .88
DAN 59.18 Sl 39.59 45. 54.63 52 40.51 6219
PA SZZASIATAO) 31 3.40 46 29 41 52 8.60 5 .88
260: 29.67 PASSA 47 38.19 591 4.29 5.90 |
ot = - 55,57 ò —*43°41" 15.89 E = 0”.0815
1889 Febbraio 23 — y° Aurigae.
| Verticale Est Verticale Ovest |
Mg — _ _ ee OA 9
| Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
DENSO 573.73 | 5° 29m 50.,910| 7° 490 45555-| 7° 54m 985.89) 450 4' 7" 64
23 27.74 33 16.05 44 20.68 54 8.47 10290
23 50.18 32 50.11 44 46.51 68 45.93 8.21
24 15.07 32 22.35 45 14.16 58 20.93 7.88
24 40.23 31 53.40 45 43.11 52 54.86 8.38
29 2.67 81 29.95 467.04 92 33.81 SALI
25 34.73 30 54.99 46 41.27 902 1.20 7.62
26 38 .96 29 47.06 47 49.52 50 57.87 7.69 I
ao —t= + 55.43 di = 48° 41' ‘16.19 eii="0/.1033
1889 Febbraio 24 — y> Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest !
i aa RI PIA RA p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
5h 90m 56507 | 5° 33m 53°.69 | 7° 48m 485,80 | 7° 540 428.15 45° 4’ 8".45
Dot 27:82 99RRE(9D 44 18.78 54 10.88 7.67
23. 46.20 SI DILDIA 44 41.31 59 52.40 8.95
ZA IST 32. 27.89 45 9.20 59 27 14 8.38
24 36 .39 81 59.10 5 SUIS 53 2.21 8.98
24 55 40 Ser 9r88 45. 58.15 52 43.19 8.45
ZI ZAN IE Sgirali 46 33 .35 52 11.40 8.93
26 831.62 29. 56.15 AT 41:37 51 7.46 8.52
a —-t= + 58.53 è —> 490° 41% 16/26 iO 510
120
Oculare Sud
F. PORRO
1889 Marzo 6 — y? Aurigae.
Verticale Est |
Oculare Nord
Ocnlare Nord
52.299. 115.69
23 42.01
24 4.38
24 29.21
24 55.17
25 17.39
25. 49 13
26 52.77
5h 34m 105,30
33 34.28
33 9.21
392 41.24
39 12.46
31 48.56
31 13.69
30 5.87
at=+ 717
Oculare Sud
gh. 29m. :45,91
29 25.60
29 41.45
29 58.38
| 30 16.60
30. 31.80
30 58.96
81 37.94
72 482 56°.59
44 31.57
44 57.08
45 25.50
45. 54.40
46 18.20
46 53.20
48. 1.03
è = 480 41° 177428
| Verticale Ovest
Oculare Sud
’
pP
7° 54m 545,28
o4 24.20
54 1.59
53 36.63
53 10.47
52 48.62
52 17.02
dk 1910
1889 Marzo 6 — u Ursae Majoris.
© Verticale Est 0 |
Oculate Nord
8h 36m 28°.63
36 6.02
35 48.79
35 30.68
85 11.59
d4 55.95
34 33.14
33 48.00
ce Verticale Ovest
; Ocalare Nord
11% 56m 37192
56 0.39
56 17.02
96 35.39
96 54.49
o7 10.02
o7 32.92
58 17.70
Oculare Sud
1°.47
40.10
24 44
6.54
49 .01
125 9n
11.63
27.56
O 4 NN
cd AR 8 ZANTT
1889 Marzo 12 — 31 Lyncis.
“Verticale Est 00
Oculare Nord
6. 56m 325.68
97 2.90
97 20.22
97 44.20
08a 897
58. 26.20
98. 56.85
59, 58.18
a t= + 8827
‘Oculare Sud
7° 6m 58°.64
24 .47
4.17
38 .18
11.94
51.90
18.98
14.07
(SVAGO derier)
i Oeulare Sud | i Oculare Nord
33 41 |
45° 4' 5.14
Ut ur ot ur ot Ut
NORD
0
ca = 071091
45° 4' 5" .81
| Verticale Ovest |
’
®
gh 24m 25500.| 9h 84m 515.85.| 45° 4! 6.90
24 59.01
25. 19.22
25 45.77
26. 12.37
26. 32.10
27. 4,99
281 19.90
Cd = 490 321 S9M870
34 21.58
94. 4.29
38 39.98
33. 16.01
32 58.60
32 27.28
31 26.17
DGOILJIJDOALA
ui
rs
r_—__—_Ékkz___
‘&,= 0".1303
Bal ;
A i e A
LATITUDINE DI TORINO 121
1889 Marzo 12 — 58 Ursae Majoris.
Verticale Est Verticale Ovest
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
10° 112 20504 |10% 222 485,08 |12° 272 15594 {12% 38» 395.30 45° d' 1" 12
11. 52.89 22 DELIA DIM IRSS 38 6.93 Tel
2 1149 21 42,88 28. 15,80 Sym 470,91 7 40
N28 37.29 Ze 19:57 28. 45.20 97 22.01 TSE)
13 Dl 20 44,20 29 1467 | 1,96 56,06 ASHd
doo 22.67 20 22.90 29 36221 36 36.97 7 .69
On 55/0 19. 46 49 30. 12.37 36 3670 7.60
15 2.20 18 36.08 81 22.88 3 57 .60 (sile
a —-—t= + 8507 dD == (49% 464 33129 er = -0”.0794
1889 Marzo 13 — 31 Lyncis.
| Verticale Est Verticale Ovest
TT. —1_r—r——_r_rro’‘’‘ò’ p'
| Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
| 6° 56m 94568 | 7° 6m 59°.58 gU 24m 28579 | 9° 34m 52549 | 45° 4’ 8.17
Sia 3.65 6 26.52 25 1.68 84 23 .38 8.07
bia 25.28 62.60 bi 251,98 84 1.89 (299
57 48.86 PessDiz2 5, 52028 33 38.29 8.29
58 13.70 Deco eLvo 26 19.76 88 18.44 8.17
58 84.69 4 045.79 260 42533 52.52.54 8.12
TR c4.70 413.20 27 15.06 9g 22010 8.26
AURORA 217 SH 8182 282 19351 Si 21.22 BU07
a —-t= + 89.16 de IZ] e, = 0”.0416
1889 Marzo 14 — 10 Ursae Majoris.
Verticale Est Verticale Ovest
nenti p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sad Oculare Nord
Ta Qu 89°.31 | 7° 172 165.394 [10° 30» 875.80 [10° 382 16509 | 45° 4’ 7”.93
TON 2.19 16 52.08 St 2505 37 54.02 8:81
10 15.07 16. 38.12 si 16261 97 39.78 8.00
10 33.19 16 19.17 ot 36817 9%: 21.79 7 43
10 51.66 16 0.30 Sl 53.99 987 4.00 7 :02
lb 5.09 15 46.50 92° 8228 36 50.70 (RL12
ld: 27.70 15 22.49 32. 31.62 36 27.81 7.10
ISF 20 Ti 95845 ost 184783 35. 42.20 (58
a —-—t= + 75.96 dre 49% 13) (19/88 €j.=-0!.1709
Serie II. Tom. XLIV. i P
122 F. PORRO
1889 Marzo 16 — 10 Ursae Majoris.
Verticale Est Verticale Ovest
ae i lei Sn iii rilievo p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
73 Qu 445,87 | 7° 17m 208.27 [10° 302 45520 |10° 38% 199.48 45° 4' 9".26
10 6.67 16 56.67 S1 8.99 S7 57.67 9.40
10 22.71 16 39.68 dl 025479 37 41.80 9.79
10 40.45 16 20.87 SUe44Z57 SA 24508 9.88
10 58.90 16 1.30 32 3.89 37 5.92 9.70
11 14.94 15 45.04 32 20 .29 36. 49.77 9.40
dl 5737 15. 2132 925 49070 06° 20:32 9.81
12. 22.17 14 34.95 88. 30 .20 35. 41.20 9.30
ao —-t= + 98.01 d 49032026 e, = 0"”.0886
1889 Marzo 17 — 31 Lyncis.
Verticale Est ‘Verticale Ovest
i inci li li di alli ele lei p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
6. 56m 43512 | 75 7mn 8589 | 9 24m 37520 | 9® 35m 835.87 45° 4' 10".14
57 12.84 6 34.92 2590 1128 94 33.93 10 .55
57 30.86 6 14.32 25. 81.29 84. 16.22 10 .43
57 54.56 5 47.67 25. 57.65 33. 52 .36 10 .45
58. 18.80 5 21.08 26: 24.15 33 28 .08 10 .19
58 36.69 5 1.50 26. 43.60 39010634 10 .29
59 7.29 4 28.43 27 17.10 92 39.63 10 .50
7. 0 8.53 di 29681 28 22.10 81 38.30 10 .50
a —.i= + 85.93 ò = «43% 32° 40!35 e, = 0".0546
1889 Marzo 17 — 58 Ursae Majoris.
Verticale Est Verticale Ovest
e en ARIA | ME MRI El REI MILZA p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud.
10° 11° 32531 |10* 22" 505,54 |12% 27® 815.08 |12% 38" 48°%44 | 45° 4' 10",29
12 3.50 22 14.33 28 7.45 38 17.97 10 .34
12 26.47 21 47.30 28. 33.95 37 54.19 10 .59
12 52.30 21 18.43 29 2.80 37 28.39 10 .07
13 19.22 20 48.65 29 33 .00 37 1.51 9.91
13 41.82 20. 23.20 29 57.83 36 39 .38 10 .36
14 14.29 19 47.52 30 33 .86 36 6.49 10 .55
15 20.68 18° 874012 51 44.32 35. 0.29 10 .36
aT-t= + 9534 dò = 48° 46' 57".42 e, = 0".0776
LATITUDINE DI TORINO 193
1889 Marzo 25 — 31 Lyncis.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
GRES igsio() |1720 7° 35,005] 9rio5r ‘1546)|9® 85° 2621 45° 4! 7!" 29
5 88.95 7 2.10 25. 34.396 34 56.79 6.83
58 0.29 6 37.90 20 5889 d4139.Dò 6 .98
58. 48 44 6 43.55 26 52.70 SORA 019) 7 48
59 9.49 Bar. 210.05 Digi T5ROL 32:92 7 .96
59 39.87 ARASC50 27 47.80 32° 55 49 6.90
(RO RIA10:23 38 43.90 28. 52 .46 oli 54750 7.05
nm 78.71 die 4909241106 e = 0”.0942
1889 Marzo 25 — 58 Ursae Majoris.
Verticale Est Verticale Ovest
WEBER inline p'
| Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
102 58:66 |103.29® 1853-1227 52°76 |122 39% 125,52 4504: 712
12 30.06 29- 4211 28 29.20 osgnzilelo 6.90
12 53.39 22 15.20 28 55.95 98 1/97 7.05
13 18.61 21 46.26 29 24.90 7 52.47 TOSO TI
13 45.97 21 16.01 29 55.56 97 25.14 6.98
14 8.20 20 50.99 30 19.83 37 PAESI AI 6 .93
14 40.80 201528 30.56.29 36 30.13 7 .48
15 47.70 19 4.98 32 5.90 92885 6.38
ao-t= + 73.89 d = 48° 46° 58”.95 e, = 0/”.1099
1889 Marzo 27 — u Ursae Majoris.
Verticale Est Verticale Ovest
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
8229 545.20] 88872 198.29 |113-56® 259.21 | 12° 8" 505.50 | 45° 4' 5”.64
380 15.91 386 55.39 06 48.70 3° 28.48 6 .31
30. 28.98 36 42.04 7 2.49 Ss 15.81 6519
30 46.54 ; 36 23.05 07 21.03 2 58.16 6 .48
31. 4.05 86 5.19 57 39.50 2 40.50 6 .07
sli 17.32 85 51.89 5. 52.98 Dis O 6 .17
81 39.18 35 28.04 58 16.08 2° 5.90 6 .52
ao —-t= + 98.50 d = 42° 3’ 28”.33 = 001117
- 124 F. PORRO
1889 Marzo 28 — u Ursae Majoris.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
gh ggm 55540 | 8° 372 20506 |11° 56% 28°14 | 12% 3° 51.30 AD94! ARA
30. 16.95 86 57.30 56 50.20 8 30.49 ANT4
30. 32.33 36 40.17 57 (13 a LE480 7.69
30. 49 .90 36. 22:43 57. 25 46 2.57.13 1 €39
31 8.07 36 240 57 44.18 ZITO 7.62
al. 23.18 35. 47.96 58. 0.27 3: 23.74 7 .36
81 44.90 35 24.23 58. 23.20 2 55 od
32 29.10 34 38 .90 59 8.01 1 17.60 7.48
a —-t= + 98,68 dò = 42° 3' 28".61 e, = 0".0831
1889 Maggio 31 — 33 Bootis.
Verticale Est Verticale Ovest
IA EIA n MII A A O I EA I Rate SI p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
14° 22 19940 |14% 94% 18897 [14 49% 39.74 [15° 142 b9049| 40 4° 5" 96
3 4.20 DOSI 47 30.79 13 59.58 beso
3 58.26 26.34.20 50 29.70 13 7.16 5 .62
4 39.29 24 45.02 DO IIER25R40 BISI
5 50.10 293 8.20 54 9200 11 14.42 5.71
8 19.80 7 IO 59 9.93 8° 45.70 5 .90
adi, 4825 d = 44% 580 768 € = 0!".1074
1889 Giugno 1 — 33 Bootis.
Verticale Est Verticale Ovest
PRA e ei SAN a q'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
14 92 91520. | 14589% 109490 14° 49m 56.630 15° 14° 485.05 45° 4’ 6".95
5. 19.510 29 5.08 48 4.90 13. 56.12 6.67
4 8.58 26 6.19 51 1.80 12 59.62 6.83
457.05 24 7.07 59 2.66 12 12.38 6.93
6 8.583 2 13:46 55 31.66 11 0.33 6.45
838.01 I 9204 59 38.59 8 30.70 61
9.27.81 16 25.38 [15 0. 45.07 7 41.04 6 .81
9 50 44 15 54.76 E 1518 05 17:29 6.45
10 0.20 15 42.06 fi 28425 7 7.70 6.76
a — è = — 835.80 di 445907183 egne==00/752
siii) i E
LATITUDINE DI TORINO 125
1889 Giugno 4 — @ Herculis.
Verticale Est Verticale Ovest
IA O ni lare Idi ICI AR RI A p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
14% 579 54518 | 15° 6° I12°.04 } 18* 2® 55559 F18% 11° 13378 | 450 4' 8".95
59 18.59 Si 4510 S* 24595 10 49.39 9 .60
58 33.07 Bo 29:79 S 87.87 10 35.10 9947
58° 52.50 5 8.82 S 58.20 49 15:50 9 .16
59 12.01 4° 47.62 4 19.00 > 55.03 9.30
59 26 .46 4 32.37 4 33.92 9 41.14 8.76
59 50.68 4° #20 5= 041 9 16.47 9 .16
190% 40.30 8° 15.89 be 5.P79 go 27:28 9.40
I at—f= — 4.44 d = 42° 40’ 0”.23 e, = 0".0977
1889 Giugno 6 — 33 Bootis.
| Verticale Est Verticale Ovest
e eg ——— mm 9'
i Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
Mon 8520. | 14° 342 20°.91 (14° ASCII] DR 15 ©9840 || 450 4° 7762
3 20.81 29 43.98 47 52220 T4& 15,87 (EO9
Md 5.20 26 46.20 50 51.00 139. 21.68 (° 12
456 .50 24 58.87 52. 39.50 12 41.39 21
67.30 29 21.39 55 14:73 11 30.95 1.62
8 36.29 18 ‘2.70 59 29.43 9 0.93 8.05
9 16.83 17% 12.01 |15 0 24.78 8 20.90 7.60
9 26.30 16 59.50 0 37.19 811.50 145
9 49.06 16 28.72 po: Se17 ° 4748 7 45
et = — 4903 è = 44° 59'8” 91 e, = 0".0916
1889 Giugno 6 — Gr. 2533.
Verticale Est Verticale Ovest
OS RI O STE nine fre ict orali cirie dpi lei p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
16% 30 19°.87 | 16% 37% 49°.70 [19% 54% 475.05 [20° 2" 165.57 | 45° 4* 10".98
380 42.01 37 25.90 55 10.48 1 54.78 11 .24
30. 55 .40 s7 12.20 05 24.49 1 41.33 10:67
s1 12.83 36 53.28 05° 43.98 1 23.66 1È:.29
31 30.87 36 34.63 96 1.60 1 5.80 10 .55
31 49.68 36 21.24 06 15.94 0 52.67 10 .55
32 6.40 35 57.80 96 38.78 0 30.40 L029
32 50.90 35 11.97 57 24.33 [19 59 45.95 10 .55
o — t =— 85.99 è => 43° 7516”.05 e=*0.1270
126 F. PORRO
1889 Giugno 6 — a Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
20. 59 709 [20° 35" 34,60 [20% 47" 49°.44 (21% 18° 229.88 | 45° 4" 10”.48
o 59.26 31 44.70 51 46.60 17 30.90 10 .57
6 51.92 28 56.70 54 33.51 16 37.80 11 .88
7 32.88 27 15.00 56 15 .07 15 57.02 LIE07
8 42.37 24 43.87 58 45.18 14 46.25 11 .45
11 10.60 2520 99-27. (212: 5200 12 18.65 11 .81
11 52.10 19 44.47 3 24.60 11 55.60 10 .62
12 1.20 19 31.58 3 96.47 11 46.01 10 .48
12 24.21 LO AR070 4 8.00 11 23.28 10 .79
a —-t= — 3.06 d = 44° 52’ 52.55 e, = 0”.1309
1889 Giugno 8 — Gr. 2533.
Verticale Est Verticale Ovest
it RACER RAEE AIR p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
162 30% 25532 [16° 372 53560 |19° 54% 52520 |20°. 2% 20519 45° 4’ 11".02
80. 46.77 37 30.38 olo 07 1 58.48 11 .02
1 2.79 VINILI 55 31.99 1 42.80 11 .24
S1 19.88 36 55.26 55 50 41 l:25235 11 .88
S1 38.58 86 36.10 56 9.85 1 6.78 11 .00
81. 54.07 36 20 .00 56. 25.72 0 51.50 10 .81
32 16.05 85 56.39 56 49.12 0 29.39 11 .95
BAI 0.40 894 11.25 57 34.30 [19 59 44.80 11 .02
ai ir= = 38898 di 4007 160.67 € = 0".1253
1889 Giugno 15 — 0 Herculis.
Verticale Est Verticale Ovest
Lr STO E E LN SA Ra NAS ELE o'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
14° 582 375.70 | 15° 62 54543.| 18 8% 3760. |18*% 11 53590.) 45° 4' 8/95
99 1.79 6 29.02 43.99 J1 29.81 8 .12
59 19.07 6 10.24 422.10 11 12.48 8 .40
59 38.05 o 49.14 4 42.50 10 53.33 8.98
09 58.17 o 28.20 o 4.09 10 32.68 8.40
15 0 14.99 o 10.18 o 21.76 10 16.20 8 .86
0 39.66 4 44.77 o 47.96 9 51.48 8.29
1° 28.80 3 93.70 6 38.46 gr 2:36 8.76
ao —t= — 25.66 dò = 42° 40’ 3".38 €, = 041170,
LATITUDINE DI TORINO 127
1889 Giugno 15 — dò Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
19%, 72 585,32 |19°:372 38°69 |19% 54° 45*76. (20° 24" 32.51 45° 4' 8".96
8 43 45 94. 50.50 57 39.62 23 46 .64 8.17
9 32.80 921221901205 0 TESI 223 50 81 9.05
LOS 27 44 30. 13 .99 2 16.48 22 9.92 o) deal
eo3R60 28003825 92052691 21 18.08 8.26
12 21.40 26 32.98 5 58.08 20 9.40 8.24
14 44.88 221 55,01 9 34.69 17 46 .48 8.24
15 30.98 PA SY E, 10 36.42 16 59.18 8INSS
15 53.60 21 26.60 Tel: 3.59 SITA) 76 8.26
16 2.50 21 15:02 est =90 L62830 8.31
a — t = — 23.57 dor 78 e, = 0".0842
1889 Giugno 17 — 0 Herculis.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
143 58® 51576 | 15° 7° 105.60 | 18° 3% 515.44 |18° 12% 105.48 45° 4’ 9".72
59 16.55 6 43.89 4 17.65 IRA 58 9.23
59 30.80 60 26.37 4 33.20 11 31.46 9.42
59. 50 .82 6 7.49 4 59.97 11 11.96 9.93
l'o 210 9.96 5 46.50 5 14.84 10 52.40 9.49
0 24.17 i 81-51 5 30.00 10 37.88 9-199
0 48.93 Ba (5.38 5 55.893 10 13.37 9.58
1 38.30 4432 6 47.13 9 24.30 9.84
at ——-18.79 = 4200401984 e, = 0”.0824
1889 Giugno 17 — a Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
o'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
9050 615847 (20% 935 45.98 |20° 49% 265.33 |21% 19% 25.84 45° 4' 9".91
7 6.51 92. 14.28 59 0.75 18. 11.14 9.84
8 3.40 29 27.78 55 47.17 17 15.65 9.77
850.48 27 35.39 57 42.02 16 28.46 9.67
10 2.18 255.1055912 0 (10 15 18.06 9.72
12 29.65 2ilo "14:05 4 5.99 12 47.98 9.539
13. 18.18 20 6.10 5 di 55 12 0.33 9.74
13 42.97 19 35.32 5 41.47 11 37.50 9.72
19052758 19. 23.60 5 54.26 11 27.66 9.77
aT-t= — 1881 ò — 44° 52! ‘55/94 e, = 0".0354
128 F. PORRO
1889 Giugno 19 — 0 Herculis.
Verticale Est | Verticale Ovest
PESI E DIA) VO A II VR IE | siliconi i ir o'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
14° 59% 6506 | 15% 70 29895 | 18% 49 5549 |18 422 215,99 45° 4° 9".09
59 29.93 6 56.70 DONANO CR LcÌ 9.983
59 47.51 6 38.18 4 49.69 11 40.45 8.64
15 0 6.59 6 17.42 5 10.10 11 21.34 8.93
0 26.78 5 56.12 5 91.84 11 0.49 8.45
0 43.74 5 38.02 5 49.68 10 48.72 8.81
1 8.07 Si 1215 6 15.70 10 19.55 9.70
1 BRRISy7A0 15$ 4. 21.72 7 6.06 9 30.50 9.19 |
a — st — 15,30 dii i E = 0".1410
1889 Giugno 19 — dò Cygni.
Verticale Est i Verticale Ovest
PR I E sima E n na p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
19° 9” 0*49 (19° 35° 545,78 |19° Ba ORTO] 20004 265.40 45° 4° 9".42
9578 SII 20000 4.78 29 99.08 8.83
10 43.64 31 10.70 245 ARI ZA 8.88
10 N27 29 45.99 SALADTAS 29 4.99 8.79
12 31.68 DI 9458 DURE 20 56.60 8.93
Ivi dra 25. 51:26 So RIT.32 18 33.89 8.95
15 831.98 29 1.43 10” 27.77 17° 56.18 8.74
15 41.05 229 48.90 10 40.29 17 46.97 8.95
16 3 41 22 20.58 11 6.67 17- 25.90 8.67
a-t= — 2523 d = 440 51’ 32”.88 € = 0” .0623
1889 Luglio 28 — d Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
LI O VI O q'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
st
19% 11° 33°69 [19% 41% 36.47 |19% 57" 42°.19 [20% 27% 46°.01 | 45° 4' 10'.90
12 20.33 38 39.14 [20 0 41.20 201.96 10 .86
13 10.67 96° y.\61 SHAVAsi 26 10.89 10 .21
14 4.20 39 54.83 5 25.04 | 25 18.01 11 .31
14 50.56 32 18.17 6 59.64 24: 29.79 9.99
15 59.88 380 10.67 D9o 28.21.79 10 .17
18 22.28 26 32.86 12 51.04 20 56.39 11.74
LATITUDINE DI TORINO
1889 Luglio 29 — Gr. 25383.
Verticale Est Verticale Ovest
e 13 p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare: Nord
162 94% 275.89) 16h 41° 583,36 |19% 58% 445.71 200/62: 105.81 450 4° 9" 49
S4 50.94 Abr 34.39 59 [e114333) 5' 54.49 9.51
O MOIS 4F_ 20°.83 5BP 22:51 5: 4K.45 9.95
85°. 20.92 4 2.04 59° 41.08 5' 28..99 9.67
SOMMO SS AGAIN 59 59.72 5 (DIL 9.49
CLARA 400 199.99 20 <0- 1399: 4 52.96 9.00
308.145,52: 40 6.47 0 36.86 4. 30154 9.28
90759707 39 20.28 I 220.76 3 45.79 9 44
ai— = —. 15.51 Se ni IE) age 0”'.0707
1889 Luglio SS 3) Lyrae.
Verticale Est; Verticale Ovest;
ESSA p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
ASA TRO 95.45 117% Bau 2gr:08.| 200 E 48583 (207/19 13.31 45° 4" 4.95
44 35 10 Die 5:20 di 26:07 12° 41',48 4.98
4% 58.47 57 24.67 Dia DIO 28 118339 5 .48
48° 24.18 56. 55.26 3. 22.20 IURT 52K86 DIE02
48° 51.06 Bol 2522 9° 52.40 1995 25.86 5.48
49° 13.60 55: 59.58 17,99 11 2.69 Baiz9
49 47.20 St) IS 454.10 10 29.80 5.50
50° 53.40 54 12.90 6 5.94 GRTZIEZOÌ 5.67
1 AZIO DI SAZIATMZICOT cn 01091
1889' Settembre 14 — è Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
Neon ; Li p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
J9R 5) 235 50) | 190 4g 1975172% [20 9 21.69 /00" 30° 12.97 450 4° 8".74
16 16.24 40 24.52 Rie 1180 29 20.88 SED
17 8.97 98. 5.49 i 11 28° 28.98 8...67
17 48.19 36 36.37 9 1.78 Dif 4953 8.71
18.57.19 SÉ 19.95 1°. 17.52 26 400.40 8.60
20 9.90 32° 16.48 15 20.80 25° 28.80 8.71
20 17.60 9% 23:59 13°. 83°:89 25) 19.82 9.09
20 39.35 SI 30.74 14 7.29 24 58.70 8.76
21 22.22 50 29 48 15 7.90 24 16 .04 8.26
quilt + '98,66 d = 440 51 56.60 eg = 0”.0726
Serie II. Tom. XLIV.
Q
130 F. PORRO
1889 Settembre 17 — € Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
E I e IE RR ANI |ITALIA IO p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
19% 592 37511:|20%: 0% 35598 |222 242 175.88 |22% 81% 1753047 450 4012""10
53 54.44 0 17.49 24 36 .30 3059 .40 10 .76
54 24.83 |19 59 44.82 25 9.22 30 29.19 11 .98
55 24.87 58 40.85 26 12.48 29 29.38 11 .76
a—-t=— 4.11 d = 43° 29' 26” 48 €, =10!2473
1889 Settembre 18 — £ Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
19° 52% 135.08 [20% 2% 22.50 [22% 22" 485.36 |22% 32% 53516 | 45° 4’ 12”.17
52 41.46 1 50.30 23 16.22 32 24.62 12 .55
99 3.01 1 26.27 23. 40.20 32. 3.02 12 .36
99 25.76 Hi 7050 24. 5.90 31 39.73 12 .43
93 50 .46 0 33.48 24 32.67 31 15.30 12 .69
54 10.90 0 11.38 24 54.70 30. 54.10 12 .02
54 41.00 119 59 39.28 25 26.99 30 24.66 12 .98
55 41.18 58 36.32 26 29.87 29 24.80 12 .07
ao —-t= — 88.51 ò = 49° 29' 26.69 er = 0".0822
1889 Settembre 22 — &£ Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
dI A MR IM EEE EE RE r a q'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
198:5953333,034|203/ e 148972232480 68854 (220148577 45° 4' 6".69
58 57.22 0 43.47 24 32.69 91 24.80 6.45
‘54 14.86 0 29.50 24 52.00 S1 027, 6 .05
54 44.84 |19 59 57.11 25 24.80 80. 37.53 6.60
55 15.62 59 23.87 251 DA 30 7.07 6.98
55 19.36 59 20.59 26 1.25 30 3.00 6 .43
55 27.99 59 11.15 26 10.05 29 54.38 6 .50
55 45 44 58. 53.12 26 28.90 29.37..20 6.95
————@@=@—=cz=_—---=<x-=-<<-5c-x:-G-5Gc << c<—ccesc- 5c7G<05)Scecc soc SSD SISTINA CISI IE E SISI DELI
ao —-t= — 119.04 d'—1439291 271.37 er 10/1090
LATITUDINE DI TORINO 131
1889 Settembre 25 — E Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Nord | Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
952 r92"00. {208 Lon 4052] 993 99 56595.|22»..99° 6°.67 459 4° 79]
53 176 2 6.07 23 30 .49 92: 36.18 (E
53 19.60 1 46.66 23 50.59 32 19.42 7.98
BOR420/5 1 20.46 24 17.09 Ile 595 8.00
54 6.43 0 54.80 24 43.01 ol 132859 7.98
54 24.12 0 36.04 25 2092 o al507 7 .86
ARSA 0 8.00 25 94.85 30. 44.27 7 .69
55. 54.70 [19 58 € 59.52 26 38.22 29 44.10 TEORIA
ov. = — 159.18 dò = 49029" 27.84 eo ==2002101%
I 1889 Settembre 26 — & Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
MONROE p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
lO RN59= 30979 | 20° 2° 50.10 |222 22% 57.00 |22° 8382 145.82 45° 4’ 7".88
2a 5957 2 17.46 2:32 ORSI: 32 46..30 7.16
53 19.98 lo 59.85 253 52.09 32 24.96 8.05
boa 43.58 1 27.80 24 18.50 82 e59 7 .81
54 8.29 1 1083 24 45.66 S1 36 .80 MS
54 28.64 0. 38.22 25 8.17 81 16.62 Soa
BARCO S”58 0 5.98 25. 40.02 30 46 .37 8.00
o — t—= — 15588 di = 439 29/098!03 epi==0//10935
1889 Settembre 27 — E Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
RR RON rie ein piro micra Sei p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
ligne5om 37541 |20% 9 ‘46523208 99m 49441290 39% ‘14,38 45° 4" 10".02
59 TO 2 13.10 23 37.60 82 45.20 9.68
DSTRZ4ANZIL 1° 5861 2935790 92 2690 9.67
59 48.13 1 27.06 DA 23.41 32 IA) 9.81
54 11.95 1 1.25 24 49.70 S1 40.36 10 .00
54 29.49 0 41.86 25 8.81 S1 22.60 10 .07
b4 59.87 0 9.57 25 41.10 930152652 9 .81
56 0.05 |19 59 6.12 26 44.89 29 51.88 9.70
a —t= — 165.46 d — 43° 29’ 28.23 eg = 10/".0670
192 | F. PORRO
1889 :Ottobre 3 — E Cygni.
—_—_____ tt mt nt@_—‘@1@0@@@@@@—@@
Verticale Est Verticale Ovest
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare .Sud
19° 41° 37%78 |19° 51" 56°70 29 12° 4°.16: 22° 22 Q2°12.:| 45° 4 9.72
42 6.63 bl. 24.15 12. 36 .60 21 53.10 9. :95
427 “27 +40 50: 59:79 18: 00.18 21. 31.62 Gr 340
42. 51.00 50. 34.20 13 25.81 Q1 8.64 9.40
43 15.27 Bor 720 19. 52.67 20. 43.93 9 44
43 36.26 49 44.73 14 15.45 20 29.44 9 :59
A4 6.10 49. 12.93 lA 47.58 19 54.07 9:74
450. 5.74 48 9.57 15 50.60 18 53.70 9 #70
pievi = — 185.94 todi 490 2g 297.82 e, 0" 0549
1889 Ottobre 14 — E Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
: ————————______anen00@ng1. p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
19h 4209 68% 9h 5225097 22° Ji9m+933:.50) 192299 4969 45° 4 8.45
ADSL 51 53.06 13 (2195 22° 20.98 9219
42, 59.80 bd. «Q29%19 15. 30.60 21 59.51 8.60
RETAIL) 51 9.49 1957 21 36 .29 8.98
A0004/035 BO 36537 14 23.15 Dr:89 8.86
447.7 ..95 50 13.90 TA READ DO 42 9 :00
44 87.64 49 41.60 15 17.66 20 21 .07 9.40
45 38.00 48. 38.80 16 20.43 TON 2159 8.40
ino) | a = 43° 29' 30”.64 e = 0".1971
1889 Ottobre 15 — & .Cygni.
Verticale Est (Verticale OH
Sar
g
Oculare Sud Oculare «Nord Oculare Nord Oculare .Sud i
19% 427 125.58 | 192 521 29520 (22° 12° 385.80 22% 221 5426 | 45° 4' 10".62
42 41.12 51 56.68 13. 11.40 22 26 .81 11 .26
482.70 ol 832.77 3 90212 22 4.52 10 .67
43 25.98 51 6.70 d4 1.07 21 40.94 ld-.12
43 50.20 50 40.00 14 27.80 2l 16.80 107.90
44 10.85 590. 17.49 14 50.40 20.56.25 Lf12
44 41.01 49 45.65 15. 22.40 20 25.94 10 .43
45 40.68 48. 42.07 16 25.48 d9 26.50 Id 149
iz 3 9899 Lio dog ai RI
LATITUDINE \DI TORINO
1889 Ottobre 16 — E Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
19n409® 90:45 | 192-522 30°58 [222 122 47°.15 22° 227 585.02 45° 4" 12” .05
A2 50 .04 bl 57.14 13. 20.68 22° 28.32 11 .95
43 59 51 37.69 19139563 22. 14 .02 11 .60
494081 ‘04 5l. 11.58 14 6.09 21: 47.18 11 .69
43° 54.79 50. 45.05 JAR 32855 21 23.60 12.19
A4: 12.29 50. 26 .18 d4. 52.01 21 6.22 12.57
44 42.81 49 53.77 15.24.06 20. 35.90 ll .95
45. 42.60 48 50.03 16.27.70 19 35.50 2034
go, — d,=. — 9549 d = 48° 29’ .80"".83 cei
1889 Ottobre 23 — .d ,Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
TOR 5. F0”80 (19° 37° 38°.84 [19° 492 439,58.:|208 212 44.70 45° 4' 81.26
(6 24.88 di 2.58 53. 21.50 20. 59 .48 8.43
Mel 15-:93 Se 151.18 56 8.60 20 8.70 8.10
BET 57 28. 53.00 BEAR Z0 E 19. 13.91 7.67
8 56.08 2 8.90 |20 0 15.49 18 28.30 8.98
10 4.96 PASINI di 237.30 17. 19.16 7 .86
ll 25.47 22 45.12 4 38.98 oi 5923 7.62
ld 45.72 22. 12.38 5. 11.40 15 37.70 7.98
ll 54.99 21 19.56 5 24.63 15 29.23 7 95
12 28.96 21 9.68 6 14.00 MARANO, 8.26
a — è = — 88980 © è = 44 51° 59.08 e = 00886
1889 Ottobre 23 — 1 Andromedae.
| Verticale Est Verticale Ovest ie fino
2 ret o'
| Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
21° 8n91870 928 6° 2°.19 1 9e' 50550 Re 20877 A5OCA 78476
58 49.27 sera 49023 4 9.57 11 2.80 TRASISR
59 8.97 5 22.75 430.40 10 43.92 8:14
99 28.55 15 1 .00 451.83 10 23.69 7:95
59 45 .49 4 43 .59 5 9.20 10 6.93 304.
22 0 9.60 4 17.55 5 34:80 9 42.46 9 .16
0 58.60 ATO ATA «6 25:65 8° 54.89 9 40
OZENTI i R0869 dii = 400 39/9418 ei 042646
134 F. PORRO
1889 Novembre 7 — 1 Andromedae.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
diri ben Or OO RATE (020 SRIADAI Pr142 56271 45° 4' 8!.50
58. 51.94 6 14.70 4 eg IZ 7 .88
59 5.67 IO 4 24.48 11 17.96 8.24
59 25.20 5 38.39 4 45.19 10 58.80 8.29
59 44.69 bi 17-98 5 5.78 10 88.19 7 45
59 59.27 5 2.98 5 21.03 10 24.58 7.88
290 23,198 4 36.58 DIMZEZESTO. 10 0.05 | 8.10
1 Base 35 45.64 6 38.00 9 10.99 8.24
SA DEA de ADITO Ejii= 064
1889 Novembre 8 — a Cygni.
Verticale Est Verticale Ovest
pine AO ci en et Dane | è di eMail Pr EE Arti POETI p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud | Oculare Nord
20° 42 1°.63.|20° 86° 46°,39 [20% 43" 14.86 |21® 16° 9°47 45° 4’ 10".83
4 54.70 81 30.20 48 35.67 15 17.15 10 .93
5 49.04 28 24.91 51 41.80 14. 22.97 10 .69
6 29.83 26 33 .98 59 85 .00 IS AE27 11 .10
7 42.20 29 55.0 56 15.04 li 128874 10 .71
8 57.46 21 37.49 58 32.40 191359 10 .74
9 6.67 21 2051 58 48.71 11 4.75 11 .10
9 28.68 20 46 .58 59 24.71 10 42.82 11 .07
10 12.60 19 39.07 (21 0 31.49 9 58.19 11 .02
aT—-t= — 99.17 d = 44° 53’ 26.52 ei=="0020570
1889 Novembre 8 — x Andromedae.
Verticale Est Verticale Ovest
nei Ru MIE e p'
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
22° .29m 275.59 (22% 382 299.77 | 005 4429511 | 08 52022818) 45002 012
22 59.12 32 59.12 41 55.49 51 50.24 9.81
23 17.96 92 81.42 42 16.00 51 31.81 9 .63
23 49 40 92 2191 42 45.90 51 6.26 10 .07
24 8.87 31 34.57 43 14.41 50 40.95 10 .14
24 27.77 31 13.56 43. 39.07 502197 10 .81
bi 0.10 30 38.28 44 11.04 49 49.59 10 .45
26 5.78 29002901 45 20 .03 48. 44.19 9ed2
o -t= — 95.66 d = 43049! 134" 48 €, —+02/:1035
LATITUDINE DI TORINU
1889 Novembre 9 — a Cygni.
135
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
2A 1:02 2013820510620 41% 565360213 16% 5377 45° 4' 6".69
452.04 Sd 5881 48 6.87 OA 6.52
5 49.30 28 49.08 5215 14 17.40 6.43
6 37.09 26 29.90 593.095 13 28 44 6 .21
(04870 29660051203, 56 14.59 RANA: 6.55
9 11.69 21: 20:35 58-45.13 105418 6.79
9 33.89 20 46 .39 59 19.30 10) Sio 6 .05
a È 20. 31.90 asta 022767 6 .36
10 19.90 NOS 7228821028864 9 46.08 6.14
at. = — 9554 oli 108590201053 e, = 0".0833
1889 Novembre 9 — x Andromedae.
Verticale Est Verticale Ovest
RA e ere p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
RODI) 99939 94460) 0 41% 118/42 | 0R-59 91587 45° 4' 5" .98
DOMALSÌ 3258/45 41 46.70 51 50.60 BIST
ZO UATE 32 32.98 49° 13:92 Iee2 8829 6 .02
23 42.99 32 4-25 42 41.13 51 ol 5.55
24 8.87 Dee 45/0. 43 10.51 50 36 .50 Delo
24 30 .90 Se 1050 4909 50 14.40 5 52
25 2.89 2006943 44 10.20 49 41.84 5 .81
26 7.69 29260 .18 45 19.07 48.37.02 5 48
ogni = cel()5.95 è — 43% 43494" 65 ci= "00947:
1889 Novembre 15 — xk Andromedae.
Verticale Est Verticale Ovest
RR o'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
DODO 60) 220930 TOS 0 499 55510] 050 3524 45046507
POSSI 32 40.48 41 30.91 51. 32:93 6.45
23 StE7 82 14.58 41 56.65 51 9.49 5.76
23,26 .21 31. 45.97 49, 25.36 50. 44.58 6 .19
23 152.71 S1 16.70 49 54.60 50 18.30 6 .00
DATA 33 30. 52 .52 43 18.83 49 56.11 6.05
24 46.87 30. 17 .06 43. 54.32 49 23.77 6.24
2505120 29 8.14 45 3.00 48 18.14 5 .93
ON 9899 di 439 491135) 41 eq =-0".0741
136 F. PORRO
1889 Novembre 17 — w3 Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
TEA: DIS Lit iti eni srl Tiri iii cui riga EE p'
Oculare Nord Oculare Sud’ Oculare Sud' Oculare Nord
pivad 59:99 | (ga AG hign £84,9298 70m 465095 46044 6557
| 25 23.90 85° 13.26 46° 24.76 56° 14.72 6.64
25. 42.02 84 52.26 46 45.50 dd 56.82 6.69
267 5 S4 23.80 47 13.84 55. 30.92 6.36
261 92.51 33. 55.90 474° 4E.83 o MIS ERTAO 6.43
26 50.87 Bor 5I18 48° 3.06 54: 46.83 6.90
ZIO 330.23 48° 371 54 15.48 6.98
28521 .99 Se 52154 49 45.41 59 1:09 6.24
oe = 78119! o ER i n ei SA Gi = "07:0907
1889 Novembre 21 — y° Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
ESA RR A SNSNA q'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
53 24% 41°.68 | (5° 352 40.0} 790452 98503,| 72 bn 3616080 450 RZ)
ZO 85. 5.08 46: 15.18 56 6.56 45
ACETI) St 39.48 46: 39.13 55. 43.40 7.388
25 59.00 S4 11.36 47 6.87 so 18.92 7 40
26 25.18 33 49.50 4Î, 35.82 54 52.50 7.02
26 46.76 33 18.29 AG 590 54 30.68 OVALT
27 18.49 32 43.99 48. 34.22 59 58.64 7.02
28. 22.51 abi 35:91 49 41.59 52 55.46 1-29
on =— 7842 d == 489° 4V' 4.89 €, = 0".0672
1889 Novembre 30 — 45 Aurigae.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Nord Ocularé Sud' Oculare Sud Oculare Nord
5h gd 4854| 5 852 08550] 7° 440 59817 | 7° 555 56.01 | 450 4° 57.93
24 35.72 Sé 24.50 45° 35.27 55. 24.37 5 79
24: 53.78 94 3.69 45). bb 55° 60°.07 DESs
25 18.84 9%: 85/00 46° 24.57 54 40.70 6 .05
25 44.99 83° 6.70 46° 52:.29 54 15.86 6 .00
96 3.46] 39 46.60] 47 1940) 53 57.00 5:67 |
26 35 .46 32° 11.83 AT 48.39 68° 25.25 5 .86
A 6039012 31 3.64 48° 56.58 59 21.19 6.19
RL REI RESO o RAM ARALDICA TREO RISAIE A EN x
fili! g (TS +188.62 d = £3° 4P 5".65 e; = 0".0937
LATITUDINE DI TORINO
1889 Dicembre 1 — 31 Lyncis.
Verticale Est
Verticale Ovest
137
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord
ve | 7 70 81:28 GR 05 195.98-| 935 49.10 45° 4' 11".69
BASA 600 57.07 25990 SOIlo28 IRRSE
IS YONCI Ho) CISTI DOSE SAMO 52
58 18.97 6g 0782 26 39.80 34 31.88 [Mee55
58. 43.08 IZ SE II Ad 6.40 Id (o INPS
59 0.93 DA 2 _ 26.14 39 49.85 11 .86
es ze db i, 25 921, 33 19.18 Jelezze
00 8320:93 3. 47 :06 29 320 SIN 01 ez
api = — 88:41 dA 2200 e, = 0".0791
1889 Dicembre 3 — 31 Lyncis.
Verticale Est Verticale Ovest
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
GR (05:89 372 7° 2350? Oro 95:590 | 95 365 81550 Aso 4! 7" 12
II ZA ATA 62050007 PO AZIROI 35 2.57 TSI
Sei iz! 0RR25T:9N 26 6.48 384 41.09 Teo
beso 21 5 59.69 20. 22.62 34° 17.22 6.64
58 40.00 DIRO 2017 257. 0.28 39. 52 .48 (eee
59 0.81 5 9.45 29 22.79 99 119.1086 vol
o esa dn KO) i IL) ZITO TIO 39 113295 00295
031 ‘86 AMO 2I08 28 59.60 32 0.40 10.
OA r65198 DE= 490920 20015 € = 0'".0659
1889 Dicembre 20 — 36 Lyncis.
Verticale Est Verticale Ovest
p'
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud
MAO A78790 08h 040536 10% 11°.92530 |10% 222. 24523 45° 4’ 7" .76
DO =18-30 0 DION 12 6.94 Za 7.16
50. 40.98 TN DID BIL iS Za Dl 82200 TERETO
51 5.90 B9OR2E55 15 0.534 21 TRSSIA 091
511012 58 43.68 T97° 292728 20. 41'.24 7.88
5 52.89 58. 19.74 e A 20 19.24 7.69
20 124.50 DIO. 14 27.08 19 47.79 7.50
9a 128/10 56 38.48 15 94.54 18 44.59 NOGIÀ:
a — & = + 78,29 dA) Gar de 0'”.0393
Serie II Tom XLIV.
R
138
Verti
Oculare Nord
7° 8n 925.49
8 54.62
9 8.94
gi (26,21
9 42.18
FETO 08
0. (2067
ao—-—t=
i
F. PORRO
1889 Dicembre 21 — 10 Ursae Majoris.
cale Est
Verticale Ovest
r
Oculare Sud
poten 0513
15 45.24
15- 31.03
15 12.06
14 52.92
14 39.18
14 15.39
+ 78.11
Oculare Sud
10% 29" 43°.26
30. 7.29
30 21.62
30 40.27
30. 59 .50
31 13.76
S1 37.20
di 42012 BS
1889 Dicembre 23 — 10 Ursae Majoris.
Verticale Est
Verticale Ovest
Oculare Sud
93 201.09
8 47.81
9 3.99
9. 21.28
F0990
9 55.dI
Of-l4330
_
Oculare Nord
Oculare Nord
(> 1623590
15 40.80
15 283.88
15. 4.50
14 44.85
14 28.48
14 5.26
a = + 65,82
Verticale Est
Oculare Nord
652% 10557
92 40.73
92 58.16
053° 22.48
59 46.46
54 4.30
54 34.83
55 86.07
Oculare Sud
102929 95101
29459 29
90, L6.2
380 35.23
30. 54.88
31 10.96
31 34.67
di — 4207121058198
1890 Febbraio 9 — 31 Lyncis.
Oculare Sud
Verticale Ovest
TR 2 SARO
20.34
0 47.22
TARA I
0.59 99,19
58. 50.18
a —t= + 835.78
9 20 165.29
2050 .27
SITO 27
21 837.27
223.67
AQ 422099
22.56 .52
24 0.83
dò = 43° 32' 26".33
1890 Marzo 1 — 10 Ursae Majoris.
Verticale Est
Verticale Ovest
Oculare Sud
7 3" 349,58
5 56.47
RIP UU
N
(Sd
JI
Oculare Nord
72 11% 105,52
10 47.30
10 29.99
10; 1107
9 51.64
9 35.42
9 12.10
8 25.47
Oculare Nord
10% 240 425.19
25 5.67
25. 22.90
25 41.63
261.05
264017120
26 20.93
27 27 43
(0)
Oculare Nord
103720550 ATOI4 9
36 71.98
30449058 Tsti9
36 26 .96 7 .26
36 8.69 AD
VILLINO TROHSO)
DIS ZRD8 LODI
e = 0”.1230
p'
Oculare Sud
10397 ASI 450 461/02
86 52 .46 6 .29
d0 NOLO 6.81
86 18.38 6.10
0) 6.29
Spi 4499 6.14
nai 6521
e; = 07.0421
p'
Oculare Nord
9 30% 4033 ATA! 96
30 10.67 10 .02
909,03 10 .26
29 29.06 10 .19
29 4.75 9.42
28. 46.90 10 .00
ZI LOISSITA 9.44
27 14.88 9.84
e; = 071103
p'
Oculare Sud
LOR ROTAZA 7 45° 4' 8".62
915025 8.83
3lir39 85 8.74
oli ‘22.05 8.93
31 9r28 8.96
80. 47.80 8.96
30 25 .06 8.26
29 40.16 9.00
dò = 42° 13' 6”.13
ei = 07.1010
ee PA
1890
LATITUDINE DI TORINO
Marzo 10 — 31 Lyncis,
139
Verticale Est
Oculare Sud Oculare Nord
CREARE 700] 7 0 5870
50 6.70) 6 59 32.45
50 28.39 DOME
50 51.80 58 41.82
ipi02 56 cighais
bilen9r/:59 DOTARSI
52 8.04 bid | 18.79
bs 19.20 56 14.89
ao —t= + 4551
1890
Verticale Est
Oculare Sud Oculare Nord
(4254.6072 58% 51°.67
43 24.63 59 16:97
43 47.40 52 51.18
44 11.68 92 23.70
44 37.95 51 54.58
44 59.80 51 30.58
45 31.936 50 56.57
46 34.55 49 48.90
o —t= + 8851
1890
Verticale Est
Oculare Nord Oculare Sud
SAD 6097.1180 520 125.98
42 35.89 dd ii9909
42 52.90 OI SE992
43 16.57 50 53.82
43. 39 .96 90 28.00
43 57.63 90 8.86
44 27.28 49 37.09
45 27.28 48 33.76
a—-t= + 85.00
Verticale Ovest
lo)
Oculare Nord Oculare Sud
SA GIOR Ok78 45° 4' 4.29
18 9.28 DIMMI 4.90
18 33.03 Lo E, 5.80
IL 59C4I 26 47.87 4.26
19 27.02 26 23.33 4 .96
19 49.40 26 2.29 4.96
20: 22.95 25 31.64 4.26
21 26.42 24 31.1 9197
d = 48° 82’ 30.78 e, = 0".1139
Marzo 28 — 36 Lyneis.
Verticale Ovest
Oculare Nord Oculare Sud
10% 42 3072 |10% 15° 265.88
5 5.04 14 56.62
5 31.09 14 34.02
5 58.85 14 9.50
6 27.40 13 45.69
Otalet9 13 21.74
7 25.63 12 50.15
8° 33.97 11 46.66
d = 43° 40° 21" .28
Marzo 29 — \ Ursae Majoris.
Verticale Ovest
Oculare Sud Oculare Nord
ISS T Z
{4 21.62 23 25 .68
14 40.86 23 8.96
15) 6.79 22 44.80
82648 22 2150
ea beso 22 4.16
16 24.16 23405
17 27.04 20 34.16
d = 48° 27' 51.94
45° 4’ 10'.00
9.74
9 .86
10 .02
9.93
9.74
9.93
10 .29
E = 00.0625
45° 4' 9.30
.28
.28
.09
.51
.49
.51
A4
elogio \ogYegZioZvo)
e, = 0".0530
F. FORRO
140
LL 8
806° 4
897° 8
GGI
76
Gel
688
906°
CIS
996
VSS
968°
GLe
896
GVI
089°
FIL
GGI
669°
607°
168
ELL
LT
90242 i 069.
0 I0LcncsoC-oE-ornEOnE-LOE OOO LIE
d
Pr E TI N e rn II de LO 1 i
TT A
4
200 — II: 0 A Ts 670° IPPIWOLPUF 1 I È 3
KOS EGO 0: STO 798 S ubho TI QIquooq “
Pea AID PLOT 068° 9 IMPIUMOsPUT (Hd 3 $
AP e 691° 0 + 0Z00 BR) ubi » FE s s
pesos G80° 14 Via 213° INPIwosPpuy A (ra di “
530° 0 — 880° I + IRR 103° 5 INPpIwospuy Par s È
#00 = 86° 0 + GRES SCO 7 INPoIwoLPpuy > 1g a 3
000° 0 — I8S' 7 n QUE anNpawmospuy % 6I QIQuIoAON “
OpSs0a POOR 89 0 —- 291° 8 mubho Q 8 n ;
975 0 — 080507 eo 0 IL6 L synosdH © 8 - Ù
978° 0 — 900° 0 + IL 871° OI bho 9 L É 3
667 0 — 870° 0 + CORTE 198° 4 ubi Q G È 3
agg oe= 18y 03 660 Gt 780° 9 SInOsoH © G È ‘
(de 070° 0 + EEEESSd- 209° # sqoog SE | G 5
#0: = 870° 0 SHOTS 668° 8 sq00g' EE | 3 ousn) “
9FSSO = al: 0a glo: 8 606° II Stmos0H O |: 66 È ;
OLGE 0 OOO OSSA 9GT' 0I s400g EE | SG a 5
09000 GFO: 0 SH 04 768° L s400g EE | 6 È $
OgL 05 04004 088 0 CCI 8 s400g EE | 9 6 È
092° 0 — 900,0 000: 1: GLI 6 s00g EE | 8 uSSen “
000° 0 — <63 0 + GEO anbiuny Y ad È i
00006 999 0 = 688° 6 onpiuny g 03 A E
00050 — vIgi I — 077° 6 suologr 2084) N | 61 i x
PE0,0 — Eolica 826,8. 097 anbiuny g GI oIgumO») 888I
LANIZV 0INOTOUO l sd VITHILS VLVIOA
INOIZVAHHSSO NU'TTHAKA ILVLIASIU
OCNODHS 0TTVND
141
LATITUDINE DI TORINO
960° 8 Donde 969 0 + 862° I + GPL mbiany 3 9I s i
9L8 8 DOVE 958 0 + 690 I + I8sL' 9 anpbranp 3 GI È CEI
870° 8 0000 26 0 GG ceo 8 apbiunp 3 II x &
cel VALOR 669. 0 + oa GLE.8 anpiuny 3 9 ” 21
919° L #60 0 — 609° 0 + iaia 697° 2 ambany 3 G a Se:
898° 8 #30 0 — 995 0 + OSS 0 909° £ apbiany ? TI oreiqgog “ |
893° 8 ECO FEV 0 + GEO 806° 8 opbiany ? JES a EA
900° 8 000° 0 — 197 0+ | 248604 ge 9 anbiany ? 18 a (E
706° 2 DUOMO ger 0-4 | 008I4 GLI 9 onbiunp 3 | ; a
168° 8 DOO O = Gi 04 | 08074 G6L' E anbiuny ? izà di CSR
982° DODIOR 089° 0 + GOG cda #8. 8 SAT A 6I 5 co
809° 8 DOLO Is: 0 + 628° & 878 # ombimy gh | 8T È dor
GL8' L ll “d007 0 888° 0 + VE 603° (SIT A I i side
663° L 000° 0 — eige0ia TU Si 198° 8 anbitny gi | LI ; SAR
089° 2 000° 0 — IL 0 + Jesi ANdItE Q0S4IT A LI s si
681° 8 000° 0 — SIERO €88 0 + CYrAl anbiuny sth | 8 i n
IV L 000° 0 — 003° I + LO 0 981° 9 198494 A | 8 ; oe
97L° L #30 0 — 607 I + Io La 698° L0S4IT ZL OIBUUOL G88I |
pelst PROMO AA a ‘era TS6° 8 d0s4IT EI a 3
626° VCO 0. — (NSA 1 ra (17 pa 969 9 wssdaq OT a sl
601° 8 val De FI9 0 + CIT 04 | 988 2 anpomoapuy ! OI = de
89L° L Keo Fo 0 IGO 078° 2 IPPIMOLPUY 1 6 3 2
216° L 12€ 000 ooo Teo: 0 H- RL 08I' 8 Impamuospuy 1 8 i S
ISF. Love Cl 0 + 863° 0 + ge 9 d0S4IT N . È si
889° £ AN 679 0 + Rio #8I° 2 oDpmmospuy 1 L i CA
688° 2 130 0 — CIO 998 0 — 989° 2 Impmmospup 1 9 È i
089° £ Ei GIO 640° 0 — T60° L IPPIWOLPUY 1 G i i
VS 8 ECO 0 IGGO (32/0 5 961° 2 onpomuospuy x | x sa
629 £ TOUR 809° 0 + (SASA) e po 9II' S d0S4I] N (a È POSI
933° 8 Eo0L 0 OA 1 pa RES 069° 9 onpamospuy % | 8 £ sa:
048° 2 00 Test O pe Gg anpamospuy 1 g Ù dosi
690,8 ,} 097 160,0 — 028,0 + CFE,E + LSP 4 0% tostoT A | TO 9IqUONT 8881.
d LOMIZV OIDOTOHO Ù sd VITHLS O VIVA
PORRO
F.
142
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143
LATITUDINE DI TORINO
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144 F. PORRO
PARTE SECONDA
Osservazioni eseguite coll'uso del filo mobile.
I metodi di Bessel e di Struve, basati sull’osservazione dei passaggi ai fili fissi
del reticolo, cessano di essere applicabili utilmente quando la distanza zenitale
meridiana dell’astro arrivi solo a pochi minuti di arco. In questo caso è preferibile
osservare (come ha suggerito Struve) mediante un filo nfosso da una vite micro-
metrica, la quale permetta di assegnare con precisione ad ogni istante la distanza
angolare dal filo medio, e quindi (noto l'errore di collimazione) dall'asse ottico.
Sostanzialmente questo metodo non è che una modificazione di quello di Bessel, ana-
loga a quella che si pratica nelle osservazioni meridiane, quando si sostituisce il filo
mobile ai fili fissi sulle stelle polari. Ha il vantaggio sopra l’altro metodo di potersi
applicare anche a stelle culminanti a Nord dello zenit, di esigere pochi minuti per
un numero anche considerevole di puntate, infine di attenuare tutte le cause di errore
che dipendono dalla maggior durata di un'osservazione, perniciosissime fra tutte le .
variazioni dell’azimut istrumentale nell'intervallo fra il passaggio ad Est e quello
ad Ovest. Questi notevoli meriti del metodo sono accompagnati da difetti non meno
degni di nota: primo fra gli altri l'enorme influsso dell’azimut sulle osservazioni,
tale da rivelarsi ad una prima occhiata nella serie delle latitudini date dalle singole
puntate, quando appena la deviazione dell’asse orizzontale dal primo verticale sia
sensibile. In queste condizioni sarebbe desiderabile poter determinare colla massima
precisione tale errore di azimut, per poi tenerne conto nel calcolo della latitudine;
invece, quando non si disponga di una mira nel primo verticale, non è possibile
ricavare dalle osservazioni stesse il valore dell’azimut, e bisogna (come ho fatto io)
limitarsi a calcolarne empiricamente l’effetto, deducendolo @ posteriori dall'andamento
delle latitudini date dalle singole puntate.
Prima condizione per l’uso razionale di questo metodo è la conoscenza esatta
del valore di una rivoluzione del micrometro, de’ suoi errori periodici e progressivi,
e della posizione del filo mobile relativamente ai fili fissi. Nel corso delle osserva-
zioni di latitudine non fu necessaria altra ricerca che quest’ultima; lo studio accurato
del micrometro fu fatto in seguito, durante le osservazioni per l’azimut di Monte
Vesco, ed i risultati ne sono diffusamente esposti nella relazione che di quelle osser-
LATITUDINE DI TORINO 145
vazioni ho pubblicato. Senza ripetere la discussione contenuta nelle pagine 5-14 di
quella Memoria, basterà che qui sia riportata la formula definitiva
F = 0”,5725 (ll — m,
che serve per calcolare la distanza angolare F di uno dei tre fili mobili dal filo di
mezzo del reticolo fisso, quando sia l la lettura del filo mobile ed m quella del filo
di mezzo. Entrambe queste letture s’intendono corrette per gli errori periodici della
vite, che sono molto piccoli, e rappresentati dalla formula
e = + 0P,1297 sin (9 -—— 620,83).
Di errori progressivi non risultò traccia: la vite è di una rara perfezione da
| un capo all’altro della sua corsa.
Per assicurarmi dell’invariabilità di posizione del reticolo fisso rispetto all'origine
della numerazione sul reticolo mobile, ho osservato undici volte in dieci sere (nelle
quali ho pure fatto osservazioni di latitudine con questo metodo) le coincidenze del
filo mobile M coi 17 fili fissi. Confrontando il quadro delle coincidenze, che dò qui
in appresso, col quadro analogo a pag. 6 del citato mio lavoro, si vede che la posi-
zione reciproca dei due reticoli non ha mutato. L’invariabilità di forma del reticolo
fisso è pure attestata dal quadro successivo, che dà gl’intervalli fra i fili fissi con-
tigui, espressi in parti del micrometro.
Serie II. Tom. XLIV. 8
PORRO
F.
146
666 |866 |ES6 |I168 |OLL |FF8 |0IS |6I8 |86L |99L [TLO |ISL 1966 [PES [SOL (966 |L6S | 9I e i
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EF |666 |6F6 |688 |SLL |LF8 |00S |E68 |G6L£ [ELL |6L0 |FSL |FIO6 [978 |(<9L |S96 |009 | SI È n
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893 |6%6 |0S6 |168 |F9L |0F8 |E0G |1E8 |S8L |LOL |&80 |ISL |€6 (088 |LGL |#96 [209 | ZI 0IS8eN “
066 |6I16 |EF6 |628 |&LL |IS8 |006 (968 |008 |FT9L |8L0 |ISL |FE6 |LE8 |[I9L |L96 |109 | 9I È 5
9E& | 16 |3S6 |L88 |S9L |1#8 (906 |8I8 |F6L |69L |080 |&3L |F36 |978 |FOL |856 |609 | FI OZIEH —*
653 |<66 |886 |688 |69L |IF8 |967 |068 |L8L |89L (620 [SIL |S66 |SE8 [OSL (196 |76S | SG E a
Iwa |F66 |676 |&88 |09L |658 |00G |TI8 |Z8L |T9L |080 [LIL |EI6 |068 |OGL |<S6 |L6S | L 3 S
GE4 |066 |PF6 (658 |99L |668 |88F |0I18 |I8L |99L |L80 (LIL |FS6 [078 |<9L |996 1909 | S OLE) 86881
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II MO
147
LATITUDINE DI TORINO
TISI Veg I VISI LELE GSE I TESTI GIS'I LEE I LIGA GIET 8GE I IAXTIAX
SL6°0 EL6°0 086°0 G96°0 6L6°0 9OL6°0 696°0 VL6°0 GL6'0 9L6'0 696°0 AXTIAX
G90°I 890°I L90°T 0801 650°I 90 S90°T 690°I 990°I S90°I 080°I AIXTAX
Ia LOT 6 LOT LITI Lat LOT 6ITS OST Ele IT 1014 IX AIX
966° LEG 8261 GIGI veo IGG I LE6"I 861 IGG'I LG GEGI IX THIX
PESI 8EE I LVE! SSET LEGal IGE'I GESTI STE GEE IGGI OGET IXT7IX
169° 8896 L99"S L99"4 CL9'G VL9'S 889° OL9'S 689° 8L9'S GL9G XIX
1607 1607 (012087 SPOT 9v0'} 930° Veo €607 Veo'y 6607 LEO'7 XITX
GEOFF 9307 0307 IO 8IOP VEOY SCO 7 6107 9407 STO 910° HIADE
6696 696 694 9016 6896 989° 689°6 6896 1893 6L9'S 8696 IATHIA
EGET 09" GGET ISE I TOSI LES TI 8GET TOS" E9 ET OLE'T FLET IATIIA
GOL'O 86L°0 OIR0 L6L'O 86L°0 L8L°0 86L°0 EOLO 7080 EG6L'0 FLL'0 ATIA
GO0°I 980°I 890" 690°I E60°1 L6O"I SLOT 060" E8O0'I 80° 6801 AIA
690°I LOI P80"I 780" ELOT FLO 680° G80"I 080°1 SLOT 980°I IITAI
69L°0 96L'0 L6L'O TI8°0 EOLO VOLO 908°0 68L°0 86L°0 96L°0 S6L'0 TIM
66€ I PGE I SIE GET GIS T 99641 GGE'I LIETI GSSE'I 098 POETI II
INPLINOO TTM IT HIdd00 WNTOONIS UTTHA TTTVAUNLNI
148 F. PORRO
L'accordo di questi numeri inter se e con gli analoghi determinati poi in occa-
sione della misura dell’azimut è veramente superiore ad ogni aspettazione, e dà
un'alta idea della solida costruzione del pezzo oculare, che, a parer mio, non rara-
mente costituisce il tallone d'Achille di istrumenti consimili.
Nei quadri successivi è riunito tutto ciò che importa conoscere delle riduzioni
fatte per ricavare la latitudine dalle dodici osservazioni al filo mobile. La prima
colonna contiene i tempi siderali degli appulsi (tempi osservati al cronografo, e cor-
retti per l'errore dell'orologio); la seconda le corrispondenti letture micrometriche,
corrette d’error periodico; la terza le distanze angolari v dal filo di mezzo, calcolate
colla formula data sopra; la quarta gli angoli orari #; la quinta le espressioni
2 sin @ cos ò sin? È ì 9 i
ho == TERNA E TEA la sesta le differenze R —v, le quali, se non esistessero
gli errori strumentali, dovrebbero essere null’altro che @ — è, e presentare solo le
piccole divergenze residue.
È noto (1) che nell’immediata prossimità dello zenit, il coefficiente dell’azimut
varia con tale rapidità, da rendere sensibilmente diverse le pg — dè date dalle suc-
cessive puntate. Ciò si verifica anche nel mio caso; e perchè non ho altro mezzo di
valutare l’azimut fuorchè da questo suo più cospicuo effetto, ecco in quale maniera
ne tengo conto. Poste le R — v come termini noti di altrettante equazioni di con-
dizione della forma
n=x + ay,
ricavo coi minimi quadrati i valori di x ed y da ciascun sistema (essendo il coeffi-
ciente a dell’azimut uguale a — sin # cos è). In fine ad ogni quadro sono date le x e y
risultanti da tale calcolo: le R — v calcolate in base alla formula sono poste nella
colonna settima, di fianco alle R — v osservate; e gli errori residui scritti nell’ottava
ed ultima colonna mostrano come la rappresentazione dei risultati sia soddisfacente.
È con questi residui che si è calcolato l'errore medio e, di una osservazione,
scritto in seguito ai valori di x e y.
Per avere dalle x la distanza zenitale che si sarebbe osservata in primo verti-
cale, occorre diminuirla di y sin # cos è. La media delle due distanze così determi-
nate a Verticale Est e a Verticale Ovest, sommata colla declinazione apparente, dà
una latitudine @' che, corretta per l'inclinazione dell'asse orizzontale, diventa la lati-
tudine definitiva. Il quadro successivo, intitolato: “ Risultati delle Osservazioni , con-
tiene questi calcoli finali.
Non è inutile insistere sul carattere affatto empirico dell’incognita y, che rap-
presenterebbe realmente l’azimut strumentale nel solo caso che le divergenze fra i
valori osservati di R — v provenissero esclusivamente dal diverso effetto di questa
correzione. Ora, nel caso nostro specialmente, si è molto lungi dal ritenere soddis-
fatta questa condizione; di un andamento sistematico delle R — v si potrebbe dare
la colpa anche agli spostamenti progressivi del pilastro, che le variazioni dell’incli-
nazione dell'asse rivelano chiaramente. Ad ogni modo la natura del problema non
ammette una diversa trattazione, come ho verificato io stesso, facendo molti calcoli
in ipotesi differenti; e del resto l'esiguità dei residui e la distribuzione irregolare
dei loro segni provano che la compensazione è riuscita soddisfacente.
(1) Una discussione molto accurata degli effetti di errori strumentali sulle osservazioni di questo
genere si trova nell’eccellente: “ Lehrbuch der Sphàirischen Astronomie in ihrer Anwendung auf
Geographische Ortsbestimmung , di Herr e Tinter (Wien, 1887), pag. 452 e seguenti.
Tempi siderali
Letture
corrette
LATITUDINE DI TORINO
1888 Novembre 25 — a Cygni.
Verticale Est.
315.14
45 .88
ZON
7
se 710.08
Tempi siderali
1783?.39
1656 .
1558 .
1475,
1409.
1379.
1245.
1164.
1099 .
1025.
977.
931.
837.
187.
708 .
650 .
072.
Letture
corrette
230P.99
slm
29
28
65.19
ol.
53.
3.4
20.
951.38
876.73
820.90
774.12
735.57
717.32
644.16
597.48
556.71
514.98
487.50
459.52
405.98
374.53
330.55
293.30
252.85
y = + 104.98680
Verticale Ovest.
20% 46m 305.12
44.63
25 .21
60507
12.74
20 .79
58 .79
8.27
41.76
32.11
35 .69
42.72
38 .70
35 .68
52 .93
40.37
1 28:81
4.80
x = 595.02
22782.30
2287 .32
2212 .76
2185 .36
2185.
2134.
2104.
2050 .
2020 .
1919.
1855.
1783.
1719.
1653 .
1556 .
1493.
1428.
1379.
514?.38
490 .
476.
461.
461.
432.
414.
384 .
366 .
308 .
27.
231.
194.
156 .
101.
65 .
Pa
0.
24
O2IIO,
.30
.88
\a-v|
osservate
720.34
718.57
118.91
719.15
718.44
717.32
720.98
720.74
IRWZZO
717.74
717.98
716.30
716.39
716.50
714.96
715.88
715.01
(R—v)
osservate
(A—v)
calcolate
720,14
719.74
719,43
719.16
718.98
718.82
718.37
718.06
11179
717.49
717.29
717.08
716.66
716.42
716.02
715.72
715.28
€ — 042
R—»
calcolate
77.65
100.88
114.81
130.02
132.26
159.41
175.68
207.44
223.70
281.60
317.87
358.69
394.59
432.92
487.14
522.86
560.06
088.59
y = + 91.65279
592.03
591.80
591.67
591.19
093.43
591.59
590.56
591.66
090.60
590.29
090.25
589.73
589.00
089.72
038.23
588.15
587.81
583.59
592.51
592.14
591.96
591.77
591,74
591,42
591.24
590.9]
590.75
590,23
589.93
589.62
589.36
539.09
588.73
038.50
588.27
588.10
149
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150
F. PORRO
1889 Gennaio 5 — B Aurigae.
Verticale Est.
cv È Lettur R—v R—v
Tempi siderali RIO v î R ont So O70
5° 28% 57580 | 977P.32 | 230.49 | 27m 215.83 | 735.94 | 505.45 | 504.09 | + 1.36
25.12.69 | 1086 .58 | 167 .94|26 6.94] 670.44 | 502.54 | 503.95 | — 1.45
26 27.98 | 1197 .68 | 104.33 | 24. 51 .65 | 607.59 | 503.26 | 503.80 | — 0.54
27 17.96 |1264.18| 66.29 1.67 | 567.58 | 501.29 | 503.70 | — 2.41
58 .60 | 1323 .95| 32.04|23 21.03 | 536.09 | 504.05 | 503.63 | + 0.42
29 7.49 |1414.37]| 19.72 22 12.14] 484.70 | 504.42 | 503.59 | + 0.83
30.25.25 | 1508 .64| 73.69|20 54.38 | 42981 | 503.50 | 503.34 | + 0.16
31 13.22 | 1566.21 | 106 .65 6 .41 | 397.55 | 504.20 | 503.25 | + 0.95
32 8.28 | 1629.19| 142.71 |19 11.35 | 362.13 | 504.84 | 503.15 | + 0.69
33 27.43 | 1709 .44 | 188.65 | 17. 52.20 | 314.11 | 502.76 | 502.99 | — 0.23
84 40.64 | 1783.39 | 230.99 | 16 38 .99 | 272.69 | 503.68 | 502.85 | + 0.83
35 57.90 |1852.61| 270.61 | 15 21.73 |232.16 | 502.77 | 502.70 | + 0.07
37. 0.60 | 1903.50| 299.75 | 14 19.03 | 201.64 | 501.39 | 502.58 | — 1.19
53.20 | 1947 .82 | 324.84 | 13 26.43 | 177.72.| 502.56 | 502.48 | + 0.08
38. 52.20 | 1989 .57 | 349.02 | 12. 27.43 | 152.67 | 501.69 | 502.47 | — 0.78
ai=:+500.92 y = + 37.59831 e, = 0".2681
Verticale Ovest.
AL È Letture R—v R —v
Tempi siderali corrette Li t R Sgt. o Ori
6. 00m 295.57 | 708P.46 | 384.41 | 9m 9594| 82.67 | 467.08 | 469.04] — 1.96
35.35 | 708 .46 | 384 .41 15.72) 84.40] 468.81 | 469.03 | — 0.12
1 28.07 | 735.32 |369.03/10 8.44] 101.18 | 470.21 | 468.93 | + 1.28
231.66 | 774.75]|346.46 11 12.03 | 123.42 | 469.88 | 468.93 | + 0.95
39.80 | 799.88 | 332 .07 50 .17 | 137.84 | 469.91 | 468.89 | + 1.02
49.32 | 845.33 | 306.05 |12 49.69 | 161.90 | 467.95 | 468.84| — 0.89
51.69 | 882.39 |284.84|13 42.06) 184.66 | 469.50 | 468.79 | + 0.71
6 20.92 | 949.42] 246 .46/15 1.29 | 221.98 | 468.44 | 468.72 | — 0.28
51.73 | 977.32] 230 .49 32.10 | 237.41 | 467.90 | 468.69 | — 0.79
7 47.04 | 1026 .67 | 202.24 | 16 27.41 | 266.39 | 468.63 | 468.64 | — 0.01
8 31.78 | 1069 .09 | 177 .95 | 17 12.15 | 291.08 | 469.03 | 463.60 | + 0.43
9 42.59 | 1141 .83 | 136.41 | 18 22.96 | 332.38 | 468.69 | 468.53 | + 0.16
10: I5:10/ET176 72: 11633 55 .47 | 352.18 | 468.51 | 468.50 | + 0.01
52.68 | 1218.61| 92.35/19 33.05 | 375.92 | 468.27 | 468.47 | — 0.20
11 35.16 |1266.21| 65.07]|20 15.53| 403.51 | 468.60 | 463.43 | + 0.17
12 30.04 |1291.01| 27.49|21 10.41 | 440.84 | 468.33 | 468.38 | — 0.05
13: 18205770 :1379.:92 0.00 49 .14 | 468.12 | 468.12 | 468.35 | — 0.23
si 469054 y = + 17.74523 e; = 0".1883
se
“
i
___—————_—€—_T_T_y6 —__“ _ _—————
o 28m 345.06
5° 59m 415.27
Tempi siderali
59.
25
200 410.
27
28
29
30
DI E TE
Tempi siderali
6-07 11.16
(AS)
(0.0)
©) 0 db I + 10
SS
(>)
x = 466.50
Letture
corrette
931P.50
977.32
TI KONE
1166.
1224.
1294.
1338 .
1379.
1422.
1503.
1546.
1584.
1628 .
1669 .
1705.
1755.
1783.
1844.
1878.
1908 .
Letture
corrette
690P.57
708.
TZ
708.
793.
813.
861.
883.
909 .
Sa:
1024.
1056.
1088 .
1130.
1067.
1248.
1292.
1356 .
1379.
1444.
LATITUDINE DI TORINO
1889 Gennaio 7 — B Aurigae.
a
256P.72
230 .49
154 .28
122.29
89 .24
49 .09
23 .93
0.00
24.11
70.
90.
Le
142.
165 .
186.11
203 .
230 .
266 .
285.
302.
Verticale Est.
t
R
(R—v)
osservate
(R— v)
calcolate
151
o
|
e)
27m 498,73
24 .49
.44
.83
.33
18
È7 256.21
16 38.
15
14
761.17
738.35
658.96
628.25
594.43
552.76
528.09
505.76
479.69
431.66
407.19
335.28
361.41
337.05
316.47
299.54
272.69
236.11
216.67
199.18
y = + 94.80325
Verticale Ovest.
Vv
399P.80
384 .41
t
8m 175.48
47.
907938
10
Li 0208
12
13
15
l6. GEL.
LIT.
22
R
67.64
77.53
SIN
113.71
126.68
138.36
165.21
177.50
191.55
22911
257.65
276.96
294.22
316.46
338.57
385.37
410.50
446.79
459.12
497.27
+ 105.99216
504.45
507.86
504.68
505.96
504.19
503.67
504.16
505.76
503.80
502.41
502.68
502.62
503.39
502.66
502.58
503.23
503.48
502.33
502.05
501.58
(R—v)
osservate
505.71
505.60
505.15
504.98
504.77
504.52
504.36
504.22
504.05
503.72
503.54
503.38
503.20
503.00
502.83
502.69
502.46
502.12
501.93
501.75
Ce 20
(R—-v)
calcolate
467.44
461.94
463.11
463.86
462.25
462.72
461.37
461.54
461.13
460.20
460.86
460.88
461.02
459.37
460.29
460.65
460.34
460.43
459.12
460.17
463.79
463.62
463.97
462.98
462.79
462.68
462.26
462.11
461.94
461.50
461.21
461.01
460.84
460.63
FREE
See n pra
DO 0 I do do do Ut io do i do ia dv
DI = DO Ha Dt © © Vr dia © i d0 00 “ O)
| HH++1
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.2063
o
|
o
ACROSS
ouNuoiDaTwv-wWwWwoiWoRLWDOb
TO TO © TO TO A ©) 00 5 DI Sr SI CO Ha xa 00 O) 0 OI
Pia Boeri
DI
(Dad
i
ES
152 F. PORRO
1889 Gennaio 19 — B Aurigae.
Verticale Est.
rieti 7 Letture R—_-wvy|(R—v
Tempi siderali corrette a t R ei ari Oa
5° 25m 59854 |1124P.35 | 146P.31 | 25m 245,23 | 632.98 | 485.67 | 486.88 | + 0.29
26 38.01 |1174.64 | 117.52 |24 45.76 | 601.43 | 483.91 | 486.41 | — 2.50
270 15:120 1232.0560] 84736 8.65 | 571.34 | 486.98 | 486.44 | + 0.54
28 8.12 |1303.70| 43.64|23 15.65 | 530.80 | 487.16 | 486.48 | + 0.68
29 6.85 |13/9.92. 0.00]22 116.92] 487.04 487.04 | 486.53 | + 0.51
80. 13.62 | 1461.3835] 46.62|21 10.15 | 439.64 | 486.26 | 486.58 | — 0.32
52.09 | 1509 .94| 74.44|20 31.68 | 413.39 | 487.83 | 486.61 | + 1.22
31 20.34 | 1541 .13| 92.29 3.43 | 394.71 | 487.00 | 486.64 | + 0.36
32 14.45 | 1601 .59 | 126.91|19 9.32 | 360.04 | 486.95 | 486.68 | + 0.27
50 .14 | 1636 .52 | 146.90 | 18 33.63 | 338.08 | 484.98 | 486.71 | — 1.73
38 27.64 | 1680 .00 | 171 .80 | 17 56 .13 | 315.69 | 487.49 | 486.74 | + 0.75
34 11.31.1:1724:70.| 197 742 12 .46 | 290.58 | 488.00 | 486.77 | + 1.23
35 14.10 |1783.39| 230.99 | 16 9.67 | 256.23 | 487.22 | 486.82 | + 0.40
36 23.53 | 1843 .43 | 265 .36 | 15 0.24 | 220.96 | 486.32 | 486.88 | — 0.56
51.12 |1865.81 | 278.17 |14 82.65 | 207.65 | 485.82 | 486.90 | — 1.08
x = 487.60 y = — 15.57296 e, = 0.2769
Verticale Ovest.
pil Letture R —v R—v
Tempi siderali corrette 3 È R Nan gn ONE
5a 57m 28.00 | 623°.95 | 432,79) 6m 4°23) 36.18 | 468.97 | 469.52 | — 0.55
58 22.25) 64333 | 421.70 58 .48 | 47.78 | 469.48 | 469.35 | + 0.13
59.72 | 660.16 | 412.06) 7 35.95] 56.69 | 468.75 | 469.24] — 0.49
6 0 40.92! 708.46 |384.98| 9 17.15) 84.65 | 469.63 | 468.93 | + 0.70
1 40.62 | 743.83 |364,16 10 16.85 | 103.76 | 467.92 | 468.75 | — 0.83
2 19.36 | 764.28 | 352.48 55 .59 | 117.19 | 469.67 | 468.64 | + 1.03
30.601 793.07 | 335,97 | 11 36.83 | 132.40 | 468.37 | 468.51 | — 0.14
35.74 | 817.00 | 322.27 | 12 11.97 | 146.09 | 468.36 | 468.40 | — 0.04
429.91 | 857.08|299.,32/13 6.14 | 170.65 | 469.97 | 468.24 | + 1.73
5. 5:92 | 883.58 284.15 41 .55 | 184.02 | 468.17 | 468.13 | + 0.04
33.60 | 906.01 | 271.31 | 14 9.83 | 196.91 | 468.22 | 468.05 | + 0.17
60 4.42) 983.21 | 255.74 40 .65 | 211.44 | 467.18 | 467.95 | — 0.77
55.06 | 977.832 | 230.49 | 15 81.29 | 236.45 | 466.94 | 467.80 | — 0.86
7 29.22 |1006.92| 213.54|16 5.45 | 254.11 | 467.65 | 467.70| — 0.05
80 4:57 | 1040 .23 | 194.47 40 .80 | 273.05 | 467.52 | 467.59 | — 0.07
x = 470.62 y = + 58.88191 e, = 0.1850
LATITUDINE DI TORINO lo
1889 Gennaio 28 — f Aurigae.
Verticale Est.
0, z Letture R—v R—-
Tempi siderali corrette di / R sal da Wo
5® ]5m 45°70 60°.83 | 755P.18 | 35m 385.01 |1246.94 | 491.76 | 492.09 | — 0.33
16 54.17 | 196.65 | 677 .42 | 34 29 .54 [1169.30| 491.88 | 491.81 | + 0.07
17 33.93 | 277.03]|631.40|33 49.78 |1124.26 | 492.86 | 491.65 | + 1.21
18 31.61 | 384.77 |569.72|32 52.10 |1061.25 | 491.53 | 491.41 | + 0.12
19 20.39 | 492.95 | 507.79 31 53.32] 999.22] 491.43 | 491.17 | + 0.26
209 885/270.) 402.10 8.75 | 953.10 | 491.00 | 490.99 | + 0.01
21 32.51 | 708.46 |384.41|29 51.20] 875.73 | 491.32 | 490.67 | + 0.65
50.24 | 736.42 | 368 .40 33 .47 | 858.48 | 490.08 | 490.60 | — 0.52
22. 56.11 | 845.63 | 305.88 |28 27.60] 796.01] 490.13 | 490.33 | — 0.20
23031311 910.85 | 268.54 | 27 46.40) 758.11 | 489.57 | 490.16 | — 0.59
24. 18.90] 977.32 | 230 .49 4.81 | 720.75 | 490.26 | 489.99 | + 0.27
25 12.81 11056.19 | 185 .33 | 2b 10.90] 693.77 | 489.44 | 489.77 | — 0.33
57.61 | 1123 .54 | 146.78 | 25 26.10] 635.96 | 489.18 | 489.58 | — 0.40
26 45.89 | 1190 .67 | 108.35 | 24 37.82 | 596.38 | 488.03 | 489.39 | — 1.86
| 28° 3.09 11298.08.|. 4685 | 23 20.62 | 535.75 | 488.90 | 489.07 | — 0.17
| 290-535 (13/992 0.00 | 22 18.36 | 489.15 | 489.15 | 487.78 | + 1.37
x = 483,29 y = + 80.30976 e; = 0.1661
Verticale Ovest.
Letture
corrette
(BR—v|(R—v)
Tempi siderali osservate | calcolate
|
Ò
6% Om 44594 | 708P.46 | 384P.41 | 90 21523| 86.08 | 470.49 | 471.00
3. 14.06 | 797.88 | 333.22] 11 50 .35 | 137.89 | 471.11 | 470,49
55.39 | 827.08 | 316 .50 | 12 31.68 | 154.41 | 470.91 | 470.29
4 31.86 | 854.79|300.64|13 8.15) 169.75 | 470.39 | 470.22
5 24.74 | 897 .38)276.25|14 1.03] 193.28 | 469.53 | 470.04
6 58.55 | 977.32 230 .49|15 34.84] 233.81 | 469.30 | 469.72
7
8
9
34.23 | 1008 .13 | 212.85 | 16 10.52 | 257.36 | 470.21 | 469.60
22.83 | 1055 .79 | 185 .56 59 .12 | 288.76 | 469.22 | 469.44
19.54 |1112.86 | 152.89 | 17 55.83 | 316.23 | 469.12 | 469.24
52.36 | 1148 .82 | 132.30 | 18 28.65 | 335.77 | 463.07 | 469.13
10 33.57 | 1190 .87 | 108.34| 19 9.86 | 361.20 | 469.54 | 463.99
ll 12.75 |1235 .82) 82.50 49 .04 | 386.22 | 468.72 | 468.86
12 15.11 | 1308 .64| 40.81|20 51.40 | 427.72 | 463.52 | 468.64
13 13.90 |1379.92| 0.00|21 50.19 | 468.82 | 468.82 | 463.44
45.99 | 1420 .42| 23.19|22 22.28] 492.05 | 463.86 | 468.383
14 21.01 |1467.70) 50.25 57 .30 | 518.07 | 407.82 | 468.21
Faris ia ia
ASEeee ie GIS SIAZIZIO
Wim uuiornaosnurroou
© Co CO DO Ha DI DI dI O I TODI
x = 472.92 y = + 66.49520 e 01265
Serie II. Tom. XLIV. T
F. PORRO
1889 Febbraio 17 — B Aurigae.
Verticale Est.
. . i R—v)|{(R—v
Tempi siderali Te \l t k ima So OC
5 20m 18821 | 572° 76 | 4622.10 | 3]m 58.19 | 949.49 | 487.39 | 487.09 | -| 0.30
21 36.69 | 708.46 |384.41|29 46.71 |871.34| 486.93 | 486.76 | + 0.17
22 29.04 | 795.47 | 334.60|/28 . 54.36 | 821.11 | 486.51 | 486.55 | — 0.04
23: 15.881. 871.27] 29120 7.52 | 777.40 | 486.20 | 486.36] — 0.16
52.86.|. 928.89 | 258 .50|27. 30 .54 | 743.77 | 485.27 486.20! — 0.93
24 23.38 | 977.32| 230.49 0 .02 | 716.54 | 486.05 | 486.08 | — 0.03
25 31.99 | 1081 .49| 170.85 |25 51.41 | 656.73 | 485.88 | 485.80 | + 0.08
26 6.05 |1130.10 | 143.02 17 .35 | 628.66 | 485.64 | 485.66 | — 0.02
39 .46 | 1177 .71 | 115.76 | 24 43.94] 601.12 | 485.56 | 485.52 | + 0.04
28. 1.31 |1290.77]| 51.04|23 22.09 | 636.87 | 485.83 | 485.28 | + 0.55
34.36 | 1334 .22| 26.16 |22 49 .04|511.92 | 485.76 | 485.04 | + 0.72
29 11.00 | 1379 .92 0.00 12 .40 | 484.86 | 484.86 | 484.89) — 0.03
80. 88.89 | 1486.98| 60.72/20 40.91 | 423.28 | 484.00 | 484.53 | — 0.53
31 34.06 |1550.71| 97.78|19 49.34] 486.42 | 484.20 | 484.30 | — 0.10
32. 11.18 | 1591 .27 | 121 .00 12.22 | 362.68 | 483.68 | 484.15 | — 0.47
55 .54 | 1639 .23 | 148 .45 | 18 27.86 | 335.90 | 483.35 | 483.96 | + 0.39
CIMA y = + 80.63636 ej = 0.1005
Verticale Ovest.
bear : Letture R—v R—v
Tempi siderali corrette Ù / R al a ORO
62 Om 405.17 | 708P,46 | 384.41 | 9m 16577] 84.72 | 469.13 | 469.41| — 0.28
2 7.24 | 759.66|355.10/10 43.84 | 113.29 | 468.39 | 469.26 | — 0.87
55 .98 | 787.78 | 339 .00 | 11 32.58 | 131.08 | 470.08 | 469.17 | + 0.91
3 38.03 | 817.20 | 322.16 | 12 14.63 | 147.48 | 469.64 | 469.10 | + 0.54
415.68 | 846.03 | 305.65 52 .28 | 162.95 | 468.60 | 469.03 | — 0.43
5 12.67 | 889.97 |280.50|13 49.27 | 187.93 | 468.43 | 468.93 | — 0.50
53.18 | 921.84|262.25| 14 29.78 | 206.71 | 468.96 | 468.86 | + 0.10
6 56.80 | 977.32 | 230.49 | 15 33.40 | 238.06 | 468.55 | 468.74] — 0.19
7 25.35 | 1001 .49 | 216 .65| 16 1.95 | 252.59 | 469.24 | 468.69 | + 0.55
80 5.77 |1040.33 | 194.41 42 .37 | 274.55 | 468.96 | 463.62 | + 0.34
59 .30 | 1093 .07 | 164.22 | 17 35.90 | 304.61 | 468.83 | 468.52 | + 0.31
9 34.78 |1130.30 | 142.91 | 18 11.38 | 325.48 | 468.39 | 468.46] — 0.07
10 29.91 |1188.47 | 109.60|19 6.51 |359.10 | 468.70 | 468.36 | + 0.34
11° <7546*|1231.00?|585€26 44 .06 | 382.98 | 468.24 | 468.29 | — 0.05
12° 5.47 (1297.98| 46.91|20 42.07] 421.38 | 468.29 | 468.19| + 0.10
131138137992 0.00|21 47.98 | 467.27 | 467.27 | 468.07 | — 0.80
a = 470.41 € = 1041225
y = + 34.76543
LATITUDINE DI TORINO 155
1889 Febbraio 18 — B Aurigae.
Verticale Est.
CORI i Letture R—v|R—v
Tempi siderali corrette È È R et SR Dial
5° 32m 39579 | 1159P.06 | 126.44 | 18m 485,59 | 344.88 | 471.32 | 470.66 | + 0.66
33-20-27 1117-:70-| 15012 3.11 | 320.51 | 470.63 | 470.55 | + 0.08
53 .03 |1086 .18 | 168 .17 | 17 30.35 | 301.41 | 469.58 | 470.46 | — 0.88
34 48.55 |1031.10]|199.70|16 34.83 | 270.42 | 470.12 | 470.31 | — 0.19
35 16.10 |1004.91 | 214 .69 7.28 | 255.66 | 470.35 | 470.24 | + 0.11
46.34 | 977.32 | 230 .49 | 15 37.04 | 289.92 | 470.41 | 470.15 | + 0.26
ST. 2.72 | 912.16 |267.79]|14 20.66] 202.41 | 470.20 | 469.94 | + 0.26
34.54 | 888.57 | 281.30 | 13 48.88 | 187.75 | 469.05 | 469.86| — 0.81
88 5.34 | 863..04 | 295 .91 18 .04 | 174.05 | 469.96 | 469.77 | + 0.19
59 .48 | 824.84] 317.78] 12.23.90] 151.23 | 469.01 | 469.62 | — 0.61
39 33.49 | 800.18 |331.90|11 49.89 | 137.72 | 469.62 | 469.53 | + 0.09
40025777010) 344,88 17.13 | 125.31 | 470.19 | 469.44 | + 0.75
41 20.33 | 732.11|370.87|10 3.05] 99.39 | 470.26 | 469.24 | + 1.02
42. 8.69 | 708 .46|384.41| 9 14.69) 84.09 | 468.50 | 469.10) — 0.60
43 12.01 | 676.72 |402.58| 8 11.37 | 65.99 | 468.57 | 468.93 | — 0.36
49.32 | 659.36 | 412 .52| 7 34.06] 56.35 | 468.87 | 468.83 | + 0.04 |
gii 407.58 y = + 53.88537 ei = 0.1356
Verticale Ovest.
MIRO, i Letture R —v lai —W
Tempi siderali | corrette >) t k in ei O
6h Om 7531 |2102?.20 | 413.50] 8m 48593 | 75.02 | 488.52 | 484.65| + 3.87
53.09 | 2069 .68 | 394.89] 9 29.71| 88.70] 483.59 | 484.41 | — 0.82
1 44.35 | 2050.98 | 384.18 | 10 0.97] 98.70] 482.88 | 484.24 | — 1.36
2 23.54 |2017.30|364.90|11 0.16] 119.12 | 484.02 | 483.93 | + 0.09
3 0.81 | 1989 .27 | 348 .85 37.43 | 132.87 | 481.72 | 483.74] — 2.02
34.95 | 1969 .09 | 337.30 | 12. 11 .57 | 146.27 | 483.57 | 483.56 | -+ 0.01
L19439: 19411332129 50 .05 | 161.54 | 482.83 | 483.35 | — 0.52
Si 12" 189617 295.55 13 47.74 |187.21 | 482.76 483.00] — 0.29
50 .86 | 1864 .23 | 277 .27 | 14 27.48 | 205.63 | 482.90 | 482.84| + 0.06
627.76 |1832.81 | 259.30|15 4.38 | 223.49 | 482.79 | 482.65 | + 0.14
MleZ2l/2% 7783..39|230/.99 58 .34 | 250.95 | 481.94 | 482.36 | — 0.42
8 24.91 |1724.78|197.41|17 1.53|285.11 | 482,52 | 482.03 | + 0.49
9Qiitesno 1685-98 10/522 38 .49 | 306.11 | 481.33 | 481.84| — 0.51
10 3.47 |1622.74]|139.01]|18 40.09 | 342.75 | 481.76 | 481.52 | 4+- 0.24
33 .83 | 1587 .88 | 119.06] 19 10.45 | 361.56 | 480.62 | 481.35 | — 0.73
11 6.70 | 1553.30 | 100 .40 43 .32 | 382.50 | 482.90 | 481.18 | + 1.72
xe = 487.41 y = + 102.41156 e, = 0.3250
156
Tempi siderali
È 31° 15.53
33 2.45
S4
39
36
37
33
39
40
41
Ad alito
x = 469.93
Tempi siderali
5° 56 295.37
57 53.49
DS. 280
59.6:
6. 01.5.
UU wr
(vs)
(near)
Letture
corrette
1251".71
1132 .31
1086 .58
1057 .18
1003 .80
977.82
935 .02
891.
868 .
840.
802.
182.
745.
Mot
708.
686 .
Letture
corrette
21852.36
2156.
2142.
2126.
2097 .
2072.
2050 .
2015.
1994.
1974.
1922.
1896.
F. PORRO
1889 Febbraio 25 — BR Aurigae.
39% .
340.
310.
295.
Verticale
y = + 37.92685
Verticale Ovest.
20.62
41.62
49.40
58.54
74.59
88.06
101.75
121.18
132.57
144.96
173.48
188.30
y = + 71.30278
(R—v)
osservate
471.82
472.81
| 472.96
471.57
472.06
470.47
470.79
471.92
471.66
471.12
472.43
471.53
470.84
471.44
470.78
470.70
(R—v)
osservate
486.73
486.09
485.76
485.71
485.23
484.42
485.93
484.98
484.62
485.16
484.36
434.65
(R— v)
calcolate
472.28
472.08
471.99
471.93
471.82
471.76
471.66
471.57
471.51
471.43
471.34
471.27
471.16
471.09
471.03
470.94
©
I
e)
DIFI+4HTH+ L41441
SID CIO IE
PRESBSERRS8L8IIS
e, = 0.1577
(R— v)
calcolate
486.32
486.01
485.38
485.74
485.52
435.36
435.20
485.00
484.89
484.77
484.52
484.39
o
|
e
Rica 013 43
coccscccccssco
DD WIDO LO MONO
Sì Sì O ST DO 10 > 0 WWW 00
e; = 0.1288
LATITUDINE DI TORINO 157
1889 Maggio 17 — 33 Bootis.
Verticale Est.
| | |
R—-v|R—v
osservate | calcolate
Letture
corrette bi t | R
Tempi siderali
©
|
@
14° 2% 958.57 | 2050P.98 | 3842.18 | 32" 345.49 |1042.37 | 659.19 | 659.99
47.79 |1976.92 | 341 .78|31 56.27 |1003.02| 661.24 | 659.86
317.38 | 1925 .56 | 312.38 26 .68 | 972.38 | 660.00 | 659.76
4 14.06 | 1826 .07 | 255 .42| 30 30.00) 914.89 | 659.47 | 659.57
38 .79 | 1783 .39 | 230 .99 5.27 | 890.35 | 659.36 | 659.48
57.87 |1734.02|202.82|29 36.19| 861.85| 659.03 | 659.38
55 .16 | 1656 .49 | 158 .43 | 28 48.90) 816.70 658.27 | 659.22
6:33.19 | 1592..77 | 121 .96 10.87 | 781.26| 659.30 | 659.09
7
8
15.88 | 1427 .08| 82.24|27 28.18) 742.27 | 660.03 | 653.95
52.66 | 1379.92 0.00 | 25 51.40 | 657.81] 657.81 | 658.60
9 36.63 |1314.47| 37.57 7.43 | 621.02] 653.59 | 658.45
10 16.55 |1258 .66| 69.52 |24 27.51] 588.66] 653.18 | 653.32
11 26.06 | 1163.04|124.26 | 23 18.00] 534.22] 658.48 | 658.08
12. 1.18 |1118.61|149.70|22 42.88 | 507.75 | 657.45 | 657.95
41.39 | 1066 .81 | 179.64 2.67 | 478.22| 657.86 | 657.82
13 53.76 | 977.32|230.59|20 50.30) 427.40| 657.99 | 657.57
Rane iran ani
cccsspsoercscsosccsro
ERSSKROSNAgnoRGS
x = 653.28 y = + 66.88489 e, = 0.1570
Verticale Ovest.
(f—-v)|(R-v)
osservate | calcolate
Letture
Tempi siderali corrette
o
|
Q
14% 41% 375.42 |24642.13 | 620.80 | 6" 53536 | 46.74 | 667.54 | 667.78
42 12.48 | 2449 .42 | 612.38 | 7 28.42 55.01] 667.39 | 667.64
45 .03 | 2435 .22 | 604 .16| 8 0.97) 63.28 | 667.44 | 667.50
44 14.16 | 2389 .84|578.18| 9 30.10] 88.91 | 667.09 | 667.13
55.79 | 2366 .81 | 564.71) 10 11.73; 102.37 | 667.08 | 666.96
45 29.16 | 2345 .93 | 553 .04 45 .10 | 113.83 | 666.87 | 666.82
46 26.50 | 2308 .03 | 531 .34 | 11 42.44 | 134.96 | 666.30 | 666.58
47 11.06 | 2278 .30 | 514.82 | 12 27.00 | 152.63 | 666.95 | 666.40
46 .86 | 2250 .42 | 498 .36 | 13 2.80) 167.71 | 666.07 | 666.25
49 10.67 | 2185 .36| 461.11 | 14 26.61 205.40 | 666.51 | 665.90
46.18 | 2154 .10|443.22|15 2.12] 222.58 | 665.80 | 665.76
50 41.03 |2105.71 | 415 .51 56 .97 | 250.99 | 666.50 | 665.53
61 38.68 | 2050 .98 | 384.18 | 16 54.62 | 281.52 | 665.70 | 665.29
52 16.59 |2012.06 | 361.90 | 17 32.53 | 302.96 | 664.86 | 665.13
53. 12.01 | 1951 .31 | 327.12 | 18 27.95 | 335.04 | 662.16 | 664.90
51.24 | 1914 .78|306.21|19 7.18 | 359.83 | 666.04 | 664.74
PINS esodo
Wuibppooancuibmo-vooNw
© Ya N ai 00 Ot 00 Ot do HS 9 I
+1 14+++1+1++!
x = 669.50 y = + 80.59067 e, = 0.2135
158
F. PORRO
1889 Novembre 1 — a Cygni.
Verticale Est.
ARI È Letture R—v|(R—v
Tempi siderali corrette è È R A n Ore
20% 15% 95.86 | 1144P,23 | 134P.98 | 222 295.98 | 498.12 | 633.05 | 632.85 | + 0.20
44.90 | 1098 .78 | 160.95 | 21 54 .94| 472.55 | 633.50 | 633.05 | + 0.45
16 17.67 | 1058 .07 | 184 .26 22.17 | 449.41 | 633.67 | 633.23 | + 0.44
46 .68 | 1024 .15 | 203.68 | 20 53.16 | 429.29 | 632.97 | 633.39 | — 0.42
Jil = 26 ‘865|:1977.32.1 23049 13 .48 | 402.55 | 633.04 | 633.60 | — 0.56
18. 21.41 | 913.56 | 266 .99 | 19 € 18.43 | 366.86 | 633.85 | 633.91 | — 0.06
56 .47 | 873.95 | 289 .67 | 18. 483 .37 | 345.04 | 634.71 | 634.10 | 4 0.61
19.30.55 | 840.33 | 308 .91 9.29 | 324.43 | 633.34 | 634.29| — 0.95
20.24.39 | 784.08 | 341.12 | 17 15.45 | 293.16 | 634.28 | 634.58 | — 0.30
21 1.80 | 748.12]|361.70 16 838,54 | 272.64 | 634.34 | 634.78| — 0.44
43.75 | 708.46 | 384.41 | 15 56.09 | 249.97 | 634.38 | 635.02 | — 0.64
22 32.47 | 663.73 | 410.02 7.37 | 225.13 | 635.15 | 635.29| — 0.14
23 8.98 | 631.50 | 428.47 | 14 29.86 | 206.92 | 635.39 | 635.49 | — 0.10
55.93 | 590.07 | 452.19 | 13 43.91 | 185.63 | 637.82 | 635.74 | + 2.08
24 23.92 | 572.76 | 462.10 15.92. 1173:23 | 635.53. 1630:90) 1240557
57.31 | 545.83 | 477.52 |12 42.53 159.02 | 636.54 | 636.09 | + 0.45
x = 640.28 y = — 106.94706 cio==0.1888
Verticale Ovest.
Aa 5 Letture R—v R —v
Tempi siderali* | corrette v È R ali Su O.AC
R0% 42% 125.17 | 2472P.06 | 625P,25| 4” 325.33 | 20.29 | 645.54 | 645.41 | + 0.13
43 .65 | 2463 .83 | 620 .54| 5 3.81] 25.25 | 645.79 | 645.60 | + 0.19
43.18.42. | 2453 .30 | 614 .51 38.53 | 31.42 | 645.93 | 645.80 | + 0.18
48 ,88 | 2443 .93 | 609 .15| 6 9.04| 37.25 | 646.40 | 645.99 | + 0.41
44.50.37 |2419.11|594.94| 7 10.53] 50.70 | 645.64 | 646.35| — 0.91
45.57.67 | 2389 .,84|578.18| 8 17.83] 67.78 | 645.96 | 646.75 | — 0.79
46. 35.27 | 2372 ..16 | 568 .06 05.43 | 78.42 | 646.48 | 646.98| — 0,50
47. 39.04 | 2338 .52 | 548.80) 9 59.20] 98.19 | 646.99 | 647.35! — 0.36
48.31 .54:| 2307 .83:| 531.22. 10. 51.70 | 116.15 647.38 | 647.67. — (0.29
49 20.87 | 2278 .30 | 514.32 | 11 41.03 | 134.40 | 648.72 | 647.96 | +4 0.76
54.57 |2255 .89 | 501 .49| 12 14.73 | 147.59 | 649.08 | 648.16 | + 0.92
50. 35.22 | 2225 .36 | 485.01 55 .38 | 164.42 | 649.43 | 648.40 | + 1.03
52. 11.11 | 2149 .52 | 440.50 | 14 831.27 | 207.58 | 648.08 | 648.97 | — 0.89
50 .52 | 2118 .91 | 423.07 | 15 10.68 | 226.78 | 649.85 | 649.21 | + 0.64
58. 26.65 | 2085 .48 | 403 .93 46 .81 | 245.12 | 649.05 | 649.42 | — 0.37
64 4.25 | 2050 .98 | 384.18 | 16 24.41 | 264.97 | 649.15 | 649.64| — 0.49
O 164378 y= — 115.52481 e, = 0.1583
Tempi siderali
2004 125.93
ò 25.09
9)
6
7
Tempi siderali
° Letture
Letture
corrette
572.76
708 .46
814.27
834 .98
935 .82
977 .32
1059 .36
1}19.21
1170 .08
IPA A
1310.
1379.
1448.
1499.
1572.
1620 .
1651.
corrette
LATITUDINE DI TORINO
1889 Novembre 15 — a Cygni.
Verticale est.
159
(R—v R—v
ì È R a n) IRC
4622.10 | 33% 275.52 [1100.50 | 638.40 | 637.19 + IR2i
984.41!) 32:, 14 /36:]1021.74 | 637.33*| 637.54 — 0.21
s20:83 lol 6.27 |-961/51.|637.68*1'/637.:82:+—. 0.14
288.30! | -30!:36,83 |(921.57.| 638.2216383.01 + 0.21
254 (25 6.414 891.35'| 637.101/1638:16:| — 1.06
230 .49 | 29 43.32) 868.73] 638.24 | 638.27 | — 0.03
183 .52| 28 54.05] 821.43| 637.91 | 638.51 | — 0.60
149 .26 18.25 | 787.91 | 638.65 | 633.69 | — 0.04
120.13 | 27 46.36 | 758.68 | 638.55 | 638.84| — 0.29
62.20:|:26°. 42.13'|. 701.39" 639.13 659.16: — 0,03
40.01 | 16 .68 | 679.28 | 639.27 | 639.28 | — 0.01
0.00|25 31.06 | 640.21 | 640.21 | 639.50 + 0.71
39 .39 | 24 42.78 600.84] 640.23 | 639.73 + 0.50
I 68.56 © +05 | b71.19!| 639.75: 639.92: — 0.17
11034 |/23. I2.29|' 529/81!) .640.15°:640.18°|— 0.03
137.146 |:122° ‘36.38 | 502.87'| 640.33. 640:35.| _—'0.02
199437 12.36 | 485.19 | 640.50 | 640.47 + 0.09
y= — 95.02701 e = 0.1203
Verticale Ovest.
21% 0° 465.09
leSd8%
© O (0.0) NI DO ww
find
|1299.
11702.08
1206.
1253.
1379 .92
1427.
1486.
1542.
1636 .
1698 .
lol
1783.
1864.
1922 .24
1937%
2050 .
120P.13
Li
81
24008:
25
26
Da
28
29
30
sl
32
65.64
R—-v)
B—-v)
R osservate | calcolate | 9 — ©
525.50 | 645.63 | 645.76) — 0.13
546.28 | 645.56 | 645.91 | — 0.35
573.43 | 645.86 | 646.11 | — 0.25
600.85 | 646.73 | 646.19 | + 0.54
646.57 | 646.57 | 646.61 | — 0.04
673.82 | 646.71 | 646.79] — 0.08
708.49 | 647.60 | 647.02 | + 0.58
740.27 | 647.35 | 647.22 | + 0.13
794.67 | 647.60 | 647.55 | + 0.05
827.97 | 648.18 | 647.75 | + 0.43
860.61 | 647.76 | 647.94| — 0.18
878.36 | 647.37 | 648.04| — 0.67
925.89 | 648.23 | 648.31 | — 0.08
959.41 | 648.93 | 648.50 | + 0.43
996.81 | 648.98 | 648.70 + 0.28
1032.50 | 648.32 | 648.89 | — 0.57
e, = 0.09210
y = — 109.68269
160
F. PORRO
Verticale Est.
1889 Novembre 16 — a Cygni.
par ; Letture R—v|(R—v
Tempi siderali corrette v È R Sei Sa OO
20? 15” 58515 | 1087P.68 | 167P.31 | 21” 415.27 | 462.88 | 630.19 | 630.60 | — 0.41
16 28.99 | 1048 .72 | 189 .61 10 .43 | 441.17 | 630.78 | 630.77 | 4 0.01
17 8.90 | 999,58 | 217.74|20. 30.50 | 413.92 | 631.66 | 630.99 + 0.67
29.85 | 977.32 | 230 .49 10 .07 | 399.63 | 630.12 | 631.10 | + 0.02
18. 30.74 | 906.52] 271.02 | 19. 8.68) 360.73 | 631.75 | 631.43 + 0.32
58.98 | 874.84]|289.16|18 40.44 |343.23 | 632.39 | 631.58 + 0.81
19 28.81 845 .13 | 386 .17 10 .61 | 325.23 | 631.50 | 631.74| — 0.24
55.90 | 816.29 | 322.68 | 17 43.52 | 309.28 | 631.96 | 631.89 + 0.07
20. 45.26 | 767.10 | 850.84 | 16 54.16 | 281.24 | 632.08 | 632.16 | — 0.08
21 20.33 | 733.01 | 370 .36 19.09 | 262.13 | 632.49 | 632.35 + 0.14
47.33 | 708 .46 | 384.41 | 15 52.09 | 247.88 | 682.29 | 632.50) — 0.21
22 23.65 | 674.25 | 404.00 15.77.| 229.83 | 633,38 | 632,69/7— ‘0:36
23 18.97 | 629.90] 429.39 | 14 20 .45 | 202.47 | 631.86 | 632.99] — 1.13
44.65 | 606.01 | 443.06 | 13 54.77 | 190.48 | 633.54 | 633.13 + 0.41
24 28.81 572 .66 | 462.16 10.61 | 170.94 | 633.10 | 633.37 | — 0.27
25. 9.83 | 541.23 | 480.15 | 12. 29.59 | 153.67 | 633.82 | 633.60 + 0.22
ali l637107 y = — 105.57484 e, = 0.1137
Verticale Ovest.
Lar: ì Lettur R=& v R—v
Tempi siderali a v t R AR nto 0.30
20% 592 209565 | 1699P.58 | 1883P.00 | 21° 505.23 | 469.22 | 652.22 | 652.61| — 0.39
59 .06 | 1663 .46 | 162 .33 | 22 19.64 | 490.50 | 652.83 | 652.79 | + 0.04
21 0. 34,42 | 1619 .62.| 377 .23 55 .00 | 516.76 | 653.99 | 652.99 | + 1.00
l 7.89 | 1572.94]| 110.50] 23. 28 .47 | 542.19 | 652.69 | 653.19| — 0.50
2 7.77 |1491.07| 63.63]|24 28.35 | 589.26 | 652.89 | 653.54] — 0.65
38.73 | 1449 .22| 39.67 59 .31 | 614.27 | 653.94 | 653.72 + 0.22
310.73 |1401.69]| 12.46/25 81.31 | 640.80 | 653.26 | 653.91 | — 0.65
27.83 |1379 .92 0.00 48 .41 | 655.03 | 655.03 | 654.01| + 1.02
4.27.29 |1288.57| 52.30|/26 49.87 | 707.34 | 655.04 | 654.37 + 0.67
5 1.81 | 1236 .42| 82.15 | 27 21.89] 736.55 | 654.40 | 654.606| — 0.16
32 .56 | 1185 .48 | 111 .32 53 .14 | 764.84 | 653.52 | 654.75] — 1.23
6 2.84 | 1139 .13 | 1837.8528 23 42 | 792.75 | 654.90 | 654.92| — 0.02
52 .47 | 1060 .06 | 183,12 |29 13.05 | 839.61 | 656.49 | 655.22 | + 1.27
720.1441011 157] 24412 40 .72 | 866.17 | 655.05 | 655.38 | — 0.33
40.06 | 977 .82|230.49/30 0.64 | 885.69 | 655.20 | 655.49 — 0.29
x == 644.87 y = — 114.86992 e = 0,1848
161
LATITUDINE DI TORINO
———r.—-.-+/+.r.--_ese_ecll PG vic_:i or aoro Tre r.actf;.:
LSHAO MIVOLL'UMA
-
ISU HTVOLLUMA
INOIZVAFUHSSO NHTTHO ILVLITASI(i
0£' 8 SL 04/89" L c6° SE 69° IP 0I/0Z6" 9/20" 6 +|998" FF9/8FE' 629/0ZE" 8 —|g99" Le9| 240/90 | 9I
ca 9 Ria LO €0° 93 PO EF 0I08S' 9Foero' 8 +86" LeOlLEF* 689/88" £ —|ese' 9x9) 2240800 | I
6L° 8 Fe 0—|Sl' 6 aL 9% 88° &h_0I9L8" 3S9/860° 6 +8LL" EPOILLE" ISO|LOF® 8 —|F8z" OFO| 22000 | 1 squosoy
98° L L3° 3+/60° 9 LI PES [6° 0 TI(OFO" £99/89F"° 9 —|86F° 699(E08° 8c9/02o* a +ega: ecol s200g gE| LI 08StK
nes 83° 0-|FE' 8 8L' 0I 9G° LG L (009° &8F|PF8' P — FEE L8FloIo' eLplaeo’ +ego' 69pionbemp g | eg
DV L Cola 2109 68° OI 68° SG L |LPH' OSF|I96" 9 — [80° L8F|603° ILF|629° € +/0gc' Lox|20614np 9 | 81
63' L 1° ‘0+|gL' 9 €8° 01 GP 9G L ILPO" 89FE9E° & —|0IF° OLF|FSS' PREIS! STELE" 6LE06%4mP 9 | LI oqgI
[9° L I° 141° 9 60° 8 88° 89 L [8LE' SOF|IFS® F —|616° SLF|28E" 8SF|680% C+ 62" ESpaobump d | sz
VW L aL e+69' £ GINE. La" 9G L (G0G* 99FOIO" # — 19" OLFIPS' 98F|290% 1 —|E09° LSP|2n6wnp 9 | GI
0° 8 0° 1+jt0° L Ge e 99° IT 8 (093° 69F/&Fe' L — 20° 99F|oLo' FoSigLe” d +a6o' L6panbiunp g |}
16° L 86° &—|26° 01 10° GU 99 (I6° 8 (0EE° BOFIEIS® I —|8FS- 69F|68F" sosioLe' S+|616% 006|22624np g | e oruvg
i 6881
89,8. 09V/89401100",8 ,P 0SFE6PL 89 PE|80,89 01882 L80082"uL —/8Z0 068/9288 LL/FR8 8 + 280012] 20060 0 | SAY
8881
otbe— |gso07urs/i-| o-q—d g5007 054 x
d ‘20 tp) U] ,d Q Q_-,d VITHIS |: VIVA -
Serie II. Tom. XLIV.
162 F. PORRO
PARTE TERZA
Discussione dei Risultati definitivi.
Esposti nelle due parti che precedono i ragionamenti ed i calcoli per i quali
siamo stati condotti ai valori della latitudine consegnati negli ultimi quadri di cia-
scuna di esse, dobbiamo ora raccogliere e discutere i valori stessi, per ricavarne il
valor finale.
A tale scopo, raggruppando i valori dati da ciascuna stella, notiamo che le 19
medie che otteniamo debbono differire fra loro:
I. Per gli errori residui delle osservazioni;
II. Per le variazioni della latitudine;
III Per gli errori delle declinazioni adoperate.
Rinunziando, come ho detto nella Introduzione, a ricavare dalla mia serie le
variazioni a corto periodo della latitudine, e ritenendo sensibilmente nulle nell’inter-
vallo le variazioni secolari, convien premettere ad ogni discussione ulteriore sugli
errori l'eliminazione delle variazioni periodiche. A tale scopo si è calcolato una tavola
che dà mese per mese, nel periodo abbracciato dalle osservazioni, il valore della dif-
ferenza fra la latitudine vera @ e la media ©); e per fare questo calcolo si è ado-
perato la formula che il Chandler dà nel numero 277 dell’ Astronomical Journal:
@ — do = — 73 cos [A + (t — T)6] — #2 cos (0 — G),
dove ) è la differenza di longitudine fra la nostra stazione e Greenwich, T l’epoca
(in giorni) dell'ultimo minimo di latitudine a Greenwich, # la data dell’osservazione,
0 il movimento diurno dell’oscillazione di semiamplitudine 73, 7, la semiamplitudine
dell’oscillazione annua, © la longitudine del Sole, G la longitudine del Sole quando
il secondo termine è massimo in valore assoluto. Dal medesimo numero dell’ Astro-
nomical Journal furono ricavati i valori numerici di questi simboli.
Nei quadri che seguono espongo i risultati di questa correzione. Ogni quadro
contiene tutte le latitudini date da una stella, le correzioni relative, ricavate per
interpolazione dalla tavola di cui si è detto, e finalmente le latitudini medie, riferite
cioè non al polo istantaneo della rotazione terrestre, ma al punto (che si ritiene fisso
e stabile sulla superficie del globo) nel quale l’asse dei massimi momenti incontra
la superficie stessa.
$
LATITUDINE DI TORINO 163
B Aurigae.
DATA | (0) Correzione Latitudine
k888"Gennaio © 19%... . 0. CESLOG + 07.052 1".1608
” 5 20 SENIO + 0 _.052 8.825
5 È 22 BZ + 0 .051 5818
1889 Gennaio 5 7.940 +0 .156 8.096
n s Lo 8.020 +0 .158 8.178
5 n 19 T 440 +0 .170 7.610
” » 28 7.610 + 0 .165 Tr (73)
» Febbraio 17 7.290 + 0 .155 7 .445
I ” ” 18 7 440 +0 .154 7.594
I 3, 3 25 8.110 + 0 .143 8.253
Media 7.941
| o Herculis.
o DATA ® Correzione Latitudine
|
| eos@Maoeto 296008. i ia 6'”.680 — 0'.082 61.598
o MGIUEnO n, LL, 8.272 — 0 _.088 8 .184
| 3 o (MO 4 PON II IO 8.266 — 0_.097 8 .169
TO (Ci 0008 A 7.479 — 0 _.118 7 .361
3 Ù lose e 8.296 — 0 .148 8 .148
3 Ù IMeionÀ oe 7.680 — 0 .152 7.528
di È O i mt MRO ZO — 0 .158 MIDO
Media st 70622
dò Cygni.
TDRVASNTIVRA © Correzione Latitudine
1888 Giugno Dei Cn 7!'.836 — 0”.088 7.748
” ” i ia sli 8.994 — 0 _.090 8.244
” ” Seria. 7902 — 0 _.091 (CATA
SIN GIugno SA n 7.700 — 0 _.147 7.098
» ”» N SII idiioo — 0.158 Too
s Luglio Si a nie ci 8.194 — 0 _.205 7 .989
PRREDCLLOMPLESIA 0 o 7.996 — 0..151 7.845
PMOLTORTOMAEZO N e 08 — 0.082 7.680
Media: ion (1/68
en ni Man
164 F. PORRO
\ Ursae Majoris.
DATA (o) Correzione Latitudine
1888. Gennaio 19 e aa 8''.176 + 0”.052 8!’ .228
1890. Marzo: «295 80 e 7 .274 +0 .174 7 .448
Media TUE 898
33. Bootis.
MO IFARNIRFAE o) Correzione Latitudine
1888 Maggio 3 . 7" 409 — 0".051 USS
n 2 61° 7 .529 — 0_.055 7 474
ee 2 9. 7 .622 — 0_.059 508
; n O Tei — 0.078 7 .636
po (Giugno 2 142 — 0 _.086 7.056
> n Diu. 208 — 0 _.088 7.180
1889 Maggio 17 . ‘3600 — 0 _.074 7 .286
3 n mae 6 .631 ERO 6 .524
ni Giugno tal. 7.424 — 0 .110 914
” z 63 67225 023 6.102
Media SNZIIZ9
«x Andromedae.
DATA (0) Correzione Latitudine
1888 Novembre (9 one 8'.906 + 0'.087 8'.993
i 7 DUO E EN 8.383 + 0 .090 8.473
i 3 DI o + 0 .092 7 .844
5 A 29300 7. .954 + 0 .094 8.048
» > 25. 8.468 + 0 .096 ‘8.564
a. Dicombre:!3,. 8226 +0 .112 8 .338
ò ha alia 8 242 +0 .114 8.356
1889 Novembre 8 . 7 .639 007 li 022
3 5 o. 8.180 20013 80 cllon
gi A TSO 8.004 + 0 .013 ZUR
Media 8!” 2492
È
LATITUDINE DI TORINO 165
36 Lyncis.
DRAREISA (o) Correzione Latitudine
Kes9#Dicembre:20 /:!/. \. ea 7"'.880 + 0”.147 SILOLT
ieo0eMarzo: 228 ln + 1.790 +0 .174 7.964
Media . . . 7".995
o Cygni.
I DIANA 0) Correzione Latitudine
1888 Novembre 24 . 7 .625 + 0'.095 713720
G > 259: | 8.680 +0 .097 SALI
Dicembre. | 1. 7.908 + 0 .105 8.013
1889 Giugno 6 sig — 0 .123 7.609
” ” 17 8.500 — 0.152 8.348
s Novembre 1. 8.790 — 0 _.044 8.746
7 3 DÌ 8.101 — 0 _.015 8 .086
i 5 9 8.459 — 0 .011 8.448
” ” 15 6 .250 + 0 .014 6 .264
” n 16 8.300 + 0 .018 8 .318
Media . . . 8.083
1 Andromedae
DATA ® Correzione Latitudine
1888 Dicembre 1 8.377 + 0"”.108 8! .485
” ” 2 7.840 + 0 .109 7.949
” ’ 5 7.630 +0 .115 7 .145
3 3 6 1 1889 +0 .116 8.005
» ” Ti 7 .638 +0 .118 Mi .756
5 P 8 9071 + 0 .120 8.097
5 È 9 7.768 +0 .122 7.890
5 Ù 10 8 .109 +0 .123 31292
1889 Ottobre 23 7.609 — 0.082 TOAST
s Novembre 7 8 .101 — 0.020 8 .081
Media: 0007977
166
DATA
1889 Marzo 12
5 SI
” ” 25
DATA
DATA
1889 Gennaio 8.
” ” 17 LI
n Febbraio 19.
” »” 23 o;
» Marzo (GO
s Novembre 17.
” ” Qui.
” ” 30 .
F. PORRO
58 Ursae Majoris.
8!”.984
7 .7162
8 .010
v Persei.
8"”.069
.579
.431
.959
.139
.746
.414
.680
.875
.736
SERIES
y? Aurigae.
0
n
(0.0)
DO
2 Sa 0 OT dI
Vof=dKorK=yxo)
uo ta vd
do
(96)
(AS)
.261
.975
1 00 00 00 CO 00 00 01
Correzione Latitudine
+ 0".115 9'".099
+ 0 .106 7 .868
+ 0 .086 8.096
Media 8".345
Correzione Latitudine
+ 0”.108 Sa
+0 SEI 7.690
+ 0 .118 049
+ 0 4123 8.082
+ 0 .129 7 268
+0 “139 T .879
“n 0 .136 SODO
| 0 .163 7.843
+ 0 .167 8.042
IL onaTO 7.906
Media 7" .799
Correzione Latitudine
+ 0”.186 8/.318
+ 0 .163 7 .462
+ 0 .167 8.675
+0 .154 8.514
+0 .146 8.581
+ 0 .144 Soloa
| 0 .126 8.223
+0 .022 8 .254
+ 0 .058 8 .309
L 0 072 8 .047
Media 9" 254
LATITUDINE DI TORINO 167
10 Ursae Majoris.
IDIEANZIORA P Correzione Latitudine
1889 Marzo VARE 7"".837 + 0'.113 ‘7"'.950
È A TORA oa IA 415 + 0 .107 582
MeDicembpresdl is... HIT. . 6.947 + 0 .150 7.097
h A D'Oro i, i 6 .899 + 0 .156 7 .055
1890 Marzo 3 RAR pr: CREA OR AA CO N 7.368 +0 .225 7 .593
Media . . . 7.455
e Aurigae.
DIARI (o) Correzione Latitudine
liss9tGennaio . 24.0... 0... 8".897 + 0".167 9"! .064
n 3 DR o e 0a 7.904 +0 .167 8.071
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1 È SU 8.048 +0 .159 8.207
Pi i 13 8.376 +0 .158 8.594
» 5) 16 8.096 +0 .156 8.252
Media 8! 299
u Ursae Majoris.
IDARSIZZA P Correzione Latitudine
IESITMANZORE ORE ea "7" 852 + 0”.126 7" .978
DI 5 PRATICA SE RPS I IGURA TS ARIA 7.559 +0 .080 7.639
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Media... | > 77993
168
1889 Marzo 12
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1890 Febbraio 9
» Marzo 10
DATA
1889 Giugno 6 .
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D:AT A
1889 Settembre 17 .
” ” 18 .
- 5 22 .
s Ottobre Sai
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E ” Tor.
” ” 16 Lo
DATA
1889 Luglio 31
È Lyrae.
8.137
| Correzione
! —i0"/205
Media
F. PORRO
31 Lyncis.
lo) Correzione Latitudine
8.601 + 0”.115 8".716
8.470 +0 .114 8.584
8 .143 + 0 .106 8.249
8.248 + 0 .086 8.334
8.279 +0 .076 8 .355
7.812 +0 .084 7.896
7 .373 +0 .248 7.621
8.147 + 0 .213 8.360
Media 8" .264
Gr. 2090
® Correzione Latitudine
8'.076 — 0”.123 1!" 953
I 996 — 0.129 7.867
8.846 — 0 _.205 8 .641
Media Jra8t 1654
E Cygni.
lo) Correzione Latitudine
7.753 — 0”.162 71" .59]
7.550 — 0 .160 399
8.207 — 0._.153 8.054
7.887 — 0 _.147 7.740
id109. — 0 _.145 7.614
7 .560 — 0.143 T 422
7 .951 — 0.131 7.820
7 .486 — 0 .109 ASA
7 .486 — 0 .107 919
8.504 — 0 .104 7,400
MediarreezZe5o
| Latitudine
| 77.932
7.932
LATITUDINE DI TORINO 169
Il quadro seguente ricapitola i risultati relativi ad ogni stella. Quelle segnate
con asterisco non appartengono alle Fondamentali di Pulkova, e sono quindi certa-
mente meno sicure delle altre. La 33 Bootis, ad esempio, che scarta più di tutte le
altre dal valor medio, è indubbiamente mal determinata in declinazione; essa fu
osservata anche a Milano, e diede risultati meno buoni. Il suo moto proprio è ancora
molto incerto.
STELLA ® PESO
emo rsa Magris. + . L .° 45° 4" 8".345 3
e@plurigaen cli e ha Si L299 1
DI IAS AREA AT 8.264 8
y Aurigae . SVEVIA TA Ae 8.254 10
* x Andromedae 8.242 10
SG 2933). 8.154 3
o Cygni. 8.033 10
*. 36 Lyncis ; 7.995 2
u Ursae Majoris . a 998 3
1 Andromedae TRENT 10
B Aurigae . 7 .941 10
ER Lyrae AI 7.932 1
\ Ursae Majoris . 7.888 | 2
v Persei 3 UOs199 10
dò Cygni 7.168 8
o Herculis . 7.622 7
MLA Cygni 7 1000 10
10 Ursae Majoris . 7 455 5)
* 33 Bootis 7.149 10
Media generale 45° 4’ 7".914
L’errore medio di un'osservazione, calcolato in base agli scartamenti dei valori
singoli dalle medie del quadro ora scritto, mediante la formula
240: [vv]
sia DE ESS
dove m è il numero delle osservazioni e % quello delle stelle, è risultato uguale
a +0”,405. Esso è indipendente dagli errori delle declinazioni adoperate, e si può
considerare come risultante di due parti, una delle quali dovuta all’incertezza colla
quale si osservarono gli appulsi, l’altra a tutte le residue cause d’errore, special-
mente locali ed istrumentali. Della prima è indice sicuro l’error medio e) già calco-
lato per ogni stella; indicando con €, l’error medio dovuto alle altre cause, abbiamo
ca Ve dallo
Ora, combinando le e}, si trova che il valore di ey risultante alla media è + 0",183.
Serie II. Tom. XLIV. v
170 F. PORRO — LATITUDINE DI TORINO
Quindi
€ (0,405)? 220,183)? =0,1905=*(0:361)?.
In altri termini, l’error medio di una osservazione per la parte dovuta agli appulsi
non è che la metà dell’error medio per la parte imperfettamente corretta degli errori
strumentali e per le cause incognite di errore.
Col valore e= + 0",405 si è calcolato l'errore medio x di una posizione del -
catalogo, secondo il metodo esposto nella citata “ Determinazione della latitudine...
di Milano... e di Parma ,. Con due sole approssimazioni si ottenne
L00565
e quindi i pesi con i quali ciascuna stella dovette fornire il valore definitivo della
latitudine (essendo 1" l’error medio corrispondente all’unità di peso) furono i seguenti:
4,544 per È Lyrae, osservata una volta;
7,243 , 36 Lyncis e X Ursae majoris, osservate due volte;
9,031, 58 Ursae majoris, Gr. 2533, u Ursae majoris, osservate tre volte;
11,254 , 10 Ursae majoris, osservata cinque volte;
12,581 , © Herculis, osservata sette volte;
13,062 , 31 Lyncis e d Cygni, osservate otto volte;
13,802 , le rimanenti nove stelle, osservate dieci volte.
Con questi pesi, e coll’error probabile dato dalla formula
gdo na)
VEp
si ottiene il seguente valore definitivo della latitudine del centro del Cupolino Ovest
dell’Osservatorio di Torino i
p = 45° 4' 7,920 + 0,045,
che differisce solo di 0,006 dalla media generale semplice e di 0,022 dal valore dato
nella Comunicazione preliminare.
© uo è
RICERCHE DI GEOMETRIA
SULLE
SUPERFICIE ALGEBRICHE
MEMORIA
FEDERIGO ENRIQUES
Approvata nell’Adunanza del 25 Giugno 1893.
INTRODUZIONE
i. La geometria che studia le proprietà degli enti algebrici (curve, superficie,
varietà) invariabili per trasformazioni birazionali dell'ente dicesi geometria sull’ente (1).
Il concetto di questa geometria scaturisce per la prima volta dalla teoria delle
funzioni algebriche di una variabile nella capitale memoria di Riemann sulla Theorie
der Abelschen Functionen (2). Da un altro lato la geometria sul piano (e sulle super-
ficie razionali) nasce dai classici lavori sulle corrispondenze algebriche di Cremona
e Clebsch (trasformazioni del piano, rappresentazione delle superficie omaloidi).
Nello sviluppo della geometria sull’ente sono da distinguersi due momenti ca-
ratterizzati da due diversi indirizzi (3).
a) In primo luogo si presenta la ricerca delle condizioni perchè due enti pos-
sano riferirsi in corrispondenza birazionale: questa ricerca è il naturale resultato
della provata fecondità di quelle trasformazioni. Essa si presenta sotto due aspetti.
Da un lato la determinazione di caratteri numerici invariantivi (legati alle singola-
rità dell'ente) come nei lavori del signor Zeuthen (4). Dall'altro lato lo studio delle
funzioni collegate all'ente algebrico (in modo invariantivo). Sotto questo secondo
aspetto (che può anche considerarsi come collocato fra il primo momento della geome-
tria sull’ente ed il secondo nel quale si ricercano le proprietà dell’ente stesso) la
| questione della possibilità di trasformare birazionalmente un nell’altro due enti al-
(1) Le notizie storiche che seguono sono in parte tolte dalle lezioni litografate del sig. KLeIx
sulle “ Riemannsche Flichen , (1892) e dalle “ Vorlesungen , di CLesscna-Lixpemann (Bd. I), che si
possono consultare per maggiori dettagli.
(2) CRELLE, t. 64.
(3) Naturalmente la differenza tra i due indirizzi non è netta, ed alcune ricerche partecipano
dell’uno e dell’altro, ma questa osservazione è soltanto un corollario della gran legge di continuità
che governa le produzioni scientifiche (come ogni altra produzione organica).
(4) “ Mathematische Annalen ,, t. III e IV. Appartengono a questa categoria varie dimostrazioni
della conservazione del genere per le curve tra le quali una del sig. Bertini. Cfr. CLeBscH-LinpeMANN.
Bd. I (8° parte).
I:
dO
FEDERIGO ENRIQUES
gebrici, venne trattata nei lavori fondamentali di Clebsch (1), che stabilì così il con-
cetto di genere per le curve e per le superficie; questi resultati generalizzati alle
varietà comunque estese furono ritrovati algebricamente dal signor Noether (Mathe-
matische Annalen, IL e VII), dove insieme al genere di Clebsch (Fléchengeschlecht)
viene introdotto per le superficie il Curvengeschlecht.
La determinazione dei moduli per le curve (2) e per le superficie (3) rientra pure
nel primo momento dello sviluppo della geometria sull’ente.
Accanto a queste ricerche sono ancora da porsi quelle che studiano la classifi-
cazione di certi enti mediante la riduzione a tipi (irreducibili per trasformazioni bi-
razionali), così le ricerche sulla riduzione (all’ordine minimo) dei sistemi lineari di
curve piane (4) mediante trasformazioni cremoniane, e sotto un punto di vista non
molto dissimile possono riguardarsi le ricerche sulla razionalità delle superficie fra.
cui sono classiche quelle del signor Noether (5).
5) Nel secondo momento la geometria sull’ente diviene essenzialmente studio
delle proprietà invariantive dell’ente (6). Nella geometria sopra una curva questo
studio si riattacca all'applicazione delle funzioni abeliane di Clebsch (1. c.) e riceve
stabile assetto geometrico nell’importante memoria dei signori Brill e Noether (7).
In questo lavoro si trovano riuniti i principali teoremi di geometria sopra una
curva che hanno più tardi numerose ed utili applicazioni nella teoria delle curve
gobbe dello spazio (8).
Ma una nuova idea caratterizza uno sviluppo nuovo della geometria sopra una
curva rendendola indipendente (come si richiedeva per la sua perfezione) da una
particolare varietà cui la curva può supporsi appartenere. Intendo parlare dell’uso
degli iperspazi, i quali introdotti da Grassmann nel 1844 (come pure espressioni ana-
litiche) e da Riemann, furono usati dal Cayley nel 1867 e 1869 (come varietà di
elementi di arbitraria natura (9)) e con successo applicati allo studio delle curve
dal Clifford (10) (1878).
Il signor Veronese raccogliendo questi vari materiali di geometria iperspaziale
scrisse nel 1881 il suo classico lavoro (11) che fu il punto di partenza dello svolgi-
(1) Ueber die Anwendung der Abel’schen Functionen in der Geometrie (CreLLe, t. 63). Cfr. anche
CLessca e Gorpan, Theorie der Abel’schen Funetionen (Leipzig, 1866) e CLeesca (£ Comptes rendus ,
1868) dove è stabilito il concetto di genere per le superficie.
(2) Riemann, l. c., $ 12. Waierstrass, cfr. Brit e Norrner (“ Math. Ann. ,, VII) o CreBsca-Liw-
DEMANN, Bd. I (2° parte).
(3) Norrmer, Anzahl der Moduln einer Classe algebraischer Flichen (£ Sitzangsberichte von
Berlin ,, 1888).
(4) NoerzER (“ Math. Ann. ,, Bd. V); Bertini (£ Annali di Mat. ,, serie 22, t. VIII); Guocia (4 Circolo
Mat. di Palermo ,, t.1); Juxe (“ Istituto lombardo ,, 1887-88 e “ Annali di Mat. ,, serie 22, t. XV.
e XVI); Marminerti (“ Istituto lomb. ,, 1887 e “ Circolo di Palermo ,, t. I); CasteLnuovo (“ Circolo
di Palermo ,, 1890 e “ Accademia di Torino, Atti ,, 1890).
(5) “ Mathem. Ann. ,, III
(6) Un progresso analogo ha subìto la geometria proiettiva nel passaggio da Poncelet a Staudt.
(7) Ueber die algebraischen Functionen und ihre Amwendung in der Geometrie (£ Mathem. Ann. ,,
Bd. VII.
(8) Cfr. NoetnER, Zur Grundlegung der Theorie der algebraischen Raumeurven (£ Journ. fiir Mathem. ,,
Bd. 93); HaLrnen, Mémoire sur les courdes gauches algébriques (£ Comptes rendus ,, t. 70, 1870).
(9) Questo modo di vedere fu introdotto da Pluecher.
(10) On the Classification of Loci (£ Phil. Transactions ,).
(11) Behandlung der proiectiwische Verhdltnisse, ecc. (£ Math. Ann. ,, XIX).
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE lej5
mento di quella geometria avvenuto specialmente in Italia per opera del signor Ve-
ronese stesso e del signor Segre (1).
Fu allora che si pensò di rendere indipendente la geometria sopra una curva
dalla rappresentazione di essa nel piano e di sostituire così in quello studio i con-
cetti di curve aggiunte, ecc. coi procedimenti più semplici e generali proprì delle
considerazioni iperspaziali. Il signor Segre ed il signor Castelnuovo (2) riuscirono ad
elevare con questo concetto una nuova teoria della geometria sopra una curva che
alla semplicità ed armonia delle basi congiunge una potenza per la quale si fecero
in questo campo nuovi ed importanti acquisti.
La geometria sopra una superficie non ha progredito in proporzione alla geome-
tria sopra una curva, anzi si può dire che essa non è ancora entrata nel 2° momento
del suo sviluppo, poichè la teoria generale dei sistemi lineari di curve sopra una
superficie di arbitrario genere (fatta nel senso della geometria sopra una superficie)
non è ancora avviata. II lavoro fondamentale nell'argomento resta ancora quello
(citato) del signor Noether del 1874-75 (Mathem. Ann., VII) nel quale le funzioni
invariantive appartenenti ad una superficie vengono studiate in modo profondo. Suc-
cessivamente si ha un lavoro del signor Picard (3) dove in particolare sono studiate
le superficie con trasformazioni in sè stesse, e due note del signor Castelnuovo (4)
contenenti notevoli esempi di particolari classi di superficie. Invece la geometria sul
piano è entrata nel secondo periodo del suo sviluppo col noto lavoro del sig. Castel-
nuovo (5) il quale contiene concetti originali ed importanti a cui sembra possa darsi
maggiore estensione coll’applicarli allo studio delle superficie di genere > 0 (6).
2. Delineato rapidamente lo svolgimento che ebbe fino ad oggi la geometria
sull’ente ed in particolare sopra una superficie, debbo esporre quali contributi porti
questo lavoro alla nominata teoria e quali concetti mi abbiano guidato nella ricerca.
Lo scopo principale del lavoro è lo studio dei sistemi lineari 00” di curve (alge-
briche) appartenenti ad una superficie (algebrica). Li definisco come sistemi tali che
per r punti della superficie passi una curva di essa, e di cui gli elementi (curve)
possono riferirsi proiettivamente ai punti di uno spazio lineare $, (7).
(1) Per maggiori dettagli cfr. la Monografia storica del sig. Loria, Il passato e il presente delle
principali teorie geometriche (£ Accad. di Torino, Memorie ,, serie 2°, t. 38). Cfr. pure Sere, Su alcuni
indirizzi, ecc. (£ Rivista di Mat. ,, 1891).
(2) Cfr. specialmente: Sreare, Sulle curve normali di genere p dei varii spazii (“ Istituto lomb. ,,
1888 e Courbes et surfaces réglées (£ Mathem. Ann. ,, t. XXXIV e XXXV); CasreLnuovo, Ricerche di
geometria sulle curve algebriche (£ Accad. di Torino, Atti ,, 1889).
(3) Sur la théorie des fonctions algébriques de deux variables indépendantes (* Journal de
| Lionville ,, 1889).
(4) “ Istituto lombardo , (1891).
(5) Ricerche generali sopra i sistemi lineari di curve piane (* Accad. di Torino, Memorie ,, 1891).
Tra i lavori precedenti si possono considerare come facenti parte di questo 2° momento della geo-
metria sul piano, la nota del sig. Seere (£ Circolo di Palermo ,, t. I) e quella del sig. CastELNUOvO
(£ Ann. di Mat. ,, 1890).
(6) Per la geometria sulle superficie rigate cfr. il citato lavoro del sig. Segre (£ Mathematische
Annalen ,, XXXV).
(7) La 2* proprietà è una conseguenza della 1% pr. »> 1, se le curve del sistema non sì spez-
zano. Cfr. la mia nota: Una questione sulla linearità dei sistemi di curve appartenenti ad una super-
ficie algebrica (£ Accad. dei Lincei ,, giugno 1893) e la successiva del sig. CasteLnuovo (£ Accad. di
Torino ,, giugno 1893) in cui quel teorema è dedotto da un altro più generale relativo alle invo-
luzioni sopra una curva.
174 FEDERIGO ENRIQUES
Dopo avere premesso alcuni lemmi (noti) sui sistemi di curve riduttibili passo
ad esporre il concetto di sistema normale e di sistema completo, cioè di sistema non
contenuto rispettivamente in un altro dello stesso grado o dello stesso genere, e
stabilisco che un sistema di dato grado D (cioè di cui due curve s'incontrano in D
punti variabili) appartiene ad un determinato sistema normale dello stesso grado;
e risulta poi che sopra una superficie di genere > 0 una curva appartiene ad un
determinato sistema completo dello stesso genere. Ne deduco la 1° parte del teorema
del resto (PRestsate) (1), (cap. 1).
Nel cap. II considero le curve le quali godono la proprietà di segare un gruppo
residuo (nel senso di Brill e Noether) della serie caratteristica (2) sulla curva gene-
rica d’un sistema lineare oo" (dotato di curve fondamentali distinte) ed un gruppo
contenuto nel residuo della serie caratteristica sopra la curva generica di un si-
stema 00"7! contenuto nel primo: siffatte curve, sommate con curve fondamentali
del dato sistema, godono le medesime proprietà rispetto ad ogni altro sistema della
superficie (anche non dotato di curve fondamentali distinte) e sono segate sopra una
superficie d’ordine » in S; da superficie aggiunte d’ordine n — 4: perciò le dette curve
formano un sistema lineare (se esistono) e le componenti variabili del sistema (che
denomino curve canoniche) hanno un carattere invariantivo rispetto alla superficie il
quale risulta fissato molto semplicemente dalla loro definizione (3). Nasce quindi una
distinzione dei sistemi appartenenti ad una superficie in sistemi puri ed impuri se-
condochè le curve canoniche segano sulla loro curva generica un gruppo residuo della
serie caratteristica o un gruppo contenuto in un tal gruppo residuo: sopra una su-
perficie convenientemente trasformata (facendo segare dai piani le curve d’un sistema
puro), i primi sistemi non hanno punti base, i secondi sì; la questione si riattacca
alle curve eccezionali (ausgezeichnete) di Noether. Un sistema puro normale è neces-
sariamente completo.
Nel cap. HI introduco il concetto di sistema aggiunto ad un sistema lineare (0)
di dimensione r => 2; se (C) ha curve fondamentali distinte, le curve del detto si-
stema aggiunto sono definite dal segare un gruppo canonico sulla curva generica
di (C) e dal segare sopra la curva generica d’un sistema co'7 contenuto in (C), un
gruppo contenuto in uno appartenente alla serie somma della serie canonica e di
quella differenza fra la serie segata sulla curva da (C) e la serie caratteristica del
sistema 00°" (o il gruppo dei punti base semplici se » = 2).
La definizione data del sistema aggiunto esclude che (C) contenga in sè un
sistema co"7! di curve razionali (il che è impossibile se la superficie non è razio-
nale); sotto tale restrizione il sistema aggiunto a (C) coincide coll’aggiunto puro
definito dal signor Castelnuovo pei sistemi di curve piane, quando la superficie è
(1) Noerzer, “ Mathem. Ann. ,, VIII. Come ognun vede quest'ordine di idee è una conveniente
estensione alle superficie dei concetti che, come ho detto, il sig. Segre ed il sig. Castelnuovo intro-
dussero a fondamento d’una teoria della geometria sopra una curva.
(2) Con questo nome (introdotto dal sig. Castelnuovo pei sistemi di curve piane) indico la serie
che tutte le curve di un sistema segano sopra la curva generica di esso.
(3) L’invariantività è dimostrata analiticamente dal sig. Noether (“ Mathem. Ann. ,, VIII). Il
numero delle curve canoniche linearmente indipendenti è il genere (geometrico) p della superficie.
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 75
razionale. Quando 003 curve € sono sezioni piane d'ordine » d’una superficie F di $S; il
sistema aggiunto a (C) viene segato sulla F dalle superficie aggiunte d’ordine n — 3.
Per le superficie di genere p > 0 (a cui ci riferiamo) il sistema aggiunto è il
sistema normale somma del sistema canonico di (C) e dei suoi punti base (se (0) è
impuro) e questa proprietà serve a definirlo nel caso in cui (C) non abbia curve
fondamentali distinte.
Stabilire la dimensione del sistema aggiunto ad un sistema (C) di genere m, è
questione della massima importanza per le molteplici applicazioni cui conduce la
considerazione del sistema aggiunto. Indicando con è (0) il difetto di completezza
(= 0) della serie (canonica) che il sistema aggiunto sega sulla curva generica © di
(C), la dimensione del detto sistema aggiunto è p+r —1—d(0).
Se (C) è un sistema puro semplice (cioè in cui il passaggio d’una curva per un
punto non trae di conseguenza il passaggio per altri punti) si dimostra che la quan-
tità è (03) relativa ad un arbitrario sistema puro (C,) è < è (r €) (essendo (r €) il
sistema rplo di (C)) per r assai grande. Se dunque il è (r €) invece di crescere in-
definitamente con » ha un massimo K (come avviene certo se la superficie ha sin-
golarità ordinarie), K è un vero carattere invariantivo della superficie. Importante è
il caso in cui K= 0; indipendentemente da qualsiasi restrizione relativa alle singo-
larità della superficie, si prova che è K=0 se è (20) =0, e viceversa; quindi se
(C) è un sistema puro semplice per cui è.(2 C) = 0 per ogni altro sistema (anche
impuro) di genere m, la dimensione del sistema aggiunto è p+ m — 1: se in parti-
colare la superficie è così trasformata da avere soltanto singolarità ordinarie, il
genere geometrico p di essa è uguale al suo genere numerico p; definito da Zeuthen
e. Noether, e viceversa è K —=0 sep = p;. La restrizione K= 0 è ammessa nel se-
guito per le superficie che si considerano (fino all'ultimo cap. escl.); e nel $ 7 del
cap. III ho creduto opportuno (vista l’importanza della cosa) di richiamare altre
circostanze che permettono di concludere la sussistenza di tale fatto.
Servendomi del sistema aggiunto dimostro quindi che ogni sistema impuro (con
punti base distinti) può dedursi coll’aggiunta dei suoi punti base da un sistema puro
o (forse) da un sistema con soli punti base semplici: dimostro poi la 2* parte del
Restsatz ($ 3), e nei $$ 5 e 6, do esempi relativi alle superficie di genere 0, 1 (cap. III).
Il maggiore interesse si concentra nello studio dei sistemi puri (C) (completi);
il sistema aggiunto permette di dedurre che la loro serie caratteristica è completa
se tale è quella del sistema canonico (o se il sistema canonico non ne ha alcuna)
(cap. IV): in siffatta ipotesi per l’intersezione di due curve C di (C) passano 2p+w — i
curve (linearmente indipendenti) del sistema aggiunto a (0), essendo p il genere della
‘ superficie, i — 1 la dimensione del sistema residuo di (C) rispetto al canonico (l’in-
dice di specialità i = 0 se (0) è non speciale cioè non contenuto nel canonico) ed w > 0;
designo w col nome di sovrabbondanza di (C) perchè (come risulta più tardi) se si
suppone la superficie in S, e si fa segare (C) mediante aggiunte in modo arbitrario,
la sua dimensione virtuale p calcolata in base alle formole di postulazione di Noether
è tale che (indicando con r la dimensione effettiva di (C)) si ha:
r—p=zWT_- i.
Se t è il genere di (C) ed » è il suo grado, si ha la relazione
176 FEDERIGO ENRIQUES
q-_l-n+r=api+w—i
(dove î = 0 se (C) è non speciale).
Questa relazione costituisce un'estensione del noto teorema di Riemann Roch della
geometria sopra una curva: essa fu data sotto forma di disuguaglianza dal signor
Noether (1), ma la relativa dimostrazione mi sembra presentare una lacuna.
Definendo w mediante l'uguaglianza 7 — p = w — è, la relazione precedente sus-
siste ancora se (C) è impuro (dedotto coll’aggiunta di punti base da un sistema puro)
ed è ancora w => 0.
Infine la relazione stessa sussiste anche prescindendo dalla restrizione invarian-
tiva per la superficie che la serie caratteristica del sistema canonico sia completa,
ma allora non risulta dimostrato che sia sempre w = 0; si ha però certo w => 0 se
‘A e fili essendo p (1) il 2° genere (Curvengeschlecht) della superficie.
L'utilità della precedente relazione si presenta nel cap. V trattando delle curve
fondamentali. Poste alcune limitazioni per queste curve si dimostra una relazione
fra i caratteri d’un sistema (C), il genere d'una curva fondamentale e i caratteri del
sistema residuo (C’): se ne deduce alcune notevoli proprietà dei sistemi regolari
(W = 0) e del sistema canonico; p. e. un sistema regolare di dimensione > p non ha
curve fondamentali di genere > 0. Così se di un sistema puro (0), senza curve fon-
damentali di genere > 0, si considera il multiplo secondo wm, per m assai grande
questo è regolare: si può in tal modo trattare un caso semplice delle formule di
postulazione relative alle varietà che passano per una superficie negli iperspazi.
Infine le curve fondamentali di genere 0 dei sistemi lineari sono degne di atten-
zione perchè conducono ad un nuovo carattere invariantivo per le superficie (p > 0):
in particolare si troverà dimostrato un teorema sui punti doppi che una superficie
può acquistare (per trasformazione) in S..
Nel cap. VI do un rapido sguardo alle involuzioni. Estendo per quelle irrazio-
nali un teorema fondamentale stabilito dal signor Castelnuovo (2) per le involuzioni
appartenenti ad una curva.
Finalmente determino una espressione invariantiva per le involuzioni razionali
sopra una superficie, formata coi caratteri di una rete di cui due curve si segano
in un gruppo dell’involuzione.
Questo in breve è il tessuto del mio lavoro, di cui i numerosi mancamenti spero
mi si vorranno perdonare in vista degli ostacoli che ad ogni passo s'incontrano; io
sarò lieto se queste ricerche varranno ad invogliare taluno allo studio di un così
bello argomento di cui le difficoltà esercitano una meravigliosa attrattiva.
1° giugno, 1893.
FeDERIGO ENRIQUES.
(1) “ Comptes rendus ,, 1886.
(2) * Accad. dei Lincei ,, 1891.
RICERCHE DI GEOMETRIA SUILE SUPERFICIE ALGEBRICHE 177
I
Generalità sui sistemi lineari di curve appartenenti
ad una superficie algebrica.
1. Definizioni. — Teoremi preliminari. — Si dirà sistema lineare co di curve
(algebriche) sopra una superficie algebrica S, un sistema di curve tale che per %
punti della superficie in posizione generica passi una ed una sola curva del sistema,
e tale che gli elementi (curve) di esso possono riferirsi proiettivamente agli elementi
generatori (punti o iperpiani Sx.) di una forma lineare S; (in modo che ad un Sx,
o ad un punto corrisponda un sistema lineare immerso in quello co* e viceversa) (1).
Sopra una superficie appartenente ad uno spazio S, un sistema lineare co” di
varietà (ad »—1 dimensioni) non contenenti la superficie, sega sempre un sistema
lineare co di curve; vedremo più tardi come in tal modo si possa ottenere qualunque
sistema lineare d’una superficie S, ad es. segandola con sistemi lineari di superficie
se essa appartiene allo spazio Sy (o è stata proiettata in quello); ma noi vogliamo
anzitutto ricavare le proprietà generali dei sistemi lineari dalla definizione che ne
abbiamo data, senza occuparci del modo con cui sono stati costruiti.
Se si ha un sistema lineare co" di curve di cui le parti variabili si segano due
a due in D punti variabili, diremo che il sistema è di dimensione k, e grado D: se
le curve del sistema sono irreduttibili e la curva generica ha il genere t, diremo
che il sistema co" è di genere n.
Se k= 1 non si può parlare di grado del sistema. Non vi sono altri casì in
cui non si può parlare di grado d’un sistema irreduttibile.
Infatti se X > 1 per un punto della superficie deve passare più d’una curva del
sistema e quindi il punto è comune a due curve; perciò l’unico caso in cui non si
possa parlar di grado del sistema è quello in cui due curve aventi un punto comune
abbiano comuni altri infiniti punti ossia abbiano comune una linea, l'insieme di tutte
queste linee è tale che per un punto della superficie ne passa una ossia è ciò che
dicesi un fascio; allora le curve del sistema si compongono d’un certo numero m di
curve del fascio e non sono più irreduttibili. Per ogni sistema lineare irreduttibile di
dimensione % > 1 i caratteri %, D, © hanno dunque un significato ben definito.
Può darsi che tutte le curve d’un sistema 00° passanti per un punto, debbano
(1) Il secondo fatto per X >1 è una conseguenza del primo quando la curva generica del
sistema è irreduttibile. Cfr. la mia nota: Una questione sulla linearità dei sistemi di curve apparte-
nenti ad una superficie algebrica (“ Accad. dei Lincei ,, giugno 1893). Il teorema è stato nuovamente
dedotto dal sig. Castelnuovo come corollario di una importante proposizione sulle involuzioni appar-
tenenti ad una curva algebrica (“ Accad. di Torino ,, giugno, 1898).
Serie Il. Tom. XLIV. x
173 FEDERIGO ENRIQUES
in conseguenza passare per altri punti della superficie in numero finito m — 1 va-
riabili con esso, e si ha allora sulla superficie una seiie co* di gruppi di m punti
tale che un punto appartiene ad un gruppo della serie, ossia ciò che può dirsi una
involuzione I,; possiamo dire che il sistema appartiene all’involuzione In; diremo sem-
plice un sistema in cui il passaggio d’una curva generica per un punto non trae di
conseguenza il passaggio per altri punti variabili con esso.
Un sistema 00° (rete) appartiene ad una involuzione Ip, se D è il suo grado.
Tranne per le superficie omaloidi un sistema semplice ha sempre la dimensione % > 2.
Si riferiscano proiettivamente le curve del sistema semplice (C) agli iperpiani
(S.-;) di Sx; ogni punto della superficie S è dase per un sistema lineare 00 costi-
tuito da tutte le curve di (C) che passano per esso; a questo sistema 00° corisponde
in S, la 00** degli iperpiani per un punto P, ossia la stella di centro P: in questo
modo nascono in S, co? punti P i quali generano una superficie F, e poichè, per
ipotesi, (C) è un sistema semplice, la superficie F_è riferita alla S punto per punto.
Indicheremo brevemente la trasformazione eseguita dicendo che si è trasformata la
S in umaltra superficie F_di S, su cui le curve del dato sistema (C) sono segate dagli
iperpiani od anche dicendo che facciamo segare sulla saperficie le curve del sistema (€)
dagli iperpiani di Sx.
La trasformazione indicata non riesce più biunivoca se il sistema (C) non è
semplice. In tal caso possiamo sempre costruire un sistema lineare 00! di curve
(fascio razionale) che non appartenga all’involuzione I, cui appartiene (C); invero
basta considerare il fascio segato da un fascio di iperpiani (o di piani) nello spazio
5, a cui la superficie S appartiene, escludendo (tatt’al più) posizioni particolari dello
S,-s base. Ciò posto si riferiscano proiettivamente le curve del sistema (0) agli iper-
piani (S) di un Sx+1 per un punto O e le curve del fascio razionale agli iperpiani
per un S,-, in Sx+1 non contenente O: un punto della superficie S è base per un
sistema 00" di curve in (C) ed appartiene ad una curva del fascio; al sistema co!
corrisponde la forma degli iperpiani aventi una retta base per O, ed alla curva un
iperpiano per lo S;_, che incontra la detta retta in un punto P; il luogo dei punti P
così costruiti è una superficie F_di Sx+1 riferita biunivocamente alla S su cui le curve
del sistema (C) sono segate dagli iperpiani per O.
Questa 2° trasformazione riesce biunivoca per tutti i sistemi (C) (naturalmente
anche per quelli semplici) tali che il passaggio di una curva di essi per un punto
non tragga di conseguenza il passaggio per infiniti punti. Infine anche un fascio ra-
zionale di curve può fursi segare dai piani d’un fascio in Sg (o dagli iperpiani d’un
fascio in un iperspazio), adoprando una rete (od altro sistema) ausiliaria e compiendo
la trasformazione indicata innanzi. È utile che ci fermiamo a considerare alcune par-
ticolarità di queste trasformazioni ottenute partendo da una rete e da un fascio (nel
seguito si sottintenderà razionale salvo avviso in contrario), come pure di un’altra
trasformazione analoga che può ottenersi partendo da tre fasci, poichè nel seguito ci
occorrerà di richiamare queste proprietà.
Si abbia una rete di grado D, ed un fascio di cui una curva generica seghi in
n punti variabili una curva della rete e che non appartenga all’involuzione Ip che
la rete determina; riferiamo proiettivamente le curve della rete ai piani per un
punto O e le curve del fascio ai piani per una retta r (non contenente 0), compiendo
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 179
così la trasformazione della data superficie. Sulla nuova superficie F i piani per r
segano (fuori di r) curve d’ordine » (aventi x punti comuni coi piani per 0); ad un
punto della » corrispondono i D punti base d'un fascio appartenente alla rete, e quindi
la » è D pla per la F, la quale risulta d'ordine + D; una retta per O sega la
F in D punti (base d’un fascio immerso nella rete), quindi O è x plo per la superficie F:
inoltre la superficie contiene curve multiple secondo A, À,,... (in generale una curva
doppia) i cui punti corrispondono risp. a gruppi di %,, fo,... punti contenuti in un gruppo
della involuzione Ip cui appartiene la rete ed appartenenti ad una stessa curva del
fascio; vi sono poi in generale rette multiple per O della F e punti multipli isolati
corrispondenti a curve che non hanno intersezioni variabili con quelle della rete
(fondamentali), ed infine la F potrà presentare anche altre singolarità in corrispon-
denza a singolarità della primitiva superficie. È anche d’uopo avvertire che dalla
superficie F_ può eventualmente staccarsi un certo numero di volte il piano O r, ed
allora soltanto la parte residua dovrà considerarsi la trasformata propria della su-
perficie data; il caso accennato si verifica se il fascio e la rete hanno una curva
comune cui corrisponda il piano Or sia considerato come appartenente alla stella di
centro O, sia come appartenente al fascio di asse r.
In modo analogo potranno vedersi le proprietà, che ora accenno, della trasfor-
mazione in cui si fanno segare 3 fasci dai piani risp. per 3 rette r1, 7, 73 (non pas-
santi per un punto). Se le curve del 1° fascio incontrano quelle del 2° risp. in w9, n,
punti e quelle del 2° e del 3° s’incontrano in #} punti (e 3 curve di ciascuno dei
fasci per un punto non han comuni altri punti variabili con esso), riferendo proietti-
vamente le curve dei 3 fasci risp. ai piani per r,, ro, #3, la superficie si trasforma
in una F di ordine n} + 3 + #3, che ha le rette r,, ro, #3, multiple risp. secondo
n, No, 3, ecc. È da osservarsi che due rette ad es. 7,, r, possono essersi scelte
passanti per un punto 0, ed allora può ancora accadere che si stacchi il loro piano
(un certo numero di volte) dalla superficie F.
Stabiliamo ora il seg. teorema: Se in un sistema lineare la curva generica si
spezza, o il sistema si compone delle curve irriduttibili d'un altro sistema a cui si sono
aggiunte delle curve (componenti) fisse, o le componenti irriduttibili delle curve del sistema
formano un fascio (razionale 0 no) (1).
Facciamo segare le curve del sistema (0) (in cui si può supporre % > 1) dagli
iperpiani di S:-1 per un punto O sulla superficie F riferita in modo semplice o mul-
tiplo alla primitiva; la F non può essere spezzata (poichè tale non si suppone la
primitiva), quindi dico che le sue sezioni iperpianali per O non possono tutte spez-
zarsi tranne in rette per 0. Basta vedere il fatto per X = 2 potendosi altrimenti
proiettare la F in S,. Ora ricordiamo che la F può supporsi riferita semplicemente
alla primitiva superficie se la F stessa non è un cono di vertice O (ossia la rete (0)
ha un grado): escluso che la F sia un cono, consideriamo un fascio di piani seganti
la F il cui asse r passi per O e non appartenga alla F; le curve C sezioni dei piani
per » formano un fascio cioè un sistema che sulla superficie irreduttibile F non può
(1) Cfr. pei sistemi lineari nel piano: Berrmi (“ Istit. lomb. ,, 1882), e per quelli su una qua-
lunque superficie: NorrzEr, “ Math. Ann. ,, III, pag. 171; VII, p. 524.
180 FEDERIGO ENRIQUES
spezzarsi in più sistemi; se in ogni piano per r la sezione della F è spezzata in
s(> 1) curve K, sulla varietà co! che ha per elementi le curve K (componenti un
fascio) i gruppi di s curve costituenti le C formano una serie lineare 9g; la quale
possiede almeno 2 (s — 1) elementi di coincidenza: si arriverebbe così alla conclusione
che per un’arbitraria retta r per O vi sono dei piani tangenti alla F lungo una linea
(una K), e poichè vi sarebbero infiniti di tali piani la F sarebbe contata più volte,
ciò che è assurdo.
Ciò posto nel 1° caso (cioè se le sezioni generiche della F per 0 sono irredut-
tibili) alla curva generica di (C) corrisponde una parte variabile irreduttibile sezione
della F con un iperpiano per O, ed il punto 0 che non può esser dato se non da
componenti fisse; nel 2° caso le curve del sistema (C) si compongono con quelle
del fascio, rappresentato dalle 00! rette per O sulla F. Così ogni sistema riduttibile
di cui le curve non si compongono delle curve d’un fascio definisce un sistema irre-
duttibile di ugual dimensione ottenuto staccando le componenti fisse: diremo genere
e grado del primitivo sistema quelli del sistema irreduttibile così definito, ed eselu-
deremo nel seguito la considerazione dei sistemi di cuì la curva generica si compone di
m curve d'un fascio.
Sussiste pure il teorema :
In un sistema lineare di curve irreduttibili la curva generica non può avere punti
multipli fuori dei punti base, e delle linee multiple della superficie (1).
Nel sistema lineare si consideri un fascio (razionale); basterà dimostrare che
non può esistere una linea, non singolare per la superficie, luogo di punti multipli
delle curve del fascio; ne seguirà allora immediatamente il teorema enunciato. Ora
la dimostrazione si farà per assurdo.
Supposto che esista una tal curva C luogo dei punti multipli delle curve del
fascio, si può immaginare sulla superficie una rete di curve per la quale il passaggio
per un punto della C non porti di conseguenza il passaggio per altri punti della €
stessa (in modo cioè che la C non sia luogo di coppie appartenenti a gruppi dell’in-
voluzione definita dalla rete), ed allora si può trasformare la superficie in una F su
cui le curve della rete sien segate dai piani per un punto O, quelle del fascio dai
piani per una retta », ed alla curva C venga a corrispondere sulla F una curva 0'
non singolare; ora la sezione piana generica della F_ per » non può avere punti mul-
tipli fuori della curva multipla della F stessa e della retta multipla » la quale
contiene i punti di contatto con F del piano generico per 7; è dunque assurdo che
le sezioni piane per r della F abbiano dei punti multipli i quali descrivano la C'
come avverrebbe per conseguenza della nostra ipotesi sulla C.
2. Sistemi normali e sistemi completi. — Come è noto una superficie si dice mor-
male in un S, a cui appartiene, quando essa non può ritenersi come proiezione di
una superficie dello stesso ordine (ossia da un punto esterno) di 5,41; traducendo
questa definizione in linguaggio invariantivo diremo normale un sistema lineare (avente
un grado) che non può esser contenuto in un altro dello stesso grado. È chiaro, appunto
(1) Cfr. pei sistemi piani: BertINI (I. c.).
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 181
per la considerazione proiettiva da cui siamo partiti, che se un sistema semplice è
contenuto in un altro dello stesso grado, anche i generi dei due sistemi debbono essere
uguali. Non sussiste però la proprietà inversa, giacchè proiettando una superficie nor-
male da un suo punto semplice (da S, in S,_) si ottiene una nuova superficie normale
le cui sezioni sono curve dello stesso genere, ma di cui l'ordine è diminuito di una
unità. Questa osservazione fa nascere l’idea di considerare accanto ai sistemi normali
quei sistemi (che diremo completi) è quali non possono esser contenuti in altri di ugual
genere; il concetto di sistema completo è dunque più largo di quello di sistema nor-
male, poichè, per quanto abbiamo osservato, un sistema completo è sempre un sistema
normale (anche se non è semplice come risulta da un successivo teorema), ma non
viceversa. È anche opportuno rilevare con esattezza ciò che può intendersi dicendo
che un sistema è contenuto in un altro. Dato un sistema (K) di curve K, un si-
stema (C) di curve C è contenuto in (K) in modo totale se ogni curva C è da sola
una K; ma può anche darsi che invece ogni curva C non costituisca da sola una K,
mentre una curva composta di una C e di un’altra €’ sia una K; si dirà allora
che il sistema (0) è contenuto in (K) in modo parziale (ossia che le C sono curve
parziali di (K)). Ora io dico che un sistema non può essere contenuto parzialmente in
un altro di ugual grado.
Infatti se un sistema 00° (K) ne contiene uno 0° (C), facendo segare le curve K
di (K) dagli iperpiani di S.41 per un punto 0, sulla superficie F, le curve C di (0)
risulteranno segate dagli iperpiani per un S,_, contenente O: se ora le C sono con-
tenute in (K) in modo parziale il detto S,_, sega F secondo una curva €’ (o in un
gruppo di punti) che insieme a ciascuna C dà una K ed allora si può considerare
un sistema 00”+! immerso in (K) contenente parzialmente (0). Si facciano segare le
curve del nuovo sistema dagli iperpiani di S,.-1 sulla superficie F' (la quale potrebbe
essere anche in corrispondenza [1 m] colla F); alla curva €’ corrisponde su F' un
punto, in generale multiplo, e proiettando la F' da questo punto si ottiene certo una
superficie d'ordine minore; dunque il sistema (K) ha il grado maggiore di (C). Dalle
considerazioni occorse risulta pure che, ove si voglia attribuire un senso invarian-
tivo al fatto che un sistema sia contenuto parzialmente o totalmente in un altro,
bisogna intendere che una curva Cl’ la quale insieme ad una € costituisce una curva K
di (K), possa anche esser rappresentata da un punto; così se in un sistema lineare
se ne considera un altro contenuto con qualche punto base di più (in modo che il
grado diminuisce), il secondo sistema è contenuto parzialmente nel primo.
Per il resultato precedente si vede che la definizione di sistema normale come
di sistema non contenuto in altro di ugual grado è indipendente dalla larghezza di
significato che voglia attribuirsi alla parola contenere, dicendo contenuto in un altro
anche un sistema che vi è contenuto parzialmente, giacchè è inutile cercare un sistema
di ugual grado che ne contenga un altro parzialmente. Invece non accade lo stesso
per rispetto alla definizione di sistema completo, ed un esempio varrà ad illuminare
meglio la cosa. Si abbia sopra una superficie F un sistema (0) del genere tr; le curve C
per un punto semplice O costituiscono un sistema contenuto in esso dello stesso ge-
nere; ora si trasformi la superficie in modo che al punto O corrisponda una curva
semplice K della superficie trasformata F'; alle curve © corrispondono sulla F' le
curve C' d’un sistema (C’), ed alle curve C per O curve C' spezzate nella K ed in
182 FEDERIGO ENRIQUES
altre curve d’un sistema lineare (0"); il sistema (C") è contenuto parzialmente in quello
(C') dello stesso genere. Da questa osservazione scaturisce la necessità di fissare bene
il senso della parola contenere nella definizione di sistema completo, e noi fissiamo
di chiamare completo un sistema che non può essere contenuto in altro di ugual genere
nemmeno parzialmente; questa definizione più larga è assolutamente necessaria (come
appare dal prec. esempio) ove si voglia che il carattere d’un sistema di essere com-
pleto (invariantivo per trasformazioni birazionali della superficie) esprima qualcosa
di differente da quello di esser normale.
Si considerino ora due fasci di curve irreduttibili di ugual genere aventi comune
una curva totale dello stesso genere e sulla superficie F si facciano segare le curve
di essi risp. dai piani per le rette », r' che s'incontrano nel punto O; se la trasfor-
mazione è fatta nel modo generale indicato, alla curva comune dei due fasci, secon-
dochè si considera appartenente all'uno o all’altro fascio, corrisponde la retta mul-
tipla » o la »' sulla F; abbiamo già notato però che se si fa corrispondere, nella
proiettività posta tra ciascuno dei due fasci ed il fascio di piani omologo, la curva
comune al piano rr’, questo si stacca (un certo numero di volte) dalla superficie F;
dico che alla rimanente F non appartengono le rette r,'. Un punto infinitamente
vicino alla curva comune © dei due fasci individua in generale una curva in ciascun
fascio, e quindi alla curva comune dei due fasci corrisponde punto per punto la se-
zione della F col piano r 7' fuori dir ed r'; se la retta 7 appartiene (come semplice
o multipla) alla F, le corrisponde una curva che insieme alla C compone una curva
del fascio segato sulla F dai piani per r'; quindi nell’ipotesi fatta che la C sia una
curva totale per i due fasci, le rette r, r' non appartengono alla F, e su questa i
piani per O segano una rete di curve dello stesso genere dei due fasci, in cui questi
sono contenuti totalmente.
Supponiamo ora che la curva C comune ai due fasci sia contenuta parzialmente
in uno di essi o in ambedue, ma abbia però il genere comune dei due fasci. Com-
piendo la trasformazione eseguita prima, sulla F (da cui è staccato quante volte
occorre il piano r #') alla © corrisponde la sezione del piano + #’ fuori di r ed »'.
Le rette r, #" (ambedue o una sola di esse) apparterranno ora alla F con molte-
plicità è, è’ risp. Sia n l'ordine della F, m la molteplicità del punto O, è il numero dei
punti doppi a cui equivalgono (rispetto alle formule pluecheriane) i punti multipli di
una sezione generica per O fuori di O, m il genere di tale sezione; si avrà:
(a — 1) (n — 2) Lr ESE
Ta 2 nr 9
La r potrà incontrare la curva multipla di F in qualche punto, in modo che
una sezione piana per r da cui sia tolta la » avrà è — è, punti doppi fuori di 0
(o molteplicità equivalenti) essendo è > è; ; indicando con , il genere di una tale
curva si avrà dunque
n—-i_-1l)nT_-t—- 2) Mm_-d)m_—-i—-1) Dida
PIACE ASSIONI SLA VOTATI CIAD E cera fe 1°
Tj,= 9 9
dando a rj', dy' gli analoghi significati di t,, è;, rispetto alle sezioni piane della F
per »' da cui è tolta la r', si ha pure
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 183
_ ni -1)n—_ i — 2) (m_- i)(m_—- i — 1)
La curva C di genere n, sezione della F col piano r »' da cui sieno tolte le 7, #',
è d'ordine n» — è — i’, ed ha è — è, — è, punti doppi (almeno) fuori di 0 (0 mol-
teplicità equivalenti), poichè la curva composta C +» + »' ha è punti doppi (o mol-
teplicità equivalenti) sulla curva doppia (o multipla) della F fuori di O, di cui è,
dipendono dal fatto che il piano della C passa per la retta multipla », è,’ dal fatto
che passa per 7,'. Il genere della C vale dunque
Li Ce Ir e) (m_i—- i) (n
m ini lunici ci (muicil@m ini pata,
dove il segno < dovrebbe prendersi se la C avesse ulteriori punti multipli acci-
dentali (di cui potrebbe escludersi l’esistenza).
Ora dalle uguaglianze scritte segue:
Tq_-_m=i—m_-1)—- òd
Tq_-qn,=i(n_-m— 1) d,
Tq_-m=(+4+)n-m_-1)—-d—d',
ossia
Tq_-T=2n- TT, mm,
Ma secondo le nostre ipotesi
Moi = Mi =
quindi
T— Mm => 2(©1 — m)
pe
Dico che ne segue
Ti=—— My 00 percio — To = Ma.
Infatti r è il genere d’una sezione piana generica della stella di centro O su F,
se questa sezione si particolarizza comunque spezzandosi in s parti di genere k,,
ko... ks di cui due parti di genere %,, %, si segano in i», punti, si ha, secondo una
formula di Noether (1),
tq=k +... +h+Zi,— 1
(1) “ Acta Mathematica ,, 1886. È da prendersi il segno = quando nessuna delle componenti
della curva spezzata acquista punti multipli accidentali.
184 FEDERIGO ENRIQUES
dove la somma è estesa a tutte le combinazioni di x, p; siccome la curva composta
spezzata è connessa perchè limite di una curva irreduttibile connessa, almeno s fra
le i,, non possono essere o, quindi
t=k +ko+..+%;
perciò nel nostro caso :
to mis
Si deduce che i piani per O segano ancora sulla F una rete di curve dello stesso
genere dei due fasci e della loro curva comune parziale, nella quale i due fasci sono
contenuti (tutti e due parzialmente o uno parzialmente e uno totalmente). Si conclude:
Due fasci di curve dello stesso genere aventi comune una curva di ugual genere,
sono contenuti in una rete dello stesso genere, e sono contenuti totalmente in una tal
rete se la loro curva comune è totale. i
Questo teorema è suscettibile di una immediata generalizzazione. Infatti, sia
estendendo il metodo qui seguìto, sia mediante le più elementari proprietà dei sistemi
lineari di enti si deduce che:
Se due sistemi lineari 0, 0° di curve sopra una superficie hanno comune un
sistema 007 di curve dello stesso genere comune ai due sistemi (per 0 = 0 s'intende una
curva), vi è un sistema lineare o°*5=7 che ha pure il detto genere in cui i due sistemi
sono contenuti.
Il sistema 00°*+*-7 si costruisce prendendo risp. nei due sistemi 00°, co° due fasci
che abbiano comune una curva del sistema co” e costruendo la rete che contiene i
due fasci come prima abbiam visto.
Supponiamo che i sistemi 00”, 00° e quello co7 comune abbiano il grado D (0 >2);
ossia che il sistema 007 sia contenuto totalmente nei due. Facendo segare le curve
del sistema 00*+*77 dagli iperpiani per un punto O in 5S,+s-7+1, sl vede che questo
sistema ha pure il grado D, giacchè altrimenti gli S,-,, Ss-s base dei sistemi d’iper-
piani seganti i due sistemi 00°, 00" conterrebbero qualche curva o punto della su-
perficie F_ ed il sistema 00° segato dagli iperpiani per lo Sr+s-2, a Cui Sr-s, Ss,
appartengono, avrebbe un grado minore di quello dei due sistemi 00°, co°. Tanto
basta per concludere che un sistema di dato grado non può appartenere a due di-
versi sistemi normali (s'intende dello stesso grado), giacchè questi sarebbero con-
tenuti in un altro di ugual grado. Ora poichè la dimensione d’un sistema lineare
non può superare il grado aumentato di una unità, concludiamo:
Un sistema lineare di dato grado appartiene ad un determinato sistema normale
dello stesso grado.
Quando si ha una sola curva (od un fascio) non si può parlare di sistema nor-
male individuato da essa, mancando per essa la nozione di grado: bisogna quindi
ricorrere al concetto di sistema completo.
Noi possiamo per ora asserire (in modo analogo al prec. teor.) che:
Una curva non può appartenere a due diversi sistemi completi dello stesso suo genere.
Non possiamo però trarne la conclusione generale che esista un sistema com-
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 185
pleto (con un numero finito di dimensioni) individuato da una data curva: occorre
perciò fissare un massimo della dimensione d’un sistema di dato genere, e questo
massimo manca ad es. pei sistemi di curve razionali nel piano e di curve di genere
più alto sulle rigate di genere > 0: queste classi di superficie verranno escluse nei
cap. che seguiranno, e dopo aver parlato del genere p delle superficie vedremo come
per p > 0 il teorema accennato sussista senza eccezione (cap. II). Intanto una curva
appartiene ad un determinato sistema completo se si sa che essa è contenuta (anche par-
zialmente) in un sistema completo.
3. Sistemi residui. — Teorema del resto. — Tutte le curve C’ d’un sistema lineare
(K) che insieme ad una stessa C formano una curva totale C + C’ di (K) costituiscono
il sistema residuo della curva C rispetto al sistema (K): è da avvertire che la C potrà
essere una curva composta e tra le sue componenti potranno esservi dei punti base
per (C’).
Sia (K) un sistema completo e (C') il residuo della curva C rispetto ad esso.
Si consideri (se vi è) un sistema contenente (C’) e dello stesso genere di esso, ed
in quel sistema un fascio contenente una curva generica C' di (0°); il detto fascio
venga fatto segare sulla superficie F dai piani per una retta r', mentre un fascio
di curve K di (K) contenente la C+- C' venga segato dai piani per una retta r inter-
secante la »' in un punto O: inoltre il piano r 7" considerato come appartenente ai
due fasci corrisponda risp. alle curve C' e C + C', di guisa che esso si stacchi (un
certo numero di volte) dalla superficie F. Staccato il detto piano la curva C’ vien
rappresentata dalla sezione di esso sulla F fuori di »r'.
Sia mil genere d’una sezione piana generica della F per O, m, il genere d’una
sezione per r, ty" quello d’una sezione per r', m, il genere della C'; si ha per ipo-
tesi m, = ny": come abbiam visto nel precedente $, sussiste la relazione
Tq_-m=2n- n, mm,
e quindi, posto in esso t,' = T,, segue tT<tT, e però t= tm,
Si deduce che le sezioni per O della F sono curve del sistema completo (K) di
genere T, e poichè la C+ C'è una curva totale di questo sistema la r non appar-
tiene ad F.
Il fascio delle sezioni piane per r' (contenente €’) appartiene dunque parimente
a (K) ed esso è il residuo della componente della C rappresentata dalla r'; le altre
componenti debbono necessariamente essere curve razionali giacchè se il genere di
una curva spezzata (connessa) è uguale al genere di una componente, le altre com-
ponenti sono di genere O (avendosi il genere della curva composta maggiore od
uguale della somma dei generi delle sue parti): si vede così che nel caso più gene-
rale possibile la C si spezza in due parti C;, C, (la 2° delle quali composta di parti
razionali) in modo che il sistema residuo di C, rispetto a (K) è il sistema completo
a cui appartiene il residuo (C’) della C (= 0, 4- 0,).
Così si ha intanto:
Il sistema residuo d’una curva C, senza componenti razionali (0 punti), rispetto ad
un sistema completo (K) è completo.
Serie II. Tom. XLIV. »
186 FEDERIGO ENRIQUES
Supponiamo che (C') abbia un grado e consideriamo il sistema normale di ugual
grado 00° a cui appartiene: questo è contenuto nel sistema completo residuo di (€;
rispetto a (K).
Si consideri (se esso non è completo) un sistema 005! di curve generiche del
sistema completo residuo di C, che contenga in sè il sistema normale 00° e si fac-
ciano segare queste curve dagli iperpiani di Ss+1 sulla superficie (semplice o mul-
tipla) F'. Il sistema 00° vien segato dagli iperpiani per un punto O in generale mul-
tiplo per F", ed al punto O corrisponde sulla data superficie una curva Cs (composta
forse anche di punti) tale che il residuo della C, + Cz rispetto a (K) è il sistema
normale a cui appartiene (C’). Perciò la C, fa parte della C, (la quale insieme con
C, costituisce la € che ha per residuo (0')), e siccome il sistema (C') deve esser
contenuto totalmente nel sistema normale di ugual grado che esso determina, si de-
duce che C, coincide con C, e però (C') col sistema normale residuo di C, + 0, =
C+ = 0.
La deduzione sussiste ancora se il sistema (K) non è completo ma soltanto nor-
male purchè appartenente ad un sistema completo. Infatti in tal caso se la dimen-
sione di (K) è 7, possiamo considerare un sistema 00”! che lo contenga appartenente
al sistema completo (U) che (K) determina; le 00”! curve posson farsi segare dagli
iperpiani di S,41 sulla superficie (semplice o multipla) F'; su di essa si ha allora un
punto (in generale multiplo) O rappresentante una curva L il cui residuo rispetto
al sistema completo (U) è il sistema normale (K); basta aggiungere alla C la L e
considerare il residuo di L + C rispetto al sistema completo (U) per trarne la con-
clusione che il sistema residuo (0°) è normale. Dunque:
Il residuo d’una curva rispetto ad un sistema normale (appartenente ad un sistema
completo) è un sistema normale (se ha un grado).
Nel sistema completo (K) sieno contenuti parzialmente i due sistemi irredutti-
bili (C) e (C’) tali che (C') sia il residuo di una curva generica © rispetto a K, e
(C) il residuo di una generica C'. Supposto (per brevità) che la superficie non sia
razionale, le C, C' generiche non sono razionali, quindi (0°) e (C) (residui di esse rispetto
al sistema completo (K)) sono completi (la deduzione sussiste anche per le super-
ficie razionali). Poichè una curva generica di un sistema completo lo determina in
modo unico, si trae la conclusione che (C') è il residuo d’ogni altra curva C di (C),
e (C) è il residuo di ogni altra curva C' di (C’). Dunque:
Se in un sistema completo (K) sono contenuti parzialmente due sistemi irreduttibili
(C), (0”), tali che ciascuno di essi sia il residuo rispetto a (K) di una curva generica
dell’altro, ciascuno dei due sistemi è il residuo rispetto a (K) di ogni curva dell'altro;
così tra i sistemi (C), (C') è stabilito un tal legame reciproco che ogni curva dell'uno
insieme ad una curva dell'altro costituisce una curva totale di (K).
Questo teorema è noto sotto il nome di teorema del resto (/testsate (1)), i due
sistemi (C), (C’') diconsi residui uno dell’altro.
4. Sistema somma di due sistemi. — Sieno dati due sistemi CO”, 00° e si facciano
segare le curve di essi sulla superficie F in $,4s risp. dagli iperpiani per un $,_, e
(1) NoetzEr, “ Math. Ann. ,, 8.
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 187
per un S.1 riferendo le dette curve proiettivamente ai nominati iperpiani; le qua-
driche di Ss per S,-., S,-1 segano sulla F un sistema contenente tutte le coppie di
curve composte con una curva d’un sistema e uno dell’altro, e contenente totalmente
le dette coppie: così accade che se x, x’, sono i gradi dei due sistemi e la curva
generica dell’uno incontra in D punti quella dell’altro, il sistema segato su F dalle
quadriche per S,-1, S:-1 è di grado n + #' + 2 D. Il detto sistema apppartiene ad
un determinato sistema normale; non possono esistere due sistemi normali diversi
contenenti tutte le coppie di curve dei due dati sistemi poichè essi avrebbero comune
un sistema dello stesso grado. Dunque:
Esiste un determinato sistema normale irreduttibile contenente totalmente tutte le
coppie di curve composte con una curva d'un sistema normale e una d’un altro (irre-
duttibili): esso si dirà il sistema somma dei due nominati.
Il sistema somma d’un sistema (C) con se stesso si dirà il suo doppio; il sistema
rplo di (C) risulta definito come somma di (0) col sistema (r — 1) plo di (C) ed è un
determinato sistema normale contenente totalmente tutti i gruppi di r curve di (0).
Si può considerare il sistema somma di (C) con una curva (che in una trasfor-
mazione può essere sostituita da un punto), ma le curve di questo possono anche
esser spezzate in quelle di (C) e nella curva nominata.
Il
Il sistema canonico.
1. Superficie aggiunte. — Una superficie F_di Ss ha in generale una o più cyrve
multiple e dei punti multipli particolari che diremo isolati appartenenti in vario modo
alle curve multiple. Se si considera una retta » non appartenente alla F che passi
per un suo punto multiplo 0, può darsi che la sezione piana generica della F_ per r
abbia in o una singolarità superiore di quella competente alla sezione generica della
stella di centro 0; si dirà in tal caso che sulla retta » vi è un punto multiplo in-
finitamente vicino ad 0; se la r è tangente ad una curva ipla per 0, vi è certo su
di essa un punto iplo infinitamente vicino ad 0, ma questo non è un punto iplo iso-
lato. Se non vi sono punti multipli isolati infinitamente vicini a qualche punto mul-
tiplo (isolato) della F si dirà che la F ha punti multipli isolati distinti: introduciamo
per ora tale restrizione. Diremo superficie aggiunta alla F (1) ogni superficie che
gode delle due proprietà caratteristiche seguenti:
(1) Cfr. Noermer (“ Math. Ann. ,, 2, 8).
188 FEDERIGO ENRIQUES
a) sega un piano generico secondo una curva aggiunta alla sezione piana
della F;
6) sega un piano passante per un punto multiplo isolato secondo una curva
che insieme ad una retta arbitraria per il punto costituisce una linea aggiunta alla
detta sezione piana.
Segue che se la F è dotata solo di singolarità ordinarie una sua superficie
aggiunta è sottoposta alla condizione di avere come (i — 1)pla ogni curva ipla della F
e come (n — 2)plo ogni punto nplo di essa: ma non possiamo escludere che per
effetto delle condizioni imposte ogni superficie di un dato ordine aggiunta alla F
possa avere nei punti singolari della F molteplicità superiori di quelle assegnate,
o (come diremo più brevemente) delle ipermolteplicità.
Quando poi si tratta di singolarità straordinarie, per questo solo fatto può avve-
nire che le aggiunte debbano avere nei punti (o curve) multipli molteplicità superiori
di quelle indicate: così p. e. un punto doppio isolato ordinario non appartiene in
generale alle aggiunte della superficie F, ma se il punto è un contatto della super-
ficie con sè stessa (tacnodo) (1), in guisa che in ogni piano per esso la sezione ha ivi
un tacnodo, segue dalla definizione che le superficie aggiunte alla F debbono passare
(semplicemente) per quel punto.
Se n è l'ordine della superficie F, una sua aggiunta w,_, d'ordine n — 4 (se esiste)
sega un piano qualunque secondo una curva C,_, aggiunta alla sezione C, della F,
(la quale insieme ad una retta dà una C,_3 aggiunta alla C,) e quindi se la w,_, non
ha ipermolteplicità nella linea singolare della F, la sua curva sezione colla F (fuori
della linea multipla) sega una C, sezione piana generica in un gruppo residuo (2) di
quelli segati dalle rette del piano: per togliere ogni caso d’eccezione noi possiamo
osservare che, allorquando la yw,_; e quindi la C,_4 ha delle ipermolteplicità nei punti
singolari della C,, si debbono riguardare come cadute in quei punti alcune delle
intersezioni della y,_y colla C,, giacchè in una trasformazione della C, a quei punti
in quanto sono ipermultipli corrispondono punti della curva trasformata che com-
pletano su di essa il gruppo residuo di quello corrispondente all'intersezione di una
retta colla C,. Un riguardo analogo deve aversi per le sezioni piane passanti per
un punto multiplo della F.
Così si abbia una superficie F d'ordine » dotata di un punto iplo O (ordinario)
e si supponga che O abbia una molteplicità > è — 2 (per precisare è — 1) per le super-
ficie w,_y d'ordine n — 4 aggiunte alla F: allora ciascuna di esse sega sopra una sezione
piana per O fuori dei punti multipli un gruppo residuo di quello segato da una retta
generica del piano, e contenuto nel residuo di quello segato da una retta per O;
secondo le nostre convenzioni riguardo alle ipermolteplicità dobbiamo però conside-
rare il gruppo segato da una w,_; sulla sezione piana di F per O fuori deiî punti
multipli come la somma del gruppo considerato e di quello degli i punti infinitamente
(1) Cfr. ad es. la superficie del 4° ordine con tacnodo di Cremona (“ Collectanea mathematica ,)
e Norr®Er (“ Gottinger Nachrichten ,, 1871 e “ Math. Ann. ,, 33).
(2) Nel senso dei signori Brit e Norrurr (‘ Math. Ann. ,, 7), cioè rispetto alla serie spe-
ciale gets della curva che (seguendo una denominazione del sig. Segre) si dirà serie canonica della
curva.
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 189
vicini ad O: trasformando la superficie si ha come corrispondente alla sezione della
w,_; in F la curva che corrisponde alla sezione propria della w,_; e quella luogo dei
punti corrispondenti ai punti infinitamente vicini ad 0, ed allora questa curva com-
posta delle due nominate sega proprio un gruppo residuo della serie caratteristica
sopra una curva generica della rete trasformata di quella delle sezioni piane per 0
della F.
Per chiarire riferiamoci ad un esempio. Si consideri un sistema lineare 00°,
(r > 2) ed in esso le curve d'una rete che hanno » — 2 punti fissi: si può costruire
(fissando una curva del sistema fuori della rete) un sistema 00° che contenga la rete,
e supporremo che esso sia semplice: facendo segare le sue curve dai piani sulla
superficie F d'ordine » le superficie w,_; d'ordine n — 4 aggiunte alla F segano
sulla F una curva C la quale determina un gruppo residuo della serie segata dai
piani sopra una sezione piana generica, per modo che la linea corrispondente C' sulla
prima superficie sega un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva gene-
rica del sistema 00°; supponiamo inoltre che la F abbia solo una curva doppia e
non di molteplicità superiore, cioè non esistano infinite terne di punti presentanti una
sola condizione alle curve del sistema 008. Al gruppo base di r — 2 punti per la
rete contenuta nel sistema 003 che stiamo considerando, corrisponde sulla F un punto O
(r — 2)plo che è e_2e08
plo per la curva doppia: si vede quindi che il punto O
è (r — 8)plo per le y,_ aggiunte alla F (anzichè (r — 4)plo); questo fatto porta che
la C' sega sulla curva generica della rete un gruppo residuo della serie caratteri-
stica aumentata del gruppo base (di 7 — 2 punti) della rete, ciò che è d’altra parte
una conseguenza del modo con cui la C' è stata costruita: la C' aumentata degli
(r — 2) punti base della rete sega quindi un gruppo residuo della serie caratteristica
sopra la curva generica della rete; essa gode dell’analoga proprietà anche rispetto
al sistema 008 contenente la rete, poichè i punti base della rete sono curve senza
intersezioni colle linee del sistema che non passano per essi.
Ciò posto possiamo dire che:
Una superficie w,_, d'ordine n-4 aggiunta ad una F d'ordine n sega sopra una
sezione piana generica (fuori dei punti multipli) un gruppo residuo di quello segato da
tutte le rette del piano, e sopra una qualunque sezione piana per un punto multiplo iso-
lato un gruppo residuo di quello segato dalle rette per il punto. Così pure sega un
gruppo speciale, contenuto nel residuo del gruppo dei punti base semplici, sopra la sezione
piana generica di un fascio il cui asse contenga quanti si vogliano punti multipli 0 sia
una retta multipla.
Infatti una retta ripla della F è (i — 1)ipla per una y,_; aggiunta e quindi la
sezione della w,_; con un piano generico passante per la retta si compone di una curva
C,-;-3 e della retta r contata (i —1) volte; la C,_;_3 ha come punto (p — 1)plo un punto
pplo della sezione C,_; della F fuori di 7, e così pure come punto (p — 1)plo un
punto (p + è)plo della C,_, sulla r, giacchè questo punto (p + è)plo per la sezione
totale di F, è (p + — 2)plo per la curva composta di C,_;-3 e di r contata è — 1
volte.
Se invece la » non appartiene alla F, essa, insieme alla sezione C,_4 della y,_y
con un piano per essa, dà una curva C,-; aggiunta alla sezione piana della F.
190 FEDERIGO ENRIQUES
Le proprietà che secondo il teorema precedente competono ad una curva sezione
della w,_, sulla F (tolta la curva multipla) sono caratteristiche per questa curva,
anzi due sole di esse bastano a definirla, dico cioè (per limitarmi a ciò che qui
occorre) che:
Se si ha una superficie F_ (non rigata) e si considera una stella di sezioni piane
di essa tale che pel suo centro non passino rette multiple infinitamente vicine, e si ha
una curva C la quale seghi un gruppo residuo di quello segato dai piani della stella
sulla sezione generica di essa e seghi un gruppo speciale contenuto nel residuo del
gruppo dei punti base semplici sulla curva sezione generica d'un fascio contenuto nella
stella, la C è sezione della superficie F (d’ordine n) con una determinata superficie ag-
giunta d'ordine n — 4 (W,_;).
Sia O il centro della stella ed r una qualunque retta per esso, la quale sup-
porremo non incontri la curva in questione C: un piano per r sega la F secondo
una curva K, su cui la C sega un gruppo che insieme al gruppo segato da una retta
per O dà un gruppo canonico, cioè un gruppo sezione di una determinata curva
d'ordine n — 3 aggiunta alla K: questa aggiunta d’ordine n — 3 si spezza per altro
necessariamente (anche se 0 è multiplo) nella retta per O ed in una curva x d’or-
dine n — 4 aggiunta alla K tranne tutt'al più nel punto O che risulta (i — 2)plo
almeno per essa se è iplo per la F (i > 2): ora il luogo della curva y variando il
piano scelto per » è una superficie (contenente la data curva €) che si comporta nel
punto O e rispetto alla curva multipla della F (tranne eventualmente rispetto a rette
multiple per 0) come una superficie aggiunta: se questa superficie contenesse r essa
dovrebbe segare F in qualche curva passante per le intersezioni di 7 con F, ma
poichè (la r essendo una retta arbitraria per 0) per queste non passa C nè la curva
multipla, e la ulteriore curva intersezione non ha con un piano per » altri punti
comuni fuori di C e dei punti multipli, la detta ulteriore intersezione dovrebbe com-
porsi di rette incontranti la retta arbitraria » fuori di 0, mentre la F non è rigata.
Dunque la superficie luogo della curva x è una w,_; di ordine n — 4 come la xy.
Resta a vedersi che questa superficie w,_y si comporta come una aggiunta anche
rispetto alle rette multiple (eventuali) per O ed ai punti multipli isolati fuori di O
e che essa è determinata in modo unico dalla ©, ossia è indipendente dalla r.
Sia « una retta hpla della F per 0 (fh>0): se la y,_; contiene la @ con una
molteplicità < & — 1 (o non la contiene), essa sega un piano per a secondo una
curva d'ordine > n —X— 3 (oltre la a) la quale è aggiunta della sezione piana
della F (fuori di @) tranne forse rispetto a punti su @; per conseguenza in tale ipotesi
la y,-y segherebbe sopra la sezione piana del fascio di asse a un gruppo non speciale,
mentre il gruppo sezione appartenendo alla C è per ipotesi un gruppo speciale: così
risulta che la y,_; ha come (X — 1)pla (almeno) la retta hpla « della F.
Si consideri ora un punto multiplo isolato 0' della F, p plo per essa: la retta a = 00,
sarà in generale Apla per F con X=> 0. Suppongasi dapprima 4 = 0: la yn_, sega (come
la €) un gruppo speciale sopra una sezione piana generica della F per «, contenuto
nel residuo del gruppo sezione di a (fuori dei punti multipli), quindi la curva d’or-
dine » — 4 sezione della w,_; con un tal piano dà insieme alla a una curva d’ordine
n—3 segante la sezione piana di F in un gruppo speciale, la quale si comporta come
un'aggiunta rispetto ai punti multipli della detta sezione fuori di a, dunque essa ha
:
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 191
la molteplicità p — i (almeno) nel punto pplo 0’ della F e perciò questo è (p — 2)plo
(almeno) per la y,_;: la conclusione permane se vi sono più punti multipli isolati
sulla «, giacchè le ipermolteplicità che la w,_; potrebbe avere in qualcuno di essi
rappresenterebbero soltanto dei punti del gruppo segato da C caduti nell’intorno di
un punto multiplo. Suppongasi invece 4 > 0: allora la @ è (f — pla per la w,_, e
la y,_; sega sopra un piano per 0 una curva d'ordine n —/— 3 la quale si com-
porta come un'aggiunta rispetto alla curva d’ordine n — » sezione della F col piano
(fuori di 4) nei punti multipli della curva multipla; poichè essa sega sulla detta
curva un gruppo speciale si vede (analogamente al caso precedente) che ogni punto 0'
pplo su a deve essere (p — 1)plo (almeno) per essa, ossia la w,_, ha come (p — 1)plo
(almeno) ogni punto pplo sulla retta hpla a.
Finalmente la superficie w,_; (che si è dimostrato essere aggiunta alla F) è uni-
camente determinata dalla condizione di contenere la curva C. Infatti l'intersezione
della y,_4 colla F si compone della curva multipla, della C ed eventualmente di rette
per O; queste rette per O non possono variare al variare della retta » che ha ser-
vito per la costruzione della yw,_, giacchè altrimenti la F sarebbe un cono, quindi
l'intersezione della w,_; colla F è fissa al variare della r: tanto basta per affermare
che la w,_; stessa è indipendente dal variare della », giacchè altrimenti si avrebbe
un fascio di superficie w,_, aventi fissa l’intersezione colla superficie F d'ordine n
(>n— 4), ciò che è assurdo.
Così rimane stabilito il teorema enunciato in principio.
Escluderemo nel seguito le superficie F rigate e le loro trasformate per le quali
d'altra parte si può stabilire che non esistono superficie aggiunte w,_;.
Se è data una superficie F d'ordine »# in S} e si considera la stella delle sezioni
piane per un punto fuori di essa si deduce:
Se una curva C sega un gruppo residuo di quello segato da una retta arbitraria
sopra una sezione piana generica della F, ed un gruppo contenuto nel residuo di quello
segato da una retta pel punto multiplo sopra una sezione piana generica per un punto
multiplo isolato, la detta curva C è la sezione colla FP di una determinata superficie w,;
d'ordine n — 4 aggiunta alla F.
2. Il sistema canonico. — I teoremi del precedente $ sono suscettibili d’una più
vasta estensione conducendo ad un resultato generale che possiamo enunciare sotto
forma invariantiva.
A tal fine diremo curva fondamentale per un sistema lineare ogni curva parziale
del sistema (cap. I), la quale presenti una sola condizione ad una curva del sistema
che debba contenerla; se la curva è irreduttibile basta assegnare la condizione che
la curva fondamentale non abbia intersezioni variabili colle curve del sistema, non
così se è composta: intendiamo per altro di includere sempre in una curva fonda-
mentale composta tutte le linee parziali (o punti) che si staccano da una linea del
sistema in conseguenza dello staccarsi di una parte di essa.
Allora una linea fondamentale d’una rete di curve, quando questa venga segata
dai piani d’una stella, è rappresentata o da una retta (multipla) pel centro della stella,
o da uno o più punti multipli isolati sopra una retta pel detto centro ed eventual-
192 FEDERIGO ENRIQUES
mente anche dalla retta stessa; nel 1° caso la curva non è fondamentale per il
sistema 003 segato dai piani, nel 2° sì se si tratta d’un solo punto multiplo isolato.
Una linea fondamentale d’un sistema semplice viene sempre rappresentata da
un punto multiplo sopra la superficie F trasformata facendo segare dagli iperpiani
(o piani) le curve del sistema: diremo che il sistema ha curve fondamentali distinte
se la superficie F ha punti multipli isolati distinti (cfr. $ prec.). Fisseremo l’analoga
definizione per una rete dicendo che essa ha curve fondamentali distinte quando è
impossibile fare segare le curve di essa sopra la superficie dai piani per un punto (in S3)
per cui passano due rette multiple infinitamente vicine: è facile vedere che una rete
generica immersa in un sistema semplice 00° con curve fondamentali distinte ha
curve fondamentali distinte, poichè non contiene due fasci infinitamente vicini residui
di curve fondamentali.
Ciò posto noi stabiliamo ancora di definire come serie caratteristica di un si-
stema lineare la serie gy— che le curve del sistema (di dimensione r e grado D)
segano sopra una curva generica del sistema stesso (1): i piani d’una stella (ossia le
rette pel centro) segano sopra una sezione piana la serie caratteristica della rete
delle sezioni piane della stella stessa, ecc.
Si abbia sopra una superficie una rete con curve fondamentali distinte e si
consideri un arbitrario sistema lineare oo (K > 1) ed in esso un fascio generico
avente m punti base semplici: facciamo segare sulla superficie F_(d’ordine x) le curve
della rete dai piani per un punto 0, e le curve del fascio dai piani per una retta r
non passante per 0; ai punti base semplici del fascio corrispondono rette per o sem-
plici per F (curve fondamentali della rete aventi una intersezione con ciascuna curva
del fascio).
Sia c una curva la quale seghi un gruppo residuo della serie caratteristica sulla
curva generica della rete, ed un gruppo speciale contenuto nel residuo del gruppo
dei punti base semplici sulla curva d’un fascio contenuto nella rete; come nel prec. $
sì prova che la c è sezione della superficie F_ d’ordine n con una superficie yw,_;
d'ordine n — 4 la quale si comporta come un’aggiunta rispetto alle linee multiple
della F (quantunque forse la F possa non avere punti multipli isolati distinti): dico
inoltre che la y,_, contiene le rette semplici per o corrispondenti ai punti base del
fascio fatto segare dai piani per r. Infatti un piano per una tal retta « sega la F
secondo una curva K,_, d’ordine n — 1 (fuori di ») e la c sega la K,_, secondo un
gruppo che insieme ad una retta per o, p. es. insieme alla r, costituisce un gruppo
canonico, sicchè la curva sezione della w,_; fuori di x è una curva d’ordine n — 5
che insieme alla 7 costituisce un’aggiunta d'ordine n — 4 alla K,-,, perciò la r ap-
partiene alla w,_,, cdd. Ne segue che la c aumentata delle rette per o analoghe ad a
sega sopra la curva sezione della F con un piano per r, un gruppo appartenente a
quello segato dalla w,_,, ossia dalla curva d’ordine n — î — 3 sezione della yw,_; col
piano fuori della x (supposta ipla per F) ed aggiunta alla sezione piana di F: in
altre parole la c sega un gruppo contenuto nel residuo del gruppo dei punti base
semplici sulla curva del fascio fatto segare dai piani per r, e sommata (ove occorra)
(1) Cfr. pei sistemi di curve piane, CasreLwuovo (“ Accad. di Scienze Torino, Memorie ,, 1891).
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 193
con curve fondamentali della rete (ulteriore sezione della w,_; con F fuori delle
rette analoghe ad 4) sega proprio un tal gruppo residuo sulla curva generica del
detto fascio. Si deduce che la ec insieme ad eventuali curve fondamentali della data
rete sega un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva generica del si-
stema 00°.
Il ragionamento precedente patisce eccezione se il fascio preso ad arbitrio nel
sistema co” sulla superficie appartiene alla involuzione che la rete determina; in tal
caso sussiste ancora la conclusione precedente perchè la c (completata ove occorra)
gode della stessa proprietà fissata per la primitiva rete rispetto ad altre reti non
appartenenti alla stessa involuzione.
Così possiamo enunciare il teorema :
Se una curva C sega un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva gene-
rica d’un sistema co" (con r = 2) dotato di curve fondamentali distinte, ed un gruppo
contenuto nel residuo della serie caratteristica (che si riduce al gruppo dei punti base
semplici per un fascio) sulla curva generica di ogni sistema co'T'
contenuto nel primo,
residuo d'una curva fondamentale, la curva C sola 0 insieme a qualche curva fonda-
mentale pel dato sistema sega un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva
generica d’un sistema 0° (s=> 2) (semplice 0 no) arbitrariamente fissato sulla superficie.
Da questo teorema risulta che le curve C definite dalle proprietà indicate rispetto
ad un sistema co” (r => 2) non dipendono dalla natura deli sistema ove si prescinda
da certe componenti fisse di esse (curve eccezionali): le curve © si ottengono come
sezioni della superficie F_d’ordine n in Sy colle superficie aggiunte d’ordine n — 4
quando la F sia stata preventivamente trasformata in modo da avere punti multipli
isolati distinti (come supponiamo), e perciò compongono un sistema lineare; segue
che le componenti variabili del sistema lineare segato sopra una superficie d'ordine n
dalle superficie d’ ordine n — 4 aggiunte ad essa, si trasformano in curve analoghe
quando si trasforma birazionalmente la superficie; queste curve, legate invariantiva-
mente alla superficie, che diremo curve canoniche, segano sulla curva generica d’ogni
sistema lineare un gruppo contenuto in un gruppo residuo della serie caratteristica 0
proprio residuo di essa (1): dovremo poi distinguere quando si presenti l'uno o
l’altro caso.
Il sistema canonico (costituito dalle curve canoniche) conduce in generale a due
caratteri invariantivi della superficie; cioè il 7° genere p (o semplicemente genere)
cioò la dimensione del sistema canonico aumentata di 1 (Flichengeschlecht) (2), ed il
2° genere p' cioè il genere del sistema canonico (Curvengeschlecht di Noether); un
terzo carattere, il grado p9, è legato al 2° genere p! dalla relazione
po=pÙ—_1
stabilita dal Noether (Mathem. Ann. VIII), di cui ora dovremo discorrere.
(1) L’invariantività delle curve canoniche è stata dimostrata per la prima volta dal sig. NoerHER
(£ Math. Ann. ,, II, VIII) con un lungo procedimento analitico. Il sig. CasreLnuovo (“ Istituto lomb. ,,
1891) ne ha dedotto la proprietà qui enunciata di queste curve, la quale sotto le restrizioni del
precedente teorema risulta ora caratteristica di quelle curve.
(2) Il concetto del genere per le superficie, fu dapprima stabilito da CLesson (‘ Comptes rendus ,,
1868), quindi il detto concetto fu stabilito dal sig. Noermer (£ Mathem. Ann. ,, II) per tutte le
varietà algebriche più volte estese. .
Serie II. Tom. XLIV. si
194 FEDERIGO ENRIQUES
Se il 1° genere p= 1, mancano le curve canoniche propriamente dette (secondo
la nostra definizione), ma ogni sistema lineare ha la serie caratteristica speciale:
manca il secondo carattere pl: esiste una superficie d’ordine n — 4 aggiunta alla
superficie supposta d’ordine n in Ss.
3. Curve eccezionali. — Consideriamo un sistema semplice 00° (0) (r > 3) con un
punto base iplo (isolato) in un punto semplice O della superficie F_e trasformiamo
la superficie in una F' di Sy su cui 00° curve generiche C di (0) vengano segate dai
piani: al punto O corrisponde sulla F' una curva d’ordine è (che può anche ridursi
ad una curva d'ordine -—- contata j volte) la quale deve essere aggiunta ad ogni
curva canonica (insieme forse ad altre curve) per segare un gruppo residuo della
serie caratteristica sulla sezione piana generica di F'; infatti la curva composta di
una curva canonica e del punto O sulla F sega un gruppo residuo della serie carat-
teristica sopra la curva generica di ogni sistema non avente il punto base O e quindi
pel teorema principale del precedente $ sega un gruppo residuo della serie caratte-
ristica anche sopra la curva generica d’un arbitrario sistema avente il punto base O.
Dunque la curva d'ordine i che corrisponde al punto O su F' appartiene a tutte le
superficie d'ordine n — 4 aggiunte alla F' supposta d'ordine n; per questa proprietà
la detta curva dicesi (secondo il Noether Math. Ann. VII) una curva eccezionale
della F' (ausgezeichnete).
Viceversa si supponga l’esistenza di una curva eccezionale C d’ordine è sulla F':
il sig. Noether (op. cit., $ 514) ha indicato una trasformazione della superficie F"
in una F su cui alla C corrisponde un punto semplice per la F e base iplo per il
sistema delle curve corrispondenti alle sezioni piane della F°.
La curva eccezionale © su F' può eventualmente essere sostituita da un punto;
la trasformazione della F' in una superficie F su cui la C è rappresentata da un
punto 0 semplice (per F) e base (con data molteplicità) per il sistema delle curve 0"
corrispondenti alle sezioni piane della F' continua a sussistere, ma nel punto O le
curve C' hanno le tangenti fisse altrimenti ad O corrisponderebbe una linea su F':
reciprocamente se sopra una superficie F si considera un sistema (semplice) 00°
(almeno) di curve C' con un punto base O semplice per F e con data molteplicità
per le C', dove le C' hanno le tangenti fisse, facendo segare le curve C' dai piani
(di S,) sopra la superficie F', si ha su F' un punto 0" multiplo eccezionale, ossia un
punto ipermultiplo di cui un intorno rappresenta una curva appartenente a tutte le
curve canoniche; in particolare si può considerare l’esempio in cui le C' tocchino
in O una data retta, O' è allora un punto doppio eccezionale per la F".
Risulta di.qua che non vi può essere sulla F' un punto eccezionale semplice
(per F'), ossia un punto base pel sistema canonico (semplice per la F'). Infatti
sulla superficie trasformata F il punto O corrispondente ad 0' non potrebbe essere
un punto base isolato per le C', altrimenti gli corrisponderebbe una curva sulla F',
e d’altra parte se in O le C' hanno una tangente fissa il punto 0' risulta doppio
almeno per la F'.
Ora si consideri una trasformata F della F' senza curve (nè punti) eccezionali,
come è possibile con successive trasformazioni che mutino in punti semplici le curve
eccezionali della F'; sulla F, supposta d’ordine x, le superficie aggiunte w,-4 (d’or-
RICERCHE DI GEOMETRIA SUI.LE SUPERFICIE ALGEBRICHE 195
dine n» — 4) segano fuori della curva multipla soltanto curve canoniche (e non com-
ponenti fisse eccezionali), e quindi le curve canoniche segano sulle sezioni piane
della F proprio un gruppo residuo della serie segata dai piani (non un gruppo con-
tenuto in un gruppo residuo).
Se si considera sulla F un sistema semplice (00° almeno) senza punti base e si
fanno segare le sue curve dai piani di S,, sulla superficie trasformata non nascono
curve eccezionali (che corrisponderebbero necessariamente a punti sulla F) e quindi
la proprietà indicata compete alle curve canoniche anche rispetto alle curve del nuovo
sistema.
La proprietà di una superficie di S; di non possedere curve eccezionali si tra-
duce in una proprietà invariantiva pel sistema delle sezioni piane che può enunciarsi
dicendo che il sistema è privo di punti base, intendendo che il sistema non può acqui-
stare punti base (semplici per la superficie) sopra una superficie trasformata, e sce-
gliendo per tipo fra le trasformate una superficie senza curve eccezionali sulla quale
il sistema avrebbe necessariamente punti base se li avesse sopra un’altra superficie
riferita ad essa biunivocamente: con questa scelta della superficie tipo rimane pure
fissato che cosa si deve intendere quando si dice che un sistema ha certi punti base
con certe molteplicità; nella scelta medesima evitiamo di riferirci a quelle superficie
su cui accidentalmente i punti base del sistema cadano infinitamente vicini a punti
multipli. Infine queste definizioni non esigono che il sistema di cui si tratta sia
semplice.
Con queste convenzioni l’esistenza di punti base d’un sistema costituisce una pro-
prietà invariantiva di esso che compete evidentemente al sistema normale definito dal dato
sistema (altrimenti il grado aumenterebbe).
Diremo per brevità puro o impuro un sistema secondochè non ha o ha punti
base; diremo pure curva eccezionale sopra una superficie in S, la curva che corri-
sponde ad un punto base pel sistema delle curve trasformate delle sue sezioni
iperpianali.
Ora sopra una superficie F senza curve eccezionali si abbia un sistema puro
(semplice o no): se una curva canonica non segasse proprio un gruppo residuo della
serie caratteristica sulla curva generica del sistema (supposto di dimensione > 2),
tale proprietà competerebbe alla somma di essa con una curva eccezionale su F;
questa curva non potrebbe essere che un punto base pel sistema, ciò che contrasta
all'ipotesi che il sistema sia puro. Concludiamo:
Una curva canonica sega proprio un gruppo residuo della serie caratteristica sulla
curva generica d’ogni sistema puro (co? almeno) ed è caratterizzata da questa proprietà.
Parimente:
Se un sistema impuro (00? almeno) ha s punti base isolati di molteplicità i, ig... is
una curva canonica sega sulla curva generica di esso un gruppo che aumentato dei gruppi
di i, ip... i, punti infinitamente vicini ai rispettivi punti base dà un gruppo residuo della
serie caratteristica.
Il sistema canonico non ha punti base (come abbiamo osservato), quindi la serie
caratteristica del sistema canonico è autoresidua e perciò
p9=p"—1
196 FEDERIGO ENRIQUES
(cfr. citaz. precedente): va fatta eccezione per il caso che il sistema canonico si spezzi
nelle componenti d’un fascio (0 per p= 1 in cui il teorema non ha significato) giacchè
tali sistemi sono stati esclusi dalle nostre considerazioni nel $ 1°, cap. I; nondimeno
il signor Noether ha stabilito che in tale ipotesi le curve componenti le curve cano-
niche sono ellittiche, sicchè p® = 0, p!=1, e la relazione è ancora verificata.
Possiamo ora estendere il concetto di superficie aggiunta anche al caso in cui
la superficie F sia stata trasformata in modo da non avere più punti multipli isolati
distinti, basandoci sulla invariantività del sistema canonico (p > 0). Invero una
curva canonica C insieme alle curve eccezionali sega un gruppo residuo della serie
caratteristica del sistema 00° segato dai piani sulla sezione piana generica della F,
ed un gruppo residuo di quello segato dai piani per il punto sopra la sezione piana
per un punto multiplo isolato, perciò col ragionamento del $ 1 si prova che la curva
composta della C e delle curve eccezionali (corrispondenti ai punti base del sistema co°
segato dai piani) è sezione di una determinata superficie w,_; d'ordine n — 4 (essendo
n l'ordine della F) la quale soddisfa alle condizioni @) 5) del $ 1 richieste dalla de-
finizione di superficie aggiunta rispetto ad una superficie con punti multipli isolati
distinti; inoltre la w,_y si comporta nei punti multipli isolati della F in un modo
particolare pienamente determinato (p. e. si può vedere che essa ha come (è — 2)plo
almeno} un punto iplo infinitamente vicino ad un punto multiplo); noi assumiamo
il modo di comportarsi della w,_; nei punti multipli come definizione del modo di
comportarsi delle superficie aggiunte alla F, con riguardo però al fatto che debbono
considerarsi come ipermoltiplicità della F i punti multipli rappresentanti una curva
eccezionale; per evitare discussioni troppo minute diciamo che sono aggiunte alla
superficie F dotata di arbitrarie singolarità e di curve eccezionali distinte, le superficie
che segano un piano generico secondo una curva aggiunta alla sezione piana e si com-
portano nei punti multipli isolati come le W,-:; invero nessuna curva eccezionale (im-
magine d’un punto base isolato) può in questo caso ridursi all’ intorno d’un punto
multiplo.
Osserviamo che la costruzione delle w,_; riesce per p="1 anche se mancano le
curve eccezionali, essendovi in ogni piano una curva d’ordine n — 4 aggiunta alla
sezione piana: va fatta eccezione per le superficie del 4° ordine (genere 1) a cui
sono aggiunte tutte le superficie.
4. Applicazioni. — Una conclusione emerge subito dai resultati del $ 2°. Se il.
genere p di una superficie è > 0, la dimensione r d’un sistema lineare di genere tr
è < t (poichè la serie caratteristica è speciale), quindi ricordando gli ultimi resultati
del cap. precedente si ha:
Sopra una superficie di genere > 0 una curva appartiene ad un determinato sistema
completo.
E parimente (poichè allora ogni sistema normale è contenuto in un sistema
completo) :
Il residuo d’una curva rispetto ad un sistema normale è sempre un sistema normale
(se ha un grado).
Si consideri ora un sistema normale di grado » (C), appartenente ad un sistema
completo puro di grado n + è (è > 0), sopra una superficie di genere p > 0. Una
RICERCHE DI GEOMETRIA. SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 197
curva canonica sega la curva generica del sistema completo di genere m in
2(1—1)—n—òd punti, ed insieme ai punti base di (0) sega una curva generica C
(di (C)) in 2(nr—1)—» punti; i detti punti base non possono essere multipli perchè
(C) ha lo stesso genere n del sistema completo a cui appartiene, quindi (0) ha almeno
ò punti base semplici, e precisamente ne ha è perchè è è la differenza fra il suo
grado e quello del sistema completo.
Si deduce che se èd=0 (C) coincide col sistema completo a cui appartiene.
Dunque:
x
In sistema puro normale è necessariamente completo (p > 0).
DI
Il sistema aggiunto.
1. Definizione del sistema aggiunto. — In S; si abbia una superficie F d’ordine n;
una superficie w,_; d'ordine n — 3 aggiunta alla F sega la F (fuori dei punti multipli)
secondo una curva K la quale gode delle due proprietà seguenti:
a) sega una sezione piana generica della F secondo un gruppo canonico,
5) sega una sezione piana generica (non razionale) per un punto multiplo O
della F secondo un gruppo contenuto in uno appartenente alla serie somma di quella
canonica e della serie differenza di quella segata sulla curva dai piani generici di S,
e di quella segata su di essa dai piani per 0. Escludiamo che la F abbia una stella
di sezioni piane razionali (nel qual caso sarebbe razionale).
Se il punto 0 è un punto iplo ordinario la serie differenza di quella segata dai
piani generici di S, sopra una sezione piana per O e di quella segata sulla curva
stessa dai piani per O, è la serie determinata dal gruppo degli è punti della curva
in questione infinitamente vicini al punto O.
In modo analogo a quello con cui è stato dimostrato il teorema principale del
$ 1°, cap. II si stabilisce che:
Se la F è dotata solo di punti multipli isolati distinti, una curva la quale goda
delle proprietà a), b), è la sezione della F con una determinata superficie aggiunta w,-s
d'ordine n — 3.
Le proprietà a), 2) di una curva K rispetto alla F, si traducono in proprietà
della K rispetto alle sezioni piane di una stella col centro fuori della Fo in un
punto semplice di essa, le quali d'altra parte (per la dimostrazione analoga a quella
citata) sono caratteristiche per la K. Si ha dunque:
La condizione necessaria e sufficiente affinchè la K sia la sezione della F (dotata di
punti multipli isolati distinti) con una superficie w,-3 d'ordine n.— 3 aggiunta alla F
stessa, è che la K.:
198 FEDERIGO ENRIQUES
a) seghi un gruppo canonico sopra ogni sezione generica della F con un piano
appartenente ad una stella il cui centro O è fuori della Fo è semplice per essa,
8) seghi un gruppo contenuto in uno appartenente alla serie somma della canonica
colla serie differenza di quella segata dai piani per O e di quella individuata dal gruppo
dei punti base semplice del fascio, sopra la curva generica d'un fascio segato da piani per O.
Si supponga che le sezioni piane della F di genere tr sieno le curve di un sistema
generico 00° immerso in un sistema completo (0) di dimensione r > 83 (e necessaria-
mente semplice). Le curve © si facciano segare sulla superficie trasformata @ dagli
iperpiani di S,: il sistema delle sezioni piane della F viene segato dagli iperpiani
per un S,_; di S, non incontrante la 9. Dato un altro S,_; non incontrante la @ in
S, si può sempre costruire una serie di S,_; in S, (avente per estremi i due dati) tale che
due S,_; consecutivi giacciano in un S,_3 senza intersezioni colla g. Allora una curva
K che gode delle proprietà a), 5) rispetto al primo sistema 008 (quando le sue curve
sieno fatte segare dai piani di Ss), gode delle proprietà a), 8) rispetto alle curve della
rete data dagli iperpiani per S,_3 (che vien segata dai piani d’una stella col centro
fuori di F, quindi gode delle proprietà «), 2) rispetto al 2° sistema 00° immerso in
(C) e così via fino all'ultimo (supposto che tutti questi sistemi sieno semplici).
Allora traducendo in linguaggio invariantivo le proprietà a), 8), @), 6) si può
enunciare il teorema:
Stia (C) un sistema completo semplice di dimensione r =>3 dotato di curve fonda-
mentali distinte, e sia K una curva la quale goda delle due proprietà seguenti:
a) di segare un gruppo canonico sopra la curva generica di una rete generica
immersa in (C),
B) di segare sopra la curva generica di un fascio contenuto nella rete un gruppo
contenuto in uno appartenente alla serie somma della serie canonica e di quella diffe-
renza tra la serie segata dalla rete e quella individuata dal gruppo dei punti base sem-
plici del fascio; allora la curva K gode le due proprietà caratteristiche seguenti:
a) sega un gruppo canonico sopra ogni curva generica di (0),
b) sega sopra la curva generica d’un sistema 0 residuo di una curva fonda-
mentale di (C) un gruppo contenuto in uno appartenente alla serie somma della serie
canonica e della serie differenza fra quella segata sulla curva da (C) e la serie carat-
teristica del sistema 00°.
La curva K è caratterizzata dal fatto di essere la sezione (fuori della linea. mul-
tipla) della superficie F_ d'ordine n ottenuta facendo segare dai piani di Sg, 03 curve
generiche di (C), con una superficie w,-s d'ordine n — 3 aggiunta ad essa F. Perciò le
curve K compongono un sistema lineare che si dirà il sistema aggiunto di (C).
Se si tratta di una superficie di genere p > O, le proprietà a), 0) rispetto ad un
sistema (C) con punti base distinti (1), competono alle curve composte di una curva €
(di (C)) e di una curva canonica aumentata dei punti base di (0) (cfr. cap. II, $ 3),
rl
(1) Ossia tali che in nessuno di essi le curve C hanno una tangente fissa. Sebbene introduca
costantemente questa ipotesi per non entrare in una analisi troppo minuta, non sarebbe difficile
estendere molti resultati anche al caso in cui (C) abbia punti base di arbitraria natura, come si fa
nel piano colla considerazione delle singolarità straordinarie delle curve.
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 199
e quindi evidentemente anche alle curve del sistema (normale) somma di (C), del
canonico, e delle curve rappresentate dai punti base di (C).
Viceversa consideriamo il sistema (K) aggiunto di (0). Sulla curva generica €
di (C) una K di (K) sega un gruppo canonico per il quale passano oltre la K. 00°
curve del sistema aggiunto spezzate nella C ed in una curva canonica aumentata
dei punti base (o curve eccezionali corrispondenti) di (C), quindi pel detto gruppo
canonico passano almeno 00° curve di (K); ma per il gruppo non possono passare
più di co” curve K giacchè altrimenti vi sarebbero più che 00°! curve di (K) spezzate
nella C ed in una curva residua, la quale per le proprietà a), 8) di (C) possiede ne-
cessariamente le proprietà caratteristiche (indicate nel cap. II, $$ 2, 3) proprie di
una curva canonica e delle linee eccezionali (o punti base) di (C); dunque per un
gruppo canonico sezione d'una curva irreduttibile K con una curva generica C pas-
sano appunto co? curve K. Il sistema (K) è dunque il sistema normale somma di (0)
col sistema canonico e colle curve eccezionali (distinte) di (C), e questo fatto si assu-
merà come definizione per (K) se (C) non ha curve fondamentali distinte (per p > 0):
risulta ancora (per la convenzione del cap. prec.) che (K) viene segato dalle superficie
d’ordine n — 3 aggiunte sulla superficie d'ordine » le cui sezioni piane sono curve
generiche di (0).
Come ora abbiamo osservato le curve di (K) residue di una C sono curve cano-
niche aumentate dei punti base di (C); allora consideriamo un punto base O iplo isolato
di (C) (sopra una superficie senza curve eccezionali) e supponiamo per pura sempli-
cità di ragionamento che (C) non abbia altri punti base.
Staccando da (K) una curva © generica si ha un sistema residuo somma del
sistema canonico e del punto O, ciò vuol dire che il punto O ha come residuo rispetto
a (K) il sistema somma di (C) e del canonico; poichè il sistema canonico non ha
punti base (è puro) il detto sistema somma ha il punto O come base iplo; ora si pos-
sono fare due ipotesi; o il sistema (K) è spezzato nel detto sistema somma e nel
punto O (se si vuole curva eccezionale corrispondente), oppure il punto O ha una
tale molteplicità s per le curve K che imponendo ad una di esse di avere un altro
punto infinitamente vicino ad O oltre agli s tenuti fissi (ossia staccando O, o se si
vuole la curva eccezionale corrispondente, da (K)) il punto O diviene iplo per le
curve K residue; il punto O facendo parte una sola volta delle curve K spezzate in
una C in una canonica ed in O, segue che s=i— 1, ossia il punto 0 è (i — 1) plo
per (K). D'altra parte (K) non può avere altri punti base fuori di quelli di (C) poichè
un punto base O di (K) è base pel residuo del canonico e pel residuo rispetto al nuovo
sistema di curve o punti non contenenti 0. Deduciamo :
Sopra una superficie di genere > 0 il sistema (K) aggiunto a (C) (00° almeno) è il
sistema normale somma di (C), del sistema canonico e dei punti base (supposti isolati)
(0 curve eccezionali) di (C): un punto base iplo di (C) o si stacca (forse) da tutte le
curve di (K) ed allora è iplo per le componenti irreduttibili di esso, o è base (i — 1)
plo per (K); (K) non ha punti base fuori di quelli di (0).
2. Dimensione del sistema aggiunto. — Le curve del sistema (K) aggiunto a (0)
segano sulla curva generica C (di (C)) gruppi canonici; sorge la questione “ la serie
segata da (K) sulla curva C è la serie canonica completa? ,.
200 ‘ FEDERIGO ENRIQUES
Con effettivi esempi (di superficie aventi il genere geometrico diverso dal nu-
merico che avrò occasione di menzionare) si vede che può avvenire l’uno o l’altro
caso; importa però a noi di stabilire che questo fatto è legato invariantivamente alla
superficie e non dipende dal particolare sistema (C) considerato.
Intanto notiamo che la questione posta equivale a quella di determinare la di-
mensione del sistema (K) aggiunto al sistema (C) di genere m sopra una superficie
di genere p, infatti abbiamo avuto occasione di osservare nel precedente $ che per
un gruppo canonico della C sezione di una K (di cui la C non fa parte) passano 00°
eurve K, quindi la dimensione di (K) èp+m—w —1 essendo w (= 0) il difetto di
completezza della serie che (K) sega sulla C. Questa quantità w > 0 che esprime la
differenza fra la dimensione virtuale (per dir così) p4+ n — 1 dell’aggiunto a (C) e la
dimensione effettiva del detto sistema aggiunto, si designerà nel seguito con è (0).
Il sistema (C) sia un sistema puro semplice (quindi 003 almeno, essendo p>0), e
co? delle sue curve generiche sieno segate sulla superficie F dai piani di Sg; la F
risulta senza curve eccezionali; s'indichi con (C') il sistema canonico e con (C+ Cl")
il sistema normale somma di (C), (0'), ossia il sistema aggiunto a (0); analogamente con
(r C+ C') il sistema aggiunto ad (rC); infine ml! designi il genere di (r C) (n! = n).
Il sistema (r €) contiene in sè (totalmente) quello segato sulla F da tutte le super-
ficie 9, di ordine 7; dato un arbitrario sistema (C,) si può prendere r così grande che
per la curva generica C, passino delle ,, e quindi (C,) sia contenuto (parzialmente)
in (r ©); anzi per r assai elevato le @, passanti per C, non passeranno in conseguenza
per altri elementi fissi e perciò il residuo di (C,) rispetto ad (r C) sarà un sistema
puro (0); supponiamo ancora che (C,) stesso sia un sistema puro.
Indicando con t,, ty i risp. generi di (C;), (0), la curva spezzata C, + ©, non
ha fuori dei punti multipli per le curve di (r 0), altri punti multipli che i D punti
doppi intersezioni di C,, C, (essendo (C;), (C) due sistemi puri residui un dell’altro
rispetto ad (r C)), quindi secondo la formola di Noether che dà il genere d’una curva
spezzata si ha:
qaemt+mt+D_-1.
Ora il sistema aggiunto di (r ©), ossia (r C+ C°) è anche la somma (0, + (0;
-—- C')) ossia è la somma di (C;) e dell’aggiunto a (C,). Sopra la curva generica 0,
(di genere ty) il sistema (C, + (01 +4 €) = (01 4- (C° + Cl’) sega una serie g (forse
scompleta) di grado
D+2m,—-2
e però di dimensione
D+rm_-2-w (wo > 0):
se pt+ia—-1— w, (w,=òd (C;)=0)
è la dimensione di (C, + C°), per un gruppo della serie g passano co?+71-% curve
di (C, + C+ €’) tra cui coP+71-1-® spezzate nella C, ed in una curva arbitraria di
(C, + C'); dunque la dimensione del sistema aggiunto ad (r C), cioè di (r C+ C0')=
(C, + C, + C') vale
Par tot Te ail Wi;
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 201
ma ti+mt+D—-1i=nm”,
quindi è
dr C)=w, + d(C,) @(C)=w;)
ossia
d(rC) => d(C,).
Dunque la quantità è (C;) relativa ad un qualunque sistema puro (C,) non supera
l’analoga quantità calcolata per (» €) dove si prenda r assai elevato. Perciò se il
d (» €) anzichè crescere indefinitamente con r assume un valore massimo (che sarà
pur quello di è ((r + s) C) per s= 0), questo valore è un vero carattere invariantivo
della superficie; effettivamente se la F ha singolarità ordinarie in guisa che si pos-
sano applicare da un certo punto in poi le formule di postulazione di Noether per
calcolare le dimensioni dei sistemi delle superficie (di dato ordine) aggiunte alla F
(di ordine x), si verifica con un semplice calcolo che la dimensione del sistema ag-
giunto ad (r ©) che contiene quello segato dalle aggiunte d’ordine n — 4 + r è (per r
assai elevato)
= ti 1
dove p, è un numero indipendente da » che esprime il numero virtuale delle super-
ficie aggiunte d'ordine n — 4 (linearmente indipendenti) e dicesi genere numerico
della F; si ha dunque: i
d(rO<p—p,
e perciò il d (r C) ha un massimo K che esprime il massimo difetto di scompletezza della
serie segata sulla curva generica di un arbitrario sistema dal suo sistema aggiunto (e
si stabilirebbe essere = p — pi dimostrando che è completo il sistema segato sulla F
da tutte le aggiunte di ordine assai elevato) (1). Ma ciò che a noi interessa è la
considerazione del caso in cui K=0, e delle condizioni che permettono di trarre
tale conclusione, a cui vogliano giungere senza occuparci della natura delle singolarità
che la F possiede.
Occorre premettere un lemma di geometria sopra una curva la cui dimostrazione
si compie facilmente usando di un ragionamento adoperato dal signor Castelnuovo
in un suo recente lavoro (2). Il lemma è il seguente:
Sopra una curva piana d’ordine n e genere n la minima serie g di grado
(C+1)n+42(m— 1)contenente tutti i gruppi composti dell’intersezione d’una curva ag-
giunta d'ordine n—-3 + r e dell’intersezione d’una retta, è la serie completa somma della
Sinio(m3) Segata dalle curve aggiunte d'ordine n—3+r, e della gi segata dalle rette.
(1) Così risulterebbe fissata in ogni caso la invariantività di p, che i signori Zeur®en (‘ Math.
Ann. ,, IV) e Norrzer (“ Mathem. Ann. ,, VIII) hanno stabilito soltanto con restrizioni alle singo-
larità nascenti sulla superficie nelle trasformazioni considerate. Effettivi esempi di superficie aventi
il genere geometrico diverso dal numerico (comunque elevato) sono stati dati dal sig. CasreLNUOvo
(‘ Istituto lomb. ,, 1891).
(2) “ Sui multipli di una serie lineare di gruppi di punti appartenente ad una curva algebrica ,
(‘ Circolo Mat. di Palermo ,, t. VII.
Serie Il. Tom. XLIV. Ai
202 FEDERIGO ENRIQUES
Per dimostrare questo lemma osserviamo anzitutto che la serie 9g in questione
è certo contenuta nella serie completa segata sulla nostra curva C, dalle Cn-3+(+»
aggiunte d'ordine n —3+(r +41); basta quindi stabilire che è completo il minimo
sistema lineare contenente tutte le curve composte d’una C,-3+r (d'ordine n — 3+ r)
aggiunta alla C, e d'una retta: infatti il sistema delle C,-3+(+1) che sega la 9 sulla C,
(comprese in esso sistema tutte le C,-34(r+1 per un gruppo della 9) è appunto tale
che contiene in sè tutte le curve composte d’una retta e d'una C,-3+, e non può
essere completo se è scompleta la detta serie g. Ora per ipotesi fra le curve Cn-3+(r+)
vi sono quelle composte di una retta fissa @ e di una Cn-3+ che sono
r(r-3)
07= LTT ona
e così pure quelle composte di una retta fissa «' e di una Cn-3+r; i due sistemi hanno
comune il sistema delle C,-3+-n la cui dimensione è
m—1+—1n+ 0023
e però il loro minimo sistema somma ha una dimensione
=>2}n_-1+rn+ eo - in —1+(-10)a+ SI
cioè
== 24 CL) la
ma questo sistema è contenuto o coincide con quello delle C,-34+1 passanti per il
punto comune ad a, a', e poichè le C.-3+(+» seganti la g sulla C, non passano tutte
per quel punto, la dimensione del sistema delle C,-3+(+1) in questione è
=n-14(+1)n+ftHe22
e quindi è appunto la dimensione
t—-14+(r+1)n+tMe2
del sistema completo di tutte le Cn-3+(+1) € dd.
Ritornando alla questione precedente si ha come immediata applicazione del
lemma ora stabilito, che se il sistema (r C+ C’) aggiunto ad (r C) (dove r>1) sega
sulla curva generica C una serie completa, lo stesso accade per ((r +1) C+ C'), e
poichè la differenza (=> 0) fra è ((r +1)C) e è (rC) è la scompletezza w della serie
segata da ((r +1) C) sulla €, si ha in tal caso
I
Pi
d (FC) =d((F+1)0)=.....
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 203
Un corollario di questo resultato è il seguente: se per r > 1 è d(rC)= 0, la
superficie ha il carattere K=0; il resultato più semplice si ha per » = 2. Possiamo
così enunciare il teorema:
Se sopra una superficie di genere p > 0 esiste un sistema puro semplice (C) (quindi
008 almeno) tale che il sistema aggiunto a (2 C) seghi la serie canonica completa sulla
curva generica di (2 C) (ossia abbia la dimensione p+ 2r + n — 2 dove ni ed n sono risp.
il genere e il grado di (C)) allora sulla curva generica di ogni sistema puro di genere TT,
appartenente alla superficie, il sistema aggiunto sega la serie canonica completa, ossia
esso ha la dimensione
prTrT- 1
In altre parole la condizione necessaria e sufficiente affinchè per una superficie sia
il carattere invariantivo
e—=0
è che esista un sistema puro semplice (C) tale che
d (20) =0.
Il teorema verrà poi esteso anche ai sistemi impuri; dobbiamo prima illuminarne
meglio il contenuto ponendolo in relazione colle proprietà che si riferiscono al genere
numerico della superficie, ed ai sistemi segati su di essa da superficie aggiunte.
3. Sistemi segati sopra una superficie dalle superficie aggiunte. — Consideriamo
in S; la superficie F d’ordine n di genere p > 0 senza curve eccezionali, dotata di
singolarità qualunque, le cui sezioni piane appartengono ad un sistema puro (0);
indichiamo col simbolo w, le sue superficie aggiunte d’ordine u. Come nel $ 1 per
le w,-3, si dimostra che le curve appartenenti al sistema (normale) somma di (C) e
del sistema aggiunto a (C) sono sezioni della F_ con una w,_:, e però che le yw,_;
segano sulla F un sistema normale; poichè (C) è puro le w, segano sulla F il
sistema puro completo aggiunto a (2C) (cioè (2 C + C’) se (C’) è il sistema canonico).
Parimente si vedrebbe ancora che le y,_} segano sulla F il sistema completo
(3C + C’) (poichè ancora il gruppo sezione sopra una sezione piana C appartiene ad
una curva aggiunta d’ordine n — 1).
Supponiamo che le superficie y,--3+r (r > 1) seghino la serie completa sopra
una sezione piana generica C della F; per il lemma di geometria sopra una curva
stabilito nel precedente $, segue che le wn-3+(r+1) segheranno pure sopra la C la
serie completa; allora se il sistema segato dalle w,-3+, sulla F è il sistema (r C+ C')
completo, quello segato dalle w,-3+(r+1 è necessariamente il sistema completo
(#+1)C+C”) e si ha (come si è visto)
5(r0)=d ((r+ 10).
Dunque se dè (2C)= 0 (poichè le y,... segano sulla F tutto il sistema (2 C+ C’)),
le superficie aggiunte alla F wn_s-r (r > 1) segano pure sulla F tutto il sistema
204 FEDERIGO ENRIQUES
(r C+ C’). In tal caso le yn-3+, segano sulla F un sistema di dimensione p+n"#_ 1
(essendo n” il genere di (r C)); per ogni curva sezione passano (se 7 > 3) () +1 yns+;
linearmente indipendenti fra cui (3) spezzate nella F ed in una arbitraria superficie
d'ordine r — 3, quindi il numero A,-.3+ della superficie yn-s+r linearmente indi-
pendenti è dato da
An-aur=p + m+1)L (3) (dove (3) =0 se r<3).
Se n0 = è il genere di (C) si ha
ne+b canMky+at+rn_-1,
quindi
Anopr = Aug4e-y + r+ra—14+(3),
uguaglianza la quale significa che le w,-3+, segano sopra un piano il sistema lineare
completo delle curve d'ordine 7 —- 3 + aggiunte alla sezione piana la cui dimen-
sione è T+rn-2+(3).
Ma se la F è dotata di singolarità ordinarie e se i numeri An-3+,, An-3+(r-1)
sono quelli dati dalle formule di postulazione di Noether si deduce appunto (per
differenza) la precedente uguaglianza (come il signor Castelnuovo ha osservato (1)):
valendo la detta formula ricorrente (che è stata dimostrata partendo dall’ipotesi
K=òd(2C0)=0), si conclude dunque che valgono le formule di postulazione di
Noether per le y,-3., se valgono per le w,_3 e poichè esse dànno pi + Tr, y,-3 linear-
mente indipendenti se p, è il numero virtuale delle y,_y (ossia il genere numerico), è
condizione necessaria e sufficiente affinchè valgano per » assai grande le dette formule
di postulazione che sia
Pr Dj
siccome effettivamente le formule di postulazione di Noether valgono per r assai
elevato, l'uguaglianza p= p; risulta stabilita. Viceversa se p = pi valendo le formule
di postulazione per r assai grande, si ha è (rC) =0 e quindi K=0.
Si conclude il teorema:
Le superficie di genere p > 0 per le quali il carattere invariantivo K= 0 allorchè
sieno trasformate in modo da avere soltanto singolarità ordinarie (se è possibile) e non
curve eccezionali, hanno il genere numerico pi = p, e viceversa (2).
Poichè p, non è definito per le superficie con singolarità straordinarie assume-
remo per esse convenzionalmente p, =p quando è K= 0.
Possiamo enunciare il teorema (dimostrato mediante le considerazioni precedenti):
Sopra una superficie d'ordine n di Sg senza curve eccezionali, dotata di singolarità
(1) “ Sulle superficie algebriche le cui sezioni piane sono curve iperellittiche , (‘ Circolo Mat.
di Palermo ,, t. IV, 1890).
(2) Indipendentemente dai ragionamenti fatti che suppongono p > 0, tenendo conto dell’osser-
vazione che la differenza virtuale Ar — Au-1 è la dimensione del sistema di tutte le curve d’or-
dine u aggiunte ad una sezione piana, partendo dall’ipotesi che le formule di postulazione valgano
per u assai grande (come accade se la superficie ha singolarità ordinarie) si prova che è pi £p e
se p1="p le formule di postulazione valgono per le yn-4+r(r =>0).
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 205
qualunque, avente il genere numerico uguale al geometrico > 0, (ossia K = 0), le super-
ficie aggiunte di arbitrario ordine segano un sistema completo.
La dimostrazione è stata data soltanto per le w,-3+, conr=0 (poichè esse
segano tutto il sistema aggiunto ad un sistema puro il quale è un sistema puro
normale e perciò un sistema completo), ma in vista del teorema del resto del cap. I,
staccando successivamente sezioni piane si stabilisce la cosa in ogni caso.
Allora adoperando il ricordato teorema del resto del cap. I si ha:
Il sistema completo a cui appartiene una curva C sopra la superficie F viene segato
da tutte le superficie aggiunte di arbitrario ordine che passano per una intersezione
complementare irreduttibile della C e si comportano debitamente nei punti multipli della
C stessa.
È questo il complemento del ricordato teorema del resto (Restsatz, secondo
Noether).
4. Sistemi impuri. — Sopra la superficie F di genere geometrico uguale al nu-
merico p> 0, le cui sezioni piane appartengono ad un sistema puro (C), si consideri
ora un sistema impuro (C,) avente s punti base multipli risp. secondo i, dn. ..%,;
possiamo prendere r così grande che (C;) sia contenuto in (rC) ed abbia come re-
siduo rispetto ad esso il sistema puro (C»). Indicando con q, tt, i risp. generi di (C;),
(C.), con t quello di (r C), e considerando che un punto jplo d’una curva le cui
ilg—1)
2
tangenti stanno in un piano diminuisce di il genere della curva, si ha
ORI ARTI
n=m+m+D-1+r USL
dove D è il numero delle intersezioni di una C,, con una Cs. Sia (C’) il sistema ca-
nonico e quindi (rC +4 C') l’aggiunto di (r0), ed (rC+C' — C.) il residuo di (0)
rispetto al detto aggiunto; ripetiamo il ragionamento del $ 2; (rC + C') sega sulla
C, una serie di grado D+ 2 t, — 2 e quindi di dimensione D+ t) — 2 — w, (w> 0),
sicchè la dimensione di (rC + C' — C)) è
pt n" —D aio +,
ossia è
p+tm +e el 14
Le curve d’un sistema lineare che hanno un punto jplo in un punto semplice
di F soddisfano ad Meo condizione lineari al più; quindi le curve di (r C + C' — C)
che hanno un punto (i. — 1) plo in ogni punto base è. plo di (0) costituiscono un
sistema di dimensione
=p+m-1+w;
| questo sistema appartiene evidentemente al sistema somma di (C;) con (C’) e coi
punti base di (C;) ossia all’aggiunto di (C,), il quale ha una dimensione < p + n, — 1;
206 FEDERIGO ENRIQUES
segue w= 0, e la dimensione del nominato sistema aggiunto a (C;) è quindi proprio
pt+r 1.
Dunque:
Sopra una superficie F_di genere geometrico uguale al numerico p > 0, anche ogni
sistema impuro di genere TT ha il sistema aggiunto di dimensione p + TT — 1 come ogni
sistema puro.
Se il sistema impuro (C;) ha i suoi punti base distinti (come supponiamo) non
può nessuno di essi staccarsi dal sistema (K) aggiunto a (C,), poichè (K) deve segare
la serie canonica completa sulla curva generica C,, e questa non ha come punti fissi
gli è punti infinitamente vicini ad un punto iplo; quindi (cfr. anche il $ 1):
Sopra la superficie F il sistema aggiunto ad un sistema impuro con punti base
distinti è irreduttibile ed ha come (i — 1) plo un punto base iplo del nominato sistema
impuro.
Sopra la superficie F senza curve eccezionali di genere geometrico uguale al
numerico p > 0 di cui le sezioni piane appartengono al sistema (puro) (0), si torni
a considerare il sistema impuro (0') di genere T, con s punti base distinti di mol-
teplicità i,, in... è,, e si prenda r così grande che il sistema (rC) di genere '” con-
tenga (C) in modo che (C;) abbia come residuo rispetto ad esso un sistema puro (Co)
di genere ,; sia ancora (C’) il sistema canonico. Il sistema (rC + C' — C,) residuo
di (C,) rispetto ad (rC + C’) ha la dimensione
So
Anali nin
(come abbiamo visto essendo w= 0); questo sistema non può avere alcun punto base
fuori dei punti base di (C,), poichè un tal punto sarebbe base per l’aggiunto di (03);
d'altra parte se un punto O base iplo per (C,) fosse base per (rC + C' — (3), impo-
nendo a questo sistema di avere il punto O come (î — 1) plo si imporrebbe alla
curva generica di esso meno di Lal condizioni lineari e ne conseguirebbe che
la dimensione del sistema aggiunto a (C;) sarebbe > p +, — 1 mentre ciò è im-
possibile; si conclude che staccando (0;) da (rC + C’) il sistema residuo (r © + C' — 0.)
non può acquistare punti base, ossia è un sistema puro. Consideriamo il sistema
(»C — C3) residuo di (C’) rispetto al nominato sistema (r C+ C'— C.); il sistema
aggiunto ad (r C — C,) è la somma di (rC+C'— C,) coi punti base eventuali di
(rC— C;), e però ha la dimensione
O
Pra z suo di sil
(numero esprimente la dimensione di (rC + C' — C,)); ma il genere di (rC — 0) è
= ip (io — 1)
“una
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 207
e precisamente vale
Ta,
sd — 1
Ti Ì x 2
se (»C — C3) non ha punti base multipli e vale meno del detto numero in caso con-
trario; tenendo conto del fatto che la dimensione del sistema aggiunto ad un dato
sistema è uguale al genere di esso aumentato di p — 1, si conclude che (rC — C))
non ha punti base multipli e quindi è di genere
n, SE 5 în da DI
1
ed il suo aggiunto è proprio il sistema (rC 4 C' — C,) di dimensione
= dif — 1)
p+m+E eV 1
Sono dunque possibili due casi:
o il sistema (rC — C.) è un sistema puro ed allora (C,) si ottiene da esso
imponendo i punti base colle molteplicità i,, iv... î, alle sue curve generiche;
o (forse) il sistema (rC — €) ha alcuni punti base semplici (conseguenza dello
staccare (C,) da (rC)) i quali cadono in punti base di (C,), ma però coincide col
residuo del sistema canonico (C’) rispetto al suo aggiunto (mentre in generale un
sistema impuro è contenuto nel residuo del canonico rispetto al suo aggiunto, quando
lo staccare il sistema canonico dal detto sistema aggiunto non tragga di conseguenza
lo staccarsi dei punti base del primitivo sistema); allora (C,) si ottiene da (rC — C.)
imponendo le molteplicità î,, è»... nei punti base di (C,) sieno essi base o no
per (rC — Co).
In ogni caso possiamo dunque concludere:
Ogni sistema impuro (con punti base distinti) può dedursi coll’aggiunta dei suoi
punti base, non traenti con sè lo staccarsi di alcuna altra curva, da un sistema che
coincide col residuo del canonico rispetto all’aggiunto, il quale è puro o (forse) ha sol-
tanto dei punti base semplici.
5. Cenno sulle superficie di genere O. — Nei precedenti $i abbiamo escluso le
superficie di genere O alle quali non si estende la dimostrazione del teorema fonda-
mentale del $ 2. In virtù però delle considerazioni svolte in quel $ (cfr. anche una
nota di esso) intorno alle formule di postulazione di Noether, ed approfittando del
citato teorema di Zeuthen e Noether sulla invariantività del genere numerico nelle
trasformazioni che non producono sulla superficie singolarità straordinarie, possiamo
concludere che:
Sopra una superficie di genere geometrico uguale al numero O, un sistema (C) sem-
plice di genere n, tale che la superficie su cui gli iperpiani segano le curve di (C) ha
soltanto singolarità ordinarie, possiede un sistema aggiunto DOT.
Ora stabiliremo il seguente teorema:
208 FEDERIGO ENRIQUES
x
Se sopra una superficie razionale dotata di punti multipli isolati distinti vi è un
sistema semplice (C) (co almeno) tale che i residui delle sue curve fondamentali sieno
sistemi di genere > O, quando la superficie sia rappresentata sul piano, il sistema ag-
giunto a (C) viene rappresentato dal sistema delle curve d'ordine n — 3 aggiunte alle
curve C',, d’ordine n immagini di quelle di (C), spogliato delle componenti fisse eventuali (1).
Per la dimostrazione si consideri nel piano il sistema (C',) delle C’, e quello
(C',-3) delle curve aggiunte d’ordine n — 3; le curve C',.3 segano anzitutto sopra la
curva generica C’, un gruppo canonico. Sia G una curva fondamentale di (C',) e (C',)
il sistema residuo d'ordine p: sia (C',_3) il sistema delle curve d’ordine p — 3 ag-
giunte alle C', (le quali sono di genere > 0). Fra le C',_3 vi sono le curve composte
G+ C',-: le quali segano sopra una C', dei gruppi di punti (individuanti la serie
segata da C’,_3) che sommati con un gruppo sezione di una C', dànno gruppi equiva-
lenti (cioè appartenenti alla stessa serie completa) a quelli segati sulla C°, dalla curva
composta 0’, C’,3=(G+ C,) + C',-3. Dunque le C',_3 segano sulla C', gruppi
della serie somma della serie canonica (segata dalle C',_3) e di quella differenza tra la
serie segata dalle C’, e la serie caratteristica di (C’,). Tanto basta (secondo la defini-
zione del $ 1) perchè il teorema risulti dimostrato; giacchè il sistema aggiunto a (0)
di genere t è intal caso 007! ed è pure co7-! quello (C',_3) nel piano: le componenti
fisse delle C',_3 nel piano rappresentano curve che si possono impunemente aggiun-
gere al sistema aggiunto a (C) perchè essendo fondamentali per (C) non ne risultano
alterati i caratteri essenziali di esso ($ 1).
6. Un teorema sulla superficie del 4° ordine. — Sopra una superficie di genere 1
(geometrico e numerico) si consideri un sistema (C) con s punti base distinti di mol-
teplicità î,, in ...é; risp., e sia è la più alta molteplicità di un punto base. Indi-
chiamo con (C') il sistema aggiunto a (0), con (C") l’aggiunto di (C') (0, se si vuole,
2° aggiunto di (0)), ecc.; il sistema (0) :° aggiunto di (C) è un sistema puro da
cui (C) è dedotto coll’aggiunta dei suoi punti base.
Sopra una superficie di genere 1 non vi sono curve canoniche (non eccezionali),
quindi un sistema puro di genere t è l’aggiunto di sè stesso e però ha la dimensione n
e il grado 2(n— 1).
Si possono classificare le superficie di genere 1 a seconda del sistema puro di
dimensione minima che esse contengono. In questa classificazione s'incontra dapprima
la superficie del 4° ordine, poi la superficie del 6° ordine di S, sezione d’una qua-
drica con una varietà cubica, poi la superficie di 8° ordine sezione di 3 quadriche
in S;, e così via; l’irreducibilità di queste superficie (generali) a quella generale del
4° ordine seguirà dalle considerazioni che andiamo ad esporre (2).
(1) Ossia dal sistema aggiunto puro di quello (Cn) delle C'n secondo la definizione di Castel-
nuovo. La restrizione che i sistemi residui delle curve fondamentali di (C) sieno di genere >0
dipende solo dal fatto che la definizione data pel sistema aggiunto non si estende al detto caso
escluso: siccome una superficie con una rete di curve razionali è razionale, possiamo estendere con-
venzionalmente il teorema di guisa che il sistema aggiunto risulta definito anche pei sistemi
(C) OO” contenenti un sistema 00”-! di curve razionali.
(2) Il sig. Castelnuovo mi segnalò le dette classi di superficie di genere 1 contenenti lo stesso
numero di moduli delle superficie del 4” ordine e ad esse irreducibili.
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 209
Senza toccare l'interessante questione di assegnare tutti i tipi irreducibili di
superficie del genere 1, ci limitiamo quà a risolvere il seguente problema:
Quando due superficie generali del 4° ordine possono essere riferite punto per punto?
Si dimostrerà che questo avviene soltanto quando esse sono proiettive.
Invero sì immaginino due superficie generali del 4° ordine riferite punto per
punto; alle sezioni piane dell’una corrispondono sull’altra le 003 curve d’un sistema
lineare, le quali se la superficie è generale debbono essere intersezioni complete di
altre superficie (1); se esse non fossero ancora sezioni piane (cioè se le superficie
non fossero proiettive), il sistema 00° suddetto (essendo di genere 3) avrebbe dei punti
base multipli e quindi non sarebbe puro: ciò è assurdo perchè in una trasformazione
birazionale d’una superficie un sistema puro è sempre mutato in un sistema puro.
Dunque:
Due superficie generali del 4° ordine riferibili punto per punto sono protettive.
Si trae pure poichè gli unici sistemi puri sopra una superficie generale del 4°
ordine sono quelli segati da tutte le superficie d’ordine #, che:
Una superficie generale del 4° ordine non è riferibile ad altre superficie normali
senza curve eccezionali di uno spazio superiore, tranne di ordine 4 n? nello spazio San+i
(a sezioni iperpianali di genere 2n° + 1).
Il teorema dato prima per le superficie generali del 4° ordine si estende a quelle
generali d’ordine n > 4, sia collo stesso metodo, sia (anche più semplicemente) usando
qui del sistema canonico; per modo che si conclude:
Due superficie generali d’ordine n => 4 (in S3) si possono riferire biunivocamente solo
quando sieno protettive.
Il teorema non sussiste per n = 3.
7. Osservazioni sui resultati contenuti in questo capitolo. — I resultati fondamen-
tali di questo capitolo fondati sopra l'esistenza d’un sistema c0?+7-! aggiunto ad un
sistema di genere tt sopra una superficie di genere geometrico p > 0 son fatti di-
pendere dalla restrizione K=0 che si è trovata verificata se esiste un sistema puro
semplice (C) tale che d(2C)=0.
Poichè si tratta d’un punto fondamentale nella teoria delle superficie è interes-
sante stabilire come la uguaglianza è (2 ©) =0 segua da quella dè (C) = 0 ove si sappia
che la serie caratteristica di (C) è completa. Invero nel seguente capitolo verrà di-
mostrato che ogni sistema puro ha la serie caratteristica completa se tale proprietà
compete al sistema canonico; sebbene non sembri possa dedursi un tal fatto dalla
restrizione già ammessa per la superficie (K= 0), pure il fatto stesso appare così
legato alla restrizione medesima per effetto del teorema accennato che vogliamo
dimostrare.
Premettiamo le seguenti considerazioni fondate suilo stesso concetto che ha
servito per il lemma del $ 2°:
Sopra una superficie si abbiano due sistemi (0), (K); sia », la dimensione di (0),
7; quella di (C + K), r, quella di (C+ 2 K).
(1) Cfr. Noetner, Zur Grundlegung der Theorie der algebraischen Raumcurven, $ 11, © Abhandl.
d. Akad. d. Wiss. ,, Berlin, 1883.
Serie II. Tom. XLIV. B
1
210 FEDERIGO ENRIQUES
AI sistema (C +2 K) appartiene il sistema 00" costituito da una curva fissa K'
di (K) presa insieme con tutte le curve di (C + K), cioè (simbolicamente) il sistema
(C+-K)+K':
parimente se K" è un’altra curva di (K) a (C+ 2K) appartiene il sistema
(C+K)+E";
i due sistemi (c0o” ciascuno) hanno comune un sistema di dimensione r, (cioè
(0) +K'+K") e però il loro sistema somma ha la dimensione
=> 2r, Fo
Ora questo sistema è contenuto nel sistema delle curve di (C + 2 K) che pas-
sano per le D intersezioni delle curve K', K'; se dunque sono v, le condizioni im-
poste dal gruppo K' K" alle curve di (C+ 2 K) che debbono contenerlo, si ha:
to = 271 — tr + Vo.
Indichiamo con v; il numero delle condizioni che il gruppo K',K" impone alle
curve di (C+ K), e sia r la dimensione di (K); allora per v; — 1 tra i D punti del
gruppo K'K" passa una curva di (C + K) non contenente tutti i D punti del gruppo,
e per r — 2 punti del gruppo medesimo (appartenente alla serie caratteristica gp"
di (K)) si può condurre una curva K'"" di (K) non contenente tutti i D punti, la
quale insieme con una curva di (C+ K) pei detti v. — 1 punti compone una curva
di (C+ 2 K) non contenente tutto il gruppo K' K"; ne segue che
v=vib+rT_-2 0 vw=>D—-1
(l’ultima disuguaglianza valendo nel caso che sia v\+r —3 > D — 1). Si deduce
v>2r-hb+twuktrT_-2,
0 rr=2rr-fh+D_-1
Ora sia (C) il sistema canonico (supposto irreduttibile, con nr =p —1= 2), e
(K) sia un sistema puro semplice 00° di genere m e grado D, la cui serie caratteri-
stica sia (per ipotesi) completa; inoltre il sistema (C+ K) aggiunto a (K) abbia la
dimensione p+T — 1.
Il gruppo della serie caratteristica completa gp" di (C), impone (pel teorema
di Riemann Roch)
v=aeD—-r+1
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 210
condizioni alle curve del sistema aggiunto (C + K) che debbono contenerla; in questo
caso è dunque:
v=>D—- 1, (1=p+n—- 1)
e perciò
n= 2@tr1)_ DK D-1
rr>p+2T1+D—2;
e poichè 27 +D —1 è il genere n, di (C+ K) si ha proprio
rr=p+m_1l
(non potendo essere r, > p+ mt — 1).
Dunque (poichè è ora è (K)= d(2K)=0) si ha il teorema:
Se sopra una superficie di genere p > 2 (a sistema canonico irreduttibile) sì ha un
sistema puro semplice di genere avente la serie caratteristica completa, e di cui l’ag-
giunto è 0OP+1, per ogni altro sistema di genere TT appartenente alla stessa superficie
la dimensione del sistema aggiunto è
tape
cioè la superficie ha il genere geometrico uguale al numerico.
IV.
Sistemi puri. — Estensione del teorema di Riemann-Roch.
1. La serie caratteristica. — In seguito al teorema del capitolo precedente $ 4°,
il nostro maggior interesse si rivolge allo studio dei sistemi puri, poichè dalle pro-
prietà di questi potranno dedursi quelle di tutti i sistemi impuri ottenuti coll’aggiunta
di punti base, non avendo in complesso a superare difficoltà maggiori di quelle che
s'incontrano nello studio dei sistemi lineari di curve piane e di una indole non molto
diversa. In questo capitolo parlando di un sistema (C) (ove non si avverta espressamente
il contrario) intendiamo senz’altro che sia un sistema puro irreduttibile di dimensione
= 2 (completo); supponiamo inoltre che la superficie di cui si tratta abbia il genere
geometrico uguale al numerico p>0, e intendiamo che il sistema (K) aggiunto a (0)
sia semplice, e per ciò basta che sia semplice (C) o il sistema canonico.
Dato il sistema (C) se ne designerà con t il genere, con n il grado, con r la
dimensione, e diremo senz’altro che (0) ha i caratteri ti, n, r. Sia (K) il sistema ag-
212 FEDERIGO ENRIQUES
giunto di (C) (necessariamente puro) e TT, N, R i suoi caratteri. Vi sono curve K di
(K) spezzate in una C di (C) ed in una C' del sistema canonico (0°); una curva ge-
nerica C o una generica C' (poichè (C), (C’') son sistemi puri) non hanno punti mul-
tipli in punti semplici della superficie (o ipermolteplicità nei punti multipli) dimodochè
per la formula di Noether (1)
T=pMt+t3n-1)- n:
due curve spezzate ciascuna in una C ed una C' si segano come due K in N punti
quindi:
N=pU_-1+44n—-1)— a;
si ha poi (Cap. III, $ 2):
R=ptn_- 1
Si riferiscano ora le curve K del sistema (K) aggiunto a (C) agli iperpiani di
Sp+7-1 e si consideri la superficie F_ così trasformata.
Una curva C sta sulla F in un Sr_1 poichè vi sono 00? K spezzate in una C
ed in una curva canonica, ossia oo’?! iperpiani per la C. Invece una curva canonica
C' sta in un Sp+r-2-,, poichè vi sono 00° K spezzate in una C' fissa ed in una C.
Le curve K ossia gli iperpiani di Sp+7-1 segano sulla C la serie canonica completa
(la C è curva canonica in S7_1). Consideriamo gli iperpiani che passano per lo Sp+r—2-r
contenente una C' e la serie che essi segano sopra una curva C; essa viene segata
nello Sz-1 della C dagli Sz_2 contenenti l'intersezione dello Sp+r-2-, di C' e dello
Sr-1 di C; essa è dunque completa se i 2 (t — 1) — n punti comuni alle C, 0°, in-
dividuano l'intersezione dei 2 spazi a cui le €, C', risp. appartengono; se questo non
accade, ed i detti 2 (mt — 1) — » punti non individuano quella intersezione, ma uno
spazio di dimensione minore, la detta serie è invece necessariamente scompleta. Ma
allora per la stessa ragione è scompleta (e con un difetto di completezza non mi-
nore) la serie che gli iperpiani (S,+7-2) passanti per la detta intersezione degli spazi
di C, 0°, segano sulla C". Ora la 1? serie non è altro che la serie caratteristica del
x
sistema (C), la 2° è quella del sistema canonico (C’) (suppostane l’esistenza). Dunque:
Se la serie caratteristica del sistema canonico è completa, è completa la serie carat-
teristica di ogni altro sistema puro (2).
Nel seguito considereremo per ora soltanto le superficie aventi la serie caratte-
ristica del sistema canonico completa (se p > 2). Così su tali superficie ogni sistema puro
ha la serie caratteristica completa; ciò accade anche se p= 1 (cfr. cap. IM), e se le
curve canoniche si compongono di quelle d’un fascio (p = 2) bastando ripetere in
questo caso il precedente ragionamento; anche questi casi nei quali non esiste serie
caratteristica del sistema canonico sono tra quelli che consideriamo.
(1) © Acta Mathematica ,, 1886.
(2) Il teorema si estenderebbe colla medesima dimostrazione anche ai sistemi impuri che coin-
cidono col residuo del canonico rispetto all’aggiunto, notando che una curva eccezionale non ha
intersezioni con una curva canonica.
|
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 213
2. Estensione del teorema di Riemann Roch. — Ci proponiamo il seguente problema:
Quante curve del sistema aggiunto a (C) passano per un gruppo della sua serie
caratteristica, cioè per un gruppo comune a due curve C ?
Supponiamo dapprima il sistema (0) non speciale (cioè non contenuto nel cano-
nico), e consideriamo il sistema (K) aggiunto a (C). Sieno mn ri caratteri di (0);
e riferiamo le curve K agli iperpiani di Sp+,-1 in guisa da ottenere una superficie
trasformata F, sulla quale (come prima abbiam visto) una © sta in un Sr_1.
Due arbitrari Sr_1 contenenti ciascuno una curva C non possono esser conte-
nuti in uno spazio a meno di p+m — 1 dimensioni, altrimenti il sistema doppio di
(C) (contenente tutte le coppie di curve C) sarebbe contenuto nell’aggiunto (K) di
(C) e quindi (togliendo una C da ambedue i sistemi) (C) sarebbe contenuto nel ca-
nonico (cioè sarebbe speciale); quindi due tali Sr_1 si segano secondo uno spazio
Sr-1 » per il quale passano co??-! iperpiani. Ognuno degli 00%! iperpiani passanti
per S,-1-p passa per gli x punti comuni alle due curve C, quindi per gli n punti
passano almeno co??-! curve K, ed in generale coP?-1+° con w => 0.
La quantità w ha un altro significato notevole; invero poichè gli iperpiani se-
gano sulla C una serie completa, quelli passanti per una C segheranno sopra un’altra
C una serie il cui difetto di completezza è w (cfr. $ prec.) poichè gli » punti co-
muni a due © stanno in un Sr-1-p—e immerso nello S:-1-, comune ai due Sx; che
contengono le dette C.
Ora questa serie è quella che le curve canoniche segano sulla curva C, la quale
(poichè (C) è non speciale) è una 9&7_n-n immersa dunque in una serie completa
Fira: Si vede intanto che per il gruppo di punti comune a due curve C d’un
sistema non speciale passano 00°?-!+° curve del sistema aggiunto, essendo w il di-
fetto di completezza della serie che le curve canoniche segano sulla ©.
Sia ora (C) un sistema speciale, e sia r' la dimensione del residuo (s'intende residuo
di esso rispetto al canonico), designeremo la quantità è =7' +1 col nome di indice
di specialità del sistema. (Quando è = 0 il sistema è non speciale). Allora il doppio
di (C) è contenuto nell’aggiunto (K) ed il residuo di questo doppio rispetto a (K) è
il residuo di (C) (rispetto al canonico) e quindi è di dimensione +’; due S7_1 conte-
nenti ciascuno una C sulla Fin Sp+r-1, Sono ora immersi in un Sp+r-1-: e quindi
han comune un Sr-1-p+: per il quale passano co°?-1-' iperpiani. Quindi si conclude
come nel caso precedente che pel gruppo comune a due curve C passano 00?2-!1+@
curve del sistema aggiunto, dove w = 0 è ancora il difetto di completezza della serie
segata sopra una O dalle curve canoniche, la quale serie è dunque una g7-}_n
(poichè essendo r' la dimensione del sistema residuo di (C) per un gruppo della serie
passano co' = c0”#! curve canoniche giacchè una C fa parte di 007! curve canoniche)
immersa in una serie completa g&-!5t7. Così possiamo concludere:
Per un gruppo comune a 2 curve C d’un sistema non speciale, sopra una super-
ficie di genere p, passano 2p + w curve linearmente indipendenti del sistema aggiunto;
e se il sistema è speciale coll’indice di specialità i ne passano 2p — i+ w; la quan-
tità w=0 è in ambi i casi il difetto di completezza della serie segata dalle curve ca-
noniche sopra una curva © (1).
(1) Il teorema può anche enunciarsi dicendo che in S3 vi sono per una retta 2p + W — è super-
214 FEDERIGO ENRIQUES
Diremo w la sovrabbondanza del sistema (C); questa denominazione è intanto
giustificata dal fatto che per p=0 (quindi anche i=0) la w è la ordinaria sovrab-
bondanza dei sistemi lineari di curve piane (1) (supposta la superficie razionale); ma
la denominazione stessa verrà meglio giustificata quando considereremo il sistema (0)
come segato da superficie aggiunte sopra una superficie in S; ed esamineremo la
differenza fra la sua dimensione effettiva e quella virtuale data dalle formule di postu-
lazione di Noether.
D'ora innanzi parlando di un sistema dovremo considerare insieme ai caratteri
T, 7, n già definiti anche la sua sovrabbondanza w; sew=0 diremo il sistema re-
golare. I caratteri tt, r, n, w (ed è, cioè l’indice di specialità, se si tratta d’un sistema
speciale) di un sistema (C) sono legati da una relazione nella quale figura il genere
p della superficie. Invero sopra una curva C la serie caratteristica 977 (che è com-
pleta), è residua di una serie completa go, a cui appartiene quella 987_)-n
segata dal sistema canonico, quindi per il teorema di Riemann Roch si ha
qo_-l_-n+ra=ptbtw—-i
dove è î=0 se (0) è non speciale.
Questa relazione dà un'estensione alla superficie (e per ora soltanto pei sistemi
puri) del teorema di Riemann Roch relativo alle serie lineari appartenenti alle curve
algebriche. Si può enunciare il resultato sotto la forma seguente:
Per un sistema puro non speciale di caratteri ©, r,n,w sì ha:
m_-1_-n+r=ptuw(2)
Se un sistema speciale puro di caratteri ©, r, n, w ha un sistema residuo di di-
mensione 1’ si ha:
vr =p_-TnT+nan—r+u 03).
ficie linearmente indipendenti d’ordine n — 3 aggiunte ad una d’ordine x e genere p, quando le
sezioni piane appartengono ad un sistema (puro) d’indice di specialità è e sovrabbondanza w, essendo w
il difetto di completezza del sistema delle curve d’ordine n —4, segato sopra un piano dalle ag-
giunte d’ordine n — 4.
(1) Cfr. CasreLnuovo, “ Accademia di Torino, Memorie ,, 1891.
(2) Enunciando questo resultato sotto forma proiettiva si ha l’ estensione del noto teorema di
Clifford per le curve (“ Phil. Transactions ,, 1878).
(3) Non si creda che possa prendersi sempre in queste formule w=0. Basta per ciò considerare
gli esempi seguenti: 1° il sistema segato dalle quadriche sopra la superficie del 5° ordine dotata
di un punto triplo; 2° il sistema segato dei piani sulla superficie del 7° ordine con due punti tripli
ed il residuo segato dalle quadriche per i due punti.
Il 2° teorema sotto la forma
r=>p_n+n—r
è stato dato dal sig. NoeraER (‘ Comptes rendus ,, 1886) con una dimostrazione non differente da
quella qui usata: mancano solo là le restrizioni da noi introdotte, che appariscono necessarie per
dimostrare come la serie caratteristica di un sistema (C) sia completa (ciò che viene omesso), ed
il teorema appare qua completato essendosi assegnato il significato di w.
I due teoremi enunciati vengono poi estesi anche ai sistemi impuri.
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 215
8. Sistemi speciali residui uno dell'altro. — La relazione precedentemente trovata
permette di esprimere in funzione dei caratteri di un sistema speciale la dimensione
del residuo, nell'ipotesi che il dato sistema sia puro; la restrizione stessa è in ge-
nerale soddisfatta quando si considerano due sistemi residui uno dell'altro di dimen-
sione > 2 in relazione reciproca (0), (C’).
Sieno (C), (0') due sistemi puri residui uno dell’altro (di dimensione > 2), espri-
miamo tutti i caratteri n’, »", n’, w' dell’uno (C') in funzione di quelli tr, r, n, w del-
l’altro (C), o viceversa.
Sia al solito p'” il 2° genere della superficie, e sia D il numero dei punti comuni
ad una curva C ad una C°'. Poichè il sistema canonico è la somma di (€), (C’) usando
di note formule già adoperate, sì ha:
pVa=nt+rv+D_-1
(A =) pY—_-1=n+an'+2D,
e, poichè una curva canonica incontra una C in 2(r — 1) — » punti,
?2n+D= 2(n- 1)
Mediante l’ultima relazione eliminando D si deduce
D= 2-1) — 2w
pYO =3n-1)+n — 2a
pV—1=% +4n-1)— 8a;
siccome poi sottraendo segue
N — CT — RT
e si ha
rtrap_ntbtn+w=p_-Tt0+a'4uw,
così si deduce:
Dunque: Fra i caratteri n, r, n, w, m', r', n, w', dei due sistemi speciali (puri), (C),
(0’) residui uno dell’altro, di dimensione > 1, sussistono le relazioni
(i r=p_nTt+nan—-rk+w
| m= più — 8(l-1)+ 2
CSO
wii = fw n=» — n).
216 FEDERIGO ENRIQUES
4. La sovrabbondanza. Dimensione virtuale d’un sistema. — Il concetto della so-
vrabbondanza d’un sistema (C) cui siamo giunti partendo dalla considerazione delle
curve del sistema aggiunto a (C) che passano pel gruppo comune a due curve C, è
suscettibile di ricevere un’altra interpretazione, cui già ho accennato, la quale rende
meglio ragione della denominazione scelta.
Si consideri un sistema (K) di caratteri TT, R, N, 2, I (dove l’indice di specia-
lità I= 0 se (K) è non speciale) ed un sistema (C) contenuto in esso e residuo di una
curva 0"; sieno q, r, n, w, i i caratteri di (C), e la curva C' sia di genere n’ incon-
trata in D punti da una curva €. i
Supponiamo che la C' non abbia punti multipli in punti semplici della super-
ficie (o ipermolteplicità nei punti multipli) di guisa che, essendo (C) un sistema puro,
una curva C+ C' non abbia altri punti multipli che non siano tali per le K eccetto
i punti doppi intersezioni di una C e di una C', allora si ha:
M=et+tWLD= 1
Una curva K incontra una curva K spezzata in una C e nella C' in N punti;
d'altra parte una curva K spezzata in una C ed una C' incontra una C in n+4D
punti, quindi una K incontra la C' in D' punti dove:
N=n+D+D.
Ora il sistema (K) sega su C' una serie gì-"-1; se indichiamo con e il difetto
di completezza della serie e con % il suo indice di specialità si ha dunque:
RT—-r_-1+te=D'—-qn'+%
ossia:
R=D'-n+h-etr4+1
Ne segue:
T_1-N+R=(n+q+D-—-1)-1-(n-+D+D')+ D'—n+h—-e+r+1)
ossia:
T-1-N+Ra=n_-1-n+r+t@%—- 0:
d’altra parte è:
NARO
q_-_1l_-n+ra=ptuw_—i
quindi
Q_-I=zw_-ith— ©)
ed
wT-i=Q-IT (e An.
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 217
Dunque:
Se da un sistema (K) se ne deduce un altro puro (C) come residuo di una curva
C' che non abbia punti multipli in punti semplici della superficie (nè ipermolteplicità nei
suo punti multipli), la differenza fra la sovrabbondanza e l'indice di specialità di (0)
è uguale all’analoga differenza per (K) aumentata dalla differenza fra il difetto di com-
pletezza e l'indice di specialità della serie che le curve K segano sulla C'.
Di questo teorema è utile il corollario:
La differenza fra la sovrabbondanza e l'indice di specialità d'un sistema (C) re-
siduo della curva C' rispetto ad un sistema regolare non speciale (K) è uguale alla dif-
ferenza fra il difetto di completezza e l'indice di specialità della serie segata dalle curve
K (di (K)) sulla C'.
Per il nostro scopo occorre ancora dimostrare il lemma:
Il sistema aggiunto ad un sistema puro (C) è regolare.
Questo si verifica immediatamente. Infatti se tr, r, n, sono i caratteri del sistema
(0), e TT, R, N, £ quelli del suo aggiunto, si ha:
Tan+pO+2n-1)—-na-1
R=pkia-1
N=na+pY_-1+2{2m-1)— n}
e quindi:
TI-1-N+-R=p,
ed
Na #0f2cididì
Deduciamo che sopra una superficie F_ di S; d’ordine n, senza curve eccezionali,
le superficie aggiunte d’ordine >» — 3 segano un sistema regolare; infatti abbiamo
già avuto occasione di osservare che le aggiunte d’ordine n — 3 + r segano sulla F
il sistema aggiunto a quello rplo delle sezioni piane.
Ora si consideri sulla F un sistema (C) segato da superficie aggiunte d’ordine
> n — 4. Sappiamo che il sistema segato da tutte le superficie aggiunte d'ordine
> n — 4 ha la dimensione che si può calcolare in base alle formule di postulazione
di Noether, le quali in base alla convenzione p, = p (cap. II, $ 3) ed al corollario
di Castelnuovo secondo il quale si ha l’espressione della differenza fra il numero
delle superficie aggiunte di un dato ordine e quello delle superficie aggiunte dell’ordine
consecutivo, debbono riguardarsi come valevoli anche per le superficie dotate di singo-
larità straordinarie. Se vogliamo calcolare secondo queste formule di postulazione la
dimensione che dovrebbe competere al sistema (C), dobbiamo far passare per una curva €
(di (C)) un'aggiunta d'ordine n — 3+! (=> 0), w.-3+, la quale seghi ulteriormente
la F in una curva C' (che possiamo supporre non avente punti multipli in punti sem-
plici della superficie) e vedere quante condizioni la C', unita al gruppo base, imponga
ad una y,-3: che debba contenerla. Possiamo dire che il numero così calcolato (che,
per così dire dovrebbe esprimere la dimensione del sistema (C)) è la dimensione vir-
tuale del sistema (0); ma può sorgere il dubbio che questo numero vari con 7, 0
muti rifacendo la costruzione per una superficie trasformata.
Serie II. Tom. XLIV. ci
218 FEDERIGO ENRIQUES
A questa questione rispondono i risultati precedenti. Infatti quando uniamo la
C' al gruppo base delle yn-3+, e vogiiamo calcolare l’effetto prodotto sulle formule
di postulazione, noi veniamo in sostanza a considerare la serie 9g, segata da tutte
le w,-3+: sulla C' (di genere T') come completa e non speciale, ed allora la sua di-
mensione vien data dal teorema n —%= q'; il numero p così calcolato è la dimen-
sione virtuale di (0), ed in base al calcolo precedente (poichè il trinomio (TM —1—n+- p
non differisce dall’analogo calcolato per il sistema regolare non speciale segato dalle
Wn-341) sì ha:
o—-l1_-n+p=p.
Se vogliamo la dimensione effettiva » dobbiamo introdurre la differenza 6 fra
il difetto di completezza e l’indice di specialità della serie che le w,_-3+: (ossia le
curve del sistema regolare non speciale che esse segano sulla superficie) segano sulla
C', e si avrà:
r=pt 0,
dove 0=w— 3; cioè si avrà appunto come abbiamo trovato
mu_—-1l1_-n+r=ptw_- di.
Concludiamo:
La dimensione p (virtuale) di un sistema puro (C) calcolata facendo segare il sistema
(C) da superficie aggiunte d'ordine > n — 4 sopra una superficie d'ordine n (in S3) priva
di curve eccezionali, è un carattere invariantivo del sistema (C) e coincide colla dimensione
effettiva se il sistema è regolare non speciale, in modo che si ha:
q_—_1_-n+p=p.
La differenza (w — i) fra la sovrabbondanza e l'indice di specialità di (C) è uguale
allu differenza (r — p) tra la dimensione effettiva e quella virtuale del sistema stesso.
Così la denominazione di sovrabbondanza data alla quantità w (definita nel $ 2)
appare pienamente giustificata. Di più è interessante notare che él teorema stabilito
sussiste indipendentemente dalla completezza della serie caratteristica del sistema cano-
nico (1) (da cui segue quella di (C)) e quindi unche prescindendo da quella ipotesi si
ha la relazione:
qT—1l_-n+r=pthirw—-i
dove la sovrabbondanza w è definita dalla uguaglianza
wT-di=T — p.
Solo non risulta così che sia sempre w = 0 come si è riconosciuto sotto la pre-
cedente restrizione, ma questo resultato sarà stabilito nel successivo $ al di là di
un certo limite per r.
Il teorema stesso si estende ai sistemi impuri (C') normali, dedotti da (C) coll’ag-
giunta di s punti base di molteplicità hy, hs . . . h;; infatti i caratteri n', n°, #', w', è’ di (C’)
si esprimono per quelli di (C) mediante le formule:
(1) Infatti nel dimostrarlo non si è tenuto conto di quella ipotesi.
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RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 219
hh 1)
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men i sv — ina dine — pr See 1) ZERO
(dove 6= 0 è il numero dei legami tra i detti punti base) dimodochè risulta
mu_—-1_-n' +#z=n_-1_-n+tr+ 0;
d'altra parte è = i (poichè (C') e (C) hanno lo stesso sistema residuo) e la dimen-
sione virtuale p' di (C’) vale
p=p — ESE,
sicchè sì conclude:
n_l1_-an+ra=pt+u—i w_=wt+ 6) (1)
Ora è opportuno rilevare una differenza peculiare che si presenta fra lo studio
delle serie complete lineari di gruppi di punti sopra una curva e quello dei sistemi
lineari di curve sopra una superficie. Nella geometria sulle curve di genere m si
presentano accanto alle serie gir non speciali la cui dimensione è data dal teorema
n-—-r =mt quelle speciali la cui dimensione è, per così dire, superiore a quella vir-
tuale, quindi per una gi completa il binomio n — r, che di regola può considerarsi
uguale al genere della curva sostegno, non supera mai questo genere T, ed è
n—-r<% solo quando la gr è contenuta in una data serie (la canonica 97,7). Nel
piano la dimensione di un sistema lineare normale può superare quella virtuale (se
vi sono legami tra i punti base), ma non può esserle inferiore; per così dire una sola
causa perturbatrice opera anche qui in un solo senso sulla dimensione del sistema,
ma a differenza di quel che avviene sulle curve la causa perturbatrice non cessa
con lo elevarsi dalla dimensione del sistema (ma solo coll’elevarsi della dimensione
in confronto al genere).
Sulle superficie, di genere qualunque, vi sono in generale due cause perturba-
trici opposte per le quali la dimensione effettiva può differire dalla virtuale; l'una
dipende dall’esser il sistema contenuto nel canonico ed opera quindi limitatamente
(come per le curve, ma in senso opposto), l’altra opera invece (come vedremo) su
sistemi comunque elevati (come nel piano) ed è legata (pure come nel piano) alle
curve fondamentali del sistema (2). Per ciò la opportunità di dare due nomi diversi
(sovrabbondanza e indice di specialità) ai caratteri modificatori della dimensione che
provengono dalle due cause nominate, giacchè introducendo soltanto la loro diffe-
renza (w —i=7r — p) si avrebbe un termine correttivo algebrico, ma si presenterebbe
allora come regolare un sistema speciale sovrabbondante in cui w=4, un sistema
cioè che (dal punto di vista geometrico) apparisce doppiamente irregolare.
(1) Pei sistemi di curve piane sussiste pure la relazione t—1—n+r=w (p=0; i=0) con-
tenuta essenzialmente nel teorema del sig. Segre (£ Circolo Mat. di Palermo ,, t. I) o in quello del
sig. Casrernvovo (“ Accad. di Torino, Memorie ,, 1891, pag. 24).
(2) Così anche segando sopra una superficie un sistema mediante le superficie per una curva,
l'errore nell’applicazione delle formule di postulazione dipende dall’ esser scompleta o speciale la
serie che le superficie postulabili segano sulla curva.
220 FEDERIGO ENRIQUES
5. Un teorema sulla sovrabbondanza. — Per un sistema puro o impuro (C) di
caratteri tr, 7, », w, î, sopra una superficie di genere p, siamo pervenuti alla relazione
tnq_-1l1-n+r=ptw—-i,
o, introducendo la dimensione virtuale p, all’altra
q_—-l1l1_-ntp=p,
ed abbiamo visto che w = 0 supponendo che la serie caratteristica del sistema ca-
nonico fosse completa, poichè di là abbiamo dedotto che la serie caratteristica di
un sistema puro doveva pure esser completa; si sono esclusi soltanto i sistemi im-
puri dedotti coll’aggiunta di punti base da un sistema con soli punti base semplici
coincidente col residuo del canonico rispetto al suo aggiunto (anzichè puro), ma anche
per quelli sarebbe facile dimostrare come sussista la relazione precedente lievemente
modificata (aggiungendo al grado il numero dei detti punti base semplici).
Quando non si sa nulla circa la completezza della serie caratteristica del sistema
canonico e quindi del sistema puro da cui (C) è dedotto, rimane incerto il segno
di w, che soltanto può asserirsi essere non minore della sovrabbondanza del corri-
spondente sistema puro.
Vediamo cosa possa dirsi del segno di w prescindendo dalla detta ipotesi; pos-
siamo supporre (senza restrizione), che (C) sia un sistema puro (di caratteri t, x, 7,
w, i); indichiamo con (K) l’aggiunto a (C) di caratteri TT, N, R, 2 (I=0).
Secondo quel che abbiamo dimostrato, se è 0 il difetto di completezza della
serie dr, segata da (K) sopra una curva canonica (generica) C' diminuito
dell’indice di specialità della medesima serie 9, sussiste la relazione
TI-1-N+Ra=n-1-nan+r-wti=n-1-n+4r-0(=p):
poichè è = 0 se anche 0= 0 segue necessariamente w = 0.
Basta dunque perchè si possa concludere che w= 0, sapere che la serie 9g se-
gata da (K) sulla C' è non speciale, come ad esempio se
2m_-1)_-n>pY_- 1
È notevole il fatto che questa circostanza può essere accertata soltanto col pren-
dere r abbastanza grande. Appunto la determinazione di questo limite per r forma
l'oggetto di questo $.
Per ciò che abbiamo notato alla fine del $ 1 si può supporre qui che sia p > 2
e che il sistema canonico sia irreduttibile.
Supponiamo dapprima che il passaggio per un punto di una curva canonica
tragga di conseguenza il passaggio di essa per un altro punto coniugato della detta
curva supposta iperellittica; allora (secondo Noether) (1) è
ME
(1) “ Math. Ann. ,, VIII.
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 22]
Sia (C) un sistema puro di dimensione
Se (C) è speciale deve essere
r=p—l1l
e però (C) è il sistema canonico per il quale w= 0.
Se (C) è non speciale (è = 0), ma contiene il sistema canonico, la serie segata
dall’aggiunto (K) sulla curva canonica C' è non speciale o è (forse) la serie cano-
nica; nel 1° caso w = 0; il 2° caso è impossibile giacchè (C) conterrebbe totalmente
il sistema canonico (poichè la C e la C' hanno pl — 1 punti comuni) e quindi avrebbe
lo stesso grado di esso (cap. I) mentre esso è normale (anzi completo). Infine se (0)
non contiene il sistema canonico pur essendo non speciale, la serie segata da (0)
sulla C' è una serie g di dimensione r e però (secondo un noto teorema di Clifford)
di grado > 27, cioè di grado = p‘! — 1; ma la serie g potrebbe avere soltanto il
grado 2r se fosse r= p! — 1, quindi la detta serie ha il grado > pU —1; ne
segue che l’aggiunto (K) di (C) sega sulla C' una serie di grado > 2 p! — 2 e quindi
non speciale, ed in conseguenza è
we 0.
Suppongasi invece che il sistema canonico sia semplice; allora è (sempre secondo
Noether):
2p_-2<pUM—-1
(anzi, secondo Castelnuovo (1) pY >3p — 6); perciò se la dimensione r di (C) sod-
disfa alla disuguaglianza
pA 1
I == in
2
;
si har > p— 1 ossia (C) è non speciale, e col ragionamento precedente segue
P p 8
wa 0.
Dunque:
Pur prescindendo dalla completezza della serie caratteristica del sistema canonico,
per ogni sistema lineare appartenente ad una superficie di 2° genere p!, avente una
dimensione
Di
RE D ) 1
la sovrabbondanza
(e se il sistema non è il sistema canonico esso è non speciale, sicchè n —1—n+r>= p).
(1) “ Istituto lombardo ,, 1891 (Nota Il).
222 FEDERIGO ENRIQUES
Me
Le curve fondamentali.
1. Preliminari. — Mi propongo ora di esaminare le proprietà dei sistemi lineari
in relazione alle loro curve fondamentali; siccome capiterà qui sempre di conside-
rare la differenza tra la sovrabbondanza e l’ indice di specialità (cioè quella » — p
tra la dimensione effettiva e la virtuale) indicherò qui con 8 questa quantità (che
prima avevo designata con w — i), e così 0 sarà ora la sovrabbondanza (= w) quando
sì tratta d’un sistema non speciale; indicherò ancora con q, r, n, gli altri caratteri
d’un sistema (C) e supporrò che (0) sia un sistema semplice (r = 3) dedotto coll’ag-
giunta di punti base distinti da un sistema puro. Supporrò inoltre la superficie
avente il genere geometrico uguale al numerico p > 0.
Come già abbiamo detto, una curva fondamentale di (C) è una curva K che pre-
senta una sola condizione ad una © che debba contenerla; escluderò che essa possa
essere rappresentata da un gruppo di punti semplici sopra una superficie trasformata;
per la definizione il sistema residuo della K rispetto a (0) è c0'7; noi supporremo
che esso soddisfi alla restrizione di avere punti base distinti e di esser dedotto me-
diante l’aggiunta di essi da un sistema puro. Le curve © si facciano segare sulla
superficie F dagli iperpiani di S,: alla K corrisponde un punto multiplo O, quindi
una curva fondamentale non ha intersezioni variabili col dato sistema ma ha qualche
intersezione variabile col residuo. Gli iperpiani per O non hanno altri punti fissi sulla F,
quindi includendo in K il gruppo di tutte le curve (e punti) che corrispondono ad 0,
lo staccarsi della K da (C) non trae di conseguenza lo staccarsi di altre curve; è
quanto dire che lo staccarsi da (0) d'una curva fondamentale può trarre solo di con-
sequenza lo staccarsi di altre curve fondamentali le quali tutte compongono insieme una
curva fondamentale K.
Quando si fan segare sulla F le curve C di (C) dagli iperpiani di S,, nella tras-
formazione che così viene ad eseguirsi ad ogni punto della primitiva superficie che
sia base iplo per (C) viene a corrispondere una curva eccezionale d’ordine i sulla F.
Ora una curva eccezionale d’ordine î che abbia il punto O come p plo viene proiet-
tata da O in una curva d’ordine è — p eccezionale per la superficie proiezione della F,
e si deve notare che la curva d’ordine è (che corrisponde ad un punto) non può es-
sere spezzata e però è è > p tranne per îi=p= 1; così si deduce: Il sistema re-
siduo della curva fondamentale K rispetto al sistema (C) ha come punto base iplo ogni
punto iplo di (C) fuori della K; la curva K può avere una molteplicità p < i in un
punto base iplo per (C) con i > 1, e solo un punto semplice (p =i="1) in un punto
base semplice di (C), ed allora il residuo della K ha un punto base (i — p) plo (e non
di molteplicità più elevata) nel detto punto base iplo di (0).
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 223
Questa deduzione (importa notarlo) è fondata sull’ipotesi fatta che il sistema (0°)
residuo di K rispetto a (C) abbia solo punti base distinti, e quindi i tangenti varia-
bili in un punto iplo.
2. Una relazione fra i caratteri d’un sistema, il genere d’una sua curva fondamen-
tale ed è caratteri del residuo. — Se una curva K è comunque composta con parti
irreduttibili distinte C,... C, di generi ti, t»... t,, e se C,, €, hanno i» punti
comuni, il genere della curva composta è (secondo Noether)
TUaerntpbtmt.. + tii—s+1
dove la X va estesa a tutte le combinazioni di valori diversi » e p (come già ab-
biamo avuto occasione di ricordare).
La curva K=C, + C+... + €, sia una curva fondamentale per il sistema
(C) (nella quale per convenzione sono incluse tutte le componenti, anche punti, che
si staccano da (C) quando si stacca una componente); i generi t, t,..., sieno
calcolati prescindendo dalle molteplicità delle curve C,, C3... C, fuori dei punti
base di (C), inoltre il genere di un punto 4 plo (componente K) sia 0 come quello della
curva razionale d'ordine è che gli corrisponde sulla superficie su cui gl’iperpiani se-
gano le curve C' residue di K rispetto a (C). Diremo TT il genere della curva fonda-
mentale K di (C), che non ha (per ipotesi) componenti multiple, calcolato in base alle
convenzioni precedenti.
Sieno m, x, n, 9 i caratteri di (0), n’, 7, 2, 0' quelli del residuo (C’') di K. Una
curva composta C' +4 K ha (per il teorema del $ precedente) le stesse molteplicità
d'una curva generica C nei punti base di (0); allora se indichiamo con è il numero
delle intersezioni variabili della K con una l' cioè (come diremo) il grado della K,
sì avrà:
oe=t+ITt+i—- 1;
d'altra parte se si fan segare le curve C da iperpiani, il punto O che viene a cor-
rispondere a K sulla superficie trasformata è iplo per quella superficie, quindi
n= + i
(infatti nel numero î sono comprese le intersezioni che una C’ ha con ogni compo-
nente di K ed in particolare anche coi punti che risultano hpli per (C’)).
Si deduce:
t-1i1-n+tr=at-1-#+r<4T;
ma
tq_-1—-n+r=ptkt9
t—-1—-n'+r=pt 90,
quindi
ICE NIE
224 FEDERIGO ENRIQUES
Dunque si può enunciare il teorema:
Se il sistema (C) possiede una curva fondamentale K di genere TT (priva di com-
ponenti multiple), ed avente come residuo il sistema (C'), fra è caratteri 0, 0", dei sistemi
(C), (0) sussiste la relazione
E EDESSA 0 I)
(ossia wu—it—(w —()= TT.
3. Sistemi regolari. — Suppongasi in questo $ che se il sistema canonico è irre-
duttibile con p > 2, la sua serie caratteristica sia completa; i resultati più restrittivi
a cui si perviene prescindendo da questa ipotesi si stabiliranno facilmente in modo
analogo riferendosi al cap. IV, $ 5.
La relazione stabilita nel precedente $ stabilisce un interessante legame fra la
sovrabbondanza d’un sistema ed i generi delle sue curve fondamentali quando p. es.
il sistema residuo delle curve fondamentali sia non speciale, e perciò basta che la
sua dimensione sia > p — 1, o il suo grado > p'! — 1. Noi vogliamo trarre da
quella relazione alcuni utili corollari.
Se un sistema (C) di dimensione > p ha una curva fondamentale K di genere TT,
il residuo (C') ha la dimensione > p — 1 e quindi è non speciale; allora i carat-
teri 0, 9', di (C), (C’) sono le loro sovrabbondanze w, w' (sempre positive); in questo
caso la relazione precedente ci dà:
wi TI.
Di qui il corollario:
Un sistema regolare di dimensione > p non ha curve fondamentali di genere > 0.
Per trarre la deduzione enunciata bastava conoscere in qualsiasi modo la non
specialità di (C'), e quindi sapere per es. che il suo grado è > p! — 1; per ciò
basta che il grado di (C) superi p" — 1 aumentato del grado di K.
Di qui il teorema:
Se un sistema regolare (C) ha una curva fondamentale K, tale che il grado di (0)
supera il grado di K aumentato di pò — 1, la curva fondamentale K è di genere O.
Se un sistema regolare ha una curva fondamentale di genere TT, il residuo (C')
ha il carattere
Oi 002
ma
dii: we)
e quindi 6 < 0, sicchè 0' < — TT; ora
quindi
Dunque:
Se un sistema regolare ha una curva fondamentale di genere TT, il residuo è spe
ciale con un indice di specialità maggiore del precedente almeno di TT.
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 225
Ora si consideri un sistema speciale co”?; sulla superficie canonica (ottenuta
facendo segare dagli iperpiani di S,_; le curve del sistema canonico supposto sem-
plice) esso è segato dagli iperpiani per un punto, e però ha come residua una curva,
ossia il suo indice di specialità è 1 come quello del sistema canonico (00°).
Si deduce:
Il sistema canonico, se è semplice, non ha curve fondamentali di genere > 0.
In modo analogo si dimostrano i corollari:
Un sistema regolare vo” non può avere altre curve fondamentali di genere > 0,
tranne tutt'al più una sola curva fondamentale di genere 1 (che ha per residuo il sistema
canonico).
Un sistema regolare co” non può avere altre curve fondamentali di genere > 0
tranne curve fondamentali di genere 1 (ed allora è non speciale).
4. Sistemi multipli d’un sistema. — Se si hanno sopra una superficie F due si-
stemi (C), (C’), che possono supporsi segati da due sistemi lineari di superficie, il
sistema somma dei due sistemi di superficie sega sulla F un sistema lineare di curve
contenente tutte le curve composte C+ l'; questo sistema appartiene ad un deter-
minato sistema normale che si è detto il sistema somma di (C), (C') e si è indicato
con (C+ C'); si è detto poi mplo di (C) ed indicato con (m €) il sistema somma di
m sistemi (C), cioè il sistema normale contenente tutti i gruppi di mm curve C.
Enuncio alcuni lemmi di facile dimostrazione:
Se una curva irreduttibile è fondamentale per il sistema (C) essa è fondamentale
per (mC). A
Se una curva irreduttibile è fondamentale per (mC) essa è fondamentale per (0).
Se una curva irreduttibile è fondamentale per (C) ma non per (C') essa non è fon-
damentale per (C -|- 0°).
Le dimostrazioni di questi lemmi si fondano sulla considerazione che una curva
irreduttibile non avente intersezioni variabili con quelle d’un sistema è fondamentale
per esso e viceversa.
Come abbiamo avuto occasione di osservare nel cap. III se (C) è puro, il sistema
(m C) per m assai grande contiene un altro arbitrario sistema, in particolare il cano-
nico, in modo che il residuo di questo rispetto ad (m €) (disposto convenientemente
di m) è un sistema puro (K) di dimensione elevata quanto occorre.
Se si suppone che (0) abbia solo curve fondamentali irreduttibili di genere O
(distinte), lo stesso avverrà per uno dei precedenti lemmi pel sistema (C+ K). Si fac-
ciano segare 003 curve generiche di (C+ K) dai piani di Sy sulla superficie F_ e si
supponga per semplicità che essa sia dotata soltanto di curva doppia e punti multipli
ordinari; ad una curva fondamentale (di genere 0) del sistema corrisponde un punto
multiplo secondo d a cono osculatore irreduttibile di genere 0; un tale cono ha
= Meca generatrici doppie (o generatrici multiple equivalenti), le quali rappre-
sentano altrettanti rami della curva doppia della F passanti per esso, giacchè una
generatrice doppia del cono non tangente alla curva doppia rappresenterebbe un punto
doppio della curva fondamentale del sistema (C + K) che non andrebbe computato
nel genere della curva ($ 2). Allora si considerino le curve del sistema ((m + 1) ©),
Serie II. Tom. XLIV. DI
226 FEDERIGO ENRIQUES
e si supponga che (C) e quindi ((m + 1) C) sia puro. Esse segano su quelle di (C + K)
(sezioni piane della F) un gruppo canonico, ‘e quindi sono segate da una superficie
Wp_3 aggiunta alla F (supposta d'ordine D) salvo forse nei punti multipli (cfr. capi-
tolo II, II), e poichè i punti dpli della F sono SILE phi per la curva doppia
la wp_3 ha la molteplicità d — 2 (almeno) in un punto dplo e quindi è aggiunta
alla F. Ne segue che il sistema ((m + 1) C) è aggiunto a (C+- K) e però è regolare
capitolo IV, $ 4).
Dunque:
Per m assai grande il multiplo (m C) del sistema puro irreduttibile (C) non dotato
che di curve fondamentali irreduttibili di genere O, è regolare.
5. Sulla postulazione d'una superficie di S, rispetto alla varietà d'ordine m. — Si
abbia in S, una superficie F non dotata di curve eccezionali, ed avente soltanto punti
multipli a cono osculatore di genere O. Quante varietà V, (linearmente indipendenti)
d'ordine m contengono la F in $,?
Se le sezioni iperpianali della F segano sulla F 00° curve appartenenti ad un
sistema (C), le V, segano sulla F curve appartenenti al sistema (m ©).
Indichiamo con tr, #n, 7» i caratteri del sistema normale (mC); (91 =", #3 = n);
abbiamo allora le relazioni:
Tn = Tm1 +PTtTHMm_- )n_- 1
Nim = Nma1 + 2(m =" 1) n + n
e quindi
mame + Ln _mti
Nm = Mn:
; : 3 È O IS (VERA
al crescere di m la dimensione di (m C) cresce oltre ogni limite (e quindi oltre È 3 E
di guisa che come nel $ precedente si deduce che in ogni caso la sua sovrabbon-
danza (w, =>0) è =0; perciò quando m è assai grande,
ra =p+ ia Lom (me 1);
Se indichiamo con
N —_ (E) mett Il
la infinità delle V,, per ogni curva sezione della V,, colla F passano co%m-"", V, e
perciò la postulazione della superficie rispetto alle V,, è
< in t+l=p+©*ln_m0a_-1)4]
dove vale il segno = se (come avviene, si può dire, nel caso generale) il sistema
RICERCHE DI GEOMETRIA SUI.LE SUPERFICIE ALGEBRICHE 227
segato dalle V,, su F, per 7 assai grande, è completo (e per ciò, poichè esso è puro,
basta che sia normale).
Dunque, per la superficie F_di S, passano (per m assai grande)
Ri as Die m(m+ 1)
nt mm 1)
varietà Vn linearmente indipendenti.
Facciamo ora una breve digressione determinando il numero delle quadriche di
S, passanti per una superficie F a sezioni normali (sulla quale non si fa nessuna
altra ipotesi).
Se per la F di S, passa una quadrica la sezione iperpianale C7 di F e gli n
punti sezione d’un S,_s stanno pure sopra una quadrica (risp. in S,-1 e in S,_»). Sup-
pongasi ora che gli n punti sezione della F con un $,-; sieno sopra una quadrica g;
in un S,_; per lo Sr_s le quadriche Q per qg sono 00° e segano sulla C, la serie (com-
pleta) segata dagli iperpiani (9g77'), quindi vi è una ed una sola quadrica @Q per la 9g
contenente la curva C7; in modo analogo può costruirsi un’altra quadrica Q’ conte-
nente la sezione C'7, della F con un altro S,1 per lo S,-,, e contenente pure la 9g;
ora le due quadriche Q, Q' risp. appartenenti ai 2 $,-, ed aventi comune la sezione 9g
con un S,-:, appartengono ad un fascio di quadriche F in $,; la quadrica T del fascio
contenente un punto fissato ad arbitrio sulla F, contiene quindi la F, poichè ne con-
tiene già due sezioni iperpianali. Ora giacchè ogni quadrica per la F sega un $,_; in
una quadrica contenente la sua curva sezione, e vi è una quadrica determinata che
contiene la F passante per una quadrica che contiene una sua sezione iperpianale,
si conclude:
Il numero delle quadriche linearmente indipendenti, che contengono una superficie
qualunque a sezioni normali di S,, è uguale a quello delle quadriche in S,-, che con-
tengono una sua sezione iperpianale, o di quelle in S,-s, che contengono il gruppo di
punti sezione della superficie.
6. Curve fondamentali di genere O. — Abbiamo già avuto occasione di notare
($ 4) che alle curve fondamentali di genere O d’un sistema lineare (C) corrispondono,
sulla superficie F di Sz di cui le co? sezioni piane sono curve C, punti multipli che non
impongono condizioni alle superficie aggiunte e però non esercitano influenza sul ge-
nere; a questo fatto si collega l’altro che tali curve non hanno effetto sulla sovrab-
bondanza del sistema (C). Una analisi più minuta di siffatte curve fondamentali porta
alla conseguenza che esse (a differenza delle curve fondamentali di genere > 0) sono
più intimamente legate alla natura della superficie, che a quella del sistema (C) che
su di essa si considera.
Il caso più semplice è quello delle curve fondamentali di grado 2, le quali ven-
gono ad essere rappresentate da punti doppi isolati (non eccezionali) (1) sulla super-
ficie F di Sg (di cui le sezioni piane appartengono al sistema (C)), o sulla superficie
normale F' ottenuta facendo segare dagli iperpiani d’un iperspazio tutte le curve O.
(1) Poichè si è esclusa la considerazione delle curve fondamentali costituite da coppie di punti.
2928 FEDERIGO ENRIQUES
Se n» è l'ordine della F, le superficie w,., d'ordine n — 4 aggiunte alla F, se-
gano su di essa il sistema canonico: non può darsi che tutte passino per un punto
doppio della F non eccezionale, e però ad un tal punto doppio corrisponde un punto
doppio della superficie canonica su cui le curve canoniche sono segate dagli iperpiani
(supposto semplice il sistema canonico, p > 3).
Viceversa un punto doppio della superficie canonica dà una curva fondamentale
di grado 2 per un sistema (C) che, su di essa, non ha il punto doppio come punto base.
Concludiamo : I
Una superficie in Sy può acquistare per trasformazione tanti punti doppi isolati non
eccezionali quanti sono i punti doppi isolati della corrispondente superficie canonica. Il
numero di questi punti doppi è un nuovo carattere invariantivo per le superficie di ge-
nere p > 3.
Il resultato precedente si esprime sotto forma invariantiva dicendo:
Sopra una superficie un sistema lineare (C) non può avere altre curve fondamentali
di grado 2 tranne quelle che sono tali pel sistema canonico.
Consideriamo ora una curva fondamentale irreduttibile di genere O e di grado i
pel sistema (C): si facciano segare 003 curve C sulla superficie F_ dai piani di Ss, e
supponiamo (per semplicità) che la F sia solo dotata di curva doppia. Alla curva
fondamentale per (C) corrisponde sulla F un punto iplo a cono osculatore razionale,
ED)
2
curva doppia. Se » è l'ordine della F, le w,_, (d'ordine » — 4) aggiunte ad essa hanno
il detto punto come (è — 2) plo, come conseguenza del contenere la curva doppia
della F; una curva canonica ha dunque un tal punto come (i — 2) plo (essendo è — 2
=i(i—-2) —(i—1)(î— 2))edivi ha le i — 2 tangenti variabili giacchè il sistema
per il quale passano quindi (come già abbiamo notato al $ 4) rami della
canonico non ha punti base. Dunque ad un tal punto corrisponde una curva razio-
nale d’ordine è — 2 sulla superficie canonica.
Concludiamo:
Le curve fondamentali di genere O e di grado i per il sistema lineare (C), corrispon-
dono a curve d'ordine i — 2 sulla superficie canonica.
Così si vede che ad una superficie appartengono 3 categorie di curve razionali
che corrispondono ai punti doppi della superficie canonica, alle sue curve razionali,
e ad i suoi punti (le curve eccezionali); le prime due categorie forniscono caratteri
invariantivi della superficie; invece le curve della 3 categoria sono in numero arbi-
trario poichè se ne crea quante si vuole con trasformazioni della superficie.
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 229
VI,
Le involuzioni.
1. Estensione d’un teorema di Castelnuovo. — Relazione fra i secondi generi di due
superficie in corrispondenza |1m]. — Rivolgiamoci ora ad un breve studio dei sistemi
lineari (C) in cui il passaggio per un punto trae di conseguenza il passaggio per altri
punti della superficie.
Lasciamo da parte, come non offrente interesse, il caso in cui le curve C (di (0)
si spezzino in quelle di un fascio; allora (cap. I, $ 1) le curve € che passano per
un punto O, passeranno in conseguenza per un numero finito di punti 0), 0; ... On,
ed i gruppi analoghi ad 0, 03... On formano un'involuzione In, cioè una serie oo?
di gruppi di m punti tale che un punto generico della superficie determina un gruppo
della serie. Lo studio del sistema (C) (che abbiamo denominato appartenente all’invo-
luzione I,) si annoda strettamente allo studio dell’involuzione. Ad ogni involuzione
appartengono sistemi (C) come ora facilmente vedremo.
Si riferiscano biunivocamente i gruppi della I, (elementi di una varietà 00°) ai
punti d’una superficie F'; ad un sistema (C’) di F' corrisponde su F un sistema (0)
appartenente all’involuzione I,. La F' ossia l’involuzione In abbia il genere geometrico
p> 0 (1); allora possiamo fissare come sistema (C') quello delle sezioni piane di F'
che supponiamo avente curve fondamentali distinte come il suo corrispondente su F, e
possiamo considerare una curva canonica K' (completata colle curve eccezionali della
F') la quale è definita dal segare un gruppo residuo della serie caratteristica sulla
curva generica di (C’) ed un gruppo contenuto nella serie analoga sulla curva generica
di ogni sistema co? contenuto in (C') (cap. II, $ 2). Sia K la curva corrispondente alla
K' sulla F, H la curva di coincidenza della involuzione I, (luogo dei punti in cui ne
coincidono due di un gruppo di I,) e sieno le C le curve corrispondenti su F alle
C' di F'. Una curva composta K+C+ H sega sopra una curva generica © un
gruppo che è il trasformato di un gruppo canonico di C' aumentato del gruppo delle
coincidenze dell’involuzione i cui gruppi corrispondono ai punti di C', quindi per un
teorema di Castelnuovo (2) il detto gruppo è un gruppo canonico della €, ossia la
curva K + H sega sulla curva C un gruppo residuo della serie caratteristica di (C);
parimente si prova che la K +4 H gode l’analoga proprietà rispetto ad ogni sistema
co? contenuto in (C) (come rispetto ad ogni altro sistema appartenente alla I,), dunque
sussiste il teorema:
(1) Non imponiamo nè per la F nè per la F' alcuna restrizione di uguaglianza del genere geo-
metrico al numerico.
(2) Alcune osservazioni sulle serie irrazionali, ecc. (£ Accad. dei Lincei ,, 1891).
230 FEDERIGO ENRIQUES
Se le superficie F', F sono in corrispondenza [1, m], alle curve canoniche della prima
(supposta di genere > O) corrispondono curve speciali della seconda, componenti curve
canoniche insieme alla curva di coincidenza dell’involuzione I, è cui gruppi corrispon-
dono sulla F ai punti della F'.
È questa, come si vede, l’estensione del teorema già adoperato del signor Castel-
nuovo sulle involuzioni irrazionali appartenenti ad una curva, teorema che apparisce
come fondamentale nella teoria appena avviata di quelle involuzioni.
Sia P il genere (geometrico) della F, e p il genere (geometrico) della F', ad ogni
curva canonica della F' corrisponde una curva che insieme ad H costituisce una
curva canonica di F, quindi P => p: in particolare non può essere P=0 se non è
anche p="0.
Sia ora p > 1, e quindi anche P> 1, e indichiamo con p”, P! risp. è secondi
generi delle F', F, con è il numero dei punti d'incontro d’una curva canonica di F'
colla curva di diramazione (ossia quello delle intersezioni della curva di coincidenza
H con una curva residua), con T il genere della curva di diramazione su F' (o di
quello di coincidenza H su F), sia infine n il genere delle curve corrispondenti
sulla F a quelle canoniche di F".
Per il teorema di Castelnuovo, o per la formula di Zeuthen, si ha:
2m (pY) — 1)+d=2(n— 1);
per il teorema prima dimostrato si ha invece, in generale (adoperando la formula
che dà il genere d’una curva spezzata)
PO=ZzT_-1+tTt4+dò,
quindi sussiste in generale la relazione
PO Z=M(pPYO- 1)+T+ 7 ò,
la quale può considerarsi come un’estensione della nota formula di Zeuthen per le
corrispondenze [1m] tra due curve.
In qualche caso può essere P' maggiore del numero indicato dalla formula
scritta se le curve corrispondenti su F a quelle canoniche di F' aumentate della Bi
non sono curve generiche (spezzate) del sistema canonico della F ossia una delle
componenti ha qualche punto multiplo in un punto semplice della superficie (o qualche
ipermolteplicità in un punto multiplo).
2. Involuzioni razionali. — Diamo ora un breve cenno delle involuzioni I, ra-
zionali; la superficie F_sui punti della quale i gruppi della I, sono rappresentati è
un piano (superficie razionale) e ad ogni rete omaloidica di esso corrisponde sulla
data superficie F_una rete di curve di cui due s’intersecano in un gruppo della In;
restringeremo a tali reti il nome di reti appartenenti all’involuzione.
Una rete (C) appartenente all’involuzione I, sia di genere tr (il grado è m) e pos-
sieda s curve fondamentali C,... C,,... C, aventi come residui s fasci risp. di ge-
RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 231
nere T,... ©... T,; introdurremo i caratteri è, ... è, ... è, definiti dall’ugua-
glianza
doh = TT — TM
e diremo è, la volenza della curva fondamentale C,. Il carattere è, è legato semplice-
mente a quelli, altre volte introdotti, cioè il genere (virtuale) p, della C, ed il suo
grado i, (numero delle intersezioni con una curva residua); infatti è
Tq=tr:-prpt&a—- 1
quindi
do = pp|+ao—_ 1
Si facciano ora segare le curve C della rete dai piani di una stella col centro O,
sulla superficie F, e sieno a, ... a; le rette per O (multiple o contenenti punti mul-
tipli per la F) che corrispondono alle curve fondamentali C, ... C,. Nell’involuzione
I, ci sieno @ gruppi dotati di due coincidenze staccate (di due punti doppi), e t gruppi
dotati d'un punto triplo (dove ne coincidono 3): le a rette che proiettano da O i primi
o gruppi sono corde per la curva di coincidenza di I,,, le t che proiettano i t gruppi
secondi sono tangenti per essa.
Ora la curva di coincidenza sega un piano generico per O in 2 (m+m— 1)
punti fuori di O ed un piano per ax (fuori di 4) in 2(m1 4-wm — 1) punti, ossia la
a, ha colla curva è, intersezioni. Proiettando dunque la detta curva di coincidenza
da O sopra un piano, si avrà il suo genere dato da
Pon om 9) Lom È aloe l)—_act
1
Si conclude che la quantità
(27 + 2m — 3) (l+m — 2) — Zèd, (20, — 1) (=a+1t+ P)
ha lo stesso valore per tutte le reti appartenenti all’involuzione I, ed è quindi essenzial-
mente un carattere della I, anzichè delle dette reti. Invero si osserverà che, pren-
dendo nel piano multiplo rappresentativo della I, una rete omaloidica le cui curve
abbiano assai intersezioni con quella di diramazione, si avranno sulla F reti di ge-
«nere grande quanto si vuole, appartenenti alla I,, e quindi separatamente i carat-
‘teri t, è, non sono caratteri della I,.
Esaminiamo brevemente il caso (m = 2) di una involuzione razionale IL sopra
una superficie F.
Le curve d’una rete (C) appartenente alla I, sieno segate dai piani per O sulla F.
Se n è l'ordine della F, le aggiunte d’ordine n — 4 alla F_ sono coni col vertice
in O (che è (n — 2) plo per la F), quindi:
Se sopra una superficie vi è un’involuzione Io, le curve canoniche che passano per
un punto passano per il coniugato (1).
(1) Questa proprietà è nota; infatti il sig. CasreLnuovo (“ Istituto lombardo ,, 1. c.) ha dimo-
strato che se vi è un fascio di curve iperellittiche sopra una superficie d'ordine x, le aggiunte
d'ordine x —4 per un punto passano per il coniugato sulla curva iperellittica che lo contiene. Il
tipo di superficie di cui stiamo trattando è stato considerato per la prima volta dal sig. NoetHER
(“€ Math. Ann. ,, VIII, l.c.).
La
232 FREDERIGO ENRIQUES
Secondo la relazione precedentemente scritta il genere della. curva di coinci-
denza della I, è
Pirri (i)
1
dove m è il genere d’una rete appartenente alla I, (composta di curve iperellittiche)
e è, è la valenza d’una sua curva fondamentale C, (XK =1... s).
La rete (C) sia segata sulla F dai piani per O; una curva canonica sega una C
in 2(m—1) — 2 (m=2) punti, e quindi se è l'ordine della F i coni aggiunti d’or-
dine n — 4 si spezzano nel cono (fisso) proiettante la curva doppia della superficie,
e in coni variabili d'ordine mr — 2.
Se la a, è una retta per O multipla secondo 0, (o semplice) per la F contenente
arbitrari punti multipli, un piano per la a, è segato da una superficie d’ordine n — 4
aggiunta alla F secondo una curva d’ordine n — 6, — 3 aggiunta alla sezione d’or-
dine n — 0, della F (tolta la «,) (cfr. cap. II, $ 1); questa sezione è dunque segata
in 2(m, — 1) punti da una curva canonica (essendo m, il genere di essa), e però il
cono d'ordine t — 2, facente parte d’una aggiunta d’ordine » — 4 alla F, ha la
retta a, come multipla secondo nr — 2 — (mm —-1)=d,— 1
Ora ogni curva C, fondamentale per la rete (C) viene rappresentata da una tal
retta a,, o da una retta per O contenente un punto doppio isolato per la F; in questo
2° caso il detto cono d’ordine t — 2 non contiene in generale la retta congiungente
il punto doppio, e quindi si può dire ancora che la contiene colla molteplicità dè, — 1
= — m — 1 poichè rg = — 1. Dunque i coni d'ordine t — 2 col vertice 0
seganti sulla F le curve canoniche sono assoggettati ad avere come (d, — 1) pla ogni
retta per O che corrisponde ad una curva C, fondamentale per la rete (0), di va-
lenza è.
Indicando con p il genere (geometrico uguale al numerico) della F sussiste dunque
la relazione
di qua si ricava
e confrontando coll’altra relazione trovata
P_l(2r- La -2(20,-1)ò,,
st ha
P_A4ip=sn— Id
Ss
dove il secondo membro è uguale per tutte le reti che appartengono alla involuzione Lo.
n
RIVISTA CRITICA
DELLE
SPECIE DI “ TRIFOLIUM ,, ITALIANE
COMPARATE CON QUELLE STRANIERE
DELLA SEZIONE
EO PINA SPE: (Buxbaum)
MEMORIA
del Dottore
SE BIEL,
Approvata nell’'Adunanza del 25 Giugno 1893.
PREFAZIONE
Nello studio della presente sezione i dubbii sollevati da tempi anteriori a Linnè
— sull’affinità del T. Lupinaster col genere Trifolium, e l'incertezza colla quale anche
oggidì alcuni autori ve lo ascrivono, parvero offrirmi una buona occasione per dir
qualche parola sopra alcune questioni generali di tassonomia vegetale. Il T. Lupi-
naster venne dunque con assidua vece iscritto e radiato dal novero dei Trifogli,
e le ragioni che trassero gli autori a questi mutamenti verranno in appresso ampia-
mente riferite e discusse. Intanto, se sì considera un momento il modo con cui
Tournefort caratterizza il genere Trifolium, evidentemente il T. Lupinaster deve
esservi incluso; e la questione sotto questo punto di vista mi par definitivamente
esaurita. Ma ben altrimenti importante è la questione, non nuova del resto, di sapere
se alcuni generi, tali quali vengono oggidì accettati, siano entità naturali o non costi-
tuiscano piuttosto un gruppo di esseri, che hanno qualche carattere similare, ma che
‘non possiedono rapporti di morfologica affinità dimostrabile nell’attualità con un com-
plesso di caratteri costanti. Tali sarebbero i generi Cytisus e Genista; Trigonella e
Trifolium; Astragalus e Onobrychis, ecc.; i quali sono certamente meno distanti fra
loro di quello che nol siano le specie di Trifolium della sezione Galearia da quelle
della sezione Lagopus, o quelle dei Calycomorphum da quelle dei Chronosemium, che
tutte vengono comprese nel solo G. Trifolium.
Più mi addentro nello studio di tali generi, e più mi convinco che l’ unità
tassonomica vera, riconoscibile sempre per caratteri proprii, fissi entro certi limiti,
indipendente da circoscrizioni più late, è la Stirps, intesa nel senso già esposto
e ben precisato nel saggio elaborato in comunione al Prof. Gibelli intorno alla se-
Serie II. Tom. XLIV. 50]:
234 S. BELLI
zione Lagopus (Vedi Saggio monografico “ Mem. Acc. Sc. Torino , 1888). Compresa in
questo significato la stirps può co’ suoi estremi toccare una porzione del campo ar-
tificialmente concesso a due o più sezioni, senza che ne venga perciò a soffrire la
sua omogeneità. Nei Trifogli non sono rari questi esempi.
Parallelo allo studio dei gradi inferiori di dignità delle forme attuali, conside-
rate come il risultato dell'evoluzione di diversi tipi originari, è oggidì tenuto in
onore uno studio che tenta di risalire soprattutto coll’aiuto dell’istologia comparata
alla parentela antica, che collegherebbe i gruppi fra di loro, e cerca di riunire le
membra sparse di quell’organismo, che, ipoteticamente ricostrutto, ne rappresenterebbe
lo schema genealogico. A questo scopo sono evidentemente rivolti gli ultimi studii
di egregi botanici (Vesque, Delpino, ecc.).
Giova a me citare qui il Vuillemin, autore di un libro testè uscito col titolo:
“ La subordination des caractères de la feuille dans le Phylum des Anthyllis ,,
Nancy, 1892. Se io mi permetto di arrestarmi alquanto a discorrere di quest’ultimo
lavoro, non gli è certo a scopo di pretenziosa ed importuna critica, la quale sarebbe
sovrattutto e solamente possibile e giustificabile, ove io avessi rifatto l’immane la-
voro dell'Autore. Io voglio limitarmi essenzialmente ad alcune considerazioni di or-
dine generale, che nascono spontanee dalle premesse e dalle conclusioni, che l’ Autore
trae dal suo libro, accurato, fine, ricco di indagini minuziose ed esatte le quali dimo-
strano in lui una grande conoscenza dell’Anatomia vegetale.
Nel leggere questo libro io mi sono spesso domandato: È possibile, per le clas-
sificazioni degli ultimi gradi di dignità, o per togliere le incertezze che spesso regnano
sulla posizione sistematica di un vegetale che tocca due generi vicini, trar partito
dei criteri che vennero adoperati dall’Autore? In altre parole e per venire ad un
esempio pratico, è possibile con questi criterii stabilire se p. e. il Trifolium ornito-
podioides è veramente un Trifoglio od una Trigonella? ovvero se il T. Lupinaster
porti seco le stimmate di un Trifoglio, o sia da riferirsi ad altro genere già cono-
sciuto, ovvero finalmente sia un’ entità autonoma degna di speciale denominazione?
La domanda pare a tutta prima oziosa, o meglio pare fuori di posto, e la risposta
par facile. Mi si potrebbe dire: che cosa hanno a che fare simili questioni con un
libro, che ha tutt'altro obbiettivo fuor di quello di stabilire delle categorie di dignità
basate sulle affinità specifiche? Il Vuillemin parte da un genere che porta un nome:
il genere Anthyllis; e come tale questo nome ha un significato più o meno concreto;
L'Autore si è fissato per iscopo di stabilire i legami del G. Anthyllis colle altre
Leguminose e nulla più! La questione quindi è di tutt'altra natura, ed è fuori luogo.
Per verità essa sarebbe tale, ove realmente il libro del Vuillemin apparisse senz'altro
inteso a stabilire i rapporti strutturali del G. Anthyllis cogli altri generi vicini; fosse
cioè esclusivamente uno studio comparativo dei caratteri istologici della foglia del
G. Anthyllis con quella delle altre Leguminose. Ma questo lavoro è altresì isto-tattico,
ed anzi è al lato tassonomico di esso che l’Autore ha consacrato il tempo non breve
e la fatica grave, che deve essergli costata una disamina così sapientemente condotta.
Nel libro del Vuillemin inoltre ho visto ripetute, troppo più volte che nol consenta
la supposta intenzione dell’Autore, delle osservazioni riguardanti il concetto di specie
e della sua pratica significazione, perchè non mi sia lecito di sviscerarne il significato.
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 295
Finalmente sta il fatto che partendo dai principì emergenti dal suo studio anatomico,
l'Autore ha stabilito tre nuovi generi.
L'Autore a proposito della significazione della parola plylum così si esprime
(p. 16): “ Le terme phylum n’équivaut ni è tribu ni è section ni è aucun des termes,
“ par lesquels on désigne habituellement les cadres de la classification. Établir un
“«“ phylum, c'est méme, dans un sens, chercher è renverser les barrières posées ardi-
“ trairement à travers la série des étres pour aider la mémoire, et è faire apparaitre
“ l’évolution lente, progressive et souvent indépendante des divers caractères origi-
« nellement uniformes, dont la combination permet les distinctions spécifiques. Établir
“un phylum; c'est chercher des liens plutòt que des séparations.
“ Le phylum d’une plante, c’est-à-dire sa lignée, n’est pas l'ensemble des espèces
“qui ont avec elle une affinité révélée par un, deux, trois caractères convenus et
“ désignés d’avance comme de premier ordre, d’après l’opinion qu'on aura pu se former
“ de leur importance dans un groupe différent. C'est l'ensemble des plantes reliées
“ entre elles par des intermédiaires insensibles, concernant tous les caractères im-
“ portants, de facon qu'on puisse les considérer comme unies par un lien généalo-
.“ gique. Si le groupement répondant è cette définition comprend un grand nombre
“ de Genres, il peut se faire que certains caractères, par l’accumulation de variations
“ faibles, se soient totalement transformés è travers la série. Par conséquent l’affi-
“ nité n'est pas une conséquence forcéte de la filiation. Deux plantes d’un méme phylum
“ peuvent n'avoir aucun caractère commun x.
In altre parole l'Autore dice che la storia della filogenesi è la vera storia na-
turale delle forme, mentre le nostre classificazioni e la subordinazione dei caratteri
possono essere naturali, ma spesso possono anche non esserlo; ed il perchè egli lo
dice chiaramente: “ Établir un phylum c'est méme dans un sens renverser les bar-
“ rières posées arbitrairement è travers la série des étres pour aider la mémoire ,.
Le classificazioni secondo l'Autore sarebbero dei gruppi arbitrarà. E di più: “ l’af-
“ finité n’est pas une conséquence forcée de la filiation. Deux plantes d’un méme
“ phylum peuvent n’avoir aucun caractère commun ,. — Ma se due piante d’uno stesso
“phylum possono non avere alcun carattere comune, ed ammettendo colle stesse parole
dell'Autore che il phylum è un legame, che dimostra la connessione degli esseri at-
traverso ai secoli, per qual altro motivo dunque, esse vi apparterranno dal momento
che caratteri che li leghino non esistono? E qual è la guida, quale il criterio che
rivelerà all'Autore la comune o non comune origine di questi esseri, che non hanno
alcun carattere che li congiunga? E come si potranno distinguere due esseri di phylum
diverso, i quali siano nelle medesime condizioni, di non «aver cioè alcun carattere
comune ?
Ammettere, che due piante di uno stesso phylum possano non avere dei carat-
teri comuni, vale quanto lasciar supporre che il tassonomo possa servirsi di altri
mezzi che non sia l'osservazione macro 0 microscopica dei caratteri strutturali per lo
studio delle forme. Ora, là dove il filo conduttore dell’osservazione si spezza, è forza
ricorrere all’induzione, la quale spesso serve, ma più soventi è scorta fallace e lascia
dietro di sè il dubbio e l'incertezza. E l’ammettere coll’Autore, che tutti gli esseri
‘viventi non formino che un phylum unico, vale secondo me quanto distruggere ogni
classificazione. Perciocchè fra le membra di questa catena interrotta esistono delle
236 S. BELLI
lacune (gli Watus dell'Autore), che il corso dei secoli hanno scavate, ed in questo
caso se a colmarle può e deve servire l’osservazione strutturale delle membra stesse,
e l'analogia tuttora esistente fra esse, io mi domando come sarà possibile distinguere
i caratteri di affinità dai caratteri di filiazione, dal momento che l’Autore scrive:
“ l’affinité n'est pas une conséquence forcée de la filiation ,!
Il periodo più sopra citato mi pare illogico.
Prosegue l'Autore: “ Quant è l’étendue méme du: phylum elle est théoriquement
“ illimitée. On a méme de bonnes raisons de croire que tous les étres vivants ne for-
“ ment quun phylum. Les hiatus, qui séparent les groupes conventionnels de nos
“ classifications, tiennent en partie à l’extinction, qui a supprimé les termes de pas-
“ sage; ils tiennent aussi à ce que bien souvent ces groupes sont mal formés. Par
exemple le phylum des Anthyllis comprend des genres classés constamment dans
“ des tribus différentes (Hedisarées-Galegées); tandis qu'on ne saurait y rattacher
“aussi directement des plantes considérées comme en étant très affines et méme
“ certaines espèces rangées par plusieurs auteurs dans le genre Anthyllis.
“ L'établissement d’un phylum ne constitue donc pas précisément un groupement
“commode, donnant une clef pour la détermination facile des espèces. Toute préoc-
“ cupation utilitaire doit mème en étre écartée au début. Le résultat pratique vient.
C
ensuite de lui-méme, car les séries des plantes dont on connaît exactement la fi-
“ liation peuvent étre classées d’après des principes plus rationnels, et bien des dif-
“ ficultés nées d’un groupement prématuré disparaissent naturellement ,.
Evidentemente qui l'Autore ammette l’idea, che gli studii filogenetici debbano
influire sul raggruppamento pratico delle specie, per quanto questo non ne sia il
risultato immediato. E di fatti; secondo l’Autore, il phylum delle Anthyllis comprende
delle forme finora comprese dagli Autori nelle Hedysareae-Galegeae cioè in altre pa-
role i caratteri su che l'Autore basa il suo phylum non sono gli stessi adoperati fin
qui per riunire o separare questi generi, e secondo lui sono i veri, dal momento che
stabiliscono la sistemazione di quei generi fra le AntAyllis piuttosto che fra gli He-
dysarun o le Galega. Qui soprattutto sta la giustificazione di questa critica.
Ammettendo nella seriazione del Vuillemin le corrispondenti lacune (Wiatus), è
difficile il provare che esse costituiscano i corrispondenti gruppi convenzionali delle
nostre classificazioni. È da supporre, che là dove questi Ayatus saranno piccoli fra
gruppo e gruppo, ivi le differenze fra essi dovrebbero essere minori; dove invece
l’hyatus sarà un vero abisso, non dovrebbe rimanere fra anello e anello che un lie-
vissimo vestigio o nessuno dei caratteri, che li legavano, perchè molto più numerosi
sono i termini soppressi. Or bene si può dire che questi vacui e questi gruppi cor-
rispondano alle nostre classificazioni ? Mi pare di no! E difatti noi abbiamo detto
più sopra come molti generi siano fra loro più vicini strutturalmente, che nol siano
talvolta le specie in essi comprese paragonate fra loro. Per es. è certo più diffe-
rente la Stirps del T. alpinum da quella del 7. scabrum, di quello che nol sia la
grande circoscrizione dei Trifogli dalla grande circoscrizione delle Trigonelle o dei
Melilotus.
Dove l'Autore dice giusto, secondo me, è allorquando scrive che spesso i gruppi
sono mal formati. Ma il difficile sta nel provare che un dato gruppo è più naturale
se ordinato coi caratteri che l’Autore vuol dedurre dallo studio anatomico della foglia,
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 3317
piuttosto che con quelli comunemente dedotti dal fiore. Può darsi che essi vadano
di pari passo; ed allora ne guadagnerà la naturalezza della categoria. Ma quando
essi si troveranno in opposizione, con qual dritto si dovrà dar la preferenza agli uni
piuttosto che agli altri? Dirò più avanti quale sia il requisito, che i caratteri (di
qualunque specie essi siano) debbono avere perchè siano preferiti; ma per ritornare
alle idee dell'Autore sull’affinità delle specie io citerò ancora un brano del suo libro
(pag. 3). “ Une classification est naturelle quand elle groupe les espèces de facon à
“les rapprocher en raison directe de leur parenté. Le terme parenté, employé de tout
“temps dans un sens abstrait, a pris une acception définie avec la doctrine transfor-
“ miste. Dans ce sens la classification naturelle doit étre généalogique. S'il en est ainsi
“ Vaffinité west plus la base directe de la classification naturelle, pas plus que la res-
“ semblance de deux hommes ne suffit è démontrer leur consanguinéité; elle n'a de
“ valeur qu'autant quelle est l'indice de la filiation. L'affinité positive ou négative permet
“ de séparer ou de réunir les espèces dans des cadres de diverses catégorics; mais
“« elle ne nous renseigne pas sur les rapports réels de ces cadres (!). Tandis que l’affinité
“ est basée sur la constatation des caractères concordants, la filiation doit reposer sur
“ la réductibilité des caractères différents ,.
Da questo periodo si rilevano anzitutto due cose: 1° che il trasformismo avrebbe,
secondo l'Autore, definito finalmente il senso del vocabolo parentela, che, per mio conto
almeno, ha sempre avuto un significato abbastanza concreto. Ma in qual modo sarebbe
definito? ammettendo che la classificazione naturale deve essere genealogica, e per questo
motivo, secondo l'Autore, l’affinità non sarebbe più la base della classificazione. In
altre parole, e per prendere un esempio pratico: se questo dovesse verificarsi per
la sistemazione delle specie, noi non avremmo più il diritto di riunire nello stesso
quadro (Stirps) il T. alpinum p. es. col T. polyphyllum, finchè non ci sia possibile
dimostrare, altrimenti che coi caratteri attuali di rassomiglianza, che questi due esseri
sono proprio discesi dallo stesso ceppo. E siccome il rimontare per l’oscura notte
dei secoli ci è per ipotesi non concesso, e d’altra parte non ci si concede di trar
partito delle affinità morfologiche, se non come di una guida mal sicura ed empirica,
così ognun vede, come di questo passo sia semplicemente annullata ogni sistema-
zione, perchè non è possibile di giudicare della parentela di due forme altrimenti che
colla concordanza dei loro caratteri strutturali. 2° Il Vuillemin ha detto, che se la
classificazione naturale deve essere genealogica , l'affinità non è più la base della
classificazione, allo stesso modo che la rassomiglianza di due uomini non basta a
dimostrare la loro consanguineità. Ma o io sbaglio o qui siamo di fronte ad un so-
fisma. Anzitutto il paragone fra due uomini e due specie o due generi non regge.
Tanto varrebbe pretendere che due piante per es. di Trifolium diffusum uscite dalla
fecondazione di due ovoli di uno stesso legume dovessero per questo motivo svilup-
parsi in modo da essere sovrapponibili; ed esse non appartengono perciò meno al
genere Trifolium. E d’altra parte, se la rassomiglianza di due uomini non prova la
loro consanguineità, è certo che talvolta la discrepanza delle loro linee è lungi dal
provare che essi non siano consanguinei. Ma a parte ciò, se l’affinità non ha valore
che in quanto essa è l’indizio della filiazione, e poichè la filiazione presuppone ed im-
plica l’ereditarietà, e poichè tra caratteri ereditarii e di adattamento è spesso diffi-
cile pronunciarsi, e finalmente poichè i caratteri acquisiti si trasmettono per eredità,
238 S. BELLI
io non giungo a capire perchè la rassomiglianza di due forme non si debba in ogni
caso ritenere come l’espressione di un nesso genetico qualsiasi, senza essere costretti @
supporre l'origine non filetica di queste affinità.
Se dunque l’affinità non è sempre conseguenza della discendenza diretta od in-
diretta di che cosa sarà la conseguenza? Ed ammesso che essa possa essere la con-
seguenza di un accidentale ravvicinamento di due esseri originariamente differenti,
chi è colui che potrà con sicurezza dire, quando si ha a che fare con una consan-
guineità vera o con una apparente dal momento che i caratteri che ci servono di
guida sono gli stessi in ambidue i casi?
È egli possibile stabilire delle categorie di caratteri corrispondenti, che servano
a rivelare quando due forme sono o non sono parenti? Evidentemente no! Io non
potrò mai comprendere l'opposizione assoluta fra caratteri filetici ed epharmonici
stabilita dal Vesque.
Secondo Vuillemin l'affinità positiva o negativa permette di separare o di tener
riunite le specie nei quadri di diverse categorie, ma essa non ci dà notizia alcuna
sui rapporti reali di questi quadri.
Esisterebbero, secondo l’Autore dunque, due specie di affinità, la negativa e la
positiva. Quest'ultima si capisce: la prima non può essere che la negazione di ogni
rassomiglianza; la seconda è rappresentata dai caratteri concordanti, la prima dai
caratteri differenti è quali sono passibili di una riducibilità. Ma è evidente, che se
la concordanza dei caratteri può far riconoscere il nesso fra specie e specie, la ridu-
cibilità dei caratteri discordi potrà far riconoscere una lontana affinità fra genere e
genere, tra famiglia e famiglia; ma non potrà applicarsi alla sistemazione delle unità
tassonomiche di ordine inferiore. E se le caratteristiche basate sulle rassomiglianze,
usate da Linnè ai giorni nostri per raggruppare le specie sono rapporti fittizii, quali
saranno e in qual parte del vegetale converrà ricercare i rapporti reali che l'affinità
non è capace a rivelarci secondo l’ Autore ?
La prova di quanto dicemmo più sopra sull’influenza nulla che per la sistema-
zione delle specie deve esercitare lo studio di un phylum è questa: che ogni esempio
pratico, presentato dal Vuillemin a sostegno delle sue asserzioni, è tolto dalla con-
siderazione di apparati o di sistemi di organi isolati, i quali debbono essere natu-
ralmente enormemente variabili, essendo in certo modo gli strumenti dei quali il
vegetale si serve per raggiungere la sua definitiva forma e costituzione. A tale cate-
goria appartengono tutti i caratteri desunti dall’organizzazione della foglia, e dei
suoi accidenti di superficie, come l'apparato stomatico, il cribro-vascolare, il paren-
chima e l'apparecchio accumulatore. Ognun vede a prima giunta quale applicazione
enormemente vasta debbono aver simili caratteri, e quanto le influenze del mezzo,
debbano influire su di essi; nè per quanto si sforzi l'immaginazione si giungerà a
capire, come la sclerosi di un periciclo possa venire in aiuto a rischiarare i rapporti
genetici di due specie controverse od anche di due generi.
Chi voglia p. e. basarsi solo sulla configurazione esterna delle foglie per classi-
ficarei grandi gruppi delle Leguminose, farebbe certo opera vana. Ma è illusorio il
supporre che l'anatomia di essa possa servir meglio a quello scopo. Che lo studio isto-
logico della foglia, al pari di quello del fiore, possa rischiarare il phylum di un gruppo
cioè la sua discendenza o consanguineità coi gruppi vicini nessuno mette in dubbio;
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 239
ma che poi il risultato pratico discenda fino all'ordinamento dei generi e delle specie, e
possa portar luce su qualche specie controversa, è quanto mi permetto di porre in dubbio.
Lo esame anatomico meravigliosamente accurato dei caratteri della foglia ha
condotto il Vuillemin a stabilire tre generi nuovi Podostemma , Lotopsora e Pseudo-
sophora, tolti dai G. Astragalus, Psoralea e Sophora, ed in forza di caratteri quali la
presenza 0 l'assenza delle emergenze nodali o stipolari, l’esistenza dei cristalli aci-
culari nel libro, lo sviluppo dei tanniferi attorno al legno dei fasci, i peli flagel-
liferi, ecc.
Ammesso che questi caratteri siano in sè e per sè migliori od equipollenti a
quelli che formano il substratum delle classificazioni comuni, resta a sapere se loro
equivalgano nella costanza, e se un'esperienza di coltivazione in ambienti diversi per
suolo, nutrizione, esposizione, ecc., non possa modificare questi dati, che sembrano
troppo legati colla funzione vegetativa dell'organismo vegetale.
L’Autore discutendo l'opposizione dei caratteri filetici cogli epharmonici stabiliti
dal Vesque così prosegue (p. 4):
“ Dans cette théorie si une plante possède des caractères phylétiques c'est uni-
quement parce que ses ancétres les possédaient et les lui ont transmis. Mais pour-
quoi les ancétres en étaient-ils dotés? Il n’y a que deux réponses possibles à cette
question. Puisque aucun caractère de forme extérieure ou de structure n’est iden-
tique è lui-méme dans toute la série végétale, chaque particularité a fait son ap-
parition è un stade plus ou moins ancien de la phylogénie. Il faut donc ou que
les caractères phylétiques aient apparu sans motif è un moment donné, ou qu’ils
se soient produits par adaptation et maintenus par sélection, conformément aux
lois de l’évolution.
£ On ne peut sortir de ce dilemme. La première alternative est simplement la
négation du transformisme; car elle suppose des catégories indépendantes, définies
par les caractères phylétiques et offrant des modifications de détail plus ou moins
étendues. Chacune de ces catégories immuables serait alors la véritable espèce, dont
les limites seraient par le fait démesurément élargies; les propriétés épharmoniques
caractériseraient de simples variétés. Dans la seconde alternative les caractòres
devenus héréditaires ont d’abord été variables, et ces variations ont été provoquées
elles aussi par le milieu ,. E già nella Prefazione a questa sua pregevolissima opera
(pag. vi) l'Autore scriveva: “ Les caractères faciles è voir à l'oeil nu sont surannés,
“les caractères anatomiques sont infidèles; la subordination des uns et des autres
“ est un vain mot. La principale cause de ce malaise est peut-étre l’inconséquence
de la pluspart des Botanistes qui, tout en proclamant è l’envi les principes trans-
formistes, considèrent chaque caractère comme une entité immuable et de valeur
constante ,.
K
“
IIC
Se da una parte ripugna il pensare, che i gruppi che noi vogliamo stabilire col
nome di Stirpes sono delle categorie immutabili, altrettanto poco ci riesce di capire
come i caratteri “ d’abord variables , e “ devenus héréditaires ,, non godano, con questo
cambiamento, di una fissità relativa (che in un certo senso e fino ad un certo punto
potrebbe paragonarsi alla fissità assoluta delle categorie immobili più sopra citate dal
| Vuillemin), la quale permetta di riconoscere ad un dato momento per mezzo loro
una parentela di grado diverso fra i vegetali che compongono un gruppo.
240 S. BELLI
Il rimprovero però che i sostenitori del trasformismo scagliano a coloro che
ancora credono al motto tot species sunt quot creatue fuerunt mi pare un coltello a due
tagli. Poichè, se non è ammissibile la fissità delle categorie, ci pare anche inammis-
sibile la Zoro continua mobilità, che distruggerebbe ogni tentativo di classificazione.
Ed il periodo più sopra citato del Vuillemin potrebbe ben trasformarsi in quest'altro:
“ La principale causa di questo guaio è forse l’inconseguenza dei botanici, che pro-
clamando il trasformismo si mettono nella condizione di dover segnare i limiti della
durata di ogni successiva forma, e naturalmente mon ci riescono ,. D'altra parte
il Vuillemin stesso ammette dei caratteri d’abord variables devenus héréditaires. Ora,
sì può domandare, per quanto tempo dura questo carattere così ereditato? Forse
finchè durano le circostanze “ provoquées par le milieu ,?
Neppur questo mi persuade.
È noto dai lavori dell’Hackel sulle Festuche d’Europa, per citare un solo esempio,
che certi caratteri non sentono l'influenza del mezzo in cui vivono, ed è appunto su
questi caratteri, i quali mostrano una costanza grande nelle loro manifestazioni este-
riori, che Hackel ha gettate le basi del suo lavoro modello, dimostrando precisa-
mente che la loro specificità è in ragion diretta della resistenza, che essi oppongono
alle cause esteriori, che tendono a farli variare. Egli è perciò che, secondo me, sarà
lavoro eminentemente proficuo del tassonomo quello, che parte da un simile indirizzo,
e questo deve essere il requisito di cui più sopra ho parlato, e che fa sì che i ca-
ratteri di una categoria debbano avere il sopravvento su quelli di un’altra, allorchè
nel raggruppamento delle forme essi si trovano in opposizione.
L’obbiezione capitale, che si suol comunemente fare a queste considerazioni, è:
che la fissità dei caratteri constatabile nell’attualità, quali dominanti di una categoria,
è una fissità molto, troppo relativa, quando si pensi all'enorme spazio di tempo che
costituisce già solo un’epoca geologica. E contro quest’obbiezione nulla si può opporre.
Però le cause che fanno variare questi caratteri agiscono troppo lentamente,
perchè non possa esere concesso di pensare ad una certa costanza (relativa certo di
fronte alla successione dei secoli od anche solo di un’epoca geologica) ma abbastanza
assoluta nell’epoca attuale, perchè essa possa permettere un’applicazione pratica. Del
resto della fissità o della mobilità delle specie si potrà a tutto rigore dir quello, che
il Vuillemin con tutta ragione scrive della teoria che vede nel cauloma un semplice
aggregato di decorrenze fogliari, o della teoria inversa secondo la quale la foglia
non è che un’espansione del fusto; si può dire cioè che questa questione ricompa-
rirà e scomparirà periodicamente, perchè nessuno potrà mai materialmente dimostrare
l’una o l’altra cosa.
Ma per poco che essa duri è sempre una fissità, ed è indipendente attualmente
dai mezzi in cui il vegetale cresce. E si può d’altro canto semplicemente dire, che una
difficoltà del pari enorme si presenta a coloro che pretendono sostenere la continua
mobilità dei caratteri; cioè quella più sotto accennata che è loro impossibile lo stabi-
lirne le modalità ed i limiti, coll’aggravante di essere costretti a distruggere ogni
tassonomia.
Ciò non di meno il Vuillemin mette innanzi come una prova dell’indiscutibilità
della teoria transformista il fatto, che nelle Papilionacee alcuni caratteri, che sono
considerati come i più insensibili agli agenti fisici, vengono a variare e quindi “ les
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 241
“ limites de la réductibilité des espèces sont reculées bien au delà du terme défini
«“ par les caractères épharmoniques , (pag. 4). E continua (pag. 5) con queste pa-
role: “ A vrai dire on pourrait définir les caractères phylétiques; des propriétés
“ morphologiques dont la raison d’étre n'a pas encore été deéterminée. C'est une
“ catégorie par trop subiective pour devenir le fondement de la taxinomie de l’avenir ,.
Mi pare che esista in questo periodo ùn altro malinteso. Il limite dei gruppi
(generi, specie) dato dai caratteri efarmonici può essere mal definito da una imper-
fetta conoscenza o da uno studio incompleto dei gruppi stessi: potrà allargarsi o
restringersi, ma un limite deve pure esistere anche a detta dell'Autore. Ora, se i
caratteri filetici, cioè i caratteri ereditarii, sono delle proprietà morfologiche a cwi
ragione di essere non è per anco stata determinata, e costituisce una categoria troppo
soggettiva perchè possano divenire il fondamento della tassinomia dell'avvenire, io mi
domando quale scopo si sia prefisso l'Autore nel suo lavoro sul Philum delle An-
thyllis all'infuori di una semplice enumerazione delle consonanze e delle differenze
istologiche della foglia delle Anthyllis colle altre Leguminose, e a quale altro criterio
debba improntarsi la tassinomia futura?
L'Autore chiude la sua opera con un periodo che qui cito parzialmente (p. 330):
“ Chaque caractère tiré de l’organisation de la feuille a une dignité variable
ta
suivant le niveau considéré de ce groupe soumis è une active évolution qui cons-
titue le phylum des Anthyllis. Faut-il pour cela considérer la structure foliaire
comme moins digne d’attention que la morphologie fiorale? Assurement non; car
les propriétés de la fleur ne sont pas plus invariables. Pour n’en citer qu'un exemple:
la monadelphie, l’articulation du légume, bases essentielles de la classification des Papi-
tI
K
(1a
“ lionactes ont acquis è ce stade critique de la phylogénie une incostance qui les place
“qu dessous du mode d’épaississement du flagellum ou de V existence des poils glanduleux
“ bien qu’elles se soient intégrées d’une fagon si parfaite chez les vraies Hédysarées
“ ou chez le Génistées ,.
Data e concessa la maggior costanza dell’ispessimento del flagello e l’esistenza
dei peli glandolosi nelle Leguminose in confronto dei caratteri fiorali, ne nascerebbe
che non più questi ma bensì quelli dovrebbero costituire il criterio di raggruppamento
della famiglia. E se questi caratteri si riconoscessero domani identicamente costanti
in confronto di tutti gli altri che determinano oggidì la famiglia delle Rosacee, sa-
rebbe d'uopo allargare la circoscrizione delle Leguminose includendovi le Rosacee e
via via. Ognun vede dove di questo passo si va a finire per quanto legalmente. Ma
ammesso pure questo allargamento, si può dire che la circoscrizione così stabilita
sia più naturale di quella che raggrupperà i nuclei esistenti in ciascun genere cioè
le nostre Stirpes? E saranno proprio il flagello ed i peli glandulosi che staranno a
prova di un antico legame naturale, genetico, certo, fra le Rosacee e le Leguminose?
o non saranno piuttosto quei rapporti ben più fittizii di quelli che, tolti dal com-
plesso delle species, verranno a costituire le vere unità tassonomiche cioè le Stirpes?
Il minimo dettaglio di struttura, scrive infine il Vuillemin, “ può divenire carat-
teristico di una categoria estesa purchè abbia raggiunto un grado sufficiente di palin-
genia nel gruppo considerato ,. Ed in ciò siamo perfettamente d’accordo. Ma appunto
perchè estesa, la categoria non può sempre essere l’espressione di un raggruppamento
naturale. Per es. la pubescenza dei petali è caratteristica validissima di una Stirps ap-
Serie IL Tom. XLIV. r
242 S. BELLI
partenente alla sezione Lagopus (Tricoptera); questo è un rapporto evidentissimamente
di affinità di parentela fra le specie che compongono questa Stirps. Invece il legume
villoso è carattere proprio di una quantità di specie, le quali appartengono certa-
mente a diverse Stirpes. Il primo è un rapporto reale, il secondo è fittizio e tutti e
due sono basati su di un carattere identico, la presenza dei tricomi sugli organi. Il
primo carattere deve evidentemente essere filogenetico per quelle specie: il secondo no.
Non sarà fuor di luogo il dire qui anche due parole in proposito delle idee esposte
dal D' Terracciano (1) sui rapporti sistematici delle forme di un genere qualsiasi.
Scrive il D" Terracciano: “ Per me tipi e gruppi e stirpi e specie, ecc., ecc., per
quanto unità relativamente concrete, prese così di per sè sole, hanno sempre valore
filogenetico considerate l’una rispetto all’altra. I loro rapporti sistematici abbracciano
quindi un insieme di caratteri morfologici e geografici, onde spesso alcuni possono
non interessare la tassinomia rivolta allo scopo di far conoscere le piante nel com-
plesso loro più o meno generale; altri, e sono i più, porrebbero nella mente quella
gran confusione, che dal frazionamento e dallo sminuzzamento delle forme ricercate
a stabilire le affinità suole sempre seguire. Il Prof. Gibelli, della cui affettuosa ami-
cizia mi onoro, conosce la stima ch'io abbia delle sue idee per sapermi voler male
se in un campo così vario e subiettivo un poco mi discosti dal suo modo di vedere,
allargando cioè o restringendo la significazione alla nomenclatura da lui proposta ,.
Le mie brevi osservazioni allo scritto del D" Terracciano avrebbero dovuto veder
la luce molto prima d’ora, se me ne fosse venuta l'occasione che ora mi si presenta,
lontanissimo dal voler iniziare una polemica qualsiasi su questo soggetto, ma unica-
mente perchè mi pare che, o il D" Terracciano non ha ben afferrato le idee del
prof. Gibelli, che sono anche un poco le mie, come si vede dal titolo dell’opera,
ovvero che noi non ci siamo abbastanza chiaramente spiegati.
Noi non abbiamo messo mai in dubbio che le stirpes (e le species che le com-
pongono), per quanto unità relativamente concrete non siano filogeneticamente legate
le une alle altre, ma questo non abbiam detto mai dei gruppi in generale e soprat-
tutto delle sezioni, cioè di categorie artificialissime, che possono essere, anzi di solito
sono fatte ad arbitrio per facilità di sistemazione, e non rappresentano dei nuclei
affini. Se si vuol far entrare il nesso filogenetico nelle sezioni, converrà intenderlo
nel senso in cui il Vuillemin intende il phylum universale, che raggruppa tutti gli
esseri viventi.
In altre parole nel genere Trifolium non crediamo che un nesso filogenetico
leghi per es. le Amorie ai Lupinaster, pel solo fatto che il vessillo è libero o quasi
in tutte e due le sezioni; mentre siamo più che persuasi, che un vero nesso di con-
sanguineità (mi si passi la parola), corre p. e. fra il Trifolium nervulosum Boiss.
e tutte le specie della Stirps Glandulifera, quantunque al primo manchi uno dei
caratteri posseduti dalle altre specie, cioè il collaretto involucrante del capolino, mentre
tutte le altre note concordano.
E per lasciare un poco le vedute soggettive, come le chiama il D' Terracciano,
(1) © Malpighia ,, Anno III, vol. III, p. 297 (in nota) e seg.: Dell’Allium Rollii e delle specie
affini (1889).
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 243
nelle quali è spesso difficile accordarsi, sarà bene di scendere un momento nel campo
pratico della sistemazione delle forme, dove le vedute soggettive devono trovare una
corrispondente applicazione sotto pena di non intendersi più.
La filogenesi entra a costituire l’ordine diremo così : ‘ontologico dei diversi gruppi;
la loro ordinazione pratica fa parte dell'ordine del sensibile e del reale: si può cioè
essere incerti sulla via probabile, che le attuali forme hanno seguìto per essere quello
che sono, ma non vi può essere gran diversità di vedute nello stabilire il valore
dei vocaboli che si usano per definire i gruppi oggidì esistenti, dal momento che
questi vocaboli hanno avuto prima di noi ed hanno tutto dì un significato.
Questo ragionamento prende a tutta prima l’aspetto di un paradosso; avvegnachè
questa benedetta filogenesi dei gruppi non si possa in ultima analisi in altra maniera
dedurre, che studiando i rapporti di forma dei vegetali fra loro; ma. non è meno
vero che tutte le classificazioni hanno un lato in certo modo artificiale, ed almeno
*in questa bisogna, oggettiva fin che si vuole, è d’uopo accordarsi (1).
Ed è in questo campo che io vorrei vedere mantenuto fino al limite del possibile,
il parallelismo dei valori; questa è, volere o no, la sola via per giungere a stabi-
lire i gradi di dignità corrispondenti al nesso genealogico presupposto.
Così si andrà contro alla confusione, dalla quale il D" Terracciano giustissima-
mente rifugge, ed a questo scopo molti fitografi moderni (Hackel, Burnat, Naegeli,
Christ Haussknecht, ecc.), hanno rivolto le loro più amorose cure.
Conviene insomma addivenire ad una specie di casellamento delle forme, subor-
dinate alla Stirps, nel quale sia evidente, che p. e. la forma a dipenda dal gruppo
di ordine superiore A, per la stessa ragione per cui la forma è appartiene al gruppo
di ordine superiore B, e nei quali si possa sempre controllare (mi si perdoni il bar-
barismo) la costanza, il numero ed il valore dei caratteri similari usati a stabilire
questi rapporti.
Spesso invece nel lavoro del D' Terracciano si trovano usate espressioni come
la seguente: “ la forma A passa per la forma B, ece. ,. Ora con questa semplice
espressione non si può capire se la forma A passi vicino o lontano pei suoi carat-
teri dalla forma B e paragonata con un’altra forma corrispondente collaterale.
Così pure l’espressione grafica dei nessi strutturali delle diverse specie, sotto-
specie e varietà, come vien trattata nel lavoro sull’ Allium Rolli, non ci pare possa
renderli chiari, poichè essi non esprimono la differenza di valore dei legami, ma
costituiscono un aggruppamento, mutuo o no, ma uniforme.
(1) Per spiegare meglio con un altro esempio questa specie di indipendenza della tassinomia
delle forme attuali dalla filogenesi, mi servirò di un gruppo di Trifogli già altra volta utilizzato
nella Prefazione ai Lagopus. — Il T. dalmaticum, che, secondo noi, sta oggidì ad uno dei capi della
Stirps Scabroidea, avrà forse appartenuto ad un tipo un tempo più differente dal 7. scabrum; e le
differenze che lo separano oggidì da questa specie, avranno potuto essere di gran lunga meno valide
delle analogie, che lo legavano ad un tipo scomparso, cosicchè se noi potessimo oggi vedere quelle
forme, forse il 7. dalmaticum farebbe parte di un’altra Stirps. Ma così come oggi stanno, noi non
possiamo far a meno di riunire il 7. dalmaticum: al T. scabrum nella stessa Stirps, per quanto essi
stiano ai due poli della circoscrizione, ed abbiano il 7. /ucanicum che li collega da un lato solo,
mentre l’altro lato è quello dove il 7. dalmaticum non ha rapporti con nessun’altra forma.
244 S. BELLI
Anzitutto poi è ncessario partire, nella nomenclatura, dalle definizioni delle se-
riazioni; e questo è stato per noi un lavoro altrettanto necessario quanto faticoso.
E si capisce che per allargare o restringere (sono parole del D' Terracciano) le idee,
che altri può aver espresse in un processo tassinomico, conviene anzitutto farsene
un concetto esatto e dare la definizione esatta delle modificazioni che vi si introdu-
cono. E poichè ci siamo, comincierò dalla definizione che il D' Terracciano ha dato
della Stirps (p. 298). Eccola:
“ Il gruppo ed i sottogruppi, per quanto idealmente, coneretizzano un complesso
di caratteri generali riconoscibili nel tempo e nello spazio fra tutto il differenzia-
mento morfo-geografico, a cui andarono soggette le molteplici loro forme ; nelle quali,
se essi genericamente una per una si adattano, specificamente non vi sono compresi,
sì da poterne essere rappresentati. Invece quando, stabilito un carattere, ad esso
altri si aggiungono, per modificare ed affermare un assieme di forme entro certi
confini morfologici ed in rapporto all'ambiente considerato o quale mezzo presente
di evoluzione, o termine di evoluzioni da epoche più remote ed in rapporto alle con-
dizioni inerenti al loro quale che siasi ciclo biologico, sorgono le Stirpes ,. 2?
Io confesso ingenuamente che non ho potuto capire questa definizione. Non do
la colpa ad altri di questa mia insufficienza; ma osserverò soltanto che da Spring a
Noegeli esiste la definizione della Stirps molto più semplice, con un significato chia-
rissimo, che noi abbiamo cercato di precisare ancora meglio nella Prefazione ai “ La-
gopus ,, e che ognuno che l’usa ha il dovere di discutere, dato che ne alteri il
significato, o lo allarghi, o lo restringa. La definizione della Stirps è questa: Un
complesso di entità che hanno uno stampo comune; che probabilissimamente hanno avuto
un'origine comune dimostrabile nell'attualità, e che si rassomigliano fra loro così da
costituire un vero nucleo quasi sempre ben separato dalle altre Stirpes della sezione a cuì
esso appartiene, ed è cui caratteri sono inegualmente distribuiti nei membri che lo compon-
gono, originando così i diversi gradi di dignità che esso comprende, species, subspecies,
varietates, ecc. Questa definizione non differisce sostanzialmente da quella una volta
attribuita alla Specie Linneana se non per ciò, che essa è basata sull’esistenza di un
complesso di caratteri, e permette una certa oscillazione degli elementi che la costitui-
scono; mentre la definizione Linneana della specie implicava una fissità disperante
delle forme.
Definito così il significato di Stirps era còmpito del D" Terracciano il dire dove
questo significato era allargato e dove ristretto. Farò io invece un breve esame della
sua seriazione in confronto colla nostra.
Al di sopra della Stirps sta per noi la Sezione che abbiamo detto essere una
circoscrizione artificiale. Pel D' Terracciano sta invece il Typus (p. 304) che è un
sottogruppo (p. 298), corrispondente alla nostra Sezione, perchè basato su di un solo
carattere (Typus monoumbellatus e Typus biumbellatus).
L'Autore conviene qui di aver usato impropriamente questo vocabolo, che ha
un significato troppo preciso (cioè modello, stampo), per significare invece una grande
casella, che comprende essa stessa dei tipi diversi. Non insisteremo più oltre su
questa improprietà di nomenclatura già sconfessata dall’Autore.
AI di sopra del Typus sta pel D' Terracciano il prototypus e nella nostra seria-
zione al di sopra della sezione sta il Genere.
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 245
Che cosa sia il suo prototypus, il D" Terracciano non spiega: aggiunge però fra
parentesi (Prototypus = typus sensu vero).
Ma il guaio è che nel grande quadro degli Allium, in fondo al lavoro, la parola
prototypus non esiste più nella seriazione, mentre vi è nuovamente riprodotta la pa-
rola Typus; e, quello che ci sorprende è di vedere assieme riportato i vocaboli Sectio
e Subsectio.
In questo caso le parole Sectio, Subsectio, Typus avrebbero lo stesso significato
ed almeno una sarebbe di troppo.
La divisione che corrisponde al Typus monoumbellatus è ben equivalente nel
concetto sistematico alla sezione “ Crommium , e Subsectio Porrum, Boiss. ,.
Come si vede è difficile capire, il dove, il come, ed il perchè l’Autore abbia
allargato o ristretto il concetto da noi esposto nel lavoro sui Trifogli. Soprattutto
risulta chiaro, che il nesso filogenetico, che correrebbe per es. fra i membri della
Stirps “ Descendens , è un vero nesso di affinità, mentre è chiaro che i due #ypus: mono-
e biumbellatus comprendono delle Stirpes diverse, ed il nesso filogenetico, fra quelle
sezioni non è certo dello stesso valore di quello che stringe fra loro i membri delle
diverse Stirpes.
Creando poi la parola Prototypus l'Autore pare abbia voluto designare il capo-
stipite di una discendenza. Ma il capo-stipite di una discendenza si può supporre
esistente in una Stirps secondo le nostre idee, non in una Sezione, basata su di un
carattere solo: chè tale sarebbe il 7ypus del D* Terracciano. Noi però abbiamo ri-
nunciato a stabilire, quale delle species di una Stirps debba venir designato come
tipo o capo-stipite: perchè è semplicemente impossibile il saperlo. Nell'ambito della
Stirps tutti i caratteri sono rappresentati da una o più forme (species); o solo in
parte (subspecies), ma non è possibile dire quale di esse è direttamente il rappresen-
tante primo dell’evoluzione di una forma tipica.
Questi sono i punti controversi che io avrei voluto vedere discussi dal D' Ter-
racciano, facendo un parallelo accurato dei suoi valori sistematici con quelli già usati
in tassinomia, per es. coi valori stabiliti dall’immortale Decandolle nel Congresso
Botanico di Ginevra, quando non avesse voluto fermarsi alle nostre classificazioni.
Ma finchè non si faranno questi paralleli, non potremo a meno di deplorare che si
introducano nella nomenclatura dei vocaboli, che hanno un'influenza dannosissima,
tanto più quando sono stati adoperati da altri in altro senso, ovvero quando espri-
mono un significato opposto alla loro natura.
Mi permetto ancora un’ultima osservazione alla nota posta a pag. 297 della
Malpighia. L'Autore parlando delle stirpi, gruppi, specie, ecc., scrive, che i loro rap-
porti genetici “ abbracciano un insieme di caratteri morfologici e geografici, onde
spesso alcuni possono non interessare la tassinomìa, rivolta allo scopo di far cono-
scere le piante nel complesso loro più o meno generale; altri, e sono i più, porreb-
bero nella mente quella gran confusione, che dal frazionamento e dallo sminuzzamento
delle forme suole sempre seguire ,.
Secondo l’Autore esisterebbero dunque due specie di caratteri, morfologici e
geografici. Io confesso che non giungo a farmi un'idea di un carattere geografico in
astratto. Il carattere geografico per me si confonde senz'altro col carattere morfo-
logico o, a dir meglio, il secondo può essere una dipendenza ed un’espressione del
246 S. BELLI
primo. Vale a dire che a seconda della sua ubicazione una forma qualsiasi potrà
modificare la sua struttura. In tal caso, come è possibile che vi siano dei caratteri
morfo-geografici, che possono non interessare il tassonomo ?
In quanto essi sono caratfterî avranno un valore più o meno grande a seconda
dell'importanza dell’organo e soprattutto della costanza loro, ed allora serviranno a
scopo tassinomico; potranno essere variabili estremamente, anche in uno stesso in-
dividuo ed allora si trascurano. Quali siano poi i caratteri, che possono esser causa
di gran confusione nella mente di chi si accinge ad un lavoro di sistemazione nep-
pure giungo a capire, come non mi riesce di afferrare il concetto filogenetico tal
quale è espresso nel lavoro dell'Autore. Ho cercato nel lavoro da lui citato in nota
a pag. 304 della Malpighia cioè: Le Viole italiane della Sezione Melanium “ N. G.
Bot. Ital. ,, Vol. XXI (1889) qualche schiarimento su queste idee; ma con mio rin-
crescimento non ho trovato che un solo periodo, quello con cui l'Autore chiude la
memoria, e che non mi è parso più chiaro degli altri. Discorrendo delle viole egli
così finisce (p. 328): “ Quale di tutte il prototipo, come nel tempo e nello spazio si
siano differenziate, quanto spetti alla plasticità, sia in rapporto con tipî anteriori e
con altri futuri, dirò in lavoro di maggior momento, di cui queste idee non sono che
il riepilogo più breve il quale abbia saputo farmi ,.
Qui il prototipo è nuovamente messo in serie. Ma per me trovo che se è cosa
molto problematica il sapere come nel tempo e nello spazio una Stirps si sia diffe-
renziata, mentre è possibile studiarla tale quale oggidì si presenta, riesce poi asso-
lutamente al di sopra di ogni immaginazione il figurarsi quanto la plasticità di un
genere possa essere in rapporto con tipi futuri.
Non mi vorrà male, spero, l’egregio D" Terracciano se, a molti che mi parvero
voli di ardita fantasia, io ho opposto la fredda logica dei fatti, anche a costo di averne
taccia di pedante. Nè creda, che il divergere completamente dalle idee sue sogget-
tive, voglia significare un dubbio sull’esattezza delle sue osservazioni sul genere
Alliun o sul genere Viola, dei quali non ho che limitatissima conoscenza. Mio solo
scopo in questa breve critica è stato quello, come già dissi di far sì, che le nostre
idee esposte nella Prefazione ai “ Lagopus , non venissero fraintese da chi, per av-
ventura non conoscendola, avesse voluto o dovuto farsene un concetto dall’esposi-
zione sistematica del D* Terracciano sul G. Allium.
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 247
LUPINASTER (BuxBAUM)
Buxbaum Nova pl. Gen. (in Comment. Acad. Sc. Imper. Petrop. Tom. II, p. 345
(1729) — Manch Suppl. ad Meth. pl. etc. Vol. II, p. 50 (1802) — Link Enum. pl.
R. H. Berol. Vol. II, p. 260 (1822) — Seringe in DC. Prodr. Vol. II, p. 203 (1825)
p. p. — Duby Bot. Gall. Vol. I, p. 135 (1828) p. p. — Pres! Symb. Bot. Vol. I,
p. 46 (1832) p. p. — Rehbch. FI. Exc. Vol. II, p. 495 (1832) p. p. — End!. Gen.
pl., p. 1268 (1836-40) — Puccinelli Syn. Pl. Agr. Luc. Vol. I, p. 371 (1841) —
Endl. Enchyr. Bot., p. 668 (1841) — Ledeb. FI. Ross. Vol. I, p. 551 (1842) — Koch
Syn. FI. Germ. et Helv. Vol. I, p. 90 (1843) — De Vis. FI. Dalm. Vol. III, p. 300
(1850) — Koch Syn., ediz. III*, p. 149 (1857) — Benth. et Hook. Gen. PI., p. 488
(1862-67) — Fuss FI. Transsilv., p. 162 (1866) — Boiîss. Fl. Or. Vol. IL, p. 112
(1872) — £Eehbch. fil. Ic. FI. Germ. et Helv. Vol. XXII, p. 74 (1874) — Celak. Aufb.
der Gatt. Trif. (in Oesterr. Bot. Zeitschrf. N. 2, p. 42) (1874) — Koch Tbch. der
Deutsch. u. Schw. Fl. ediz. alt., p. 521 (1878) — Nyman Consp. Fl. Europ., p. 179
(1878-82) — Willk. et Lange Prod. Fl. Hisp. Vol. III, p. 358 (1880).
PENTAPHYLLON Pers. Syn. Vol. II, p. 352 (1807).
PENTAPHYLLUM Spreng. Syst. Veg. II, p. 286 (1826) p. p.
DACTYPHYLLUM Rafin. In Journ. Phys. LXXXTX-261 (ex Endl. Gen. PI. L c.
et Enchyr. l. c.).
LOTOIDEA L. Sp. pl., p. 1079 (1764) p. p. et Syst. Nat. II, p. 501 (1767)
p. p., et Syst. Veg. (ed. 14% Murray), p. 687 p. p. — Wild. Sp. pl. Vol. III, p. 1357
P. p. (1800) — Suter FI. Helv. Vol. II, p. 107 (1802) — Pers. Syn. Vol. II p. 348
P. p. (1807) — At Hort. Kew. Vol. IV, p. 881 (1812) p. p. — Sibth. et Sm. FI
Gr. Prod. Vol. II, p. 96 p. p. (1813) — Lapeyr. Hist. PI. Pyr. Vol. II, p. 432 p. p.
(1813) — St. Amans FI. Agen., p. 304 p. p. (1821) — ? Maratti FI. Rom. Vol. II,
p. 153, p. p. (1822) — Gaud. FI. Helv. Vol. IV, p. 578 (1829) — JItichter Cod. Bot.
Linn., p. 742 p. p. (1835) — Gaud. Syn. FI. Helv., p. 628 (1836) — Gren. Godr.
MiElde Fr. Vol. I, p. 417 p. p. (1848).
GLYCIRRHIZUM Bertol. FI. Ital. Vol. VII, p. 101 (1850).
248 S. BELLI
GENERALITÀ SULLA SEZIONE
Il vocabolo “ Lupinaster , venne introdotto nel 1729 dal Buxbaum, il quale
credette riconoscere un genere nuovo nella pianta omonima, che allora costituiva da
sola il genere stesso.
Sul valore delle ragioni, che indussero il Buxbaum in quest’opinione, sarà detto
più avanti. Linnè ricondusse fra i Trifogli questa specie, e, come già si disse nella
Prefazione, stando alla definizione del G. Trifolium, quale vien data da Tournefort,
il T. Lupinaster non dovrebbe venirne tolto, salvo a giustificare a più forte ragione
i generi fondati dal Presl a spese delle specie Linneane. Linnè ascrisse il T. Lu-
pinaster alla sua Sezione “ Lotoidea , caratterizzata dalla frase: “ Leguminibus
“ tectis polyspermis ,. È ovvio il capire come una caratteristica tanto ampia po-
tesse e dovesse comprendere una quantità di specie disparatissime per naturale
affinità.
Moltissimi Autori accettarono la classificazione Linneana come si rileva. dalla
sinonimia più sopra esposta.
Moench (I. c.) tornò a sua volta a ritogliere il T. Lupinaster dai Trifogli e
ricostituì il genere omonimo colle seguenti diagnosi:
“ Calyx campanulatus, quinquedentatus dentibus setaceis, quatuor sub vexillo;
“ imo sub carina. Corolla papilionacea, vexillo ovato longiori: alae erectae oblongae,
6
carina obtusa. Stamina decem ad medium usque connata, supremum liberum. Stylus
“ unus. Stigma uncinatum. Legumen enode, teres, polyspermum ,. Buxbaum Acta (1)
. p. 345, Tab. 20.
Persoon (1. c.) ritenne la classificazione di Moench mutando il nome del genere
in quello di “ Pentaphyllon ,, cambiato dipoi in “ Pentaphyllum: , da Sprengel, il
quale riunisce in questo gruppo due specie: T. Lupinaster e 7. megacephalum Nutt.
pianta americana che, a giudicare dalla descrizione, non deve appartenere alla stirpe
del T. Lupinaster.
Da Link e Seringe in poi, il nome “ Lupinaster , fu adottato per stabilire
una Sezione alla quale si riunirono, a seconda dei diversi Autori, molte altre specie
più o meno eterogenee, ma nella quale si comprende sempre il 7. alpinum. Gli
DO
(1) Giova qui notare come Mcnch nella caratteristica del Genere citi il Buxbaum, ma non si
riporti per nulla alla descrizione del Buxbaum stesso, aggiungendo anzi altre note molto discutibili
e certo meno valide di quelle date da Buxbaum. — Nella citazione poi, Mcench scrive: “ Buxbaum
Acta ete. ,. Ora non esistono del Buxbaum Acta di sorta, ma è quasi certo che Monch ha copiato
senz'altro la citazione Linneana del 7. Lupinaster (vedi Ricater, “ Cod. Bot. Linn. ,, p. 742), cioè:
“ Ac., 2, p. 845 ,, interpretando l’ abbreviazione Ac. per Acta, mentre significa “ Academia , (Vedi
più avanti la citazione testuale della frase di Buxbaum a pag. 250.
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 249
Autori che si servirono del vocabolo “ Lupinaster , per stabilire le loro Sezioni,
variarono tutti qual più qual meno la caratteristica del Buxbaum, adattandola natu-
ralmente alle specie che vollero includervi, citando spesso il Moench ciò che è poco
corretto e poco chiaro.
Seringe p. e. riunì nella Sezione Lupinaster (Moench) il 7. Gussoni (Chronose-
mium), il T. uniflorum il T. involucratum, etc. La stessa osservazione vale per
_ Presl. etc. etc.
Bertoloni trovò un nuovo vocabolo per caratterizzare la Sezione alla quale
ascrisse il solo 7. alpinum, e secondo me questa sarebbe la denominazione più adatta
a raggruppare in un’ampia Sezione non solo i Lupinaster degli Autori in generale,
ma anche molte specie ascritte al genere Loxrospermum di Hochstetter.
La frase semplicissima di Bertoloni per la sua Sezione G/ycirrhizum suona così:
“ Capitulis fructiferis umbellaribus, involucro brevissimo, connato, flore magno ,.
Verrà detto più avanti e già fu ripetuto altra volta (Vedi Saggio Monografico
“ Lagopus , Mem. Accad. Sc. in Prefazione) come la Sezione rappresenti per noi
non una circoscrizione naturale, ma un raggruppamento artificiale, fatto per comodo
di tassonomia, e basato su pochi od anche su di un solo carattere, preso convenzio-
nalmente ed artifiziosamente. E tali sono la maggior parte delle Sezioni oggidì sta-
bilite nel genere Trifolium. Gli è perciò che io avrei adottato senz'altro il nome
Glycirrhizum per questa Sezione se veramente, il carattere “
K
capitulis fructiferis
umbellaribus , non convenisse male al T. Lupinaster, il quale ha un’infiorescenza
tutt'altro che ombrelliforme. Ho invece adottato in senso ampiissimo la denomina-
zione di Buxbaum, perchè anche il gruppo del 7. a/pinum, per quanto naturalmente
distante dal T. Lupinaster, può esservi artificialmente compreso, ritenendo che le
sue foglie, di solito trifogliolate, sono rarissimamente quinate, ma certamente digi-
tate. Quello che importa a me di stabilire si è, che nell’ambito di questa Sezione
così accettata ed affatto artificiale, sono riconoscibili facilissimamente dei nuclei
naturalissimi, delle vere “ Stirpes , nel nostro significato.
Le osservazioni che qui seguono permetteranno, spero, di giustificare la separa-
zione della Sezione Lupinaster in due Stirpes: l'una rappresentata (per quanto io
mi sappia) dalla specie omonima e dal 7. eximium Steph., cioè la Stirps Eulupinaster;
la seconda che ha per capo il 7. alpinum L. e comprende T. polyphy0um C. A.
Meyer e T. nanum Torr., e porta il nome di Glycirrhizum giù adottato dal Bertoloni
pel 7. alpinum. Sono da escludere assolutamente da questa Stirps le specie africane
T. calocephalum Fresen., T. Schimperi Hochst. e T. multinerve Hochst. appartenenti
alla Sezione Loxospermum Hochst., le quali artificialmente potrebbero venir comprese
nella circoscrizione Bertoloniana, stando a quella caratteristica, ma che hanno d’uopo
di ulteriori studi.
Serie II. Tom. XLIV. al
250 S. BELLI
Il
Buxbaum (1) stabilì come segue il suo genere Lupinaster “ Nova Plantarum
genera , — “ Secundum genus plantarum novum a nobis appellatur Lupinaster
cujus notae sunt: Folia instar Lupini digitata: Flores papilionacei in capitulum
longo petiolo ex foliorum alis egresso sustentatum congesti; siliquae longae de-
pressae, seminibus reniformibus foetae, quae notae ipsum a congeneribus satis
evidenter separant ,.
E più avanti: (T. Lupinaster):
“ Caules profert hic Lupinaster semipede altiores non raro pedales rotundos
et striatos virides, parvis ramis ex alis foliorum egredientibus praeditos. Folia
longa, acute serrata glauca non tamen hirsuta, eleganter striata et rigida. Quinque,
sex, septem imo plura digitatim instar folioram Lupini communi insident pediculo,
brevi, ex vagina sublutea, caulem amplectente prodeunte. In summo caule et
ramulis nascuntur flores purpureo-coerulei, in capitulum collecti, exacte flores
Trifolii (Psoralea) bituminosi referentes, pediculis uncialibus aut longioribus su-
stentati et calyce in multa segmenta acuta scisso excepti. Siliquae longae, depressae
seminibus reniformibus, nigris, repletae. Crescit haec elegans planta ad ripas Volgae
intra Astrakanum et Czarizinam: ob similitudinem cum Lupino hoc nomen imponere
“ placuit ,.
Savi nella “ Biblioteca italiana , (1. c.) (2) ha una nota critica accuratissima
su questa separazione del T. Lupinaster dal G. Trifolium fatta dal Buxbaum, che
io riporto per intero, anche perchè il libro non è troppo facile a trovarsi nelle bi-
blioteche, ma soprattutto perchè se le argomentazioni del Savi non lasciano dubbio,
che questa pianta debba, pei caratteri dati da Moench (ed anche da Buxbaum)
rientrare nel G. Trifolium, ci permettono d'altra parte di dimostrare coll’esame
accurato di essa, che il T. Lupinaster costituisce una Stirps evidentissima, la quale
non ha, per quanto io mi sappia, altro stretto affine che il 7. erimium Steph. del-
l’Asia centrale ed orientale.
Così scrive Savi: (T. Lupinaster).
“ Mancava questa bella specie nella mia memoria su i trifogli, ove deve collo-
carsi nella quarta Sezione (Trifoliis bracteatis calyce immutato nervoso, corolla
immutata, vexillo non sulcato) (3). L'ho avuta in fiore per la prima volta nel
corrente anno 1817 ed eccone la descrizione:
K
“%
“%
(1) £ Commentarii Academiae Scient. Imperialis Petropolitanae ,, tom. II, p. 345 (1729); Petropoli,
Typis Academ.), cum tab. XX (optima).
(2) “ Biblioteca italiana ossia Giornale di Letteratura, Scienze ed Arti compilato da varii lette-
rati,, tomo VIII, anno II (ottobre-novembre-dicembre), 1817 (Milano). Memoria contenente alcune
correzioni ed aggiunte alle Observationes in varias Trifoliorum species del sig. Savi, Professore di
Botanica e Direttore del Giardino dell’Università di Pisa (p. 132).
(3) Comprende le © Amorie ,, il 7. parviflorum, T. montanum, T. alpinum, T. formosum.
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 251
“ (T. Lupinaster, caule erecto, solido, foliis 3-Snatis, involucrismonophyllis Nob.),.
“ (T. Capitulis dimidiatis foliis quinatis, sessilibus, leguminibus polyspermis
sllun. Spec.) ,.
“ (T. Leguminibus polyspermis, foliis pluribus Gmel. FI. Sibir. Tom. V. Tab. 19,
«“ pag. 19, tab. 6, fig. 1 (mala).)
“ Caulis 8-10 pollicaris, cylindricus, glaber superne tantum laeviter pubescens
“ et ramosus — Folia sessilia, prima ternata, reliqua quinata — Foliola lanceolata,
“ acuta serrulata, glabra. Stipulae connatae, glabrae nervosae, caudis triangulo =
“ acutis — Capitula terminalia dimidiata, subbifida ex 2-3florum seriebus, quavis
“ serie basi involucro monophyllo brevissimo crenulato instructa — Flores 4-5 lineas
“ longi pedicellati — Calyx subconicus, nervosus, pilosus, dentibus subulatis, elongatis,
“ 2 superioribus brevioribus, inferiore longiore. — Corolla calyce 3-plo longior alba, vel
“ rosea, exsiccatione immutata, persistens Vezillum lanceolatum, obtusum, laeve, apice
“ vix emarginatum, subreflexum — Alqe lanceolato-obtusae — Stylus apice reflexo-
uncinatus — Legumen corolla persistente tectum, 3-4 lineas longum, compressum,
torulosum, lanceolatum, superna parte marginatum, ad summum tetraspermum.
Perenn. ,.
Moench credè di dover stabilire un nuovo genere con questo trifoglio, e, ridu-
cendo generico il nome triviale di Linnè, lo chiamò Lupinaster pentaphyllus —
Persoon poi, cui pure parve che convenisse un’innovazione rapporto al genere, ma
cui non piacque il nome adoperato, si servì del nome triviale di Moench come di
nome generico, e viceversa chiamandolo Pentaphyllon Lupinaster. I caratteri asse-
gnati a questo genere Pentaphylon o Lupinaster sono: “ Calyx campanulatus 5-den-
“ tatus, dentibus setaceis, uno sub carina. Stigma uncinatum. Legumen enode teres,
“ polyspermum ,.
Ma questi caratteri a me non sembrano abbastanza validi per costituire un
genere nuovo perchè: 1° il calice non è in nulla diverso da quello degli altri trifogli
— 2° lo stimma è vero che è fortemente uncinato, ma si arriva a questo grado in-
sensibilmente passando per molte specie, cosicchè trovasi alquanto curvo nel 7. elegans
e manifestamente uncinato nel 7. vessiculosum. Finalmente il legume non è terete
ma compresso, e non contiene maggior numero di semi di quel che ne contengano
i T. repens, hybridum e angulatum etc., e in quanto all'essere enode non vi è fra i
trifogli specie alcuna che l’abbia veramente nodoso, e solamente in diversi sonvi
delle protuberanze nei posti occupati dai semi, e queste si osservano anche nel
legume del T. Lupinaster. Avendo la smania di far dei generi nuovi se ne potreb-
bero far quattro dividendo il G. Trifolium: ma l'andamento delle specie ci si oppone:
i caratteri si intrecciano; bisognerebbe separare delle piante che per molti rapporti
devono stare unite, e ho ben conosciuto, che ne risulterebbero generi meno naturali
di quello stabilito da Linneo ,.
Fin qui il Savi.
Dalle sue parole risulta altresì, come Egli non conoscesse la nota del Buxbaum
e riferisse a Moench la creazione del nuovo genere Lupinaster.
Come dicemmo sono ben altri i caratteri che dànno al T. Lupinaster una
252 S. BELLI
particolare fisonomia la quale rivela un tipo di pianta tutto suo proprio. Esaminia-
moli in breve.
Il T. Lupinaster presenta anzitutto un fatto curiosissimo. Esso possiede un
caule in parte ipogeo rizomatoso, strisciante e ramificato assai nella porzione sotter-
ranea (pochissimo invece fuori terra). I brevissimi stoloni gemmiformi, che si possono
osservare sui vecchi rizomi di un cespo in riposo nella stagione invernale, allorchè
hanno raggiunta la lunghezza di un centimetro o poco più (Tav. I, fig. 7 a) conten-
gono nel loro interno già formati i rudimenti delle infiorescenze che si svilupperanno
di poi. — Queste infiorescenze stanno all’apice del breve cono vegetativo rinchiuso nella
gemma ed all’ascella delle due o tre ultime foglie, fra le quali sta l’apice dell’asse
vegetativo stesso. Ne consegue che una sezione mediana di un germoglio consistente
in un corpicciuolo cilindraceo-conico (Tav.I, fig. 1) lascia vedere come esso sia costituito
da un asse brevissimo sul quale si inseriscono in ordine distico le stipole inferiori afille
(esterne). Solo le due, o (più di rado), le tre supreme (interne) provviste di foglioline,
portano ciascuna alla loro ascella un capolino rudimentale; tutte le altre sono sterili
o non dànno che rami fogliferi, in certe circostanze sterili anch'essi. Chiameremo queste
produzioni, nel corso di questo lavoro, gemme ipogee, per brevità di linguaggio. Al-
l’ascella della fogliolina è (superiore) sta il capolino d' ed all’ascella della fogliolina @
(inferiore) sta il capolino a'. Fra questi due capolini sta l’apice dell’asse caulinare
arrestato di buon ora nel suo sviluppo e ridotto ad un piccolo tubercolo mammel-
liforme (1) — I due capolini stanno sulla sezione laterale del diagramma e disposti
in modo che la porzione superiore del capolino inferiore (più giovane) viene ad
adattarsi contro la base del superiore.
Il fatto importante per questa specie è, che per ogni ramo fiorifero proveniente,
dal rizoma sotterraneo non si svilupperanno, a vegetazione finita, che uno due o tre
capolini, cioè tanti quanti stanno già formati nel piccolo tubercolo gemmiforme ini-
ziale sotterraneo, tutto all’opposto di quanto succede nella generalità dei Trifogli, nei
quali l’asse di vegetazione va gradatamente svolgendosi per accrescimento apicale
formativo del caule o dei rami e per ulteriori apici laterali all’ ascella delle foglie,
che diventeranno rami o peduncoli fiorali. — Questo fatto interessantissimo spiega la
singolare struttura definitiva del peduncolo e del capolino del T. Lupinaster, come
vedremo or ora nella sua Infiorescenza.
Esaminato macroscopicamente il capolino del T. Lupinaster appare portato da
un peduncolo di varia lunghezza, il quale non è cilindrico o quasi, come si osserva
nella massima parte dei Trifogli, bensì quasi semicilindrico, poichè la sua faccia interna,
invece di essere piana, come il richiederebbe un vero corpo semicilindrico, è scanalata,
depressa; cosicchè una sezione trasversale di esso (Tav. I, fig. 16) offre una figura
irregolarmente semilunare o reniforme. Questa scanalatura (Tav. I, fig. 4a) percorre
il peduncolo da cima a fondo, e si fa gradatamente più profonda di mano in mano che
sl avvicina all’apice del peduncolo stesso. Nella sua porzione suprema il peduncolo
(1) Nella figura 1, Tav.I, non precisamente mediana l’ apice dell’asse non è visibile. La man-
canza di spazio non ci ha permesso di dare il disegno di altri preparati dove esso è evidente, ma
dove la posizione reciproca dei capolini non è così ben designata come nella fig. 1. Del resto si
capisce come si debba per forza ammettere teoricamente un apice caulinare fra essi.
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 259
è dilatato e termina in una specie di ricettacolo foggiato a spatola od a palmetta
spatolato-ovata, appiattita (Tav. I, fig. 45), in modo da presentare rispetto all’asse
della pianta due faccie, una esterna e l’altra interna: la prima convessa, la seconda
concavo-pianeggiante.
Sulla faccia interna della palmetta sono disposti ordinariamente in più ordini con-
centrici e più o meno regolarmente verticillati i fiori, involucrati da due serie di
brattee saldate a collaretto continuo più o meno denticolato-frangiato (Tav. I, fig. 45,
e 285). A tutta prima questa infiorescenza si direbbe una cima scorpioide (Tav. I,
fig. 26) avvegnachè i fiori inferiori appajano sempre meno sviluppati graduatamente
dei superiori che sono i primi a sbocciare (1). Ma questa falsa apparenza di infio-
rescenza cimosa è un'illusione, a spiegar la quale occorre, come si disse, ricorrere
allo studio della gemma fiorale.
La interessente struttura dell’infiorescenza del T. Lupinaster fu descritta in
modo molto esatto dal Trecul (2). L'Autore riconobbe già fin d'allora che l’infiore-
scenza del T. Lupinaster è un vero racemo, per quanto la posizione della sua base
geometrica corrispondente all’apice organico dell’asse o ricettacolo, la mascheri al
punto da farla rassomigliare ad un’infiorescenza cimosa scorpioide.
Il signor Trecul ha studiato nell’infiorescenza del T. Lupinaster anche la dispo-
sizione ed il decorso dei fasci fibro-vascolari; e basandosi su questi risultati egli
trova una nuova conferma della natura di questa infiorescenza. Egli così si esprime:
(p. 126): “ Si l'on fait une coupe transversale du pédoncule canaliculé on trouve
“ que les faisceaux fibro-vasculaires y sont isolés les uns des autres, et distribués
autour d’un centre médullaire. Ceux qui sont situés près de la face interne du
pédoncule sont notablement plus faibles que ceux de la face externe: ce sont
aussi ces derniers principalement qui fournissent aux fleurs les vaisseaux qu'ils
renferment. En effet, si l'on examine des coupes longitudinales, on voit les fais-
ceaux de la face externe se prolonger dans les fleurs de la première série, mais,
auparavant ils émettent des ramifications qui se rendent dans les fleurs des séries
subséquentes: et cette division s’opère de manière è produire, d’arrière en avant,
des fascicules de différents degrés. Ces fascicules ou ramifications vasculaires du
premier degré iraient dans les fleurs de la deuxième série: leurs subdivisions se
rendraient dans les fleurs de la troisiòme etc. Ainsi ces fleurs recoivent des rami-
fications des faisceaux primitifs d’un degré d’autant plus élevé que ces fleurs sont
insérées plus bas sur l’axe. Les faisceaux de la face interne du pédoncule ne
donnent de vaisseaux qu’aux fleurs les dernières développées. Il est donc bien
évident que le sommet organique de l’inflorescence du Trifolium Lupinaster cor-
respond à sa base géométrique ,.
L'Autore continua esponendo come dallo sviluppo dell’infiorescenza del T. Lu-
pinaster Egli fosse condotto ad applicare erroneamente le stesse norme allo sviluppo
(1) A questa disposizione dell’infiorescenza alluse già il Mceench coll’espressione “ Capitulo dimi-
diato ,, che trovasi spesso ripetuta dagli autori posteriori. Savi aggiunse le parole “ capitula subbifida ,
che noi non comprendiamo bene.
(2) Note sus l’inflorescence unilatérale du Trifolium Lupinaster (“ Bulletin de la Soc. Bot. de
France ,, vol. I, p. 125, 1854).
254 S. BELLI
delle foglioline delle foglie pennate e digitate, stabilendo le diverse categorie di
sviluppo, ed enunciandole quindi nelle basipete — Oggidì è messo in sodo che il
decorso dei fasci può solo in via secondaria servire a stabilire la genesi cronologica
delle parti di un organo o di un vegetale, ma che generalmente l'organo stesso
prima di ricevere la sua impalcatura, il suo sistema vasale, possiede già la sua
forma; ed il sistema meccanico ed il conduttore si adattano, diremo così, ai bisogni
dell'organo stesso, seguendo le vicende del suo sviluppo — Comunque sia il Trecul
ha perfettamente interpretata secondo, me, la natura dell’infiorescenza del T. Lupi-
naster. Gli è però all’organogenesi dell’infiorescenza stessa che era d’uopo rivolgersi
per essere certi della sua natura, e questo studio interessante è stato fatto nel 1876
dal Dutailly (1).
L'Autore divide queste infiorescenze unilaterali in tre gruppi: 1° che comprende
le infiorescenze, nelle quali l’unilateralità non si manifesta che per mezzo dello svi-
luppo tardivo di alcuni fiori, tutti posti dallo stesso lato; 2° nel quale classifica le
infiorescenze unilaterali alla loro base per aborto d’un certo numero di fiori e nor-
mali alla loro parte superiore; 3° nel quale stanno le infiorescenze realmente unila-
terali dalla loro base al loro apice. Nel primo gruppo starebbero 7. arvense, campestre,
pratense, elegans fra i trifogli e l’Hyppocrepis comosa. Nel secondo la Medicago lupu-
lina e V Anthyllis vulneraria sono presi quali tipi di queste serie. Il terzo gruppo
racchiuderebbe un tipo che avrebbe attinenza coi due precedenti e sarebbe precisa-
mente il T. Lupinaster, ed altri tipi secondo l'Autore schiettamente e completamente
unilaterali e rappresentati dalle Vicia e dai Lathyrus. di
Mi limiterò a poche osservazioni su questo lavoro, che meriterebbe una disamina
molto più diffusa, sia perchè questo non ne sarebbe esattamente il luogo, sia anche
perchè, pur essendo esso in massima la conferma della natura racemosa.del capolino
del T. Lupinaster, i punti che mi pajono controversi richiedono uno studio ulteriore
su materiali vivi, che al momento non mi sono concessi — Più tardi ed in lavoro a
parte riferirò le mie conclusioni in confronto a quelle del Dutailly — Pel momento
accennerò solo a poche cose.
Un punto lasciato in oblio tanto nel lavoro del Dutailly come in quello del
Trecul più sopra menzionato è quello per me capitale, che cioè le infiorescenze rudi-
mentali del capolino nel T. Lupinaster si trovano già racchiuse nelle brevissime
gemme ipogee, e che gli internodì supremi che portano le infiorescenze non subiscono
che un leggerissimo accrescimento intercalare, venendo così portati all’apice dei cauli
evoluti nello stesso stadio di sviluppo o poco più, in cui si trovavano nella gemma
ipogea; mentre gli internodì sottostanti accrescono invece rapidissimamente.
Un altro fatto che non ha fermato l’attenzione dell'Autore, e che non è pur meno
di grande momento, è che non sempre il ricettacolo fiorale presenta la consueta
foggia di palmetta ovata con due faccie, una esterna e l’altra interna, dove stanno
inseriti i fiori, ma nelle infiorescenze solitarie è spesso notevole la tendenza del
ricettacolo ad assumere una disposizione molto vicina alla orizzontale, ed in questo
(1) Observations organogéniques sur les infloréscences unilatérales des Légumineuses, in “ Assoc.
Frang. pour l’avane. des Sciences ,. Congrès de Clermont Ferrand. Séance du 25 aoùt (1876).
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 255
caso la scanalatura del peduncolo è meno accentuata in relazione colla diminuzione
della pressione esercitata su di esso dalla stipola del capolino inferiore mancante.
Già abbiamo detto come la disposizione dei capolini e quindi dei relativi pe-
duncoli (nella gemma ipogea) accorciatissimi sia tale, che essi si trovano sempre
laterali nel diagramma — Questi capolini vengono infine portati in alto dall’accresci-
mento intercalare rapido degli internodi, come vedremo in appresso, e costituiscono
la gemma fiorale. Se esaminiamo una gemma fiorale (1) (Tav. 1, fig. 3) in sezione
trasversa si osservano i peduncoli ed i capolini sempre nella posizione laterale del
diagramma come erano nella gemma ipogea. Ne consegue che la faccia interna del
peduncolo superiore è naturalmente rivolta verso il dorso della stipola che avvolge
il capolino inferiore, formando un corpo allungato con margine sottile carenato. Questo
capolino a sua volta è rivolto colla sua faccia interna contro il dorso della stipola
che avvolge il terzo fiore (quando esiste) o, quando manca, verso la stipola che rav-
volge l’apice dell'asse caulinare, che gli è addossato un po’ più in basso.
Evidentemente queste produzioni sono soggette ad una compressione mutua. Ora
due fatti concorrono qui ad esagerarne gli effetti. Il primo è questo, che le infiore-
scenze sono racchiuse in uno spazio relativamente strettissimo, e sono compresse dalle
pareti resistenti delle stipole afille esteriori, fornite di guaina altissima. Il secondo
è, che le stesse infiorescenze debbono star a lungo soggette a questa compressione,
perchè, formate di buon ora sul rizoma sotterraneo antico della pianta, non vengono
a subire grandi modificazioni, fintantochè l’accrescimento intercalare fortissimo degli
internodii sottostanti, che si allungano di molto, e rapidamente, non abbia condotto
ciascun caule alla sua definitiva dimensione e statura. Solo allora l'accrescimento
avviene negli internodii supremi delle gemme fiorali, le quali sviluppano finalmente
dal seno delle enormi stipole allungate e mettono a giorno le loro infiorescenze. In
quest’ultima fase soprattutto il peduncolo fiorale soffre una compressione lenta e gra-
duata dal dorso carenato della stipola che avvolge il peduncolo del fiore più giovane
(Tav. I, fig. 6) coll’ asse abortito, e quivi il peduncolo del fiore sollecitato da due
forze di cui l'una lo comprime lateralmente e l’ altra tende a spingerlo in alto,
subisce una specie di stiramento nel senso della risultante e in proporzione dell’in-
tensità di esse, il quale ha per risultato uno schiacciamento della corrispondente
faccia interna. Finalmente il peduncolo fiorale, liberato dalla lunga pressione subìta
nell'interno del manicotto stipulare, accresce rapidamente e prende la sua definitiva
struttura e dimensione. La compressione esercitata dal capolino inferiore sul supe-
riore e rispettivamente dall’apice dell’asse sull’inferiore, agisce soprattutto sul ricet-
tacolo, appiattendolo ed anche scavandolo. Si capisce quindi che se una superficie
orizzontale, dapprima piana, circolare, e portante più ordini concentrici di fiori pedi-
cellati involucrati da due corrispondenti collaretti di brattee membranacee, venga
schiacciata gradatamente da uno dei lati e lungo una linea, e sia costretta a svilup-
parsi lentamente in queste condizioni, si capisce, dico, come questa superficie debba
poco a poco dilatarsi nel punto opposto a quello dove la schiacciatura è stata più
forte e dove non è impedita di svilupparsi ed assumere una forma più o meno ro-
tonda. I tessuti spinti verso il centro dell'organo debbono arrestarsi nel loro sviluppo,
(1) La fig. 3 della tav. I dovrebbe essere girata di 90' sul piano per avere la sua giusta posizione.
256 S. BELLI
e. quindi anche i fiori e. le brattee, inferiori corrispondenti a. questo punto compresso
devono, abortire. E difatti lo studio anatomico del peduncolo fiorale (che qui non è
il luogo di riferire per disteso ma che sarà dato altrove), (Tav. 1, fig. 16 e 16°) rivela
una, modificazione profonda degli elementi istologici della parte compressa. Il capo-
lino del T. Lupinaster appare, quindi realmente come dimezzato, e la sua. forma di
cima scorpioide non è che una falsa apparenza, mentre siamo qui di faccia ad una
vera infiorescenza racemosa, anormale e larvata. Un’attenta osservazione del capo-
lino concede di vedere alla base del ricettacolo e lungo i margini della scanalatura
del peduncolo numerosi fiori tabescenti, piccolissimi, biancastri, lunghi talvolta ap-
pena un millimetro, ai quali fanno seguito dal basso all’alto altri fiori gradatamente
più sviluppati, finchè si giunge ai supremi sviluppatissimi. L’apice organico del ca-
polino è dunque spostato in basso per la compressione laterale subìta, il capolino
ha sofferto una specie di torsione nel senso verticale che gli ha dato la forma di
cima scorpioide e questa è, secondo me, la ragione per cui i fiori si sviluppano nel-
l’ordine preciso che venne descritto dal Dutailly.
T cingoli membranacei dei capolini nel punto in cui subirono il prolungato schiac-
ciamento o sono affatto abortiti ovvero sono ridotti a piccolissime squamule quasi
fibrilloidi; perciò non è sempre facile in quel punto del ricettacolo l’osservare i rap-
porti ordinarii di posizione fra bratteola e pedicello fiorale. Spesso si vedono pedi-
celli apparentemente extra-bratteali nudi e talora anche inseriti al disotto di qualche
squamula senza ordine visibile.
Tutto questo spostamento di una disposizione che sarebbe regolarissima in un
ricettacolo normalmente sviluppato (per es. nel 7. alpinum) è dovuto al fatto della
compressione suaccennata. Nella porzione superiore della superficie d’inserzione dei
fiori essi stanno più o meno regolarmente inseriti in due o più ordini. concentrici
ravvolte dal collaretto di bratteole. Una prova indiretta degli effetti. della compres-
sione in discorso l'abbiamo nel fatto, che alloraquando in luogo di due o tre capo-
lini per ogni ramo fiorifero (caule) se ne sviluppa uno solo (già solitario. fin dalla
gemma sotterranea) allora questo capolino mostra un peduncolo molto meno scana-
lato inferiormente, e la porzione sua suprema che serve di ricettacolo ai fiori è meno
schiacciata nel senso laterale tendendo a. rialzarsi nel piano orizzontale; in questo
raro caso i due ordini di brattee sono disposte quasi normalmente cioè verticali, e
la porzione corrispondente allo schiacciamento è frastagliata ma non affatto soppressa
(Tav. I, Fig. 5). Anche i fiori sono allora più normalmente sviluppati ed il capolino
assume la forma tendente all’emisferica, lassa, avvicinandosi a quella delle Amorie.
La diminuita compressione è occasionata in questo caso dalla mancanza del corpo
costituito dal capolino inferiore ravvolto nella stipola, ed il solo capolino che esiste
trovasi leggermente compresso alla sua base solo dall’apice dell'asse caulinare tenue
in confronto al capolino non esistente.
Abbiamo già detto come i capolini del T. Lupinaster stiano già iniziati nella
breve gemma ipogèa, ed all’ascella delle foglie supreme, le quali sole nella gemma
stessa portano foglioline, mentre le esterne involucranti sono afille o portano gemme
rameali. Dicemmo pure come al momento dello sviluppo epigeo di queste produzioni
succede un enorme e rapido sviluppo intercalare, che allunga rapidamente l’asse cau-
linare, originando degli internodii lunghissimi ricoperti in basso dalle stipole afille.
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 257
Ora i due o tre internodii supremi determinati dalle foglie fiorifere non partecipano
a tutta prima a questo accrescimento subitaneo del caule, ma vengono portati, bre-
vissimi ancora, all'apice del caule, dove costituiscono la gemma fiorale. Più tardi poi
l'accrescimento longitudinale colpisce anche questi internodii, ed allora la gemma
fiorale si apre e gli internodii si allungano.
Di più è da notare che nel T. Lupinaster le sole foglie supreme sono fiorifere,
mentre all’ascella delle stipole infime afille o delle susseguenti fogliute non si ori-
ginano mai, in grazia di un’evoluzione posteriore di gemme, salvo casi eccezionali,
peduncoli fiorali e ben di rado rami secondarii (Vedi pag. 260).
Invece, per es., nella Stirps del 7. alpinum gli scapi fioriferi solitari sono por-
tati all’ascella delle foglie inferiori dei rami brevissimi, mentre l’apice del ramo
seguita a crescere indefinitamente, arrestandosi solo nell'inverno, e sviluppando nuove
foglie apicali, delle quali le supreme non portano infiorescenze ascellari. Questa strut-
tura fiorale del T. Lupinaster, finora non studiata per quanto io mi sappia, potrebbe
ben essere dipendente dalle condizioni di vegetazione alle quali la specie è sotto-
posta, data la sua ubicazione nelle alte latitudini (Siberia, Circolo polare (Sommier)).
Avviene forse del T. Lupinaster quello che succede alle piante crescenti in livelli
altimetrici elevatissimi, nelle quali, come è noto si possono trovare già formati nelle
gemme degli organi che, in altri vegetali posti in condizioni più favorevoli, si svi-
luppano molto più tardi per graduale evoluzione di speciali meristemi. Così è del
T. Lupinaster. Tutto il lavorìo di formazione dei capolini avviene sotterra allorchè
il rizoma ipogeo organizza le piccole produzioni gemmiformi, che si svilupperanno
di poi in altrettanti cauli fioriferi. Nel 7. alpinum che è precisamente pianta delle
regioni elevate delle alpi e nei suoi affini, ha luogo un fatto analogo, sotto il rap-
porto biologico quantunque differisca sostanzialmente dal lato morfologico da questo
del T. Lupinaster. A suo luogo ne terremo parola (Vedi T. alpinum. Generalità).
È qui il caso di ricordare come anche nel T. Lupinaster le infiorescenze per quanto
apicali ed apparentemente terminali, siano affatto ascellari. Alcuni Autori (Moench,
Savi, ecc.) ascrissero al T. Lupinaster infiorescenze o peduncoli terminali, le quali
teoricamente non possono esistere neppure nel senso dato loro dal Celakowsky (Vedi
Celak. Oesterr. Bot. Zeitserf., 1. c., p. 77).
Un altro carattere, non proprio esclusivamente del T. Lupinaster, perchè si
osserva in altre poche specie europee ed africane, è la mancanza assoluta del pic-
ciuolo, esistente invece, ed anzi sviluppatissimo, nelle specie che gli Autori vogliono
riunire al T. Lupinaster in sezione (7. alpinum, polyphyllum, ecc.).
Le foglioline del T. Lupinaster hanno delle denticulature marginali a denti
ricurvi che finiscono in un'appendice uncinata cornea, simili assai a quelle del 7. ru-
bens e del T. montanum (1), ma assai più robuste. Nel gruppo del 7. alpinum le
foglioline hanno invece denticulature subnulle. La mancanza delle foglioline nelle
stipole inferiori del T. Lupinaster non è un carattere speciale ad esso, ma, come
(1) RercaenBaca, FI. exe., 1. c., riunisce nella sez. Lupinaster, col T. alpinum il T. montanum che
egli ritiene quale anello di congiunzione fra la sez. Lupinaster e la sez. Micrantheum. È indubbio
che il 7. montanum ha una lontana analogia col T. Lupinaster soprattutto per l’ovario villoso e per
la forma delle foglioline. È però altrettanto certo che appartiene per noi a tutt'altra Stirps.
Serie II. Tom. XLIV. al
Di.
258 S. BELLI
è noto, è comune a tutte quelle piante, nelle quali, esistendo un rizoma sotterraneo
la funzione assimilatrice del lembo è abolita. Però nel caso nostro questo carattere
diventa un valido diagnostico nella ricognizione della Stirps, quando si voglia para-
gonare al gruppo del T. Lupinaster quello che comprende il 7. alpinum, poly-
phylum, ecc.
Il calice del T. Lupinaster non offre in massima particolarità che possa giu-
stificare la sua separazione dal G. Trifolium, come pretendeva il Moench; se si vo-
lesse pesare sopra questo solo carattere le Galearia ed i Trigantheum potrebbero
vantare ben maggiori diritti. Ma se il calice del T. Lupinaster è in massima quello
di tutti gli altri Trifogli, esso è però tipicamente differenziabile da quello del 7. al-
pinum ed affini; soprattutto nelle dimensioni costantemente minori, nella forma della
fauce tagliata obliquamente a spese del labbro superiore; nei rapporti di lunghezza
fra tubo e denti, nella disposizione delle nervature dentali, nella forma dei denti e
dei seni interdentali; e finalmente anche nell’indumento che nel gruppo del 7. @l-
pinum manca completamente (all’infuori delle produzioni glanduloso-clavate comuni
a tuttii Trifogli). L’ovario del T. Lupinaster contiene costantemente 4 0 più ovoli
ed è villoso superiormente; quello del 7. alpinum costantemente due, ed è perfetta-
mente glabro.
Molto simile invece è la struttura e la forma del vessillo nel T. Lupinaster
e nel gruppo del 7. alpinum e, per dirla in breve, anche in tutti i Loxospermum;
cosicchè sotto questo rapporto si potrebbe benissimo riunirli in un gruppo molto
grande, caratterizzato dal diametro longitudinale grandissimo del vessillo, fornito di
nervature percorrenti in parte la lamina per intero, ripetutamente biforcate e riunite
in basso in pochi fasci non molto robusti. Tutte queste specie a grandi fiori presen-
tano ancora altri caratteri nel vessillo abbastanza notevoli; tali per es. quello di
mancare della strozzatura fra lembo ed unghia, così caratteristico nelle Amorie (ed
anche nei Lagopus); di essere foggiati un po’ a barchetta nella porzione infima cor-
rispondente all’unghia, e finalmente di essere quasi affatto liberi dagli altri petali
salvo per un brevissimo cercine basilare. Questo carattere però è comune anche alle
Amorie. Si può ancora far cenno qui del modo costante di comportarsi di questi
grandi vessilli, i quali prima e dopo l’antesi sono affatto deflessi sul resto dei pe-
tali che avvolgono completamente, mentre all’epoca della fecondazione si rialzano
alquanto anteriormente, ma non così esageratamente come nelle Amorie, dove questo
fatto pare anche in relazione colla strozzatura del vessillo stesso. Il vessillo persiste
a lungo accartocciato sul legume assieme agli altri petali e prende una consistenza
quasi scariosa.
Fra i caratteri che indussero il Mcench a stralciare dal G. Trifolium il T. Lu-
pinaster troviamo anche quello dello stilo uncinato. Su questo punto siamo perfet-
tamente d’accordo colle osservazioni di Savi più sopra citate. Ma d'altra parte è
anche vero che il T. Lupinaster ha uno stilo diversamente foggiato da quello del
T. alpinum ed affini. Anzitutto lo stilo della prima specie è evidentemente molto più
curvo alla sua estremità stigmatifera, ma per di più presenta due schiacciature in
due sensi opposti, che nel 7. alpinum mancano. Nella sua porzione basilare, che con-
tinua colla sutura ventrale, lo stilo del T. Lupinaster è abbastanza compresso nel
senso antero-posteriore, mentre la porzione superiore uncinata è schiacciata nel senso |
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 259
trasversale. Le papille stigmatiche sono portate specialmente sulla faccia inferiore
dello stimma la quale in grazia della curva diventa superiore, ma sono impiantate
anche sulla vera faccia superiore ed all’ apice dello stigma, che si può senza tema
di errare chiamare a bottoncino schiacciato (1). Lo stilo del 7. alpinum è affatto cilin-
drico, va gradatamente assottigliandosi a guisa di lesina ed ha una superficie stigma-
tica molto meno sviluppata. Sotto questo riguardo si avvicina anche alle Amorie,
nelle quali però lo stilo grosso e cilindrico alla base non è così assottigliato supe-
riormente dove va a terminare con una grossa capocchia stigmatifera.
Un'altra particolarità da non passare sotto silenzio nel T. Lupinaster e che
pare in relazione col suo modo di vegetare è questa: sezionando longitudinalmente
una delle gemme ipogee del suo rizoma sotterraneo si scorgono all’apice dell’asse
caulinare breve e tutto intorno alle infiorescenze rudimentali ivi contenute dei nu-
merosissimi peli clavato-pedicellati di cui altrove già parlammo, trattando cioè
delle Galearie e dei Trigantheum. Queste produzioni comuni a tutti i Trifogli (2)
stanno abborracciate nella cavità formata dalle foglioline giovanissime, che contor-
nano la gemmula fiorale, sui calici appena abbozzati, sui margini delle stipole, ecc.
e sono così numerose da formare una specie di turacciolo, che riempie questa cavità
‘costituita dalle stipole ricurve a volta sulla piccola infiorescenza. I margini delle
giovànissime foglioline appartenenti ai due o tre internodii superiori della gemma
ipogea, sono guernite altresì di numerosi peli flagelliformi, lunghi, denticulati per
ingrossamenti dovuti ad ossalato calcico.
A giudicare dal loro numero stragrande, dal posto dove si originano e dal fatto
che esse vanno diminuendo di mano in mano che l’infiorescenza si sviluppa, non es-
sendo esse più reperibili che sul calice (spesso dentro e fuori), non ci pare soverchio
ardimento il supporre in esse un ufficio di protezione delle gemme e degli organi
fiorali giovani. Queste produzioni si trovano nella pianta adulta sparse anche sulle
stipole, più di rado sulle foglie e sul caule, e la loro diminuzione in confronto alla
frequenza loro nella gemma, è dovuta anzitutto a ciò, che non formandosene altre
col crescere della pianta e del tessuto del calice e delle stipole, esse debbono natu-
ralmente parer diminuite di numero in ragion diretta dell'aumento delle superficie;
di più esse sono facilmente caduche. Spesso non sono visibili anche al microscopio
se la preparazione non è trattata previamente con una soluzione alcoolica od acquoso
di jodio. In nessun trifoglio però, di quelli da me esaminati finora, io ho potuto tro-
vare una quantità così grande di queste glandule come nel T. Lupinaster, anche
nell'esame delle gemme fiorali. E se è lecito supporre un nesso immediato di causa-
bilità fra la lunga durata di tempo che corre dalla formazione della gemma ipogea
(1) WrrLromm e Lance, l. c., p. 353, hanno stabilito una sotto-sezione Platystilium nella quale
comprendono il solo T. montanum e varietà. La caratteristica dice: “ Ovarium et legumen..... în stylum
‘ basi latum compressum productum ,. — Questo carattere aggiunto alla villosità dell’ovario di cui
gli autori tacciono, ravvicinerebbe fino ad un certo punto la Stirps del 7. Lupinaster sottosezione
degli autori sopracitati. — Il 7. montanum è una specie che necessita uno studio ulteriore perchè la
sua posizione nei Trifogli sia nettamente stabilita.
(2) Confronta anche VurLemn, La subordination de la fewille dans le Phylum des Anthyllis,
pag. 324, lin. 5 (dall'alto) e fig. 47. Nancy, Impr. Berger-Levrault e C., 1892.
260 S. BELLI
all’espandersi delle infiorescenze, e la necessità di possedere un apparato di. prote-
zione contro gli attriti che questa gemma può subire prima che giunga a E
non parrà soverchiamente fuori luogo la mia supposizione.
Citerò ancora un altro carattere che mi venne fatto di osservare nella radice
del T. Lupinaster e che lo allontana sempre più dal gruppo del 7. alpinum.
I saggi spontanei numerosissimi da me osservati nell’erbario di Berlino, in quello
particolare del Prof. Ascherson, dei Sigg. Sommier e Levier e degli Orti Botanici
che gentilmente mi fornirono di materiali di studio, mostrano una vera radice tube-
rizzata, che potrebbe paragonarsi per forma e salve le dimensioni a quella degli
Asphodelus o delle Dahlie, Phyteuma, ecc., però poco ramosa e poco fibrillosa. Invece
nel T. Lupinaster, che da molti anni si coltiva nel R. Orto Botanico di Torino, si
trova sempre una radice fatta di membra obconiche, ramificata assai, ma poco o
nulla tuberizzata.
Per ultimo accennerò ancora ad una particolarità che tocca la ramificazione del
caule del T. Lupinaster. Dissi più sotto che questa specie raramente mostra rami-
ficazioni ‘di 2° ordine nei cauli fioriferi epigei. (Nel rizoma sotterraneo le ramifica-
zioni sono invece numerose). Su questo proposito debbo però accennare ad un fatto
che mi occorse ogni qualvolta dovetti servirmi di piante coltivate per studiare le
gemme ipogee. Staccando dal rizoma vecchio queste gemme, dopo alcun tempo esso
rimetteva altri germogli più sottili, meno ingrossati all’apice (dove di solito stanno
le infiorescenze rudimentali) e costantemente sterili, privi di infiorescenze e soltanto
fogliferi. Questi rami dopo essersi alquanto allungati emettevano all’ascella delle loro
stipole altri rametti di 3° ordine con foglie molto ottuse. Su questi rami nascevano
alla loro volta altri rametti di 4° ordine i quali erano tutti provvisti di fiori. Non
ho potuto osservare più a lungo questa alternanza consecutiva di rami fogliferi e
fioriferi, che però si osserva spesso in molti altri vegetali (Pomacee, Ampelidee, ecc.).
Ma il curioso è che questi rametti invece di crescere fra il caule e la stipola un.
po obliquamente all’asse generatore, perforavano la stipola e crescevano quasi per-
pendicolari all’asse generatore, lasciando la stipola fra loro e l’asse stesso.
Riassumendo tutte queste osservazioni e tenuto anche conto della facies gene-
rale del T. Lupinaster ci riesce impossibile di riunire il T. Lupinaster alla Stirps
del T. alpinum. E secondo noi se è da lodare nel Savi la sua esitazione a crear
nuovi generi, esitazione che noi dividiamo del tutto in ragion diretta delle diffi-
coltà che le nuove vedute sulla tassonomia hanno create nel limitare il concetto
generico, non si può per altro soverchiamente biasimare il Buxbaum, allorchè cre-
dette di riconoscere nel T. Lupinaster un tipo differente per struttura dai Trifogli
Tournefortiani e Linneani.
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE
261
»
DIMOSTRAZIONE GRAFICA
DELLE Stirpes, CONTENUTE NELLA sezione Lupinaster.
Secto LUPINASTER
s9° Eviupinaste, i
N
T.eximium Steph. Subv.6
T.Lupinaster L.
(= Species
& Subspecies
D Varietas
€ Subvarietas
262 S. BELLI
STIRPS Pr.
EULUPINASTER Nob.
CarAcT. — « Caules initio hypogagi, rhyzomatosi, e gemmis apogeotropicis (sensu
Darwiniano) (1) prodeuntes, et inflorescentias rudimentales apice gemmarum inclusas
gerentes. —- Stipule rhyzomatis et inferiores caulorum epigeorum aphyllae: superiores
caulis tri- quinque- septem- novem foliolatae » NoB.
Hujus stirpis: T. Lupinaster L. — T. eximium Steph.
SPECIES 1?.
T. Lupinaster, L.
L. Sp. pl., ed. HI?, p. 1079 (1764), et Sist. Veg. (14 ediz. Murray), p. 687
(1784) — Thunbg. FI. Japon., p. 290 (1784) — Wild. Sp. pl. Vol. II, p. 1357
(1800) — Schkuhr Bot. Handb. Vol. II, p. 402 (1805) — Ait. Hort. Kew. Vol. IV,
p. 381 (1812) — Sidth. et Sm. FI. Grec. Prod. Vol. II, p. 95 (1813) — Savi Bibliot.
Ital. Vol. VII, p. 132 (1817) — Link Enum. R. H. B. Berol. Vol. II, p. 260 (1822)
— Maratti FI. Rom. Vol. II, pag. 153 (1822)? (2) — Savi Bot. Etr. Vol. IV, p. 47,
N. 496 (1825) — Ser. in DC. Prod. Vol. II, p. 204 (1825) — Leded., C. A. Meyer
et Bunge FI. Alt. Vol. III, p. 258 (1831) — Lessing FI. Sud Ural u. stepp. in
Linnaea, Vol. IX, p. 154, 157 (1834) — Richter Cod. Bot. Linn., p. 742 (1835) —
Ledeb. Fl. Ross. Vol. I, p. 551 (1842) — Griseb. Spicil. FI. Rumel. Vol. I, p. 8
(1843) — Dietrich Syn. pl. Sez. IV, p. 1003 (1847) — Nyman Syll. Fl. Europ.
p. 296 (1854-55) — Aschers. Beitr. Fl. nordòst. Deutschl. in Linnaea, Vol. XXI
p. 504 (1859-60) — Reichbch. fil. Icon. FI. Germ. et Helv. Vol. XXI, p. 74 (1874)
— Celak. Ueb. Aufb. der Gatt. Trifolium in Oesterr. Bot. Zeitschf., N. 2, p. 42 et seg.
(1874) — Nyman Consp. FI. Europ., p. 179 (1878-82) — Koch Taschbch. der Deutsch.
u. Schw. FI., ediz. 22, p. 521 (1878) — Garcke FI. von Deutschl., p. 96 (1878) —
Janka Trifol. Lot. Europ., p. 154 (1884) — Schlehtdl. etc Hallier Fl. von Deutschl.
Vol. XXIII, p. 275 (1885) — Garcke FI. von Deutschl., 162 ediz., p. 104 (1890).
(1) Darwin, La faculté motrice dans les plantes (trad. Heckel), Paris, Reinwald, 1882, p. 6.
(2) Vedi la © Distribuzione Geografica del 7. Lupinaster , a pag. 270.
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 263
Lupinaster sp. Buxdaum, l. c.
Lupinaster pentaphyllus Mench, 1. ce. — Presl. Symb. Bot. Vol. I, p. 47.
Pentaphyllon Lupinaster Pers., l. c.
Pentaphyllum Ammani. Ledeb. Ind. Sem. H. Dorpat, p. 5 (1823).
Pentaphyllum Lupinaster Spreng., 1. c.
Lupinaster purpurascens Fisch. (in litt.) sec. Ser. in DC. Prod., L c.
(Vide quoque in “ observationibus , Auctores ante Linnaeum).
Subvar. 8. olbiflorum Ser. in DC. Prod., 1 c. — Ledeb. FI. Ross., 1. c.
Lupinaster albens H. gorenk. (ex Besser in herb. Zeyheri) sec. Ledeb. FI. Ross., 1. c.
Lupinaster albens Fisch. in Herb. R. H. Bot. Berol.
Subvar. y obtusifolium Nob. = T. Lupinaster var. y oblongifolium Ser. in DC.
Erod*, ;l. c.
Icones. — Buxrbaum, 1. c. — Bot. Mag. 22, 879 (Pritzel) — Gmelin FI. Sibir.
Tab. 6,.fig. 1 — Martyn FI. Rust. t. 16 — Reichdceh. fil. Icon, I. c., tab. 81 —
Schlchtdl. etc. Hallier, 1. c., fig. 2390.
Icon nostra. — Tab. I, fig. 116°.
“ Pedunculis axillaribus, interno latere profunde canaliculato-sulcatis, in recepta-
culum dilatatum subovatum, intus excavatum extus plano-convexulum desinentibus. Floribus
magnis (12-15 mill. long. usque ad 20), interna facie receptaculi, irregulariter bi-seriato-
subverticillatis; pedicello longiusculo villosulo affiris; inferioribus semper minus evolutis,
saepe tabescentibus, cymam scorpioidem simulantibus, revera racemosis ; quoque verticillo
involucro tenui, squamiformi, continuo, interno latere tantum interrupto, denticulato-
erosulo, villosulo-ciliato suffultis — Legumine superne villosulo 4-plejospermo, sutura
superiori dehiscente vel lateraliter ruptile — Foliolis sessilibus 3, 5, 7, 9-natis, elegan-
tissime nervosis nervis elevatissimis apice cartilagineo sursum verso terminatis , Nob. Y.
Subvar. B_“ Floribus albis, foliolis saepius lineari-lanceolatis acutiusculis , Nob.
) p
Subvar. y — “ Foliolis apice obtusis, lato-lanceolatis vel oblongo-obovatis nervis
dentibusque obsoletioribus , Nob.
DESCRIZIONE.
Perenne:
Radice di solito fascicolata subtuberizzata, napiforme (rammenta quella della
Campanula rapunculus, dei Phyteuma, Asphodelus, ecc.) ramificata inferiormente ov-
vero (nel 7. Lupinaster coltivato) suddivisa in rami di 2° e 3° ordine gradatamente
decrescenti in grossezza fino alle radicelle capillari numerosissime formanti una fitta
matassa provvista di numerosissimi grumi a corpuscoli bacteroidi. .
Caule cespitoso. Rami molteplici dal colletto, più di rado uno solo dapprima bre-
vissimi, gemmiformi ravvolti dalle stipole afille accavalcantisi, poi gradatamente
2604 ‘+ S. BELLI
arcuato-ascendenti (apogeotropici) e finalmente epigei, allungati, con internodii distanti,
cilindrici, glabri o leggermente pubescenti in alto, verdi, o colorati in sanguigno alti
fino a 60 cent. semplici, rarissimamente ramificati.
Foglie senza picciuolo. Quelle della porzione ipogea rizomatosa ridotte alla sola
stipola, brevi, appressate, tubulose (lineari distese in piano, più o meno guainanti
inferiormente, con due brevi orecchiette (code) ottuse od *arrotondate, mucronate o
no, e cigliate superiormente per peli brevi, rigidi, denticolati le susseguenti dap-
prima trifoliolate con stipole più allungate, conformi alle precedenti, colorate in
verde od in rossigno, membranacee, presto scariose, biancastre, con code triangolari-
allungate più o meno ottuse od anche acute, guainanti alla base: le superiori
con 5-7 e rarissimamente con 9 foglioline, e con stipole larghe ovato-oblunghe,
con guaina alta e con code oltrepassanti la parte adesa, acuminate, glabre, cigliate.
— Foglioline più verdi sopra, più pallide sotto, inserite direttamente sulla sti-
pola, glabre o villose soltanto di sotto lungo la nervatura mediana, lanceolato-
oblunghe, oblungo-lineari o lineari-lanceolate, più di rado (var. 1) obovate, spesso
acute, ottusette (var. Y) e raramente acuminate, mucronulate, finissimamente e dop-
piamente seghettate al margine, con denticulature alternativamente grosse e piccole,
terminate in punta cartilaginea ricurva verso l’apice della fogliolina o più di rado
con denticoli poco salienti (var. y); elegantissimamente nervose, con nervi elevati e
sporgenti sulla pagina inferiore, specialmente il mediano, fitti, appressati, arcuato-
paralleli, pennati, ripetutamente forcati e coi nervi più esili frapposti ai rami della
biforcazione.
Infiorescenza. — Peduncoli ascellari del caule e più raramente dei rami (Vedi parte
generale) di lunghezza varia e scanalati sulla faccia interna. Capolini dimezzati ir-
regolari, non numerosi (ordinariamente due o tutt'al più tre per ogni caule), più o
meno lassi, con 4-5 fiori od un po’ compatti (fino a 40 fiori), grandi, vistosi (12.
(media 16), 20 millim. lunghezza) (Vedi parte generale); i superiori più sviluppati,
gli inferiori man mano più piccoli e gli infimi spesso intristiti. Pedicelli pubescenti
o glabriusculi, subeguali al tubo calicino o più brevi, talvolta più lunghi, inseriti
talora senza ordine apparente, ma più spesso disposti in due o tre ordini concentrici,
salvo in corrispondenza alla scanalatura interna del peduncolo ed all’ascella di squame
saldate a collaretto membranaceo-scarioso, crenulato-ondulato, cigliato (costituito da
una semplice duplicatura epidermica), spesso colorato in rossigno come i pedicelli
ed interrotto pur esso a livello della gronda del peduncolo, od anche ridotte in tal
punto a minute squamule o fibrille indistinte, disordinate, ravvolgenti i pedicelli.
Calice campanulato-obconico, tagliato un po’ in sbieco dall’alto al basso (a spese
del labbro superiore), membranaceo, spesso colorato in rossigno, pubescente per peli
un po’ crespi esternamente in corrispondenza della fauce ed anche un po’ sulla
faccia interna alla base dei denti e sugli spazii interdentali parabolici, con dieci
nervi, dei quali cinque (dentali) più validi e continuantisi nei denti triangolari-allun-
gati, sottili (subulati) trinervi alla base e poi uninervi con fitte e brevi ciglia al
margine e quivi più o meno scariosi, più lunghi del tubo talora il doppio, segnata-
mente l’inferiore,
Corolla porporino-rosea, massime nella porzione superiore dei petali, pallida in-
feriormente, ovvero tutta bianca (var. 8), seccando subscariosa, persistente a lungo
fesa;
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 265
accartocciata sul legume e finalmente caduca. Vessillo quasi libero dagli altri petali
connati nell’unghia, obovato o lanceolato-ellittico (disteso in piano), dapprima com-
piegato sugli altri petali, poi leggermente rialzato anteriormente ed ai lati al mo-
‘ mento dell’antesi e finalmente accartocciato di nuovo; lungo il doppio del calice e
più; con unghia subnulla, arrotondato all’apice, integro o lievemente smarginato-
troncato, mucronulato, ricco di nervature esili, furcate, riunite in pochi fasci più
grossi alla base. AZ alquanto più brevi del vessillo, irregolarmente lanceolato-obovate,
con auricula rostriforme ottusa. Carene cultriformi, apiculate e con auricula breve
ottusa, subeguali alle ali.
Stami colla porzione concresciuta più lunga assai dei filamenti liberi che sono
alternativamente dilatati e no sotto l'inserzione delle antere e il mediano più dila-
tato di tutti, talora il mediano solo dilatato. Stame vessillare libero, subulato. Antere
introrse, dorsifisse, oblungo-ellittiche. Polline grande, globuloso, con tre pori di
deiscenza.
Ovario irregolarmente fusiforme, stipitato, poliovulato, glabro dovunque salvo an-
teriormente sulla sutura ventrale, dove è fornito di due serie di finissimi villi pro-
lungantisi spesso fino ai */, della lunghezza dello stilo, rarissimamente con qualche
villo sparso; stilo un po’ schiacciato nel senso antero-posteriore alla sua origine,
poi cilindrico, e finalmente schiacciato lateralmente in alto nella porzione ricurva
stigmatifera. Stimma a bottoncino, dorso-ventrale.
Legume brevemente stipitato, lineare, oblungo, membranaceo, glabro salvo che su-
periormente sulla sutura ventrale lungo i margini, dove conserva i villi già accen-
nati sull’ovario; leggerissimamente venuloso-reticolato sulle pareti, deiscente sulla
sutura ventrale e contemporaneamente per rottura delle faccie. Semi (4 (media 5),
8, 10) globuloso-cordiformi, compressi, verdognoli, lisci, disposti colla loro faccia
perpendicolarmente all'asse longitudinale del legume. Cotiledoni accumbenti: radi-
chetta discretamente prominente.
LETTERATURA E CRITICA.
Fra i pochi Autori‘anteriori a Linné che si occuparono del T. Lupinaster, citerò
Gmelin (1), che lo descrisse e figurò assai bene. A sua volta questo Botanico si ri-
ferisce ad un “ Trifolium montanum purpureum folio obtuse crenato , di Bauhino
(Pin.), il qual carattere non ci pare molto spiccato nel T. Lupinaster. Ma, al solito,
è difficile dire se Bauhino alludesse veramente al T. Lupinaster con quella frase.
Trascrivo qui sotto la descrizione dello :Gmelin, la quale tien conto di molte parti-
‘colarità del T. Lupinaster, tralasciate dagli Autori moderni :
. “« Radix crassiuscula, intus alba, foris fusca, asphodeli ramosi non multum absi-
milis; caules ex ea plures, septem vel ‘octo geniculis distineti a quibus stipulae
vaginantes prodeunt foliola emittentes lanceolata serrulata, primordialia terna, se-
quentia quina, rarissime sera, magnitudine inequalia, vigente planta utrinque vi-
ridia breui pediculo insidentia.
(1) D. Ion. Grora. Guerin, Flora sibirica, t. IV (Petropoli), 1769, pag. 19, n. 27.
Serie II. Tom. XLIV. i ;
266 S. BELLI
“ Flores capitati terminales, nec infrequenter ad caules copiosi. Calycis tubus
“ breuis quinquedentatus, dentibus tribus, inferioribus longitudine fere carinae, supe-
“ rioribus brevioribus. Alae et carinae infra cum filamentis novemfidis coalitae;
“ corolla persistens vel purpurea vel alta; legumen calyce longius, polyspermum.
Capitula longe pedunculata sunt, situs (1) nonnumquam ut caulis in fastigio prae-
longetur atque capitulum protrudat maiori florum numero compositum.
“
4
“ In omnibus Sibiriae montosis locis, praesertim in rupibus inter Zeniseam et Kras-
“ nojaricum urbes, circa Irkutiam usque ad mare orientale occurrit. Ammannus habet
“ et Baskirorum regionibus ab Heinzelmanno adlatum quoque fuisse.
“ Sub initium mensis Tuni floret, atque sub medium Augusti semina sua perficit ,.
Pare che°questo Autore abbia osservato qualche cosa di anormale nel capolino
del T. Lupinaster; devo però confessare che io non posso comprendere il signifi-
cato della frase: “ ...ut caulis in fastigio praelongetur atque capitulum protrudat
“ majori florum numero compositum. , La curiosa disposizione dei fiori nel capolino
del T. Lupinaster, oltrechè da Linné e da’ suoi predecessori, è stata notata da altri.
Sehkuhr, 1. c., scriveva: “ T. Lupinaster... mit getheilten Blumenkòpfchen ,; Koch
e Garcke, 1. c.: “ Dolden einseitig ,; Reichenbach (fil) accennò solo ed unico alla cu-
riosa conformazione del collaretto adattantesi al ricettacolo foggiato a palmetta colla
frase “ involucro semicupulari ,.
Non mi fu concesso di vedere le descrizioni o le frasi degli Autori di Flore
Russe (eccettuate le citate) o di coloro che scrissero sul T. Lupinaster raccolto nei
viaggi, quali Iundzill, Eichwald, Pallas, Besser, Fisch, Georgi, Lepechin, Falk, Claus,
Goebel, Turczaninow, ecc.
Non posso passar sotto silenzio come Presl nella caratteristica della sezione
Lupinaster scriva: “ herbae humiles , e “ vexillo non nervoso-plicato ,, due carat-
teri che non si confanno col T. Lupinaster da lui riunito in questa sezione con
altre specie non legate per naturale affinità, come già si è detto. Aggiunge il Presl
che il nome Lupinaster dato da Moench a questa sezione deve essere conservato,
quantunque vi si includano altre specie: “ Nomen Moenchi servandum ,. Ma Presl
non dice il perchè. Secondo me invece si dovrebbe dire anzitutto: “ Nomen Buxbau-
“ mii servandum ,, e, del resto, a giudicare dai caratteri di Moench, il genere Lu-
pinaster dovrebbe scomparire.
Dalla descrizione dello Gmelin appare come la varietà a fiori bianchi fosse già
fin da tempi remotissimi conosciuta. La descrizione di Buxbaum ‘accenna nel suo
tipo a corolle porporine, ma è probabile che anche la var. aldiflora sia altrettanto
espansa nel suo luogo natale. Nell’Erbario del Museo Imperiale di Berlino ho ve-
duto un saggio di 7. Lupinaster che mi parve fino ad un certo punto distinto per
la forma delle foglioline piuttosto obovate che lanceolate, e soprattutto ottusissime
all’apice. In esso anche le nervature erano meno accentuate e la consistenza del lembo
minore. Foglioline però ottusissime in esemplari coltivati ho osservate soventissimo,
massime allorchè si tagliano i cauli fioriferi ed il rizoma mette nuovi germogli.
À
(1) Prima di “ situs , dovrebbe esservi “ Pedunculus? , (questa parola supponibile manca nel
testo).
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE | 267
in un solo saggio dell’Erbario di Berlino ho” osservato delle foglioline acuminatis-
sime con lungo mucrone apicale.
Il T. Lupinaster varia poco nelle sue membra vegetative e meno ancora negli
organi fiorali. La varia sua statura ed il suo sviluppo sono certamente in dipen-
denza di circostanze locali di vegetazione. Si legge nella lora Altaica di Lede-
bour, l. c., che la var. B purpurascens “ caulem habet erectum elatiorem, qui in
var. a (albiflorum) humilior ipsa basi adscendente, caeterum erectus. ,
Mi è parso però di vedere nei diversi erbarii ed anche abbiamo coltivata la
var. albiflorum con caule molto sviluppato e viceversa la var. purpurascens con cauli
bassi e cespitosi.
Soventi volte il T. Lupinaster mostra foglioline affatto lineari, strettissime, so-
prattutto in certe forme coltivate degli erbarii, nelle quali anche la ramificazione è
più sviluppata. Il numero delle foglioline sembra essere prevalentemente dispari.
Prescindendo dalle primordiali delle stipole inferiori che cominciano a mostrarne
(una, due o tre), esso è quasi sempre cinque, sette e più di rado nove.
Varia eziandio entro certi limiti la lunghezza dei peduncoli fiorali, la larghezza
della palmetta, o ricettacolo ovato che porta i fiori e variano pure nello sviluppo e
nella grandezza e profondità delle dentature i collaretti che li avvolgono; in molti
casi si ha un collaretto molto ben sviluppato con denti regolari così da rammentare
le vere Involucrarie americane. %
Già abbiamo parlato d’una circostanza che fa variare la profondità della scana-
latura nel peduncolo fiorale (Vedi parte generale) in rapporto col maggiore o minor
numero dei capolini nella gemma ipogea; all’infuori di ciò il peduncolo fiorale varia
anche nella grossezza e nell’indumento esteriore tricomatoso.
I fiori hanno una lunghezza media di 16 millimetri con un massimo di 20 ed
un minimo di 12, ben inteso, prendendo a misurare sempre uno dei fiori superiori
di ciascun capolino al momento dell’antesi.
Un po’ variabile è la lunghezza relativa del tubo del calice in confronto ai
denti, ed un rapporto assai costante si ha misurando sempre il dente inferiore, che
è di solito più lungo del doppio del tubo e raggiunge metà della lunghezza del ves-
sillo; questi rapporti sono molto più costanti nel tipo che nella var. 8. La lunghezza
degli altri denti varia in ragione della maggiore o minore obliquità della fauce. Si
hanno variazioni di poco conto nell’abbondanza dell’indumento esteriore tricomatoso
del calice, nella larghezza basilare dei denti e nelle loro nervature, le quali sono
talvolta riunite fra loro da qualche trabecola trasversale. Quanto alla villosità, si
può dire che la var. B è più villosa sul tubo del calice che non il tipo.
Nei petali v’ha uniformità somma quanto a contorni, grandezza e colore, all’in-
fuori delle poche variazioni già dette.
La difficoltà estrema di procurarmi dei semi spontanei di T. Lupinaster mi
impedisce di stabilire degli sperimenti di coltura onde assicurarmi del valore in
costanza delle varietà da me stabilite.
268 S. BELLI
e
HABITAT.
Erbario Mus. Imperiate R. di Berlino.
Dahurien — (Fischer misit) 1839 (Erb. Link.).
Altai — Meyer misit (1832).
Altai — leg. D' C. Dumbery (Barnaoulensi).
Wernoje in regionibus cis = et transiliensibus. Cf. Regel, “ Bull. de la Soc. Impér.
de Moscou ,, 1866 (imp. separ., p. 55) — leg. Kuschakenvicz. i
In pratensibus prope Buchtarminsk (Sibiria Altaica) sat frequens leg. Karelin et
Kiriloff. (1840).
In Diirren Waldern des Grodnickern districts im Sudlichen Lithauen héiufig (Rchb,
Fl. Exc. nov.) leg. S. B. Gorski.
Slato-ust (i. e. Ostium aureum) Ural — Lessing misit (1833).
Bogoslawsk-Jekaterinburg — Ehrenberg (1829).
Amur — leg. Maximowicz.
Subvar. 8.
Herb. Hort. Petrop. ex reg. cis = et transiliensibus — leg. Kuschakenwicz.
Herb. Kunth. Circa Barnaoul (Sibiria) leg. Patrin.
Herb. Hort. Petrop. = Japonia, Nippon, Fudzi-Yama (mons ignivomus prope Tokio)
leg. Jeddo.
Subvar. v.
Herb. Royal Gard-Kew. — Coast of Manchuria (Lat. 44-45 N.), leg. C. Wilford (1859).
Erbario Ascherson (Berlino).
Herb. Klinggréff. Thorn im Grabier Walde (Borussia occid.), leg. Nowicki (Juli 1853).
Herb. Rostafinski — Ciechocinek bei Wtoctaweck (Polonia rossica, haud procul ab
urbe borussica Thorn), leg. E. Alexandrowicz.
Argenau (olim Gniewkow) Kr. Inowrazlaw. Provinz Posen. Kiefernwalde éstl. d.
Eisenbahn am Wege nach Ruhheide, leg P. Ascherson — 18-1888.
Argenau — Chaussee nach Thorn im Kiefernwalde, leg. P. Ascherson.
Subvar. f.
Herb. Sanio — Lyck im Baranner Forst. (Borussia orient.), leg. Otto Fischer (Jul.
1856).
Argenau — Chaussee nach Thorn im Kiefernwalde, leg. Dabrowski (Cf. Bericht der
Deutsch. Bot. Gesell. 1892, p. 74).
NB. — Kock, ed. 4° (curante Wohlfahrt, p. 574), ritiene che il T. Lupinaster
sia pianta originaria di Siberia ed importata in Lituania e Prussia. Il Prof. Ascherson
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 269
di Berlino che gentilmente mi comunicò il materiale del Regio Museo ed il suo
proprio, aggiunge in una sua lettera, che l'opinione del Koch sopra esposta sul 7. Lu-
pinaster è falsa: “ Opinio erronea T. Lupinaster plantam Sibiricam esse in Europam
“ tantum efferatam redit nuperrime in Koch Syn. ed. 4, curante Wohlfahrt, p. 574 ,.
“ Aus Sibirien eingewandert ,,.
Erbario Boissier.
In Ircutia leg. Hschunin.
Prope Krasnoyarsk leg. Adams.
Amur leg. Maximovicz (var. y obtusifolium).
Langarei-Karkaroly-Berge leg. Schrenk.
In pratensibus prope Buchtarminsk leg. Karelin et Kiriloff (Soc. Imp. Nat. curios.
Mosgq.).
In pratis trans-baikalensibus — misit Turczaninow.
Var. 8, — Alatan misit Bunge.
Erbario Sommier. ui
Ad flumen Ob-Or Nial (Balscioinos). Ultimum promontorium ripae dexterae parum
ultra circulum polarem — leg. Sommier.
Ad flumen Ob in sylvaticis ripae dexterae — Monastyr-Kandjusk.
Ad flumen Ob ripa laeva (terra firma) Voikarskii Zimnii-jurti.
Ad flumen Ob-Obdorsk sub circulo polari.
Var. Bf.
In collibus saxosis arenosisve regionis mediis jugi Uralensis (G. o Clere Plantae
Uralenses).
Haud procul a Nijni-Taghilsk in pratis et sylvis montium Uralensium.
Ad flumen Ob ripa laeva sub circulo polari — Labuitnang (Sommier).
Erbario Roma.
Saggio del “ Scientific department of Tokio University ,, senza località.
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA.
NB. — Il T. Lupinaster ha il suo centro di diffusione nell'Asia boreale e
media. — Ledebour, l. c., assegna a questa specie le seguenti regioni: “ Rossia
media (Lithuania) Iundz. Eichw. ad flumen Kama; Falk: in guberno Orendurg prope
Slatoust (Nesterofski), et omni Sibiria (J. G. Gmelin); (uralensi!) (Heinzelmann ex
Amman, Pallas, Lepechin, Falk, Claus, Lessing, Uspenski): (altaica/) (Pallas, Falk.
270 S. BELLI
FI. Alt.) prope Krasnojarsk (Turczaninow in litteris): (Baikalensi!) (Georgi, Turcza-
ninow Schtschukin): et orientali, inter Jakutzk et Wilnisk (Kruhse), inque Davuria
(Turezaninow. Fisch pl. exsicc.) ,. — Il suo limite occidentale è segnato in Europa
dalla Prussia (est ed ovest) dove fu trovato secondo Garcke, l c.: “ In Ostpreussen
bei Lyck im Baranner Forste; im Johannisburger Forst zwischen Schiast und Piskor-
zòwen, Osterode, und frither bei Allenstein; in Westpreussen unweit Thorn in einer
Birkenschonung hei Lerchenort und Kuchmie ,.
Il suo limite orientale è segnato dalle coste di Manchuria (Wilford), e Thunbherg,
1. c., riporta Osacca come la sola località nel Giappone dove questa specie sia stata
trovata spontanea ma nell’Erbario di Berlino esiste pure raccolta a Nippon e sul
Fudzi-Yama.
In Prussia esistono tutte e due le forme a fiori porporini e bianchi. Così scrive
Ascherson, 1. c.: “ 7. Lupinaster: Grabier Wald bei Thorn von Novicki, von Herrn
von Klinggràff mitgetheilt. Dort scheint die Pflanze nur purpurne Blithen zu haben,
wihrend sie bei Lyck in Oestpreussen nach Sanio nur mit gelblich-weisser Blumen-
krone vorkommt ,.
Nella flora romana di Maratti, 1. c., vien riportato il T. Lupinaster come
pianta stata trovata spontanea “ ad caput Rami et ad Nympham, etc. ,. È possi-
bile che altra volta siasi trovata accidentalmente questa specie nelle località citate
dal Maratti. Certo è che oggidì non se ne trova più traccia nè negli erbarii, nè fra
le specie avventizie trovate nella Flora Romana. Così ebbe a dirmi il Prof. Pirotta
di Roma. Altrettanto deve dirsi del 7. Lupinaster ascritto da Ucria al dominio della
Flora Sicula, e riportato da Gussone nel “ Prodromo , (pag. 53) “ in siccis et
montosis ,, e poi nella “ Synopsis , dove però aggiunge: “ an T. hybridum? ,.
Il Dott. Lanza, assistente alla Cattedra di Botanica di Palermo, scrissemi non aver
trovato negli Erbarii di Gussone e di Tineo alcun saggio riferentesi al 7°. Lupinaster
od al 7. hybridum, aggiungendo: “ Sul fatto che Ucria riporti il 7. Lupinaster, non
st può stabilire che a suo tempo questa pianta crescesse veramente in Sicilia. Le
piante di Ucria che Gussone riporta precedute da una croce (34) in calce ai generi
cui si riferiscono, più che piante oggi scomparse o non più ritrovate, sono piante
dall’Ucria malamente determinate ,.
Nyman, i. c., assegna le seguenti regioni al T. Lupinaster: Lithuan — Polonia
— Boruss. — Ross. med.
Species Il.
T. eximium Steph.
Ex Fischer et Stev. in litteris (Ser. in DC. Prod. Vol. II, p. 203 (1825) —
Bunge Enumer. pl. Altaic., p. 63 — Turce. Cat. Baikal, N. 308 — Leded. FI. Ross. I,
p. 551 (1842) — Walpers Repert. Vol. I, p. 647 (1842).
T. elegans Steph. herb. (fide specim.) non Savi.
T. grandiflorum Ledeb. in Spreng. Syst. Veget. Vol. III, p. 218, N. 108 (1826)
et FI. Ross. Icon. Vol. I, p. 28 (1829) — Ledeb. C. A., Meyer et Bunge FI. Alt.
Vol. II, p. 257 (1831) — Dietrich Syn. pl. Sect. IV, p. 1003, Num. 131 (1847).
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 271
T. speciosum Fisch. (in herb. R. H. Bot. Berol.).
T. alpinum Pallas. It. II, p. 123 — Georgi Beschr. d. Russ. R. III, 4, p. 1191
(ex parte) non L. (ex Ledebour Fl. Ross., L c.).
Var. albiflora (Fisch. in litt.) Ser. in DC. Prod. II, p. 204.
“«“ Pedunculis subbifloris, calycis glabri dentibus lanceolatis corolla multo brevioribus,
vexillo amplo alas latas superante, stipulis late ovatis, caule humili pubescente, foliolis
obovatis serrulatis glabriusculis , Ledeb. in Spr., l. c.
“ Caule hypogaeo repente, ramis adscendentibus, pedunculis axillaribus, floribus 2-5,
pedicellatis laxe umbellatis, defloratis deflexis, calyce corolla 2-triplove breviore: dentibus
lanceolatis suboeequalibus tubum paullo superantibus, stipulis ovatis vel ovato-oblongis acutis
mucronatisve, pedunculis pilosiusculis, foliolis ternis, obovatis serrulatis subtus ad costam
adpresse pilosis caeterum glabris ,, Ledeb. Fl. Ross., l. c.
“ Pedunculis axillaribus cilindricis, vel laevissime canaliculatis. Involucro cupulari
regulari sinuato-crenulato. Calycis dentibus basi cordatis lacintis reticulato-venosis.
Legumine tenwissimo, membranaceo subtiliter venuloso — Foliolis breviter vel longiuscule
petiolatis — Vexillo amplo — Ovario glaberrimo — Corolla roseo-luteola , Nob.
Icones — Ledehb. Fl. Ross. Icon., 1. c., tab. 96.
Icon nostra — Tab. II, fig. A.
DESCRIZIONE.
Perenne.
Radice fusiforme più o meno grossa e fittonosa, ramificata, grumosa.
Caule cespitoso, dapprima ipogeo con gemme apogeotropiche, strisciante, rizoma-
toso con rami infine epigei, pochissimo ramificati, superiormente cilindrici, glabri o
pubescenti. Stipole del rizoma ipogeo afille, sottili, membranacee, oblunghe, ottuse, con
nervature spiccate e con due cordoni peziolari più robusti: stipole delle foglie infime
dei rami epigei, sviluppanti dapprima una, due o tre foglioline piccolissime, quasi
senza picciuolo, rudimentali; le susseguenti con foglioline gradatamente più svilup-
pate e con tre cordoni peziolari percorrenti per intero la guaina, ramificato-biforcati
al margine, tutte glabre, con code ottuse all’apice e brevemente guainanti alla base.
Stipole superiori obovato-lanceolate o semi-ovate, bianco-verdognole alla periferia,
brevemente guainanti, acute od acuminate, oscuramente dentate, quasi ondulate ai
margini e quivi con rare ciglia, con nervature ripetutamente biforcate ed anasto-
mosate in reticolo con nervi più esili fra le biforcazioni. — Foglioline obovate od
obovato-ellittiche, od oblungo-obovate, glabre salvo che di sotto sulla nervatura me-
diana dove si trova qualche villo setoloso, con nervature poco elevate e non nume-
rose, bi-triforcate a metà percorso o solo al margine con altre più piccole interposte
formanti un reticolo oscuro, subcrenulate al margine massime inferiormente.
Infiorescenza. — Peduncoli solitari ascellari cilindrici, talora con leggiero solco
sulla parte interna, villosi od irsuti, portati tutti all’ascella dalle foglie supreme, uno
per ramo o più di rado due, terminati da un capolino assai lasso, con due o tre fiori
272 S. BELLI
involucrati da un collaretto cupuliforme, membranaceo-scarioso, senza nervature, cre-
nulato o dentato con rari villi e qualche glandola pedicellato-clavata (sparsa anche
sui peduncoli). Fiori pedicellati: pedicelli subeguali al calice (denti compresi).
Calice tagliato in sbieco a spese del labbro superiore: tubo glabro esteriormente;
internamente guernito di glandule clavato-pedicellate. Nervature del tubo dieci,
cinque dentali più valide; cinque commissurali più esili che giunte allo spazio inter-
dentale si biforcano e si recano ognuna alla base ed al lato interno di ciascun dente
formando una serie di maglie larghe irregolari che vanno sino all’apice del dente
stesso (Vedi Tav. II, Fig. 2). Denti larghi, triangolari, cordati alla base, acuti, un
po’ fogliacei, guerniti di peli brevi e radi ai margini, più lunghi negli spazii inter-
dentali e in corrispondenza della fauce.
Corolla roseo-giallognola, seccando un po’ scariosa, persistente a lungo nel frutto.
Vessillo quasi libero dagli altri petali, grande, obovato-ellittico, senza unghia, un po’
cochleariforme, compiegato prima e dopo l’antesi, un po’ rialzato al momento della
fecondazione, molto più lungo del calice (2-3 volte) ed oltrepassante le ali, con ner-
vature percorrenti tutto il lembo, biforcate e riunentisi in pochi fasci inferiormente.
— Ali irregolarmente obovate, con becco ottuso; acute od ottusette all’apice. — Ca-
rene cultriformi apiculate.
Stami coi filamenti liberi più brevi della porzione adesa, decrescenti in lunghezza ‘
dal mediano ai laterali e quello più dilatato di tutti sotto l'inserzione delle antere
introrse, oblungo-ellittiche.
Ovario fusiforme-lineare, glaberrimo. Stilo cilindrico, ingrossato-ricurvo verso l’alto
e quivi con stigma a bottoncino apicale. Quvoli 3-(6)-7. Legume clavato-oblungo, te-
nuissimo membranaceo, colle suture robuste, reticolato-venuloso sulle pareti, glabroj
stipitato. Semi 3-5-6 cordato-globulosi, glabri, lisci, verde-giallastri.
LETTERATURA E CRITICA. — OSSERVAZIONI.
Il T. eximium rappresenta la seconda specie da me conosciuta che faccia parte
della Stirps Eulupinaster. AI pari del 7. Lupinaster esso possiede un rizoma sotter-
raneo con stipole afille, il quale dà origine a gemme dapprima brevi, poi allungantisi
dopo un certo tratto apogeotropicamente e dando origine a rami epigei fogliferi e
fioriferi. Nelle brevissime gemme ipogee sta pure qui rinchiusa l’infiorescenza in
miniatura, la quale non presenta il fatto osservato nel 7. Lupinaster della scanala-
tura del peduncolo fiorale per ciò che il capolino quasi sempre unico per ogni ramo
è ridotto a due o tre fiori e non subisce perciò nella gemma la forte compressione
derivante dal numero dei fiori e dalla vicinanza dei capolini ristretti all'apice del
caule nelle guaine stipolari rispettive. Per la stessa ragione nel 7. eximium il ricet-
tacolo è normalmente sviluppato, simmetrico e regolare. Nel peduncolo può ricono-
scersi una leggerissima depressione al lato interno; del resto esso è affatto cilindrico.
Il 7. erimium è apparentemente simile nell’ aspetto generale al 7. alpinum, ma in
realtà egli è un vero parente del 7. Lupinaster soprattutto per la struttura del-
l'ovario e del legume, pel numero e per la forma dei semi e per la natura dei tricomi
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 273
che rivestono la fauce ed i denti del calice. — Il T. eximium si riconosce facilissi-
mamente, oltre agli altri caratteri, soprattutto per le lacinie del suo calice cordate
alla base ed elegantemente reticolate. — Dalla figura data da Ledebour nelle Icones
il vessillo appare roseo più o meno pallido e le ali e le carene bianco-giallastre,
o giallo-brunastre: la fogliolina mediana è sessile e le foglie sono veramente digi-
tate; i pedicelli in detta figura sono più lunghi del calice, lo che sui saggi essic-
cati spesso non si trova. In questi anche il colore della corolla pare uniforme.
Seringe in DC. Prod. 1. c. ascrive al T. eximium corolle porporine, aggiungendo una
var. 8. albiflora, la quale probabilmente deve corrispondere alla forma figurata da
Ledebour. Nella descrizione sua non si fa cenno del colore delle corolle (1). “ T. ra-
“ dice repente, caule adscendente pubescente, stipulis ovatis, acutis, submembranaceis,
“ foliolis ovatis denticulatis, subtus ad costam adpresse pilosis, caterum glabris,
“ umbellis 2-4 floris laciniis calycis campanulati suba@equalibus tubo parum longioribus,
“ corolla multoties brevioribus, leguminibus 4-5 spermis ,.
“ Habitat in alpe circa fontes fluminis Tschegan et in insulis fluminis Tschuja
“ (nec non in Davuria Dec.) % ,.
“ Floret. Junio-Aug. ,.
HABITAT.
Dahuria-Altai (Fischer-Meyer).
(1) Icones plantarum novarum vel imperfecte cognitarum floram Rossicam imprimis Altaicam illu-
strantes, ed. Carolus Friedericus a Ledebour, centuria 1* (Riga, apud L. Deubner; Londini, Parisiis
et Argentorati, apud Treuttel et Wirtz; Bruxellae, in Libraria Parisiensi (1829).
Serie II. Tom. XLIV. ù
274 S. BELLI
STIRPS II°.
GLYCIRRHIZUM Nob. (Bertol.).
Caract. — <« Stipulae imae sphacelato-fimbriatae, reticulum brunneo-fuscum vel
helvulum efformantes caulesque decurtatos inferne obtegentes - Inflorescentiae annotinae
in axilla foliorum inferiorum evolutae; aequali tempore in axilla foliorum juniorum inflo-
rescentiae rudimentales (sequenti anno evoluturae) adsunt - Inflorescentia composita,
racemoso-cimosa » NoB.
Hujus stirpis: 7. alpinum L., T. polyphyUum C. A. Meyer., T. nanum Torr.
(non Europeum).
SPECIES 12.
T. alpinum L.
Sp. pl. (Ediz. 32), p. 1080 (1764) et Mant. altera, p. 451 (1771), et Syst. Veg.
(ediz. 14 Murray), p. 688 (1784) — 44. FI. Pedem. Vol. I, p. 302 (1785) — Vill.
Hist. pl. du Dauph. Vol. II, p. 476 (1789) — WiWd. Sp. pl. Vol. II, p. 1360 (1787)
— Suter FI. Helv. Vol. II, p. 108 (1802) — Schred. in Sturm Deutsch]. FI. Heft. 15
(1804) — Savi Due cent. etc., p. 146 (1804) — Re FI. Segus., p. 62 (1805) —
Sternberg Reise d. Tirol, ete., p. 62 — Schkuhr Bot. Handb. Vol. HI, p. 402 (1805)
— Lamk et DC. Syn. PI. Fl Gall., p. 346 (1806) — Pers. Syn. Vol. II, p. 349 (1807)
— Loisel. de Longchp. Fl. Gall., ediz. 12, p. 480 (1806) — Poir. Encyclop. Vol. VII,
p. 1 (1808) — Biroli FI. Acon. Vol. II, p. 40 (1808) — Savi Obs. in var. Trif. sp.,
p. 99 (1810) — Ait. Hort. Kew. (Ed. 2°), Vol. IV, p. 382 (1812) — Lapeyr. PI.
Pyren. Vol. II, p. 433 (1813) — DC. FI. Fr. Vol. IV, p. 519 (1813) — Pollini Viaggio
al M.'° Baldo, etc., pp. 101-102 (1816) — Pollini FI. Veron. Vol. II, p. 516 (1822)
— (?) Maratti FI. Rom. Vol. II, p. 155 (1822) (1). — Link Enum. pl. R. H. Berol.,
part. Il, p. 261 (1822) — Comolli Enum. pl. prov. Lar., p. 142 (1822) — Ser.
in DC. Prod. Vol. II, p. 204 (1825) — Savi Bot. Etr. Vol. IV, p. 46, N. 1056 (1825)
— Spreng. Syst. Veg. Vol. III, p. 208 (1826) — Jan Elenc. pl. Parm., p. 12 (1826)
— Benth. Cat. pl. Pyr. et Langued., p. 125 (1826) — Loisel. de Longchp. Fl. Gall.
Vol. II, p. 119 (1828) — Duby Bot. Gall. Vol. I, p. 135 (1828) — Gaud. FI. Helv.
Vol. IV, p. 579 (1829) — Host. FI. Austr. Vol. II, p. 367 (1831) — Rehbceh. FI. Exe.
Vol. II, p. 495 (1832) — Presl Symb. bot. Vol. I, p. 47 (1832) — Reut. Cat. pl.
vasc. env. Genève, p. 32 (1832) — Colla Herb. Ped. Vol. II, p. 113 (1834) —
(1) Vedi la Distribuzione Geografica del 7. alpinum a pag. 285.
lente DC
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 275
— Massara Fl. Valtell. Prod., p. 188 (1834) — Mutel FI. Fr. Vol. I, p. 264 (1834)
— Richter Cod. Bot. Linn., p. 743, N. 5651 (1835) — Gaud. Syn. FI. Helv., p. 630
(1836) — Puccin. Syn. pl. agr. Luc. p.* altera, p. 371 (1841) — Bertol. It. Apen.,
p. 15 (1841) — Koch Syn. FI. Germ. et Helv., ed. 2°, p. 190 (1843) — Comolli FI.
Com. Vol. V, p. 433 (1847) — Dietrich Syn. PI. Sect. IV, p. 1001 (1847) — Gren.
Godr. Fl. de Fr. Vol. I, p. 418 (1848) — Zumaglini Fl. Pedem. Vol. II, p. 197 (1849)
— Boreau FI. du centr. de Fr. Vol. II, p. 132 (1849) — Bertol. FI. It. Vol. VII,
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hisp., p. 43 (1852) — Rota Prosp. FI. Prov. Bergamo, p. 33 (1853) — Nyman Syll.
FI. Eur., p. 296 (1854) — Koch Syn. FI. Germ. et Helv. (ediz. 3°), Vol. I, p. 149
(1857) — Caruel Prod. FI. Tosc., p. 169 (1860) — Koch Nomencl. Fl. Germ. et
Helv., p. 22 (1861) — Reut. Catal. pl. vasc. Genève, p. 48 (1861) — D'Angre». FI.
. Valles., p. 32 (1862) — Fuss FI. Transsilv., p. 162 (1866) — Ardoino FI. Alp. marit.,
p. 104 (1873) — Ces. Passer. Gib. Comp. FI. It., p. 712 (1867) — Zersi Prosp. pl.
vasc. Bresc., p. 61 (1871) — Verlot Les plantes alpines, p. 97 (1873) — Morthier
FI. analyt. Suiss. (5* edit.), p. 146) (1873?) — Arcangeli Comp. FI. It., p. 176 (1874)
— Celak. Ueber Aufh. der Gatt. Trifolium. Oesterr. Bot. Zeitschf., N. 2, p. 42 (1874)
— Rehbch Icon. FI. Germ. et Helv. Vol. XXII, p. 75 (1874) — Bowvier FI. Alp.
Suiss. et Sav., p. 150 (1878) — Koch Taschb. der Deutsch. u. Schweiz. FI., p. 521
(1878) — Nyman Comp. FI. Europ., p. 179 (1878-82) — Willkomm et Lange Prod.
FI. Hisp. Vol. II, p. 358 (1880) — Rossi Stud. FI. Ossol., p. 82 (1881) — Re FI.
Segus. (Comm. a B. Caso), p. 89 (1881) — Gidelli e Pirotta FI. Moden. e Regg.,
p. 46 (1882) — Janka Trif. Lot. Europ., p. 154 (1884) — Schlcehtdl. et Haller FI.
von Deutschl. Vol. XXIII, p. 273 (1885) — Camus Catal. pl. de Fr., p. 65 (1888).
Lupinaster alpinus Presl., l. c.
Subvar. 8. albifliorum Haller Hist. Stirp. indig. Helv. Vol. I, p. 161, N. 369 =
var. 6. albiflorum Rota, 1. c. (et auct. plur.).
Subvar. y. stenophyllum Nob. (in herb. R. H. B. Romani).
Icones. — Pona PI. mont. Baldo, etc., pag. ccoxL et edit. ital., pag. 194 (fig.
in textu) — Parkinson Theatr. Bot., p. 1104 (in textu) — Bauhin. Hist. pl. univers.,
p. 376 (fig. in textu) — Morison Hist. pl. univ. Vol. II, Sect. Il, tab. 12, fig. 2 (mala)
— Sturm Deutschl. FI., 1. c., heft. 15 — Icon. Taurin., tab. XI, fig. 2. — Perini,
frat. Fl. It. Sett. Cent., 12. — Reichbe. fil, 1. c., tab. 114. — Cusin Herb. FI. Fr.
tab. 1120. — Sehlechtdl. et Hall., 1. c., tab. 2389.
Subvar. y. stenophyllum Nob. (in herb. R. H. B. Romani).
“ Capitulis laxifloris (7-14 fl.). Floribus maximis (in G. Trifolio), 19, 21 (media) —
25 mill. longis; duplicatim verticillatis; verticillastris superpositis, infero 6-7, supero
4-5-floro saepe reducto, uni-bifloro, omnibus involucratis, involucello tenui, albo-membra-
naceo, denticulato, glabro; axi florifero indefinito in medio florum superiorum mucronulo
centrali (Tab. II, fig. 15% a), protrudente, interdum abortu subnullo, floribus cymosis —
_ Calycis dentibus apice subulatis, acuminatissimis, inferiore dimidium verillum semper
276 S. BELLI
superante, rarissime ei subaequilongo — Foliolis ternatis, rarissime (Bertoloni) quinatis
— Corolla speciosissima purpureo-rubente, siccando atropurpurea vel (var. 8) alba —
Ovario biovulato — Legumine saepissime bispermo — Tota planta glaberrima ,, Nob. %.
Subvar. B. “ flore albo, caeterum ut in typo ,.
Subvar. 1. “ foliolis strictissimis, linearibus, acuminatis ,,.
Icon nostra — Tab. II, fig. B.
DESCRIZIONE.
Radice fittonosa, legnosa, obconica, legnosa, lunga, più o meno ramosa, divisa e
fibrillosa inferiormente, guarnita delle solite produzioni grumose a bacteroidi.
Caule nano, cespitoso; rami molteplici dal colletto, tosto ramificati, grossi, tozzi,
arcuato-flessuosi, o stoloniformi, ma non mai radicanti (Exempl. Pierre sur Haute
Erbario Levier) con internodii brevi, gli infimi ricoperti dai residui delle vecchie
stipole sfilacciate e ridotte ad un invoglio fibrilloso-reticolato, brunastro o fulvo.
Foglie tutte all'apice dei rami, appressate, ricoprentisi a vicenda nella porzione
stipulare: le inferiori (esterne) più lungamente picciolate, le superiori (interne)
meno; picciuoli glabri, leggermente scanalati superiormente, grossi; stipole vegetanti
oblungo-lineari, tutte conformi, oblungo-lineari (distese in piano), verdi dapprima,
presto biancastro-scariose, guainanti inferiormente per breve tratto, con molti nervi
paralleli e scarse anastomosi, massime nelle code brevi, triangolari, attenuato-acumi-
nate. — Moglioline tre, rarissimamente (secondo Bertoloni) cinque, glabre, sessili
oblungo-lanceolate od oblungo-lineari, cuneate alla base, più o meno lunghe (fino a
8 centimetri; in media 3 cent.), acute od ottuse od anche arrotondate, più verdi sopra,
più pallide sotto, o glauche, integre al margine od oscuramente denticulate; rara-
mente con denti fini e spiccati; con nervature fitte, pennate ma poco arcuate, salvo
al margine dove sono forcate ed anastomosate con altre più esili, colle quali formano
un reticolo a maglie oblunghe.
Infiorescenza (Vedi anche la Parte Generale e la Critica di questa specie). —
Peduncolì ascellari, pochi per ogni cespo (2-3), solitarii, cilindrici, glabri, di lunghezza
variabile, ma più spesso oltrepassanti al momento dell’antesi la foglia corrispondente.
— Asse fiorale indefinito, prolungantesi sotto forma di mozzicone all’apice delle infio-
rescenze formate da pochi fiori (10-12), (al massimo 15, e al minimo 6): grandi (i più
grandi del Genere) (18; (media 20) 25 mill. lunghezza), disposti ordinariamente in due
verticillastri sovrapposti più di rado in uno solo (per aborto del superiore ridotto
ad un fiore o due), rarissimamente con accenno ad un terzo verticillastro nei capolini
enormemente sviluppati, ognuno involucrato da un collaretto membranoso-scarioso,
biancastro, denticolato, glabro o con qualche emergenza glandulifera, enerve. — Pedi-
celli fiorali glabri, cilindrici, più brevi del calice, dapprima eretti, alla fine deflessi,
cosicchè il capolino diventa umbelliforme. i
Calice campanulato, glabro o guarnito dentro e fuori delle solite produzioni tri-
comatose glandulose, pedicellato-clavate, molto grandi, con tubo breve, tagliato a spese
del labro superiore, leggermente saccato alla base superiormente, verdognolo, bian-
castro o colorato in rossigno, con dieci nervi; cinque dentali e cinque commissurali
più esili. Denti cinque triangolari-allungato-subulati, assai più lunghi del tubo; i due
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE Dt
superiori più brevi dei laterali, l’inferiore più lungo di tutti ed oltrepassante sempre
metà della lunghezza del vessillo, tutti trinervi massime alla base e con qualche
nervo trasversale; scariosi al margine, colorati o no in rossigno.
Corolla vistosissima roseo-porporina, invecchiando fosco-bluastra o fosco-vinosa,
più di rado bianca (var. 8) persistente a lungo ed un poco scariosa.
Vessillo libero o quasi dagli altri petali connati nell’unghia, lungo un po’ meno
del doppio del calice, foggiato inferiormente alquanto a navicella (poco distensibile
in piano senza lacerazione) e dilatato superiormente in lembo obovato-ellittico, ottuso,
arrotondato, troncato o smarginato all’apice, integro al margine con nervature furcate
riunentisi in basso in pochi fasci non troppo robusti; senza strozzatura dorsale,
compiegato sugli altri petali prima e dopo la fecondazione e un po’ rialzato ante-
riormente durante la stessa; più lungo delle ali irregolarmente oblunghe, ottuse con
orecchietta poco bollosa, ottusa, ricche di vene più scure. — Carene foggiate a distory
retto, apiculate, senza orecchietta.
Stami come nel 7. Lupinaster. — Antere idem.
Ovario fusiforme, glabro, stipitato, quasi costantemente biovulato, terminante nello
stilo gradatamente assottigliato in alto, cilindrico; stigma a bottoncino papillifero
anche sulla faccia dorsale.
Legume ellittico, stipitato, indeiscente, glabro, membranaceo, colle suture robuste;
la ventrale un po’ tuberculata e le pareti sottili leggermente venulose.
Semi due (raramente tre) grandi, nerastri, lisci subrotondi con ilo profondo e
radichetta prominente.
VARIETÀ. — LETTERATURA E CRITICA. — OSSERVAZIONI.
All’infuori della variazione a fiori bianchi, il 7. alpinum non presenta vere va-
rietà, essendo specie oltremodo uniforme e ben caratterizzata. Ho creduto di riferire
come semplice sottovarietà anche la forma a foglie strettissime (abbastanza rara),
non essendo questo nel G. Trifolium un carattere di soverchio valore. — Se non erro,
fu Haller (Hist. Stirp. indig. Helv., Vol. I, pag. 161) che pubblicò la var. f. “ flore
albo, in monte Serin ,. — Dopo di lui ne fecero cenno, come di semplice accidentalità
nel colore della corolla e senza designarla con lettere, Allioni, Schkuhr, Savi, De-
candolle, Pollini, Loiseleur, Gaudin, Reichenbach (fl. exc.), Colla, Mutel, Koch, Dietrich,
Grenier et Godron, Zumaglini, Bertoloni. Il Rota solo la distinse nella Flora di Ber-
gamo come var. d. Io Yho veduta nell’ Erbario di Firenze raccolta dal Rota stesso
a Ca di S. Marco nel Bergamasco e dal Cesati nel monte Legnone e l’ho raccolta
io stesso sotto il Colle di Tenda scendendo a Limone. -- La sottovarietà stenophyl-
lum fu raccolta nel monte Fusio in Val Sambuco da A. Franzoni (Erbario di Roma).
È appena il caso di accennare alle variazioni di statura del 7. alpinum, certo
in relazione colle condizioni di nutrizione e di località della specie. Così mi accadde
di vedere saggi evolutissimi raccolti dal Thomas nel Vallese (planta major helvetica
del suo cartellino e riportata dal Nyman 2. c.); nel Tirolo australe (Monte Jaufen
Erbario Levier): a S. Caterina di Val Furva (Valtellina Erbario Roma); sul Roccia-
melone (Alpi Cozie) leg. Berrino, alle Echelles presso Bardonecchia id.; sulla Zeda
«278 S. BELLI
nella Valle Intrasca (Lago Maggiore) DNot., ecc. — Un saggio addirittura enorme
con foglioline lunghe 7 centimetri, fiori lunghi 25 mill. e con radice lunga strisciante
è quello contenuto nell’Erbario Sommier e raccolto a Bormio (Valtellina).
Molti Autori (Pollini, Savi, Sprengel, Loiseleur, Host, Koch, ete., etc.) attribuiscono
al T. alpinum foglioline serrulate al margine. Questo carattere non è sempre costante;
molto soventi le foglioline sono affatto integre nel contorno. Del resto se gli Autori
in generale sono molto concordi nella descrizione di questa specie, pochi di essi si
sono occupati del carattere speciale che offrono le sue stipole allorchè invecchiano,
e quasi nessuno ha osservato a fondo la curiosa infiorescenza dei G/lycirrhizum. Non
sarà inutile il soffermarci un momento su questi due fatti. — Un cespo di 7. alpinum
tolto con diligenza dal terreno mostra le parti inferiori dei rami affatto ricoperte
da un ammasso di fibre nerastre o brunastre, sfilacciate , intricatissime che vanno,
di mano in mano che il ramo cresce, sfacelandosi. — Questa struttura accennata da
qualcuno dei moderni, Reichenbach (fil.), Bertoloni, era stata anticamente osservata
dal Decandolle, il quale scrive l. c. “ Sa racine est longue, garnie vers son collet de
“ beaucoup de paillettes ou espèces de poils grisàtres ,. — L’ammasso di fibrille sopra
accennato è costituito dai residui delle stipole vecchie in cui il tessuto parenchima-
toso si è distrutto lasciando solo la porzione dei fasci fibro-vascolari. Questo carat-
tere è di grandissimo valore per riconoscere gli affini del 7. alpinum : così esso è
comune al 7. polyphyllum del Caucaso, ed al T. nanum dei Focky-Mountains d’ America.
Più interessante ancora è la infiorescenza del 7. alpinum e dei Glycirrhizum in
generale.
Tutti gli Autori parlando di essa la descrivono più o meno come un capolino
lasso, foggiato ad ombrella allorchè è fruttificato, lasciando così sottinteso che questa
infiorescenza non differisca sostanzialmente da quella degli altri trifogli. Alcuni pochi
hanno vagamente accennato ad una differenza strutturale di essa, ma senza venire
ad una conclusione, come vedremo più avanti.
Il primo accenno all’infiorescenza del 7. alpinum venne dato dal Micheli (Nova
plant. Genera, pag. 28) nel 1729, il quale descrivendo l’Ordo V così si esprime:
“ Trifoliastri floribus in fasciculum, seu corymbum minus speciosum per binos
“ tantum ordines dispositis, qui, dum pistillus in fructum abit deorsum reflectuntur ,.
Dalla qual frase risulta come il Micheli avesse benissimo osservata la apparente
esterna struttura del capolino, ma la riferisse ad un corimbo o fascicolo di fiori. —
Ognuno sa che il corimbo è un’infiorescenza racemosa, e che il falso corimbo è una
cima. Non si può quindi dedurre dalle parole del Micheli a quale infiorescenza abbia
voluto alludere, tenuto anche conto dell’epoca in cui furono scritte, e delle cognizioni
che allora si avevano sui varii tipi di ramificazione.
Fu Schreber il secondo che rilevò la struttura fiorale del T. alpinum. Egli così
si esprime: “ Lc. “ Der Kiirze Schaft trigt ein einzelnes Blithenkòpfchen an der
“ Spitze, zuweilen in proliferirenden Dolden, denn die suntern Bliithen entspringen
“ alle aus einem gemeinschaftlichen mittelpunkte, und das nihmliche findet noch
“ einmal an dem verlangerten Schafte statt ,. .
Schreber, molto meno esattamente del Micheli, ritiene, come è facile vedere, il
verticillastro inferiore dei fiori come il vero capolino normale e suppone doversi ad
un'anomalia, cioè alla proliferazione dell’asse il secondo verticillastro. Questa osser-
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 279
vazione si scosta dal vero in ciò che il fatto da Schreber riferito ad un’accidenta-
lità, è invece il modo ordinario di comportarsi della pianta; il che non toglie nulla
alla esattezza dell’osservazione. Altri Autori, p. es., Seringe 1. c., si limitarono ad
accennare la disposizione dei fiori “ pedicellis minimis subverticillatis , od inter-
pretarono erroneamente questa infiorescenza.
Ricorderemo cose già note. L'infiorescenza del T. alpinum (ed affini) è fatta di due,
raramente da tre, verticillastri sovrapposti. Nel verticillo superiore, più povero di fiori
e spesso con qualche fiore tabescente, come nell’inferiore più ricco di fiori, i pedicelli
nascono tutti attorno ad un punto dell’asse ed involucrati dal collaretto membranaceo,
continuo, più o meno dentato. Tra i due verticillastri corre un tratto dell’asse comune,
nudo. Ma se si osserva con attenzione il centro del verticillastro supremo si vede
che quasi sempre esiste colà uno spuntone breve che rappresenta la continuazione del-
l’asse fiorale (Tav. II, fig. B, 15% @). È certo che senza uno studio organogenico ed ana-
tomico accurato, che metta in chiaro la cronologica evoluzione delle membra, non si può
matematicamente essere certi della natura di questa infiorescenza, tanto più che la
genesi di molti verticillastri, in altri Generi che non sia il G. Trifolium (Labiate), spesso
è tutt'altro che facilmente dimostrabile. Ma nel caso del 7. alpinum il dubbio, anche
a priori non mi par possibile. E, in verità, è egli ammissibile ritenere questa per una
infiorescenza racemosa ridotta a due verticilli? Il volerlo supporre basandosi sul fatto
che questo modo d’infiorescenza è comune a tutti i Trifogli, per quanto talora mo-
dificato o larvato (7. Lupinaster, ecc.) è un po’ azzardato. Per ammettere una simile
infiorescenza converrebbe supporre che un capolino fosse ridotto ad avere due giri
di spira abbassati in piano quasi orizzontale con un tratto di ricettacolo nudo. Il
che mi parrebbe voler portare le analogie ad un limite troppo spinto. Io sono per-
suaso che questa idea deve essere affatto abbandonata, e che l’ infiorescenza del
T. alpinum debba essere annoverata fra le infiorescenze racemoso-cimose 0 botrio-cime,
analoghe a quelle di molte Labiate, nelle quali la natura di racemo spetta al solo
asse generale dell’infiorescenza, svolgentesi indefinitamente, mentre le infiorescenze
secondarie parziali, con assi soppressi, stanno raggruppate all’ascella di brattee, con-
cresciute o no, sotto forma di verticillastri, semplici o composti. — Nel caso del
T. alpinum ed affini due fatti ci fanno ritenere che tale sia la sua infiorescenza:
1° la presenza costante del mucrone apicale nel centro del verticillastro superiore;
2° lo svilupparsi e lo sbocciare in ordine acropeto dei wverticillastri consecutivi per
cui il superiore è nel suo complesso sempre più giovane dell’inferiore; però i fiori di
uno stesso verticillo possono essere di età diversa; 3° finalmente appunto il diverso
sviluppo e la diversa età dei fiori che si trovano in uno stesso verticillo considerati
gli uni rispetto agli altri, al momento della fecondazione in guisa da dimostrare ampia-
mente essere essi produzioni cronologicamente differenti e dipendenti in parte, se non
tutte, da assi soppressi di inegual valore genetico (1). Il fatto della proliferazione riferito
%
(1) Se si suppone p. e. che i 6 fiori di un verticillastro inferiore appartengano a due cime di-
cotomiche nate all’ascella del collaretto i cui assi siano soppressi, è evidente che i due fiori termi-
nanti l’asse di 1° ordine della dicotomia si svolgeranno più presto dei laterali che nascerebbero
all’ascella delle due brattee sottostanti al fiore terminale. — La soppressione degli assi porterebbe
seco la saldatura delle brattee a guisa di collaretto, ammettendo che le minute squame onde si
compone l'involucro abbiano valore di filloma, ciò che non è affatto dimostrato.
280 S. BELLI
dallo Schreber sarebbe dunque perfettamente in parte giustificato, cioè per quel tanto
che riguarda il prolungamento dell’asse. Soltanto, secondo lo Schreber, questa strut-
tura fiorale, come si è già detto, sarebbe accidentale nel 7. alpinum (Zuweilen in
proliferirenden Dolden), mentre è generalissima. È poi appena il caso di accennare
alla supposizione che questo prolungamento dell'asse sia un simpodio, e che vi pos»
sano esistere due assi primarii, supposizione che non è giustificata da nessun fatto
strutturale.
Più raro è, già dicemmo, il vedere un terzo verticillastro soprastante ai due
inferiori, e nei pochi casi che mi fu concesso di vederlo, cioè in esemplari enorme-
mente sviluppati, lo spuntone apicale porta al suo apice un rudimento di collaretto
con un fiore solo tabescente. Mi riservo di comunicare altrove lo studio morfologico
e la genesi di questa infiorescenza interessantissima, che non avrebbe ragione di
essere qui riferita data la natura di questa rivista critica. — È certo intanto che
anche per questo carattere la Stirps Glycirrhizum si allontana affatto da quella a
cui appartiene il 7. Lupinaster.
Di non minore interesse in riguardo alla storia del 7. alpinum è una circostanza
che mi venne fatto di rilevare nel suo modo di vegetare e che probabilmente ripete
la sua origine, oltre che dalla natura della pianta, anche dalle condizioni in cui la
pianta stessa vive, cioè in altitudini elevate assai. Se si tolgono ad una ad una le
stipole di un ramo di 7. alpinum in piena infiorescenza, si osserva che, contempora-
mente agli scapi fiorenti, ed all’ascella delle stipole susseguenti alle scapifere, stanno
delle infiorescenze rudimentali, piccolissime, lunghe tutt’al più 1 centimetro e spesso
lunghe pochi millimetri, nelle quali però sono distinguibili, e perfettamente costituiti
gli elementi fiorali od almeno il calice e gli stami. Queste infiorescenze passano
l'inverno ricoperte dalle stipole vecchie, per svilupparsi poi rapidamente nel susse-
guente estate. È un fatto analogo, biologicamente, ma topograficamente differentis-
simo da quello che abbiamo esposto nel 7. Lupinaster, dove le infiorescenze, prefor-
mate, stanno sotterra nelle gemme, e ricoperte dalle stipole afille, incassate le une
nelle altre come i pezzi d’un cannocchiale. Nel 7. alpinum invece sono le foglie
susseguenti a quelle delle infiorescenze evolute nell’anno, che albergano alla loro
ascella le infiorescenze rudimentali, mentre la sua porzione Ciproma col ciuffo di foglie
giovanissime eresce indefinitamente, arrestandosi solo nell'inverno, ma all’ascella di
queste ultime non stanno mai infiorescenze.
Il collaretto di brattee che sottosta ai verticillastri, pare fatto da una dupli-
catura epidermica, non mostra nervature di sorta e difficilmente può paragonarsi
ad un filloma ridotto, come, p. es., nelle vere Involucrarie od in certi Lagopus.
Mostra invece molta analogia colle squamule che sottostanno ai fiori delle Chrono-
semium portando come essi soventi delle emergenze glandulose microscopiche o delle
glandule clavato-pedicellate identiche a quelle che si trovano sul calice e più di rado
sulle stipole.
È secondo tutte le probabilità falso che Bauhino nel Phytopinax (1596) abbia
fatto allusione al 7. alpinum; avvegnachè le sue caratteristiche non gli siano ap-
plicabili per nulla. Pona (x) pel primo la descrisse assai bene e la figurò nella storia
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 281
delle piante del Monte Baldo. Gli Autori che dopo di Pona e prima delle “ Species
“ plantarum , Linneane se ne occuparono, sono i seguenti in ordine cronologico:
Parkinson (1) = Bauhino (2) — Morison (3) — Tournefort (4) — Scheuchzer (5)
— Micheli (6) — Zannichelli (7) — Linnè (8) — Seguier (9) — Sauvages (10) —
Holler (11).
Quest'ultimo Autore non fa uso della nomenclatura binomia nell’opera citata
quantunque posteriore alle “ Species plantarum ,,.
(x) “ Trifolium 42 siue alpinum minimum flore luteo ,.
Plantae seu simplicia, “ ut vocant, quae in Baldo monte et in via ab Verona ad Baldum
“ reperiuntur ,, etc., p. cccxL (Antwerpie, 1601), apud Crusrow, © Rar. pl. Hist. ,; et “ Monte Baldo
descritto da Giovanni Pona etc. ,, ediz. ital, p. 194 (Venezia, 1617).
(1) Theatrum botanicum, pag. 1104 (London, 1640), “ Trifolium angustifolium alpinum ,, non
Trifolium Glycyrrhizites ut voluit Hallerus ,! ab
(2) Pinax Theatri Botanici sive Index, etc., p. 328 (1671), Basilea: “ Trifolium alpinum flore
“ magno radice dulci; Glycyrrhiza astragaloides quibusdam , — et “ Historia plantarum universalis ,
(Ebrodum, 1671, p. 376, vol. II); “ Trifolium alpinum rheticum astragaloides , — et TTpodpduos Theatri
Botanici, pag. 148 (Edit. altera emend., Basilea, 1671): “ Trifolium alpinum flore magno radice
“ dulci etc. ,.
(38) Plantarum histor. univers. Oxoniensis, etc., vol. II, pag. 139 (Oxonii, 1715): © Trifolium pur-
“ pureum angustifolium alpinum ,.
(4) Institutiones rei herbariae, vol. I, p. 408 (Parisiis, 1719) — “ Anonis alpina humilior, radice
“ampla, dulci ,.
(5) Oupeciportne helveticus sive itinera per Helv. alp. reg. fact. annis 1702-11; Lugd. Bat. (1723);
It. I, p. 43; It.II, p. 143; It. IV, p. 342.
(6) Nova plantarum Genera etc., p. 28 (Florentiae 1729) — “ Trifoliastrum alpinum purpureum,
“ humile, caule nudo, simplici, foliis' angustioribus, acutis, floribus amplioribus, siliquis planis,
“ incurvis et dispermis ,. i
(7) Opuscula botanica posthuma ‘a Johanne Jacobo filio in lucem edita, p. 73. Venetiis, typ. Dom.
Lovisa (1730).
(8) Hortus Cliffortianus, p. 499 (Amstelodami, 1737).
(9) Plantae Veronenses sea Stirp. quae in agro Veronensi reperiuntur methodica Synopsis, vol. II,
pag. 95 (Veronae, Typis Seminarii), 1745.
(10) Methodus foliorum seu plantae florae Monspeliensis, p. 185 (A la Haye, 1751).
(11) Historia stirpium ingligenarum Helvetiae inchoata, vol. I, p. 161, n° 369 (1768): “ Trifolium
“ scapis radicatis, floribus racemosis, foliis ellipticis, lanceolatis integerrimis ,.
Serie II. Tom. XLIV. x!
282 S. BELLI
HABITAT.
(Bo. Erbario Boissier — B. Erbario Belli — C. Erbario Cesati — F. Erbario
Firenze — G. Erbario Gibelli — R. Erbario Roma — T. Erbario Torino — L. Er-
bario Levier — S. Erbario Sommier).
Piemonte e Liguria,
Monte Armetta (Liguria). . . . fayiea
Colle di Tenda e Colle della Perla (Alpi maritt.)
Alpi sopra Viozennnes .
Liguria (?) . CI ITA
Moncenisio (al Monti) al Lago etc.
Riva. (Valsesia) ;
Punta della Mologna da Biellesi) i
Passo della Croce Mulattiera sopra i Melezet
(Bardonecchia) Alpi Cozie .
Valdieri (Alpi marittime), Vallone della Merie
(lago della Sella) .
Monte Tabor presso Bardonecchia (Alpi ‘Gozia)
Colle di Tenda ad ovest del Passo (Alpi maritt.)
Monte Bego presso Tenda (Alpi marittime)
Sciaccari e Mappa (Alpi marittime) .
Alpi di Giaveno (Prov. di Torino) .
Monte Rocciamelone (Susa, Prov. Torino)
Madonna delle Finestre
Alle“ Echelles., presso Reni (Alpi Cozie)
Monti d’Oropa (Biella) all’Alpe della strada
Valsesia (Alpi Pennine) 3
Monti d’Oropa (Biella, Alpi Potoi .
Monte Turlo (Alpi Biellesi)
Colle di St-Théodule (Alpi Pennine)
Gressoney (Alpi Pennine) .
Alagna (Valsesia)
Alpi di Garessio (Alpi some
Argentera (Alpi marittime)
Monte Cramont (Alpi Graje) .
Col du Geant (Alpi Graie) î
Orno (Col di Tenda, Alpi marittime)!
Gran S. Bernardo (Alpi Graje) .
Alle Balze di Cesare presso Crissolo (Molviso)
Vachère sopra Angrogna (Alpi Cozie).
. leg. Gentili. F.
Belli
Ricca F.
Bertoloni R.
Pedicino R. - Cesati C. - Arcan-
geli F. - Parlatore F. - Bucci F.
Balbis T.
Carestia R.
Malinverni R.
Berrino T.
Ferrari e Belli T.
Berrino T.
Ungern - Sternberg T. - Reuter F.
Ungern-Sternberg T.
Ungern-Sternberg T.
Giusta T. - Delponte F.
Berrino T.
Giusta T.
Berrino T.
Belli B.
Carestia F. - Gibelli G.
Cesati F.
Carestia C. F.
Belli B.
Carestia F. - Piccone F.
Carestia F.
Berti F.
Parlatore F.
Parlatore F.
Parlatore F.
Borgeau F.
Parlatore F.
Ferrari T.
Rostan F.
M Jouly (Vallese) “ Planta major helvetica ,
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 283
Lombardia, Veneto, Emilia, Toscana.
Corno alla Scala (Bologna)
Val Furva (Alta Valtellina), 1700 metri .
S. Caterina in Val Furva (id.)
Bormio (id.), 1500 m.
Fusio (Val Sambuco)
Monte Legnone (Lecco) (flore albo).
Valle Formazza (Ossola)
Monte Canossio (Ossola), 2200 m.
Val Toggia (Ossola) .
Moncucco (Ossola), m. 2000.
Valcamonica (all’Incudine).
Spluga
Val Brembana (a Bai :
Tonale (pascoli alpini) . Ò
Sulla Zeda in Valle Intrasca (Lago Maggiore)
Alpi Bresciane (Colombine)
Monte Rosa
Ca di S. Marco (Alpi del Bengifisasco)
Boscolungo (Appennino pistoiese)
Appennino Estense .
Sommità del monte Cose di Vesiano: (Alpi
Apuane) .
Prati del Cimone (Alto Aranda Moda)
Alpi di Cusna (Appennino Reggiano)
Pizzo Stella sopra Campodolcino e Valle di Lei .
Sul Rondinajo (Appennino Lucchese)
Sul Procinto (Alpi Apuane) LE
Cimone di Caldaja (Appennino modenese)
Alpi di Mommio.
Alpe di Borga
Prati di Macerino
} Al Da) i
Monte Moro (Alpi Leponzie) . . . . ...
" . leg. Pirazzoli e Tassinari R.
Val Viola (Alta Valtellina-fra Senago e Campo)
Levier L.
Levier L.
De Notaris R. - Parlatore F.
Sommier S.
A. Franzoni R.
Cuboni R.
Cesati C. - Balsamo F.
Gibelli C. - Cesati e Negri C. -
Negri F.
Rossi e Malladra T.
Id. Id.
Id. Id.
Caldesi F.
Cesati F.
V® Rampoldi F.
Parlatore F.
De Notaris F.
Parlatore PF.
Erb. Accad. Georgofili F.
Rota C.
Forsit: Mayor L. - Parlatore F.
Targioni-Tozzetti R. F.
Cesati O.
Gibelli G. - Parlatore F.
Ferrari G.
Gibelli G.
Giannini F.
P. Savi F.
Parlatore F.
Calandrini F.
Parlatore F.
Parlatore F.
LOCALITÀ NON ITALIANE VISTE NEGLI ERBARII.
Svizzera.
Alpi Bernesi 5
Grindelwald (Oberland Horse)
Hospice du Simplon (Valais).
. leg. Em. Thomas Bo.
Levier L.
Christener L.
Lewvier L. - Cuboni R.
284 S. BELLI
Faulhorn (Alpi Bernesi) 6-7000' .
S. Bernardino Grigioni .
S. Gottardo .
S. Moritz
Camfer (Grigioni).
Spluga
Lucomagno .
Francia.
Pyrénées (environs de Barèges) .
Colle d’Olle et Glaciers de St-Sorlin d Artes
(Maurienne-Savoie)
Mont Dore (Auvergne) .
Vallon de Ségure près Abriès (Hautes Alpes)
2000 m.
Pierre sur Haute di
Pelouse de Gondran (Briangon) .
Pyrénées centrales: Esquierry
Faux bonnes (Pyren. occid.) .
Pyrenées (Lheris).
Lautaret (Hautes Alpes)
Spagna.
Pico Cordel (Castella Vetus) .
Pyrenées Arragon. in pascuis Jugi Diu do
Canfranc., 3600 m.
Pedicino R.
DNris R.
Sommier S. - Parlatore F.
Sommier S.
Rosa Cesati C.
Cesati O.
Franzoni F.
VOTE Awuohé Bo.
E. Didier Bo.
Bo. - Lecoq (Clermont Ferrand) R.
Bo.
Frères Faustinien et Gandoyer L.
Gastien G.
Erh. Fauché Bo.
J. E. Zetterstedt L.
J. Ball L.
Erb. Francavillanum R.
J. de Parseval Grandmaison R.
Bo.
Willkomm Bo.
Austria e Tirolo Italiano.
Montelaufen a Sterzing, 2000 m. (Tirolo centrale) leg. Huter L.
Alpi Tirolesi . È
Alpi del Tirolo TE î .
Tirolo Austro-orient. Lienz in monte Schleinitz-
Iselrein 7000'
Trento (Bondone) Col Santo
Alpi di Duron e monti di Passirio (Trento)
Val Fassa (Trentino)
Erb. Pedicino R.
Hoffman T.
Rev. Gander T.
Fratelli Perini C. F. - Ambrosi F.
Fratelli Perini F.
Bracht F.
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA.
Pirenei spagnuoli, Asturie, Pirenei e Alpi Francesi, Svizzere, Tirolesi, Italiane,
Mont Dore, Appennino boreale, Carpazii (Transsilv.).
Nvywan., l. c.
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 285
NB. — Maratti nella Flora Romana, l. c., ascrive anche il 7. alpinum alla sua
dizione come già vi ascrisse il T. Lupinaster. Dietro notizie avute dal Prof. Pirotta
crediamo che si tratti anche qui di un errore, o che tutt'al più possa essere stato
importato per caso, quantunque anche questa supposizione sia un po’ azzardata trat-
tandosi di specie affatto alpina e che difficilmente vive a lungo anche nelle regioni
fredde, se portato alla pianura. — Il limite più basso a cui sia disceso a mia cogni-
zione il 7. alpinum sarebbe il Monte Summano nel Vicentino ivi raccolto dallo Zan-
nichelli. Così il Prof. Saccardo scrissemi in proposito: “ A pag. 73 delle Opuscula
“ botanica leggesi fra le piante raccolte dall’ Autore in Monte Summano territorii Vicen-
“ tini: T. alpinum flore magno radice dulci Casp. Bauhin. Pinax, p. 328. T. alpinum L.
Non abbiamo in erbario detta specie dal M. Summano ma dalle vicine Alpi verso il
Trentino. Il Summano è alto 1300 metri e ignoro se il T. alpinum possa veramente
trovarsi a tale altezza. Generalmente Zannichelli è autore accurato ,. — Per conto
mio non ho mai visto il 7. al/pinum discendere al disotto di 1800 metri; ignoro se
fu raccolto più in basso: ma le località qui riportate paiono accennare al più a
questo limite estremo. Il limite più elevato, sarebbe dato dalla quota di Wilkomm
metri 3600 s. m. nei Pirenei Arragonesi. — Il Comolli nella Flora Comensis, LL c.,
dice che il 7. alpinum abita in tutti i monti della provincia della Valtellina e del
Canton Ticino che sorpassano i 6000 piedi.
(3
K
K
Susspecies I. — T. polyphyllum C. A. Meyer.
Verzeich. Pfiz. am Caucas., p. 159 (1831) — Dietrich Syn. pl. Sect. IV, p. 1003
— Ledeb. FI. Ross. Vol. I, p. 551 (1842) — Valpers Repertor. Vol. I, p. 642 (1842)
— Boiss. FI. Or. Vol. II, pag. 148 (1872) — Celakowsky, 1. c., p. 42 (1874).
Subvar. a. stenophyllum Nob. in herb. Boissier (Aucher Eloy Herb. d’Orient)
Lazistan.
Var. BR. ochroleucum Sommier et Levier (in litteris et herb.).
Icon nostra. — Tab. II, fig. C.
“ Capitulis laxifloris (7-12); floribus magnis (18-(20 media)-22) mill. longis, dupli-
catim verticillatis; verticillastris superpositis, infero 5-6, supero 2-3 ‘floro, saepissime
reducto unifloro, omnibus involucratis, involucello tenui, albo-membranaceo-scarioso, den-
tato-crenato, glabro; mucrone in medio florum superiorum (axi inflorescentiae) subnullo
vel nullo, floribus cymosis — Calyce corollam dimidiam subaequante vel longiore (var. B)
— Dentibus calycinis triangularibus, acuminatissimis, basi et facie interna pilis plus
minus raris obsitis — Foliolis 5-7, rarissime 9; nervis secundariis tenuibus — Corolla
purpurea vel (var. B) ochroleucis , Nob. %.
Var. B. “ Floribus dilute ochroleucis, vel citrinis, fere albis — Calyce corollam
dimidiam parum superante , (Sommier et Levier in litt.).
286. S. BELLI
DESCRIZIONE.
Perenne.
Radice fittonosa, grossa, legnosa, più o meno ramificata. Del resto simile affatto
a quella del T. alpinum.
Caule come nel 7. alpinum; reticolo formato nel residuo delle istipole infime
sfilacciate, di colore più chiaro, quasi biondo.
Foglie glaberrime, le inferiori più lungamente picciolate, le superiori meno; pic-
ciuolo grosso, subcilindrico, appena appiattito superiormente. Stipole quasi identiche
a quelle del 7. alpinum con code un po’ più sottili, subulate, massime le supreme.
Foglioline sessili (5, 7, di rado 9, 0 3, 4), lanceolate, o lanceolato-lineari, sca-
nalate a doccia alla base cuneiforme, allungate, acute od acuminate, di rado ottuse,
con nervature diritte e poco marcate, con margini quasi integri o leggermente
denticolati.
Infiorescenza. — Peduncoli ascellari solitarii più lunghi della foglia cortispon-
dente o di rado più brevi, cilindrici, glabri. Capolini come quelli del 7. alpinum,
soventi con minor numero di fiori (3, 8) formati da due verticillastri sovrapposti,
ciascuno involucrato dal collaretto proprio, membranaceo, scarioso, crenato, enerve,
l’inferiore più ricco di fiori, il superiore spesso ridotto ad uno o due fiori con col-
laretto rudimentale e privo dello spuntone mediano che continua l’asse fiorale in-
definito.
Calice conforme a quello del 7. alpinum, verdognolo, o spesso colorato in ros-
signo. Tubo leggermente saccato alla base e sul lato superiore, con dieci nervi:
cinque dentali più validi, cinque commissurali più esili, glabro, o con pochi peli fla-
gelliformi alla base dei denti ed internamente in corrispondenza della fauce, più di
rado con villi sparsi su tutta la superficie esterna insieme alle solite produzioni
glandulose, clavato-pedicellate. Denti cinque triangolari, allungati, acuminatissimi,
l’inferiore lungo il doppio del tubo e metà del vessillo o poco più (var. £), glabri,
o con qualche pelo al margine massime inferiormente.
Corolla porporina, ovvero (var. 8) giallo-citrina, persistente a lungo e leggermente
scariosa.
Vessillo quasi libero dagli altri petali o con leggerissimo cercine basilare, oltre-
passante il calice del doppio (denti compresi) o poco meno (var. B), oblungo-obovato,
arrotondato all'apice, troncato o smarginato, con nervature percorrenti tutto il
lembo, forcate e riunentisi in basso in pochi fasci un po’ più robusti, dapprima com-
piegato sugli altri petali, poi rialzato alquanto sul davanti al momento della fecon-
dazione, poi nuovamente compiegato. Ali irregolarmente lanceolate, ottuse, con breve
auricula poco bollosa. Carene cultriformi con margine superiore retto, l’inferiore con-
vesso, ma ottuse, un poco più brevi delle ali non auriculate.
Stami come nel T. alpinum.
Ovario, idem. %
Legume membranaceo, oblungo-elittico, glaberrimo, deiscente sulla sutura ven-
trale, del resto come nel 7. alpinum.
Semi due, subgloboso-compressi, cordiformi, verdognolo-glauchi, lisci.
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 287
»% VARIETÀ, LETTERATURA e CRITICA. — OSSERVAZIONI.
Il 7. polyphylum del Caucaso è senza discussione una pianta che dimostra una
origine comune col 7. alpinum delle Alpi. È impossibile osservare queste due specie
| senza essere colpiti dall'estrema rassomiglianza esteriore rivelante la strettissima
loro affinità genealogica; a tal punto che, tolto il fatto costante della polifillia nel
primo e fatta astrazione da alcuni altri pochi caratteri leggerissimi, per quanto co-
stanti, si crederebbe di aver a che fare con due varietà di una stessa specie. Co-
mune ad entrambi è il carattere, validissimo qui, dedotto dalle fibrille sfacelate delle
vecchie stipole, comune la glabrescenza generale, il portamento, l’infiorescenza, la
forma dei petali e la presenza di due sorta d’infiorescenza contemporaneamente esi-
stenti, cioè le une sviluppate, le altre rudimentali. Identica poi l'ubicazione nelle
alte regioni montuose, e finalmente parallele le variazioni nel colore della corolla.
Difficilmente la pratica del concetto di Stirps nel nostro significato troverà altrove
nel G. Trifolium una più bella applicazione. Diamo qui un piccolo schema delle dif-
ferenze intercedenti fra T. alpinum e T. polyphyllum :
T. alpinum L.
Foglioline 3, rarissimamente 5.
Due verticillastri ad ogni asse fio-
rale; di rado tre (il supremo ridotto ad
un fiore involucrato); più di rado an-
cora un solo. Verticillastro supremo con
spuntone mediano rappresentante l’asse
fiorale abortito, raramente mancante.
Calice un po’ più lungo rispetto alla
corolla. Denti triangolari, acuminati, evi-
dentemente trinervi fin quasi all’apice,
con qualche trabecola trasversale. Tubo
con nervature commissurali e dentali den
rilevanti e spiccanti sul tessuto sottile
interposto, affatto glabro.
T. polyphyUum ©. A. Meyer.
Foglioline più spesso 5; più di rado
VSC
Due verticillastri ad ogni asse fio-
rale; più di rado uno solo; il superiore
ridotto ad uno o due fiori involucrati da
un collaretto rudimentale.
Manca lo spuntone apicale in mezzo
al collaretto superiore rappresentante
dell'asse, o ridotto ad una prominenza
mammillare.
Calice un po’ più breve per rap-
porto alla corolla. Denti sottilissimi, su-
bulati. Nervature del calice, massime le
commissurali meno evidenti e con trabe-
cole più scarse. Tubo più spesso colorato
in rossigno con qualche villo denticulato
alla fauce ed alla base dei denti.
Il T. polyphyUum osservato allorchè germina, dopo di aver emesso i cotiledoni,
dà origine a foglie che portano 3 o 4 foglioline: le susseguenti ne portano più fre-
quentemente cinque, le supreme talvolta sette, rarissimamente nove.
Il 7. alpinum ne porta, come vedemmo, sempre tre ad ogni picciuolo, ma Ber-
toloni scrive aver osservato il T. alpinum con foglie “ rarissime quinata ,. Io non
ho mai potuto osservare questo fatto nè negli erbarii nè sul vivo, ma, ritenendo
esatta la asserzione del Bertoloni, essa parlerebbe ancor una volta in favore della
colleganza genetica fra T. alpinum e polyphyllum.
288 S. BELLI
Quest'ultima specie, quale io l'ho esaminata nell’erbario Boissier, presenterebbe
due forme abbastanza distinte. L'una raccolta dal Meyer stesso e rispondente ai ca-
ratteri da lui dati e nella Flora orientalis, 1. c., dal Boissier; l’altra è notevole b
la grossezza della radice e per la forma tozza dei rami, grossi, brevissimi, all'apice
dei quali stanno raggruppate delle foglioline minutissime lungo poco più di 15 mill.,
strette, lineari (Erbario Aucher, Eloy. Herb. d’Orient). In questo saggio il calice
giunge coi denti appena al terzo della corolla.
Con un solo esemplare è difficile il dire se questa sia una varietà fissa: ad
“ stenophyllum ,, la quale cor-
risponderebbe fino ad un certo punto all'omonima del 7. alpinum. Anche nel saggio
tipico, raccolto dal Boissier e più sopra citato, il calice arriva coi denti appena al
terzo della lunghezza del vessillo ed i denti sono abbastanza larghi, acuti, ma non
acuminati come nella var. B, di cui entriamo a parlare.
Questa bella forma di 7. polyphyllum ci fu comunicata dai signori D' Sommier
e Levier, che recentemente hanno visitato la catena del Caucaso, riportandone una
ricca messe di piante. Il sig. Sommier annotò i saggi inviatici colle seguenti pa-
role: “ 7. polyphyUum, C. A. Mey. — Flores ochroleuco-citrini nec purpurei ut Bois-
“ sier FI. Or. dicit. A descriptione Boissieri differt praesertim colore diluto ochro-
“leuco (fere albo) florum; dentibus calycinis longioribus (calyce corollam mediam
“ excedente). A descriptione originali C. A. Meyeri differt dentibus calycis inaequa-
“ libus. Differentiae paucae nec constantes. ,
A me pare che l’egregio Autore abbia dato troppo poca importanza a questa
varietà, la quale, a quanto ho potuto osservare dalle località riferite nei saggi è
abbastanza diffusa. Le differenze accennate dal Sommier sono esattissime e tutti gli
ogni modo io l’ho enumerata come una sottovarietà
esemplari raccolti nel suo erbario (all'infuori forse dei saggi nani dei luoghi eleva-
tissimi, nei quali pare che la corolla si sviluppi a preferenza del calice) mostrano
in modo costante i caratteri da lui designati. E queste differenze si fanno molto più
evidenti se si paragonano le piante in questione con quelle autentiche dell’erbario
Boissier. Io l'ho quindi ritenuta per varietà distintissima nella mia rivista.
La var. BR presenta essa pure come il tipo delle variazioni nella forma e nelle
dimensioni delle foglioline, in rapporto specialmente collo sviluppo generale della
pianta. Così ho visto forme nane (vedi haditat) con foglioline quasi lanceolate, ottuse
e con nervature un po’ più spiccate corrispondenti al saggio autentico di Meyer nel-
l’erbario Boissier, e delle forme evolutissime parallele a quelle del 7. alpinum.
HABITAT.
Alpi del Caucaso occidentale leg. C. A. Meyer (1842) Erb. Boissier.
Subvar. stenophyllum.
Lazistan (Aucher-Eloy. — Herbier d’Orient) — Erbario Boissier.
Var. B. ochroleucum Sommier et Levier.
Svanetia libera ad limites Adkhasiae in montibus inter flumina Neuskra et Seken
in rupibus circ. 2600-2800 m. #/m, 22 aug. 1890, leg. Sommier et Levier.
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 289
Abkhasia in valle fluminis Kliutsch infra jugum Klukkow 2700-2800 m. 5/m,
28 aug. 1890, leg. Sommier et Levier.
«(Forma nana) — In jugo “Tiederdinski perival , dicto, inter flumina Tiederda et
Do-ut, ditionis Kuban. 2500-2600 m. “/m circa; in pascuis alpinis, II, 2 7° 1890,
leg. Sommier et Levier.
SPECIES 22.
T. nanum Torr.
in Ann. Lyc. N. York 1, 35, t. 3 — Watson in Proceed. Am. Acad. XI, p. 128 —
Rothr. PI. Wheeler — Walpers Repert. Vol. I, p. 6483 — Dietr. Syn. pl. Sez. IV,
p. 1003 — Gray in Am. Journ. Sc. II, 33, p. 409.
Questa sottospecie non è europea, ma abita le Montagne Rocciose nell'America
Nord. — Potei studiarla sopra pochi saggi comunicatimi dalla cortesia dell’amico
Prof. Mattirolo che li ebbe dal Prof. Rothrock di Filadelfia, e raccolti nella regione
del Rio Colorado all'enorme altezza di 12000’ (1). Il cartellino accompagnante i saggi
portava scritto quanto segue:
“ Exploration and Surveys West of the 100 th. meridian — Lieutenant G. M.
“ Wheeler Com’ding; Corps of Engineers U. S. Army, Expedition of. 1873 ,.
L’aspetto esteriore, la facies del T. nanum è assolutamente quella del 7. alpinum,
tanto che, osservati così all’ingrosso, si potrebbero scambiare l’uno per l’altro. Ma un
esame un po’ attento lascia vedere nel 7. nanum delle particolarità curiosissime, che
nel T. alpinum non si ritrovano. La più essenziale è questa. I germogli scapiferi si
originano dai germogli sterili (fogliferi soltanto) all’ascella di una stipola perfetta-
mente conformata, e crescono portando delle stipole biancastre scariose, diversamente
foggiate da quelle che hanno code e foglioline. Sono cioè senza code, rigonfie, ampie,
e si accavalcano le une sulle altre a cagione degli internodii brevissimi; e finalmente
ad un certo punto si saldano pei loro lati, formando una specie di collare grande
tre-quadri-fido, dal quale spunta il peduncolo o scapo fiorale, che porta due o tre
fiori grandi come quelli del 7. alpinum, ma ognuno dei quali ha un secondo colla-
retto scarioso-membranoso proprio.
Il calice del 7. nanum ha i denti triangolari, cordati alla base, più brevi del tubo
o tutt'al più subeguali ad esso. L’ovario è oblungo-lineare, poliovulato, ed in ciò si
distingue anche dal 7. alpinum. — Nei saggi esaminati sgraziatamente mancava il
legume. Nel resto del fiore le differenze dal T. alpinum sono quasi nulle.
Certamente occorrerebbe un materiale fresco, per poter studiare meglio l’infiore-
scenza così strana del T. nanum. Se mi sarà dato di farlo in tempo avvenire, potrò
anche meglio stabilire se questa sia una specie od una sottospecie del 7. alpinum
stesso. Ma per ciò fare occorrerebbe poter studiare le forme, che crescono a lui
vicine sui Rocky-mountains, cosa non troppo facile. Certo è che il 7. nanum appar-
tiene alla Stirps Glycirrhizum. N. (Bertol).
(1) Il 7. alpinum, come già si disse, venne raccolto ad altezza maggiore (2600 metri nei Pirenei
Arragonesi — Wilkomm).
Serie Il. Tom. XLIV. Li
290 S. BELLI
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA L°
1. Sezione longitudinale di una gemma ipogea di 7. Lupinaster —- a) Stipola
del capolino inferiore a' — 8) Stipola del capolino superiore 9" — y Stipole afille
senza capolini o rami all’ascella (ingrandimento 2%).
2. Infiorescenza pseudo-scorpioide di 7. Lupinaster — a) Ricettacolo foggiato
a palmetta visto pel dorso — 5) Fiori inseriti all’apice organico del capolino spostato
in basso e tabescenti (ingrand. 4/,).
3. Sezione trasversa di una gemma ipogea del 7. Lupinaster passante un
po’ al disopra del punto in cui due capolini stanno in boccio — @) cordoni vascolari
delle stipole afille — 5-c) Stipole più interne (superiori) disposte secondo la diver-
genza !/, — d) Ricettacolo del capolino inferiore — e) Ricettacolo del capolino supe-
riore tagliato trasversalmente e ricevente nella sua concavità, l’inferiore del quale
si vedono solo due fiori rappresentati da due mamelloni x e x’ (ingrand. circa ‘/;).
4. Ricettacolo del T. Lupinaster foggiato a palmetta ovata coi peduncoli
fiorali inseriti all’interno dei due collaretti di brattee, e mostrante il peduncolo sca-
nalato «, terminante nella superficie interna è allargata e concavo-pianeggiante
(ingrand. $/,).
5. Ricettacolo come sopra tendente a divenire orizzontale, molto meno schiacciato
lateralmente (ingrand. 5/,).
6. Infiorescenza in boccio del TY. Lupinaster — a) Stipola inferiore fogliuta
avviluppante il capolino a’ e contemporaneamente la stipola è; la quale a sua volta
abbraccia il capolino d' — Il capolino e ravvolto nella corrispondente stipola si
applica contro la base del ricettacolo del capolino d', e tutto questo corpo si applica
a sua volta contro la base del ricettacolo del capolino a' — I capolini sono nella
figura divaricati e le guaine tagliate per mostrare i punti di pressione reciproca sui
ricettacoli e sui peduncoli fiorali (ingrand. 1°/, c. c.).
7. Porzione di rizoma sotterraneo del 7. Lupinaster portante due gemme
ipogee colle stipole afille, di cui una in via di sviluppo (ingrand. 8/,).
&
“e 922 Voto XII
C
,
Ò
lati
a)
°°]
paca
9
DI
Lo
==
STE
RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 291
8. T. Lupinaster — Fiore completo.
9. Vessillo (ingrand. 4/,).
10. Ala È È
11. Carena. 3 »
12. Stami 7 ’
13. Ovario ” ”
14. Legume ” »
15. Seme ” »
16. Sezione trasversa di un peduncolo fiorale di 7. Lupinaster.
16°. Porzione ingrandita dello stesso peduncolo che dimostra la differenza di
sviluppo soprattutto dei fasci fibro-vascolari nelle due regioni esterna ed interna del
peduncolo fiorale — i) Faccia interna — e) Faccia esterna — @) Cuffia di elementi
sclerenchimatosi (libro duro) — e) Xilema — d) Regione endoxilare del fascio, rap-
presentata da elementi sclerificati in parte ed in parte parenchimatosi, simili a quelli
del libro esterno — Nella faccia interna del peduncolo i fasci vascolari sono molto
più piccoli; la cuffia di libro duro è molto meno sviluppata, lo xilem è ridotto ad
una sola serie di vasi punteggiati con qualche rara trachea, e nella regione endoxilare
mancano quegli elementi parenchimatosi sclerificati rappresentati nella figura alla
lettera d nei fasci esterni del peduncolo.
292 S. BELLI
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IL
A) T. exîmium Steph. — 1. Fiore completo — 2. Calice aperto — 3. Vessillo
— 4. Ala — 5. Carena — 6. Stami — 7. Ovario — 8. Legume.
B) 7. alpinum L. — 9. Fiore completo — 10. Vessillo — 11. Ala —
12. Carena — 13. Stami — 14. Ovario — 14°, Legume — 15. Seme — 155, Asse
dell’infiorescenza col mozzicone rudimentale sporgente all’apice.
0) T. polyphyWlum €. A. Meyer. — 16. Fiore completo — 17. Vessillo —
18. Ala — 19. Carena — 20. Stami — 21. Ovario — 22. Legume — 23. Seme.
NB. L’ingrandimento in tutte queste figure è circa 4‘/, salvo per gli stami nei
quali è maggiore.
Lo sedili
i i Ni; ù si î TO x
£ > “a v
| i TI
3 5 i,
È i: *
ERRATA CORRIGE
‘ A pag. 237 linea 8 (dal basso) legume i. <a se vario
s 259 , 4 (dall’alto) in nota 7. Lupinaster sottosezione T. Lupinaster alla Sottosez.
s 280, ultima nulla. Pona (x) nulla (x). Pona
n 280 , ultima la descrisse ..... e la figurò . lo descrisse..... e lo figurò
2890, 2 (dal basso)in nota maggiore . . . . . . . press’a poco eguale
Nota alla pag. 284:
Fra le località spagnuole riportate per l’ © Habitat , del 7. alpinum havvi la seguente: £ Pyrenées
“ Arragon. in pascuis Jugi Puerto de Canfrane. 3600 metr. ,. — Il cartellino di Willkomm portava
questa quota altimetrica scritta evidentemente per inavvertenza, poichè, considerando anzitutto che
la cima più alta dei Pirenei centrali non raggiunge i 3500 metri, non è poi supponibile che la
pianta sia stata raccolta proprio sull’estrema vetta priva di qualsiasi vegetazione.
Nota alla pag. 285 :
Ho potuto avere dalla cortesia del sig. Burnat di Vevey le seguenti località dove fu raccolto
il T. alpinum, le quali proverebbero come esso scenda a livelli relativamente bassi nelle Alpi ma-
rittime:
“ Entre les vallées de Cairos et de Ceva près de Fontan (Dép. des Alp. marit. frang.) 1500 m. s/m.
“ Près de Beuil (Dép. des Alp. marit. frane.) Herbier Marcilly - 1450 m. s/m.
“ Caussols (près de Grasse - France) Abbé Pons in litteris - 1100 m. s/m. ,
“
se
x
DLE: A Rude
avi fa
do
;
LS
ASirà
SULLE
EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE
LE CUI RADICI
SI POSSONO RAPPRESENTARE CON x«, 0, 0°,
MEMORIA I
DI
V. MOLLAMEI.
Approvata nell’Adunanza dell’11 Giugno 1893.
Se m + 1 è un numero primo, l’equazione seguente
oo Lat L...., +te+1=0, (1)
che è quella della divisione del cerchio, oltre ad essere reciproca, è anche abeliana,
come è noto. Le sue radici sono i termini della serie
D)
(O SAC 0 CAPRIO CASI SURRIOT , 0 (2)
nella quale g è una radice primitiva del numero primo m + 1 ed a è una radice
qualunque, diversa da 1, dell'equazione binomia
ank it, (3)
le cui radici, salvo 1, son tutte primitive.
Inoltre, imaginando divisa in wm parti uguali la circonferenza di un cerchio, se le
radici (2) si pongano, ordinatamente, nei punti di divisione, risulteranno reciproche quelle
k+
; Ro ; %
che sono negli estremi di un diametro, per es. af", of °(£K—=0,1,2,..., m— 1),
come a suo tempo verrà provato.
Quest'ultima proprietà e l’altra precedentemente detta, cioè che ogni radice a,
diversa da 1, dell'equazione (3) dà luogo ad una serie (2), i cui termini sono le ra-
dici di un’equazione abeliana reciproca, non sono che casi particolari di quel che
avviene per alcune radici
(rea nr) (4)
294 V. MOLLAME
di certe equazioni più generali dell'equazione (3). Se M (x) = 0 è una di tali equa-
zioni, con ogni sua radice x appartenente al sistema (4) si può, mediante una deter-
minante funzione razionale 0(x), formare la serie
CARLI 00) AH (7) RCNRINO or (1)
i cui termini sono le radici di un’equazione abeliana reciproca, di grado pari » e
per la quale 0% (x) e +3 (OOO , n — 1) sono radici reciproche.
Le radici (4), il cui numero v è multiplo di x, sono quelle di una equazione
F(x)=0, di grado v, con coefficienti razionali rispetto a quelli dell'equazione M (x) = 0.
In particolare, l'equazione
n
20°(@=1, (3)
nella quale » è un numero pari positivo, e
WIE REI +
CS est GESSO + ar
0a) ===
è una delle anzidette equazioni. Essa può divenir binomia, ed allora si riduce all’una
od all'altra delle seguenti
arf+1—=1, (6)
qriteiZi (7)
nella seconda delle quali i numeri interi e positivi r ed vi devonsi supporre dispari.
Nel campo delle radici (4) trovansi le radici primitive delle equazioni (6) e (7) (*)
allorchè ad una di esse si riduca l’equazione (5).
Con le radici primitive dell'equazione (6), o della (7), si può comporre, come è
noto, un’ equazione razionale, G (x) = 0, il cui primo membro è perciò un fattore
razionale di F (x), quando l’ equazione F (x) = 0 è quella che si ricava dalla (6) o
dalla (7).
Se f(x) = 0 è un'equazione abeliana reciproca di grado n, le cui radici siano
rappresentabili con x, 0 (x), 0° (2), ..... , 9*-1 (2), il numero p' nella radice 0! (x),
che è reciproca dell’altra radice x,, può essere o indipendente da u, e quindi dalla
scelta della radice diretta x,, ovvero variare con u. Dalla prima di queste due
ipotesi fondamentali scaturisce una classe di equazioni abeliane reciproche fra le quali
trovasi quella della divisione del cerchio: esse formano il soggetto della presente
memoria.
(*) Per le radici primitive dell'equazione binomia am = — 1 veggasi la mia Nota, Sulle radici
primitive dell'unità negativa (£ Rendiconto della R. Accademia delle Scienze di Napoli ,, Fascicolo 7°
a 12°, 1892).
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 295
a
Sia
f(a) = 0 (1)
un'equazione di grado x, le cui radici, indicando con x una qualunque di esse, siano
rappresentate dai termini della serie
CALO E, oz (2)
nella quale si è posto per brevità di scrittura
ox: — 6:[0(2)], 0% = 0(0°*2), ecc.
e si è denotata con 6 (x) una funzione razionale di x, tale, che per ogni valore di x
che sia radice dell'equazione (1) risulti
Oa =%, (3)
e
diiVrimoni = (4)
qualunque sia il numero v scelto nella serie 1, 2, 3, ...,n—- 1.
In virtù delle ipotesi fatte sulle sue radici, 1’ equazione (1) è abeliana. Dalla
equazione (3) e dalla condizione (4) si deduce poi immediatamente che al numero £,
o esponente di 0 in 0% x, se x è radice dell'equazione (1), si può aggiungere o togliere
un multiplo di n», e che da 0 x = 0” x segue che la differenza fra % e £' deve essere
un multiplo di x.
La funzione 0 (x) si dirà funzione generatrice delle radici dell'equazione abeliana (1).
Suppongasi inoltre che l’equazione (1) sia reciproca e, scelta una sua radice 24,
ne sia ex, la radice reciproca. L’esponente u' di 0 in 6! x potrà essere o indi-
pendente da u, cioè dalla scelta della radice %,, o variare con questa. Dalla prima
di tali ipotesi fondamentali nasce una classe di equazioni abeliane reciproche che
formano il soggetto della presente memoria e che, per brevità di linguaggio, si
diranno equazioni abeliane della classe (1).
Sia x una radice qualunque dell’ equazione (1), supposta abeliana e della
classe (I), e 0 x, ne sia la radice reciproca: sarà v indipendente da x; e però se
nella serie (2) si imagini che all’ultimo termine segua il primo, come al primo segue
296 V. MOLLAME
SOI:
il secondo e così via, le radici reciproche seguiranno ad intervalli uguali le radici
dirette; e, come applicando v volte l’ operazione 0 si passa dalla radice x alla
radice reciproca 0”x, così applicando v volte la stessa operazione alla radice 0 si
passerà da 0” x alla radice reciproca di 0” x, cioè si tornerà alla radice x. Si ha quindi
2v
ee
e perciò 2v deve essere un multiplo di ». Or essendo v uno degli esponenti di 0
nella serie (2), si ha v < x — 1; per la qual cosa il multiplo di » che può essere
uguale a 2v o è zero, ovvero è n. Se è 2v= 0, cioèv= 0, allora ogni radice del-
l'equazione (1) è reciproca di sè stessa, e quindi quella equazione non ha altre radici
che 4 1, o — 1. Questo caso che non offre nulla degno di nota non sarà preso in
considerazione e rimane perciò a porre soltanto 2v = n. Adunque la radice reciproca
n
di x è 0? x, qualunque sia x, cioè si deve avere
CT ) (3)
per ogni radice x dell’equazione (1) e per ogni valore finito del numero intero e
positivo k.
Si può quindi conchiudere che:
Le equazioni abeliane della classe (1) sono di grado pari; e se 0 (x) è la funzione
generatrice delle loro radici, ognuna di queste deve soddisfare l’equazione (3).
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 297
UD
DO
Nelle ricerche ulteriori si presenta il problema seguente, del quale si premette
ora qui la soluzione. i
Determinare la forma generale di una funzione razionale 0 (x) che goda la pro-
prietà espressa dall’equazione identica
0()8(1) = 1 (1)
Pongasi
= aedtt+azn201 +... + ao + E A (2)
net ba + ba 1 +... + dba + do < B(a) 7
e le funzioni intere A (x), B(x) si suppongano prive di fattori comuni e decomposte
in fattori lineari. Allora 0 (x) assumerà la forma seguente
_a@a(e-2a)le- e)... (ea)
O ara) FCE) ENI: ESITA) (2)
nella quale una €, non può essere uguale ad una xg. Dalla (2) si ha che
1\_@&(1-m2 (1-2)... (1-22) ,.
bere (3)
e però l'identità (1) in virtù delle (2) e (3) diviene
| aet—m) (ex)... (a-x2)(1A—- 2,2) (39)... ge = i (4)
! be cElezb... (Ed had... 1-4) Wa
Il numeratore della precedente frazione si annulla per x= xg (B= 1, 2, ..., 7),
| ed è xg una quantità finita, perciò deve annullarsi anche il denominatore; e siccome
una z, non può essere uguale ad una xg, così nessuno dei primi s fattori di quel
denominatore può annullarsi per x = xg. Tale annullamento deve adunque essere
prodotto da qualcuno dei rimanenti fattori. Se è 1— xg5,=0, si avrà
Serre II. Tom. XLIV. |
298 V. MOLLAMR
82.
e perciò le quantità Z. sono reciproche delle quantità xg: per la qual cosa deve
essere r = s e deve B(x) avere la forma seguente
Ba) = Ma, + a10 + @e +... + ma),
nella quale A è una quantità indipendente da x. Col precedente valore, B (x) l’espres-
sione di 0 (x) diviene
05 aid + anal tb... paso Phi.
o@ =] Mae + at! +... + ax + ap)
e questa, applicandovi l’identità (1), mostra dover essere \= + 1: quindi si ha per
la chiesta funzione la seguente espressione
oe are + a-10 +... + ar + a
(7) =£ ma + ae +... + = + 2a ) (5)
nella quale i coefficienti @ ed il grado r rimangono arbitrarii.
Si ha inoltre che:
Se una funzione razionale 0(x) gode la proprietà espressa dall’equazione identica (1),
anche Valtra funzione 0% (x) godrà quella stessa proprietà; ossia sarà, identicamente,
9* (2) 0* (1) 1 (6)
In effetti l'identità (1), che può scriversi
0. (tie Lie
(3) no (O)
RE: 7 - 16.2 7
mostra che l’azione di 6 sopra una frazione della forma -— si esplica solo sul de-
nominatore x; e però applicando % volte di seguito l'operazione 0 risulterà
"() = 7
cioè la (6).
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 299
83.
Sia f(x) = 0 un'equazione di grado », abeliana e della classe (I). E però ogni
sua radice dovrà soddisfare anche le equazioni
dr etzz=1, 1)
(AAA (2)
nella prima delle quali il numero intero e positivo % può ricevere qualunque valore
finito. Cambiando % in k + vi , l'equazione (1) non muta per ogni sua radice che
verifichi anche l'equazione (2): quindi dall’ equazione (1) si ottengono equazioni fra
loro differenti solo per gli $ Valoris0, glo 220275 5 — 1 di £. Tali equazioni, in-
sieme alla (2), formano un sistema di “i + 1 equazioni alle quali, come fu detto,
devono appartenere le n radici di f(x) = 0. Questo sistema può sostituirsi con quello
formato dalle ni equazioni ricavate dalla (1) per X= 0, 1, 2, ..., 2 — 1 e dal-
2
l’altra fornita dalla stessa (1) per K = Si cioè dalla seguente
0?%x 0"x = 1.
Imperocchè da questa equazione, paragonata con l’altra
DORATI (3)
che si ha dalla (1) per #=0, si deduce l'equazione (2). Sicchè le n radici di
f(x) = 0 devono esser comuni alle seguenti Si + 1 equazioni
02x0"ax=1;
le quali mostrano immediatamente: 1° che se x’ è una loro radice comune, sarà pur
tale ciascuna delle quantità 0.2’, 0°", ..... , 0 e; 2° che 0" x’ riproduce #'; 3° che
300 Ve MOLLAME
$ 3.
da k+ . DATA LC
le radici 0" x" e 0? ' sono fra loro reciproche. In conseguenza di ciò, se n è il
più piccolo degli esponenti v di 0, per i quali si ha 0Vx' = #', allora i termini
della serie
n
saranno le radici di un’equazione f(x) = 0 di grado n, abeliana e della classe (I).
Per la composizione di un’equazione della specie di f(x) = 0 è dunque mestieri
innanzi tutto che la funzione razionale 0 (x) sia determinata in guisa che le Di +1
equazioni (4) abbiano una radice comune.
Al sistema (4) può sostituirsi anche il seguente
cea = 1
0x gei 1
Po
ox 4 1 (5)
HA
9 p 03 — 1;
XL
giacchè per ogni radice x comune alle equazioni (4) si può in quelle sostituire
a 0? x la quantità eguale È , tratta dalla prima di esse, ed allora il sistema (4)
si riduce al sistema (5). Viceversa dal sistema (5) si deduce il sistema (4) col sosti-
n
tuire nelle equazioni che seguono la prima delle (5) ad 5 il suo valore 0% tratto
da quella equazione. Il sistema (5) è più semplice del sistema (4), se si tien conto
del numero di volte che devesi applicare l’ operazione 0; essendo tal numero nel
sistema (5) minore di quello relativo al sistema (4).
Esprimendo che le 5 + 1 equazioni (5) hanno una radice comune, si ottengono,
al più, Hi equazioni diverse, razionali nel campo dei coefficienti di 0 (x), alle quali
soltanto devono soddisfare i coefficienti di qualunque funzione 0 (x) razionale in «,
se essa si voglia assumere come funzione generatrice di un’ equazione di grado #
abeliana e della classe (I).
Sul grado della funzione 0 (x), se essa è intera, o sui gradi del numeratore e
del denominatore di 0 (x), se essa ò frazionaria, si può notare quanto segue.
Sia 0 (x) funzione intera di x, per es.
0(2) = ara + aan L...... + ape;
sarà 0"(x) del grado »” ed x?” ne sarà il termine di minor grado.
penne
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 301
IRE
Perciò in 0 (1) il numeratore è di grado »” — p” ed il denominatore di
grado 7‘. Adunque, se per brevità di scrittura si rappresenta con (u, u') una fun-
zione algebrica fratta della quale u e u' sono i gradi del numeratore e del deno-
minatore, si avrà
0 (2) = (, 0)
e (4) ==.)
Per la qual cosa, i gradi delle equazioni (5), ridotte a forma intera, sono dati, ordi-
natamente, dai numeri » ® + 1, 2 — p, 2° — p°, ecc. Quindi, affinchè le » radici
53 OM all RSPP , 0"-1' comuni alle equazioni (5) possano essere fra loro disu-
guali, è necessario che o nessuno dei precedenti gradi sia minore di x, la qual cosa
importa che sia r > 1, come è chiaro, ovvero che si convertano in identità quelle
equazioni i cui gradi risultano minori di w.
Ora si ha
rz=[1+-1M)]}=1+3-1)+ ARE +TG-D)* ++)?
elite i Le
x LS "1° . n DS è .
dove e è una quantità positiva diversa da zero, se DIET 2: e perciò risulta in tal caso
n
pr?
Sd 23 lea lol
Se in questa relazione ad r — 1 (= 1) si sostituisce 1, si ottiene l’altra
la
da
>n+ 1
e quindi si conchiude che
r?2Lt1=3n+1,
dove il segno = si riferisce solo alle ipotesi (4 == 2) ; (3= bor= 2).
Adunque il grado della prima delle equazioni (5) non è mai inferiore ad n. Delle
equazioni rimanenti poi, la seconda è quella di grado minore: giacchè i gradi di
tali equazioni, per p = 7, sono dati dai numeri crescenti x, °, r°, ecc. e per p < 7,
dall’identità
P_pa=G—-p + rp+.....+ po
302 V. MOLLAME
sia:
segue che al crescere di v cresce la differenza 7” — p‘ e quindi cresce vieppiù l’altra
differenza 2r” — p‘; sicchè i gradi delle equazioni che seguono la prima delle (5)
sono sempre crescenti, e la seconda di dette equazioni ha perciò il grado minore,
2r — p. O dunque deve essere 2r — p = x, ovvero, se
Q_-p<pu,
e le predette » radici x, 0.4", 0° e", ..... , 0 x' sono fra loro disuguali, deve la
seconda delle equazioni (5) convertirsi in una identità; nel qual caso avverrà altret-
tanto di tutte le equazioni che seguono quella, in virtù della proposizione enunciata
in fine del $ precedente; ed allora la funzione intera 6 (x) deve avere per espressione
quella riportata nel detto $. Tale espressione intanto non può ridursi a forma intera
se.non. pera ==... = @r-155:0; in.tal. caso si avrà 0(0) = aterla
prima delle equazioni (5) diverrà un'equazione binomia, x” = + 1. In conseguenza
le radici 2!, 0.0! 0%... , 0 2' di essa, cioè di f(x) =0 sono radici dell’unità
reale, positiva o negativa. Si conchiude perciò che
Se 2r — p < n, la funzione intera
Ud lar tai a + ap a?
si può solo allora assumere come generatrice di un'equazione f(x) = 0, abeliana, della
classe (1) e di grado n, quando ap = a&-1=..... a-1=0 eda == 1; cioè quando
quella funzione si riduce alla potenza x". In tal caso le radici di £(x)=0 sono
radici dell'unità reale, positiva 0 negativa.
Sia 0 (x) una funzione frazionaria, per es.
IU MAD x + Ar-1 Xrtl + alate alte + a ARR fr (x)
0) = bs a + bi. + cere pa| E x) j
I gradi r ed s non si possono supporre entrambi uguali ad 1; altrimenti le
equazioni (5) risulterebbero tutte del secondo grado. Ora si ha:
0? (2) eta ar fe” + Ar-1 fra gs + BRODO + ao gs” str.
bs fr + bs-1 fr Is L SRO + bo gs$ Is 7
e quindi, se è r > s, la potenza g,5-” figurerà nel denominatore di 6°(x) con l’espo-
nente positivo r—s. In tal caso il numeratore di 6°(x) risulta di grado °, rispetto
ad x, ed il denominatore di grado 2rs — s°. Se invece è r = s ed a, è, non=0, il
numeratore ed il denominatore di 6°(x) risultano entrambi di grado s°: sicchè si avrà,
secondo la precedente notazione
0(2) = (r, 3)
0°) = (1°, 2rs— s°), r=>s
0) =i($, %), KISI®
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 303
$ 3.
Siccome poi con y => s si ha pure 2r — s > 1, cioè 2rs — s° > s ed è in ogni
caso 7° > 2rs — s°, così ponendo
“@= , #),
si ha che da @(x), con la condizione r => s, si arriva a 0°(2)[= (r', s')] dove è pure
verificata la condizione r' => s’, la quale perciò sarà verificata in 0*(x) per qualunque
valore intero e positivo di v. Oltre a ciò, come a motivo di r = s in 0(x) si è avuto
r>r ed s'> s, così da 7 =>s' in 0°x) si avrà r'">r' ed s"> s'in60°(x)e così via.
Si ha pure, per a,, è, non = 0
ti) |...
e(+| a) \
0 (+) =#(5,45) |
PIVZTES
e(+)= 6.9 |
e si può quindi conchiudere che il grado del numeratore e quello del denominatore di
; 1 È = . . y
8*(-) sono uguali fra loro e crescono con v, così come avviene in 0*(x). Adunque
\
la seconda delle equazioni (5), anche nel caso che 0(x) sia una funzione fratta per
la quale @, d, non = 0, è quella che ha il minor grado fra le equazioni che seguono
la prima. Tal grado è dato da 2r se r = s, ovvero da 2s se s=>r. Quindi se le x
radici x’, 00’, 0°, ..., 0”-1x' comuni alle equazioni (5) debbono essere fra loro disu-
guali, è necessario che il grado 2r, o 2s, della seconda di quelle equazioni non sia
minore di n. Nel caso contrario, cioè quando il maggiore dei numeri r ed s, o uno di
n
essi, se sono uguali, è minore di DE la seconda delle equazioni (5), e come conse-
guenza tutte le rimanenti, debbonsi convertire in altrettante identità. La funzione
0(x) in tal caso sarà quella determinata nel $ precedente; in essa i coefficienti
a, ed a, devonsi supporre diversi da zero, altrimenti o il numeratore, o il denominatore
di 0 (x) sarebbero privi del termine indipendente da x, ciò che in principio si è per
ipotesi escluso. Si conchiude adunque che:
Supponendo 2, bh, non = 0, se è r = s, la funzione
are + ara + ..... +
bs 2x5 Se bs1 asl + Rata ra + do 4
Ù E n " È n 6 O 5
nell'ipotesi di r, s < 5 non può assumersi come funzione generatrice delle radici di
un'equazione abeliana di grado n e della classe (1). Ciò può farsi 0 quando il maggiore
. ° . si (E D
dei due numeri r,s non è minore di >, ovvero quando r=s. In quest'ultimo caso deve
304 V. MOLLAME
$ 3.
essere bi = shiag boe = tarata , bo = + a, convenendosi di prendere costante-
mente luno o l’altro dei segni +.
In particolare se 0(x) sia stata determinata in guisa che le equazioni (5) abbiano
una radice comune e che qualcuna di quelle equazioni risulti di grado n, essa sarà
un'equazione della specie di f(x) = 0, purchè non abbia radici uguali.
In generale, dopo aver determinata la funzione 0 (x) in modo che le equazioni (5)
abbiano una radice comune, sia M(x) il massimo comun divisore dei primi membri
di quelle equazioni ridotte a forma intera e con uno dei membri uguale a zero. Con
ogni radice dell'equazione M(x) = 0 si può formare la serie
contagia
nella quale è
,
oe = a
n
r+®
002 — 1;
e però se nella precedente serie avviene che 0"x' è il primo di quei termini che
riproducono ', saranno 2', 04°, 0°%', ..., 0"-' radici di M(x) = 0 con le quali si
può comporre un'equazione di grado », della specie di f(x) = 0. Se dunque si sop-
prime da M(x) = 0 ogni radice x” per la quale nella serie x", 04", 6°x”,... non
è 0"x" il primo di quei termini che riproducono x”, l'equazione cui si perviene sarà
decomponibile in equazioni che hanno i caratteri di f(x) = 0 e che sono tutte quelle
che nascono per effetto della determinazione ricevuta dalla funzione generatrice 0(2).
Per sopprimere dall’equazione M(x) = 0 la radice x", comune a tutte le equazioni (5),
basterà sopprimerla da una qualunque di esse. A tal fine è sufficiente sopprimere da
una delle equazioni (5) ogni sua radice x che sia comune a qualche altra di dette
equazioni e per la quale si abbia 0”x = « per #' < n. Scelgansi, per es., la prima e
l’ultima delle (5), 0, ciò che è lo stesso, le equazioni (3) e (2).
È facile vedere innanzi tutto che una radice x comune alle equazioni (3), (2)
ed a qualche equazione,
n'
a0?a = 1, (6)
della stessa forma della (3), ma con un esponente — #. di 0 minore di è da sop-
I
primersi da una delle equazioni (3) e (2), per es. o (3): giacchè per una tale
radice risulta i
Dirt (7)
con n' < n. In effetti, per ogni radice x comune alle equazioni (3) e (6) risulta
0% i=i(0%gs (8)
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 305
$ 3.
n n
or applicando una volta l'operazione 06? ed un’altra l’operazione 0% ad ambo i membri
della (8), e tenendo presente l'equazione (2), che per ipotesi è pur essa verificata
dalla radice x in discorso, si avrà, rispettivamente,
nin
a =0 ? x
n+n'
(3 ASAP, RA dl
e dal confronto di queste due equazioni si ottiene la (7).
In generale, nella presente quistione basta considerare quelle soltanto delle
equazioni (6), nelle quali »' è un divisore (pari) di n, minore di », che dà un quo-
ziente dispari. Sia infatto x una radice delle equazioni (3) e (2) che verifichi anche
qualche equazione della forma (2) ma con un esponente di 0 minore di n. Di tali
equazioni sia
0% = x (9)
quella nella quale 6 ha il più piccolo esponente: in tal caso dovrà essere @ un di-
visore di n; altrimenti, posto n = av + u, dove v e u sono il quoziente ed il resto
della divisione di » per a, l'equazione (2), cioè la seguente
OOo
per ogni sua radice che soddisfi anche la (9) diviene
Ol Ch=—#05
e questa, essendo u < «, mostra non esser la (9) quella fra le anzidette equazioni
nella quale è a il più piccolo esponente di 0, ciò che è contro l’ipotesi.
Adunque essendo u = 0 ed n» = av, l'equazione (3) può scriversi
4y
ade = 1. (10)
Il numero v può essere pari o impari; nel primo caso, essendo DO un multiplo
di 4, l'equazione (10), cioè la (3), per ogni sua radice che verifichi anche la (9) si
si riduce alla seguente
#=1, (11)
e si conchiude che se a è un divisore di » che dà un quoziente pari (in particolare
se « = 1) le radici che le equazioni (3) e (2) possono avere comuni con la (9) sono
le radici 4-1 o — 1 dell’equazione (11). Tali radici devonsi perciò sopprimere dall’e-
Serie IT. Tom. XLIV. ni
306 V. MOLLAME
83.
quazione (3), quando vi siano. Sicchè nell'equazione (9) è da considerarsi solo il caso
in cui a è un divisore di n che dà un quoziente dispari v.
Sia v = 26 + 1; in conseguenza a deve essere pari. L'equazione (10), cioè
la (3), si può scrivere
(d1
29° 0!x = 1,
e questa, per ogni sua radice che verifichi anche la (9), diviene la seguente
(27
xx =1 (12)
nella quale, come fu detto, a è un divisore (pari) di », minore di », che dà un
° . ° ONES °_° . . °e_ n D
quoziente dispari; ovvero nella quale ip O UD divisore di n, minore di 9 che dà
un quoziente pari.
Si può ora enunciare il seguente
Teorema. — La funzione razionale 0(x) sia tale che le F + 1 equazioni (5)
[o (4)] abbiano una radice comune. Dall'equazione (3) si sopprimano tutte quelle radici
che essa ha in comune con altre equazioni della stessa sua forma ma con esponenti di @
minori di FI e O(x) = 0 sia l’equazione che ne risulta. Ridotte a zero ed a forma
intera le equazioni O(x) = 0 e quelle che seguono la prima delle (5), sia F(x) @ mas-
simo comun divisore dei loro primi membri; l’equazione
REi0 (13)
sarà decomponibile in equazioni di grado n, abeliane e della classe (1); per le quali 0(x)
è la funzione che genera le radici.
Se si sopprimono dall’equazione (3) le radici +1 e —1, quando vi siano, allora
delle anzidette equazioni aventi la forma della (3), ma con esponente di 0 minore di
= basterà prendere in esame quelle soltanto nelle quali, come nella (12), a è un divi-
sore (pari) di n, minore di n che dà un quoziente dispari: cioè quelle nelle quali l’espo-
n
9)
Non esistono altre equazioni abeliane della classe (1) oltre quelle ottenute nell’anzi-
detto modo.
nente di 0 è un divisore di n, minore di chè dà un quoziente pari.
tele nie i E NE SIMERI
eda ni
pe
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 307
84
. . . . n . . è
Il caso in cui la funzione @(x) sia tale che le > equazioni che seguono la prima
delle (5) del $ precedente diventino identità, vien preso in esame nel presente $.
Sia dunque la funzione 6(x) determinata in guisa che le equazioni
gala 1)
8
diventino altrettante identità. In tal caso il sistema (5) del $ 3 è verificato da ogni
radice x' dell'equazione non identica
n
x02x = 1, (2)
che è la prima di quel sistema; e quindi con la radice x’ e con la funzione gene-
ratrice 6(x) si può comporre un'equazione abeliana della classe (1), che sarà di grado n
se nella serie x’, 0x', 0°", ecc. è 0"' il primo dei termini che riproducono 2°.
Per la formazione di tale equazione e delle altre analoghe deducibili dalla (2)
già provvede il teorema poc'anzi enunciato, nel quale l’equazione F(x) = 0 è quella
che si ottiene sopprimendo dall’equazione (2) tutte quelle radici che sono considerate
nel citato teorema.
Or affinchè riescano identiche le equazioni (1) è sufficiente che la prima di esse
si riduca ad un'identità, secondo quel che fu detto nel $ 2, nel quale fu data anche
l’espressione che deve avere 0(x) nel caso in discorso: e però si ha il seguente
Teorema. — Sia
E Ci e e AO tiase' wo.
CT ma + mart + ..... + aa + ar”
se dall’equazione
A
20% 1
sì sopprimono tutte quelle radici considerate nel teorema del $ 3, l'equazione rimanente
Fx) = 0 sarà decomponibile in equazioni abeliane di grado n e della classe (1), per
le quali è 6(x) la funzione generatrice delle radici (*).
n
(*) Le radici dell’equazione #0°x = 1, non appartenenti ad altre equazioni della stessa forma
. . . n . . sa. . .
della precedente e con esponente di 9 minore di -, potrebbero denominarsi radici abeliane di
308 V. MOLLAME
$ 4.
L'equazione (2), se 0(x) ha per espressione quella indicata nel teorema prece-
dente, è di grado r? + 1. Essa, se la formola che dà 6(x) si prende col segno +,
ha la radice x = 1, qualunque sia r; ha inoltre la radice x = — 1 se r è dispari.
n n n
Imperocchè essendo attualmente 0%x 921 = 1, identicamente, ne segue che 0?x
avrà un'espressione della stessa forma di quella della funzione 0 (x) determinata nel
$ 2; quindi l'equazione (2) potrà mettersi sotto la forma seguente
Spa x(bsa + bs1a51 + CANINE + bjx + do) PA 1 (s guai r)
°° boa + bre 1 4... + bio db; Far
e sarà verificata da x = 1, se sì prende il segno -+ nel primo membro, qualunque
sia il valore di s e quindi di r: se poi s, e quindi r, è impari quell’equazione, nel-
l'ipotesi del segno --, sarà verificata anche da x = — 1.
Se poi si sceglie il segno — nel primo membro dell'equazione precedente, essa
ha la radice x = + 1, o l’altra x = — 1, secondo che r è dispari o pari.
Così, posto
Pax + da +c,
Q= ce +4 de + a,
e@=+
le equazioni biquadratiche seguenti
(ax — c)P° + ble — DPQH (ce—-a QQ? __
x 1
(ax + e) P°? + ble +1) PQ+ (ce +@Q? __ 0
c4+1 PARRA,
sono abeliane della classe (1) ed hanno per funzione generatrice delle loro radici
[0(2) =] + È [0(a) =] — $ rispettivamente.
ordine n di quella equazione. Con ciascuna di tali radici può comporsi un'equazione abeliana di
grado » e della classe (I). Nel campo di queste radici trovansi le radici primitive dell’equazione
in discorso, quando essa sì riduce ad un’equazione binomia, come sarà in seguito dimostrato.
n
Le rimanenti radici dell'equazione x0°x = 1, salvo +1, —1, appartengono ad equazioni della
a
forma x0%x = 1 dove a è un divisore di n, minore di n, che dà un quoziente dispari [$ (8)]; e
però se x è della forma 24, e solo allora, le radici dell’equazione in discorso, che diviene
p-1
CAI
sono tutte abeliane, tranne +1, o —1.
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 309
UN
(dl
Alle equazioni. abeliane della classe (I) considerate nel $ precedente apparten-
gono, come caso particolare, quelle le cui radici sono radici dell'unità, positiva, o
negativa. Per l’indagine di tali equazioni è necessario ricorrere ai teoremi (A) e (B)
che seguono.
Teorema (A). — Ir ognuna delle equazioni binomie
cui (1)
gra (2)
se una radice, x», è funzione razionale di un’altra, x;, si potrà esprimere xs come po-
tenza con esponente intero e positivo di x,.
In effetto se a è una radice primitiva dell’equazione (1), si potranno esprimere x,
ed x, come potenze di a, con esponenti interi e positivi, siccome è noto. Sia
gd, = 0°, de, = 0; (3)
si avrà allora
CE
do = QP; (4)
e quindi se x, è funzione razionale di x, dovrà essere q multiplo di p: per es. q = pr;
in tal caso la relazione (4) diviene
Xe = di (5)
ed il teorema precedente rimane dimostrato per l’equazione (1).
Estesa poi la definizione di radice primitiva dell'equazione (1) anche all’equa-
zione (2) si ha che:
Se a è una radice primitiva dell'equazione (2), i termini della serie
esprimono tutte le radici dell'equazione (2) (*).
In conseguenza le relazioni (8) relative all’equazione (1) e le altre (4) e (5) che
da quelle scaturiscono sono vere anche nel caso dell'equazione (2). Dopo. ciò il pre-
cedente teorema rimane provato anche per l’equazione (2).
(*) Questo teorema trovasi dimostrato nella “ Nota ,: Sulle radici primitive dell'unità negativa,
P 0)
(già innanzi citata. Tale nota, alla quale spesso si ricorre nella presente Memoria, sarà detta, per
brevità, Nota A.
310 V. MOLLAME
Sb.
d
Il numero intero r = i nella relazione (5) può risultare maggiore di 7, nel
caso dell'equazione (2); giacchè gli esponenti p e g variano da 1 a 2w — 1. In tal
caso se per es. è r=m +’, la relazione (5); ponendovi —1 in luogo di x” diviene
oa GRAN (6)
Suppongasi ora che la funzione 6(x) sia stata determinata in guisa che le equa-
zioni (5) del $ 3 abbiano una radice comune x: esse avranno comuni anche le radici
0x, 0°, ecc. In virtù della detta determinazione, 0(x) assuma una forma tale che
l'equazione
n
x0?x = 1, (7)
cioè la prima delle (5) del $ 3, si riduca ad un’equazione binomia: ciò che può
A:
avvenire solo se 0%x è una potenza di x, per es. se
02x = + 2.
In tal caso l’equazione (7) diviene
H+ 1: (7)
e siccome se x è una radice della precedente equazione, cioè della (7), anche 60(x) è
radice della stessa, così a motivo delle relazioni (5) e (6) alle quali ha dato luogo
il teorema (A), la funzione razionale (x) che esprime una radice dell’equazione bi-
nomia (7’) mediante un’altra x può mettersi sotto la forma
6()i= oa (8)
dove r è un numero intero che si può sempre supporre minore di v + 1.
E però da una parte le equazioni che seguono la prima delle (5) del $ 3 attual-
mente diventano tutte identiche, per virtù della forma (8) di 0(x), e dall’altra l’espres-
sione di 0(x) rientra in quelle che emanano dalla formola (7) del $ 2. Adunque
l'equazione F(x) = 0 considerata nel teorema del $ 4 è decomponibile, presentemente,
in equazioni abeliane della classe (1) e di grado », le cui radici sono tutte radici
d’un medesimo indice o dell’unità positiva o dell’unità negativa.
Viceversa poi se 0(x) assume la forma (8), allora l'equazione (7) si riduce ad
un'equazione binomia e precisamente alla seguente
arci calo (9)
se nella (8) si sceglie il segno +; e se invece si sceglie il segno —, si trova che
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE ANNI
8/5.
n
ici
ros
a=(—- 1)f2
dove
1
AS SE ee I A e
e che l’equazione (7) si cangia nell’altra
»
e 1)far®+1! = 1,
= Ò 9 ° = . SN Ri È î n È
la quale non è diversa dall’equazione (9) se e è pari, cioè se r è dispari ed è pari.
La precedente equazione è invece diversa dalla (9) se e è dispari: nel quale caso
essa diviene
TONE (10)
Sorge qui l'opportunità di considerare separatamente le due ipotesi di » dispari
o pari.
Se r è dispari, allora e che è somma di 5 numeri dispari risulterà dispari solo
quando > è pur tale.
Se r è pari il numero e è sempre dispari qualunque sia x. Adunque prendendo
il segno — nell'espressione (8) di 6(x) si otterrà dalla (7) l'equazione (10), invece
della (9), solo allorquando è r pari, ovvero # ed 5 sono entrambi dispari.
Oltre alle equazioni abeliane della classe (I) aventi per radici le radici dell’unità
positiva o dell'unità negativa, e che si ottengono come poc'anzi fu detto, non ne
esistono altre. La verità di questa asserzione poggia sul seguente
Teorema (B). — Se una radice x, dell'equazione
quat
è funzione razionale di una radice x» dell'altra equazione
dovrà essere x una potenza, positiva 0 negativa, con esponente intero, di xs.
In fatto da
si deduce che
312 V. MOLLAME
005
e che
Se dunque x, è funzione razionale di x, deve essere m' multiplo di m. C.D. D.
Segue dal precedente teorema e dal teorema (A) che se un’equazione f(x) = 0
ha per radici i termini della serie
CIONI tea, (0l2f=t)
nella quale è 0(x) una funzione razionale di x, e se x e 6(x) sono radici dell’unità
positiva, o negativa, dovrà essere 0(x) una potenza positiva, o negativa di x: e però
0(x) dovrà avere un’espressione della forma (8). Quindi l'equazione 0"x = « alla
quale deve soddisfare ogni radice di f(x) = 0, diviene l’una o l'altra delle seguenti
ASI Y
gioia iS
le quali provano che le radici di f(x) = 0 sono tutte radici con uno stesso indice,
o dell’unità positiva, o dell'unità negativa.
Inoltre, se l’ equazione f(x) = 0 è reciproca, allora la (7), alla quale devono
pur soddisfare le radici di f(x) = 0, diviene l’equazione (9), o l'equazione (10). Si può
quindi conchiudere il seguente
Teorema I. — Le equazioni abeliane della classe (1) e di grado n che hanno per
radici le radici dell’unità positiva, 0 negativa, sono quelle sole che si possono ottenere
o mediante l'equazione binomia (9), qualunque siano i numeri interi e positivi r ed n, 0
mediante l'equazione binomia (10) allorchè r è pari, oppure allorchè r ed 5 sono entrambi
dispari.
Il processo dichiarato nel teorema del $ 3 sull’equazione generale (3) di quel $
serve a comporre le equazioni menzionate nel teorema precedente; ed a tal fine quel
processo verrà in seguito sottoposto ad ulteriori considerazioni.
Per le equazioni che si ottengono mediante la (9) la funzione 0(x) generatrice
CLONI . . N . ° No x
delle radici è espressa da x", qualunque siano r ed se poi r è dispari ed e
DO
pari, allora 0(x) può avere per espressione sia x" che —a". Per le altre equazioni
ottenute mediante la (10), nella quale deve essere 7 pari, ovvero r ed 5 entrambi
dispari, la funzione 0(x) è espressa da — e”.
In particolare suppongasi che n + 1 sia numero primo, ed » ne sia una radice
primitiva: sarà allora
vi emo 1)
e quindi
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 313
$ 5.
vr — 1= maltiplo (n + 1),
ossia
(,3 JE n (,2 I 1 = multiplo (n + 1).
Il numero » | 1 dovendo dividere il primo membro della precedente egua-
glianza e non potendone dividere il fattore »* — 1, altrimenti non sarebbe r radice
primitiva di n + 1, dovrà quel numero dividere l’altro fattore r® + 1. È dunque
r? + 1 un multiplo di x + 1: e però ogni radice dell’equazione
Qi ani
è radice anche dell'equazione (9). Le radici dell'equazione «°*! —= 1, diverse da 1,
possono esprimersi, come è noto, con
e sono le radici dell'equazione
CAN at i e PASSO +ax+1=0
x
che è quella della divisione del cerchio in n + 1 parti uguali. Tale equazione, reci-
proca per la sua forma, ed abeliana per la forma delle sue radici, appartiene alla
n < x È VINES ; , 7
classe (I): giacchè per ogni radice x” di essa, o dell'equazione x? = 1, risulta
p 8 ’ ,
essendo r7 + 1 multiplo di n + 1: perciò si ha y(k) = £ SÈ ($ 1). Dunque V’e-
quazione della divisione del cerchio è una delle equazioni abeliane della classe (1) che
sì possono ottenere dall’equazione (9) quando r esprime una radice primitiva del numero
primo n + 1.
Le ulteriori considerazioni che seguono in questo $ servono a semplificare in
parte il processo di composizione delle equazioni alle quali si riferisce il teorema I.
Sia x una radice dell’equazione (9): le quantità
COL po (11)
sono anche radici di quella equazione e deduconsi l’una dall'altra, ordinatamente,
mediante l’operazione espressa da [0(x) =]2". Se r è pari, e quindi r? + 1 è di-
spari, le radici dell’equazione (10) sono uguali ed opposte a quelle dell’equazione (9):
perciò, posto —x = @,, ne segue che come le quantità (11) sono radici della (9),
così le altre quantità
Serie II. Tow. XLIV. o!
314 V. MOLLAME
85
che sono eguali ed opposte alle quantità (11), e deduconsi l’una dall’altra mediante
i ea H 5 È ; %
l'operazione |0(x1) =] — x, sono radici dell’equazione (10): e se avviene che x* = x,
JIA %
k
per k = e non perk< n, e che a." °=1, avverrà pure che — a = x per
gle MO
k=n e non per k< n, e che x, . 2
= 1. Si conchiude perciò che se r è pari
e mediante la funzione generatrice |0(x) =]|", applicata ad una radice x dell’equa-
zione (9), si è potuto comporre l'equazione abeliana f(x) = 0 di grado x e della
classe (I), l’altra equazione che si può formare con la radice —x(=;) della (10)
e con la funzione generatrice [0(x,) =] —xr è pure abeliana, della classe (I) e di
grado n» ed è data da f(—x)= 0. Questa equazione è sempre diversa dall’altra
f(@) = 0; altrimenti f(x) =0 dovrebbe avere radici uguali ed opposte, ciò che è
impossibile, giacchè le radici di f(x) = 0 appartengono alla (9), e questa, essendo di
grado dispari, non può avere radici uguali ed opposte. Si ha quindi il seguente
Teorema II. — Se r è pari e con una radice x dell'equazione (9) sì è potuto
comporre l'equazione f(x) = 0 abeliana, della classe (I) e di grado n, avente [0(x)="]x"
per funzione generatrice delle sue radici; con la radice —x(=x;) della (10) si potrà
comporre un’altra equazione abeliana della classe (1) e di grado n, nella quale è
[0(x)=]1—x la funzione generatrice delle radici. Questa equazione è espressa da
f(—x)=0 ed è sempre diversa da f(x)=0.
Nel caso di r pari è quindi inutile il prendere in considerazione l’equazione (10),
basta solo associare ad ognuna delle equazioni f(x) = 0 dedotte dalla (9) l’altra
equazione f(—x) = 0.
Sia ora » impari, e quindi r*® + 1 pari; l'equazione (9) ha le sue radici a due
a due uguali ed opposte. Mediante la radice x della (9) e con la funzione genera-
trice [0(x) =]|]x" si supponga formata l'equazione abeliana g(x) = 0 della classe (I)
e di grado », le cui radici sono perciò i termini della serie seguente
PA omni
CISL AI ANI sin ai (12)
Con l’altra radice —x (= 2) dell'equazione (9) e con la funzione generatrice
[0(x.) =] x" si ottengono i termini dell’altra serie
o 2 n_l
Lis di, ci Seen ene) ’ x 5 (13)
bp
. k k D n
e come avviene che x”° == x per X = x ma non per K< n, e che 2°." ° = 1, così
avverrà pure che gi x, per t= n ma non per K < n, e che Di I
I termini della serie (13) i quali sono uguali ed opposti ai loro corrispondenti nella
serie (12) sono dunque radici di un'equazione g(—x)= 0 che si trova nelle stesse
condizioni di g(x) = 0.
Le due equazioni g(x) = 0, g(—x) = 0 sono sempre fra loro diverse: altri-
menti l’equazione g(x) = 0 dovrebbe avere radici uguali ed opposte: dovrebbero cioè
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 315
$ 0.
i termini della serie (12) essere a due a due uguali ed opposti: ora ciò non può
avvenire. In effetto se fosse
cer (14)
ne seguirebbe che
ala ii gr == ene = arl
° N . x . . . LI ON
giacchè essendo x radice della (9), sarà pure radice dell’ equazione #° — = 1, cioè
& n . . . x
sarà =". Per la qual cosa dovrebbe essere 2% multiplo di n; e siccome è k< #,
così potrà essere solo 2% = n. In tal caso, insieme all’equazione (14) che diviene
o È
X
o 1 ; 3 +) ; .
si dedurrebbe che — a = PRU chose ==, (i = (1a }: Dax =+ + segui-
rebbe poi che x°° = x, se r è della forma r = 4p + 3, oppure 2° = 2, se r è
della forma » = 4p + 1: in conseguenza essendo anche 2° —x ed 2° il primo
dei termini della serie (12) che riproducono x si dovrebbe avere o n = 2, 0d n = 1,
in conformità di 2° = x o di x = «. L'ipotesi di n = 1 non è ammissibile : quella
din=2 fu già precedentemente esclusa, perchè non offre nulla degno di nota, quindi
la supposta relazione (14) non può sussistere. Nè parimente può sussistere l altra
relazione più generale
et= — e.
giacchè da essa si dedurrebbe che
kW
gli = 499
e si ricadrebbe in una relazione della forma (14). Le equazioni g(a) = 0, g(—a=0
sono dunque sempre fra loro diverse.
Tenendo ferma l’ipotesi di » impari, si supponga che » sia multiplo di 4. Se
1 termini della serie (12) si prendono con segni alternati, si otterrà l’altra serie
(15)
ì cui termini sono tutti radici dell'equazione (9) e si ottengono l’uno dall’altro me-
diante l'operazione [0(x)=]—x". Essi, inoltre, sono radici di un’equazione %(x) = 0
che è abeliana, della classe (I) e di grado n. Per dimostrare ciò basterà far vedere che
(1a = (16)
316 V. MOLLAME
$ 5.
per X = % ma non per X < @, e che
| +3 243 OTT
0.0 =] (1) Ca.a SUE (17)
Ora, per & = n la (16) diviene x°° = x, ed è verificata giacchè x è il primo
termine della serie (12): per & < » la (16) si riduce all’una od all’ altra delle se-
guenti relazioni, secondo che % è pari o dispari
ar” ==,
(kE < n)
k
goa,
delle quali la prima non può verificarsi, altrimenti i termini della serie (12) non sareb-
bero tutti fra loro disuguali come si è supposto, e la seconda non può neppure
verificarsi altrimenti fra i termini della serie (12) dovrebbe sussistere la relazione (14)
ciò che si è dimostrato impossibile. i
La relazione (17) poi, essendo per ipotesi ci pari, si riduce alla seguente
k
(2741) =;
che è un'identità, giacchè x è radice dell’equazione (9). L'equazione /(x) = 0 tro-
vasi dunque realmente nelle predette condizioni e quindi, nell'ipotesi di » impari, si
ha il seguente
Teorema III — Se r è impari e con una radice x dell'equazione (9), mediante
la funzione generatrice |9(x) =] x" si è potuto comporre l'equazione abeliana g(x)=0,
della classe (I) e di grado n, l’altra equazione g(—x)=0 formata con la radice
—x(=x;) della (9) e con la medesima funzione generatrice [0(x.) =] x", sarà pure
abeliana della classe (1) e di grado n. E se, oltre ad essere r impari, è 7 pari,
l’equazione h(x)= 0 formata con la stessa radice x ma con la funzione generatrice
[0(x)=]— x" sarà anch'essa abeliana della classe (1) e di grado n.
Nell'ipotesi di y dispari devesi però prendere in considerazione anche l’equa-
zione (10), se > è pure dispari (Teorema I).
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE Dl
$ 6.
Teorema I. — (Se x è una radice primitiva dell'equazione
Di
2
r+1 — 1 (1)
si avranno le sequenti proprietà :
a) Le n quantità
ll
x, Q', Dn OTO Dito (2)
sono radici di un'equazione abeliana della classe (1) e di grado n;
b) Le stesse quantità sono tutte radici primitive dell'equazione (1);
c) Le altre n quantità
2 n-l ,
Zi, Ci, Lalli alata ASL ’ (2')
formate con una radice primitiva dell’equazione (1), non compresa fra le (2), sono tutte
disuguali alle quantità (2) e fra loro.
a) Ogni radice «x dell’equazione (1) è pure radice dell’altra equazione
d-1=1, (8)
giacchè 7° — 1 è multiplo di r® + 1. Or l’equazione (3), messa sotto la forma se-
guente,
mostra che per ogni radice x dell'equazione (1) v'è sempre un qualche esponente v
per il quale risulta
e’ = g, (4)
cioè
e -1= 1 (5)
x
Intanto se la detta radice x è radice primitiva dell’equazione (1), dal confronto
di tale equazione con la (5) risulta che »° — 1 deve esser multiplo di r® + 1, cioè
deve essere
Il
r=1 mod. (,î + 1). (6)
218 V. MOLLAME
8 6.
Or affinchè il quoziente sia un numero intero, è necessario e sufficiente
r°z +1
che v sia multiplo pari di nr cioè un multiplo di n, per es. v = pn: ed allora si
conchiude che il più piccolo valore di v nella (4) e nella (6) è . Di qui segue im-
mediatamente che le quantità (2) sono tutte fra loro disuguali; altrimenti da
at = a (o <n)
seguirebbe che (se % > &')
e non sarebbe » il più piccolo valore di v nella (4), essendo % — %' < n.
ke
. è k STR . DIA DR .
Si ha inoltre che 2" ed x" ° sono quantità reciproche, come si è già visto
altrove; e però, ponendo 0(x) = x”, si ha
perciò le quantità (2) hanno tutte le idoneità delle radici di un'equazione abeliana
della classe (1) e di grado n. Rimane quindi provata la prima parte del teorema
precedente.
5) Le quantità (2) sono tutte radici primitive dell'equazione (1). In fatto si
n
ha in primo luogo che i numeri r? + 1 ed » sono primi fra loro; altrimenti ogni
loro comun divisore d diverso da 1 dovendo dividere il primo di essi ed ogni po-
n, n
tenza, per es. r?, del secondo, dovrebbe dividere anche la differenza 1 fra 7? + 1
n
ed r®.
n
I numeri r, r°, r°, ecc. sono dunque primi col grado r® + 1, dell’equazione (1):
or le potenze delle radici primitive di un’equazione binomia della forma a" = 1,
cioè della forma (1), i cui esponenti sono numeri primi col grado dell’equazione sono
pur esse radici primitive, come è noto, quindi la proprietà (3) rimane dimostrata.
23 . . k Ò k
c) non può essere infine un termine x” della serie (2’) eguale ad uno x°
della serie (2). Imperocchè in tal caso da *
k k
rt =. 2°
si dedurrebbe, se £ > %,, che
ovvero, se £ < Xi, che
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 319
$ 6.
ed allora la quantità x, figurerebbe fra i termini della serie (2), ciò che è contro
l'ipotesi. Inoltre essendo x, radice primitiva dell'equazione (1), le quantità (2’) tro-
vansi nelle identiche condizioni delle quantità (2) e sono perciò tutte fra loro
disuguali. Il teorema precedente rimane quindi dimostrato.
Il più piccolo valore di v nella congruenza (6) è, come fu visto n; e però il
n
numero r appartiene all’esponente n, rispetto al modulo r? + 1.
Dal teorema precedente si deduce che le radici primitive delle equazioni (1)
sì possono ordinare in uno schema della forma seguente
(7)
nel quale le » quantità disposte sopra ogni orizzontale sono radici di un’ equazione
abeliana, di grado » e della classe (1).
Il numero delle quantità (7) è dato, come si sa, da @ (r? + 1), se @ (m) ha il
significato noto nella teoria dei numeri: perciò deve essere @ (r? + 1) un multiplo
di n, e quindi si ha che
® (r' + 1) = multiplo 2w, (N:
Sia r dispari, ed il numero pari r? + 1 sia multiplo di 4; allora le radici pri-
mitive dell’equazione (1) sono a due a due ed uguali opposte (*), e però se x, è radice
primitiva dell'equazione (1), tale sarà pure — x. La radice — x, non può trovarsi
fra i termini della prima orizzontale dello schema (7), come è stato dimostrato nel
$ precedente: e però, se come radice iniziale x, della seconda orizzontale dello
schema (7) si prende — x,, i termini della seconda orizzontale di quello schema
diventano uguali opposti ai loro corrispondenti nella prima orizzontale. Similmente,
se si pone x, = — %3, i termini della quarta orizzontale dello schema (7) diventano
uguali opposti ai loro corrispondenti nella terza orizzontale, e così via. Quindi le
radici primitive dell’ equazione (1) si possono ordinare anche secondo lo schema
seguente
(€) Se m è multiplo di 2, e solo allora, in ciascuna delle equazioni
gqm= —1, xm=1
le radici primitive sono, a due, a due, uguali ed opposte. “ Nota ,, A, teor. IV.
320 V. MOLLAME
$ 6.
co Ci A 1 01]
e re
MR aa IT (8)
gi (ie o o, AN
Le @(m) radici primitive di un’equazione binomia, x" = 1, sono, come è noto,
le radici di un'equazione razionale. Sia questa F(x) = 0, nel caso dell’equazione (1):
n
sarà @ (r? + 1) il grado di F(x)=0. Tale equazione si può scrivere
fi(@) fi(— 2) fsla) fi(-— 2) . . . fu) fu(— a) =0,
dove i 2 fattori f(x), f(— x) uguagliati a zero dànno le equazioni abeliane di
grado n e della classe (I) le cui radici sono, rispettivamente, i termini delle succes-
sive orizzontali dello schema (8), e dove deve essere
n
2nu = (1° + 1).
Nelle equazioni f= 0 è poi [6(x) =] " la funzione generatrice delle radici.
Le radici primitive dell'equazione (1), sempre nell'ipotesi che r* 4-1 sia mul-
tiplo di 4, si possono ordinare anche secondo lo schema seguente
Ciani da xi ibiza: Gr SERA INI 9 ona TE
iI TO = 20, at, MA, et
Lo VESTO, do, xs, Tea. 43, (EU ZISTE NY Maran AI, (9)
RE RI A e I TA
il quale si ottiene dallo schema (8) con facili scambii sulle verticali di posto pari.
Le serie costituite sulle orizzontali dello schema (9) hanno la forma della serie (15)
del $ precedente; nella quale fu supposto essere x una radice tale dell’equazione (1)
da potersi con essa mediante la funzione generatrice [0 (x) =] — x”, comporre un’equa-
zione abeliana della classe (I) e di grado n: la qual cosa avviene per ogni radice
primitiva della (1) [teorema (I)]. Perciò le quantità che sono sulle singole orizzontali
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 321
$ 6.
dello schema (9), a simiglianza di quelle della serie (15) del $ precedente, sono radici
di un'equazione A, (x) = 0, od X,(—2)=0, abeliana, della classe (I) e di grado #,
nella quale è [0(x) =] — «’ la funzione generatrice delle radici.
L'equazione F(x) =0 si potrà quindi scrivere anche nel seguente modo
hy (2) hn(— 2) he(e) ha(— 2)... hu(0) hu(— 2) =0.
Con i risultati fin qui ottenuti in questo $ si possono enunciare i teoremi
seguenti:
Teorema II — Il numero ® (r° 4-1), (r > 1), è divisibile per 2n (*).
Teorema III. — L'equazione F(x) = 0 che ha per radici le radici primitive del-
; a
l'equazione binomia x°°+1—=1ì decomponibile in Reti equazioni abeliane di gradon
e della classe (1); in ciascuna delle quali è [0(x) =] x" la funzione generatrice delle radici.
n
Se r°?-|- 1 è multiplo di 4, la detta decomposizione può farsi in due modi. Dei
quali uno fornisce coppie di equazioni della forma f(x) = 0, f(— x)="0 che hanno
tutte per funzione generatrice delle loro radici |6(x)=|x"; e l’altro dà coppie di equa-
zioni h(x) = 0, h(—x)=0 che hanno [6(x) =]— x" per funzione generatrice delle
loro radici.
Se 7" + 1 è numero primo, il teorema II diviene il seguente:
Teorema IV. — Se r" + 1 è un numero primo, sarà r" divisibile per 2n, (cr > 1).
I teoremi I e III hanno i loro corrispondenti rispetto all’equazione
e = 1, (10)
nell'ipotesi che r ed # siano due numeri dispari, nel qual caso soltanto la prece-
dente equazione è da prendersi in esame, come fu provato nel $ 5.
Sia x una radice qualunque dell’equazione (10). I termini della serie
I
VA A ARA A I A (11)
sono pur tutti radici di quella equazione, come è facile verificare, e si deducono l’uno
dall’altro, ordinatamente, mediante l'operazione espressa da [0(x) =] — e". Quei ter-
mini inoltre sono a due a due reciproci; e precisamente sono reciproci i termini
(*) Questa proprietà del numero @(r" + 1) risulta anche dal fatto che il numero x al quale, come
fu innanzi dimostrato, appartiene r rispetto al modulo r*-+ 1, è un divisore di @(r° + 1). Cfr.
DiricaLer, Teoria dei numeri $ 28, parte I
Serie Il. Tom. XLIV. pi
322 V. MOLLAME
$ 6.
n
” Rn H+T
Palena e bian;
giacchè, essendo r ed si numeri dispari ed x una radice dell’equazione (10), si ha
x _k
aio,
n
2
n È n {
(2). et (= (— DT (a
Intanto ogni radice, x, dell'equazione (10) è radice anche dell’altra equazione
dA =1, (13)
n
perchè essendo r® — 1 un numero pari, si ha
x —1 = (74) uo (= yi == 1
mostra che per ogni radice x della (10) esiste sempre qualche numero intero e po-
sitivo v tale che risulti
= g; (14)
e se v è pari allora 2”' è della serie (11) un termine che riproduce il primo.
Ciò posto sia x in quella serie una radice primitiva dell’ equazione (10): allora
in virtù del seguente teorema
C) Le equazioni
hanno le stesse radici primitive (*),
sarà x radice primitiva anche dell’altra equazione
gl) pra 1 È
la quale, paragonata con la (14), che può scriversi
Vl
E iL
(*) Cfr. “ Nota , A.
sa = = E rr-ET___———————É"___
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 323
$ 6.
n”
fa conchiudere che r, — 1 deve essere divisibile per 2(r? + 1). Sia g il quoziente
di tale divisione: si avrà così
_ 2 nre 29.
r?+1
Il più piccolo valore di v per il quale risulta numero intero il quoziente ded
r° +1
è n come fu visto precedentemente; e per v = x il detto quoziente risulta anche
pari, giacchè
cpr EI "
—- rr =r .—1= numero pari.
r°+1
Adunque per ogni radice primitiva dell'equazione (10) è » il più piccolo valore che
può avere v nella (14); e siccome n è pari, così sarà 2" un termine della serie (11)
e precisamente il primo di quelli che riproducono x. Associando a questa proprietà
di ogni radice primitiva dell'equazione (10) l’altra espressa dalla relazione (12) si può
conchiudere che se x è una radice primitiva della (10) i primi » termini della
serie (11) sono radici di un’ equazione abeliana della classe (1) e di grado x, e che
[0(x) =] — x" ne è la funzione generatrice delle radici.
Quegli » termini, inoltre, sono tutti, come il primo, radici primitive dell’equa-
zione (10). In effetti, in virtù del teorema (C), poc'anzi citato, si ha che la radice
primitiva « dell'equazione (10) è pure radice primitiva dell’altra equazione
n
gela So)
n
Or il grado 2(r°-+-1) della precedente equazione ed il numero r non possono avere
alcun divisore comune; altrimenti dovendo questo esser dispari, come r, e dovendo
esso dividere anche i numeri 2r* e Ar + 1), dividerebbe la loro differenza 2: ciò
che è assurdo.
Essendo r, e quindi le potenze di » numeri primi col grado dell’equazione (15),
le potenze 2” della radice primitiva x di quella equazione, sono pur esse radici pri-
mitive di tale equazione. Siccome poi il grado dell'equazione (15) è multiplo di 4
perchè r°+ 1 è numero pari, così sarà radice primitiva di detta equazione sia A
che — 2°", come fu già notato innanzi. E però si conchiude che i termini della
serie (11) sono tutti radici primitive dell'equazione (15) e quindi anche dell’ equa-
zione (10) [teorema (C)].
Sia x, un’altra radice primitiva dell'equazione (10) non compresa nella serie (11);
le quantità
324 V. MOLLAME
$ 6.
È
OLI r
Zi, — Ur, 4 NO
>) x (16)
si trovano nelle stesse condizioni di quelle della serie (11) ed inoltre son tutte a
quelle disuguali. In effetto, se fosse per es.
(= ID, aghi 2, (= 1) ar S (17)
ne seguirebbe, per % e %, entrambi pari od entrambi dispari, che
e quindi che
se è K > ki, ovvero
pera m+k—k
Chat i
se è k< ki; cioè x, sarebbe un termine della serie (11), la qual cosa è contro
l’ipotesi.
Se poi dei numeri % e %, l'uno è pari e l’altro dispari, allora la relazione (17)
diviene
att = di
e da questa si conchiude come innanzi che
kl
pis
ovvero che
rN+k—ka
X =— %
secondo che è % > k, ovvero % < k,: per la qual cosa x, dovrebbe di nuovo trovarsi
DS
fra i termini della serie (11), ciò che si è escluso.
Le precedenti deduzioni intorno all’equazione (10) dànno luogo ai due teoremi
seguenti:
n . . O . DA ono
Teorema V. — Se r ed 5 Sono numeri dispari ed è x una radice primitiva
dell'equazione
gr +1 — LI Th (a)
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 325
$ 6.
sono tutte radici primitive di quella equazione. Con esse si può comporre un’ equazione
abeliana di grado n e della classe (1), per la quale è [0(x) =] = — x" la funzione
generatrice delle radici. Tale equazione non avrà alcuna radice comune con ogni altra
che si può comporre mediante una radice primitiva dell'equazione (a) non compresa fra
quelle della serie (0).
Teorema VI. — Se r ed 5 sono numeri dispari, V equazione G(x) = 0 che ha
per radici le radici primitive dell'equazione
dal 2
Lal.)
PLS — Fu equazioni abeliane di grado n e della classe (1), în
ciascuna delle quali è [0(x) =] — x" la funzione generatrice delle radici.
è decomponibile in
326 V. MOLLAME
UD
|
I teoremi I e V del precedente paragrafo stabiliscono che con qualunque radice
primitiva di ciascuna delle equazioni
gr +1 1 ; (1)
g°H4= _ 1, (2)
6 n o A È A) %
nella seconda delle quali r ed 5 Sono due numeri dispari, si può comporre un’e-
quazione abeliana della classe (I) e di grado n. Ma fra le radici delle dette equazioni
ve n’ha di quelle che, pur non essendo primitive, hanno però di queste la stessa
attitudine nella presente quistione. Così se n + 1 è un numero primo ed r ne è una
radice primitiva, le » quantità
formate mediante una radice x dell'equazione x"+! = 1 sono radici dell'equazione
O Pt LP 1L=0
che è abeliana e della classe (I). Intanto fu dimostrato nel $ 5 che la radice %,
come ogni altra dell'equazione 2*+! = 1, è pure radice dell’equazione (1), ma non ne
è una radice primitiva. Sicchè esistono nell'equazione (1) radici le quali quantunque
non primitive danno luogo però ad equazioni abeliane di grado » e della classe (I).
Il teorema generale del $ 3 provvede ad escludere dalle radici dell’equazione (1)
o dell'equazione (2) quelle con le quali non è possibile comporre equazioni abeliane
di grado n. L'equazione (12) considerata in quel teorema diviene nel caso presente,
in: cul'èsola)i =
a
s=1, (3)
se si pone 0(x) = 2"; e se invece si pone 0(z) = — 2”, quell’equazione diviene
HAT, (4)
dove è
a
ei Li
—1
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 327
87.
Or l'equazione generale (3) del $ 3 si ridusse all’ attuale equazione (1) in seguito
s° . . pa . . °- n E
all'ipotesi di 6(x) =", per ogni valore di r e di > Ovvero di 0a) = — 2’, ser
x È È n È ‘+ n > N a a ts NY
è dispari ed — è pari. Ma se 5 è pari, tale è pure > Che è un divisore di ni
al quale deve corrispondere un quoziente dispari, e però in tal caso, risultando pari
il numero e’, ne segue che l’equazione (4) si riduce all’equazione (3) e si conchiude
che dalle radici dell'equazione (1) son da escludersi solo tutte quelle che tale equa-
zione ha comuni con le equazioni della forma (3).
Analogamente si conchiuderebbe che dalle radici dell'equazione (2) vanno escluse
solo quelle che tale equazione ha comuni con equazioni della forma
E
i (5)
Per quel che riguarda poi le radici + 1 o — 1 che, secondo il teorema del $ 3
devonsi sopprimere dall’equazione (1) o dalla (2), si ha che 1 è radice comune alla (1)
ed a ciascuna delle equazioni (3), ed altrettanto, se » è impari, avviene della radice
— 1 dell'equazione (1). Di guisa che le radici + 1 o — 1 di questa equazione ver-
ranno da essa soppresse come radici che tale equazione ha comuni con una qua-
lunque delle (3). Fa solo eccezione il caso nel quale delle equazioni (3) non ne esista
alcuna; ciò che può avvenire solo allorquando x è una potenza di 2, oppure ENI
è un numero primo. Giacchè se n è una potenza di 2 non esistono i numeri a e se
n a
r° +1 è un numero primo, allora non esistendo i numeri »° + 1, che altrimenti
n
sarebbero divisori di r° + 1, non esisteranno neppure i numeri a. Il secondo di
n
TE
questi due casi include il primo: imperocchè se r
stendo più i divisori r° + 1, non esisteranno neppure i divisori a di n e quindi n
dovrà essere una potenza di 2.
Ora, se delle equazioni (3) non ne esista alcuna, è d’uopo sopprimere dall’equa-
zione (1) solo la radice 1, se r è pari, o solo le radici 1 e — 1 se r è dispari.
L'equazione (2) poi non può avere nè la radice +1 nè la radice — 1 essendo
n
+ 1 è numero primo, non esi-
è DE ° “x ° AIRES ° ° . x
in essa 7° + 1 un numero pari. Oltre a ciò, siccome Da dispari, esisterà sempre
qualche equazione della forma (5), per es. l'equazione 2*+! = — 1, per la quale
okal=2D
Si possono ora enunciare i teoremi seguenti.
. n UAIO . SOR . . °
Teorema I. — Siano r ed 5 Que numeri interi e positivi, il secondo dei quali
non sia una potenza di 2: siano inoltre a, a', a'', ecc. tutti quei divisori positivi di n,
minori di n, che danno quozienti dispari. Se dall'equazione
n
pH 1 ()
328 V. MOLLAME
87.
si sopprimono tutte quelle radici che essa ha comuni con le equazioni seguenti
La dei el
ag 41, g'+4=1, ga 1, ecc.; (a)
ovvero se dall’equazione
>
+1 — __ le (2')
nella quale r ed $ si suppongono dispari, si sopprimono tutte quelle radici che essa
ha comuni con le altre equazioni seguenti
r rr
a a
a
2 O 2
albe dated an rl 22 iecei (a')
le equazioni razionali D(x) = 0, W(x) = 0 che, nel primo caso, o nel secondo, risul-
tano formate con le rimanenti radici dell'equazione (1'") o dell’ equazione (2'), sono
decomponibili in equazioni abeliane di grado n della classe (1).
Le equazioni provenienti dalla scomposizione di ® (x) = 0 hanno per funzione ge-
neratrice delle loro radici |0(x) =|x"; le altre, relative all’equazione Y (x) == 0, hanno
per funzione generatrice delle loro radici [0(x) =] — x”.
Se nell'equazione (1') r è impari ed Di è pari, la decomposizione di d (x) = 0 può
farsi in due modi: potendosi assumere come funzione generatrice sia [0(x) =) x' che
[0 (x) =] — x". (Teorema III, $ 5) (*).
Teorema II. — Le equazioni
e luo (6)
=" =0, (7)
nella prima delle quali r è pari e nella seconda r è dispari, sono decomponibili in
equazioni tutte abeliane di grado 2"+! e della classe (1). Di tali equazioni, quelle che
provengono dalla decomposizione dell’ equazione (6) hanno per funzione generatrice delle
loro radici |0(x) =]x", e quelle provenienti dalla decomposizione dell'equazione (7) pos-
sono avere per funzione generatrice 0 [09(x) =] x" ovvero [0(x) =] — x (**).
(*) Le radici delle equazioni ® (x)=0 e Y(x)=0 sono radici abeliane d'ordine n delle equazioni
(1°) e (2°). Esse potrebbero anche denominarsi radici abeliane di indice r° +1 dell'unità positiva o del-
l’unità negativa. Nel campo di tali radici trovansi le radici primitive delle equazioni (1’) e (2°). Cfr. la
nota al $ 4.
(**) Le radici dell’equazione binomia ei 0, salvo +1, sono tutte abeliane di ordine 2”+1
Cfr. la nota al $ 4.
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 329
$ 7.
m
Il grado 7° — 1 dell’equazione (7) dovendo esser multiplo del grado 2"! delle
equazioni abeliane nelle quali essa si decompone, ne segue che, ponendo r = 2p + 1
deve essere
Q0+1" —1
ont = numero intero ,
per ogni valore del numero intero e positivo p.
19] 8
a SU ai 7 < . . . 5
Essendo i divisore di 3 che dà un quoziente dispari, si deduce che r° + 1
-
3 ° . gii
è divisibile per °-+ 1: e però il quoziente ——_- è una funzione intera di x.
©)
SOI,
n a
Inoltre il quoziente di r° + 1 diviso per ri + 1 è dispari: imperocchè se 9g è il quo-
» . - AR .
ziente dispari 7 Si ha
» n n (07
paladz ali
n a n da |
I 2 2 2 2
ic, —r i —r
or la funzione di +, f(r), che è nel secondo membro della precedente uguaglianza ha,
w STE. 5 i
È 2 : = - (9 1) | termini, i quali formano 5 : Soa
differenze che son tutte pari; e però f(r) + 1 è un numero dispari.
oltre al termine 1, altri
n a
. Lea . DT eo 2 HA
Essendo dispari il quoziente di 7° +1 diviso per r°-+ 1 ne segue che ee
è una funzione intera di %.
a’
ae
DSS . . ° IO do +1 9 nea:
Ciò premesso, siano pu, (x) il massimo comun divisore fra eda F1
p , a
i
DUET],
(dove devonsi prendere contemporaneamente o i segni superiori o quelli inferiori),
n
cani
(277 iu)
asi
ed a*° + P1 e così via; si
Mb» (€) il massimo comun divisore fra
avrà allora che l'equazione
2 e
r #1
a) (8)
(221 la paio
esprimerà l'equazione ® (x) = 0 o l'equazione Y(x) = 0, secondo che si prendano
ì segni superiori o quelli inferiori.
Serie II. Tom. XLIV. o!
330 V. MOLLAME
STO
In particolare sia n = 2*9, dove g è un numero primo: in conseguenza 2 è
l’unico divisore di » che dà un quoziente dispari. L'equazione ®(x) =0 presente-
mente diviene
1
r +1
x — 1
ed il suo grado r?° e — +87 [= +27!(2741 — 1)] deve essere un multiplo
di n, cioè di 2'9. Posto adunque v — 1= p, si ha l’altro seguente
Teorema III. — Se q è un numero primo positivo, e sono r e p due numeri in-
teri positivi qualunque, sarà
2P( 29(g1
r (; eri
1
gr q
= numero intero.
Essendo q un numero primo, il numeratore della precedente espressione deve
essere divisibile per g: e quindi se q non è un divisore di r, sarà
RA (e)
1 = numero intero.
La precedente eguaglianza per p = 0 dà il teorema di Fermat.
L'equazione Y (x) = 0 se, come si è supposto poc'anzi, è ”n = 2°9, diviene
—1
Ù 5
di
x +1 0
g—1 RR
LA
x +1
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 331
$ 8
Sia x una qualunque delle radici dell'equazione ® (x) = 0 o dell'equazione
Y(x)= 0 considerate nel $ precedente e per le quali è (0(x) =) + &” la funzione
generatrice delle radici.
La funzione seguente
y=x + 00 + 0x +... + 0"
di n radici di ® (x) =0, o di Y(x)=0, rimane invariata se in essa in luogo della
radice x si pone una qualunque delle altre radici 0x, 0°, ...,0"'x: e perciò y può
avere solo v valori, se v è il quoziente del grado di ® (x) = 0, o di Y(x) = 0, diviso
per n. Per la qual cosa y è radice di un’equazione razionale
VOI (1)
di grado v, la quale si ottiene con processi noti.
Se questa equazione non ha radici uguali, con la sua risoluzione si conoscerà
la funzione simmetrica y di n radici dell'equazione ®(x) = 0 o dell'equazione Y(x)=0,
e, mediante la conoscenza di y, resteranno determinati, come è noto, i fattori di
grado » di ®(x) o di Y(x): questi uguagliati a zero forniscono le equazioni abeliane
di grado » e della classe (I) nelle quali è decomponibile l'equazione ®(x) = 0, o
baltra Na) =0.
Questo processo generale può però nei casi particolari essere semplificato.
Vogliansi, per es., determinare le equazioni abeliane di quarto grado e della
classe (I) per le quali è r = 3 ovvero r= 2.
L’equazione
per r = 3 diviene
0 1 (2)
L'equazione (7) considerata nel teorema II del $ 7 è data attualmente da
22 SU (8)
cioè da
332 V, MOLLAME
8 8.
Questa equazione deve esser decomponibile in due equazioni abeliane di quarto
grado e della classe (1) le quali hanno [0(x) = ] «* per funzione generatrice delle
loro radici. E siccome presentemente r è dispari, così l’equazione (3') si può decom-
porre anche in altre due equazioni abeliane nelle quali la funzione generatrice è
[6(x) =] — «°. La precedente funzione y per 0(x) = x* diviene
y=rx0+boA +e ko,
cioè
y=s+es ++ (4)
giacchè «°° = x°. x = x", in virtù dell'equazione (3). Per 0(x) = — @° la funzione y
diviene invece
yqy=% — dB -d+o, (5)
L'equazione (1) corrispondente alla funzione (4), od alla funzione (5), è di se-
condo grado: essa può ottenersi eliminando x fra le equazioni (3') e (4), ovvero
(8) e (5).
Addizionando membro a membro le equazioni (3') e (4) si ha che
et.. (6)
x— 1
e siccome x è una radice diversa da + 1 dell’equazione (2), così la (6) si riduce
alla seguente
iz are d,
dalla quale si ottiene
gia al
e ‘perd'iygicz ili
Col valore —1 della funzione y si ottiene il seguente fattore biquadratico del
primo membro dell’equazione (3')
CkH0o+e2+a+1
e col valore +1 di y si ottiene, conseguentemente, l’altro fattore
d-0+a - +1
Sicchè l'equazione (3') si scinde nelle seguenti due equazioni abeliane della
classe (I)
I
ta +a+xax+1 (7)
d-%RL+La —xax+1=0, (8)
SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 999
8 8
le cui radici hanno [6(2) =]? per funzione generatrice. L'equazione (8) si ottiene
dalla (7) mutando « in x, come prescrive il teorema II del $ 5.
L’altra equazione
ta
ef41=_- 1
nella quale 3 deve esser dispari, non è da prendersi attualmente in considerazione,
. x x .
giacchè > (= 2) è pari.
Le equazioni (7) ed (8) si potevano anche ottenere immediatamente considerando
che
TSO GRES cli POI alex |
ESE AE ATI
= (+0 +e +ea+Lbla-d+e —-x+1);
e che se x è radice di una delle due equazioni (7) ed (8) che si hanno uguagliando
a zero i due precedenti fattori in parentesi, anche [0(x) =]* è radice di quella
equazione; giacchè si ha
CL + +R+1=LR +++ +1=
= +e +x+®+1=0,
ed
do +aA-R+1=r0_- da +eoxax-g#+4+1=
=e+e-e_-#+1=0.
Oltre a ciò è pure, per n = 4,
bo RP k gl
13 38°? = g38 (1433) — (019) ==
Se r = 2 si rinvengono immediatamente di nuovo le equazioni (7) ed (8).
Per avere l’altra equazione (1) risultante dall’eliminazione di x fra le equa-
zioni (3') e (5), si moltiplichino ambo i membri della (5) per x e se ne sottraggano
poi quelli della (3'); risulta così
ay Reg — 20
cioè
m=- ++ Ata
od anche, tenendo presente l'equazione (3')
eyg=— 2@+1)+2.
V. MOLLAME
$ 8
Da quest’ultima equazione, notando che x! = 2°, si deduce l’altra
334
dyg=4(+a0 +e +e +1)+ 5,
la quale, in virtù della (3’), si riduce alla seguente
e questa dà
y= + y8.
Mediante il valore — V/5, od il valore +5 della funzione y, l’equazione (3')
si decompone nelle due seguenti
ai + V54 + 3e£ + yV5x +1=0 (9)
i VR RIA LI_L0 (10)
Sicchè, oltre alle equazioni (7), (8), (9), (10), mediante le radici di +1 non si
possono formare altre equazioni abeliane, biquadratiche e della classe (1), per le quali
è r =83, ovvero r=2.
Catania, 1892.
i did
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE
E DEI MASSIMI GENERI
BEXUNO, SPAZIO QUALUNQUE
MEMORIA
GINO FANO
Approvata nell’'Adunanza del 25 Giugno 1893 (*).
AI concorso aperto dall'Accademia delle Scienze di Berlino pel conferimento del
terzo premio STEINER (sopra un tema relativo alla teoria delle curve sghembe alge-
briche (1)) si presentarono, com’è noto, due celebri Memorie; una dell’HALPHEN (2),
l’altra del NoETHER (3): pregevolissime entrambe, n’ebbero anzi diviso il premio (4).
E fra i risultati contenuti in queste Memorie è certo importantissimo il teorema,
che le curve sghembe di dato ordine e GENERE MASSIMO sono tutte contenute in una
quadrica (5). Questa proposizione è stata poi estesa dal sig. CastELNUOvo alle curve
di uno spazio lineare a un numero qualunque r di dimensioni (6), e in luogo della
quadrica compare in questo caso più generale la rigata razionale normale di or-
dine r — 1 (7) (o anche, per r = 5, la superficie omaloide F} di VeRronESE (Mem.
della R. Accad. dei Lincei, 3°, XIX)). Con quest’estensione si può ritenere esaurita
la determinazione delle varie curve di genere massimo (mt) di uno spazio qua-
lunque S, (e di ordine > 2r); appunto perchè queste curve ne risultano contenute
(*) Questa Memoria è tratta dalla Dissertazione di Laurea presentata dall’autore alla Facoltà
di Scienze dell’Università di Torino nel giugno 1892.
(1) “ Irgend eine auf die Theorie der hòheren algebraischen Raumcurven sich beziehende Frage von
“ wesentlicher Bedeutung vollstindig erledigen ,.
(2) Mémoire sur la classification des courbes gauches algébriques: un estratto di questa Memoria era
già stato pubblicato nei “ Compt. Rend. de l’Ac. des Sc. , (t. 70, 1870). All'’HarPHEN è pure dovuta la
tdeterminazione del numero minimo di punti doppi apparenti (ossia del massimo genere) che può
avere una curva sghemba di dato ordine.
(3) Zur Grundlegung der Theorie der algebraischen Raumcurven (Berlin, 1888).
(4) V. “ Sitzungsber der Berl. Akad. ,, 1882; p. 735 (offent. Sitz. vom 29 Juni).
(5) Proposizione già accennata da Harpmen nei Compt. Rend. (1870).
(6) Cfr. la Mem. Ricerche di Geometria sulle curve algebriche; ni 23 e seg. (“ Atti dell'Accad. di
Torino ,, vol. XXIV). In questo stesso lavoro è anzi stato determinato per la prima volta il genere
massimo di una curva di dato ordine e appartenente a un dato spazio qualsiasi.
(7) Della quale appunto quella quadrica (dello spazio S3) è caso particolare.
396 GINO FANO
in superficie (razionali) molto semplici e di proprietà ben note, sulle quali sarà sempre
facile costruirle. La questione che si presenta ora invece come — dirò così —
successiva, e che sembra anche meritevole di essere studiata, è quella di fare una
ricerca analoga anche per le curve di genere Tr —1, t—-2,..... determinando se e
quando anche queste possano stare sulla rigata ER’ (0, per »= 5, sulla Fi di Vero-
nese); ovvero, quando non vi stiano, in quali altre superficie (possibilmente semplici)
esse siano contenute. E tale ricerca costituisce appunto l'oggetto principale di questo
lavoro. Già prima ch'io cominciassi ad occuparmene lo stesso sig. CASTELNUOVO mi
aveva detto di ritenere che le curve di genere t — 1 dovessero stare necessariamente
— almeno da un certo ordine in poi — su di una superficie a sezioni ellittiche o
razionali. La proposizione sussiste effettivamente, e si vedranno anzi in seguito enu-
merati i vari casi che queste curve possono presentare. Uno studio analogo sarà
fatto anche per le curve di genere n — 2; più in succinto però, perchè molte loro
proprietà si potranno poi stabilire facilmente e con ragionamenti affatto identici a
quelli già usati per le curve di genere m — 1. E sarebbe forse interessante il cercar
di estendere questi stessi risultati anche alle curve di genere m — 3, m — 4,..... €,
in generale, 7 — %X; ma di questo (come dico pure alla fine del $ 8) non intendo per
ora occuparmi. i
A questa ricerca fa seguito, come appendice, una breve Nota, nella quale, ap-
plicando quel concetto, ormai notissimo, ma sempre fecondo (1) a cui è informata
la Neue Geometrie des Raumes di Gruoio PLUECKER e a cui pure si informarono in se-
guito parecchi lavori di altri scienziati — e primi fra tutti quelli del sig. KLEIN —,
si deducono dai risultati ricordati e ottenuti in questo lavoro alcune proprietà di
certe rigate e congruenze di rette appartenenti al nostro spazio (2).
gi)
Genere massimo di una curva
che sta sopra un dato numero di quadriche.
1. Il signor CasteLNnuovo dopo aver determinato nelle sue Ricerche di geometria
sulle curve algebriche (Atti della R. Ace. di Torino, XXIV) il genere massimo di una
curva di ordine » (C") appartenente allo spazio S, (3), dimostra che :
(1) © Die Liniengeometrie ist wie die Geometrie auf einer M; des R; , (Cfr. F. Kern: Ueb. Linien-
geometrie und metrische Geometrie; “ Math. Ann. ,, V. p. 261).
(2) Mi è caro rinnovare qui i più vivi ringraziamenti al prof. C. Sere, che mi iniziò allo studio
delle curve algebriche e della Geometria sopra queste (nelle sue lezioni di Geometria sopra un ente
algebrico, dettate nell'Università di Torino l’anno acc. 1890-91), e al prof. G. CasteLnuovo dell’Uni-
versità di Roma, che volle anche gentilmente dirigermi in queste ricerche.
(8) Questo genere massimo (che noi in seguito indicheremo sempre colla lettera t) egli lo trova
espresso da
r
Xin —- 9 rr 9
dove x è il minimo intero non inferiore a Sn (cfr. loc. cit., 27). Questo stesso risultato fu poi |
ridimostrato, circa un anno più tardi, dal prof. E. Bertini nella sua Nota: Intorno ad alcuni teoremi
della Geometria sopra una curva algebrica (£ Atti dell’Accad. di Torino ,, XXVI). In questo lavoro si
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. SIOU
Per una curva di S, d'ordine n => 2r e del massimo genere passano ("3°) quadriche
linearmente indipendenti; e ogni altra quadrica passante per una tal curva appartiene
al sistema lineare di quelle. — La prima parte dell’enunciato è vera anche se l’or-
dine della curva è inferiore a 2r; ma per questa curva potranno passare allora
anche più di ("3') quadriche indipendenti (1).
Da questo risultato egli deduce poi che:
Se n > 2r, la curva d'ordine n e di genere massimo di S, sta in una superficie a
due dimensioni d'ordine r — 1; superficie che, come sappiamo, è sempre rigata se r
è diverso da 5 (2), ma può non esserlo nel caso di "= 5 (superficie di VeronESsE) (8).
Questa superficie è comune a tutte le quadriche passanti per quella curva, e costituisce
anzi precisamente la varietà base del loro sistema lineare (4).
La dimostrazione che il sig. Castelnuovo dà di quest’ultima proposizione si ap-
plica anche a qualsiasi curva di S, di ordine n > 2r per la quale passino ("3°) quadriche
indipendenti (sia o non sia questa curva di genere massimo) (5) (6).
trovano anche generalizzate alcune delle proprietà che condussero il Castelnuovo a quella deter-
minazione, e ne sono accennate alcune fra le possibili applicazioni.
Non occorre avvertire che il genere massimo da noi indicato con mr è sempre funzione dell’ or-
dine » della curva e della dimensione 7 dello spazio cui essa appartiene. Per brevità ci asteniamo
dall’usare per questo una notazione più espressiva, scrivendo ad es. 11) n, 7 {: e ciò perchè, anche
in seguito, non ci sembra vi sia pericolo di confusione.
(1) Ci sia concesso, ora ed in seguito, di parlare semplicemente di quadriche indipendenti, sot-
tintendendo per brevità il linearmente.
(2) Cfr. Der Pezzo: Sulle superficie dell’o° ordine immerse nello spazio Sn41 (‘ Rendiconti della
R. Accad. di Napoli ,, 1885).
(3) La superficie omaloide normale a due dimensioni del quarto ordine dello spazio a cinque dimen-
sioni e le sue proiezioni nel piano e nello spazio ordinario (“ Mem. della R. Acc. dei Lincei ,, serie 32,
vol. XIX, 1883-84).
(4) Nel caso di una superficie rigata, come osserva anche il sig. Castelnuovo, il numero x aumen-
tato di un'unità dà il numero dei punti in cui la curva considerata incontra le varie generatrici
di quella stessa rigata. Però, per le curve il cui ordine è un multiplo di » —1 aumentato di una
unità, questo stesso numero può anche esser dato dalla somma x-t 2. Segando infatti la rigata R"*
con una varietà M*_, che non le sia tangente in alcun punto, ma passi per r — 2 sue generatrici,
otteniamo come intersezione (residua) una curva di ordine n= (kE — 1)(r —1) +1 incontrata da ogni
generatrice in X punti; e perciò, per una nota formola, di genere (35) (r — 1), cioè appunto di
genere t. E il numero x, in questo caso precisamente uguale a dui, vale soltanto £ — 2
(onde t=yx 4-2).
La formola cit. è quella data dal sig. Sere nella Nota: Intorno alla geometria su una rigata
algebrica (° Rendic. R. Accad. dei Lincei ,, 1887), e da lui stesso poi generalizzata nella Nota suc-
cessiva (stessi Rendic.): Sulle varietà algebriche composte di una serie semplicemente infinita di spazi.
(2 novembre) L'osservazione contenuta in questa nota è stata fatta anche recentemente dal
| sig. Castelnuovo, in un lavoro inserto nei “ Rend. di Palermo , (t. VII, p. 97).
(5) Questa sola proprietà (l’essere contenuta cioè in (5) quadriche indipendenti) basta infatti
per concludere che le n intersezioni della curva C” con un S,_j (intersezioni che possiamo ritenere
ad 7 ad » indipendenti) non imporranno certo alle quadriche di quest’ultimo spazio che le conten-
gono più di 2r —1 condizioni distinte. E il sig. Castelnuovo fa vedere appunto (cfr. loc. cit.: 30) che
in tal caso, se x > 2r, quelle x intersezioni dovranno stare sopra una curva razionale normale di
ordine »r — 1, che sarà pur contenuta a sua volta in tutte le quadriche passanti per quegli stessi
n punti. E dalla curva CT! di S,_; si risale poi subito alle superficie E! di $,.
(6) Questi risultati ottenuti dal sig. Castelnuovo e qui ricordati si possono anche estendere al
Serie II. Tom. XLIV. RI
338 GINO FANO
2. Una curva di S, la quale stia sopra meno di ("z') quadriche indipendenti non
potrà dunque essere di genere massimo (t)— e non starà sopra una rigata razionale
normale, nè sulla superficie di Veronese (se r = 5) —.
Si presenta dunque, di per sè, la questione: Sapendo che per una certa curva
C; appartenente a S, passano solo ("z) — è quadriche indipendenti (0 almeno non ne
passano di più), determinare per il genere p di questa stessa curva un limite superiore
(possibilmente diverso da , e precisamente inferiore a questo, se dè > 0).
A questa domanda si può rispondere facilmente, con un ragionamento analogo
a quello con cui il Castelnuovo giunse alla determinazione del genere m. E noi di-
mostreremo precisamente che :
Il genere p di una curva normale (1) d'ordine n appartenente a S, per la quale
passino non più di ("3')—d quadriche indipendenti non può mai superare il limite
+1 Tati
xo fn SÈ — My {fx 1}d
n—-r—òd
DRESA. ®
Questo risultato comprenderà come caso particolare (d = 0) quello già ottenuto
dal sig. Castelnuovo. i
Infatti, per le nostre ipotesi, la serie lineare (di ordine 2x) segata sulla curva C;
dal sistema di tutte le quadriche di S, sarà di dimensione
dove Xs è il minimo intero non inferiore a
caso in cui, invece di quadriche, si vogliano considerare varietà pure di dimensione » — 1, ma di
un ordine qualunque % = 2. E si ha precisamente:
Per ogni curva appartenente ad Sr e del genere massimo passano almeno
(eo
varietà Mi; linearmente indipendenti. Indicando questo numero per brevità con (x, 4), possiamo
aggiungere:
Quando l’ordine della curva di genere massimo è superiore a k(r — 1) per essa passano precisa-
mente (r, k) varietà Mi, indipendenti; e ogni altra ME, che la contiene appartiene al sistema
lineare di queste. La dimostrazione si può fare per induzione completa da % a X-+1, osservando
che le Mà_, passanti per una curva (irriduttibile) appartenente a Sr e per un dato S,__1 (di questo Sr)
sono tante quante le Mil che contengono quella stessa curva. E infine:
Se per una curva appartenente ad Sr e di ordine n >k(r—-1)+2 passano (r, k) varietà M*_,
indipendenti, questa curva starà su di una superficie razionale normale di ordine r — 1 comune a tutte
quelle varietà. Questa proposizione si applica in particolare alle curve di genere massimo; da essa
deduciamo altresì che, se una curva di Sr è contenuta in (r,%) varietà indipendenti di un certo
ordine %, ed è a sua volta di ordine > X(r—1)+2, essa dovrà anche stare sopra almeno (#, #)
varietà indipendenti di ogni altro ordine 4 => 2.
Anche le ricerche che andremo ora facendo per curve contenute in sistemi lineari di quadriche
di dimensione inferiore a (50) — 1 potrebbero estendersi al caso di sistemi di varietà MESSE ma
già il calcolo analogo a quello che faremo nel n° 2 riuscirebbe molto complicato; ci basti quindi
di aver accennata la possibilità di questa estensione.
(1) Si potrebbe anche omettere questa restrizione, e supporre la curva normale per un $,,;,
modificando solo opportunamente il limite superiore che segue. Ho preferito tuttavia dare al teo-
rema questa forma (più semplice) perchè sarà solo a curve normali che dovremo applicarlo. Si può
anzi ritenere, come sappiamo, che una curva speciale (di quelle non speciali non avremo ad occu-
parci) sia anche, in generale, una curva normale.
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 359
CAI Irreni 9 M piid
ossia
d=>3r+t+td—_ 1
Supponiamo che questa serie gì, sia speciale. Sarà allora speciale — perchò
contenuta in quest’ultima — anche la 9g; segata su C; dagli iperpiani (S,_.) di S,,
e speciale la curva stessa. Essendo questa normale, ogni gruppo di quella 97 im-
porrà a un gruppo della serie canonica (98) che debba contenerlo un numero W di
condizioni precisamente uguale a n — r. D'altra parte, se indichiamo con w il nu-
mero (minimo) delle condizioni imposte pure da un gruppo di 9, a un gruppo della
serie residua 983%! che debba contenerlo (e di gruppi così fatti ve ne saranno
certo) avremo, per una delle relazioni stabilite dal Castelnuovo (1),
dz= 2n — (uu + Ha)
(e ciò risulta anzi evidente, quando si pensi al significato della somma pu + H); e
quindi, a fortiori,
3r + d — 1<2n— (i+ Ha)
ossia
M + ue Ss 2n — Br — d | 1.
E tenendo conto infine della relazione u, = n» — r ossia
(1) u=a—- (r-1)—- 1
se ne deduce quest'altra:
(ra) ei A
Osserviamo poi che sarà precisamente 2x — (u, + us) la dimensione della serie
completa di ordine 2» che contiene la gî, — se questa già non è completa (2) —
e quindi le varie coppie di gruppi di 97 (3).
Se si ha poi ancora
(03) H+ 2 — (1) < p
si dimostra facilmente (cfr. CAstELNUOVO, 1. c., ni 25 e seg.; BERTINI, ni 5 e seg.) che
anche a un gruppo della serie gt! residua della g}:-(t) si può imporre di
contenere un gruppo arbitrario G, di 97; e che, indicando con w; il numero minimo di
(1) La relazione generale (loc. cit., 28) sarebbe
p=kn_-(4ht bat -.... 4)
dove p è la dimensione della serie lineare segata su Cp dal sistema di tutte le Mî_, di Sr. Questa
formola si applica qui per X=2.
(2) E sarebbe completa appunto nel caso estremo d = 2% — (U —- po).
(3) Di queste serie multiple di una data serie lineare si è occupato recentemente (e in modo
più particolare) lo stesso sig. CasreLnuovo, nella Nota: Sui multipli di una serie lineare di gruppi di
punti appartenente ad una curva algebrica (“ Rend. di Palermo ,, t. VII). In questo lavoro si trova anche
determinato nuovamente il valore del genere massimo , per una via sostanzialmente non diversa,
ma forse più semplice, di quella tenuta nelle Ricerche (2 novembre).
340 GINO FANO
punti di un tal gruppo che devono stare nel primo, perchè questo lo contenga per
intiero, si dovrà avere
us UU —- (f_-1)
ossia
(T3) a = mit (n= dd,
Segue pure da ciò che le terne di gruppi G, sono a lor volta gruppi speciali
Ss gruppi Sp ’
e appartengono precisamente a una serie speciale completa di ordine 38n e dimensione
n — (Wi + Ma AF Ms).
E se ora estendiamo alle p,..... PRIZE le definizioni date per 41, Me, 4, nell’ipo-
tesi, s'intende, che siano soddisfatte le successive relazioni i
(0,) Md bo + 2 — (1) < p
(02) MP + Mo +... a e e)
troveremo facilmente che anche per queste nuove u si ha in generale
i reati CAO)
e quindi
(14) usn— 4-1) d_-1
(73) uen_ 5-1) —-d_- 1
(rà u sn — krf_-1)—- d_- 1
dalle quali relazioni si deduce immediatamente
idea one (5°) GC-D-Mb-@+)
ovvero anche
fi + pe ++ ii +2 — D+ +
Il numero £ si supponga ora precisamente tale che, essendo pur verificate le
relazioni a;) per è < %, non lo sia più la 0,,,); ma si abbia invece
ber en e e)
(1) Supposto cioè che si verifichi la (0,), chiameremo p, il numero minimo di punti di Gn che
devono trovarsi in un gruppo della serie residua della gare (tir Phat ho] perchè questo gruppo con-
tenga tutto Gn medesimo, ecc. ecc.
(2) È chiaro che un valore così fatto di % dovrà sempre esistere (cfr. anche CastELNUOVO, loc. cit.).
Potrebbe però essere X#=2 (non essere cioè già più soddisfatta nemmeno la (a3)), — e allora do-
vremmo naturalmente fermarci alla relazione (Ya) —.
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 341
Allora da queste ultime due relazioni seguirà immediatamente
(a) ps|jrt+1]fn-t}!- @+ 7)
e questa stessa disuguaglianza sarà anche soddisfatta, per X = 1, se la gi, è non
speciale. In tal caso si avrebbe infatti, per un noto teorema, p = 2% — d; e quindi,
a fortiori, p< 2n — 3r +1— è.
Esisterà dunque certo, in ogni caso, un valore di £ soddisfacente alla relazione (a).
Ma il secondo membro di questa stessa relazione può scriversi anche così :
a+ (etti) 4a]
2 2 2 )
e diventa perciò massimo quando i due fattori
(& +
e
121
1) —
)
la cui somma è costante sono uguali fra loro ed eguali quindi entrambi a
DO PA (ai SE 27!
Dia ai È
Questo si otterrebbe prendendo £ + 1 = “ ato? +3 -; ma dovendo nel nostro
caso k (e quindi % -- 1) essere un numero intero, basterà ni prendiamo per esso
r— d
a DS nIOS 5 E 1 5 3 Co È È
l’intero più vicino al valore medesimo 1 _ go Ossa il minimo intero non in-
feriore a nroì (ADE
Indicando perciò questo stesso intero con xy, è chiaro che si dovrà avere in
ogni caso
r+1 r—1
pewin—- 53 wi] [xw-1}d
e questo è appunto quanto si voleva dimostrare.
Come conseguenza (sebbene quasi evidente) di questo teorema e di quelli ricor-
dati al n° 1, abbiamo:
Una curva di S, la quale sia di ordine n > 2r e di genere
"+1 —1)}
Pony ca im +1
7 Di , ; . n_—-r—-1 2 :
{dove X1 è il minimo intero non inferiore a notai) sta sempre su di una superficie
di ordine r — 1 comune a tutte le quadriche che la contengono.
(1) Se io
77° fosse precisamente un numero intero, 1’ espressione considerata di sopra assu-
merebbe lo stesso valore massimo per X 4-1 eguale a questo intero, o anche al successivo (all’intero
cioè immediatamente superiore).
342 GINO FANO
UO
DD
Sull’ordine di una curva per la quale deve passare
un dato numero di quadriche.
8. Il risultato semplicissimo ottenuto nel $ precedente ci permetterebbe di sta-
bilire subito un minimum per il numero delle quadriche che passano per una curva
di dato ordine e genere e appartenente a un dato spazio (o almeno di stabilire un
tal minimum in modo nuovo, se la curva è non speciale). Ma per noi ha molto
maggior importanza lo studio della questione seguente: Determinare possibilmente un
ordine dal quale in su una curva di S,, supposta normale (1) e di genere n —k (dove
k ha un valore assegnato ad arbitrio) (2), stia necessariamente sopra almeno ("3") — d
quadriche indipendenti. Di una tale ricerca ci converrà ora occuparci.
Sarà condizione sufficiente per quanto si richiede che si abbia :
RA O A A TA ( |
T k>yx n 3 aa enni 10, 1}{b+1]
dove n è l’ordine della curva e y' indica il minimo intero non inferiore a ATI (3).
E chiaro che, quando nessuno dei numeri
n-r—-d0—1 n—- rd n—-r—-1
r-1 i RIZZA r—- 1
7 D v Ò ES È ò 5 nT_- N OS
sia intero, lo stesso x" è anche il minimo intero non inferiore a 71: e perciò la
TE
relazione scritta testè — sostituendo a il suo valore — si riduce subito a que-
st’altra
Pe
S i + 1. Se dunque indichiamo con / il resto della divisione di % per
d+
. k—_—-1l
ò USV AE
d + 1, basterà che sia y' = voy
nr k—-l1
pe: > +1
(1) n= ital}, _ ile
ossia y' >
+ 2, e per questo è sufficiente (e anche necessario)
L 1, ossia
(1) Questa condizione la troveremo però, nella maggior parte dei casi, già di per sè soddisfatta
(cfr. anche la nota seg.).
r+1 1
2 Pmi i
(2) Il genere di questa curva sarà dato dunque dall’ espressione Xx}x —
& n 9 QUID è . ° n—-r
dove x (= xo) indica il minimo intero non inferiore a =".
sarebbe certo normale quando il suo ordine superasse un certo limite (che dipenderà dal valore di €,
e sarebbe anche facile da determinare).
(3) Scriviamo per brevità x" anzichè Xg +1 (cfr. $ preced.).
Avvertiamo poi che la curva stessa
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 343
" «nr T_-d-1 —r—l,. +. <
Se dunque nessuno dei numeri Sn orsi è intero, basterà che
l'ordine della curva considerata non sia inferiore a
ae DA:
(Users afjr_1}42
4. Supponiamo ora che fra quegli stessi numeri ve ne sia uno ed uno solo in-
tero (non ve ne sarà certo più di uno se dò <r — 1); e sia questo y' = abri
dove 0 < 4 < è (1). Sarà quindi
=D DA 4-2;
e allora basterà che si abbia
Ex STE RE) STAMERENII Ì
n k>x | n 2 xa | ix 1} {xt}
Cosi
ossia
SES | I
N A Goria e A SAP
ovvero ancora
n_-r_(n—-rT_-h_-1)-k>—}yx-<1{}d+1,
che si riduce a
kt—-h<1
EE TO tl.
N
E questa condizione è certo soddisfatta se = numero y' si prende uguale o su-
periore a i + 2 (2), e lo è anche per xy = dl =" a 1, purchè però sia h =>!
È dunque sempre soddisfatta per
kt 1
(2) n ao 1}41+2
nella qual disuguaglianza è contenuta anche la (1).
Concludiamo dunque che: Una curva normale di ordine n e genere 7 — k, la quale
appartenga allo spazio S,, sta sempre sopra ("3°) — è quadriche indipendenti (d < r —1)
quando
dove 1 è il resto della divisione di k per d +1 (3).
ner—0=1
r_1 i
(2) Con 7 indichiamo sempre il resto della divisione di X per d-{- 1.
(3) Si potrebbe determinare un limite analogo per l'ordine » anche nel caso di èò=>r— 1; ma
il calcolo (pur non offrendo alcuna difficoltà) riuscirebbe alquanto più complicato, sicchè, per il
momento, non ce ne occupiamo.
(1) Qui ancora dunque x è il minimo intero non inferiore a
344 GINO FANO
Come primo caso particolare molto notevole abbiamo :
Una curva C_, di S, sta sempre sopra ("3') quadriche indipendenti — e quindi
sopra una rigata razionale normale o una superficie di Veronese comune a queste qua-
driche — quando
n= kK+2C_-1)+2 00Q60.
E così pure: Una C?_, normale di S, sta sempre sopra non meno di (3°) — 1
quadriche indipendenti quando
n="*+°(r 1) +2 oppure n= >°(r_1)+8
secondo che k è numero pari 0 dispari.
Per dò =%— 1, abbiamo: Nello spazio 5, una curva normale di genere t—-k (k<r)
e di ordine non inferiore a 3r — 1 sta sempre sopra almeno ("3') — k + 1 quadriche
indipendenti. i
Ponendo infine è = % si ha: Per una curva normale C%_, di S, (dove k<r—1)
passano sempre almeno ("3') — k quadriche indipendenti, quando sia n => 2r + k. Però
un ragionamento quasi ovvio ci convince facilmente che una tal curva sta sempre
sopra non meno di ('(3')—k quadriche indipendenti (qualunque ne sia l’ordine). —
L'ordine 2r + £ è quello dal quale in su la curva C?_, è necessariamente speciale.
$ 3.
Alcune osservazioni sulle curve contenute
in una rigata razionale normale.
5. Dalle poche cose esposte finora appare già come, fra tutte le curve di S,,
debbano avere una certa importanza quelle contenute in una rigata razionale nor-
male R'- (perchè su di una tal superficie (4) stanno appunto le curve di S, di
genere t — k, da un certo ordine in poi). Mi sembra perciò opportuno di fare qui
senz'altro su queste curve alcune osservazioni, per quanto semplici, delle quali avrò
a valermi (e spesso) in seguito.
(1) La parte relativa alla superficie E°! cessa però di sussistere, per X=0, nel caso estremo
n= 2r.
(2) In questo caso il limite inferiore dato per l'ordine n è tale che la curva C7_y risulta già
di per sè normale.
(3) In particolare una curva C%_j dello spazio S3 starà certo sopra una quadrica quando
n= 8 (se di genere t— 2 invece, quando # > 10; ecc.). Questi risultati rientrano in quelli ottenuti
dal sig. ALrnEN e già accennati da lui nei Compt. Rend.
(4) Colla sola eccezione, per = 5, della superficie di Veronese.
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 345
Sulla rigata razionale normale di S, si abbia una curva di ordine n e genere
p= © — È, la quale incontri ogni generatrice in m punti e sia priva di punti
doppi (1). Allora, oltre alla relazione
x NEON pat r—1)
pe=n_-k=xX)n 9 Wa
dove x è il minimo intero non inferiore a “i avremo anche quest'altra :
vr+1 rT_1 ;
p=(m-1)(n- til m- pz) 0).
Uguagliando fra loro queste due espressioni del genere p della nostra curva,
si deduce facilmente
=: 1477
(1) ixom+1|]f{n-1-]x+m{53]j=k
Questa relazione può sussistere qualunque sia », se X è nullo, purchè si abbia
x=m — 1 (ossia m=x + 1) (3). In casi particolari potrebbe annullarsi anche
il secondo fattore, ma si vede subito che, fra le soluzioni che se ne ricaverebbero,
la sola di cui si debba tener conto è quella che si avrebbe per m=x+ 2 (e
questo anche va d'accordo con quanto si è detto nella nota (4) a pag. 5). Ma se in-
vece % è diverso da zero, l’ordine n della nostra curva dovrà soddisfare a certe
condizioni che ora determineremo; e così pure, volendo che esista sulla rigata R'_
una curva C; priva di punti doppi, non potremo più dare ad arbitrio il numero %
per cui p+k%=n. Pongasi infatti
n=YX}r-1}++1
(essendo perciò 0 < Z < r — 1). Allora la relazione (1) potrà anche scriversi:
E OL mio
e ponendo ancora per brevità x — m + 1=, vediamo che il numero % dovrà
sempre essere del tipo
(2) Fe + W
(1) Sulla rigata razionale normale un punto che sia doppio per una curva tracciata su di essa
conta sempre come due fra le intersezioni della stessa curva colla generatrice che lo contiene (e
influisce quindi direttamente sul genere della curva). Ciò perchè la rigata razionale normale non può
avere essa punti doppi (cfr. anche C. Sere: Recherches générales sur les courbes et les surfaces réglées
algébriques; Ile partie; “ Math. Annalen ,, XXXIV).
(2) Che si ottiene applicando una formola del sig. Sere già ricordata in una nota preced. (n° 1).
(3) E così appunto si ottengono, sulla rigata R'-!, le curve di genere m appartenenti a Sr.
Serie II. Tom. XLIv. s'
346 GINO FANO
dove h è intero (e non nullo, se vogliamo sia X > 0). Dalla stessa relazione
n=YX}vr — 1{ ++ 1 si ricava poi
(3) n=l+1 (mod. » — 1).
Perchè possa dunque esistere sulla rigata R'"! di S, una curva Ci _,, (% > 0) priva
di punti doppi è necessario che il numero k e l'ordine n siano nello stesso tempo l’uno
del tipo (2) e l’altro del tipo (3) (1). Questo stesso risultato può ritenersi valido anche
nel caso di X=0, perchè allora la relazione (2) è sempre soddisfatta per % = 0,
e lascia anzi del tutto indeterminato il numero /, sicchè la (3) non impone più al-
l’ordine n alcuna restrizione.
6. Ma se la relazione (2), per un dato valore %, è soddisfatta da una certa coppia
di valori particolari di % e di ! (2), essa rimarrà del pari soddisfatta quando le
stesse 4 e / si mutino rispett. in hL'= — he l'=r —1—-! (8); perciò, per un
dato valore
pie Ses (a Ir,
non saranno possibili (4) soltanto gli ordini n dati dalla (3), ma anche quelli per cui
(25) n= — 14 1 (mod. r — 1).
Nelle relazioni (3) e (3') sono però compresi tutti i casi possibili.
Le curve Cz_, delle quali è così prevista come possibile l’esistenza esistono
anche effettivamente, almeno a partire da un certo ordine, da un certo multiplo
cioè di r — 1 aumentato di 2 + 1 o diminuito di Z — 1 (ordine e multiplo che di-
penderanno naturalmente dal numero %). Le curve il cui ordine è del tipo (3') si
possono tutte ottenere segando la rigata con una varietà M? , che non la contenga
r—1
e non le sia tangente in alcun punto, ma passi per %{(r — 1) + — 1 sue genera-
trici (5). L'ordine x della varietà sarebbe il numero dei punti in cui si vuole che
la curva seghi ogni generatrice (6). — Invece le curve il cui ordine è del tipo (3)
non si possono più segare con varietà di ordine eguale al numero dei punti in cui
esse tagliano ogni generatrice, ma solo con varietà di un ordine alquanto più ele-
(1) Ed è chiaro che, dati ad arbitrio X e » (ed 7), non esisteranno in generale due numeri
interi % e 7 per cui queste condizioni siano soddisfatte. Dato n è determinato 7, e dato % è deter-
minato 4 (colla condizione 0<=»x— 1); ma nell’uno e nell’altro caso il valore di % o rispett. /
che ci è dato poi dalla (2) non sarà in generale intero.
(2) Valori che, ove esistano, saranno sempre determinati e in modo unico, quando sia X> 0 e
si voglia altresì 1>0; 0<I1<,—- 1.
(3) Nel caso limite 7=7 — 1 si potrebbe anche mutare %X in — (+ 1) e ritenere =r — 1;
allora anche per 7 si avrebbero i limiti 0<7 = r— 1.
(4) Possibili, in quanto cioè possano esistere sulla rigata R"-! curve di ordine » e genere T —
prive di punti doppi.
(5) Essendo % e ? definiti dal valore dato di % (cfr. anche la nota (2) qui sopra).
(6) Si può dimostrare anzi, più generalmente, che ogni curva priva di punti doppi e tracciata
su di una rigata razionale normale R"— in modo da incontrarne ogni generatrice în x punti può otte-
TIVA . ; . 19018 x » . A
nersi come intersezione della stessa rigata con una varietà M,_j quando il suo ordine non sia supe-
SOPRA LE CURVE Di DATO ORDINE, ECC. 347
vato (1); e l'intersezione residua deve essere precisamente una curva di ordine
h(r 1) —!— 1 incontrata da ogni generatrice in 24 — 1 punti, quando sia 1<r— 2;
e una curva di ordine (f +1) (r — 1), o rispett. (h-+1)(r — 1)— 1, incontrante
ogni generatrice in 24.4-1 punti quando sia invece /=r —2 0 r — 1. Curve così
fatte esistono sempre sulle rigate (o almeno su quelle di uno o più gruppi) (2);
potranno però essere riduttibili, e anzi nella maggior parte dei casi dovranno essere tali.
In particolare, noi potremo segare sulla rigata R'7* delle curve di genere n — k,
dove o3zk<r—2, mediante varietà M*_, condotte per r — 2.-+ k generatrici di detta
rigata, o per una direttrice di questa di ordine r — 2 — k.
Se la varietà M?
r-1l
(9) 6
si conduce invece per 2r — 4, 2r — 3, 2r — 2, 2r — 1, ecc.
generatrici, la curva d’intersezione residua sarà del genere massimo (t) diminuito
rispett. di r — 2, r - 1, r+1,r+-3, ece. unità.
Si vede facilmente che le due serie di ordini n date dalle relazioni (3) e (3')
non possono coincidere, se r > 3, che per Z=r — 1; quando cioè £ è del tipo
Ah+1)
2
se {= 1, quanto se = 2). E nello spazio ordinario si trova precisamente che: /l
genere di una curva priva di punti doppi e giacente su di una quadrica è superato dal
(r — 1) (3). Invece per r — 3 questa coincidenza ha luogo sempre (tanto
genere massimo corrispondente all'ordine di essa di un numero che è sempre quadrato
perfetto o prodotto di due numeri naturali consecutivi, secondo che l'ordine anzidetto è
pari 0 dispari (4).
Osserviamo infine che le cose dette in questo $ per curve prive di punti doppi
valgono anche per curve di genere m — & e con un certo numero &' di punti doppi,
purchè al valore % dianzi considerato si sostituisca la differenza % — k'. Ciò segue
immediatamente dalla formola cit. del sig. Secre (Rend. Lincei, 1887), dalla quale
si deduce anche subito che la differenza % — #' non può mai essere negativa (5).
riore a x(r—1). — Il genere di una tal curva (supposta di ordine n) sarebbe infatti = (e —1)n —
— )r + (€31). Di più, se n <x(r—1), la gg, segata su di essa dal sistema di tutte le MZ_,
di S, è certo non speciale; la dimensione di questa serie sarà perciò S n + (3) r_ (5) e per
la curva stessa dovranno passare almeno ("£°) — n— (3) "+ (€51) 1 varietà M7_; indipendenti.
Ma per la rigata non ne passano che ("i") — (##!) r+ (8) — 1 (cfr. anche l’ultima nota al n° 1);
e À Ò Z . 8 5 è r-1)—% gi ari I È
vi sarà quindi, nelle nostre ipotesi, un sistema lineare almeno 00°—!)7" di varietà M7_) passanti
per la curva C° e non per la rigata, — il che basta a provare il nostro asserto. Questa proposi-
zione fu già dimostrata nel caso di «==2 (e in questo stesso modo) dal sig. Seere (Recherches
générales ete., I, 20; © Math. Ann. ,, XXX).
(1) E un ordine certo abbastanza elevato possiamo determinarlo facilmente in ogni caso, osser-
vando che una curva priva di punti doppi e tracciata su di una rigata razionale normale in modo
da incontrarne ogni generatrice in x punti può sempre ottenersi come intersezione della stessa
rigata con una varietà MZ*f, purchè il suo ordine sia inferiore a let+5| }r — 1{+ 1. La dimo-
| strazione si conduce in modo affatto analogo a quella della nota precedente.
(2) Per la distinzione delle rigate razionali in gruppi, v. C. Seerr: Sulle rigate razionali in uno
spazio lineare quelunque (“ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XIX). — E si noti che
questa diversità fra i varî gruppi si presenta già, come vedremo subito, per i valori più piccoli di &.
(8) Allora infatti la (8) e la (39) si riducono entrambe a n=1...(mod. r— 1).
(4) Questa proposizione si trova sostanzialmente già in Harrnen (“ Compt. Rend. ,, t. 70).
(5) Il sig. CasreLnuovo nella Nota cit. dei Rend. di Palermo (n° 10) ha dimostrato anzi che questa
stessa differenza X — % è sempre > 0 per qualsiasi curva (irriduttibile) 0? di S, (in altri termini,
che il numero %' dei punti doppi di una C; deve essere < T— p).
348 GINO FANO
8 4
Varietà basi di un sistema lineare co (":')-: di quadriche.
Dimostrazione di un teorema relativo a questi sistemi.
". Fatte queste poche osservazioni sulle curve contenute in una rigata razionale
normale R" di S,, e quindi in ("3') quadriche indipendenti (e non in un numero
maggiore, se l’ordine loro supera 2r — 2), torniamo allo studio delle curve Cj di S,
contenute in sistemi di quadriche di dimensione soltanto ("7') — i; (î > 1).
E proponiamoci anzitutto la questione analoga a quella di cui si occupa il
sig. Castelnuovo al n° 30 delle sue Ricerche: la determinazione cioè delle possibili
varietà basi di questi sistemi. Si vede facilmente che nello spazio S, un sistema
lineare di quadriche di dimensione ("3!) — è non può avere (almeno per è < 7 — 2)
una varietà base appartenente a S, stesso e di dimensione superiore a due. Suppo-
niamo infatti che un tal sistema di quadriche abbia una M$ base (irriduttibile) ap-
partenente a S,. Segandolo con un S,_3 non contenuto in alcuna sua quadrica, — il
che (come osserva anche il sig. Castelnuovo per il caso di î = 1) è sempre possi-
bile —, avremo in questo spazio un sistema lineare di quadriche (M?_,) pure di
dimensione (31) — î, e con x punti basi — in generale — dei quali possiamo anche
supporre che mai 4 + 1 (K < r — 3) stiano in uno stesso S,_,. Se fosse dunque
x > i — 1, bisognerebbe che le M?_, passanti per è — 1 (e forse anche meno) di
quegli x punti passassero di conseguenza anche pei rimanenti, e ciò per è < 7 — 2
ossia i — 1<7r — 3 (come qui supponiamo) non è certo possibile. Dovrà dunque
essere z <î — 1 e quindi, a fortiori, < » — 8, mentre invece è noto che una M;
appartenente a S, deve essere di ordine almeno uguale a » — 2. Concludiamo perciò:
Se un sistema lineare di quadriche di S, di dimensione ("3') — i ha infiniti punti
basi, questi, finchè 1 <r — 2, non possono costituire, di varietà appartenenti a S,, che
curve o superficie. Se vi è una varietà base di dimensione superiore a due, questa deve
essere contenuta in uno spazio inferiore a S, (1).
8. Ciò posto, seghiamo la curva © (che supponiamo irriduttibile) con un iper-
piano (S,_1) tale che delle sue » intersezioni con essa r qualunque siano linearmente
indipendenti. Il sistema di quadriche proposto verrà segato dallo stesso S,_, in un
nuovo sistema, pure di dimensione (3%) — i, e con quelle n intersezioni per punti
basi; e poichè le quadriche tutte di S,_, formano un sistema di dimensione ("}!) — 1,
è chiaro che in questo nuovo sistema ogni quadrica passante per
(E) 1{- (3) - ii = 2-1)+di
(1) Si può dimostrare anzi più generalmente (e in modo affatto analogo) che un sistema lineare
di quadriche (di S;) di dimensione uguale o superiore a ("75*!) non può avere una varietà base di
dimensione (uguale 0 superiore a) k e appartenente pure a Sr.
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 349
di quegli stessi » punti dovrà (se n > 2(r — 1) + è) contenere di conseguenza i
rimanenti (1).
Si può prevedere fin d’ora che, se » supererà un certo limite, quelle quadriche
di S,-1 dovranno avere, non solo questi n, ma infiniti punti (ossia tutta una curva)
a comune (2); ciò perchè un sistema lineare di quadriche di data dimensione e con
un numero finito di punti basi ammette necessariamente, per questo stesso numero,
un massimo (3). Si tratterebbe ora di trovare appunto questo massimo per il nostro
sistema, di dimensione (3!) — èî, in $S,_, (essendo pur sempre è < r — 2).
La questione è piuttosto complicata, ma possiamo dare tuttavia un teorema che
ci sembra notevole e dal quale potremo poi ricavare nei $$ seg. (almeno per i casi
di i=2 e i=8) risultati della natura di quelli che testè andavamo cercando, e
che si collegheranno anche con quelli già ottenuti nei $$ precedenti. Ragioneremo,
per comodità, nello spazio S,, e supporremo perciò il sistema di quadriche assog-
gettato a 2r + i (anzichè a 2(r — 1) + è) condizioni.
9. Il teorema del quale intendiamo parlare è il seguente :
Se nello spazio S, si ha un gruppo di 2(r + i) + 1 punti indipendenti (4) e tali
che le quadriche passanti per 2r + i qualunque fra essi passino sempre di conseguenza
per i rimanenti i + 1, questi punti staranno tutti sopra una varietà Mi? = co' ra-
zionale normale di S;_,, che sarà anche segata in una Mîzi dall’'S._2 di r — 1 qua-
lunque fra quei punti (5).
Consideriamo infatti l’ S,_, di x—1 qualunque fra i punti proposti (Ai, As, ..., A,_.),
e chiamiamolo a. Costruiamo poi le curve razionali normali di ordine r che hanno a
per spazio (r — 1) - secante e passano per altri r + 1 fra i punti dati (B,, B»,..., Bui)
e rispett. per altri è ancora fra quegli stessi punti (C,, Cs, ..., C)). Congiungendo i
vari gruppi di punti di queste curve che stanno in un iperpiano variabile attorno
(1) Si può dire anzi che, se l’S,_j di cui sopra è stato scelto in modo generale, ogni quadrica
passante per 2(r — 1)-+i qualunque fra questi » punti dovrà passare di conseguenza anche pei
rimanenti; impongano pure o non impongano quei primi 2(r — 1) +: condizioni tutte distinte.
(2) E quindi le quadriche di S, passanti per la curva (0 dovranno avere a comune tutta una
superficie.
rl
(8) La questione, trasportata sulla varietà mel) di S(r—1)r+2) che rappresenta il sistema di
9
d
tutte le quadriche di S,_;, si tradurrebbe così: Se la varietà M ha comune con uno spazio Sk un
numero finito di punti, questo numero non potrà superare un certo limite; e questo può ritenersi
evidente. E alla stessa questione può anche darsi la forma seguente, pure notevole: Sulla curva di
ordine V 7? (e di genere (rv — 4) ori + 1) intersezione generale di vr — 2 quadriche in Sr-1 Vordine
di una serie lineare di gruppi di punti di data dimensione non può scendere al di sotto di un certo
limite (che dipenderà naturalmente da questa dimensione).
(4) Anche per i punti, come già per le quadriche, ci permettiamo di dire semplicemente ?ndi-
pendenti, sottintendendo per brevità il linearmente. Avvertiamo poi che, per i punti, questa indi
pendenza dovrà sempre intendersi come relativa (per così dire) allo spazio in cui si sa che i punti
stessi sono contenuti. Se siamo quindi in Sx, intenderemo (soltanto) che mai X +1 fra quei punti
stiano in uno stesso S,_j.
(5) Variando questi ultimi punti, potrà variare però la Li Mata ; e questo apparirà anche dalla
dimostrazione che ora daremo.
350 GINO FANO
ad a mediante altrettanti S;_,, otterremo una serie semplice razionale di spazi, il
cui insieme costituirà una Mf' normale (1). Lo spazio a incontrerà quei vari S;_i
secondo altrettanti S,_:, quindi la varietà M, secondo una M,;_; che risulterà di or-
dine r — i, e potrà anche scindersi in una Mi_i-* irriduttibile e in % spazi S.,_1
(contenenti rispett. altrettanti S,_, di questa M;_,).
Ora, la varietà M/7*! è contenuta in ('7*!) quadriche indipendenti di $, (2), e
di queste si vede facilmente che, se è <= x — 1 (3), ve ne sono certo almeno 00°"
che contengono lo spazio a. Nel caso estremo î=r —1 la varietà Mf7'*! è essa
stessa una quadrica passante per questo spazio; se invece è < x — 2 (e così noi
supporremo sempre in seguito), vi saranno certo infinite quadriche passanti per la
varietà Mi'*# e per lo spazio a, e queste non passeranno di conseguenza per nessun
altro punto (e saranno precisamente c0°7*!) (4). Ma queste quadriche passano già
tutte per i 2r + è punti A,... A._1, Br... B,4u,, O... Ci; dovranno dunque passare
anche per gli altri è + 1 punti proposti (Dì, D», ...,. Di); e questi ultimi, non po-
tendo alcuno di essi stare nello spazio a, saranno tutti contenuti nella varietà M{7'#.
Faremo vedere ora che questa stessa varietà (ossia la Mimi sua intersezione collo
spazio a) deve contenere anche gli r — 1 punti A.
Lo spazio a, come abbiamo già detto, sega infatti la varietà M7=#! in una Mizi
che può anche spezzarsi in una M'-i-* irriduttibile e in % spazi S;_. È chiaro che
fra gli S,_3 determinati dai punti A a » — 2 per volta ve ne sarà certo (almeno)
uno non contenente (per stare nel caso più generale) la M7_i-* (£ > 0); questo stesso
spazio (che chiameremo a,) potrà contenere tuttavia un certo numero 4' degli 7
spazi S,_;, e segherà allora i rimanenti & — #' in altrettanti S,_;, e la varietà
Mii in una Mi-i** dalla quale potrà ancora staccarsi qualche altro S,_3; l’or-
dine complessivo però di questa M;_., compresivi tutti gli S,_: (anche quei primi
‘-h— hh), sarà r—i—2N. — Fra glir— 2 punti A con cui si è determinato lo
spazio a, scegliamone ora r — 3 il cui S,_; (0;) non contenga la M,_, irriduttibile
testè ottenuta; questo spazio as potrà contenere della sezione precedente un certo
numero 4" di S;_ e un certo numero / di S,_» (oltre agli #' — 4' in cui sega i
(1) L’ordine di questa varietà si può stabilirlo con successive induzioni, partendo dai valori più
semplici di i. Che se poi il gruppo delle è intersezioni variabili di cui sopra fosse sempre conte-
nuto in un S;_5, si giungerebbe a una varietà M7_{*? per la quale potrebbero farsi passare infi-
nite MY_‘#! segate anche da a altrettanti una M,_,_.
(2) Ciò essendo vero per i valori più semplici di #(#="0, 1, 2) ne segue:facilmente che per la
M}_‘#! non possono certo passare più di ("—3*!) quadriche indipendenti. Osservato poi che, perchè
una quadrica contenga la Might è certo sufficiente che ne contenga due sezioni piane e un punto
fuori di queste, si può tosto concludere (ammessa sempre la proposizione per i valori più piccoli
BE à ; 1 È SORTE PIET | n
di :) che il numero di quelle quadriche non può nemmeno essere inferiore a ( SG ). La proposi-
zione sussiste tanto se la M; è irriduttibile, quanto se da essa si stacca un numero qualunque
di S: (passanti per altrettanti S,_j della Mi residua irriduttibile).
(3) Restrizione che corrisponde alla è < x — 2 del n° 7, perchè qui siamo passati da S,_ ® Sr.
(4) Se queste quadriche passassero infatti tutte per un altro punto qualsiasi di Si, segando
coll’'S,__j di questo punto e di a, si avrebbero nello stesso iperpiano almeno 00o*-?1 quadriche
contenenti un dato S,_o, un dato S;_j (intersezione residua dell’S,_, colla varietà M:) e un dato
punto fuori di questi due spazi, il che è assurdo. Lo stesso ragionamento, astraendo da quest’ultimo
punto, prova altresì che quelle quadriche sono precisamente 00"-#1 (e non di più).
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 351
rimanenti S,_;), e l’incontrerà poi ancora in una Mj-{”-*-® dalla quale potrà
| staccarsi un certo numero di S;_3. Così continuando, giungeremo a un $S,_;_1 (8) pas-
sante per » — i punti À e incontrante la varietà MT! secondo un certo numero
ni-i di spazi S;-1, un certo numero n,» di spazi S,., ..... un certo numero Wo
di punti.
Per la sezione determinata dallo spazio a, (#' spazi S._, e una Miî_;-®) si ha
la relazione:
2.h'4+1.(r-i-2h')l=rT_- i.
Per quella successiva (4'” spazi Si_1, R' — 4" + 1 spazi S;_s e una Mj_j-?-h"-2!)
si ha del pari
3.h'+2.hP_RAPVHk+1l.@e—-i-20h—-hn"—-2l)=rTi
e così via. Per l’ultima si avrebbe (e lo si potrebbe provare facilmente col solito
metodo dell’induzione da un caso qualunque al successivo)
in Po 1) not. + 2.wnt+1l.w=r— i (1)
Quest'ultima sezione potrebbe essere costituita in particolare da un gruppo di r — i
punti; ma le nostre considerazioni più generali sono egualmente necessarie, non poten-
dosi asserire a priori che fra gli S,_;_ determinati da r — i fra i punti A ve ne
debba sempre essere uno che incontri M in soli » — è (e non in infiniti) punti.
D'altra parte, dal fatto che per la varietà Mi7*' e per lo spazio a passano
precisamente co! quadriche segue tosto che si può scegliere (e in infiniti modi)
un sistema lineare di dimensione ("3') — 1 costituito da quadriche passanti tutte
per la varietà Mi7*' e non per a; e perciò ogni quadrica di quest’ultimo spazio
passante per la Mi-; di cui sopra potrà ottenersi come sezione di una quadrica di S,
passante per la M,; stessa (e non per a). — Analogamente, fra le oo(2)! quadriche
di a che passano per la sezione Mii ve ne sono co”! che contengono lo spazio a, (2);
sì potrà quindi dal loro sistema stralciarne uno, pure lineare, di dimensione ("7 ) #1,
nel quale nessuna quadrica contenga quest’ ultimo spazio. E questo stesso (ossia
("a
co l)-"-!) è anche il numero delle quadriche dello spazio a, che passano per la
sezione determinata da esso nella varietà M;_i (o nella M7**) (3); ciascuna di queste
(1) In termini meno esatti ma forse più espressivi si potrebbe dire (ed è, d’altronde, anche
quasi evidente) che una retta contenuta in un S;_j della Mi conta in questa sezione come due
punti, un piano come tre, ecc.
(2) E sono quelle che si spezzano in a, stesso e in un S,_g variabile attorno al-
list m+i-1-1-= Sao della Mii costituita dalla stessa Mai meno gli #' spazi S,_3 che
sono già contenuti in ay.
(3) Infatti le quadriche indipendenti che contengono la MIT57?* sono, nello spazio 8,_9y_3 cui
questa appartiene, (a e nello spazio S,_g3 =
Roia or ili)... Lo_29=(7) +27 6-1.
Queste ultime devono ancora assoggettarsi a contenere 7' spazi Sj_1, di ciascuno dei quali conten-
352 GINO FANO
ultime sarà dunque sezione di una delle prime, ossia di una quadrica di S, passante
per Mi7*' e non per a. Fra quelle stesse quadriche dello spazio a, possiamo ora
trovarne un sistema lineare di dimensione ("3‘) — ©" — 24” — l' — 1, nel quale nes-
suna varietà contenga lo spazio a, (1); e questo numero è anche quello delle qua-
driche di a, stesso che passano per la sezione determinata nella varietà M; da que-
st'ultimo spazio (2). Così continuando, si conclude facilmente che le quadriche dello
spazio R passanti per la sezione determinata da questo stesso spazio in M; sono
precisamente tante quante quelle di S, che passano per Mî'*' e non per 8 (3); e
perciò una qualunque delle prime può sempre ottenersi come sezione di una di queste
ultime. In particolare, se fra quelle prime quadriche ne consideriamo una passante
per un certo numero, ad es. per r — î — 2 fra gli r — è punti A che stanno in 8
— supposta la cosa possibile —, la quadrica di S, (passante per M.) di cui quest’ul-
tima quadrica può considerarsi come sezione dovrà pure contenere quegli stessi
punti. Ma questa quadrica di S, passerà allora per la varietà M{7'#, quindi per tutti
i punti B,..... Cio D,..... (in numero di r + 2i + 2), e conterrà perciò complessiva-
mente già 2r + è fra 1 punti proposti; essa dovrà dunque contenere anche i rima-
nenti è + 1, e in particolare quegli altri due punti A che stanno in B. Questi ultimi
staranno perciò anche sulla quadrica di B prima considerata, ossia:
“ Le quadriche dello spazio B passanti per la sezione che questo spazio deter
“ mina nella varietà M, e per r — i— 2 qualunque fra i punti A in esso spazio
“ contenuti passano anche tutte per gli altri due fra questi stessi punti ,.
gono già un S;_g fisso, e ciò equivale a nuove A'(2i— 1) condizioni, che è facile anche riconoscere
come tutte distinte. E si ha precisamente:
(3) A 21) (6)
(1) E ciò perchè quest’ultimo spazio è a sua volta contenuto in un sistema lineare di quelle
stesse quadriche di dimensione 2/4 '—1. Questo numero deve essere infatti quello degli S,_4
di a, che passano per la sezione determinata da a, stesso in M, astrazion fatta dagli 2” spazi S;_1
e dagli V spazi S,_9 già contenuti in d,. Ora la Mj_o di a (compresivi tutti gli S,_g) è di ordine
2
r—i— 27; senza quegli 7 spazi resterà dunque di ordine r» — è — 24 —/, e apparterrà perciò a un
[r— 2% —l — 83]. E quest’ultimo spazio, insieme ai rimanenti #' — 7° spazi S,_j, determina un
Q9'4V-1 4
d, —4
(2) Per la sola M,_g di a (che, compresivi tutti gli S,_3, è di ordine r — i — 2% — h'—21)
r—i—-2h!'-h"
2
[r— 24" —T — 3] pel quale in a; passano appunto 00
passano, nello spazio cui essa appartiene, ( Ti) quadriche indipendenti; nello spazio ag
ne passano invece (i) + (224 2° + 27)(i— 2). Queste ultime devono ancora obbligarsi a passare
per #' —n"+! spazi S,_s e per #" spazi S,_; (già segati in altrettanti S;_4 fissi); il che equivale
complessivamente a (#' — 2° + 2°) (2î — 3) 4 4° (Bi — 8) condizioni (e ancora tutte distinte). E il numero
(3)+ NA + 2-2 WR + Mi —- 3 (B— 3)
sì riduce precisamente a
(3) 2-1
8) Questa proposizione sarebbe evidente o quasi quando lo spazio 8 segasse Mita in soli
v—i punti; allora non vi sarebbe anzi in @ nessuna quadrica passante per la Mii e per 8. Ma,
come già si è detto, non possiamo asserire di poterci sempre ridurre a questo caso.
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. DOS
Da ciò noi dedurremo subito che gli » — è punti A dello spazio 8 devono stare
tutti sulla sezione che questo spazio determina in M, (e quindi su M, stessa).
Abbiamo già veduto infatti come tale sezione sia costituita. Consideriamo per-
tanto uno qualunque 5, degli spazi in essa contenuti (o = p = è — 1)(1), e poniamo
per brevità 7 — —1=p. Fra gir —-i=p+1 punti A dello spazio Sf = 8
possiamo sempre trovarne uno non contenuto in Su (2); poi un altro non contenuto
nell’ Su+1 di Sy e di questo primo punto, un terzo non contenuto nell’Su+s di questo
Su+1 e del secondo punto, ecc. Possiamo infine, fra gli stessi p + 1, trovarne p — u
i quali insieme allo spazio Su costituiscano un gruppo appartenente a Sp. Chiame-
remo questi punti A‘, AQ, ....., AM; i rimanenti, AO, AO
Dalla relazione i. n; + ..... +an=7r —i=p+1 segue altresì che, tolto
lo spazio Su, i rimanenti che con esso concorrono a formare la sezione di f colla
varietà M; staranno certo in un Sp-u-1. Considero ora lo spazio S;_1 = Y determi-
nato da questo S;_y-1 e da u qualunque fra i punti Al (escludendone perciò uno
qualsiasi A°) (3), e poi un altro S;-1, che chiamo è, determinato dall’Sy di cui
sopra e da p—-pu —1 qualunque fra i punti A“ (tutti ad es. meno A"). Questa
coppia di S:—1 è una quadrica di S; contenente già l’intera sezione B.M; e p— 1
fra i punti A (tutti meno A“ e A); la stessa quadrica dovrà dunque passare anche
per questi ultimi due punti. Ma A‘ non può stare in è (perchè l’insieme di S, e dei
punti A" appartiene a S,); starà dunque in Y, e ciò qualunque sia l’indice # scelto
fra i numeri 1, 2,..., p—p; in altri termini, lo spazio y dovrà contenere tutti
quanti i punti A"; e contenendo perciò complessivamente già p punti A, non potrà
più contenere A“. Quest'ultimo punto starà dunque in è, e ciò ancora qualunque sia
krapgli indici 0.1.2... u quello designato con s; in altri termini, tutti i u + 1
punti A® dovranno stare nello spazio è — e anzi in ciascuno dei p — u spazi Spi
che congiungono l’S, considerato da principio a p — u — 1 qualunque dei punti A"! —;
essi staranno perciò anche nell’S, stesso che è precisamente l'intersezione di tutti
questi spazi.
Segue da ciò che uno spazio qualunque S, appartenente alla sezione 8 . M; deve
contenere u-+ 1 fra i punti A dello spazio 8; e questi punti varieranno anche tutti
da uno di quegli spazi all’altro, perchè due qualunque di questi ultimi non si incon-
trano (4). Avendosi poi la relazione Z (u+ 1) nu = p + 1, è chiaro che ip+-1
punti A verranno tutti assorbiti dai vari spazi Su e staranno perciò tutti sulla se-
zione B. M..
(1) Se detta sezione si componesse di (soli) r — î punti, non potrebbe essere, naturalmente, che
u=0. Il nostro ragionamento vale però (come si vedrà subito) anche per questo caso.
(2) Farebbe eccezione il solo caso in cui fosse u=; ma allora lo spazio Sp = B sarebbe tutto
contenuto in M;, e su questa varietà starebbero perciò senz'altro tutti i p-+-1 punti A.
(3) Per il momento, non si potrebbe ancora asserire che lo spazio y rimanga con ciò indivi-
duato; certo però che vi è qualche S,_1 passante per quell’S,_y-1 @ per questi u punti. Dal
seguito del ragionamento apparirà poi che non può esservene che uno.
(4) I vari spazi Su sono contenuti infatti rispett. in altrettanti Sj_1 di Mista ; e due qua-
lunque di questi S,_; non si incontrano, a meno che la varietà stessa non sia un cono — nel qual
caso ci converrà (e basterà) prendere lo spazio f non incidente all'asse (al più S,_3) di questo cono.
Serie Il Tom. XLIV, ni
354 GINO FANO
La varietà Mi! di S, contiene dunque certo (r — ) + (r+1) + i4+(+1)
ossia 2r +-é+ 2 fra i punti proposti; conterrà perciò anche i rimanenti è — 1
(perchè le quadriche passanti per essa non passano, di conseguenza, per nessun altro
punto); e la proposizione enunciata al principio di questo n° rimane così dimostrata.
Il teorema si estende manifestamente al caso di un numero di punti anche su-
periore a 2(r + i) + 1, purchè sempre le quadriche passanti per 2r + i qualunque
fra questi passino di conseguenza anche pei rimanenti. — Nel caso di i=1 questo
teorema coincide con quello già dato dal sig. Castelnuovo nelle sue Lricerche (n° 30);
veniamo quindi addirittura a svilupparne le conseguenze più importanti per il caso
di.a=:2:
8 5.
Sistemi lineari col)? di quadriche e loro varietà basi.
Superficie di ordine y a sezioni ellittiche.
10. Facendo nel teorema del n° 9 è = 2, troviamo la proposizione seguente:
Se nello spazio S, (r = 4) si ha un gruppo di 2r +24 x punti indipendenti e
tali che le quadriche passanti per 2r 4- 2 qualunque fra essi passino sempre di conse-
guenza pei rimanenti x, questi punti, se x = 3, staranno tutti su di una rigata razio-
nale normale R' (che sarà anche segata in una curva di ordine r — 2 dall'S,-, di
rT_- 1 fra quei punti).
Dico ora che, nella stessa ipotesi x = 3, le quadriche passanti per quei primi
2r | 2 punti devono avere non solo x, ma infiniti altri punti a comune. Infatti, se
così non fosse, fra le quadriche passanti per quegli stessi punti se ne potrebbe certo
trovare qualcuna che incontrasse la rigata R'— secondo una curva irriduttibile (di ordine
2r — 2 e genere r — 2) (1). Su questa curva le quadriche di S, segherebbe una
gii (2); imponendo loro perciò di passare per 2r 4 2 fra i punti proposti (8),
rimarrebbe una 95 con « punti fissi; cosa che è evidentemente assurda per x > 2.
Concludiamo pertanto:
Se nello spazio S, (r > 4) si ha un gruppo di 2r 4 5 0 più punti indipendenti e
tali che le quadriche passanti per 2r + 2 qualunque fra essi passino sempre di conse-
guenza pei rimanenti, queste quadriche avranno a comune infiniti punti (e quindi tutta
una linea, passante per una parte almeno di quegli stessi punti).
(1) Se questa curva dovesse necessariamente spezzarsi, se ne concluderebbe tosto ch’essa deve
contenere una parte fissa comune a tutte le quadriche passanti per i 2x-+2+x punti proposti (e
passante a sua volta per una parte almeno di questi punti). Non sarà forse inutile l’osservare che
per questi stessi punti passa un sistema lineare (almeno) 7-3 di quadriche non contenenti la
rigata R"1
(2) Infatti la curva (Opi sta precisamente su (455) -+ 1 quadriche indipendenti.
(3) Punti che possiamo supporre impongano condizioni tutte distinte (se no si cadrebbe nel
caso di (="1).
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 355
Ovvero anche: Se un sistema lineare di quadriche in S, ha un certo numero
k(=>2r +3) di punti basi indipendenti e tali che le quadriche passanti per 2r + 2
qualunque fra essi contengano sempre di conseguenza anche i rimanenti (ma non con-
tengano altri punti fissi) sarà certo k = 2r +4- 4.
11. Da questi risultati, riuniti alle considerazioni di cui al n° 8, deduciamo
ancora :
Se per una curva (irriduttibile) appartenente a S, (r > 5) e di ordine n > 2r +2
passano ("=") —1 quadriche indipendenti, queste quadriche avranno a comune tutta una
superficie passante a sua volta per quella curva. È facile anzi riconoscere che questa
superficie non potrà essere di ordine superiore a r (1); ciò perchè un sistema lineare
di quadriche (Mf_3) di S,-s di dimensione ("')— 2 non può avere più di » punti
basi indipendenti, a meno di non averne infiniti. Dunque :
Se per una curva (irriduttibile) appartenente a S, (cr => 5) e di ordine superiore a
2r + 2 passano ("3'9) — 1 quadriche indipendenti, la stessa curva dovrà stare su di una
superficie di ordine <tr (e quindi di ordine r 0 r — 1) comune a queste quadriche.
O in altri termini: Se nello spazio S, (r = 5) un sistema lineare di quadriche di
dimensione ("3") — 2 ha infiniti punti basi, questi punti non potranno costituire (di
varietà appartenenti ad S,) che una curva di ordine <2r +2 0 una superficie di
ordine <= r (2).
Tenuto conto infine di quanto si è detto nel $ 2 sull’ordine di una curva di
genere t — £ per la quale si vuole che passino (almeno) ("3') — 1 quadriche indi-
pendenti, abbiamo :
Una curva normale, la quale appartenga ad S, (r = 5) e sia di generet — k e di
ordine superiore a
“3° _1)+2 oppure FE (0-1) +38
secondo che x pari o dispari, sta sempre su di una superficie di ordine r o r — 1
(comune a tutte le quadriche che la contengono) (3). Se non sta dunque sulla rigata R'7!
o sulla superficie di Veronese (nel caso di r = 5), sarà certo contenuta in una su-
perficie di ordine r. Supposto % > 0, fa eccezione il solo caso di k="1 nel quale,
anzichè n > 2r + 1, bisogna supporre n > 2r 4-2.
12. Ora, una superficie di ordine r appartenente a S, può avere le sezioni ra-
zionali od ellittiche. Nel primo caso si hanno le rigate razionali ma non normali,
bensì proiezioni di quelle di ugual ordine appartenenti a $r+1; e di più, per "= 4,
(1) E la linea di cui è fatta parola nel penultimo enunciato del n°10 non potrà quindi rie-
scire di ordine superiore a 7 + 1.
(2) Con questo non intendiamo però escludere che, almeno se quegli ordini massimi non sono
raggiunti, vi possa essere anche qualche ulteriore punto base (isolato), oppure, nel secondo caso,
oltre la superficie, anche una curva base non contenuta in questa.
(3) Sappiamo anzi che questa superficie può essere di ordine 7 solo quando l’ordine della curva
sa <= (K+2)r-1b)+1
356 GINO FANO
una superficie non rigata contenente una 00° di coniche, proiezione precisamente
della superficie di Veronese da un punto esterno ad essa (1). Ma per le rigate razio-
nali di ordine r e appartenenti a S, passano in generale solo (‘7) —3 quadriche
indipendenti se r > 4, e ne passa una sola se r= 4; e per la superficie di quart’or-
dine non rigata non ne passa, in generale, alcuna (2). Non sarà dunque sopra queste
superficie che potranno stare le curve C5 considerate di sopra; esse saranno invece
contenute (quando non stiano sopra F°_) in superficie di ordine r a sezioni ellittiche.
E queste saranno anche le sole superficie di S, che possano essere varietà basi per
sistemi di quadriche di dimensione ("3’) — 2 (3).
D’ altra parte è pur noto (cfr. DeL Pezzo, loc. cit.) che una superficie d’or-
dine » (F") appartenente a S, e colle sezioni ellittiche è sempre rigata per r > 9; e,
se rigata, è necessariamente un cono (4). Per r < 9 esistono invece in S, delle super-
ficie di ordine r a sezioni ellittiche e non rigate, che sono razionali e, se di ordine
inferiore a 9, si possono anche ottenere (con una sola eccezione, per 7 = 8) come
proiezioni della F° di S,. Queste superficie, studiate per la prima volta dal
sig. DeL Przzo, sono quelle appunto che rappresentano i sistemi lineari di cubiche
piane con 9 —r punti basi; e in quel caso speciale accennato per r=8 (super-
ficie F° di seconda specie) il sistema delle quartiche piane con due punti doppi fissi.
Dunque:
Se nello spazio S, un sistema lineare di quadriche di dimensione ("3°)— 2 ha infi-
niti punti basi, questi punti, per vr > 9, non potranno costituire (di varietà apparte-
nenti ad S,) che una curva di ordine non superiore a 2r + 2 (5), oppure un cono
(1) Per queste superficie, e per le altre (non rigate) pure di ordine x e appartenenti a S7, cfr.
ad es. DeL Pezzo: Sulle superficie del n° ordine immerse nello spazio di n dimensioni (“ Rend. Circolo
Mat. di Palermo ,, 1).
(2) Infatti, se una superficie di S, si può ottenere come proiezione di altra appartenente
@ S,41, è chiaro che le quadriche di Sr passanti per la prima saranno tante quanti i coni quadrici
di S,,j che passano per la seconda e hanno il vertice nel centro di proiezione. Nel nostro caso
si tratta di superficie di ordine » che appartengono ad Sr e sono proiezioni di altre di egual ordine
appartenenti a S,,; e fra le (5) quadriche indipendenti (di S,__1) che passano per una di queste
ultime superficie non vi sono in generale (come si vede subito) che soli (#38 coni col vertice
x
nel centro di proiezione (che è un punto assolutamente arbitrario in S,1, purchè esterno alla
F, considerata). Però, se r=4 e quindi r+1=5 — e in questo solo caso —, ogni punto dello
spazio S,41 = Ss sta sopra una corda della rigata normale Rr = R*, corda che è asse di un cono
quadrico di 2* specie (S,- cono) passante per la rigata medesima; sicchè la R* di S, viene ad
avere un punto doppio e a stare a sua volta in un cono quadrico col vertice in questo punto. —
Questa stessa eccezione non si presenta invece per la F* non rigata, che non ha, in generale, punti
doppi. Solo quando il centro di proiezione si sia preso nel piano di una conica della superficie
normale (di Veronese), essa viene ad avere tutta una retta doppia (come può succedere anche per
la rigata) e a stare perciò sopra un intero fascio di quadriche (in questo caso, di coni quadrici);
ma allora essa può considerarsi (e così intenderemo che sia) come un caso particolare della F* a
sezioni in» generale ellittiche, che è intersezione generale di due quadriche di S,.
(8) Intendiamo naturalmente (qui ed in seguito) che per queste superficie non passino altre
quadriche all’infuori di quelle contenute nel sistema accennato.
(4) Cfr. C. Seene: Sulle rigate ellittiche di qualunque ordine (* Atti R. Acc. di Torino ,, XXI) oppure
la Mem. cit. nei “ Math. Ann. ,, XXXIV; n° 14.
(5) V. la nota (2) a pag. prec.
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 357
normale ellittico (e in questo caso anzi tutte le quadriche del sistema saranno coni,
e collo stesso vertice del cono base) (1). Per r <= 9 la varietà base potrà anche essere
una superficie razionale di ordine r a sezioni ellittiche (2).
Una curva appartenente ad S, e di ordine n > 2r +2 per la quale passino preci-
samente (3°) — 1 quadriche indipendenti sta sempre sopra un cono normale ellittico, se
r > 9; (e quelle quadriche saranno tutte coni, ecc.). Se r <= 9, la curva potrà anche
stare su di una EF razionale a sezioni ellittiche.
E in particolare: Una curva normale di genere n — k e di ordine superiore a
Kit (_-1)+10 È - 2 (r — 1) + 2 secondo che k è pari o dispari (2r + 2, sek= 1)
starà sempre su di una rigata razionale normale o su di un cono normale ellittico se
lo spazio (S,) cui essa appartiene è superiore a Ss.
Se però r < 9, la curva potrà stare anche su di una F" razionale a sezioni ellit-
tiche; e anche sulla superficie di Veronese, se r = 5.
13. — Una curva tracciata su di un cono normale ellittico di S,, in modo da
avere un punto s"° nel vertice di questo cono e da incontrarne ancora ogni genera-
trice in altri m punti, è di ordine
n=mr + 8
e di genere
p=(9r+1+s(m-1)—
se con 2 indichiamo il numero dei suoi punti doppi (astrazion fatta dall’accennato
punto sP°) (3). Perchè dunque una curva di S, di dato ordine n e dato genere p= — k
possa stare su di un cono normale ellittico, è necessario che le due equazioni scritte
siano soddisfatte da una medesima terna di valori interi e positivi di m, s e e (in-
clusovi per s e 2 anche lo zero). A priori si può dunque aspettarsi la cosa come non
sempre possibile; si può aspettarsi cioè che qualche curva della quale siano asse-
gnati ad arbitrio l’ordine ed il genere possa — qualunque siano gli altri suoi carat-
teri — non stare mai sopra un cono normale ellittico dello spazio a cui appartiene.
Vedremo in seguito, esaminando alcuni casi particolari, che così è effettivamente; e
che le curve giacenti su di un tal cono devono avere appunto certi ordini e certi
generi particolari, o almeno particolarmente legati fra di loro.
(1) Ciò perchè i coni quadrici che necessariamente fanno parte del sistema bastano ad esaurirlo.
Del resto, se il vertice del cono ellittico non fosse punto doppio per una quadrica qualsiasi di
questo sistema, questa dovrebbe ammettere in quello stesso punto un S,_1 tangente ben deter-
minato e contenente tutte le generatrici di quel cono; cosa che sarebbe assurda, perchè queste
generatrici non stanno in un medesimo iperpiano.
(2) Questo si è dimostrato per x => 5. Per »=4 poi il sistema di quadriche in discorso si ridur-
rebbe a un fascio, e avrebbe quindi per varietà base appunto una superficie F* a sezioni (in gene-
rale) ellittiche. Per » <4 la dimensione (1059) — 2 diventerebbe <0.
(3) Ciò per la nota formola del sig. Segre, già più volte applicata. Per il caso in cui (come qui)
la rigata è un cono, la formola era stata data anche dallo Srurm (“ Math. Ann. ,, XIX, p. 487).
358 GINO FANO
Il caso di una curva per la quale si possa condurre un cono normale ellittico
ci appare dunque, quasi direi, come eccezione. E si potrebbe anche asserire (e ciò
apparirà meglio in seguito) che per r > 9 una curva di S, di genere tr —k e di
ordine superiore ai limiti già più volte ricordati sta IN GENERALE sulla rigata razionale
r=l
Den —1 : f .
normale R'7, e quindi sulle col 3) quadriche che contengono quest ultima superficie.
8 6.
Sulle curve di genere TT — 1.
14. — I risultati ottenuti nel paragrafo precedente si applicano a lor volta alle
curve di genere t — 1, per le quali (com'è noto) passano sempre almeno (*3)) — 1
quadriche indipendenti; e non riuscirà forse privo d’interesse l’esaminare un po’ più
da vicino i vari casi che queste curve possono presentare. Basterà naturalmente che
ci occupiamo di quelle di ordine n < 3 — 1 (1); e potremo anche limitarci alle curve
speciali, supporre cioè altresì n > 2r. Posto pertanto n = 2r+i dove 0<i<r— 1,
ed osservato che all’ordine 2r + i deve corrispondere il genere massimo r=r+-2î + 1,
è chiaro che le curve da considerarsi saranno del tipo 0}! (2).
K anzitutto: quali fra queste curve possono stare sul cono normale ellittico?
E chiaro che una C°7}i contenuta in questo cono dovrebbe avere un punto iP° nel
vertice, e incontrare ancora ogni generatrice in due altri punti. Supposto pertanto
che una tal curva abbia (all'infuori del vertice) r punti doppi, potremo scrivere
r+2=1.rbt1+i.1T-e2
ossia i= 1 — 2; relazione che (dovendo essere i > 0, 2 > 0) è soddisfatta solo per
i=1, z=0. L'unica delle nostre curve che possa stare sul cono ellittico è dunque
la 0275"; questa dovrà passare (semplicemente) pel vertice del cono, e non avrà
punti doppi.
Ciò posto, osserviamo che la curva C+, essendo di genere r + 2î, conterrà
, ?
È : GINE SON i; sta ALI
come serie canonica una g5t;l,; e siccome su di essa gli iperpiani ($,-1) segano una
I5r4; COSÌ vi sarà pure, come residua di quest’ultima, una g3;-» (3). La considerazione
di questa serie residua sarà, come vedremo, fondamentale per lo studio che ci siamo
proposti.
(1) Se l'ordine fosse più elevato (n > 3r — 1) la curva starebbe certo su di una superficie di
ordine r — 1 (v.8 2).
(2) E queste curve sono anche tutte normali, perchè una C+ di Sr+1 non può essere di
genere superiore a (r +1) + 2(— 2) +1=r + 2i— 2 (quando sia î> 0 e £ r-+1..
(3) È nota la proprietà caratteristica di queste serie (reciprocamente) residue; che cioè un
gruppo dell’una e un gruppo dell’ altra, presi pur comunque, formano sempre insieme un gruppo
della serie canonica (987).
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 359
15. E cominciamo col supporre î= 1 (1). Avremo curve C?"41 di S,, nelle quali
la serie lineare segata dagli iperpiani ha per residua una gî. Queste curve si possono
dunque tutte ottenere come proiezioni delle Cî”5° (canoniche) di Sr41 rispett. da loro
punti (2). Sono in generale prive di punti doppi; ne acquistano uno soltanto quando
contengono una 93, il che non si verifica, in generale almeno, se r + 1 > 3, ossia
iS 29):
16. Poniamo î = 2, quindi r > 3 (4); avremo curve del tipo C?°+?, e queste
contengono una gi. Potrebbe questa gi avere un punto fisso (5), e la nostra curva
sarebbe allora proiezione di una C+ di S,+1, starebbe sopra una rigata razionale
normale, e ne segherebbe ogni generatrice in tre punti; avrebbe anche sempre un
punto doppio.
Escludiamo questo caso, e supponiamo quindi la gi priva di punti fissi. Si può
domandare se e quando i suoi gruppi possano essere collineari. Supposto che lo siano,
e applicando alla serie la formola più volte cit. del sig. SeGRE (Rend. Lincei, 1887),
si vede che la cosa risulta possibile in due soli casi, cioè per una C$° di Sj con punto
doppio e per una Cs di S; priva di punti doppi; curve che stanno rispett. sulle
rigate R° e R' e ne tagliano ogni generatrice in quattro punti (6).
Se poi i gruppi della gj non sono collineari, essi staranno però certo in altret-
tanti piani (cfr. CasreLNUOvo, Ricerche ecc., 14); e questi piani costituiranno una
serie co! razionale, normale (perchè è tale la nostra curva), e quindi di ordine » —2 (7);
una varietà M:-° dunque, che conterrà la C?4°. E poichè le quadriche di $, passanti
per questa varietà formano un sistema lineare di dimensione ("3°) — 1, vi sarà certo
un altro sistema, pure lineare, di dimensione
(Cepeaie Cerlbad=r_4
e costituito da quadriche passanti tutte per la curva C?"+?, ma non per la varietà
r_2
5°. Queste quadriche segheranno già ogni piano di M;”° in quattro punti fissi
(formanti un gruppo della gi); imporre dunque ad una di esse di contenere uno di
(1) Le proposizioni generali trovate precedentemente non sono applicabili ai casi di 7=1 e
i=2, nei quali la curva in discorso risulta di ordine < 2» +2. La trattazione di questi casi è
però ugualmente interessante, e servirà nel tempo stesso a render più completo il nostro studio.
(2) In generale, una curva speciale C" di Sy si può ottenere come proiezione di una ON di
$,,1 quando la serie residua (rispetto alla serie canonica) della 97 da essa rappresentata ha qualche
punto fisso. È questa la traduzione (per le curve degli iperspazi) del teorema inverso del Reduc-
tionssata di NorrHER.
(3) Se la OSARE di S,41 sta (come può effettivamente stare) sul cono normale ellittico di or-
dine »-4-1 — epperò contiene (condizione necessaria e sufficiente a ciò) una serie 00' ellittica di
coppie di punti — la sua proiezione in Sr starà sul cono ellittico di ordine ; è così che si ottiene
quell’unico caso già considerato di curva di genere t —1 giacente su di un tal cono.
(4) Essendosi supposto î < — 1, i risultati che otterremo per un dato valore di é varranno
solo per r>i-+1 (ossia per gli spazi superiori a $;41).
(5) Più di uno, si vede subito che non può averne.
(6) Queste curve si possono ottenere .come intersezioni delle rigate che le contengono con
varietà del quarto ordine condotte per due o rispett. quattro loro generatrici. Nel primo caso la
varietà M4 dovrebbe anche toccare la rigata R? in un suo punto.
(7) Da ciò segue altresì che mai tre punti di uno stesso gruppo della 9g} potranno essere collineari.
360 GINO FANO
questi piani equivarrà ad imporle due (nuove) condizioni; e noi potremo perciò sempre
MAS È ; De] pesi;
trovare nell’ultimo sistema una quadrica la. quale contenga almeno - 0) de (se-
condo che r è pari o dispari) fra quegli stessi piani. L’intersezione residua di questa
3r—4
2
e su questa dovrà stare la curva proposta. La superficie stessa con-
quadrica colla varietà M:”° sarà una superficie F_di ordine (non superiore a)
dr3,
prog:
terrà pure una co' razionale di coniche, e sarà perciò (a meno che la conica gene-
rica non si spezzi) razionale, a sezioni iperellittiche; sarà anche normale, perchè tali
sono le sue sezioni (1). Il genere di queste sarà uguale all’ordine della superficie F
rispett.
TRIO ; 6 R a e È vr percio
diminuito di + — 1; non potrà quindi essere superiore a rio sal
rale, avrà precisamente l'uno o l’altro di questi valori. La curva C?+? (che dicemmo
stare su F) si potrà ottenere come intersezione (completa o parziale) di F stessa e
di una quadrica (altra del sistema 00°‘, e non contenente la superficie F (2)); e se
di queste essa è intersezione solo parziale, l’intersezione residua sarà costituita da
A vr-—6 _ rT—5
un certo numero (nel caso più generale —— o 3
drica passante per la curva C?+? e non per F sega ciascuna delle coniche di questa
già in quattro punti fissi, posti su quella curva; sicchè la conica di F_ passante per
un nuovo punto eventualmente comune a F stessa e a quella quadrica avrebbe co-
muni con quest'ultima già cinque punti, e starebbe perciò tutta su di essa (3).
L'ordine della superficie F_potrà però qualche volta abbassarsi, — e altrettanto
avverrà allora del genere delle sue sezioni —. Così, p. es., se la MT? fosse un cono
— se cioè quegli co' piani passassero tutti per un medesimo punto — vi sarebbe
una quadrica contenente anche r — 5 fra quegli stessi piani;
; ma, in gene-
di coniche. Infatti ogni qua-
r_4
certo nel sistema 00
la superficie F risulterebbe allora di ordine r + 1 e colle sezioni di genere due, e
le sue co' coniche passerebbero tutte per un medesimo punto (4). La curva C?27+?
sarebbe allora intersezione completa di questa superficie con una quadrica.
Più particolarmente ancora può darsi che quelle co! coniche (passando pur sempre
per uno stesso punto) si scindano tutte in coppie di rette (concorrenti in questo punto);
allora la superficie F_ sarebbe un cono di ordine » +1 e genere due, e la C+? sa-
rebbe intersezione (completa) di questo cono con una quadrica non passante pel suo
vertice. Questa curva conterrebbe allora una serie 00! (di genere 2) di coppie di
punti, e la gi sarebbe, in un certo senso, composta mediante quella serie (sarebbe
cioè la 93 entro la stessa 00° di coppie di punti) (5).
(1) Sono infatti curve iperellittiche, ottenibili come intersezioni di una rigata razionale nor-
male con una quadrica condotta per un certo numero di sue generatrici.
(2) E di quadriche così fatte ne esisteranno certo, se 7 > 4.
(3) Abbiamo così anche un modo, e abbastanza semplice, per trovare delle curve piane atte @
rappresentare queste CRGUE partendo cioè dalle note rappresentazioni delle superficie a sezioni
iperellitiche (Cfr. alcuni lavori del CasreLnuovo che verranno cit. più particolarmente in seguito).
(4) Questa superficie si rappresenterebbe precisamente con un sistema di sestiche piane aventi
a comune un punto quadruplo e du8 punti doppi infinitamente vicini a questo.
(5) Il ragionamento fatto è, come si vede, assai semplice; ma si può anche applicarlo (con
poche e lievissime modificazioni) in molti casi analoghi, alcuni dei quali saranno pure accennati in
seguito. Per questo appunto ho voluto esporlo qui per disteso.
SOPRA LE CURVE Di DATO ORDINE, ECC. 361
Questo ragionamento non è più applicabile (tutto almeno) al caso di r = 4. Dal
fatto però che per la C$° di S, passano sempre co' quadriche (tutte quelle cioè di
un fascio) segue senz'altro che questa curva dovrà stare sulla superficie F' comune
a quelle stesse quadriche (e uno dei coni del fascio sarà precisamente costituito dai
piani che contengono i singoli gruppi della g)).
Riassumendo dunque, abbiamo: Una curva C74? di S, (r>4) la quale non stia
sulla rigata R'"! sta in generale su di una superficie razionale normale di ordine
sr—4 1 sr—3
2 2
(secondo che r è numero pari o dispari) a sezioni iperellittiche di genere
r_2 “ pel x GEAR DORIA di Va
= 0 respett. 5 € può ottenersi precisamente come intersezione di questa superficie
2
drica passante per "3 0 "=? sue coniche. L'ordine della s erfici r
con una quadrica p per 3 3 uperficie, e cor-
rispondentemente il genere delle sue sezioni e il numero di queste coniche, possono però
abbassarsi e ridursi rispett. fino ai valori limiti r + 1, 2, 0; in quest'ultimo caso la
superficie può anche essere un cono di ordine r + 1 e genere due. — Infine per r < 8
la curva C24? può anche stare su di una F' razionale a sezioni ellittiche comune a
tutte le quadriche che la contengono (e ciò si verifica anzì sempre per r = 4) (1); e per
r=5 esiste anche una C*° contenuta in una Fi di Veronese.
Queste curve sono tutte prive di punti doppi, meno l’ultima (03° di S;) che ne
ha uno (2).
17. Per î = 3 lo studio delle curve Co di S, rimane assai facilitato, potendo
noi già asserire a priori (in forza di teoremi precedenti) che ciascuna di queste curve
dovrà stare su di una superficie normale a sezioni razionali od ellittiche. Sappiamo
anzi che questo secondo caso potrà presentarsi solo per » < 9 (e anzi solo per r = 8
se l'ordine 2r + i = 18 + i della curva in Sy non è un multiplo di 3); ma possiamo
anche ritrovare la stessa cosa per altra via.
(1) Questo ci è confermato (almeno in parte) anche dall’enumerazione delle costanti, la quale
ci dice appunto che la (Cv generale non sta certo sulla F” razionale a sezioni ellittiche se 7 > 4,
ma può forse starvi per »=4. Infatti le curve (URero di Sr formano, tutte insieme, un sistema
di dimensione almeno uguale a (r 4-1) (2r + 2) — (r + 3) (r — 3) ossia 7° + 4r + 11 (cfr. CastELNUOVO :
Numero delle involuzioni razionali etc.; © Rend. Acc. dei Lincei ,; serie II, 1889). Quelle invece che stanno
sopra una F” a sezioni ellittiche (esclusa almeno la F* di seconda specie) ne formano uno di dimen-
sione (72 4-10) + (8r +5) =7° + 3r + 15. (Infatti le F" di S, a sezioni ellittiche sono 00°°+!%(r < 9),
e su ciascuna di queste le (Goto — che si rappresentano con C° piane aventi nei 9 — r punti fon-
damentali rispett. un punto triplo e 8—r punti doppi — formano (per x = 8) 9 — r sistemi lineari
di dimensione appunto 35 —6—3(8—7)=3r+5). E questo secondo numero (7° + 3r + 15), infe-
riore al primo per r => 5, diventa invece eguale ad esso per r = 4.
(2) Volendo fare a parte la ricerca delle Ci, con punto doppio, si potrebbe osservare che
queste ultime contengono una ian quindi (come residua), una 98; e questa può essere composta
mediante una 9 (ma non altrimenti) — e allora si hanno le curve esistenti sulla rigata Ri
e considerate da principio —, oppure non composta (e senza punti fissi). In tal caso la C+? deve
potersi riferire a una sestica piana, il che esige r +4 < 10, quindi r = 6, e anzi » < 5 perchè la
sestica piana generale non contiene alcuna gd Per r=4 si ha allora la (Or di S, coi gruppi della gi
collineari; per "= 5, la CH di Ss posta sulla superficie di Veronese.
Serie Il. Tom. XLIV, u!
362 GINO FANO
Abbiamo già osservato che la curva Ct! contiene una serie lineare gi. Perciò,
se questa serie non è composta e non ha punti fissi, quella curva sarà certo rife-
ribile a una C*7? (semplice) di S,_,, sulla quale la g3-', verrà segata dagli $S,_»
contenuti nel suo S;_,.
La serie gi: non può essere composta. Infatti, essendo SÈ < 4 (se è > 2), essa
potrebbe tutt'al più essere composta con una serie 00! di coppie o di terne di punti.
Quest'ultimo caso si esclude subito, perchè l'ordine 3ié — 2 non è certo multiplo di 3.
Quanto al primo, esso potrebbe presentarsi soltanto quando i fosse pari; e, supposto
allora i = 2%, il genere della serie di coppie di punti non potrebbe superare il limite
(0k — 1) — (X—1)=% (1). E questo ci porterebbe a concludere che le congiun-
genti di quelle stesse coppie di punti formerebbero una rigata di ordine < — 1,
risultato che è manifestamente incompatibile colle nostre ipotesi (anche nel caso
estremo dell'ordine = r — 1).
BROS] x ri > ©
La serie gs! può avere un punto fisso. Allora la curva Cb è proiezione di una
C2++1 di 5,41; sta quindi sulla rigata razionale normale e ha un punto doppio. Le
generatrici di questa rigata determinano su di essa una 93, e la g5-3 che si ottiene
dalla gi» col fare astrazione dal punto fisso è precisamente composta con quest’ul-
tima serie. — E possiamo anche dire, inversamente, che ogni Cb; di S, (i<r—1)
tracciata sulla rigata R'—! in modo da incontrarne ogni generatrice in tre punti deve
avere un punto doppio e può ottenersi come proiezione di una C*Y+1 di S,41. — Più
di un punto fisso la 9g} non può avere.
Escluse pertanto queste curve contenenti una 93, non resteranno che quelle ri-
feribili a una C*-° di S;_1; e siccome d’altra parte il genere di questa C*7
essere superiore a 15, se i = 3; a 16, se î=4; e a 3(#-+ 1), se î > 4, potremo
concludere che, fuori della rigata R",
le curve Cî7* possono esistere soltanto per r + 6 < 15 ossia per r < 9 (dunque
perni 20, 04,68:49):
le curve C2"4* solo per r + 8 = 16 ossia per r = 8 (dunque per r = 6, 7, 8);
le curve C?+% (i > 4) solo per r + 2î < 3 (i+ 1) ossia per r < è + 3 (dunque
rT+2i
perr=i-+42, +43);
e anzi queste ultime (come si vede facilmente) se x > 9 dovranno stare anch'esse
sulla rigata R'-!, ma ne taglieranno ogni generatrice in quattro (anzichè in tre)
punti (2).
non può
(1) La serie CAT si riduce infatti, su questa co' di coppie di punti, a una gain e quest'ul-
tima serie è certo non speciale se Bk —1<2(2% — 1) ossia se X> 1.
(2) Per » <= 9 potranno invece essere contenute ancora in superficie di ordine r; ciò proviene
dal fatto che la curva C*7? di Si-1, pur essendo in generale contenuta in una rigata Ri? e in.
contrando le generatrici di questa in quattro punti, può tuttavia, p&r valori particolari di è, incon-
trare queste stesse generatrici in cinque punti, o anche stare sulla superficie di Veronese. — E questo
limite 9 (e anzi 8 quando l’ordine della curva, per »= 9, non risulterebbe multiplo di 3) mi sembra
veramente notevole. Certo che non ne abbiamo una nuova dimostrazione dei risultati già ottenuti
dal sig. DeL Pezzo per le superficie razionali a. sezioni ellittiche (in quanto specialmente queste non
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 363
18. Possiamo riassumere i risultati ottenuti sulle curve di genere n — 1 e di
ordine compreso fra 2r +1 e 3r — 2 (limiti inclusi) — curve quindi del tipo
Cerbi (O<i<x—1) — nel modo seguente:
Per ogni valore di r e di i esiste:
Una 0275 con punto doppio e contenuta in una rigata razionale normale R'—! della
quale essa incontra ogni generatrice in tre punti;
Per ogni valore di r abbiamo ancora:
I A & i. ; : CE : SE
Una C?74', in generale priva di punti doppi, che è sempre proiezione di una (274
canonica di S,-1. Può contenere una serie ellittica di coppie di punti, e allora
sta sul cono normale ellittico di ordine r (e passa semplicemente pel vertice
di questo cono);
Una €74, che contiene una gi (lineare) e sta (in generale) su di una superficie
"1
razionale normale a sezioni iperellittiche di genere < “ni Questa stessa curva
può contenere una serie co! di genere due di coppie di punti, ed è allora inter-
sezione del cono normale di genere due (e ordine r + 1) con una quadrica non
passante pel vertice di questo cono. Anch’essa non ha, in generale, punti doppi;
Una C-è, anche priva di punti doppi, contenuta in una rigata R'- e incontrata
da ogni generatrice di questa in quattro punti. Essa è riferibile (in generale)
se r è pari, a una C"+#! piana con punto (r — 3)P°; se r è dispari, a una C"+?
piana con un punto (r — 2)?° e un punto triplo (contiene dunque in questo caso
una gi);
Una 087 con punto doppio, e contenuta pure in una rigata R'7 di cui incontra
ogni generatrice in quattro punti. Essa può riferirsi (in generale) a una C+?
piana con un punto (r — 2)?° e un punto doppio.
Per r < 9 si hanno poi ancora le curve seguenti :
possono esistere per 7 > 9); ma ne abbiamo però una conferma, notevole sopratutto per il modo
in cui vi siamo giunti, partendo cioè da un ordine di idee affatto diverso da quello in cui era lo
stesso sig. DeL Przzo. La stessa via, considerando le curve di genere t —2, t —3,..., conduce ai
limiti analoghi 11, 14, .....
364
GINO FANO
Numero
Indicazione dei Superficie in cui le curve Curve piane
della curva punti sono contenute cui sono riferibili (1)
doppi
d
(e)
ch: Re — Superficie F' a sezioni ellittiche | 0° piana (A* Bî Bî B$ Bj)
dl
È | 9° 1 Superficie F* di Veronese C° piana (A°)
Si | ; F° a sezioni ellittiche | C” piana (A* B? Bî B3)
Li
Ri | ti fami ” » ” ” (Aî Aî Aî Ai)
SÉ Le — Superficie F° a sezioni ellittiche 3 (A* Bî B3)
2.9
SR E = ” ” ”» ” (Aî AS 3)
A i;
; Li - È E 5 C° piana (Aî Aî B?)
d | to Dai Superficie F° a sezioni ellittiche | C° piana (AB?)
(©) A 2
s \ Ci puri ” ” ” ” (Ai A5)
DI
(77) 8 «
2 15 — ; 3 3 C* piana (Aî A5)
=
5 5 ET ” ” ” ” (A° B?)
| È DAL -
te — | Superficie F* di prima specie O” piana (A°)
E ti sog ” ” ” ” (A°)
D .
39 18 =» DI » ” 0 piana (A°)
N
È Do E ” ” ” ” (A°)
S È ee È di seconda specie 3 (A* B3)
(cb)
ni DR o È 3 7 C° piana (Ai A3)
DO fan ” ” ” (04 piana (A° B‘) ez)
a È Li Superficie F° a sezioni ellittiche | 0° piana generale
2 è 5 vaio? ” ” ” 05 piana ”
(1) Le parentesi (4° BÎ Bî BÎ Bi) ecc. di quest’ultima colonna — e così pure quelle dell’ ana-
loga tabella alla fine del $ 8 — indicano i punti multipli delle varie curve piane. La prima 0!
avrebbe quindi un punto triplo (A*) e quattro punti doppi (Bî 301B2) — la multiplicità essendo
sempre data dall’indice superiore —. E da questo si deduce anche facilmente quali serie notevoli
di gruppi di punti contengano le varie curve.
:
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 365
(VIa)
NI
Sistemi lineari di quadriche di dimensione (73!) — 3.
Loro varietà basi. — Superficie di ordine »-+- 1.
19. — Lo stesso teorema del n° 9 ci dà ancora, per î=3:
Se nello spazio S, (r = 5) si ha un gruppo di 2r+3+-x(x=4) punti indipen-
denti e tali che le quadriche passanti per 2r +3 qualunque fra essi passino sempre
di conseguenza pei rimanenti, questi punti staranno tutti su di una M:7° = 09 razio-
nale normale di piani (che sarà anche segata in una rigata R'7* dall'S,_s di r — 1
fra quei punti).
Si può mostrare anche qui che le quadriche passanti per quei primi 2r +3
punti dovranno averne comuni di conseguenza non solo x, ma infiniti altri. — Sup-
poniamo infatti che il loro sistema lineare abbia soltanto un numero finito 2r 4-3 + «
di punti basi. Per questi punti passano certo (3?) — 2r — 3 ossia (3) — 2 quadriche
indipendenti, mentre per la varietà M7* non ne passano che ("3°); vi sarà dunque
un sistema lineare (almeno) co”7° (e quindi, se » = 5, di dimensione certo > 0) di
quadriche passanti per i punti proposti e non per la varietà M57°. Fra queste pren-
diamone, possibilmente, una che seghi la M5" stessa in una superficie irriduttibile;
superficie che risulterà di ordine 2r — 4 e colle sezioni iperellittiche di genere r — 3,
e passerà per quei certi punti. Si seghi ancora questa superficie con una quadrica
che non la contenga, ma passi per questi stessi punti; si avrà così una curva di
ordine 4r — 8, per la quale passeranno ("3°) +2 quadriche indipendenti. Su questa
le quadriche di S, segheranno una g$_îe; e obbligando queste stesse quadriche a
passare per quei primi 2r +3 punti, rimarrà una g$_% che dovrà avere x punti
fissi. Se noi dimostreremo che questa serie (supposta almeno la C7* irriduttibile)
non può avere più di tre punti fissi, potremo dunque concluderne che, nel nostro
caso, la superficie o la curva di cui sopra saranno necessariamente riduttibili, e che
perciò le quadriche passanti per i punti proposti avranno certo infiniti punti a
comune (1). Supposto pertanto che la gîr-b possa avere anche tre punti fissi, basterà
mostrare che la g$_35: ottenuta astraendo da questi ultimi non può averne più alcuno.
È questo appunto che ora faremo.
La superficie considerata di ordine 2r — 4 si può infatti rappresentare sul piano
col sistema delle curve di un certo ordine r — 1+pu(u<v — 3) aventi a comune
un punto (r — 34 u)P° — che chiameremo P — e poi ancora u punti doppi infi-
(1) Infatti, se la superficie E° fosse necessariamente riduttibile,, la cosa sarebbe quasi evi-
ves CAN . " . g 2
dente, perchè in ogni iperpiano — e precisamente sulla sezione determinata da questo nella Mg
— vi sarebbe qualche punto comune a tutte quelle quadriche. Che se poi la superficie potesse
prendersi irriduttibile, ma non così la curva sua sezione con una quadrica, le sezioni così ottenute
(non potendo, come si vede facilmente, spezzarsi in curve di un fascio) avrebbero certo tutta una
parte a comune (parte che passerebbe per alcuni almeno fra i punti proposti).
306 GINO FANO
nitamente vicini a questo e 2r — 4 punti semplici (1). La sezione determinata da
una quadrica in quella superficie — in particolare dunque la curva considerata di
ordine 4r — 8 — si rappresenterà allora con una curva piana di ordine 2r — 2 + 2p
avente il punto P per (2r — 64 2u)P!° e poi ancora u punti quadrupli (A) infinita-
mente vicini a questo e 2r — 4 punti doppi (B). Questa curva — che chiameremo C —
è di genere 4r — 11, e contiene perciò come serie canonica una gg2%; ad ogni
gi2î: su di essa corrisponderà dunque come residua una g5,-.. Fissato pertanto un
gruppo arbitrario G»,_» di quest’ultima serie, potremo segare su C la g$;78 col sistema
lineare delle curve di ordine 2r — 5 + 2u che passano per il gruppo G»,_s e sono
aggiunte a C stessa, hanno cioè il punto P per (2r —7+ 24)P, i u punti A per
tripli, e passano ancora semplicemente per i 2r — 4 punti B (2). Da una qualunque
di queste curve si staccheranno però le u rette che congiungono P ai singoli punti A;
e, facendo astrazione da queste, rimarrà una curva generica F di ordine 2r — 5.4 wu
avente il punto P per (2r —7+ u)?P, i u punti A per doppi, e passante ancora sem-
plicemente per i 2r — 4 punti B. E qui possono darsi due casi:
1° La curva generica [ è irriduttibile;
2° La curva stessa si spezza; e in tal caso, non potendo spezzarsi in curve
di un determinato fascio (3), essa conterrà necessariamente una parte fissa. E questa
parte può essere costituita soltanto :
a) Da un certo numero di rette uscenti dal punto P;
5) Da una curva di un certo ordine % avente in P la multiplicità & — 1 (4).
Esaminando separatamente questi diversi casi — cosa che non presenta d’al-
tronde alcuna difficoltà — si trova che ciascuno di essi conduce effettivamente a
determinare sulla curva © delle serie g$/_3, ma prive tutte di punti fissi. Per non
dilungarci troppo, ci limitiamo ad accennare in nota il ragionamento (5). — La
(1) Il numero u è la differenza da »— 3 dell'ordine della direttrice minima della superficie im
discorso (ordine che è appuuto =7— 3). Cfr. ad es. CasteLnuovo: Sulle superficie algebriche ecc.
(£“ Rend. di Palermo ,, IV).
(2) La serie 957_53 è certo completa, essendo tale la gg,_% e quindi la gg 59 (v. pag. prec.).
(38) Perchè se no la CA risulterebbe composta mediante una serie lineare, di ordine = 3 se
r>5 e =4 se r=5; e di serie così fatte sulla curva C non ne esistono. (Per "= 5 sarebbe anche
una gi diversa da quella che è segata dalle rette uscenti da P).
(4) Non da una curva di ordine % avente in P la multiplicità 4 — 2, perchè se no la gAlana
dovrebbe risultare composta mediante la gi segata dal fascio P.
(5) Cominciamo col supporre che la curva generica M passante pel gruppo Gy,_g sia irridut-
tibile. — È facile riconoscere che un sistema lineare 00% di curve di un ordine qualunque 7 avente
un punto (n — 9} e u punti doppi basi non può avere ancora, se d>n—pu—1, più di
8(n—Uu —(4-+1) punti basi semplici, e non più di 4(n — p) — 2(4-+ 1) se invece d<n—ut— 1;
ciò segue immediatamente dal fatto che la serie caratteristica del sistema (ossia la serie lineare segata
sopra una curva generica di questo stesso sistema dalle rimanenti curve di esso) è non speciale nel
primo caso, e speciale nel secondo (e quindi — fatta astrazione dai punti fissi — composta mediante
la 93). Nel nostro caso si ha n=2r — 54 4, d=2r — 8; sicchè i punti basi semplici non potranno
essere in numero superiore &
4(2r — 5) — 2-7) =4r—-6,
e siccome tanti appunto ci sono già dati dai 2» —4 punti B e dal gruppo Ga,_9, così è chiaro
Qr_-8 4 .
che la 9g,_99 non potrà avere in questo caso nessun punto fisso.
Supponiamo ora che le curve M passanti pel gruppo G,,_s contengano tutte una certa retta @
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 367
serie gi;2io sulla curva C"7* (supposta irriduttibile) non può avere dunque più di
tre punti fissi, e questo ci permette di concludere:
Se nello spazio S,(r = 5) si ha un gruppo di 2r +7 0 più punti indipendenti e
tali che le quadriche passanti per 2r +3 qualunque fra essi passino sempre di conse-
quenza pei rimanenti, queste quadriche avranno certo a comune infiniti punti (e quindi
tutta una linea, passante per una parte almeno di quei primi punti).
Ovvero anche: Se nello spazio S,(r => 5) sì hanno kK(=2r + 4) punti indipendenti
e tali che le quadriche passanti per 2r +3 qualunque fra essi passino sempre pei rima-
nenti — ma non per altri punti fissi — dovrà essere altresì k = 2r + 6 (1).
20. Questi stessi risultati, uniti ad osservazioni precedenti, ci dànno ancora:
Una curva (irriduttibile) appartenente a S, e di ordine superiore a 2r + 4 per la
quale passino ("=') — 2 quadriche indipendenti è sempre contenuta in una superficie
comune a queste stesse quadriche. Si può anche riconoscere facilmente che questa super-
ficie sarà di ordine <r + 1 (2); e sarà anzi (in generale) di ordine precisamente
passante per P. Astraendo da questa, la curva residua variabile (che supponiamo irriduttibile) dovrà
essere di ordine 2r — 6+ u, colla multiplicità 2r — 8 + u nel punto P, e coi soliti u punti doppi (A)
e 2r —4 punti semplici (B) basi. Ma il sistema di queste curve non può avere (v. sopra) più di 4r — 10
punti basi semplici, e d’ altra parte i' punti B e il gruppo Go,_o9 ne dànno già complessivamente
4r — 6; quattro di questi punti (e precisamente del gruppo Ge;—2) dovranno dunque stare sulla retta «
(ossia il gruppo Ga,_y dovrà contenere tutto un gruppo della gl); ma con tutto ciò la serie ge7_5o
non potrà avere ancora punti fissi. — Questo ragionamento suppone implicitamente che la retta a
non passi per nessuno dei punti A e B; ma se passasse anche per uno di questi, le considerazioni
stesse già esposte, con poche modificazioni, si potrebbero ancora ripetere e condurrebbero all’identica
conclusione. E un ragionamento analogo si potrebbe anche fare quando dalla curva generica F si
staccasse un numero maggiore qualsiasi di rette uscenti da P.
Se infine la curva generica M contiene una parte fissa di un certo ordine 7 e colla multiplicità
h—1 nel punto P (parte che potrà essere irriduttibile, o anche contenere a sua volta qualche retta
uscente da questo stesso punto) è chiaro che, astraendo da tutta questa parte, rimarrà un sistema
lineare di curve y di un certo ordine t=2r —54+u— #7 e colla multiplicità X— 1 nel punto P.
Questo sistema sarà di dimensione 2r — 8 e avrà (fuori di P) precisamente
k(k+3) k(k—1)
2 fon 2
— 2r+8=2%X —2r+8
punti basi semplici. Ma fra le intersezioni della sua curva generica yF colla C ne cadono nel punto P
sole (X —1)(2r —6+ 24); fuori di P dovranno dunque esservene
k(2 —2+2u)—(k—1)(r —-6+2u)=4%X42r — 6+ 2u
Ammesso perciò (ed è il caso più sfavorevole) che fra quei 2% — 2r +8 punti vi siano tutti u i
punti A e che i rimanenti siano anche tutti punti B, è chiaro che da questi stessi punti potranno
essere assorbite soltanto
4u + 2(2%X —- 2r4+8—-Uu=4%k — 4r + 16 — 2u
di quelle intersezioni, e perciò certo 6r — 22 fra esse cadranno fuori dei punti basi del sistema
delle y e saranno quindi tutte variabili. Questo caso più sfavorevole è anzi il solo che possa presen-
tarsi (quando si voglia ottenere una GESSO): ma esso ci conduce ancora a una serie priva di
punti fissi.
(1) Il valore massimo X=2r + 6 può essere però raggiunto; e se ne ha un esempio nel gruppo
generale delle intersezioni di una quadrica con una curva (normale) di ordine » +3 e genere 3.
Così pure, nell’ultimo enunciato del n° 10, può essere anche XK =2r + 4.
(2) E quindi di ordine < » + 2 la linea considerata nel penultimo enunciato del n°. preced.
368 GINO FANO
=r +1, se per la curva proposta non passa un numero di quadriche superiore a
quello indicato. — Avvertiamo però che in questo enunciato (e così pure in seguito)
si dovrà sempre ritenere » = 6 —. Possiamo anche aggiungere:
Se un sistema lineare di quadriche di S, è di dimensione ("=') — 3 e ha infiniti punti -
basi, questi punti non potranno costituire (colle stesse riserve del teorema analogo
dato al n° 11) che una curva di ordine <2r +4 o una superficie di ordine <r + 1.
La prima di queste due proposizioni si applica in particolare (cfr. $ 2) alle curve
(normali) di genere mt —% e di ordine superiore a
Nereo
jo +2{{r-1]j+1+1
dove / è il resto della divisione di % per 3.
21. Si vede subito però che dalle superficie di ordine r + 1 testè comparse nel
nostro studio possiamo escludere senz’ altro tutte quelle non normali (per le quali
passano appunto, in generale, meno di (":') — 2 quadriche indipendenti). E, fra quelle
normali, si devono anche escludere le rigate ellittiche, per le quali ne passano sol-
tanto ("3') — 3. Non rimangono perciò che le superficie (normali) a sezioni di genere
due, cioè:
a) i coni normali di genere due:
6) le superficie non rigate, che sono razionali, ma esistono soltanto per r < 11 (1).
Nel caso estremo r = 11 queste superficie possono rappresentare:
il sistema delle quartiche piane con un punto doppio base;
Ù delle quintiche con un punto triplo e un punto doppio;
5 delle sestiche con un punto quadruplo e due punti doppi infinitamente
vicini a questo.
Per » < 11 rappresentano invece 1 sistemi ottenuti da questi coll’ aggiunta di
uno o più punti basi semplici.
Quindi: Una curva appartenente a S, e di ordine superiore a 2r + 4 per la quale
passino precisamente ("3) — 2 quadriche indipendenti — in particolare dunque una
curva normale di genere n —k e di ordine superiore al limite ricordato poc'anzi —
sta sempre sopra un cono normale di genere due, o (se r < 11) su di una superficie
razionale normale a sezioni di genere due comune a tutte quelle quadriche.
Per il cono di genere due possiamo ripetere le stesse considerazioni già fatte
per il cono ellittico (n° 13), e dedurne che il caso di una curva giacente su di
esso si presenta solo, per così dire, come eccezione. Ne seguirà che le curve di
sa +2 ed (+2+2 dove / ha il noto signi-
genere t — & e di ordine n=|
(1) Più generalmente anzi, una superficie razionale colle sezioni di genere p > 1 non può appar
tenere a uno spazio superiore @ Sgp45 (e se appartiene a un Sgp+5 le sue sezioni devono essere
curve iperellittiche). Questi risultati — e le loro traduzioni per i sistemi lineari di curve piane —
si trovano in diversi lavori del sig. CasteLNUOvo; cfr. ad es.: Sulle superficie algebriche le cui sezioni
piane sono curve iperellittiche (“ Rend. di Palermo ,, IV); Massima dimensione dei sistemi lineari di
curve piane di dato genere (“ Ann. di Mat. ,, serie II, t. XVIII); e Ricerche generali sui sistemi lineari
di curve piane (“ Mem. Acc. di Torino ,, serie II, vol. XLII).
caso:
ist a TARE Se
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 369
ficato staranno în generale, se r > 11, sopra almeno ("3') — 1 quadriche indipendenti,
e anzi precisamente sopra ("7') tali, ancorchè non abbiano l’ ordine superiore a
(+2) 1)+1
$ 8.
Sulle curve di genere TT — 2.
22. I risultati ottenuti nel $ precedente si applicano in particolare alle curve
di genere t — 2, per le quali, come sappiamo, passano sempre almeno (73)) — 2
quadriche indipendenti (e ne passano anzi certo almeno ("3') — 1 se l'ordine è supe-
riore a 3r — 2, e ("3') se è superiore a 4r — 3; condizioni queste, s’ intende, solo
sufficienti). — Daremo ora un cenno su queste curve di genere mt — 2 (come già si
è fatto per quelle di genere x — 1); ma proponendoci di tenere, nei limiti del pos-
sibile, la massima brevità.
E cominciamo colle curve di ordine inferiore a 3r — 1, quindi del tipo Ce
(supposto anche qui 0 < è <7— 1) (1). Esse contengono per è = 2 — come residua
della g5,,; segata dagli iperpiani — una gg, e di ciò avremo a valerci in seguito.
Fra queste curve, come si vede facilmente, possono stare sul cono normale ellittico
soltanto quelle di ordine 2r + 1 (m=2, s=2=1) e 2r+ 2 M=s=2, 2=°0);
e sul cono normale di genere due soltanto quelle di ordine 2r + 3(m=2, s=1, 2=0)(2).
23. Facendo i = 1, abbiamo curve del tipo C?+!, e queste sono certo non
po Ct, eq
speciali. Possono stare, come abbiamo veduto or ora, sul cono normale ellittico (3).
Per i=2(r > 3) abbiamo delle C274°, che si possono tutte ottenere come proie-
zioni delle curve canoniche C?+* di S,,, rispet:. da loro corde. Non hanno in gene-
r+3 TA-2
rale punti doppi, perchè se no dovrebbero contenere almeno una g;, il che, in
generale appunto, per r + 3 > 6 ossia r > 3 non si verifica.
Per î=3(r > 4) abbiamo curve (775° contenenti una g;. E qui ci converrà
distinguere vari casi: (4)
a) Curve con due punti doppi: Stanno tutte sulla rigata R'7 e ne incontrano
| ogni generatrice in tre punti. Solo la CI di S; può incontrare queste stesse rette
in quattro (anzichè in tre) punti.
(1) Anche queste curve (come quelle di genere m —1 considerate nel $ 6) sono tutte normali.
(2) Per il significato di queste varie lettere cfr. n° 13.
(8) Sono di questo tipo anche le curve di ordine 2r-+1 che stanno sul cono razionale normale
di ordine y—1 e hanno nel suo vertice un punto triplo (v. C. Segre: Recherches générales ete., 1;
“ Math. Ann. ,, XXX).
(4) Possiamo supporre che la 9 non abbia punti fissi, perchè se no la CHL sì potrebbe
ottenere come proiezione di una DEE di Sr+1 (che è di genere t — 1, e quindi da noi già stu-
s È 2 ;
diata). Questo caso si presenta anche quando la C 7+8 sta sul cono normale di genere due.
Serie II Tom. XLIV. vi
370 GINO FANO
5) Curve con un (solo) punto doppio: Per ciascuno dei valori » = 5, 6, 7, 8,9,
abbiamo una 0°:3 contenuta in una F razionale a sezioni ellittiche (di prima specie,
per "= 8); e di più, per "= 6, una Ci? che sta sulla rigata R° e ne incontra ogni
generatrice in 4 punti (1).
c) Curve prive di punti doppi: In queste curve i gruppi della 93 non sono mai
collineari; possono però stare in piani per r < 11 (e in questo caso vi sono preci-
samente 11 —y gruppi con una terna di punti collineari). La nostra curva è allora
contenuta in una superficie di ordine r |- 1 comune a tutte le quadriche passanti
per essa; e la stessa superficie sarà anche luogo delle coniche determinate dai sin-
goli gruppi della gi, delle quali 11 — si spezzeranno (naturalmente) in coppie di
rette (2). — Infine i singoli gruppi della serie gj possono appartenere a spazi S; (non
però a S,). Applicando a questo caso un ragionamento analogo a quello già tenuto
in altra occasione (v. n° 16), si trova che queste curve stanno allora (in generale)
in una superficie contenente una 09° razionale di quartiche ellittiche, e di ordine
12.1)
non superiore & 5
24. Sia ora i—= 4; r > 5. Avremo curve del tipo C°74*; e queste contengono
una gî, che possiamo anche supporre priva di punti fissi.
a) Questa serie gi può essere composta:
a) Con una serie 00° di coppie di punti di genere k <3. Questo è possibile
solo per X=3; e si ha così una curva di ordine 2r 4-4 (priva di punti doppi) che
è l'intersezione generale di un cono normale di ordine r +2 e genere 3 con una
quadrica (non passante pel suo vertice);
B) Con una serie lineare gi. È gruppi di questa possono essere collineari nei
tre casi di r = 6, 7, 8; e troviamo così delle curve contenute rispett. nelle rigate
razionali normali R°, R°, R”. In ogni altro caso i gruppi della gi dovranno apparte-
nere ad altrettanti piani; e la curva C2#* starà su di una superficie razionale nor-
i 3, — 3
DR O
° DIO . è è v
, a sezioni iperellittiche di genere — 0
male di ordine (in generale) dr 3
Via
1 ì ; i ; i
; e si potrà segare su questa stessa superficie con una quadrica condotta per
3 ga sue coniche. L'ordine della superficie, il genere delle sue sezioni, e il
numero di queste coniche possono però abbassarsi fino ai limiti rispettivi r + 2, 3, 0,
e in quest’ultimo caso la superficie può anche essere un cono (iperellittico) — il che
rientra nel caso a) —. Per # < 11 l’ordine della superficie può anche ridursi a r + 1,
e può ridursi anche ad r per r < 9, e a quattro per r = 5; in questi casi però la
superficie stessa risulta comune a tutte le quadriche passanti per la curva proposta.
(1) Quest'ultima curva — e così pure la Co di Ss di cui all’al. a) — contengono evidentemente
una gd e quindi infinite 9 con un punto fisso; ma contengono pure rispett. due ed una gi prive di
punti così fatti.
(2) E questo va d’accordo perfettamente con un risultato già ottenuto dal CasreLnuovo (Sulle
superficie algebriche le cui sezioni piane sono curve iperellittiche, n° 5).
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 371
5) Se la gi non è composta (e non ha punti fissi) la Chi sarà riferibile a una
C* piana. Questo esige naturalmente r + 7 < 21, ossia r < 14; e si hanno così vari
casi semplicissimi, che saranno poi enumerati, alla fine di questo $, nella relativa
tabella.
25. Per 4<i<r—1, sappiamo già che la curva C?-ti , deve stare su di
una superficie (razionale) di ordine r — 1, r, o r+1 e colle sezioni di genere
rispett. 0, 1, 2, comune a tutte le quadriche che la contengono. Si potrebbe però
ritrovare questo per altra via e fare nel tempo stesso un’enumerazione dei vari casi
che queste curve possono presentare, partendo dalla considerazione della serie gi,
su di esse. Basterebbe perciò osservare che questa serie non può essere in alcun
modo composta (e ciò per ragioni analoghe a quelle già esposte al n° 17 per la
serie gi»); ma può essere costituita da una gi;î:, composta con una gi, più due punti
fissi, o anche da una gg non composta e alla quale si sia aggiunto un punto fisso.
Esclusi questi due casi che dànno luogo a curve proiezioni di altre già studiate,
la C275i_, dovrà sempre essere riferibile a una C*- (semplice) di S;_,. E questo per
i=5 o é= 6 richiede r = 11; per î> 6,r < + 4. — Lo studio ulteriore di queste
curve non presenta del resto alcuna difficoltà, e perciò appunto ci limitiamo ad
enumerarle alla fine di questo $.
26. Le curve di S, di genere t — 2 e di ordine n > 3r — 1 stanno, come già
si è detto, sopra almeno ("3!) — 1 quadriche indipendenti, e quindi su di una super-
ficie (normale) di ordine r o r — 1 comune a tutte queste quadriche (almeno se r > 8).
E questo varrà in particolare per le curve di ordine =3r — 1. Del resto, se anche
non lo sapessimo, basterebbe osservare che queste curve contengono tutte (come
residua della g3,-, segata dagli iperpiani) una gi- che non può essere in alcun modo
composta. Prescindendo perciò dal caso in cui questa serie abbia un punto fisso —
e la nostra curva sia quindi proiezione di una C8_, di S,.1 (di genere t) — è chiaro
che la C3-3 dovrà sempre essere riferibile a una C”-? (semplice) di S,_.. Questa
curva (che è pure di genere m — 2, e corrisponde precisamente al tipo C3t1 di Sp)
sta sempre sulla rigata razionale normale (R’-*) del suo spazio, — o anche, per r = 7,
sulla superficie di Veronese (1) —. Da questo e dalle note proprietà delle curve trac-
ciate sulle rigate razionali normali (v. $ 3) si può dedurre senza alcuna difficoltà che:
In ogni spazio $, esiste una 0873 che sta (per r > 3) sulla rigata R', e ne
incontra ogni generatrice in tre o in quattro punti (o, in casi particolari, anche in
ì cinque);
Nello spazio Ss esiste anche una Cij (con due punti doppi) contenuta in una
superficie di Veronese;
E infine, per tutti i valori di 7 inferiori a 9, si hanno ancora delle curve
3:73 giacenti sulle superficie razionali di ordine r a sezioni ellittiche (di 1 specie
| peri -98).
(1) Questo, per ora, lo ammettiamo, riservandoci di dimostrarlo fra poco (v. ni 28 e 29).
372 GINO FANO
27. Veniamo ora alle curve del tipo 03" ,.
Quelle fra esse che stanno sopra
("=') quadriche indipendenti saranno pur contenute (se r > 2) in una rigata RT,
della quale potranno incontrare ogni generatrice in tre o in quattro punti (e nei casi
di r=4er=-5 anche in cinque punti). Per altri particolari rimandiamo al quadro
posto alla fine del $. Sulla superficie di Veronese invece la C37,, (Ci per 7 = 5)
non può stare.
La stessa curva può stare però sul cono normale ellittico, incontrandone ogni
generatrice in tre punti (distinti dal vertice). Una tal curva sarà sempre priva di
punti doppi, e si potrà ottenere (e lo si vede facilmente) come intersezione di questo
cono con una varietà cubica (M?_,) non tangente ad esso in alcun punto e non
passante pel suo vertice.
Infine, per » < 9, le curve C,, possono anche stare su di una superficie razio-
nale normale a sezioni ellittiche (di prima e seconda specie per r = 8), e sono allora
precisamente l’intersezione (generale) di questa stessa superficie con una varietà
cubica (M?_,) di S, (cfr. anche la tabella in fine del $) (1).
(1) La serie lineare g}, segata dagli iperpiani sopra una 07 +1 di 8, ha per residua rispetto
alla serie canonica ( 1159) un’altra g5,, — che può in particolare coincidere con essa —. Si dice in tal
caso che questa serie è autoresidua, e l'insieme di due suoi gruppi qualunque è allora sempre un gruppo
della serie canonica. Questa particolarità si presenta certo per tutte le o +1 che stanno sopra
sole (633) — 1 quadriche indipendenti, perchè su queste curve la ZA canonica sì può appunto rite-
nere segata dal sistema di tutte le quadriche di Sr. Invece sulle GS +1 che stanno sopra (7)
quadriche indipendenti esistono due g5, distinte e residue l’una dell’altra (come si vede subito ricor-
rendo p. e. alle rappresentazioni piane che dalle curve stesse si possono ottenere con successive
proiezioni); e la geni segata dalle quadriche è quindi una serie non speciale (completa). — Il
signor CasreLnuovo, nella Nota (Il): Osservazioni intorno alla geometria sopra una superficie algebrica
(“ Rendiconti Ist. Lombardo ,, serie II, vol. XXIV) ha determinato quali sono le curve di genere 3r
che contengono una 93,_1 autoresidua. Questo corrispondeva al caso limite inferiore, dovendo l’or-
dine » di ogni g7 autoresidua essere > 3 — 1 (e quindi il genere (=x-+1) della curva > 37). Noi pos-
siamo ora fare la determinazione analoga per il caso successivo (n= 37); e, tenuto conto altresì del
fatto che una ORE autoresidua non può essere in alcun modo composta (non con una 9 lineare, se no
la curva starebbe sulla rigata R"—!; non con una serie di coppie di punti, perchè la formola del
Segre condurrebbe a un risultato assurdo) e non può nemmeno avere punti fissi, concluderemo:
Qualsiasi curva di genere 3r +1 che contenga una g5, autoresidua è riferibile:
Per r=2: A una sestica piana con tre punti doppi posti in linea retta (poichè due rette qua-
lunque del piano devono poter far parte, insieme, di una cubica aggiunta a questa sestica, è chiaro
che non sono qui possibili altri casi);
Per r > 2: All’intersezione generale di una superficie normale di ordine r a sezioni ellittiche con
una varietà cubica di dimensione r — 1. E questa superficie sappiamo pure che è
è certo un cono se
r>9; e solo per x 9 può essere non rigata e razionale.
—1
In particolare quindi: Ogni g3, autoresidua in cui sia r >9 deve contenere una 85;
composta
con una serie CO! ellittica di terne di punti, e perciò ogni curva contenente una tal 93, deve potersi
rappresentare con una curva ellittica C" di S,_j tripla (da contarsi cioè tre volte). Il fatto che
quest’ultima curva ammette 7° spazi S,_o iperosculatori si traduce p. e. in quest'altro: Nella serie gir ;
vi sono r° gruppi costituiti rispett. da altrettanti gruppi della gi ellittica contati ciascuno r votte.
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 373
28. Dimostreremo ora che le curve di genere t — 2 appartenenti a S,, quando
l’ordine loro n è superiore a 3r stanno sempre sulla rigata R' o sulla superficie
di Veronese.
Queste curve, per n > 3r, non possono stare infatti sul cono ellittico; già la
curva di ordine 3r + 1 (passante semplicemente pel vertice di tale cono) è di ge-
nere soltanto t — 3, e le successive sarebbero di genere ancora inferiore a T — 3.
Rimane dunque solo da verificare se, per r < 9, queste stesse curve possano stare
sulle superficie razionali normali di ordine r.
K si vede facilmente di no. Infatti, indicando con m l’ordine della curva piana
cui verrebbe riferita la C* nella solita rappresentazione della superficie, e supposto
che questa y” abbia negli i=9 — punti fondamentali (escludiamo la F* di seconda
specie) rispett. le multiplicità v), %, ....., v;, sarà n=3m — 20; e perciò, se vogliamo
che il genere p della curva C” sia precisamente uguale a mt — X, dovrà essere
(GA Zv—-r) (m_-Zo-1) _ k (1).
di 2-1)
Ma d'altra parte abbiamo pure
pr
( — 1 ( — 2 v
m L m se z (1).
Quindi, @ fortiori:
(3n—- Tvr) (mn Zo—- 1)
2(e— 1)
paia) 6).
Risolvendo ora questa disuguaglianza rispetto a m, e determinando (il che non
offre difficoltà) il limite superiore del secondo membro, si trova alla fine
mi = dA.
Ossia: Se sopra una superficie razionale normale a sezioni ellittiche (esclusa la F*
di 2° specie) si ha una curva di genere n —k, l'ordine m della sua rappresentante
piana nella solita rappresentazione della superficie non può superare il limite 3+-4 Y/x+1.
Im particolare, le curve di genere n — 2 devono avere rappresentanti piane di or-
dine non superiore a 9 (2).
Ciò posto, ne segue senz'altro la verità del nostro asserto, perchè già le curve
Cart (ad es. la Cs di Sg) — e a fortiori le successive — dovrebbero avere le rap-
presentanti piane di ordine = 10.
x
è infatti il valor minimo che può avere il
genere t corrispondente all’ordine n=3m — Xv (e questo valore lo si ha appunto quando noi
è intero e quindi = x).
(2) Per le curve di genere t —1 si avrebbe m = 8; e questo è confermato dai risultati otte-
nuti nel $ 6.
(1) La frazione che compare al secondo membro
374 GINO FANO
Un ragionamento affatto analogo si potrebbe applicare alla F* di 2? specie; ma
per brevità lo omettiamo.
29. Possiamo però anche giungere allo stesso risultato per altra via, mediante
considerazioni sopra serie lineari. Supponiamo infatti che per una curva Chio SU
(e sono di questo tipo appunto — per 0<i< —2 — quelle che ora dobbiamo
considerare) (1) passino soltanto ("z!) — 1 quadriche indipendenti. Il sistema di tutte
le quadriche di S, segherà allora sopra questa curva una gè,,;; e siccome la serie
rette, x
canonica è in questo caso una gir), è chiaro che la stessa curva dovrà anche con-
tenere, come residua di quella prima serie, una gî.. Faremo vedere che una tal serie
essa non può contenerla, a meno di non stare sulla rigata R'7!, — il che sarebbe
contrario alle nostre ipotesi —.
La curva proposta non potrà infatti riferirsi a una Cf di S,, perchè quest’ultima
avrebbe per genere massimo 21 se i = 2, 25 se #—=3, e 6(2+ 1) se 2= 4; do-
vrebbero dunque verificarsi in questi casi rispett. le relazioni
IA
Griso =20' è ossia gd, seri =2=
3r + 10 <= 25 “% r
Sr LB, Siae
IA
Di Sean _9
i+1, sed > 4;
IA
le quali sono invece tutte incompatibili coll’ipotesi fatta è < r — 2 ossia r > d4- 2.
La gi, non può nemmeno essere composta mediante una serie 00! di coppie di
punti (di genere < i+ 1), nè mediante una serie di terne di punti (se è è multiplo
di tre), nè infine con una g} (lineare) i cui gruppi appartengano ad altrettanti piani,
perchè sempre l’applicazione della formola del sig. Seere condurrebbe ad un risul-
tato assurdo (si troverebbe cioè che la nostra curva, che abbiamo supposta appar-
tenere ad S,, dovrebbe stare sopra una rigata di ordine <r — 1, o su di una My
di ordine < — 2). Nè la gi può avere qualche punto fisso, perchè, se ne avesse
ad es. un certo numero %, astraendo da questi, rimarrebbe una gi.,, che dovrebbe
essere rappresentabile mediante una C“* di S,, oppure composta mediante una
serie co! di coppie o terne di punti; ipotesi tutte che conducono agli stessi risultati
assurdi di prima.
Rimane dunque la sola ipotesi che la gi; sia composta mediante una gi coi gruppi
collineari. Ma allora le rette contenenti questi singoli gruppi dovrebbero formare una
rigata razionale normale (di ordine » — 1), e perciò la curva dovrebbe stare sopra ("3))
quadriche indipendenti, mentre abbiamo supposto che stesse sopra sole ("3!) — 1.
È dunque in ogni caso assurda quest’ultima ipotesi; e possiamo perciò asserire che:
Ogni curva appartenente a S, (r > 2) la quale sia di genere n — 2 e di ordine n > dr
sta su di una superficie razionale normale di ordine » — 1 (comune a tutte le qua-
driche che la contengono).
(1) Se fosse 7 > » — 2, l'ordine della nostra curva risulterebbe = 4rx — 2, e in questo caso sap-
piamo già che la proposizione che qui vogliamo dimostrare è vera.
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 375
30. I risultati ottenuti sulle curve (di S,) di genere mt — 2 e di ordine => 2r + 1
ma = 8r, su quelle curve cioè di genere t — 2 e ordine > 2r che non stanno ne-
cessariamente su di una F', possono riassumersi così :
a) Curve del tipo O*ti | (O0<i<rT—]1):
r4+2i—1
Per ogni valore di r e di i esiste:
r—l
Una C?4i , con due punti doppi, che sta sulla rigata R'—' e ne incontra ogni gene-
r+2i-1
ratrice in tre punti;
Per ogni valore di r abbiamo ancora:
2r +41 ; si n 1 i n Ù a i tia a
Una 07% (non speciale) che può presentare diversi casì, e può anche in particolare
esser contenuta in un cono ellittico di ordine r. In questo caso avrebbe un punto
doppio (non però nel vertice del cono);
Una C27t°, che è sempre proiezione di una C°"** canonica di $,+2, e può anche stare
sul cono ellittico di ordine r (pel cui vertice deve allora passare doppiamente);
Una 024° priva di punti doppi e contenente una g;. Questa curva può essere con-
tenuta in un cono normale di genere due ;
Una C?274* anche priva di punti doppi e contenente una gi. Quest'ultima curva sta
9 ò È z Cao DOO È x
su di una superficie razionale normale a sezioni iperellittiche di genere < g; SU-
perficie che può anche essere sostituita da un cono normale iperellittico di ge-
nere tre (e ordine r + 1);
3r—-9
e contenuta in una rigata R"-! di cui incontra
Una C3-3 con un punto doppio
Una 0-4 priva di punti doppi |
| ogni generatrice in quattro punti.
Una Cè? con due punti doppi
La prima di queste curve è riferibile (in generale) a una C” piana con punto
(r — 4)P° se r è pari, e a una C+! con punto (r — 3)P° e un punto triplo se r è
dispari; la seconda pure a una C+! con punto (r — 3)P° e un punto doppio ; la
terza a una C+? con punto (r — 2)? e due punti doppi.
Infine per r < 11 sì hanno ancora le curve seguenti :
376
GINO FANO
DI Numero Aa . E
Indicazione dei Superficie in cui le curve Curve piane
delle curve punti sono contenute cui sono riferibili
doppi
È | 8 — | Superficie F° a sezioni ellittiche C' piana (A° Bî Bè)
3”) | i > 0» (ATAZAGATAG)
SI 1 = x R° » digenere due | C°° , (A°A;BîB2...Bî)(D
1 iù — | Superficie F° a sezioni ellittiche | C° piana (A? B°)
ii o a,
3 O n° — s OL » digenere due | C° , (A°A3BÎB:BIBIB?)
5 15 — 5 FS ù ellittiche Ct (ATA |
to io O, (AfA3B?Bj)
DI e Pale » «FP. , digenereduel, . , (A*B:B:B:B:B)
Le _ x KS È ; inci Di si VASARI)
1 —. | Superficie F” a sezioni ellittiche | C” piana (A*)
| a ’ " ’ ’ Co, (BI
1 1 n ’ n ” Cin AES)
n | CH — È F* » digenere due | 0°, (A°?A:B°B3B3 Bj)
E ClÒ _ 3 TR 7 ellittiche Ceno (49
O SERE 5 Coi (ATA)
£ Mi del È F* s digenere due | , n (ASB#BaB Bo
2. e e Sire | O
to e n 104 uo ellittiche Cio ANSA)
eli SOG, O, (A*BIBì)
I O E a F* s. di genere due | 0°, (A*B3*CîC3 03)
to i Superficie F* a sez. ell. di 1° specie | 0” piana (Aî A3)
O R — si F° =, di genere due C'°. ., (AGA3B°B}B3)
w — 1 E p'ell.di-lè'specie | o penerale
È | î5 1 , E 26 AC)
2 sE e n E°, di genere due|, » . (A*BfBs Bi)
È | gn A LUO i ee o)
Ss si 1 5 E°... , ell-dil*specio.., ni (ABI)
6 o ch da A PF... idi.genere due |; (ABC)
| 2a 1 È E°. orcell.di.l&specie; Cut (A)
( i 1 È i È î dalai C° so (ABI)
| to _ 3 F°, di genere due |, n (A* Bî Bì B$)
(1) Si noti (per questa curva, e per le analoghe che si troveranno più avanti) che i due punti
quintupli potrebbero essere (in particolare) infinitamente vicini. Se non lo sono, l’ordine di questa
rappresentante piana si può abbassare (per » = 10) con una trasformazione Cremoniana (e la su-
perficie pi (qui F°) si potrà certo rappresentare con un sistema di quartiche piane).
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. SI
2 — —— O ll,
Indicazione di us Superficie in cui le curve Curve piane
delle curve REA sono contenute cui sono riferibili
ti | 1 i Superficie F° a sezioni ellittiche | O” piana (A?)
A È = s F° =, digeneredue| 0° , (A°A5B?B)
de|- e, (BR)
î 7 a n Io sumircdlio, poet. A)
€ CE = 5 1 UA due AC, TCA BC)
E AL MORE e0ellittiche CO (A)
O RA È F°, digeneredue | 0° , (A‘B?Bî)
25 n i à ) A CRAS C°)
sE, — | Superficie F" a sezioni di gen. due | C'° piana (Aî A3 B°)
e O: I Ta)
9 A A SE) aa URI » (ATAZAZAZ)
È (GA = ” Pil v n duel C° » (A‘B?)
cia E, ed
Zi 8 | ù n n Ci (ABI)
| | 3 È , men i SOS, CASB)
té — | Superficie F'° a sez. di gen. due di 1°
o) o 2*specie(1)] 0°, (AîA3)
8 | — n NARRA EE IS Ca (40)
d " ni 5 F58., gen.tre n.» (ATASA3)
‘$ (OH = 5 Fi.» , duel*speciei C° , (A°B')
oe — RO e e (AI
C e | — ù ein eo Ccopinr (ABI)
0 oa ’ nie lit aC OA")
n “ERI » ” » b) ” le ” 0 » (A” B')
e negli spazi Sis, Sig € Su esistono ancora rispett. una Cî, una C$ e una CÈ con-
tenute in superficie razionali normali (di ordini 14, 15, 16) a sezioni di genere tre
(di prima specie) (2) e riferibili a una C° piana con 2, 1 e 0 punti doppi.
(1) Per la distinzione delle superficie a sezioni di genere due (e, più generalmente, a sezioni
iperellittiche) in specie, cfr. il lav. cit. del CasreLnuovo (“ Rend. di Palermo ,, IV). La nostra super-
ficie F!° si dirà di prima specie se non ammette direttrici di ordine <8 (ma di direttrici cubiche
ne ammetterà allora un fascio); e di seconda specie se ammette una direttrice conica o rettilinea,
o se le sue 00' coniche passano tutte per uno stesso punto (che sarà triplo per essa). In questo
primo caso la F'? può essere tanto di prima quanto di seconda specie (con direttrice rettilinea); in
Seguito, dove è detto di seconda specie, deve intendersi con direttrice conica.
(2) Cfr. CasteLnuovo: Sulle superficie algebriche le cui sezioni sono curve di genere tre (“ Atti di
Torino ,, XXV).
Serie Il. Tom. XLIV. xi
378 GINO FANO
5) Curve di ordine 3r — 1 e genere 3r — 2:
Queste curve, per ogni valore di r, possono stare sulla rigata R'7!, incontran-
done ogni generatrice in quattro punti. Hanno in tal caso due punti doppi, e sono
riferibili a una C"+3 piana con un punto (r — 1)P° e due punti doppi. Della rigata
R' esse possono però incontrare ogni generatrice anche in soli tre punti; hanno
allora un punto doppio, e sono proiezioni di una C* di S,+1 — intersezione della
rigata R' di questo stesso spazio con una varietà cubica (M°).
Abbiamo poi ancora:
1. Una Ci di S, contenuta in una rigata R* e incontrata dalle generatrici di questa
in 5 punti. Non ha punti doppi ed è riferibile a una sestica piana generale;
2. Una 0! di S, con due punti doppi e contenuta in una F‘ di Veronese. È riferibile
a una C’ piana con due punti doppi;
3. Infine, per r < 8, una C3;-3 contenuta in una F' a sezioni ellittiche (di prima
specie per r== 8) e riferibile a una C° piana con punto quadruplo e 8 — r
punti tripli (1). A
c) Curve di ordine 3r e genere 3r +1:
Queste curve, per ogni valore di r, possono essere contenute:
1. In una rigata R', della quale incontrino ogni generatrice in quattro punti. Hanno
allora due punti doppi e sono riferibili a una C"+#4 piana con un punto rP° e
due punti doppi (2). Della stessa rigata R' esse possono anche incontrare le
varie generatrici in soli tre punti; non hanno allora punti doppi, e si possono
ottenere (per » = 6) come intersezioni di questa rigata con una varietà di quarto
ordine (M/_,) passante per una sua direttrice di ordine r — 4;
2. In un cono (normale) ellittico di ordine 7; e sono allora l'intersezione di questo
cono con una M?_, non passante pel suo vertice.
Per r <= 9 le stesse curve possono anche essere intersezioni di una F" a sezioni ellit-
tiche con una Mî_,. Questa proprietà ne dà anche immediatamente le rappresen-
tazioni piane. (per questo caso).
E infine per "=4er=5 le curve Ci e Cè contenute rispett. in una rigata R° o R* pos-
sono anche incontrare ogni generatrice di questa stessa rigata in 5 punti. La 05
di S° ha allora ur (solo) punto doppio, e la Ciò di S; non ne ha alcuno (3) (4).
(1) Nel caso di "=7 questa rappresentazione non è però sempre possibile; quando non lo sia,
la curva Cio si potrà invece riferire a una C* piana con due punti doppi. E anche per 7 <7
potrebbe la 030 riferirsi a una C* piana con 7—r punti tripli e due punti doppi; ma questa
rappresentazione non differirebbe allora sostanzialmente dalla precedente.
(2) Per y=383 si avrebbe una (07, contenuta in una quadrica, e che dalle generatrici di uno
dei due sistemi di questa sarebbe incontrata effettivamente in quattro punti. Da quelle dell’ altro
sistema essa sarebbe però incontrata in cinque punti.
(3) Questa (0 di Sy è riferibile alla curva di 10° ordine intersezione generale di una quadrica
del nostro spazio con una superficie di quinto ordine (e anzi da una generatrice qualunque della
rigata R‘ che la contiene essa si proietta precisamente in una curva così fatta).
(4) I risultati ottenuti in questo $ risolvono completamente, nel loro insieme, la questione
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 379
Applicazione dei risultati precedenti
alle rigate e congruenze di rette.
81. I risultati ottenuti in questo lavoro si riferiscono, in gran parte almeno, a
curve e a superficie per le quali passa un sistema lineare di quadriche (in generale
non tutte degeneri) di nota dimensione; le proprietà da noi stabilite potranno dunque
tradursi facilmente in risultati di Geometria della retta (1). Rappresentandoci infatti
— nel caso di r=5 — una qualsiasi Q (purchè non degenere) fra quelle quadriche
coll’insieme delle rette dello spazio S;, è chiaro che ogni altra quadrica del sistema
considerato determinerà nella prima una sezione rappresentata a sua volta da un
complesso quadratico; e alla nostra curva o superficie corrisponderà (nella quadrica
delle rette) una rigata o una congruenza di rette comune a tutti questi complessi (2).
della determinazione di tutte le curve di genere t—2 (e di ordine >2r) dei vari spazi (almeno
per 7 => 3); — e l’analoga determinazione per le curve di genere T—1 era a sua volta contenuta
nei risultati che abbiamo esposti nel $ 6. — Si potrebbe ora domandare di estendere queste ricerche
alle curve di genere t — 3, o (più generalmente) di genere t —% (almeno per % non superiore a
un qualche limite). Premesso che non è mia intenzione di occuparmi per ora di questo argomento,
voglio però aggiungere che l’unica difficoltà forse che così facendo si incontrerebbe sarebbe quella
di dare peri sistemi lineari di quadriche di dimensione (7a) — 4 (in Sr) un teorema analogo a
quelli che ai ni 11 6 20 si sono dati rispett. per i sistemi di dimensione ("31) — 2 e ("31) —3.
Questo teorema dovrebbe scaturire probabilmente da quello (più generale) del $ 4; ma dalle consi-
derazioni di cui abbiamo dovuto valerci in sul principio dei $$ 5 e 7 non appare ancora (è un fatto)
nessun concetto che si possa generalizzare e applicare ai casi successivi. Molte ragioni mi indur-
rebbero a credere che quel massimo valore di x a cui ho accennato nel $ 4 (n° 8) sia eguale precisa-
mente a 2(r—1-+-4) — almeno per à <=rx —3 —, e questo è ormai assodato peri casi di è = 1, 2, 3;
per i casi successivi, è una questione che merita di essere studiata.
Quello stesso teorema non sarebbe però applicabile alle curve di genere t —% che quando l’or-
| dine loro fosse > 2(r +%). Per le curve di ordine < 2(r + %) si potrebbero fare delle ricerche ana-
loghe a quelle accennate nei casi di X=1 (ni 15 e 16) e X=2 (ni 23-25), partendo cioè dalla con-
siderazione di qualche serie lineare sopra le curve stesse. È notevole forse in particolar modo la
. DE È
curva Cai (che è appunto di genere t —% per 2x<r— 1, ossia % £ A). Essa contiene
una 06 che può essere composta con una serie 00! di coppie di punti di genere X-+1, o con
una Vi lineare (o anche con una serie 00! di terne di punti, di genere £ +, se X è multiplo di 3),
e può anche non essere in alcun modo composta, se 7 = 34 + 5 (X = 2). In ciascuno di questi casi
si può determinare facilmente in che superficie la curva deve essere contenuta.
(1) Cfr. ad es. la Mem. del sig. Krem già cit. nella prefazione. Alcuni fra i concetti conte-
aa nuti in questa Memoria furono già applicati da me in un lavoro precedente (“ Ann. di Mat. ,,
ser. II, t. XXI) allo Studio di alcuni sistemi di rette considerati come: superficie dello spazio a cinque
dimensioni.
(2) La rigata avrà anzi lo stesso ordine e lo stesso genere della curva che rappresenta. Quanto
poi alla congruenza, il suo ordine m e la sua classe n saranno dati rispett. dal numero dei punti in
cui la superficie corrispondente è incontrata dai piani dei due sistemi della quadrica Q (sarà quindi
um + x l'ordine della stessa superficie); e il suo rango sarà dato dalla differenza (m —1)(n—1)—(p + d),
_ dove p è il genere delle sezioni di quella superficie e d l’ordine della sua linea doppia (se una tal
linea esiste; se no, si dovrà ritenere d = 0).
380 GINO FANO
Noi potremo quindi ricavare dai teoremi già ottenuti proprietà delle rigate e delle
congruenze di rette per cui passa un dato numero (un sistema lineare cioè di data
dimensione) di complessi quadratici; e precisamente le proprietà relative ad enti
contenuti (per »= 5) in 00* quadriche si applicheranno alle rigate e congruenze con-
tenute a lor volta in 00* complessi quadratici.
Cogliamo l’occasione per dare l’ analoga interpretazione anche dei risultati già
ottenuti dal sig. CAstELNUOvo e qui ricordati al n° 1.
32. Il genere massimo di una rigata algebrica di ordine n e non contenuta in un
complesso lineare (1) è dato dal prodotto x}n—2x—3} dove x è il minimo intero
non inferiore a n° (2).
Per una rigata algebrica di genere massimo (di genere cioè precisamente =
xìîn—2x—3}) passano sempre almeno co° complessi quadratici di rette, e ne passano
precisamente tanti (e non di più) quando l’ordine di questa rigata non è inferiore a 10.
Ogni rigata algebrica di ordine superiore a 10 e per cui passino co' complessi
quadratici (in particolare quindi ogni rigata di genere massimo e di ordine sempre >10)
è contenuta in una congruenza di rette comune a tutti questi complessi (3). Una tale
congruenza può presentare due casi distinti:
a) Congruenza (2, 2) costituita da una serie 00° di fasci di raggi coi centri
su di una conica e i piani tutti tangenti a un medesimo cono quadrico (4). Questa
(1) È in questa restrizione appunto che si traduce quella che imporrebbe alla curva O"° di ap-
portenere allo spazio Sg; essa è perciò indispensabile. Se la rigata stessa in x (solo) complesso
lineare, il suo genere massimo sarebbe an (22—3y —5); e se stesse in infiniti (00°) complessi e
quindi in una congruenza lineare, x"(x — x” — 2); — essendo X' e x” i minimi interi non inferiori
6 n_ 4 n_-3
x19pebte® sane rgarina.
(2) Da questo risultato e da quelli contenuti nella nota precedente segue ancora che, nello
5 7 9 s o È c 5 (n — 3)? .
spazio ordinario, una rigata di ordine » e di genere superiore @ —5 sta sempre in un com-
(a— 2) (n— 8)
; i
plesso lineare, e anzi in una congruenza lineare se il suo genere è superiore anche a
(n 2
4
Infine, una rigata di ordine n e di genere > è necessariamente un cono (0 un inviluppo piano).
Di quest’ultima proposizione è fatto cenno anche in una Nota del sig. KipPer (“ Math. Ann. ,, XXX);
ma le considerazioni che hanno condotto l’A. a questo risultato sono affatto estranee alla geometria
della retta; tant'è vero che per dedurre questo stesso risultato dalla proprietà corrispondente delle
curve di ordine x egli ha ricorso ancora a un ragionamento semplice sì, ma affatto inutile, visto
che non si trattava d’altro che di applicare a un caso (e precisamente @ uno spazio) particolare un
risultato generale già ottenuto.
(3) Per la rigata di genere massimo e di ordine = 10 (quindi di genere 6) il teorema non
sarebbe più vero. Questa rigata può invece ottenersi in generale come intersezione di un complesso
quadratico e di una congruenza (2, 3) o (8, 2) di genere uno (cfr. il mio lavoro cit., n° 6). Infatti la
x
curva canonica generale di genere 6 (05° di Sy) — che è riferibile a una sestica piana con quattro
punti doppi — è contenuta in una superficie F° razionale a sezioni ellittiche, ed è precisamente
intersezione di questa superficie con una quadrica non passante per, essa.
(4) Quella conica non deve però passare pel vertice di questo cono —. Lin: sieme di tutte le tan-
genti a questo stesso cono che si appoggiano a quella curva si spezza precisamente in due con-
gruenze (2, 2) così fatte; cfr. ad es. Kummer: Ueber die alg. Strahlensysteme ecc. (£ Abhand. der Berl.
Ak. ,,1866) e Sturm: Die Gebilde ersten und 2weiten Grades der Liniengeometrie ecc.; vol. II (Leipzig, 1892).
SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 981
congruenza corrisponde alla rigata razionale normale del quarto ordine di S;, del
primo o del secondo gruppo (con una direttrice rettilinea cioè, oppure con una sem-
plice infinità di coniche direttrici) secondo che il vertice di quel cono cade nel piano
stesso della conica, oppure è esterno ad esso. In quest’ ultimo caso la congruenza
contiene una serie razionale 00 (di indici {2, 2}) di rigate quadriche, passanti
tutte per quella conica e tutte tangenti ai singoli piani di quell’inviluppo (ossia di
quel cono) quadrico. L'una e l’altra di queste congruenze corrisponde per dualità a
sè stessa;
5) Congruenza (1, 3) delle corde di una cubica sghemba, — oppure il sistema
reciproco di questo, una congruenza cioè (3, 1) le cui rette siano le intersezioni a
due a due dei piani osculatori a una tal cubica (siano quindi, in altri termini, le
congiungenti delle coppie di punti omologhi di due piani collineari in posizione
generale) —. Questi due sistemi (reciproci) sono ben distinti fra loro, ma corrispon-
dono entrambi alla superficie di Veronese (1). L’uno e l’altro di essi contiene una
serie 00° di rigate quadriche (corrispondenti alle 00° coniche della F$ di Veronese);
e il sistema di queste quadriche (considerate rispett. nei due casi come luoghi e
come inviluppi) è anzi lineare (2) (3).
(1) Cfr. C. Secre, Considerazioni intorno alla geometria delle coniche di un piano ecc. (* Atti della
R. Acc. di Torino ,, XX).
(2) Le rigate contenute in una congruenza di questo secondo tipo conterranno dunque a lor
volta una cubica sghemba, incontrata da ogni loro generatrice in due punti, oppure saranno tali
che per ciascuna di queste generatrici si possano condurre due piani osculatori a una determinata
cubica. Possiamo anche dire che una qualsiasi di queste due proprietà dovrà sempre verificarsi per
la rigata proposta o per una qualunque sua trasformata reciproca. Questo caso non può presentarsi
però che per rigate di ordine pari; la metà di quest’ ordine darebbe precisamente la multiplicità
(per la rigata) della cubica dianzi considerata.
Invece le rigate contenute in congruenze del tipo a) avranno tutte indistintamente una conica
n_ 5
4 ,
direttrice; e anzi, se la rigata è di genere massimo, il numero x (che sappiamo essere. > ma
< “2 ) aumentato di un’unità, ci darà, in generale, la multiplicità di questa stessa direttrice.
Se però l’ordine della rigata fosse del tipo 4m +1 (m essendo intero) la stessa multiplicità potrebbe
anche essere uguale a m +1 (ossia a x + 2).
(3) Per una rigata contenuta in u complesso lineare si può dire che, se è di ordine n> 8 e
(n—-4)(n—-1) e_ia22)
6 9 6
di genere massimo ( quindi = , dovrà, stare in una congruenza (1,2) o
(2, 1) — costituita nel primo caso dalle rette che si appoggiano a una retta data e a una conica
pure data e avente con quella retta un punto comune, nel secondo caso dalle tangenti a un cono
quadrico che si appoggiano a una data tangente di questo stesso cono (quel complesso lineare
sarà quindi in, ogni caso speciale, e le rigate in discorso avranno sempre una direttrice rettilinea
dotata di una certa multiplicità) —. Infine una rigata contenuta in una congruenza lineare e di
(n—-2)? (a—1)(n—3)
DT TESO Cane? TI
genere massimo (quindi, se di ordine 7, di genere , secondo che » è pari o
dispari) avrà due direttrici rettilinee (in generale distinte) e multiple entrambe secondo sea se n è
n_-1 nHtT1
7 l’una e secondo 3
pari, secondo l’altra se n, è dispari. Questa, proprietà si.trova già nella
Nota cit. del sig. KirPER; ad essa possiamo aggiungere che quelle stesse rigate si potranno sempre
. . . a . . è n
ottenere come intersezioni della congruenza lineare che le contiene con un complesso di grado +-
+1 È i TRE Lal : È
5 (e in quest'ultimo caso vi sarà, naturalmente, un fascio di rette come intersezione re-
n
(0)
sidua).
382 GINO FANO
33. Una rigata algebrica per la quale passino non più di co? (1) complessi
quadratici non può essere di genere superiore @
xojn — 2x5 — 3 — xs 11d
n_—-5 — d
ai
Da questo si deduce che per una rigata di genere uguale al massimo corrispon-
dente al suo ordine (t) diminuito di % unità (dunque di genere mt —%) passano
sempre (almeno) 00° complessi quadratici quando il suo ordine n è superiore o eguale
a 4k+- 10; almeno 00 sen=2%k+ 10 0 n= 2X +9 secondo che & è pari o dispari;
almeno co° quando n > 4 d- ++ 10 dove ? è il resto della divisione di % per 3;
almeno co quando n =%-+ 10.
In particolare, per una rigata di ordine » e genere t — 1 passano sempre
dove Yy è il minimo intero non inferiore
almeno ‘00° complessi quadratici; e ne passano certo 00‘ per n > 14. Quando ne pas-
sino soltanto 00°, essi potranno avere a comune la sola rigata R” finchè n < 12; per
n=13 avranno a comune tutta una congruenza (2, 3) o (3, 2) di genere uno, con-
tenente la rigata in discorso (qui Rij) — che non avrà in questo caso generatrici
doppie —. Però la rigata Rit, può anche stare in 00‘ complessi quadratici; allora
ha sempre una generatrice doppia, e una conica direttrice tripla o quadrupla.
Anche la rigata Ry può esser contenuta in c0' complessi quadratici, e avere
una conica direttrice tripla o quadrupla; in quest’ultimo caso però non avrà gene-
ratrici doppie. Esiste anche una rigata Ri) con una cubica sestupla incontrata da ogni
sua generatrice in due punti, e con una generatrice doppia. — Se questa stessa
rigata è contenuta in soli 00° complessi quadratici, potrà ancora stare in una con-
gruenza (2, 3) o (3, 2) — sempre di genere uno — comune a questi complessi; se no,
sarà intersezione di un complesso quadratico con una congruenza (3, 3) di genere due
(congruenza di RocceLLA) (2). — Non avremo invece una rigata Ri, corrispondente
alla curva C}' di S; che sta sul cono normale ellittico (di quinto ordine) perchè le
quadriche passanti per questa curva sono tutte degeneri.
34. Similmente, per una rigata di genere t — 2 passano sempre almeno ‘09’
complessi quadratici; e anzi almeno 00° se l’ordine di essa è superiore a 13, e
certo 00° se è superiore a 15. La rigata di 15° ordine (e genere 16) contenuta in
soli 00° complessi quadratici è intersezione generale di una congruenza (2, 3) o (3, 2)
di genere uno con un complesso cubico. — Gli altri casi che queste rigate possono
presentare si deducono anche facilmente dal quadro che abbiamo dato alla fine
del $ 8, sicchè crediamo inutile insistervi sopra più a lungo.
(1) Questa proposizione vale per 0 < è < 4; e anche, se vogliamo, per è=5, intendendo però
allora che per la rigata non passi più nessun complesso quadratico. L'ipotesi che qui vien fatta
esclude implicitamente che la congruenza possa stare in un complesso lineare.
(2) V. RoccrLLa: Sugli enti geometrici dello spazio di rette ecc. (Piazza Armerina, 1882). Cfr. anche
il mio lavoro cit., n° 9.
UN METODO
PER LA
TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI
ODI ATE TRSINCA TDI VI
ED UNA APPLICAZIONE DI ESSO
A
MOTORI ELETTRICI A CORRENTI ALTERNATE
MEMORIA
DEL SOCIO
Prof. GALILEO FERRARIS
Approvata nell’'Adunanza del 3 Dicembre 1893.
Lo studio di alcuni apparecchi elettrotecnici moderni, e segnatamente quello di
alcune specie di motori elettrici, porta a considerare grandezze alternative vettoriali.
Per la trattazione di tali grandezze può giovare ricorrere a qualche modo di rap-
presentazione grafica, il quale dia di esse non solo l'ampiezza e la fase, ma anche la
direzione.
To qui presento un metodo, che nella interpretazione e nella esposizione elementare
di molti fenomeni può riuscire assai semplice e perspicuo. Per mostrare poi l’uso e
l’utilità del nuovo metodo, lo applico ai campi magnetici ed espongo per mezzo di
esso una teoria elementare de’ principali motori elettrici a correnti alternative.
L
Vettori rotanti e vettori alternativi.
1. Definizione. — Denominiamo vettore rotante una grandezza vettoriale della
quale il valore scalare è costante, mentre la direzione ruota attorno ad un asse con
velocità uniforme.
Qui ci limitiamo a considerare vettori rotanti in un dato piano. In questo caso
a definire un vettore rotante ci bastano i seguenti elementi: la grandezza, il verso,
la frequenza, ossia il numero di giri fatti in una unità di tempo, e la fuse, ossia la
frazione di giro compiuta all'origine del tempo.
384 GALILEO FERRARIS
Data la frequenza, possiamo rappresentare il vettore rotante per mezzo di un
segmento di retta 0d, od os (fig. 1) facendo semplicemente queste convenzioni: che la
Xx lunghezza del segmento rappresenti la grandezza del vettore, che
la direzione di esso sia quella che ha il vettore nell’origine del
$ tempo, e che la lettera d od s indichi il verso, destro o sinistro,
\ della rotazione. Se oX è la retta a partire dalla quale si vogliono
misurare gli angoli descritti dal vettore, l’angolo X od od Xos è
quello percorso dal vettore all’origine del tempo e si dice valore
0
angolare della fase. Il rapporto 00, oppure £08 è la fase.
Roseto
27
Per nominare i vettori così rappresentati potremo servirci
semplicemente delle lettere d ed s.
2. Composizione di due vettori di eguale frequenza rotanti nel medesimo
piano.
Primo caso: Vettori rotanti nel medesimo verso. — Si abbiano due vettori rotanti
nel medesimo verso e colla medesima frequenza; e sieno questi, per esempio, d e d'
(fig. 2). In ogni istante la loro somma vettoriale, ossia la loro risultante, è il vettore
o rappresentato dalla diagonale 0D del parallelogrammo
d fatto su di essi, 0, ciò che val lo stesso, dalla retta oD
che chiude il triangolo 0d D od il triangolo od'D. Ora
siccome d e d' girano nel medesimo verso e colla me-
1 desima velocità angolare, così l’ angolo dod' rimane
| costante. Rimane quindi costante anche la diagonale oD.
REATO Essa intanto gira attorno ad o colla stessa velocità
angolare delle componenti. Dunque la risultante di due vettori di uguale frequenza,
rotanti nel medesimo piano e nel medesimo verso, è anch'essa un vettore rotante
nel medesimo verso e colla stessa frequenza.
‘ Se l'angolo dod' è uguale a due retti, se cioè le fasi di d e di d' differiscono
di 180°, noi diciamo che d e d' hanno fasi opposte. Se i due vettori componenti
hanno grandezze uguali e fasi opposte, la loro risultante è nulla.
È inutile diro come dal caso di due soli vettori si passi al caso di un numero
qualunque di vettori rotanti nel medesimo piano e nel medesimo verso, e come si
dimostri che il vettore risultante è anch’esso un vettore rotante nel medesimo piano
e nel medesimo verso, ed è rappresentato dalla retta che chiude il poligono fatto coi
vettori componenti.
Secondo caso: Vettori rotanti in versi opposti. — Se (fig. 3)
i due vettori componenti od, os rotano in versi opposti, l'angolo
sod varia; quindi la diagonale 0A varia inevitabilmente di
grandezza. Essa intanto può variare, ed in generale varia, anche
di direzione.
Ma: si hanno a considerare due casi:
a) Il caso in cui le grandezze od ed os dei due vettori
Fig. 3. componenti sono uguali tra di loro;
5) Quello in cui tali grandezze sono disuguali.
(1)
UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 385
3. a) Caso in cui i due vettori componenti hanno grandezze uguali. —
In questo caso la risultante ha una direzione fissa. Infatti la diagonale 0A (fig. 3)
è allora in ogni istante la bisettrice dell'angolo s0d, e siccome 0d ed os ruotano
colla stessa velocità angolare l’uno verso la destra e l’altro verso la sinistra, così
essa rimane fissa nello spazio.
Varia invece il valore della risultante, il quale è legato all’angolo variabile Aod
dalla relazione SES
of = 2od cos Aod.
Ponendo 0A = a e 20d4=AÀ, rappresentando con » la frequenza, con t il tempo e con
a il valore dell'angolo Aod per t=0, questa relazione si scrive:
a = A cos (2mnt + al.
Una grandezza variante secondo questa legge è ciò che comunemente dicesi una
grandezza alternativa od alternante armonica 0 sinusoidale. La costante A è l'ampiezza,
n la frequenza, l’angolo a il valore angolare della fase, quando si prende come ori-
gine del tempo l’istante in cui « è massima.
Noi dunque diciamo 0A: un vettore alternativo, e concludiamo: due vettori uguali,
rotanti in un medesimo piano, colla stessa frequenza ed in versi opposti dànno per
risultante un vettore di direzione fissa, alternativo, della stessa frequenza. La dire-
zione di questo vettore alternativo è quella della bisettrice dell'angolo che in un
istante qualunque è compreso fra i due vettori componenti, e perciò anche quella
della bisettrice dell’angolo che i due vettori componenti comprendono nell’istante in
cui t=0 ossia quella dei due segmenti di rette coi quali si rappresentano, secondo
la nostra convenzione, i due vettori componenti.
L'ampiezza del vettore alternativo risultante è uguale al doppio della grandezza
di uno dei vettori componenti.
Viceversa un vettore alternativo sinusoidale si può sempre scomporre in due
vettori rotanti di ugual valore e di versi opposti. Qualunque vettore alternativo
sinusoidale si può considerare come risultante di due vettori ro-
tanti nel modo detto.
Ora questo modo di considerare un vettore alternativo con-
duce a rappresentazioni grafiche semplicissime, atte ad indicare
di un vettore alternativo la direzione fissa, l'ampiezza e la fase.
L’artifizio consiste nel rappresentare con un segmento di retta la s
direzione e l'ampiezza del vettore alternativo e con altri segmenti
di rette i vettori rotanti di cui quello si compone. Disegnando tutti 0
tre questi segmenti, si ha la rappresentazione indicata nella fig. 4. Fig. 4.
In questa figura il segmento o4 indica la direzione e dà l’am-
piezza del vettore alternativo, mentre i segmenti 0d ed os rappresentano i vettori
rotanti, destro e sinistro, in cui 0a si può scomporre. L'angolo @0d, od il suo
uguale a0s, rappresenta il valore angolare della fase. Ma siccome 0a =20s= 20d
ed è sulla bisettrice dell'angolo s0d, così uno qualunque dei segmenti 0a, 08, od si
può trovare quando sono dati gli altri due. Quindi si ha una rappresentazione com-
pleta anche disegnando solamente questi due. Per tal modo possiamo rappresentare
il vettore alternativo semplicemente con 0ad, 0 con 0as, 0 con 0sd.
Serie II. Tom. XLIV. Di
a
386 GALILEO FERRARIS
4. 5) Caso in cui i due vettori componenti hanno grandezze diverse. —
Se i vettori rotanti componenti, od ed os (fig. 5), non sono uguali,
è variabile non solo l'ampiezza, ma anche la direzione del vettore
risultante. Col centro in 0 e con un raggio uguale al più piccolo
dei vettori componenti, uguale ad os nel caso della figura, si de-
scriva l’arco di circolo sFd'. Si può considerare 0d come risul-
tante di due vettori od’ e d'd rotanti nel medesimo verso. Ora i
due vettori rotanti od’ ed os dànno per risultante un vettore alter-
nativo o a di direzione fissa bisettrice dell’angolo sod e di ampiezza
oa=20d'=20s. Dunque i due vettori rotanti od ed 0s di versi
opposti e di valori diversi equivalgono ad un vettore alternativo
oa di direzione fissa e ad un vettore rotatorio d' d.
Fig. 5.
5. Composizione di due o più vettori alternativi di idirezioni fisse. —
Valendoci delle considerazioni precedenti possiamo ridurre la composizione di vettori
alternativi a quella di vettori rotanti. Se per esempio abbiamo due vettori alter-
nativi di direzione fissa 0asd ed 0'a's'd' (fig. 6), noi possiamo comporre d con d'
A
&
d
Fig. 6.
ed s con s' e poi comporre insieme, nel modo or ora indicato, le due risultanti. Per
comporre d con d' tiriamo da un punto 0 un segmento 0D uguale e parallelo a d
e da D un segmento DD' uguale e parallelo a d'; troviamo così la risultante O D'.
Per comporre similmente s con s', tiriamo OS ed SS' rispettivamente uguali e pa-
ralleli ad s e ad s'e tiriamo OS'. Dopo ciò noi possiamo dire che il sistema dei due
vettori alternativi a ed a' dati è equivalente al sistema dei due vettori rotanti OD'
ed OS'. Ora ai due vettori rotanti 0D' ed OS' possiamo applicare la costruzione
precedente: Se O D' è il minore dei due, noi prendiamo 0S"—=0D' e sulla biset-
trice OF dell'angolo S'OD' prendiamo 0OA=20D'=208". I due vettori rotanti
OD' ed OS’, e quindi anche i due vettori alternativi dati @ ed a’, equivalgono al
vettore alternativo OA ed al vettore rotante S'"S'.
La proposizione si può estendere senz'altro al caso di un numero qualunque di
vettori alternativi: qualsivoglia sistema di vettori alternativi di uguale frequenza,
UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 387
situati in un medesimo piano, si può ridurre ad un sistema semplice di un vettore
alternativo fisso combinato con un vettore rotante. L'operazione da farsi è ancora
quella indicata nella fig. 6 con questa sola differenza, che in luogo dei triangoli
ODD', 0SS' si hanno a fare i poligoni di tutte le componenti d e di tutte le com-
ponenti s dei vettori dati.
Importa applicare la proposizione a casi particolari.
6. Casi particolari:
a) Vettori alternativi aventi la medesima direzione. — Se a’ è parallelo
ad a (fig. 7), gli angoli 0SS'’, ODD' sono uguali tra di loro, quindi i triangoli OSS’,
A
Fig. 7.
ODD’ sono uguali, e per conseguenza 08'= OD’. Inoltre la bisettrice O A dell’an-
golo S'OD' è anche bisettrice degli angoli SOD ed S'S,DD', ed è perciò parallela
alle 0a ed o'a'. Dunque la risultante OA dei due vettori alternativi paralleli @ ed
a' è anch’essa un vettore alternativo fisso ed è parallela ai componenti.
Per trovare questa risultante non è necessario eseguire tutta la costruzione
indicata nella fig. 7: basta evidentemente fare una metà di essa, per esempio la
parte 0DD'. Secondo l’interpretazione finora data alla figura, i segmenti OD e DD'
rappresentano la metà delle ampiezze dei vettori alternativi componenti, ed il seg-
mento OD' rappresenta la metà dell’ampiezza del vettore alternativo risultante. Se
si abbassano le perpendicolari DB, D'B' su OA, le proiezioni O B, BB' ed OB' rap-
presentano similmente le metà dei valori istantanei che i due vettori componenti
ed il risultante hanno per t= 0; e se si suppone che la figura ODD' giri attorno
ad O colla frequenza #, le proiezioni di 0D, DD’, 0D' sulla retta fissa O A rappre-
sentano in ogni istante le metà dei valori istantanei dei vettori medesimi. Ma noi
possiamo ora rappresentare con 0D e con DD' non le metà, ma le intiere ampiezze
dei vettori componenti; e con ciò abbiamo subito in 0 D' la rappresentazione del-
l'ampiezza della risultante e nelle proiezioni su OA le rappresentazioni dei valori
istantanei delle grandezze dei tre vettori considerati. Così noi ritroviamo la nota e
solita costruzione di cui si fa uso nello studio delle grandezze alternative. Essa è
un caso particolare della costruzione più generale da noi indicata.
388 GALILEO FERRARIS
Le fatte considerazioni si estendono senz'altro al caso di un numero qualunque
di vettori alternativi paralleli.
#7. 6) Vettori alternativi di direzioni diverse. — Se i due vettori alternativi
dati, a ed @', non sono paralleli, la costruzione generale esposta all'art. 5, e rappre-
sentata nella figura 6, conduce a trovare che i due vettori dati equivalgono a due
vettori uno alternativo di direzione fissa rappresentato da OA e l’altro rotante di
valore costante, rappresentato da S"S'. Ma vi hanno casi particolari nei quali di
questi due vettori esiste soltanto l’uno o soltanto l’altro.
Esiste solamente il vettore alternativo di direzione fissa quando i due vettori
alternativi componenti hanno la medesima fase.
À
Fig. 8.
In questo caso infatti gli angoli 0SS', ODD' (fig. 8) sono uguali entrambi al
supplemento dell'angolo ao0a' e perciò sono uguali tra di loro. Quindi i triangoli
S0$', DOD' sono uguali l’uno all’altro, e per conseguenza si ha 08' = O0D'. Dunque
si hanno a comporre due vettori rotanti 0 D' ed 08" uguali e di versi opposti i quali,
come si è dimostrato [3], dànno per risultante un semplice vettore alternativo di
direzione fissa.
Questa risultante è rappresentata dal segmento OA uguale a 208' ed a 20D'
e giacente sulla bisettrice OF dell'angolo 8"OD'. La sua fase ha il valore angolare
SOA = 4 S'OD' = 3 sod =+ s'od': essa è uguale alla fase dei vettori alter-
nativi componenti.
Se si tira a A' uguale e parallela ad 0a’ e se si tira o A', si ha il triangolo 04 A’,
il quale è simile al triangolo OSS' perchè l'angolo « è uguale all’angolo S ed i lati
oa, aA' sono uguali al doppio dei lati 0S, SS'. Dunque si ha oA=208'=0A.
Inoltre dalle eguaglianze
da SR 0a SL gioie La
si deduce 5o0À' = SOA; il che significa che o A' è parallelo ad 0 A. Per conseguenza
oA' è uguale e parallelo al vettore risultante OA. Diremo adunque: Due vettori
alternativi di uguale fase si compongono in un unico vettore alternativo di ugual
fase, del quale l'ampiezza e la direzione sono rappresentate dalla diagonale del pa-
rallelogrammo fatto sulle rette che rappresentano per ampiezza e per direzione i due
vettori componenti.
UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 389
8. — La composizione di due vettori alternativi dà inveve come risultante un
semplice vettore rotante quando l’uno o l’altro dei vettori rotanti 0 D', OS' (fig. 6,
art. 5), è uguale a zero.
Questo caso si verifica quando 0s ed 0's' (fig. 6) oppure 0d ed 0'd’ hanno gran-
dezze uguali e direzioni opposte; allora infatti il punto S', oppure il punto D' coin-
cide con O.
La condizione os= 0's’, oppure 0d = 0'd', implica @
quella che sia oa = 0'a', ossia che le ampiezze dei due
vettori alternativi dati sieno fra di loro uguali.
La condizione poi, che os ed 0's', oppure od ed o'd' -
abbiano direzioni opposte, implica una relazione tra le
direzioni dei due vettori alternativi oa ed 0'a' e le fasi LL -
dei medesimi. È facile vedere quale sia questa relazione.
Supponiamo infatti (fig. 9) che sia od’ opposto ad o d,
diciamo a l'angolo @ 0a’ tra le direzioni dei due vettori
alternativi componenti, e rappresentiamo con @ e con q'
i valori angolari 40d, a'od' delle fasi dei vettori mede- d/ —- 9
simi; abbiamo: Fig. 9.
oto —p= rt, ossia pd —p=T—- a.
Dunque due vettori alternativi di direzioni fisse dànno per risultante un sem-
plice vettore rotante quando hanno ampiezze uguali e presentano una differenza di
fase, il valore angolare della quale è uguale al supplemento dell’angolo compreso
fra le loro direzioni.
9. Esempi. — Come primo esempio consideriamo il caso di due vettori alter-
nativi, mutuamente perpendicolari 0a, o'a' (fig. 10). ,
s
. . R ° a a
Il teorema dice che acciocchè essi si compongano
in un semplice vettore rotante dev'essere in primo luogo
o'a' =0a. In secondo luogo deve essere p' — p = n — a No
. ° ui
e quindi, essendo a = 3”
p'
, BASATE 0
Pra Dia
Fig. 10.
. 5 . ’ TT
Se per esempio prendiamo @ = 0, ossia: angolo a0d =0, dev’ essere p' = 9
« T
ossia angolo a'o'd' = 7
Ora che veramente, date queste condizioni, i due vettori a ed a' producano come
risultante un vettore rotante, si riconosce subito applicando ad essi la costruzione
dell'art. 5, fig. 6. Infatti per comporre d con d'’ si deve tirare OD =0d e poi
DD'=0'd', col che si ricade sul punto 0; per comporre invece s con s' si hanno
a tirare 0S ed SS' uguali e paralleli ad os e ad 0's', col che si trova la risultante
0S', che è una rotazione sinistra di grandezza uguale ad s + s', ossia a 25, ossia ad @
e ad a'. I due vettori alternativi dati producono adunque come risultante un semplice
vettore rotante della medesima frequenza e di grandezza uguale alle loro ampiezze.
390 GALILEO FERRARIS
Come secondo esempio consideriamo il caso di due vettori alternativi uguali 0a
3
TUE
ed o'a' (fig. 11), le direzioni dei quali comprendono un angolo a =
Si
n
==
-
Sua
(I
Fig. 11.
In questo caso la condizione espressa dal teorema dimostrato è che si abbia
’ AZIO
Dea oro:
° Ai , 7 "pp 79pI E o
Se per esempio: pg = aod = 0, dev'essere p' = a'o'd 7: K veramente, se si
applica a questo caso la costruzione della fig. 6, si trova che D' si confonde con O.
La risultante si riduce al vettore rotante OS'. La sua grandezza è rappresentata
dall’ipotenusa del triangolo rettangolo isoscele 0S$S'; essa è perciò uguale ad sy 2
O a
ossia ad —.
V2
10. — Dal caso ora considerato di due soli vettori alternativi componenti si
passa subito al caso generale di un numero qualunque di vettori: un sistema qua-
lunque di vettori alternativi può equivalere ad un semplice vettore rotante. La con-
dizione necessaria perchè ciò avvenga è semplicemente questa; che il poligono delle
componenti d oppure quello delle componenti s sia chiuso.
Un caso particolare importante è quello nel quale i vettori componenti sono uguali
e fanno gli uni cogli altri angoli uguali. Sieno dati in un piano N vettori alternativi
uguali, ciascuno dei quali faccia col precedente un angolo a che non sia nè t nè un
multiplo di t, ed abbia rispetto al medesimo una precedenza di fase di valore an-
golare uguale anch'essa ad a. Allora ciascuno dei vettori rotanti s fa col precedente
un angolo a — a, ossia zero: il poligono delle s ha tuttii suoi lati su di una mede-
sima retta, la risultante S di tutte le s è uguale alla loro somma, ossia S= Ns.
Il poligono delle 4 è invece un poligono regolare del quale gli angoli esterni hanno
il valore 2a; acciocchè esso sia chiuso, è necessario e sufficiente che N di tali angoli
facciano un multiplo di quattro angoli retti, ossia che si abbia
2aN = 2kn,
od
STA
a=w-
ove 4 è un numero intiero qualunque non divisibile per N. Se è soddisfatta questa
condizione, gli N vettori rotanti d hanno una risultante nulla; e ciò vuol dire che
gli N vettori alternativi dati hanno per risultante il semplice vettore rotante S. Se
n 7
UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 391
diciamo a l'ampiezza comune dei vettori alternativi dati, il valore del vettore rotante
risulta
Se invece di supporre, come abbiamo fatto, che ciascuno dei vettori dati abbia una
precedenza di fase a rispetto a quello che lo precede, avessimo supposto che esso
abbia un ritardo di fase, avremmo trovato che il poligono delle d giace su di una
retta e dà D= nd, e che il poligono delle s è chiuso, e dà S= 0; in questo caso
la risultante degli N vettori alternativi dati sarebbe un semplice vettore D rotante
verso la destra.
Abbiamo escluso il caso di a uguale a m, o ad un multiplo di n, e per conse-
guenza abbiamo detto che il numero intero & non deve essere divisibile per N. Se
si facesse a = mt o ad un multiplo di t, ossia se si prendesse X uguale ad N, o ad
un multiplo di N, gli angoli esterni del poligono delle d sarebbero uguali a 2T o ad
un multiplo di 27, ed il poligono si ridurrebbe, come quello delle s, ad una linea
N
retta. Allora si avrebbero due vettori rotanti S e D uguali entrambi ad >
a e di
versi opposti, i quali darebbero come risultante un vettore alternativo di direzione
fissa e di ampiezza uguale ad Na. Ciò è quanto si sapeva di già, perchè supporre
a=t 0 multiplo di t equivale a supporre che i vettori alternativi dati sieno tra
di loro paralleli.
I casi che più comunemente si hanno a considerare nello studio dei motori elet-
trici sono quelli ove X=2, quelli cioè ove i vettori alternativi considerati sono
regolarmente distribuiti, a distanze angolari uguali, tutt’'attorno ad un asse. Fra
questi casi poi merita una menzione speciale quello ove N = 3. Allora le distanze
angolari tra i vettori dati ed i valori angolari delle loro differenze di fase sono uguali
(9
a sr, ossia sono di 120°. Il vettore rotante, che risulta dalla composizione dei tre
vettori alternativi, ha il valore 5% ossa è uguale ad una volta e mezzo l'ampiezza
di ciascuno dei vettori componenti.
11. — Ciò che precede riguarda la composizione, ossia la somma de’ vettori da
noi considerati. Per le applicazioni alle quali miriamo conviene aggiungere qualche
considerazione sui prodotti «5 cos @, ad seng delle ampiezze a e 5 di due vettori
pel coseno e pel seno dell’angolo @ compreso fra le direzioni dei medesimi, prodotti
dei quali il primo è lo scalare col segno cambiato, ed il secondo è il tensore del
vettore del prodotto dei due vettori.
In primo luogo conviene ricordare questa proposizione: se sono dati due gruppi
di vettori, e se in un dato istante sono: a la grandezza di uno qualunque dei vet-
tori del primo gruppo, 5 quella di uno qualunque dei vettori del secondo gruppo,
A il valore istantaneo del vettore risultante di tutti i vettori a, B quello del risul-
tante dei vettori 5, @ l'angolo compreso tra un vettore a ed un vettore 6, e © l’an-
golo di A con B, si ha
Z ab cos @ = AB cos d,
Zab sen pg = AB sen d.
392 GALILEO FERRARIS
Per dimostrare la prima di queste uguaglianze, del resto notissime, basta osser-
vare che se si dice Y l’angolo tra A ed uno dei vettori 5, si ha:
bZa cos @ = dA cos y,
quindi Zab cos @ = XbA cos y = AZ. cos y.
Ma Z5 cos y = B cos ©, dunque
Zab cos g = AB cos ©.
La seconda eguaglianza, ossia la Zaò seng= ABsen ®, si dimostra in modo
analogo.
12. — In secondo luogo conviene vedere quali sieno i valori medii dei prodotti
ab cos @ ed ad sen @ quando i vettori a è sono delle specie di cui noi qui ci occu-
piamo, quando cioè essi sono vettori rotanti o vettori alternativi. E qui si hanno
più casi.
1° Caso. — Se i due vettori a e 5 sono vettori rotanti nel medesimo piano, colla
medesima frequenza e nel medesimo verso, l’angolo @ compreso fra i medesimi ri-
mane costante: esso è uguale al valore angolare della differenza di fase de’ due vet-
tori. Siccome, per la definizione di vettore rotante da noi adottata, anche a e d sono
costanti, così i prodotti « è cos p, a dè sen @ sono indipendenti dal tempo.
2° Caso. — Se a e 5 sono ancora vettori rotanti in un medesimo piano, ma con
frequenze diverse x ed m, l'angolo @ compreso fra di essi passa in ogni unità di
tempo n—m volte da 0 a 27, ossia varia tra 0 e 27 nel tempo Il valore medio
n—m'
di cosg e di sen @ durante tale tempo è uguale a zero, ed è perciò uguale a zero
anche il valore medio dei prodotti considerati.
3° Caso. — Un caso particolare compreso in quello or ora considerato è quello
di due vettori rotanti in versi opposti: se sono ” ed m le frequenze dei due vettori
rotanti, l'angolo g varia tra 0 e 2 nel tempo ha e durante questo tempo i
valori medii di ad cos @, e di ab sen @ sono uguali a zero.
4° Caso. — Un altro caso particolare è quello in cui a è un vettore rotante e
5 un vettore fisso di grandezza costante. Questo caso si riduce ai precedenti facendo
semplicemente m = 0. Anche in questo caso i medii prodotti sono uguali a zero.
5° Caso. — Se a è un vettore alternativo di direzione fissa e 6 è un vettore
rotatorio, possiamo immaginare a scomposto in due vettori uguali rotanti in versi
opposti, d ed s, e valendoci del teorema ricordato all’articolo precedente (11), porre:
ab cos p = d. db cos dè + s. d cos 0,
ab sen @ = d.b sen dò + s. 5 sen 0,
ove è e o rappresentano gli angoli che nell'istante considerato 6 fa con d e con s.
Così siamo ricondotti ai casi precedenti.
Se a e 5. hanno frequenze diverse, tanto i prodotti dd cos dè, d è sen dè quanto i
prodotti s5 cos 0, sb seno hanno valori medii uguali a zero; quindi sono uguali 2
zero anche i medii di @d cos @, e di ad sen @.
UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 393
Se a e 6 hanno una medesima frequenza, solamente i prodotti d d cos dè, d d sen òd,
oppure solamente sd cos 0, sd sen o sono nulli; gli altri due sono diversi da zero
e sono costanti. Se, per esempio, è è un vettore rotante verso destra i prodotti s è cos 0,
sb seno hanno un valore medio uguale a zero, ed i prodotti d è cos è, d è sen d sono
costanti. Si ha perciò semplicemente:
medio di 48 cos @ = dd cos ò,
medio di ab sen @ = db sen è.
Se si rappresenta con A l’ampiezza del vettore alternativo, si ha d = 3, e
quindi
medio di ad cos @ = + Ab cos ò,
medio di ab sen @ = i Ab sen òd.
Se si prende come origine del tempo l’istante in cui a ha il valore massimo A,
l'angolo è, che figura in queste espressioni, è il valore angolare della differenza di
fase tra a e d.
6° Caso. — Se finalmente @ e d sono due vettori alternativi di uguale frequenza,
noi consideriamo il primo come risultante di due vettori rotanti d ed s ed il secondo
come risultante di due altri vettori rotanti d' ed s'. In grazia della proposizione dimo-
strata all'art. 11, i prodotti a 8 cos @, a 5 sen @ sono in ogni istante uguali alla
somma di quelli che si hanno colle combinazioni d d', d s', s d', ss". Ma, in grazia di
ciò che si è detto dianzi trattando il caso 3°, i valori medii dei prodotti corrispon-
denti alla seconda ed alla terza combinazione sono uguali a zero; dunque, se di-
ciamo è l'angolo costante tra d.e d'e 0 l'angolo costante tra s ed s', abbiamo:
medio di 45 cos @ = dd' cos dè + ss' cos 0,
medio di ad sen @ = dd' sen è + ss' sen o.
Se diciamo A e B le ampiezze dei due vettori alternativi dati, e se notiamo che
d=:s=; e ds,
possiamo scrivere anche :
medio ad cos gp = 0 (cos è + cos 0),
e medio ad sen @ = AP (sen è + sen 0).
Se poi, dicendo a e 8 le fasi di « e d, notiamo che
O ipercoop ‘Ria,
possiamo scrivere ancora :
medio 40 cos @ = SE cos Q. cos (B — a),
\
medio ab sen @ = È: sen Q. cos (B — a).
Serie II. Tom. XLIV. zi
394 GALILEO FERRARIS
Il
Applicazione ai campi magnetici ed ai motori elettrici
a correnti alternate.
13. — Possiamo applicare le considerazioni generali sovraesposte al caso speciale
in cui i vettori considerati sono forze magnetiche.
In questo caso le proposizioni degli articoli 8, 9 e 10 mostrano subito come per
mezzo di due, o di più campi magnetici alternativi di direzioni fisse si possa pro-
durre un campo magnetico rotante; esse mostrano perciò come un campo magnetico
rotante si possa produrre per mezzo di due o più correnti alternative di fasi diverse ;
esse comprendono, in. altre parole, il principio fondamentale dei motori elettrici a
correnti alternative polifasi.
Viceversa la proposizione dell'art 3 mostra come un campo magnetico alter-
nativo, od un flusso d’induzione alternativo si possa sempre considerare come risul-
tante di due, o di più campi, o di due o più flussi di valore costante, rotanti gli uni
verso destra e gli altri verso sinistra. Ora questo modo di considerare un campo
magnetico od un fiusso d’induzione alternativo può tornare molto utile nello studio
delle correnti indotte in conduttori posti nel campo magnetico e delle forze che questo
esercita sulle medesime; può per conseguenza tornare utile nello studio de’ fenomeni
fondamentali in molti apparecchi elettrici, e specialmente nei motori elettrici per
correnti alternative. Per dare un esempio di applicazione noi prenderemo qui a trat-
tare di questi ultimi.
14. Motori sincroni. — Consideriamo dapprima una armatura costituita da
un'unica spirale, della quale le spire sieno in piani perpendicolari ad un asse comune
oa (fig. 12), e supponiamo che essa possa rotare nel piano della figura, attorno ad un
asse 0, in un campo magnetico, ove l’induzione magnetica abbia il valore uniforme B
e la direzione costante 0B. Se tale spirale è percorsa da una cor-
B
rente elettrica, essa equivale ad un magnete di asse 0a, il mo-
mento magnetico del quale si ottiene moltiplicando la somma
delle superfici delle spire per la intensità della corrente in
misura elettromagnetica assoluta. Noi possiamo rappresentare
questo magnete, e quindi anche la spirale percorsa dalla cor-
rente, per mezzo di un vettore avente la direzione 0a ed una
grandezza uguale al momento magnetico sovraddetto. Se la
corrente è alternativa colla frequenza x, anche il vettore è
Fig. 12. alternativo colla medesima. frequenza, e noi lo possiamo rap-
presentare, secondo il nostro metodo, in 0a sd. Il fare uso
di questa rappresentazione equivale a sostituire al magnete alternativo o a due ma-
gneti rotanti, i momenti magnetici dei quali sono rappresentati da 0d e da os.
Dicendo A l'ampiezza 0a e d ed s le grandezze dei due vettori rotanti od, 0s, sì
ha dos
UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 395
Ciò posto, consideriamo le forze esercitate sulla spirale dal campo magnetico
in cui essa è collocata. Queste forze si riducono ad una coppia, il cui momento è
CTS
B.a sen Boa, e, pel teorema ricordato all'art. 11, è uguale alla somma
Bd sen è + Bs sen 0,
ove con è e con o si rappresentano, come più sopra, gli angoli che nell’istante con-
siderato fanno con 0B i due vettori rotanti destro e sinistro d ed s.
Se la spirale è in riposo, i vettori d ed s rotano con la medesima frequenza n
l’uno verso destra e l’altro verso sinistra, e, per ciò che si è detto all’articolo 12
(4° caso), i valori medii dei prodotti Bd sen dè e B s sen 0 sono uguali a zero. È quindi
uguale a zero il medio valore del momento della coppia considerata.
Se si fa rotare la spirale attorno all’asse o con una frequenza m, gira con essa
il vettore 0a, ed i due vettori od ed 0s prendono a girare con velocità angolari
uguali alle somme algebriche di quelle ch’essi hanno relativamente all’armatura e
di quella che hanno comune con questa. Se per esempio l'armatura ruota verso la
destra, il vettore rotante d gira nello spazio con la frequenza » 4- m, ed il vettore s
gira colla frequenza n — m. Però finchè m è diverso da n i valori medii dei momenti
delle coppie sono ancora uguali a zero.
Ma se m=n, la frequenza di d diventa uguale a 2» e quella di s si riduce a
zero. La corrente dell'armatura equivale allora a due magneti di momento magne-
tico costante, uno dei quali, d, ruota nel verso dell'armatura con una frequenza doppia,
e l’altro, s, sta fisso nello spazio. La direzione fissa di quest’ultimo è quella per cui
passa l’asse oa della spirale rotante nel momento in cui in essa la corrente alterna-
tiva ha l’intensità massima. Tale direzione fa con 0B un angolo determinato che
rappresenteremo con s. In questo caso il momento della coppia agente sull’armatura
non ha più un valore medio uguale a. zero : allora infatti è uguale a zero soltanto
il momento medio della coppia agente su od, ossia il valore medio del prodotto
Bd senò; mentre il momento della coppia agente su os, ha il valore costante
Bs sen 5,
ossia
1 AB sen e.
Questa coppia tende a chiudere l'angolo soB. Se tale angolo è, come in figura,
a destra di 0B, ossia dalla parte verso cui l'armatura ruota, la coppia si oppone al
movimento, obbliga a spendere un lavoro; l’apparecchio funziona come una dinamo.
Se invece l'angolo Bos giace a sinistra di 0B, ossia dalla parte opposta al movi-
mento, la coppia agisce nel verso della rotazione, essa fa un lavoro; l'apparecchio
funziona come motore elettrico ; esso è, nella forma più semplice, un motore sincrono.
La coppia motrice di questo motore varia tra 0 ed 5 AB quando s varia tra 0
e ni Per valori di = minori di 5 il funzionamento. del motore è stabile. Se infatti si
aumenta la coppia resistente, l'armatura si attarda alquanto, cresce l’angolo 7 e
cresce con esso il momento della coppia motrice. Se invece si diminuisce la coppia
resistente, l'armatura accenna per un momento ad accelerarsi, diminuisce così l’an-
golo > e con esso diminuisce la coppia motrice.
396 GALILEO FERRARIS
15. Motori asincroni. — Armatura chiusa posta in un campo magnetico rotante.
— Consideriamo in secondo luogo una armatura formata di N spire, o di N spirali
elementari, chiuse su se stesse in corto circuito e disposte regolarmente ad uguali
distanze angolari, in altrettanti piani diametrali, tutt’attorno all’asse di rotazione.
Diciamo S la superficie, r la resistenza ed L il coefficiente di autoinduzione di una
delle spirali. Immaginiamo poi che l’ armatura si trovi in un campo magnetico
rotante, nel quale l’induzione magnetica, costante ed uniforme, abbia il valore B e
ruoti relativamente alla armatura con una frequenza w.
Nella spirale elementare -colla normale della quale l’induzione B fa, alla fine
del tempo #, un angolo a, passa in tale istante un flusso d’induzione BS cos a; quindi,
per la variazione di a dovuta alla rotazione di B rispetto all’armatura, si ha nella
spirale una forza elettromotrice
2r7«BS sen a.
Questa forza elettromotrice produce nella spirale elementare una corrente di
intensità i data dalla formola
A r0)
da BS sen (a — ©),
ove ® è il valore angolare del ritardo di fase della corrente rispetto alla forza elettro-
motrice, dato dalla relazione
e p è la resistenza apparente della spirale, ossia
p= Vr + 4n0W21?.
Tale corrente equivale ad una lamina magnetica, il cui momento magnetico è uguale
ad iS, ossia a l
2% BS?
pi sen (a — ©),
e si può rappresentare con un vettore avente la direzione della normale al piano
della spirale, 0, come possiamo dire concisamente, la direzione a.
Ora se si proietta questo vettore prima sulla retta che fa con B l'angolo @®, e
poi sulla perpendicolare ad essa, si ha rispettivamente
si BS? sen (a — @) cos (a — ©), e st BS? sen? (a — ©);
e se si calcolano i valori medii di queste proiezioni per a compreso tra 0 e 2t, si
. È n à o 12muBS°
trova che questi valori medii sono rispettivamente zero e DI ap Dunque le N
spirali equivalgono in complesso ad un magnete di momento magnetico
N Qu
A rare
BS?,
I
UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 397
l’asse del quale fa con la direzione di B l’angolo costante
@ + D. Tale magnete segue B nella rotazione, stando co-
stantemente indietro, alla distanza angolare @ + 5. Se
nella fig. 13 si suppone che il campo magnetico ruoti rela-
tivamente all’armatura nella direzione della freccia «, e se
OX è perpendicolare alla direzione 0B della induzione ma-
gnetica, la direzione del magnete equivalente alla armatura
è la OA, la quale fa con OX l'angolo XOA = 9g.
Fig. 13.
16. Motori a campo rotante. — Un’armatura come quella che abbiamo ora
considerato, collocata in un campo magnetico rotante prodotto per mezzo di un sistema
di correnti polifasi, costituisce un motore a campo rotante.
La coppia motrice è quella che il campo magnetico eserciterebbe se al posto
dell'armatura vi fosse il magnete equivalente dianzi considerato. Il momento di essa
è adunque (fig. 13) AB sen AOB; dicendolo K e ponendo per A il valore trovato
nell'articolo precedente, si ha:
Reis Li pes? 2ru. cea a)
O Toi . = .
Ricordando che cos @ = p° si può scrivere anche
N 2ru
K —_ Fox B?28?, pi’
ossia
K = aiNB?8? o (1)
In questa espressione la lettera « rappresenta la frequenza del moto relativo di
rotazione del campo magnetico rispetto all’armatura. La formola dà la relazione tra
la coppia di rotazione K e la frequenza «; ed è facile vedere quale sia l'andamento
della linea, nella quale la formola si traduce quando si prende vu come ascissa e K
come ordinata.
La (1) si può scrivere
Lu mNB*S?7
Arata)
onde appare che K cambia di segno senza cambiare di valore quando si cambia «
in —u, ha il valore zero per u=0 e per u= + 00, ed ha un valore numerico mas-
simo quando i due termini del denominatore, il prodotto dei quali è costante, sono
uguali tra di loro, ossia quando
P
1
Ai
% ir Rir To
Perciò la linea C, C, (fig. 14) i punti della quale hanno per ascisse i valori di « e
per ordinate i corrispondenti valori di K, si compone di due rami omotetici rispetto
398 GALILEO FERRARIS
all'origine O, passa per l’origine, è assintotica da entrambe le parti all’asse delle
ascisse e presenta due punti M, M' d’ordinata numericamente massima, i quali cor-
à) a . x ì h p
Lao x ”. I valore del massimo è TINO,
rispondono alle ascisse +
2rL°. arl Da
rY Yi
Fig. 14.
L'origine 0 è un punto d’inflessione, e nelle sue vicinanze la linea si confonde
TN B°S°
con una linea retta, la pendenza della quale è . Le ascisse dei punti massimo
e minimo M ed M' e la lunghezza del tratto, che praticamente si confonde con una
retta, crescono col diminuire di L al limite, per L—_ 0, i punti M ed M' andreb-
bero all’infinito e la linea si trasformerebbe in una retta passante per O colla pen-
t N B° 8?
denza TREIA
Dato il valore di «, e ritenuto costante L, la coppia K varia colla resistenza r.
La legge della variazione apparisce chiara se si mette l’espressione di K sotto la forma
E a NB°S?u
4g ua L? *
r + na
424° L?
Per r=0 e per r= 00, K si annulla; perr= , ossia per
= SITUA
x . . SM ITUNIBISTO
esso è massimo; il valore del massimo è 7
valore di r, a cui corrisponde il massimo di K, è proporzionale alla frequenza « del
, come sopra. E da notare che il
moto relativo tra il campo e l'armatura.
1'7. — In ciò che precede si è considerata la relazione tra la coppia di rota-
zione e la frequenza « del moto relativo del campo rotante rispetto alla armatura.
Per trovare ora la relazione tra la coppia e la velocità della rotazione dell’armatura
basta osservare, che se si rappresenta, come al solito, con » la frequenza del campo
magnetico rotante, e se con m si rappresenta la frequenza della rotazione dell’ar-
matura, ossia il numero di giri che l'armatura fa in 1”, si ha
u TNT M.
UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 399
Portando questo valore nella (1) si ha
ro0 202 r(nT_m)
K= nNBeS e o... 2)
la quale dà la relazione cercata.
La curva in cui si traduce questa formola, quando si prende come ordinata la
coppia K e come ascissa la frequenza m della rotazione dell'armatura, si può de-
durre subito dalla curva C,0C, della fig. 14; anzi è la stessa curva riferita soltanto
ad altri assi di coordinate. Si porti infatti su OX' una lunghezza 00,= n, e sia p
il piede dell’ordinata di un punto qualunque P della curva (€,C,; si ha Op =
=00,— Op=n—u=wm. Dunque se si prende il punto 0, come origine delle
coordinate, la retta O,Y, parallela ad OY come asse delle ordinate e la 0,0X, di-
retta da destra verso sinistra, come parte positiva dell’asse delle ascisse, la linea
C,.M'OPMQC, è senz'altro quella i punti della quale hanno per coordinate i valori
di m e di K.
La curva mette in evidenza le principali proprietà del motore. Bisogna distin-
A
TrA at E
guere due casi: il caso di n = E RA quello di n > dn 1
dp
L
l'origine 0; cade a sinistra di 9, od in q. Allora K ha il valor massimo per m = 0:
la coppia motrice è massima quando l'armatura non ruota ancora, è massima nel
momento della messa in moto. Se a partire dal riposo, ossia da m=0, si fa cre-
scere m, K diminuisce fino ad annullarsi per m =w e a diventare negativo per
m > n. Il funzionamento del motore è stabile. Infatti se cresce la coppia resistente
e se perciò diminuisce m, cresce pP, cresce cioè anche la coppia motrice K fino a
diventare uguale al nuovo valore della coppia resistente. Se viceversa diminuisce
la coppia resistente e se perciò la velocità aumenta, diminuisce pP, ossia diminuisce
anche la coppia motrice K fino a ristabilire l’equilibrio.
; 1 Sa ;
Nel primo caso, quando n= , quando cioè 2rnL =r, si ha 003 09,
Nel secondo caso, quando n > # ossia quando 2rnL > », si ha 00, > 0g,
L
a
l'origine 0,, cade a destra di q. Allora per m=0 la coppia motrice K ha un va-
lore 0,Q minore del massimo qM. Se si fa crescere m a partire dal valor zero, K
comincia a crescere e raggiunge il valore massimo gM quando m= 0,qg= 0,0 —
— 0q=n — “n Dopo di ciò, se m cresce ancora, K diminuisce fino ad annullarsi
per m=n ed a diventare negativo per m > n. Il funzionamento del motore è sta-
bile per m > 0;q, ossia per mn>n— perchè allora, come nel caso precedente,
INCANTA
21°
un aumento della coppia resistente, provocando una diminuzione di m, dà luogo
RA
271
il funzionamento del motore è instabile. Se infatti per un aumento della coppia
resistente si verifica una diminuzione di m, questa diminuzione dà luogo ad una
diminuzione della coppia motrice K e quindi ad una ulteriore diminuzione di m; e
questo effetto si riproduce e si moltiplica fino a tanto che il motore si riduce al
riposo.
ad una diminuzione di K, per cui si ristabilisce l’equilibrio. Ma per m n —
400 GALILEO FERRARIS
In tutti i casi K si riduce a zero per m="n e diventa negativo per m > w.
Ciò vuol dire che in ogni caso non si può far girare l'armatura con una frequenza
superiore a quella delle correnti, se non per mezzo di una coppia motrice applicata
dall’esterno all'albero, se non colla spesa di un lavoro. La coppia a ciò necessaria
ha il momento massimo g'M' quando
m = 00 +09 — 0,0 |'0g = LC
Nel secondo caso or ora considerato, quando cioè 2rnL > r, può accadere (e
accade comunemente quando n è grande) che il valore 0,Q di K corrispondente ad
m="0 sia insufficiente per l'avviamento del motore. Allora si può aiutare l’avvia-
mento inserendo nel circuito dell'armatura una resistenza non induttiva, facendo cioè
crescere r senza aumentare L. Infatti il valore K, di K che la formola (2) dà per
m= 0, valore che si può scrivere:
47T2n2L2 ?
Ù r
K, = aNBese
+
è massimo per r= 2mnL; e perciò, finchè r è minore di 2mnL, esso cresce col cre-
scere di r. L'efficacia di questo artifizio per accrescere K, nel momento della messa
in marcia è tanto maggiore quanto più è grande la frequenza » delle correnti ado-
perate; ed è precisamente nel caso di grandi frequenze che esso può essere neces-
sario. Il motore può avviarsi da sè, senza speciali provvedimenti, ed ha un funzio-
namento più stabile quando la frequenza x è piccola.
18. Armatura chiusa posta in un campo magnetico alternativo. Motori
asincroni monofasi. — Si immagini ora che la stessa armatura già considerata
all’art. 15 sia collocata, non più in un campo magnetico rotante, ma in un campo
magnetico alternativo di direzione fissa; ciò che allora ha da accadere si può facil-
mente dedurre dalle cose or ora dette.
Il campo magnetico alternativo equivale a due campi rotanti in direzioni op-
poste; similmente le correnti indotte nell’armatura equivalgono a due magneti ro-
tanti in direzioni opposte; sull’armatura agisce adunque una coppia uguale alla
risultante di quelle esercitate dai due campi sui due magneti rotanti. Ma per le .
cose dette all'art. 12, caso 3°, i valori medii delle coppie prodotte da ciascuno dei
campi sul magnete rotante nel verso opposto sono uguali a zero, dunque il valore
medio del momento della coppia risultante totale agente sull’armatura è semplice-
mente uguale alla differenza tra quello della coppia che il campo rotante verso
destra esercita sul magnete rotante verso destra, e quello della coppia che il
campo rotante a sinistra produce sul magnete rotante verso sinistra. Detti K, e K,
i momenti di queste due coppie, e detto K il momento della coppia risultante agente
sull’armatura, preso come positivo quando la coppia è diretta verso la destra, si ha
K — K, Tar K,. (3)
Le coppie K, e K, si calcolano colla formola (1) dell'art. 16. Si deve a quest’uopo
ritenere che B rappresenti il valore della induzione magnetica in ciascuno dei due
campi rotanti in cui si è scomposto il campo alternativo dato, si deve cioè ritenere che.
il valore massimo dell’induzione magnetica in quest’ultimo sia rappresentato con 2B.
UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 40]
Si devono poi sostituire nella formola, alla frequenza « del moto relativo, succes-
sivamente i valori v, ed «, corrispondenti ai moti che i due campi rotanti hanno
relativamente all’armatura. Ora se si suppone che l'armatura ruoti verso destra con
una frequenza m, e se si rappresenta con n la frequenza del campo magnetico al-
ternativo, si ha
un — Mm, unt m;
dunque
ide Tp2 92 ram)
Res=*tNB?S CORVI SEO AIN (4)
SE 202 r(n+ m)
K, = aNB?S REA ei (5)
e quindi
Ke NB2S27 Matti Mag SU n m
RE, _rt + 472L° (nm) 3 + 4r2L°(n4+m)
Le linee, che rappresentano le relazioni tra K,, K., K e la frequenza wm della
rotazione dell'armatura, si possono ricavare subito dalla C,0 C, che nella fig. 14
rappresenta l'equazione (1):
La €, 0 €, è riprodotta e segnata colle stesse lettere nella fig. 15, ove, come
nella 14, il punto O è l'origine delle v ed il punto 0}, alla distanza 00,=% da 0,
è l'origine delle m.
Si prenda (fig. 15) O, p, = 0 pg="m, e si tirino le corrispondenti ordinate p, P,
€ po Pa; si ha subito: Op, = 00, — p;0,=n—m ed Op, = 00, + Op, =n+4- m.
Y LAI
| U,
b7
A
TI
x o//i 42) 0 P
era |--——- m-------2! e
(ep n= tenre >e----- Wire >
Ki (EEA FE NI CSA IA E
sE
Fig. 15.
Dunque le ordinate p,P) e p, Ps rappresentano rispettivamente K, e K,. Per avere K
basta sottrarre p,P, da p,P,. Se si prende su p; P; il segmento P;-P= p,P,, il rima-
nente segmento p, P_rappresenta K, ed il punto P_è un punto della curva che dà K
in funzione di m, riferita agli assi coordinati 0,X ed O; Y,.
Quale debba essere l'andamento della linea K si vede anche più chiaramente
se si disegna in QP,C, la linea simmetrica, rispetto all’asse 0,Y,, alla porzione
QP,C, della C,0 C,. Allora il valore di K corrispondente al valore 0, p, di w risulta
i rappresentato dal segmento PP, compreso fra le due linee QP,C, e QP,0,. A questo
| segmento è uguale, per la linea K, l’ordinata p, P corrispondente all’ascissa m=0p,.
Pi L'esame della curva K mette in chiaro le principali proprietà del motore. Il
momento K della coppia agente sull’armatura è nullo quando m = 0, ossia quando
Serle II. Tox. XLIV. A}
402 GALILEO FERRARIS
l'armatura è in riposo; ma se questa gira, subito K prende valori diversi da zero,
e se la frequenza m della rotazione non supera il valore rappresentato in figura con
O, A, esso è positivo, ossia la coppia ha il verso stesso della rotazione, è una coppia
motrice. Se, partendo dal riposo, l'armatura prende velocità crescenti, la coppia, nulla
da principio, va crescendo anch'essa fino ad un massimo, raggiunto il quale, se mm
seguita a crescere, essa diminuisce rapidamente, e si riduce di nuovo a zero quando
m raggiunge un determinato valore 0,A alquanto inferiore ad ». Pei valori di m
maggiori di O,A la coppia K diventa e rimane sempre negativa, ossia essa è opposta
alla rotazione, è una coppia resistente.
Il tratto discendente MM' della curva corrisponde ad un funzionamento sta-
bile del motore. Infatti se mentre l'armatura gira colla frequenza m=0;p; e colla
coppia motrice p,P, la coppia resistente viene ad aumentare alquanto e diventa mag-
giore di p;jP, la velocità dell'armatura diminuisce, 0;p, diminuisce, e cresce la coppia
motrice pjP fino a ristabilire l'equilibrio. Se similmente la coppia resistente viene a
diminuire, l'armatura si accelera, p, si sposta verso sinistra e la coppia motrice pjP
diminuisce anch'essa.
Invece il funzionamento non è stabile pel tratto ascendente 0,M della linea, ossia
per valori di m minori di quello a cui corrisponde il massimo della coppia motrice.
Allora infatti una diminuzione di velocità dovuta ad un eccesso della coppia resistente
sulla coppia motrice provoca una diminuzione di quest’ultima e quindi una ulteriore
diminuzione di velocità, la quale si moltiplica e si continua fino a che l'armatura si
ferma completamente. i
Il tratto discendente della linea K, pel quale si ha un funzionamento stabile,
ha una pendenza di poco inferiore a quella della vicina linea C,0C,, e la pendenza
tNB?S°
U
di questa nel punto O (art. 16) è uguale a Similmente il punto massimo
della linea K dista assai poco da quello della linea €00, l’ascissa del quale è
n + "a (art. 16). Dunque se è piccola la resistenza r, il tratto utile della linea K
ha una grande pendenza, e, se non è piccolissima l’induttanza L, i valori di m ad
esso corrispondenti sono compresi fra limiti l’uno all’altro molto vicini. Ciò accade
appunto spesso nella pratica: il motore è bensì asincrono, ma i limiti fra i quali la
velocità può variare compatibilmente colla stabilità del funzionamento sono spesso
molto ristretti.
La linea QP, 0C, (fig. 15) è quella che rappresenterebbe la relazione tra la
coppia motrice e la velocità quando l’ armatura, invece di essere.collocata in un
campo alternativo ove l’induzione magnetica ha il valore massimo 2B, fosse collo-
cata in un semplice campo magnetico rotante, ove l’induzione avesse il valore co-
stante B. Perciò la fig. 15 mette in chiaro le analogie e le differenze che esistono
tra le proprietà di un motore asincrono a campo alternativo e quelle di un motore
a campo rotante.
Se n non è molto piccolo, e se la resistenza » dell'armatura è, come di solito,
assai piccola, le due linee QP}0C, e O,KPAK, corrono vicinissime l’una all’altra
per tutti i valori di m superiori a quelli pei quali i motori cominciano ad avere un
funzionamento stabile. Dunque per tutte le velocità compatibili con un funzionamento
stabile il motore monofase si comporta approssimativamente come il motore a campo
UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 403
rotante; solamente la coppia motrice è in esso alcun poco più piccola e si annulla
per un valore di m alcun poco minore di n. Le due linee si scostano invece note-
volmente l’una dall’altra nelle parti corrispondenti alle velocità minori; e la diffe-
renza caratteristica che da ciò deriva è che per m —=0 il momento della coppia
motrice, che nel motore a campo rotante può avere un valore 0,Q anche notevole,
è nullo nel motore monofase: il motore a campo rotante può avviarsi da sè, il mo-
nofase non lo può.
L'espressione (6) della coppia motrice di un motore monofase si può trovare
facilmente anche senza ricorrere al nostro metodo di trattazione de’ vettori alter-
nativi; essa fu infatti dimostrata dal Dr. J. SAHULKA direttamente con procedimento
puramente algebrico (1), ed è notissima. Ma l’esservi arrivati col nostro metodo
giova alla intelligenza delle ragioni fisiche dei fatti, e mette in evidenza le relazioni
che esistono tra un motore a campo alternativo ed uno a campo rotante. Un motore
a campo alternativo si presenta come un motore a campo rotante differenziale ; le
sue proprietà si derivano direttamente da quelle dei motori a campo rotante.
19. — Imoltre varie considerazioni si presentano, le quali sarebbero meno ovvie
colla trattazione analitica ordinaria.
Una di queste si riferisce alla natura delle correnti nell’armatura ed alle rea-
zioni di esse sull’induttore. Le correnti dell'armatura equivalgono, come abbiamo
dimostrato, a due magneti rotanti in versi opposti. I vettori che rappresentano questi
magneti girano nello spazio con velocità angolari uguali e precisamente colla fre-
quenza » del campo magnetico alternativo; essi adunque (art. 4, 4) equivalgono al
sistema di un vettore rotante e di un vettore alternativo. Ciò vuol dire che le cor-
renti indotte nell’armatura producono nello spazio un flusso di induzione magnetica,
il quale si può considerare come risultante dalla sovrapposizione di due flussi, uno
di valore costante e di direzione rotante e l’altro di valore alternativo e di dire-
| zione fissa. Consideriamo l’uno dopo l’altro questi due flussi.
Flusso rotante. — Il flusso rotante è proporzionale alla differenza tra i valori
assoluti dei vettori che rappresentano i due magneti rotanti equivalenti alle correnti
dell'armatura (art. 4, 3). Perciò esso è proporzionale ad
GA ate
ove con y; e con yy si rappresentino i valori assoluti, corrispondenti ad
u=n—m ead u=n+m,
della funzione y di v data dalla formola
U
dui Vi + inte L?
Per farsi un’idea del modo di variarie di esso in funzione di m basta conside-
rare l'andamento di y. Ora y ha valori assoluti uguali per wu e per — v, è uguale
i (1) J. Sanutga, Theorie der Thomson'schen (Brown'schen) Motoren firm gewòhnlichen Wechselstrom.
‘ Elektrotechnische Zeitschrift , — Berlin, 7 Juli 18983, pag. 391.
404 GALILEO FERRARIS
a zero per u= 0, cresce col crescere di u e per u = =00 tende assintoticamente
verso il valore limite 9 Se adunque (fig. 16) si prendono come ascisse i valori
di u e come ordinate i valori assoluti di y, e se si prende come origine il punto 0
e come direzione positiva dell'asse delle u la OX', si trova la linea F, OF, che ha
per assintoto la retta LL parallela all’asse delle ascisse. Per trovare y — yg Si
prendano 0 0, = # ed 0, p; = 01p, = #; risultano 0 p, = n — m, Op,=" n + m, quindi
le ordinate p, Pj e po Po rappresentano y, ed y, e si ha subito y, — yo="p1 Pi —
po Pa = — (pa Po —piP).
Il modo di variare di questa differenza apparisce chiaro se si disegna in QP,M la
linea simmetrica rispetto ad 0, Y, alla QP,F,. Allora si ha yy — ya=—PiPo. Si può,
se si vuole, prendere questa lunghezza come ordinata, e così si trova, che prendendo
come origine il punto 0,, come asse delle ordinate la retta 0; Y, e come direzione posi-
tiva dell'asse delle ascisse la 0, X, y1—y, è rappresentata in funzione di m dalla
curva 0, PMN.
Il segno (—) del valore trovato derivante dall’essere p, P, > p1P dice che il.
flusso considerato ruota verso la sinistra, ossia in direzione opposta al movimento
dell'armatura. Ora questo flusso che ruota verso la sinistra, produce nel metallo
della parte fissa della macchina correnti indotte sulle quali poi esso esercita forze
tendenti a trascinarle nella propria rotazione, verso la sinistra. Dunque viceversa le
correnti indotte nella parte fissa della macchina sollecitano l'armatura a girare verso
la destra, nel verso cioè nel quale essa già si muove. Quindi risulta che il flusso
rotante dovuto alle correnti nell’armatura provoca correnti indotte, le quali aiutano
la rotazione e dànno luogo ad una coppia, che si aggiunge alla coppia principale di
cui si è parlato nell’articolo precedente. i
Il valore della coppia dovuta alle correnti indotte varia col variare di m e cresce
col crescere dell’ordinata p, P della linea 0, MN. Essa è nulla per n= 0 e massima
per m==n. In grazia di essa la coppia totale agente sull’armatura invece di annul-
larsi perm=0; A (fig. 15), non si annulla se non per un valore alcun poco più
grande, più vicino ad n.
Flusso alternativo. — Il vettore alternativo risultante dalla composizione di due
vettori rotatorii di versi opposti ha una ampiezza uguale al doppio del più piccolo
fra i due vettori componenti (art. 4). Perciò il flusso alternativo è proporzionale @
n M
Vi + ARL (n mt
Ksso può essere nullo solamente per m= n.
0 eran e -—_
LENTA POLARIZZABILITA DEL DIBLETTRIG
LA SETA COME DIELETTRICO
NELLA
COSTRUZIONE DEI CONDENSATORI
MEMORIA
dell’Imgegnere
LUIGI LOMBARBI
Approvata nell’Adunanza del 3 Dicembre 1893
Delle sostanze dielettriche in genere, e particolarmente di molte sostanze orga-
niche le quali più spesso si adoperano come isolanti, così negli apparecchi più delicati
di laboratorio come in quelli più grandiosi di trasmissione d’energia, le proprietà
sono pochissimo conosciute per ora, sebbene il loro studio interessi da vicino molti
problemi importanti della scienza della Elettricità. Questa Memoria ha per oggetto,
come modesto contributo a quello studio più vasto, l'esame di alcune di quelle pro-
prietà e di alcuni fenomeni di polarizzazione dielettrica , oltrechè lo studio della
applicabilità della seta come dielettrico nei condensatori.
Tale esame e tale studio furono da me intrapresi nei primi mesi di quest'anno
presso il Politecnico di Zurigo per consiglio del Prof. Dott. H. F. Weber, a cui, per
la guida illuminata e cortesissima, e pel soccorso potente dei mezzi del suo splendido
laboratorio, in questo come in tutti gli altri miei piccoli lavori ivi eseguiti, mi è
primo e caro dovere attestare qui la più viva riconoscenza.
1. — Polarizzabilità lenta di alcuni dielettrici.
Era stato constatato che spirali bifilari, quali si trovano comunemente avvolte
per scopi di misura e per applicazioni di laboratorio, presentano una capacità
elettrostatica notevole, in molti casi superiore di gran lunga a quella che i rapporti
di superficie e distanza d’armature farebbero prevedere. Il fatto che la quantità di
elettricità che ivi si poteva immagazzinare cresceva marcatamente colla durata di
carica, e che la resistenza apparente, determinata colla misura diretta della corrente
406 LUIGI LOMBARDI
prodottavi da una nota forza elettromotrice, o mediante la perdita di carica elettro-
statica, andava col tempo lungamente crescendo, si accordava coll’aumento di carica
e di resistenza apparente che è notissimo nelle misure presso i cavi e che inter-
viene per quasi tutti i coibenti. Si suol dire che questi si vanno per azione delle
forze elettrostatiche polarizzando; ma la definizione del fenomeno non dice molto
sulla natura intima di esso, e sulle cause che lo producono.
Di un condensatore a dielettrico lentamente polarizzabile varia col tempo la
carica, che si suol misurare mediante la prima elongazione di scarica attraverso
un galvanometro balistico, siffattamente che questa è funzione non solo della durata
di carica che l’ha immediatamente preceduta, ma di tutti i processi di carica e sca-
rica a cui il sistema fu assoggettato in tempi prossimi a quello d’osservazione. Con
serie sistematiche di cariche a durata regolarmente crescente e decrescente si pos-
sono far percorrere al sistema dei cicli di polarizzazione elettrica che hanno quasi
tutti i caratteri dei cicli di na magnetica. Più tardi saranno resi più
chiari alcuni elementi di questa analogia. Come nelle sostanze magnetiche la lenta
polarizzabilità origina la parte di magnetismo residuo che col tempo va gradatamente
scomparendo, così la lenta polarizzabilità dei dielettrici dà luogo ai fenomeni di carica
residua, pei quali non si è ancora formulata una legge precisa.
Nelle spirali bifilari che s'erano sperimentate qui l'isolamento tra i fili era un
comune avvolgimento di cotone o di seta, ed in alcune spirali maggiori di sostanza
organica analoga impregnata di materia isolante. In queste condizioni è chiaro che
il coibente non è affatto preservato dal contatto coll’aria esterna, e perchè questa
circola abbondantemente negli interstizi della massa, che è quasi sempre molto igro-
scopica, ne rende le proprietà eminentemente variabili. Per uno studio sistematico
delle proprietà che a noi interessavano non si poteva ad altro ricorrere che ad un
vero condensatore, e questo fu costrutto sul tipo dei condensatori comuni con arma-
ture rettangolari di stagnola, isolandole con fogli di seta. La seta tra le sostanze
organiche si presentava specialmente opportuna, sia per la facilità di ottenerla dal
commercio pura ed a tipo costante; sia perchè di essa è noto il grande potere iso-
lante, e furono per le sue più frequenti applicazioni meglio studiate le proprietà
fisiche ed elastiche, delle quali il diretto confronto colle proprietà dielettriche pareva
specialmente degno di nota.
2. — Un condensatore a seta: costante del dielettrico.
Il primo condensatore fu costrutto con 20 armature di stagnola di superficie
S= 28 X 28 cm, alternate con fogli di stoffa di seta, leggermente giallognola, così
detta seta cruda del commercio, ricevuta direttamente dalla fabbrica, e non altri-
menti essiccata che mediante una leggera soppressatura con ferro caldo per eliminarne
le increspature; nessuna cura particolare fu presa parimenti per seccare la stagnola,
ricavata da fogli soliti arrotolati. |
Per avere una idea dell’ordine di grandezza della costante di questo dielettrico,
sebbene esso in pratica non possa adoperarsi se non in condizioni analoghe alle
attuali cioè in presenza di una quantità variabile di aria, la capacità fu esattamente
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 407
determinata nelle circostanze ove la seta era allo stato naturale, e dove la sovrap-
posizione accurata dei fogli di armatura permetteva di ritenerne utilizzata tutta la
superficie. La distanza di questi, che dipendeva naturalmente dalla pressione, fu de-
finita dalla media di parecchie misure di spessore eseguite con una vite microme-
trica sopra un piccolo sistema di fogli di stagnola e di seta, alternati come nel
condensatore, e sotto un peso proporzionalmente paragonabile. Lo spessore di un foglio
di seta solo tra due superficie levigate darebbe una dimensione troppo grande; quello
di molti fogli di seta semplicemente sovrapposti e compressi ne darebbe una troppo
piccola, perchè i fogli di stagnola si adattano, ma solo in parte, alle piccole sinuosità
della stoffa. La distanza media delle superficie di armatura era pertanto d4=0.131 mm.;
la capacità 0.133 mF: onde, dicendo u la costante del dielettrico costituito dalla
mescolanza di sostanza solida delia seta e gasosa dell’ aria e delle tracce di vapor
acqueo presenti, era
__ 0.133 X 105 X 9 Xx 10% X 47 X 0.0181
28 X 28 X 19 1.32,
u
esprimendo in unità elettrostatiche la capacità misurata in microfarad e definita dalla
formola
DS
4qTd
Cop
che vale per condensatori a facce piane e superficie indefinita.
Essendo l’energia immagazzinata in un condensatore, a parità di forza elettro-
statica, proporzionale al volume del dielettrico, la costante u' della parte solida del
dielettrico si deduce con una relazione semplice di proporzionalità. Se cioè la frazione
percentuale del volume totale da questa occupata è x,
bien)
ritenendo la costante della parte gasosa eguale all’unità.
Per determinare x, non potendosi applicare i metodi più elementari di misura
del volume specifico per immersione, perchè sarebbe difficilissimo espellere dalla massa
tutta l’aria, non può ricorrersi razionalmente che alla variazione di volume di una
nota massa gasosa in recipiente chiuso, in presenza della sostanza porosa, sotto
pressione diversa.
i Le osservazioni furono fatte con un volumenometro a ciò costruito, consistente
in un tubo manometrico graduato, di alcuni centimetri di diametro, dove pezzi di
stoffa di parecchi decimetri quadrati potevano essere introdotti dalla parte superiore,
chiusa a vite ermeticamente; alla parte inferiore si raccorda un tubo d’unione flessi-
bile con una vaschetta che si può spostare lungo un’asta verticale. L'apparecchio è
parzialmente riempito di mercurio, mentre una chiavetta superiore permette la
circolazione dell’aria. Chiusa quella, la pressione può variarsi spostando la vaschetta
tra limiti relativamente estesi, e misurarsi con grande approssimazione leggendo le
differenze di livello col catetometro a meno di pochi centesimi di millimetro; la pres-
408 "LUIGI LOMBARDI
sione esterna è letta nello stesso luogo all’atto di ogni osservazione. La calibrazione
del tubo per unità di lunghezza si può fare facilmente capovolgendolo e pesando il
mercurio che effluisce dalla chiavetta per abbassamenti esattamente misurati di
livello. Però la verifica dello zero della scala non può essere fatta così pesando l’ul-
tima parte della colonna di mercurio, poichè oltre che della capacità della chiavetta
occorre tener conto dello spazio che il mercurio lascia libero per l’incurvarsi del
menisco sotto il piano orizzontale tangente nel vertice: a questo corrisponde un peso
che sarebbe due volte da sommare all’ ultima pesata. Si deve dunque cercare lo
zero della scala, se i volumi si esprimono in altezze, applicando ancora la legge di
Mariotte ad una quantità d’aria isolata nell’ apparecchio senza introdurvi corpi
estranei. Le due determinazioni fatte con molta cura potrebbero definire con molta
approssimazione il volume rimasto libero per effetto della capillarità sotto il piano
di livello superiore.
Detta H l'altezza della colonna barometrica; % la differenza di livello del mer-
curio letta al catetometro; V l'altezza libera del tubo manometrico, cioè quella cor-
rispondente allo spazio d’aria, e riferita alla scala del tubo sebbene letta col cateto-
metro; detta v finalmente la correzione dello zero, ed « l'altezza corrispondente al
volume occupato dalla seta, quella è definita dalla equazione
Varo, tane
VA o © H4+%?
questa dalla
NI ee HAI
Vigna ni
dove & ed 4" possono scegliersi eguali a zero lasciando stabilirsi il mercurio allo
stesso livello coll’aprire la chiavetta. In ogni caso la sopraelevazione del mercurio
nel tubo manometrico dovuta alla capillarità non eccede 1 o 2 centesimi di millimetro.
Il volume corrispondente ad 1 cm? di stoffa di seta fu trovato così essere
0.0065 cm, cioè nel condensatore il volume del dielettrico essere occupato dalla
. È 0.0065 K ; ;
sostanza solida per una porzione eguale a "0.060 che è con molta approssimazione
la metà. Evidentemente la costante dielettrica della seta risulta così 1.64; e se
questo è un valore medio per una simile sostanza, può sempre aversi una idea della
costante del dielettrico in condizioni analoghe quando sia variata colla pressione la
distanza delle armature, che può essere di molto ridotta. È però verosimile che le
qualità diverse di seta possano avere costanti diverse non meno dei dielettrici comuni,
essendone la struttura complessissima; ed è inoltre certo che la costante è largamente
modificata dalla presenza di acqua condensata, avendo questa allo stato liquido un
potere induttore specifico elevatissimo.
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 409
3. — Influenza dell’umidità sulle proprietà del dielettrico.
È facile vedere come per la presenza dell’acqua si modifichino svantaggiosamente
le proprietà del condensatore. Si verifica difatti in parte, quando nel dielettrico è
acqua condensata, il fenomeno che ha luogo quando in un liquido sono immerse due
lastre od elettrodi: la quantità di elettricità che ad esse si può condurre mediante
una data forza elettromotrice cresce notevolmente rispetto quella che basterebbe a
caricare allo stesso potenziale il sistema delle due armature isolate, pur prescindendo
dalla possibilità che succeda del liquido una scomposizione elettrolitica, la quale non
permetterebbe più alcun confronto cogli elementi di una capacità elettrostatica. Il
liquido si polarizza; e questa polarizzazione, che nella ipotesi di Grotthus è il 1° feno-
meno della elettrolisi, consiste verosimilmente in un orientamento speciale delle mole-
cole liquide in modo che gli elementi elettropositivi ed elettronegativi rispettivamente
si volgano agli elettrodi caricati di elettricità opposta, per azione delle forze elettro-
statiche. Ora è chiaro che questo orientarsi delle molecole, che devono rotare attorno ai
loro centri di gravità e vincere le resistenze d’attrito originate dalle forze di coesione,
non può succedere istantaneamente, ma occorre un certo tempo perchè il più gran
numero di molecole abbia presa la nuova posizione di equilibrio. Non altrimenti nel
condensatore occorre un certo tempo perchè la carica sia completa, poichè 1’ orien-
tarsi nel campo di particelle che noi consideriamo caricate di elettricità opposte,
nella direzione in cui le forze elettrostatiche le sollecitano, ha per effetto di dimi-
nuire in ogni punto il potenziale, cioè di crescere la capacità elettrostatica. Il tempo
totale di carica e la carica stessa dipendono dunque dalla quantità di liquido pola-
rizzabile condensato; perchè la presenza di un vapore secco non altera sensibilmente
l'uno e l’altra, avendo i gas in genere una costante vicinissima ad 1 ed una pola-
rizzabilità quasi istantanea.
Nel caso dei dielettrici comuni è sempre molto difficile eliminare ogni traccia
di acqua condensata; difficilissimo per sostanze a struttura porosa o filiforme, quale
era la seta, di cui potevasi dunque presumere che, senza precauzioni speciali, si sa-
rebbero le proprietà mostrate imperfette e variabili col tempo.
Effettivamente, essendosi conservato il sistema isolato tra due fogli di ebanite
sotto pressione notevole, ma senza protezione contro l’aria esterna, le variazioni si
resero in giorni e settimane successive molto sensibili, come dimostrano i risultati
seguenti di osservazioni fatte senza che il condensatore fosse stato menomamente
rimosso dal posto. È detta è' la 1* elongazione di scarica letta al galvanometro
balistico dopo una carica momentanea; è' la massima elongazione ottenibile prolun-
gando gradatamente la durata di carica con un elemento Clark (1); c è la capacità
in microfarad data dal confronto di questa elongazione colla massima ottenibile sca-
ricando nelle identiche condizioni un condensatore normale caricato allo stesso poten-
ziale; dA è la massima variazione percentuale di elongazione o di capacità apparente:
(1) L'ordine diverso di grandezza di queste elongazioni dipende naturalmente dalla diversa sen-
sibilità a cui il galvanometro era disposto nel corso di altre misure.
Serie II. Tom. XLIV. B°
410 LUIGI LOMBARDI
Data d’osservazione Ò' è” Ad È
17 gennaio 144.0 149.0 3:38, %o 0.132
18 Hi 140.6 146.0 OG 0.134
7 febbraio 211.5 224.0 5.6 %o 0.137
9 fo 161.6 170.8 5.4 %o 0.137
18 A 161.2 173.1 659200 0.137
19 H 246.7 269.0 8.3 °/o 0.137
22 1; 129.0 208.8 38.2 %/o 0.158
Evidentemente l’ultima enorme variazione improvvisamente intervenuta, e ricon-
fermata da varie osservazioni nello stesso giorno e nei seguenti, accusa la presenza
di una quantità di acqua notevole, od assorbita dall’aria eccessivamente umida esterna,
o sfuggita alla condotta vicina di vapore pel riscaldamento. Essendo impossibile di
continuare così le misure il condensatore fu dunque rimosso e artificialmente seccato.
Non essendo una prova fatta tenendo parecchi giorni il sistema in un piccolo
spazio chiuso, in presenza di acido fosforico anidro, riuscita ad abbassare la massima
variazione di carica sotto il 20 °/, si dovette smontare il condensatore per ottenere
dei singoli pezzi di stoffa e di stagnola un essiccamento migliore. Perciò questi furono
lungamente esposti al sole, e quelli tenuti parecchie ore sotto la campana della mac-
china pneumatica a pressione di pochi millimetri di mercurio ed in presenza di acido
fosforico. La variazione massima era tornata dopo ciò a circa 6 °/,; la capacità ad
un valore dello stesso ordine dei primi qui riferiti, ma non direttamente confronta-
bile con essi non essendosi curata la sovrapposizione dei fogli di armatura esatta-
tamente nelle condizioni precedenti.
Dei risultati di gran lunga migliori si ebbero però seccando tutti i pezzi d’ar-
matura e d’isolante ad alta temperatura, al quale artificio non s'era voluto ricorrere
prima d’aver esauriti gli altri mezzi che potevano applicarsi con sicurezza maggiore
di non alterare le proprietà fisiche ed elastiche della seta.
Ma di questo si dirà dopo aver accennato ad alcune altre osservazioni eseguite nei
primi giorni dopo la costruzione del condensatore, durante i quali le proprietà della
seta naturale s'erano conservate più costanti. E prima di tutto converrà ricordare
la forma generale della curva di carica, la quale si conserva la stessa in tutti i
casi detti sopra, salvo a presentare una curvatura ed una differenza di ordinate
estreme diversa.
I tempi presi come ascisse sono le durate di carica, sono ordinate le prime
elongazioni di scarica. Le due curve riferite qui e riprodotte nella tavola I (fig. 1 e 2)
si riferiscono alle osservazioni citate del 18 gennaio e del 18 febbraio :
{ |mom, dl 2 Re 00 202 8060 O0A
|
Il
Ì
|
(140.6 141.9 142.6 143.0 143.5 143.8 144.1 144.4 144.5 144.7 145.0 146.0 146.0!
=
ò
=
d""161.2 164.8 166.2 167.3 168.7 169.9 171.0 171.8 172.2 172.8 173.1 — coi
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 411
Il tempo dopo cui non è più apprezzabile una variazione della prima elonga-
zione di scarica non può naturalmente essere esattamente precisato, perchè la curva
si accosta asintoticamente alla sua tangente orizzontale, onde la quistione non è che
di sensibilità dei mezzi di osservazione. Del resto si vedrà che a quella valutazione
è assolutamente da dare poca importanza, non essendo quel massimo che un valore
relativo, apparente, della carica la quale continua a crescere per un tempo molto
più lungo.
4. — Proporzionalità della carica al potenziale.
La proprietà più importante di un condensatore è la proporzionalità della
carica al potenziale, scegliendo per questa una durata arbitraria, o tale dopo cui la
quantità di elettricità scaricantesi attraverso il galvanometro balistico non sia più
suscettibile di crescere. Perchè quella proporzionalità si possa verificare occorre
primieramente che il dielettrico abbia una resistenza convenientemente grande, indi-
pendente dalla forza elettrostatica a cui esso viene assoggettato, e dalla intensità
della corrente che lo può attraversare. Di più occorre che in esso procedano propor-
zionalmente al potenziale anche i fenomeni di polarizzazione, dai quali dipende una
parte notevole della capacità.
Quella proporzionalità si suole verificare in tutti i buoni condensatori da labo-
ratorio finchè la differenza di potenziale adoperata è contenuta tra limiti opportuni,
cui non suole eccedere l’uso comune degli apparecchi.
Pel condensatore a seta, a meno di differenze piccolissime comprese nei limiti
dell’approssimazione conseguibile nelle misure, quella proporzionalità fu verificata
in generale, successivamente descrivendo con potenziali diversi le curve di carica,
e constatando che le ordinate di queste sono alla differenza di potenziale proporzionali
anche per tempi brevissimi quando dal circuito di carica sia eliminata ogni resistenza
e selfinduzione troppo grande, atta ad introdurre nella carica ritardi secondarì.
Così con 1, 2,3 elementi Daniell preparati di fresco si ebbero prime elongazioni di
scarica dopo cariche di un millesimo di secondo ed un decimo di secondo:
t = 0".001 dI
DOVA d'
|
chi
oh)
>
eu, 1242 LIO
ARCI 130047 92
Il
E con carica di 10”, dopo cui la scarica è poco diversa in ogni caso dalla massima,
con un numero crescente da 1 a 6 di elementi Clark, dei quali prima si era verificata
la forza elettromotrice eguale a meno di uno per mille, si ebbero elongazioni
o = 00.5 140.9 211.2 282.1 353.4 423.0
dove lo scostamento massimo dalla legge di proporzionalità non arriva a 0,4 °/.
Naturalmente le deviazioni lette non possono essere confrontate senza essere
affette della correzione per dedurre dalla misura proporzionale di tang. 2 u, che si fa
sulla scala, quella di sen S che è misura relativa della quantità di elettricità scari-
412 LUIGI LOMBARDI
cantesi attraverso al galvanometro balistico e producente una prima deviazione «.
Ò
Se tang. 2u= Di sviluppando si trova
CI O O
Sato irpini gup topi api
dove è, sono le elongazioni lette, Dla distanza della scala allo specchio.
5. — Misura della resistenza del dielettrico
col metodo della perdita di carica.
Non è altrettanto semplice formarsi una idea esatta della resistenza di isola-
mento di un condensatore, come notoriamente non è facile eseguire una misura esatta
di una resistenza polarizzabile.
Ordinariamente si ha un criterio per giudicare della isolazione di un condensa-
tore caricandolo per un tempo determinato, in genere tanto a lungo che non cresca
ulteriormente la prima elongazione di scarica, e scaricandolo dopo tempi diversi ;
oppure misurando in corrispondenza con un elettrometro la differenza di potenziale
delle armature.
Se si ammette che il dielettrico possieda una resistenza ohmica R e che questa
sia indipendente dalla differenza di potenziale V, in modo che una corrente propor-
zionale ad essa lo attraversi in ogni istante, e nessun altro fenomeno avvenga per
cui masse elettriche possano essere disperse od assorbite, l'equazione differenziale della
diminuzione di carica o di potenziale
dà subito
È il metodo notissimo detto della perdita di carica, altrettanto utile per la misura di
capacità in valore assoluto, quando si lascino scaricare attraverso resistenze note,
come per la misura di resistenze grandissime, attraverso cui si scarichino capacità
note. Per la determinazione della resistenza di elettroliti il metodo ha il grandissimo
vantaggio che la corrente che li deve attaversare è piccolissima, onde la forza elet-
tromotrice di polarizzazione può essere trascurabile.
È però chiaro che le ipotesi su cui il metodo si fonda non sono in genere
verificate.
E primieramente la carica non è in ogni istante proporzionale alla differenza
di potenziale in tutti i casi dove il dielettrico si polarizza con una certa lentezza,
cosa che succede quasi sempre nella pratica, nè allora è legata tanto semplicemente
al potenziale la diminuzione della carica apparente. Qualunque sia la modificazione
dello stato molecolare che noi diciamo polarizzazione, è certo che in questa le mole-
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 413
cole presentano una energia diversa, e perciò a produrla occorse una spesa di lavoro
che le forze elettrostatiche hanno eseguito, e che i fenomeni di depolarizzazione ci
possono restituire in tutto od in parte. La spesa di lavoro si presenta sotto forma
di una quantità di elettricità che penetri nel dielettrico, e che è comunemente detta
carica assorbita. Ora questo assorbimento che, se le armature son legate in perma-
nenza alla pila, si fa a spese della forza elettromotrice di questa, se le armature
sono isolate continua a farsi a spese della loro differenza di potenziale, e della quan-
tità di elettricità che sopra di esse è distribuita. La differenza di potenziale e la
carica apparente diminuiscono dunque anche là dove il dielettrico abbia una resi-
stenza ohmica infinita; diminuiscono finchè il dielettrico sia polarizzato completamente,
cioè finchè l'equilibrio interno nuovo si sia stabilito tra le forze molecolari e le forze
elettrostatiche; e la quantità di energia che a ciò si è spesa è naturalmente variata
in ogni unità di tempo successiva, accostandosi asintoticamente ad un valore nullo.
Il fatto che si verifica in modo evidente nei condensatori, perchè ivi le scariche
residue ne attestano le conseguenze e ne possono dare la misura, avviene sempre dove
una porzione del circuito di una corrente sia costituita da una resistenza polarizzabile,
perchè anche qui esistono sempre due elettrodi, e tra essi, che sono ad una data
differenza di potenziale, esiste un campo elettrostatico. In tali condizioni il quoziente
della caduta di potenziale per la quantità di elettricità che nell'unità di tempo attra-
versa la superficie di confine degli elettrodi non ha nulla a che fare con una resi-
stenza nel significato ordinario della parola, e la definizione di resistenza che se ne
suol dare è assolutamente arbitraria: ed è arbitraria la misura che durante la fase
variabile della polarizzazione si può fare della resistenza d’isolamento qui come nel
caso dei cavi ed in tutti gli altri analoghi.
Una resistenza in condizioni esterne invariate non deve avere caratteri di varia-
bilità, e perciò negli esempi detti non può essere valutata che allo stato di regime:
ed allora veramente può essere definita come quoziente di una differenza di poten-
ziale per una corrente, quando questa nel tempo si conserva inalterata, sebbene
non si implichi con ciò la indipendenza del valore così definito dalla corrente o
dal potenziale, la quale può solo essere verificata dalla esperienza. Non altrimenti
assurdo sarebbe valutare la resistenza interna di un accumulatore dividendo la diffe-
renza di potenziale degli elettrodi alla carica per la corrente; salvo che qui noi
possiamo sempre determinare, interrompendo istantaneamente la corrente, la forza
elettromotrice dovuta al lavoro di scomposizione chimica che tra gli elettrodi si
è eseguito, od al lavoro che le forze di affinità chimica tendono a fare. Nel caso
di un dielettrico la modificazione è solamente fisica, verosimilmente non riguarda
che il raggruppamento delle molecole; ma noi non possiamo impedire che essa si
compia a spese della energia data alle armature, e, finchè essa dura, se l’energia da
essa consumata non ci è nota per esperienze precedenti, non possiamo distinguerla da
quella che si trasforma in calore per la conduttività del mezzo, per la legge di Joule.
Se una conduttività nel dielettrico esiste, e questo si verifica sempre, non
sì può nemmeno pensare di prolungare tanto la carica che la polarizzazione sia
completa, per determinare poi le perdite di carica come differenza delle prime
elongazioni di scarica dopo tempi diversi di isolamento, poichè l’equilibrio delle
molecole dipendendo in ogni istante dalla forza elettrostatica attuale è continua-
414 LUIGI LOMBARDI
mente variato al diminuire la carica per le correnti di conduzione. Ora le mole-
cole riavvicinandosi all'equilibrio primitivo, ch’esse avevano nel dielettrico non pola-
rizzato, restituiscono una parte dell’energia che per la loro polarizzazione s'era spesa,
dovendo essere l’energia immagazzinata, che è la misura per noi della polarizzazione,
proporzionata in ogni istante all’intensità attuale del campo. Così le armature mo-
strano una differenza di potenziale in tempi successivi maggiore di quella che esse
avrebbero conservata se i soli fenomeni di conduzione si fossero verificati. Solamente
nel caso che nessuna conduzione o dispersione elettrica avvenisse la polarizzazione
non originerebbe fenomeni secondarî quando fosse completa; ma allora la differenza
di potenziale si conserverebbe indefinitamente identica.
I fenomeni di scariche residue non sono che quelli ora accennati nel caso in cui
le armature siano state una volta scaricate; essi consistono cioè nello scaricarsi della
quantità di elettricità che s'è venuta di nuovo accumulando sulle armature, in esse
sviluppando una differenza di potenziale dopo che quella prima esistente s’ era una
volta ridotta a zero. La nuova differenza di potenziale va dunque crescendo; però non
indefinitamente, nè finchè tutta la massa elettrica assorbita dal dielettrico sia stata
restituita alle armature, perchè evidentemente, per il potenziale crescente, cresce la
forza nel campo elettrostatico, e quando essa fa equilibrio alle forze molecolari che
sono venute gradatamente prevalendo si è in una nuova condizione di regime, che,
se non intervenisse la conduzione o dispersione dell’energia per isolamento imperfetto,
non avrebbe nessun motivo di variare col tempo.
In pratica la quantità di elettricità che dopo la 1 scarica resta immagazzinata
nel sistema suol essere una frazione piccola della quantità totale che si era data,
onde è piccola la differenza massima di potenziale che essa basterebbe a sviluppare
di nuovo, e questo massimo non sarebbe raggiunto prima di un tempo notevole,
avvenendo i fenomeni di depolarizzazione come quelli di polarizzazione sempre
lentamente. Perciò la scarica secondaria che si ricava dopo la scarica principale
suole mostrarsi tanto maggiore quanto maggiore è il tempo che nei limiti ordi-
nari di osservazione si lascia precedere ad essa. Se poi la scarica secondaria si
misura colla deviazione del galvanometro balistico, non si trova quasi mai minore
sensibilmente della somma di scariche che si sarebbero potute avere chiudendo nello
stesso intervallo di tempo le armature parecchie volte in corto circuito; ma è evi-
dente che là la depolarizzazione ha dovuto essere meno intensa.
Il caso più comune è quello in cui la carica del condensatore non sia stata pro-
lungata fino a polarizzazione completa, cioè non abbia raggiunto il suo massimo valore
totale. Allora la curva che si vuol rilevare per avere una idea della isolazione, cioè
la curva della scarica primaria diminuente al crescere della durata di isolamento, pre-
senta un carattere generale che la allontana dalla forma teorica. Essa cioè si abbassa
nei primi istanti più rapidamente, ove una parte della carica dalle armature penetra
ancora nel coibente; poi acquista per un certo tratto una curvatura sensibilmente
normale, cioè conforme ad una legge logaritmica di decrescenza, là dove la polariz-
zazione che è andata crescendo finì per corrispondere alla intensità del campo che
venne decrescendo, dove cioè l’effetto della polarizzazione potè essere trascurabile
rispetto quello della conduzione. Però la curvatura non si conserva normale, perchè
decrescendo sempre la differenza di potenziale interviene la depolarizzazione a sopperire
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 415
in parte alla carica che le armature perdono per conduzione, e la curva si accosta di
più ad una orizzontale. Se le osservazioni si prolungassero più che per misure ordi-
narie non sì soglia, si arriverebbe verosimilmente ad un istante ove la curva quasi si
confonde colla, parallela all’asse delle ascisse, se la conduttività del mezzo è molto
piccola rispetto la sua polarizzabilità. In fatto naturalmente la curva continuerebbe
lentamente ad abbassarsi, perchè per conduzione finirebbe di esaurirsi tutta la carica
che nel dielettrico era immagazzinata. Evidentemente dalla curva di un fenomeno tanto
complesso, e diverso da quello ipotetico, è impossibile avere valori confrontabili delle
differenze di logaritmi in tempi successivi.
Se il metodo è applicato per la misura di una resistenza esterna al conden-
satore è chiaro che osservazioni analoghe valgono ancora, perchè i fenomeni di pola-
rizzazione e di conduzione interna avvengono sempre parallelamente a quelli di
conduzione esterna e contemporaneamente ad essi. Se la curva delle prime elonga-
zioni di scarica del condensatore solo, isolato durante tempi diversi, ci definisce quella
che può dirsi resistenza apparente interna, la curva delle elongazioni quando il con-
densatore è chiuso per tempi diversi sopra una resistenza esterna ci definisce la
risultante delle due resistenze in parallelo, apparente interna, ed esterna apparente
od ohmica secondo che anche qui intervengono o non fenomeni secondari di pola-
rizzazione.
Il metodo non perde nondimeno tutto il suo valore quando i fenomeni secondari
giuochino una parte non importante nel fenomeno principale; ma perchè è pratica-
mente impossibile che essi non abbiano un'influenza sui risultati, occorrerà portare a
questi una correzione corrispondente.
Se si misura cioè una resistenza esterna, rispetto la quale la apparente resistenza
interna del condensatore sia grandissima, come può verificarsi adoperando un buon
condensatore normale, non sarà irrazionale correggere semplicemente le prime elon-
gazioni di scarica lette di tanto quanto erano le perdite corrispondenti lette col
condensatore isolato. Rilevando successivamente e nelle identiche condizioni le due
curve, le differenze delle loro ordinate si possono cioè ritenere eguali alle perdite
di carica che sarebbero avvenute attraverso alla resistenza sola esterna, sebbene
questo non sia vero, essendo in ogni istante la differenza di potenziali sulle armature
minore del suo valore teorico, e minore la corrente di scarica attraverso la resi-
stenza esterna.
Che se si tratta di determinare la resistenza interna del condensatore, occorre
tener conto separatamente della energia spesa per la polarizzazione; e perchè questa
noi possiamo ricuperare con scariche successive, ci sarà lecito ricorrere ad una
‘correzione analoga alla precedente in analoghe condizioni, cioè quando i fenomeni di
polarizzabilità successiva non abbiano importanza grande rispetto quelli di condut-
tività. Naturalmente occorrerà prescindere dai primi tempi di isolazione, durante i
quali la polarizzazione si fa ancora più energica; poi bisognerà ad ogni somma di
scariche residue, rilevata dopo una fase qualunque di isolamento, sottrarre quella
avuta quando ad una carica eguale aveva tenuto dietro una scarica immediata,
perchè prima di questa il potenziale non aveva subìto alcuna variazione dal valore
normale. Però sarà molto più difficile che questa correzione sia fatta con l'esattezza
della prima, perchè le scariche residue non si possono ricavare che in tempi lunghi,
416 | LUIGI LOMBARDI
e la moltiplicità delle letture di deviazioni che vanno diminuendo fino a zero fa che
la loro somma non rappresenti quella di scariche successive che molto grossolana
mente. Più ancora, sarà impossibile che deviazioni del galvanometro si apprezzino
fino all'esaurimento completo della carica residua, e la parte che sarà trascurata
sarà tanto più grande quanto più a lungo il dielettrico è rimasto sotto l’azione delle
forze elettrostatiche. Della energia per correnti di conduzione dispersa nei tempi
successivi alla prima scarica non si ha modo di tener conto, ma certamente essa
è piccolissima perchè le differenze di potenziale qui sono molto deboli.
L'uso dell’elettrometro per misurare invece delle quantità di elettricità i potenziali
non sarebbe applicabile, non potendosi immaginare una correzione analoga alla detta.
6. — Misura diretta mediante l’intensità di corrente.
Da tutto ciò che s'è detto risulta che la misura della resistenza interna di un con-
densatore non può essere fatta col metodo della perdita di carica se non prolungando
la serie delle osservazioni per tempi lunghissimi, poichè dopo una carica di durata
appena notevole il dielettrico impiega a depolarizzarsi completamente un tempo dello
stesso ordine di grandezza di quello che si richiederebbe per la sua polarizzazione
perfetta, ed, eccetto pochi dielettrici ottimi, quel tempo raggiunge sempre un numero
d’ore che molte volte non è espresso con poche unità.
Ma in queste condizioni è evidentemente più razionale, se la resistenza non
abbia un valore immensamente grande, e se si possieda un galvanometro convenien-
temente sensibile, misurarla col metodo diretto per mezzo della corrente che una
forza elettromotrice nota manda attraverso ad essa allo stato di regime, di polariz-
zazione completa. Siccome i più perfezionati galvanometri moderni a sistema asta-
tizzato di magneti ed a decine di migliaia di spire permettono di valutare con sicu-
rezza correnti di diecimillesimi di un milionesimo d’ampère, con forze elettromotrici
di pochi volt si possono misurare direttamente resistenze di centinaia di migliaia di
megohm, maggiori delle quali le resistenze in quasi tutti i casi della pratica si pos-
sono considerare come infinite.
Il metodo diretto ha il vantaggio di lasciar seguire nella successione del tempo
l'andamento dei fenomeni di polarizzazione e di conduzione sommati, essendo le
deviazioni lette ad ogni istante la misura della quantità spesa di elettricità nella
corrispondente unità di tempo; e questo ci permetterà più avanti di scoprire alcune
proprietà interessanti dei fenomeni stessi. La polarizzazione è completa quando l’ago
ha raggiunta la sua posizione stabile di equilibrio. Naturalmente è supposto il
condensatore completamente scarico prima, se non si vuole durante la fase variabile
tener conto dei fenomeni dovuti alla polarizzazione residua da cariche precedenti.
Il dottor Behn-Eschenburg nello studio di un cavo a guttaperca del laboratorio
di Zurigo (1) per rendere il comportamento del dielettrico indipendente dalle fasi
precedenti di polarizzazione si servì di un artificio ingegnoso analogo a quello di
(1) Elektrotechnische Zeitschrift, fasc. 30, 31; 1892.
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 417
eliminare il magnetismo residuo del ferro mediante una corrente alternativa. Egli
cioè invertì mediante un commutatore la corrente di carica un certo numero di volte
ad intervalli eguali di tempo relativamente brevi; siccome si può immaginare che
i fenomeni di polarizzazione seguano parallelamente, indipendenti tra loro, alle fasi
diverse di carica, quando queste sono opposte ed eguali la somma algebrica dell’e-
nergia per quelli assorbita tende per simmetria a zero. Anche della polarizzazione
dovuta a cariche anteriori in un verso qualunque devono più facilmente sparire le
ultime traccie, perchè le rapide variazioni di raggruppamento molecolare agevolano
l’orientarsi delle particelle sotto l’azione delle forze nuove come le meccaniche vibra-
zioni agevolano la depolarizzazione magnetica. In una serie di cariche alternate rego-
lari ad un istante qualunque d’una fase di carica può dunque ammettersi che l'in-
tensità di corrente sia funzione solamente del potenziale di carica e della. distanza
di quest’'istante da quello in cui il potenziale fu invertito. La curva della corrente
è certamente una curva periodica alternata, di cui varia col potenziale l'ampiezza,
colla frequenza la lunghezza di periodo, e la forma colla legge dei fenomeni di pola-
rizzazione. Per rilevar questa occorrebbe un galvanometro ideale, di cui la deviazione
si leggesse in ogni istante proporzionale alla intensità momentanea della corrente; ma
anche con un galvanometro a smorzamento conveniente certo si vedrebbe la devia-
zione durante ogni fase diminuire regolarmente dopochè la corrente di carica avrebbe
raggiunto il suo massimo, purchè si scegliessero periodi sufficientemente lunghi. Il
dottor Eschenburg si servì di un galvanometro con smorzamento piccolissimo, desti-
nato a misure col metodo balistico, e scelse come periodi intervalli di tempo appena
| sufficienti a fare con sicurezza una lettura di deviazione ed una di zero; quindi è
naturale che dopo pochi periodi abbia conseguito medie deviazioni eguali; queste
però erano funzione, oltrechè del potenziale, delle condizioni speciali di sperimenta-
zione, ed il quoziente costante della differenza di potenziale al valore istantaneo letto
della corrente fu da lui arbitrariamente definito resistenza del dielettrico non avendo
nulla di comune colla resistenza ohmica di questo.
Una resistenza ohmica è sempre di tal natura che in essa una quantità di
energia è dissipata in calore al passaggio di una corrente, e noi vedemmo come
‘mediante una corrente continua essa possa essere rigorosamente definita anche per le
sostanze polarizzabili. Per contro la polarizzabilità in genere non implica una perdita
principale di energia, perchè l'energia che è immagazzinata nel dielettrico non è con-
vertita in calore, ma può essere restituita come scariche residue le quali si sommano
e si confondono colle cariche opposte succedenti quando si tratta della trasmissione
di una corrente alternativa. La polarizzabilità non corrisponde che all'aumento più
o meno lento di una capacità, e questa nel circuito di una corrente continua non ha
effetto di sorta, in quello di una corrente alternativa non fa che modificare la fase.
Veramente una perdita ancora qui si verifica, perchè la polarizzabilità di un
dielettrico non è mai perfetta, e nella depolarizzazione non è mai restituita tutta
l'energia che alla polarizzazione è occorsa; ma la parte secondaria dispersa così, che
è analoga all'energia che si spende per la magnetizzazione alternata del ferro, è di
gran lunga più piccola della totale impiegata in ogni semplice polarizzazione diretta.
Pertanto nella misura della resistenza dei cavi in genere non ha minore impor-
tanza riferirsi solo al minimo valore a cui la corrente data da una forza elettro-
Serre II. Tom. XLIV. c°
418 LUIGI LOMBARDI
motrice costante può discendere, di quello che abbia presso i cavi adoperati per
corrente continua fare unicamente la determinazione dopo una lunga fase di riposo
durante la quale il cavo sia possibilmente messo in corto circuito, perchè la pola-
rizzazione residua, specialmente se dovuta a potenziali elevati ed a cariche lunghis-
sime, non renda le misure, fatte eventualmente servendosi di una corrente in un sol
verso, del tutto illusorie.
7. — Indipendenza della resistenza della seta
dalla intensità di corrente.
L’artificio adoperato dal dottor Eschenburg è tuttavia utile per verificare alcune
proprietà nel comportamento del dielettrico.
Se difatti i valori della resistenza apparente, come fu da lui definita e misurata,
si trovano eguali comunque vari il potenziale, ed egli lo verificò per la guttaperca
tra limiti estesi, per quel punto che si è scelto per far la lettura nella durata del
periodo è proporzionale al potenziale la spesa di corrente per conduzione e. polariz-
zazione. Se questo fosse verificato per tutti i punti e per periodi di lunghezza
diversa, sarebbe verificata, in quelle determinate condizioni di esperienza, 1’ indi-
pendenza della forma della curva di carica dal potenziale, e se ne potrebbe colla
massima verosimiglianza dedurre l’indipendenza dal potenziale per quei due singoli
fenomeni che seguono leggi del tutto diverse, quindi la costanza della resistenza
effettiva. L’equivalenza di equazioni a variabili indipendenti permette sempre di
identificare i coefficienti di queste.
Col piccolo condensatore a seta s'era cercato di assodare una proprietà di questa
natura applicando sistematicamente alla determinazione della resistenza apparente il
metodo della perdita di carica dopo serie di cariche eseguite per tempi eguali con
differenze di potenziale crescente.
Leggendo le prime elongazioni di scarica dopo durate di isolamento crescenti
di 10" in 10" fino a 60", dopo aver caricato per 10" con numero di elementi nor-
mali crescente da 1 a 6, si vedevano i decrementi logaritmici delle elongazioni seguire
una legge di diminuzione molto approssimatamente identica, cioè i valori della resi-
stenza apparente oscillare attorno ad una curva media regolare, rispetto alla quale
gli scostamenti non eccedevano i limiti di approssimazione delle osservazioni. Però
la resistenza apparente s'era elevata in 1’ da 2200 a 9000 megohm, valore che non
aveva ancor nulla a che fare colla resistenza effettiva. Per avere un’idea del valore
di questa una delle serie di osservazioni fu diligentemente ripetuta, ed ogni lettura
di prima elongazione affetta della correzione per le scariche residue succedenti, misu-
rando queste ad ogni minuto finchè le deviazioni superavano 0,1 mm. sulla scala.
Prescindendo dai tempi più brevi dove la porzione di carica che si va assorbendo è
troppo grande rispetto la totale, si ebbero dopo durate di isolamento # le scariche
totali è che qui sono riferite:
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 419
t 60” 90” 120" 150” 180”
ò 169.7 168.1 166.5 164.9 163.4
log ò 2.22968 2.22597 2.22141: 2.21722 2.21325
A log. d 0.00411 0.00416 0.00419 0.00397
Il valore medio di questo decremento logaritmico corrisponde, per una capacità
quale fu misurata in queste condizioni di 0,136 mF., ad una resistenza di circa
23300 megohm.
L'indipendenza però di questa resistenza dal potenziale fu meglio provata col
metodo diretto, chiudendo il sistema in circuito con un numero crescente di elementi
normali e col galvanometro disposto a gran sensibilità. Sarà ricordata più avanti
la forma della curva della corrente, che si conserva della stessa natura in tutti i
dielettrici dove i fenomeni di polarizzazione hanno una intensità paragonabile, e
ricorda quella di una iperbole avente per asintoti l’asse delle ordinate e una paral-
lela all’ asse delle ascisse. Qui è solo da notare che la forma della curva non
dipende assolutamente dal potenziale nei limiti tra cui questo fu variato, da 1
a 12 elementi Clark, poichè le divergenze delle ordinate, che si misurarono ad inter-
valli eguali di tempo dalla chiusura del circuito, rispetto la legge di proporzionalità,
non superano una piccola frazione percentuale in tutte le curve rilevate dopo un
lungo periodo di scarica, cioè col dielettrico in condizioni eguali.
Naturalmente le curve che erano successivamente rilevate, dando alla scarica
tempi troppo brevi perchè la depolarizzazione fosse completa, si scostano sistema-
ticamente dalla variazione proporzionale in quanto nei primi tempi le ordinate hanno
valori minori dei normali. Ma questa differenza va sensibilmente diminuendo man
mano che la curva si avvicina alla sua tangente orizzontale. La distanza di questa
dall’asse delle ascisse è in ogni caso proporzionale alla differenza di potenziale ado-
perata. E se la sensibilità del galvanometro fu determinata misurando la deviazione
che dà la corrente d’una pila campione messa in serie con una resistenza convenien-
temente grande, mentre sui morsetti del galvanometro è in derivazione un shunt che
ha rapporto noto alla resistenza del moltiplicatore, si ha la misura diretta della resi-
stenza ohmica del dielettrico, che a noi è lecito perciò. ammettere indipendente dal
potenziale. i
Per ricordare a conferma di ciò una sola delle numerose serie di osservazioni
fatte, si ebbero pel condensatore a seta con 2, 4, 6, 8 elementi Clark rispettivamente
ed a distanza di soli 390" dal primo istante di carica, deviazioni lette di 6.6, 12.8,
| 18.8, 24.5 parti di scala, avendo ripetuto le esperienze successivamente scaricando
| ogni volta il condensatore solo durante alcuni minuti. Ma prolungando un'altra volta
| la carica con 4 elementi, dopo 1 ora la deviazione era 6.0 parti di scala; con 8
elementi dopo 1 ora era 12.0 parti di scala e si abbassava dopo 2 ore a 11.0, dopo
8 ore a 10.5; dopo cui durante ore successive non si avevano che oscillazioni pic-
colissime, evidentemente dovute a variazioni della sensibilità del galvanometro. Essendo
420 LUIGI LOMBARDI
il valore medio di questa corrispondente ad una intensità di corrente di 0.5 X 107°
ampère per una parte di scala, quella deviazione minima corrispondeva ad una resi-
stenza di 21800 megohm circa, di cui l’ordine di grandezza è assolutamente confron-
tabile con quello prima riferito tenendo conto che le due determinazioni furono fatte
in giorni diversi e verosimilmente in condizioni igroscopiche del sistema non identiche.
8. — Variazione della scarica residua in funzione del potenziale.
Si è detto che la proporzionalità delle ordinate della curva di carica in ogni
momento al potenziale lascia concludere la proporzionalità dei fenomeni di polariz-
zazione, misurati dalla quantità di elettricità per essi assorbita, e la indipendenza
della resistenza ohmica dal potenziale. Siccome le osservazioni, in parte riferite, e
ripetute molte volte su questo condensatore e su altri di capacità maggiore ed a
dielettrico diverso, si accordano molto bene in quella proporzionalità, è altamente
verosimile che queste proprietà si verifichino almeno tra limiti abbastanza ristretti
di potenziale, per i dielettrici medesimi; dal che è facile prevedere come in pratica
variino in funzione del potenziale i fenomeni di scarica residua che sono la conse-
guenza dei fenomeni inversi di polarizzazione.
Se infatti noi potessimo raccogliere come scarica residua tutta l’elettricità che
è stata immagazzinata nel dielettrico, noi avremmo somme di scariche residue pro-
porzionali al potenziale.
Ma primieramente il dielettrico presenta sempre una certa conduttività, e per
essa durante il tempo lungo occorrente all'esaurimento di tutta la carica residua una
frazione di questa si disperde come corrente di conduzione, tanto maggiore quanto più
lunghi sono gli intervalli dopo cui le scariche si rinnovano, perchè tanto maggiori
sono le differenze di potenziale a cui le armature son venute salendo. D'altronde,
quanto più sovente le scariche si ripetono, tanto minori sono le deviazioni del gal-
vanometro e più facili gli errori di lettura. Di più ancora diminuisce la durata di
tempo totale per cui le scariche dopo i singoli brevi intervalli si rendono apprez-
zabili, onde una quantità maggiore della carica residua totale è trascurata, e
questa può non essere proporzionale al potenziale di carica ma crescere più rapida-
mente di esso se avvenga che l’equilibrio molecolare, che è stato più intensamente
turbato, più lentamente si vada ripristinando. Quando la curva più lentamente si
accosta alla sua tangente che è l’asse delle ascisse, è più grande la parte di area
che tra quella e questa si trascura a partire da un minimo eguale di ordinata
apprezzabile.
Questo fa che la determinazione della somma di scariche residue possa essere
in genere errata in meno tanto maggiormente quanto il potenziale fu più elevato,
quindi la intensità di polarizzazione possa apparire leggermente decrescente al cre-
scere il potenziale. Ora l’espressione conferma pei fenomeni di depolarizzazione suc-
cessiva un andamento di questa natura, poichè la curva delle somme di scariche
residue R anzichè continuare rettilinea uscendo dall’ origine, si stacca lentamente
dalla sua tangente ivi, e volge la sua leggera concavità all’asse delle ascisse.
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 421
Lo prova la serie seguente, rilevata con un numero » crescente di elementi
normali dopo cariche eguali di 5”. Le cariche non furono prolungate di più per limi-
tare il tempo necessario all'esaurimento sensibile della scarica che per 12 elementi
Clark non era minore di mezz'ora. La prima elongazione di scarica con 1 elemento
era 182.5:
1 9 3 4 5 6 8 10 12
R IRR 90005901 1096. 1295
> RIO O RO 6 118. 110 108
Teoricamente nulla contraddice a priori ad ammettere che la polarizzabilità del
dielettrico vada leggermente decrescendo al crescere il potenziale. Invero al limite non
può essere una massa finita di dielettrico sede di una quantità illimitata di energia
in essa condensata per solo fatto di una lenta modificazione molecolare. Il fenomeno
avrebbe una analogia di più con quelli di polarizzazione magnetica. Siccome però
quello scostamento dalla legge di proporzionalità è in gran parte spiegabile nelle
condizioni dell'esperienza, ed accenna a scomparire quando invece di scariche suc-
cessive isolate si rileva la curva della scarica continua, l'analogia si può verosimil-
mente stabilire più intima coi fenomeni di elasticità, nei quali, tra i limiti di ela-
sticità perfetta, le deformazioni totali sono sempre proporzionali alle forze applicate.
9. — Variazione in funzione della durata di carica.
Come la polarizzazione del dielettrico varii col tempo di carica è chiaramente
mostrato dalla curva della corrente di carica.
E veramente, se una quantità di elettricità attraversa nell’unità di tempo le
armature, oltre a quella che devesi alla resistenza ohmica per noi ben definita ed
invariabile del dielettrico, essa può considerarsi come assorbita intieramente dal
mezzo, che, cessate le forze elettrostatiche, la può in tutto od in parte restituire
come dicemmo. Se prescindiamo dalle piccole dispersioni, e consideriamo la somma
di scariche successive come restituzione integrale di quella massa elettrica, si vede
subito la forma della curva, riferita al tempo di carica, della scarica residua. Essa
cioè sale col tempo, prima rapidamente ove la corrente di carica ha un’intensità
notevole, poi sempre più lentamente accostandosi asintoticamente ad una tangente
orizzontale che non è raggiunta prima che la polarizzazione sia completa e la cor-
rente sia ridotta a quella di conduzione. Nel nostro caso vedemmo che occorre a ciò
un tempo non inferiore ad alcune ore.
La curva della carica totale è insomma la curva integrale della corrente di
carica. Siccome la prima elongazione di scarica, cioè la scarica primaria come è
comunemente definita, al prolungarsi della carica ha cessato dopo pochi minuti di
crescere, la curva della carica residua da quel momento deve rappresentare quell’in-
422 LUIGI LOMBARDI
tegrale a meno di una costante. Le perdite secondarie sole avrebbero per effetto che,
se quella curva si deducesse da questa con un processo qualsiasi di integrazione
grafica, le ordinate sarebbero leggermente maggiori di quelle che colla misura diretta
si rilevano.
I risultati che seguono ricordano la curva della scarica residua R del conden-
satore a seta dopo che il tempo di carica # s'era venuto aumentando. Siccome però
si vedrà più avanti che la distinzione di scarica residua da scarica primaria non ha
che un valore relativo, la curva più caratteristica del fenomeno è quella della carica
totale Q che è riportata nella fig. 3 e che si confronterà poi colla curva delle defor-
mazioni elastiche:
t de 2' 3' 5! Te 10' Tia): 20’ 30" 14 ore
Ri (1041 145,80 175.0.212:0235.2 | 255.0. (275.0129255 312:503895:0
Q (346.1 388.8 419.0 456.5 480.0 500.0 520.0 597.5. 557.5. 640.5
Della forma della scarica nei tempi successivi si può avere una idea dalla curva
che ha per differenze di ordinate le singole letture di scarica secondaria fatte in
corrispondenza alle ascisse rispettive poichè queste rappresentano le diminuzioni
corrispondentemente subite dalla carica totale, prescindendo da correnti di conduzione
interna.
È riportata come esempio la curva delle osservazioni di scarica dopo aver cari-
cato durante 10'. L’ordinata corrispondente al tempo zero è naturalmente la carica
totale residua quale da noi fu apprezzata, dovendo prescindere dalla durata momen-
tanea della scarica primaria. Ma siccome si avvertì già l impossibilità di tener
conto di una parte della carica effettiva, perchè la depolarizzazione completa del
dielettrico domanda un tempo lunghissimo e perchè sono insufficienti i mezzi di
osservazione, una differenza costante si ha in tutte le ordinate dal valore teorico.
Per contro la discontinuità del fenomeno, che ha per effetto di ritardare, come si
disse, la depolarizzazione del dielettrico, fa che le ordinate successive siano mag-
giori di quelle che si sarebbero rilevate se il potenziale delle armature non fosse
andato in ogni intervallo crescendo. Di ciò si dovrà tener conto se si vorranno con-
frontare le due curve dei fenomeni inversi, di carica e di scarica, tra le quali è ma-
nifesta l’analogia, e più avanti si dimostrerà la identità.
Le ordinate della curva riferita nella fig. 4 sono:
t' 0' I 2' 3! DI do 10' 15; 20% 0250 !
R'1 25507 L83041 30 824939 6020098 45 |
L’ordine di grandezza di queste cariche residue è relativamente notevole, e devesi
alle condizioni igroscopiche del dielettrico, molto variate rispetto quelle dei primi
giorni.
“Li È
mig pa 7
Se rar
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 423
Con sensibilità conveniente del galvanometro si può rilevare una curva rego-
lare di scarica residua per corrente continua, la quale va naturalmente decrescendo
secondo una legge analoga alla precedente, ma che, per ragioni dette, si presta
meglio al confronto.
Dopo aver caricato durante 40' il condensatore a seta con 6 elementi Clark fu
possibile valutare con sicurezza durante più di mezz'ora le deviazioni di scarica al
galvanometro. Siccome ad una parte di scala corrispondeva molto approssimativa-
mente una intensità di 0.9 Xx 10-'’ampère, se si integra l'area della curva si ha
una quantità di elettricità dello stesso ordine di grandezza che le ordinate della
curva di scariche isolate ci davano, tenendo conto che là il potenziale di carica era
2 volt circa, poichè aveva servito alla carica un accumulatore.
La curva a cui si allude è individuata dalle letture seguenti :
at 2 3; SARO eo Pa 30
ò 59.0 34.0 23.6 15.0 6.5 4.0 2.7 2.0 1.6
10. — Fenomeni di carica e scarica durante tempi brevissimi.
In tutto ciò che s’è detto fin qui non s'è tenuto conto particolarmente delle
‘condizioni del circuito di carica e scarica, perchè le osservazioni erano sempre
fatte dopo tempi notevoli rispetto quelli in cui hanno importanza i fenomeni dovuti
alla resistenza e selfinduzione del medesimo. Ma è noto che, finchè questi sono sen-
sibili, le curve di carica e scarica presentano caratteri speciali, e non è escluso che
questi siano modificati dalle proprietà del dielettrico.
Un primo fatto importante scaturisce dalle cose in parte già esposte. Perchè
i fenomeni di polarizzazione modificano in modo identico la carica e scarica di un
condensatore durante tempi successivi di durata notevole, e perchè per tempi co-
munque brevi la forma della curva teorica di carica e scarica è la stessa, è alta-
mente verosimile che la forma reale di queste due curve si conservi identica entro
limiti di tempo qualunque, e comunque brevi. E veramente tutti i fenomeni che ivi
intervengono dipendono dai medesimi elementi, e se si traducono in formole hanno
le stesse equazioni. Solamente, dove nella equazione della scarica entra la tensione
o caduta di potenziale tra le armature AP, è nella carica sostituita la differenza
della forza elettromotrice E impiegata e della tensione predetta, identificando in ogni
momento la quantità di elettricità che nella carica deve ancora darsi al condensatore
per render questa completa, con quella che nella scarica esso deve ancora restituire
per tornare allo stato naturale: queste sono le due quantità di elettricità che in
momenti che si corrispondono della carica e della scarica devono ancora attraversare
una sezione qualunque del circuito.
È naturalmente presupposto che gli elementi del circuito siano in entrambi i
casì eguali, cioè eguale sia la resistenza r e la selfinduzione L. Le due equazioni della
424 LUIGI LOMBARDI
corrente differiscono solamente per una costante:
e quindi differiscono per una costante le equazioni delle quantità di elettricità,
ridotte alla sola
d'q vr dq Gai
ga L dt te=90;
se C è la capacità, e se nella carica g= CE — g', essendo g' la quantità immagaz-
zinata nel condensatore.
Se fosse possibile esprimere in funzione semplice del tempo la variazione di ca-
rica per la lenta polarizzabilità del coibente, il termine relativo dovrebbe portarsi
come correzione in questa equazione. Ma l’espressione di quella variazione, come si
dirà più avanti, non può per sua natura essere semplice.
D'altronde i fenomeni di polarizzazione sono tali che la loro azione si rende sen-
sibile con una certa lentezza. Se noi ci limitiamo a tempi di ordine di grandezza
estremamente piccolo, si può ammettere che una penetrazione della carica nella massa
del dielettrico non abbia luogo, ed esso si comporti come un dielettrico perfetto, onde
in ogni istante sia la carica proporzionale alla tensione delle armature come nella
teoria si suppone.
Ora l'ordine di grandezza dei tempi che qui intervengono è dato subito dalla
equazione integrata:
| pera none, E IE
q=e 36 \Agy #1 CL L Be 4L? CORO).
la quale dà anche la forma della curva di carica o scarica.
4L DEA È Se ; 1 HR
Se 72 > “g> Cioè se sono reali le radici dell'equazione caratteristica dedotta
dall’equazione differenziale lineare, la curva ha un andamento continuo, e si accosta
senza oscillazioni al suo asintoto orizzontale. È quello che accade se la selfinduzione
è convenientemente piccola rispetto la capacità e la resistenza. Se G è trascurabile
rispetto 7* l'equazione di carica può scriversi semplicemente
t
gi = CE la i 3 |,
Lora i ; È i È È È : 1
cioè la deficienza di carica dovuta alla resistenza del circuito è ridotta ad Da del
suo valore massimo, della carica totale, quando
Gi OrAlopi.
. Se si carica 1 microfarad in un circuito di pochi ohm di resistenza, certamente
quella variazione è inapprezzabile dopo pochi milionesimi di 1". Nella scarica lo
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 425
stesso tempo basta a che la quantità di elettricità rimasta per effetto della resistenza
sia inapprezzabile.
Se la selfinduzione del circuito ha valore convenientemente grande rispetto la capa-
cità e la resistenza, l'integrale generale della equazione differenziale si può esprimere
7 Ara lea Lan) : EPLITt i 4L
mediante funzioni sinusoidali che sostituiscono i complessi; cioè se r2 < n la curva
è oscillatoria ed il periodo è
< NOR Tre.
che, se r° è trascurabile rispetto o SÌ riduce alla formola nota
T = 2nYCL
adoperata da Thomson e da Hertz. Ma ancora qui il fattore esponenziale dice che
ie ampiezze delle oscillazioni diminuiscono rapidamente e sono ridotte ad 1 del valore
primitivo CE dopo un tempo
che, se non è L notevole, si può difficilmente apprezzare in pratica.
Certamente questi tempi sono immensamente più brevi di quelli necessari a
caricare un condensatore in modo che dopo una scarica primaria ed immediata se ne
possano ricavare scariche successive apprezzabili, in modo cioè che abbia effetto sen-
sibile la polarizzazione successiva.
11. — Cariche e scariche oscillanti.
In realtà, sebbene la polarizzabilità susseguente del dielettrico tenderebbe vero-
similmente a diminuire l'ampiezza delle oscillazioni di carica, non è difficile rea-
lizzare condizioni di circuito in cui con mezzi adatti si possa riconoscere la carica
di un condensatore decisamente oscillatoria. I fenomeni di scarica oscillatoria non
sono che gli inversi dei primi, e furono in questi ultimi anni più ampiamente stu-
diati, fecondi nelle nuovissime ricerche dei più mirabili risultati.
Per realizzare in esperienze di analisi qualitativa tempi di grandezza minima
il mezzo più semplice è l’ urto, la cui durata, se per essa si intenda il tempo per
cui i corpi urtanti restano a contatto, è funzione delle condizioni delle masse e della
velocità relativa. Se si utilizzano velocità eguali, la durata dipende solamente dal
coefficiente di elasticità, e dalla deformazione che i due corpi subiscono ossia dalle
masse dei medesimi a cui è proporzionale la forza viva che nell’ urto si consuma.
È nata così l’idea di applicare dei sistemi di piccole sfere d'acciaio, di cui una
essendo fissa, l’altra sospesa ad un filo conduttore viene ad urtare la prima con velo-
cità sensibilmente costante, se si lascia cadere da un'ampiezza di deviazione invariata
Serie Il. Tom. XLIV. DÈ
426 LUIGI LOMBARDI
e se il filo non oppone una resistenza notevole alla flessione. Si possono per tal
modo chiudere circuiti di corrente per tempi tanto più brevi quanto più piccola è
la sfera che cade e quanto l’oscillazione è più rapida. La prima variazione del tempo
al diminuire del raggio della sfera mobile è sempre molto sensibile. Al crescere
l'ampiezza invece la durata diminuisce lentamente, e solo fino ad un certo limite,
oltre il quale non è improbabile che l’effetto della deformazione aumentata compensi
quello della maggior rapidità con cui il contatto succede; conviene sempre scegliere
colle piccolissime sfere una ampiezza di caduta prossima a questo valore, affinchè le
piccole variazioni di quella non influiscano sensibilmente sul tempo nelle osserva-
zioni che devono essere paragonate. Della sfera fissa la diminuzione del raggio par-
rebbe far prevedere una diminuzione della durata d'urto, diventando la curvatura
maggiore e più piccola la superficie di contatto; l’esperienza però non rivela alcuna
notevole variazione, forse perchè la diminuzione della massa, che è tenuta in genere
solo fissa pel proprio peso su un sopporto isolante, ne diminuisce l’inerzia e fa che
dalla massa urtante essa riceva un impulso maggiore, percorrendo a sua volta nella
direzione dell'urto uno spazio maggiore, durante il quale l’urto non è interrotto.
Se un sistema di questa natura si volesse utilizzare per lo studio sistematico di
fenomeni aventi una durata brevissima, occorrerebbe naturalmente disporre di una serie
di sfere molto numerosa e di dimensioni crescenti regolarmente secondo una legge
che non sarebbe difficilissimo definire. Poichè sarebbe sempre possibile valutare con
una approssimazione sufficiente queste durate di urto, quando esse fossero la durata
della chiusura d’un circuito privo sensibilmente di selfinduzione, e nel quale si mi-
surasse la quantità di elettricità messa in movimento da una forza elettromotrice
nota attraverso una data resistenza, per esempio mediante un galvanometro bali-
stico; con un sistema magnetico convenientemente astatizzato un numero piccolis-
simo di spire potrebbe essere sufficiente per avere la voluta sensibilità. Siccome
però qui per ottenere tempi molto brevi si poteva disporre di altri apparecchi su-
scettibili di un maneggio non meno semplice, ma di una graduazione molto più precisa,
si adoperò una piccola collezione di queste sfere d’acciaio solamente per constatare
la presenza delle oscillazioni in condensatori di tipo e capacità differente, ed a die-
lettrico diversamente polarizzabile.
Se si leggono al galvanometro balistico le elongazioni di scarica residua dopo
che il condensatore è stato messo in corto circuito pel tempo brevissimo di cui è
quistione, certamente si possono realizzare in questo circuito le condizioni di minima
resistenza, potendosi escludere la pila che in molti casi rappresenta della resistenza
la parte maggiore. Però bisogna aver dato al condensatore cariche sempre eguali,
quindi poco inferiori alla massima, dopo cui il dielettrico ha già subìto tutti gli effetti
della lunga polarizzazione.
È dunque meglio inserire il sistema pel contatto nel circuito di carica, adope-
rando elementi primari a resistenza piccola, o meglio accumulatori dove questa può
essere ridotta ad una grandezza insignificante.
Tuttavia alcune osservazioni furono fatte in entrambi i modi sul condensatore
a seta e su capacità eguali a 0.1 mF di un condensatore a carta paraffinata e di
un condensatore normale a mica. Una serie preliminare eseguita con una pila Clark,
la cui grande resistenza certamente impediva la produzione della carica oscillante,
= nera sie a rin n ci DL ar in
e rale
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 427
aveva mostrato che il comportamento del dielettrico nei tre condensatori non era
essenzialmente diverso; cioè riferendo le elongazioni di scarica ai raggi delle sfere
adottate per la carica come ordinate ad ascisse si avevano curve assolutamente
analoghe, salvo che esse dalla tangente orizzontale si scostavano meno nella mica e
più nella carta paraffinata e nella seta, di quantità però non grandemente diverse.
Con una sfera urtante di 2.56mm. di diametro il condensatore a mica prendeva
in un urto 0.589 della sua carica massima; quello a paraffina 0.576; quello a seta
0.516; con una sfera di 4.90 mm. rispettivamente 0.898 0.830 0.730; con una
sfera di 7.89mm. 0.946 0.880 0.797; con una sfera di circa 3 cm. 0.982 0.924
0.861; mentre con 1” di carica si aveva 0.999 0.985 0.975 e dopo 10" in tutti
sensibilmente la carica completa, o meglio la massima elongazione di scarica. La
più piccola delle sfere aveva diametro 1.21mm. e massa tanto piccola da rendere
particolarmente difficile l’ottenerne oscillazioni regolari e cariche confrontabili ; la
sospensione era fatta con un filo d’argento di pochi centesimi di mm. di diametro;
nella serie citata essa aveva dato valori relativi rispettivamente pei tre conden-
satori 0.380 0.360 0.207 certo con una durata media di carica eccezionalmente breve.
Ora siccome le sfere dopo la prima e la seconda verosimilmente davano tempi
di carica già eccedenti il periodo di oscillazione anche quando alla pila si erano
sostituiti tre accumulatori in parallelo, queste due sole furono impiegate per veri-
ficare le oscillazioni ripetendo con esse un numero diverso di volte rapidamente il
contatto di carica. i
È evidente che con questo artificio il fenomeno della carica è notevolmente com-
plicato, perchè i fenomeni di induzione, che dipendono dalla variazione di corrente, si
modificano ogni volta che la corrente si interrompe, e la carica è la somma di tante
cariche parziali, di cui ognuna è funzione della durata di essa e del complesso di
quelle che l’hanno preceduta.
Sta il fatto però che serie replicate di osservazioni di questa fatta rivelarono
nel modo più evidente il carattere oscillante della curva in ciascuno dei condensatori
già nominati; sia che il sistema pei brevissimi contatti fosse inserito cogli accumu-
latori nel circuito di carica, nel qual caso si avevano prime elongazioni di scarica
totale varianti con una certa regolarità al di sopra e al di sotto del valore massimo
normale; sia che, eseguita indipendentemente la carica, i contatti si ripetessero per
chiudere direttamente le armature in corto circuito, dopo il che le deviazioni di scarica
residua si riproducevano periodicamente nel verso positivo e nel verso negativo della
scala. Lo scostamento delle letture dal valore normale massimo qui raggiungeva
sovente coi tempi più brevi il 10°/ di questo. Sebbene il fenomeno non succedesse
con continuità, e sebbene fosse impossibile seguire nella progressione dei tempi l’anda-
mento della curva con precisione, si constatava però che quelle variazioni andavano
decrescendo, cioè l'ampiezza delle oscillazioni doveva essere sempre minore. La rego-
larità poi con cui in corrispondenza ad ogni numero d’urti quelle variazioni si ri-
producevano, quando le osservazioni erano fatte successivamente molte volte, lasciava
credere che i tempi fossero determinati con una sensibile costanza, e la durata di
uno di quegli urti fosse dell'ordine di grandezza della durata di quelle oscillazioni.
Si è condotti ad ammettere così che gli urti di quelle sfere piccolissime non
durassero più di frazioni milionesime di 1° se si tien conto delle condizioni in cui
le esperienze erano fatte.
428 LUIGI LOMBARDI
12. — Periodo di oscillazione.
Per avere difatti un’ idea del periodo di oscillazione di carica basta ricordare
che in ogni caso era la capacità così caricata dello stesso ordine di grandezza,
essendosi col condensatore a seta, la cui capacità superava poco 0.13 mF, con-
frontate capacità di 0.1 mF di condensatori graduati a mica e carta paraffinata.
Tutte le connessioni del circuito di carica erano formate con filo di rame di dia-
metro maggiore di 1 mm. sopra una lunghezza complessiva di circa 5 m., la cui re-
sistenza non superava 0.1 ohm. Il solo breve tratto di sospensione della piccola sfera
era costituito da un filo di argento di circa 5 centesimi di mm., la cui resistenza per
1m. può essere 8 ohm. L'aumento di resistenza per la localizzazione superficiale della
corrente, che ha luogo quando la variazione di essa è rapidissima, non deve es-
sere sensibile qui dove le quantità di elettricità messe in movimento sono ecce-
zionalmente piccole, escluso forse il primo istante nel quale arriva alle armature la
massima parte della carica; avendo dunque limitato il tratto di sospensione a circa
12 cm. la resistenza non doveva superare 1 ohm, e questa doveva rappresentare la
parte principale della resistenza totale, rispetto cui quella interna degli accumulatori
era trascurabile.
Non sarebbe nemmeno facile definire la resistenza al contatto delle due sfere,
la quale è evidentemente variabile nella durata dell’urto; ma essendosi sempre pulite
accuratamente le superficie delle sfere, e conseguìta coll’altezza di caduta una velo-
cità d’urto notevole, si può ammettere che per la massima parte del tempo la resi-
stenza non fosse grande, e che la resistenza complessiva del circuito non superasse
di molto 1 ohm.
Si immaginino ora le connessioni disposte secondo uno schema possibilmente
semplice, per es. secondo i lati di un quadrato o la circonferenza di un circolo in
un piano orizzontale, prescindendo dal piccolo tratto verticale in cui il filo di so-
spensione della sfera mobile e quello di congiunzione colla sfera fissa si vengono a
trovare paralleli e vicinissimi.
Del coefficiente di selfinduzione totale la parte dovuta alla pila ed al conden-
satore è assolutamente trascurabile. Quella dovuta ai fili di circuito può essere cal-
colata colla formola di Neumann
° tn
Q = j feed COS E
dove ds ds' rappresentano due elementi qualunque del circuito siti a distanza r ed
angolo e.
Questa formola calcolata pel caso di un semplice quadrato di cui il perimetro
sia ! essendo p il raggio del filo dà
Q=21| log (2) di 2.60 | 1
poni
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 429
pel caso di un circolo
21 È
— 20 Ai
Q L| log( n 2.20 |
Se queste due espressioni si confrontano con quella del coefficiente di selfinduzione
di un tratto rettilineo di conduttore di lunghezza /, dedotta parimenti dalla formola
generale,
Q= 2|log (È) — 075],
si vede che esse non ne differiscono che pel coefficiente numerico del 2° termine.
Effettivamente nel caso per es. del quadrato la selfinduzione può approssimativamente
considerarsi somma dei quattro termini eguali rappresentanti la selfinduzione di
uno dei lati
meno quattro termini eguali rappresentanti la induzione di uno qualunque dei lati
sopra il suo opposto, perchè tra lati contigui che sono ad angolo retto la induzione
mutua è nulla. Ma questi termini, dove nel valore differenziale compaiono al deno-
minatore distanze dell’ordine di grandezza 4° Ron hanno grande importanza rispetto
i primi: quindi noi possiamo tenerne conto come di una correzione (1), ed immaginarci
calcolato il coefficiente di selfinduzione totale come quello di un conduttore rettilineo
di egual lunghezza, salvo che è modificato opportunamente il coefficiente numerico
del 2° termine.
Con considerazioni simili si potrà senza un calcolo minuzioso avere un’idea del
coefficiente d’induzione non solo per quelle forme di schema tipiche, che in pratica non
è sempre possibile di realizzare perfettamente, ma per tutte quelle forme che dalle
prime non molto si allontanano: per es. per rettangoli ove il rapporto dei lati sia
poco diverso dall’unità, e in genere per poligoni chiusi di cui i lati si scostino poco
dalle rispettive parallele tangenti ad un medesimo cerchio. È sempre supposto che
il raggio del filo sia trascurabile rispetto alle dimensioni del circuito. In tutti questi
casi si potrà ritenere
0= 01 [te (8) a]
(1) In realtà la correzione, che da queste considerazioni apparirebbe qui molto semplice, è
complicata dal fatto che la somma delle induzioni parziali proprie e mutue dei lati non rappre-
senta che approssimativamente l’induzione totale, onde abbisogna a sua volta di essere modificata.
In ogni caso il calcolo esatto si può solo eseguire valutando il potenziale mutuo di due circuiti
elementari di corrente, paralleli all'asse del circuito dato, ed aventi per sezione due elementi della
sezione del conduttore; ed eseguendo la doppia integrazione rispetto a tutti gli elementi analoghi.
Da un calcolo di questa natura non si potrebbe assolutamente prescindere se il secondo termine
numerico dovesse avere un'importanza notevole rispetto al primo termine logaritmico. Cfr. © Remarks
on the second paper of Mr. Hughes regarding selfinduetion , Prof. H. F. Weber. Electrical Review.
9 luglio 1886.
430 LUIGI LOMBARDI
dove m è un coefficiente numerico dipendente dalla forma precisa del circuito ma
non eccedente poche unità.
Nel caso attuale era facile disporre le connessioni in modo che soddisfacessero
a quelle condizioni, e per la parte principale del circuito si poteva ritenere
e (2
ARIGLI
cioè Q dell’ordine di grandezza 7300 cm. Ed è facile vedere che rispetto questa è
ben piccola la parte della selfinduzione totale dovuta al tratto verticale di sospen-
sione delle sfere, sebbene al denominatore del logaritmo entri p che per il filo di
sospensione era piccolissimo. Trattandosi di due tratti paralleli di fili a raggi di-
versi p p' quando la distanza a è piccola rispetto alla lunghezza ! si può sempre
calcolare il coefficiente di induzione colla formola
Qq=2 [log()+4 |;
pp
supposto qui.p;=— 0:05 ipi:—-0/0025.l'a= 265 = 121 han0 2224270)
Ritenendo dunque la resistenza del circuito dell’ordine di grandezza di 1 ohm,
la selfinduzione totale dell’ordine 7000 cm. si vede che
r2=1X 108 2 = 28X10%
se si carica la capacità di 0.1 mF = 10-! unità c. g. s. La carica è dunque oscil-
latoria, e cesserebbe solamente di essere tale se r raggiungesse 16,7 ohm. La durata
delle oscillazioni deve essere
Se 1
I=S9T VCL NRE 72IC]
3-4
cioè dell'ordine di grandezza
2T VCL = 9,9 X JO
ossia 5,9 milionesimi di 1".
La ampiezza avrebbe dovuto nelle oscillazioni essere ridotta ad saio del suo
valore, cioè ad un valore certamente inapprezzabile, se si fosse proceduto per tempi
crescenti di carica continua, dopo un tempo
t — “2 log 1000,
cioè dell’ ordine 96 milionesimi di 1”. Pel condensatore a seta di capacità poco
superiore doveva essere di poco maggiore la durata delle oscillazioni: in ogni caso
dopo un tempo di quell’ordine di grandezza queste dovevano ritenersi praticamente
esaurite.
pere
mu oca
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 431
13. — Durate brevi di carica col pendolo di Helmholtz.
Per procedere più razionalmente all'analisi quantitativa del comportamento del
dielettrico studiato, ed al confronto coi dielettrici usuali già citati e con altri, fu
sistematicamente adoperato per realizzare cariche brevi il pendolo di Helmholtz.
Questo apparecchio, che fu applicato la prima volta allo studio delle correnti di
induzione, permette la misura assoluta di tempi comunque brevi. Esso consiste essen-
zialmente di un pendolo di lunghezza proporzionata ai tempi da misurare, e di massa
notevole, la quale lasciandosi cadere da altezza nota descrive una prima oscillazione
con velocità in ogni punto determinata. Al passaggio in due punti opportuni facendo
che si chiuda e si rompa rispettivamente il circuito della corrente, la durata di essa
è solo funzione della distanza dei due punti, della lunghezza del pendolo, e della
massima sua ampiezza di oscillazione. Con lunghezza di pochi decimetri, ampiezza
di circa 90° e spostamento relativo dei due punti di contatto di frazioni di millimetro,
si realizzano tempi di milionesimi di 1”.
Siccome però qui non si trattava specialmente di tracciare per punti la curva
della carica oscillante, ma di esaminare l'andamento della curva di carica quando le
oscillazioni erano già esaurite, fu scelto un pendolo di lunghezza notevole, ove la
durata di oscillazione era poco minore di 1”, ed ove, essendo la massima ampiezza
circa 15° e la velocità nel punto più basso dell'arco di oscillazione circa 1m per 1”,
gli spostamenti di 0.1 mm sulla scala del corsoio corrispondevano in media a 0”.0001.
Così in un tempo minore o paragonabile al minimo apprezzabile i fenomeni dovuti
alla induzione e resistenza nella carica potevano ritenersi resi insensibili, e solo pro-
nunciarsi in seguito quelli di polarizzazione che a noi più interessano. Questi potevano
essere analizzati nei limiti di tempo a cui corrisponde la lunghezza della scala, cioè
di circa 0',2 essendo la scala del corsoio pel contatto mobile lunga circa 20 cm.
Naturalmente la misura di ognuno di questi tempi non può farsi in valore
assoluto con una approssimazione pari a quella minima durata apprezzabile, per. le
condizioni pratiche dell’esperimento. Difatti il contatto di chiusura è primieramente
stabilito per l'urto del pendolo che libera il braccio di una leva a cui finisce la prima
parte del circuito, affiorante con una punta di platino la superficie del mercurio in
"un pozzetto messo in comunicazione col resto del circuito. Ora tra la punta di platino
ed il mercurio deve essere una distanza sempre di alcuni decimi di millimetro per
evitare il pericolo di un corto circuito e di una carica a tempo inopportuno. Gene-
ralmente la massa che cade imprime al nasello, che per un filo tagliente sostiene la
leva, una piccola scossa di cui l’effetto è aumentare leggermente, ma in modo non
costante, quella distanza che la leva percorrerà prima di chiudere il circuito; così
la chiusura è ritardata di tempi che possono variare di quantità paragonabili ai tempi
minimi che la scala permetterebbe di apprezzare. La minima traccia poi di pulviscolo
depositato o di ossido metallico formato alla superficie del mercurio fa che questa
sì incurvi leggermente sotto la punta cadente di platino, ed occasiona un ritardo
dello stesso ordine di grandezza.
432 LUIGI LOMBARDI
Il punto della scala in corrispondenza al quale ha luogo la prima carica deve
dunque essere ad ogni volta trovato per tentativi, ed in genere non coincide in
osservazioni successive, sia se intervengono le perturbazioni dette, sia se impiegasi alla
carica potenziale diverso, che, se più elevato, lascia il circuito chiudersi più presto
mediante una piccola scintilla tra la punta ed il mercurio. Nel contatto ove il cir-
cuito è rotto la scintillazione che prolungherebbe il contatto non è altrettanto facile,
essendo esso formato da pezzi di metallo a superficie assai larga che alla velocità
notevole della massa cadente vengono rapidamente separate.
Trattandosi di fare col pendolo una lunga serie di osservazioni conviene rendere
le condizioni di queste possibilmente identiche, dando al pendolo un'ampiezza massima
costante di oscillazione, e determinando una volta per tutte la scala dei tempi, cioè
i tempi dal momento in cui la caduta comincia a quello in cui il pendolo viene in
corrispondenza dei punti successivi della scala delle letture; in ogni esperienza si
conteranno poi i tempi dal momento ove la prima carica fu osservata.
Siccome l'ampiezza che nei limiti della scala si utilizza è piccola in confronto
della massima ampiezza di oscillazione, si possono ritenere le letture sulla scala
eguali agli archi di cui esse rappresentano la tangente.
D'altronde, perchè l'ampiezza massima era in questo caso piccola a sua volta, si
poteva ammettere la durata delle oscillazioni successive invariata, ed eguale a quella
che avrebbero avuto oscillazioni piccolissime in un pendolo semplice corrispondente.
Effettivamente, essendo la massa notevole, la resistenza dell’aria aveva pochissimo
effetto, ed i perni essendo sostenuti su rotelle giranti accuratamente lubrificate, le
resistenze passive avevano una somma trascurabile, cosicchè il decremento logaritmico
delle oscillazioni successive era piccolissimo ed il loro isocronismo doveva essere
molto approssimato. La durata di oscillazione potè perciò essere determinata con-
60” p
pn 0”.953.
Sulla scala delle letture la posizione verticale del pendolo corrispondeva alla
divisione 131 mm; la corda della massima deviazione era 313 mm.; la distanza del
braccio di leva, che stabiliva i contatti, dall’asse di oscillazione era 1183 mm.; onde
l’arco totale di oscillazione era
tando molte volte il numero di oscillazioni in 1', ed era
313
ZE o) iù
DNA 15° 12:
2 arcsen
il massimo angolo utilizzato nelle letture era
ARR SIRIO
arctg 1183 00
Siccome si può considerare in ogni momento nell’ oscillazione di un pendolo
semplice la velocità i eguale a quella. dovuta alla altezza di caduta, se a è la lun-
ghezza del pendolo semplice equivalente al nostro pendolo meccanico, in corrispon-
denza ad un'ampiezza d’angolo attuale 0, se la massima era 0, si ha
dal VE — da
i)
V2 cos a — 2 cos 8
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 433
e ritenendo dello sviluppo dei coseni solo i due primi termini
detta T la durata della mezza oscillazione.
Così furono valutati i tempi che il pendolo impiegava per raggiungere cadendo
i punti sulla scala del contatto mobile, di centimetro in centimetro fino alla posizione
verticale, e si dedussero quelli successivi per simmetria. In corrispondenza alle letture d
si ebbe pertanto:
UTO. DIL 2.1 5.1 4.1 5.1 6.1 Cene 8.1 Sola 10 Nk
t' |0.3470 0.3575 0.3679 0.3782 0.3883 0.3983 0.4083 0.4182 0.4280 0.4378 0.4475
I |
SR ale? ee AE Lo.1 slo. SI7:l*. 18.1, 19.1 20.1 21.1
#' (0.4572 0.4669 0.4765 0.4861 0.4958 0.5055 0.5152 0.5250 0.5348 0.5447 0.5547
14. Il primo condensatore a seta essiccata.
Il condensatore che più interessava di studiare era quello a seta ch'era stato
oggetto delle misure precedenti.
Ma perchè nel corso di queste s'era notato un aumento della capacità e della
variazione di carica col tempo, dovuto certo all’ accesso dell’aria umida che aveva
modificate le condizioni igroscopiche del dielettrico, questo dovette essere seccato
artificialmente. E perchè l’ essiccamento dei singoli pezzi d’ armatura e d’isolante
colla macchina pneumatica non aveva migliorate di molto le proprietà del condensa-
tore, l’essiccamento si rinnovò a temperatura elevata.
Perciò i singoli fogli di seta e di stagnola furono riscaldati su due grosse lastre
di rame verso i 200° durante parecchi minuti, così che non solo fosse eliminata da essi
l’acqua superficialmente condensata, ma dalla seta presumibilmente anche la massima
parte dell’acqua di costituzione, senza spingere la temperatura tant’alto che le pro-
prietà fisiche apparenti ne fossero sensibilmente modificate. Ad evitare che nuovo
Vapore fosse assorbito durante la ricostruzione del sistema, questa fu interamente
eseguita sopra una terza lastra riscaldata a temperatura poco inferiore , sovrappo-
nendovi i fogli man mano che si toglievano secchissimi dalle due prime; il complesso
appena finito fu posto tra due fogli ben secchi di ebanite, e il tutto chiuso con forti
liste di carta incollata, sovrapponendovi poi un peso notevole.
Le proprietà del condensatore apparvero subito enormemente migliorate. La
capacità s'era ridotta a 0.110 mF, in parte per la esclusione di uno dei fogli di
armatura guastatosi nella nuova costruzione, in parte per la diminuzione verosimil-
mente subìta dalla costante dielettrica. Il valore nuovo non può però essere con-
Serre Il. Tom. XLIV. E°
434 LUIGI LOMBARDI
frontato coi precedenti, perchè alla sovrapposizione esatta delle armature non s’era
data qui cura speciale, nè paragonabili erano le condizioni di pressione, ecc. L’im-
portante è che la variazione di carica tra 0".1 che poteva equivalere alla durata
delle prime cariche dette momentanee, e 10" dopo cui la 1% elongazione di scarica
non cresceva più, s'era ridotta a circa 2 °/, mentre la massima variazione apprez-
zabile non raggiungeva il 5 %/o.
La forma della curva di carica è individuata dalla serie seguente, scelta tra le
molte di osservazioni fatte in condizioni identiche, e riferita, come quelle che segui-
ranno, per semplicità nella prima parte alla scala di letture è, del pendolo, nella
seconda a tempi ordinari di carica. Il tempo minimo è dell’ordine 0‘.0005, essendosi
trovata la posizione corrispondente sulla scala per tentativi, con spostamenti suc-
Nu i Se
cessivi del corsoio di 9 Dm.
0,07 E QI ZIE o ee dessi0a] 21.1 |
e (205.3 206.5 207.8 208.3 209.0 209.5 210.1 210.6 211.0 211.4 211.8 212.1 212.4 212.6
ALI ira DU qst 10” 20!” 30!” 6( "
e | 213.5 214.0 214.6 215.0 215.0 215.0 215.0
Naturalmente, essendo diminuita l’importanza dei fenomeni di lenta polarizza-
zione, sono qui molto ridotti quelli di scarica residua in confronto ai valori misurati
prima, come mostra la serie di osservazioni riferita ai tempi di carica:
MO 00 e
Ri dd. (346 53660
Dopo 1 ora di carica la polarizzazione doveva essere completa, perchè la somma
di scariche residue non si modificava più sensibilmente: della scarica totale non rag-
giungeva dunque il 33 °/, perchè in questo caso ad essa corrispondeva una massima
elongazione di 445. La curva della carica totale conserva però gli stessi caratteri di
quella già ricordata.
La resistenza di isolamento in corrispondenza al miglioramento del dielettrico
era notevolmente più alta. La perdita apparente di carica dopo 60", cioè la dimi-
nuzione della prima elongazione di scarica, non superava 5 °: ma la diminuzione
di scarica effettiva, tenendo conto delle scariche residue, era una frazione percentuale
piccolissima, e non avrebbe potuto dare una misura molto approssimata e attendibile
della resistenza. Col metodo diretto, disponendo il galvanometro a gran sensibilità,
la quale qui corrispondeva a 0.43 X 10-!° ampère per una parte di scala, la corrente
di carica con 6 elementi Clark, che nei primi istanti dava deviazione di circa 15 mm.
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 435
s'era abbassata a 3 mm. dopo 30'; dopo 1 ora non era più possibile leggere le devia-
zioni con sicurezza perchè troppo influenzate dalle continue piccole variazioni che
con questa sensibilità intervenivano nella posizione di riposo dell’ago; certamente la
deviazione non arrivava a 1.5 mm., cioè la corrente a 0.65 X 10 — 1° ampère, cor-
rispondente a una resistenza di circa 130 mila megohm.
Una causa del tutto estranea al dielettrico interveniva però qui, per cui la
resistenza di isolamento determinata in condizioni esterne leggermente modificate
non appariva costante, ed era il grande potere igroscopico della carta con cui il
sistema si era suggellato, non essendosi evitata la sovrapposizione di essa alle
lastrine di rame che davano i contatti colle armature. La resistenza era sempre
grandissima se prima delle osservazioni si era moderatamente riscaldato il sistema.
Perciò questo fu un'ultima volta portato sulla lastra metallica durante parecchio
tempo alla temperatura più elevata che il rammollirsi dei fogli di ebanite concedeva,
forse a 150°, e così a caldo fu il tutto verniciato con paraffina di cui sì riempirono
diligentemente tutte le piccole aperture. In queste condizioni si ebbero i risultati
migliori, e la curva di carica caratterizzata dalla tabella qui riferita, e rilevata per
molti giorni e settimane di seguito, non accennò più a modificarsi sensibilmente.
Dopo un mese dalla costruzione, durante il quale il condensatore restò esposto all'aria
non secca nei locali del laboratorio, la massima variazione di carica non arrivava
a 2,8%, essendo 2 °/ nei primi giorni:
ò. dn 10.7 dal: TR6 2.1 5.1 5.1 Tai DS dt 2051
e 250.1. 250.6. 251.2. 251.5 251.6 251.7. 251.8 251.8 251.9 252.0
TA Trad 5! 10! 30" 60"
e 253.0. 254.5 255.0 255.0 255.1
La somma di scariche residue era ancor diminuita di molto rispetto le misure
precedenti, ed il massimo di essa ottenibile con parecchie ore di carica non oltre-
passava il 22 °/, della scarica totale. La determinazione della resistenza tenendo conto
delle scariche residue dava risultato illusorio, perchè nella leggera incertezza delle
letture molteplici era largamente compresa la piccolissima diminuzione di carica
effettiva. Con 6 elementi Clark la corrente di carica si abbassava rapidamente sino
«dai primi minuti; dopo due ore non era possibile apprezzare con sicurezza la devia-
zione che non arrivava a mezzo millimetro; la resistenza doveva dunque superare
colla attuale sensibilità 200 mila megohm, e poteva praticamente considerarsi infinita.
15. — Altri condensatori a seta.
“La influenza grandissima dell’acqua sui fenomeni di polarizzazione lenta era
dunque provata. Ma era interessante vedere se colla eliminazione più perfetta di
essa quei fenomeni potessero ancora venire notevolmente ridotti. Questa quistione,
436 LUIGI LOMBARDI
che è sempre importante nella fabbricazione di condensatori, lo è essenzialmente per
la costruzione di apparecchi normali da laboratorio, dove si richiederebbe che i con-
densatori prendessero istantaneamente la loro carica totale, perchè senza di ciò non
è possibile, come si vedrà, una precisione assoluta di misura.
Perciò una serie di tentativi fu ancora fatta con seta di un’altra qualità, cioè
con foulard bianco finissimo, di cui lo spessore essendo poco più della metà del pre-
cedente [circa 0.06 mm.] permetteva di avere in volume notevolmente minore la stessa
capacità.
Alcuni piccoli condensatori furono costrutti così con un piccolo numero di arma-
ture di pochi decimetri quadrati di superficie, seccando i singoli fogli di seta e di
stagnola verso i 200°, e montando a temperatura poco minore il complesso, che
veniva rapidamente chiuso tra due fogli di ebanite, e suggellato con liste di gutta-
perca che con un vetro caldo si potevano far perfettamente aderire senza intermediari
liquidi od imperfettamente isolanti.
Alcune prove preliminari diedero risultati dello stesso ordine del condensatore
precedente; isolazione sensibilmente perfetta; variazione massima di carica poco
superiore a 2 %.
Ma un'ultima prova, fatta ancora con una piccola capacità per poter costrurre
il sistema più accuratamente, dove la temperatura della seta si era elevata quanto
la stoffa aveva permesso prima di mostrare la prima traccia di abbrustolimento, ad
un valore poco inferiore alla temperatura di fusione della stagnola, diede i migliori
risultati fra tutti quelli ottenuti; la curva di carica fu cioè (V. Fig. 5):
ò, 0.85 1.1 1.6 2.1 3.1 5.1 9.1 a ZI it
e 245.4 246.0 246.38 246.5 246.6 246.8 247.0 247.2 247.8
all TU! Du ALL 6! 10” 30!” 60”
e 247.8 248.0 248.2 248.3 248.3 248.3. 248.3
dove la variazione massima è appena di 1.17 °/, mentre la scarica residua dopo
60" di carica, che è una durata molto maggiore di quelle che in esperienze ordi-
narie possano occorrere, non superava 2.1 °/. L'isolazione era praticamente perfetta,
ed i risultati non si modificarono sensibilmente, finchè il condensatore fu conservato
nelle stesse condizioni, controllando le misure per molti giorni di seguito.
Per contro non si riuscì qui ad avere risultati migliori ripetendo i tentativi con
precauzioni analoghe e maggiori, come seccando una prima volta la seta a tempe-
ratura elevata, tenendola poi parecchi giorni sotto la campana della macchina pneu-
matica a pressione di pochi mm. di mercurio e in presenza di acido fosforico anidro,
riseccandola ancora all’atto della costruzione.
Tuttavia. non è inverosimile che quella piccola variazione percentuale ancora
per una parte o in tutto sia dovuta alla presenza nel dielettrico di una traccia di
umidità che i mezzi ordinari non permettono di eliminare operando in ambienti
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 437
comuni, e servendosi per la essiccazione di fiamme a gas che producono sempre una
notevole quantità di vapor acqueo.
Per confermare questo si ricorse ad una piccola capacità ove il dielettrico era
costituito dall'aria, si adoperò cioè un piccolo condensatore a lastre piane circolari
di ottone, spostabili sopra due sopporti isolanti di gomma lacca. Le due armature
furono montate sul tornio e ripulite a nuovo con polvere secca di vetro, levigandole
perfettamente; strofinando diligentemente ad ogni esperienza, ed in alcune tenendo i
due dischi orizzontali, separati da piccoli frammenti di mica, in modo da poter con-
servare la temperatura sopra i 100° durante le osservazioni, una variazione di carica
col tempo fu sempre notata; una variazione dello stesso ordine di grandezza di
quella che si otteneva se ai due dischi si frapponeva un foglio di seta ben secco.
Anzi con questo artificio fu impossibile ridurre l’ordine di questa frazione percentuale
al minimo che si era ottenuto colle armature a stagnola, verosimilmente perchè con
questi fogli metallici sottilissimi l’essiccamento poteva essere eseguito più perfet-
tamente e meglio conservato. Sebbene la capacità piccolissima del sistema a dischi
richiedesse l’impiego di una forza elettromotrice non piccola per leggere le devia-
zioni con sicurezza, non si doveva verosimilmente alla resistenza del circuito un
ritardo sensibile nella carica. D'altronde variazioni analoghe si verificarono con
batterie di parecchi elementi Daniell, con una batteria di 50 piccolissimi accumu-
latori collocati nella immediata vicinanza dell'apparecchio per semplificare le connes-
sioni, e con una serie di 50 grossi accumulatori a cui le comunicazioni erano sta-
bilite per mezzo di cavi concentrici privi di sensibile selfinduzione.
16. Un condensatore a seta di capacità notevole.
I risultati ottenuti non sono privi di importanza. Attualmente i migliori con-
densatori che si pongono in commercio, gli unici che possano adoperarsi come appa-
recchi normali in esperienze di precisione, sono quelli a mica, di cui il prezzo è però
molto elevato, essendo non solo in ragione del prezzo della mica che cresce rapi-
damente colla dimensione e la purezza di questa, ma in ragione anche delle difficoltà
di fabbricazione che sono grandissime, ed a vincere le quali solamente può avere
insegnato l’esperienza lunga e minuziosa.
Si dirà tra poco come l'esame di due capacità di 0.1 mF in due condensatori
normali del laboratorio abbia mostrato una variazione di carica col tempo quasi
eguale in uno di essi e superiore nell’altro a quella della seta. Questa variazione non
è identica nelle diverse frazioni di capacità dei condensatori detti, come molte misure
hanno mostrato; ma il valore medio pei due condensatori è in ogni caso superiore
ad 1°/. La somma di scariche residue dopo 60" di carica è parimenti prossima a
quella della seta.
Ma la seta si può avere ad un prezzo di gran lunga inferiore ed in qualunque
dimensione; lo spessore può essere ridotto in ogni caso a pochi centesimi di millimetro,
e la costante dielettrica, diminuendo la proporzione dell’aria con conveniente pressione,
può diventare forse eguale o superiore ad un terzo di quella della mica. Essenzial-
mente l’essiccamento è facilissimo e si può fare a temperatura due volte più elevata
438 i LUIGI LOMBARDI
di quella della mica, e, se pure con tutti gli artifici che per una fabbricazione appro-
priata sarebbe agevole di applicare non si riuscisse ad ottenere fenomeni di pola-
rizzabilità lenta più piccoli di quelli della mica, sarebbe sempre altrettanto facile
garantire che essi non si modifichino col tempo, mediante chiusure ermetiche opportune.
Per mostrare come la seta possa essere utilmente applicata alla costruzione di
condensatori eccellenti si volle ancora istituire un ultimo esperimento a fine di
realizzare una capacità un po maggiore, dell'ordine di quelle che si sogliono appli-
care più soventi, e di ottenerla in condizioni di sicura invariabilità.
Per questo un vero condensatore da laboratorio fu costrutto con un centinaio
di fogli di stagnola di armatura, racchiusi colla seta in un solido telaio di metallo
che si protesse con una cassetta di legno portante nel solito modo applicati al
coperchio mediante blocchi di ebanite i morsetti per la carica e per la chiusura in
corto circuito.
Il telaio è costituito da due robuste lastre di ottone accuratamente levigate di
dimensioni 33 X 18 cm., tra cui può esercitarsi una pressione considerevole ed uni-
forme mediante 6 viti robuste agli estremi ed al mezzo dei lati maggiori. L’essic-
camento dei fogli di seta e di stagnola fu eseguito nello stesso modo di prima sopra
grosse lastre di ottone riscaldate colla maggiore uniformità verso i 200°, lasciandovi
prima parecchi minuti i singoli pezzi, e rivoltandoli fin che ogni traccia di vaporiz-
zazione d’acqua era scomparsa; poi radunando tutti i fogli d’isolante e d’armatura
sopra una lastra conservata lungamente a temperatura poco minore, onde essi all’atto
della costruzione si venivano togliendo; finalmente riseccandoli ancora ad uno ad uno
sulle prime lastre sopra una delle quali il sistema si veniva completando. I contatti
colle armature furono stabiliti lasciando unite ai fogli di stagnola striscie di pochi cm.
di larghezza uscenti rispettivamente ai due lati, le quali furono poi insieme ripiegate
e compresse tra i piccoli morsetti di rame saldati ai fili di comunicazione che si
rivestirono di caoutchouc. L’isolamento dalle lastre d’ottone è garantito con fogli
sottili di ebanite che rivestono completamente il telaio, e con fogli sottilissimi di
mica ricoprenti tutto lo spazio occupato dalla seta. Quando l’apparecchio fu montato,
tra gli orli delle lastre si frapposero striscie di ebanite dello spessore di 5 mm. e di
altezza esattamente eguale a quella che il condensatore occupava sotto la pressione
più energica delle viti. Per due fori centrali si lasciarono uscire i fili di comunica-
zione, chiudendo ermeticamente tutte le commessure con mastice.
In queste condizioni è prevedibile che le proprietà del condensatore siano per
rimanere indefinitamente immutate. Effettivamente la capacità in molte misure coi
condensatori normali del laboratorio ripetute a varia distanza di tempo risultò
sempre 0.351 mF alla temperatura di 21°. La proporzionalità della carica alla diffe-
renza di potenziale fu verificata a meno di TO per le piccole tensioni a cui appa-
recchi simili si possono destinare, variando il numero di elementi Daniell da 1 a 9,
la durata di carica da 0'.0005 a 10”. L’isolamento è notevolmente elevato, perchè
la determinazione della resistenza col metodo della perdita di carica, tenendo conto
delle piccole scariche residue, dà un valore superiore a 10! ohm. Solamente la
somma delle scariche residue è un po’ maggiore di quella prima ottenuta col con-
densatore più piccolo, e dopo 60” di carica supera di poco 3%, mentre la massima
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 439
variazione apprezzabile nella scarica primaria, mediamente, variando il tempo di
carica da 0"”.0005 a 60", si accosta ad 1.7 °%o.
In condizioni identiche fu constatata per la capacità 0.1 + 0.2 mF del conden-
satore normale Clark una variazione di carica di 1.6 °/ e una somma di scariche
residue poco inferiore al 3 °/,.
Si noti però : la seta usata qui è della stessa stoffa che servì negli esperimenti
a cui per ultimo si accennò, cioè di spessore minore di 0.06 mm.; e siccome un tes-
suto di questa sottigliezza, non fabbricato con precauzioni speciali a questo scopo,
presenta sempre sopra larghe superficie dei punti di minore compattezza, sebbene
fossero stati scartati dei pezzi isolanti tutti quelli che mostravano inomogeneità,
accadde alla prima costruzione del sistema che sotto la forte pressione alcune delle
armature di stagnola venissero attraverso gli interstizi della seta a contatto. Il
numero di questi corti circuiti, facilmente accertato mediante una pila ed un galva-
noscopio, non era tanto piccolo che potesse consigliarsi di rimuovere semplicemente
i pezzi di seta difettosi; quindi nella costruzione definitiva si preferì di raddoppiare
lo spessore dell’isolante, cioè di frapporre ad ogni coppia di fogli d’ armatura due
fogli di seta. Questo ebbe evidentemente per effetto di diminuire notevolmente la
capacità e di crescere inversamente il costo; più ancora ebbe per conseguenza una
difficoltà maggiore nella essiccazione, per cui questa non raggiunse il grado di per-
fezione delle precedenti, non essendosi potuto conservare fino agli ultimi fogli che
sullo strato si venivano sovrapponendo la temperatura elevata che avevano gli infe-
riori, affinchè non venissero questi bruciati e fuse le armature.
Lo spessore complessivo, dal sistema di circa 100 fogli di stagnola e 200 di seta
occupato tra le lastre, è di 12 mm.; ed in esso od in uno spazio poco superiore capi-
rebbe una capacità quattro volte maggiore se come isolante si adoperasse una stoffa
di seta di spessore eguale o poco superiore, purchè ne fosse la struttura più com-
patta come da una fabbricazione speciale si otterrebbe facilmente. Il confronto dei
condensatori a mica non può evidentemente considerarsi molto svantaggioso sotto
questo aspetto. Per contro la forma si potrebbe variare a piacere; la graduazione
delle capacità sarebbe facilissima variando fra piccoli limiti la pressione; certamente
Il costo non sommerebbe che ad una piccola frazione di quelli a mica, perchè per
la capacità di 1 mF potrebbero in ogni caso bastare pochi metri quadrati di stoffa,
il cui prezzo non sarebbe elevato.
Solamente una leggera complicazione deriverebbe dalla necessità di tener conto
della variazione di capacità al variare la temperatura, la quale è qui notevolmente
superiore a quella dei condensatori a mica. Una determinazione esatta del coeffi-
‘ciente di riduzione non fu fatta per questo condensatore. Però per avere un'idea del
suo ordine di grandezza la capacità fu in due giorni diversi esattamente misurata
alla temperatura dell'ambiente che era 22°, e fu trovata 0.3513 mF. Il condensatore
fu allora portato in un ambiente artificialmente raffreddato con ghiaccio, e lasciato
ivi parecchie ore; vicina si collocò una cassetta di legno identica a quella del si-
stema, contenente un termometro che segnava, al momento in cui la cassetta fu
riportata al luogo di misura, la prima volta 9°, la seconda 9°,5; le osservazioni ese-
guite rapidamente diedero nei due casi 0.3456 e 0.3462 mF. Una variazione analoga
sì constatò misurando la capacità dopo che la temperatura all’interno della cassetta
440 LUIGI LOMBARDI
si era elevata a circa 35° mediante una lunga esposizione al sole, essendosi trovata
la capacità eguale a 0.3550 mF. Lasciato alcune ore alla temperatura della stanza
il condensatore mostrava di nuovo una capacità identica alla primitiva. Il coefficiente
di variazione si potrebbe dunque determinare colla massima esattezza, ed essendo
fatta la calibrazione ad una temperatura prossima alla media a cui il sistema vor-
rebbe essere adoperato, la piccola riduzione, non eccedente di molto 1 millesimo per
1° di differenza di temperatura, si potrebbe applicare in ogni caso nello stesso modo
che si è soliti fare nel confronto delle resistenze metalliche o dei campioni di forza
elettromotrice.
17. — Variazioni di carica per dielettrici diversi.
L'acqua è la causa principale della lenta polarizzabilità della seta, e vero-
similmente di quasi tutte le sostanze organiche nelle quali essa entra come ele-
mento importante di costituzione. E però è naturale supporre che essa abbia un
effetto analogo anche in tutti gli altri dielettrici. Per vedere se alcuni di essi su-
bissero in modo specialmente marcato quest’azione, e per avere un'idea della facilità
con cui essa potesse essere eliminata, furono prese in esame parecchie delle sostanze
che più comunemente si adoperano come isolanti.
Mica. — È il dielettrico considerato fin qui il migliore per la costruzione dei con-
densatori normali, dove effettivamente offre molti vantaggi per la struttura lamellare
che ne permette la sfaldatura in fogli sottilissimi, e pel valore elevato della costante
dielettrica unita ad una resistenza specifica che, se è inferiore a quella di molti
altri isolanti, è però sufficiente in quasi tutti i casi della pratica. Nelle migliori con-
dizioni il comportamento della mica può osservarsi nei condensatori campioni e qui
se ne esaminarono due, rispettivamente della fabbrica Clark e della Carpentier, aventi
proprietà perfettamente analoghe. Le due capacità sono parimente graduate per fra-
zioni di 1 mF, e la graduazione fu verificata esatta a meno di pochi millesimi, seb-
bene la misura assoluta della capacità totale abbia accusato un valore un po’ supe-
riore a quello dato dalla fabbrica, cioè per quello Clark 1.013 mF.
Le curve di carica, come nei casi che precedono ed in quelli -che seguiranno,
furono determinate col pendolo; e qui, perchè si voleva conservare la sensibilità del
galvanometro e tutte le altre condizioni possibilmente eguali a quelle in cui i primi
condensatori a seta erano stati studiati, si caricò la capacità di 0.1 mF con un solo
accumulatore, mentre ne erano presi alcuni in serie nei casi dove la capacità era
notevolmente minore. La massima variazione si intende sempre definita dalla minima
carica apprezzabile con una durata dell'ordine di 1 a 5 diecimillesimi di 1' alla
massima ottenibile, misurate le cariche come si suole per proporzionalità alle prime
elongazioni di scarica.
In condizioni identiche a quelle del primo condensatore a seta, pel condensatore
Clark la variazione massima era 1.4°/,, la somma di scariche residue dopo 60" di
carica era circa 2°/,; pel condensatore Carpentier si trovarono grandezze dello stesso
ordine, sebbene un po’ minori; cioè variazione 1.12 °/,, scarica residua 1.6%. La
figura 6 riporta una delle curve pel condensatore Clark rilevata sulla capacità
0.1 + 0.2 mF in confronto all'ultimo condensatore più grande a seta:
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRIUI 441
Di i O 71 I iS 211
e 202.0 202.2 2025 2028 203.1 203.3 203.5 203.8 204.0
Manon 0/5 60" |
| e | 2045 2046 2048 2049 2050 2050 |
a
La mica quale si trova in commercio non presenta però così eccellenti proprietà
dielettriche senza una laboriosa preparazione. Fu verificato qui sfaldando una lastra
di mica perfettamente bianca e trasparente, di dimensioni 15 X 18 cm., in molte
lastre dello spessore di alcuni centesimi di mm., di cui si costruì un piccolo conden-
satore. Con questa capacità bastavano, per avere deviazioni notevoli, due soli accu-
mulatori, onde non era la resistenza più grande che nei primi casi. Questa mica
allo stato naturale, cioè non altrimenti seccata che mediante strofinamento con cotone
secco, mostrò una variazione massima di carica enorme;
Hapogcariche di ivi. Lo 0'”.0002 0'.2 2 20” 200"
la 1° elongazione di scarica era 118 182 252 311 327.
La somma di scariche residue aveva valori in proporzione elevatissimi. La mica fu”
dunque seccata sulle lastre di rame come i singoli pezzi di stagnola e ad una tem-
peratura poco più elevata, forse a 250°; la curva apparve molto migliorata; la mas-
sima variazione s° era ridotta a 18°/,, e le scariche residue s’ erano abbassate in
corrispondenza :
id, MS NOAA 1 I ALI III 151171211
je |114.2 115.7 117.0 117.9 118.4 118.8 119.4 119.9 120.3 120.6 120.9 121.1 121.4
I O ot son 607 1207 180"
, 126.0 128.0 129.2 130.3 132.2 133.5 134.5 135.8 136.8 137.9 139.0
|
Supponendosi che a temperatura più elevata l’essiccazione darebbe risultati mi-
gliori, le stesse lastrine di mica furono portate a temperatura elevatissima in modo
da comunicare loro un principio di arroventamento; però la variazione di carica era
in seguito molto cresciuta, e dell'ordine di grandezza della prima osservata. Evi-
dentemente dove la mica è diventata una volta incandescente le sue proprietà fisiche
si sono profondamente modificate, e come è diminuita la sua durezza e trasparenza
e in genere la sua fisica elasticità, è pur divenuta molto più imperfetta la elasticità
elettrica, salvo che è verosimile che questa diminuzione cominci a temperatura molto
Serie II. Tom. XLIV. F°
442 LUIGI LOMBARDI
più bassa della prima, o almeno più bassa della temperatura a cui i mezzi ordinari
ci permettono di apprezzare la prima.
Non era dunque improbabile che la prima essiccazione si fosse eseguita già
a temperatura troppo elevata. Per provarlo due nuove lastre di mica di spessore
circa 0.3 mm. aventi una tinta leggermente bruna, ma però un aspetto perfettamente
omogeneo, furono esperimentate prima allo stato naturale, seccate con solo strofina-
mento, poi riscaldandole a temperatura molto inferiore a 200°; i fogli di stagnola
erano in ogni caso seccati a circa 200°, Nel primo caso la variazione di carica era
poco inferiore al 50 °/,; nel secondo era discesa a 30°/; ma riscaldando di nuovo
poco sopra 100° per tempo più lungo, e provando a sostituire ai pezzi di stagnola
due lastre levigate di rame che si erano potute scaldare a temperatura più elevata
e strofinare fortemente per assicurarsi che ogni traccia di umidità condensata alla
superficie fosse eliminata, non fu possibile ottenere una variazione minore del 20 %,.
È però chiaro che la condizione della mica in lastre a spessore notevole era
rispetto alla essiccazione meno vantaggiosa. Prescindendo difatti dalla costituzione
chimica di questo complesso silicato, che è sempre diversa nei varii casi, e proba-
bilmente corrisponde a proprietà dielettriche diverse, la struttura lamellare è favore-
volissima alla occlusione di gas, in presenza dei quali si trova verosimilmente anche
vapor d’acqua in piccolissime bolle disseminate tra i fogli immensamente sottili della
mica. E difatti al riscaldarsi delle lastre di mica compaiono in molti punti, all’interno
della massa, bolle che la temperatura crescendo fa dilatare, e che difficilmente possono
sfuggire dalle cavità che le racchiudono. Se vapor acqueo è ivi, molto probabilmente
a temperatura ordinaria e sotto la pressione notevole che la massa esercita nel con-
trarsi, si condensa, o riducendosi in bollicine liquide invisibili, o venendo addirittura
dalla sostanza solida assorbito. Quanto più sottili possono ottenersi le lastrine di
mica, è dunque tanto minore la quantità acclusa di gas, e più facile l’essiccazione.
Tuttavia alcune lastrine sottilissime di mica ricavate dalle due predette, ed una
quantità di altre perfettamente bianche e tolte ad un piccolo condensatore del labo-
ratorio che per tempi ordinarii di carica funzionava assai bene, mostrarono per tempi
brevissimi una diminuzione di carica molto notevole. La variazione massima diffi-
cilmente restava sotto il 15 %o.
Dello stesso ordine di grandezza fu la variazione constatata presso due piccole
lastre sottili, che per ultima prova si richiesero direttamente alla fabbrica Carpentier
di Parigi, e che ivi furono scelte tra quelle adoperate negli ottimi condensatori nor-
mali di questa firma. E qui s'era proceduto con tutte le cautele, prima essiccando solo
la mica con strofinamento meccanico, poi riscaldandola poco a poco lungamente verso
1 100° ed a temperatura superiore.
La preparazione della mica è dunque eccezionalmente difficile e laboriosa. Per
dichiarazione della stessa ditta le miche devono subire una diligentissima scelta,
ed essere scartate tutte quelle che contengono tracce di ferro, o mostrano, esaminate
al microscopio, delle inomogeneità; l’essiccazione si fa poi lentissima in stufe a calor
dolce, ove la temperatura non raggiunge 100°. Essenzialmente la riuscita buona degli
apparecchi normali è subordinata ad una infinità di precauzioni delicate di fabbrica-
zione che l’esperienza sola ha consigliato. Ma questo non fa che riconfermare quanto
sì disse dei vantaggi che l'applicazione razionale della seta potrebbe presentare.
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI . 443
Paraffina. — Ha una resistenza specifica centinaia di volte maggiore della mica
ed una costante dielettrica pari almeno alla metà di questa, onde pel poco prezzo
è opportunissima alla fabbricazione di condensatori per usi comuni di laboratorio,
anche per potenziali molto più elevati. Generalmente si impiega impregnandone
fogli di carta sottili così che la distanza delle armature possa essere conveniente-
mente piccola. La carta ha pure in determinate condizioni resistenza specifica enorme,
e certo buone proprietà dielettriche per quanto i sistemi così costrutti permettono
di giudicare,
La fabbrica di cavi elettrici di Cortaillod nella Svizzera fornisce condensatori
a carta paraffinata, graduati in frazioni di microfarad, che in confronto a molti altri
condensatori posti in commercio presentano proprietà assai buone. La curva a cui
sì riferisce la tabella seguente si rilevò per la capacità di 0.1 ;F di un simile
condensatore di 1 mF, e mostra una variazione massima di 5,7%; la somma di
scariche residue dopo 60" di carica era circa 5,5 °%:
do, 045 0.5 0.8 del 1.6 2.1 5.1 5.1 9 loi Sa2E.1
È 245.0 247.7 250.8 251.9 253.0 258.5 254.0 254.3 254.7 255.1 2554
al [Pd 9! 5! I U(0}% 30” 60!
e 257.0 259.0 259.6 259.7 2598 259.8
Però la stessa fabbrica ha costrutto pel laboratorio di Zurigo un gran numero di con-
densatori a carta paraffinata, chiusi in telai semplicissimi di ghisa, dei quali la capacità
è meno accuratamente graduata, non dovendo servire questi come campioni di unità,
ma di cui le proprietà sono eccellenti. La somma di scariche residue dopo 60" di
carica non supera in uno di questi condensatori qui esaminato, il 4%; la variazione
massima fu constatata nella carica di 3%, sebbene questa capacità che era circa
1mF si sia dovuta caricare per servirsi dello stesso galvanometro con una piccola
forza elettromotrice, e si siano perciò messe in opposizione una pila Daniell con una
Clark, dove la resistenza era notevolmente elevata. La curva è qui riferita (V. Fig. 7):
ò, O o OI 5 IL A ZI
e 299.0 300.9 301.7 302.1 302.5 3029 303.5 304.0 304.4
oi e o” 2010 60!
e 305.7 806.9 307,5 308.1 3082 308.2
Condensatori di questa natura hanno servito alla costruzione del gran cavo del la-
boratorio di Zurigo, avente una resistenza di 375000 ohm ed una capacità comples-
444 LUIGI LOMBARDI
siva di 620 microfarad, destinato allo studio della trasmissione di correnti continue
ed alternative. Per questo la esiguità dei fenomeni di polarizzazione successiva era
una condizione essenziale per giungere alla verifica, che si ottenne con mirabile pre-
cisione, delle formole date dalla teoria. Le proprietà dei cavi nella pratica non sono
mai altrettanto perfette.
La fabbricazione dei condensatori a paraffina dev'essere specialmente agevolata
dalla possibilità di eliminarne l’acqua scaldando la paraffina ad una elevata tempe-
ratura, che fuori dell’aria può salire sopra 300°. La paraffina come si trova in com-
mercio contiene verosimilmente sempre delle tracce d’acqua sciolte; almeno alla super-
ficie una piccola quantità ne è sempre condensata, che si scioglie nella massa quando
questa fonde a bassa temperatura.
Fu sperimentata una sottile lastra di paraffina ordinaria, raschiandone rapida-
mente lo strato superficiale ed applicandovi due armature di stagnola; la variazione
di carica fu 30°/. Tenendo la temperatura della paraffina fusa per qualche tempo
verso i 100°, colando questa in un telaio di vetro di cui s’ era rivestito il fondo di
stagnola ben secca, e sovrapponendovi ancora a caldo la seconda armatura, la varia-
zione massima non si abbassò sotto 20°, nè la somma di scariche residue dopo 60”
di carica sotto 24/. La forma della curva è caratterizzata dalla serie seguente, che
è una di quelle rilevate nelle condizioni ora dette:
ò, 05085 RS e ae]
e LOS 7220 MAS A TI 088 |
TA i 9! 3! 5” Tal 10” 15” 90! 30!”
e 9RSL 99 098:2/0 990909 L00600 90059
Ebanite. —- Ha una resistenza specifica poco inferiore a quella della paraffina,
ed in un grandissimo numero di casi si presta come ottimo tra gli isolanti nella
costruzione degli apparecchi da laboratorio. Alla costruzione di condensatori non fu
molte volte applicata, perchè la fabbricazione di fogli molto sottili offre gravi difficoltà
e rende il prezzo molto elevato.
Nel laboratorio di Zurigo fu però montato un condensatore a fogli di ebanite
della grossezza di circa 0.5 mm., a quest’uopo fabbricati. La capacità è di circa 1 mF,
e le proprietà assai buone; il volume è però notevole ed il costo fu molto superiore
a quello dei condensatori a mica.
Per il confronto cogli altri dielettrici qui studiati si presero in esame alcuni
fogli di ebanite della medesima natura. Essendo la superficie perfettamente levigata —
una meccanica essiccazione è relativamente facile, ed è sufficiente, se l’ebanite fu
conservata in un ambiente ben secco, per dare ottimi risultati. Ma se l’ ebanite
è stata lungamente esposta all'aria umida, una quantità d’acqua si è verosimilmente -
condensata tra i pori della sostanza, e ad espellerla non basta uno strofinamento mec-
canico nè il leggero riscaldamento che la sostanza può subire prima di rammollirsi.
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 445
Per questo i piccoli fogli di ebanite stati lungamente impiegati ad altri usi mostra-
rono una variazione di carica del 30 °/,, ed una somma di scariche residue corrispon-
dentemente elevatissima.
Ma un condensatore costrutto con pochi grandi fogli nuovi, seccati coll’esporli
lungamente al sole e collo strofinarli fortemente con cotone caldo mentre le armature
di stagnola venivano riscaldate a 200°, presentò una massima variazione di 4,3 °/y
circa, e dello stesso ordine era la somma di scariche residue dopo 60” di carica. È
qui riferita la curva rilevata mediante due soli accumulatori in serie (V. Fig. 8):
Soana 0:60.77 0.9 1.1 Irognee2 lips oote 91 131 EQ
| |
ca SOSIA 194759485) 9519520954 95/6795." 9610962 |
pe TI Oui 5! 20!” 30”'
MCR OTO 198:0198.0" 1 "98.0
Le condizioni di questo condensatore si conservarono lungamente inalterate senza
altra protezione che la pressione energica, che faceva perfettamente aderenti i fogli
di ebanite ed impossibile l’accesso dell’aria. Per contro non si riuscì ad ottenere
risultati migliori ripetendo parecchie volte l’essiccamento colla massima cura. E tut-
tavia è altamente verosimile che le tracce di umidità assorbite dalla massa fossero
ancora la causa principale di quella lenta polarizzabilità, perchè gli stessi fogli con-
servati per settimane nell'ambiente del laboratorio mostrarono in misure successive
una variazione sempre più marcata ed impossibile ad eleminarsi. Non sarebbe però
difficile premunirsi da questo inconveniente con precauzioni speciali all'atto della
fabbricazione e seguenti ad essa.
. Solfo. — Non avendo applicazioni in genere come isolante, l'esame di esso non
era per altro interessante se non perchè esso è uno dei pochissimi dielettrici che sì
possano avere allo stato di assoluta purezza. La facilità di colarlo in lastre molto
sottili agevolava specialmente l'esperimento, sebbene le lamine prendano nel raffred-
darsi una struttura cristallina inomogenea. Per contro la temperatura relativamente
bassa a cui lo zolfo fonde, e l’impossibilità di tenerlo nell'aria a temperatura molto
più elevata senza che lo stato della sostanza accenni a modificarsi molto prima che
una vera deformazione allotropica abbia luogo, impediscono di assicurarsi che tutta
l’acqua sia stata espulsa.
I piccoli condensatori erano costrutti come quelli a paraffina in sottilissimi telai
di vetro riscaldati gradatamente sopra i 100°, ove il primo foglio di armatura si
adagiava accuratamente sul fondo, ed il secondo si applicava sulla lamina di zolfo
al primo accenno di solidificazione; l'adesione a caldo era perfetta.
Furono così esaminati vari campioni di zolfo raffinato in bastoni, che mostrarono
variazioni di carica e somme di scariche residue elevatissime. Lo zolfo puro in pol-
vere, tenuto lungamente sotto la campana della macchina pneumatica a pochi mil-
limetri di mercurio di pressione per seccarlo in presenza di acido fosforico, poi con-
446 LUIGI LOMBARDI
servato liquido parecchio tempo verso i 120° agitando la massa liquida continuamente
per facilitare la liberazione delle particelle di vapor acqueo, mostrò ancora una
variazione di carica di circa 14°/, come risulta dalla serie :
(SENTO: IR DL RE eV E
e 6013-671075 0912 090-6946970 010301
Gel JESS DI 4” Igt KON 90?! 30” 60"
e EMO IAA ES II€NO ARTO A00 AMOS,
Parecchi altri tentativi condotti in modo analogo diedero analoghi risultati; ma
non sarebbe possibile dedurne se questa sia una proprietà inerente alla sostanza,
o se, come è verosimile, dipenda ancora in massima parte dalle condizioni igrosco-
piche della medesima. Perciò occorrerebbe fare una serie sistematica di osservazioni,
o distillando in precedenza lo zolfo direttamente, o tenendolo lungamente fuori del-
l’aria a temperatura possibilmente alta.
Gomma lacca. — Ha una grandissima resistenza specifica che la rende preziosa
specialmente come vernice isolante. Però si suole sempre applicare sciolta in alcool,
e, perchè questo non è quasi mai puro, lascia evaporando certamente residui d’acqua.
Verosimilmente erano questi che nella prova qui fatta, sciogliendo a caldo la gomma
in molto alcool e impregnandone fogli di seta prima seccati, mascheravano il com-
portamento della sostanza principale, perchè non si riuscì ad ottenere variazioni
massime di carica inferiori al 20 °/, con scariche residue corrispondentemente elevate.
Guttaperca. — Dovendosi sperimentare in fogli sottili, l’essiccamento è reso as-
solutamente difficile dalla natura stessa della sostanza che ha sempre condensata
alla superficie una grande quantità di acqua; ora questa non può essere senza ar-
tifizi specialissimi eliminata, non potendo assoggettarsi la sostanza a strofinamento
meccanico nè a riscaldamento sensibile. Tuttavia fogli di guttaperca furono osservati
dopo lunga esposizione all’aria secca, ed al sole, e ad un getto d’aria artificialmente
seccata attraverso un tubo ad acido fosforico, mandata sotto pressione da un piccolo
ventilatore; ancora lasciando i pezzi per parecchi giorni sotto la campana della
macchina pneumatica nel modo solito. Il migliore risultato che si ebbe corrispondeva
però ad una variazione massima di carica del 23 °/, e ad una somma di scariche
residue dopo 60" di carica pari al 40 °/. Esso è riferito nella serie seguente:
d, e i gi 2
e 54.5 56.0 57.0 58.3 593 60.3 613 624 630 634,688
di ore OO 30/0 DI
e 66.7 67.7 68.2 686 68.9 692 694 69.7 702. 70.8
————_rc "= =----——@—1@@——@—@—@—@—@—@—@—@—@—@—@—@<@1—1@11111.. 11° 0). l9rr9/l1@#11111@@—————__—_—1—t_—_+_++___=_=
_
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 447
Vetro. — È noto che le sue proprietà dielettriche sono in genere molto imper-
fette, sebbene la resistenza specifica sia molto grande. Il comportamento varia enor-
memente colla natura della sostanza, ed è prevedibile che un esame sistematico delle
diverse qualità di vetro, nel quale uno alla volta e per gradi si variassero gli ele-
menti di questo composto complicato, scoprirebbe con sicurezza l’ influenza di cia-
scuno di essi, e darebbe utile norma per la scelta di vetri adatti alle applicazioni
dielettriche. Non altrimenti nel laboratorio di Jena, che ha fama meritata per la
produzione di vetri ad usi scientifici, si è precisata negli ultimi anni l’azione dei
vari costituenti del vetro sulla sua dilatabilità termica, che ha tanta importanza nei
termometri di precisione, e si riuscì colla scelta razionale di essi ad eliminare quasi
perfettamente quella che potrebbe dirsi isteresi termica, cioè il ritardo con cui il
vetro segue nella dilatazione le modificazioni di temperatura. È questo un fenomeno
che si può ben paragonare al ritardo con cui un dielettrico in genere, ed il vetro in
particolare, subisce la polarizzazione elettrica.
Qui trattavasi solo di avere un'idea dell’ordine di grandezza dei fenomeni che
questo ritardo può produrre, tanto più che nel caso generale il vetro adoperasi in
lastre a superficie molto levigata, e l’ essiccamento può farsi specialmente accurato
strofinando energicamente e riscaldando sopra i 100°.
Fu perciò sperimentata, dopo essiccamento diligente, una lastra di vetro comune.
Ma, in perfetta conformità col fenomeno notissimo delle numerose scariche residue
della bottiglia di Leyda, la carica apparente, misurata dalla prima elongazione di
scarica, andò crescendo per un tempo molto lungo, e certamente la carica totale
sarebbe cresciuta per un tempo molto maggiore. Definita nel solito modo la varia-
zione di carica era circa 33%, ed all’ esaurimento delle scariche residue non
bastava un grandissimo numero di minuti. È riferita la curva di quella variazione
nella Fig. 9, e nella serie seguente:
Ò, MS (0 SO 9) 2.1 3.1 4.1 5.1 CA CORE ge GI LET IRAN Bis yl ISEE aa
e 137.5 145.2 149.5 152.5 154.5 156.2 158.5 160.0 161.0 162.8 164.9
TA 1102 9 gu 5” hi 10” 15” 95! 60! 90” 120’
e 186.0 192.6 195.2 197.6 198.6 199.7 200.8 202.3 203.8 204.8 205.0
In questo caso la presenza dell’acqua era in massima evidentemente esclusa;
tuttavia i caratteri del fenomeno non si mostrano essenzialmente diversi da quelli
dei corpi nei quali la presenza di un elettrolito è facile a constatare. E siccome si
può avere il vetro in speciali condizioni comportantesi come un corpo eminentemente
igroscopico, può vedersi subito che la presenza dell’acqua modifica l'andamento della
curva in modo continuo, e si può pensare che la polarizzazione dei dielettrici in
genere presenti sempre con quella degli elettroliti una strettissima analogia. Di più
è interessante vedere sotto quali aspetti le proprietà elastiche e quelle dielettriche
dei corpi possano essere confrontate; e, come tra i dielettrici organici si prestava
448 LUIGI LOMBARDI
a ciò specialmente opportuna la seta, tra i dielettrici inorganici comuni poteva esa-
minarsi il vetro con vantaggio.
Fu adoperata a ciò la così detta lana di vetro, costituita da fili di vetro sot-
tilissimi e brevi, arricciati in un ammasso quale si suole applicare per avere un buon
coibente termico. Le proprietà elastiche furono poi esaminate, come si dirà, sopra
lunghi fili regolari di vetro; di questi e dei primi l'aspetto essendo del tutto identico,
ed entrambe le sostanze essendosi ricevute dalla medesima fabbrica, era molto
verosimile che tutte due avessero eguale costituzione. Appunto per la piccolissima
conduttività termica e per la enorme superficie che presenta la lana di vetro ha
un potere igroscopico grandissimo, ed è veramente difficile conservarla con artifizi
comuni libera da umidità condensata. Tuttavia l’essiccazione si può fare a temperatura
molto elevata, e qui fu eseguita frammezzo a due lastre metalliche scaldando
verso 300°: la variazione di carica, prima colossale, si mostrò dopo ciò notevol-
mente diminuita, ma non tanto che la variazione ultima non fosse ancora di gran
lunga superiore e tutte quelle prima constatate. Ciononostante risulta dalla curva
qui riferita nella tabella che la forma è ancora quella che pel vetro si era ottenuta.
Dopo 20" di carica la somma di scariche residue era circa 60°/, della scarica primaria.
ò; 0.8 Li Rd 0 4A OLII 9A e Zi
e. |89.0° 40.0 ‘48.80 54.2 58.0) 61/2 ‘60.8 692° 72.5 6.079: 20
,
i E! Ti DUI pil 451 5! 6! 8g! 10" 15! 20” 302!
e 104.5 115.5 120.5 123.4 125.5 126.7 128.5 129.2 130.5 131.2 133.0
Olio. — L’ esame di questo poteva interessare come d’un tipo dei dielettrici
liquidi non elettrolizzabili: ma si riscontrò una polarizzabilità successiva enorme. Olio
puro di lino fu scaldato lungamente verso i 150°, e portato così caldo sotto la campana
della macchina pneumatica in presenza di acido fosforico anidro. Diminuendo la pres-
sione a pochi mm. di mercurio, una grande quantità di bolle si svolgeva, e dopo
ripetuta l'operazione del riscaldamento e della diminuzione di pressione una 2? volta,
avendovi già immerso 1 fogli di seta che dovevano conservare a distanza le armature,
si poteva ammettere che la massima parte dell’acqua fosse eliminata. Le armature di
stagnola vennero applicate dopo averle riscaldate nel solito modo, e si fecero aderire
perfettamente con pressione notevole, così che tutta l’aria era esclusa. La curva
di carica continuava per un lunghissimo tempo a salire, sebbene l’elettrolisi di tracce
d’acqua, se eventualmente avessero potuto restar ancora, fosse impossibile quando
la carica si eseguiva con una forza elettromotrice piccola, cioè con un elemento
Daniell ed un Clark in opposizione: la variazione di carica tra 1" e 20" raggiun-
geva ancora qui 70 °/o.
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 449
18. — Osservazioni sui fenomeni di lenta polarizzabilità.
Da tutto ciò che s'è detto si può concludere ad alcune osservazioni generali.
Qualunque sia la natura della polarizzazione elettrostatica, cioè qualunque sia l’in-
tima essenza di quella modificazione dello stato molecolare che noi definiamo con
quella parola, è certo che essa non si suole mai produrre istantaneamente, cioè le
molecole non sogliono raggiungere il nuovo equilibrio se non con una certa len-
tezza quando sopra di esse son venute ad agire le forze elettrostatiche. Questa
lentezza è diversa nei diversi corpi, e dev'essere connessa strettamente colla natura
loro e del loro raggruppamento molecolare. Essa è la causa principale della variazione
di carica nei condensatori oltre i tempi ove intervengono i fenomeni dovuti alla indu-
zione ed alla resistenza del circuito. Inversamente essa è la causa di tutti i feno-
meni di scarica residua e di una gran parte dei fenomeni di variazione della resi-
stenza apparente sotto potenziale costante.
Nessuno dei dielettrici comuni ha mostrato sinora la proprietà di polarizzarsi
istantaneamente, e forse essa non appartiene che all’etere, polarizzandosi solamente
i gas con una tale rapidità che il tempo a ciò necessario sfugge alle nostre osser-
| vazioni. Le sostanze organiche, che hanno in genere una struttura più complicata, non
presentano però necessariamente una lentezza di polarizzazione maggiore, se non
in quanto esse sogliono contenere quantità variabili di liquidi, elettroliti o non.
Difatti, quando due sostanze si trovano in presenza una dell’altra, esse subiscono
indipendentemente l’azione delle forze elettrostatiche, e, come l’energia della loro
polarizzazione interviene proporzionalmente al volume nell’aumento della energia rac-
chiusa nel condensatore, così essa si va per fenomeni paralleli immagazzinando in
ciascuno di essi. La presenza dei liquidi si rende specialmente avvertibile perciò
che in essi la lentezza della modificazione nell’equilibrio molecolare è sempre mar-
catissima.
I fenomeni di lenta polarizzazione non sono dunque fenomeni elettrolitici, seb-
‘bene, quando questi intervengono, quelli vi siano sempre accompagnati e presentino
con essi alcuni caratteri comuni.
Ora i fenomeni elettrolitici seguono leggi perfettamente definite e semplicissime;
non è egli possibile che quelli di polarizzazione siano retti da norme costanti nella
successione del tempo, oltre che nella funzione della forza che li produce, dove una
semplice proporzionalità pare sia già accertata ? Per rispondere a questa quistione non
è inutile stabilire alcune analogie.
19. — Fenomeni di lenta deformazione elastica:
misura del modulo di elasticità.
L’idea della analogia dei fenomeni di polarizzabilità dei dielettrici e di defor-
mazione dei corpi elastici è generalmente diffusa, accennandosi sempre quando si
parla di scariche residue di condensatori a dielettrico imperfetto alla rassomiglianza
Serie II. Tom. XLIV. a
450 LUIGI LOMBARDI
colle manifestazioni di elasticità susseguente nei corpi non perfettamente elastici.
L'esame della seta come tipo tra le sostanze isolanti organiche s'era appunto pre-
sentato più opportuno per la possibilità di studiare parallelamente i due ordini di
fenomeni.
W. Weber in Gottinga fu il primo ad occuparsi sistematicamente delle defor-
mazioni elastiche della seta, ed i risultati delle sue ricerche, estesi alle deformazioni
dei corpi elastici in genere durante la loro fase variabile, furono pubblicati da lui
in tre memorie (1) che formarono la base della prima teoria esatta della elasticità.
Difatti in esse la prima volta si fece luogo alla considerazione del tempo nelle defor-
mazioni, e senza tener conto di esso la legge di proporzionalità della deformazione
e della forza non può semplicemente essere verificata.
Weber definì azione susseguente della forza (Nachwirkung) l’effetto di essa che
si produce nei tempi seguenti l'istante in cui la forza è venuta ad agire. Essa non
è naturalmente da confondere colla deformazione permanente a cui ogni nuova appli-
cazione della forza può dare origine, perchè, se forze eguali o minori si vanno suc-
cessivamente riapplicando, le deformazioni nuove permanenti vanno diminuendo e
finiscono per sparire, e allora veramente la deformazione totale è solo proporzionale
alla forza. Per contro l’azione susseguente non cessa mai di verificarsi, ed a regime
in una serie indefinita di deformazioni elastiche originate da una medesima forza si
conserva inalterata. Di più, per definizione stessa, la deformazione permanente, come
conseguenza di una forza una volta applicata, rimane nel corpo; la deformazione
susseguente è funzione essenzialmente del tempo, e al prolungarsi di questo, se la
forza è cessata, essa scompare.
. Per enunciare una teoria di questa elastica deformazione Weber considera le
molecole del corpo elastico come dotate di tre assi di elasticità. In una deformazione
simmetrica rispetto tre assi qualunque, come potrebbe essere una dilatazione termica
di corpi isotropi, le dimensioni del corpo e le distanze delle molecole crescerebbero
egualmente in tutti i sensi, cioè la posizione relativa degli assi molecolari non va-
rierebbe. Ma in una deformazione elastica, per esempio per tensione, le molecole
sono generalmente sollecitate ad allontanarsi in una sola direzione, e ad avvicinarsi
per conseguenza nelle direzioni normali; quindi gli angoli fra gli assi di elasticità
delle molecole diverse cambiano. Le molecole subiscono, una rispetto all'altra, una rota-
zione; e questa non può avvenire istantaneamente, perchè si devono vincere le forze
di coesione molecolare che agiscono come resistenze passive, ed eseguire un lavoro
della natura d’un lavoro d’attrito, il quale suole sempre ritardare il moto relativo
dei corpi materiali che sono in contatto.
E per formulare una legge di questa deformazione successiva suppone Weber
che le molecole del corpo si muovano verso la nuova posizione di equilibrio con una
velocità funzione della distanza che da questa ancora le separa.
Se si dice x questa distanza, essa è naturalmente una misura della deformazione
del corpo che deve ancora succedere, e quella velocità che si può dire di deforma-
(1) Pogg. Ann., XXXIV, 1835: “ Ueber die Elasticitàt der Seidenfaden ,. — Gottingae Sumpt.
Dieterich., 1841: “ De fili bombycini vi elastica ,. — Pogg. Ann., LIV, 1841: © Ueber die Elasti-
citàt fester Kérper
n°
APati
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 451
dx
dit‘
al quadrato di quella distanza, si ha:
zione è rappresentata da — Se si suppone che questa velocità sia proporzionale
da ta P b
dt babi t+e
che si esprime: “ la parte di deformazione che ad un dato istante deve ancora succe-
dere è inversamente proporzionale al tempo trascorso da una origine che per ogni caso
si può determinare in base ai risultati della esperienza ed alla curva del fenomeno ,.
Questo equivale evidentemente ad ammettere che la curva sia una iperbole, di cui
un asintoto è l’asse delle ascisse, e l’altro è parallelo a quello delle ordinate, deter-
minante appunto l’origine dei tempi.
Ma siccome questa legge non risponde con molta approssimazione ai risultati
delle misure, Weber ammette semplicemente che la velocità di deformazione sia pro-
porzionale ad una potenza da determinare della deformazione stessa:
USUALI
e deduce il valore della deformazione che deve ancora seguire ad un dato istante:
Il
vi NM) ae (o),
dove dalla esperienza sono da dedurre i tre coefficienti m.d.c, ed in esperienze diverse
con uno stesso filo non si possono « priori ritenere invariati se non è ed m che
dipendono esclusivamente dalla natura del filo.
Come si vede, sebbene la forma della curva possa ancora compendiosamente
definirsi come una iperbole di ordine m, l’espressione della legge non è più semplice,
cioè non si scopre a primo aspetto un significato fisico semplice nella formola la
quale non può servire se non come una descrizione analitica più o meno rigorosa
del fenomeno.
Non perciò sono meno importanti i risultati generali a cui Weber giunge con
questa discussione, pel fatto che quella formola risponde con molta approssimazione
alle sue misure.
È difatti evidente che l’origine delle coordinate qui non rappresenta alcun punto
particolare della curva, corrispondendo essa semplicemente all’istante nel quale le
condizioni inerenti all'esperienza hanno permesso di cominciare le letture. La curva
è pertanto continua tra i suoi due asintoti, come certamente è continua ogni ma-
nifestazione di un fenomeno naturale. Ma allora la stessa curva colla stessa appros-
simazione deve includere la rappresentazione della prima parte del fenomeno, la
quale noi possiamo solo considerare come istantanea in ragione della sensibilità
dei nostri mezzi di osservazione che non ci permettono di apprezzarne la durata.
Ne viene che da noi non si può parlare di deformazione elastica corrispondente ad
una data forza se per quella non si intenda la deformazione totale, cioè il valore
che questa ha preso quando le molecole hanno raggiunto il nuovo equilibrio stabile;
452 LUIGI LOMBARDI
sebbene a questo esse non si avvicinino che lentamente, ed in molti casi non si possa
dire che sensibilmente esse l'abbiano raggiunto prima che un tempo lunghissimo
sia trascorso. Solamente per questa deformazione finale può essere definito il modulo
di elasticità, e mediante la misura di essa essere questo verificato costante fra i limiti
di elasticità.
20. -- Analogia dei fenomeni di lenta polarizzazione dielettrica:
misura delle capacità.
Nel caso della polarizzazione elettrica noi assistiamo a fenomeni precisamente
della stessa natura di quelli ora descritti.
Prescindiamo da tempi eccezionalmente brevi, durante i quali hanno importanza
fenomeni secondari dovuti alla induzione ed alla resistenza. Ad essi corrisponde-
rebbero i tempi, di cui non è quistione qui, durante i quali sono sensibili nelle defor-
mazioni elastiche le azioni d’inerzia e di resistenze passive; ed è ben noto che le
oscillazioni iniziali hanno gli stessi caratteri e possono rappresentarsi colla stessa
equazione in una deformazione elastica sotto l’azione di una forza bruscamente venuta
ad agire, come nella carica di un condensatore di cui le armature si siano repenti-
namente portate ad una data differenza di potenziale.
Ma, indipendentemente da ciò, o supponendo di impedire le oscillazioni elastiche
con una resistenza passiva conveniente come con una resistenza ohmica sufficiente si
possono sempre prevenire le oscillazioni della carica d’un condensatore, noi abbiamo
veduto che questa carica non avviene mai istantaneamente, ma si fa secondo una curva
che va salendo con rapidità diversa per le sostanze diverse e per le diverse condizioni
in cui sono sperimentate. I fenomeni di scarica non sono che gli inversi di quelli
di carica, come le opposte deformazioni di un filo elastico dove la forza stirante fu
aumentata e diminuita; quando noi giudichiamo che gli uni o gli altri siano com-
pleti, ciò non vuol dir altro se non che le variazioni posteriori sfuggono ai nostri
mezzi di osservazione. Ma noi vedemmo già che durante ore intiere varia la carica
totale di un condensatore ordinario, e dopo ore di scarica il condensatore suol ancora
sempre presentare una maggiore facilità ad essere caricato, la quale non sussiste-
rebbe se il dielettrico non conservasse una parte della polarizzazione. Solamente,
perchè essa va scomparendo con grandissima lentezza, non dà più luogo per noi a
scariche residue in brevi intervalli di tempo apprezzabili. Il tempo che fili elastici
di diversa natura impiegano, perchè l'allungamento sotto una forza stirante sia mas-
simo, o perchè al cessare di questa essi ritornino alla lunghezza primitiva, è molte
volte dello stesso ordine di grandezza e talora maggiore.
Pel confronto noi dobbiamo paragonare gli allungamenti, riferiti alla lunghezza
iniziale, che il filo ha fino ad un dato istante subìto sotto uno sforzo costante, colla
quantità totale di elettricità che si è immagazzinata nel condensatore, prescindendo
naturalmente da fenomeni secondari di dispersione e conduzione. Dalla scarica del
condensatore noi non possiamo dedurre quella quantità se non sommando con quella
che diciamo scarica primaria tutte le scariche secondarie che ad essa succedono
sino ad esaurimento completo della polarizzazione.
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 453
Ma dunque una curva sola e continua deve rappresentare per noi l'andamento
della carica o quello della scarica, e la distinzione di scarica primaria dalle sca-
riche residue non ha senso se non in quanto la durata di quella rispetto i nostri
mezzi di osservazione si possa considerare istantanea. In valore assoluto non esiste
che una carica ben definita, ed è quella che il condensatore ha preso quando la
corrente che arriva alle armature si è ridotta a zero od al minimo valore che corri-
sponde alla resistenza ohmica del dielettrico; ed in valore assoluto non può definirsi
la capacità se non il rapporto della quantità di elettricità che allora è nel conden-
satore alla differenza di potenziale delle armature.
La misura delle capacità, come attualmente è fatta in generale, è dunque per
principio inesatta; ed inesatti sono i valori che da essa si sogliono dedurre delle
costanti dielettriche.
Si sogliono misurare le capacità proporzionalmente alle quantità di elettricità che
esse, quando furono caricate per un tempo convenientemente lungo con una stessa forza
elettromotrice, scaricano, dicesi, istantaneamente attraverso un galvanometro balistico;
e la durata di carica non si suole con miglior criterio determinare, se non assumendo
quella dopo cui la prima elongazione del galvanometro non cresce più, per quanto
i mezzi di lettura permettono di osservarlo. Se si volessero confrontare le scariche
dopo tempi qualunque di carica eguali, evidentemente si avrebbe un carattere di più
di arbitrarietà.
Si vorrebbe dunque considerare come carica del condensatore solamente la
quantità di elettricità che si è accumulata sopra le sue armature, e potrebbe essere
una definizione relativa precisa, se precisamente si potesse definire la durata della
scarica istantanea. Ma questa definizione è puramente convenzionale.
Se sì vuole assumere come durata di scarica istantanea semplicemente un tempo
così breve che sia trascurabile rispetto alla durata di oscillazione dell’ago, lo che
basta per soddisfare alle condizioni di una misura esatta di quantità di elettricità
mediante il galvanometro balistico, si potrà variare quel tempo in ragione delle con-
dizioni del galvanometro, e del momento d’inerzia dell’ago, o dello smorzamento delle
oscillazioni; lo che è assurdo.
Se la chiusura del circuito sul galvanometro si vuol prolungare all’atto della
scarica per un tempo comunque breve ma costante, la quantità di elettricità che si
scaricherà sarà sempre l’integrale, durante quel tempo, della intensità di corrente,
e, come tale, funzione non solo delle proprietà del dielettrico, ma anche delle condi-
zioni di resistenza e di selfinduzione del galvanometro che variano da caso a caso.
Ora, anche in condizioni identiche di circuito esterno, l’interna capacità di conden-
satori diversi farà che non sia proporzionale la quantità di elettricità da essi scari-
cata, perchè noi vedemmo che a ciò occorrerebbe un tempo che fosse proporzionale
alla capacità medesima, come dice la formola
(iCirilogm
da noi prima riferita, e da cui per tempi di quest'ordine di grandezza non si può più
prescindere. Per questi tempi stessi, e più per tempi maggiori, se essi si volessero
adottare per convenzione, la forma della curva di scarica per dielettrici diversi,
454 LUIGI LOMBARDI
parimenti tangente ai due medesimi asintoti, ma da essi variamente scostantesi
perchè la curvatura è funzione della rapidità di polarizzazione, farà che quantità
assolutamente diverse di elettricità si scarichino, e con legge assolutamente diversa
vengano ad agire sull’ ago la cui velocità non può essere considerata nulla se non
per un tempo brevissimo.
Se si possedesse un galvanometro balistico senza selfinduzione, e si scaricasse
il condensatore attraverso un circuito senza resistenza, non si potrebbe teoricamente
ancora avere una misura indipendente dalla depolarizzazione del dielettrico, e quindi
rigorosamente definita, se non realizzando un tempo di scarica infinitesimo.
La capacità dunque che si è soliti misurare è una grandezza apparente che
non ha valore se non in rapporto alla definizione arbitraria che noi ne sogliamo
dare, ed alla approssimazione delle nostre misure. Un valore assoluto non si potrebbe
valutare se non dalla quantità totale di elettricità del sistema dopo una carica in-
definitamente lunga, ed essa non si potrebbe altrimenti immaginare integrata se non
mediante una serie di scariche successive istantanee, prolungata fino ad esaurimento
completo della polarizzazione; e per scariche istantanee si potrebbero accettare du-
rate comunque brevi fra certi limiti arbitrari, purchè tali che soddisfacessero alla
ipotesi della misura col galvanometro balistico. La misura diretta della corrente,
che dopo i primi istanti si potrebbe fare agevolmente, sarebbe in quelli impossibile
per la sua enorme variabilità. Solamente se processi comuni elettrolitici potessero
realizzarsi in condizione di conveniente sensibilità per quantità eccezionalmente pic-
cole di elettricità potrebbero fornire un mezzo semplice di misura. In ogni caso però
se una conduttività esistesse nel mezzo coibente, ed una corrente di conduzione si
verificasse in ogni istante secondo leggi non perfettamente accertate, la misura teo-
rica sarebbe impossibile.
Vero è che nella pratica si tratta sovente di sistemi le cui proprietà si sco-
stano relativamente poco da quelle di un condensatore ideale a polarizzabilità istan-
tanea; e in tali casi una definizione ed una misura convenzionale di capacità può
sempre utilizzarsi con approssimazione sufficiente. Ma non è men vero che il valore
ne è puramente relativo, e se un campione di capacità unitaria si volesse stabilire
come fu fatto di resistenza e di forza elettromotrice occorrerebbe trovare un dielettrico
ove effettivamente la polarizzabilità fosse istantanea; cosa che rimarrebbe verosimil-
mente irrealizzabile se non si ricorresse a gas secchi od a spazi vuoti d’aria.
Non è d’uopo avvertire che, se si potesse facilmente dare ad un condensatore
una quantità determinata di elettricità, e si volesse dedurne la capacità misurando
il potenziale, la misura sarebbe molto più complicata, non meno inesatta nella suc-
cessione del tempo, e di più non suscettibile di correzioni altrettanto facili.
21. - Leggi dei fenomeni inversi di polarizzabilità.
In base alle idee fondamentali accennate si può accedere ad un confronto più
intimo dei fenomeni di polarizzazione con quelli di elasticità, e, se si vuole, formu-
larne una teoria perfettamente analoga.
Difatti le molecole del dielettrico si possono immaginare ancora dotate di assi
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 455
di polarità elettrica diversa, i quali, quando esso si trova allo stato naturale, siano
indifferentemente orientati in tutte le direzioni, onde non ne risulti una deter-
minata polarizzazione della massa; ma che sotto l’azione delle forze elettrostatiche
tendano ad orientarsi in una direzione speciale, che è quella del campo, senza potersi
sottrarre alle forze molecolari che si oppongono alla rotazione e non possono essere
vinte senza la spesa di un lavoro. La posizione nuova di equilibrio sarebbe quella
dove le forze elettrostatiche e le tensioni molecolari si compensano, e questa non
potrebbe essere raggiunta istantaneamente, ma le molecole vi si andrebbero accostando
con una certa lentezza dipendente dalla costituzione molecolare della sostanza, e dal
modo risultante con cui le forze che sollecitano le molecole distanti dall’ equilibrio
loro variano al variare questa distanza.
Si vedrà tra poco che le curve dei due fenomeni presentano caratteri perfetta-
mente paragonabili: e si è già visto come la curva delle cariche totali dopo durate
diverse di carica, e quella delle cariche residue dopo durate diverse di scarica, ricor-
dino con una certa approssimazione la forma di una iperbole, avente per asintoti
l’asse delle ordinate e rispettivamente una parallela all’asse delle ascisse corrispon-
dente alla carica massima, o l’asse stesso corrispondente alla carica nulla. Quindi,
se si volesse, si potrebbe formulare una legge simile a quella che W. Weber diede
per i fenomeni di elasticità, e nell'espressione analitica di essa definire per mezzo
delle osservazioni sperimentali i vari coefficienti. Salvo che noi abbiamo veduto qui
che i fenomeni di lenta polarizzabilità sono potentemente influenzati dalle circostanze
esterne, quindi quella determinazione per la medesima sostanza non avrebbe valore
se non nel caso preciso in cui essa fu fatta.
Inoltre si noti: il fenomeno della carica del condensatore è perfettamente
analogo alla deformazione d'un corpo elastico sotto l’ azione di una forza costante,
se là il potenziale è costante. Per studiare in modo simile i fenomeni inversi, come
noi sogliamo sottrarre il corpo elastico alla azione di ogni sforzo esterno, così dobbiamo
annullare in ogni istante la forza elettrostatica che agisce sul dielettrico, cioè tenere
le armature in corto circuito. Quando noi cerchiamo di esaurire la carica di un con-
densatore mediante una serie di scariche ad intervalli di tempo determinati, il feno-
meno si presenta con una discontinuità che ne altera il carattere, perchè durante
ognuna di queste fasi di isolamento la depolarizzazione che si va continuando nel
dielettrico origina nelle armature una nuova carica crescente, cioè una differenza
crescente di potenziale. A questa non devesi solamente una corrente di conduzione,
se il dielettrico ha una certa conduttività, come fu già avvertito, ma un nuovo
campo elettrostatico la cui intensità tenderebbe a crescere col tempo tanto che le
nuove forze elettrostatiche facessero equilibrio alle tensioni molecolari; da quel
momento, in condizioni di isolamento perfetto, ogni variazione di polarizzazione sa-
rebbe esclusa. Ora, sebbene nelle osservazioni si sia soliti ripetere le scariche residue
a distanze di tempo molto minori di quelle che occorrerebbero a raggiungere quell’e-
quilibrio, la prima parte del fenomeno si va ad ogni modo ogni volta ripetendo; cioè
la depolarizzazione avviene liberamente solo nei primi istanti dopo ogni nuova sca-
rica; poi la sua intensità va diminuendo così che all'esaurimento completo di tutta
la carica occorre un tempo teoricamente più lungo di quello che in condizioni normali
non sarebbe occorso.
456 LUIGI LOMBARDI
È un fatto simile a quello che si verificherebbe in un filo di cui la tensione non
fosse stata provocata mediante un peso liberamente applicato, ma dall’accrescimento
della distanza tra due punti fissi a cui fossero legate le sue estremità. La tensione
elastica interna qui andrebbe, per l’azione successiva definita da Weber, diminuendo
col tempo, come la tensione elettrica tra le armature del condensatore a cui una volta
si fosse data la quantità di elettricità necessaria a caricarne le armature a un
potenziale determinato. Quando del filo si riducesse la tensione istantaneamente a
zero, avvicinando pel solo spazio a ciò necessario gli estremi, la tensione elastica
interna andrebbe riaumentando, non altrimenti che quella elettrica nel condensatore
dopo un corto circuito momentaneo.
L'osservazione avrebbe meno importanza pel riguardo di definire sperimental-
mente la legge del fenomeno, perchè perciò si potrebbe ricorrere alla curva della
scarica continua, misurando in ogni istante la intensità di corrente, cioè studiando
l'equazione differenziale del fenomeno da cui Weber partì a sua volta per formulare
la sua ipotesi. Ma essa non può essere dimenticata se i due fenomeni inversi della
polarizzazione si vogliono confrontare direttamente, e se di essi si vuol verificare
una proprietà accertata da Weber pei fenomeni di elasticità, che dichiara uno dei
caratteri più importanti della carica e della scarica dei condensatori.
Weber cioè ha trovato nell'analisi delle due curve di deformazione di un filo
elastico per aumentata e diminuita tensione i coefficienti eguali, le due curve sovrap-
ponibili. Questo fa pensare che anche le curve di carica e scarica del condensatore
possano essere identiche. Effettivamente, quando la carica è nulla e quando essa è
completa distando le molecole egualmente dalla nuova posizione di equilibrio a cui
con una carica od una scarica di durata indefinita debbono tendere, non si potrebbe
immaginare una ragione per cui esse non vi si avvicinassero con una velocità eguale
in ogni istante corrispondente. La carica e la scarica paiono dunque doversi consi-
derare come due fenomeni reversibili, sempre che non avvengano dispersioni secondarie.
Ora questo fu constatato entro i limiti di approssimazione che dall'esperienza si
potevano aspettare.
Le curve parecchie volte rilevate della corrente continua di carica e di scarica
pel condensatore a seta prima costrutto avevano sempre presentata una forma per-
fettamente analoga che s'è ricordata. Solo la sovrapponibilità non s'era mai potuta
verificare con tutta la sicurezza, perchè le quantità di elettricità erano piccolissime,
non potendosi caricare la piccola capacità con potenziali molto elevati. Avveniva
d'altronde che la polarizzazione non era completa se non dopo un gran numero d’ore,
e l’ isolamento non era del tutto perfetto quando la presenza di traccie d’ umidità
lasciava luogo a più sensibili variazioni di carica, onde nelle curve di scarica si
notava una tendenza ad avvicinarsi più rapidamente alla tangente orizzontale, pre-
sentando nel ginocchio una curvatura più stretta. Gli stessi caratteri si manifesta-
vano nelle curve delle cariche residue, rilevate con serie regolari di osservazione ad
ogni minuto dopo durate di carica diverse; sebbene qui la discontinuità già accennata
del fenomeno, rallentando specialmente nei primi tempi la depolarizzazione, tendesse
già a far confrontabili le curve di scarica con quella di carica totale dopo che la carica
era durata 10", come mostrano le figure 3 e 4.
Pertanto per avere una prova più convincente di ciò che s'è detto, e che si
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 457
presumeva valere per tutti i dielettrici aventi un comportamento simile, si ricorse
ad un condensatore a carta paraffinata della fabbrica di Cortaillod, che in esperienze
precedenti aveva mostrato un isolamento eccellente, una variazione massima di carica
non grande, ed una polarizzazione sensibilmente completa dopo un tempo relativa-
mente breve; la capacità era circa 1 mF. La carica fu prolungata per più di tre ore
mediante una serie di 50 piccoli accumulatori, tolti alla grandiosa batteria di
10.000 elementi di cui il laboratorio fu recentemente dotato per lo studio di alti
potenziali. Le curve continue di carica e scarica furono rilevate durante la prima
mezz'ora ove si pronuncia la curvatura più marcata, e la parte della curva più inte-
ressante è riferita nelle fig. 10 e 11. Le deviazioni erano lette ad ogni 10", avendo
durante i primi 30” escluso dal circuito il galvanometro che aveva sensibilità gran-
dissima. Siccome a cagione di questa la posizione di riposo dell’ago variava conti-
nuamente di piccole quantità, dopo brevi intervalli di tempo si rimetteva il galva-
nometro fuori circuito, facendo alcune letture dello zero che determinarono il percorso
regolare della linea a partire da cui le ordinate dovevano essere misurate. Le due
curve della tavola sono dedotte proporzionalmente dal disegno che si fece in scala
5 volte maggiore sui risultati dell'esperienza.
Se le due figure si sovrappongono cogli assi delle ordinate sulla medesima retta,
essendo preso come origine il momento della prima chiusura del circuito, si vedono
le due curve con molta approssimazione coincidere, e gli assi delle ascisse cadere
- sopra due parallele distanti circa 32 mm. Ora questa distanza corrisponde a meno
di decimi di mm. alla deviazione permanente che dopo la carica lunghissima si leg-
geva al galvanometro, e che misurava certo la corrente che attraverso la resistenza
ohmica non infinita del dielettrico mandava quella elevata differenza di potenziale.
L'esperienza fu ripetuta parecchie volte, lasciando poi naturalmente per moltissimo
tempo il condensatore in corto circuito per eliminare ogni influenza di cariche pre-
cedenti; e sempre si ebbero risultati analoghi.
Si può dunque affermare che per questo condensatore a carta paraffinata la
scarica si faceva esattamente colla stessa legge della carica, e che la dispersione di
quantità di elettricità durante tutto il processo osservato non era apprezzabile con
sicurezza. E veramente qui correnti sensibili di conduzione interna non possono aver
luogo alla scarica tra le armature che sono sempre in corto circuito ; e se una perdita
di energia è avvenuta nell'atto della polarizzazione del mezzo, non è di tal ordine
che qui la si possa avvertire.
Per lo stesso condensatore la curva di carica fu ancora rilevata con 25 accumu-
latori, e fu constatato con pari approssimazione la proporzionalità delle ordinate al
potenziale. Non è dunque irrazionale parlare qui di una resistenza ohmica del dielet-
trico indipendente dalla intensità di corrente.
E se si rifletta che le elongazioni di scarica dopo durate eguali di carica
sogliono essere, per un grandissimo numero di dielettrici comuni, proporzionali alla
differenza di potenziale, e che questa proprietà fu verificata da noi per la seta e
per altri coibenti anche per frazioni decimillesime di 1’, è molto verosimile che
essa sussista per la maggior parte di questi corpi per tutti i tempi, cioè che per essi
l’ordinata della curva di polarizzazione in ogni istante sia proporzionale al potenziale;
Serie II. Tom. XLIV. n°
458 LUIGI LOMBARDI
legge che probabilmente vale anche per la elasticità, qualunque sia l’importanza delle
deformazioni susseguenti.
22. Curve di deformazione elastica della seta.
La forma delle curve pubblicate da W. Weber per le deformazioni elastiche dei
fili di seta concorda con quella della carica totale di un condensatore in generale; ma
perchè appunto un condensatore a seta era stato studiato, era interessante vedere
se qualche relazione semplice si scoprisse tra gli elementi di due fenomeni nella
medesima sostanza.
È però chiaro che la cosa non è facile, dal momento che le circostanze esterne
hanno sul comportamento dielettrico una influenza grandissima, e quelle circostanze
sole nelle quali una costanza notevole può per esso verificarsi, e dove le proprietà
intime della sostanza hanno su quelle di corpi estranei la prevalenza, non possono
essere se non con speciali artifizi realizzate per lo studio del comportamento ela-
stico. Qui difatti un filo è sempre esaminato in uno' spazio libero da cui non può
espellersi l'umidità, e, se questa fosse dall’ ambiente eliminata, sarebbe ben difficile
togliere alla seta la massima parte dell’acqua di costituzione; ora è assai probabile
che la presenza di questa modifichi le proprietà elastiche anche notevolmente.
D'altronde, se si crede che l’analogia delle due deformazioni sia completa, si tro-
vano per certi corpi anomalie marcate. Vedemmo che di un condensatore a lana di
vetro la variazione di carica è enorme, e, se pure si debba ammettere che l’essicca-
mento era nell’esperienza ancor molto imperfetto, non si può dimenticare che una
lastra di vetro comune ben secca aveva mostrata una variazione quasi. dello stesso
ordine di grandezza. È notissimo che il vetro in genere presenta i fenomeni di scarica
residua in modo eminente. Qui furono esaminati dei fili di vetro lunghi alcuni metri,
di cui s'è già detta l’analogia col vetro di quelle esperienze. Ebbene, assoggettando
questi fili a sforzi diversi, cresciuti fino alla rottura, non si riescì a notare che una
deformazione susseguente insignificante, appena apprezzabile pei carichi minori com-
presi tra i limiti di elasticità.
Per la seta stessa non poteva dunque cercarsi che l’ordine di grandezza delle
modificazioni susseguenti, in quanto i mezzi di osservazione permettevano di apprez-
zarle in confronto alle modificazioni totali. La proporzionalità al carico, la identifi-
cazione delle curve per tensione aumentata e diminuita, non potevano facilmente
ricercarsi qui, perchè i fili sottilissimi che dalla stoffa s'erano ricavati, curando di
non assoggettarli a sforzi di trazione notevole, conservavano tutte le increspature
del tessuto che complicavano colla loro resistenza alla distensione quella all’allun-
gamento longitudinale del filo; quando esse sotto l’azione di un carico erano state
quasi d’un tratto eliminate, lasciando luogo esclusivamente alla deformazione susse-
guente della lunghezza, cessato il carico si ristabilivano in parte, facendo che la curva
qui salisse molto più marcatamente e lungamente che là non si fosse abbassata.
I fili di seta qui esaminati appartengono tutti alla stoffa adoperata pel primo
condensatore, per cui la curva della carica totale in funzione del tempo fu riferita
nella fig. 3. Questi fili venivano appesi ad un alto sopporto per la parte superiore, por- ri
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRILI 459
tando in basso un piccolo uncino di metallo pesante pochi centesimi di grammo, il
quale serviva e come zavorra per conservare il filo disteso senza deformarlo sensibil-
mente, e come punto di collimazione pel cannocchiale del catetometro, e sosteneva i
pesi che si volevano lasciar agire sul filo. Non si ricorse a mezzi più delicati per
valutare gli allungamenti, quali si sarebbero potuti realizzare avvolgendo il filo a
un piccolo tamburo portante lo specchio per la lettura angolare colla scala, od altri-
menti, perchè le bave di seta potevano solo sopportare pesi assai piccoli senza che
fossero superati i limiti di elasticità; onde sarebbe occorso dare al tamburo una
massa eccezionalmente leggera, ed eliminare nel modo più perfetto le resistenze pas-
sive che avrebbero ostacolato le piccolissime rotazioni. Del resto la sensibilità del
catetometro, che dava col nonio e la vite micrometrica i centesimi di millimetro,
era più che sufficiente per fili di lunghezza non inferiore ad 1 m.
Weber adottò per consiglio di Gauss un artificio ingegnoso che permetteva di
variare per gradi comunque la tensione. Il filo era cioè teso orizzontalmente tra una
vite di trazione ed un robusto filo verticale fisso alla parte superiore e portante un
peso opportuno, immerso nell'acqua per eliminare le oscillazioni. Quando si ritraeva
la vite, il 2° filo era deviato dalla verticale, e la componente orizzontale della forza
dovuta al peso e scomposta nella direzione dei due fili, dava la tensione del filo di
seta. L'angolo di deviazione era letto col cannocchiale e colla scala, di cui l’immagine
si rifletteva su un piccolo specchio applicato al filo che si deviava. Si aveva così
l'inconveniente che la tensione poteva solo essere diminuita nel filo gradatamente,
dovendo essere in ogni momento il filo stirato per le letture; di più la tensione era
continuamente variabile col tempo, per l’azione susseguente, in tutte le fasi variabili
della deformazione. Tuttavia questa variazione, essendo proporzionale alla variazione
di elongazione del filo verticale, potè portarsi in conto per determinare la legge del
fenomeno introducendovi un nuovo coefficiente.
L'essenziale, se uno studio sistematico di queste deformazioni variabili si volesse
fare, sarebbe di realizzare un mezzo per seguire quelle variazioni fino dai primi
istanti in cui la forza è venuta ad agire; ora tanto il metodo di Weber quanto
quello di carica diretta richiedono almeno un buon numero di secondi per aver col
cannocchiale fatta la prima lettura; qui occorrevano a ciò generalmente 30". Inoltre
converrebbe sempre assoggettare il filo prima ad una serie di cariche con pesi eguali
o maggiori di quello con cui si vuol sperimentare, e di scariche, a fine di eliminare
tutti gli effetti di deformazione permanente. È naturalmente necessario sottrarre il
filo ad ogni variazione di temperatura, perchè il coefficiente di dilatazione termica
è notevole, e gli allungamenti su lunghezze notevoli si rendono molto sensibili.
Le figure 12 e 13 riportano le curve di carica e scarica mediante 1 gr. per un
filo di seta lungo originariamente 103 em. Dopo 40’ l'allungamento essendo di circa
26,45 mm., non molto inferiore all’allungamento massimo che sotto quel peso il filo
avrebbe potuto subire, la variazione della deformazione dopo i primi 60" appare
circa 8,5 °/. Se si vuol fare il confronto colla curva della carica totale del conden-
satore a seta naturale, si deve riferire la variazione di carica totale fra gli stessi
limiti di tempo non a tutta la carica, perchè una gran parte di essa si sarebbe ad
ogni modo condensata sulle armature del sistema se fosse mancato il dielettrico,
ma alla sola porzione che si può presumere dovuta alla polarizzazione del medesimo.
460 LUIGI LOMBARDI
Per avere una idea di questa basta sottrarre la carica istantanea ridotta nella ragione
della costante dielettrica della ‘seta ad 1. Ebbene qui si trova una variazione enor-
memente maggiore, perchè dopo i primi 60" di carica la massima parte della carica
di polarizzazione era ancora da formare. La curva di scarica del filo ricorda più
approssimativamente la forma della curva di scarica del condensatore, ma in parte
se ne accennò già il perchè. Questo carattere è comune a tutte le curve di cui una
serie numerosa fu rilevata in condizioni variate di lunghezza, di peso.
Se si ricorre a bave di seta naturali, cioè tolte a fili naturali di bozzolo, che
si presentano molto meglio distese, le differenze delle due curve scompaiono in gran
parte come mostrarono parecchie serie di analoghe osservazioni. Però, se un dielettrico
di questa natura si comportasse come la seta tessuta, e pare verosimile, bisognerebbe
per ottenere tra gli stessi limiti di tempo una variazione paragonabile di polarizzazione
considerare ‘almeno il sistema privo della massima parte dell’umidità .che allo stato
naturale può avere condensata alla superficie ed internamente alla massa.
In ogni caso non pare inverosimile che 1 fenomeni. di elasticità dipendano meno
‘marcatamente dallo stato igrometrico della sostanza, e che scindendo in modo rigoroso
la parte di quelli di polarizzazione che si devono alla presenza di corpi secondari
si possano trovare variazioni dello stesso ordine di grandezza per alcuni corpi.
23. — Concetto di Maxwell sui dielettrici: esperienze di Hess.
È però chiaro che analogie della natura delle precedenti, le quali sono ridotte
verosimilmente alla sola forma dei fenomeni, non ne implicano necessariamente una
analogia stretta d’origine, sebbene possano studiarsi con frutto per dedurre degli uni
o degli altri proprietà interessanti. Non altrimenti certe ipotesi artificiose possono ta-
lora svilupparsi utilmente, sebbene più che per la loro verosimiglianza in ordine ai
fatti della natura esse meritino di essere accolte come semplice modo di descrizione
e di rappresentazione di questi.
Così Maxwell si immaginava un condensatore a dielettrico lentamente polariz-
zabile come un complesso di tanti condensatori ideali, a polarizzazione cioè istantanea
e ad isolamento perfetto, collegati fra di loro in parallelo mediante grandi resi-
stenze. Effettivamente la discussione di questa ipotesi non contraddice ad alcuno dei
risultati sperimentali, ed il Dr. Behn-Eschenburg coll’analisi del caso più elementare
di due condensatori soli ha compendiato in formole semplici i risultati del suo studio
precitato di un cavo a guttaperca, mostranti la variazione della carica col tempo
e della capacità colla temperatura.
Recentemente il sig. Hess ha ripresa l’idea di Maxwell, ed in una memoria letta
davanti la “ Société Francaise de Physique , (1), a conferma dei calcoli teorici con-
frontò il comportamento di un condensatore imperfetto con quello di un sistema di
due condensatori. messi in serie, possibilmente perfetti, ed aventi tra le armature
l'uno una resistenza che si poteva ammettere infinita, l’altro una resistenza finita con-
(1) © La Lumière félectrique ,, 26 nov.‘e 10 ‘dic.192; “The ‘Electrician ,, 3 marz.893.
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 461
venientemente grande. Quando ;si chiude il circuito della pila la differenza di poten-
ziale agli estremi del sistema resta costante; ma perchè la corrente di carica del
primo condensatore deve attraversare la resistenza derivata sulle armature del se-
condo, e, (dopo aver raggiunto nei primi istanti un massimo, deve col tempo dimi-
nuire a zero, la differenza di potenziale sulle armature del condensatore shuntato
dopo essere passata per un massimo cade ancor essa a zero, ed in corrispondenza
quella dell'altro condensatore sale gradatamente fino al massimo valore permanente
dato dalla \forza elettromotrice della pila. Le condizioni di equilibrio non si realiz-
zano dunque se non con una certa lentezza, che dipende solo dalla ragione delle due
capacità e dalla resistenza derivata. Alla scarica succede il fatto inverso, perchè la
corrente di scarica attraversa in senso opposto quella resistenza, e la differenza di
potenziale delle armature in questo condensatore passando per un massimo negativo
viene a zero, onde, essendo zero la somma delle due, la differenza di potenziale nel
primo diminuisce solo gradatamente col tempo. Se gli estremi si isolano a un dato
istante, la differenza negativa del condensatore shuntato deve diventar zero, e quella
dell'altro condensatore ha ancora un valore positivo che appare come differenza di
potenziale totale quando la, prima si è, secondo la legge esponenziale ordinaria, annul-
lata. Evidentemente però alla carica il.rapporto della forza elettromotrice alla corrente
non ha nulla di comune col valore della resistenza, perchè in questo circuito essa è
infinita, e solamente se una resistenza finita esistesse ancora tra le armature del
‘primo . condensatore si arriverebbe ad equilibrio stabilito ad una corrente di regime,
invariabile, per cui dividendo la differenza di potenziale sui morsetti della pila si
avrebbe la misura della resistenza totale. In tal caso però il fenomeno non sarebbe
più tanto semplice, perchè anche sulle armature del secondo condensatore si stabi-
lirebbe una differenza permanente di potenziale.
In complesso i fenomeni di ‘lenta polarizzazione si presentano con caratteri
analoghi.
Il sig. Hess eseguì la sua esperienza con. due condensatori a mica di capacità
;rispettive 0.1 e 0.5 mF, mettendo sulle armature di, questo .in derivazione una resi-
stenza di circa 1100 megohm.
Per avere una idea della approssimazione. colla, quale i fenomeni di polarizzazione
«lenta, possono così essere artificialmente riprodotti fu qui istituita una serie siste-
«matica di. osservazioni, ‘variando singolarmente la ragione delle due capacità me-
diante condensatori normali a mica graduati, e la resistenza derivata sulla prima
di.esse. La resistenza, constava di sottili e lunghi tubi di vetro ripieni di una solu-
“zione allungata di, solfato di rame, variamente collegati in. serie o .in derivazione.
Le curve furono.rilevate per tempi brevissimi col pendolo, e,per.tempi ordinari nel
imodo solito, ed effettivamente corrispondono. alla forma generale delle curve di, carica
cdei condensatori da noi esaminati.
La, variazione della capacità e della, resistenza ha l’effetto che.è facile a priori
odi prevedere. Poichè la curva di..carica a parità di resistenza, sale tanto più lenta-
«mente verso ;la. tangente orizzontale, e. possiede un ginocchio a curvatura tanto più
;vampia, quanto, più piccola, è la. capacità shuntata . rispetto, quella isolata ; e. veramente
al, limite se quella capacità.si riducesse.a zero ,si avrebbe nel. circuito solamente il
«secondo. condensatore polarizzabile in; tempo, brevissimo, ma, in serie la grande resi-
462 LUIGI LOMBARDI
stenza ch’era derivata sul primo, pel cui effetto la curva esponenziale si manterrebbe
per lungo tempo lontana dalla sua tangente. Se invece si riduce a zero la seconda
capacità non ha più luogo alcuna carica; onde, quando quella è piccolissima, è piccola
la quantità di elettricità che si mette in movimento e l'equilibrio è ben presto rag-
giunto. Se si varia poi la resistenza del shunt e le due capacità sono invariate, la
curva si avvicina tanto più presto alla tangente quanto la resistenza è più piccola;
se questa difatti si annullasse, la prima capacità non avrebbe più alcun effetto e la
seconda si caricherebbe istantaneamente, per quanto la polarizzabilità della mica,
che è qui un elemento secondario, lo concederebbe. Se la resistenza diventasse infinita
non sarebbero più realizzate le condizioni qui poste, perchè si avrebbero due conden-
satori in cascata, e la capacità del sistema, diversa da quella che in tutti gli altri
casi si aveva, si caricherebbe, com’è naturale, istantaneamente: ma se quella resi-
stenza fosse solamente grandissima, la capacità effettiva sarebbe solo quella del
2° condensatore, a caricare la quale occorrerebbe un tempo lunghissimo.
Questo si è detto solo per conchiudere che con una scelta conveniente degli
elementi del sistema si può sempre modificare a piacere l'andamento della curva,
rendendo la variazione massima di carica, ed il tempo necessario perchè la carica
sia completa, grandi quanto si vuole. È dunque sempre possibile con un sistema
di questa natura approssimare la rappresentazione dei fenomeni di polarizzabilità
susseguente, e la forma è sempre riversibile come pei dielettrici fu verificato. Ciò non
implica però che in fatto alcun che di simile si verifichi, anzi è assolutamente vero-
simile che il processo di polarizzazione dipenda da cause molto meno complicate.
24. — Teoria dei dielettrici.
La teoria più semplice e verosimile dei dielettrici si può ancora formulare
prendendo a base l’idea enunciata da Faraday, che il dielettrico consista in un
sistema di piccole masse conduttrici disseminate in un mezzo perfettamente isolante.
Per una sfera conduttrice portata in un campo elettrostatico omogeneo è nota
la legge semplicissima con cui si distribuisce l’elettricità indotta in ogni punto della
superficie, variando la densità come il coseno dell’angolo che il raggio vettore corri-
spondente della sfera fa colla direzione del campo. Se il potenziale di questa elettricità
indotta si esprime per mezzo delle funzioni sferiche aventi per modulo quell’angolo,
che è la sua espressione più semplice, si vede subito la forza ad esso dovuta in un
punto qualunque esterno avere a quella in un punto interno la ragione dei cubi del
raggio e della distanza del punto esterno dal centro. Siccome in tutti i punti della
sfera conduttrice il potenziale è lo stesso, la forza ivi dovuta alla elettricità indotta
è eguale e opposta a quella del campo. Da ciò deriva che, se il dielettrico si considera
costituito da simili masse conduttrici di dimensioni molecolari disseminate a distanze
non immensamente piccole, si potrà nello spazio che una qualunque di quelle masse
occupa ammettere trascurabile rispetto la forza del campo tutte quelle dovute alle
masse indotte di elettricità, cioè si potrà ammettere ognuna di quelle masse pola-
rizzata nello stesso modo come se la sola forza del campo esistesse, intendendo per
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 463
polarizzazione lo svilupparsi di masse elettriche di segno opposto per induzione elet-
trostatica.
La distribuzione di masse elettriche che è indotta così equivale per tutte
le azioni esterne ad una distribuzione uniforme di elettricità sulle faccie terminali
del dielettrico, contigue alle armature, come se una distribuzione uniforme di elet-
tricità positiva nella massa del dielettrico, prima della polarizzazione neutralizzata
da una eguale di elettricità negativa, all'atto di quella si fosse spostata di uno
spazio elementare nella direzione del campo: e questa è la forma discussa da Maxwell.
Questo spazio, e quindi la densità costante di quella distribuzione, è proporzionale
alla intensità del campo, cioè alla densità della distribuzione uniforme iniziale di
masse elettriche sulle armature. Se questa proporzionalità si riferisce alla densità
massima che la elettricità indotta aveva sulla sfera, perchè questa a sua volta è
proporzionale all’intensità del campo, si trova come coefficiente di proporzionalità
un numero m che è caratteristico di ogni sostanza, e rappresenta il rapporto della
porzione di volume occupato nel dielettrico dalle masse conduttrici al volume totale.
Ora è chiaro che, quanto quella densità di distribuzione fittizia è più grande alla
superficie limite del dielettrico, tanto minore è diventato il potenziale delle armature
se la quantità di elettricità è rimasta invariata. Per conservare alle armature lo stesso
potenziale occorre dunque una quantità nuova di elettricità, e noi diciamo per defini-
zione la capacità del sistema essere cresciuta per effetto della polarizzazione del dielet-
trico; è questo coefficiente di accrescimento che misura l’effetto della presenza del
dielettrico, e che è perciò detto costante dielettrica del medesimo. È facile mostrare
. 3m SL ERRONEUA ; ì
che esso ha per espressione 1 + im? 0 è direttamente funzione della parte
proporzionale di volume occupata da sostanza conduttrice. Pei dielettrici comuni,
dove la costante dielettrica è rappresentata da numeri di poche unità, noi dobbiamo
solo ammettere pochi decimi del volume occupati da materia conduttrice; nei gas,
dove questa parte non può essere che piccolissima, possiamo ritenere la costante
dielettrica rappresentata da 1 + 3 wm, cioè funzione lineare della densità come l’espe-
rienza ha in ogni caso dimostrato. Nell’acqua, per citare uno tra gli elettroliti, la
costante essendo elevatissima bisogna ammettere m notevole; ma si vede subito che
la costante dielettrica deve diminuire crescendo la temperatura; difatti le esperienze
recenti del sig. Heerwagen (1) hanno condotto alla formola
x = 80,878 — 0.862 (6 — 179).
Così la discussione teorica permette di renderci conto dell'aumento di capacità
quando un dielettrico è presente. Ma essa non contraddice alle manifestazioni che
da noi si sono constatate di polarizzazione susseguente.
Difatti in ciò che s'è detto non s'è altrimenti definita la conduttività delle
particelle del dielettrico se non ammettendo che il potenziale fosse lo stesso in con-
dizioni di regime nei singoli punti d’ ogni particella isolata. La forma di queste
notoriamente non ha effetto, perchè tutto il ragionamento si può estendere al caso
(1) Wiedem. Ann., 6, 1893
464 LUIGI LOMBARDI
di forme qualunque, purchè le particelle si considerino eguali per semplicità, e dis-
seminate a distanza notevole rispetto le loro dimensioni; e questo è in genere
d'accordo coi principii della fisica molecolare. Ma quella definizione null’altro implica
necessariamente riguardo alla natura di quella conduttività, e nulla ci persuade
ch'essa abbia molti caratteri comuni colla metallica, o che le resistenze che là inter-
vengono abbiano misure paragonabili a quelle dei conduttori comuni, o che la distri-
buzione delle masse elettriche vi si faccia in tempi dello stesso ordine di grandezza.
Nulla contraddice dunque all’ipotesi che la polarizzazione si vada facendo lentamente,
e questa lentezza sia funzione della natura del corpo e delle condizioni in cu? esso
si trova. Quando si trova in presenza un altro corpo estraneo i fenomeni di indu-
zione avvengono in questo indipendentemente, e nelle condizioni che per questo sono
caratteristiche; se la costante di questo dielettrico è notevolmente più elevata di
quella del primo, e se i fenomeni di polarizzabilità susseguente vi si verificano con
molta lentezza, come indubbiamente accade per l’acqua, tracce insignificanti di esso
possono bastare a mascherare il comportamento del dielettrico principale.
25. —- Isteresi elettrostatica.
La energia di polarizzazione, che nel dielettrico si trova allo stato potenziale,
verrebbe pertanto a poco a poco restituita man mano che, cessata l’azione esterna,
le molecole polarizzate si riavvicinerebbero alla loro condizione primitiva. Ma sarebbe
essa completamente restituita ?
Se la conduttività delle particelle disseminate nel dielettrico fosse della natura
di una conduttività metallica la polarizzazione sarebbe istantanea, e 1 energia
potenziale condensata nella massa sarebbe completamente ritrasformata in energia
cinetica quando le armature si chiudessero in corto circuito. Ma la differenza che
noi riscontriamo in quella conduttività ipotetica rispetto alla conduttività ordinaria fa
prevedere che anche una quantità di energia possa nella doppia trasformazione essere
dispersa in calore.
Se per esempio noi supponiamo che le molecole abbiano assi di polarizzabilità
particolare, che cioè l’induzione di masse elettriche per le forze elettrostatiche
avvenga in direzioni determinate di preferenza che in altre, le molecole conduttrici
cercheranno di orientarsi così che l’asse di polarizzazione principale sia nella direzione
del campo, tenderanno cioè a rotare come le molecole elastiche nella teoria di
Weber. Allora la condizione stessa che farà non essere la polarizzazione istantanea
farà che un lavoro sia speso a vincere le resistenze molecolari. Il meccanismo della
polarizzazione elettrostatica si mostrerebbe così strettamente analogo a quello della
polarizzazione magnetica. Il lavoro disperso potrà essere caratterizzato come un lavoro
d'attrito molecolare se si ammetterà che un attrito esista tra le molecole, e che possa
essere governato da leggi che abbiano analogia con quelle dell’attrito dei corpi solidi.
Se con un concetto analogo a quello dei magneti molecolari di Weber si volesse
ammettere che le particelle del dielettrico possedessero per loro stesse una polarità
elettrica permanente secondo assi determinati, ma orientati inizialmente in modo
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 465
indifferente, si incontrerebbe ancora l’ipotesi di un lavoro speso nelle rotazioni per
l'orientamento delle molecole nel campo elettrostatico, ma la polarizzabilità della
massa avrebbe un limite analogo a quello di saturazione dei corpi magnetici, e vi
sì avvicinerebbe dessa come questi alla saturazione loro, sempre più lentamente al
crescere la forza elettrostatica. Questo però non è provato per ora dalla esperienza,
la quale pare piuttosto conduca all'idea della proporzionalità della polarizzazione
alla forza.
Comunque è certo che una perdita di energia nella polarizzazione avviene, come
prova il fatto noto da tempo che un condensatore assoggettato a cariche alternate
si riscalda. Quella perdita può essere con frutto e razionalmente confrontata colle
perdite di isteresi magnetica, come hanno fatto recentemente il signor Steinmetz (1),
il signor Janet (2), e l'ing. Arnò (3); vogliasi poi accogliere come più probabile l’ipotesi
di Wiedemann di un vero attrito molecolare, o vogliasi cercar di seguire anche qui
l’idea moderna accettata per spiegare il meccanismo della polarizzazione magnetica
mediante le sole azioni mutue tra le masse elementari polarizzate.
È noto che il prof. Ewing è così riuscito a chiarire tutti i fenomeni di magne-
tizzazione nella fase variabile col tempo e nella porzione che rimane come residuo
al cessare della forza (4), al che si prestavano meno completamente le teorie di
Weber e di Maxwell sull'esistenza d’una forza direttrice tendente a riportare le mole-
cole magnetiche alla loro prima posizione, od in ogni caso, o solamente quando da
questa esse fossero deviate d’un angolo inferiore ad un limite dato. Ora le forze tra
le masse elettriche sono della stessa natura e governate dalle stesse leggi delle forze
tra masse magnetiche.
Nel caso della polarizzazione magnetica tutti i risultati della esperienza si ritro-
vano nella teoria se si suppone che un determinato tempo passi dall’applicazione della
forza al momento in cui la magnetizzazione ha raggiunto il suo valore corrispon-
dente. Quel tempo si è imparato a misurare, e ad esprimere in funzione di esso le
perdite di isteresi; esperienze recentissime con correnti alternative eseguite nel labo-
ratorio di Zurigo ne hanno messo in sodo la dipendenza dalla frequenza e dalla
caduta di potenziale, e formeranno oggetto di un altro mio piccolo studio.
. Nel caso della polarizzazione elettrostatica l’ ipotesi di un ritardo di quella
natura non offre per principio minore verosimiglianza, dal momento che le stesse
variazioni di polarizzazione non avvengono che lentamente.
Se un ritardo simile interviene, non è nemmeno difficile immaginare artifizi
opportuni per constatarlo e per misurarlo, così nel caso in cui quelle variazioni
avvengano lentamente, come in quello in cui si debbano ad una corrente alternativa
di frequenza qualunque; poichè in ciascuno di questi il dielettrico può presentare un
‘comportamento diverso, dipendentemente dalla rapidità delle variazioni, o dalla am-
piezza, o dalla forma loro.
(1) © Elektrotechnische Zeitschrift ,, 29 aprile 1892.
(2) “ Comptes rendus ,, 20 febbraio 1893.
(3) “ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei ,, 16 ottobre 1892; 30 aprile 1893.
(4) “ Proc. Roy. Soc. ,, XLVII, 1890; “ Phil. Mag. ,, settembre 1890.
Serie II. Tom. XLIV. Ti
466 LUIGI] LOMBARDI
Così presso una ordinaria macchina alternatrice sarebbe facile rilevare ed ana-
lizzare le curve della forza elettromotrice e della carica del condensatore, messo
direttamente in serie sui suoi poli, per dedurne direttamente la differenza di fase.
Per assoggettare invece a lente variazioni di polarizzazione un pezzo di dielettrico
basterebbe lasciarlo oscillare in un campo elettrostatico sensibilmente uniforme, e qui
si potrebbe studiare la variazione della legge di oscillazione per effetto del ritardo
di polarizzazione, che originerebbe. una coppia ritardatrice in ogni istante proporzio-
nale al seno della sua misura angolare. Si constaterebbe così se quel ritardo esiste,
perchè per scoprire la variazione di esso in funzione degli elementi che lo possono
modificare occorrerebbe prima determinare esattamente l’azione che questi hanno sulla
intensità della polarizzazione, cosa che non è ancora fatta. In modo analogo l’appa-
recchio recentemente costrutto dall'ing. Arnò utilizza colla maggiore semplicità ed
eleganza il principio delle rotazioni elettrostatiche, e misura per mezzo della torsione
di una sospensione bifilare il momento che un campo elettrostatico continuamente
rotante esercita sopra il dielettrico.
È facile definire come questo momento sia funzione di quel ritardo, nell'ipotesi
in cui ad esso sia esclusivamente dovuto.
Difatti noi possiamo immaginarci la direzione del campo precedente in ogni
istante nella rotazione la direzione della polarizzazione per un angolo x. Siccome in
un campo uniforme, finchè la distribuzione di elettricità indotta non origina forze
notevoli rispetto quella del campo, ogni elemento del dielettrico si polarizza nello
stesso modo, noi possiamo considerare questa polarizzazione come equivalente ad una
distribuzione di masse elettriche di segno opposto sulle opposte faccie dell'elemento
nella direzione della polarizzazione. La densità è quella che in un condensatore noi
abbiamo già considerato idealmente alle faccie di termine del dielettrico contigue alle
armature, e che ci è nota in funzione della costante dielettrica e della intensità del
campo. Ogni elemento avrà dunque un momento elettrostatico, definendo così il
prodotto delle masse di elettricità alle faccie opposte per la loro distanza; il momento
sarà proporzionale al volume, e la somma di tutti i momenti elementari darà il mo-
mento totale. Nel campo rotante supposto uniforme la polarizzazione si produce
ancora in modo analogo, salvo che un ritardo esiste, cioè la direzione del campo e
quella del momento elettrostatico fanno un angolo fra di loro. Ma per definizione
del campo elettrostatico ogni massa elettrica in questo sarà sollecitata nella dire-
zione di esso da una forza ad essa proporzionale, e l’azione sull’elemento di dielettrico
sarà un momento di rotazione elementare, e l’azione totale un momento totale eguale
al momento elettrostatico moltiplicato per la intensità del campo e pel seno del-
l’angolo che noi abbiamo chiamato «.
Compendiando in formole, se K è la intensità del campo, ognuna delle sfere
elementari conduttrici di cui noi immaginiamo costituito il dielettrico prende una
distribuzione superficiale di elettricità indotta la cui densità in un punto qualunque,
sul vettore che fa l'angolo @ colla direzione del campo, è
K
7 COS = O COS Q.
gl
Se una di queste sfere conduttrici di raggio R è contenuta in ogni volume elementare
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 467
pari ad un cubo di lato a, immaginando in così fatti elementi suddiviso tutto il
c n 4 RI 9 ò Da bs E
dielettrico, ang il numero che noi chiamammo già m, così che la densità super-
ficiale della distribuzione di elettricità che idealmente ci rappresenta la polarizzazione
del dielettrico è
R3
Mio K,
che per noi è meglio conservare nella forma
S
Fi
4 ’
3 T
perchè noi ricaviamo m dalla costante dielettrica. Se il volume del dielettrico è V,
ed il campo è uniforme, così che la polarizzazione lo sia a sua volta, il momento
elettrostatico sarà dunque
mK
Var;
TU AI
ed il momento di rotazione
m K°
Vir Sen,
3 Tr
a cui sono proporzionali le perdite così dette di isteresi elettrostatica.
Se per una data frequenza la polarizzazione avvenisse proporzionalmente al poten-
ziale per ogni valore di questo, come per alcuni valori pare da noi dimostrato, le
perdite sarebbero proporzionali al prodotto della intensità quadrata del campo pel seno
dell’angolo che misura il ritardo della polarizzazione rispetto alla forza.
Una forma analoga compendia l’analisi dei fenomeni di polarizzazione magnetica
nel caso di un trasformatore a corrente alternativa, ed esprime le perdite di isteresi
in funzione del ritardo angolare della magnetizzazione rispetto alla forza, e del
coefficiente di induzione propria della spirale primaria. Queste perdite, che l’ espe-
rienza mostra indipendenti dal carico del trasformatore, si possono rappresentare con
P.I. sen 2tTtnx,
ove P, è la differenza efficace di potenziale sui morsetti primari; I.o la intensità
efficace della corrente primaria quando la spirale secondaria è aperta; 2tnx è il
ritardo di magnetizzazione, se x si valuta in tempo. Ora la resistenza del primario
non ha effetto sensibile rispetto alla selfinduzione Q, nella resistenza apparente, onde
può ritenersi
| lo = ene ’
2Tn0Q
cioò le perdite di isteresi possono rappresentarsi con
Pi sen(2T% a)
PAVEZION ‘
468 LUIGI LOMBARDI
o con molta approssimazione con
P.rx
Qi
Le nostre esperienze hanno dimostrato che crescendo P, il ritardo di magnetiz-
zazione va lentamente diminuendo. D’ altronde, essendo il ferro nei trasformatori
generalmente lontano dalla saturazione, Q, cresce al crescere l'intensità di corrente,
cioè la differenza di potenziale, come dimostra la forma della curva di magnetiz-
zazione. Perciò per doppia ragione le perdite nel ferro crescono meno rapidamente
del quadrato del potenziale primario, cioè della forza magnetizzante; e le due varia-
zioni simultanee rispetto alla semplice legge di proporzionalità, le quali si possono
rappresentare mediante diminuzioni rispettive dell’esponente nella formola, si accor-
dano tra i limiti fra cui il trasformatore è generalmente adoperato in modo che quel-
l'esponente ridotto si conservi sensibilmente costante e prossimo al valore 1,6 dato
da Steinmetz. Ma è verosimile che per intensità di magnetizzazione molto minori,
dove la curva di magnetizzazione si stacca più lentamente dalla tangente orizzontale,
e per intensità molto maggiori, in corrispondenza alle quali Q, cresce assai lenta-
mente, l'esponente della formola di Steinmetz non sarebbe perciò più esatto.
Nel caso di un condensatore nulla è permesso di dire per ora con sicurezza
riguardo al ritardo di polarizzazione, perchè questo non è ancora mai stato diretta-
mente misurato, ed è per ora una ipotesi. Però se un ritardo esiste è molto vero-
simile che la sua variazione in funzione del potenziale sia di un ordine di grandezza
assai piccolo o nullo, per quanto possono far supporre le forme rilevate delle curve
di polarizzazione, che, pure per tempi notevolmente più brevi di ‘quelli che alle
ordinarie frequenze corrispondono, si mostrano del tutto indipendenti dal potenziale.
In tal caso le perdite di isteresi elettrostatica risulterebbero proporzionali al quadrato
della intensità del campo, come già nelle sue prime esperienze sopra un condensatore
a carta paraffinata il sig. Steinmetz (1) aveva verificato, misurando l’energia dissipata
col wattometro.
L'ing. Arnò (2) nei primi risultati pubblicati delle sue misure dedusse da una
serie di osservazioni sopra un cilindro di ebanite un esponente di variazione delle
perdite d’ isteresi elettrostatica in funzione del potenziale che si scosta poco dal-
l'esponente di Steinmetz per la isteresi magnetica.
In seguito a ciò Steinmetz (3) ha ripetute le sue esperienze, misurando ancora
direttamente l’energia dissipata mediante il wattometro; ma scegliendo tali valori
della resistenza e selfinduzione della spirale in derivazione di questo, che il ritardo w
da essa prodotto nella corrente che l’attraversa sia poco differente dal ritardo a che
in causa della polarizzazione non istantanea del dielettrico subisce la corrente di
carica attraversante la spirale principale. Siccome nell’energia che il wattometro
w, e siccome W è costante,
misura entra come fattore il seno della differenza a
(1) “ Elektrotechnische Zeitschrift ,, 29 aprile 1892.
(2) © Rendiconti della R. Acc. dei Lincei ,, 30. aprile 1893.
(3) “ Electrical World ,, 26 agosto 1893.
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 469
il metodo è particolarmente atto a mettere in rilievo le variazioni di a, se esse suc-
cedono. Ma variazioni di questa natura tra i limiti estesi di queste osservazioni non
fu possibile di constatare, onde parrebbe confermato che quel ritardo di polarizza-
zione sia costante.
Per rendersi ragione dei risultati delle esperienze di Arnò, Steinmetz si forma
l’idea che nei dielettrici esista una doppia perdita di isteresi; una statica, la quale
sarebbe analoga alla perdita di isteresi magnetica, e potrebbe essere governata da
una legge eguale; ed una viscosa, la quale varierebbe come il quadrato della fre-
quenza e della intensità del campo, non altrimenti che la perdita nel ferro per cor-
renti di Foucault. Per piccole frequenze ed intensità di campo, come Arnò ha ado-
perato, la prima potrebbe preponderare sulla seconda, e per frequenze grandi ed
intensità notevoli essere non di meno quasi completamente mascherata da questa.
L'ipotesi è ingegnosa, sebbene non accenni ad alcuna causa probabile per cui
la isteresi statica debba variare con una legge non quadratica. L’analogia colle per-
dite per correnti di Foucault ha anche caratteri di verosimiglianza, poichè ogni modi-
ficazione dell’intensità del campo è prodotta mediante correnti variabili, le quali
generano campi magnetici: nelle particelle conduttrici del dielettrico possono perciò
prodursi correnti parassite; anzi queste sarebbero l’unica causa della dispersione di
energia nei dielettrici secondo la teoria sostenuta da Hess (1).
Quanto all'osservazione sulla influenza della frequenza differente, essa ha forse
peso minore in seguito alle esperienze del prof. Sahulka (2), eseguite pure sopra un
condensatore a carta paraffinata. Queste confermarono la proporzionalità della dissi-
pazione di energia al quadrato del potenziale, sebbene siano state verosimilmente
fatte con frequenze assai minori di quella che Steinmetz ha adoperata, e più vicine
a quella di Arnò. i
Però resta la differenza dei limiti tra i quali l’intensità del campo fu variata
nell’apparecchio di Arnò e si suol variare nei condensatori comuni. Infatti questi
hanno quasi sempre uno spessore di dielettrico piccolissimo tra le singole armature,
e tuttavia le misure dirette dell’energia dissipata con capacità non molto grandi
richiedono l’impiego di potenziali notevolmente elevati. Per ora non è sufficientemente
dimostrato che nell’intervallo totale che deve abbracciare quei limiti differenti il
valore della costante dielettrica apparente, da cui noi dobbiamo dedurre il coeffi-
ciente m della nostra formola, sia costante, e non si può nemmeno escludere 4 priori
che su di esso frequenze molto elevate possano avere un’ influenza non trascurabile.
Sopratutto resta la differenza sostanziale della forma secondo la quale la perio-
dica variazione di campo si produce nei condensatori caricati con una semplice cor-
rente alternativa, e nell’apparecchio di Arnò a campo continuamente rotante. Nostre
esperienze hanno mostrato che le perdite di isteresi magnetica dipendono sensibil-
mente dalla forma della corrente magnetizzante, anche quando la differenza è solo
quella tra una curva sinusoidale semplice ed una curva complessa che risulta dalla
«somma di curve sinusoidali di frequenza diversa. Per ora non è ancor dimostrato
(1) “ La Lumière électrique ,, 26 nov.-10 dic. 1892.
(2) “ Wiener Sitz. Ber. ,, luglio 1893.
470 LUIGI LOMBARDI
che nei campi magnetici rotanti le perdite di isteresi del ferro siano governate dalle
stesse leggi che valgono nei campi somplicemente alternativi. Tanto meno si potrà
presumere che leggi identiche valgano nei due casi per la isteresi elettrostatica.
Che se una differenza di questa natura si verificasse, il nostro ragionamento
teorico non varrebbe più nemmeno rigorosamente nel caso del campo rotante delle
esperienze di Arnò. Invero, il campo rotante in queste è generato mediante due campi
alternativi componenti che si producono con intensità eguale e differenza di fase
di 90° fra due coppie di lastre di dimensioni 42 X 21 mm., affacciate alla distanza
di 42 mm. Questi campi sono dovuti a differenze di potenziale prodotte da una mac-
china Siemens, di cui la curva della forza elettromotrice è con molta approssima-
zione sinusoidale. Così è soddisfatta la prima condizione perchè il campo risultante
abbia intensità indipendente dal tempo. Ma qui non sono soddisfatte che approssi-
matamente le condizioni per cui l'intensità sia indipendente dal punto dello spazio
nel quale il campo si considera. Difatti i due campi elementari non sono certamente
uniformi, e non lo può essere il campo risultante in tutto lo spazio occupato dal
dielettrico ; nè perciò lo può essere la polarizzazione di questo.
A ciò si potrebbe verosimilmente ovviare in gran parte generando invece di due
soli campi due coppie di questi tra quattro sistemi di lastre a curvatura cilindrica,
due a due opposte, e abbraccianti il cilindro cavo di sostanza che si studia in una
forma analoga a quella degli elettrometri a quadrante di Edelmann. I campi opposti
dovendo essere eguali, richiederebbero solo due differenze di potenziale; ma i campi
tra lastre molto vicine e parallele potrebbero rendersi più intensi crescendo la sensi-
bilità, e più omogenei, cosa indispensabile per poter valutare con conveniente appros-
simazione la forza ed il coefficiente di isteresi. Le quattro lastre interne potrebbero
anche unirsi in un solo cilindro metallico, da tenersi a potenziale costante con una
comunicazione a terra, e dove masse elettriche sarebbero solamente provocate per
induzione; l’artificio sarebbe specialmente utile per esaminare il comportamento di
sostanze ricavabili in fogli sottili facilmente pieghevoli, poichè allora basterebbe dar
loro per sopporto un cilindro leggero per es. di carta rivestito di stagnola, oppure
un cilindro di lastra sottilissima di alluminio.
Finalmente non può essere dimenticato che in queste manifestazioni dei fenomeni
di isteresi, i quali devono evidentemente essere legati da vicino a quelli di polariz-
zazione lenta dei dielettrici, le condizioni esterne possono avere una grandissima
influenza, e le proprietà del corpo che si studia possono essere in gran parte masche-
rate da quelle di corpi secondari, come traccie di umidità. Noi vedemmo che l’ebanite
e la mica che assorbirono una piccola quantità d’acqua presentano una variazione di
carica addirittura colossale: in tal caso la sola presenza di un essiccante ordinario
nell'ambiente chiuso dell'apparecchio non sarebbe sufficiente a ridurre la sostanza
allo stato normale.
L'ing. Arnò ha in questi ultimi mesi istituita una serie sistematica di misure
sopra campioni di dielettrici i più disparati. Quando i nuovi risultati saranno noti
potrà accertarsi se e fino a qual punto le previsioni teoriche siano verificate in
quelle condizioni particolari di esperimentazione (1).
(1) Nei Rendiconti della seduta del 12 novembre 1898 della R. Accademia dei Lincei, pubblicati
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"TRA po e
LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 471
Comunque, il problema della applicazione razionale dei condensatori alla distri-
buzione di correnti alternative, pel quale è resa tanto interessante la determinazione
delle leggi quantitative di questi fenomeni, ha troppa importanza perchè ad esso non
debba volgersi l’attenzione di tutti gli studiosi di cose elettriche.
dopo la presentazione di questa Memoria, sono riferiti i risultati delle misure dell’ing. Amò a cui
in questa s'era fatto allusione.
Questa lunga serie interessante di osservazioni, estesa a 14 dielettrici diversi, ha riconfermata
nell’autore l’idea che la dissipazione di energia nel campo elettrostatico rotante sia dovuta ad una
vera isteresi elettrostatica, regolata da una legge eguale a quella che Steinmetz verificò per l’isteresi
magnetica nel ferro. Solamente una serie ulteriore di esperienze comparative potrà constatare se
questa conclusione si verifichi anche nel caso dei condensatori nei circuiti di semplici correnti
alternative.
Intanto nei risultati attuali è notevole che la mica, la quale, opportunamente preparata, si com-
porta rispetto ai fenomeni di polarizzazione come ottimo tra i dielettrici conosciuti, qui presenterebbe
il massimo coefficiente di isteresi. La minima dissipazione di energia tra i dielettrici più comunemente
adoperati si riscontrerebbe nella paraffina, e questo si accorda coi risultati di esperienze recenti del
sig. Kleiner (*) e di altre ultimamente istituite nel laboratorio di Zurigo per misurare direttamente
il riscaldamento del dielettrico sotto l’aziore di cariche alternate ad alta frequenza ed alto potenziale.
La variazione di temperatura della paraffina apparve quasi inapprezzabile, sebbene ricercata coi più
delicati metodi di misura di resistenze metalliche, aventi coefficiente di variazione notevole.
Ma il risultato più importante sta nell’ordine di grandezza dei coefficienti di isteresi che Arnò ha
misurato in valore assoluto. Difatti, ammettendo anche che nella mica e nelle altre sostanze il
fenomeno non sia qui stato turbato dalla presenza di traccie di umidità, la dissipazione di energia nei
dielettrici principali delle misure predette quando il campo elettrostatico ha una intensità eguale ad
un’unità C.G.S. sarebbe compresa tra 556 e 21 erg per centimetro cubo e per 1”, essendo solo legger-
mente minore per la gommalacca e per l’ambra. Siccome la frequenza era di 40 periodi per 1”,
l'energia dissipata sarebbe compresa tra 13.6 e 0.52 erg per 1 cm.} e per ciclo di polarizzazione, e si
conserverebbe per la maggior parte dei coibenti più vicina a questo limite minore. La grandezza di
questi coefficienti sarebbe notevolmente più alta di quella dei coefficienti d’isteresi magnetica dati
da Steinmetz, i quali per una massima induzione magnetica rappresentata da un’unità C.G.S. cor-
rispondono ad una perdita per ciclo di 0.002 a 0.08 erg per 1 cm.5, dal più dolce ferro fucinato al più
duro acciaio adoperato per magneti permanenti, conservandosi per buoni materiali ordinari più vicina
al limite minore. Però in quasi tutti gli apparecchi dove il ferro è utilizzato per le sue proprietà
magnetiche, e dove le perdite di isteresi possono avere un’importanza non trascurabile, il flusso
unitario d’induzione magnetica suol essere dell'ordine di parecchie migliaia. Nei condensatori comuni,
anche in quelli costrutti per le più alte differenze di potenziale alternative, difficilmente l’intensità di
campo supera un centinaio di unità assolute. Se nei due casi, per assumere valori non lontani dai
medii, le intensità dei campi misurate nelle rispettive unità fossero rappresentate da 10.000 e da 100,
e se le dispersioni di energia seguissero la stessa legge esponenziale, la ragione dei fattori esponen-
ziali delle quantità di energia dissipate sarebbe all’incirca 1600 :1, cioè di un ordine di grandezza
che differisce poco da quello della ragione inversa dei rispettivi coefficienti di isteresi.
A parità di frequenza le dissipazioni di energia per unità di volume sarebbero dunque pa-
ragonabili!
(*) “ Wiedem. Ann. ,, 50. 1893.
472
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LUIGI LOMBARDI — LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI
INDICE DELLE MATERIE NEI DIVERSI PARAGRAFI
. Polarizzabilità lenta di alcuni dielettrici.
. Un condensatore a seta: costante del dielettrico.
. Influenza dell’umidità sulle proprietà del dielettrico.
. Proporzionalità della carica al potenziale.
. Misura della resistenza del dielettrico col metodo della perdita di carica.
. Misura diretta mediante l'intensità di corrente.
. Indipendenza della resistenza della seta dalla intensità di corrente.
. Variazione della carica residua in funzione del potenziale.
. Variazione in funzione della durata di carica.
. Fenomeni di carica e scarica durante tempi brevissimi.
. Cariche e scariche oscillanti.
. Periodo di oscillazione.
. Durate brevi di carica col pendolo di Helmholtz.
. Il primo condensatore a seta essiccata.
. Altri condensatori a seta.
. Un condensatore a seta di capacità notevole.
. Variazioni di carica per dielettrici diversi.
. Osservazioni sui fenomeni di lenta polarizzabilità.
. Fenomeni di lenta deformazione elastica: misura del modulo di elasticità.
. Analogia dei fenomeni di lenta polarizzazione dielettrica: misura delle capacità.
. Leggi dei fenomeni inversi di polarizzabilità.
. Curve di deformazione elastica della seta.
. Concetto di Maxwell sui dielettrici: esperienze di Hess.
. Teoria dei dielettrici.
. Isteresi elettrostatica.
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Fig. 12.13 - Deformazioni elastiche di un filo di seta
10
10, 20' 30
DITTERI DEL MESSICO
PARTE TERZA
MUSCIDAE CALYPTERATAE
OCYPTERINAE, GYMNOSOMINAE, PHASINAE, PHANINAE, TACHININAE,
DEXINAE, SARCOPHAGINAE
MEMORIA
DEL
Dott. E. GIGLIO-TOS
Assistente al R. Museo di Anatomia comparata.
CON 1 TAVOLA
Approvata nell’ Adunanza del 17 Dicembre 1893.
MUSCIDAE CALYPTERATAE
OCYPTERINAE
I — Gen. OCYPTERA.
LarREtLE, Histoire nat. des Insec. et Crustac., XIV, p. 378 (1804).
1. — Ocyptera Dosiades.
Ocyptera Dosiades Warker (39), Part IV, p. 695. — van per Wurp (84),
p. 15, 1. — Trier Towxsen (31), I, p. 143.
? Ocyptera Euchenor Wauker (37), Part IV, p. 696. — Trrer Towxsenp (31),
.I, p. 144.
Ocyptera binotata Bisor (2), p. 44, 4. — TyLer Towwsen (81), I, p. 144.
Ocyptera soror Braor (2), p. 46, 8. — van per WutP (6), IL, p. 5, 1.
Ocyptera simplex Bisor (2), p. 47, 9.
Ocyptera atra Ròper (22) p. 344.
Ho potuto esaminare 13 esemplari in parte maschi ed in parte femmine i quali
corrispondono all’una od all’altra delle descrizioni sopracitate. Dopo un’osservazione
accurata dei singoli individui non mi fu possibile assolutamente di distinguerli in
varie specie, ma dovetti comprenderli in una sola ed unica, molto variabile però nella
Serie II. Tom. XLIV. dì
474 DITTERI DEL MESSICO
colorazione. I caratteri costanti di questa specie sono la colorazione nera delle an-
tenne, della proboscide, del torace e dello scudetto, dei piedi, e la colorazione bianca
delle calittere. Variano invece assai la colorazione della faccia e dell'addome, l’in-
tensità della infoscatura delle ali, la statura, la leggera pollinosità del torace, e le
nervature alari; ma si nota un così graduale ed insensibile passaggio nel variare di
essi che non mi fu possibile fare una separazione netta delle varie forme.
In tutti gli esemplari mancano le setole discali dell'addome e solamente sono
presenti quelle presso il margine posteriore dei segmenti. Le macchie giallo-rossiccie
laterali dell'addome sono talora così grandi da occupare buona parte dei segmenti
secondo e terzo (0. Dosiades) e in tal caso le ali sono talora più intensamente offu-
scate (0. dinotata); oppure le macchie addominali occupano una più piccola parte
laterale dei segmenti (0. soror) e talora scompaiono affatto (0. atra). Le dimensioni
variano da mm. 10 a mm. 7.
La faccia, generalmente a riflessi bianchicci, ha talora riflessi giallicci special-
mente verso la sua sommità ed ai lati del fronte. Le ali sono più o meno intensa-
mente offuscate ; la vena trasversa apicale, talvolta fortemente, tal’altra più debolmente
arcuata; la vena trasversa posteriore curva o quasi diritta; la vena quarta longi-
tudinale munita di breve appendice o priva. La lunghezza degli uncini dei piedi è il
carattere sessuale secondario del maschio.
Noto inoltre che il nome specifico di soror dato dal Brgor non potrebbe essere
accettato, perchè già usato dal WirDEMANN per indicare un’altra specie di Ocyptera
del Capo di Buona Speranza (40) Ig p. 652, 7.
Ocyptera minor RéDER (22), p. 344, è distinta da questa specie per avere le setole
discali sull’addome.
Has. — Nord-America: Nova Scotia, Massachusset, Newfoundland (37), Balti-
more (2), Quebec (34), Minnesota, New Messico, Jowa, Illinois (31) — Portorico (22)
— Messico (2): Orizaba (6), Orizaba (Boucarp, SUMICHRAST).
II. — Gen. XANTHOMELANA,
van DER Wutr (35), p. 188.
2. — Xanthomelana articulata.
(Fig. 12, capo).
Xanthomelana articulata van per Wuxr (35), p. 188.
Maschio. —. Faccia concava bianco-gialliccia con riflessi dorati, ai lati delle
antenne giallo-dorata; epistomio molto sporgente; ai lati della bocca una serie di
piccole setole; vibrisse deboli ed inserite assai al di sopra del margine orale, —
Proboscide lunga quanto è alto il capo, nera; palpi lunghi come la proboscide, fili-
formi, gialli, neri all'estremo apice. — Fronte larga al vertice un terzo della lar-
ghezza del capo, e tutta occupata quivi dalla striscia mediana larga, nera, vellutata;
ai lati in basso giallo-dorata: ad ogni lato di essa una ‘serie di deboli setole inero-
ciate, che discendono solo fino alla base delle antenne, — «Antenne nere; il primo
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 475
articolo cortissimo, il secondo un po’ più lungo con alcuni peli superiormente; il terzo
triplo del secondo, stretto, lineare, un po’ concavo superiormente, un po’ convesso al
di sotto; stilo nero, lungo quanto il terzo articolo, ingrossato per quasi tutta la sua
lunghezza. — Occhi grandi, giungenti fin presso al margine orale, oltrepassando le
vibrisse, nudi. — Torace nero, vellutato; una fascia sottile trasversale nel mezzo e
due larghe striscie laterali che congiungono la fascia al margine anteriore, giallo-
dorate; petto e pleure grigio-pollinosi. — Scudetto nero; due setole all’apice incrociate
e due più lunghe ai lati di queste divergenti. — Addome lungo, quasi conico, giallo,
sparso di piccoli peli neri; sul secondo e terzo segmento una macchia neriecia lon-
gitudinale nel mezzo; sul quarto una simile macchia dilatata al margine posteriore
in una fascia trasversale; il quinto ed il sesto totalmente neri; su ogni segmento,
escluso il primo, due setole dorsali mediane e due laterali, solo marginali. — Ventre
uniformemente giallo. — Piedi neri; anche, base dei femori anteriori e mediani
e metà basale dei femori posteriori, gialle; uncini e pulvilli lunghi; pulvilli giallicci. —
Ali nere, gradatamente meno offuscate dal margine anteriore al posteriore; cellula
apicale chiusa e peduncolata all’apice dell'ala; quarta vena longitudinale curva alla
sua piegatura; piccola vena trasversa posta al di là del mezzo della cellula discoi-
dale; vena trasversa posteriore fortemente convessa. — Calittere gialliccie. — Bilan-
cieri gialli.
Lunghezza mm. 6.
Un solo maschio.
Has. — Messico (35): Orizaba (SumIcHRAST).
GYMNOSOMINAE
III — Gen, GYMNOSOMA.
Maicen (17), II, p. 278, 100.
3. — Gymnosoma — ?
Un solo esemplare mancante di capo determinato dal BELLARDI come apparte-
nente al genere Gymnosoma, e coll’addome quasi simile a quello di G. rotundatum,
cioè globoso, giallo-ranciato, con una macchia tondeggiante nera sul dorso di ogni
segmento presso il margine posteriore.
Has. — Puebla (SAUSSURE).
IV. — Gen. CISTOGASTER.
Larrece (8), V, p. 511.
4, — Cistogaster ferruginosa.
Cistogaster ferruginosa van per Wuxp (35), p. 187.
Riferisco a questa specie, stando alla breve diagnosi del van per WuLP, un
maschio di circa 7 mm. di lunghezza, colla faccia, i lati del fronte, il torace e lo
476 DITTERI DEL MESSICO
scudetto ocracei, con riflessi dorati sulla faccia ed ai lati del torace; il terzo arti-
colo delle antenne alla sua base e nella parte inferiore e l’addome sono fulvi; i
primi articoli delle antenne, la striscia mediana del fronte, e le striscie del torace
poco distinte, la base dell'addome ed i piedi sono neri; le ali un po’ gialliccie alla
base; le calittere gialle.
HaB. — Messico (35): Mexico (TrugQuI).
5. — Cistogaster variegata.
Cistogaster variegata van per Wurp (35), p. 187.
Un solo esemplare maschio distinto da C. ferruginosa per le dimensioni minori
(mm. 5 circa), per il terzo articolo delle antenne nero e di forma ovale, per le
quattro striscie del torace più distinte e per avere sui segmenti quarto e quinto
dell'addome delle macchie confuse nere al margine posteriore.
Ha. — Messico (35): Orizaba (SumicHRAST).
PHASINAE
V. — Gen. TRICHOPODA.
Trichiopoda Larrenne (8), V, p. 512.
6. — Trichopoda lanipes.
Thereva lanipes Fagricius (11), p. 220, 10.
Trichiopoda lanipes Larrente (8), V, p. 512.
Trichopoda lanipes Wrepemann (40), II, p. 270, 4. — Rosmeau-Desvomy (21),
p. 284, 5. — Waxxer (37), Part IV, p. 696. — Osren Sacken (20), p. 146.
— Truer Townsenp (31), Paper I, p. 138.
Tre femmine.
Has. — Carolina (11, 40, 21) — Georgia (37) — New Mexico (31) — Messico:
Cuantla (SAUSSURE).
7. — Trichopoda pyrrhogaster.
Trichopoda pyrrhogaster Wrepewann (40), II, p. 272, 6. — van per Wurr (84),
p. 15, 3; (6), II, p. 3, 2. — TyLer Townsen (81), I, p. 188.
Trichopoda pyrrhogastra RépER (22), p. 344.
Due soli maschi.
Has. — Sud-America ? (40) — Guadalupa (34), Portorico (22) — Guatemala:
San Gerénimo (6) — Messico: Orizaba, Cuernavaca (SUMICHRAST).
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 477
8. — Trichopoda pennipes.
Musca pennipes Fagricros (10), p. 348, 149.
Dictya pennipes Fagricros (11), p. 327, 5.
Phasia jugatoria Sax (28), p. 172, 2. — Complete Writ., II, p. 364.
Trichopoda pennipes Wiepemanx (40), II, p. 274, 9. — Rogineav Desvomy (21),
p. 283, 1. — Wacker (37), Part IV, p. 696. — Osren Sacken (20), p. 146.
— van DER WuxP (84), p. 15, 2; (6), II, p. 3, 1. — Brauer e BereenstAMM
(#), I, p. 147 (part.). — Truer Towxsenp (81), Paper I, p. 188.
Un solo maschio privo di capo.
Has. — Nord-America (10, 37, 11, 40): Carolina (21), Indiana (28), Florida,
Georgia (37), New Mexico (81) — Repubblica Argentina (34) — Messico: Pre-
sidio (6), Orizaba (SUMICHRAST).
VI. — Gen. ACAULONA.
van DER Wutr (6), II, p. 4.
9. — Acaulona costata.
Acaulona costata van per Wuxr (6), II, p. 4, 1, tab. III, fig. 1, 1a, 10. —
Braver e BereenstAamm (7), II, p. 388. — Tyuer Townsenp (31), Paper I,
p. 141.
Un solo esemplare che reputo maschio per avere gli uncini ed i pulvilli dei
tarsi assai sviluppati, e che differisce solo da quelli descritti da van peR WuLP per
l'addome di forma più stretta e più allungata di quanto è rappresentato nella figura.
Le appendici genitali da quell’autore disegnate non sono in esso visibili, forse perchè
ripiegate sotto il ventre che è concavo. Io credo fermamente che gli esemplari esa-
minati dal van peR WuLP sieno femmine, avendo essi gli uncini ed i pulvilli dei
tarsi molto piccoli.
Ha. — Messico: Orizaba, Medellin presso Vera Cruz (6). — Senza indicazione
di località messicana (SumicHRAST).
PHANINAE
VII — Gen. PENTHOSIA.
van DER Wutr (85), p. 189.
10. — Penthosia satanica.
(Fig. 1, capo).
Scopolia satanica Bisor (5), p. 254, 5.
Penthosia satanica van per Wuxp (35), p. 190.
Maschio. — Faccia obliquamente ritratta, nera, lucente, con riflessi argentini
ai lati, se si osserva obliquamente dall’alto ; epistomio appena sporgente; una serie
478 DITTERI DEL MESSICO
di peli tenui lungo le creste facciali; guancie alte circa più della metà del diametro
longitudinale degli occhi; vibrisse appena distinte inserite al margine orale. — Pro-
boscide e palpi neri. — Yronte un po’ sporgente, larga circa un terzo del capo, nero-
vellutata, munita di una serie di peli sottili ai lati di una larga striscia mediana
indistinta. — Occhi nudi. — Antenne lunghe nere, obliquamente dirette in avanti;
primo e secondo articolo brevi e quasi uguali; il terzo molto più lungo, circa sei
volte il secondo, appena più largo nel mezzo, tronco all'apice; stilo nero, lungo quanto
il terzo articolo, sottile, appena pubescente. — Occipite piatto in alto, fortemente
rigonfio in basso dietro alla bocca, nero lucente. — Torace quadrangolare, nero un
po’ lucente, rivestito di peli neri, più lunghi sulle pleure ed agli angoli anteriori,
munito di qualche setola alla base delle ali, ed agli angoli posteriori. — Scudetto
grande, semicircolare, nero, con due setole per ogni parte al margine e due ‘altre
apicali un po’ più deboli, fortemente incrociate. — Addome più stretto del torace,
molto più lungo di esso, quasi cilindrico, simile a quello delle specie di Ocyptera,
ricurvo all'apice e munito di un ipopigio sporgente e bitubercolato; uniformemente
nero, lucente, tendente al violaceo, rivestito di corti peli neri, con due setole dorsali
ed una laterale solo marginali e brevi sui segmenti terzo, quarto e quinto ; segmento
primo brevissimo, gli altri lunghi e quasi fra loro uguali; il secondo munito ai lati
di lunghi peli neri. — Ventre colorato come l'addome, ma più lungamente peloso. —
Piedi lunghi, robusti, pelosi e setolosi, di color nero-pece, un po’ lucente; i femori
anteriori con tre serie di setole, una lungo il margine superiore, due lungo il mar-
gine inferiore, di cui una interna, l’altra esterna; gli altri femori con setole irrego-
larmente disposte, le tibie anteriori prive di setole fuorchè all’apice, le mediane e
le posteriori munite di qualche setola anche verso il mezzo; le tibie posteriori più
robuste e curve; i tarsi lunghi quasi quanto le tibie cogli articoli apicali un po’ dila-
tati e con alcuni lunghi peli apicali sull’ultimo. — Uncini e pulvilli molto lunghi;
i pulvilli giallo-pallidi. — Al interamente fuliginose; cellula apicale chiusa e pedun-
colata; la quarta vena longitudinale piegata ad angolo retto e quivi appendicolata;
vena trasversa apicale e vena trasversa posteriore ripiegate ad S; piccola vena
trasversale posta quasi nel mezzo della cellula discale. — Calittere e bilancieri neri;
questi fulvi alla base.
Femmina. — Differisce per il fronte appena un po’ più largo, i piedi un poco
meno pelosi e specialmente poi per i pulvilli e gli uncini meno lunghi e l’apparato
copulatore che in essa appare formato da una piccola appendice ricurva in basso,
sporgente dall'ultimo segmento dell'addome che è tronco obliquamente.
Lunghezza mm. 15 circa.
La specie Hermyia afra RoBineAU Desvorny (21), p. 227, 1, ben distinta da questa,
non è forse di questo stesso genere?
Maschi: 3. — Femmine: 2.
Has. — Messico (5): Orizaba (SUMICHRAST).
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 479
VII. — Gen. HEMYDA.
Rosinrau Desvory (21), p. 226, III
11. — Hemyda armata.
Ancylogaster armatus Bisor, Bull. Soc. entom. de France, 1884, p. xx.
Tre maschi.
La espressione usata da Brcor nella diagnosi del suo genere Ancylogaster:
antennis.... segmento tertio angusto, obtuso, secundo mazxime longiore , è molto oscura
“%
e trasse in errore il distinto ditterologo TyLer Townsenp che credette essere il
secondo articolo assai più lungo del terzo, mentre è l’opposto. Quest’errore è evidente
nella sua tavola analitica dei generi delle Ocypteridae in: “ The North American
genera of Calypteratae Muscidae , Paper I (Proced. ent. Soc. Washington, II, n° 1 —
1891), a p. 98.
Has. — Messico (Bigor): Orizaba (SumicaR.).
TACHININAE
IX. — Gen. ECHINOMYIA.
Echinomya Duwéri, Exposition d’une méthode natur. pour la classif. et Vétude
des Ins. (1798); Consid. gén. sur la Classe des Ins., p. 231 (1823).
12. — Echinomyia robusta.
Tachina robusta Wrepewann (40), II, p. 290, 15.
Echinomyia analis Macquart (16), 1° suppl., p. 144, 4, tab. 12, fig. 3. —
TyLer Towwsenp (32), p. 10.
Echinomyia haemorrhoa van per Wurr (38), p. 145, 17, pl. 4, fig. 13-16. —
Wicusron (41), p. 30.
Echinomyia robusta van per WurP (84), p. 19, 8; (6), p. 32, 1, tab. II, fig. 104.
— Truer Towxsen (31), Paper II, p. 93.
Peleteria robusta Braver e BergenstAm (7), Pars II, p. 408. — Tver TowxsenD
(32), p. 11.
?! Tachinodes robusta Braver e BercenstAmm (7), Pars II, p. 409 nec ibid. p. 438.
Un solo esemplare femmina, alquanto guasto, che concorda bene colla descrizione
del Wiepemann. Il carattere delle setole sulle guancie è troppo costante in alcune
specie di questo genere, sieno europee od esotiche, perchè la Tachina (Echinomyia)
Anaxias di WALKER (387) Part. IV, p. 726, possa essere identificata con questa specie,
giacchè nella descrizione è detto: “ no bristles on the sides of the face ,.
480 DITTERI DEL MESSICO
Has. — Montevideo (40) — Repubblica Argentina (34) — Colombia (16) —
Nord America (38): White Mountains (41); Costantine, Nebraska, Jowa, Carlinville,
New Hampshire, New York, Ottawa (31) — Costa Rica: Volcan de Irazu (6) —
Messico: Ciudad in Durango (6), Cordova (SAUSSURE).
13. — Echinomyia filipalpis.
Echinomyia filipalpis Ronpani (2), p. 15. — T'rLer Townsenp (32), p. 10.
Echinomyia Cora Bieor (3), p. cx1; (4), p. 81, 3.
Echinomyia robusta van per WurP (6), p. 32, 1 (partim).
Dalla breve diagnosi di E. Cora Brgor non appare che questa specie differisca
da E. filipalpis RonpAnI se non per la colorazione bruno-scura delle tibie. In quasi
tutti gli esemplari da me osservati le tibie, specialmente le posteriori, hanno almeno
nel mezzo un color ferruginoso scuro, in qualcun altro sono pressochè nere. Non
credo che la specie £. Cora possa venir distinta da quella del RonpANI per questo
solo carattere. 3
Maschi: 4 — Femmine: 1.
Has. — Chilì (27) — Messico (4): Oaxaca (SALLÉ).
14. — Echinomyia cinerascens.
Echinomyia cinerascens Bisor (5), p. 256, 12.
Un solo esemplare femmina mancante delle antenne, che riferisco perciò dub-
biosamente alla specie suddetta. — Faccia bianca con due setole alle guancie. —
Fronte dello stesso colore con qualche riflesso bruno e la striscia mediana fulvo-
rossiccia. — Torace nero, come al solito grigio-pulverulento: angoli posteriori testaceo-
bruni, così anche lo scudetto. — Addome nero, notevolmente cosparso della solita
pulverulenza argentina, assai abbondante, mancante solo al margine posteriore dei
segmenti, assai più splendente e visibile sull’ ultimo segmento: i lati del secondo e
terzo segmento sono bruno-testacei. — Piedi neri. — Ali grigie, gialliccie alla base
e lungo un certo tratto del margine anteriore.
Has. — Messico (5): Solco (SUMICHRAST).
15. — Echinomyia macrocera.
Echinomyia macrocera Bieor (3), p. cxL; (4), p. 81, 4.
I palpi sono assolutamente filiformi nei due sessi. In un esemplare maschio
osservai un po’ di color ferruginoso-scuro ai lati del secondo e terzo segmento del-
l'addome. L’addome della femmina è, come al solito, alquanto più corto e quasi
subgloso, mentre quello del maschio è assai più oblungo coll’organo copulatore assai
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 481
sviluppato e sporgente di color nero lucente, e coperto di numerosi peli neri misti
a setole.
Riferisco a questa stessa specie un maschio ed una femmina che differiscono
per la maggiore statura e per la pruinosità del torace e dello scudetto molto più
abbondanti. Potrebbero forse essere distinti in una nuova specie.
Maschi: 4 — Femmine: 2.
Has. — Messico (4): Oaxaca (SALLE).
X. — Gen, MICROPALPUS,
Macquart (15), II, p. 80.
16. — Micropalpus fulgens.
Tachina fulgens (Horrea) Mercen (18), IV, p. 259, 34; tab. 41, fig. 23. —
Zerterstent (43), INT, p. 1096, 93.
Linnaemya Heraclei Rogmexu-Desvory (21), p. 53, 3.
Linnaemya analis Ros.-Desv. (21), p. 54, 4.
Linnaemya distincta Ros.-Drsv. (21), p. 54, 5.
Linnaemya aestivalis Ros.-Desv. (21), p. 54, 6.
Linnaemya borealis Ros.-Desv. (21), p. 54, 7.
Micropalpus Beraclei Macquart (15), II, p. 81, 3.
Micropalpus analis Macquart (15), II, p. 82, 4.
Micropalpus borealis Macquart (15), II, p. 82, 5.
Micropalpus comptus Ronpaxi (26), II, p. 70, 7. — Braver e Bergensram (7),
I, p. 133 e II, p. 408.
Micropalpus fulgens Mersen (18), VII, p. 217, 1, tab. 70, fig. 12-15. — Scaner
(29), I, p. 428. — van DER WurP (6), II, p. 34, 1.
Un solo esemplare femmina, colle antenne affatto nere, lo scudetto interamente
testaceo e la parte mediana delle tibie di mezzo alquanto testaceo-oscura.
Non ritengo sinonimo di questa specie il M. fulgens Macquart (15) II, p. 83, 10,
. perchè nella sua descrizione è detto: “ Troisiòme article des antennes subitement
élargi , che credo invece un carattere distintivo della specie seguente.
Has. — Europa (Avor.) — Nord America (21) — Messico: Presidio, Ciudad in
Durango (6), Orizaba (SuMICHRAST).
17. — Micropalpus comptus.
Tachina comta Faruén (9), II, Muscides, p. 24, 48. — Zemersrenr (48), II,
p. 1094, 91.
? Tachina marmorata Mzisen (18), IV, p. 261, 36.
Serie II. Tom. XLIV. 4
482 DITTERI DEL MESSICO
? Micropalpus marmoratus Mzicen (18), VII, p. 217, 3.
Micropalpus fulgens Macquart (15), IT, p. 83, 10.
Micropalpus comtus Scumner (29), I, p. 429.
Due esemplari femmine, di cui uno mancante del terzo articolo delle antenne,
che riferisco con dubbio però a questa specie, essendo distinti dalla antecedente per
la forma subitamente allargata del terzo articolo antennale, per avere le guancie
munite di una o due setole e l’addome più snello.
Has. — Europa (Auor.) — Messico: Tuxpango (Susmicarast), Tampico (SAUSSURE).
XI — Gen, GYMNOMMA.
van per Wuxp (6), II, p. 38.
18. — Gymnomma novum.
(Fig. 2, capo).
Gymnomma novum Gisvio-Tos (13), p. 1.
Femmina. — Faccia gialla: epistomio assai prominente; lati della faccia sparsi
di piccoli e brevi peli, ma sprovvisti di vere setole. — Proboscide nera, alquanto
lunga. — Fronte assai larga, più stretta in alto, nericcia, giallo-pollinosa, con due
serie di setole, e fra queste sono sparsi dei peli alquanto lunghi; striscia mediana
rossiccia. — Antenne gialle; terzo articolo circa doppio del secondo, securiforme, note-
volmente dilatato verso l'estremità e obbliquamente troncato, nero, appena un po’ giallo
alla base; stilo assai lungo, robusto, appena visibilmente pubescente. — Occipite
adorno di peli gialli, assai lunghi ed abbondanti in basso. — Torace e petto giallo-
olivaceo-pollinosi, le striscie nere appena visibili; due appaiate mediane anteriori e
due laterali interrotte alla sutura; alcune setole nere assai lunghe ai lati ed al mar-
gine posteriore. — Scudetto fulvo, leggermente giallo-pollinoso, privo di spine e solo
munito di setole, di cui alcune assai lunghe. — Addome ovale, privo di vere spine,
fulvo, con una macchia nera nel mezzo dei segmenti primo, secondo e terzo; quella
del secondo si estende dal margine anteriore al posteriore; quella del terzo è abbre-
viata anteriormente; sul quarto una macchia bruna meno distinta, abbreviata ante-
riormente e quivi biloba. Il primo segmento è sprovvisto di setole; il secondo ne
ha sul dorso due discali e due marginali, ed una per parte ai lati; il terzo ne ha
due discali ed una serie di 10-12 marginali; il quarto ne porta molte, specialmente
alla sua estremità. — Ventre fulvo, nero all’apice, dove è specialmente coperto da
numerose setole e peli neri frammisti. — Piedi fulvi con peli neri e setole nere,
notevolmente lunghe sulle tibie posteriori (i piedi di mezzo mancano); uncini neri
alla loro estremità; pulvilli gialli. — Ali brune, un po’ gialle alla base; piccola vena
trasversale posta quasi nel mezzo della cellula discale; cellula apicale largamente
aperta; vene trasverse apicale e posteriore alquanto curve. — Calittere e bilancieri
giallo fulvi. — Lungh. mm. 9.
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 483
Questa specie è notevolmente simile a G. discors van DER WuLP (35), p. 193,
ma la ritengo una specie distinta per la diversa forma del terzo articolo delle an-
tenne e la presenza di setole discali anche sul secondo segmento.
Una sola femmina.
Has. — Mexico (SUuMmIcHRAST).
XII. — Gen. MICROTRICHOMMA.
‘Grozio-Tos (13), p. 1.
Faccia, guancie, epistomio, proboscide e fronte come nel genere Echinomyia;
guancie prive di setole; palpi un po’ clavati; antenne come in Echinomyia, non rag-
giungenti l’epistomio; terzo articolo ovale appena più lungo del secondo; stilo lungo,
non geniculato, col secondo articolo assai sviluppato; occhi relativamente piccoli,
pelosi; addome con due setole discali sul secondo e terzo segmento, due marginali
sul secondo e la solita serie di marginali sul terzo e parecchie anche discali sul
quarto; nella femmina i tre articoli intermedi dei tarsi anteriori dilatati ed il fronte
con due setole orbitali.
19. — Microtrichomma intermedium.
Nemorea intermedia van per Wutr (6), II, p. 50, 5.
Microtrichomma intermedium Gisuio-Tos (13), p. 2.
Femmina. — Faccia bianco-gialliccia, alquanto concava, coll’ epistomio un
po’ prominente; le guancie assai grandi ed il margine boccale colle setole disposte
come nelle specie di Echinomyia. — Palpi gialli. — Fronte giallo-pollinosa ai lati,
assai larga, colla striscia mediana bruno-fulva e un po’ stretta in alto. — Antenne
giallo-fulviccie; il terzo articolo bruniccio nella metà apicale; stilo nero, appena
pubescente. — Occhi pelosi. — Torace e scudetto densamente pollinosi; il primo colle
solite striscie nere sottili, ma ben distinte sul davanti; gli angoli posteriori e lo scu-
detto un po’ ferruginei. — Scudetto munito di lunghe setole al margine e nel mezzo
di alcuni peli spinosi e di qualche corta spina. — Addome nero lucentissimo, ovale
ed un po’ più largo del torace. Sul primo segmento una setola marginale laterale;
sul secondo due discali e due marginali dorsali ed una per parte marginale; sul
terzo due setole discali dorsali ed una serie di altre marginali; sul quarto molte
discali. — Piedi neri; femori e tibie ferruginoso-scuri, setolosi e pelosi; pulvilli
gialli; uncini gialli, neri all'apice. — Ali un po’ grigie, gialliccie alla base. — Ca-
littere gialle. — Lunghezza mm. 10.
Una sola femmina.
Has. — Messico: Xucumanatlan ed Omilteme in Guerrero (6), Mexico (6)
(CRAVERI).
484 DITTFRI DEL MESSICO
XHI. — Gen, NEMOCHAETA.
van DER Wutr (6), II, p. 38.
20. — Nemochaeta dissimilis.
Nemochaceta dissimilis van per Wutr (6), II, p. 39, 1, tab. II, fig. 18, 18 a.
Tachinodes dissimilis. Braver e Bereenstamm (7), II, p. 409 e 427.
Un solo maschio che differisce da quello descritto da van DER WuLP per avere
la faccia bianca, il torace cinereo-pollinoso e lo scudetto ferrugineo.
Has. — Costa Rica: Cache (6), Mexico (SumicHRAST).
21. — Nemochaeta seminigra.
Tachina seminigra Wrepemann (40), II, p. 296, 26.
Jurinia analis Macquart (16), IL, 3° partie, p. 39, 1, tab. II, fig. 8. — Osten
SackeN (20), p. 149. — Réper (22), p. 345. — Trier Towwsenp (82), p. 8.
Tachina divisa WaLker (38), p. 270.
Echinomyia seminigra Scar (30), p. 331, 118.
Tachinodes seminigra Braver e Bercensramwm (7), II, p. 409, 439. — Trier
TownsenD (32), p. 11.
Gli esemplari che esaminai corrispondono assai bene specialmente alla descri-
zione di Tachina divisa di WaLkER. Trovai questi esemplari segnati in collezione
da BeLLARDI col nome di Jurinia analis Macquart.
Maschi: 8 — Femmine: 6.
Has. — Brasile (40,16) — Parà (38) — Colombia, Chilì (80) — Portorico (22)
-— Messico (16): Orizaba, Oaxaca (SumicHRAST).
22. — Nemochaeta incerta.
(Fig. 3, capo).
Nemochaeta incerta Gieuio-Tos (13), p. 2.
Maschio. — Simile nell'aspetto ad alcune specie del genere Echinomyia. —
Capo alquanto più largo del torace. — Faccia bianchiccia, poco inclinata all’indietro;
epistomio alquanto sporgente; guancie assai larghe; lati della faccia sparsi di peli
neri lungo il margine anteriore degli occhi, più rari in basso. — Proboscide nera;
palpi gialli. — Fronte assai larga, un po’ più stretta in alto con una serie di setole
frammiste ad altri peli neri, di cui taluni anche setolosi; striscia mediana fulvo-
rossiccia; peli dell’occipite abbondanti e gialli. — Antenne coi primi articoli gialli;
il secondo munito di peli al margine superiore, di cui alcuni lunghi e quasi setolosi;
DEL DOTT. E. GIGL!O-TOS 485
il terzo nero alquanto più lungo del secondo, col margine superiore notevolmente
convesso, l’inferiore rettilineo. — Torace nero, grigio-pollinoso, colle solite striscie
nere alquanto distinte; pleure e petto neri, grigio-pollinosi. — Scudetto testaceo-
ferruginoso, munito specialmente al margine posteriore di lunghe setole e nel mezzo
di peli neri, ma privo di spine. — Addome cordiforme, lucente con riflessi sericei,
nero-azzurrognolo alla base, in una larga striscia mediana e su tutto il quarto
segmento; rivestito di peli neri specialmente lunghi sul quarto segmento; i lati del
secondo e terzo segmento largamente ed oscuramente ferruginosi; mancano le vere
spine e le setole molto robuste sono così disposte: una per ogni lato al margine
posteriore del primo segmento; due dorsali ed una laterale, marginali sul secondo;
una serie di marginali sul terzo e parecchie anche discali sul quarto. — Ventre
ferrugineo in una zona mediana trasversale, setoloso lungo il mezzo. — Geritali assai
grandi, sporgenti, pelosi all'apice. — Piedi affatto neri; i femori e le tibie, special-
mente le mediane e posteriori setolose; l’ultimo articolo dei tarsi munito all’ apice
di alcuni lunghi peli; uncini molto lunghi e neri; quelli dei piedi posteriori solo neri
all'apice, gialli nel resto; pulvilli gialli. — Al quasi limpide, nervature gialliccie;
vena trasversale apicale fortemente curva alla base, quindi diritta; la vena trasver-
sale posteriore diritta alla base, quindi curva. — Calittere bianche; bdilancieri nericci.
— Lunghezza del corpo mm. 12.
Due soli maschi.
Has. — Oaxaca (SUMICHRAST).
23. — Nemochaeta dubia.
(Fig. 8, antenna).
Nemochaeta dubia Gierio-Tos (13), p. 2.
Maschio. — Capo alquanto più largo del torace. — accia bianco-gialliccia;
epistomio poco sporgente; lati della faccia nudi. — Proboscide nera; palpi gialli. —
Antenne gialle nei primi articoli; il secondo articolo appena con pochi peli superior-
mente; articolo terzo nero, appena lungo come il secondo. — Fronte assai largo,
giallo-pollinoso; striscia mediana fulva. — Torace assai densamente giallo-pollinoso,
come anche le pleure ed il petto, colle solite striscie nere. — Scudetto ferruginoso,
anch'esso giallo-pollinoso. — Addome cordiforme, lucente con riflessi sericei, oscuro-
ferrugineo e con una striscia mediana nera appena appariscente, che scompare alla
estremità del terzo segmento; i lati del quarto segmento alquanto fulvo-pollinosi.
-— Le setole dell'addome, i piedi e le ali come in N. incerta. — Calittere: brune.
Questa specie ha molta somiglianza colla N. incerta; ne differisce tuttavia note-
volmente per la mancanza assoluta di peli neri sulle guancie, per il terzo articolo
delle antenne minore, per la pollinosità gialla del torace, per il colore dell’addome
e delle calittere. È anche simile all’Echinomyia dispar van peR WuLp (6) II p. 34,
6, tab. II, fig. 14, ma ne differisce per il terzo articolo delle antenne, per la colo-
razione delle calittere e del torace. — Lunghezza mm. 12.
Un solo maschio.
Has. — Non è indicata nè la località del Messico, nè da chi fu raccolta.
486 DITTERI DEL MESSICO
24. — Nemochaeta crucia.
Nemochaeta crucia Gieuio-Tos (13), p. 2.
Maschio. — Corpo robusto un po’ tozzo. — Capo alquanto più largo del torace.
— Faccia gialliccia; epistomio alquanto sporgente. — Proboscide nera; palpi gialli.
— Fronte grigio-nericcia, gialliccio-pollinosa; striscia mediana larga e fulva sopra
la base delle antenne, molto più stretta e bruna al vertice. — Occhi nudi. — An-
tenne coi primi articoli bruni, talora un po’ gialli, talora quasi neri; il secondo arti-
colo con peli sul margine superiore di cui qualcuno assai lungo; il terzo appena più
lungo del secondo, nero e fortemente convesso al margine superiore. — Torace nero,
un po’ lucente, alquanto grigio pollinoso, specialmente in avanti, e colle solite striscie
nere assai distinte; le pleure più densamente grigio-gialliccio-pollinose. — Scudetto
nero-pece, un po’ grigio pollinoso alla base, privo di vere spine. — Addome assai
più largo del torace, cordiforme, tutto rivestito di peli densi e corti, più lunghi
all'apice; di color piceo, con riflessi sericei su cui si intravede confusamente una
striscia mediana nera terminante all'estremità del terzo segmento; le setole robuste
disposte come in N. incerta; il quarto segmento un po’ fulvo-pollinoso, visibile se
osservato assai obliquamente di fianco. — Ventre piceo; una zona mediana longitudinale
di vere spine. — Piedi neri; femori anteriori densamente gialliccio-pollinosi dal lato
posteriore; ultimo articolo dei tarsi con alcuni peli lunghi ; uncini fulvi, neri all'apice;
pulvilli giallo-fulvicci. — Ali un po’ grigie; nervature come in N. incerta. — Calit-
tere brune, con riflessi sericei.
Femmina. — Differisce per il fronte notevolmente più largo e con due setole
orbitali ricurve in basso, il secondo articolo delle antenne molto più peloso sul mar-
gine superiore, i pulvilli e gli uncini dei piedi assai più corti e le calittere alquanto
più brune. I tarsi anteriori non sono visibilmente più dilatati che nel maschio. —
Lunghezza mm. 15 circa.
Questa specie è forse la stessa che Fubricia infumata Biaor (4), p. 85,1? Dalla
breve descrizione di questo autore non potrei affermarlo; non sono accennate in essa
la forma e le dimensioni del terzo articolo delle antenne che nei genere Fabricia è
visibilmente più breve del secondo.
Has. — Mexico (Truqui), Tuxpango (SumicHaRAst), Huastec.
25. — Nemochaceta perno.
Nemochaeta pernor Giatio-Tos (13), p. 2.
Maschio. — Faccia giallognola; epistomio assai prominente; lati della faccia
con alcuni peli neri lungo gli occhi; proboscide nera; palpi gialli, assai clavati e
con alcuni peli neri alquanto lunghi al di sotto presso l'apice. — Fronte nericcia,
un po’ gialliccio-pollinosa; striscia mediana quasi nera. — Antenne nere; il secondo
articolo un po’ peloso e setoloso sul margine superiore; il terzo alquanto più lungo
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 487
del secondo, assai largo, e convesso al margine superiore; stilo nero, appena visi-
bilmente pubescente. — Occhi nudi. — Torace nero, grigio-pollinoso, colle solite striscie
nere assai distinte. — Scudetto nero-piceo, munito di lunghe e robuste setole al mar-
gine posteriore e rivestito nel mezzo di ispidi peli corti. — Addome robusto , più
largo assai del torace, piceo con riflessi sericei, rivestito di peli rigidi neri, procum-
benti e più lunghi all’apice; sul primo segmento una sola setola laterale marginale
per ogni lato; sul secondo due o quattro dorsali ed una per ogni lato, tutte margi-
nali; sul terzo una serie di setole solo marginali assai robuste; sul quarto parecchie
discali. — Ventre piceo, con la sola striscia di setole spinose lungo il mezzo. — Geni-
tali assai sporgenti e pelosi. — Piedi neri, robusti, tutti pelosi e setolosi; l’ultimo
articolo dei tarsi con alcuni peli più lunghi; uncini molto lunghi, fulvi, neri all'apice;
pulvilli molto sviluppati, gialli. — Ali un po’ grigie; le vene come nelle altre specie.
— Calittere picee.
Femmina. — Differisce per il fronte un po’ più largo, colle due setole solite
orbitali, curve in basso; i pulvilli e gli uncini dei piedi assai più piccoli. I tarsi ante-
riori non sono visibilmente più dilatati. — Lunghezza mm. 18 circa.
Assai simile a N. crucia questa specie ne differisce tuttavia notevolmente per
le dimensioni maggiori, l'addome assai più largo e privo di pollinosità sul quarto
segmento, e per la forma diversa del terzo articolo delle antenne.
Maschi: 2. — Femmine: 1.
Has. — Mexico, (Boucarp)?, Orizaba (SumicHRAST).
_ 26. — Nemochaeta chrysiceps.
Jurinia chrysiceps Rogingau-Desvomy (21), p. 37, 8.
Tachina (Jurinia) chrysiceps WaLkeRr (37), Part. IV, p. 715.
Jurinia flavifrons Jaennicke (14), p. 82, 109.
Maschio. — Faccia e palpi gialli; proboscide nera. — Fronte bruniccia, densa-
mente giallo-pollinosa; striscia mediana bruno-fulva. — Antenne coi primi articoli
gialli; il terzo nero, un po’ più lungo del secondo, molto convesso. — Torace gialliccio
pollinoso, specialmente sul davanti, colle solite striscie nere assai distinte — Scudetto
nero, nel mezzo irto di spine corte e non robuste, alcune più lunghe e più forti al
margine posteriore, fra le setole lunghe e robuste. — Addome nero-azzurrognolo
lucentissimo, densamente coperto di lunghi peli neri, fra cui spiccano delle setole
robustissime, quasi simili a spine, così disposte: sei o sette dorsali e tre per ogni
lato solamente marginali sul secondo segmento; una serie sul terzo di setole mar-
ginali; molte sul quarto discali; la solita striscia di altre spine lungo il mezzo del
ventre. — Piedi neri, setolosi e pelosi; i femori anteriori giallo-pollinosi dal lato poste-
riore; uncini lunghi, fulvi, ad apice nero; pulvilli gialli. — Ali bruniccie, la vena
trasversa posteriore quasi retta. — Oalittere picee. — Lunghezza mm. 15 circa.
Maschi : 2.
Has. — Brasile (21) — Messico (14): Mexico (SuMIcHRAST).
488 DITTERI DEL MESSICO
27. — Nemochaeta jurinioides.
(Fig. 5, capo).
Nemochaeta jurinioides Giario-Tos (13), p. 2.
Maschio. — Corpo robusto. — Faccia bianco-gialliccia; i lati di essa e le
guancie munite di peli neri ben visibili; epistomio assai sporgente; proboscide nera;
palpi gialli. — Fronte gialliccio-pollinosa; la striscia mediana bruno-fulva, molto larga
in basso sopra la base delle antenne, molto stretta al vertice. — Occhi nudi. —
Antenne coi primi articoli fulvo-brunicci; il secondo con alcuni lunghi peli neri sul
margine superiore; il terzo nero, appena più lungo del secondo, dilatato all’estremità
a forma quasi di martello; il margine superiore poco convesso , l’inferiore notevol-
mente concavo, l’apice obliquamente troncato; stilo nero. — Torace nero, densamente
coperto di peli neri fra cui sono sparse le setole, appena un po’ grigio-pollinoso
anteriormente; gli angoli anteriori, i lati, ed una grande macchia quadrangolare al
margine posteriore di fronte allo scudetto, picei; petto e pleure neri. — Scudetto
piceo con lunghe setole nere al margine, irto nel mezzo di corte spine. — Addome
assai più largo del torace, cordiforme, piceo, appena lucente, munito di robustissime
setole e di qualche spina; il quarto segmento fulvo pollinoso, specialmente se osser-
vato obliquamente da lato; le setole e le spine così disposte: sul secondo segmento,
due dorsali ed una per lato tutte marginali e alcune spine discali corte ma robuste
nel mezzo di esso; sul terzo una serie di setole robustissime marginali e alcune corte
spine discali solo nel mezzo; il quarto con parecchie setole quasi spinose discali
sparse fra i lunghi peli neri che lo ricoprono. — Ventre munito delle solite spine
lungo il mezzo. — Genitali picei e pelosi. — Piedi robusti, neri, pelosi e setolosi;
uncini neri; pulvilli fulvi. — Ali grigiastre; la piccola vena trasversale offuscata di
nero; la vena trasversale posteriore diritta per un piccolo tratto alla base, quindi
fortemente curva. — Calittere picee. — Lunghezza mm. 15.
Un solo maschio.
Has. — Oaxaca (SALLE).
28. — Nemochaeta (?) aberrans.
(Fig. 9, capo).
Nemochaeta (2) aberrans Giatio-Tos (13), p. 2.
Non possedendo di questa specie che un solo esemplare femmina ed alquanto
deteriorato, non mi credo autorizzato a creare per esso un nuovo genere, sebbene i
caratteri suoi sieno tali da non potersi porre nel genere Nemochaeta. Solo momenta-
neamente pertanto io la comprendo in questo genere, aspettando che l'esame di altri
esemplari possa permettere la creazione di un genere apposito.
Per la forma del corpo, del torace, dell'addome, per la disposizione delle setole,
per le nervature delle ali è in tutto simile alle altre specie di Nemockaeta. I carat-
teri differenziali principali stanno nella forma del capo e dei palpi. Il capo è ante-
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EE
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 489
riormente rigonfio fra gli occhi, press'a poco come nella specie del genere Gonia; i
lati della faccia sono perciò assai larghi e quasi tumefatti, con una impressione sulle
guancie ai lati dell’epistomio, e colle guancie rigonfie in basso; la faccia è quasi
verticale appena concava e l’epistomio leggermente sporgente; il fronte è assai largo,
e la striscia mediana larga tanto che al vertice occupa buona parte della lar-
ghezza del fronte; ai lati di essa (sebbene nell’esemplare in questione sieno cadute)
tuttavia si vede dalle impressioni lasciate una serie di setole che giunge fino al
livello delle inserzioni delle antenne con altre due setole più esterne orbitali. I palpi
sono filiformi. La proboscide e le antenne sono come in Nemochaeta, ma il terzo arti-
colo antennale, appena più lungo del secondo, è quasi rettilineo al margine superiore
ed inferiore, e all'apice quasi troncato.
Femmina. — Faccia gialla; proboscide nera; palpi gialli. — Fronte gialla
come la faccia; la larga striscia mediana fulva. — Occhi nudi. — Antenne gialle;
il terzo articolo nero nella metà apicale. — Torace, scudetto ed addome neri, lucenti;
un po’ di pollinosità grigia specialmente sul davanti del torace; le solite striscie nere
del torace poco distinte; petto nero, come il torace, grigio-pollinoso sulle pleure.
Sull’addome le setole sono così disposte: due dorsali ed una per parte ma tutte mar-
ginali sul secondo segmento; una serie di sole setole marginali sul terzo, e parec-
chie discali sul quarto; tutto l’addome è rivestito di corti peli rigidi, procumbenti,
più lunghi all’apice; sul ventre una zona mediana longitudinale di spine. — Piedi
neri, robusti, pelosi e setolosi; uncini neri, e pulvilli gialli, ambedue poco sviluppati.
— Al bruniccie, nere alla base. — Calittere picee. — Lunghezza mm. 15 all’incirca.
Has. — Metztillan.
| XIV. — Gen. JURINIA/
Rosinzau-Desvomy (21), p. 34, n. II — Macquarr (16), II, 3° partie, p. 37, 3.
29. — Jurinia dichroma.
Jurinia dichroma van ver Vute (6), II, p. 27, 1, tab. II, fig. 5, ba.
Sebbene la Iurinea apicalis JAeNNIcHE (14), p. 82,110, sia distinta da questa
specie per la colorazione ferruginea dell'addome e per qualche altro carattere, tut-
tavia deve essere notevolmente somigliante a questa per l’aspetto generale.
Maschi: 6. — Femmine: 9.
Has. .— Costa Rica: Rio Sucio, Volcan de Irazu (6) — Messico: Ciudad in
Durango (6), Mexico (Truqui, CrAveERI), Cuernavaca.
30. — Jurinia basalis.
? Tachina (Jurinia) basalis Warxer (37), Part IV, p. 713.
Molto dubbiamente riferisco a questa specie del WALKER un esemplare femmina,
alquanto deteriorato, mancante di quasi tutti i piedi, e che nel resto corrisponde
alquanto alla descrizione data da quest’autore.
Has. — Giamaica (37) — Huastec, (SALLÉ).
Sern IL Tom. XLIV. 1°
490 DITTERI DEL MESSICO
XV. — Gen. DEJEANIA.
Rosinzau-Desvomy (21), p. 33.
s1. — Dejeania corpulenta.
Tachina corpulenta Wiepemann (40), TI, p. 280, 1.
Dejeania rufipalpis Macquart (16), II, 3° partie, p. 35, 5, tab. II, figo l. —
BrAuek 6 Bercensranm (7), II, p. 409 e 438.
Dejeania corpulenta Scumer (30), p. 337, 143 (exclus. synom.). — Ostin
Sacken (20), p. 147 e 256, nota 265. — van ner Wutr (34), p. 16, 1;
(6), II, p. 9, 4} tab. I, fig. 4. — Wittisron (41), p. 297. — BrAurre
Beroenstanm (9), II, p. 409 e 426. — Tyrer Towwsen (82), p. 5 [nec
D. corpulenta Macquari (16), II, 3° partie, p. 35, 4 e (15), II, p. 77, 22
(Echinomyia)|.
Dejeania veratrix Osren Sacken (19), p. 343.
Parecchi esemplari molto diversi in dimensioni da mm. 10 a mm. 15 e quasi
tutti femmine.
Has. — Sud-America (30) — Colombia: Bogota (34) — Nord-America: Colo-
rado (19), Nuovo Messico, Arizona (41) — Costa Rica: Cache, Volcan de Irazu (6)
— Panama: Volcan de Chiriqui (6) — Messico (40,16, 6): Oaxaca, Mexico, Solco
(SALLÉ, TRUQUI, SUMICHRAST).
32. — Dejeania aurea.
Dejeania aurea Gietio-Tos (13), p. 3.
Maschio. — Corpo tozzo, coll’addome assai largo, il torace molto più stretto
ed il capo più stretto ancora del torace. — Faccia gialla col fronte e l’epistomio
notevolmente sporgenti. — Proboscide nera; palpi gialli, lunghi un po’ meno della
proboscide, assai sottili, cigliati ai lati di peli neri più lunghi all'estremità. — Fronte
gialla, notevolmente stretta in alto con una sola ‘serie di setole ‘ai lati della linea
mediana fulvo-rossiccia. — Antenne ‘gialle; il terzo articolo ‘ovale un po’ giallo ‘alla
base ed al di sotto, nero nel resto; stilo nero. — Occhi nudi. — Torace tutto den-
samente coperto di pollinosità gialla; giallo su tutto il petto, le pleure, ai lati ed
al margine posteriore del dorso; il disco si intravede nero al di sotto della polli-
nosità; le striscie solite nere non sono appariscenti. — Scudetto giallo-fulvo sparso
di robuste spine nere. — Addome fulvo-rossiccio, tutto densamente coperto di lunghi
peli giallo-sulfurei, fra cui spiccano le spine nere; quasi ovale, spiccatamente bilobo
posteriormente, coi segmenti così notevolmente convessi ‘ai lati ‘che i margini latèrali
non sono determinati da una curva continua, îna da una série di Curve coòrrispon-
DEL DOTT. F. GIGLIO-TOS 491
denti ad ogni segmento; anche il margine posteriore dei segmenti è notevolmente
concavo nel mezzo del dorso. Il segmento primo è nero nel mezzo; il secondo, il
terzo ed il quarto segmento portano nel mezzo alla loro base una macchia triango-
lare nera come in D. corpulenta. Le spine sono tutte marginali, fuorchè alcune discali
sul quarto segmento; sono assai numerose sul primo segmento, formando una serie
alquanto interrotta ai lati del dorso; formano una serie quasi ininterrotta sul secondo
e una serie continua sul terzo; sul quarto sono sparse fra i peli nella sua metà apicale,
essendo la metà basale priva di esse. — Ventre fulvo rossiccio; verso i lati del mar-
gine posteriore dei segmenti nericcio e nel mezzo con una serie marginale di robuste
spine. — Genitali fulvo-rossicci, come l'addome. — Piedi giallo-fulvi, con rare setole
nere e con peli setolosi gialli sui femori; uncini neri nella metà apicale, assai
lunghi; pulvilli gialli. — Al e calittere gialliccie. — Lunghezza mm. 11.
Questa specie è rassomigliantissima nell’aspetto e nelle dimensioni a D. corpu-
lenta; ne differisce però per molti caratteri e sono convinto si debba considerare
come una specie distintissima. Oltre ai peli dell'addome che non sono fulvi ma giallo-
sulfurei, come in Saundersia aurea, sono ancora caratteri distintivi la forma dell'addome,
la notevolmente minore larghezza del torace e del capo, la forma dei palpi molto
più sottili e più pelosi, il fronte assai più stretto, ed il primo segmento dell'addome
più sviluppato munito di spine marginali anche nel mezzo del dorso, mentre in
D. corpulenta è solamente munito di qualche spina ai lati. Le ali sono anche pro-
porzionatamente assai più strette.
Un solo maschio.
Ha. — Solco (SumIcHRAST).
XVI. — Gen. SAUNDERSIA.
Scuner (30), p. 333.
388. — Saundersia aurea.
(Fig. 4, capo).
Saundersia aurea Gietio-Tos (13), p. 3.
Maschio. — Faccia gialla con epistomio assai sporgente; ai lati della faccia
due setole assai robuste, nere ed una serie di altre setole meno forti, talune filiformi,
che si estendono fino a congiungersi colle setole frontali. — Proboscide nera, assai
lunga. — ronte assai larga, un po’ più stretta in alto, di color giallo più fulvo;
la striscia mediana giallo-rossiccia. — Occipite giallo, un po’ bruno in alto, densa-
mente vestito di lunghi peli dorati, e con una serie di corte setole al margine poste-
riore degli occhi. — Antenne fulve; il secondo segmento con corti peli neri all'apice
nella parte superiore; il terzo appena leggermente bruniccio nel mezzo, assai bru-
scamente allargato all’apice e quivi obliquamente troncato, securiforme; stilo nero,
assai lungo, diritto, appena pubescente. — Torace con disco, nero, fulvo-pollinoso,
con quattro striscie longitudinali nere più distinte; i lati, una macchia quadrangolare
di fronte allo scudetto e tutto il petto di color fulvo; superiormente il torace è
492 DÌTTERI DEL MESSICO
cosparso di peli più lunghi giallo-dorati fra cui stanno le solite setole nere. — Scu-
detto fulvo; sparso di spine nere, più lunghe al margine posteriore; due setole me-
diane molto più lunghe si estendono dal margine posteriore fino a metà del secondo
segmento addominale, ricurve in basso. — Addome fulvo, ovale, sub-globoso, coperto
di lunghissimi peli giallo-sulfurei, lucenti, più abbondanti e più lunghi all'apice; sul
primo segmento una macchia nera mediana sotto allo scudetto, ma nessuna setola,
nè spina; sul secondo e sul terzo una serie di spine robuste nere al margine poste-
riore e molte altre nel mezzo di cui le mediane più lunghe e robuste; sul quarto
qualche spina nera ai lati e nel mezzo. — Ventre fulvo, nero lucente al margine
posteriore del terzo segmento e su tutto il quarto; i peli giallo-sulfurei sono raris-
simi; le spine nere sono corte e numerosissime sulla parte nera del terzo segmento
e su tutto il quarto; più rare ma più lunghe nel mezzo del margine posteriore di
tutti i segmenti. — Piedi interamente fulvi; gli uncini neri nella metà apicale, i
pulvilli gialli, ma non molto grandi; i femori con setole nere robuste sparse qua e
là fra le altre setole gialle come quelle dell'addome, ma meno robuste; le tibie mu-
nite di setole solamente nere, rare e assai lunghe. — Ali quasi limpide; base diffu-
samente gialla; vene gialle fin presso all'estremità; piccola vena trasversale posta
circa nel mezzo della cellula discale; le vene trasversali apicale e posteriore curve
e di color bruno. — Calittere e bilancieri giallicci.
Un individuo, che credo femmina, si distingue per il terzo articolo delle antenne
meno dilatato e assai meno obliquamente troncato all’apice e per il primo segmento
dell'addome munito di spine al margine posteriore, di cui una per parte ai lati, assai
lunga, e tre più corte per ogni parte della linea mediana. Inoltre i segmenti del-
l'addome sono tutti più scuri al margine posteriore. — Lunghezza del corpo mm. 14.
Come appare dalla descrizione questa specie è molto simile per l’aspetto a quella
descritta dal RonpanI col nome di Epalpus rubripilus (24), p. 7, 4, della Venezuela,
e ridescritta poi dal van per WuLP come specie nuova col nome di Saundersia ru-
fopilosa (6), Il, p. 22, 5, tab. I, fig. 18. Ne è però ben distinta per vari caratteri;
nella S. rubripila RonpANI il terzo articolo delle antenne è nero, l'addome ha una striscia
dorsale nera, ben distinta, le ali sono bruniccie ed i peli dell'addome non sono giallo-
dorati, ma fulvo-rossicci.
Maschi: 2. — Femmina? 1.
Ha. — Mexico (Craveri), Angang.
84. — Saundersia Jaennickei.
Micropalpus rufipes Jaennicxe (14), p. 79, 109. — Osren Sacxen (20), p. 150.
Saundersia rufipes van Der Wurr (6), II, p. 27.
Un solo esemplare femmina che differisce alquanto dalla descrizione del JAENNICKE
per le macchie dell'addome, ed il colore del ventre e le dimensioni alquanto minori.
Femmina. — Faccia gialla; epistomio assai prominente; guancie prive di se-
tole. — Yronte nericcia, giallo-pollinosa; la striscia mediana bruno-rossiccia ; due serie
di setole. — Antenne gialle; terzo articolo appena più lungo del secondo, quasi ret-
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 493
tangolare, appena più dilatato all’apice e quivi leggermente arrotondito. — Torace
e petto giallo-olivaceo-pollinosi; angoli posteriori fulvo-rossicci. — Scudetto fulvo-
rossiccio con una serie di spine nere al margine posteriore e alcune altre verso il
mezzo. — Addome pure fulvo-rossiccio, sparso di peli corti, non fitti, neri, più lunghi
ai lati e munito di spine robuste nere; il primo segmento, superiormente, è privo
di spine e porta solo ai lati alcuni peli setolosi; il secondo ha nel mezzo alcune
spine irregolarmente disposte, di cui talune al margine posteriore; ai lati qualche
spina marginale; il terzo ha alcune spine discali ed una serie di altre marginali
assai numerose, prolungata anche sul ventre, dove sono più corte; il quarto, eccet-
tuato il terzo basale, tutto sparso di spine anche nella parte ventrale: il primo, il
secondo ed il terzo segmento portano nel mezzo una macchia nera, oblunga in questi
due ultimi; nel quarto forse tale macchia è svanita. — Ventre fulvo-rossiccio come
l'addome; una striscia mediana di spine che si prolunga fino al margine posteriore
del primo segmento, dove sono più lunghe. — Piedi fulvo-rossicci, assai setolosi,
specialmente le tibie di mezzo ed anche le posteriori; tarsi e pulvilli gialli; uncini
neri alla metà apicale. — Ali brune; vena apicale trasversale poco curva. — Calit-
tere e bilancieri bruno-gialli. — Lunghezza mm. 12.
Ho cambiato nome a questa specie, perchè la specie brasiliana Hystricia rufipes
Macquart (16), suppl. 4°, p. 172, 8, avendo i palpi corti, appartiene quasi senza
dubbio a questo genere Saundersia.
Has. — Panama (14) — Mexico (SALLÉ).
85. — Saundersia bipartita.
Saundersia bipartita van per Wutp (6), II, p. 25, 11, tab. II, fig. 3, 3a.
Un individuo femmina concorda molto bene colla descrizione del van DER WurP.
Un altro esemplare pure femmina differisce per dimensioni maggiori (14 millim.
circa), le ali più brune, ed il terzo articolo delle antenne un po’ più largo.
Has. — Costa Rica; Cache (6) — Messico: Ciudad in Durango (6), Mexico
(TRUQUI).
36. — Saundersia bicolor.
Saundersia bicolor Winston (41), p. 304.
Una sola femmina differente dalla descrizione del WiLLIstoN per avere i piedi
interamente giallo-fulvi, esclusi i tarsi.
Has. — Nuovo Messico, Arizona, California, Washington (41) — Messico: Me-
xico (Truqui). i
494 DITTERI DEL MESSICO
37. — Saundersia macula.
Micropalpus macula Macquart (16), II, 3° partie, p. 46, 2, tab. V, fig. 2.
Saundersia macula Scrner (30), p. 334, 130. — van per Wourp (6), II, p. 21,3,
tab. I, fig. 16. — Braurr e Bereensramwm (7), II, p. 409. — Truer TowxsenD
(32), p. T?.
Saundersia (Epalpus) macula Braver e Bercensramm (7), II, p. 433.
Un solo maschio che differisce dalla descrizione del van per WuLP per avere
le macchie dell'addome e le calittere perfettamente bianco-candide. La macchia del-
l'addome è limitata solo al mezzo e non si dilata ai lati.
Has. — Sud America (16, 30) — Costa Rica: Rio Sucio (6) — Mexico (CrAVERI).
38. — Saundersia albomaculata.
Micropalpus albomaculatus Jarnnicxe (14), p. 80, 105.
Saundersia albomaculata van per Wu (6), II, p. 21, 4, tab. I, fig. 17. —
Braver e Beraenstamm (7), II, p. 409.
Due maschi e due femmine. — In un maschio e nelle femmine l'addome non
è di color nero ma ferruginoso-scuro; la macchia bianca dell'addome è estesa fino
ai lati ed anche un po’ sul ventre; le calittere sono bianche. — Lunghezza mm. 14
circa.
Has. — Guatemala: Quezaltenango (6) — Messico (14): Ciudad in Durango (6),
Mexico (CraveRI) Oaxaca (SALLE).
39. — Saundersia rufipes.
Hystricia rufipes Macquart (16), 4° suppl., p. 172, 8, tab. XV, fig. 11.
Saundersia ? rufipes van per Wur (6), II, p. 27. N. B.
Saundersia rufipes Truer TownsenD (32), p. 7.
Maschio. — Faccia gialla; guancie prive di vere setole. — Yronte bruniccia,
grigio-gialliccio-pollinosa; la striscia mediana bruno-rossiccia. — Antenne coi primi
articoli testacei; il secondo peloso superiormente; il terzo nero, un po’ testaceo al
margine inferiore che è rettilineo; il margine superiore curvo. — Torace nero, den-
samente gialliccio-pollinoso, colle striscie nere sottili, ma assai ben distinte. — Scu-
detto ferruginoso-scuro, un po’ gialliccio-pollinoso, con setole lunghe al margine poste-
riore e spine nere anche nel mezzo. — Addome quasi subgloboso, nero lucentissimo,
coperto di assai rigidi e corti peli neri e di molte spine. — Piedi neri; le tibie ed
i tarsi ferruginoso-scuri, questi ultimi all'estremità più chiari; uncini gialli coll’apice
nero; i pulvilli gialli. — Ali grigiastre, gialliccie alla base; vena trasversale poste-
riore alquanto curva. — Culittere nereggianti.
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 495
Femmina. — Differisce per i tarsi anteriori dilatati ed il terzo articolo delle
antenne un po’ meno curvo superiormente. — Lunghezza mm. 10-11.
Gli esemplari da me esaminati differirebbero da quelli del Macquart pèr la
sola nervatura trasversale posteriore forse un po’ più curva.
Maschio: 1 — Femmine: 2.
Has. — Brasile (16) — Mexico (TRUQUI, SumcHRAST).
40. — Saundersia nigriventris.
Hystricia nigriventris Macquart (16), II, 3° partie, p. 44, 1, tab. IV, fig. 3.
Micropalpus nigriventris Macquart (46), 1" suppl., p. 150.
Cryptopalpus hystrix Rowpaxi (27), p. 18.
Saundersia nigriventris Scumer (80), p. 334, 131. — Réprr (28), p. 10. —
TyLeR Towxsenp (32), p. 7.
Saundersia (Epalpus) nigriventris Braurr e Bereensramm (7), II, p. 409 e 485.
Saundersia rufitibia van per Wurr (6), II, p. 24, 8.
Due sole femmine, in cui le tibie sono ferruginoso-scure, l’ultimo articolo dei
tarsi giallo all'estremità, i pulvilli gialli, gli uncini neri all’apice, i femori anteriori
gialliccio-pollinosi nel lato posteriore. In tutti e due gli esemplari, guardando obli-
quamente l'addome dai lati e dallà parte posteriore, si vede che l'estremità del terzo
segmento e la base del quarto sono sparsi di una pollinosità fulvo-rossiccia.
Has. — Sud-America (30) — Colombia (16, 23): Sancta-Fè de Bogota (16, 27)
— Messico: Orizaba (6) (Sumicarast).
41. — Saundersia picea.
(Fig. 10, capo).
Saundersia picea Gisuo-Tos (18), p. 3.
Maschio. — Faccia bianca, epistomio assai prominente; guancie prive di setole
ma bianco-pelose. — Proboscide nera. — Fronte nera, veduta da lato; gialliccio-pol-
linosa vista dall'alto; striscia mèdiana bruno-rossiccia, quasi nera in alto. — Antenne
nere; il secondo articolo un po’ peloso superiormente; il terzo appena più lungo del
secondo, convesso al margine superiore, rettilineo a quello inferiore; stilo assai lungo,
nero, appena visibilmente pubescente. — Occhi nudi. — Torace nero, poco densamente
grigio-pollinoso colle solite striscie nere alquanto distinte. — Scudetto piceo, munito
di setole molto lunghe al margine posteriore e nel mezzo irto di spine. — Addome
piceo, un po’ fulvo-pollinoso alla base del quarto segmento; talora si intravede ap-
pena una larga Striscia nerà longitudinalè nel mezzo, confusa còol colore fon-
damentale dell'addome; i primi segmenti e specialmente il secondo sono copetti
densamente da peli corti ma rigidi e neri; il primo segmento manca affatto di setole
496 DITTERI DEL MESSICO
e di spine; il secondo ed il terzo portano delle spine, non troppo robuste, ma quasi
setoliformi, solamente al margine posteriore, od, eccezionalmente, qualcuna dorsale,
posta però molto vicino a quelle marginali; il quarto segmento, fuorchè alla base,
munito di spine disposte in varie serie. — Ventre piceo con una striscia mediana di
vere spine. — Genitali picei, con peli neri all’apice. — Piedi affatto neri, con setole
assai lunghe nere, specialmente sulle tibie mediane e posteriori; i femori anteriori
grigio-pollinosi dal lato posteriore con una serie di setole sopra e sotto; uncini molto
lunghi, gialli nella metà basale; pulvilli gialli. — AW grigie; vena trasversale api-
cale fortemente curva alla base, quindi diritta; cellula apicale aperta; vena trasversa
posteriore diritta per un buon tratto, quindi ricurva prima di congiungersi colla
quarta longitudinale. — Bilancieri e calittere picei.
Femmina. — Differisce solo per i soliti caratteri sessuali, cioè per il fronte
alquanto più largo ed i tarsi anteriori un po’ dilatati; inoltre per la statura alquanto
maggiore e l’addome più largo. — Lunghezza mm. 10-12.
Maschi: 3 — Femmine: 2.
Has. — Mexico (SumicARAST).
XVII — Gen. HYSTRICIA.
Macquart (16), II, 3° partie, p. 43.
42. — Hystricia ambigua.
Hystricia ambigua Macquart (16), 4° suppl., p. 172, 9. — van per Wurr (6), II,
p. 13, 3, tab. I, fig. 7. — Truer Townsem (82), p. 6.
? Hystricia ambigua Wuston (41), p. 298.
Pseudohystricia ambigua Brauer e BereenstAm (7), I, p. 132, H, p. 409 e 422.
Maschi: 2. — Femmine: 3.
Has. — Colorado (41, '7) — Costa Rica: Rio Sucio, Cache, Volcan de Irazu (6)—
Guatemala: San Geronimo (6) — Messico (16, 41): Orizaba (6) (SumrcHRAst), Mexico
(SALLE), Solco.
43. — Hystricia pollinosa.
Hystricia pollinosa van per Wutr (6), II, p. 14, 5, tab. I, fig. 8.
I tre esemplari della collezione Bellardi, uno maschio e due femmine, differiscono
da quelli descritti dal suddetto autore per la statura alquanto minore (14 a 15
millim.).
Has. — Guatemala: San Gerénimo — Costa Rica: Rio Sucio e Cache (6) —
Mexico (Truqui): Metztillan (SAUSSURE).
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 497
44, — Hystricia amoena.
Hystricia amoena Macquart (16), II, 3° partie, p. 44, 2. — van per Wurr (6),
II, p. 16, 8, tab. I, fig. 11. — Bravrr e Bercensramwm (7), I, p. 181, II,
p. 409 e 422.
Macquart descrisse il maschio di questa specie e van per Wutp la femmina.
Nella collezione BeLLARDI non esistono che due maschi, che concordano bene colle
descrizioni.
Has. — Costa Rica: Volcan de Irazu (6) — Messico (16): Coscom (SumrcHRAST),
45. — Hystricia micans.
Hystricia micans van per Wutr (6), IL, p. 16, 9, tab. I, fig. 12.
Maschio. — Corpo robusto. — Faccia bianco-gialliccia con qualche piccolo pelo
ai lati; guancie munite in basso di parecchi e lunghi peli neri; epistomio assai pro-
minente. — Pulpi gialli, alquanto ingrossati all'apice e quivi muniti al di sotto di
alcuni peli neri alquanto lunghi. — Fronte assai sporgente, larga in basso, molto più
stretta in alto. — Occhi irti di peli lunghi fulvicci. — Antenne coi primi articoli
gialli; il secondo con lunghi peli sul margine superiore; il terzo nero, lineare, leg-
germente concavo al margine superiore e convesso all’inferiore, un po’ arrotondato
all'apice, almeno il doppio in lunghezza del secondo. — Torace col disco nero, leg-
germente grigio-pollinoso colle solite striscie nere poco distinte; i lati giallo-fulvi.
— Scudetto giallo-fulvo, irto di spine. — Addome rosso, assai più largo del torace,
cordiforme, munito di robuste spine nere, che rivestono la metà posteriore del se-
condo, terzo e quarto segmento; sul secondo segmento si estendono nel mezzo fin
verso la base; sul primo segmento ve ne sono solo alcune ai lati. Le incisioni dei
segmenti presentano un riflesso bianco-argentino, se osservati molto obliquamente
dal di dietro. Sul mezzo del dorso di ogni segmento, fuorchè sul quarto, una macchia
quasi rotonda nera. — Genitali rossi come l'addome, molto sporgenti e muniti di un
ciuffo di lunghi peli neri setolosi all'apice. — Ventre irto lungo il mezzo di spine
nere. — Piedi robusti, fulvi; i femori rivestiti di peli lunghi gialli, misti a setole
nere; uncini gialli, all'apice neri; pulvilli gialli. — Ali e calittere bruno-gialliccie. —
Lunghezza mm. 14-15.
Questa specie, sebbene ben distinta per vari caratteri dalla H. amoena, è però
nel complesso assai simile ad essa.
Due soli maschi.
Has. — Costa Rica: Rio Sucio, Volcan de Irazu (6) —- Messico: Oaxaca (SALLE).
Serie II. Tom. XLIV. i
498 DITTERI DEL MESSICO
46. — Hystricia soror.
Hystricia soror Wiuston (41), p. 298. — ‘van Der Won (6), IL p. 15, 6,
tab. I, fig. 9.
Un maschio e tre femmine. — Nel maschio lo scudetto è bruno-pece, nelle
femmine è invece quasi nero. In una femmina il torace è notevolmente più pollinoso
e le quattro solite striscie sono ben distinte. Nel resto concordano bene con quelli
descritti da WiILLIston e van per WutP.
Has. — Nord-America: Arizona (41) — Guatemala: San Gerénimo — Costa
Rica: Cache (6) — Mexico (SAaLLÉ e SumicHRAST).
XVHI. — Gen, TROPIDOPSIS.
Brauer e Beroensramm (7), I, p. 132.
47. — Tropidopsis pyrrhaspis.
Tachina pyrrhaspis Wrepewanw (40), II, p. 307, 47.
Hystricia pyrrhaspis Macquarr (16), IL, 3° partie, p. 43. — Scumer (80), p. 332,
122. — van per Wurr (6), II, p. 18, 12.
Tachina Anthemon Warker (37), Part IV, p. 733.
? Tachina Amisias Warker (3), Part IV, p. 734.
Tropidopsis pyrrhaspis Braver e BeroensrAm (7), I, p. 132; II, p. 409 e 438.
— Tyuer Towxsem (32), p. 6.
Ho esaminato sei esemplari, tutti maschi, molto varianti in dimensioni (lunghezza
da 13 a 18 mm.), ma assai costanti nella colorazione delle varie parti del corpo,
col quarto segmento addominale costantemente nero, ma solo in taluni è nero anche
l'apice del terzo.
Tachina Anthemon di WALKER corrisponde perfettamente a questa specie; non
ho potuto però riscontrare il carattere a cui egli accenna: “ facets (of eyes) on the
fore part rather larger than those elsewhere , che forse è poco distinto.
Has. — Sud-America (30) — Brasile (40, 37) — Guatemala: Las Mercedes,
San Gerò6nimo, Cubilguitz, Lanquin (6) — Messico: Cordova (6), Tuxpango, Orizaba.
XIX. — Gen. BLEPHARIPEZA.
Macquart (16), II, 3° partie, p. 54, 10.
48. — Blepharipeza leucophrys.
Tachina leucophrys Wiepewann (40), II, p. 308, 49.
Blepharipeza rufipalpis Macquart (16), IL, 3° part., p. 55, 1, tab. VI, fig. 1;
I suppl., p. 158. — Bisor, MHistor. fis. poht. y nat. de Cuba, VII, Ins.,
p. 343. — Ronpani (25), p. 8, 12. — Braurr e Beroensramm (7), I, p. 96.
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 499
Tachina (Blepharipeza) latifrons WaLker (88), p. 284.
Tachina (Blepharipeza) nigrorufa WaArker (38), p. 284.
Blepharipeza leucophrys Scrmer (30), p. 336, 139. — Réper (22), p. 345. —
Wituiston (41), p. 304. — Braor (4), p. 89. — Bravuer e BereensrAamm (7),
II, p. 402 e 432. — Trier Towxsenp (82), p. 9; (81), Paper III, p. 89.
Belvosia rufipalpis van Der Wurr (34), p. 25, 17.
Belvosia leucophrys van Der Wurr (6), II, p. 30, 2, tab. II, fig. 9, 9a.
Undici esemplari dei due sessi, che differiscono alquanto nelle dimensioni e in
qualche altro carattere. Tutti hanno le tibie posteriori cigliate; in taluni le spine
discali dell’addome sono molto numerose e robuste, in altre scarse e quasi man-
canti; così anche lo scudetto è in alcuni irto di spine nel mezzo; in tutti è di color
piceo. Anche il colore dell'addome varia dal nero lucente al piceo, e la pollinosità
del torace è più o meno densa. in un esemplare femmina un po’ più piccolo degli
altri la base delle ali è notevolmente più nera. Sono però convinto che essi appar-
tengono tutti alla stessa specie, non essendovi un carattere solo costante che valga
a distinguerli in due specie diverse.
Has. — Sud-America (38): Repubblica Argentina (34), Brasile (40, 25, 30,
34, 41) — Guiana (16) — Colombia (38, 30, 34) — Nord-America: Connecticut, Pensil-
vania (41) — Cuba (16) (Biaor) — Portorico (22) — San Domingo (41) — Costa
Rica: Rio Sucio, Volcan de Irazu (6) — Messico (16, 4): Presidio, Orizaba, Medellin
presso Vera Cruz (6), Guanajuato (31), Orizaba, Mexico, Oaxaca (SumicHRAST e SALLÉ),
Solco.
XX. — Gen. BELVOSIA.
Rosrnrau-Desvomy (21), p. 103.
49. — Belvosia analis.
Belvosia analis Macquart (16), I suppl., p. 160, 2, tab. XIV, fig. 4.
Maschio. — Corpo tozzo, robusto. — Capo più largo del torace. — Maccia assai
obliquamente ritratta, bianco-argentina, molto larga; epistomio appena leggermente
sporgente; le due setole orali più lunghe inserite assai al di sopra del margine orale;
le creste della faccia munite di sei o sette setole che si estendono per quasi due
terzi della lunghezza della faccia; la fossa facciale assai profonda; le guancie breve-
mente pelose nella parte più bassa ai lati della bocca. — Proboscide nera, corta —
| Palpi gialli, lunghi come la proboscide, fortemente clavati. — Fronte nericcia, alquanto
grigio-pollinosa, molto larga in basso, più ristretta in alto, ma tuttavia ancora larga
quivi quanto un terzo del capo; la striscia mediana quasi nera, molto larga in basso,
molto più stretta al vertice; ai lati di essa due serie di setole per parte, ricurve
all’indietro. — Antenne lunghe, che si portano fin presso alle due vibrisse più lunghe
500 DITTERI DEL MESSICO
orali; i due primi articoli giallo-brunicci; il secondo munito di setole al margine
superiore ed alquanto allungato; il terzo circa due volte e mezzo il secondo, nero,
rigonfio superiormente alla sua base; stilo nero assai lungo. — Occhi assai grandi,
nudi. — Torace quasi quadrato, nero, leggermente cinereo-pollinoso anteriormente
colle solite striscie nere sottili e poco distinte, coperto di ispidi e corti peli neri.
— Scudetto piceo, irto di corti peli neri, e munito al margine di lunghe e robuste
setole nere. — Addome alquanto più largo del torace, ovale e tozzo, nero vellutato,
coperto di peli neri, corti e rigidi, procumbenti; il quarto segmento giallo-dorato per
una densa pollinosità che lo ricopre e sparso di rari, piccoli e brevi peli neri; due
setole marginali sul dorso del primo e secondo segmento ed una per parte ai lati;
una serie continua di setole marginali robuste e simili a spine sul terzo e sul quarto.
— Piedi robusti, neri, pelosi e setolosi; le tibie posteriori cigliate, con qualche setola
posteriormente; uncini molto lunghi, gialli, neri all'apice; pulvilli fulvi, assai svilup-
pati. — Ali brune, gradatamente più nereggianti verso la base; la piccola vena
trasversa avanti il mezzo della discale è molto ‘obliqua; quella posteriore legger-
mente fatta ad S. — Culittere picee. — Lunghezza mm. 12.
Un solo maschio.
Assai simili a questa, e forse anche appartenenti alla medesima specie, sono le due
seguenti Belvosia Weyenberghiana van per Wuxp (34), p. 26,18, pl. I, fig. 16 e
B. leucopyga van DER Wuxp, Notes from the Leyden Museum, IV, p. 84, 17 e (34),
p. 27, 19, tutte e due specialmente distinte per avere i due articoli basali delle
antenne neri.
Has. — Brasile? (16) — Messico: Tuxpango (SumicrRAsT).
50. — Belvosia bella.
(Fig. 6, capo; 6a, ano).
Belvosia bella Gierio-Tos (13), p. 3.
Femmina. — Capo più largo del torace. — Faccia obliquamente ritratta come in
B. analis, bianco-argentina, larga; guancie nude anche nella parte più bassa; le se-
tole sulle creste facciali più spaziato e solo in numero di tre o quattro. — Probo-
scide corta, nera. — Palpi gialli, clavati. — Fronte molto larga, appena più stretta
in alto, bruniccia ed un po’ cinereo-pollinosa; la striscia mediana fulva; ai lati di
questa una sola serie per parte intera di setole ed altre tre setole orbitali rivolte
in basso. — Occhi nudi. — Torace di forma trapezoidale, cioè più stretto posterior-
mente, grigio-pollinoso nel mezzo, colle solite striscie nere alquanto distinte, di cui
le laterali più larghe e diffuse; lungo i lati di esso sulle pleure e sul petto densa-
mente gialliccio-pollinoso. — Scudetto nericcio alla base, quindi a poco a poco testaceo
fino all'apice, munito al margine di lunghe setole nere. — Addome appena più largo
del torace, ovato ed ottuso all'apice, nero, e sparso di pollinosità gialliccia, fuorchè
sul primo segmento ed all’apice del secondo e del terzo; i lati del secondo segmento
un po’ ferruginosi; la pollinosità del terzo segmento più gialla e più densa; il quarto
segmento, poco sviluppato ed in parte nascosto sotto il terzo tutto giallo-dorato,
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 501
come in B. aralis, per una densa pollinosità di tal colore che lo ricopre; le setole
così disposte: due marginali dorsali ed una per parte laterali piccole sul primo e
secondo segmento; una serie di marginali più robuste e simili a spine sul terzo;
un’altra serie di marginali sul quarto, i cui margini posteriori ravvicinati formano
una fessura longitudinale all’apice dell'addome. — Ventre convesso, ferrugineo, den-
samente pollinoso su tutto il terzo segmento ed alquanto alla base del secondo. —
Piedi robusti, neri, pelosi e setolosi; le tibie posteriori cigliate e con alcune setole
dal lato esterno; pulvilli gialli; uncini neri; ambedue poco sviluppati. — Ali un poco
gialliccie, specialmente alla base; le nervature press’a poco come in B. analis. —
Calittere bianche. — Lunghezza mm. 10.
Una sola femmina.
Has. — Non è indicata la località del Messico in cui fu raccolta.
XXI. — Gen, CHAETOGENA.
Ronpani (26), III, p. 172, 175.
51. — Chaetogena carbonaria.
(Fig. 19, capo).
Chaetogena carbonaria Gievio-Tos (13), p. 4.
Maschio. — Faccia bianco-argentina, molto obliquamente ritratta; epistomio
non sporgente, con due vibrisse lunghissime e convergenti; qualche setola ai margini
laterali della bocca; creste facciali molto rilevate, munite di una serie di 10-11
lunghe setole, gradatamente decrescenti verso l’alto e ricurve in basso, che si esten-
dono fino alla base del terzo articolo delle antenne; guance pelose ai lati della bocca.
— Proboscide mediocre, nera, colle labbra assai sviluppate; palpi lunghi come la
proboscide, ricurvi in alto, neri alla base, fulvi nel resto, un po’ingrossati all’apice
e pelosi verso il mezzo. — Fronte molto sporgente, assai larga, un po’ più stretta
in alto, nera ai lati con riflessi grigio-gialliccio-pollinosi; striscia frontale nera, larga
appena più dei lati; da ogni parte di essa una serie confusa di setole miste a peli
che discendono dal mezzo fino all'apice del secondo articolo delle antenne ed al ver-
tice tre setole più lunghe ricurve all’indietro e due ocellari ricurve in avanti e diver-
genti. — Occhi grandi, inferiormente assai lontani dalle vibrisse, irti di lunghi
e fitti peli fulvi. — Antenne grandi, lunghe quanto la faccia, inserite sull’apice della
sporgenza frontale, nere, adagiate nella fossa facciale; il primo articolo corto, il se-
condo un po’ più lungo e con qualche pelo al margine superiore; il terzo molto largo,
lineare, un po’ arrotondato all’apice, lungo da 4 a 5 volte il secondo; stilo lungo e
sottile, appena un po’ ingrossato alla base; il secondo articolo brevissimo. — Torace
nero , grigio-gialliccio-pollinoso con quattro striscie nere ben distinte; le mediane
più sottili, le laterali più larghe e interrotte alla sutura; pleure e petto neri, polli-
nosi come il torace. — Scudetto nero piceo; la pollinosità grigia è solo visibile os-
servandola obbliquamente dal di dietro. — Addome sub-conico, largo quanto il torace,
ma un po’ più lungo, terminato all’apice da lunghi peli neri, misti a setole; tutto
502 DITTERI DEL MESSICO
nero-opaco con riflessi pollinosi fulvi alle incisioni e sul ventre, appena distinte se
osservate molto obliquamente; le setole, tutte marginali sui primi tre segmenti, così
disposte: sul primo e sul secondo due dorsali e una o due laterali; sul terzo una
serie di 8-10 assai spaziate ma robuste; sul quarto parecchie discali miste a lunghi
peli neri. — Ventre coi riflessi pollinosi alla base dei segmenti ben più distinti. —
Piedi robusti, ed assai lunghi, neri, pelosi e setolosi; i piedi anteriori hanno i femori
grigio-pollinosi dal lato posteriore, con una serie di setole ben ordinate dal lato
esterno e da quello interno; le tibie al loro apice ed i tarsi alla base con riflessi
sericei fulvo-dorati; le tibie mediane con due lunghe setole esternamente e le poste-
riori con due setole verso il mezzo e due presso all'apice quasi appaiate; l’ultimo
articolo di tutti i tarsi muniti di lunghissimi peli; gli uncini ed i pulvilli molto
lunghi; i pulvilli gialli. — Al ialine, un po’ fulviccie alla base e lungo un certo
tratto della costa, che è setolosa all’ima base; la terza vena longitudinale con qualche
setola alla base; la cellula apicale largamente aperta e sboccante prima dell’apice;
la vena apicale trasversa molto concava alla base, quindi diritta; la quarta vena
longitudinale priva di appendice al gomito; la piccola vena trasversa posta un poco
prima del mezzo della cellula discale; la vena trasversa posteriore un po’ bisinuosa.
— Calittere bianche orlate di bruniccio. — Lunghezza mm. 13-14.
Due soli maschi.
Has. — Orizaba (SumicHRAST).
52. — Chaetogena cincta.
Chaetogena cincta Giario-Tos (13), p. 4.
Per la forma del corpo e delle varie sue parti e per la disposizione delle setole
è assolutamente simile a C. carbonaria. Differisce nella colorazione.
Maschio. — Faccia gialliccia ai lati, argentina nel mezzo; guancie pelose in
basso ai lati della bocca. — Proboscide nera; palpi gialli, pelosi in basso verso il loro
mezzo. — Fronte giallo-pollinosa ai lati; la striscia frontale nera. — Antenne nere,
stilo sottile e lungo. — Torace nero, grigio-gialliecio pollinoso, colle striscie come
in C. carbonaria; petto e pleure grigio-pollinosi. — Scudetto nero all’ima base, un
po’ rossiccio all'apice e densamente grigio-pollinoso, fuorchè alla base. — Addome
nero; i lati del secondo segmento largamente e quelli del terzo alla base ferruginosi;
alla base dei segmenti secondo e terzo e quarto una fascia grigio-pollinosa, larga
quanto la metà dei segmenti; le incisioni argentino-pollinose se osservate obli-
quamente dal di dietro. — Ventre quasi tutto argentino-pollinoso. — Piedi, ali e
calittere come in C. carbonaria.
Femmina. — Differisce per il fronte un po’ più largo, e due setole orbitali
ricurve in basso oltre alle altre come nel maschio; il torace, lo scudetto e l'addome
più densamente pollinosi e quest’ultimo non ferruginoso ai lati; i pulvilli e gli un-
cini assai più corti. — Lunghezza mm. 12-13.
Maschi: 2. — Femmine: 1.
Has. — Orizaba (SumIcHRAST).
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 503
53. — Chaetogena gracilis.
(Fig. 7, antenna).
Chaetogena gracilis Giaio-Tos (13), p. 4.
Femmina. — Faccia argentina, assai obliquamente ritratta; epistomio non
sporgente; vibrisse proprio al margine boccale; creste facciali munite di una sola
serie di 6-7 setole ricurve in basso, che si estende fin presso alla base del terzo
articolo delle antenne; guancie molto strette. — Proboscide nera; palpi gialli appena
un po’ ingrossati verso l’apice. — Fronte giallo-dorata, assai larga e sporgente; la
striscia mediana nera; ai lati di essa una serie di setole che si estende dal mezzo
fino all'apice del secondo articolo delle antenne; fra queste, due più lunghe presso
la base delle antenne convergono e si incrociano al di sopra di queste; due setole
orbitali ricurve in basso; tre altre più interne di cui la mediana più piccola ricurve
all'indietro; due ocellari ricurve in avanti e divergenti. — Occhi irti di peli bian-
chicci, grandi, che giungono in basso fin presso al margine boccale. — Antenne lunghe
quanto la faccia, nere, inserite al di sopra del mezzo degli occhi; il primo articolo
brevissimo, il secondo un po’ più lungo del primo, un po’ peloso superiormente; il
terzo almeno quadruplo del secondo, quasi tronco all’apice, stretto alla base e gra-
datamente più dilatato verso l'estremità; stilo più corto del terzo articolo delle an-
tenne ingrossato fin presso all’apice. — Torace nero, densamente grigio-pollinoso;
le due striscie nere mediane non distinte, le laterali larghe e un po’ confuse; petto
e pleure grigio-pollinosi. — Scudetto nero, densamente grigio-pollinoso. — Addome
largo quanto il torace, ma un po’ più lungo, sub-conico, nero un po’ lucente; tutti
i segmenti, fuorchè il primo interamente e una stretta fascia al margine posteriore
degli altri, grigio-pollinosi; sul primo e secondo segmento due setole marginali dor-
. sali ed una per parte laterali; sul terzo una serie di sei a sette marginali; sul quarto
qualcuna discale; quelle del primo segmento molto deboli e corte, le altre molto
robuste e lunghe. — Ventre nero, grigio-pollinoso fuorchè all’apice, alle incisioni e
in una sottile striscia longitudinale mediana. — Piedi neri, robusti, pelosi e setolosi;
i femori anteriori grigio-pollinosi dal lato posteriore; uncini e pulvilli molto piccoli;
pulvilli fulvi. — Al quasi ialine; le vene come nelle altre specie precedenti. —
Calittere bianche. — Bilancieri bruni. — Lunghezza mm. 9.
Questa specie che per la colorazione è un po’ simile a C. cincta ne è però ben
distinta per la forma più gracile del corpo, del terzo articolo delle antenne e dello
stilo e per la mancanza di striscie nere distinte sul torace.
Has. — Una sola femmina raccolta da BoucArDp senza indicazione di località.
XXII. — Gen. BLEPHARIPODA.
Braver e Bercensranm (17), I, p. 96 - pro B/lepharipa Ronpani (26), IV, p. 13.
54. — Blepharipoda mexicana.
(Fig. 18, capo).
Blepharipoda mexicana Gisuio-Tos (13), p. 6.
504 DITTERI DEL MESSICO
Femmina. — Faccia giallo-dorata, obliquamente ritratta, e appena concava
sopra all’epistomio; vibrisse incrociate, inserite un po’ al di sopra del margine boc-
cale; sulle creste laterali una serie di setole sottili e deboli, gradatamente più brevi,
che si estende visibilmente oltre la metà della faccia; guancie alquanto grandi, circa
la metà dell’altezza degli occhi, pelose. — Proboscide nera; palpi fulvi, leggermente
ingrossati dalla base all'estremità, ricurvi in alto. — Yronte giallo-dorata, come la
faccia, più stretta in alto; la striscia frontale nera, opaca; ai lati di questa una serie
di setole discendenti fino all’apice del secondo articolo delle antenne, ricurve in dentro;
due di esse al vertice ricurve all’indietro; due orbitali robuste ricurve in basso; e
due ocellari più piccole; una doppia serie di piccole setole al margine posteriore
degli occhi. — Occhi grandi, discendenti fin presso all’apice delle antenne, nudi. —
Antenne un po’ meno lunghe della faccia; il primo ed il secondo articolo bruno-fulvi;
il secondo un po’ più lungo del primo, peloso di sopra ; il terzo nero, lineare, triplo
del secondo, arrotondato all’apice; stilo molto lungo, nero, ingrossato dalla base fin
verso il mezzo. — Torace nero, bianco-gialliecio-pollinoso ; così le pleure ed il petto; sul
dorso quattro striscie nere ben distinte, di cui le laterali più larghe, posteriormente quasi
confuse colle mediane; un’altra striscia nera nel mezzo, breve, di fronte allo scudetto.
— Scudetto grigio-pollinoso, nero alla base, rossiccio nel mezzo e testaceo all'apice;
tre setole per parte lunghe e due all’apice più corte e sottili. — Addome ovale, ap-
pena più largo del torace, acuto, nero, tutto cosparso, fuorchè sul primo segmento,
di pollinosità bianchiccia, più o meno visibile secondo l'incidenza della luce, racchiu-
dente macchiette irregolari nere; la pollinosità sul quarto segmento, gialliccio-dorata;
sul primo segmento una setola per parte marginale; sul secondo due dorsali ed una
laterale tutte marginali; sul terzo una serie di otto setole marginali; sul quarto
molte discali. — Ventre convesso, uniformemente bianchiccio pollinoso; la serie delle
setole marginali del terzo segmento si continua su tutta la larghezza del ventre
dove sono più brevi. — Piedi neri, pelosi e setolosi (mancano gli anteriori); tibie
posteriori cigliate al lato esterno; due setole nel mezzo dal lato interno e due ap-
paiate presso l’apice; pulvilli ed uncini mediocri; pulvilli bruno-fulvi. — A% limpide,
appena un po’ bruniccie alla base e lungo un tratto della costa; piccola vena tras-
versa obliqua posta un po’ prima del mezzo della discale; cellula apicale larga-
mente aperta prima dell’apice dell'ala; nessuna appendice al gomito della quarta
vena longitudinale; la vena trasversa apicale un po’ concava; la vena trasversa po-
steriore dritta alla base, quindi obliqua. — Calittere bianche, orlate di gialliccio. —
Lunghezza mm. 13.
Una sola femmina, simile alla specie europea B. scutellata, ma distinta special-
mente per la colorazione della faccia, e la mancanza di setole dorsali sul primo seg-
mento dell’addome.
Has. — Tehuacan.
XXIII. — Gen. ACROGLOSSA.
Winston (42), p. 1916.
WixListon nel 1889 creava questo genere per un dittero (A. hesperidarum) alle-
vato da Harris da un Epargyreus tityrus. Ma nel 1891 i ditterologi BRAUER e
e ia darci
i caecS
DEL DOTT. E. GIGLIO TOS 505
BerGENsTAMM non accettavano tal genere, siccome quello che a loro parere “ non può
essere distinto dal genere SPALLANZANIA di RoNDANI , ; (?) II, p. 354. Nella collezione
Bellardi di ditteri messicani esiste un dittero che corrisponde perfettamente ai caratteri
generici di Acroglossa. Confrontato da me colla specie Spallanzania hebes europea, tipo
del genere, esistente nella collezione Bellardi di ditteri europei, ho potuto convincermi
che le due forme non hanno altro di comune fra di loro che la disposizione delle setole
sul fronte e sull’addome. Nel resto della forma del capo diversificano moltissimo. In
Acroglossa il fronte e la faccia sono assai meno rigonfi e larghi, questa più obliquamente
ritratta e munita di una serie regolare di setole sulle creste laterali, mancanti in
Spallanzania, inoltre le antenne, il cui secondo articolo è notevolmente corto, ed il
terzo molto più lungo e di forma ben diversa da quello corrispondente in SpaMlan-
zania, avvicinano questo genere a Frontina, come ben a ragione credette WILLISTON,
oppure meglio al genere Baumhaueria col quale ha ancora comune i peli ai lati della
faccia. Da quest’ultimo genere differisce poi specialmente per la grandezza relativa
degli occhi che discendono molto in basso in Acroglossa e sono invece assai piccoli
in Baumhaueria; e per questo stesso carattere dovrebbe forse la specie Baumhaueria
discrepans van DER WutP (6), II, p. 115, 1, tab. III, fig. ‘17, essere compresa nel
genere Acroglossa, se essa non differisse però per le nervature delle ali come si può
vedere dalla figura. Il genere Distichona van DpeR WutP (6), II, p. 44, differisce per
aver la faccia verticale molto larga, il fronte più largo, le vibrisse un po’ distanti
dal margine boccale, le guancie larghe, le antenne più corte e i lati della faccia
pelosi. Inoltre, se la figura del capo di profilo è esatta, le antenne sono inserite quasi
al di sotto del mezzo degli occhi, mentre in Acroglossa sono visibilmente al di sopra.
55. — Acroglossa tessellata.
Acroglossa tessellata Giauio-Tos (13), p. 5.
Femmina. — Faccia dorata, obliquamente ritratta, coll’epistomio leggermente
sporgente; creste laterali assai pronunziate e munite di una serie regolare di setole
ricurve in basso che si estende fin quasi presso alla base del terzo articolo delle
antenne; ‘lati della faccia sparsi di peli neri; le guancie alte appena un quarto del-
l'altezza degli occhi; vibrisse inserite un po’ al di sopra dell’epistomio, lunghe e in-
crociate. — Proboscide nera, lunga quanto è alta la faccia, colle labbra sottili; palpi
gialli appena un po’ più ingrossati all'apice. — Fronte larga assai sporgente, giallo-
dorata, colla striscia ‘mediana nera; ai lati di questa una serie regolare di setole
‘che scendono ai lati fin sotto all’apice del secondo articolo delle antenne ; due setole
orbitali ricurve ‘in basso: e due altre ricurve all'indietro; due ocellari ricurve in
avanti e divergenti. — Occhi assai grandi, nudi, discendenti fino all’apice delle an-
tenne. — Antenne nere, lunghe, che si portano fin presso alle vibrisse; il primo ar-
ticolo cortissimo, il secondo un po’ più lungo, il terzo lineare, gialliccio alla base,
quasi troncato all'apice, lungo almeno tre volte il secondo; stilo nero, robusto; il
secondo assai lungo, il terzo lungo quanto il terzo articolo delle antenne, leggermente
geniculato col secondo, ed ingrossato fin oltre la metà basale. — Torace densamente
grigio-gialliccio-pollinoso specialmente in sul davanti ed ai lati; le quattro striscie
Serie II Tom. XLIV. nî
506 DITTERÌ DEL MESSICO
nere assai larghe e distinte; petto e pleure grigio-pollinosi. — Scudetto nero, grigio-
pollinoso, testaceo al margine posteriore specialmente all’apicoe. — Addome ovato,
un po’ più largo del torace, nero, tutto densamente grigio-gialliccio-pollinoso , con
riflessi neri irregolari ed indescrivibili; il quarto segmento tutto giallo quasi dorato;
le setole sono solamente marginali fuorchè sul quarto segmento dove talune sono
anche discali; esse sono due dorsali ed una laterale sui due primi segmenti, ed una
serie di 6-8 sul terzo. — Piedi robusti, neri, setolosi; tutte le tibie, specialmente
le posteriori ferruginose nel mezzo; uncini e pulvilli fulvi. —— Al un po’ grigie; la
cellula apicale aperta e terminata assai prima dell’apice; vena apicale trasversa
leggermente concava alla base quindi diritta; la vena trasversa posteriore appena
bisinuosa. — Calittere bianche. — Bwlancieri bruni. — Lunghezza mm. 9.
Questa specie è simile a Frontina acroglossoides TyLer Towxsenp (84), Paper II,
p. 367, la quale però differisce per avere sul torace tre strisce nere e sul secondo
segmento dell'addome due setole discali oltre alle marginali, oltre ai caratteri propri
del genere.
Una sola femmina.
Has. — Oaxaca (SUMICHRAST).
XXIV. — Gen. MYSTACOMYIA.
Gienio-Tos (13), p. 4.
Capo quasi emisferico. — Faccia perpendicolare, non molto larga; i lati di essa
privi di peli; epistomio e fronte non sporgenti. — Antenne inserite all’altezza del mezzo
degli occhi, brevi che appena giungono al mezzo della faccia, verticali; il terzo ar-
ticolo stretto, lineare, arrotondato all’apice, appena doppio del secondo in lunghezza;
stilo lungo, nudo. — Vibrisse orali distinte, a notevole distanza dalla bocca, più av-
vicinate all'apice delle antenne che ad essa. — Margini laterali della bocca muniti
di una serie di fitti peli corti neri che prolungandosi sulle creste laterali della faccia
oltrepassano appena le vibrisse. — Occhi irti di fitti peli; così grandi che si esten-
dono per quasi tutta l’altezza del capo, oltrepassando in basso le vibrisse e rima-
nendo separati dal margine laterale della bocca da un breve tratto di guancie. —
Palpi filiformi. — Fronte stretta, con una sola serie di setole non lunghe nè robuste
ai lati della striscia mediana. — Occipite piatto. — Scudetto assai grande con setole
lunghe al margine. — Addome ovale, tozzo ; il primo segmento grande come gli altri;
mancano affatto le setole dorsali e quelle laterali sono così disposte: una piccola sul
primo ed una più lunga sul secondo; due o tre sul terzo, e una serie al margine
posteriore del quarto, all’apice dell'addome frammiste con peli quasi altrettanto lunghi.
— Piedi un po’ robusti; tibie posteriori cigliate dal lato esterno. — Al colla. cel-
lula marginale largamente aperta prima dell’apice; vena trasversa apicale un poco
concava; piccola vena trasversale obliqua; la vena trasversa posteriore leggermente
bisinuata ; il margine anteriore cigliato all’ima base. i
Questi caratteri generici si convengono al maschio; quelli della femmina sono
finora sconosciuti.
La specie tipica è la seguente :
e rr
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56. — Mystacomyia rubriventris.
Mystacella rubriventris van per WuxP (6), II, p. 52, 1.
Mystacomyia rubriventris Gierio-Tos (13), p. 4.
Maschio. — Faccia bianca con riflessi cinerei. — Palpi gialli, proboscide nera.
— Fronte molto stretta in alto; la striscia frontale nera. — Occhi irti di fitti e corti
peli bianchicci. — Antenne nere; i primi due articoli gialli. — Torace bianco-gial-
liccio-pollinoso, con cinque striscie nere ben distinte di cui le tre mediane più sot-
tili, quelle laterali più larghe e diffuse, un po’ interrotte alla sutura; petto e pleure
gialliccio-pollinosi. — Scudetto assai grande, testaceo; alcune setole lunghe al mar-
gine. — Addome ovato, testaceo, argenteo-pollinoso su tutti i segmenti, nero nel
mezzo del primo segmento sotto allo scudetto e lungo una striscia mediana dorsale;
abbreviata all’apice del terzo segmento; molti peli corti, neri, procumbenti, lo rico-
prono e si fanno più lunghi sul quarto segmento formando all’apice dell'addome un
ciuffo; le setole disposte come è detto nella diagnosi generica. — Piedi neri pelosi
e setolosi; le tibie posteriori un po’ ferruginoso-scure nel mezzo e cigliate; uncini
lunghi, neri; pulvilli lunghi e grigi. — Ali limpide, gialliccie alla base e lungo il
margine anteriore. — Calittere bianche. — Lunghezza mm. 10.
Un solo maschio.
Has. — Messico: Atoyac in Vera Cruz, Tuxpango (6), Mexico (BoucaRp).
XXV. — Gen. EXCRISTA.
Mrrcen (17), II, p. 280, 108.
57. — Exorista rufilatera.
Exorista rufilatera Ronpani (24), p. 9 e 10.
Masipoda geminata Braver e Bereensramm (7), I, p. 162; IL, p. 402 e 430. —
TyrLer Towxsen (32), p. 17.
Esxorista latimana van per Wutr (6), II, p. 67, 12, tab. II, fig. 10.
I nove esemplari della collezione BeLLARDI sono tutti maschi, epperò non ho
potuto notare il peculiare carattere della grande dilatazione dell’ultimo articolo dei
tarsi che è esclusivo della femmina. Ma dalla disposizione delle setole frontali nei
maschi, tutte bene ordinate in una serie sola ai due lati della striscia mediana fron-
tale, ho potuto riconoscere che senza dubbio appartengono alla specie Hrorista lati-
mana di van per WuLp, sinonima di Masipoda geminata BraurrR e BERGENSTAMM.
Nella collezione di ditteri del Museo zoologico di Torino ho però trovato il tipo della
specie descritto da RonpanI col nome di Exorista rufilatera nel 1850 e porta ancora
l'etichetta con tale indicazione scritta dal Rondani stesso. Anche questo esemplare
è un maschio e posto a confronto cogli altri maschi della collezione Bellardi non ne
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differisce e senza alcun dubbio appartengono tutti alla stessa specie. ll nome dato
dal Rondani ha perciò la priorità’ e l’ho' dunque sostituito agli altri due.
Le variazioni principali che si notano negli esemplari suddetti e che hanno poca
importanza si riferiscono essenzialmente allo scudetto che in taluni è tutto nero col-
l'apice grigio, in altri è più o meno rossiccio verso. l'apice ed in altri poi, come
nell’esemplare tipico, è tutto rossiccio, esclusa la base che è nera. Anche il colore
rossiccio ai lati dell'addome è più o meno diffuso ed in qualche esemplare il secondo
, segmento porta anche due setole marginali sul dorso, che mancano negli altri e
nel tipo.
Has. — Venezuela (24) — Brasile (32) — Messico: La' Venta, Tierra Colorada,
Amula, Xucumanatlan e Sierra de las Aguas Escondidas in Guerrero, Atoyac e Me-
dellin in Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6), Orizaba (6, 7), Orizaba e Tuxpango
(SUMICHRAST).
58. — Exorista trivittata.
Exorista trivittata van per Wuxr (6), II, p. 70, 17.
Maschio. — Nero, grigio-pollinoso. — Faccia un. po’ obliquamente. ritratta,
giallo-pollinosa con qualche riflesso bruno; guancie nericcie e pelose ai lati della
bocca. — Fronte giallo-pollinosa; la striscia mediana stretta e nera; una serie di
setole per parte che discendono fino all'apice del secondo segmento delle antenne.
— Antenne, palpi e proboscide neri. — Occhi pelosi. — Torace grigio-gialliccio pol-
linoso; tre striscie longitudinali nere molto larghe e ben distinte; ai lati di quella
mediana un’altra striscia più sottile presso al margine anteriore ; petto e pleure neri,
gialliccio-pollinosi. — Scudetto nero, grigio-pollinoso , un po’ fulviccio all'apice. —
Addome sub-conico, nero, lucente, peloso; la pollinosità bianca forma delle larghe
fascie su tutti i segmenti (fuorchè il primo), interrotte nel mezzo e ben più distinte
alla base di essi; una fascia un po’ meno larga al margine posteriore dei medesimi
segmenti è nera, perchè priva di pollinosità; le setole solamente marginali così disposte:
una per lato sul primo segmento; due dorsali ed. una: o due laterali. sul secondo;
una serie sul terzo e quarto, quelle di quest’ultimo frammiste coi lunghi peli anali.
— Ventre nero; la fascia bianca basale dei segmenti assai più stretta. — Piedi neri;
una serie di setole anteriore ed un’altra posteriore sui femori anteriori; alcune assai
lunghe sparse sul margine interno dei femori posteriori; due setole assai lunghe
esternamente sulle tibie mediane; le posteriori un po’ cigliate e con due setole più
lunghe verso il mezzo ed altre due all’apice, appaiate ; l’ultimo articolo dei tarsi con
lunghi peli; uncini lunghi neri; pulvilli lunghi, fulvi. — Al limpide, un po’ bruniccie
lungo la costa ed alla base. — Calittere bianche. — Lunghezza mm. 10. |
Non rimangono in collezione che due maschi di cui uno mancante dell’addome.
Has. — Messico: Atoyac in Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6), Orizaba (Su-
MICHRAST).
DEL DOTT. E: GIGLIO-TOS 509
XXVI. — Gen. TRICHOLYGA. DO
Ronpani (26), III, p. 184, gen. 89.
59. — Tricholyga gracilens.
(Fig. 16, capo).
‘Tricholyga gracilens Gierio-Tos (13), p. 5.
Maschio. — Capo più largo del torace. — Faccia bianca obliquamente ritratta;
epistomio non sporgente; vibrisse inserite al margine orale, lunghe, incrociate; im-
mediatamente sopra ad esse due setole più piccole; il resto delle creste facciali nudo;
guancie molto strette nude. — Proboscide nera; palpi gialli sporgenti dall’epistomio.
— Fronte largo, appena più stretto in alto, bianco con riflessi brunicci; striscia fron-
tale larga, nera; ai lati di questa una serie di setole robuste di cui una a mezzo il
fronte ricurva all'indietro e più lunga, le altre convergenti e discendenti fin oltre
la base dello stilo delle antenne. — Occipite piatto. — Occhi grandi, irti di peli
lunghi, giallicci. — Antenne lunghe come la faccia, nere, inserite quasi contro al
mezzo degli occhi; il secondo articolo talora fulvo-bruno; terzo, stretto alla base,
appena più dilatato all’apice; stilo lungo, ingrossato alla base, nudo. — Torace nero,
cosparso di pollinosità cenerino-glauca; quattro striscie nere anteriormente poco
distinte. — Scudetto grande, del color del torace, anche pollinoso. — Addome conico,
nero lucente, con fascie di pollinosità glauco-cenerina alla base dei segmenti escluso
il primo; setole robuste, nere, solo marginali fuorchè sul quarto segmento; le due
setole marginali mediane del terzo segmento un po’ lontane dal margine. — Piedi
neri molto setolosi; pulvilli brunicci, mediocri; femori anteriori cenerini al di sotto.
— Ali grigie; la quarta e quinta vena longitudinale appendiculate all’apice ; cellula
apicale aperta prima dell’apice dell'ala; vena trasversa apicale quasi diritta; vena
trasversa posteriore molto obliqua e curva prima di congiungersi alla quarta longi-
tudinale; 1° e 3° vena longitudinale, cigliate visibilmente per tutta la loro lunghezza;
la 5? cigliata solo nella metà basale. — Calittere bianche. —- Bilancieri giallicci. —
Lunghezza mm. 10.
Due sole femmine senza indicazione di località messicana (Boucarp).
60. — Tricholyga insita.
Tricholyga insita Gisuio-Tos (13), p. 5.
Maschio. — Faccia cenerino-gialliccia, obliquamente ritratta; epistomio appena
sporgente; vibrisse inserite al margine orale lunghe, incrociate; sopra ad esse due
altre setole lunghe quanto esse e quindi alcune altre più brevi sulle creste facciali
fin circa al mezzo della faccia; guancie mediocri munite in' basso di alcuni piccoli
peli. — Proboscide nera; palpi gialli. — Fronte cenerina a riflessi neri ai lati} assai
più stretta degli occhi al vertice; striscia mediana nera; serie delle setole frontali
510 DITTERI DEL MESSICO
discendenti fino alla base del terzo articolo delle antenne. — Occhi irti di lunghi
peli fulvicci. — Antenne nere, un po’ meno lunghe della faccia; articolo 2° con una
setola al margine superiore; articolo 3° largo, triplo del secondo, arrotondato all’a-
pice e un po’ convesso al margine superiore, fulvo alla base; stilo nudo. — Torace,
scudetto e addome neri alquanto lucenti, cenerino-pollinosi, specialmente il torace sulle
pleure e l'addome alla base dei segmenti, escluso il primo; due setole discali sul
secondo e terzo segmento dell’addome oltre le marginali. — Piedi neri, setolosi;
uncini lunghi; pulvilli lunghi e fulvi; femori cenerini al di sotto. — Al grigie; vena
trasversa apicale concava alla base quindi molto obliqua; vena trasversa posteriore
molto obliqua; piccola vena trasversa un po’ prima della metà della cellula discale.
— Calittere grigie. — Bilancieri bruni. — Lunghezza mm. 7.
Un solo maschio senza indicazione di località messicana (Bovcarp).
XXVII. — Gen. CYRTOPHLOEBA.
Ronpani (26), III, p. 187, gen. 30.
61. — Cyrtophloeba horrida.
(Fig. 11, capo, lla, ala).
Cyrtophloeda horrida Giatio-Tos (13), p. 6.
Maschio. — Faccia bianca con riflessi nericci, molto obliquamente ritratta;
guancie strette nude, epistomio non sporgente; vibrisse al margine orale, lunghe,
incrociate; sopra alle vibrisse due o tre setole sulle creste facciali; sui lati della
faccia una serie di quattro lunghe setole robuste, ricurve in basso. — Proboscide nera;
palpi fulvi. — Fronte larga più degli occhi anche al vertice, nericcia ai lati; striscia
mediana picea; setole frontali lunghe discendenti fin sotto alla base delle antenne,
dove comincia la serie delle setole facciali. — Occhi irti di lunghi peli fulvi. — An-
tenne nere, lunghe un po’ meno della faccia; articolo secondo un po’ lungo, superior-
mente fulvo e con due setole; terzo largo, doppio del secondo, arrotondato all’apice,
convesso al margine superiore ; stilo mediocre, nudo, nero, ingrossato fin oltre la
metà. -— Torace, scudetto e addome neri, alquanto lucenti; dorso del torace legger-
mente cenerino-pollinoso con quattro striscie abbastanza distinte; una fascia bianca
stretta alla base dei segmenti addominali, escluso il primo; setole solamente mar-
ginali, fuorchè sul quarto segmento; le due mediane del secondo e del terzo sono
però alquanto allontanate dal margine; addome conico. — Piedi neri; pulvilli fulvi.
— Ali grigie, nericcie lungo la costa e alla base; vene trasverse offuscate di nericcio;
piccola vena trasversa al di là del mezzo della cellula discale; cellula apicale aperta
assai prima dell’apice dell'ala; vena trasversa apicale concava alla base quindi
obliqua; vena trasversa posteriore convessa e posta a mezza distanza tra la piccola
vena trasversa e la vena trasversa apicale; prima vena longitudinale interamente
cigliata; la terza cigliata fin oltre la piccola vena trasversa. — Calittere bruniccie.
— Lunghezza mm. 8.
Un solo esemplare senza indicazione di località messicana (SuUmIcHRAST).
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 511
XXVII — Gen. PHOROCERA.
Roeineau-Desvomy (21), p. 131, XVI.
62. — Phorocera parvula.
Phorocera parvula van ver Wutr (6), II, p. 78, 4.
Femmina. — Nera lucente; i lati della faccia e del fronte sono fulvi; la base
dei segmenti dell'addome bianco-pollinosi; le calittere bianche, le ali ialine. — Lun-
ghezza mm. 6.
Quattro esemplari tutti femmine che si accordano bene colla descrizione del
VAN DER WuLrp.
Has. — Messico: Orizaba (6). — Vennero raccolti da BoucarD, ma non è indicato
in quale località del Messico.
63. — Phorocera atriceps.
Phorocera atriceps van per Wurp (6), II, p. 79, 5.
Femmina. — Nera opaca, e pelosa; i lati della faccia e del fronte neri; l’ad-
dome un po’ rossiccio ai lati del terzo e quarto segmento; ali ialine; calittere
bianchiccie. — Lunghezza mm. 6.
Quattro esemplari femmine, che bene si accordano colla descrizione del van
DER Wurp.
Has. — Messico: Orizaba, Venta de Zopilote e Amula in Guerrero (6). — Gli
esemplari della collezione furono raccolti da BoucarDp, ma non è indicata la località
del Messico.
XXIX. — Gen. PLAGIA.
Mricen (18), VII, p. 201, 6.
64. — Plagia americana.
Plagia americana van ver Wutr (6), II, p. 102, 2, tab. III, fig. 19.
Due esemplari femmine, di cui uno corrisponde bene alla descrizione del van
DER Wutrp, l’altro differisce per avere la terza vena longitudinale spinosa molto al
di là della piccola vena trasversale. Tutti e due hanno una piccola appendice all’an-
golo della quarta vena longitudinale che nella figura del van DER WuLP non è indicata.
Has. — Messico: Orizaba, Venta de Zopilote, Xucumanatlan ed Omilteme in
Guerrero, Teapa in Tabasco (6). — Raccolti da BoucarD senza indicazione di località.
512 DITTERI DEL MESSICO
65. — Plagia mexicana.
(Fig. 13, capo).
Plagia mexicana Gievro-Tos (13), p. 5.
Femmina. — Nera, cinereo-pollinosa. — Faccia e fronte gialle; la striscia frontale
bruna; vibrisse lunghe ed incrociate; due o tre piccole setole sopra di esse; le setole
frontali oltrepassanti la base del terzo articolo delle antenne; la setola terminale
ricurva in basso; le due setole di questa serie nella parte più alta del fronte ricurve
all'indietro; tre setole orbitali ricurve in basso. — Proboscide nera e corta; palpi
bruno-fulvi. — Occhi nudi, grandi. — Antenne nere; primi articoli brevissimi ; il
terzo almeno triplo del secondo, raggiungente quasi il margine orale. — Torace
trapezoidale, assai più largo in avanti, grigio-pollinoso, colle striscie nere confuse;
stilo nero, ingrossato fino alla sua metà. — Scudetto nero, grigio-pollinoso. — Addome
stretto, conico, nero-lucente; il secondo e terzo segmento con una fascia cinereo-pol-
linosa, visibile specialmente alla base; sul secondo segmento due setole dorsali ed
una laterale marginali; sul terzo due dorsali lontane dal margine e due o tre late-
rali veramente marginali; sul quarto alcune discali. — Piedi neri, pelosi e setolosi;
uncini e pulvilli minuti. — Al quasi limpide; la prima vena longitudinale spinosa
per tutta la sua lunghezza ; la terza fino molto al di là della piccola vena trasversa;
la vena trasversa apicale, appena concava all’ima base, poi leggermente ondulata
ed obliqua; una piccola appendice al gomito della quarta vena longitudinale. — Ca-
littere bianche. — Lunghezza mm. 8.
Ne osservai una sola femmina, molto simile a P. americana, ma che mi parve
dover distinguere per la colorazione gialla della faccia, la maggior lunghezza del
terzo articolo delle antenne e la forma trapezoidale del torace. Per gli stessi carat-
teri differisce anche da P. aurifrons Tvyuer Townsenp (81), Paper V.
Has. — Non è indicata la località del Messico, in cui fu raccolta da Boucarp.
66. — Plagia dicta.
Plagia dicta Gievio-Tos (13), p. 5.
Femmina. — Faccia cenerina obliquamente ritratta; epistomio appena sporgente;
guancie strette nude; vibrisse al margine orale; tre o quattro setole sopra le vibrisse;
il resto delle creste facciali nudo. — Proboscide nera coll’apice fulvo; palpi fulvi. —
Occhi irti di brevissimi peli. — Fronte in avanti alquanto sporgente, larga meno
degli occhi, cenerina ai lati, nera sulla striscia mediana; una serie di setole ad ogni
lato discendente fino alla base delle antenne; due setole orbitali. — Antenne nere,
lunghe quanto la faccia; secondo articolo con setole al margine superiore; terzo arti-
colo largo, lineare, quintuplo del secondo; stilo nudo. — Torace e scudetto neri, cene-
rino-pollinosi, specialmente sulle pleure ; sul dorso del torace quattro striscie appena
distinte. — Addome conico, nero, lucente; una fascia stretta bianca alla base dei
segmenti; due setole marginali dorsali sul primo segmento; due discali e due mar-
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 513
ginali sul secondo; due discali e una serie di marginali sul terzo; alcune discali sul
quarto. — Piedi neri; femori cenerini inferiormente; pulvilli giallicci. — Ali grigie;
vena trasversa apicale concava alla base quindi molto obliqua; vena traversa poste-
riore bisinuosa. — Calittere grandi, bianchiccie. — Bilancieri giallicci. — Lungh. mm. 7.
Una sola femmina senza indicazione di località messicana.
XXX. — Gen. METOPIA.
Mrrsen (17), II, p. 280.
67. — Metopia perpendicularis.
Metopia perpendicularis van per Wutr (6), IL, p. 115, 1, tab. III, fig. 18, 18a.
Un solo esemplare femmina che differisce da quelli descritti da van DER Wutp
specialmente per la forma della vena posteriore trasversale che è diritta all’ima base,
quindi concava e poi un po’ obliqua; la vena trasversa apicale è leggermente ondu-
lata. L’addome nero, un po’ lucente, appare, visto dal di dietro, munito di macchie
bianchiccio-pollinose sui tre ultimi segmenti separate da una linea mediana longitu-
dinale e da due laterali.
Ha. — Messico: Amula in Guerrero, Cuernavaca in Morelos (6), Solco (Su-
MICHRAST).
XXXI. — Gen. MASICERA.
Macquarr (15), II, p. 118.
68. — Masicera bilineata.
Masicera bilineata van ver Wutr (6), II, p. 112, 17.
Un solo esemplare femmina (raccolto da BoucarD senza indicazione di località)
che differisce solamente da quello descritto da van per WurP, perchè il primo seg-
mento dell'addome non è apparentemente più breve del secondo.
Has. — Messico: Temax in North Yucatan (6).
69. — Masicera sesquiplex.
Masicera sesquiplex Grovio-Tos (13), p. 6.
Femmina. — Faccia gialla, bianchiccia nella depressione mediana, quasi per-
pendicolare; vibrisse al margine orale; due o tre peli al di sopra di esse immedia-
tamente; il resto delle creste facciali nudo; guancie un po’ pelose ai lati della bocca,
molto strette. — Proboscide nera e corta; palpi gialli. — Fronte un po’ più stretta
Serie II, Tom. XLIV. i 0?
514 DITTERI DEL MESSICO
in alto e quivi larga quanto gli occhi, gialla; la striscia mediana nera, larga quanto
i lati; per ogni parte di essa una serie di setole, di cui le tre più basse scendono
al di sotto della base delle antenne; e le tre più alte sono ricurve all'indietro; due
setole orbitali ricurve in basso. — Occhi grandi, oltrepassanti l’apice delle antenne
e raggiungenti il livello delle vibrisse, nudi. — Antenne nere un po’ più corte della
faccia; il primo articolo brevissimo, il secondo assai lungo, il terzo una volta e mezzo
lungo quanto il secondo o poco più; stilo lungo un po’ più delle antenne, ingrossato
nel terzo basale, quindi sottile. — Torace densamente grigio-gialliccio-pollinoso; an-
teriormente più largo, quattro striscie nere ben distinte in avanti; le laterali più
larghe si confondono posteriormente colle mediane; petto e pleure gialliccio-pollinosi.
— Scudetto nero alla base, gradatamente testaceo rossiccio verso l'estremità, anch'esso
pollinoso. — Addome ovato, tutto gialliccio-pollinoso, fuorchè il primo segmento, una
sottile striscia mediana sul secondo e terzo segmento e due altre laterali poco di-
stinte ed i margini posteriori che sono neri; il quarto segmento affatto giallo-dorato
per la densa pollinosità che lo ricopre; sul primo e secondo segmento due setole
dorsali ed una laterale, marginali; quelle dorsali del primo deboli; sul terzo una
serie di setole robuste; sul quarto alcune discali. — Ventre grigio-pollinoso. — Piedi
neri; le tibie posteriori brevemente cigliate all’esterno, e come le altre anche mu-
nite di alcune setole; uncini e pulvilli piccoli; pulvilli un po’ giallicci. — A% lim-
pide; la piccola vena trasversa un po’ prima del mezzo della discale; la vena
trasversa posteriore dritta alla base, poi obliqua; la vena trasversa apicale obliqua,
appena concava alla base. — Calittere bianche; bdilancieri bruni. — Lunghezza mm. 8.
Questa specie è molto simile a M. auriceps MAcquaRT (16), II, 3° part., p. 59,
1, per la colorazione del capo, del torace e dell'addome, ma la ritengo ben distinta
per la mancanza di setole sulle creste facciali.
Una sola femmina.
Has. — Senza indicazione della località messicana (BoucaRp).
70. — Masìcera usta.
Masicera usta Giaturo-Tos (13), p. 6.
Femmina. — Faccia giallo-dorata, un po’ obliquamente ritratta; creste facciali
nude; guancie pelose ai lati della bocca; proboscide nera; palpi gialli. — Fronte
dorata; le setole come in M. sesquiplex; la striscia nera più stretta dei lati. —
Antenne lunghe circa quanto la faccia e nere; il terzo articolo lineare, triplo del
secondo, arrotondato all'apice; stilo nero, ingrossato alla base per un certo tratto e
leggermente pubescente, lungo e sottile nel resto. — Torace dorato; le due striscie
mediane sottili ma ben distinte; le laterali più larghe ma interrotte alla sutura;
pleure aureo-pollinose. — Addome ovato sub-conico, nero; sul secondo, terzo e quarto
segmento una fascia dorata alla base, più visibile lungo le incisioni; quella del quarto
segmento larga quanto la metà della lunghezza e più intensa; le setole solamente
marginali fuorchè sul quarto segmento; due dorsali ed una laterale sul primo e
secondo segmento, una serie sul terzo. — Ventre con fascie aureo-pollinose come il
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 515
dorso dell'addome. — Piedi neri, pelosi e setolosi; uncini e pulvilli piccoli; pulvilli
fulvi. — Al limpide largamente alla base, al margine posteriore ed all’apice; offu-
scate intensamente nella regione mediana anteriore; la cellula apicale aperta un
po prima dell’apice dell'ala; la vena trasversa apicale fa colla quarta longitudinale
un angolo molto ottuso ed è appena leggermente piegata vicino all’apice; la vena
trasversale posteriore fortemente bisinuosa; la piccola vena trasversale corrisponde
al mezzo della cellula discale. — Calittere bianchiccie, a margine gialliccio. —
Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 7.
Questa specie sebbene molto affine a M. picta van DER Wu (6), II, p. 108,
tab. III, fig. 13, 130, ne è però distinta specialmente per i disegni del torace e le
nervature delle ali.
Has. — Messico (BovcaRD).
71. — Masicera vittata.
Tachina vittata WaLkeR (38), p. 301 (nec ibidem, p. 273). — TyLer Towxsenp
(32), p. 15.
WALKER non descrisse che il maschio di questa specie; io descrivo la femmina
aggiungendovi quei caratteri che sono oggidì necessari per una buona descrizione.
Femmina. — Faccia gialliccia e fronte gialla; creste facciali nude; guancie,
strettissime; proboscide nera e palpi fulvo-bruni; la striscia frontale nera più larga
dei lati; le setole disposte come in M. glauca. — Antenne nere; il terzo articolo
triplo del secondo, raggiungente quasi l’epistomio, lineare, arrotondato all'apice; stilo
nero, lungo, ingrossato alla base e appena pubescente. — Occhi grandi, che raggiun-
gono quasi le vibrisse. — Torace giallo-pollinoso, così il petto e le pleure; sul dorso
quattro striscie larghe, nere, ben distinte. — Scudetto nero, gialliccio-pollinoso nella
metà apicale. — Addome ovato, nero-opaco; sui segmenti secondo, terzo e quarto
una stretta fascia dorato-pollinosa alla base, appena interrotta nel mezzo, ed un
po dilatata ai lati; oltre alle solite setole marginali due discali sul dorso del se-
condo e terzo segmento, un po’ più deboli. — Piedi neri, alquanto lunghi; i tarsi un
po’ più lunghi delle tibie; pulvilli bruno-fulvi. — Al affumicate, fuorchè lungo il
margine posteriore ed all'apice; cellula apicale aperta presso l'apice; vena apicale
facente un angolo ottuso colla quarta longitudinale, obliqua, ed appena piegata presso
l'apice; piccola vena trasversa posta al mezzo della cellula discale; vena trasversa
posteriore bisinuosa. — Calittere gialliccie. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 7.
Due femmine.
Has. — Sud-America (38) — Senza indicazione della località messicana (BoucaRp).
72. — Masicera strigata.
Masicera strigata van per Wutr (6), II, p. 105, 2.
Una sola femmina che differisce dal tipo descritto per avere le ali ialine.
Has. — Messico: Venta de Zopilote in Guerrero, Cuernavaca in Morelos, Atoyac
in Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6) — Senza indicazione di località messicana
(BoucarD).
516 DITTERI DEL MESSICO
73. — Masîicera glauca.
Masicera glauca Giario-Tos (48), p. 6.
Femmina. — Faccia bianchiccia nella depressione mediana, gialliccia ai lati
che sono molto stretti e nudi; guancie strettissime ; vibrisse inserite proprio al mar-
gine orale ed incrociate; proboscide e palpi gialli. — Fronte quasi non sporgente,
un po’ più stretta in alto, gialla; la striscia nera, larga al vertice un po’ più delle
parti laterali; ai lati di questa una serie di setole convergenti, di cui le due infe-
riori poste al di sotto della base delle antenne e raggiungenti quasi l’apice del
secondo articolo e le due ultime superiori ricurve all'indietro; due setole orbitali
ricurve in basso; due ocellari ricurve in basso e divergenti. — Antenne nere; il
secondo articolo peloso, al di sopra breve; il terzo lineare, stretto, un po’ incavato
al margine superiore presso la base, arrotondato all’apice, lungo almeno quattro volte
il secondo e raggiungente quasi l’epistomio; stilo nero, lungo, sottile, ingrossato per
un breve tratto alla base. — Occhi nudi, così grandi che raggiungono le vibrisse. —
Torace, scudetto e addome tutti di color nero-pruna, coperti di una fine pollinosità
cinereo-glauca; così anche le pleure ed il petto. — Scudetto munito ai lati di due
lunghe setole e di altre due più lunghe all’apice che giungono fino a metà del terzo
segmento addominale; e nel mezzo di due setole più piccole. — Addome ovato, ri-
gonfio; il primo segmento manca di pollinosità, è lungo quanto il secondo ed ha una
sola setola marginale ad ogni lato (quelle dorsali sono così sottili che non si distin-
guono dagli altri peli); sugli altri segmenti è più visibile alla base ed ai lati, variando
però secondo l’incidenza della luce; il secondo segmento ha solo setole marginali,
due dorsali ed una per lato; il terzo ed il quarto ne hanno anche due dorsali discali
oltre alla solita serie marginale. — Ventre convesso, colorato come l'addome. —
Piedi picei, pelosi e setolosi; i femori anteriori grigio-pollinosi; uncini e pulvilli pic-
coli; pulvilli gialli. — A% un po’ grigie; cellula apicale aperta presso all’apice del-
l’ala; piccola vena trasversale prima del mezzo della cellula discale: vena trasversa
posteriore appena concava alla base, quindi alquanto obbliqua. — Calittere grigie.
— Lunghezza mm. 8.
Una sola femmina.
Has. — Senza indicazione della località messicana (Boucarp).
XXXII. — Gen. DEGEERIA.
Mzrcen (18), VII, p. 249, 37.
74. — Degeeria mexicana.
Degeeria mexicana Giavio-Tos (13), p. 7.
Maschio. — Corpo snello, nero, un po’ lucente, peloso. — Faccia grigia con
riflessi neri, assai obliquamente ritratta; guancie strette, pelose in basso ai lati della
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 517
bocca; margini orali muniti di lunghi peli setolosi; vibrisse al margine orale, inero-
ciate; al di sopra di esse alcune piccole setole sulle creste facciali, che si estendono
appena per un terzo dell'altezza della faccia; lati della faccia nudi. — Proboscide
nera; palpi filiformi neri e pelosi. — ronte molto stretta in alto, bianchiccia; la
striscia mediana nera, più stretta in alto, ma al vertice occupante quasi tutta la
larghezza; ai lati di questa una serie sola di setole convergenti, di cui tre o quattro
superiori ricurve all'indietro, e le cinque inferiori al di sotto della base delle an-
tenne si estendono fino oltre l’apice del secondo segmento delle antenne; due setole
brevi ocellari. — Occhi grandi, nudi. — Antenne lunghe, raggiungenti quasi l’epi-
stomio, nere; il secondo articolo un po’ peloso superiormente; il terzo triplo del se-
condo, lineare ; stilo lungo, sottile, ingrossato per un breve tratto alla base. — Torace
nero, alquanto lucente, peloso, appena con qualche leggero riflesso bianco agli angoli
anteriori e sulle pleure, se osservato molto obliquamente. — Scudetto grande, trian-
golare, nero lucente, con due lunghe setole divergenti all'apice. — Addome conico,
nero lucente, sparso di peli eretti, fra cui sono frammiste le setole; le incisioni con
riflessi bianchi, se osservate molto obliquamente; sul primo segmento, lungo quanto
il secondo, due setole dorsali ed una per parte tutte marginali; sul secondo, e sul
terzo e sul quarto oltre alle marginali anche due discali dorsali. — Piedi alquanto
lunghi, neri; i femori anteriori con una serie posteriore ed un’altra anteriore di
setole; gli altri irregolarmente setolosi; tarsi un po’ più lunghi delle tibie; uncini e
pulvilli mediocremente lunghi; pulvilli gialli. — A offuscate di bruno lungo il mar-
gine anteriore e gradatamente più limpide verso il margine posteriore e l’apice che
sono ialini; cellula apicale aperta presso all’apice dell’ala; vena trasversa apicale
che fa colla quarta longitudinale un angolo molto ottuso (nella maggior parte degli
esemplari non forma un vero angolo ma una curvatura); piccola vena trasversa pres-
sochè nel mezzo della cellula discale; vena trasversa posteriore fortemente bisinuosa.
— Calittere brune come la parte offuscata delle ali. — Lunghezza mm. 7-8.
Questa specie che a quanto pare è comune nel Messico, è alquanto simile alla
europea D. separata (Tachina) MererN (18), IV, p. 406, 290, ed anche a D. nigrocostalis
VAN DER Wutp (6), II, p. 151, 1, tab. IV, fig. 10, dalla quale però differisce note-
volmente per le vene alari.
Undici esemplari tutti maschi, di cui uno differisce per avere le ali quasi ialine
ed i riflessi bianchi alle incisioni dell'addome un po’ più distinti; ed un altro per
avere i palpi e la proboscide all’apice bruno-fulvi.
Has. — Orizaba (SumicHRAST).
75. — Degeeria unthracina.
Degeeria anthracina Bisor (5), p. 259, 30.
Stante la breve descrizione del Breor non posso assicurare che un esemplare
maschio della collezione, che corrisponde bene ai caratteri accennati in essa, con-
venga anche coll’esemplare tipico per gli altri caratteri che non vi sono accennati.
Credo perciò conveniente di ripetere la descrizione sull’esemplare da me esaminato.
518 DITTERI DEL MESSICO
Maschio? — Nero, lucente; faccia con qualche riflesso bianchiccio, molto incli-
nata all'indietro, colle creste facciali munite di piccole setole per quasi tutta la loro
lunghezza; vibrisse inserite al margine orale; guancie strettissime. — Proboscide
nera; palpi bruni. — Fronte larga al vertice circa un terzo del capo; striscia frontale
nera, larga assai; una serie di setole ai lati di essa che discende fin presso all’apice
del secondo segmento delle antenne. — Antenne lunghe quanto la faccia; il terzo
articolo sei o sette volte lungo quanto il secondo. — Torace con qualche leggero
riflesso bianchiccio agli angoli anteriori. — Addome conico, acuto; sul secondo seg-
mento due setole discali oltre alle solite marginali. — Al ialine; cellule apicali
aperte presso all'apice; gomito della quarta vena longitudinale curvo; piccola vena
trasversa prima del mezzo della cellula discale: vena trasversa posteriore perpen-
dicolare sulla quarta longitudinale e diritta. — Calittere bianche. — Lungh. mm. 4.
Has. — Messico (5) — Senza indicazione di località messicana (BoucarD).
76. — Degeeria insecta.
Degeeria insecta Giario-Tos (13), p. 7.
Femmina? — Faccia obbliquamente ritratta, cinerea; argentina se osservata
dall'alto; vibrisse inserite un po’ al di sopra del margine orale; alcune setole imme-
diatamente sopra di essa sulla cresta facciale estese per un terzo dell’altezza della
faccia; guancie un po’ più larghe che nelle specie precedenti, pelose. — Proboscide
nera, con labbra gialle; palpi gialli. — Fronte alquanto sporgente, assai larga, un
po’ più stretta in alto, colorata come la faccia; la striscia mediana nera, più stretta
delle parti laterali; una sola serie di setole per parte convergenti, di cui le tre
prime superiori ricurve all'indietro, le due ultime inferiori al di sotto della inser-
zione delle antenne; due setole ocellari. — Occhi nudi. — Antenne nere, lunghe assai
meno della faccia; il secondo articolo con alcuni peli lunghi e rigidi al margine
superiore; il terzo triplo almeno del secondo, stretto e lineare. — Torace col petto
e le pleure, e scudetto uniformemente e densamente cinereo-pollinosi; sul dorso del
torace nessun accenno di striscie nere. — Addome nero, coperto di peli lunghi neri;
alla base del secondo e terzo segmento una fascia cinereo-pollinosa ben distinta,
larga quanto la metà della lunghezza del segmento; sul quarto la fascia è visibile
solo ai lati; le setole solamente marginali, fuorchè alcune discali sul quarto; due
dorsali ed una per parte laterale sul primo o secondo segmento; una serie sul terzo.
— Piedi neri; uncini e pulvilli piccoli; pulvilli fulvi. — A% ialine; cellula apicale
aperta presso l’apice dell’ala; piccola vena trasversa posta prima del mezzo della
cellula discale; vena trasversa posteriore appena obliqua e quasi diritta, posta più
vicina alla curvatura della quarta vena longitudinale, che alla piccola vena tras-
versa. — Calittere bianche. — Lunghezza mm. 8.
Un solo esemplare che credo femmina stante la piccolezza degli uncini e dei
pulvilli e la larghezza del fronte.
Has. — Senza indicazione di località messicana (BoucaRp).
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 519
77. — Degeeria cruralis.
Degeeria cruralis Gisrio-Tos (13), p. 7.
Femmina. — Faccia molto obliquamente ritratta, grigio-bianchiccia; le vibrisse
al margine boccale, incrociate; creste facciali ben spiccate, munite di setole fino a
due terzi dell’altezza della faccia; guancie strette. — Proboscide e palpi gialli. —
Fronte larga, grigio-bianchiccia; la striscia mediana, stretta più dei lati, nera; ai
lati di essa una serie di setole che discende un po’ al disotto della base delle
antenne; due setole orbitali in alto del fronte ricurve in basso. — Occhi nudi. —
Antenne nere, lunghe quanto la faccia; il terzo articolo stretto, lineare, quadruplo
del secondo. — Torace e scudetto neri; anteriormente il dorso del torace bianchiccio-
pollinoso con quattro striscie nere poco distinte; petto e pleure grigio-pollinosi. —
Addome conico, nero, lucente; una stretta fascia bianco-pollinosa, alla base dei seg-
menti secondo, terzo e quarto; quella di quest’ultimo un po’ più larga; in sul primo
segmento due setole dorsali ed una laterale, solo marginali; sul secondo oltre a due
dorsali e due laterali marginali anche due dorsali discali; sul terzo due dorsali
discali oltre ad una serie di marginali; sul quarto molte discali. — Ventre nero lu-
cente, colle fascie bianche alla base dei segmenti più larghe e più visibili. — Piedi
neri; femori testacei; uncini e pulvilli piccoli; pulvilli fulvi. — A% limpide, un poco
grigie; cellula apicale aperta all’apice dell’ala; la nervatura della quarta vena lon-
gitudinale non angolosa; vena piccola trasversa appena un po’ prima del mezzo della
cellula discale; vena trasversa posteriore quasi diritta e perpendicolare alla quarta
ed alquanto più vicina alla piegatura di questa che alla piccola vena trasversa. —
Calittere bianchiccie. — Bilancieri giallicci. — Lunghezza mm. 6.
Una sola femmina.
Ha. — Senza indicazione di località messicana (SumicHRAST).
78. — Degeeria dicax.
Degeeria dicax Gieuio-Tos (13), p. 7.
Maschio. — Faccia obliquamente ritratta, bianco-gialliccia nella depressione
mediana, giallo-dorata ai lati; vibrisse assai lunghe, incrociate, poste al margine
boccale; al di sopra di esse alcune piccole setole sulle creste facciali che si esten-
dono fin verso il mezzo della faccia. — Proboscide e palpi neri. — Fronte alquanto
sporgente, giallo-dorata ai lati, assai più stretta in alto; la striscia frontale nera,
larga al vertice assai più delle parti laterali; ai lati di essa una sola serie di setole
convergenti, di cui le tre prime superiori curve all'indietro e le tre ultime inferiori
poste al di sotto dell’inserzione delle antenne si estendono fino all'apice del loro
secondo articolo. — Occhi nudi. — Antenne nere, lunghe quasi quanto la faccia; il
terzo articolo lineare, quasi tronco all'apice, stretto e lungo tre volte il secondo;
stilo lungo, sottile, nero, ingrossato per un breve tratto alla base. — Torace, petto
e pleure neri, giallo-pollinosi; sul dorso quattro striscie nere ben distinte, di cui le
520 DITTERI DEL MESSICO
laterali più larghe assai. — Scudetto nero, grigio-gialliccio-pollinoso all’apice. — Ad-
dome conico, nero, sparso di rari e corti peli; sui segmenti secondo, terzo e quarto
una lunga fascia basale, grigio-gialliccio-pollinosa, dilatata ai lati da occupare quasi
tutta la lunghezza del segmento, ristretta nel mezzo, perchè incavata posteriormente;
i lati del secondo segmento sono un po’ testacei; setole numerose discali e margi-
nali, così disposte: sul primo segmento due dorsali ed una laterale solo marginali;
sul secondo quattro discali, due presso al margine anteriore e due nel mezzo appaiate,
quindi due dorsali e tre per parte ai lati marginali; sul terzo le discali come nel
secondo, ed inoltre una per parte verso i lati anche discale e la serie solita di mar-
ginali; sul quarto poi molte discali oltre alle marginali. — Ventre colorato come il
dorso dell'addome. —- Piedi neri; i tarsi anteriori un po’ più lunghi delle tibie; pul-
villi bruno-fulvi. — Ali un po’ bruniecie dalla base lungo il margine anteriore e gra-
datamente ialine verso il margine posteriore e l’apice; cellula apicale aperta presso
all'apice; curvatura della quarta vena longitudinale non angolosa; vena trasversa
apicale obliqua, un po’ ondulata, e presso all'apice piegata; piccola vena trasversa
corrispondente pressochè al mezzo della cellula discale; vena trasversa posteriore
fortemente bisinuosa. — Calittere bianco-gialliccie, con orlo gialliccio. — Bilancieri
gialli. — Lunghezza mm. 8.
Un solo maschio.
Has. — Senza indicazione di località messicana (BoucARp).
XXXII — Gen. MACQUARTIA.
Rorinzau-Desvomy (21), p. 204.
79. — Macquartia setiventris.
Macquartia setiventris van per Wutp (6), II, p. 129, 1, tab. III, fig. 21, 2la.
Una sola femmina che differisce dal maschio per avere il fronte largo con due
setole orbitali ricurve in basso oltre alla solita serie ai lati della striscia frontale.
Has. — Messico: Orizaba, Omilteme in Guerrero (6), Solco.
XXXIV. — Gen. MYIOBIA.
Myobia Rosinzau-Desvomy (21), p. 99.
80. — Myiobia flavicornis.
Myobia flavicornis van per Wutp (6), II, p. 133, 1, tab. IV, fig. da da
Un solo esemplare senza indicazione di località messicana, coll’apice delle antenne
e le tibie bruniccie.
Has. — Messico: Teapa in Tabasco (6).
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 521
XXXV. — Gen. PROSPHERYSA.
van DER WutP (6), II, p. 116.
81. — Prospherysa aemulans.
Prospherysa aemulans van per Wure (6), II, p. 117, 1, tab. III, fig. 14, 14a.
Dexiophana aemulans Braver e BergENsTAM (#7), IL, p. 374 e 421.
Un solo maschio (senza indicazione di località messicana) colla spina costale
delle ali assai distinta e di statura maggiore (mm. 10). Nel resto corrisponde alla
descrizione del tipo.
Has. — Messico: Atoyac in Vera-Cruz, Teapa in Tabasco (6).
XXXVI. — Gen. HYPOSTENA.
Mzisen (18), VII, p. 239, n° 29.
82. — Hypostena triangulifera.
Homodexia triangulifera Biaor (5), p. 268, 75.
Hypostena blandita van per Wute (6), II, p. 142, 2, tab. IV, fig. 4, 4a e p. 264.
Tre maschi che convengono bene nei loro caratteri colla descrizione del van
peR WuLP, ma senza indicazione della località messicana in cui furono raccolti.
Has. — Costa-Rica: Rio Sucio — Messico: Xucumanatlan, Omilteme e Sierra
de las Aguas Escondidas in Guerrero, Orizaba (6).
83. — Hypostena concinna.
Hypostena concinna van ver Wutr (6), II, p. 142, 3.
Un solo esemplare maschio un po’ guasto, ma tuttavia facilmente distinto dalla
H. triangulifera per i caratteri accennati dal van per Wutp. Senza indicazione di
località messicana.
Ha. — Messico: Amula e Xummanatlan in Guerrero (6).
XXXVII. — Gen. ANISIA.
van DER Wutp (6), II, p. 186.
84. — Anisia nigella.
Anisia nigella van per Wutr (6), II, p. 193, 14.
Una sola femmina mancante di riflessi bianchicci alia base dei segmenti, e senza
indicazione di località messicana.
Has. — Messico: Teapa in Tabasco (6).
Serie Il. Tom. XLIV. ES
5200: DITTERI DEL MESSICO
85. — Anàisia opaca.
Anisia opaca van DER Wutp (6), II, p. 200, 31.
Un solo esemplare femmina.
Has. — Messico: Sierra de las Aguas Escondidas e Omilteme in Guerrero (6),
Coscom (SUMICHRAST).
XXXVIII. — Gen. PHASICPTERYX.
Brauer e Beroenstamm (7), I, p. 147.
86. — Phasiopteryx ochracea.
Pyrrhosia ochracea Bisor (5), p. 268, 78.
Phasiopterye Bilimekii Braver e Bercenstamm (9), I, p. 147.
Neoptera rufa van ver Wurr (6), IL, p. 166, 1, tab. IV, fig. 11, 11a, 118, 1lc,
12, 12a (vide etiam, p. 211).
Una sola femmina raccolta da BoucArp, senza indicazione di località messicana,
corrispondente alle descrizioni dei suddetti autori. Stando alla testimonianza del van
per WuLP che potè osservare l'esemplare femminile tipico di Pyrrhosia ochracea man-
datogli in esame da Brgor, questa specie è la medesima che Phasiopterya Bilimekii
descritta nel 1889 da BrauEeR e BergenstAMmM e Neoptera rufa descritta dal vAN DER
Wurp nel 1890. Il nome specifico di Breor ha perciò la priorità perchè data dal 1888.
Has. — Messico (5): Orizaba (7), Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6).
XXXIX. — Gen. OESTROPHASIA.,
Braurr e Bercensramm (7), I, p. 145.
87. — Oestrophasia clausa.
Oestrophasia clausa Brauer e BergenstAna (7), I, p. 146.
Una sola femmina, in cui la cellula apicale non è chiusa e brevemente pedun- I
colata, ma appena aperta. I
Has. — Colorado (7) — Messico: Cuantla (SAUSSURE).
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS
Ut
do
(06)
XL. — Gen. CLISTOMORPHA.
Truer Towwsenp (81), Paper V.
88. — Clistomorpha ochracea.
Clistomorpha ochracea Gietio-Tos (13), p. 7.
Femmina. — Faccia alquanto concava di profilo; creste facciali poco accennate
e nude; epistomio sporgente; una serie di setole al margine orale che ascendono
per un certo tratto lungo le creste facciali e sono terminate dalle vibrisse incrociate,
poste perciò a notevole distanza dal margine della bocca; guancie larghe , circa la
metà dell’altezza degli occhi, sparse di piccoli peli neri. — Proboscide lunga circa
quanto è alto il capo, bruna, all'apice gialla; palpi gialli, filiformi, ricurvi in alto.
— Fronte gialla come la faccia, larga, assai più stretta in alto, larga al vertice
circa un quarto della larghezza totale del capo; striscia frontale, fulva, di larghezza
costante, larga al vertice il doppio delle parti laterali; al vertice una macchia ocel-
lare nera, quasi triangolare; ai lati della striscia frontale una serie sola di piccole
setole che discendono appena oltre la base delle antenne; ai lati di esse alcuni pic-
colissimi peli. — Occhi nudi. — Antenne brevi, gialle ; il primo articolo brevissimo;
il secondo un po’ lungo, il terzo lungo una volta e mezzo il secondo, di forma ovale;
stilo lungo, sottile, ingrossato alla base. — Torace giallo-ocraceo, olivaceo-pollinoso
sul dorso con qualche piccola setola ai lati ed alcune più lunghe al margine poste-
riore. -—- Scudetto grande, sub-triangolare; una setola marginale per parte presso
alla base e due accoppiate all'apice. — Addome ovale, sub-conico , fulvo-ocraceo;
alcune setole ai lati di ogni segmento; quelle del secondo, terzo e quarto segmento
poste in una piccola macchia tondeggiante nera. — Piedi gialli, con alcune deboli
setole; le tibie posteriori brune alla base ed all’apice ed un po’ curve; tutti i tarsi
bruni specialmente all’apice; uncini neri; pulvilli gialli. — Ali gialliccie, un poco
fosche al margine anteriore presso l’apice; cellula apicale chiusa all’apice e non pedi-
cellata ; gomito della quarta vena longitudinale curvo; vena trasversa apicale leg-
germente curva; piccola vena trasversale corrispondente al mezzo della cellula
discale; vena trasversa posteriore un po’ obliqua e quasi diritta. — Calittere e bilan-
cieri gialli — Lunghezza mm. 5.
Una sola femmina.
Has. — Mexico (SumicHRAST).
XLI. — Gen, RHINOPHORA.
Rosineau-Desvomy (21), p. 258.
89. — Rhinophora laevigata.
Ehinophora laevigata van per Wutr (6), IL p. 205, 1, tab. IV, fig. 17, 17.
Una sola femmina senza indicazione di località messicana corrispondente pei
suoi caratteri alla descrizione del tipo.
Has. — Messico: Atoyac in Vera Cruz (6).
924 DITTERI DEL MESSICO
XLII. — Gen. MYIOTHYRIA.
Myothyria van per Wurr (6), II, p. 208.
90. — Myiothyria trichosoma.
Myothyria trichosoma van ver WutP (6), II, p. 208, 1.
Riferisco con dubbio a questa specie un solo esemplare maschio senza indica-
zione di località messicana, un po’ mal conservato, in cui i caratteri specifici non
sono più ben visibili, ma con setole distinte discali sull’addome, oltre alle marginali.
Has. — Messico: Atoyac in Vera Cruz (6) (Boucarp).
DEXINAE
XLII. — Gen. HYSTRISIPHONA.
Hystrisyphona Bisor (1), p. 309.
91. — Hystrisiphona nigra.
Hystrisyphona niger Bicor (1), p. 309.
Hystrisyphona nigra Bisor, Bull. Soc. ent. fran., 1883, p. xLv.
Hystrisiphona nigra van per Wurr (6), IL, p. 213.
Un solo esemplare maschio.
Has. — Messico (1): Oaxaca (SALLÉ).
92. — Hystrisiphona bicolor.
(Fig. 17, capo).
Hystrisiphona bicolor Gieuio-Tos (12), p. 1.
Maschio. — Faccia a profilo concavo, gialliccio-pollinosa con riflessi sericei;
lati della faccia pelosi fino al livello del margine inferiore degli occhi; guancie alte
circa quanto gli occhi, nude; vibrisse inserite un po’ più in alto del margine orale,
incrociate; al di sopra di esse una breve serie di 5 a 6 setole sulle creste facciali
che ascendono fin presso il mezzo della faccia. — Proboscide nera, quasi lunga quanto
il capo ed il torace insieme uniti, più lunga perciò che in H. nigra; palpi brevi,
fulvi, filiformi. — Fronte larga in basso, molto più stretta al vertice, sporgente, gial-
liccio-pollinosa ai lati e quivi sparsa di peli brevi, neri; striscia frontale di colore
castagno scuro, striata longitudinalmente; ai lati di ‘essa una sola serie per parte
di setole nere, ricurve in basso e incrociate che discendono fin presso alla base
delle antenne; al vertice due setole laterali ricurve all'indietro e lunghe, e due ocel-
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 525
lari ricurve in avanti e dietro a queste molte altre più deboli e ricurve nella stessa
direzione. — Occhi nudi. — Antenne lunghe un po’ più della metà della faccia; i
primi due articoli fulvo-rossicci; il secondo peloso superiormente; il terzo nero, doppio
del secondo, assottigliato e arrotondato all’apice ; stilo nero, ingrossato alla base e
visibilmente piumoso. — Torace nero, appena grigio-pollinoso con cinque striscie nere
quasi indistinte di cui tre mediane sottili e due laterali un po’ più larghe ed inter-
rotte alla sutura; sul dorso parecchie setole miste a peli; petto nero, grigio-polli-
noso; sulle pleure una serie di setole robuste ricurve all’indietro di fronte alla base
delle ali. — Scudetto nero, con lunghe setole al margine, ma nel mezzo privo di
spine e munito solo di peli. — Addome robusto, un po’ più largo del torace, cordi-
forme, giallo-testaceo; la parte mediana del primo segmento, una macchia dorsale
triangolare all’estremità del secondo e terzo segmento e tutto il quarto segmento,
neri; sul primo segmento due sole spine laterali, una per parte, marginali; sul se-
condo alcune spine discali e marginali sul dorso, e alcune laterali; sul terzo pure
alcune discali dorsali oltre ad una serie di molte marginali; sul quarto parecchie
discali miste a peli neri e lunghi specialmente all’apice. — Ventre giallo-testaceo;
nero sull’ultimo segmento, armato di molte spine in una larga zona mediana. —
Piedi neri, pelosi e setolosi; tutte le tibie ferruginose; uncini e pulvilli lunghi ; pul-
villi gialli — Ali gialle alla base e con tutte le vene marginate di giallo; cellula
apicale largamente aperta prima dell’apice dell'ala; vena trasversa apicale legger-
mente concava, e inclinata ad angolo retto sulla quarta longitudinale; vena trasversa
posteriore bisinuosa. — Calittere e bilancieri picei. — Lunghezza mm. 14.
A parte i caratteri generici è notevolissima la somiglianza che questa specie
presenta per la colorazione colla Iurinia dichroma van per Wurp.
Un solo maschio.
HaB. — Mexico (TruQUI).
XLIV. — Gen. MOCHLOSOMA.
Braurr e Bercenstamm (7), I, p. 126.
93. — Mochlosoma lacertosum.
Prosena lacertosa van per Wutp (6), II, p. 215, tab. V, fig. 1, la.
Due sole femmine.
Has. — Messico: Ciudad in Durango (6), Solco (SumIcHRAST).
94. — Mochlosoma anale.
Mochlosoma anale Gierio-Tos (12), p. 1.
Maschio. — Faccia bianco-gialliccia con riflessi sericei, concava; epistomio
sporgente; guancie nude. — Proboscide lunga quasi quanto il corpo, sottile, nera;
palpi filiformi, brevi, fulvi. — Fronte molto stretto in alto, largo in basso, sporgente,
526 DITTERI DEL MESSICO
coi lati nericci visti di fianco, argentino-pollinosi visti dall’alto, e sparsi di peli neri;
striscia frontale bruno-fulva, larga in basso; ai lati di essa una sola serie di setole
per parte che arrivano appena alla base delle antenne. — Antenne giallo-fulve, brevi;
il terzo articolo appena bruniccio verso l’estremità lungo una volta e mezzo il se-
condo, che è sul margine superiore munito di peli fra cui due più lunghi di tutti ;
stilo piumoso. — Torace nero, appena leggermente pollinoso, anteriormente con alcune
striscie appena accennate. — Scudetto piceo. — Addome nero piceo, un po’ lucente, quasi
conico, rivestito di lunghi peli neri eretti, e munito, fuorchè sul primo segmento, di
setole dorsali discali e di altre marginali dorsali e laterali; quarto segmento tutto co-
perto di pollinosità fulva con riflessi sericei, interrotta lungo la linea mediana dorsale;
ipopigio assai sporgente, nero e peloso. — Piedi neri; tibie ferruginee; uncini e
pulvilli molto lunghi; pulvilli giallicci. — Ali gialliccie alla base; vene gialle nella
metà basale, brune verso l’apice; piccola vena trasversa posta nel mezzo della cel-
lula discale; piegatura della quarta vena longitudinale un po’ curva; vena tras-
versa apicale quasi diritta; vena trasversa posteriore leggermente hisinuosa. — Ca-
littere piceo. — Biwancieri gialli.
Femmina. — Differisce per il fronte largo al vertice circa quanto la larghezza
degli occhi, e con due setole orbitali; la pollinosità del torace anteriormente più
densa e le striscie perciò più distinte; l'addome più tozzo, e cordiforme, meno peloso;
la pollinosità fulva del quarto segmento assai più densa e non interrotta; gli uncini
ed i pulvilli meno lunghi. — Lunghezza mm. 13-14.
Un maschio e due femmine.
Has. — Mexico (Truqui).
95. — Mochlosoma sericeum.
Mochlosoma sericeum Gieuio-Tos (12), p. 2.
Femmina. — Faccia giallo-sulfurea con riflessi sericei; guancie nude. — Pro-
boscide nera, lunga appena il doppio dell'altezza del capo; palpi fulvi. — Fronte
largo, ai lati giallo-sulfureo come la faccia; striscia frontale bruno-fulva, larga. —
Antenne giallo-fulve; il secondo articolo con un ciuffo di peli neri sul margine supe-
riore ; il terzo circa doppio del secondo; stilo nero, appena pubescente , ingrossato
nella metà basale. — Torace nero, cosparso di pollinosità cinerea nel mezzo, sulfureo-
pallida ai lati e sulle pleure; al margine anteriore due striscie mediane e due late-
rali nere appena distinte. — Scudetto nero, cosparso di pollinosità cenerina. — Addome
quasi cordiforme, nero, cosparso di densa pollinosità quasi argentina nel mezzo ante-
riormente e sulfureo-pallida ai lati, sui segmenti posteriori e sul ventre (Questa
pollinosità, quasi uniformemente sparsa su tutto l'addome, è visibile solamente se
si osserva obliquamente e cambia anche colore coll’incidenza della luce); alcune se-
tole discali oltre alle marginali su tutti i segmenti, fuorchè sul primo. — Piedi fulvi;
tarsi ed uncini neri; pulvilli giallicci. — A% gialle nella metà basale; le vene gialle
fin presso all’apice, quindi brune, ma tutte contornate di giallo; piegatura della quarta
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 527
vena longitudinale ad angolo retto; vena trasversa apicale obliqua ma rettilinea;
piccola vena trasversa posta un po’ prima del mezzo della cellula discale; vena
trasversa posteriore obliqua e quasi rettilinea. — Calittere e bilancieri gialli. — Lun-
ghezza mm. 13-14.
Due sole femmine.
Has. — Mexico (TRuqui).
96. — Mochlosoma mericanum.
Prosena mexicana Macquart (16), 4° suppl., p. 231, tab. XXI, fig. 12. — van
DER Wuxr (84), p. 30, 1.
Prosena tessellans van per Wutp (6), II, p. 216.
Due maschi e due femmine colle calittere affatto bianche.
. Has. — Messico (16, 34): Ciudad in Durango, Tierra Colorada, Rincon, Tepetlapa,
Acienda de la Imagen, Chilpancingo, Sierra de las Aguas Escondidas e Omilteme in
Guerrero (6), Mexico (Truqui), Oaxaca.
XLV. — Gen. HYSTRICHODEXIA.,
Roper (23), p. 266 (sep. 11).
97. — Hystrichodexia pseudohystricia.
Hystrisiphona pseudohystricia Braver e Bereensramm (7), I, p. 167.
Hystrichodexia pseudohystricia van ver WutP (6), II, p. 219, 1, tab. V, fig. 3, 3a.
Due soli maschi.
Has. — Messico: Takubaya (7), Xucumanatlan ed Omiltene in Guerrero (6),
Solco (SUMICHRAST).
98. — Hystrichodexia — n. sp.?
Un solo esemplare maschio un po’ guasto differisce da H. pseudo-hystricia per
avere l'addome di color fulvo, lucidissimo, con riflessi quasi metallici, i piedi me-
diani e posteriori coi femori e le tibie ferruginose (gli altri piedi mancano), lo scu-
detto pure bruno-fulvo e le calittere gialle. Negli altri caratteri è affatto simile alla
specie suddetta.
Has. — Mexico (CrAVERI).
528 DITTERI DEL MESSICO
99. — Hystrichodexia formidabilis.
Rhamphinina formidabilis Bieor (5), p. 264, 58.
Hystricodexia formidabilis van per Wurr (6), II, p. 220, tab. V, fig. 4, 4a.
Due soli maschi.
Ha. — Nicaragua: Chontales (6) — Messico (5): Paso del Macho (6), Orizaba
(SUMICHRAST).
100. — MHystrichodexia brevicornis.
Prosena brevicornis Macquart (16), 4° suppl., p. 230, 6.
Un solo maschio che ha tutti i caratteri del genere Hystrichodexia e concorda
bene colla descrizione della specie sopradetta del MAcquaRrt. Questa specie simile per
la colorazione dell'addome alla precedente H. formidabilis ne è ben distinta per la
colorazione dei piedi, per il colore fulvo del petto, delle pleure, dei lati del torace.
Di fronte allo scudetto sul torace una grande macchia quadrangolare ha lo stesso
colore fulvo. Le setole dell'addome sono meno numerose. — Lunghezza mm. 15.
Has. — Brasile: Bahia (16) — Mexico (TruUqQUI).
101. — Hystrichodexia mellea.
Hystrichodexia mellea Giauio-Tos (12), p. 2.
Maschio. — Faccia gialliccia con riflessi sericei grigi. — Proboscide nera, palpi
gialli. — Fronte larga al vertice un po’ meno della larghezza degli occhi, grigio-
gialliccia ai lati; striscia mediana nera, larga; ai lati di essa una sola serie di setole
che raggiunge la base delle antenne; nessuna setola orbitale. — Antenne fulve;
articolo terzo nero; sul secondo articolo due lunghi peli; stilo nero, piumoso. —
Torace nero, fulvo-pollinoso leggermente; gli angoli anteriori, i lati ed il margine
posteriore fulvo-rossicci come miele; petto e pleure giallo-fulvi, giallo-poilinosi. —
Scudetto fulvo-miele armato di spine nere anche nel mezzo. — Addome cordiforme,
tutto di color fulvo-miele, un po’ rossiccio ; una striscia sul primo segmento, ed una
macchia nera triangolare alla base del secondo; una macchia nera -longitudinale
all'apice del terzo e del quarto solamente visibile osservando l'addome molto obli-
quamente da lato; le spine così disposte: due o tre laterali sul primo segmento e
nessuna dorsale; molte dorsali e discali e molte laterali sugli altri segmenti; quelle
del secondo e del terzo raggruppate ai lati e nel mezzo; ipopigio assai sporgente.
— Ventre del color dell'addome ma più chiaro, specialmente verso la base, anch’esso
munito di spine. — Piedi gialli con peli gialli e setole nere; uncini e pulvilli lunghi;
metà apicale degli uncini nera. — Ali grigie, gialle alla base; vene marginate di
giallo; vena trasversa apicale leggermente concava; vena trasversa posteriore appena
bisinuosa. — Calittere gialliccie. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 15.
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 529
Sebbene abbia il fronte molto largo, tuttavia gli uncini e i pulvilli molto lunghi,
la mancanza di setole orbitali sul fronte, e specialmente poi l’ ipopigio ben spor-
gente non mi lasciano dubbio alcuno che si tratti di un maschio.
Has. — Oaxaca (SALLÉ).
102. — Hystrichodexia aurea.
Hystrichodexia aurea Gierio-Tos (12), p. 2.
Femmina. — Faccia bianco-gialliccia con riflessi sericei; setole del margine
orale gialle; vibrisse nere poste assai al di sopra del margine orale; faccia forte-
mente carenata nel mezzo fra le antenne. — Proboscide nera; palpi gialli con peli
dello stesso colore. — Fronte largo al vertice quasi quanto gli occhi, bianco-pollinosa
ai lati; striscia mediana bruno-nera, larga; ai lati di essa una serie di setole che
raggiungono la base delle antenne; le tre ultime più basse gialle, le altre nere; tre
setole orbitali nere. — Antenne gialle; nel margine supero del secondo articolo due
setole lunghe gialle; il terzo appena bruniccio verso l'estremità, quasi doppio del
secondo; stilo bruno, ingrossato alla base, piumoso. — Torace nero, gialliccio-pollinoso
sul dorso; due striscie laterali nere, largamente interrotte alla sutura e poco distinte;
i lati ed il margine posteriore largamente giallo-fulvi; petto e pleure giallo-fulvi. —
Scudetto anch'esso fulvo armato di spine nel mezzo. — Addome cordiforme , largo,
tutto di color di miele, tendente al rossiccio e rivestito di peli giallo-dorati, molto
lunghi all’apice; una striscia mediana nera interrotta alle incisioni; il primo seg-
mento con qualche spina solo ai lati; parecchie dorsali e laterali, discali e marginali
sul secondo e terzo segmento; il quarto ne è assolutamente privo fuorchè nella parte
ventrale. — Ventre melleo, tutto irto di molte spine specialmente verso l’apice. —
Piedi gialli; femori con setole nere miste ad altre gialle; uncini e pulvilli mediocre-
mente lunghi; metà apicale degli uncini nera. — Al gialliccie alla base ; vene con-
tornate di gialliccio; vena trasversa apicale concava alla base; vena trasversa poste-
riore diritta per un breve tratto alla sua origine quindi fortemente convessa. —
Calittere e bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 15.
Questa bella specie presenta per la colorazione e per i peli una notevole somi-
glianza con Dejeania corpulenta WiepEm.
Una sola femmina.
Has. — Senza indicazione di località messicana (SUMICHRAST).
XLVI. — Gen, RHYNCHODEXIA.
REhynchodexia Bisor, Bull. Soc. ent. fran., 1885, p. x1.
Ehamphinina Bicor ibidem, p. x1.
Ehynchodezia van per Wutp (6), II, p. 225.
Serie II. Tom. XLIV. o
530 DITTERI DEL MESSICO
103. — Rhynchodexia anthracina.
Rhamphinina anthracina Bisor (5), p. 265, 62.
Prosena obscura Bisor (5), p. 264, 56.
Ehynchodexia anthracina van per WutP (6), II, p. 234, 16.
Parecchi esemplari di ambedue i sessi.
La sinonimia è stabilita sulla testimonianza di van peER Wutrp che esaminò i
tipi della collezione Breor.
Has. — Messico (5): Ciudad in Durango (6), Solco (SumcHRast), Patzcuaro
(SAUSSURE).
104. — RAhynchoderia angulata.
Bhynchodexia angulata van ver Wutp (6), II, p. 233, 14.
Una sola coppia.
Has. — Messico: Ciudad in Durango, Jalisco, Acapulco, Xucumanatlan, Omil-
teme, Sierra de las Aguas Escondidas in Guerrero (6), Orizaba (SumIcHRAST).
105. — EAhynchoderia scutellata.
Rhynchodexia scutellata van ver WutP (6), II, p. 230, 7.
Un maschio ed un altro esemplare femmina un po’ mal conservato che riferisco
dubbiamente a questa specie.
Ha. — Messico: Ciudad in Durango (6), Mexico (SAussuRrE), Orizaba (SUMICHRAST).
106. — RAhynchodexia rubricornis.
Enhynchodexia rubricornis van per Wute (6), II, p. 230, 8.
Due soli maschi, di cui uno assai più piccolo.
Has. — Messico: Northern Sonora, La Venta, Amula, Xucumanatlan, Omilteme,
Sierra de las Aguas Escondidas in Guerrero, Teapa in Tabasco, Atoyac in Vera
Cruz (6), Mexico (TRUQUI).
107. — Rhynchodexia major.
Rhamphinina major Bisor (5), p. 265, 59.
Tre maschi ed una femmina; quest’ultima di minore statura e coll’addome ovato
e largo; le macchie bianche assai meno visibili fuorchè sull’ultimo segmento e sul
ventre; ogni segmento porta sul dorso alla base una stretta fascia bianco-pollinosa.
HaB. — Messico (5): Orizaba (SumicaRAst, BoucARD).
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 531
108. — &Ahynchodexria fraterna.
Ehynchodexia fraterna van per Wutr (6), II, p. 229, 6.
Parecchi esemplari maschi e femmine di statura varia.
Has. — Messico: Tepie, Santiago de Iscuintla, Orizaba, Acapulco, Tierra Colo-
rada, Rincon, Venta de Zopilote, Chilpancingo ed Amula in Guerrero, Cuernavaca
in Morelos, Atoyac in Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6), Oaxaca (SaLLé), Orizaba
(SumicgRrAsT), Tehuacan.
XLVII. — Gen. PROSENA.
Sr. Farerav et Servire, Encyelopédie méthodique, tom. X, p. 500 (1825).
109. — Prosena curvirostris.
Prosena curvirostris Bisor (5), p. 264, 57. — van per Wutr (6), II, p. 217, 4.
Parecchi esemplari dei due sessi.
Has. — Costa Rica: Rio Sucio (6) — Messico (5): Tierra Colorada, Rincon,
Chilpancingo ed Amula in Guerrero; Atoyac e Fortin in Vera Cruz, Teapa in Ta-
basco (6), Orizaba (SumricHRrAst, BoucarD).
XLVII. — Gen. SCOTIPTERA.
Macquarr (16), II, 3° part., p. 83.
110. — Scotiptera ? cyanea.
Scotiptera cyanea Gisuio-Tos (12), p. 2.
Maschio. — Corpo interamente di color nero lucente tendente all’azzurrognolo.
— Faccia e lati del fronte gialliccio-pollinosi; guancie con riflessi sericei. — Proboscide
nera; palpi gialli. — Antenne coi primi due articoli fulvi (il terzo manca). — Fronte molto
stretta al vertice, colla striscia mediana nera ed una sola serie di setole ad ogni
lato. — Torace anteriormente e sulle pleure cinereo-pollinoso; quattro striscie, due
mediane sottili e due laterali più larghe solo distinte al margine anteriore. — Ad-
dome con setole discali oltre alle marginali; incisioni con riflessi cenerino-pollinosi,
se osservate obliquamente. — Piedi neri; uncini e pulvilli lunghi; pulvilli grigi. —
Ali uniformemente brune, quarta vena longitudinale appendicolata alla sua piega-
tura; vena trasversa apicale leggermente concava e molto obliqua; piccola vena
trasversa posta nel mezzo della cellula discale; vena trasversa posteriore diritta
alla base quindi un po’ convessa. — Calittere e bilancieri bruni, quasi picei. — Lun-
ghezza mm. 10.
532 DITTERI DEL MESSICO
Sebbene mancante del terzo articolo delle antenne, posso quasi con certezza rife-
rirla per gli altri caratteri al genere Scotiptera.
HaB. — Angang (SAUSSURE).
XLIX. — Gen, MYIOSCOTIPTERA.
Giorio-Tos (12), p. 2.
Corpo snello; proboscide lunga almeno quanto l’altezza del capo; palpi sporgenti,
distintamente clavati e della lunghezza quasi della proboscide; guancie più larghe
della metà dell’altezza degli occhi; vibrisse inserite al margine orale; faccia alquanto
obliquamente ritratta, epistomio sporgente; antenne estese quasi fino alle vibrisse,
col terzo articolo almeno tre volte più lungo del secondo; fronte sporgente, superior-
mente ristretta nel maschio; addome conico, munito di setole discali oltre alle mar-
ginali; ali colla cellula apicale aperta; la quarta vena longitudinale non appendiculata;
gli uncini e i pulvilli dei piedi sono lunghi; organi genitali esterni grandi.
Questo genere assai affine ai generi Scotiptera e Myiocera differisce da ambedue
per la lunghezza notevole e la forma distintamente clavata dei palpi; dal genere
Scotiptera poi per la mancanza di appendice alla quarta vena longitudinale delle ali;
dal gen. Myiocera per la presenza di setole discali sull’addome.
111. — Myioscotiptera cincta.
(Fig. 14, capo).
Miyoscotiptera cincta Giaio-Tos (12), p. 2.
Maschio. — Faccia cenerino-gialliccia, con riflessi sericei; guancie nude e larghe;
epistomio alquanto sporgente. — Proboscide nera, un po’ più lunga dell’altezza del
capo ed alquanto curva; palpi gialli quasi lunghi quanto la proboscide, sottili, e
distintamente clavati all’estremità, muniti di lunghi peli neri all'apice. — Fronte
alquanto sporgente, stretta in alto, argentina ai lati; striscia frontale quasi nera;
una sola serie di setole ad ogni lato di essa, che si prolunga fino alla base delle
antenne. — Antenne che raggiungono quasi le vibrisse; i primi due articoli brevi,
fulvi; il terzo triplo del secondo, nero, lineare, arrotondato all’apice ; stilo ingrossato
alla base, lungamente piumoso. — Torace nero, cenerino-pollinoso, con due striscie
mediane sottili e due laterali larghe distinte al margine anteriore; petto e pleure
cinereo-pollinosi. — Scudetto nero, cenerino-pollinoso alla base. — Addome conico,
nero, lucente, con lunghi peli misti a setole; il primo segmento appena grigio-pol-
linoso ai lati; gli altri con una larga fascia basale cinereo-pollinosa, interrotta nel
mezzo del dorso, ed estesa anche sul ventre; segmenti secondo e terzo con riflessi
fulvo-pollinosi osservati obliquamente e con due setole dorsali discali oltre le mar-
ginali; ipopigio sporgente, grande e peloso. — Piedi neri; uncini e pulvilli lunghi
e gialli; apice degli uncini nero. — Ali leggermente gialliccie ; cellula apicale lar-
gamente aperta un po’ prima dell’apice dell’ala ; vena trasversa apicale concava presso
alla base, quindi obliqua e leggermente ondulata; vena trasversa posteriore appena
bisinuosa. — Calittere e bilancieri giallicci. — Lunghezza mm. 10.
Un solo maschio.
Has. — Solco.
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 533
L. — Gen. DEXIOSOMA.
Ronpani (26), I, p. 85.
112. — Dexiosoma vibrissatum.
Dexiosoma vibrissatum vas per Wutp (6), IL p. 244, 1, tab. V, fig. 13, 13 a.
Due soli maschi che concordano colla descrizione del tipo.
Has. — Messico: Teapa in Tabasco (6), Tuxpango (SumIcHRAST).
LI. — Gen. MICROPHTHALMA.
Macquarr (16), II, 3° part., p. 84, n° 4.
113. — Microphthalma sordida.
Microphthalma sordida Gieuio-Tos (12), p. 8.
Maschio. — Faccia testacea, ocraceo-pollinosa, obliquamente ritratta ; vibrisse
superiori molto lungi dal margine boccale; guancie molto larghe, nude. — Fronte
molto sporgente, nera ai lati, osservata di profilo, e pelosa fino al margine inferiore
degli occhi; ocraceo-pollinosa vista dal di sopra; striscia mediana fulva; una sola
serie di setole per ogni parte, che discende fin oltre la base delle antenne. — Occhi
piccoli, nudi. — Antenne giallo-fulve ; il terzo articolo sottile, nero nella metà api-
cale; stilo breve, nero, ingrossato nella sua metà basale, pubescente nel resto. —
Torace e scudetto neri, leggermente cinereo-pollinosi specialmente ai lati del torace
prima della sutura; le striscie nere quasi indistinte. — Addome nero, fulvo rossiccio
ai lati del secondo e terzo segmento e su quasi tutto il quarto; alla base di ogni
segmento una fascia cenerino-gialliccio-pollinosa che occupa la metà della lunghezza
del segmento; due setole dorsali e laterali sul secondo segmento ed una serie sul
terzo solamente marginali; sul quarto alcune anche discali. — Ventre nero nel mezzo,
rossiccio ai lati. — Piedi neri, pelosi e setolosi; uncini e pulvilii lunghi; pulvilli
giallicci. — Al un po’ grigie; cellula apicale aperta presso all'apice dell’ala; vena
quarta longitudinale con una lunga appendice al gomito; vena trasversa apicale con-
cava alla base, quindi molto obliqua; piccola vena trasversa posta quasi nel mezzo
della cellula discale, ed a margini offuscati; vena trasversa apicale fortemente bisi-
nuosa. — Calittere gialliccie. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 10-11.
Due maschi in cui la colorazione dell'addome è un po’ diversa, ma che sono simili
nel resto; altri due paiono formare una specie distinta, ma sono mal conservati e
non si possono descrivere.
Has. — Mexico (Truqui), Toluca (SAUSSURE) (BoucaARD).
534 DITTERI DEL MESSICO
LI. — Gen, MEGAPARIA.
van DER Wutp (6), II, p. 240.
114. — Megaparia venosa.
Megaparia venosa, van per WutP (6), II, p. 240, 1, tab. V, fig. 9, 9a.
Due femmine che differiscono appena dalla descrizione del van per WutP (la
proboscide ed i palpi non visti da quell’autore sono l’una nera, gialla all’apice, gli
altri assai brevi e gialli) e due maschi, non descritti, alquanto vari nella colorazione,
ma distinti dalle femmine per dimensioni maggiori (lunghezza mm. 12 circa).
Ha. — Messico: Ciudad in Durango (6), Mexico (CrAvERI).
LII. — Gen. STOMATODEXIA.
Brauer e Beroenstamm (7), I, p. 125.
115. — Stomatodexia quadrimaculata.
Dexia quadrimaculata Waxxer (38), p. 319.
Due sole femmine differenti dal maschio descritto da WALKER per avere sul
fronte due setole orbitali, per la mancanza di macchie nere laterali sull’addome, che
è ovato e più largo del torace. Le ali e le calittere sono gialliccie.
Has. — Brasile (38) — Mexico (TRUQUI).
116. — Stomatodexria cothurnata.
Stomoxys cothurnata Wrepemann (40), IL, p. 249, n° 5.
Prosena maculifera Bisor (5), p. 264, 55.
Stomatodexia cothurnata Braver e BercenstAm (7), I, p. 125, tab. VII, fig. 195.
— van DER Wurr (6), II, p. 239, 1.
Due maschi e tre femmine.
Has. — Brasile (40) — Messico (5): Acapulco, Acaguizotla, Rincon, Rio Papa-
gaio e Chilpancingo in Guerrero, Atoyac in Vera Cruz, Santiago Iscuintla in Ialisco (6),
Orizaba (SumicHRAST).
117. — Stomatoderia similigena.
Stomatodexia similigena van per Wutr (6), II, p. 239, 2.
Quattro maschi e due femmine.
Has. — Messico: Amula in Guerrero (6), Orizaba (SumicaRAsT), Oaxaca (SALLÉ).
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 995
LIV. — Gen. THELAIRODES.
van DER Wut (6), II, p. 257.
118. — Thelairodes basalis.
Thelairodes basalis Gisuio-Tos (12), p. 3.
Femmina. — Faccia con riflessi sericei argentini. — Pulpi gialli (la probo-
scide è nascosta). — ronte larga quasi quanto gli occhi con riflessi argentini vista
dal di sopra, bruniccia vista di fianco; striscia mediana assai larga, nera; due setole
orbitali. — Antenne lunghe quasi quanto la faccia, gialle; il terzo articolo lineare,
almeno quadruplo del secondo, bruno nella metà apicale; stilo piumoso. — Torace,
petto e scudetto neri, coperti uniformemente di pollinosità bianca a riflessi d’argento.
— Addome sub-conico, acuto, nero, con larghe fascie basali bianco-argentine sui seg-
menti secondo, terzo e quarto; il primo segmento grande quanto il secondo, tutto
giallo ; nella parte ventrale anche il secondo segmento è giallo ; setole solo margi-
nali. — Piedi coi femori e le anche gialli; tibie brune; tarsi neri; uncini e pulvilli
molto piccoli. — Ali gialliccie lungo la costa; vene trasverse apicale e posteriore
oblique e leggermente ondulate; prima vena longitudinale cigliata per un buon tratto
verso l'estremità; la terza vena longitudinale con poche ciglia solo alla base. —
Calittere bianchiccie. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 8.
Una sola femmina.
HaB. — Senza indicazione di località messicana (BovcaRp).
LV. — Gen. CHAETONA.
van DER Wuxp (6), II, p. 253.
119. — Chaetona cruenta.
Chaetona cruenta Giavio-Tos (12), p. 3.
Femmina. — Faccia gialliccia, verticale; epistomio appena sporgente; guancie
nude. — Proboscide e palpi gialli. — Fronte gialliccia ai lati, larga al vertice quasi
quanto gli occhi; striscia frontale assai larga, gialla; due setole orbitali. — Antenne
al di sopra del mezzo degli occhi, gialle; il terzo articolo triplo del secondo, lineare,
stretto, bruno verso l'estremità; stilo lungo. — Occhi grandi, nudi, discendenti al-
quanto al di sotto delle vibrisse. — Torace nero, coperto di pollinosità gialliccia assai
densa; due striscie mediane e due laterali un po’ più larghe, interrotte alla sutura,
nere, ben distinte; un’altra mediana appena accennata davanti alla sutura; petto e
pleure grigio-pollinosi. — Scudetto testaceo-bruniccio. — Addome ovato, nero; i seg-
menti secondo, terzo e quarto con una fascia stretta basale di pollinosità bianchiccia;
596 DITTERI DEL MESSICO
ai lati dell'addome presso alla base due larghe macchie rosso-mattone, che occupano
quasi tutto il secondo e primo segmento, lasciando solo una striscia mediana nera;
apice dell'addome anch'esso rosso-mattone. — Piedi coi femori gialli fuorchè l’estre-
mità dei posteriori che è nera; tibie brune, tarsi neri; uncini e pulvilli piccolissimi.
— Ali quasi limpide; la vena trasversa apicale concava alla base; la piegatura della
vena quarta longitudinale fortemente ricurva; vena trasversa posteriore obliqua e
leggermente sinuosa. — Calittere e bilancieri bianchieci. — Lunghezza mm. 8.
Una sola femmina che per alcuni caratteri della faccia e delle ali si allontana
un po’ dal genere Chaetona.
Has. — Senza indicazione di località messicana (BoucaArp).
LVI. — Gen. APORIA.
Macquart (16), 1" suppi., p. 168.
120. — Aporia elegans.
(Fig. 15, capo).
Aporia elegans Gisrio-Tos (12), p. 3.
Maschio. — Faccia bianco-argentina, con riflessi sericei, obliquamente ritratta;
epistomio non sporgente; vibrisse inserite al margine orale; guancie alte quanto un
terzo dell'altezza degli occhi, sparse di pochi peli neri nella parte più bassa. — Pro-
boscide nera, con labbra grandi; palpi bruno-fulvi, pelosi. — Fronte assai stretta in
alto, un po’ sporgente, argentina ai lati; striscia mediana nera; una sola serie di
setole ai lati di essa discendenti fino alla base delle antenne. — Occhi grandi, pelosi.
— Antenne inserite alquanto al di sotto del mezzo degli occhi, lunghe un po’ meno
della faccia, nere; il primo articolo brevissimo, il secondo doppio del primo, con peli
superiormente di cui uno assai più lungo; il terzo articolo sottile, un po’ più largo
verso l’apice, appena doppio del secondo; stilo lungo, nudo, ingrossato alla base e
sempre più sottile verso l'estremità. — Torace nero, lucente, coperto di pollinosità
argentina densa ai lati e sulle pleure, scarsa nel mezzo; due striscie mediane nere
sottili ben distinte anteriormente, e due altre laterali assai più larghe, un po’ con-
fuse e interrotte alla sutura. — Scudetto nero, grigio pollinoso fuorchè alla base. —
Addome lungo, conico, nero, lucente, con tutti i segmenti uguali o quasi; una larga
fascia cenerino-pollinosa alla base dei segmenti secondo e terzo; oltre alle setole
marginali anche due discali accoppiate sul dorso del secondo e terzo segmento e
parecchie sul quarto. — Ventre bruno-nero a riflessi bianco-pollinosi. — Piedi neri;
i femori anteriori e mediani cenerino-pollinosi dal lato posteriore: tibie posteriori
robuste e’ ferruginee; uncini e pulvilli lunghi, pulvilli giallicci. — Ali gialle nella
metà basale; nella metà apicale intensamente brune; il margine posteriore e la por-
zione centrale delle cellule apicale e discale ialini; una breve spina alla costa;
vena quarta longitudinale brevemente appendicclata alla sua piegatura; vena tras-
versa apicale appena concava alla base; vena trasversa posteriore leggermente bisi-
nuosa. — Calittere grandi, bianche. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 14.
Un solo maschio.
Has. — Tuxpango (SUMICHRAST).
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 537
LVII. — Gen. CORDYLIDEXIA.
Cordyligaster Macquart (16), II, 3° part., p. 90, 8.
121. — Cordylidexia minuscula.
Cordyligaster minuscula van per Wure (6), II, p. 252, 1, tab. VI, fig. 7, 7a.
Un solo esemplare maschio mancante di addome, ma in tutte le altre parti cor-
rispondente alla descrizione di questa specie.
Il nome generico usato da Macquart venne da me cambiato perchè già occupato
fin dal 1820 per indicare un genere di Libellulidi.
Has. — Messico: Rio Papagaio e Tierra Colorada in Guerrero, Teapa in Ta-
basco (6), Orizaba (SUMIcHRAST).
SARCOPHAGINAE
LVII. — Gen. PHRISSOPODA.
Macquarr (16), II, 3° part., p. 96.
122. — Phrissopoda praeceps.
Sarcophaga praeceps Wiepemanx (40), IL p. 355, 1.
Peckia imperialis Rogixeau-Desvomy (21), p. 335, 1.
Phrissopodia imperialis Macquart (15), II, p. 223, 1.
Phrissopoda imperialis Macquare (416), II, 3° part., p. 96.
Sarcophaga fortipes WaALker (39), p. 43.
Phrissopoda praeceps Wiusroy (41), p. 307. — Braver e BeroensrAmm (17), I,
p. 124.
Un solo maschio mancante di capo ma ancora determinabile, e indicato in col-
lezione col nome di P. imperialis.
. Has. — Cuba (40, 21) — Haiti (39) — San Domingo (41) — Port Jackson nella
Nuova Olanda (16) — Mexico (SALLÉ).
1239. — Phrissopoda immandis.
Sarcophaga immanis W aLker (37), Part IV, p. 815.
WALKER descrisse solamente la femmina di questa specie; il maschio differisce
per il corpo notevolmente più lungo, per avere il capo ed il fronte più larghi, lo
Serie II. Tom. XLIV. R°
598 DITTERI DEL MESSICO
stilo delle antenne più lungamente piumoso; il terzo articolo delle antenne interna-
mente fulvo alla base, come anche in taluna femmina; i piedi inferiormente coperti
di peli lunghi e fitti specialmente sulle tibie mediane e posteriori; gli uncini dei
tarsi molto più lunghi, ed i pulvilli più grandi; l'addome oblungo, sub-conico, peloso,
tessellato di pollinosità bruno-fulva, un po’ gialliccia alla base ed ai lati dei segmenti;
l’ipopigio grande, sporgente, peloso, di color bruno-rugginoso lucente. — Lunghezza
mm. 19-22.
Quattro maschi e tre femmine (Un maschio fu trovato a Vera Cruz nel corpo
di un granchio morto).
Has. — Honduras (37) — Mexico (SALLE).
124. — Phrissopoda plumipes.
Peckia plumipes Rosmeav-Desvomy (21), p. 336, 4.
Sarcophaga intermutans WALKER (39), p. 41.
Quattro maschi ed una femmina.
Has. — Haiti (21) — Messico (39): Mexico (SALLÉ).
125. — Phrissopoda lamanensis.
Peckia lamanensis Rosinzav-Desvomy (21), p. 335, 2.
Un maschio ed una femmina.
Has. — Lamana (21) — Mexico, Orizaba (SumicHRAST).
LIX. — Gen. SARCOPHAGA.
Mercen (18), V, 14 (1826).
126. — Sarcophaga obsoleta.
Sarcophaga obsoleta Wieprmann (40), II, p. 367, 29.
Sarcophagula obsoleta van per Wutp, T'ijdschr. v. Entomol., XXX, p. 178 (1887).
Qualche esemplare di ambi i sessi che riferisco dubbiamente a questa specie
stante la troppo breve descrizione del WIEDEMANN.
Has. — Indie Occidentali (40) — Messico: Tuxpango (SUMICHRAST).
127. — Sarcophaga spinigena.
Sarcophaga spinigena Ronpani (27), p. 26.
Un solo maschio, che presenta però la spina alare poco sviluppata.
Has. — Valdivia (27) — Messico: Orizaba (SumicHRAST).
rm
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 539
128. — Sarcophaga plinthopyga.
Sarcophaga plinthopyga Wirepemann (40), II, p. 360, 10. — Watker? (86),
p. 352, 57. — Réoprr (22), p. 346.
Molti individui dei due sessi varianti nella statura e nella colorazione della pol-
linosità del corpo dal bianco al giallo.
HaB. —- Indie occidentali: Isola di S. Tomaso (40) — Portorico (22) — S. Ca-
terina (36) — Messico: Orizaba, Tuxpango (SumicHRAsT, SAUSSURE, BoucaARD).
Vennero inoltre descritte le seguenti specie del Messico:
Sarcophaga trivittata Macquart, Dipt. exot., II, 3° partie, p. 105.
Id. trigonomaculata Id., ibid., p. 106.
Id. perneta WALKER, Trans. ent. Soc. London, V, n. s., P. VII, p.41.
Id. innota Id., ibid., p. 41.
Id. conclausa Id., ibid., p. 42.
Id. — despensa Id, ibid., p. 42.
Id. effrenata Id., ibid., p. 42.
540
14.
15.
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DITTERI DEL MESSICO
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Enrica
ba
18.
dio,
24.
25.
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INDICE ALFABETICO DELLE SPECIE
Acaulona costata
Acroglossa tessellata .
Ancylogaster armatus .
Anisia nigella
Id. opaca .
Aporia elegans .
Belvosia analis
Id. bella
Id. leucophrys
Id. leucopyga.
Id. rufipalpis .
Id. Weyenberghiana
Blepharipeza leucophrys .
Id. rufipalpis
Blepharipoda mexicana .
Chaetogena carbonaria
Id. cincta .
Id. gracilis
Chaetona cruenta
Cistogaster ferruginosa
Id. variegata .
Clistomorpha ochracea
Cordylidexia minuscula .
Cordyligaster Id.
Cryptopalpus hystrix .
Cyrtophloeba horrida .
Degeeria anthracina
Id. cruralis
Id. dicax
Id. insecta.
Id. mexicana.
Dejeania aurea .
Id. corpulenta
Id. rufipalpis.
Id. vexatrix .
Dexia quadrimaculata.
Dexiophana aemulans .
Dexiosoma vibrissatum
Dictya pennipes .
DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS
Pag.
477
505
479
521
922
536
499
500
499
500
499
; 500
. 498-499
. 498-499
503
501
502
503
595
475
476
523
537
537
495
510
517
519
519
518
516
490
490
490
490
534
521
533
477
Echinomyia analis .
Id. cinerascens
Id. Cora.
Id. dispar .
Id. filipalpis
Id. haemorrhoa .
Id. macrocera.
Id. robusta
Id. seminigra .
Epalpus rubripilus .
Exorista latimana .
Id. rufilatera .
Id. trivittata .
Fabricia infumata .
Gymnomma discors
Id. novum
Gymnosoma — ?
Hemyda armata .
Hermya afra . -
Homodexia triangulifera .
Hypostena blandita
Id. concinna
Id. triangulifera .
Hystrichodexia aurea .
Id. brevicornis .
Id. formidabilis.
Id. mellea
Id. pseudohystricia
Id. —_ ?
Hystricia ambigua .
Id. amoena .
Id. micans
Id. nigriventris .
Id. pollinosa .
Id. pyrrhaspis
Id. rufipes.
Id. SOror .
Hystrisiphona bicolor .
Id. niger
Id. nigra
Id. pseudohystricia .
043
Pag.
479
480
480
485
480
479
; 480
479-480
484
492
507
507
508
486
488
482
475
479
478
521
521
521
921
529
528
528
528
527
527
496
497
497
495
496
È 498
. 493-494
498
524
524
524
927
044
Jurinia analis.
Id. basalis
Id. chrysiceps .
Id. dichroma
Id. flavifrons
Linnemya aestivalis
Td. analis
Id. borealis .
Id. distinceta .
Id. Heraclei .
Macquartia setiventris
Masicera bilineata .
Id. glauca .
Id. sesquiplex
Id. strigata
Id. vittata.
Id. usta
Masipoda geminata .
Megaparia venosa .
Metopia perpendicularis .
Micropalpus albomaculatus .
DITTERI DEI, MESSICO
Id. analis .
Id. borealis
Id. comptus .
Id. fulgens
Tds Heraclei .
Id. macula
Id. marmoratus .
Id. nigriventris .
Id. rufipes
Microphthalma sordida
Microtrichomma intermedium .
Mochlosoma anale .
Id. lacertosum .
Id. mexicanum .
Id. sericeum .
Musca pennipes .
Myiobia flavicornis .
Myioscotiptera cincta .
Myiothiria trichosoma.
Mystacella rubriventris
Mystacomyia Id.
Nemochaeta (?) aberrans .
Id. chrysiceps
Id. crucia .
Id. dissimilis.
Id. dubia .
Id. incerta
Id. jurinioides .
Id. pernox
Id. seminigra
Nemorea intermedia
Neoptera rufa.
Pag.
484 Ocyptera atra
489 Id. binotata .
487 Id. Dosiades .
489 Id. Euchenor.
487 Id. minor .
Id. simplex
481 Id. soror
481 Oestrophasia clausa
481 Sage E
481 Peckia imperialis
481 Id. lamanensis .
Id. plumipes.
Peleteria robusta
520 Penthosia satanica .
513 Phasia jugatoria .
516 Phasiopteryx ochracea
513 Id. Bilimeckii .
515 Phorocera atriceps .
515 Id. parvula”.
514 Phrissopoda immanis .
507 Td. imperialis
594 Id. lamanensis .
513 Id. plumipes .
494 Id. praeceps .
481 Phrissopodia imperialis. .
Manto Plagia americana
481-482 Id. dicta .
.481-482 Id. mexicana
481 Prosena brevicornis
494 Id. curvirostris
482 Id. lacertosa
495 Id. maculifera.
492 Id. mexicana .
538 Id. obscura.
488 Id. tessellans .
525 Prospherysa aemulans.
525 Pseudohystricia ambigua.
527 Pyrrhosia ochracea .
526
477 Rhamphinina anthracina .
520 Id. formidabilis
532 Id. major
524 Rhinophora laevigata .
507 Rhynchodexia angulata
507 Id. anthracina.
Id. fraterna
Id. major
488 Id. rubricornis
487 Id. scutellata .
486
484 Sarcophaga conclausa .
485 Id. despensa .
484 Id. effrenata .
488 Id. fortipes
486 Id. immanis .
484 Id. innota .
483 Id. intermutans .
522 Id. obsoleta .
Pag.
473
473
473
473
474
473
473
922
587
538
538
479
477
477
522
522
511
511
587
537
538
538
537
537
511
512
912
528
531
925
984
527
530
527
521
496
522
530
523
530
523
530
550
531
530
530
530
539
539
539
937
537
359
538
588
e rioni
‘ Sarcophaga perneta
Id. plynthopyga .
Id. praeceps .
Id. spinigena .
Id. trigonomaculata
Id. trivittata .
Sarcophagula obsoleta
Saundersia albomaculata .
Id. aurea
Id. bicolor . ne:
Id. bipartita |...
Id. Jaennickei
Id. macula . SIN
Id. (Epalpus) macula .
Id. nigriventris . . . .
Id. (Epalpus) nigriventris
Id. picea
Id. rubripila .
Id. rufipes .
Id. rufitibia
Id. rufopilosa .
Scopolia satanica
Scotiptera (?) cyanea .
Stomatodexia cothurnata.
Id. quadrimaculata .
Id. similigena .
Stomoxys cothurnata .
Tachina Amisias
Serig II. Tom, XLIV.
DEL DOTT.
Pag.
539
539
537
588
539
539
538
494
491
493
493
492
494
494
495
495
495
o 492
- 492-494
495
492
477
531
534
DS4
534
934
498
E. GIGLIO-TOS
Tachina Anthemon.
Id. (Jurinia) basalis.
Id. Id. chrysiceps
Id. compta.
Td. corpulenta.
Id. divisa
Id ttulcens i
Id. (Blepharipeza) latifrons .
Id. leucophrys
Id. marmorata Zena
Id. (Blepharipeza) nigrorufa .
Id. pyrrbaspis.
Id. robusta.
Id. seminigra .
Tachinodes dissimilis .
Id. robusta
Id. seminigra .
Thelairodes basalis .
Thereva lanipes .
Tricholyga gracilens
Id. insita
Trichopoda lanipes.
Id. pennipes .
Id. pyrrhogaster .
Tropidopsis pyrrhaspis
Xanthomelana articulata .
545
Pag.
498
489
487
481
490
484
481
499
498
481
499
498
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484
479
484
580
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509
476
477
476
495
474
6
10
11
11
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
9:
DITTERI DEL MESSICO DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
. Penthosia satanica Bieor (capo) è.
. Gymnomma novum —Gieio-Tos (capo) °.
. Nemochaceta incerta ; LIO;
. Saundersia aurea È MEO,
. Nemochaeta jurinioides d a)
. Belvosia bella ” MiO:
T: ROBIOR 6 n (ano) °.
. Chaetogena gracilis 5 (antenna) 9.
. Nemochaeta dubia Ù È Ò
ù aberrans di (capo) 9.
. Saundersia picea A DILNMIOÌ
. Cyrthophloeba horrida È a 05
a. 5 o Ù (ala) è.
Xanthomelana articulata van DeR WuLP (capo) è.
Plagia mexicana Grezio-Tos (capo) 9.
Myioscotiptera cincta n ibi)
Aporia elegans di o)
Tricholyga gracilens Ù TS:
Hystrisiphona bicolor " RIO
Blepharipoda mexicana —, Mt Ro
Chaetogena carbonaria , a MRiOì
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72
“È
UCCELLI DEL SOMALI
RACCOLTI
DA
D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI
DESCRITTI
DA
TOMMASO SALVADORI
Memoria approvata nell'adunanza del 14 Gennaio 1894.
Nell'anno 1891 D. Eugenio dei Principi Ruspoli fece un viaggio di esplorazione
nel paese dei Somali; di questo viaggio si trovano notizie in alcune lettere pubbli-
cate nel Bollettino della Società Geografica Italiana per gli anni 1891 (pp. 738,
983, 1012) e 1893 (p. 689 con cartina dell'itinerario).
Il Ruspoli, durante il viaggio, ebbe cura di raccogliere animali, e la collezione
degli Uccelli egli volle affidare ai miei studii fin dal 1892; altri lavori, pei quali
io doveva, appunto in quel tempo, recarmi a Londra, m’'impedirono prima d'ora di
compiere lo studio affidatomi.
Come è noto, il Somali è una vasta penisola dell’Africa orientale, che si
protende verso oriente nell'Oceano Indiano e che è compresa fra il 9° parallelo nord
e l’Equatore.
L’Avifauna del Somali è molto incompiutamente conosciuta. Il primo uccello che si
conobbe del Somali è il Oynniris albiventris descritto nel 1852 dallo Strickland (1).
Poscia apparve un Catalogo di una collezione di 36 specie di Uccelli raccolti dallo
Speke, pubblicato nel 1855 dal Blyth (2), il quale vi descrisse tre specie nuove,
che son sempre rimaste rarissime nelle collezioni (Spreo albicapillus, Passer casta-
nopterus, Sipheotides humilis).
Lo Speke (3) nel 1860 publicò alcune notizie intorno ai costumi ed alla distri-
buzione delle specie da lui raccolte nel Somali e menzionate dal Blyth.
Il lavoro del Blyth, coll’aggiunta delle note dello Speke, fu ripubblicato a parte
per cura dello Sclater (4) nell’anno 1860.
(1) “ On a New Species of Nectarinia , (Contr. Orn. 1852, pp. 42, 43, pl. vxxxvi).
(2) “ Report on a Zoological Collection from Somdli Country , (J. A. S. B. XXIV, Aves,
pp. 298-305).
(3) “ On Birds collected in the Somali Country , (Ibis, 1860, pp. 243-248, pl. vi).
(4) Report on a Zoological Collection from the Somali Country, by Epwarp BLyra, Curator of
the Royal Asiatic Society"s Museum, Calcutta. Reprinted from the twenty-fourth volume of the
Journal of the Asiatic Society of Bengal, with Additions and Corrections by the Collector Jonn
Hannine Spege, Capt. Bomb. Nat. Inf., F. R. G. S., ete., London, 1860.
548 TOMMASO SALVADORI
L’Heuglin (1) nel 1859 menzionò alcune specie della costa settentrionale del
Somali, in un lavoro intorno agli Uccelli osservati e raccolti durante un viaggio
nel Mar Rosso; alcune specie nuove da lui scoperte furono denominate e descritte
dall’Hartlaub nello stesso lavoro (Sylvia delicatula, Lanius somalicus, Otis heuglini).
L’Oustalet (2) nel 1881 pubblicò un breve lavoro contenente la descrizione di
due nuove specie del Somali (Tockus deckeni ed Eupodotis gindiana) e nell’anno suc-
cessivo, 1882 (3), pubblicò un altro lavoro intorno a 21 specie di Uccelli raccolti dal
Revoil nel Somali, e fra essi una specie era nuova, cioè il Merops rewvoili.
Lo Shelley (4) nel 1882, in un lavoro intorno ad una collezione di uccelli rac-
colti dal Kirk nell’Africa orientale, menzionò due specie del Somali il Circaetus
cinereus ed il Melierax poliopterus.
Il keichenow (5) nel 1883 descrisse lo Struthio molybdophanes.
Lo Shelley (6) nel 1885 pubblicò il Catalogo degli Uccelli raccolti dal Lort nel
Somali; essi appartengono a 66 specie, delle quali vennero descritte come nuove le
seguenti: Coracias lorti, Dryoscopus ruficeps, Telephonus jamesi, Argya aylmeri, Saxi-
cola phillipsi, Parus thruppi, Cursorius gallicus somalensis.
Nel 1886 l’Hartlaub (7), correggendo una erronea identificazione dello Shelley,
descrisse una nuova specie del genere Trachyphonus, che chiamò T. shelleyi.
Finalmente in un lavoro intorno agli “ Uccelli raccolti durante il viaggio della
Corvetta Vettor Pisani negli anni 1879, 1880 e 1881 , io ed il Giglioli (8) pubbli-
cammo una Lista di 13 specie di Uccelli del Somali, raccolti presso Durderi.
Altre specie del Somali si trovano sparsamente descritte in altri lavori e spe-
cialmente nei recenti volumi del Catalogue of Birds in the British Museum (I-XXILI).
La collezione di uccelli fatta dal Ruspoli consta di 183 esemplari appartenenti
a 77 specie e quindi è la più ricca che sia stata portata finora in Europa; essa non
contiene molte specie nuove, giacchè quattro soltanto si possono considerare come tali
(Trachyphonus uropygialis, Lagonosticta somaliensis, Dienemellia ruspolii e Lamprotornis
viridipectus), tuttavia essa serve ad estendere le nostre cognizioni intorno alla distri-
buzione geografica degli Uccelli dell’Africa orientale, giacchè molte delle specie
raccolte non erano state trovate finora nel Somali, e si conoscevano soltanto dello
Scioa, o di regioni più meridionali.
Disgraziatamente il Ruspoli non ha unito agli esemplari alcun cartellino indi-
cante le esatte località, nelle quali essi sono stati raccolti; tuttavia egli ha creduto
(1) “ List of Birds observed and collected during a Voyage in the Red See , (Zbis, 1859,
pp. 337-352, pls. x, x1).
(2) “ Oiseaux nouveaux de l’Afrique Orientale , (Bu. Soc. Philom. de Paris, 1881, pp. 160-168).
(3) Revoil, Faune et Flor. Gomalis, Oiseaux (Estratto, pp. 1-14).
(4) © A Second List of Birds recently collected by Sir John Kirk in Fastern Africa , (P. Z. S.,
13882, pp. 304-310, pl. xvm).
(5) “ Ueber einen neuen Strauss , (Sonntagsbl. Norddeutsch. Allgem. Zeit., n° 37,16 Sept.); “ Immer
Neues aus Africa , (Mitth. Orn. Ver. Wien, 1883, p. 203, Taf.).
(6) © On Mr. E. Lort Phillips's Collection of Birds from Somali-land , (Ibis, 1885, pp. 389-418,
pls. x1, x1r, xml).
(7) “ On a New Species of Barbet of the Genus Trackyphonus , (Ibis, 1886, pp. 105-112, pl. v).
(8) “ Memorie R. Acc. Sc. Tor. ,, ser. II, t. XXXIX, pp. 101-104 (1888).
UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 549
di poter dare a memoria per molti esemplari le indicazioni mancanti. Molti dei
luoghi che si troveranno menzionati nel seguente Catalogo, non sono indicati nelle
relazioni del viaggio publicate nel Bollettino della Società Geografica e nella Cartina
che accompagna dette relazioni; il Prof. Dalla Vedova, Segretario della Società
Geografica Italiana, al quale mi sono rivolto per schiarimenti intorno ai luoghi men-
zionati nel presente lavoro, mi ha dato le seguenti indicazioni, delle quali gli sono
gratissimo :
Monti Golis (orlo montuoso verso il golfo di Aden dalla parte interna).
Oduin (pianura a Nord dell’Ogaden).
Uebi, fiume che più a valle di Ime, fra gli Scebeli, chiamasi Uebi Scebeli.
Valle di Hento, sulla destra dell’Uebi, poco a valle di Ime.
Valle Habir, sulla sinistra dell’Uebi presso Ime.
Montagne di Lido, sulla sinistra dell’Uebi, a valle di Ime.
Duxi Catabel, sulla destra dell’Uebi Scebeli, a sud di Barri.
Non sono riuscito ad avere precise. indicazioni intorno ai luoghi: Banan o
Barsan, Altipiano di Ghilai, Mandera, F. Adadle, Aduma e Gurat.
Nella cartina menzionata si trovano segnati Uarandab, Ogaden, Uebi e Bessera,
quest’ultimo sulla destra dell’Uebi a valle di Ime.
A me corre l’obligo gradito di ringraziare l’ egregio viaggiatore per la fiducia
in me riposta, affidandomi lo studio della sua collezione ornitologica, e di fargli qui
i più vivi augurii affinchè egli riesca a condurre a felice compimento il nuovo
viaggio, che egli intraprese nell’ anno decorso nello stesso paese dei Somali (Boll.
Soc. Geogr. Ital., 1893, pp. 668, 708 con cartina) colla nobile ambizione di spingersi
verso il Lago Rodolfo. A quanto pare, anche in questo secondo viaggio il Ruspoli
non tralascia l'occasione di mettere insieme preziose collezioni zoologiche, botaniche
e mineralogiche, che saranno argomento di nuovi studii. Colle nuove collezioni si
potranno avere maggiori materiali per definire il carattere della fauna del Somali,
che sembra costituire una provincia zoologica ben distinta dell’Africa Orientale.
Torino, Museo Zoologico, gennaio 1894.
550 TOMMASO SALVADORI
1. Lophogyps occipitalis (Burc4x.).
Lophogyps occipitalis, Sharpe, Cat. B. I, p. 15 (1874). — Gurn., List Diurn. B. of Prey, p. 6 (1884).
a, 6. (ad.). Banan.
Ambedue gli esemplari sembrano adulti, ma uno ha le remiganti secondarie
bianche, mentre l’altro le ha di color grigio scuro; ambedue sono notevoli per avere
il piumino formante il ciuffo occipitale e le piume bianche delle tibie e delle ali
tinti di roseo, probabilmente dovuto a qualche ocra delle roccie frequentate dai
medesimi.
2. Poliohierax semitorquatus (SwTH).
Poliohierax semitorquatus, Sharpe, Cat. B. I, pp. 370, 459 (1874). — Gurn., List Diurn. B. of Prey,
p. 94 (1884); Shell., Ibis, 1885, p. 391 (Somali).
a. Uarandab.
Esemplare col dorso castagno.
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‘3. Melierax poliopterus (CaB.).
Melierax polyzonus, Blyth (nec Riipp.), J. A. S. B. XXIV, p. 298 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860,
p. 244 (Somali). — Blyth and Speke, Report Coll. Somali Country, p. 9 (1860).
Melierax poliopterus, Sharpe, Cat. B. I, p. 88 (1874). — Shell., P. Z. S. 1882, p. 805 (Somali). —
Gurn., List Diurn. B. of Prey, p. 26 (1884).
a. (ad.). Somali.
4. Bubo lacteus (Temm.).
Bubo lacteus, Sharpe, Cat. B. II, p. 83 (1875). — Shell., Ibis, 1885, p. 392 (Somali).
a, b, c. Uarandab, Faf e Banan.
5. Bubo cinerascens, GuER. Ù
Bubo africanus, Blyth (nec Temm.), J. A. S. B. XXIV, p. 298 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, ©
p. 244 (Somali). — Blyth and Speke, Report Coll. Somali Country, p. 9 (1860).
Bubo cinerascens, Sharpe, Cat. B. II, p. 32 (1875).
a. (ad.). Altipiano di Ghilai.
6. Scops leucotis (Temw.).
Scops leucotis, Sharpe, Cat. B. II, p. 97 (1875).
a, db, c. (ad.). Duxi Katabel.
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UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 551
7. Carine spilogastra (Hruot.).
Noctua spilogastra, Heugl., Orn. N. O. Afr., I, p. 119, tab. IV (1869-74).
Carine spilogastra, Sharpe, Cat. B. II, p. 138 (1875). — Salvad. e Gigl. Mem. R. Ac. Sc. Tor. (2) XXXIX,
p. 101 (Durderi, Somali) (1888).
Carine glaux, Shell. (nec Savigny), Ibis, 1885, p. 392 (Somali).
a, 6, c. (ad.) Duxi Katabel ed Habir.
Piccola specie, che mi sembra distinta dalla O. glaux (SAVIGNY).
8. Posocephalus rufiventris (RipP.).
Peocephalus rufiventris, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 298 (1855) (Somali). — Speke, Ibis, 1860, p. 243.
— Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 9 (1860). — Shell., Ibis, 1885, p. 393. — Salvad.,
Cat. B. XX, p. 372 (1891).
a-g. Cinque maschi e due femmine adulti. Sud dei Monti Golis.
9. Trachyphonus shelleyi, HartTL.
Trachyphonus erythrocephalus, Shell. (nec Cab.), Ibis, 1885, p. 394 (Somali).
Trachyphonus shelleyi, Hartl., Ibis, 1886, pp. 105, 111, pl. V (Somali). — Shell., Cat. B. XIX,
p. 103 (1891).
a. Somali.
Esemplare adulto simile alla figura data dall’Hartlaub.
10. Trachyphonus uropygialis, nov. sp.
Trachyphonus T. boehmi F. et R. simillimus, sed supracaudalibus lateralibus coc-
cineis, mediis, apicalibus et basalibus flavis.
Pileo subcristato nigro, plumis nonnullis posterioribus apice flavis; capîtis et colli
lateribus gulaque laete sulphureo-flavis, nigro minutissime maculatis; plumis nonnullis
supraciliaribus, genarum et menti flavo-rubentibus; collo postico fusco, plumarum apice
flavo-sulphureo, strictissime nigro-limbato; interscapulio, alarum tectricibus, scapularibus,
remigibusque fuscis, maculis plus minusve rotundatis albis notatis; tergo et uropygio
dilute flavis ; supracaudalibus flavis, sed lateralibus coccineis; rectricibus fuscis, in
utroque pogonio albo-flavido maculatis ; scutello gutturali chalybeo-nigro; pectore et epi-
gastrio flavis, maculis minutissimis nigris rarius notatis; fascia pectorali interrupta e
plumis nigris, macula apicali rotundata alba ornatis, composita; abdomine pallide albo-
flavescente; subcaudalibus coccineis; rostro pallide corneo, pedibus nigricantibus.
Long..tot. circa 170 mill.; al. 70 mill.; caud. circa 60 mill.; rostri culm. 17 mill.;
tarsi 22 mill.
a. Somali.
592 TOMMASO SALVADORI
11. Campothera nubica (Gw.).
Dendrohates ethiopicus, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 299 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 244
(Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 10 (1860).
Campothera nubica, Harg., Cat. B. XVIII, p. 93 (1890).
a, b, c. $. (ad.). Mandera.
12. Dendropicus hemprichi (EnrENB.).
Dendromus hemprichii, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 299 (1855) (Somali). — Speke, Ibis. 1860, p. 345
(Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 11 (1860).
Dendropieus hemprichi, Shell., Ibis, 1885, p. 393 (Somali). — Hargitt, Cat. B. XVIII, p. 300 (1890).
a. è. Uebi, Valle Habir.
13. Schizorhis leucogaster (RiipP.).
Chizeris leucogaster, Blyth, J.A.S.B. XXIV, p. 299 (Somali) (1855). — Blyth and Speke, Report Coll.
Somali Country, p. 11 (1890).
Schizorhis leucogaster, Speke, Ibis, 1860, p. 245 (Somali). — Shell., Ibis, 1885, p. 400 (Somali).
a-d. (ad.). Odeuin, Uebi.
14. Colius leucotis, Riipp.
Colius leucotis, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 341, pl. XII, f. 1 (1892).
a, Db, c. (ad. et juv.). Valle di Habir.
Gli adulti hanno la cervice e la parte anteriore del collo con strette fascie
scure ben distinte; nel giovane quelle fascie sono meno distinte.
15. Merops persicus, PaLn.?
Merops persicus, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 66 (1892).
a. (juv.). Habir.
Esemplare giovane colle due timoniere mediane incompiutamente sviluppate, e
poco più lunghe delle laterali; esso è notevole pel colore verde volgente all’ azzur-
rognolo, specialmente sul sopraccoda e sul sottocoda, pei quali caratteri somiglia
al Merops philippinus, Lann.!
16. Merops nubicus, Gm.
Merops nubicus, Shell., Ibis, 1885, p. 397 (Somali). — Sharpe, Cat. B. XVII, p. 85 (1892).
a, 6, c. (ad.). Somali.
UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 953
-
17. Melittophagus cyanostictus, Cas.
Melittophagus cyanostictus, Sharpe, Cat. B. XVI, p. 48, pl. I, f. 3 (1892).
a-d. Uebi, Valle di Hento.
Simili in tutto agli esemplari dello Scioa.
18. Halcyon semiceruleus (Forsk.).
Haleyon semicerulea, Shell., Ibis., 1885, p. 395 (Somali).
Haleyon semiceruleus, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 232 (1892).
a-e. (ad. et juv.). Uebi.
I giovani hanno l'addome ed il sottocoda di color castagno molto più chiaro
che non gli adulti.
19. Irrisor sp.
Promerops senegalensis, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 299 (Somali) (1885). — Blyth and Speke, Report
Coll. Somali Country, p. 10 (1860).
Irrisor senegalensis (Vieill.) Speke, Ibis, 1860, p. 244 (Somali).
Irrisor erythrorhynehus, Shell. (nec Lath.?), Ibis, 1885, p. 395 (Somali).
Irrisor viridis, Salv., Cat. B. XVI, p. 17 (1892).
a-d. Fiume Adadle.
I quattro esemplari sono apparentemente adulti; essi hanno il becco nero, ma
in due la base della mandibola inferiore è tinta di rosso.
Io non riesco ad identificare con certezza gli esemplari suddetti; il Salvin attri-
buisce, almeno nella sinonimia, gli esemplari del Somali all’Irrisor viridis, ma io non
trovo che essi differiscano da quelli dello Scioa, che dal Salvin vengono riferiti
all’I. erythrorhynchus!
20. Rhinopomastes minor (RipP.).
Promerops minor, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 299 (Somali) (1855). — Blyth and Speke, Report Coll.
Somali Country, p. 10 (1860).
Irrisor minor, Speke, Ibis, 1860, p. 224 (Somali). — Oust., in Revoil's Faun. et Flore Gomalis, Ois.,
1882, p. 7 (Somali). :
Rhinopomastus minor, Salv., Cat. B. XVI, p. 26 (1892).
a, b. (ad.). Fiume Adadle e Monti Golis.
Il primo è simile ad un esemplare dello Scioa in abito perfetto; il secondo ha
i lati della testa e le parti inferiori di color bruno.
21. Lophoceros erythrorhynchus (Tex)?
Buceros erythrorhynchus, Heugl., Ibis, 1859, p. 343 (Somali).
Lophoceros erythrorhynehus, Grant, Cat. B. XVII, p. 409 (1892).
Serie IL Tom. XLIV. x;
554 TOMMASO SALVADORI
a, Db. Valle dell’Uebi.
Non sono al tutto certo che gli esemplari suddetti appartengano alla specie
indicata, giacchè hanno i lati della testa interamente bianchi come le parti inferiori,
la prima timoniera esterna quasi interamente bianca, e la seconda pure bianca,
tranne i due quinti della base nera. Mi pare che gli esemplari suddetti siano inter-
medi fra quelli del vero L. erythrorhynchus e quelli del L. damarensis, SusLL.
Il Grant riferisce al L. erythrorhynchus un esemplare di Capangombe (Mossa-
medes), ma uno della stessa località, inviato al Museo di Torino da quello di Lisbona,
ha le macchie bianche delle ali circondate da un margine bruno, anche all’apice, la
quale cosa non è nel vero L. erythrorhynchus, e forse quelli di Capangombe spettano
a specie distinta.
22. Lophoceros flavirostris (RiipP.).
Buceros (Tockus) flavirostris, Blyth, J. A. S..B. XXIV, p. 299 (Somali) (1855).
Buceros flavirostris, Speke, Ibis, 1860, p. 244 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country
p. 10 (1860).
Lophoceros flavirostris, Shell., Ibis, 1888, p. 67. — Grant, Cat. B. XVII, p. 412 (1892).
Tockus flavirostris, Salvad. e Gigl. Mem. R. Ac. Sc. Tor. (2) XXXIX, p. 101 (Durderi) (1888).
a, Db. (ad.). Valle dell’Uebi.
Durante la stampa di questo lavoro il Reichenow ha pubblicato la descrizione
di un Lophoceros somaliensis (Journ. f. Orn. 1894, p. 96) raccolto dal Dr. Hildebrandt
presso Meid nel Somali, e che finora era stato riferito al L. Alavirostris, dal quale
tuttavia differisce per avere la mandibola inferiore tinta di rosso; questa cosa non
si osserva nell’osemplare della Valle dell’ Uebi, che perciò mi sembra debba essere
riferito al L. flavirostris.
23. Coracias garrula, Linx.
Coracias garrulus, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 15 (1892).
a, b. Uarandab e Duxi Kataber.
24. Coracias nevia, DauD.
Coracias nevius, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 24 (1892).
a, d. (ad.). Aduma.
25. Coracias lorti, SHELL.
Coracias lorti, Shell., Ibis, 1885, p. 399 (Somali). — Salvad., Ann. Mus. Civ. Gen. (2), VI, p. 224
(1888) (Scioa). — Sharpe, Cat. B. XVII, p. 20 (1892).
a-j. (ad. et juv.). Regione fra l'Uebi ed il Giuba ed altipiano di Ghilai.
I giovani hanno le due timoniere esterne più brevi delle altre, i colori molto
più sbiaditi, il groppone senza la tinta azzurra indaco, ed il colore violaceo lilla
della gola in alto più sbiadito.
È
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UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 555
-
26. Hirundo rustica, Linn. ‘
Hirando rustica, Sharpe, Cat. B. X, p. 128 (1885). — Id., Mon. Hirund. pts. XVI, XVII (1893).
a. (ad.). Uebi.
Nuova pel Somali.
27. Buchanga assimilis (BecHsr.).
Dierurus lugabris, Ehrenb. — Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 303 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860,
p. 247 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somaly Countri, p. 14 (1860).
Buchanga assimilis, Sharpe, Cat. B. III, p. 247 (1873). — Shell., Ibis, 1885, p. 401 (Somali).
a. Esemplare non adulto colla coda imperfetta e colle cuopritrici inferiori
delle ali e colle piume del sottocoda marginate all’apice di bianco.
28. Lanius dorsalis, Cas.
Lanius (Fiscus) dorsalis, Cab. J. f. O. 1878, pp. 205, 225.
Lanius dorsalis, Oust. in Revoil’s Faun. et Flor. Gomalis, Ois. p. 10 (1882) (Somali). — Shell., Ibis,
_ 1885, p. 401 (Somali). — Salvad. e Gigl. Mem. R. Ac. Sc. Tor. (2) XXXIX, p. 101 (Durderi) (1888).
a, b, c. (ad. et juv.). Banan.
Il giovane ha il pileo con molte piume grigio-brune; il dorso, il groppone ed
il sopraccoda con traccie di fascie scure trasversali, le cuopritrici delle ali e le re-
miganti terziarie coi margini chiari; anche le piume bianche delle parti inferiori
hanno traccie di fascie scure.
Io sospetto che il Lanius somalicus, Hartl., Ibis, 1859, p. 342, incompiutamente
descritto, sia da riferire a questa specie.
29. Rhodophoneus cruentus (H. et E.).
Laniarius cruentus, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 803 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 247
(Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860). — Gadow, Cat. B. VIII,
p. 152 (1883). — Shell., Ibis, 1885, p. 402 (Somali).
a-î. Nove esemplari adulti, quattro col sottogola nero, e cinque senza, questi
avendo tutta la parte mediana della gola rossa.
30. Nilaus brubru (LATH.).
Nilaus capensis (Shaw) — Heugl., Ibis, 1859, p. 342 (Rio Gore presso Berbera, Somali). — Gadow,
Cat. B. VIII, p. 168 (1883).
a. è. Somali.
Esemplare adulto simile in tutto ad altro del Matabele.
556 TOMMASO SALVADORI
31. Monticola saxatilis (Linw.).
Monticola saxatilîis, Seebh., Cat. B. V, p. 13 (1881).
a, b. è ?. Somali.
Esemplari in abito invernale; il maschio è un poco più piccolo di altri d'Europa
in abito corrispondente.
Specie nuova pel Somali.
32. Saxicola leucomela (PatLt.).
Saxicola morio, H. et E. — Seebh., Cat. B. V, p. 872 (1881).
a. Somali.
33. Saxicola phillipsi, SHELL.
Saxicola phillipsi, Shell., Ibis, 1885, p. 404, pl. XII (Somali).
a. (ad.). Somali.
Simile in tutto alla figura citata.
34. Cinnyris hunteri, SueLL.
Cinnyris hunteri, Shell. P. Z. S. 1889, p. 365, pl. XLI, f. 2 (Useri River).
a. $. Mandera, o Monte Golis.
Esemplare adulto, cui bene si attagliano la descrizione e la figura dello Shelley.
35. Cinnyris habessinicus (H. et E.).
Nectarinia- habessinica, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 303 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 247
(Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860). — Oust. in Revoil, Faun. et
Flor. Gomalis, Ois. p. 8 (1882).
Cinnyris habessinicus, Shell, Mon. Nect. p. 205, pl. 63.
a, b. è. (ad.). Mandera, o Monti Golis.
36. Cinnyris albiventris (STRICKL.).
Nectarinia albiventris, Strickl., Contr. Orn. 1852, p. 42, pl. 86 (Ras Assoun, potius Ras Hafoun,
Somali). — Sclat., tom. cit. p. 124 (1852). — Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 303 (Somali) (1855). —
Speke, Ibis, 1860, p. 247 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860).
Cinnyris albiventris, Shell, Mon. Nect. p. 233, pl. 73. — Salv., Cat. B. Strickl. Coll. p. 165
(Tipi) (1882).
Cinuyris venusta, part., Gadow, Cat. B. IX, p. 39 (1884).
a, b. è. (ad.). Mandera, o Monti Golis.
Specie rarissima nelle collezioni, mancante nel Museo Britannico, e della quale
si conoscono soltanto i tipi, maschio e femmina, nel Museo di Cambridge, e gli
esemplari raccolti dallo Speke, che suppongo siano conservati nel Museo di Calcutta.
4
UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 557
37. Tmetothylacus tenellus (Cas.).
Macronyx tenellus, Cab., J. f. O. 1878, pp. 205, 220, tab. II, f. 3 (Taita). — Fischer, J. f. O. 1879
p. 299. — Fisch. et Rchnw., ibid. p. 355 (Kibaradja). — Shelley, P. Z. S. 1881, p. 574 (Lamu).
Tmetothylacus tenelius, Cab., J. f. O. 1879, p. 488.
Anthus tenellus, Sharpe, Cat. B. X, p. 618 (1885).
a-d. (ad. et juv.). Montagne di Lido.
La figura di questa specie (loc. cit.) mostra la fascia pettorale nera più stretta
di quello che non sia negli esemplari adulti soprannoverati.
Questa specie è notevolissima, oltre che pel suo colorito, per avere i tarsi infe-
riori nudi, pel quale carattere il Cabanis ha creduto di doverne fare il tipo di un
genere distinto, che è stato ommesso nel vol. X del “ Catalogue of Birds ,.
Il giovane ha le parti superiori di color bruno pallido, coi margini delle piume
più chiari, le parti inferiori di color fulvo con una lieve tinta gialla sull’addome;
le cuopritrici inferiori delle ali gialle, le remiganti con un sottile margine giallo
esterno e largo verso la base del vessillo interno; la coda è bruna, ma le due timo-
niere esterne sono in gran parte gialle; il tarso (0,029) è un poco più lungo che
non negli esemplari adulti!
38. Motacilla boarula, Linn.
Motacilla melanope, Pall. — Sharpe, Cat. B. X, p. 497 (1885).
a. (ad.). Somali.
Esemplare in abito invernale.
Lo Sharpe (loc. cit.) non menziona l'Africa nell’Habitat di questa specie.
39. Linura fischeri (Rcuanw.).
Vidua fischeri, Shell., Ibis, 1886, p. 342. — Salvad. e Gigl., Mem. R. Ac. Sc. Tor. (2) XXXIX, p. 103
(Durderi) (1888).
Linura fischeri, Salvad., Ann. Mus. Civ. Gen. (2), VI, p. 104 (1888). — Sharpe, Cat. B. XIII,
p. 210 (1890).
a-e. $. (ad.). Regione dei laghi a sud del Deserto di Ogaden.
40. Lagonosticta somaliensis, sp. nov.
Lagonosticta L. brunneicipiti Sharpe, similis, sed colore rubro magis roseo, et
dorsum tectricesque alarum quoque tingente.
a. è. (ad.). Somali.
Esemplare adulto col mezzo del pileo e coll’occipite di color bruno, lievemente
tinto di roseo; esso differisce dagli esemplari dello Scioa per avere il colore rosso
della testa, del collo, delle parti superiori e del petto, decisamente roseo, e che
colora anche il dorso e le cuopritrici delle ali.
558 TOMMASO SALVADORI
41. Dinemellia dienemelli (RiPp.).
Textor dienemelli, Shell., Ibis, 1885, p. 409 (Somali).
Dienemella dinemelli, Sharpe, Cat. B. XII, p. 506 (1890).
a, b, c. Banan.
Esemplari adulti simili ad altri dello Scioa.
42. Dienemellia ruspolii, nov. sp.
Dienemellia D. dienemelli similis, sed minor, colore fusco notaci valde pallidiore,
parte basali alba remigum valde latiore et non abrupte divisa, sed sensim in colorem
fuscum partis apicalis transeunte, parte basali pogontii interni tectricum remigum prima-
riarum alba, margineque carpali albo rubro-tineto, distinguenda.
Testa, collo, petto ed addome bianchi; dorso e remiganti terziarie di color
bruno-grigio pallido, le ultime e le scapolari marginate esternamente di bianco;
groppone, sopraccoda e sottocoda rosso-minio, cuopritrici minori presso l’ angolo
dell’ala rosso-minio; remiganti primarie bianche per tre quinti della base, e la parte
bianca non nettamente separata dal color bruno nero dei due quinti apicali, ma il
bianco passa gradatamente nel bruno nero; lo stelo delle remiganti primarie bianco
per gran parte della porzione apicale scura; anche inferiormente la porzione bianca
delle remiganti occupa gran parte del vessillo interno e passa gradatamente nel
colore grigio scuro dell’apice; cuopritrici delle remiganti primarie bianche alla base
e nel vessillo interno; margine carpale bianco tinto di rosso-minio; cuopritrici infe-
riori delle ali e piume delle tibie grigie; coda bruna, collo stelo delle timoniere
bianco inferiormente; becco corneo scuro; piedi neri.
D. dienemelli
Lunghezza totale . . 0,200 Qm,210
Ala 0. OTTO Qu 122
Coda... i spo): L10070 02,083
Beccati uit 0020 02,021
Tarso de a ie 08:030 02,032
a. Banan (2).
L’esemplare tipo di questa specie è indicato di Banan, come i tre della specie
precedente, ma forse la indicazione non è esatta, giacchè, come ho notato nell’in-
troduzione, il Ruspoli non ha messo cartellini colla località agli esemplari raccolti,
e le località indicate sono state aggiunte a memoria dopo il suo ritorno.
43. Textor intermedius, Cas.
Textor intermedius, Shell., Ibis, 1885, p. 410 (Somali). — Sharpe, Cat. B. XIII, p. 511 (1890).
a, b, c. Habir.
I primi duo sono adulti in abito perfetto nero; il terzo è un giovane colle parti
superiore brune; le piume delle parti inferiori hanno macchie lanceolate nere nel
mezzo e larghi margini chiari; le remiganti e le cuopritrici delle ali sono marginate
esternamente di rossigno fulvo.
UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI FRINCIPI RUSPOLI 059
è
44. Hyphantornis intermedia (RiipP.).
Hyphantornis intermedius, Sharpe, Cat. B. XIII, p. 460 (1890).
a, b. è 2. Somali.
Il maschio non è perfettamente adulto, avendo qualche piuma gialla fra le nere
della gola; esso differisce alquanto da un esemplare adulto dello Scioa (SALvaD.,
Ann. Mus. Civ. Gen. (2), VI, p. 290), per avere il dorso di color verde-giallognolo
meno giallo e senza macchie nere lungo il mezzo delle piume, pel groppone di un
giallo meno vivo, pel colore castagno che tinge l’occipite e la cervice meno intenso
ed anche pel colore giallo delle parti inferiori più chiaro.
La femmina, non ancora descritta, ha le parti superiori di colore verde-olivastro,
con macchie scure lungo il mezzo delle piume del dorso; i lati della testa e le parti
inferiori di color bianchiccio lievemente tinto di giallo; sulla regione del gozzo una
lieve tinta fulviccia; le remiganti e le timoniere bruniccie con i margini verdognoli.
È questa una specie rarissima nelle collezioni.
45. Lamprocolius chalybeus (Enr.).
Lamprocolius chalybeus, Sharpe, Cat. B. XIII, p. 176 (1890).
a. (ad). Valle di Hento.
Simile agli esemplari dello Scioa. Questa specie non si conosceva finora del
Somali, che probabilmente segna il confine meridionale della medesima.
46. Heteropsar (?) albicapillus (BLvrH).
Spreo albicapillus, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 301 (1855) (Somali).
Notauges albicapillus, Hartl. — Speke, Ibis, 1860, p. 246, pl. VII (Somali). — Blyth and Speke, Rep.
Coll. Somali Country, p. 12 (1860). — Shell., Ibis, 1885, p. 413 (Somali).
Heteropsar albicapillus, Sharpe, Cat. B. XII, p. 186 (1890).
a. Pianura di Uarandab.
Questa specie, esclusiva del Somali, è rarissima nelle collezioni, ed anche una
delle più singolari per la sua colorazione. La sua posizione nel sistema non mi
sembra ben determinata.
47. Cosmopsarus regius, Rcunw.
Cosmopsarus regius, Shell., Ibis, 1885, p. 411 (Somali). — Sharpe, Cat. B. XIII, p. 160 (1890).
a-g. Uebi, Uebi Sciabeli, Hento, Banan.
Sette esemplari; uno in abito imperfetto ha molte piume brune sulla testa,
residuo dell’abito giovanile, e così pure fra le cuopritrici delle ali; fra le piume
gialle delle parti inferiori ve ne sono molte fulve, anch’ esse residuo dell’ abito
giovanile.
560 TOMMASO SALVADORI
48. Notauges superbus (Riipp.).
Lamprotornis superba, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 801 (Somali) (1855).
Notauges superbus, Speke, Ibis, 1860, p. 245 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Cowntry,
p. 12 (1860). — Shell., Ibis, 1885, p. 412 (Somali).
Spreo superbus, Sharpe, Cat. B. XIII, p. 189 (1890).
a-c. (ad.). Uarandab e Mandera.
49. Lamprotornis viridipectus, sp. nov.
? Lamprotornis purpuropterns, Cab. (nec Riipp), J. f. O. 1878, p. 233 (Adi). — ? Fisch. et Rchnw.,
ibid., p. 261 (Wito). — Fischer, ibid., p. 286 (Wito). — ?Id., Zeitschr. f. ges. Orn. I, p. 336
(Nguruman) (1884).
? Lamprotornis porphyropterus, Fisch. et Rchaw., J. f. O. 1879, p. 349 (Ualimi). — Sharpe, Cat.
B. XIII, pp. 156, 157 (part., Adi River) (1890).
Lamprotornis L. caudato (= aeneo, Gm.) similis, sed valde minor, cervice cyane-
scente, lateribus obscure cyanescentibus, minime violaceis et abdomine medio quoque
obscure cyanescente, sed minime aeneo-cupreo.
Capite obscure aeneo; collo postico viridi cyanescente, dorso viridi, vix cyaneo
micante, tergo, uropygio et supracaudalibus nitide cyaneis, paullum purpureo tinctis;
collo antico et pectore summo nitide et pure viridibus; lateribus, abdomine et sub-
caudalibus obscure cyanescentibus; alis nitide viridibus; cauda supra cyaneo-purpu-
rascente, rectricibus mediis purpureis, omnibus transversim fasciolatis.
Long. tot. 0,270; al. 0%,140; caud. 0%,125; rostri culm. 0%,016; tarsi 02,039.
a, b. Valle di Hento.
Gli esemplari suddetti hanno grande somiglianza con quelli della L. caudata,
ma non dubito punto che essi appartengano ad una specie distinta, alla quale molto
probabilmente è da riferire l esemplare del Fiume Adi raccolto dall’Hildebrandt e
menzionato dallo Sharpe (loc. cit.).
Io inclino ad ammettere che nella sezione del genere Lamprotornis, distinta pel
colore bronzato della testa, siano da riconoscere quattro specie distinte:
a. Pectore nitide et pure viridi:
a. Dorso pure viridi; plaga abdominali media nitide aeneo-cuprea . L. caudata.
(Africa occidentali).
d. Dorso viridi, vix cyanescente; abdomine concolore, obscure cyane-
scente et plaga abdominali media aeneo-cuprea destituto . L. viridipectus.
(Somali et Africa orient.).
b. Pectore distinete cyaneo-purpurascente; plaga abdominali media niti-
dissime aureo-aenea :
e. Cervice et dorso summo cyaneo-purpurascentibus ; ° . L. eytoni.
(Africa occid. et Sudan).
d. Cervice nitidissime purpurea, dorso summo cyaneo-purpurascente . 1 AT
cioa).
50. Dilophus carunculatus (Gw.).
Dilophus caruneulatus, Sharpe, Cat. B. XIII, p. 61 (1890).
a. Somali.
Non si conosceva ancora del Somali.
UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 561
51. Buphaga erythrorhyncha (SranL.).
Buphaga erythrorhyncha, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 301 (Somali) (1855). — Speke, This, 1860,
p. 246 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 12 (1860). — Shell., Ibis, 1885,
p. 410. — Sharpe, Cat. B. XIII, p. 196 (1890).
a-d. Pianura di Uarandab.
52. Vinago waalia (Gw.).
Treron waalia, Shell., Ibis, 1885, p. 414 (Somali).
Vinago waalia, Salvad., Cat. B. XXI, p. 15 (1893).
a, b, c. Mandera e monti Golis.
53. Chalcopelia afra (Lixv.).
Chalcopelia afra, Salvad., Cat. B. XXI, p. 506 (1893).
a. (ad.). Somali.
Varietà colle macchie verdi dorate sulle ali. Nuova pel Somali.
54. Oena capensis (Linw.).
Oena capensis, Salvad., Cat. B. XXI. p. 501 (1898).
a. ©. Somali.
Nuova pel Somali.
55. Pteroclurus exustus (Trmw.).
Pterocles senegalensis, Blyth (nec Pf. senegallus, Linn.), J. A. S. B. XXIV, p. 303 (Somali) (1855).
— Speke, Ibis, 1860, p. 247 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860).
Pteroclurus exustus, Grant, Cat. B. XXII, p. 12 (1898).
a-d. Valle di Hento fra i Monti Lido e Yesi (?).
Due maschi e due femmine.
Credo che le citazioni del Blyth e dello Speke appartengano a questa specie e
non al P. senegallus, come ha stimato l'Ogilvie-Grant (loc. cit.).
56. Pterocles decoratus, Car.
Pterocles sp. ?, Sclat., P. Z. S. 1864, p. 113 (Uniamesi).
Pterocles decoratus, Cab. in v. d. Decken Reisen, III, p. 43, t. XIII (1869) (See Jipe). — Id., J. f. O.
1868, p. 413. — Finsch u. Hartl., Vòg. Ostafr., p. 565 (1870). — Grant, Cat. B. XXII, p. 21 (1893).
a. Valle di Habir.
Esemplare adulto, apparentemente maschio, simile alla figura sopramenzionata,
ma colla fascia nera a traverso il petto non interrotta, ma completa.
Nuovo pel Somali.
57. Pterocles lichtensteini, Tewwm.
Pterocles lichtensteini, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 305 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1869, p. 247
(Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860). — Grant, Cat. B. XXII,
p. 29 (1893).
Serie II. Tom. XLIV. u?
562 TOMMASO SALVADORI
a-c. Pianura di Uarandab.
Tre esemplari senza le fascie nere sul capo e sul petto, e perciò senza dubbio
femmine.
58. Acryllium vulturinum (Harpw.).
Numida vulturina, Shell., Ibis, 1885, p. 414 (Ogadayn, Somali).
Aeryllium vulturinum, Grant, Cat. B. XXII, p. 385 (1893).
a-f. Somali.
Il Ruspoli menziona di aver trovato questa specie nell’Ogaden (Boll. Soc. Geogr.
Ital. 1891, p. 984).
59. Francolinus granti, HarmtL.
Francolinus granti, Shell., Ibis, 1885, p. 414 (part.) (Somali). — Grant, Ibis, 1892, p. 42 (part.). —
IA., Cat. B. XXII, p. 148 (part.) (1898).
a, v. Pianura di Odeuin.
Due esemplari adulti con lunghi sproni, e quindi senza dubbio maschi.
Io sono di opinione che gli esemplari suddetti siano sufficientemente distinti
dal . schoanus, HruaL; essi si distinguono pei seguenti punti:
1° Le piume delle parti superiori hanno molto più del colore castagno.
2° Le macchie castagne del collo si estendono molto più in basso fin sul petto.
3° Le timoniere laterali hanno più di castagno verso la base, ed in uno dei
due esemplari del Somali le quattro timoniere mediane sono di color castagno puro.
60. Pternistes infuscatus, CAB.
Pternistes rubricollis, Blyth, J. A. S. B., XXIV, p. 304 (Somali) (1855). — Speke (nec Lath.), Ibis,
1860, p. 248 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 15 (1860).
Piernistes lencoseepus, Salvad. (nec G. R. Gr.), Ann. Mus. Civ. Gen. (2) I, p. 309 (Scioa) (1888).
Pternistes infuscatus, Cab. — Grant, Cat. B. XXII, pp. 183, 560 (1893).
a. (juv.). Somali.
L’esemplare suddetto, come anche quelli dello Scioa, sono simili in tutto ad un
altro del Fiume Usari (Hunter), inviato dal Museo Britannico a quello di Torino.
61. Heterotis humilis (BLvrH).
Sypheotides hmmilis, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 304 (1855) (Somali). — Speke, Ibis, 1860, p. 248. —
Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p.15 (1860). — Heugl., Faun. d. Roth. Meer, No. 228.
— Finsch u. Hartl., Vog. Ostafr., p. 618 (1870).
Heterotis humilis, Sharpe, Bull. Br. Orn. Club, No. IX, p. L (1892).
a. Altipiano di Ghilai.
Questa specie è notevole per la sua piccolezza e per la brevità del suo tarso;
a me sembra che non si possa separarla dal gruppo di specie contenente I'0. sene-
galensis, VO. canicollis, ecc. Essa ha colorito generale isabellino arenaceo, finamente
punteggiato di nero, l'addome ed il sottocoda bianco, il collo grigio, la gola nera
UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 563
(colle piume bianche all’apice), una macchia nera sull’occipite, le ascellari nere e le
cuopritrici delle remiganti primarie bianche nella metà basale e nere nell’apicale.
L'esemplare di Ghilai corrisponde abbastanza bene colla descrizione del Blyth, se
non che in questa non è menzionata la macchia occipitale nera; inoltre nella mede-
sima è detto che le piume del pileo formano un ciuffo distinto, la quale cosa certo
non appare nell’ esemplare sopra menzionato! Lunghezza del tarso ©",064 (= pol-
lici inglesi 2 ‘/s).
62. Neotis heuglini (HartL.).
Otis heuglini, Hartl., Ibis, 1859, p. 844, pl. XI ($) (Tchuscha, Somali). — Finsch u. Hartl., Vog.
Ostafr., p. 613 (1870). — Heugl., Orn. N. O. Afr. II, p. 942 (1873).
Eapodotis heuglini, Heugl., Peterm. Geogr. Mitth. 1860, Taf. 18.
Neotis heuglini, Sharpe, Bull. Br. Orn. Club, VIII, p. L (1893).
a. Pianura di Faf.
L’esemplare suddetto corrisponde colla descrizione dell’Otis heuglini, special-
mente per avere le piume della parte inferiore ed anteriore del collo di color rugginoso
vivo, ma ne differisce per non avere la maschera nera coprente i lati della testa e
della gola, come nella figura pubblicata nell’ Ibis, 1859, pl. XI; invece esso ha i
lati della testa e la gola bianchicci con macchiette nere; in un altro esemplare del
Museo di Torino, d’ignota località, la gola è interamente bianca; suppongo che la
mancanza della maschera nera sia carattere della femmina, o dipendente dalla
stagione.
63. Lophotis gindiana (Ousr.).
Eupodotis gindiana, Oust., Bull. Soc. Philom. de Paris, 1881 (aoùt), p. 163 (Extract, p. 4) (Afrique
orientale).
Otis (Lophotis) falvierista, Cab., Orn. Centralbl. 1882, no. 2 Jan., p. 14 (Berdera, Somali). —
Rcehnw. u. Schal., Journ. f. Orn. 1882, p. 113.
Lophotis fulvicrista, Cab., J. f. 0. 1882, p. 123; Rchnw., Zool. Jahresb. f. 1882, p. 223.
Lophotis gindiana, Salvad., Ann. Mus. Civ. Gen. (2) VI, p. 543 (1888) (Scioa).
a, b. Habir presso Bessera.
Esemplari adulti, maschio e femmina, simili ad una coppia dello Scioa.
64. Cursorius somalensis, SHELL.
Cursorius gallicus somalensis, Shell., Ibis, 1885, p. 415 (Somali).
Cursorius somalensis, Seebh., Ibis, 1886, p. 116. — Id., Geogr. Distr. Charadr., p. 237, pl. XI (1887).
a, b. (ad.). Pianura di Uarandab.
Questa specie, come ha fatto notare il Seebhom, è perfettamente distinta dal
C. gallicus, per le piume ascellari e per le cuopritrici inferiori delle ali di color
grigio isabellino e non guari nero; per le dimensioni minori e per altri caratteri;
essa si conosceva nei Musei di Europa solo per l'esemplare tipico raccolto dal Lort.
65. Hoplopterus spinosus (Linv.).
Hoplopterus spinosus, Heugl., Orn. N. O. Afr. II, p. 1004 (1873).
Vanellus spinosus, Seebh., Geogr. Distr. Charadr., p. 219, cum fig. (1887).
a-c. Gurat.
Non era stato menzionato finora del Somali.
564 TOMMASO SALVADORI — UCCELLI DEL SOMALI, ECC.
66. Stephanibyx coronata (Gw.).
Chettusia coronata, Shell., Ibis, 1885, p. 417 (Somali).
a, b. Pianura di Uarandab.
Questa specie si estende verso Nord, fin nello Scioa (SaLvan., Ann. Mus. Civ.
Gen. (2), I, p. 220).
67. Ardea purpurea, Linn.
a, Gurat, Regione dei Laghi.
68. Ardea melanocephala, Via. et CimpR.
a. (ad.). Bessera, Uebi.
69. Ardetta minuta (Linw.).
a. $. (ad.). Pianura di Uarandab (!).
70. Ciconia abdimii, LicHm.
a. (ad.). Valle di Habir, presso Bessera.
71. Fulica cristata, Gw.
a-c. Gurat, Regione dei laghi.
72. Chenalopex egyptiacus (Linw.).
Chenalopex egyptiacus, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 305 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 248
(Somali). — Blyth and Speke, Report Coll. Somali Country, p. 15 (1860).
a, b. (ad.). Gurat.
73. Dendrocygna viduata (Linwx.).
Dendrocygna viduata, Shell., Ibis, 1885, p. 414 (Somali).
a-4. (ad.). Gurat.
74. Poecilonetta erythrorhyncha, Gw.
Pecilonitta erythrorhyneha, Shell., Ibis, 1885, p. 415 (Somali).
a. (ad.). Gurat.
75. Querquedula circia (Linn.).
a. 9. (ad.). Gurat.
76. Spatula clypeata (Linv.).
a. Gurat (2).
77. Podiceps capensis, LicHm.
Podiceps capensis, Salvad., Ann. Mus. Civ. Gen. (2) I, p. 252 (1884) (Scioa).
Podiceps fluviatilis capensis, Shell., Ibis, 1885, p. 418 (Somali).
a. Somali (Gurat?).
* «mo è
STUDIO SPERIMENTALE
SULLA
RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA
MEMORIA
Dott. R. VIVANTE
Assistente nel Laboratorio di Patologia generale della R. Università di Genova.
x
Approvata nell’ Adunanza dell'11 Febbraio 1894
Griffini e Vassale pubblicarono nel 1888 (1) uno studio sperimentale sulla ripro-
duzione delle ghiandole peptogastriche, ed era loro intenzione di estenderlo a quella
delle ghiandole della mucosa pilorica, ma la grave spesa di tempo, cui la mortalità
degli animali determinava, e le esigenze di altri lavori li obbligarono a sospendere
le esperienze iniziate.
Ebbi dal prof. Griffini il conforto a continuarle, ed ora accingendomi ad esporne
i risultati sento il dovere di rendergli qui pubbliche grazie per l'affetto. con cui mi
fu guida nell’ottenerli.
La struttura e la funzione delle ghiandole piloriche diedero in questi ultimi anni
argomento a vivaci discussioni e negli studî dello Schwalbe (2), del Nussbaum (3),
dell’Ebstein (4), del Griitzner (5), dello Haidenhain (6), dell’Edinger (7), del Trinkler (8),
del Bikfalvi (9), e di molti ancora troviamo espresse e combattute intorno a quelle
(1) Grirerni e Vassare, Sulla riproduzione della mucosa gastrica, R. Accademia di medicina in
Modena, 1888; “ Beitriîge zur pathol. Anat. und allg. Pathol. von Ziegler ,, Bd. 3, S. 425, 1888.
(2) ScawaLer, Beitrige zur Kenntniss der Driisen in Darmwandung; “ Archiv fir mikros. Anat. ,,
Bd. 8, 1872.
. (3) Nusssaum, Uedber den Bau und die Thitigkeit der Drisen; * Archiv fiir mikros. Anat. ,,
Bd. 16, 1879.
(4) Essvern, Beitrige cur Lehre vom Bau und der Function der sogenannten Magenschleimdriisen,
Bd. 6, 1870.
(5) Grirzwer, Uedber Bildung und Ausscheidung von Fermenten; “ PAliger's Archiv ,, Bd. 20, 1879.
(6) Hamennarn, Physiologie der Absonderungsvorginge; * Hermann's Handbuch der Phys. ,,
Bd. 5, 1880.
(7) Epincer, Zur Kenntniss der Drilsenzellen des Magens.; * Avchiv fiir mik. Anat. ,, Bd. 17, 1880.
(8) TrinxLer, Veber den Bau der Magenschleimhaut; © Archiv fiir mik. Anat. ,, Bd. 24, 1884.
(9) Brrrarvi K., Beitrige zum feineren Bau der Magendrisenz © Orvos. hermèszet-tudomàny ,,
Ertesito, 1887. i
566 R. VIVANTE
le opinioni più contradditorie. Così mentre da taluno fu affermata l'analogia che corre
fra ghiandole piloriche e ghiandole peptiche, o assoluta o ristretta ad uno solo degli
elementi cellulari che le caratterizzano, da altri fu in tutto negata, e si volle am-
mettere invece una stretta parentela fra ghiandole piloriche e ghiandole del Brunner.
Ora, lasciando da parte gli eccessi di alcune di tali affermazioni, che non possono
spiegarsi se non con un difetto di osservazione, chè invero non so come si possano
assegnare, p. e., a questi organi i caratteri delle ghiandole acinose, è certo che la
storia del loro sviluppo e quella della loro rigenerazione tendono a dimostrarne la
spiccata individualità: perchè se una legge generale regola lo sviluppo delle ghian-
dole piloriche e quello delle peptiche, non è meno vero che piccole differenze nei
caratteri degli abbozzi primitivi, un'intensità diversa nel processo di proliferazione
possono influire grandemente sulla loro struttura e per conseguenza sulla loro desti-
nazione fisiologica.
Il processo di riproduzione delle ghiandole piloriche, seguito nella riparazione
di lesioni artificialmente prodotte, non credo sia stato finora oggetto di studîì speciali;
ma poichè un tale processo riproduce più o meno fedelmente quello dello sviluppo
embrionale, trovo utile ricordare quanto intorno a questo fu scritto. Prima del
Toldt (1) che dello sviluppo della mucosa gastrica fece uno studio accurato e com-
pleto, poco si disse delle ghiandole piloriche, ed i varì autori che lo precedettero, il
Laskowski (2), il Brand (3), il Koelliker (4), il Sewall (5) si limitarono a constatare
ch’esse si sviluppano prima e più rapidamente delle peptiche. È merito. del Toldt
quello di aver affermato che sì per l'una varietà ghiandolare, come per l’altra, il
processo di formazione si svolge interamente nello strato epiteliale, e di aver date
anche per le ghiandole piloriche una storia particolareggiata del loro sviluppo. Se-
condo questo A. negli abbozzi primitivi di queste ghiandole non si riscontrerebbero
le cellule rotondeggianti od ovoidali, a nucleo rotondo od irregolare, che concorrono
a formare gli abbozzi delle ghiandole peptiche; ma alla loro formazione partecipereb-
bero esclusivamente cellule cilindriche a nucleo ovale, che se non influiscono molto
per la loro forma su quella dell’abbozzo a cui appartengono/ vi influiscono per il loro
numero, rendendolo più ampio e più svasato. Gli otricoli primitivi, che derivano da
questi abbozzi, si svilupperebbero rapidamente oltrepassando la superficie basale dello
strato epiteliale, accolti entro infossamenti del tessuto connettivo sottomucoso; ed
anche qui come per le ghiandole peptiche la suddivisione del corpo ghiandolare si
effettuerebbe per gettoni epiteliali che si elevano 0 dal fondo cieco della ghiandola 0
dalle sue pareti. L’ulteriore sviluppo dell’organo avverrebbe o per aumento numerico
delle cellule che lo compongono, o per alcuni cangiamenti nei loro caratteri primitivi,
assumendo esse un contorno più fine e più netto, una granulazione del protoplasma
(1) Toror, Die Entwickelung der Drisen des Magens.; Aus dem LXXXII Bande der “ Sitzb. der
k. Akad. der Wiss. ,, 1880.
(2) Laskowskt, Ueber Entwickelung der Magenwand; “ Sitzb. der k. Akad. d. Wiss. ,, Bd. 58, 1868.
(3) Branp, Bertriige zur Entwickelung der Magen und Darmwand, Wiirzburg, 1877.
(4) KorLLigEr, Entwickelungsgeschichte, 2 Auflage, 1879.
(5) SewaLL, The developement und regeneration of the gastric glandular epithelium during foetal
life and afther birth; “ Journal of Physiology ,, vol. 1878.
SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 567
più delicata e più rara. Solo nella terza settimana di vita extrauterina, e prima
nel fondo che nelle pareti laterali del tubo ghiandolare, si noterebbe quella speciale
evoluzione del nucleo per cui esso si dispone col massimo diametro perpendicolare
all’asse della cellula. Con questi risultati in gran parte concordano quelli più recen-
temente ottenuti dal Salvioli (1) che affermò doversi riferire il primo delinearsi delle
ghiandole gastriche ad una sproporzione fra l'ampiezza dello strato mesodermico ed
il numero delle cellule dell’epitelio che vi è sovrapposto: gli elementi attivamente
proliferanti di questo strato, sporgendo verso le parti che offrono minore resistenza,
verso la cavità, cioè, dello stomaco, darebbero luogo a quei rialzi che limitano i
primitivi infossamenti ghiandolari. Colla guida che lo studio diligente delle forme
cariocinetiche gli offriva, seguì questo A. l’ulteriore sviluppo della mucosa gastrica,
constatò il più rapido svolgimento delle ghiandole piloriche, e confermò il fatto già
da Bizzozero e Vassale (2) osservato che le mitosi in esse sono molto più numerose
che nelle peptiche e per più lungo tempo perdurano nei loro fondi ghiandolari. Col
Toldt infine ammise la suddivisione dei tubuli ghiandolari come determinata da ap-
pendici epiteliali elevantisi dal loro fondo, ed assegnò in questo periodo una parte
attiva al tessuto connettivo che li circonda.
Nel riferire ora i risultati delle mie ricerche avrò spesso motivo a notare come
il processo di rigenerazione delle ghiandole piloriche segua l’andamento del loro svi-
luppo embrionale; ma avrò pure occasione ad avvertire come alcune fasi della loro
riproduzione si scostino da quelle norme che dalle osservazioni sopra riferite ema-
nano, e, senza voler escludere che tali differenze possano in realtà esistere, farò
osservare come alcuni errori d’interpretazione possano facilmente farle supporre.
Lo studio della rigenerazione delle ghiandole piloriche feci esclusivamente sul
cane, animale che meglio degli altri si presta all’esperienza, e che m’offriva l’oppor-
tunità d’instituire non solo degli utili confronti fra i miei risultati e quelli che si
erano avuti precedentemente per le ghiandole peptiche, ma ancora di giovarmi degli
utili ammaestramenti che in tale genere di ricerche mi venivano dal lavoro di Griffini
e Vassale (3). Però, come ho avuto occasione di notare più sopra, a rendere lungo
e faticoso il lavoro influì questa volta la grave mortalità degli animali, che, mal-
grado la precauzione d’un’antisepsi accurata, il digiuno assoluto nei primi giorni, e
la massima cura nella successiva graduale alimentazione, soccombevano per ulcera-
zione della parete stomacale. Il raccogliersi del contenuto fortemente acido di pre-
ferenza nella regione pilorica è di grave ostacolo alla riparazione della ferita pel
processo flogistico che vi determina: la forte emigrazione di leucociti, nello spessore
(1) Sacviori, Alcune osservazioni intorno al modo di formazione e di accrescimento delle ghiandole
gastriche; Estr. dagli “ Atti della R. Acc. delle Scienze in Torino ,, vol. XXV, 1890.
(2) Brzzozrro e Vassare, Sulla riproduzione e sulla rigenerazione fisiologica degli elem. ghiandolari,
“ Archivio delle Scienze mediche ,, vol. XI, n. 12, p. 196, 1887.
(3) V. loc. cit.
568 R. VIVANTE
dei margini e del fondo della ferita, solleva e stacca l’epitelio che man mano si
forma, e li priva così di quanto vale a proteggerli dall'azione distruttiva del succo
gastrico; siccome poi per evitare il restringersi soverchio della soluzione veniva
anticipatamente rimossa anche una parte della tonaca muscolare, così facilmente si
comprende come si potesse venire ad un’ulcerazione completa della parete dell’organo.
Per questa sfortunata circostanza si dovettero, adunque, moltiplicare le esperienze, e
ciò non solo perchè molti animali soccombettero, ma anche perchè molti di quelli
sopravvissuti non presentarono, in rapporto al tempo trascorso, una riparazione pro-
porzionatamente progredita. Così, p. e., la fig. 1*, che rappresenta una delle prime
fasi del processo rigenerativo fu tratta da una soluzione di 20 giorni, mentre le
fig. 2,3, 4,5 che ne rappresentano fasi ulteriori corrispondono a soluzioni di data
molto più recente.
L'atto operativo fu analogo a quello usato da Griffini e Vassale per lo studio
della riproduzione delle ghiandole peptogastriche: fatta una ferita lineare sulla parete
anteriore dello stomaco in vicinanza al piloro, si rendeva sporgente attraverso a
quella la parete corrispondente posteriore spingendola con due dita, e dopo aver
rimossa, disseccandola accuratamente, la mucosa, si assottigliava con precauzione la
tonaca muscolare sottogiacente. Si applicava poi nel centro della soluzione un’ansa
di filo che, rimanendo protrudente nella cavità gastrica, doveva servire di contrassegno,
e, suturata, infine, alla Lembert la parete dell’organo e riunita con doppia sutura la
ferita addominale, si teneva per due giorni a completo digiuno l’animale, ed in se-
guito si alimentava con poco latte e poi gradatamente con latte e un po’ di pane.
I pezzi raccolti dai molti cani, uccisi a tempi diversi dopo l’operazione, distesi e
fissati con spilli su lamine di sovero, e su questi sollevati m modo da essere in ogni
parte bagnati dal liquido, s'immergevano per 10-12 ore in alcool a 70°; poi, staccati
dal sovero, e mantenuti per alcuni giorni in alcool a 90°, venivano coloriti col car-
minio all’allume, inclusi in paraffina e tagliati al microtomo in sezioni asseriate.
Non ho creduto di ricorrere ad altri mezzi di fissazione e di colorazione, perchè
quello adoperato serve benissimo a mantenere le forme cariocinetiche, ed offre il
grande vantaggio di una maggiore semplicità: devo solo osservare come e per il
volume considerevole dei pezzi esaminati, e più ancora per la durezza quasi legnosa
cui assume la tonaca muscolare, riesca impossibile ottenere cogli ordinarì microtomi
sezioni sottili a spessore costante, e come solo adoperando il microtomo di Cambridge,
modificato dal Minot, io abbia potuto raggiungere lo scopo.
Se noi esaminiamo una soluzione di continuo 24 ore dopo essere stata eseguita,
noi la vediamo coperta da una pseudomembrana fibrinosa che dal suo fondo si eleva
a rivestire i margini, e che può in taluni punti raggiungere uno spessore rilevante.
Essa non si mantiene di solito a lungo, chè nel tessuto connettivo e nei vasi si
stabiliscono ben presto dei processi neoformativi per i quali un tessuto di granula-
zione la invade e la sostituisce: però in alcuni casi questa pseudomembrana perdura
fino a stadi abbastanza avanzati, ed ostacola la rigenerazione dell'epitelio, che avanti
SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 569
ad essa si arresta, o su di essa si ripiega. A questo stadio iniziale, al di sotto della
pseudomembrana, si nota di solito una enorme massa di leucociti che, al centro della
soluzione, infiltra il tessuto sottomucoso eventualmente rimasto o gli strati superfi-
ciali della tonaca muscolare, e, alla periferia, raggiunge le ghiandole più o meno
intaccate dal tagliente. Ora, come fu già osservato per la mucosa del fondo dello
stomaco, e come più recentemente fu, in questo stesso laboratorio, constatato per la
mucosa uterina (1), è appunto a queste ghiandole, che si trovano in tutta vicinanza
delle parti normali, che noi dobbiamo, nei primi giorni, portare la nostra attenzione,
siecome quelle dalle quali anche in questo caso procede la riproduzione. Infatti,
mentre molte di esse per la gravità dell’azione traumatica e per la deficiente nutri-
zione vanno interamente perdute, o per occlusione del loro sbocco si tramutano in
cisti, in altre, rappresentate da residui ghiandolari più o meno cospicui, si svolge
un processo di viva proliferazione per cui si rinnovano in gran parte gli elementi
epiteliali che le rivestono, e successivamente si ricoprono gli spazi che fra esse sono
interposti. Così è che ai margini della soluzione noi possiamo al 3° o 4° giorno notare
dei tubuli semplici, corti che quei residui rappresentano e che potrebbero essere
confusi con tubi veramente neoformati. E poichè la loro presenza in una soluzione
ristretta potrebbe far credere ad una rapida rinnovazione della mucosa, mi sembra
necessario lo stabilire fin d’ora quali sieno i caratteri per i quali questi tubuli sem-
plicemente modificati si distinguono da quelli che più tardi si riproducono. i primi
si avvertono fin dall'inizio del processo di riproduzione, quando cioè il fondo della
ferita non è che in parte ricoperto da epitelio; si trovano verso le parti sane della
mucosa, hanno forma spesso irregolare, per lo più sono inclinati sul piano della
soluzione, e infine si rivestono di un epitelio basso, granuloso, poligonale o cubico:
i secondi invece, come vedremo, non si riscontrano in soluzioni recenti, ma solo
quando l’epitelio che le riveste s'è già fatto cilindrico; cilindriche pure, per quanto
granulose, sono le cellule che li tappezzano, sono regolari di forma, normali sempre
alla superficie dell’organo.
La proliferazione vivace degli elementi epiteliali, poi che al rivestimento dei
residui ghiandolari, e a quello degli spazì che vi sono interposti, ha provveduto,
non si arresta, ma dai tubuli, che più da vicino limitano la soluzione di continuo,
vediamo partire uno strato d’epitelio che gradatamente si spinge a tappezzarne il
fondo. Se fra il sesto e l'ottavo giorno studiamo delle sezioni di mucosa, non è dif-
ficile cogliere delle imagini analoghe a quella che dalla fig. 1* è rappresentata. Noi
vediamo, cioè, in d e in d' disegnati due residui ghiandolari, tappezzati da cellule
basse, granulose e cubiche, che mantenendo questi caratteri ricoprono lo spazio che
fra loro è interposto e che nel tubo d'a poco a poco si modificano per uniformarsi
alle cellule dell'epitelio di rivestimento (9), e nel tubo d, facendosi sempre più basse
e più granulose, passano a rivestire (f) il fondo della ferita. A partire dal tubulo d
l’epitelio presenta un graduale appiattimento delle sue cellule, che verso il centro
della soluzione, nelle parti cioè più recentemente formate, assumono la forma pret-
tamente pavimentosa. La proliferazione vivace delle cellule è attestata dalle numerose
(1) Bossi, Sulla riproduzione della mucosa dell’utero, Genova, 1891.
Serie II, Tom. XLIV. v
so
570 R. VIVANTE
mitosi che sia nei tubuli modificati, sia nel nuovo epitelio di rivestimento si riscon-
trano: mitosi che, per la massima parte, corrispondono ad un piano di scissione così
diretto da provare l’estendersi in superficie dello strato che si va formando. Anche
qui, adunque, come per le ghiandole peptiche, come per le ghiandole della mucosa
uterina, e come già fin dal 1883 il Griffini (1) ebbe a dimostrare per i dotti escretori
delle ghiandole mucipare della trachea, l’epitelio di rivestimento si sviluppa da un
epitelio che è esclusivamente ghiandolare. Vi ha così perfetta analogia fra i fatti che
si osservano in condizioni patologiche e quelli che in condizioni normali si avverano:
fatti che, dopo le ricerche numerose ed accurate del Bizzozero (2), non devono essere
più riguardati come ipotesi, che possano, come dice lo Haidenhain, essere facilmente
da altre migliori sostituite.
Il nuovo epitelio di rivestimento, originato, come si è detto, dai tubuli modificati
dei bordi, crescendo continuamente si spinge man mano sul fondo della soluzione,
fino a rivestire completamente lo strato di tessuto connettivo che va contemporanea-
mente neoformandosi. Nello stesso tempo le cellule epiteliali, a partire dai margini
della soluzione e procedendo verso il centro di essa, vanno a poco a poco acquistando
i caratteri di cellule cubiche ed alla fine, sempre più allungandosi, quello di cellule
cilindriche. Così è che se noi rivolgiamo l’attenzione a quei tratti di epitelio in cui
tale trasformazione è già avvenuta, in soluzioni, p. e., di 10 giorni, noi constatiamo
facilmente come alle primitive cellule cubiche si sieno sostituite delle cellule cilin-
driche di una certa altezza, granulose, con nucleo ovale o subrotondo, fra le quali
alcune in via di scindersi spiccano per il volume maggiore, per la forma ovoidale e
per la trasparenza del loro protoplasma (fig. 2). Ora è precisamente a tale stadio
dello sviluppo, quando cioè l’epitelio ha già acquistato i caratteri di cilindrico, che
noi vi sorprendiamo, nelle parti meno recenti, degli aggruppamenti cellulari che pos-
siamo ritenere come primo accenno alla neoformazione ghiandolare. La fig. 3, rap-
presenta appunto uno di tali aggruppamenti, che vediamo costituito da alcune cellule
basse, piramidali, circondate da altre più allungate che sovra quelle s’incurvano e si
adattano. Come una tale disposizione si effettui è facile comprendere. L’epitelio d in
seno al quale il processo si svolge ha già il carattere d’un epitelio adulto, ed offre
una resistenza agli spostamenti cui determinano le cellule (@) in via di attiva pro-
liferazione, che qua e là in mezzo ad esso si trovano. Così gli elementi che da esse
derivano (6, b', 6") non possono spostare in totalità le cellule vicine, e riescono solo
a smuovere la base di alcune (c, e’, c'") che vengono costrette ad incurvarsi ed
assumere, per la pressione che da ogni parte su di esse si esercita, la forma allun-
gata e ricurva che è segnata nella figura. Viene in tal maniera a delinearsi un
aggregato di cellule, che all’esterno è costituito da elementi curvi, assottigliati con
un nucleo quasi bastonciniforme, e all’interno da cellule basse con protoplasma più
granuloso, con un nucleo rotondo e spinto alla base. È facile poi il comprendere
come pel moltiplicarsi delle cellule proliferanti venga a rendersi più spiccata l’incli-
(1) GrirrINI, Contribuzione alla patologia del tessuto epiteliale cilindrico; Estr. dalle “ Memorie
della R. Accad. delle Scienze in Torino ,, serie 11, vol. XXXVI, 1884.
(2) Cfr. Brzzozero e Vassane, loc. cit. e Brzzozero, Ueder die Schlauchformigen Driisen des Magen-
darmkanals ete.; * Archiv f. mikr. anat. ,, Bd. 33, 1889 e id. id., Bd. 40, 3 Heft, 1892.
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SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 571
nazione degli elementi che le circondano, i quali alla lor volta trattenuti dagli
elementi che al loro esterno si trovano, obbligano quelli che sono al loro interno
a crescere verso il tessuto connettivo sottoposto. È così che si formano i primi
abbozzi delle ghiandole piloriche, abbozzi che presentano grande analogia con quelli
che nello studio della rigenerazione delle ghiandole peptiche fu riscontrato. Però non
si ha in questo caso la formazione di una cavità imbutiforme così ristretta come è
quella che per le ghiandole peptiche fu rilevata, ed è appunto nella larghezza mag-
giore di questa cavità primitiva che noi possiamo già riconoscere l'origine dello
sviluppo più rilevante che il vestibolo delle ghiandole piloriche assume di fronte a
quello delle ghiandole peptiche. Ciò, come abbiamo detto, concorda esattamente con
quanto il Toldt affermò, studiando lo sviluppo embrionale di questi organi: solo non
si riesce a comprendere come egli escluda dalla formazione dei loro abbozzi le cellule
rotondeggianti, isolate, situate nella profondità dello strato epiteliale, ch'egli notò in
quelli delle ghiandole peptiche, e che, come è probabile, non sono altro che le cellule
in mitosi che più sopra abbiamo descritto.
Col proliferare delle cellule centrali dell’abbozzo, e coll’inclinarsi sempre mag-
giore di quelle periferiche, l’aggruppamento cellulare protrude sempre più verso il
tessuto connettivo sottostante ed assume la forma di un tubulo, che raggiunta così
una certa lunghezza (fig. 4 a), comincia a presentare un differenziamento delle sue
cellule. Si osserva, cioè, che le più superficiali si vanno facendo più trasparenti,
mentre le più profonde si mantengono protoplasmatiche, e, attivamente proliferando,
provvedono all’ulteriore sviluppo del tubo. Al tessuto connettivo non mi sembra di
poter assegnare una parte attiva in tale allungamento, ammettendo che esso sospinga
verso la cavità dello stomaco l’epitelio di rivestimento interghiandolare: se ciò fosse,
si dovrebbero in questo trovare i segni di una proliferazione che provvedesse a
rifornire gli elementi necessari alla maggiore superficie da rivestirsi, mentre gli spazi
intertubulari e la parte alta dei tubuli sono costantemente rivestiti da epitelio mu-
coso. Il connettivo coll’aumentare uniformemente non fa che fornire lo spazio neces-
sario al maggiore accrescimento dei tubuli ghiandolari, Ie cui cellule profonde,
attivamente proliferando, dànno luogo ad altre cellule che, frapponendosi alle preesi-
stenti, trovano nell’aumentato spessore della mucosa il modo di disporsi a tapezzare
un maggior tratto di parete. Così il tubulo a poco a poco si allunga, e, mentre le
cellule sue più superficiali e più inclinate vanno acquistando il carattere di cellule
mucose, quelle più profonde, per un tratto più o meno lungo a seconda dello stadio,
mantengono i caratteri di cellule protoplasmatiche proliferanti. È in tal maniera che
da tubuli corti come quelli della fig. 4, si passa gradatamente a tubuli analoghi a quello
della fig. 5, tratta da uno stadio di 17 giorni. A quest'epoca la mucosa ha raggiunto
uno spessore che presso a poco eguaglia la metà di quello della normale, il connettivo
si presenta meno ricco di cellule con discreta sostanza fibrillare, e i tubuli seguendo
l’ampliarsi della mucosa raggiungono una rilevante lunghezza. Ad indicare però lo svi-
luppo più lento del connettivo in confronto a quello dell’epitelio, come anche una certa
resistenza che il primo comincia ad offrire all'attività proliferante del secondo, si nota
una certa ondulosità nel decorso dei tubuli che non presentano più quella regolarità
che si osserva in stadì anteriori.
Alle cellule granulose, che prima tapezzavano le parti più alte, si sono andate
572 R. VIVANTE
man mano sostituendo degli elementi che non presentano ormai alcuna differenza
da quelli dell’epitelio di rivestimento, stipati, con un corpo trasparente, con un nucleo
bastonciniforme allontanato dalla base. Le cellule protoplasmatiche, invece, conser-
vando quei caratteri pei quali anche a stadi più avanzati si lasciano facilmente
riconoscere, di forma cioè piramidale, granulose con un nucleo rotondo e sospinto
verso la larga base d'impianto, a poco a poco cedono il posto alle mucose e si
limitano a rivestire il fondo e un piccolo tratto della parete del tubo. Su quello che
ho disegnato, la parte mucosa ne costituisce già i tre quinti superiori, e se si con-
fronta con le imagini cui presentano le ghiandole peptiche a stadî di sviluppo consi-
mili, si osserva come in quest'ultime la parte protoplasmatica conserva proporzioni
molto maggiori.
Quando i tubuli primitivi hanno raggiunto il grado di sviluppo che abbiamo
descritto, si può dire che si sieno già fissate le proporzioni che le fossette delle
nuove ghiandole assumono, inquantochè nelle loro parti profonde si cominciano qua
e là a sorprendere delle disposizioni cellulari che si devono interpretare come le
prime traccie dei tubuli ghiandolari. Griffini e Vassale, nel lavoro più volte citato,
malgrado le difficoltà da essi incontrate nel seguire il graduale sviluppo di questi
tubuli, ammisero come probabile che qui si ripetano gli stessi fatti che per gli ab-
bozzi ghiandolari si erano osservati nell’ epitelio Gi rivestimento. Orbene a me più
fortunato è riuscito di cogliere così chiaramente le varie fasi del processo da poter
con tutta sicurezza stabilire il modo con cui esso si svolge: i tubuli ghiandolari si
sviluppano dal fondo dei tubuli primitivi nella stessa maniera con cui questi si
sviluppano dall’epitelio di rivestimento. Le cellule protoplasmatiche che tappezzano a
quest'epoca la parte più bassa dei tubuli, conservano ancora vivace la capacità pro-
liferativa, ma gli elementi a cui esse dànno origine trovano nell’epitelio adulto un
ostacolo al loro sviluppo, e incapaci di spostare completamente le cellule vicine non
riescono che ad allontanarne la base e ad inclinarle. Si formano così degli aggruppa-
menti cellulari costituiti al centro da elementi recentemente formati, e alla periferia
da altri che sopra quelli s'incurvano e s’adattano. L’inclinazione degli elementi peri-
ferici (fig. 6, 5, 6'), si rende man mano più evidente col moltiplicarsi degli elementi
centrali (c, c', c'"), ma raggiunta che quelli abbiano una certa obliquità, trovano nel-
l’epitelio che li circonda (@) una resistenza tale da impedire non solo il loro ulteriore
spostamento, ma da costringere gli elementi, che al loro interno proliferano, a pro-
trudere nel tessuto connettivo circumambiente. Viene in tal maniera a delimitarsi
una microscopica cavità che si presenta molto più ristretta di quella che negli abbozzi
dell’epitelio di rivestimento abbiamo osservata, e che col continuarsi del processo
proliferativo, cui attestano le numerose mitosi di tali aggruppamenti (fig. 7), si allunga
in un canale imbutiforme, limitato nella sua parte più ristretta dall’estremità libera
delle cellule cilindriche, e nella parte più larga dalle profonde più basse e piramidali.
Così l’abbozzo epiteliale assume allungandosi la forma d’un tubulo (fig. 8), che con
un'apertura ristretta comunica con la cavità, cui ormai possiamo dire vestibolare, e che
col suo fondo cieco si spinge a ridosso degli strati superficiali della tonaca muscolare.
Esso riproduce fedelmente quelle particolarità che abbiamo già notate nei tubuli
primitivi: noi lo vediamo, cioè, nella sua parte più superficiale, tappezzato da cellule
allungate, con nucleo ovale, gradatamente meno granulose quanto più sono alte, e,
rr
SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 573
nella sua parte profonda, tappezzato da cellule più basse e più granulose, a nucleo
rotondo e sospinto alla base dell'elemento. Se vi ha una differenza fra i tubuli pri-
mitivi e quelli che ne derivano è tutta di forma: i primi cioè mantengono in tutto
il loro decorso un calibro pressochè eguale, mentre i secondi assumono una forma
otricolare a causa di una strozzatura (fig. 7, 5, fig. 8, è) nel punto in cui essi si
originano, strozzatura che sta ad indicare che Ja resistenza cui l’epitelio del fondo
della fossetta presenta al moltiplicarsi delle cellule, è maggiore di quella che queste
trovano nel connettivo che le circonda. Il processo di rigenerazione non segue,
adunque, nella formazione dei tubuli secondari, quelle norme che dal Toldt (1) e dal
Salvioli furono date per il loro sviluppo embrionale: anzi ne è affatto contrario, chè
mentre noi vediamo i tubuli svolgersi da bottoni epiteliali cavi che s’infossano nel
tessuto circumambiente, quegli A. ne ammettono una origine indiretta da bottoni
compatti o da pieghe della mucosa, che elevandosi dal fondo della ghiandola la
suddividono. Ora io non voglio, come ho già detto, escludere che differenze vi abbiano
fra sviluppo embrionale e processo di rigenerazione; ma posso affermare, per quanto
riguarda quest’ultimo, che mai mi occorse di osservare un qualche fatto che anche
lontanamente lasciasse supporre un simile processo di sviluppo. Del resto è difficile
comprendere come per l’elevarsi di una prominenza dal fondo di un tubo, questo
abbia a dividersi in due, chè, per quanto quella si allunghi e si allarghi, la cavità
primitiva resterà sempre unica, più o meno occupata da questa appendice che le
cresce nel mezzo. Si comprende come da un taglio longitudinale, che cada sul piano
mediano di questi bottoni o di queste introflessioni, possa risultare l’imagine sche-
matica di un tubulo suddiviso, ma da un taglio trasversale si avrà sempre l’imagine
d’una cavità circolare che nella parte centrale presenta la sezione trasversa di quei
bottoni o di quelle introflessioni. I veri tubuli ghiandolari si formano sicuramente
nella forma che ho descritta, solo non posso escludere, per quanto me ne manchino
le prove, che qualche tubo primitivo continuando ad allungarsi, e mantenendosi nella
porzione inferiore, di calibro più ristretto, possa per ulteriori modificazioni dell’epi-
telio, e per qualche modificazione di forma, presentare successivamente un differen-
ziamento in fossetta e tubulo.
Se noi ora confrontiamo le ghiandole piloriche e le ghiandole peptiche a questo
momento della riproduzione, troviamo che mentre nelle prime i tubuli secondarì
dipartono a preferenza dal fondo del tubulo primitivo, nelle seconde emanano a
preferenza dalle pareti. Ciò dà ragione del maggiore sviluppo che le fossette ghian-
dolari assumono nella mucosa pilorica, e dimostra che, analogamente a quanto fu
osservato nello sviluppo embrionale, le ghiandole di questa regione mantengono per
più lungo tempo la loro capacità proliferativa. Infatti una tale differenza di contegno :
non si può spiegare se non coll’ammettere che nelle ghiandole peptiche le cellule
non riescano a vincere, come quelle delle ghiandole piloriche, la resistenza del con-
nettivo già. stipato che ne tappezza il fondo, ma svolgano la loro attività verso il
connettivo più lasso che fra le ghiandole è interposto. È solo in questa maniera
(1) Cfr. fig. 20 e 21 del lavoro di Toldt, loc. cit.
(2) Loc. cit.
574 R. VIVANTE
indiretta che noi possiamo assegnare al connettivo una qualche influenza sulla
formazione delle ghiandole, nelle quali, come vedremo, col procedere della riprodu-
zione, si delineano meglio alcune particolarità indipendentemente dall’attività del-
l’epitelio.
A 24 giorni ho trovato le fossette ghiandolari meglio conformate che nello stadio
di 21, tappezzate per la massima parte da cellule mucose che si arrestano solo a
livello di quella strettura che viene chiamata colletto, e che viene determinata dallo
staccarsi dei tubuli ghiandolari secondari. Tale strozzatura che per lo stiparsi poi
del connettivo meglio si definisce (fig. 9, 0, 0) resta caratterizzata dalle cellule basse,
granulose, in cui l’epitelio mantiene la sua attività proliferativa. Tali cellule, le sole
in cui lungo tutto il processo di riproduzione si possono riscontrare i segni di tale
attività, ricoprono intieramente la parete dei nuovi tubuli, i quali nel loro fondo
cieco presentano appunto degli elementi oltremodo bassi e granulosi, a nucleo rotondo
che ne occupa l'estremo esterno. Le mitosi vanno man mano rendendosi più scarse,
ma nella ondulosità dei nuovi tubuli (fig. 9), di cui riesce impossibile in una sola
sezione seguire il canale, che, come si scorge dal disegno, compare e scompare più
volte nello stesso piano, abbiamo la prova del fatto che l’attività epiteliale si man-
tiene ancora molto più viva di quella del connettivo, che a tale periodo si presenta
già ricco di sostanza fibrillare, e scarso di elementi cellulari. E che tale attività
perduri lungo tempo ancora lo dimostrano i tubuli che si possono avere da stadi
di 35 giorni, dove i tubuli non trovando uno spazio sufficiente, dopo aver raggiunto
gli strati superficiali della tonaca muscolare, si adagiano sopra di questi e su di questi
si allungano. A tale epoca dello sviluppo noi possiamo cogliere il primo accenno ad
un'ulteriore modificazione che nella loro forma assumono gli elementi per acquistare
il carattere di cellule ghiandolari. Noi vediamo cioè, che mentre nelle parti superiori
de’ tubuli l’epitelio mantiene quei caratteri che più sopra abbiamo descritti, nelle
parti più basse gli elementi che lo costituiscono perdono a poco a poco la granulo-
sità del loro protoplasma, ed il nucleo vi si dispone in maniera da presentare il suo
massimo diametro normale alla direzione di prima. Il fatto è tanto più evidente
quanto più ci avviciniamo al fondo cieco del tubulo, dove vediamo come le cellule
divenute più trasparenti e più regolarmente cilindriche (fig. 10), presentano alla lor
base il nucleo foggiato a mezza luna, a denotare la forma di piastra da esso assunta
parallela alla base dell’elemento a cui appartiene. Tale modificazione comincia così
negli elementi che tappezzano il fondo cieco dei tubuli ghiandolari, per continuarsi
successivamente nelle loro parti superiori: e poichè in questi tratti così modificati
noi non troviamo più alcuna mitosi, mi pare di poter asserire che già a questo
stadio di 35 giorni la parte attiva dell'epitelio si è limitata ad una zona che dal
colletto si estende per un tratto più o meno lungo del tubo ghiandolare. Avverrebbe,
adunque, nel tratto inferiore delle ghiandole quello che si avvera nel tratto superiore;
nel centro, cioè, dell'organo esisterebbe un focolaio di proliferazione, che mentre da
una parte provvede alla rinnovazione degli elementi mucipari del vestibolo, dall'altra
provvede alla produzione di quelli che tappezzano i tubuli ghiandolari propriamente
detti. Ciò del resto corrisponde perfettamente a quanto si osserva nelle condizioni
normali: chè se noi osserviamo la mucosa pilorica d'un cane, a completo sviluppo,
noi vediamo che a partire dal colletto, i tubuli ghiandolari prima di presentare quei
SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 575
caratteri che s'iniziano nello stadio che abbiamo or ora studiato, si offrono per un
certo tratto tappezzati da cellule basse, granulose, qua e là in via di scissione, che
devono di necessità provvedere alla riparazione di quelli elementi che ne occupano
la parte maggiore e sottoposta, in cui colla più accurata osservazione non sì riesce
a sorprendere alcun segno di attività proliferante.
A quarantacinque giorni (1) le varie particolarità che caratterizzano le ghiandole
piloriche si vanno facendo più spiccate e più nette, per quanto da un processo di
riproduzione noi non possiamo aspettarci che tutto proceda nel modo facile e regolare
con cui questi fatti si svolgono nello sviluppo embrionale. Le fossette, nella massima
parte più lunghe e più ristrette delle normali, occupano la metà, o anche più, dello
spessore della nuova mucosa, e i tubi che ne emanano, aumentati di numero tanto
da poterne osservare in taluni casi quattro, raggiunta la tonaca muscolare, decorrono
ad essa parallelamente per un tratto più o meno lungo. Soggetti alla costrizione che
il connettivo, rendendosi più stipato, esercita sulla conformazione di tutta la ghian-
dola, essi si presentano più ristretti che nello stadio precedente, e le cellule dei
loro fondi, per quanto ci appaiano ancora un po’ granulose, lasciano scorgere il nucleo
foggiato a semiluna così respinto alla periferia da delimitarne il contorno esterno.
Insisto su questa peculiare disposizione perchè, col divenire permanente viene a co-
stituire una nota differenziale importantissima fra queste cellule e quelle delle
ghiandole peptiche che a nessun stadio di sviluppo, e tanto meno nell’animale adulto,
ci presentano qualche cosa di simile. A quarantacinque giorni il connettivo intertu-
bulare non ci presenta più differenze spiccate da quelle che circonda le ghiandole
normali; la sostanza fibrillare vi è di molto aumentata, e qua e là cominciano a
formarsi sottili fascetti di fibrocellule muscolari, che derivano dallo strato muscolare
sottoposto. Si può ritenere, adunque, che a quest’epoca il processo di riparazione
abbia quasi raggiunto quanto di meglio può dare, e, se si prescinde dal fatto che
col progredire del tempo meglio si fissano i caratteri degli elementi cellulari, io credo
che la regolarità maggiore delle fossette, lo sviluppo più rilevante dei tubuli ghian-
dolari che in stadì successivi si potranno riscontrare, più che ad un ulteriore perfezio-
namento degli organi riprodotti, sia da riferirsi al modo più o meno rapido con cui
il processo si è fin dal principio incamminato. Nella fig. 11 ho rappresentato un
tratto di soluzione al 170° giorno; in questo stadio in cui, a buon diritto, possiamo
ritenere assolutamente finito il processo riproduttivo, la mucosa si mantiene di spes-
sore inferiore al normale; le fossette vi restano inclinate contorte, e i tubuli che ne
emanano sono così irregolarmente disposti, che riesce impossibile seguirli nella stessa
sezione fino alla tonaca muscolare. La parte proliferativa dell’epitelio si è, come nelle
ghiandole normali, limitata al colletto e al tratto iniziale dei tubuli ghiandolari, la
cui parte maggiore è tappezzata da quelle cellule regolarmente cilindriche, trasparenti,
a nucleo semilunare, che dànno loro un'impronta così caratteristica. Il tessuto con-
nettivo interghiandolare s'è reso più stipato ancora che nelle condizioni normali, e si
presenta attraversato da fasci cospicui di tessuto muscolare (7) che originati dalla
(1) Queste date non devono prendersi in modo assoluto, perchè, come fin da principio ho fatto
osservare, lo sviluppo del processo non è proporzionato al tempo decorso dall'operazione.
576 R. VIVANTE
tonaca sottostante s’insinuano fra i tubuli ghiandolari. In questo stadio, infine,
vediamo confermate quelle differenze che siamo andati man mano notando fra ghian-
dole peptiche e ghiandole piloriche, che per lo sviluppo maggiore degli elementi
mucipari, per i caratteri speciali degli elementi che ne tappezzano i tubuli, meritano
d'essere da quelle così differenziate da giustificare, a mio avviso, la denominazione
particolare che loro fu data di mucogastriche.
Ed ora riassumendo i fatti osservati, mi sembra di poterli raccogliere nelle con-
clusioni seguenti:
1° Che la mucosa che tappezza la porzione pilorica dello stomaco, rimossa per
largo tratto e in tutto il suo spessore, si riproduce colla rinnovazione completa degli
organi che vi hanno normalmente sede;
2° Che le ghiandole mucogastriche vi sì sviluppano, come le peptiche, dall’epi-
telio di rivestimento, che a sua volta deriva dalle ghiandole che più da vicino limitano
la soluzione di continuo;
3° Che i tubuli ghiandolari traggono origine, con processo analogo, dall’epitelio
proliferante che tappezza le parti profonde delle nuove fossette, senza alcuna parte-
cipazione del connettivo, o di appendici epiteliali che elevandosi dal loro fondo le
suddividano ;
4° Che la riproduzione delle ghiandole piloriche differisce da quella delle
peptiche, per la forma degli abbozzi primitivi, per lo sviluppo maggiore delle fossette,
per la derivazione diversa dei loro tubuli ghiandolari, per i caratteri che assumono
le cellule che li tappezzano;
5° Che il processo di riproduzione, come quello dello sviluppo embrionale riesce
a dimostrare la specificità delle 2 forme ghiandolari, che occupano lo spessore della
mucosa gastrica.
10 Settembre 1893.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILURICA DIL
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
1. — Sezione perpendicolare alla superficie di una soluzione di continuo di 20
giorni in cui per la difficoltata riparazione siamo ancora alle prime fasi del
processo riproduttivo :
a, epitelio di rivestimento della mucosa pilorica non intaccata dal tagliente;
b, sezione di tubulo ghiandolare occluso e tramutato in cisti; c, tessuto con-
nettivg neoformato del fondo della soluzione; d, d', tubuli ghiandolari modificati
dei bori della soluzione; e, f, 9g, epitelio neoformato dall’epitelio dei residui
ghiandolari che si trovano alla periferia della soluzione. Koristka. Oc. 3. Obb. 4.
Camera chiara Zeiss.
2. — Sezione perpendicolare alla superficie dell’epitelio di rivestimento neofor-
mato da una soluzione di 10 giorni; a, 5, cellule in mitosi. Koristka. Oc. 3. Obb. 8.
Camera chiara.
3. — Sezione verticale della soluzione precedente in un tratto più vicino ai
bordi. Aggruppamento cellulare che rappresenta l’abbozzo primitivo di una ghian-
dola pilorica:
a, cellula in mitosi; 5, 8‘, 5'', cellule basse, piramidali a nucleo rotondo e
sospinto alla base dell'elemento recentemente formato che costituiscono la parte
centrale dell’abbozzo, e, c', c'’, cellule dell'epitelio di rivestimento neoformato che
sulle precedenti s’incurvano e si adattano a costituire la parte periferica del-
l’abbozzo; d, d', epitelio di rivestimento neoformato, id. id.
4. — Sezione verticale di due tubuli ghiandolari:
a, b, tubuli primitivi da una soluzione di 13 giorni; c, c', cellule profonde, pro-
toplasmatiche in cui si mantiene vivace la capacità proliferativa; d, d', cellule più
superficiali che vanno gradatamente assumendo i caratteri di quelle dell’epitelio di
rivestimento. Koristka. Oc. 3. Ob. 6, id.
5. — Sezione verticale di un tubulo ghiandolare primitivo da una soluzione
di 17 giorni:
a, epitelio di rivestimento; 5, porzione mucosa del tubulo che corrisponde circa
a 2 quinti della sua lunghezza; c, porzione protoplasmatica nella quale si vedono
due cellule in mitosi: Koristka. Oc. 2. Obb. 6, id.
6. — Sezione verticale del fondo di un tubulo primitivo, da una soluzione di 21
giorni. Abbozzo di un vero tubulo ghiandolare:
a, cellule del fondo del tubulo primitivo, protoplasmatiche, qua e là in via di
mitosi; 5, 6’, cellule periferiche dell’abbozzo del tubo ghiandolare; e, c', e’, cellule
- centrali. Koristka. Oc. 3. Obb. 6, id.
Serie II Tom. XLIV. x
5780 R. VIVANTE — SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA
Fig. 7, 8. — Stadî di sviluppo ulteriore dei tubuli ghiandolari presi da soluzione
di 21 giorni:
a, a, epitelio del fondo del tubulo primitivo che costituisce il vestibolo della
nuova ghiandola; 5, 6', strozzatura (colletto) che si forma al punto di distacco
del tubo ghiandolare; c, c', c'", cellule che tappezzano i tubuli ghiandolari neofor-
mati, che mantengono il carattere di protoplasmatiche, qua e là in via di scissione.
Koristka. Oc. 3. Obb. 6, id.
Fig. 9. — Porzione inferiore di una fossetta ghiandolare al 24° giorno, da cui si
staccano due tubuli ghiandolari:
a, a', epitelio della fossetta ghiandolare; 6, 5', colletto della nuova ghiandola;
e, e', tubuli ghiandolari contorti; 4, d', cellule del fondo dei tubuli ghiandolari,
basse, granulose a nucleo rotondo, sospinto all'estremo esterno dell'elemento.
Koristka. Oc. 2. Obb. 6, id.
Fig. 10. — Tubulo ghiandolare preso da una soluzione al 35° giorno. Il tubulo es-
sendo contorto ci si presenta nella parte superiore in sezione verticale, nella
inferiore in sezione trasversa:
a, a', epitelio della fossetta da cui il tubulo diparte; 6, 2’, colletto; e, c', c'", cel-
lule del fondo del tubulo «ghiandolare che cominciano ad assumere i caratteri di
cellule veramente ghiandolari, più trasparenti, più regolarmente cilindriche e col
nucleo foggiato a semiluna. Zeiss. Oc. 2. Obb. C. €. id.
Fig. 11. — Sezione verticale di una larga soluzione di continuo al 170° giorno:
a, epitelio di rivestimento; 5, 5, 5, fossette ghiandolari; c, c', tubuli ghiandolari
contorti; d, d', d'', sezioni trasverse di tubuli ghiandolari; e, muscularis mucosae;
f, fasci di tessuto muscolare che si spingono nel tessuto connettivo interghian-
dolare. Zeiss. Oc. 3. Obb. AA., id.
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MEMORIE
DELLA
REALE ACCADEMIA
DELLE SCIENZE
DI CLORENO
SERIE SECONDA
Tomo XLIV
TORINO
CARLO CLAUSEN
Libraio della R. Accademia delle Scienze
MDCCCXCIV
PROPRIETÀ LETTERARIA
‘Torino — Vincenzo Bona, T'ipografo di S. M. e Reali Principi
e della Reale Accademia delle Scienze.
SCIENZE
MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE
INDICE
CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE
E FILOLOGICHE
Le più recenti indagini statistiche sugli Scioperi; Memoria del Socio Salvatore
COCNEITRDESWARTSA to e a a e a PI:
Di alcuni Manoscritti Copti che sì conservano nella Biblioteca Nazionale di
Torino; Memoria del Socio Francesco Rossi
»”
L'antica Biblioteca Novaliciense e il frammento di un Codice delle Omelie di
S. Cesario; Memoria del Socio Carlo CrpoLna .
”
Alfonso Corradi ricordato nei suoi lavori scientifici in relazione alla Storia;
Memoria del Socio Gaudenzio CLARETTA .
»”
Appunti dal Codice Novaliciense del “ Martyrologium Adonis ,; Memoria del
Socio Carlo CiPoLLA
L'ultima colonna della iscrizione etrusca della Mummia; Memoria del Socio
corrispondente Elia LarTES
”
Notizia di alcuni Codici dell'antica Biblioteca Novaliciense; Memoria del Socio
Carlo CIPOLLA .
”
Antichi inventari del Monastero della Novalesa con la serie degli Abbati e dei
Priori del medesimo; Memoria del Socio Carlo CrPoLLa.
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I
LE PIÙ RECENTI INDAGINI STATISTICHE
SUGLI SCIOPERI
MEMORIA
DEL SOCIO
SALVATORE GOGNETTI DE MARTIIS
Approvata nell’ Adunanza del 2 Luglio 1893
Lo sciopero, benchè possa essere considerato anche da punti di veduta estranei
alla economia, pure è, per l’intima natura sua, un fenomeno che appartiene alla ca-
tegoria delle perturbazioni economiche. Certo il funzionamento regolare della vita
economica è turbato dovunque gli operai deliberatamente e più o meno concorde-
mente sospendono il lavoro in appoggio di richieste o pretese contrastate in tutto
o in parte da coloro nelle cui aziende lavorano. Ma in qualsiasi estrinsecazione della
vita, così degli organismi individuali come degli organismi sociali, le perturbazioni
non avvengono a caso. Laonde il loro studio non è meno importante e proficuo di
quello che ha per oggetto il funzionamento normale di cotesti organismi.
Purtroppo il materiale statistico riguardo agli scioperi è scarso.
In Inghilterra solo dal 1888 data la pubblicazione d’una relazione annuale sugli
scioperi (strikes) e sulle serrate (lock-outs) per opera d'un Corrispondente pel Lavoro
(Labour Correspondent) addetto al Board of Trade (1). In Francia la Direzione del
Commercio interno raccolse e pubblicò i risultati di una inchiesta sugli scioperi av-
venuti nella repubblica dal 1874 al 1885, continuata poscia sino al 1887 dal signor
Turquan Direttore della Statistica generale francese. In seguito l'Office du Travail
istituito presso il Ministero del Commercio e dell’Industria diede alle stampe la sta-
tistica degli scioperi occorsi nel 1890 e 1891 (2). Negli Stati Uniti d'America un
saggio d’indagini statistiche sugli scioperi comparve nel ventesimo volume del X cen-
(1) Reports on the strikes and lock-outs of 1888 by the Labour Correspondent of the Board of
Trade. Londra, 1889, pp. 104; id. per il 1889, pp. 145; id. per il 1890, pp. 361; id. per il 1891, pp. 546.
(2) Turquan, Les Grèves; recherches statistiques sur les grèves qui se sont produites en France
depuis 1874. Communication faite à VInstitut Intern. de Statistique, ete. Rome, 1390, pp. 16; 0ff. du Trav.
— Statistique des grèves survenues en France pendant les années 1890 et 1891. Paris, 1892, pp. 124.
Serie II. Tom. XLIV. il
2 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS
simento e concerne il 1880; più tardi nel Terzo Rapporto annuale del Commissario
del Lavoro (1887), dedicato esclusivamente agli scioperi a alle serrate, il Commis-
sario Carroll D. Wright fece un’analisi particolareggiata di coteste perturbazioni,
abbracciando un periodo di sei anni, dal 1881 al 1886, e riunì anche in un capitolo
speciale quante notizie potè raccogliere su quelle anteriori al 1881. È una fonte pre-
ziosa, tanto per la elaborata copia dei dati, quanto per la varietà degli aspetti sotto
i quali i dati medesimi sono posti sotto gli occhi del lettore (1). Egualmente prege-
voli sono le monografie statistiche sugli scioperi del Massachusetts contenute nel-
l'undicesimo (1880) e nel decimonono (1888) rapporto dell'Ufficio di Statistica del
Lavoro di quello Stato. Dobbiamo il primo alle cure del sig. C. D. Wright che, com’è
noto, reggeva l’Ufficio del Massachusetts innanzi di passare a reggere l'Ufficio fede-
rale in qualità di Commissario, il secondo a quelle del sig. Orazio G. Wadlin attuale
Capo dell'Ufficio del Massachusetts (2). In Italia la Direzione Generale della Stati-
stica ha pubblicato testè la Statistica degli scioperi avvenuti nell'industria e nel-
l'agricoltura durante gli anni dal 1884 al 1891, lavoro eseguito con molta cura sia
nella parte dedicata alla illustrazione delle notizie, sia nelle Tavole analitiche (3).
E queste, si può dire, sono le sole fonti ufficiali riguardo alla statistica degli
scioperi nel vecchio e nel nuovo continente. Si trovano, è vero, in taluni rapporti
di altri uffici di statistica locali degli Stati dell’Unione Americana notizie e dati
sugli scioperi avvenuti in questo o quello Stato; ma tali pubblicazioni, salvo qualche
rara eccezione, non godono ancora la reputazione che l'Ufficio del Massachusetts ha
saputo meritamente acquistare ne’ ventiquattro anni della sua operosa esistenza.
Inoltre è da osservare, rispetto a coteste fonti ufficiali, che non tutte hanno carat-
tere di continuità, nè la esposizione e la elaborazione dei dati vi si trovano. fatte
nello stesso modo e con uniformità di criterii direttivi. Laonde nell’uso di esse s’in-
contrano ostacoli non sempre nè facilmente superabili.
Abbiamo poi le fonti, per dir così, frammentarie. Consistono in ricerche fatte
da privati studiosi, o da uomini politici, o da funzionari pubblici in maniera occa-
sionale. Sono del genere le cifre pubblicate e illustrate dal Bevan nel Journal of the
Statistical Society, marzo 1880, e dall’Howel nell’Annuario del 1888 della Wwolesale
Cooperative Society di Londra, sempre relativamente all’Inghilterra; quelle messe dal
deputato Di San Giuliano nella sua relazione parlamentare al progetto di legge sugli
scioperi presentato dai ministri Depretis, Savelli e Berti il 30 maggio 1883; quelle
pubblicate dal Crouzel nel suo Eude historique, 6conomique et juridique sur les coali-
tions et les grèves dans l’industrie (Paris, 1887); quelle date dal sig. Condie Stephen in
un pregevolissimo rapporto sulle relazioni tra il capitale e il lavoro in Francia pub-
blicato l’anno scorso nella Miscellaneous Series (N° 258) del Foreign Office britannico,
(1) Report on the Statistics of Wages in manufacturing industries with supplementary reports on
the average retail prices of Necessuries of life and on Trades Societies and on Strikes and Lock-outs
by Jos. D. Weeks special agent Tenth Census, Washington, 1886. Third Report of the Commissioner of
Labor, 1887: Strikes and Lock-outs, Washington, 1888, pp. 1172.
(2) Eleventh Annual Report of the Bureau of the statist. of Labor, january, 1880, Boston, 1880,
pp. 1-71; Nineteenth Ann. Rep. ete. december 1888; Boston, 1888, p. 1-118.
(3) Roma, 1892, pp. 88.
AT i n e i Ana in iride
LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 3
e finalmente i prospetti contenuti nell’'Annuaire de la Bourse du Travuil della città
di Parigi pubblicato anch’esso nel 1892.
Tralascio altre pubblicazioni di carattere diverso (1).
Ora, non intendendo far qui un ampio studio sugli scioperi, ma semplicemente
mostrare come e quanto giovino le indagini su coteste perturbazioni, mi limiterò a
toccare tre punti soli: dirò prima del complessivo contenuto delle fonti dianzi indicate,
poi della frequenza degli scioperi in genere, finalmente di quegli scioperi che avven-
gono per dissidii relativi alla mercede e costituiscono, come vedremo, la categoria
più numerosa.
Le fonti inglesi c’informano complessivamente di 6062 scioperi avvenuti dal 1810
al 1891. Ma bisogna distinguerli in quattro gruppi. Un gruppo di 112 scioperi dal
1810 al 1869 che figurano in un prospetto pubblicato nella prima relazione annuale
del Board of Trade (pp. 21-29); un altro di 2352 dal 1870 al 1° dicembre 1879
contati e studiati dal Bevan; un terzo gruppo di 23 dal 1880 al 1887 indicati anche
essi nella predetta relazione; un quarto di 3575 esaminati nelle quattro relazioni
ufficiali. Solo quest’ultimo gruppo fornisce elementi sicuri alla osservazione scienti-
fica. Degli altri tre il secondo, cioè quello del Bevan, viene, per intrinseca impor-
tanza, subito appresso. I due rimanenti hanno carattere frammentario senza dubbio;
tuttavia riescono di qualche utilità per quel tanto che esprimono e fanno intendere
rispetto agli anni più o meno molestati da scioperi nei due periodi ai quali si rife-
riscono.
I documenti relativi alla Francia numerano 2413 scioperi dal 1822 al 1891. Ma
anche qui bisogna fare delle distinzioni. Un gruppo di 20 scioperi è dato dal Crouzel
per tutto il periodo dal 1822 al 1851; un gruppo di 1813 comprende gli scioperi
notificati alle autorità governative dal 1852 al 1889 e i dati si trovano nella rela-
zione del Condy Stephen, nel Turquan e nel volume della Borsa del Lavoro di Parigi:
nelle due ultime fonti però parzialmente (1874-87 e 1874-89); e un gruppo di 580
per il biennio 1890-1891 è fornito dalla pubblicazione mentovata dell’Office du Tra-
vail. Hanno, certo, più importanza i dati del terzo gruppo. Quelli degli altri due
hanno carattere soltanto indiziario e in modo più efficace i dati del secondo gruppo
che quelli del primo.
Dalle fonti americane si desume un elenco di 7200 scioperi dal 1741 al 1888,
più il biennio 1890-1891, per tutti gli Stati dell’Unione. La cifra complessiva va
spartita in quattro gruppi. Il primo comprende dati frammentari raccolti e messi in
(1) Daupr, Des grèves ouvrières, Bruxelles, 1884; Swrra, Les coalitions et les grèves d’apròs V Histoire
A > .
et Economie politique, Paris, 1886; RenAULT, Histoire des grèves, Paris, 1887; Masè Dari, Sciopero e
| coalizione di operai, Torino 1887; il med., voc. Sciopero in Dig. Ital.
4 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS
prospetto nel Cap. IV del Rapporto del Commissario Wright e riguardano il periodo
1741-1879, segnando 678 scioperi; il secondo è costituito dai 610 scioperi del 1880
illustrati dal Weeks; il terzo annovera i 3902 scioperi del sessennio 1881-1886 che
è, come s'è detto, quello cui si riferisce nella sua parte sostanziale il poderoso lavoro
del Wright, e il quarto è formato da 2610 scioperi avvenuti nei due bienni 1887-
1888 e 1890-1891 e notati d'anno in anno dal Bradstreets, giornale mercantile ame-
ricano donde ne ha trascritte le cifre il Labour Correspondent inglese sig. Burnett
nei suoi rapporti del 1888, del 1390 e del 1891. Mancano i dati pel 1889.
Le due Relazioni del Massachusetts analizzano 1179 scioperi occorsi in quello
Stato dal 1825 al 1886. I gruppi qui sono tre: il primo è di 159 scioperi dal 1825
al 1879 e trattasi di dati frammentarii; il secondo espone 25 scioperi del 1880; il
terzo ne ha 995 del sessennio 1881-1886 ed è il gruppo più notevole.
Il volume della statistica italiana dà notizie di 1709 scioperi per un periodo
che va dal 1860 al 1891; con la quale somma complessiva si formano tre gruppi.
Il primo di 634 scioperi dal 1860 a tutto giugno del 1878 e si tratta di dati rac-
colti dalla Commissione reale d’inchiesta sugli scioperi nominata nel 1878; il secondo
di 242 scioperi dal 1° luglio 1878 a tutto il 1883 e le cifre sono quelle della men-
zionata relazione del Di San Giuliano; il terzo di 833, che sono gli scioperi dei quali
la benemerita Direzione generale della Statistica è la prima a darci conto.
Riguardo ad altri paesi, alcuni dati compariscono d’anno in anno nei rapporti
britannici sotto la rubrica: “ Scioperi coloniali ed esteri ,. Ce n’è dunque per quattro
anni soltanto e si tratta di notizie sugli scioperi di maggiore importanza; troppo
scarse per lavorarvi attorno con qualche pro.
Kcco intanto qui in tabella tutte le cifre testè riferite distinguendole per paesi
e per gruppi:
GRANBRETTAGNA | FRANCIA | STATI UNITI ITALIA
RE N° di VISSE N° di TS N° di algo N° di
| Grupp: Scioperi Gruppi Scioperi Gruppi Scioperi Gruppi Scioperi
|
1° (1810-69) | 112 | 1°(1822-51) 20 | 1°(1844-79)| 678 |1°(1860-78*) | 634
| 2°(1870-79) | 2352 | 2°(1852-89) | 1813 | 20 (1880) | 610 |2°(1878**-83)| 242
3° (1880-87) | 23 | 3°(1890-91)| 580 |3°(1881-86) | 3902 |3°(1884-91) | 833
4° (1888-91) | 3575 ai — |4°(1887-88e| 2610 ur =
90-91)
Totali N° | 6062 2413 12007 90 1709
Î
il
|
Abbiamo un complesso di 18,185 scioperi nei quattro Stati in vari periodi che vl
vanno dal 1810 al 1891. Ma i dati dei singoli gruppi mal si prestano a confronti,
sia per la disuguale lunghezza dei periodi di tempo, sia per la disuguale composi-
LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 5
zione de’ gruppi, derivante, come s'è detto, da mancanza di dati pe’ gruppi più scarsi
non da più scarso numero effettivo di scioperi in questi che negli altrî. Adunque
ciò che coteste cifre ci dànno sono i dati numerici raccolti, non la precisa espres-
sione numerica delle perturbazioni avvenute nei rapporti tra il capitale e il lavoro
nella Granbrettagna, in Francia, negli Stati Uniti e in Italia.
Il
Le indagini rispetto alla frequenza degli scioperi mirano a mettere in evidenza
gli anni più o meno colpiti, e, nell’anno, le stagioni in cui gli scioperi sono più fre-
quenti e quelle in cui occorrono meno frequentemente. L'interesse della ricerca sta in
ciò che si è condotti a intendere le ragioni dell'abbondanza e della scarsezza degli
scioperi secondo gli anni e le stagioni, cioè dire si osserva e s'intende il movimento
del fenomeno perturbatore secondo coteste due sezioni di tempo.
Data l’indole frammentaria delle cifre che costituiscono il primo de’ gruppi in-
glesi, ciò che solo si può fare senza temerità è segnar gli anni ai quali corrisponde
il ricordo di un maggior numero di scioperi. Furono, nel periodo, due: il 1824 con
dieci scioperi, e il 1866 con sette. Piccole cifre in sè, ma pure le più grosse di quelle
delle quali s'è serbato ricordo nei cinquantanove anni, giacchè formano rispettiva-
mente l’otto e il sei per cento della somma totale. Ora, il 1824 in cui fu ricono-
sciuto agli operai in Inghilterra il diritto di coalizione, fu colà anno di prosperità
grande e d’intensa attività economica, e preluse alla notissima e tremenda crisi
di speculazione del 1825. Fu invece anno di depressione il 1866, dopo la spaventevole
crisi di credito scoppiata nel “ venerdì nero , della seconda settimana di maggio.
E per il primo gruppo ciò basti.
Il gruppo studiato dal Bevan è raffigurato nel prospetto seguente:
Anni Scioperi Quoziente annuo Anni | Scioperi | Quoziente annuo
1870 | N° 30 1% 1875 | N° 245 10 °/o
1871 1198 di, 1876 1: gu
1872 sRn949 I, 1877 s 180 TESTA
1873 11,865 5a 1878 | , 268 1,
1874 236 N IR, , 308 18%
| |
6 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS
Qui il contingente più forte è dato dal 1873; il più debole dal 1870. E va anche
notato che il gruppo può dividersi in tre sezioni: nell’una la quota annua degli scioperi
sale da 30 a 365; nell’altra scende via via sino a 180; nella terza risale. Certamente
la cifra del 1870 è soltanto indiziaria e così forse in minor proporzione, deve dirsi
di quella del 1871. Ad ogni modo emerge il fatto dell’accrescimento annuale degli
scioperi dal 1870 al 1873 e della annuale loro diminuzione dal 1874 al 1877, per
ricominciare a crescere nel 1878. Getta luce sul fenomeno il procedimento dell’attività
economica inglese in quel tempo. Dal 1871 al 1873 fu continuo e progressivo lo svi-
luppo degli affari: abbondanza di capitali, buoni profitti, mercedi alte specialmente
nella utimazione delle miniere del carbon fossile e del ferro. E nel 1873 il centro
degli scioperi inglesi fu la regione carbonifera e ferriera del Galles meridionale (1).
Mutarono le cose negli ultimi mesi del 1873 e nei primi del 74. Languì il moto delle
industrie e dei traffici al cadere del 73; cominciarono a scemare le mercedi nel
secondo mese del 74.
Del 1877 si sa che fu uno dei peggiori anni nella storia economica contempo-
ranea del Regno Unito; ma tale fu anche il 1878, e solo in settembre del 1879
apparvero segni di miglioramento. Eppure il 1878 ebbe più scioperi dell’anno pre-
cedente; cosa che meravigliò il Bevan, il quale scriveva al Times nel dicembre del
1878: “ Naturalmente si supporrebbe che con questa diminuzione di operosità si
dovessero registrare comparativamente meno contese concernenti il lavoro, vedendo
che il numero dei disoccupati è stato assai grande durante il 1878 ed ora ha rag-
giunto enormi proporzioni. Sfortunatamente non è così, ecc. (2) ,.
Notisi che il gruppo del Bevan appartiene ad un’epoca che s’inizia con prospera
fortuna, con vive lotte per la diminuzione della giornata di lavoro e termina in mezzo
agli sforzi delle classi operaie per tutelarsi dalle conseguenze della depressione in-
dustriale. E il movimento delle cifre rispecchia coteste tendenze diverse nei rapporti
tra le maestranze e gl’industriali. Negli anni grassi la mano d’opera faceva sciopero
per vincere il punto d’affaticarsi meno ed essere meglio rimunerata; negli anni magri,
come si liquidavano gli effetti della prosperità precedente, essa, pur producendo meno,
lottava per impedire che le si scemassero i proventi (8).
Gli scarsissimi dati del terzo gruppo sembrano designarci rispettivamente il 1884
e il 1887 come gli anni del minimo e del massimo numero degli scioperi occorsi dal
1880 al 1887. La quota risulterebbe del 4° pel 1884; del 34% pel 1887. Di co-
testi due anni il primo fu uno dei più fiacchi nel lungo periodo di depressione co-
minciato dieci anni innanzi; nel secondo migliorarono alquanto le condizioni dell’in-
dustria, ma duravano tristi quelle dell’agricoltura. Però l’esiguità della cifra di questo
gruppo è tale da rendere temerario qualunque discorso vi si facesse attorno.
(1) © Gli alti prezzi avevano seminato il malcontento tra gli operai del South Wales e condus-
sero ad uno de’ tanti scioperi che susseguentemente occorsero in questo e in altri distretti del
Regno Unito ,. Crump, The key to the London money market, Lond., 1877, p. 44.
(2) Vedi The Economist, Commercial History and Review of 1878, p. 58.
(3) “ Di scioperi in ogni industria e d’ogni dimensione c’è stati esempi continui, col quasi uni-
forme risultato della sconfitta degli scioperanti ,. Così si discorre degli scioperi del 1878 nella citata
Comm. Hist. dell’Economist a p. 1. Sulla scemata efficacia della mano d’opera nel periodo di depres-
sione, vedi la Comm. Hist. del 1877 a p. 2.
I deg e
CEE.
LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI - TI
Non è così per le cifre del quarto gruppo, quantunque anche qui ci sia l’incon-
veniente della brevità del tempo cui esso si riferisce. Eccone i particolari con alcuni
altri dati che giovano ad illustrare quelli degli scioperi, perchè concernono le condi-
zioni degli strati più umili, economicamente parlando, della popolazione.
Sciopori Disoccupati Porno Credito sui libretti delle Casse
Anni | Scioperi p. °/o . di risparmio
p. cento | -__—_—__ (Inghilterra e Galles) =>"
Mass. | Min. Ordinarie Postali
1888| 509 | 14,25| 7,8 | 3,1 |738,388 | 26,2 °/oo|Ls. 47,156,131 |Ls. 53,904,127
1889| 1145 | 32,001 3,3 | 1,6 |713,247 | 25,1 , | , 45,959,856 | ,, 58,614,600
1890| 1028 | 28,76| 2,28| 1,4 |695,821 | 24,2 , | , 44,861,448 | , 63,020,925
1891| 893 | 24,91] 4,48) 2,6 |675,175 | 23,4 ,, | , 43,836,098 | , 67,760,621
Le caratteristiche economiche dei quattro anni sono queste: il 1888 sviluppò ener-
gicamente in moto intenso e largo i conati di miglioramento avvertiti sulla fine del
1887: il numero dei poveri sussidiati dalle parrocchie scemò, e così quello degli
operai disoccupati, manifatture e agricoltura si giovarono degli aumentati capitali in
larga misura, in molte aziende industriali crebbero le mercedì, il movimento dei
traffici fu assai notevole. Il 1889 fu anch'esso anno buono: il volume del commercio
estero superò di più che l’8 per cento quello dell’anno precedente e il traffico fer-
roviario riescì oltre il 6 per cento superiore a quello dell’88, convenienti i profitti,
ottimo il raccolto, favorevolissime le condizioni di esistenza alla mano d’opera. “ In
niun’altro ordine sociale fu nel 1889 così sensibile il miglioramento come nel ceto
operaio. Ogni specie di lavoro abile si trovò nelle migliori condizioni d’impiego, e
mentre vi fu un generale e sostanziale aumento di mercedìi, pochissimo andò su il
costo dei generi di sussistenza, la maggior parte dei principali generi alimentari fu
così a buon mercato in fin d’anno come era stata a principio , (1). Nel 1890 la po-
sizione fu piuttosto mantenuta bene che sensibilmente avvantaggiata. Le mercedì si
mantennero alte, i prezzi dei generi di sussistenza bassi, il lavoro non mancò. La
potenza d’acquisto delle classi operaie risultava aumentata considerando il consumo
delle bevande spiritose, del vino, della birra, del tabacco, del the e del caffè in quel-
l’anno. E l’Economist, nella consueta occhiata alle condizioni del ceto operaio, mentre
constatava ciò, deplorava che tanta parte dei guadagni della mano d’opera fosse
spesa in spiriti e thé invece d’andar ad impinguare ancor più i depositi delle casse
di risparmio. La cifra degli scioperi del 1890 è di poco inferiore a quella dell’anno
innanzi, ma l’effemeride ora citata informa della loro frequenza e dell’acrimonia in-
trodotta in parecchie contestazioni, incolpandone gli apostoli del nuovo Unionismo (2).
Nel 1891 si videro segni di mutamento, e non in meglio, in quasi tutti i rami del-
(1) The Economist, Commercial History of 1889, p. 3.
(2) The Econ., Comm. Hist. of 1890, p. 3.
8 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS
l'industria britannica, Riguardo alle classi operaie, non si potè dire che la loro con-
dizione continuasse a migliorare come nei due anni precedenti. La riduzione del pau-
perismo, pur segnata quassù nel 1891, avvenne piuttosto nei centri rurali che negli
urbani e manifatturieri. I profitti scemanti inducevano a ridurre le mercedi; ma tra
il sopportare una lieve diminuzione nei guadagni e l’affrontare i rischi degli scioperi
parve miglior partito agli industriali il primo.
Si può dunque dire che, nei quattro anni, prima salì rapida e snella la fortuna
britannica, poi scese, ma “lo scender fu poco ,. E con movimento analogo proce-
dettero gli scioperi: più frequenti negli anni di prosperità, divennero meno frequenti
quando cominciò la depressione.
Tale è del resto di regola il movimento degli scioperi inglesi in tutta la serie
degli anni pei quali abbiamo dati o frammentarii o completi. Lo si argomenta dai
primi, se ne ha la dimostrazione dai secondi. Il 1824, il 1873, il 1889 segnano nel
primo, nel secondo e nel quarto gruppo (omettiamo il terzo) il massimo degli scio-
peri in ogni singolo periodo e, come si è visto, furono anni di grande espansione di
affari e di abbondanza di capitali. Viceversa il 1877 fu assai triste nei riguardi eco-
nomici e vediamo in quell’anno la cifra più picciola del decennio studiato dal Bevan.
La cifra elevata del 1878, anno di depressione e quella esigua del 1888 anno pro-
spero, possono parere in contradizione col carattere testò notato del movimento degli
scioperi britannici. Ma illustrammo già la prima, e in quanto alla seconda, bisogna
considerare che già i dati del 1888 mostrano un aumento di scioperi in confronto
con quelli raccolti nel 1887, la cui quota, sebbene puramente indiziaria, è la massima
nel periodo 1880-1887; che perciò la cifra del 1888 non rompe la continuità del moto
ascendente degli scioperi nel periodo di espansione; e che la statistica ufficiale rego-
lare degli scioperi faceva per l'appunto le prime sue prove nel 1888.
Passiamo alla Francia.
Del primo gruppo non è il caso d’occuparsi se non forse per notare come la.
quota più elevata sulle pochissime che abbiamo si riferisca al 1848, anno di agita-
zioni violentissime, nel quale per la prima volta nel continente europeo le questioni
concernenti gl’interessi della mano d’opera furono scritte in un programma di go-
verno. Nel secondo gruppo la cifra massima è quella del 1889 (327), la minima quella
degli anni 1853, 1872 e 1873 (7). Troviamo un rilevante numero di scioperi anche
negli anni 1882 (182), 1886 (160) e 1883 (141); e un numero scarso nel 1856 (3),
nel 1853 (4), nel 1872 (7); tuttavia nei dati del gruppo non appaiono indizi chiari
e spiccati di regolarità nella successione delle cifre annuali a periodi alternativi di
numeri alti e numeri bassi. Fluttuazioni, certo, s’intravedono nel movimento degli
scioperi francesi, ma le variazioni sono brusche in confronto, ad esempio, di quelle
che si scorgono nel gruppo inglese del Bevan. Ciò dev'essere effetto sopratutto del
modo con cui era compilata la statistica degli scioperi in Francia nell'epoca alla
quale si riferiscono i dati del secondo gruppo. Nondimeno si può tracciare nella suc-
cessione dei medesimi, così quali li abbiamo, un aumento quasi costante dal 1852 (1)
al 1862 (24), poi diminuzione anch'essa quasi costante sino al 1865 (15); quindi di
nuovo accrescimento sino al 1870 (26) seguìto da discesa sino al 1873. Nel triennio
seguente si va da 21 scioperi nel 1874, a 48 nel 1876; ma nel 1877 (30) si scende,
per poi risalire da 33, cifra del 1878 a 182 cifra del 1882. Diminuzione ancora sino
LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 9
al 1884 (89), aumento sino a 160 nel 1886, ridiscesa nel 1887 (108), lieve accresci-
mento nel 1888 (1270), notevolissimo e rapido nel 1889, che, come s'è detto, ha la
più grossa quota del gruppo.
Questi avvicendamenti a salti mettono in evidenza un sensibile divario tra il
movimento degli scioperi in Francia e il movimento degli scioperi in Inghilterra, e
il divario sembra specialmente dipendere da ciò che, mentre in Inghilterra gli scio-
peri sono d’ordinario organizzati e diretti dalle Unioni Artigiane, in Francia cotesta
organizzazione manca quasi affatto (1). Inoltre in Francia fino a che furono in vigore
gli articoli 414 a 416 del Codice penale, che consideravano e punivano come reato
la coalizione d’operai, cioè sino alla promulgazione della legge 25 maggio 1864, le
manifestazioni sotto forma di scioperi trovavano uno speciale e forte impedimento.
E anche dopo gli ostacoli vennero dalle interpretazioni quasi sempre restrittive nelle
quali la giurisprudenza dei magistrati contenne, talora sino a violentarlo, lo spirito
liberale di quella legge. L’effettiva libertà di coalizione data in Francia solo dalla
legge 21 marzo 1884 sui sindacati professionali. E infatti da quell’anno in poi è forse
meno malagevole rendersi conto della successione degli scioperi in quel paese, pur
tenendo calcolo delle condizioni speciali del mercato francese e dei contrasti che a
volte appaiono nello stato contemporaneo di alcuni suoi grandi centri industriali e
commerciali, taluno dei quali prospera mentre altri languono. Così nelle regioni me-
ridionali le industrie si trovarono in condizioni relativamente favorevoli nel 1882 e
nel 1883, anni di depressione in tutto il resto della Francia (2). Alla liquidazione
della crisi operatasi durante il 1886 e il 1887 tenne dietro la ripresa progressiva
nel 1888 e nel 1889. Gli anni seguenti 1890 e 1891 ebbero, dal punto di vista eco-
nomico, non diverso aspetto in Francia e in Inghilterra. Come nel 1889, l’anno del-
l’Esposizione, si svolse più attivo e fecondo il lavoro francese così si mostrò più
esigente e più indocilis pauperiem pati. Nè va trascurata l’influenza che sugli animi
degli operai esercitarono indubbiamente le discussioni e le risoluzioni del Congresso
internazionale socialista tenutosi a Parigi in luglio di quell’anno da 612 delegati di
varie nazioni.e della susseguente Assemblea federale dei Minatori.
Nel terzo gruppo, che è di due anni, il 1890 ebbe 313 scioperi ossia il 53 °/, del
numero complessivo del biennio; il 1891 n’ebbe 262 ossia il 46 °/, cifre che sembrano
accennare a un periodo di declinazione. Va notato che tra il movimento degli scio-
peri francesi e quello degli inglesi nel triennio 1889-91 c’è molta correlazione.
Occupiamoci ora degli Stati Uniti d'America.
Ne) 1° gruppo che ha, come già avvertimmo, cifre di carattere indiziario, il con-
tingente più grosso è fornito dal 1879 e subito dopo viene quello del 1877; s’încon-
trano cifre via via più tenui risalendo la serie, salvo qualche rara eccezione, sino
(1) © Chez nous malheureusement le signal de la grève est donné par une minorité turbulente;
“la masse obéit à l’impulsion, et les ouvriers honnétes et laborieux qui auraient le plus envie de
‘ rester étrangers è ces revendications trop souvent inopportunes, sont obligés, comme les autres,
“de subir l’entraînement général ,. Revwaup, “ L’année financière et commerciale (1882) ,, Paris,
1883, p. 219.
(2) Vedi Bernarp, Les conditions du travail et les grèves récentes, in “ Journal des Économistes ,,
marzo 1884, p. 419.
Serie II. Tom. XLIV. 2
10 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS
al 1844. Il 1879 segnò per l'Unione Americana la definitiva uscita dalla forte depres-
sione incominciata nel 1873. I fallimenti delle società (uno dei più notevoli e penosi
coefficienti della crisi) completamente liquidati, un magnifico raccolto di cereali in
combinazione con scarsissimi prodotti della mietitura in Europa, attivo movimento
delle correnti commerciali tra i due continenti uno de’ quali inviava grano all’altro
chiedendo in cambio ferro, acciaio ed altre mercanzie, forte espansione della popo-
lazione verso l’Ovest e il Nordovest. E la classe operaia a chiedere di partecipare
in conveniente misura alla prospera fortuna che arrideva ai capitali impiegati nel-
l'agricoltura, nelle industrie e nei commerci. In tutt'altra situazione erano scoppiati
gli scioperi del 1877. La vita economica della grande repubblica transatlantica era
allora colpita di languore. Fiacco il traffico turbato dalla sfrenata concorrenza che
si facevano le compagnie ferroviarie, torpido tutto l'organismo della produzione. In-
cominciarono le falcidie nelle mercedi, ed ecco gli operai della linea Baltimora-Ohio
mettersi in sciopero, e in brevissimo tempo insorgere a difesa dei salari minacciati
un esercito di quindicimila lavoratori sparsi nel Maryland, nella Pensilvania, nella
Virginia Occidentale, nell’Ohio, nel New-York, nel New-Jersey, nell’Indiana, nel Mi-
chigan, nell’Illinese, nel Kentucky, nel Missouri (1).
Nel secondo gruppo figurano gli scioperi contati dal signor Weeks nel 1880,
l’anno del decimo censimento. L’acuto Commissario speciale notò che erano accaduti
per la maggior parte negli Stati ove erano più numerosi i centri minerarii e mani-
fatturieri; infatti la Pensilvania e il New-York diedero essi soli i due terzi della
somma complessiva. Furono quasi tutti scioperi di carattere analogo a quelli del
precedente anno 1879, fatti cioè per render partecipe il lavoro alle prospere condi-
zioni dell'ambiente economico.
Il terzo gruppo mette in vista una diminuzione di scioperi nel 1881 (471) e nel
1882 (454); poi un non forte aumento nel 1883 (478), seguito da nuova discesa nel
1884 (443). Cresce sensibilmente il numero nel 1885 (645) e giunge al colmo nel
‘ 1886 (1414) che da solo ha il 36 % del totale. Larga parte ebbero i sodalizi operai
(Unioni artigiane, società con speciali denominazioni, federazioni, ecc.) nel suscitare
e organizzare questi scioperi. Nel pregevolissimo Terzo Rapporto del Wright sono
calcolati ad 82 per cento gli opificii colpiti in quel periodo da scioperi organizzati.
Riguardo all’indole di queste perturbazioni, basti dire che avvennero durante la lunga
depressione che ebbe principio nel 1882 e giunse alla massima intensità nel 1886.
È detto nel volume col quale per l’appunto in quell’anno s’aprì degnamente la serie
dei Reports annuali dell'Ufficio Federale (ora Dipartimento) del Lavoro che la depres-
sione aveva seriamente paralizzata la classe salariata e ristretto perciò in più an-
gusti confini il consumo, sviliti i prezzi, messo in grave imbarazzo parecchie industrie,
non ridotta però di troppo la massa degli affari (2). Questa natura mista della de-
pressione americana, analoga in ciò alla francese, è rispecchiata dalla numerosa
quantità di scioperi avvenuti nei sei anni ch’essa durò, come si vedrà meglio nel-
l’ultima parte di questa Memoria.
(1) Vedi Dacus, The Annals of the great strikes, Chicago, 1877, p. 22.
(2) First Ann. Rep. etc. (Industrial Depressions), p. 73.
LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI ll
Nel quarto gruppo emerge il 1890 con 926 scioperi preceduto (poichè mancano
i dati del 1889) dal 1888 con 672 e dal 1887 con 872 e seguìto dal 1891 che ne
avrebbe avuti soli 133 stando alla fonte di cui mi valgo. L’anno 1890 fu tutt'altro
che buono per l'economia nazionale dell’Unione Americana. Gli sforzi già bene ini-
ziati per scuotere il torpore della depressione furono impacciati da una cattiva legge
monetaria, da una peggiore tariffa doganale e da una violenta crisi di borsa. Nè
l'abbondante raccolto frumentario del 1891 valse a togliere gli effetti perniciosi di
tali cause combinate, pur avendo in qualche modo giovato alle classi salariate.
Il signor Weeks nel 1880, mentre ammetteva che nei centri dove sono agglo-
merate grandi masse d’operai c'è sempre gente la quale “ per motivi sinistri e mer-
cenari , crea dissensi e si sforza di suscitare scioperi, opinava che questi tendessero
a scemare (1). Le cifre posteriori al 1880 non confermano la previsione, anzi mo-
strano che gli operai americani, non meno dei loro confratelli di Francia e d’Inghil-
terra ricorrono, all’occorrenza, volentieri agli scioperi e sanno organizzarli con molta
abilità.
In quanto agli scioperi del Massachusetts, solo riguardo al terzo gruppo di essi
abbiamo la cifra massima che è quella del 1886 e la minima che è quella del 1881.
I gruppi italianî ci dànno rispettivamente il maggior numero di scioperi negli
anni 1873 (103) e 1890 (139). La quantità annua degli scioperi va crescendo dal
1870 al 1873 poi scema via via sino al 1880 (27); nel seguente anno ripiglia l’au-
mento che tocca il punto più elevato nel 1890. Nel 1891 vi fu una lieve diminu-
zione. Le cifre minime sono quelle degli anni 1870 (25), 1871 (26) e 1880 (27).
I due anni delle cifre massime non ebbero pari indole economica. Il 1873 fu
anno di eccessiva speculazione seguìta da crisi; il 1890 appartiene al periodo di
depressione cominciato nel 1887. Dei tre anni delle cifre minime il 1870 e il 1871
furono anni di attività; il 1880 fu anno di lenta ripresa dopo il periodo di reazione
contro l’esagerato moto ch'era riescito alla crisi.
Riassumendo, le più grosse cifre degli scioperi occorrono in sei anni di attività:
1824 (Inghilterra), 1873 (Inghilterra e Italia), 1879 e 1880 (Stati Uniti), 1889 (In-
ghilterra e Francia) 1890 (Inghilterra e Francia); e in sei anni di depressione : 1866
(Inghilterra), 1877 (Stati Uniti), 1878 (Inghilterra), 1883 e 1886 (Stati Uniti), 1887
(Inghilterra), ai quali bisogna aggiungere il 1890 che fu anno di depressione e di
molti scioperi negli Stati Uniti e in Italia. Appartengono ad anni di attività le scarse
cifre del 1853 e 1872-73 (Francia), del 1888 (Inghilterra) e 1891 (Stati Uniti); ad
anni di depressione quelle, scarse anch'esse, del 1877 e 1884 (Inghilterra).
La notevole frequenza di scioperi anche in anni di fiacchezza industriale e com-
merciale mostra come non s’apponesse in tutto al vero il Guyot quando scriveva che
il numero degli scioperi aumenta quando la produzione cresce; durante la crisi di-
minuisce; passata la crisi, gli scioperi ricominciano (2). Non in tutto, dico, perchè
qualcosa di simile può scorgersi, almeno come tendenza, nel movimento degli scio-
(1) A p. 1 del Rep. on Strikes ete. nel Rep. on the statist. cit.
(2) Guror, “ La Science économique ,, Paris, 1881, p. 294.
(3) Rep. on the Strikes etc. of 1888, p. 16.
12 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS
peri inglesi. Tuttavia l’alta cifra di cotesti scioperi nel 1878, come s'è già notato,
anno tutt'altro che attivo, vieta di ammettere in senso assoluto che la quantità degli
scioperi cresca quando il moto dell’operosità economica proceda rapido, scemi quando
rallenti. Posteriormente al 1875, serive il Burnett, le industrie della nazione hanno
attraversato due periodi d’intensa depressione economica durante la quale gli scio-
peri sono stati ampii, prolungati e frequenti (3). Il Crouzel esaminando le cifre da
lui raccolte, osserva invero che tanto i periodi di grande attività industriale, quanto
quelli in cui questa attività vien meno, e una crisi comincia a farsi sentire sono pre-
cisamente i più agitati da scioperi. E spiega il fenomeno con queste parole: “ Dans
les premiers temps de prospérité industrielle les ouvriers élèvent de fréquentes
réclamations pour bénéficier aussi de la bonne situation des affaires; les patrons
ne consentant souvent que contraints et forcés à y faire droit, les conflits doivent
naturellement se multiplier. Lorsqu’au contraire, une crise survient, les patrons
se voient contraints de revenir sur les concessions faites à leurs ouvriers pendant
des temps meilleurs et ceux-ci résistent alors avec une énergie qui rend presqu’im-
possibles les arrangements amiables , (1). Nel già menzionato volume italiano della
statistica degli scioperi è detto che la frequenza degli scioperi ha fondamento nelle
mutabili condizioni della produzione e dei commerci, ma è anche acutamente notata
l'influenza perturbatrice esercitata dall’agitazione socialista su tale frequenza, sicchè
non sempre questa va illustrata con criteri prettamente economici.
Dacchè se da questi soli fossero motivati, gli scioperi dovrebbero essere più
numerosi e importanti nei periodi di prosperità ascendente e sarebbero pure da pre-
vedersi quando il capitale non fosse in grado di rimunerare nella consueta misura
il lavoro. Qui, si vede, è corretta la veduta del Guyot. Se non che non è l’agita-
zione socialistica la sola causa perturbatrice. Ce n'è altre ancora. Così ad esempio,
gli scioperi detti di simpatia o di solidarietà, quelli che si fanno in Inghilterra e negli
Stati Uniti per imporre agli industriali operai affiliati alle Trades Unions ed altri
d'altro genere non causati da ragioni concernenti direttamente e attualmente la distri-
buzione del prodotto tra gli elementi che concorrono a formarlo non prendono ne-
cessità dall’incremento o dal Janguore della vita economica, ma dalla coscienza che
gli operai hanno del principio: vis unita fortior. Ad ogni modo si può, coeteris paribus,
consentire che “ gli scioperi erompono quando è più rapido il movimento sia di pro-
gresso sia di discesa , e che “ la stazionarietà nella quale il movimento economico
si adagia per qualche tempo nella prosperità o nello spostamento offre minor occa-
sione di scioperi , (2).
Diamo ora le cifre percentuali degli scioperi secondo le stagioni nelle quali ebbero
principio. I periodi cui cotesti dati si riferiscono sono, per l'Inghilterra il quadri-
ennio 1888-91, per la Francia il triennio 1889-91, per gli Stati Uniti il sessennio
1881-86, per l’Italia i due settenni 1878-91.
(1) Crouzet, Op. cit., p. 378.
(2) Statistica degli scioperi in Ital., p. 22 seg.
PTC, ae «ll rt
LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 13
INVERNO PRIMAVERA STATE AUTUNNO TOTALI
(Dec. Genn. Febbr.) | (Mar. Apr. Magg.) | (Giug. Lugl. Agos.) | (Sett. Ottob. Nov.)
Inghilterra 22.02 22.56 24.77 30.65 100
Francia . 18.49 36.75 28.30 16.45 100
Stati Uniti 16.48 42.36 22.59 18.57 100
Italian. 15:62 31.16 39.28 17.94 100
Per l'Inghilterra il quoziente più grosso è quello dell’autunno, che è l’epoca del-
l’anno nella quale d’ordinario le aziende industriali ricevono le commissioni. Per la
Francia il fenomeno della maggior frequenza degli scioperi in primavera fu già av-
vertito dal Turquan che in proposito scrive: “ Il est légitime de supposer que les
“ grèves ont plutòt tendance è éclater lorsque le travail est dans toute son activité,
“ que dans les mois de l’année pendant lesquels le travail languit , (1). Gli Stati
Uniti si trovano nelle medesime condizioni della Francia e probabilmente per le me-
desime ragioni. In quanto all'Italia la prevalenza della quota estiva è cagionata dagli
scioperi agrari che naturalmente cadono nella stagione nella quale sono più attivi i
lavori campestri.
LI
Vengo ora a dire degli scioperi concernenti la mercede.
Le cause degli. scioperi sono molteplici. La statistica inglese del 1891 ne enu-
mera venti: quella francese del Turquan ne indica trentotto, l’altra dell’ “ Office du
Travail , ne conta tredici principali; l'americana del 1880 le spartì in sette cate-
gorie, l’altra del 1887 in diciotto; la statistica italiana le raccoglie in cinque gruppi.
Ma in tutte le statistiche la classe più numerosa è sempre quella che comprende gli
scioperi cagionati da contestazioni relative alla mercede. Nell’inchiesta belga del
1886 un bravo minatore diede la più efficace espressione dei sentimenti che suscita
negli animi degli operai la preoccupazione della mercede quotidiana dichiarando: “ Je
“ suis un bon homme et je n’ai jamais fait de mal è personne, mais le jour où ma
“ femme et mes enfants me demanderaient du pain sans que je puisse leur en donner,
“ je ne répondrais pas de moi , (2).
Gli scioperi che avvengono in causa della mercede possono riferirsi alla misura
(1) Turquan, Op. cit., p. 6. Così è anche in Germania. Vedi Recueil de Rapports sur les conditions
du travail, ete. Allemagne, p. 99.
(2) Commiss. du Trav., vol. II, E, p. 76.
14 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS
di questa, ovvero al tipo (mercede a tempo, a fattura, ecc.), od anche al modo o al
tempo del pagamento. Qui prendo in considerazione unicamente gli scioperi concer-
nenti le variazioni quantitative della mercede. Essi vanno spartiti in due categorie,
secondo che gli scioperanti hanno in mira d’ottenere l'accrescimento della mercede,
o d’impedirne la diminuzione. E interessa molto sapere quale esito abbiano sì gli
uni come gli altri.
Ecco le cifre inglesi per il periodo 1888-1891 (1):
dr Scioperi Scioperi Scioperi per l'aumento |Scioperi contro la diminuzione
REI | in genere | per la mercede della mercede della mercede
*Fav. NF. Tran. Fav. NF. Tran.
1888 509 374 320. 175 48 76 DASIZAEZO 3
1889 1145 813 768 342 76 290 45 1298820, 10
1890 1028 639 514 ‘208 109 152 831 9480 14
1891 893 421 917 149 68 74 104. 42 20 (29.
(*) Fav. = Favorevoli (agli scioperanti); N. 7. = Non favorevoli; Tran. = Finiti con transazione.
È sconosciuto l’esito di 152 scioperi per l'aumento e di 32 contro la diminuzione.
Nei Reports del 1890 e del 1891 ci sono dati che informano di quanto le mer-
cedi di operai ascritti alle Trades Unions crebbero o scemarono sia per effetto degli
scioperi, sia indipendentemente da essi. Per il 1890 risulta che 182,779 individui ebbero,
dopo scioperi favorevoli, aumento di mercedi per un complesso di 28,193 lire ster-
line per settimana, mentre 10,483 individui, dopo scioperi sfavorevoli, subirono ri-
duzione di mercedi in ragione di 1082 lire sterline settimanali. Ebbero aumento di
mercede senza ricorrere a scioperi, ma per effetto di trattative pacifiche 225,710
operai per complessive 28,054 lire sterline la settimana; si assoggettarono in pari
modo a riduzione dei salari per una somma di 566 lire sterline settimanali 2639
operai. Nel 1891 scioperi riusciti procuravano a 51,589 operai l'aumento di 6,235 lire
sterline per settimana; scioperi sfavorevoli fecero perdere 1,477 lire sterline sul sa-
lario settimanale a 15,223 individui. Gli aumenti settimanali ottenuti senza sciopero
aumentarono a 11,740 lire sterline per 140,382 operai; le riduzioni avvenute in pari
modo sommarono a 2,204 lire sterline per 22,337 operai. Sebbene queste notizie ri-
guardino i soli operai unionisti, pure è da considerare, come avverte il Burnett, che
esse forniscono indizi che trascendono la cerchia de’ soci delle Unioni Artigiane e
possono ritenersi, come segni del relativo incremento o decremento delle mercedì,
ben più importanti che non paia a primo aspetto (2).
(1) Le cifre frammentarie del periodo 1810-1887 dànno 12 scioperi per causa della mercede,
senza determinazione di scopo; 40 per l'aumento, de’ quali 10 favorevoli, 13 non favorevoli, 4 finiti
con una transazione, 13 d’esito sconosciuto; 63 scioperi contro la diminuzione, de’ quali 5 favorevoli,
81 non favorevoli, 14 finiti con transazione, 14 d’ esito ignoto. In complesso 115 scioperi in causa
della mercede sopra 194 scioperi segnati per tutto il periodo.
(2) Report on the Strikes etc. of 1891, p. 34.
LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 15
Intanto le cifre riferite nella tabella mostrano, per ogni anno del quadriennio,
superiore la cifra degli scioperi per l'aumento a quella degli scioperi contro la di-
minuzione. Ricordiamo che il 1888 e il 1889 furono anni favorevolissimi alle industrie
britanniche e intenderemo agevolmente come il 54 per cento degli scioperi per l’au-
mento riescissero favorevoli agli operai nel primo dei due anni e il 44 per cento
nel secondo.
La proporzione s’attenua nel 1890, ma risale nel 1891 in cui però troviamo la
più grossa cifra degli scioperi contro la riduzione avvenuti nei quattro anni. Indizio
questo della natura economica per così dire mista di bene e di male di quell’anno
meno prospero del 1890, ma abbastanza buono per suscitare movimenti a scopo di
mandar su le mercedi in certi rami d’industria nei quali gli effetti della prosperità
precedente furono avvertiti alquanto più tardi. Infatti nella prima metà del quadri-
ennio lottarono e vinsero per l'aumento della mercede gli operai delle industrie tes-
sili, delle miniere, e quelli addetti alle officine metallurgiche e ai cantieri marittimi;
nell'ultimo anno venne la volta dei mestieri connessi all’edilizia e degli operai che
lavorano in generi di vestiario. Notisi inoltre come sia scarsa nel 1888 la cifra delle
transazioni, segno della resistenza degli industriali, mentre ingrossa sensibilmente e
rapidamente nel 1889, segno di pronta cedevolezza ispirata dalla buona fortuna del
mercato e dalla forza organica delle Unioni Artigiane. Ancora va notato, come in
entrambi gli anni pei quali abbiamo i dati sui guadagni e le perdite degli operai
unionisti, la cifra degli operai i quali si videro aumentata la mercede senza ricor-
rere a scioperi sia superiore a quella degli operai che ottennero l'aumento per mezzo
dello sciopero. E anche questo è indizio ed effetto della potente organizzazione delle
Trades Unions e della parte sempre più efficace che prendono alla tutela degli inte-
ressi del ceto operaio.
I dati francesi sugli scioperi per la mercede sono i seguenti (1):
SS Scioperi Scioperi Scioperi per l'aumento Scioperi contro la diminuzione
MII | in genere | per la mercede della mercede della mercede
Tot. Fav. NF. Tran. Tot. Fav. NF. Tran.
1889 | 321 197 161° 33 94 834 36 12 TOT
1890 313 208 140. 394 71 33 59 22 25. 12
1891 267 162 117 40 42 33 45 16 20 st]
La pubblicazione dell'Ufficio del Lavoro donde coteste cifre sono tratte, nulla ci
apprende circa l'ammontare dell’accrescimento o della riduzione dei salari con o senza
sciopero. Tuttavia anche qui troviamo più grosse le cifre degli scioperi per l'aumento
(1) Nel periodo dal 1874 al 1887 su 1080 scioperi classificati secondo le cause, si contarono
474 scioperi per l'aumento (44 per cento), 267 contro la diminuzione (25 p. c.) ossia il 69 per cento
di scioperi per la mercede sul totale degli scioperi. Vedi Tureuan, Op. cit., p. 8 seg.
16 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS
che quelle degli scioperi contro la riduzione. Ma le cifre degli scioperi non favore-
voli agli operai sono sempre superiori a quelle degli scioperi favorevoli, a differenza
di ciò che s'è visto nei dati inglesi, specialmente per quanto concerne gli scioperi
di miglioramento ossia quelli per l'aumento della mercede. Probabilmente è questo
un effetto della mancanza d’organizzazione che s'è già avvertita negli scioperi fran-
cesi. Mentre in Inghilterra l’intervento delle Trades Unions nelle contese tra le
maestranze e gl’industriali si è venuto svolgendo e determinando da lungo tempo
con criteri sempre più corretti e indirizzato a scopi strettamente economici, giovan-
dosi degli ammaestramenti dell’esperienza; in Francia l’azione dei Sindacati operai
in tali controversie è ancora, si può dire, allo stato di prova e perciò non sicura
nei metodi, non ferma nei criteri e spesso o non chiesta, o sospettata, o soperchiata
da quella di agitatori i quali si cacciano tra le parti contendenti non già con lo
scopo di cooperare a ristabilire tra esse l'accordo, ma con quello di dividerle e ina-
sprirle più che possano l’una contro l’altra. Vi sono, senza dubbio, delle eccezioni.
Si contano casi nei quali l'intervento dei Sindacati francesi non è stato turbato o
impacciato ed ha prodotto buoni effetti. Ma sono ancora scarsissimi, e molto resta
a fare perchè delle istituzioni di cotesto genere possa dirsi ciò che concordemente
affermano delle Trades Unions quanti hanno studiato le norme e i risultati della loro
ingerenza nelle perturbazioni della mano d’opera (1). Come s’andrà rinvigorendo e mi-
gliorando la costituzione dei Sindacati operai, come più prevarranno in essi i senti-
menti espressi dai delegati dell'Union des chambres syndacales ouvrières innanzi alla
Commissione d’inchiesta del 1884 (2), così meglio saranno condotte nell’interesse
degli operai le ostilità tra essi e gli industriali ogni qualvolta verrà meno il reci-
proco accordo.
Kcco ora le cifre degli scioperi americani per la mercede. S'avverta che nel
prospetto seguente l’unità non è lo sciopero, ma lo stabilimento colpito da sciopero.
Su questa base fu compilata la statistica compresa e illustrata nel Third Report del
Commissario federale signor Wright.
(1) Vedi tra le fonti più notevoli oltre i citati Reports annuali sugli scioperi e le serrate, le
cinque relazioni annuali (1887-1891) sulle Trades Unions e i Digests della R. Commission of Labour
nelle parti che concernono gli scioperi e le serrate, 1’ arbitrato e la conciliazione; HoweLt, The
conflicts of capital and labour, 2* ediz., 1890, p. 128-181; RerwAuD, Les Syndicats professionnels, etc.,
Paris, 1886, p. 88-100.
(2) “ Quelle a été la première préoccupation de ces associations syndicales? Elles ont de suite,
“ aussitòt qu’elles se sont senti un peu d’autorité morale, noué des relations avec l’Union des
“ chambres syndicales des patrons pour débattre amiablement les intérèts du capital et du travail.
“ Des conférences ont été organisées d’un commun accord entre les deux parties en présence. Dans
“ ces conférences il a été question des grèves et on a étudié sincèrement des deux còtés les moyens
“à employer pour les éviter..... On s'est évertué è changer l’antagonisme, qui prévaut si regretta
“ blement entre les deux facteurs du produit, en solidarité sérieuse, c'est-à-dire en contrat équitable
© pour les uns et pour les autres ,. In RerwaAUD, Op. cit., p. 97 seg.
(4
LE PIU RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 17
Stabilimenti Stan Scioperi per l’aumento Scioperi contro la diminuzione
Anni colpiti Fasi dop pae della mercede della mercede
da sciopero perla mercede (stabilimenti) (stabilimenti)
Tot. Fav. NF. Tran. Tot. Fav. NF. Tran.
1881 2,928 1795 1,652 1187 315 150 143. 68. 70 5
1882 2,105 1743 1,559 914 496 143 190 30 134 26
1883 2,759 2086 1,784 1310 301 -123 002! 92 217 48
1884 2,367 1209 802-453) 292‘. 57 407 112 265 830
1885 2,284 2116 1,668 639 391 38 448 197 204 47
1886 9,861 2824 2,650 1726 619 285 194 . 94:93 7
Gli stabilimenti nei quali avvennero scioperi d’ogni genere negli Stati Uniti du-
rante questi sei anni sommarono a 22,304; quelli colpiti da scioperi per causa di
aumento o riduzione dei salari o sole o combinate con altre cause furono 13,595. In
cifre proporzionali ciò forma il 60,95 °/. Eliminando gli stabilimenti in sciopero nei
quali la questione della misura del salario era combinata con altre questioni e te-
nendo conto di quelli soltanto in cui unica e sola causa dello sciopero fu la varia-
zione quantitativa della mercede, si ha la proporzione del 50 per cento. E in questa
percentuale gli stabilimenti ove si scioperò per l’aumento (42.32) figurano con una
cifra assai superiore a quella degli stabilimenti ove si scioperò contro la diminu-
zione della paga (7.77). Nel sessennio gli scioperanti per aumento della mercede che
riescirono nell’intento furono 168,761. Le mercedì da essi perdute durante gli scioperi
sommarono a Doll. 3,445,478, cioè in media una perdita di Doll. 20.40 per operaio
durante lo sciopero. Ora, nei casi di scioperi favorevoli, le mercedi salirono in media
di 27 cents al giorno per individuo; sicchè gli operai favoriti dal successo poterono
in 76 giorni ricuperare quanto, durante lo sciopero, avevano perso. D'altra parte il
numero degli operai impegnati in scioperi per aumento finiti con transazione fu nei
sei anni di 34,047 e la somma delle mercedi perdute durante gli scioperi ascese a
D. 1,475,673, ossia in media a D. 43.34 per testa. Il guadagno conseguito mercè la
transazione fu di 12 cents al giorno per operaio, laonde il ricupero del salario perduto
importò per costoro non meno di 361 giorni di lavoro. Prendendo insieme le due
categorie di cotesti scioperanti, s'ha un complesso di 202,808 persone le quali subi-
rono durante gli scioperi la perdita di Doll. 4,921,151 ossia in media Doll. 24.27 per
testa e guadagnarono per effetto dello sciopero 24 cents e mezzo. Il periodo di ricu-
pero risulta di 99 giornate di lavoro.
In Italia sul totale degli scioperi avvenuti dal 1878 al 1891 inclusivo (n° 1075)
se n’ebbero 676 per causa della mercede e vanno distinti come si vede nel seguente
prospetto:
Serre Il. Tom. XLIV. 3
18 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS
Tot. Fav. NF. Tran. Tot. Fav. NF. Tran.
1878* 9 11 7 — 5) 2 4 — 2 2
1879 32 18 14 4 7 3 4 — 1 3
1880 27 17 16 4 ti 5) 1 — — 1
1881 44 29 25 Pi i ENASET2 4 1 1 2
1882 47 34 30 Di Ando 4 —_ 4. —
1883 73 48 42 PARIE22 6 = 1 5)
1884 81 57 51 91923 6 1 2 3
1885 89 55 49 To, a feb 6 2 — 3
1886 96 5 44 oo de a22 13 4 5) 4
199409 44 37 Leo 7 —_ 1 6)
1888 101 61 48 Si On 2 13 4 4 5)
1889 126 73 60 06190238 13 _ 6 L)
1890 139 95 81 1651/26 334 14 2 7 3
1891 132 77 dI AL 114) -,28 24 1,15 7
* 2° sem.
Le percentuali dànno 51 scioperi per aumento della mercede, 11 per resistere
alla diminuzione, ragguagliando a 100 il totale degli scioperi. Aggruppando tutti
questi anni in due periodi, uno di espansione economica sino al 1887, l’altro di sof-
ferenza dal 1888 al 1891 la statistica italiana conta 54 scioperi per aumento nel
primo periodo e 48 nel secondo; 10 scioperi contro la diminuzione nel primo periodo,
13 nel secondo. La lista degli scioperi finiti con transazione è in entrambi i periodi,
più numerosa delle altre.
Il numero degli scioperi favorevoli è maggiore nella categoria degli scioperi di
aumento che non in quelli di diminuzione. Ma tanto nell’una quanto nell’altra cate-
goria la cifra degli insuccessi supera quella dei successi. Anche qui, come s’è visto
per la Francia, la causa probabile degli insuccessi è la mancanza di organizzazione.
“ Non di rado... gli scioperi s'intraprendono per iscopo di agitazione socialista piut-
tosto che per un intento pratico immediato; anzi talvolta, senza avere prima attuata
un’organizzazione che abbia da dirigerlo e moderarlo, s’iniziano scioperi in contra-
dizione evidente colla realtà della situazione di fatto dell'industria , (1).
(1) Statistica italiana cit., p. 25.
LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 19
IV.
Le cifre testè esposte ed illustrate offrono materia a molte considerazioni sia
dal punto di vista tecnico come contributi statistici, sia come raffigurazione dei feno-
meni di perturbazione economica ai quali si riferiscono.
Il materiale statistico da esse costituito è, certo, prezioso, ma è raccolto con
procedimenti non uniformi nei quattro paesi, sicchè meno facile riesce d’utilizzarlo
tutto quanto nel processo comparativo. E per ovviare sin ch'era possibile a questo
inconveniente s'è tracciato il secondo diagramma con dati percentuali, ragguagliando
a cento il numero degli scioperi d'ogni singolo periodo. Ancora c’è che il tempo al
quale appartengono i fenomeni espressi dalle cifre non è uguale pei quattro paesi
nè identico. Finalmente è da augurare che la pubblicazione di cotesti dati sugli scio-
peri, dove è cominciata, non s’arresti, ma continui, perchè nelle rivelazioni della
statistica non ci dev'essere soluzione di continuità ond’essa riesca efficace strumento
d’indagini scientifiche.
Intanto, come e quali li abbiamo, questi dati sugli scioperi mettono in chiaro
parecchie cose:
1° Che nella frequenza degli scioperi si osserva una certa regolarità con mo-
vimento ritmico in cui si succedono periodi nei quali avvengono molti scioperi e
periodi nei quali ne avvengono meno;
2° Che in questa regolarità ritmica si scorge un moto di leidolza piuttosto
all'aumento che alla diminuzione se si considerino interi i periodi di tempo per ogni
paese, e piuttosto alla diminuzione se per ciascun paese si prenda l’ultima sezione di
cotesto tempo (V. Diagramma 1);
3° Che tale regolarità è più appariscente negli scioperi cagionati esclusiva-
mente da motivi economici e dove nella manifestazione e nella condotta degli scioperi
prevalgono le influenze economiche ;
4° Che in questo caso la regolarità nel movimento degli scioperi prende ne-
cessità dalle vicende della vita economica del paese;
5° Che la massima frequenza degli scioperi si ha nei periodi di grande atti-
vità e nei periodi di forte depressione, e più in quelli che in questi;
6° Che così sulla quantità come sulla regolarità degli scioperi influisce non
poco la organizzazione dei medesimi mercè predeterminazione dei criteri e norme di
procedimento, come avviene nella Granbrettagna e negli Stati Uniti d'America per
opera delle Trades Unions;
7° Che ordinariamente gli scioperi accadono nella stagione dell’anno in cui
sia per la previsione dei lavori, sia per le attuali esigenze di essi, la posizione della
mano d'opera è tale da poter esercitare una forte pressione con la sospensione del
lavoro;
8° Che il motivo pel quale più scioperi accadono è la mercede. E si sciopera
più per aumentarla che per resistere alla sua diminuzione (V. Diagramma Il);
20 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS
9° Che la maggior parte degli scioperi per la mercede, essendo appunto scio-
peri di miglioramento, occorre d’ordinario nei periodi di espansione efficace e vigorosa
della vita economica;
10° Che nei periodi di languore gli scioperi contro la diminuzione aumentano
tanto quanto maggiore è la forza di resistenza combinata degli operai ed è più sen-
sibile la diminuzione del salario; ;
11° Che gli anni nei quali si ha il massimo numero degli scioperi di miglio-
ramento hanno il minimo numero di scioperi di resistenza ;
12° Che l’ esito favorevole degli scioperi concernenti la mercede dipende in
realtà dalle condizioni di fatto dell’industria, ma può essere agevolato o contrastato
da circostanze speciali;
13° Che a parità di circostanze gli scioperi di miglioramento hanno più pro-
babilità di successo degli scioperi di resistenza;
14° Che ordinariamente la frequenza degli scioperi di miglioramento e quella
degli scioperi di resistenza procedono in ragione inversa;
15° Che le transazioni meglio si concludono dove è più estesa e sistemata
l’organizzazione degli operai e degli industriali.
A GG . 9 CN > TR i. > SEE
È Eecad. Re delle iO 0] Cio “rio XIV
DIAGRAMMA I
Movimento degli Scioperi nella Granbrettagna in Francia, negli Stati Uniti e in Italia .
Anni
1500 11852 53 54 35 56 57 58 59 60 6I 62 63 64 65 66 67.68 69 70 7I 72 73 74 75 70 TI 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 i
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nella Granbrettagna, in Francia, negli Stati Uniti e in Italia.
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ALCUNI MANOSCRITTI COPTI
CHE SI CONSERVANO
NELLA
PREFIOPTERCATNAZIONATE" DI TORINO
MEMORIA
DI
FRANCESCO ROSSI
Approvata nell’Adunanza del 26 Novembre 1893.
A compiere la pubblicazione dei manoscritti copti della Biblioteca Nazionale di
Torino, rimane il trattato gnostico Sulle particolari virtà che hanno da Dio gli Spiriti
celesti, scritto su papiro in dialetto tebano.
Il gnosticismo, sorto, come è noto, in Oriente quasi nel medesimo tempo del
Cristianesimo, si faceva a spiegare, per mezzo di un sincretismo delle dottrine filo-
sofiche religiose dell’Assiria, della Persia e dell'Egitto, i più ardui problemi sulla
natura di Dio e dell’uomo; ed elevando a scienza principe la magia, prometteva
all'uomo l’unione colla divinità, e gli additava il modo di divenire immortale come
Iddio stesso.
Non è quindi meraviglia, che in una società, la quale aveva perduto la fede
nelle antiche credenze, ed avida di nuove dottrine, aspirava ad un rinnovamento
sociale, trovasse questa scienza degli ammiratori. Ed invero nei primi secoli dell’èra
cristiana fece il gnosticismo numerosi proseliti, che presero diversi nomi, ma tutti
mettevano capo nell’insegnamento professato da Simone, il mago di Samaria, l’avver-
sario dei due grandi apostoli San Pietro e San Paolo. Onde il signor Amelineau nel
suo Saggio sul gnosticismo egiziano lo chiamò giustamente il padre del gnosticismo
e di tutte le eresie, che infestarono in quei primi secoli la religione di Cristo.
Ma gli scritti di tutti quelli eresiarchi andarono quasi tutti perduti, ed oggi
noi conosciamo le loro dottrine per le opere specialmente dei Padri della Chiesa,
che combatterono strenuamente i loro errori. Da questo generale naufragio scampa-
rono pure due manoscritti copti, che contengono le principali dottrine di Valentino, il
più illustre maestro del gnosticismo.
22 FRANCESCO ROSSI
Furono questi manoscritti recati dall'Oriente in Europa verso la fine del secolo
passato, e si conservano oggi a Londra, uno nel Museo britannico, e l'altro nella
Biblioteca Bodleiana di Oxford. Il primo di questi porta il titolo Pistis Sophia, e fu
pubblicato nel 1851 dal sig. Petermann con la traduzione latina, che ne aveva fatto
l’illustre coptologo tedesco dottor Schwartze, rapito da immatura morte alla scienza,
che già aveva illustrata col Das alte Agypt, lavoro pieno d’erudizione.
Siccome Tertulliano ricorda, fra gli scritti di Valentino, uno col titolo Sophia,
così si opina che questa Pistis Sophia del manoscritto copto non sia altro che una
traduzione del testo greco della Sophia di Valentino, specialmente perchè esso versa
quasi tutto sulle varie vicende di questa Sapienza, una degli Eoni delle scuole
gnostiche, la quale ha tanta parte nel sistema di Valentino. Onde ne viene che se
non a lui, ad uno certamente de’ suoi discepoli devesi attribuire il lavoro.
Il secondo manoscritto, quello cioè della Biblioteca Bodleiana di Oxford, rimase
sino quasi a questi giorni inedito, ed ebbe a soffrire dall'umidità del clima, ove fu tras-
portato, e più ancora dal modo, con cui fu il papiro incollato sul cartone, non piccolo
danno. Fortunatamente nell'Università di Oxford si conserva la fedele copia che fece
di questo manoscritto il dotto orientalista Voide, e fu questa che servì all’ illustre
coptologo francese Amelineau di guida per ricostituire l’originale che egli poscia
pubblicò nel 1891, col titolo: Le papyrus gnostique Bruce.
Dall'esame quindi che fece del teste-questo dotto coptologo, risulta comporsi
questo manoscritto di due distinte parti, la prima delle quali ha per titolo:
HA WWeLeE Nireuiimeic dmagopaton, il libro delle gnosi dell’Invisitile, e contiene
i precetti dati da Gesù a’ suoi discepoli per raggiungere il tesoro della Luce, ossia
il centro del Pleroma, allorchè per la morte l’anima viene separata dal corpo, e per
vincere gli Eoni con formule e segni gnostici. La seconda, che porta il titolo di
IMA WWLLE aL TINO IMA toc Rata IeererHapion, i libro della grandezza del
Verbo, secondo il mistero, spiega l’intera catena di tutte le varie emanazioni che
costituiscono il pleroma Valentiniano (1).
Colla pubblicazione quindi del trattato gnostico, che dobbiamo alle sapienti
ricerche del nostro benemerito Bernardino Drovetti, noi arriechiamo la letteratura
copta di un terzo documento delle dottrine gnostiche.
Consta questo manoscritto di ventidue fogli di papiro, scritti solamente nel
diritto, con una grande figura gnostica nell’ultima pagina.
Il nostro collega Bernardino Peyron, che primo fece menzione di questo papiro,
lo intitolò: Delle particolari virtù, che hanno da Dio gli spiriti celesti; titolo che io
pure ho conservato, sebbene non risponda pienamente al contenuto del nostro testo.
Questo infatti si compone di una serie d’invocazioni agli angeli, perchè vengano in
aiuto all’invocante, e tengano lontano da lui gli spiriti malvagi.
Ma a queste invocazioni precede un foglio portante in testa cinque linee che
dovevano servire d’ introduzione alle medesime, e di cui ora non si leggono che
queste parole: | coas ze meroor ilauredoc g10H acmraTtatneTacarA LIMIT
EREOpmI oTRAOGRL HNOTEPT..... Scrivo dei quattro angeli, che stanno innanzi alla
(1) V. AmeLineAU, Essai sur le gnosticisme égyptien, pag. 195. Paris, 1887.
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 23
cortina del padre: tu porteraì una corona di rose.....; prosegue quindi accennando un
oggetto che deve tenere nella mano, ed un altro nella bocca, ma che, per rottura
del papiro, non mi è dato precisare.
A metà di questo foglio vi sono ancora altre quattro linee, la prima delle quali
reca varie parole abbreviate, e le tre altre sono talmente guaste, che non riuscii a
decifrarle, e diedi nella mia trascrizione le lettere ancora leggibili. Seguono quindi
le invocazioni, che tutte portano intercalate delle parole magiche, e ricordano nella
forma sia quelle che si leggono nella Pistis Sophia, sia quelle del papiro di Oxford.
Così in quest'ultimo Gesù invoca il padre suo in tale maniera: Ascoltami, padre
mio, io invoco il tuo nome incorruttibile, che si trova nell’Eone della Luce, azapaxcaza,
dara GKpatiTà® IWiw ecc., e dopo una serie di questi nomi magici prosegue:
Ascoltami, padre mio, padre d'ogni paternità, luce infinita, io invoco il tuo nome incor-
ruttibile, che è nell'Eone della luce (1).
Nella prima invocazione del nostro papiro leggiamo invece queste parole:
O grande Unigenito, ascoltami oggi, io grido a te, Padre unico onnipotente, la mente
LI
che è nascosta nel padre, il primogenito di tutte le creazioni, e di tutti gli Eoni afda
amanda... ascoltami oggi, io grido a te che sei in tutti gli Eoni, il primogenito ecc.
E più sotto in un’altra invocazione è detto: .....nel tuo nome santo, 1aw Sabaot,
Adonai, Eloim, l’onnipotente oggi io grido a te, saw Sabaot Adonai Eloei Dio unico
grande che è nell'interno della settima cortina, sedente sul suo trono di gloria pura,
manda a me Gabriele, l'angelo della Giustizia, che tiene snudata nella mano destra la
spada, cacci da me tutti gli spiriti impuri, non stiano essi alla mia presenza, ma fug-
gano tutti d’innanzi al mio volto. Io ti chiamo co tuoi nomi venerati Adonai Eloei,
Elemasabaktani.
In queste invocazioni incontrasi anche frequentemente la voce abbreviata
aImoA/ , che io non dubito di considerarla come l’ abbreviazione del nome Apollo,
divinità spesso invocata nei testi magici. Infatti in uno dei papiri magici del Museo
di Berlino, pubblicato dal Parthey, è questa divinità così invocata: O Signore delle
Muse, Dio, che apporti la vita, vieni a me, scendi tosto sulla terra, Dio santo dalla
chioma d’ellera! Dalla tua bocca d’ambrosia, canta un inno a Febo! (2). Ma sgrazia-
tamente parecchie di queste invocazioni sono nel nostro manoscritto interrotte da
lacune dovute a rottura del papiro, cosicchè oggi poche sono le pagine, alle quali
non manchi in principio od in fine di esse qualche linea, epperò ho cercato di darne,
per quanto mi fu possibile, la traduzione letterale.
Ma prima d’incominciare la pubblicazione di questo testo, debbo ancora segna-
lare alcune irregolarità, che occorrono in esso, ed in ispecie il frequente scambio
delle lettere © e &%, a e T, ce 3; così, per esempio, troviamo sberpe, egli faccia,
invece di mejespe, ed a lato ad oWwf, cosa, la forma gwe, casgpiH) invece di
tcafdpinà. La sostituzione della 7 alla e ha luogo nel verbo c@TaR, scritto quasi
(1) V. AmeLInEAU, opera sovracitata, pag. 251.
(2) V. AmeLIneAU, Op. cit., pag. 317.
24 FRANCESCO ROSSI
sempre 7>wTag; ed infine lo scambio delle lettere a e T occorre nelle parole greche
TOAVTOKPaTwp, duvauig e daiuwv, scritte nel nostro testo MNANAORpaaWp, TFHMaAgLie
e Teegon. Ed a questa sua singolare ortografia sono da aggiungere le forme ver-
bali alterate del futuro, scritto etetiime invece di eretuma, e dell’ottativo LIA PET,
invece di eeapor, che trovasi anche talvolta nel testo della Pistis Sophia, ed altre
che saranno facilmente rilevate dal lettore.
Unito a questo papiro ho trovato anche un altro foglio con ventisette linee di
testo, seguito da alcuni segni o sigilli gnostici. Ma sono queste linee così logore e
sbiadite, che non mi fu possibile leggerne una sola frase, ed io le riproduco nei
pochi gruppi che potei leggere, senza tentarne la spiegazione, volendo che nella mia
pubblicazione fossero riuniti tutti i manoscritti copti, che appartengono alla Biblio-
teca nazionale di Torino.
Termino infine il mio lavoro colle varianti che dovevano accompagnare il Salterio,
che forma la prima parte della mia Memoria. i
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO
TRATTATO GNOSTICO
SULLE
PARTICOLARI VIRTÙ CHE HANNO DA DIO GLI SPIRITI CELESTI
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Serie II. Tom. XLIV. 4
FRANCESCO ROSSI
Foglio 1.
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DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO
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Serie Il. Tom. XLIV. 5
34
FRANCESCO ROSSI
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Foglio 11.
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DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 35
Foglio 12.
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Foglio 13.
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36
FRANCESCO ROSSI
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Foglio 14.
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DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO
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Foglio 15.
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37
38
FRANCESCO ROSSI
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Foglio 16.
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DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO
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Foglio 17.
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39
40
FRANCESCO ROSSI
Foglio 18.
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DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA RIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 41
Foglio 19.
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SCRITTA 530 cc
Serie IL Tom. XLIV. 6
42
FRANCESCO ROSSI
Foglio 20.
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DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 43
Foglio 21.
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44
FRANCESCO ROSSI
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PARA QOu N. WIpe... Ke iiw..,
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 45
TRADUZIONE LETTERALE DEL TESTO COPTO
Scrivi (1) dei quattro angeli, che stanno innanzi alla cortina del Padre; tu porti
una corona di rose; sia un..... nella tua mano, sia un..... nella tua bocca
Foglio 1. — Io invoco te oggi..... o grande Unigenito, ascoltami oggi; io
grido a te Padre unico onnipotente; la mente che è nascosta nel padre, il primo-
genito di tutte le creazioni e di tutti gli Eoni abAatt..... amaarda. Ascolta me
oggi, io grido a te che sei sopra tutti gli Eoni, il primogenito ..... Ascoltino me
gli angeli tutti e gli arcangeli; a me siano sottomesse tosto le forze tutte fisiche e
spirituali che sono in questo luogo. Imperocchè questa è la volontà di cafawe:
vieni in mio aiuto, gli Angeli Santi allontanino da me i nemici miei tutti e
Foglio 2. — tosto. Allontanino dal mio volto ..... XIHA, che presiede alle
forze tutte ferme; Opapanhà, che presiede alla salute; cabpirà, che presiede
alla pietà; apmaHA, che presiede all’udito (2); ovpirA, che presiede alle corone;
nepanà, che presiede al soccorso (Bongea); aKentaHà, che presiede alle stelle;
acentaHà, che presiede al sole; Hpabanà, che presiede al giorno; IEpemHA,
che presiede ai vulcani; Hpind, che presiede alle acque; qpanoTHA, che presiede
ai frutti; acparà, che presiede alla neve; akpanA, che presiede al mare;
LAAHR, che presiede alle pioggie; ...abonà, che presiede . . . ...;
. AI HÀ, che presiede
Foglio 3. — ..«QATPOTHA,, Chegpresiedeg. ann. dapacazanà, che
presiede alle fulguri; samnà, che presiede ogni luogo; cabartA, che presiede al
(1) Il primo segno di questo testo, da me trascritto È, è molto sbiadito e quasi illeggibile
nel papiro, e potrebbe anche essere una semplice croce, come quella che usasi talvolta porre in
principio di un testo; epperò in questo caso il nostro manoscritto comincierebbe coll’ imperativo
COàI, scrivi.
(2) WwrTer forma contratta di TICWTA®, auditio, auditus; come pure NMETANQ® sta per
mTeeixae, quindi la traduzione letterale della frase Meoizar WoTae sarebbe: quegli che è
sopra Vudizione.
46 FRANCESCO ROSSIì
bene; amom(a) HA, che presiede alla porta interna del padre e sua uscita atto | ;
acciocchè veniate a me, e rimaniate con me, e cacciate d’ innanzi al mio volto
tutti gli spiriti impuri; si allontanino d’innanzi al mio volto tutti, nè dicano:
ov'è il mio Dio? Tremino e fuggano tutti dalla mia presenza nel nome del Padre
nnt
e del Figliuolo e dello Spirito Santo aaaziazzzadàa, santo, santo, santo il Signore
cabawe. ..... Diamo gloria a te, diamo gloria
Foglio 4. — a tuoi santi tutti, saw, Diamo gloria a te, santo cahawe, il
I
primo del cielo e della terra. Diamo gloria a te dA OMMI, eNoer l’onnipotente, il
primo dei Cherubini e dei Serafini; diamo gloria a te sLAPasapawe, quegli che è
__—— — mr=z
innanzi agli angeli ed agli arcangeli; diamo gloria a te Yascaperaprao, quegli
che è innanzi ai quattordici firmamenti; diamo gloria a te oparai, quegli che
sostenne la terra sopra l’abisso, e sospese il cielo a guisa di volta; diamo gloria
a te scan 0e, quegli che pose le fondamenta del cielo e della terra, e costituì
i quattordici firmamenti sopra le quattro colonne, diamo gloria a te.....
Foglio 5. — ..... la spada fra le sue due ginocchia (?)..... Diamo gloria a te
rl 3 —_
GApKRaice, costui che prese la figura di Gabriele; diamo gloria a AATpirà, l’eco-
nomo dei patpaHà:; diamo gloria a te, cielo; diamo gloria a te, terra; diamo gloria
a te, sole; diamo gloria a te, luna; diamo gloria a te, cabawe, ed alle stelle tutte;
nn
diamo gloria a te, AparTOG; diamo gloria a te, à0; diamo gloria a te, dAMNAI
does, l’ onnipotente, ascolta me, vieni a me, o buon Taqprà, affinchè tu ascolti
me oggi per questo sigillo di aabmar padre, e per i quattordici amuleti, che sono
nella mia mano destra, acciocchè tu venga a me in questo luogo, e sii mio protettore,
economo ed aiuto nei giorni tutti della mia vita. Siano allontanati gli spiriti tutti
malvagi
Foglio 6. — ed impuri, o maschi, o femmine, o del cielo, o della terra, o del-
l’aria, non possano stare alla mia presenza, nè alla presenza della tua grande
potenza, o Dio! Amen tre volte.
Io do gloria a te, forma di aabiar Noci l’onnipotente, acciocchè tu ascolti
me in questo giorno, e mandi a me TAqpinà, l’angelo della giustizia; venga a me
per questo sigillo del Padre Onnipotente, che è nella mia mano destra. Stii tu alla
destra mia, sii mio aiuto; dirigi la tua saetta sopra il primo plasma, e sulle sue
forze tutte e sopra i suoi demoni impuri e malvagi; mostra la tua mano a me oggi;
mostra a me oggi
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 47
Foglio 7. — la tua virtù e la tua gloria. Ti giuro oggi, o TAYPpinà, per
cabep. dda papo le tre figure che stanno fra le quattro colonne, che reggono il
= — _ —— nic
cielo e la terra, os dasowpa, eHcooaà, eadicapa. lo ti giuro, 0 waypitrà, per
questi quattro angeli, che stanno sopra le quattro colonne, ferme sopra le basi del-
l’abisso; il santo reggente la parte anteriore del cielo (1). SHp:HA, SponA, Barr.
Io invoco voi, quattro grandi angeli del capo del Padre, perchè mandiate a me
casgpinà l'angelo della giustizia. Venga a me, manifesti a me la sua virtù e la
sua gloria. amo. Imperocchè questa è la volontà dell’Onnipotente cabawe, che
[e]
egli venga a me oggi..... To ti giuro, 0 tap, per la
Foglio 8. — potenza ..... OTPIAA MIO perchè tu venga a me, e ti manifesti a
me tosto. Io ti giuro, o TAUpirà, per i quattro angoli dei quattordici firmamenti,
perchè tu venga a me, e sii con me in questo giorno ed in quest'ora; sii il mio
aiuto nella tua virtù e nella tua gloria con celerità. Io ti giuro, o swrpirà per la
nube di luce, che sta innanzi al Padre, ove stava nascosto (?) prima che creasse
_——_— —
cosa alcuna; questa il cui nome è asaperapaasei il grande, il luogo dello spirito
di ambra: edoer l’onnipotente; manifesti a me, mandi a me tasqpirà, l'angelo
della Giustizia oggi, acciocchè disperda d’innanzi a me tutti gli spiriti di Satana,
che furono creati tutti in due soli giorni (?). Signore, Dio onnipotente, palesami la
tua virtù, manda a me taspinà l'angelo della giustizia; venga a me tosto,
amen tre volte.
Foglio 9. — per virtù del tuo nome santo saw. calawe, anta: eAoer
l’onnipotente. Oggi grido a te iam. cabane. sanita. eAoei il Dio solo grande
che è nell'interno della settima cortina, sedente sul suo trono di glorie pure, perchè
tu mandi a me Gabriele, l'angelo della Giustizia, tenendo sguainata la spada nella
sua mano destra per cacciare lungi da me gli spiriti tutti impuri. Non possano essi
stare alla mia presenza, ma fuggano tutti innanzi al mio volto, aTIoA/
To ti invoco ne’ tuoi nomi venerati aagm@mar. edoer. eNesacabaRrTaAI .
Se volge lo sguardo su quelli del cielo (?) essi tremano, la terra si scote caba .
_—_
cabab. cabame. taW 1aAWe ..... questo è il tuo nome occulto, Dio, che siede
nei luoghi eccelsi eeaecad . ....
(1) ETTWOTH 0A@H Te potrebbe anche tradursi sorgente prima del cielo.
48 FRANCESCO ROSSI
Foglio 10. — ONMOEPor 3 TOTOWPa SEI il buono, equarade. xehorTaIIE
DARINÀ TARLA N. SRALLIÀ . LCA PINK .. TOAR ETWAR. AUpaR. Tak,
che siede sui Cherobini. Io ti invoco pel capo di baeorpia% il grande Padre, e
per la sua mano destra; questa che tiene tutta la tua divinità, acciocchè tu ascolti
me 22, e mandi dal cielo a me agwWniaewitae il cui nome è Gabriele l'angelo
della Cei Venga egli a me, e compia l’opera mia, per cui ti invoco AToà.
Tendi il tuo arco sopra il primo plasma e tutte: le sue forze; sguaina la tua spada
contro il primo plasma e tutte le sue forze; purificami questo luogo per sessanta
decine di migliaia di cubiti; purificami l’ abisso per sessanta decine di migliaia di
cubiti; purificami l'oriente per sessanta decine di migliaia di cubiti; purificami il set-
tentrione per sessanta decine di migliaia di cubiti;
Foglio 11. — purificami il mezzodì per sessanta decine di migliaia di cubiti;
purificami l'occidente per sessanta decine di migliaia di cubiti; purificami l’aere per
sessanta decine di migliaia di cubiti; perchè non vengano a me, amoA/ aio aro;
(e)
perchè io ti invoco, o Gabriele, pel capo di ha eovpiHA, il grande Padre; tu sii a
me di duce, di economo, di aiuto in ogni cosa. Io prego, io invoco te forma di taw
cahawe aammna: l’onnipotente, ascolta me, vieni a me oggi pel sigillo del Padre,
che è in quest’amuleto, nella mia mano destra, per le ventiquattro lettere che sono
in questo amuleto del Padre, acciocchè tu mi ascolti tosto.
To invoco te, o Gabriele, pel grande nome del Padre e per la sua gloria santa
e per quelli che stanno alla sua presenza aemitac. ciar. Reac, cahar. Kaab.
RAaHCcac. ERWE è. . 000
Foglio 12. — To invoco te, o Gabriele, pel capo di sesyx'aHà. paparà.
3A. capo. capii pri spa an e
pini. acinA. anorTAHA, questi che stanno attorno al Padre invisibile, ed
alla sua cattedra, acciocchè tu venga a me, e vegli su me nei giorni tutti della mia
vita, atoà/. Io invoco Gabriele il settimo arcangelo TOPoT e papa rà e Ba pià
Apoaseinà . apop THOHA . LESESN EpwIz, questi che stanno alla presenza
del Padre, ascoltanti le parole, che escono dalla sua bocca; questa pure è la maniera
di ascoltare le parole che escono dalla mia bocca. amen sette volte. aio aio.
Perchè io invoco te, o buon Gabriele, per la gloria del grande trono del Padre .....
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 49
Foglio 13. — ..... in fiumi di fuoco... che lo circondano, traentisi innanzi a
Lui (?), acciocchè tu venga a me TAÀ .. aio TAYPinÀ. Imperocchè io invoco te
per le quattro creazioni che si traggono innanzi a Lui, con volto di leone, con
volto di toro, con volto d’aquila, con volto d'uomo, acciocchè tu venga a me oggi,
atmoà/, Io invoco te oggi per questi amuleti che sono ai piedi del Padre; questi
0'
che sono in migliaia di migliaia pel cielo e per la terra ..... perchè tu venga a
me atto”.
Io invoco te, o Gabriele, per i due grandi Serafini che sono ..... in ciascuno
d’essi; due che coprono il loro volto, e due i loro piedi, l’uno dei due volando da una
parte, l’altro volando dall’ altra di essi, gridando: Santo, Santo, Santo il Signore
CXbAWE' .. ....
Foglio 14. — dalla tua gloria pura, acciocchè tu venga a me armoà,. To invoco
te, o Gabriele, col nome di opepa, il corpo intero del padre, ed oppassinà, il
grande dito che è nella mano destra del Padre, ed il capo di Cristo, acciocchè tu
venga a me oggi, anioA/. Io invoco te, o Gabriele, per la virtù di Manuele caba@t:
io invoco te, o Gabriele, per la mano destra del Padre, e pel sigillo, che è nel seno
del Padre, e per questi amuleti scritti, che sono nel petto del Padre; acciocchè tu
venga oggi tosto a me, anoA. Io invoco te, o Gabriele, per la prima voce, che è
uscita dalla bocca del Padre, e per l’alito che usàì dalle sue narici (1), e per la sua.....
buona, e per la gloria che lo circonda, acciocchè tu venga a me oggi, arto%/. To
A
invoco te, o Gabriele, per le quattro colonne .....
Foglio 15. — e pel capo d’oro..... acciocchè tu venga a me, oggi, atto).
Io invoco te, o Gabriele, per la luce del Padre, per cui splendono i Cherubini ed i
Serafini e quelli tutti che sono nei cieli, e la terra tutta, acciocchè tu venga oggi a me,
aMo%. Io invoco te, o Gabriele, per la stola bianca al pari di neve, di cui s’ av-
volge il Padre, e per la sua chioma che è come lana bianca e pura, e per la
corona (2) di margherite, che è sul capo del padre, acciocchè tu venga a me oggi,
AITOÀ Io invoco te, o Gabriele, per la pioggia fluente sul capo del Padre, e per
(1) Considero la forma ea o 2euyaae del nostro testo come una variante di
ZRELLUJAI 705US.
(2) La traduzione letterale del gruppo agi ITerttriaca dt rier Adora LLAPRApIiTHC
sarebbe: e per la collana della corona di margherite.
Serie Il. Tom. XLIV. 7
50 FRANCESCO ROSSI
la grande aquila, che stende le sue ali sulla testa del Padre, acciocchè tu venga a
me oggi amo”.
Io invoco, te, o Gabriele, per ..... diflucenttst.
Foglio 16. — acciocchè tu faccia ogni cosa, che....... della mia bocca
amoà). To invoco te, o Gabriele, per la grande Vergine venerata, in cui il Padre
s'occultò per..... prima che creasse alcuna cosa, acciocchè tu venga a me oggi,
Amor. Io invoco te, o Gabriele, per i tre giorni, in cui il Padre stette, prima
che mettesse in moto ogni cosa (1), ATTOA/. To invoco te, o Gabriele, per il
lavacro che il Padre ricevette, formando Adamo e pel fiore che germogliò nella sua
mano sinistra, ed il calice che è nella sua mano destra, e vi formò i suoi angeli e
tutto il mondo, acciocchè tu venga a me oggi amoà.. Io invoco te, o Gabriele, per
lo sputo che uscì dalla bocca del Padre, e divenne una fonte d’acqua di vita, acciocchè
tu venga a me oggi. Io invoco te, o Gabriele,
Foglio 17. — per la lacrima, che uscì dall'occhio del Padre a vedere suo figlio
sulla croce, acciocchè tu venga a me oggi, amoà. Io invoco te, o Gabriele, per
questi santi nomi del Padre. asapi na(k). gqsaperapor. Babas piwor.
—_—_ —_PT__—_° —_ —__ —_T — —— —_& — — — —>
ba eoTpiHA. ian. cahawe. aaa: l’onnipotente Manuele cabawe abaeor.
FANALI. IVASdày cahawe questi, in cui è occulto Daniele (?) acciocchè tu venga
a me in questo luogo, in cui sono, per ogni cosa, per la quale ti ho invocato, e mi
vi confermi in tutti giorni della mia vita, amen dodici volte. Sia purificato il mio
corpo da ogni spirito impuro, sia spirito di demone maschio, sia spirito di demone
femmina, sia spirito ..... sia Spirito 0. non possano stare alla mia presenza;
Foglio 18. — ma fuggano d’innanzi al mio volto tutti, amen, dodici volte. Puri-
fichi questo luogo da ogni spirito impuro, vegli me da ogni male in tutti i giorni
della mia vita; purifichi per me questo luogo che mi circonda per sessanta decine di
migliaia di cubiti attorno; purifichi per me l’abisso per sessanta decine di migliaia
di cubiti sopra di me, e sessanta decine di migliaia di cubiti sotto di me, amoà.
AUpITOM. ALITO”. OEWOAMATTHPI. dà dà dà dà dà dà dà =
(1) Tradussi col nome vago cosa la voce greca RTHCIC, che secondo i lessici significa acquisto,
possesso, 0 ciò che si possiede, beni, proprietà, ecc.; epperò la traduzione letterale dell'intera frase:
AOLLTHOOO® NTA IIWT dat EhaoepaTwy Ara TeyRIee ETERTHCIC. THpc
sarebbe: per i tre giorni, che il padre passò stante (?) prima che movesse ogni possesso.
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO Sl
il grande Padre ba eoTpiHA cabane. BoboHA. acani ssate il Dio degli
Dei (?) acciocchè tu mandi a me Gabriele l’ angelo della Giustizia, acciocchè egli
faccia tutto ciò per cui ti invoco. Amen. ST € HZ IT 07 TT 7 7 XxX
Io invoco te, o Gabriele ..... pel grande nome di.....
diate a me Gabriele l’angelo della Giustizia, che tiene snudata nella sua mano destra
la spada contro ogni spirito impuro, sia demone maschio, sia demone femmina, sia
enrHup (1) maschio, sia esrrap femmina. amto)/ eaHà. iGHA. GAHi. oporà.
candid. bari. coReHi . GAboHA . SAUPpad. cApoaÒà , aboeri . sa-
QUA. GATHÀ. OTHA. TARCBHA . GAPpored . ameasu, TAXAHA . cap-
—_ — _— ——.— _— —_Tf ——T[ —
CATA . capcosroH) . capcabaÒi i ventiquattro angeli, che stanno innanzi ai
ventiquattro vegliardi (mpecboTepoc). Vieni in mio aiuto a me tosto, tosto 37 €
HI I 07 T7 07 27 X7 MI. Sorgi, tendi il tuo arco contro il primo plasma e
le sue forze tutte...... SENIO EEA
Foglio 20.. — ..... alle quattro colonne dell’abisso contro le loro quattro teste,
che sostengono il primo cielo, amnoà); Gabriele, l'angelo della Giustizia, tieni sguai-
nata nella tua mano destra la spada, metti in fuga gli spiriti tutti malvagi, ATToA,
BAHA OHA 6aHi epori cabali eoHA Ba xoWi esrà apori.
AYPHA. AporoHA. caoHA . atti, oTHA. ohoHA. capraità.. SXHA
aapoabartrà,
Ascoltino me gli angeli potenti; perchè io vi invoco pel Signore, più i venti-
quattro arcangeli del corpo di saw Iexa, acciocchè mi ascoltiate e mi mandiate
x0biiae aewiiae, cioè Gabriele l'angelo della Giustizia, venga a me e faccia
l’opera mia anoA/. Amen tre volte (2).
(e)
(1) La voce ENTHp, che trovasi anche scritta EMTAIP fra i nomi magici della Pistis Sophia,
deve probabilmente designare spiriti o genti, di cui altri erano maschi, altri femmine.
(2) Il segno, che nella mia trascrizione ho dato per ©, è nell'originale molto sbiadito, e po-
trebbe anche essere la 1, sormontata dalla lineetta, indizio del numero dieci; e quindi invece di
Amen, tre volte, sarebbe a leggersi Amen, dieci volte.
52 FRANCESCO ROSSI
Foglio 21.
SIC}. MAGO.
seupaà . .. agmeazab . . a. Cao
àaLài .. aLe dale, àupwoeewWeaee
Tapird aoowise aewnae
Spi
=Vstn
anti WWWLWWWWWW dl
ae(1)xaHA di
TAHAXacqcapiesa
dATTT (xA)xarpa
OTNVAN 4
DE abpacaz LANA
OXA 18) bpacag e
Benioew pacaz xaescwe ae
A LLIOTO) ——_ i
TA DE and xa]
HOT i ècaz DI:
acHzovò | r_df EG EHIOTÒ AHA
VESTO si i
tà Hiomw abpa
aTWw Z id
NO aeHiorò abb
AN EHIOTWW
àcaz EHIOT!
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 53
VARIANTI DEL SALTERIO DAVIDICO
FRA IL NOSTRO TESTO E QUELLO PUBBLICATO DALL’IDELER (1)
Pag. 1, lin. 12:
Pag. 3, lin. 3:
Pag. 4, lm. 2:
Pag. 4, lin. 11:
Pago gin I
Pag. 6, lin. 13:
Salmo LXVIII.
me <errereroo ehof (non come fu scritto ear menaroo ehoA).
In. Ce eerrenecoo ehoà.
euyteasitat «tho04. In. euresematenoA.
atoToo eopui. Ip. aroràgor eopui.
drnenoporcSHorT. In. aanenoporeSHToT.
etgWoTi atmeanic. Ip. etoWoTi atitenec NTaAY
conforme al testo greco toÙg metednuevoug ato.
mapox Îime merebrair eseagroni areeoc. Ip. maxpox inte
MERehiaIiR ETCÀRLONI deasoc.
Salmo LXIX.
Nel titolo di questo Salmo noi abbiamo: emzowr tinaa eqpeeri. In. enzor
Pag. 12, lin. 2:
Pag. 14, lin.10:
Pag. 14, lin.12:
NAATIA ETALETI
corrispondente al greco eig àvduvnow.
Salmo LXXI.
èejerogess Îimnprrxi ehoXSen oveeHer. In. ooo eyè-
mogese MimnpryxH ie monri ecpecot moryox A
ehoASen oTasHCeI
RIMIMPHpi dae taTY|. Ip. Noattyeprpi rara TATY.
ie ppatt ire meqwor. In. Îaxe mipan eooTab ire meywoT.
Il testo greco dice: tò dvoua tg déEng adtod.
(1) In queste varianti ho tralasciato di registrare la presenza o l'assenza della particella di
congiunzione OTO9, molto frequente nei due testi, come pure quelle varianti, che sono segnalate
dall’IneLer nelle sue note.
54
FRANCESCO ROSSI
Salmo LXXII.
In testa di questo Salmo il nostro manoscritto pone amessoTIIR Ne imowe Ie
Pag. 16, lin. 3:
Pag. 16, lin. 13:
Pag: 17, (lins9:
Bag 19082:
Pag. 20, lin. 3:
Pag. 20, lin. 8:
Pag. 22, lin. 11:
Pag. 23, lin. 1:
Pag. 23, lin. 8:
Pag. 24, lin. 5:
natia IH Mecce, corrispondente al testo greco:
ézeMirtov oi Uuvor Aquid TOÙ vI0ò 160001,
ma nel testo dell’IpeLeR manca affatto questo versetto.
matorroe. Ip. mimapattoaroe.
acagrasi areemor. Tp. acagsoni areewoT.
ATcAZI ÎOTALETEPA HOT aycazi oraLe TAI sONe Wa èopHi
ENGiei. Ip. ATCAZI NOTALETTETOWOT ATCAZI NOTALETTI
sone ua ÈopHi rsici.
Testo greco: eXGinoav év movnpia, ddikiav eig TÒ Uyog éXdinoav.
arrestati magHT. Ip. aroasar emaoH.
uatue n èSorn emersa cooraf. In. wa Tyers eSorn
ua nirea esorab.
eohe ToTraeetTOdOoc (formato dalla particella eeet e dalla voce
greca dorog corrispondente al doMétng del testo greco).
Ip. eohe morasetoNoc.
Salmo LXXVII.
aTROTOr eteri ecroàs. In. ArRoTOr torri ecroQx.
Salmo LXXXI.
(sumpecpepriohi . asavraNasa. Ip. tiupecpitobi ed omette
ala pra Aaea che trovasi nel testo greco.
Tare a@mpecsepuobi. Ip. Tara iorpecjepirobi.
TETENNALLOT LPpHY Îiorar îintiapyi oil Terenmager.
Ip. Teremmazeon dppu} ipattposei oro9 £bpHY
Nova! iuapyon rerenmmager conforme al testo greco:
c
ug dvApwitoI dTOAVNOKETE, Kai dg eis TÙV ApyxOVTWYV TTITTETE.
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLÌ}OTECA NAZIONALE DI TORINO 55
Salmo LXXXIV.
Pag. 27, lin. 1: xe ottAi iter oTeeeoeeHI. Ip. Ormai mese oTELEERELHI
secondo il testo greco: "ENeog kai daMeera.
Salmo XCIV.
Pag. 30, lin. 7: tipse iiposeni. inir iposeni.
Pag. 30, lin. ult.: earmorcoren mageemit. Ip. aerorcoren Ha geWiT
conforme al testo greco: Tùg Odovg uou.
Salmo XCV.
Pag. 31, lin. 5: paazaa. In towafd ire sata:
ddù 1 Aavtò.
Pag. 32, lin. 6: oTOg doi itoot przen mimort. In. or pot èxen mort.
Pag. 32, lin. ult.: oToTWHP ehoA ese orseetcatè. In. OtrwnoéhoA tese
orcase (1).
Salmo XCVI (2).
Pag. 36, lin. 3: «emateggcesenmi ite mecgraor. In. eracsceasiti ite mecqraogi;
il testo greco dice: Ote N YÎ aùtod Kkadiotata.
Pag. 36, lin. 7: pamtHicoc ero. In. imiricoc eTowy.
Pag. 39, lin. 2: ese îteor me noce eecoci. In. xe iteor Mac eTgoci:
oTI où eî Kupiog 6 Uy1otog.
Pag. 39, lin.10: mH eoorad. Ip. ni coorad imay:
TÙV Ociwyv aùtod.
Pag. 39, lin. 12: sreitosios cermpecjepmofi. Ip. irertosios tire mipecsepitobi:
ÉK yEIpòg GuapTw\wv.
(1) Nel nostro testo fu per isbaglio scritto sic sopra il nome OTOTWITO.
(2) Il numero di questo salmo fu nel nostro testo scritto due linee innanzi ed indicato col
gruppo Jo invece di oe.
56 FRANCESCO ROSSI
Salmo XCVII (1).
Pag. 42, lin. ult.: seae miu etigon fiSHTe. Ip. ese otoN miberr etyon NSATC
il testo greco dice: kai oi katoikodvteEg AùTHiV.
Pag. 43, lin. 3: mitwoT ereeeAHA. Ip, ntwWoTr ertoeA HA aarmeecoo &erige :
tà Opn dvaliaoovta.
Salmo XCVIII,
Pag. 46, lin. 9: OTWWT OIZEN IEYTWOT eeotrat. In. oTWWT LITEYTWOT
Salmo XCIX.
Pag. 46, lin. 13: mijraAgeoc ite natia. In. mnypaAaroc eroromo ho
conforme al testo greco: waluòg eig EZouoAoynow.
Salmo C.
Pag. 50, lin. 12: measoui Sen oTaEwIT. Ip. DH COLOMJI SI OTILWIT.
Pag. 52, lin. 1: ebari @noc mesutorti. In. ehari ance:
ék molewsg Kupiou.
Salmo CI (2).
Pag. 54, lin. 2: auyzxoTrUuT exe mMpoceTXH. In. xe azorut èxen
npocerX A.
Pag. 54, lin. 8: mA acc erormageace. In. md aoc erortmtaconTy :
Naòs © KkTiZOuevos.
Pag. 54, lin. 11: èhoXgSen moaici èoorab iTaY. Ip. èhoXSem reygiei
èoeorap tima.
Pag. 58, lin. 2: quacworTten ie norxpox. In. cemacworten îise Morapox.
(1) In questo salmo a pag. 41 lin. 3% fu scritto per isbaglio tmieemoce invece di Nineetmoc,
(2) Alla pag. 58 lin. 1 correggasi EOPERUJEITOHT in EOPERIMENOHT.
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 57
Salmo CH (1).
Pag. 59, lin. 4: «pH erecot etmemi ehoAsgen nTaRo. In. pHerewk cerrer
Wus éhoi Sert NTARO:
Ttòv Autpovpuevov ék PBopag THiv Zuiv dov.
Pag. 60, lin. 12: oTog quiaekgbom ast. Ip. omRE Tinteegaabon ast,
Pag. 62, lin. 2: acgujenpHnt ite noe. In. mapa aquenon ine nec.
Pag. 63, lin. 7: tusapr finH erapeo. Ip. iurnpi nuerapeo.
Salmo CIII (2).
Pag. 66, lin. 11: ape micaTteogi erecat. Ip. Cpenicatyi XH Qeeat.
Pag. 68, lin. 3: cemaroTtoT èmraoi. Ip. cenarotor ÈIMOTRAOI:
eiG TÒV XOÙv aUTÙV ETIOTPÉYOVO.
Salmo. CIV (3).
Pag. 71, lin. 11: sese abpaase rmeyfwr teas ecc. Ip, tease afpaagee mess ecc.
Pag. 72, lin. 5: €oritoo Îipoy. I. otto Îipwwy.
Pag. 72, lin. 8: Sen mautrory]om, Ip. ènesmroryon,
Pag. 77, lin. 8: ano iorasorItomoT erad ape. I. ayXxo imor
ILOTHOWOT ÎoraA eee:
"EBeto tàg Bpoyàs aùtòv xhiaZav.
Pag. 77, lin. 13: mese mob; tinente ooo iui Îime moreowy. Ip. iese
oTbhw iRemte oTo9 Www mbe ire moTEeOowW:
Koi TÙg CuKkdg aùTtòèv, Kai cuveTtpiye Toiv ZUdov Opiov aùTtùv.
Pag. 78, lin. 7: asforwee miticarao THpor Îime morraoi. In. aqgorwee
Mimicareo THpoy INTE IMOTRAOI.
(1) Alla pag. 61 lin. 10 leggasi OTHOT invece di oThHOT.
(2) Alla pag. 65 lin. 1 leggasi (HSapa)sworTe invece di (Nioapa)cworte.
(8) Alla pag. 75 lin. 1 leggasi TH|p< invece di TITp, alla pag. 78 lin. 7 Nicea O invece
di wireeeag; ed alla pag. 79, lin. 7: acì €QpHI invece di acì eouI.
Serie II. Tom. XLIV.
00
58 FRANCESCO ROSSI
Pag. 78, lin. 12: etSex NOTHAOS!. Ip. eTSen Xu:
ÈK Tfg Yfjg AÙTDòY.
Pag. 80, lin. 9: Sem gatierattaosemor., In. epamesattaoremer.
Salmo CV.
Pag. 33, Im. 1: Oraewor ayowbe topi éxen ecc. Ip. Orawor acowhe
eXeN CCC.
Pag. 84, lin. 13: acqoeek iaaeatn. Ip. acqorer immaoam.
Pag. 87, lin. 11: mess epwo$T semorrexpon. In. itese epo$T amoraspos:
Kai toù KkataBareîv TÒ oTÉépuoa aùTtuv.
Pag. 88, lin. ult.: xwov ya xWwor near ua éèeo. Ip. swov wa xWor
ud Èèueo.
Pag. 89, lin. 8: eamortaRO uniieemoc, Ip. «anrovtarRoO £emteonoc:
oùk ézw\6Apevoay tà éevn.
Pag. 89, lin. 12: acyreafio emorobitori. In. artcabo èiorobHori.
Pag. 89, lin. ult.: aTephoR aerimseovmza tira. Ip. arepfiwr îmorssone iter:
édovNeucayv Toîg YÀAUTTOÎG aÙTY.
Pag. 90, lin. 1: Oro9s aquom. TI. Orog par aquoni:
xoì érevnon.
Pag. 90, lin. ult.: Sem gasceroy. Ip. Sen mesto”.
Pag. 91, lin. 11: aTEPoe epwor. Ip. aTepuice èpwor.
Pag. 93, lin. 5: aQitessoo ini THpoy eTateper ea A oTerIt ae wor.
Ip. seme aeoo inHerepeyx ara AoTeTÌt ateewoT:
évavtiov movtwv TÙV aiyua\wTeuodvTwv aùTobg.
Salmo CVI (1).
Pag. 96, lin. 2: emanitorgozser. Ip. Sen masunitorgozoes.
Pag. 96, lin. 8: eeporue èSoru cohari, Ip. eeporwye eSorm èorbari.
Pag. 97, lin. 9: arttaont Mmucasi ire nec. Ip. atttamir inucazi Te pt.
(1) Alla pag. 103 lin. 8 invece di oTaca upon leggasi OVALAMUYWIHI.
a
ce
e.
— oca
Pa
Pa
(0{e)
(0)
Pag.
Pag
Pag
Pag
Pag
Pag
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 59
-98, lin. 1: ovog quo att. Ip. oTo9 maquorn alt
.99, lin. 6: avareoni aeeemor Sert paeWit èho INTE noTàIORsetà,
Ip. agàeeonmi eeeemwor ehoA der paeWiT ite TOTÀIORETà:
°AvteddBeTo aùtùv éZ Odod dvopiag aùtbd)v.
102, lin. 6: rese pattaeoit éDhoA tire gartaswor evibi. In. tese orata
sO I x
deeoyi Îimte pameewor erìbi:
kai diezodoug UddTtwYv €IG diwov.
. 104, lin. 8; nou aos eopii. In. IO aqzsoy eopii,
.104, lin. 9: agcopaesor. In. aTcoparor:
ét\dvnoev aùTtoùc.
Salmo CVII.
. 105, lin. 12: add Wal Toaaa, In. mnpaNssoc imetowan ie sata:
Ud waluod Tò david.
.106, lin. 12: Sem mieertoc, In. Sen panno,
.108, lin. 4: erppese me. Ip. Èppeeee ne.
.108, lin. 9: esecort@mn. Ip. esécorten,
Salmo CVIIEI.
Pag. 110, lin. 2: agoron itpor. Ip. ayoron èpor.
. 110, lin. 6: Sem gamdac îinxpoy. In. Sen ordaocc NY po:
TAwoon dolia.
Pag. 112, lin. 13: mramgetne, Ip. maamieTrwHe,
Pag. 113, lin. 6: orae iure pequenogat uom. Ip. oTOg inepegueng HT
UWOTTI,
Pag. 113, lin. 12: ereepepaseori. In. erteprparesti,
Pag. 114, lin. 10: auyGoni ica orpweer Îixof ovoo ionri. Ip. aysori
ica OTPw”waeLI MOHRI NOS UE
KaTeEdiwZEY dvOpwTov TÉvVNTA Koi TTWXÒvV.
Pag. 116, lin. 13: ppt iorsarbr eacpiri, Tp. @pprrt iorSHibi acpiri:
Wwéel Okiù év TWD Ekk\îvor aùTtà]v.
60
Pag. 117, lin. 3:
Pag. 117, lin. 6:
Pag. 118, lin. 14:
Pag. 119*lintb:
Pag. 120, lin. 13:
Pag. 121, lin. 2:
Pag. 121, lin. 6:
Pag. 124, lin. ult.:
Pag. 126, lin. ult.:
Pag. 127, lin. 10:
Pag. 128, lin. 13:
Pag. 130, lin. 4:
FRANCESCO ROSSI
Salmo CIX.
Rata TTagie. Ip. Rata TAgIC
Sem megoor ire mesa. In. Ser mègoor inte MersoONnT:
c
év Nuépa dprflg aùTod.
Salmo CX.
OrotwITI ehoà iteae ott aemetcate. Ip. Ormno eho%
mer OTMIUT aeecetcatò.
Salmo CXII,
Hrtoryssort itorcaet. In. Orae tinoruyssori torceen.
ALLO EITHI Naapoit aqersror ema erepoot. In. etfecaror
eri i Adpon ececasor enmmerepoot:
eUNdynoe tòv oîkov ’Aapwv. EùNbynoE TOÙg mofouvpévoug ecc.
Salmo CXV.
amor ae areebior essay, Tp. aitor ae aroetiò teramo.
or me etuatminey. In. ovte|ua THAI.
Salmo CXVII.
ov Me eTe Tipwaer MNaasy str, Ip. ov me Te posti
IAA] IHI,
mac ae me etaytTot. In. ovo9 nec neraytroT.
Coruna «nce mne eraccaet. In. cora dance
neTaCGaCT,
Ape mNreagHi MAye eSOTH NéHTc. Ip. epe nioseni maye-
wo eSorn iSHTC,
erecorTOH. Ip. eRecorTEN,
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 61
Salmo CXVIIE.
Pag. 132, lin. 9: eemorarogi gi mense, Îp. a*tiovoro°HJ essoyi oi
MECLwIT:
Ou... év tTaîgs Odoîg aùtod éropevanoav.
Pag. 134, lin.ult.: asormIto iutigari ite pwr ho). Ip. atot>Ip ioan
THpoT Îime por ehoà:
éENYrena TaVvTA TÀ Kpiuatoa TOÙ OTOUATÒG COU.
DI
Pag. 136, lin. eho) cap Ser mermossoc, Ip. eboASert mertmoasoce,
Pag. 137, lin. 4: seatatgor or mereebit, Ip. asaTANSZor or menaoit:
èv Ti) 6dò cov Zioov ue.
D
Pag. 139, lin. xe Mano t iica merestoNa, In. xe ao dica mer-
ENTOAH:
GTI Tàg Evto)dg cou ézeZninoa. |
Pag. 140, lin.12: see «pai me eraygt moset it. In. Hr erayt stoset ipa,
Pag. 141, lin. 1: xe mercazi me eraytansor, In. xe mercaxi MeTayTansolr,
Pag.143, lin. 5: astaceo ÎimacadNaTta èeneceraceoper arcebhTtOTT, Ip. ai
Taceo ÎmacaNara èasen meRaceTaReOper ascebTOm,
Pag. 144, lin. 2: Wart@nT eoroito mar eho%. Ip. WartonT NTaoTONI
marg éhod,
Pag. 145, lin. 6: «era teoebior. In. aamatoehrò,
Pag. 146, lin. 10: asepaeedetam eerreritorroc. Ip. asepacedNeram Ses mer-
IOLLOC,
Pag. 148, lin.ult.: se merparm paraseosem ne, In. xe mergar noe RESO
L0EGLLHI Me:
OTI dikaloouvn TÀ Kpiuatd cou.
Pag. 151, lin. 4: merewToAH THpor galeseoaeni mne, Ip. xe nerento AH
THpoT oTILEOQLHI TE:
macari ai évtoNai dov dindera.
Pag. 152, lin. 13: meritoseoc eor areeeNeta nai. Ip. mermoscoc or drare-
NETH AI,
Pag. 155, lin. 6: onta iîtraàpeg ànercazi. Ip. gra itadpeo ènercazi:
Omwg dv guiXdzw TOoÙg NOYOvg Gov.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
.155, lin.
.156, lin.
-156, ln.
-156, lin.
(dbm
“158, lin:
.159, lin.
-160, lin.
l'oddin:
162, lin.
162, lin.
169, lin.
170, lin.
.170, Im.
72, ini
173, lin.
.174, lin.
175, lin.
Julie
d:
dî
12:
dele:
FRANCESCO ROSSI
mercazi Mimaybobr, Ip. mercazi Sen TAUDOWSI.
arerecte eterni rrbert. Ip. aseeecTe aemiT mrben,
ovorwni me imaeeoit, Ip. oT*èNI me MmaeeoiT,
areehror. Ip. areebio.
dermicmopere cahoA innererntoAH. Ip. sermempese ehoAoa
NERENTOAEH,
arepoeAmie emercasi. In. arepgeAmie emercazi:
gig ToÙg Abyoug Gou éTiTICA.
èhoAga pH etzoruyr èho). Ip. èhoAoa re tasoruyt èho%.
ETOTOT® ÎMH €eGGI decor ione, Ip. èTOTOv MNHETGI
dra cor Îizone.
NCHOT IE Ipi nec. In. mesor me espi dance:
Kaipòg Toù Too TW Kupiw.
egoTe mmorò (leggasi mntorò) nese mromaason, Ip. epoTe
MIMOTO teao NITONA TION,
aid9i èpatt othe merentoAn. Ip. asdoiépaTt ode mer-
ENMTOAH.
OTOO ifeneecoeeHni AL MOTROYT itemwor. Ip. ze nenaceossHi
LUTRWT iiewor:
OTI TÀ dikotwuata ov oÙKk éZeliaminoav.
autor ne aempiri caboA imerasereceoper. Ip. £erupiri
caboA interscetaseoper:
ÈK TÙV uopTupiwv cou oùk ézék\iva.
xe gemroràpeo émercazi, Ip. eohe xe cemoràpeo ermercazi:
OTI TA \6YId Gov oÙk Equ\dzavto.
masmoryT saro. Ip. marzorut èhofd SatoH.
CEXH Lt TeKec00 noe. In. CEXH deITeER 00 anse.
madac éepeeporo Sex mercasi. Ip. madac eqeeporo
BEN MERCAXI?
PAEfzato YAÒocd uov tà Xbyia cou.
ROY ica merbor noe xe ecc. In. RWY ica merdwr se ecc.
Zminoov Tòv dodlbv cou, dTI ecc.
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 63
Salmo CXIX.
Pag. 176, lin. 6: Ov ne èrormatHIy naar. Ip. ovne TOvHATHIY Mar,
Pag. 176, lin. 10: ceggenuyon. In. ceuebuywb.
Pag. 177, lin. 6: Sem pateeHuy aterà ITAIOI ÎTONPHITHIKOC Neae IH CCC.
Ip. Sen OTALHU) eLasa ITAIOI ÎOIPHITIROC IE Ieao Me ecc.
Salmo CXX.
Pag. 179, lin. 3: mae ne ereperena. In. nice eèeperena:
Kupiog oKéTtn Gov.
Salmo CXXI,
Pag. 180, lin. 5: mad dmabaoaroc, Ip. YTnpocerXA te niamabaoeroc
ITERATIA: Ud) TOV dvaBagudv.
Pag. 181, lin. 2: gt cai car. In. gr par èepai
Pag. 181, lin. 7: eormwito edod appari aenige. In. eroTwIto èho% Lppan
&AnGe: 10Î ézouoMoynoaodar Ttò dvéuati Kupiou.
Pag. 181, lin. 12: wywntr tica MNAToIpAnK rAsae nes orereena. In. wu
ÎICA MATESIPHMH TÀ Has messo oTeTEHITIA,
Pag. 182, lin. 8: mascagi îtovoipuma, Ip. arcazi NOTEIPAMA,
Pag. 182, lin. 12: masrot nea ecc. In. asrot tica ece.
Salmo CXXII.
Pag. 184, lin. 6: Muyow seni inucacioHnt. Ip. orop mupouy imugacioHt:
Kai î EzoudévwoIS Toîg UTEPn@AVOIS.
Salmo OXXII (1).
Pag. 184, lin. 12: Sen manteporT”WoTHOT ÈopHr èx0tr Ip. Sen rizsisi-
TOTHWOT XU,
Pag. 186, lin. 3: èboA9a miepawy. In. ehoASen mpaw.
(1) All’ultima linea della pag. 185 si corregga T2209C in TXOPXC.
64
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
69 line 222
189, lin. 9:
90M
190; dim.09:
190, lin. ult.:
192,hm. 1:
9 gli
196, lin.12:
197, lin. ult.:
198, lin. 4:
199, lin! 6:
199, lin. 12:
FRANCESCO ROSSì
Salmo CXXV.
oro9 metdac Sen oT6eAHA. Ip. ovoo mendace NOTOEXHA.
dirmiaeotitcWOpere ero pHc. Ip. torasoTIHcC‘WpPeee DI PpHe.
ETALOUI NATLLOUJI Te eTpiaei. In. eTescoUJi MmataroWJI me
OTO MATpieei: topevduevor Eropevovto Kai éK\arov.
Salmo CXXVI.
ATGIfIcI iepAHor. In. avcisici epA Ho.
auepupoic ÎiepAHor inse na erapeo. Ip. asepupwic
epAHor ite pH èrapeo:
eig udtnv RYPUTvNOEv Ò mu\doTwY.
Sen Tess ioamaopi, Ip. Sen Tess TE oTEWPI:
Èv yXeipì duvaToi.
Salmo CXXVIII.
dppit itpatteworben ece. In. ppt iorcworfen ecc.
Usgel yOpToc ecc.
etoco. În. etweo.
Salmo CXXIX.
ze aryalttoerr. In. Akyantoena.
xe mrxw eboA orèboNorrotr ne, Ip. xe nagwéhoAX
orehoA orrotR me: Hr Tapà co) è iNacubg étotw.
ehoASer iorattossia THpor. Ip. ehoASer necjamosera
THPpoo: ék Taoùv TÙv dvouròv aùTod.
Salmo CXXX,
Sen samuut. In. Sem sammeermusni.
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 65
Salmo CXXXTI,
Pag. 201, lin. 2: artobo &bY inaroò. In. ayrobo bt ularob:
nuzato TD Oed ’laxwB.
Pag. 201, lin. 7: èxenm mxNos. Ip. èxen THEN,
Pag. 204, lin. 3: mas etmnatcabwor epwor. In. mr àror etiateabbwGor
èépwor: TaÙTA È didaZw adTovg.
Pag. 204, lin.ult.: tecyxgaipa Sem orceror. In. TecoHpa Seni ovcason.
Pag. 205, lin. 5: mH eeorad itrac, In. mteoovraò inrac.
Pag. 205, lin. 12: seas eietoiotoT origini. In. megzazi eretoiotoT
NOTUEPT.
Salmo CXXXIT.
Pag. 206, lin. 10: pH ex grxen oratopT. In. pHeEettHor orxel OTALOPT:
tò xatafaîvov ri TWrwVA.
Pag. 206, lin. 12: «pH eenHor èxem Teo. In. pHeomHor èspHi èxen TeOM.
Pag. 206, lin.ult.: ppt ictiot. In. a&tpprrt itoriot.
Salmo CXXXIV.
Pag. 209, lin. 9: ze amor aseeei. Ip. Artor arseser: 81 éfù érvwxa.
Pag. 210, lin. 10: aceazeso itorcerebpia. Ip. agoasrio itpatcerebpHa.
Pag.211, lin.ult.: Zion morpo. In. Criwn morpo.
Pag. 213, lin. 3: mtort ire ireeitoc. In. iunort THPor ite mreeitoc.
Pag. 214, lin. 3: morcadara dreewor orco Îrorigerogi. Ip. tovcadaz
LLLWOT OTOO ÎNOTALOUI.
Pag. 214, lin. 5: îtmoryerorti itorceeti èhoX.Ser Torydbwhi. Ip. ovae
imoryeorti èhoùsen Torubobi.
Salmo CXXXV.
Pag. 215, lin. 10: xe ovrXpc me. In. se ovrXxpe.
Pag. 218, lin. 12: ehoNSsem Toreent. In. ehoASer TeNLLHUT: èK uécov aùtdv.
Serie II. Tom. XLIV. 9
66
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
222, lin.
. 223, lin.
. 224, lin.
228, lin.
228, lin.
.229, lin.
-.230:.din
290
r 283, lin.
. 235, lin. 13:
295, lin.
237, lin.
237, lin.
238, lin.
(1) Alla linea 7
FRANCESCO ROSS:
Salmo CXXXVI.
cpanatia cone repeariac. - In. ipa aaa ie lepeserac:
TÒ david, ‘lepepiou.
noce Temazo. Ip. HiWe Temmagwe.
aryanepiobu inAnse. In. aanepambu; IArs.
Salmo CXXXVII.
meygoci inse noce. Ip. Soci me noe: gn dynidg Kupios.
arcortoH naxrs. Ip. arRcovten TeRaIa:
éZétervag Yeîpag cu.
Salmo CXXXVIII.
unta daccc ire aaa. In. éemsmwreboA eerimpaNaroc ecc.
Eig TÒ TÉNOg, waruòg TÙ davd.
aRX0 ÎTeRSIA FIL. Ip. aRyxo timerais Copia èx01.
xe Lppuy cerrepani. In. Mppry cemegga ri.
armeom@)d inse marac. Ip. &arreqgo;r ie maràac.
SN N
sem ms am coscoct araeor. In. MH rsrerasoc aresok alt.
Salmo CXXXIX (1).
MAO QLET pr. Ip. MAO LET nec: °EzeXod ue, Kupie.
marcobt Noanfore. Ip. ercoht tigambote:
TOPeTtàoTouTO TONÉuouc.
da mioreporor. arnpaANesa. In. Sa norcporor:
UTÒ TÀ Xeian aùUTtwv. dida) puote
OTPOWEetT Îpeygi îizome seatoTzon Ip. OTPWLL INpeygi
XONC MAGRLET,
della pag. 237 invece di ratobt leggasi marcoft.
FRS ST PE
rene
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 67
Pag. 238, lin. 11: avg 601 nHi itorspor. alavpradeea. In. avoqiono sui
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
239, lin.
239, lin.
240, lin.
240, lin.
..242, lin.
. 242, lin.
-248, lin.
. 243, lin.
. 243, lin.
. 244, lin.
. 244, lin.
245, lin.
. 245, lin.
.-245, lin.
246, lin.
1:
10:
13:
feti
14:
NOTGPolr:
ckavdarov Èé0ev TÒ uor. didya)ua.
Gicarn T enspwor ire matoo. In. Gicarn nc ercaen
re mato.
LL HTTOTE NOTATI . alafraNeca. Ip. seHmoTe iNTOTGICI:
unmoTe Lywwodow. didya)ua.
: eggegormcor etéger èxwor. Ip. eyègohcor. Erèoer espHi
è WOT.
: Sen morta Nenwpra. In. Ser orTANENWprà : èv TadimWwpiorg.
Salmo CXL.
: oTche TA Zpo. Ip. ovche NTe orTazpoO.
: EQANCANI INTE ovaretttetomor. In. forcazi ITe oTeeET-
METOWOT: eis A6Youg Tovnpios.
* ZE et TANpocerxH. Ip. e eTI TAMPoceTYH è
c
OTI ÈTI Kai Î Tpogeuyxn uou.
aTwreR. Ip. aTOReR.
: MororeesoT ÎtRaos. In. itoveeoT MRAGI.
: TINpawy eTaTcEReMATE. Ip. Micpauj pH eTaTCELLNATY.
èwecyugite. Ip. Èrreepupitri: ev dupiBMoTpw aùTod.
Salmo CXLI.
: Empoceryx Ho Îime naar eggen mbnb. = Ip. Craft ie
natia eyya sem mbond YmpocerXH:
Zuvecewg TÙ Aaud, év TW eivar'aùtòv Èv TÒ oTNdaiW, TpogEvYXn
: tasoyy. In. Yinaxzowy.
SEN MAILLOIT (pas èrrareroui orwWTey. Ip. Ser ma geWiT
par emareeouji OrWTe: ‘Ev 6dò TaUTn N Eropevounv.
magqreT èhoi IiToTOT Îimazazi Mega IH ETTORI NCWI.
In. magaretèhoA iimoror imHerooxi NCWI:
pooai ue ÈKk TÙV KaTadIWKOVTWYV pe.
68 FRANCESCO ROSSI
Salmo CXLII.
Pag. 247, lin. 9: eygoni itcwy ite meswnpi. Ip. eyGoxi mse MequApi:
OTE aùTÒv O viòg KATEdIÒKEL.
Pag. 248, lin. 3: ose îmiecgarar xe Îiecagsagi dereracoo. Ip. ze imtecqueai
atmeraroo: dt 0Ù dixamw@ncetar è vumiév Cov.
Pag. 249, lin. 10: @kppHt Îorhasi Îtaoarmor ar arapadesa. Ip. Leppa
NOTRAGI Ia eeLWoT HAR:
ws Yfj dvudpog cov didyarua.
Salmo CXLIII.
Pag. 252, lin. 4: mnjadAesoc code vodiae. In. minfpaANerocc ire Aavra oThe
Todiae: 1® Aquìd mpòg tòv Foidò.
« Pag..258, In. dl: ‘pH etepo ema daoc RICA \(2-TAP Ip. ®Heropo Lema daoe
GIEZWCY.
Pag. 253, lin. 9: armeni aeppirt iorsHbi. In. wmavenu @pprt iorSHibi.
Pag. 256, lin. 5: morusepi cercarò s£reewor. Ip. movwjHpi cerarò srarvot:
ai Buratépeg aùTtòv KexaAX\wTiopévor.
Pag.256,lin.ult.: equpom ast. Ip. fuori ast.
Pag. 257, lin. 6: © ovmaty £emupà o). Ip. WwormaTy] mA acc.
Salmo CXLIV (1).
Pag. 258, lin. 9: ececasor emernobrmovi. In. emecasor emerobHori.
Pag. 259, lin. 10: ereoeA HA Sen TeRsccoseHI. —In. ovogo eteepacedetan
NTERALEGALAT: Kai tf) dixonocim Gov diraNidoovtar.
Pag. 260, lin. 9: sasaporcesor èpon. In. erècasor èpor.
Pag. 260, lin. 13: eepororwno imeneceozmpi ho. Ip. eepororowno
mene tsmpiehoN: T0Ò Yvwpioar tiv duvaoTetAv Gov.
Pag. 261, lin. 1: mwor irfmuuyyt. In noor irfeeruut.
(1) Alla linea ultima della pag. 257 invece di LERLFIUNT , LUALFNTI leggasi ONTO
Leger,
di eni
i rta A
DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 69
Salmo CXLV (1).
Pag. 264, lin. 13: ese èxert 1nuynpi. Ip. sese inps.
Pag. 265, lin. 9: ape TeygoeAmie. Ip. epe TegeAme.
Pag. 266, lin. 3: esqpi itorgar tifi eTorci areewor ifsorne. In. espi
ARITOAN IUHETSHOY Îimsote.
Pag. 267, lin. 4: quaTanoy. Ip. quararo.
(1°)
Salmo CXLVI.
2
Pag.267, lin.ult.: pui etROT mina, In nerrot el'Anae.
[°)
Pag. 268, lin. 8: trre QANCIOT OOO attpas EPWOT. Ip. PA eTtoiani
LATAUJAI ÎITE FANCIOT OT09 eytpaii épwor.
[e]
Pag. 268, lin. 10: ormiyt te Tequos. In. Oruuyt ne nec OTT Te
Teyzoar: Méras è Kupiog Nuòv kai perdàn N ioyùg aùTod.
[o]
Pag.268, lin.ult.: ejoefto ne ipampesgepiodi wa èSpri emgaoi. In. eeoento
ioampesepiob: ua èSspuHi ÈmRagi:
Tate dé duaptwioùg éwg Tfg YÎs.
Pag. 269, lin. 3: Nupopuk ene. Ip. muopnr ga noe.
Pag. 269, lin. 12: eefesethor. In. erssetdor.
è
Pag.269, lin.ult.: pA eTt imspe inuredivwori. Ip. Gyt sivbspe iuu-
TEBINWOTI HWOT:
Kai dDIdDOVTI TOÎG KTIVEOLI TPOPMNV AÙTWY.
Pag. 270, lin. 12: rese ovo niber erepoeArmie ermeupuar. Ip. mese nHerepo
EAÀTITC EMEpuas:
kai év mao tToîq éMmiZovor érì tò Èieog aùTod.
Salmo CXLVII.
Pag. 271, lin. 1: aAAHAovia. Ip. ANANAROTIa pa Atuteoc res Faryxapiac:
°AMnXovia ’Ayraiou kai Zayxapiou.
Pag. 271, lin. 11: ecjeGoni ite meqcazi. In. yGoxi tirse meycazi.
(1) Alla linea 3 della pag. 266 invece di MIOTOAII, leggasi MOTOAI.
70 FRANCESCO ROSSI
Salmo CL.
sic
Pag. 275, lin. 4: Casor epoy Sen gattneserese tece vavwopoc. In. Casor
€EPOY Ben oTRELLRELL INMeQe carntopoc.
Salmo CLI.
Pag. 278, lin. 6: aswAi itreqàpe awd ftoryimi èhoAX. Sert menusapi «eric.
Ip. aswAi ttoryimedoA Sen rmemugiipi «erticA:
atexe@alica aùtòv Kai fipa dverdog éz vimv ‘Iopanà.
L'ANTICA
BIBLIOTECA NOVALICIENSE
E IL
FRAMMENTO DI UN CODICE
DELLE
OMELIE DI S. CESARIO
MEMORIA
del Socio
CARLO CIPOLLA
Approvata nell’'Adunanza del 4 Febbraio 1894.
Chi vorrà narrare la storia della cultura in Piemonte nei secoli più lontani del
medioevo, dovrà occuparsi prima di tutto dell’abazia di Bobbio, dove S. Colombano
stabili uno splendido centro di studì, trapiantandovi la fiorente civiltà irlandese.
Questo avveniva nel secolo VII. Nel X secolo si raccoglievano libri presso agli epi-
scopî di Vercelli e di Ivrea; colà per opera del vescovo Attone si accresceva una
biblioteca, le cui lontane origini risalgono forse a molti secoli prima; qui probabil-
mente si deve al vescovo S. Warmondo (1) se ebbe origine, o almeno sviluppo un’altra
e importante biblioteca. Anche presso l’episcopio di Torino pare che ci fosse già una
qualche raccolta di libri nel secolo IX, se badiamo alle citazioni di Padri che rac-
. colse il vescovo Claudio, nei suoi Commentarî biblici (2). Secondo le costituzioni di
Olona, 825, pubbliche scuole erano indette in Torino e in Ivrea; alla torinese dove-
| vano intervenire gli scolari da Ventimiglia, da Albenga, da Vado, da Alba, cioè da
buona parte dell’ odierno Piemonte meridionale e della Liguria. Non è detto quali
scolari dovessero recarsi in Ivrea, dove le scuole erano affidate al vescovo (8).
(1) Sopra due mss. forse del sec. X, che ancora si conservano nella biblioteca Capitolare d’Ivrea,
e che appartennero a Warmondo, si legge: Sume Dei Genitrivx Warmundi dona fidelis praesulis
3 (A. Proressione, Inventario dei mss. della biblioteca Capitolare d'Ivrea, Forlì, 1894, p. 5; altri codici
. che furono posseduti da Warmondo, sono descritti, ivi, p. 9).
Ripa (2) Ofr. F. Savio, Antichi vescovi di Torino, Torino, 1858, p. 32; L. Tosti, Storia della Badia di
Montecassino, 2* ediz., I (Roma, 1888), pp. 396 seg.
(3) Capitularia regum Francorum, ed. A. Borettvs, 1 (Hannover, 1883), p. 327. Tommaso VALLAURI,
_ Storia d. Università d. studî del Piemonte, I (Torino, 1845), p. 6, accennando ai luoghi nei quali prin-
cipalmente fiorì la cultura in Piemonte, ricorda anche le cronache di S. Michele della Chiusa, della
Novalesa e di Pedona. Quest'ultima fu posteriormente riconosciuta falsa, e non molto antica sembra
‘anche la prima, edita da G. Avocapro, Storia dell'abbazia di S. Michele della Chiusa, Novara, 1837,
dA documenti, p. 3 sgg. A. Drespner, Kultur- und Sittengesch. der italien. Geistlichkeit im 10 «. 11 Jh.,
_Breslau, 1890, pp. 285-7, 241, 243, parla di Asti (dove trova un grammatico verso la metà del sec. XI),
. di Bobbio, di Ivrea, della Novalesa, di Torino.
72 CARLO CIPOLLA
Dopo della celebre biblioteca Bobbiense, ma prima forse delle biblioteche epi-
scopali ora ricordate un altro centro di cultura si costituiva nelle Alpi sopra Susa,
in luoghi orridi, silvestri, ma importanti perchè danno via alla Savoia. Sopra un
poggio che sembra staccarsi da’ giganteschi e maestosamente solenni massi alpini,
Abbone fondò nel 726 un monastero, per consiglio di Walchino o Walcuno, vescovo
forse di Embrun e di Moriana, e dedicollo a S. Pietro.
Il prof. Giuseppe de Leva (1), che in un notevolissimo discorso riassunse la storia
dello svegliarsi della cultura in Italia, segnalò diggià il monastero Novaliciense, per
la parte ch’esso ebbe in quest'opera di civiltà (2). Per me è bello ricordare il nome del
mio illustre maestro, per sviluppare, sebbene imperfettamente, un suo pensiero.
In quel monastero si diede assai per tempo opera agli studi, del che ci ha con-
servata memoria l'anonimo Cronista del monastero. Pur troppo là dove egli special-
mente discorre di questo argomento, noi non abbiamo più il testo originale e completo
della Cronaca, e dobbiamo quindi accontentarci quasi sempre degli estratti pubbli-
catine dal Duchesne o trascritti dal Baldesano nel sec. XVII. Leggesi tuttavia nel
testo originale il ricordo dei libri composti (3) da S. Eldrado, nel IX secolo, veduti
dallo stesso cronista. Ma non ci resta l'originale del brano in cui si narra (4), che
quando (sul principio del X secolo) i Saraceni irruppero da Frassineto, devastando
la Provenza, e il territorio di Arles, e si spinsero fino alla Gallia subalpina, i monaci
fuggirono dal monastero “ et pretiosiora queque Taurinum esportaverunt in templum
sancti Andreae; et inter cetera delati sunt libri sex mille ,. In altro luogo (5)
sembra significare che, salvati quei codici dalle ugne dei Saraceni, si perdettero
poscia per prestito. Egli parla infatti nuovamente della fuga dei monaci e soggiunge:
“ sicque remansit pars maxima thesauri cum aecclesiastis libris accomodati, nec
postea recuperati ,. Soggiunge quindi che prestarono il tesoro a Riculfo prevosto
(torinese), ma dei libri qui espressamente non parla. Guglielmo Baldesano (6), che
scriveva tra il cadere dal secolo XVI e il principiare del seguente, amplificando le
(1) Del movimento intellettuale d’Italia nei primi secoli del medioevo, Venezia 1876; nuova ediz.
presso G. Finzi, Prose letterarie, Torino, 1889, p. 295.
(2) Posteriormente il Tosti (Della vita di S. Benedetto, Montecassino, 1892, pp. 301-2) discorrendo
dei principali monasteri benedittini, che si resero benemeriti del sapere, ricorda il Novaliciense.
(3) Chron., ed. L. Bethmann, I, c. 12 (MGH., Script. VII, p. 81).
(4) Chron., ed. L. Bethmann, IV, c. 26 (loc. cit., p. 109).
(5) Chron., IV, c. 30 (loc. cit., p. 110).
(6) L’ab. Giuseppe Pavesio fu nominato professore di filosofia morale nell'Università di Torino
addì 1° genn. 1788, e professore effettivo il 1° sett. 1795. Nacque a Montalto presso Chieri nel 1757,
e morì nell’anno 1800, in ancor verde età (cfr. VaLaurI, Storia dell’Università degli studi, II, 216).
Or bene in un suo volume dal titolo Miscellanea di storia patria (Bibl. di S. Maestà in Torino) si
trova al n° 17 una breve nota (di 4 pagine) in cui si accenna a certo ms. comunicatogli “ dal sig” N. N. ,
[alludesi evidentemente ad Eugenio De Levis, di cui parleremo in appresso], il quale riassume ia
storia della biblioteca Novaliciense “ devastata..... dai Saraceni, di cui furono gli avanzi trasportati
al monastero di S. Andrea di Torino, dove furono poi preda del fuoco in un incendio sopravve-
nuto [la fonte di questa notizia è ancora il Chronicon, V. c. 1, che parla di incendio bensì, ma senza
dire che in tal occasione i codici andassero bruciati]. Pretende però che cinquecento di essi codici
stati salvati, fossero posti in pegno presso il prevosto di Torino, da cui i padri Gesuiti avessero
poi modo di ritirarli [Qui si pensi alle parole del Baldesano, il quale compose il suo libro soggior-
nando presso i Gesuiti di Torino]. Narra ancora in un suo viaggio alla Novalesa, d’aver ivi ancora
ritrovati alcuni codici ecc. ,.
L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 73
parole del Cronista, dice che “ 500 libri... per buona sorte l'abate aveva dati in guardia
a Riculfo preposito della chiesa di Torino , (1). Filiberto Pingone (2) asserisce che
“ Riculphus prepositus ecclesiae Taurinensis , ebbe cinquecento libri prima che la
biblioteca bruciasse in S. Andrea di Torino, e cita la Cronaca.
A libri dispersi il Cronista accenna più chiaramente là dove parla di antiche
biografie di abati, e di uomini ragguardevoli, cioè delle vite di Asinario, Waltario,
Arnolfo, Frodoino, S. Eldrado; e anzi il Cronista parla espressamente di un libro, assai
importante per la storia dell’ abazia, che certo antistite Pietro, col quale egli aveva
parlato, ai suoi bei giorni aveva veduto in Verona. Sino a Verona erano adunque
andati dispersi i libri dell’abazia! Non è difficile il pensare che in queste espressioni
ci sia un po’ di esagerazione. Dal complesso di quanto staremo per dire risulta che nè
tutto il tesoro, nè tutte le carte dell'antica abazia andarono in rovina.
Non è questo il luogo di discutere la storia dell’abazia Novaliciense. Mi accon-
tento di poche parole intorno ad un argomento assai oscuro, e del quale il Cronista
parla molto confusamente. Da esso risulta in ogni modo che l’abate Domniverto, ve-
dendo che il monastero correva pericolo per le incursioni dei Saraceni, lo abbandonò
e venne a Torino, trovando asilo presso S. Andrea (8). Ciò avvenne al tempo del
vescovo di Torino Guglielmo, e nei primi anni del X secolo. A_Domniverto successe
l'abate Belegrimo, che in Torino mutò sede all’abazia. Questa tuttavia non rimase
lungo tempo nella detta città. Poichè verso la metà di quel secolo stesso, il mar-
chese Alberto comperò una parte di Breme nella Lomellina, e per essa scelse a suo
erede S. Pietro. Colà i monaci andarono a stabilirsi (4). A Belegrimo, che fu abate
per 19 anni, successe Giovanni, che durò soltanto un biennio, e dopo di lui venne
Gezone (5).
I documenti confermano sostanzialmente questa narrazione, quantunque anche in
essi si abbia a lamentare non piccola confusione. Nella lettera dell'abate Belegrimo
al pontefice, che viene riferita nel Chronicon (6), si dice che il monastero venne fon-
dato nel luogo appellato Novalicium da un patrizio di nome Abbone, al tempo di
re Teoderico; disfatto il monastero dai Saraceni, venne restituito da Adelberto
marchese nel luogo denominato Breme. Questa medesima cosa si asserisce da Bene-
detto VII (7) nella bolla, febbraio 1014, all'abate Gotefrido (successore di Gezone),
della cui autenticità messa in dubbio senza sufficienti motivi dal Bethmann dovrò
(1) Historia della occidentale Italia, fasc. 36, fol. 2, ms. nell'Archivio di Stato di Torino.
(2) Augusta Taurinorum, Taurini, 1577, p. 26.
(3) Chron., IV, c. 25; V, c..2. Cfr. a questo proposito la - donazione di Adalberto marchese,
28 febbraio 929, in Chart. I, 131-3, n° 79, la quale tuttavia non ha che indiretta relazione colle
presenti quistioni. — Dal Cronista e daj documenti conosciuti dipende L. Crsrario (Studi sul San-
tuario della Consolata, Torino, Marietti, 1845, p.4; Storia di Forino, II (Torino, 1846), p. 291), che
parlò di questi fatti colla sua consueta maestria.
(4) Chron., V, c. 16 e 17 (ed. cit., p. 114).
(5) Chron., V, c. 20 (ed. cit., p. 115).
(6) Appendix, c. 3.
(7) Jarré, 2* ed., 5002. S. LowenreLD qui ripete il dubbio di L. Beramann, il quale, avendo visto
il documento nell'archivio arcivescovile di Torino, lo giudicò una copia del sec. XII e dubitò della
sua integrità. Riservandomi a parlare di ciò ampiamente in avvenire, mi limito qui a dire che il
documento, da me pure esaminato, mi pare non soltanto genuino, ma originale.
Serie II. Tom. XLIV. 10
74 CARLO CIPOLLA
dire altrove; quel pontefice pure parla di re Teoderico e di Abbone patrizio. In alcuni
documenti di più antica epoca si diceva invece che il monastero era stato fondato
al tempo di Carlo magno. Lo vediamo nei diplomi di re Ugo (929, luglio 24) (1), e di
Ottone I (972, maggio 1) (2), e nella bolla di Giovanni XII, 21 aprile 972, all’abate
Belegrimo (3). Ma anche in questi documenti si parla dell’origine del monastero di
Breme in modo conforme a quanto avviene nei documenti precedentemente citati, e
nel diploma, 26 aprile 998, con cui Ottone III (4) conferma all’abate Gezone i pri- .
vilegi del monastero stesso di Breme. Ugo col citato diploma del 929 confermò alla
Congregazione Novaliciense, allora abitante a S. Andrea di Torino, le Corti di Breme
e del Polesine donatele dal marchese Adelberto, ma delle origini lontane della con-
gregazione non fa accenno alcuno.
I citati documenti posteriori al 929 considerano sempre la sede abaziale di Breme.
Frattanto cessarono le incursioni dei Saraceni, e questi finirono per perdere anche
Frassineto. I gioghi alpini ritornavano dunque sicuri. Dall’anonimo Cronista (5) per-
tanto apprendiamo che Gezone, abate di Breme, vedendo “ quod Novelucis mona-
sterium dirutum et pene incognitum iam lateret ,, mandò un monaco perchè ne fosse
“ ricuperator et auctor ,. Fu il monaco Bruningo che, recatosi colà per ordine del-
l'abate, rifece l’abside (cappella) di S. Andrea, che sembrava di troppo piccole dimen-
sioni. Non per questo Gezone trasferì colà l’abazia; egli rimase a Breme, e i documenti
surricordati ce lo dimostrano. A Gezone successe Gotefrido, il quale era abate di
Breme, allorchè (1014) ricevette da Benedetto VII la bolla succitata. E l’ abazia
restò a Breme, rimanendo alla Novalesa una casa, che presto troviamo eretta in
priorato, il quale fu elevato a dignità abaziale soltanto in epoca tardissima, e dopo
cessata o trasformata l’abazia di Breme. Sotto Gezone quindi il monastero Novali-
ciense risorse. Una carta del gennaio 1025 lo ricorda colle parole: “ monasterio
sancti Petri qui est constructo in loco Novalicii , (6).
Intorno all’epoca della restituzione del monastero per opera di Gezone, noi siamo
all'oscuro. Gezone è ricordato nel diploma di Ottone II del 998 indicato dal Beth-
mann (7). Dal Cronista Novaliciense sappiamo (8) che egli fu in amichevole relazione
con Fulcardo vescovo di Alba, e si può provare che questi era già morto, e proba-
bilmente almeno da qualche mese, il 18 luglio 985 (9). Noi non sappiamo quanto
tempo Gezone abbia retto l’abazia; probabilmente la governò per molti anni, giacchè
raggiunse tardissima età (10). E in che sia consistita veramente la ricostruzione del
(1) Mon. Hist. Patriae, Chart. I, 135-6, n° 81.
(2) Srumpr, 505. SickeL, Diplomata, I, 556-7. L’illustre editore osservò con ragione che il diploma
Ottoniano dipende dalla bolla di Giovanni XIII.
(3) JarFé, 2* ed., n. 3761.
(4) Stumpr, 1148.
(5) Chron., lib. V, c. 25 (ed. cit., p. 116).
(6) Il somigliante si ricava anche dalla offersione del 1042, edita nella 3:52. Sedus., Cent. I,
cap. LKXXIV; dove pure si parla del monastero di S. Pietro “ quod est constructum in Novalis loco ,.
L'aggiungere altre notizie non è di questo luogo.
(7) M. G. H., Script., VII, 133; Mon. Hist. Patriae, Chart., I, 817.
(8) ORron., V, 34 (ed. cit., p. 118).
(9) © Mem. Ace. di Torino ,, II serie, XLII, 2, 23.
(10) Chron., V, 38 (ed. cit., p. 119).
L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 75
monastero Novaliciense, non ci è propriamente noto; per altro il Cronista (1) ricorda
che i monaci invitarono il vescovo di Ventimiglia a recarsi a consacrare le cappelle
di S. Michele, S. Maria Vergine, S. Salvatore e S. Eldrado; locchè sarà avvenuto
posteriormente alla ricostruzione della cappella di S. Andrea. Queste parole bastano
a far comprendere che quella badìa fu ristorata nella sua pristina grandezza. Il
primo priore Novaliciense si incontra nel 1093 (2).
Non so se sia stato in questa occasione che si restituirono al monastero Nova-
liciense (3) i suoi più antichi documenti, e primo tra essi l’atto col quale, nel 726,
il patrizio Abbone fondò l’abazia. Il tempo del trasporto non lo si può adesso stabi-
lire con certezza. Seguendo la via delle induzioni, anche legittime, potremmo risalire
ad epoca assai antica, forse alla metà in circa del secolo XI. Se vogliamo una prova
esplicita dell’esistenza del documento del 726 e delle altre antichissime scritture alla
Novalesa, forse dovremmo scendere molto in basso coi tempi. Ad ogni modo non è
opportuno in questo luogo istituire ricerche di tal natura. Mi accontento di qui ricor-
dare che Vincenzo de Jallono, priore di Novalesa, sembra aver veduto l’atto di fonda-
« zione di Abbone, ma, com'è naturale, senza essere riuscito a leggere quel documento
scritto in carattere merovingico. Abbiamo una sua supplica, non datata, come di
costume, ed indirizzata ad Amedeo (IX) duca di Savoia, la quale contiene la domanda
per la conferma dei privilegi.
Il duca con diploma del 17 dicembre 1432 esaudì i voti del petente, confer-
mando in generale i diritti e le immunità del monastero (4). Dall’istanza del priore
trascrivo le prime linee: “ Jllustrissime ducali vestre Sabaudie dominacioni exponitur
reverenter pro parte humilium oratoris Vincencii de Jalliono prioris prioratus vestri
Novalisit hominumque et subditorum eiusdem, Quod cum prefati exponentes habeant
priuilegia, franchesias et libertates sibi dudum per serenissimum principem dominum
Abbo patrocium (5) quondam imperatorem concessas, Et successive post eum per
dominum Karolum magnum eciam imperatorem, consequenterque per inclite recordie
omnes et singulos progenitores vestros et uos gradatim confirmatas ... ,. Queste linee
contengono un vero e proprio inventario di privilegi, autentici e falsi, siccome si
potrebbe con facilità rilevare, notando che per il documento di Carlo magno intendevasi
un privilegio falso, rimasto per secoli famoso, e per i documenti Savoiardi intendevasi
un diploma di Adelaide, ch'io anche reputo falso, ed i diplomi dei conti Umberto (1093),
Tommaso (1204) e Amedeo (1233).
(1) Chron., V, 44 (ed. cit., p. 120). i
(2) Lo notò giustamente Derra Chiesa, Series Chronol., Aug. Taur., 1645, p. 202.
(3) Se si volesse sostenere che fino dai primi tempi in cui il monastero Novaliciense fu rialzato
dalle rovine, vi siano stati trasportati i documenti, converrebbe ammettere che altri atti, e preziosi,
i monaci di Breme vi abbiano in seguito mandato. Non solamente i diplomi Ottoniani riguardanti
Breme, ma anche quello di Enrico INI (II), del 19 aprile 1048 (MurarorI, Antig., V, 1052) porta sul
verso il nome di A. Provana e l’anno 1502. A. Provana entrò in quell’anno nel priorato della Nova-
lesa, e tosto si occupò dei suoi documenti, come ricorderemo di qui a poco. Al tempo dell'anonimo
cronista pare che i documenti si trovassero custoditi, in quell’armariolum di cui egli parla (lib. V,
c. 22; ed. cit., p. 115) a proposito del diploma di Ottone III in favore dell'abate Gezone.
(4) I due documenti conservansi in originale nell'Archivio di Stato di Torino, Novalesa, busta VIII.
(5) La voce patricium, è divenuta patrocium, cognome.
76 CARLO. CIPOLLA
Vincenzo de Jalliono (1) ha il merito di citare il documento di Abbone, ma senza
intenderlo, e di Abbone fa addirittura un imperatore. Ma non è a meravigliarsene.
Andrea Provana, appena ottenne il priorato Novaliciense, ne esaminò l’archivio,
e sul verso delle pergamene ne segnò o piuttosto fece segnare un regesto,. spesso
aggiungendovi il proprio nome e l’anno: 1502 (2). Queste indicazioni riescono utilis-
sime, considerate quali materiali per la ricostruzione l'archivio della Novalesa al
principio del secolo XVI; infatti è evidente che le pergamene segnate dal Provana
trovavansi effettivamente alla Novalesa, e non nell’abazia di Breme, continuata anche
dopo l’erezione del priorato novaliciense. Or bene, sul verso della pergamena del 726
il Provana segnò il suo nome, e aggiunse che quel documento era illeggibile.
E ancora più prezioso di queste indicazioni è l'inventario che, sotto le date
del 1502 e del 1512 ci è pervenuto, compilato da Pietro de Allavardo, agente del Provana.
Di sua mano, per l’ uniformità del carattere, sembrano anche i suindicati regesti.
Gli altri inventari delle carte Novaliciensi giunti fino a noi sono tardi, cioè dei
secoli XVII-XVII e molto imperfetti, senza calcolare frammenti di poco conto (3).
In tutti questi lavori d’inventariazione si registrarono bensì i libri di documenti,
ma i volumi di carattere letterario si trascurarono. Nella redazione degli inventari
più tardi ebbero parte gli ufficiali governativi, particolarmente in quello eseguito nel
marzo 1721 dall’avv. Giuseppe De Gregorij, che agiva quale delegato del conte Nicolis
de Robilant, primo presidente della Camera dei Conti. ltecatosi dunque il De Gregori]
alla Novalesa, addì 19 marzo di detto anno, chiamò l’abate Massetti, e lo interrogò
intorno all'archivio monastico. Il Massetti rispose: “ non esservi alcun archivio for-
male, tener bensì lui nella sua camera diverse scritture a detta abazia apartenenti,
che ritrovò nell’istesso posto quando venne ad habitare nel presente monastero; et
haver perinteso che molte altresi si trovano nella città di Torino, senza sapere
appresso di chi siano ,.
Da molto tempo l’antico monastero erasi trasformato in commenda. Nel sec. XVII
ebbe ancora una certa fioritura letteraria, piuttosto per parte di estranei, che. non
dall’opera dei suoi monaci. Ma poco giovò. La stessa cronaca Novaliciense, dopo essere
stata studiata da Filiberto Pingonio nel secolo XVII, e dopo aver servito per gli
estratti pubblicatine dal Duchesne, andò smarrita. Nel 1727, dopo molte ricerche la
sì rinvenne, insieme con molte altre carte del monastero, in una cassa, che non era
stata aperta da più di 40 anni (4).
(1) Della famiglia dei signori di Giaglione.
(2) Qualche volta la coda dell’ultima cifra è piegata di guisa da lasciarci incerti, se prenderla
per 2 o per 3.
(3) Un regesto delle pergamene dovuto all’ab. Sineo è imperfetto. Un inventario risale al tempo
di Maurizio Filiberto Provana, che fu priore fino al 1684 (cfr. M. A. Carrerto, Vita e miracoli di
S. Eldrado, Torino, 1693, p. 113). Può aversi in conto di qualcosa più che un inventario, il volume
in cui, per incarico della Camera dei Conti, correndo l’agosto del 1721, B. Bazzano, notaio; copiò
una scelta di documenti (726-1557), per lo più antichi. Egli disimpegnò la sua difficile.incombenza;
dando prova di una perizia paleografica, che. non dovea essere comune ai notai di quel tempo. Il
suo volume si conserva nell'archivio citato, busta II. In una delle ultime buste (nella parte il cui
ordinamento non è ancora terminato), sotto il titolo Liber cappellarum. monasterii. s. Petri Novali-
ciensis, coll’anno 1664, trovasi un ampio regesto di documenti dei sec. XIV-XVII.
(4) Questo si apprende dalla prefazione ad una. copia della Cronaca di mano del sec. XVIII,
esistente nell'Archivio di Stato, Novalesa, busta II. Una copia simile, preceduta da uguale prefazione,
L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE Hal,
Nel 1755 si trovò murato in una casa di Susa un fascicolo di carte Novaliciensi,
carte per verità di poco valore, trattandosi del ricordato diploma falso di Carlo magno
e di successive conforme a noi note per altre vie. Tuttavia vuolsi tener conto anche
di questo fatto, di cui due anni sono parlò il ch. barone G. Claretta (1).
I codici vennero trascurati anche più dei documenti, non presentando interesse
pratico. E ciò specialmente avvenne quando per l’antichità divennero illeggibili,
quando i volumi a stampa nell'uso comune soppiantarono i mss. Si comprende facil-
mente il motivo per cui al re Vittorio Amedeo II venisse suggerito da Scipione
Maffei di scambiare con libri moderni, e di facile uso, i manoscritti, preziosi per i
dotti, inutili per la maggior parte delle persone, che non si conservavano dai mona-
steri colla cura dovuta.
Abbiamo veduto che l’anonimo Cronista parla della ricchissima biblioteca, che il
monastero Novaliciense possedeva nel secolo IX. Egli ci lascia quasi credere che,
trasportata giù dalle Alpi, sia andata del tutto perduta. Non bisogna prendere le sue
parole. alla lettera, poichè egli stesso (2) soggiunge di aver letto i fatti di S. Eldrado,
per compilarne la vita. Non è dubbio: qualche antico libro del monastero deve avergli
servito a tale scopo.
Da un'origine locale dipende certamente l’anonimo autore della biografia di
S. Eldrado pubblicata negli Acta Sanctorum (3). Di quella vita si credeva autore il
Cronista medesimo, locchè viene negato ora dal Bethmann, con ragioni che dovrò
discutere in altra occasione. Comunque si pensi intorno a ciò, quell’opuscolo ha per
fonte una antica vita, la quale, siccome il Bethmann (4) provò fino all'evidenza, era
scritta in versi.
Il Cronista mostra di conoscere la storia di Odoacre e di Teoderico (5), mentre
di Costantino e di Massimiano sa: pochissimo, ma pur li vide ricordati (6). Cita (7)
invece, e due volte, i dialoghi di S. Gregorio Magno, libro molto diffuso nel medioevo.
Gli sono note le vite degli antichi vescovi di Vienna compilate dal loro successore
Leodegario (8), che visse contemporaneamente al Cronista (9). Aveva sotto agli occhi
il poema di Waltario, col quale compose una buona parte del libro II della sua Cronaca.
Non è forse molto facile lo stabilire se il Chronicon Novaliciense, siccome ora
siamo usi denominarlo; sia stato scritto alla Novalesa od a Breme; infatti al primo di
trovasi anche nella Biblioteca Nazionale di Parigi, mss. Latini, 12904; debbo questa notizia alla
gentilezza del sig. C. Couderez, al quale mi è grato di professare pubblicamente la mia riconoscenza.
(1) Sulle peripezie occorse a documenti spettanti al celebre monastero della Novalesa, nel giornale
“ L'Indipendente , di Susa, 4 settembre 1892. Le carte stesse rimasero a Susa, dove il barone Claretta
assicura averle vedute anche pochi anni or sono. Stavano presso la sottoprefettura di Susa; poscia
passarono in mano privata.
(2) Chron., III, c. 81 (ed. cit., p. 106).
(3) Martii, II, 333.
(4) Mon. Germ. Hist., Script. VII, 128.
(5) Chron.. I, c. 2 (ed. cit., p. 79).
(6) Chron., App. 11 (ed. cit., p. 126).
(7) Chron., V,.c. 32 e c. 44 (ed. cit., p. 118, 120).
(8) App., c. 12 (ed. cit., p. 127).
(9) Leodegario fu vescovo di: Vienna dal 1030 al 1070; il suo libro sulle vite dei suoi prede-
cessori, che si reputava perduto, venne testè identificato e criticamente pubblicato dal DuckssNe,
Fastes épiscopaux de Vancienne Gaule, I (Parigi, 1894), p. 166 sgg. e 179 sog.
78 CARLO CIPOLLA
questi siti richiamano i ricordi locali, ricordi vivi, ed espressi con parole calde di
affetto. A Breme accennano alcune frasi: in un luogo dice il Cronista (1) che il vescovo
di Como “ venit , a Breme, e poco dopo (2) di un altro egli soggiunge che “ ad mo-
nasterium Bremetense pervenit ,. Più espressivo ancora è quanto nel Chronicon (3)
“
leggiamo di Fulcardo vescovo di Alba, il quale “ nostrum dilexit locum ,. Trattan-
dosi di un vescovo d'Alba, non si può con noster locus alludere che a Breme, al quale
luogo del resto accenna tutto il contesto (4).
Il nostro anonimo vissuto fra il X e l'XI secolo, e testimonio della ricostruzione
del monastero Novaliciense, nel suo luogo di origine, può aver soggiornato e sulle
Alpi ed a Breme. In quei primi tempi non ci potea essere alcun sentimento di mala
armonia o di gara fra l'uno e l’altro luogo; formavano anzi una cosa sola.
De’ libri monastici non abbiamo notizia. Dalla cronaca non si può dedurre dove
il Cronista abbia veduto quei pochi che egli cita. i codici che possiamo ritenere sal-
vati dalla rovina della prima biblioteca, saranno ritornati nell’antica loro sede insieme
coi documenti. Mancano tuttavia le testimonianze esplicite intorno a ciò. Soltanto
possiamo dire che nelle carte pagensi, che si andarono redigendo alla Novalesa, vedesi
per alcun tempo l'influsso della cronaca, nell'adozione del nome “ Novalux ,. Si sa
che presso il Cronista nobilitasi il nome antico, in quello di Novalux (5); e ciò fu fatto
collo scopo che esprimesse come di là, mercè la predicazione di S. Pietro, si diffuse
largamente la luce del Vangelo. È una leggenda, senza prova storica (6); di essa, a
dir vero, espressamente non parla il Chronicon, secondo il testo attuale, ma di essa
sì! trova ricordo in altre fonti, delle quali non parleremo in questo luogo. Qui mi
limito a notare che negli atti notarili redatti alla Novalesa si adoperò a lungo una
forma, che doveva naturalmente piacere. L'ultimo documento in cui la trovai è del
26 marzo 1117: “ monasterio beati petri in loco qui novalux dicitur , (7).
Prima di passare alle posteriori notizie intorno ai codici, aggiungo una parola sui
tesori, di cui l anonimo Cronista ci ha parlato. Anche qui abbiamo confermato,
che non andò perduto tutto quello che trasportossi via dalla Novalesa, al momento
della invasione Saracena. Le reliquie di S. Eldrado avranno seguìto l’archivio e la
biblioteca dalla Novalesa a Torino ed a Breme, e da Breme alla Novalesa. Nel
secolo XIII, o piuttosto nel XIV, furono racchiuse in una bellissima arca d’argento,
che ora si venera nella chiesa parrocchiale del villaggio di Novalesa. L’arca è
(1) App., e. 7 (ed. cit., p. 127).
(2) App., c. ® (ed. cit., p. 125).
(3) Lib. V; c. 34 (ed. cit., p. 118).
(4) Il Barpessano, cita volentieri la nostra Cronaca, quale Cronaca di Breme. Anche testè
C. DronisortI, I Reali d’Italia, Torino, 1893, p. 66, parlando di questa cronaca la disse scritta da
“un monaco del monastero di Breme nativo dello stesso luogo ,, e rimanda a F. Maraspina, Sulle
potria e sull'età del cronografo Novaliciense, Tortona, Massa, 1816. E infatti questi autori, contro ai
motivi coi quali il Terraneo si era studiato di stabilire che il cronista scriveva in Torino, sostiene
che invece egli abitava nel monastero di Breme.
(5) Chron., I, c. 8 (ed. cit., p. 80). Peraltro il Cronista non usa sempre di questa forma, anzi
per ordinario scrive Novalicium e Novalisium.
(6) Di siffatti viaggi di S. Pietro non tenne conto testè il ch. mons. Istnoro Carini, prefetto
della Vaticana, nel suo succoso Discorso sulla vita di S. Pietro, Roma, tip. editr., 1893, pp. 22.
(7) Perg. orig. nell'Archivio della Novalesa, busta III, Arch. di Stato di Torino.
L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 79
ornata sulle due faccie e sui due lati con figure argentee, di bellissimo lavoro.
La statuetta di S. Eldrado porta accanto la leggenda, in bellissimo gotico del tempo
indicato: ‘$ | AL | DR | AD’ | AB | AS. L’inventario di A. Provana la ricorda. Secondo
la tradizione locale, questa teca, al momento della soppressione del monastero, con-
servavasi nella cappellina di S. Eldrado, presso al monastero stesso.
Il primo ricordo dei libri conservati alla Novalesa lo trovo in un processo scritto
in un fascicolo cartaceo, frammentato, in carattere della seconda metà del sec. XIV (1).
Nel processo si riferisce una carta del 26 gennaio 1366, indirizzata a Ruffino (de
Bartholomeis) priore della Novalesa in quel tempo. Questa circostanza serve a pre-
cisare la data del fatto.
Trattasi di frate Antonio de Sartoribus, priore del priorato di Corbières, ch'era
una dipendenza del monastero Novaliciense. Egli aveva apostato dal suo ordine, dive-
nendo “ clericus secularis ,. Tra le accuse fatte al detto Antonio, c’era la seguente:
«“ Jtem quod dictus dominus Anthonius ornamenta artariis (sic) et pannos et libros
“ dicti prioratus sua culpa et negligentia dimisit Jnreparatos et inaccatos, inrefectos
“ et minus debite custoditos in tantum quod propter insufficientem reparationem, acca-
“ tionem et custodiam panni vsi et demoluti putrefactura fuerunt et libri a muris
“ et tineis et aliter diversimode demoluti, delacerati et decarnati fuerunt et deuastati
“ pro maiore parte et adhuc peiorantur et destruuntur, vt supra, culpa et negligentia
“ dicti domini Anthonij ,. Sopra un foglio separato, fra gli altri fatti, imputati al
detto Antonio, si trova: “ Jtem quod dictus dominus Anthonius non nulla ornamenta,
“ calices et libros ecclesiastica et alia bona mobilia et inmobilia dicti prioratus vendidit,
“ alienauit, distraxit, pignori tradidit ,. Si direbbe ch'egli avesse venduto una biblioteca
intera; ma subito dopo, venendo ai particolari, l’estensore di quel documento, accenna
bensì a molti oggetti da lui dati in pegno, come lenzuola, coperte e perfino un calice,
ma quanto a libri ricorda soltanto: “ quemdam breuiarium, qui fuit domni Guillelmi
de Chigimno (?) monachi dicti prioratus ,.
Sicchè anche da questo documento poche cose possiamo raccogliere. Risulta tut-
tavia che nella seconda metà del secolo XIV c’era alla Novalesa una certa raccolta
di libri, fatta preda ai sorci ed alle tignuole.
Un secolo fa incirca la biblioteca Novaliciense era ancora abbastanza ricca di
libri preziosi (2). Nel 1778, in novembre, si recò lassù un valente archeologo piemon-
tese, Eugenio de Levis, e dei volumi da lui trovati, nonchè di quelli che l'abate Cauda
anteriormente gli aveva regalati, egli diede notizia abbastanza particolareggiata in
un’opera (3) uscita alcuni anni appresso, nella quale anzi egli stampò alcuni aneddoti
(1) Arch. della Novalesa, busta V, Arch. di Stato di Torino.
(2) Forse alla biblioteca monastica si allude nel documento 13 gennaio 1646 col quale Filiberto
Maurizio Provana dei signori di Leynì, allora abate e commendatario perpetuo dell’abazia Nova-
liciense pose le fondamenta della cessione di questa ai monaci Cistercensi. Im esso infatti, mentre
si afferma che l’abazia venne fondata ancora “ vivente S. Benedetto ,, si soggiunge che in allora
essa aveva una “ quantità , di monaci chiari per dottrina, “ come hoggidì anche di molti se ne
conseruano le memorie ,. Forse il Provana pensava a Remigio, che poi il De Levis cercò provare
essere stato veramente monaco Novaliciense. Checchè sia di ciò, pare proprio che le parole del
documento accennino a quanto nella biblioteca Novaliciense si conservava ancora a memoria dei suoi
antichi giorni gloriosi.
(3) Anecdota sacra, Augustae Taurinorum, 1789, vol. I (unico), p. xxvrr sgg.
80 CARLO CIPOLLA
desunti da quei medesimi manoscritti. Del De Levis esistono anche parecchie schede
manoscritte, delle quali ultimamente discorse il prof. Giuseppe Galligaris (1), nell’atto
di dar notizia di un manoscritto del sec. XV, ora posseduto dal ch. barone G. Claretta;
questo ms. ci conserva la copia dell’antico codice Novaliciense della Historia Lan-
gobardorum di Paolo diacono. Degli studi pur troppo rimasti incompleti che il De Levis
fece sopra i codici Novaliciensi dovrò con maggiore larghezza parlare in altra occa-
sione, e perciò mi fermo.
Dei codici Novaliciensi fino ad ora uno solo fu segnalato come tale, ed è quello
che faceva parte della raccolta Hamilton, e che ora si custodisce nella biblioteca di
corte di Berlino. Ne diede anni or sono una sommaria notizia il prof. Carlo Miller (2)
di Berlino (3). Di un altro ms., finora non identificato, parlerò in altra occasione.
TE
Il giorno 24 gennaio 1894, studiavo gli antichi registri dell’archivio Novaliciense,
approfittandomi del permesso gentilmente accordatomene dal ch. barone E. Bollati di
St. Pièrre, direttore dell'Archivio di Stato di Torino. Mi venne allora alle mani un
volume cartaceo, di fogli 71, in carattere cancelleresco franco-piemontese della fine
del sec. XV o dei principio del sec. XVI, col titolo: “ Huiusmodi liber est debitorum,
“ seruitiorum ac censuum annuatim debitorum Reuerendo d. Priori Noualicij factus
“ de anno 1497 et pro annis sequentibus, pro vera Jnstructione ipsius domini prioris
“et sui monasterij per R. viros Damianum Bossardi et Franceschum Cestarij con-
“ missarios recipientes recognitiones huiusmodi monasterij de mandato Reuerendi
“ d. Georgij Prouane prioris defuncti die 14 Ianuarij anno 1502, cui successit Reue-
“rendus d. Andreas de Prouanis eius nepos , (4). Questo volume era legato con un
doppio foglio pergamenaceo, scritto sopra tutte Ie sue facciate. Staccatolo, apparve
contenere due fogli, ossia quattro facciate, di bella scrittura, in minuscolo carolino.
È il foglio doppio appartenente ad uno fascicolo costituente un antico ms. delle omelie
di S. Cesario, che fu vescovo di Arles al principio del sec. VI. Il testo del foglio 1
in origine non precedeva immediatamente il testo del foglio 2; è a credere che quello
fosse separato da questo, per mezzo di un altro foglio doppio (5).
Comincio con una sommaria descrizione del contenuto.
Foglio 1° (sciupato all’angolo superiore destro). Faccia recto. La colonna « prin-
cipia colle ultime parole della nota omelia che comincia Quotienscumque fratres charissimi,
(1) Di un nuovo ms. della “ Hist. Langob. , di Paolo diacono. in © Boll. dell’Ist. stor. italiano ,,
X, 31 sgg.
(2) Analekten, Kirchengeschichtliche Handschriften in der Hamilton Sammlung, in * Zeitschrift fiir
Kirchengeschichte ,, VI, 247-82; le pagine che c’interessano sono le pp. 253-6.
(3) Il Necrologio, che il Beramanx (M. G., VII, 181) vide in mano di C. Gazzera, trovasi ora
nella, biblioteca dell’Accademia delle Scienze di Torino. In altra occasione parleremo della sua rela-
zione col Monastero Novaliciense.
(4) Segue una firma di difficile lettura.
(5) Questo ms. non poteva essere ricordato dal Dr Levis. Sebbene egli parli (p. xxx1x) di un
“ fragmentum homiliarii ,, dalle indicazioni, che ne fornisce, si comprende trattarsi di tutt'altra cosa.
L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 8
e che viene anche attribuita a 3. Agostino:(1).Il brano, che ‘ci resta, consiste appena
nelle ultime linee: “ anima deo :angelis ‘presentabitur in ‘caelo — liberare -dignetur.
“ Ipso adiuuante qui uiuit & regnat in secula seculorum. AMEN ,.
Segue immediatamente, e senza neppure la distinzione di capoverso, la didascalia
seguente: AMMONICIO AD ILLOS QUI SIC ELIMOSINAS FREQUENTIUS
FATIUNT UT TAM ET RAPINAS EXERCEANT ET ADULTERIA :COMITTANT.
La voce AMEN è in scrittura capitale rustica (2), non trattamdosi nè qui ‘nè in
seguito «del vero e splendido capitale romano, e ‘d'inchiostro nero. La didascalia se-
guente è in capitale rustico, ma d'inchiostro rosso icon mescolanza di lettere onciali,
come avviene anche mella seguente didascalia.
Col testo dell’omelia si va «a ‘capo linea. La iniziale K ‘capitale, è in color rosso,
lucente, alquanto sbiadito, sia per l’età, sia perchè forse lo era anche in origine. La
lettera è così grande ida occupare lo spazio di ‘cinque linee, ed è in vero capitale, di
forme purissime. Il resto della prima linea è di color nero, in ‘carattere rustico
mescolato d’onciale; colla seconda linea ricomincia il minuscolo. L’omelia di cui ab-
biamo riferito il titolo ossia il riassunto, è pure di S. Cesario, ma viene attribuita anche
a S. Agostino (8), e comincia: ROGO UOS FRS DILIGENTIUS CON | siderate. & ecc.
La prima linea è in maiuscoletto rustico, con mescolanza di onciale. L’omelia occupa,
oltre alla col.a del £, 1 recto tutta la colonna è del medesimo, nonchè le due intere
colonne del fol. 1 verso. Il fol. 1 recto termina con: “ esse non possumus sed de capi-
talibus , (4). Nel nostro testo l’omelia finisce così, f. 1, col. 2: “ & cum dies iudicii
uenerit. &si coronam non merentur | accipere. uel peccatorum indulgentiam conse-
quantur. | Prestante domino mostro ihù xpo. cui est honor & gloria in secula | secu-
lorum ameN.
Foglio 2° (oltre ad essere molto smarginato a destra, è sciupato specialmente
al lato destro della metà inferiore), faccia recto. La colonna a e le prime linee della
colonna 5, sono occupate dal termine di una omelia, qui attribuita pure a S. Cesario,
siccome risulta dalla didascalia della omelia seguente. Pur troppo andò perduto il
principio dell’omelia, dal quale avremmo avuto un mezzo assai vantaggioso per l’iden-
tificazione. Fra le omelie che il Migne registra come appartenenti o anche soltanto
attribuite a S. Cesario, la nostra non si trova. Essa ha peraltro grande somiglianza
con una, attribuita tanto a S. Cesario quanto a S. Agostino (5). Ma non è la me-
desima (6).
(1) Micxe, Putrologia latina, XXXIX ($. Aucusoii, V), coll. 2319-25.
(2) La divisione della scrittura del capitale in elegante ed in rustica fu tra noi chiaramente
definita dal mio illustre maestro prof, A. Guoria (Manvale, Padova, 1870, p. 57 e Atlante, tav. I).
Veggasi ora il PaoLi, Programma, 2* ediz., Firenze, 1888, p..3.
(8) Mine, op. e vol. cit., coll. 2338-40.
(4) Cfr. il testo del Mione, col. 2339.
(5) Mrewe, op. e vol. cit., coll. 1875:7. Le altre omelie di S. Cesario o a lui attribuite, leggonsi
nei volumi LXVII (coll. 1041 sgg.) e L (coll. 844, 848, 855, 857) del Miane. Nel Corpus sceriptorum
ecclesiasticorum dell’Accademia di Vienna, non fu ancora pubblicato S. Cesario.
(6) Col. a. (poeniten)tiam. Si uero non preuales impossibilitati tune cum humilitate postula ueniam.
Dura tibi uidentur praecepta (La sillaba prae è abbreviata al solito modo, e l’avverto per la questione
del dittongo), quanta (corr. di prima mano in quantum) tibi duriora erunt consilia deceptoris? aspera
tibi uidentur que tibi a senioribus imperantur. quantum duriora sunt que auaritia imperat culto-
Serie II. Tom. XLIV. 11
82 CARLO CIPOLLA
Alla voce finale AMEN, in rustico, inchiostro nero, segue senza distacco alcuno
la didascalia di un’altra omelia. La didascalia è pure in rustico, ma colla De la U
di forma onciale.
La G più che non la solita 9 maiuscola ricciuta, che combina col capitale
rustico, si accosta al capitale. La didascalia è dunque la seguente: ITE OMELIA
EPDE CESARII DE EO QUOD SCRIPTU EST IN EUUGLO CAP XIII. Non c'è
distinzione di parole.
Segue il testo evangelico (Matth., xvi, 21) che occupa un'intera linea in maiu-
scoletto. La R iniziale, in bel capitale, è simile alla grande iniziale di Rogo, di cui
abbiamo testè parlato, ma di grandezza un po’ minore. Il rimanente della linea è
in nero, e in lettere rustiche, colla U onciale; oltracciò alcune lettere e specialmente
x
la T, hanno la regolarità del capitale; ancora è ad osservare che le lettere TR di
intra sono in nesso, e che in vos la o è inclusa nella v. Dice dunque il nostro
testo: “ REGNUM DI INTRA VOS EST ||& ut inter animam & carnem iusto
iuditio iudicetur, et ut numquam contram deum murmurantes pacem cum ipso habere
possimus, & qualiter iustitiam & pacem, uel gaudium habere possimus ,. Il testo va
a capo con “ Audiuimus cum euangelium legeretur , ecc. La A d'inchiostro rosso, è
in capitale, di dimensioni grandi, ma inferiore alle R di Regnum e di Fogo; il rima-
nente del testo è in minuscolo. L’ omelia è ben conosciuta, ed è una di quelle che
si aggiudicano anche a S. Agostino (1).
Il fol. 2° recto finisce con: “ — Ipse (ediz. : ipsa) est ergo uestra iustitia que
“ o|mnibus] ,, e il fol. 2° verso, col. @, riprende: “ hominibus hoc quod — , (cfr. ediz.,
col. 1916). La seconda colonna di questa faccia termina colle parole: “ — Bene-
ribus suis? Quam laboriosa et quam periculosa itinera illos sustinere conpellit! & cum illud totum
pacienter excipiant propter poecuniam temporalem, tu quare non equanimiter pertuleris (in rasura,
ma di prima mano), propter uitam &erna (& con cedilia)? Non legisti: meliora sunt uulnera diligentis,
quam fraudolenta oscula odientis (così corretto di prima mano, forse per: gaudentis) [Prov., 27, 6]. & illud:
corripi& me iustus in misericordia & increpabit me, oleum autem peccatoris non impingu& capud
meum [Ps. 140, 5]. Senior enim castigat, ut corrigat, diabolus autem blanditur ut perdat. Consilium
enim diaboli, ut propheta dicit, ad tempus impinguat fauces, postea felle amarior inuenitur. Ipse
enim breuissimo tempore per uiam latam & spatiosam superbientes, uel luxuriantes ducit ad mortem.
Sicut e contrario Christus dominus noster per artam & angustam uiam humiles & obedientes (traccia
di correzione) perducit ad uitam. Ambe iste uie & latam & angustam finem habent (NT in nesso) &
breuissime sunt. Nec in angusta (corr. da: -am) uia diu laboratur, nec in lata diu gaudent. Ac si quibus
lata uia & luxuriosa delectat, post breue gaùdium, sine fine supplicium, & e contra illi qui Christum
per uiam artam secuntur, post breues angustias, ad &ernam (& con cedilia) merebuntur praemia
(pmia) peruenire. Nam si laicus homo, in seculo constitutus superbiam habeat peccatum est.
Monachus uero si habuerit, sacrilegium est. Taliter uos exhibere debetis fratres, tam sancte & iuste,
tam pie, ut merita uestra non solum uwobis sufficere, sed &iam peccantibus aliis in hoc seculo pos-
sitis ueniam impetrare. Nam si linguam non refrenamus, non est uera sed falsa religio nostra, &
melius fuerat non uovere, quam post uotum promissa non reddere. & haec fratres non ideo suggero
quod uos tales esse cognouerim [col. 6] timent[is magi]s animo quam reprehendentis loqui prae-
sumo (psumo). Propter quod Apostolus dicit: Cum m&u & tremore uestram salutem operamini
[Philipp. II, 12). Non ideo dixi quia illud facitis (corr. di prima mano da facites), nos enim talem
fiduciam de uobis habemus, ut magis nos credamus uestris orationibus adiuuari, ut inter procellas
uel tempestates seculi huius poss(i)mus (corr., di prima mano?, da possitis) ad portum uenire felici-
tatis supplicantibus uobis, adiuuante domino nostro Jesu Christo, cui est honor & gloria in secula
seculorum. AMEN.
(1) Mione, XXXIX (Aucusrinus, V) 1915-8.
L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 83
“ dicam dominum in omni tempore , (ediz., col. 1917), rimanendo incompleta
l’omelia.
Le varianti fra il nostro testo e la lezione del Migne sono abbastanza frequenti,
ma non di rilievo. Il nostro testo è tutt’altro che scevro di errori. Non è per altro
mio scopo attuale quello di determinare il valore del presente ms. per una nuova edi-
zione di S. Cesario, e quindi credo di dovere intorno a ciò passar oltre senz’altro.
Trascelgo qualche variante nelle prime linee dell’omelia fogo vos, e cioè: “ ne nobis
“ (ediz.: ne vobis); subripiat (subrepat); unam securitatem (vanam securitatem); iustum
“ est (iustitia est); timeo ualde, timeo (timeo, et valde timeo) ,.
Qui e colà abbiamo l’opera di un correttore (1), che scrive con inchiostro alquanto
più nero del testo, ma adoperando pure il minuscolo carolino. Talvolta aggiunge,
talvolta muta qualche parola. Fra le correzioni, due sono di notevole lunghezza, e si
trovano al margine superiore della colonna «a e d del foglio 2 verso. La prima ag-
giunge le parole “ Habemus ergo & interiorem hominem & exteriorem ,, che per via
di un segno di richiamo (.‘.) vanno ad unirsi al testo là dove le reca anche l’edizione.
La seconda aggiunta, richiamata al testo con altro segno di richiamo ni dice:
“ pacificare uidentur adulteri, quam sibi inuicem ,,.
Di due postille debbo tener parola. La prima leggesi al margine destro della
colonna è del fol. 2 recto, accanto alla didascalia, ed è importante perchè conserva
il nome di Cesario. È imperfetta, per causa dell’avvertita smarginatura del foglio.
Dice: Jtem homell[ia sancti] | caesar[ii .....| | script ..... È contornata da una cornice,
leggermente ornamentata.
‘ L’altra postilla si trova apposta alle prime linee del testo dell’omelia Audivimus
cum euangelium, e si riduce a una sola parola, di incerta lettura. Il testo dice: “ -R|ogo
ergo] uos | fratres karissimi considerantes conscientias [nostras] | uideamus si regnum
dei intra arcellas “alnimae nostrae| | repositam habemus — ,. Essa si ritrova in rispon-
denza alla linea fratres, e sembrami significare tolle, quantunque non mi trovi per-
fettamente sicuro di questa lettura. È poca cosa, eppure questa postilla così breve e
così oscura, ha essa pure la sua importanza (2).
Considerando il nostro frustolo sotto il riguardo paleografico, va anzi tutto rile-
vata la distribuzione del testo su due colonne, secondo una consuetudine che nelle
più antiche età vediamo comune nei mss. biblici. Nè quest’uso era scaduto all’età
Carolina, come apparisce dall’ Evangeliario scritto nel 781 o 782, in servigio di
Carlo magno, da Godescalco (3).
Della rigatura delle linee difficilmente può ormai scorgersi traccia. Ogni colonna
ha 40 linee (4), ma non sono molto regolari. Tuttavia una rigatura dev'essere esi-
stita, poichè la irregolarità non è grande. Senza dubbio era una rigatura fatta collo
(1) Sui correttori dell’epoca carolingica, e sulle prescrizioni date da Carlomagno in proposito,
veggasi l’erudito articolo del Carni, I correttori, Roma, 1894, pp. 24-5.
(2) Osservo che lo spazio di linea che dovea seguire dopo conscientias, pare un po’ troppo
ampio per ricevere la sola voce: nostras. Che forse ci fosse qualche parola in più da cancellare?
(3) Cfr. Prov, Manuel de paléographie, p. 81. E trovasi anche in inss. non biblici. A due colonne
è il codice di Giuseppe Flavio, del sec. IX, descritto da H. ScaeNkL, Bidl.patrum latin. britann. (Wiener
Stteungsber., CKXVII, p. 7).
(4) Al verso del fol. 2 ne abbiamo 41, in causa delle aggiunte, di cui abbiamo parlato.
34 CARLO: CIPOLLA
stilo, ossia a punta secca, quale vediamo nei più antichi mss. (1), e quale si usò fino
al sec. XI (2). Nel sec. XI s’introdusse la rigatura a piombo, che divenne ordinaria
nei secoli XII e. XIII,
Veniamo al carattere.
Come abbiamo indicato tre sono i caratteri adoperati nei fogli, che stiamo de-
scrivendo: il capitale nelle iniziali maggiori, il rustico con. mescolanza talvolta di
lettere. onciali, eil. minuscolo carolino. Sono caratteri coi quali è spesso difficile deter-
minare l'epoca. di un manoscritto. Nella. didascalia: e. nella. prima: linea di due omelie
è adoperato un carattere maiuscolo di piccole proporzioni, là. in rosso, qui in nero;
come. dicemmo, il carattere è rustico, ma la V è sempre onciale; allato alla D e
alla E rustica, ci sono anche le rispettive onciali, ed onciale è la F. Non manca
anche. la. A e la T capitale accanto alle rispettive. lettere. rustiche. Queste linee in
maiuscolo rosso. e. nero sono poche, ma pur sufficienti a. rilevare. l'antica. eleganza
dei caratteri. Specialmente degne di osservazione sono le pochissime, ma belle ini-
ziali in capitale, fra le quali la migliore e più grande è la di Rogo vos. Del minu-
scolo abbiamo un tratto abbastanza diffuso, per poter. essere sottoposto ad esame.
Il minuscolo uscito dalla scuola di Tours presenta. tuttavia molte difficoltà, quando
lo si vuol studiare per la determinazione cronologica dei manoscritti. In sostanza
esso. si mantenne identico a se stesso per due o tre secoli in circa, di tempo in tempo
subendo modificazioni leggere e graduate, ma non tali da escludere anche in mano-
scritti tardi la persistenza di forme antiche. Quando ci avviciniamo al XII secolo, cioè
all’ultima età della scrittura carolina, le differenze sono ormai divenute così forti,
da costituire quasi un carattere nuovo; ma per l'età che va dalla metà del sec. IX
al cadere del sec. XI si possono presentare esempi di caratteri che quasi lasciano tra
loro. scorgere difficilmente differenze spiccate.
Una delle caratteristiche più visibili è la frequenza delle forme corsive, ma
anche questa da. sola non sempre somministra argomenti sicuri. Il Wattenbach (3);
dopo averla segnalata, soggiunge che anche nel see. XI non sono rari gli esempi di
elementi corsivi.
Il minuscolo si' alterna talvolta col corsivo. Così in una pagina del codice Hei-
delbergense-Palatino. latino 912 della. Historia. Langobardorum di Paolo diacono (4),
dopo alcune linee in minuscolo carolino (colla a e colla 9g chiuse) seguono altre nelle
quali l'elemento. corsivo è forte, colla @ aperta, e perfino: coi nessi caratteristici corsivi
di ro, e di ar.
Iillustre. T. von Sickel (5); e sulle sue traccie il Paoli (6), e quindi il Carini (7),
distinguono il minuscolo carolino primitivo, sec. VIMI-IX; il' minuscolo neocarolino,
sec. X;. il minuscolo perfezionato (sec: XI-XII). Il: Sickel, come domandava lo scopo
(1) Lersr, Ur%kundenlehre; 2* ediz., Lipsia, 1893; p. 44 — Cfr. Warrensac®, Das. Schriftwesen,
2° ediz., Lipsia, 1875, p. 178-80.
(2) Prov, Manuel, p. 169: Lupi, Paleogr. delle carte, Firenze, 1875, p. 69.
(3). Andeitung zur latein. Palueographie, 4° ediz., Lipsia, 1886; p: 35 e p. 40.
(4); Facsimile. presso Warrz, Script: rer. Lang., p. 37, tav. IV:
(5) Das Privilegium Otto. T fiir. die ROmische Kirche, Innsbruck, 1888; pp. 10:2: ,
(6) Programma di Paleogr. latina, I (Firenze, 1888), pp. 234.
(7) Sommario di. Paleografia, 4*- ediz. (Roma, 1889), pp. 55-6;
L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 35
del suo. lavoro, si ferma particolarmente sulla seconda forma del minuscolo, ch'egli,
per distinguerlo dal carolino, chiama minuscolo del decimo secolo. Vi trova le lettere
grosse e larghe; esse in generale sono ineleganti, specialmente le lettere: i, u, n, m.
La » e la m hanno. l’ultima asta piegata a d., e non a sin., come avveniva nel
IX secolo; rotondeggiano assai le lettere 0, d, 9, p, g; la » è prolungata inferior-
mente. Questi sono i caratteri principali di siffatto minuscolo di seconda maniera,
secondo. il Sickel, il quale peraltro soggiunge che risale a molto addietro l'origine
di tale scrittura, e nota come i resti del carattere corsivo vanno. mano a mano
scomparendo: dal sec. IX al X. Avverte che nel sec. XI la scrittura ritorna dî nuovo
elegante.
Dal sec. IX in poi abbiamo una progressiva trasformazione del minuscolo caro-
lingico, finchè esso, perdendo l’ antico rotondeggiare, assumerà le angolosità del
gotico. Quindi nel minuscolo; l’una specie si distingue dall’altra per un' perfeziona
mento maggiore e una più sicura individualizzazione delle lettere. Già nel secondo
periodo è abbandonata la « aperta, insieme colle altre forme semi-corsive. Nell'ultimo
periodo la scrittura è elegante, regolare; quasi manierata. Fu detto che nel primo
periodo si ha un carattere elegante, nel secondo un carattere regolare; e nel terzo
un carattere regolare ed elegante. Ma anche questa regola non basta da sola, poichè
regolare ed elegante è il carattere dei primissimi lavori di Tours; quello p. e. delle
bibbie di Teodulfo. Tuttavia giova anche l’enunciata regola.
Queste sono le linee fondamentali, ma nella pratica non si possono segnare
divisioni nette fra un periodo e l’altro. Testè Federico Leist (1), avvertiva che la &
aperta, ancora: comune nelle carte ai tempi di Ottone I e di Ottone II, va scompa-
rendo sotto Ottone III. Questo ad ogni modo rimane fisso, che nei periodi anteriori
del minuscolo carolingico: le vestigia del corsivo s'incontrano, mentre queste mancano
nei periodi posteriori,
Alcuni mesi or sono, sotto: l'impulso del prof. Sickel, la Società Romana di
Storia patria pubblicò il primo fascicolo dei Diplomi imperiali e reali delle cancellerie
d'Italia: (2); comprendendovi un: diploma di Berengario del 905, nel quale pure ado-
perasi regolarmente: la a aperta.
Anche sulla particolarità di aggruppare il sec: XP al XII piuttosto che al sec. X,
si potrebbe porre innanzi qualche dubbio; ovvero segnare il punto di distacco alla
metà incirca del sec. XI.
Com'è notorio, uno degli elementi dei quali conviene tener conto è la sigla espri-
mente et. La forma “ & , è quella che ricorre nei documenti più antichi. La nota
tironiana somigliante alla cifra 7 non comincia che molto in ritardo. Il Leist (3)
pensa ch’essa. sia comune diggià: nel sec. X, ma, almeno fra:noi, parmi che maggior
ragione avesse un, egregio: allievo. del Paoli,. il signor F. Nitti (4), dicendo. che essa
è “ una: forma relativamente moderna, una forma cioè raramente adoperata prima
“ del mille. ,.. Nel nostro ms. abbiamo il medesimo nesso & ingrandito, usato. come Et
colla E maiuscola.
(1) Urkundenlehre, 2* ediz., Lipsia, 1893; p. 87.
(2) Roma, 1892 (ma: 1893).
(8) Op. cit., p: 88.
(4) Di una iscrizione religuiaria anteriore: al' mallé; in: Arch: stor: ital. ,, Vser., XII 259:
86 X CARLO CIPOLLA
Ciò premesso, il minuscolo del nostro testo si fa notare per alcuni importanti
caratteri di arcaicità, tra’ quali spicca la 9, che è costantemente aperta: essa, in altre
parole, è la 9g corsiva. La a sovente è chiusa, ma non mancano anche gli esempi della a
aperta, i quali anzi spesseggiano al principio dell’omelia Fogo vos. Talora la a è
pochissimo aperta, e il tratto curvo s’accosta anzi alla retta verticale.
La a chiusa, derivata dalla onciale, e simile alla « umanistica ora adoperata
nella stampa, è tutt’ altro che sconosciuta alla minuscola carolina fino dai suoi
inizî, come possiamo vedere, p. e., nel più bello e nel più antico forse fra gli esempi
di questa scrittura, quale è il codice Parigino, Bibl. Nazionale, Latini, 1451, del
quale abbiamo un facsimile presso il Duchesne (1), riprodotto dal Prou (2). Questa
forma di a si riscontra anche nei mss. usciti direttamente dalla scuola di Tours (3),
e scritti in semionciale. La « chiusa e la « aperta s’alternano nei diplomi delle can-
cellerie italiane del IX secolo (4). Nel nostro ms. avverto i nessi ct e +t; quanto a
quest’ultimo, noi abbiamo nella parola artam (fol. 2 recto, col. @) un esempio di forma
schiettamente corsiva. Quanto all’altro nesso, ne rilevo la piena semplicità, poichè
esso si riduce ad una c di grandi dimensioni, che dal suo apice superiore si inchina
a destra e dà origine alla #. Eppure era questo un nesso che offriva facilmente oc-
casione ad ornamentazioni complicate, proprie di età meno antiche (5).
Nè posso trascurare la & cediliata, e sormontata da una lineetta d’ abbrevia-
zione, per farle significare deter in aeternam, ed aeterna (fol. 2, recto, col. a). Questa
forma viene indicata come propria del IX secolo dal Prou (6).
La r è prolungata inferiormente, e nella m e nella » l’ultima asta è piegata a
sinistra, anzi talvolta manca anche l’apice inferiore, che in altri casi dà all’ asta
stessa una qualche curvatura a destra (7).
Le iniziali minori adoperate nel corpo del testo in generale sono rustiche, ma
vi abbiamo sempre la V e la H onciale, e oltracciò nella A, nella D, nella N e
nella Q, la forma onciale si alterna colla rustica. Accanto alla E rustica abbiamo
la E minuscola ingrandita.
A questi caratteri speciali va unita la circostanza che le parole non sono rego-
larmente distinte le une dalle altre. Manca insomma quella regolarità che è
distintivo del secondo e del terzo periodo; c’è invece quella eleganza speciale che
distingue il periodo sbocciato come immediata conseguenza della scuola calligrafica
turunense.
(1) Lib. Pontif., I, tav. I.
(2) Manuel de Paléographie, Paris, 1890, tav. 4, a p. 79.
(8) Veggansi i fac simili dati dall’ illustre L. DevisLe, École calligraphique de Tours, in “ Mém.
de l’Acad. des Inscript. ,, vol. XXXII, Parigi, 1886. Il DeLisLe approva il canone del conte de Bastard,
che fra le caratteristiche della calligrafia turunense rileva la 9 aperta, e la a formata da c e da è
in contatto. Quest'ultima @ è similissima alla @ aperta.
(4) Diplomi imperiali e reali, ecc., tav. VII, IX, XI, XII. Nel diploma, 1030, di Roberto re di
Francia (Prov, p. 98, e tav. VII, n° 1) vediamo usata la @ aperta.
(5) Di questo nesso abbiamo esempî nel celebre codice epigrafico di Einsiedeln, del sec. IX-X;
facsimile presso De Rosst, Inser. christ. urbis Romae, II, p. 10 e tav. I.
(6) Op. cit., p. 65.
(7) Se paragoniamo queste w, x, colle rispettive lettere del diploma Ottoniano riprodotto dal
SicgeL, Das Privilegium ecc. tav. fot., ne vediamo subito la spiccatissima differenza.
L’ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 87
Le abbreviazioni sono alquanto numerose, sia per troncamento, sia per contra-
zione, e più numerose forse che in generale non siano nei primi tempi del minuscolo
carolino. Tali abbreviazioni per altro sono razionali e costanti, e non sono in tal
numero da doversi dir frequentissime.
È antica sentenza del Mabillon, che fu il padre della paleografia, che bisogna
in questa sorte di ricerche affidarsi non ad una speciale caratteristica, ma al
complesso di tutti i dati. Il Sickel non ha molto ripetè e sanzionò colla sua alta
autorità quella massima. Or bene, il complesso di questi dati parla in favore dell’alta
antichità del nostro manoscritto. Se lo paragoniamo al citato ms. Parigino Lat. 1451
e al Bernese 408 (1), ne portiamo non dissimile impressione. Se quei due manoscritti
sono, l’uno del 796, e l’altro del IX secolo, saremo indotti ad attribuire anche il
nostro a quella medesima età incirca, cioè al sec. IX.
Per l’ortografia, noto la presenza costante del dittongo «e, o in questa forma o
indicati colla e cediliata.
In sancte, avverbio, usasi anche dove non andrebbe.
Le abbreviazioni, come dicemmo, sono abbastanza numerose, e fra esse rilevo le
seguenti: ee (= esse), e (= est), er (= erunt), s (= sunt). Abbiamo le sillabe pre,
per, pro, qui indicate nei soliti modi. La sillaba con è espressa con una e sormontata
da una lineetta orizzontale. I segni ° per us, e 9 per rum qui adoperati, non hanno
importanza nella questione cronologica. La voce quod è indicata da una g tagliata col
solito segno ripiegato: .$ e anche con qd, quando non sia scritta per disteso. Rilevo
t (=ter). La voce non incontrasi espressa con i. Altre forme notevoli sono: ù0 (= vero),
ul (= vel), & (= ergo). Il segno - lo trovo sull’ultima lettera # di certi verbi al
passivo, come invenit (= invenitur), uident (= videntur), nonchè in sup (= supra).
Non fa conto di rilevare dis (= dominus), mia (= misericordia) e simili voci
abbreviate, dalle quali non si può ricavare criterio alcuno per stabilire la cronologia
del manoscritto. Sono queste fra le più antiche abbreviazioni.
Sempre riguardo alle abbreviazioni, rilevo la forma arcaica di indicare l’abbre-
viazione -us per mezzo di un semplice punto. Veggansi: “ seniorib. raptorib. quib.
“ unusquisq. ,. E così: q. (= que).
Ho accennato ad un correttore, il quale adopera un bel minuscolo carolino, che
forse è presso a poco contemporaneo al testo. Nelle due aggiunte più lunghe, che
abbiamo indicato in testa alle due colonne del fol. 2 verso, incontrasi, insieme colla e
comune, una singolare forma della e minuscola, consistente in una e con una specie
di virgoletta o coda, colla quale la e si rialza al di sopra delle altre lettere. |
Questa e potrebbe anche appellarsi e crestata.
Rimane ora a dire delle due postille, delle quali la più antica è quella che
giudicammo doversi interpretare per folle. Essa è scritta a tipo corsivo, con influsso
del minuscolo.
Le due /! prolungate, rivolgono leggermente a destra l’apice superiore. Il nesso
iniziale ha la o aperta. In questa parola mi sembra quindi di ravvisare piuttosto le
caratteristiche del IX secolo, che quelle del X.
(1) Facsimile presso Ducnesne, Lib. Pont., I, tav. 5, n° 2.
88 CARLO CIPOLLA — L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE
Posteriore è di molto l’altra postilla, in minuscolo regolare ed elegante. Essa
si distingue per le forme diplomatiche (0 bollatiche, che si abbiano a dire) di alcune
lettere, e specialmente della s di Caesar|ii] e della ! di homel[ia]. Questa s prolun-
gasi eretta, e termina in uno dei nodi caratteristici del carattere indicato. Ma vuolsi
notare che qui abbiamo un nodo semplice, quale usavasi spesso anche in tempi ‘assai
antichi. Per darne un esempio rimando al diploma Berengariano del 1905 edito nel
1° fascicolo dei Diplomi ecc. Invece la 7, pure prolungata ed eretta, finisce in nodo
doppio proprio di età più recente. Esempî di questi nodi, ma in forma ancora incerta
e rozza, ci sono forniti peraltro ormai dalla bolla di Nicolò I in favore di S. Dionigi
parisiense, del 28 aprile 863 (1).
S' aggiunga, che quantunque ad età antica e precisamente al minuscolo post-
carolino non si possano dire estranee le lettere prolungate e terminate in nodi
semplici, tuttavia la loro presenza, dove non è richiesta dall’estetica calligrafica, sug-
gerisce sempre l’attribuzione della scrittura ad un’epoca seriore. Come esempio di
raffronto cito la sottoscrizione di Johannes Dei gratia ueronensis episcopus nella carta
veronese del 1023, pubblicata a facsimile non molto tempo addietro (2).
Questa seconda postilla si attribuirà dunque al sec. XI incirca, al momento cioè,
in cui avviene un risveglio letterario nell’Abazia di Breme, e nel ristorato monastero
della Novalesa, risveglio cui caratterizza la compilazione della Cronaca.
Insegnano i maestri che nell’esporre gli argomenti paleografici bisogna procedere
“ con molta modestia ,. Se questa massima viene rispettata dai maestri, a molto
maggior ragione debbono attenersi ad essa i discepoli. Quindi è che nel conchiudere
procedo colla dovuta circospezione. Parmi ad ogni modo che forti argomenti sugge-
riscano di considerare il nostro frammento Cesariano come scritto nel IX secolo, nel
più splendido periodo dell’abazia Novaliciense che dura dall’ età carolina fin quasi
alle invasioni dei Saraceni.
Se ciò è veramente, abbiamo ragione di supporre che questo lacero avanzo per-
gamenaceo abbia seguìta la dolorosa via percorsa dai monaci fuggendo la invasione
dei pagani. È una presunzione cui nessuno può negare un certo grado di verisi-
miglianza. Non è infatti molto probabile, nè consentaneo alle più usuali tradizioni mo-
nastiche, il supporre per il nostro codice una origine non locale. Nè si perda di
vista la circostanza che la Novalesa, dipendente nei suoi primi tempi dal regno
Franco, mantenne lunghe e amichevoli relazioni col versante occidentale delle Alpi,
mentre tra i possessi qualcuno si trovava lontano in terra franca, perfino a Marsiglia.
Il ch. prof. G. De Leva nel lavoro che ho citato al principio di questa comuni-
cazione segnalò il monastero della Novalesa, siccome un luogo dove fiorì in special
modo la calligrafia. Possiamo ora sperare di avere un esempio dell’antica calligrafia
Novaliciense. Nè questo esempio rimarrà isolato.
(1) PrLuex-Harttune, Specimina, tav. IMI
(2) Archivio paleografico del ‘prof. E. Monaci, tomo III, fasc. 1, tav. 9.
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ALFONSO CORRADI
WéiCORPDATO NEI-SUÙUOLRTLAVORT SCIENTIFICI
IN RELAZIONE ALLA STORIA
MEMORIA
del Socio
GAUDENZIO CLARETTA
Approvata nell’ Adunanza del 4 Marzo 1894
Volgeva il settembre dell’anno 1889, allorquando in un crocchio d’amici conve-
nuti a Firenze pel IV Congresso storico italiano mi veniva specialmente presentato
il professore Alfonso Corradi, che come profondo cultore delle scienze mediche in
correlazione alla storia, avrebbe potuto prendere attiva parte a quel Consesso, distol-
tone invece dalla natia sua modestia. Il nobile aspetto, la fronte spaziosa, l’occhio
vivace e scrutatore in lui facevano tosto dimenticarne la singolare riservatezza e una
certa taciturnità, che parevano accennare a precoce vecchiezza, ancorchè toccando
egli allora appena i cinquantacinque anni, già sembrava li superasse di molto; i
soliti profili che solcano il viso dei veri figli del tenace lavoro e della diuturna
applicazione. Ma facendo astrazione dall’acuto e versatile ingegno, dalle benemerenze
sue scientifiche, veramente ragguardevoli, io mi affezionava tosto a lui, avendovi facil-
mente potuto scorgere un carattere ingenuo, costumi semplici ed austeri, serena
indipendenza di giudizi; nè mai, come ci raccontano i suoi biografi, e ne fui pur io
testimone, tu lo avresti trovato disposto a pronunciar parole che suonassero biasimo
o disprezzo verso gli altri (1). D’allora in poi un frequente carteggio mi tenne unito
al dotto professore, che più d’una volta a me ricorse per indagini storiche, e per
propagarne i frutti, come n'è prova altresì il breve lavoro che, or fanno due anni,
io leggeva a nome suo a questo scientifico Consesso. :
Egli era nato a Bologna il sei di novembre del 1833 da Corrado e da Madda-
lena Gullini, ottimi genitori, giunti a tarda età (il padre aveva compiuti gli ottanta
quattro anni) e che furono assai solleciti dell’educazione della loro prole. In quella
città, compiuto il corso degli studii, laureavasi il Corradi in medicina nel 1856, e
nell’anno seguente in chirurgia. Ma qui non si tratta di darne una biografia speciale;
(1) Mazzonti, Necrologio del Corradi. Bologna, 1893.
Serie Il. Tom. XLIV. 12
90 GAUDENZIO CLARETTA
ufficio che meritamente già fu compiuto da parecchi, e meglio competenti nella
materia, ma sibbene di abbozzare la figura del nostro professore, e far rilevare
piuttosto quel che da altri appena fu detto, e così accennare al più alto merito che
gli spetta, di aver cioè, il primo, scritto opere, non tentate da alcun altro, e di aver
alla medicina associato lo studio della storia, traendone i più ingegnosi argomenti
nei rapporti che .con quella ebbero, o ritrovati, od usi, o gli studiosi di essa. E i
cultori di medicina che siansi rivolti a codesto genere di studii sono ovunque sempre
scarsi. E fra noi pure, tre soli possiamo ricordare che con qualche larghezza abbiano
consacrate le loro fatiche a simili indagini; ed in certi limiti vi riuscirono, nel secolo
scorso, il saluzzese Vincenzo Malacarne, nel suo lavoro Sulle opere de’ Medici e de’
cerusici che nacquero e fiorirono prima del secolo XVI negli stati della R. Casa di
Savoia. — Torino 1786; e nell’odierno, il Bonino, nella sua biografia medica piemontese,
e il dottor Trompeo, nelle notizie sui medici, e sugli archiatri della casa di Savoia.
Il còmpito di queste mie pagine adunque è di considerare sommariamente le
opere del Corradi in relazione alla storia, poichè se altrimenti io estendessi queste
ricerche, ben a ragione, come profano, potrei venir tacciato d’ingenuo e di temerario.
Solamente a cornice del quadro che mi sta innanzi mi si consenta, esponendo bre-
vemente lo schema cronologico degli uffici tenuti dal Corradi, di avvertire, che sin
dal 1859, ed in ragione dei suoi meriti scientifici, egli veniva nominato professore
di patologia generale nell'Università di Modena: e dopo soli quattro anni, e così nel
1863, per concorso vinceva la Cattedra della stessa materia nell'Università di Palermo.
Non era allora ancora onore tanto comune quello di esser a quell’età professore ordi-
nario in una fra le università primarie del Regno. Ma egli non si dimostrò impari alle
significazioni di stima avute. Per considerazioni domestiche ei non poteva trattenersi
che pochi anni nell'Italia meridionale; e nel 1867 scambiava la cattedra di materia
medica e di farmacologia con altra eguale nella Università di Pavia, che fu la se-
conda sua patria. Ivi nel 1875 venne nominato preside della Facoltà, e dopo pochi
‘mesi rettore; cariche esercitate da lui con proficui resultamenti per la scienza. Im-
perocchè egli cooperava assai a determinare i restauri al palazzo dell'Orto Botanico
per renderlo sede di parecchi istituti scientifici, e a contribuire al riacquisto ed al
riattamento del palazzo Botta, destinato ad accogliere i cinque stabilimenti biologici.
Ma pel nostro assunto meglio è ricordare, che sin dal primo suo anno di rettorato,
il Corradi diè opera a raccogliere i documenti storici di quell’Università. E frutto
delle sue applicazioni su quell’argomento, fu la pubblicazione eseguita colla colla-
borazione di altri, delle Memorie e dei documenti per la storia di Pavia e degli uomini
più illustri che vi insegnarono. Pavia 1876-1878.
Pavia fu pel Corradi la palestra massima del suo operare, poichè oltre al con-
corso prestato ai lavori richiesti dagli uffizi tenuti, egli assiduo trascorreva giornal-
mente molte ore nella biblioteca universitaria. Quindi ben egli era degno che dalla
sua patria d'adozione avesse a ricevere segnalate prove di pubblica stima, come
quelle di essere stato eletto consigliere comunale, membro del Consiglio provinciale
di sanità, presidente del Consiglio d’amministrazione del Collegio Ghislieri, ecc.
Premesse queste notizie sommarie, entreremo senz'altro nel sodo dell’argomento,
a considerare cioè il Corradi nelle opere sue scientifiche ch’ ebbero relazione, ben
inteso, colla storia. Ma non dissimuliamoci che il campo è assai vasto; e che come
ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 9l
il percorrerlo, generò molto diletto e non poca istruzione a chi vi si accinse, così
speriamo che non altrimenti abbia ad avvenire a quanti avranno la sofferenza di
seguirci in questo cammino.
Cominciamo dall’opera principale e di gran mole del Corradi: GU annali delle
epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850, compilati con varie note
e dichiarazioni. Con questo lavoro il Corradi regalava all’Italia uno scritto unico nel
suo genere; e torna di non lieve onore alla Società medico-chirurgica di Bologna,
a cui veniva presentato nel 1863, l’averne accettata la stampa, che durò sino ad
oggi, in cui postumi uscirono i copiosi suoi indici. Non molti avrebbero lena e voglia
di sobbarcarsi ad opera di siffatta mole, che regge al paragone di quelle dell’immor-
tale storico d’Italia Ludovico Antonio Muratori. E pur troppo i Muratori sono oggidì
assai scarsi, e molti si consacrano all’ufficio di scrivere, soltanto per buscarsi ap-
plausi, per qualche concetto pellegrino o singolare, per qualche periodo ben tornito,
ma senza prefiggersi uno scopo pratico ed utile alla società. Sono codesti concetti
sintetici svolti dall'autore stesso, il quale rettamente dichiarava nella sua prefazione,
che... quantunque oggi generalmente siasi perduto il gusto dell’erudizione, spero che
niuno mi farà colpa se talvolta scorra in quegli ameni campi... Colgo notizie che
alla fin fine tornano a profitto dello studio nostro, ed in argomento qual è il presente
sì tristamente uniforme, il cercare altrove un po’ di sollievo parmi possa essere
concesso... E meritamente egli stabiliva che la... ricerca intorno alla morbilità delle
moltitudini nei diversi tempi non è certamente vana e di semplice curiosità, avve-
gnachè come dalla maggiore o minore frequenza con cui un individuo ammala, noi
giudichiamo dello stato di sua complessione e salute, egualmente dal numero delle
epidemie occorse nei vari secoli noi possiamo fare stima delle condizioni dei popoli,
del grado di loro civiltà ed in parte anche della maniera di vivere...
Ho citato questo passo, come quello che vale a renderci conto dell'importanza
di questo scritto del nostro professore, al quale dovranno sempre ricorrere quanti
amano di essere profondamente istrutti di tutto ciò che scientificamente e storica-
mente concerne le epidemie e le carestie. E questo grande lavoro analitico e crono-
logico deve ritenersi una vera biblioteca epidemiografica, per compilar la quale l’autore
non risparmiò di compulsare quanti archivi e quante biblioteche fugli possibile, e
di attinger le notizie a fonti, o poco note od anche inesplorate. Ed ancora qui,
meglio che le mie, lo rivelano queste sue parole... Ho consultate a tal fine opere di
ogni fatta, libri medici, relazioni, ricordi, cronache, annali, storie municipali, poemi
ed ogni altra scrittura che avesse potuto somministrarmi buoni documenti. Non
pago dell’asserzione di un solo, ne cercai la conferma in altri, anzi è stata mia cura
di scegliere le testimonianze da ogni parte d’Italia...
Basti quest’esordio per dimostrare di qual lavoro si tratti, insomma di opera
tale, che comincia dall’ottavo secolo prima dell’èra volgare, e viene sino al giorno
d'oggi. !! perchè il suo lavoro, lasciando da parte quelli di tal genere dell’Ozanam
e del Villalba di lieve momento, supera persino quello recente e pregevole sulla storia
delle epidemie in Inghilterra del Creighton, il quale comprende il periodo dal 664 al
1666; e molto lascia a desiderare nella parte concernente la storia della economia
pubblica.
Gli scritti medici propriamente cominciando ad apparire all’epoca del rinasci-
92 GAUDENZIO CLARETTA
x
mento, egli dovette espillare le notizie dei più remoti tempi, da Plutarco, da Dio-
nigi d’Alicarnasso, da Tucidide e da altri classici dell'antichità, per iscendere ad umili
e rozzi cronachisti e a modeste memoriucce di regioni secondarie d’Italia, ed ai
giornali locali delle diverse provincie, ed alle tradizioni scientifiche popolari ed alle
consuetudini inconscie del volgo, le quali tutte insieme collegate, dovevano apportare
il loro granello di senapa fruttificante. Erculea fatica insomma, che sarà sempre il
monumento aere perennius che seppe innalzare a sè il Corradi, il quale ci lasciò una
storia assai compiuta dello svolgersi delle epidemie, e raccolse i ricordi delle carestie,
dei perturbamenti atmosferici e tellurici antecedenti o concomitanti le pestilenze. Ma
altro monumento si eresse il nostro autore, e forse ancor più considerevole, poichè
basato sulle doti dell’animo e sul carattere suo fermo ed incrollabile, ei non si dimostrò
mai del carattere di coloro che sono tagliati al dorso di tutti.
Un suo biografo (1) c’informa ch'egli “ nelle opere della scienza rimase costan-
temente fedele alla libertà del pensiero, che in politica fu di opinioni liberali mode-
rate, che in religione non fu un bdigotto (bacchettone), nè intollerante, e che sul terreno
dei principii non venne mai meno a sè stesso ,. Rettamente scrisse Buffon Le style
c'est l'homme, ma nel Corradi anche l'esterno dava a divedere l'interno; poichè come otti-
mamente scriveva V. Gioberti (2): “la quiete e la fortezza dell’animo dipende dalle dot-
trine che si professano. La maggior parte dei nostri coetanei sono fiacchi e codardi, perchè
non credono a nulla. , Ai retti principli sovra accennati noi troviamo pertanto infor-
mate le scritture del Corradi, e di essi ei ci lasciò larghe tracce. Noi lo scorgiamo
capace e volenteroso di far molte distinzioni, di attribuire l’unicuique suum, senza spe-
culare qual vento spirasse, per ispiegar a quello le vele. E senza far idilii del pas-
sato pel fine di denigrar il presente, come educato a quel fine intelletto dei tempi,
per cui nè si devono idoleggiare gli antichi, nò censurare i vecchi per cattivo
astio, nè per l’istesso pregiudizio vuolsi far indegna stima della vita contemporanea,
ei seppe e volle per amor del vero scoprir le magagne e corregger i giudizi storti,
ed in detrimento del giusto. Ne potremo addurre esempli parecchi nel cenno che
stiamo per dare delle sue opere. In questa stessa che esaminiamo, egli in un passo
prese a confutare Giovanni Miiller lo storico della confederazione svizzera, che volle
sostenere, come Niccolò V fosse stato affetto da un morbo di sozza natura. Ora il
Corradi afferma che... guardando solo al modo con cui Vespasiano da Bisticci scrit-
tore e Giannozzo Mannetti segretario di quel papa fanno il loro racconto, dee parere
strana e temeraria quella opinione. Più naturalmente dobbiamo credere che il male
di quel dotto e virtuoso pontefice consistesse in emorroidi che pur dànno acerbi dolori
e freddo... (3). E si può aggiugnere che angustiato assai fu il pontificato del sarzanese
Tommaso Parentucelli, il quale sostenne i noti urti coi romani per la congiura Porcariana,
e fu pur afflitto da gravi malattie, e tormentato, come scrissero altri, dalla podagra.
(1) Carro Magenta, Alfonso Corradi, Commemorazione per la R. Deputazione di Storia patria
delle antiche provincie. Il Magenta, socio di questa Deputazione di storia patria, sopravviveva poco
a questo ricordo del Corradi, essendo pur egli morto il 19 settembre scorso a S. Colombano ai
Lambro; ed avrà degna commemorazione a sua volta nei volumi della Miscellanea di storia italiana,
alla quale attende il dotto collega Comm. Carlo Dell'Acqua.
(2) Massari, Ricordi biografici e carteggio di V. Gioberti, vol. II, p. 25.
(3) Pag. 582 delle Memorie della Società medico-chirurgica di Bologna, vol. 6, fascicolo 3, della
cui edizione ci siamo valsi pel nostro studio.
ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 93
Si sa poi qual forza possono talora avere gli avversari potenti colle armi della
viltà, dell’invidia, dell’ipocrisia e della calunnia, e quante volte parva necat morsu
spatiosum vipera taurum! Essendo quel pontefice facile all'ira, ma disposto e bene-
volo, come inclinato al perdono ebbe, secondo scrisse il Platina, molti malevoli che
si dimostrarono disposti a calunniarlo, come fra gli altri il Volterano, che gli ascrisse
una passione esagerata pel vino, cosicchè continuamente ordinasse di far ricerca dei
più squisiti. Quindi in simili casi i giudizi possono sempre essere fallaci.
Altrove, all’anno 1457 (1) all’apparir di una cometa rossa con coda grandissima,
lunga quasi 30 palmi, e grande più di 100, e quando mancava, avendo il papa Cal-
listo III ordinate pubbliche preci e processioni, ed essendo da qualche’ scrittore
censurato, il Corradi viene in questo ragionamento... “ Di questi terrori del secolo XV
oggi ci ridiamo, ma con noi non rideranno altri che pur non son volgo. , Così Giu-
seppe de Maistre sostiene che le comete sono segni dell’ira celeste, e che l'astrologia
non è senza ragione — Soirées de S. Petersbourg, 3* ediz., c. II, p. 317. — E con-
chiude: “ E poi quando sì ferma ed universale era la credenza ai sinistri augurii di
quelle meteore, come avrebbe potuto il capo della Chiesa, benchè ei diversamente la
pensasse, non ordinare pubbliche espiazioni? ,
Conviene anche rammentare che Callisto III non era punto un santocchio: fu il
primo tra i pontefici a stabilire una marina militare, ed a far construrre sedici galee
sotto il comando del cardinal legato Luigi Scarampi Mezzarota; e fu quegli che seppe
ai suoi giorni impedire la propagazione della potenza ottomana.
E per la stessa ragione dell’indipendenza professata, come il Corradi era disposto
a sostenere certe opinioni nel fine di difendere pregiudicati a torto, così nei fautori
di spirito partigiano, sapeva d’altro canto scernere il grano dalla mondiglia. Quindi,
per addurre fra tanti un esempio, egli deplora le vittime dell'ignoranza, che come
altrove ed in altri tempi, così si manifestarono nel 1514 nel Cremasco. Al qual pro-
posito egli notava..... Ma quasi che sangue bastantemente non fosse sparso, e pochi
fossero i morti, l’Inquisizione accendeva i suoi roghi, e sciagurate femminuccie vi
dannava, cui la superstizione, la malattia, il contagio dell’imitazione avevano travolta
la fantasia: povere illuse che la caritatevole scienza del secol nostro ricetta nei ma-
nicomî o cura in altra guisa, riguardandole, piuttosto che colpevoli, inferme (2).
Sicuramente che la parte più attraente di questa storia è quella riferentesi alla
memorabile pestilenza del 1630, che entrata nella Lombardia coi tedeschi del Col-
lalto, e nel Piemonte coi francesi guidati dal Richelieu ebbe ad affliggere in modo
straordinario quei due stati.
L'epoca più recente consentì all'autore di dare più speciali notizie attinte dal
numero sempre crescente di storici ch’ebbero a discorrerne. E tant'è, ch'egli fu in
grado di radunar dati statistici relativi al numero approssimativo delle vittime di
quel terribile flagello in varie città italiane. Certamente che, a giudicar da quanto
accennò il Corradi, da Torino e dalle città del Piemonte ch’ebbero quella funesta
visita, si deve argomentare che anco sulle altre il soggetto non fu esaurito, poichè
(1) Ib., p. 591.
(2) Zb., volume 6, fascicolo 4, p. 682.
94 GAUDENZIO CLARETTA
sarebbe stato pretendere l’impossibile l’esigere che l’autore avesse potuto compulsare
gli archivi di comuni secondari, ove talora si trovano notizie del massimo interesse,
come ci sarà dato di provare a tempo opportuno in due lavori, pei quali abbiamo
già raccolto una congerie di documenti. Ma anche senza di questo, devesi affermare
che egli compiè a quanto era fattibile, e colmò su tale argomento una importante
lacuna.
Nella pestilenza del 1656 che diè qualche disturbo a Roma, e che contribuì
anche a tener un poco lontana da quella città la ben nota e ben molesta e bishe-
tica regina Cristina di Svezia, il Corradi, sempre consentaneo ai suoi principii cor-
regge il Gastaldi (più tardi cardinale) il quale aveva scritto che il male era cresciuto
di forza, imprudenter indicto Iubilaco, hominum concursu aucto. Invece, afferma il nostro
autore, che il morbo era apparso ben prima che il giubileo fosse stato bandito (1).
All’anno 1720, dov’egli elogia il primo re di Sardegna che col mezzo dei rigori
delle quarantene contribuì a preservare l’Italia dal male che aveva allora desolato
alcune città della Francia meridionale, giova correggerne il nome, avendo egli con-
fuso Carlo Emanuele con Vittorio Amedeo II (2).
Ma non dovendo seguire l’autore a passo a passo, avvertiremo che accurate
assai sono le tavole sinottiche sulla diffusione del cholera in Italia dal 1835 al 1837.
K quasi siffatta mole di memorie non fosse ancor bastante, egli nel 1892 com-
pieva in un volume di oltre un migliaio di pagine, le aggiunte e le correzioni ai famosi
suoi annali. Esse cominciano dal 747,e vengono sino al 1848; ed ancor qui si deve
ripetere, improba la fatica a cui si piegò il Corradi, che fecesi a scartabellare altra
volta libri, cronache, consultando documenti non esaminati la prima volta. Ed il
compenso deve essere notevole, poichè d’importanti notizie scientifiche e storiche
veniva ad arricchire il suo-tema. Consentaneo poi sempre ai suoi metodi il Corradi
non lasciò, occorrendogliene il destro, di confutare opinioni erronee e contrarie al vero,
per quanto manifestate da gravi e ragguardevoli scrittori odierni; fra cui il Gregorovius.
Ma non trattandosi qui, come dicemmo, di rassegna delle opere del nostro autore,
ma solamente avendo per obbietto di considerare i punti scultorii che ne rivelano
le mire, il carattere, basterà avvertire sommariamente quel ch'egli ebbe a notare, e
che non fu rilevato da chi ben l'avrebbe potuto, per dare un'idea esatta di uno scrit-
tore, le ‘cui sviste sono maggiormente gravi in riguardo deila fama raggiunta. Accen-
nando all'anno 1167 alla mortalità che incolse all'esercito dell’imperatore Federigo I
sotto le mura di Roma, nota il dubbio del Gregorovius, asserente che angeli ster-
minatori armati del flagello delle febbri scendessero a disperdere il nemico, a salvare
il pontefice. Lo storico tedesco ascrive il malanno a... “ Nemesi che scese a fermar
il braccio dell’oltrepotente monarca per dar tempo e forza alle città di spezzar le
loro catene. La mano del destino colse Federico parimenti, come ebbe colto Serse e
Napoleone... ,. Ma che cos'è questo destino, riprende il nostro autore: fantasticheria
immaginaria dei fatalisti! Quindi, fondato su altri principii il Corradi qui soggiun-
geva... “ Al gran storico adunque, piuttosto che il Dio dei cristiani, giusto rimu-
(1) ID., p. 1220.
(2) Ib., fascicolo 6, p. 1358.
III nin tinto
ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 95
neratore delle opere buone, giusto vendicatore delle cattive, piace invocare la figlia
dell'Oceano e della Notte, la formidabile divinità dell'Olimpo che ministra della
giustizia comandava pur al cieco destino. E così in pien secolo XIX risuscitando
concetti pagani non si è da meno dei poveri cronisti del rozzo medio-evo derisi
per la loro credulità, poscia che oggi, come allora, si vuol dare ragione di un fatto
naturale per mezzo di potenze sovrannaturali ,.
K il fatto naturale che decimava l’esercito imperiale era la mal aria, era il cat-
tivo influsso della stagione e dei luoghi, ai quali erasi associato il tifo castrense, di
cui fu vittima l'arcivescovo di Colonia, non l’imperatore, che seppe ben ripararsi
ad montana.
Con certe idee preconcette che aveva il Gregorovius era ben difficile ch'egli
potesse cogliere sempre nel vero. E qui il Corradi, da vero italiano, si dimostrò
dolente che il citato autore si fosse lasciato trascinare a non tenere nella dovuta
stima la più gran donna italiana di quel tempo, Santa Caterina da Siena, che bene-
merita per i buoni uffici promossi da lei pel ritorno a Roma della sede pontificia,
sì rese pur eroica nei tempi della pestilenza che afflisse la sua patria, ed a cui
nulla toglie il sentir men proprio dell’autore della storia della città di Roma.
Ecco gli accenti del Corradi, al riguardo... “ Anche il Gregorovius consente che
l’Italia possa venerare la Benincasa come una santa della patria, ma solo perchè
non ha di meglio; ed invece nell'età Avignonese questa contrada fu così povera di
grandi cittadini che i suoi maggiori patriotti furono un poeta erotico in abito di
abate, un folle tribuno ed una visionaria! fanciulla del popolo ,. A cui il Corradi
di ripicco: “ Fortunate le altre contrade ricche di grandi cittadini! Attendiamo che
una nuova edizione della storia della città di Roma nel medio evo ce li mostri oltre
alpi; noi di qua non li vediamo; bensì par di ricordarci che l'università di Praga
sorgeva per consiglio del Petrarca, che l'impero tedesco si volgeva a Bartolo di
Sassoferrato per avere la dolla d’oro, la quale ad obbligare la dieta di Francoforte
a procedere spedita minacciava gli elettori dopo trenta giorni di metterli a pane ed
acqua , (1). Non è con questo che il nostro autore abbia a ritenersi un buon cre-
denzone qualunque, pronto a prestar piena fede ai prodigi che in tempi di calamità
ed in mezzo all’ignoranza si riproducevano sotto diverse, e più o meno seducenti
sembianze. Egli conosceva abbastanza l’ambiente dell’epoca e ben era persuaso “ come
l'ignoranza delle leggi naturali incitava l’innata tendenza al maraviglioso, fomen-
tava la credulità, madre di superstizione e di fanatismo, e credevasi come ogni volta
che alcuno straordinario avvenimento seguiva, prossima la fine del mondo. A menti
così disposte, ad immaginazioni sì pronte a commuoversi, ad uomini che conduce-
vansi a credere per impulso di sentimento o per ossequio più che per forza di ragione,
a gente cui la devozione teneva luogo di fede non era difficile accogliere miracoli
ed a giurarne anche con atto solenne la veracità , (2).
Ma eccederemmo di gran lunga i limiti che devono essere assegnati a questa
Memoria ove volessimo proseguire a battere questo terreno. Il sin qui detto è suf-
(1) Pag. 2688 delle Memorie della Società medico-chirurgica di Bologna, ove è stampata l'opera.
(2) Pag. 2720.
96 GAUDENZIO CLARETTA
ficiente più che mai ad assodare, qual criterio avesse il nostro autore nella sua
scientifica missione. Il volume che qui citiamo, e pel quale si valse di quanti libri
e cronache vennero pubblicate dopo la compilazione dei primi, si chiude ancora con
altre aggiunte; cosicchè sarà difficile che siavi altr’opera più compiuta di questa;
per la cui compilazione il Corradi tenne dietro a quante pubblicazioni si fecero in
Italia, relativamente al tema trattato da lui.
L'esame fattone ben ci conferma, come lontane da ogni millanteria, secondo che
molte volte in altri invece suole avvenire, debbano ritenersi le parole della conclusione
definitiva di un’opera, alla quale ben con ragione egli potè scrivere di avere... dedi-
cato i migliori anni della vita, non perdonando a fatiche ed a spese perchò potesse
meglio soddisfare allo scopo prefissole...
Ivi pure egli dava ragione di quelle appendici, aggiunte al volume principale,
rese necessarie del resto... dai documenti inediti, dai libri posteriormente venuti alla
luce o da altri malagevoli a trovarsi, o che difficilmente lasciavano supporre di poter
servire al nostro proposito... Ed ancora qui deve essergli consentita questa dichia-
razione, in cui candidamente egli affermò, che nella compilazione del suo lavoro.....
“fu messa tale assiduità e diligenza da non potersi forse dare maggiore, tenuto
conto eziandio che per ben poche opere quanto in questa fu consultato ad un
determinato scopo, numero sì grande e sì vario di documenti, dall’umile cronica,
cioò idalla popolare canzone, dalla lettera famigliare all’istoria togata, all’epico
poema, all’orazione accademica, senza dire delle testimonianze mediche propriamente
dette... ,
Eppure, ad onta di questo, l’illustre nostro autore non s’illudeva di avere esau-
rito il tema, il quale, se compiuto nella parte analitica e cronologica, ancor rimaneva
ad essere svolto nella sintetica. Egli adunque faceva ancor ultimi voti, ove la salute
fossegli per l'avvenire rimasta gagliarda, siccome pertinace e non istanco aveva il
volere, di ridurre col tempo ad insieme i particolari singolarmente considerati, per
esaminare le attinenze dei morbi ed i loro naturali aggruppamenti, per iscoprire le
cagioni donde i morbi stessi sorsero, crebbero e largamente si diffusero le altre da
cui quelli vennero contenuti in angusto spazio od in breve tempo soffocati e spenti.
Ma la Parca, invida di così forte volere non consentiva più ch’egli avesse a
pubblicare quest'altra opera utilissima. Valga il buon esempio a far nascere tale che,
erede dello zelo e della capacità del Corradi, possa essere in grado di arricchire il
patrimonio scientifico di quanto si proponeva di fare il nostro autore.
Facciamoci ora a dar sommaria notizia delle altre, che per quanto ragguarde-
voli, possono in paragone di questa definirsi opere sue minori.
Allorquando il Corradi scrisse l’opera or esaminata degli Annali delle epidemie
in Italia, all'anno 1494 egli aveva avvertito che documenti inediti, or rari, attorno
alla storia dei mali venerei sarebbero stati altrove pubblicati da lui. E nel 1884
egli scioglieva il suo debito, pubblicando negli annali universali di medicina il nuovo
lavoro. Ancor ivi troviamo qualche cenno che c’interessa; come p. e. il ricordo
del nostro distinto chirurgo Pier Antonio Perenotti da Cigliano in quel di Vercelli
che fu premiato dall'Accademia di Francia, chirurgo della Corte Sarda e dell’esercito,
ed anche socio corrispondente di quest’Accademia, secondo un cenno suo biografico,
sebben manchi alla serie datane nel libro: Il primo secolo della R. Accademia delle
i Pi AAT TIR
ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 97
scienze, ecc. (1). Il Perenotti fu autore della storia generale dell'origine e dell’essenza
e specifica qualità della infezione venerea.
Ed anche di altro nostro compaesano fa onorevole menzione il Corradi, cioè
dell’illustre bibliotecario ducale di Parma, il padre Paciaudi, autore di erudita dis-
sertazioncella, confacente agli studii del nostro autore, cioè di nota sulla famosa
Missa beati Iacobi contra morbum G'allicum.
Come dicemmo, liberale di buona lega, nè partigiano, non mai tradì il Corradi
l’uffizio di storico col mezzo di falsi sottintensi e coll’omissione di rivelazioni che
avrebbero coadiuvato a lumeggiare i tempi. D’animo mite seppe, occorrendo, far tra-
scorrere leggiera la mano su piaghe, onde non andarono immuni alcuni ordini del
corpo sociale, presso i quali sarebbe sempre stato a desiderare che i costumi si fos-
sero ognora mantenuti incorrotti.
Non devesi dissimulare che sulle prostituzioni d’ogni genere, ed anche sull’in-
fima e di più sozza specie, il libro del Corradi ci fornisce notizie singolari. Ma non
dobbiamo tacere che fra le varie città della penisola segnate dagli scrittori, come
specialmente infette da quel vizio, non compaiono le nostre subalpine. Il che non
vuol dire che queste ne fossero affatto immuni, perchè documenti ed argomenti in-
diretti ci potrebbero attestare il contrario, ma il sozzo vizio non era radicato nella
proporzione in cui trovavasi altrove, cosichè non faceva mestieri che gli scrittori,
i cronachisti del tempo se ne dovessero preoccupare troppo. Mitezza maggiore nei
costumi, governo temperato nei dominatori, moralità maggiore in coloro che devono
fornire agli altri l'esempio dell’illibatezza dei costumi, coadiuvati persino dal clima
preservarono il Piemonte dal cadere negli eccessi che si ascrivono ad altre province
italiane, per quanto le eresie vi serpeggiassero in alcune parti, nè mancassero esempi
molti di vivere sciolto ne' magnati, con tutte le conseguenze del mal esempio quando
viene dall’alto.
Negli stessi annali universali di medicina il nostro autore pubblicava nel 1885
una dotta notizia sui documenti storici spettanti alla medicina, chirurgia, farmaceutica
serbate nell'archivio di Stato di Modena, ed in particolare sulla malattia di Lucrezia
Borgia e sulla farmacia nel secolo X.
L'idea di questo lavoro era spuntata nel Corradi dacchè all’epoca dell’associa-
zione medica italiana tenutasi a Modena nel 1882, in grazia del buon proposito avuto
dal cavaliere Foucard direttore di quell’archivio, eransi messe in bella mostra, in
un con parecchi autografi di medici celebri, memorie di medicina, di chirurgia e di
farmacia. Ma la parte per noi più attraente di questa scrittura sono le pagine con-
cernenti la malattia della ben nota Lucrezia Borgia, andata sposa a Ferrara al
(1) Alla cui serie nella classe dei corrispondenti vuol pur ‘essere aggiunto altro medico omesso,
cioè Gian Stefano Gatti da Casorzo, morto ad Altavilla nel 1827, autore del Monzisferrati collium ad
Casalensem ditionem spectantium topographia medica. La qualità accademica leggesi pure nel seguente
suo epitafio posto nella chiesa della borgata Franchini, frazione di Altavilla: Zohanni Stephano Gatti
medico — Domo Casvrtio — R. Scientiarom Academiae Tavr: Sodali — Qvi non foeneris non ambitvs
non honorvm spe — Nobilissimam artem non minvs scite quam liberaliter — Svmmaqve com hvma-
nîtate exercvit — Viro morvm svavitate ingenti pietate spectatissimo — egregii nominis apvd svos vitae
apvd svperos — Immortalitatem adepta — I. B. Martoratti medicvs ope proprio — M. P. Q. M. —
Vixit p. m. annì LXXVII obiit Altaevillae — Pridie Non: febrvarii MDOCCXXVII.
Serie II. Tom. XLIV. 13
98 GAUDENZIO CLARETTA
principe Alfonso d'Este nel 1502. L’autore qui seppe addentrarsi nell’intimo della
vita di quei coniugi, che erano allora in piena luna di miele, informandoci delle spe-
ranze, degli affanni donde furono travagliati durante la pericolosa malattia della
comunemente creduta figlia di Alessandro VI. E consenziente sempre al sistema di
appurare ben bene all’egida dei documenti i fatti, egli non lasciò di notare parecchie
mende del Gregorovius, come, per es., allorquando nell’erudita sua storia di Roma
scrisse, che essendosi il duca Alfonso recato a Loreto per isciogliere da parte della
moglie il voto fatto per la sua guarigione, ella si fosse rinchiusa nel convento delle
Clarisse del Corpus Domini di Ferrara, soltanto per respirare aria migliore, e non
mossa da sentimento alcuno di pietà.
Siccome poi gli speziali di quei giorni facevano commercio, non solamente delle
droghe medicinali, ma delle drogherie e dei prodotti di tutto l’Oriente, non escluse
le perle e le pietre preziose, vendendo altresì cera e zuccheri, che foggiavano in
varie specie, esercitando perciò anco l’arte del confetturiere, così il Corradi valendosi
di un documento, in cui notansi voci poco note o mal conosciute, diede un piccolo
lessico in proposito, che non è al certo privo d’interesse.
Notevole contributo alla nuova farmacopea italiana diede il Corradi nella sua
prima farmacopea italiana, ed. in particolare dei ricettari fiorentini. Milano 1887 —
Annali universitari di medicina. — Ivi egli svolse l’origine, il :progresso e il perfezio-
namento del ricettario fiorentino, che fu la prima pubblica farmacopea, intesa secondo
il senso moderno, cioè di libro, scritto per ordine delle autorità, che indica i me-
dicamenti da tenersi nelle officine farmaceutiche, e. che ordina le regole da seguirsi
nel prepararli. Una simile pubblicazione segnava novella éra, poichè dava un rude
colpo al vecchiume arabico-galenico. Il nostro autore però, ammettendo pur il fatto,
non dubitava di asserire che sarebbe stata opinione fallace quella di ammettere, che
gli antichi non fossero tutti assenzienti ugualmente nelle composizioni dei, medica-
menti, ma che anzi fossero più concordi che noi... dopo tanti congressi internazionali
per mettere insieme la farmacopea universale...
Come vero bibliografo, il Corradi, anche in quest'opera seppe lardellare il testo
di molte note, che attestano l’esistenza di libri rarissimi di farmacia. In codesta
rassegna il Piemonte non compare, tranne in ciò che l’antidotaria romana, l’ultima,
cronologicamente parlando, delle farmacopee ufficiali, comparsa nel cinquecento, nella
sua edizione del 1624, venne intitolata al nostro commendatore Antonio Dalpozzo,
noto mecenate di dotti e di. artisti.
Forse fra ie notizie qua e là raccolte di autori di ricette, di antidoti di orvie-
tani e di empirici potrebbero trovarsi quelle di pochi de’ nostri che gareggiarono
anche per parte loro a spacciar lucciole per lanterne, ma con poco o nissun resul-
tamento (1).
(1) Fra quali, l’autore che corre sotto il nome del piemontese D. Alessio, il quale m’induce ad
accennar qui alla rara edizione dei Secreti del reverendo donno Alessio piemontese; Venezia, 1555.
Altra edizione di questo libro fecesi pure a Basilea nel 1559, colla versione in lingua latina a cura
del dottore in medicina Jacopo Wecker; altra ha la data di Venezia del 1638; nè sono le ultime.
Ma più benemerito di costui, per quanto non abbia menato tanto rumore con cervellotiche pubbli-
cazioni fu qualche tempo dopo l’oggi, affatto dimenticato Gian Tommaso Danese da Cuneo, detto
ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 99
Nell’altro scritto sugli antichi statuti degli speziali — Milano 1886, il Corradi ci
fece conoscere molti di quegli statuti, avendo di tal guisa raccolta larga messe bi-
bliografica, sfuggita al Luigi Manzoni, autore della bibliografia statutaria storica
italiana. .
Ancor qui il Piemonte non si fa vivo in alcun modo, tuttochè avesse già nel
secolo XVI il suo collegio degli speziali, che poteva benissimo essere retto da’ suoi
statuti, non venuti a mia notizia (1) e che venne soggetto a norme certe dal duca
Emanuele Filiberto. Nello scritto però che ricordiamo, il Corradi accenna al nostro
Giovanni Argentero che professò medicina dal 1542 al 1555 nello studio di Pisa (2),
restaurato da Cosimo I. E non è a dire che non vi fossero delle benemerenze nel
sostenere quell’ufficio, poichè, come l’Argentero stesso c’informa, quell’università
soleva ogni anno venir decimata a cagion della mal aria, singulis amnis ab his ma-
lignis morbis, contro i quali nessun rimedio riusciva efficace 00 stagnantes aquas, cioè
le note maremme.
Ma procediamo brevemente nel nostro assunto, intertenendoci di altri scritti del
Corradi, collegati colla storia e colle lettere. Quello, intitolato escursioni di un medico
nel Decamerone, pubblicato nel volume XIV, quinto della serie III delle Memorie del
R. Istituto Lombardo, Milano 1881, non solamente è curiosissimo, ma utile, poichè
tale ad invogliare anco i profani a conoscere dati scientifici di molto interesse. Ren-
dendo noto quali fossero le malattie più volgari dei tempi trascorsi, quali le con-
suetudini mediche di cura in allora, egli seppe trarre argomento altresì del nesso
strettissimo fra la storia della civiltà e la scienza della salute, e ricongiungere la
medicina al resto della letteratura, da cui oggi, com’egli ben osserva, con danno
gravissimo è disgiunta.
Già di una prova di codesto genere di studii medico-letterarii egli aveva dato
Tabarino, rinomato allora per operazioni sue manuali, elettuari, contraveleni e medicinali non ciar-
lataneschi, dispensati a pubblica utilità, fra cui il ginepro triacale; e che otteneva vari favori dal
duca Carlo Emanuele II con una sua patente del 1674.
(1) Pare che il collegio farmaceutico di Torino siasi costituito in ordine alle patenti di Ema-
nuele Filiberto del 12 maggio 1565 che ci fanno conoscere la primitiva esistenza del collegio dei
farmacisti di Vercelli che aveva il suo abate, consoli ed uffiziali. Ma nel 1568 già esisteva indub-
biamente. Nel 1615 eranvi 24 speziali ordinari e 6 sovranumerarii. In detto anno ragunavasi ancora
in casa di Emanuele Giorgis un de’ suoi sindaci, e così nel 1638, in cui comparivano Clemente
Pochettini e Pietro Maria Viale. Ma il venerando collegio de’ speciari di Torino notavasi poi affatto
ben costituito nel 1651 in una divergenza avuta in quell’anno coi farmacisti Luciani (famiglia che
tenne farmacia in Torino sin verso la metà del secolo odierno). Erano in quell’anno sindaci del
collegio Pietro Francesco Marchetto e Gian Giacomo Sereno. — Archivio notarile. — Il Collegio dei
farmacisti aveva, sin dai primi anni di quel secolo, il patronato della cappella dei Ss. Cosimo e
Damiano nella chiesa di S. Francesco d’Assisi; quello dei chirurghi era patrono della cappella degli
stessi santi nella Metropolitana. /D.
(2) Dellà benemerita famiglia di Chieri, venuta su appunto allora in grazia del merito proprio,
e sollevatasi poi a notevole potenza, sia coll’ammessione ad elevate cariche, sia col possesso di
parecchi feudi.
Il Giovanni, citato dal Corradi, aveva due altri fratelli anche dottori in medicina e in filosofia.
Bartolomeo, uno di essi, fu lo stipite dei marchesi di Berzè, ecc. Giacomo, altro di essi, nel 1598
pubblicava in Asti dal Pizzamiglio il porta tecum rimedii più veri e approvati, tanto preservativi
quanto curativi contro la peste, ecc. Giovanni, di cui si è occupato il Corradi, autore di varie opere
‘ mediche aveva sposato Margherita dei Broglia di Chieri, donde Caterina che maritavasi anche con
un professore all’Università di Torino, cioè Gian Giacomo Bovio, ed Ercole.
100 GAUDENZIO CLARETTA
saggio, e nella vita intima dei primi secoli del Medio Evo e la Medicina e nel libro
della cucina del secolo XIV pubblicato nel 1864 nell’Igea, col titolo La cucina e le
malattie del trecento. Nissuno aveva sin’allora indagato e considerato quanta attinenza
possa avere il Decamerone del celebre Certaldese colla medicina, oltre la nota de-
scrizione della peste del 1348. A colmare questa lacuna dava opera il Corradi, che
con questo viaggio traverso il nostro novelliero riuscì a renderci famigliari pratiche
mediche, condizioni dei medici, opinioni e credenze relative alla medicina dell'età di
Mezzo.
Nella prima escursione egli si fa a trattare sulle novelle del Boccaccio l’ane-
stesia, gli anastetici e la chirurgia del medio evo, traendo l'argomento dalla novella
della giornata IV, La moglie di un medico e Vamante alloppiato. Di qui il nostro
autore trasse notizie curiosissime, e sui vari narcotici degli antichi, e sui sistemi
che usavano i chirurghi nelle operazioni più dolorose per togliere i sensi al paziente,
gli empirici per cavarne pro o per favoreggiare l’amore del meraviglioso, la credulità
e la superstizione. Egli ci fa vedere, come la scienza indisciplinata estranea alle scuole,
anco in mezzo alle fantasticherie, agli erramenti, alle audacie, agli errori sapeva
trar alla luce qualche cosa di singolare, e preparare materiale per la scienza nuova.
Curiosi i particolari che il Corradi dà dei rimedi che nel medio evo erano in
uso per premunirsi contro il fuoco e contro ogni specie di tormento, con affanno e
stupore degli inquisitori e processanti, che credevanli l’effetto di arti diaboliche, di
magia, di stregoneria e va dicendo. Fra la copiosa serie di nomi che dà l’autore,
cita anco con lode due de’ nostri rinomati chirurghi, Ambrogio Bertrandi e Francesco
Rossi da Torino, autore questo secondo di un trattato elementare delle operazioni
chirurgiche, Torino, anno XI. Egli chiude la lunga ed interessante sua dissertazione
togliendo argomento dalla novella ottava della giornata II del Boccaccio per ricordare
altri soporiferi, e confermando l'esattezza e la veracità del celebre novelliere, nei cui
racconti seppe artificiosamente alla realtà mescolare le finzioni. Nè piegò alle super-
stizioni o credenze del volgo, che per ischernirle e sfatarle.
Nella peste di Milano del 1576 e il cardinale Borromeo, Milano 1882, egli ebbe
per obbietto di esporre qual ne fosse stato il governo politico, medico ed ecclesiastico.
Considerando le geste tanto del cardinale arcivescovo, quanto del magistrato di
sanità, egli riconosce che e l’uno e l’altro non fecero che seguire le opinioni e le dot-
trine dominanti, cosichè ed il bene ed il male venutine vogliono esser in gran parte
ascritti ai tempi. Il Borromeo era d’opinione che tutti potessero accendersi dello
zelo e della carità dond’egli rifulgeva; e che il fervore dimostrato nel resistere al
morbo si potesse conseguire dal popolo col mezzo di pubbliche espiazioni. Sta però
che quella peste rimanga memorabile, più che per i deplorevoli errori seguìti, per
la eminente opera caritativa dell'arcivescovo di Milano.
Anche il grande e sventurato cantore della Gerusalemme liberata, le cui vicende
eccitarono sentimenti di pietà in ogni cuor ben nato, furono argomento delle indagini
del Corradi. Il quale già nelle Memorie del predetto Istituto, del 1880, aveva pub-
blicato uno scritto col titolo Su le infermità di Torquato Tasso, ove coll’investigare
persino i mali negli ascendenti del poeta, così sublime nell’epica, potè confutare
molti errori sfuggiti ai vari autori che ebbero ad intrattenersi in particolar modo
dei casi sgraziosi del Tasso. Ne va egli considerando l’infanzia, le prime malattie
ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 101
a cui andò soggetto, i prodromi della maggiore; la sua prigionia, le fughe di lui ;
insomma la diagnosi dei mali. di spirito e di corpo di quel grande è così ac-
curata, che ti pare di veder l’autore assistere al capezzale dell’infelice poeta. Ed
ancor qui, sempre consentaneo ne’ suoi principii, egli non permette che si abbiano
a formare storti giudizi. Discorrendo egli, a cagion d’esempio, dell’influenza che
possa aver ricevuto l’animo del Tasso dal modo di educazione avuto, prende a con-
futare il dottor Rothe, direttore del manicomio di Varsavia nel suo Eine psychia-
trische Studie sul celebre epico, che affermò che il Tassino era rimasto nella scuola
dei gesuiti di Napoli in istato d’instupidamento intellettuale. Il Corradi, senz’accingersi
ad investigare quali fossero i metodi didascalici a cui si erano attenuti i discepoli del
Loyola, indagini estranee al suo scopo, si limita unicamente ad osservare che.... “ bisogna
andar cauti nel dichiararli sì perniciosi come li stima il nostro autore, cioè il Rothe,
perocchè altrimenti avendo essi signoreggiato nelle scuole fin quasi ai giorni nostri,
e presso che universalmente, converrebbe conchiudere, contro la storia, che per il
corso di oltre due secoli l'Europa non ebbe uomini, nè di mente nè di cuore. Non
bisogna esagerare, come che grandissima, la potenza dei sistemi didattici e peda-
gogici, tanto da reputarli capaci di plasmare gli intelletti e gli animi tutti alla
forma concepita: ricordiamoci che dalle scuole dei gesuiti, uscirono, come Benigno
Bossuet e Francesco di Sales, che la religiosità elevavano con la dottrina, con la
maestà dell’eloquenza, con il fervore delle opere caritatevoli, così il Voltaire e l'Hel-
vetius, intenti a scalzare ogni fondamento di fede; ma n’uscirono del pari Scipione
Maffei e Lodovico Antonio Muratori che seppero mantener libero il pensiero e com-
battere, così l’incredulità, come la superstizione. La ferula magistrale non doma certe
prepotenti nature, nè le pastoie scolastiche rattengono e sviano gli ingegni eletti.
‘ Intanto sappiamo che quei padri non forzavano la mente de’ fanciulli a comprender
cose alle loro intelligenze superiori, quali i misteri della religione; eglino si conten-
‘tavano di metterne la fede volgendosi al sentimento....., p. 320.
Nel percorrere le varie fasi della vita del Tasso il Corradi considera pure il
suo viaggio in Piemonte alla Corte del nostro duca Emanuele Filiberto, nel settembre
del 1578. Ma su questo avvenimento fece qualche osservazione Alessandro di Vesme
nel suo scritto Torquato Tasso e il Piemonte, pubblicato nel tomo XXVII della Mi-
scellanea di storia italiana, in asserzioni però meramente accessorie e cronologiche.
Così egli non s’accorda coll’illustre professore, il quale vorrebbe che la data dei
25 settembre s’avesse a correggere nel 25 ottobre, perchè il Tasso aveva scritto di
essere giunto nel Vercellese “ quando il vendemmiatore suol spremere dall’uve mature
il vino, e che gli arbori si veggono in alcun luogo spogliati di frutti ,. Quest’autore
obbietta qui, che oltre a contraddizioni che vi sarebbero ‘a ritenere vera la data,
secondo l'opinione del Corradi, le vendemmie nell’alta Italia facendosi piuttosto in
settembre che in ottobre, alla fine di questo già sono compiute affatto. Sta bene,
«ma quel che toglie ogni dubbio, e che fa doversi ritenere certa la data del set-
tembre, è che nel noto dialogo del padre di famiglia, ove si accenna a questa
particolarità, il Tasso, oltre all'osservazione della vendemmia, dice che gli furono
alla mensa presentati dei poponi..... e incontinente de’ melloni fu quasi caricata la
mensa, ecc..... ,. Ora si sa abbastanza che i poponi, già presso di noi molto radi in
fin di settembre, più non si trovano nello stato naturale a! cader del mese seguente,
102 GAUDENZIO CLARETTA
ed in così gran copia, almeno, come accenna il Tasso. Che più! Nello stesso suo
dialogo del padre di famiglia il Tasso mette successivamente in bocca a questo, che
alla mensa a cui si assise nella casa del gentiluomo vercellese (che sarebbe stato,
secondo le conghietture del citato Vesme, di Niccolò, della nobile e ragguardevole
famiglia vercellese degli Aiazza) (1) il bue si porta piuttosto per un cotal riempi-
mento delle mense che perchè da alcuno in questa stagione calda sia gustato. Or
nell'ottobre la stagione sarebbe stata tutt'altro che calda.
Un altro errore che doveva essere qui corretto, è lo scambio fatto dal Corradi del
nome di Giuliano, dato al cardinale della Rovere, arcivescovo di Torino, a vece di
Gerolamo. Ma sol per ragione di storica esattezza vogliono essere notati questi nèi,
sebben si sappia abbastanza, che essi nulla detraggano al merito del lavoro, essendo
propri di qualunque libro, che anzi ogni scrittore è in diritto di rilevare per amor
del vero, allorchè avviene, senz’incorrere nella taccia di mala fede o di volgar pas-
sione, onde non potrebbero esimersi quanti facendo sembianze di non tener conto
del buono del libro, cercano solamente di metterne in evidenza la parte errata.
Sul pietoso argomento il Corradi davasi ad altre ricerche, e non meno. delle
precedenti interessanti. Lasciando da parte le note e le gravi quistioni agitatesi fra
il Rosmini e il Capponi sull’origine del castigo ricevuto dal Tasso, egli prendeva a
considerare se dovesse ritenersi vittima della reazione cattolica, che è quanto dire dei
gesuiti, secondo la recente opinione manifestata da Cherbulier, da Rodolfi, ed ulti-
mamente dal Monnier. Ed il nostro autore riusciva a provare vittoriosamente, che
l’origine delle disavventure del poeta devesi ricercare nelle infermità stesse di lui
e nel suo carattere, aggravate bensì dalle condizioni dei tempi e dei luoghi, ma non
create da questo. Il Corradi, coll’appoggio di nuovi documenti avuti dal lodato ca-
valiere Foucard direttore dell’ Archivio di Stato di Modena, riusciva a compiere gli
studii in precedenti fattivi dal Cibrario, dal Campori e da altri valentuomini. In tal
guisa egli poteva provare, che nei sette anni di reclusione sofferta dal Tasso, ei fu
affetto dalla pazzia detta alternante, e così scusare il duca Alfonso II, che dimo-
strandosi per un verso crudele, per l’altro umanissimo, aveva le sue buone ragioni
per non acconsentire alla liberazione di lui.
(1) Nello scritto del Vesme, questi rinfresca pure la bella confutazione fatta dal compianto
marchese Campori, secondo cui rimane provata falsa una lettera che il Tasso avrebbe Iscritto al ce-
lebre abate Giovanni Botero di Bene, ove avrebbe dichiarato di aver tolto l’idea delle descrizioni
fatte in una stanza della sua Gerusalemme del giardino del palagio incantato d’Armida, dal parco
di Torino, sebbene già esistente ai suoi tempi.
Ma se nel poema del Tasso non compare il parco torinese, nel suo Forno primo, della nobiltà,
è nobilmente ricordato il carmagnolese Agostino Bucci, medico e filosofo ragguardevole de’ suoi
giorni, del quale piacemi riferire quanto leggesi nello scritto inedito dell’illustre barone Vernazza:
I Bucci letterati, ecc. Ma lodi nè più nobili, nè da personaggi più grandi furono date ad Agostino
Bucci che da Torquato Tasso, onde tanto durerà la memoria del Bucci quanto durerà che senza
dubbio fia sempre gloriosa e perenne la fama del Tasso! Egli nel soggiorno di quattro mesi, che
da ottobre 1578 fece in casa del marchese Filippo da Este in Torino conobbe principalmente Ago-
stino Bucci. Qui scrisse il primo dialogo della nobiltà e in questo primo e nel secondo ed anche
nel terzo che fu della dignità, il Tasso introdusse per favellatore due dei più illustri soggetti che
allora fossero in Torino, e che erano molto famigliari del marchese suo ospite e signore, cioè
Antonio Forni, gentiluomo modenese, caro a Filippo e dal duca molto per la sua virtù favorito ed
Agostino Bucci da Carmagnola, primario professore di filosofia, ecc.
-
ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 103
“ Pericoloso a sò ed agli altri il Tasso, soggiunge il Corradi, doveva essere
rinchiuso, nè lasciato libero, se non guarito o fatto risanare, e però non il rinserra-
mento o la durata di esso deve far meraviglia perchè a chiunque altro nelle me-
desime condizioni sarebbe potuto allora del pari che oggi toccare lo stesso; la mera-
viglia sorge e giustamente quando si pensi alla gelosa custodia del duca di Ferrara,
alla ripugnanza di accondiscendere alla liberazione che pur tanti ed alti personaggi
richiedevano, alle cautele con cui finalmente consegnava l’infermo al cognato principe
di Mantova, all’ansia per riaverlo allorquando quegli anche di colà scappava ,.
Egli adunque opina che la ragione della detenzione si debba ricercare nelle pre-
cauzioni che aveva il principe estense di non dar troppi disgusti alla curia romana
presso cui già era in mala voce la sua Corte, e per le passate vicende di Renata di
Francia sua madre, e per i sospetti che le dottrine calvinistiche fossero assai pro-
pagate a. quella Corte, il che punto non conveniva al duca, il quale maneggiavasi per
assicurare la successione nella linea collaterale, non avendo egli prole, e dovendo
devolversi alla chiesa i suoi stati.
Ora il Tasso nei suoi vaneggiamenti si teneva eretico; ed il duca si guardava
di lui, e procurava di tenerlo sotto buona guardia, affinchè non vi potesse mai essere
pericolo di alcuna mala satisfazione, non tenendo egli in freno nè penna nè lingua.
Procediamo innanzi. Vincitore nel 1870 del premio straordinario Sgarzi-Gaiani,
proposto dalla Società medico-chirurgica di Bologna, quattr’anni dopo il Corradi pub-
blicava il suo lavoro: Della chirurgia in Italia dagli ultimi anni del secolo scorso sino
al presente. La giunta esaminatrice del suo manoscritto aveva sentenziato, che nel
di considerare quest'altro insigne lavoro nei suoi particolari: e basterà ancor qui
avvertire, che in esso pure partecipano allo scientifico banchetto i nostri compaesani.
E mentre l’autore. considera Carlo Guattani (1), secondo lui novarese, il fondatore
della scuola romana, rende i dovuti elogi ad Ambrogio Bertrandi, già superiormente
ricordato, che avrebbe potuto ristorare la chirurgia: ma purtroppo la vasta orma
segnata da lui; come fulgida meteora nel campo dell’arte chirurgica, doveva sorgere,
risplendere e sparire in breve volger di tempo. Nota egli altresì quanto alla chi-
rurgia avrebbe potuto giovare il nostro saluzzese Malacarne, perspicacissimo com'era,
ove il versatile suo ingegno non l’ avesse spinto ad argomenti svariati, laddove,
dopo aver accennato a Francesco Rossi valente e ardito operatore, perito nelle cose
anatomiche, e degli sperimenti fisiologici passionatissimo, dice che “ il Riberi..... con
minore ingegno, con meno vaste cognizioni, ma con mente più ordinata e fermis-
sima volontà diè alla scuola torinese quello splendore che i suoi maestri non sep-
pero o poterono conferirle, e che da oltre mezzo secolo essa pur sempre attendeva..... ,.
(1) Ma sebbene altri il dica nato a S. Bartolomeo Bagni nella provincia di Novara, forse S. Bar-
tolomeo Valmara, poichè il S. Bartolomeo Bagni io nol seppi rintracciare in alcun luogo; pare che
il Guattani fosse milanese. L'’illustre Salvatore Betti nell’elogio del figlinol suo Giuseppe Antonio,
archeologo di certa fama, dice ch’egli era nato bensì a Novara, ma di famiglia milanese, e dal
matrimonio del nostro Carlo con Catterina Pagliarini sorella dell’illustre letterato e tipografo che,
regnando Clemente XIV, era stato incaricato degli affari di Portogallo.
104 GAUDENZIO CLARETTA
Apertosi altro concorso del premio biennale Sgarzi-Gaiani, nel quale era proposto
di ....esporre ed apprezzare la parte che spetta agli italiani nell’avanzamento della scienza
ed arte ostetrica, nonchè nello studio delle malattie delle puerpere e dei neonati dal prin-
cipio del secolo fino al presente, il Corradi riusciva di nuovo vittorioso in quella scien-
tifica palestra. Ed ancor qui basterà in merito avvertire, che nel lavoro Corradiano
la Giunta riconosceva “ .....una maestria non comune, un cumulo di cognizioni sor-
prendente, una discussione approfondita di ogni argomento, da tornare, data in luce,
della massima utilità sì teorica che pratica, costituendo una delle migliori opere di
ostetricia, e che più diffusamente ed estesamente tratti la parte che risguarda il
pratico esercizio ,.
In questo scritto egualmente l’ autore pone in bella luce il nostro paese, e
Torino in ispecie, poichè sebbene l'insegnamento dell’ ostetricia venisse da essa più
tardi di quanto avrebbe dovuto essere, pur nondimeno ne fu la prima scuola (aperta
nel 1728 nel nostro Ospedale di S. Giovanni) che secondo l’odierno significato fosse
stata con pubblico decreto istituita intorno all'arte dei parti.
E qui di nuovo ricompare con lode il nostro Ambrogio Bertrandi, autore nel 1764
del compendio dell’arte ostetrica (pubblicato però soltanto postumo nel 1890); opera
che fu tra le prime a dare all’Italia le prime istituzioni moderne italiane intorno a
questa importante parte della medicina. Così del pari evvi menzione di scritti su
quell’argomento di parecchi de’ nostri, e men recenti, come ad esempio, del poco fa
lodato Vincenzo Malacarne che professò a Pavia, e di coloro che conseguirono rino-
manza ai giorni nostri, fra i quali meritamente tiene uno de’ primi posti il valente
Scipione Giordano, dai cui scritti seppe il Corradi trarre ampio partito.
Prezioso lavoro si è quello pubblicato dal Corradi nei rendiconti dell'Istituto
lombardo del 1873 sullo Studio ed insegnamento dell'anatomia in Italia nel medio evo
ed in parte del cinquecento.
Discorrendo ivi del celebre Andrea Vesalio, Wesale, di Bruxelles, che fu il più
grande anatomico del secolo XVI, o piuttosto il creatore dell’anatomia, e discendente
di una famiglia in cui la medicina era ereditaria, il Corradi appena appena accennò
alla viva polemica contro il famoso suo libro: De corporis humani fabrica libri septem,
Basileae 1543, suscitatasi dai fautori delle dottrine galeniche, fra’ quali principale
e più veemente oppositore fu il nostro compaesano Francesco Dalpozzo (1). Con quel
(1) Ancorchè non sia, al certo, compito di questa Memoria di colmare le lacune degli scritti Corra-
diani, anche nella sola parte che più da vicino ci tocca, nondimeno trattandosi di tale che ci fornisce
mezzo di far conoscere parecchi anatomici subalpini e delle provincie che fecero più tardi parte dei
nostri Stati, e passati inosservati al Corradi e ad altri biografi, credo pregio dell’opera di consegnare
in questa nota, per quanto assai lunga, il frutto delle spigolature che ci fornisce uno scritto di questo
medico Dalpozzo, libro non troppo comune, che fa parte della mia libreria particolare. Esso appar-
teneva all’illustre medico milanese Giambattista Silvatico, primario professore di medicina alla
Università di Pavia, autore di dieci e più opere mediche, morto nel 1621. Sull’esemplare posseduto
da me il Silvatico vi lasciò il suo autografo con queste parole: Est. Io. Baptistae Silvatici medici.
E di esso darò in tale congiuntura alcune notizie, ch’egli d'altronde ben si merita, perchè l’opera
sua, che fu presa di mira sotto l’aspetto scientifico per essere censurata (nè noi ci facciamo punto
sostenerla, poichè l’autore vi compare come un retrivo, avverso ostinatamente alle innovazioni della
scienza professata), per altre considerazioni deve essere invece encomiata. Discorsero del Dalpozzo, fra
i nostri, il Degregori nella sua storia della letteratura vercellese, il Bonino nella biografia medica pie-
ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 105
suo Îavoro il Vesalio gettava le basi di un rivolgimento generale nella medicina, ned
egli ignorava che sarebbe stato, come dice il Corradi: “ .....fieramente morso da co-
loro che servilmente ossequiosi a Galeno, non volevano sapere di novità, tutto vero
giudicando l’antico e sprezzando il giovane che svelava i vecchi errori, senz’essersi
al par di lui esercitati nel taglio e nell’osservazione de’ cadaveri .....quam minime ab
ilorum morsibus erit tutus qui perinde ac nos in IDALICIS SCHOLIS anatomen sedulo
non sunt aggressi ,. E fra costoro compariva appunto il nostro Dalpozzo, che vuol
essere aggiunto agli altri già conosciuti oppositori, quali Driander, il modenese Ga-
montese, il chiar. collega comm. Dionisotti nella sua biografia dei vercellesi illustri e nelle memorie
storiche di Vercelli. Tutti costoro però conobbero, ma non esaminarono a fondo il citato suo libro:
Apologia pro Galeno in anatome examen contra Andream Vexalium bruxellensem Francisco Puteo medico
vercellensi authore. Venetiis, apud Franciscum de Portonariis de Tridino, 1562, ecc. Che se esso fosse stato
esaminato perfettamente, si sarebbe almeno dai suddetti rivelato, che questo libro fornisce appunti
singolari per la biografia medica patria e per fatterelli contemporanei succeduti, che io qui ripro-
durrò, inframmettendoli a cenni sullo stesso autore, in parte fornitici da quel suo scritto, e così
per la stessa ragione passati inosservati. — Il Pozzo o Dalpozzo era nato a Villanova in quel di
Casal Monferrato. Che egli fosse del celebre casato biellese dei signori di Viverone, Romagnano,
Ponderano, Voghera, Neive e poi principi della Cisterna, certo che no. Ma peraltro ei vi apparte-
neva indirettamente col mezzo di quelle aggregazioni allora in uso, e seguita a suo favore per opera
di Francesco Dalpozzo da Biella, marchese di Romagnano, capitano di Santhià, di cui parleremo.
Il che fa onore al nostro medico, essendo prova de’ suoi meriti. Ecco come si spiega la sua ten-
denza d’indi in poi a lasciar credere di appartenere alla illustre schiatta dei biellesi Dalpozzo. E
questo lo vedremo, dopo aver accennato alla carriera del Dalpozzo, della cui famiglia presen-
tiamo il presente schema genealogico, in parte ricavato dal suo libro.
BarroLomeo Darpozzo da Villanova Casalese, stabilitosi a
Vercelli sul principio del secolo XVI, medico di fama,
professore di filosofia e rettore degli scolari di quella città
nel 1539 } 1551; sposò pa de Longis da S. Germano.
| | |
AwmEDEO CATTERINA FRANCESCO ANTONIA
{ avvelenato a Pavia, sposò Emiliano medico a Vercelli, ivi + ancor vivente nel 1562;
studente di leggi, e già De Opezzino. il 20 novembre 1564, fon- sposò Bartolomeo Pagis
+ nel 1562. datore del Collegio Pu- da Olcenengo.
teano. Sposò Franceschina
fu Luigi Caccia di Novara.
Datosi, alla guisa del padre, allo studio della medicina, sembra che Francesco siasi laureato
a Pavia sotto la disciplina del milanese Branda Porro, che professò a Pisa, Pavia e Bologna, e di
Giacomo Pacini, che sempre nominò con riverenza di discepolo riconoscente. Consacratosi poi spe-
cialmente allo studio dell'anatomia, affine di perfezionarvisi, non risparmiò di frequentare le uni-
versità di Padova, di Bologna e di Pisa, ove potè avvicinare i professori più esperti. E come del suo sog-
giorno a Venezia, così di quello fatto a Bologna ei fa ripetuta menzione, non astenendosi da varii aneddoti
capitatigli per ragione dello studio, nel quale desiderava di approfondirsi il più che possibile. Nè veglie,
nè tediosi uffizi egli ebbe a risparmiare per riuscire ne’ suoi intenti. E basti il dire, come a Bologna in
ispecie, egli di continno frequentasse, e le gradinate del S. Petronio, e i sedili del S. Pietro, e S. Michele
in Bosco, e il peristilio della Vergine del Baracane, e il cimitero di S. Francesco, per poter esa-
minare a suo agio mendici affetti da uno special genere di morbo, cui desiderava di conoscere a
fondo. Ma dove esercitò la sua professione fu a Vercelli, ed ivi compilò l’opera sovracitata, dalla
‘quale abbiamo tolti questi cenni, e di cui parleremo ora con qualche diffusione, non per discorrere
del suo valore scientifico, già allora contestato, locchè avemmo pure ad avvertire superiormente, ma
per far conoscere le molte notizie attinenti alla nostra biografia, che in essa si racchiudono. Basterà
poi a dar un saggio dell’indole dei tempi e degli scritti specialmente letterarii di quell’età questa
Serie IL Tom. XLIV. 14
106 GAUDENZIO CLARETTA
briele Falloppio, anatomisti di certa fama, Eustachio ecc. Ma i più ardenti oppositori
suoi non mancarono di essere presi di mira dal celebre belga; e basti per noi avvertire,
che al nostro Dalpozzo ei rispose col suo pseudonimo Examen apologiae Fr. Putaei
pro Galeno.
Del resto, come succedeva in quei giorni d’inveterati pregiudizii e di opinioni
sua veemente apostrofe contro il Vessalio: Certe 0 studiosi angor plurimum de hoc homine et exerutior
qui huiuscemodi mendattis, vel dicam potius ineptiis, studuerit Galeni famam obumbrare: 0 petulantiam
non ferendam mehercle potest omnibus innotescere quam scelerate fuerit factum cum huiuscemodi men-
datiis in his Galenum calumniari; in aliis autem in quibus Vessalius non calumniose, sed aperte con-
traviatur Galeno, non ita videtur esse detestandus... Ib., p. 93.
Questo suo libro ei volle intitolato, non ad uno scienziato, ma ad un porporato, o perchè suo
omonimo, 0 forse perchè suo mecenate, ovvero che sperava di aver tale, e che era il cardinale Jacopo
Dalpozzo, della famiglia che fioriva a Nizza di mare. L'antiporta del libro ci dà in una modesta
zilografia il suo ritratto in un ovale incartocciato a fregi del cinquecento avanzato, a cui sovrasta
lo stemma Dalpozzo, ma se l’ artefice che ne fece il disegno fu esatto, esso sarebbe differente nel
color del campo da quello dei Della Cisterna, ecc. che è d’oro, laddove quel del nostro medico
sarebbe rosso, ma allora il pozzo non potrebbe essere più dello stesso colore, che però mal si scorge
dalla figura. Ma in quanto alla sua famiglia, discorrendo nel suo libro del fratel suo Amedeo,
comincia a parlarne con qualche vezzo nei seguenti distici :
Cultor Amaedeus legum doctissime frater
Aspice, quid nostrum nobile stemma docet
Tu cernis binos angues puteumque nitentem
Ob Glauci vitam, quod fuit inde datum
Quid dubitas igitur sacras demittere leges
Peanisque arti te dare solicitum
Tu noscis Vafrae logices aenigmate et altos
Naturae cursus stelliferumque polum
Ni antiquo generi facias respondeat ortus,
Crede domus nostrae dedecus istud erit.
E rivolgendosi indi al prelato, nell’augurargli con troppa facilità il Papato, interloquisce consi-
derando l’antichità della sua stirpe che si gloria di accomunare colla propria Sed ultra hace non
mediocriter nos gloriari possimus 0 illustre ac reverendissime praesul de nostra prosapia... Poi, quasi
supponendo che l'illustre Cassiano Dalpozzo, figlio di Antonio, scudiere del duca Carlo II e di
Margherita Della Torre, signore di Castellengo, di Reano, ecc. e primo presidente del Senato, fosse
affine a loro, così egli ne parla... Praesertim quando Cassianum Puteum tibi adiunxeris virum inquam
amplissimum humani divinique iuris consultissimum Sabaudiae Praesidem illustrissimum sactissimique
Senatus Pedemontiwn, omnium facile principem, in quo fortitudo, temperantia, et prudentia, perpetuae
comites semper extiterunt, quarum significationem ex hoc habere possumus, quod in regendis urbibus non
familiarissimus ut plerique alii, sed innocentissimus habetur ab omnibus, curarum remissionumque,
tempora sapienter ordinans: est enim gravis ubi iudicia poscunt, et intentus atque severus, et aliquando
misericors: ei etiam adiunguntur animi candor et singularis integritas cum summa amplitudine et di-
gnitate marima, ob cuius animi dotes non est qui de co non admiretur summopere ct cum tamquam
numen non colat, quum sit in omni virtutum genere ornatissimus potissimum quando relicta auarttia,
omnium bonorum authorum sit maecenas. . .
Ricordando il fratel del presidente Cassiano, cioè il sovranominato scudiere, capitano di Santhià
marchese Francesco, loda in lui la purezza dell'animo, la singolar prudenza, la moderazione negli
affari, l’aurea e liberale opulenza, coll’'abbondanza della discendenza. È qui apertamente egli, pro-
fittando dell’aggregazione accennata, si fa della stessa famiglia, dicendo che... cum filiorum abun-
dantia sperare debemus nostram prosapiam non mediocriter illustrari posse, praesertim quando adsit
illustris Ludovicus inter omnes, pauca ipsorum dixerim, mactae virtutis, atque excellentis ingenti iuvenis,
de quo existimo eius expectationem, apud quoscumque non fore minimam... (1). E finalmente non lascia
(1) Cioè Ludovico Amedeo, figlio di Francesco capitano di Santhià, epperciò nipote di Cassiano.
ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 107
preconcette, ai novatori troppo rischiati a propagare il vero ed a combattere i tenaci
errori, frutto dell’ignoranza, tuttochè il Vesalio fosse stato medico di Carlo V, e lo
fosse ancora di Filippo II, fu ricercato dall’Inquisizione, mossa su dai suoi emuli che
accusaronlo di precipizio nel suo operare. Dubitavasi che mentre disseccava il corpo
di un gentiluomo, affetto forse d’isterismo, erasi visto il cuore del supposto estinto
a
di tributare i meritati elogi agli altri fratelli di Ludovico Amedeo, cioè Fabrizio, conte di Ponde-
rano (morto pure nel 1581) e Carlo, che non doveva smentire gli elogi precoci datigli dal Dalpozzo,
che chiamollo puerumn non dicam sed iuvenem potius ob suam praecocis ingenii singularitatem qui hoc anno
în aetate undecim annorum mansuetiores musas relinquens ut legibus operam daret Papiam concessit...
Egli faceva pur voto che avesse ad essere serbato a lunga vita pro dignitate domus. E fa proprio
esaudito, poichè il lodato divenne l’illustre arcivescovo di Pisa, ove fondò il ben noto Collegio, dal
suo nome chiamato Puteano.
Certamente che non si può di meno che scorgere un poco di vanità nel ricordare con siffatto
entusiasmo quei personaggi omonimi, lasciando crederne comune l’attinenza e che non vale a mi-
tigare il dirsi omnium minimus. Tant'è, che proseguendo ad accennare ch'egli naturae doctus... si non
possum aliis dignioribus fieri illustrior, ad primos tamen honores me contuli...
Ma tolti i nèi, dei quali oggidì stesso nemmeno si potrebbe far troppo carico al Dalpozzo,
che viveva in età, in cui col professare le idee seguite da lui si potevano ricavare vantaggi straor-
dinari, egli ci disseppellisce molti cultori delle scienze mediche di quei tempi, nostri compaesani,
alcuni dei quali affatto obliati dai nostri biografi. Nel prospetto storico ove esalta la nobiltà e
l'eccellenza della medicina loda Gaspare Capra, cioè Capris di Torino, vescovo di Asti (morto poi
a Vercelli nel 1568) che il Dalpozzo ci rivela, non solum in sacris litteris, in quibus profitetur, sed
etiam in philosophia ac medicina doctissimus; Francesco Borsa da Casale, chirurgo a Vercelli del buon
duca di Savoia Carlo HI, anatomico muactae virtutis atque excellentissimi ingenii invenis,'ancor esso
difensore di Galeno ed oppositore del Vessalio; ancor esso dimenticato dal Bonino e dal Trompeo
nei loro elogi; il novarese Bartolomeo Caccia, homo in medicina ercellentissimus, col figlio suo Giu-
seppe, quam praeclarissimo, Lanfranco Boniperti, con miglior lezione a vece di Bonaparte secondo
l’autore, che fu rettore dell’Università pavese o degli artisti nel 1549. Il Dalpozzo chiamò il Boniperti,
Bonaparte, forse perchè così poteva valersi anche di un argomento, deboluccio al certo, per confutare
il suo potente avversario. Bonaepartis nec immerito bonae partis quum alias Ticini ob bonas quas habet
animi partes ab illa universitate electus sit rector magnificus. Come mai si sarebbe potuto allora preve-
dere che si scherzava innocentemente su di un nome che doveva due secoli dopo divenir di fama
mondiale! Ma sostengo che anzichè Bonaparte debba leggersi Boniperti, famiglia che fioriva a quei
dì a Novara, patria appunto del Lanfranco di cui si tratta. Il Vidari lasciò scritto (1): “ Il Morbio
pubblica il rescritto di Carlo V dato Mediolani die septembris MDXL: dal quale e da una lettera
bidellis universitatis gumnasti nostri papiensis appare proposto a lettore Lanfranco Boniperti nova-
rese, cogli onori e colle preminenze devolute all’officio ,. E sebbene manchi alla recente serie degli
illustri novaresi data nel 1890 dal Finazzi, nondimeno quest’autore stesso accenna ad un Gerolamo
Boniperti medico novarese altresì, che esercitò la sua professione a Venezia, dove pubblicò nel 1547
il suo scritto delle crisi di Galeno. Notisi che anche costoro furono sconosciuti ai nostri biografi
odierni. Poi vengono Bartolomeo Bailetti d’Ivrea, definito da lui virum benevolum et sapientissimum.
Ed altro eporediese egli commenda a carte 86 del suo libro, mentre intanto ci rende conto di una
calorosa disputa scientifica avvenuta nello studio Vercellese ai tempi di Carlo III, al quale pure
rende elogi ob suam quam semper habuit summam erga nos et benignitatem, et clementiam. In un deter-
minato giorno erasi accesa una disputa a favore di Galeno, e contro il suo oppositore e detrattore
Vessalio. Vi assistevano, coll’autore e col Bailetti, Giorgio Della Porta, Francesco Martinengo d'Ivrea
Galeni et ippocratis omnium quos norim studiosissimus, Marcantonio Cusano vercellese, di famiglia
che aveva già avuto altresì medici rinomati, dimenticato anche dai nostri scrittori che accennarono ad
altri due medici della stessa famiglia, Giambattista Facino, Marcantonio Capra (2), Domenico Mar-
tino Mottone e principe fra essi il protomedico Antonio T'esauro fossanese, medico della Corte du-
cale. Ed in costui il Dalpozzo salutava l’archiater marimus, de cuius fama non solum Italia, sed
(1) Frammenti cronistorici del’agro Ticinese. Pavia, 1891.
(2) Questi divenne poi protomedico di Emanuele Filiberto, signor di Curino, FTA ecc.
108 GAUDENZIO CLARETTA
muoversi sotto il ferro chirurgico, falsità come dicevano gli esperti, non essendovi
letargia tale, capace a resistere alle operazioni antecedenti all’ apertura del cuore.
Interpostosi peraltro Filippo II, potè egli a stento ottenere che suo medico potesse
scambiare la punizione che lo attendeva, col viaggio di Gerusalemme, come successe.
Germania, Gallia, Hispania et aliae provinciae in quibus medicans (dum sequeretur aulam illustrissimi
principis) versatus est. Ed anche di altro fossanese egli discorre in altra disputa sullo stesso argo-
mento avuto a Bologna, vale a dire, di Tommaso de Salomoni, iuvenis admodum doctus, necnon
futurus maximus si ab inceptis non desisterit.
Alle notizie spigolate da questo campo, ricco di messe non peranco falciata da altri, aggiugne-
remo ancora l'autopsia del cadavere del buon duca Carlo III, mancato di vita il 17 agosto del 1553
a Vercelli, lembo di terra dell’avito dominio rimastogli nell’occupazione straniera, seguita mentre
il prode Emanuele Filiberto combatteva cogli imperiali al fianco di Carlo V. Si sa che quell’infelice
principe, non assistito da’ suoi cari, morivasi improvvisamente, senz’altra compagnia che quella di
Catelano Cibuorno (vodese), fedele suo barbiere, che lo assistette, mentre i cortigiani invereconda-
mente non attendevano che a spogliar la camera dei migliori arredi; onde si fece poi un’inquisizione
criminale d’ordine del duca Emanuele Filiberto. Il medico giugneva tardi: il povero Duca era stato
tolto di vita da un assalto violento, non di mal di petto, come scrisse il Cibrario, ma di una sincope
prodotta da altro male che subito avevalo ridotto all’agonia. Come era cosa naturale, tanto più
allora, ed in quegli aggiunti si suppose una violenza od un veleno. Il Dalpozzo nel passo che
ne tratta esclude affatto quel dubbio: anzi informandoci del vero morbo, che fu mortale, traeva
motivo dal genere di sua morte a sostenere la tesi apologetica contro il suo acre avversario.
... Quid viderim, nihil aliud dicaum, nisi quae a pluribus una mecum fuerunt animadversa in illu-
strissimo patrono nostro Carolo Sabaudiae duce nono (cioè terzo, anzi propriamente secondo, tut-
tochè fosse prevalso l’uso di chiamarlo così, per non essersi tenuto conto di Carlo Giovanni
Amedeo, e detto qui nono secondo la serie dei duchi) qui ut mortuus est, quoad solet fieri in
principibus, apertus est ut eremptis visceribus... medicato corpore diutius conservaretur, praesertim
quando ab insperata et subita morte sit abreptus, ad quem spectaculum omnes et medici et chyrurgici
nostri conterranei accessere. In primis vidimus Franciscum Martinenghum (già sovracitato) virum in
medicina admodum excellentem quam unquam alium agnoverim; prope quem stabant ambo Marci Antoni
et Cusanus et Capra (pur sovra lodati) viri integerrimi: ab illorum dextra assidebat Baptista Phacinus
(di cui sovra pure), komo quantum in medicina valeat quam notissimus: non longe aberat Georgius de
la Porta in medicina senex venerandus, quem sequebantur Franciscus Alexander (medico vercellese
seguace di Galeno che studiò a Pavia; e divenne medico di Emanuele Filiberto; e fu autore di un
trattato della peste e di altre secondarie pubblicazioni (morto a Vercelli nel 1587 di soli 58 anni);
e fratello di Alessandro, ‘ancor egli medico e poeta) et Octavius Lancea, ob suam quam habent doc-
trinam haud unquam reticendi iuvenes: his medii interiecti crant chyrurgi, in primis Joannes de Solidis
qui negotium aggrediebatur, multae virtutis atque excellentissimi ingenii iuvenis: ibi prope (si recte
commemini) erat Franciscus Bursa casalensis, iuvenis etiam quam clarissimus, qui a cura principis
ob suum quam habet in medendo peritiam, haud unquam fuit alienus: aderat etiam Joannes Maria
Vialardi usu et doctrina valde insignis, dein Joannes Antonius Caresana et Franciscus Scatiotus quam
clarissimi. E costoro tutti non furono menzionati dai nostri scrittori; ed ammesso anco non si abbiano
a meritare tutti gli elogi cui era propenso di loro tributare il Dalpozzo, si devono peraltro rite-
nere come distinti medici e chirurghi dell’ età loro, e fra essi specialmente addetto alla persona di
Carlo III, ossia medico di camera, Francesco Borsa da Casale, omesso dal Trompeo nel suo libro
sovracitato sugli archiatri ducali.
Ecco ora la prova che il morbo il quale condusse al sepolero quel duca, non fu nè veleno,
come fu supposto, ed abbiam detto, nè mal di petto, secondo il Cibrario, ma sibbene mal di fegato,
causa della sincope..... Hi omnes (cioè tutto quel collegio dei sovraccennati medici e chirurghi) per
Jovem mihi possunt esse testes, quod observatum est hepar (cioè il fegato) habuisse quatuor pennulas nec
quod vena cava in ipso transigat, ut ipse eristimat contra Galenum in suo praegrandi libro tertio, capi-
tulo sexto: sed vidimus ipsam hepatis carnem..... tam ab ipsius quam venae portae surculis et germi-
nibus esse repletam.....
Ma qui porrò termine alle spigolature che ancor si potrebbero raccogliere dal suo libro, se scien-
tificamente oggi di lieve pregio convien ripetere, importante per le ragioni sovra allegate e che già a’
suoi giorni gli sollevò contro Gabriele Cuneo milanese, vìr nostrae aetatis insignis splendor, come lo
chiamò il Dalpozzo. Il Cuneo pubblicava a Venezia nel 1560 questo libro: Gabrielis Cunei mediolanensis
ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 109
Ma mentre nel 1564 faceva ritorno per recarsi a Venezia, dove eragli stata offerta
la vacante cattedra di anatomia, sorpreso da un’aspra fortuna di mare egli moriva
nell'isola di Zante.
Che se in quest'opera il Corradi non accennò allo studente di medicina Gian
%
apologiae Francisci Putei pro Galeno in anatome, eramen. Ma ancor egli, Vessalliano per eccellenza,
non risparmiava al certo il suo avversario vercellese: e ne basti questo saggio... Quam turpiter vere
et ridicule te, ut Antonii Fossani (cioè il Tesauro) in Vesalium (quod scilicet hic illius solitum alias
questum, in Caesaris Caroli et Regis Philippi aula non leviter immimerit invidiae subservires, insci-
tiamque tuam omnibus detegeres, tuis in Vesalium conuiciis dederis, ac quam arti cui manus nunquam
adhibuisti, praeter rationem te ingesseris (quandoquidem nimirum ita cupis) nunc citra scurrilem tuam
dicacitatem rabiemque omnem aperiam... E via di questo passo per alcune linee susseguenti, dimo-
strandosi per nulla grato di essere stato definito dal Dalpozzo: splendore insigne dell’età sua.
Francesco Dalpozzo, ammogliato con Franceschina Caccia, figlia del novarese Luigi, morì improle.
Egli aveva fatto testamento nel 1551 al rogito di ‘G. B. Ghislarengo notaio vercellese, uno o due
mesi dopo la morte del suo padre, mancato perciò di vita in esso anno 1551, come ci rivela il
nostro Francesco nel suo secondo testamento, cosicchè va corretto il DrowisorTI, Biografie di vercellesi
illustri, pag. 247, che lo disse morto nel 1561.
Questo secondo testamento, che altamente onora sotto ogni rapporto il medico Dalpozzo, e che
avendo appositamente esaminato nell’archivio dell'Ospedale di S. Andrea di Vercelli, ove col mezzo
dell’egregio collega cav. Camillo Leone, potei consultarlo per cortesia del sig. avv. Giacomo Sebele,
segretario di quell’Istituto, farò conoscere con qualche larghezza. Esso ha la data dell’anno 1564
Seite al giove quinto decimo giorno di giugno....., e fu compilato al rogito di .....Jeronimo f. del fu
nobile Jo. Maria Salamone delli gentilhomini di Tronzano del vescovado di Vercelli, cittadino e
pubblico, per imperiale autorità, notaro collegiato et matricolato vercellense..... Ne furono testimoni
Gian Domenico Raspa; Gian Pietro de’ Corradi, dei gentiluomini di Lignana, speciaro; Alberto
Vialardi dei gentiluomini di Vestignaco (Vestignè) de Verona notaio collegiato; Gian Francesco della
Porta alias Momo, speciaro; Francesco Freiapani, speciaro; Bernardino Ballocco di Masserano, gabel-
liere del sale, e Pietrino Carello da Caramagna dell’arcivescovado di Torino, libraio in Vercelli.
Esso comincia così: .....poichè la vehementia della infermità corporale, spesse volte è solita
voltar la mente dell’infirmante dal diritto sentiero della ragione..... per la qual cosa ivi personal-
mente constituito il magnifico signor Francesco Dal Pozzo di Villanova Casalense phisico et cittadino
di Vercelli sano per grazia di Dio di mente e senso ed intelletto abbenchè valetudinario con voce
rauca ....ha procurato fare il suo ultimo testamento nuncupativo senza scritti..... Con questo ordi-
navasi la sepoltura nella chiesa di S. Maria del Carmine sotto la cappelletta .....et nella sepoltura
dove giacciono le ossa di messer Silvestro! Dal Pozzo suo padre de schola rettore, senza alcuna
pompa funebre con le sue debite esequie.....
A quel monistero legava scudi ducento d’Italia, affinchè facesse acquisto di un podere, coll’ob-
bligo di celebrare in suo suffragio quotidianamente all’altare presso cui giacerebbero le sue spoglie,
la prima messa (era la solita messa, detta dell’aurora, che molti pii testatori a quei giorni usavano
di legare nei loro lasciti). Ai frati di S. Agostino di Vercelli, stanziati a S. Bernardo legava tre scudi
una volta sola; all'ospedale maggiore detto di S. Andrea .....della magnifica comunità di Vercelli,
lasciava. cinquanta lire di moneta nuova di Piemonte. Venivano poi i legati a madonna Catterina
sua sorella e consorte di Emiliano de Opezzino, lasciandole una masseria ad Olcenengo, al nipote
Bartolomeo, figlio dei furono Bartolomeo de Pagis da Olcenengo e di madonna Antonia sua sorella,
faceva altri legati, e così a Gian Pietro Dal Pozzo di Villanova suo agnato, a Quirico, figliuolo di
costui, con sostituzione di Melchiorre, fratello di esso Quirico.
Lasciava poi usufruttuaria della sua eredità la propria consorte .....magnifica signora Francesca,
figlia del magnifico signor Aluixio Casia cittadino novarese... Ma ecco l'istituzione che rese il
Dalpozzo veramente benemerito di Vercelli, e ne tramandò la memoria sino al giorno d’oggi:
RSA Oltre di ciò perchè l’intentione e la mente di esso sig. testatore è di fondare un collegio a laude
e gloria d’Iddio, honore della magnifica città di Vercelli et con beneficio dei poveri pupilli, perciò
ha statuito et ordinato che nella casa della soa restaurata habitatione posta nella contrada di
S. Bernardo, la quale egli ha nuovamente riedificato, sia fatto et fundato uno collegio nella maniera
che qua sotto si dirà, talchè la detta casa con le sue pertinentie sia perpetuamente destinata all'uso
e servitio di detto collegio solamente e non si possa ad altro uso e servizii convertire per qualsivoglia
causa nè in qualsivoglia persona nè tempo, nel quale colleggio vuole et ordina esso testatore che
110 GAUDENZIO CLARETTA
Vincenzo Gosio da Dronero, che a Torino nel 1606 aveva pubblicato le sue tavole
anatomiche (1), ne discorreva poi come in luogo più appropriato nell’altro suo lavoro:
siano posti et collocati perpetuamente dodeci fanciulli, i quali non siano minori d’età di anni sei
maxime li sei suoi attinenti et li altri non siano mancho d’età d’anni otto nel tempo che saranno posti
nel colleggio nè possano essere rimossi dal collegio sino a tanto che li sei attinenti d’esso testatore
non saranno pervenuti all’età di anni decesette per caduno di loro, et li altri sei per fin che saranno
di età di anni 17 ognuno di loro salvo se altrimenti non fosse la volontà loro o de’ suoi ‘padri et
parenti, et salvi ancora i casi che qui sotto si diranno. Et perchè esso testatore intende che questo
benefitio sia dispensato secondo l'ordine della charità et della affectione che egli porta a suoi parenti
et a quelli della famiglia sua vuole che indifferentemente ogniuno possa esser assonto a questo luogo
perciò che li magnifici infrascritti esecutori habbiano secondo il buono et retto giudicio loro ad
alloggiarne sei, tre de’ quali siano nobili et tre plebei, originari tutti della città di Vercelli, mentre
poco che siano poveri et figlioli di honesto padre e madre et che essi fanciulli sieno di spirito
capace di virtudi et li altri sei li allogeranno dell’agnazione et cognazione d’esso testatore..... È qui
nuovamente senz’'allusione speciale di parentela, dopo la vocazione dei Dalpozzo di Villanova, accenna
ai Dalpozzo di Biella ed a’ suoi discendenti di sorella. .....In difetto dei chiamati gli esecutori dovevano
eleggere poveri nobili originarii di Vercelli .....e che siano nodriti in collegio, allevati et disciplinati,
e che gli siano insegnate la gramatica et altre lettere di umanità et li principii et fundamenti della
dottrina christiana da uno maestro il quale si deputarà ad arbitrio delli signori esecutori, dato
costumato et di buona vita catolica..... Quanto fosse il Dalpozzo previdente e pratico delle rette ed
acconce norme d'insegnamento lo si vede altresì dalla proibizione al maestro eligendo di darsi ad
altre cure consimili, tolto che col consenso degli esecutori testamentarii, i quali erano .....li molto
magnifici signori regulatori et che intervengono al governo et regimento dell’hospitale grande de
Sancto Andrea et così quelli che sono deputati dalla magnifica comunità di Vercelli, come quelli
che sono deputati per parte del serenissimo signor duca nostro et dell’ill»®° et reverendissimo
signor vescovo di Vercelli..... pregandoli per le viscere del nostro signor Giesù Christo ad avere la
medesima cura del colleggio predetto che haverano dell’hospitale essendo questa così pia et chari-
tativa opera come l’altra...
Prevedendo pur il caso che il collegio erigendo, o per fatto del papa o del duca di Savoia ovvero
del municipio di Vercelli o per qualsiasi altra ragione avesse a cessare, in tal caso gli sostituiva i
canonici regolari di S. Andrea e i frati carmelitani di S. Maria. Finalmente istituiva usufruttuaria
dell’intiera eredità sua madre, ancor vivente, madonna Agnese de Longis da S. Germano (Archivio
dell'ospedale di S. Andrea, da copia, autenticata dal notaio Torda del secolo XVIII.
Il collegio fiorì sino al giorno d’oggi, accresciuto da stabilimenti, anche dall'arcivescovo di Pisa
Carlantonio Dalpozzo, fondatore in questa città del noto collegio puteano, e da lasciti di altri bene-
meriti cittadini, ma fu aggregato al collegio convitto civico, fatto che commenta pure il Dionisotti
con giuste osservazioni.
Morì il Dalpozzo nello stesso anno 1564, e fu sepolto, secondo la sua disposizione, nella chiesa del
Carmine, ora distrutta. Quattr'anni dopo sua madre faceva riporre un quadro della disputa di Gesù,
lavoro del L'anino, con questo distico :
Qui cupit Puteus Franciscus reddere, mater
Eius nunc animae conscia fecit opus 1568.
Nel 1824 nel collegio gli fu posta questa memoria, dataci pure dall’or lodato Dionisotti nei
suoi scritti citati: Francisco Dalpozzo medico vercellensi — MDLXIV — collegii cognominis conditori
— non immemor patria — hune posuit lapidem — MDCCXXIV.
Ma nel 1883 su di un cartello che serve di modiglione al busto in marmo. del Dalpozzo, sulla
porta d’ingresso vennegli dedicata quest’epigrafe, che deggio alla solita cortesia del collega cav. Leone:
Franciscus Dal Pozzo — Vercellensis — cognominis collegium — fundavit dictavit — anno salutis —
MDLXIV — patritio benemerito — patria memor — MDCCCLXXXIII.
(1) Gosù Io. Vincentii Draconeriensis, almae taurinensis universitatis syndici et philosophia ac
medicinae studiosi, tabulae anatomicae ex optimorum auctorum, sententiis memoratue, et dilucida methodo,
selectae et concinnatae..... Alle notizie anatomiche date dal Corradi si può aggiungere, in quanto a
noi, che nel ruolo dei professori dell’Università restaurata da Emanuele Filiberto, fra gli artisti
della sera del 1573 compariva Angelo Visca da Savona, detto l’anatomico, e che giù aveva insegnato
a Mondovì; al 1570 poi risale la spesa fatta dal municipio torinese attorno ad una sala assai
capace per la notomia.
ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 111
Dell’antica autoplastica italiana; Milano, “ Rendiconti dell’ Istituto lombardo ,, 1874.
Il Corradi proponevasi ancora di rinvenire sull’argomento della notomia per dimo-
strare come il tardo risorgere di quella scienza ed il lento suo procedere nel medio
evo, fossero la conseguenza delle miserevoli condizioni in cui giacevano allora gli
studii della scienza della natura, e specie, del vieto pregiudizio, non solo del volgo,
ma di ogni ordine di persone, che vietava di toccare i cadaveri.
Ma è ormai tempo che restringendo a brevi note il molto che vi sarebbe ancor
a dire sulle opere del Corradi, ci limitiamo strettamente ad alcuni scritti di lui, pub-
blicati negli ultimi suoi anni, e che naturalmente presentano interesse storico.
Ancor adolescente il Corradi aveva meditato quel passo del Cabanis (Pietro Gian
Giorgio, il noto amico, e collaboratore ardente di Mirabeau) nei suoi rapports du phi-
sique et du moral de l’homme, ove si diceva che i fondatori di alcuni ordini religiosi
avevano prescritto nelle loro costituzioni, salassi più o meno frequenti, a pro dei
riottosi, e specie dei ricalcitranti alla vita claustrale, perchè fomentati da brame
e da passioni violente insoddisfatto. Ma il Corradi, che giovane dimostravasi qual si
fu d’età attempata, cioè guidato da un principio di giustizia e di equità insite in lui,
volle studiare a fondo l’asserzione spacciata dal seguace degli enciclopedisti, dal
medico filosofo, da tale insomma che era fra gli assidui della brigatella della vedova
del noto Helvetius.
Quindi nel 1887 pubblicava nelle Memorie dell'Istituto Lombardo un suo lavoro
col titolo Della minutio sanquinis e dei salassi periodici. Egli con questa dotta serit-
tura riusciva a mettere in sodo che il minuere monachum, attribuito dal citato scritto
francese, come regola periodica bimestrale presso i certosini per evitarne i furiosi
delirii, non fosse solamente uso dei seguaci di S. Brunone, ma sì della maggior parte
delle comunità religiose, e così dei Benedettini, dei Cluniacensi, dei Canonici regolari,
dei frati predicatori, dei serviti e va dicendo. Anzi egli riesce a provare, che quello
fosse uso seguito dal clero secolare, dai laici, dai principi, e persin dal popolo. L’au-
tore adduce la prova che Federico I (Barbarossa) allorchè nel giugno del 1208 era
| stato assassinato da Ottone di Witelsbach, giaceva in letto in prima die minutionis.
Egli opina che le frasi del minuere monachum, minutio monachi, le quali il Cabanis
volle dare espressioni testuali delle costituzioni monastiche, debbano invece essere
sostituite da quelle di minuere sanguinem, di minutio sanquinis, o perchè quell’au-
tore non aveva nemmen esaminato l’intiero capitolo che lo riguardava, ovvero
perchè aveva pur troppo voluto propalare soltanto quello che poteva acconciarsi ai
suoi fini.
Affine all'argomento trattato era quello che il Corradi svolgeva qualch’anno
dopo, perchè il salasso fosse già pena militare ignominiosa, dissertazione che vide la
luce nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Bologna. Ancor qui il Cor-
radi da un’annotazione di Aulo Gellio nelle sue motti attiche, in cui propugnava la
. sentenza che il salasso fosse pei soldati pena ignominiosa, riuscì mercò la profonda
sua erudizione a snebbiare quel punto.
Egli prova pertanto che era piuttosto la punizione morale che produceva il
salasso, cagionando un riposo forzato che confinava il salassato fra le turbe imbelli,
a cui non rimaneva, come ai pusilli di Orazio, che di nascondersi e piagnucolare fra
le gonne delle cortigiane.
112 GAUDENZIO CLARETTA
Altro lavoro assai in relazione colla storia è quello comparso nelle stesse me-
morie dell'Istituto lombardo: Degli esperimenti tossicologici in anima nobili nel cinque-
cento. Ma siccome i principi di Savoia non potevansi paragonare a molti dei sovrani
italiani di quell’età, così indarno si ricercherebbero alla Corte loro esempi di vittime
sacrificate per la salute di fortunati gaudenti e di medici che si fossero prestati ad
essere strumento di simili sacrifizi. Quindi nessun cenno evvi di noi in questo scritto
del Corradi.
Non è il caso che troppo io m’abbia ad intrattenere del lavoro prettamente storico
che, a nome del Corradi, or fanno due anni, io leggeva alla Classe di quest’Acca-
demia intorno alla relazione del sacco di Roma del 1527 del commissario imperiale Gian
Bartolomeo Gattinara. E basterà avvertire, che facendo egli svanire i dubbi lasciati
da precedenti scrittori che avevano discorso di quella relazione, riusciva ad assodare
con prove irrefragabili, esserne autore Gian Bartolomeo Gattinara reggente di Napoli,
non però nipote, come fu scritto, ma consanguineo del gran cancelliere di Carlo V,
Mercurino Gattinara (1).
Non vi è stupire che il Corradi, bibliografo intus et in cute si fosse anco applicato
a questo genere di erudizione così praticamente utile. Quindi, sin dal 1859 egli di
compagnia dei professori Brugnoli e Taruffi aveva fondato in Bologna un giornale
di bibliografia italiana delle scienze mediche. E così preludiava fra noi la costumanza,
già invalsa in Germania, di agevolare agli studiosi la conoscenza bibliografica.
Donde la parola Calamita ! Questa Memoria letta all'Istituto Lombardo fu il canto
del cigno del nostro autore, che la compilò poco prima del suo dipartirsi di quaggiù.
Nel raccoglier i materiali per la storia della farmacologia, specialmente in Italia, il
Corradi aveva dovuto intrattenersi specialmente della magnete. Nell’imbattersi in
quella pietra lapis magnetis egli erasi fatta l’obbiezione, perchè da secoli essa venisse
chiamata Calamita. E secondo il suo sistema egli svolge ampiamente quel dubbio col
sussidio degli argomenti tratti dalla letteratura, riuscendo a darci per intiero la
genesi di quel vocabolo, e la varia fortuna che subì nel corso dei secoli.
Il Corradi erasi applicato ugualmente a far conoscere epistolari, tratti poco noti
della vita d’insigni cultori delle scienze della natura e mediche. Quindi, oltre a quelli
del celebre Lazzaro Spallanzani, serbati nella biblioteca comunale di Reggio Emilia, si
intrattenne del non men celebre Giambattista Morgagni, di cui cominciava a dare
nel 1874 — Atti dell'Istituto Lombardo — l'indice dei consulti inediti. E volle altresì
pubblicare le lettere del Lancisi e del Morgagni, che illustrò con note dottissime.
E rinviando alla compiuta bibliografia Corradiana (regalataci dal dottor Luigi
Mazzotti nella citata sua necrologia letta alla Società medica chirurgica di Bologna,
che fa salire a ben 157 gli scritti del nostro professore), quanti abbiano vaghezza
di esserne pienamente informati, riuniremo in poco quel che ci rimane a dire a con-
clusione di questa notizia.
Era troppo giusto, che colui il quale era concorso a costituire un patrimonio
(1) Nel testamento 23 luglio 1529 uno degli esecutori testamentari fu appunto eletto da lui...
“ Johannem Bartholomeum de Gattinara mihi consanguineum, juris utriusque doctorem ac militem
Caesareae Majestatis Consiliarium, regentemque Cancellariam Coronae Aragonum, ... ,. E così ri-
mane provato che il Gian Bartolomeo non era nipote del gran cancelliere,
ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 113
di tanto momento per la scienza .dovesse in qualche guisa venire corrisposto dalle
pubbliche podestà e dalle scientifiche congregazioni.
Già superiormente abbiamo accennato alle onorifiche attestazioni ricevute dal
Corradi (1). A queste vuolsi aggiungere che ragguardevoli istituti scientifici gareggia-
rono ad aggregarlo a loro, tali citiamo l’Istituto Lombardo nel 1865, che nel biennio
1886-1887 lo innalzava al grado di suo presidente; la Reale Accademia delle Scienze
dell’Istituto di Bologna parimenti ammettevalo tra i suoi soci corrispondenti; dicasi
lo stesso delle regie deputazioni di storia patria della Romagna, delle antiche pro-
vincie piemontesi e della Lombardia, della nostra Accademia, di quelle di Modena,
Padova e delle principali Accademie di medicina, italiane e straniere.
Ned il Governo ometteva di affidare a così erudito e passionato cultore d’Igèa
a quando a quando l’incarico di rappresentarlo , od in avvenimenti solenni, od in
congressi internazionali; e così per tale riguardo fu nel 1882 inviato a Ginevra, nel
1884 all’Aja, a Vienna nel 1887, e nel 1890 a Londra. Ma a riguardo del Congresso
d'Inghilterra, che fu l’ultimo, a cui egli prese parte, nella funzione della seduta di
apertura al cospetto del presidente onorario, il principe di Galles, il Corradi pro-
nunziò il suo discorso, nel quale ebbe anche mezzo d’intromettere il Piemonte, ac-
cennando a quel luminare della chiesa, che fu S. Anselmo d'Aosta, restauratore nell’ XI
secolo degli studii a Cantorbery (2).
Di quell’assemblea di dotti il Corradi doveva portar seco dolce rimembranza,
poichè non molto appresso ei veniva nominato honoris causa dottore dell’Università
di Cambridge, e poteva indossare nell'atto del conferimento di quel grado gli ele-
ganti paludamenti che gli inglesi, per quanto patrocinatori per eccellenza delle più
liberali istituzioni, hanno sempre saputo conservare, persuasi come anche la semplice
forma e l’esteriorità, ancorchè sieno meri accessorii, possono giovare talora alle cose
principali e sostanziali, ed a mantenere quella grave serietà, quel prestigio che una
volta, o perduti o depressi, non è poi cotanto facile di reintegrare.
Ma chi in quel momento di festosa accoglienza avrebbe potuto imaginarsi mai
che quell’elegante toga di seta scarlatta, quell’originale pileo in velluto nero, in
men di due anni dovessero ornar la bara dei suoi funerali! Eppure era così: sor-
preso da gagliardo morbo, in pochi giorni colui, che la dignità del carattere e la
(1) Quasi tutti i biografi del Corradi vollero tenere in conto le onorificenze che egli aveva avuto
dal governo. Ma non bisogna dissimulare, che se forse quelie più degne avrebbero potuto coronare
col tempo la sua veneranda canizie, egli non avevale ancora ricevute, quantunque vi potesse aver
diritto, e per la specialità, mole ed importanza de’ suoi lavori; e che con poca verecondia invece
si vedono talora prodigalizzate ad arcimediocri e poco noti.
(2) Grazie alle premure del figlio del Corradi, dottore Augusto, già dirctiora del R. Liceo di
Macerata, ed ora preside del R. Liceo-Convitto nazionale di ‘Correggio, sono in grado di qui pub-
blicare il suo discorso, non conosciuto tra noi.
“ Altezze Reali, Signore e Signori,
“ Porto gli omaggi ed i saluti dell’Italia. Antichi sono i vincoli che uniscono la mia patria
all'Inghilterra, e sono i più durevoli perchè della scienza. Lanfranco di Pavia e Anselmo d'Aosta
“ ristaurarono nell'XI secolo gli studi a Cantorbery, e fra gli scolari delle nostre Università pren-
“ deva parte la nazione anglicana. Ma già maestro Roberto d’Anglia era tra rettori che aprivano
“ nel 1205 nuova Università a Vicenza, emigrando da Bologna, dove poc’anzi il poeta Gualfrido
Serie II. Tom. XLIV. 15
(13
114 GAUDENZIO CLARETTA — ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI, ECC.
nobiltà dell'ingegno fecero venerando, chiudeva serenamente l’operosa sua vita, assi-
stito dai suoi cari e dalla numerosa clientela dei suoi famigliari, il 28 novembre
1892, fra il rammarico dei suoi pavesi, che seppero piangerlo e amarlo quasi citta-
dino e comune amico. E siccome a sua volta egli era stato ottimo figlio, così venne
corrisposto; e suo figlio Augusto sovra memorato si propone quanto prima di dare
alla luce il volume ultimo degli annali delle epidemie, al quale precederà la degna
commemorazione del rimpianto suo genitore.
L'arte salutare che scruta il corpo umano, or nello stato naturale, ora infermo,
che quando ne previene i mali, ‘quando li espugna, e che ha come fide ‘ancelle ‘e
ministre parecchie altre facoltà od arti, trovò pertanto nel Corradi un largo esposi-
tore od illustratore, la cui fama rimarrà saldata alla storia della medicina.
Ed io sono lieto di essere nel confine consentito, disseppellenido dai monumenti
meno a conoscenza del pubblico, ove si conservano le principali opere del Corradi,
concorso a far conoscere la benemerenza che si ebbe questo valentuomo, ‘e special-
mente la gratitudine che deggiono al Corradi, medico, anche i cultori delle storiche
discipline.
In tal guisa io ho adempiuto il meglio che per me fu possibile al cortese man-
dato avuto dall’onorevole nostro presidente, officio che le mie forze mi avevano
tenuto un momento in dubbio di dovere accettare, ma da cui non volli poi esimermi,
per aver l’occasione di rinverdire la memoria di uno scienziato, ‘che non ebbe ‘altra
ambizione fuorchè quella propria del suo stato, che non ottenne altri successi fuorchè
quelli dovuti ai suoi ‘meriti, e frutto della diuturna sua applicazione al lavoro. E tale
semplicità di vita, tale rettitudine di agire, hanno gran valore al momento d’oggi,
al cospetto dei raggiri, delle aspirazioni ambiziose di coloro che vivono in uno stato
morboso e di agitazioni. Sia dunque l’esempio del Corradi proposto ai giovani in
ispecie, che dovranno riconoscere in lui il iustum et tenacem propositi virum del poeta,
sprone a temprar l'intelletto a cose ‘stabili ed utili.
aveva insegnato con grande plauso umane lettere, e dove poco a presso Alano, il dottor universale,
rendeva famosa la cattedra di diritto ‘canonico. Gli ‘insegnamenti e le discipline ‘delle ‘scuole ita-
liane entravario condiscepole, fatte maestre in Oxford'e Cambridge, e la tradizione si mantenne. Ma
se questi erano vincoli di consuetudine, uno più intimo seguiva nel seicento Guglielmo Harvey che
riuniva indissolubilmente nel campo della scienza il nome delle due nazioni, poichè egli dava la
dimostrazione di un fatto di cui nelle nostre Università e particolarmente nella scuola anatomica
di Padova ‘trovava i principii fondamentali, ma dalle prove parziali dai concetti slegati-od ‘incerti
ei traeva fuori un intiero sistema, nel quale tutto è connesso ‘nella grandiosa semplicità. La
scoperta della circolazione del sangue è la più solenne testimonianza che altri inaugura le grandi
cose, altri le compie. L’insigne avvenimento segna uno dei maggiori momenti nella storia delle
scienze oltre che per il fatto in sè e per il nuovo ‘spirito ‘che infondeva nella ‘biologia, nella
quale ha fondamento l’igiene. Pertanto ‘il ricordare qui il nome del ‘medico di Folkestone ‘e del
vetusto Ospedale di S. Bartolomeo, dello Stator perpetuus del ‘Collegio medico di Londra è bene
auspicare del VII congresso internazionale d’igiene. La gloria di Harvey rifulge sopra i suoi
precursori e i suoi maestri; il saluto a lui è saluto insieme all'Italia ed all’Inghilterra le quali
nel celebrare il nome immortale affettuosamente si ‘congiungono .,.
e ea Pernioe
APPUNTI
DAL
CODICE NOVALICIENSE
DEL
“ MARTYROLOGIUM ADONIS,,
MEMORIA
del Socio
CARLO CIPOLLA
Approvata nell’ Adunanza del 4 Marzo 1894.
L'illustre Guglielmo Wattenbach (1)-segnalava parecchi anni or sono quei codici
della raccolta Hamilton, passata alla biblioteca di Corte di Berlino, i quali hanno
interesse storico. Fra questi indicò, sotto il n. IV, un Martyrologium Adonis, ch'egli
attribuì al sec. XI. Così comportandolo la natura delle sue note, egli registrava sec-
camente quel manoscritto, senza ulteriori osservazioni.
Più tardi Carlo Miller (2), persona ben conosciuta per le sue ricerche sulla
storia ecclesiastica medioevale, parlò con qualche maggiore larghezza di questo me-
desimo manoscritto, del quale egli diede una descrizione un po’ meno sommaria, e
determinò ch’ esso proviene dalla Novalesa. Avendo egli segnalato un cenno bio-
grafico intorno a S. Eldrado, datoci da una postilla marginale del codice, questa
circostanza offrì materia ad una brevissima nota del ch. prof. E. Bresslau (3), il quale
consigliò di confrontarla colla vita che di quel santo fu pubblicata negli Acta Sanctorum.
Era naturale che, occupato da parecchi anni nella ricerca delle più antiche
notizie del monastero Novaliciense, desiderassi di vedere quel manoscritto. Per somma
cortesia dell’illustre dott. R. Wilmans, prefetto della reale biblioteca berlinese, il codice
mi fu trasmesso a Torino, e quivi depositato nella biblioteca nazionale-universitaria.
Le piè vive grazie debbo al Wilmans per tanta larghezza. Ed obbligatissimo mi dico
ancoru al dott. A. Frassati il quale, nel suo soggiorno a Berlino, trattò di questo
(1) Neues Archiv, VIII, 329.
(2) Kirchengeschichtische Handschriften in der Hamilton Sammlung, in Zeit. fùr Kirchengesch., VI,
2, 253-6.
(8) Neues Archiv, IX, 244.
116 CARLO CIPOLLA
prestito col Wilmans stesso; nonchè al ch. cav. dott. Francesco Carta prefetto della
biblioteca nazionale Torinese, il quale ricevette in deposito il codice, e con ogni
maniera di cure e di cortesie me ne facilitò lo studio.
Così sono in grado di comunicare intorno al medesimo qualche notizia, raccolta
non tanto collo scopo di precisare il valore del codice riguardo al testo del marti-
rologio di Adone, quanto per trarne qualche raggio di luce a chiarire la storia let-
teraria della Novalesa.
Il manoscritto (1) si compone di 128 fogli pergamenacei, dei quali i due primi e
i due ultimi sono fogli di guardia; sopra di essi stanno scritte alcune note, che non
hanno alcuna relazione col corpo del volume, il quale dunque è costituito dei fogli
3-126. Anzi il testo di Adone non comincia che col verso del f. 3, la cui faccia
recto, originariamente bianca, venne poscia riempiuta con altra notazione estranea
al testo stesso.
Il
Cominciamo da un cenno sul contenuto del corpo del codice. Questo si divide
in due parti, in quanto è scritto da due mani, siccome meglio si dirà a suo tempo.
La prima comprende i fogli 3 v—90 ».
Fol. 3 v. Didascalia in rosso, in carattere capitale rustico: QVO GENERE VEL
CVLTV SCI MARTYRES VENERANDI SVNT; || EX LIBRIS BEATI AVGVSTINI
EPISCOPI. Segue il testo in minuscolo, che principia: “ Populus christianus me-
morias — ,.
Fol. 4 r, al fine. Didascalia in rosso, in capitale rustico: YMNUS SCI AMBROSII.
IN LAVDE SCORVM MARTYRV. Testo in minuscolo. Il testo principia al f. 4
con: “ Aeterna Christi munera — ,.
Il testo del martyrologium principia solo al fol. 4 v, colla didascalia, pure in
rosso e in rustico: INCIPIT LIBELLVS DE FESTIVITATIBVS APLO9% ET RELI-
QVO% QVI DIS | PVLI (sic) AVT VICINI SVCCESSORESQ: IPSO% APLO%
FVERVNT.
Avverto che la F ha il tratto orizzontale superiore, piegato in alto così da
sorpassare il livello delle altre lettere; essa è quindi una F onciale.
Dopo questa didascalia ha tosto principio il testo, e cioè:
III KL IVL Rome. Natalis beatorum apostolorum — (= Martyrologium ADonIs,
ed. Domenico Grorgi, Romae 1745, vol. I, p. XLI). La datazione e la R di Roma, sono
in rosso, e in capitale rustico. E questo è il sistema adottato in tutto il testo. Dopo
il tratto dedicato alle commemorazioni apostoliche, al fol. 14 + leggesi pure in ca-
rattere rustico e di tinta rossa: FINIT LIBELLVS PRIMVS. Quindi cominciano
le commemorazioni dei santi a partire da S. Giovanni Battista, cioè dal 24 giugno:
(1) La sua magnifica rilegatura è del tutto moderna,
e Me er De _———_—______ É_mm_—t@€ et e
____—_—————
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL © MARTYROLOGIUM ADONIS » 117
“VII Kl. ivl. ,, ma senza alcuna didascalia. Al fol. 17 r, col titolo in rosso e in
capitale rustico LETANIAE INDICENDAE. MENSIS IAN. HABET DIES XXI.
LVNA XXX (= ediz. citata, p. 15). Il febbraio (fol. 26 è = ediz., p. 75), il marzo
(fol. 32r = ediz., p. 108), l'aprile (fol. 37r = ediz., p. 142), il maggio (fol.42r = ediz.,
p. 179), il giugno (fol. 52 v = ediz., p. 248), il luglio (fol. 65 v = ediz., 309), e
l’agosto (fol. 75 v = ediz., p. 367) ha simiglianti didascalie. Col fol. 90 +, sotto:
“ VII KI. sept. , (vita di S. Genesio martire) e precisamente alle parole: “ — et an-
gelos Dei , (= ediz., p. 424, lin. 22) cessa la mano (A) di quell’amanuense, che scrisse
il libro presente fino dal suo principio.
Col fol. 91 » principia un altro carattere (B), assai meno elegante e regolare.
Nel testo rimane una lacuna fra la prima mano e la seconda, poichè il fol. 91 ,
comincia con: “ XII kl. oct. ,, e colla vita dei Ss. Giustina ed Evilasio , (= ediz.,
p. 484). Mancano dunque, oltre ad una parte del 25 agosto, i giorni 26 agosto—19 set-
tembre.
Le didascalie premesse ai mesi di ottobre (f.94v= ediz., p. 509), novembre (fol. 106 r
= ediz., p. 555), e dicembre (fol. 119 v = ediz., p. 608) sono conformi a quelle
provenienti dalla mano A, quantunque, com'è facile pensare, assai più rozze. Il
martirologio ha termine al fol. 126 v colle parole: “ — ad eius tumbam miracula
creberrime fiuNT EXPLICIT , (= ediz., p. 636). Quello che ora abbiamo notato
sulle didascalie prova che esse non provengono tutte da una mano dal principio al
fine del codice, così che si possa supporle aggiunte da un medesimo scrivano nelle
parti lasciate vuote dalle due mani che trascrissero il testo del Martyrologium; ed è
anche questa una circostanza degna di considerazione. ò
Vuol essere rilevato che fra il fol. 92 e il fol. 93 non c’è continuazione nel testo.
Verso la fine del f. 92 verso comincia il giorno “ VIII kI. oct. , (= ediz., p. 491),
mentre al fol. 93 r termina il giorno: “ IM KI. oct. , (= ediz., p. 503). Mancano dunque
i giorni 24-28 settembre, la fine del 23 e il principio del 29 del mese stesso.
Il nostro testo non è gran fatto diverso da quello pubblicato dal Giorgi, e che
egli ricavò dal confronto fra la lezione volgata ed alcuni mss. di età diverse. E coi
mss. di lui il nostro codice si accorda più che colla volgata.
Le differenze fra il nostro testo e l’edizione citata consistono piuttosto in ommis-
sioni, che in aggiunte; e le ommissioni sono più volte supplite dalle postille, le quali
talora dànno anche più che non l’ edizione stessa. In qualche caso abbiamo scam-
biato l'ordine di qualche commemorazione. Di queste diversità sarà bene dare un saggio.
Fol. 7 x, 28 ott. (ediz., p. xLi) nel ms. il tratto finale della commemorazione
dei Ss. Simone e Giuda, cioè Quod quidam putant, non si trova nel testo, ma gli fu
aggiunto in postilla. Al fol. 16 + (ediz., p. 7), sotto il 26 dicembre, nel ms. la com-
memorazione di papa S. Zosimo precede, e non segue quella di S. Stefano. Fol. 16r
(ediz., p. 8), sotto il 27 dicembre, la commemorazione di S. Giovanni Evangelista
segue e non precede la commemorazione di S. Dionisio. — Fol. 16 v., sotto il 29 dic.
(cfr. ediz., p. 10), il ms. (e si accorda coi mss. del Giorgi) tralascia S. Crescenzio disce-
polo di S. Paolo apostolo. — Fol. 17, 31 dic. (cfr. ediz., p. 13) nel ms. la commemo-
razione di S. Silvestro papa si arresta a: “ —et cessauit episcopatus eius dies XV ,,
mentre nell’ediz. prosegue ancora, Sedit autem, ece., con un lungo tratto, la cui ultima
parte (“ Hic constituit — diaconorum ,) si trova nel codice aggiunta di mano del più
118 ‘CARLO CIPOLLA
antico postillatore (a), con questo peraltro che la postilla continua ancora con alcune
linee, mancanti nella citazione edizione del Giorgi, e cioè: “Et constituit ut nullus
clericus propter causam quamlibet in curiam introiret. nec ante iudicem causam
diceret nisi in ecclesia et altaris sacrifitium in syndone linea celebrare ,. — Fol. 19 7,
3 genn. (cfr. ediz., p. 23) il nostro codice termina la commemorazione di S. Antero
papa con: “ — via Appia ,. Il Giorgi, avvertendo pure che anche i suoi mss. si ar-
restano a quel punto, dalla lezione volgata accetta un'aggiunta: “Hic gesta — recon-
didit ,. Questo brano fu aggiunto nel nostro ms. dal postillatore (a), che lo fece
seguire dalle parole: “ propter — coronatus est ,. — Fol. 197, 3 gennaio, manca la
commemorazione di S. Florenzio, vescovo di Vienna. Il Giorgi (p. 23) la reca, ma sol-
tanto sulla fede della volgata. — Fol. 19, 5 genn., il tratto “Hic constituit — dice-
retur,, dato dal Giorgi (p. 28), ma solamente sulla fede della volgata, è tralasciato
dal nostro testo, ma aggiunto dal più antico postillatore (a). — Fol. 20%, 10 genn.,
manca il ricordo del martire S. Ermete, dal Giorgi (p. 38) dato solamente in base
alla lezione volgata. — Fol. 217, 13 genn., manca la commemorazione di S. Vero
vescovo di Vienna (ediz., p. 40).
Ivi stesso, e sotto il medesimo giorno, leggesi il seguente tratto, che manca al
Giorgi; avverto che sotto il dì seguente, 14 gennaio, il ms. dà la vita di S. Felice
di Nola, in modo rispondente all’ediz., p. 41.
“Item apud nolam beati Felicis episcopi qui passus est VI kl. augusti qui magnis
miraculis clarus Archelaum presidem ad fidem Christi cum multitudine populi con-
uertit, et post flagella et ignes. post uncinos ferreos in lateribus infixis et diu sus-
pensus, et iterum grauissime cesus. postquam in fouea infossus ibique acutissimis
et ualidissimis palis infixus, ad ultimum gladio percussus martyrium consummauit.
Cuius memoria in hac die ab ecclesia caelebris agitur. Beati Remigii episcopi et con-
fessoris qui gentem barbaricam francorum primus perduxit ad fidem catholicam ,.
Fol. 22r, sotto il 19 gennaio, manca il ricordo di S. Caeldo vescovo di Vienna,
tralasciato del resto anche dai mss. usati dal Giorgi (ediz., p. 42). — Fol. 220,
sotto il 17 gennaio manca la commemorazione di S. Sulpicio vescovo (ediz., p. 48).
— Fol. 24v, 22 genn., il nostro ms. ha il ricordo dei martiri Vincenzio, Oranzio
e Vittore, che il Giorgi (p. 58 — cfr. ivi, Append., p. 637) non inserì nel suo testo,
quantunque lo trovasse nei suoi mss. — Fol. 26r, 26 gennaio, commemorazione di
S. Sulpizio vescovo, mancante nell’ ediz. (p. 65) (1). — Fol. 26%, 1 febbraio, nel
ms. manca S. Ignazio (p. 75). — Fol. 27r, 3 febbr., su rasura, in minuscolo roton-
deggiante: “ Eodem die in Sebastea ciuitate passio sancti Blasi episcopi et mar-
tyris ,. Nell’ed., p. 79, la commemorazione è data, in compendio, da un ms. Giorgi;
un altro la rimanda al 4 febbraio. — Fol. 28 v, 10 febbraio, nel ms. abbiamo la
commemorazione di S. Scolastica, tralasciata nell’ediz., p. 86, ma offerta al Giorgi
da mss. (efr. ivi, Append., p. 638). — Fol. 30 è, 22 febbr., nel ms. è ommesso $. Pa-
scasio vescovo di Vienne (ediz., p. 99). — Fol. 84, 15 marzo, nel ms. manca S. Za-
caria papa (p. 122) — ivi, 16 marzo, nel ms. manca S. Ilario vescovo di Vienne (p. 124).
(1) Non è identica a quella che poc'anzi vedemmo invece data dall'edizione e taciuta dal
nostro ms.
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL ‘ MARTYROLOGIUM ADONIS » 119
— Fol. 35r, 20 marzo, il ms. aggiunge S. Archippo, del quale tace bensì il testo edito
(p. 128), ma il G. lo trovò in altri mss. (cfr. ivi, Append., p. 639). — Fol. 36 r,28 marzo,
nel ms., sotto S. Sisto papa, manca il tratto Hic criminatorem, che fu aggiunto in mar-
gine (ediz. p. 137). — Fol. 39, 17 aprile, nel ms. manca S. Pantagato vescovo di Vienne
(ediz., p. 160, manca in mss. veduti dal Giorgi) — ivi, 18 aprile, manca S. Ursmaro
vescovo (ediz., p. 161). — Fol. 40r, 22 aprile, nel ms. manca $S. Giuliano vescovo
di Vienne (ediz., p. 167). — Fol. 40%, 25 aprile, nel ms. manca S. Chiarenzo ve-
seovo di Vienne (ediz., p. 171). — Fol. 47r, 10 maggio, nella vita di S. Epimaco il
ms. tralascia il tratto finale Hic Epimachus (ediz., p. 202), che viene poi aggiunto in
postilla (a). — Fol. 48, 11 maggio, il ms. (con uno dei codici Giorgi) aggiunge: “ Eodem
die sancti Maloli abbatis ,. A scanso d’equivoci, aggiungo che il ms. conserva $S. Ma-
merto vescovo di Vienne (p. 205). — Fol. 49%, il ms. trasporta S. Peregrino vescovo,
con S. Calidiano e con S. Massimo, dal 16 al 17 maggio (ediz., p. 215) (1). — Fol. 49%,
il ms. trasporta S. Torpete dal 17 al 18 maggio; siccome poi la sua commemora-
zione finisce (fol. 507) dicendo che la sua festa scadeva: “ XVI KI. iun. , (= 17 giugno),
così queste ultime parole furono poi raschiate (ediz., p. 217). — Fol. 52%, 1 giugno, nel
ms. si ommette tanto S. Nicomede, quanto S. Claudio vescovo di Vienne; quest’ultimo
è tralasciato in due mss. del Giorgi (ediz., p. 243). Il primo è aggiunto dal secondo
postillatore (B). — Fol. 61, 14 giugno, nel ms. manca S. Eterio vescovo di Vienne,
tralasciato anche nei mss. del Giorgi (ediz., p. 274). — Fol. 163r, 25 giugno, nel ms.,
alla commemorazione di S. Sosipatro, segue, e incontrastabilmente di prima mano:
“ Eodem die apud Italiam ciuitate Taurinis sancti Maximi episcopi magni doctoris et
preclarissimi viri .,. Nulla di ciò presso il Giorgi (p. 292). — Fol. 65, 27 giugno, nel ras.
manca il cenno ai sette dormienti, tralasciato anche dai mss. del Giorgi (ediz., p. 299).
— Fol. 65, 1 luglio, nel ms. manca S. Martino vescovo di Vienne, che non trovasi
neanche nei mss. visti dal ‘Giorgi (ediz., p..309). — Fol. 67%, 6 luglio, nel ms.
manca .S. Goaro (ediz.. p..318) — ivi, 7 luglio, nel ms. manca S. Evoldo vescovo di
Vienne, che non trovasi neanche in due mss. del Giorgi (p. 320). — Fol. 69%, nel
ms. si trasporta S. Pio I papa dall’11 al 12 luglio; sotto l’11 è tralasciato in cod.
Giorgi (p. 331) — ivi, 13 luglio, nel ms. trasportasi dal 12 al 13 luglio la comme-
morazione :di S. Cleto papa; nei codd. Giorgi manca (p. 333). — Fol. 70, 13 luglio,
nel ms. manca S. Silea ((ediz.,.p. 335) — ivi, 16 luglio, in fine a questo giorno nel
nostro ms. una mano del sec. XII ex., che volle imitare il carattere del testo, ag-
giunse: “Apud Antiochiam natalis sanctorum martyrum Cyrici et Tulite matris eius ,.
Manca questo nell’ediz. (p. 339), ma mon è che la ripetizione di quanto era stato detto
sotto il 16 giugno (fol. 600 = ediz., p. 278). — Fol. 70 è, 19 luglio, nel ms. manca
il ricordo di S. Epafra (ediz., p.342). — Fol. 73r, 24 luglio, nel ms. la commemo-
razione di S. Cristina è trasportata dopo quella di S. Vittore (p..350). — Fol. 73%,
25 luglio, nel ms. mancano S. Germano e S. Glodesinda. Quest'ultima santa viene
tralasciata anche ;dai .codd. visti dal Giorgi (ediz., p..352). — Fol. 78 è, 3 agosto, in
(1) (E ciò ‘per ‘un errore ‘materiale. L’amanuense che ‘scrisse il testo in nero, prima della com-
memorazione di questi santi, lasciò inavvertitamente uno spazio bianco, che fu quindi supplito ‘in
rosso colla indicazione del giorno successivo. Il primo errore fu causa del secondo, riguardante
S. Torpete.
120 CARLO CIPOLLA
fine al testo di questo giorno, nel nostro ms. segue di prima mano, tranne le parole
che scrivo in corsivo, le quali furono aggiunte da uno scriba pure del tempo :
“Apud Nouariam transitus sancti Gaudentii magni episcopi et confratris ,. Nulla di
tutto questo trovasi presso il Giorgi (p. 375). — Fol 86r, 11 agosto, nel ms. il
testo di questo giorno finisce con: “Apud castellum Ebroas sancti Taurini ,. Una
commemorazione di questo santo, sebbene espressa in forma differente, trovavasi in
alcuni dei mss. visti dal Giorgi (p. 397). — Fol. 89 è, 20 agosto, finisce commemo-
rando S. Filiberto abbate, del quale, sebbene con parole mutate, parlano i mss. del
Giorgi (p. 415).
Sotto il 25 agosto, “ VII kl. sept. ,, alla vita di S. Genesio martire, e preci-
samente alle parole: “— et angelos dei , (= ediz. Giorgi, p. 424, lin. 22), colla fine
del fol. 90 è, termina la prima mano. Col fol. 91», principia la seconda mano, che
segue fino al compimento del testo, fol. 126 ».
Fra il fol. 900 e il fol. 91r non c’è continuità. Quest'ultimo comincia col 20 set-
tembre, “XII KI. oct. ,, (= ediz., p. 484), alla vita di S. Giustina e di S. Evilasio.
Continueremo il nostro confronto sommario, per notare quelle diversità che possono
aversi per caratteristiche.
Fol. 91 », 21 sett., il ms. tralascia la commemorazione di S. Alessandro vescovo
(ediz., p. 485).
Tra il fol. 92 v e il fol. 93r abbiamo una nuova lacuna. Su quello infatti prin-
cipia il testo del giorno 23 sett. (ediz., p. 491), mentre su questo vediamo terminare
il testo del 29 di detto mese (ediz., p. 503).
Fol. 950, 2 ottobre, il ms. ha la commemorazione di S. Eusebio papa, somiglian-
temente all’Append. di Adone, ediz. Giorgi, p. 643, col. 2. — Fol. 987, 8 ottobre, il ms.
tralascia S. Simeone, di cui tacciono alcuni codd. del Giorgi (ediz., p. 520) — Fol. 98r,
9 ottobre, il ms. menziona S. Gereone ed altri martiri Tebei, che l’ediz. (p. 523) men-
ziona al 10 seguente. — Fol. 104r, 27 ott., il ms. non ricorda la vigilia dei santi
Simone e Giuda (ediz., p. 548). — Fol. 105 r, 29 ott., il ms. tralascia S. Teodario
abbate (di Vienne) (ediz., p. 551). — Fol. 107%, 3 nov., il ms. non ricorda S. Uberto
vescovo (ediz., p. 561; manca in alcuni codd., del Giorgi). — Fol. 109, 10 novembre,
nella vita di S. Martino papa nel codice si abrasero le ultime parole multis in codem
loco, ecc. (ediz., p. 571). — Fol 111, 17 nov., il ms. tralascia S. Aniano vescovo
di Orléans (ediz., p. 582).
Il testo ms. termina, 23 dic., fol. 126, colle parole: “— ad eius tumbam mira-
cula creberrime fiunt. Explicit , (= ediz., p. 636).
Il testo del ms. non è molto corretto; se ciò può affermarsi tanto della prima,
quanto della seconda mano, è vero peraltro che assai più trascurata è quest’ultima.
Ma neanche la prima è corretta. Specialmente certe parole di non chiaro signi-
ficato, sono state alterate dal trascrittore, il quale qualche volta corresse poi sè
medesimo. Abbiamo anche alcune correzioni di altra mano, più o meno contempo-
ranea. Così, per e., dove l’ediz. (p. 391) legge: “Mea, inquit Laurentius, nox — ,, il
nostro ms. aveva soltanto: “ Mea inquid nox — , (fol. 83). Mancava il nome del
santo, e il correttore ve lo aggiunse, ma distendendo la frase: “ Beatus Laurentius
dIXI6S*
Alcune pagine sono più corrette e altre meno. Abbastanza scorretta è la pagina
Tiara Sai oli
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL ‘ MARTYROLOGIUM ADONIS » 121
recto del fol. 5, dove notai: “canonici (ediz., p. xLt: catholicae), auctor (Actorum),
Preter (Praeterea), et que (ea quae), Deo migrauit (commigrawuit),. In questi luoghi
| l'edizione ha sicuramente ragione.
Nella seconda parte del codice (fol. 91r —126%) l’opera de’ correttori è anche
maggiore. Nè senza motivo, poichè qui fu alquanto trascurato il primo amanuense,
il quale mostra di avere inteso assai poco il suo esemplare.
Insieme con questo cenno alle correzioni voglionsi qui ricordare alcuni supple-
menti o varianti.
Al fol. 62 avvenne, nel campo dello scritto, una rottura della pergamena, con
perdita di un brandello della medesima. Una mano (del periodo che corre tra la fine
del sec. XI e il principio del XII, ma più probabilmente del sec. XI), con inchiostro
alquanto colorito, supplì le parole o le lettere perdute (1).
Le varianti sono poche. Sembrano della stessa mano, e questa forse identica
o almeno contemporanea a quella del testo, quelle che si leggono ai foll. 20r e 46r.
Nel primo caso, 9 gennaio, il testo ha: “seruabant circiter XX commoti et timore
perculsi,; var. in margine: “ alias et stupore ,. Nell’ediz., p. 36: “servabant, circiter
viginti, commoti, et stupore perculsi,. Nel secondo caso, 6 maggio, il ms. reca :
“ dignam memoriam et pro fide catholica constantiam ,; e in margine: “apostolica ,.
Nell’ediz., p. 194: “ et pro fide apostolicam constantiam,. Di mano diversa, e colle
lettere ad angoli più acuti è la variante che si legge al fol. 1210, 4 dicembre (ediz.,
p. 613); dove il testo ha: “ gallienus dixit olympio: Adhuc quidem differo poenarum
tibi inferri supplicia, quia de sua constantia dubius non sum ,, sul margine, richia-
mata col ripetuto segno y alla voce “ constantia ,, leggesi la variante “ uel con-
scientia ,.
Qui potrebbero trovar posto alcune spiegazioni marginali. Noto, fol. 497,
14 maggio, che le parole: “ Natalis Uictoris et Coronae , (ediz., p. 212) sono contrasse-
«gnate da questa indicazione ad essa sovrascritta: “Sanctorum martyrum ,, di mano
poco posteriore al testo. Al fol. 71 è, 23 luglio: “ Natalis sancti Apolenaris episcopi ,
(ediz., p. 347), e sulla prima voce, di mano presso a poco contemporanea, ma diversa
da quella che fece la nota interlineare or ora indicata, leggesi: “passio ,.
Trascuro alcuni numeri che talvolta si trovano sui margini e servono a dividere
in capi il testo relativo. Anche questi, e non sono tutti della stessa età, servono a
dimostrare l’uso continuo, che si faceva del presente libro.
(1) Ecco infatti in qual modo furono eseguiti i necessarì supplementi. Faccia reeto, lin. 5: “ — et;
hymnis Zaudantes Christum perseue | rante lanceis per latera transfixi. cum gloria martyrii ad
svderea regna migrarunt. | XI-Ml KL IVL Mediolani. Natalis sanctoram geruasii. @ protasii mar-
tirum Qui beatissimi cum |per decem annos in uno cenaculo conclusi. lectionibus & orationibus
atque — ,. Faccia verso: “ — et wirgine dei perreximus ad uirum dei nouatum. hoc cum widisset
uir dei | nouatus omnes congregatos ad se uenisse gratias coepit agere deo quia meruit a sancto
pio episcopo et uirgine domini praxede cum nostra deuotione uisitari. Et fuimus in domo eius |
diebus ac noctibus octo Factumque est — ,. Tranne che in “ laudantes , e in * uirgine , i sup-
plementi sono in margine e richiamati per via di segni. Tanto insistetti sopra di questi supple-
menti, poichè significano qualche cosa nelle questioni riflettenti il sistema di correzione ai mss.
Serie II. Tom. XLIV. 16
122 CARLO CIPOLLA
IL
Nel nostro codice una parte notevolissima è tenuta dalle postille, le quali anzi,
considerate dal punto di vista che abbiamo sul principio precisato, quasi costituiscono
l'oggetto principale delle nostre indagini. Infatti essendo esse abbastanza numerose,
e di epoche fra loro non identiche, giovano anche più del testo alla storia della
paleografia Novaliciense.
Molti sono i postillatori del nostro codice, e tra essi uno appartenne al se-
colo XVII (1). Ora è nostro debito soffermarci sulle postille antiche. Comincio peraltro
dai segnalare alcune inserzioni, che sostanzialmente possono avvicinarsi alle postille,
ma che per la loro posizione materiale a rigore non si possono dir tali.
Delle accennate postille di tarda epoca farò in appresso un cenno sommario,
premendomi di dare migliore notizia dei postillatori più antichi.
Abbiamo incidentalmente ricordate diggià tre aggiunte, ai fogli 27 r (S. Biagio),
70r (Ss. Cirico e Giulitta), 780 (S. Gaudenzio). Di queste aggiunte la più antica sembra
quella che ricordammo per ultima, ed essa ha una certa somiglianza col sogno descritto
sul fol. 2r, di guardia, di cui parleremo a suo luogo; nonchè colla postilla del f. 24 r.
Vengo ora alle vere e antiche postille, delle quali faccio il catalogo, distribuendole
secondo le varie mani da cui provengono.
a) Postillatore a.
1) Fol. 4 v, 29 giugno (cfr. ediz., p. x11), alla vita di S. Pietro: “ Hic ordinauit duos
episcopos linum et cletum qui presentialiter omne ministerium sacerdotale in
urbe roma populo uel superuenientibus exhiberent. Ipse uero orationi et predi-
cationi operam dabat ,. — La postilla è chiusa da cornice nera.
2) Fol. 5r, 29 giugno (cfr. ediz., p. xLI), commemorazione di S. Paolo: “ Kodem anno
quo passus est dominus constat paulum ad fidem uenisse ,. — La postilla è chiusa
fra cornice nera.
3) Fol. 7+, 28 ottobre, Ss. Simone e Taddeo (= ediz., p. xLIm): “ Quod quidam putant
— gesta narrat ,. Questo tratto nell’ediz. chiude la commemorazione dei detti
santi, la quale nel nostro ms. finiva con; “ — ipsi genuerant ,, cioè colle parole
immediatamente precedenti. — Fra cornice nera.
4) Fol. 7 v, 25 aprile, S. Marco Ev. (= ediz., p. xi): “ Loca bucolicae dicebantur uicina
alexandriae circa aegyptum. plena ferotium barbarorum ,. — Fra cornice nera.
(1) Trascuro affatto qualche rara postilla, di mano nostrana, che sembra della fine del secolo
scorso (cfr., p. e., fol. 171). Qui la ricordo appena di passaggio, col solo scopo di dedurne la presenza
del codice in Italia fino a tempi a noi così vicini.
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL @ MARTYROLOGIUM ADONIS » 123
5) Fol. 17r, 31 dicembre, S. Silvestro papa (= ediz., p. 13). Lunga postilla dipendente
dal Lib. Pontif., ed. Duchesne, I, 171. La prima parte della medesima “ Hic con-
stituit crismam — scilicet diaconorum , si ha nell’ediz. Giorgi, p. 13; non così la
seconda, che è di questo tenore: “ Et constituit ut nullus clericus propter
causam quamlibet in curiam introiret . nec ante iudicem causam diceret nisi in
ecclesia et altaris sacrifitium in syndone linea celebrare ,. — Fra cornice nera.
6) Fol. 19r, 3 gennaio, S. Antero papa (ediz., p. 23). Dipende dal Lib. Pont., I, 147, e
contiene l’ordine dato dal papa per la raccolta degli atti dei martiri, e il suo
stesso martirio. Nell’ ediz., la nostra postilla trovasi inserta nel testo fino a
recondit. Quindi la postilla prosegue: “ propter quodam maximino presbytero
qui martyrio coronatus est ,. — Fra cornice nera.
7) Fol. 197, 5 gennaio, S. Telesforo (= ediz., p. 28). L'intera postilla “ Mic constituit ut
septem (ediz.: sex) ebdomadibus — misse celebrarentur , sta nell’ediz., e dipende dal
Lib. Pont., 1, 129 (“ septem ebdomades ,). Nell’ediz. la postilla trovasi allogata
nel testo sulla fede della volgata. — Fra cornice nera.
8) Fol. 21r, 11 gennaio (cfr. ediz., p. 39). Commemorazione di S. Igino papa, dipen-
| dente dal Lib. Pontif., 1, 131. Eccone il tenore: “ Sancti Ygini pape qui sedit
rome annos quattuor. hic constituit clerum et distribuit gradus. sepultus est in
uaticano. III id. ian. ,. — Fra cornice nera.
9) Fol. 22 r (cfr. ediz., pp. 46-7), S. Marcello papa. Sui cimiteri e sui titoli da lui
istituiti; è il tratto, che sotto di questo giorno abbiamo nell’Append. ad Adone,
ediz. Giorgi, p. 637. Dipende dal Lib. Pont., 1, 164. — Fra cornice nera.
10) Fol. 280, 11 febbraio (cfr. ediz., p. 87), S. Desiderio martire. Il testo nel nostro
ms. ha: “ Apud lugdunum desiderii episcopi et martiris ,. E la postilla: “ Hic
beatus uir passus quidem est , ecc., come nell’Append. ad Adone, p. 638 (Giorgi).
— Senza cornice.
11) Fol. 29 r, 13 febbraio (cfr. ediz., p. 89). La postilla, che si riferisce a Gregorio II,
e che in parte ha relazione col Lib. Pont., I, 397, dice: “ Gregorii pape qui
rexit ecclesiam , ecc., secondo che abbiamo pure nell’App. ad Adone, p. 638
(Giorgi). — Chiusa fra cornice rossa.
12) Fol. 30 r, “ x kal. mar. , (cfr. ediz., p. 96), S. Simeone. “ Constat tamen quia
cleopa cuius filius fuit. frater fuit ioseph ,. Sta in una variante data da un ms.
del Giorgi (cfr. anche App., p. 639). — Fra cornice rossa.
13) Fol. 32, 2 marzo (cfr. ediz., p. 109): “ Simplicii papae qui sedit rome annis
quindecim. hic accaciutt (evidente errore di trascrizione per accacium) constanti-
nopolitanum episcopum eutychianos dampnavit ,, come nell’Append., p. 639.
Qualche relazione col L. P., I, 249. — Fra cornice rossa.
14) Fol. 32», 4 marzo (cfr. ediz., p. 111), alla vita di S. Lucio. Suo precetto sui preti
e sui diaconi desunto da L. P., I, 153, e cioè: “ Hic precepit ut duo presbyteri
et tres diaconi — ecclesiasticvm ,. Questo tratto nell’ediz. Giorgi sta inserto nel
testo. — Fra cornice nera.
15) Fol. 33 0, 12 marzo (cfr. ediz., p. 119), S. Gregorio I e S. Innocenzo papi. Una
postilla sola parla di ambedue: “ Hic constitutum fecit ecclesia — damnabat.
124 CARLO CIPOLLA
hoc innocentius (è la notazione che abbiamo nell’Append., p. 639, e dipende dal
L. P., I, 220). Gregorius uero aucmentavit — dispone , (fine della notazione che
leggesi nell’Append., p. 639; dipende dal L. P., I 312). — Fra cornice rossa.
16) Fol. 34 r, 15 marzo (cfr. ediz., p. 122), S. Zaccaria. Le prime parole della postilla
(“ Zachariae pontificis qui rome sedit annos x ,) sono del testo a stampa. Ma
poi la postilla segue ricordando che quel papa trovò il capo di S. Giorgio, ecc.,
secondo la notazione in Append., p. 639; dipende dal L. P., I, 426, 434-5. —
Fra cornice rossa.
17) 18) 19) Fol. 35 r, 21 marzo: “ Vernale aequinoctium et prima caelebritas
paschae ebreorum ,. — Fol. 35 è, 25 marzo: “ Passio domini ,. — Fol. 35 o,
25 marzo: “ Resurrectio ,. — Le tre postille sono senza cornice.
20) Fol. 36 r, 29 marzo (cfr. ediz., p. 138), S. Eustasio discepolo di S. Colombano:
“ Hic criminatorem suum bassum nomine nutu diuino mortuum manibus suis
cum linteaminibus et aromatibus tractans sepeleliuit apud beatum petrum ,. —
Senza cornice.
21) Fol. 37 è, 6 aprile (cfr. ediz., p. 148), S. Sisto papa. Suoi precetti, dedotti da
L. P., I, 128. È l’intera notazione che abbiamo in Append., p. 639 (Giorgi). —
Fra cornice rossa.
22) Fol. 37 e, 8 aprile (cfr. ediz., p. 149), commemorazione di S. Celestino papa,
desunta dal L. P., I, 230. È, con leggere varianti, la notazione che hassi in
Append., p. 639 (Giorgi) sotto il 7 aprile. — Fra cornice rossa.
23) Fol. 38 r, 12 aprile (cfr. ediz., p. 154), S. Giulio I papa. Suoi decreti ricavati
da L. P., I, 205; è la notazione che abbiamo in Append., p. 640 (Giorgi). —
Senza cornice.
24) Fol. 38 è, 16 aprile (cfr. ediz., p. 159), commemorazione di S. Aniceto papa, da
L. P., 1, 134; è l'annotazione di Append., p. 640 (Giorgi). — Fra cornice rossa.
25) Fol. 39 r, 20 aprile (cfr. ediz., p. 163), S. Vittore papa. Sue costituzioni, da L. P.,
I, 137; questa è la notazione che si ha in Append., p. 640 (Giorgi). — Fra
cornice rossa.
26) Fol. 39 è, 21 aprile (cfr. ediz., p. 165), commemorazione di S. Sotero papa, da
L. P., I, 135, ed è la notazione stampata nell’Append., p. 640 (Giorgi). — Fra
cornice rossa e nera.
27) Fol. 40 r, 22 aprile (cfr. ediz., p. 166), S. Caio papa. Sua costituzione sugli ordini
ecclesiastici, da L. P., I, 161, ed è la notazione che trovasi in Append., p. 640
(Giorgi). — Fra cornice rossa.
28) Fol. 40r, 22 aprile (cfr. ediz., p. 166), commemorazione di S. Agapio papa, da
L. P., I, 287-8, ed è la notazione che abbiamo in Append., p. 640 (Giorgi). —
Fra cornice rossa. |
29) Fol. 40 è, 26 aprile (cfr. ediz., p. 172). S. Anacleto papa (1): “ Hic memoriam
beati petri construxit et composuit loca ubi episcopi reconderentur. Hic presbyter
(1) Il nostro ms. ora legge “ Cleti ,, ma tale lezione vi proviene da tarda correzione.
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL @ MARTYROLOGIUM ADONIS » 125
a beato petro est ordinatus ,, da L. P., I, 125. — Questa e la seguente postilla
nel ms. sono per errore assieme unite; chiude ambedue un'unica cornice rossa.
30) Fol. 40 è, 26 aprile (cfr. ediz., p. 172): “ Hic ad sacrificandum dictus (corr. poste-
riormente: ductus) sacrificauit. deinde penitentia ductus pro confessione uere fidei
capite truncatur ,, da L. P., I, 162.
31) Fol. 41r, 27 aprile (cfr. ediz., p. 173), S. Anastasio I papa. Sue costituzioni, da
L. P., 1, 218); la postilla rassomiglia alla notazione che abbiamo in Append.,
p. 640 (Giorgi). — Senza cornice.
32) Fol. 41 è, 28 aprile (cfr. ediz., p. 175). Santa Teodora vergine, che nel testo figura
come martirizzata ad Alessandria: — “ Hoc beatus Ambrosius (1) Antiochiae
gestum narrat ,. — Senza cornice.
33) Fol. 45 r, 3 maggio (cfr. ediz., p. 186), S. Alessandro papa: “ Hic constituit aquam
sparsionis cum sale benedici in habitaculis hominum. et passionem domini miscuit
in precatione sacerdotum quando missae caelebrantur ,. Dipende da L. P., I, 127.
— Senza cornice.
34) Fol. 46 0, 8 maggio (cfr. ediz., p. 198), ricordo di S. Benedetto papa, da L. P.,
I, 308; è la notazione data dall’Append., p. 640. — Fra cornice rossa.
35) Fol. 47 v, 10 maggio (cfr. ediz., p. 202), cenno su S. Epimaco: “ Hic epimachus
apud alexandriam — deinde romam translate ,, che è dato dal testo volgato
a stampa, ma non dai mss. veduti dal Giorgi. — Senza cornice.
36) Fol. 50 è, 21 maggio: “ Ipso die Taurini (corr. da Taurinis) ciuitate. Translatio
. sancti secundi martyris infra ciuitate. qui fuit dux thebeorum legionis. Facta a
mo
domno Willhelmo episcopo, Anno incarnationis dominicae. decce vI° , (2). —
Senza cornice.
37) Fol. 50 v, 23 maggio. Cfr. sopra fol. 28 è, postilla 10, commemorazione di S. De-
siderio vescovo di Vienna; somiglia affatto alla notazione in Append., p. 640
(Giorgi). — Senza cornice.
38) Fol. 51 r, 25 maggio (cfr. ediz., p. 229), S. Eleuterio papa: “ Hic firmauit ut
nulla esca a christianis repudiaretur que rationalis et humana est ,, da L. P.,
I, 136. — Senza cornice.
39) Fol. 510, 28 maggio (cfr. ediz., p. 235), S. Giovanni I papa: “ Quo tempore
theodericus rex duos senatores praeclaros et exconsule (sic) symmachum et
boetium occidit qui xcvit die postquam papa iohannes defuncetus est subito
interiit et mortuus est ,, da L. P., I, 275-6. — Senza cornice.
40) Fol. 73 è, 28 luglio (cfr. ediz., p. 357), S. Pantaleone: “ Passus est hic martyr
x kl. mar. festiuitas eius caelebrior (forse da correggersi in caelebratur)
v kl. aug. ,. — Senza cornice.
(1) De Virgin., lib. II, c. 4 (Miane, XVI, 212-6).
(2) Rilevo tosto la coincidenza di espressioni fra questa postilla e un brano del Chronicon
Novaliciense (lib. IV, c. 80) pervenutoci solo dagli estratti del Ducneswne. Come si vedrà meglio in
seguito, se la postilla è di certo indipendente dal Chronicon, da ciò non consegue con piena sicn-
rezza che questo sia una diretta trascrizione di quella.
126 CARLO CIPOLLA
41) Fol. 76 0, 2 agosto (cfr. ediz., p. 371). Costituzione di S. Stefano I papa, da L. P.,
I, 154; è la notazione, che vediamo stampata in Append., p. 642 (Giorgi). —
Cornice rossa, inferiormente acuminata.
42) Fol. 79 r, 6 agosto (cfr. ediz., p. 380). Commemorazione di S. Ormisda papa, da
L. P., I, 269-70; è la notazione che leggesi in Append., p. 643 (Giorgi). — Fra
cornice rossa, acuminata inferiormente.
Postillatore 6.
1) Fol. 23 è, 20 gennaio (cfr. ediz., p. 54): “ Ipso die natalis sancti solutoris. aduen-
toris et octaui. foris muros taurinensis ciuitatis ,. Fra cornice rossa, inferior-
mente acuminata.
2) Fol. 52 è, 30 maggio (cfr. ediz., p. 239), S. Felice papa: “ Hic constituit supra me-
morias martirum missas celebrari ,. Fra cornice nera, acuminata inferiormente.
3) Fol. 52 è, 1° giugno (cfr. ediz., p. 243, dove la nostra. postilla è inserta nel testo):
“ Dedicatio sancti nicomedis , ecc. — Fra cornice nera, acuminata inferiormente.
4) Fol. 99 r, 14 ottobre (cfr. ediz., p. 528), S. Callisto papa: “ Hic constituit ieiunium
die sabbati in anno fieri. frumenti uini & olei secundum prophetiam ,, da L. P.,
I, 141. — Fra cornice nera, inferiormente acuminata.
5) Fol. 103 è, 25 ottobre (cfr. ediz., p. 544). Commemorazione di papa Bonifacio, da
L. P., I, 227-8. È la notazione stampata in Append., p. 644. — Fra cornice
rossa, acuminata inferiormente.
6) Fol. 104 r, 26 ottobre (cfr. ediz., p. 547), S. Evaristo papa: “ Hic titulos in urbe
diuisit presbiteris. & vit dyacones ordinauit qui custodirent episcopum praedi-
cantem ,, da L. P., I, 126. — Fra cornice rossa, acuminata inferiormente.
7) Fol. 112 r, 19 novembre (cfr. ediz., p. 585). Commemorazione di S. Gelasio papa,
da L. P., I, 255; è la notazione edita nell’Append. (Giorgi), p. 645. — Fra cor-
nice rossa, inferiormente acuminata.
8) Fol. 113 r, 23 novembre (cfr. ediz., p. 590), S. Clemente papa: “ Hic septem re-
giones ,, ecc., da L. P., I, 123. E la notazione pubblicata nell’Append., p. 645.
— Fra cornice rossa, inferiormente acuminata.
9) Fol. 116 è, 26 novembre (cfr. ediz., p. 598), S. Lino: “ Hic excepto (cioè ex prae-
copto) beati petri , ecc., da L. P., I, 121. È la notazione che leggesi nell’Append.
all'edizione del Giorgi, p. 645. — Fra cornice nera, inferiormente appuntita.
10) Fol. 118 è, 28 novembre (cfr. ediz., p. 603): “ Gregorii pape in (errore per: 10)
qui rexit ecclesiam ann. x. hic instituit , ece. Dipende da L. P., I, 417. È la
notazione data dall’Append. (Giorgi), p. 645. — Fra cornice nera inferiormente
acuminata.
11) Fol. 122 7, 8 dicembre (cfr. ediz., p. 617), S. Eutichiano papa: “ Hic constituit
ut fruges super altare tantum fabe & uuae ,, ecc. Dipende da L. P., I, 159. È
la notazione data nell’Append. (Giorgi), p. 645. — Senza cornice. Le linee sono
disposte così che la postilla ha la forma di un triangolo, col vertice in basso.
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL (‘ MARTYROLOGIUM ADONIS » -127
12) Fol. 122 è, 10 dicembre (cfr. ediz., p. 619): “ Sancti melciadis papae , ecc. Dipende
da L. P.I, 168. È la notazione data dall’Append. (Giorgi), p. 646. — Fra cornice
nera, inferiormente acuminata.
13) Fol. 123 r, 11 dicembre (cfr. ediz., p. 620), S. Damaso papa: “ Hic multa corpora
sanctorum martyrum — et constituit ut psalmi die noctuque canerentur per
omnes ecclesias. qui etiam — germanam suam , ecc. (Giorgi), da L. P., I, 212-3.
Sono due annotazioni date, sotto questo dì, dall’Append., p. 646. — Fra cornice
nera, terminante in punta.
Postillatore Y.
1) Fol. 24 », 22 gennaio (cfr. ediz., p. 57), S. Vincenzo martire. In corrispondenza
colle parole “ a ruine guttis , del testo, occorre la postilla marginale: “ A ruina
dicitur, que a quibusdam axuncia uocatur ,. — Senza cornice.
Postillatore è.
1) Fol. 34 7, 13 marzo (cfr. ediz., p. 121), Ss. Macedonio, Patrizio e Modesta: “ Noua-
licii [in] (1) monesterio. depositio beati helderadi (2) abbatis. Hic uir egregius
ex gallicana prouintia fuit (3) indigena (4). Spreta quoque (5) pompa mundi. et
relictis rebus patris. facto ex his oratorio. in honore beati petri apostolorum
principis. poene post circuiens totum mundum. flagranti desiderio. sequi vestigia
probatissimorum monachorum. Ad ultimum uero (6) uenit noualicium. quo uitam
ducens celibem. & huius rei gratia factus est monachorum ferme quingentorum
optimus pater. Quibus autem peruigili cura instans. per xxx' annos. deposita
carnis sarcina. liber ad astra uolat. Ad cuius sacrum tumulum clarum uidetur
miraculum. Infirmus quisque dum ingreditur. facta oratione. domum sanus reuer-
titur. Ecce enim his exuberat beneficiis qui christo nihil carius habuit , (7). —
Senza cornice (8).
Postillatore e (9).
1) Fol. 50 0, 19 maggio (cfr. ediz., p. 219): “ Ipso die in brittanniis ciuitate doru-
bernensi que est metropolis ipsius insule transitus gloriosissimi uiri Donstani
archiepiscopi quem in terra uiuentium uwiuere crebra miracula et plurima que
| flagitantibus eius auxilium beneficia conferuntur quotidiana testantur ,. — Senza
cornice.
(1) La sillaba in fu aggiunta, come pare, da mano tarda.
(2) La seconda e fu, in antico, raschiata.
(3) Voce aggiunta interlinearmente di prima mano, in sostituzione, forse, di altra voce (est?)
raschiata.
(4) La sillaba na di prima mano in rasura. La sillaba ge pure di prima mano, ma aggiunta.
(5) Voce aggiunta di prima mano.
(6) Voce aggiunta, forse di prima mano, ma con inchiostro più scuro.
(7) Un sunto, nè del tutto esatto, ne diede K. MiiLuer, loc. cit., p. 256.
(8) La postilla è richiamata al testo, con un segno ripetuto (cerchio tagliato).
(9) Forse anche qualcuna delle correzioni del testo può attribuirsi a questo postillatore.
128 CARLO CIPOLLA
Postillatore Z.
1) Fol. 28 è, 9 febbraio (cfr. ediz., p. 85): “ Eodem die noualiciensis monasterii dedi-
cacio ecclesie sancte dei genitricis ad radicem montis , (1). — Senza cornice.
2) Fol. 29 è, “ xv kl. mar. , (cfr. ediz., p. 92): “ Eodem die dedicacio ecclesie sancti
blasi , (2). — Senza cornice.
3) Fol. 46 v, 8 maggio (cfr. ediz., p. 198): “ Eodem die dedicacio ecclesie sancti Ste-
phani protomartyris de burgo ,.
4) Fol. 69 è, 11 luglio (cfr. ediz., p. 330): “ dedicacio ecclesie saneti p&ri ,. — Senza
cornice (8).
Postillatore n.
1) Fol. 125 è, 25 dicembre (cfr. ediz., p. 631-2): “ dedicacio ecclesie sanctorum Cosme
et (4) damiani ,. — Senza cornice.
Postillatore 0.
1) Fol. 95 r, 1 ottobre, vita di S. Germano. Il testo dice: “ ..... Beatus preterea (5)
uir dum aliqua|diu (sic) uno loco infirmitatis necessitate teneretur, in uwicina
qua manebat | casula exarsit incendium. Sed hospicium sancti uiri expauescens
flamma. | nequaquam ansa tangere transiliuit — , (cfr. ediz., p. 509). Di fronte
alla linea “ casula — flamma , fu apposta la notazione in note criptografiche,
Tav. II, n. 2, che per maggior chiarezza riproduco anche qui in incisione.
05,8
l
Postillatore 1.
Per tutto il codice sono sparse numerose postille, del secolo XVII, dovute ad un
erudito, che volle completare il testo, coll’ aggiunta di parecchi santi. È indu-
bitato che il postillatore era un monaco Novaliciense. Sotto il giorno 10 ottobre
(fol. 98 r) infatti trovasi questa annotazione: “ Apud Noualicium in monasterio
sancti Petri translatio sancti Eldradi abbatis eiusdem monasteri) ,.
(1) La postilla è richiamata al testo con segno ripetuto (croce di S. Andrea). — Si riferisce
alla chiesa di S. Maria (Maggiore) del Moncenisio, che dipendeva dal Monastero Novaliciense.
(2) Nel testo del ms. si commemora “ S. Blauius ,; nel testo del Giorgi, in luogo di “ Blauius ,
si accetta la lezione volgata “ Blasius ,, ma si ricorda l’altra, che unica era data a quell’editore
dai mss. da lui consultati.
(3) Forse quest’ultima postilla è di mano diversa dalle precedenti, ma non lo si può assicurare.
(4) Usasi qui il segno tironiano che somiglia alla 7.
(5) Ms.: pterea.
CERRI EI EEA
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL ® MARTYROLOGIUM ADONIS » 129
IV.
Il volume è chiuso da due fogli di guardia al principio e da due al fine. Sono
nel medesimo formato del resto, ma la pergamena ne sembra più spessa. Le perga-
mene dei fogli di guardia non formano fascicolo col testo.
Fol. 1 recto, bianco.
Fol. 1 verso. Il centro è occupato dal rozzo disegno di un fromboliere, eseguito
prima che si scrivesse la nota di possessi, della quale ora devo dar conto. Questa nota
occupa la maggior parte di questa faccia e pare scritta da più mani. Consiste nella
enumerazione dei redditi, che alcune consorterie dovevano pagare, verisimilmente al
convento. Le consorterie stanno divise topograficamente, e sono “ de Carni[an]o ,
(= Carignano; cfr. diploma di Corrado II, 1026, in MHP, Chart., I, 453), “ de Con-
douoro , (= Condove, nel territorio di Susa), “ de Cumbauiana , (= Cumiana), “ de
Campilione ,, (= Campiglione, nella diocesi di Pinerolo), “ de Ceredo , (= Ceretto,
frazione di Condove). Tutte le mani da cui provengono queste notazioni sono presso
a poco dell’epoca stessa (1).
Dalla posizione di queste località sembra che il creditore dovesse essere il mona-
stero Novaliciense; ma coi documenti di questo non mi riuscì di dar valore di prova
a tale ipotesi. Fra le altre carte conservasi (2) un rotolo contenente altre confraterie
o consorterie di debitori verso quel monastero, e il rotolo è della fine del sec. XI
o del principio del sec. XII; ma nulla vi trovai che confrontasse colla nota presente.
A questa nota fa seguito in carattere del sec. XI: “ Benedicamus domino , ecc.,
voci contrassegnate con antichi neumi musicali preguidoniani.
E al disotto, in carattere minuscolo grosso: “ Annis centenis c[om] mon|ade]
mille repletis Nam tumulus siri patetici ex tempore Christi ,. Le lacune si integrano
coll’altra copia che di questo medesimo motto si legge al f. 127 o. Pare vi si alluda
alla sepoltura di certo Siro, morto 101 anno dopo la Passione di Cristo, rimanendo
peraltro incerto con che si abbia a ragion di grammatica ad accordare patetici. Pen-
sando alla posizione geografica di Breme, ch’è in Lomellina, e quindi in una certa vici-
(1) Mano I: “ fratres de carni...o Martinus. peregrinus s[extarios]. IL. unum de frumento et alium
de sigale. Martinus freius similiter. Aldo similiter. Boniprandus similiter. Ingelrammus similiter.
Wazo similiter. Bertrannus decanus similiter. Girardus similiter. Lebertus cum uxore & filiis suis
sex[tarios]. VI. Warinus presbiter s[extarios]. II. Guarinus cum matre sua sex[tarium]. I.
“ Fratres de condouoro. Aimo. IIINI. Goffredus sex[tarios]. IL Dominicus similiter ,.
Mano Il: Fratres de cumbauiana Richardus s[extarios]. V. Iohannes s[extarios]. II. Litab[ert]us. II.
Aribertus. II. Walterius. II. Wini[c]erius. II. Rozo. IL Albertus. II. Randoinus. IL Michael. Il.
Richardus. II. Benedictus langobardus. II. Vidricus. IL
“ De campilione Rodulfus & Homodeus presbiteri. III. Ioannes. II. Giselbertus subdiaconus. II.
P&rus laicus, II. Wilmarus. III Andreas. II. Albertus. II. Gisulfus. INIL. Ioannes. II. Winiterius. IL
Martinus. IL ,.
Mano INI: Confratres de ceredo. Walerius cum uxore sua s[extarios]. II. Adalbertus cum
uxore s[extarios]. II. Iohannes cum uxore sfextarios]. II. Iohannes s[extarium]. I. ,.
Mano IV: “ Roza aburiense d[enarios]. IL Bonognus. II. Petrus. IL |,.
(2) Arch. di Stato di Torino. Novalesa, Busta II
Serie II Tom. XLIV. 17
tI
ti
ti
s
Gi
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di
130 CARLO CIPOLLA
nanza a Pavia, saremmo tentati a trovare qui un’ allusione a S. Siro, protovescovo
di quella città. E notorio che una tradizione, alla quale ora si nega fede (veggasi
l’erudito del p. FapeLE SAVIO, La leggenda di S. Siro primo vescovo di Pavia, in
“ Giorn. Ligust. ,, XIX, 401 sgg.), trasporta S. Siro ai tempi apostolici, anzi lo fa
presente ai fatti della Redenzione. Oggidì lo si attribuisce piuttosto al IV secolo, come
anche pensavano gli eruditi del passato secolo. La controversia forse non è ancora
del tutto finita (1). Ad ogni modo sul suo avello, scoperto qualche lustro addietro
in Pavia, leggesi soltanto: SVRVS | EPC.
La faccia recto del fol. 2 è occupata dal principio di un sogno, che, per la ma-
teria, ha qualche relazione col Chronicon Novaliciense. Da alcuni pentimenti si deduce
che qui si tratta della trascrizione di un aneddoto, il quale per giunta rimase incompleto.
“ Quidam ex nostris fratribus uwidit (2} somnium. quod narrans nobis ita se
uidisse. Uidebam me esse ad radicem cuiusdam montis excelsi. & lacus magnus &
fétidus (3) iuxta montem positus erat. Cumque ambularem per crepidinem montis uel
iuxta in marginem laci. uidebam quasi paruam insulam prope ripam laci. & quedam
domunculam modicam que uidebatur partem adherere laci. partemque montis. Cumque
transissem hostium illius domuncule. aliumque. exterius transmeassem. apparuit
mihi (4) domnus iohannes monachus nuper defunetus. Cumque aspicerem eum. repre-
hendebam tonsuram capitis eius que uvidebatur mihi (4) ualde esse deformis. At ille
intendens reprehensionem meam. Ne mireris inquit frater quia defunetus sum seculo.
Numguid (5) non (6) audisti de morte mea? Cui respondi. Audiui. sed minime reco-
lebam. Indico tibi frater karissime. quia penuriam magnam hic pacior. famemque
tribulationis conturbor. sed obsecro te ut des mihi (4) si quid poteris que (7) man-
ducare queam; Cumque indicassem illi nil sumptus me illic habere, apparebant
mihi (4) quosdam fructus quos offerens illi inquit. Nihil (8) aliud inuenire me po-
tuissem. At ille inquit. parum widetur mihi (4) frater hoc quod inuenisti. si amplius
non dederis. Sed rogo te interuenias pro me apud domnum abbatem. ceterisque
senioribus nostris. ut misericordiam inpendant mihi (4). Specialiter uero inter ceteros
roga domnum albertum consobrinum nostrum. Simulque domnum rodulfum. fratremque
gosmarium. ut ueteras (sic) amicitias reminiscant. & in penuria (9) famis quam hic patior
succurrant. His inter nos sermocinantibus fragor magnus desuper uerticem montis
cepit erumpere. In quo sonitu horror magnus & pauor me inuasit. Cumque tremens
sursum aspicerem. uidebantur mihi (4) quasi effigies hominum ruere desuper cum
(1) Forse sono stato troppo preoccupato in senso contrario, quando esposi (Pubblic. sulla storia
medioevale nel 1892, Venezia, 1893, p. 36) l'opinione del Savio riguardo alla questione cronologica,
opinione che vedo accettata dai Bollandisti e dal Duchesne. In ogni modo si tratta di una que-
stione di singolare difficoltà. Ora che ho veduta la lapide, mi sembrano meno difficili i dubbî paleo-
grafici del Savio, dubbi che tutti desidereremmo veder discussi dal Dr Rossi.
(2) La seconda è? è di correzione.
(3) L’accento pare aggiunto posteriormente.
(4) Avverto che la voce è abbreviata: m, sicchè potrebbesi pur leggere: michi. Preferisco mihi
poichè abbiamo in questo stesso tratto niWil.
(5) La g è di correzione e sostituisce una o due lettere non più leggibili.
(6) Correzione, per nam.
(7) Voce aggiunta nell’interlinea, e forse di mano posteriore.
(8) L'amanuense aveva dapprima scritto N, che poi mutò in NiWil.
(9) Le sillabe in pe sono in rasura.
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL « MARTYROLOGIUM ADONIS » 131
aqua simulque cum palude magna usque in profonditate laci ,. E qui troncasi la
narrazione del sogno, quasi col finir della pagina.
In questo brano parlasi di un abate, del quale pur troppo si tace il nome. I
nomi poi de’ monaci qui ricordati, non ci sono noti, per quanto sappia, da altre
fonti. Siecchè manchiamo del migliore mezzo per la determinazione cronologica del
nostro aneddoto. Una cosa tuttavia si può dimostrare, ed è che esso è anteriore
di certo alla fine del sec. XI, quando alla Novalesa si costituù un priore. Prima
d’allora un solo abate governava Breme e la Novalesa. Questo è il limite ad quem;
quanto poi al limite « quo, esso non ci può essere offerto neppure dai criterì paleo-
grafici, giacchè, come abbiamo rilevato or ora, non abbiamo qui una composizione
originale, ma soltanto una trascrizione di più vetusto aneddoto.
Sulla faccia verso del foglio 2 sta trascritto il tratto Conressor Sanctus Benedictus
plus appetiit ecc., musicato. La faccia termina: “ Uos estis templum Dei uiui ,, e con-
tinua il medesimo testo sul margine inferiore della faccia recto del fo1.3: “ & Spiritus
Sanctus habitat in uobis. Cui gloria Patri & Filio & Spiritui Saneto; cui ,.
Fol. 3 recto. Disposti sopra due colonne abbiamo alcuni versi di argomento augu-
rale. Che essi siano stati seritti prima del Conressor Sanctus Benedictus risulta evi-
dente da ciò, che quest’ultimo aneddoto viene a terminare sul margine inferiore della
pagina lasciato vuoto da quello.
I versi sono distribuiti sopra due colonne.
Nella prima abbiamo i versi che segnano i nefasti giorni egiziaci. per ciascun
mese. Quantunque non sia povera la letteratura di tal genere (1), forse può riuscire
di qualche utilità il trascrivere qui anche il nostro aneddoto (2):
La seconda colonna, dopo le voci Alleluia e Interrogabat musicate, segue di
mano simile, se non identica a quella cui dobbiamo i versi sui giorni egiziaci, una
(1) Cfr. Murarori, R. I S., II, 2, 1024; G. Amari, Ubbie, cianconi e ciarpe del sec. XVI. Bologna,
Romagnoli, 1866 (disp. LXXII delle Curzsosità letterarie), p. 11-2.
(2) Si tenebre aegypti greco sermone uocantur.
Inde dies mortis tenebrosos iure wocamus.
Bisdeni binique dies seribuntur in anno.
In quibus una sol& mortalibus hora timeri.
Mensis quisque duos captiuos possid& horum
Ne simul hos iunctos homines peste trucident.
1. Jani prima dies & septima fine tim&ur. vis.
11). Ast februi quarta. precedit tercia finem. mm.
1. Martis prima necat cuius in cuspide quarta. 11.
x. Aprilis decima undeno & fine minatur. x1.
11]. Tercius est maio lupus. & septimus anguis. vi].
x. Junius in decimo. quindenum ad fine salutat. xv.
x1). Tredecimus iulii. decimo innuitante kalendas. x.
i. Augusti nepa prima fugat de fine secundo. 17.
ir. Tercia septembris uulpes ferit e pede dena. x.
ni. Tercius octobris pullus decem in ordine nectit. x.
v. Quinta nouembris acus wix tercia mansit in urna [.]iy.
x. Dat duodena cohors septem in decimaque decembris. x.
His caueas proprio ne quid de sanguine demas.
Num opus incipias nisi forte ad gaudia tendat.
& capud & fimem mensis in corde teneto.
Ne in medio ima ruas sed clara per aethera uiuas.
Quindi i giorni egiziaci sono: Gennaio 1, 25; Febbraio 4, 26; Marzo 1, 28; Aprile 10, 20; Maggio 3, 25;
Giugno 10, 16; Luglio 13, 22; Agosto 1, 30; Settembre 3, 21; Ottobre 3, 22; Novembre 5, 28;
Dicembre 12, 22.
132 CARLO CIPOLLA
descrizione, pure in versi, dei dodici mesi dell’anno in relazione colle rispettive
costellazioni (1). È un epigramma già noto, e che si attribuisce ad Ausonio (2).
Fanno seguito, in carattere minuscolo quadro, non più tardo del principio del
XIII secolo (secondo Carlo Miller sarebbe del sec. XII) alcune note, che assai proba-
bilmente si riferiscono ai redditi del monastero: “ In mense ////{!! (3) marcii erant oues
nostre cum lacte x. trentenaria et (4) xx (5) et (4) tues oues. inter arietes et (4)
multones. xx. agni . 1. trentenaria et (4) sesdecim ,.
D'altra mano contemporanea: “ Martinus tres in augusto ,.
Il testo del martirologio di Adone termina, come abbiamo veduto, al fol. 126 ».
Sul basso della pagina fu aggiunto il seguente tratto musicato: “ Jubila & lauda deum
syon cuius uultu tangit organa sanctorum ibi et uos gerarcha Nicole archimandrita
Ylderade canitis concorditer ymnum hierusalem. In cuius chorum introducat nos sol-
lempnitas amborum. Ibi & uos ,. Il carattere in cui sono scritte queste linee è note-
volmente somigliante a quello della prima parte del Martyrologium, non solo per l’uso
della N maiuscola (piccola) rustica in luogo della n minuscola, ma assai più per una
forma speciale della e, che si eleva, in qualche caso, sopra il livello delle altre let-
tere; di questa specie di e abbiamo fatto cenno nella nostra precedente Memoria sulla
biblioteca Novaliciense. — Vengono poscia i due fogli di guardia.
Fol. 127 r:
Bertrannum (6) monachum furem nequeo reticere.
Quem possunt omnes de prodicione notare.
Namque noualicii pastoralem speciosum.
Furtim subripuit. pro quo describo perosum.
Semper talis erit. fures similes sibi querit.
Fallax peruersus uiciorum gurgite mersus.
Nigra sibi uestis man&t interius mala pestis.
Hec mores celat nec crimina plura reuelat.
Serpens antiquus. fallit. uenator iniquus.
Ad mortem strauit, radicitus adnichilauit.
Pro turpi uita. diffamauit bremetenses.
Prudentes monachos. discretos atque ualentes.
Sacrilegum dampnes istum sacrista iohannes.
Sulfure crucient eternis (7) ignibus amnes (8).
(1) Principium iani sancit tropicus capricornus.
Mense numen (ms. num) in medio soli distat sydus aquari
Procedunt duplices in marcia tempora pisces.
Respicis aprilis aries frixee kalendas.
Maius ageno miratur cornua tauri.
Tunius aquatos celo uid& ire laconas.
Solstitium ardentis cancri fert iulius austrum.
Augustum mensem leo feruidus igne perurit.
Sydere uirgo tuo baccum september opimat.
Equat et octuber sementis tempore libram.
Scorpius hybernium precebs iub& ire nouember.
Terminat architenens in medio sua signa december.
(2) Riese, Anth. latina, Il, 92, n° 640.
(3) Breve vocabolo raschiato.
(4) È il segno tironiano somigliante a 7.
(5) “ etxx ,, voci aggiunte interlinearmente, ma di prima mano.
(6) Questi versi, che furono riferiti anche da Carlo Miiller, non erano passati inosservati ad
Kugenio De Levis. Il quale li copiò, con un certa diligenza, e li lasciò trascritti fra le sue schede
(nell'Archivio dell’Economato Generale di Torino, Cronaca Ecclesiastica, busta II, “ Novalesa ,), facen-
doli precedere dalla semplice dichiarazione “ In fine Martyrologii haec habentur, ut supra ,.
(7) Ms.: etnis. Non abbiamo quindi in questo luogo le sillabe deter raggruppate nella sola
sigla d’, cediliata e sormontata da una lineola d’abbreviazione, come si usava fare in epoca più
antica di quella alla quale spettano questi versi o almeno la loro presente trascrizione.
(8) Avverto, da un lato, una grossa d maiuscola di forma onciale, formata da due animali, che
scambievolmente si mordono la coda.
I
APPUNTI DAI, CODICE NOVALICIENSE DEL 4 MARTYROLOGIUM ADONIS » 133
Pare che questi versi siano stati qui ricopiati da altro esemplare, e ciò perchè
vi si notano vari pentimenti. Anzi il verso Nigra sibi e il seguente, tralasciati dap-
prima, vennero aggiunti di prima mano.
Fol. 127 v. Al sommo della pagina leggesi un cenno sopra il luogo di nascita
di, S. Paolo. Nelle prime linee corrisponde quasi affatto al testo Adoniano (fol. 5 r),
ma poi se ne diparte: “ Natus igitur apostolus paulus in oppido galilee giscali (1) fuit.
quo a romanis capto cum parentibus suis tharsum cilicie commigrauit. A quibus ob
studia legis missus hierosolimam. a gamalielo (Adone: gamaliele) uiro doctissimo
sicut ipse memorat eruditus est. Non autem se ciuem sed municipem a municipio.
idest a territorio eiusdem ciuitatis quo nutritus est apellat. Dictum est autem muni-
cipium quod tantum munia idest tributa debita uel munera reddat. Nam liberales &
famosissime cause & que ex principe proficiscuntur ad dignitatem ciuitatum pertinent.
Nec mirum si se tharsensem & giscalitem dicat. cum dominus ipse in b&hleem natus
non b&hlemites sed nazarenus sit cognominatus ,.
Nè in Festo (2), nè in Paolo diacono si trova cosa alcuna che corrisponda alla
etimologia qui data a municipium.
Viene appresso d’altra mano la trascrizione di una notizia:
“ Breue recordationis inuestiture quam fecit Clemens de gailone sancto petro
domnoque Adraldo abbati. Tradidit namque saneto petro de Noualitio coram testibus
subterscriptis omnem medietatem sue mobilie quam habere uisus fuerit in fine
uite sue.
“ Testes Petrus magister bellonus de uenal. & Mainerius & benedictus ,.
Al basso del foglio seguono tre linee musicate, coi neumi guidoniani, disposti
sopra tre linee, che sono accennate a sinistra colle tre lettere C
A
F.
Il testo è: “ Regnum mundi & omnem ornatum seculi contempsi propter amorem
domini mei iesu xpisti (sic) quem vidi | quem amaui quem quesiui & dilexi Eructauit
cor meum uerbum bonum dico ego opera mea reg..... | Gloria patri & filio & spiritui
sancto Quem uidi ,.
Chiude questa pagina l’indicazione cronologica che abbiamo trovato sul fol. 1 è,
ed è della medesima mano:
“ Annis centenis. con monade. mille repletis
Na (sic) tumulus siri patetici. ex tempore xpi ,.
Fol. 128 r. Parecchie prove di penna, di varie mani, e di niun valore, conte-
nenti, per lo più, frasi di argomento sacro, come: “ Xpe Patris uerbum ece. ,.
‘Fol. 128 è. Pagina bianca.
(1) Non a Tarso (come anche testè asserì il ch. L. Arosro, La mente di S. Paolo, Milano, 1893, p. 1),
ma a Gischala in Giudea nacque S. Paolo, anche secondo le recenti ricerche di M. KrenkrL (Bei-
trige 2. Aufstellung d. Gesch. u. d. Briefe des Apostels Paulus, Braunschweig, 1890), alle quali ade-
rirono non ha molto i Bollandisti, Anecdota Bolland., XII, 452.
(2) De verborum significatione quae supersunt cum Pauri epitome, ed. C. O. Miuer, Lipsie, 1839,
pp. 127, 131, 142.
134 CARLO CIPOLLA
V.
Fatta eccezione per i quattro fogli di guardia, tutti i fogli del codice sono
rigati, e tutti ad un modo. Le rigature sono fatte a punta secca. Quattro linee, due
orizzontali e due verticali, che si estendono a tutta la pagina, determinano coi loro
quattro punti di intersezione il campo destinato alla scrittura. Il margine interno è
assai minore del margine esterno. La linea verticale che distingue il campo dal
margine esterno è raddoppiata.
Nel campo sono tracciate 24 righe, che unite alle due righe determinanti il
campo stesso, costituiscono 26 righe. Queste righe sono state condotte sopra misure
prese col compasso: infatti presso all’orlo esterno si vedono chiare le 26 impressioni
lasciate dalle punte del compasso. La rigatura si eseguì sulla faccia recto di ciascun
foglio.
Non è rigato il recto del fol. 3, che era destinato (come si è avvertito) a rima-
nere bianco.
Passiamo alle osservazioni paleografiche, cominciando dalla prima parte del testo
di Adone, foll. 3 0-90 v. Le didascalie e le indicazioni dei giorni dei mesi, e le iniziali
di ciascun giorno sono in rosso. In questi luoghi si fa uso del capitale rustico, molto
regolare e corretto. Non c’è quasi affatto mescolanza di lettere onciali, non manca
tuttavia la A. Ed onciale è sempre, qui e altrove, la F. Le iniziali maggiori sono
in rustico ordinario, con qualche mescolanza di onciale (nelle lettere A e D), con
tendenza al capitale. L’iniziale principale del libro è quella con cui (dopo Ia dida-
scalia) principia il testo Populus, fol. 3 v. Essa è molto semplice. È una P, rossa, della
grandezza di tre linee di testo, chiusa. L’unico ornato consiste nella pancia ingrossata
a destra verso l’interno, dove l’ingrossamento, verso il suo mezzo, si acumina in punta.
I due rimanenti filetti della pancia stessa presentano ciascuno un ingrossamento
biacuminato (verso l'interno e verso l'esterno). — Le iniziali minori, nel corpo del testo,
sono in generale rustiche, ma con mescolanza di forme onciali, locchè si riscontra
nella simultanea presenza della V (rustica) e della U (onciale), delle due forme
della A, della D, della Q e della T. Della E abbiamo l’ onciale, la rustica, e la
e minuscola ingrandita. La F, colla orizzontale superiore rialzata, è di forma onciale
o vi si accosta. La divisione delle parole e delle sillabe nelle linee scritte in maiu-
scolo, non avviene con regolarità.
Il rimanente del testo è in scrittura minuscola carolina, assai regolare ed elegante.
Le parole sono abbastanza regolarmente distaccate le une dalle altre. Se tal-
volta questo distacco manca, non sempre lo si deve attribuire al sistema arcaico
dell'amanuonse. È un fatto che l’amanuense era alquanto trascurato, e più di una
volta dimostra di non intendere il testo, che trascriveva. Noto l’assenza totale della
nota tironiana indicante la congiunzione et, la quale, se in nesso, è sempre rappre-
sentata da &. Noto ancora “ q. , e più spesso “ qg , per que. Tale virgoletta g è ado-
perata per indicare us, dopo la d. Quindi avremo: “ orationibg ,, e altre forme con-
simili. La r spesso è prolungata inferiormente, così da aversi una lettera di forma
tendente al corsivo. Nelle voci molliri (fol. 13 7), tauri (fol. 30 +), la sillaba ri viene
3
gia
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL MARTYROLOGIUM ADONIS » 135
espressa dal solito nesso corsivo, che corrisponde a quello della voce petri (f. 34 7)
del postillatore a; in quest’ultima voce peraltro il nesso è più ornato, è un nesso
corsivo a forma bollatica. La 9 è chiusa; e così la a. Non molto di rado la » minu-
scola è sostituita da una piccola n» maiuscola rustica. Cfr. “ lumeN , (fol. 35 r),
“tormeNta , (fol. 29 2), “ Nouissime , (fol. 29 ©). E quindi è possibile il notissimo
nesso N colla # costituita da una lineola orizzontale sopra l’asta verticale destra
della N. Questo nesso nel testo che esaminiamo è abbastanza comune. Sopra tutto
rilevo una forma speciale della e che superiormente finisce in una specie di cresta,
rialzantesi sopra il livello delle altre lettere. Questa e trovasi con qualche frequenza
frammischiata alle altre e minuscole di forma ordinaria. Il lettore può vederne qualche
esemplare nel brano che rappresentiamo al n. 1 della Tav. I Di raro, ma pur tal-
volta si incontra nel mezzo del discorso, la I prolungata, quasi fosse una maiuscola,
e questo è indizio di relativa antichità. Le lettere 9, d, è, #4 hanno grande e roton-
deggiante la pancia; larga è la o. Accanto a questi caratteri che accennano ad
antichità di forme, devo invece notare la m e la x coll’ultima asta ripiegata a destra.
Assai notevole è la presenza della c di forma bollatica, cioò con una appendice
che s’innalza perpendicolarmente sopra di essa, in Hunc (fol. 27 0, 29 »), come pure
in hoc (fol. 54r) ed hinc (fol. 32 7). Qui va ricordato il nesso c-f, nel quale la c ha
una coda, che, partendo dalla sua estremità superiore, s'innalza di molto e quindi
piega a destra allacciandosi colla &.
Non sempre, ma spesso, è conservato il dittongo «e, che viene espresso con: ae,
e, e. Trovai la cedilia applicata alla p in “ pdicationis , (fol. 10 r), che quindi si
leggerà: “ praedicationis ,. Anzi il dittongo ae trovasi dove non dovrebbe esserci.
Non può dirsi irregolare: “ caelo , (per “ coelo ,) (1), ma non debbo trascurare l’uso
arcaico di allungare la e iniziale di ecclesia (2), e vocaboli derivatine; sicchè abbiamo:
“ aecclesia, ecclesia ,. Così pure trovo: “ eloquenter, emanant, pretiosi, aeductus,
eloquenter, aegit ,, ecc. Più che una volta anche l’ avverbio termina per dittongo:
“ grece, maxime, hebraice, nouissime ,. Parimenti l’ablativo: “ sabino duce ,,
nonchè il vocativo: “ sanctae ,.
“ Nihil, e “ mihi , ricorrono senza la c. Le maiuscole minori (ossia quelle ado-
perate nel corpo del testo) sono, in generale, nient'altro che le maiuscole rustiche,
impiccolite, Tuttavia ne abbiamo alcune, che sono invece soltanto minuscole ingrandite.
Cito come esempi: E, M, N, Q. Talvolta la T si avvicina alla forma onciale, ripie-
gando a destra la punta inferiore della sua verticale. Quanto poi alla E, ne abbiamo
tre specie: la rustica, la onciale, e la minuscola ingrandita. Della D abbiamo la rustica
e l’onciale. La F ha la orizzontale superiore rialzata, e talvolta anche ad elegante
risvolta; è insomma, come sempre nel nostro testo, di forma onciale. Queste maiu-
scole minori assai spesso sono illuminate in rosso.
Per l’ ortografia avverto ancora: “ dampnatus , allato a “ damnari ,, “ con-
sumptum, redemptor, assumptus, contempior, sollempnes ,.
(1) Non manca altrove il dittongo oe. Sicchè abbiamo: poenitentiae, coeperunt.
(2) Peraltro è necessario notare che anche in epoche tarde non mancano esempì dell’ortografia,
che diciamo arcaica. Un documento originale Novaliciense, del 1162 (Arch. dell’Economato Generale
di Torino, Cronaca Ecclesiastica, busta II, “ Novalesa ,) ci dà: “ ecclesiam ,.
136 CARLO CIPOLLA
Le contrazioni e ‘sospensioni sono le solite, ammesse dalla scrittura carolina, o
anche più antiche: ul (= vel), aut (= autem), un (= unde), id (= idest), è (= uero),
qm (= quoniam), îì (= non), ecc. Qui possono ricordarsi: ms (= meus), mm (= meum),
ss (= suis); nonchè le forme antichissime: gra (= gratia), eps (= episcopus), di (= dei),
do (= deo), ecc. A questa categoria richiamo: puocau (= prouocauit), dix (= dixit),
e forme consimili, che sono qui rare. L’amanuense non amava affatto i troncamenti nelle
3° persone plurali dei perfetti. Noto: aut (= autem), int (= inter), ur$ (= urbis),
tempr (= tempore), ppio (= populo).
L'uso della —, e della -, è il solito; ma, naturalmente, quest’ultimo segno di
abbreviazione è adoperato con parsimonia, tranne che nelle finali avverbiali:
— i (=-ter), o nelle coniugazioni dei verbi: —t (= -tur). Incidentalmente poco
fa indicammo: qs e q., e dp. Accenno qui alle abbreviazioni: p (= per), € (= con),
%X (= rum), ° (= us), W (= mus), m (= men), ecc. Abbreviazioni delle forme verbali
di esse: ee (= esse), e (= est), s (= sunt). Particolare osservazione merita 1’ abbre-
viazione: 4 per quod, che ricorre qui con frequenza, mentre è rara l’abbreviazione qd;
e p per prae (praedicationis, fol. 10 r; praecipitate, fol. 58 r).
Passiamo alla seconda parte del martirologio (foll. 91 x-126 v) scritto da altra
mano, e questa meno corretta della prima. Come meno corretto è il testo, così assai
più trascurata è la calligrafia. Non è più il carattere rotondo, abbastanza regolare
ed elegante dei fogli precedenti. È un carattere, che pure rimanendo nel fondo simile
al precedente, si fa più acuto nelle angolosità delle lettere, meno accurato, più
volgare.
Come nella prima parte, anche qui sono in rosso le didascalie, le notazioni cro-
nologiche dei giorni del mese (1), e le lettere iniziali del testo di ciascun giorno.
Questa parte è in capitale rustico, ma con qualche mescolanza di onciale, special-
mente nelle iniziali. In queste e nelle didascalie si trova la E onciale accanto alla
rustica. Nelle iniziali è rara la A onciale, e ricorre precisamente nella forma che vien
data dalla prima parte del Martyrologium. Quanto alle iniziali minori, anche in esse
predomina il rustico. Ma non vi sono rare anche le forme onciali, che in generale
non sono e non possono essere altro che le lettere minuscole in forma ingrandita.
Quanto alla E, la lettera viene rappresentata in triplice forma, rustica, onciale,
minuscola ingrandita. Della D c’è la rustica e l’onciale, e così della H, della Q,
della T; ma la T rustica è rara. La M rustica accompagnasi colla m minuscola
ingrandita. La F ha la orizzontale superiore rialzata, ma naturalmente in forma più
grossolana, che non avvenga nella prima parte del Martyrologium.
L’angolosità delle lettere si avverte particolarmente nel minuscolo, e questo
colpisce subito, alla faccia recto del fol. 91. Procedendo, il carattere si va lentamente
cambiando. Al fol. 95» si avvicina al minuscolo delle carte pagensi, ma subito dopo
riprende la forma prima descritta, per poi farsi di nuovo variabile (fol. 96 0-98 7).
Hassi qualche leggera traccia di bollatico, specialmente in alcune f, che peraltro non si
(1) Un’eccezione, 30 nov., al fol. 119 v, dove anche tale notazione “ II kl. dec. , è in nero al
pari che la commemorazione successiva: “ Natalis sancti andree apostoli ,. Tutte queste parole, cioè
la data e la commemorazione, sono di mano di un correttore.
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL € MARTYROLOGIUM ADONIS » 137
innalzano mai di molto sul livello delle lettere. Queste velleità di carattere bollatico
trovansi miste al fare spedito e trascurato del corsivo. Insomma, nel suo complesso,
il carattere assume non di rado un aspetto che si avvicina a quello delle carte.
Anche alcune s finali s'innalzano, ma non troppo, sulla linea delle lettere. Non manca
di essere rappresentata la 9 aperta (gram, fol. 111 », interrogatus, fol. 117 r), ma è
rara. La r non è prolungata inferiormente. La e qui non sopravanza mai il livello
superiore delle altre lettere. Ben di rado s'incontra la n maiuscoletta, in luogo
della minuscola (fol. 117»; oratne; iubeNe). La 4 minuscola qualche rara volta è rap-
presentata dalla D maiuscola di forma onciale impicciolita.
L’ortografia non presenta fondamentali variazioni dalla prima parte del Marti-
rologio, avendosi, p. e., anche qui il dittongo «e rappresentato da “ ae , e da “ e ,.
Anche qui abbiamo qualche volta il dittongo, dove non è richiesto: efugandum,
diuerse (avv.), strenue (av0.), caelebrae nomen (fol. 101 v). Tuttavia è minore l’abbon-
danza di questo dittongo (1), così che si rileva anche in questa particolarità un uso
meno arcaico. Per l’ortografia noto ancora: “ sumpsimus ,. Non manca il dittongo: oe.
Anche qui abbiamo: “ mihi, nihil ,, e la sillaba ef rappresentata bensì da &,
ma non dalla nota tironiana, ovvia nelle carte di età posteriore.
I segni d’abbreviazione p (= per), p(= pre), P (= pro), 4 (= rum), m (= men),
“t (=-ter), t.(= -tur), € (= con), ?(= us) non mancano. Quanto all’abbreviazione
per dus, questa non ricorre così frequente come nella prima parte, e si indica
con bd; e con d.. Dell’ abbreviazione -bg trovai invece rarissimi esempi (fol. 103 r:
quibg; fol. 123 r: facultatibg). Siccome abbiamo indicato, nella prima parte incontrasi
“ q. , per “ que ,, ma quasi per eccezione, mentre l'abbreviazione ordinaria è “ qg ,.
Qui invece abbiamo come regola “ q. , (p. e.: “ ibiq., namq. ,, ecc.). Manca l’abbre-
viazione (= quod), ed è rarissima l'abbreviazione qd (fol. 121 r, e 123 r).
Certe parole abbreviate si corrispondono perfettamente, fra la prima e la seconda
parte. Valgano questi esempi: dm (= deum), sci (= sancti), impî (= imperator),
aut (= autem), eps (= episcopus). Abbreviazioni del verbo essere: è (= est),
ee (= esse), eet (= esset), s (= sunt). Ma sono abbreviazioni tutt'altro che singolari,
e quindi esse dicono poco. Preferisce l’amanuense nelle finali dei perfetti pl. l’abbre-
viazione F (= runt, = re). Assai più rara è l'abbreviazione del singolare come: dix. —
Noto le solite parole abbreviate per sospensione: aut, tam, pret, nom, tam, e
simili. Può notarsi: u0. Minor interesse hanno le abbreviazioni: -NT (= -ntur), 0
-& (= -etur).
Concludendo, può affermarsi che nella sostanza il sistema di abbreviazione è
identico nella prima, come nella seconda parte; ma le speciali differenze sono
alquanto numerose, così da doversi riguardare come costituenti una spiccata distin-
zione di scuola. La differenza ortografica non manca essa pure. Tutto questo si
accorda benissimo col tipo paleografico diverso. Da ciò non bisogna peraltro affret-
tarsi a dedurre una maggiore o minore discrepanza di età.
Non molte sono le differenze nella forma delle lettere, ma pur vi sono. Meno
“
(1) Manca poi dove dovrebbe stare: “ aegregiae xpi ancille , (fol. 100 r).
Serie Il, Tom. XLIV. 18
138 CARLO CIPOLLA
spiccato è il rotondeggiare della o e delle pancie di d, 6, f. La m e la » hanno
l’ultima asta piegata leggermente a destra. La r è prolungata solo nei brani nei
quali il carattere si avvicina alle forme corsive.
Constatando che nella parte prima i caratteri generali siano più arcaici, che nella
seconda, questa circostanza può benissimo ammettersi anche supponendo una approssi-
mativa contemporaneità fra le due mani. Le traccie del corsivo che rilevammo, piut-
tosto che in certe forme speciali delle lettere, nell’andamento generale di alcune
linee, possono esse pure avvertirci a non ritardare di troppo l’età di questa parte del
codice. E poi se lo scriba in alcuni luoghi adoperò liberamente qualche forma cor-
siva, vuol dire che la conosceva, e che se altrove le preferiva la forma minuscola
carolina, questo faceva di deliberata volontà, e non per ignoranza dell’altra forma.
Se badiamo alle forme angolose delle lettere nella parte seconda, saremmo
indotti a preferire per questa la ipotesi di una mano straniera, mentre la prima
parte, scritta in carattere rotondeggiante, sembra da attribuirsi senz’altro a mano
italiana. Ma se concludessimo così, ci affretteremmo troppo. Nulla infatti puossi sta-
bilire con certezza in proposito, poichè la scuola di Tours è la maestra nella regola-
rità, nella eleganza, e nel rotondeggiare delle lettere. A questo riguardo devo notare
che le carte novaliciensi non cominciano a presentare la nota caratteristica dell’an-
golosità delle lettere se non in epoca molto tarda. Ma da questa considerazione non
si può certamente ritrarre alcuna conclusione riguardo alla nostra speciale questione.
l’unica conclusione evidente è che la questione non presenta una soluzione facile.
Dall'esame della paleografia del testo, passiamo a considerare la paleografia
delle postille.
Fra le postille, meritano particolare attenzione quelle che attribuimmo al postil-
latore a. Or bene, dà nell'occhio immediatamente la grande rassomiglianza tra questo
postillatore e l’amanuense della prima parte. Pare che qui si tratti soltanto di un
carattere più minuto, ma in tutto il resto identico a quello del testo. Questa prima
impressione confermasi mediante un esame accurato. Non riuscii a distinguere alcuna
vera differenza fra l’ uno e l’ altro carattere, nè nella forma delle lettere, nè nelle
altre particolarità paleografiche. Le maiuscole, che sono di piccola forma, sono
rustiche: ma la H è rappresentata tanto dalla forma rustica, quanto dalla onciale.
Quindi qui avremo: manibgs (= manibus), qs (= que). In un luogo (fol. 39 r) la. virgo-
letta appoggiata all'ultima g di quicumque assume una forma simile al caratteristico 3
delle età posteriori. Una sola volta in queste postille ricorre “ quid , ed è scritto a
tutte lettere. Appena è il caso di fare attenzione alle abbreviazioni 4 (E qui),
p(= per), P (= pro), pb = pre), 4 (= rum), m = men), t(=ter), t(= tu),
? (= us), € (= con), poichè da esse nulla può dedursi. La g è chiusa. La r è più o
meno prolungata inferiormente, anche dove il carattere non è bollatico; molto è
prolungata in mortuum (fol. 36 »). La m e la n hanno l’ultima asta rivoltata a destra.
Abbreviazioni del verbo essere, ee (= esse), cet (= esset). Per “ vero , trovo: ù.
Secondo il solito, abbiamo: ul (= uel). Anche qui troviamo (fol. 40 v): construx per
“ construxit ,.
Ma ben vuolsi notare il nesso ri, colla » corsiva, fol. 37 r, che si trova anche
nel testo, e l’uso della N rustica per » minuscola (canoNis, fol. 36 v; Neque,
fol. 39 v, ecc.). La » leggermente prolungata verso il basso non manca anche nelle
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL € MARTYROLOGIUM ADONIS » 139
postille a (cfr. f. 32 r), ed è una particolarità degna di attenzione, poichè sa di arcaico,
in quanto che dà a quella lettera la forma corsiva. Molta attenzione merita la €
finale bollatica nella voce: hoc (fol. 41 v), in una forma che, non sconosciuta ai primi
periodi del minuscolo, si fa sempre più frequente col passare del tempo. Egualmente
importante a rilevarsi è una H maiuscola illuminata in rosso (fol. 17 r), che trovasi
in piena corrispondenza con molte minuscole minori del testo, siccome si è rilevato.
Speciale considerazione vuolsi dare alla presenza della e col tratto sorpassante, quasi
a forma di cresta, il livello delle altre lettere; la si può vedere p. e. in fecit (fol. 22 r).
E ancora noto che la F maiuscola della postilla riguardante S. Secondo (fol. 50 v) è
rialzata, e somiglia perfettamente alla più ornata fra le due forme che di quella
lettera abbiamo nella prima parte del Martyrologium. Non trascuro: construx, e
ancora la lettera è prolungata all’in su nel mezzo del discorso (cioè: “ In ,, fol. 45 r).
Avverto ancora che in qualche caso la cornice racchiudente la postilla è rossa.
Più spesso è nera, ma anche in questo caso l’amanuense doveva avere a sua dispo-
sizione anche l'inchiostro rosso. Infatti da alcune di queste cornici (fol. 360, 37%,
397, 40r, 72r) appare manifesto — come mi faceva notare il ch. cav. Francesco Carta
— che la penna era tinta in rosso, e poi l’amanuense la bagnò nell’inchiostro nero,
sicchè vi si vide una mescolanza di rosso e di nero. Che dedurne? Pare innegabile che
la cornice è posteriore alla postilla, tanto più che in parecchi casi manca; essa sarà
stata fatta quando furono scritte in rosso le didascalie e le altre voci di cui si è
detto, e quando si illuminarono in rosso le minuscole minori di maggior conto. Se
tale congettura è esatta, ne avremo che prima si scrisse il testo in nero, poi le
postille, poi la parte in rosso. La differenza di tempo non può essere poi che piccola.
Vale a dire, tutto è fatto, a così dire, in una sol volta. Nè si dimentichi che più di
una volta, come abbiamo notato, la postilla è senza cornice. E da ciò si conferma
l’identità della mano che scrisse il testo e quella delle postille a.
Abbiamo testè notato che una c finale, con coda di forma bollatica, lega stret-
tamente l’amanuense a collo scriba della prima parte del Martyrologium. Dalle nostre
parole non si deduca essere quella la sola traccia di bollatico da rintracciarsi nelle
postille a. Tutt'altro. Vi rassomiglia la e di capud nella postilla sul papa S. Zaccaria,
fol. 34r, dove è a segnalarsi la d sormontata superiormente da una lineetta oriz-
zontale che la tocca così da farne in certo modo un #. È una forma questa che trovasi
nel rotolo originale del Chron. Novalic.
Molte postille di mano a sono per intero in minuscolo semplice, alcune invece
sono tutte o quasi tutte in bollatico; altre presentano mescolato quello e questo
carattere. Come esempio di postilla con mescolanza dei due caratteri cito quella sui
papi Ss. Gregorio I ed Innocenzo, fol. 33 v: l’ultima parola, “ dispone ,, ha la prima
asta molto prolungata inferiormente. A questa categoria della mescolanza dei due
caratte: appartiene pure la ricordata postilla di S. Zaccaria (fol. 34r), dove c'è la
voce “capud(t),, che abbiamo già descritta. Qui la voce “ maris , (= “ martyris ,)
presenta la r molto prolungata inferiormente, e la s prolungata tanto inferiormente,
quanto superiormente. La prolungazione superiore della s si ‘annoda, e, dopo il nodo,
volgesi a sinistra in modo da costituire il segno di abbreviazione. L' ultima voce
“petri, ha per la sillaba ri il nesso corsivo, ma coi prolungamenti (inferiore e supe-
riore) della r e col prolungamento (inferiore) della i, così pronunciati da costituire
una vera forma bollatica. La e in “inuenit, è crestata.
140 CARLO CIPOLLA
Alla categoria delle postille scritte tutte in carattere calligrafico-bollatico, appar-
tengono quelle su S. Simplicio papa (fol. 32r), e su S. Lucio papa (fol. 32v). Le linee
vi sono assai distaccate le une dalle altre, e collocate a distanze pari. Nella prima
postilla rilevo le parole: “coNstantinopolitaNum ,, “ eutichianos ,, “ dampnauit ,. Nella
prima di queste tre parole, se poco ora c’interessano le due N in maiuscoletto, è
invece degno di nota il nesso s-t, nel quale la s si innalza sopra la linea e, ripie-
gandosi in nodo, si allaccia alla #. Nella seconda e nella terza parola sono da osser-
varsi le due finali (rispettivamente s e #) molto prolungate superiormente; la # porta
la lineetta orizzontale al sommo della verticale prolungata.
Le caratteristiche della scrittura bollatica si rilevano con evidenza fors’anco
maggiore nell’altra postilla. Quivi noto le parole: “omi,, “epm,, “ ecctastiev,. Il
nesso s-#, in nodo, è simile a quello che abbiamo descritto a proposito dell’antecedente
postilla. Ma invece richiedono attenzione i tre segni di abbreviazione, che sono a doppio
nodo, vale a dire molto ornati, così come s'incontrano nei diplomi.
Questo carattere ha somiglianza colle due varianti notate nella prima parte del
Martyrologium, mentre la variante avvertita nella seconda parte del medesimo so-
miglia al carattere del testo rispettivo. Non azzardo tuttavia di attribuire addirit-
tura le due prime al copista del primo testo, e l’altra a quello del secondo.
Alle postille a, e allo scrittore della prima parte del testo, avvicinasi lo scrit-
tore di “Jubila — , in fine al Martyrologium (fol. 1260). L'identità non è completa.
Infatti in “Jubila—, il carattere è più regolare, e sopratutto vi si sente l’appros-
simarsi di quelle forme quadrate che il minuscolo finì per assumere lungo il sec. XII.
Tuttavia esso è ancora lontano dal carattere del sec. XII, e lo si vede subito nella
forma più spigliata e libera delle lettere. In questo tratto “ Jubila— , avvertii la e
minuscola, in Nicholae, della forma speciale, segnalata in a e nell’amanuense della
prima parte del testo, cioè la e da noi detta crestata.
In questo tratto “Jubila — , e precisamente nella parola “gerarcha , abbiamo
la a aperta, di ricordo corsivo. La m e la » hanno l’ultima asta ripiegata a destra,
locchè ci allontana dai primi periodi del minuscolo carolino.
Una certa somiglianza trovo tra il primo amanuense e le mani che scrissero’
le note delle confratrie sul fol. 1 verso (1). Prima di tutto va notato che anche queste
notazioni sono in scrittura minuscola derivata dalla carolina, che si attiene peraltro
alla forma in uso nelle carte, piuttosto che a quella dei codici. Quindi è meno regolare,
e meno elegante. Le lettere sono rotondeggianti. Quanto alle abbreviazioni, rilevo :
“Homodeg , (= Homodeus), “ Dominicg , (= Dominicus), “ Gisulfg, (= Gisulfus). Nè
va tralasciata la parola “Iohs ,, nella confratria de Ceredo, dove la s, di forma bollatica,
prolungasi superiormente sino a che s’annoda, ripiegandosi poi a sinistra e costituendo
il segno di abbreviazione. Qui avverto anche la presenza di una “.a , aperta, cioè di
forma corsiva; trovasi nella voce sua, pure nella fratria de Ceredo. La r talvolta
è prolungata inferiormente, ma poco e non sempre: la m e la » hanno l’ultima asta
piegata a destra. Le maiuscole sono in rustico; va notato il W, sia colle due V sol-
tanto accostate, sia colle medesime in nesso, secondo l’uso attuale.
Il tipo paleografico del sogno (fol. 27) è a tutta prima diverso affatto da quello
(1) Non ricorre qui l'occasione di alcun dittongo e,
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL ‘ MARTYROLOGIUM ADONIS » 14]
di a, ma l’esame delle singole lettere dimostra che la differenza reale non è così grande
come l'apparente. Abbiamo avvertito, a proposito della parte seconda del Martyrologium,
alla facilità colla quale il carattere si trasforma, appena che l’amanuense abbandona
la preoccupazione di scrivere con la elegante regolarità, conveniente ad un codice.
Questo è appunto il caso. In alcune parole si tradisce l'abilità dell’amanuense a scrivere
diversamente da quello che solitamente fa. Il carattere tuttavia, sebbene si avvicini a
quello delle carte, è sempre abbastanza regolare e curato. Noto la r che si accosta al cor-
sivo, ma piuttosto nella curvatura, che nella lunghezza dell’asta verticale: la g aperta,
il nesso c-t, formato dalla coda superiore della c che s’incurva ad allacciarsi alla t;
la tendenza bollatica in alcune fed s. Una e crestata. L’abbreviazione di que è: “ q. ,
Accanto a ciò abbiamo: “ fructg, defunctg ,. Dittongo: e. Per quod abbiamo l’abbrevia-
zione: “ qd ,. Noto: ù (= uero), colla o sovrascritta. La » è prolungata inferiormente,
ed ha una vera svolta corsiva. La m e la » hanno l’ultimo tratto rivolto a destra.
Quanto alle maiuscole, lo scarso loro numero non ci consente molte osservazioni :
la Q è onciale, e così la N e la H; della A abbiamo la forma rustica e la onciale.
Questo sistema non è quello di niuno degli amanuensi del Martyrologium, ma non
può essere di un’età molto posteriore alla loro.
Non può distaccarsi da quest'epoca neanche il carme sui giorni egiziaci (fol. 3 r),
in minuscola carolina molto regolare ed elegante; anzi è più regolare che non sia
quella di a, della quale a tutta prima potrebbe sembrare notevolmente più tardo ;
ma è un’apparenza, e l’esame delle lettere prova che siamo assai lontani ancora
dalla forma caratteristica del minuscolo romano della metà del sec. XII. Anzi è
soltanto qui che noi incontriamo la m e la » coll’ultima asta piegata verso sinistra;
talvolta peraltro occorre la » coll’ultima asta piegata a destra. La r è prolungata
inferiormente. Nella voce Ne del v. 6 abbiamo la e crestata. Una A maiuscola è
onciale. I nessi e le code delle lettere meritano attenzione. Sono evidenti, anzi ab-
bondanti, le tendenze bollatiche. Nel v. 19, nella voce His (dove la X maiuscola iniziale
è onciale), la s finale è ben notevole; essa s’innalza assai, e quindi, annodandosi, piega
a sinistra. Forme simili se n° hanno parecchie, ma non è necessario avvertirle qui
tutte. Di una non posso peraltro tacere, cioè di octobris, colla s finale della forma
descritta; ma in questa parola avvi ancora di più. Il nesso c-t non è costituito se-
condo il solito uso, ma la c è una maiuscola la quale superiormente (e senza code)
s’incurva ad unirsi alla # susseguente. Questa forma di nesso fu da noi avvertita nel
frammento di Omelie di S. Cesario. Dittongo: e. Le minuscole sono in generale
onciali, e ciò puossi notare specialmente nella A. La M rustica si associa a quella di
forma onciale.
Accanto ai versi sui giorni egiziaci, alla 2* colonna, abbiamo quelli sui mesi. La
scrittura è simile, nel fondo, ma più quadrata, cogli angoli più accentuati. In altre
parole, vi sentiamo un’epoca più tarda. Le forme bollatiche abbondano, e i nodi vi
sono talvolta complicati, locchè avviene sopra tutto nel nesso s-t di qustrum al v. 7.
Dittongo: e. La r è prolungata inferiormente; piegano a destra l’ultima asta della wm
e quella della n. Le maiuscole sono generalmente in rustico; ma la E è onciale, e
la A si accosta all’onciale.
Posteriore di certo ai versi sui giorni egiziaci è il Confessor Sanctus Benedictus,
che occupa la faccia verso del fol. 2 e termina sul margine lasciato, al recto del
142 CARLO CIPOLLA
fol. 3, dai versi succitati. Il carattere anche qui è il solito minuscolo, originato dalla
scrittura carolina, ma è sviluppato, e ormai tende ad assumere la forma quadrata
dei tempi posteriori. Il prolungamento della » è dubbio; la m e la » hanno l’ultima
asta piegata a destra. Non mancano anche qui le tendenze bollatiche, ma in quantità
scarsa, essendo ciò richiesto anche dalla natura della cosa. Rilevo l’innalzarsi della
s finale, che succede più volte. In estis, verso al fine, ambedue le s si elevano d’assai
sul livello delle altre lettere. Nodi e simili ornamenti mancano. Dittongo: e. Av-
vertasi: etna, forma di non grande antichità. La g è chiusa. La troppo forbita ele-
ganza di alcune iniziali (noto particolarmente una U onciale molto ornata) ci fa
accorti dell’epoca relativamente tarda della scrittura. La D è talvolta rustica e tal-
volta onciale; e onciale è la F coll’asta orizzontale superiore rialzata.
In tutti i caratteri finora descritti, la sillaba et rappresentasi bensì da &, ma
giammai dalla nota tironiana.
D'altra mano, ma non di epoca molto diversa dal Martyrologium, è il tratto
sulla nascita di S. Paolo, fol. 127, in minuscolo, fra il corrente e l’accurato, con
appena qualche traccia di corsivo nella curvatura della r. Le N maiuscole prolun-
gansi talvolta inferiormente, con eleganza di ornato, che sembra proprio di età meno
antica; ma la prima e maggiore N iniziale (Natus igitur, ecc.) è senza ornamento
di sorta ed è in capitale schietto. La g chiusa alternasi colla 9 aperta. Dittongo: g.
La r è sensibilmente prolungata al di sotto dalla linea; piegano a destra l’ultima
linea della m e quella della ». Le forme delle lettere sono rotondeggianti.
Sulla medesima faccia, e immediatamente dopo di questo aneddoto, abbiamo il
Breve recordationis riguardante l’abbate Adraldo, in carattere regolare, elegante, ma
non quadrato. In esso vediamo alcune particolarità che richiamanci ad a. La voce
tradidit, ha la prima t (semi-maiuscola) coll’asta molto prolungata superiormente.
Le lettere in bollatico sono frequenti, specialmente nell'elenco dei testimoni, dove
vanno notate sopra tutto le parole testes e magister, poichè il nesso s-t vi è di forme
schiettamente bollatiche, con complicazione di nodi. La s finale di testes è rialzata
assai. La r è prolungata inferiormente. La 9 è chiusa. La » è prolungata inferior-
mente; piegano a destra le ultime linee della m e della ». Non combina con a la man-
canza dell’ abbreviazione: gs. Abbiamo infatti: “ testib; ,. Sino ad un certo segno,
questo può ripetersi per: “ q. , (= que). Dittongo: e. La A è onciale.
Il tratto fegnum mundi & omnem, distinto colle note guidoniane, ha le lettere
di forma assai più tendenti al quadrato, e ad angoli più recisi. Vi avverto la ma-
iuscola € di forma onciale, ma della varietà propria di un’epoca seriore. Anche la
r è tarda, ed è dubbio se sia prolungata inferiormente.
Chiudesi il foglio con Anniîs centenis, ecc., in carattere grosso rotondeggiante,
e proprio delle carte pagensi. Non può essere posteriore al principio del sec. XII.
Attorno al tipo paleografico che andiamo descrivendo, si possono raggruppare
due altre postille; la prima è al fol. 24r, e la seconda al fol. 34r. La prima (y) è
brevissima, ma pur presenta sufficienti caratteri per la sua determinazione. Il ca-
rattere, minuscolo, è molto rotondeggiante, con questo anche, che le lettere vi stanno
vicendevolmente discoste. Caratteristiche di arcaicità vi si manifestano particolarmente
nella 9 aperta, e nella curvatura accentuata della », che pure prolungasi inferiormente.
Noto : “ -b. , (== -dus).
Ù]
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL © MARTYROLOGIUM ADONIS » 143
Assai più lunga è l’altra postilla (è), la quale, per il suo argomento, è quella
che più di tutte ci interessa: è il cenno biografico sopra S. Eldrado. Evidentemente
questa postilla non si può giudicare ad una stregua colle postille a e f, le quali
sono state fatte tutte ad un tratto, e rappresentano non il pensiero del postillatore,
ma il testo del ms. ch'egli trascriveva. Qui trattasi invece di una vera aggiunta
fatta dal postillatore al codice, come pur avviene per le postille y, e, Z, n. Il ca-
rattere è minuto e molto regolare ed elegante, e ricorda assai davvicino quello
del Chronicon. Sopra il rapporto esistente fra questi due caratteri, non è il caso che
qui si venga ad un esame più minuzioso.
Le parole vi sono staccate. Il dittongo € (celidbem) si accompagna al dittongo oe
(= poene, avv.). Nella voce enim, la e si solleva leggermente sul livello delle altre
lettere. La a di wolat non è propriamente nè minuscola, nè corsiva. La r talvolta è
prolungata e talvolta no. La m e la » hanno l’ultimo tratto piegato a destra. Qualche
traccia di bollatico, specialmente nelle s finali prolungate superiormente. Noto: “ -b. ,,
(= -bus), “ -q. , (= -que). Le abbreviazioni sono molto numerose: t (= ter); t (= tur);
® (pro), ° (= us), g (= gre), $ (= ber), x (= rum), $ (= qui). Specialmente no-
tevoli sono; q (= quo), à (= qui), ù (= vero); le due prime forme non le incontrammo
nelle scritture più antiche, e, anche di per sè considerate, fanno sospettare un’età meno
vetusta; ciò pare doversi ripetere della duplice abbreviazione nella voce: “ ingdit ,.
In generale le abbreviazioni per lettera sovrapposta denotano una minore antichità
nel testo. Ortografia: “ nihil ,. — Vuol segnalarsi la M onciale (minuscolo piccolo) nella
parola: “ Monasterio ,, non meno che la prima iniziale, ch'è una N capitale. La A
è rustica.
Nella prima parte del Martyrologium abbiamo notato tre aggiunte inserte nel
testo. Due di esse vogliono essere qui esaminate. Quella al fol. 27 » in minuscolo
rotondino, apparisce assai somigliante ad a; e quella del fol. 78 v (colla 9 aperta)
è forse da attribuirsi al postillatore y.
Ora devo ritornare all’amanuense della seconda parte del Martyrologium, che si
distingue, come dicemmo, per l’acutezza (relativa) degli angoli delle sue lettere. In
certi punti il carattere diventa minuto, regolare, come p. e. alla fine della faccia
recto del fol. 126. Chi raffrontasse questi tratti con quelli, nei quali ravvisammo la
sua trasformazione verso il corsivo, difficilmente vi ravviserebbe l’opera di una me-
desima mano, come riesce invece evidente a chi ne avverte le successive e graduate
mutazioni.
Affatto simile alla forma minuta, assunta, là dove dicemmo, da questo carattere,
è quello del postillatore 8. Come identificai a coll’amanuense della prima parte del
Martyrologium, così credo si possa identificare B con quello della seconda. Le carat-
teristiche di questa scrittura sono parecchie. La » non è prolungata inferiormente,
ma ha una curva molto sentita. Anche qui rimane esclusa la nota +7 per et, che, se in
nesso, rappresentasi con: d. L’abbreviazione più notevole è “ -q. , per -que (1). Nella
postilla su S. Clemente papa, dove il testo edito ha (p. 645) giustamente quia, il
postillatore ha la “ q. , tagliata (per: qui), che legasi in nesso colla N in maiuscolo
(1) Non ricorre mai “ —bus , in abbreviazione.
144 CARLO CIPOLLA
minore (= quin). Più volte incontriamo il nesso n-t. Comune il con espresso (fol. 118 ©)
dalla sigla c, tanto nel testo, quanto nella postilla, come vedesi in “
della postilla fol. 122v. Segno di seriorità sembra la v sormontata dalla virgoletta
(corruzione di una r) con valore di ver, che abbiamo nella voce aduersus, al fol. 112 r.
Per la forma, quel segno è peraltro simile a quello che, collocato sopra la t, così
nella prima come nella seconda parte del Martyrologium, significa tur. — Nulla
significano le abbreviazioni: p (= per), p (= pre), ° (= us), y (=rum), 4 (= qui),
costituit ,
c (= con), t(=tur), è (= est).
Riconosco alquanto più sicuri i caratteri di posteriorità nel carme su Bertranno,
che leggesi (trascritto) sul fol. 127recto. Quel carattere è un minuscolo quadrato, nè
elegante nè bello. L’abbreviazione “ -q ,; (= que) può essere peraltro anche antica, e
di per sè sola non dice gran che. Argomento sicuro non può ricavarsi neanche da :
dampnes. Non può facilmente risalire ad epoca molto antica “ etnis , (1). Ma è l’in-
sieme che dimostra trattarsi di un carattere ormai molto sviluppato.
Posteriori ancora sono i postillatori e e Z, presso il primo dei quali abbiamo
qualche traccia di bollatico. I loro caratteri si distinguono per la regolarità, e per le
forme quadrate delle lettere. Ancora più tardo è il postillatore n (fol. 125), che final-
mente ci presenta la et rappresentata dalla nota tironiana. Questa medesima nota
usasi anche nell’elenco delle pecore sul fol. 3 recto. Qui la forma della m, della n,
della r è del tutto trasformata dal tipo carolino. Le iniziali sono rustiche, ma la H
è onciale.
E qui sono lieto di aggiungere una spiegazione di paleografia tecnica ch'io devo
alla somma cortesia e alla perizia del cav. Luigi Cantù. Egli, dopo aver eseguite le
fotografie, che si annettono a questa Memoria, ebbe la bontà di inviarmi una lettera,
dalla quale tolgo quanto segue: “ Nell’eseguire le fotografie dei frammenti di pagine
“ del codice Novaliciense di cui la S. V. chiar.® pubblica gli appunti nel volume
“ delle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, mi è accaduto di osser-
“ vare che alcune delle intestazioni di capitoli, parecchie lettere iniziali, nonchè
alcuni caratteri più grandi intercalati nel testo, presentano ancora traccie di argen-
“ tatura ossidata dal tempo, ma tuttavia abbastanza evidenti. Essendomi occorso per
“lavori miei di miniatura, di studiare i metodi usati dagli antichi alluminatori per
“le dorature sulla pergamena, ho motivo di credere che le accennate scritture pre-
“
“
sentino i caratteri di quelle segnate con un mordente composto di cinabro stem-
“ perato nel succo d’aglio condensato; sovrappostavi quindi ad umido la fogliolina
“ d’argento, a secco, la scrittura veniva poi lucidata col brunitoio d’agata ,.
VI
Ben arduo è il passaggio da queste considerazioni alla discussione sulla cronologia
relativa assoluta dei diversi amanuensi. Una cosa è sicura quanto alla composizione
del manoscritto. Il postillatore a non aggiunse alcuna postilla alla seconda parte
(1) Nel tratto Confessor sanctus (fol. 2 v) abbiama; etna (= aeternam).
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL « MARTYROLOGIUM ADONIS » 145
del Martyrologium, mentre nella prima parte abbiamo alcune postille di f. Anche da
ciò adunque confermasi l’anteriorità di a a R. La differenza tuttavia fra l’età delle
due mani non può essere grande. Il minuscolo in ambedue le parti è ancora in for-
mazione; peraltro in a esso si presenta con caratteri evidentemente più arcaici.
Abbiamo un elemento di fatto per stabilire il limite « quo da assegnarsi ad a, e
questo ci è dato dalla postilla (fol. 50 2), che parla della traslazione delle reliquie
di S. Secondo fatta dal vescovo Guglielmo “ anno incarnationis dominicae. DCCCC VI i
Questo fatto essendo qui ricordato come relativo ad una consuetudine liturgica, è
lecito conchiuderne che gli è anteriore una corrispondente notazione storica. Voglio
significare che questa notazione liturgica può facilmente risalire ad una fonte storica,
in forma di cronaca, a noi non pervenuta. Di qui dovrebbesi conchiudere che all’ama-
nuense a difficilmente potrà assegnarsi un’ epoca anteriore alla seconda metà del
X secolo. Le forme bollatiche, talvolta a nodi complicati, ie quali sono proprie di a,
ci avvisano che dobbiamo tenerne relativamente bassa l'epoca, non tanto perchè anche
nei diplomi dell’età dei Carolingi non si incontrino le aste prolungate e annodate,
quanto perchè qui si tratta di nodi complicati e profusi con frequenza.
Il Breve recordationis ha qualche legame paleografico con a, e in esso si fa parola
dell’abbate Eldrado II, il quale visse, secondo il Bethmann (1), fino al 1043 almeno.
Di qui si raccoglie che il codice non può essere stato scritto dopo la metà
incirca del secolo XI. Entro a tali limiti si può facilmente collocare la maggior parte
delle scritture che abbiamo descritto. Il Confessor sanctus Benedictus potrebbe agevol-
mente porsi fra le scritture posteriori, e collocarsi alla fine del sec. XI, o anche
più basso forse, avuto riguardo alla speciale regolarità della scrittura. I carmi sui
giorni egiziaci e sui mesi possono benissimo appartenere alla metà incirca del sec. XI.
Alla fine del sec. XI ascriverei il carme su Bertranno, e allora forse fu scritto
anche il tratto Regnum mundi musicato coi segni guidoniani. Con ammis centenis toc-
casi la medesima epoca incirca; le postille e e < sono senza dubbio del sec. XII inoltrato,
se anche non toccano il sec. XIII. La statistica delle pecore, e la postilla n, colla
nota tironiana significante et, non possono essere anteriori alla fine del sec. XII.
Sicchè il periodo nel quale il codice fu scritto è di circa due secoli, tra la fine incirca
del sec. X e la fine del sec. XIÎ. Segnai termini molto approssimativi, poichè la trasfor-
mazione di un carattere in un altro avviene con lentezza impercettibile.
La e colla codetta superiore l'abbiamo anche e più volte nel Chronicon, che pur
appartiene indubitatamente al sec. XI avanzato. In esso abbiamo anche la virgoletta g
nel significato di -us nei nominativi: “ rodulfg, agressg ,. Nè vi manca la N maiusco-
letta, sostituita, anche in mezzo di parola, alla minuscola. Accanto a queste somi-
glianze, le quali si estendono a tutto l'insieme della scrittura, non mancano pure le
dissomiglianze, delle quali non è debito nostro di parlare qui particolareggiatamente.
È necessario adesso parlare della provenienza del ms. Fino al cadere del secolo
scorso esso appartenne al monastero Novaliciense. Ma allora “ gratia et benignitate
reverendissimi cuiusdam monasterii abbatis , passò in dono ad Eugenio De Levis (2),
il quale poi lo descrisse, in modo sommario bensì, ma molto preciso, attribuendolo
(1) MG., SS. VII, 133.
(2) Anecdota sacra, Aug. Taurin., 1789, p. XXXIII.
Serie li. Tom. XLIV.
146 CARLO CIPOLLA
al sec. X incirca. Il De Levis, nato a Crescentino (provincia di Novara) nel 1737,
morì vecchio e povero nel 1810. Pare che i suoi autografi passassero in proprietà
al celebre letterato suo concittadino, G. De Gregory (1), il quale ricorda appunto i
mss. del De Levis come da lui posseduti. Il De Gregory, morendo, istituì colla sua
copiosa raccolta di libri una pubblica biblioteca, che affidò al municipio di Crescentino.
Fu poi accresciuta, e di non pochi volumi. Sperai per qualche tempo che in questa
biblioteca si custodissero non solo gli autografi del De Levis, alcuni dei quali (se-
condo la descrizione datane dal De Gregory) riguardavano la Novalesa, ma anche
gli antichi e preziosissimi codici Novaliciensi, che egli accenna nei suoi Anecdota.
Mi recai quindi sopra luogo, e, coadiuvato gentilmente dai sacerdoti Giov. Bosso e
Giov. Albertinetti, feci le relative ricerche; ma pur troppo fui completamente deluso.
Colà anzi intesi che alla morte del De Gregory molte carte mss. furono trasportate
a Trino, dove andarono vendute.
I codici Novaliciensi, sui quali serba silenzio anche il De Gregory, forse ven-
nero venduti subito dopo la morte del De Levis, seppure egli stesso, ridotto a misere
condizioni finanziarie, non gli alienò, per far denari. Uno ricomparisce ora nel ms.
che stiamo descrivendo.
1l Martyrologium, fatta astrazione dalle aggiunte e dai fogli di guardia, non
presenta prova sicura della sua provenienza novaliciense; ma pur ci sono gravi ragioni
per crederlo torinese. Infatti sotto il 25 giugno vi trovammo inserta nel testo la
commemorazione di S. Massimo vescovo di Torino. Oltracciò il postillatore a (che è
poi l’amanuense della prima parte del Martyrologium) sotto il 21 maggio (fol. 50 )
ricordò la traslazione di S. Secondo, in questa forma: “ Ipso die Taurini ciuitate.
Translatio Sancti Secundi martyris infra ciuitate, qui fuit dux Thebeorum legionis.
Facta a domno Willelmo episcopo, anno incarnationis dominicae. DOCCO VI. » Questa
precisa postilla passò nel Chronicon (2), ma colle prime parole modificate di guisa
da farne scomparire l’allusione al giorno in cui la traslazione scadeva, e cioè: “ Hoc
tempore in Taurinensi civitate translatio facta est Sancti Secundi martyris infra
civitatem, qui fuit, ecc. ,. Questa notizia trovasi nelle parti conservate dal Duchesne,
e quindi tanto più importante riesce il vederla confermata da mano antica. La natura
della notizia è tale che manifestamente nel Chronicon essa derivò dal Martyrologium,
e non viceversa. Non possiamo con certezza assoluta stabilire se il cronista abbia
avuto proprio tra mano il volume presente o piuttosto quello da cui esso fu trascritto.
Considerando tuttavia che questo volume, forse in origine, certo assai per tempo
appartenne al monastero Novaliciense, pare davvero probabile che noi abbiamo qui
la fonte stessa del cronista.
Qui richiamo anche l'antica aggiunta, fol. 78 è, riguardante S. Gaudenzio vescovo
di Novara, la quale fu da noi segnalata a suo tempo.
Tuttavia sull'origine prima del volume, mi trovo incerto. Il ricordo di S. Massimo
conveniva benissimo alla Novalesa, che appartenne alla diocesi di Torino fino a tempi
recenti. Nè disconveniva neppure al monastero di Breme, almeno in riguardo alle
(1) Istoria della Vercellese letteratura, TV (Torino, 1824), p. 228 sgg. A pp. 228-9 vi si dà la biblio-
grafia dei libri pubblicati dal De Levis, e a pp. 229-232 quella dei suoi autografi letterari.
(2) Lib. IV, c. 30 (ed. cit., p. 109).
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL € MARTYROLOGIUM ADONIS » 147
origini di questo. Mi trattiene dall’affermare la sua provenienza monastica la circo-
stanza che il cenno biografico sopra S. Eldrado non è inserto nel testo, ma aggiunto da
un postillatore posteriore. Il testo non ha alcuna commemorazione di quel santo, che
pur avrebbe dovuto, pare, esservi ricordato, se il Martyrologium fosse stato trascritto
ad uso del monastero Novaliciense.
Se in generale l’amanuense a e gli scribi che intorno ad esso si raggruppano, molto
rassomigliano allo scrittore del Chronicon, cui uniformasi in molti casi anche nella
ortografia (p. e. nell’abbondanza e sovrabbondanza del dittongo e, od e), tale vicinanza
si accentua particolarmente per la postilla sopra S. Eldrado. Colpisce anzi tutto la
frequenza delle abbreviazioni: 4, 4, 4, & (= gre), p, -q.(= -que). L’ abbondanza
delle abbreviazioni accenna ad età posteriore. Devono qui notarsi ancora nella postilla
stessa le abbreviazioni: %(= rum), -b; (= bus), -© (= tur), è (= uero). Rilevo una
M maiuscola di forma onciale.
Aggiungeremo di qui a poco alcune spiegazioni paleografiche sul Chronicon Nova-
liciense, le quali forse non saranno inutili per intendere quello sviluppo progressivo
del carattere minuscolo, al quale alludiamo. Intanto, pur mantenendoci riserbati nel
nostro giudizio, pare che non si possa sbagliare di troppo attribuendo la presente
postilla alla metà incirca del secolo XI.
L’anonimo cronista (1) dice di avere scritta la vita di S. Eldrado, narrandone
anche i miracoli, e tutto questo in base a quanto aveva veduto, udito e letto. Nel
sec. XVII esisteva nell'abbazia novaliciense un ms. antico colla vita di S. Eldrado,
che fu pubblicata nella collezione dei Bollandisti (2). Il ms. andò perduto; e, per
quanto fui assicurato, l'archivio dei Bollandisti in Bruxelles non conserva più neanche
la copia che deve aver ricevuto da Torino due secoli fa. Perduto è anche quel San-
ctorale del quale la “Probatio vitae beati Eldradi monachi et abbatis Novalicii ,
venne data alle stampe per cura del Rochez (3). Ho trovato peraltro una copia del
sec. XVII (4) dell’Officium sancti Eldradi confessoris et abbatis, che in buona parte
dipende di qui. La Prodatio e l’Officium discendono immediatamente dalla Vita. Sotto
a tutte queste fonti s’intravede un lungo ritmo, che il Bethmann (5) tentò di rico-
struire, e che è presupposto anche dalla postilla, di cui stiamo parlando. La nostra
postilla anzi va considerata come il più autentico e più antico documento di quell’inno,
per quel poco che ne contiene. Noto le frasi: “ex gallicana provincia fuit indigena (6).
Spreta quoque pompa mundi (7), et relictis rebus patris (8) facto ex his oratorio in
honore beati Petri apostolorum principis (9); poene post circuiens totum mundum (10)
flagranti desiderio sequi uestigia probissimorum monachorum. Ad ultimum vero
(1) Lib. III, c. 31.
(2) Mart. INI (dies 13), 333: riprodotta nei M. X. P., Script. III, 173 sgg.
(3) La gloire de VAbbaye et vallée de la Novalèse. Chambéry, 1670, pp. 99-101.
(4) An. di Stato di Torino. Novalesa, Busta XV.
(5) MGH. Script., VII, 128-9.
(6) Inno, Vita: “ ex Gallicana patria... indigena fuit ,.
(7) Vita: “ mundi mutatis phaleramentis , — Probatio: “ Pompas detestans huius saeculi ,.
(8) Vita, Probatio e Offitium:“ non modicam a parentibus sibi relictam substantiam... distribuere
curavit ,.
(9) Probatio e Offitium: “ ecclesiam beati Petri meritis dicatam construxit ,.
(10) Inno, Vita, Probatio, Offitium: “ circamiens Galliam ,, ecc.
148 CARLO CIPOLLA ‘
uenit Noualicium... factus est monachorum ferme quingentorum optimus pater... (1)
per XXX annos..., (2).
È appena opportuno rilevare che la natura della postilla dimostra la preesi-
stenza dell’inno, di cui si fece quell’uso limitato, ch’era richiesto dallo scopo pro-
postosi dal postillatore.
Nel rotolo originale (3) del Chronicon molti sono i fatti paleografici che ne ac-
costano il carattere a quello del nostro ms. Il Bethmann opinò che il rotolo sia
stato scritto da più mani; se ciò sia veramente, o se si tratti soltanto di variazioni
derivanti dai tempi diversi, nei quali a poco a poco fu condotta a termine quella
scrittura, è cosa da trattarsi altrove, ed è questione di soluzione difficile. Per il caso
attuale, e dovendosi qui considerare quel rotolo soltanto come il testimonio della
paleografia Novalicense, quale era verso la metà del sec. XI, la indicata questione
non ha molto valore; tanto più che per lo scopo presente debbono bastare pochi
cenni (4).
Il carattere è minuscolo corrente derivato dalla scrittura carolina, ma ormai
trasformata. Le didascalie sono in maiuscolo rustico mescolato di maiuscolo onciale.
Trovo infatti, accanto alla A rustica, la A onciale, e così ripetasi della E e della U;
la T ha la gamba verticale leggermente piegata a destra. Fra le minuscole minori
rilevo, accanto alla M rustica, la M onciale (che richiama alla postilla sopra S. Eldrado)
(1) Zeno è Vita: * sub cuius moderamine quingentorum... domino monachorum [tune] agmine
militabant dignissima ,.
(2) Vita: “ annis... prefuit autem triginta ,.
(3) Conservasi questo prezioso cimelio nell'Archivio di Stato di Torino.
(4) Questo sia detto senza entrare nelle spinose quistioni riguardanti la precisa età del mano-
scritto e la data della compilazione del Chronicon. Quest'ultima ricerca. fu in parte toccata ora
dall’illustre prof. Pro RaynA, in un lavoro di grande importanza, intitolato: La Cronaca della Nova-
lesa e Vepopea Carolingia (Romania, XXIII, 37); egli, sviluppando un concetto del Beramann, si mostra
d’avviso che il secondo libro del Chronicon sia stato compilato anteriormente al 1029, e probabil-
mente anche prima del 1027. Le conclusioni del Rayna riguardano peraltro non tanto la compila-
zione del Chronicon nel suo stato attuale, quanto quella del materiale del medesimo; o almeno si
possono forse restringere a quest’ultima questione.
Riserbandomi di ritornare in luogo più acconcio sul nodo della questione cronologica, cioè sul e. XIV
del libro II del Chronicon, mi permetto ora di proporre qualche dubbio. Ivi il cronista parla dei
Longobardi che disfecero il monastero della Novalesa. Fra gli uccisi fuvvi anche un monaco di nome
Giusto, giusto di nome e di fatto, nonchè un altro monaco denominato Flaviano. “ Horum namque
monachorum epythafia suis capitibus subposita sunt, tempore interfectionis eorum. Quorum unus
sic legebatur: Hic iucet. Justus monachus frater Leonis, sotius sancti Petri Veri [forse si leggerà:
Petruni]. Alterum vero non reminissimus ,. Siccome si crede che la traslazione del corpo di S. Giusto,
dall’originario suo posto alla chiesa dedicatagli m Susa, sia avvenuta verso il 1027, così il Bethmann,
ed ora il Rajna, pensano che nelle parole del cronista si abbia un “ valido indizio , cronologico.
Da esse, quegli illustri eruditi pensano di vedere, con certezza, o almeno con somma probabilità,
provato che ai giorni del cronista il corpo di S. Giusto non fosse stato ancora rimosso ©“ dalla
sua oscura tomba primitiva ,. A me invece le parole del cronista fanno proprio l'impressione op-
posta. Infatti non mi sembra dubbio che qui egli non parli di iscrizioni incise esternamente sul
sepolero di S. Giusto e su quello di Flaviano, ma accenni ai Zibellid posti sotto il capo dei due
morti. Quei libellî non potevano vedersi se le tombe non fossero state aperte. Mi par dunque che
il cronista voglia qui significare ch'egli si ricordava del tempo in cui i due sepolcri erano stati
scoperchiati. Della traslazione di S. Giusto a Susa, nulla dice; nè era del suo scopo l’aggiungere
parola intorno a ciò. So bene che, se anche mi si acconsente questo, non si avvantaggia molto la
intralciata questione cronologica. Comunque sia, vorrei che le questioni fossero discusse di nuovo,
poichè non mi sembrano ancora sufficientemente chiarite,
APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL * MARTYROLOGIUM ADONIS » 149
e la m minuscola ingrandita (che richiama alla prima parte del Martyrologium,
cioè all’ amanuense a); la T talvolta è rustica, talvolta si avvicina all’onciale col
ripiegare a destra la punta inferiore della verticale, e talora è addirittura onciale.
La V e la U si alternano senza discrepanza nel loro valore. La E rustica si accom-
pagna colla onciale e colla minuscola ingrandita. La H onciale si alterna colla rustica;
e così ripetasi della N. La F di solito ha rialzata l’asta verticale superiore. Quanto alle
maiuscole maggiori, le lettere A, E, M, H, sono rappresentate dalle forme capitale e
onciale; la V dalla sola capitale. Non manca il nesso N°, nel maiuscolo rustico.
Qualche volta le minuscole minori sono illuminate in rosso. Rarissima è la N maiu-
scoletta in mezzo di parola; noto : “ cstaNtino ,. Fra le abbreviazioni colla p, oltre alle
solite, s'incontra “ d , (= pri), che non trovai nel Martyrologium di Adone. Colla t si
formano le due consuete abbreviazioni, significanti: ter, tur. La sillaba que è rappre-
sentata con: “q., “q;,. La finale us, dopo m, trovasi espressa tanto con: “ m AS
quanto con: “ m°,. Ma la virgoletta ondulata non manca anche per indicare us nei
nomi propri, 2* declinazione, nominativo, sebbene con molta parsimonia. Non di rado
scrivesi: “-b., “-b;, per significare “ -bus ,. Il relativo quod rappresentasi di rado
con 4, e più di sovente con “qd ,. Le finali dei perfetti sono abbreviate più di
sovente che non avvenga nel Martyrologium. Abbiamo: “ uwider, fecer, destrux
(= destruxit) ,. Come nel Martyrologium, così anche qui abbiamo € (= con), e manca
affatto il segno tironiano che rappresenta questa sillaba.
Non trattandosi qui di scrittura regolare e calligrafica, è meno facile ad avvertirsi
il rotondeggiare di: 0, d, 6, h. In alcuni tratti tuttavia quel fatto si avverte distin-
tamente. Non è costante il prolungamento inferiore della r. Questa lettera è peraltro
quasi sempre in minuscolo e molto di rado in corsivo: notai “reuertimini, colla
seconda r corsiva. Alternato è l’uso della 9 aperta e della g chiusa, e ciò in parole
scritte dalla stessa penna e nel momento stesso.
Qualche volta il carattere diventa meno regolare e si accosta al corsivo; men
di rado prende l’aspetto bollatico. Abbiamo quindi la s finale prolungata, e qualche
volta anche annodata. Ma l’amanuense aveva fretta, e non poteva curarsi troppo
di rabbellire la sua scrittura con forme bollatiche. |
Notevole è la e rialzata, 0, come dicemmo, crestata. Invece indica posteriorità
l’uso, molto abbondante, della d minuscola (derivata dalla onciale) coll’asta verticale
ripiegata a sinistra; in questo fatto (che nel Martyrologium verificasi solo per alcune
maiuscolette minori) presentasi il gotico.
Non mancano le lineette rette sopra alcune i, quali sono proprie dell’ultima
forma del minuscolo.
Quanto all’ortografia, l'abbondanza dei dittonghi, anche dove non dovrebbero
trovarsi, ci richiama indietro col tempo. Noto: “nomine, imperatore, euaserit, ecclesie,
sarraceni, mansuetudine, consuetudine, ecc. ,.
Abbiamo dunque ancora alcune caratteristiche arcaiche, alcune forme corsive,
che si accompagnano ad altre caratteristiche modernissime, e quali sarebbero proprie
del sec. XII. Nel Martyrologium le caratteristiche arcaiche sono molto più abbondanti,
e le altre o scarseggiano assai o mancano affatto.
I due documenti, il Martyrologium colle sue postille e il Chronicon, possono
quindi considerarsi come due anelli consecutivi nella storia paleografica del mona-
stero. Ritorniamo quindi al Martyrologium e concludiamo.
150 CARLO CIPOLLA
I risultati, ai quali siamo giunti sono i seguenti: abbiamo preso in considera-
zione un codice del Martirologio Adoniano in uso nella regione piemontese fino dal
cadere del sec. X, se non forse dal principio del secolo XI, e scritto appunto in quel
periodo di tempo (1); questo potè benissimo dipendere da un altro codice, che già con-
teneva la commemorazione di S. Massimo e che quindi avesse relazione esso pure colla
diocesi di Torino. La stessa postilla su S. Eldrado può giudicarsi non posteriore alla
Cronaca. Il nostro ms. può riguardarsi presso a poco contemporaneo alla riedificazione
del monastero della Novalesa, dovuta all’abate Gezone. Il ms. medesimo, se non nella
sua prima origine, almeno assai presto fu adoperato dai monaci Novaliciensi (2).
Esso ci offerse l'opportunità di assaggiare lo studio della paleografia locale durante
la seconda trasformazione della scrittura minuscola carolina. Oltracciò, ed è cosa
assai più notevole, ci dimostrò l’uso della musica sacra nel monastero Novaliciense
prima e dopo l'introduzione della riforma guidoniana (3). In fine, da questo codice
ricavammo le basi più antiche di alcune notizie storiche, come la translatio di
S. Secondo, e il cenno biografico su S. Eldrado, che noi conoscevamo soltanto
imperfettamente. Nè va qui dimenticata anche la postilla del sec. XII riguardante
la dedicazione della chiesa di S. Maria a pie’ del monte (Cenisio) (4).
(1) Come vedemmo, il De Levis attribuì il nostro codice al secolo X.
(2) Nella loro biblioteca rimase troppo trascurato, come gran parte dei codici della medesima.
A dimostrare in qual misero conto si tenevano i codici negli ultimi secoli del monastero voglio
qui citare un opuscoletto ms. del 1651 (Archivio della Novalesa, parte non ordinata, busta LXVI;
Arch. di Stato di Torino), contenente un “ Inventario dei mobili della sacristia di S. Pietro di No-
valesa ,. Vi si ricordano le reliquie, gli oggetti di chiesa, i paramenti, le mobilie delle stanze, le
vesti, e persino gli oggetti di cucina. De’ libri, pochissime parole appena, dove si tocca di quanto si
trovava “ nella stanza del Rettore ,, dove stavano “ alcuni puochi libri ,. E qui si ricordano alcuni
volumi del Bonacina, di “ Paulo Aretio ,, del p. Coana, ecc. “ et altri molti libri di stampa vechia
senza titolo dell'autore ,. Di codici ms., neppure una parola.
(3) Per mezzo del mio amico prof. Gruserre RosertI inviai qualche facsimile a mano di alcune
note musicali, tratte dal nostro ms., all’illustre p. Amprogio AmeLri, Cassinese, il quale ne rilevò
l’importanza, e m’incoraggiò a ricavare i relativi facsimili fotografici.
(4) M’affretto a correggere due sviste occorse nella mia Memoria L'antica bibliot. Novalic. A p. 7
in luogo di “ Amedeo (IX) ,, leggasi “ Amedeo (VII) ,, e a p. 11 si corregga “ Chigimno , in
“ Chignino ,, poichè qui si allude all’illustre famiglia savoiarda di quel cognome, come mi fece
cortesemente notare il ch. barone Domenico Carutti.
DESCRIZIONE DELLE TAVOLE
Tav. I, fig. 1 (dal fol. 3); fig. 2 (dal fol. 127%); tig. 3 (dal fol. 127 7); fig. 4 (dal
fol. 126 ©); fig. 5 (dal fol. 50 v); fig. 6 (dal fol. 127 r..
Tav. II, fig. 1 (dal fol. 104); fig. 2 (dal fol. 95 r); fig. 3 (dal fol. 27); fig. 4 (dal
fol. 1v); fig. 5 (dal fol. 347).
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L'ULTIMA COLONNA
DELLA
ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA
MEMORIA
del Socio Corrispondente
ELIA LATTES
Approvata nell’ Adunanza del 22 Aprile 1894
I. — Struttura e divisione del contesto.
1. Nessuna parte delle Fasce monumentali più di quella che prendo qui a stu-
diare minutamente (1), mi sembra adatta a mostrarne la struttura grammaticale e
a servire d’introduzione all’indice morfologico e fonetico che dell’intero testo, e, per
occasione di questo, delle altre iscrizioni etrusche, si viene preparando. Invero, nè
va questa parte, salvochè alla prima linea, deturpata da lacune, nè la lezione riesce,
salvo un luogo (lin. 7), incerta; inoltre, benchè breve (13 linee), non solamente può
con certezza smembrarsi in due sezioni ben distinte, ma sì ancora ciascuna delle
due parmi contenere voci verbali di tempo finito, ed anzi nella maggiore lo stesso
verbo ripetersi tre volte; infine, mentre direi vi abbondino gli accusativi coll’espo-
nente di caso ben conservato, non vi mancano incongruenze morfologiche e fonetiche
evidenti, le quali dopo che qui si constatino, si possano altrove fondatamente sup-
porre. S'aggiunge poi bella copia di manifesti parallelismi, la cui interpretazione
risulta agevolata da ciò, che di parecchie parole già conosciamo per precedenti testi-
monianze l’indipendente esistenza lessicale ed anche il significato.
2. Dimostro anzitutto doversi l’intero contesto dividere nelle due sezioni che
seguono (2), delle quali porgo insieme, antecipando, come so meglio, l’interpretazione:
(1) Sfiorai l'argomento di queste pagine nei ‘ Saggi e Appunti intorno all’iser. etr. della Mummia ’
(Milano, 1894), p. 55 (cfr. 146 LV) e 122 sg.; agl’indici della quale scrittura si sottintende sempre il
rinvio per la prova delle cose che qui per avventura, contro il mio intendimento, non risultino
bastevolmente documentate.
(2) Conforme all'uso del KraLt (p. 30) indico con «x gli elementi non decifrati, giacchè il loro
facile computo si richiede per tentare con probabilità, come sin d’ora di frequente si può (e fu già
dallo Scopritore più volte con molta felicità effettuato), l'integrazione per via conghietturale. Seguo
il Krall altresì nel segnare il doppio punto obliquo, là dove non gli riuscì di riconoscere con cer-
152 ELIA LATTES
1) XII! /rasxexxxrrxoarraseaareinezae 0: elinam | asna noci
reus'ce . Aiseras'. S'eus' |® Qunxulem . mu0 . hilarOune . etertic | # caBre . xim .
enay . Unyva . medlum0 . puts |? mu®d . hilarduna . Tecum . etrindi . mu | °
nac: huca . Unxva . hetum . hilarduna . Gend | 7 hursic : capl-du . Cexam . enae .
ceisna . hindu | ® hetum . hilarBuna . etertic . cadra | ® etnam . aisna . ix . matam
|-Zuil | . vaclinam“ .....5.. | (sacerdos) vocalis] duos (cyathos) cibarium (vinum)
sacravit atque denicalem (vini) rivulum Aesariae (et) Sivae duplicem; mustum
in sepulecro duplici alteraque in quadra, centum unumque (cyathos) Uninquus
in medellumo (habuit) potus; mustum in duplici sepulero Decumus (habuit);
iterum mustum denicali in (sepulero) duplici (habuit) Uninquus; faecatum
in sepulcro duplici metato haurientesque capidulas duas Caecamus (habuit);
unumque sacravit (vocalis sacerdos) mortuale faecatum in sepulero duplici
alteraque in quadra; cibarium (vinum) sacravit atque manum V (cyathos)
vocalis (sacerdos) ’.
2) XII10 Qunem . cialyus' . masn Unialti: Ursmnal | adre . acil an . s'acmien .
Cilo . Cexa(ne) . sal |! Cus . cluce . caperi . zamtie . svem . 0umsa | * matan .
cluctras' . hilar “ secundi (et) quinquagesimi (sepuleri) mansione in Uniali
Orsiminali atrii ancillus, in sacello Caelestiali Caecami-sacerdotes tres, Quinti
in-cloaca sacerdos-a-capidibus saventiusque suem cremarunt manem, (precati)
cloacae sepulerum ’.
Ora, che queste due sezioni siano da reputare ben distinte, e che la seconda
stia di per sè, e però eziandio la prima, risulta assai probabile ed anzi, fino a prova
contraria, sicuro, dalle parole con cui quella comincia: Ounem cialxus'. In effetto,
otto volte (Saggi p. 41 sg., 46 num. 73, 186) le colonne delle Fasce essendo interrotte
da spazi vuoti ora di un rigo (VIII 3. IX y2. XI 17), ora di più (VI 14. 18. XI 12),
ora di mezzo rigo con sovrapposta linea rossa punteggiata (VI 9. XI 13, cfr. Krall 22);
nè potendosi, pare, siffatto modo intendere altrimenti, se non come indizio che prima
dello spazio finisce una parte e materia, e dopo di esso principia un’altra, si trova
che come qui la 2* sezione con Ounem cialxus', così a puntino comincia la lin. XI 17 con
Qunem [cialxus']; e analogamente XI 12 con eslem cealyus, IXr 2 ciem cealyus', VI 14
eslem zadrumis', VI 9 2adrumsne lusas'; e con piccole diversità VII 3 celîi hudis'
zadrumis', cui fa riscontro in testa della medesima colonna, e però in luogo eminen-
temente acconcio al principio di un nuovo capitolo, VIII 1 @ucte cis' s'aris'. Pertanto
sopra otto sezioni, tutte separate con estrinseca evidenza dal precedente contesto (3),
tezza, se l'interpunzione del punto unico interverbale fosse notata od omessa. Ometto per contro la
distinzione fra gli elementi chiarissimi e i meno chiari, perchè pur di questi la lettura gli risultò
pienamente assicurata, dovunque insieme al trascriverli in carattere corsivo, egli non vi sovrappose
il segno d’interrogazione. Infine scrivo a bella prima con lettera maiuscola iniziale le voci, che
reputo nomi propri, cioè nomi di deità e loro derivati, giacchè nessun'altra maniera di nome proprio
trovo io nelle Fasce.
(3) Esse crescono a nove se, come di giusto, pur si conti l’ultima, non contraddistinta da spazio
vuoto, ma in compenso iniziale di colonna, e sarebbero anzi dieci se la linea VI 18 non fosse omai
illeggibile.
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 153
ben sette principiano in modo uguale o analogo alla nostra lin. 10; e però anche
con questa vuolsi credere muti l'argomento e incominci un paragrafo nuovo, quan-
tunque manchi l’estrinseco segno dello spazio vuoto; e tanto più si vuole, in quanto
questo due volte si vede già ridotto alla misura minima di mezzo rigo (VI 9. XI 13):
bensì può tenersi vi supplisca in quei due casi, la linea rossa punteggiata, ma di
rimpatto manca per uno (XI 14) il segno intrinseco delle parole iniziali, in esso
affatto diverse (cninam Oesan), come nel nostro manca l’estrinseco dello spazio vuoto
e della linea rossa.
II. — La 8° ps. sg. pf. att. in -a e plur in -sa.
3. Vengo alle forme verbali finite, che sono per me: lin. 2.9 aisna, 7 cisna e
2.12 0umsa; ed osservo anzitutto 1’ analoga struttura offerta da lin. 2 etnam aisna
ix nac reus'ce(m) e 9 etnam aisna ix matam e 12-13 svem Bumsa matan; dove, quanto
alla prima combinazione, a renderne più manifesta la somiglianza colle altre, sup-
plisco in fine a reus'ce il -m, di cui cerco a suo luogo ($ 10) mostrare probabile lo
scadimento. Ora le Fasce stesse ci dànno anche XI 12-13 e 14-16 etnam aisna e
VI 12 etnam eisna: inoltre IXy 1 nacum aisna hindu(m) vinum, X 19-20 ratum aisna
leitrum, e come qui 7 eisna hindu(m) hetum, così IV 22 eisna pevay vinum; infine come
qui 12 svem 0umsa, così Xy 2-3 0umsa Cilva Neri(s') Canva Carsi(s') putnam. Ne con-
segue che non solamente fra etnam e aisna 0 eisna dovette intercedere alcuna assai
stretta relazione, ma che tanto daisna o eisna, quanto 0umsa furono tali parole, da
richiedere o amare la compagnia d’altre uscenti in -m. — Ma le Fasce ci dànno ancora
VII 19 amce etnam, dove con etnam s’accompagna, non più disna o eisna, ma am-ce
che tutti oggi ammettono, per documento di altri testi, essere verbo finito alla
8* persona del perfetto in -ce; fra’ quali testi poi uno (F. 2340 lin. 20) mostra
puiam amce, ossia di nuovo in compagnia dello stesso amee una voce in -m, come
l’einam della Mummia; quindi sorge già abbastanza gagliarda la conghiettura, che
come etnam e putnam e svem a puiam, così ad amce equivalgano sotto il rispetto
morfologico e sintattico aisna o cisna e 0umsa. E la conghiettura trova abbondante
conferma nelle epigrafi etrusche prima conosciute, dove già ripescammo pwiam amce;
perocchè primieramente vi troviamo più esempi di voci in -m unite con tali che
sono di sicuro verbi finiti, benchè, come qisna e 0umsa, non escano in -ce: 1) F. 48, 2753
(vaso eneo di Capua) peraciam tetet, o, secondo avrebbe letto il Garrucci, peracis
estam tetet, dove telet evidentemente pareggia lat. dedit e osco deded dedet; 2) is. di
Novilara 1. 2-3 rotnem uvlin Partenus' polem is'airon tet, dove rotnem polem tet difficil-
mente vorrà separarsi da peraciam o estam tetet, e rotnem wvlin e polem is'airon con
tet fanno preciso riscontro a svem matan con dumsa della nostra lin. 12-13; 3) F. 48, 2754
(vaso fittile di Capua) Limurce sta pruxum, dove sta, equidesinente con aisna 0 eisna,
tutti consentono oggi che vada con lat. arc. stare per statuere sistere. Nelle iss. etr.
incontriamo poi più esempi di voci in -m con verbi finiti uscenti in -ce, come in
puiam amce 0 amce etnam Vamce predetto: 4) F' 399 (secondo l'autopsia del Deecke,
Etr. Forsch. V 2. 44 VII 2, confermata dal Bugge, Arm. 91) zilace uentum; 5) F. 2033 bis E?
Serie II. Tom. XLIV. 20
154 ELIA LATTES
[z]ilaynce pulum e insieme tenve mexlum, dove tenve ben riflette lat. tenuit, ed ha
riscontro 6) nell’equidesinente s'renceve o s'renyve delle Fasce, sempre accompagnato
(dieci volte) da cletram, parola in -m, come il mexlum di tenve; 7) F. 2339 zilaynee
me0lumz 8) F. 2330 vence lupum; e s'aggiunge 9) ersim (0 p. ersim, cfr. sup. peraciam)
con turke, la nota parola per lat. donavit, di una inedita epigrafe perugina, letta sopra
una lastra che serviva di manico (Carattoli e Nogara).
4. Cerco ora di stabilire quale specie di forma verbale si vogliano tenere codesti
aisna 0 eisna e dumsa. E primieramente osservo che la compagnia costante di verbi
con parole in -m, spiegasi assai facilmente, qualora si ammetta essere queste al
caso accusativo e dipendere da quelli, i quali pertanto spetteranno alla. coniuga-
zione attiva. Per entro alla quale, osservo poi sembrare bensì a primo aspetto che
fra sta, e quindi disna, e lat. stat, interceda la relazione medesima che fra fal. cupa
e fal, cupat e lat. cubat, e fra umb. sì e lat. sit: nondimeno una cotale benchè debole
presunzione, a favore del perfetto, mi sembra già derivare da ciò, che come etnam
aisna 0 eisna, abbiamo nelle Fasce amce etnam; ora manca in quelle qualsiasi indizio
che mai muti l'argomento o la qualità del discorso; qualsiasi indizio che questo p. e.
di narrativo diventi imperativo od inversamente. Inoltre, fuori di sta pruxum, dove
il verbo esce precisamente come aisna 0 eisna, e però rientra nel quesito di cui ci
occupiamo, tutte le rimanenti combinazioni testè allegate analoghe a etnam aisna,
ci mostrano verbi appunto al perfetto qual'è amce: giacchè o la evidente loro risposta
latina (tetet lat. dedit, tenve lat. tenuit, e per confronto con questo s'rencve) attesta
che sono tali, oppure escono in -ce (vence, zilace, zilaxnee, turke), la quale uscita parve
sempre a tutti che dovesse tenersi di perfetto. Ora può bensì essere mero caso che
i pochi testi a noi pervenuti offrano soltanto ‘diede’ o ‘donò’ anzichè © dà’ o
‘dona’, ma torna giusto supporre insieme che possa il caso non entrare affatto e
che veramente la formola tralaticia delle sacre dedicazioni abbiano usato stilare gli
Etruschi al passato anzichè al presente; e la supposizione risulterà confermata dal
fatto, che pure gli altri simili testi, dove manca al verbo la compagnia dell'oggetto
in -m, quando quello non è appunto turke o turce, suona tez 0 tes 0 tis 0 des o stes (4);
tutte forme le quali evidentemente più s’accostano, se mai, a lat. dedi dedit o steti
stetit che non a dat o stat. Parmi pertanto legittimo ricercare, se perfetti in -a,
quali sta o aisna, possano fondatamente ammettersi : il che quando si provi, anche il
fatto di tale possibilità aggiungerà forza, direi, al sospetto proposto. Ora per ispiegare
umb. subdocau lat. © invocavi °, il Bréal (tab. Eug. 69 sg. cfr. Mem. Soc. de ling., IH, 287)
si richiamò all’analogia “ du parfait cantò (pour cantau) ainsi qu’@en calabrais où
l'on a les prétérits «mau passau ,, e insieme ricordò i perfetti lat. volg. expensaut
triumphaut pedicaud. Il che posto, senz’ uscire dal campo umbro, non intendo come
non siasi la stessa dichiarazione applicata allo stahu con cui finisce l’is. terminale
di Assisi, e si continui a interpretarne le ultime parole: sacre stahu, con lat. sacrum
(4) Saggi 54 n. 78-83; cfr.‘ Di due nuove iscrizioni preromane trovate presso Pesaro ’ (Roma-
Milano, 1895) p. 28 e n. 22. Si noti anche la formola iniziale delle preghiere umbre: teio (o tio 0
tiom) subocau suboco “te invocavi invoco ” (t. Eug. VIa 22. 24. 25, b 6. 8. 26. 27), e la finale: #0
(o tiom) subocau “ te invocavi” (VIa 35. 45. 55, b 15. 36; VII a 20. 22. 23. 33-34. 36).
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 155
sto (5); laddove stahu parmi avere con subocau la relazione medesima che p. es. umb.
persnihimu e lat. umb. Nahartes con persnimu e Nartes; e però doversi rendere con
lat. steti; cioè statui, e confrontare col davi dei Glossarii e di man-dati pel classico
lat. dedi. Con codesto stahu, o meglio con lat. inritat cervar calcai per inritavit
signavit calcavi (W6lfflin in Arch. f. lat. Lex. IX 140), mando io poi, nella riferita
ipotesi, etr. sta e quindi aisna, i quali anzichè con cantò e cantau penso vadano con
fr. mangea porta e con ant. ven. mangià sforzà tornà trovà: infatti a per au s'ha pure in
etr. Mayan Lamtun per Mayxdwv Adopédwv, Aclinei Afles (lat. Afillivs) Harenies latni
Rafe all. a Auclina Aufles (lat. Aufillius Offilius) Havrenies lautni Raufe, come p. es. in
lat. Agusto Cladius Gadentius (Corss. II, 205 sg.); meglio però forse varrà ripetere
-a da -avi -ai 0 da -avit -ait -at, giacchè in tal caso etr. pf. att. 3° sg. disna starà
a etr. perf. att. 3° sg. cure pute (Saggi 32 sg.) per lat. cura(v)i(t) pota(v)i(t), come
p. es. ($ 16) etr. loc. sg. cara Buna a cadre Oune da *caorai *Qunai.
5. Passo a 0umsa. Come qui lin. 12 caperi zam@i-c svem 0umsa, così VINI 10
caperi : zam0i-c . vacl . ar . flereri. sacnisa e VI 6 0ensnua . caperzc . heci . nayva .
tindas'a: vale a dire in tutti tre i testi insieme col vocabolo in -sa (cioè 0umsa
sacnisa tandas'a), ne occorrono due (caperì zamQic-c, deusnua caper-c) congiunti dalla
copula -c fal. -cue lat. -que -c ($ 12); torna pertanto ragionevole sospettare, che fra
l'uscita -sa e il numero plurale, o almeno duale, delle cose o persone significate dalle
due parole sempre congiunte interceda alcun rapporto.
Ed ecco a conferma due epitafi viterbesi, lun de’ quali (F° 327 1 4) ci dà:
papalser .acnanasa.VI Manim.arce e (1. 2) clenar ci acnanasa, e Valtro (F° 318):
clenar . zal . arce. acnanasa; ossia un vocabolo in -sa, cioè acnanasa, preceduto
ora dalla cifra VI, ora da’ numerali za) e ci, rispondenti pe’ più a ‘tre’ e ‘cinque’,
per nessuno all'unità. Ma lo stesso cal, scritto sal (cfr. Zalvi canes' zarve cati zeri Zulus
all. a S'alvi sane s'arve s'adas' seri Sulus') s° ha pur nella Mummia, e pure insieme
con voce in -sa: VII 6-7 trin0das'a . s'acnitn an . CHA cexane . sal; ed anzi tale una
voce, cioè trindas'a, che quasi interamente si tocca col tin0as'a, insieme col quale
sopra osservammo la coppia: 0eusnua caper-c. V'ha di più; il nostro 8umsa occorre
anche Xy 2: @i vacl . cesa-sin . Bumsa . Cilva; e parallelamente XI 3 ci dà: di dapnes'ts'
tritanas'a; quindi legittimo supporre che fra Oi e le due parole in -s@, cioò Bumsa
e tritanas'a con cui s'accompagna, interceda relazione analoga, a quella che fra ci o
zal e acnanasa; ora il latino ci suggerisce d(u)i- d(u)is- (d)bis, come possibile risposta
per @i ($ 9), ed ecco subito a rincalzare il suggerimento, F' 419-420 (corretto per
autopsia dal Deecke V 4): s'acnis'a: Qui: /e/0: s'udi0 acazr, dove s'acnis'a, che sopra
avemmo colla coppia caperi cam@i-c (come Bumsa, e come tindas'a con Beusnua caper-c),
abbiamo e con parola (acazr) uscente in -r al modo di clenar e papalser, in cui com-
pagnia trovammo tre volte acnanasa, e con Bui che sta a lat. dui (p. es. duicensus),
come @i a di-. Infine comincia per Qui e finisce con voce in -sa, preceduta da altra
(5) BiicaeLer, Umb. 54. 195: stahu ‘ sto ’; subocau -avu È sive ut amavi sive ut oscum manafum ,;
Briar ha subocauu, non -vu. Cfr. Avrreoas-Kircamore 392 che risalirebbero a *stalriu, e trovano assi.
curato il presente dalla connessione coll'imp. stalitu stahituto.
156 ELIA LATTES
in -r, l’epitafio (Sag. 150): Qui cl0i . a .. utniad0 Vel. Velus'a . avils'-cis . ca@rmis-c s.
e....r: auis'a; e contiene poi lo sacnis'a, che vedemmo con Bui e acazr e con caperi
zam@i-c, l’epitafio (Sag. 25, 29): aseies: ha sacnisa, dove aseies finisce per -s, come
Qapnes'ts' del testo con tritanas'a. Se quindi per le addotte ragioni ($ 3) 0wmsa fu
verbo finito, probabilmente al perfetto, non può dubitarsi, parmi, che fu precisa-
mente la 3* persona plurale di quel tempo. E per vero, lasciati da parte l’umb. denuso
e covortuso che una volta stimavansi rispondere a lat. venerunt e converterunt, ed ora,
essendo preceduti sempre da ape (lat. vb) “ qui prend ordinairement après lui le
futur simple ou le futur composé , (Bréal, t. Eug. p. 361), s’interpretano (cfr. Biicheler,
204. 211): ‘ ventum erit’ e © revorsum ’ o © convorsum erit ’; lasciato da parte il
sospetto che umb. eitipes e gli analoghi osc. upsens e pel. koisatens, con cui il Biicheler
(Umbr. p. 195) lo manda, risalgano a -eso -enso, nessuno dubita che lat. arc. dedero
(cfr. dedrot dedront) risalga a *dedeso, la cui uscita rasenta già abbastanza davvicino
etr. acnanasa auis'a 0umsa sacnis'a tindas'a trindas'a tritanas'a, perchè quanto all’-a
di essa rimpetto all’-o dei Latini, torni forse lecito richiamarci all’ analogia di
etr. Velimna per lat. Volumnius, insieme con lat. arc. Fourio pel classico Furius.
III — Il perfetto sg. aisna e l’acc. sg. etnam.
6. Quanto al significato probabile di aisna o eisna e di dumsa, la determinazione
approssimativa riesce tanto facile pel primo quanto difficile pel secondo. Tutti invero
agevolmente penseranno per aisna o eisna alla notissima base panitalica ais- eis-
(gr. 1[0]- in 1|0|-epo-), la cui più semplice espressione s'ha appunto nell’ etrusco
aîcoi per 0edi ùmò Tuppnvoòv conservatoci da Esichio; col quale aicoi perfettamente
combacia etr. Ais His (cfr. Aisu) Es e mars. aiîsos esos per lat. deis (6): ora, da quella
base, con suffisso nasale, trassero gli Umbri esunu © divino ° e sostantivamente ‘ cosa
divina, sacrifizio ’; possiamo quindi anzitutto immaginare che ais(a)na significhi al-
l’incirca ‘ sacrificavit °. Ma fra gli oggetti sui quali si esercita l’azione espressa da
aisna, già vedemmo ($ 3) due volte essere menzionato il vinum; ossia tale cosa di
cui per una parte non potè certo dirsi che fosse ‘ sacrificata ’, per altra parte potè
soltanto dirsi, avuto riguardo alla base verbale di cui si tratta, che fu © consecrata ’:
conghietturo io pertanto, fino a prova contraria, che aisna o eisna rispose a lat. sa-
cravit; e mi fo a ricercare se tale prova risulti per avventura dalla condizione del-
l'oggetto sul quale l’azione dell’uisna più di frequente si esercitò; vale a dire
etnam ($ 3), oppure se anzi l’etnam fu tale da confermare l’interpretazione proposta.
7. Occorre etnam nella nostra colonna in compagnia con visna due volte (XII 1-2. 9),
e due altre ($ 3) nella stessa compagnia in altri luoghi delle Fasce, le quali poi,
tutto sommato, nominano etnam nientemeno che da quaranta a quarantasette volte.
(6) Aggiungasi pel. Aisis sato, ben reso testè da C. Pascar (Rendic. R. Acc. di Napoli, 1894) con
,Dei sacrum ’. — Cfr. per etr. vinum, Atti Acc. di Tor. XXVIII, 1892-93 p. 243-252 = estr. 3-12.
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 1557
Ora, primieramente, come etnam aisna o eisna, già vedemmo ($ 3) aisna hindu(in)
vinum 0 eisna pevaX vinum, donde comincia ad apparire probabile che etnam, secondo
che subito, appena scoperte le Fasce, sospettai (Atti Acc. di Torino, 1890-92,
XXVII 10, p. 173 = estr. 18), indichi cosa simile al vinum; e la probabilità cresce,
qualora si confrontino VIII 5-6 mula-x husina vinum paiveism acilò ame, e ib. 8.9
vinum aclil/0 ame mula hursi, con VII 14 acil ame etnam, dove vinum, accompagnato
da mula hur)sina o mula hursi, sta in relazione con acil0 ame, e parimenti etnam con
acil ame. In secondo luogo abbiamo VII 19-20: etnam s'uci murin; ora fu la murrina
dei Latini un ‘ genus potionis ’ (cfr. murrata potio); ed ebbero essi anche un mur-
ratum vinum detto, secondo alcuni antichi (Fest. 144 M. = 125 Thew.) “ex uvae
murrinae nomine’: quindi nuovamente si conferma la relazione di etnam col vino.
Nè osterà l’interposto s'uci; giacchè chiuso com'è fra etnam e murin, tornerà giusto
sospettare che non differisca guari da lat. sucì succi, e spetti fors’anzi al sucus della
vite; e il sospetto acquisterà forza da ciò che le Fasce ci dànno altresì: VII 22
etnam ix matam s'uci-c fir-in, ib. 9-10 ceren s'uci-c fir-in tesim etnam, 15-16 etnam ic (2)
clevrnd s'uci-c, ossia tre ulteriori esempi di etmam con s'uci. In due de’ quali, s'uci
vedesi poi associato con fir-in, vale a dire con parole, cred’io, significanti: “in igne” (7);
società opportunissima per cosa liquida, quale da s'uci sarebbe indicata, se pareggia
lat. sucì succi; giacchè ognuno sa come gli antichi usassero spegnere col vino i
funebri roghi (8).
Designò pertanto etnam verisimilmente tale cosa, che, come il vino, potè essere
adoperata a sacri usi, e però tale cui supremamente conviene il verbo «isna, se
disse: ‘ sacravit °. Ma s’aggiunge che nelle linee: VII 10 etnam celucum caitim Cereryva,
VII 2 Culs'cva spetri ectnam, XIr 2 etnam raum ica Oludcva, VII 14 etnam Cilecve-ti,
troviamo etnam in compagnia di Cerere e d'altre deità; similmente fuori della
Mummia: G. 804 1. 2 ...etna-X Cexa; e di nuovo poi nella Mummia VI 6-7 subito dopo
etnam Veldinal etnam Aisunal, abbiamo le parole: Ourxers' (9) in s'acnicla, nell’ul-
tima delle quali facilmente riconosciamo all’incirca un © sacello ° (letter. lat. ‘ sanquini-
cula °); infine, per tacer d’altri meno aperti esempi, nella nostra colonna stessa XII 1-2
abbiamo etnam in compagnia delle dee Aisera che va con lat. etr. Aesar, e S'eu ($ 10):
etnam aisna ix nac reus'celm) Aiseras' S'eus Qunyulem, cui fa riscontro V 7-8 etnam
fardan Aiseras' S'eus'. — Fu dunque etnam un sacro liquido, e somigliò sopratutto
al vino: perciò, una maniera di questo essendosi detta cibarium, parmi lecito con-
ghietturare che etnam rifletta come un lat. © edanum ’, che si ha veramente nel
gr. édbavév (10), e designi cioè tal vino quale nella raffinatezza de’ tempi presenti,
(7) Cfr. nu0-in, lec-in, s'can-in (Sag. 116 ‘ in nocte, in lege, in scamno ’) ecc., umb. pir ed etr. Oefri
Qufl0as' all. a Oepri Oupl0as e afrs per lat. apros.
(8) Cfr. p. es. Plin. n. h. XIV 88 legge di Numa ‘ vino rogum ne respargito ’. Del resto a diretta
conferma dell’analogia fra etnam e murin, incontriamo altresì: VII 20 etmam Velbite, XI 8 murin
Veldines, VI 6 etnam Velbinal.
(9) Oun-xer-s, cfr. Qua Ous'a ecc. (Sag. 241) e lat. Mala-cer.
(10) Circa il genere di etnam, non vedo quale sia: cfr. insieme col quasi sinonimo rev, femmi-
nile al par di S'ew ($ 10), etnam ix matam con svem matan suem bonam ”, e $ 7. 17 ...etna-y, che sta
forse per etna(m)-X; quanto al quasi sinonimo vera-s, cfr. gen. venes e oîvog di fronte a lat. vinum.
158 ELIA LATTES
usavasi per l’ordinaria alimentazione, ma sarà stato di certo raro e pregiato, quando
sorsero i riti sacri descritti nelle Fasce. Così a Roma la mola salsa, e il nigrum
catinum di Numa e i fittili tuscanica degli Arvali: vilissima roba, quando si scrissero
i documenti che a noi ne ricordano il sacro uso, conservato per omaggio a tempi
in cui questo era nato, quando quella suppellettile appariva tuttavia preziosa, con-
forme alla povertà e barbarie del costume antichissimo.
IV. — Il perfetto att. 3° ps. pl. 06umsa e l’acc. sg. svem.
8. Assai più malagevole che non di «isna eisna, mi riesce determinare il pro-
babile approssimativo significato di 0umsa. S'incontrò finora soltanto nella Mummia,
la quale, secondo già fu accennato ($ 3), lo mostra anche in Xy 2-3: halxze. Qui . 0 .
vacl . cesas-in . 6umsa . Cilva Neri(s'). Canva . Carsi(s') . putnam. Tale azione dovremo
pertanto trovare significata da 0umsa, che convenga sì a putnam, sì & svem: ora dall’un
canto put-na-m potrà stare a etr. put-s lat. potus e a lat. potare, come et-na-m &@
lat. edere, e potrà similmente sve-m, fino a prova contraria, pareggiarsi a lat. sue-m.
D'altro canto, avendosi in etrusco: Qui all. a Rui, desn-in all. a hes'ni umb. fesna
ose. fiisna-, Quluni all. a Fuluni, Oulyniesi all. a Hulxmesi e fal. Folcusio, Oezle per
lat. etr. Faes(s)ulae (cfr. due iss. prer. p. 46, n. 30) e forse Olecinia = Olainei (detti
entrambi della stessa persona) per lat. Fluccinius (Sag. 58-60 n. 87), sembrami per ora
lecito allineare 0um-sa con lat. fum-u-s gr. @iu-0-g, e conghietturare che significhi
letter. ‘ fumarunt ° per ‘ cremarunt ’; invero, secondo il pensiero dell’antica teologia,
potè, direi, siffatto verbo adoperarsi tanto per la vittima sacrificale svem, quanto per
la pozione versata sul fuoco, giacchè almeno della untuosa kvioon dice Giove:
tò Yàp Adafopev Yvépag (Il, IV 48).
V. — Le altre parole del contesto.
9. Chiariti e fermati così, mi lusingo, i capisaldi dell’interpretazione, passo a
giustificarla studiando ad una ad una le parole del testo, delle quali non accadde
ancora toccare, nell’ordine in cui si trovano. — Lin. 1 Bi etnam, con cui giova con-
frontare: a) Mummia XI 6 etnam Bi, donde risulta probabile che alcuna speciale atte-
nenza interceda fra le due voci; b) F. 2340 ci clenar e F°. 327 clenar ci, M. XI 9 ara
Qui e XIr 5 Oui aras', M. XIr3 tei lanti inine es'i tei, Lenno sialyveiz aviz e aviz
sialyviz: dove la stessa voce ora sta anteposta, ora posposta, come 0i in 0i etnam
e etnam di; c) F. 1914 A 15 naper s'ranczl Oi insieme a F. 2003 tus'urdii, F!. 106
mii spural e G. 642 mii (da solo), insieme con F. 1247 tus'ur0i, F. 354 mi Fulnial,
F. 1048 mi Unial, Not. 1887 p. 362 mi Atial, G. 627” e Mittheil. Rom. 1887 p. 267 mi
(da solo): donde appare che Oi ben può essere mera varietà grafica di 6i; d) F. 1914
A 15 maper s'rancel dii con A 5-6 naper XII, A 24 naper ci, A 16 hut naper,
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 159
F. 346 = C. I. Etr. 48 hu0 maper: donde consegue, che la voce naper sempre essendo
accompagnata da numerali, tale vuolsi presumere anche 0% (11) e che pertanto, se 6i
non ne differisce, sarà pure esso un numerale; e) M. XT 9 vaclinam e VII 12 cntnam,
preceduti dalla cifra V in rosso, insieme a VI 10 fler vaclinam dezeri è VIII 16-17
Qezin fler vacl etnam: donde risulta che vacltnam, contratto da vacl etnam, e l'analogo
cntnam, sono accompagnati da numerali; e però tornare probabile che siffatta com-
pagnia convenga altresì ad etnam, il che appunto sarebbe qualora 0% di 0i etnam o
etnam Bi fosse numerale, conforme la possibile identità sua con @ii lascia aspettare;
£) M VII 5, dove la cifra 0 D, ossia d = 1000 (Sag. 135), in rosso come i due V pre-
detti innanzi a vaclinam e entnam, sta nel margine di linea contenente la parola etnam,
la quale ricorre altresì in ciascuna delle tre precedenti linee, e sempre ugualmente
tutte le quattro volte nell’identica combinazione, ossia le due prime e la quarta Hia
etnam ciz e la terza Hia trin0 etnam ciz; g) M. Xr 2 0i vacl cesas-in Vumsa e
XT3 07 0apnes'ts' tritanas'a, in ambo i quali luoghi 9 essendo associato con verbo
al numero plurale ($ 5), torna probabile che fra questo e quella voce siavi alcun
rapporto. Tutto ciò considerato, e considerato insieme che etnam, come bevanda
vinacea non solo ammise, ma negli usi rituali certamente richiese alcuna determi-
nazione di numero e misura, e che pur di Oci 0e- tei tem può dimostrarsi essere state
voci numerali (Sag. 142-144), parmi affatto probabile tale qualità anche per 0%. Ora
etr. 0, che risponde a gr. è in Area0a Crisida Ziumide Palmide Uduze per ’Apiaòvn
Xpuonidns Aiouidng TTaraundng ’Oduoceds, e, parmi, a lat. d in ca@ra * quadra ’ e forse
in e8e e adelis' per lat. in-aede e aedilis, trovasi rappresentato da lat. d nelle trascri-
zioni latino-etrusche Dana Lardia Sadnal Sudernia Ted(a) Teda per etr. Oana Lar0ia
Sadnal Suorina Tea (cfr. anche Ludnia con etr. lau0n e lat. perug. Veldumnianus
con etr. perug. Vel0unas'); ben può quindi etr. 0i pareggiarsi a lat. di- gr. èi-, e
così insieme a dis e dig, e 0; etnam interpretarsi: © bis cibarium (vinum) ’, cioè “ due
volte’ la nota rituale misura del sacro liquido, così designato e nella proposta versione
espressa per figura con lat. gr. cyathus. Siffatta interpretazione riceve poi, se ben
vedo, conferma dall’essere M. VI 12-13 detta 0uns'na(m) “ duplicem” l’etnam del 0uns'
flers' (letter. ‘ duplicis faleris °) e M. XI 13 tu@)xWla(m) la suntnam (cfr. sup. vacltnam
per vacl etnam), come qui subito dopo 0i etnam e parallelamente a questa abbiamo
il nac(e) reus'celm) dunyulem.
10. Lin. 2 wisna, $ 3 e 4. — Il seguente ix è particola congiuntiva, secondo già
riconobbe il Krall (p. 24 sg.), ossia circa lat. atque (12): cfr. 1. 9 etnam aisna ix matam
con VII 22 e XI 4-5 etnam ix matan, donde risulta che ix sta interposto in realtà
anche nel primo luogo fra due parole equidesinenti (etnam e matam), e però presu-
mibilmente o concordate o analoghe, astrazion fatta dall’aisna che le separa; cfr. inoltre
XI 17-18 Qunem /cialyus' etfnam ix eslem cialyus' vanal, dove ix sta interposto fra
due tali coppie (9unem cialxus' e eslem cialxus'), la cui estrinseca somiglianza pareggia
(11) Cfr. Sag. 149 quanto alla divisione prima proposta di s'rane-2(@)1.
(12) Trattasi cioè, cred'io, di i(n)-x = i(n)-e = in-c; cfr. ose. inim in(im) inim e $ 12 quanto a
-c 0 -X per lat. celt. -c -k.
160 ELIA LATTES
l’intrinseca, come quelle che hanno comune una delle due voci (cialxus’) ed equide-
sinente l’altra (0unem, eslem), oltre ad essere poi di tutte tre già nota la qualità di
numerali ($ 20). Analogamente offrendoci il nostro testo: 0i etmam ix nac reus'ce
Aiseras' Seus' Qunyulem, sarà giusto sospettare in 0unyulem il termine equidesinente e
analogo, anzitutto collegato da ix con etnam. — Vedo in 0un-yule-m l’acc. sg. con-
cordato con etna-m, di 0un-Xulo-, derivato, sul fare di lat. sin-gulu-s, da 0u-n e per
via di questo da 0u, come da lat. duo, ossia appunto etr. Ou, lat. du-onu-s b-onu-s;
interpreto quindi 0unyulem © duplicem °. — Vedo in S'eu-s' il gen. sg. di un nome
feminile uscente in -v, come p. es. Vilenu per ‘ Elena’, Oanyvilu-s lat. Tanaquilae,
Ravndu Ram0u all. a Ramda, leu scritto sopra una leonessa, G. 266 Velia Nuisu,
Bull. 1881 p. 34 Larsui Ram@0a zifv]u, e come p. es. umb. etantu mutu per etanta
muta e lat. tanta multa, osc. Viteli vid lat. Italia via; reputo poi S'eu un nome di
dea, come Lasa Vecu, Alpanu o Alpnu, Culs'u, perchè sempre occorre in compagnia,
come qui, della nota dea Aisera o Eisera (M. II 12, Vò 20), oppure (M. V 10. 14)
insieme con S" (lat. Seia), preceduti entrambi da Eiser plurale di Eis o Aîs, e però
identico con etr. aicoi per Oeoi (Hesych.): cfr. p. es. clenar (pl. di clan) ci (0 zal)
acnanasa, papalser VI acnanasa, du-lutfe]r e tu-s'urdir scritti sopra o sotto la figura
di due persone, e 0u-X iXutevr riscontro abbastanza preciso di umb. prinuvatur dur.
L'associazione poi di S'eu con S', che ragguaglio a lat. Seia, e l’aversi, a parer mio
(Sag. 75) nelle Fasce (VIII 7) reu-x pel riva-x della lamina di Magliano, mi persuadono
essere S'eu la stessa parola che lat. -siva in Opeconsiva. — A reu testè detto, ran-
nodo io reu-s'ce, diminutivo derivato da quello per via del suff. -sco di vedvioKog
taidiokog oikiokoc, suffisso che trovo (13) in ham@i-sca laivi-sca delle Fasce (cfr. ham@es'
laes') e, come in lat. e-sca po-sca e forse vescus (Brugman, Grundr. II 259), così p. es.
in fali-sca mari-scu-s scutri-scu-m aci-scu-lu-s (cfr. $ 17 etr. ena-s'c-la), e altresì in
Etru-scu-s Tur-sku-m Fali-scu-s Vol-scu-s, del pari che in got. Thiudisk lit. Prussizkas(14).
Designa rev nella Mummia, come cercai mostrare altrove (Sag. 75 sg.), un sacro
liquido, analogo esso ancora al vino e però all’etna: leggiamo infatti M. VII 8:
reur zineti ramue0 vinum afcil]0 ame È liquamina in tina ramea (et) vinum in servili
ama °; ib. 5-6 vinum paiveism acile ame © vinam bibesium in servili ama’; VII 14
acil(6) ame etnam ‘ in servili ama cibarium (vinum)’; VII 7 reu-x zina caved 2us'leva-c
macra s'uri © liquamen in tina cava tortivumque (letter. ‘ torculivumque °) in mor-
tuali (letter. © macro ’, cfr. makrake © morì’ e lat. maciem larvalem) copò ° (Sag. 48.
(13) A torto quindi Sag. 23 n. 38, se meglio oggi m’appongo, allineai lo -sca di queste voci con
quello di Skanesnas Sanesnas' ecc. A favore dell'equazione Scarpia natus = Casprial, che il PavLi
(Altit. St. III 119) si compiace di vedere abbandonata dal Dercke, sta però (F. 1275 con F!. p. 102)
Plute Scatrnia con 1279 Plaute Catrna, quantunque naturalmente non si tratti, nè qui, nè per Casprial
Scarpia, neanche per me, di metatesi, ma soltanto di sca- = sa- = ca-. Quanto a s'acniestres’, malgrado
Pacsinial all. a Pacinnial, lo scomporrei ora in saen-ic-s-tre-s'; cfr. s'al(n)enie- con san(e)t-ic sen(e)t-ic.
(14) Cfr. p. es. Ausones Lingones con pusio tiro Auseli Bimbelli Magelli Statielli Vipielli, e Albanus
Romanus Sicanus Turdetanus con Albula Romulus Siculus Turdulus, tutti con suffisso diminutivo, ora
vezzeggiativo (Rendic. Ist. Lomb. 1892 p. 581 n. 27 e ‘ due iss. prer. ’ p. 192). Reputo poi non diverso
dallo -oko -sco predetto (cfr. D'Arpors pe JusAINviLLE, Prem. habit. de l’Eur. I 365 con MiiLLeNBOFE,
Deutsche Alterthk. III 177 sgg. contro I 86 e Pauri, eine Vorgr. Inschr. von Lemnos II 259 con 198 sg.)
V -a-sca (cfr. FLecnia, Nomi loc. It. sup. 63) dei Liguri: come cioè Vi-ne-la-sca Vi-ne-le-sca, così etr.
ena-s'c-la lat. aci-scu-lu-s e Mut-ue-sci. Fale-sce Fali-sci Tauri-sci Tauri-nî.
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 161
139 sg.). Insieme all’identico riva della lamina di Magliano manderei pertanto re(W)v
con lat. rivus (15); e però reus'ce, letter. rivulus, viene e per la forma e pel senso a
toccarsi con lat. po-sca. Infine per analogia così di ei tul var all. a cim tul var nelle
Fasce, come di Leta all. a Ledam sul bronzo di Piacenza, di ipa Ma.ani ( iBn
Maanium°) di un epitafio cornetano (F. 2279, 3) di contro a Manim arce (‘in arca
Manium °) d’un epitafio viterbese (F.3 327, 4), penso esser caduto in fine di rews'ce il -m
dell’accusativo, intatto in 0unyulem, come in etnam; sicchè reus'celm) Ounyulem presenti
combinazione uguale a lat. arc. sudegit omne(m) Loucanam. Risulta pertanto reus'celim)
Aiseras' S'eus' Qunyulem (‘ rivalum [dearum]| Aesariae [et| Sivae duplicem [vini] °)
perfettamente parallelo a 0i etinam (‘ bis cibarium [|vinum]”), e ben va ad esso con-
giunto da ix lat. atque. — Resta mac, premesso a reus'celm). Esso conferma anzitutto
il significato testè attribuito a questo, sul fondamento della sua connessione con rew
e dell’analogia di reu con vinum; infatti come qui nac reus'ce, abbiamo M. IXy 1
nacum aisna hindu vinum: vi abbiamo cioè associata con vinum, che trovammo testè
congiunto e parallelo di reu, la stessa parola (nacum), che la nostra colonna ci dà
(nac) associata con reus'ce; inoltre veggiamo qui nacum vinum associato con aisna
‘saeravit’, in compagnia del quale ci dà la nostra colonna subito prima di nac
reus'ce, come altri testi ($ 6), etnam: quindi si conferma l’ analogia di reus'ce con
ctnam, e la relazione con reu e con vinum. Ma nacum, oltrechè con aisna e vinum,
sta qui in compagnia di hin0v, in fine al quale per le ragioni addotte a proposito
di reus'ce(m), supporremo caduto un -m, sicchè in realtà si tratti di nacum hindu(m)
vinum: ora hindiu s'intitola nell’epitafio di S. Manno (F. 1915) la su@i o * sepolcro °
(F. 1915 cehen: sudi: hindiu); Hindia è una donna velata fra Caronte e l’ombra di
Pentesilea (F. 2147); hindial Patrucles s'intitola l'ombra di Patroclo (F. 2162) e hindial
Terasias' o Teriasals l ombra di Tiresia o Tiresiale (F. 2144, F°. 407); non si sba-
glierà quindi molto conghietturando che Rindu(m) vinum dica all’ incirea quel che
presso i Latini inferium vinum, e che nacum, hin®u(m) vinum possa interpretarsi
all’incirca: ‘ denicale inferium vinum ’. Invero l’unione di nacum con hindu(m) rav-
valora l’opinione (Bugge e Deecke) che etr. nac nacva nacna e altrettali vadano con
lat. nex gr. véxug zend. nacu ecc.; opinione a favore della quale stava già da tempo
l’epigrafe: may, di un’olla cineraria perugina (F. 1972), e sta ora l’aversi nace me
in principio, e mulu in fine, dell'iscrizione arcaica letta sul vasetto della tomba del
Duce a Vetulonia (Not. 1887 p. 494 e t. XVI, 5, 5°), come in principio di un epitafio
sanese (F.429) s'ha: mi murs, e in fine: mulune; sicchè pareggiato me a mi e mulu
a mulune, risponde nace a murs, cioè a parola verisimilmente connessa con etr. murs"!
murzua e con lat. mors mortuus. Codesto nace, che sta a nacum come Aule a lat. Aulus
bonus Aulum bonum, presumo io ritrovare nel nostro nec, privo dell’-e non già, direi,
per apocope, ma sì per semplice omissione della vocale medesima che notossi in fine
del susseguente reus'ce: infatti (cfr. Deecke, Magl. 20. 20), come lat.arc. regem Antio-
cho(m), omne(m) Loucanam, Fourio(s) tribunos militare(s), multi(s) modis, tecti(s) fractis,
Gnaivod patre(d), aire(d) moltatikod; come (0. I. L. 1 1313, XI 3160) lat. fal. lectu(s) I
(15) Letter. lat. rigua: cfr. p. es. ativ con ativu a lat. etr. Ativai, Luiscla laes con laivisca e
lat. Zaevus.
Serie II Tom, XLIV. 21
162 ELIA LATTES
datus, umb. agre(r) Casiler, tre(f) buf, veskles snate(s) asnates, sakre(m) uvem, perca(m)
arsmatiam, osc. Pakiu(d) Kluvatiud, pel. des forte(s) © dives fortis ’, Cerfum sacaracirix
Semunu(m); come etr. lauin(à) eteri e (Corssen, Deecke) cemulm lescul(im), Lar®ials'
Atnal(8')-c clan; così trovo io in un epitafio viterbese (F°. 329): spure0ì dpasi svalas(i),
nel Cippo di Perugia Larezula mevaxyr(a) lautn(a), nelle Fasce Tins'i(m) tiurim © lovium
mensem ‘’, firi)-in ar9) in igne ardente ’, een(e) zeri lec(e)-in ine zec(e) © agonia sacra
in lege atque sancta ’, eluri ceri-c zec(e), trau(8') pruxs', vinum trin(um) all. a vinum
Usi trinum; e così nella tazza di Foiano zel(zi) es'ulzi (forse “ter octies ’), al modo
che nella tavola del carme arvale: intraver(unt) con consed(erunt) e acceperunt. In tutt'i
quali esempi vedonsi omessi nella scrittura gli elementi finali d'una parola preceduta
o seguìta da altra in cui gli stessi elementi sono notati; quindi analogamente nac(e)
reus'ce per nac(e) reus'celm); e però interpreto: nac(e) reus'celm) Bunyulem È denicalem
rivulum (vini) duplicem ”.
11. Lin. 3-8: abbiamo qui di nuovo il verbo eisna © sacravit ’, che già ci occorse
alla 1. 2 colla grafia wisna, con cui ricorre alla 1.9; ne consegue pertanto contenere
le linee 1-9 almeno tre proposizioni perfette, la prima delle quali possiam credere
omai di conoscere quasi a pieno: 0i efnam aisna ix nac(e) reus'ce(m) Aiseras' S'eus'
Qunyulem “ bis cibarium (vinum) sacravit atque denicalem (vini) rivulum (dearum)
Aesariae (et) Sivae duplicem ’; non però ancora a pieno, giacchè ci manca il soggetto
di aisna, che il seguito ($ 19) insegnerà se debbasi per avventura stimar celato nella
parte illeggibile della 1. 1, e come possa, se mai, in alcun modo supplirsi. — Dopo
Qunyulem comincia un contesto, che fra la 1. 3 e 1. 8 ci dà tre volte (1. 3. 5) la
parola mu0, tre volte (1. 5. 6. 8) hilarduna e una hilarOune (1. 3), questo accompa-
gnato da eterti-c cadre, come uno degli hilarBuna da eterti-c cadra; sarà pertanto
ragionevole sospettare che siffatte ripetizioni appartengano a incisi diversi, la cui
separazione potrà sino ad un certo punto conseguirsi coordinandole estrinsecamente.
Otteniamo così, tenuto conto eziandio per antecipazione di quanto tantosto circa il
valore delle diverse voci si rende probabile:
muo hilarQune eterti-c cadre
Xim ena-c puts medlum0Q Unxva
muo hilarduna Tecum
etrin0i muo nac huca Unxva
hetum hilarduna Bend Cexam
Qu hursi-c capl
eisna ena-c hindu(m) hetum hilarduna eterti-c cadra
nel quale coordinamento il -c congiuntivo suffisso a Ahursi-c e ad ena-c si sarebbe
dovuto per maggiore evidenza trasportare alla parola qui anteposta, il cui luogo nel
testo si presenta occupato da quella col -c. Di questo, poichè mi giova per l’inter-
pretazione parlarne subito, abbiamo primieramente e nella Mummia e fuori non
pochi esempi, in cui vedesi suffisso alla seconda di due parole uscenti per sillaba
uguale. Nella Mummia: otto volte (II 8. III 23. IV 16. 19. V 6. IX 6. 13. 21) s'pureri
me0lumeri-c; poi IV 4. 17 meleri sveleri-c, VIM 4 s'ucri dezeri-c, V 22 eluri zeri-c; così
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 163
pure cinque volte (IV 15. 20. V 11.14. IX 19) yis' eswis'-c; così infine V 20. 21 Oeiviti
faviti-c e II 7. V 5.12 ha0r0i repindi-c, V 21 Oesane Uslane-c e IL 19 2ziyne s'etirune-c
(cfr. 5 /ziyxn]e s'[etir]June-c). Negli epitafi: F*. 398 (con Deecke V 2) Hulyniesi Marcesi-c
caliadesi; F. 420 Arndal Vipinal-c e F°. 382 Arndal Ruvfial-c; F. 2327 ter" Tarnes
Ram@es-c; Mon. V II t. 36 (Sag. 150. 202) cis ea0rmis-c. In altri non pochi casi, le due
parole hanno però comune soltanto 1’ elemento finale. Nella Mummia, come nella
nostra colonna XII 12 caperi zamti-c, così VIII 10 caperi cam@i-c; inoltre IV 18 ruze
luzlyne-c (2), V 3 Cilos' s'pures'tres'-c e cinque volte yis' esvis'-c; e così pure IX 8 carve
fas'ei-c, 14 2us'leve fas'ei-c, VINI 5 /ars'e] fas'ei-c, dove l'uscita, benchè apparente-
mente diversa nelle due parole (-e con -eî), vuolsi tenere in realtà identica: cfr. yis'
esvis'c fas'e, allato a y. e. fas'ei, Velia Caine all. a Velia Cainei, Celia Ceilia, Cesi
Ceisies, Easun Eiasun, Velia, Veilia, Vesial Veisial, Svetiu Sveitus, lat. decreivit leigibus
pleibes. Negli epitafi: F. 2071 Xuryles Oanyvilus-c, 2340 mayxs mealyls-c. Ora in pre-
senza di tali e così copiosi documenti, tutti più o meno già estrinsecamente analoghi,
non par lecito dubitare che etr. -c (Mem. Ist. Lomb. 1873 p. 11 = 271, cfr. Deecke
Etr. Forsch. 15-37) ebbe ufficio congiuntivo; il quale si vorrà pertanto stimare sino
a prova contraria esercitato in alcun modo anche là dove manchi l’indizio estrinseco
della equidesinenza; e però, anche là dove questa non concorra ad attestare estrinse-
camente che fra le parole collegate da -c intercede alcuna relazione di analogia, dovrà
questa, fino a prova contraria, presumersi. Ed ecco la riprova: insieme con caperi
zamti-c 0 zam@i-c, dove -c congiunge due -i, ci dà la Mummia VI 6 0Qeusnua caper-c,
dove l’equidesinenza manca; ma tant'è vero essere pur qui -c congiuntivo, e però inter-
cedere fra Geusnua e caper(i) relazione analoga a quella che fra caperi e camti 0 zam@i,
che, come con questi ($ 5) il verbo sta alla 3? ps. pl. e suona cioè 0umsa e sacnisa, così
con deusnua caper-c incontrammo tindas'a. Similmente fra poco vediamo ($ 12. 15) xim
ena-c 0 ena-X, dove ci risulterà essere era numerale, al pari di xim. Così pure IV 21
Ais' Cemna-c, V 18 Ais Cemna-c, X 10 Eis Cemna-c, VII 16 Ais Cemna-y; dove ricor-
dato per Ais' Ais Fis etr. aîcoi per Beoi, e ricordato per Cemna il prenestino Gemna
lat. Gemina e insieme Ianus biformis o bifrons e Diana triformis o triplex, torna già
di per sè probabile che le parole congiunte da -c o -X siano entrambe nomi di deità.
Così d’altronde pure negli epitafi: F. 2383 Lar0als' Atnal-c, F! 431 Velus'a Aninai-c.
Quelli dànno anzi a tale riguardo anche più e meglio. Dànno cioè primieramente
F. 2335° ‘Lar0al : sey : Lardial-c Alednal, F'. 388 Lar@al : clan : Pumplial-x, F. 2335.
Plecus : clan : RamQas-c; dove la parola cui sta suffisso -c 0 -x trovasi anzichè col-
l’ultima, come di solito, equidesinente colla penultima, essendo però fra questa e la
voce col -c o -X interposto clan ‘filius’ o seX ‘ filia , vale a dire tale voce che fa come
parte della precedente ossia penultima, e non può da essa staccarsi. Analogamente poi
leggiamo: F°. 329 /A/rn0al cla/n.] Oanxvilus-c. Ruvfial, dove -c sta suffisso a parola
di uscita diversa anche dalla penultima, la quale però ne è separata solo da cla»,
come le due penultime equidesinenti testò allegate. Che se nessun caso identico so
io veder nelle Fasce, mi offrono esse tuttavia tre combinazioni abbastanza analoghe:
V 231 spural me0lumes'-c, VI 5 cltral mula-x, XI 12-13 Ce/iJal tuyla-c.
12. Ed ora, quando fra gli addotti esempi si scelgano i più facili e sicuri, chiaro
apparirà potersi etr. -c -x equiparare a lat. -que fal. -cue (cfr. lat. ne-que ne-c,
164 ELIA LATTES
at-que a-c); così nella Mummia: His Cemna-c 0 Ais' Cemna-y È Deus (Sol) Geminaque
(Luna) ’; xim ena-c 0 ena-y © centum unusque ’; così negli epitafi: Arn0al Vipinal-c
‘ Arruntialis Vibennalisque ° (cfr. lat. ager vectigal per a. vectigalis); Hulyniesi Marcesi-c
‘ Holconesius Marcesiusque ’ (cfr. p. es. lat. etr. Ocresia) ecc. come lat. honestius ma-
gnificentiusque, laboribus susceptis periculisque aditis ecc. Ma s° aggiunge a riprova,
occorrere talvolta il -c sì negli epitafi e sì nella Mummia suffisso anche a due parole
consecutive, alla maniera di lat. rexque paterque, urbesque gentesque, diesque noctesque:
F. 2340 /-Affufnas-c. Matulnas-c; Mummia IV 4. 16 hate-c repine-c (cfr. IM 23
hante-c (2) repine-c); ib. V, 10. 14 Eiser S'i-c S'eu-c. Dei quali tre casi, nel primo le
due parole consecutive cui -c sta suffisso, hanno identica 1 ultima sillaba (-as), nel
secondo la vocale finale (-e), nel terzo nemmeno questa (-i con -u): esso entra
quindi nella categoria di yim ena-c e di Velus'a Aninai-c: Lasciato ora qui da parte 1l
secondo caso tuttodì piuttosto oscuro, nel primo sta il -c suffisso a due noti nomi
propri (Afuna lat. Aponius Afonius e Matulna), nel terzo a due nomi di deità, cioè
($ 10) lat. Seia e -Siva in Opeconsiva: si tratta adunque in due sopra tre casi, di
voci delle quali sin d’ora possiamo ammettere che sono realmente analoghe, e con-
cludere quindi che anche il doppio -c usarono gli Etruschi al modo del doppio -que
latino. — Dopo di che, facciomi a considerare i cinque -c della nostra colonna: 1.3
hilardune eterti-c cabre e 1.8 hilarduna eterti-c cadra; 1. 4 yim ena-c; 1. 6-7 Unyca
hetum hilarQuna Gen hursi-c capl-du, Ceyam ena-c cisna hindu hetum. In nessuno di
questi luoghi la parola con -c finisce come quella che ad essa precede; già però
accennammo e tantosto vediamo ($ 15) di una (xim ena-c © centum unusque ’), che -c
vi congiunge parole affatto analoghe. Ora cotesta parola con -c (ena-c) riappare indi
a poco; quindi torna ragionevole credere che pur qui abbia essa il medesimo signi-
ficato di prima, e però che l’abbia altresì il suo -c. Questo occorre poi già tre parole
innanzi (hursi-c cfr. VII 9 mula hursi); nè par legittimo supporre che a sì breve
distanza possa avere significato diverso. Restano i due eterti-c, ambo le volte prece-
duti e seguiti da parole diversamente uscenti, ma fra loro in ambo le occasioni non
solo analoghe, sibbene quasi affatto identiche (hilarQune e cabre, hilarduna e cadra):
esse parole hanno adunque coll’ interposto eterti-c uguale rapporto, e però devesi
anche al -c di quello assegnare funzione, fino a prova contraria, congiuntiva (16).
13. Ritornando ora al proposto schema ($ 11), e anzitutto alle parole contenute
nelle lin. 3-8 dopo 0unyxulem, vedesi ai tre mu0 corrispondere rispettivamente nei
varii incisi paralleli: puts, hetum, hindu hetum, capl hursi. Di tutte codeste voci la
più facile ad intendere, e però la più acconcia, in causa: del parallelismo, a lumeg-
giare le altre; è puts. Leggiamo infatti nell’ epitafio di Laris Pulena (G. 799, 1. 6):
(16) Notevolissimo (Sag. 208. 6) sarebbe il riscontro gallico ioredo locito-k ‘ fecit locavitque ? (Srorks).
— Quanto a Hulxniesi Marcesi-c caliadesi, letter. © Holconesius Marcesiusque caliatesius ’, credo signi-
fichi: ‘ dimorante nella kad di Marce Hulynie®; così Lar0al sex Lar0iale Ale0nas ‘© Lartalis filia
Lartialisque Aletiniae ‘, cioè f. di Larte e di ‘ Lartia Aletinia’, o per indicare che pur la madre
era della stessa gens, o il matrimonio perfetto da lei contratto, e la piena legittimità dei figli, atte-
stata dall'assunzione del nome maritale. Circa il -sé del primo testo, agli argomenti del venerando
Faprerri (Atti Acc. Tor., 1890-91, XXVI, p. 172) in pro del dativo (Pauri e Busce, genitivo), risposi
secondo il poter mio, Sag. 194 sg. cfr. 74. 127 sg. 147.
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 165
melecraticces puts, ossia per me put(u)s, omessa nella scrittura della seconda sillaba
la vocale scritta nella prima; ora che melecraticces sia derivato col suff. -ico da
uerixpatov, torna evidente; a ragione pertanto il Deecke (Magl. 18) ne dedusse doversi
il concordato put(u)s allineare con lat. potus. Ma s’ aggiunge di presente (S. 30-34),
che le Fasce ci dànno ben nove volte: cisum pute, e che cisum occorre una volta in
epitafio tarquiniese susseguito da tamera, il quale in altri epitafi tre volte s'incontra
in compagnia di venas ossia lat. vini (cfr. lur-venas lat. lora vini); e però cisum risul-
tando analogo a vena (cfr. lat. mustum circumcisitium o circumcidaneum), abbiamo
nelle Fasce pute in relazione col nome di una bevanda, come appunto put(u)s nel-
l’epitafio predetto di Pulena; abbiamo vale a dire entrambe queste voci connesse
con altre che supremamente convengono con lat. potus potare, cui 1 apparenza loro
già consiglia di riportarle. — A puts, di cui si determina più innanzi la ragione
grammaticale, come a’ tre mu0, fanno poi riscontro nel testo nostro hetum e hindu(m)
hetum. Ora questo ci richiama a nacum hindu(m) vinum È“ denicale inferium vinum
($ 10), e dà sospetto che pure hetum possa designare cosa non diversa dal paral-
lelo puts. E veramente leggiamo M. XI 4: hetum . vinum . Gil . vacl . hexz . etnam,
dove hetum che vedevamo testè unito a hin0u(m), epiteto di vinum, sta esso mede-
simo associato con vinum. Ma v’ abbiamo inoltre hey con etnam, termine analogo
esso ancora di vinum; ora M. VII 11 ci dà hecia . aisna . clevana: xim. ena-c Usil e
XII 4 xim. ena-y. Unyva . medlum® . puts; donde risulta hecia xiùn ena-c essere paral-
lelo di yxim ena-x puts, ossia hecia parallelo di puts, come nel nostro testo puts di
hetumj; quindi hetum hecia hexz son voci verisimilmente connesse. Siffatta deduzione
riesce poi confermata da ciò, che come hetum vinum, hindu hetum, hindu vinum,
abbiamo M. X 15 hindu heyz e tre volte heys'9 vinum (IV 9. IX 6. 7) 0 vinm (IV 14):
arroge che hetum, dietro l'analogia di Ataium per ’Axtaiwv e di Utaunei per lat. Octa-
viana (17), potrà supporsi alterazione fonetica di he(c)-tu-m (cfr. hectam) part. pass.
passivo di un verbo hec- hex- (cfr. hex-2 0 hexs'0), al modo di etr. e lat. pura-tu-m
da lat. pura-re; il che posto, hetum dovendo essere un ‘potus’ simile al wvinum e
all’etnam, qualora si consideri che anche etr. e sta spesso per ai ce e etr. A s'avvi-
cenda con f (18), non sembra illecito congetturare in he(c)-tu-m il riflesso etrusco di
lat. faeca-tu-m e scorgere la base di lat. faex in etr. hex-e hey-s'0 hec-ia. Nè manca
forse un principio di riprova: perocchè, come testè hecia clevana, così M. VII 15-16
etnam ic (2) clevrn8 s'uci-c, ossia clev-ana con hec-ia e clev-r-n- (loc. clevrn-6, cfr. lat.
cav-er-na tab-er-na) fra ctnam ° cibarium (vinum)’ e s'ucî lat. succi; quindi primie-
ramente hecia apparisce parallelo e simile a s'ucî, ossiano circa * succi vinacei °, quali
appunto sono le facces; in secondo luogo se clev-ana e clev-r-n- si suppongono far
famiglia con lat. eluere cloaca, potrà hecia clevana interpretarsi allo incirca: * faeces
purgatae ’ (19), ossia si avrà con hecia tale aggettivo che ben conviene alle faeces.
(17) Cfr. n. 13 sart-ic sent-ie lat. © sanct-ico- ° e Setumi Setumes Setumnei Setumnal, lat. volg. Setimus
Setimius per lat. Septimius; e fuori d’Etruria, cfr. prenest. Vitoria, umb. petenata tettom-e, lat. volg.
fa(c)tum le(c)to.
(18) Cfr. Esera Aisera etr. lat. Aesar, Cnevi Cnaive-s etr. lat. Cnaeve lerzinia (F. 1914 A 18) Laer-
sinas; Hastia Hasti Hasdi Fastia Fusti Fas@i, har0(na) farBana farO(ana), Hausti-s' (dea) lat. Naustae.
(19) Cfr. sul vaso di Moncalieri (F 2614 quat.) «ska eleivana © doxéc olivanus ’, cioè ‘da o ‘ di
olio ’; ossia eleiva-; eXoîov = lat. Achivus: Axaîos (Iss. paleol. 105). Quanto a Mlakas Sela di quel
testo, che altrove è Zilî Mlax(s), v. Sag. 154.
166 ELIA LATTES
14. Divenuto omai pertanto probabile che tre de’ termini paralleli a mu@, cioè
puts lat. © potus °, hetum lat. “ faecatum ’, lin0u(m) hetum lat. “ inferium faecatum ’, de-
signino cose liquide e vinacee, torna ragionevole ricercare fra queste anche mu0 me-
desimo. Ora per cisum, nove volte compagno di pute nella Mummia, già accennammo
aversi riscontro assai preciso nel mustum circumcisitium e circumcidaneum del
Lazio, e del resto anche la sacrima de’ riti latimi fu ©“ mustum inditum in amphora °
(Fest. p. 318 M.); supposto quindi che siasi in fine di mu09 omessa, come in put(v)s,
la vocale della sillaba precedente, e reintegrato così mu@(v), non pare esorbitante
sospettare che dia esso, priva del -m ($ 10), la risposta etrusca di lat. mustum:
cfr. F. 1123 Cre0nal e 2397 Cveon con 1120 Cvesonal e 1748 Xvestnas', tutti, meno
Cveon, di Perugia; inoltre cfr. Caialida Epleda Lusceneda con Caialisa Claucesa Luscesa,
Reusi Reusial Fasi Fasntru con Reusti Reustial Fasti Fastntru, Remena Nus'ei con
Nustesa Remenal, Xvesnas (G. 689) di Perugia col perugino Xvestnas' testè addotto;
infine cfr. Veldinas' Velzinas'ia e Vestrnalisa VezOrnei con Uduze Uduste Udste
’Oduooveg, Axvior Axvistr Ayuvitr, ee e0 es't lat. et. — Resta l'ultimo parallelo dei
tre mu0, cioè hursi-c capl-du. Qui chiaro è sopratutto 9, voce numerale nota dai
dadi di Toscanella, e da’ più giustamente pareggiata a lat. duo, perchè 0u-lut/e/r sta
scritto sopra due persone (F. 2095"), tu-sur@ir tu-s'ur0t tu-s'urdi presso a due coniugi
(F. 2003. 1246 sg.), 0un-s'unu sopra uno schiavo che suona la doppia tibia
(F. 2033 bis A°). Quanto a capl-, chiede il Krall nelle osservazioni alla sua trascrizione
(p. 43), se capl-0u non sia da leggere piuttosto di capi :0v; a me l'uno come l’altro
(capi cioè o capl) tornano di per sè assai probabili. Invero cape è l’ unica scritta
di una stele sepolcrale perugina (F. 1995), e capi si legge in ambo le iscrizioni di un
ossuario volterrano (F. 348 bis®% — ©. IL Etr. 142); kape-muka@desa sta sopra un’anfora
(F. 2583), kapes-Sli sopra due vasi dipinti (F. 2197 Vulci, F° 409 Italia meridionale),
nipi kapi mirnunei su vasetto fittile (F° 83) di Chiusi. Ora, cape della stele e capi del-
l’ossuario ricordano osc. etr. xamditwu per © sepolero ’, e hanno conferma nell’Rrin0a
cape del Cippo di Perugia (F. 1914 A 14), che ben s’interpreta: © mortuariam capidem °
(Corssen © mortui capulum ’); mentre poi kape kapes kapi essendo scritti sopra vasi,
rinsaldano l'opinione che questa voce non si possa separare da umb. capif lat. capis,
opinione assicurata d’altronde dall’apposizione chiusina nipi kapi “vimmmp capis’ e insieme
forse dall’unito aggettivo mirnunei, se vi si scorga come un lat. © murrinonia ’, ossia
‘ destinato alla murrina potio’ dei morti. Dirà quindi capi :0v, quando siffatta
lezione si preferisca, © capides duae ° o * duas ’; e sarà caduto in fine d’ambo le voci
il -s (cfr. $ 5 oi 0apnes'ts' tritanas'a, aseies ha sacnis'a) o il -r (cfr. ib. papalser
acnanasa VI e Qu-x ixutevr e tu-surdir con umb. prinuvatur dur) del plurale, come p. es.
cadde il -s o il -r in cexane di trindas'a cexane sal all. a clenar zal acnanasa, e in
vacl di 0. vacl Oumsa all. a sacnis'a dui acazr (S. 148); e come in tus'urdì tus'ur0ti
all. a tus-urBir, e nelle Fasce /lere in craps'ti o nunden zus'leve all. a fleres' in craps'ti
e eus'leves' nunden e in rils-Qvene(s). Che se preferiscasi leggere capl-0u, io restituirò
a capl in mezzo e in fine la vocale finale dell’indiviso 06u, regolarmente, secondo gli
allegati esempi ($ 13.14 cfr. 10), omessa, e nell’integrato cap(#)Iv) vedrò, privo del -s
o -r plurale, lat. capulos capulas, però nel senso di capidulas (20). La lezione capl-0u
(20) Oserei poi sospettare che capi(s), 0 capi(x) e cap(u)l(u) risalgano a capi(a)(s) 0 capi(a)(1)
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 167
darebbe, se mai, uno dei pochissimi esempi di complessi ininterpunti offerti dalla
Mummia: così nella nostra colonna hilar-duna hilar-gune, e per contro VIT 17.23 ara Quni
(con spazietto divisorio, ma non col solito punto); così (Sag. 186) reur-cineti reu-y-zina
hil-x-vetra rils-0vene(s). Che si tratti poi di capi-9u o di capl-6v, il collocamento del
numerale trova riscontro in X 20-31 halxza-9v (preceduto da 2u0eva cal, es'i-c ci e
seguito da es'i-c al e Y 3 puntnam du. — Finalmente per ciò ch'è dell’hursi-c prece-
dente a capi-9u o capl-Qu, vi scorgo un aggettivo di capi(r) lat. capides, 0 cap(#)I()
lat. capidulas, circa uno ’ha)ur-(1)s-i(a) per lat. haurientes gr. civoydug: cfr. Plute
Scatrnia con Plaute Catrna (n.13), lutni o Lutni con lat. etr. Ludniae all. a lautni,
lutanda (Not. d. Sc. 1891 p. 227-21) all. a lautn0a (F. 814 bis con Rendic. Ist. Lomb.
1891 p. 553) lautnida, Luxmnes all. a Lauymes, Atnates caper-c Pacnei all. a Atinates
caperi Pacinnei. Reputo così hursi capi * haurientes capides ’, equivalere all'incirca al
chiusino nipî kapi È vimmti]p capis
15. Parallelamente a 0u con capi o capl, mostra il contesto prima (L. 4) xim
ena-c con puts, e appresso (1. 7) ena-c con hindu(in) hetum. Se in vero si confrontino :
M. XII 4 xim . ena-X. Unyxva . medlum0 puts
VILII hecia . aisna clevana . Xim . ena-c Usil
G. 799 lin. 6 melecraticces . puts . Xim. Culsu
Magl. A. lin 1 LXX . ez. XimQm . casdialo
ib. 3 afrs . ci-ala0 . XimOm
Cippo A. 22 xim0-s'pel-duta-s'cuna
si trova che due volte è xim congiunto con ena dalla copula -c lat. -que ($ 11-12), e
una volta è xim9m preceduto da cifra (LXX), tra la quale ed esso sta ez, che si
direbbe surrogare il -c degli altri due luoghi, e potrà tanto più quindi, come già
primo propose il Deecke (Magl. 18), pareggiarsi a etr. es't (cfr. Uduste Axvistr all. a
Uduze Axvier) e a lat. et): sorge così la presunzione che Xim sia abbreviazione o
alterazione fonetica di xim0m, e come questo a yim e ee a -c, risponda ena a LXX,
e sia cioè voce numerale. Il che posto, diventa probabile che lo sia anche yim o
xim®m, associato com’è con ena due volte e una volta colla cifra LXX; e la presun-
zione si rincalza, primieramente per 1’ altra associazione sua pur due volte con puts
lat. potus (cfr. melecratices, precedente ed equidesinente a puts, con uerikpatov), e però
con parola analoga a etnam, di cui vedemmo ($ 7. 9), come sia spesso accompagnato
da numerali; in secondo luogo, perchè uno de’ testi riferiti mostrandoci afrs ci subito
prima di ala0 yim0m, a yxim®9m già estrinsecamente risponde ci, ch'è una delle parole
numerali dei dadi, e la rispondenza si fa intrinseca e probabile, se col Deecke s’in-
terpretino afrs e ala9 con lat. apros e alites (letter. alatos); con che, allato a' due nu-
merali, ottengonsi cose, che sogliono appunto andare numerate nelle prescrizioni
da *capida(s) *capida(r) e *capid(u)l(u) lat. capides ecc., per iscadimento del 4 intervocalico, quale
proposi di vedere in umb. capif pihos lat. piatus, e in etr. sarsnaus ‘ cenatae ’, ossia ‘ cenulae ’,
purts'vav- © pursvatus °, e in lat. osc. Pe(d)uc-etii per l’identico Pedic-uli e altrettali (Due iss. prer. n. 19
e ind. fonet. p. 191).
168 ELIA LATTES
rituali alla maniera di quelle fissate dall’epigrafe di Magliano. Ammesso ora che yîm
o ximn9 o Xin®m ed cena siano parole numerali, non sembra difficile indovinare il
valore con sufficiente probabilità etimologica, e sarà nuovo argomento che spettino
appunto alla categoria cui li attribuiamo; in effetto già il Deecke (Bleipl. v. Magl. 17)
allimeò yim0n con lat. centum e lit. seimtas, ed enza (Woch. f. Klass. Philol. 1892 col. 1253)
con lat. oînos cenus unus, got. dins lit. v-énas: cfr. anche etr. venas venes con gr. Fowog.
— Quale sarà però la relazione sintattica di xim ena-c con puts e di ena-c con
hindu0n) hetum? Quanta questo, niente permette di vedervi struttura diversa da
quella di capi-0vu 0 capl-9u: si tratterà pertanto di un nom. acc. sg. ena(im) hinBu(m)
hetum. Quanto a puts, il -s, come nelle altre favelle italiche, conviene anche in etrusco sì
al nom. e gen. singolare, sì al nom. acc. plurale: vedemmo infatti pur testè 06 dapnes'ts'
tritanas'a (‘ duo sepultores ter libarunt ’) e usedes ha sacnis'a (‘ arulae - sacerdotes hic
sacrarunt ’), e ci dànno le bilingui i nomi proprii etruschi Cafates Pisis per lat. Cafatius
Phisius, e mostrano altre epigrafi p. es. hindial Patrucles o Terasias' sull’ombra di
Patroclo o Tiresia (F. 2144. F'. 407), puln Marces per © pelvis Marci’ (F. 2642 con
Corssen 1219), Clauces o Viplis' puia per © Glauci’ o © Vibillii uxor ° (F. 929. 1587).
Ora, sebbene si presenti a noi più probabile che xim ena-c puts, e più ancora puts
melecraticces significhi ©‘ 101 (misura) di bevanda melieratica ’, anzichè ‘101 bevande
melecratiche ’, tuttavolta il confronto con ena-c hin8u(m) hetum e con tutti i simili
esempi in parte già allegati delle Fasce (V vaclinam o cntnam, putnam du calatnam,
halyza Qu, ena-c es'i, xim0 es'i, es'i-c ci es'i-c cal ecc.), m’impedisce di ravvisare anche
in puts e put(u)s melecraticces niente più che nom. ace. plurali. Io per me so imma-
ginare soltanto, che dopo il numerale si sottintenda sempre una nota e fissa misura
p. es. il cyathus, e questa col numerale assegnatole faccia apposizione alla cosa mi-
surata, come in ted. cin Glas Wein (21). Certo è in ogni caso che Xim ena-c e ena
stanno prima della cosa cui si riferiscono, laddove 9v sta posposto a capi, secondo
già si vide ($ 9) occorrere altrove.
16. Seguono al primo mu9 (lat. mustum) le parole: hilardune eterti-c cadre, al
secondo mu9 il solo WlarQuna; segue all’analogo he(e)tum (lat. faccatum) di nuovo
hilarduna, accompagnato da 9en9, e segue a Windu(m) he(c)tum (lat. ° mortuarium fae-
catum °) di nuovo, come al primo mu@, tutto intero il complesso: NilarBuna eterti-c
cadra; abbiamo inoltre me8lum0, equidesinente di 9en9, con puts e nac huca, che inte-
greremo in nac(a) huca per le ragioni stesse ($ 14) per le quali integrammo nac(e) reus'ce
mud(u) put(u)s cap(a)l(u), il quale nac(a) huca è equidesinente di hilarBuna e cadra.
Ora fra queste voci, due portano il noto esponente -ti -Bî -0(i) del caso locativo,
cioè dire: eter-ti, come cela-ti c(e)l-Gi “in cella’ da etr. fal. cela lat. cella, come s'pelane-0ì
‘in sepultura ’, sudi-9G) 0 sudi-ti ‘in sepulcro” da su0i ‘ sedes, sepulerum ’, zine-ti
‘in tina’, reke-ti “in regia’. Ma allato a questa forma di locativo, ne conoscono
le iss. etrusche una seconda: S"ene (cfr. lat. arc. dat. sg. Diane) per lat. Senae, are
‘in ara’, e sulle Fasce ha0re repine all. a ha0r-0i repin-9i e persino insieme acil-8 ame;
e però anche hilarQune e cadre potranno tenersi per locativi, e eter-ti-c ca@re si rico-
(21) Cfr. Grim, Deutsche Gramm., IV 285 e DeLBRiick, Syntax, 588.
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 169
nosceranno come giustamente concordati (22). Abbiamo però altresì WilarQuna deng e
eterti-c cadra, come altrove cina cave-0 all. a cine-ti ramue-0, macra s'ur-0i e seduma-ti
simlxa; dunque il locativo potè uscire anche in -@, e starà questo a -e, ossia -ae -ai
(cfr. S'ene per -nae -nai) come lat. arc. nom. pl. Matrona e dat. sg. Feronia Matuta
a Feroniae Matutae. Come però si spiega che insieme nella stessa colonna, e quasi
nella stessa linea, si abbiano forme in -e concorrenti con forme in -4? Io me lo
spiego col confronto di cresverae hevtai insieme scritti sulla Mummia, e di Tamiae
Dertone (cfr. Anniae Sefarine, Fonteiae Septime ecc.) offerta da un’epigrafe paleo-
latina dell'Etruria (C. I. L. I 1345 = XI 2726), dove abbiamo inversamente disposta
la combinazione stessa di Ankariate Vesiae (Sag. 109) in un’epigrafe veramente etrusca
(F. 71); penso cioè che come qui -ai -ae -e, benchè scritti diversamente dovettero
suonare in modo identico, così hilarduna e hilardune, cabra e cadre della nostra
colonna siansi identicamente pronunciati come uscenti all'incirca .in -@ (23). Del resto
nella V delle tavole di Gubbio “ à cinq lignes de distance , (Bréal p. 340) leggiamo
panta muta (B 2) e etantu mutu (B. 6) per lat. quanta e tanta multa. — Quanto al signi-
ficato di ciascuna delle anzidette parole, per hilarQune e hilarduna già si accennò come
il confronto con ara Buni consigli di scomporle in hilar e Quna dune; e più vale anche
incontrarsi nelle stesse Fasce, come ara da solo, così da solo hilar hilare e da solo
Quni. Abbiamo anzi hilar per ultima parola della nostra colonna e dell'intero monu-
mento; e vi sta preceduta dal gen. cluctras', sicchè subito, fino a prova contraria,
ne deduciamo che fu verisimilmente un nome; abbiamo inoltre nella Mummia XI y 5
Rasna hilar e altrove due volte, uno di contro all’altro, tular Ras'nal (F. 1044 =
C. I. Etr. 439 e Pauli, Altit. St. III 17 è 56) sopra lapide cortonese, dove Pas'nal
rispondendo a Rasna, risponde tular a hilar, e Ras'nal essendo aggettivo, cioè
‘ Rasenniale ° (cfr. Ras'nes' Rasneas ‘Pacéva), ne discende avere Rasna perduto veri-
similmente il -s del genitivo, e Rasna(s) hilar stare a tular Ras'nal come © ambra
Tiresiao” hindial Teriasals a “ umbra Tiresialis ° hindial Terasias' e p. es. lat. Ubri
Pontificum a libri Pontificales; onde si conferma per Wlar la qualità di sostantivo.
Una pietra di Montepulciano (F. 937) mostra poi: tular lMilar, e sarà apposizione
somigliante a nipi kapi È vimthp capis ($ 14), e rinsalderà la relazione di hilar con
tular; relazione che risulta ulteriormente avvalorata dallo aversi nella Mummia,
come lo scempio tul, così l’analogo Wil (VI 2 hil-X-vetra cfr. reu-X-cineti, lat. veteris
it. Vetra), i quali insieme sempre più persuadono kil-ar e tul-ar doversi, sotto il
riguardo morfologico, allineare con lat. alt-are calc-ar luc-ar, e anche perciò doversi
stimare, come tular, così hilar sostantivo; s’aggiunge infine a tale proposito il con-
fronto di cluctras’ hilar, con acil hamqes' laes', acil Hupnis', e con Wlare(s) acil,
rils-Qvene(s) acil, adre(s) acil, S'erque(s) acil e simili, tutti nelle Fasce. Queste col
loro ara Buni all. a hilar-0una hilar-dune, suggeriscono come probabile altresì l’ana-
(22) Cfr. anche Iss. paleol. 98 etr. camp. upsatuh sent Tiianei ' operati sunt Teani ’, cioè ‘ cele-
brarono il rito’ di cui il vaso così iscritto doveva essere, io penso, documento e parte. Non però
reputo locativi Turxnal-9i Velcl-di, che interpreto letter. © Tarquinialitius Volcialitius ’ (cfr. lat. com-
pitalicius ecc.) per ‘ Tarquiniese ” e ‘ Volcense ’; cfr. Magl. casdial0(4) ‘ casta sacra ’ con DeEcKE, p. 17.
(23) Forse non mancò al lat. arcaico pure un loc. in -a, e s'avrebbe nell’AlDa e Roma delle mo-
nete (Iss. Pal. 86, n. 120).
Serie Il Tom. XLIV. 22
170 ELIA LATTES
logia lessicale di hilar con ara: d'altro canto risulta dalle allegate epigrafi già prîma
conosciute, che /i/-ar significò verisiimilmente alcun che di simile a tul/-ar; ma questo
fu da tempo bene interpretato con ‘tumulo, sepolcro °’; e d’altro canto lat. ara non
solamente fu spesso cosa sepoletale (cfr. p. esi Virg. Aen. VI 177 © aramque sepuleri ’,
nei funerali di Miseno), ma sta più volte nelle iscrizioni di quella lingua senza più
per ‘ sepolcro °; non si sbaglierà quindi molto attribuendo tale valore anche a Wilar,
e, comunque se ne spieghi l’origine (cfr. Corssen, Etr. I, 468), simile significato. Il che
anìmesso, anche l’aggiunto 9una dune riesce abbastanza chiaro qualora vi si riconosca
(cfr. $ 10 Bun=yule-m) un derivato di 0 lat. duo, sul fare di lat. du-onu-s da lat. duo
appunto (24); invero hilar-0una 0 hilar=dune; se vale ‘in sepulero duplici’ si toc-
cherà quasi con ara 8uni “ in ara duplici ° (25); ossia l’ara gemina dei riti funebri nel
Lazio: cfr. nei funerali d’Anchise, Virg.; Aen. III, 305 ‘ et geminas causam lacrymis
sacravimus aras ’; e Ov. Met. VII 240, a proposito di Medea: ‘statuitque aras e
cespite hinas dexteriore Hecates ° ecc. — Nè a siffatta interpretazione contraddirà il
susseguente e congiunto eterti-c cafra o cadre; perocchè ca@ra, dietro l’ esempio di
Xartillas' insieme con Xvartv in un medesimo epitafio (F. 466°is, cfr. Xestn e Cestnal
all. a Xwvestnas' CvesAnal Cve0nal Xvesnas) potrà pareggiarsi a lat. quadra nell’antica
accezione di ‘ quadrato ° {Fest. 268 M. ‘ locus gradibus in quadram formatus °), nome
opportuno del sepolero in Etruria, dove le camere e i monumenti sepolcrali ebbero
sì spesso forma quadrata; come poi ca0ra a hilar, risponderà eter-ti-c a duna dune,
qualora si riconosca ché etr. eftera, gen. pl. eterau(m) eterav(m), e così etrun) fem.
itru(m)-ta, eteraia gen. eternias eterai(a)s, etrin-0i, etr. lat. Etru-scu-s (E)TU7)-scu-s,
etr. umb. (E)Tur-sku-m, fanno famiglia con umb. etram-a etraf etre etres etru “ ad
alteram alteras, altero e alteri, alteris e altero ’ e con lat. iferum. A questo penso
equivalga etr-iîn-0î, posto nella nostra colonna fra’ due mu9 della lin. 5: mu0 hilarQuna
Tecum, etrindi mud nac huca Unxva È mistum in sepulero duplici Decumus (habuit),
iterum in nac(a) huca ($ 17) Uninquus (habuit) °; così pure M. XI 12-13 e0ri fra einam
e tu(n)y(wla(m) (( duplicem ’, cfr. PunXulem) suntnam; e quindi e8(e)rse ‘ iteravit° e
et(e)ra-s'a È itevarunt ’ (26). Come poi l’etnico Etrusci, se ben m’appongo (Sag. 29, 209 e
‘ due iss. prer.° 132-138) significa: ‘i secondi ’ rimpetto a’ prisci o priores, cioè forse ai
‘Pacéva che li precedettero nell’ emigrazione italica (cfr. lat. prisci Latini, Ramnes
priores e posteriores, umb. Kasilate, etre Kasilate, tertie Kasilate, osc. pumperias pustmas
‘ quincuriae posteriores, pel. prismu Petiedu); come etera etru itruta e Vastratto eteraia,
titolo per tutti di persone non interamente libere, ma pur superiori agli schiavi e ai
liberti, designarono a parer mio la seconda generazione dopo quella del primo affrancato;
così forse etera cadra si appellò la © seconda ’ camera sepolcrale, rimpetto alla prima e
doppia, detta hilar(a) duna. — Che se infine con hilar-0una veggiamo una volta con-
giunta la voce 0en09, nemmeno questa ripugnerà alle interpretazioni proposte, quando si
(24) Cfr. bonus con du-ellu-s bellus bellum, con riferimento al bene della parità e al male della
discordia, impliciti nel numero due: circa il diminutivo duellum, contestato ultimamente, v. Sag. 227.
(25) Anche ara ®uni è locativo, come celi ‘in cella ?, ‘al par di cela-ti: trattasi cioè di -@i «ei «di -i,
come (Sag. 107-109) nel gen. Anaini per Ancinai nella stessa epigrafe, lat. etr. Marci per Marciae,
Larthiaei per Larthiai Larthiae.
(26) Vedo in e0ri in locativo del tipo registrato nella nota precedente, e in etr-in-Bi un loca-
tivo del tipo solito in -ti -Bi dal tema ampliato éter-ino-; l’uno e l’altro però ‘von funzione avverbiale.
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 171
rannodi a dentma 6ens't del cippo di Volterra (F.346 = C.I. Etr. 48, S. 74), e si rendano
esse voci (efr. Corssen I 621) all’incirca con lat. ‘ saeptum (sepulcrum) saepsit ’ (letter.
‘ tentimam °, come lat. ‘ vietimam ’, per ‘ téuevog ’ o ‘ templum tempsit ’): integrato
cioè, conforme alla regola ($ 14) dell’omissione vocalica, Gen0 in der(e)9-(e), e questo in
0e(n)n-(e)0-(e) 0e(m)n-(e)0-(e), dietro l’ esempio di Ve/li/nna Velimna, Tequn(mas
Tecumnal, Nusun(n)us' Nusumna, risulterà esso il loc. di un part. passivo fem. del
verbo, di cui 0ens't è la 3* ps. sg. del perfetto attivo: cfr. ten-0a-s lat. -ten-tu-s,
sval-0a-s È vissuto’, cilayn-0a-s © stato zila0 ’, meua-0a ‘ munitam ?, he(c)-tu-m lat. faeca-
tu-m, etr. e lat. pura-tu-m. Forse però precedendo hilar-9una, torna più probabile suppor
tacciuto in fine di 0en0 l’-a di quello anzichè, come in mezzo, il suo proprio e: legge-
remo quindi piuttosto /ilur-0una Be(m)n(e)0(a), sempre naturalmente con -a per -ai -e.
17. Con Wilar-duna forse riconosciamo altresì fin d’ora convenire a pieno anche
il parallelo nac(@) huca. Conviene invero anzitutto, sotto il riguardo ideologico, nac(@)
‘ denicalis’ con Wilar © sepulerum ’, almeno in quanto con questo conviene lat. ner.
Conviene poi forse eziandio hu-ca, se dietro l'esempio di hui Hulxniesi hes'ni all. a
Qui Oulyniesi desn-in (‘in fano °, efr. osc. fiisna umb. fesnaf-e fesner-e), si ricolleghi
hu a Qui lat. dui (cfr. cimbr. dui lat. duae), e si ravvisi in hu-ca un derivato sul
fare di teisni-ca da tesne lat. de(c)ni e di lat. cloa-ca carru-ca lecti-ca. Il che posto,
nac(a) huca, letter. © denicalis duica ’, direbbe all'incirca quanto Wilar-0una “ sepulerum
duplex °. — Resta medlum-0, vocabolo oscuro, e, se mai, parallelo a’ precedenti
solo nel senso in cui nac(4) lo è di hilar, e capl-du È capides duas ’ di mu9 lat. mustum
e di hetum o hindu hetum È mortuarium faecatum ’. Prima della Mummia, conosce-
vamo: zilaxnce medlum, e (G. 7-99) me0lumi pul Hermu, parallelo di alumna0 pui
Hermu e di alumnade Hermu; ossia meQlum in qualche attinenza col magistrato
(zila9), la cui azione era espressa dal verbo 2ilaxnce (cfr. marnu tenve meylum © maro
tenuit m-um °), e me0lumi una persona di relazione siffatta col dio Hermes, che la
simile aveva un ‘alumnus’ del dio (cfr. alumnade con lautni lautn-ate “liberto” e lautn-ata
‘liberta ’); la Mummia aggiunse poi nove meolumeri (‘ m-arius 9) e un meolumes'.
Questo occorre nella combinazione (V 22-23): s'acnicla CHlOl . s'pural . meglumes'-c
enas'cla; è connesso cioè medlumes', gen. di -mi, colla s'acnicla Cilol * sacellum Caele-
stiale’ ossia ‘ della dea Caelestis ’ ($ 19), come il me0lumi col dio Hermu, col quale
ebbe che fare anche il testè ricordato parallelo alumnade; analogamente me0lumeri
ò sei volte sopra nove (II 7. V 6. 13 IX 5-6. 12-13. 21. 22) anzitutto s'acnicleri CAL,
sicchè, come qui s'acmicla medlumes'-c, così s'acnicleri medlumeri-c ne' tre primi e
| asindeticamente s'acnicleri medlumeri ne’ tre ultimi luoghi; in tutti nove abbiamo poi
me0lumeri enas' come qui medlumes' enas'cla; sicchè il personaggio intitolato dal
mebdlum si trova avere altresì relazione costante con ena lat. unus. Ora, sebbene a
primo tratto, per un personaggio designato con voce italica cominciante per met-
torni naturale pensare col Deecke a ose. meddix, pare a me che fra me8-lo-, cui più
direttamente ci portano i titoli il me0lumi 0 me0lumeri, ed ena, con cui entrambi
hanno sulle Fasce costante rapporto, interceda la relazione che fra lat. medius e unus,
cioè dire fra la metà e l’unità; e che queste debbano intendersi di territorio e per-
sone civilmente e religiosamente raggruppate, sicchè loro sia appartenuta anche una
s'acnicla, detta perciò enas'ela ($ 10, letter. © unu-sc-ula ’) del me0lumi, cioò propria
172 ELIA LATTES
della sua era, e precisamente del me0lo- o metà di questa a lui commessa. Ma come la
s'acnicla, potè spettare al me@lo- dell’ena un luogo o edifizio detto perciò esso ancora
circa me0lumo-: ed il locativo di siffatto nome (che potrebbe rendersi all’incirca con
lat. regia, sebbene questa si appellasse dal rex sacrificus, laddove dal meglumo- sareb-
besi direttamente appellato il meolum-io-), conghietturo aversi nel nostro me0lum-9,
luogo di sacre offerte e libazioni, come i paralleli hilarBuna, care, nac huca. Vedo
io quindi in me0-(e)l- un diminutivo di med-io- (cfr. Medullia e Medulli), sul fare di
lat. sem-el sim-ul: e vedo in me8-(e)l-um-0- 0 med-(e)l(1)-umo- un superlativo foggiato
a mo’ di lat. simillimus, significante alla lettera “cosa o persona supremamente in
mezzo °, come lat. extimo- infimo- intimo- ° cosa 0 persona supremamente fuori, sotto,
dentro ’.
18. Passo a dire di Unyva, Tecum e Ceyam. Come Cereryva a lat. Cereris, sta Unyva
a Uni, il noto nome etrusco di Giunone, la Une che nella Mummia costantemente s’ac-
compagna con Nettuno (NeQun-s! © Neptuni-culus °, cfr. muni-svl-e0 all. a muni-cl-e0,
e lat. Ianus Iani-culu-m, Redi-culu-s ecc.) e Malacia (Mlax); così pure sta Culs'cva
della Mummia al nome della già conosciuta dea infernale Cul-s-u (cfr. Cul-su con lat.
oc-cul-tu-s e con Cal-u e lat. cal-ig-0); così infine, a tacer d’altri esempi (Sag. 109-112),
sta Sul-Xva a Sul lat. Sol (cfr. M. VI 17 Martid Sulal “ in Martio Solari’, dove il
dio Sole sta insieme con Marte, dio solare italico per eccellenza). — Quanto a Tecum,
erane il ricordo già stato dal Pauli (V 146) restituito fra gli dei del ‘ templum ° eneo
di Piacenza, dove la lezione ondeggiava fra Te@vm e Tecum, ed eravi Tecum stato dal
Pauli stesso identificato colla dea Decima dai Romani (Varr. ap. Gell. III 16 10 e
Tertull. adv. Valent. 32) invocata a favore del giusto parto nel decimo mese. —
Finalmente per ciò ch'è di Cexam, penso pur sempre che sia Ceya nome di deità
(cfr. lat. Caca Caeculus con lat. Cecius Cecilius e lat. etr. Babius Cacina Cnaus all. a
Baebius Caecina Cnaeus), e lo confermano, a parer mio, le Fasce mostrandoci XI 13
suntnam Cexa e parallelamente subito dopo entnam Oesan; dove come suntnam a
entnam, risponde Ceya a Oesan, la nota dea dell'Aurora, cui in quelle prestasi culto
simile al culto del Sole (cfr. XI 10 spurtn Oesas © sportam Aurorae ° con X y 5 spurta
Sulsle © sportam Soliculae °). Arroge che l’unico testo etrusco (G. 804 1. 4): ...etna-X Cexa,
in cui prima e fuori della Mummia siasi finora forse incontrata la voce etna, sì spesso ivi
associata ($ 6) con nomi di deità, ce la dà appunto in compagnia di Ceya: compagnia
d'altronde già documentata dalla testè detta combinazione suntnam Cexa, perchè
suntnam, come cntnam, calatnam, vacltnam, è verisimilmente un vocabolo composto di
cui fa parte etinam (cfr. vaclinam all. a vacl etnam); mentre poi altra non meno de-
cisiva compagnia risulta dalla triade Herma Tins Ceye di patera orvietana, come
parallelo non meno decisivo di suntnam Cexa con cntnam Oesan ci porge clen Ceya
di F. 1055. 2613 confrontato con clen Ounxul0e del Cippo di Perugia (A 12). — Ed
ora, quale sarà la relazione grammaticale di Ceyam con Ceta? A prima giunta si
pensa non differisca da quella p. es. di -etna puia con etnam puiam, e sia quindi, come
questi anche Ceyam un accusativo ; mi vieta però di crederlo il parallelismo di Cexam coi
due Unxva e coll’equidesinente Tecum, che, reputo, sino a prova contraria, nominativi,
perchè immuni da qualsiasi indizio flessionale; immunità tanto più notevole in quanto
che poco prima avemmo in Aisera'-s S'eu-s', due perfetti genitivi. Credo pertanto
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 173
doversi, fino a prova contraria, tenere per nominativo anche Cexam, e penso con-
corra esso nelle Fasce con CeXa, come sul bronzo piacentino Le0am (XVII, gen. Le0ms
IX', o Le0ns IX), con Leda (XXII), e sia -m, come in Tecum Le0am Letem Nadum
Oe-tlom- (pl. Oe-tlvm-r È duo Tellumones ’) parte integrante, benchè ascitizia, della
parola stessa (27). — Se però Unyva, Texum, Cexam sono nominativi, quale vorrà
stimarsene la ragione sintattica? Di quale verbo saranno il soggetto? Unico verbo
del testo finora studiato, è aisna © sacravit ’: ora quantunque, conforme alla dottrina
delle indigitazioni, l'intervento personale degl’iddii nelle cose umane sia cosa normale
e frequente, e quantunque di esso io trovi ne’ testi etruschi più testimonianze
(cfr. p. es. Sag. 223 Nure@i Meiani canoce © Nortia Mania condidit ’), non mi sembra
lecito portarne sì oltre l'applicazione sino ad immaginare che si facessero dagli dei
stessi consecrare le libazioni a loro stessi offerte. Perciò in questo e simili luoghi della
Mummia non so in mancanza di meglio conghietturare altro, se non che i nominativi
delle tre deità siano il soggetto di un sottinteso verbo ‘ habuit ’, cui spettino come
oggetto le cose loro offerte; o meglio, che si tratti come di una registrazione cen-
suaria, in cui i nomi degli dei stiano di per sè a mo’ di titolo della rubrica delle
offerte e riti proprii di ciascuno; registrazione di cui il testo della Mummia ben
potrebbe serbar traccia, se, quale a me apparisce, si giudichi, una compilazione let-
teraria ritmico-metrica delle Acta pontificum o sacerdotum di un particolare sodalizio
funerario (Sag. 170). Restituite alla semplicità di simili documenti, penso cioè le prime
otto linee della col. XII abbiano detto all’incirca: “il dì tale, il tale sacerdote fece
questo per le tali deità; il dio tale: questo e questo; il dio tale: codesto e quello ’;
e così di seguito.
19. Si chiude la prima sezione della colonna colla 1. 9: etnam aisna ix matam V
vaclinam “ cibarium (vinum) sacravit atque manum quinque (cyathos) sacerdos - vocalis -
a - cibario(-vino)”. V.$ 6 etnam; $ 3.6 aisna. — Circa matam e l’inseparabile matan
della 1. 13, noto anzitutto, che la Mummia offrendoci celuc(u)n all. a celucum e eim ei
per l’ein d'altri testi (Sag. 113-116), possono, sino a prova contraria, quelle due forme
tenersi identiche; ora matam dietro l'esempio del congiunto etnam, dovendosi sino a con-
traria prova, giudicare acc. sg., dimostrerà matan, conforme già opinarono il Corssen
e il Deecke, essere in etrusco l’acc. sg. uscito, oltrechè in -m, anche in -n, come nel
lat. volgare e forse già nell’arcaico (cfr. C. I. LI 206, 104 Liditinan): per contro presso
i Messapi (p. es. sanan Aproditan), i Veneti (p. es. Leehtiahn Nerikahn) e i Celti, come
p. es. presso i Greci, uscì quel caso soltanto in -n. Il nom. mata occorse prima della
Mummia sopra vaso suessolano: G. 939 mi-mala-Aiianes; il maschile matu in mezzo
d’epitafio Chiusino: G. 203 Aule i-matu Arndal V, e in fine d’epitafio Viterbese:
F° 318 matu manimer i, dove è sta posposto a matu, come nel precedente esempio
va anteposto, mentre poi mamimer sta a medlumeri s'acnicleri ecc. come caper-c a
caperi; trovo io poi ma0u nell’is. della tazza vaticana di Cere: F. 2404 (con Arch.
glott. it., Suppl. I 20-52) mi-ni-cedu-ma-mi-madu-. Ne’ primi tre documenti non pare
(27) La grafia Cexam può essersi preferita, anche perchè poco dopo s'ha Cexa abbreviato ($ 21) per
Cexa(ne).
174 ELIA LATTES
che alla voce onde si tratta possa attribuirsi all'incirca altro significato da quello
di © morta, morto ’; dirà così il primo documento; ‘ ego (sum) mortua (uxor) Aiani ’; il
secondo: “Aulus en (0 “ego °) mortuus Arruntialis (cioè © Arruntis f. ’) V (annos natus) ’;
il terzo: ‘ mortuus Manium - deditissimus en (0 “ego ’)°. E per verità dall’un canto
celt. mat dice ‘ buono ’; dall'altro canto significa “ buono ° lat. manis, e la dea Bona fa
in molti rispetti famiglia con Mania; ma non basta: dall’un canto “ buono ’ fu il Cerus
cantato dai Salii di Roma, e ipa murzua Cerurum (° iBn mortualis Cerorum ’) 0 sui
Cerinu(‘sepulerum Cerrinium °) ecc. designarono il sepolcro gli Etruschi; dall'altro canto
dei Maatuis Kerrivkis fa menzione fra gli dei osci la tavola d’Agnone, e a Roma stessa
mane il ‘ buon ° mattino, successore, della negra e ‘ triste ° notte, parente etimologico
dei Manes, si tocca con matu-tinu-s e colla dea Matu-ta. Ne deduco pertanto che
mata matu magu significarono, come lat. manis, “ buono * e quindi ‘ morto ’; e sino ad
un certo punto mi apparisce ciò riprovato dallo svem matan della nostra colonna:
perocchè se non di ‘porci buoni’, parlano gli antichi autori (Varr. r. r. II 1. 20;
Fest. 318 M. = 464 Thew.) di porci puri detti perciò sacres (cfr. Plaut. Rud. IV
6.4 = 1208). — Per la cifra V seguente a matam (che per strano caso, direi, coincide
col matu V chiusino), v. $ 9 e). — Ultimo abbiamo vacltnam, soggetto di aisna e della
proposizione, ed equidesinente con etnam putnam calatnam cntnam suntnam: ora, mentre
et-na-m put-na-m, ben vanno con lat. edere e potare (etr. puts puds pute), se cntnam,
conforme alla conghiettura ($ 14. 16), doversi supplire agli opportuni luoghi la vocale
notata in uno (p. es. put/u/s mu9/u]), s'integri in c(a)n(a)tnam, supplendo al principio
la vocale conservata in fine, e se similmente s’ integri vac-(a)l e si pareggi a lat.
voc-alis (28), si troverà con esso corrispondente il concetto fondamentale di que’ due
vocaboli e altresì quello degli analoghi rimanenti cala-tnam e sun(u)-tnam, perchè
come vac- con lat. vocare, andranno quelli rispettivamente con lat. calare canere sonare;
nè sarà poi mera ipotesi, essendosi letta, secondo già si accennò ($ 14), sopra l’im-
magine di un diauleta la parola: 0un-s'unu ° doppio-suonatore ’ (letter. © duonisonon °),
e ben potendosi, parmi, cala- c(a)n(a)- per analogia di lat. -cola -gena interpretare
con ‘calans, canens ’. Ma all. a vacl-tnam giù vedemmo aversi vacl etnam; sarà quindi
lecito immaginare che pur calatnam c(a)n(a)tnam sun(u)tnam siano nati per via di
crasi dalla unione con etnam del rispettivo tema testè fissato. S'aggiunge poi, a conferma
della relazione strettissima di queste voci fra loro e con etnam, che, secondo già si
mostrò ($ 9), e questo e vaclinam e cntnam si accompagnano con numerali; nè tale
indizio manca pure sia per calatnam, sia per suntnam, giacchè leggiamo M. X y 3:
putnam . du . calatnam, con du lat. duo preposto a calatnam, come V a waclinam e
cntnamz; M. XI 13 tuxla-c . eri . suntnam . CeXa, dove a suntnam precede tu(n)X(u)Mla(m)
= Ounyulem È daplicem ° (cfr. VI 12-13 etnam - - Quns'nafm/] 9duns' flers' “ cibarium
duplex duplicis faleris °). Inoltre come etnam ($ 7) per lo più sta in compagnia di
nomi di deità, ed anzi già prima della Mummia erasi avuto etua-X CeXa, così qui
suninam Ceyxa, e XI 14 cntnam Qesan, e X y 2-3 Cilva Neri (ctr. lat. Nerio). Canva:
Cursi . putnam . du . calatnam, e VIII Esvita vacltnam. Bensì manca siffatto indizio
(28) Cfr. Axlae ’AxeA®oc, Rutapis ‘Podòrc, cande candce caneda lat. condidit condita, malave malce
lat. molavit, rayxa8d È rogans ’, favi-ti © in fovea’, umb. maletu lat. molito, lat. etr. favissa lat. fovea.
_ —_—rrreu tti
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 175
teologico per vacltinam nel nostro luogo e in M. VI 9; ma supplisce in questo il
premesso fler(eri), cioè © quel del flere ° (letter. ‘© falerarius °), parola eminentemente
sacrale (letter. lat. falere) per ‘cosa alta’, e quindi ora ‘ altare ’ ora ‘statua ’
di certe deità (Sag. 158 sg.); e supplisce in quello 1 analoga congiunzione con
aisna ° sacravit’, che rannoda vacltnam alle numerose deità prima nominate. Dice
adunque, se le esposte ragioni si approvino, letteralmente vacl-(e)tnam © vocans ci-
barium (vinum)’; e in simile modo cala-(e)tnam cla)n(a)-(e)tnam sun(u)-(e)tnam
‘calans’ o ‘ canens” o ‘° sonans cibarium (vinum) ’: io non so quindi pensare, se non
all'uso antico e moderno di accompagnare i riti con certe formole e suoni, onde la
frase latina praeire verbis, e i vocaboli gr. lat. spondaules spondaulium; sicchè siffatto
uso essendosi, io penso, osservato in Etruria anche nella consecrazione dell’etna e
nelle sacre libazioni con esso celebrate, e l’etna essendosi adoperato così di frequente
ne’ riti, che la Mummia ne parla 40-47 volte, potè sorgere un titolo sacerdotale spe-
cifico, in cui entrarono insieme e il nome della cosa (etna) e il modo del relativo rito
(vacal- cala- cana- sunu-). Bella conferma di tale spiegazione, almeno nella sua
sostanza, sembrami essere poi ora offerta, dalle parole: kalatnenis' vilatos' dell’iscri-
zione maggiore di Novilara; giacchè vilatos' equivalendo manifestamente, se mal non
vidi, a lat. velati, e però accennando alle cerimonie del rito Romano velato capite,
non può parmi kalatnenis' (ossia un derivato in -ena del predetto cala-tna-) designare
se non persona sacerdotale (cfr. © due iss. prerom. ’, p. 36). Considerata ora di nuovo
la frequente associazione di etnam e con aisna e con vacl, parmi verisimile che
vacltnam o vacl, debba reputarsi il soggetto anche del primo aisna (1. 1-2), soggetto
a noi nascosto dalla lacuna, dove pertanto m’avventuro a supplire: /vacl./ Bi: etnam
aisna (cfr. XI 4 0il . vacl . hexz . etnam).
20. Studiata così minutamente la prima e maggior sezione della XII colonna,
e giustificata già, mi lusingo, per occasione di quella, in buona parte l’interpretazione
proposta in principio anche per la seconda, osservo circa i numerali Qunem cialyus'
con cui essa incomincia, che le Fasce oltre a Qunem, ci dànno ciem, eslem e marem,
e già prima nel Cippo di Perugia si sarebbero potuti avvertire xiem e tem (S. 28. 144),
come già prima in un epitafio (G. 658) erasi restituito esle/m/(Deecke). Che si tratti
di numerali, non può dubitarsi; come 0unem con 9u, va cioè ciem yiem con ci, eslem
con esals eslz es'ulzi, marem con may, tem (in compagnia di amer plurale di ama)
con ei; inoltre nel predetto epitafio, esle/m 2/-agrumfi]s, che ricorre tal quale nel-
l’eslem cadrumis' della Mummia (VI 14), sta alla fine preceduto dal solito avils ‘ anni ’,
e però fa riscontro p. es. a F. 2073 avils XVIII, F. 442 avils XXXII, Fò 316
avils XXXVIII, G. 800 avils LXXV, tutti in fine d’epitafio; così pure in fine all’epi-
tafio F. 2070 avils ciem-za@rms e nella Mummia IX Y 2 ciem cealxus', X2 ciem cealXue,
come nella nostra colonna 9umem cialxus'. Risulta pertanto chiaro da questi tre ultimi
riscontri pur la qualità numerale di cialXus' o cealyus', derivato del numerale ci, che
sta su’ dadi di Toscanella, al pari di ciem yxiem (cfr. avils yi-s' sette volte sulle Fasce)
e forse di cem (Sag. 218) e altresì di cis cealyls o celyls. Quanto al significato, in generale
avils XVIII non sembra si possa interpretare letteralmente che ‘ anni decimi octavi :
efr. F. 2119 avils XX tivrs s'as “ anni vigesimi mensis sexti’, ed eziandio ©. I L.
XI 2193 “[mortuus] LXVII aetatis anu’ e 5862 ‘[mortuus] XXVIII aetatis
176 ELIA LATTES
sue anno’, testi entrambi tardi ma, notisi bene, Gallici; quindi pure avils eslefm 2]a-
0rumis, pareggiata la base di eslemp. es. ad “ otto ° e quella di aQrumis p. es. a ‘trenta ’,
dovrà interpretarsi all'incirca: ‘ anni octavi trigesimi ’; e però altresì Qunem cialxus'
circa ‘ secundi quinquagesimi ’. Se però siano da reputare ordinali veramente, o non
piuttosto, cardinali, e come si voglia spiegarne l’origine, e se p. es. 9unem ciem ecc.
si debbano ad influenza analogica di lat. septem novem e siano stati indeclinabili, od
abbiano che vedere coi superlativi celtici coemem ‘ bellissimo °, dilem © gradevolissimo ’,
lugem ° piccolissimo °, è quesito per me assai difficile: osservo solo che il confronto
di cea-lx-us' con cea-ly-l-s e cezpa-ly-al-s, ossia, per me, circa lat. -dic-ali-s, (Sag. 40
n. 60 e 175), mi rende più probabile che ciem sia numero cardinale; e alla stessa con-
clusione inclinerei circa 9unem pel confronto di Ounem cealyus con maxs mealyls-c 0
sem®@alxls, huAs celyls e cis cealyls, huds muvalyls e cis muvalxl/s], dove con numerali
-lx-(a)l-s, ossia per me verisimilmente ordinali, s’° accoppiano anche altri, almeno
in sè medesimi, cardinali; sola eccezione sarà forse (F' 387) es-al-s cecpa-ly-al-s. —
Ed ora, a che spetterà e da che dipenderà codesto genitivo Ounem + cealyxus'? Con-
ghietturo per analogia di alcune indicazioni epitafiali e di altri siffatti genitivi delle
Fasce (S. 165-169), dopo i quali una volta abbiamo il locativo celì “in cella’ (VIII 3
celi hudis' zadrumis' “in cella quarti trigesimi ’), si sottintenda ‘sepolcro ° pure in
genitivo; e che il genitivo taciuto, come i due espressi, dipendano dai seguenti locativi,
quali a me paiono, masn(a) Unialti Ursmnal(ti), che così integro conforme alle ad-
dotte regole ($ 14.19), supplendo in fine a masn l’unica vocale in esso scritta, in
fine a Ursmnal la sillaba finale del precedente Unialti: ottengo così due coppie, di
cui la prima masn(a) Umialti ha riscontro sulla Mummia in cina cave-0,. seduma-ti
simlxa e eter-ti cagra, e l’altra Unial-ti Ursmnal-(ti) in Marti-9 Sulal(-0). Che signi-
fichi masn(a), non so; oso ricondurlo a ma(n)s(-a)n(a) e mandarlo con ves-ana ° domi-
cilium ’, mut-ana © sepulerum ?, s'pel-ana- © sepultura ? e con lat. mansio, e penso in
ispecie alle sacrali mansiones delle processioni Saliari. Col loc. mas(a)n(a) in -a, alla
maniera di Mhilar-duna e cadra ($ 16), concorda Unial-ti — loc. di Uni-al “ Giunoniale ’
(cfr. lat. Lupercal Volcanal) a mo’ di cela-ti © in cella ’, se0uma-ti “© in septima ’,
su@i-ti “ in sepulero ° — col susseguente Ursmnal, come con Marti-0 “in Martio’ il sus-
seguente Sulal © solari ’: e va Ursmnal coll’Ursmini d’epitafio etrusco (G. 836) proba-
bilmente chiusino e con lat. etr. Orsminnius Orsminnio Orsminniae di Chiusi (0. I. L.
XI 2370; sicchè ne deduco essersi data una Uni Ursmini, che farà il paio con (F. 440
quat.® C. I. Etr. 26) Uni Caneda (29). — Succede a0re(s) acil, primo soggetto di 0umsa,
per me letter. ‘ atrii ancillus ’, ossia, direi, lat. atriensis (Sag. 64-69) della predetta dea:
cfr. a Roma atrium Vestae, atrium Libertatis ecc.
21. Le quattro parole che vengono appresso, formano un solo tutto; invero,
così come qui: an s'acnien CilO Ceya sal - - - 0umsa, leggiamo VII 6: trindas'a .
s'acnitn an. CIA . ceane . sal; parallelo prezioso anche perchè c’insegna essere il
nostro Oexa diverso dal solito ($ 18), e cioè verisimilmente una delle pochissime
(29) Cioè can(m)e0a ossia ‘ condita ’: cfr. Lasa Ra-cun(n)-eta o ° Recondita ° e lat. Consus (Nettuno).
In F. 2369 l’azione della dea Nur0zi Meiani (lat. etr. Nortia Mania) è espresso dal verbo can@ce
lat. condidit (Sag. 56 n. 85 con 223 sg.).
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 177
abbreviazioni delle Fasce; trattasi vale a dire qui di cexa(ne) sal, come altrove (Sag. 187),
secondo in ciascun caso i luoghi paralleli (Sag. 96, 139, 6 con 31, 118 n. 122, 235 con
137 e 158), in cui la parola occorre compiuta, dimostrano, ca0drum(is) zus'le(ves')
0ans(ur) trin(um) un(um) Un(e) fler(eri). — In an vedo una particola ora enfatica e
iniziale, ora mediana e congiuntiva (Sag. 116 cfr. 221); il secondo ufficio, che qui le
spetta, sembrami risultare evidente da Bull. 1880, p. 61: ci. mux . ara . an . ci .sesaQri,
dove an collega due membri comincianti l’uno e l’altro per ei; così qin (30) in F. 103
tular s'pural ain puratum ‘ tumulus spurii (letter. spurialis) et puratus’ (S. 28 n. 44
e 208, 6). — Ma quali parole congiunge codesto an? Penso, il soggetto primo a0re(s)
acil, ossia l’atriensis della dea Uni Ursmini, col secondo soggetto Ceya(ne) sal © sacer-
dotes Cecae tres’: come lat. font-anu-s hum-anu-s urb-anu-s * quel della fonte, della
terra, della città’, così etr. cex-ano-, e ulteriormente cey-an-eri (cfr. lat. etr. Vol-an-
er-ius Cas-in-er-iu-s °), © quel della dea Ceca”. Non però, io sospetto, furono essi tre
semplicemente sacerdoti di questa dea: perocchè sebbene non veda chiara la rela-
zione sintattica di s'acnien o s'acnitn (cfr. aQumitn tes'amitn) CHO con Cexa(ne) sal,
credo non scostarmi assai dal vero allineandoli coll’ hermeri Slicales dell’ epitafio di
Laris Pulena; ossia, per me, un sacerdote (cioè ivi il defunto stesso) di Hermes e
Selia (etr. Sela Selaei Zili Sli, lat. etr. Selia, etr. dimin. Sli-cla sul fare di Ouf9i-cla
coll’a epentetico di ArnAalis'ala per Arn0alisla) o, meglio di Selia Hermia, binomio teo-
logico a mo’ di lat. Janus Iunonius, Maia Volcani, Nerio Martis, umb. Vesuna Puemunes
Puprikes, Tusa S'erfia S'erfe Marties, etr. Mlakas Sela, Zili May, Mlacas' Mani, Nurozi
Meani (lat. etr. Nortia Mania), e sulle Fasce Cilva Neri, Canva Carsi (Sag. 111. 224).
In effetto s'ucnicn (cfr. lat. vati-cinium patro-cinium) o s'acni-tn (cfr. lat. Libitina Liben-
tina Florentinus) non si può manifestamente separare da s. asì sacni, aseies sacnis'a,
sudi sacniu (Sag. 24 sg.); ora di quest’ultimo abbiamo quasi la traduzione in Cic. Phil.
IX 6. 14: ‘“sepulcrorum sanctitas’ e ‘“sepulera sanctiora fiunt vetustate ’;
giacchè su0i da tutti ora ammettendosi che valga ‘ sepolcro (cfr. lat. sedes solium *sodio-,
ant. ir. suide), basterà ricondurre sacn- a sa(n)c-n- per riconoscervi lat. Sanquinius,
derivato di Sancus, ossia sanctus. Quant'è poi a (#0, sta esso a Cil0-cva come lat.
Ceres a etr. Cerer-xva, etr. Culsu a Culs'-cva, etr. Sul-xva a Sul lat. Sol, etr. Ma0-cva
a osc. Maattis lat. Matuta ($ 17); e del resto fra gli dei del bronzo piacentino
(Deecke p. 50) incontriamo Cilen e Cilen-sl (letter. © Cilen-culo- °, come Ne0un-sl
‘ Neptuni-culo- ’, Veti-st © Vedio-culo- ’ (cfr. lat. Aes-cul-anus Jani-culu-m Redi-culu-s,
etr. Oufldi-cla Sli-cale-s); e sopra una terracotta raffigurante due dee, di cui una è
Minerva, leggesi (F. 20952) Mera: Cilens (non Cil-ens), ossia verisimilmente Mer(r)a
per Me(n)r(v)a, e Cilens per la sua compagna. Che anzi, il confronto con Marziano
Capella avendo mostrato (Deecke 1. c.) che questi pone Juno Caelestis precisamente
nella regione medesima (° bis septena ’) da Cilen-s! (XIV) occupata nel bronzo; e aven-
dovisi anzi, subito dopo (XV), Tin(a) Cilen(s), cioè questo in tale compagnia (etr. Tina
Tinia ° Giove ’), quale egregiamente conviene a Giunone, io non esito a riconoscere
in etr. Cilens appunto lat. caele(n)s- donde poi, cred’io pur sempre, cueles-ti-s (cfr. p. es.
(80) Sta cin ad an come avil Ananis atiu Clantis ad aivil Anainis aitu Claintiz, e fa quindi con-
ghietturare che an debbasi ricondurre ad *«ni: cfr. anche loc. WilarBuna cadra con hilarBune ca@re,
cioè -a con *-ai -e.
Serie II. Tom. XLIV. 23
178 ELIA LATTES
cisum lat. circumcisitium caesum), e nella dea Cilens la dea Caelestis tanto venerata
da’ Latini, notisi bene (cfr. Sag. 3 n. 2) dell’Africa settentrionale, per fusione proba-
bilmente colla simile dea fenicia e fors’'anche libio-fenicia. — Un altro nome di deità,
vedo io nel gen. Cu-s susseguente a Ceya(ne) sal. La Mummia lo ricorda forse anche
X 2 insieme ad un suo sacerdote pe(n)0-er-eni (letter. © penderanius ’ ossia ‘ quel
della pe(n)9-era- o delle pendentiae’, cioè © anatemi pensili ’); certo, direi, l'abbiamo
poi nella triade (S. 82 cfr. 241) di F. 1054, dove a Cus succede la nota dea Oupl0a-s',
mentre poi nel precedente Vel-s, il confronto con etr. lat. Vel-it-anu-s per lat. Martius
(cfr. Ermius per ‘ Agosto °) già da tempo (Rendic. Ist. Lomb. 1871 p. 634) mi persuase
a sospettare un nome etrusco del dio Marte, anche perchè fra gli dei latini ricordasi
Heries Martea e il prenome paleolatino Herius, raccostato a umb. heri per lat. vel
(cfr. ose. Herentatei lat. Volupiae), dice appunto quanto l'omonimo prenome etr. Vel.
Ricorda poi Cu-s (cfr. ‘due iss. prer.° n. 44) verisimilmente anche il dio Cu-sl-anu-s
degli Etruschi Reti (cfr. il gentilizio etr. Cu-ie- in Cu-ie-sa Cu-i-s'-la Cu-i-s-la Cu-i-
-sl-an-ia-s Cu-i-2l-an-ia), e forse altresì il titolo sacerdotale ku-s-encu-s dell’is. retica
della situla tridentina, se col dio Cu-s ha la relazione di etr. man-in-ce con Mani
Meani e lat. Manes (cfr. Sag. 134 ut-ince con Ut-l-ite Ale), e non va piuttosto con
ebr. etr. Kos" ‘bicchiere’, come forse dap-i(n)c-un con lat. dapis e lat. sab. cup-encu-s
con lat. gr. cupa (31). — Dipende Cu-s dal susseguente loc. cluce (cfr. qui avanti
cluc-tra-s' e sup. clev-ana clev-r-n-0), ossia, direi, lat. in-cloaca, forse cioè una sua
fossa o altare sotterraneo, quali le profonde fosse sacrificali del Cabirion in Samo-
tracia (Busolt, Griech. Gesch. I° 177) e gli altari ‘ in effossa terra ° (cfr. Sag. 107 etr.
crap-s'-ti) degli dei inferi nel Lazio (32). Fa quindi loc. eluce riscontro a loc. ma(n)-
s(a)-n(a) Unial-ti, e dà qualche sospetto che simile locativo s’abbia forse pure in
s'acnic(i)n(i) CU()A(1), e sarebbe naturalmente un locativo foggiato alla maniera di
celi “in cella’, 0uni “in gemina” (n. 25 sg.). — Il che posto, avendosi finalmente in
caperi zamti-c il terzo soggetto del verbo 0umsa, il testo nostro risulterebbe paralle-
lamente ordinato a questo modo:
Ounem cialyus' masn Unialti Ursmnal adre acîl
an s'acnien Cilo Ceyane sal
Cus cluce caperi zam0i-c
svem d0umsa matan.
In cap-er-i io scorgo un derivato in -ar-io (Sag. 31 sg. e n. 46) di cape lat. capis, e
però come un lat. ‘ capid-ar-iu-s °, non guari diverso, direi, dal cap-en-î che pur s'ha
(31) Mi avventuro a rendere Cu-s (cfr. Tus' Ouves) con ‘ Quinti° per confronto con cem, se pa-
reggia ciem e Xiem (cfr. tem-amer © binae amae ’), con Tecum ‘ Decimus’, con Zelv0 da zal zelar zel(zi),
con Qua Ous'a Tus'e(cfr. però umb. Tuse Turse) ecc., e aggiungo ora Tur(a) Tiiur-s Teuri, tutti forse
da Bu (cfr. 0Oura tura) lat. duo. Accanto alle triadi numerosissime, una prima cinquina teologale già
si avvertì Sag. 160.
(32) Si confronti la fossa detta dai Latini mundus, sacra alle deità infere Dis pater con Proserpina
e Cerere, e forse connessa colle ‘ februationes ’, perchè Dite anche s’identificò con Februus, e perchè
da februa degl’inferi superci si disse Februarius il loro mese. I giorni ‘ quibus mundus patet ’ erano
religiosi come quelli delle Parentalia e delle Feralia.
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 179
nella Mummia (Sag. 78), e mi riflette come un lat. ‘ capid-an-iu-s ° sul fare di Afranius
Fundanius e simili (cfr. Vibennius Pescennius). — Niente vedo circa camti 0 zam@i,
molto vicino a cam0ìi eterau(m) — per me, © consul (letter. *caventius) libertorum secun-
dorum ’ (Iss. Pal. 47 n. 75), e forse connesso, se non è addirittura identico — con esso
cam@i (cfr. Catrna Scatrnia, Skanesnas Sanesnas' ece.); per la base, cfr. ca-m agi-m e za-n-1
(Sag. 139). — Ultime parole: cluctra-s' Milar © il sepolcro della clu-c-tra ’, vocabolo inse-
parabile da clu-ce e, direi, da lat. clo-aca, foggiato come cle-tra-m umb. kle-tra-m
lat. mulc-tra fere-tru-m ara-tru-m, e forse qui adoperato con ufficio toponomastico.
Quale sia però la relazione sintattica di cluctras' hilar con svem Bumsa matan ° suem
cremarunt manam ’, sgraziatamente non intendo, e debbo accontentarmi di ricordare
la non meno enimmatica struttura delle Fasce: cisum pute tullur) 0ansur, dove, per
me, da pute lat. potavit, dipende non solo l’acc. sg. cisum (© vino tagliato ’), ma ancora
l’acc. pl. tul(ur) 0ansur © tumulos dansios ° (cfr. novil. tas'ur). Sono io così ridotto a
sospettare, che in questo come nel nostro caso, l’azione sacrale espressa dal verbo,
comprenda quella taciuta del © pregare’ (cfr. lat. arc. ollas precari); sicchè come
lat. orare poscere rogare e simili, 9umsa, e così pute e tutti in generale i verbi della
Mummia, richiedano il doppio accusativo tanto frequente nella sintassi antichissima
di tutte le genti ariane (Delbriick, Synt. 381 sg.).
Riassumendo, l’ultima colonna delle Fasce contiene adunque soltanto il ricordo
di alquante deità secondarie, nominate per occasione di certe minute cerimonie che
in loro onore si celebrarono da persone sacerdotali di poco conto, benchè assai nume-
rose. — Nè di meglio mi dànno le colonne precedenti dalla prima all’ultima linea (32):
materia per verità tanto umile, da tornare inesplicabile a’ profani la grande impor-
tanza che certo ebbe per chi stimò opportuno di fissarne il ricordo colla scrittura,
e quella ancor più grande che promette acquistare per noi, mercò agli sprazzi di
luce insperata che incomincia a gettare sulla vita civile degl’Itali antichi. Si conferma
intanto sempre più che ben poterono essere stati per eccellenza gli Etruschi il popolo
delle ‘ Larisse ” pelasgiche (‘ due iss. prer.° 174 sg. cfr. 102-153), dei sepolcri e dei
(32) Non conviene, per me, tuttavolta propriamente alle Fasce la designazione di ‘ rituale ’, che
meglio l’egregio Miani (Mon. Ant., p. 34) attribuì all’iscrizione di Magliano, con cui quelle appaiono
del resto strettamente connesse (Sag. 164. 229, cfr. Mrrani, Op. cit., p. 31, dove si vogliono però togliere
tius tius'i, perchè si tratta di Tins' e Tins'î). Le Fasce sono, a mio giudizio, delle ‘ Acta’, letteraria-
mente coordinate in forma ritmico-metrica, di riti in tale e tal tempo celebrati (Sag. 170); l’is. di
Magliano per contro indica riti che solevansi celebrare in onore di tre triadi infere, la prima (Causa,
Aisera, Maris!) nominata nella prima faccia, le due rimanenti (Max Oanra Calu-s e S'uris Eis con
Mlax e Tin-s) nella seconda. Guardiamoci bene però dallo scorgervi “ un vero e proprio breviario
della disciplina sacrificale etrusca ,; vi si parla invero di pochi dei in un paese che ne possedette
a centinaia, e di alcuni pochi riti propri di codesti dei nella qualità di inferi. Quanto alle osser-
vazioni dal benemeritissimo nuovo editore esposte in calce alla sua importante pubblicazione, giova
avvertire: che Marishin®ians non esiste, ma sì Maris Ismin®ians ossia Marte-Apollo Sminteo; che
Maris Husrnana (non Hursnana), ossia verisimilmente ‘ l’attingitore ° (Sag. 65 sg. n. 92), non può sepa-
rarsi dal l'analogo Hermu Huernatre; che in F. 2608bis Ou/0icla (la ‘luna doppia ’ o © piena °) è dea
indipendente, la quale fa terno con Aiseras (la ‘luna °) e con Trutvecie (forse la ‘luna dei quarti 5
cfr. osc. trutum truta-s); e che inF.1054 alpan non è già nome di deità, come il seguente turee “donavit °
mostrò sempre a tutti, ma una voce connessa con questo, e probabilmente pari a lat. libens (per
me a-l[a]p-an[s], cfr. alap[a]nas, lat. adlubens), come Alpanu per lat. Libitina Lubentina (Buase).
180 ELIA LATTES
morti. Si conferma altresì (Sag. 184 n. 134), considerate le perpetue oscillazioni della
grafia e della grammatica, apparire inverisimile che abbiano gli Etruschi posseduto
una ricca letteratura liberamente e pienamente scritta, quale, conforme alle illusioni
della probabilità attuale, la loro potenza e civiltà fece presumere. Infine le norme,
che omai si vengono intravvedendo e divisando, della omissione vocalica, mi sem-
brano confermare il sospetto, che vera patria della stenografia tironiana sia stata
l Etruria (Sag. 189); mentre poi il progresso degli studii messapici e la ricognizione
delle congruenze di dì in dì crescenti, a mio avviso, fra il messapico e le altre
favelle italiche (cfr. © due iss. prer.’ 190. 191 H), getterà, cred’io, luce inattesa sulla
parte avuta da Ennio in quella cospicua invenzione (cfr. W. Schmitz, Comment.
Tir. p. 10) e nella riforma dell’ortografia latina, questa e quella già dalla paleografia
messapica (Deecke, Rh. Mus., 36 p. 577) direttamente lumeggiate.
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 181
INDICE
Arcomento. — I. $$ 1-2. Struttura e divisione del contesto. — IL $$ 3-5. La
3° ps. sg. in -a e pl. in -sa del perfetto attivo. — II. $$ 6-7. Il pf. att. sg. aisna
e l’acc. sg. ctnam. — IV. $ 8. Il pf. att. pl. 0umsa e l’acc. sg. svem. — V. Le altre
parole della colonna XI: $ 9. 0î; $ 10. ix, Ounyulem, S'eus', reus'ce, nac; $ 11.12. -c;
$ 13. puts, hetum; $ 14. mu0, capl, qu; $ 15. xim ena-c; $ 16. hilarduna hilarQune,
cagra caQre, eterti-c, Gend; $ 17. nac, huca, medlum0; $ 18. Unyva, Tecum, Ceyam;
$ 19. matam matan, vacltnam; $ 20. Qunem cialyus', masn, Umialti Ursmnal, adre acil;
$ 21. an, Ceya(ne), s'acnicn, CIA, Cus, caperi, cluctras', hilar. — Riassunto e conclusione.
Voci ETRUSCHE (33). — a- (a[t]-) n. 33
(v. alpan); acaer $ 10; Aclinei $ 4; acil
$ 20; acilò $ 10; acnanasa $ 5; adelis' $ 9;
adre $ 20; ain $ 21, n. 30; Aîs $ 10-11;
aisna $3-6; alpan n. 32; alumna@8e $ 17;
amce $ 3; ame $ 10; an $ 9. 21; arce $ 10;
aseies $5; aska n. 21; Atnal-ce $ 11;
Auclina $ 4; auis'a $ 5; Aufles Afles $4;
afrs $7. — -c $11 sg. e n. 16; ca@ra
cadre$ 16; calatnam (nov. kalatnenis') $ 19;
caliadesi n. 16;camdi $ 20; candce caneda
n. 29; Canva $ 3.19; kape cape kapes
$ 13; capeni $ 20; caper-c caperi $ 5, 21;
kapi capi capl $ 14; Carsi(s') $ 3; cealyuz
cealyus' $2.19 (cfr. cialyus'); celi $2, n. 25;
Cemna $ 11; Cerurum $ 19; Ceya Cexam
$ 18, n. 27; Ceyane Ceya(ne) $ 21; cialyus'
$ 2, 20 (cfr. lemn. sialyveiz sialyviz); Cilva -
$3; Cila Cilacva Cilen Cilens Cilensl $ 21;
cis' 82.19; cisum $13; clevana clevrna $ 13;
clenar $ 5; cletram $ 3, 21; cluce cluctras'
$ 21; cntnam $ 2,18,19; Cus Cuiesa Cuizla-
nias Cuislanias $ 21, n.31. — e.....r(auis'a)
$ 5; ez e0 $ 14; e0e $ 9; e0ri e0rse $ 16,
n. 26; ei eim $ 10; Eis Eiser $10, 11; eisna
$ 3; eleivana n. 19; ena $ 15; enas'cla $17;
ersim (2) $3; eslem $ 2,20; es't $9; estam (2)
$ 3; etera eterav eterau eteraias eterai(a)s
eterti-c $ 16; etnam $ 3,7, n. 7,9; etras'a
etrindi etru $ 16, n. 26. — wvacl $ 5;
vacltnam $ 9,19; Veldunas' $ 9; vence $ 3;
vinum $ 3. — cadrumis' $ 3; cagrumsne
$ 2; cal $ 5, 14; cam0i-c zamti-c $ 5, 21;
zanes! 2qrve zati zeri $ 5; zivu $ 10; zilace
zilayncé, $ 3; zina zineti $10. — ham@es'
* ham@isca $ 10, n. 13 sg.; Haustis' n. 16;
heci hecia hectam $ 13; Hermu $ 17; hetum
heyz heys'o $ 13; hil hilar hilarQuna hi-
lardune $ 16, 21; hinda Hindia hindial
hindiu hindu $ 3, 10, 14; huca $ 17;
hudis' $ 2; hursi hu(risina $ 7, 14. —
dapnes'ts' $ 5,14; 0e- v. Oetlemr; Oeele $ 8;
Qen0d dens't Oentma $ 16; des $ 4; Oesan
Oesas $ 2, 18; desn-in $ 8; Oetlomr $ 18;
(38) Premetto le abbreviazioni ‘ camp. ’, ‘ nov. *, ‘lemmn. ’, quando sì tratti di voce appartenente
ad epigrafe etrusco-campana, o all’is. di Novilara, o alle Lemnie. V. circa queste e quella ‘ due iss.
prerom. ° (Roma-Milano, Accad. de’ Lincei, 1893-94).
182 ELIA LATTES
Qeusnua $ 5; Qvene (lat. dueni) $ 15; Oi Qui
$ 9; Olainei Olecinia $ 8; Quete $ 2; 0u
Qulut[e]|r $ 14; 0umsa $ 3,8; Quna dune
Qunem duni Quns' Quns'na Quns'unu $ 2,
9, 16, 20, n. 26; Ounxers' n. 8; Ounyulem
810. — è 8 18; -in $ 7, n. 6; ipa $ 19;
nov. îs'airon $3; ix $ 3,9, n. 12. — laes'
laivisca Laiscla $ 10, n. 11; Lamtun latni
lautni $ 4; Ledam $ 18; leitrum $ 3;
lerzinia n. 16; Limurce $ 3; lupum $ 3;
lusas' $ 2. — macra makrake $ 10; madu
manimer $S19; Ma.ani Manim $ 10; masn
$ 20; mata matam matan matu $ 19;
Mayan $ 4; me $ 13; meglum -umi -umes'c
-umeri -um0 $ 3, 17; melecraticces $ 13;
Mera $ 21; mexlum $ 4; mi mi $ 9,10,19;
mirnunei $ 14; Mlakas n. 19; Mlax $ 18;
muo $ 14; mula, murin $ 7; murs $ 3. —
nac nace nacum nayx $ 3,10, 17; Nadum
$ 18; naper $ 9; Neri(s'") $ 3; nipi $14. —
papalser $ 5; nov. Partenus', pevax $ 3;
pedereni $21; peraciam (0 -cis), nov. polem,
pruxum, puiam, pulum $ 3; puratum $ 21;
putnam $ 3, 19; puts $ 13. — s'acnicla
$ 7; s'acnicn -itn $ 21; s'acnics'tres' n. 13;
s'adas' s'ane s'arve $ 5; s'aris' $ 2; S'eu
S' $ 10; s'rancal n. 11; s'rencve $ 3;
s'pural $ 21; s'uci $ 7; ratum $ 3; Raufe
Rafe $ 3; reu reus'ce reur $10. — sacnisa
-is'a $ 5; sacniu $ 21; sal $ 5, 14; seri
$ 5; svem $ 3,8; Se.la Sli Slicales $ 14;
spurta spurtn $ 18; sta $ 3; stes $ 4; Sulal
Sulxva $18; suntnam $ 7,18, 19. — Tecum
$ 18; tes $ 4; tenve camp. tetet $ 3; Teuri
Tiiurs' n. 31; tindas'a $ 5; tis $ 4; trind
$ 9; trindas'a tritanas'a $ 5; tul tular $ 16,
20; Tur n.31; turke::$8 3; Tus'en. 31;
tus'urdi -Qii tusurdir $ 9, 10, 14; tuyxla-c
$9. — ucntum $ 3; nov. solin $ 3; Unial
Unialti, Ursmini Ursmnal $ 20; Unyxva
$S 18. — -x$ 11 sg.; yim xim0 Ximom $ 15.
fir-in $ 7.
Riassunto MORFOLOGICO (34). — De-
clinazione: Nom. sg. Cafates © Cafatiùs”
Disis © Phisiùs °, ambedue nelle bilingui;
Aufles Afles, kapes, Ais Eis Cilens £., murs;
aska, Auclina, Canva, Cilva, Aeusnua,
Cemna f., Ceya, Cuiesa f., eleivana, etera,
Olecinia £., Mer(oa f., Selli)a £., Sulyva,
Unyva; alumnade, kape cape, Limurce,
Raufe Rafe; Aclinei f.,Olaineif., mirnuneif.,
caliadesi, cam0i, capeni, caperi, kapi
capi f., cam0i -mti, latni lautni, meQlumi,
meblumeri, nipi, S'i f., Teuri, Ursmini;
etru(n), civu f., hingiu f., Quns'unu(n),
madu f., matu, S'eu f., reu f., s'acniu £.;
acil, Cilensl, hil, hindial, s'pural, sulal,
tul, vacl; hilar nt., tular nt., Tur; Cexam,
Ledam, Nadum, Tecum; alpan, Cilen,
Oesan, clan; Mayan, Lamtun; caper-c
(cfr. Ounyer-s'), manimer (cfr. memesna-
mer); nac nax Mlay. — Nom. (acc.) pl.
aseies, dapnes'ts'; clenar, Eiser, 9u-lut[e]r,
naper, papalser, tu-sur0ir, reur, Oe-tlmvr,
acazr, e....r; Ot, tu-s'urdii, tu-s'ur@ì (cfr.
VelaQri lat. etr. Volaterrae con gen. Marci e
Shlat. Marciae e Seliae, loc. celi lat. Romae);
Ceyxane, Oezle f. per lat. etr. Faesulae; vacl
0î =‘ vocales’ [sacerdotes] duo’, cfr.
acc. capl-du “capidulas duas’. — Acc. sg.,
calatnam, cletram f., cntnam, estam (2) £., et-
nam, vacltnam, hectam, matam, peraciam(?),
puiam, putnam, suntnam; dunyulem, nov.
polem, svem; ersim; cisum nt., vinum nt.,
leitrum nt., lupum, medlum, meylum,
nacumnt., pruyum, pulum (cfr.nov. polem),
ratum nt., ucntum nt.; matan, spurt(a)n,
nov. elin, is'airon; ena(m) enas'cla(m),
ham®isca(m), hinda(m), Gentma(m), duns'-
na(m), laivisca(m), lerzinia(m), s'acnicla(m),
spurta(m), tuyla(m); cape(m), reus'ce(m),
pevay(m) = paiveism. — Acc. (nom.) pl.,
melecraticces, afrs, puts; heciant., heci(a)nt.,
hursi(a) s'uci(a) nt.; clevana, hu(r)sina nt.,
(34) Qui più che mai, per le parole di cui siasi toccato in questo scritto soltanto d'occasione e
di volo, debbo, quanto alle ragioni e prove, onde se ne giustifica, a parer mio, la classificazione gram-
maticale, rinviare a’ rispettivi luoghi del libro intorno ‘alle ‘due iss. preromane ’, dei ‘ Saggi e
Appunti intorno all’is. etr. della Mummia” e delle ‘Iss. paleol. di provenienza etrusca. ’
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 183
mula (lat. mella); murin(i); capl, s'rancezl.
— Gen. sg., cluctras', Veldunas', lusas',
sadas'; Cuizlanias f., Cuislanias f., ete-
raias o eterai(a)s f. (cfr. ArGaes Velvaes),
Mlakas o Mlacas'; zanes', ham®@es', laes!,
medlumes', s'acnies'tres'; Afles, Aufles,
Sticales ; agelis', cis', za0rumis', Haustis' £.,
hu@is', s'aris', peracis(?); cealyus' o cealxue,
cialyus', nov. Partenus' £., Cus; clens'
Qunyers', 0uns' flers' Tiiurs'; Laiscla(s);
Qvene(s); Carsi(s'"), Neri(s'); Tus'e (cfr. cres-
verae hevtai, Ankariate Vesiae); Sti (cfr.
Anaini 0 Anainai gen.) in kapes Sli ‘ capis
[deae] Seliae ° (cfr. Zilî Mlax con Se . la
Mlakas e ank(ar) Ankariate Vesiae © an-
clabre [deae] Faesulanae Vesiae ’; Her-
mu(s), Oesan(s) Oesa(n)s, Mlax(s), cioè
M[a|axla](s), in Zili Mlax pari a Se.la
Mlakas ° Selia Malaciae °, cfr. Mlacas'
Mani‘ Malaciae Mania ° (35). — Gen. pl,
Cerurum (cfr. Velusum nefts * Veliorum
nepos ’, cioò ‘ nipote dell’avo paterno e
materno per nome Vel’; Arndialum clan
‘ Arruntialium filius ’, cioè © figlio di
padre e madre Arrunziali’, ossia entrambi
figli di padre Arn0 °); Manim, Ma.ani(m)
come paleol. Maanium; eterau(m) . ete-
rav(m). — Abl. sg., zeri (0 seri) lec(e)-in
‘sacra in lege’, QaXs'e-in, Oesn(e)-in,
fir-in. — Loc. sg. eter-ti, zine-ti, Unial-ti;
etrin-0i; acil-0, clevrn-0, trin-0 (cfr. 0un-t);
celi, e0rìi, Quni; ame, arce, cadre, cluce,
ede, zadrumsne, dune, Quete, s'ane, S'ene ;
cadra, zina, duna, huca, macra; masn(a),
nac(a) huca; acil(0) ame, den0(e), s'acnien(i),
Unialti Ursmnal(ti). — Dat. abl. pl. ces'as-in
cesas-in: cfr. cesa e lec-in ‘ in lege ” fir-in
‘in igne’” ecc. con lat. Devas Corniscas.
— Coniugazione: 8? ps. sg. pf. att.
aisna eisna sta (cfr. zara = scara con
scare, tutti per © sacravit °, con -a -e da
-ai -a(v)i(t) come gen. e loc. -« da -ai
(-ae) con gen. e loc. -e da -ai (-qe) -ais
(-ges) -aîas); s'rencve tenve (lat. tenwit); stes,
des tes tez; Oens't, hexs'0 hexe; amce, vence,
zilace zilagnee -nuce, makrake, turke;
e8rse (cfr. Esera nuera ars'e “luna nova
ortast ’, letter. ‘ Aesaria [ossia ‘ Dea ’|
novaria orsit ’). — 3° ps. pl. pf. att.
acnanasa, auis'a, etras'a, dumsa, sacnis'a
= -sa, tindas'a = trindas'a, tritanas'a. —
Partic. pres., alpan(s), clen(s): cfr. Cilens.
— Partic. pass. pass., hectam, hetum, pu-
ratum, ratum; zilaxnoas, svaldas, tendas;
0en0; cfr. murs (lat. mort-io-) e aynaz (lat.
agnat-io- con osc. hurz lat. hortus ecc.). —
Numerali: 1. (s)m-ax (s)m-ar-em (cfr.
zel-ar s'ar lat. triarius sextarius e cfr.
altresì etr. 0u-ra tu-ra con lemn. tove-
-ro-m-), ena, ena-s'c-la (cfr. lat. Octacula);
(35) Non esistono, a parer mio, in etrusco, genitivi sg. in -a/ -sa 0 -si, nè doppi genitivi in -alisla,
nè dativi in -sé 0 -rî: tutte forme, penso io pur sempre, nominativali rispondenti alle latine in -a/
-ali-s, -ali-sso-lu-s 0 -ali-culu-s, -s-iu-s -r-iu-s (Saggi p. 173 sg. 194 sg. e pass.). Mancano quindi per
me di fondamento, anche sotto questo riguardo, certe interpretazioni che soglionsi stimare di verità
“ palpabile ,; come, per ora, credo mancare di fondamento, anche sotto questo riguardo, l’afferma-
zione potersi e doversi nell’etrusco distinguere due elementi, l’uno dei quali italico, e l’altro tale
che ad esso “ nemmeno la tortura potrebbe strappare una risposta ariana ,: invero le parole che a
prova si citano, o già risultarono' essere, non che ariane, italiche, o presentarono la stessa identica
struttura di quelle che già si riuscì a dichiarare come ariane ed anzi italiche. Citansi infatti p. es.
come documento luculentissimo di quella teoria, le linee del Cippo di Perugia in principio della
seconda colonna: atena zuci enesci ipa s'pelanedì fulumyva s'peldi renedi; ora atena non esiste, ma
sibbene s' | atena (cfr. A 19 cia s'atene con B 11 zea 2uci), e sarà verisimilmente S'af-ena, sinonimo
teologico di Zir-na (lemn. Zer-ona lat. celt. Sir-ona) e cioè nome di una deità ‘ San(c)tona ? (cfr. qui
appresso le congruenze etr. lat. s. v. ceri e Zirna e le congruenze etr. umbre s. v. zati sate); quanto
alle altre voci, esse si trovano omai quasi tutte plausibilmente, com’'io mi lusingo, chiarite, secon-
dochè più avanti nelle ‘ congruenze ° cerco mostrare. E però dicono le allegate linee all'incirca:
‘(Volsinio diede) al (dio) Satena succhi mortuarii (cioè il vinum inferium), [e] un’ ÎBn nel sepolereto
al (dio) Fulumxva (cfr. Sag. 110 sg. Cerer-xva Sul-xva ecc. con sup. $ 18 Na0um Tecum Oe-tlvm-r),
[cioè] nella sepolcrale arena ’ (cfr. lat. ‘ mollique tegaris arena ’).
184 ELIA LATTES
2.0 (lat. duc) Qui (lat. dui-) 0: 0ii (lat.
dis- di-) 0e- tei t-em, dun Buna dune Quni
Qun-em (cfr. lat. duonus Duenus), Qun-
-xule-m, tu(n)-x(la (cfr. lat. sin-gulu-s
Octacula), Oun-s'na ‘0-il (cfr. lat. Dui-
lius) ecc.; 3. 2-al s-al (cfr. es-al-s cecpaty-
al-s), 2-el-ar za-Qru-mi-s' (cfr. lat. deci-
ma-tru-s), za-0ru-m-sne; 4. hud hut gen.
hudis' hu0s'; 5. ci si gen. ci-s Xi-s' cea-
-ly-u-s cea-ly-(a)l-s ce-ly-l-s, ci-em Yyi-em
cem; 6. s'a gen. s'a-s, s'-ar; 7. sem®-S';
sem®a-lx-ls ecc.; 8. es-al-s es-l-em es'-
ul-zi ecc.; 9. muva-lx-l-s; 10. tesne tene
(cfr. lat. deni); 12. gen. tesns' teis';
16.tes'am-sa; 100. Xim®m ece.; unum ece. —
Pronome di 1° persona: mi miî, me
(abl. loc. “io per me °); cfr. equ eku ecu exu,
lat. ego eco ego, fal. eko. — Preposizioni
e posposizioni: a- -in. — Congiun-
zioni: an cin -c, ee = e0 = es't, cim ei.
— Avverbii: e0ri etrindi.
OSSERVAZIONI FONETICHE. — A per
ai ae e: $9 adelis' ede lat. aedilis aede;
$ 20 avil ail, an ain; $ 15, 20 loc. sg.
-a -e (cfr. 3* pl. sg. pf. att. -a(0)i(t) -e -a
p. es. scare scara ecc.); $ 17 lat. etr.
Babius Cnaus; per -avit -avi -av -au:
$4, 8° sg. pf. att.; per lat. o: $ 7, 3° pl.
pf. att. -sa lat. -s0; $ 18 malave lat. mo-
lavit, fav-in lat. in foveà (cfr. favissa, pars
portio ecc.); metafonesi: $ 20 n. 17 santic
sentie, capeni caperi lat. Afranius argen-
tarius ecc.; epentesi, $ 20 Arn0alis'ala
Sti-cale-s cfr. Oufl0i-cla s'acni-cla. — E
per ai ae: $ 8, 12, n. 16 Olecinia Olainei
(della stessa persona), lerzinia Laersinas;
per i: $ 10 reu-x riva-x, S'eu lat. -siva;
ca per ia: $ 20 cealyus' cialyus'; eu per iu:
n.28 Teuri Tiiurs'; per ei; $ 11 Easun
Velia fas'e all. Eiasun Veilia fas'ei ecc.
— I per e: $ 17 itruta etru; per ae; $ 21
Cilens cfr. lat. caele(n)sti-s, cisum lat. cae-
sum; per u; $ 14 mirnunei murin; per -ia:
$ 13 heci hecia, bil. Mesi lat. Mesia; per -ùi
-ei -ai: n. 26, 27 loc., cfr. n. 22 Tiianei
con Aîianes Tiiurs'; per -iu lat. «ion: $ 3
Neri lat. Nerion- Nerien-; epentesi e pro-
pagginazione: $ 10, 21 forse aivil avil,
Teriasals Terasias', Cus Cuislania.—U per
au: $ 14 lutni Plute ecc.; per ua eu ev:
$ 21 eluca, clevana, clevrn9; dileguo od
omissione grafica: $ 9 tuyla tunyulem. -C,
dileguo apparente: $ 8 Olainei Olecinia
(cfr. Velyaias Velxacias ecc.), $ 13
Ataium, hetum hectam; assibilazione rap-
presentata da sc o cs: n. 13 Catrna
Scatrnia, Skanesnas Sanesnas', Pacinnei
Pacsnial (cfr. camoi camdi, Xaine Caine
ecc. e fr. cheval per lat. caballus ecc.).
— X per c: $ 10, 16, 20 n.19 Xartillas!
cadra, Xiem ciem, nax nac, MlaX Mlakas
Mlacas'; per lat. g: $ 10 Qun-xule-m cfr.
lat. sin-gulu-s. — H che s'alterna con f:
$ 13, n. 18, Hastia harona con Fastia far-
dana ecc.; per 0: $ 8, 18 hui Bui ecc. —
T per ct: $ 12 Ataiun, hetum hectam;
per pt: n. 17 Setumi ecc.; intervocalico (d)
dileguato; n. 20. — ‘© per lat. d: $°9
0i 0u cadra adelis' Lardia ecc.; per 2 s
st (cfr. 2 e s): $ 13 e0 ez es't lat. et, muo
lat. mustum (cfr. nu0-in lat. ‘in nocte”
con nuz-lxne È‘ noctilucanus ’); alternato
con t: $9, 10, 14, 19, 21 0unyulem
tu(n)x(u)la-c, @u-luter tu-surGîr, Ledam
Leta, madu matu, camQi camti ecc.; alter-
nato con 4 0 f: $ 8, 17 Qui hui, Oezle
lat. etr. Faes(s)ulae ecc.; dileguo di -0:
$7 acil ame all. a acila ame, nunden0
eus'leve all. a 2us'leves nunden0, dileguo
nel primo caso forse solo apparente,
perchè dopo -! (cfr. etr. -al e tul 0ansur
con lat. facul semel consul, ager vectigal),
$ 15 yxim xim0 yxim0m, se non si tratta
di scrittura abbreviata. — ' alternato
con s: $ 2, 5 cealyus' tus'urQdii -s'a; al-
ternato con e: $ 5 S'alvi s'arve ecc.; s'0
con -2, $ 13 hey-s'0 hexz. — S alternato
con 2: $ 5, 21, n. 18 sal cal, Cuislanias
Ouizlanias, Laersinas lerzinia; dileguo
di -s' -s5:$ 3, 14, 16, 21 Cilen(s) Cilens,
rils-Qvene(s), Cilva Neri(s'), Canva Car-
si(s'), Rasna(s') hilar. — Z alternato con
s' s:$ 5 carve ceri s'arve seri ecc.; per st,
$ 14. — Pinf:$7,n. 7 Oepri Oefri ecc.
— F da p: $ 7 Oefri Qufulta ecc.; av-
vicendato con h: $ 13, n. 18 fur0 har9 ecc.
— V dileguato: $ 5, 10, 16, 21, n. 15 ati
ativu, laes' Laiscla laivisca lat. laevus, 0-
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 185
S'eu reu cadra Xartillas'. — M in n:
$ 18, 19 Le0ms Le@ns, celucum celucn,
matam matan; per mm da mp: $ 13
tam(m)era, lat. temperavit (cfr. n. per nn
da nd); dileguo di -m: $ 3, 10 ei tul all.
eim tul, CeXa Cexam Leta Ledam, reus'ce,
hindu vinum, ipa Ma.ani(m) come Manim
arce (cfr. xim0 xim0m). — N per nn da mn:
$9, 16 Veldunas' Nusunus' Tequnas', cfr.
Velinna; dileguo: $ 9, 16, 21 tuxla itruta
sacni cild pedereni. — L per U dl: n. 29
a-l(a)p-an(s)lat. adlubens(cfr.alapn Alapnu
[Bugge I 15] osc. a-flakus a-flukad). —
È per rr da rv nrv: $ 21 Mera Menrva.
— Apocope per crasi: $ 9 caclinam vacl
etnam. — Epentesi v. A I. — Metafonesi,
v. A. — Fonetica sintattica: $ 10 cemulm
lescul(m), umb. tre(f)buf ecc., cfr. $ 16
loc. -a con loc. -0, 0 -ti loc. -ti con loc. -a.
OSSERVAZIONI PALEOGRAFICHE. — Tn-
congruenze: $ 16 loc. -a con loc. -e;
-ae con -ai -e (cfr. 3% ps. pf. att. scara
con scare, cure con malave putace). —
Omissione grafica di vocali, con-
sonanti e sillabe: $ 10 omessa in fine
la voc. cons. sill. della voce preced. o sg.,
Larezula mevaxr(a) lautn(a), nac(e) reus'ce,
spuredì apasi svalas(î), cemul-m lescul(m),
Unialti Ursmnal(-ti), Marti-0 sulal(-0);
$ 21 tul(ur) dansur, zel(zi) es'ulzi; omessa
in mezzo o in fine la vocale notata nella
sillaba precedente:$ 13 put(u)s, 14 mu0(w),
16 9en(e)9, $ 17 nac(a) huca, ib. med(e)l-
|Z]um(u)0, $ 18 M(a)lax, $ 19 vac(a)linam
sun(u)tnam, $ 20 ma[n]s(a)n(a); omessa
la vocale propria del nome della conso-
nante nella serie alfabetica, $ 19 c(a)m(a)-
inam cfr. c(a)l(a)z e claz, p(e)s'li e pess'li
osc. peeslom, Pl(a)s(i)nd e lat. Placont-
(cfr. etr. Tesin0).
VARIA. — Congruenze etrusco
latine: A) fonetiche, $ 11 Ceisì
Veisia ecc. lat. decreivit leigibus pleibes;
$ 16 -a da -ai (etr. loc. e 3? ps. pf. att.,
lat. gen. dat. e nom. pl.); n. 19 etr. elei-
vana éNata, lat. Achivi “Ayaîog ecc.; zeln)c
se(n)ce cfr. lat. mars. Seinq(ualis). —
B) morfologiche, $ 16 loc. -e -ae -ai
(etr. S'ene |cfr. cresverae hevtai] lat.
Senae ecc.); n. 23 loc. -a da -ai (etr.
eter-ti cadra, macra s'ur-0i, lat. monet.
Alba Roma); $ 5, 3* pl. pf. att. etr. -sa,
lat. -s0; $ 10, 13 etr. clev-r-n- dun-Xule-m
reu-s'ce lat. cave-r-na sin-gulu-s po-sca;
n. 9 Qun-xer-s' (cfr. pahanu-scr=ei con
paxanac payanate lat. pacus paganicus) lat.
Fala-cer (cfr. pel. sacaracirix); hatrencu
manince lat. sab. cup-encu-s; herm-eri lat.
libitinarius, tul-arlat. cale-ar; Esvi-ta Vel@-
ita, lantni-ta lat. etr. Never-ita lat. Bonnita
Iulitta; Velicu danicu lat. Aaminica; s'an-
tis'ts lat. etr. lanista; payanate alumnaBe
Frentinate lat. Ferentinatis; payanac lat.
Bruttaces; Nucr-tele lat. Pisatilis; etr-u
lat. ancillula famulus pumilio; spurestres'
1. magistri. — C) sintattiche: $ 11 -c -c
lat. -que -que, dove fra’ documenti etru-
schi vuolsi aggiungere F. 2335 atrs'r-c
escuna-c, confrontando poi atr-s"r, se mal
non vedo, con a0re acil lat. ‘atrii an-
cillus° e con care-sr-î hec-sèr-i seda-sr-i
tana-s(a)r s'pure-stre-s'" ecc. — D) les-
sicali (36): acve © in aqua ’, v. Letnle;
akil acil cfr. pren. a(n)cil{l)a; acnanasa
‘ut agnati parentarunt °’; acnesem acnina
‘ agnaticiam ’ (v. clel); aiv-il av-il cfr.
‘aevum ’; avil‘avilla’; adelis' * aedilis’;
alapn alpan alpnas È adlubens °; ala@die
ala®t ‘ alites ’; Altria © altrix ’; alumna0de
‘alumnus’ (cfr. lautnate); alpazei “ albasio-;
ama ame amer “ ama, in ama, amae° 0
‘“amas’; apr|e|ns'a (fem.) aprin0 (masch.)
‘ sacerdos ab apertionibus ° (Serv. Aen.
IV 301), letter. “ aperienda aperiendus ’:
(36) Si comprendono anche le parole studiate nelle ‘ Paleolatine ’, nei ‘ Saggi ’ e nel libro intorno
alle ‘ due iss. preromane ’. È escluso qualsiasi artifizio di bussolotti etimologici, e trattasi sempre di
tali vocaboli, di cui il contesto ne’ varii luoghi dove occorrono, sembra richiedere o giustificare,
ora come probabile, ora come scientificamente possibile, il significato loro attribuito, sul fondamento
del quale poggia poi il riscontro etimologico.
Serie II. Tom. XLIV.
24
186 ELIA LATTES
fer. secundus “seguente ’, Coinquenda È“ pu-
rificatrice ’ ecc., e v. ims'; ara are‘ ara, in
ara’: ara(i) duni “ arae geminae ’ (come
lemn. arai tiz, cfr. etr. teis'), aras' peras'
‘arae ignariae’ (come osc. aasal purasiat),
dentma aras'a ‘ templum arae proprium °
(letter. © arasium ’, cfr. asilm ‘ asialem °);
-ara8 v. tev-ara0 e cfr. 1. orans; arce ° in
arca ’; arni (novil. arnuis') ‘ arnas’; arse
(Esera nuera-) ‘ ortast (luna nova ’, letter.
‘Aesaria novaria orsit ’); ar-u-s' as-u asu-t
‘arulae -la, in arula ’: asux ‘ aruccia ”,
asi sacni © arae sanctae ° (cfr. umb. vuke
pir ase), asil-m tul “ arae proprium tu-
mulum ’ (letter. © asialem ’, cfr. 0entma
aras'a ‘ templum arae proprium °), aseies
‘ quei dell’asa ’, i sacerdoti di essa); alxn\-
(leg. aucel), cfr. 1. Auselius'; aue auis'a
‘aveo, averunt’; axnaz ‘agnaticia’(v. clel);
ayrum “ agrum’ (lem. aker); afrs ‘ apros’.
-c lat. © -c -que ’; cacu È cantor
(letter. © cancon- canicon- ’); cave * in
cava’; cadinum È‘ catinum ’; ca@ra cadre
‘ quadra, in quadra ’ (cfr. S'ene); Caipur
‘ Caipor ’; calatnam È“ calator a cibario ’;
Calu (dio infero), cfr. lat. caligo calim
(Deecke e cfr. Kul-s'): dimin. Calus'tla
‘ Caloniculo ° letter. “ Calonitulus ’, con st
per # assibilato); cana v. canl; caneda
(Uni) ‘ condita ° (cfr. Racuneta e lat.
Consus); cande canQAce * condidit’; cam0i
‘consul’ (lett. © caventius °); caniraxaò
‘ candentis (ignis) rogarius’ (cioè canni-
candi-); canl “è bianco splendido ° (letter.
‘canulus ’, cfr. lat. Canuleius), dimin. di
cana lat. cana, sottinteso ‘statua’ o
altro oggetto ‘ candido’ o ‘ splendido °:
canl cal * splendida (sepuleri) xa\id ° (cfr.
celt. novar. kanta lokan © album ° cioè
‘ splendidum sepulcrum °, gall. caneco
sedlon ° sedia aurea ’, ven. azan kanta
‘clavum splendidum °),: 9uta cnl “ dona
(lett. “ duita °) splendida’, naper ci cnl
‘quinque splendidas napuras ’, amer cnl
‘amas splendidas ’; tape -es cape -es capi
‘ capis °: capeni caperi ° quel delle capides ’
(letter. © capidanius, capidarius °), caper-c
lett. “capidariusque’; Carus'lett.‘(dei) Ca-
ronis (cfr.l.cara cognatio, caristia); casdial®
‘ casta (sacra), lett. castalicia’; C20 Ca@a
Catneis Catnis KaQuniia, cfr. il dio e la
dea ‘© Catius -ia ’ (lett. © Catonia-iae °);
catrua È quadrua’ (cfr. ca@ra); Caudas
cfr. lat. celt. Cauto pate; Keka Ceka
Cece © Caecus-Cacus ’ 0 ° Caeco-Caco ’,
‘ Caeci-Caci° 0 © Caecae-Cacae °; Cexagne
Cexaneri Keka|s]|e Cexase ° sacerdote di
Ceya °: lett. ‘ Caecanus, Caecanerius, Cae-
casius° (cfr. lat. Casinerius Volanerius
Soebasius); Ceztes * Sestius ’; cela cela) celi
‘ cella cellae’ o ‘in cella’ (fal. cela);
Cemna Cemna-c (pren. Gemna) ° Gemina
(Luna’, cioè ‘piena’, cfr.Ouful0a Trutvecie);
Centenas “ Centesimi ” (cfr. Cemna Qua
Ouves' Oufulda Zelv8 Cus Tecum Uni, tutte
deità di nome numerale); cenu “cena ’ (cfr.
epl); Cerurum (ipa murzua) © Cerorum (in
mortualis)’: cfr. Ma.ani Manim; Celr)s'
zeris' ims' “ Ceri sacri (cfr. Zirna) imi °
o‘ inferi ’; ceren Cererxva È cererem,
Ceres (msec.) ’; cveda lat. volg. © queta ’;
ci(n) “ quin(que)’; ciz cite © (cae)cidit ’;
Cilens “ Caele(n)s-tis °; cisum “ (circum)ci-
sitium ’ o ‘ (circum)cidaneum (mustum) ’;
clevana detto delle hecia lat. faeces: cfr.
cluce e lat. cluere cloaca ’; clevrn-0 ‘ in
purgamento ° (lett. ‘in cluerna ’, cfr. lat.
caverna taberna); clel acnina È cellulam
agnaticium ° e acnesem ipa‘ agnaticiam
inv °); clen Cexa * cultor (lett. © colens ’)
Caecae ’, clen Ounyulte © cultor (deae)
Duplicis °, cfr. Ounxulem Oufulda e lat.
singulus; cluce ‘ cloacae ° (gen. e loc.);
c(a)n(a)tnam È cantor a cibario (vino) °; cs'
v. ecs; Cs' per C(ae)s' © Gai”; cure * cu-
ravit’; Kul-s' Culs'u Col(su) “ Culone Cul-
sone ' (cfr. 1. oc-cul-tus) e sup. Calu: Kuls'
nuteras' © Culonis inferi’ (cfr. Laiscla).
ecn ecnia ‘ agonius’; ecs (e)es' ‘ agonii”
(da ecni-s *acni-s); ee e0 es't “ et’; e0e
‘in aede ’; ecu eku equ lat. eco (fal. eko)
ego ego; e8l ‘ aedilis’; e0ri ‘ iterum ’;
edrse © iteravit ° (cfr. etras'a); eleivana
(aska) © olivanus ” (ackég), cioè ‘ da” 0
‘ di olio’ (cfr. nipi mirnunei); ena “ cenus’,
ena-s'cla lett. © unusculam ’ (cfr. lat. Octa-
cula); enes'ci lett. “enecia ’ per denicales.;
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 187
2uci enesci “suci denicales’ (cfr. nac reus'ce,
nacum hindu vinum, heci naxva, etnam
ix matam; epl tularu “ epulam tumuli °
(cfr. nac): cenu s'cuna epl-c felice © cenam
secundam epulumque felix °.
vacl “ (sacerdos) vocalis ’ (cfr. lat. arx
Orcus, favissa fovea, jnirus ignorare, pars
portio ecc.): vacl ara “ vocalis (sacerdos)
in ara: vacl étnam o vdacltnam ‘ vocalis a
cibaàrio ° (vino, lett. ‘ vocalis [sacravit] ci-
barium ’); valce © valuit ” eufemismo per
‘morì’, cfr. s-valce; Vale ‘ Valentiae ’; var
(tul-) “ varus tumulus ’, cfr. cela pengna
‘cella(sepuleri) pendula’, pen0na ope] n ]ina
ama ° pendula ama’, celi pen trutum * in
cella pendens quadrum (anathema)”; e/oa
lat. etr. Volta; Veloun(n)as' lat. etr. Vel-
dumnianus; venas venes “ vinì” (cfr. ven.
veno): lur venas © lora vini’, vence © vino
fecit °, mulvoneke * melle (et) vino fecit ’,
mulveni “mel et vinùm’ (lett. ‘mellivinia)”;
versum ‘versus’; vesana ‘domiciliùm °(cfr.1.
etr. mutana spelana): cì vesana matvesi cale
sece © hic domiciliùm mottuale in kad
sancta ’; vetra ‘ vetus ° (fem.); via ‘ via ’;
vinum pevay 0 paiveism ©“ vinum bibax ’
o ‘ bibesium ’; Visca © Vista’: Visca me
pen ° Viscaè (deaé) ego pependi ’; etr.
lat. voîsgra letter. © volucra ° (*volera
*bolera voigra voiscra).
zaldu © salute (infera) praedita’: cfr.
Qapna s'al@n “ mortuarium salutare ?, cela
s'al@n ‘cella (sepuleri) salutaris’ e v. sans’!
sians' sias' (dei ‘sani’, altari ‘sani ’,
morti ‘ sani °); canes' v. sane s'can-in;
zard za: ra‘ sacravit°, carta * sactatùs >;
zarva carua carve © sacet sacrae (lett.
‘ sactivus -vae)”; 2arone0 <arfne0 ‘ in san-
ctitate'” (lett. ‘ in sacronio’); cati catlyne,
v. s'adas' e nuzlyne; zec (sece) © sanc(t)us
(cfr. lat. Seinqualis) e zeri seri ‘ s&cer
een(e)-zeri lec(e)-in in (0 inc) zec(é) © agonia
sacra in lege et sancta’, zeri-c cec adelis'
s'acnicla “sacroque sancto aedilis sacello”,
zifo]u zeral e|ec a]ree (Bull. 1881 p. 60,
cfr. Bugge I 73) ‘ diva (cioè © morta °)
sacrata (lett. ‘ sacralis °) sancta in arca
(jacet)”, Nleres zec sans’! * signumi sanctum
“ sariim° (lett. “ sancùià' saniculuà ’, cfr.
sanis'l slans' sias'); <eral sacrale ’;
Zirna lemn. Zerona gall. Sirona, lett.
‘ Sacrona ’; zeriîs' (Ces') © Sacri (Ceri) ’;
zeri nacya © series sacra denicalis ’; 2ivas
‘ divus ’: v. zivu in zec; cina zine-ti ‘ în
tina’; Zina (preceduto da Jane), v. Tind-s,
Tin-s; zinace zince zi(n)yne zix- s'in(a)
‘ signavit ° (cin- s'in- da 2ien- sicn-); 2uci
s'uci ‘ suci°; 2u0(I)eva 2us'leva -ve -ves'
‘ tortivum -vi (lett. ‘torculivae °): nun0en0
zus'leve zarve È nundina sacrimae ’ (lett.
‘in novilunio torculivae sacrivae ’).
halxza halxzc © falce circumcisitium
-til° (lett. ‘ falcissa ’, ossia ‘ falce vinea-
tica circumcidaneum mustum)?; ham@es'
seides' “ campi (con)sivi’, hampedes' -Q0i
‘ campicelli, in campicello ’ (cfr. caneda
Racuneta con lantnita -ida Esvita lat. etr.
Neverita lat. Bonnita Iulitta); hanuv. fanu;
harona har98(na) v. fard8ana; hasmun
‘casmon- ’ (cfr. 1. Casmena); Hausti fa-
nuse ‘ Faùstae (deae) in hanulo’; heci
hecia ° faeces°, hectam he(e)tum ° faeca-
tam -um’, hexz heys'9 ‘ faecavit ° (lett.
‘ faecsit ’): heci naXva È faeces denicales ’,
cfr. nacum hindu(m) vinum © denicale in-
ferium vinum ’; huernatre lett. © haustri-
nator (Bugge); hu(+)sina (mula) © mella
haurienda ’ (lett. ‘ haurisina °), hursi capl
0u ‘haurientes (lett. © haurisia’) capidulas
duas’; hus'ur husiur © haustor °; huins
‘ fons ’ (Bugge).
Qapi(n)cun dapintas', cfr. l dapis e
cupencus; Oany-v-il cfr. 1. pren. tongere
tongitio; daura © taura°, daure Bauru-s
‘ taurus ’ e lett. ‘tauron ’ (ossia ‘ torello °,
cfr. lat. pumilio pusio tirò, ett. Iinducla
murs nes') per © defunto’, cfr. lupu è
lat. ludi Taurii è i ° tori ° epitafiali della
Spagna latina; Oezeri Oezince dezine
desuva, cfr. lat. Dis pel. Des des, etr.
manince ceraneri. hermeri tineri lat. li-
bitinarius con Libitina; eno dens't dentma,
lat. dn (con)tempto tempsit templum ; Qesan,
cfr. lat. dies {lett. © Divesana °); Oe-tom-r
‘duo Tellumones ’; @vene © dueni bini ’;
0° di © di-dis dui ’; ® ‘ dualis °, cfr.
Duilivs; Olu Olu(n)9 © Tellus °; 0v ° duo °;
Quete © in via (lett. ‘ in ducta'); Ova Ove
188 n)
Qui Ouium Ques' Quves', cfr. 1.° dui’; una
-i -e 0un-s" Qun-t ° duonus ?: flers' Quns'
e 0un-t tul, cfr. ara duni e hilarduna
con lemn. araìi tia e lat. ara gemina;
0umsa ° cremarunt ’ (lett. ©‘ fumarunt °);
Ouna “ donavi ° (cfr. tun); Oun-Xule-m cfr.
0un e lat. sin-gulu-m; Qus'a, cfr. Qua
Ques' Quves' fanus'e; Qutum pl. Quta
‘donum -a ’ (lett. © duita °); Oupl0a-s'
Oupites' Oufulda-s' Ouflda-s' “ Duplex °
(lett. ‘ Duplitta ’, cioè la ‘luna doppia *
o Cemna, ossia ‘ piena °), Oufloicla lett.
‘ Duplitticula ’: Aiseras Oufldicla Trut-
vecie “ della Luna, della Lunetta doppia
o piena e della Luna dei quarti lunari °.
im-s' i(m)s' © imi, inferi °: Ces' zeris'
ims' Semunin apr|e|ns'a © Ceri sacri imi
(et) Semonum sacerdos-ab-apertionibus °
(lett. ‘ aperienda ° per ‘ aperitrix ° (cfr.
pel. Cerfum sacaricirie Semunu); iue iui
cfr. lat. ibi it. ivi.
lae-s' lae-ti laivi-sca Lai-scla ‘© laevi,
in laevo, laeviculam Laevicula ’: cfr.
Kuls' nuteras' e lat. dii Lacvi o inferi e
Seren. ‘inferis manu sinistra’ s. v. malce;
Larezula cfr. lat. etr. Lares (lett. © La-
rissola ’): Larezula mevaxr(a) © Laribus-
sacra munera ’; lautni lautn-ate (£. -ata,
cfr. alumn-a0e) lautn-ia lautn-ita lautn-ic
lautne-s'cle lautuni-s' © liberto °, lett. ‘ lau-
tonius ’ ossia ‘ lautino °, il piccolo lautus
(cfr. lat. pusio tiro ecc.), cioè minore e
dipendente dal lautus suo signore e pa-
trono; leic (2) les'cem Lescan lescul cfr.
lat. “ liquidus ’; Letem, cfr. 1. letum e al-
tresì luetus nel senso di etr. eal0u s'al0n
e della beatitudine sepolcrale; Lescan
Letem, cfr. Nettuno infero; Letnle acve
(Letanulae’ o ‘Laetanulae in aqua’), cfr.
osc. Diumpats Kerrtiats; leitrum ‘litamen’;
lile * delicavit ’: Hermu zara lile Col(su)
‘ Hermae sacravit, dedicavit Culsoni °;
lucu È lucus °, lucairce © luci sacerdos ’
(lett. © lucaricus °); lupu ‘lupus’, letter.
‘lupon-’, cioè ‘ lupino ° per ° morto ’ (cfr.
lat. luperci, sacerdoti di deità infere e
percuotitori delle donne sterili con etr.
Oaure lat. taura e ludi Taurii); lupuce
‘lupucio °: lupuce surnu lett. ‘lupus (Ditis)
ELIA LATTES
soranus °, lupuce Calu surasi © lupus Ca-
lonis sorasius’, cioè divenuto per la
morte proprio e devoto di Dite Sorano,
etr. S'uris o Calu S'uris (cfr. epigr. Naev.
‘itaque postquamst Orci traditus the-
sauro); lur venas ‘ lora vini’: luri miace
‘in lora meavit’ dopo la morte, diguaz-
zando fra’ beati nella perpetua ubbria-
chezza cantata da Museo (cfr. vence lupum
‘ vino fecit pro mortuo ’, puiam amce
‘uxorem vino-adfecit ’); lut(ni) v. lautni.
Ma.ani (ipa) © Bn Maanium ? cioè
‘ D. M. Sacra” (cfr. manalcu Manim Ce-
rirum), macra ° macra °; makrake ° morì °
e divenne cioè “ macer ’ delle “ macies
larvalis’ (Petron.); malave malci malce
‘molavit”: malce clel lur “molavit cellulam
(sepuleri) lora ? (cfr. Seren. ‘ inferis manu
sinistra immolamus pocula”), malvi Qanri
‘ molavit (deae) Thanurae ’; Male Malena
Malstria, cfr. lat. mdlus; manalcu (su8ì)
‘ sepulerum D. M. sacrum ’ (lett. ‘ sedes
Manalica ’); Manim arce ° in Manium
arca ’, cioè ‘“D. M. sacra’; man-im-er
man-in-ce © defunto’, come connesso su-
premamente colle cose (‘ man-ima-) dei
Mani e come dedicato ad essi (cfr. caper
caperi, dezince e lat. victimarius libitina-
rius con sab. cupencus); mar-va-s mar-u(n)
mar-un-u-(n) mar-u-tl © Maro maro ma-
roniculus °; macestrev- Macstrna mastr, lat.
etr. Mastarna ° magister ° (cfr. it. mastro)
‘ Magisterna ’; mata matam matan madu
matu matves matvesi © buono ° per morto”:
cfr. lat. manis Matuta matutinus con mane
(v. vesana e cfr. Lar® matves con Aule
i matu, e con mi mata Avianes); me mi
‘me’ (lett. “io per me’) per ‘ ego °
mi-ma 0 ma-mi cfr. lat. © egomet ’;
Mean Meani Mani © Mania ° (cfr. fal.
Meania per Mania); mevaxr(a) © munera °:
cfr. Clevsinas (non Clevsi. Nas'avlesa)
Clevsinsl® clevana cluce, lat. munus murus
moenia con simul-acru-m e osc. sakara-
klu-m; mirnunei (nipi-) © vimmp murrinae
(potionis) ’: cfr. aska eleivana e kape
mukadesa; Mlakas Mlacas' Mlay °Malacia”,
MlacuX © Malacuccia ’; mlaQ ° molatas :
mlad cem arni ‘ molatas quinque arnas ’;
L’ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 189
Muan-tr-s"l (lett. ©“ Manitoriaculo ’, doppio
diminut., forse msc., di‘Mania’): cfr. Mean
con mealxls e muvalyls; mu0 © mustum ’;
mula “ mella, mulsa , mulveni © mel (et)
vinum ’, mulveneke ecc. melle vino fecit °
o ‘feci’; mulsle © mulsulum °; multl letter.
‘ mellitulus ° per ° defunto ’, forse come
imbalsamato, forse come onorato colle
libazioni di mul-ven-i; mun® “ mundus ’
per © morto °: cfr. lat. mundus, la (fossa)
‘“monda’ (ossia forse © dei mondi ’ o
‘ morti’, cfr. qui avanti sans'!) sacra a
Dite; muns-le lett. ‘ mund-ulu-s ’ per
‘morto ° (cfr. hindu-cla murs'-1 nes'-1);
murin (s'uci-) © suci murrini ’, cioè © mur-
rina’ o ‘ murrata potio ’; murzua murs
murs murs's ° mortua -uus -ui ° (efr. lat.
‘ hostia prodigua prodigiva’ cioè ‘© dei
prodigi °), murs'-1 lett. © mortulus” it.
‘ morticino ’ per ‘ defunto ’; mutana © il
luogo dei muti o morti’ (cfr. lat. Muta
per Mania); mutince ‘ il sacerdote della
dea Muta” (cfr. manince).
nacnay nacva nasra neds'ra-s nes' nes'l
nes'na e-nescì ece., lat. ‘nex enecare deni-
calis’: nac akrum° mortualem agrum’, nac
cal ° mortualis xa\id°, nacum hindu vinum
‘ denicale inferium vinum’, 2uci enesci
‘suci denicales’, nac reus'ce ‘ mortuale
liquamen ’ come etnam ix matam © ciba-
rium (vinum) et manum?’ cioè ‘de’ morti”,
afrs nacv “ apros mortuales ° come svem
matam È“ porcum manam ’ cioè ‘de’ morti °
(cfr. epl tularu ° epulum tumuli’; Nae
Nai © Navius ’; Neri © Nerio ’; nefts ‘ ne-
pos; nuera “ nova.’ (lett. ‘ novaria ’):
v. ars'e; nuzlyne È noctilucanus ’; nu@-in
“in nocte ’; nunden -ene © nundina -inae ;
Nur6<(i) © Nortia ’ (lett. “ Novertia ’, ossia
lat. Neverita): Nurozi Meiani È Nortia
Mania’; nuteras', v. congr. etr. umbre;
Nuqui Nuvi Nui (cfr. alfab. etr. camp.
con @ per v) ‘ Novia Novius ’, fal. Noia.
pahanuser-ei (cioè -grei -cr-ei, cfr.
Oun-Xxer-s' con lat. Fala-cer e pel. sacara-
cirix) © paganica ? (cfr. paxanac paXanate
lat. etr. pacus pacanica lat. pagus paga-
nica); paiveism pevax © bibesium bibax °
(cfr. fal. pafo pipafo È bibam °): vinum
paiveism acilè ame “ vinum bibesium in
servili (lett. © ancilla °) ama’, pevax vinum
trau(s') pruxs' © bibax vinum vilis pa-
terae ’ (lett. ‘ trahilis tpoxoî ’, cioè ‘ vilis
vehilis °), hindu vinum trau(s') prucuna(s')
‘ inferium vinum vilis paterae °; payanac
-nate, v. pahanuscrei; painiem È panem °
(cfr. fr. pain); pe(n)dereni lett. © pende-
ranius’, custode della per0era- ossia degli
anatemi pen0na, lat. pendentiae: v. var;
pen(8) © pendens ’; pens ° pependi ’; penna
pe(n)tna, v. ama cal e cfr. pedereni; plutim
‘ pluteum (Deecke); prigas' © brisas °: cfr.
scara pridas' * sacravit brisas ° con ranem
scare ‘ liquamen sacravit °, etnam aisna
‘ cibarium sacravit ’, aisna hindu vinum
‘ sacravit inferium vinum ’, ratum aisna
leitrum ° ratum sacravit litamem ’, eisna
pevayx vinum È“ sacravit bibax vinum ’
puia, cfr. lat. pullus puella; puiac puliac
‘ figlio d'una puia’ cioè d’ una moglie
di siffatta speciale categoria; pultace
pu(dtace “pulte fecit’; puratum ‘puratum’;
pural purana, cfr.‘ purus’; pute * potavit °;
putnam puts' “ potus’; putiza “ pocillum ’
(Pauli).
s'a°sex’; s'acni-cla © sacellum ? (lett.
‘ sanquinicula ’, cfr. 1. Sancus Sanqualis
Sanquinius),s'acni-cl-er-i © sacerdos’ (lett.
sanquinicularius ’); S'a0as' s'agec cfr.
s'antists' santic; s'al0n, v. caldu; s'antis'ts'
cfr. huslenes'ts' dapnes'ts etr. lat. lanista
lat. magister e v. santie; s'ar s'aris cfr. s'a,
zelar e lat. © sextarium ’; s'can-in sane
‘in scamno , canes' © scamni ’: cfr. Ska-
nesnas Sanesnas', scuyie s'uci zuci ecc.;
s'cuna ° seconda’ (per *secunna); s'enis
‘ senis senex °: lautni ein s'enis “ libertus
et senex ’, cioè ‘ vecchio servitore ’, ossia
‘ morto vecchio nella famiglia di cui occu-
pava il sepolcro’; s'etirune (cfr. mirnunei)
‘ centurionus ‘; S'i-c S'eu-c ° Seia Sivaque °
(cfr. 1. Consiva Opeconsiva e etr. reu-x riva-X
con seives'); s'in(a) v. cinace; s'pella) duta
‘ sepuleralia dona °, s'pel-0i rene0ì ‘ in se-
pulerali arena’ (v. rene0ì), s'pelanedì “ in
sepulero ’: cfr. 1. ve-spillo; s'pural, cfr. 1.
‘ spurius ’; s'ta s'tas * steti (lett. © stavi ’,
cfr. © -davi’) status’: cfr. stes; s'ucri
190 ELIA LATTES
s'uzeri sacedos a succis’ (lett. © succa-
rius ”); s'uci v. 2uci; s'udi s'u0ce, cfr. lat.
‘ sedes solium’; S'ul v.Sul; s'unu° sonans’
(lett.“sonon’); s'uplu © subulo subulonum ’,
cfr. atrium sutorium cioè © dei suonatori °:
mastr s'uplu magister subolonum
(Deecke); S'uris Eis (Magl.) © (Dis) So-
ranus deus ’ cfr. surnu surasi e lupuce.
ratum “ ratum ’; ratum leitrum yuru,
come lat. ‘ astrorum ratos cursus’ e
‘chorus astrorum’; raxad rax09 ray(0)
‘ rogarius ° (Bugge): cani raya9 © cadentis
(ignis) rogarius ’; reketi “in regia °; reneoi
‘in arena ’: s'peldi renedì © in sepulcrali
arena ’ (Mart. ‘ mollique tegaris arena ’);
reu-X (pl. reur) riva-y"rivus riguus rigua °
per ‘liquamen’; reus'ce gen. reus'ce-s' lett.
‘rivulum’ per ‘ liquamen, efr. 1. posca.
sacni v.s'acnicla ; s'acniestres', v. s'ac-
nicla e s'untis'ts'; sacnisa © sacrarunt ’;
sane v. zanes! e s'canin; sans'l sians'l
sians' sias' “sanus (lett. © sani-clus’) sani”:
Marisl sians'l © Martis sani’ (lett. © Ma-
riculi saniculi ’, gen. privo del -s, perchè
dopo -l, cfr. lat. consul ecc.), Ques' sians'
‘ Duplicis (deae Lunae) sanae ’ (cfr. Cemna
Oupldas'), mi putere sias' Kais'ies' “ ego
tomjpiov sani Caesii ° (cioè ‘ divi’
mortui °), fleres' sans'l ‘ signi sani ’, fleres!
zec-sans' ‘signi sancti sani’: e cfr. messap.
sanan Aproditan È sanam Venerem ’, ven.
s'ahnateh Rehtiiah‘sanatis [deae] Retiae?,
lat. Forctes et Sanates e etr. caldu s'al0n
‘ (sepolero) salutare ’ con lat. etr. Salutes
pocolom (sepolcrale) e colle varie espres-
sioni [efr. sup. mun@| della © stabilità
sicurezza quiete bontà e beatitudine °
infera; sam(e)tic sen(o)tie © sanctus ’ (lett.
sancticus ’); scara scare ° sacravit °:
v. s'canin e zara; scuXie v. s'canin €
euci; sece v. cale; Semunin v. apr|e|ns'a
e ims'; s-valce * ex-valuit ° per © visse ’
e quindi ‘ morì ’; svalasti) sveleri svels'-
tres' “ quel de’ morti ° (svala- ‘ exvalens ’);
sve svem “ sues suem ‘; s00v © situs ’;
Sipna (dea), cfr.‘ sibus °; slapinas' slapiyan
‘clavigeri (dei) clavarius’; surasi surnu
v. lupuce; spurta spurtn ‘ sportam ’; stes
‘steti’; suoi aci o lautni ‘ sepulerum
servile’ o ‘libertimum’: v. s'u@i, «eil,
lautni; Sul © Sol’, Sulsle © Soliculae” (fr.
soleil); sutana-s', cfr. sudì con vesana mu-
tana s'pelane9ì. |
tam(m)era ° temperavit ° (con cisum
‘ mustum circumcisitium ’ e con zelar o
s'ar venas ‘ trientem’ 0 ‘sextarium vini °);
tev tev-ara9 (‘ sacerdos ’), cfr. lat. © deivos”
e‘orans’(De.); fee tet “dedi dedit°; tes'amsa
‘ decem sex’, tesns' teis' e tene tei cfr.
lat. ‘ deni ’; fenve tenu È tenuit ’; tendas
‘-tentus’; Tina-s Tins ( Iovis °) cfr.
lat. dinus peren-dinus; tineri “ sacer-
dote di Giove ’ (lett. © dinarius °, cfr.
1. libitinarius con Libitina); tiv tiu tiv-r-s
tiu-ri-m ‘ luna ° (cfr. lat. dies Diana ece.);
trau © vilis’: v. paiveism; trind tringas'a
tritanas'a ‘ tertia’ o ‘triplici libatione
fecerunt ’; trinum trin(um) “© ter °; tul
tular (gen. tularu[s]) © tumulus °: cfr. L.
tuli tolles e v. var; tuna tun(a)° donavi °:
i tuna © ego donavi’, è tun(a) turuce “ ego
donavi [et] dwpw dedi ’; tuyla-c Tuyulxa,
cfr. ounyulem Qunyuloe.
u(n)entum ‘ùanguentum’; Unaial Unea
Uni Une Unial Unyva (‘ Tuo Tunonius ’),
cfr. lat. ‘ unus ° con Qua e 0w ecc. e v. Cen-
tenas; unum un(um)° unum semel’, unu-0
‘in uno” (cfr. 6un-t tun-t); uples © opulens ”;
urg° orca’; Usi (-*sili -*st) Usil Usli(s)
Uslane. cfr. adxni - lat. © Auselius ’; uffi
v. uiples; ufra 1. ubere. — qipece © bibax ”.
— Ximam xim0 xim(0) © centum ’.
fav-in © in fovea ° (cfr. © favissa °);
fala © fala°; fanu ‘ fanum °, funus'e © în
hanulo ’ (lett. © in fanussa ’, cfr. putiza
‘ pocillum ° con Eleializa Veliza all. a
Aesialissai Caus'linissa); fardana fardan(a)
faro(a)Ìna haro(a)na fardnaye faro(na)
haro(na) © parentavit’ (Deecke); face fas'
fas'e fas'ei ‘ (ponti)fex °, fasle © (sacri)fi-
culus ’, fis'e “ fecit °; flere ‘ falere ? ossia
‘ cosa alta’ e, come tale, ‘ signumi ° e
‘ altare’ (di certe deità, e però la deità
stessa: flereri lett. “falerarius ’ cioè © quel
del flere °.
Congruenze etrusco-umbre:
d intervocalico, v. sup.ifid. fon; ib. fonetica
sintattica; $' 10 fem. -w5 $ 4. 5' nom. ace,
L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 191
pl. -r; ib. forse 1° ps, pf.att. sg. etr. aisna(u)
sta(u), umb. stahu subocau; ib. 3 ps, pf.
att. pl. etr. -sa, cfr. umb. denuso covor-
tuso eitipes; a-lapn(s) a-mce (*a-vence
‘ vino adfecit °, cfr. vence) u. a-fiktu; aisna
eisna eisnev- esuinune ezine Ezna ece.,
umb. cesona esunu (cfr. Aisera Eisera
Esera lat. etr. Aesar volse. esaristrom);
asi, cfr. u. vuke pir ase antentu; cletram
n. kletram -re; e@ri etera etru lat. etr.
Etrusci, umb. etre Kasilate tertie Kasi-
late; e-nesci cfr. u. eh-velklu; zati S'adas'
s'adec S'atena S'atene, u. sate sahate sa-
tam-e sahatam sahta; sacni (cfr. zec sece),
u. Sace Saci Sans'ié Sans'i Sansi; han8-in
hind9-in hindiu hindu hedu Hindia Rhingial,
cfr. n. Hunte Cerfie, Huntia; hes'ni desn-in,
u. fesna; huins cfr. u. huntak (Biich.
‘ fontis lacunam ’; 0un2 Bunesi dufi u. duti;
menas' mene menitla mimenica memesnamer
(cfr.ven. mesneh amitern. mesene)u, menzne
(cfr. antermenzaru Biich. intermen-
truarum °) lat. ‘mensis’; nerteratherem
(Placido ‘auspice Tusco”) e nuteras', nord-
etr. Kuls' — Smindis] ak[a]s'ke ° Culonis
laevi Smintii famulus ’: cfr. etr. creals
acasce, akase (plur. acaz-r) Arices lat. etr.
Ancarius anculus ancilla, Apollo-Dis So-
ranus e il sole infero, etr. Laiscla e gli dei
laevi o inferi e Seren. ‘© inferis manu
sinistra immolamus pocula’), e cfr. in-
sieme ù. nertru cfr. veprepòg; s'ars'naus’,
u. s'ersnatur s'esna s'ersiaru; S'erque, n.
S'erfe S'erfe S'erfia o Cerfe (Deecke);
s'ranczl s'rencve, cfr. u. krenkatrum crin-
gatro|m]; ranem u. ranu; spanza u. spantea;
Spetri u. Speture Speturie; Teisnica u. Te-
senakes; tesim cfr. u. tesedi tenzitim; n. 38
etr, u. Tuse; tutim tutin tutiu QuQiiala
u.tuta todcor todceir; U9ur-l (lett. ‘ Aucto-
rulus °) umb. whtur; fir-in, n. pir.
Congruenze etrusco-osche (cfr.
Paleol. 6 #iu per tu, 96-98 iss. campano-
etrusche, 71 n. 95-97 VH per Y, alfab.
nol. con V per pe zarfned all. a carone0
nella Mummia): $ 10 nom. fem. -u; Aîs
Aisu aidor o. ag gisusis marruc. aisos pel.
Aisis (n. 6); Aisera o. Aisernim; aras'
peras' 0. aasai purasiat; cal cale cali 0.
kaila Iuveis cfr. xaMa xariag kaMdiov
‘sacellum’; vla-0i o. ula: etr. s'u0i-ti vla-di
Ua)-cldi “ in sepulero in olla illa in cella’,
osc. nep memnim nep ulam (ora Biicheler
e Buck Ulam umb. Hule) © neque monu-
mentum neque ollam °; hes'ni desn-in 0.
fiisn-im È in fano”; Oany-v-il (cfr. tans'-
ina) 0. tanginud -ineis -inom; 9udiialz
tutim tutin tutiu o. tauto -ad trtvtiks tou-
tico lat. o. tuticus; in 0. inim inim ewem
ew; Letnle acve, o. Diumpais Kerrtiats;
madu Madcva matu matves, o. Maatuis;
ps'li pess'li o. peeslom; s'ars'naus' 0. kerss-
nais ecc.; S'erpue pel. Cerfum: etr. Ces'
zeris' ims' Semunin apr|e|ns'a © Keri sacri
inferi (et) Semonum (sacerdos) ab aper-
tionibus’, pel. Cerfum sacaraciria Semunu
‘ Cerorum (etr. Cerurum) sacerdos (et)
Semonum ° (con sacariciriv fem. come
etr. aprens'a fem. di aprin0); sacni o.
ana-saket; Sipna o. Sipus lat. o. sibus;
tru tru-0 trutum Trut-v-ec-ie o. trutum
trutas.
Congruenze etrusco-celtiche:
zar Vne8-zar Fne9d; metafonesi; suff.-ax -ate
-on diminutivo (fr. pion flacon, lat. tiro
pumilio); n. 16 etr. -c gall. -& (cfr. es't-ac
celt. etic ‘ atque °); Cau0a lat. celt. Cauto
pate; evitiuras cfr. celt. eviter ; Zirna lemn.
Zeronai lat. gall. Sirona; Qunes'i, cfr. celt.
tanise ‘secondo’; mata matu e. mat ‘buono’;
sud cfr. ant. ir. suide; tular cfr. ant. ir.
tulach telach; painiem e Sulsle, cfr. fr.
pain Soleil; avils ci-s' s'a-s ecc. cfr. lat. gall.
‘ XXXVIII aetatis sue anno’, e ‘ LXVII
aetatis anu’ e Lowis onze ecc.; cfr. infine
la lunga quanto antica repugnanza allo
scrivere, forse comune (Saggi, p. 184 sg.
n. 134) a’ due popoli.
Congruenze dell’etrusco col
latino volgare e colle lingue romanze (37).
(37) S'intende sempre che coll’avvertire il fatto della congruenza apparente e reale, non vuolsi
punto affermata in nessun caso nè la continuità del fenomeno, nè l’identità delle cause che possano,
entro gli stessi confini, in tempi diversi averlo prodotto.
192 ELIA LATTES — L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA, ECC.
_ Aferesi: Nevini Anaini, Randia Aranbia,
etr. Trsk umb. Turskum lat. Tuscus
lat. etr. Etruscus; s-valce “ ex valuit ° ecc.;
metafonesi: clan clens' clens'i; -en-i -es-i
lat. -an-iu-s -ar-iu-s; -ai -au -a, v.3* pl. sg.
pf. att.; dileguo del d intervocalico; vi-
cenda di ct #; ce ci in se si; cl cn in
sl sn;'cl.pl. flinici pi fis cim'hies sc.sì
per s; dileguo di -m -s -r -l-t; -m in -n;
cr tr in (r)r r; m per mm da mn 0 mp
mb (cfr. Saggi e App. p. 5-11. 230-240.
251 sgg.); 3° ps. sg. pf. att. cure aisna cfr.
berg. kantè ven. e fr. porta; cedu cveda
cfr. it. cheta queta; mi me it. dial. mi fr.
moi per ‘io’ (lett. abl. istrum. ‘io per
me °); mastr, cfr. it. mastro; ampliazioni
sinonime: Hindial per Hindia, Truial
per Truia, arni e suci o zuci per lat.
suciece. rom. giornale segnale (cfr. Deecke,
Bleipl. Magl. 11 sg.), ciliegio faggio ecc.
CLASSIFICAZIONE METRICA DELLE LINEE DELLA COLONNA XII (38). — Secondo la
teoria della quantità, nessun saturnio di tipo normale, quali s'incontrano qua e là
nelle precedenti colonne (II 9. III 17. IV 16. V 20 ecc.;
soppressa la penultima tesi del secondo emistichio:
v. 2. aîs | nd ix | nde re | us'ce | Aîse | rds' | S'éus'
6. nac | hica | Unyva | hétum | hilar | 6 | nà Bend
11. a0 | ré a | cil an | s'denicn | CHO Ce | xd | (né) sal
dove la metrica confermerebbe pertanto essere Cexa abbreviazione di Ceyane che ve-
demmo scritto distesamente nel luogo parallelo (VII 7);
soppressa la penultima tesi del primo emistichio:
v. 7. hur | stc capl | 9% | Céxam | énac | efsna | hindu
10. Ou | ném ci | dl | xas' masn | Uni | dlti | Ursmnal;
soppresse ambo le tesi:
v. 3. Oun | xulem | muo | hilar | Qune | é | tértie
8. he | tim hi | lar | 0una | éter | tie | cdQra
12. Cus | clice | ca | péri | zàmtic | svétm | dUmsa;
senz’anacrusi e soppressa la tesi penultima del primo emistichio :
Técum | étrin | 08 muo
Vv. 5. mad hi | lar | Quna |
senz'anacrusi e soppresse ambedue le penultime tesi:
v. 4. cdOre | xim | énax | Unxva | méd | lum®0 puts
9. etnam | dis | nà ix | matam | ci | vacltnam
dove leggo ci la cifra IITITII dell'originale, come in C. I. L.134 = VI 1289: “ annòs
gnatus XX is Il[oc]efs (Biich. © diveis ’) mandatus’ leggesi naturalmente:
‘“annés gnatiis viginti’;
clausola logaedica dell’ultima sezione e dell’intero carme:
v. 13. mdtan | clictras' | hilar
tripodia trocaica corrispondente al secondo emistichio del saturnio tipico (Dabunt
malum Metelli | Naévié poétae), frequentissima nelle Fasce come seconda
parte delle linee, e però preferibile alla combinazione: matan cluctras' hlar che ci
darebbe il primo emistichio, privo della penultima tesi, come p. es. in C. I L. 1 34
Aetaàte quém parua posidét hoc sàaxum.
(38) Cfr. Rendic. Ist. Lomb. 1894 p. 389-398, tenute ferme le riserve ivi espresse intorno alla
bontà e ragione della teoria quantitativa rimpetto a quella dell’accento, validamente ridifesa dal
Linpsay (Journal of American Philology 1893, p. 139-170. 305-334).
——————— e era dA me.
finira 3
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI
DELL'ANTICA
BIBLIOTECA NOVALICENSE
MEMORIA
del Socio
CARLO CIPOLLA
Approvata nell''Adunanza del 10 Giugno 1894.
Ricordai un frammento di omelie di S. Cesario, e l’importantissimo codice del
Martyrologium di S. Adone. Ora metto qui insieme tutto quello che intorno ad altri
codici novaliciensi potei trovare in fonti manoscritte. Se si fa eccezione per un ms.
della biblioteca già Phillips a Cheltenham e per un Messale ora posseduto dalla
prevostura della Novalesa, quasi tutto il materiale da me raccolto consiste in fram-
menti di codici, che trovai adoperati quali coperture di libri di amministrazione del-
l'abbazia, composti nei secoli XVI e XVII. Quasi si può congetturare che allora i
codici della negletta biblioteca fossero abbandonati in mano di chiunque se ne voleva
servire. E fu ancora una fortuna per noi che alcune pagine siano state salvate, da
chi pensava a tutt’altro che alla conservazione dei codici.
I
Un codice miscellaneo.
Eugenio De Levis (1) descrivendo i mss. Novaliciensi che a lui erano stati
regalati, si ferma lungamente sopra un ms., ch'egli contrassegna col n. XIII, e al
medesimo attribuisce molta importanza. Di questo stesso codice egli tiene parola
anche in alcune sue schede mss., conservate nell’archivio dell’Economato Gene-
rale di Torino (2), e che sono state diggià segnalate da L. Bethmann (3). Più
(1) Anecdota sacra, Aug. Taur., 1789, I, p. XXXIV sgg.
(2) Cronaca Ecclesiastica, busta II. Molti ringraziamenti debbo ai preposti all’Economato, e segna-
tamente al sig. archivista, il quale vi agevolò, con ogni maniera di attenzioni, le mie ricerche sto-
riche, ivi durate lunghi anni.
(3) Nella prefazione alla sua edizione del Chronicon Novaliciense, in MGH., Scrip. VII, e in una
comunicazione al Warrz, Serip. rer. Ital. et Langob., prefaz. alla Hist. Langob. di Paolo diacono;
Hannover, 1878, p. 42.
Serie II Tom. XLIV. 25
194 CARLO CIPOLLA
ampiamente ne parlò il prof. G. Calligaris (1). Il Bethmann, che insistette lunga-
mente sugli studi del De Levis sopra del Chronicon Novaliciense, poco disse intorno
a quanto quell’erudito lasciò scritto sul codice predetto. Meno laconico fu il Calligaris,
che si occupava della Historia Langobardorum di Paolo diacono; infatti egli ricordò ia
descrizione del codice, che a noi ora interessa, in quanto che esso contiene un fram-
mento della Historia.
Mentre nella stampa il De Levis parla dell’abate Cauda, che lo accolse alla
Novalesa nel 1778, e in modo indeterminato accenna all’abate che gli regalò alcuni
codici del monastero, nelle schede manoscritte, discorrendo del presente volume, dice
chiaro il nome del donatore. Ciò risulta dalla sua “ Descriptio codicis perantiquissimi
Abbatiae Novalitii, quem Rev. dominus Abbas Sona mihi commodauit ,.
A quell’epoca il monastero trovavasi commendato a Pietro Antonio Maria Sineo
della Torre, di Rodi, che si nominava abbate, perpetuo comendatario, e anche signore
della Novalesa.
Succedette egii a D. Antonio Videt, che intitolavasi egli pure abate e perpetuo
comendatario della Novalesa. Ho sott'occhio due documenti del 1758 (febb. 16), e
del 1759 (marzo 13), che appunto così lo denominano (2). Sopra regia presentazione
egli era stato nominato a quel posto da Benedetto XIV, con bolla del 15 nov. 1757;
ne prese possesso addì 11 gennaio 1758. Il Vinet originava da Annecy, ed era
confessore della duchessa di Savoia. Succedeva all’abate Carlo Francesco Badia.
Morì il 21 aprile 1767, e i suoi beni furono ridotti a mano regia con atto del 27
aprile dell’anno stesso (3).
Nel 1767 l’abazia è ricordata come vacante (4). Il 12 giugno 1770 Carlo Ema-
nuele II propose a papa Clemente XIV la nomina del Sineo, e il papa lo nominò
con bolla del 13 luglio. Il Sineo prestò giuramento di fedeltà al re, 11 agosto 1770,
e il 14 appresso prese possesso dell'abbazia. Il suo nome ricorre spesso nei docu-
menti (5). Per l’ultima volta lo trovai in un atto del giorno 11 gennaio 1796 (6).
Morì nel seguente mese di agosto. Egli fu dunque presente alla discesa Napoleonica,
e alla prima rovina dell’abazia.
A lui dobbiamo una serie di regesti di documenti abaziali distribuiti per mazzi (4).
Questo diligente lavoro non ci pervenne completo, e principia, così frammentario
(1) Di un nuovo ms. della È Hist. Langob. , di Paolo diacono, in Boll. istit. stor. ital., X, 47-9
(anno 1891).
(2) IepoLito TavernIER, Histoire de Samoèns, in Mém. et documents publiés par la Société savoi-
sienne d’histoire et d’archéol., XXXI, 192-8, ne pubblica un documento del 30 maggio 1764. Qui egli
è detto Videl, ma ciò si ascriverà ad errore di stampa. I due documenti ai quali accenno nel testo
leggonsi nella parte non ordinata, buste LIX e LXV, dell'Archivio dell’Abb. della Novalesa, nel-
l'Arch. di Stato di Torino.
(3) Abbazia della Novalesa, busta II, nell’ “ Archivio dell’Economato Generale ,.
(4) Arch. cit., busta LXV.
(5) Arch. d. Nov., buste LI, LII, LVII, LVIII, LXV. Del 1775, luglio 29, abbiamo un suo decreto
(Busta LVIII), colla sua firma autografa, in carattere minuto; reca il sigillo a secco, coll’arma
(sormontata dal cappello abaziale), nel cui scudo vediamo un monte, e imminenti sopra di esso tre
stelle. Una sua firma del 14 maggio 1785 (Busta LII) è fatta con mano tremante: egli doveva essere
allora ormai molto inoltrato in età.
(6) Arch. cit., busta LVIII.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 195
qual'è, col mazzo 15. Una penna ignota del nostro secolo contrassegnò quel ms. con
una notazione, nella quale lo attribuisce alla “ mano del celebre ab. Sineo ,.
“Il Sineo era abbate commendatario, e non era tenuto alla residenza nel mona-
stero. Colà si trovavano i monaci Cistercensi, succeduti nel secolo precedente ai Be-
nedettini. Essi avevano il proprio superiore diretto, e un documento del 27 marzo
1768 (1) ricorda appunto D. Costanzo Sona abate “ regolare , del monastero della
Novalesa. Da costui dunque ebbe il De Levis i mss., da lui più tardi descritti. Se
tacque il nome del donatore, forse lo si ascriverà a motivi di riguardo verso il me-
desimo, poichè l’ab. Sineo avrebbe forse potuto muover richiami contro a quel dono,
e negare al Sona il diritto di farlo. Nel Cauda che abbiamo ricordato poco fa, come
quegli che accolse il De Levis nel 1788, riconosceremo probabilmente un altro abbate
claustrale, forse il successore immediato del Sona.
Nella descriptio il codice è illustrato con molto maggiore diligenza, e in modo
più minuto -che negli Anecdota, e di ciò fece pure un cenno il Calligaris, a comple-
mento di quel poco che ne aveva detto il Bethmann. Ma nè l'uno, nè l’altro pub-
blicò per intero la descriptio o notò, che accanto a questa, fra le citate schede del
De Levis, si trovano alcuni fogli, sui quali egli stesso trascrisse qualcuno degli
aneddoti del manoscritto.
Nella busta “ Miscellanea LXXI , della r. biblioteca nazionale-universitaria di
Torino rinvenni (1892) alcuni fascicoli in bel carattere della fine del secolo XVIII,
i quali contengono la trascrizione della maggior parte del codice Novaliciense, di
cui ci occupiamo. Non so se essi siano un frammento (largo frammento, per fermo)
di una trascrizione completa di quel prezioso manoscritto (2). Il carattere, abbastanza
grande, e relativamente elegante, non ha relazione alcuna con quello del De Levis.
Forse quei fascicoli proverranno da qualche seriba, cui il De Levis affidò la copia
del codice; ma ho qualche dubbio ch’essi siano del P. Sona (83), del quale diremo di
qui a poco. Chiunque fosse quello scriba, era egli di certo un uomo più che suffi-
cientemente versato nella paleografia. La semplice ispezione di quei fogli, pur senza
ricorrere a confronto alcuno, ce ne fa persuasi.
Con tutti questi elementi non sarebbe difficile ricostruire, nei suoi principali
tratti, la fisonomia del codice, anche se questo si dovesse lamentare irremissibilmente
perduto: il che, per buona sorte, non è.
Nella precedente Nota si è veduto come il Martyrologium di S. Adone, che fu pure
fra le mani del De Levis, sia stato venduto lontano d’Italia. Entrò dapprima nella
biblioteca Hamilton, ed ora fa parte della biblioteca reale di Berlino. Il ms. di cui
ora parliamo, trovasi oggidì a Cheltenham, in Inghilterra, e fa parte della biblioteca
Phillips. Questo apprendiamo da H. Schenkl (4), il quale descrive il ms. parte a
(1) Arch. cit., busta LII.
(2) Può anche darsi che questi fascicoli non comprendessero neppure in origine tutto il codice.
Anzi non è assurdo il supporre che le schede mss. del De Levis siano state da lui compilate per
completare, se non del tutto, almeno in qualche modo la trascrizione del codice.
(38) I motivi di questi miei dubbii saranno noti a chi leggerà il cap. II di questa Memoria.
(4) Bibliotheca patrum latinorum Britannica, articolo V (Sitzungsberichte der Wiener Akademie,
vol. CKXVII, Wien, 1892), p. 21-2, n° 8462. — Alla morte di sir Tommaso Phillips la biblioteca
passò a suo genero Mr. Fitz-Roy Fenwick; parecchi mss. furono venduti in Germania e nel Belgio,
come lo Schenkl stesso annota; ma il nostro non è fra quelli.
196 CARLO CIPOLLA
parte, attribuendolo a due mani, la prima della fine del secolo X o del principio del
secolo XI, e la seconda del secolo X, e fors’anco più antica. Il dott. Schenkl non
si è accorto della provenienza del codice. ;
Essendo la descrizione dello Schenkl (S) molto laconica, forse talvolta anche
inesatta, non sarà cosa inutile paragonare le notizie dell’erudito tedesco con quanto
ci offrono il De Levis, sia negli Anecdota a stampa (DL), sia nei fogli inediti (DL?),
e l'anonimo autore delle schede conservate, siccome si è veduto, nella biblioteca
nazionale di Torino (A).
1. Fo. 1r-7v. Trattato liturgico sulla messa. Comincia acefalo. A: cuius (S
eius) sanctissima protinus uerba leguntur, ut (S legi ist?) dulcedinis canore ece. ,.
Termina A: “ His autem peractis et participato tanto sacramento gratiarum actio
cuncta concludit, quam in his etiam uerbis ultimam commendauit Apostolus. Explicit. ,
S in luogo di “ Explicit , scrive: “ II , e riguarda l'opuscolo come incompleto. Del
che non so vedere motivo sufficiente, tanto più che l'argomento vi è pienamente
svolto, e le parole che testè ne riferimmo, corrispondono in tutto e per tutto a ciò
che deve formare la chiusa ad un libro di tal natura. Veggasi il $ 5, c. xvir, del
libro IV del De imitatione Christi (1). Il De Levis, nelle note mss., trovò discorde il
nostro testo dalle spiegazioni delle orazioni della messa dovute a Floro diacono (2)
da Remigio Autissiodorense, e dall’anonimo edito da Melchiore Hittorpius, De divinis
catholicae ecclesiae officiis et mysteriis (Parisiis, 1610, p. 1169 sgg.). Parmi che il nostro
anonimo abbia qualche lontana rassomiglianza coi librì misteriorum evangelicae legis
di Innocenzo III (3), ma con Floro il nostro anonimo ha maggiore attinenza.
Nella spiegazione della “ Praefatio ,, Innocenzo HI non si ferma ad interpretare
la frase “ supplici confessione ,. Invece l'anonimo vi si dilunga sopra alquanto, citando
anche Cassiodoro in questa forma: “ Hinc iterum Cassiodorus dicit: Confitentur enim
qui peccata deplorant, et qui Domino gratias agunt. Sed illid in lacrimis, istud in
gaudio, illud in afflictione, istud in sanctae mentis alacritate, illud in tristitia, istud
in exaltatione,.. ,. Cassiodoro (4) più di una volta ha occasione di toccare di simili
argomenti; ma il passo che meglio si avvicina a quello del nostro anonimo incon-
trasi nel commento al v. 1 del salmo 110.
Il nostro anonimo avverte che le parole Dies nostros in tua pace disponas sono
state aggiunte “ a Gregorio papa, uiro eruditissimo ,. Queste parole, nella loro somma
semplicità, mi paiono caratteristiche.
2. Fol. 8. De Levis nelle schede mss.: “ Editio S. Bonifatii episcopi (S: qu, che
non ha senso). Quomodo possit poenitentia septem annorum uno anno compleri ,.
Comincia: “ Triduam pro triginta diebus — ,. Finisce: “ — aut in uno loco per or-
(1) Il e. XVIII, che è veramente l’ultimo del libro, è una evidente aggiunta.
(2) De actione missarum, in Bibl. maxima patrum, XV, 62*, sgg., Lugduni, 1677. Non molto di-
versa è l’edizione di questo opuscolo procuratane da Martène e Duranp (Vet. Script. et monum.
ampliss. collectio, Parisiis, 1733, IX, 577 sgg.), col titolo de expositione missae. Da quest’ultima edi-
zione dipende quella del Miane, Patrol. Latina, CKIX, 17 sgg. — Floro visse verso il mezzo del sec. IX.
(3) Opera, Coloniae, 1575, I, 318 sgg. Di qui dipende l’edizione del Miane, CXVII, 768 sgg.
(4) Expositio Psalterii (Opera, II, Venetiis, 1729; Mione, Patr. Lat., LXX), commento ai Salmi, 7,
v. 18; 66, v. 3; 91, v. 1.
vi
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 197
dinem. Explicit ,. È con molte varianti il brevissimo opuscolo De poenitentia, che
leggiamo infatti sotto il nome di S. Bonifacio (1).
3. Fol. 9: “ in fine columnae primae folii noni , (DL?) £ Cur LXXma, LXma et
XL dicantur ,. E un brevissimo opuscolo, trascurato dallo Schenkl. Comincia: * Si
diligentius his quae ex aeuangelica uel apostolica lectione recitata sunt ,. Finisce:
“ sed simpla mors eius nos a duplici morte liberauit ,. Trascritto in A.
4. Fol. 9. Opuscolo De Ogh Maghohg; dal De Levis, nelle schede mss. e negli
Anecdota viene ascritto al “ P. Remigius monacus Novaliciensis ,. Ma è la nota lettera
di Remigio Autissiodorense (Auxerre) a Bernuino (o Bernoino) vescovo di Verdun (2).
5. Fol. 12. Breve tratto in difesa del culto delle immagini, col titolo # De ima-
ginibus »- Comincia: “ Quidam putant lege Dei prohibitum — ,. Finisce: “ — Unde
et pictura graece zoographia vocatur ,. (DL?) (3).
6. Versi, di cui DL? ci lasciò due copie. Come avvertì lo Schenkl, questi versi
formano un epigramma della Antologia latina (4). Varianti notevoli s'incontrano
nei versi 4-7, che qui vengono perciò riprodotti:
“ Mercurius quartum splendentem possidet altus
Juppiter ecce sequens quintam sibi iure decauit
concordat Veneris magnae cum nomine sexta,
Emicat alma dies Saturno septima summo ,.
7. Fol. 12 0 (DL?; 5). Breve carme, copiato due volte dal De Levis, che tratta
“ de ambigenis (S: ambiguis) animantibus ,. Comincia: “ Haec sunt ambigenae ($S:
ambiguae) quae nuptu dispare constant ,. Finisce: “ At lupus et catula formant
coeundo liciscam ,. Questo carme fu trascritto e pubblicato dallo Schenkl (5).
(1) J. A. Giuues, Sancti Bonifacii archiepiscopi et martyris opera quae extant omnia, Londini, 1844,
II, 51; Mione, Patr. lat., LXXXIX, 187-8.
(2) Martène et Duranp, Veter. script. et docum. ampliss. collectio, I (Parisiis, 1724), n. 230-5. Ne
dipende il Micene, CXXXI, 963 sgg.
(3) Trattandosi di un breve tratto, che può avere relazione colle discussioni teologiche agitate
in Francia tra la fine del sec. VIII e il principio del IX, mi pare opportuno trascrivere qui tutto
questo aneddoto: “ De imaginibus.| Quidam putant lege Dei prohibitum ne vel hominum, vel
quorumlibet- animalium siue (ms. sine) rerum similitudines (ms. similitude) sculpamus. Quod ne
quidem (ms. neque qui) hoc putarent, si ad memoriam revocarent Salomonem in templo palmas et
Cherubin cum variis caelaturis fecisse, vel diligentius verba legis, quae hoc interdicere videntur,
adtenderent. Nam cum dixisset ibi “ sculptile, neque omnem similitudinem , et caetera, aperte
conclusit: “ non adorabis ea, neque coles ,. Quibus verbis aperte declarat, quia illae similitudines
fieri prohibentur, quas in veneratione deorum alienorum facere solent impii, quosque ad colendum
vel ad adorandum gentilitas errabunda repperit. Caeterum exaltationem (#ws.: — ne) Domini Salva-
toris in cruce et alia eius miracula et sanationes, quae multum compunctionis saepe intuentibus
praestant et et ignorantibus litteras quasi viam dominicae historiae pandunt dilectiorem (ms. pan-
dere dilentionem) nulla legis littera interdere videtur. unde et pictura graece zoographia vocatur ,.
(4) Ed. Riese, II, 38, n. 488.
(5) Op. cît., pp. 121-2.
198 CARLO CIPOLLA
8. DL? trascrisse il seguente breve frammento intorno alla natura dell’aria.
Comincia: “ Cum unus sit aér — ,. Finisce: “ quae si aere fiunt ,.
9. Fol. 12, col. 2 (DL*; ossia: fol. 12 0). Breve tratto “ de ceroma ,, che comincia
con “ Quaestiunculam mihi datam ,. Leggesi presso il Baluzio (1).
10. Fol. 13, col. 2 al fine (DL?; S: fol. 13 0): “ Olympias quid sit ,. Dizionario
greco-latino.
11. Fol. 14, col. 2 (cioè: verso), al principio. Epigramma in memoria di Ambrogio,
edito dal De Levis (2), da lui trascritto nelle sue schede, e copiato anche da A.
Dalla moltiplicità delle trascrizioni originano alcune varianti, fra le quali noto queste.
AI v. 5 A legge: “ Cumque ero (DL: Cum fuero) quod eram — ,. Al v.8 DL?:
“ Lex in me qum mortua mortis erit ,, DL! “« Lex in me quidem — ,, A: “ Lex
in me quoniam — ,.
12. Fol. 14, col. 2 (cioè: verso) a metà (DL?) — A: “ Incipit uita beati Gregorii
pape a uenerabili Beda presbitero conscripta. Gregorius urbe Romulee (S: urbi
|— e?] Romulae a) patre Gordiano aeditus — — ,. Lo Schenkl propone d’identificare
questa biografia, con quella ordinariamente attribuita a Paolo diacono, ma pure rimane
esitante. Non è giustificata la sua esitazione, poichè l'opuscolo è proprio quello. Bisogna
per altro osservare che qui n’abbiamo il testo più breve, e genuino, conformemente
alla edizione critica pubblicatane da H. Grisar (3). Il ch. Grisar pose a fondamento della
sua edizione tre mss. Cassinesi del secolo XI; fra i sei, che vengono in secondo ordine,
uno (non italiano, ma di Einsiedeln) si fa risalire al X secolo. Gli ultimi dieci appar-
tengono ai secoli XI-XII. Il nostro codice, la cui età rimane incerta tra la fine del
secolo X e il principio del seguente, è quindi forse il più antico dei manoscritti
italiani che contengono la vita presente.
Pare essere questa la prima volta che questa vita viene attribuita a Beda,
quantunque fosse ben nota la somiglianza intercedente fra essa e la Historia An-
glorum (lib. IL, c. 1) di Beda (4). Fra le opere del ven. Beda non figurò mai alcuna
biografia di S. Gregorio. Ben è vero peraltro che gli Anglo-Sassoni, in tempi molto
remoti, possedevano alcune leggende intorno alla vita di quel pontefice. Ad esse, o
almeno ad una fra esse si riferisce anche Giovanni diacono, l’autore della vita di
papa Gregorio I più largamente diffusa nel medioevo, il quale in quattro capi cita una
(1) Miscell., ed. Grov. Mansr, II, 31-2. Quindi presso il Mrewe, XCVI, 1385.
(2) Anecd., pp. XXXIV-V.
(3) Die Gregorbiographie des PauLus piac. în ihrer ursprunglichen Gestalt nach italienischen Hand-
schriften, in Zeit. fiv kath. Theol., XI (Innsbruck, 1887), 158. I Bollandisti (Acta Sanet., Mart. II,
150 sgg.) la riprodussero “© ex pluribus codicibus mss. ,, come anonima, e secondo il testo inter-
polato. A Paolo l’aggiudica Masirron, Ann. Ord. s. Benedicti, I, 284-5 (Lutetiae Parisior., 1703). Su
tale attribuzione può consultarsi JAcosus BasniaGIus, presso CanIsius, Thes. monument., IV, 3 (An-
tuerpiae, 1725), pp. 258-5. Or ora il Warrenpacn (Deutsche Geschichtsquellen *, 1, 169), dava come
incerta l'attribuzione di quella biografia a Paolo diacono.
(4) Cfr. quanto a questo proposito lesgesi presso il Mione, Patr. Lat., LXXV, 42 sgg. Ivi si
riproduce l’edizione dei Maurini, che è essa pure interpolata.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 199
vita esistente “ penes Anglos ,. Una di queste leggende fu illustrata alcuni anni or
sono dal compianto dottor Paolo Ewald (1), che la trovò, in carattere del IX secolo,
in un ms. miscellaneo Sangallese. L’Ewald opina che questa nuova biografia Grego-
riana (2) sia stata compilata nel monastero di Streoneshalch (ora Whitby, al nord
di York) prima del 713, e che di essa siasi giovato Beda, il quale terminò la sua
storia ecclesiastica nel 731, e morì nel 735. L'Ewald stampò alcuni brani di questo
aneddoto, che sarà per intero pubblicato dal Grisar. Questi pure la considerò come
“ una delle parecchie compilazioni della leggenda anglo-sassone di Gregorio, che
andarono perdute ,.
13. Fol. 19, col. 2 (cioè verso) — fol. 20, al principio (DL?). Epigramma Gre-
goriano, che l’illustre G. B. De Rossi (3) riproduce, da parecchie sorgenti, più volte;
egli, notando che quel carme era noto a Beda, lo dimostra assai più antico di quanto
si reputasse. Il De Levis negli Anecdota si unisce a coloro che lo aserivono erronea-
mente a Pietro Oldrado arcivescovo di Milano e si riferisce ad Antonio Sassi, Archiep.
Mediolan. series, Mediolani 1755, 3 voll.
Trattandosi di cosa breve, non credo inutile di qui riferire quel carme secondo
DL e A.
Scriptumque in tumba ipsius epitaphium huiusmodi (4).
Suscipe de terra tuo corpus de corpore sumptum
reddere quod ualeas uiuificante Deo.
Spiritus astra petit. leti (5) nil iura nocebunt,
cui uite alterius mors magis ipsa uia est.
Pontificis summi hoc clauduntur membra sepulchro (6),
qui innumeris semper uiuit ubique bonis.
Esuriem dapibus, superauit frigora ueste,
atque animas (7) monitis texit ab hoste sacris.
Implebatque actu quidquid sermone docebat,
esset ut exemplum mystica (8) uerba loquens.
Anglos ad Christum conuertit mente benigna
sic fidei acquirens agmina gente noua (9).
Hic labor, hoc studium, hec tibi cura, hoc pastor agebas,
ut Domino offerres plurima lucra gregis.
Hisque Dei consul factus letare triumphis,
nam mercedem operum iam sine fine tenes.
(1) Die dilteste Biographie Gregors I, in Hist. Aufsiitze dem Andenken an Grore Warrz, Hannover,
Hahn, 1886, pp. 17 sog. — A..Esert, Allgemeine Gesch. der Litteratur des Mittelalters im Abendlande,
II, 42, Lipsia, 1880, che scriveva prima degli ultimi studi, notava che Paolo compilò la sua biografia
giovandosi della Hist. di Beda e delle opere stesse di S. Gregorio Magno.
(2) Sarà pubblicata integralmente dal ch. H. Grisar, secondo che egli stesso (12 pontificato di
S. Gregorio Magno, Roma, 1893, p. 56) ne fece pubblica promessa.
(8) Inscr. Christ., II, 52, 78, 112, 209; ne dà i primi versi a p. 166, e il primo verso a pp. 253,
266, 275, 278, 290.
(4) La didascalia manca in DL.
(5) A loeto.
(6) DL°: sepulero.
(7) A: animos.
(8) A mistica. ì
(9) A: Ad Christum anglos conuertit pietate magistra | adquirens fidei agmina gente noua.
200 CARLO CIPOLLA
L'intitolazione del carme sostanzialmente si accosta a quella del Cod. Vatie.
Palat. 591 (1), ma dove questo si chiude colla data emortuale e cogli anni del pon-
tificato di S. Gregorio, tutte queste indicazioni mancano nel nostro codice.
14. Fol. 20 (recto). Elogio metrico di S. Brunone, arcivescovo di Colonia, che
morì a Rheims, addì 11 ottobre 965 (2). Lo Schenkl ne riporta di qui il primo verso,
ma senza lasciar vedere ch’egli siasi accorto di qual Brunone vi si discorra. Il
De Levis pubblicò questo elogio negli Anecdota. Mi sia peraltro concesso di ripro-
durlo qui, trattandosi in un aneddoto tanto breve. Mi giovo di DL', DL?, A, e per
il primo verso anche dello Schenkl.
Pandite (3) corda preces (4), lacrimosas (5) mittite uoces
ecce pater patriae conditus in silice.
Regia progenies terras memoranda per omnes,
Bruno pacificus, vir bonus atque pius.
Archosantistes (6), cui clara Colonia sedes
minus cunctis adest (7) carus ubique bonis.
Offendit tenebras lux uiuacissima tetras (8);
inuida lingua tacet, laus uera mundo placet.
Non fuit hic mundus tam raro munere dignus,
raptus ab hoc cuo, iam fruitur Domino.
Idibus octubris (9) quinis (10) presul duodenis
uite concessit; spes comes alma fuit.
Come facevami notare il mio collega ed amico prof. Giacomo Cortese, al v. 11
la voce duodenis allude all’episcopato di Brunone, che durò appunto dodici anni (11).
15. Fol. 20, col. 1 (cioè recto), verso il mezzo. Vita di S. Teofilo diacono, che
De Levis trascrisse per intero. È la vita di Teofilo penitente, edita dai Bollandisti (12),
secondo la versione che Paolo diacono napoletano ne fece dal testo greco di Euti-
chiano. Le varianti non sono molte. Noto per altro che il nostro ms., sul principio,
riempie una lacuna, lasciata dal ms. usufruito dai Bollandisti. Quest'ultimo ricordava
una città “ nomine s. La lacuna fu dai Bollandisti, seguendo Metafraste, riem-
piuta con Adana. Il nostro codice ha: “ Athana ,.
(1) De Rossi, Iascript., II, 52.
(2) Cfr. GreseBrecHi, Gesch. der deutschen Kaiserzeit, I (5% ediz.), p. 488. Prima di lui avevano
stabilita questa data i BoLLanpisti (Acta Sanct., XI Oct., V, 754), contro chi lo diceva morto nel
giorno 10 ottobre; essi non citano il nostro epitafio.
(3) Così DL!, A. Invece DL?: Fundite, ma colle prime lettere di correzione. ScaengL: Fundite.
(4) A, ScHENKL: preces.
(5) DL!: lacrymosas.
(6) DL: Arcosantistes.
(7) DL': adest; DL? om.
(8) DI?: tetras.
(9) DL: octobris.
(10) DL! e DI?: qui nisi; A: quinis.
(11) Dal 953 al 965, cfr. Gams, Series episcoporum, p. 270.
(12) Acta Sancetor., IV Febr., I, 483-7.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 201
Il titolo dell’aneddoto nelle schede del De Levis è: “ De Theophilo diacono ac
vicedomino ,. Non intendo come lo Schenkl vi premetta la voce “ Pauendum ,.
16. Fol. 26, al mezzo. “ Incipit sermo sancti Augustini de peccato (1) originali ,.
Comincia: “ Unde fratres charissimi (2), qualiter trahetur peccatum originale, ut qua-
liter inquietudinis — ,. Finisce, al fol. 27: “ — ante conspectum eterni iudicis appa-
rabimus , (DL?). Nè il De Levis, nè lo Schenkl identificarono questo sermone con
alcuno tra quelli pubblicati sotto il nome di S. Agostino. Manca fra i sermoni Ago-
stiniani nell’edizione dei Maurini (3), e fra quelli recentemente pubblicati dal Mai (4).
17. Fol. 28. “ Incipit (S om.) conuersio seu (S uel) penitentia S. Mariae Kgy-
ptiacae , (DL?, DL', S Aegyptiacae) ,. E l'opuscolo che i Bollandisti (5) pubblica=
rono da due mss., uno parigino e l’altro bavarese. Il De Levis ne dà un semplice
cenno.
18. Fol. 38, al principio. “ Conuersio uel penitentia S. Pelagiae , (DL?). Come
De Levis avvertì, l’aneddoto fu pubblicato dal Rosweydus (6).
19. Fol. 42, col. 1 (recto), al fine. “ Passio S. Marine martiris , (DL?) (S: mar-
tyris Christi) (7).
20. Fol. 43, col. 2 (cioè: verso), al tine. “ Incipit vita sancte Euphrosinae vir-
ginis , (DL?) (8).
21. Fol. 43 “ Vita vel passio S. Cattarinae martiris , (DL). DL? ne trascrive
il brano: “ Ego Athanasius scriptor cum essem famulus ipsius sancte martiris ,;
DL di questa vita dice che fu scritta dal greco Atanasio, e tradotta da Pietro.
Secondo il ch. Mas Latrie (9) il culto di questa santa fu introdotto nella liturgia
latina solo nel secolo XII. Questo non toglie che potesse esserne fra noi diffusa la
vita anche anteriormente.
22. Fol. 56, al principio. “ Reuersio sanete Crucis , (DL?). S ne dà Vinizio:
“ Tempore illo postquam Constantino — |.
29. Fol. 57, col. 2 (cioè: verso), al mezzo. “ De translatione S. Benedicti abbatis ,
(DL). (S: “ Cum diu gens Langobard. ,). Secondo S, è una cosa sola colla trasla-
zione edita dal Mabillon, Acta Ord. S. Bened. Il, 332-438.
(1) Scnengi: originali peccato.
(2) ScHenKL: karissimi.
(3) Vol. V, Parisiis, 1683.
(4) Nova patrum biblioth., vol. I, Romae, 1852. — Nessuna omelia principiante colle indicate
parole trovai negli Zritia librorum patrum latinorum raccolti da Giuseppe AumeR, per ordine del-
l'Accademia Viennese delle scienze, Vindobonae, 1865.
(5) Acta Sanct., II apr., 1, 76 (Miane, LXXII, 671).
(6) Vitae Patrum, Antverpiae, 1615, p. 376 sgg. (Miane, LXXIII, 663).
(7) Mione, LXXIII, 69.
(8) Acta Sanctorum, XI febr., II, 537-41 (Mione, LXXII, 643).
(9) Histoire de Cypre, II, 96, e Trésor de chronologie, col. 697.
Serie II. Tom. XLIV. 26
202 CARLO CIPOLLA
24. Fol. 62, al principio della “ pagina ,. “ Sermo sancti Hieronimi ad Paulam
et virgines sorores de assumptione sancte Mariae , (DI?) È il sermone stampato
fra le opere di S. Girolamo, nell'edizione di J. Martianus, V, 82-95 (Mrene, Hier. ep.
spur., IX, 30, 122).
25. Fol. 73. DL' ricorda uno scritto anonimo sullo stesso argomento. Forse
questa indicazione è un equivoco, atteso il silenzio serbato da DL? e da S.
26. Fol. 74, col. 1 (cioè: recto), al fine. “ Amphilochi (A, S: Amphilochii) epi-
scopi in uita et miraculis sancti patris nostri Basilii archiepiscopi Capadociae , (DL?)
Di questo aneddoto si trova copia in A, e comincia: “ Dilectissimi, non erat
indecorum (S: inde cor) fideles filios — ,. Altre versioni veggansi presso i Rollan-
disti (Acta Sanctorum, XIV iun., II, 938 sgg.), e presso Roswevpus, De vita et verbis
semorum, Antverpiae 1615, p. 152 sgg.
27. Fol. 86, col. 1 (recto), a mezzo. “ Vita (S: Incipit vita) S. Hieronimi presbi-
teri , (DL?). Secondo A comincia: “ Hieronimus natus in oppido Stridionis (S:
Stridionem), quod a Gothis euersum — ,. Non isfuggì al De Levis che questa vita,
generalmente attribuita a Gennadio, fu pubblicata da Giovanni Martiany (1); la ripro-
dusse il Vallarsi (2), ma con numerose discrepanze. Quest'ultimo editore riconobbe
che non ne fu autore Gennadio.
28. Fol. 89, col. 2 (cioè: verso), al mezzo. “ Passio beatissimorum martirum Dio-
nisii episcopi, Rustici archipresbiteri et Eleutheri archidiaconi ,, (DL', DL?). L’aned-
doto fu pubblicato dai Bollandisti, 9 ott., IV, 925-30; secondo il De Levis, il testo
ms. serve a completare le lacune dell’edizione.
29. Fol. 101, col. 2 (cioè: verso), al principio. “ Incipit vita b. Dionisii episcopi
Mediolanensis , (0L?), # Acta saneti Dionisii Mediolanensis episcopi , (4). Secondo
il De Levis, una postilla, in inchiostro rosso, diceva: “ hic deest aliquid de incoha-
tione huius vite ,. Fu questa vita trascritta in A, dove essa principia con “ tanta
prerogatiua gratiae, Pater sanctissime — ,, che è l’inizio di questa biografia, anche
secondo la edizione dei Bollandisti (25 mai, V, 510 sgg).
30. Fol. 106, al principio. DL, S: “ Incipiunt gesta Langobardorum eorumque
originem. Incipiunt capitula libri primi ,.
Il prof. G. Calligaris, che abbiamo ricordato poc'anzi, diede conto di un ms. della
Hist. Langob. di Paolo diacono, che fa parte della ricca biblioteca del ch. signor
commendatore barone Gaudenzio Claretta, in Torino. Questo codice, del secolo XV, fu
scritto, con molta chiarezza, su due colonne, ed è tutto di una mano. Il Calligaris
ascrive il testo di questo codice alla famiglia dal Waitz contrassegnata con F, la
quale ha il suo migliore rappresentante nel ms. F!, composto in Italia (forse a Mi-
(1) Opera S. Hisronymi, V, 1 sgg., Parisiis, 1706.
(elet)
(2) Opera S. Hirronymi, XI, 241 sgg., Veronae, 1741.
N55.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 203
lano) e quindi trasportato oltr’alpe. Esso risale al secolo VIII-IX, ed è il più antico
fra quelli, che conservarono nella sua integrità l’opera Paolina. Pensa il Waitz, che
da questo prezioso ms., prima che esso abbandonasse l’Italia, siano state fatte quelle
trascrizioni, le quali costituiscono un numeroso gruppo di codici italiani.
Al Calligaris (p. 52) non soltanto riuscì di allacciare a questa famiglia il codice del
barone Claretta, ma propose ancora, e fondatamente, la congettura che esso “ derivi
da una copia un dì conservata nell’abbazia di Novalesa ,. Egli confortò la sua con-
gettura, specialmente sopra un’aggiunta inserta nel c. 53 del libro VI, dove si parla
della Novalesa. Nel testo genuino, della Novalesa non si fa menzione. Il Calligaris
conosceva l’esistenza del codice Novaliciense dalle note (edite e inedite) del De Levis,
dalle quali il Waitz aveva appreso il medesimo. Ma al Calligaris rimase ignoto il
codice antico, che necessariamente dovea lamentare smarrito, mentre a lui rimase
ignota anche la trascrizione fattane da A.
Se lo Schenkl non avesse scoperto nella biblioteca Phillips l'antico ms. Novali-
ciense, avrei qui dato conto molto particolareggiato della sua copia. Ora non n'è
più il caso. Mi sia tuttavolta concesso di dare una riprova alla congettura del Cal-
ligaris, dimostrando, per mezzo di alcuni confronti, che veramente dal codice Nova-
liciense dipende quello del barone Claretta. Di qui si potrà avere un criterio per
apprezzare quest’ultimo testo, che può in certa guisa completare il primo, oggidì
molto imperfetto, non abbracciando che il primo libro e i primi 17 capi del libro Il.
Non voglio sostenere addirittura che il codice Claretta (C) sia una copia diretta
del Novaliciense. Ci può essere qualche anello intermedio. Ma sicuramente dipende
da esso (1).
Come il Calligaris avvertì, la famiglia F manca di indici nei libri I, Il e VI,
e perciò gli indici di questi libri si incontrano diversi nei diversi codici. Del libro VI
non è il caso di parlare, mancando nel codice Novaliciense, anche quando fu stu-
diato dal De Levis venne trascritto da A. Gli indici poi dei libri 1 e Il quali sono
dati da A, corrispondono a quelli del codice Claretta (2). La partizione per capi è
identica, e ciò quantunque nei manoscritti regni in generale non poca incertezza,
specialmente per i primi capi del I libro. Anzi in ambedue, tanto in A, quanto in €,
il capo I si arresta, senza apparente motivo, a metà periodo, e con una parola
sbagliata. Soltanto può riuscire dubbiosa la conformità quanto all’inizio del c. 5,
giacchè in A la distinzione fra il c. 4 e il seguente è indicata in modo poco evidente.
Vengo ora alle varianti. Tralasciando per il momento di considerare l’indice del
libro I, che in A è acefalo, faccio lo spoglio delle varianti dei primi capi, dal quale
si avrà lume a sufficienza, per venire alla conclusione sopra enunciata. Bisogna per
(1) Forse la dipendenza genealogica dei codici potrebbe rappresentarsi così :
Codice Novaliciense
A x
|
Codice Claretta.
(2) In A, per la perdita di un foglio, l’indice del libro I è appena frammentario.
204 CARLO CIPOLLA
altro osservare che i mss. A e C sono molto scorretti, e che quindi non si devono
assumere quali vere varianti alcuni errori di trascrizione. Per brevità indicò, nei
confronti, con W. l'edizione del Waitz.
A C W
(Cap. 1) (Cap. 1) (Cap. 1)
feruori feruore feruori
arcito (1) arcito arctoo
propriis propter propriis
nuncuperentur nuncupentur nuncupentur
nominibus nominum a nominibus
(om. vocabulo) (om. vocabulo) vocabulo
uocitatur uocitatur vocitetur
Renum Renum Rhenum
dixerint dixerunt dixerint
tanta prole tantas proles tantos
quanto quantas quantos
contigua Europam contigua Europa contiguam Kuropam
afflixerunt afflixer adflixerunt
Galliamque Galliaemque sunt Galliamque
Wandalique profusi
et Vuandalique perfusi
Wandalique, Rugi
(Cap. 2) (Cap. 2)
Plenius Plenius (corr. in Plinius) Plinius
terras terram terras
refertur fertur fertur
relinquere reliquid. et relinquere
novasque novas quas novasque
exquirere excolere exquirere
perquirit perquirit perquirunt
(Cap. 3)
dedit dederat dederat
solium solium solum
et cedere excedere excedere
urbe (forse corr. da arua) exteraque arua exteraue arua
Ybor Ibor Ibor
Agionem A gione Aionem
possint possunt possint
duorum ducum ducum
in dubiis
(1) Vi è sovrapposta la voce:
uiribus dubiis
arctito.
in rebus dubiis
n
(I ETA
magie
MET]
morit,
n
pure
gr
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 205
co
Non posso escludere in modo assoluto qualsiasi esterna influenza sulla compo-
sizione del testo C. Due passi vogliono essere qui particolarmente considerati, poichè
non vedo come si possano ridurre immediatamente ad A. Nel libro II, c. 10, il co-
dice A dice che Ilperico * sedem constituit Suessionis ciuitatem ,, mentre i testi
veduti dal Waitz dànno, con lievi discrepanze tra loro: “ cathedram habebat apud
Sessiones ,. Subito dopo, A narra che Sigeberto “ Remis ciuitatem regnabat ,, e i testi
esaminati dal Waitz: # apud urbem (var. urbe) regnabat Metensem ,. In ambedue i
casi, C fonde insieme i due testi, scrivendo: “ cathedram habebat apud Senones sedem
constituit Suessionis ciuitatem ,, e: “ apud urbem regebat Metensem Remis ciuitatem
regnabat ,. Ne risultano quindi nel codice C due lezioni assurde, le quali sembrano
risalire ad un testo simile ad A, che avesse due postille dipendenti dalle fonti cui
ricorse il Waitz, ovvero a due codici diversi. Ora che il codice Novaliciense fu ricu-
perato alla scienza, non sarà impossibile verificare se esso contenga appunto le due
postille, le quali ci darebbero la spiegazione di queste due lezioni di C.
La trascrizione A si ferma alla frase Pupia apellatur del c. 15 del II libro, e
si chiude colla notazione: “ Hic defficiunt capitula omnino obiiterata ita ut usu etiam
uariorum medicaminum legi non potuerint ,. DL? nota: “ Liber I° completus est.
Liber II" usque ad caput XVII et tres posteriores idest XV. XVI. et XVII semi in-
teligibiles sunt ,. Schenkl conferma che il codice giunge sino al c. 17 del libro ILL
Dopo che lo Schenkl ebbe la fortuna di ritrovare il codice originale, cessò di
avere importanza qualsiasi indagine sull’epoca del medesimo, fatta in base alle
trascrizioni. De Levis lo attribuì al X secolo. Lo Schenkl lo crede della fine di quel
secolo, o del principio del successivo, fatta eccezione per la Historia Langobardorum,
che è di mano più antica. Del resto, se anche dovessimo accontentarci dei risultati,
sempre dubbiosi, che possiamo attenderci dall'esame di trascrizioni eseguite senza
scopo paleografico, verremmo presso a poco alle medesime conseguenze. Notai l’uso
ortografico “ nihil ,, “ nihilominus ,, “ nihilum ,, mihi ,. Anzi persino “ brahia },
# Sihibertus ,. Di rado: “ nichil ,, nichilominus ,,. Più significativo è l’uso di scrivere
* aecclesia ,, “ aecclesiasticus ,, anzi perfino “ aeuangeliorum ,,.
Nel frammento liturgico sulla messa si leggono queste parole: € amittere enim
per unum m absque d, hoc est dimittere ,. Di qui si comprende, che l’autore di
quell’opuscolo scriveva esattamente admittere.
Da qualche equivoco di trascrizione si può intravvedere nel ms. l'abbreviazione
e per est. È un’abbreviazione il cui uso risale molto in addietro, ma si continua anche
lungamente. Il prof. F. Gabotto me la mostrò in un ms. del secolo XVI della Chro-
nica astigiana di Guglielmo Ventura.
Le forme “ dampnum ,, # dampnatio ,, # dampnare ,, “ solempnia ,, # contemp-
nere , dicono poco. Allato a queste trovai anche “ somnus ,. Nell’epitaffio di S. Gre-
gorio I abbiamo “ semptum , (1).
Non insisto di più sopra di un argomento, che ormai non può essere conve-
nientemente trattato, senza la visione del codice Phillips. Mi sia soltanto permesso
(1) Il Groria, Manuale di paleografia, Padova, 1870, p. 434, fa rimontare sino al VI secolo l’in-
troduzione della p nei casi qui contemplati, e nei somiglianti.
206 CARLO CIPOLLA
di addurre qui, a scopo di confronto, qualche esempio tolto dal rotolo originale del
Chronicon Novaliciense (che possiamo assegnare alla metà incirca del secolo XI) e da
alcuni antichi documenti del medesimo monastero.
Nel rotolo abbonda il dittongo de, espresso con “ ae ,, “ e ,, 4 e ,. Talvolta peraltro
quest'ultimo segno sembra adoperato quale una semplice variazione grafica di e.
Rilevo: “ Naeque, ecciesiam, aecclesie, acuadere, etiamsi, dogmate, seu, episcopis, con-
suetudine ,. Ovvie sono nel rotolo, forme come queste: “ dampnum, dampnatam, so-
lempni, alumpnos ,, In esso la voce miki è volentieri abbreviata in “ m ,, Che nulla ci
dice quanto alla sua ortografia. Vi trovo pol: “ nihil ,.
Se passiamo all'esame dei documenti antichi originali, appartenenti al cenobio
Novaliciense, bisogna lamentare che di questi ormai pochi rimangono. Sicchè non ci
è più possibile una ricerca piena e precisa della paleografia delle carte, per quel
monastero. Per lo scopo nostro attuale, basterà qualche appunto (1).
Trovo la forma “ ecclesie , nella copia del secolo XI di una carta Novaliciense
del novembre 1086, il cui originale ha invece “ ecclesie ,. Im questo originale in-
contro “ michi ,, dove la copia ha “# mihi ,. Nell’uno e nell’altra: “ nichilominus ,,.
La forma “ mihi , comparisce negli originali di carte fatte a Torino, marzo 1043, e
ad Alpignano, marzo 1034. In un regesto, di mano del secolo XI, apposto ad un
diploma del conte Umberto in favore della Novalesa abbiamo: “ acclesia ,.
Non possiamo per ora stabilire se il codice presente, o almeno la parte di esso
che contiene la Historia Langobardorum, sia stata scritta proprio nel monastero
Novaliciense. Alla Novalesa richiama il cenno su quel monastero inserto nel libro VI,
c. 53, della copia Claretta, come venne posto in evidenza dal Calligaris (2). Ma perchè
potessimo aver la certezza assoluta che questo esemplare della. Historia fu scritto alla
Novalesa, bisognerebbe provare, che il cenno rilevato dal Calligaris non era una nota
marginale, ma apparteneva proprio al testo medesimo, nella sua forma genuina. Pur
troppo, di quella parte il codice è manchevole ora, come già lo era al tempo del
De Levis, e quindi nulla possiamo di qui dedurre, almeno con certezza. Ma se di qui
la prova ci manca, questa la si troverà forse nell’indice del libro VI, al luogo relativo.
Di questo indice parlerò di qui a poco, e vedremo come l’accordo di più circostanze
conduca a credere che veramente l’inserzione dei ricordi Novaliciensi risalga al testo
originario del codice, e non si riduca a mere postille.
È impossibile ancora stabilire se il codice Novaliciense si chiudesse col termi-
nare della Historia Langobarduram di Paolo. Forse vi faceva seguito un aneddoto,
che nel ms. Claretta segue immediatamente alla fine della Historia.
Infatti nel codice Claretta, finito il testo Paolino (f. 76), dopo un intero foglio
bianco, il medesimo amanuense trascrisse, l’uno di seguito all’altro, due opuscoli di
cose Braminiche, che, insieme uniti, costituiscono un unico libro, siccome si vedrà.
Come continua lo stesso carattere, così segue lo stesso sistema di scritturazione,
colla distribuzione del testo su due colonne sopra una medesima pagina. Anzi colui
il quale supplì in rosso le iniziali, tanto nella Historia Langobardorum, quanto nei
(1) Mi riferisco a documenti esistenti nell'Archivio di Stato di Torino. Novalesa, busta II.
(2) Op. cit., Boll. ist. stor., X, 50.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 207
due ricordati opuscoli, credette che questi formassero il seguito del sesto libro di
quella. Tant'è vero che anche qui continuò, come aveva fatto nel luogo opportuno,
a scrivere (in rosso) in testa alle singole pagine l'indicazione: “ 6% liber ,. Ma in
realtà i due opuscoli non hanno alcuna relazione colla Historia di Paolo, e apparten-
gono invece alla letteratura sulle leggende di Alessandro Magno.
Il primo opuscolo (fol. 78r-80v) è quello che corre sotto il nome di Palladio e
che fu pubblicato in greco (con versione latina) da Ed. Bissaeus (1). Alcune diffe-
renze, e anche non lievi, si hanno fra i due testi, ma l’opera è quella.
La nostra antica versione comincia così: “ Eo anno nitorium Palladij mens tua,
que et discere cupit, inmenso sapientie amore succensa, ettiam aliud nobis opus quod
eficere deberemus iniunxit, hoc est Brachmanorum consuetudinem vitamque mona-
chorum. Ego quidem neque ipsos, neque patriam eorum vidisse memini. Longe enim
terrarum spacio, non solum ab India, sed eciam ab ea quam Serigeam nominant
regionem, seiuncti sunt. Habitant tamen iuxta fluuium quem uocant Gangem. Accessi
autem ante aliquot annos usque ad summa Indie loca, cum Museo episcopo Dule-
norum (2), ubi cum ecc. ,.
Himiscossi.a. Hec igitur que Arriani alicuius historia quam ego legeram’ com-
prendit ad te commonitorio meo aduncta (adaucta ?) transmissi, illius Arriani, qui
discipulus philosophi Epittiti fuit, quique quum ex seruili gente descenderit, propter
ingenium grande nature ad philosophie instituta peruenit, temporibus imperatoris
quondam Neronis, qui Petrum et Paulum apostolos interemit ,.
Segue (fol. 80r-88v) l’altro opuscolo, che viene dunque implicitamente atiribuito
ad Arriano. Anche nel testo greco edito dal Bossaeus questo opuscolo vien presso
all’altro (pp. 12-54).
Nel nostro codice questo tratto comincia:
“ Dandamus nomine Brachmanorum magister vitas eorum refferens hec lo-
quutus est.
“ Alexander imperator cum ei non sufficeret Macedonie solius imperium, neque
Philippo tanto patre posset esse contentus, Aymonis filium semetipsum dicebat. Et
quamuis ecc. ,.
Nel nostro testo manca il tratto "Eoti dé tig -- TOTOv TOÙ Acudduewg (pp. 20-1).
Più avanti (p. 23 dell’ediz.) al testo greco mancano alcune linee, di cui qui si rife-
risce la versione, aggiunte le parole di congiunzione con quanto abbiamo; “ ..... neque
per totum mundum imperialis foris sedem suam posuit. Non Zeneadem transit. Non
in medio orbis uia cursum solis aspexit. Cuius Metorij et Carsofori, et Scithiane nomen
quidem adhuc nosse potuerunt. Si ergo non capit eum illa quam ibi possidet terra..... ,.
Al nostro testo manca il tratto: ’A\m Bivè didloxare — TÒ Èév 001 mvedua (p. 35).
(1) Parcapius de gentibus Indiae et Bragmanibus, ecc., Londini, 1665, pp. 1-11. J. Zacuer, Pseudo
callistenes, Forschungen zur Kritik und Geschichte der dltesten Aufeeichnung der Alexandersage, Halle,
1567, p. 107, parla del falso carteggio scambiato fra Alessandro e Dindimo, che si trova diggià in
codice del sec. IX, ma appena alla sfuggita ricorda Palladio. Nulla intorno a ciò può leggersi nel-
l’erudito lavoro dell’egregio prof. D. CarraroLIi, La leggenda di Alessandro Magno, Torino-Palermo,
Clausen, 1892.
(2) Moisè vesc. di Adule è registrato dal Gams, Series episcop., p. 462, che lo crede vissuto
verso il 400, e quindi contemporaneo a Palladio, seguace di Origine
208 CARLO CIPOLLA
La preghiera del Bramino, che è abbastanza lunga nel testo greco (p. 39):
Bpatudave TAvta éyovoi, ecc., è brevissima nel nostro testo: “ Inmortalis, inquid, Deus,
tibi ergo in omnibus gratias ago , (1).
Finisce il testo: “ ..... vniuersam enim humanam ubique naturam uolumus per
nos fieri esse meliorem ,.
Segue a chiusura: (FE Explicit gesta.
Da queste ultime parole sembra doversi argomentare che il testo originario
portasse un titolo, che doveva probabilmente avvicinarsi a questo: “ Gesta Alexandri
Magni ., o piuttosto “ Gesta Brachminorum ,.
Non avendo neppure il Calligaris pubblicati gli indici dei libri I, II e VI, può
essere dubbio se sia il prezzo dell’opera il darli qui, mentre nulla aggiungono al
testo Paolino. La scoperta del Codice Phillips levò per i primi due libri quasi ogni
valore alla copia della Biblioteca Nazionale di Torino e al Codice Claretta. Di
qualche utilità può ancora riuscire invece la stampa dell'indice del VI libro. Esso
è del seguente tenore :
Incipiunt capitula sexti libri.
(1) Quomodo Romoald dux Beneuenti Tarentum ciuitatem expugnauit atque cepit.
(2) De morte Romualdi ducis et Grimoaldi germani eius et de ducato Gisulfi eius
germani.
(2) Quomodo ossa sancti Benedicti et Scolastice ab homines (corr. in: hominibus)
Aurelianensis ciuitatis furate sunt.
(3) De Rodoaldo duce Forioiuliano, et quomodo Ansfrit absque regis nutu eius du-
catum peruasit.
(4) De heresi que eo tempore apud Constantinopolim horta (corr. in orta) est.
(4) De epistola Damiani Tycinensis ecclesie episcopi, quam contra heresis (corr. in
heresim) Constantinopolitanam transmisit.
(5) De lune clypsis seu de soli clypsis, que eo tempore fuit, seu de peste que hec
signa secuta est.
(6) Quomodo Cunipert Aldonem et Grausonem interficere uoluit, sed eis ab uno
homine claudo hoc denunciatum est.
(7) De Felice grammatico, quem rex baculo auri et argento decorauit.
(8) De Iohanne episcopo Bergamensi, cui rex dedit equum indomitum, qui per ses-
sionem sancti episcopi factus est mansuetissimus.
(9) De stella cometis, que e0 tempore wisa est.
(9-10) Quomodo Bebius eructauit, et quomodo Sarraceni in Africa Cartaginem ceperunt.
(11) De morte Constantini augusti et quomodo Justinianus eius filius regnum suscepit.
(12) Quomodo Leo Justinianum augustum de regno expulit et ipse eius regnum
suscepit.
(13) Quomodo Tiberius hune Leonem regno priuauit et ipse în regno eleuatus est.
(14) De synodo que in Aquilegia tune tempore facta (corr. in: factus) est.
(1) Altre diversità, e in non piccolo numero, sarebbero a notarsi, come p. e. la soppressione
del nome degli Epicuiei (p. 52 dell’ediz.). Ma non è dello scopo mio lo istituire un completo raf-
fronto fra questa versione e il testo greco.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 209
(14) De synodo que apud Constantinopolim tempore Vigilii pape sub Justiniano au-
gusto facta (corr. in: factus) est.
(15) Quomodo Cedoald rex Anglorum Saxonum ad Romam uenit, ibique baptizatus est.
(16) Quomodo in Gallius Francorum regibus maiordomui (1) apud se habere uidentur.
(16) De Arnulfo qui eo tempore maior domus fuit, et postea apud Metensem urbem
sanctus effectus est.
(17) De morte Cuniperti regis et quomodo Liutpert eius filius in regno eleuatus est.
(18) Quomodo Raginbertus dux Taurinensium con Asprando et Rothari ducibus apud
Nouarias pugnauit atque deuicit, sed et ipse eodem anno mortuus est.
(19) Quomodo Aribert filius Raginpert cum Liutperto rege apud Ticinum pugnauit
et viuum comprehendit.
(20) Quomodo Rothari dux in Bergamum se reclusit et ab Ariberto comprehensus
est et in exilium missus est.
(21) Quomodo Ansprand per curiam ad Theodebertum ducem Baioariorum aufugit.
(22) Quomodo Aribert confirmato regno Sigiprandi, Ansprandi filius, oculis priuauit
et Liutprandum iuniorem filium ad patrem suum ire permisit.
(23) Eo tempore in Gallias Anschis Arnulfi filius maiordomus erat.
(24) De morte Aldoni duci Foroiulano et quomodo Ferdulfus eius ducatum suscepit.
(25) Mortuo Ferdulfo duce, Chorbulus in eius loco ordinatus est.
(26) Quomodo Pemmo post mortem Chorbuli ducatum suscepit et de hello quod cum
Sclauis gessit.
(27) Quomodo Gisulf, Beneuentanorum dux, Suram, Yrpinum et Archim (2), Roma-
norum ciuitates, cepit.
(28) Quomodo Aripertus rex Langobardorum, Alpes Cociarum per suum preceptum
» ad Romam condonauit.
(29) Quomodo Benedictus archiepiscopus Mediolanensis causam egit in Roma de ec-
clesia "l'ycinensi, sed exinde victus est. pi
(30) De morte Trasamundi ducis Spolitani et quomodo eius filius ducatum suscepit.
(31) Quomodo Justinianus Leonem et Thiberium, qui eius regnum abstulerant, occidit.
(82) Quomodo Philippicus con Justiniano pugnauit et occidit, atque eius regnum
adeptus est.
(33) De morte Petri patriarce et quomodo Serenus honorem adeptus est.
(34) Quomodo Philippicus augustus ad Constantinum papam literas direxit.
(34) Quomodo Anastasius super Philippicum irruit et eius (sic) oculis priuauit et eius
regnum accepit.
(35) Quomodo Ansprand, qui in Baioariam fugerat, cum Baioariis in Italiam venit
et cum Ariberto rege pugnauit, atque ab eodem deuictus est, et de morte Ari-
berti, et quomodo Ansprand eius regnum accepit.
(36) De Anastasio augusto, quomodo de regno eiectus est, et Theodosius inibi ordi-
natus est.
(37) Eo tempore multi Anglorum Saxones ad Romam venire consueuerunt et de
Pipino, qui in Gallia principatum tenebat.
(1) Forse si emenderà: reges maioresdomui.
(2) Anche nel testo del capo il presente codice ha: Archim, e ciò corrisponde alla lezione di FI.
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CARLO CIPOLLA
Quomodo Pipinus Francorum rex quendam suum adversarium, suo in cubiculo
residente, uno tantum satellite sociatus, trucidauit.
Quomodo Liutprand, filius Ansprandi, in regno confirmatus est, et eum duo
armigeri sui occidere uoluerunt.
De morte Gisulfi ducis Beneuentani et Romuald eius (filius) (1) ducatum accepit.
De Petronace uiro Dei, quomodo ad ecclesiam sancti Benedicti rector effectus est.
De monasterio Sancti Vincentii (2), quod a tribus fratribus est hedificatum.
De magno castro Romanorum quomodo a Langobardis captum est, et a duce
Neapolitano excussum est.
De morte Theodosii augusti et quomodo Leo eius regnum accepit.
De morte Pipini Franchorum principis et Karolus eius filius regnum accepit.
Quomodo Liutprand rex Theuteperti Baioariorum ducis filiam in matrimonium
accepit. 1
Quomodo Faroaldus dux Spolitanus (3) Classe ciuitatem Rauennantium inuasit.
Quomodo Theudebertus Baioariorum dux Romam orationis causa peruenit.
De Pemnone duce Foroiuliani, quomodo cum Sclauis pugnauit atque deuicit.
Quomodo Sarraceni Equitaniam venerunt et a Karolo rege ac Eodone duce Equi-
tanie deuicti sunt.
Quomodo Sarraceni Constantinopolim circumdederunt ac tres aanos obsiderunt.
Quomodo Liutprand rex ossa sancti Augustini ad Ticinum deportare fecit.
Quomodo Liutprand rex Rauennam obsedit et Classem destruxit.
Quomodo Liutprand rex Bononiam et Pentapolim et alias ciuitates Romanorum
inuasit.
Quomodo Leo augustus ymagines Saluatoris ac Dei Genitricis cremare fecit.
Quomodo Romoald dux Beneuenti Gumpergam neptem Liutprandi uxorem duxit.
Quomodo inter Pemmonem ducem et Calistum patriarcham rixa surrexit, et ab
eodem Pemmone in carcerem missus est, et Liutprand, hec audiens, ualde
iratus est.
) Quomodo Ratchis Foroiulianorum dux Carniolam patrium (Sclauorum) (4) inuasit.
Quomodo Karolus Franchorum princeps Pipinum suum filium ad Liutprandum
regem direxit, ut eius, iuxta morem, capillos incideret, et de fratre eius, qui in
Novalicio prefuit monasterio et de situ ipsius loci.
Quomodo Sarraceni cum Karolo principe iusta Narbonam bellum committunt,
set ab eo deuicti sunt, et quomodo alia uice Sarraceni ad Arelatem uenerunt
et Karolus Liutprandi regis auxilium petit et ipse festinus ad eum perrexit.
Quomodo Trasamundus dux contra Liutprandum rebellauit et exinde ad Romam
fugit et de morte Romoaldi ducis et quomodo Gregorius eius (nepos) (5) ducatum
accepit.
De morte Gregorii Beneuentani ducis et quomodo Godescalcus eius ducatum
accepit.
(1) Aggiungo questa voce, che mi sembra richiesta dal senso.
(2) Ms.: Vincentis.
(3) Ms.: d. S. dux.
(4) Aggiungo questa parola, seguendo il testo del capitolo.
(5) Supplisco, dal testo.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIELIOTECA NOVALICENSE 211
(56) Quomodo Liutprand rex cum exercitu suo Spoletum uenit et coniunetis Romanis
ac Spoletinis con Rachis et Astulpho ducibus pugnauerunt et ab eis deuicti sunt.
(57) Quomodo Liutprand Trasamundum a ducato Spoletino expulit et Ansprandum
suum nepotem ibi constituit.
(58) Quomodo Liutprand rex in Beneuentum Gisulfum suum nepotem ducem constituit
et quomodo monasterium sancti Petri ad Celum Aureum et Vercetum. et in
Olona capella sancti Anastasi hedificauit.
(58) De morte Petronij Ticinensis ecclesie episcopi, qui regis erat consanguineus.
(58) De morte Liutprandi gloriosi regis et quomodo XXXI regnauerat annis.
Forse tutti e tre gli indici, o almeno quest’ultimo, si possono riguardare come
compilati nel monastero della Novalesa, dacchè non s'identificano con altri indici noti,
e sopratutto a causa del cenno sulla Novalesa, che troviamo al $ 53 del libro VI,
e che corrisponde al testo del paragrafo stesso. Solamente dall’indice si dovrebbe
dedurre che quel paragrafo contenesse una qualche descrizione del monastero. Per
contro il testo cl dà unicamente un brevissimo cenno sulla fondazione del monastero
stesso, “ quod quidam construxit patricius nomine Abbo ,. Verrebbe il sospetto che
colui il quale adattò ad uso del monastero Novaliciense la Historia di Paolo, nu-
trisse dapprima l'intenzione di diffondersi alquanto sul suo monastero.
Abbiamo accennato poc'anzi all’ipotesi, facile a farsi, che l’interpolazione fatta
al c. 53 del libro VI fosse una nota marginale, ricevuta nel testo solo dall’ama-
nuense del secolo XV del codice Claretta. Può farsi la stessa supposizione, per
l’accenno che a quella notizia troviamo nell'indice? Sì, certamente, ma forse mi-
nore verosimiglianza. Pare difficile che una postilla di una linea dia occasione ad
un'aggiunta all’indice, ed un'aggiunta anche abbastanza lunga.
Il Calligaris rilevò la relazione stretta che passa fra l’aggiunta al libro VI,
c. 59 della Historia di Paolo e il Chronicon.
L'aggiunta è brevissima. Dove si nomina Carlo (Martello), fu interpolato il brano:
“ Hic et alios filios habuit, quorum unus, Ugo nomine, pater extitit sancte congre-
gacionis Noualiciensis monasterii, quod quondam quidam construxit patricius nomine
Abbo , (1).
(Qui è evidente la confusione fatta tra Carlo (Martello) e Carlo Magno. Il rac-
conto di Ugo, supposto figlio di Carlo Magno, dal padre affidato, per la sua educa-
zione, all'abate Frodoino, e poscia posto (2) “ ad regendam Novaliciensis aecclesiam ,
s'incontra parecchie volte nel libro IMI del Chronicon, dov'è svolto non brevemente (3).
Abbone poi viene considerato come patrizio in numerosi passi del Chronicon, a co-
minciare dalle sue prime parole (4).
(1) C'è nel ms. Claretta una postilla marginale, che potrebbe anche essere del copista del
sec. XV: “ filius regis Karoli, fuit pater congregationis Novaliciensis ,.
(2) Chron., lib. III c. 25.
(3) Che Carlomagno, tra i suoi figli illegittimi, n’abbia avuto anche uno di nome Ugo, è notorio.
Fu più tardi (834) abate di S. Quintino e cancelliere di suo fratello Ludovico il Pio (Simson, Ludwig
der Fromme, p. 22-3, 85). Ma, quantunque poco si sappia sulla sua educazione, non sì è trovato
modo di concordare le narrazioni Novaliciensi, per ordinario riguardate come leggendarie. colle
notizie del tempo.
(4) Chron., lib. I, ec. 1
22 CARLO CIPOLLA
Qui si presenterebbe una ricerca laterale. Se il codice è almeno del sec. X,
poteva dare ad Abbone il titolo di patrizio ?. Questo titolo usato ad ogni momento
dal cronista, manca negli antichi e autentici documenti, e, secondo l'opinione di
critici egregi, proviene da una leggenda o da un errore. Una simile questione non
si può trattare qui per incidenza. Ma devo accontentarmi a rilevare essere impossibile
il provare che almeno nel sec. X quell’epiteto forse negato ad Abbone. E non pare
che sia neppure escluso totalmente che Abbone in qualche modo meritasse quel titolo.
Si sa infatti che “ Abbo patricius , incontrasi in carte del 780 (1) e del 780 in-
circa (2): anzi in quest’ultima esso è designato esplicitamente come defunto: # Abbo
patricius condam ,. Quei documenti riguardano S. Vittore di Marsiglia; e dal secondo
di essi si comprende che Abbone viveva al tempo di Carlo Martello. Corrispondono
adunque l’età, la regione, il carattere della persona. Il Datta (3) acconsentendo alla
identità di quell’Abbone col nostro, non vuole tuttavia concedere che il titolo di
patricius sia dato ad Abbone legittimamente. Ma ia negazione del Datta non ac-
contenta guari il Bethmann (4). Si vede dunque che c'è a sufficienza per impedirci
di negare così facilmente l’antichità della inserzione del passo in questione, nel luogo
indicato della Historia Langobardorum.
Il cronista verisimilmente fece uso della Historia di Paolo, specialmente là dove
ricorda i duchi Langobardi Amone, Zaban e Rodano (5). Anzi non par dubbio che
narrando (6) la spedizione di Liutprando in Francia, in soccorso di Carlo Magno, abbia
usufruito della Historia, per il c. 54 del libro VI, vale a dire proprio il capo seguente
a quello, nel quale leggesi l'aggiunta di cui disputiamo. Ne verrebbe quindi la con-
seguenza che l'aggiunta stessa fosse presente al cronista, quando compilò il suo opu-
scolo. Tuttavia in tutto questo non si ha chiarezza piena, poichè, se invece confron-
tiamo il diffuso racconto del cronista, col succinto cenno della Historia, parrebbe che
questo dipendesse da quello e non viceversa. Se ciò fosse, ne verrebbe che l’inter-
polazione dipenderebbe dal Chronicon. Ma anche questa ipotesi non ha per sè un
sufficiente grado di probabilità, poichè sono ovvie le spiegazioni, che si possono dare
della brevità della interpolazione e della diffusione del racconto presso il Chromicon.
EKvvi ancora un'osservazione a fare ed è questa: come mai un interpolatore del
secolo X (se pur di questo secolo fosse il codice, e non del IX) (7), può aver co-
nosciuta la narrazione di Ugo figlio di Carlo Magno, alla quale non sappiamo qual
fondamento storico sottostia ?
Ma nè questa, nè altre obbiezioni hanno forza di abbattere la supposizione contro
di cui è indirizzata. Ascrivendo la postilla alla fine del IX secolo, si può consentire
che il racconto tradizionale intorno ad Ugo fosse ormai accettato e diffuso.
a Una carta del 780 con quel nome fu pubblicata dal Lr Corre, Annales eccles. Francorum,
) Marrene et DuranD, Script. veter. nova collectio, I, 41.
(3) Mem. Accad. Torino, I Serie, XXX, 184,
(4) MGH., e VII, 80.
(5) Chron., I, e. 10; cfr. Hist. Lang., IN, c. 8.
(6) Chron. SA ci F.
(7) Lo ScHenkL, come abbiamo detto, pronuncia un giudizio dubitativo, come abbiamo veduto:
“ altra mano, s. X, o anche anteriore ,.
sno su parere EA
pe _ ar
— ——
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 213
Può anche osservarsi che, se il testo è del secolo X, questo apparterrebbe ad
un periodo nel quale l'abbazia Novaliciense giaceva disfatta. Si può quindi fare il
quesito se sia ammissibile in tali circostanze, la interpolazione di cui ci occupiamo.
Quantunque sia vero che nel secolo X il monastero della Novalesa giaceva
abbandonato e disfatto, tuttavia è pur certo che il cenobio di Breme riconosceva
come suo “ caput , la Novalesa, siccome apprendiamo dagli scarsi documenti del
medesimo in quest'epoca. E oltre a ciò si noti, che qui si dice che Ugo fu padre
“ sancte congregacionis Novaliciensis monasterii ,, senza che si specifichi questa
congregazione coll’appellativo di nostra, siccome in simili casi usavasi fare.
È tempo di metter termine a questa serie di congetture, una delle quali incalza
e forse anche intralcia l’altra. Fino a prova contraria, pare che le aggiunte al codice
della Historia siano anteriori al Chronicon, ma che la narrazione offerta da quest’ul-
timo sia, almeno in parte, da quelle indipendente.
IL
L'inno a S. Walerico.
Non dal codice testè descritto, ma da altro ms. della Novalesa, pubblicò il
De Levis (1) l'inno a S. Walerico (2), le cui reliquie, secondo il cronista (3), vennero
donate da Carlomagno a Frodoino abate Novaliciense. Comunicato Vinno al De Levis
il “ già noto ill." et r." P. Sona de Ordine Cisterciensium ex Congregatione S. Ber-
nardi abbas S. Mariae de Abundantia , (4). Di quest’inno trovai una trascrizione
nella “ Miscellanea LXXI , della biblioteca Nazionale di Torino, insieme colle tra-
scrizioni, di cui abbiamo tenuto conto nel capo precedente. Ivi l'inno è preceduto
dalla didascalia seguente, che corrisponde perfettamente a quella che gli premise il
De Levis, salvo che questi vi aggiunse, che egli era debitore dell’inno al P. Sona.
Ecco dunque la didascalia del ms.: “ Hymnus de saneto Walerico abate cuius
reliquie a monasterio Noualiciensi Taurinum translate sunt, cum seuissima ibi pestis
grassaretur, que sacri pignoris aduentu statim cessauit, ita Pinzonius sub anno ,.
Non trovai il passo nell’Augusta Taurinorum del Pingonio, e pare che non l'abbia
rinvenuto neppure il De Levis, poichè egli, nella stampa, ommise anche la frase
sub anno.
(1) Precisamente dal ms. che egli descrive a p. XXXIX-XL degli Anecdota, e che è fra quelli
dal Levis avuti in dono. Di una non impossibile identificazione di questo ms. toccheremo al termine
della Memoria presente.
(2) “ Decus sanctorum nobile ,. — Diverso è l’inno de saneto Valerico riferito da G. M. Drevrs,
Liturgische Reimofficien des Mittelalters, Lipsia, 1892, p. 256. — U. CarvaLieRr non ricorda, nel suo
Repertorium hymnologium, V’inno di cui ci occupiamo.
(3) Lib. III, c. 15. Sul culto a lui professato, e sopra un miracolo ottenuto colla sua interces-
sione, veggasi ivi, 1. V, capi 32 e 86.
(4) Anecdota sacra, pp. 173-4. — S. Valerico si festeggia nella archidiocesi di Torino nel giorno
12 dicembre. Indarno cercheremmo qualche cosa per la storia della Novalesa nel libro Vita di
S. Valerico abbate descritta in latino da D. Lorenzo Surio et da frate Gregorio Salino di Torino, ca-
puccino, novamente în lingua italiana tradotta, Torino, A. Pizzamiglio, 1601, pp. 40 in 4° pice.
214 CARLO CIPOLLA
Dal ms. traserivo qui i versi contenenti qualche lezione variante dalla stampa,
e scrivo tale lezione in corsivo. Verso 4: “ pangimus laudes celedrie ,; — v. 7: “ qua
digne celì gaudia; — v. 10: “ wirtutum plenus coelitus ,; — v. 11: Walericus exi-
mie ,; — Vv. 14: “ Sacra sequtus dogmata ,; — v. 18: “ demonum uertit delubra ,. —-
Al fine manca “ Amen ,, che trovasi nell'edizione.
Frammento di una Omelia del ven. Beda.
All’Arechivio di Stato di Torino, tra le carte dell'Abbazia della Novalesa, un
libretto del 1659 contenente una nota di contribuenti al Monastero stesso era co-
perto con un mezzo foglio di pergamena, che fu staccato il 10 marzo 1894.
Se n’ebbe così la metà inferiore di un foglio pergamenaceo di grandi dimensioni,
scritto su due colonne. Ogni colonna era stata inquadrata a punta secca, e a punta
secca erano stati parimenti segnati i righi, prima che l’amanuense facesse l’opera sua.
Questo mezzo foglio di pergamena ci dà due frammenti della Homilia in visi-
tatione b. Mariae Virginis del ven. Beda (1).
Faccia recto, col. a. Comincia: “ nimi|rum ipse spiritus qui — ,. Finisce: “ — do-
mini genitrix ea que , (2) (Mrene, XCIV, col. 17 A-0).
Col. 5. Comincia: “ responsione Elisabeth — ,. Finisce: “ — in Deo salutari
meo. Et cetera quibus , (Mrene, XCIV, col. 18 A-B) (3).
Faccia verso, col. a. Comincia: “ [iudi|ciose fuisse — ,. Finisce: “ — Iuxta illud
propheti|cum , (Miane, XCIV, col. 18 D — col. 19 A) (4).
Col. 5. Comincia: “ se beatos fore considerent — .. Finisce: “ — subest cum
uolu|erit , (Mrene, XCIV, col. 19 B-D) (5).
Pare che il ms. risalga al principio del sec. XI, e forse anche tocchi il secolo X.
Le minuscole talvolta sono onciali e talvolta rustiche. Abbiamo in onciale la A,
la E, la F, la-M, Ja N; da 0; in'rustico: la, A; la-D, da ck.ila Ela 0 rlavVe
È costante il nesso corsivo &.
(1) Miexe, Patrol. latina, CXIV.
(2) Varianti: Saluatoris intelligit (Mrene: Salvatoris intellexit), Elisabeth (M.: Elizabeth), exul-
tatio significar& (M.: exultatio significasset), operacio (M.: operatio), mora est. Im uno (M.: mora est
ubi Spiritus Sanetus doctor adest. In uno), sobolem ad amorem (M.: sobolem amore).
(3) Varianti: Elisabeth (Mione: Elizabeth), Fide forte, corr. fortem da tarda mano (M.: Fide
fortem), in pectoris (M.: in sui pectoris), carismate (M.: charismata), Mox &iam (Mione: Mox), celi
(M.: coeli), Et cetera, quibus (M.: quibus).
(4) Varianti: iudi)cio se fuisse testatur. Deus meus adiutor meus es, sperabo, inluxit nobis lux
ueritatis demonstrat (M.: iudicio se fuisse demonstrat), celestis (M.: coelestis), precipua (M.: praecipua),
eunctorum (M.: cunctarum), Addit (M.: Addidit), accione conlaudans (M.: actione collaudans), Nihil
ergo (M.: Nihil igitur), adstrueret (M.: instrueret), quatinus (M.: quatenus), uere (M.: verae).
(5) Varianti: digna est (Mrene: digna extitit), perp&ua (M.: perpetuae), sollerti (M.: solerti),
exortacione (M. exhortatione), contempnentes (M.: contemnentes), in dicione (M.: in ditione).
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 215
Le aste delle lettere 2, 4, ecc. sono di sovente leggermente di forma cuneata (1).
La a minuscola è d’ordinario chiusa e di forma carolina. Ma non è qui molto
rara anche la 4 aperta, e questo è un indizio di antichità (2). Non manca la e, che
chiamammo crestata, e che trovammo nel frammento delle Omelie di S. Cesario e
nel codice del Martyrologium di S. Adone. Questa forma di e non basta a deter-
minare un’altra antichità in favore del nostro codice; infatti la rinvenni pure in una
copia, presso a poco contemporanea all'originale, di una carta 7 marzo 1033 riguar-
dante il celebre cenobio di S. Giusto di Susa (3). La 9 è aperta. Molto pronunciate
sono le parti rotondeggianti della è, della d, della /, della p e della g; ed anche in
ciò abbiamo un criterio cronologico, che rimanda alquanto addietro il nostro ms.
Poco caratteristiche sono la m e la , nelle quali l’ultima asta talvolta piega
a destra, secondo l’uso seriore, e talvolta a sinistra secondo l’uso antico. Manca ad
ogni modo la vera e schietta forma arcaica; poichè anche in un’età non antica può
bene sussistere questa incertezza di forme. Tuttavia bisogna fare qui un'osservazione.
Anche dove l’ultima asta della 1 e della » termina con un apice piegato a destra,
l'asta s'incurva aprendo la parte convessa verso sinistra. Quest'ultima forma della m
e della » è tutt'altro che rara anche nei diplomi dell'età Carolingica. La r talvolta
è leggermente prolungata al di sotto della linea, ma di solito rimane entro al limite
delle altre lettere. In un luogo il nesso r-e si avvicina alla forma corsiva.
Sull’ortografia poco ho da osservare. Il dittongo de è sempre espresso con e,
che serve anche per oe. In perpetua (faccia verso, col. 5) abbiamo la sillaba et rap-
presentata da d cediliata. Una riga prima, la parola precipuum è indicata colla p
cediliata. Rilevo qualche abbreviazioni: “ —b; (= bus), q. (= que), intellex (= in-
tellexit) , (4).
(1) Questo sarebbe indizio di antichità. Il Jarri (presso Mommsen, Digesta Justiniani Augusti,
Berlino, 1870, p. XXXXV) pone fra i caratteri del sec. IX le aste delle lettere d, d, ecc. di forma
cuneata. Ma se si tratta di ingrossamenti a cuneo non molto forti, questo non è criterio assoluto.
Nel Martyrologium Adonis da me antecedente descritto, come il lettore può vedere nei facsimili,
queste incuneaziori si hanno, e in modo abbastanza spiccato; eppure il codice non è del IX secolo.
(2) Sono le forme XI e XII della classificazione di A. Monaci, Per la storia dell’ * A,, Roma,
1889, p. 4.
(3) Abbazia di S. Giusto, busta I. — Arch. di Stato di ‘Tl'orino.
(4) Il prof. F. Gabotto, che attende all'ordinamento dell’antico e prezioso Archivio di Monca-
lieri, vi trovò un foglio grande doppio pergamenaceo, che aveva servito di fodera a qualche libro.
Questo foglio, che per dimensioni è tuttavia inferiore al Novaliciense, reca esso pure un frammento
delle omelie di Beda, anzi, per una buona parte, s'incontra nel Novaliciense. Anche il foglio di
Moncalieri è scritto a due colonne; righi e colonne vi furono tracciate a punta secca, prima che
fossero scritte. Il carattere è il minuscolo carolino abbastanza sviluppato, ma ancora lontano dal
minuscolo del sec. XII. Non pare di molto posteriore al codice Novaliciense, e ad ogni modo non
appartiene ad età più tarda del principio del sec. XI (!. La 9 aperta, la forma caratteristica del-
l’ultima asta della m e della », le parti curvilinee della d, della d e della %, molto pronunciate,
sono fatti paleografici, che c’invitano a risalire addietro coll’età da attribuirsi al ms. Locchè viene
confermato dal maiuscolo rustico, quasi privo di mescolanza d’onciale, schietto, bene disegnato, che
venne impiegato per la titolatura sul margine superiore della pagina, e per la didascalia di una omelta.
Sulle due colonne del f. 17, e su quelle del f. 1» leggesi rispettivamente: BEDE | PRBTI | OME | LIA.
Conformemente sulle quattro colonne del f. 2r e 2v. Il fol. 1» principia colle parole: “ uxorem
habuerit — , che appartengono alla omelia in festo visitationis b. Marie, Miane, XCIV, 13 D. Quella
(') Come termine di confronto cito una carta del 1031 circa, riprodotta dal Vayra, Museo storico,
p. 380.
216 CARLO CIPOLLA
IV.
Frammento delle “ Moralia , di S. Gregorio Magno.
Nella HI busta delle carte dell’ Abbazia della Novalesa, nella serie conservata
presso l’Economato Generale di Torino, c'è un volume in carattere del XVI secolo,
così intitolato: “ Registro delle cause ciuilli e criminali, precetti, condanazioni et
altri atti agittati et agittate nella corte del monasterio di San Pietro di Novalesa
auanti me Gio. Bapta San Jorzo di Calusio notario ducalle et ca.”° (1) di Novalesa
et sua giurisdictione per l’Illu. et molto rev.® sig. Gaspar Prouana della signoria
di Leini sig. di Noualesa etc. del anno mille cinque cento e settanta doi et sotto
li giorni dentro scritti || 1572 || de Sancto Georgio ,.
Venne adoperata a legare tale Registro una bellissima e grande pergamena, con-
tenente, come vedremo, un lungo frammento del libro XVI dei Morali di S. Gregorio
e cioè la fine del capo VI, i capi VII-XIV, e il principio del cap. XV, secondo il testo
del Migne (2). La legatura del Registro è certamente originale; locchè tanto più
chiaramente appariva nei luoghi della cucitura, dove, per rafforzare la pergamena
sì adoperò, ripiegata, qualche carta scritta del XVI° secolo.
Abbiamo qui adunque un foglio semplice, col testo distribuito sopra due colonne,
in ciascuna faccia del medesimo. Il carattere è il minuscolo ormai sviluppato, ma
ancor lontano dall’assumere quella simmetria e quella regolarità, che precede il na-
scere del gotico; è chiaro, ma non molto elegante, e talvolta ricorda il minuscolo
delle carte pagensi. In generale si presenta come angoloso. Sono specialmente trascu-
rate le maiuscole maggiori, in rosso. Esse sono di forma rustica, fatta eccezione per
una £ onciale; vennero supplite posteriormente, essendo state indicate sul margine
dal primo amanuense colle corrispondenti minuscole; può anche supporsi che queste
maiuscole siano di non poco tempo posteriori al testo. Parte delle maiuscole minori
sono rustiche e parte onciali; così p. e. abbiamo la D di ambedue le forme, e ciò
si ripeta della N, della Q, ecc. La e minuscola ingrandita si fece servire per maiu-
scola. La F è sempre onciale; ha cioè leggermente rialzata la orizzontale superiore.
omelia termina a circa due terzi della col. d del f. 17, chiudendosi con AMEN in nero, carattere
,
LU ld r ld
rustico. Segue in rustico rosso FR VI.LEC SCI EVGI SCDM LVCAM. E quindi: In ILLo TEMPORE.
Exurgens beata maria —. La I è in rosso, di grande formato (occupa tre linee), e quanto segue, e
fu qui trascritto in maiuscolo, è in rustico, inchiostro nero. Dopo il passo evangelico, segue in
rustico, rosso: OMEL VEN BEDE PRBI DE EADE LEC. Il testo © Lectio quam audiuimus , co-
mincia con una L di grandi dimensioni, similmente alla I ora indicata, cui fa seguito il carattere
minuscolo. Il termine del f. 13 corrisponde alla col. 16 A del Miexe. Nel f. 2 prosegue il testo
senza interruzione; la col. 5 del f. 2v termina corrispondentemente alla col. 18 C dell’edizione del
Migne.
(1) Castelario.
(2) Parol. latina, LXKXV, 1125 e — 1130 c.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 217
Venendo al minuscolo, oltre ai caratteri generali sopra indicati, sonvi alcuni
fatti speciali da rilevare. La « e la g sono chiuse. La m e la n» hanno l’ultima asta
di destra piegata esternamente, cioè verso destra. La +» è prolungata assai spesso
inferiormente, fatto che non può dirsi raro ancora nel sec. XI. Qualche raro esempio
della e crestata, l'abbiamo. In due casì, la c a fine di rigo ha superiormente un'ap-
pendice, che la fa accostare per forma alla c bollatica. Non è rara la « cediliata,
che trovo senza regola determinata in: perfidiae, tamen, ab, misericordia (a0/.), gaudii;
pare quindi che sia un semplice vezzo calligrafico. La si può considerare una a mi-
nuscola ridotta da una A maiuscola onciale. Non di rado la ?, anche in mezzo del
discorso, è prolungata; ‘ quippe In ore’. Notevole la f, che è una maiuscola onciale,
impiccolita. Nessun segno sopra le i. Rarissimi e molto leggeri gli ingrossamenti a
cuneo nelle aste 5, d, ecc.
L'uso delle abbreviazioni non presenta cosa alcuna degna di osservazione spe-
ciale. Rilevo: —b;, —gq; (—bus, — que); il segno } vale us, dom’, ei (= domus,
eius). La sillaba et, se si abbrevia, lo si fa sempre per mezzo del nesso onciale &,
mancando affatto la sigla tironiana rassomigliante la cifra 7. Noto: “.6., (= est),
“.66., (= esse). La voce “ quod , è abbreviata in “ qd ,. Non è eccessivamente
frequente l’uso del dittongo «e, che esprimesi con: ae, e (1); e quindi si scrive sempre:
“ ecclesia ,. Anzi talvolta il dittongo manca dove dovrebbe essere. Sente dell’antico
l'ortografia: nihil. L'alternazione di due parole è segnata, contrassegnando ciascuna
di esse con due linee parallele. Una sillaba fu cancellata, ponendola fra due lineette,
Yuna al di sopra e l’altra al di sotto. Non sempre, ma con frequenza ciascuno dei
righi occupati dal testo biblico venne discrepato dagli altri con una virgoletta semplice.
Questi caratteri generali e particolari consigliano ad attribuire il nostro fram-
mento al principio del sec. XI. E con ciò combinano altri dati. Le colonne e le linee
‘vennero preventivamente segnate a secco, come spesso si usava fare in quella età.
Doppie ossia geminate sono le linee laterali di destra in ambedue le colonne; la
seconda di dette linee nella colonna prima, su ciascuna pagina, scade nel mezzo della
pagina stessa e ad egual distanza, così della sua linea gemina, come della linea che
disegna verso sinistra la colonna seconda.
Il testo che possiamo ricavare dal nostro ms. non è molto buono. Ne do le
varianti sull’edizione del Migne. Avverto una volta per tutte che il nostro codice
non dà, nè la divisione per capi e paragrafi, nè la cifra numerale dei versetti.
Faccia recto, col. a. Il nostro testo comincia: “ uiuere quam docuerunt — ,, e
corrisponde all'edizione del Mrsne, col. 1125 €.
Ne comunico la collezione secondo il metodo solito. Miane, col. 1125 Ci; ms.:
tenuerunt (Mione tenuerant), detestantur (testantur); 1125 D, nel ms. manca: * 11
adversa — exprobrant ,, neglegit (negligit), de strictione (ex districtione).
col. 1126 A, tenebras (te tenebras), tibi in spe (in spe tibi), tua gaudebas (tua
quasi de luce gaudebas), inruunt (irruunt); 1126 B, nel ms. manca è tratto “ Immen-
sitatis — singulis ,, deo (Deum), esse se (se esse), inrisionis (irrisionis), excelsior
caelo (caelo excelsior), uertice (vertices); 1126 C, eriae (aereae), iam (ima), perpendit
(1) È sovrabbondante in un caso: speciae (= specie), faccia recto, col. a al fine.
Serie Il. Tom. XLIV. 28
218 CARLO CIPOLLA
(perpendat), uid& (videat), uel ista (ista vel), dum sit (cum sit), argumentum (adju-
mentum), in sua speciae (1) (in sua specie).
La colonna a termina con: “ — ut tamen comprehendi non ualeat ,.
La colonna è comincia: “ agnoxetis aestimatione — ,.
Col. 1126 D, agoscentis (a cognoscentis), presentia (presentiam), quippiam (quid-
piam), contremescat (contremiscat).
Col. 1127 A, wideri (videre), aliquando (aliquatenus), nel ms. manca ‘13 Christi
— superbia ’, nostri redemptoris (Redemptoris nostri), superbia (superbia est), quibus
(quibus adhuc); 1127 B, fundamenta (fundamentum); nel ms. manca: ‘14 Iniqui —
moriuntur ‘’, dicit (dicitur), ante tempus ex praesenti seculo (ex praesenti saeculo
ante tempus proprium), quod ex diuina potentia ante tempora poscitur (omnipotens
enim — ante tempora praescitur), sciendum (sciendum est), terminum (terminos);
1127 € innocentia malitiam (innocentiam malitia), ad usum uero (sed ad usum),
uitam XV (vitam quindecim); 1127 D, eius dispositio (dispositio eius).
C. 1128 A, quorum uitae (eorum vita).
Questa colonna del ms. finisce: “ — De quibus recte dicitur ,.
Faccia verso, col. a. Comincia “ fluuius subuertit ,; col. 1128 A, fluuius (Et
fluvius), nel ms. si trulasciano le parole: ‘15 Iniquorum — coelestibus est ’, neglegunt
(negligunt); 1128 B, quia (qui), & uideas (Videas) nihil praesentis (nil praesentis),
possent (possint), Electus (Electis); 1128 €, qua (quia), dedicationem reproborum
(reproborum dedicationem), detrahendo (2) (subtrahendo), & que (sed quae), inmutatur
(immutatur), quid (Quid).
Col. 1129 A, domus (3) (domos), il ms. ommette il tratto: ‘ Deus — consilio ’,
domus (domos), gratis sui (ingratis sua), contempnentes (contemnentes), ommette:
‘ Aliud — consilium ‘.
Sol. 1129 B, intellegi (intelligi).
La col. a finisce con: “# — cogitationi desiderat esse’, e la col. d principia:
* — dissimilis. Sequitur — ’
Col. 1129 B..letabuntur (laetabuntur), il ms. ommette il tratto: ‘ Tusti — laetaturi”;
1129 C, superbiunt (superbi sunt), phariseus (pharisaeus), c&eri (coeteri), dicimus (si
dicimus), fra adhuc ed incerta c’è nel ms. lo spazio di una dozzina di lettere che furono
raschiate, exultacionis (exaltationis), &iam ferire (feriri); 1129 D, exultationis (exsul-
tationis), inheserint? (inheserint), dampnationem (damnationem), conspiciunt (conspi-
cient), conspicient (aspicient), exultando (exsultando), despiciunt (despicient), damp-
natione (damnatione).
Col. 1130 A, reliquias (reliqua), il ms. ommette il tratto: ‘ Mali — puniendi ’,
actibus (actionibus), peruersa (perverse), conspectu (a conspectu); 1130 B, Adquiesce
(Acquiesce), habes (habebis), il ms. ommette: ‘ hereticoruam — praesumptio ’, heretici
{heretici), adquiescere (acquiescere), adquiescentibus (acquiescentibus).
Finisce la colonna: ‘ — ad sua dogmata se’ (1180 C). Con queste parole ha
termine il nostro frammento.
(1) La «, riuscita poco chiara, fu dall’amanuense ripetuta interlineamente, e questa volta senza
cedilia.
(2) Colla 4 di correzione.
(3) Voce aggiunta interlinearmente di prima mano.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 219
Vi
Un commento anonimo alla “ Regula , di S. Benedetto.
Addì 3 marzo 1894 si staccò la copertura pergamenacea di due fascicoli inti-
tolati “ Quinternetto di Giaglione e Mompantero dall'anno 1627 incluso , e “ Quin-
ternetto de particolari di Mompantero , (1660-7); questi due fascicoli costituiscono
un volume intitolato: “ 1665. Atti fra l'abate e perpetuo Comendatario di Novalesa
unitamente a monaci Cistercensi di detto luogo contro gli uomini di Monpantero ri-
fiutantisi a. pagare 1 fitti, censi ed altri redditi per beni semoventi del diritto dominio
di detta Abazia , (1).
La pergamena è un foglio doppio, di grande formato, coi margini esterni tagliati
di guisa da essere stata portata via su ciascun foglio una parte del testo. Abbiamo
adunque quattro pagine, ciascuna imperfetta a destra. Sono scritte sopra due colonne.
Il carattere è il minuscolo derivato dal carolino, ma di età ormai alquanto avan-
zata. II corsivo vi è affatto dimenticato; appena qualche » è leggermente prolungata,
locchè poco significa. L'ultima asta della m e della # piegasi a destra. L'uso del segno
di abbreviazione 4 non solo per ws, ma anche per s (priu’) può essere preso in consi-
derazione, egualmente che: —b. —b; (= — bus), —q. —q; (= — que). Spesso ri-
corrono abbreviazioni come queste: dixer (== dixerunt, o dixere), dic (= dicit), co&
= coxit), subiunt (= subiunxit), manifesta (= manifestauit), exced (= excedit).
Il pronome “ quod ,, non abbreviasi che con “ qd ,. La preposizione “ uero , è
abbreviata arcaicamente in: uò. Accenna invece a seriorità: ùbuù (= uerbum); e ciò
si ripeta per: aliq (= aliqua), quo (= quomodo), nullom (= nullomodo), dacchè
le abbreviazioni per lettere sovrapposte indicano in generale un'età relativamente
meno antica. Poco significa il nesso x (= nt).
La sillaba et è abbreviata soltanto in &, tranne in un solo caso, dove abbiamo:
la s seguita da 7 (= set), ed è un caso notevolissimo. La I prolungata a mezzo il
periodo, ma tuttavia in principio di parola, non è qui molto rara. Talvolta la s e
la f hanno forme semi-bollatiche. Qualche volta le aste delle lettere 6, d, ecc. sono
leggermente cuneate.
Il complesso di questi dati parziali si combina perfettamente colla impressione
generale prodotta dal nostro testo, perchè abbiamo con sufficiente sicurezza ad attri-
buire questo al secolo XI. Non contraddice l'ortografia di alcune parole notevoli:
“ nichil, verumptamen, sollempnibus, sollemnibus ,.
Questa conclusione suggeritaci dall'esame del minuscolo, è confermata dal ma-
iuscolo, e dal semimaiuscolo; per questi caratteri si adopera il rustico, con mesco-
lanza di lettere onciali. Si mescolano cioè le due forme delle lettere D, E, H, N.
Talora la lettera maiuscola altro non è che la minuscola ingrandita.
(1) Abbazia della Novalesa, nell'Archivio di Stato di Torino, busta intitolata: * Abbazia Nova-
lesa, Atti di lite 1665-1698 ..
220 CARLO CIPOLLA
I più celebri, più ampli e più antichi commenti alla Regula sono quelli di Paolo
diacono e di Hildemarus. Il primo, rimasto inedito fino a questi ultimi anni, fu pub-
blicato dai benemeriti monaci Cassinesi (1). Il secondo è quasi affatto inedito. L’egregio
e gentile sig. H. Omont mi diede notizia della esistenza di un antico codice (sec. X1)
del medesimo, esistente (Lat. 12637) nella biblioteca Nazionale di Parigi, senza tener
conto di due copie moderne (sec. XVII) (2). La relazione fra l’uno e l’altro commento
fu determinata dai Cassinesi, nel senso che Hildemarus siasi largamente giovato del
commentario Paolino. Essi peraltro altro non ebbero a loro disposizione che i fram-
menti di Hildemarus riprodotti dal Migne (3), sicchè le loro conclusioni non sono
definitive.
Il commento Novaliciense si lega all’uno e all’altro dei due commentari, ma
non si combina propriamente, nè con quello, nè con questo. Col commento Paolino
esso conviene in ispecie per i capitoli 38 e 39 (4). Si consideri infatti il lungo tratto
“ In ecclesia autem die dominica — quam multi legant qui non edificant , (cap. 38).
Il principio del commento al cap. 39 ha molto del Paolino (5), e per il non breve
tratto “ Nascentia uero leguminum — ita etiam de pulmentis intelligitur ,, i due
commenti corrono parallelamente. Del commento Paolino resta poco meno che nulla
nella nostra esposizione dei capitoli 45-46 (6).
Fol. 1 recto, col. a.
| ut autem fratres non legant aut cantent per ordinem hec ratio tali modo deb&
ordinari. Uidelic& eligendi sunt tres. uel quattuor fratres. seu plures. si tales rep-
periri possunt. qui ad edificationem audientium bene & expedite ualeant. & ipsi postea
ordine suo legant. Simili quoque modo de cantoribus fiat. ut hii cantent qui possint
edificare audientes. In ecclesia autem die dominico prius deb& legere ille infans qui
pelus sapit. deinde qui melius. postmodum gradatim crescendo in melius. in ultimo
abbas. Forte dicit aliquis. quare abbas non deb& legere prius. ut sit secundum or-
dinem lectio ? In ecclesia autem isto (7) ordinem deb& esse lectorum. Crescere enim
deb& lectio. & non minuere. ut qui audit legere melius intelligat. si melius ac melius
audierit legere. Nam nulla edificatio erit si prius legerit ille qui bene potest legere.
& postea qui peius. Nam iste est ordo legendi in ecclesia. Primus (sic) debent le-
gere III infantes. Deinde TINI presbyteri (8). Deinde tres diaconi. postea abbas. Si
autem non sunt tanti lectores. ut unus legat solummodo per lectionem. debent le-
gere sex. aut quattuor. aut duo solummodo qui audientes possint edificare. Quia
melius est ut unus legat tres. uel quattuor. aut quinque aut sex qui edificat. quam
(1) Biblioth. Casinensis, IV, Spicilegium, p. 9 sgg.
(2) Mss. latini, 11788 e 13800.
(3) Patrol. latina, vol. LXVI. L’Omont mi trascrisse il principio del $ 39 dove il testo di Hilde-
marus è quasi identico al Paolino.
(4) Ed. cit., pag. 126, col. b al fine, — sino a p. 127, col. « al principio.
(5) Ed. cit., p. 127, col. bd.
(6) Recentemente il p. A. M. CarLen, Bernardi I abb. Casinensis in Regulam S. Benedicti exposttio,
Rome, 1894, pubblicò un commento alla Regola, dovuto ad un celebre abate; ma esso non fa per
noi, chè appartiene al sec. XIII.
(7) Ms. isto isto.
(8) Ms. pibi.
spirdu
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NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 221
multi legant qui non edificant (1). Hoc autem omnino, a lectore obseruandum est.
ut in medio solummodo totius dictionis sensu uox ipsius paulo eminentius eleuetur.
& ante eleuationem. per singula sub distinetionis puneta grauetur. atque post pre-
dictam eleuationem per singula puncta circumflectatur. In interrogationibus uero
atque percunctationibus uox legentis necesse est accuatur. sed paulo uehementius
quam in accuto accento. Hec nota est interrogandi? Hec percunetandi? Hec ne-
gan[col. &|di. Inter percunctationem autem. & ilnterro|gationem. Hoc ueteres augu-
stin[ | inter esse dixerunt (2). Quod ad percunctatio|nem | multa responderi
possunt. Ad in|terroga|tionem autem. aut non. aut kiam. U| | percunctando le-
gimus. Quis accusab[it ]uersus electos dei? Illudque quod | | sono interrogantis
enunciatur. Deus | edi |ficat ? Ut tacite respondeatur. | | Itemque percunc-
tando. Quis est qui con) ] Interrogando quod sequitur. Christus iesus. &| |
Usque qui &iam interpellat pro nobis? Ut | respon|deatur. non. Negando autem
legimus|in Jiob. Numquid dominus supplantat iudi|cem |aut omnipotens subuertit
quod iustum est | Jac si dicer&. Dominus non supplantat | | quia iustus
iudex est. & omnipotens non sub|uertit| quod iustum est. quia rectus est & iustit|ia
re|git. non subuertit.
De mensura cybor[|um].
XXXVIII. “ Sufficere credimus ad refecti]onem] cotidianam. tam sexte quam
“ n|one} omnibus mensibus. cocta duo pulmenta|ria| propter diuersorum infirmitates.
“ V[t forte| qui ex uno non potuerit edere. ex|alio re|ficiatur. Ergo duo coeta
“ pulme|ntaria] fratribus omnibus sufficiant. & si fue[rit| unde poma aut nascentia
legum|inum] addatur & tertium (3). In quibusdam re|gulis] inuenitur mensis. sed
melius est mensibus [quia a |iugitate temporum dictum intellega|s|. Ac si aliis rebus
dicer&. Omni tem|pore| estatis seu hiemis. sufficere | | aut cotidianam refec-
tionem tam se|xte quamjnone duo cocta pulmentaria. |refectio|] autem cotidiana
intellegitur ita. |ut sicut| diebus priuatis. ita &iam in sollem[pnibus| reficiatur. idest
ut duo pulmentari[a| debeant esse in sollempnibus sicut in [diebus].
Verso.
Col. «. |priua]jtis propter illud quod patres nostri in di|ebus pri|uatis mandu-
cabant ad nonam. [in s|ollempnibus ad sextam. & ita tantum |man]ducabant inter
sextam & seram. ut non plus [in] diebus priuatis manducarent ad |nonam]|. Quia so-
lummodo illum cybum quem ad no|nam m|anducabant. ipsum manducabant | ad sex |tam.
& seram. Sed meliores aliquan[tulum si]ue tria pulmentaria cocta. nam nu[meru]m
augebant. In eo quod dicit ad refec|tionem| cotidianam. datur intelligi. ut ad
re|fectio nem sollempnium dierum aliquid plus et mellius|] debeat. Pulmentaria uero
multis mo|dis dicu]ntur. Sed hoc loco non aliunde pro certo dicitur |sic ]ut de piscibus.
aut de leguminibus. seu [de he|rbis. uel farina. De piscibus quidem habemus [testi-
mjJonium in euangelio. domino dicente ad dis|cipul]os suos post resurrectionem qui
(1) Sul margine interno, fra le due colonne Nota in nesso.
(2) Ms. dixer.
(3) Sul margine, in monogramma; Nota.
222 CARLO CIPOLLA
l
dum pisca|rent| apparuit illis. & interrogauit eos |qui]d pulmentari haberent. & cum
ue|neru|nt ad terram. uiderunt (1) prunam & panem super [prunam] & piscem. Di-
citur quoque pulmentum de legu|minibus| sicuti habes in libro geneseos ubi | legitur]
coxit iacob pulmentum. quod fuit de len|tibus] factum. Dicitur &%iam pulmentum
quod fit |ex hole]jribus uel farina. sicuti habes in libro dal nieli|s prophete. quia coxit
pulmentum ab acuc| ]rium panes in alueolo ut ferr& in ca] Jessoribus quod
nichil aliud fuit nisi |co|ctum ex holeribus. Tradunt namque ma|iores| quia quicquid
pani adicitur ut melius | |latur pulmentum dicitur. Pulmentum autem. ut |isi-
do |rus ait uocatur a pulte. Sine &tiam sola | jJue quod (2) aliud alicuius per-
mixtionis. | | pulmentum non incongrue dicitur. Nam qualis | cibus | monachorum
debeat. manifestatur | |Jo libro institationum. ubi sic legitur. |Sumen]dus est eybus
non tantum qui concupiscentie |ferve|ntes aestus temper& minusque succenjcol. d|]dat.
uerum diam qui ad parandum (3) sit facilis. & quem ad emendum oportunior est
milioris pretii compendium prest&. quique sit conuersationi fratrum. usuique com-
munis. Redditur plane causa quare duo pulmentaria cocta dixerit. cum subiunxit.
Propter diversorum infirmitates ut forte qui ex uno non poterit edere. reficiatur ex |
alio. Per hoc quippe datur intellegi. ut qui ex ambobus potest edere. tam temperate
ex ipsis edat. ac si nisi ex uno eder&. quatinus in ipsis semper non edacitas sed
sobrikas regn&d. Nascentia uero leguminum intelleguntur germinantia. Quia mos est
illius terre. uel aliarum prouinciarum mittere legumina in aquam & cum germinata
fuerint, tunc ea manducant. Hoc autem notandum est. quia in diebus priuatis si non
fuerit calor aut maximus labor duo debent esse ad sextam pulmentaria cocta. &
unum crudum. & ad seram tertium coctum. sì cenaturi sunt. ad estimationem panis.
idest quia sic ipse dicit duas partes libre panis deb& monachus manducare ad sextam.
& tertiam ad seram. ita &iam de pulmentis intelligitur. Hoc notandum. quia poma.
aut ad sextam. uel ad seram debent dari ad cenam “ SQ (4) Panis libra una pro
“ pensa sufficiat in die. sine una sit refectio. sine prandii & cene. Quod si cenaturi
“ sunt. de eadem libra tertia pars a cellarario reseruetur. reddenda cenaturis. Quod
“ sì labor forte factus fuerit maior. in arbitrio & potestate abbatis erit si expediat
“ aliquid augere. Remota pre (5) omnibus crapula ut numquam subripiat monacho indi-
«“ geries. Quia nichil sic contrarium est omni christiano quomodo crapula. Sicut ait
“ dominus noster. Uidete ne grauentur corda uestra in crapula. Pueris uero minori
“ aetate non eadem seruetur quantitas. Sed minor quam maioribus. seruata in om-
“ nibus parcitate. Carnium uero quadrupedum omnino ab omnibus abstineatur com-
“ mestio preter (6) omnino debiles & egrotos ,. In diebus uero sollemnibus uel quando.
Fol:i 2 recto, col. a.
Si correctus fuerit liber & postquam. legerit ante magistrum (7). & tune ipse
(1) Ms. uideî,
(2) Ms. 4d.
(3) Correz. antica da parendum.
(4) Cioè: Sequitur.
(5) Ms. p.
(6) Ms. pter.
(7) Ms. anmagistrum, colla sillaba te aggiunta dopo an da altra antica mano.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 223
lector male legerit. perlecta lectione pro hoc uadat in loco constituto ante altare.
et ibi petat ueniam. Si autem per consuetudinem male legerit. & non emendauerit.
corripiatur pro hoc in capitulo. Si autem qui psalmum. responsorium. aut antiphonam
pronunciat, ita fallit ut chorum perturb&. ipse pariter & chorus genua flectat. Si
uero se & non chorum turbauerit. tantum ipse flectat genua solus. Quod autem dicit
maiori uindicte subiaceat. sic est intellegendum ut obiurgetur in capitulo coram
omnibus & si se postea non emendauerit. excommunicetur simpliciter. & si adhuc
perseuerauerit. ducatur per reliquos gradus usque ad expulsionem. Notandum autem
quod dicit. Infantes pro tali culpa uapulent. non dicit si fefellerint. sed si non satis
fecerint non sunt ducendi per alios gradus. nisi tantum ut moderate flagellentur. ne
fiat neglegens. Et cum pro aliqua culpa flagellandi sunt nullomodo fiagellentur in
capitulo. sed in scolis ubi discunt tantummodo. Uerumptamen hoc ualde precauendum(1)
est. ut neque paruus neque magnus percuciatur umquam in ecclesia. quia hoc ualde
contradicit regula. ubi dicit. Oratorium hoc sit quod dicitur. nec ibi quisquam aliud
geratur. nisi cum summa reuerentia creatori nostro famuletur. Infantes enim in hoc
loco. intelliguntur illi qui in custodia sunt generali. Deb& enim abbas talem fratrem
‘ constituere qui sedeat iuxta lectorem. sicut diximus. ut eum possit emendare. atque
corrigere. quando fefellerit. siue ipse intelligere possit quando ei silenter corrigit.
quia nullo modo permittit regula inibi cuiquam loqui. sed proter (sic) uitium lectoris.
atque ipsius //////{//{{{s quod legitur. concessum est. ut lectio lecto[ris| emendetur.
De his qui in aliquibus deliquerit. uel fregerit [col. 8] xLvi. “ Si quis dum
in labore quouis |in equina,] in cellario. in ministerio. in p|istrino.] in horto. in
arte aliqua dum laborat |uel|]in quocumque loco aliquid deliquerit | aut | fregerit quip-
piam. aut perdiderit. uel a|li]quid excesserit. ubi & ubi & non inuenien[|s] continuo
ante abbatem. uel congregation|em} ipse ultro satisfecerit. & prodiderit delictum
suum. dum per aliud cognitum fuer|it] maiori subiaceat emendationi. Si ani]|ma | uero
peccati causa fuerit latens. [tantum] abbati. aut spiritualibus senioribus pa[tefa-
ciant] qui sciant curare sua & aliena w[ulnera] non detegere et publicare ,. B[ |
dixerat de satisfactione tam g|rauium|quam lewium culparum. & satisf[|actio | fallen-
tium in oratorio. Dicit non |satis]|factione illorum qui in aliquibus rebus | | ut quod
deerat sibi unum quodque ca| |suppler& uicinitate coniunctum | | sensus ibi iun-
guntur. iungere | |ordine. “ Deliquerit, idest per incu|riami |uerit. & attin& ad illum
dampn|um | aliquid sic uersatur. , ut recoliigi [| |“ Fregerit. adrumpere. “ Ex-
cess[erit] pertin&. ad sonitum facere quand|o silen|tium debent custodire. uelu|t in
refe]torio. cum cuppa. uel cultellum. |uel co [cliare in terram ceciderint. uel s|parserit |
aliquid uini. uel aliquid aliud sic | fecerit ] ut sonitum cunctis audientibus | |. Excedere
enim est modum transi|re, et si] modum quis transit. tunc excedit | |enim est moetas
siuee modos tra|nsire] &iam excedere. ad uerba att| | alicui. uerbum durum dicit.
Ue] |iniunctum offitium aliquod super fa|mulos &|] super fratres. & pro increpatione
pl] lillis quam oportuit. uel in ration| ||verso, col. a][|aliquam Seu forte/////
dixisti alicui homini &iam | |subiecto uerbum durum. debes pro huiusmodi exces-
sibus abbati soli confite[re|] secrete. uel congregationi. Similiter |si| forte cum incidis
“%
(1) Ms. peavendum.
224 CARLO CIPOLLA
panem. & incideris |m]elotam. aut aliquod uestimentum. tune abbati soli debes con-
fiteri. & deb& inquiri si pro ioco sit deb& in caput secundum regulam iudicare. &
si non. deb& ei dimittere. [Quod autem dicit. non detegere. aut publicare. | dete |gere.
attin&. ad disco operire| |peccatum latens. Publicare autem |adtinet| ad palanter.
siue ad manifestatio|nem pecc|ati. quod est occultans. “ Quod autem dicit | Jos
continuo. ita intelligendum. | |statim deserat illam obedientiam.| |et nunciare.
& tune nunci&. De | |abb. propter maliuolos et inuidos | |]ere tempus quando
qui excesserit [| |uel fregerit. pro suo excessu ueniam |petat| Uerbi gratia. Si hodie
excesserit |crastin]o die ueniam petat. Ideo diximus [in|uidos. & maliuolos. quia sunt
multi [ini|qui atque accusatores qui cum uiderit || aut excessum factum. antecedit
| Jt abbati. quatinus ille qui exces|serit |ri uindicte subiaceat. sicut regu[la dicit].
per alium cognitum fuerit. mafiori subia|ceat emendationi. Ac per hoc si | ] te
tempus petende uenie hoc est | |itulum alterius diei nunciaue|runt |e qui excessit
non teneatur adhuc| |s in eo quod non manifestanit delic|tum, s|ji uero in statuto
tempore ueniam |non peta|t & postea alter nunciauerit | abbati,| tune ille qui neglexit
ueniam petere | debeat su|biacere maiori emendationi |col. 5] sicut regula dicit. Ut si
uerbigratia. debuit antea ad unum offitium ueniam petere. postea petat ad duo.
similiter si per duo penitere debuit antea. postea peniteat per quattuori Si autem
parua res fuerit ueluti est cocliare olei. uel fialam uini. deb& abbati solummodo nun-
ciare & ueniam petere. Si autem maius dampnum est quia non potest sine iuditio dimitti.
tunc deb& ante congregatione uel abbati ueniam petere. & secundum culpam & inten-
tionem peccantis. ita deb& extendere uel minuere iuditium e0 quod res monasterii
sicut regula dicit sancta est. & nimis diligenter deb& tractari. Unde legitur in
libro. IKI.*° institute patrum. qualiter monachus pro tribus granis lenticulis peni-
tentia subiectus fuit. Que ebdomadario festinanti, Dum eam preparat. coctioni. inter
manus cum aqua qua diluebatur elapsa sunt. Quod si uero tam paruum fuerit dampnum.
deb& ei iniungi cantare duos uel tres. aut quattuor psalmos. Sciendum est. quod
dicit excesserit. potest &iam intelligi obliuio alicuius rei que oblita est. In hac obli-
uione discretio necessaria est. quia non nominis res equalis est. uerbi gratia. Si
magna & sancta res est. & in rustico loco oblita est. tunc deb& ueniam petere. non
tantum quia obliuioni tradidit. set (1) &iam quod in rustico loco eam posuit. Si autem
in refectorio excedit hoc est si cocliare cadit. aut cultellum. aut cuppa. & faciunt
sonum. tunc deb& surgere & flectare (2) ueniam. Abbas autem si paruus sonus factus
est. deb& illi innuere. ut non petat ueniam. Infantes uero uel &tiam qui sub custodia
sunt. si sonum in refectorio fecerint. aut rumpunt uel perdunt aliquid. ueniam debent
petere ante abbatem sicuti maiores. Nam quod se ////{{{{{{/r. si uero anime peccati
causa laten|ter] fuerit de hoc tantum. excessu quod ad ipsum |s]olum. |
(1) Ms. esprime set con la s seguita dalla nota tironiana esprimente et.
(2) Ms. flectare, colla a mutata in 2; ma poi con un punto sovrapposto si annullò la e.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 225
VI.
Frammento di un libro “ de computo ,.
Di tutt'altra natura, ma pure importante è un altro frammento, che fu staccato
il 10 marzo 1894 da un registro contenente la nota dei contribuenti al monastero
della Novalesa, al quale serviva di copertura. ll registro fu scritto negli ultimi
anni del secolo XVI.
È un foglio doppio (ossia 4 pagine), nel quale il testo è distribuito sopra due
colonne per pagina. Il carattere, minuscolo corrente, chiaro, quantunque non molto
regolare od elegante, è alquanto serrato. Le iniziali maggiori sono in rosso, e le
altre sono in nero, ma illuminate in rosso. Sono di formale rustica, con mescolanza
di lettere onciali. Alla fine della colonna 5 del f. 2, c'è una didascalia, in rosso, i
cui caratteri sono per la maggior parte onciali, tranne la V, e aleune lettere minn-
scole ingrandite, cioè a, p, st.
Di abbreviazioni notevoli poche ne trovai. Avverto: qd (= quod), -b;, -b (= -bus),
“<q. (= que). La forma verbale est abbreviasi nei due modi: e, =. Noto il nesso s-f.
La r è leggermente prolungata inferiormente; da ciò peraltro non si può conchiu-
dere alcun che di certo sulla data del ms., dacchè una tal forma si continua alquanto,
sebbene con poca frequenza, lungo il sec. XI. L'ultima asta a destra, sia della w sia
della n è sentitamente ripiegata a destra, con distacco preciso dalla scrittura carolina
arcaica. Le parti rotondeggianti nelle lettere 6, p, ecc. non sono molto spiccate.
Manca la « aperta. La sillaba et non compendiasi che in &. Esaminando singolar-
mente le lettere, non. vi troviamo molto patente l'influsso del corsivo, ma il complesso
della scrittura, e lo avvicinarsi delle lettere l'una all'altra, dà al nostro frammento
un vero colorito arcaico. Gli ingrossamenti a cuneo nelle aste delle lettere 4, 4, ecc.
mancano. Il complesso di questi dati mi consiglia a supporre che il codice sia pro-
babilmente del secolo XI in.
Sull’intero fol. 1r e v, e su quasi tutto il fol. 2r (col. a e parte della col. 6).
leggesi un trattato de computo, che non riuscii a identificare. Ha qualche rassomi-
glianza con uno di anonimo, che viene attribuito al IX secolo (1). Ne riferisco per
saggio il tratto, col quale il nostro frammento si inizia.
Fol. 1r, col. a.
“|Si] quis uero scire cupit cyclus lune sumat annos ab origine mundi ex quibus
XIII subtractis ceteros diuidat per XUINI. & quot remanserint ipse est ciclus. Si
autem nihil remanserint (sic) XUITI est.
[Sji uis uero scire quotus sit ciclus lune, sume annos ab origine mundi. adde
cum ipsis regulares V hos partire per XUIIII part|em, quod rem|an& ipse est ciclus,
at si nihil remanserit XUHII erit.
(1) Mione, CXXIX, 1368 sge. Veggansi in forma condensata, le medesime teoriche svolte nel
Computus Paschalis di Cassiodoro, ivi, LXIX, 1249-50.
Serie Il. Tom. XLIV. 29
226 CARLO CIPOLLA
Si uis scire quotus sit ciclus decemnouenalis, sume annos ab initio mundi, adde
cum |ipsi]s regulares UIL hos partire per | XUILHT| partem, quot reman& ipse est
evcelus. Quod si mihil remanserit, decemnouenalis erit.
Si uis scire quotus annus est ab incarnatione domini nostri iesu christi ordines
indictionam |sume] replica quindecies, adde & regulares XII. & indictionem eiusdem
anni in quo computare uolueris, hoc tantum esto sollicitus, ut succedentibus annis
semper cum ad XV indictionem ueneris ad indictionuam ordines unum addere ne
obliuiscaris.
Ad complendum bissextum in uno mense uiginti momenta indu |col. d| pl.....
...in anno sex |h]ore in quattuor annis dies et nox acrescunt et ..... bissextus
dicitur quia bis sex|tus| kalendas martii hab& ,.
Fol. 2 r. col. 3, verso la fime: # DE LAVDE COPOTI AVGVSTIN?. DIC.
Quattor (1) sunt necessaria in ecclesia dei. Cantus diuinus in quo narratur et prae-
dicatur (2) wita futura. Hystoria in qua gesta rerum narratur (sic). Numerus in quo
facta futurorum et sollempnitates diuine dinumerantur. Grammatica in qua scientia
|fol. 2 ©, col. a] uerborum intelligitur. Iste sunt quattuor diuisiones scripturae. quasi
quattuor fundamenta. || Item ysidorus in laude compoti dicit. Ratio numerorum con-
tempnenda non est — ,.
Finalmente alla col. è comincia un discorso sull’ atomo, che spetta a S. Isidoro
di Siviglia (3). Comincia: “ Athomos (4) philosophi uocantur (5) quasdam — ,. Tron-
casi alla fine della colonna, colle parole: “ — Uerbi gratia annum diuidis in tem-
poribus ..
Varianti più notevoli in confronto all’ edizione del Miexr. Il nostro codice ha:
uocantur, corr. coll’ aggiunta della sillaba vera (M uocant), mensuram (M tounv),
& athomi (M & dtopov), hii (M Hi), inanem (M inane), aerem inqui&is (M irrequietis).
uolitari (M uolitare), illuc que (M illuc), tenuissimus puluis (M tenuissimi pulveres),
infusus (M infusi), uidetur (M uwidentur), Ex his (M Ex iis), aut in numero (M aut
in numero aut in litteras), ipsas partes (M et partes ipsas), Uerbi gratia annum
(M annum verbi gratia), in temporibus (M in menses).
VII.
Libri di Cronache.
Nella quarta Memoria sulla Biblioteca Novaliciense avrò occasione di parlare
diffusamente di un volumetto contenente (6) gli inventari compilati da Pietro de
(1) La Q in rosso, è di forma rustica.
(2) Ms.: pdicatur.
(3) Etymol., lib. XUHI, cap. 2 (Mrene, LXXXII, 472-3).
(4) La «, onciale, è in rosso.
(5) Una mano posteriore. ma pure antica, sovrappose veru, quasi per ridurre la parola a: uoca-
uerunt.
(6) Abb. della Novalesa, b. LXV. Arch. di Stato di Torino.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 227
Allavardo vti procurator et negotiorum gestor di Andrea da Provana, che fu priore della
Novalesa, negli anni 1502 e 1512. In esso figurano molti documenti, ma dei volumi
della biblioteca per ordinario non si tiene memoria. Non si dava importanza ai libri,
poichè non pareva costituissero un valore, e non servivano ad assicurare i diritti
del monastero. Fa eccezione peraltro una cronaca papale e imperiale, che dovea
essere una compilazione sul tipo di quelle posteriori di Ricobaldo da Ferrara e di
Martino Polono; quel volume, per quanto pare, era chiuso insieme coi documenti.
L'anzidetta cronaca viene così descritta dall’inventario del 1502: “ Catalogus Roma-
norum pontificum et Imperatorum, in quo notabilia gesta eorumdem ac dies, menses
et anni succincte continentur, quorum pontifices sunt numero 162 a beato Petro citra
usque ad Gregorium nonum inclusive, Et imperatores regnantes ab incarnatione Christi
anno primo citra numero 100, videlicet ab Octaviano semper Augusto usque ad Fede-
ricum etiam imperatorem regnantem anno predicte incarnationis Christi 1220 ,.
L'inventario del 1512 nulla aggiunge, anzi è più laconico.
Quel volumetto è rilegato con una pergamena, sulla quale una mano del sec. XV
trascrisse un documento del 1377. Sull’ultima faccia esterna di detta pergamena
leggonsi, scritte da una mano del sec. XV cadente (?), pochissime note storiche, che
qui riproduco, avvertendo ch’esse hanno stretta relazione col Chron. parvum Ripaltae (1).
“ Anno domini Millesimo 13° xLvi) Fredericus imperator dedit Ripolas comitti
Sabaudie,
“ Anno domini w°.ccc x° dominus Henricus de Lucembor rex seu imperator Roma-
norum intrauit in Italiam, transeundo per montem Cenisium desuper Secusiam et
de anno domini wm° ccc xt] ipse imperator mortuus est de mense Augusti ,
VII
Libri sacri.
Fra i libri sacri dell'Abbazia doveva certamente tenere uno dei posti più splendidi
il testo degli Evangeli scritto dal monaco Atteperto, per comando dell'abate Fro-
doino, verso il principiare del secolo IX. Il cronista (2) ne trascrisse alcuni dei versi,
che Atteperto aveva scritto in testa al volume. Quel codice che era stato salvato
dai Saraceni, possiamo figurarcelo in bella e grande e nitida calligrafia, siccome si
usava scrivere libri di tal fatta in quei tempi, in cui d'ogni parte si diffondeva
la cultura, di cui era focolare la scuola calligrafica di Tours. Atteperto era senza
dubbio un amanuense dalla mano sicura ed elegante, se a lui fu affidato un sì dif-
(1) Murarori, R. I. S., XVII, 1321-2. Uno studio ms. del De Levis per l'edizione critica della
ChFonica parva Ripalte può vedersi nell'Archivio dell’Economato di ‘Torino, Abazia di Ripalta,
busta XXV. Nella biblioteca dell’Accademia delle Scienze conservasi una pergamena del sec. XV in.,
gentilmente mostratami dal prof. E. Ferrero, la quale reca alcune note storiche, che stanno in vi-
cinissima relazione colla suddetta Cronaca.
(2) Lib. III, c. 19 (ed. Bethmann, MGH., Script., VII, 113).
228 CARLO CIPOLLA
ficile incarico; e ben possiamo credere che molti altri codici egli abbia scritto. Verso
la metà del secolo XI l’abate Oddone, secondo che impariamo dal cronista (1), ven-
dette “ texta aevangeliorum ,; evidentemente qui si tratta di Evangeliario diverso
da quello di Atteperto, il quale fu veduto in monastero dal cronista.
Con certezza non possiamo determinare se questi volumi, al tempo del cronista,
si trovassero alla Novalesa od a Breme. Fino a prova contraria, possiamo credere
ch'essì avessero fatto ritorno al caput prius dell'abbazia, assieme colle reliquie di
S. Eldrado, e con quello che di più antico e prezioso erasi conservato dell’antico
monastero.
Nessuna bibbia, o frammento di essa, ho potuto trovare. Più fortunato fui in
riguardo ai libri liturgici.
Un volume liturgico completo e veramente notevole conservasi attualmente
presso la prevostura della Novalesa, e mi fu cortesemente indicato dall’attuale pre-
vosto, il quale si prestò come meglio egli potè, perchè io avessi tutto l’agio di esa-
minare quel libro, veramente importante anche come documento paleografico. Trattasi
di un grosso messale, pergamenaceo, di fogli 280, non compresi due fogli di guardia
al principio, e pur senza contare il foglio di pergamena che al principio e al fine
del volume sta incollato sulle parmole lignee. La legatura in legno è antica, ma non
del tempo; le parmole erano originariamente coperte da marocchino rosso, con
ornati ad impressione, il cui motivo è la rosa chiusa in cerchiello; ma del maroc-
chino non rimangono adesso che scarsi brandelli. Pare che questa legatura sia da
attribuirsi al sec. XV (2).
Sul principio, la faccia scoperta del foglio incollato sulla parmola e i due fogli
di guardia sono coperti da orazioni di varie mani, e caratteri, dal secolo XI al XIV
incirca. JI messale è di bellissima scrittura, con ornati eleganti, quantunque non
siano’ eseguiti con estrema diligenza. Il testo è in grosso minuscolo quadrato, di
forma abbastanza avanzata, e perciò fino dal primo sguardo apparisce come appar-
tenente alla metà incirca del secolo XII; non lo farei risalire alla fine del secolò
precedente. La sillaba “ et ,, dov'è abbreviata, viene espressa col nesso corsivo &.
Tuttavia non manca in modo assoluto anche il segno 7 (f. 271 +). Nelle parti mu-
sicate, che sono molto numerose, si impiegò un minuscolo di minore grandezza. Le
rubriche e le prime linee di alcuni tratti variano di carattere; per ordinario sono
in maiuscolo prossimo al capitale con mescolanza di onciale; ma in qualche caso il
carattere onciale ha la prevalenza. Le iniziali nell'interno del testo, sono di piccola
grandezza, e in nero, con illuminazione rossa. Le iniziali dei capoversi sono di mag-
giore dimensione, e, tranne pochi casi, tutte a colori. A tali iniziali maggiori corri-
spondono rare iniziali interne al testo. Al principio dai tratti più rilevanti vengono
adoperate iniziali di forma assai grande, ornatissime, a colori rosso, giallo, verde e
bianco (3), ed eseguite con vivace fantasia, quantunque (come si è accennato) non
(1) App. 10.
(2) Questo è l’autorevolissimo giudizio datone dal cav. Francesco Carta, prefetto della Biblioteca
Nazionale di Torino, al quale mostrai il codice, ch'ebbi in prestito dalla somma cortesia del prevosto
della Novalesa.
3) Il colore azzurro che con qualche frequenza vi si incontra proviene dalla mano inesperta
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE
229
230 CARLO CIPOLLA
con tutta la precisione e la correttezza desiderabili. Nel maggior numero dei casi
queste iniziali massime sono ad intreccio: è un nastro che si annoda nelle forme
le più svariate. Ma in alcuni casi si trae invece profitto da animali più o meno
fantastici. Pubblicando i miei appunti presi dal codice già Novaliciense, ed ora della
biblioteca reale di Berlino, riprodussi una D come prova di penna disegnata al fine
del codice. Anche quella D è formata di animali e trova riscontro con due D del
presente ms. (foll. 380 e 189), delle quali una viene riprodotta nella Tavola.
Il maiuscolo viene adoperato anche in altri casi, e specialmente nelle didascalie,
e nelle prime parole che fanno seguito ad una iniziale di massima grandezza. L’ama-
nuense, pratico del capitale, del rustico e dell’onerale, seppe far uso, con molta arte,
di queste diverse forme di lettere, e variò l'illuminazione, l’intreccio delle lettere, ecc.,
per accrescere l'eleganza dell’insieme. Inserisco qui le riproduzioni di alcune iniziali
di mezzana grandezza, che sono ordinariamente in rosso, alterate da posticcie illu-
minazioni gialle e verdi. Trascelsi quelle forme che mi parevano più caratteristiche,
e anche più artistiche: e posi l’una accanto l’altra varie forme di una stessa lettera,
perchè il lettore si facesse un concetto dell’abilità dell’amanuense.
La bellissima D onciale è presa dalla faccia recto del f. 278, e con essa ha
principio (“ Deus qui nos beati saturnini martiris — ,, sotto la rubrica: “ Saturnini
martyris ,) la sezione delle solennità dei santi. Questa parte del Messale è preceduta
dalla relativa didascalia scritta sulla faccia verso del f. 277, la quale è in rosso, in
maiuscole capitali, mescolate con qualche onciale: In nomine pomini Incrprvnt MISSE In
SOLLEMPNITATIBVS SCORVM AB ADVENTV DOMINI vsove In oorapas pascua. Noto: la
ultima è di Domini ha un ingrossamento mediano, quale è ovvio p. e. nelle iscrizioni
dei sec. XII e XIV, ma pur s'incontra anche in scritture antichissime ; la p di sollem-
nitatibus, prima dimenticata, fu aggiunta interlineamente, e le due Z della medesima
parola hanno assai prolungato inferiormente l’apice della linea orizzontale, com'era
dell'uso arcaico; or di sanctorum, in nesso. Dacchè l'opportunità si offriva, non era
male, penso, il mettere in rilievo questi interessanti fatti paleografici.
Nei facsimili che comunico in fototipia, e che io devo alla singolare perizia del
cav. Luigi Cantù, il lettore troverà una M onciale, cogli apici delle aste laterali
disposti orizzontalmente così da farci presentire di lontano il gotico. Le virgolette
sopra alcune i minuscole, che pure appariscono in quella tavola, sono aggiunte assai
posteriormente alla scrittura originaria.
Godo che qui, avendo ricordato il nome del cav. Cantù, mi si offra l'occasione
di ringraziarlo non solo della esecuzione delle fotografie, ma ancora di quelle spie-
gazioni, che egli, versatissimo in cose d’arte, mi favorì, riguardo alle descritte illu-
minature delle maiuscole, facendomi osservare come si possa distinguere ciò che
appartiene al primo artista, da quanto devesi attribuire al contraffatore.
Il complesso degli esordì di alcuni tratti, che si iniziano con una maiuscola di
massima grandezza, e si continuano per tutta la linea con caratteri capitali più o
di qualche guastamestieri relativamente moderno. Il cav. L. Cantù nell'eseguire le riproduzioni
fotografiche, che si annettono a questo studio, ebbe occasione di constatare con quanta poca abilità
lavorasse colui che si arrogò di ritoccare l’opera dell’antico e valente amanuense.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSP 231
meno ornati, m nero, senza essere un lavoro yaro, è tuttavia un’opera squisita. L’ama-
nuense trasse partito da tutto; nelle maiuscole che fanno seguito ad una maiuscola di
massima grandezza, legò una lettera all’altra, formò nessi, incluse una o più lettere in
altra lettera. Fra i luoghi, sotto di tale rispetto, degni di maggior considerazione, rilevo
il foglio 191 recto (tavola, fig. 2). Quivi abbiamo una grandissima P iniziale, costituita
da tenie bianche intrecciantisi fantasticamente in nodi estremamente complessi. Nel-
l'interno della pancia della P lo sfondo è in parte rosso e in parte giallo; mentre lo
sfondo esterno è verde. Alla P segue sulla stessa linea: VER NATVS EST. La Eela R
di puer sono legate. In natus la s attorciliasi alla seconda asta della V. La voce est è
costituita da una È rotonda, onciale, entro alla quale si trovano le due lettere S e T,
l'una sopra l’altra. Queste lettere tutte di forma capitale, tranne la È. sono nere, e
illuminate con tratti rossi e gialli. Il prolungamento inferiore della iniziale P_va sino
ad intrecciarsi con una (, egualmente di forme grandissime, e formata dai fantastici
nodi di una tenia bianca; anche qui il fondo interno è in parte giallo e in parte
rosso, mentre verde è il fondo esterno. Ma queste due grandi iniziali, che riproduco
in fototipia, non sono per altro prive di ritocchi di tarda età. li fondo verde, con-
tornato da una linea rossa, va certo attribuito ad un tardo contraffatore, che andava
in cerca di buoni effetti, a mezzo di tinte calde. Quello sciagurato sciupò malamente
un buon numero di iniziali, maggiori e minori. Soltanto coll’esame attento del disegno
e considerando la specie di tinta adoperata, si può distinguere, almeno in parte, l’an-
tico dal nuovo. Dovunque, quello era più semplice e sobrio di tratti e di colori. Sicchè
le tinte sfacciate adoperate dal contraffatore contrastano con le antiche, più semplici
ad un tempo e più corrette. Anche le illuminature hanno spesso eguale origine. Forse
l'antico amanuense sì servì soltanto di colori giallo e rosso: infatti il verde e l'azzurro
spesso sono stati dati con vera trascuranza. Segue alla €, sulla stessa linea natural-
mente: “ OCEDE QS OMPS .. Cioè: * Co|n|cede quesumus omnipotens ,. L'amanuense
dimenticò la N di Concede e la sostituì interlinearmente in rosso. La E di concede è
inclusa nella D, e la Q di queswnus comprende la S. La 0 di omnipotens è attraversata
dalla prima asta della M, la cui ultima asta si confonde con quella della P; il segno
di abbreviazione taglia la P e la S. Queste lettere sono in capitale, tranne la È
onciale: sono in nero illuminate in rosso, giallo, verde.
Le rubriche sono in rosso.
Più volte le maiuscole di media grandezza hanno certe illuminazioni a scacchi,
che incontreremo nel frammento di Corale del secolo XV, trovato nell'Archivio di
Stato di Torino. Così una E onciale è illuminata con due scacchi gialli, interni, l'uno
sopra, l’altro sotto alla linea trasversale. Ma non è facile, a tale riguardo, distin-
guere fra l’opera del tardo falsario, per fermo inetto miniatore, e quella del primo
amanuense, che sempre è sobrio nell'uso dei colori, esperto nel misurare gli eftetti
dell’opera propria, schivo dei lavori ad effetto, ma per contro esperto assai e franco
nel disegno. Le illuminature a giallo e nero appariscono brutto lavoro di tarda epoca.
Esse sono della natura seguente. In una N, p. e., un triangolo formato dalla trasver-
sale con una delle rette è dipinto in rosso, e l’altro in giallo.
Le iniziali a tenia intrecciata, e l’uso di scrivere in capitale le lettere che fanno
seguito a siffatte iniziali di massima grandezza, trovano riscontro quasi a dire per-
fetto e pieno con alcuni mss. Cassinesi attrituiti al IX secolo, e de' quali abbiamo
232 CARLO CIPOLLA
in pubblico alcuni ottimi saggi di riproduzione cromolitografica (1). La rassomiglianza
si spinge sino al modo di illuminare le lettere capitali, le quali, come nel nostro
codice, sono in nero. Ma non per questo posso far risalire il nostro codice sino al
IX secolo, giacchè i dati che abbiamo desunti particolarmente dal minuscolo, ma che
pur riappariscono nei due maiuscoli minori, parlano troppo chiaro, perchè si possa
far risalire il codice a tanta antichità. Forse alla Novalesa le vecchie tradizioni
benedettine si conservarono assai a lungo. Era quello un luogo così lontano dal con-
sorzio degli uomini che una tradizione aveva modo di meglio perpetuarsi. Potrebbesi
tuttavia chiedere perchè l’uso antico siasi continuato solo per le iniziali di massima
grandezza e non per gli altri caratteri.
Il codice presenta numerose correzioni ed aggiunte, fatte in vari tempi e da
molte mani. Le più antiche non possono essere di molto posteriori al codice, e si
possono attribuire alla metà incirca del sec. XII. Così p. e. la sostituzione di una
rubrica al f. 203 v ha un aspetto di alta antichità, un'aggiunta al f. 264, è in mi-
nuscolo regolarissimo, quale si usava verso il principio del sec. XII.
Non posso dimenticare che più volte nelle rubriche abbiamo la et rappresentata
dal solito corrispondente segno tironiano (cfr. p. e. fol. 204 0, 205 0); anche questo
è un indizio in favore dell’età, che mi sono studiato di attribuire al presente codice.
Nelle ultime parti del messale si commemorano due personaggi, cari al mona-
stero Novaliciense, cioè S. Walerico e S. Eldrado (2). Questo basterebbe ad attri-
buire questo messale all'abbazia della Novalesa; ma ciò viene anche confermato da
altri dati, che espongo in nota (3).
(1) Paleografia artistica di Montecassino, tav. X. P
(2) Fol. 184 » (rubrica in rosso, IN in nesso) IN S WALERICI. Exaudi (la E iniziale è onciale,
in rosso) quesumus domine preces nostras. quas in sancti vualerici confessoris tui sollempnitate
deferimus. ut qui tibi digne meruit famulari. eius intercedentibus meritis. ab omnibus nos absolue
peccatis. per. SCR (rosso).
Sancti (iniziale in rosso) tui vualerici quesumus domine annua sollempnitas pietati tue nos
reddat acceptos. per hec pie placationis officia. & illum beata retributio committetur. & nobis
gratie tue dona concedat per. AD COMPL (in rosso).
Beati (iniz. in rosso) vnalerici confessoris tui domine intercessione placatus. presta quesumus.
ut quod temporali celebrauimus actione. perpetua [f. 184 ©] salutatione capiamus. per. (segue la festa
di S. Lucia).
Fol. 217 » (in rosso, IN in nesso) IN S HELDRADI ABBATIS.
Deus (iniz. rossa, illuminata in giallo) qui nos beatissimi heldradi confessoris tui atque abbatis
letificas commemo]f. 217 r]ratione sollempni. da nobis quesumus eius perfrui eterno consortio. cuius
festino gratulamur offitio. per. SCR (rosso).
Adesto (iniz. in rosso, ill. in giallo) quesumus domine precibus nostris. adesto muneribus ut
que pro beati heldradi confessoris tui sollempnitate deuote offerimus. salutaria nobis esse sentiamus.
per. AD COPL (rosso).
Salutaribus (iniz. rossa, ill. in giallo) repleti muneribus quesumus domine sancti confessoris
tui heldradi continuum nobis non desit suffragium. ut cuius festo letamur. eius semper auxilio
muniamur. per.
Da (iniz. rossa, ill. in g.) nobis quesumus omnipotens -deus beati heldradi precibus consequi
ueniam delictorum. qui miraculis attestantibus tecum uiuit in regione uiuorum. per ,.
(3) Al f. 265 si leggono alcune orazioni per la congregazione. La prima di tali congregazioni,
colla rubrica in rosso (PR in rosso) che dice: PRo abbate vel congregatione. | © Defende quesumus
beato petro apostolo tuo intercedente nostram ab omni aduersitate congregationem. ut tibi toto
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 233:
Questo codice adurique fu scritto nel monastero, che si vantava di trovarsi sotto
la protezione degli apostoli Pietro: ed. Andrea, e che aveva ragioni per venerare di
culto speciale S. Walerico e S. Eldrado.
Cid' ammesso, il' nostro. Messale acquista una particolare importanza come mo-
numento paleografico. Dacchè pur troppo nulla si è conservato dell’Evangeliario di
Atteperto, veduto anclie dal cronista, dobbiamo andar lieti clie almeno ci sia giunto
un codice dî lusso, scritto nel monastero, prima della sua decadenza. È per questo
che abbondai nelle riproduzioni, sia di singole lettere, sia di brani del testo. La
ristrettezza dello spazio mi consigliò nelle riproduzioni fotografiche ad adottare una
misura ridotta; ma porto fiducia che ciò non impedirà al lettore di constatare l’ele-
ganza relativa della scrittura. I colori mancano, ma voglio sperare che neppur questo
sia un guaio sì grave da rendere inutili i facsimili che accompagnano queste mie linee.
Il presente Messale dimostra che le belle antiche tradizioni paleografiche, fra il
sec. XI ed il XI non erano ancora sparite nell'abbazia.
Il nostro manoscritto è reso più prezioso dal costume monastico di cantare fre-
quenti versicoli nella celebrazione della messa. Abbiamo pertanto una vera abbon-
danza di tratti musicati, in canto gregoriano, disposte sopra linee, non tirate, nè
tampoco indicate di lato con lettere.
A rattoppare un foglio del Messale fu adoperato, forse nel sec. XV, o anche
posteriormente, un bricciolo di pergamena spettante ad altro libro liturgico, e senza
dubbio di età più vetusta che non sia il Messale stesso. Poco più se ne legge ormai
corde prostratam. ab hostium propitius tuearis clementer insidiis. per. ,. E al margine di mano
del tempo: “ Pro congregatione ,.
Da un’orazione al f. 253 v apparisce che a quel tempo la chiesa della congregazione vantavasi
di possedere reliquie degli apostoli S. Pietro e S. Andrea, che sono fra i protettori del monastero
Novaliciense. La rubrica è in rosso, colle lettere PR, IN, NT in nesso, e dice: “ de sanctis quorum
reliquie in ipsa continentur ecclesia. Da quesumus omnipotens deus. ut sancta dei genetrix. omnesque
angeli. beati quoque petrvs & andreas apostoli & omnes quorum in ista continentur ecclesia patro-
cinia nos ubique adinuent. quatinus hic [fol]. 2547] illorum presenti suffragio. tranquilla pace in tua
laude letemur. per eundem ,,.
Mi permetto qui di riferire la messa di S. Zenone, che trovasi fra S. Ambrogio e S. Siro. Può
riuscire d’interesse generale il vedere la estensione data in addietro al culto di S. Zenone, che
visse nel IV secolo. Rubrica in rosso, con IN in nesso. Rossa, con illuminazione gialla, è la seguente
iniziale C. “ In S. Zenonis. Concede quesumus domine beati sacerdotis & confessoris tu zenonis
nos deprecatione muniri. ut & temporaliter his patrociniis foueamur. et spiritualiter preparemur
eternis. per. SCR (rosso, e in rosso la seguente iniziale S).
“ Sancti confessoris tui zenonis nos quesumus domine tuére presidiis. & eius semper interces-
sionibus adiuuemur. per. AD COPL (in rosso, come la seguente iniziale B) BHatus sacerdos &
confessor tuus zeno quesumus domine sua nos intercessione letificet. & pie nos faciat in sua (sol.
lempnitate) gaudere. per. ,. Segue a parlare di S. Siro. Queste notizie non devono trascurarsi nella
storia della liturgia, ma per lo scopo nostro attuale non possono avere quel valore, che dobbiamo
attribuire ai dati surriferiti, dai quali risulta provata la provenienza locale del nostro mss. A
proposito di S. Zeno, la sua festività vedesi ricordata anche in bel Messale (sec. XIV) dell'Archivio
Capitolare di Asti; con: “ VI Id. decembris, s. zenonis episcopi ,.
Devo notare che nè la commemorazione di S. Walerico, nè quella di S. Eldrado cominciano
con una iniziale di massima grandezza, la quale viene invece adoperata per la festività di S. Bene-
detto, ricordata subito dopo alle riferite orazioni per S. Fldrado (f. 117 v). Per altro anche questa
iniziale, una O ad intreccio, non è nè fra le più grandi, nè fra le più belle tra quelle di tal genere.
x
Serie IT. Tom. XLIV. 20
294. CARLO CIPOLLA
sul verso. La faccia recto ha soltanto: “ [san]ctos tuos eam resuscitari | ....[s]aluator |
dal: [cimi]terio requiescunt (didascalia in rosso) | ..... ne fidelium requi | ..... [fam]ulabus
tuis ,. Forse il frammento risale al sec. XI.
Presso la medesima prevostura mi fu anche mostrato un paio di fogli spettanti
ad un corale. La maggior parte di questo frammento concerne la festa di S. Giorgio,
la cui commemorazione principia col Vespro. Rubrica (in rosso): “ In sci Georgii,
cap ad vpr. ,. Anche qui una gran parte dell’officiatura è musicata, con note di canto
fermo. Anche nella “ pars S. Georgii martyris , i diversi periodi riguardanti la vita
del santo si alternano con versicoli musicati.
Questo frammento, in minuscolo, sembra appartenere al secolo XIV ex.
Alquanto più antico è il frammento di un messale, composto di un foglio doppio
pergamenaceo, che addì 11 maggio 1894 tolsi dal “ Registrum causarum ciuilium et
criminalium curie monasterij sancti Petri Noualicij tempore regiminis officij mei
Johannis Barberij not. subsignati et castellani totius Jurisdittionis dicti monasteri],
Jneipiendo die XXVj mensis aprilis anno domini M° V°XVj Jndictione III? Johannes
Barberij ,. Questo volume, cui il frammento pergamenaceo serviva di copertina, si
conserva nell'Archivio dell’Economato di Torino (1).
Tl nostro frammento si compone adunque di un foglio doppio, ossia di due fogli
semplici, dei quali uno fu smarginato così, da asportarne non piccola parte del testo.
Sopra uno di detti fogli si leggono alcune delle orazioni del Messale, che nei Messali
Romani odierni sono destinate alla rubrica Orationes ad diversa (2). E cioè sulla faccia
recto abbiamo due orationes, le secreta e il postcommunio delle preghiere ad petendam
pluviam. N'è perduta la didascalia. Una oratio e le secreta sono identiche alle at-
tuali, non così l’altra oratio e il postcommunio (3). — Segue la didascalia in rosso:
“ pro se|renitate]| ,, e qui abbiamo la relativa orazio, le secreta e il postcommunio. Il
postcommunio (4) è diverso dall’attuale, non così le altre due preghiere. — Poscia
(sul verso) vengono le preghiere: “ ad repelle|ndas tempestates] ,; la prima oratio (5)
è diversa dall'attuale, corrispondono alle preghiere odierne la seconda oratîo, le se-
creta, il posterommunio. Seguono due orationes e il postcommunio, la cui didascalia è
perduta, ma che corrispondono alle odierne preghiere del Messale Romano “ pro pe-
titione lacrimarum ,; il testo n'è diverso (6).
(1) Abbazia della Novalesa, busta II.
(2) Per tali raffronti liturgici mi riuscì molto utile la collaborazione del p. B. Bensa, cui mi è
caro manifestare qui la mia gratitudine.
(3) “ Delicta fragilitatis nostre ,, “ Tuere nos domine ,. Nel Messale del sec. XII al f. 262»
si ha rubrica “ ad plvviam postviandam ,, con la orazione “ Deus in quo uiuimus... ,, le secreta
“ Oblatis domine placare... ,, e la orazione «d complendum “ Da nobis domine quesumus... ,.
(4) “ Plebs tua, Domine, capiat ,. Nel Messale del sec. XII alla rubrica testè indicata segue
l’altra © ad aeris serenitatem ,, con la orazione “ Ad te domine clamantes... ,, le secreta “ Preueniat
nos quesumus domine... , e l’orazione “ [ad]complendum , È Quesumus omnipotens deus clementiam
tuam... ,.
(lia rerum tibi seruientium ,. Nel Messale del sec. XII (f. 263 ») viene appresso alle rubriche
ora citate, l’altra ad repellendam tempestatem con la orazione “ A domo tua quesumus domine... ,, -
le secreta * Offerimus tibi domine laudes... ,, la orazione [ad]complendum “ Omnipotens sempiterne
deus qui nos & castigando sanas... ,.
(6) © [Omnipotens sem]piterne Deus da capiti nostro habundanci[am] ,, “ ... [ob]laciones quas
Domine ,. Questa rubrica non incontrai nel Messale del sec. XII.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 235
L'altro foglio contiene alcune orazioni per un infermo (1), alle quali “ sequitur
Letania Kyrrie (sic) eleyson Christe eleyson — ,. Sono le litanie de’ Santi, quasi
del tutto diverse da quelle che si usano recitare oggidì. Come importante per desi-
gnare la provenienza del ms. noto l’invocazione: “ Sanete Mauricii cum sociis tuis
ora pro eo ,. Queste litanie (2) dunque provengono da Torino, o almeno dal Piemonte:
e perciò si confanno pienamente al monastero della Novalesa, ch'era nei limiti della
diocesi Torinese.
Questo frammento è in carattere quadrato, abbastanza elegante, del secolo XIII,
nè si presta ad una diffusa illustrazione paleografica. Le didascalie e le maiuscole
maggiori sono in rosso.
Servono a completare il concetto che dobbiamo formarci degli usi liturgici No-
valiciensi, alcuni altri frammenti di epoca posteriore.
Trovai un foglio doppio pergamenaceo di un Messale, a due colonne, in carattere
del secolo XV (3). Il fol. 1, e v presenta le orazioni del 1 gennaio, festa della
presentazione al Tempio; sul fol. 2 r si leggono le orazioni per la festa di S. Marco,
e sul fol. 2v quelle che scadono: “ Jn sancti Petri martiris de ordine predicatorum ,,
“ Jn sancti Bernardi abbatis ,, “ Jn sancti Philipp! et Jacobi ,.
Due fogli doppi di un corale (musicato con note di forma quadrata, e quindi
di tarda età) furono staccati (13 marzo 1894) da due Registri del cadere del se-
colo XVI (4). Uno di essi comincia: “|O]|sanna in excelsis. Sanctus, sanctus, sanctus,
(1) La prima orazio ©“ Omnipotens sempiterne Deus, qui subvenis in periculis et in necessitate
laborantibus — ,, forse ora non si usa più. La seconda © Domine sancte pater omnipotens eterne
Deus qui benedictionis tue — , è quella che ora si lesse nel Rituale Romanum alla rubrica ordo
ministrandi sacram. ertreme unctionis, ma con qualche variante (noto: “ ecclesie tue sanctisque
altaribus ,, in luogo di “ ecclesie tue sanctie , d’oggidì). La terza, “ Respice, Domine, famulum
tuum — , è simile assai a quella del Rituale Romanum, alla rubrica denedictio adulti eyrotantis.
Nel Messale del sec. XII alle rubriche testè descritte, segue questa pro infimrmo “ Omnipotens sem-
piterne deus salus eterna credentium... ,, secreta “ [D]eus sub cuius nutibus uite nostre... ,, @d
complendum “ Deus infirmitatis humane singulare presidium... ,.
(2) Avendo il De Levis (Anecdota, pp. XL-XLIX) riportate altre litanie Novaliciensi, non mi par
inutile riferire qui quelle da me trovate: “ Kyrrie eleyson | Christe eleyson | Christe audi nos | Sancta
Maria ora pro eo | Sanete Johannes Baptista o. p. e. | Sancte Petre o. p. e. | Sancte Paule o. p. e.|
Sancte Andrea o. p. e. | Sanete Jacobe o. p. e. | Sanete Johannes o. p. e. | Sancete Ppilipe (sie) o. p. e.
Sancte Michael o. p. e. | Sancte Gabriel o. p. e. | Sancte Raphael o. p. e. | Oomnes (sie) saneti angeli
orate p. e. | Sanete Jacobe o. p. e. | Sancte Thoma o. p. e. | Sancte Bartholomee o. p. e. | Sanete Mathee
o. p. e. | Sanete Juda o. p. e. | Sancte Barnaba o. p. e. | Sancte Marce o. p. e. | Sancte Mathia o. p. e. |
Omnes sancti apostoli orate p. e. | Sanete Stephane o. p. e. | Sancte Line o. p. e. | Sancte Clete o.
p. e. | Sancte Clemens o. p. e. | Sancte Sixte o. p. e. | Sancte Laurenti o. p. e. | Sancte Corneli o. p. e. |
Sancte Cypriane o. p. e. | Sancte Hermes o. p. e. | Sanete Juliane o. p. e. | Sancte Johannes o. p. e. |
Sancte Paule o. p. e. | Sancte Cosma o. p. e. | Sanete Damiane o. p. e. | Sancte Mauricii cum sociis
tuis o. p. e. | Sancte Sebastiane o. p. e. | Sancte Austremonii o. p. e. | Sanete Hyrene o. p. e. | Sancte
Saturnine o. p. e. | Sancte Yirenei (?) o. p. e. | Omnes sancti martires orate p. e. | Sanete Hylari o.
p. e. | Sancte Martine o. p. e. | Sancte Bricci o. p. e. | Sancte Marcialis o. p. e. | Sanete Remigi o.
p. e. | Sancte ////e/l// o. p.e. | Sancte Leo o. p. e. | Sanete Augustine o. p. e. | Sancte ////renente 0. p. e. ,
(3) Questo frammento formava la copertina del volume: © 1620. Atti di lite fra Antonio Pro-
vana abate della Novalesa ed il vassallo Pietro Paolo Provana, con sentenza che mantiene l'abate
nel possesso d’'esiggere le decime dei frutti nascenti ne' beni feudali del vassallo Pietro Paolo ,.
Ne fu staccato il 9 marzo 1894.
(4) L'uno è il “ Registro delle Cause Civili e Criminali dell’Abazia della Novalesa per gli anni
1591-2, essendo abate Gaspare Provana ,, e l’altro è il Registro corrispondente per gli anni 15935.
236 CARLO CIPOLLA
Dominus Deus Sabaoth —,, e l’altro: “ Et ut queamus,..celi ,gaudia adipisci :dicat :
eleyson. Kyrie rex .genitor ingenite — ,..Il carattere di questi frammenti è un. ele-
gante quadrato, colle iniziali in rosso e .verde, del secolo. XIV (1). Le. illuminazioni
certo originali, servirono forse di tipo .a" quelle delle maiuscole..di media grandezza
nel grande Messale Novaliciense. Quindi vediamo la lettera. riempiuta con uno 0 con
due colori, disposti a scacchi.
In carattere del secolo XVII incirca abbiamo trascritto in un fascicolo cartaceo (2)
l'“ Officium Sancti. Eldradi. confessoris. et. abbatis, eius vitae et. miraculorum -seriem
breviter complectens ,. Contiene tutt’intera l’officiatura. del Santo, compresa la parte
biografica, della quale abbia tenuto parola a proposito della postilla offertaci dal
Martyrologium di S. Adone.
Sopra il foglio di guardia che custodisce un documento del. 14. marzo 1567 (3)
una mano del secolo XVII aveva cominciato a ricopiare un cenno biografico (che
per il contenuto e.la fonma ha relazione cogli usi liturgici) intorno :a S. Eldrado;
ma, poi troncò la trascrizione. Ivi si dice che la festa di S..Eldrado si celebra. an-
nualmente addì 13 marzo “ in ipsa ecclesia (della Novalesa) et in locis circumvicinis ,.
Qui può trovar luogo, anche un ricordo del. Necrologio Novaliciense, che fu in
(1) Le maiuscole di maggiori dimensioni (S, E, T, K) sono in rosso, con illuminazione in verde.
La lettera-S: ricorre tre volte, e in tutti. e tre i casi lo sfondo ‘delle due curve è oceupato:.da una
illuminazione verde. Occorre una volta la E di forma gotica, quasi del tutto chiusa per l’ incontro
degli apici delle sue tre linee orizzontali; il campo superiore alla orizzontale mediana è colorito
in verde al suo lato sinistro, e il campo inferiore è invece colorito in verde al suo lato destro.
Pare che questi tipi fossero presenti al contraftatore delle iniziali del Messale, poichè in queste si
può facilmente scorgere ln tendenza imitativa. C'è tuttavia una spiccata differenza nell’ abilità del
pennelleggiatore e nella precisione del lavoro. Quanto sono belle ed eleganti le iniziali nel Messale
del sec. XIV, altrettanto trascurate sono. le altre.
(2) Abbazia della Novalesa, ‘b. XV; Arch. di Stato di Torino. — Si confrontino le parti biogra-
fiche dell'Officium cogli estratti * ex notis... abbatie , presso Rocnrz, La. gloire, p. 99-101. L'officia-
tura attualmente in uso nella diocesi di Susa è ben altra cosa, e in essa la eco del carme anti-
chissimo andò perduta : oltracciò è molto breve. — Qui siami lecito aggiungere che presso il m. r.
prevosto di S. Ambrogio (ai piedi del monte Pircheriano, ossia della Sagra di S. Michele) si con-
servano due volumi di breviario, de’ quali uno contiene le feste fisse, e l’altro (in gran parte) le
mobili. Sono in pergamena del sec. XV, e portano il nome dell’antico monastero di S. Michele della
Chiusa (che vale: la Sagra di S. Michele, ora de’ PP. Rosminiani); nel sec. XVII erano del Collegio
Torinese dei Gesuiti, secondo una nota che.si ripete sul primo foglio di ciascuno di essi. Or bene,
quei. breviari che hanno commemorata la festa di S.Giovanni Vincenzo (fondatore della Sagra),
difettano della festività di S. Eldrado: locchè costituisce una prova per credere che nel sec. XV,
mentre la diocesi di Susa non era peranco eretta, il culto di S. Eldrado fosse tuttora molto ristretto.
Ma non è l’unica prova. Nell'archivio della, prevostura. della. Novalesa esistono alcuni documenti che
dimostrano quanto sia tarda la diffusione del culto di S. Eldrado fuori dell'abbazia. Vi lessi una
carta del giorno 8 marzo 1799 colla quale i cittadini.di Novalesa, avendo la loro parrocchia avute dai
monaci le reliquie di S. Eldrado, col consenso di Ippolito Sereno, loro parroco, chiedevano al vescovo
di Susa di poter festeggiare S..Eldrado, nel giorno 18 di quel mese, secondo l’antico uso della Con-
gregazione monastica. Il Vescovo, 9 marzo 1789, concesse officio e messa “ de comuni .abatum.,,,e
ciò © ratione insignis reliquiae ,. Oggidì quantunque la festa di S. .Eldrado si usi celebrare in tutta
la diocesi di Susa, tuttavia solo in Novalesa, Venaus e. Ferrera, ha luogo il rito doppio di seconda
classe. Tornando ai mss. di S. Ambrogio, è tradizione locale che essi siano stati. comperati men che
un secolo fa da un rivenditore di libri vecchi; questa circostanza non è senza valore per la storia
dell'antica biblioteca dei Gesuiti, storia ancora molto oscura, eppure importante per la letteratura
piemontese.
(3) Abbazia dellu Novalesa, b. XII, Arch. di Stato di Torino.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 237
piccola parte pubblicato nel 1846 dal.Bethmann (1). Di questo necrologio, che non
.fu stampato dal Combetti insieme col Chronicon Novaliciense (2), esiste una copia com-
‘pleta di mano di Eugenio De Levis (8), che rimase ignota all’erudito tedesco.
Il Bethmann, pubblicando i suoi estratti dal Necrologio Novaliciense, cita le
schede relative fatte dal Vernazza nel 1788, e a lui. comunicate dal Gazzera. Per
buona ventura queste schede esistono ancora intatte, e si conservano presso la bi-
blioteca dell’Accademia delle Scienze. Ne devo la conoscenza alla cortesia del chiar.
«prof. Ermanno Ferrero. Le schede sono precedute dalla lettera, in data 11 maggio 1788,
colla quale il Vernazza chiedeva al conte Perrone (4) una lettera per presentarsi “ al
superiore locale del monastero della Novalesa ,, affine di ispezionare i frammenti del
Necrologio, della cui esistenza egli aveva pur allora avuta “ notizia ,. Ricevuta la
lettera commendatizia, il Vernazza recossi sopra luogo; addì 14, essendosi “ trovato
il necrologio ,, lo descrisse paleograficamente e ne trascrisse il contenuto. Fatto
ritorno a Torino, scrisse (in data 24 maggio 1788) una relazione al Perrone intorno
alla propria scoperta, la quale relazione serve a colmare qualche lacuna lasciata
.dalle schede .stese sul sito. Egli fa anche qualche congettura sull’ età in cui può
essere stata seritta la parte più vecchia del necrologio, ma qui non fa che avven-
turare ipotesi incerte, e poco concludenti. Poichè, mentre l’afferma anteriore al 1250,
vorrebbe nel tempo stesso farla risalire nientemeno che allo scrittore degli ultimi
capi del Chronicon — che per lui è diverso da quello cui si deve il rimanente —,
il quale in realtà risale ad età vetustissima. Conchiude alla fine dicendo: “ per da
forma dei caratteri può credersi cominciato circa il 1200 ,. Anche nelle schede
del Vernazza si hanno indicazioni numerose, che il Bethmann tralasciò, perchè riguar-
davano, persone di minor conto; ma per noi anch'esse sono preziose.
Le schede del Vernazza non si estendono all’ultimo frammento del Necrologio
20 settembre-7 ottobre, come fanno quelle di E. De Levis (5).
In questa maniera viene resa possibile l’edizione critica del Necrologium, e meno
dolorosa riesce la perdita del ms. originale.
I frammenti indicati e usufruiti dal Bethmann sono quelli pure trascritti dal
De Levis (1-28 gennaio; 13 febbraio-17 marzo; 3 aprile-2 giugno; 21 settembre-
principio di ottobre). Ciò non pertanto il Bethmann non in tutti i casi ci da un
testo identico al. nostro. Sotto il 4 marzo questi trascrive: “ Deposicio domni Um-
berti comitis ,, dove la copia De Levis ha più ampiamente: “ Deposicio domini Um-
berti comitis et domini Thomae comitis eius filij excellentissimi ,.
Qui siami permesso anche di aggiungere che il testo del Necrologio di S. Andrea,
che fu in proprietà di Costanzo Gazzera e dal quale il Bethmann (6) ricavò alcuni
(1).In appendice alla sua edizione del CQr. Noval., in MG, VII 180-1.
(2) MHP., Script., vol. III
(3) Arch. dell’Economato Generale, Cronaca Ecclesiastica, busta IL.
(4) Carlo Baldassare Perrone, ministro per l'estero dal 1780.al 1788, era nipote del barone Carlo
Filippo Perrone,.i cui dispacci di Francia furono pubblicati dal Ferrero, dal Manno e dal Varga,
Relazioni diplomatiche, vol. I, Il.
(5) Ma nella relazione al co. Perrone il Vernazza asserisce che sotto il 5 ottobre il Necrologio
registrava la morte di Enrico IN imp. accaduta in quel dì, l’anno 1056. Il De Levis invece copia
trascuratamente gli ultimi giorni di ottobre, ch'erano certo consunti, e tralascia quella nota
(6) Loc. cit., p. 131-2.
238 CARLO CIPOLLA
estratti, fu testè ritrovato tra i mss. della R. Accademia delle Scienze di Torino,
alla quale il Gazzera legò morendo la sua ricca collezione di libri. Debbo anche
questa notizia alla cortesia del ricordato prof. E. Ferrero, segretario della classe di
scienze morali, che gentilmente mi pose sott'occhio quel prezioso cimelio (1).
Antichissime note Necrologiche Novaliciensi furono, pochi anni or sono, segnalate
dal Piper in un necrologio oltremontano, cioè nel Liber Sangallensis (2).
Le poche disiecta membra della biblioteca Novaliciense che ci sono passate sot-
t'occhio, dànno certamente un concetto inadeguato di quella raccolta di libri, che
doveva essere veramente preziosa. Quanto dobbiamo deplorare, a cagion d’esempio,
la perdita completa degli Evangeli scritti da Atteperto, ai tempi in cui fioriva ancora
la scuola di Tours! Possiamo facilmente raffigurarci que! codice, scritto in grossi
caratteri minuscoli, eleganti e regolarissimi, siccome allora si sapeva e si usava fare.
Di tutto ciò, nulla pur troppo rimane oramai.
In queste nostre indagini abbiamo tuttavia potuto aggiungere qualche cosa a ciò
che finora era noto intorno alla biblioteca Novaliciense. Di libri scritturali, niente pur
troppo. In fatto di patristica, trovammo frammenti di S. Cesario, di S. Gregorio Magno
e di Beda. Il Cronista ebbe in mano i Dialoghi di S. Gregorio. Il Martyrologium di
S. Adone era stato bensì accennato nel secolo scorso dal De Levis e recentemente
da Carlo Miller, ma a nessuno s'era offerta occasione di discorrerne per disteso.
Copie del De Levis e di altri mi permisero di parlare dell'inno a S. Walerico,
del Necrologio monastico, e sopra tutto di un ms. miscellaneo sacro-profano, che ora
fa parte della collezione Phillips a Cheltenham. Fra i libri patristici può collocarsi
il framme.to della Regula di S. Benedetto, con un antico commento, che può riuscire
importante, ora che gli studiosi si rifanno alla storia di S. Benedetto e dell'Ordine
da lui fondato. Brani di due messali e di un corale ci diedero modo di intravvedere
qualcosa di nuovo in fatto di liturgia locale. Degno di speciale attenzione, è un
intero Messale (con qualche lacuna peraltro), a iniziali policrome.
(1) Anche questo necrologio fu trascritto dal De Levis (Arch. Econ., Cron. Eceles., b. II); e la
sua copia servì all’ edizione datane nel t. III degli Script. nei M. H. P. Il Bethmann ne estrasse
soltanto poche notizie di interesse generale, trascurando quelle d'importanza locale. Quasi sempre
fu esatto, distinguendo con accuratezza le varie mani, e segnando l’ epoca di ciascuna tra queste.
Tuttavia. anche la sua riproduzione lascia luogo a qualche miglioramento. Così sotto il 9 maggio
dopo aver riportato la commemorazione: “ Deposicio domni Aginulfi abbatis , si poteva notare che
una mano del sec. XII aggiunse: “ pinariolensis ,. L’abate Aginulfo è il primo degli abati di S. Maria
di Pinerolo, e l’illustre D. Carurmi, Storia di Pinerolo, Pinerolo, 1893, p. 574, lo registra sotto
l’anno 1075. Cfr. A. Prrravino, Storia di Pinerolo, p. 54.
Sotto il 10 maggio si legge: “ Depositio domni Asinarii & domni frodroini abbatum ,. Il
Bethmann stampa: “ frodoini ,, e trascura l'aggiunta, di mano del sec. XII: “ Novaliciensium ,. Nè
manca qualche vera ommissione di rilievo.
Dell’edizione curata da L. G. Provana, poco si può dire. Condotta sulla copia del De Levis non
può assolutamente accontentare. È sotto un punto di vista migliore che quella del Bethmann, perchè
completa; ma per le numerosissime sue inesattezze lascia pur molto a desiderare.
Il Bethmann asserisce che il necrologio attuale, nella sua parte più antica, è una copia di
notazioni antecedenti, fatta al principio del sec. XII. Questa data non è inaccettabile. La notizia
storica coll’anno 1104 riguardante la cappella di S. Maria della Consolata (sotto il 21 ottobre) è
peraltro un'aggiunta di epoca tarda, anzi non anteriore al 1498.
(2) Libri confraternitatum (MGH, ed. in-4°), p. 166.
Wi
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 239
Tiene relazione cogli studi sacri e coi profani un piccolo brano di un libro de
computo.
Pochissimo trovammo di storia, oltre una parte della Historia Langobardorum,
che fa parte della miscellanea storico-profana suddescritta. Forse appartenne al mo-
nastero Novaliciense l’aneddoto di Palladio sulla storia Indiana, pervenutoci in ver-
sione latina in un ms. del barone Claretta, nel quale (come era stato già osservato
dal prof. G. Calligaris) contiensi trascritto il testo novaliciense della Historia Lan-
gobardorum di Paolo diacono. Qui va ricordata una Cronaca Pontificio-Imperiale, che
giungeva sino al tempo di Gregorio IX e di Federico II, di cui resta il solo titolo;
e oltracciò poche e brevissime notazioni storiche sui secoli XII e XIV, che appar-
tengono ad una ben nota famiglia cronografica piemontese.
Il Cronista ebbe a mano senza dubbio un testo della Historia Langobardorum, e
probabilmente si giovò proprio del ms. da noi considerato.
Tutt'altro che privo d’interesse, si presenta il lider de computo anonimo.
Non ho creduto di parlare della Vita d. Heldradi (1) e del celebre Chronicon
Novaliciense scritto sopra un rotolo, che anche oggidì si conserva. Della prima cercai
indarno un qualsiasi ms. Del secondo non so se alcuna cosa avrei qui potuto dire di
nuovo: sarà sufficiente avvertire ch’esso è manchevole ora, come lo era nel 1693,
allorchè lo trascrisse il p. M. A. Carretto, siccome ho avvertito. Verrà tempo in cui
si offrirà l'occasione di diffondermi un po’ di più sopra il Ohronicon; il mio scopo
attuale non esigeva, com’io penso, una disamina paleografica, della quale appena
diedi qualche saggio inadeguato.
Il De Levis (2) pensa che il p. Turinetti (che in servizio dei Bollandisti tra-
scrisse da un ms. Novaliciense la vita di S. Eldrado) abbia trasportati vari codici
di quell’abbazia presso il collegio dei Gesuiti di Torino. La dispersione della biblio-
teca del Collegio dei Gesuiti di Torino fu proprio completa; qualche libro a stampa
se ne trova qui e colà nelle biblioteche di Torino, ma de’codici non rinvenni traccia.
Il De Levis è ancora di avviso che altri mss., per volere di re Carlo Emanuele III (3)
siano passati nella biblioteca della R. Accademia delle Scienze di Torino; ma poi
sembra fare una cosa sola della suddetta biblioteca con quella dell’Università (ora
Nazionale), poichè si lagna che il Pasini nel suo Catalogo non abbia indicato la
provenienza de’codici Novaliciensi. Si sa che il Pasini diede alle stampe il catalogo
dei codici della Nazionale, e non quello dei mss. dell’Accademia. E poi è fuori di
dubbio che l'Accademia nè ha, nè ebbe giammai abbondanza di codici antichi.
Il De Levis giunse al monastero della Novalesa la notte del 21 novembre 1778,
e vi fu bene accolto “ gratia et humanitate Reverendissimi Fuliensium eiusdem mo-
nasterii abbatis Caule ,. Vi rimase otto giorni, durante i quali trascrisse il rotolo
del Chronicon (0 piuttosto ne prese le varianti), ed esaminò i pochi mss. che rima-
(1) Acta Sanctorum, Mart., Il, giorno 18. Riprodotta di qui nel vol. Ill Seriptores dei Monum.
Historie Patriw.
(2) Anecdota Sacra, p. XXIX.
(3) Rimasero infruttuose alcune ricerche fatte nell'Archivio di Stato di Torino per chiarire tale
asserzione, la quale del resto essendo espressa in forma così indeterminata, mal sì presta al con-
trollo.
240 CARLO CIPOLLA
nevano' nella biblioteca. E cioè: 1° Oifielie di S. Gregorio Magno; 2° Regola di' San
Benedetto (codice certamente diverso da quello di cui abbiamo descritto un fram-
mento); 3° Opere di' S. Fruttuoso; 4°-5° Miscellanee di vite di Santi ; 697° Sacra
scrittura; 8° Libro' liturgico; 9° Altro’ libro' liturgico, colle vite dei ss. Solutore, Av-
ventore ed Ottavio.
Altri codici égli ebbe (certo antecedentemente) it donò “ gratia et benignitate
réverendissimi cdiusdam eiusdert' monasteri? abbatis hi cioè C. Sona Descrive questi
partitamente: 10. Messale, dal De Levis attribuito al cadere del'sec. VITI e certamente
diverso da quello testè descritto; 11. Martiyjrologium di Adone (orà nella biblioteca reale
di Berlino); 12. Esposizione de’ Salmi, dell'abate Remigio; 13. Codice miscellaneo
sacro-profano (ora della biblioteca Phillips); 14-15. Libri liturgici; 16. Martirologio
di Usuartdo; Evangeliarioy 17. Canoni Penitenziali: rito da usarsi per gl’ infermi
moribondi (è tutt'altra cosa dal frammento liturgico, colla Orazione peri moribondi,
di cui abbiamo parlato); 18. Omelie di Origene e di S. Ambrogio; 19. S. Agostino;
orazioni di S. Massimo, ecc., coll’inno a S. Valerico (1); 20-20 dis. Libri liturgici, per
l’Avvento; 21. Graduale di S. Gregorio.
Il Cronista lesse una vita di S. Eldrado, ed una ne compilò egli medesimo. Di
più ebbe a sua disposizione una serie di biografie di antichi abati, delle quali ora
più nulla rimane. Le vite degli arcivescovi di Vienne scritte da Leodegario, di cui
si servì il Cronista, e che si lamentavano perdute, vennero (come dicemmo) identificate
testè dall’illustre Duchesne.
Di letteratura profana, nulla si conservò. Il poema di Waltario, di cui si perde
ogni traccia dopo del Chronicon, è TV unico monumento di questo genere, di cui si
possa provare l’esistenza presso la congregazione Novalîciense. Gli autori classici,
per quanto ne possiamo sapere, vi mancavano onninamente, ed è questo un fatto
molto rimarchevole, e che può destare in qualcuno il desiderio di nuovi studî, in
ordine alla cultura Piemontese. Ciò può riuscir strano a chi pensi che le origini
della biblioteca Novaliciense risalgono all’ età Carolingica, cioè ad un periodo di
tempo nel quale gli studì classici avevano avuto ormai un potente risveglio.
Il Cronista (2) assicura che alla sua età si cantavano nell’abazia Novaliciense le
antifone di S. Medardo, le quali non si cantavano altrove, e specialmente in nessun
luogo del regno d’Italia. Così quell’anonimo. Oggidì queste antifone si possono la-
mentare smarrite, non trovandosi neanche nel Messale del secolo XH, del quale
parlammo. Ma se si potrà scovare il Messale del sec. VIII accennato dal De Levis,
forse anche quelle antifone usciranno dall’obblio, in cui giacciono da secoli.
Le notizie che ho raccolto sulla biblioteca Novaliciense, sono senza dubbio in-
complete; e m’auguro che nuove scoperte possano accrescerle e migliorarle. Comunque
sia, porto fiducia di aver potuto provare che essa, specialmente per gli studii sacri,
occupa un posto notevole nella storia più antica delle lettere nel Piemonte. Spero di
aver potuto dimostrare, più a fondo che finora non si fosse fatto, il valore di una
1) Questo ms. sembra avere qualche lontana somiglianza col n. 4724 della collezione Phillips
(H. ScnenkL, Bibl. patr. latin, V, in Wiener Sitzungsber., CKXVII; p. 1), ora trasmigrato a Bruxelles.
(2) Lib. III, c. 30.
NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA PIBLIOTECA NOVALICENSE 241
biblioteca, che il Gottlieb (1) credette di non ricordare neppure, forse perchè di essa
non c'è pervenuto verun catalogo antico.
Benvenuto Rambaldi da Imola, commentando il v. 74 del canto XXI del Paradiso,
narra che il suo maestro Boccaccio gli aveva descritto una visita da lui fatta alla
biblioteca di Montecassino, mentre i codici vi stavano trascurati e in continuo peri-
colo di andare dispersi. Anche per la biblioteca Novaliciense vennero i giorni brutti,
e assai più, senza confronto, che ciò non sia accaduto a quella, tanto più celebre e
più ricca, di Montecassino. Dove questa risorse e ricuperò tutto il suo splendore ori-
ginario, quella continuò a decadere e scomparve. I suoi codici o vennero distrutti o
dispersi nei luoghi più lontani; è bello il rintracciarne, per quel poco che è possibile,
le vestigia.
La questione proposta dall’illustre prof. G. De Leva in proposito dell'importanza
dell'abbazia Novaliciense come scuola paleografica, ossia come centro “ produttivo ,
di coltura, un passo: lo ha fatto, se ben veggo, per mezzo dei codici che mi sono
venuti sotto mano. Molto ancora resta a fare, senza dubbio. Ma ormai abbiamo
qualche buon fondamento per portare un giudizio anche su quel campo. Il bel Messale,
ora posseduto dalla prevostura Novaliciense, quantunque non lo si possa confrontare
coi preziosi codici Cassinesi, colla varietà ed eleganza delle sue maiuscole, a tenia
intrecciate e a figure di animali, dimostra quanto fosse progredita lassù l’arte dello
scrivere e quella dello alluminare, nei più antichi e più bei tempi dell’abbazia.
(1) Ueber mittelalter. Bibliotheken, Dessan, 1890. — Appena un cenno sul monastero Novaliciense
fece G. GriirzmacHer, Die Bedeutung Benedikts von Nursia und seiner Regel, Progr. Univ. Heidelberg,
Berlin, 1892; è questo un lavoretto utilissimo per la storia della Zegula di S. Benedetto, ma impari
al suo assunto per rispetto alla storia dell'Ordine.
Serie II. Tom. XLIV. 31
242 €. CIPOLLA +— NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE
DESCRIZIONE DELLA TAVOLA
Fig. 1. Dal fol. 2v del Messale Novaliciense
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ANTICHI INVENTARI
DEL
MONASTERO DELLA NOVALESA
CON LA SERIE
DEGLI ABATI E DEI PRIORI DEL MEDESIMO
MEMORIA
CARLO CIPOLLA
Approvata nell'Adunanza del 24 Giugno 1894.
In tre Memorie abbiamo discorso di parecchi codici che nei secoli andati forma-
rono il decoro del monastero Novaliciense, e che ora o arricchiscono biblioteche
straniere o si trovano ridotti alla misera condizione di informi frammenti. A_com-
plemento di quello che abbiamo detto su questa biblioteca, non parmi inutile di
comunicare qui alcune notizie sugli inventari degli antichi documenti del medesimo
monastero. Avrei voluto parlare dei cataloghi della sua biblioteca; ma non ce n'è al-
cuno, sicchè per questo riguardo nulla ho da dire. Aggiungo poi un cenno sugli inventari
delle reliquie; la lipsanoteca argentea, contenente le reliquie di S. Eldrado, esiste
tuttora e forma un vero monumento dell’arte del sec. XIII, degno per fermo che altri
se ne abbia ad occupare largamente. Infine tento ricostruire la serie degli Abati e
dei Priori, che ressero quella istituzione monastica, nella persuasione che questa tela
cronologica, quando si potesse condurre a sufficiente perfezione, dovrebbe fornire un
elemento indispensabile per qualsiasi ulteriore indagine storica e costituire il substrato
e la base ultima delle ricerche già fatte.
Nella storia piemontese durante i più antichi secoli del medioevo, il monastero
della Novalesa ebbe una parte sommamente rilevante; e le sue vicende si ingranano con
quelle di tutta la regione circostante, e si allacciano anche cogli avvenimenti d'in-
teresse generale. Tale fatto impone maggiore esattezza e ampiezza a questi nostri studì.
Gli Inventari delle Carte.
Se la biblioteca abaziale fu, negli ultimi secoli, trascuratissima, non sì può di
certo ripetere il medesimo riguardo al suo archivio. E ne è chiaro il motivo; le
244 CARLO CIPOLLA
carte documentavano diritti viventi, e quindi, se anche antiche e illeggibili, si con-
servavano. I volumi antichi in pergamena non si leggevano più; diventati incom-
prensibili, erano un peso inutile. Parlando delle reliquie, ricorderemo un inventario
delle cose mobili della sacristia e del monastero, spettante al 1631. In esso si descrive
quanto esisteva nella camera del Rettore, e vi si aggiunge: “ Di più vi sono alcuni
puochi libri, gli quali i più principali sono il Bonacina, il Tolet — ,. Dei preziosi
codici che ancora si conservano, non una parola. Di essi si tace, mentre si registrano
perfino gli oggetti di cucina (1).
I primi inizî della regestazione dei documenti bisogna ricercarli nei regesti
apposti sul verso delle pergamene. Anche nell’ archivio Novaliciense e Bremetense
l’uso di indicare esteriormente il contenuto degli atti, per facilitare le ricerche, è
antichissimo. Ognun vede che quest’uso dipende dal sistema romano.
Per non allargare di troppo il campo delle nostre osservazioni, mi limito a dir
poche parole sopra documenti anteriori al sec. XI.
Fra il sec. IX ed il X vanno collocati i regesti apposti ai diplomi di Lotario I,
14 febbraio 825 (2), 13 giugno 844 (3) e 10 ottobre 845 (4), il primo in minuscolo
rustico, e i due altri in litterae grossae. Tutti e tre i regesti sono di mani diverse.
AI secolo IX-X mi pare si possa attribuire il regesto apposto sul verso del
diploma di Carlomagno 24 marzo 773 (5), e al X-XI il regesto del placito del no-
vembre 880 (6).
Vorrei attribuire al sec. XI i regesti apposti all'atto di fondazione del 726 (7);
sembrano del X quelli dei diplomi di Ottone II, 1° maggio 972 (973) (8) e di Ottone IIg
26 aprile 998 (9), che furono ambedue scritti da una stessa persona. Forse è del
sec. XI il regesto della carta di offersione del giorno 11 maggio 984 (985) (10).
Forse è posteriore un secondo regesto sul verso del diploma Lotariano dell’a. 825.
Al sec. XII ascrivo il regesto al diploma di Carlomanno, ottobre 769 (11), e un
secondo regesto apposto al diploma citato di Ottone II (12). Al sec. XIV appartengono
altri regesti, come quelli apposti alla bolla di Giovanni XI, 21 aprile 972, e al
citato diploma di Ottone III del 998.
(1) Abbazia della Novalesa, busta LXVI. Arch. di Stato di Torino.
(2) “ prectum (sic) domni lotharii regis de appagnis et montis cinisii,, dove le ultime parole
et m. C. sono aggiunte d’imitazione e rispondono ad alterazioni introdotte nel testo verso il sec. XII.
(3) “ de domno ioseph episcopo. [praeceptum domni lotharii de theloneo] pontatico rotatico cau-
satico , ecc. Chiudo fra [ ] quello che ora è illeggibile, ma che fu ricalcato da mano del sec. X e
ripetuto, insieme col rimanente del regesto, da una mano del sec. XI.
(4) “ praeceptum de bardinisca donni h[lotharii] ,.
(5) ©“ #; praecepto exemplaria ,.
(6) © Indicato secundo de maurino bardino ,. Si avverta l’importanza di questo regesto, dal
quale impariamo che, quando fu scritto, doveva esistere un placito anteriore ad esso, poichè altrimenti
esso non sarebbesi potuto chiamare: “ iudicato secundo ,. Il giudicato primo vuolsi identificare col
placito dell’a. 827, che a noi pervenne soltanto in copia del sec. XI, con un regesto sul verso, scritto
dalla stessa mano che il testo.
(7) “ Priuilegium de ordinatione clericorum huius coenobii ,.
(8) “ pceptum don otoni... ,.
(9) “ pceptum domni ottoni imperatoris ,.
(10) “ Carta oftersionis Sumundi in planicia ,.
(11) “ Preceptum Karlamanni regis de theloneo ,.
(12) “ [p]vi[vilegium domjni ottonis maioris imperatoris ,. È in Wtferae grossae.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 245
Il regesto che leggesi sul verso del falso diploma di Carlomagno spetta al XV
secolo.
Sono copie antiche, ma non carte originali, la donazione di Teutcario, aprile 810 (1),
e il giudicato del maggio 827. È notevole che i regesti scritti sul verso di queste
due pergamene, sono delle mani stesse, alle quali si devono i due atti (2). Questo
forse si spiega supponendo che i regesti si trovassero anche sugli originali, e che
siano stati quindi trascritti unitamente coi testi relativi. Le due copie risalgono al
secolo X.
Non è possibile stabilire in qual tempo si sia pensato di collegare i regesti,
scritti, secondo l’uso, sul verso delle carte, mediante la compilazione di un inventario.
È verisimile che ciò non si sia fatto molto presto. Sembra indicarlo anche la irre-
golarità di tali regesti, fatti da varie mani ed in vari tempi. È quindi credibile che
un vero e proprio inventario non siasi realmente compilato prima di quello di Pietro
de Allavard, di cui passo ora a dire alcun che.
Non è un fatto comune quello di trovare un inventario di archivio, compilato
al principio del sec. XVI. Il ritrovarlo è sempre una buona ventura, anche se l’in-
ventario stesso dà conto soltanto di un ristretto numero di documenti.
Questa lieta eventualità si verifica per l'abbazia della Novalesa, e ne dobbiamo
essere riconoscenti al suo abate commendatario, Andrea Provana, dei signori di Leynì.
Morto Giorgio Provana, condomino di Leynì, commendatario e amministratore
della Novalesa (3), fu chiamato a succedergli Andrea (4), al quale i monaci e i sudditi
del monastero prestarono obbedienza, i primi con atto del giorno 10 maggio 1503,
e i secondi con atto del giorno 11 luglio 1503 (5). Il documento riguardante i monaci
comincia così: “ Vniuersis fiat manifestum quod venerabiles relligiossi, dominus
Johannes Nantermi vicarius, dominus Dominicus de Caluis sacrista, dominus Petrus
Maioris penitentiarius, dominus Andreanus Chabodi, dominus Francexius Mattheodi,
dominus Jacobus Borelli et dominus Michael Gagneria monaci prioratus monasteri]
sancti Petri Noualiciensis, ordinis sancti Benedicti, Taurinensis diocesis, Romane
ecclesie nullo medio subiecti..... ,. Tutti costoro prestano obbedienza al “ reuerendo
domino Andree (Provana) nouiter Dei et Apostolice Sedis gratia facto et creato ac
deputato priore seu commendatario perpetuo monasterij predicti post obitum nunc
(1) Questo documento fu, pochi anni or sono, ripubblicato e dottamente illustrato dal conte Lui
Provana pr Coreano (La donazione di Teutcario, in © Miscell. di storia ital. ,, XXIV, 241 sgg.), il
quale non pronuncia alcun giudizio sull’originalità 0 meno dell’atto.
(2) “ Cartula quam fecit Teutcarius alamannus sancti petri noualiciensis coenobii de uilla quo-
moniana tempore frodoini abbatis ,. — “ Noticie due cum totidem itdicatis de hominibus uille
anziatis — ,.
(3) Lo trovo ancora vivente in un documento del 20 nov. 1494, Archivio della Novalesa, busta XI
(Arch. di Stato di Torino).
(4) Intorno a questo personaggio, senza dubbio molto meritevole, il ch. comm. barone G. CLamertA
ebbe la bontà di comunicarmi alcune notizie biografiche. © Andrea, figlio di (Giacomo Provana.
signore di Leinì e di Viù, consigliere ducale, governatore di Nizza, bailivo del ducato di Aosta e
di Mara di Favria, nel 1503 era abate della Novalesa ed arcidiacono della metropolitana di Torino;
nel 1510 fu prevosto di Vigone; nèl 1506 era stato ambasciatore a Roma. Testò nel 1520 ,. Ne
riparleremo nell'elenco dei Priori.
(5) Arch. della Novalesa, busta XII (Arch. di Stato).
246 CARLO CIPOLLA
quondam bone memorie domini Georgij Prouana olim dicti monasterij prioris siue
commendatarij , (1). I documenti che ricordano questo abbate sono numerosi, e ne
abbiamo per gli anni 1503 (2), 1509, 1510, 1511 (3), 1512 (4), 1513 (5), 1515 (6), 1516(7).
Di pochi anni sopravvisse a quest’ultima data. Infatti nel giorno 19 novembre 1520,
vediamo che gli uomini di Novalesa e di Venaus prestarono giuramento a Gaspare
Provana dei signori di Leynì, protonotario, commendatario perpetuo ecc. (8).
Ben poco intorno ad Andrea Provana lasciò scritto mons. Francesco Agostino
Della Chiesa (8), nel suo elenco degli abati Novaliciensi.
Il p. Marcantonio Dal Carretto (9) ne fa breve menzione.
Vicario del Provana rimase per qualche tempo quel “ d. Johannes Nantermi ,
che in tale qualità prestò omaggio (come vedemmo) al Provana. Infatti “ d. Johannes
Nantermus , incontrasi anche in un atto del 4 marzo 1504 (8). Ma in un documento
del 13 dicembre 1518, comparisce quale “ vicarius , un altro monaco, cioè “ d. An-
dreanus Conboti ,.
Addì 1° marzo 1511 (8), Giulio II indirizzò un breve al “ magister Andreas de
Prouanis perpetuus comendatarius prioratus — ,.
Dalle cose che abbiamo dette si potrebbe conchiudere che Andrea Provana fosse
stato nominato commendatario della Novalesa nel 1503. Ma non è vero. Egli lo era
di certo nel 1502, anzi sin d’ allora erasi occupato degli affari del monastero. Una
delle sue prime preoccupazioni fu la revisione dell'archivio, e di questo suo lavoro
si hanno due traccie, cioè alcune notazioni apposte sul verso dei singoli documenti
pergamenacei, e l’ inventario di cui ora diremo. Questo fu compilato nel 1502, e
alcuni anni dopo venne rifatto. Le due redazioni si trovano ora, l’una accanto al-
l’altra, legate in un solo volume.
L’inventario consiste in un libretto di forma bislunga. È, in altre parole, una
“ vacchetta ,. Si compone di tre fascicoli, scritti in più volte da una mano mede-
sima. La legatura, in pergamena, serviva primieramente al solo primo fascicolo, ma
essa fu adattata poi a ricevere gli altri due fascicoli. La suddetta pergamena con-
tiene la copia (del sec. XV) di un istromento del 1377.
Esternamente, sulla faccia posteriore della suddetta copertura, furono trascritte
quelle due notizie storiche, riguardanti Federico II ed Enrico VII, che abbiamo
riportate nella nostra precedente Memoria.
(1) Sta unita a questo documento una formula di giuramento, di carattere posteriore d’assai, e
che principia “ Ego Antonius Prouana perpetuus commendatarius monasterij prioratus nuncupati
sanctorum Petri et Andree loci Noualitij sancti Benedicti uel alterius ordinis, nullius diocesis, pro-
uincie Taurinensis — ,. Spetta ad Andrea Provana, che resse la Novalesa dal 1599 al 1640, dap-
prima col titolo di priore e poscia con quello di abate.
(2) Arch. della Novalesa, parte non ordinata, busta LII (Arch. di Stato).
(3) Arch. della Novalesa, parte non ordinata, busta XLI.
(4) Arch. della Novalesa, busta XII, e parte non ordinata, busta LXI.
(5) Arch. della Novalesa, b. XII, e parte non ordinata, busta XXI (volume di Consegnamenti) e XLI.
(6) Arch. della Novalesa, parte non ordinata, busta LVIII.
(7) Arch. della Novalesa, busta XII.
(8) S. R. E. Cardinalium, Archiepise., Episcop. et Abbutum Pedemontanae regionis Chronologica
historia, Aug. Taur., 1645, p. 203.
(9) Vita di S. Eldrado, Torino, 1593.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 247
Esteriormente, sul foglio anteriore della copertura, leggesi il seguente titolo del
volumetto, o, per essere esatti, del primo fascicolo del medesimo: “ Jnuentarium rerum
existentium in capella sanctorum Cosme et Damiani sita in monasterio Noualiciensi,
factum per me Petrum de Allauardo de Vigono prepositum saneti Jorij, vti capel-
lanum et negotiorum gestorem reuerendi patris J. V. doctoris domini Andree Prouane
apostolici prothonotarj, prioris dicti monasterij. Factum et Jnchoatum sub anno
domini 1502 ,. Vigone è una grossa borgata nel circondario di Pinerolo.
Il volumetto è cartaceo, e sul recto del f. 1 del primo fascicolo, si legge: “ Jn
nomine domini amen. Anno a natiuitate eiusdem domini Millesimo quingentesimo
secundo, Jndictione quinta, die uero sabbati vndecima mensis Junii, Ego Petrus de
Allauardo, de loco Vigonj, vti procurator et negotiatorum gestor Reuerendi in
Christo patris domini domini Andree de Prouanis condomini Laynici, apostolici protho-
notarij, ac prioris seu commendatarij prioratus sancti Petri de Noualitio ordinis sancti
Benedicti, Taurinensis diocesis, Romane ecclesie immediate subiecti, per modum Jn-
frascriptum feci, scripsi et subscripsi Jnuentarium huiusmodi omnium rerum et Jurium
existentium in capella sanctorum Cosme et Damiani, s'ta in castro dicti prioratus,
et hoc presentibus uenerabilibus et religiosis dominis don Johanne Nantermj vicari],
don Dominico de Caluis sacrista, don Petro Maioris pidentiario, don Adriano Cabotti,
don Francisco Mattiodi, don Jacobo Borelli de Jaglono, don Michaele Gagnerio
monachis dicti prioratus et d. Sebastiano Caualerj de Ciria presbitero Taurinensis
diocesis, ibi etiam negotiorum gestore, testibus ,.
L’elenco ha principio colla descrizione delle reliquie, della quale non è questo
il luogo. di tener parola. Continua poi: “ Jtem in eadem capella erat vna capsa
magna ,, di noce, contenente “ Jura infrascripta ,. Segue l’elenco dei diplomi e degli
istromenti cominciando dai diplomi e dai documenti fondamentali riguardanti l’in-
sieme della fondazione religiosa; vengono appresso quelli concernenti i suoi singoli
possessi, e sono disposti in gruppi, in relazione ai possessi medesimi, “ Alpignanj,
Ripolis (= Rivoli), Auilliane (= Avigliana), Planetiarum (= Pianezza), iura Porchayrani
(= Monte Pircheriano, dov'è S. Michele della Chiusa), villarum Almesii (= Villar
Almese), et villarum Fochardi (= Villarfocchiardo), Jura Lestadij (= Lostad) (1) et
Venacij (= Venaus) insimul , ecc. In mezzo alle carte riguardanti i possessi si trova
un manipolo di documenti col titolo “ pro prioratu Noualicij ,.
Il secondo fascicolo è in formato maggiore del primo, ma le carte ne sono
ripiegate per ridurle a giusta misura. Esso contiene: “ Jnuentarium quinternetorum
et aliorum Jurium ac rerum Jnuentorum in castro Camerleti membri sanceti Petri
Noualiciensis ,. Il quale inventario fu fatto il 2 marzo 1502 dal medesimo Pietro
de Allauardo prevosto e commendatario di S. Giorgio, quale procuratore del Provana.
Qui si registrano libri d’affari, oggetti varii, ecc. attinenti a Camerletto; ma nulla
c'è che possa avere interesse storico, sotto il nostro punto di vista.
Viene in appresso il terzo fascicolo, nel formato del primo. È scritto pure da
Pietro de Allavardo, ma con calligrafia alquanto trascurata. E in qualche modo un
(1) Chiamasi Lostad una regione tra la discesa della Brunetta e Venaus. Comunicazione gentile
del sac, cav. G. Lanza, abate di Superga, e dell’attuale prevosto della Novalesa d. A. Belmondo.
248 CARLO CIPOLLA
rifacimento del primo inventario, colla didascalia: “ Jnuentarium Jurium prioratus
Noualitij factum per me Petrum de Alleuardo prepositum Villefranche, de mandato
reuerendi d, d. Andree Prouane apostolici prothonotarij, prioris et domini Nouali-
ciensis, inceptum sub anno 1512, et die 20 augusti ,. Anche in questo elenco la
distribuzione dei documenti venne fatta con qualche ordine. Dapprima incontriamo i
“ priuillegia ,, secondo che dice l'inventario. Poi vengono: “ Jura Noualicij et Fer-
rerie (= Ferrera) (1) in vna pera reposita, Jn alia pera Venacij (= Venaus) et Lestadij
sunt huiusmodi iura, alia pera iurium Secuxie (= Susa) et Jagloni (= Giaglione), alia
pera iurium Porchayrani, villarum Almesii et villarum Fochardi et Auilliane, alia
pera iurium Camerleti (= Camerletto), Caseleti (= Caselle), Alpignani, Planetiarum
et Ripolarum, in alia parua pera sine titulo continentur-alia infrascripta iura, alia
diversa iura —, alia iura, quedam alia iura simul ligate Lanceyburgi (= Lansle-
bourg) ,, “ quinterneti , di amministrazione fino ad Andrea Provana, “ instrumenta ,
posti nella cappella di S. Eldrado, che terminano colla data 30 agosto 1502, giorno in
cui l’Allavardo terminò di elencare quanto trovavasi nella cappella di S. Eldrado.
Segue d’altro inchiostro, ma della stessa mano, quasi a modo di appendice, una
breve continuazione: “ Hic continentur alia iura, hic ponenda per reu. dominum
Noualitij, que sunt in vna pera intitulata iura prioratus Noualiti] ,; segue 1’ elenco
di parecchi documenti degli anni 1503, 1505-9. Poi viene una delle tante copie dei
privilegi dell'Abbazia, col titolo consueto: “ autenticum priuillegiorum prioratus
Noualitij ,. Dopo altre note di poco valore, viene indicato un “ Registrum recogni-
tionum Noualicij, [Vena]cij} et Ferrerie, inceptum sub anno 1433, Jndictione vnde-
cima — ,; e se ne rende conto.
I documenti ricordati in questi inventari sono abbastanza numerosi, ma non
sono tutti quelli dell'Abbazia. Oggi ancora se ne conservano all’ Archivio di Stato
assai più che qui non vengano registrati. Gli atti catalogati riguardano così i primi
come. gli ultimi secoli, prima della redazione dell'inventario. Darò notizia particola-
reggiata dei documenti più antichi; quelli su cui non mi fermerò sono dei sec. XII,
XHI, XIV e XV, e sono abbastanza numerosi.
Sarà opportuno premettere un cenno sul modo col quale i documenti si conser-
vavano nell'archivio abbaziale, secondo l'inventario del 1502. Come si è detto, l’eleneo
principiava dai privilegi, compresi i due documenti di Abbone, il quale riguardavasi
come “ patrizio , e “ imperatore ,. Nella cappella c’era “ vna capsa magna , di noce,
ein essa un cofano dipinto (2), nel quale stava riposto il testamento di Abbone, l’atto
col quale egli aveva istituito 1’ abbazia, il falso diploma di Carlomagno, la falsa
donazione della contessa Adelaide, e varii diplomi autentici, sino a quello del
conte Amedeo (IV) del 1232. Erano in tutto dodici documenti. Nella stessa cassa,
trovavansi sciolte altre carte, tra le quali una copia (1468) dei privilegi del-
l'Abbazia (3), due privilegi iMeggidili e altri istromenti pure antichi. Nella stessa
(1) Ferrera è una borgata situata sulla via fra la Novalesa e l’Ospizio del Moncenisio. Venaus,
la Novalesa e Ferrera sono tre borgate, che nei documenti trovansi spesso collegate insieme.
(2) “ in quodam cophoneto ibidem existente et depicto ,.
(3) Questa copia esiste ancor oggi nell'Archivio di Stato di Torino.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 249
cassa c'era ancora “ una pera , con documenti posteriori, compresa una cronaca,
della quale diremo in appresso. Poi vi si trovava un “ alius saccus , concernente i
possessi monastici in Camerletto, Caselle, Alpignano, Pianezza, Rivoli. In una £ pera ,
di tela stavano chiusi “ iura Porchayrani, villarum Almesii, villaram Fochardi ,.
In un’altra pera, come pare, custodivansi i documenti della villa di Novalesa (?) e
di Venaus. La stessa cassa conteneva un “ sacchum ,, e in esso conservavansi
“ diversa iura prioratuum Coysie, Corberie, Murete, de Bornay, de Romolon, et domus
Aquebellete ,,.
La cassa ora descritta stava riposta nella cappella dei santi Cosma e Damiano.
Nella camera del papagallo (“ in camera papagay ,) trovavasi un’altra cassa,
che racchiudeva molti istrumenti chiusi “
di queste carte erano antiche.
L’inventario del 1512 è meno ricco di indicazioni di simil fatta. Da esso ricavo
in diuersis peris de tella ,. E anche alcune
che in una “ pera , erano riposti i documenti “ Noualicij et Ferrerie ,, in un’altra
quelli “ Venauci] (= Venaus) et Lestadij ,, in una terza quelli “ Secuxie (== Susa)
et Jagloni (= Giaglione) ,, ecc. I quinterni dell’amministrazione erano uniti in fascio,
e legati con una corda.
Non sempre riesce abbastanza agevole lo identificare i regesti molto sommari e
molto mal fatti degli inventari 1502 e 1512 coi documenti ora superstiti. Ci possono
aiutare fino ad un certo segno i sunti dei documenti, scritti sul verso delle pergamene,
i quali hanno legame più stretto con l'inventario del 1512, che non col precedente.
Ecco l’elenco dei documenti più antichi e più importanti.
1. “ Priuillegium d. Abbonis patricii imperatoris factum de ordine monachorum , ecec.,
cioè l’atto 30 genn. 726, col quale Abbone istituì l'abbazia (Inventari 1502, 1512;
il regesto viene ripetuto due volte in ambedue i luoghi). — Esiste l’originale.
. “ Testamentum Abbonis patricij imperatoris illustris et fundatoris prioratus
Noualicij fondati in valle Pugna nuncupata, postmodum a Carolo magno et alijs
confirmatum ,. Così l'inventario del 1502. In quello del 1512 ripetonsi le stesse
parole, ma si aggiunge al fine “ sub anno Domini 496, indictione 14 ,. Pare che
qui si alluda al testamento di Abbone, a noi noto soltanto dalla trascrizione, che
nel sec. XI incirca, se n'è fatta nel Cartolario della Chiesa di Grenoble (1), dove
il testamento (datato dal giorno 5 maggio 739, ind. VII) è preceduto dalla conferma
fattane da Carlomagno. Finora non si aveva notizia alcuna dell’esistenza di qual-
siasi copia di questo testamento, all'infuori della trascrizione ora ricordata.
DO
DI
» Diploma di Carlomanno, ottobre 769 (Inventari 1502 e 1512). — N'esiste l’originale.
Al n. 26 ricorderò un privilegio, sul quale l’Allavard non dà notizia
alcuna, ma che con molta probabilità vuolsi identificare con quello (ora perduto)
di Carlomanno, 26 giugno 770 (769).
(1) Che ora forma il ms. lat. 13879 della Biblioteca Nazionale di Parigi. Fu recentemente pub-
blicato dal Marton, Cartulaires de Véglise cathédrale de Grenoble, Parigi, 1869, pp. 33-48.
Serie II. Tom. XLIV.
bo
250 CARLO CIPOLLA
4. Diploma di Carlomagno, 24 marzo 773 (Inventari 1502 e 1512, dov'è indicato
come inintelligibile, senza nome di imperatore o data, ma lo si può identificare
per identità di notazione sul verso). — N'esiste l’originale.
5. Falso privilegio di Carlomagno (Inventari 1502 e 1512). — N'esiste il pseudo-
originale.
6. Donazione di Teutcario, aprile 810 (Inventari 1502 e 1512, dai quali parrebbe trat-
tarsi di un diploma di Pipino e di Carlomagno; ma la confusione dipende dai
nomi che ricorrono nella datazione, in testa al documento). — Se ne conserva
una copia del sec. X, che taluno riguardò come originale.
7. Priuillegium Ilu. Ludovici imperatoris eidem prioratui concessum, quarto non.
aprilis, indict. septima, anno primo sui imperii , (Inventari 1502 e 1512). —
Forse si allude al noto diploma di Lodovico I, datato dall'anno I del suo impero, e
dall’indiz. VII (814); ma in esso manca il giorno ed il mese. Se l’identificazione -
fosse giusta, dovremmo avvertire che di esso si ha un apparente originale. Ma
resta il dubbio che qui si alluda ad un diploma ora perduto. Cfr. infatti il numero
seguente.
8. Come privilegio dell’imp. Enrico, registrano gli inventari 1502 e 1512 il pseudo-
diploma di Lodovico I, 814. Lo si desume dall’identità del regesto scritto sul
verso, con quello del secondo inventario, e dal fatto che il diploma viene contras-
segnato B, siccome indicasi dal primo inventario.
9. Diploma di Lotario I, 14 febbr. 825 (Inventario del 1502; identificasi mercè il
confronto col regesto scritto sul verso della pergamena). — N'esiste l'originale.
10. Giudicato di Bosone, maggio 827 (imperfettamente indicato dai due inventari).
— Nesiste una copia del sec. X circa.
11. Diploma di Lotario I, 13 giugno 844. Lo cita l’inventario 1512, che aggiunge:
“cum uno sigillo antiquo impresso ad imaginem antiquorum ,. — Adesso il
sigillo manca.
12. Diploma di Lotario, 10 ottobre 845 (Inventari 1502 e 1512, dove non è citato
il nome dell’imperatore). — Ne esiste l’ originale, nè mi sembrano fondati i
dubbii del Bethmann (Archiv, V, 323, Reg. Carol., 594, MG., Script. VII, 133) e
del Miihlbacher (Karol., 1088), che sospettano trattarsi di una copia o di una
falsificazione.
13. Placito di Boderado, novembre 880 (ambedue gli inventari). — Se ne conserva
l’originale.
14. Carta di Alpignano del 17 febbraio 1031 (Inventario del 1502). — Ne esiste
l’originale.
15.
16.
D%.
18.
I
20.
21.
22.
29.
24.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 251
Donazione della contessa Adelaide, 16 luglio 1039 (1) (ambedue gli inventari
ricordano la donazione, e non meno di una copia della medesima). — Ne esiste
il pseudo-originale, e una copia del sec. XIV, senza tener conto delle numerose
trascrizioni, che ce ne dànno i rotoli, di tarda epoca, recanti la serie dei pri-
vilegi abaziali.
Commutazione del 26 febbraio 1043, segnata coll’ anno “ pccccoxLm, quarto
kalendas marcii ,. È indicata nell’Inventario 1502 coll’anno: “£ coccoxLm] quarto
kl. marcii ,. — Ce ne pervenne Voriginale.
Diploma di Enrico II, 19 aprile 1048 (l'inventario del 1502 lo dà coll’a. 1048,
e quello del 1512 coll’a. 1408). — Ne esistono due originali, somigliantissimi
fra loro, e ambedue privi di sigillo, uno nell’ archivio della Novalesa, e l’altro
in quello dei Regolari di Breme. Ne abbiamo anche una copia del sec. XIII
nell’ archivio Pianezzo, come mi fu fatto osservare dal dott. A. Mathis. (Arch.
di Stato di Torino). i
“ Affictamentum de vna vinea sub fictu (in luogo di s. f., inventario 1512 legge:
ad seruitium) vnius caponis et vnius casey et denarijs vi Stephano gastaido,
sub anno 1063 , (ambedue gli inventari). — Pare che il documento più non esista.
“ Donatio comitisse Adelade de quadam vinea, facta monasterio Novaliciensi
sub 1066, in ciuitate Secuxie , (ambedue gli inventari). — Pare che il docu-
mento sia andato perduto, purchè non ci sia qui una confusione colla falsa do-
nazione del 1039, dove si legge: “ uenale apud Secusiam ,,.
Commutazione di Drodone, 19 maggio 1071 (ambedue gli inventari). — Ne esiste
l’originale.
“ Instrumentum antiquissimum de quadam vinea extrauache (?; l inventario
del 1512 tralascia questa parola), sita in territorio Secuxie, in Lestay, sub
anno 1072 , (i due inventari). — Pare che il documento sia andato perduto.
“ Recognitio Jacobi Lade de Ripolis facta anno 1088 , (ambedue gli inventari).
— Pare che il documento sia andato perduto.
Originale e copia del privilegio di Umberto conte di Maurienne, 10 maggio 1093.
(ambedue gli inventari). — Esiste l'originale e una copia del sec. XIV.
Donazione di Guido Ascherio, 1097 (ambedue gli Inventari). — Esiste l’originale.
e
(1) L’illustre barone D. CarurtI, Regesta comitum Sabaudiae, Torino, 1889, pp. 67-8, n. 189, e
p. 69, n. 194, parlò di questo documento, sospettandolo interpolato, ed esitando sulla sua data,
ma pur ritenendolo autentico. Così come ora sta, reputollo falso il Crarario (Chartar., I, 657), e non
senza motivo, a mio credere.
252 CARLO CIPOLLA
25. “ Carta seu instrumentum sancti Petri de Porchayrano antiquum et inlegibile ,
(inventario del 1512). — Pare che il documento sia andato perduto.
26. Un privilegio illeggibile e antico, ricordano i due inventari, colla forma egual-
mente oscura e affatto indeterminata, con cui l’Allavard avea indicato il privi-
legio, 769, di Carlomanno, e quello del 773 di Carlomagno. Questi ultimi si
possono identificare con sicurezza mercè le conformi indicazioni scritte sul
loro verso. Quello di Carlomanno è detto dall’Allavard “ obscurum in legendo ,,,
e quello di Carlomagno viene qualificato come un “ privilegium antiquum et
illegibile , (Inventario 1502), e ancora “ per antiquam et inusitatam litteram ,
(Inventario 1512). Ma quest’altro diploma indicato, come dicevo, in modo simile
a quelli di Carlomagno, non saprei con quale documento identificarlo, se non fosse
col diploma perduto, 770 (769), di Carlomanno, il quale andò perduto in tempo
relativamente recente, ed esisteva tuttora nel 1721. C'è anzi motivo per credere,
siccome vedremo, che quella pergamena esistesse ancora nel 1770.
I due inventari ricordano anche la conferma, 16 marzo 1204, data dal conte
Tommaso (di Savoia) alla donazione della contessa Adelaide. — Ne abbiamo
tuttora l'originale.
Oltracciò in ambedue gli inventari si registrano varie copie dei privilegi. Di tali
copie ne abbiamo parecchie ancora.
Prima di staccarmi da questi inventari, ripeto che ambedue fanno parola di
una cronaca pontificia e imperiale, che, per quanto si può giudicare dalle loro
scarse indicazioni, si avvicinava per tipo al Chronicon di Ricobaldo da Ferrara. Per
questo riguardo l'inventario del 1502 è più completo dell’ altro, e quindi trascrivo
da quello quanto segue: “ Cathalogus Romanorum pontificum et imperatorum, in quo
notabilia gesta eorumdem ac dies, menses et anni succinte continentur, quorum pon-
tifices sunt numero 162 a beato Petro citra vsque ad Gregorium nonum inclusiue, et
imperatores regnantes ab incarnatione Christi anno primo citra numero 100, videlicet
ab Octaviano semper Augusto usque ad Federicum etiam imperatorem, regnantem
anno predicte incarnationis Christi 1220 ,.
Nei secoli XV e XVI il monastero della Novalesa ottenne dai duchi di Savoia
numerose conferme ai suoi diplomi, e così ebbe origine una serie di raccolte au-
tentiche di detti privilegi. In testa a queste raccolte trovavansi i diplomi di Carlo-
magno, della contessa Adelaide (1039), di Umberto conte di Maurienne (1093), di
Tommaso conte di Maurienne (1204), e di Amedeo (IV) di Savoia (1233). Tra questi,
i due primi documenti sono apocrifi; del che non è qui il luogo di parlare. Ma bensì
dobbiamo accennare alla conferma dei privilegi fatta dal Senato di Carlo Emanuele I,
in data 15 luglio 1586 (1). Dal preambolo trascrivo: “ .....ed essi tutti privileggi e
concessioni debitamente sigillati, cioè tre più antichi in scatole di legno e tutti gli
altri im scatole di tola (2), tutti però con le cordelle di seta di diversi colori ad essi
(1) Ne abbiamo (oltre a parecchie copie di tarda età) un esemplare in carattere del XVI sec.,
nell'Archivio dell’Economato Generale di Torino, Cronaca ecclesiastica, documenti, memorie e storia
di abbazie del Piemonte, busta ILL
(2) Tola in dialetto piemontese significa latta.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 253
privileggi pendenti e da essi Ser. Principi e loro Cancellieri e Secretarij rispetti-
vamente signati e sottoscritti ,.
Appena può ricordarsi una “ parcella instrumentorum receptorum per Johannem
Barberij not. de Alpignano ad opus conuentus et capellarum monasterij sancti Petri
Noualitii ,, nella quale sono registrati alcuni istromenti dalla fine del sec. XV sino
all'anno 1500 preciso. È un opuscolo di forma bislunga. Non trattasi di un inven-
tario d’archivio, ma di una semplice nota a scopo ristretto. Il carattere adoperato
in questa parcella è il minuscolo franco-piemontese.
Una breve notizia di non molti documenti riflettenti Lanslebourg, leggiamo in
un foglio volante, di carattere franco-piemontese del secolo XVI, col titolo:
IVRA LANCEYBVRGI.
Di mano del secolo XVI, e pure in carattere franco-piemontese, abbiamo anche
un fascicolo, con un regesto abbastanza ricco. Comincia (f. 1») così: “ Inuentarium
iurium et scripturarum prioratus Noualici] in saculo existentium ,. Ma non vi si
registrano documenti più antichi del sec. XIV.
La necessità di rifare con maggior cura gli inventarii delle carte presentossi
al tempo del regime abbaziale di Filiberto Maurizio Provana dei signori di Leynì,
nominato commendatario della Novalesa da Urbano VIII, con decreto del 25 ot-
tobre 1641 (1). Pochi anni appresso, vedendo egli che nel monastero rimaneva soltanto
un monaco benedettino, pensò di chiamare i monaci della Congregazione riformata
di S. Bernardo, dell'Ordine Cistercense, coi quali stipulò l'atto del 13 genn. 1646 (2).
Diggià il suo predecessore, Antonio Provana, arcivescovo di Torino, nella sua qualità
di commendatario e signore della Novalesa, aveva pensato di introdurre un nuovo
Ordine monastico nel monastero, chiamandovi la Religione Certusiana, e segnando
colla medesima la convenzione dell’8 marzo 1637 (3), ma questa convenzione non
aveva avuto seguito. Anche il patto del 1646 non potè mandarsi così presto ad
esecuzione, poichè molti ostacoli vi si opponevano. Non era cosa agevole l’accordare
assieme i molti interessi che si trovavano in gioco. L'affare fu trattato a Roma,
dove se ne occupò per molti anni la S. Congregazione del Concilio. Abbiamo un
istromento del 15 ottobre 1665, col quale l’abate introdusse nel monastero i Padri
della Congregazione Cistercense di S. Bernardo (4). Ma pur risulta che neanche dopo
di quest’atto tutto fu finito, e le questioni anzi continuarono ancora a lungo.
Coincide con questa stipulazione un primo inventario dei documenti. Della biblio-
teca pochi si curavano, ma i documenti chiamavano a sè l’attenzione di tutti.
Sotto la data 20 ottobre 1665 trovai un “ Inventario delle scritture esistenti
nell'Archivio del ven. monastero della Novalesa , (5). Le pergamene vi sono distri-
buite in sacchi. Nel primo sono poi partite per luoghi: Avigliana, Camerletto, ecc.,
oltre ad un mazzo di carte spettanti all'abbazia di Rivalta. Nel secondo sacco intolato
(1) Abbazia della Novalesa, busta II. Arch. dell’Econom. generale.
(2) Abbazia della Novalesa, busta II, nella serie dell’Arch. dell’Economato; Abbazia della Novalesa,
busta LII, nella serie dell'Archivio di Stato di Torino.
(8) Abbazia della Novalesa, busta II. Arch. Econom. generale.
(4) Abbazia della Novalesa, busta XIINI e LII. Arch. di Stato di Torino.
(5) Abbazia della Novalesa, busta I. Arch. dell’Econom. generale di Torino.
Q54 CARLO CIPOLLA
“ Saccus secundus priuilegiorum monasteri} Noualitij , non c'è più la divisione per
luoghi; vi abbiamo segnate alcune date (1). Il terzo sacco si intitola da Lanslebourg,
Termignon, ecc.; il quarto da Venaus; il quinto da Lansvillar. Finalmente il sesto
denominasi “ Praepositura b. Marie Pedemontiscinisii ,.
Vi è annesso d’altro carattere un secondo inventario, nel quale particolareggia-
tamente ricordansi alcuni dei più antichi documenti, locchè non facevasi nel prece-
dente. La data di questo secondo inventario non è indicata, ma deve presso a poco
coincidere con quella del primo. Registrasi l’atto di Abbone del 726, ma non il suo
testamento; e questo pare importante assai a notarsi, poichè serve a determinare il
periodo, entro il quale quel documento andò perduto; una difficoltà peraltro c° è,
e la vedremo tosto. Registransi i falsi originali di Carlomagno e di Adelaide, il di-
ploma di Lodovico il Pio, ed uno di Lotario I, due copie dei privilegi (1448, 1478), il
diploma Enriciano 1048, la donazione di Teutcario, i placiti dell'827 e dell’880 (2). Il
“ saccus tertius Privilegiorum monasteri Noualitij , contiene, colla data dell’aprile
dell’anno primo di regno, la cosidetta sentenza di Carlomagno, datata da Pavia, per
la quale “ monaci recepti in monasterio Noualitij ibidem remaneant ,, ‘che altro non
può essere che il citato placito di Boderado, novembre 880; si ripete il “ privi-
legium de ordinatione clericorum , ecc., che è naturalmente l’atto del 726, già indi-
cato come esistente nel mazzo secondo. Ce ne sarà stata una copia antica. Figuranvi
poi due diplomi di Lotario, uno di Carlomagno, e due non letti.
Un fascicolo, legato, in carattere del sec. XVII (3), si intitola: “ Repertorio delle
scritture in pergamena spettanti all’Ill mo e R.»° signore Maurizio Filiberto Provana
abbate della Noualesa, secondo del tempo ,. Maurizio Filiberto Provana fu abate
dal 1640 al 3 settembre 1684, giorno di sua morte (4). Vi si registrano, distribuiti
in 51 fascio, documenti di vario argomento, de’ quali il più tardo è del 1678. Ne
consegue che questo inventario fu compilato verso il 1680. I documenti con data più
antica sono compresi nel “ fascio primo segnato A ,, e in essi trovo una donazione
riguardante Pianezza, 11 maggio 985 (984), la carta di Alpignano del 17 febbr. 1031,
e una permuta del marzo 1043. Di queste carte conservansi anche oggidì gli ori-
ginali. Vi si registra il pseudo-originale della donazione della contessa Adelaide, 1039,
con una copia della medesima. C'è poscia una delle solite copie dei privilegi del-
l'abbazia, che cominciano col falso diploma di Carlomagno e colla falsa donazione
di Adelaide, e vengono poi ai documenti dei conti di Maurienne e di Savoia. Tra
questi, erano primi quelli del conte Umberto (10 maggio 1093), e del conte Tommaso
(19 giugno 1204). Seguiva la conferma di Amedeo (IV) del 21 maggio 1233, e poscia
venivano le conferme di tarda età (5).
(1) Fra l’altro si ricorda un “ vilupo ,, colla grazia conceduta dal re di Francia a chi aveva
tentato di rubare la cassa delle reliquie. Di questo fatto clamoroso si parlerà nel seguente
paragrafo.
(2) Quest'ultimo è dato quale una sentenza di Carlomagno, e ciò a seconda del regesto del 1502.
(3) Arch. della Novalesa, busta XV. Arch. di Stato di Torino.
(4) M. A. Carrerto, Vita e miracoli di S. Eldrado, Torino, 1693, p. 113.
(5) La più moderna compilazione della serie dei privilegi concessi all’abazia Novaliciense è
quella che si chiude coll’atto del Senato, 15 luglio 1586, approvante e ratificante i suddetti privilegi.
Di questa raccolta abbiamo una copia (del sec. XVII?) nell'Archivio dell’ Economato generale di
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 255
Al tempo del medesimo abate appartiene anche un regesto di scritture del
sec. XIV, col titolo: “ Imuentarium scripturarum spectantium abbatie sanctorum
Petri et Andr[ejae de Noualitio, quae sunt in manibus mei Philiberti Mauritij
Prouanae abbatis dictae abbatiae, confectum de anno 1660 , (1).
A Filiberto Maurizio Provana successe don Giambattista Isnardi di Caraglio, ele-
mosiniere di Madama Reale, il quale, colla partecipazione della Santa Sede, strinse
una convenzione coi monaci, 1687 (2), nella quale, come poi vedremo, si provvide
anche alla conservazione dell'archivio; della biblioteca nessuno parlava.
E così veniamo al sec. XVIII, ed ai tempi di Vittorio Amedeo II, che assunse
l’alto dominio dei beni dell’abbazia Novaliciense, come degli altri benefici vacanti,
nel tempo di loro vacanza. In causa di ciò, nel 1721 venne fatta una ispezione a
quell’abbazia, e frutto della medesima fu l’inventario, di cui ora parleremo (3). Ne
trascrivo il principio, che serve di spiegazione al resto.
“ Essendo mente di Sua Maestà che si riconoschi il stato degl’ archiuij de’ ve-
scovati ed abbazie uacanti, ridotte sotto la sua real protettione, si formi un distinto
inuentario delle scritture in essi essistenti, se gli dia un buon regollamento per la
più sicura conseruatione delle medemme, inseguendo l'ordine che si è degnata darci
la Maestà Sua per tal fatto, abbiamo determinato di commettere, come commettiamo,
l'esecuzione di quanto soura al sig. conte di Montalenghe, maestro auditore della
reggia Camera dei Conti, per gli archivij} del vescovato d’Ivrea, abbazia di S. Stef-
fano e S. Benigno; al sig. conte e comendatore Bolgaro rispetto all’archivio del
vescovato di Vercelli; al sig. prefetto et intendente Sapellani per l'archivio dell’ab-
bazia di Lucedio; al sig. intendente Granella per l’archivio del vescovato d'Asti; ed
al sig. avocato De Gregori) per li archivij dell’abbazia di S. Giusto e della Novalesa
et della prevostura d’Oulx, quali incarichiamo della pronta speditione di detti inven-
tarij e regolamenti, con la pontoal osservanza dell’instruttioni nostre, che se gli
daranno a parte su questo particolare.
“ Datum in Torino, li 5 febraro 1721.
“ Per detto ill.®° et ecc.®° sig. Conte e primo Presidente
manualmente sottoscritto CAGNOoLO, segretario ,.
Segue una relazione, dalla quale emerge che l’avv. Giuseppe De Gregori], come
delegato del primo presidente della Camera dei Conti, conte Nicolis di Robilant,
addì 19 marzo di quell’anno recossi alla Novalesa. Fatto chiamare a sè l’abate Mas-
setti, lo interrogò: “ se sappi ove si ritrovi l'archivio delle scritture dell'abbazia o
sia priorato di S. Pietro della Novalesa al presente vacante e ridotta sotto la spe-
Torino, Cronaca ecclesiastica, busta II. Un'altra copia, e questa autenticata, del 1731, trovasi nel-
l’Archivio di Stato, Novalesa, busta II. Un'altra copia autenticata “ Baghera , ne trovo in un volume
di cause dell’anno 1607 e anni seguenti, Arch. Novalesa, busta XLVII. Arch. di Stato.
(1) Arch. Novalesa, parte non ordinata, busta LXV. Arch. di Stato.
(2) Alcuni atti relativi ad essa, veggansi nella busta II dell'Abbazia della Novalesa, nell'Archivio
dell’Economato generale.
i (3) L'originale trovasi nell'Archivio della Novalesa, busta XY. Minore importanza ha la copia
conservatane nella busta LXV. Arch. di Stato.
256 CARLO CIPOLLA
ciale protezione di Sua Maestà ,. Rispose il Massetti “ non esservi alcun archivio
formale, tener bensì lui nella sua camera diverse scritture a detta abazia aparte-
nenti, che ritrovò nell’istesso posto quando venne ad habitare nel presente monastero,
et haver perinteso che molte altre sì ritrovano nella città di Torino, senza sapere
appresso di chi siano ,. Ciò detto, il Massetti guidò il delegato nella sua stanza
e quivi “ aperto un credenzino fatto in forma di mezza guardarobba, si sono ivi
ritrovati diversi sacchetti pieni di scritture, con altre in esso credenzino collocate,
quasi tutte dette scritture gothiche, et in carta pecora, et alcuni libri in scrittura
anche anticha ,. Questo processo verbale fu firmato dal De Gregori} e dal segretario
L. Vallin.
L’abate commendatario G. Battista Isnardi di Caraglio, vescovo di Mondovì, era
stato il successore di Maurizio Filiberto Provana. Egli resse l'abbazia per circa 43
anni; dai documenti abaziali ricavasi che nel 1728 Vittorio Amedeo II nominò nuovo
abate comendatario Carlo Francesco Badia. Infatti il 15 marzo di quell’anno (1) Giu-
seppe Luca Pasini, prevosto di S. Maria del Moncenisio, quale procuratore del Badia,
prestò al re giuramento di fedeltà. Il Badia poi prestò giuramento egli pure, di per-
sona, nei giorni 20 giugno 1729 e 31 agosto 1731.
Da oltre mezzo secolo erano cessati i Benedettini alla Novalesa, e vi erano
stati sostituiti i Cistercensi, i quali vivevano sotto un proprio priore, tenuto alla
residenza; mentre l’abate comendatario, come di regola, soggiornava altrove, più
spesso a Torino. Così nel luglio 1702 un documento (2) mi dà il nome di Giuseppe
di S. Lorenzo (3), cogli appellativi di abate titolare e di padre priore. Era l’abate
locale. Similmente il surricordato Massetti dovea appunto essere il superiore dei Ci-
sterciensi, residenti nel monastero.
Il De Gregory attese a riconoscere i libri e le scritture dell’abazia nei giorni
19, 20, 21, 22, 24 e 25 marzo (1721), e dedicò i giorni 26 e 27 a “ rescriverle nella
forma , d'inventario, quale sta annesso alle carte ora indicate.
L’inventario non ha molto valore per l’antica storia del monastero, ed è fatto
da persona d'affari, non da uomo pratico negli studi di diplomatica. Il De Gregory
comincia dal registrare le copie dei privilegi abaziali, esistenti in carta 10 genn. 1468
e nel “ libretto , compilato coll’autorità del Senato, in data 16 marzo 1587. Poi ven-
gono i documenti pergamenacei singolarmente descritti. Qui figurano: l’atto del 726
con cui Abbone fondò l’abazia, la donazione di Teutcaro dell’anno 810, un diploma
di Lotario I, un diploma di Lodovico il Buono (814); i placiti degli anni 827 e 880,
il diploma di Enrico (III) del 1048. Tutti questi documenti ci sono pervenuti nella
loro antica condizione. Ad altri atti vetusti accenna il periodo seguente: “ Più un
pacchetto segnato E, continente sei carte peccore con scritture antichissime, che non
si sono puotuto intendere, conoscendosi però che sono diplomi dell’imperatore Carlo
Magno e d’altri imperatori successori del medemo ,.
Il De Gregory distribuì ne’ sacchi questi e gli altri documenti (descritti per lo
più molto laconicamente), e poscia depose tutto ciò nella guardarobba predetta. Vo-
(1) Arch. della Novalesa, busta XIV. Arch. di Stato.
(2) Arch. della Novalesa, parte non ordinata, busta LII. Arch. di Stato.
(3) Quei frati, soppresso il cognome, si denominavano dal nome di un santo.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, EUC. Ir
leva poi chiuderla, e portarne seco la chiave. Ma l’abbate si oppose adducendo che
“ per convenzione seguita (13 sett. 1687) con mons. Gio. Batta Isnardo, vescovo di
Mondovì, ultimo comendatario , si era stabilito che la “ guardarobba delle scritture ,
avesse due chiavi, una per il commendatario e l’altra per il monastero. Nata questa
contestazione, si prescelse una via di mezzo, e si sigillò la guardarobba. Della Cro-
naca (che in quel tempo era smarrita) non si fa parola; della biblioteca poi nessuno
si prese pensiero.
Pare che i documenti non rimanessero sigillati per molto tempo, giacchè di lì
a qualche mese appena se ne trascrissero 28, indubitatamente fra i più importanti.
Queste copie, autenticate dal notaio Bernardo Bazano, costituirono un bel volume,
tuttora conservato (1), sul cui dorso si scrisse “ Abbaye de la Novalese ,. Precede
un particolareggiato “ Indice de’ titoli esistenti nel presente volume ,. È quindi
(fol. 1) comincia la serie dei documenti coll’atto (726) di fondazione di Abbone pa-
trizio; termina con un privilegio conceduto (1557) all’abazia da Carlo de Ossa, signore
di Brissac, che agisce quale luogotenente di Enrico II re di Francia.
Le copie, che sono tutte del medesimo carattere, non sono di mano del Bazano,
il quale invece appose a ciascuna la propria autenticazione, colla rispettiva data.
I giorni segnati vanno dal 17 al 30 agosto 1721. Pare che il Bazano si limitasse
a collazionare coi documenti originali le copie che trovava diggià preparate. Im quei
pochi giorni appena c’era il tempo necessario ad un lavoro così lungo e difficile.
Questo del resto ci dicono varie delle autenticazioni, una delle quali (fol. 32 r) viene
qui trascritta: “ Ho estratto il sovraseritto diploma reggio dal suo proprio originale
signato et sigillato come sopra resta espresso, seritto in carattere anticho, ad uso
dell’Il].®° sig. Procuratore Generale di S. S. M., e per fede io Bernardo Bazano nod..,
Att.° Colleg.'° e proffessor de carateri antichi mi sono quivi, precedente l’opportuna
colatione, manualmente sottoscritto BAazANno not. ,. L'incarico di questo lavoro gli
era stato dato addì 13 agosto precedente dalla R. Camera dei Conti (cfr. fol. 226 ).
Mi si offrirà occasione (2) di dimostrare che il Bazano disimpegnò il suo incarico
con molta valentia: così che le sue trascrizioni riescono talvolta veramente impor-
tanti per la ricostruzione critica del testo di quei documenti.
Di pochi anni posteriore è un fascicoletto, segnato col 26 dic. 1729, e intitolato
Inventario delle scritture spettanti all'abbazia della Novalesa. Vi si notarono parecchi
regesti di documenti del sec. XIV. Esso fu redatto evidentemente in correlazione
colla nomina del nuovo abate commendatario Carlo Francesco Badia.
Pure al sec. XVIII appartiene un fascicoletto con regesti di documenti Novali-
ciensi dei secoli XIII e XIV. |
Al medesimo secolo risale la Nota seu inventarium iurium abbatiae S. Petri de
Novalitio et castri Camerletti, in bergameno, et aliarum scripturarum minutarum. L'elenco
principia coi documenti di data più antica, e prima di tutto con una pergamena
comprendente il falso diploma di Carlo magno, la falsa donazione di Adelaide 1029
(1) Arch. della Novalesa, busta I. Arch. di Stato. Il volume consta di fogli 226, oltre ai 5 fogli
dell’indice.
(2) Nella pubblicazione dei Monumenta Novaliciensia vetusiora, in corso di stampa per cura del.
l’Istituto storico italiano. Ò
Serie lI. Tom. XLIV. 35)
258 CARLO CIPOLLA
(leggasi: 1039), ia conferma concessa dal conte Umberto 1097 (leggasi: 1093), la
conferma di Amedeo IV, 1233, e quella di Amedeo IX, 1476 (leggasi: 1466). Trat-
tasi evidentemente di una delle solite copie. Pochi documenti originali antichi ven-
gono qui citati, e precisamente: un altro del 985 (984) maggio 11, una carta del
gennaio 1025, e la permuta del marzo 1043. I due primi sono indicati assai male e
dati come illegibili o quasi. Di tutti e tre esistono tuttora gli originali. Segue an-
cora (fol. 5 v) il cenno poco chiaro: “ Carta Planetiarum inteligibile, signat. n° 28,
de anno 994 ,, col quale forse si può alludere al diploma di Ottone II, 26 aprile 998,
ove non si parla di Pianezza, ma si ricorda la “ cellam Poll[e|jntie ,. Quella di
Pianezza ora esistonte è del 985 (984) maggio 11, e l'abbiamo vista di già ricordata.
A dedurlo dal carattere risale a questa medesima epoca incirca, un fascicoletto
col titolo: “ Sommario delle scritture dell’abbatia della Novalesa per il Studio e
Pietrastretta esistenti , (1), nel quale si regestano numerosi documenti anche antichi.
La descrizione tuttavia è imperfettissima, ma non resta inutile; poichè dà notizia
anche di qualche documento antico che sembra perduto. Ivi si registrano gli atti
del marzo 1048 (commutazione fatta dall’abate Eldrado), marzo 1044 (offersione
fatta da Germana del fu Adalardo), 22 agosto 1070, 19 maggio 1071, dei quali
sono a noi pervenuti gli originali. Un'altra carta del 21 ottobre (1012), Enrico (II)
imp. a. 6, ind. 3 (Ildebrando detto Daniele figlio di Girbaldo, professante legge lon-
gobarda, vende ad Ami... suddiacono e Gentrammo fratelli figli di Gislaberto e al
loro nipote Milone figlio di Domenico, alcuni beni in Caselle) ora si trova nell'archivio
di Stato, ma non più fra le carte della Novalesa (2). Egualmente mutò ora di posto
anche la concessione ricordata ivi pure, fatta addi 1° marzo 1096 da Gandolfo abbate
di S. Colombano, il quale investì il monastero di S. Pietro di Rivalta di una pezza di
terra (3). Viene ricordata poi una donazione senza data: “ Donatione pia fatta da
Domenico et Pietro... padre et figliuolo, di natione salica, a fauore di Anselmo pre-
vosto di S. Pietro di Riueta [oggi: Rivalta] di tavole 50 di terra aratoria, situata
nel territorio di Riveta, ove si dice Rigobruardo , (fol.6r). Non sarà male ripro-
durre qui anche i regesti di due altri documenti pure riguardanti Rivalta, che ven-
gono ricordati in questo inventario (fol. 6 0), e che ora sembrano perduti.
“ 1100, octavo kal. aprilis [25 marzo]. Vendita fatta da Pietro figlio del fu
Ruvidone et Adalasia giugali, figlia del fu Rubaldo, di nazione salica, a favore di
Anselmo prete, figlio del quondam | Uberto], di beni di tavole 300 situate nel terri-
torio di Riveta ove si dice Fontane ,.
“ 1100, octavo kal. iul. [24 giugno]. Vendita fatta da Maginardo et Robaldo
quondam Odone, Giovanni et Vidone padre e figlio, di nazione romana, a favore di
Anselmo prete, figlio del fu Uberto, di tavole 100 di terra, situate nel territorio di
Riveta, al luogo ove si dice Luchea ,.
Il suddetto Anselmo prete incontrasi ancora nell’atto di compera da lui stipu-
lato verso i coniugi Tibaldo e Maria, addi 27 dic. 1105. Questo documento conser-
(1) Abbazia della Novalesa, busta LXV. Arch. di Stato.
(2) Conservasi nella categoria Paesi, Provincia di Torino, Caselle.
(3) Ora si trova (in originale) fra le carte dell'abbazia di Rivalta. Fu pubblicata dal Dara, in
Chart., I, 718, che la dà come esistente fra le pergamene dell'abbazia della Novalesa, mazzo I, n. 20.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 259
vasi ora in originale fra le carte dell’abbazia di Rivalta, nell'Archivio di Stato, e
dal regesto apposto sul suo verso, risulta che esso pure fece parte dell'Abbazia No-
valiciense.
Troveremo di qui a poco qualche altra notizia sulle relazioni fra l'archivio di
Rivalta e quello della Novalesa.
L’abate Pietro Antonio Maria Sineo stese un minuzioso inventario delle carte
dell’abbazia, ma pur troppo del suo lavoro conservasi solamente un grosso fascicolo (1).
Quelle pagine sono autografe del Sineo, ed una mano moderna, a togliere ogni
dubbio, seppure esso fosse stato possibile, vi sovrappose la notazione: “ di mano
del celebre ab. Sineo ,.
Trattasi di regesti, fatti con cura grande. Le carte sono distribuite per mazzi,
seguendo (come può credersi) l’ordinamento che esse tenevano nell’archivio abbaziale.
Il frammento di cui parliamo comincia col mazzo 1, il cui primo numero è un atto
del 1202. Viene poi la descrizione dei mazzi 16, 17, 18 e 19. Quindi la notazione:
“ Le scritture sopra descritte si sono ritrovate ordinate come sopra in diciotto mazzi,
consegnati dal R. Economato all’ab. Sineo della Novalesa. Le seguenti note conse-
gnate al detto abate in fasci consueti (?) e senza inventario sono state: riconosciute
dal medesimo ed ordinate in tanti mazzi nella forma seguente, cioè: mazzo 19 — ,.
AI regesto dei documenti del mazzo 19, fa seguito quello dei mazzi 20-30. Nulla vi
sì contiene di antico.
A qual tempo appartenga con precisione, tale inventario, non risulta da dati
direttivi; non mi manca tuttavia il mezzo per determinarne l’epoca in qualche modo.
L'abbazia era ormai e da tempo ridotta alla dipendenza dello Stato. Anche il
predecessore del Sineo, Antonio Videt, confessore della duchessa di Savoia, era stato
nominato e presentato dal re, e raffermato da Benedetto XIV (2). Morto il Videt,
Carlo Emanuele HI chiese (2 giugno 1770) al papa, che gli sostituisse il Sineo, che
fu nominato da Clemente XIV con bolla 13 luglio 1770; e il Sineo, come si è detto
in addietro, prese possesso dell’abbazia il seguente giorno 14 agosto (1770) (3).
Il Sineo si prese cura dell’archivio, che l’Economato gli consegnava. La con-
segna delle carte da parte dell’Economato non significa che esse si trovassero a
Torino; pur trovandosi alla Novalesa, al mutarsi dell'abate commendatario, biso-
gnava che il nuovo investito le ricevesse ufficialmente dall’autorità, che ne aveva la
cura suprema. Vediamo peraltro che intorno a questo tempo l'archivio fu trasferito
effettivamente all’Economato di Torino.
Abbiamo gli atti della ispezione e della consegna dell'Archivio Novaliciense da
parte dell’Economato, che seguirono fra il 1770 e il 1771. Trovo (4) anzitutto un
fascicolo intitolato: “ Inventaro delle scritture spettanti all'Abbazia de’ santi Pietro
(1) Sta nell'Archivio della Novalesa, parte non ordinata, busta LXV. Arch. di Stato. — Appena
fa conto di qui ricordare un foglio di tarda età, col titolo Moncenisio, prepositura dell'Ospedale. Il
documento più antico ivi ricordato è il diploma di Lotario dell’anno 825.
(2) Con bolla 15 novembre 1757, Abbazia della Novalesa, busta II. Arch. dell’Economato.
(3) Veggansi questi documenti nella busta II dell'Abbazia della Novalesa. Arch. dell’Economato
generale.
(4) Archivio della Novalesa, busta XV. Arch. di Stato.
260 CARLO CIPOLLA
e Andrea di Novalesa ,. Alla fine di esso inventario fu aggiunta (e poi cancellata)
una dichiarazione di ricevuta in consegna degli atti descritti, fatta a Torino, 4 set-
tembre 1770, da Girolamo Francesco Sineo della Torre, quale procuratore del-
l'abate Pietro Antonio Maria suo fratello. L’inventario è fatto molto sommariamente.
Nel mazzo primo destinato ai “ Diplomi degl’imperatori e reali sovrani di Savoia
con donazioni a favore del Monastero ed Abbazia dei Ss. Pietro ed Andrea della
Novalesa ,, si ricorda il diploma di Carlomanno del 20 giugno 770 (769), trascritto
anche dal notaio B. Bazano. Pur troppo quella preziosa pergamena adesso non si
trova più. Ci sono poi, oltre a varie delle solite copie de’ privilegi (una con privi-
legi sino al 1448, e l’altra con privilegi sino al 1490), il diploma falso di Carlomagno,
l’atto di fondazione (726) dell'Abbazia ecc. Manca anche qui il testamento di Abbone,
il quale comparisce unicamente negli inventari di Pietro de Allavardo. Altri docu-
menti antichi si registrano sotto il mazzo XI “ Donazioni e contratti in favore della
Abazia ,, ma sono documenti tuttora esistenti e ben noti.
Due mancano attualmente all’archivio Novaliciense, ma nè l’uno, nè l’altro, si
riferiscono direttamente al monastero Novaliciense. Sono i seguenti, ambedue
senza data:
“ Donazione di Domenico ed Opizone padre e figlio, a favore della chiesa di
S. Pietro di Rivetta [ora Rivalta] d’una pezza di terra aratoria in detto luogo, ove
si dice Rigo Bruardo ,.
“ Donazione fatta da Saremo (?) e Beatrice di lui madre a favore della chiesa
di S. Maria di Corse di una pezza di terra nelle fini di S. Pietro [di Rivalta ?], colla
metà della decima ed altra terra, ove si dice Clesin, colla decima ,.
Nè l’uno, nè l’altro di questi due documenti si potè trovare nell'archivio di
Stato di Torino, dove gentilmente li cercò, dietro mia preghiera, l’officiale di detto
archivio sig. cav. C. D'Agliano, al quale mi è grato rinnovare ia manifestazione della
mia gratitudine, per tutti gli aiuti coi quali ebbe la bontà di favorire le mie ricerche
Novaliciensi. Il primo dei due documenti l’abbiamo visto indicato in altro inventario,
con qualche diversità in alcuni particolari; ma sono diversità leggere, che non impe-
discono la identificazione dei due atti.
Probabilmente i due documenti, indicati dall’inventario, che stiamo descrivendo,
avranno fatto parte di quel mazzo “ di tredeci bergamene concernenti le cose del
monastero di Rivetta ,, di cui fa parola il ricordato Inventario del 20 ottobre 1665.
Qualche altro documento della medesima natura, lo troveremo in appresso.
L'anno successivo l abate Sineo pensò di nuovo alle carte d’ archivio. Il
20 giugno 1771 (1) il Sineo recossi al monastero, e dall’abate locale, don Agostino
Colomba, si fece aprire l'armadio, nel quale i monaci doveano custodire i documenti,
sotto doppia chiave; a tenore della convenzione stipulata nel 1687 fra il commen-
datario e i monaci, una chiave dovea essere nelle mani del commendatario e l’altra
in quelle del superiore claustrale. Nel giorno successivo si esaminarono alcuni docu-
menti, segnandone le date, la più antica delle quali è il 1266, ma si indicarono
(1) Verbale di recognizione d'archivio dell'Abbazia de’ Ss. Pietro ed Andrea di Novalesa e successivo
principio di descrizione delle scritture esistenti nel sudetto Archivio 1771*, nella busta II dell’ Abbazia
della Novalesa, nell’Arch. dell’Econom. generale.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 261
anche alcune pergamene “ in gottico oscuro , e “ un libretto di memorie e cataloghi ,,
che non si lesse.
L’inventario senza data, autografo del Sineo, al quale accennai poc’ anzi, deve
essere senza dubbio posteriore al 1771. È un gran male per noi che il suo minu-
zioso e diligentissimo regesto, ci sia pervenuto così manchevole.
Nel 1788 allorchè il De Levis si recò alla Novalesa (1), trovò l'archivio spoglio
di carte; queste si trovavano all’Economato, dove egli stesso se ne giovò (2).
Il Sineo morì nell’agosto 1796, e il monastero fu, secondo il consueto, ridotto a
mano regia, 3 settembre 1796. Il 12 luglio 1797 il “ regio subeconomo generale dei
Vescovadi ed Abbazie vacanti ,, ab. Carlo Antonio Pulini, recossi colassù, e inter-
rogò sullo stato del monastero il chirurgo Marco Chiapuzzi, che n’era economo. Gli
domandò anche dell'archivio. E il Chiapuzzi rispose che di esso “ si è sempre tenuto
doppia chiave, una appresso al signor abbate commendatario, l’altra appresso il padre
abbate di governo di esso monistero; su di che interpellatosi il p. abbate di questo
monistero, Alessandro Sismondi, all’oggetto di aver la visione di detto archivio e
copia dell’indice delle scritture nel medesimo esistenti, rispose il medesimo essere
stato detto archivio depredato, ed incendiate le scritture all'occorrenza che fu messo
a sacco esso monistero nell’invasione seguita dai Francesi in esso luogo e distretto,
ed essersene per accidente salvate alcune poche, quali qui esibite si trovarono non
avere verun rapporto agli interessi di questa abbazia , (3).
Da così esplicite dichiarazioni dovremmo arguire che l’archivio abaziale conte-
nesse fino ad un secolo addietro un gran numero di documenti, andati perduii nelle
guerre sardo-franche. Ma, almeno per quanto riguarda l'epoca antica e più impor-
tante, noi lo abbiamo veduto con prove sicure, poco di certo andò perduto nell’ ul-
timo secolo. Tranne un diploma di Carlomanno, noi abbiamo quasi tutto quello che
potè vedere Bernardo Bazano nel 1721. La verità era che le carte si trovavano, e
da molti anni, a Torino.
Il Governo francese, se soppresse l'abbazia, conservò o almeno ristabilì l’ospizio
del Moncenisio da quella dipendente (4).
Per la storia dell'abbazia in quell'epoca fortunosa, è assai importante una let-
tera indirizzata nel 1819 da Antonio Marietti abate del Moncenisio, e superiore del
monastero di Novalesa, all’Economato Generale dei benefizi vacanti. Egli narra che,
soppresso il monastero nel 1803, i suoi beni furono riuniti all’ospizio del Moncenisio
ed affidati, per l’amministrazione, ai monaci della celebre badia di Tamiè in Savoia.
(1) Arecdota sacra, p. xxIx.
(2) Così trascrivendo egli il falso diploma di Carlomagno, dice di averlo visto £ in archivo apo-
stolico regii economatus , (Cronaca Ecclesiast., busta II. Arch. dell’Economato).
(3) Veggasi l’atto della visita nella busta II, Abbazia della Novalesa, nell’Arch. dell’Economato
generale.
(4) Nella busta LXIII dell'Abbazia della Novalesa nel R. Archivio di Stato, si conservano varie
carte degli anni X e XI della Repubblica Francese, dalle quali emerge che l’ospizio allora esisteva.
Una deliberazione dei Consoli, Parigi, 6 messidoro dell’anno X (25 febbraio 1802), prescrive all'art. 1:
“ Les dispositions faites par le préfet du département du Mont Blanc, tant pour l’éstablissement d’un
hospice sur le Mont-Cenis, que pour la direction d’un service hospitalier et la dotation des fonds
destinés è pourvoir aux dépenses, sont approuvées ,.
262 CARLO CIPOLLA
Questi si occuparono dello “ ristabilimento , dell’ospizio, ma non ebbero tempo di
prendersi pensiero della Novalesa, dove monastero e chiesa andarono nell’estrema
rovina. In appresso le due case, del Moncenisio e della Novalesa, furono restituite
con regio viglietto di Vittorio Emanuele I, 30 aprile 1816. Il Marietti ebbe infatti
l'investitura del Moncenisio con atto 10 maggio consecutivo. Egli tosto si interessò di
ristabilire il monastero Novaliciense, sicuro di secondare le pie intenzioni del re, e ne
riferì al conte Borgarelli, ministro dell’interno, con lettera 11 giugno 1818 (1).
In occasione del ristabilimento del monastero, si pensò anche al destino e alla
inventariazione delle carte.
Questo inventario, di carattere onninamente amministrativo, ci pervenne in due
copie. Una di esse (2) reca il titolo “ Copia dell'elenco delle scritture spettanti al-
l’abazia della Novalesa e conservate nell'Archivio del KR. Economato Generale in
Torino ,; una postilla aggiunge: “ in gran parte rimesse al monastero della Novalesa
e collocate in apposita credenza, segnata Arcivium (!) ..agosto' 1827 s- Nell’altro
esemplare (3) quest’ultima indicazione manca, e il titolo è modificato. Poco impor-
tanti sono le notizie che si possono avere dalla maggior parte di questo inventario,
mentre riguardano argomenti storici soltanto gli ultimi numeri (154-162) del mede-
simo, i quali ricordano la Cronaca Novaliciense, alcune copie mss. a stampa dei
privilegi, ecc. In fine al secondo esemplare, a proposito di questi ultimi numeri, leg-
gesi: “ N. Bene, dal n° 154 al 162 inclusi, sono tutti collegati in un invoglio e queste
sono le scritture riacquistate nell’autunno dell’anno 1817 ,. Così leggesi scritto dalla
prima mano cui si deve quell’Inventario. Posteriormente e di altro carattere fu ag-
giunto: “ Queste vennero nel 1846 di nuovo collocate nella Miscellanea per l’Italia
Sacra ,.
Con queste ultime parole si allude alla busta II della Cronaca Ecclesiastica, pure
nell'archivio dell’Economato. In quella busta infatti si trovano i documenti ricordati
dai citati numeri di detto Inventario, insieme con altre carte riflettenti altre diverse
istituzioni ecclesiastiche Piemontesi. Ma quelle carte, che si acquistarono nel 1817,
non appartenevano veramente all’abbazia. Sono in tutto, o almeno in gran parte,
null’altro che i materiali messi insieme da Eugenio De Levis, per la edizione da
lui divisata del Chronicon, e per gli altri lavori da lui intrapresi sulla storia e sui
codici dell’abbazia.
L'abbazia, che nel 1827 riebbe parte del suo Archivio, fu nuovamente abolita
nel 1855, ed ora ie sue carte si trovano divise fra l’ archivio di Stato e l’ archivio
dell’Economato Generale di Torino.
A conclusione di questi nostri studii sugli Inventari archivistici, sia detto che
essi ci autorizzano a credere, che nonostante le tante traversie e vicende cui andò
soggetto negli ultimi secoli quel monastero, la perdita subìta dal suo Archivio nella
parte più antica e più importante del medesimo, non fu così grave, come si avrebbe
potuto sospettare.
(1) Abbazia della Novalesa, busta LXIII. Archivio di Stato di Torino.
(2) Nella busta LXV dell’Abbazia della Novalesa. Arch. di Stato.
(3) Trovasi nella busta VI dell'Abbazia della Novalesa. Arch. dell’Econom. generale.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 263
Il.
Gli Inventari delle Reliquie.
La più antica memoria scritta riguardante questo argomento forse è quella che
il barone Vernazza ed Eugenio De Levis copiarono dal necrologio abbaziale, sotto
il 30 settembre: “ obiit millesimo . CC . nonogesimo tercio . magister iohannes de
lancio vilario, qui obtulit brachium argenteum in honorem beati heldradi ,. L'antica
teca qui indicata, ora non c'è più. La vide, per quanto pare, il Vernazza, e la trovò
senza iscrizioni. Un documento, di cui dovremo tosto far parola, la ricorderà.
Ma se quell’antico cimelio andò pur troppo smarrito, un altro e di ben maggiore
importanza ci è stato conservato nella sua integrità.
Ho già avuto occasione di ricordare la bellissima arca d’argento (1), che racchiude
(1) Un brevissimo cenno su quest’arca, lo dobbiamo al bar. G. CraretTA, “ Atti Soc. archeol. e belle
arti della prov. di Torino ,, V, 23. — Essa è veramente un monumento di grande importanza arti-
stica. Lo scheletro della cassa è di legno; essa ha la forma dell’arca sepolcrale, a due pioventi. I-
due pioventi, come pure le quattro faccie, sono coperti da sottili lamine di argento. Gli spigoli
sono nel tempo stesso ornati e protetti da larghe fascie argentee decorate con ornamenti a sbalzo:
una di tali fascie taglia per metà ciascun piovente insieme colla faccia sottoposta, in modo da divi-
dere quello e questa in due campi. Abbiamo perciò da ciascuna parte quattro campi, senza calcolare
le due fronti dell'arca. Prendiamo a considerarne a parte a parte ciascun lato. Primo lato. diovente:
il primo campo è diviso in tre parti da tre arcate; nella mediana c’è la Vergine colla leggenda in
caratteri gotici del XIII secolo circa: S MA | RIA, essendo le lettere disposte sopra due linee, ai lati
della Vergine. Sotto gli altri due archi, due angeli in atto di adorare la Vergine; dappresso ad uno
degli angeli, la lettera G ricciuta, iniziale di Gabriel. Nel secondo campo, tre archi, di cui il primo
è trasformato in una grande iride, e in esso sta la figura del Salvatore sedente e benediciente,
contraddistinta colle lettere A e £; sotto i due archi laterali, due angeli in adorazione. Faccia: I
due campi si dividono in sei arcate, con sei fisure di apostoli, i quali non si guardano a vicenda,
tranne che quei due i quali si trovano d’accosto alla figura di S. Pietro, i quali sì inchinano a lui. Sul
secondo lato, il primo campo del piovente, diviso pure in tre arcate, ha la centrale occupata da S. Michele,
che vince il drago infernale, colle iniziali <$ M; le altre due arcate sono occupate da due angeli,
distinti colle iniziali G(abriel), R(aphael). Tre angeli occupano le tre arcate dell'altro campo. I
due campi della faccia sono divisi in sei arcate, e contengono sei apostoli. Sopra una fronte, c'è la
grande figura di S. Eldrado, col pastorale, e colla leggenda -$ | AL | DR | AD’ | AB| AS: corrisponde
sull’altra fronte, S. Pietro. Lo spigolo superiore dell’arca è coperto da una specie di attica in ottone,
che termina alle estremità in due pomi, ed a mezzo è intercettata da un modello di una torre coperta,
e con fenestre simulate. Al basso dell’arca corre intorno una cinghia ferrea, di data recente, ma
che vi si trovava quando mons. Fr. Vinc: Lombard, vescovo di Susa, addì 5 marzo 1828, rivide l’arca,
e dichiarò che, secondo la costante tradizione, conteneva le reliquie di S. Eldrado. Le quattro faccie
sono ornate ciascuna da una grossa finta pietra, che in realtà è vetro.
Da un'istanza dei cittadini di Novalesa al vescovo di Susa, 8 marzo 1799, per ottenere un favore
di carattere liturgico, si capisce che l’arca era stata concessa alla prevostura di Novalesa dai monaci.
L'istanza, al pari che la lettera patente di mons. Lombard, conservasi ora nella prevostura stessa.
A chiarire le parole di mons. Lombard, il quale si affida alla tradizione per quanto riguarda
il contenuto dell’arca, vuolsi avvertire che essa non può aprirsi; è chiusa da tutte le parti, senza
alcun segno di chiave.
L’arca è alta, compresa la torretta centrale, cent. 60, e senza di quella, cent. 47; misura 78 cent.
in lunghezza e cent. 31 in larghezza.
Apparteneva, per quanto fui assicurato, ad una lipsanoteca una semisfera in bronzo, con ornati
a incisione, e fornita di attacchi. Congiungendosi un’altra semisferata simile, oggi perduta, serviva
a tutelare alcune reliquie. Trovasi anche questo oggetto presso la prevostura della Novalesa.
264 CARLO CIPOLLA
le reliquie di S. Eldrado, e che ora si custodisce nella chiesa parrocchiale del vil-
laggio della Novalesa. Vedremo di qui a poco come nel 1502 si credeva che nella
cassa, insieme colle reliquie di S. Eldrado, si trovassero anche quelle di S. Arnolfo,
arcivescovo di Lione (1). È quella un’opera d’arte squisita e preziosa, la quale attende
ancora un illustratore. Dalle forme delle lettere nelle leggende testè riferite, si
può desumere l'età della medesima, fra il secolo XIH e il seguente. Il carattere
gotico, impiegato in quelle iscrizioni, non essendo ancora molto sviluppato e perfetto
mi fa decidere ad attribuirlo al sec. XIII piuttosto che al susseguente. Naturalmente,
le prove paleografiche non dànno sempre la sicurezza assoluta, e quindi non giusti-
ficano un giudizio assoluto; abbandono ai cultori della storia dell’arte lo studio defi-
nitivo di questo prezioso cimelio.
Non credo ad ogni modo che quest’arca si possa identificare con qualcuna delle
lipsanoteche regalate all'abbazia nella seconda metà del XIV secolo dall’abate Ruf-
fino de’ Bartolomei. Forse la cinghia di ferro, di data relativamente recente, che ne
rinforza il piede ci toglie ora di leggervi il nome dell’offertore.
L'arca di S. Eldrado non può essere collocata fra le grandi casse, una delle
quali, più che doppia della nostra per dimensioni, fu testè descritta da L. Bickell (2)
ed è quella di S. Elisabetta di Ungheria, esistente a Marburgo, nella chiesa omonima.
Questa cassa, che ha la lunghezza di quasi due metri, ha colla nostra arca molta
rassomiglianza nei tratti generali, ma la supera di gran lunga per finezza. La cassa
di S. Elisabetta è verosimilmente del 1249, e quindi per età non si discosta molto
dall’arca di S. Eldrado.
Rappresento nella tavola una faccia della nostra arca, secondo la fotografia che
gentilmente me ne procurò l’egregio cav. avv. Secondo Pia, valentissimo nel fotografare
oggetti d’arte. Chi ne faccia il raffronto, troverà molta corrispondenza fra le due arche,
sia nella distribuzione delle figure sulle due faccie e sui due lati, sia nella cresta
di coronamento.
Il barone Vernazza addì 14 maggio 1788 recatosi alla Novalesa, fermò la sua atten-
zione sugli antichi reliquiari dell'abbazia, e ne trascrisse le relative iscrizioni: 1)
“hoc . reliquiariù beati . zacharie | pris . beati . iohes. batiste | fecit . fieri . fr . ruffino .
de . bthis | de . Secus . por . novalicien ,; 2) “ »K hoc . opus . fieri . fecit . frater . ruf-
finus.d. bartholomeis . d . secusia . prior. novaliciensis , (S. Eldrado, annota il
Vernazza); 3) anno . domini. M . CCC . LXXII . dns . ruffinus . de . berthis . de secus .
prior. mon . novalic . fe , (S. Arnolfo, appone il Vernazza). La prima di queste iscri-
zioni ha bisogno di qualche correzione. Probabilmente si leggerà: Johanmnis, prior.
Di queste iscrizioni deve aver avuto notizia il camaldolese D. Francesco Bor-
garelli (3), che sulla fine del secolo scorso rilevò il dono di Ruffino de’ Bartolomei, e
soggiunse che nel 1367 questi fu esecutore del testamento di Giacomo vescovo di A.caia.
(1) Assicuravami il m. r. d. Antonio Belmondo, prevosto di Novalesa, essere anche oggidì tra-
dizione che la cassa contenga le reliquie di S. Arnolfo, assieme a quelle di S. Eldrado; ma nulla
risulta di certo.
(2) La chiasse de Sainte-Elisabethe, in “ Revue de l’art chrétienne ,, 1892, pp. 380 sgg.
(3) De abbatia S. Petri de Noualisio ciusque abbatibus, ad montis Cinisii radices. Questa Memoria
costituisce un capitolo nel volume ms. Abbazie del BorcAarELLI; alcune aggiunte vi fece (1868) il
can. Antonio Bosro, al quale quell’operà appartenne. Ora essa si trova, insieme col resto della biblio-
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 265
Il P. Marcantonio Carretto (1) nulla sa del regalo delle lipsanoteche d’argento.
Il Rochez (2) ne tace affatto, e di fr. Ruffino scrive poche e poco esatte parole.
Prima di ambedue, Mons. Franc. Agost. Della Chiesa (3) pose Ruffino all’anno 1353, e
lo diede come uno degli esecutori del testamento (1366) di Giacomo Principe di Acaia (4).
Intorno alla vita del priore non mancano notizie. Suo predecessore fu d. Lan-
telfus Gay de Berlandeto, che col titolo di priore resse il priorato della Novalesa, sino
alla sua morte, seguita il 26 agosto 1350. Fu sepolto il dì stesso. Nel giorno se-
guente (5) si radunarono fr. Guglielmetto Vitona sacrista e gli altri monaci del
cenobio; ricordando l'elezione del priore fatta nella persona di fr. Ruffino de’ Bartolomei,
monaco di S. Giusto di Susa, invitarono a confermare tale elezione tre priori dipen-
denti dalla Novalesa, cioè fr. Ugo Gay “ prior Murete , (= Le Muraz), fr. Filippo
Gastini priore di Bornay, e fr. Umberto da Villareto “ prior Romoloni , (= Rumilly,
Haute-Savoie), ed essendo questi tre assenti, indissero un nuovo capitolo per il 9 sett.
Clemente VI ratificò l'elezione con bolla del 5 settembre, dell’anno IX del suo pon-
tificato, cioè dell’anno 1350 medesimo. La bolla è indirizzata all'abate del monastero
di S. Giusto, al priore di S. Maria Maggiore di Susa, ed al prevosto di S. Maria di
Moncenisio, nella diocesi di Torino.
La bolla, che s’inizia con feligionis zelus, comincia dal ricordare la precedente
bolla del 2 ottobre 1346, colla quale Clemente VI avea riserbata a sè l’elezione del
priore della Novalesa. Quindi, l'avvenuta elezione da parte dei monaci, nella persona
di Ruffino Bartolomei, monaco di S. Giusto di Susa dell'ordine di S. Benedetto, è per
sè stessa inefficace. Ma egli, conoscendo le virtù dell’eletto, dispone per grazia spe-
ciale di confermarlo nel priorato Novaliciense “ monasterio Bremettensi, dicti Or-
dinis, Papiensis diocesis, immediate subiectum ,. E perciò dal monastero di S. Giusto,
lo trasferisce a quello di Breme, e lo conferma priore Novaliciense.
Parecchi documenti di data posteriore ci indicano dunque Ruffino quale priore
della Novalesa. Ed è curioso il vedere che un documento del 22 febbraio 1359 (6) muta
il nome del sito, ma senza ritorcerlo a Novalux, come verisimilmente si sarebbe fatto,
se si avesse avuta famigliare conoscenza del Chronicon. Si scrisse invece Novalex, voca-
bolo che allude al medesimo ordine di pensieri, ma che non è un tutt’uno con Novalux.
Ruffino tenne per lungo periodo di anni il priorato, nel quale lo trova ancora un
documento del 4 gennaio 1380 (7). Addì 19 giugno 1384 (7) m’incontro nel suo succes-
sore: “ Matheus Gastaudius Dey gratia prior monasterij sancti Petri de Novalicio ,.
In questo documento accennasi ad altro del 25 nov. 1382, e pare che anche allora
Matteo Gastaldi fosse priore. Forse era coadiutore del Bartolomei (8).
teca Bosio, nel Collegio degli Artigianelli in Torino, dove potei esaminarla a mio agio; del che
rendo grazie ai sovrintendenti di quell’istituto.
) Vita di S. Eldrado, Torino, 1693, p. 109.
(2) La gloire de V Abbaye de la Novalese, Chambéry, 1690, p. 144.
(3) S. R. E. Card. Archiep., ecc., Aug. Taur., 1645, p. 202.
(4) Non lo ricorda il Darta, Storia dei principi d’Acaia, I, 211, nel riassumere quel testamento.
) L’atto relativo si conserva in originale nell'Archivio della Novalesa, busta VI. Arch. di Stato.
6) Busta VI. Arch. di Stato.
7) Busta VII. Arch. di Stato.
(8) Il p. BorcareLLI segna all’anno 1384 la successione del p. Matteo Gastaldi, e lo dice origi-
nario da S. Ambrogio, nella valle Susina, del che non trovo notizia nei documenti.
Serie Il. Tom. XLIV. 34
266 CARLO CIPULLA
L’inventario compilato nel 1502 da Pietro de Allavard principia colla descrizione
delle reliquie. Parlasi di ciò che esisteva nella cappella dei Ss. Cosma e Damiano.
“ Et primo comperii ibidem vnam capsam argenteam magnam positam super altari,
in qua repositum est corpus sancti Eldradi, cum corpore sancti Arnulphi archiepi-
scopi Lugdunensis (1), et aliis multis reliquis in eadem capsa existentibus ,. “ Item
in alio bufeto (2), in eadem copella existente reperiti unum paruum cofanetum, in
quo erant reliquie infrascripte videlicet , (e cioè: ossa dei Ss. Innocenti, ricordi della
Vergine (3), reliquie di S. Gioachino, di S. Lorenzo, e del sepolcro di Cristo; Ss. Bar-
tolomeo e Teobaldo, polvere di S. Giovanni Battista, S. Nicolò, ossa di S. Lorenzo,
legno della Croce, ossa di S. Agata e di S. Gregorio). In un’ ampolla di cristallo,
c'erano reliquie di S. Vincenzo (4). Nello stesso buffetto trovavasi una “ busseleta ,
in legno, con reliquie anonime. Un altro vasetto d’avorio, “ buseleta de auolio ,,
contenevane un secondo in legno, con altre piccole reliquie.
Sotto l’altare si rinvenne una cassa di piombo, con reliquie. Una cassa di legno,
dipinta, conteneva “ brachium unum in carne et ossibus ex 12 (?) partibus Francie,
culus nomen, et dicitur, est Gothofredus , coperto di panno bianco. Nello stesso
“ bufeto ,, due altre ampolle vuote.
Se bene intendo, le reliquie erano tutte nella credenza, fatta eccezione per la
cassa di piombo, e fors'anche per la cassa di legno contenente il braccio di S. Goffredo.
L’anonimo cronista Novaliciense (5) attesta che Carlo Magno donò all'abate
Frodoino i corpi dei Ss. Cosma, Damiano ‘e Valerico. Quindi (6) narra che questo
abate, raccolto ricco tesoro, comprò una croce di oro e d’argento, splendida di pre-
ziosissime gemme, e dentro vi chiuse alcune reliquie.
Forse si riferisce a questa croce, forse a qualche altra consimile memoria anti-
chissima, dalla tradizione locale fatta risalire all’età di Carlomagno, quello che ci
raccontano gli atti di un processo, svoltosi a Camerletto nel 1540. Tale processo è
la conseguenza di quanto avvenne addì 21 luglio 1588 allorchè ci fu un tentativo di
furto, del quale dobbiamo dir qualche parola, e di cui fu reo un certo fra’ Gregorio,
partigiano de’ Francesi.
Correvano allora giorni tristissimi per il Piemonte, fatto teatro alle guerre re-
ciproche della Francia e di Carlo V. Dopo lunghe trattative, colla mediazione di
Paolo III, si conchiuse una tregua decennale, stipulata il 18 giugno 1538 (7), la
quale non recò altro profitto allo sventurato duca Carlo II, fuorchè la sospensione
(1) Di questo arcivescovo, ignoto al Gams, tace anche il Chrom. Novalie.
(2) Franc. buffet. In dialetto veneto in luogo di significare “ credenza ,, bufeto vale: tavolino
da notte.
(3) Il Cronista (lib. III, c. 16) annovera le reliquie del latte e dei cappelli della Vergine, fra le
reliquie raccolte da Frodoino.
(4) Nella prevostura della Novalesa si conservano varie reliquie, contraddistinte con indicazioni
del sec. XVII; c'è anche un’ampolla vitrea.
(5) Lib. III, c. 15.
(6) Lib. III, c. 16.
(7) Ne parla diffusamente 11 Ricomri, Storia della monarchia piemuntese, I, 255. Il documento della
tregua leggesi presso Du Mont, Corps diplom., IV, 2, 169 sgg. Per queste vicende guerresche si
consulti G. B. AprianI, Le guerre e la dominazione dei Francesi in Piemonte 1536-39, Torino, 1867,
estr. dal vol. XXVII della “ Miscellanea di storia ital. ,.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 267
delle ostilità. Ma nè Francia, nè Impero restituirongli quanto occupavano, che era
quasi intero il ducato.
A questo tempo si riferisce il fatto di cui ora parliamo (1), e che ci è attestato
da una lettera di Carlo Provana, priore e signore della Novalesa, al re di Francia,
dalla risposta di quest’ultimo (in data di Torino, 29 ottobre 1540), e dal conseguente
processo fatto a Camerletto il 1° nov. consecutivo, per regia autorità, e sopra do-
manda di Stefano Nigra, prevosto di Novalesa e procuratore del Provana predetto.
I testi interrogati sono numerosi e tutti sono persone, che presero parte al fatto,
sia per aiutare fra’ Gregorio nella tentata esecuzione del suo misfatto, sia per impe-
dirgliela.
Dalla lettera del Provana e dalle varie testimonianze dei testi (le quali non si
contraddicono giammai tra loro, ma soltanto si completano), è facile ricostruire la
serie degli avvenimenti nel seguente modo.
Durante la guerra, il regio luogotenente francese De Montegian (2) privò Carlo
Provana del priorato, che fu affidato a fra’ Gregorio de’ Taddei, di Moncalieri, il
quale si recò lassù colla sua “ familia ,, ed anche con una “ amaxia ,. Amministrò
per parecchio tempo i beni del priorato, riscuotendone i crediti. Venne poscia la
tregua del 18 giugno 1538, la quale stabiliva che a ciascuno fossero restituiti i suoi beni.
Appena qualche settimana dopo, e precisamente la sera del 21 luglio, fra’ Gregorio
si recava al monastero, insieme con Vincenzo Ricomario (?) da Giaglione, e con
Michele Belleti. Rivolto al primo di essi, gli disse: Vincenzo, ricevetti oggi una let-
tera, che mi obbliga a lasciare il monastero. Io, tu e Michele dobbiamo affrettarci
a prendere le cose mobili e le vettovaglie del monastero; voi poi verrete a stare
con me. Dopo la cena, essendo un’ora di notte, Gregorio tolse dalla sua stanza una
cassa di noce nuova. L’aveva fatta Battista Bagherio, giovane falegname del vil-
laggio della Novalesa, al quale era stato detto che in essa volevansi chiudere
“ certas scripturas monasterij ,. Fra’ Gregorio portò la cassa sotto una loggia, e la
depose sopra un gradino. Quindi chiamò Vincenzo e Michele, perchè prendessero la
cassa, che doveva trasportarsi ad Oulx. Disse loro che essa racchiudeva tutte le
reliquie del monastero, e inoltre calici, ed altri oggetti ad uso di culto. Michele si
sforzò ad alzarla, aiutato da fra’ Gregorio. Ma non riuscì a sollevarla; disse che nel
toccarla, si sentiva mancare le forze, sebbene fosse uomo gagliardo. Fu costretto a
lasciarla lì. La stessa sera Vincenzo e Michele fecero un fascio di lenzuola, coltri, ecc.,
aggiungendovi anche il cacio del monastero; tutto questo doveva collocarsi sopra
un carro (“ lexia, legia ,), cui erano attaccati i buoi del monastero; era intenzione
di fra’ Gregorio di trasportare ogni cosa in un bosco, situato in prossimità del mo-
nastero. Venuta la notte, si sarebbe portato altrove quel carico.
(1) Il cenno che di ciò fece il Rocarz, La gloire de l’abbaye de la Novalese, Chambéry, 1670
pp. 146-7, oltre che molto breve, è anzi inesattissimo.
(2) Alhidesi al maresciallo Renato di Montejean, che il re di Francia nominò suo luogotenente
in Piemonte, con decreto datato da Pinerolo, 29 novembre 1538. Il maresciallo morì al principio
del 1539. Una breve, ma succosa biografia di questo illustre personaggio, che prese parte alla bat-
taglia di Pavia del 1525 e all’assalto dato alla stessa città nel 1538, può vedersi presso De CourcELLES,
Dictionnaire des généraux francais, VII (Paris, 1823), pp. 470-1. Non del tutto esatto è quanto scrive
di lui il DanieL, Histoire de France, IX (Parigi, 1755), p. 493.
268 CARLO CIPOLLA
Ma intanto che si lavorava a far tutto questo, la cosa trapelò; ed il paese, rimasto
fedele ed affezionato al legittimo “ signore ,, se ne commosse. I monaci ed i servi-
tori del “ signor , della Novalesa andavano svegliando le persone del paese. Verso
la mezzanotte Mainardo Baderio, castellano della Novalesa, fu svegliato da Giovanni
Brontini, che lo avvertì del furto, che si stava tramando. Quindi arrivarono presto
al monastero alcune persone, e forse fu tra queste certo Giacomo monaco, che par
sia stato fra 1 più attivi e più solleciti a destare l'allarme. Fra’ Gregorio cercò difen-
dersi col dire che egli aveva intenzione d’impedire altrui di rubare. Non gli si
prestò fede, ed egli fu anzi sostenuto, ma pur nessun male gli si fece. Ecco intanto
giungere il castellano della Novalesa, ed altri parecchi. Allora, ad istanza del sagrista
fra’ Girolamo Rugia, il castellano compilò l’inventario delle cose che fra’ Gregorio
aveva tentato involare. Risultò che nella cassa trovavasi la croce grande del monastero,
racchiudente le reliquie, fra le quali c'era una porzione della santa Croce. Un braccio
del crocifisso apparve rotto di fresco; era stato infranto, per poter acconciare la croce
nella cassa. Vi si rinvennero eziandio e calici e altri oggetti destinati al culto (1).
A proposito della croce, Carlo Provana, nella ricordata sua istanza al re di
Francia, aggiunse che la reliquia della santa Croce era stata “ dellata ibidem per
condam s. bone memorie regem Francorum Carolo magno (sic) ,.
Fra' Gregorio fu condotto prigione al Provana, al quale spettava di giudicare;
ma egli invece lo mandò al signore De Montegian, il quale lo rimise al preside regio,
perchè lo esaminasse. Contro di lui nulla si faceva, anzi egli era riuscito a far cat-
turare e chiudere nel castello di Susa, un tale del villaggio della Novalesa; e si
vantava eziandio che si sarebbe vendicato dei monaci e dei paesani. Di qui il motivo
della ira pubblica. Sull’esito finale di questa causa mi consta che il Vicerè francese,
con decreto del 26 marzo 1541, accordò grazia a coloro che avevano tentato di ru-
bare al monastero le reliquie e gli oggetti destinati al culto. il documento originale
esiste tuttora, ed ha il sigillo pendente (2). Esso dimostra, che i ladri ben sapevano
da chi erano protetti.
Quanto abbiamo esposto prova l’esistenza di una croce preziosa assai, la cui
storia, almeno per qualche reliquia in essa esistente, risaliva agli anni più antichi”
e più splendidi dell’abbazia Novaliciense. E probabilmente la croce di cui parla il
cronista (3), attribuendola all’abate Frodoino. La descrive come ornata d’oro, di argento
e di gemme e preziosa per insigni reliquie. All’ epoca del Rochez (4), cioè verso
il 1670, essa esisteva ancora, e si usava portare nelle processioni solenni.
(1) Il m. r. d. Antonio Belmondo, parroco di Novalesa, mi fece vedere nella sua chiesa una
reliquia della Santa Croce, in una teca argentea, con autentica del 1751; l’accompagna una lettera
del card. G. B. Bussi. Si tratta di un reliquiario di epoca tarda, non proveniente dall’abbazia della
Novalesa. — Sperai per un momento di poter identificare la lipsanoteca Novaliciense colla reliquia
della Santa Croce esistente in Torino, presso la parrocchia della Gran Madre di Dio. Ma, vedutala,
trovai ch’essa non è anteriore al sec. XVII, e dalle carte che l’accompagnano apparisce che fu rega-
lata dal cardinale De Laura al procuratore generale dei Minori Conventuali di Asti; tanto dichiarò,
16 maggio 1820, mons. A. Faà di Bruno, vescovo di Asti.
(2) Arch. della Novalesa, busta XIII, Arch. di Stato.
(3) Chron., INI, c. 16.
(4) La gloire, p. 66.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 269
Verso il tempo incirca nel quale Filiberto Maurizio Provana di Leinì, abbate
commendatario della Novalesa, trattò per la prima volta di affidare il cenobio ai
monaci dell’Ordine Cistercense, si fecero due inventari delle mobilie ecclesiastiche.
Il primo di esse è lavoro del not. Bernardino Giacomelli, 18 giugno 1644, ed è molto
ampio (1). L'altro porta la data del 3 maggio 1651 (2). Quest'ultimo ricorda tre croci:
una di esse era d’oro, con pietre infisse ed un crocifisso di smalto, e può facilmente
identificarsi con quello che tentò rubare il Taddei; un’altra presentava alcune figure
di avorio in iscultura. L’inventario del 1644 registra: “ una croce guernita d’argento
et pietre di diversa sorte, ove appaiono li luoghi di tre pietre mancanti, in la quale
v'è un pezzo della santa Croce, con una pezza di tafetato attaccato a un suo manico
de bosco (di legno) bianco tornito ,.
L’inventario del 1644 passa poi alla descrizione della cappella di S. Eldrado
“ ossia delle sante reliquie ,, e ricorda: “ braccio di legno dorato, con reliquie ,,
altro braccio colla pelle “ che non si sa di chi sia , (3): la testa di S. Arnolfo,
chiusa in argento con mtra; la testa di S. Eldrado, in una teca di legno coperta
di argento (4); angelo di rame dorato che tiene in mano una cassetta con reliquie,
e un altro angelo di legno dorato che tiene in mano un vasetto di reliquie (5).
Tralascio altre minori reliquie, e noto che l'inventario del 1644 fa cenno di una
cassa di legno, adorna di pietre preziose, contenente varie reliquie. Quello del 1651
pare accenni alla finissima lipsanoteca del sec. XIII, là dove parla di una cassa d’ar-
gento, lunga circa 4 palmi, contenente, insieme con altre reliquie, anche i corpi dei
santi Arnolfo ed Eldrado.
Le due teche o busti colle teste di S. Eldrado e di S. Arnolfo probabilmente
si dovranno identificare con due delle lipsanoteche regalate al monastero da fra’
Ruffino de’ Bartolomei e descritte, siccome si è detto, dal Vernazza. Vedemmo come
. alla descrizione di una, Vernazza apponesse il nome di S. Eldrado, e all’altra quello
di S. Arnolfo. Queste due note sono significative e ci dànno un buon indizio in fa-
vore della identificazione che ora si è proposta.
Non è improbabile che si possano raccogliere ancora altre notizie sopra le re-
liquie Novaliciensi. Quello che qui diamo è tuttavia sufficiente a confermare che,
dopo la scomparsa dei Saraceni, i monaci, ritornando sulle loro montagne, vi ripor-
tarono molti degli oggetti, che i loro predecessori avevano trasportato seco, al
momento della fuga.
(1) Conservasi nella busta I dell'Abbazia della Novalesa. Arch. dell’Econom. generale.
‘ (2) Trovasi nella busta LXVI dell'Abbazia della Novalesa. Archivio di Stato.
(8) L’inventario del 1651 crede che le due braccia, una di legno dorato e l’altra d’argento rac-
chiudessero le braccia di S. Eldrado e di S. Arnolfo.
(4) L’altro inventario menziona due busti d’argento, racchiudenti le teste di quei due santi. —
Oggidì non se n’ha più traccia.
(5) Nell’altro inventario il primo di questi due angeli è detto d’argento.
CARLO CIPOLLA
O)
Si
°
II.
Serie degli Abati e dei Priori.
Il cronista Novaliciense (1) descrisse i luoghi con tanta evidenza, quale soltanto
può venire dalla penna di un testimonio oculare. I monaci vivevano divisi per squadre,
i vecchi separatamente dai giovani. Gli abati, coi sei monaci più avanzati negli anni,
soggiornavano presso alla chiesa di S. Salvatore. Altri monaci di età inoltrata avevano
le proprie chiese particolari, e speciali “ tugurì ,. I giovani stavano, sotto diligente
custodia, nei chiostri del monastero. Alle donne era interdetto l’accesso al monastero:
esse dovevano fermarsi ad una casa, che. trovavasi presso alla chiesa di S. Maria,
costrutta lè dove ha principio la strada che mena al monastero. In quelia casa
venivano ospitate tutte le donne, fossero di alto o di basso lignaggio, che si reca-
vano lassù a pregare Iddio. Questa legge fu imposta da Abbone, edificatore del mo-
nastero, il quale dapprima aveva costruito un monastero ad Urbiano, di Susa (2),
ma poscia, ad evitare scandali, l'aveva trasportato lassù, lontano dalla città e dai
villaggi. E la legge fu conservata diligentemente, sino a che il monastero fu profa-
nato e disfatto dai Saraceni. Il Cronista raccoglie anche la leggenda monastica,
secondo la quale Berta, moglie di Carlomagno, desiderosa assai di vedere il monastero,
infranse quella prescrizione. Di notte si alzò da letto, si travesti, prese seco una
sola compagna, e si accostò al monastero. Come fu alla porta dell’ “ Oratorio di
S. Pietro ,, cadde a terra improvvisamente e spirò. Fu sepolta nel luogo detto “ ad
crucem , presso la chiesa di S. Maria. Allorchè Gezone, fra il secolo X ed il seguente
pensò di rialzare il monastero, che giaceva “ dirutum et pene incognitum , (3), vi
mandò il monaco Bruningo, uomo di singolare valentìa, il quale rifabbricò ed ampliò
la chiesa, abside, di S. Andrea.
Il monastero si innalza sopra un mamellone staccantesi dalla grande catena
alpina. Di lassù l’abbazia, contornata dalle sue quattro chiesette, sogguarda la valle
della Cinischia, per la quale si discende dall’Ospizio del Cenisio sino a Susa.
La linea più elevata del mamellone ora indicato è segnata dalle due chiesette
di S. Pietro e di S. Salvatore. Dalla parte di NO, cioè verso la catena delle Alpi,
scende abbastanza rapidamente il declive, e a brevissima distanza dalle due indicate
chiesette s'innalza quella di S. Eldrado. Dalla parte opposta il declive scende più ripido,
e presto s'incontra il monastero; dopo di questo più leggera si fa la pendenza,
quantunque il declive continui. L'antica strada (oggidì sostituita da altra più lunga
e incurvata, ma più comoda) scendeva di qui in linea retta sino al fondo della
valle, e metteva in comunicazione il monastero col villaggio della Novalesa, e colla
(1) Chron., lib. II, c. 1-4.
(2) Urbiano (“ Orbiano ,, secondo la dizione usata nel testamento di Abbone, 739) è un villaggio
a NE di Susa, in piena vicinanza di questa città. Ivi presso, verso SO, trovasi: Nurbiano.
(3) Chron., V, c. 25.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 20700
strada di Susa. Quella strada, poco sopra al cominciare dell’erta, passa dinanzi alla
chiesetta di S. Maria Maddalena, che rimane a sinistra di colui che per di lì sale
verso il monastero. Di fronte a quella chiesetta, e quindi a man destra dell’antica
via, sì indica ancora oggidì il posto dell'antica croce, di cui parla il Cronista; ivi si
trovarono, per quanto mi fu asserito, le vestigia di un antico edificio, che dovea
essere la foresteria del monastero. Il cronista parla di quella croce come di cosa esi-
stente al suo tempo e da lui veduta; ci è sconosciuto fino a qual tempo essa abbia
continuato ad esistere.
L'edificio dell'Abbazia è in gran parte opera moderna. La chiesa (che negli ultimi
anni fu rimessa al culto dal compianto abate comm. Giuseppe Parato (+ 1893), che
fu rettore del Collegio Nazionale Umberto I), è una ricostruzione dovuta, come ap-
prendiamo da un’epigrafe del tempo, a Vittorio Amedeo II, e spetta al 1712. Riman-
gono in parte le vetuste mura dell’antico edificio, esternamente ancora visibili nella
loro condizione originaria. Portano alla loro sommità un coronamento ad archetti,
intramezzati da lesene, le quali scendono per tutta l’ estensione della parete. Una
parte di tali antiche muraglie, nella Tavola annessa a questa Memoria, viene ripro-
dotta da una fotografia gentilmente eseguita per me dall'avv. G. Bobba.
Sotto il chiostro del monastero furono raccolti pochi avanzi di antichità. Oltre
a due frammenti epigrafici romani (un terzo frammento in bel carattere del buon
tempo imperiale fu collocato degnamente nel giardino) si raccolsero qui due pezzi
medioevali. Pare molto antico un capitello a fogliame. L'altro frammento forse facea
parte della transenna dell’altare o dell’ambone (1): è una lastra marmorea incorni-
ciata, nel cui campo spiccano sei nodi di tenia, la quale riproduce un tipo comune
nei vecchi secoli medioevali.
Per conoscere ciò che ci sia di antico nell’edificio del monastero, bisognerebb e
levarne gli intonachi. Forse alcune vòlte a crociera, su cui ora non possiamo portare
un sicuro giudizio, riapparirebbero come avanzi preziosi dei bei tempi di cui l’ab-
bazia godette ancora dopo la sua ricostruzione.
Non credo tuttavia che il monastero sia stato dai Saraceni completamente ab-
battuto. Il cronista, è vero, adopera certe frasi che porterebbero a pensare ad una
distruzione completa. Ma dal tutt’insieme della sua narrazione, si può anche conget-
turare, che, abbandonato dai monaci fuggiaschi a Torino, esso sia rimasto disabitato
e dimenticato così che al tempo, più che all'opera vandalica dei Saraceni, si debba
la deplorevole condizione, in cui esso trovavasi all’età di Gezone. Non si può cre-
dere che i Saraceni perdessero il loro tempo ad abbattere, senza scopo, le muraglie
dell'abbazia, ormai priva di tutto. E ancora si avverta che quando il cronista di-
scorre del ritorno della Congregazione lassù, non parla della ricostruzione completa
dell'abbazia, ma soltanto del restauro dell'abside di S. Andrea.
Questo tuttavia non dimostra che le chiesette attuali risalgano alla prima età del
monastero. È questione ancora a decidersi, se esse possano invece attribuirsi ad età
assai posteriore, al secolo XI o al XII, con restauri o rifacimenti ancora più recenti.
(1) Il nostro frammento ha qualche somiglianza col pluteo di S. Pietro di Villanova nel Vero
nese, presso R. Carranzo, L'architettura in Italia dal sec. VI al Mille. Venezia, 1888, p. 177.
Dio CARLO CIPOLLA
Ben è vero peraltro che, anche in tale supposizione, dovremmo crederle ricostruzioni
delle chiese originali. Accenno alla doppia ipotesi, ritenendo prudente il sospendere
un giudizio, del quale mancano finora gli elementi essenziali. Come ora si dirà, qui si
verifica anche il caso che la parte posteriore di una cappella sia coperta con vòlto
a botte, e la anteriore con vòlto a crociera. Il volto a botte conviene ad antichità
molto remota, mentre quello a crociera, quantunque sia tutt'altro che recente, indica
di solito un periodo posteriore nella storia dell’arte.
Ad alta antichità accenna anche l'abside unico, proprio di queste chiesette, poichè
esso, secondo il compianto R. Cattaneo (1), durò in uso fino alla fine incirca del
sec. VIII. L'ornamentazione esterna ad archetti ed a lesene serve poco per la deter-
minazione della età di un edificio, poichè rimase in uso lungamente. Questo tuttavia
è da notare, ch’essa risponde benissimo anche ai tempi anteriori al Mille (2).
Fra le chiesette peggio conservate vuolsi annoverare quella di S. Maria Madda-
lena: sotto il volto a botte della parte posteriore della medesima veggonsi due affreschi,
maltrattati da cattivo restauro: uno di essi ha una leggenda in carattere del cadere
del secolo XV, che dice: S: MARIA : MAGDALENA : Anche l’altro affresco rappre-
senta la medesima santa, tutta coperta dai lunghissimi capelli biondi. Nelle pareti
sono notevoli alcune pseudobifore, o bifore chiuse.
Poco di notevole offre la chiesa di S. Pietro. Quella invece di S. Salvatore ha
l'abside e le pareti coronate d’archetti e divise in varii campi per mezzo di lesene.
Come si accennò, esso è un motivo che s'incontra anche nelle chiese di antica costru-
zione; per citare un raffronto con una chiesa abbastanza conosciuta, ricordo l’antica
chiesa di S. Paragorio a Noli, presso a Savona, restaurata in questi ultimi anni. Essa
pure ha gli archetti, le lesene, le fenestre, che hanno molta somiglianza colle rispettive
parti delle cappelle Novaliciensi. La chiesa di Noli si attribuisce al sec. VIII (3), ma
non so su quale fondamento sì faccia risalire quella costruzione a così alta anti-
chità. Le fenestre a feritoia sono ad ogni modo un indizio di antichità.
Daccanto a questa cappella, una ondulazione del terreno porta il nome di piano
di Valtario. Narrano che la cappella fu edificata là dove S. Pietro piantò la croce.
La chiesetta di S. Eldrado è l’unica fra quelle accennate che sia ancora al
culto, ed è pur quella che desta il maggiore interesse per il cultore della storia e per
l’artista. Forse le altre cappelle saranno più antiche e più preziose di questa, ma
la loro attuale condizione non permette di studiarle a dovere. Ha un male per altro,
ed è che fu molto ritoccata, così all’interno come all’esterno. Per quanto riguarda
l'architettura antica (4) richiama la nostra attenzione l’abside, con coronamento ad
archetti e con tre pseudobifore, e le pareti con eguale coronamento. Gli affreschi
interni, rimaneggiati prima che il Collegio Nazionale acquistasse la Novalesa, sono
lavoro del sec. XIII, e forse della prima metà di esso.
Precede alla porta un atrio, ad arco unico; ma è lavoro rifatto. Internamente
(1) L'architettura in Italia, ecc., p. 88.
(2) La vediamo nell’esterno della chiesa milanese di S. Pietro in Prato, del sec. IX; CarranEO,
op. cit., p. 212 (tavola).
(3) Cfr. B. GanpoaLia, La città di Noli. Savona, 1885, p. 29.
(4) Forse nel restauro (!) dell’Ab. Chapuis, 1828 (cfr. Zuccaeni-OrLANDINI, Corogr. dell’Italia, IV, 779).
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 273
corre intorno alle pareti un sedile marmoreo, dal quale si drizzano le mezze colonne
e i pilastri, che, sorreggendo gli archi, costituiscono l'ossatura della chiesa.
Sotto l'atrio, la facciata della chiesa, presenta, sopra la porta, un’imagine di
‘di S. Eldrado di rozzo pennello dello scorso secolo, colla iscrizione: ELDRADVS
COMPVTAT VITA MELIORIS ANNOS. Pare che queste parole siano la corruzione
di un esametro: “ Eldradus vitae melioris computat annos ,. Questa circostanza perciò
fa credere che e pittura ed esametro siano la ripetizione di una dipintura più antica.
Internamente, la chiesa consta di tre parti, di cui l’ultima è l’abside, e le due
anteriori costituiscono la parte sostanziale della chiesa.
L’abside è unito alla chiesa per mezzo del solito arco trionfale. La chiesa poi
si divide in due parti. L'anteriore è a crociera, e la posteriore a botte: le due parti
si allacciano per mezzo di un grande arco. Si presenta di per sè l'ipotesi che la
parte coperta col volto a botte sia l'originaria, e il resto appartenga invece a po-
steriore ampliamento.
L'abside porta un grande fresco colla solita figura imponente del Redentore
sedente, col nimbo crociato: la destra è alzata per benedire, e la sinistra sostiene
un libro sul quale si legge: LVX. Ai lati stanno gli arcangeli S. Michele e S. Gabriele,
S. Nicolò e S. Eldrado, rispettivamente colle leggende: -$ MICHAEL(1) 4 GABRIEL
<G NICHOLAVS -$ ELDRADV’ | ABB. NOVAL (2). Ciascuno dei due arcangeli
tiene un cartello; quello di S. Michele fu così malamente conciato dal solito per-
verso restauratore, che non se ne capisce più nulla. L'altro contiene un motto reli-
gioso, la cui ultima parola venne resa inintelligibile dal predetto restauratore :
PARCE (3) DS POPVLO ProPRIO QVEm SANGVINE (4) MVR(?).
La parte della chiesa coperta dalla volta a botte, porta gli affreschi rappre-
sentanti la vita di S. Nicolò di Mirra. Ma il centro di essa volta è occupato da un
“ Agnus Dei , chiuso in un cerchio, da cui partono quattro raggi, ciascuno dei
quali è contraddistinto col nome greco dei punti cardinali: ARCTOC ANATOLE
MISIMBRIA DISIS. Cioè a dire: dpktog, dvatoM, peonufpia, duorg.
Non mi soffermo a descrivere minutamente i quadri che riproducono la vita di
S. Nicolò, ciascuno dei quali viene spiegato da opportune leggende. Mi accontento
soltanto di qualche cenno sulla vita di S. Eldrado, che viene ritratta in diversi
quadri nella parte anteriore della chiesa.
Sopra una delle vele della volta fu dipinto S. Eldrado (ELDRADUS) allorchè ab-
bandona la sua terra nativa (LOC AMBILLIS) e il fiume che la bagna (DEDERAVSVS
FLVVIVS), per girare il mondo in cerca di un monastero (NOBILIS ELDRADVS
ProCERVM QVI DOGMA SECVTVS +4 Pro MERITO VITAE LINQVIT SVA
DVLCIA REGNI), che corrispondesse alla sua austera vocazione religiosa. La seconda
vela ci presenta ELDRADVS in forma di pellegrino, accolto dal SACERDOS che si
rizza dal faldistario. Un'altra vela ci mette innanzi pure ELDRADVS che si av-
vicina all’edificio del MONASTERI NOVALICI, dove viene accettato (ONO/////[]
) C ed H in nesso.
) V ed A in nesso.
) La E inclusa nella C.
) AN in nesso.
Serie II. Tom. XLIV.
ui
Ur
274 CARLO CIPOLLA
GE[NI]TVS/////, DIGNAD//[[{ SVSCIPE[RE] GRADIENS LVCI). Nella quarta vela,
ecco FR///// ELDRADVS, che DOMNus ANBLVLFus ABS veste dell’abito monastico,
siccome apprendiamo dal fresco e dall’epigrafe: ACCIPE ABITVM «<$ BENEDICTI
CORDE (1) BENIGNO. Una parete laterale ritrae il miracolo dei serpenti che
<G ELDRADVS manda lungi dal monastero e fa ritirare sotto le pietre del suolo:
IMPERAT HIS SCS MERITO CLAVDANTVE IN ANTRO. Sulla parete di fronte
rappresentasi il momento in cui ‘S5 ELDRADVS, giacente sul letto, appoggiata la
testa sopra un sasso, che gli serve di guanciale, riceve la Comunione. Dinanzi a lui
stanno due FRS CONTRISTATI (2), dei quali uno lo comunica e l’altro piange.
Poco ormai si può rilevare dalla leggenda: SPIRANTE (3) VIILILILNI Quod ///N AEK-
THERE (4) ///{{/[VS. Questa leggenda fu pur troppo rifatta dallo sciagurato restau-
ratore, il quale alterò liberamente quanto non intendeva.
Le lettere sono in carattere rustico, con mescolanza di lettere onciali. Tuttavia
si presentano anche le forme gotiche, di cui qualche traccia è dato rilevare in alcune
lettere. Quantunque si debba confessare che l’opera del restauratore fu tale da im-
pedirci di apprezzare pienamente il lavoro originario, tuttavia tanto ancora rimane
dell’antica scrittura, da levarci dal pericolo di un giudizio completamente infondato.
In più casi, i nomi sono scritti colle lettere disposte a colonna. Il nome di S. Eldrado
è di sovente scritto così:
Come abbiamo veduto, sopra una fronte dell’arca argentea del santo, che, se-
condo una tradizione, trovavasi nella cappella di S. Eldrado subito prima del suo
trasporto alla chiesa parrocchiale, le lettere sono disposte a colonna, ma accoppiate:
$
AL
DR
AD’
AB
AS
Nelle leggende dell’arca esse sono gotiche del primo periodo. Negli affreschi
ritraggono assai più delle forme romane; ma non azzarderei asserire che ci possa
essere molta differenza di età fra le due opere d’arte. Esse rappresentano il mede-
simo periodo nella vita dell'abbazia.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, EUC. 275
A pochi passi di là dalla cappella di S. Eldrado, allarga perciò i suoi rami un’anti-
chissima quercia, che quei del sito rannodano al ricordo di S. Eldrado, e la chiamano
la quercia millenaria (1).
Quest’abbazia, come tante altre istituzioni benedettine, costituì un faro di civiltà
in tempi di barbarie e di tenebrìa, barbarie non così grande, e tenebrìa non così
fitta di certo come favoleggiarono alcuni romanzieri della storia, ma pur sempre
barbarie e tenebrìa. La leggenda letteraria, che nel Chronicon e in alcuni documenti
di quell'età, trasformò in Novalux il nome della Novalesa, non può dirsi errata del
tutto; e se il filologo la respinge, lo storico deve tenerne conto.
Con un senso di rispetto si ascende quell’erta, che ci trasporta all’età dei Longo-
bardi e di Carlomagno, e i nomi de’ suoi antichi abati risvegliano nella mente del-
l’attento visitatore, memorie di cose venerande. Compiangiamo, come sventura di
ieri, la incursione dei Saraceni, e la fuga dei monaci, la cui gelosa cura non bastò
ad impedire la dispersione di gran parte della biblioteca monastica.
Cacciati i Saraceni dall'Italia e dalla Provenza, i monaci benedettini rioccuparono
il loro posto, raccolsero affettuosamente quanto era sopravanzato alla sciagura, e
ricomposero una biblioteca, che poi l’età e le molteplici vicende che accompagnarono
la decadenza e la morte dell’abbazia, nuovamente dispersero. Salendo quell’erta, pen-
siamo ai viandanti che, mentre le strade mancavano di sicurezza, in quell’abbazia e
nell’ospizio cercavano pace e soccorso. Se pur anche non tutte le memorie fossero
liete, belle e lodevoli, non possiamo a meno di contemplare con venerazione e con
gratitudine i ruderi, che ci parlano di una così splendida grandezza passata.
La serie degli abati, cui fecero seguito i priori, e poi nuovamente gli abati,
si può ricostruire con sufficiente esattezza, perchè le fonti non sono molto scarse, e
perchè altri diedero opera a questo lavoro e spianarono la via alle ricerche presenti.
Le fonti prime le abbiamo in quanto rimane dell'archivio abbaziale, cioè in
69 buste conservate all'Archivio di Stato di Torino (AS), e in 7 buste esistenti presso
l'Archivio dell’Economato Generale de’ benefici vacanti nella stessa città (Arch. Econ.).
Pergamene originali, documenti in copia, concessioni enfiteutiche, libri di conti, ecco
il materiale di cui possiamo disporre.
I lavori di egregi eruditi possono giovarci assai, non solo perchè essi ci sono
guida autorevole, ma anche perchè ci forniscono documenti forse ora perduti o nascosti.
Filiberto Pingone (2) parla della Novalesa, citandone alcuni antichi documenti.
Ma ben si sa che delle opere del Pingone bisogna far uso con molto riguardo, poichè
non è poi scrupolosissimo nella citazione e nell'uso dei documenti (3).
Per quanto io abbia finora trovato, il primo catalogo degli abati della Novalesa,
è quello compilato dal celebre mons. Francesco Agostino Della Chiesa. Egli ce lo
(1) Vuolsi citar qui una bella pubblicazione del compianto comm. G. ParaTo. È un albo di litografie
col titolo “ Novalesa, villa del Collegio Nazionale Umberto I ,, Torino, 1890, lit. Doyen. Si compone
di sedici tavole, le quali ci dànno varie vedute dell’ antica abbazia, prese in diverse posizioni, il
chiostro, la cappella di S. Eldrado colla quercia millenaria, la chiesa abaziale e qualcuno dei quadri,
che la decorano.
(2) Augusta Taurinorum, Taurini, 1577.
(3) Veggasi ora a tale riguardo F. RonpoLino, Il miracolo del Sacramento, Torino, 1894, p. 54.
276 CARLO CIPOLLA
diede nella sua ms. Descrizione del Piemonte. nonchè in un’opera a stampa (1). Della
prima, usufruii due copie, l’una (sec. XVII) nella Biblioteca di S. M. il Re (2), e
l’altra (sec. XVIII) nella raccolta Bosio, presso il Collegio degli Artigianelli di Torino.
Abbiamo adunque tre elenchi, i quali sono l'uno molto simile all’ altro, ma pur
qualche differenza li discrepa. Il testo a stampa e l’esemplare della Descrizione con-
servato alla Biblioteca di S. M. giungono al 1640. L'altro catalogo fu continuato
sino al 1770.
Di poco posteriore al libro a stampa del Della Chiesa è quello del sacerdote
I. L. Rochez (8), il quale se ne giovò. Il Rochez si arresta assai presto; il suo cata-
logo, non condotto con piena diligenza, rimane di non molta importanza.
Non vuol essere trascurato il diligente studio del p, Marc Antonio Carretto (4), che
sul cadere di quel secolo in cui lavorarono il Della Chiesa e il Rochez, stese la “ serie ,
degli abati Novaliciensi, approfittando largamente e giudiziosamente dei documenti
archivistici, e prolungolla sino ai giorni suoi; venne cioè sino al reggimento del-
l'abate G. B. Isnardi, che prese possesso dell'abbazia nel 1685.
Don Francesco Borgarelli, eremita camaldolese dell’ Eremo di Torino, ora è
incirea un secolo, si occupava delle abbazie piemontesi. Il suo ms., pervenuto in
mano del can. Antonio Bosio, ebbe da lui qualche aggiunta. Adesso esso si trova
presso l’Istituto degli Artigianelli di Torino (5). Il Borgarelli si occupò anche della
Novalesa, stendendo un catalogo dei suoi abati, nel capitolo “ De Abbatia S. Petri
de Noualisio eiusque abbatibus, ad Montis Cinisii radices ,. Quantunque egli si giovi
(1) S.A. E. Cardinalium, Archiepiscop., Episcop. et Abbatum Pedem. Regionis Chronologica historia,
Aug. Taur., 1645.
(2) L’esemplare della Descrizione esistente nella biblioteca di S. M. (in 5 voll.) è in massima
parte autografo; ma non è peraltro autografo il volume che a noi ora interessa.
(3) La gloire de l’Abbaye et vallée de la Novalese, Chambéry, 1670. — Per i primi abati giovano
anche le ricerche del p. Le Come (Ann. ecelest. Francor., VI, 420, e altrove), quantunque egli accet-
tasse le leggende sull’antichissima origine del monastero. Ma con qualche ottima osservazione aperse
altrui la strada.
(4) Nel frontispizio della Vita e miracoli di S. Eldrado, il p. Carretto promette di compiere
l’opera sua “ con la serie degli abbati, le di cui vite descrivonsi brevemente, privilegj et antica
Cronica del medemo, illustrata con notationi historiche ,. 1l volumetto, stampato a Torino nel 16983,
è dedicato all’abate G. B, Isnardi di Caraglio. Quell’opera contiene infatti, oltre la vita del santo,
anche la biografia degli abati, ma in tutti gli esemplari che ho potuto vedere, si chiude brusca-
mente a p. 114, portando al basso della medesima il richiamo alla pagina successiva. Le biografie
sono finite, compiendosi con quella dell’Isnardi, ma difettano i privilegi e la cronaca. De’ privilegi
non so nulla; quanto alla cronaca, il manoscritto preparato dal Carretto per la stampa ci è perve-
nuto, in autografo, e trovasi in un volume miscellaneo (Miscellanea patria, XII, n. 7-8) della biblioteca
di S. Maestà in Torino. È la trascrizione del codice originale, con qualche nota storica. Per l’edizione
della Cronaca esso non può avere una reale importanza, poichè riproduce la pergamena nello stato
attuale, con ommissione anche di certi passi di difficile lettura. Questa trascrizione è accompa-
gnata da qualche rara nota esplicativa, e chiudesi colla lettera dedicatoria all’Isnardi (26 nov. 1693),
che trovasi (con leggerissime modificazioni) stampata in testa all’opuscolo succitato, — Trovandosi
questa trascrizione del Chronicon in una miscellanea del Salvai, si spiega come questi l’abbia poi
di sua mano copiata, in un colla lettera del Carretto, nel suo volume miscellaneo Cromniche delle
città d'Asti, Cuneo e Novalesa, vol. II, f. 337 sgg. (ms. nell’Arch. di Stato di Torino).
(5) Debbo molta riconoscenza al sig. Giuseppe Revelli, giovane studiosissimo della storia pie-
montese, il quale con isquisita cortesia, mi indicò sia questo ms., sia la copia del Della Chiesa, che
citai testè come esistente nella biblioteca degli Artigianelli, da lui diligentemente ispezionata.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 277
assai del lavoro di mons, Della Chiesa, tuttavia non può dirsi che si accontenti di
copiarlo; sicchè avremo occasione di citare il Borgarelli, come una fonte degna di
considerazione. Giunge sino al 1770 (1), e cioè fino all’anno al quale arriva una delle
copie del ms. Della Chiesa; nè tale coincidenza sarà casuale.
ABBATES
di
726 genn. 30. Godo.
Atto di fondazione fatto da Abbone, — Chron,, I, 2; IV, 18. — Liber San-
gallensis, presso P. Preer, Libri Confraternitatum, p. 166, col, 40, n, 9.
2.
739 maggio 5. Abbo.
Testamento di Abbone. — Chron., IV, 18.
d.
Joseph.
Chron., IV, 18.
4.
Ingellelmus.
Chron., IV, 18.
Ò.
$ marzo 22. Gislaldus
Chron., IV, 18. — La data della morte risulta dal Necrol. S. Andreae in MGH,,
Script., VII, 131. i
6.
— 760-2(?)-70 — { 10 maggio. Asinarius.
Concilio Attiniacense del 760-2 (MGH., Leges, I, 29-30, coll’a. 765. — MG.
A. Borertus, Capîitul. regum Francor., I, 221-2, con: 760-2). — Diplomi di Carlo-
(1) Il Bosro aggiunse in calce al volume una serie degli abati e priori (sino al 1640), ma è una
serie data in forma affatto sommaria e certo di niun rilievo.
278 CARLO CIPOLLA
manno, ott. 769 (Min. 117) e del 26 febbr. 770 (MiHntB. 124). — La data emor-
tuale risulta dai Necrologi di S. Andrea e della Novalesa (MGH., Script., VII, 13).
— Chron., I, 11; IN, 2.4; IV, 18.
Witgarius episcopus.
Chron., III, 4. 24; IV, 18. — Nonostante l'opinione del Bethmann è incerto
se esso sia da identificarsi col vescovo Wilcharius di Sion, che prestò omaggio a
Carlomagno nel dic. 771 (MiinrBacHER, 139 a), e di cui parla il DucHESsNE (Fastes
épiscopaua, I, 239), il quale ricorda di lui, che fu abate di St. Maurice. RocHEZ lo
identifica invece con Willicarius arcivescovo di Vienna, del che dubitò il CARRETTO;
BorearELLI ne fa un vescovo di Maurienne, ma nella serie dei vescovi di questa
città finora manca un tal nome.
Officiali del Monastero.
Richarius praepositus.
Warnarius decanus.
Chron., 1. e.
8.
— 173-814 (9) — Frodoenus, Frodoinus.
Ordinato il 10 febbraio....., Chron., INI, c. 19. — Diploma di Carlomagno,
25 marzo 773 (MinrBacHER 153) — altro diploma di Carlomagno, 23 maggio 779
(Chron., App. 1, MitniLBAcHER 216) — donazione di Teutcario, aprile 810 — diploma
di Lodovico il Pio (agosto?) 814 (MùHrLBAcHER, 513) (1) — governò l'Abbazia 43 anni,
Chron., IN, c. 19 — morì il 10 maggio....., Chron., II, c. 19. Necrol. Novalic. e
di S. Andrea Torin., in MGH., Script., VII, 131 — ricordato nel Chron., III, 2-19.
25; IV, 18 — ricordato nel Liber Sangallensis, ed. Piper, p. 166, col. 40, n. 5. —
Nel placito dei missì diseurrentes Wiberto ed Ardoino (citato nel placito di Bosone,
827, MP. Chart., I, 34) si cita pure Frodoino. Ora quel placito, fatto prima che
Carlomagno fosse coronato imperatore, viene attribuito al 799 (cfr. KrAUSE, Gesch.
des Instituts der missi dominici, in MIOG F., XI, 260, n. 20).
(1) Nell’Archivio di Stato di Torino (Abb. Noval., busta II) conservasi un finto originale di questo
diploma, contraffatto assai più tardo. Anche la sostanza stessa del diploma fu soggetta a dubbii,
dei quali non importa parlare in questo luogo. Accettando le indagini del Muratori, G. T. TERRANEO
(Tabularium Celto-Ligustie., vol. I, ad a.) e il MiinrBacHER (Reg. der Karol., 513) non lo credono in-
teramente falso, malo hanno per interpolato. Forse è un documento migliore dell’apparenza.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 279
9.
Amblulfus, Amplulfus.
Successore di Frodoino secondo il Chron., II, 24 e IV, 18. Forse il cronista
trasportò qui per errore un abate, che visse invece sul cadere del secolo.
10.
Hugo.
Successore di Amblulfo. — Dal Chron., III, 26 pare si possa dedurre che
lungo fu il suo reggimento; ma quel luogo forse è infarcito d’errori. — Morì il
13 giugno..... Necrol. di S. Andrea (MGH., Script., VII, 132), e Chron., III, 31.
9A
— 825-7 — S.Hildradus, Elderadus, Eldaeradus, Eldradus.
Immediato successore di Ugo, Chron., III, 31 e IV, 18 — ricordato in un
diploma di Lotario I, 14 febbr. 825 (MinrBacHER, 989), e nel placito di Bosone,
maggio 827. Incerte sono le notizie biografiche date dalla postilla al Martirologio
Adoniano e dalla vita, ma ne risulta che morì il 13 marzo, sotto Lodovico il Pio (1).
ID)
Bonifacius.
Ricordato dal Chron., IV, 18.
13.
Richarius.
Ricordato dal Ohron., IV, 18.
14.
— 8402-845 — Joseph episc. Yporediensis.
Dal Chron., IV, 18. 20, pare che entrasse abate sotto Lodovico il Pio
(+ 20 giugno 840) — ricordato nei diplomi di Lotario I, 13 giugno (MinLBAcHER, 1087)
e 10 ottobre 845 (MinmrsacHER, 1089) — morì il 27 genn......, secondo i Necrol.
Noval. e di S. Andrea. — Lo rammenta il Lider Sangallensis, p. 166, col. 39, n. 1.
(1) Tanto secondo la vita di S. Eldrado, quanto secondo il Chron., IV, 20, Lodovico sarebbe
figlio e non padre di Lotario.
280 CARLO CIPOLLA
15.
Heirardus.
Secondo il Ohron., IV, 18 successe a Richarius e precedette Joseph; ma dal
c. 21 raffrontato col c. 20, pare che invece succedesse a Giuseppe vescovo d'Ivrea,
e vivesse al tempo del conte Manfredo, che dicesi facesse nell’a. 875 una dona-
zione a quell’abate, cui allude F. Pincone, Aug. Taur., p. 24, ma senza precisarne
l’anno; d’onde Rochez, p. 126, e Carretto, p. 99-100, che attribuirono il documento
predetto all’a. 875, solo perchè il Pingone ne fa precedere il sunto da una notizia
riflettente detto anno.
16.
880. Amblulfus.
Ricordato unicamente dal placito di Boderado, nov. 880. Se di questo placito
non ci fosse pervenuto l’originale, ben saremmo tentati ia negarne l’autenticità,
poichè la collocazione dell'abate Amblulfo a quest'epoca contraddice alla replicata
testimonianza del Chronicon.
17.
Dotbertus.
Ricordato nel Liber Sangall., p. 166, col. 40, n. 7; ma sulla sua epoca nulla
sì sa, e non è neppur certo che fosse proprio “ abba , della Novalesa.
ts,
Conibertus.
Chron., IV, 18, dove è dato quale successore di Giuseppe.
19.
Petrus.
Chron., IV, 18.
20.
Garibertus.
Chron., IV, 18.
21.
Georgius.
Chron., IV, 18.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 281
22.
SAI Domnivertus.
Donazione del march. Adalberto, 929 febbr. 28, MHP., Chart., I, 130 — fu
abate per 41 anno, Chron., V, 2; cfr. IV, 18.
Da
— 1955(9)-972 — Belegrimmus.
Commuta con Amalrico vescovo di Torino, DURANDI, Piemonte traspadano,
p. 155 (1) — ricordato nella bolla 21 aprile 972 di papa Giovanni (XIII), JAFFÉ,
2° ed., 3761 — fu abate per 19 anni, Chron., V, 7 — morì il 1° maggio
condo i Necrol. Novalic. e di S. Andrea.
24.
Romaldus.
Chron., IV, 18.
Chron., IV, 18.
Johannes.
Usurpò per due anni l’abbazia, ma senza ottenere la consecrazione, Chron., V, 20.
Il cronista lo trascura (IV, c. 18) nel catalogo.
27.
— 977? — 984-998, Guivertus, Gezo.
Commutazione del 4 dic. 984 — diploma di Ottone III, 26 apr. 998 — Chrown.,
IV, 18; V, 2. — Secondo il Necrol. Noval. morì il 5 marzo, ma secondo il Necrol.
di S. Andrea morì il 14 di quel mese. — DeLLa CHIESA, p. 201, ricorda un dono
fatto a questo abate da certo Vido, dono cui allude, ma in modo assai indeter-
minato, il Pingone (p. 28), a proposito d’una notizia concernente l’a. 987.
(1) Seppure il documento ivi citato è autentico, del che finora nessuno trattò coll’ampiezza con-
veniente. È un fatto, che di quel documento finora non si conosce nè l'originale, nè una copia antica
qualsiasi.
Serie Il. Tom. XLIV. 36
282 CARLO CIPOLLA
98.
EA Gotefredus.
Bolla di Benedetto (VIII), febbr. 1014, il cui originale si conserva nell'Archivio
arcivescovile di Torino (1) — diploma di Corrado II, 1026; qui il nome dell’abate è
storpiato in: Otofredus, ma un abate di tal nome non si trova in Chron., IV, 18.
— Morì il 15 genn., Necrol. Novalic., o il 16 di quel mese, Necrol. S. Andrea, e,
come avvertì Bethmann, ciò dev'essere accaduto nel 1027, poichè nella primavera
di quest'anno ebbe l’abazia Odilone.
1027 (marzo-aprile)-1031 — Odilo.
Secondo il Chron., App., 5, fu fatto abate, in Roma, da Corrado I; locchè non
può essere avvenuto che nei mesi di marzo e aprile 1027, poichè allora soltanto
Corrado trovossi in Roma. — Commutazione 17 febbr. 1031. — Il Pincone (p. 31)
pure trasporta al 1027 il principio del regime di Odilone. — Per il posto da lui
occupato nella serie degli abati, cfr. OChron., IV, 18. — Fu contemporaneo ai
vescovi Alberico (1010-1023) e Litigerio (1031-48) di Como e Adalrico di Asti
(1008-34), cfr. GAms, Series episc., p. 787 e 812.
30.
ZAR, (LE Aldradus.
Due commutazioni del 26 febbraio e del marzo 1043. Tenne l’abbazia per
dieci anni, avendola avuta dal vescovo Litigerio, Chron., App. 8. — Sulla sua
posizione nella serie: ivi, IV, 18. — Morì mentr’ era ancora vescovo di Como
Litigerio (+ 1048), cfr. Chron., App. 8.
SI.
—-al048-1050:= Oddo, Otto.
Diploma di Enrico HI, 19 apr. 1048, e offersione del 4 genn. 1050. — Morì
il 10 genn., Necrol. S. Andrea, dopo aver rinunciato all'Abbazia, Chron., App. 11.
Il cronista lo trascura nel catalogo IV, 18.
(1) A spiegare la presenza di questo documento presso l'archivio arcivescovile, sarà opportuno
notare, che, come esistenti in quell’archivio, citansi carte dell’abbazia di Breme; alcune di esse furono
usufruite dal co. L. Provana, La donazione di Veutcario, in “ Miscellanea di storia ital. ,, XXIV, 260.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 283
32.
Benedictus.
Morì il 20 genn., Necrol. Noval. — La sua posizione nella serie risulta dal
Chron., IV, 18.
33.
Adregondus.
Chron., IV, 18, dove è ricordato come “ trigesimus ,. Secondo il nostro cal-
colo sarebbe il 34°, comprendendo nella serie anche il vescovo di Walcuno, sic-
come fa il cronista. Il BeramanN lo contrassegna col n. 30, ma omette Walcuno,
sicchè per lui Adregondo riesce in realtà il 31°.
Z221)60-1093: — Adraldus, Eraudus.
Privilegio di Nicolò II, 1060, presso Zaccaria, Abbazia di Leno, p. 105, dove è
detto “ Adraldus Bremensis (abbas) , — diploma di Umberto (II) del 10 maggio 1093:
«“ Eraudus abbas Bremetensis ,. — Dubito che s’inganni il BrrHmANN identificandolo
con Adraldus ({ 1075) vescovo di Chartres (cfr. Gams, Series episc., p. 536). —
RocHEz (pp. 135-6) distingue Adraldo da Eraudo. Di Adraldo o Aldrado fa ono-
. revole menzione S. Pier Damiani, chiudendo la sua lettera alla duchessa Adelaide (1).
Lo chiama: “ Aldradus Bremetensis rector coenobii ,. Questo passo era già stato
rilevato dal Della Chiesa. Ad Euarnro Dr Levis (2) non era sfuggito che il me-
desimo santo lodò Aldrado nella sua Vita S. Odilonis (3). — Quanto ad Eraudo
del diploma di Umberto (II), osservo che esso ci è pervenuto in copia del sec. XIV,
e che, quantunque sostanzialmente genuino, non è libero da ogni sospetto di in-
terpolazione. Ciò posto, anche il nome di Eraudo potrebbe essere un’ alterazione
da Adraldo. — L’abate Adraldo è ricordato nella notizia di un documento rias-
sunto in fine al Martyrologium di Adone (cfr. i miei Appunti da un cod. del
‘ Martyrologium Adonis’, Torino, 1894, p. 21).
(1) Opera, III [Parisiis, 1663], p. 184.
(2) Nei suoi mss. all'Archivio dell’Economato, Cron. Eccles., busta IL
(3) Opera, II [Parisiis, 1663], p. 180.
284. CARLO CIPOLLA
PRIORES
1:
AV Petrus (de Rambald0?)
La carta del 10 maggio 1093 che ricorda “ Eraudus abbas Bremetensis ,,
menziona anche Petrus Noualisii prior ,, intorno alla cui elezione, nulla sappiamo.
Anzi ci è sconosciuto il tempo in cui la Novalesa fu eretta in priorato, e potrebbe
agevolmente supporsi che anche al tempo degli abati, ultimi ricordati, la Novalesa
si fosse costituita in priorato, come pare che lascino intendere alcune parole del
Chron., App. 9, dove si allude all’ esistenza di qualche priorato. — Il cognome
de Rambaldo è dato dal Borgarelli, ma forse per una falsa identificazione coll’omo-
nimo del 1162. — Per noi, ritrovato ora un priore della Novalesa, non segui-
remo la serie degli Abati di Breme, quantunque sia certo che, per lungo tempo,
essi esercitarono giurisdizione sulla Novalesa.
Priorati suffraganei.
Bruninus prior Coysie (= Coyse) (1).
Carta citata del 10 maggio 1093.
Aymerinus prior Corberie (= Corbières).
Carta come sopra.
3:
— 10970) — Otto (?).
Secondo il CARRETTO e il BoreaARELLI è ricordato dalle carte del monastero per
il periodo 1097-1127, e fu il predecessore di Stefano. Questo è certamente ine-
satto; è peraltro difficile stabilire se questo priore ci sia stato o se sia addirittura
da espungerne il nome dalla serie.
1097 (2) Wilielmus.
Una carta del 1097 (?) ricorda ad un tempo “ Wilielmus Novaliciensis sive
Bremensis abbas , (2), od anche “ Wilielmus prior Novaliciensis ,.
(1) Secondo Rocazz, lib. 3, p. 1, il priorato di Coyse fu fondato nel 1036.
(2) Costui deve identificarsi con Guglielmo abate di Breme ricordato nella Vita d. Heldradi,
$ 28 (Acta Sanct., 13 marzo, vol. Il).
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 285
4.
7 Gisulfus.
Carte 26 marzo e 24 maggio 1117, in Abb. Noval., b. II (Arch. di Stato).
5.
1128 Stephanus.
Breve del 4 genn. 1128 in Abb. Noval., Il (AS) — offersione dell’anno 1128
al medesimo, citata dal BoRGARELLI.
6.
1150 Bernardus.
Lo citano il CARRETTO (p. 106) e il BorGARELLI.
TE
1151 Aribertus.
Carta 14 maggio 1151, Abb. Noval., II (AS).
8.
1162 Petrus de Rambaldo.
Carta 24 aprile 1162 in Abb. Nov., II (AS); Cron. eccles., II (Arch. dell’Econ.).
9.
1163 Amedeus.
Carta 22 novembre 1163, in Abb. Noval., IL (AS).
Officiuli del Monastero.
Stephanus gastaldus,
Come sopra.
10.
1170 Josephus.
Enfiteusi del 1170 citata dal BorGARELLI.
286 CARLO CIPOLLA
IL
La Amedeus.
Jarta 31 maggio 1177, Abb. Noval., III (AS).
12.
— 1204-28 — Stephanus (de Scalis, nob. Sabaudus).
Carta 4 nov. 1202 (inserto in docum. 29 luglio 1234); carta 13 luglio 1228,
Abb. Noval., b. III (AS). — Il cognome e la patria ricavo dal CARRETTO e dal Bor-
GARELLI. Il CARRETTO lo trovò menzionato in carte dal 1202 al 1228.
Officiali det Monastero.
Ubertus de Solario sacrista.
Jacobus 5
Il primo in carta 30 gennaio 1211; il secondo in carta 17 novembre 1223
Abb. Nov., b. II (AS).
Albricus elemosinarius.
Carta 5 nov. 1202, Arch. Noval., b. III (AS).
Villelmus de Salabertavio claviger.
Carta 1° luglio 1224, Arch. Noval., b. III (AS).
Priori suffraganei.
Petrus decanus Hetoni (1), prepositus eccl. S. Marie de Pedemontiscenisii (2).
Carta 5 nov. 1202, Arch. Noval., b. III (AS).
Giraudus prior de Romolono (3).
Carta 27 agosto 1222, Arch. Noval., b. HI (AS).
Jacobus prior de Coisia.
Carte 17 nov. 1223 — 13 luglio 1228, Abb. Noval., b. II (AS).
(1) Ayton.
(2) Mentre la Novalesa è alta circa 824 m. sul livello del mare, assai più elevato è l’Ospizio,
che si trova proprio al Cenisio, a cavaliere del passo alla volta di Lanslebourg.
(3) Rumilly, Haute Savoie.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 287
Guigo prior Corberie.
Carta 17 nov. 1223, Abb. Noval., b. III (AS).
Thomas de Sabaudia prior Murete (= Le Muraz).
Secondo il Carretto, p. 107.
13.
1229 (0)-1265 — Jacobus (de Scalis).
Ricavo l’anno 1229 e il cognome dal BoreARrELLI. — Il mio primo documento
col nome di questo priore è del giorno 8 maggio 1230, e di lì in poi si seguono,
quasi senza interruzioni, i documenti che parlano di lui, ultimo fra i quali viene
uno del 23 aprile 1265, Arch. Noval., b. III (AS). — In varii documenti, dal 14
aprile 1235 fino a quello or ora citato del 23 aprile 1265, egli spesso si trova
contraddistinto anche col titolo di “ abbas Secusie ,, o con altro equivalente.
Officiali del Monastero.
Richardus prior claustralis.
Carta 29 marzo 1233, Abb. Noval. b. III (AS). — Il BorGARELLI pose fr. Riccardo
in serie cogli altri priori, e questo non è esatto. Il CARRETTO (p. 109) non avver-
tendo che costui era priore claustrale, suppose che Giacomo abbia per qualche
tempo smessa l’autorità.
Chabertus sacrista.
Carta 29 marzo 1232, Abb. Noval., b. III (AS).
Priori suffr'aganei.
Rodulfus de Montemaiori prior de Corbeira.
Carta 16 ott. 1257, Abb. Noval., b. III (AS).
Simondus prepositus de Mota (= La Motte).
Carta 29 marzo 1233, Abb. Noval., b. II (AS).
Ricardus prior de Coisia.
Carta senza data (audizione di testi), Abb. Noval., b. II — Forse è identico
coll’omonimo, che, come vedemmo, fu prior claustralis del monastero.
288 CARLO CIPOLLA
14.
— 1267-1273 — . Thopetus prior.
CARRETTO e BorgARELLI lo ricordano come rettore dell'abbazia dal 1267 al 1273.
— Carte 23 luglio e 13 dic. 1273, Abb. Noval., bh. III (AS).
15.
971900528 Amedeus.
Carte 4 agosto 1277—23 aprile 1302, Abb. Noval., buste III, IV (AS).
Officiati del Monastero.
Thomas de Vech sacrista.
Documento 2 agosto 1279, edito in App. II; carta 30 giugno 1295, Abb.
Noval., b. IV (AS).
Johannes cellelarius.
Documento del 2- agosto 1279, loc. cit.
Priori suffraganei.
Villelmus de Montemaioris prior de Coysia.
Documento del 2 agosto 1279, loc. cit.
Johannes prepositus S. Marie de pede Montis Cenisii.
Documento del 2 agosto 1279, loc. cit.
Amedeus de Podioguelterio prior Corberie.
Lo dà come vivo una carta del 25 luglio 1298, Abb. Noval., b. IV (AS).
Amedeus Guinardi de Moletis.
Sostituito al precedente, come apparisce da carta 25 novembre 1301, Abb.
Noval., b. IV (AS).
16.
— ‘1303-1304 = Lantelmus, Antelmus.
Carte 27 marzo 1303—15 giugno 1307, Abb. Noval., b. IV (AS).
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 289
Officiali del Monastero.
Thomas de Rubeomonte sacrista.
Carte 28 agosto 1303—9 sett. 1306, Abb. Noval., b. IV (AS).
Johannes de Montemaiori pidanciarius (1).
Carte 28 agosto e 12 ott. 1303, loc. cit.
Bertrandus elemosinarius.
Carta 28 agosto 1303, loc. cit.
Jacobus Justi cellelarius.
Amedeus Ù
Il primo nella carta 12 ott. 1303, e il secondo in quella del 16 giugno 1305,
loc. cit.
Priori suffraganei.
Jacobus prepositus eccl. b. Marie de Pede Montis Cinisii.
Carta 13 ott. 1303, Abb. Noval., b. IV (AS).
Petrus prior Coysie.
Carta 12 ott. 1303, Abb. Noval., b. IV (AS).
Amedeus (Guinardi) de Moletis prior Corberie.
Carte 14 giugno 1303—11 sett. 1306, Abb. Noval., buste IV e LXIV (AS).
Bertrandus prior Murete.
Carta 12 ott. 1303, Abb. Noval., b. IV (AS).
Johannes prior Calocii.
Carta 12 ott. 1303, loc. cit.
Franciscus de Bardonisca prior Romoloni.
Carte 28 agosto e 12 ott. 1303, loc. cit.
(1) Cioè: pitanziere.
Serie II. Tom. XLIV. 37
290 CARLO CIPOLLA
17
— 1308-1316 — Guido Gersius.
Carte 7 luglio 1308—25 aprile 1315, Abb. Noval., buste IV-V (AS). Il Carretto
(p. 108) ne trovò memoria anche in carte 14 febbr. 1308 e 13 luglio 1316.
Officiali del Monastero.
Thomas de Rubeo Monte sacrista.
Carte 24 agosto 1308—29 nov. 1311, Abb. Noval., b. IV (AS).
Jacobus Justi pidanciarius.
Carte 11 ott. 1308—27 nov. 1314, Abb. Noval., b. IV (AS).
Amedeus Raimundi elemosinarius.
Carte 19 agosto 1309—27 nov. 1314, Abb. Noval., b. IV (AS).
Lantelmus Robe cellelarius.
Maynfredus de Coconato, Id.
Petrus de Monte Chabaudo, Id.
Il primo in carta 24 agosto 1308, il secondo in carta 29 nov. 1311, il terzo
in carta 27 nov. 1314, Abb. Noval., b. IV (AS).
Priori suffraganei.
Johannes de Monte Maiori prepositus eccl. b. Marie de Pede Montis Cinisii.
Carte 24 agosto 1308—30 nov. 1312, Abb. Noval., b. IV (AS).
Petrus prior Coysie.
Carte 30 nov. 1312—27 nov. 1314, Abb. Noval., b. IV (AS).
Amedeus Guinardi de Moletis prior Corberie.
Carta 17 nov. 1312, Abb. Noval., b. IV (AS).
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 291
Bertrandus prior Murete.
Carta 27 nov. 1314, Abb. Noval., b. IV (AS).
Franciscus de Bardonisca prior Romoloni (= Rumilly, Haute-Savoie).
Carta 24 agosto 1308, Abb. Noval., b. IV (AS).
18.
6132 Johannes de Montemaiori.
Carte 29 dic. 1316—12 nov. 1321, Abb. Noval., b. V (AS).
Officiati del Monastero.
Jacobus Justi de Secusia sacrista.
Carte 29 dic. 1316—12 nov. 1321, Abb. Noval., bh. V (AS).
Thomas de Vilario Saleti pidanciarius.
Carte 29 dic. 1316—12 nov. 1321, Abb. Noval., b. V (AS).
Amedeus Raymundi elemosinarius.
Carte 29 dic. 1316- 12 nov. 1321, Abb. Noval., b. V (AS).
Hugo de Riboto cellelarius.
Carta 24 maggio 1317, Abb. Noval., bh. V (AS).
Priori suffraganei.
Jacobus de Scalis prepositus eccl. b. Marie de Pede Montis Cenisii.
Carte 26 febbr. 1317—12 nov. 1321, Abb. Noval., b. V (AS).
Petrus prior Coysie.
Hugo de Riboto, Id.
Il primo in carte 29 dic. 1316—6 febbr. 1317, Abb. Noval., b. V (AS), ed
il secondo in carte 20 luglio 1319—12 nov. 1321, ibid.
Amedeus prior Corberie.
Carta dic. 1318, Abb. Noval., b. V (AS).
292 CARLO CIPOLLA
Bertrandus prior Murete.
Carte 29 dic. 1316—12 nov. 1321, Abb. Noval., b. V (AS).
Petrus de Monte Chabaudo prior Romoloni (= Rumilly, Haute-Savoie).
Carte 29 dic. 1316—12 nov. 1321, Abb. Noval., b. V (AS).
Lantelmus Robe prior de Bornay.
Carte 29 dic. 1316—20 luglio 1319, Abb. Noval., b. V (AS).
19.
—1322- 26 ag. 1350. Lantelmus Gay de Berlandeto.
Carte 22 febb. 1322—27 agosto 1350 (dov'è ricordata la sua morte accaduta
il dì precedente), Abb. Noval., buste V-VI (AS).
Officiali del Monastero.
Jacobus Justi sacrista.
Jacobus Marchiosi, Id.
Guilielmus (Vilielmetus) Vetone, Id.
Il primo in carte 4 luglio 1327-17 maggio 1332, Abb. Noval., b. V (AS); il
secondo in carta 4 febbr. 1336 (Ivi), e il terzo in carte 7 maggio 1346—27 ag.
1350 (Ivi, buste V—VI..
Thomas de Vilario Salecti pidanciarius.
Manfredus de Cochonato (Quoquonato).
Il primo in carte 4 luglio 1327—17 maggio 1332, Abb. Noval., b. V (AS),
ed il secondo in carte 23 nov. 1346—27 agosto 1350, Ivi, buste V—VI (AS).
Amedeus Raymondi elemosinarius.
Amedeus de Spina a
Il primo in carte 3 marzo 1330—17 maggio 1332, e il secondo in carta
27 agosto 1350, Abb. Noval., b. V--VI (AS).
Jacobus de Scalis camerarius.
Johannes Robe a
Il primo in carte 4 luglio 1327—3 marzo 1330 (qui è anche detto “ prior
Coysie ,), e il secondo in carta 23 nov. 1346, Abb. Noval., b. V (A8).
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 293
Priori suffraganei.
Jacobus de Scalis prepositus eccl. b. Marie de Pede Montis Cinisii.
Amedeus Raymundi prior eccl. È 3 3 x
Hubertus Rufi prepositus eccl. ; È 4 3
Il primo in carta 16 agosto 1323; il secondo in carta 4 febbr. 1336, e il terzo
in carta 27 agosto 1350, Abb. Noval., buste V-VI (AS).
Jacobus de Scalis (Scala) camerarius prior Coisie.
In carte 3 marzo 1330—23 maggio 1337, Abb. Noval., buste V, LXIV (AS).
Amedeus Guinardi de Moletis prior Corberie in vale Urteriorum, Maur. dioc.
Lantelmus Robe prior ,.
Il primo in carte 26 giugno e 5 dic. 1330, e il secondo in carte 17 maggio
1332—4 febbr. 1336, Abb. Noval., b. V (AS).
Bertrandus prior Murete.
Carta 4 luglio 1327, Abb. Noval., b. V (AS).
Philipus Gartini prior S. Petri de Bornay (= La Borney).
Carta 3 marzo 1330—17 maggio 1332, Abb. Noval., b. V (AS).
Petrus de Monte Chabaudo prior S. Petri de Riveta (= Rivalta).
Carta 9 ott. 1340, Abb. Noval., b. V (AS).
20.
— 1350 ag. 27-1380 — Ruffinus Bartolomeus
(già monaco di S. Giusto di Susa).
Carte 27 agosto 1350 (elezione da parte dei monaci, confermata con bolla
papale del 5 sett. appresso) —4 genn. 1380, Abb. Noval., buste VI-VII (AS).
Officiali del Monastero.
Villelmetus Vetone sacrista.
Amedeus de Spina —
Il primo in carte 25 genn. 1366 e 30 sett. 1368, e il secondo in carte 11 no-
vembre 1371 e 14 dic. (?) 1373, Abb. Noval., b. VII (AS).
Q94 CARLO CIPOLLA
Vallerinus Vascus pidanciarius.
Carte 22 febbr. e 1° aprile 1359, Ivi, b. VI
Amedeus Puie elemosinarius.
Carte 25 genn. 1366-30 sett. 1368, loc. cit., b. VIL.
Bartholomeus cellelarivs.
Carta 25 genn. 1366, loc. cit.
Humbertus Ruffi camerarius.
Carta 25 genn. 1366, loc. cit.
Priori suffraganei.
Anthonius de Serconibus prior Corberie.
Carta 26 genn. 1366, loc. cit.
r
Hugo Gays prior Murete.
Carta del 1367, loc. cit.
21.
— 1384-1397 — Matheus Gastaudius.
Incerto è a riguardo di questo priore un atto del 25 nov. 1382; carte
19 giugno 18584—9 agosto 1397, Abb. Noval., buste VII-VIII (A8).
Officiali del Monastero.
Henricus (Parpaglia?) de Ruvigliasco (= Revigliasco) sacrista.
Carta 27 luglio 1388, Abb. Noval., b. VII (AS).
Jacobus rector (della cappella degli Angeli alla Novalesa).
Carta 27 marzo 1381, Ivi, b. LII (AS).
22.
— 1399-1452 — Vincentius Ascherius de Jalliono (1).
Carte 12 febbr. 1399-12 dic. 1452, Abb. Noval., buste VIII-IX, LI (AS). —
[dentici sono i dati estremi di cui parla il Carretto, p. 109.
(1) Il Derta Caissa e il BoreareLLI sotto l’anno 1418, quasi si trattasse di un nuovo abbate,
ricordano Giovanni Provana da Carignano, per dire che egli ospitò Martino V, di ritorno dal concilio
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 295
Johannes Venardi de Rocha, vicarius domini prioris.
Carte 25 ott. 1430—12 dic. 1452, Abb. Noval., b. IX (AS).
Officiali del Monastero.
Hugoninus Chapusii sacrista.
Philippus Pasquerius ,
Anselmus Champerii ,
Il primo ricordasi in carte 12 febbr. 1399—20 aprile 1411, Abb. Noval.,
b. VIII; il secondo fu eletto il 14 ott. 1439, e lo ricordano ancora le carte 9 e
10 dic. 1443; trovasi rammentato il terzo in carta 25 ott. 1450, Ivi, b. IX (48).
Franciscus de Aprili pidanciarius.
Guyonus de Villeta de Avilliana (?), Id.
Stephanus de Bosco (camerarius et prepositus
S. Marie Pede Montis Cenisii), Id.
Jacobus Januarius de Bramano, Id.
Il primo in carta 12 febbr. 1399; il secondo in carta 3 giugno 1412; il terzo
in carta 4 febbr. 1428; il quarto in carte 10 dic. 1443 e 22 aprile 1466; Abb.
Noval., VIII-X.
Henrietus Parpalia de Ruvigliasco camerarius.
Stephanus de Boscho ’
Philippus Pasquerius a
Il primo in carte 12 febbr. 1399 e 20 aprile 1411; il secondo in carte 4 feb-
braio 1428—29 aprile 1447; il terzo in carte 4 maggio 1447-8 genn. 1455, Abb.
Noval., buste VIII-IX.
di Costanza, che gli concesse di aggiungere al suo stemma una colonna. Ma il Provana non era di
certo abbate in quel momento, poichè numerosi sono i documenti, che, seguendosi in serie non inter-
rotta, ricordano Vincenzo di Giaglione dal 1399 al 1452. — In carta 13 giugno 1443 (busta IX) è detto
che il monastero dipendeva direttamente dalla Santa Sede; cotale privilegio, che ora comincia «
determinarsi in forma canonica, dovea avere evidentemente la sua radice nei diplomi imperiali, che
costituivano il monastero indipendente così dai vescovi, come dalle autorità laiche, e special.
“mente nel diploma falso di Carlomagno, siccome dirassi parlando dell'abate Filiberto Maurizio
Provana (f 1684) — Addì 21 luglio 1451 (busta IX) il monastero Novaliciense protestò contro la
decisione colla quale Giovanni Jogiero canonico, delegato apostolico, l'aveva unito al monastero di
S. Michele della Chiusa. Quantunque l’esito di questo affare non sia esplicitamente spiegato, tut-
tavia i fatti provano che la Novalesa vinse.
296 CARLO CIPOLLA
Priori suffraganei.
Anselmus Champerii rector eccl. S. Stephani Noualic.
Carta del dic. 1437, Abb. Noval., b. XVII (AS).
Philippus Pasquerius prepositus et curatus Venalicij (1).
Carta 12 dic. 1443, Abb. Noval., b. IX.
Henrietus Parpaglia de Ruvigliasco prepositus eccl.
S. Marie de Pede Montis Cinisii.
Stephanus de Bosco, Id.
Philippus Pasquerius de Feruzasco, Id.
Il primo in carte 12 febbr. 1399 e 20 aprile 1411; il secondo in carte 12 feb-
braio 1425—6 ott. 1439; il terzo in carte 4 maggio 1447—7 aprile 1455, Abb. Noval.,
buste VIII-IX (AS).
23.
— 1484-1457 — Ubertinus (Borellus) de Moncalerio
(amministratore perpetuo della Novalesa).
Carte 17 genn. 1434—22 dic. 1457, Abb. Noval., b. X (AS). Nella carta
26 febbr. 1456 se ne dànno i titoli così: “ fr. Obertinus de Montecalerio Ord.
Minorum, sacre theologie doctor et magister, confessorque et consilliarius illustris-
simi principis. Sabaudie ducis, administratorque perpetuus incliti monasterii — ,.
Il suo cognome risulta dal DeLLa CHirsa, dal CARRETTO e dal BorGARELLI; il CARRETTO
asserisce d’averne trovato il nome sino al 15 genn. 1461, data di un documento,
nel quale invece si legge di lui: “ olim administrator dieti monasterii ,, b. X (AS).
24.
L11459; = Bertolottus Tanterius
(amministratore in sede vacante).
Carta 1459, Abb. Noval., b. X (AS).
25.
— 1460-1 — Martinus Lo Franc, prepos. Lausannesis, protonot. apost.
(amministratore del priorato Noval.).
Carte 1460—5 maggio 1461, Abb. Noval., buste X, XIX (AS). — Il CARRETTO
(p. 110) lo trovò menzionato nelle carte del Monastero dal 1459.
(1) Venaus, a non molta lontananza dalla Novalesa, sulla strada verso Susa.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 297
Officiali del Monastero.
Anthonius Champerius de Antesio sacrista.
Carta 24 giugno 1460, Abb. Noval., b. X (AS).
Jacobus Januarius de Bramano pidanciarius.
Carte 24 giugno 1460, 24 agosto 1462, Abb. Noval., b. X (AS).
Priori suffraganei,
Johannes de Gorzano, Susinus, curatus Novalicii.
Carta 24 giugno 1460, Abb. Noval., b. X (AS).
”
Philippus Pasquerius de Sercuzasco, preposit. S. Mariae “ supra Noualitium
Carta 24 giugno 1460, Abb. Noval., b. X (AS).
26.
— 1464-68 — Eusebius de Margario protonot. archidiac. Vercellensis
(amministratore perpetuo) (1).
Carte 17 febbr. 1464—26 marzo 1468, Abb. Noval., X (AS) (sarà bene avvertire
che le carte in cui lo trovai ricordato sono, oltre alle due estreme, alcune dei
giorni 5 dic. 1464, 12 giugno 1465, 28 febbr. 1467, 26 maggio 1468; Ivi, busta cit.
Al tempo suo avvenne alla Novalesa la cattura di Galeazzo Maria Sforza, nel 1466, a
proposito della quale P. MaGrsTRETTI (2) pubblicò una lettera, Vercelli, 19 marzo 1466,
di Agostino Ritius (Rizzo), dalla quale risulta che in allora il monastero era
“ subiecto e submisso al reverendo..... mio fratello messer Eusebio, residente già
longo tempo in corte di Roma ,, che si facea rappresentare dal nipote Giustiniano.
Officiali del Monastero.
Eustachius Camperii sacrista.
Anfermus Champerii 3
Johannes de Gorzano ,
Il primo in carta 17 febbr. 1464; il secondo rinunciò il 5 dic. 1464, e il terzo
fu eletto in quest’ultimo giorno, Abb. Noval., b. X (AS).
(1) Attesta il BorgareLLi che “ reliquit aliquos libros manuscriptos ,, al monastero.
(2) Galeazzo Maria Sforza prigione nella Novalesa (* Arch. st. lomb. ,, serie II, vol. VI, 796).
Nulla per lo scopo nostro hanno i documenti su tale fatto prodotti dal prof. G. Fruippi, Il matrimonio
di Bona di Savoia con Galeazzo Maria Sforza, Torino, 1890, pp. 25-7, e dal prof. F. Gagorto, Lo Stato
Sabaudo, 1, 96-7.
Serie Il. Tom. XLIV. 98
298 CARLO CIPOLLA
Jacobus Januarius de Bramano pidanciarius.
Carte 12 agosto 1463—17 febbr. 1464. Abb. Noval., b. X (AS).
Philipus Pascherius camerarius.
Carta 17 febbr. 1464, Abb. Noval., b. X (AS).
Priori suffraganei.
Johannes de Gazano (Gorzano) curatus eccl. S. Stephani de Noualicio.
Jacobus Januarius de Bramano, pidanciarius, curatus Noualicij.
Il primo in carte 12 agosto 1463—17 febbr. 1464; Abb. Noval., b. X (AS);
il secondo (chiamato anche rettore della cappella di santa Croce esistente “ in medio
ecclesie magne sancti Petri dicti monasterii ,), in carta 22 aprile 1466, Abb.
Noval., b. X (AS).
Philippus Pascherius praepositus eccl. S. Mariae “ de Pedemontis cenixij ,.
Guilelmus Gudedi (?) (praepositus eccl. S. Marie et Ospitalis de Pede-
montiscinisii).
Il primo in carte 12 agosto 1463—5 dic. 1464, Abb. Noval., b. X (AS); il
secondo in documento del 1464, bh. XLV (AS).
Dl.
N48 Theodorus card. S. Theodori.
Paolo II, con lettera del 1468 ai vescovi di Alessandria e di Maurienne, e
all’arcidiacono di Torino, annunzia di avere data l'abbazia Novaliciense al predetto,
Abb. Noval., bh. X (AS). — È costui il card. Teodoro Paleologo, intorno al quale
veggasi Cracconio, Vitae pontif. et card., II (Romae, 1777), 1112.
Petrus Feyditi vicarius generalis prioratus.
Carta 16 sett. 1440—27 giugno 1475, Abb. Noval., b. X (AS).
Jacobus Januarij pidaciarius.
Carte 18 marzo 1471-27 giugno 1475, Abb. Noval., b. X (AS).
Priori suffraganei.
Johannes de Gorzano curatus Novalicij.
Carta 27 giugno 1475, Abb. Noval., b. X (AS).
Petrus Feyditi praeposit. eccl. S. Mariae de Pedemontis Cynezii.
Carte 12 giugno 1469—27 giugno 1475, Abb. Noval., b. X (AS).
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO$DELLA NOVALES4A, ECC. 299
COMMENDATARII (1).
JE
— 1479 — { 14 gem. 1592 Georgius de Provana ex dominis de Leyni.
Carte 1479 (amministratore), 17 giugno 1480 (amministratore e commendatario
perpetuo), 15 aprile 1496, Abb. Noval., buste XI, LII (AS); la data della morte
risulta da un documento che pubblicai in La Bibliot. Noval., p. 12; lo stesso
risulta dal Necrol. Noval., al giorno 14 gennaio.
Petrus Feyditii, ex dominis Covaciarum, vicarius generalis.
Dominicus de Calvis sacrista et vicarius.
Il primo in carte 17 giugno 1480 e genn. 1493, Abb. SIMIL b. XI (AS), e il
secondo in carta 13 febbr. 1496, Ivi.
Officiali del Monastero.
Dominicus de Calvis sacrista.
Carta 13 febbr. 1496, Abb. Noval., b. XI (AS).
Manuel de Malinguis (canonista, priore di Susa, conservatore apo-
stolico dei beni e privilegi di S. Pietro della Novalesa).
Carte 10 giugno 1486—1° marzo 1487, Abb. Noval., b. XI (AS).
Priori suffraganei.
Jacobinus Peyni curatus Novalitij.
Carta genn. 1493, Abb. Noval., b. XI (AS).
Petrus Feyditij preposit. ecclesie S. Marie de Pedemontiscenesij.
Carte 17 giugno 1480 e genn. 1493, Abb. Noval., b. XI (AS).
(1) Erano dapprima “ commendatarii , del priorato e non dell'abbazia; la quale fu restituita
solo nel 1602.
300 CARLO CIPOLLA
2.
— 1502-1519 — Andreas de Provana
ex dominis de Leynì, protonot. apostol.
Carta 11 giugno 1502, Abb. Noval., inventario in b. LXV (AS); 28 nov. 1519,
Abb. Noval., b. XI (AS). — Il CarRETTO (p. 111) lo trovò ricordato sino al
10 dic. 1517. L'iscrizione necrologica alla Cattedrale di Torino dice: ANDREAS:
sE RIVS BEN E,
DE : PROVANA © SE | AP ‘* PROTHO © DNS © NOVALICII | AC * ECCLIE
Ca CVS Pea
TAVR ‘: ARCHID ‘ ET © | CANO ‘ DVM ‘| FRAGILITATEM | HVANI ‘ GENERIS
MEDITATVS | SE : MORTALE : COGITAT - | MONVMENTVZ ‘ VIVENS | SIBI :
PARAVIT M'DXII.
Johannes Nautermi vicarius et pidenciarius.
Andreanus Conbosi vicarius.
Il primo in carte 11 giugno 1502 (inventario cit.)—-4 marzo 1504, ed il se-
condo in carta 13 dic. 1518, Abb. Noval., buste XII-XIII (AS).
Officiali del Monastero.
Dominicus de Calvis sacrista.
Jeronimus Rugia si
Il primo in carte 10 maggio 1503—26 luglio 1507, Abb. Noval., b. XII (AS),
ed il secondo in carta 13 dic. 1518, Ivi.
Petrus Maioris pidentiarius.
Andreanus Conboti vicarius et pidenciarius.
Il primo in carte 10 maggio 1503—26 luglio 1507, ed il secondo in carta
13 dic. 1518, Ivi.
Priori suffraganei.
Petrus de Provana de Ciriaco prepositus eccl. S. Marie in Pedemontiscenixij.
Carta 25 marzo 1505, Abb. Noval., b. XII (AS).
d.
— 1520 — Gaspar Provana e dominis de Leynì.
Carta 19 nov. 1520 (riceve il giuramento di fedeltà da quei della Novalesa
e di Venaus), Abb. Noval., b. XII (AS).
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 301
Priori suffraganei.
Bartholom. de Bayro prepositus eccl. S. Mariae Montiscenixij.
Carte 1521-1525, Abb. Noval., buste XLI, XLV (AS).
4.
— 1527-1556 — Karolus de Provana,
ex condominis de Leynì, archid. Taurin.
Carte 3 genn. 1527, Abb. Noval., b. XXIII—21 maggio 1556, ivi, b. XL (AS).
— Nel Necrol. Noval. la sua morte è registrata sotto il 9 marzo. Il Carretto afferma
averne trovato il nome dal 1525, e ne ricorda il testamento del 1559.
Adrianus Combet pidentiarius et vicarius generalis.
Sebastianus Croti, vicarius monasteri].
Il primo in carta 5 genn. 1527, Abb. Noval., h. XII (AS), e il secondo in
carte 12 ottobre 1546, b. XXIV e 1562, b. LIV (AS) (1).
Priori suffraganei.
Barthol. de Bayro, praepositus eccl. Montiscenisij.
Stephanus Nigra de Castromonte, Id.
Petrus de Provanis de Ciriaco, Id.
Il primo in carte 1546 e 1560-2, Abb. Noval., buste XII, XLII (AS); il
secondo in carte 30 nov. 1549 e 18 nov. 1553, b. XXV (AS), e il terzo in carta
17 febbr. 1555, b. XII e 31 genn. 1562, b. XXVI (A8).
5.
— 1561-1599 — Gaspar Provana
ex condominis de Leynì.
Notazioni 1561-2, e carta 25 febbr. 1563, Abb. Noval., XXVI (AS), e 5 ot-
tobre 1599, b. XXXIV. E vero il Carretto (p. 112) afferma averne rilevato il nome
(1) Durante la guerra francese, il luogotenente francese Renato di Montejean, concesse il priorato
a certo frà Gregorio Taddei da Moncalieri, che governolla (o piuttosto sgovernolla) sino al trattato
del 1538; la notte del 21 luglio di quell’anno, come si vide officialmente privato di quel regime,
tentò di rubare gli oggetti sacri, del che abbiamo parlato, dove facemmo discorso degli antichi
inventarî delle reliquie abbaziali (cfr. Abb. Noval., b. LXVI, AS).
302 CARLO CIPOLLA
x
già in carta 17 ott. 1556, ma è probabilmente un errore; egli poi non ne trovò
ricordo che sino al 28 agosto 1596.
Sebastianus Crottus (domo Pinerolio) vicarius.
Philippus Cavalerus
»
Antonius Nigra (e Castromonte)
”
Antonius Serenus e Ripulis
»
Il primo in carte 15 febbr. 1562, b. XXVI, 6 nov. 1570, b. XI, e la sua
morte seguì addì 11 maggio 1572 secondo il Necrol. Noval.; il secondo in
carte 2 marzo 1575, b. XXVII, a 17 dic. 1589, b. XXXIII; il terzo in carta 20 nov.
1593, XXXIV; e il quarto in carte 16 febbr. e 24 agosto 1594, Ivi (AS).
Gaspar Provana prepositus monasterii (procuratore del priore omonimo).
Carte 5 marzo 1584 e 20 genn. 1588, Abb. Noval., b. XXXII (AS).
Priori suffraganei.
Marcus Barberius curatus eccl. Novaliciensis.
Carta 5 genn. 1565, Abb. Noval., b. XXVII (AS).
ABBATES
I
1599 — + 25 luglio 1640 Antonius Provana
archiep. Dyrrachii, et postea archiep. Taurin.
A norma della bolla 9 giugno 1599 di Clemente VIII, il Provana giurò fedeltà
alla S. S. quale abate della Novalesa, Abb. Noval., b. II (Arch. Econom.). Il
Carretto (p. 112) ritarda l'avvenimento di Antonio Provana sino al 1601. — Morì il
25 luglio 1640, CarRETTO, Vita e mirac. di S. Eldrado, p. 112. — Notizie biografiche
intorno a questo prelato che fu prima (1623) arciv. di Durazzo, e poi di Torino,
veggansi presso J.F.MEyRANESIUS, Pedemontium sacrum, ed A. Bosto, Il (Torino, 1863),
588-90, dove pure è citata la bolla di nomina del 6 giugno 1599. Ivi non si manca
di attribuire a questo Provana la reintegrazione della Novalesa nella dignità abaziale.
Georgius Groppellus prepositus et vicarius monasterii.
In carte 6 luglio 1628—20 maggio 1641, Abb. Noval., buste XI, XII, LI (AS);
I (Arch. Econom.).
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 303
Di
1641-1684 — Philibertus Mauritius Provana ex dominis de Leynì.
Urbano VII, 25 aprile 1641, dà al predetto la commenda della Novalesa
Abb. Noval., b. II (Arch. Econ.); ricordasi sino al 17 maggio 1684, Abb. Noval.,
Deli (AS). Secondo il CARRETTO (p. 113) morì il 3 sett. 1684. — Con atto 30 gen-
naio 1642 gli uomini della Novalesa e Venaus gli giurarono fedeltà, Abb. Noval., b.I
(Arch. Econ.). — Con atto del 2 maggio 1672 Luigi de Aguino protonotario apo-
stolico dell'una e dell’altra segnatura, referendario pontificio, ad istanza di F. M.
Provana, a tenore del decreto di Carlo Magno “ sexta idus iunii 1573, e della
conferma fattane da Sisto IV, 14 maggio 1472, dichiara che l’abbazia della Nova-
lesa è immediatamente soggetta alla Santa Sede, Abb. Noval., b. I (Arch. Econ.). La
diretta dipendenza dell'abbazia Novaliciense da Roma, per cui era nullius dioecesis,
non toglieva che la si avesse a considerare geograficamente come spettante alla
diocesi di Torino, come si era usato in antico. Diggià in una Bolla di Inno-
cenzo (IV) del 2 luglio 1247), datata da Lione, si legge: “ ...priori et conventui
sancti Petri de Noualesa ordinis sancti Benedieti Taurinensis diocesis ,. Similmente
in altra Bolla del medesimo Papa, 10 genn. (1246), Abb. Noval., b. II (AS).
Georgius Groppellus prepositus et vicarius.
Carta 20 maggio 1641, Abb. Noval., b.I (Arch. Econ.). — Addì 13 genn. 1646,
| l'abate Filiberto Maurizio Provana, pensando che l'abbazia “ fundata, vivente
5. Benedetto ,, era stata in addietro abitata da uomini insigni anche per dottrina
“come hoggidì anche di molti se ne conservano le memorie ,, e che ora non c’è
ivi più che un monaco solo; considerando che Antonio Provana aveva ottenuto da
Urbano VII il permesso di sostituire i Benedettini con altri religiosi, e avea
trattato colla Religione Cartusiana (1), che poi si ritrasse, ora conchiude per la
cessione dell'abbazia all'Ordine Cistercense, rappresentato dal P. Pietro Maria di
S. Giuseppe de’ Balbiani, provinciale negli Stati di Savoia, Abb. Noval., b. LII (AS),
e b. I (Arch. Econ.).
A Roma, dinanzi alla S. Congregazione del Concilio, la questione si agitò lun-
gamente, per istabilire i patti della cessione (in buona parte sono raccolti in Abb.
Noval., b.I, Arch. Econ., e Abb. Noval., b. LII, AS); al che si riferisce una lettera
(Roma, 17 aprile 1666) del card. A. Celsi. — Un atto del 15 ottobre 1665, Abb.
Noval., b. LII (AS), contiene l'introduzione dei Padri della Congregazione Cistercense
nel monastero Novaliciense. Ma risulta che i Cistercensi ne presero effettivamente
possesso il 1° febbr. 1646 (CARRETTO, p. 113); da un documento citato dal RocHEz,
La gloyre, p. 137, parrebbe peraltro che i Cistercensi fossero entrati nel mona-
stero anche prima del 1665, poichè ne sarebbe stato eletto priore (claustrale), il
10 maggio 1648, d. Bernardino da S. Giovanni Battista.
(1) Si allude all'atto stipulato in Torino, 8 marzo 1637, 450. Noval., b. I (Arch. Econom.).
304 CARLO CIPOLLA
Officiali del Monastero.
P. Antonius a S. Carlo cellelarius.
Carta 12 nov. 1677, Abb. Noval., b. XLII (AS).
Priori suffraganei.
Andreas Provana prepositus (abbas) S. Mariae maioris Montiscenisii
Carte del 1654—8 ott. 1675, Abb. Noval., buste XLIV, LVII (AS).
3.
1685—1728 — Johannes Baptista de Castillo de Caralio
(elemosiniere di Madama Reale, Granmaestro dell’Ordine della SS. Annunziata).
Innocenzo XII gli conferì l’Abbazia, 7 agosto 1685, dopo la morte di F. M. Pro-
vana, Abb. Noval., b. XIV (AS). Ne prese possesso alla fine di quel mese, secondo
quello che apprendiamo dal CARRETTO, p. 114.
Franc. Antonius a S. Catterina prior (abbas claustralis).
Joseph a S. Laurentio 5 3 5
Augustinus a S. Johanne ; È 7
Massetti o ) ”
Il primo in carta 23 agosto 1687, Abb. Noval., b. X (AS); il secondo in carta
2 luglio 1702 (Ivi, b. LII); il terzo in carta 14 sett. 1709 (Ivi, b. LXVI); il quarto
in carta 19 marzo 1721 (Ivi, b. XV).
Officiali del Monastero.
Joseph a S. Anna subprior.
Joh. Bapt. a S. Mauro cellelarius.
Carolus Ant. a S. Malachia lector.
Joh. Bapt. a S. Bernardo secretarius.
In carta 23 agosto 1687, Abb. Noval., b. X (AS).
Priori suffraganei.
Eman. Amad. Duchi prepositus et abbas S. Marie Montiscenisii.
Franc. Maria Ferrerus de Lauriana , 3 3
Il primo in carta 8 giugno 1700, Abb. Noval., b. XLII (AS); altra carta;
1700, Ivi, b. XLIX (48); il secondo in carta del 1717, Ivi, b. XLIX (AS).
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 305.
4.
1728-1751 Carolus Franciscus Badia.
Nominato da re Vittorio Amedeo, gli prestò giuramento, 15 marzo 1728, Abb.
Noval., b. XIV (AS), 7 maggio 1751, ib. b. II (A. Econ.). Il Borgarelli scrive di
lui: “ C. F. Badia Anconitanus orator eximius, S. Nicolai praepositus et S. Marcelli
de Parma abbas, artium liberalium in R. Atheneo praeses ,,.
Priori suffraganei.
Joseph Luca Pasini praepositus S. Mariae Montiscenisij.
Carte del 1728, Abb. Noval., b. II (Arch. Econ.), — 1740, Abb. Noval.,
b. XLIX (AS).
Antonius Galli praepositus S. Stephani Noualiciensis, + 13 martii 1729.
JB. Chiaputius 3 ; n
“ A die 17 mart. 1729 usque ad mensem ian. 1753 , (1).
Ò.
1757—1767 — Antonius Videt.
Benedetto XIV, sopra elezione regia, lo promosse all'abbazia addì 15 nov.
1757, ed il Videt ne prese possesso, il giorno 11 genn. 1758, Abb. Noval., v. II, Arch.
Econ. — Morì il 21 aprile 1767, Ib. — Era di Annecy e confessore di Maria
Antonia Ferdinanda infanta di Spagna e duchessa di Savoia, secondo che c’insegna
il BOoRGARELLI (2).
Prevosto suffraganeo.
Jacobus Brayda Brun, praepos. S. Steph. Noualic.
A mense februario 1753 usque ad initium iunii 1773 (3).
1767-70 (Vacat).
Constantius Sona abbas “ regularis ,.
Carta 27 marzo 1768, Abb. Nov., bh. LII (AS).
(1) Per ambedue cfr. il Liber Mortuorum, nell'Archivio della prevostura della Novalesa.
(2) HrepoLyre Tavernier, Histoire de Samoèns 1767-92 (in “ Mém. et documents publiés par la
Société savoisienne d’histoire et d’archéol. ,, XXXI, 192-3) pubblica un documento redatto a Torino,
30 maggio 1764, e firmato “ A. Videl, abbé de la Novalaise ,; è chiaro che Videl sta per Videt.
(8) Libri Mortuorum, nell'Archivio della prevostura della Novalesa.
Serie II. Tom. XLIV.
39
306 CARLO CIPOLLA
6.
1770-1796 — Petrus Ant. Maria Sineo, domo Rodi.
Su proposta (2 giugno 1770) di re Carlo Emanuele II, Clemente XIV nominò
abate il Sineo, 13 luglio 1770; l’eletto giurò fedeltà al re, 11 agosto 1770, ed
entrò in possesso, 14 agosto (Abb. Noval., b. II, Arch. Econ.). Il Sineo morì nel-
l’agosto 1796, Ivi, b. II (A. Econ.).
Officiali del Monastero.
Augustinus Columba abbas (claustralis).
Cauda, Id.
Simondi, Id.
Il primo in carte 20 giugno 1771, Abb. Noval., b. II, Arch. Econ.; il secondo
è quello che accolse E. De Levis (Anecdota sacra, Aug. Taur., praef., p. xxrx) addì
21 nov. 1778; il terzo viene ricordato in un’istanza dell'abate Antonio Marietti,
1819, Abb. Noval., b. LXIII (AS), come ultimo abate claustrale.
Priori suffraganei.
Victor Amedeus Petiti abbas Montiscenisij.
Carta 1787, Abb. Noval., b. XLIX (AS). Da una carta del 1816, Ivi, b. LVII,
appare che egli fu l’ultimo possessore dell’Ospizio del Moncenisio, prima della calata
dei Francesi.
Hippolytus Serenus praepositus S. Steph. Noualic.
A mense sept. 1773 usque ad 21 oct. 1806 (1).
Da un'istanza diretta dall’ab. Antonio Marietti all’Economo Generale dei benefici
vacanti di Torino nel 1819 (455. Noval., b. LXII, AS) apprendiamo che, anteriormente
alla soppressione del monastero, i beni della Novalesa si dividevano in due parti,
la maggiore delle quali, costituente l'abbazia regia col titolo dei santi Pietro ed Andrea,
ebbe per ultimo possessore il Sineo; questi beni andarono venduti nel 1798 e nel 1803.
L’altra parte era dei Cistercensi, il cui ultimo abate fu Alessandro Sismondi, e anche
questi possessi furono in parte alienati. Con decreto 6 messidoro, anno X (25 febbr.
1802) i Consoli della Repubblica francese (408. Nov., b. LXINI, AS) si preoccuparono
della riorganizzazione dell’Ospizio, e perciò il 24 agosto 1804 (ivi, b. LXV) troviamo
(1) Libri Mortuor., nella prevostura della Novalesa.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, EUC. 307
l’abate Gebeti col titolo di abate del Moncenisio e della Novalesa. — Dalla citata
istanza del Marietti ricavasi poi che Vittorio Emanuele I, con viglietto 30 apr. 1816,
stabilì la restituzione della casa del Moncenisio e di quella della Novalesa; e della
prima fu messo in possesso il Marietti, 10 maggio 1816 (b. LXIII); egli si occupò
tosto a riparare i danni subìti dal monastero Novaliciense.
Qualche anno dopo (30 luglio 1823 — 14 marzo 1824, 434. Nov., buste LI, LXITN,
AS) incontriamo Stefano Chapuis abate dei Cassinesi, ai quali era stata affidata la
Novalesa. Come sopra notammo, egli fece pur troppo restaurare (!) nel 1728 la cap-
pella di S. Eldrado. Più tardi trovo ricordato (carta 30 luglio 1830, 42%. Nov., b. LII, AS)
Gaetano Lamberti da Bari quale priore, amministratore e superiore del monastero.
Negli anni successivi, 1832-4 (busta LII, AS), i Cassinesi erano retti dall’ab. Ignazio
Rossi, e quindi (carta del 1835, b. LXV) da Prospero Cardone. Le carte Novaliciensi
all'Archivio di Stato di Torino terminano (b. LXIX) col 1851. Pochi anni ancora e
l’abbazia fu di nuovo soppressa.
Le sorti dell’edificio abaziale furono quindi varie e basse, fino a che l'abate
Giuseppe Parato, quale rettore del Collegio Nazionale Umberto I, comperò quello
storico luogo, e, riapertane al culto la chiesa, ch’era stata rivolta ad uso profano,
lo destinò a dilettevole e salubre villa dei collegiati.
A
APPENDICE
Raccolgo sotto questa rubrica pochi documenti, destinati a servire di schiari-
mento all’elenco degli abati. Chi abbia veduto le argute considerazioni del prof. T.
von Sickel sulla testura originale del diploma di Lotario I, 825 in cui si parla
dell’Ospizio di S. Maria del Moncenisio, può desiderare di conoscere che cosa le carte
del monastero dicono sulla soggezione dell’Ospizio stesso all'Abbazia. Il nome del
priore Giacomo, che fu insieme abate di Susa, avrà richiamato alla mente del lettore
le guerre piemontesi del sec. XIII e la figura cavalleresca di Tommaso II di Savoia;
è naturale la curiosità di sapere se le carte del monastero Novaliciense riflettano
in qualche guisa quei fatti così rilevanti. Il fatto della dipendenza dei villaggi di
‘ Venaus e di Novalesa dall’abbazia pone innanzi un problema gravissimo, quello della
condizione delle plebi rurali nel medioevo; il fatto è di tanto maggior valore, in
quanto che qui si tratta di una popolazione collocata in una valle elevatissima e
lontana dai grossi centri della popolazione; non prometto con queste parole la trat-
tazione, anche fatta in succinto, del grave problema, ma solo l’indicazione di un
documento, che è un vero statuto e che quindi può servire assai per dilucidare un
argomento così scabroso. Il movimento delle popolazioni rurali è più oscuro e forse
anche più importante, sotto qualche rispetto, che quello delle cittadinanze. Si presume
che i contadini siano stati non solo tardissimi a guadagnare i diritti civili, scioglien-
dosi dalla soggezione feudale, ma sembra ch’essi non abbiano mai ottenuto un’orga-
nizzazione comunale; questo può essere avvenuto in molti casi; non sempre tuttavia.
Il vero è che sulla condizione delle plebi rurali scarseggiano assai i documenti, e
più ancora scarseggiano i nostri studì.
305 CARLO CIPOLLA
La soggezione dell’Ospizio del Moncenisio alla Novalesa.
Il monastero della Novalesa — lo si comprende dall’insieme del documento, che
qui viene pubblicato — aspirava da lungo tempo a sottomettersi l’Ospizio de’ pel-
legrini, fondato sul Moncenisio da Lodovico il Pio. Collo scopo appunto di dar so-
stegno a tali pretese, deve essere stato alterato in più luoghi il diploma col quale
l’imperatore Lotario I, 14 febbr. 825, concesse il monastero di S. Pietro di Pagno
a quello della Novalesa, per risarcirlo dei patrimonia toltigli, per darli all’Ospizio
predetto (1); i ritocchi mutavano invece il senso del documento, e gli facevano dire
che il monastero Novaliciense era padrone dell’Ospizio. Gli argomenti paleografici non
ci apprendono con precisione l’età in cui quel documento fu alterato. Trattasi di
poche lettere, eseguite col proposito di imitare le antiche; e attraverso a forme alte-
rate di lettere è arduo argomentare l’epoca in cui visse il contraffattore. Appare
tuttavia fuori di dubbio che quelle alterazioni non sono molto antiche. Non è im-
possibile anzi che tali ritocchi siano in correlazione col documento di obbedienza,
4 nov. 1202, pervenutoci in doppio originale (2), e che qui trascrivo:
“ (S. T.) anno dominice natiuitatis millesimo . CC . secundo . IH . nonas nouembris,
Jnditione V, in presentia monacorum sancti petri noualicii, videlicet donus albricus
elimoscinarius, donnus Ricardus, donnus petrus girodus et aymo de cabarico, Johannes
de ulcio, Johannes de Suleno, pellerinus et amedeus ingigu et (3) bernardus de altauilla
et martinus iacceptus. petrus decanus hetoni et preposcitus hospitale montis ciniscii
et petrus gunterius et bernardus gunterius et amblardus fratres hospitale montisci-
niscii fecerunt hobbedienciam domino (4) stefano priori ecclesie sancti petri noualicie
cognoscendo quod domus montis cinisii (5) nullo medio pertinebat domui sancti
petri noualicie et quod preposcitus montis ciniscii (6) et omnes stantes in dicta domo
montis ciniscii (6) tenentur facere hobedienciam priori sancti petri noualicie et eius
supcessoribus quandocumque voluerit.
Actum est hoc in claustro sancti petri novalicie. Signa . #TT - +77 - #77 testium
qui interfuerunt rogati andrea, gaustadus, martinus, cuntus, albertus, becterius (7),
vubertus, martina. Ego girodus imperialis notarius interfui et rogatus scripsi ,.
Questo documento, anche senza l'esame di altri atti, presenta tali caratteri,
che facilmente siamo indotti a considerarlo come quello che serbi memoria del primo
(1) L'ultima edizione di questo diploma devesi all’illustre Ta. von SickeL (Diplomi imperiali e
reali delle cancellerie d’Italia, fasc. I, n. VI; Roma, 1898), il quale, per il primo giunse a scoprire
ciò che si leggeva originariamente nei luoghi alterati, e così intese il significato genuino del
documento.
(2) Abb. della Novalesa, busta III Arch. di Stato di Torino.
(3) Uno dei due originali ha: “ ingigu et ,, e l’altro “ guigo ,.
(4) Ambedue gli originali: “ dno , che può anche sciogliersi in: “ donno ,.
(5) L'altro originale: “ montiscenisii ,.
(6) L'altro originale: “ montis ceniscii ,.
(7) L’altro originale: “ beierius
u
”*
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 309
atto con cui l’ospizio si sottopose al priorato Novaliciense. A comprovarlo potrà ser-
vire la rinnovazione dell’obbedienza fatta il 3 giugno 1207, con formule alquanto
diverse.
“ (S. T.) Anno dominice natiuitatis, Millesimo . CC VII . die tertio. Jntrante iunio.
Indictione decima. Coram testibus infrascriptis dns nicolaus de aygabella prepositus
hospitale montis cenesii et petrus ganterius canonicus et Johanes de ualloria con-
uersus eiusdem hospitale fecerunt hobedienciam donno stefano priore sancti petri
noualicie cognoscendo quod omnes qui manebant in eadem domo montisciniscii de-
bebant eidem priori obedire tamquam dnum et priorem.
«“ Actum [est](1) hoc in claustro sancti petri novalicie Jnterfuerunt testes ro-
gati petrus, Jabertus, Raymudus (sic) de sancte (sic) andrea, Johannes ysardus,
stefanus pistor, vbertus martini. Ego Johannes notarius sacri palacii Jnterfui, hane
cartam scripsi rogatus ,.
A comprovare l’asserto che la dipendenza dell’ospizio della Novalesa non risale
al di là del 1202 ha valore un altro documento di obbedienza, del 29 luglio 1234,
il cui testo comincia: “ ..... Cum dns Jacobus prior noualiciensis monasteri}, in
presentia conuentus noualitij, a dno Jacobo preposito montiscinisii. Jn presentia vil-
lelmi de aprili, et villelmi Jordani. et villelmi de auillania. et villelmi presbiteri
sancti euuasii cannonicorum montiscenisii. et fratris Martini, Requisiset quod ei fa-
ceret obedientiam quam debebat domui noualetij. et quod faceret fieri a residentibus
in domo montis cinisii, tam a canonicis, quam a conuersis sicut predecessores sui
facere eidem domui consueuerunt. et hoc probauit per quatuor publica instrumenta.
Jn primo instrumento continetur quod dns petrus decanus de etone (2) et prepositus
ospitalis montiscinisii et petrus Gonterius. et bernardus Gonterius. et Amblardus
fratres ospitalis montiscinisii. fecerunt obedientiam dno stephano priori sancti petri
noualitie sicut continetur in eodem istrumento facto per manus Giraudi notarii, anno
domini. M . CC. secundo . indicione . V ., pridie nonas nouembris. Jn secundo instru-
mento continetur quod dns Nicolaus prepositus ospitalis montiscinisii. et petrus
Gonterus canonicus. et Johannes de valori conuersus similiter fecerunt obedientiam
dno priori predicto. ut continetur in publico instrumento facto per manus Johannis
notarii, anno domini Millesimo . CC . septimo, indicione septima, die tercio JIntrante
Junio — ,. Ricordati questi atti di obbedienza, quei di Moncenisio la prestano nuova-
mente, e proprio “ secundum formam et tenorem instrumentorum predictorum ,;
avviene tutto ciò, “ sopitis super eadem obedientia questionibus habitis inter eos,
videlicet inter dictum prepositum et dictum priorem Jacobum et dictos cannonicos — ,.
Questo documento, del 1234, fu rogato “ in claustro sancti petri noualetii ,.
Amedeo (IV) di Savoia nel diploma di conferma conceduto, 22 giugno 1233, al
monastero della Novalesa, nomina espressamente la “ fontem uarciniscam montis
cinisii, cum domo helimosinaria eiusdem montis , (3).
(1) Qui la pergamena è forata.
(2) Ayton.
(3) Di tale documento esiste l'originale (450. della Novalesa, busta III; Arch. di Stato). Il sigillo
andò perduto, ma si conservò in parte la cordula serica, che lo sosteneva. Porta sul verso il regesto di
mano dell’Allavard, colla firma: “ Andreas de prouana prior de anno 15..... ,,. Anche la firma è natu-
ralmente di mano dell’Allavard.
310 CARLO CIPOLLA
Intermedio fra i documenti ora comunicati, è uno del 1211, di cui adesso ren-
derò conto, affinchè meglio si vegga come avvenne che il monastero Novaliciense
riportasse finale vittoria, nella lunga lotta da esso sostenuta contro l’Ospizio.
Si può per verità considerare siccome un epilogo di quanto risulta dai riferiti
documenti, il fatto accennato da un rogito del giovedì 30 dicembre 1211. Quivi
“ donnus stefanus prior , e gli altri monaci del monastero Novaliciense “ fecerunt
obedienciam donno Raymondo Berengario abbat[i mJon[|a]s[teri]j Bremetensis. et
promisserunt ei nomine ipsius monasterij de Noualicio esse ohedientes suprascripto
abbati et eius succ|essorib]us secundum Deum et Regolam beati Benedicti, promit-
tentes dicti prior et fratres supradicti, quod non venient nec erunt contra libertatem
dni abbati[s] et abbacie bremeten., et ibi presentes dictus prior et monaci supradicti
a parte ipsius monasteri} receperunt fratrem Rycardum celerarium sancte Marie de
Monsenesio et dominum Guillelmum capellanum et Anbrandum fratrem ipsius sancte
Marie et Jacobum fratrem illius ecclesie in fraternitate<m> et societate bonorum
tam spiritualium quam temporalium predicti Monasteri} Noualiciensis . .. ,.
Ora mi resta a considerare una obbiezione. Il più antico privilegio originale che
attribuisca all'abbazia della Novalesa l’ospizio di S. Maria di Moncenisio è quello
del conte Tommaso di Maurienne (Savoia) del 19 giugno 1204, nel quale si legge:
“ confirmamus etiam totam Novaliciensem vallem... usque ad fontem Varciniscam
Montiscinisii cum domo helemosinaria eiusdem montis ,, e di questo diploma con-
servasi tuttora l'originale (1). Nel diploma, senza dubbio falso, di Adelaide, 16 luglio
1039, del quale esiste il pseudoriginale (2), cotale frase, proprio in questa stessa
forma, non si trova, ma pur vi si leggono le parole “ usque ad fontem Varcinescam ,,
senza ciò che fa seguito. Ma il cenno sulla casa ospitaliera, c'è pure in quel docu-
mento e precisamente alcune linee prima.
Nel diploma del conte Umberto (II) di Maurienne (Savoia), 10 maggio 1093, la
frase c'è, e ad un modo come nel diploma di Tommaso. Ma del diploma del 1093,
che viene esplicitamente confermato in quello del 1204, non abbiamo che una copia
del sec. XIV (3), e quindi non possiamo sapere se contenga qualche interpolazione.
È ad ogni modo lecito il sospetto. E se il sospetto si potesse cambiare in certezza
avremmo una prova di più per avvicinare al sec. XI la soggezione dell’Ospizio alla
Novalesa. Sarebbe il tempo al quale accennano i documenti autentici, e in cui fu
alterato il diploma di Lotario dell’anno 825 e fu scritto il falso originale di Adelaide.
(1) Abb. della Novalesa, parte non ordinata, busta LXIV. Arch. di Stato di Torino.
(2) Ivi, busta II.
(3) È quella usufruita anche da Prerro Darra (MHP., Ch. I, 709), e si trova nella busta II, Abbazia
della Novalesa, nell’Arch. di Stato di Torino.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 311
II.
La prigionia dell'abate di Susa.
Fra i più curiosi episodi della storia delle guerre piemontesi verso la metà del
sec. XIII noverasi la prigionia di Tommaso II di Savoia. Condotto ad Asti, quel
principe, se volle ricuperare la sua libertà, dovette accondiscendere ad alcuni deter-
minati patti, e rilasciare in ostaggio i suoi due figli maggiori, Tommaso II ed
Amedeo V, nonchè Giacomo abate di Susa. Di tali fatti si occuparono recentemente
il prof. Carlo Merkel (1) e il conte Gerbaix de Sonnaz (2). Sopra questo aneddoto
posso qui comunicare qualche nuovo documento (3).
Giacomo, come vedemmo, era anche abate di Novalesa, e si occupava pure di
questo monastero. Sicchè in un documento, rogato il 16 ottobre 1257 “ in claustro
sancti Petri de Noualicio ,, incontriamo “ dns Radulfus de Monte maiori prior de
Corberia et procurator et rector domus Noualicii ,. Egli vi fa una concessione di
beneficio. Sostituisce naturalmente il priore assente a forza.
Ma il priore di Corbières presto morì. Di qui si spiega il seguente documento:
«“ (S. T.) Anno domini . M.cc. quinquagesimo nono. Jndicione secunda, die lune
ultimo mensis marcii. iacobus dei gratia abbas Secuxie. Dilecto suo Aymo humili
monaco salutem in domino. De eo quod intellesimus quod prior Corberie decessit,
doluimus et ultra quam posset exprimi litteris condolemus. Quare prioratum Romo-
loni in beneficium tibi duximus assignandum, te sicut possumus admonendo quatinus
res et negocia dicti prioratus sic ger|e|re studeas et tractare, quod a nobis quando
fuerimus a carceribus liberati possis non inmerito comendari. de negociis uero prio-
ratus de noualiciis taliter prouidere procures quod tibi possem grates copiosas re-
ferre. et cum monacis et omnibus aliis amicis tuis debeas pacifice permanere. et
inde michi notario infrascripto fieri iussit publicum instrumentum. Actum |[e]st in
domo dni Raymundi pellete (4). Testes interfuerunt obertinus de sancto iuliano.
thomas de sancto iohanne et Guillelmus pelleta (5). Et ego berardus de casalupa
notarius palatii interfui et sic scripsi ,.
L’abate di Susa non dimenticò coloro che gli addolcirono la prigionia. Lo prova
il seguente atto del 12 luglio 1259, che riferisco per disteso, anche perchè esso può
aver valore come documento di diritto canonico. Trattasi di un beneficio concesso
ad un chierico, ancora in età minore, per il quale dunque dovette intervenire la
promessa del padre. Abbastanza curiosa è anche la notizia che se ne ricava, giusta
la quale l’abate aveva in Asti il suo medico personale.
(1) IL Piemonte e Carlo I d'Angiò, in “ Mem. Accad. di Torino ,, serie IL vol. XL, 2, 87-8.
(2) Studii storici sul contado di Savoia, II, 1, 350. Torino, 1893.
(3) Da pergamene originali in Abb. della Novalesa, busta IMI. Arch. di Stato.
(4) Ms.: pelle.
(5) Ms.: pélla.
212 CARLO CIPOLLA
“ (S. T.) Anno domini Millesimo ducentesimo quinquagesimo nono Jnditione se-
cunda. die sabbati XII intrante Julio. Jn presentia infrascriptorum testium. Dns
Jacobus prior ecclesie sancti Petri de Noualisio ordinis sancti Benedicti Taurinensis
diocesis. intuitu seruiciorum que dns Thomas stromenatus ciuis Astensis ac eius
consanguinei et amici sibi maxime existenti in detentatione astensium pro obside
occasione dni Thome de Sabaudia Comitis condam exhibuerant. et alias multipliciter
sibi et monasterio de Noualisio exhibituri sperabantur. Volens Johannino clerico filio
dieti dni Thome facere gratiam specialem, ipsi Johannino contulit in personale bene-
ficium ecclesiam sancti Petri de Riueta (1), Taurinensis diocesis, iacentem in terri-
torio Porciliarum, cum omnibus pertinenciis suis et iuribus. Tali modo quod dictus
Johanninus de cetero dictam ecclesiam cum omnibus suis iuribus et pertinencijs debeat
tenere et possidere tanquam rector ipsius ecclesie. et fructus rerum ad ipsam eccle-
siam pertinencium percipere et habere. Jta tamen quod bona inmobilia ipsius ecclesie
uel iura alienare uel deteriorare non debeat neque possit. set ea fideliter perquirere
et ammissa recuperare debeat bona fide. Et hoc idem promisit dns Thomas pater
eius facere et curare quousque Johanninus predictus erit in etate legittima. Et idem
Johanninus promisit esse obediens dieto dno priori et eius catholicis successoribus
et monasterio de Noualisio de dicta ecclesia. sicut debet esse clericus . beneficiatus
in beneficio personali. Et qui dns prior predictus, ipsum Johanninum de ipsa ecclesia
sancti Petri de Riueta per quoddam lignum inuestiuit. Et inde iussa sunt duo Jn-
strumenta vnius tenoris. quorum hoc est ipsius dni Jacobi Prioris predicti. seu Con-
uentus et Monachorum ecelesie saneti Petri de noualisio. Actum Ast in turri pel-
letarum ad dom. Interfuerunt testes rogati. Magister Petrus Phisicus (2) abbatis
Secusie. et Petrinus Ypolitus de Ast. Et ego Petrus de Camayrano notarius palatii
interfui et sic Scripsi Rogatus ,.
Prego il lettore a fare attenzione ad una delle formule finali dell’atto, la quale
c'insegna l’uso di stendere, per un contratto bilaterale, due esemplari da consegnarsi
alle due parti, uno per ciascuna: i due esemplari tuttavia, si capisce, non erano del
tutto identici, ma ciascuno di essi conteneva il nome della persona, per cui propria-
mente era fatto.
Il.
Le franchigie di Novalesa e Venaus (1279).
In varie trascrizioni ci è pervenuto un documento assai interessante. È l'atto
col quale, previa una somma sborsata dai rappresentanti dei villaggi di Venaus e
di Novalesa, Amedeo, priore dell’abazia, concesse a quegli abitanti una lunga serie
di franchigie, che li redimeva da molti obblighi servili, e li rendeva, almeno fino ad
un certo segno, liberi padroni dei loro beni privati. L’atto fu rogato il 2 agosto 1279;
(1) Oggi: Rivalta.
(2) Trovo costui anche in un atto del 13 dicembre 1273, Ab. Noval., busta III. Arch. di Stato.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 3183
a tale concessione il priore venne antecedentemente (15 marzo 1279) (1) autorizzato
da una lettera dell’abate del monastero di Breme, dal quale naturalmente dipendeva
in certo qual modo il priorato Novaliciense.
La concessione dell’abate precede di un decennio la liberazione dei contadini,
decretata dal Comune di Firenze addì 6 agosto 1289. Le conseguenze dell’atto fio-
rentino furono da molti ricercate e illustrate (2); non pare ch’esse fossero così ampie
e benefiche come potremmo attenderci alla lettura del decreto, il quale vuol essere
interpretato mercè delle disposizioni statutarie (3). Nel caso della Novalesa sarebbe a
cercare se l'origine di quel Comune si debba attribuire, come pare probabile, al pri-
vilegio del 1279, che qui metto alla luce. A Pinerolo il Comune sboccia di sotto al
manto della signoria abaziale, come c’insegnò testè il veterano degli storici piemon-
tesi (4). La Novalesa offre il secondo esempio di un Comune sorto per tale strada.
Tant'è vero che fa opera vana chi vuol essere sistematico nella discussione sulle
origini dei Comuni, e vuol assoggettare tutti i casi alla identica legge politica e
sociale.
Per la presente edizione mi giovai particolarmente di due trascrizioni (A, B),
dei secoli XVI e XVII in., costituenti un fascicolo, sulla cui copertina leggesi un
regesto del documento, scritto di mano dell'abate Sineo (5). Non trascurai anche
una trascrizione dell’atto, Torino, 24 ottobre 1518, col quale il Consiglio di Carlo II
di Savoia confermò e rinnovò le franchigie del 1279; è dessa una trascrizione
semplice di mano d’anonimo del sec. XVII. Il trascrittore vi appose sul verso questa
postilla: “ da copia presso il sig. Abate Sineo di Novalesa, non autentica , (6).
Consilium illustrissimi principis domini nostri domini Caroli Sabaudie ducis, Chablaxij et
Auguste, sacri Romani Imperii principis vicariique perpetui, marchionis in Italia, principis Pede-
montium, baronis Vaudi, comitis Gebennensis et Rotundi Montis Nicigeque, Vercellarum ac Secusie
domini, cum eodem ordinarie residens, Universis sit notum manifestumque quod nos vidimus, tenui-
musque et palpauimus, ac videri, legi et palpari fecimus per secretarium ducalem subsignatum
seripturam in bergameno antiquam, non vitiatam neque canzelatam, licet in aliquibus lineis vetustate
corrossam, nullo tamen signo tabellionatus apposito, que linee et verba corrosa hic dimittuntur in
albo, prout inferius iacent:
“ Anno Domini millesimo ducentesimo septuagesimo nono, indictione septima,
die mercurii secunda mensis augusti presentibus testibus infrascriptis et rogatis. Ad
instantiam et requisitionem Jacobi Gastaudi de Noualisio et Stephani Gastaudi et
Andre® Martina et Joannis Gastelli et Raimundi Bermondi et Martini Varrottini et
Joannis de Conte sindicorum universitatum illorum de Noualitio et Venalibus qua-
cumque commorantium in territorio monasterii saneti Petri Noualitiensis, scilicet a
. (1) La domenica Luaetare è la quarta di quaresima, e nel 1279 la Pasqua scadeva il 31 marzo.
(2) L’illustre prof. P. ViLrarI se ne occupò parecchie volte, e vi ritornò sopra anche testè, ristam-
pando un articolo inserto nel “ Politecnico milanese , del 1867, nel suo volume: I primi due secoli
della storia di Firenze. Firenze, Sansoni, 1893.
(3) Veggasi D. MerLinI, Saggio di ricerche sulla satira contro il villano. l'orino, 1894, p. 10.
(4) Storia della città di Pinerolo. Pinerolo, Chiantore, 1893.
(5) Abb. della Novalesa, busta III Arch. di Stato.
(6) Biblioteca di S. M. in Torino, Mss. Miscellanea di Storia patria, vol. CXVIII, n. 53.
Serie Il. Tom. XLIV. . 40
314 CARLO CIPOLLA
Pallo Bonici (1) usque ad pontem Stadii Cinische et mei Joannis notarii infrascripti
tamq uam persone publice recipientis nomine et vice predictarum uniuersitatum et
omnium commorantium infra loca predicta ad presens et in futurum. Dominus
Amedeus prior dicti monasteri Noualitiensis de consensu et voluntate expressa om-
nium monachorum residentium in dicto monasterio, quorum nomina infrascripta sunt,
habito consilio et tractatu virorum iurisprudentium et voluntate expressa domini
Johannis prioris Bremetensis et conuentus eiusdem loci, sicut constabat per literam
ipsorum sigillo eorum roboratam cuius tenor infrascriptus est, Attendens dictus do-
minus prior Noualitiensis quod ville et iura decrescebantur propter intollerabilem
successionem seruitutum, volens eis mitigare ius et consuetudinem in predictis ob-
tentam, ita quod possint loca subiectis et liberis hominibus repleri, infrascriptam
libertatem eisdem concessit. Jn primis quod frater fratri succedat in testamento vel
ab intestato, si non sunt diuissi et si non existant filii; et si starent filii et vellent
fratres cum filiis instituere, possint, reseruato iure civili; si vero diuisi fuerint, frater
fratri succedat, si non fuerit ingratus et si filii non existant, et filii fratris premortui
pro rata succedant. Jtem in successione fratris preferatur frater, ex utroque latere
coniunetus (2), illo qui coniuncetus est ex uno latere tantum, ubi vero ex testamento,
frater fratri succedit et fuerint diuissi, vigesima pars bonorum immobilium dicto
monasterio applicetur, et si ab intestato, quarta pars bonorum immobilium similiter
dicto monasterio applicetur. Jtem mater succedat filio suo (3) ex testamento, vel ab
intestato, vigesima parte immobilium bonorum predicto monasterio reseruata, si filii
non existant vel heredes filiorum, et si mater in dominio dicti monasterii perman-
serit; sì vero extra dominium contrahere uoluerit, licitum sit ei bona immobilia infra
annum distrahere; post vero annum si vendita non fuerint et extra dominium perman-
serit, proximioribus filiis (iis?) de cuius successione agitur, bona immobilia applicentur;
et si non essent proximiores, hoc est cognati et agnati infra quartum gradum, dicto
monasterio applicentur (4). Jtem mulier possit testari dotem suam in immobilibus
cum non habuerit filios, reseruata dicto monasterio vigesima parte bonorum immo-
bilium existentium sub dominio dicti monasterii, in aliis libera facultas a iure con-
cessa est reseruata. Si vero esset filiafamilias, quum testamentum facere non possit,
dos ipsius et alia bona ad patrem libere deuoluantur (5), Etsi deinceps ab intestato
parentibus non existentibus in gradu succedat (6), ut supra reseruata quarta parte
rerum immobilium monasterio supradicto. Jtem possit (7) quilibet testari, cui de iure
conceditur, cuicumque voluerit, |si] existerit in dominio predicti monasterii usque ad
quartum gradum, reseruata quarta parte rerum immobilium eidem monasterio, si vero
fuerit extra iurisdictionem dicti monasterii (et legatur vel testatur) et fuerit coniunctus
(1) A lascia in lacuna le parole: “ scilicet a Pallo Bonici ,.
(2) 4% coniunetus ,; B, iunctus ,; C “ iniunctus ,.
(3) A“ suo ,; B e C omettono.
(4) A tralascia il paragrafo: “ et si non essent proximiores, hoc est — applicentur ,. C dopo
gradum , insiste con: “ post quartum gradum ,.
(5) A“ denema... ,; B “ deuoluantur ,; C “ denomantur
(6) A legge come nel testo; B e C “ et si
(7) A Item possit ,; Be C “ Et si
”*
n*
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 315
infra quartum gradum, tunc aut veniat infra annum, et rem legatam vendat ad
usum loci Noualitii, alioquin proximiori applicetur, sub iurisdictione dicti monasterii
existenti. Et est sciendum quod annus connumeratur a tempore scientie; excipiantur (1)
autem minores et absentes iusta necessaria vel probabili causa. Jtem si quis mo-
riatur ab intestato non habens filium vel parentes, hoc est patrem vel matrem, tune
propinquiores in gradu succedant usque ad quartum gradum ineluxiue (2), quarta parte
immobilium dicto monasterio reseruata, ut supra. Jtem si quis non habens filios vel
parentes, vult (3) extraneum heredem instituere non sibi coniunetum infra quartum
gradum, possit hoc facere, reseruata tertia parte bonorum immobilium monasterio
supradicto, et hoc si fuerit sub dominio predieti monasterii, si vero fuerit extra,
aut veniat sub dominio moraturus, aut vendat infra annum a tempore scientie com-
putatum, alioquin proximioribus testatoris applicentur. Jtem si quis decedat ab in-
testato et habeat proximiores extra dominium volentes succedere, aut veniant infra
annum, a tempore scientie computatum, moraturi infra dominium, reseruata quarta
parte immobilium dicto monasterio ut supra, aut (4) vendant, alioquin proximioribus
aliis existentibus in iurisdictione dicti monasterii applicentur. Jiem minoribus (5)
duodecim aut quatordecim annis (6), qui testari non possunt, succedant fratres, non
existentibus parentibus, si vero parentes existerent, succedant una cum fratribus,
secundum quod de iure (7) deffertur, fratribus vero vel parentibus non existentibus.
proximiores admittantur, secundum quod superius est eis ordinatum. —Jtem possint
testari ecclesie et confratrie, bona immobilia infra annum vendantur. Jtem est ordi-
natum inter ipsos, quod si aliquis, non habens filium, voluerit testari uxori sue, testetur
tantum de mobilibus et non ultra dimidiam bonorum immobilium, alioquin proximio-
ribus applicentur(8). Jtem ordinatum est et confirmatum per longissimam consuetu-
dinem inter antiquos patres, quod <si> aliqua mulier extra dominium et iurisdictionem
dicti monasterii non possit dotari de rebus immobilibus, [sed] (9) teneatur vendere
alicui de iurisdictione eiusdem monasterii et in territorio commoranti, infra triennium,
faciendo usum loci et percipiendo fructus; post triennium vero, si vendita non fuerint,
nisi reversa fuerit, ad dictum monasterium libere devolvantur. Jtem est ordinatum et
confirmatum |sicut](9) hactenus et diutissime obseruatum fuerat, quod si aliquis contemp-
nendo (10) dominium et iurisdictionem dicti monasterii alias se transtulerit moraturus,
possit infra annum bona sua immobilia vendere, si in loco emptorem inuenerit et
iustum pretium, alioquin ipso iure et libere ad dictum monasterium deuoluantur.
Jtem est ordinatum, quod aliquis extra dominium bona immobilia non possit vendere
(1) A“ excipiantur ,; B “ eximuntur ,; Cl “ et excipiunt ,.
(2) A“ incluxiue ,; B e C “ inclusiue ,.
(3) 4“ vitra ,; B‘ vult,; C“ velit,.
(4) BeC“aut,; A ommette.
(5) C “ iunioribus ,.
(6) Be C“ annorum,.
(7) A“ de Jure ,; Bel“apatre ,.
(8) A “ applicetur ,.
(9) Quest’aggiunta pare richiesta dal senso, quantunque le antiche trascrizioni non segnino qui
alcuna lacuna.
(10) A “ contemnando ,; B “ contemnendo , (di correzione); C “ contempnendo ,.
316 CARLO CIPOLLA
vel pignorare sine licentia rectoris dicti monasterii, si vero pignorauerit, nec inue-
niantur mobilia, unde posset satisfieri creditori, quod inter subiectos (1) dicti mona-
sterii bona immobilia distrahantur et de pretio satisfiat creditori (2). Jtem est
ordinatum, si aliqua obscuritas siue dubitatio super predictis orietur, quod ad be-
nignam interpretationem prescripti monasterii recurratur. Jtem fuit ordinatum inter
predictos quod alia usagia, que hactenus consueuerunt facere in substitutis, rema-
neant, et per suprascripta nullatenus vitientur; et est sciendum, quod predicta libertas
extenditur inter subiectos commorantes infra dictos confines, exceptis hiis (3) qui
commorantur in Ferreria nova montis Sinisii (4). Que ordinationes, statuta et liber-
tates, secundum quod iacent in casibus suis, promisserunt dictus dominus prior et
monachi infrascripti rata et firma perpetuo habere et tenere et inuiolabiliter obser-
uare et iurauerunt per submissam personam, scilicet per fratrem Lantelmum (5)
eleemosinarium (6), qui de precepto omnium et singuloram, manibus eorum tactis
sacrosanctis euangeliis, iurauit inducendo me notarium et sindicos predictos in pos-
sessionem uel quasi libertatum predictorum. Dicti autem sindici, nomine suo et
predictarum universitatum, in recompensationem dicti benefici dederunt dicto mona-
sterio quinquaginta libras bonorum denariorum secusiensium (7), quas confessi fue-
runt (8) dictus prior et conuentus se ab eisdem numerando recepisse et ipsas fore
-uersas in utilitatem dicti monasterit, ad soluendum debita feneratoribus, renunciantes
exceptioni pecunie non accepte et non numerate et omni exceptioni doli et in factum.
Jtem promisserunt dicti sindici et procuratores nomine suo et nomine quo supra, sub
hypotheca (9) omnium bonorum suorum et dampnorum, expensarum et interesse,
(restitutione), occasione dictarum libertatum (10) dare et soluere annuatim et perpetue
in festo sancti Andree duodecim libras predicte monete. Hoc sunt nomina mona-
chorum: frater Villelmus (11) de Montemaiori prior de Coysia (12), frater Johannes
prepositus S. Marie de pede montis Cinisii (13), frater Thomas sacrista, frater Antelmus
eleemosynarius (14), frater Iohannes cellerarius, frater Iohannes de Burgo, frater
Thomas de Villario Gontrando (15), frater Amedeus de Podia Gauterii (16), frater
Villelmus (17) de Cruce, frater Ugo de Altaripa, frater Petrus de Salio (18), frater
) A“ subditos ,.
2) dt termina il ms. A.
3) €
Così i © “ commemorantur..... nova mente senisii ,
B “ Lantermum ,; C ° Lantelmum ,.
6) B* ellemosinarium ,,.
BÈ“ secuxiensium ,.
3)
5)
)
)
8) Da a confessus farti
9)
0
1
“
10) £ mes, »3.C° librarum ,.
(11) 5ì Vitus:,s Ci Villusi.
12) B © prior prioratus coyse ,; C “ prior de coysia ,. 3
13) B © cenisii,,.
14) B © ellemosinarius ,,.
15) B“ frater Thomas de vilario giordano ,.
16)
B © Podio Gonterij ,.
(17) B © vitus ,; C“ villus ,.
(18) B © de Ialliono ;; € “ de Salio ,.
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 317
Manfredus (1) de Aprili, frater Thomas de Villario Falleto (2). Tenor litterarum
prioris Bremettensis (3) et conuentus eiusdem loci talis est. Nouerint uniuersi pre-
sentem paginam [inspecturi] (4), quod nos frater Johannes prior monasterii Bremetensis
et conuentus eiusdem loci damus et concedimus plenam licentiam et auctoritatem (5)
religioso uiro domino Amedeo priori Noualiciensi et hominibus de burgo Noualitii
et de Venalibus et alijs eiusdem prioratus subiectis, de conuentus eiusdem loci
consensu, a quadam seruitute, que franchisie (6) nuncupantur (7) et quibusdam aliis
eximere valeant et francare (8), et illam uel illos remittere, prout inter ipsos est
compositum et tractatum, seu (9) quocumque modo sibi uidebitur expedire, et quia (10)
memorati prioris laudabilis discretio honeste vite bonique regiminis opinio diuulgata
[est](11), de ipso plenissime confidentes, nos inducit (12) quidquid (13) in predictis et
circa predicta (14) dixerit (15) faciendum, fratrumque suorum consensu requisito et;
habito, ratum et gratum habere promittimus et etiam presentibus confirmamus.
Jn cuius rei testimonium presentem litteram sigillorum nostrorum munimine duximus
roborandum (16). Datum Bremantina (17), die veneris post Letare Jerusalem, anno
domini millesimo ducentesimo septuagesimo nono. Hoc acto, hinc inde precepe-
runt. mihi Joanni notario quod de hoc tenore faciam (18) duo publica instrumenta,
que possint dietari corrigi et emendari ad consiliuam domini Villelmi Jurisperiti,
auctoritate mihi |tradita ?] (19) post confectionem ipsorum quorum presens est uniuer-
sitatum Noualitii et Venalium. Actum in claustro dicti monasterii Noualitiensis.
Testes ibidem rogati fuerunt dompnus (20) Villelmus (21) Bernardi (22) iurisperitus,
Bartholomeus (23) frater eius, Ribaudus (24) de sancto Georgio Vianensis diocesis (25),
(1) B“ Mafredus ,.
(2) B “ falletto ,; C “ Salleto ,.
(3) B “ predicti monaci ,; C “ prioris Bremettensis ,.
(4) La lacuna non è indicata nè da B, nè da C.
(5) B “ licentiam libertatem ,.
(6) B“ franchij ,.
(7) Forse si dovrà leggere: “ -atur ,.
(8) B “ franchire ,.
(9) Cin,
(10)/B ad, (0); quia.
(11) Sebbene in B e in C non si indichi qui una lacuna, pare che si abbia a leggere est, o alcun che
di somigliante.
(12) B “ inducit ,; C “ induxit ,.
(13) B “ quicquid ,; C “ quidquid ,.
(14) B “ dicta ,.
(15) C dicerit ,.
(16) C “ duximus roborandum ,; B “ p. 1. s. n. m. d. r.
(17) B tralascia questa parola.
(18) B “ facerem ,.
(19) La emendazione è molto dubbia.
(20) B “ dominus ,.
(21) B“ Villier...s ,.
(22) C “ Bernardus ,.
(23) B “ Bartolomeus ,.
(24) B “ Petrus Lombardi ,; C “ Ribaudus ,.
(25) B omette questa parola.
318 CARLO CIPOLLA
Anricus (1) comes de Lomello (2), Ioannes Coindo de Venalibus clericus. Et ego
Joannes sacri palatii notarius interfui et hanc cartam scripsi rogatus (3).
Et quia facta debita collatione utrumque exemplum et exemplar concordare inuenimus, nihil]
addito vel mutato, obmissis que in dictis lineis corrosis [neque] (4) videri neque legi possunt, ideo ad
supplicationem communitatis et hominum Noualisii et Venalisii [et] aliorum quorum interest et
interesse poterit in territorio monasterii sancti Petri Noualitiensis commorantium, presens transumtum
seu vidimus, fieri et per dictum secretarium ducalem subscribi iussimus et sigillo cancellario sigilla-
uimus, cui tantam fidem in iudicio et extra adhibendam esse decernimus, quantum originali scripture
preedictae ; in quorum testimonium has duximus concedendas. Datus Taurini, die vigesima quarta
mensis octobris millesimo quingentesimo decimo octavo, presentibus Francisco de Prouana, Joanne
de Lucerna, Hyeronimo delegatis collateralibus de Ruscatijs.
Ego subsignatus presentem copiam a proprio transumpto originali scripsi, et hic me manualiter
subscripsi. In fidem omnium premissorum subscriptus manualiter. Verqueria (5).
Al lettore non sarà sfuggita, verso il principio di questo documento, una frase,
che rispecchia evidentemente le lagnanze di quelli della Novalesa e di Venaus, e 1
discorsi che si andavano facendo prima della concessione del privilegio. Amedeo,
priore dell’abbazia, dichiara che egli concede queste franchigie per sollevare i suoi
sudditi da una serie intollerabile di servitù e nella speranza, che loro mercè si ripo-
polino di uomini liberi quei villaggi, i quali al momento trovavansi desolati.
(1)
(2).
(3)
(
(
B “ henricus ,.
B“ Lemello ,.
Qui termina il ms. 5.
senso m’induce ad aggiungere questa parola.
4) Il
) Il tratto iniziale e il tratto finale, che scrivo in carattere minuto, mancano in A e B.
5)
POSTILLA. — Nella Memoria Appunti sul codice Novalic. del “ Martyr. Adonis , (p. 132), riferendo il
carme su Bertranno, scrissi (al verso 7): “ man&t , per “ man& ,; e a p. 145 verisimilmente
esagerai attribuendone il carattere alla fine del sec. XI. L’egregio sig. Gaetano Da Re, paleo-
grafo valentissimo, mi fece osservare che probabilmente la scrittura del carme è di almeno
mezzo secolo posteriore alla età da me proposta. L’ apice superiore della “ h, è una delle
ragioni più forti, che militano in favore dell'opinione del Da Re.
A p. 117 della stessa Memoria scrissi: © XXI, in luogo di “ XXXI ,._
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
1. Faccia esteriore di una muraglia dell’abbazia Novaliciense.
2. Arca argentea di S. Eldrado, nella chiesa parrocchiale di Novalesa.
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Roma Fototipia Danosi
ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 319
NOTA FINALE.
Al principio del capitolo sulla serie degli abati (p. 271) tenni parola della rico-
struzione dell’abbazia Novaliciense, e quivi lasciai inesattamente supporre che il
cronista, lib. V, cap. 25, parli di quella, allorchè ricorda l’absida di S. Andrea. Invece
egli alludeva di certo con questa espressione a S. Andrea di Torino, cioè all’odierna
chiesa della Consolata.
Alla sventura toccata all’abbazia, oltre che nel capitolo citato, accenna ancora
il cronista nel cap. 44 del medesimo libro V, dove pure la dice diroccata dai pagani.
Anzi persino aggiunge: “ et usque ad terram exinanita sunt eius moenia ,. Ma a
questa frase devesi dare proprio un significato pieno e assoluto? Soggiunge egli che
di recente, “ moderno tempore ,,i monaci ivi abitanti, “ inibi degentes ,, dolendosi
di tanta sciagura, invitarono il vescovo di Ventimiglia a consecrare le chiesette
diroccate, “ absidas dirutas ,, di S. Michele, di S. Maria Madre di Dio, di S. Salva-
tore e di S. Eldrado. Il giro di queste frasi si concilia piuttosto con un restauro, che
non con una ricostruzione delle chiesette ab imis fundamentis. E questo restauro si
deve, come sembra (cfr. il citato cap. 25), al monaco Bruningo, congiunto del cronista,
il quale dice del medesimo che largì i denari, “ opum instrumenta ,, per tale riedi-
ficazione, “ ut reaedificaretur ,. Rimane ad ogni modo fuori di discussione questo,
che le quattro absidi, così come l’abbazia, preesistevano alla invasione saracena;
furono poi anch'esse ristorate nel sec. XI.
ARES) stampi:
Gruseppe CARLE, Vice-Presidente.
Giuseppe Basso «di
Segretario della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali.
Ermanno FrRRERO
Segretario della Classe di Scienze morali, i storiche e filologiche.
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