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Full text of "Memorie della Accademia delle Scienze di Torino."

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DI TORINO 
Tomo XLIV 
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SERIE SECONDA 


Libraio della A. Accademia delle Scienze 


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MEMORIE 


DELLA 


REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DI TORINO 


MEMORIE 


DELLA 


REALE ACCADEMIA 


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DELLE SCIENZE 


DI TORINO 


SERIE SECONDA 


Tomo XLIV 


TORINO 
CARLO CLAUSEN 
Libraio della A. Accademia delle Scienze 


MDCCCXCIV 


PROPRIETÀ LETTERARIA 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi 
e della Reale Accademia delle Scienze. 


ELENCO 


DEGLI 


ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI 
STRANIERI E CORRISPONDENTI 


AL 1° OTTOBRE mpeccxcrv. 


PRESIDENTE 


Vice-PRESIDENTE 


CARLE (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Leggi, Professore di Filosofia 
del Diritto nella R. Università di Torino, Membro del Consiglio Superiore della 
Istruzione Pubblica, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. #, e «s. 


TESORIERE 


CamerANO (Lorenzo), Dott. aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche 
e naturali, Professore di Anatomia comparata nella R. Università di Torino, Socio 
della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Membro della Società Zoologica di 
Francia, Membro corrispondente della Società Zoologica di Londra. 


Serie Il. Tom. XLIV. 2 


VI 


CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATBMATICHE E NATURALI 


Direttore 


D’Ovipro (Dott. Enrico), Professore di Algebra e Geometria analitica, incaricato 
di Analisi superiore e Preside della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e natu- 
rali nella R. Università di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, 
Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente della R. Accademia 
delle Scienze di Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio dell’Ac- 
cademia Pontaniana, ecc., Uffiz. &, Comm. es. 


Segretario 


Basso (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche 
e naturali, Professore di Fisica matematica nella R. Università di Torino, Professore 
di Fisica nella R. Accademia Militare, Socio della R. Accademia di Agricoltura di 
Torino, Membro della Società degli Spettroscopisti Italiani, *, ©. 


ACCADEMICI RESIDENTI 


Sarvapori (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia, Vice-Direttore 
del Museo Zoologico della R. Università di Torino, Professore di Storia naturale nel 
R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della 
Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro 
Corrispondente della Società Zoologica di Londra, dell’Accademia delle Scienze di 
Nuova York, della Società dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze 
di Liegi, e della Reale Società delle Scienze Naturali delle Indie Neerlandesi, e del 
R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro effettivo della Società Im- 
periale dei Naturalisti di Mosca, Socio Straniero della British Ornithological Union, 
Socio Straniero onorario del Nuttall Ornithological Club, Socio Straniero dell’ American 
Ornithologist s Union, e Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, Membro 
ordinario della Società Ornitologica tedesca, Uffiz. e», Cav. dell'O. di S. Giacomo 
del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). 


VII 


Cossa (Alfonso), Dottore in Medicina, Direttore della Regia Scuola d’Applicazione 
degli Ingegneri in Torino, Professore di Chimica docimastica nella medesima Scuola, 
e di Chimica minerale presso il R. Museo Industriale Italiano, Socio Nazionale della 
R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corri- 
spondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di 
Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, e 
della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio ordinario non residente dell’Istituto 
d’Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, Presidente della Reale Accademia 
di Agricoltura di Torino, e Socio dell’Accademia Gioenia di Catania, Socio effettivo 
della Società Imperiale Mineralogica di Pietroburgo, Comm. #, e, e dell'O. d’Is. 
Catt. di Sp. 


BerrutI (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Italiano, e dell’Officina 
governativa delle Carte-Valori, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, 
Gr. Uffiz. es; Comm. *, dell'O. di Francesco Giuseppe d’Austria, della L. d’O. di 
Francia, e della Repubblica di S. Marino. 


Sracci (Francesco), Senatore del Regno, Tenente Colonnello d’Artiglieria della 
Riserva, Professore ordinario di Meccanica razionale nella R. Università di Napoli (già 
di Meccanica superiore in quella di Torino), Professore onorario della R. Università 
di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della 
R. Accademia dei Lincei, e Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e 
Lettere, e dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Uff. &, Comm. e. 


Basso (Giuseppe), predetto. 
D’Ovipio (Enrico), predetto. 


Bizzozero (Giulio), Senatore del Regno, Professore e Direttore del Laboratorio 
di Patologia generale nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Acca- 
demia dei Lincei e delle RR. Accademie di Medicina e di Agricoltura di Torino, Socio 
Straniero dell’Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, 
Socio Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto 
Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di 
Bologna, Membro del Consiglio Superiore di Sanità, ecc. Uffiz. & e Comm. e». 


FerRrARIS (Galileo), Ingegnere, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, 
matematiche e naturali della R. Università di Torino, Prof. di Fisica tecnica e Di- 
rettore del Laboratorio di Elettrotecnica nel R. Museo Industriale Italiano, Prof. 
di Fisica nella R. Scuola di Guerra, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, 
Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente del R. Istituto 
Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Socio della R. Accademia di Agricoltura di 
Torino; Socio Straniero dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae 
Curiosorum, Membro onorario della Società di Fisica di Francoforte sui Meno, e 
dell’Associazione degli Ingegneri elettricisti dell'Istituto Montefiore di Liegi; Uff. &; 
Comm. ee, dell'O. di Franc. Gius. d'Austria e dell’O. reale della Corona di Prussia. 


VII 


NACcARI (Andrea), Dottore in Matematica, Socio Corrispondente del R. Istituto 
Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, e della R. Accademia dei Lincei, Professore di 
Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, Uffiz. &, «e. 


Mosso (Angelo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Fisiologia nella 
R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Acca- 
demia di Medicina di Torino, Socio Corrispondente del R. Istituto Lombardo di 
Scienze e Lettere, e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’ Academia 
Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, della Società Reale di 
Scienze mediche e naturali di Bruxelles, ecc. ecc., £&, Comm. ws. 


Spezia (Giorgio), Ingegnere, Professore di Mineralogia, e Direttore del Museo 
mineralogico della Regia Università di Torino, ws. 


GreeLLi (Giuseppe), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Botanica, e 
Direttore dell'Orto botanico della R. Università di Torino, Socio Nazionale della 
R. Accademia dei Lincei, *, es. 


Giacomini (Carlo), Dott. aggregato in Medicina e Chirurgia, Prof. di Anatomia 
umana, descrittiva, topografica ed Istologia, Corrispondente dell’Accademia delle 
Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino, e 
Direttore dell'Istituto Anatomico della Regia Università di Torino, *, es. 


CamerANO (Lorenzo), predetto. 


Sere (Corrado), Dott. in Matematica, Professore di Geometria superiore nella 
R. Università di Torino, Corrispondente della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto 
Lombardo di Scienze e Lettere, em. 


Pranò !(Giuseppe), Dottore in Matematica, Prof. di Calcolo infinitesimale nella 
'R. ‘Università di Torino. 


ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI 


MenaBreA (5. E. Conte Luigi Federigo), Marchese di Val Dora, Senatore del 
Regno, Professore emerito di Costruzioni nella R. Università di Torino, Tenente 
Generale, Primo Aiutante di campo Generale Onorario di S.-M., Uno «dei XL della 
Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Cor- 
rispondente dell’Istituto di Francia (Accademia delle Scienze), Membro Onorario del 
R..Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, «del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere 
ed Arti, della R. Accademia idi Lettere e Scienze di Modena, Uffiziale della Pubblica 
Istruzione di -Francia, ‘ecc.; C. 0. S. SS. N., Gr. Cr. e Cons. &, Cav. e Cons. ©, 
Gr. Cr. &, «&, dec. della Medaglia d’oro ‘al Valor Militare e della Med. d’oro :Mau- 
riziana; Gr. Cr. dell'O. Supr. del Serafino di Svezia, dell'O. di S. Alessandro Newski 


IX 


di Russia, di Danebrog di Danim., Gr. Cr. dell'O. di Torre e Spada di Portogallo, 
dell'O. del Leone Neerlandese, di Leop. del Belg. (Categ. Militare), della Probità di 
Sassonia, della ‘Corona di Wurtemberg, e di Carlo II di Sp., Gr. Cr. dell'O. di 
S. Stefano d'Ungheria, dell'O. di Leopoldo d'Austria, di quelli della Fedeltà e del 
Leone di Zahringen di Baden, Gr. Cr. dell'Ordine del Salvatore di Grecia, Gr. Cr. 
dell'Ordine di S. Marino, Gr. Cr. degli Ordmi del Nisham Ahid e del Nisham /ftigar 
di Tunisi, Gr. Cr. dell'Ordine della L. d°O. di Francia, di Cristo di Portogallo, del 
Merito di Sassonia, di S. Giuseppe di Toscana, Dottore in Leggi, honoris causa, delle 
Università di Cambridge ‘e di Oxford, ecc., ecc. 


Brroscnt (Francesco), Senatore del Regno, Direttore ‘del R. Istituto tecnico 
superiore di Milano, Presidente della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della 
Società Italiana delle Scienze, Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, 
della Reale Accademia delle Scienze di Napoli, dell'Istituto di Bologna, ecc., Cor- 
rispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Geometria), 
e delle Reali Accademie delle Scienze di Berlino, di Gottinga, di Pietroburgo, del 
Belgio, di Praga, di Erlangen, ecce., Dottore ad honorem delle Università di Heidelberg 
e di Dublino, Membro delle Società Matematiche di Parigi e di Londra e delle 
Filosofiche di Cambridge e di Manchester, Gr. Cord. &, della Legion d'Onore; e, ©, 
Comm. dell’O. di Cr. di Port. 


CANNIZZARO (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di Chimica generale 
nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio 
Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio Corrispondente dell’Accademia delle 
Scienze di Berlino, di Vienna, e di Pietroburgo, Socio Straniero della R. Accademia 
delle Scienze di Baviera e della Società Reale di Londra, Comm. #, Gr. Uffiz. «es; ©. 


SCHIAPARELLI (Giovanni), Direttore del R. Osservatorio astronomico di Milano, 
Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio del R. Istituto Lombardo di 
Scienze e Lettere, della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli 
e dell’Istituto di Bologna, Socio Corrispondente dell’Istituto di Francia (Accademia 
delle Scienze, Sezione di ‘Astronomia), delle Accademie di Monaco, di Vienna, di 
Berlino, di Pietroburgo, di Stockolma, di Upsala, di Cracovia, della Società de’ Natu- 
ralisti di Mosca, e della Società astronomica di Londra, Gr. Cord. «&; Comm. *; ©. 


Cremona (Luigi), Senatore del Regno, Professore di Matematica superiore nella 
R. Università di Roma, Direttore della Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, 
Vice Presidente del Consiglio Superiore dell'Istruzione Pubblica, Uno dei XL della 
Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio 
del KR. Istituto Lombardo, del R. Istituto d’Incoraggiamento di Napoli, dell’Accademia 
dell’Istituto di Bologna, delle Società Reali di Londra, di Edimburgo, di Gottinga, di 
Praga, di Liegi e di Copenaghen, delle Società matematiche di Londra, di Praga e 
di Parigi, delle Reali Accademie di Napoli, di Amsterdam e di Monaco, Membro 
onorario dell’Insigne Accademia romana di Belle Arti detta di San Luca, della Società 
Filosofica di Cambridge e dell’Associazione britannica pel progresso delle Scienze, 


x 


Membro Straniero della Società delle Scienze di Harlem, Socio Corrispondente delle 
Reali Accademie di Berlino e di Lisbona, Dottore (LL. D.) dell’Università di Edim- 
burgo, Dottore (D. Sc.) dell’Università di Dublino, Professore emerito nell'Università 
di Bologna, Gr. Uffiz. &, e e, Cav. e Cons. ©. 


BeLrRAMI (Eugenio), Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL 
della Società Italiana delle Scienze, Socio effettivo del R. Istituto Lombardo e della 
R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio estero della R. Accademia 
di Gottinga, Socio Corrispondente della R. Accademia di Berlino, della Società Reale 
di Napoli, dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Meccanica), 
della Società Matematica di Londra, Professore di Fisica matematica nella R. Uni- 
versità di Roma, Comm. *; ee, ©. 


ACCADEMICI STRANIERI 


DANA (Giacomo), Professore a New Haven. 

Hermire (Carlo), Professore nella Facoltà di Scienze, Parigi. 
WriersrRAss (Carlo), Professore nell'Università di Berlino. 
Tr#omson (Guglielmo), Professore nell'Università di Glasgow. 
GreenBAUR (Carlo), Professore nell'Università di Heidelberg. 
CavLey (Arturo), Professore nella Università di Cambridge. 
VirocHow (Rodolfo), Professore nella Università di Berlino. 


KoreLLiKER (Alberto), Professore nell'Università di Wurzburg. 


CORRISPONDENTI 


SEZIONE DI MATEMATICHE PURE 


Tarpy (Placido), Professore emerito della R. Università di Genova Firenze 


Cantor (Maurizio), Professore nell'Università di 


Scawarz (Ermanno A.), Professore nell'Università di 


KLein (Felice), Professore nell'Università di 


Dini (Ulisse), Professore di Analisi superiore nella R. Università di 


Bertini (Eugenio), Professore nella Regia Università di 


DarBoux (G. Gastone), dell’Istituto di Francia 


Porncaré (G. Enrico), dell’Istituto di Francia . 


NorrHER (Massimiliano), Professore nell'Università di 


BrancHi (Luigi), Professore nella R. Università di . 


Heidelberg 
Gottinga 
Gottinga 
Pisa 

Pisa 
Parigi 
Parigi 
Erlangen 


Pisa 


SEZIONE DI MATEMATICHE APPLICATE, ASTRONOMIA 


FersoLA (Emanuele), Professore di Analisi superiore nella R. Uni- 
versità di . 


TaccHni (Pietro), Direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano 


FaseLLA (Felice), Direttore della Scuola navale Superiore di . 


E SCIENZA DELL'INGEGNERE CIVILE E MILITARE 


Hopxkinson (Giovanni), della Società Reale di 


ZeunER (Gustavo), Professore nel Politecnico di . 


Ewine (Giovanni Alfredo), Professore nell'Università di 


Napoli 
Ioma 
Genova 
Londra 
Dresda 


Cambridge 


XI 


XII 


SEZIONE DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE 


BxkaseRNA (Pietro), Professore di Fisica sperimentale nella R. Uni- 
versità di . 


KonLrauscH (Federico), Professore nell'Istituto fisico di 
Cornu (Maria Alfredo), dell'Istituto di Francia 


FrLici (Riccardo), Professore di Fisica sperimentale nella R. Uni- 
versità di 


ViuLAri (Emilio), Professore nella R. Università di . 


Rorri (Antonio), Professore nell’Istituto di Studi superiori pratici 
e di perfezionamento in 


WiepemanN (Gustavo), Professore nell'Università di . 


Ricni (Augusto), Professore di Fisica sperimentale nella R. Uni- 
versità di . 


Lippwann (Gabriele), dell'Istituto di Francia 
Herrz (Enrico Rodolfo), Professore nell’Univgrsità di 


BartoLi (Adolfo), Professore di Fisica nella R. Università di 


SEZIONE DI CHIMICA GENERALE ED APPLICATA 


BonJean (Giuseppe) . 

PLantAMoUR (Filippo), Prof. di Chimica . 

Wii (Enrico), Professore di Chimica . 

Bunsen (Roberto Guglielmo), Professore di, Chimica . . 
BerrtHELOT (Marcellino), dell'Istituto di Francia 

ParerNÒ (Emanuele), Professore di Chimica nella R. Università di 


KérNnER (Guglielmo), Professore di Chimica organica nella R. Scuola 
superiore d’Agricoltura in 


Roma 
Strasburgo 


Parigi 


Pisa 


Napoli 


Firenze 


Lipsia 


Bologna 
Parigi 
Bonn 


Pavia 


Chambéry 
Ginevra 
Giessen 
Heidelberg 
Parigi 


Palermo 


Milano. 


FriepeL (Carlo), dell'Istituto di Francia . 

FresenIus (Carlo Remigio), Professore a. 

BaryER (Adolfo von), Professore nell'Università di 
KekuLE (Augusto), Professore nell'Università di 
WixLramson (Alessandro Guglielmo), della R. Società di 
THoxsen (Giulio), Professore nell'Università di 

LieBeNn (Adolfo), Professore nell'Università di . 
MenpELEJErr (Demetrio), Professore nell’Imp. Università di 


Horr (J. H. van't), Professore nell'Università di . 


XIII 

Parigi 
Wiesbaden 
Monaco (Baviera) 
Bonn 
Londra 
Copenaghen 
Vienna 
Pietroburgo 


Amsterdam 


SEZIONE DI MINERALOGIA, GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA 


STRUVER (Giovanni), Professore di Mineralogia nella R. Università di 
Rosenpusca (Enrico), Professore nell'Università di 
NorpenskI6LD (Adolfo Enrico), della R. Accademia delle Scienze di 


DauBrée (Gabriele Augusto), dell'Istituto di Francia, Direttore 
della Scuola Nazionale delle Miniere a . 


ZigKEL (Ferdinando), Professore a 


Francia . 
CAPELLINI (Giovanni), Professore nella R. Università di. 
TscHerRMAK (Gustavo), Professore nell'Università di . 


ArzruniI (Andrea), Professore nell'Istituto tecnico sup. (technische 
Hochschule) 


KLxin (Carlo), Professore nell'Università di . 


Gere (Arcibaldo), Direttore del Museo di Geologia pratica . 
Serie IL Tom. XLIV. 


Roma 
Heidelberg 


Stoccolma 


Parigi 


Lipsia 


Parigi 
Bologna 


Vienna 


Aquisgrana 
Berlino 


Londra 


9 
DI 


XIV 


SEZIONE DI BOTANICA E FISIOLOGIA VEGETALE 


Trévisan pe Samr-Lfon (Conte Vittore), Corrispondente del 


R. Istituto Lombardo . 


GENNARI (Patrizio), Professore di Botanica nella R. Università di 


CaruEL (Teodoro), Professore di Botanica nell'Istituto di Studi, 


superiori pratici e di perfezionamento in 


Arpissone (Francesco), Professore di Botanica nella R. Scuola 


superiore d’Agricoltura in 


SaccarDo (Andrea), Professore di Botanica nella R. Università di 
Hooker (Giuseppe Daron), Direttore del Giardino Reale di Kew 
SacHs (Giulio von), Professore nell'Università di . 

DeLpino (Federico), Professore nella R. Università di 

PirortA (Romualdo), Professore nella Regia Università di 


STRASBURGER (Edoardo), Professore nell'Università di 


Milano 


Cagliari 


Firenze 


Milano 
Padova 
Londra 
Wiirzburg 
Bologna 
Roma 


Bonn 


SEZIONE DI ZOOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA COMPARATA 


De SeLys Lonecnamps (Edmondo) 

ParLippI (Rodolfo Armando) . 

Gonei (Camillo), Professore di Istologia, ecc., nella R. Università di 
HarckeL (Ernesto), Professore nell'Università di . 

ScLarer (Filippo LurLEY), Segretario della Società Zoologica di . 
FATTO (Vittore), Dottore 

KovarewskI (Alessandro), Professore nell'Università di . 

Lupwie (Carlo), Professore nell'Università di 

Locarp (Arnould), dell’Accademia delle Scienze di 

Crauveau (G. B. Augusto), Professore alla Scuola di Medicina di 
Fosrer (Michele), Professore nell’Università di. 

HreINnDENHAIN (Rodolfo), Professore nell'Università di . 
WaALDEYER (Guglielmo), Professore nell'Università di 


GuentHER (Alberto), Direttore del Dipartimento zoologico del 


Museo Britannico di 


Hower (Guglielmo Enrico), Direttore del Museo di Storia naturale 


Liegi 
Santiago (Chiti) 
Pavia 

Jena 
Londra 
Ginevra 
Odessa 
Lipsia 
Lione 
Parigi 
Cambridge 
Breslavia 


Berlino 


Londra 
Londra 


CLASSE DI SCIBNZE MORALI, STORICHE B FILOLOGICHE 


Direttore 


Segretario 


FrrrERO (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore aggregato alla Facoltà di 
Lettere e Filosofia nella R. Università di Torino, Professore nell'Accademia Militare, 
R. Ispettore per gli scavi e le scoperte di antichità nel Circondario di Torino, Con- 
sigliere della Giunta Superiore per la Storia e l’Archeologia, Membro della Regia 
Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le antiche Provincie e la Lombardia, 
Membro e Segretario della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di 
Torino, Socio Corrispondente della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie 
di Romagna, dell’Imp. Instituto Archeologico Germanico, e della Società Nazionale 
degli Antiquarii di Francia, fregiato della Medaglia del merito civile di 1* cl. della 
Rep. di S. Marino, «ss. 


ACCADEMICI RESIDENTI 


PrvyRon (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario Onorario della Biblioteca 
Nazionale di Torino, Socio Corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere 
ed Arti, Gr. Uffiz. *, Uffiz. 


VALLAURI (Tommaso), Senatore del Regno, Professore di Letteratura latina e 
Dott. aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia nella Regia Università di Torino, 
Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Accademico d'onore 
della Romana Accademia delle Belle Arti di San Luca, Socio Corrispondente della 
R. Accademia della Crusca, del Rk. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 
dell’Accademia Romana di Archeologia, della R. Accademia Palermitana di Scienze, 
Lettere ed Arti, della Società storica di Dallas Texas (America del Nord), Gr. Uffiz. * 
e Comm. «=, Cav. dell'Ordine di S. Gregorio Magno. 


NEVI 


CLarETTA (Barone Gaudenzio), Dottore in Leggi, Socio e Segretario della Regia 
Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Vice-Presidente della Società di Archeo- 
logia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Membro della Commissione conservatrice 
dei monumenti di antichità e belle arti della Provincia ecc., Comm. &, Gr. Uffiz. «ss. 


Rossr (Francesco), Professore d’ Egittologia nella R. Università di Torino, Vice 
Direttore del Museo di Antichità a riposo, Socio Corrispondente della R. Accademia 


Manwo (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della R. Deputazione sovra 
gli studi di Storia patria, Membro del Consiglio degli Archivi, Commissario di 
S. M. presso la Consulta araldica, Dottore honoris causa della R. Università di Ti- 
bingen, Comm. #, Gr. Uffiz. «=, Cav. d’on. e devoz. del S. 0. M. di Malta. 


BorLari pi SarnT-Pierre (Barone Federigo Emanuele), Dottore in Leggi, Soprin- 
tendente agli Archivi Piemontesi, e Direttore dell'Archivio di Stato in Torino, 
Membro del Consiglio d’Amministrazione presso il R. Economato generale delle an- 
iiche Provincie, Corrispondente della Consulta araldica, Vice-Presidente della Commis- 
sione araldica per il Piemonte, Membro della R. Deputazione sopra gli studi di storia 
vatria per le Antiche Provincie e la Lombardia, e della Società Accademica d'Aosta, 
Socio corrispondente della Società Ligure di Storia patria, del R. Istituto Veneto di 
Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, 
della Società Colombaria Fiorentina, della R. Deputazione di Storia patria per le 
Provincie della Romagna, della nuova Società per la Storia di Sicilia, e della Società 
di Storia e di Archeologia di Ginevra; Membro onorario della Società di Storia della 
Svizzera Romanza, dell’Accademia del Chablais, e della Società Savoina di Storia e 
di Archeologia ecc., Uffiz. &, Comm. ws. 


ScHiaPARELLI (Luigi), Dottore aggregato, Professore di Storia antica nella 


è. Università di Torino, Comm. &, e «ss 


Prezzi (Domenico), Dottore aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia e Pro- 
‘essore di Storia comparata delle lingue classiche e neo-latine nella R. Università 
di Torino, #. 


Ferrero (Ermanno), predetto. 


CARLE (Giuseppe), predetto. 


Nanr (Cesare), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza, Professore di 
Storia del Diritto nella R. Università di Torino, Membro della R. Deputazione sovra 
gli studi di Storia Patria, +, Uff. ess. 


Berti (S. E. Domenico), Primo Segretario di S. M. pel Gran Magistero del- 
Ordine Mauriziano, Cancelliere dell'Ordine della Corona d’Italia, Deputato al Par- 
lamento nazionale, Professore emerito delle RR. Università di Torino, di Bologna, 
e di Roma, Socio Nazionale della Regia Accademia dei Lincei, Socio Corrispondente 


XVII 


della R. Accademia della Crusca e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed 
Arti, Membro delle RR. Deputazioni di Storia patria del Piemonte e dell'Emilia, 
Gr. Cord. *, e «=; Cav. e Cons. ®, Gr. Cord. della Leg. d’O. di Francia, dell'Ordine 
di Leopoldo del Belgio, dell'Ordine di San Marino, ecc. ecc. 


Coenerti De Martns (Salvatore), Professore di Economia politica nella R. Uni- 
versità di Torino, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, e della 
R. Accademia dei Georgofili, +, Comm. css. 


GrAr (Arturo), Rettore e Professore di Letteratura italiana nella R. Università 
di Torino, Membro della Società romana di Storia patria, Uffiz. * e es. 


BoseLLi (S. E. Paolo), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza della 
R. Università di Genova, già Professore nella R. Università di Roma, Vice-Presi- 
dente della R. Deputazione di Storia Patria, Socio Corrispondente dell’Accademia 
dei Georgofili, Presidente della Società di Storia patria di Savona, Socio della R. Ac- 
cademia di Agricoltura, Deputato al Parlamento nazionale, Ministro delle Finanze, 
Presidente del Consiglio provinciale di Torino, Gr. Uffiz. *, Gr. Cord. «, Gr. Cord. 
dell'Aquila Rossa di Prussia, dell'Ordine di Alberto di Sassonia e dell’Ord. di Ber- 
toldo 1 di Zihringen (Baden), Gr. Uffiz. 0. di Leopoldo del Belgio, Uffiz. della Cor. 
di Pr., della L. d’O. di Francia, e C. O. della Concezione del Portogallo. 


CrpoLLa (Conte Carlo), Professore di Storia moderna nella R. Università di Torino, 
Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie 
e la Lombardia, Socio effettivo della R. Deputazione Veneta di Storia patria, Socio 
Corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Monaco (Baviera), Socio Corrispondente 
del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Uffiz. es. 


ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI 


Carumti DI Cantogno (Barone Domenico), Senatore del Regno, Presidente della 
R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Socio Nazionale della R. Accademia 
dei Lincei, Membro dell’Istituto Storico Italiano, Socio Straniero della R. Accademia 
delle Scienze Neerlandese, e della Savoia, Socio Corrispondente della R. Accademia 
delle Scienze di Monaco in Baviera, ecc. ecc. Gr. Uffiz. * e ass, Cav. e Cons. @, Gr. 
Cord. dell'O. del Leone Neerlandese e dell'O. d’Is. la Catt. di Spagna, ecc. 


Reymonp (Gian Giacomo), già Professore di Economia politica nella Regia Uni- 
versità di Torino, &. 


Ricet (Marchese Matteo), Senatore del Regno, Socio Residente della Reale Ac- 
cademia della Crusca, Uffiz. +. 


XVII 


Canonico (Tancredi), Senatore del Regno, Professore, Presidente di Sezione della 
Corte di Cassazione di Roma, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, 
Socio della R. Accad. delle Scienze del Belgio, e di quella di Palermo, della Società 
Generale delle Carceri di Parigi, Comm. s, e Gr. Croce «2, Cav. =, Comm. dell’Ord. di 
Carlo IN di Spagna, Gr. Uffiz. dell’Ord. di Sant’Olaf di Norvegia, Gr. Cord. dell’O. 
di S. Stanislao di Russia. 


Cantù (Cesare), Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e 
del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia dei Lincei, di 
quelle della Crusca, dell'Arcadia, di S. Luca, della Pontaniana, della Ercolanense, ecc., 
Socio Straniero dell’Istituto di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche), 
Socio della R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti del Belgio, Gr. Cr. *, e «®, 
Cav. e Cons. =, Comm. dell’O. di C. di Port., Gr. Uffiz. dell’O. della Guadalupa del 
Messico, Gr. Cr. dell'O. della Rosa del Brasile, e dell'O. di Isabella la Catt. di 
Spagna, ecc., Uffiz. della Pubblica Istruz. e della L. d’O. di Francia, ecc. 


Tosri (D. Luigi), Abate Benedettino Cassinese, Vice Archivista degli Archivi 


Vaticani. 


Vicari (Pasquale), Senatore del Regno, Professore di Storia moderna nell'Istituto 
di Studi superiori, pratici e di perfezionamento in Firenze, Membro del Consiglio 
Superiore di Pubblica istruzione, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, 
della R. Accademia di Napoli, della R. Accademia dei Georgofili, Vice-presidente 
della ih. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, l'Umbria e le Marche, Socio 
di quella per le provincie di Romagna, Socio Straordinario della R. Accademia di 
Baviera, della R. Accademia Ungherese, Dott. in Legge della Università di Édim- 
burgo, Professore emerito della R. Università di Pisa, Gr. Uffiz. & e «=, Cav. £, 
Cav. del Merito di Prussia, ecc., ecc. 


ComparetTI (Domenico), Senatore del Regno, Professore emerito dell’Università 
di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze, 
Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente del R. Istituto 
Lombardo, del R. Istituto Veneto, della R. Accademia delle Scienze di Napoli e 
dell'Accademia della Crusca, Membro della Società Reale pei testi di lingua, Socio 
corrispondente dell’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e 
della R. Accademia delle Scienze di Monaco, Uff. *, Comm. «, Cav. >. 


XIX 


ACCADEMICI STRANIERI 


Mowmwsen (Teodoro), Professore nella Regia Università di Berlino. 
MiiLLer (Massimiliano), Professore nell'Università di Oxford. 


MreyER (Paolo), Professore nel Collegio di Francia, Direttore dell’Ecoles des 
Chartes a Parigi. 


Paris (Gastone), Professore nel Collegio di Francia, Parigi. 
BoòunrLINGK (Ottone), Professore nell'Università di Lipsia. 

ToBLer (Adolfo), Professore nell'Università di Berlino. 

Gnreist (Enrico Rodolfo), Professore nell’Università di Berlino. 
ArneTi (Alfredo von), Direttore dell'Archivio imperiale di Vienna. 


Maspero (Gastone), Professore nel Collegio di Francia. 


XX 


CORRISPONDENTI 


SEZIONE DI SCIENZE FILOSOFICHE 


RENDU:(Hugenio) -.°' ic. dan Lr arto 
BonarELLI (Francesco), Professore nella Regia Università di . . Padova 
FerrI (Luigi), Professore nella R. Università di . . . . . . Roma 
BonsHi (Ruggero), Professore emerito della R. Università di , . Roma 


SEZIONE DI SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI 


LampeERTICO (Fedele), Senatore del Regno . . . . . . ... Zoma 


SERAFINI (Filippo), Senatore del Regno, Professore nella R. Uni- 


versità. di lot i e e a O RT I I So 
SerpA PimenteL (Antonio di), Consigliere di Stato. . . . . . Lisbona 
RoprIGuiz DE BrrLanca (Manuel). 0... . 0.0... 00. Malaga 
Scnuprer (Francesco), Professore nella R. Università di. . . . Roma 
Cossa (Luigi), Professore nella R. Università n SERA AA 0) 
PerrIiLe (Antonio), Professore nella R. Università di . . . . . Padova 
GasBA (Carlo Francesco), Professore nella R. Università di . . Pisa 
Buonamici (Francesco), Professore nella R. Università di . . . Pisa 
DarEstE (Rodolfo), dell'Istituto di Francia . . . .... . Parigi 


SEZIONE DI SCIENZE STORICHE 


AprianI (P. Giambattista), della R. Deputazione sovra gli studi di 
Storia: Patria ci Li LR RE e o MO herasco 


PerRENS (Francesco), dell'Istituto di Francia . . . . . . . . Parigi 


HauLLEVILLE (Prospero de) . 


De Leva (Giuseppe), Professore nella R. Università di 


SvBeL (Enrico Carlo Ludolfo von), Direttore dell’Archivio di 


Stato in 


Watcon (Alessandro), Segretario perpetuo dell'Istituto di Francia 


(Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) 


WixLewms (Pietro), Professore nell’ Università di . 


BircH (Walter de Gray), del Museo Britannico di 


Capasso (Bartolomeo), Sovrintendente degli Archivi Napoletani 
CARINI (Mons. Isidoro), Prefetto della Biblioteca Vaticana 


WarTENBACH (Guglielmo), Professore nell'Università di 


CHEvALIER (Canonico Ulisse) 


SEZIONE DI ARCHEOLOGIA 


PALMA di CesnoLa (Conte Luigi) . 


FroreLLI (Giuseppe), Senatore del Regno 


Curtius (Ernesto), Professore nell'Università di 


LartEs (Elia). Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e 


Lettere 


Poegi (Vittorio), Bibliotecario e Archivista civico a 


PLevrE (Guglielmo), Conservatore del Museo Egizio a 


Parma DI CesnoLa (Cav. Alessandro), Membro della Società degli 


Antiquarii di 


Mowar (Roberto), Membro della Società degli Antiquari di Francia 


NaAparcLac (Marchese I. F. Alberto de) 


Brizio (Eduardo), Professore nell'Università di 


Serie II. Tom. XLIV. 


xXI 
Bruxelles 


Padova 


Berlino 


Parigi 


Lovanio 


Londra 
Napoli 
Roma 
Berlino 


Romans 


New- York 
Roma 


Berlino 


Milano 
Savona 


Leida 


Londra 
Parigi 
Parigi 


Bologna 
4 


XXII 


SEZIONE DI GEOGRAFIA 


Neri (Barone Cristoforo), Console generale di I° Classe, Consultore 


legale del Ministero degli Affari esteri . . . . . . . . . . . Torino 
Kieperr (Enrico), Professore nell’Università di . . . . . . . Berlino 
Pigorini (Luigi), Professore nella R. Università di . . . . . Roma 


SEZIONE DI LINGUISTICA E FILOLOGIA ORIENTALE 


KreHL (Ludolfo), Professore nell'Università di . . . .. ... Lipsia 
SourIinbro Mozun Tagore; ili i ai Calcusia 


Asconi (Graziadio), Senatore del Regno, Professore nella R. Acca- 


demia. scientifico-letteraria di... iu ai e lano 
WEBER (Alberto), Professore nell'Università di. . . . . . . Berlino 
Kerpager (Michele), Professore nella R. Università di . . . . Napoli 
MABRE (ATISHOO) cina e RR ne SS0N 
(Francia) 
Oppert (Giulio), Professore nel Collegio di Francia . . . . . Parigi 
Gurpi (Ignazio), Professore nella R. Università di. . . . . . Roma 


SEZIONE Di FILOLOGIA, STORIA LETTERARIA E BIBLIOGRAFIA 


LinaAri (Conte Filippo), Senatore del Regno . . . . ...... Parma 
BrfaL (Michele), Professore nel Collegio di Francia . . . . . Parigi 
Negroni (Carlo), Senatore del Regno... ....... Novara 
D'Ancona (Alessandro), Professore nella R. Università di . . . Pisa 

Nigra (S. E. Conte Costantino), Ambasciatore d’Italia a . . . . Vienna 


RAyNA (Pio), Professore nell'Istituto di Studi superiori pratici e 
di. perfezionamento ini ii ara gia terno 


DeL Lungo (Isidoro), Socio residente della R. Accademia della 
CIUSscan, ti eni re A a e A E 21176 


XXIII 


MUTAZIONI 


avvenute nel Corpo Accademico dal 1° Settembre 1893 al 1° Ottobre 1894. 


ELEZIONI 


SOCI 


Lessona (Michele), rieletto Presidente dell’Accademia nell'adunanza plenaria 
del 24 Giugno 1894. 

CarLEe (Giuseppe), rieletto Vice-Presidente dell’Accademia nell'adunanza plenaria 
del 24 Giugno, ed approvato con R. Decreto del 4 Agosto. 

. Ferrero (Ermanno), rieletto Segretario della Classe di Scienze morali, storiche 
e filologiche nell'adunanza del 24 Giugno, ed approvato con È. Decreto del 6 Agosto. 

NorrHER (Massimiliano), Professore nell'Università di Erlangen, nominato Corri- 
spondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Mate- 
matica pura e Astronomia) nell'adunanza del 3 Dicembre 1893. 

ZeuneR (Gustavo), Professore nel Politecnico di Dresda, id. id. (Sezione di 
Matematica applicata e scienza dell’Ingegnere civile e militare) id. id. 

Hertz (Enrico Rodolfo), Professore nell'Università di Bonn, id. id. (Sezione di 
Fisica generale e sperimentale) id. id. 

MenpELEJEFF (Demetrio), Professore nell’Imperiale Università di S. Pietroburgo, 
id. id. (Sezione di Chimica generale ed applicata) id. id. 

GergIE (Arcibaldo), Direttore del Museo di geologia pratica di Londra, id. id. 
(Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia) id. id. 

STRASBURGER (Edoardo), Professore nell'Università di Bomm, id. id. (Sezione di 
Botanica e Fisiologia vegetale) id. id. 

GuentHER (Alberto), Direttore del dipartimento zoologico del Museo Britannico, 
id. id. (Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata) id. id. 

BrancHI (Luigi), Professore di Matematica nella R. Università di Pisa, nominato 
Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione 
di Matematica pura ed Astronomia) nell'adunanza del 27 Maggio 1894. 

Ewine (Giovanni Alfredo), Professore nell'Università di Cambridge, id. id. (Sezione 
di Matematica applicata e Scienza dell’Ingegnere civile e militare) id. id. 

BartoLI (Adolfo), Professore di Fisica nella R. Università di Pavia, id. id. 
(Sezione di Fisica generale e sperimentale) id. id. 

Hoss (J. H. van’t), Professore nell'Università di Amsterdam, id. id. (Sezione di 
Chimica generale ed applicata) id. id. 

FLower (Guglielmo Enrico), Direttore del Museo di Storia naturale di Londra, 
id. id. (Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata) id. id. 


XXIV 


MORTI 


12 Ottobre 1893. 


Scaconi (Arcangelo), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze fisiche, 
matematiche e naturali. 


1 Gennaio 1894. 


Herrz (Enrico), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche 
e naturali (Sezione di Fisica generale e sperimentale). 


14 Febbraio 1894. 


CatALAN (Eugenio), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, mate- 
matiche e naturali (Sezione di Matematica applicata e Scienza dell’Ingegnere civile 
e militare). 

20 Marzo 1894. 


CnrampoLLion-Figrac (Amato), Socio Corrispondente della Classe di Scienze mo- 
rali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze storiche). 


15 Aprile 1894. 


Marienac (Giovanni Carlo), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, 
matematiche e naturali (Sezione di Chimica generale ed applicata). 


17 Aprile 1894. 


Boncompagni (D. Baldassarre) dei Principi di Piombino, Socio Corrispondente 
della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Matematica pura 
ed Astronomia). 

28 Aprile 1894. 


BartAGLINI (Giuseppe), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze 
fisiche, matematiche e naturali. 


20 Maggio 1894. 


Dacuer (Alessandro), Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, sto- 
riche e filologiche. 
6 Luglio 1894. 


MaLLarD (Ernesto), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, mate- 
matiche e naturali (Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia). 


7 Luglio 1894. 


Wuirney (Guglielmo), Socio straniero della Classe di Scienze morali, storiche 
e filologiche. 


20 Luglio 1894. 


Lessona (Michele), Socio nazionale residente della Classe di Scienze fisiche, 
matematiche e naturali. 


8 Settembre 1894. 
. Hermuorz (Ermanno Luigi Ferdinando), Socio straniero della Classe di Scienze 
fisiche, matematiche e naturali. 
15. Settembre. 1894. 


FaBRETTI (Ariodante), Socio nazionale residente della Classe di Scienze morali, 
storiche e filologiche. 


20 Settembre 1894. 


. De Rossr (Giovanni Battista), Socio nazionale non residente della Classe di 
Scienze morali, storiche e. filologiche. 


SCIENZE 


FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


5 vago 
7 Fg IMISOS 
MIZINTNAI DI 


di 


a) 


do 


INDICE 


CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE 
E NATURALI 


I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria descritti dal 
Dott. Federico Sacco. — Parte XII (Conidae) (Fascicolo primo) pag. 


Sulle proprietà termiche dei Vapori. — Parte V. Studio del vapore di alcool 
rispetto alle leggi di Boyle e di Gay-Lussac; Memoria del Prof. Angelo 
BATTELLI. 


” 


Latitudine di Torino determinata coi metodi di Guglielmo Struve da F. Porro , 


Ricerche di Geometria sulle Superficie algebriche; Memoria di Federigo 
KENRIQUES 


” 

Rivista critica delle specie di “ Trifolium , italiane, comparate con quelle 
straniere, della Sezione “ Lupinaster , (Buxbaum); Memoria del Dottore 
S. BELLI 


Sulle Equazioni Abeliane reciproche le cui radici si possono rappresentare 
con x, dx, 0°,....., 0*7x; Memoria 1 di V. MoLLAME 


» 


” 


Sopra le Curve di dato ordine e dei massimi generi in uno spazio qualunque; 
Memoria di Gino Fano 


» 

Un metodo per la trattazione dei Vettori rotanti od alternativi ed una appli- 

cazione di esso ai Motori elettrici a correnti alternate; Memoria del Socio 
Galileo FERRARIS . 


» 
Lenta polarizzabilità dei Dielettrici — La Seta come dielettrico nella costru- 
zione dei condensatori; Memoria dell’Ingegnere Luigi LomBARDI . 


Ditteri del Messico. — Parte III. Muscidae calypteratae — Ocypterinae — 
Gymnosominae — Phasinae — Phaninae — Tachininae — Dexinae — 
Sarcophaginae; Memoria del Dott. E. GreLio-Tos 


Uccelli del Somali raccolti da D. Eugenio dei Principi Ruspoli, descritti dal 
Socio Tommaso SALVADORI 


Studio sperimentale sulla riproduzione della Mucosa pilorica; Memoria del 
Dott. R. VIvaNTE 


» 


390 


547 


565 


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I MOLLUSCHI 


DEI TERRENI TERZIARII 


DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 


DESCRITTI 


DAL 


Dott. FEDERICO SACCO 


Approvata nell’'Adunanza del 19 Febbraio 1893. 


PARTE XII 
(CONIDAE) 


(FascrcoLo PRIMO) 


Famiglia CONIDAE (Swaryson), 1840. 
Genere COMUS Linw., 1758. 


È ben noto come il genere Conus sia, fra i Molluschi, uno dei generi più ricchi 
di forme. È pur noto che, mentre il zoologo basa la maggior parte delle sue de- 
terminazioni dei Coni sopra le loro svariatissime colorazioni, tale carattere viene a 
mancare pressochè completamente al paleontologo il quale deve quasi sempre studiare 
esemplari affatto scolorati o, in qualche raro caso, con scarsissimi residui della colora- 
zione originale, residui parziali che, talvolta, possono anche offrire un aspetto diverso 
da quello della completa colorazione primitiva. 

Ora è anche conosciuto come, fatta astrazione dei colori, studiando i Coni solo 
riguardo alla loro forma, si debba ammettere che questa è cosiffattamente variabile 
che una sola specie, e ne sia esempio il comune Conus mediterraneus, può nelle sue 
svariatissime modificazioni non soltanto assumere la forma di altre specie dello stesso 
sottogenere, ma eziandio di sottogeneri diversi. Inoltre anche fra le forme viventi 
di Coni la loro ripartizione in diversi sottogeneri è ancor lungi dall’essere naturale 
e soddisfacente e dovrà subire in avvenire non poche modificazioni. Di più sono pure 
sovente notevolissime le variazioni che la stessa forma subisce dal periodo giova- 
nile a quello adulto. 


(1) Nota. — Il fascicolo secondo della Parte XIII, con numerose tavole, non potendo più essere 
inserito, nel corrente anno accademico, nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, 
venne pubblicato a spese dell’Autore, affinchè non fosse troppo ritardata la pubblicazione della pre- 
sente Monografia. — Nello stesso modo e per la stessa causa furono già pubblicate le Parti IX, 
X e XII. — Tali parti trovansi in vendita presso la Libreria Loescner di C. Crausen — Torino. 


Serie Il. Tom. XLIV. A 


2 FEDERICO SACCO 


Quindi se si tien conto della straordinaria variabilità dei Coni, della mancanza 
di caratteri ornamentali che servano a guidarci nella loro determinazione, della scom- 
parsa, nei fossili, dell’importantissimo carattere della colorazione, e dello immenso 
loro numero nei depositi terziarii del Piemonte, si può comprendere come lo studio 
dei Coni piemontesi siami stato particolarmente lungo e difficile, nè mi lusingo d’averlo 
superato senza commettere errori che potranno essere eliminati in avvenire collo 
studio di altri esemplari meglio conservati. Con tale pensiero ho pure tralasciato per 
ora la determinazione di alcuni esemplari, specialmente del sottog. Chelyconus, che, 
o per essere poco ben conservati o per rappresentare forti variazioni od anomalie, 
non sapevo a quale specie attribuire, nè parevami logico fondarvi nuove specie. 

D'altronde tali grandi difficoltà nella determinazione dei Coni fossili furono già 
incontrate e dichiarate dal Brocchi, dal Borson, dal Michelotti, ecc., e ricordo al ri- 
guardo come il compianto amico Prof. Bellardi parlandomi dei suoi futuri studi sui 
Molluschi del Piemonte mi ebbe più volte a dire che quando sarebbe giunto a quello 
dei Coni temeva di perderci la testa. 

Il materiale che ebbi a mia disposizione fu straordinariamente abbondante, es- 
sendo rappresentato da 20,000 esemplari ad un dipresso, di cui circa 5000 del Plio- 
cene, e circa 15,000 del Miocene. Credo che tale ricchezza di materiale proveniente 
da tutti i piani del Miocene e del Pliocene ed esaminato in una sola volta sia assai 
importante permettendo di fare una larga comparazione e quindi di comprendere 
meglio il concetto delle specie e le loro variazioni. Potei così convincermi che più 
ricco è il materiale che si ha in esame, minore è il numero delle specie nuove che 
si hanno a creare, poichè essendo possibile una estesa comparazione si vedono meglio 
i legami delle varie forme, i loro gradualissimi passaggi, ecc.; quindi il concetto 
della specie è naturalmente obbligato ad allargarsi alquanto per racchiudere una 
serie di forme transitorie o irradianti, direi, che evidentemente non sono che modi- 
ficazioni locali di una data specie della quale esse veggonsi conservare la facies 
complessiva, ma che esaminate isolatamente parrebbero altrettante specie a sò. È 
perciò che avendo avuto a studiare un 20,000 esemplari circa di Coni, non solo ebbi a 
creare poche nuove specie e quasi soltanto fra le forme mioceniche finora, meno cono- 
sciute, ma inoltre credetti dovere ridurre diverse forme, ritenute finora buone specie, 
al grado di semplici varietà o di forme giovanili di specie prima. stabilite, mentre 
che invece seguendo per esempio il metodo usato dal Bellardi nelle sue ultime Mono- 
grafie avrei dovuto creare diverse centinaia di nuove specie di Coni, producendo così 
tale confusione quale è facile immaginare. 

In complesso potei constatare che ogni sottogenere di Coni, ad eccezione dei 
Chelyconus, è rappresentato da poche specie per ogni orizzonte geologico, mentre in- 
vece esse variano per lo più da un orizzonte all’altro, specialmente dal Tongriano: 
all’Elveziano (ciò che si comprende facilmente) e dall’Elveziano al Tortoniano, perchè 
la zona fossilifera dell’Elveziano torinese trovasi specialmente alla base dell’ Elveziano 
ed è quindi sovente separata dal Tortoniano da oltre 1000 metri di depositi dell’ E/-. 
veziano medio e superiore. Meno spiccato, ma pure assai notevole, è il cangiamento 
delle specie dai Tortoniano al Piacenziano esistendo tra questi due orizzonti il piano 
Messiniano, ed essendosi inoltre nel frattempo verificate importanti variazioni clima- 
tiche, batimetriche, ecc. Quanto al cangiamento fra le specie piacenziane e quelle 


ì 
v 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 3 


astiane, esso è spesso poco notevole ed è particolarmente dovuto a differenze bati- 
metriche. 

Noto infine che siccome col materiale raccolto in Piemonte in piani geologici 
tra loro abbastanza distanti si può sovente constatare una serie di graduali pas- 
saggi fra diverse specie, dalle più antiche alle più recenti, è logico ammettere che, 
se si avesse un materiale proveniente da tutti i piani e sottopiani, rappresentati 
eziandio dalle loro diverse facies, il graduale modificarsi e collegarsi delle specie e 
la .successiva derivazione di un gran numero di esse risulterebbe ancor più chiara ed 
evidente. 

Riguardo al materiale ‘avuto in comunicazione debbo accennare che, oltre a quello 
solito, importantissimo, proveniente dalle collezioni dei Musei geologici di Torino, di 
Roma, di Modena, di Genova, di Pavia, di Milano e dalla collezione privata Rovasenda, 
ebbi pure in esame altre raccolte assai ricche messe gentilmente a mia disposizione dai 
loro proprietari, Clarence Bicknell (per la Liguria) ed Odoardo Bagatti (per il Piacen- 
tino), nonchè parziali contribuzioni di privati collettori di fossili dei colli torinesi, quali 
i signori Paravicini, Forma, ecc. Faccio ancora osservare come fra il materiale sovra 
accennato sia specialmente interessante quello delle tipiche collezioni di Brocchi 
(Museo di Milano), di Borson, Bonelli e Bellardi (Museo di Torino), di Michelotti 
(Museo di Roma) e di Doderlein (Museo di Modena), giacchè queste racchiudono 
numerosi preziosissimi tipi, coll’esame diretto dei quali potei non solo schivare, ma 
anche chiarire e togliere una quantità di errori di determinazione, errori fatti spe- 
cialmente nella seconda metà del corrente secolo a cominciare dal classico lavoro 
dell’Hoernes che, riguardo ai Conus, offre molte inesatte determinazioni le quali fu- 
rono causa di una lunga serie di errori successivi. 

Fra i principali di questi ‘errori, noto specialmente la ‘confusione delle ‘specie 
tipiche del Miocene con quelle plioceniche e viceversa, la moltiplicazione delle specie 
fatte sovente su semplici varietà, talora persino sopra un esemplare difettoso -0 sopra 
esemplari giovani, la falsata interpretazione di alcune specie del Lamarck, ecc. 

Avverto che, per brevità, a cominciare dalla presente monografia nella descrizione 
delle varietà tralascio la solita indicazione: Distinguunt hanc varietatem a specie typica 
sequentes motae, per tutte quelle varietà la cui diagnosi comparativa si riferisce alla 
specie tipica, solo più mantenendo la frase di comparazione quando la varietà che si 
descrive viene paragonata ad altra varietà, la quale in tal caso viene naturalmente 
indicata. 


Sottogen, DENDROCONUS Swarns. 1840. 


Questo sottogenere è specialmente sviluppato nel Tortoniano e nel Pliocene, mentre 
scarseggia nei terreni più antichi. Alcune forme sembrano .quasi passare ai Litho- 
conus ed ai Chelyconus. Per lo più esse si possono facilmente distinguere ‘osservandole 
‘nella regione della spira, perchè quivi l’ultimo anfratto visibile è notevolissimamente 
più largo degli altri, fatto che generalmente è meno spiccato negli altri sottogeneri. 


» 


4 FEDERICO SACCO 


DENDROCONUS BETULINOIDES (Lx.) 
(Tl'avellto 01) 


C. Testa oblongo-turbinata, luevi; basi sulcis transversis obsoletis distantibus; spira 
convexa, mucronata, basi rotundata (Lamarck). 
Alt. 20-160 mm.: Largh. 12-80 mm. 


1768. WOLCH u. KNORR, Naturgesch. Verstein., II, Tab. CI, fig. 3. 
1798. Volutites N. 1. BORSON, Ad Orict. pedem. auctarium, pag. 176. 

1810. Conus betulinoides Le. LAMARCK, Ann. Mus. Hist. Nat., pag. 440, n. 2. 

1814. , 5) = BROCCHI, Conch. foss. subapp., II, pag. 286. 

1818. , Vevigatus Defr. DEFRANCE, Dict. Hist. Nat., Tome X, pag. 263. 

1818. , betulinoides Lk. È 1 È 33 n 264. 

1820 pi iccf s ci BORSON, Oritt. piem., pag. 9 (188). 

1820, e la BONELLI, Cat. m. s. Museo Zool. Torino, n. 3647, 3650. 
18300 ch 7 li BORSON, Cat. Coll. min. Turin, pag. 605. 

1891065, si di BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 13. 

1842. ; A z SISMONDA, Syn. meth., 1° ed., pag. 43. 

1845. , > A LAMARCK in DESHAYES, An. s. vert., vol. XI, pag. 153. 
1847. |, A 5 SISMONDA, Syn. meth., 2% ed., pag. 44. 

1848. , È 5 BRONN, Ind. paleont., pag. 328. 

1851. , E È HOERNES, Foss. Moll. Wien. Beck., pag. 16-17. 

1852....., È , D’ORBIGNY, Prodr. Pal. str., III, pag. 171. 

1866... , a vi DA COSTA, Gaster. dep. tere. Portugal, pag. 6. 

L8S5 nn » (Lk.) Hoern. DE GREGORIO, Conch. med. viv. e foss., pag. 352-353. 
1890. , sà Lk. SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piem., n. 4377. 


Tortoniano: Stazzano (rarissimo). 
Piacenziano: Albenga (R. Torsero) (alquanto raro). 
Astiano: Astigiana, Vezza d’Alba (non raro). 


Osservazioni. — È la forma più gigantesca dei Coni piemontesi. Quanto al tipo 
esso non venne ancora figurato, poichè le figure date di questa specie sono basate 
su esemplari di località e di età diversa da quella del tipo, e non corrispondono 
perfettamente alla descrizione del Lamarck. Ciò dicasi per esempio per la figura data 
dall’Hoernes e che il De Gregorio vorrebbe adottare come tipo; mentre invece io pro- 
porrei per tale forma, che è una semplice varietà del C. detulinoides, il nome di 
pervindobonensis Sacco. (1851, Conus detulinoides Lk. — HoerNES, Foss. Moll. Tert. Beck. 
Wien. — Tav. II, Fig. 1), non trattandosi affatto del C. Aldrovandi come suppone il 
Doderlein. Credetti perciò conveniente assumere e far figurare come tipo l’esemplare 
ritenuto come tale dal Brocchi e che corrisponde assai bene alla diagnosi del Lamarck. 

Gli esemplari giovani ricordano alquanto il C. pyrula ed il C. laeviponderosus ; essi 
sono in generale assai mucronati e quindi distinti da quelli adulti, in cui l’apice è in 
gran parte eroso. 

La tinta del fossile in esame è per lo più giallastra, ma spesso sonvi anche 
larghe ed irregolari macchie rossigne, od anche tutta la conchiglia è roseo-rossastra. 

Gli esemplari più giganteschi provengono quasi tutti da un banco dolo 
inferiore affiorante al fondo di una valletta presso Vezza d’Alba. } 

E notevole che gli esemplari tortoniani sono generalmente alquanto più conici 
di quelli pliocenici, per modo da formare quasi un passaggio al D. Berghausi. 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 5 


Il Conus cacellensis Da Costa nominato dal Cocconi fra i fossili pliocenici del 
Piacentino “ En. Moll., ecc., pag. 148 ,, è probabilmente una varietà di C. detulinoides. 


D. BETULINOIDES Var. SUPRAMAMILLATA SACC. 
(Tav. I, fig. 2). 
Testa plerumque magna. Spira converior, mamillaris. Anfractus rotundatiores. 
Astiano: Astigiana, Vezza d'Alba (non rara). 


OsseRvAZIONI. — Raggiunge spesso le massime dimensioni di questa specie. 


D. BETULINOIDES Var. CHELYCONOIDES SACC. 
(Tav. I, fig. 3). 


Testa minus conica, subovoidea. Spira perelatior, conico-subconvexa, apice mucronatior. 


Alt. 92 mm.; Lat. 60 mm. 

Astiano: Vezza d'Alba (rara). 

OssERvaZzIoNI. — Presenta molti caratteri di Chelyconus, ma nel suo complesso 
è riferibile invece ai Dendroconus; potrebbe forse da alcuno essere eretta in specie 
a parte, ma avendone un esemplare solo, trovato fra numerosi D. bdetulinoides, sem- 
brami più logico di considerarla come una varietà di detta specie. 


D. BETULINOIDES Var. EXLINEATA SACCO. 
(Tav. I, fig. 4). 


Testa subconica, sulculis linearibus remotis ornata; spira planiuscula; apice exerto; 
anfractubus planatis, basi sulcata (Borson). 

Distinguunt hanc var. a specie typica sequentes notae: 

Spira elatior, subconica, apice magis mucronata. Anfractus superne minus converi, 
laevissime subangulosi. 

Alt. 20-100 mm.: Lat. 12-55 mm. 


1820. Conus lineatus Bors. BORSON, Or:tt. piemont., pag. 10 (189). 
183002 5 io 5 Cat. Coll. Min. Musée Turin, pag. 605. 
1848. , & A BRONN, Index Paleont., pag. 330. 


Tortoniano : Stazzano, S. Agata, Montegibbio (rara). 
Astiano: Astigiana, Vezza d’Alba (frequente). 


OssERvAZIONI. — Il nome di Borson cade in sinonimia col C. lineatus BRAND. 
(1766). Potei ritrovare l'esemplare tipico su cui il Borson fondò la sua specie, e che 
io quindi figuro come tipo di questa varietà; ma il secondo esemplare (colla retepora) 
che accenna il Borson ha la spira più depressa e più concava, per modo da riunirsi 
‘meglio alla var. concavespirata; ambidue sono dell’Astigiana. 

Il carattere di questa varietà è in parte giovanile, direi, poichè negli esemplari 
giovani esso è quasi costante, talora anzi spiccatissimo sui primi anfratti; ma con- 
servasi anche in molti esemplari adulti. 


6 FEDERICO SACCO 


Gli esemplari tortoniani sono generalmente mal conservati, in generale un po’ 
più conici di quelli pliocenici. 

Nell’Elveziano dei colli torinesi trovansi esemplari che ricordano questa varietà, 
ma sono alquanto più rigonfi nella parte superiore per modo che forse debbono at- 
tribuirsi ad altra forma. 


D. BETULINOIDES Var. CONCAVESPIRATA Sacco. 
(Tav. I, fig. 5). 


Spira depressior, subplanata vel subconcava potius quam subconvera; anfractus 
superne minus rotundati, laeviter subangulati. 

Alt. 20-120 mm.: Lat. 12-70 mm. 

EWeziano: Colli torinesi (rarissima). 

Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo, Albenga (R. Torsero), Bordighera (non rara). 

Astiano: Astigiana, Vezza d’Alba (non rara). 


Osservazioni. — Presenta graduale passaggio sia al tipo che alla var. exlineata. 
Ricorda talora di lontano un Lithoconus per la spira depressa. Gli esemplari elve- 
ziani paiono far passaggio alla var. dertocanaliculata. Debbo accennare al riguardo 
come nell’ Elveziano dei colli torinesi abbia osservato altre forme diverse (forse nuove) 
di Dendroconus che per essere rappresentate solo da rari resti molto imperfetti 
credetti più opportuno non descrivere per ora; in parte ricordano il D. bdetulinoides. 


D. BETULINOIDES Var. DERTOSULCULELLATA SACC. 
(Tav. I, fig. 6). 


Testa aliquantulum magis conica; sulculelli prope suturam visibiliores. 
Tortoniano: — S. Agata fossili, Stazzano (non rara). 


Osservazioni. — Per la forma più conica tende verso il D. Berghausi, come l’af- 
fine C. Mojsvari H. A., che io considererei pure solo come una varietà di passaggio 
tra il D. detulinoides ed il D. Berghausi. 


D. BETULINOIDES Var. DERTOMAMILLATA SACC. 


(Tav. I, fig. 7). 


Testa aliquantulum magis conica, crassa; spira inflata, convexo-mamillata. Anfractus 
superne rotundatiores, ultimus prope suturam laevissime subcanaliculatus. 

Alt. 100-103 mm.: Lat. 62 mm. 

Tortoniano: Stazzano (non rara). 


Osservazioni. — Per la sua relativa conicità altri potrebbe forse già riferirla 
al D. Berghausi. La sua spira è molto simile a quella della var. supramamillata. 
Forme simili si incontrano nel Miocene di Cacella, per quanto risulta dalle figure 
del Da Costa (Gast. terc. Portugal., Tav. I, Fig. 1, Tav. II, Fig. 1, 2), e nel Miocene 


viennese, come l’indica il D. hungaricus (H. A.). 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 7 


D. BETULINOIDES Var. DERTOCANALICULATA SACC. 


(Tav. I, fig. 8). 


Testa aliquantulum magîs conica, crassa. Spira laeviter depressior. Anfractus su- 
perne aliquantulum rotundatiores, prope suturam plus minusve sulculellati, ultimus 
laeviter canaliculatus. 

Alt. 40-100 mm.: Lat. 25-56 mm. 

Elveziano: Colli torinesi (rarissima). 

Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano, Montegibbio (non rara). 


Osservazioni. — Passa gradatamente alla var. dertomamillata e quindi tende 
pure verso il D. Berghausi. Le è affine, se non identico, il C. Mercatii secondo 
Da Costa (Gast. terc. Portugal — Tav. III, fig. 1). 


DexpRroconus BereHaAUSsI (MIcHT.) 
(Tav. I, fig. 9). 


Testa crassa, conica, abbreviata; spira mucronata, valde depressa; anfractibus (in 
adultis) superne planulatis, laevigatis, ultimo obtuse rotundato; apertura coarctata, ad 
basim subdilatata; columella inferne striata (Michelotti). 

Alt. 13-85 mm.: Lat. 8-58 mm. 


1847. Conus Berghausi Micht. MICHELOTTI, Descript. Foss. mioc., pag. 242, Tav. XII, fig. 9. 


Sd, 5 A SISMONDA, Sy. meth., 2* ed., pag. 44. 

LINE 7 3 HOERNES, Foss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 19. 

1852. |, À, 2 D’ORBIGNY, Prod. Pal. strat., II, pag. 56. 

1862000, È 5 DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Italia cent., pag. 25 (107). 
136080 a n DA COSTA, Gast. dep. tere. Portugal, pag. 9. 


1813-04 maculosus Grat. FISCHER et. TOURNOUER, Invert. foss. M. Leberon, pag. 127. 
1803. > Berghausi Micht. COCCONI, En. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 147. 
IO VATCASNINI maculosus Grat. LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 64. 

1884. ., Berghausi Micht. DE GREGORIO, Conch. medit. viventi e fossili, pag. 358. 
1890) P 5 SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piem., n. 4876. 


Elveziano : Colli torinesi (raro). 
Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano, Montegibbio (non raro). 
Piacenziano: Piacentino (Gropparello) (rarissimo). 


Osservazioni. — In complesso questa forma essenzialmente tortoniana è assaî 
caratteristica e ben distinta dal D. detulinoides, per cui credo si possa ritenere come 
una buona specie, ma è certo che per mezzo di alcune varietà essa sembra collegarsi 
col D. betulinoides. 

Quanto all'identità che alcuni, come il Fischer, il Tournouer, il Locard, ece., 
credettero ravvisare tra il C. Berghausi ed il C. maculosus GrAT., a me sembra che 
essa non sia accettabile. 

Questa specie è per lo più alta solo dai 2 ai 4 cm.: gli esemplari grandi sono 
assai rari e sovente sembrano formare passaggio al D. betulinoides. È notevole che 
la. forma tipica, stata figurata dal Michelotti, e che io figuro di nuovo, è relativa- 
mente rara, mentre sono comunissime alcune delle varietà indicate im appresso. 


8 FEDERICO SACCO 


Rarissimi sono gli esemplari che conservino traccie della colorazione. Gli esem- 
plari giovani sono generalmente meno conici ed a spire più elevate di quelli adulti. 

Questa specie è molto variabile, per modo che alcune delle sue variazioni rice- 
vettero nomi specifici diversi; così è forse il caso pel D. Daciae H. A., pel D. vo- 
eslauensis H. A., per parte delle figure colle quali il Da Costa e l’Hoernes R. ed 
Auinger indicano il C. subraristriatus DA Costa, ecc. 

La forma indicata da “R. Hoernes ed Auinger come C. Loroisi KIENER (1889, 
Gaster. I u. II Mioc. Med. Stufe, Tav. III, fig. 5) è distinta dalla forma vivente per 
modo che le do il nome di exloroîsi SAco.; essa potrebbe forse anche considerarsi 
come una varietà di D. Berghausi. Lo stesso deve forse ripetersi per il C. antiquus 


di GratELouP (Atlas Conch. foss. Adour. 1840, Tav. 43, Fig. 1), forma che forse è 
solo una varietà (che io appellerei var. exantigua Sacc.) del C. Berghausi. 


D. BERGHAUSI var. SUBASPIRA SACC. 
(1866. DA COSTA (Conus Berghausi) Gast. terc. Portugal, Tav. I, fig. 3). 


Spira depressior, planoexcavata. 
Tortoniano: Stazzano, S. Agata fossili (non rara). 


D. BERGHAUSI var. PROPEBETULINOIDBS SACC. 
a eo) 

Testa plerumque major, aliquantulum elongatior. Spira. plerumque plus minusve 
depressa. In anfractubus prope suturam sulculelli subvisibiles. 

Alt. 58-72 mm.: Lat. 38-45 mm. 
1842. Conus antiquus Lk. (pars)  SISMONDA, Syn. meth., 1° ed. pag. 483. 

Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano (non rara). 

OsservazIoNI. — Si avvicina alquanto al D. bdetulinoides, specialmente alle sue 
var. dertocanaliculata e dertosulculellata, tanto che talora la loro distinzione può sem- 
brare incerta. Inoltre presenta caratteri di passaggio alla var. exfuscocingulata. 


D. BERGHAUSI Var. BIFASCIOLATA SACC. 
(Tav. I, fig. 11). 

Testa affinis var. propebetulinoides, sed in regione ventrali medio-supera duo 
fasciolae brunneae conspiciuntur. 

Alt. 67 mm.: Lat. 45 mm. 

Tortoniano: S. Agata fossili (rara). 

Osservazioni. — Oltre alle due fascie più evidenti, altre se ne intravvedono 
qua e là specialmente nella parte caudale. 


D. BERGHAUSI Var. EXFUSCOCINGULATA SACC. 
(Tav. I, fig. 12). 


Testa plerumque minor, superne inflatior, spira elatior, cingulis fuscis, plus minusve 
distantibus, transversim ornata. 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 9 


Alt. 16-26 mm.: Lat. 10-17 mm. 


1862. Conus fuscocingulatus Bronn. DODERLEIN,. Giac. terr. mioc. Italia centr., pag. 25 (107). 


UTO LO ME s A COCCONI, En. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 148. 
1890. , P 5 DELLA CAMPANA, Pliocene Borzoli, pag. 27. 
1890001 n È SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 5440. 


Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano (frequente). 

Piacenziano: Borzoli, Piacentino (non rara). 

Osservazioni. — Il carattere dei cingoli bruni, rilevati o no, credo che abbia 
poca importanza, anzitutto perchè esso osservasi quasi solo negli esemplari giovani, ed 
anche perchè lo ebbi a constatare su forme alquanto diverse; inoltre esso talora 
appare solo per alterazione del calcare superficiale. Quindi credo trattisi piuttosto di 
un carattere casualmente apparente nel gruppo del D. Berghausi, piuttosto che non 
di un vero carattere inerente ad una data specie, tanto più che, come dissi, esso 
osservasi specialmente sugli esemplari giovani. 


D. BERGHAUSI var. MoRAVICA (H. A.). 


(1851. M. HOERNES (C. fuscocingulatus). Foss. Moll. tert. Beck. Wien., Tav. I, fig. 4). 
(1889. R. HOERNES u. AUINGER (Lithoconus moravicus). Gaster. I u. II mioc. Medit. stuf., pag. 29). 


Tortoniano: Stazzano (rara). 


OssERVAZIONI. — Come già dissi riguardo alla var. exfuscocingulata, credo che il 
carattere dei cingoli trasversi abbia poca importanza, certamente non tale da costituire 
una specie a parte. Gli esemplari di Stazzano sono più piccoli del tipo. 

Notisi che il vero C. fuscocingulatus Bronn non è quello rappresentato dalla 
fig. 4 (Tav. I del sovraccennato lavoro di M. Hoernes), ma bensì quello della fig. 5, 
che non ha spiegazione al piede della tavola, donde nacquero molte confusioni. 


D. BERGHAUSI var. MORAVICOIDES SACC. 


(Tav. I, fig. 13). 


Testa crassior, magis conica; spira elatior, subconica. 
Alt. 27-40 mm.: Lat. 18-30 mm. 
Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano (non rara). 


OssERvAZIONI. — Questa forma si avvicina moltissimo alla var. moravica; se ne 
distingue essenzialmente per la mancanza dei cingoli trasversi. 


D. BERGHAUSI var. TRIANGULARIS SACC. 


(Tav. I, fig. 14). 


Testa crassa, valde magis conica, subtriangularis, superne perexpansa. 
Alt. 36 mm.: Lat. 31 mm. 
Tortoniano: Stazzano (rara). 


OssERVAZIONE. — Può considerarsi come una esagerazione della var. moravicoides. 
Serie II. Tom. XLIV. B 


10 FEDERICO SACCO 


D. BERGHAUSI var. PLANOCYLINDRICA SACCO. 
(Tav. I, fig. 15). 


Testa minus conica, inferne magis dilatata, deinde subeylindrica; spira depressa. 
Alt. 26-38 mm.: Lat. 20-26 mm. 


1827. Conus antiquus Lk. BONELLI, Cat. ms. Museo Zool. Torino, n. 3651, 
1842. , ; È SISMONDA, Syn. meth., 1% ed. pag. 43 (pars). 


Tortoniano: S. Agata fossili (non rara). 


D. BERGHAUSI var. PERCOMMUNIS SACC. 
(Tav. I, fig. 16). 


Testa clavatior. Spira elatior. Anfractus superne regularius rotundatiores. 
Alt. 13-80 mm.: Lat. 8-52 mm. 

Elveziano: Colli torinesi (rarissima). 

Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano, Montegibbio (frequentissima). 


Osservazioni. — Molti esemplari erano indicati nelle diverse collezioni come 
C. Aldrovandi. Sono rarissimi gli esemplari che conservino le colorazioni, come quelli 
figurati; in generale sono scolorati. Questa varietà passa gradatamente sia alla var. 
Vacecki (H. A.), sia alla var. Broteri (Da Costa). 


D. BerenAUsI var. VAcECKI (H. À.). 


(1851. M. HOERNES (C. Berghausî). Foss. Moll. tert. Beck. Wien., Tav. I. fig. 3). 
(1879. R. HOERNES u. AUINGER, (C. Vacecki). Gaster. I u. II Mioc. Med. stuf., pag. 22). 


Testa subglandiformis, superne inflatior, plus minusve submamillata. 
Alt. 14-45 mm.: Lat. 8-30 mm. 

? Elveziano : Colli torinesi (rara). 

Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano, Montegibbio (frequente). 
Piacenziano: Borzoli (rara). 


OsseRvAZIONI. — Questa forma si collega per infiniti passaggi sia colla var. per- 
communis, sia colla var. glandiformis, per modo che se ne potrebbero costituire numerose 
altre varietà che credo invece più opportuno di raggruppare attorno alla forma figu- 
rata da R. Hoernes. I colori quasi sempre sono scomparsi. Gli esemplari giovani sono 
generalmente meno conici ed a spira più elevata che non quelli adulti. 

Sono probabilmente ancora riferibili a queste varietà le forme figurate dal Da 
Costa a Tav. IL (Fig. 3, 4, 5, 6) del suo lavoro Gast. Terc. Portugal. 1866. 


D. BERGHAUSI var. GLANDIFORMIS SACC. 
(Tav. I, fig. 17). 
Testa affinis var. Vacecki, sed magis glandiformis; spira inflatior; anfractus su- 
perne rotundatiores; puncticulis seriatis interdum ornata. 
Alt. 35 mm.: Lat. 23 mm. 
Tortoniano: Stazzano (rara). 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 11 


Osservazioni. — Senza voler dare troppa importanza alle colorazioni tanto va- 
riabili è notevole come in questa forma si osservino talora punteggiature invece di 
macchiette quadrangolari come è per lo più il caso per le forme del D. Berghausi. 
Essa passa gradualissimamente alla var. Vacecki. Questa forma è distintissima dalla 
var. alpus De Gre. (1866 Conus Berghausi Micart. — DA Costa Gast. Terc. Portugal, 
.Tav. I, Fig. 2) la quale sembra quasi avvicinarsi meglio al tipico D. bdetulinoides; 
invece il Da Costa figura come C. Eschewegi in parte (Fig. 24 di Tav. IX) forme af- 


fini, forse identificabili a quella in esame. 


D. BERGHAUSI var. CONOTRIANGULA SACC. 
(Tav. SInfio: 19): 

Testa subbiconica. Spira elatior, sat regulariter conica. Anfractus superne obtuse 
angulati. 

Alt. 43 mm.: Lat. 27 mm. 

Tortoniano: Stazzano (rara). 

Osservazioni. — Ricorda alquanto il D. Steindachneri H. A. che potrebbe forse 
essere anche considerato come una varietà di D. Berghausi. 


D. BERGHAUSI var. SEMISULCATULA SACC. 
(av. Kbeioagl): 
Testa minus triangularis. Spira aliquantulum elatior. Anfractus semisulcati. 
Tortoniano : Montegibbio (rara). 


OsservazioNnI. — Ricorda alquanto il C. Neumayri H. A. che forse è solo una 
varietà del D. Berghausi. 


D. BERGHAUSI var. CONICOSPIRA SACC. 
(Tav. I, fig. 20). 

Testa affinis var. Vacecki, sed interdum aliquantulum elongatior, spira elatior, 
plus minusve conica. 

Alt. 14-45-155 mm. : Lat. 8-27-135 mm. 

Eleziano: Colli torinesi, Baldissero (non comune). 

Tortoniano: Stazzano, S. Agata fossili, Montegibbio (frequentissima). 

OsseRvAZIONI. — Passa gradualissimamente alle var. Vacecki e glandiformis. Pre- 
senta qualche rassomiglianza con qualcuna delle forme che il Da Costa riferisce al 
C. subraristriatus (che forse è, in parte, soltanto una varietà del D. Berghausi), nonchè 
col D. Steindachneri H. A. (= D. Hochstetteri H. A. in texto). Anche alcune forme (Fig. 20 


e 22 di Tav. IX) figurate dal Da Costa come C. Eschewegi sono riferibili alla varietà 
in esame. 


D. BERGHAUSI var. PERMUCRONATA SACC. 
(Tav. I, fig. 21). 


Spira plus minusve subconica, elatius mucronata. 
Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano (non rara). 


12 i FEDERICO SACCO 


OsservAZIONI. — Forma passaggio sia al tipo che alla var. percommunis; Linn 
guesi dalla var. conicospira per avere la spira meno inflata. 


DENDROCONUS DERTOVATUS SACC. 
(Tav. I, fig. 22). 

Testa subovato-conica. Spira elato-convexa, subconica, non scalarata, pagodaeformis. 
Anfractus convexuli; ultimus permagnus, convexovatus, in regione medio-infera profunde 
transversim sulcatus. Apertura constricta. 

Alt. 16-27-45 mm.; Lat. 9-15 mm. 

Tortoniano: Stazzano, S. Agata (non rara). 


Osservazioni. — Questa forma sembra doversi elevare al grado di specie a 
parte, quantunque si possa anche considerare come una forte variazione della 
specie-gruppo D. Berghausi. 

Riguardo al C. dertovatus debbo notare come su qualche esemplare abbia osser- 
vato residui di lineette trasverse, ciò che, unitamente alla forma, avvicina alquanto 
il D. dertovatus al tipico C. fuscocingulatus Bronn (HoerNnEs, Foss. Moll. Tert. Beck. 
Wien, Tav. I, fig. 5, non 4). Credo quindi necessari ulteriori studii per chiarire la 
vera posizione ed interpretazione del C. fuscocingulatus il quale sembra pure rap- 
presentato in Piemonte; ma il materiale osservato non mi permette per ora di 
giudicare nettamente al riguardo, tanto più che i colori caratteristici sovente man- 
cano e forse non hanno quel valore assoluto che altri volle loro attribuire. Noto 
infine che mentre il tipico 0. fuscocingulatus figurato da M. Hoernes rassomiglia 
assai ad un Dendroconus, quelli figurati da R. Hoernes ed Auinger nella Tav. I del 
loro recente lavoro “ Gastr. I u. II Mioc. Med. stufe , sono invece veri Chelyconus, 
per modo che credo opportuno distinguerli con due nomi diversi, cioè var. ochreocin- 
gulata Sacc. (fig. 10, 11) e var. pòoteleinsdorfensis Sacc. (fig. 13). 


D. DERTOVATUS Var. CONNECTENS SACC. 
(Tav. I, fig. 23). 
Testa magis conica, minus ovata. Spira depressior. 
Tortoniano: Stazzano (rara). 


Osservazioni. — Sembra quasi costituire un anello di congiunzione fra il D. der- 
tovatus e la var. conicospira del D. Berghausi. 


Denproconus EscHEwEGI (DA Costa). 
(13866. DA COSTA, Gaster. dep. tere. Portugal, pag. 29, Tav. IX, fig. 28). 


Alt. 13-40 mm.: Lat. 8-20 mm. 

? Elveziano: Colli torinesi (rara). 

Tortoniano: Stazzano, S. Agata (alquanto rara). 
? Piacenziano: Vezza d'Alba (rarissima). 


OsservazIionI. — Il Da Costa istituendo questa specie ne lasciò i limiti così 
larghi da includervi diverse varietà di D. Berghausi, a cui d’altronde essa è stret- 
tamente connessa; perciò la specie del Da Costa si doveva o abolire o restringere 
in limiti più definiti, come io credetti di fare ponendone a tipo la fig. 23. Un esem- 


Attualità 


Astiano 


Piacenziano 


Tortoniano 


Elveziano 


FEDERICO SACCO 


D. betulinoides e var. 


D. betulinoides e var. 


D. betulinoides e var. 


LI 
Dendroconus betulinoides var. 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 13 bis 


Quadro comparativo dei DENDROCONUS. 


C. Loroisii — D. sumatrensis — D. betulinus — D. figulinus 


supramamillata 
chelyconoides 
exlineata 


concavespirata 


concavespirata 


i pervindobonensis 


exlineata 
dertomamillata — 


dertocanaliculata — 


dertosulculellata — (  propebetulinoides 
I bifasciolata 


hungarica 


\ Moisvari 


| conca vespirata 


| dertocanaliculata 


D. Berghausi var. 


eafuscocingulata 


Vacecki 


eafuscocingulata 
moravica 
moravicoides 
triangulariîs 
planocylindrica 


| percommunis 


var. e  D. Berghausi e var. ( 


D. Daciae — 


D. pyruloides — | 


D. Berghausi e var. | 


Vacecki 
glandiformis 
conotriangula 


semisulcatula 


conicospira D. dertovatus e 
var. connectens 


permucronata 
percommunis 
2 Vacecki 


conicospira 


D. Eschewegi var. depressoastensis 


Ì 
D. Eschewegi e var. caelata 


D. Eschewegi var. caelata 


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I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 13 


plare di Stazzano presenta un leggiero solco trasversale nella regione ventrale su- 
periore, per modo che ricorda un C. ponderosus; si potrebbe perciò indicare come 
var. ponderosulcatula. 


D. EscHEwEGI var. cAELATA (Dop. SAcc.). 
(Tav. I, fig. 24). 


Spira minus elata, subrotundata. 


1862. Conus caelatus Dod. DODERLEIN, Giae. terr. mioc. Italia centr., pag. 25 (107). 
1890. , A È SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 5446. 


Elveziano: Colli torinesi (rara). 

Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (alquanto rara). 

OsservazionI. — Il nome dato dal Doderlein essendo nome di catalogo non può 
rappresentare la specie tipica. Per quanto mi risultò dall’esame della Collezione del 
Museo geologico di Modena, una parte degli esemplari determinati dal Doderlein 
come C. nisus D'ORrB. sono esemplari giovani di questa forma e del D. pyruloides. 


D. ESCHEWEGI var. DEPRESSOASTENSIS SACC. 
(Tav. I, fig. 25), 
Testa minus ovata; spira valde depressior, convexula, vix apice aliquantulum 
mucronata. 
Piacenziano: Astigiana (rarissima). 


Osservazioni. — È importante vedere che il D. Eschewegi giunge al Pliocene. 


DeNnpROconUS PYRULOIDES (Dop. SAcc.). 
(Tav. I, fig. 26). 
Testa elongato-pyruloides. Spira subacuta, parum elata. Anfractus convexuli; ultimus 
magnus, in dinvidia infera parte sulcis profundis transversim ornatus. Apertura elon- 


gato-constricta. 
Alt. 8-30-35 mm.: Lat. 7-14-17 mm. 


1862. Conus pyruloides Dod. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Italia centr., pag. 25 (107). 
8900 Ù 7 SACCO, Catal. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 5444. 

Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (frequente). 

OsseRVAZIONI. — Descrissi la specie sugli esemplari originali del Doderlein. Essa, 
malgrado la sua somiglianza col Chelyconus pyrula (Br.), collegasi strettamente col 
D. Berghausi. 


Gli esemplari giovani, che poco differiscono da quelli del D. Berghausi, erano 
| determinati nella collezione del Museo geol. di Modena in parte come C. nisus D’ORB. 
| ed in parte come C. pyriformis Dop. 


D. PYRULOIDES Var. PLANACUTISPIRA SAC. 
(Tav. I, fig. 27). 


Spira depressior, minus conica, apice acutior. 
Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (frequente). 


14 FEDERICO SACCO 


Sottogen. LITHOCONUS MòrcH, 1850. 


LirHoconus MERCATI! (BR.). 
(Tav. II, fig. 1). 
Testa oblongo-conica, spira acuta, anfractubus omnibus converiusculis, suturam 


prope leviter canaliculati, basi confertim striata, rugosa (Brocchi). 
Alt. 18-100 mm.: Lat. 8-58 mm. 


raro MERCATI, Metallotheca vaticana, pag. 303, fig. 3. 

1814. Conus Mercati Br. BROCCHI, Conch. foss. subapp., II, pag. 287, Tav. II, fig. 6. 
Tisilissene n 5 DEFRANCE, Diet. Hist. natur., tome X, pag. 264. 

1820... , Dale BORSON, Oritt. piemontese, pag. 18 (197). 

192.10 5 x BASTEROT, Bass. tert. S. O. France, pag. 40. 

T826.M00 È 7 RISSO, Prod. Europe mérid., IV, pag. 230. 

182700, 5 È BONELLI, Cat. ms. Museo Zoolog. Torino, n. 2984, 2985, 3649. 
18905: » FIA BORSON. Cat. Coll. min. Turin, pag. 606. 

1831. , 5 3 BRONN, It. tert. Geb., pag. 13. 

1832. , 5 Ò DESHAYES, Exped. scient. Morée, III, pag. 200, n. 354. 

1836. ,  mediterraneus var. PHILIPPI, Enum. Molluscorum Siciliae, I, pag. 238. 

1842. , Mercati Br. SISMONDA, Sym. meth., 1% ediz., pag. 43. 

1845. , A " LAMARCK in DESHAYES, Hist. Nat. An. s. vert., XI, pag. 161. 
1847. , L > SISMONDA, Syn. meth., 2% ediz., pag. 44. 

1848. , mediterraneus Brug. var. BRONN, Index paleont., pag. 330. 

1851. , Mercati Bronn. HOERNES, Foss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 23. 

1852. , 5 È ? D'’ORBIGNY, Prod. Pal. str., III, pag. 171. 

1866. , È , , E Gast. dep. terc. Portugal, pag. 11 (pars). 
LS A a FISCHER et TOURNOUER, Invert. foss. M. Leberon, pag. 127. 
80 È 5 COCCONI, Enum. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 149. 
TSI na A 5 LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 65. 

1881. , È 5 FONTANNES, Moll. Plioc. Vallée Rhòne, pag. 140. 

189070 63 5 > SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piem., n. 4389. 


Piacenziano: Castelnuovo d’Asti, Alba, Magnano nel Biellese, Piacentino (non rara). 
Astiano: Astigiana (Buttigliera, Capriglio, Cortazzone, Baldichieri, Valle Andona, 
Villafranca, Monteu-Roero, ecc., ecc.), Bra; Piacentino, ecc. (abbondantissima). 


OssERVAZIONI. — Questa specie fu spesso erroneamente interpretata dai varii 
autori, come risulta dalle figure date dall’Hoernes e da altri; inoltre ebbi a consta- 
tare che gran parte degli esemplari di questa specie erano classificati come C. Al- 
drovandi. Quindi riguardo a diversi autori (Risso, Sasso, Sismonda, Lamarck, D’Or- 
bigny, ecc.) si dovrebbe anche porre nella sinonimia della specie in esame l’indi- 
cazione: C. Aldrovandi; ma mi limito ad accennare il fatto, il quale spiega molte 
confusioni verificatesi riguardo a queste due forme. È perciò che credetti opportuno 
far figurare di nuovo l’esemplare tipico del Brocchi. Nella collezione Brocchi oltre 
all’esemplare tipico di S. Miniato havvene un altro, quasi identico, delle crete senesi. 

Gli anfratti presso la sutura sono talvolta più o meno striolati trasversalmente. 

È a notarsi che nell’Astiano del Piemonte le forme del L. Mercati, quantunque 
siano talora identificabili col tipo, in generale sono leggermente più allungate e supe- 
riormente più strette, ad anfratti un po’ più gradinati nella spira, la quale è un 
po’ più bassa, in modo da far quasi passaggio alla var. cincta. 


1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 15 


Gli esemplari giovani si distinguono per essere assai più allungati proporziona- 
tamente al diametro trasversale, spesso substriolati presso la sutura, in modo che 
sembrano far passaggio alla var. Caroli. 


Anom. nIeRICANS Sacco. — Testa griseo-nigra. 
Astiano — Astigiana (rara). 
Anom. crasseLABIATA Sacc. (Tav. II, fig. 2). — Spira depressa, parum scalarata, 


Anfractus ultimus aperturam versus et prope aperturam 2 cingulis longitudinalibus, 
percrassis, irregularibus, munitus. 

Astiano — Astigiana (rarissima). 

Anom. ANOMALOSULCATA Sacc. (Tav. II, fig. 2%). — Anfractus ultimus transversim 
sulcis subparallelis, plus minusve latis et profundis, inter se varie distantibus, munita. 


1826. Conus Mercati Br. var. — BONELLI, Cat. ms. Museo Zool. Torino, n. 3648. 


Astiano — Villanova d’Asti (rarissima). 


L. MercaTI var. cincrA (Bors.). 
(Tav. II fig. 3). 
Anfractus transversim cingulis parallelis, subdepressis, interdum suboblitis, inter se 


sat distantibus, ornata. 
Alt. 40-55 mm.: Lat. 22-31 mm. 


1798. Volutites 2°. BORSON, Ad. Orict. ped. auct., pag. 176. 
1820. Conus cinetus Bors. 3 Oritt. piemont., pag. 13 (192). 
TSBIOLA TANO È A È Cat. coll. min. Turin, pag. 605. 
1848. , hi 5 BRONN, Index Paleont., pag. 329. 


Astiano: Astigiana (non rara). 


Osservazioni. — I caratteri di questa forma consistono nei cingolelli trasversi 
o cordoncini visibili ad occhio nudo e rilevati, come dice il Borson, e non già in sulculi 
come egli indica nella diagnosi. Essa potrebbe forse riguardarsi solo come un’ano- 
malia, poichè i caratteri che la distinguono compaiono su forme alquanto diverse. 


L. Mercati var. ALpROvANDI (BR.). 
(Tav. II, fig. 4). 


Testa conica, sulcis transversis remotis leviter impressis, spira convexoacuta depres- 
siuscula, anfractubus rotundatis, extimo vix excavato, basi integra oblique striata, colu- 
mella intorta, canaliculata (Brocchi). 

Distinguunt hanc var. a specie typica sequentes notae: 

Testa inflatior; spira minus scalarata. Anfractus prope suturam subrotundati, mi- 
nime subcanaliculati. 

Alt. 76 mm.: Lat. 48 mm. 


1648. ALDROVANDI, Museum metallicum, pag. 471, fig. 1 (9) 
1814. Conus Aldrovandi Br. BROCCHI, Conch. foss. subapp., II, pag. 287, Tav. II fig. 5. 
dB1eono LI si DEFRANCE, Dict. Hist. Nat., tome X, pag. 264. 

1323. , fi È BORSON, Or:tt. piem., pag. 172 (304). 


16 FEDERICO SACCO 


1826. Conus Aldrovandi Br. RISSO, Hist. Nat. Europe mérid., IV, pag. 228. 

IS20 i et P È SASSO, Saggio geol. Bac. tere. Albenga, pag. 482. 

182900 5 Fi DE-SERRES, Géognosie terr. tert., pag. 127. 

1830. 5 È ” BORSON, Cat. gen. Coll. min. Turin, pag. 606. 

1890, N pi 2 BRONN, Ital. tert. Gebild., pag. 13. 

1842. |, ni ti SISMONDA, Syn. meth., 1% ed., pag. 43. 

1845. |, i H LAMARCK in DESHAYES, Mist. Nat. An. s. vert, XI, pag. 160. 
1847. , È A SISMONDA, Syn. meth., 1% ed., pag. 43. 

1848. |, A si BRONN, Index paleont., pag. 328. 

1351 3 È HOERNES, Foss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 18. 

SO2A0a 3 5 D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 171. 

VISTA 3 È DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Ital. centr., pag. 25 (107). 

1863. |, n 3 DA COSTA, Gast. tere. Portugal, pag. 7. 

MENSE d - FISCHER et TOURNOUER, Invert. foss. M. Leberon, pag. 127. 
L87905, È È COCCONI, Enum. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 147. 
WS è È LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 63. 

IRON A Pi ISSEL, Fossili marne Genova, pag. 24. 

1884. , betulinoides, forma div. DE GREGORIO, Conch. medit., pag. 66. 

1886. , Aldrovandi? Br. SACCO, Valle Stura di Cuneo, pag. 66. 

18900 2 n SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4368, 5433. 


Piacenziano: Crete sanesi e Bologna (rara). 

Osservazioni. — Debbo anzitutto accennare come le indicazioni segnate nella 
sinonimia si riferiscano sovente a forme ben diverse dal vero C. Aldrovandi, come 
potei convincermi confrontando l'esemplare tipico, sia colle figure o colle descrizioni 
date dai diversi autori, sia cogli esemplari che nelle varie collezioni trovai determi- 
nati come C. Aldrovandi, e che invece appartengono in parte al L. Mercatii, in parte 
a Dendroconus, ed alcuni anche a Chelyconus. Ne derivò quindi una grande confusione 
la quale si può solo eliminare ritornando all’esemplare tipico del Brocchi, che cre- 
detti quindi necessario far nuovamente figurare. 

Quanto a questo esemplare tipico notiamo dapprima come esso nella collezione 
Brocchi sia ora unico, mentre in generale gli altri coni vi sono rappresentati da di- 
versi esemplari per ogni forma; inoltre esso presenta l’ultimo anfratto più volte ed 
irregolarmente interrotto e risaldato, con salti, ecc. (ciò che venne in parte omesso 
dal disegnatore del tipo), per modo da indicarci di aver appartenuto ad un individuo 
anomalo. Riguardo agli anfratti superiormente subrotondati noto come nello stesso 
esemplare tipico del C. Mercatii vi sia già un accenno di detto carattere, il quale 
meglio si accentua in alcuni individui ed in alcune varietà di detta specie e special- 
mente nella var. elongatofusula e depressulospira, le quali varietà, fatto curioso, presen- 
tano pure generalmente nell’ultimo anfratto forti rotture, salti e risaldature come 
nell’esemplare tipico del C. Aldrovandi. D'altra parte anche in questo stesso esem- 
plare del Brocchi scorgonsi, specialmente nell’ultimo anfratto, gli accenni della de- 
pressione subcanalicolata del L. Mercatii. 

Per tali motivi io inclinerei a considerare il C. Aldrovandi come una varietà 
del L. Mercatii, nò parebbemi giusta l’interpretazione inversa, quantunque il 0. Mer- 
catii sia stato descritto un numero dopo del C. Aldrovandi, poichè questa forma, 
unica o rarissima, sembra quasi solo rappresentare un’anomalia. 

Noto qui come la forma figurata da M. Hoernes come C. detulinoides non possa 
appellarsi Karreri H. u. A. (1889), perchè già indicata come Hoernesi da Doderlein 
(1862); il nome di Karreri va riservato alla forma figurata (Tav. IV, fig. 7) con 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 17 


questo nome da R. Hoernes ed Auinger. Quanto alla forma figurata da questi ultimi 
autori come C. Aldrovandi (1889 — Tav. IV, fig. 2) non ha che fare con tale specie, 
per cui le do il nome di pseudaldrovandi Saco. 


L. MERCATI var. ELONGATOFUSULA SACC. 


(Tav. II, fig. 5). 


Testa affinis var. Aldrovandi, sed elongatior, fusiformis, spira elatior. 

Alt. 77 mm.: Lat. 40 mm. 

Astiano: Astigiana (rarissima). 

Osservazioni. — Trattasi forse solo di un'anomalia, come lo indicherebbero, oltre 
che la sua rarità, anche le interruzioni degli anfratti. Dal Museo geologico di Pavia 
ebbi in comunicazione un esemplare simile, ma più piccolo (mm. 48 X 24) proveniente 
da Val d’Elsa. Alcune forme tortoniane si avvicinano a questa varietà. 


L. MERCATII var. DEPRESSULOSPIRA SACC. 
(Tav. II, fig. 6). 


Testa elongatior, minus conica. Spira aliquantulum depressior. Anfractus ad suturam 
subrotundati. 

Alt. 33-45 mm.: Lat. 18-24 mm. 

Piacenziano: Bordighera (rara). 


Osservazioni. — Per la subrotondità degli anfratti nella regione subsuturale 
sembra costituire una forma di passaggio fra il tipo ed il C. Aldrovandi. 

Dal Museo geologico di Roma ebbi in comunicazione un esemplare di questa 
forma, proveniente da Casaglia, a caratteri assai spiccati per modo che lo faccio 
figurare come tipo. È notevole come gli esemplari che ebbi ad esaminare finora pre- 
sentino gli anfratti irregolarmente interrotti longitudinalmente, come si è già notato 
per le forme Aldrovandi ed elongatofusula ; ciò indicaci forse esemplari un po’ 
anomali. 


L. MERCATII var. LONGOASTENSIS SACC. 


(Tav. II, fig. 7). 


Testa elongatior, fusulatior, minus conica. 
Alt. 25-110 mm.: Lat. 12-60 mm. 


‘ 1814. Conus antiquus Lk. — BROCCHI, Conch. foss. subapp., pag. 286. 


Astiano: Astigiana (frequentissima). 


Osservazioni. — Passa gradualmente al tipo. Le si avvicina la var. funiculigera 
Fonr., il cui carattere del funicolo suturale credo abbia solo poca importanza. 

Potei constatare l’erronea determinazione del Brocchi esaminando il grosso esem- 
“plare dell’Astigiana che egli classificò come C. antiguus; siccome nella collezione 
Brocchi esiste un solo esemplare così determinato, non vi è dubbio al riguardo. Tale 

Sere Il. Tom. XLIV. c 


18 FEDERICO SACCO 


errore di determinazione ne originò molti altri nei lavori di Sismonda, Bronn, ecc., 
errori che credo inutile citare. Forse il C. ampitus Dr GREG. (1885 — Conch. medit., 
pag. 379) dell’Astigiana è affine a questa forma, ma essendo senza figure non mi 
riuscì di identificarlo. 


L. Mercati var. BALDICHIERI (BoRs.). 
(Tav. II, fig. 8). 


Testa crassa, conica; spira scalariformis; anfractubus omnibus canaliculatis, linea 
impressa distinctis, majori superne subrotundato; basi rugosa (Borson). 
Alt. 71 mm.: Lat. 40 mm. 


1820. Conus Baldichieri Bors. BORSON, Or:tt. piem., pag. 14 (193) — Tav. I, fig. 1. 
1826. . , È fi BONELLI, Catal. m. s. Museo Zool. Torino, n. 585. 
1831. , Baldichierensis Bors. BORSON, Cat. rais. Coll. Min. Turin, pag. 606. 

1842. , Baldichieri Bors. SISMONDA, Syn. meth., 1% ed., pag. 43. 


1847. , D 5 8 SI n 2% ed., pag. 44. 
1848506008 5 3 BRONN, Index paleont., pag. 328. 
1880. , Mercati Bron. DE STEFANI e PANTANELLI, Moll. plioc. Siena, pag. 132. 


1890. , Baldichieri Bors. SACCO, Catal. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4375. 


Astiano: Baldichieri nell’Astigiana (rara). 


OsservazionI. — Sembra solo una varietà di C. Mercatii a spira molto alta; le 
è affinissima la forma Bitneri (H. A.) del Miocene viennese. 


L. MERCATI! var. FUSULOIDEA SACC. 
(Tav. II, fig. 9). 
Testa subfusiformis. Anfractus superne minus angulosi, plus minusve prope suturam 
transversim striolati, parum vel minime subcanaliculati. Spira minus scalarata. 
Alt. 35-125 mm.: Lat. 18-62 mm. 
Piacenziano: Astigiana, Bordighera (alquanto rara). 
Astiano: Astigiana (rara). 


Osservazioni. — Collegasi gradualmente colla var. longoastensis. 


L. MERCATI var. CRASSOVATA SACC. 
(Tav. II, fig. 10). 
Testa aliquantulum crassior, ventrosior, subovata. Spira paullulo depressior. 


Alt. 50-90 mm.: Lat. 30-54 mm. 
Astiano: Astigiana (alquanto rara). 


Osservazioni. — Si collega con passaggi alle var. longastensis e fusuloidea; 
ricorda i Chelyconus. 


L. Mercati var. CAROLI (Fuc.). 
(Tav. II, fig. 11). 
(1891. FUCINI (Conus Caroli). Il Plioc. di Cerreto Guidi, ecc., pag. 14, Tav. II fig. 1). 


Testa minor, gracilior, fusulatior. Spira regularius scalarata. Anfractus superne 
magis angulosi; prope suturam striolati, interdum laeviter subcanaliculati. 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 19 


Alt. 17-35 mm.: Lat. 9-16 mm. 
Tortoniano: Stazzano (rara). 
Piacenziano: Astigiana (frequentissima). 
Astiano: Astigiana (alquanto rara). 


Osservazioni. — Dal Museo geologico di Modena mi vennero inviati esemplari 
di questa forma coll’indicazione: Conus spirillus Dop.- Tortona, ma dubito che proven- 
gano piuttosto dal Piacenziano che non dal Tortoniano di detta regione. 

Probabilmente in parte trattasi solo di forme giovanili del L. Mercatii e delle 
sue varietà fusiformi; infatti in diversi esemplari di L. Mercatii, sia giovani che adulti, 
osservansi sulcature subsuturali, per modo che la var. Carolî essenzialmente rap- 
presenterebbe solo l’accentuamento di tale carattere ornamentale. La forma indicata 
dal De Gregorio (Conch. medit., pag. 363) come C. virginalis var. elgus potrebbe forse 
corrispondere alla forma in esame, ma, trattandosi di un semplice dubbio, non credo 
opportuno accettare tale nome. Si avvicina per diversi caratteri alla var. turricula. 


L. MERCATI var. TURRICULA (BR.). 
(Tav. II fig. 12). 


Testa oblongo-conica, glabra; spira elevata acuta, anfractubus convexis suturam 
prope leviter canaliculatis, arcuatim rugosis, basi sulcata (Brocchi). 


1814. Conus turricula Br. . 7 : BROCCHI, Conch. foss. subapp., II, pag. 288, Tav. II, fig. 7. 
1813. , £ n : 5 - DEFRANCE, Diet. Hist. Nat., tome X, pag. 264. 
1820. , n A ; , b BORSON, Oritt. piemont., pag. 10 (189). 

1826. , © turriculus , 7 3 È RISSO, Hist. Nat. Prod. Eur. merid., pag. 280. 
1829, turricula , ; 3 i MARCEL DE SERRES, Geogn. terr. tert., pag. 127. 
18305005 * 7 A : . BORSON, Cat. Mus. min. Turin, pag. 605. 

1831. .., 5 A E È 7 BRONN, It. tert. Geb., pag. 13. 

1836. , mediterraneus var. . 3 PHILIPPI, Enum. Moll. Siciliae, I, pag. 238. 

1848. ,  mediterraneus Brug. var. . BRONN, Index paleont., pag. 330. 

1868. , a 5 WEINKAUFF, Conch. Mittelmeeres, IL, pag. 147. 
1884. , a I Pornfi iva DE GREGORIO, Conch. medit., pag. 371. 


Piacenziano: Astigiana e Nizzardo (rara). 


Osservazioni. — Sembrami solo una varietà di L. Mercati, a forma un po’ più 
fusoide. Oltre all’esemplare tipico, che credetti opportuno far figurare di nuovo, 
nella collezione Brocchi esistono altri tre individui, di cui due più piccoli, ad anfratti 
superiormente più angolosi, a spira più gradinata; nel complesso parrebbero quasi 
esemplari giovani ed hanno qualche rassomiglianza colla var. Caroli. 


L. MERCATII var. CANALICULATODEPRESSA SACC. 
(Tav. II, fig. 13). 
Spira depressior. Anfractus prope suturam canaliculati, transversim plus minusve 
striolati. 
Alt. 50-137 mm.: Lat. 30-71 mm. 
Piacenziano (rara) ed Astiano (frequente) — Astigiana. 


OsservazIoNI. — A primo tratto parrebbe quasi una specie a sè, ma osservansi 
esemplari diversi che fanno passaggio al tipo. 


20 FEDERICO SACCO 


L. MERCATI var. SUPRAINFLATA SACC. 


(Tav. II, fig. 14). 


Testa maior, crassior. Spira minus acuta, inflatior. Anfractus prope suturam magis 
canaliculati. 

Alt. 90 mm.: Lat. 50 mm. 

Piacenziano: Albenga (rara). 


OsservazionI. — Si collega gradualmente colla var. miocenica, nonchè colla var. 
canaliculatodepressa. 


L. MERCATII var. MIOCENICA SACC. 


Testa maior, crassior. Spira plus minusve depressior. Anfractus prope suturam 
subcanaliculati, transversim plus minusve substriolati. 


Alt. 55-100 mm.: Lat. 25-55 mm. 
1862. Conus Mercatii Br. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. It. centr., pag. 25 (107). 


Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (rara). 


OsservazioNnI. — Pongo a tipo di questa forma la figura data dall’Hoernes (Foss. 
Moll. tert. Beck. Wien — Tav. 2, Fig. 1), non già le fig. 2 e 3 della stessa tavola 
che rappresentano forme assai diverse e che io appello rispettivamente supracom- 
pressa Sace. (Fig. 2) e conicomaculata Sacc. (Fig. 3). 


L. MERCATII var. SUBAUSTRIACA SACCO. 
(Tav. II, fig. 15). 


Testa affinis C. Reussi H. A., sed minus pyriformis. 
Tortoniano: Stazzano (rara). 


Osservazioni. — La forma di Stazzano che ebbi ad esaminare, quantunque rap- 
presentata da un solo esemplare incompleto, sembra avvicinarsi al C. Reussi H. A. 
ed al C. austriacus H. A., che a mio parere rappresentano solo varietà di una stessa 
specie.Questa specie è forse il L. Mercati, eccetto che di queste forme si voglia co- 
stituire una specie a parte, essenzialmente tortoniana. Pure forme alquanto simili 
sembranmi il C. gainfahrensis H. A. ed in parte anche il C. Neugeboreni H. A. 

Credo interessante notare come queste forme ficoidee, direi, tanto frequenti nel 
bacino viennese, sembrino quasi formare passaggio fra il tipo essenzialmente plioce- 
nico del L. Mercatii e quello, specialmente miocenico, del L. antiquus. 

Riguardo al tipo del L. Mercatii, forse gli si potrebbero ancora raggruppare 
attorno il L. pseudaldrovandi Sacco (1889 — Conus Aldrovandi Br. — R. Hoernes 
u. Auinger — Gast. I u. II Mioc. Med. stufe — Tav. IV, Fig. 2), il L. Karreri H. A. 
(id. — Tav. IV, Fig. 7, non L. Hoernesi Dop. = C. Aldrovandi Br. figurato da Hoernes 
in: Foss. Moll. tert. Beck. Wien — Tav. I, Fig. 2), il L. ungaricus H. A., il L. Fuchsti 
H. A., ecc. 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 21 


L. MERCATI var. TAUROMAXIMA (an species distinguenda ?) SAcc. 
(Tav. II, fig. 16). 

Testa affinis C. Reussi H. À., sed major, superne rapide inflata, potius quam regu- 
lariter ficoides. Spira depressior, sulculellis transversis destituta. 

Alt. 150 mm.: Lat. 88 mm. 

Elveziano: Colli torinesi (rara). 

OsseRvaAZIONI. — À primo aspetto parrebbe un vecchio L. antiquus, ma l'esame 
della spira fa riconoscere che esso collegasi meglio col C. Reussi H. A. e colla var. 
subaustriaca. Potrebbe forse considerarsi come una specie a sè, di cui la var. compres- 
sicauda sarebbe una varietà. 


L. MERCATI var. COMPRESSICAUDA SACC. 
(Tav. II; fig. 17). 
Testa affinis var. tauromaxima sed: minor; spira elatior, subscalarata; regio cau- 
dalis valde constricta. 
Alt. 75 mm.: Lat. 45 mm. 
Eeziano: Colli torinesi, Sciolze (alquanto rara). 


L. MERCATI var. ACANALICULATA SACC. 
(Tav. II fig. 18). 
Spira depressior. Anfractus superne prope suturam depressiores, subplanati, non 
canaliculati. 
Alt. 30-90 mm.: Lat. 12-50 mm. 
Tortoniano: Stazzano (rara). 
Piacenziano: Astigiana, Savona Fornaci, Zinola (non rara). 
Astiano: Astigiana (rara). 
Osservazioni. — Presenta passaggi alla var. canaliculatodepressa; però il suo 


carattere principale si riscontra in forme alquanto diverse, cioè alcune un po’allun- 
gate ed altre un po'rigonfie. 


LirHoconus susacuMINATUS (D’ORB.). 
(Tav. III, fig. 1). 
Testa conica, acuminata; spira planiuscula, filo vel fune marginali, striisque circu- 


laribus eleganter distineta; apice exerto; basi subsulcata (Borson). 
Alt. 55-130 mm.: Lat. 25-65 mm. 


1798. Volutites n. 5. BORSON, Ad. Oryct. ped. Auct., pag. 176. 

1820. Conus acuminatus Bors. A Oritt. piemont., pag. 15, Tav. I, fig. 2. 

1830. |, 5 È Di Cat. Colli min. Turin, pag. 

1847. , DI n SISMONDA, Syn. meth., 2° ed., pag. 43. 

1847. » bisulcatus Bell.e Micht. (pars) hi È ù ni AMICLE 

1848. , acuminatus Bors. BRONN, Index paleont., pag. 328. 

1852. , subacuminatus D’Orb. D’ORBIGNY, Prodr. pal. strat., III, pag. 56. 

1852. , bisulcatus Bell. e Micht. (pars) 2 7 5 Lo iripags Al 

1862. , acuminatus Bors. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Italia centr., pag. 25 (107). 
1890. , subacuminatus D'Orb. SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piem., n. 4367. 


1890. , acuminatus Bors. var. 5 È si n im 5497, 


22 FEDERICO SACCO 


Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (non rara). 

Astiano: Astigiana (rarissima). 

Osservazioni. — Il nome del Borson non può essere conservato, perchè già usato 
anteriormente dal Bruguière (1789). 

Gli esemplari esaminati erano classificati alcuni come C. antiquus, altri come 
C. tarbellianus, altri come C. ponderosus, molti però erano indeterminati. Fortunata- 
mente trovai nella collezione Borson l'esemplare tipico figurato, che credo opportuno 
far rifigurare. 

Fuori del Piemonte questa bella specie venne generalmente determinata come, 
C. tarbellianus GrAT. A mio parere tale riferimento è erroneo, poichè il C. tarbdellianus 
credo sia invece riferibile al L. antiquus Lx., come risulta dalle figure e dai paragoni 
del Grateloup. Quanto alle forme figurate dal M. Hoernes come 0. tarbellianus, esse 
sono probabilmente riferibili, come var. epellus De GrEa. (Tav. IV, Fig. 1), al L. Mercati; 
qualche cosa di simile deve ripetersi per la figura data da R. Hoernes ed Auinger 
(Tav. V, Fig. 1). Invece le forme riferite dal Da Costa al C. tardellianus sono in ge- 
nerale veri L. subacuminatus, come risulta nettamente dalla Fig. 1 di Tav. VII del 
noto lavoro “ Gast. dep. terc. Portugal — 1863 ,. Nel miocene (probabilmente. torto- 
niano) del Portogallo questa specie sembra raggiungere dimensioni veramente colossali 
(mm. 185 X 90 circa); tali esemplari vennero indicati dal De Gregorio come var. 
grolpus. 

Il L. subacuminatus è facilmente distinguibile dalle forme affini, specialmente col- 
l'esame della spira, giacchè quivi gli anfratti sono profondamente scanalati, regolar- 
mente e fortemente solcati, distinti da una sutura assai ampia, coi due margini quasi 
eguali, ecc. 

È notevole come questa specie, essenzialmente tortoniana, siasi ancora continuata 
sino all’Astiano, come risultami dall’unico esemplare, gigantesco, proveniente dalle 
sabbie gialle dell’Astigiana e che fa parte della Collezione Borson. Talora gli indi- 
vidui di questa specie sono alquanto meno stretti superiormente che non quello tipico. 
La forma tipica passa gradualmente alle seguenti varietà. 


L. SUBACUMINATUS var. CONOIDOSPIRA SACC. 
(Tav. III, fig. 2). 
Spira regularius conica, non subexcavata et in regione centrali fortiter elato-mucro- 


nata sicut in specie typica. 
Tortoniano: Stazzano, Montegibbio (rara). 


Osservazioni. — Forse trattasi di individui non completamente adulti; forme 
simili vediamo figurate dal Da Costa. 


L. SUBACUMINATUS Var. SUBPYRULATA SACC. 


(Tav. III, fig. 3). 


Testa superne inflatior, subpyriformis. Spira regularius conica. 
Tortoniano: Sogliano (rara). 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 23 


L. SUBACUMINATUS Var. SUBAMARGINATA SACC. 
(Tav. III, fig. 4). 


In regione supera anfractuum, margo externus canalis depressus, suboblitus. 
Tortoniano: Stazzano (rara). 


L. SUBACUMINATUS ? Var. TAUROCONNECTENS SACC. 
(Tav. III, fig. 5). 

Testa magna. Spira inflatior, in regione centrali minus elato-mucronata; striae 
spirales parvuliores, numerosiores, in anfractu ultimo suboblitae. 

Ebeziano: Albugnano (rara). 

OsservaziIoNnI. — Potrebbe forse considerarsi come una specie a parte che col- 
lega il L. ineditus ed il L. antiquus al L. subacuminatus, ma occorrono altri rinveni- 
menti per rischiarare la questione. A primo tratto ricorda il L. antiquus var. elato- 
canaliculata. 


LiTtHOCONUS ANTIQUUS (LK.). 
(Tav. II, fig. 6, 7). 


C. Testa turbinata, superne dilatata, basi obsolete rugosa; spira plana, subcanali- 
culata; labro arcuata (Lamarck). 
Alt. 8-85-120 mm.: Lat. 4-48-65 mm. 


1810. Conus antiquus Lk. LAMARCK, Ann. Mus. Hist. Nat., vol. 15, pag. 439 (pars). 
T8l4 00, a " BROCCHI, Conch. foss. subapp., Il, pag. 268. 

MEA 1 A DEFRANCE, Diet. Hist. Nat., tome X, pag. 263 (pars). 

1820. ., virgo? Linn. BORSON, Oritt. Piemont., pag. 14 (193). 

1820. , virginalis? Br. È a 0134192). 

1827. , antiquus Lk. BONELLI, Cat. m. s. Mus. Zool. Torino, n. 3652, 3662, 3663, 3673. 
1830. , vîrgo? Linn. BORSON, Cat. Mus. min. Turin, pag. 606. 

1830. , virginalis? Br. È si n s fi Ti6005, 

1831. , antiquus Lk. BRONN, It. tert. Gebild., pag. 13. 

1842. , b: z SISMONDA, Syn. meth., 1% ediz., pag. 43 (pars). 

1845. , È È DESHAYES in LAMARCK, Hist. Nat. An. s. vert., tom. XI, p. 153. 
1847. , 5 5 SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 44. 

184, > si MICHELOTTI, Foss. terr. mioc., pag. 342. 

1847. , mediterraneus Brug. var.? BRONN, Index paleont., pag. 328, 330. 

1852. , antiquus Lk. D’ORBIGNY, Prodr. Paleont. strat., III, pag. 57. 

TTAIOSNE Ta n LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 62. 

8908 SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piemonte, n. 4373. 
inlisgiscsti COLg! var. producta Myl.MYLIUS, Forme ined. di Moll. mioc., pag. 8, fig. 2. 


Ebeziano: Colli torinesi, Sciolze, Baldissero, Albugnano, ecc. (frequentissima). 


OsseRvaZzIONI. — Per mancanza di figura questa bella e caratteristica specie 


venne finora generalmente o ignorata o male interpretata. Così il Brocchi le riferì 


esemplari di C. Mercati, il Borson ne attribuì vari individui al C. virgo ed i giovani 
al C. virginalis, il Bronn credette trattarsi di una varietà di C. mediterraneus. Il Gra- 
teloup diede del C. antiguus una figura che non corrisponde affatto alla descrizione del 


. Lamarck e che anzi appartiene ad un gruppo diverso; invece non conoscendo il vero 


L. antiquus egli costituì di questa forma una specie nuova: C. tardellianus, che quindi 


24 FEDERICO SACCO 


credo debba cadere in sinonimia del primo; tale errore del Grateloup venne poi con- 
tinuato dall’ Hoernes, dal Neugeboren, dal Da Costa, ecc., e produsse una grande 
confusione, tant'è che vediamo molti autori citare il C. antiquus, che è essenzialmente 
elveziano, sia nel miocene che nel pliocene. 

Il L. antiquus potrebbe forse considerarsi come il progenitore più o meno diretto 
del L. Mercatii, specialmente delle sue varietà austriaca, eatarbelliana , canaliculato- 
depressa, ecc.; si distingue però specialmente, almeno in linea generale, per essere quasi 
sempre più ficoide-clavato, più stretto nella parte caudale, e perchè il canale che 
presentano gli anfratti (quasi solo l’ultimo o gli ultimi) nella regione spirale è più 
largo ed a margine esterno più stretto, più rapidamente rialzato e quindi più indi- 
vidualizzato, direi; inoltre per lo più gli anfratti nella regione spirale centrale sono 
appiattiti, non canalicolati, ben poco od anche per nulla scalarati. 

Finora di questa specie si conobbero solo gli esemplari adulti, mentre i giovani 
furono attribuiti a specie diverse; il Grateloup, per esempio, figurò un individuo 
giovane come C. tarbdellianus var. virginalis Br. (Conch. terr. tert. Adour — Tav. 43, 
Fig. 8); così pure il Borson li determinò come C. virginalis Br. Alla forma in esame 
deve pur forse collegarsi la var. splendens GrAT.; noto al riguardo come ben diverse 
sono le forme indicate dal Da Costa sotto questo nome nel suo lavoro “ Gastr. tere. 
Portugal , per cui credo doverle indicare con nuovi nomi, cioè exsplendens.Sacc. 
(per le forme di Tav. VII) e postsplendens Sacc. (per le forme di Tav. VII). 


L. ANTIQUUS var. WreaATLEYI (MicHT.). 


Testa parva, turbinato-conica, transversim sulcata; sulcis parallelis distinetis, aequa- 
Libus, ubique conspicuis; spira producta, acuta; anfractibus subplanatibus, superne striatis 
(Michelotti). 


Alt. 15-40 mm.: Lat. 8-20 mm. 


1847. Conus Wheatleyi Micht. MICHELOTTI, Descript. Foss. mioc., pag. 339, Tav. XIII, fig. 18. 


1847. , A 5 SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 44. 
1852000 È Ù D'’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 57. 
1890. , Li 3 SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piem., n. 4403. 


Ebeziano: Colli torinesi, Sciolze, Albugnano, Baldissero (non rara). 


OsservAZIONI. — A primo tratto non solo ritenni questa forma come una buona 
specie, ma parvemi riferibile ai Rhizoconus, rassomigliando assai per esempio al 
R. monile Brue. In seguito però ricercando gli esemplari giovani del L. antiquus 
venni a riconoscere la rassomiglianza grandissima che essi hanno colla forma in esame, 
la quale in complesso potrebbe forse solo ritenersi come uno stadio giovanissimo del 
C. antiquus. Sembrami affine a questa forma la Mitra peregrinula Mav. 


Subvar. PERmucronATA Sacc. (Tav. III, fig. 8). — Spirae aper permucronatus. 
Ebeziano: Colli torinesi (non rara). 
Subvar. PERANGULATA Sacc. (Tav. III, fig. 9). — Testa superne latior, perangulata. 


Eeziano: Colli torinesi, Baldissero (non rara). 


ET E AA EE 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 25 


L. ANTIQUUS Var. PLANOSPIRA (GRAT.). 
(1840. GRATELOUP (C. tardellianus var. planospira). Conch. foss. Bass. Adour., PI. 43, fig. 2). 


Spira depressior, subplana (parum vel non subcanaliculata), exceptis anfractibus 
imitialibus elatis. 
Elveziano: Colli torinesi (non rara). 


L. ANTIQUUS var. CONCAVESPIRA SACC. 
(Tav. III, fig. 10). 


Spira valde depressior, planoconcava, vix apice subelata. 
Eeziano: Colli torinesi (alquanto rara). 


L. ANTIQUUS var. PERCANALICULATA SACC. 


(Tav. II, fig. 11). 


Spira, excepta regione apicali, canaliculata. 
Elveziano: Colli torinesi, Sciolze, Baldissero (frequente). 


L. ANTIQUUS Var. ACANALICULATA SACC. 


(Tav. III fig. 12). 


In regione spirae anfractus, etiam ultimus, subplanati non canaliculati. 

Elveziano: Colli torinesi, Sciolze, Baldissero (frequente). 

Osservazioni. — Si tratta di un carattere giovanile che talora persiste anche 
allo stato adulto. 


L. ANTIQUUS Var. ELATOCANALICULATA SACC. 


(1840. GRATELOUP (C. tardellianus var. d.). Conch. terr. tert. Bass. Adour., PI. 45, fig. 23). 


Spira elatior, interdum subinflatula; fere usque ad regionem apicalem subcanaliculata. 
Elveziano: Colli torinesi, Sciolze (non rara). 
Osservazioni. — Collegasi gradualmente col tipo e con alcune varietà (percana- 


liculata, elatospirata, ecc.) del L. antiquus, ma presenta pure qualche rapporto col 
L. subacuminatus. 


L. ANTIQUUS Var. SUBSCALARATA SAcc. 
(1840. C. intermedius — GRATELOUP, Conch. terz. tert. Bassin Adour., PI. 44, fig. 22). 


Spira elatior, plus minusve scalarata. 

EWeziano: Colli torinesi (non rara). 

Osservazioni. — Si collega gradualmente colle var. elatocanaliculata ed elatospirata; 
gli esemplari che presentano più spiccato il carattere della gradinatura (come per 
esempio quello disegnato dal Grateloup) sono generalmente individui alquanto anomali. 

Serie II. Tom. XLIV. D 


26 FEDERICO SACCO 


L. ANTIQUUS Var. ELATOSPIRATA SACC. 
(Tav. III, fig. 13). 


Spira plus minusve elatior, non scalarata, subconica. 


Elveziano: Colli torinesi, Sciolze, Baldissero, Albugnano (frequentissima). 
Osservazioni. — Rappresenta in complesso la persistenza del carattere giovanile 
nell’adulto. La spira talora è conica fino alla sua parte periferica, talora invece, e 


più comunemente, essa diventa quivi meno inclinata; inoltre essa è assai variabile 
nel suo grado di conicità. 


L. ANTIQUUS var. PERELATOSPIRA SACC. 
(Tav. III, fig. 14). 


Spira elatissima, conica, anfractus in regione spirae interdum trasversim striolati. 
Elveziano: Colli torinesi (alquanto rara). 
Osservazioni. — E una esagerazione, direi, della var. elatospirata. 


L. ANTIQUUS var. ELONGATISSIMA SACCO. 
(Tav. III, fig. 15). 


Testa plus minusve elongatior; cauda longo-gracilior. Spira elatior. 

Alt. 58-77 mm.: Lat. 28-33 mm. - 

Elveziano: Colli torinesi (alquanto rara). 

Osservazioni. — Forse trattasi di individui anomali piuttosto che di vere varietà. 


Subvar. pLanopeRLoNca Sacc. — Spira depressior, subplanata (Alt. 60. mm.: 
Lat. 30 mm.) 
Ebeziano: Colli torinesi (rara). 


LirBoconus InEDITUS (MIcHT.). 
(Tav. III, fig. 16, 16 dis). 


Testa turbinato-conica, spira acutiuscula, anfractibus angustis, angulatis, superne 
leviter circumcincter striato-impressis, ultimo regulariter. conoideo, ad apicem tenuiter 
atque oblique striato; apertura angusta; labro tenui, simplici, superne emarginato 
(Michelotti). 

Alt. 12-90 mm.: Lat. 6-47 mm. 


1861. Conus ineditus Micht. MICHELOTTI, KH. Mioc. inf. Italie septentr., pag. 105, Tav. XI, fig. 11, 12. 
189005 È do SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4864. 


Tongriano : Cassinelle, Cosseria, Dego, Mornese, Carcare, Carpeneto, Pareto, 
S. Giustina, Sassello, Mioglia, ecc. (frequente). 


OsservazionI. — L’esemplare tipico figurato del Michelotti è giovane. Gli adulti si 
presentano meno regolarmente conici, cioè sono più o meno notevolmente rigonfi nella 
parte superiore, come nel L. antiquus; inoltre nella regione della spira gli anfratti 
sono più profondamente canalicolati per il notevole rialzarsi del bordo esterno. Nella 
parte ventrale superiore dei penultimi anfratti degli esemplari adulti sovente si os- 


I MOLLUSCHI DEI TERRENÌ TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 27 


serva una depressione o gradinatura trasversa che scompare però sempre nell’ultimo 
anfratto; nel caso se ne volesse costituire una varietà, ciò che non sembrami oppot- 
tuno, essa dovrebbe appellarsi var. depressa (Micat.), poichè il Michelotti, che osservò 
tale carattere proponeva (nel caso lo si riconoscesse costante in queste forme) di 
trarne il nome di C. depressus. Come esemplare adulto figuro appunto (fig. 16 dis), 
quello di cui parla il Michelotti nell’ultimo periodo della descrizione del C. ineditus, 
dicendolo lungo 65 mm. e dubitando doversi appellare C. depressus. 

Questa specie presenta molti punti di contatto coll’eocenico L. diversiformis (DrsA.), 
da cui potrebbe derivare, nonchè col L. antiquus e col L. subacuminatus che ne po- 
trebbero essere le forme più o meno direttamente derivate. 


L. INEDITUS Var. ASTRIOLATA SACC. 


(Tav. III, fig. 17). 


Testa plerumque parva. Anfractus in regione spirae cingulo externo et striolis 
transversis destituti. 

Alt. 20-45 mm.: Lat. 11-22 mm. 

Tongriano: Sassello, S. Giustina, Pareto, Dego, Cassinelle (frequente). 


Osservazioni. — Trattasi per lo più di esemplari giovani, a spira più o meno 
elevata, spesso declive, scalarata o no, quasi sempre senza il cingolo esterno, con 
semplici traccie, oppure mancanti affatto, delle striole trasverse di ornamentazione; 
talora tali strie della regione spirale quando sono poco accentuate scompaiono colla 
fossilizzazione. 


L. INEDITUS Var. ASCALARATOSPIRA SACC. 
(Tav. III fig. 18). 
Anfractus in regione spirali fere acanaliculati, non scalarati, cingulo elato externo 
fere destituti. 
Tongriano: Cassinelle (alquanto rara). 


L. INEDITUS Var. JUVENODEPRESSA SACC. 
(Tav. III, fig. 19). 
Testa pierumque minor. Spira depressior, subplanata (excepta regione centrali elata, 
saepe mucronata). 


Alt. 15-50 mm.: Lat. 8-26 mm. 
Tongriano: Cassinelle, Carcare, Mioglia, Sassello (frequente). 


Osservazioni. — Ricorda alquanto il L. Wheatlegi (Micum.), e, come quello, 
credo si tratti essenzialmente di esemplari giovani. 


L. INEDITUS Var. LONGISPIRATA SACC. 
(Tav. III, fig. 20). 


Spira elatior, plus minusve scalaratior. 


28 FEDERICO SACCO 


Tongriano: Cassinelle, Carcare, Carpeneto, Dego, Mioglia, Sassello, Pareto 
(frequente). 


Osservazioni. — Collegasi gradualmente colla ‘specie tipica. 


L. INEDITUS Var. PAGODAEFORMIS SACC. 
(Tav. III, fig. 21). 
Testa plerumque elongatior, magis fusiformis; spira elatior, pagodaeformis. 


Alt. 80-115 mm.: Lat. 40-50 mm. 
Tongriano: Pareto, Mioglia, Dego (non rara). 


L. INEDITUS Var. CONVEXOSPIRATA SACC. 


(Tav. III, fig. 22). 


Spira elatior, inflatior, subconvera. 


Tongriano: Dego, Cassinelle (alquanto rara). 


L. INEDITUS Var. PERPRODUCTA SACC. 


(Tav. III, fig. 23). 


Testa elongatior, aliquantulum constrictior. 


Alt. 40-50 mm. Lat.: 18-22 mm. 
Tongriano : Pareto, Carcare, Dego (non rara). 


L. INEDITUS Var. FUNGIFORMIS SACC. 


(Tav. III fig. 24). 


Testa crassa, superne rapide inflata, clavata; spira elatior, subconvexa. 


Alt. 90? mm.: Lat. 60 mm. 
Tongriano: Pareto (rara). 


LrtBoconus? parvicaupaTUs SAcc. 


(Tav. III, fig. 25). 


Testa subconica în regione caudali rapide imminuta; spira conica, mediocriter celata, 
non vel minime scalarata. Anfractus, ultimus praecipue, in regione spirae plus minusve 
subcanaliculati, in regione ventrali media caudam versus rapide imminuti, in regione 
caudali subgraciles; in regione spirae maculis latis subregularibus, in regione ventrali 
et caudali macularum seriebus regularibus subrectilineis transversis, interdum ornati. 
Apertura obliqua, subconstricta. 

Alt. 25-50 mm.: Lat. 15-27 mm. 

Elveziano: Colli torinesi, Sciolze (non rara). 


Attualità 


Astiano 


Piacenziano 


Tortoniano 


Elveziano 


Tongriano 


Bartoniano 


Parisiano 


FEDERICO SACCO 


L. Mercatiù e var. 


L. Mercatiù e var. 


L. Mercati var. 


L. Mercati ? var. 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 


29 bis 


Quadro comparativo dei LITHOCONUS 


cincta 
elongatofusula 
longoastensis 
Baldichieri 
fusuloidea 
crassovata 

Caroli 
canaliculatodepressa 


\ acanaliculata 


Aldrovandi 
depressulospira 
funiculigera 
fusuloidea 

Caroli 

turricula 
canaliculatodepressa 
suprainflata 
acanaliculata 


Caroli 
miocenica 
subuustriaca 
acanaliculata 


tauromaxima | 
compressicauda \ 


— ? — L. antiquus e var. 


i Wheathley 
planospira 
concavospira 
percanaliculata 
acanaliculata 
elatocanaliculata 
subscalarata 
elatospirata 
perelatospira 

\ elongatissima 


/ 


L. litteratus — L. millepunctatus, ecc. 


L. subacuminatus 


conoidospira 
subpyrulata 
subamarginata 


L. subacuminatus e var. 


— ? — L. subacuminatus ? var. tauroconnectens 


astriolata 
ascalaratospira 
juvenodepressa 
| longispirata 
) pagodaeformis 
convexospirata 
perproducta 
| fungiformis 


L. ineditus e var. 


L. diversiformis 
| 
| 


L. Cossoni — L. conotruncus — L. derelictus — Lithoconus diversiformis e var. sauridens 


4 


; IGNARI È, 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 29 


OsservazIONI. — Questa forma si avvicina assai per alcuni caratteri allo Stephe- 
noconus Bredai per modo che quasi ne parrebbe una varietà senza tubercoli; d’altra 
parte si accosta pure moltissimo ad alcune varietà del Chelyconus avellana, per modo 
che, anche in considerazione del mediocre stato di conservazione dei fossili, rimango 
per ora alquanto incerto nella determinazione della forma in esame. Quanto alle 
colorazioni che appaiono in alcuni esemplari esse sembrano avvicinare questa forma 
ai Lithoconus, ricordando ad esempio quella del L. litteratus; ma quando mancano i 
colori, variando molto i caratteri di forma, i limiti di questa variabilissima specie 
divengono assai incerti. 


L. PARVICAUDATUS Var. TURBINATISSIMA SACe. 
(Tav. II, fig. 26). 


Testa turbinatior, subclaviformis; cauda constrictior. 
Elveziano: ‘Colli torinesi (alquanto rara). 


L. PARVICAUDATUS Var. TAUROTESSELLATA SACC. 
(Tav. III, fig. 27). 


Testa aliquantulum fusulatior. Anfractus superne subcanaliculati; maculis eviden- 
tioribus ornati, duobus fasciis subochraceis, una in regione ventrali et una in regione 
caudali, muniti. 

Elveziano: Sciolze (rara). 


OsseRvazionI. — Si tratta di un esemplare a colorazione assai ben conservata 
e che ricorda molto, per le due fascie trasverse, il vivente L. tessellatus, ciò che ac- 
cresce l'affinità della forma in esame ai veri Lithoconus. 


30 FEDERICO SACCO 


Sottogen. LEPTOCONUS Swanson, 1840. 


Quantunque questo sottogenere comprenda tuttora forme assai diverse e che 
dovranno in seguito collocarsi in sottogeneri diversi, tuttavia nel complesso esso 
presenta caratteri tali da inglobare parecchie specie fossili. 


Leproconus BroccHI (BRoNn.). 


(Tav. IV, fig. 1). 


Alt. 7-65 mm.: Lat. 3-22 mm. 


1814. Conus deperditus Brug. BROCCHI, Conceh. foss. subap., Il, pag. 292, Tav. III fig. 2. 
1820... 3 ta A BORSON, Or:tt. piem., pag. 12 (191). 

IP 5 5 BASTEROT, Buss. tert. S. O. France, pag. 39. 

1826..(01 7 Ti RISSO, Mist. Nat. Europe mér., IV, pag. 230. 

1826... È È BONELLI, Catal. m.s. Museo zool. Torino, n. 576. 
{S2A008 È, 73 SASSO, Saggio geol. Bac. terz. Albenga, pag. 482. 

182990000 S ; DE SERRES, Géogn. terr. tert., pag. 127. 

183100068 3 s (pars)  BRONN, It. tert. Geb., p. 12. i 

1891, Brocchi Bronn BRONN, It. tert. Gebild., pag. 12. 

632000065 I D CRISTOFORI e JAN, Cat. Conch. foss. univalvi, pag. 15. 
1837. ,  deperditus Brug. PUSCH, Polens Palaeontologie, pag. 115. 

133800: 5 ; MICHELOTTI, Geogn. cool. Ansicht tert. Bild. Piemonts, pag. 397. 
NASA x È SISMONDA, Syn. meth., 1* ed., pag. 43. 

1843. , Brocchi Bronn. NYST, Coqu. et Polyp. foss. Belg., pag. 584. 

1847. , 5 1 SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 44. 

1847. , 3 È MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 337. 

1848... 3 Ò BRONN, Index paleont., pag. 328. 

1852. Li A D’ORBIGNY, Prodr. pal. strat., III, pag. 171. 

1863. , 7 ci COCCONI, Enum. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 153. 
Lett RE 3 ; FONTANNES, Moll. plioc. Rhòne, pag. 149. 

1384. , canal. forma Brocchii Br. DE GREGORIO, Studi Conch. medit., pag. 360. 

MESIA o Brocchi Bronn TRABUCCO, Foss. Bac. plioc. R. Orsecco, pag. 19. 
L89000 È Si SACCO, Cat. pal. Bac. tert. Piemonte, n. 4382. 


Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo, Rocca d’Arazzo, R. Orsecco; Piacentino; 
Zinola, Albenga, Bordighera, Nizzardo (frequentissima). 

Astiano: Astigiana, Piacentino (alquanto rara). 

Osservazioni. — Nella collezione Brocchi, oltre all’esemplare tipico (la cui figura 
nella tavola del lavoro del Brocchi non è fra le più riuscite), evvi ancora un altro 
esemplare identico al primo e proveniente dal Piemonte. 

Nella collezione Michelotti trovai 5 esemplari di questa specie coll’indicazione: 
“ S. Maria Stazzano , il che indicherebbe una provenienza tortoniana, ma dubito 
trattisi di un errore, sia perchè nell'esame di oltre 100 esemplari di ZL. Brocchi 
di varie località e di diversi Musei, constatai essere essi tutti di provenienza plio- 
cenica, sia perchè anche i 5 esemplari in questione per la natura del materiale che li 
riempie sembrano derivare pure dal pliocene. Î 

Gli autori, come il Borson, il Sismonda, ecc., i quali indicarono il C. deperditus 
come trovato nel Miocene torinese, si riferivano ad esemplari di L. Allioni. 


“ 


0% RE 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 31 


L. BROCCHII ? var. EXCANALICULATA SACC. 


Testa pyramidalis, transversim striata, spira conica, anfractubus ommibus canali- 
culatis, basi sulcata (Brocchi). 


1814. Conus canaliculatus Br. BROCCHI, Conch. foss. subapp., pag. 636, Tav. XV, fig. 28. 


1820. , 5 L BORSON, Oritt. piem., pag. 17 (196). 

1831. .c3 4 3 b Cat. Coll. min. Turin, pag. 606. 

LIO SS a È BRONN, Ital. tert. Gebild., pag. 12. 

1845. |, a s LAMARCK, Hist. Nat. An. s. vert., XI, pag. 159. 

1848. , > È BRONN, Index paleont., pag. 329. 

18730000 n z COCCONI, Enum. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 154. 
IS 19900 È. n FISCHER et TOURNOUER, Invert. foss. M. Leberon, pag. 127. 
1884. , 5 È DE GREGORIO, Studi Conch. medit. viv. e foss., pag. 359. 


Piacenziano : Piacentino (rara). 

Astiano: Valle d’Andona, Piacentino (rara). 

Osservazioni. — Questa forma parrebbe riferibile al gruppo del L. Brocchi, se 
pure non è un esemplare giovane di qualche altra forma; ma non avendo trovato 
l'esemplare tipico nella collezione Brocchi non riescii a chiarire la cosa. Il nome 
canaliculatus devesi abbandonare già esistendo sin dal 1795 un Conus canaliculatus 


CHEMN. 


L. BROCCHII var. ANTEDILUVIANOIDES SACC. 
(Tav. IV, fi. 2). 
Spira interdum aliquantulo longior. Funiculum (in angulo spirae situm) plus 
minusve granulatum vel subgranulatum; sub funiculo striolae, 1 vel 2, plus minusve 


evidentes. 
Piacenziano : Astigiana, Piacentino, Zinola, Albenga, R. Torsero, Bordighera 


(non rara). 

Osservazioni. — Passa gradatissimamente al tipo. È interessante poichè sembra 
indicarci una regolare transizione fra il gruppo del C. Brocchii e quello del C. ante- 
diluvianus, per modo che la loro separazione in due sottogeneri differenti appare 
alquanto arbitraria. Accenniamo però come nel complesso le forme che appartengono 
al gruppo del C. antediluvianus, oltre ai noti caratteri differenziali, si presentino per 
lo più leggermente inflate ed a granulazioni più grosse che non quelle del gruppo 
del L. Brocchi. 


L. BROCCHII var. FUSULOSPIRATA SACC. 
(Tav. IV, fig. 3). 
Testa elongatior, fusulatior; spira elatior, aliquantulum gracilior. 
Alt. 34-38 mm.: Lat. 14-16 mm. 
Piacenziano: Astigiana, Piacentino, Albenga, Bussana (non rara). 


OssERvAZIONI. — Passa insensibilissimamente al tipo. 


L. BROCCHI var. CRASSOSPIRATA SACC. 
(Tav. IV, fig. 4). 
Testa interdum crassior, latior. Spira minus elata, crassior, saepe minus fortiter 
scalarata. 


32 FEDERICO SACCO 


Alt. 17-67 mm.: Lat. 8-33 mm. 

Piacenziano: Astigiana, Piacentino, Zinola, Albenga, R. Torsero, Bordighera 
(abbondantissima). 

Astiano: Astigiana, Piacentino (non rara). 


Osservazioni. — È più frequente del tipo al quale si collega graduatissima- 
mente. Non pochi esemplari presentansi colla spira bassa ma sono assai scalarati im 
modo da far passaggio alla var. bdrevidepressula. 


L. BROCCHII var. BREVIDEPRESSULA SACC. 
(Tav. IV, fig. 5). 
Testa brevior. Spira depressior. 


1890. Conus Brocchii Bronn. — DELLA CAMPANA, Pliocene Borzoli, pag. 27. 


Piacenziano: Borzoli, Bussana (alquanto rara). 

OsservazIoNI. — Esistono esemplari che formano passaggio graduale al tipo. Si 
avvicina assai per la forma complessiva al L. Allionii, distinguendosene pel funicolo 
meno tagliente, più rotondeggiante, per essere gli anfratti alquanto più ventricosi, ecc. 


Leproconus ALuionn (MIcHT.). 
(Tav. IV, fig. 6). 
Testa turbinata, conica, laevigata; basi striata; spira plus minusve producta, sca- 


lariformi; apertura angusta; labro arcuato, superne profunde emarginato (Michelotti). 
Alt. 15-30 mm.: Lat. 7 !/x-17 mm. 


1818. Conus deperditus Lk. DEFRANCE, Diet. Hist. nat., tome X, pag. 261. 

1820... 5 Brug. BORSON, Orittogr. piemont., pag. 11, 12. 

1820: % Di BONELLI, Cat. m. s. Museo Zool. Torino, n. 3661. 

T8301 0 È di BORSON, Cat. Coll. Musée min. Turin, pag. 605. 

1842. , È Ù SISMONDA, Syn. meth., 1% ed., pag. 43. 

1847. ., Allioni Micht. MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 338, Tav. XVII, fig. I7. 
1847. , 3 fi SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 43. 

1852... È Lo D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 56. 

18720 =, P È KOENEN, Mioc. Nord-Deutschl. u. seine Moll. Fauna, pag. 214. 
1890008 Ù 2 SACCO, Cat. pal. Bac. terze. Piemonte, n. 4369. 


Elveziano: Colli torinesi, Baldissero (frequente). 


Osservazioni. — Riguardo a questa specie dobbiamo osservare anzi tutto come 
le cifre date dal Michelotti riguardo alle sue dimensioni non corrispondano affatto 
a quelle che mostra la figura presentata, mentre questa meglio collima colle dimen- 
sioni date per il C. discors (che credo sia una varietà della specie in esame); ma 
siccome il O. Allionii è descritto prima del C. discors, e ne è data una buona figura, 
così non dubito di accettare il C. Allionii come specie tipica. Inoltre è notevole come 
a tipo, che dobbiamo perciò conservare come tale, del C. Allioni venne figurato un 
esemplare il quale rappresenta quasi un’ultima modificazione (a spira depressa) di una 
forma che ha, molto più comunemente, una spira abbastanza regolarmente conica e 
che con modificazioni nel senso opposto, cioè nell’elevazione della spira, giunge sino 


nicizie re stesi di; 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 33 


alla forma che il Michelotti appellò C. oblitus ; cioè il Michelotti costituì due specie 
sopra due forme tra loro ben distinte, ma che a mio parere rappresentano le ultime 
modificazioni, in senso opposto, di una stessa specie; quindi nè saprei trovare un 
carattere specifico distintivo delle due forme, nè mi parrebbe perciò logico costituirne 
due specie diverse, nello stesso modo come non sarebbe naturale elevare al grado 
di specie le var. brevidepressula e fusulospirata del L. Brocchii. 

D'altronde lo stesso Michelotti sembra essersi convinto di ciò, giacchè nella sua 
collezione gli esemplari di C. AMionii, C. discors e C. oblitus, trovavansi ora riuniti 
assieme. Il C. Allionii ha la precedenza come specie tipica perchè nel lavoro è de- 
scritto al N. 4 (pag. 338), mentre il C. oblitus trovasi al N. 8 (pag. 340). 


Anom. comPrEssuLa Sacco. — Spira depressior. 
Eleziano: Colli torinesi (rara). 
Anom. SEMISCALARATA Sacc. — Anfractus in regione centrali et media spirae sca- 


larati, in regione externa spirae non scalarati, regulariter declives, funiculo subdestituti. 
Elveziano: Colli torinesi (non rara). 


L. ATLIONIT ? var. GRANULOCATENATA SACC. 
(Tav. IV, fig. 7). 

Testa plerumque minor. Spira plus minusve elatior. Anfractus in regione caudali 
et interdum in regione ventrali sertis granularibus ornati. 

Alt. 8-20 mm.: Lat. 4 !/,-10 mm. 

Elveziano : Colli torinesi (non rara). 

Osservazioni. — I caratteri della granulosità si incontrano specialmente nei 
Conospirus, il che indica sempre più il nesso strettissimo che collega i Conospirus 
ai Leptoconus. Nella specie in esame tali caratteri osservansi su forme un po’ diverse, 
specialmente su quelle affini alla var. conicospirata, e per lo più su esemplari piccoli, 
il che sembra indicare che le granulazioni in esame rappresentano un carattere sal- 
tuario, proprio specialmente degli individui giovani. 


L. ALLIONII var. CONICOSPIRATA SACC. 
i (Tav. IV, fig. 8). 


Spira plus minusve elatior, subregulariter conica. 
Alt. 15-34 mm.: Lat. 8-15 mm. 
Eleziano: Colli torinesi, Baldissero (frequente). 


Osservazioni. — Passa gradualissimamente al tipo. Le si avvicina alquanto la 
forma figurata dall’Hoernes (Foss. Moll. tert. Beck, Wien. — Tav. V, Fig. 7), come 
Conus Dujardini. 


L. ALLIONII Var. PERCONICOSPIRATA SACC. 
(Tav. IV, fig. 9). 
Testa elongatior, subfusoidea; spira valde elatior. 
Alt. 18-31 mm.: Lat. 7-12 mm. i 
Serie Il. Tom. XLIV. E 


94 FEDERICO SACCO 


EWeziano: Colli torinesi (non rara). 


Osservazioni. — Collegasi gradualmente colla var. conicospirata. 


L. AuLionII var. pIscORS (MICHT.). 
(Tav. IV, fig. 10). 


Testa interdum crassior. Spira subinflata, subconvera. 
Alt. 20-45 mm.: Lat. 11-24 mm. 


1847. Conus discors Micht. MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 338. 
1890. , A 3 SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4885. 


Elveziano: Colli torinesi (frequente). 


Osservazioni. — Se si volesse considerare il 0. oblitus come specie a sè, la forma 
discors se ne potrebbe considerare tome la varietà più depressa; ma essa collegasi 
però affatto insensibilmente col L. Allionii e specialmente colla sua var. conicospirata. 
Quanto al carattere indicato del Michelotti, che cioè nel C. discors gli anfratti sono 
superiormente depresso-canalicolati, esso osservasi pure quasi sempre nel C. Allioni. 


L. ALLIONII Var. PUPOIDESPIRA SACC. 
(Tav. IV, fig. 11). 
Distinguunt hanc var. a var. discors (Micht.) sequentes notae: 
Testa fusulatior; spira elatior, inflatior, pupoidea. 
Alt. 22-42 mm.: Lat. 11-22 mm. 
Eleziano: Colli torinesi (frequentissima). 


Osservazioni. — Il rigonfiamento della regione spirale sembra specialmente carat- 
teristico delle forme mioceniche, come vedesi pure nel gruppo del C. antediluvianus. 
Si collega colla var. discors, e col C. oblitus. 


L. ALLIONII Var. PERPUPOIDESPIRA SACC. 
(Tav. IV, fig. 12). 
Distinguunt hanc var. a var. discors sequentes notae: 
Testa valde fusulatior; spira valde elatior, inflatior, pagodaeformis. 
Alt. 30-45 mm.: Lat. 14-19 mm. 
Elveziano: Colli torinesi (non rara). 


OsservaZzIoNI. — happresenta solo un’esagerazione, direi, dei caratteri della 
var. pupoidespira. 


L. Arion var. oBLITA (MicHT.) (an species distinguenda ?). 
(Lav dIVerip.Ni9)! 


Testa turbinata, conica, elongata, laevigata; basi laevigata; spira producta; anfra- 


ctibus carinatis, scalariformibus; apertura angusta ; labro arcuato, superne late marginato 
(Michelotti). 


Distimguunt hanc var. a var. discors sequentes notae: 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 35 
Testa fusulatior. Spira elatior, scalaratior; in regione marginali spirae funiculum 


minus visibile, minus erectum, deinde angulus magis acutus. 
Alt. 25-50 mm.: Lat. 11-20 mm. 


1847. Conus oblitus Micht. MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 340, Tav. XIV, fig. 2. 
184. 3 SIP SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 44. 

DEGLI A È D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., II, pag. 57. 

TECO 5 3 SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4391. 


Elveziano: Colli torinesi (frequentissima). 


OsservazionI. — Come già ebbi ad accennare trattando del tipo del L. Allioni?, 
la forma in esame appare specificamente affatto distinta da detta specie, ma dubito 
trattisi qui solo di estreme ed opposte modificazioni di una specie sola la cui forma 
più frequente sarebbe la pupoidespira; d'altronde sonvi passaggi così insensibili fra 
dette due forme, per quanto diverse alla comparazione diretta, che non sembra molto 
naturale il dividerle specificamente. Così, per esempio, quando gli esemplari del C. oblitus 
presentano la spira un po’ meno inflata, cioè più regolarmente conica, ne riesce so- 
vente incertissima la delimitazione dalla var. perconicospirata del L. Allionii ; d'altronde 
sia il rigonfiamento della spira, sia l'essere questa più comunemente scalarata (ciò 
che per lo più osservasi nel gruppo del C. oblitus), non paionmi caratteri tali da 
appoggiare una distinzione specifica che all'atto pratico diventa molto arbitraria. 
Tale fatto sembra così chiaro che lo stesso Michelotti in questi ultimi anni riunì 
assieme, nella sua raccolta, gli esemplari di queste due cosidette specie. Notiamo 
infine come la forma in esame non sia da confondersi col gruppo del C. Dujardini, 
come potrebbe forse supporsi a primo tratto, distinguendosene in generale nettamente 
per la spira meno regolarmente acuta, per la parte superiore degli anfratti discen- 
dente meno regolarmente verso il basso e eostituente un angolo assai meno acuto, 
con un accenno più o meno evidente di funicolo od almeno di leggerissimo rilievo. 


L. ALLIONII Var. PERFUNICULATA SACC. 
(Tav. IV, fig. 14). É 


Distinguunt hanc var. a var. oblita Micht. sequentes notae: 

Angulus anfractuum minus acutus; funiculo magis visibile, plus minusve conspicuo, 
munitus. 

Elveziano: Colli torinesi (non rara). 


OsservaZzIoONI. — E una semplice modificazione della var. oblita, alla quale passa 
insensibilissimamente, e che ricorda alquanto il L. Brocchi. 


Leproconus ELATUS (MicHT.). 
(Tav. IV, fig. 15). 


Testa conica, elongata; spirae exertae; anfractubus funiformibus: sutura incavata 
distinctis; basi acuminata (Borson). 

Testa conico-elongata, cylindrica; spira exerta; anfractibus supernis vix elatis, ro- 
tundatis, mediis subangulatis, postremo angulato, rugulosis, sulcis longitudinalibus oblique 
instruetis (Michelotti). 

Alt. 40-150 mm.: Lat. 17-55 mm. 


36 FEDERICO SACCO 


1821. Conus elongatus Bors. BORSON, Oritt. piemont., pag. 19 (198), Tav. I, fig. 4. 

1830: ,, da È 5 Cat. Coll. min. Turin, pag. 606. 

1847. , elatus Micht. MICHELOTTI, Descript. foss. mioe., pag. 341, Tav. XIII, fig. 16. 
1847. , A hi SISMONDA, Syn. meth., 2° ed., pag. 44. 

18480008 elongatus Bors. BRONN, Index paleont., pag. 329. 

LEI Haueri Partsch. HOERNES, Foss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 34. 

852005 elatus Micht. D'’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 56. 


13620685 Haveri Partsch. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Ital. centr., pag. 25 (107). 
18/1200 5 RI LOCARD, Descr. Faune tert. Corse, pag. 69. 
1890. elatus Micht. SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piemonte, n. 4887. 


NB. Le indicazioni di Conus Puschi Micht. riguardanti fossili tortoniani rientrano generalmente 
nella sinonimia del L. elatus. 


Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (non rara). 

Osservazioni. — Il nome elongatus di Borson non può essere adottato già esi- 
stendo sin dal 1786 un Conus elongatus CaEMNITZ; quanto all’appellativo Haueri, quan- 
tunque già indicato nel 1842 dal Partsch, rimase solo nome di Catalogo sino al 1851 
quando l’Hornes figurò e descrisse la forma a cui esso era applicato, forma che quindi 
deve solo più considerarsi come una varietà del C. elatus. L'indicazione data dal 
Borson, che cioè questa forma si trovi nell’Astigiana è affatto errata, giacchè in quasi 
un secolo di continue ricerche non si trovò nell’Astigiana alcun individuo di questa 
specie, ed inoltre dall’esame dell'esemplare tipico su cui il Borson fondò il suo C. elon- 
gatus potei accertarmi che anche esso proviene dal Tortoniano del Tortonese. Nella 
parte superiore degli ultimi anfratti esiste talora un cordoncino trasverso più o meno 
depresso, che però generalmente scompare nell’ultimo anfratto degli esemplari com- 
pletamente adulti. I primi anfratti sono generalmente più o meno granulosi. Notisi 
che nel tipo di questa specie gli anfratti sono alquanto angolosi e quindi la spira 
risulta scalarata, mentre che invece generalmente gli anfratti si presentano più o 
meno rotondeggianti. 

Il riferimento del C. elatus ai Leptoconus può ancora presentare qualche dub- 
biezza, quantunque a tale sottogenere si riferiscano forme viventi, alquanto simili, 
così il C. gradatus Gray, il C. acuminatus Brua., ecc.; però alcuni caratteri avvi- 
cinano il C. elatus ai Chelyconus. 


L. ELATUS Var. DEPRESSULESPIRATA SACC. 
(Tav. IV, fig. 16). 


Spira minus elata, ratione habita, basi latiore; anfractus rotundatiores. 
Alt. 80-25 mm.: Lat. 35-45 mm. 
Tortoniano: Stazzano, Montegibbio (alquanto rara). 


Osservazioni. — Si avvicina alla var. Haueri (PARTSCH.). 


L. ELATUS Var. TAUROBREVIS SACC. 


(Tav. IV, fig. 17). 


Testa minus elongata, spira minus elata; anfractus rotundatiores. 
Alt. 55 mm.: Lat. 27 mm. 


| 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 37 


Elveziano: Colli torinesi (rara). 
OsseRvazIoNI. — Collegasi colla var. depressulespirata. 


L. ELATUS Var. TAUROPARVA SACC. 


(Tav. IV, fig. 18). 


Testa minor, gracilior; spira scalaratior. 
Alt. 40 mm.: Lat. 16 mm. 
Elveziano: Colli torinesi (rara). 


Osservazioni. — Ricorda alquanto il L. extensus (PARTSCH.), forma del Miocene 
(specialmente tortoniano) viennese che riscontrai nell’Elveziano della Sardegna, ma che 
finora non si incontrò in Piemonte. 


L. ELATUS? var. TAUROTRANSIENS SACC. 


(Tav. IV, fig. 19). 


Testa plerumque minor; spira, ratione habita, elatior. Anfractus breviores. 


Alt. 36-65 mm.: Lat. 16-26 mm. 
Eleziano: Colli torinesi (non rara). 


OsseRrvaZzIONI. — Sembra quasi far passaggio al C. oboesus MicHt., per modo che 
la sua determinazione riesce alquanto incerta; alcuni esemplari hanno la spira supe- 
riormente assai gracile, tanto da ricordare in piccolo la var. fusulatimspirata. 


L. ELATUS Var. CONVEXULOIDES SACC. 


(Tav. IV, fig. 21). 


Spira minus scalarata, interdum aliquantulum elongatior. Anfractus converiores, 
subrotundati. 


Tortoniano : Stazzano, Montegibbio (non rara). 
? Piacenziano: Borzoli (rarissima). 


OsseRvAZIONI. — Un individuo gigantesco di questa varietà raggiunge la lun- 
ghezza di 150 mm. Spesso nella parte superiore gli anfratti presentano un cordon- 
cino trasversale depresso. 

Quanto all’unico ed incompleto esemplare già citato dal Della Campana (1890, 
Conus Haueri? PartscH, Pliocene Borzoli, pag. 28) conservato nel Museo geologico 
di Genova coll’indicazione di provenienza: Borzoli, credo opportuno mantenere qualche 
riserva sino ad ulteriori scoperte, trattandosi di una specie tanto schiettamente 
miocenica, nè parendomi impossibile che detto esemplare possa provenire invece dal 
tortonese. 


38 FEDERICO SACCO - 


L. ELATUS Var. FUSULATIMSPIRATA SACC. 


(Tav. IV, fig. 22). 


Testa aliquantulum elongatior. Spira valde elongatior, fusiformis; anfractus saepe 


rotundatiores, ultimo excepto. 
Alt. 70-125 mm.: Lat. 25-44 mm. 
Tortoniano: Stazzano, S. Agata fossili (alquanto frequente). 


Osservazioni. — L’esemplare molto guasto su cui il Borson fondò il suo C. elon- 
gatus ricorda alquanto questa varietà. Ad essa sono in gran parte riferibili le forme 
figurate nella Tav. VIII dal Da Costa come Conus Puschi. 


L. ELATUS Var. FUSULOPARVA SACC. 
(Tav. IV, fig. 23). 


Testa minor, gracilis, fusiformis. Spira valde elongatior, fusulata. Anfractus ro- 
tundatiores. 

Alt. 50 mm.: Lat. 15 mm. 

Tortoniano: S. Agata fossili (rara). 

Osservazioni. — Probabilmente è forma non ancora completamente sviluppata. 


L. ELATUS Var. PERCONICOSPIRATA SACC. 


(Tav. IV, fig. 24). 


Testa aliquantulum clongatior. Spira regulariter conica; anfractus rotundatiores. 

Tortoniano : Stazzano, S. Agata (non rara). 

Osservazioni. — È interessante osservare come la tipica spira pupoide allun- 
gata, direi, si trasformi gradualmente in spira conica. Le è alquanto affine, ma più 
depressa, la var. haueriana Sacc. (1851, Conus Haueri PartscH. — HoernEs, Foss. 
Moll. Tert. Beck. Wien. — Tav. IV, fig. 5 (non 4)). 


L. ELATUS var. FUNIFORMISPIRATA SACC. 
(Tav. IV, fig. 25). 
Spira subregulariter conica; anfractus perrotundanti, funiformes, profundis suturis 
disjuncti. 
Tortoniano : Stazzano (rara). 
Osservazioni. — Collegasi specialmente colla var. perconicospirata. 


L. ELATUS var. PERLONGESPIRATA SACC. 
(Tav. IV, fig. 26). 
Spira elongatior, in regione apicali constrictior, in regione basali valde dilatata. 
Anfractus ultimus subcanaliculatus. 
Tortoniano : Stazzano (rara). 


Osservazioni. — Passa gradualmente al tipo ed alla var. fusulatimspirata. 


Laccetti 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 39 


LEPTOCONUS TAUROELATUS SACC. 
(Tav. IV, fig. 27). 


Testa elongata, subgracilis, subclaviformis. Spira elato-pupoides, in parte superiore 
gracilis, subturrita, in regione externa rapide dilatata. Anfractus elongati, superne ro- 
tundati (exceptis primis subangulatis), suturis profundis disjuncti, caudam versus rapide 
imminuti. Apertura perlonga, perstricta. 

Alt. 62 mm.: Lat. 22 mm. 

Elveziano: Colli torinesi (rara). 


OsseRvAZIONI. — Sembra appartenere al gruppo del L. elatus, ricordandone spe- 
cialmente la var. perlongespirata; ma nel complesso pare dover costituire specie a sè. 


Sottogen. CONOSPIRUS De GreEGoRrIo, 1890. 


Il De Gregorio nella sua “ Monogr. Faune eoc. Alabama — pag. 21 , istituisce 
questo nuovo sottogenere ponendovi a tipo il C. antediluvianus Brua. Dobbiamo però 
subito notare come il De Gregorio riunisca in questo sottogenere forme assai distinte 
appartenenti a sottogeneri diversi e già prima distinti, così per es. il C. stromboides 
su cui nell’anno precedente (1889) il Cossmann aveva fondato il sottog. Hemiconus. 

Inoltre, anche restringendo il sottog. Conospirus al gruppo del C. antediluvianus 
e forme affini, è certo che esso presenta graduali passaggi ai Leptoconus, per modo 
che tale distinzione mostrasi talora alquanto arbitraria. Contuttociò, pur riconoscendo 
la strettissima affinità dei Conospirus coi Leptoconus, tanto che probabilmente altri 
crederà opportuno tenerli riuniti, considerando però che le suddivisioni sottogeneriche 
presentano talora passaggi fra loro, accetto per ora tale distinzione, come quella che 
sembrami atta a meglio differenziare due gruppi di forme, bensì strettamente colle- 
gate, ma complessivamente distinte. 


CoNOSPIRUS ANTEDILUVIANUS (BRUG.). 


1786. Volutilites WALCH u. KNORR, Naturg. Verstein., LI, pag. 160, Tav. CII, fig.6. 
1792. Conus antidiluvianus Brug. BRUGUIERE, Encicl. meth. Vers, I, pag. 637, Tav. 347, fig. 6. 
1798. Volutilites n. 4 BORSON, Ad Oryct. pedem. auct., pag. 176. 

1810. Conus antidiluvianus Brug. LAMARCK, Ann. Mus. Hist. nat., tome XV, pag. 442. 

1814. , È z BROCCHI, Conch. foss. subapp:, II, pag. 291, Tav. II, fig. 11. 
TENISRAAiEe ds n DEFRANCE, Dict. Se. Nat., X, pag. 263. 

182003 È si BORSON, Oritt. piemont., pag. 14 (193). 

1824. ,  antediluvianus’ 8, DESHAYES, Descr. Coqu. foss. Paris, II, pag. 749, 750 (pars). 
1826. , antidiluvianus , RISSO, Hist. Nat. Europe mérid., IV, pag. 230. 

1826. , 5 A BONELLI, Cat. m. s. Museo Zool. Torino, n. 296. 

1827. ,  antediluvianus€ , SASSO, Sagg. geol. Bac. tere. Albenga, pag. 482. 

1830. ,  antidiluvianus  , BORSON, Cat. Mus. min. Turin, pag. 606. 

1831. , antediluvianus —, BRONN, Ital. tert. Gebild., pag. 12. 


1881. , antidiluviamus , DUBOIS DE MONTPÉREUX, Conch. foss. Wolh., pag. 23 (pars). 


40 FEDERICU SACCO 


1837. Conus angutanculus Desh. PUSCH, Polens Palîiontologie, pag. 115 (pars). 

1838. ,  «appenninicus Bronn. BRONN, Lethaea geogn., Il, pag. 1118, Tav. XLII, fig. 15. 
1838. , antediluvianus , MICHELOTTI, Geogn. zool. Ansicht tert. Bild. Piemonts, pag. 397. 
1842. ,  antidiluvianus Brug. SISMONDA, Sym. meth., 1% ed., pag. 44. 

18483. , Bruguierii Nyst. NYST, Coqu. et Polip. foss. Belgique, pag. 585. 

1845. ,  antediluvianus , DESHAYES in LAMARCK, Hist. Nat. An., s. vert., XI, pag. 155. 
1847. , antidiluvianus , MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 336. 

1847803 Ù 3 SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 43. 

1848. , antediluvianus , BRONN, Index paleont., pag. 328. 

180100 a 3 HOERNES, oss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 38. 

1852. ,  apenninensis Bronn. D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 56. 

1853. ,  antediluvianus Brug. BRONN, Lethaca Geogn., II, pag. 584, Tav. XLII, fig. 15. 
SD n E 7 BEYRICH, Conch. Nord-Deutsch. tert. Geb., pag. 19. 

1850 603 n È NEUGEBOREN, Tert. Moll. Ober-Lapugy, pag. 228. 

859 La P n CHENU, Manuel de Conchiol., pag. 241, fig. 1482. 

18624065 3 È DODERLEIN, Giac. terr. mioc. It. centr., pag. 25 (107). 

1866. , hi È DESHAYES, Descript. An. s. vert. Bassin Paris, III, pag. 418. 
872000 3 È KOENEN, Mioc. Nord-Deutschl. u. seine Moll. Fauna, pag. 213. 
18783. ,  antidiluvianu , COCCONI, En. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 154. 
IQITE/II0S È - LOCARD, Descript. Faune tert. corse, pag. 71. 

1877. ,  antediluvianus , ISSEL, Fossili marne Genova, pag. 23. 

MS} fepannna + ù PARONA, Plioc. oltrepò pavese, pag. 66. 

1884. ., 7 A DE GREGORIO, Studi Conch. medit., pag. 360. 

1880 piir È A SACCO, Mass. elev. Plioc. mar. al piede delle Alpi, pag. 7. 
1885... 7 5 - Studi geo-pal. territorio Bene Vagienna, pag. 10. 
eee n A È Valle Stura di Cuneo, pag. 66. 

1890. , apenninensis Bronn. ni Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4372. 

1890. ,  antediluvianus Brug. Cat. pal. Bac. tere. Piemonte, n. 4370. 

TSI 5 da DELLA CAMPANA, Pliocene di Borzoli, pag. 27. 


Alt. 10-45-90 mm.: Lat. 4-17-30 mm. 

Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (rara). 

Piacenziano: Astigiana, Chieri, Castelnuovo d’Asti, Bene Vagienna, Mondovì, 
Carrù, Pianfei, Cervere, Cherasco; Volpedo; Piacentino; Genova, Borzoli, Zinola, 
Albenga, R. Torsero, Bordighera, Bussana (abbondantissima). 

Astiano: Astigiana, Piacentino (alquanto rara). 


Osservazioni. — Questa bella specie è quasi caratteristica (colla sua grande ab- 
bondanza) del Piacenziano, per essere forma essenzialmente di mare alquanto pro- 
fondo e tranquillo e dei fondi fangosi. 

Originariamente si credette che questa specie appartenesse all’eocene del bacino 
parigino, mentre invece è quasi caratteristica del pliocene, dal che nacquero molti 
errori e non poche confusioni, sia colle forme consimili veramente eoceniche, sia 
col C. Dujardini e col C. acutangulus, donde la proposizione di nuovi nomi, come 
appenninicus e Brughieri, per la forma pliocenica in esame. 

Il Brocchi ne diede tre figure le quali corrispondono giustamente ai 3 stadî prin- 
cipali di sviluppo di questa specie; è però notevole come nella regione della spira 
degli esemplari figurati dal Brocchi, gli anfratti siano più depressi e quindi la spira 
sì presenti meno fusulata, più scalariforme, di quanto si verifichi in generale negli 
esemplari (circa mille) da me esaminati; quindi sugli esemplari che presentano più 
accentuati tali caratteri differenziali credetti opportuno fondare una varietà, la quale, 
in Piemonte ed in Liguria almeno, è assai più abbondante del tipo. Nella collezione 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 4l 


Brocchi esistono 10 esemplari di cui però la maggior parte giovani e parecchi ap- 
partenenti all’anom. pseudogibbosa. 

Il Coppi (Paleont. mod., pag. 51) indica una var. major colle dimensioni di 
mm. 100 X 35. \ 


Anom. pseudogibbosa Sacc. (Tav. IV, Fig. 28). 

Anfractus ultimus, in regione medio-supera irregulariter ventricoso-inflata, gibbosa. 
Tortoniano : S. Maria di Stazzano (rara). 

Piacenziano: Piacentino, Bordighera (frequente). 


C. ANTEDILUVIANUS Var. DERTONENSIS SACC. 
(Tav. IV, fig. 29). 


Testa plerumque minor. Anfractus in regione spirae aliquantulo depressiores, sub- 
canaliculati. Granulationes perspicuiores; striolae transversae interdum etiam in regione 
ventrali anfractuum visibiles. 

Alt. 15-30-75 mm.: Lat. 7-12-23 mm. 


Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (abbondantissima). 
Piacenziano: Castelnuovo, Liguria (rara). 


OssERvAZIONI. — Per quanto questa forma passi gradualmente al tipo, special- 
mente agli individui giovani di esso, tuttavia sembrami che essa presenti nel com- 
plesso una facies propria tale da potersene costituire una varietà che è essenzialmente 
cararatteristica del Tortoniano. A questa forma avvicinasi alquanto il C. Berwerthi 
H. A., che però forse rappresenta solo individui giovani. 


C. ANTEDILUVIANUS Var. COMPRESSOSPIRA SACC. 


(Tav. IV, fig. 30). 


Spira depressior; granulationes interdum parvuliores. 

Alt. 15-32 mm.: Lat. 8-12 mm. 

Ebeziano: Colli torinesi (rarissima). 

Tortoniano: Montegibbio (rara). 

Piacenziano: Castelnuovo d'Asti, Bussana (alquanto rara). 


Osservazioni. — Alcuni esemplari a granulazioni poco visibili si avvicinano a 
certe forme di Leptoconus leggermente granulate. 


C. ANTEDILUVIANUS Var. DERTOGRANOSA SACC. 


(Tav. IV, fig. 31). 


Testa plerumque minor; spira elatior, turritior. Granulationes perspicuiores, striolae 
transversae interdum etiam in regione ventrali anfractuum subvisibiles. 

Alt. 14-45 mm.: Lat. 6-13 mm. 

Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (frequente). 

OsservazioNnI. — Passa gradualmente alla var. dertonensis. 

Serie II. Tom XLIV. F 


42 FEDERICO SACCO 


C. ANTEDILUVIANUS Var. TURRITOSPIRA SACC. 
(Tav. IV, fig. 32). 

Testa elongatior; spira elatior, turritior. Anfractus, ultimi praecipue, in regione 
spirae aliquanto minus depressi. 

Alt. 13-45-90 mm.: Lat. 4-14-27 mm. 

Tortoniano: Stazzano (alquanto rara). 

Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo, Chieri, Vezza, Cherasco, Bene-Vagienna, Carrù, 
Masserano; Piacentino; Borzoli, Savona-Fornaci, Zinola, Albenga, R. Torsero, Bordi- 
ghera, Bussana (abbondantissima). 

Osservazioni. — Passa insensibilmente sia al tipo (di cui è quasi più comune), 
sia alla var. turripina. 


C. ANTEDILUVIANUS Var. TURRIPINA De GREG. 


(Tav. IV, fig. 33). 


Testa elongatior, fusuloidea; spira elatior, minus scalarata. Anfractus, ultimi prae- 
cipue, in regione spirae valde minus depressi, valde obtusius angulati. 
Alt. 22-50-80 mm.: Lat. 7-16-25 mm. 


1884. Conus antedil. Brug. var. turripinus De Greg. — DE GREGORIO, Studi Conch. medit., pag. 361. 


Tortoniano: Montegibbio, Stazzano (alquanto rara). 

Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo, Chieri, Cherasco, Masserano; Piacentino; Bor- 
zoli, Savona, Zinola, Albenga, R. Torsero, Bordighera, Bussana. 

Astiano: Astigiana (rara). 


Osservazioni. — Collegasi gradualissimamente colla forma tipica e colla var. 
turritospira. 

Anom. rusuLatIssima Sacc. (Tav. IV, fig. 34). — Testa fusulatior. Anfractus 
rotundatiores. 


Piacenziano: Castelnuovo d'Asti (rara). 
OssERvAZIONE. — Rappresenta solo un’esagerazione, direi, della var. turripina. 


C. ANTEDILUVIANUS Var. FASCIORNATA SACC. 


(Tav. IV, fig. 35). 


Anfractus ultimus tribus fasciis brunneo-ochraceis (media et infera sat regularibus, 
supera subbifida et interrupta) munitus. 
Piacenziano: Zinola (rara). 


OssERVAZIONI. — Siccome generalmente il C. antediluvianus si presenta con tinta 
uniforme, così credetti opportuno segnalare questa forma, la quale potrebbe rappre- 
sentare o semplicemente un'anomalia, oppure un residuo della vera colorazione del 
C. antediluvianus, ciò che ne accrescerebbe l’importanza pur facendola discendere dal 
grado di varietà distinta. 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 43 


C. ANTEDILUVIANUS Var. DERTOBLITA SACC. 
(Tav. IV, fig. 36). 

Testa crassa, fusulatior. Spira conica, saepe subinflatula, valde minus scalarata. 
Anfractus ultimi in regione spirae declives, valde minus planato-depressi. 

Alt. 30-66 mm.: Lat. 13-27 mm. 

Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (non rara). 

Piacenziano: R. Torsero (rarissima). 

OssERvAZIONI. — À primo tratto parrebbe una specie a parte che ricorda alquanto 
il C. oblitus Micnt. per gli esemplari a spira più inflata, ma per graduali passaggi 
collegasi strettamente col solito tipo del C. antediluvianus. Questa forma deriva proba- 
bilissimamente dalla var. tauroblitoides, a cui è affinissima. Nel bacino viennese tro- 
vasi una forma simile come risulta dalla Fig. 2, di Tav. V, dell’opera di M. Hoernes: 
“ Foss. Moll. tert. Beck. Wien. ,. 


C. ANTEDILUVIANUS Var. CRASSOGRANOSA SACCO. 
(Tav. IV, fig. 37). 


Testa crassa. Spira conica. Granulationes valde crassiores, subrotundatae. 
Tortoniano: Stazzano (rara). 


C. ANTEDILUVIANUS Var. MIOBLITA SACC. 
(Tav. IV, fig. 38). 

Testa elongatior, fusulatior. Spira subscalarata, plus minusve conica. Anfractus in 
regione spirae declives, non scalarati, non, vel parum, depresso-canaliculati. Granula- 
tiones numero minores, depressae, plus minusve suboblitae. 

Alt. 40-65 mm.: Lat. 11-25 mm. 

Elveziano: Colli torinesi (non rara). 

OsseRvAZIONI. — Questa varietà sembrerebbe quasi formare passaggio al C. oblitus 
MicHm., tanto più che il C. oblitus si presenta talora leggermente subgranulato nei 
primi anfratti; ma d’altra parte sonvi variazioni simili in forme plioceniche di C. ante- 
diluvianus, come nella var. subagranulata, che è affinissima alla presente. 


C. ANTEDILUVIANUS Var. TAUROBLITOIDES SACC. 
(Tav. IV, fig. 39). 


Testa affinis var. dertoblita, sed: minor; granulationes parvuliores, propinquiores, 
rotundatiores, in anfractibus ultimis interdum suboblitae vel oblitae. 
Alt. 15-40 mm.: Lat. 6 1/,-17 mm. 


Elveziano: Colli torinesi (non rara). 


OsseRvazioNnI. — Passa assai gradualmente alla var. dertoblita; per alcuni carat- 
teri ricorda il C. oblitus MicHt. 


C. ANTEDILUVIANUS Var. TAUROASCALARATA SAC. 
(Tav. IV, fig. 40). 


Testa affinis var. dertoblita, sed: spira regulariter conica, ascalarata; granula- 
tiones parvuliores, depressiores, passim suboblitae. 


44 FEDERICO SACCO 


Alt. 40 mm.: Lat. 11 mm. 
Elveziano: Colli torinesi (rarissima). 
OsservazionI. — È solo una modificazione della var. tauroblitoides. 


C. ANTEDILUVIANUS Var. MIOSUBAGRANOSA SACC. 
(Tav. IV, fig. 41). 


Testa affinis var. dertoblita, sed: minor; spira plerumque minus inflata, mucro- 
nata; granulationes parvuliores, depressiores, plus minusve suboblitae. 

Alt. 15-30 mm.: Lat. 6-11 mm, 

Elveziano: Colli torinesi (non rara). 

Osservazioni. — Collegasi assai bene colla var. tauroblitoides, e per la graduale 
scomparsa delle granulazioni sembra passare ad alcune forme del L. Allioni e del 
C. Dujardini (var. pseudoantediluviana). Le forme a spira turrita paiono mancare 
nell’ Elveziano piemontese, ma esistettero altrove durante tutta l'epoca miocenica, come 
ce lo indicano la var. junior GrAT. (= var. scalata GraTt. a pie’ della Tav. 45), la var. 
princeps Sacc. (1853 — Conus antediluvianus Bru — BeyricK — Conch. Norddeutsch. 
tert. Geb. Tav. I, Fig. 1), ecc. 


C. ANTEDILUVIANUS Var. TAUROCATENATOIDES SACCO. 
(Tav. IV, fig. 42). 


Testa minor; spira turritior. Anfractus in regione spirae minus depressi, decli- 
viores. Anfractus ultimus transverse, irregulariter, seriatim granulosus. 


EWeziano: Colli torinesi (non rara). 

OsservazionI. — Credo trattisi essenzialmente di forme giovanili, giacchè le 
suddette granulazioni osservansi specialmente negli esemplari giovani di Conus appar- 
tenenti a diversi sottogeneri, particolarmente ai Conospirus; è probabilmente in modo 
simile che credo debbasi interpretare la forma excatenata SAcc. (1851 — Conus cate- 
natus Sow. — Hoernes — Foss. Moll. tert. Beck Wien, pag. 42, Tav. V, fig. 4) che sem- 
brami assai diverso dal vero C. catenatus, il Leptoconus Berwerthi H. A. (probabil- 
mente varietà del C. antediluvianus), il Conus Jungi Bortt, il C. clanculus Mav., ecc. 

Quindi io credo che tale carattere delle granulazioni, sul quale vennero fondate 
diverse specie, non sia un carattere essenziale, ma sovente solo di età od individuale, 
e quindi per lo più appena segnalabile a titolo di varietà, apparendo d’altronde qua 
e là in diverse forme, così nel C. antediluvianus, nel C. Dujardini, nel C. Bronni, nel 
Leptoconus Allionii, ecc., ecc. 


C. ANTEDILUVIANUS var. EMPENA DE GREG. 
(Tav. IV, fig. 43). 


Spira brevior; in ultimis anfractibus gramnulationes oblitae. 


1323. Conus antidiluvianus BORSON, Oritt. Piemont., pag. 172 (304). 

1830. —, 7, À Cat. Coll. Min. Turin, pag. 607. 

1384. , antediluvianus var. empenus De Greg. DE GREGORIO, Studi Conch. Medit., pag. 361. 
13906 n 5 i SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4371, 5430. 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 45 


Piacenziano: Astigiana, Masserano; Bordighera; Castellarquato (rara). 


Osservazioni. — Il carattere di questa varietà è comunissimo negli esemplari 
adulti di C. antediluvianus; alcuni individui sembrano quasi far passaggio al L. Broc- 
chii var. antediluvianoides. 


CONOSPIRUS ANTEDILUVIANUS Var. TRANSIENS SACC, 
(Tav. IV, fig. 44). 


Testa fusulatior; angulus cnfractuum crassus, subrotundus, granulationibus omnino 
destitutus. 


Alt. 47 mm.: Lat. 20 mm. 

Astiano: Astigiana (rarissima). 

OsservazionI. —- Questa forma per diversi caratteri avvicinasi moltissimo al 
L. Brocchii, tanto che altri potrebbe forse riferirlo a detta specie; però nell’assieme 
essa sembra piuttosto appartenere al gruppo del C. antediluvianus. Del resto credo 
trattisi di una forma anomala di non grande importanza. 


C. ANTEDILUVIANUS VaAr. SUBAGRANULATA SACC. 
(Tav. IV, fig. 45). 


Testa fusulatior. Spira plus minusve elatior, minus scalarata. Anfractus in regione 
spirae decliviores, minus depressi; granulationes in anfractibus primis depressiores, sub- 
oblitae, in anfractibus ultimis oblitae. 

Alt. 26-73 mm.: Lat. 11-25 mm. 

Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo; Piacentino ; Zinola, Rio Torsero, Bordighera 
(non rara). 


Osservazioni. — I caratteri di questa varietà si riscontrano generalmente negli 
ultimi anfratti di tutti gli individui adulti; è la loro generalità in tutti gli anfratti 
ed anche nelle forme giovani, che, assieme agli altri caratteri sovraccennati, mi in- 
dusse ad elevare questa forma a varietà distinta; essa ricorda a primo tratto il 
C. Dujardini, ma anche il solo carattere del canaletto che osservasi sopra l’angolo 
degli anfratti, basta per distinguere nettamente le due forme; d’altra parte questa 
varietà si avvicina pure alquanto al L. Brocchi. 


Conospirus DUJARDINI (DESH.). 


(1831. DESHAYES (C. acutangulus Desh., non C. acutangulus Chemn. 1772) in Appendix to Lyell's 
Principles of Geology, pag. 40). 

(1831. DU BOIS DE MONTPÉREUX (0. antidiluvianus), Conch. foss. Volhyn.-Podol., Tav. I, fig. 1). 

(1845. DESHAYES in LAMARCK (0. Dujardini), Hist. Nat. An. s. vert., XI, pag. 158). 


OsseRvAZIONI. — Questa forma credo sia molto importante costituendo quasi una 
specie-gruppo, specialmente caratteristica del Miocene, ed attorno alla quale raggrup- 
pansi molte e svariate forme. Sgraziatamente essa portò per lungo tempo un nome 
che cadeva in sinonimia, ed inoltre il suo autore ne diede per tipo una figura pre- 
sentata dal Dubois come C. antidiluvianus. Ne seguì una notevole confusione che dura 


46 FEDERICO SACCO 


tuttora, tant'è che a questa specie si attribuirono specie diverse e, viceversa, di molte 
sue semplici varietà si crearono nuove specie. Inoltre è a notarsi come la figura del 
Dubois, che dobbiamo prendere come tipo del L. Dujardini, come ha proposto l’au- 
tore di questa specie, non rappresenti una delle forme più comuni di questo gruppo; 
ad ogni modo il nome subacutangulus dato a questa forma nel 1852 dal D’Orbigny 
cade assolutamente in sinonimia di C. Dujardini (1845). 

Nel Tortoniano di Stazzano osservai un esemplare che si avvicina molto al tipo, 
ma che per essere incompleto non è determinabile con certezza. 


C. DUJARDINI Var. TAUROSTRIOLATA SACC. 
(Lav iVenissi) 


Testa plerumque aliquantulo minor. Spira paullulo acutior, magis pagodaeformis. 
Anfractus acute angulati, sub angulo circumspirali striolati, plerumque bistriolati. 

Alt. 5-28 mm.: Lat. 1!/-11 mm. 

Eleziano: Colli torinesi (frequente); Sciolze (rara). 


OsservAZzIONI. — Questa forma (come in generale i Conospirus) sembra avere 
abitato specialmente i fondi melmosi, giacchè mentre essa fu sinora sconosciuta ai 
paleontologi piemontesi [il cui materiale di studio proviene specialmente dai depositi 
sabbiosi (molasse)], recentemente invece un raccoglitore dilettante il sig. Forma, me 
ne portò una gran quantità proveniente da uno speciale strato marnoso che trovasi 
al Monte dei Cappuccini. 

La caratteristica presenza delle indicate striole (oltre alla forma generale ed 
alle granulazioni dei primi anfratti) costituisce un nuovo punto di ravvicinamento del 
O. Dujardini al C. antediluvianus, quantunque sovente queste striole non compaiano, 
come, per esempio, nell’esemplare tipico figurato dal Dubois. 


C. DUJARDINI var. PSEUDOANTEDILUVIANA SACC. 
(Tav. V, fig. 2). 
Testa affinis var. taurostriolata, sed: depressae granulationes etiam in ultimis an- 


fractibus plus minusve visibiles. 
Elveziano: Colli torinesi (rara). 


Osservazioni. — Parrebbe quasi costituire un passaggio al C. antediluvianus. 


C. DUJARDINI var. PSEUDOCATENATA SACC. 
(Tav. V, fig. 3). 


Testa affinis var. pseudoantediluviana, sed: spira minus scalarata; anfractus trans- 
versim servis granularibus ornati. 

Eeziano: Colli torinesi (rara). 

Osservazioni. — Forma che da un lato indica sempre maggiormente il nesso 
esistente fra il 0. Dujardini ed il C. antediluvianus e dall’altro fa sempre più rico- 
noscere come il carattere delle granulosità sia spesso solo un carattere accidentale, 
come già si disse parlando dell’affine C. antediluvianus var. taurocatenatoides. 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 47 


C. DUJARDINI var. DEPRESSULINA SACC. 


(Tav. V, fig. 4). 


Testa affinis var. taurostriolata, sed spira depressior. 
Alt. 20 mm.: Lat. 9 mm. 
Elveziano: Colli torinesi (rara). 


Osservazioni. — Collegasi insensibilmente colla var. taurostriolata. 


C. DUJARDINI var. TAUROMINOR SACC. 


(Tav. V, fig. 5). 


Testa minor, fusulatior. Anfractus in regione spirae plerumque decliviores; ali- 
quantulo minus acute angulati. 

Alt. 13-23 mm.: Lat. 5-10 mm. 

Eleziano: Colli torinesi (non rara). 


OsservazionI. — Le striole accennate nelle altre varietà dell’ Elveziano torinese 
quasi sempre mancano in questa forma, che sembra avvicinarsi ad alcune varietà 
di C. Bronni. 


C. DUJARDINI Var. BREVICAUDATA SACC. 
(Tav. V, fig. 6). 


Testa magis fusiformis. Spira elongatior. Cauda brevior. Sub angulo anfractuum 
2 striolae transversae conspiciuntur. 
Alt. 26 mm.: Lat. 12 mm. 


Elveziano: Bersano S. Pietro (rara). 


C. DUJARDINI Var. ASTENSIS SACC. 


(Tav. V, fig. 7). 


Testa aliquantulum latior. Spira magis conica. Granulationes suboblitae. Sub angulo 
anfractuum 1 vel 2 striolae parvillimae perspiciuntur. 

Alt. 50 mm.: Lat. 16 mm‘ 

Astiano: Astigiana (rarissima). 

Osservazioni. — È notevole il grande prolungarsi di questa specie nel tempo, 
quantunque a dire il vero*le forme tortoniane e plioceniche attribuite al 0. Dujardini, 
come anche questa, tendano più o meno nettamente verso il gruppo del C. Bronni, 
tanto che talora lasciano dubbi sulla loro precisa collocazione subgenerica. A. questa 
categoria appartengono per esempio in parte le forme figurate (Tav. V, fig. 3) dal- 
l’Hoernes (Foss. Moll. tert. Beck. Wien.) come C. Dujardini e che il De Gregorio 
(1884, Studii Conch. Medit.) appellò asdensis, mentre il C. Brezinae H. A. tende 
già più fortemente verso il C. Bronni. Qualche cosa di simile deve ripetersi pel 
C. Dujardini var. funiculellata Saco. (1869, Conus Dujardini var.-MAnzonI, Fauna 
mar. due lembi mioc. Alta Italia, pag. 482, tav. I, fig. 2). 


48 FEDERICO SACCO 


In conclusione possiamo dire: 1° che il tipico 0. Dujardini è specialmente carat- 
teristico dell’Elveziano, mentre il tipico C. Bronni, di cui però esistono numerose 
varietà nell’Elveziano, diventa particolarmente caratteristico del Tortoniano; 2° che 
queste due specie presentano diverse forme di collegamento, le quali ne indicano gli 
stretti rapporti, quantunque in complesso sembri più logico tener specificamente di- 
stinte dette due forme. 


Conospirus BronnI (MIcHT.). 
(Tav. V, fig. 8). 


Testa turbinato-clongata, turrita; spira dimidiam testacei partem efformante, scala- 
riformi, exerta, acuta; anfractibus subcarinatis, infra carinam sulco praeditis; suturis 
distinctis (Michelotti). 


1847. Conus Bronnii Micht. MICHELOTTI, Descript. Foss. mioc., pag. 339, Tav. XIV, fig. 3. 
1847. , oblitus Micht. var. SISMONDA, Syn. meth., 2% ed., pag. 44. 

1852. , È Hi 3 D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 57. 

1890. , Bronnii Micht. SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4881. 


Tortoniano: Stazzano, S.Agata, Montegibbio (non rara). 


OssERVAZIONI. — Questa forma, che pur sembra collegarsi col C. Dujardini, pare 
se ne debba in complesso tener specificamente distinta; tale distinzione è certa- 
mente nettissima se si comparano le forme tipiche di ciascuna specie, ma va ‘gra- 
datamente diminuendo se si osservano le forme intermedie, specialmente quelle 
elveziane. Notisi inoltre come l'esemplare tipico, che rifiguro, rappresenti in verità 
una forma un po’ aberrante a spira molto svolta. 

Le figure date dall’Hoernes e specialmente dal Da Costa provano come nei ter- 
reni miocenici del Portogallo e di Vienna esistano numerose forme appartenenti a 
questo gruppo, le quali però finora vennero generalmente attribuite al C. Dujardini, al 
cui gruppo certamente si collegano. Negli esemplari meglio conservati si osserva 
sovente che i primi anfratti sono leggermente subgranulosi, carattere che collega 
sempre più il C. Bronni al C. Dujardini. 


C. BRONNII var. STAZZANENSIS SACCO. 
(Tav. V, fig. 9). 


Testa aliquantulum latior, minus elongato-fusulata. Spira minus elongata, magis 
conica. 
Alt. 15-36 mm.: Lat. 7-14 mm. 


1847. Conus acutangulus Desh. MICHELOTTI, Descript. Foss. mioc., pag. 387. 


1851. ,  Dujardini Desh. HOERNES, oss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 40, 41. 
1892000, È 3 BRONN, Lethaea geogn., III, pag. 584. 

1862) “4 È È DODERLEIN, Giac. terr. mioc. It centr., pag. 107 (25). 
1866....._ A x DA COSTA, Gast. terc. Portugal, pag. 27. 

IST zi A LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 72. 

1890. , > » var. SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piemonte, n. 5455. 


? Elveziano: Colli torinesi (rara). 
Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (frequentissima). 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 49 


Piacenziano: Castelnuovo d'Asti (rarissima). 

OssERVAZIONI. — Questa forma dovrebbe considerarsi come il vero tipo del 
gruppo del 0. Bronnii, se il Michelotti non avesse figurato per tipo di questa specie un 
esemplare alquanto aberrante. Le indicazioni indicate in sinonimia si riferiscono tutte 
alle forme fortoniane del C. Bronnii e non già al vero C. Dujardini che rimase finora 
sconosciuto nei depositi elveziani piemontesi. L'unico esemplare pliocenico che pos- 
seggo tende alquanto verso la var. subascalarata. 


C. BRONNII var. EVOLUTOSPIRA SACC. 
(Tav. V, fig. 10). 

Testa fusoidea. Spira perelata, rapide evoluta. Anfractus ultimi interdum minus 
angulosi; striolae transversae sub angulo anfractuum suboblitae. 

Alt. 17-30 mm.: Lat. 7-12 mm. 

Elveziano: Colli torinesi, Albugnano (non rara). 

OsseRvaZIONE. — Si potrebbe considerare come la forma corrispondente, nel- 
l’Elveziano, alla forma tipica del Tortoniano. 


C. BRONNII var. CRASSOCOLLIGENS SACC. 
(Tav. V, fig. 11). 
Testa crassior, latior, valde minus fusulata. Spira regularius conica. 


Alt. 25-32 mm.: Lat. 11-13 mm. 
Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (non rara). 


OsservazIoNnI. — Paragonata col tipo del C. Bronnii ne parrebbe specificamente 


diversa, presentando invece maggior somiglianza col 0. Dujardini; però credo debba 
piuttosto collegarsi colla prima specie. 


C. BRONNII var. DEPRESSOASTENSIS SACC. 
(Tav. V, fig. 12). 

Testa latior, valde minus fusulata. Spira depressior, subconica, scalarata; striolae 
sub angulo anfractuum oblitae vel suboblitae. 

Alt. 23 mm.: Lat. 11 mm. 

Astiano: Astigiana (rarissima). 

Osservazioni. — Nel complesso si avvicina alquanto alla var. crassocolligens, 
ma tende pure molto verso il C. Dujardini. 


C. BRONNII var. SUBBICONICA SACC. 
(Tav. V, fig. 13). 

Testa affinis var. subascalarata, sed anfractus minus elongati, magis angulati, 
ratione habita latiores, striolis sub angulo interdum munùiti. 

Alt. 20-28 mm.: Lat. 10-12 mm. 

Tortoniano: Stazzano (non rara). 

Piacenziano: Astigiana (rara). 

OssERVAZIONE. — Parrebbe quasi una esagerazione, direi, della var. sudascalarata. 

Serie Îl. Tom. XLIV. Cc) 


50 FEDERICO SACCO 


C. BRONNII Var. OBTUSANGULATA SACC. 
(Tav. V, fig. 14). 


Testa minus longo-fusulata. Spira minus rapide evoluta. Anfractus obtuse angulati, 
interdum fere subrotundati. Striolae sub angulo anfractuum plerumque suboblitae. 

Elveziano: Colli torinesi (non rara). 

Tortoniano: Stazzano (non rara). 


OsservazionI. — Le è forse affine il O. strombellus GrAT. var. minor GRAT. 


C. BRONNII ? var. ROTUNDULATA SACC. 


(Tav. V, fig. 15). 


Testa minus longo-fusulata. Spira minus elongata. Anfractus non angulati sed sub- 
rotundati, saepe transversim striolati, primi plus minusve subgranulosi. Striolae sub 
angulo anfractuum interdum suboblitae. 

Elveziano: Colli torinesi (non rara). 


Osservazioni. — Per alcuni caratteri si avvicina alla var. obtusangulata ed alla 
var. faurotransiens, ma per altri ricorda assai alcuni esemplari giovani di C. Puschi, 
donde l'incertezza della sua determinazione; ciò tanto più che la forma in esame è 
assai variabile per lunghezza di spira, rotondità di anfratti, maggior o minor inten- 
sità ed estensione delle granulosità, ecc. Forse questa forma è alquanto affine al 
C. laevis (GrAT.) 0 C. praelongus (GrAT.) indicata dal D'Orbigny come €. subalsiosus. 


C. BRONNII ? var. ROTUNDOSPIRATISSIMA SACC. 


Tav. V, fig. 15 dis. 


Testa affinis var. rotundulata, sed magis fusiformis, spira valde elongatior. 
Elveziano: Colii torinesi (alquanto rara). 


C. BRONNII ? var. EXFUSUS SACC. 


(Tav. V, fig. 16). 


Testa fusiformis, spirae exertae, anfractubus striatis, granulis marginalibus asperis, 
majori transversim subgranulato striato, basi acuta (Borson). 


1823. Conus fusus Bors. BORSON, Oritt. piemont., pag. 173 (305), fig. 22. 
1881. ,  fuscus Bors. 5 Cat. Coll. min. Turin, pag. 607. 
1848. ,  fusus 3 BRONN, Index paleont., pag. 330. 


Elveziano: Colli torinesi (alquanto rara). 


Osservazioni. — Il nome del Borson non può mantenersi già esistendo un Conus 
fusus di Gmelin. La forma in esame è un po’ variabile, poichè alcuni esemplari per 
il loro assieme si scostano alquanto dal tipo del Borson e si avvicinano, per la 
forma, alla var. taurotransiens, per modo che sembrano collegarsi a simili forme gra- 
nulose osservate nel gruppo del C. antediluvianus e del C. Dujardini. 


ì MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 51 


C. BRONNII ? var. ROTUNDULOGRANOSA SACC. 
(Tav. V, fig. 17). 


Testa affinis var. rotundulata SAco., sed: anfractus seriis granularibus in regione 
ventrali et infera ornati. 

Elveziano: Colli torinesi (non rara). 

Osservazioni. — Passa gradualissimamente alla var. exfusus, talora anzi ne 
rappresenta solo una differenza di età, poichè i primi anfratti sono sovente angolosi 
e gli ultimi subrotondati D'altra parte essa non è altro che la var. rotundulata or- 
nata di cingolelli granulari, ciò che sempre più dimostra il collegamento di queste 
varie forme e l’accidentalità delle granulazioni. 


C. BRONNII ? var. TAUROTRANSIENS SACC. 
(Tav. V, fig. 18). 


Testa minus longo-fusulata. Spira minus elongata. Anfractus minus ventrosi; primi 
interdum perdepresse subgranulosi. Striolae sub angulo anfractuum plerumque oblitae vel 
suboblitae. 

Alt. 20-30 mm.: Lat. 7 '/,-11 !/. mm. 

Elveziano: Colli torinesi, Baldissero, Bersano, Albugnano (frequente). 


OssERvAZIONI. — Questa forma alquanto variabile sembra talora far passaggio 
al C. Dujardini (specialmente alla sua var. taurominor); alcuni esemplari a spira più 
largamente conica paiono passare al C. Brezinae H. A. che credo debba conside- 
rarsi piuttosto come una varietà che non come una specie a sè; collegasi d’altronde 
per diversi caratteri colla var. subascalarata. 


C. BRONNII ? var. SUBASCALARATA SAcc. (an species distinguenda). 
(Tav. V, fig. 19). 

Testa minus longo-fusulata. Spira regulariter conica, ascalarata vel subascalarata 
Anfractus minus ventrosi. Striolae sub angulo anfractuum oblitae vel suboblitae. Anfractus 
interdum transversim lineati. 

Alt. 16-30-40 mm.: Lat. 7-12-14 mm. 

Elveziano: Colli torinesi, Baldissero (straordinariamente comune). 

Tortoniano: Stazzano (rara). 


Osservazioni. — Parrebbe quasi una specie a sè, ma collegasi con altre varietà 
del C. Bronni. Gli esemplari elveziani generalmente hanno gli anfratti più rettilinei, 
un po’ meno ventrosi nella parte media e la spira più nettamente conica che non 
gli esemplari tortoniani, per modo che ne potrebbero forse distinguere specificamente. 
Se si volesse portare la forma in esame al grado di specie, la var. tauroafusula ne 
costituirebbe una buona varietà. 


C. BRONNIT ?_ var. FUSOLIVA SACC. 
(Tav. V, fig. 20). 
Testa affinis var. subascalarata sed fusulatior, olivaeformis; anfractuum angulus 
superus subobtusus vel subrotundatus. 


52 FEDERICO SACCO 


Eleziano: Colli torinesi (alquanto rara). 
Tortoniano: Stazzano (rara). 


C. BRONNIL? var. TAUROAFUSULA SACC. 


(Tav. V, fig. 21). 


Testa affinis var. subascalarata, sed: saepe major et crassior; latior, minus fusoides; 
spira brevior, latius conica. 

Alt. 15-37 mm.: Lat. 7-16 mm. 

Elveziano: Colli torinesi (frequente). 


Osservazioni. — Questa forma collegasi colla var. subascalarata sempre più al- 
lontanandosi dal tipico C. Bronni, per modo che parrebbe quasi logico di staccarnela 
specificamente, tanto più che mancano le caratteristiche striole che nel C. Bronni 
stanno sotto all'angolo degli anfratti. Nel complesso essa ricorda alquanto alcune 
forme del gruppo del C. striatulus e del C. pelagicus. 


CONOSPIRUS ? OBLONGOTURBINATUS (GRAT.). 
(1840. GRATELOUP (Conus antediluvianus var. oblongoturbinata), Conch. Bassin Adour, PI. 44, fig. 2). 


È questa forma una specie assai spiccata, finora poco conosciuta, forse anche 
perchè la sua conchiglia è così gracile, almeno negli esemplari del Piemonte, che 
facilmente si rompe. Seguendo il mio solito metodo ho conservato a questa forma 
l’antico nome datole dal Grateloup, quantunque egli l’indicasse come varietà di una 
specie ben diversa, mentre invece il D’Orbigny pensò di imporle un nuovo nome, 
aquensis; sembrami assolutamente logico conservare i nomi primitivi, anche se dap- 
prima furono considerati come nomi di varietà, almeno quando le denominazioni si 
prestano, poichè in caso diverso si cade in una grande confusione che può trarre a 
pericolose conseguenze, potendo anche influire sulla debole natura umana riguardo 
al modo di considerare le specie e le varietà. La specie in esame sembra riferibile 
ai Conospirus quantunque per diversi caratteri ricordi pure i Leptoconus, sempre più 
dimostrandoci l’incertezza di tale distinzione sottogenerica. 

La forma tipica manca in Piemonte ed è quindi desiderabile che di essa venga 
presentata una diagnosi che manca tuttora. Pel confronto mi riferisco quindi solo 
alla figura tipica data dal Grateloup. 


0. OBLONGOTURBINATUS Var. PROPEGALLICA SACC. 
(Tav. V, fig. 22). 


Testa minor, gracilior, minus inflata. Spira elongatior, fusulatior. 
Alt. 40-58 mm.: Lat. 16-20 mm. 
Eeziano: Colli torinesi (alquanto rara). 


Osservazione. — E la forma piemontese che meglio si avvicina al tipo francese. 


È 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 583 


C. OBLONGOTURBINATUS Var. TAUROGRACILIS SAC. 
(Tav. V, fig. 23). 


Testa minor, valde gracilior, perfusulata, spira elatior, acutior, gracilior. In regione 
spirae anfractus primi granuloso-angulati, medi angulati, externi subangulati, decli- 
viores. Cauda valde gracilior et elongatior. 

Alt. 12-60 mm.: Lat. 4 !/-20 mm. 

Elveziano: Colli torinesi (frequente). 


Osservazioni. — Alcuni esemplari si presentano trasversalmente striolati in 
modo da ricordare assai il vivente C. D’Orbignyi. 

Anom. AnGuLATISSIMA Sacc. (Tav. V, fig. 24). — Spira perscalarata. Anfractus 
angulatissimi. 

Elveziano: Colli torinesi (rara). 

Anom. rorunDaTISsIMA Saco. — Spira perscalarata, sed anfractus rotundatissimi. 


Elveziano: Colli torinesi (rara). 


C. OBLONGOTURBINATUS Var. FUSOLAEVIS SACcc. 
(Tav. V, fig. 25). 
Testa minor, gracilior, fusulatior, minus ventrosa. Spira minus scalarata. Anfractus 


magis involuti, rotundatiores, ad suturam non depressi. 
Elveziano: Colli torinesi (frequente). 


C. OBLONGOTURBINATUS Var. BICONOLONGA SACC. 
(Tav. V, fig. 26). 
Testa minor, gracilior, fusulatior, valde minus ventrosa. Spira ascalarata, conico- 


elongatissima. Anfractus regulariter involuti, ad suturam nihil subcanaliculati, suban- 


gulati, suturis subsuperficialibus disjuncti. 
Alt. 35-45 mm.: Lat. 11-14 mm. 
Ebeziano: Colli torinesi (non rara). 


OssERVAZIONE. — Ricorda alquanto il gruppo del C. Bronni. 


C. OBLONGOTURBINATUS Var. PAUCISPIRALATA. 
(Tav. V, fig. 27). 


Testa affinis var. fusolaevis, sed: brevior et latior; spira valde depressior, in 


regione externa subascalarata. Anfractus angulatiores. 
Alt. 33-52 mm.: Lat. 13-20 mm. 
Ebeziano: Colli torinesi (non rara). 


C. OBLONGOTURBINATUS Var. TAUROCHELYCONOIDES SACC. 
(Tav. V, fig. 28). 


Testa subovatior. Spira aliquantulum brevior. Anfractus, ultimus praecipue, ad su- 
turam superam minus depressi, rotundatiores. 


54 FEDERICO SACCO 


Eleziano: Colli torinesi (rara). 
Osservazioni. — E quasi una forma intermedia fra il tipo e la var. subfusi- 
formis Grat. Ricorda alcune forme di Chelyconus. 


Avvertenza. — La fine, l’indice ed il resto delle Tavole della famiglia Conidae, 
nonchè le Conorbdidae, si trovano nel fascicolo secondo della parte XIII, fascicolo 
che non potendo più essere inserito nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze 
di Torino, durante il corrente anno accademico, fu stampato a spese dell'Autore, come 
le parti IX, X e XII, affinchè non fosse troppo ritardata la pubblicazione della presente 
Monografia. 

Tali parti trovansi in vendita presso la Libreria E. LorscHER di C. CLAuUSsEN - Torino. 


tenziano 


| L. arcuatus 
L. thelassiarchus L. delessertianus 
L. Sieboldii L. dispar 

\ L. borneensis 


L. Brocchi e var. crassospirata 


FEDERICO SACCO 


I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 


Quadro comparativo dei LEPTOCONUS e dei CONOSPIRUS 


| __ | €. papillaris 


i C. Orbignyi — C. granarius — O. gradatus — ©. insculptus 


| C. acutangulus | | 


transiens Var. 


| fusulospirata COMPressospira 
IS OUIDA crassospirata (| empena 
SIA ATL antediluvianoides — È subagranulata 
brevidepressula dertoblita 
dertoblita 


perfuniculata 
granulocatenata 
conicospirata 
perconicospirata 
oblita 
discors 
pupoidespira 
perpupoidespira 


L. Allionii e var. 


compressospira 


taurooblitoides 
miosubagranosa 
| compressospira 


| tauroascalarata 


gracilissima 
mioblita 


Leptoconus Ewaldig— L. Semperi (pars) 


i 


e C. antediluvianus e var. turripina 


turripma 

dertonensis 
fasciornata 
turritospira 


var. e €. antediluv. e var. 


—— __—_. 


dertonensis 
dertogranosa 
turripina 
turnitospira 
crassogranosa 
Berwerthi 
excatenata 


| var. e 0. antediluv. e var. 


var. e 0. antediluv. var. (a = pseudoantedil. 


taurocatenatoides pseudocatenata; 


C. antediluv. var. princeps — ? — 0. plicatilis — C. Beyrichi 


0.? parisiensis 


Conospirus ? parisiensis 


| C. scalaris 


? 


| 


C. monilifer 


C. Dujardini var. astensis 


C. Dujardini var. 


var. e C. Dujardini e var. 


| asdensis | 
Brezinae 
| funiculellata ) 


taurostriolata 
depressulina 
taurominor 
brevicaudata 


—  — 


54 bis 


p___—_ € spiculum 


depressastensis var. 0. Bronni 


stazzanensis var. €. Bronni 


stazzanensis 
crassocolligens 
obtusangulata 
subascalarata 
subbiconica 
tauroafusula 


fusoliva I 
) 


‘ var. e €. Bronni 


evolutospira 
obtusangulata 
subascalarata 
taurotransiens 
Brezinae 

eafusus 

rotundulata 
rotundospiratissima 
rotundulogranosa 
stazzanensis ? 


var. e €. Bronni 


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Ooctino lasso De vio 


Jolie S aa TO LN 


lina 
È 


79 


a 


3 


Lit. Salussolia, Torino 


bis. 


bis. 


bis. 


bis. 


bis. 
ter. 


Località 

Dendroconus betulinoides (Lx.) [es. preso a tipo dal BroccHi] Astigiana 

Id. Id. var. supramamillata Sace. . Vezza d'Alba 

Id. Id. var. chelyconoides Sacc. . 90, Id. 

Id. Id. var. ezlineata Sacc. [tipo del C. l- 

neatus Bors.] . Astigiana 

Td. Id. Id. Id. (juv.) . Vezza d’Alba 

Id. Id. var. concavespirata Sacc. Id. 

Id. Id. var. dertosulculellata Sacc. . S. Agata 

Id. Id. var. dertomamillata Sacc. . Stazzano 

Id. Id. var. dertocanaliculata Sacc. ZON Id. 

Id. Berghausi (Mrcer.) [esemplare tipico del MicarLorti] S. Maria-Stazzano 

Id. Id. var. propebetulinoides Sacc. S. Agata 

Id. Id. var. bifasciolata Sacc. Id. 

Id, Id. var. exfuscocingulata . Borzoli 

Id. Id. var. moravicoides Sacc. . Stazzano 

Id. Id. var. triangularis Sacc. . Id. 

Id. Id. var. planocylindrica Sacc. . S. Agata 

Id. GL var. percommunis Sacc. . Stazzano 

Id. Ta. Id. Id. (juo.) Id. 

Id. Id. var. glandiformis Sacc. . Td. 

Td. Td. var. ccnotriangula Sacc. . Td. 

Id. Id. var. semisulcata Sacc. Montegibbio 

Id. Id. var. conicospira Sacc. Stazzano 

Td. Id. Toe: (Guv.) . Id. 

Id. Id. var. permucronata Sacc. S. Agata 

Id. CertOVATUSISACOHA QI e Stazzano 

Id. Id. var. connectens Sacc. . Si Id. 

Id. Eschewegi (DA Costa) var. caelata (Dop. Sacc.) . . Montegibbio 

Id. Id. Id. Id. (juo.) Stazzano 

Id. Id. Id. var. depressoastensis (SAcc.) . Astigiana 

Id. pyruloides (Dop. Sacc.) S. Agata 

Id. i IIGE Id. ua Td. 

Id. Id. Id. (juov.) Td. 

Id. Id. var. planacutispira Sacc.. Id. 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. 


COLLEZIONE 
in cui è conservato 
l'esemplare figurato 


Coll. Brocchi (Milano) 


Museo geol. Torino 
Td. 


Id. 
Id. 
Id. 
Id. 
Museo geol. Roma 
Id. 
Id. 
Museo geol. Torino 
Td. 

Museo geol. Genova 
Museo geol. Torino 
Id. 

Joi 
Id. 

Id. 

Id. 

Id. 

Museo geol. Modena 
Museo geol. Torino 
Id. 


Museo geol. Modena 
Museo geol. Torino 
Id. 

Museo geol. Modena 
Museo geol. Torino 
Id. 

Id. 


Fig. 


1 
1 dis. 
2. 
2 bis. 


Lithoconus Mercatii (Br.) [esemplare tipico del Broccni) . . . S. Miniato Coll. Brocchi (Milano) 
Id. Id. OOO AM RAI TITO Astigiana Museo geol. Torino 
Id. Id. anom. crasselabiata Sacc.  /. 0. Id. Id. 

Id. Id. anom. anomalosulcata Sacc. . . . . . . Villanuovad’Asti Id. 
Id. Td. vancicimeta (Borse e e Id. Id. 
Id. Id. var. Aldrovandi (Br.)[esempl.tip.delBroccHi] Crete senesi Coll. Brocchi (Milano) 
Id. Id. var. elongatofusula SAcc. . °°... 0 Astigiana Museo geol. Torino 
Id. Id. var. depressulospira SACC. +. . 0 +0 Casaglia Museo geol. Roma 
Id. Id. var. longoastensis Snec. 04. OI Astigiana Museo geol. Torino 
Id. Id. var. Baldichieri (Bors.) . . Baldichieri (Astig.) Id. 
Id. Id. var. fuswoidea SACCHI e Astigiana Id. 
Id, Id. MAL: CHASSOVALASAOO; le n ee UNE Id. Id. 
Id. Id. var Caroli (Puo) a aos Aia Id. Td. 
Id, Id. var. turricula (Br.) [esempl. tip. del Brocca] Crete senesi Coll. Brocchi(Milano) 
Id. Id. var. canaliculatodepressa SAcc. . . . 0. Astigiana Museo geol. Torino 
Id. Id. VAr. SUPPONGA DACCI i e Albenga Id. 
Id. Id. VALSSUVCUSINIOCONSACOL ILA COLI SR IO Stazzano Museo geol. Roma 
Id. Id. ? var. tauromazima Sacc.. . . . +. + +. +. Colli torinesi Museo geol. Torino 
Id. Id. ?var. compressicauda Sace... . 1... Id. Id. 
Id. Id. var. acanaliculata Sace... +... . + +  Savona-Fornaci Id. 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IL 


COLLEZIONE 


Località in cui è conservato 
l'esemplare figurato 


LIV. 


< 
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Voluo 


Da 
a 


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9 
Classe. 


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a 


Ss 
È 
< 
N 
s 
x 


SULLE 


PROPRIETA TERMICHE 


DE VAPORI 


PARTE V. 
STUDIO DEL VAPORE DI ALCOOL 


RISPETTO ALLE LEGGI DI BOYLE E DI GAY-LUSSAC 


MEMORIA 


ANGELO BATTELLI 


Professore di Fisica Sperimentale nella R. Università di Padova 


Approvata nell’ Adunanza dell’11 Giugno 1893 


1. — Le presenti esperienze vennero eseguite collo stesso apparecchio che mi 
servì nello studio analogo del vapore di solfuro di carbonio. 

La purificazione dell'alcool venne fatta con la massima cura; tenendo dapprima 
l’alcool già distillato sopra la calce viva polverizzata, per tre giorni, distillando poi 
il liquido decantato, e togliendo finalmente le ultime traccie di umidità con nuove 
distillazioni sopra la potassa caustica nel vuoto. 


2. Risultati delle esperienze. — Le tabelle che seguono, — come nelle prece- 
denti Memorie, — contengono nella colonna t i pesi del vapore espressi in grammi; 
| nella colonna v i volumi di un gramma di vapore, espressi in cm.8; nella colonna p 
le pressioni esercitate sul vapore, espresse in millimetri di mercurio; nella colonna pv 
i prodotti delle pressioni per i volumi; e finalmente nella colonna dè i valori delle 
densità del vapore, riferite all’aria. I valori p, v, è, sono ridotti alla temperatura 
media per ciascuna serie di esperienze. 

Serie II. Tom. XLIV. H 


58 


ANGELO BATTELLI 


Tabelle A. 
É ! TT | v p ! pv (o) 
| | | | 
Temperatura media = — 160,24. 
—16°,21 08”,00101 112564,0 3,08 346697 1,5947 
—16 ,22 a 104336,8 3,31 345355 1,6008 
—16 ,23 » 98514,0 3,51 345784 1,5989 
—16 ,25 P 91043,3 3,80 345965 1,6017 
—16 ,25 x 88656,2 3,90 345759 1,5990 
—16 ,27 n 86278,5 4,00 345114 1,6020 
Temperatura media = — 129,06. 
—12°,01 08, 00101 99334,2 3,54 351643 1,5979 
—12 ,01 3 91475,4 3,85 352180 1,5954 
—12 ,04 n 86874,1 4,05 351840 1,5970 
—12 ,06 h 80416,5 4,37 351420 1,5989 
—12 ,06 n 75330,8 4,66 351042 1,6006 
—12 ,08 n 69534,8 5,06 351846 1,5969 
—12,10 3 67485,4 5,20 350924 1,6011 
—12,11 3 65874,2 5,32 350451 1,6033 
Temperatura media = — 89,54. 
— 89,52 08,00101 84516,1 4,21 355813 1,6005 
—8 ,52 * 78428,2 4,54 356064 1,5994 
—8 ,52 3 72544,6 4,91 356194 1,5988 
—8 ,52 p 66312,4 5,36 355435 1,6022 
—8 ,53 7 65268,4 5,45 355713 1,6009 
—8 ,54 c 61187,8 5,81 355501 1,6019 
—8 ,56 7 54367,6 6,54 355564 1,6016 
—8 ,56 5 53321,6 6,67 355655 1,6022 
—8 ,57 5 51886,0 6,84 354900 1,6046 
Temperatura media = — 1°,85. 
— 19,80 0800101 72100,1 5,05 364105 1,6037 
3 L 69800,2 5,22 364357 1,6026 
3 7 60881,0 5,98 364068 1,6039 
—1,84 3 52316,6 6,96 364123 1,6036 
—1 ,82 5 49392,4 7,90 364022 1,6041 
—1,86 P 46207,2 7,88 364113 1,6037 
—1,88 A 43886,7 8,29 363821 1,6050 
7) A 41353,3 8,80 363909 1,6046 
5 * 40001,5 9,09 363614 1,6059 
’ o 37453,9 9g 363671 1,6056 
1396 x 34956,7 10,40 363550 1,6061 
—1,87 5 31258,2 11,63 363533 1,6062 
’ ” 30852,6 11,78 363444 1,6066 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 


IE ESSENZE 


| | | | | 


59,40 08-,00101 47254,3 (92 374269 1,6020 

È | È 44809,2 8,35 374208 1,6023 

s ; 42300,0 8,85 374368 1,6015 

s 5 39863,3 9,39 374316 1,6017 

5,42 ; 35890,2 10,42 374206 1,6023 

| 7 0,00284 31541,8 11,82 373853 1,6037 

È n 27442,0 13,60 373211 1,6065 

5,39 5 24305,4 15,35 373088 1,6070 

; 5 22005,5 16,95 372993 1,6074 

5,98 A 21152,4 17,62 372705 1,6086 

Temperatura media = 8°,75. 

80,74 08”,00284 38916,8 9,70 377493 1,6074 

È 5 36331,6 10,39 377485 1,6074 

i 3 34004,7 11,10 377452 1,6076 

x 5 33266,2 11,35 377571 1,6071 

8,75 > 30198,5 12,51 377783 1,6062 

S 3 28453,6 13,26 377295 1,6082 

8,76 5 22354,0 16,89 377559 1,6071 

di ; 20428,1 18,47 377307 1,6082 

Ù Ù 17850,5 21,12 377002 1,6095 

SAI 3 16806,3 22,42 376797 1,6104 
Temperatura media = 160,22. 

169,20 08” ,00284 21335,8 18,16 387495 1,6075 

n x 18755,6 20,65 387303 1,6083 

16 ,21 5 15963,2 24,27 387422 1,6078 

si n 14005,0 27,65 387238 1,6086 

16 ,23 x 12541,4 30,85 386902 1,6100 

16 ,24 È 11567,7 33,50 386603 1,6112 

5 n 10975,5 35,21 386448 1,6119 
Temperatura media = 20°,41, 

209,40 0800284 14144,2 27,67 391407 1,6125 

; | ; 12193,7 32,15 392028 1,6120 

20,41 | n 11434,5 34,26 391746 1,6131 

5 7 10512,8 37,26 391706 1,6133 

È Ù 9133,4 42,85 391366 1,6147 

i 5 8740,3 44,77 391303 1,6150 


8589,8 45,55 391265 1,6151 


ANGELO BATTELLI 


Temperatura media = 249,33. 


240,30 0g”,00284 14251,6 27,88 397335 1,6117 
24,81 " 12934,6 30,72 397351 1,6117 
23,33 i 12003,7 33,10 397326 1,6118 
2 ; 10964,2 36,22 397123 1,6126 
i È 10004,8 39,65 396690 1,6143 
24,34 ) 9356,8 42,35 396261 1,6161 
i i 8831,0 44,86 396159 1,6165 
i , 7261,5 54,54 396042 1,6170 
i i 7042,8 56,21 395876 1,6177 
24,36 ; 6990,9 56,62 395825 1,6179 


Temperatura media = 589,46. 


580,52 0g” 0248 4036,21 109,25 440956 1,6193 
N) È 3625,14 121,80 441542 1,6172 
58,50 ; 3525,63 124,92 440422 1,6213 
58,48 f 3140,61 140,20 440313 1,6217 
58,46 i 2514,80 175,10 440341 1,6216 
58,44 i 2196,40 200,22 439763 1,6237 
i i 2034,85 216,20 439935 1,6231 
58,43 , 1983,41 291,58 439484 1,6248 
S i 1775,54 247,18 438878 1,6270 
; i 1631,14 269,05 438858 1,6270 
; È 1457,02 301,10 438709 1,6276 
} ; 1316,40 332,45 437637 1,6316 


Temperatura media = 799,10. 


799,15 0g”. 0248 2190,61 211,70 463752 1,6358 
, A 1981,45 240,10 463741 1,6358 
79,12 ; 1725,33 268,92 463976 1,6350 
i ; 1420,80 326,20 463465 1,6368 
79,11 ; 1075,35 431,10 463583 1,6364 
79,10 i 816,27 567,00 462825 1,6390 
79 ,08 i 704,35 655,75 461878 1,6424 
79 ,07 ( 643,27 717,00 461182 1,6449 
; ; 630,26 731,10 460876 1,6463 
i; i 617,81 745,65 460670 1,6467 
; i 602,51 764,10 460378 1,6477 


i a 582,82 789,65 460224 1,6483 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 


Temperatura media = 99°,83. 


150°,02 


> 150,03 
150,04 


” 


150 ,05 
150 ,06 


150,07 
150 708 


»” 


1235,30 

1070,43 
983,83 
961,53 
948,33 
905,36 
781,26 
725,30 
645,27 
532,68 
490,260 
415,745 
375,264 
305,281 


283,152 


Temperatura media = 134°,86. 


908,10 
837,26 
803,64 
772,09 
684,46 
603,28 
523,27 
442,817 
314,659 
198,315 
175,264 
148,515 
126,100 
109,312 


100,900 


Temperatura media = 150°,05. 


891,33 
804,52 
671,81 
584,32 
502,26 
412,280 
294,614 
186,349 
98,314 
76,616 
70,420 
68,358 
67,400 


398,20 
459,60 
499,70 
511,20 
518,15 
542,70 
627,35 
675,20 
757,80 
915,15 
993,50 
1167,20 
1289,00 
1575,50 
1694,40 


595,7 
645,6 
672,2 
700,05 
788,1 
892,3 

1026,8 

1210,4 

1688,8 

2630,55 

2962,7 

3462,4 

4031,8 

4597,7 

4957,2 


633,5 
702,1 
898,4 
964,95 

1118,8 

1356,6 

1880,4 

2918,2 

5300,5 

6539,9 

7140,7 

7315,4 

7415,1 


491799 
491970 
491620 
491534 
491377 
491339 
490123 
489723 
488986 
487482 
487073 
485257 
483715 
480909 
479771 


540955 
540535 
540207 
540504 
539423 
938307 
537294 
535986 
531396 
521677 
519255 
914218 
508410 
502575 
500182 


964658 
564853 
563246 
562543 
561929 
559299 
503992 
543804 
521113 
501061 
502848 
500066 
499778 


Ù, 


62 


1980,12 
19814 


198 ,18 
198,18 
198,20 
198 ,21 


198 ,23 


198 ,25 
198 127 


198,29 
198 732 
198 733 


2150,58 
215 ,59 
215 ,60 
215 ,62 


»” 


” 


ANGELO BATTELLI 


0gr-,2262 


» 


” 


0g” 2262 


»” 


Temperatura media = 178°,41. 


454,698 
421,368 
411,760 
385,648 
360,262 
312,486 
254,109 
210,751 
156,248 
128,650 
105,852 
87,480 
71,564 
59,247 
51,654 
47,256 
40,334 
36,518 
34,351 


418,332 
406,815 
393,648 
385,461 
360,456 
325,492 
286,252 
267,451 
208,254 
175,267 
120,816 
89,312 
77,253 
52,348 
38,264 
29,816 
22,564 


382,405 
361,580 
343,648 
316,905 
283,615 
249,310 


Temperatura media = 1989,22. 


Temperatura media = 215°,64. 


| pv | lo) 
| 
1525,9 602532 1,6146 
1421,6 599017 1,6241 
1457,3 600058 1,6212 
1550,2 597852 1,6273 
1655,6 995729 1,6330 
1901,5 594192 1,6372 
2326,6 591210 1,6455 
2790,8 588164 1,6540 
3720,5 981321 1,6735 
4466,2 974577 1,6981 
5368,7 568287 1,7129 
6399,1 558506 1,7379 
7650,9 047529 1,7768 
9031,7 535101 1,8180 
10162,3 924924 1,8538 
10957,1 517789 1,8788 
12501,4 504252 1,9294 
13952,9 909532 1,9099 
14203,5 487904 1,9959 
1498,1 626703 1,6205 
1540,0 626495 1,6210 
1591,6 626537 1,6210 
1623,9 625950 1,6225 
1733,8 624959 1,6250 
1917,0 623968 1,6276 
2172,2 621797 1,6333 
2320,5 620620 1,6364 
2957,1 615829 1,6491 
3495,6 612663 1,6576 
4971,8 600673 1,6907 
6620,5 591290 1,7176 
1599,4 981978 1,7451 
10661,0 558082 1,8198 
13902,7 531973 1,9091 
16923,5 904591 2,0127 
20649,1 465926 2,1797 
1698,0 649524 1,6219 
1794,6 648892 1,6230 
1886,9 648430 1,6242 
2050,6 649845 1,6247 
2282,9 647465 1,6266 
2661,5 644908 1,6330 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 


215,62 
215 ,63 


215 ,64 


» 


215 ,66 
215 167 


215 ,68 


231941 
231,42 


” 


931 43 
231 ,45 


” 


231 46 


»” 


931 47 


231 48 
231 149 
231,50 


” 


” 


” 


2399,50 


Segue Temperatura media = 215°,64. 


085-,2262 185,963 
7 161,564 
1 125,541 
3} 95,374 
i 81,489 
A 64,562 
; 47,318 
È 28,574 
n 24,372 
5 20,155 
i 17,584 
} 15,618 
o 14,910 


Temperatura 


0gr 2262 322,971 
i 304,622 

: 285,624 

È 261,504 

$ 298,334 

c 215,005 

i 183,412 

; 160,516 

) 133,364 

i 108,157 

: 90,372 

> 75,262 

È 68,152 

+ 52,314 

; 41,268 
0,4005 26,574 
ù 21,348 

i 17,646 

ì 12,912 

i 10,148 


Temperatura 


0gr,4005 297,510 
i 283,264 
Î 266,546 
; 250,118 
i 208,150 
à 191,102 
È 174,856 
) 140,257 
Ù 110,864 


3440,5 
3951,6 
5029,9 
6505,0 
7520,8 
9311,5 

12260,0 

18608,3 

20961,3 

23965,8 

26156,4 

28079,6 

29100,2 


media = 231°,46. 


2057,5 
2182,0 
2326,3 


37515,2 


media = 239°,52. 


2280,5 
2395,2 
2541,2 
2708,5 
39230,4 
3509,8 
3812,5 
4721,6 
5908,7 


639806 
638456 
630453 
620408 
612862 
601169 
580119 
531715 
510869 
483031 
459937 
439558 
433884 


664512 
665078 
664447 
664508 
661803 
658885 
655313 
650132 
645035 
640993 
635424 
626933 
622460 
607392 
590054 
548495 
519028 
506369 
435264 
380704 


678472 


673474 
677454 
677445 
672408 
670730 
666638 
662238 
655062 


1,9823 
2.0949 
21473 


— 2,4980 


2,8561 


1,6282 
1,6282 
1,6306 
1,6307 
1,6429 
1,6470 
1,6571 
1,6681 
1,6864 


63 


64 


ANGELO BATTELLI 


2399,52 


2419,58 
241 ,59 
241 ,60 


” 


241 ,62 
241 765 
241 (67 


241,68 


241 ,69 


Segue Temperatura media = 239°,52. 


084005 89,317 


” 


08”-,4005 


80,182 
65,464 
48,648 
24,187 
18,206 
15,502 
14,048 
12,974 
11,250 

9,239 

8,622 
| 7,791 


Temperatura media = 241°,66. 


280,416 
274,714 
251,180 
230,773 
215,710 
197,511 
168,334 
140,574 
131,875 
109,874 
96,310 
72,476 
65,264 
48,340 
33,255 
25,186 
20,314 
15,864 
12,915 
10,418 
8,751 
6,274 
5,258 
4,916 
4,314 
3.895 
3,153 
‘2,904 


7284,0 

8021,3 

9538,2 
12662,0 
29846,9 
28230,8 
31512,4 
38510,7 
35121,0 
37951,4 
41580,0 
42675,6 
44151,8 


2430,6 
2480,2 
2710,9 
2941,2 
3134,8 
3406,9 
39784 
4732,0 
5031,6 
5997,5 
6801,0 
8882,4 
9784.3 

12808,7 

17792,1 

22302,1 

26291,7 

31400,0 

35680,5 

40065,2 

43185,1 

46134,6 

47020,0 

47305,4 

47481,5 

47851,8 

49334,8 

52908,3 


650585 
643164 
624409 
615981 
902598 
515970 
488505 
470758 
455660 
426953 
384158 
367949 
D44824 


681579 
681546 
680924 
678750 
676208 
672900 
669700 
665196 
662016 
658970 
655005 
643761 
638562 
619172 
573884 
561699 
534090 
498130 
460814 
417399 
5779153 
289449 
247231 
232553 
204835 
186383 
155559 
153646 


1,6980 
1,7176 
1,7692 
1,7934 
1,9991 
2,1493 
22614 
2,3466 
24244 
25874 
2,8756 
3,0023 
3,2037 


1,6276 
1,6281 
1,6291 
1,6343 
1,6405 
1,6485 
1,6564 
1,6676 
1,6756 
1,6834 
1,6936 
1,7232 
1,7372 
1,7916 
1,9330 
1,9749 
2.0770 
2,2270 
2.4073 
2,6577 
2,9354 
3,8325 
4,4870 
4,7702 
5,4157 
5,9519 
7,1315 
7,2200 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 65 


| 
È | TT | v p pv | ò 
| | | | | 
Temperatura media = 244°,83. 

244,79 08 4005 272,315 2524,1 687350 1,6238 

5 È 231,334 2959,6 684656 1,6302 

3 , 208,265 3280,5 683213 1,6337 
244 ,80 3 164,831 4110,0 675897 1,6514 

È 5 122,584 5471,7 670743 1,6640 
244 ,81 s 97,362 6791,2 661205 1,6880 
244 ,82 5 74,960 8680,3 650675 1,7154 
244 ,83 3 51,305 12291,5 630615 l/099 
244 ,84 A 28,166 20619,0 580755 1,9219 
244 ,85 ; 17,426 29792,2 519159 2,1499 
244 ,86 0,8620 10,742 40186,0 431678 2,5856 
244 ,87 si 6,215 48256,0 299911 3,7216 

5 i 4,883 49985,0 244077 4,5730 

5 ù 3,268 54244, 1 177270 6,2964 

3 x 2,754 64350,0 177220 6,2982 

8. — Anche per il vapore d’alcool, come per quello delle altre sostanze da me 


studiate, si verifica il fenomeno, che la tensione del vapore va crescendo ancora, 
dopo cominciata la condensazione di mano in mano che il vapore si liquefa; sebbene 
per l'alcool ciò si riveli soltanto ad alta temperatura, e meno sensibilmente che per 
le altre sostanze. 

Riferisco nel quadro seguente i valori dei volumi e delle tensioni del vapore, 
dopo cominciata la condensazione; e riferisco a lato i rapporti ra fra i valori p" 
assunti dalla pressione nel primo momento della condensazione, e quelli p' corrispon- 

g SLM 6 : GV g è RIA Pg 
denti alle tensioni massime, e i rapporti - fra gli aumenti subìti dalle pressioni 


e i decrementi avvenuti nei volumi, fino a raggiungere le tensioni massime a partire 
dal primo momento della condensazione. 


Tabelle B. 
v i p | v p | Rapporti 
| | | I 
Temperatura = — 169,24;  p" = 492,00; p' = 4mm 00. 
86278,5 4,00 80315,6 4,00 RL N00 
848542 4,00 674612 4,00 pa 


Serie Il. Tom. XLIV. I 


66 


ANGELO BATTELLI 


v i p | v | p i Itapporti 
| | | | 
Temperatura = — 120,06; p' = 52,32; p' = 5mm,32. 
65374,2 9,592 62245,8 9,32 | VAI 1.000 
64186,8 9,52 49312,6 5,52 p i 
Temperatura = — 89,54; p" = 6,84; p' = 6,84. 
51886,0 6,84 47234,0 6,84 A 
49658,4 6,84 40316,8 6,84 | p ? 
Temperatura = — 19,85; p' = 11,78; p' = 11,78. 
30852,6 11,78 22184,0 11,78 a 
27484,5 11,78 17451,1 11,78 D ; 
Temperatura = 5°,40; p' = 17,62; p' = 17,62. 
21152,4 | 17,62 17453,0 17,62 TA 1.000 
19374,8 | 17,62 12560,3 | 17,62 p : 
Temperatura = 89,75; p' = 22,42; p' — 22,42. 
16806,3 22,42 11564,6 22,42 piva 1.000 
14324,0 22,42 9056,5 22,42 p { 
Temperatura = 160,22; p'" = 35,21; p = 35,21. 
10975,5 35,21 | 7325,1 35,21 BRA 
9731,4 35,21 5931,6 35,21 DOSI 
Temperatura = 20941; p' = 45,55; p‘ = 45,55. 
8589,8 | 45,55 | 51364 | 45,55 PI 
6934,6 45,95 | 4751,4 45,50 p 1 
Temperatura = 249,93;  p" = 56,62; p' = 56,62. 
6990,9 | 56,62 5834,8 56:62-—laegro 
66531,4 | 56,62 4136,8 56,62 p i 
Temperatura = 589,46; p” = 332,44; p' = 332,45. 
1318,4 332,44 1220,5 332,45 È, — 0,99997 0) 
1310,5 332,44 1108,0 332,45 Ai 
332,45 831,4 382,45 Ap = 0000303 


1285,0 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 


67 


v O p O v i p | Rapporti 
| f | | I 
Pemperatura =="19°,10;: p'-— 789,62; p' = 73965. 
582,93 789,62 560,5 789,64 = = 0,99996 (2) 
580,40 789,65 500,3 789,65 n 
574,00 789,64 404,6 789,65 n, = 0000349 
Temperatura == 999,83; p' = 1694,00; p' = 1694,40. 
283,546 1694,00 Do pai Dia 
251,340 1694,30 - = 0,99976 
283,340 1694,20 D p 
Ra 206,242 1694,40 
281,204 1694,30 5 Av 
? ? 100,356 1694,40 
Temperatura = 134°,86; p' = 4954,4; p' = 4957,2. 
90,156 4956,3 RE 
Li e 81862 | 49570 P = (,99944 
101,055 4954,5 v 
MOL, 70,050 4957,2 i 
100,870 4954,7 Mo 10 Ap _ (0088607 
98,334 4954,2 ? Avi) 
? ? 40,370 49572 
Temperatura = 1509,05;: p" = 7401,2;. p' = 7415,1. 
‘67,554 7401,2 50,812 7415,1 A 
67,388 7408,3 41,362 7415,0 a 
66,282 7410,0 33,505 7415,1 dr _ (51482 
64,141 7414,0 7492,0 Av 
56,314 7414,5 
Temperatura = 178°,41;. p'" = 14188,7; p' = 14203,5. 
34,610 | 14188,7 29.415 14203,8 P — (099896 
34,315 14196,5 20,186 14203,5 v 
33,200 14199,6 16,302 14203,5 Ap 1 GAdd 
31,142 14202,0 14220,0 Av 
26,208 14203,0 
Temperatura = 198°,22; p' = 20604,0; p' = 20649,1. 
29,855 20604,0 17,156 20649,0 2° — (,99782 
99,548 20621,5 15,310 20649,0 v 
292,004 20627,8 14,225 20649,1 dr _ 82000 
21,126 20683,4 20833/0 | Av 
19,304 20641,5 


68 ANGELO BATTELLI 


v i p | v i MEP | Rapporti 


Temperatura = 215°,64; pp" = 29048,0; p' = 29100,2. 


15,106 29048,0 11,318 29100,2 Fi Leti 

14,874 29069,5 9,940 29100,2 p i 

14,121 29088,5 Ap __ 

12340 | 290920 | Agi NE 
Temperatura = 281°,46;. p" = 37432,0; p' = 37515,2. 

10,301 37432,0 7,003 37515,2 DITA 

10,151 37455,1 6,420 37515,2 D 099007 

97240 STATLA 37740,8 Ap 

8,030 370902, Noi GO,84r8 

7.54 37514. . | 


Temperatura = 2399,52;.\p" = (2); pl = 44151;8. 


mr 
I risultati mostrano che 1 rapporti no) tendono a diminuire leggermente man 
Si 4 QUA 5 
mano che la temperatura s'innalza; mentre i rapporti ai vanno crescendo coll’au- 


mentare della temperatura. 


4. — Ho applicato la formola di Biot ai valori delle tensioni massime del vapore 
d’alcool : 


log. p = a + da' + cB'. 


Le costanti sono rispettivamente uguali ad 


a= 5,0751023 
b= . 0,0435271 log. è = -2,6387597 
e = — 4,0217800 log. c = 0,6044184 


log. a = 0,00336681 
log. B = 71,99683015. 


Per mostrare come la formola si adatti ai risultati sperimentali, riferisco nella 
seguente tabella i valori delle tensioni massime dati dall’osservazione nella colonna p'o; 
e di fronte ad essi, nella colonna p'., i valori relativi ottenuti dal calcolo. 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 


Tabella ©. 
Il | 
È D'o PD È 
| 
— 16°,26 4,00 3,8511 | 79,10 | 
— 12,06 DIBIAO I 5:2898 99,83 
Cigr54 6:84! |. © 68277 134,86 
At.85 11,78 12,003 | 150,05 
5,40 17,62 17,943 178,41 
8,75 22,42 DOS se 198099 
16,22 35,21 35,642 | 215,44 
20 ,41 45,55 45,824 231,46 
24,33 56,62 57,605 239,52 
58 ,46 332,45 330,282 | 


, 


r 


Po Po 
789,65 790,803 
1694,40 1691,14 
4957,2 4954,76 
71415,1 74144,35 
14203,5 14287,37 
20649,1 21414,22 
29100,2 29743,5 
Solo 39369,7 
44151,8 24991,7 


Anche Régnault (*) e Ramsay e Joung (**) determinarono fino ad alte tempe- 
rature le tensioni massime del vapor d'alcool; e dedussero rispettivamente le costanti 
dalla formola di Biot. 

Sarà bene porre a confronto nella tabella seguente i valori che si hanno dalla 
formola da me calcolata e dalle formole calcolate da Régnault e da Ramsay e Joung. 

La colonna p'r contiene i valori secondo Régnault, la p'ry i valori secondo 
Ramsay e Joung, e la colonna p'x i valori calcolati colla mia formola. 


Tabella D. 

t P'r I P'rr ! D'B 
— 15° 4,69 5,10 _ 4,234 
—ol:()0 6,58 6,47 — 6,153 
— 5 9,21 9,09 — 8,824 

0 12,83 12,70 12m, 24 12,498 
5 17,73 17,62 = 17,488 

10 24,30 24,283 23,73 24,180 

15 33,02 32,98 — 33,061 

20 44,48 44,46 43,97 44,712 

25 99,95 59,37 — 59,843 

30 78,49 718,52 78,11 79,280 

35 102,87 102,91 — 103,969 

40 133,64 133,69 133,42 135,250 

45 | 172,14 172,18 — 174,288 

50 219,88 219,90 219,82 222,584 


(*) Mém. de V Acad. des Sciences, vol. 26, p. 349. 
(**) Philos. Trans. of the Roy. Society, Parte I, 1886, p. 123. 


70 ANGELO BATTELLI 


t P'r D'rr D'E 
55° 278,61 278,59 —_ 281,646 
60 350,26 350,21 3502, 21 353,798 
65 436,99 436,90 li 440,952 
70 541,21 541,15 540,91 546,721 
1/5) 665,52 665,54 — 671,545 
80 812,76 812,91 811,81 817,115 
85 985,97 935,40 - 994,066 
90 11838,43 1189,30 1186,5 1196,409 
95 1423,52 1425,153 — 1430,528 
100 1694,92 1697,55 1692,3 1703,395 
105 2006,34 2010,38 — 2013,907 
110 2361,63. 2367,64 2359,8 2373,984 
115 2764,74 2773,40 — 2783,630 
120 38219,68 3231,73 3223,0 3234,670 | 
125 3730,41 3746,88 — 37517,954 
190 4301,04 4323,00 4318,7 4330,719 
135 4935,40 4964,22 = i 4923,621 
140 5637,00 674,59 5686,6 5710,809 
145 6410,62 6458,10 — ‘6508,531 
150 7258,73 7318,40 73683,7 (592,517 
160 9409,9 9423,804 
170 11858 11904,63 
180 14764 14777,09 
190 i 18185 18183,05 
200 22182 22183,05 
SIC 26825 26812,25 
220 32196 32173,50 
230 38389 38387,37 
240 45519 45482,81 


L'accordo dei risultati della mia formola con quelli delle formole di lucani 
e di Ramsay e Joung è assai soddisfacente. 


5. — Ho ricavato di poi i valori dei volumi specifici del vapor saturo alle 
diverse temperature; e a tal uopo, identicamente a quanto avevo fatto per le prece- 
denti sostanze, ho costruito le isotermiche fino al punto spettante al primo momento 
della ‘condensazione; ed ho poi continuata ciascuna curva, secondo l'andamento che 
aveva, fino a incontrare la ‘parallela all’asse delle ascisse condotta dall’ordinata della 
tensione massima. Il volume corrispondente al punto d’incontro rappresentava il vo- 
lume del vapore allo stato di saturazione completa. 

Tali volumi del vapore saturo si trovano riferiti nella seguente tabella, sue 
la lettera v,; mentre sotto la lettera e’, si hanno i volumi del vapore nel primo 
momento della condensazione; nella stessa tabella le colonne è, e è’, contengono le 
densità rispetto all’aria rispondenti ai suddetti due stati del vapore. 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 


Tabella E. 
t DA ò, v', dI 
— 16,24 86273,5 1,60201 
— 12,06 65874,2 1,60335 
— 8,54 51886,0 1,60465 
— 1,85 30852,6 1,60665 
5,40 21152,4 1,60499 
8,75 16806,3 1,61041 
16,22 10975,5 1,61190 
20,41 8589,8 1,61514 
24,33 6990,9 1,61792 
58,46 1316,40 1,63161 131:7,47 1,62922 
79,10 582,82 1,6483530 582,97 1,64793 
99,83 283,152 1;67437 283,548 1,67242 
134,86 100,900 1,75716 101,390 1,74964 
150,05 67,400 1,82416 67,556 1,82335 
178,41 34,351 1,99396 34,619 1,98059 
198,22 22,564 2,17976 22,856 2,15660 
215,64 14,910 2,42736 15,106 2,40017 
231,46 10,148 2,85610 10,901 2,81983 
239,52 7,191 3,2083872 


Coi valori di v,, v'., è,, è’, come ordinate, e prendendo le temperature come 
ascisse, ho descritto le curve che si trovano nella Tav. I, indicate successivamente 
coi numeri 1, 2, 3, 4. 

Il millimetro nelle ascisse rappresenta un grado di temperatura; e nelle ordi- 
nate rappresenta 100° per le curve dei volumi, e il valore 0,01 per le curve delle 


densità. Inoltre l’origine dei volumi è zero, quello delle densità è 7,6000. Come si 
vede le due curve dei volumi v, e v’, in così piccola. scala, coincidono insieme. 


6. — Nella Tav. Il poi ho riportato i disegni delle isotermiche del vapore di 
alcool, in piccola scala. Esse sono distribuite in cinque gruppi. 
Le curve del 1° gruppo corrispondono alle temperature —16°24, —129,06, 


— 89,54, —1,85, +5°40. Esse sono disegnate, a tratto continuo; nelle ascisse 1 mm. 


rappresenta 500°, e nelle ordinate 1 di millimetro di mercurio. L'origine degli assi 


10 
cui è riferito il gruppo ha, rispetto al sistema di assi della tavola, le coordinate 
v= — 21152,4 
pe — 3,08. 


Le isotermiche del secondo gruppo (segnate per punti) sono quelle delle tempe- 
rature +8°,75; 160,22; 200,41; 249,33. Esse sono riferite ad un sistema di assi la 
cui origine rispetto al sistema della tavola ha per coordinate 


di= 0 


pz — 9,70; 


72 ANGELO BATTELLI 


e nelle ascisse 1 mm. equivale a 200°, e nelle ordinate a + di millimetro di 
mercurio. 

Le curve spettanti alle temperature di 58°,46; 79°,1; 99°,83 compongono il 
3° gruppo e sono disegnate a punti e tratti. L'origine degli assi di questo gruppo 


ha rispetto agli assi della tavola le coordinate 


Di-N0 
paMl00% 


e 1 mm. nelle ascisse rappresenta 20°, e nelle ordinate la pressione di 10 milli- 
metri di mercurio. 

Le curve del 4° gruppo (disegnate a tratti interrotti) spettano alle temperature 
di 134,86; 150,05; 198°,22; 215°,64. Per esse non si è fatto trasporto di coordi- 
nate; e 1 mm. nelle ascisse vale 70°, e nelle ordinate 200 millim. di mercurio. 

Infine il 5° gruppo di isotermiche è disegnato a tratti alternati con due punti. 
In esso 1 mm. nelle ascisse rappresenta 3°, e nelle ordinate 500°. L'origine degli 
assi cui sono riferite le curve ha rispetto agli assi della tavola le coordinate 


DANZA) 
p= + 35000. 


Il quadro delle isotermiche porge il mezzo di determinare il punto critico. Però 
non avendo più ottenuto la condensazione a 241°,66, ho dovuto costruire brevi tratti 
di isotermica con determinazioni fatte alle temperature di 240,1, 240°,8, 241,2 
temperature ottenute successivamente con grande stento dall’ebollizione di una stessa 
qualità di petrolio frazionato. I tratti di tali isotermiche si trovano in piccola scala 
nella Tav. I: così ho potuto riconoscere che la temperatura critica è posta fra 241°,2 
e 241°,6. Ho preso come valore più approssimato 


t. = 24194. 


Ad essa corrisponde 


pi = 47,848 mm. 0, 34,38" e0: 


Dallo stesso quadro delle isotermiche disegnate in grande scala, ho dedotto i 
volumi assunti dal vapore alle diverse temperature sotto le pressioni di 5®®», 10m, 
sfmm, 200220. 30022, 5002. (8002-200022 500022, -10000m2-,200002m 3000010 
ed ho calcolato sotto ciascuna pressione i coefficienti di dilatazione per successivi 
intervalli di temperatura, mediante la solita formola: 


pas Di rada 
vali — vata” 


Nelle tabelle seguenti si trovano i valori di tali coefficienti. 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 


73 


Tabella F. 

Pressione = 5 mm. Pressione = 10 mm. 
Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti 
SEI Ca . 0,0038806 » ca . 0,0038821 
Mah i . 0,003784 Le | . 0,003778 
BRbÌ . 0,003762 te: . 0,0083752 
DE 4 i . 0,003732 STO i . 0,003730 
mi . 0,003724 

Pressione = 30 mm. Pressione = 200 mm. 
Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti 
i, . 0,0083985 | + A . 0,004025 

i . 0,0038866 fai . 0,0038950 
E . 0,0038781 SR . 0,0038882 
Di . 0,003740 750 | . 0,003766 

80 { . 0,003738 

Pressione 300 mm. Pressione = 500 mm. 
Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti 
ta pa - 0,0041836 Trana - 0,004108 

AV . 0,004100 gola . 0,004037 
70 { . 0,003985 85 i . 0,003895 
75 i . 0,003868 90 i . 0,0038801 
80 { . 0,003781 95 i . 0,003768 
Ri . 0,003764 ne . 0,0038749 
90 i . 0,003748 110 { . 0,0037832 
(fog . 0,0038710 ig oo al . 0,003720 

iogta . 0,0038704 


Serie II. Tom. XLIV. 


74 ANGELO BATTELLI 


Segue Tabella F. 


Pressione = 800 mm. 
Temperature Coefficienti 
n: - 0,004110 

e . 0,004050 
120 i . 0,003902 
13 { . 0,003820 
140 . 0,003775 
150 { . 0,003741 


Pressione = 2000 mm. 
Temperature Coefficienti 
Ti 30°, - 0,0044835 

150 { . 0,004287 
160 ì . 0,003920 
170 { . 0,003857 
180 : . 0,003795 
190 { . 0,003766 
200 : . 0,003752 
990) } . 0,003731 


Pressione = 10000 mm. 


Temperature Coefficienti 
ERO . 0,004880 
9210 i . 0,004621 
915 { . 0,004339 
22) i . 0,004107 
230 { . 0,003980 
240 i . 0,003906 


Pressione = 20000 mm. 


Temperature Coefficienti 
a . 0,0058328 
990) PAC II . 0,004948 
230 fe ac 0004 
940 { . 0,004380 


Temperature 


+ 230° C. 
285. | 
dot) 
245 


Da queste tabelle scaturiscono le medesime conclusioni a cui si giunse nello 
studio delle precedenti sostanze, che, cioè : 

1° I coefficienti di dilatazione del vapore d’alcool sotto pressione costante 

aumentano col diminuire della temperatura e tanto più rapidamente quanto più il 


vapore si avvicina alla liquefazione; 


2° I valori assoluti dei coefficienti medesimi e le loro variazioni fra gli stessi 
limiti di temperatura aumentano col crescere della pressione sotto cui trovasi il 


vapore. 


Pressione = 30000 mm. 


Coefficienti 


. 0,005178 
. 0,004812 
. 0,004668 


signs eri in siti 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 75 


7. — Dalle medesime isotermiche ho dedotto i valori delle pressioni corrispon- 
denti a volumi eguali di un gramma di vapore, per le successive temperature; e 
con questi valori ho poi costruite le curve di egual volume o isocore, che trovansi 
disegnate in piccola scala nella Tav. IV, dove il millimetro nelle ascisse rappresenta 
un grado di temperatura, e nelle ordinate rappresenta 200 millimetri di pressione. 

Nella medesima tavola si trova la curva delle tensioni massime del vapore, la 
quale congiunge le estremità di tutte le isocore. — Su ciascuna isocora ho scelto 
poi a diversi intervalli tante coppie di punti abbastanza vicini da poter calcolare 


dp 


gp ossia il coefficiente di aumento di pres- 


Z ì : 1 
con buona approssimazione il rapporto ca 
sione a volume costante. 


I valori di tali coefficienti si trovano nelle tabelle che seguono: 


Tabelle G. 

Volume di 1 gr. di vapore = 10° Volume di 1 gr. di vapore = 20° 
Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti 
o . 0,008195 fa . 0,004510 
296 i . 0,008051 919 { . 0,004430 
240 { . 0,007940 215 } . 0,004400 
944 i 2 .0.007710 990) } . 0,004335 
995 { . 0,004280 

930 } . 0,004210 

935 i . 0,004160 

940 i . 0,004065 

Volume di 1 gr. di vapore = 40° Volume di 1 gr. di vapore = 60° 
Temperature Coefficienti - Temperature Coefficienti 
i. (0,008480 i ._0,003220 
185 I . 0,0083264 170 i . 0,003185 
190 { . 0,003150 180 { . 0,003048 
200 { . 0,003050 190 i . 0,002920 
910 | . 0,002970 200 I . 0,002835 
290 { . 0,002890 910 . 0,002740 
930 { . 0,002815 990) ; . 0,002648 
930 } . 0,002563 


70 ANGELO BATTELLI 


Segue Tabelle G. 


Volume di 1 gr. di vapore = 80° 


Volume di 1 gr. di vapore = 100° 


Temperature Coefficienti 
i C., - 0,003180 
LA . 0,002990 
Lu . 0,002885 
n . 0,002795 
i . 0,002700 
A . 0,002615 
210 | . 0,002540 


Temperature Coefficienti 
SI - 0,00306 
145 i . 0,002955 
150 { . 0,002850 
160 { . 0,002778 
170 { . 0,002705 
180 { . 0,002625 
190 | . 0,002565 
200 { . 0,002510 


Volume di 1 gr. di vapore := 400° 


Volume di 1 gr. di vapore = 800° 


Temperature Coefficienti 
950 
e . 0,002825 
110 { . 0,002741 
120 : . 0,002690 
130 { . 0,002630 
140 i . 0,002580 
150 { . 0,002530 


Temperature Coefficienti 
i . 0,002710 
90 { . 0,002650 
100 { . 0,002605 
110 i . 0,002560 
120 { . 0,002520 
130 { . 0,002495 


Volume di 1 gr. di vapore = 1500° 


| Volume di 1 gr. di vapore = 12000 


Temperature Coefficienti 
ia . 0,0025835 
65 | . 0,002495 
70 ì . 0,0024600 
75 } . 0,0024830 
30 { . 0,002410 


I valori riferiti ci dicono che: 


Temperature Coefficienti 
i - 0,002455 
20 i . 0,002428 
99 i . 0,002409 
94 { . 0,002389 


1° I coefficienti di aumento di pressione, per un dato volume, vanno dimi- 


nuendo col crescere della temperatura ; 


2° Tali variazioni si fanno più rapide di mano in mano che i volumi sono 


più piccoli ; 


3° Mentre i volumi vanno crescendo, diminuiscono i valori assoluti di questi 


coefficienti. 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 17 


8. Comportamento del vapor d’alcool rispetto alla legge di Boyle. — 
Si può avere d’un colpo d’occhio l’idea del comportamento del vapor d’alcool rispetto 
alla legge di Boyle, descrivendo come per i vapori delle sostanze precedenti anche 
per esso le curve rappresentanti a ciascuna temperatura i valori dei prodotti pv in 
funzione delle pressioni. Tali curve si trovano riportate in piccola scala nella Tav. II, 
e sono distinte in cinque gruppi. 

Quelle del 1° gruppo, disegnate a tratto continuo, corrispondono alle tempera- 
ture di —169,24; — 129,06; —8°%,54; —1°,85. Per esse 1 millimetro sulle ascisse 


rappresenta la pressione di * di millim. di mercurio, e sulle ordinate il valore 200. 


L'origine del sistema cui sono riferite le curve ha, rispetto agli assi della tavola, 
le coordinate 


Ta) 
y = — 845.114. 


Le curve del 2° gruppo, disegnate per punti, spettano alle temperature di +5°,40; 


89,75; 16,22; 20°,41. Per esse 1 millim. sulle ascisse vale RA di millim. di mer- 


curio, e sulle ordinate 100 unità pv. L'origine delle ordinate è stata trasportata 
verso il basso della quantità 372.705. 

Nel terzo gruppo sono comprese le curve delle temperature di 24°,33; 589,46; 
799,10; 99°,83, e sono segnate a tratti. Il millimetro sulle ascisse rappresenta 10 
millim. di mercurio, e sulle ordinate 500 unità pv; mentre che l'origine delle ordi- 
nate è stata trasportata verso il basso di 395.825. 

Le curve a punti e tratti alternati riguardano le temperature di 


134°,8; 150,05; 170°,41; 198,22. 


Nelle ascisse 7 millim. corrisponde a 7100 millimetri di mercurio, e nelle ordi- 
nate a 1000 unità pv. L'origine delle ordinate poi è trasportata verso il basso di 
465.926. 

Finalmente al 5° gruppo appartengono le curve spettanti alle temperature di 


2150,64; 231,46; 2399,52; 241°,66. 


Per esse / millim. rappresenta sulle ascisse 200 millim. di mercurio, e sulle 
ordinate 200 unità pv. 

L'origine degli assi cui le curve sono riferite ha, rispetto agli assi della tavola, 
le coordinate 


0 
— 344.824. 


x 
% 


Da queste curve poi ho ricavato i valori dei prodotti p,v, corrispondenti per 
ciascuna temperatura allo stato di gas; ed ho calcolato quindi i valori di a nella 


Pi 


formola tar 1 + ao. Essi trovansi riferiti in parte nella tabella che segue : 


78 


p 


ANGELO BATTELLI 


Tabella Hi. 


Temperatura = — 1°,85. 
6,96 0,00021 
7,37 0,00048 
7,88 0,00023 
8,29 0,00104 
8,80 0,00079 
9,09 0,00159 
9,71 0,00145 

10,40 0,00178 

11,63 0,00183 

11,78 0,00208 

Temperatura = + 249,33. 
33,10 0,00006 

36,22 0,00057 

39,65 0,00166 

42,95 0,00272 

44,86 0,00305 

4,54 0,00332 

56,21 0,00372 
56,62 0,00385 


Temperatura = 589,46. 


124,92 
140,20 
175,10 
200,22 
216,20 
221,58 
247,18 
269,05 
332,45 


0,00133 
0,00158 
0,00152 
0,00284 
0,00847 
0,00486 
0,00490 
0,00525 
0,00771 


Temperatura = 99°,83. 


511,20 
518,15 
542,70 
627,35 
675,20 
757,80 


0,00044 
0,00076 
0,00084 
0,00332 
0,00414 
0,00565 


Segue Temperatura = 99°,83. 


915,15 

993,50 
1167,20 
1289,00 
1575,30 - 


1694,40 


0,00876 
0,00960 
0,01338 
0,01661 
0,02254 
0,02497 


Temperatura = 134°,86. 


672,2 
700,05 
788,1 
892,3 
1026,8 
1210,4 
1688,8 
2630,55 
2962,7 
3462,4 
4031,8 
4597,7 
4957,2 


0,00128 
0,00019 
0,00274 
0,00482 
0,00671 
0,00917 
0,01788 
0,03682 
0,04169 
0,05189 
0,06391 
0,07626 
0,08141 


Temperatura = 178°,41. 


1550,2 
1653,6 
1901,5 
2326,6 
2790,8 
3720,5 
4466,2 
5368,7 
6399,1 
7650,9 
9031,7 

10162,3 

10957,1 

12501,4 

13952,9 

14203,5 


0,00530 
0,00885 
0,01146 
0,01656 
0,02184 
0,03385 
0,04599 
0,05756 
0,07361 
0,09766 
0,12315 
0,14493 
0,16070 
0,19191 
0,17951 
0,23180 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 79 


Segue Tabella H. 


p 0. p a 
| 
Temperatura = 215°,64. Temperatura = 239°,52. 

2282,9 0,00253 2541,6 0,00150 
2661,5 0,00650 2708,5 0,00151 
3440,5 0,01453 3230,4 0,00902 
3951,6 0,01670 3509,8 0,01154 
5029,9 0,02958 3812,5 0,01775 
6505,0 0,04625 4721,6 0,02451 
7520,8 0,05913 5908,7 0,03573 
| 9311,5 0,07974 7284,0 0,04286 
12260,0 0,11891 8021,3 0,05489 
18608,3 0,22077 9538,2 0,08658 
20961,3 0,27052 12662,0 0,10145 
23965,8 0,34381 22846,9 0,22778 
26156,4 0,3537367 28230,8 0,32006 
28079,6 0,43289 31512,4 0,38887 
29100,2 0,46112 33510,7 0,44123 
35121,0 0,48898 

37951,4 0,58910 

41580,0 0,76612 

42675,6" 0,84392 

44151,8 0,96758 


I presenti dati bastano per mostrare : 


1° Che i valori di a aumentano per ciascuna temperatura sempre più rapida- 
mente, man mano che si avvicina lo stato di saturazione; 


2° Che gli stessi valori, nelle vicinanze della saturazione, vanno crescendo 
coll’aumentare della temperatura. 


9. — Dalle medesime curve dei prodotti pv in funzione delle pressioni, ho rica- 
vato i valori delle pressioni p, e quindi dei volumi v;, a cui può dirsi che il vapore 
comincia a comportarsi come un gas ordinario. 

Essi trovansi qui sotto riferiti : 


80 ANGELO BATTELLI 


Tabella ll. 
t Pi Vi 
— 169,24 3,40 101765 
— 12,06 4,00 » 87975,0 
— 8,54 4,90 72673,5 
SSIS 5,90 61728,8 
SEI5t40 8,45 44307,7 
8,75 11,20 33714,3 
16 ,22 20,00 19372,4 
20 ,41 29,10 13460,5 
Abita 35,40 l 11224,6 
58 ,46 121,00 3644,71 
79,10 265,00 1750,00 
99 ,83 490,00 1003,57 
134 ,86 650,50 832,154 
150 ,05 830,00 680,241 
178 ,41 1368,0 439,328 
198 ,22 1598,0 392,058 
215 ,64 1790,0 362,627 
231 ,46 2050,0 324,390 
239 ,52 2300,0 294,987 
241 ,66 2400,0 283,958 


La tabella dimostra, come trovai pure pei vapori delle precedenti sostanze, che 
i valori delle pressioni p, vanno continuamente crescendo e quelli dei volumi v; 
continuamente diminuendo coll’aumentare della temperatura. 


10. — Ho fatto l’applicazione anche dei presenti risultati alle formole di Herwig 
e di Clausius; o per meglio dire, ho calcolato alle diverse temperature i valori del 
coefficiente che Herwig aveva creduto invariabile, ed ho determinato le costanti 
della formola di Clausius, sotto la forma che avevo adottata pei vapori da me pre- 
cedentemente studiati. 


Formola di Herwig. — In questa formola: 
DIA mm 
Don = VT, 


Pv, rappresenta il prodotto della pressione pel volume, allorchè il vapore comincia 
a comportarsi come un gas, e p'v' il corrispondente prodotto spettante al vapore 
nello stato di saturazione; c è una costante, e T è la temperatura assoluta. 


(Qui sotto sono riportati i valori di c che risultano dalle mie esperienze : 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DII VAPORI 81 


Da —= 0,062568 V273 — 16,24 
s = 0,062161 V273 — 12,06 
s = 0,061700 V273 — 8,54 
e: (00608554273 = 1585 
n = 0,060067 V273 + 5,40 
poni 10)059702#V278 015875 
gu c= 0058954! V27354 1622 
n == 0,058445 V273 + 20,41 
ai 810}058217 V2734E 24,38 
n = 0,0558350 V273 + 58,46 
E =+0:053 7010727915 79510 
n = 0,0530838 /273 + 99,83 


s ==\10,053547 V/273L 194,86 
mini 10:054925) 278 CT150,05 
FARO: 00 7077027903078 A 
; 0,061943 V273 + 198,22 
; 0,067677 V273 + 215,64 
0,077772 V273 -L 281,46 


| 


I 


I 


Si vede adunque che i valori di c pel vapore d’alcool vanno diminuendo fino a 
100° circa; dopo di che prendono a crescere continuamente colla temperatura. L’an- 
damento di queste variazioni è ben rappresentato dalla curva controdistinta colla 
lettera 4 nella Tav. I, la quale è costruita prendendo come ascisse le temperature 
e come ordinate i valori di c. Un millimetro nelle ascisse rappresenta un grado, e 
nelle ordinate il numero 0,0002. oltre l’origine delle ordinate è trasportata di 0,05 
verso il basso. 


11. Formola di Clausius. — Ho adottato per essa la forma da me usata per 
l’innanzi : 
RT mIN — nTV 
ESILIO (0 + BA" 


Le costanti hanno i valori seguenti : 


Re==1343,30 
= 432.449.000 
TATO 
0,71373 
4,7151 
0,941 
=\0;851 
Serie II. Tom. XLIV. K 


POR SREERT SITI 
Gi 


82 ANGELO BATTELLI i 


Nelle seguenti tabelle si trovano corrispondentemente a ciascun volume i valori 
delle pressioni osservate e quelli delle pressioni calcolate colla presente formola. | 


Tabelle ÎILa 

- Te 

Ù | p Ps Ù p Pe i 

| i | 

| | | 
| Temperatura = — 169,24. | Segue Temperatura = — 1°,85. 
112564,0 | 3,08 | 3,07 41353,3 8,80 8,80 
104336,8 3,81 3,31 40001,5 9,09 9,10 
98514.0 | = ‘3,51 3150 374533 971 9,72 
91043,3 | 3,80 3,79 34956,7 10,40 10,41 
88656,2 | 3,90 3,89 31258,2 11,63 11,64 
86278,5 | 4,00 4,00 30852,6 11,78 11,19 

Temperatura = + 59,40. 
Temperatura = — 129,06. 
47254,3 7,92 1590 
99334,2 | 3,54 3,53 44869,2 8,35 8,33 
91475,4 3,85 3,84 42300,0 8,85 8,84 
86874,1: 4,05 4,04 39863,3 309 9,38 
80416,5 4,37 4,36 35890,2 10,42 10,39 
i 75330,8 4,66 4,65 31541,8 11,82 11,81 
69534,8 5,06 5,04 27442,0 13,60 13,62 
67485,4 5,20 5,19 24305,4 15,35 15,38 
65874,2 5,32 5,92 22005,5 16,95 16,99 
21152,4 17,62 17,67 
Temperatura = — 89,54. Temperatura = 8°,75. 
84516,1 4,21 4,20 38916,8 9340 | 9,68 
78428,2 4,54 4,59 36331,6 10,39 10,41 
72544,6 4,91 4,90 34004,7 IRIO, 11,13 
66312,4 5,36 5,35 33266,2 11,35 11,38 
65268,4 5,45 9,44 30198,5 12.51 12,54 
61187,8 9,81 5,80 28453,6 13,26 13,30 
54367,6 6,54 6,53 22354,0 16,89 16,92 
53321,6 6,67 6,67 20428,1 18,47 18,51 
51886,0 6,84 6,84 17850,5 21,12 21,19 
16806,3 22,42 22,50 
| Temperatura = — 19,85. Temperatura = 160,22. 

72100,1 5,05 5,05 21335,8 18,16 18,21 
69800,2 5,22 5,22 18755,6 20,65 20,70 
60881,0 5,98 5,98 15963,2 24,27 24,32 
52316,6 6,96 6,96 14005,0 27,65 27,01 
| 493924 7,97 7,37 12541,4 30,85 30,94 
46207,2 7,88 7,88 11567,7 33,50 33,54 
43886,7 8,29 8,29 10975,5 35,21 35,35 


v 


14144,2 
12193,7 
11434,5 
10512,8 
9133,4 
8740,3 
85898 


14251,6 
12934,6 
12003,7 
10964,2 
10004,8 
9356,8 
8831,0 
7261,5 
7042,8 
6990,9 


4036,21 
3625,14 
3525,63 
3140,61 
2514,80 
2196,40 
2034,85 
1983,41 
1775,54 
1631,14 
1457,02 
1316,40 


2190,61 
1931,45 
1725,83 
1420,80 
1075,35 
816,27 
704,35 
643,27 
630,26 


| 
» | p 
| | | 
Temperatura = 209,41. Segue Temperatura = 799,10. 
27,67 27,82 617,81 745,65 750,33 
32,15 32,29 602,51 764,10 ! 768,99 
34,26 34,42 582,82 789,65 794,40 
37,26 37,44 
42,85 43,08 
44,77 45,02 Temperatura = 99°,83. 
45,55 45,80 
1235,30 398,20 402,00 
1070,43 459,60 463,11 
Temperatura = 24°,33. 983,83 499,70 503,40 
961,53 511,20 514,94 
27,88 28,00 948,33 518,15 522,02 
30,72 30,89 905,36 542,70 546,49 
33,10 33,24 781,26 627,35 632,03 
36,22 36,38 725,30 675,20 680,03 
39,65 39,87 645,27 757,80 762,88 
42,35 42,62 532,68 9dib5 920,66 
44,86 45,15 490,260 993,50 998,47 
54,54 54,89 415,745 1167,20 1172,49 
56,21 56,59 375,264 1289,00 1295,10 
56,62 57,00 305,281 1575,30 1580,81 
283,152 1694,40 1699,28 - 
Temperatura = 589,46. 
Temperatura = 134°,86. 
109,25 L09597 
121,80 122,39 908,10 595,7 SO 
124,92 125,83 837,26 645,6 647,32 
140,20 141,18 803,64 672,2 674,08 
175,10 176,12 772,09 700,05 700,91 
200,22 200,55 684,46 788,1 789,85 
216,20 217,37 603,28 892,3 894,47 
221,58 222,97 523,27 1026,8 1028,67 
247,18 248,86 442,817 1210,4 1211,71 
269,05 270,70 314,659 1688,8 1690,38 
301,10 302,74 198,315 2630,55 2634,68 
332,45 334,92 175,264 2962,7 2963,03 
148,515 3462,4 3461,16 
126,10 4031,8 4028,94 
Temperatura = 799,10. 109,312 4597, 4592,72 
100,900 4957,2 4951,7 
211,70 214,71 
240,10 243,38 
268,92 272,24 Temperatura = 150°,05. 
326,20 330,08 
431,10 434,87 891,33 633,5 630,90 
567,00 570,75 804,52 702,1 699,05 
655,75 659,81 671,81 838,4 855,39 
717,00 721,28 584,32 964,95 958,62 
731,10 735,81 502,26 1118,8 1112,52 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 


i 


83 


ANGELO BATTELLI 


Segue Temperatura = 150°,05. 


412,280 | 1356,6 
294,614 18804 
186,389 2918,2 
98,314 5300,5 
76,616 6539,9 
70,420 7140,7 
68,358 7315,4 
67,400 7415,1 
Temperatura = 
454,638 1325,3 
421,368 1421,6 
411,760 1457,9 
385,648 1550,2 
360,262 1653,6 
312,486 1901,5 
254,109 2326,6 
210,751 2790,8 
156,248 3720,5 
128,650 4466,2 
105,852 5968,7 
87,480 6399,1 
71,564 7650,9 
59,247 9031,7 
51,654 10162,3 
47,256 10957,1 
40,334 12501,4 
36,518 13952,9 
34,351 14203,5 


Temperatura = 


418,832 
406,815 
393,648 
385,461 
360,456 
325,492 
286,252 
267,451 
208,254 
175,267 
120,816 
89,312 
77,253 
52,348 
38,264 
29,816 
22,564 


1498,1 
1540,0 
1591,6 
1623,9 
1733,8 
1917,0 
9172,2 
2320,5 
2957,1 
3495,6 
4971,8 
6620,5 
7533,4 
10661,0 
13902,7 
16923,5 
20649,1 


1350,22 
1873,56 
2911,10 
5298,25 
6515,56 
7112,40 
7297,96 
7388 


178041. 


1512,65 


7625,99 

9005,12 
10129,15 
10914,55 
1242057 
13882,98 
14124,07 


193922: 


1489,88 
1581,88 
1581,73 
1614,76 
1724,70 
1906,17 
2161,40 
2309,56 
2945,07 
3478,25 
4959,32 
6603,06 
7513,92 
10628,16 
13840,26 
16844,98 
20562,3 


382,415 
361,580 
343,648 
316,905 
283,615 
242,310 
185,963 
161,564 
125,341 
95,374 
81,489 
64,562 
47,318 
28,574 
24,372 
20,155 
17,584 
15,618 
14,910 


322,971 
304,622 
285,624 
261,504 
228,334 
215,005 
183,412 
160,516 
133,364 
108,157 
90,372 
75,262 
68,152 

. 52,314 
41,268 
26,574 

| 21,348 
17,646 
12,912 
10,148 


297,510 
285,264 
266,546 


1698,0 
1794,6 
1886,9 
2050,6 
2982,9 
2661,5 
3440,5 
3951,6 


2057,5 
2182,0 
2326,3 
2541,1 
2998,4 
3064,5 
3572,9 
4059,6 
4847,8 
5926,5 
7031,2 
8330,0 
9133,4 
11610,5 
14298,1 
20640,3 
24312,7 
28695,9 
33710,0 
37515,2 


2280,5 
92395,2 
2541,6 


| 


LT 


Temperatura = 2159,64. 


1690,45 
1786,19 
1877,76 
2035,75 
2266,83 
2643,67 
3418,86 
3916,93 
4993,30 
6463,04 
7482,40 
9262,87 
12201,86 
18518,96 
20887,65 
23885,35 
26094, 4 
27999,3 
28937,1 


Temperatura = 231°,46. 


2048,75 
2184,40 
2328,28 
2538,56 
2898,54 
3073,69 
3587,42 
4081,74 
4878,42 
5958,56 
7060,31 
8374,81 
9177,63 
11666,64 
14374,51 
20713,9 
24455,7 
27959,6 
33834,5 
37639,2 


Temperatura = 129992 


2275,16 
2387,49 
2534,33 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI o) 


v | p Di » | P | DI 
| 
| Î | | | 
| Segue Temperatura = 239,52. | Segue Temperatura = 241°,66. 
250,118 27,08;5. |. 269736 65,264 9784,3 9798,89 | 
208,150 | 3230,4 3227,62 48,340 12808,7 | 12869,43 | 
191,102 | 3509,8 3507,87 933:255 1/792,1 | .17821,28 
174,856 3812,5 | 3826,61 25,186 22302,1 | 22370,55 
140,257 4721,6 4732,81 20,314 26291,7 | 26399,7 
110,864 5908,7 5929,20 15,864 31400,0 931434,4 
89,317 7284,0 7296,85 — | 12,915 35680,5 IDATO9 
80,182 80213 8035,85 10,418 40065,2 40172,9 
65,464 9538,2 9556,48 8,751 43185,1 43370,4 
48,648 12662,0 12723,46 6,274 46134,6 47624,1 
24,187 22846,9 22932,1 5,258 47020,0 48590,0 
18,206 28230,8. | 28333,5 4,916 47305,4 | 48732,0 
55020 31512;4. | ‘31603,2 4,314 47481,5 48875,0. | 
14,048 SRDLONM 11" 33687,2 3,895 » 47851,8 | 491794 
12,974 35121,0 35274,8 DRD 49334,8 52817,4 
11,250 37951,4 38145,8 2,904 52908,3 56873,3 
9,239 41580,0 40281,2 
8,622 | 42675,6 | 46196,1 
Moe 44151,8 44341,1 | Temperatura = 244°,83. 
272,915 2524,1 2509,07 
Temperatura = 241°,66. 2316334 2959,6 2943,92 
| | 208,265 3280,5 3262,20 
280,416 2430,6 2421,98 164,831 4110,0 4094,86 
274,714 2480,2 2471,32 122,584 54/1,% 5463,38 
251,180 210,9 2698,15 97,362 6791,2 6789,90 
230,773 2941,2 2931,50 74,960 8680,3 8684,46 
215,710 3134,8 3131,39 51,305 12291,5 12302,51 
E) 70591 a GARNI 3406,9 3412,47 28,166 20619,0 20667,84 
168,334 3978,4 3986,39 17,426 29792,2 29881,9 
140,574 4732,0 4744,71 10,742 40186,0 40353,0 
131,875 5031,6 5044,49 6,215 48256,0 49448,7 | 
109,874 5997,5 6009,08 4,883 49985,0 51254,1 
96,310 6801,0 6810,55 3,268 54244,1 56275,8 
72,476 8882,4 8893,24 2,754 64350,1 66898,0 


L'accordo fra i valori sperimentali e i valori calcolati può dirsi almeno discreto: 
esso sarebbe più che soddisfacente, se non si incontrassero notevoli divergenze alle 
più alte temperature sotto grandissime pressioni. 


12. — Colla formola di Clausius si possono calcolare approssimativamente i 
valori degli elementi critici. Sebbene le più recenti esperienze inducano a ritenere 
che alla temperatura critica (definita dall’isotermica che non possiede più il tratto 
rettilineo) non si abbia l'uguaglianza di densità fra il liquido ed il vapore, tuttavia 
tale isotermica può sempre considerarsi come quella che presenta un punto d’infles- 
sione, ove la tangente è parallela all'asse dei volumi. E allora si ha dalla formola 
di Clausius : 


86 ANGELO BATTELLI 


o =@A + 2I; 
miao 20 pe 
T; e 8 RY; 

Prglos Bla 

Pe csi 8 Y ’ 


dove y = a + B. 


Sostituendo i valori sopra notati delle costanti, si ottiene 


v = ‘4°,525 
T., = 513°,1 (contata dallo zero assoluto) 
Pi = 48,096 mm. 


Dall’esperienza si era ottenuto 
e, = 4,88; T, = 51494; p, = 47.348 mm. 


L'accordo fra i risultati dell'esperienza e del calcolo può ritenersi assai buono. 


13. — Un'altra verificazione della formola di Clausius si avrà dalla relazione : 
pri 225805, 
rn ni 


dove il numeratore: 2153,05 è il valore di R spettante all’aria, e 1,59479 è la 
densità teorica del vapore d’alcool. 


Il valore di R' dato da questa relazione concorda bene con quello adoperato 
nella formola di Clausius. 


14. — Ho finalmente calcolato anche pel vapore d’alcool il numero di gruppi 
molecolari di due molecole che nello stato di incipiente condensazione si possono 
formare alle diverse temperature. Tali numeri si trovano nella tabella seguente, e 


s1 riferiscono ciascuno a mille molecole semplici, ossia sono stati calcolati mediante 
la formola : 


n= “= 1000; 


dove n è il numero delle molecole doppie sopra mille molecole del vapore, e d e d, 


sono rispettivamente la densità teorica e la densità nel primo momento della con- 
densazione : 


SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 


87 


Tabella P. 
Î È p n 
| — 169,24 4,00 4,5272 
| BE12:06 5,32 5,3675 
SE 6,84 | 6,1826 
Se 13:85 1678 7,4367 
SES40 17,62 8,7159 
8,75 22.42 9,7944 
16 ,22 35,21 10,729 
| 20 ,41 45,55 12,760 
| 24 ,33 56,62 14,503 
58 ,46 332,44 21,589 
79 ,10 789,62 33,321 
99 ,83 1694,00 48,677 
134 ,86 49544 97,097 
150 ,05 7401,2 143,32 
178 ,41 14188,7 241,91 
198 ,22 20604,0 352,28 
| 215 ,64 29048,0 505,01 
231 ,46 37432,0 768,15 
239 ,52 44151,8 1008,9 


La tabella mostra che il numero dei gruppi molecolari di due molecole che si 
formano nel vapore d'alcool nel primo momento della condensazione, cresce rapi- 
damente colla temperatura quando questa è elevata; e che al di sopra della tempe- 
ratura critica si debbono formare, per sufficienti compressioni, anche molecole triple, 


quadruple, ecc. 


SS ANGELO BATTELLI 


Conclusioni. 


15. — Le esperienze riferite possono riassumersi nelle seguenti conclusioni : 

1° La tensione del vapore d’alcool nel primo momento della condensazione, 
a temperature superiori ai 50° C., si manifesta alquanto più piccola della tensione 
massima dello stesso vapore: i rapporti fra le due tensioni tendono a diminuire 
man mano aumenta la temperatura. Invece il rapporto fra la differenza delle tensioni 
medesime e la corrispondente diminuzione di volume del vapore cresce colla tem- 
peratura. 

2° Le tensioni massime del vapore di alcool sono bene rappresentate dalla 
formola di Biot, da —16° a +240° C 

3° I valori dei prodotti pv Jula pressione per il volume, spettanti allo stato 
di saturazione vanno dapprima aumentando col crescere della temperatura, fino a 
circa 140° C., e da questa temperatura in su vanno poi sempre diminuendo. 

4° I coefficienti di dilatazione del vapore d’alcool sotto pressione costante 
aumentano col diminuire della temperatura e tanto più rapidamente quanto più il 
vapore si avvicina alla saturazione. Aumentando la pressione sotto cui trovasi il 
vapore, aumentano fra gli stessi limiti di temperatura i valori assoluti dei coeffi- 
cienti, non che le loro variazioni. 

5° I coefficienti di aumento di pressione per un dato volume, vanno diminuendo 
col crescere della temperatura. Man mano poi che i volumi diventano più piccoli, i 
valori assoluti di questi coefficienti divengono più grandi, e le loro variazioni si 
fanno più rapide. 
Pat 


pv 
a quello di vapore) per ciascuna temperatura vanno aumentando di man in mano 


che il vapore si avvicina allo stato di saturazione; e alle diverse temperature, in 
prossimità della saturazione, essi vanno crescendo rapidamente coll’innalzarsi delle 
temperature stesse. 

7° Anche per l’alcool, come per le sostanze da me precedentemente studiate, 
i prodotti pv spettanti al principio dello stato di gas vanno continuamente crescendo 
colla temperatura. 


6° Le differenze a = 1 (essendo pv, spettante allo stato di gas e pv 


DIE 


8° Il rapporto della formola di Herwig (appartenendo p;v, allo stato 


di gas, e p'v' a quello di vapore saturo) va per l'alcool via via diminuendo fino a 
circa 110° €., dove tocca un minimo; e quindi comincia a crescere. 

9° La formola di Clausius si adatta discretamente ai risultati delle esperienze 
sull’alcool, quando le si dia la forma, che le diedi nel caso degli altri vapori da 


me studiati, cioè 
RT mT-R — aTV 


Lea © + 8? 


10° Il numero dei gruppi molecolari di due o più molecole che si formano 
nel vapore d’acqua nel primo momento della condensazione cresce rapidamente colla 
temperatura quando questa è elevata; e per lo meno al di sopra della temperatura 
critica, si debbono per certo formare, a sufficienti compressioni, oltrechè molecole 
doppie, anche molecole triple, quadruple, ecc. 
Istituto Fisico dell’Università di Padova, Aprile 1893. 


Cri ra o 


i oe 22 Como XIIV 


LO 


di 


Lit.Salussolia -Torino 


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LATITUDINE DI TORINO 


DETERMINATA C0I METODI DI GUGLIELMO STRUVE 


F. PORRO 
Approvata nell’'Adunanza del 25 Giugno 1893. 


INTRODUZIONE 


Una Comunicazione Preliminare “ sulle determinazioni di latitudine eseguite negli 
anni 1888, 1889, 1890 all'Osservatorio di Torino , è stata presentata all'Accademia 
nell'adunanza del 27 aprile 1890 ed accolta nel volume XXV degli Atti. La discus- 
sione definitiva dell'intero materiale d’osservazione, ivi annunziata, forma oggetto 
della Memoria che oggi sollecita il medesimo onore. 

Alle 120 osservazioni allora pubblicate (ed eseguite tutte, secondo il metodo di 
Guglielmo Struve, con doppia inversione del cannocchiale) altre 12 qui si aggiungono, 
nelle quali la estrema vicinanza della stella allo zenit rese necessario l’uso del filo 
mobile, pure suggerito da Struve. Così l’intera determinazione fu condotta in confor- 
mità alle classiche norme dettate dal grande astronomo di Dorpat, e può considerarsi 
come un modesto, ma sincero omaggio che io sono lieto di rendere a tanto maestro, 
mentre della sua nascita si commemora solennemente il centesimo anniversario. 

Ben sessantotto osservazioni mancano ad esaurire il programma prestabilito. 
Otto di esse, tutte relative alla stella y Ursae majoris, che culmina circa due minuti 
d’arco al Nord dello zenit, furono eseguite nel 1888 all’istrumento Repsold C della 
Commissione Geodetica, ma non poterono poi essere ridotte, essendosi guastato il 
reticolo prima che io ne avessi compiuto il necessario studio. Alle altre ho rinun- 
ziato per tre motivi, che non credo inutile esporre. Anzitutto me ne distolse la lunga 
interruzione dovuta alle misure astronomiche e geodetiche dell’azimut assoluto di Monte 
Vesco, che mi occuparono dall'aprile 1890 al settembre 1891. Ultimate queste, avrei 
potuto ritornare alla latitudine, se non me lo avesse impedito lo stato di quasi 
assoluta rovina del Cupolino Occidentale, destinato a proteggere la stazione. A. stento 
sì riuscì dal 1885 in poi a riparare dalle intemperie gli strumenti collocati in questo 
Cupolino, che ora va in isfacelo, come del resto più o meno tutta la vecchia ed 
infelice costruzione del Plana; collocarvi adesso uno strumento delicato come il nostro 
Repsold sarebbe un’imprudenza che io non oso commettere. Così l'Osservatorio di 
Torino è costretto a tenere nelle casse l’unico apparecchio atto ad una ricerca astro- 
nomica di alta precisione! 

Serie II. Tom. XLIV. 


90 F. PORRO 


Il terzo motivo che mi ha indotto a sospendere le determinazioni merita mag- 
giore spiegazione, perchè si connette ad una questione astronomica di grande attualità 
ed importanza. È noto come nel 1888 il signor Kiistner, astronomo a Berlino (ora 
meritamente chiamato a Bonn quale successore di Argelander e di Schonfeld), abbia 
pubblicato un poderoso lavoro, avente per oggetto una nuova determinazione della 
costante dell’aberrazione (1). Ritiene il Kiistner (e ne discusse profondamente le 
ragioni) che la forte discordanza del valore da lui ottenuto, rispetto a quelli deter- 
minati da Struve e da Nyren a Pulkova, non possa attribuirsi ad altra causa, che 
ad un leggero spostamento dell’asse terrestre nell'interno del globo, per il quale la 
latitudine di Berlino fu per due decimi di secondo inferiore nella primavera del 1885 
di quanto fu nella primavera precedente. Un simile risultato non era nuovo, perchè 
già molti astronomi, segnatamente italiani, avevano discusso le possibilità teoriche 
di un movimento relativo delle verticali e dell'asse di rotazione della Terra, dovuto 
all'influenza delle azioni geologiche e meteorologiche; e non erano mancati indizi di 
effettive sensibili variazioni in molte serie di osservazioni di latitudine, fra le quali 
meritano speciale menzione quelle del Nobile a Capodimonte (2). Ad ogni modo il 
risveglio nelle ricerche teoriche e pratiche su tale importantissimo problema data 
dalla pubblicazione del Kiistner, e dalla conseguente deliberazione dell’ Associazione 
Geodetica Internazionale di istituire un sistema di osservazioni contemporanee in 
differenti punti sopra la superficie del globo, eseguite con rigorosa uniformità di 
metodo e con tutte le cautele atte ad eliminare le cause di errore. Dalla prima serie 
di tali osservazioni concordate risultò una diminuzione di circa 0'",5, riconosciuta 
simultaneamente a Berlino, a Potsdam ed a Praga fra il settembre 1889 ed il feb- 
braio 1890; mentre la seconda serie, nella quale era inclusa una stazione molto 
lontana in longitudine dalle tre ora citate (Honolulu nelle isole Sandwich) rivelò in 
questa un andamento della latitudine affatto opposto a quello ottenuto nelle altre, 
confermando così l'ipotesi di un effettivo spostamento dell’asse di rotazione entro la 
massa del globo. 

Con rapidità veramente americana il dott. S. C. Chandler ha approfittato di 
queste scoperte per raccogliere e discutere in una serie di articoli dell’ Astronomical 
Journal tutte le più importanti determinazioni di latitudine eseguite dalla metà del 
secolo scorso in poi da molti astronomi con vari metodi e con diversi strumenti in 
differenti Osservatorii; ed il risultato mirabile cui è giunto si riassume nelle due 
leggi seguenti, da lui enunciate nel settimo de’ suoi articoli (3): 

“ 1. La variazione osservata della latitudine è la curva che risulta da due flut- 
“ tuazioni periodiche sovrapposte l’una all’altra. La prima di esse, e generalmente 
“ la più considerevole, ha un periodo di circa 427 giorni, ed una semiamplitudine di 
“ circa 0",12. La seconda ha un periodo annuo, con un'ampiezza variabile da 0,04 
“a 0,20 durante l’ultimo mezzo secolo. Durante un’epoca intermedia di questo 


(1) Neue Methode zur Bestimmung der Constante der Aberration nebst Untersuchungen iiber die 
Vertinderlichkeit der Polhòhe (Berlin 1888, in-4°). 

(2) Una estesa bibliografia di quanto si è pubblicato sull'argomento prima del 1890 si trova a 
pagina 449 del tomo VI del Bulletin Astronomique. 

(3) £ Astronomical Journal ,, N. 277, Vol. XII, 1892 novembre 4. 


LATITUDINE DI TORINO 91 


» 


intervallo, caratterizzata all’ingrosso come compresa fra il 1860 e il 1880, prevalse 
il valore rappresentato dal limite inferiore, ma prima e dopo queste date, il supe- 
riore. Il minimo ed il massimo di questa componente annua della variazione acca- 
dono, sul meridiano di Greenwich, circa dieci giorni avanti, rispettivamente, agli 
equinozi di primavera e di autunno, e il suo annullarsi prima dei solstizi di 
altrettanto. 

“2. Come risultante di questi due movimenti la variazione effettiva della lati- 
tudine è soggetta ad una alterazione sistematica in un ciclo della durata di sette 
anni, che risulta dalla commensurabilità dei due periodi. Secondo che essi cospi- 
rano od interferiscono, l'ampiezza totale varia fra un massimo di due terzi di 
“ secondo, ed un minimo che, generalmente parlando, non è superiore a pochi cen- 


n 


Pai 


» 


x» 


» 


Pa 


te 


“ tesimi di secondo ,. 

Non è questo il luogo di investigare le ragioni teoriche che si possono addurre 
a spiegazione di queste singolari variazioni. Il Newcomb (1) ed il Gylden (2) hanno 
ripreso in esame la teoria del movimento dell’asse istantaneo di rotazione della Terra 
intorno all'asse di massimo momento od asse d’inerzia; ed hanno trovato che il 
classico periodo di 305 giorni, stabilito da Eulero nell'ipotesi dell’assoluta rigidità 
della Terra, si può aumentare sino a differire di pochissimo dal periodo del Chandler 
(427 giorni), quando a quell’ipotesi inammessibile altre se ne sostituiscano, più con- 
sentanee alle nozioni che la geografia fisica possiede (3). D'altra parte il periodo 
secondario di un anno che si sovrappone al primo trova la sua spiegazione ovvia 
in fenomeni aventi lo stesso periodo, come sarebbero ad esempio i fenomeni meteo- 
rologici. Che poi l’una e l’altra variazione siano dovute ad un effettivo spostamento 
dell'asse istantaneo entro il globo, e non ad un trasporto del polo astronomico (e 
quindi di tutta la Terra insieme co’ suoi poli) è ingegnosamente dimostrato dal 
Chandler col mettere in evidenza l’accordo delle determinazioni assolute colle relative 

Quanto alle variazioni secolari, che furono le prime in ordine di data ad essere 
sospettate (4), gli ultimi risultati delle ricerche del Chandler e delle conclusioni teo- 
riche del Newcomb e del Gylden si accordano nel dimostrarle affatto problematiche; 
nè gli argomenti dati dal Comstock nell’ultimo volume dell’ Astronomical Journal 
(passim) sembrano resistere alle acute obbiezioni del Chandler. 

Da questi cenni sommarii sulla storia della questione nell'ultimo quinquennio, 
appare chiaro che lo stato delle cose ha subìto una radicale mutazione dal giorno 
in cui comparve la mia Comunicazione Preliminare ad oggi; ed a questa mutazione 


(1) On the Dynamics of the Earth's Rotation, with respect to the Periodie Variations of Latitude 
(Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, Vol. LII, March 1892). 

(2) Ueber die Erklàrung der periodischen Vertinderungen der Polhòhen (Astronomische Nachrichten, 
N. 3157). 

(8) È curioso notare che il periodo di Chandler supera la durata di una rivoluzione della Terra 
esattamente di quanto questa supera il ciclo euleriano. 

(4) FergoLa, Determinazione novella della latitudine del R. Osservatorio di Capodimonte (Napoli, 
1872). A proposito di questa Memoria scrive il D’Abbadie nel nono volume del Bulletin Astronomique: 
“ C'est peut-ètre è M. Fergola, astronome de Naples, que les historiens futurs de la Géodésie 
“ décerneront l’honneur d’avoir mis en question l’invariabilité attribuée aux latitudes terrestres 
“ quand on les détermine par l’observation des astres; il a certainement le mérite d’avoir porté 
“ dernièrement cette affaire è l’ordre du jour et l’on s’en préoccupe enfin ,. 


92 F. PORRO 


corrispondere doveva un cambiamento nei criteri ai quali si ispirava il mio lavoro. 
Già in quella Comunicazione ho esposto per quali motivi non era possibile far con- 
correre l’opera mia (iniziata con più modeste intenzioni) alla ricerca delle leggi di 
variazione dell’altezza del polo, che allora erano affatto sconosciute; ora, dopo che 
una rappresentazione empirica di notevole precisione ci fa conoscere (appunto per 
l'epoca abbracciata dalle mie osservazioni) l'ampiezza ed il periodo di quelle oscillazioni, 
il contributo delle mie misure, eseguite nelle condizioni più sfavorevoli, non potrebbe 
essere che illusorio. Senza discutere se variazioni superiori (e spesso doppie e triple) 
dell’amplitudine massima determinata dal Chandler trovino o non trovino la loro 
giustificazione in cause più o meno conosciute di errori sistematici locali, strumentali 
o personali, credo onesto dichiarare francamente che serie di latitudine affette da 
variazioni così cospicue ron debbono contribuire allo studio delle variazioni realmente 
spettanti a spostamenti del polo. Come ben nota il Chandler in una sua Nota suc- 
cessiva alle già citate, le variazioni periodiche della latitudine rimettono in questione 
molti valori numerici ritenuti come fondamentali per l'astronomia, primo fra tutti 
quello della costante di aberrazione; ed il voler fare concorrere una serie di lati- 
tudine allo studio delle variazioni equivale al farla pure concorrere simultaneamente 
alla ricerca di questa costante, della parallasse delle stelle osservate e di altre 
minute correzioni del medesimo ordine di grandezza, legate fra loro da equazioni di 
condizione. Si vede quindi che lo studio di quelle variazioni è ormai diventato uno 
dei problemi più delicati dell'astronomia fondamentale, riservato a quei fortunati che 
non hanno una stazione a 42 metri sul suolo, circondata da vie frequentatissime, 
in una piazza percorsa da vetture, da carri e da tramways a vapore. Quand’anche 
le mie condizioni d'osservazione fossero meno sfortunate, non sarebbe quello un 
lavoro da intraprendersi così per incidenza, come corollario di altro lavoro meno 
preciso e meno importante! 

Ma se ho creduto conveniente di rinunziare all’attraente speranza di poter dire 
anch'io una parola nell'argomento oggi di moda, non ritenni poi inutile di tener 
conto per il mio scopo più modesto dei risultati già raggiunti da altri. Prescindere 
dai risultati del Chandler non è più permesso; fortunatamente la sua formula empi- 
rica si applica all’epoca delle mie osservazioni meglio che ad ogni altra, grazie alla 
influenza predominante che nel determinarla ebbero le due serie di osservazioni cor- 
rispondenti istituite dall’Associazione Geodetica intorno all’epoca stessa. Come dunque 
ho preso per la mia determinazione le declinazioni dal Berliner Jahrbuch, Vaberra- 
zione da Struve, e così via, così mi parve consentaneo al carattere relativo della 
determinazione stessa prendere le variazioni della latitudine dal Chandler. Dirò a 
luogo opportuno come il calcolo sia stato effettivamente condotto. 

Ritornando alle osservazioni propriamente dette ed ai metodi di riduzione, 
esporrò nelle due parti che seguono ordinatamente ciò che è necessario a dar ragione 
dei risultati, destinando la prima parte alle osservazioni fatte col metodo di doppia 
inversione e la seconda alle rimanenti, fatte col filo mobile. Nella terza parte saranno 
raccolti e discussi i risultati definitivi. 

Debbo qui una parola di sincero ringraziamento ai signori ing. Tomaso Aschieri 
e dott. Alberto Manaira, che mi coadiuvarono efficacemente nelle riduzioni. L’opera 
dell'ultimo in particolare mi fu veramente preziosa. 


LATITUDINE DI TORINO 93 


PARTE PRIMA 


Osservazioni eseguite col metodo dell'inversione su entrambi i verticali. 


Poco ho da aggiungere circa queste osservazioni a quanto ho detto nella Comu- 
nicazione Preliminare, che appunto ad esse è destinata. Tutti i trattati di astronomia 
contengono un'esposizione del metodo di Struve, e sarebbe affatto superfluo ripor- 
tarla. Ciò che nessuno ha messo in evidenza, e che mi sembra meriti essere detto 
e ripetuto, è l’incontestabile superiorità di questo metodo sopra ogni altro che si 
possa applicare in osservazioni allo strumento dei passaggi in primo verticale. Tutta 
la genialità del creatore di Pulkova si è trasfusa in questa pur semplice e, quasi 
direi, ovvia modificazione del metodo di Bessel; eppure ancor oggi gli astronomi 
tedeschi (ed anche italiani) vanno in cerca di ragioni più o meno fondate per non 
abbandonare le norme dettate dal grande maestro di Kéonigsberg. L’Albrecht (al 
quale nessuno può certo negare profonda competenza in materia) scrive a questo 
proposito le seguenti parole (1): 

“ Rispetto alla bontà di questo procedimento a paragone di quello dianzi accen- 
“ nato, si deve riconoscere un reale inconveniente nella grande molteplicità del 
“numero delle inversioni, perchè in un caso simile l’ipotesi della invariabilità del- 


“« 


l’azimut, che per osservazioni di questa natura è condizione indispensabile, è molto 
“ meno garantita, che nel modo di procedere, per il quale il numero delle inversioni 
“ è ridotto ad una o due per sera ,. 

Questa obbiezione dell’illustre osservatore prussiano, ribadita da tutti coloro che 
si trovarono a dar la preferenza al metodo di Bessel sopra il metodo di Struve, mi 
pare non giustificata. Ammetto con lui che ogni inversione disturbi l’azimut del- 
l’istrumento, e quindi che il numero delle inversioni debba essere ridotto al minimo, 
sempre quando il vantaggio di questa precauzione non superi il danno dovuto ad 
altre cause. Ma quando — come è raccomandato nelle Istruzioni dettate dallo stesso 
Albrecht (2) — per evitare scosse all’istrumento lo si lascia per alcune ore di seguito 
nella medesima posizione, osservando successivamente i passaggi di parecchie stelle 
ad un Verticale, per poi riosservarli a cannocchiale invertito nell’altro Verticale, mi 
domando se le scosse accidentali che l’istrumento riceve durante tutte queste ope- 
razioni non siano più nocive alla stabilità azimutale di quella scossa dovuta alla 


(1) Formeln und Hilfstafeln fiir Geographische Ortsbestimmungen — Zweite Auflage (Leipzig, 1879). 
(2) Astronomisch-Geoditische Arbeiten in den Jahren 1881 und 1882 (Publication des k. Preuss. 
Geoditischen Institutes. Berlin 1883; pag. 9). 


94 F. PORRO 


inversione, che un osservatore scrupoloso e prudente, adoperando un istrumento 
solido e munito di un buon apparecchio di rovesciamento, può rendere piccola quanto 
si vuole. Si noti poi che un brusco leggerissimo spostamento in azimut per effetto 
dell’inversione può contribuire a far variare apparentemente l'errore di collimazione, 
e può quindi eliminarsi per effetto di simmetria quasi completamente, come le con- 
siderazioni seguenti mostrano senz'altro. 

Uno spostamento in azimut per effetto di scosse dovute all’inversione può ascri- 
versi a due cause, un urto ricevuto dai sostegni ed uno spostamento effettivo del- 
l’asse di rotazione. Questa, che, se l’'istrumento è sorretto da solidi piedritti, sarà 
inevitabilmente assai maggiore dell’altra causa, si comporrà alla sua volta di due 
cause, una accidentale, che varierà da caso a caso senza legge alcuna, ed una costante, 
dovuta alle irregolarità di figura dei perni e dei guanciali, che agirà in senso inverso 
nelle due inversioni necessarie per ogni stella, secondo il metodo di Struve, e che 
sarà l’unica alla quale sia applicabile una teoria. Esaminiamone l’effetto. Esso è di 
aumentare l’azimut di una piccola quantità a (e quindi di ritardare l’appulso ai sin- 
goli fili) per la seconda parte della osservazione ad Est e per la prima parte della 
osservazione ad Ovest. Detti t,, to, t; e t#, i quattro istanti degli appulsi, avremo per 
questa causa sostituito a t, e #3: t#,» — a cosec Q, #5 — a cosec @, dove, il termine cor- 
rettivo sarà certamente una piccola frazione di secondo siderale, che potremo indi- 
care con t. Allora, se ricordiamo la formula che dà la latitudine 


tg p = tg d sec A sec 0, 


dove 


Ar a Ga 


4 2060 


dee at) +t@G—-% 
4 9, 

vediamo senz'altro che la doppia inversione elimina la correzione t. L'effetto di questo 
errore sistematico rimane invece tutto quando si inverta una volta sola, nell’inter- 
vallo fra i passaggi ad Est e ad Ovest. 

Che poi la parte accidentale si possa rendere piccola assai, quando si inverte, 
è cosa che non si può immediatamente dimostrare, senza lunghi calcoli sopra i risul- 
tati delle osservazioni. Fortunatamente mi è facile trovare altrove argomenti che 
confortano questa mia affermazione, così nel caso dell’istrumento Repsold C (che 
servi alla piccola serie gennaio-giugno 1888), come in quello del nuovo Repsold, 
adoperato dal novembre di quell’anno in poi. Il primo fu studiato in moltissime 
determinazioni della Commissione Geodetica, e segnatamente nella determinazione di 
azimut assoluto eseguita a Milano dal prof. Rajna (1); dell'altro mi resi ben conto 
nell’analoga determinazione a Torino (2). Già nelle operazioni del Rajna e nelle 
successive di longitudine le inversioni si sono moltiplicate senza scrupolo alcuno, e 
gli effetti ne furono tutt’altro che tali da diminuire la precisione dei risultati; ma 
nelle mie determinazioni di azimut sono arrivato al punto di invertire su ogni stella, 


(1) Azimut Assoluto del Segnale trigonometrico del Monte Palanzone sull’orizzonte di Milano (Pub- 
blicazioni del Reale Osservatorio di Brera in Milano, N. XXXI). 
(2) Pubblicazioni del Reale Osservatorio di Torino, N. I. 


LATITUDINE DI TORINO 95 


portando il numero delle inversioni ad una ventina per sera, senza il menomo danno 
apprezzabile alla stabilità dell’istrumento, facilmente controllabile in osservazioni di 
questa natura. Un'altra conferma dell’innocuità assoluta delle inversioni si ha nel- 
l’uso ormai generale di eseguire le livellazioni con inversione dell’asse senza solle- 
varne il livello: data l’estrema mobilità di questo, e la squisita perfezione colla 
quale presentemente lo si lavora, esso dovrebbe rivelare ben gravi anomalie ad ogni 
inversione. Invece, come hanno mostrato molti osservatori (1), la determinazione 
dell'errore di inclinazione con inversione dell'asse presenta molto minori cause d’er- 
rore di quella con inversione del livello sui perni. Se adunque scomponiamo l’effetto 
dell'urto prodotto dall’inversione in due parti, troviamo che quella verticale (presu- 
mibilmente la più grande) è insensibile o quasi; e possiamo quindi inferirne che 
anche l’altra non sarà molto grande. 

Rimossa (od almeno grandemente attenuata) l’unica obbiezione seria al metodo 
di Struve, non è chi non veda le forti ragioni che gli fanno avere la preferenza 
sopra il besseliano. E sono: 


I. L'eliminazione rigorosa su ogni verticale delle distanze dei fili, dell'errore 
di collimazione e delle eventuali variazioni di questo col tempo (essendo ogni pas- 
saggio osservato in pochi minuti, durante i quali soltanto la collimazione si deve 
ritenere invariabile). 
| II. La tranquillità assoluta nella quale l’istrumento rimane durante l'intervallo 
fra il passaggio della Stella ad Est e ad Ovest; osservandosi ad una parte soltanto 
del reticolo, non è neppur necessario trasportare l’oculare successivamente innanzi 
ai fili colla vite di Maskeline. 

III. La facilità e speditezza dei calcoli di riduzione. 
| IV. La semplicità colla quale si elimina l’errore di azimut, quando questo sia 


| tanto considerevole da dover essere tenuto in conto. Basta infatti moltiplicare tg @ 
| tthth&h+% 
7 1 


per il coseno di a — 


Premesse queste giustificazioni relative alla scelta del metodo (che sarebbero 
troppo prolisse veramente, se non fossero rese necessarie dall’opposizione che esso 
| incontra ancor oggi), passiamo all’esame delle correzioni istrumentali. 


| Collimazione. — Questo errore si elimina, come vedemmo, da ogni passaggio 
osservato su di un verticale. Ad ogni modo, per curiosità, e per rendermi conto del 
suo effetto nelle poche osservazioni eseguite coll’altro metodo, non ritenni inutile 
determinarne alcuni valori, i quali mostrano colla loro costanza e regolarità di anda- 
mento le eccellenti condizioni del nostro Repsold da questo punto di vista, dovute, 
oltre che alla solida costruzione di ogni pezzo e dell'insieme, al felice accorgimento 
i di collocare le viti di correzione dell’asse ottico non (come si usava dianzi) all’ocu- 
| lare, bensì nell'interno del cubo; di guisa che la correzione si fa toccando il prisma. 


(1) Vedasi ad esempio la pag. 5 della Memoria di Rajna sulla “ Determinazione della Latitu- 
dine dell’Osservatorio di Brera in Milano e dell’Osservatorio della R. Università in Parma , (Pub- 
blicazioni del Reale Osservatorio di Brera in Milano, N. XIX). 


96 F. PORRO 


Ecco le collimazioni, calcolate dalle stesse osservazioni di latitudine mediante 
la formula (1): 


sin c = sin o sin A cos ò sin ©: 
Data C: Data C: Data e. 
1888 Novembre 25 + 52”,47 1889 Febbraio 16 — 8",65 1889 Maggio 31 — 9,12 
1889 Gennaio 7 — 16 ,96 19 — 9 ,45 Ottobre 23 — 3 ,00 
19 — 7 54 24 — 8 ,42 Novem. 8 — 3 ,61 
27 —_.5,,19 Marzo 14 — 8,51 15 — 5,74 
31 — 7,73 16 — 10 ,62 17 —8,,81 


Avverto che i due primi valori, troppo forti e discordi, appartengono al periodo 
di prova, dopo il quale le viti di correzione non furono più toccate. 


Inclinazione. — La grande importanza che in tutte le determinazioni di lati- 
tudine spetta al livello, è inerente alla natura del problema; che si vuol conoscere 
in fatti se non la posizione della verticale rispetto alle direzioni fondamentali della 
sfera celeste? To credo che tutti gli sforzi degli artefici e degli osservatori per fissare 
con esattezza la verticale senza ricorrere al livello a bolla d’aria (2) non abbiano 
ancora raggiunto il loro intento, anzi ne siano ben lontani; pur ammirando gli 
espedienti ingegnosissimi ideati a tale scopo, trovo che nelle mani del Kiistner e 
degli altri astronomi di Berlino il livello ha dato recentemente risultati di alta pre- 
cisione, che dimostrano ingiustificato 0, quanto meno, prematuro l’ostracismo che gli 
si vuol dare. Nè mi sembra che procedimenti simili a quelli usati ora per il tele- 
scopio zenitale (e segnatamente l’uso di un livello di controllo) siano inapplicabili 
all’istrumento dei passaggi in primo verticale, dove l’errore delle livellazioni forma 
tanta parte dell'errore totale di una determinazione. 

Nelle mie osservazioni ho cercato di eliminare tutte le cause perturbatrici delle 
indicazioni del livello; e, lasciando questo permanentemente appeso all’asse di rota- 
zione, lo osservai con molta frequenza per ricavarne il valore possibilmente più esatto 
dell’inclinazione. Non di meno, debbo riconoscere che le condizioni della stazione mi 
impedirono di curare, come avrei voluto, questo elemento; credo anzi che l'incertezza 
di esso e delle variazioni accidentali dell’azimut (delle quali parlerò in seguito) abbia 
la massima parte nelle anomalie presentate dalle osservazioni. Nella discussione 
finale mostrerò come l’imperfetta conoscenza degli errori strumentali spieghi il valore 
relativamente forte di alcune divergenze di valori singoli dalla media; per ora mi 


(1) Questa formula è valida quando l’inclinazione d e l’azimut % si ritengano zero. L'errore che 
sì commette trascurando queste correzioni strumentali è dato da 
— D sin 1” cos d cos © sin A + X sin 1" cos è cos o sin A, 
ed è quindi trascurabile affatto. 
(2) Scrive il D’Abbadie (Bulletin Astronomique, IX, pag. 93): “ L’emploi du niveau à bulle d’air 
“ doit ètre exclu désormais de toutes les observations astronomiques où l’on voudra atteindre la 


“ dernière limite de l’exactitude ,. 


LATITUDINE DI TORINO 97 


limito ad esprimere la mia convinzione che tutte queste minute cause d’errore, 
trattate come accidentali, abbiano potuto compensarsi nella media finale. 

Il valore di una divisione angolare del livello annesso al Repsold C risulta dalle 
misure eseguite sull’esaminatore della Specola di Milano nel corso dell’anno 1885 
per opera del prof. Rajna e mia. I risultati di queste misure sono rappresentati (1) 
dalla formula: 


1) 1° = 1”,5300 + 0”,0046 (Z — 359,0), 


dove ? rappresenta la lunghezza della bolla (in divisioni del livello). Da una comu- 
nicazione posteriore del medesimo collega Rajna risulta che anche le determinazioni 
fatte nell’estate 1888 (quando l’istrumento fu adoperato nella determinazione della 
differenza di longitudine Milano-Napoli) diedero valori quasi identici. Coi risultati 
della formula (1), tenendo conto della lunghezza della bolla per calcolare il termine 
dipendente dalla temperatura, si sono ridotte tutte le inclinazioni determinate fra 
il gennaio ed il giugno 1888. 

Quanto al nuovo Repsold, ecco i risultati delle determinazioni eseguite in 
parecchie occasioni all’Osservatorio di Torino: 


Data Temperatura Valore di una parte Osservatore 
1888 Novembre 12,13 + 29,8 17230 Porro 
1889 Aprile 12-16 + 14,9 1 ,6948 Aschieri 
1890 Giugno 15-17 + 23,0 1 ,7019 Porro 
1891 Ottobre 15-16 + 7,0 1 ,6960 Rizzo 
1891 Dicembre 13 + 2,0 I ,7050 Rizzo 


Se si pensa che queste determinazioni vennero eseguite in anni ed in stagioni 
differenti, da tre diversi osservatori, con due diversi esaminatori (v. le mie citate 
memorie sulla latitudine di Torino e sull’azimut di Monte Vesco), e che fra il 1890 
e il 1891 fu cambiato il liquido nella bolla, si trova che il valore medio 1",71, 
adottato. per calcolare tutte le osservazioni di latitudine fatte a questo strumento, 
non si può ragionevolmente ritenere errato di più di un centesimo: di secondo. 

Nella prima. serie la somma delle inclinazioni positive risultò di 8,057, quella 
delle inclinazioni negative di 12”,501; abbiamo un’eccedenza negativa di 4,444, 
ripartita sopra 16 osservazioni. 

Invece nella seconda serie si ebbe una somma di inclinazioni positive uguale 
a 102,056 ed una somma di negative uguale a 68",965.: differenza positiva 33/,091, 
che si riparte sopra 104 osservazioni. 

Nell'uno e: nell’altro caso sono osservate mediocremente le due prescrizioni di 
tenere l’inclinazione possibilmente piccola e di equilibrare possibilmente i suoi valori 
negativi e positivi. Meglio si sarebbe fatto, senza le oscillazioni periodiche ed acci- 


(1) Porro, Determinazione della latitudine della Stazione Astronomica di Termoli mediante passaggi 
di stelle al primo verticale (Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXII, adunanza 
del 20: febbraio 1887). 


Serie Il. Tom. XLIV. M 


98 F. PORRO 


dentali del livello, dovute all’ubicazione; ad ogni modo, data la cura colla quale si 
è studiato l’uno e l’altro livello, si può essere certi che la latitudine non può riu- 
scire errata, per un errore nella conversione delle letture in arco, di più di qualche 
millesimo di secondo. 


Azimut. — La correzione dovuta all’azimut non fu applicata alle osservazioni 
pubblicate nella Comunicazione preliminare. Avendo poi riconosciuto che il suo effetto 
doveva essere sensibile, sopratutto per il periodo maggio-giugno 1888, nel quale, 
non so come, inavvertentemente lasciai l’istrumento molto fuori dal Primo Verticale, 
mi decisi a calcolarla con rigore nel seguente modo. 

Il logaritmo volgare di tg @ deve essere sommato con 


log cos |a— + +4+4&+%4)], 


essendo #,, to, #3, t, i tempi degli appulsi, corretti per l'inclinazione e per l’errore 
dell’orologio. E perchè quel coseno è molto vicino all’unità, si potrà utilmente invece 
sottrarre il logaritmo della secante. Questo termine negativo, in unità dell'ultima 
decimale, è d'altra parte: 


2M 


20 do, essendo M il modulo dei logaritmi volgari, 


d log tgp = 
donde 


do" = dio L da 3 = [5,3756096] d log tg @ = 237490,44 d log tg ©. 


Data quindi, in unità della settima decimale, la correzione da applicarsi a log tg © 
(sempre negativa, ed uguale a log sec [a — | (t1+t+#+t.)], la correzione (pure 
negativa) della latitudine si ottiene senz'altro, espressa in secondi, con una semplice 
moltiplicazione per quel coefficiente costante. 

L'esecuzione di questo calcolo per ciascuna delle 120 stelle ha potuto dare una 
idea degli spostamenti dell’istrumento in azimut. Detto # il valore della media dei 


quattro appulsi corretti come ho detto, l'andamento dei valori di a —? dà indizio di 


forti sbalzi, più accidentali che progressivi, che si sottraggono fatalmente ad ogni 
previsione e ad ogni interpretazione, e formano il più efficace commento alle mie 
geremiadi sulla instabilità della Specola di Torino. 

Formando le differenze fra valori successivi di a — # in una medesima sera, ho 
trovato i seguenti numeri, che rappresentano le variazioni dell’azimut; per gli oppor- 
tuni confronti ho posto a fronte anche le variazioni corrispondenti dell’inclinazione. 


1888 A (a— 1) Ai 1889 A(a— è) Ai 
Gennaio 19 + 2523 — 0",016 Gennaio 8 — 0505 + 0",305 
Giugno 5 — 0,64 — 0,914 17 L06566 

BA 208 18 (0.122 (0030) 


8 — 0,49 — 1,558 Marzo 6 -- 0,40 — 0 ,169 


fe, > si 
i? RISI PC AD 


ita i nh): + 


LATITUDINE DI TORINO 99 


1888 A(a—?) Ai 1889 A(a— t) Ai 
Dicembre 1 — 1,43 + 0 ,996 Marzo 12 — 0,20 + 0 ,056 
lO 304 l'i 41 02000962 
3 — 0,11 + 0 ,602 25 + 0,18 — 0 ,183 
7 — 0,11 +0 ,469 Giugno 6 + 0,04 — 0 ,866 
10 — 0,16 + 0 ,564 6 + 0,92 — 1 ,039 
15 + 0,09 — 1 ,482 
17 + 0,48 — 0 ,688 
19 — 0,93 — 0 ,903 
Ottobre 23 — 0,65 + 0 ,208 
Novembre 8° — 0,49 + 0 ,124 
ORSO 086 


Grandi conclusioni non si possono ricavare da questi numeri: irregolari tutti, 
però dinotanti coll’aggruppamento di certi segni la persistenza di certe cause ad 
operare per qualche tempo in una determinata direzione. 


Passiamo ora alla esposizione dei risultati. Nel primo e più lungo quadro che 
segue sono dati, stella per stella, i tempi dei quattro appulsi, e la latitudine che se 
ne è ricavata, filo per filo, calcolata colle note tavole di Otto Struve (1), senza 
tener conto dell'andamento dell’orologio e degli errori strumentali. Ogni osservazione 
consta per lo più di trentadue appulsi ad otto fili; il quadretto relativo è seguìto 
dal valore corrispondente di a —#? in secondi di tempo, dalla delinazione apparente 
della stella osservata e dall’error medio e}, calcolato esclusivamente in base all’ac- 
cordo dei fili. Si vedrà nell’ultima parte di questo lavoro che l’error medio e di 
un'osservazione, calcolata in base all'accordo dei valori di latitudine forniti dalle 
diverse osservazioni di una medesima stella, è uguale a + 0",405, mentre in gene- 
rale le e, si aggirano intorno a + 0',100: dunque di gran lunga la parte maggiore 
di e è imputabile all’imperfetta correzione degli errori strumentali, e solo dal numero 
considerevole delle osservazioni, distribuite in anni e mesi differenti, si può sperare 
una compensazione di questi errori. 

Il secondo quadro raccoglie i valori medii della latitudine g' dati da ciascuna 
stella, le correzioni relative all’inclinazione i dell’asse e all’azimut istrumentale, il 
termine dovuto all'andamento dell'orologio (che si è dedotto a vista da alcune tavo- 
lette calcolate per le singole stelle secondo le norme date a pag. v dell’introduzione 
alle citate tavole di Struve) e finalmente il valore concluso della latitudine @. 

Come ho detto nella Comunicazione preliminare, le declinazioni si sono dedotte 
esclusivamente dal Berliner Jahrbuch: per interpolazione dalle effemeridi decadiche 
quelle delle Fondamentali di Pulkova, calcolando la riduzione al luogo apparente 
quelle delle altre stelle (Zusate-Sterne). Furono calcolati rigorosamente i piccoli ter- 
mini della nutazione lunare. 


(1) Tabulae Auriliares ad transitus per planum primum verticale reducendos inservientes — Edidit 
Otto Struve, Speculae Pulcovensis director (Petropoli, 1868). 


100 F. PORRO 


QUADRO PRIMO 


TEMPI DEGLI APPULSI E LATITUDINI DEDOTTE 


1888 Gennaio 19 — B Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest 


Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud _ Oculare Nord 


Bho] “48:69: EAT 2827 6 40996201 4A OA O LIOS 


21 58.63 39 9.25 2 50.41 209.03 8.10 
22 50.64 37 23.24 4 37.92 19 22.03 7.15 
24 19.65 S4 20.22 7 40.44 17. 40.52 9.74 
25 12.66 83 1.71 857.45 16 48.01 9.14 
26 8.67 31 45.70 10 16.46 15 53.00 9.76 
ao —-t = — 85.89 dò = 440 56 3! 42 €,(== 10154595 


1888 Gennaio 19 — X Ursae Majoris. 


Ts A 


Verticale Est © cia Verticale Ovest 


TAL 
EiS) 


Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 


8° 50m 285.50 | Sh 57m 595.07 |11h 21m 575.54 | 11° 29m 34810 | 45° 4 11°.40 


50 42.30 97 37.06 22 18.04 29 14.59 ko 
51 0.01 97 18.06 22 37.65 28. 56.09 9NC29 
ol 32.81 96 43.76 23 12.05 28 23.99 8 .62 
51 50.71 56 24.95 23 831.05 28 6.08 8 41 
02 8.02 96 5.85 23.50 .26 27 49.08 9.74 
52 26.82 55 46.05 24 9.56 27 30.08 9.43 


_—=====—————_—_—F—+—_—_—_——————F——+—_—_—_—_&—_—.—+—r——__+m€—&—k 


a —-t= — 65.56 SAZIIZIGAZIAAO er = 17.4090 


LATITUDINE DI TORINO 


1888 Gennaio 20 — B Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
5a 202 57500 | 5° 41m 0522 | 6% 0 88884 | 6° 20% 405,51 45° 2° 9". 16 
Dil cessi 88. 52.20 DETA8T3IO 19 53.00 9.26 
DA ERI IU 2.68 AA SI 19 4 49 FEO 
DOMANDO sb 24.16 ba 2r98 18 12.48 9 14 
24 14.04 984 Teltd T 35.39 ANZASA 9.52 
25 ed 2 NA40r63, 8 54.40 16 30 .96 9052 
26 50 od 251.62 10 8.91 15 34.45 9.54 
Asi Aste) 29 12.60 12 24.93 13 39 44 9 45 
ORE gen VA) Eri "042089 
1888 Gennaio 22 — B Aurigae. 
Verticale Est Verticale Ovest 
o' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
aslomiz oss) 5h 4 8825 | 5° 59 40.30 | 6° 21% 45°,39 45° 4° 7".70 
20 44.72 AONAAR2IZA 60985 20 21.02 (1 .94 
Dei 2052 38. 36.70 2 28.87 19 34.01 7 48 
DOM 8S 36 47.68 4 17.89 18. 44,50 1528 
DA 85 7.16 5 55.90 17 53.99 8.19 
242.05 99 48.14 (ETQ0OTAT 17 2.98 7 .36 
24 55.86 32 28.13 8° 38.42 16 8.97 7.01 
255107 Sdil302 Oro sS 15 14.16 l 24 
27 46.08 28. 54.60 102 1 44 13 18.45 8.19 
Oli 4995 0440056983 Ce #04231 


1888 Maggio 3 — 33 Bootis. 


Verticale Est 


Oculare Nord 


Oculare' Sud 


14° 3 175,29 [14° 30m 245.41 


50 .68 
S4 .12 
57.73 

.20 

22 .17 

40 .16 

29 .02 


OLO Ut 
vw 
© 


1 


0.20 
7.39 
50 .81 
28 .87 
14 .36 
48 47 
45 .43 


o —-t= + 529.72 


Verticale U, st 


Oculare Sud 


14 47m 95.57 
29. 
20. 
37. 
59. 
17. 
31. 
1 42. 


d — 44° 59 1 


Oculare Nord 


15° 14 115.39 
13 .34k.17 
12 
11 
10 
t0 5. 
7 48. 
6 58. 


(16 


45° 4' 8/.88 


102 


F., PORRO 


1888 Maggio 6 — 33 Bootis. 


Verticale Est Verticale Ovest 
nr ii p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
14° 80 205.57 |14° 30% 355.16 |14° 46% 565.58 [15° 14% 115,39 Ad USI 
FICO 28 8.06 49 21.58 13° 3428 8.69 
4 19600 PO GIRI RI ISO 12, (55212 8.96 
5 59.39 22° divo 492.89 ila 120 8.55 
6Rr4IdO Dili 9459 Dal 00.24 10. 49.27 8.69 
7 24.69 20 19.46 5 113.82 10 6.64 8.79 
8 9.81 19 4.69 58 27.98 9 20.43 8.93 
8 55 .49 IMSS 59 833.98 8 36.16 8.81 
9 41.89 60528818 MIAO NS SED 7 49.36 8.88 
sese LO eE037 eaA995 Ti 0.29 8.93 
a — t = + 52508 dò == 44° 59) 17098 ci = 041250 
1888 Maggio 9 — 33 Bootis. 
Verticale Est Verticale Ovest 
e ra SI I e er A p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
14. 7 485,40 [14° 19% 295.40 |14* 572 505.79 | 15° 9m 82531 450 ATI 
832.80 18 19.43 59 05% 81 44.23 RS) 
9 19.67 le 45600 7.02 7 59.07 8.07 
10 9.24 16/9 eeble59 7 11.05 SESTA 
10 58.94 TOO: Di dl088 620076 7 .55 
aoT—-t= + 528.74 ON 244959417086 Gre 0'.1342 
1888 Maggio 25 — 33 Bootis. 
Verticale Est Verticale Ovest 
RARO AAT p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord | Oculare Sud 
14° 40 145,90 |14} 272 215,14 |14° 502% 05.67 [15° 13m 105.49 45° 4' 10!” .00 
DOSI NA) 25. 16 .82 52 4.68 12 26.61 10 .55 
6 17.17 22 26.99 b4 54.97 11 8.79 9.81 
6 59.93 21 4.59 56 16.79 10 24.88 10 .02 
R4AAI0D 19 49.40 DI RZINT 9 40.98 9.79 
8 29.69 IR TLILZAII 58. 4230 8 57.60 10 .10 
9 16.13 17 30.99 BOMEb50. Sal057 10 .24 
10 2.91 1602/84 o e05529 MEZZO 10 .29 
Lo 284 525007 le e748 6 33 .89 10 .60 
ao —-t = + 459.72 dii = 44059023108 € = ‘00/0970 


LATITUDINE DI TORINO 


1888 Maggio 29 — 0 Herculis. 


103 


Verticale Est Verticale Ovest 
i o' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
T4R'59m 9538 | 15° 5 12526 | 18° 4m 6518 |182 102 18°.02 45° 4' 10'”.60 
SOR gro4 e 56041 4 23.02 | Oo 80 11 .10 
59. 34.60 ALII 4 38.98 | 9 42 48 9.67 
10) 0.54 4? 11.28 15; 6.93 ORELORA1 Si 
0 15.18 DIDO DIES, 9 1.86 11 .90 
VEE0IE7 35 41.86 ba3:a608) 8 49.37 12 .29 
VEA4993 3 26.76 Do ihozio 8 32.59 10 .14 
0 58.90 3 11.69 6 7.69 8 19.09 11 .98 
Mesi: 2° 50.57 6 22.04 8 4.12 10 .86 
28179 2 41.19 6 38.07 7 50.69 L20038 
a — t= + 445,88 di == 499140" 18152 cad 185% 
1888 Giugno 2 — 33 Bootis. 
Verticale Est Verticale Ovest 
| i RO I, I NRE IA rsa —————_——mkewo1.’ p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
14° 89m 445,35 [14° 30% 5579 |14° 47m 383971 |15° 140 19°.87 45° 4' 9".14 
AGI 28° 30 42 49 30.22 13 39.69 8.64 
5 1.60 26 36 .68 bee25hES2 13 1.78 8.86 
6120.1005] 29 19.14 DAMIANO 11 38.48 912 
7 9.07 2594 56 9.19 10 56.00 8.95 
(52039 20 39.42 DI 26/155 10 12.86 9.02 
8. 34.59 19 831.42 58 34.16 9 29.89 8.64 
ORO 3t27 I S94 59 47.453 8 41.02 SOA: 
MOTION NEI E09 AO 099 7 53.48 Se 
Jo: 0.45 16 9.80 1 54.00 Ti 9.72 8.48 
12 41.04 14 15.93 3 48.83 De2 593 8.79 
ao —-t= + 46341 => 44582484 ei = 0".0635 
1888 Giugno 5 — 33 Bootis. 
Verticale Est Verticale Ovest 
e RARE VC I sO IM (VV GONO SRO p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
14% bm 15,74 [14% 27m 52528 [14h 50% 32509 [15° 13m 295,99 45° 4' 4.88 
DIRAZ5ION 25 54.42 520119090 ORA 72 4 .88 
7 9.88 23 2.26 Boi 27.60 RTRANI2 886 4.67 
T 47.26 ZIRATN5O 56 50.63 10 44.11 4 .69 
SL ‘O2R42 2025592 58 0.09 9° 58.58 4.50 
9 16.80 IERstele 59 11.04 91 1550 4.02 


at =+ 44504 


d = 44° 53' 25"”.62 


e, = 0".1312 


104 F. PORRO 


1888 Giugno 5 — 0 Herculis, 


Verticale Est Verticale Ovest 


Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 


14° 59 41°50, | 15° 5m 29594 | 18% 40 405,38 |18* 10m 297.52 | 45° 4’ 6.90 


59 59.95 òo 16.44 4 54.87 10:15:70 5.98 

15 0 24.39 4 45.899 o 25.07 9 46.83 6.24 
0 38.53 4 30.50 5 40.16 9 32.19 619 
des21.99 3 46.07 6 24.57 8 48.85 5.07 

1 36.60 3 31.19 6 39.93 8° 34.59 6.14 

Ki -61..72 3 16.37 6 55.19 8 19.83 5.62 


dò = 42° 40' 10/.55 e, = 012225 


a —-t= + 435.40 
1888 Giugno 5 — dò Cygni. 
Verticale Est Verticale Ovest 
soci Lode inni p' 
Oculare Nord |  Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
19° 9m 65.09 [19° 32m 25528 [19° 5Q@m 44522 [20° 28m 5524 | 45° 4" 7".76 
9 43.17 80 51.44 (20. le 16.98 22 2540 6, .83 
10 18.78 925.199 PA rRSC. tI ORI UG) 21 49.59 7.88 
LISI 26: bl pae kes.da 20. 30.46 € .69 
12 19.59 25, 42:10 6 24.78 19 49.91 TSO) 
dI gi i0,52 24 374 Te 2.174 19 8.68 SII 
13 42.89 Did g488 te 33 18. 26.47 E .D0 
14 25.20 22. 35.09 ORA IT - 43.18 edi 
15 10.14 2k.. 3740 10. 30.97 16. 59.61 TSO) 
15 54.96 20, 39.29 11 27.86 16 11:97 EA 
17 28.40 8:57.28 13 11.26 14. 40.37 7 43 


a —t= + 425.96 d = 44° 51' 23/".06 e, = 0”.2001 


1888 Giugno 7 — è Cygni. 


Verticale Est Verticale Ovest i 
Oculare. Nord. Oculare. Sud. Oculare Sud Oculare Nord 

19° 10m 185.27 |19® 29m 28573 | 20° 2 445,39 |20° 21m 54545 45° 4" 10".24 
RS 597 26. 54.02 5. 19:.55 20, 34.06 10.39 
2 655 25. 44.89 6. 127.96 19 54.65 MOTTA 
12:. 58.37 24. 39:.04 % 32:.69 19. 13.,.99 10. .10 
43, 40..99 23, 85..89 8 33..19 SVEZIA 10.55 
JA. 23.73 22... 95.11 9. 35.52 IAA 10. .29 
15 8.97 21, 8%.71 10, 32.86 17 4.83 9.98 
IO 9498 20. 41.69 11 29.10 16, 18.27 9.88 
17 26.00 18. 59.41 13. 13.16 14 47:98 10.19. 


a: — # = + 449,62 dò = dio 51’ 23.78 e, = 0”.0808 


LATITUDINE DI TORINO 105 


1888 Giugno 8 — 0 Hereulis. 
i _ __m_ _ _ °"_ | —‘1_’‘0‘16@‘‘060  _6_6b_—’_r__.rri.1.. tl’ 


Verticale Est Verticale Ovest 
I IZZO! [Z! ZITTI TS  LE:- KW _  ]XK]Kl]J.YÒYe0X:EB:EE p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
14° 59m 26537 | 15° 5 475.63 | 18° 4m 25526 |18° 102 46517 45° 4’ 8! 88 
59. 41.03 5 82.28 4 40.85 10606853 8.60 
59. 55.22 De dlazasviz AA JQ 17:65 8.02 
150.06 23.71 RATEALE Es) IZ ZI 9 48.75 8.07 
OE 91 4 32.40 5 40.19 GI 9810 6.98 
Qi 52.63 LEE E 55129 9 19.97 io 
1 6.40 4 2.98 6 9.59 9 Sl A:3 
WS 22.07 SL 46135 6. 25.06 850.77 SII 
136120 SOLO 6 40.09 836.00 (2 
lee 00 3. 16.92 6055820 8 21.29 8.29 
aes = LL 445.86 òo — 42° 40% P1".53 Ci == 05139032 
1888 Giugno 8 — è Cygni. 
Verticale Est Verticale Ovest 
RR n i a SISSI I PERTIPORI ii ina Bei it er a p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Ocalare Nord 
19° gm 35,98 [19° 322 305,58 [19° 59m 37529 |20* 23m 65.00 DIITAIESTOA 
9 40.67 9000559002066 ADI 220029731 8.83 
10. 18.29 295 3943 DANA? 21 52.67 8.67 
lie 3740 260 56.57 Delo 895 20 33.62 8.83 
NO LS: 27 DZ I 6 25.79 19 52.91 9.07 
e 5841 24 40.58 (CECA NO RROS23 9.42 
13. 49.99 23. 40 .12 SAS Tele 312 6.26 
IA. 22.95 REA OMESSA 17 47.08 9759 
15 8.08 DA ,2 10 32.00 107, 2.99 9.07 
15 54:21 Q00043RA7 en 2 537 L61724 9.44 
17 25.99 19 1.69 3 alle95 14 43.38 8.86 
o—t= Ad. 445,37 d = (440° 51% 24.06 € = 0”.2735 


1888 Novembre 19 — x Andromedae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
nt SAVE DER MORE) PE CO TEO RI SIA p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 

99h 14m 54521 (22% 28m 10°41 | 0% 33m 425,89 | 0% 472 0545 459 41. 3740 
15. 24.76 ii GS 384 20.83 46.29.61 45 
OA 27 10.99 34. 42.14 46 11.00 4.12 
16 8.09 26. 42.40 95 11.44 45 45.99 4.12 
6 9808 26, 12,81 35 40.84 45. 20.60 4.62 
16 52.52 25 5I 44 36 1.87 45 2.38 4.986 | 
Ie 24027 25. 15.96 30 SEE 44 30.42 4.96 
18. 28.50 24 5.09 97 49.02 43 26.62 5.05 
a—-t= + 65.40 dò —= 44° 483’ 16" .66 e, = 0”.1698 


Serie Il. Tom. XLIV. N 


106 


Oculare Nord 


DONVIOn 
15 


8°.88 
QUO 


F. PORRO 


1888 Novembre 21 — k Andromedae. 


Verticale Est 


Oculare Sud 
go 97m 15%47 
59 .40 
2421 
55 .93 
34 .48 
58 48 
48 .29 
23 3.90 
51.99 
22 5.28 


a —-t = + 65.89 


Oculare Nord | 


22° 14 26.13 

14 57.81 
15 .98 
41 .19 
16 6.49 
25 .27 
57.98 
8 103 
42 .59 
93 .09 
38 .78 


1888 Novembre 22 — k Andromedae. 


Verticale Est 


Verticale Ovest 


Oculare Sud 


22% 270 45°.73 
8.13 


Oculare Sud 


Ob 39m 17519 


33 
Sb 


54 
16 
45 
13 
S4 
11 
21 
BICHIMENO 
17 
SOMENO 


.11 
.22 
.33 
.3% 
.65 
.19 
.88 
.39 
.66 
.07 


Oculare Nord 


0% 46m 365.02 
46 4.81 
45. 46.20 
45 21.25 
44 56.22 
44 .39 
44 5.57 
43. 1.29 
42 .36 
42 9.79 
41 .03 


d = 43° 43’ 16.97 


1888 Novembre 23 — k Andromedae. 


Verticale Est 


Oculare Nord | 


22% 14m 165.07 

14 47.75 
.13 
.39 
.98 
.16 
.12 
.14 
.47 
.48 
.84 


Oculare Sud 


Qoh gm 345.99 
26 57.07 
26 .64 
267.09 
25 49) 
25 .55 
24 .56 
23 .93 
22 .29 
22 .57 
21 .96 


Verticale Ovest 


Oculare Sud 


| Oculare Nord 


o. 332 6593 
39 44.75 


0° 46m 265.77 
95.51 
36 .51 
219 
.59 
.86 
.87 
.25 
71 
.81 
.72 


Verticale Ovest 
LIBRAI p' 
Oculare Sud Oculare Nord 

0. 34m 4877 | 0% 46 125.50 45° 4' 3".86 
94 26.99 45. 54.27 4.12 
34. 56 .08 45 28/27 deal 
DISSI 45 3.29 8.88 
85 46 .59 44 45.58 4.62 
36. 22.07 44 13.51 8.76 
37 32.86 43 9.59 4.07 
38. 17.06 49, 27.93 4.02 
38 29.68 42. 17.09 4.45 
3901502 AI 32.81 3.76 

di 499431 16188 e = 0"”.0969 


P 


45° 4' 4.64 
.S1 
.50 
.38 
19 
.64 
.74 
.74 
.76 
.02 
.29 


> UT LI VI CI 0 


e, = 0".1324 
o' 


45° 4' 51.52 
9.67 


Ut Ut Ut Ut Ot > Ut a O 
pp 


LATITUDINE DI TORINO 107 


1888 Novembre 24 — a Cygni. 


Verticale Est Verticale Ovest 
————_—————_—__________—_r_rvr__——_——_—_—m———_ __———————m_ÈrÉ______——m__—___r——tÉm_——————————————@—_ —— p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
19% 56m 49873 |20° 272 385.81 |20° 38m 2525 | 21° 8m 56°.78 a LL sir 
57 29.46 24 14.04 41 27.00 8 19.03 7.90 
58. 23.40 21 9.91 44 32.46 1 24.12 7.60 
59 18.99 18 44.66 46 59.55 6 29.42 7.83 
20720 0.63 17 12.96 48.31.76 5 46.68 ‘42-30 
IA 47 14 52.04 504653252 4 32.85 7 40 
| 3 49.99 10 56.81 54 47.60 ISAIA) 7.02 
| 4 36.18 9e57r08 55 47.68 IMelere0o5 (24 
AMA 7. 9 44.13 56 0.02 il 0.21 6.98 
bueslelt38 Oo 56 29.40 VStaio {Pol 


a —-t= + 9924 e E Ei 0018 


1888 Novembre 25 — x Andromedae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
pi i no p' 
Oculare Sud __ Oeuare Sud | Ocula Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
22% 14m 288.41 1 2° 26 285.71 | 0° 332 305.50 | 0° 452 25.46 | 45° 4' 6.67 
14 58.86! 25/09/00 945 > 15,80 44 55.67 6.74 
oe 21 x 25 26.83 940032150 44) 39614 TOEL7 
15 46.30 242 581.08 Sb ‘0003 44 8.830 6.98 
IO 57 24 28.79 IR I0S62 43 41.85 Vara Wi; 
16 34.39 DAS 9505450 43 19.88 6 .83 
Mi 6:.75 D9RE:28095 86 30.20 AD N48 10, ri Ur 
| 18 10.89 2220431 SAM 8E50 41 43.20 6 .07 
a — t= + 85.80 d' = 490 435 17.18 Ce W001321 
1888 Dicembre 1 — a Cygni. 
Verticale Est Verticale Ovest 
p' 


Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 


NOI AZ TRS 2077 05 20 9704951 450 68129 


26 38.0 ol 58.0 11 22.0 36 48.5 5 .8l 
27 24.5 49 81.5 lo 530 36 2.0 5.67 
28 34.0 46 40.0 16 48.0 d4 51.5 SIATE, 
Sonoro 42 9.5 21 16.0 32 26.5 6 .26 


a —t = + 105.00 dD'—= 440 58% 131.97 eji==#0/.1855 


F. PORRO 


1888 Dicembre 1 — 1 Andromedae. 


Verticale Est 


Verticale Ovest 


ROMEA ra p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
21° 51% 7507 [21° 58m 48849 | 0° 562 30°.98 | 1° 4m 11°.63 45° 4 UO 
bLiedeS7 Dex 10.59 56 57.30 8 46.91 4 .81 
51 45.59 58 2.20 57 12.99 9 1920:29 5 .00 
52 5.26 Die 41 84 BC 99578 AR PIA 0) | 4.48 
521024028 57 20.89 bia 54:90 Da 5940 5.95 
52 39.78 57 5.87 58 9.89 DACIA 4.05 
59 LOS 56 40.26 58 DE QI TASDÀ 5.48 
591 152.91 boe 48007 59 25.73 1 24.92 5 .98 
a—-—t= + 85.57 6 — 4201992005 e.= 012421 
1888 Dicembre 1 — v Persei. 
Verticale Est Verticale Ovest 
ACEA p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
1° 490 45,79 | 1° 552 17544 | BR 9m 545.08 | 5° 160 9593 450 4' 4.24 
49 23.79 54 da 10 13.79 150 51:46 4.26 
49. 39.20 5A 41899 10 29.95 IS 4.96 
50 Dal 54. 17.68 10. 54.04 It S29 40524: 
50 46.96 59 30 .89 IR A059 14 28.39 4.79 
a—-t= + 88.47 di 0£20 19% 350/95 € = 0! .1054 
1888 Dicembre 2 — 1 Andromedae. 
Verticale Est Verticale Ovest 
IA PANEL SIA BI p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
21° 50m 295.61 |21® 59 209.73 | 0° 55m 54305 | 1° 4m 48520 45° 4' 6”.00 
50 58 .08 0) 5011952 AMO lo 
51 10.96 58 36.16 56 38.16 4 1.82 5 .10 
bl 29.80 58 15.43 56 58.97 CSI 6.02 
BL 49.87 DI nASZ9 57 20.44 3. 22.99 5.76 
52 6.82 bi 96095 ZIONI 3 5.67 4.83 
525 91.05 57 10.76 58 3.80 dh 478 5.67 
55. 20.01 56 h9:59 58 54.57 di 52.604 5.69 


a —t= + 8546 


è ==: 42° 39" 20”.10 


e, = 0".1518 


LATITUDINE DI TORINO 


1888 Dicembre 3 — x Andromedae. 


Verticale Est 


Verticale Ovest 


Lili (o) 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 

99h j4m 91558 [222 262 17.96 | 0° 88m 215.15 | 0° 45 165.75 45° 4’ 6.50 
TA 51-87 Digi]: 383 56.99 44 46.50 6.64 
Io 15:29 25 16.20 94 23.62 44 24.03 6.57 
I ae8959 24 47.88 94 51.58 43 58.92 6.76 
16 5.68 CARINI 35 22.00 49: 92.55 24 
16 27.58 LIDO 985 45 .67 43 10.95 6.98 
16 59.82 23 18.69 36 20 .67 42 38.40 6 .07 

| 18 4.10 22 8.76 37 30.05 41. 34.15 6.76 
a —t= +4 85.63 OASI er 01145 


1888 Dicembre 3 — v Persei. 


Verticale Est Verticale Ovest 
a o' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 

est t9816 | dh 56 14.80 | 5% 82 50.50. | 5° 17m 28027 450 04 596 
480025 13 SO ILA 9 14.40 16 40.37 5.24 
48 41.22 Boi 8403 9 31.60 16 23.94 5.29 
48 59.01 55: 15.10 9 50.25 16 6.22 5 .14 
49. 17.79 54 55.66 10 10.01 15 47.67 4.95 
49 33.85 BALT39r92 10 26.38 15 32.19 5 .02 
49 56.10 54 15.61 10 49.71 15 9,82 4:93 
50 40.82 536029017 11 36.50 14 24.45 5.00 

(esa —- 85.52 dr ‘423°13N95/ 105 € = 0".0584 

1888 Dicembre 4 — x Andromedae. 
Verticale Est Verticale Ovest 
LIERNA = p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 

29h 15m 3570 |22% 25m 921898 | 0h 34m 105,49 | 0% 44m 29943 45° 4' 6".98 
TOI 8550. 24 45.30 AIA 4900520. 7.02 
15 58.95 24 23.89 95 8.23 43 38.52 7 .26 
16 19.62 23. 55 .60 85 96.87 43 12.97 (07 
16 45.10 PORN 20191 386. 4.83 42 47.46 1:29 
nide7 4.81 23 6.92 86 25.79 42 28.50 1 A4 
95 22 31.27 87 È 81 41 56.10 (24 
SNA 229 Sl 22.43 88.10.25 40 50.78 A, 

atiti—= + 85.98 Ò = 43° 43" 47" 46 ei = 0”.0670 


110 


F. PORRO 


1888 Dicembre 5 — 1 Andromedae. 


Verticale Est 


Verticale Ovest 


Ecate RARE EVE p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
21° 50m 55520 |21® 58m 34587 | 0° 56m 225.17 1° 40 1550 45° 4' 6!" .52 
51 19.20 58 8.27 56 48.80 ZI PASSI 
5IMeS4=I3 AES 57 3.76 AZZ) 6 .55 
SLA DA 57. 81.07 DAT È) 2.70 7.64 
Ii R95 57 10.43 cio 2 43.10 Ta9 
5a 2745 56 55.90 58 0.27 2 129.58 7.00 
59, 52.52 56 30.37 58 26.47 2 4.05 6.88 
ez nu D675) 5139793 a 60) 1 14.63 (QUATATI 
ao—-t= + 98.14 DI 1430994020026 Ei 0''.1943 
1888 Dicembre 6 — 1 Andromedae. 
Verticale Est Verticale Ovest 
E ASINI Sr re p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
21° 51% 145.00 |21° 582 65.02 | 0° 562 445.18 | 1° 3m 35,35 45° 4' 8".50 
bla s29763 57 50.70 56 59.56 SRO 8.10 
5I 49.27 57 29.89 57 20.38 5) 1.49 7.64 
52 8.65 57 9.20 BA 40074 De 41084 8.10 
DI 2028 56 54.36 57. 55.64 di i27.65 7.10 
52 47.90 56 28 .06 ZA 95 Z 2.62 7 45 
59 97:60 Beto 69 59 12.41 o ek292 6 .60 
a —t = + 85.98 d = 42° 39’ 20”.29 € = 0" .1885 
1888 Dicembre 7 — 1 Andromedae. 
Verticale Est Verticale Ovest 
A p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
21% 51® 145.00 |21° 582 0570 | 0° 56m 425,84 | 1° 89m 295.46 45° 4' 6.90 
51 34.26 DA I9TÀ 57 5.00 9 9.42 7.26 
51 50.83 IT RROZI ri DI 22.74 diedro 7.14 
a a 56 56.02 57 48.20 2 28.46 (SL 
59 4.05 56 5.07 58 39.11 Met99E37 7 .81 
Oni 9 di —a4200992.0""30 €= 0".0775 


LATITUDINE DI TORINO Jil 


1888 Dicembre 7 — v Persei. 


——————————————-—— eo o— wmÉeeeo —e eee 


Verticale Est Verticale Ovest 
e —— _—————_—_—@—@—@—@ p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 

1° 472 515.87 Jong «08798 (53. 8n-395090 5r 16m 48573 450 4° 6.39 
4:80 18-35 55 37.60 9 2.65 16 26.66 6.17 
48. 29.79 55.420€20 9 20.10 16 10.68 6.38 
48. 47.33 55 150 9698675 5 59605 6 .43 
49 ess DERRATE). 9 58.61 15Ì 84:07 6.55 
49 21.39 54 25 40 10 14.75 ISS EOS 6.58 
49 44.14 54 1.80 10 38.18 14. 56 .30 08324 
50 29.07 DO 15:14 LR 2506 TAR 7 6 .60 
att = _ 95.60 Ò — 42% 134 86198 Gue= 0”.0511 


1888 Dicembre 8 — 1 Andromedae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
uu __—_—r__—___  _ oc —____1£ p' 
| Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
91° 50m 27569 |21} 58 435.66 | 0° 55m 53533 | 1° 4m 9595 4594 771.88 

50. 52.00 58 17:08 56 19.60 3 45.68 8.02 
51 6.28 58 1:92 56 35.01 ome 10841. 1-93 
mi 5.60 57 40.93 BEEN. SLRAI2E08 lett 
5lI 45.10 57 20.27 57 16.46 DIS PA) | 8.10 
BI 59.60 57 5.18 bro 81393 2 38.09 8.14 
52 24.40 56 39.05 57 37.80 2 13.56 81:99 
heel 61 55 48.10 58 48.84 [Re 2 433 8.36 
gl: piu 98.67 O — 429 9892-20! 98 Ei 0” .0702 


1888 Dicembre 9 — 1 Andromedae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
Siri lire iii iii tie e ia p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
Sl) 26192 | 23 58n 9873: | 08° 55m 52378.) 1h 40 4521 ASSI 71038 
50 49.80 58. 13.40 DOLNler25 3 40 .56 7 .36 
Dil: TESS DADI 56 37.38 SEI 7.60 
51 26.69 57 34.14 565. 57.50 3 8.76 7.05 
51 46.97 DA 12455 57 19:03 2 43.29 6.95 
52 3.54 56° 54.78 57 36.50 2 26 .69 7 19 
595 2843 56 28.93 58 1.95 2 2.98 7.05 
53 16 .98 5) 58. 53.10 1 13.60 8.19 


a —-t= + 98.72 di 429990020125 e, = 0".1423 


112 F. PORRO 


1888 Dicembre 10 — 1 Andromedae. 


Verticale Est Verticale Ovest 


Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 


21% 50m 245.20. (21% 58m 367,32.| 0h 55m 5041 | 13 4m 2518 45° 4" 7" .62 


50 47.93 58 10.82 56 16.60 irta tetir (BASE) 
DEI 57 51.97 56 34.39 320.94 6 .88 
51 24.50 57 9k,49 56: 55.12 SL 7.40 
51 44.67 57 10.04 57 16.50 2 41.46 (OLI 
2.38 56 52:45 Dai 0498 Dai 24.69 10.86 
52; 25.97 56 26.88 57 59.89 DATO TDI 
53; 15..08 55 86.18 58 50.45 111,24 {AL 
a —-t= + 85.79 ò =: 49% 39” 20.20 e, = 0”.1000 
1888 Dicembre 10 — v. Persei, 
Veltigalo Est | Veticalo (ORC) 
Lio ia i ei A AE p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud. Oculare, Nord 


1h 47% 56%57 | 1° 55% 38527 | 53 8Qm 45509) 5h 16m 26.90) 45° 4 6/71 


48. 19.10 55. 14.08 IE 90 16 4.58 6.93 
48. 32.62 54 59.97 9, 23.08 15 51.00 6.21 
48. 50.77 54 41.06 9 42.52 15. 33.25 6 .50 
49, 8.90 54 21.84 10;  L407 15 14.98 6.05 
49, 22.00 54 7.65 10. 15..59 15 1.96 6 .62 
49, 44.73 d5, 44.06 10. 39.21 14 38.90 6.79 
50. 30.29 59. 57.22: 11 25.70 13. 58.47 6 .40 
a — t= + 85.63 dè = 420113: 96.87 € =:0%.1051 


1888. Dicembre 13. — v. Persei. 


p' 


Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare. Nord 


I° 47m 485,66 | 1° 55m 27874) 5h gm 88820,] 5% 162 17°69| 4504 8.74 


48. 10.99 vo 3.60 9 2:26 15 54.76 8.74 
43. 24.70 od 49.12 9. 16.80 15 41.80 9.28 
48, 42.62 54 30.25 9 35.80 15. 23.70 97.09 
49 0.58 54 11.27 9 54.70 Toy oz61 9.07 
49, 13.95 93. 57.18 10 8.69 14 52.40 9.23 
49, 36.89 59. 89.59 10 32.49 14 29.38 8.83 
50. 22.30 52: 47.08 Ti 197,20 13. 44.10 8.64 


a —t= + 882 d = 420 18' 87"19 =. er = 0/.0866 


LATITUDINE DI TORINO 


1889 Gennaio 7 — v Persei. 


113 


Verticale Est 


Verticale Ovest 


cc (to) 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
1° 46% 135,78 | 1° 53m 56.66 | 5° 62 595.29 5h 14m 445,90 45° 4" 5" 24 
46 36.50 IE Etei7} (02330 14 20.40 5 .55 
46 49.59 So elz95 (ARS#30 14 6.61 4.95 
47 7.61 52 58.95 50.09 13 48.90 5 .96 
ACIDO: (04. FORIO 8 15.70 13 30.70 5 .96 
47 38.80 YA or 81229187 TO RI750 5.98 
48 2.00 52 Dal 8 53.65 12 54.58 b24 
48 47 40 51 15.40 9 40.29 12 ORI Daali9 
o—-t= - 63.58 è = 42% 13! 40".05 € == :04.1074 
1889 Gennaio 8 — v Persei. 
Verticale Est Verticale Ovest 
een n p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
1° 462 385.04 | 1° 53m 235,90 | 5° 70 21530 5h 140 11°.80 45° 4’ 6".02 
46 49.37 53 6.56 MECISAZO 13. 55.64 6 .19 
47 7.66 52 47.92 TIRES 19 5.52 
47 25.60 52, 27.90 Gti 1L6597 13 19.00 CISU 
47 41.05 52 11.82 CEI 9E5S 13 3.40 6.50 
48 3.78 51 48.39 856.80 12 40.85 6.17 
48. 24.79 5I 26.36 9 19.00 12 19713 6.26 
48 49.02 5I 1.50 9 43.00 1: 55.50 6 .12 
a —t= + 65.44 dò = 42° 13' 40”.10 eli 0%21003 
1889 Gennaio 8 — y° Aurigae. 
Verticale Est Verticale Ovest 
barrio p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
5h 162 4541 | 5° 25m 595.66. | 7° 37m 1570) 7° 46 505.69 45° 4! 7" 43 
16 26.93 25. 27.84 37 26.68 46. 28.831 7.29 
16. 51.80 25 0.30 87 54.40 46 ta 6..83 
ve 765 D4 91:25 OSIO 45. 9% :289 (38 
17 39.90 24 7.09 ISMEA 45. 1519 6.88 
18. 10.88 23. 32.60 39. 21.98 44. 43.88 7.26 
18 41.91 29 0.10 40 INVE) 44 6.57 7.14 
19. 15.13 22, 24.68 40. 30.27 AD DIL 7.60 
ai È + 65.39 è —=r490041: 10/32 er = 0"”.0940 


Serie II. Tom. XLIV. 


114 F. PORRO 


1889 Gennaio 17 — v Persei. 


Verticale Est Verticale Ovest 
si i lee I aeree SL Li ia riot p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 

{è 452 408.77 | 1° 53m 175.79 5h Gm 26°.40 5h 14m 2510 450.4 BIO4 
46 Do Io dd 6 49.62 13 40.28 8.96 
46 19.09 5 aleielo 7 6.78 13. 24.00 SA 
46. 36.99 5. 18.51 7 24.98 13 6.22 I 
46. 54.92 51 58.70 db 2 12 47.61 8.74 
47% (11:03 51 42.19 8 1.03 12. 32..02 Seali2 
4 39.60 51 18.79 8 24.45 12 9.49 3.08 
48.18.93 -50 81.90 9 11.62 LIZA I R0S 
48.30.03 50 21.34 9 24.10 11 11.50 2.79 
[ESA A, | 35.69 dò = 42° 13' 40”.68 € = 0”.1083 


1889 Gennaio 17 — y° Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
META ME ST I p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
5. 15m 5535 | 5° 262 0550 | 7° 35m 545.17 | 7° 462 49°03 450 40/9486 
15000505 25. 25.20 36 ..28047 46 18.80 3.95 
15. 57.82 24 59.69 36 54.78 45. 55.91 8.97 
16 22.90 24 31.79 SII AS ZII 8.69 
16 48.60 24 2.68 87 50.98 45 5.20 4.10 
E7 5 1077 2339 .03 9901590 44. 43.50 9IRIS 
17 42.71 23 4 24 38 49.68 44 11.59 3.88 
18. 46.33 2560017 39. 57.78 43 7.80 4:52. 
19 4 41 21 38.00 40 15.70 42 49.99 SEMI 
19 13.80 21 128.99 40 25.71 42. 40.82 DA 
19 18.00 21 24.10 40 29.31 42 36.17 6) 
atT-t= | 38.85 ò = 48% 41’ 11" 46 e = 0".0711 
1889 Gennaio 18 — v Persei. 
Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 

1° 45m 375.96 | 1° 539 155.80 | 5° 60 23501 ig eno DE 45° 4’ 4" 40 
46 0.72 SI 15) 6 47.02 1 Et ALETIIRZ 
46. 14.17 52 37.39 7 1.99 LIZA 8.86 
46 32.02 5a 89 e S20039 13 6.87 Do 
46 50 .06 BI 59.29 (0939550) 12 49.19 4.52 
47 9.67 51 45027 7 58.50 12 35.88 4.36 
47 26.70 5I 21.50 LILLO 12. 12.92 Asi, 
48 11.72 50 34.82 9 3.89 alza ni 4.24 
, 


ao —-t= ++ 8514 ò = 42° 13! 40".75 ei ==-0%.0789 


LATITUDINE DI TORINO 


1889 Gennaio 18 — y5 Aurigae. 


115 


Verticale Est Verticale Ovest 
I EAAEAAAAAEeeeoecqqses0g8gso,F,|}]|)?‘|t9pmo—|otTttmOceen—__ — p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
5è 152 1540 | 53 25m 595.50 | 7° 352 505.39 | 7° 46% 485.70 | 45° 4" 5” 05 
ta 32.62 25/. 22.88 96° 26138 46 16.80 4.90 
15 50.99 258 4240 36 46.63 45 DIRO 4.88 
6h 16.03 24 33.93 MI 15=16 ADINZIRIS 455 
6 41.53 24 6.18 37 43.39 45. 8.40 4.40 
ie 0.20 23: 45.80 98 4.28 44685038 pri 
MONA 23. 10 .48 9 eMN99 50 44 17.69 4.79 
18 36.19 29, 2618 SOR8A7050 L'RSS al 
a —t= + 35.26 d —:49%41! b1".65 ca #00:0941 
1889 Gennaio 19 — v Persei. 
Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
1° 450 35588 | 1° 53m 135,30 | 5° 62 205.86 5ì 13m 58547 | 45° 4’ 4.29 
405 RETTA] 52 48.80 6 44.67 ISEE S .59 
46 12.01 52 34.80 6 59.04 13% 22630 SUi0o 
46 29.98 52 15.81 7 18.00 TLOZ 3.78 
46 47.90 51 56.90 TACITO 12 46.20 Ss .80 
AAA 28 Bit 42.90 AM51R29 128298 4.112 
47 24.48 51 18.99 814.60 12 10.40 3.29 
4:80 9.92 0 92829 gni 1550 11 24.69 Seo 
a T-t= + 85.08 di =42% 18° 40189 (EMA 
1889 Gennaio 24 — e Aurigae. 
Verticale Est Verticale Ovest 
RM e i e e a a p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
9. 29m 293,87 | 3° 40% 105.90 | 5° 51 365.36 | 6° 2m 28504 | 45° 4' 4”.10 
290 52:68 39. 36.51 52 10.42 1 53.20 4.05 
80. 15 .07 89 10.80 52 35.90 1 30.08 9.76 
30. 39.77 99ì 459.28 BE 1 5.70 s .63 
Seo e52 38. 14.99 58 831.60 0 40.02 3.29 
ol 026..87 S7 50.70 53 55.40 0 18.40 3:95 
91. 58 .48 87 16.63 54: 29.38 | 559. 47.15 3.90 
sonarl92 386 9.70 55 36.40 Der d49E68 8.66 
ao —-t= + 5521 dò = 43° 89’ 31”.66 ei = 0”.0940 


116 F. PORRO 


1889 Gennaio 25 — e Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
IR SEA ERI ESTE ON ri RA RE RIMANI p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 

gh ogm 155,74 | 3% 400» 85,53 | 53 51m 295,80 | 6° 2 225,55 45° 4' 6".21 
29 46.47 389 32.47 52 589 La niestà 6.26 
30 5.24 89 11.75 52 26.23 TESE 6.12 
30 30 .07 98. 44.09 52 54428 1 1.97 5 .81 
30. 55 .18 38 16.18 59.21.62 0 43.01 5.60 
S1 13.55 s7. 55.27 53 42.08 0 24.83 6.24 
S1 45.66 37 20.50 54° 17,28 (5 985991 59530 6 .69 
32 49.23 36 13.33 55 25.19 98 49.43 6.45 
aT-t= + 58.27 Ò =—=4990994 3189 E = 0”.1250 


1889 Gennaio 27 — € Awurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest 


Oculare Sud Oculare Nord Oculare: Nord Oculare Sud 


23 gg 8503: | 94 40m (0529) 5° 51m 223.15] 6° 20 14600] 45° 4" 67.43 


29 37.62 39 24.97 51 56.98 1 44.60 6.95 
30 0.29 388 59.84 92 21.98 1 21.83 6.43 
30. 24.62 38 31.89 92 49.32 0 57.27 6.62 
30. 50.39 38. 4.13 53 18.16 0 31.94 6.57 
Sl 12.12 37 40.54 53 41.83 0 10.10 6.24 
31 43.81 37 6.10 54 15.70| 5 59 38.57 6.12 
32 46.57 35. 58.50 55 23.00 98. 35.67 7.40 
o —-t= + 65.10 dò = 43° 39' 31.86 e; == 0".1178 


1889 Gennaio 31 — e Aurigae. 


Werlicalo Est Verticale Ovest 


Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 


3 28m 54587 | 8h 9gm 45510) 5° 51m 5560 | 6% 1m 56%50| 450 4° 27.93 


29: 25 .08 39 8.73 ol 41.80 1 24.82 3.69 
29: 42.70 38. 47 .68 92 2.00 1 7.20 4.12 
30: 7.87 38 20 .13 52 30.09 O 41.99 3.79 
30. 32.96 37 52.16 92 57.64 0; 1718 3 .81 
30. 51.49 37 31.60 59 18.94 | 5 59. 58.77 4.50 
31 23.14 36. 56.57 99. 99.29 59. 26.53 4 .52 
32' 27.47 35° 49.40 dd 0.30 98 23.61 3.90 


a — t' = + 95.25 dè =<49° 39* 32".31 ej = 0".1734 


LATITUDINE DI TORINO 117 


1889 Febbraio 1 — € Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
= _r—@ ume p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
gl ogm 48570 | 3° 39m 37596 | 53 5Im 3535 | 6 ia VIL0S 45° 4' 7.50 
29 18.99 39 3.30 BI 38.38 ho 2eialy 7 76 
29. 40.90 38 37 .96 52 SE0O 1 DIRO 7 48 
30 5.93 38 10.68 BETA Sist 063.052 RESTA. 
9 031.63 37 42.39 52 59.68 0 10.90 (DD 
90005395 37 18.49 DI2IE45 DISSOREIGRO? 7.24 
ZUM 71 36 44.40 53 56.90 59 17.49 12 
92 28 .18 85 8693 55 4.90 58.13.95 7 .69 
casi II cin nn nni 
aoa—t= - 95.13 0° =r490E 99 2A € = 0'.0804 


1889 Febbraio 5 — e Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
| LZ IE ——— ve q' 

Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 

9R 98m 28555 | 3° 39m 205.49 | 5% 502 425.80 | 6% im 35°.45 45° 4” 77.69 
28 59 .63 38. 45 .07 DESETA 1 4 45 7.64 
297883 38 23.72 51 38.83 0 46.10 7.60 
DON A9 72 37 56.00 52 6.63 02017 6.62 
30 Test S7 28.08 52 35.30 5 59 56.18 7.83 
30° 26.47 37 7.60 52: 56.00 59 37.39 (0519 
30° 58.57 36. 33.50 53. 3011 59 5.87 24 
32 1.95 985 26.01 54 37.71 58 2.90 ressal 


ò = 43° 39’ 32" .66 ej = 0".1419 


1889 Febbraio 6 — e Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest l 
SE LAI i ela n ——--_— P 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord' Oculare Sud 
gh agm 25°13 | 3° 39% 13519/| 5* 50m 41530/| 6h 1m 28505°| 45° 4° 8".52 
28. 55.19 38 38 .49 51 14.95 0 57.99 8.05 
290 140.70 88° 12.90 51 40.67 0 35.71 8.19 
29 41.89 870 44.67 52° 770 0 10.91 8.48 
380 7.95 37 16.70 52- 37.07 | 5 59 44.92 8.26 
30° 29 .03 36. 52.99 59 0.48 59° 23 45 8.52 
SIL 0.48 36° 19.09 . 58. 34.55 58° 52-27 8 .60 
od 14039 | 95 141821 54 41.08 57 48.78 8.38 
Aci cei i Li 


a — = + 85,00 DAI SISI ii 10.067 


118 F. PORRO 


1889 Febbraio 11 — e Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
SE RAI O VOS OST AA p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
È 

gh 28m 25.02 | 3° 38m 545,33 | 5a 502 16527 | 6° Im 9518 45° 4’ 7"".90 
28. 33.80 38. 18 .40 50 583 .09 0 38.66 8.52 
28. 51.93 97 =D 49 51 12.89 0 20.09 7.98 
29 16.48 37 29.30 Da 41/2 5 59 54.89 8655 
29 41.52 DI 1.68 52 8.83 59 30.25 8.26 
29 59.67 86 41.87 52 29.08 59. 1122 7.76 
380. 31.87 36 6.98 53 do 58 39.52 7 .69 
Sl 195.98 84 59.80 54 11.30 57 36.18 7.76 
a —-t= + 58.70 d — 483° 39' 32" 93 ei == 01225 

1889 Febbraio 13 — e Aurigae. 
Verticale Est Verticale Ovest 
RAT NR INR He p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 

gr 27m 55541 | 3° 38m 48519 | 53 50m 9580 | 6° 02 565.98 45° 4” 71.07 
28. 25 44 38 8.69 50 43.90 0 27.09 6.90 
28. 48.20 S7 43.50 51 9.58 0 4.90 6.40 
29 12.69 37. 15.20 51 36.90 5 59 40.15 10:02 
29 38.20 36 46.92 52 5.60 59 13.79 6 .69 
30 0.17 36. 23.81 59 29.10 58. 52.09 6.26 
30. 31.58 35 49.20 53 2.85 58 21.16 6.48 
ol (94.78 54 41.39 54 10.81 Sa d/40D 7 .43 
at-it= + 55.99 d —43%39/ 33/07 € = 0!.1530 


1889 Febbraio 16 — e Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
AURORA LORIA p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 

3° 270 48505 | 3° 88m 345,27 | 5° 490 555.30 | 6° 02 475.00 45° 4! 5".55 
28. 14.08 87 58.09 50 31.20 0. 15.73 5.76 
28 32.68 S7 37.70 50 51.80 5 59 57.89 5a50 
28. 57.99 37 9.98 51 20.20 989,24 5.86 
29.22.98 386 41.62 ere 59 17378 5: 579 
29 40.76 36 21.43 52 8.13 585 4978 6 .05 
30 12.66 85 46 .56 52. 43.00 58 17.58 6.10 
Ole il6.79 34' 39.46 53 50.11 57 14.07 har99 
a —t = + 55,29 dD 0499099) COS €i.= 0!” .0949 


e rr ot 


LATITUDINE DI TORINO 119 


1889 Febbraio 19 — w? Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 

5h 09m 53592-| 5. 33m 52.97 | 7° 43m 405.58 | 7° 54m 39584 45° 4°-6!31 
2:9301251.25 SIA on4:0 LATTORI 54 8.09 6 .38 
23004407 9208 559 Ad 37 43 53 49.39 5.74 
24 OS SLA) 2 45 6.02 539 24.08 6 .05 
24 34.06 SR 925 AS LS 52: 58055 5 .88 
DAN 59.18 Sl 39.59 45. 54.63 52 40.51 6219 
PA SZZASIATAO) 31 3.40 46 29 41 52 8.60 5 .88 
260: 29.67 PASSA 47 38.19 591 4.29 5.90 | 
ot = - 55,57 ò —*43°41" 15.89 E = 0”.0815 


1889 Febbraio 23 — y° Aurigae. 


| Verticale Est Verticale Ovest | 
Mg — _ _ ee OA 9 
| Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
DENSO 573.73 | 5° 29m 50.,910| 7° 490 45555-| 7° 54m 985.89) 450 4' 7" 64 
23 27.74 33 16.05 44 20.68 54 8.47 10290 
23 50.18 32 50.11 44 46.51 68 45.93 8.21 
24 15.07 32 22.35 45 14.16 58 20.93 7.88 
24 40.23 31 53.40 45 43.11 52 54.86 8.38 
29 2.67 81 29.95 467.04 92 33.81 SALI 
25 34.73 30 54.99 46 41.27 902 1.20 7.62 
26 38 .96 29 47.06 47 49.52 50 57.87 7.69 I 
ao —t= + 55.43 di = 48° 41' ‘16.19 eii="0/.1033 


1889 Febbraio 24 — y> Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest ! 
i aa RI PIA RA p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
5h 90m 56507 | 5° 33m 53°.69 | 7° 48m 485,80 | 7° 540 428.15 45° 4’ 8".45 
Dot 27:82 99RRE(9D 44 18.78 54 10.88 7.67 
23. 46.20 SI DILDIA 44 41.31 59 52.40 8.95 
ZA IST 32. 27.89 45 9.20 59 27 14 8.38 
24 36 .39 81 59.10 5 SUIS 53 2.21 8.98 
24 55 40 Ser 9r88 45. 58.15 52 43.19 8.45 
ZI ZAN IE Sgirali 46 33 .35 52 11.40 8.93 
26 831.62 29. 56.15 AT 41:37 51 7.46 8.52 


a —-t= + 58.53 è —> 490° 41% 16/26 iO 510 


120 


Oculare Sud 


F. PORRO 


1889 Marzo 6 — y? Aurigae. 


Verticale Est | 


Oculare Nord 


Ocnlare Nord 


52.299. 115.69 
23 42.01 
24 4.38 
24 29.21 
24 55.17 
25 17.39 
25. 49 13 
26 52.77 


5h 34m 105,30 
33 34.28 
33 9.21 
392 41.24 
39 12.46 
31 48.56 
31 13.69 
30 5.87 


at=+ 717 


Oculare Sud 


gh. 29m. :45,91 
29 25.60 
29 41.45 
29 58.38 

| 30 16.60 

30. 31.80 

30 58.96 

81 37.94 


72 482 56°.59 
44 31.57 
44 57.08 
45 25.50 
45. 54.40 
46 18.20 
46 53.20 
48. 1.03 


è = 480 41° 177428 


| Verticale Ovest 


Oculare Sud 


’ 


pP 


7° 54m 545,28 
o4 24.20 
54 1.59 
53 36.63 
53 10.47 
52 48.62 
52 17.02 
dk 1910 


1889 Marzo 6 — u Ursae Majoris. 


© Verticale Est 0 | 


Oculate Nord 


8h 36m 28°.63 
36 6.02 
35 48.79 
35 30.68 
85 11.59 
d4 55.95 
34 33.14 
33 48.00 


ce Verticale Ovest 


; Ocalare Nord 


11% 56m 37192 
56 0.39 
56 17.02 
96 35.39 
96 54.49 
o7 10.02 
o7 32.92 
58 17.70 


Oculare Sud 


1°.47 
40.10 
24 44 
6.54 
49 .01 


125 9n 


11.63 
27.56 


O 4 NN 


cd AR 8 ZANTT 


1889 Marzo 12 — 31 Lyncis. 


“Verticale Est 00 


Oculare Nord 


6. 56m 325.68 
97 2.90 
97 20.22 
97 44.20 
08a 897 
58. 26.20 
98. 56.85 
59, 58.18 


a t= + 8827 


‘Oculare Sud 


7° 6m 58°.64 


24 .47 
4.17 
38 .18 
11.94 
51.90 
18.98 
14.07 


(SVAGO derier) 


i Oeulare Sud | i Oculare Nord 


33 41 | 


45° 4' 5.14 


Ut ur ot ur ot Ut 
NORD 
0 


ca = 071091 


45° 4' 5" .81 


| Verticale Ovest | 


’ 


® 


gh 24m 25500.| 9h 84m 515.85.| 45° 4! 6.90 


24 59.01 
25. 19.22 
25 45.77 
26. 12.37 
26. 32.10 
27. 4,99 
281 19.90 


Cd = 490 321 S9M870 


34 21.58 
94. 4.29 
38 39.98 
33. 16.01 
32 58.60 
32 27.28 
31 26.17 


DGOILJIJDOALA 
ui 
rs 


r_—__—_Ékkz___ 


‘&,= 0".1303 


Bal ; 
A i e A 


LATITUDINE DI TORINO 121 


1889 Marzo 12 — 58 Ursae Majoris. 


Verticale Est Verticale Ovest 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 

10° 112 20504 |10% 222 485,08 |12° 272 15594 {12% 38» 395.30 45° d' 1" 12 
11. 52.89 22 DELIA DIM IRSS 38 6.93 Tel 
2 1149 21 42,88 28. 15,80 Sym 470,91 7 40 
N28 37.29 Ze 19:57 28. 45.20 97 22.01 TSE) 
13 Dl 20 44,20 29 1467 | 1,96 56,06 ASHd 
doo 22.67 20 22.90 29 36221 36 36.97 7 .69 
On 55/0 19. 46 49 30. 12.37 36 3670 7.60 
15 2.20 18 36.08 81 22.88 3 57 .60 (sile 
a —-—t= + 8507 dD == (49% 464 33129 er = -0”.0794 


1889 Marzo 13 — 31 Lyncis. 


| Verticale Est Verticale Ovest 
TT. —1_r—r——_r_rro’‘’‘ò’ p' 
| Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 

| 6° 56m 94568 | 7° 6m 59°.58 gU 24m 28579 | 9° 34m 52549 | 45° 4’ 8.17 
Sia 3.65 6 26.52 25 1.68 84 23 .38 8.07 
bia 25.28 62.60 bi 251,98 84 1.89 (299 
57 48.86 PessDiz2 5, 52028 33 38.29 8.29 
58 13.70 Deco eLvo 26 19.76 88 18.44 8.17 
58 84.69 4 045.79 260 42533 52.52.54 8.12 
TR c4.70 413.20 27 15.06 9g 22010 8.26 

AURORA 217 SH 8182 282 19351 Si 21.22 BU07 
a —-t= + 89.16 de IZ] e, = 0”.0416 
1889 Marzo 14 — 10 Ursae Majoris. 
Verticale Est Verticale Ovest 
nenti p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sad Oculare Nord 
Ta Qu 89°.31 | 7° 172 165.394 [10° 30» 875.80 [10° 382 16509 | 45° 4’ 7”.93 

TON 2.19 16 52.08 St 2505 37 54.02 8:81 
10 15.07 16. 38.12 si 16261 97 39.78 8.00 
10 33.19 16 19.17 ot 36817 9%: 21.79 7 43 
10 51.66 16 0.30 Sl 53.99 987 4.00 7 :02 
lb 5.09 15 46.50 92° 8228 36 50.70 (RL12 
ld: 27.70 15 22.49 32. 31.62 36 27.81 7.10 
ISF 20 Ti 95845 ost 184783 35. 42.20 (58 
a —-—t= + 75.96 dre 49% 13) (19/88 €j.=-0!.1709 


Serie II. Tom. XLIV. i P 


122 F. PORRO 


1889 Marzo 16 — 10 Ursae Majoris. 


Verticale Est Verticale Ovest 
ae i lei Sn iii rilievo p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 

73 Qu 445,87 | 7° 17m 208.27 [10° 302 45520 |10° 38% 199.48 45° 4' 9".26 
10 6.67 16 56.67 S1 8.99 S7 57.67 9.40 
10 22.71 16 39.68 dl 025479 37 41.80 9.79 
10 40.45 16 20.87 SUe44Z57 SA 24508 9.88 
10 58.90 16 1.30 32 3.89 37 5.92 9.70 
11 14.94 15 45.04 32 20 .29 36. 49.77 9.40 
dl 5737 15. 2132 925 49070 06° 20:32 9.81 
12. 22.17 14 34.95 88. 30 .20 35. 41.20 9.30 
ao —-t= + 98.01 d 49032026 e, = 0"”.0886 


1889 Marzo 17 — 31 Lyncis. 


Verticale Est ‘Verticale Ovest 
i inci li li di alli ele lei p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
6. 56m 43512 | 75 7mn 8589 | 9 24m 37520 | 9® 35m 835.87 45° 4' 10".14 
57 12.84 6 34.92 2590 1128 94 33.93 10 .55 
57 30.86 6 14.32 25. 81.29 84. 16.22 10 .43 
57 54.56 5 47.67 25. 57.65 33. 52 .36 10 .45 
58. 18.80 5 21.08 26: 24.15 33 28 .08 10 .19 
58 36.69 5 1.50 26. 43.60 39010634 10 .29 
59 7.29 4 28.43 27 17.10 92 39.63 10 .50 
7. 0 8.53 di 29681 28 22.10 81 38.30 10 .50 
a —.i= + 85.93 ò = «43% 32° 40!35 e, = 0".0546 
1889 Marzo 17 — 58 Ursae Majoris. 
Verticale Est Verticale Ovest 
e en ARIA | ME MRI El REI MILZA p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud. 


10° 11° 32531 |10* 22" 505,54 |12% 27® 815.08 |12% 38" 48°%44 | 45° 4' 10",29 


12 3.50 22 14.33 28 7.45 38 17.97 10 .34 
12 26.47 21 47.30 28. 33.95 37 54.19 10 .59 
12 52.30 21 18.43 29 2.80 37 28.39 10 .07 
13 19.22 20 48.65 29 33 .00 37 1.51 9.91 
13 41.82 20. 23.20 29 57.83 36 39 .38 10 .36 
14 14.29 19 47.52 30 33 .86 36 6.49 10 .55 
15 20.68 18° 874012 51 44.32 35. 0.29 10 .36 


aT-t= + 9534 dò = 48° 46' 57".42 e, = 0".0776 


LATITUDINE DI TORINO 193 


1889 Marzo 25 — 31 Lyncis. 


Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 

GRES igsio() |1720 7° 35,005] 9rio5r ‘1546)|9® 85° 2621 45° 4! 7!" 29 
5 88.95 7 2.10 25. 34.396 34 56.79 6.83 
58 0.29 6 37.90 20 5889 d4139.Dò 6 .98 
58. 48 44 6 43.55 26 52.70 SORA 019) 7 48 
59 9.49 Bar. 210.05 Digi T5ROL 32:92 7 .96 
59 39.87 ARASC50 27 47.80 32° 55 49 6.90 
(RO RIA10:23 38 43.90 28. 52 .46 oli 54750 7.05 

nm 78.71 die 4909241106 e = 0”.0942 

1889 Marzo 25 — 58 Ursae Majoris. 
Verticale Est Verticale Ovest 
WEBER inline p' 
| Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 

102 58:66 |103.29® 1853-1227 52°76 |122 39% 125,52 4504: 712 
12 30.06 29- 4211 28 29.20 osgnzilelo 6.90 
12 53.39 22 15.20 28 55.95 98 1/97 7.05 
13 18.61 21 46.26 29 24.90 7 52.47 TOSO TI 
13 45.97 21 16.01 29 55.56 97 25.14 6.98 
14 8.20 20 50.99 30 19.83 37 PAESI AI 6 .93 
14 40.80 201528 30.56.29 36 30.13 7 .48 
15 47.70 19 4.98 32 5.90 92885 6.38 

ao-t= + 73.89 d = 48° 46° 58”.95 e, = 0/”.1099 


1889 Marzo 27 — u Ursae Majoris. 


Verticale Est Verticale Ovest 


Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 


8229 545.20] 88872 198.29 |113-56® 259.21 | 12° 8" 505.50 | 45° 4' 5”.64 
380 15.91 386 55.39 06 48.70 3° 28.48 6 .31 
30. 28.98 36 42.04 7 2.49 Ss 15.81 6519 
30 46.54 ; 36 23.05 07 21.03 2 58.16 6 .48 
31. 4.05 86 5.19 57 39.50 2 40.50 6 .07 
sli 17.32 85 51.89 5. 52.98 Dis O 6 .17 
81 39.18 35 28.04 58 16.08 2° 5.90 6 .52 


ao —-t= + 98.50 d = 42° 3’ 28”.33 = 001117 


- 124 F. PORRO 


1889 Marzo 28 — u Ursae Majoris. 


Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
gh ggm 55540 | 8° 372 20506 |11° 56% 28°14 | 12% 3° 51.30 AD94! ARA 
30. 16.95 86 57.30 56 50.20 8 30.49 ANT4 
30. 32.33 36 40.17 57 (13 a LE480 7.69 
30. 49 .90 36. 22:43 57. 25 46 2.57.13 1 €39 
31 8.07 36 240 57 44.18 ZITO 7.62 
al. 23.18 35. 47.96 58. 0.27 3: 23.74 7 .36 
81 44.90 35 24.23 58. 23.20 2 55 od 
32 29.10 34 38 .90 59 8.01 1 17.60 7.48 
a —-t= + 98,68 dò = 42° 3' 28".61 e, = 0".0831 
1889 Maggio 31 — 33 Bootis. 
Verticale Est Verticale Ovest 
IA EIA n MII A A O I EA I Rate SI p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 


14° 22 19940 |14% 94% 18897 [14 49% 39.74 [15° 142 b9049| 40 4° 5" 96 


3 4.20 DOSI 47 30.79 13 59.58 beso 
3 58.26 26.34.20 50 29.70 13 7.16 5 .62 
4 39.29 24 45.02 DO IIER25R40 BISI 
5 50.10 293 8.20 54 9200 11 14.42 5.71 
8 19.80 7 IO 59 9.93 8° 45.70 5 .90 

adi, 4825 d = 44% 580 768 € = 0!".1074 

1889 Giugno 1 — 33 Bootis. 
Verticale Est Verticale Ovest 
PRA e ei SAN a q' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 

14 92 91520. | 14589% 109490 14° 49m 56.630 15° 14° 485.05 45° 4’ 6".95 
5. 19.510 29 5.08 48 4.90 13. 56.12 6.67 
4 8.58 26 6.19 51 1.80 12 59.62 6.83 
457.05 24 7.07 59 2.66 12 12.38 6.93 
6 8.583 2 13:46 55 31.66 11 0.33 6.45 
838.01 I 9204 59 38.59 8 30.70 61 
9.27.81 16 25.38 [15 0. 45.07 7 41.04 6 .81 
9 50 44 15 54.76 E 1518 05 17:29 6.45 
10 0.20 15 42.06 fi 28425 7 7.70 6.76 

a — è = — 835.80 di 445907183 egne==00/752 


siii) i E 


LATITUDINE DI TORINO 125 


1889 Giugno 4 — @ Herculis. 


Verticale Est Verticale Ovest 
IA O ni lare Idi ICI AR RI A p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
14% 579 54518 | 15° 6° I12°.04 } 18* 2® 55559 F18% 11° 13378 | 450 4' 8".95 
59 18.59 Si 4510 S* 24595 10 49.39 9 .60 
58 33.07 Bo 29:79 S 87.87 10 35.10 9947 
58° 52.50 5 8.82 S 58.20 49 15:50 9 .16 
59 12.01 4° 47.62 4 19.00 > 55.03 9.30 
59 26 .46 4 32.37 4 33.92 9 41.14 8.76 
59 50.68 4° #20 5= 041 9 16.47 9 .16 
190% 40.30 8° 15.89 be 5.P79 go 27:28 9.40 
I at—f= — 4.44 d = 42° 40’ 0”.23 e, = 0".0977 
1889 Giugno 6 — 33 Bootis. 
| Verticale Est Verticale Ovest 
e eg ——— mm 9' 
i Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
Mon 8520. | 14° 342 20°.91 (14° ASCII] DR 15 ©9840 || 450 4° 7762 
3 20.81 29 43.98 47 52220 T4& 15,87 (EO9 
Md 5.20 26 46.20 50 51.00 139. 21.68 (° 12 
456 .50 24 58.87 52. 39.50 12 41.39 21 
67.30 29 21.39 55 14:73 11 30.95 1.62 
8 36.29 18 ‘2.70 59 29.43 9 0.93 8.05 
9 16.83 17% 12.01 |15 0 24.78 8 20.90 7.60 
9 26.30 16 59.50 0 37.19 811.50 145 
9 49.06 16 28.72 po: Se17 ° 4748 7 45 
et = — 4903 è = 44° 59'8” 91 e, = 0".0916 
1889 Giugno 6 — Gr. 2533. 
Verticale Est Verticale Ovest 
OS RI O STE nine fre ict orali cirie dpi lei p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 


16% 30 19°.87 | 16% 37% 49°.70 [19% 54% 475.05 [20° 2" 165.57 | 45° 4* 10".98 
380 42.01 37 25.90 55 10.48 1 54.78 11 .24 
30. 55 .40 s7 12.20 05 24.49 1 41.33 10:67 
s1 12.83 36 53.28 05° 43.98 1 23.66 1È:.29 
31 30.87 36 34.63 96 1.60 1 5.80 10 .55 
31 49.68 36 21.24 06 15.94 0 52.67 10 .55 
32 6.40 35 57.80 96 38.78 0 30.40 L029 
32 50.90 35 11.97 57 24.33 [19 59 45.95 10 .55 


o — t =— 85.99 è => 43° 7516”.05 e=*0.1270 


126 F. PORRO 


1889 Giugno 6 — a Cygni. 


Verticale Est Verticale Ovest 


Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 


20. 59 709 [20° 35" 34,60 [20% 47" 49°.44 (21% 18° 229.88 | 45° 4" 10”.48 


o 59.26 31 44.70 51 46.60 17 30.90 10 .57 

6 51.92 28 56.70 54 33.51 16 37.80 11 .88 

7 32.88 27 15.00 56 15 .07 15 57.02 LIE07 

8 42.37 24 43.87 58 45.18 14 46.25 11 .45 
11 10.60 2520 99-27. (212: 5200 12 18.65 11 .81 
11 52.10 19 44.47 3 24.60 11 55.60 10 .62 
12 1.20 19 31.58 3 96.47 11 46.01 10 .48 
12 24.21 LO AR070 4 8.00 11 23.28 10 .79 
a —-t= — 3.06 d = 44° 52’ 52.55 e, = 0”.1309 


1889 Giugno 8 — Gr. 2533. 


Verticale Est Verticale Ovest 
it RACER RAEE AIR p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
162 30% 25532 [16° 372 53560 |19° 54% 52520 |20°. 2% 20519 45° 4’ 11".02 
80. 46.77 37 30.38 olo 07 1 58.48 11 .02 
1 2.79 VINILI 55 31.99 1 42.80 11 .24 
S1 19.88 36 55.26 55 50 41 l:25235 11 .88 
S1 38.58 86 36.10 56 9.85 1 6.78 11 .00 
81. 54.07 36 20 .00 56. 25.72 0 51.50 10 .81 
32 16.05 85 56.39 56 49.12 0 29.39 11 .95 
BAI 0.40 894 11.25 57 34.30 [19 59 44.80 11 .02 
ai ir= = 38898 di 4007 160.67 € = 0".1253 
1889 Giugno 15 — 0 Herculis. 
Verticale Est Verticale Ovest 
Lr STO E E LN SA Ra NAS ELE o' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 


14° 582 375.70 | 15° 62 54543.| 18 8% 3760. |18*% 11 53590.) 45° 4' 8/95 


99 1.79 6 29.02 43.99 J1 29.81 8 .12 

59 19.07 6 10.24 422.10 11 12.48 8 .40 

59 38.05 o 49.14 4 42.50 10 53.33 8.98 

09 58.17 o 28.20 o 4.09 10 32.68 8.40 

15 0 14.99 o 10.18 o 21.76 10 16.20 8 .86 
0 39.66 4 44.77 o 47.96 9 51.48 8.29 

1° 28.80 3 93.70 6 38.46 gr 2:36 8.76 


ao —t= — 25.66 dò = 42° 40’ 3".38 €, = 041170, 


LATITUDINE DI TORINO 127 
1889 Giugno 15 — dò Cygni. 
Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
19%, 72 585,32 |19°:372 38°69 |19% 54° 45*76. (20° 24" 32.51 45° 4' 8".96 
8 43 45 94. 50.50 57 39.62 23 46 .64 8.17 
9 32.80 921221901205 0 TESI 223 50 81 9.05 
LOS 27 44 30. 13 .99 2 16.48 22 9.92 o) deal 
eo3R60 28003825 92052691 21 18.08 8.26 
12 21.40 26 32.98 5 58.08 20 9.40 8.24 
14 44.88 221 55,01 9 34.69 17 46 .48 8.24 
15 30.98 PA SY E, 10 36.42 16 59.18 8INSS 
15 53.60 21 26.60 Tel: 3.59 SITA) 76 8.26 
16 2.50 21 15:02 est =90 L62830 8.31 
a — t = — 23.57 dor 78 e, = 0".0842 
1889 Giugno 17 — 0 Herculis. 
Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
143 58® 51576 | 15° 7° 105.60 | 18° 3% 515.44 |18° 12% 105.48 45° 4’ 9".72 
59 16.55 6 43.89 4 17.65 IRA 58 9.23 
59 30.80 60 26.37 4 33.20 11 31.46 9.42 
59. 50 .82 6 7.49 4 59.97 11 11.96 9.93 
l'o 210 9.96 5 46.50 5 14.84 10 52.40 9.49 
0 24.17 i 81-51 5 30.00 10 37.88 9-199 
0 48.93 Ba (5.38 5 55.893 10 13.37 9.58 
1 38.30 4432 6 47.13 9 24.30 9.84 
at ——-18.79 = 4200401984 e, = 0”.0824 
1889 Giugno 17 — a Cygni. 
Verticale Est Verticale Ovest 
o' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
9050 615847 (20% 935 45.98 |20° 49% 265.33 |21% 19% 25.84 45° 4' 9".91 
7 6.51 92. 14.28 59 0.75 18. 11.14 9.84 
8 3.40 29 27.78 55 47.17 17 15.65 9.77 
850.48 27 35.39 57 42.02 16 28.46 9.67 
10 2.18 255.1055912 0 (10 15 18.06 9.72 
12 29.65 2ilo "14:05 4 5.99 12 47.98 9.539 
13. 18.18 20 6.10 5 di 55 12 0.33 9.74 
13 42.97 19 35.32 5 41.47 11 37.50 9.72 
19052758 19. 23.60 5 54.26 11 27.66 9.77 
aT-t= — 1881 ò — 44° 52! ‘55/94 e, = 0".0354 


128 F. PORRO 


1889 Giugno 19 — 0 Herculis. 


Verticale Est | Verticale Ovest 
PESI E DIA) VO A II VR IE | siliconi i ir o' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
14° 59% 6506 | 15% 70 29895 | 18% 49 5549 |18 422 215,99 45° 4° 9".09 
59 29.93 6 56.70 DONANO CR LcÌ 9.983 
59 47.51 6 38.18 4 49.69 11 40.45 8.64 
15 0 6.59 6 17.42 5 10.10 11 21.34 8.93 
0 26.78 5 56.12 5 91.84 11 0.49 8.45 
0 43.74 5 38.02 5 49.68 10 48.72 8.81 
1 8.07 Si 1215 6 15.70 10 19.55 9.70 
1 BRRISy7A0 15$ 4. 21.72 7 6.06 9 30.50 9.19 | 
a — st — 15,30 dii i E = 0".1410 
1889 Giugno 19 — dò Cygni. 
Verticale Est i Verticale Ovest 
PR I E sima E n na p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
19° 9” 0*49 (19° 35° 545,78 |19° Ba ORTO] 20004 265.40 45° 4° 9".42 
9578 SII 20000 4.78 29 99.08 8.83 
10 43.64 31 10.70 245 ARI ZA 8.88 
10 N27 29 45.99 SALADTAS 29 4.99 8.79 
12 31.68 DI 9458 DURE 20 56.60 8.93 
Ivi dra 25. 51:26 So RIT.32 18 33.89 8.95 
15 831.98 29 1.43 10” 27.77 17° 56.18 8.74 
15 41.05 229 48.90 10 40.29 17 46.97 8.95 
16 3 41 22 20.58 11 6.67 17- 25.90 8.67 
a-t= — 2523 d = 440 51’ 32”.88 € = 0” .0623 


1889 Luglio 28 — d Cygni. 


Verticale Est Verticale Ovest 
LI O VI O q' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 


st 


19% 11° 33°69 [19% 41% 36.47 |19% 57" 42°.19 [20% 27% 46°.01 | 45° 4' 10'.90 


12 20.33 38 39.14 [20 0 41.20 201.96 10 .86 
13 10.67 96° y.\61 SHAVAsi 26 10.89 10 .21 
14 4.20 39 54.83 5 25.04 | 25 18.01 11 .31 
14 50.56 32 18.17 6 59.64 24: 29.79 9.99 
15 59.88 380 10.67 D9o 28.21.79 10 .17 
18 22.28 26 32.86 12 51.04 20 56.39 11.74 


LATITUDINE DI TORINO 


1889 Luglio 29 — Gr. 25383. 


Verticale Est Verticale Ovest 
e 13 p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare: Nord 
162 94% 275.89) 16h 41° 583,36 |19% 58% 445.71 200/62: 105.81 450 4° 9" 49 
S4 50.94 Abr 34.39 59 [e114333) 5' 54.49 9.51 
O MOIS 4F_ 20°.83 5BP 22:51 5: 4K.45 9.95 
85°. 20.92 4 2.04 59° 41.08 5' 28..99 9.67 
SOMMO SS AGAIN 59 59.72 5 (DIL 9.49 
CLARA 400 199.99 20 <0- 1399: 4 52.96 9.00 
308.145,52: 40 6.47 0 36.86 4. 30154 9.28 
90759707 39 20.28 I 220.76 3 45.79 9 44 
ai— = —. 15.51 Se ni IE) age 0”'.0707 
1889 Luglio SS 3) Lyrae. 
Verticale Est; Verticale Ovest; 
ESSA p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
ASA TRO 95.45 117% Bau 2gr:08.| 200 E 48583 (207/19 13.31 45° 4" 4.95 
44 35 10 Die 5:20 di 26:07 12° 41',48 4.98 
4% 58.47 57 24.67 Dia DIO 28 118339 5 .48 
48° 24.18 56. 55.26 3. 22.20 IURT 52K86 DIE02 
48° 51.06 Bol 2522 9° 52.40 1995 25.86 5.48 
49° 13.60 55: 59.58 17,99 11 2.69 Baiz9 
49 47.20 St) IS 454.10 10 29.80 5.50 
50° 53.40 54 12.90 6 5.94 GRTZIEZOÌ 5.67 
1 AZIO DI SAZIATMZICOT cn 01091 
1889' Settembre 14 — è Cygni. 
Verticale Est Verticale Ovest 
Neon ; Li p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
J9R 5) 235 50) | 190 4g 1975172% [20 9 21.69 /00" 30° 12.97 450 4° 8".74 
16 16.24 40 24.52 Rie 1180 29 20.88 SED 
17 8.97 98. 5.49 i 11 28° 28.98 8...67 
17 48.19 36 36.37 9 1.78 Dif 4953 8.71 
18.57.19 SÉ 19.95 1°. 17.52 26 400.40 8.60 
20 9.90 32° 16.48 15 20.80 25° 28.80 8.71 
20 17.60 9% 23:59 13°. 83°:89 25) 19.82 9.09 
20 39.35 SI 30.74 14 7.29 24 58.70 8.76 
21 22.22 50 29 48 15 7.90 24 16 .04 8.26 
quilt + '98,66 d = 440 51 56.60 eg = 0”.0726 


Serie II. Tom. XLIV. 


Q 


130 F. PORRO 


1889 Settembre 17 — € Cygni. 


Verticale Est Verticale Ovest 
E I e IE RR ANI |ITALIA IO p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 


19% 592 37511:|20%: 0% 35598 |222 242 175.88 |22% 81% 1753047 450 4012""10 


53 54.44 0 17.49 24 36 .30 3059 .40 10 .76 
54 24.83 |19 59 44.82 25 9.22 30 29.19 11 .98 
55 24.87 58 40.85 26 12.48 29 29.38 11 .76 
a—-t=— 4.11 d = 43° 29' 26” 48 €, =10!2473 


1889 Settembre 18 — £ Cygni. 


Verticale Est Verticale Ovest 


Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 


19° 52% 135.08 [20% 2% 22.50 [22% 22" 485.36 |22% 32% 53516 | 45° 4’ 12”.17 


52 41.46 1 50.30 23 16.22 32 24.62 12 .55 
99 3.01 1 26.27 23. 40.20 32. 3.02 12 .36 
99 25.76 Hi 7050 24. 5.90 31 39.73 12 .43 
93 50 .46 0 33.48 24 32.67 31 15.30 12 .69 
54 10.90 0 11.38 24 54.70 30. 54.10 12 .02 
54 41.00 119 59 39.28 25 26.99 30 24.66 12 .98 
55 41.18 58 36.32 26 29.87 29 24.80 12 .07 
ao —-t= — 88.51 ò = 49° 29' 26.69 er = 0".0822 


1889 Settembre 22 — &£ Cygni. 


Verticale Est Verticale Ovest 
dI A MR IM EEE EE RE r a q' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 

198:5953333,034|203/ e 148972232480 68854 (220148577 45° 4' 6".69 
58 57.22 0 43.47 24 32.69 91 24.80 6.45 
‘54 14.86 0 29.50 24 52.00 S1 027, 6 .05 
54 44.84 |19 59 57.11 25 24.80 80. 37.53 6.60 
55 15.62 59 23.87 251 DA 30 7.07 6.98 
55 19.36 59 20.59 26 1.25 30 3.00 6 .43 
55 27.99 59 11.15 26 10.05 29 54.38 6 .50 
55 45 44 58. 53.12 26 28.90 29.37..20 6.95 


————@@=@—=cz=_—---=<x-=-<<-5c-x:-G-5Gc << c<—ccesc- 5c7G<05)Scecc soc SSD SISTINA CISI IE E SISI DELI 


ao —-t= — 119.04 d'—1439291 271.37 er 10/1090 


LATITUDINE DI TORINO 131 


1889 Settembre 25 — E Cygni. 


Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Nord | Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
952 r92"00. {208 Lon 4052] 993 99 56595.|22»..99° 6°.67 459 4° 79] 
53 176 2 6.07 23 30 .49 92: 36.18 (E 
53 19.60 1 46.66 23 50.59 32 19.42 7.98 
BOR420/5 1 20.46 24 17.09 Ile 595 8.00 
54 6.43 0 54.80 24 43.01 ol 132859 7.98 
54 24.12 0 36.04 25 2092 o al507 7 .86 
ARSA 0 8.00 25 94.85 30. 44.27 7 .69 
55. 54.70 [19 58 € 59.52 26 38.22 29 44.10 TEORIA 
ov. = — 159.18 dò = 49029" 27.84 eo ==2002101% 
I 1889 Settembre 26 — & Cygni. 
Verticale Est Verticale Ovest 
MONROE p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
lO RN59= 30979 | 20° 2° 50.10 |222 22% 57.00 |22° 8382 145.82 45° 4’ 7".88 
2a 5957 2 17.46 2:32 ORSI: 32 46..30 7.16 
53 19.98 lo 59.85 253 52.09 32 24.96 8.05 
boa 43.58 1 27.80 24 18.50 82 e59 7 .81 
54 8.29 1 1083 24 45.66 S1 36 .80 MS 
54 28.64 0. 38.22 25 8.17 81 16.62 Soa 
BARCO S”58 0 5.98 25. 40.02 30 46 .37 8.00 
o — t—= — 15588 di = 439 29/098!03 epi==0//10935 
1889 Settembre 27 — E Cygni. 
Verticale Est Verticale Ovest 
RR RON rie ein piro micra Sei p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
ligne5om 37541 |20% 9 ‘46523208 99m 49441290 39% ‘14,38 45° 4" 10".02 
59 TO 2 13.10 23 37.60 82 45.20 9.68 
DSTRZ4ANZIL 1° 5861 2935790 92 2690 9.67 
59 48.13 1 27.06 DA 23.41 32 IA) 9.81 
54 11.95 1 1.25 24 49.70 S1 40.36 10 .00 
54 29.49 0 41.86 25 8.81 S1 22.60 10 .07 
b4 59.87 0 9.57 25 41.10 930152652 9 .81 
56 0.05 |19 59 6.12 26 44.89 29 51.88 9.70 


a —t= — 165.46 d — 43° 29’ 28.23 eg = 10/".0670 


192 | F. PORRO 


1889 :Ottobre 3 — E Cygni. 


—_—_____ tt mt nt@_—‘@1@0@@@@@@—@@ 


Verticale Est Verticale Ovest 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare .Sud 

19° 41° 37%78 |19° 51" 56°70 29 12° 4°.16: 22° 22 Q2°12.:| 45° 4 9.72 
42 6.63 bl. 24.15 12. 36 .60 21 53.10 9. :95 
427 “27 +40 50: 59:79 18: 00.18 21. 31.62 Gr 340 
42. 51.00 50. 34.20 13 25.81 Q1 8.64 9.40 
43 15.27 Bor 720 19. 52.67 20. 43.93 9 44 
43 36.26 49 44.73 14 15.45 20 29.44 9 :59 
A4 6.10 49. 12.93 lA 47.58 19 54.07 9:74 
450. 5.74 48 9.57 15 50.60 18 53.70 9 #70 
pievi = — 185.94 todi 490 2g 297.82 e, 0" 0549 


1889 Ottobre 14 — E Cygni. 


Verticale Est Verticale Ovest 
: ————————______anen00@ng1. p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 

19h 4209 68% 9h 5225097 22° Ji9m+933:.50) 192299 4969 45° 4 8.45 
ADSL 51 53.06 13 (2195 22° 20.98 9219 
42, 59.80 bd. «Q29%19 15. 30.60 21 59.51 8.60 
RETAIL) 51 9.49 1957 21 36 .29 8.98 
A0004/035 BO 36537 14 23.15 Dr:89 8.86 
447.7 ..95 50 13.90 TA READ DO 42 9 :00 
44 87.64 49 41.60 15 17.66 20 21 .07 9.40 
45 38.00 48. 38.80 16 20.43 TON 2159 8.40 
ino) | a = 43° 29' 30”.64 e = 0".1971 


1889 Ottobre 15 — & .Cygni. 


Verticale Est (Verticale OH 
Sar 


g 


Oculare Sud Oculare «Nord Oculare Nord Oculare .Sud i 


19% 427 125.58 | 192 521 29520 (22° 12° 385.80 22% 221 5426 | 45° 4' 10".62 


42 41.12 51 56.68 13. 11.40 22 26 .81 11 .26 
482.70 ol 832.77 3 90212 22 4.52 10 .67 
43 25.98 51 6.70 d4 1.07 21 40.94 ld-.12 
43 50.20 50 40.00 14 27.80 2l 16.80 107.90 
44 10.85 590. 17.49 14 50.40 20.56.25 Lf12 
44 41.01 49 45.65 15. 22.40 20 25.94 10 .43 
45 40.68 48. 42.07 16 25.48 d9 26.50 Id 149 


iz 3 9899 Lio dog ai RI 


LATITUDINE \DI TORINO 


1889 Ottobre 16 — E Cygni. 


Verticale Est Verticale Ovest 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
19n409® 90:45 | 192-522 30°58 [222 122 47°.15 22° 227 585.02 45° 4" 12” .05 
A2 50 .04 bl 57.14 13. 20.68 22° 28.32 11 .95 
43 59 51 37.69 19139563 22. 14 .02 11 .60 
494081 ‘04 5l. 11.58 14 6.09 21: 47.18 11 .69 
43° 54.79 50. 45.05 JAR 32855 21 23.60 12.19 
A4: 12.29 50. 26 .18 d4. 52.01 21 6.22 12.57 
44 42.81 49 53.77 15.24.06 20. 35.90 ll .95 
45. 42.60 48 50.03 16.27.70 19 35.50 2034 
go, — d,=. — 9549 d = 48° 29’ .80"".83 cei 
1889 Ottobre 23 — .d ,Cygni. 
Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
TOR 5. F0”80 (19° 37° 38°.84 [19° 492 439,58.:|208 212 44.70 45° 4' 81.26 
(6 24.88 di 2.58 53. 21.50 20. 59 .48 8.43 
Mel 15-:93 Se 151.18 56 8.60 20 8.70 8.10 
BET 57 28. 53.00 BEAR Z0 E 19. 13.91 7.67 
8 56.08 2 8.90 |20 0 15.49 18 28.30 8.98 
10 4.96 PASINI di 237.30 17. 19.16 7 .86 
ll 25.47 22 45.12 4 38.98 oi 5923 7.62 
ld 45.72 22. 12.38 5. 11.40 15 37.70 7.98 
ll 54.99 21 19.56 5 24.63 15 29.23 7 95 
12 28.96 21 9.68 6 14.00 MARANO, 8.26 
a — è = — 88980 © è = 44 51° 59.08 e = 00886 
1889 Ottobre 23 — 1 Andromedae. 
| Verticale Est Verticale Ovest ie fino 
2 ret o' 
| Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
21° 8n91870 928 6° 2°.19 1 9e' 50550 Re 20877 A5OCA 78476 
58 49.27 sera 49023 4 9.57 11 2.80 TRASISR 
59 8.97 5 22.75 430.40 10 43.92 8:14 
99 28.55 15 1 .00 451.83 10 23.69 7:95 
59 45 .49 4 43 .59 5 9.20 10 6.93 304. 
22 0 9.60 4 17.55 5 34:80 9 42.46 9 .16 
0 58.60 ATO ATA «6 25:65 8° 54.89 9 40 
OZENTI i R0869 dii = 400 39/9418 ei 042646 


134 F. PORRO 


1889 Novembre 7 — 1 Andromedae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
diri ben Or OO RATE (020 SRIADAI Pr142 56271 45° 4' 8!.50 
58. 51.94 6 14.70 4 eg IZ 7 .88 
59 5.67 IO 4 24.48 11 17.96 8.24 
59 25.20 5 38.39 4 45.19 10 58.80 8.29 
59 44.69 bi 17-98 5 5.78 10 88.19 7 45 
59 59.27 5 2.98 5 21.03 10 24.58 7.88 
290 23,198 4 36.58 DIMZEZESTO. 10 0.05 | 8.10 
1 Base 35 45.64 6 38.00 9 10.99 8.24 
SA DEA de ADITO Ejii= 064 
1889 Novembre 8 — a Cygni. 
Verticale Est Verticale Ovest 
pine AO ci en et Dane | è di eMail Pr EE Arti POETI p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud | Oculare Nord 
20° 42 1°.63.|20° 86° 46°,39 [20% 43" 14.86 |21® 16° 9°47 45° 4’ 10".83 
4 54.70 81 30.20 48 35.67 15 17.15 10 .93 
5 49.04 28 24.91 51 41.80 14. 22.97 10 .69 
6 29.83 26 33 .98 59 85 .00 IS AE27 11 .10 
7 42.20 29 55.0 56 15.04 li 128874 10 .71 
8 57.46 21 37.49 58 32.40 191359 10 .74 
9 6.67 21 2051 58 48.71 11 4.75 11 .10 
9 28.68 20 46 .58 59 24.71 10 42.82 11 .07 
10 12.60 19 39.07 (21 0 31.49 9 58.19 11 .02 
aT—-t= — 99.17 d = 44° 53’ 26.52 ei=="0020570 
1889 Novembre 8 — x Andromedae. 
Verticale Est Verticale Ovest 
nei Ru MIE e p' 
Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 


22° .29m 275.59 (22% 382 299.77 | 005 4429511 | 08 52022818) 45002 012 


22 59.12 32 59.12 41 55.49 51 50.24 9.81 
23 17.96 92 81.42 42 16.00 51 31.81 9 .63 
23 49 40 92 2191 42 45.90 51 6.26 10 .07 
24 8.87 31 34.57 43 14.41 50 40.95 10 .14 
24 27.77 31 13.56 43. 39.07 502197 10 .81 
bi 0.10 30 38.28 44 11.04 49 49.59 10 .45 
26 5.78 29002901 45 20 .03 48. 44.19 9ed2 


o -t= — 95.66 d = 43049! 134" 48 €, —+02/:1035 


LATITUDINE DI TORINU 


1889 Novembre 9 — a Cygni. 


135 


Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
2A 1:02 2013820510620 41% 565360213 16% 5377 45° 4' 6".69 
452.04 Sd 5881 48 6.87 OA 6.52 
5 49.30 28 49.08 5215 14 17.40 6.43 
6 37.09 26 29.90 593.095 13 28 44 6 .21 
(04870 29660051203, 56 14.59 RANA: 6.55 
9 11.69 21: 20:35 58-45.13 105418 6.79 
9 33.89 20 46 .39 59 19.30 10) Sio 6 .05 
a È 20. 31.90 asta 022767 6 .36 
10 19.90 NOS 7228821028864 9 46.08 6.14 
at. = — 9554 oli 108590201053 e, = 0".0833 
1889 Novembre 9 — x Andromedae. 
Verticale Est Verticale Ovest 
RA e ere p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
RODI) 99939 94460) 0 41% 118/42 | 0R-59 91587 45° 4' 5" .98 
DOMALSÌ 3258/45 41 46.70 51 50.60 BIST 
ZO UATE 32 32.98 49° 13:92 Iee2 8829 6 .02 
23 42.99 32 4-25 42 41.13 51 ol 5.55 
24 8.87 Dee 45/0. 43 10.51 50 36 .50 Delo 
24 30 .90 Se 1050 4909 50 14.40 5 52 
25 2.89 2006943 44 10.20 49 41.84 5 .81 
26 7.69 29260 .18 45 19.07 48.37.02 5 48 
ogni = cel()5.95 è — 43% 43494" 65 ci= "00947: 
1889 Novembre 15 — xk Andromedae. 
Verticale Est Verticale Ovest 
RR o' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
DODO 60) 220930 TOS 0 499 55510] 050 3524 45046507 
POSSI 32 40.48 41 30.91 51. 32:93 6.45 
23 StE7 82 14.58 41 56.65 51 9.49 5.76 
23,26 .21 31. 45.97 49, 25.36 50. 44.58 6 .19 
23 152.71 S1 16.70 49 54.60 50 18.30 6 .00 
DATA 33 30. 52 .52 43 18.83 49 56.11 6.05 
24 46.87 30. 17 .06 43. 54.32 49 23.77 6.24 
2505120 29 8.14 45 3.00 48 18.14 5 .93 
ON 9899 di 439 491135) 41 eq =-0".0741 


136 F. PORRO 


1889 Novembre 17 — w3 Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
TEA: DIS Lit iti eni srl Tiri iii cui riga EE p' 
Oculare Nord Oculare Sud’ Oculare Sud' Oculare Nord 
pivad 59:99 | (ga AG hign £84,9298 70m 465095 46044 6557 
| 25 23.90 85° 13.26 46° 24.76 56° 14.72 6.64 
25. 42.02 84 52.26 46 45.50 dd 56.82 6.69 
267 5 S4 23.80 47 13.84 55. 30.92 6.36 
261 92.51 33. 55.90 474° 4E.83 o MIS ERTAO 6.43 
26 50.87 Bor 5I18 48° 3.06 54: 46.83 6.90 
ZIO 330.23 48° 371 54 15.48 6.98 
28521 .99 Se 52154 49 45.41 59 1:09 6.24 
oe = 78119! o ER i n ei SA Gi = "07:0907 


1889 Novembre 21 — y° Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
ESA RR A SNSNA q' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 

53 24% 41°.68 | (5° 352 40.0} 790452 98503,| 72 bn 3616080 450 RZ) 
ZO 85. 5.08 46: 15.18 56 6.56 45 
ACETI) St 39.48 46: 39.13 55. 43.40 7.388 
25 59.00 S4 11.36 47 6.87 so 18.92 7 40 
26 25.18 33 49.50 4Î, 35.82 54 52.50 7.02 
26 46.76 33 18.29 AG 590 54 30.68 OVALT 
27 18.49 32 43.99 48. 34.22 59 58.64 7.02 
28. 22.51 abi 35:91 49 41.59 52 55.46 1-29 
on =— 7842 d == 489° 4V' 4.89 €, = 0".0672 


1889 Novembre 30 — 45 Aurigae. 


Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Nord Ocularé Sud' Oculare Sud Oculare Nord 
5h gd 4854| 5 852 08550] 7° 440 59817 | 7° 555 56.01 | 450 4° 57.93 
24 35.72 Sé 24.50 45° 35.27 55. 24.37 5 79 
24: 53.78 94 3.69 45). bb 55° 60°.07 DESs 
25 18.84 9%: 85/00 46° 24.57 54 40.70 6 .05 
25 44.99 83° 6.70 46° 52:.29 54 15.86 6 .00 
96 3.46] 39 46.60] 47 1940) 53 57.00 5:67 | 
26 35 .46 32° 11.83 AT 48.39 68° 25.25 5 .86 
A 6039012 31 3.64 48° 56.58 59 21.19 6.19 
RL REI RESO o RAM ARALDICA TREO RISAIE A EN x 


fili! g (TS +188.62 d = £3° 4P 5".65 e; = 0".0937 


LATITUDINE DI TORINO 


1889 Dicembre 1 — 31 Lyncis. 


Verticale Est 


Verticale Ovest 


137 


Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 
ve | 7 70 81:28 GR 05 195.98-| 935 49.10 45° 4' 11".69 
BASA 600 57.07 25990 SOIlo28 IRRSE 
IS YONCI Ho) CISTI DOSE SAMO 52 
58 18.97 6g 0782 26 39.80 34 31.88 [Mee55 
58. 43.08 IZ SE II Ad 6.40 Id (o INPS 
59 0.93 DA 2 _ 26.14 39 49.85 11 .86 
es ze db i, 25 921, 33 19.18 Jelezze 
00 8320:93 3. 47 :06 29 320 SIN 01 ez 
api = — 88:41 dA 2200 e, = 0".0791 
1889 Dicembre 3 — 31 Lyncis. 
Verticale Est Verticale Ovest 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
GR (05:89 372 7° 2350? Oro 95:590 | 95 365 81550 Aso 4! 7" 12 
II ZA ATA 62050007 PO AZIROI 35 2.57 TSI 
Sei iz! 0RR25T:9N 26 6.48 384 41.09 Teo 
beso 21 5 59.69 20. 22.62 34° 17.22 6.64 
58 40.00 DIRO 2017 257. 0.28 39. 52 .48 (eee 
59 0.81 5 9.45 29 22.79 99 119.1086 vol 
o esa dn KO) i IL) ZITO TIO 39 113295 00295 
031 ‘86 AMO 2I08 28 59.60 32 0.40 10. 
OA r65198 DE= 490920 20015 € = 0'".0659 
1889 Dicembre 20 — 36 Lyncis. 
Verticale Est Verticale Ovest 
p' 
Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 
MAO A78790 08h 040536 10% 11°.92530 |10% 222. 24523 45° 4’ 7" .76 
DO =18-30 0 DION 12 6.94 Za 7.16 
50. 40.98 TN DID BIL iS Za Dl 82200 TERETO 
51 5.90 B9OR2E55 15 0.534 21 TRSSIA 091 
511012 58 43.68 T97° 292728 20. 41'.24 7.88 
5 52.89 58. 19.74 e A 20 19.24 7.69 
20 124.50 DIO. 14 27.08 19 47.79 7.50 
9a 128/10 56 38.48 15 94.54 18 44.59 NOGIÀ: 
a — & = + 78,29 dA) Gar de 0'”.0393 


Serie II Tom XLIV. 


R 


138 


Verti 
Oculare Nord 


7° 8n 925.49 

8 54.62 
9 8.94 
gi (26,21 
9 42.18 
FETO 08 
0. (2067 


ao—-—t= 


i 


F. PORRO 


1889 Dicembre 21 — 10 Ursae Majoris. 


cale Est 


Verticale Ovest 


r 


Oculare Sud 


poten 0513 
15 45.24 
15- 31.03 
15 12.06 
14 52.92 
14 39.18 
14 15.39 


+ 78.11 


Oculare Sud 


10% 29" 43°.26 
30. 7.29 
30 21.62 
30 40.27 
30. 59 .50 
31 13.76 
S1 37.20 


di 42012 BS 


1889 Dicembre 23 — 10 Ursae Majoris. 
Verticale Est 


Verticale Ovest 


Oculare Sud 


93 201.09 

8 47.81 
9 3.99 
9. 21.28 
F0990 
9 55.dI 
Of-l4330 


_ 


Oculare Nord 


Oculare Nord 


(> 1623590 
15 40.80 
15 283.88 
15. 4.50 
14 44.85 
14 28.48 
14 5.26 


a = + 65,82 


Verticale Est 


Oculare Nord 


652% 10557 
92 40.73 
92 58.16 
053° 22.48 
59 46.46 
54 4.30 
54 34.83 
55 86.07 


Oculare Sud 


102929 95101 
29459 29 
90, L6.2 
380 35.23 
30. 54.88 
31 10.96 
31 34.67 


di — 4207121058198 
1890 Febbraio 9 — 31 Lyncis. 


Oculare Sud 


Verticale Ovest 


TR 2 SARO 
20.34 


0 47.22 
TARA I 
0.59 99,19 
58. 50.18 


a —t= + 835.78 


9 20 165.29 
2050 .27 
SITO 27 
21 837.27 
223.67 
AQ 422099 
22.56 .52 


24 0.83 


dò = 43° 32' 26".33 


1890 Marzo 1 — 10 Ursae Majoris. 


Verticale Est 


Verticale Ovest 


Oculare Sud 


7 3" 349,58 
5 56.47 


RIP UU 
N 
(Sd 
JI 


Oculare Nord 


72 11% 105,52 
10 47.30 
10 29.99 
10; 1107 

9 51.64 

9 35.42 

9 12.10 

8 25.47 


Oculare Nord 


10% 240 425.19 
25 5.67 
25. 22.90 
25 41.63 
261.05 
264017120 
26 20.93 


27 27 43 


(0) 
Oculare Nord 
103720550 ATOI4 9 
36 71.98 
30449058 Tsti9 
36 26 .96 7 .26 
36 8.69 AD 
VILLINO TROHSO) 
DIS ZRD8 LODI 
e = 0”.1230 
p' 
Oculare Sud 
10397 ASI 450 461/02 
86 52 .46 6 .29 
d0 NOLO 6.81 
86 18.38 6.10 
0) 6.29 
Spi 4499 6.14 
nai 6521 
e; = 07.0421 
p' 
Oculare Nord 
9 30% 4033 ATA! 96 
30 10.67 10 .02 
909,03 10 .26 
29 29.06 10 .19 
29 4.75 9.42 
28. 46.90 10 .00 
ZI LOISSITA 9.44 
27 14.88 9.84 
e; = 071103 
p' 
Oculare Sud 
LOR ROTAZA 7 45° 4' 8".62 
915025 8.83 
3lir39 85 8.74 
oli ‘22.05 8.93 
31 9r28 8.96 
80. 47.80 8.96 
30 25 .06 8.26 
29 40.16 9.00 


dò = 42° 13' 6”.13 


ei = 07.1010 


ee PA 


1890 


LATITUDINE DI TORINO 


Marzo 10 — 31 Lyncis, 


139 


Verticale Est 


Oculare Sud Oculare Nord 
CREARE 700] 7 0 5870 
50 6.70) 6 59 32.45 
50 28.39 DOME 
50 51.80 58 41.82 
ipi02 56 cighais 
bilen9r/:59 DOTARSI 
52 8.04 bid | 18.79 
bs 19.20 56 14.89 


ao —t= + 4551 


1890 


Verticale Est 


Oculare Sud Oculare Nord 


(4254.6072 58% 51°.67 


43 24.63 59 16:97 
43 47.40 52 51.18 
44 11.68 92 23.70 
44 37.95 51 54.58 
44 59.80 51 30.58 
45 31.936 50 56.57 
46 34.55 49 48.90 
o —t= + 8851 
1890 


Verticale Est 


Oculare Nord Oculare Sud 


SAD 6097.1180 520 125.98 
42 35.89 dd ii9909 
42 52.90 OI SE992 
43 16.57 50 53.82 
43. 39 .96 90 28.00 
43 57.63 90 8.86 
44 27.28 49 37.09 
45 27.28 48 33.76 


a—-t= + 85.00 


Verticale Ovest 


lo) 
Oculare Nord Oculare Sud 

SA GIOR Ok78 45° 4' 4.29 
18 9.28 DIMMI 4.90 
18 33.03 Lo E, 5.80 
IL 59C4I 26 47.87 4.26 
19 27.02 26 23.33 4 .96 
19 49.40 26 2.29 4.96 
20: 22.95 25 31.64 4.26 
21 26.42 24 31.1 9197 

d = 48° 82’ 30.78 e, = 0".1139 


Marzo 28 — 36 Lyneis. 


Verticale Ovest 


Oculare Nord Oculare Sud 


10% 42 3072 |10% 15° 265.88 


5 5.04 14 56.62 
5 31.09 14 34.02 
5 58.85 14 9.50 
6 27.40 13 45.69 
Otalet9 13 21.74 
7 25.63 12 50.15 
8° 33.97 11 46.66 


d = 43° 40° 21" .28 


Marzo 29 — \ Ursae Majoris. 


Verticale Ovest 


Oculare Sud Oculare Nord 
ISS T  Z 
{4 21.62 23 25 .68 
14 40.86 23 8.96 
15) 6.79 22 44.80 
82648 22 2150 
ea beso 22 4.16 
16 24.16 23405 
17 27.04 20 34.16 


d = 48° 27' 51.94 


45° 4’ 10'.00 
9.74 
9 .86 
10 .02 
9.93 
9.74 
9.93 
10 .29 


E = 00.0625 


45° 4' 9.30 
.28 
.28 
.09 
.51 
.49 
.51 
A4 


elogio \ogYegZioZvo) 


e, = 0".0530 


F. FORRO 


140 


LL 8 
806° 4 
897° 8 
GGI 
76 
Gel 
688 
906° 
CIS 
996 
VSS 
968° 
GLe 
896 
GVI 
089° 
FIL 
GGI 
669° 
607° 
168 
ELL 
LT 
90242 i 069. 


0 I0LcncsoC-oE-ornEOnE-LOE OOO LIE 


d 


Pr E TI N e rn II de LO 1 i 


TT A 


4 


200 — II: 0 A Ts 670° IPPIWOLPUF 1 I È 3 
KOS EGO 0: STO 798 S ubho TI QIquooq “ 
Pea AID PLOT 068° 9 IMPIUMOsPUT (Hd 3 $ 
AP e 691° 0 + 0Z00 BR) ubi » FE s s 
pesos G80° 14 Via 213° INPIwosPpuy A (ra di “ 
530° 0 — 880° I + IRR 103° 5 INPpIwospuy Par s È 
#00 = 86° 0 + GRES SCO 7 INPoIwoLPpuy > 1g a 3 
000° 0 — I8S' 7 n QUE anNpawmospuy % 6I QIQuIoAON “ 
OpSs0a POOR 89 0 —- 291° 8 mubho Q 8 n ; 
975 0 — 080507 eo 0 IL6 L synosdH © 8 - Ù 
978° 0 — 900° 0 + IL 871° OI bho 9 L É 3 
667 0 — 870° 0 + CORTE 198° 4 ubi Q G È 3 
agg oe= 18y 03 660 Gt 780° 9 SInOsoH © G È ‘ 
(de 070° 0 + EEEESSd- 209° # sqoog SE | G 5 
#0: = 870° 0 SHOTS 668° 8 sq00g' EE | 3 ousn)  “ 
9FSSO = al: 0a glo: 8 606° II Stmos0H O |: 66 È ; 
OLGE 0 OOO OSSA 9GT' 0I s400g EE | SG a 5 
09000 GFO: 0 SH 04 768° L s400g EE | 6 È $ 
OgL 05 04004 088 0 CCI 8 s400g EE | 9 6 È 
092° 0 — 900,0 000: 1: GLI 6 s00g EE | 8 uSSen “ 
000° 0 — <63 0 + GEO anbiuny Y ad È i 
00006 999 0 = 688° 6 onpiuny g 03 A E 
00050 — vIgi I — 077° 6 suologr 2084) N | 61 i x 
PE0,0 — Eolica 826,8. 097 anbiuny g GI oIgumO») 888I 
LANIZV 0INOTOUO l sd VITHILS VLVIOA 


INOIZVAHHSSO NU'TTHAKA ILVLIASIU 


OCNODHS 0TTVND 


141 


LATITUDINE DI TORINO 


960° 8 Donde 969 0 + 862° I + GPL mbiany 3 9I s i 

9L8 8 DOVE 958 0 + 690 I + I8sL' 9 anpbranp 3 GI È CEI 
870° 8 0000 26 0 GG ceo 8 apbiunp 3 II x & 

cel VALOR 669. 0 + oa GLE.8 anpiuny 3 9 ” 21 
919° L #60 0 — 609° 0 + iaia 697° 2 ambany 3 G a Se: 
898° 8 #30 0 — 995 0 + OSS 0 909° £ apbiany ? TI oreiqgog “ | 
893° 8 ECO FEV 0 + GEO 806° 8 opbiany ? JES a EA 
900° 8 000° 0 — 197 0+ | 248604 ge 9 anbiany ? 18 a (E 
706° 2 DUOMO ger 0-4 | 008I4 GLI 9 onbiunp 3 | ; a 
168° 8 DOO O = Gi 04 | 08074 G6L' E anbiuny ? izà di CSR 
982° DODIOR 089° 0 + GOG cda #8. 8 SAT A 6I 5 co 
809° 8 DOLO Is: 0 + 628° & 878 # ombimy gh | 8T È dor 
GL8' L ll “d007 0 888° 0 + VE 603° (SIT A I i side 
663° L 000° 0 — eige0ia TU Si 198° 8 anbitny gi | LI ; SAR 
089° 2 000° 0 — IL 0 + Jesi ANdItE Q0S4IT A LI s si 
681° 8 000° 0 — SIERO €88 0 + CYrAl anbiuny sth | 8 i n 
IV L 000° 0 — 003° I + LO 0 981° 9 198494 A | 8 ; oe 
97L° L #30 0 — 607 I + Io La 698° L0S4IT ZL OIBUUOL G88I | 
pelst PROMO AA a ‘era TS6° 8 d0s4IT EI a 3 

626° VCO 0. — (NSA 1 ra (17 pa 969 9 wssdaq OT a sl 

601° 8 val De FI9 0 + CIT 04 | 988 2 anpomoapuy ! OI = de 
89L° L Keo Fo 0 IGO 078° 2 IPPIMOLPUY 1 6 3 2 

216° L 12€ 000 ooo Teo: 0 H- RL 08I' 8 Impamuospuy 1 8 i S 

ISF. Love Cl 0 + 863° 0 + ge 9 d0S4IT N . È si 
889° £ AN 679 0 + Rio #8I° 2 oDpmmospuy 1 L i CA 
688° 2 130 0 — CIO 998 0 — 989° 2 Impmmospup 1 9 È i 
089° £ Ei GIO 640° 0 — T60° L IPPIWOLPUY 1 G i i 
VS 8 ECO 0 IGGO (32/0 5 961° 2 onpomuospuy x | x sa 
629 £ TOUR 809° 0 + (SASA) e po 9II' S d0S4I] N (a È POSI 
933° 8 Eo0L 0 OA 1 pa RES 069° 9 onpamospuy % | 8 £ sa: 
048° 2 00 Test O pe Gg anpamospuy 1 g Ù dosi 
690,8 ,} 097 160,0 — 028,0 + CFE,E + LSP 4 0% tostoT A | TO 9IqUONT 8881. 

d LOMIZV OIDOTOHO Ù sd VITHLS O VIVA 


PORRO 


F. 


142 


Nes 000° 0 — EeaA 0a 76 3 + 58 2 DAT Y | 18 i S 
978° 8 900° 0 — La ene Eep0 #07 6 EE93 ‘45 | 63 £ È 
F61° 8 000° 0 — 600° 0 — date TEL 0I ubho Q 88 orgsng  “ 
CEL 000.0 — Date ico = 406° 8 ubi Q 6I n È 
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00° 8 000° 0 — 860° 0 — CHE IFL' 6 ubho 0 LI x E 
089° 2 000° 0 — ISS I — SPO — 98F 6 simosog 9 LI ; 5 
002° 2 000° 0 — 801° 0 — SE 0 — ESE 8 mubho Q SI 5 È 
963 8 000° 0 — og o 286° 0 + 69° 8 sumosag © SI a N 
966° L 000° 0 — dee Consgia 08Ì IT €96 4 | 8 £ s 
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920° 8 000° 0 — 689° 0 — 00 > GIL OI EE 4D | 9 s s 
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6L7° L 0000 — PAS (lr KOS SUE 6 SunIsoH 2 14 5 3 
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600° 8 000° 0 — GEE 06 €68 0 — I7S° 8 DbwUny sth | 5 “ n 
SE 8 000° 0 — 8L0° 0 — 9,90 + CE6 7 oPbisnp si | EE n i 
098,8 ,P 0 000°,0 — 610,0. gene + 170,9 7 0SF aDbuny eh | GI OIBIQGOH 6881 
ò LOMIZV O0IDOTOTO Ù id VITHLS VIVO 


_————————+—+.+.+.-+—»———T———_______———————_—————_—_—__—_——————————_———— __—_————————————_——————r———rP_——_— 


143 


LATITUDINE DI TORINO 


VLE L 000° 0 — gor 0 + Tolaci TIE 6 suologr 20840 N | 63 fi s 
062° 2 000° 0 — 960° 0 + Gira 686° 6 SWURT 9€ | 83 i sl 
LEI 8 000° 0 — 912 0 + 9SI° E + SL3° # swuhT TE | 0I gi s 
698° L 000° 0 — oc I + cicagi 889° 8 suologr 20841 00 | 1 ozIiegg “ 
SIE), 000° 0 — 29 0 + eri 628° 6 swulit TE | 6 Ot81qIT 06SI 
668° 9 30° 0 — OIL" 0 #4 CIO POI 9 suiolvgr 20841 0I | €38 2 i 
196° 9 Lia PA SIE (Vl (VAS F4 (a 608° 2 suolbyr 20840 OI | 13 “ s 
088° 4 : A 000 (i 198 0 + tO COR pel swuhT 9€ | 0 i a 
<I8"L 000° 0 — 9 0 + 980° 0 + FEO L sWuhT TE | 8 € a 
623° 8 {AE o 93 0 + €67 E — 089° IT soulT TE | 1 9Iqueorg  “ 
GL6° L aos 097° 0 + L99E T=p Ge8: ambany gh | 08 3 h 
IRA] ZA 1° 0 + z6L 0 + 633° L apbiany gh | 13 % z 
DEC 8 tolo 637 0 + 9g I + 109° 9 anbiunp sth | LI i si 
#00" 8 #60 0 — 865° 0 + 679 I + 980° 9 IDPIMOAPUT SI K 3 
081° 8 ian ce 0 + TR Adii Aa G69° S ompamtospuy XA | 6 ; 3 
697° 8 #30 0 — 970° 0 + Ico 3 + 917 9 mbho n 6 $ È 
689° £ #30 0 — 238 0 + CROSS 180° 0I onpamospuy x | 8 “ È 
101° 8 LoL 780° 0 + idea 016° OI ubi 8 s 7 
990° 2 (AVRA 1) fo GI 0 + (A a GLO' 8 IPPamospuy 1 L aquioaon  “ 
609° 2 A VA 000° 0 — 083° 8 Impamospup 1 83 a “ 
290° L 30 0 — La SUA ISO 8 mubho 9g | 83 * 5 
OS 8 ZA e 89° 0 — 298-468 680° 3I ubhi 3 9I 5 ù 
987° L (ZA 0 e To: 0 COlgigaoa FIG OI ubh) 3 | SI o 2 
849 L Le 00 678 0 — FOGLI GBL’ 8 mubio 3 FI È £ 
196° 2 TL0 0 — dA FIS 6 mubho 3 g — e1qomge -* 
699° 2 i AE OGG 688° 6 ubho 3 | 28 3 È 
6GL' L DAVE 698 0 — (ATA O TI6 L bh 3 97 o È 
188° L LEO xo 0 E29500 59 L bho 3 | ST * 5 
403° 8 IA ST 0 = cessa 188° 9 mubho 3 Ver 5 i 
Gee } #30" 0 — Aia Wasp 888° SI ubho 3 8I È a 
SOI), 000° 0 — O 0 — lei FORA ar 008° IT ubh) 3 | LI f î 
966,2 7 SF 000,0 — 670,0 + 0S/i/065e L21918 09% ubh) Q | FI 04qu99IOZ 688I 
db LOWIZV OIDOTONO Ù jd VITHLS VIVO 


144 F. PORRO 


PARTE SECONDA 


Osservazioni eseguite coll'uso del filo mobile. 


I metodi di Bessel e di Struve, basati sull’osservazione dei passaggi ai fili fissi 
del reticolo, cessano di essere applicabili utilmente quando la distanza zenitale 
meridiana dell’astro arrivi solo a pochi minuti di arco. In questo caso è preferibile 
osservare (come ha suggerito Struve) mediante un filo nfosso da una vite micro- 
metrica, la quale permetta di assegnare con precisione ad ogni istante la distanza 
angolare dal filo medio, e quindi (noto l'errore di collimazione) dall'asse ottico. 
Sostanzialmente questo metodo non è che una modificazione di quello di Bessel, ana- 
loga a quella che si pratica nelle osservazioni meridiane, quando si sostituisce il filo 
mobile ai fili fissi sulle stelle polari. Ha il vantaggio sopra l’altro metodo di potersi 
applicare anche a stelle culminanti a Nord dello zenit, di esigere pochi minuti per 
un numero anche considerevole di puntate, infine di attenuare tutte le cause di errore 
che dipendono dalla maggior durata di un'osservazione, perniciosissime fra tutte le . 
variazioni dell’azimut istrumentale nell'intervallo fra il passaggio ad Est e quello 
ad Ovest. Questi notevoli meriti del metodo sono accompagnati da difetti non meno 
degni di nota: primo fra gli altri l'enorme influsso dell’azimut sulle osservazioni, 
tale da rivelarsi ad una prima occhiata nella serie delle latitudini date dalle singole 
puntate, quando appena la deviazione dell’asse orizzontale dal primo verticale sia 
sensibile. In queste condizioni sarebbe desiderabile poter determinare colla massima 
precisione tale errore di azimut, per poi tenerne conto nel calcolo della latitudine; 
invece, quando non si disponga di una mira nel primo verticale, non è possibile 
ricavare dalle osservazioni stesse il valore dell’azimut, e bisogna (come ho fatto io) 
limitarsi a calcolarne empiricamente l’effetto, deducendolo @ posteriori dall'andamento 
delle latitudini date dalle singole puntate. 

Prima condizione per l’uso razionale di questo metodo è la conoscenza esatta 
del valore di una rivoluzione del micrometro, de’ suoi errori periodici e progressivi, 
e della posizione del filo mobile relativamente ai fili fissi. Nel corso delle osserva- 
zioni di latitudine non fu necessaria altra ricerca che quest’ultima; lo studio accurato 
del micrometro fu fatto in seguito, durante le osservazioni per l’azimut di Monte 
Vesco, ed i risultati ne sono diffusamente esposti nella relazione che di quelle osser- 


LATITUDINE DI TORINO 145 


vazioni ho pubblicato. Senza ripetere la discussione contenuta nelle pagine 5-14 di 
quella Memoria, basterà che qui sia riportata la formula definitiva 


F = 0”,5725 (ll — m, 
che serve per calcolare la distanza angolare F di uno dei tre fili mobili dal filo di 
mezzo del reticolo fisso, quando sia l la lettura del filo mobile ed m quella del filo 
di mezzo. Entrambe queste letture s’intendono corrette per gli errori periodici della 
vite, che sono molto piccoli, e rappresentati dalla formula 


e = + 0P,1297 sin (9 -—— 620,83). 


Di errori progressivi non risultò traccia: la vite è di una rara perfezione da 


| un capo all’altro della sua corsa. 


Per assicurarmi dell’invariabilità di posizione del reticolo fisso rispetto all'origine 
della numerazione sul reticolo mobile, ho osservato undici volte in dieci sere (nelle 
quali ho pure fatto osservazioni di latitudine con questo metodo) le coincidenze del 
filo mobile M coi 17 fili fissi. Confrontando il quadro delle coincidenze, che dò qui 
in appresso, col quadro analogo a pag. 6 del citato mio lavoro, si vede che la posi- 
zione reciproca dei due reticoli non ha mutato. L’invariabilità di forma del reticolo 
fisso è pure attestata dal quadro successivo, che dà gl’intervalli fra i fili fissi con- 
tigui, espressi in parti del micrometro. 


Serie II. Tom. XLIV. 8 


PORRO 


F. 


146 


666 |866 |ES6 |I168 |OLL |FF8 |0IS |6I8 |86L |99L [TLO |ISL 1966 [PES [SOL (966 |L6S | 9I e i 
ISS |1%6 |FS6 |988 |6LL |<F8 |FOS [918° |S6L |69L |LZ0 [LIL [616 [€58 |LGL |I96 |L09 

EF |666 |6F6 |688 |SLL |LF8 |00S |E68 |G6L£ [ELL |6L0 |FSL |FIO6 [978 |(<9L |S96 |009 | SI È n 
973 |6%6 |F96 |F88 |L9L |3S8 |00S |868 |88L |OLZ |OL0 [GIL |&36 |£98 |G9L |8S6 |<09 | I 9SIqueoaoNn “* 
893 |6%6 |0S6 |168 |F9L |0F8 |E0G |1E8 |S8L |LOL |&80 |ISL |€6 (088 |LGL |#96 [209 | ZI 0IS8eN “ 
066 |6I16 |EF6 |628 |&LL |IS8 |006 (968 |008 |FT9L |8L0 |ISL |FE6 |LE8 |[I9L |L96 |109 | 9I È 5 
9E& | 16 |3S6 |L88 |S9L |1#8 (906 |8I8 |F6L |69L |080 |&3L |F36 |978 |FOL |856 |609 | FI OZIEH —* 
653 |<66 |886 |688 |69L |IF8 |967 |068 |L8L |89L (620 [SIL |S66 |SE8 [OSL (196 |76S | SG E a 
Iwa |F66 |676 |&88 |09L |658 |00G |TI8 |Z8L |T9L |080 [LIL |EI6 |068 |OGL |<S6 |L6S | L 3 S 
GE4 |066 |PF6 (658 |99L |668 |88F |0I18 |I8L |99L |L80 (LIL |FS6 [078 |<9L |996 1909 | S OLE) 86881 
6V7'66| 166" L3|cS619c|aL8'Se| IT LL'Ec|968"13|009"03/838"LI/T6L'ET| GLL'6| LLO'L| EOL'S) 626°F| 078"E| FGL'S| OGGI] T69°0) 08 IQUOAON 8881 
IAX | IAX AX ATX IX IX IX X XI IA | DA IÀ A AI II IT I VLVOA 


ISSIM TIII 100 HTITON OTIA THA AZNHCIONTOO 


II MO 


147 


LATITUDINE DI TORINO 


TISI Veg I VISI LELE GSE I TESTI GIS'I LEE I LIGA GIET 8GE I IAXTIAX 
SL6°0 EL6°0 086°0 G96°0 6L6°0 9OL6°0 696°0 VL6°0 GL6'0 9L6'0 696°0 AXTIAX 
G90°I 890°I L90°T 0801 650°I 90 S90°T 690°I 990°I S90°I 080°I AIXTAX 
Ia LOT 6 LOT LITI Lat LOT 6ITS OST Ele IT 1014 IX AIX 
966° LEG 8261 GIGI veo IGG I LE6"I 861 IGG'I LG GEGI IX THIX 
PESI 8EE I LVE! SSET LEGal IGE'I GESTI STE GEE IGGI OGET IXT7IX 
169° 8896 L99"S L99"4 CL9'G VL9'S 889° OL9'S 689° 8L9'S GL9G XIX 
1607 1607 (012087 SPOT 9v0'} 930° Veo €607 Veo'y 6607 LEO'7 XITX 
GEOFF 9307 0307 IO 8IOP VEOY SCO 7 6107 9407 STO 910° HIADE 
6696 696 694 9016 6896 989° 689°6 6896 1893 6L9'S 8696 IATHIA 
EGET 09" GGET ISE I TOSI LES TI 8GET TOS" E9 ET OLE'T FLET IATIIA 
GOL'O 86L°0 OIR0 L6L'O 86L°0 L8L°0 86L°0 EOLO 7080 EG6L'0 FLL'0 ATIA 
GO0°I 980°I 890" 690°I E60°1 L6O"I SLOT 060" E8O0'I 80° 6801 AIA 
690°I LOI P80"I 780" ELOT FLO 680° G80"I 080°1 SLOT 980°I IITAI 
69L°0 96L'0 L6L'O TI8°0 EOLO VOLO 908°0 68L°0 86L°0 96L°0 S6L'0 TIM 
66€ I PGE I SIE GET GIS T 99641 GGE'I LIETI GSSE'I 098 POETI II 


INPLINOO TTM IT HIdd00 WNTOONIS UTTHA TTTVAUNLNI 


148 F. PORRO 


L'accordo di questi numeri inter se e con gli analoghi determinati poi in occa- 
sione della misura dell’azimut è veramente superiore ad ogni aspettazione, e dà 
un'alta idea della solida costruzione del pezzo oculare, che, a parer mio, non rara- 
mente costituisce il tallone d'Achille di istrumenti consimili. 

Nei quadri successivi è riunito tutto ciò che importa conoscere delle riduzioni 
fatte per ricavare la latitudine dalle dodici osservazioni al filo mobile. La prima 
colonna contiene i tempi siderali degli appulsi (tempi osservati al cronografo, e cor- 
retti per l'errore dell'orologio); la seconda le corrispondenti letture micrometriche, 
corrette d’error periodico; la terza le distanze angolari v dal filo di mezzo, calcolate 
colla formula data sopra; la quarta gli angoli orari #; la quinta le espressioni 

2 sin @ cos ò sin? È ì 9 i 
ho == TERNA E TEA la sesta le differenze R —v, le quali, se non esistessero 
gli errori strumentali, dovrebbero essere null’altro che @ — è, e presentare solo le 
piccole divergenze residue. 

È noto (1) che nell’immediata prossimità dello zenit, il coefficiente dell’azimut 
varia con tale rapidità, da rendere sensibilmente diverse le pg — dè date dalle suc- 
cessive puntate. Ciò si verifica anche nel mio caso; e perchè non ho altro mezzo di 
valutare l’azimut fuorchè da questo suo più cospicuo effetto, ecco in quale maniera 
ne tengo conto. Poste le R — v come termini noti di altrettante equazioni di con- 
dizione della forma 


n=x + ay, 


ricavo coi minimi quadrati i valori di x ed y da ciascun sistema (essendo il coeffi- 
ciente a dell’azimut uguale a — sin # cos è). In fine ad ogni quadro sono date le x e y 
risultanti da tale calcolo: le R — v calcolate in base alla formula sono poste nella 
colonna settima, di fianco alle R — v osservate; e gli errori residui scritti nell’ottava 
ed ultima colonna mostrano come la rappresentazione dei risultati sia soddisfacente. 

È con questi residui che si è calcolato l'errore medio e, di una osservazione, 
scritto in seguito ai valori di x e y. 

Per avere dalle x la distanza zenitale che si sarebbe osservata in primo verti- 
cale, occorre diminuirla di y sin # cos è. La media delle due distanze così determi- 
nate a Verticale Est e a Verticale Ovest, sommata colla declinazione apparente, dà 
una latitudine @' che, corretta per l'inclinazione dell'asse orizzontale, diventa la lati- 
tudine definitiva. Il quadro successivo, intitolato: “ Risultati delle Osservazioni , con- 
tiene questi calcoli finali. 

Non è inutile insistere sul carattere affatto empirico dell’incognita y, che rap- 
presenterebbe realmente l’azimut strumentale nel solo caso che le divergenze fra i 
valori osservati di R — v provenissero esclusivamente dal diverso effetto di questa 
correzione. Ora, nel caso nostro specialmente, si è molto lungi dal ritenere soddis- 
fatta questa condizione; di un andamento sistematico delle R — v si potrebbe dare 
la colpa anche agli spostamenti progressivi del pilastro, che le variazioni dell’incli- 
nazione dell'asse rivelano chiaramente. Ad ogni modo la natura del problema non 
ammette una diversa trattazione, come ho verificato io stesso, facendo molti calcoli 
in ipotesi differenti; e del resto l'esiguità dei residui e la distribuzione irregolare 
dei loro segni provano che la compensazione è riuscita soddisfacente. 


(1) Una discussione molto accurata degli effetti di errori strumentali sulle osservazioni di questo 
genere si trova nell’eccellente: “ Lehrbuch der Sphàirischen Astronomie in ihrer Anwendung auf 
Geographische Ortsbestimmung , di Herr e Tinter (Wien, 1887), pag. 452 e seguenti. 


Tempi siderali 


Letture 
corrette 


LATITUDINE DI TORINO 


1888 Novembre 25 — a Cygni. 


Verticale Est. 


315.14 
45 .88 


ZON 
7 


se 710.08 


Tempi siderali 


1783?.39 
1656 . 
1558 . 
1475, 
1409. 
1379. 
1245. 
1164. 
1099 . 
1025. 
977. 
931. 
837. 
187. 
708 . 
650 . 
072. 


Letture 
corrette 


230P.99 


slm 
29 
28 


65.19 
ol. 
53. 

3.4 
20. 


951.38 
876.73 
820.90 
774.12 
735.57 
717.32 
644.16 
597.48 
556.71 
514.98 
487.50 
459.52 
405.98 
374.53 
330.55 
293.30 
252.85 


y = + 104.98680 


Verticale Ovest. 


20% 46m 305.12 
44.63 
25 .21 

60507 
12.74 
20 .79 
58 .79 

8.27 
41.76 
32.11 
35 .69 
42.72 
38 .70 
35 .68 
52 .93 
40.37 
1 28:81 
4.80 


x = 595.02 


22782.30 
2287 .32 
2212 .76 
2185 .36 
2185. 
2134. 
2104. 
2050 . 
2020 . 
1919. 
1855. 
1783. 
1719. 
1653 . 
1556 . 
1493. 
1428. 
1379. 


514?.38 
490 . 
476. 
461. 
461. 
432. 
414. 
384 . 
366 . 
308 . 
27. 
231. 
194. 
156 . 
101. 
65 . 
Pa 
0. 


24 


O2IIO, 
.30 
.88 


\a-v| 


osservate 


720.34 


718.57 
118.91 
719.15 
718.44 
717.32 
720.98 
720.74 
IRWZZO 
717.74 
717.98 
716.30 
716.39 
716.50 
714.96 
715.88 
715.01 


(R—v) 
osservate 


(A—v) 
calcolate 


720,14 
719.74 
719,43 
719.16 
718.98 
718.82 
718.37 
718.06 
11179 
717.49 
717.29 
717.08 
716.66 
716.42 
716.02 
715.72 
715.28 


€ — 042 


R—» 
calcolate 


77.65 
100.88 
114.81 
130.02 
132.26 
159.41 
175.68 
207.44 
223.70 
281.60 
317.87 
358.69 
394.59 
432.92 
487.14 
522.86 
560.06 
088.59 


y = + 91.65279 


592.03 
591.80 
591.67 
591.19 
093.43 
591.59 
590.56 
591.66 
090.60 
590.29 
090.25 
589.73 
589.00 
089.72 
038.23 
588.15 
587.81 
583.59 


592.51 
592.14 
591.96 
591.77 
591,74 
591,42 
591.24 
590.9] 
590.75 
590,23 
589.93 
589.62 
589.36 
539.09 
588.73 
038.50 
588.27 
588.10 


149 


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+III+IH+H+1414+4] 


e, = 0".1435 


150 


F. PORRO 


1889 Gennaio 5 — B Aurigae. 


Verticale Est. 


cv È Lettur R—v R—v 

Tempi siderali RIO v î R ont So O70 
5° 28% 57580 | 977P.32 | 230.49 | 27m 215.83 | 735.94 | 505.45 | 504.09 | + 1.36 
25.12.69 | 1086 .58 | 167 .94|26 6.94] 670.44 | 502.54 | 503.95 | — 1.45 
26 27.98 | 1197 .68 | 104.33 | 24. 51 .65 | 607.59 | 503.26 | 503.80 | — 0.54 
27 17.96 |1264.18| 66.29 1.67 | 567.58 | 501.29 | 503.70 | — 2.41 
58 .60 | 1323 .95| 32.04|23 21.03 | 536.09 | 504.05 | 503.63 | + 0.42 
29 7.49 |1414.37]| 19.72 22 12.14] 484.70 | 504.42 | 503.59 | + 0.83 
30.25.25 | 1508 .64| 73.69|20 54.38 | 42981 | 503.50 | 503.34 | + 0.16 
31 13.22 | 1566.21 | 106 .65 6 .41 | 397.55 | 504.20 | 503.25 | + 0.95 
32 8.28 | 1629.19| 142.71 |19 11.35 | 362.13 | 504.84 | 503.15 | + 0.69 
33 27.43 | 1709 .44 | 188.65 | 17. 52.20 | 314.11 | 502.76 | 502.99 | — 0.23 
84 40.64 | 1783.39 | 230.99 | 16 38 .99 | 272.69 | 503.68 | 502.85 | + 0.83 
35 57.90 |1852.61| 270.61 | 15 21.73 |232.16 | 502.77 | 502.70 | + 0.07 
37. 0.60 | 1903.50| 299.75 | 14 19.03 | 201.64 | 501.39 | 502.58 | — 1.19 
53.20 | 1947 .82 | 324.84 | 13 26.43 | 177.72.| 502.56 | 502.48 | + 0.08 
38. 52.20 | 1989 .57 | 349.02 | 12. 27.43 | 152.67 | 501.69 | 502.47 | — 0.78 

ai=:+500.92 y = + 37.59831 e, = 0".2681 

Verticale Ovest. 
AL È Letture R—v R —v 

Tempi siderali corrette Li t R Sgt. o Ori 
6. 00m 295.57 | 708P.46 | 384.41 | 9m 9594| 82.67 | 467.08 | 469.04] — 1.96 
35.35 | 708 .46 | 384 .41 15.72) 84.40] 468.81 | 469.03 | — 0.12 
1 28.07 | 735.32 |369.03/10 8.44] 101.18 | 470.21 | 468.93 | + 1.28 
231.66 | 774.75]|346.46 11 12.03 | 123.42 | 469.88 | 468.93 | + 0.95 
39.80 | 799.88 | 332 .07 50 .17 | 137.84 | 469.91 | 468.89 | + 1.02 
49.32 | 845.33 | 306.05 |12 49.69 | 161.90 | 467.95 | 468.84| — 0.89 
51.69 | 882.39 |284.84|13 42.06) 184.66 | 469.50 | 468.79 | + 0.71 
6 20.92 | 949.42] 246 .46/15 1.29 | 221.98 | 468.44 | 468.72 | — 0.28 
51.73 | 977.32] 230 .49 32.10 | 237.41 | 467.90 | 468.69 | — 0.79 
7 47.04 | 1026 .67 | 202.24 | 16 27.41 | 266.39 | 468.63 | 468.64 | — 0.01 
8 31.78 | 1069 .09 | 177 .95 | 17 12.15 | 291.08 | 469.03 | 463.60 | + 0.43 
9 42.59 | 1141 .83 | 136.41 | 18 22.96 | 332.38 | 468.69 | 468.53 | + 0.16 
10: I5:10/ET176 72: 11633 55 .47 | 352.18 | 468.51 | 468.50 | + 0.01 
52.68 | 1218.61| 92.35/19 33.05 | 375.92 | 468.27 | 468.47 | — 0.20 
11 35.16 |1266.21| 65.07]|20 15.53| 403.51 | 468.60 | 463.43 | + 0.17 
12 30.04 |1291.01| 27.49|21 10.41 | 440.84 | 468.33 | 468.38 | — 0.05 
13: 18205770 :1379.:92 0.00 49 .14 | 468.12 | 468.12 | 468.35 | — 0.23 

si 469054 y = + 17.74523 e; = 0".1883 


se 
“ 
i 


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o 28m 345.06 


5° 59m 415.27 


Tempi siderali 


59. 
25 
200 410. 


27 
28 


29 
30 
DI E TE 


Tempi siderali 


6-07 11.16 


(AS) 
(0.0) 


©) 0 db I + 10 
SS 
(>) 


x = 466.50 


Letture 
corrette 


931P.50 
977.32 
TI KONE 
1166. 
1224. 
1294. 
1338 . 
1379. 
1422. 
1503. 
1546. 
1584. 
1628 . 
1669 . 
1705. 
1755. 
1783. 
1844. 
1878. 
1908 . 


Letture 
corrette 


690P.57 
708. 
TZ 
708. 
793. 
813. 
861. 
883. 
909 . 
Sa: 
1024. 
1056. 
1088 . 
1130. 
1067. 
1248. 
1292. 
1356 . 
1379. 
1444. 


LATITUDINE DI TORINO 


1889 Gennaio 7 — B Aurigae. 


a 


256P.72 
230 .49 
154 .28 
122.29 
89 .24 
49 .09 
23 .93 
0.00 
24.11 
70. 
90. 
Le 
142. 
165 . 
186.11 
203 . 
230 . 
266 . 
285. 
302. 


Verticale Est. 


t 


R 


(R—v) 
osservate 


(R— v) 
calcolate 


151 


o 
| 
e) 


27m 498,73 

24 .49 
.44 
.83 
.33 


18 
È7 256.21 


16 38. 
15 
14 


761.17 
738.35 
658.96 
628.25 
594.43 
552.76 
528.09 
505.76 
479.69 
431.66 
407.19 
335.28 
361.41 
337.05 
316.47 
299.54 
272.69 
236.11 
216.67 
199.18 


y = + 94.80325 


Verticale Ovest. 


Vv 


399P.80 
384 .41 


t 


8m 175.48 

47. 
907938 
10 
Li 0208 


12 
13 


15 
l6. GEL. 


LIT. 


22 


R 


67.64 

77.53 

SIN 
113.71 
126.68 
138.36 
165.21 
177.50 
191.55 
22911 
257.65 
276.96 
294.22 
316.46 
338.57 
385.37 
410.50 
446.79 
459.12 
497.27 


+ 105.99216 


504.45 
507.86 
504.68 
505.96 
504.19 
503.67 
504.16 
505.76 
503.80 
502.41 
502.68 
502.62 
503.39 
502.66 
502.58 
503.23 
503.48 
502.33 
502.05 
501.58 


(R—v) 
osservate 


505.71 
505.60 
505.15 
504.98 
504.77 
504.52 
504.36 
504.22 
504.05 
503.72 
503.54 
503.38 
503.20 
503.00 
502.83 
502.69 
502.46 
502.12 
501.93 
501.75 


Ce 20 


(R—-v) 
calcolate 


467.44 
461.94 
463.11 
463.86 
462.25 
462.72 
461.37 
461.54 
461.13 
460.20 
460.86 
460.88 
461.02 
459.37 
460.29 
460.65 
460.34 
460.43 
459.12 
460.17 


463.79 
463.62 
463.97 
462.98 
462.79 
462.68 
462.26 
462.11 
461.94 
461.50 
461.21 
461.01 
460.84 
460.63 


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DI 
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i 
ES 


152 F. PORRO 


1889 Gennaio 19 — B Aurigae. 


Verticale Est. 


rieti 7 Letture R—_-wvy|(R—v 

Tempi siderali corrette a t R ei ari Oa 
5° 25m 59854 |1124P.35 | 146P.31 | 25m 245,23 | 632.98 | 485.67 | 486.88 | + 0.29 
26 38.01 |1174.64 | 117.52 |24 45.76 | 601.43 | 483.91 | 486.41 | — 2.50 
270 15:120 1232.0560] 84736 8.65 | 571.34 | 486.98 | 486.44 | + 0.54 
28 8.12 |1303.70| 43.64|23 15.65 | 530.80 | 487.16 | 486.48 | + 0.68 
29 6.85 |13/9.92. 0.00]22 116.92] 487.04 487.04 | 486.53 | + 0.51 
80. 13.62 | 1461.3835] 46.62|21 10.15 | 439.64 | 486.26 | 486.58 | — 0.32 
52.09 | 1509 .94| 74.44|20 31.68 | 413.39 | 487.83 | 486.61 | + 1.22 

31 20.34 | 1541 .13| 92.29 3.43 | 394.71 | 487.00 | 486.64 | + 0.36 
32 14.45 | 1601 .59 | 126.91|19 9.32 | 360.04 | 486.95 | 486.68 | + 0.27 
50 .14 | 1636 .52 | 146.90 | 18 33.63 | 338.08 | 484.98 | 486.71 | — 1.73 

38 27.64 | 1680 .00 | 171 .80 | 17 56 .13 | 315.69 | 487.49 | 486.74 | + 0.75 
34 11.31.1:1724:70.| 197 742 12 .46 | 290.58 | 488.00 | 486.77 | + 1.23 
35 14.10 |1783.39| 230.99 | 16 9.67 | 256.23 | 487.22 | 486.82 | + 0.40 
36 23.53 | 1843 .43 | 265 .36 | 15 0.24 | 220.96 | 486.32 | 486.88 | — 0.56 
51.12 |1865.81 | 278.17 |14 82.65 | 207.65 | 485.82 | 486.90 | — 1.08 


x = 487.60 y = — 15.57296 e, = 0.2769 


Verticale Ovest. 


pil Letture R —v R—v 
Tempi siderali corrette 3 È R Nan gn ONE 
5a 57m 28.00 | 623°.95 | 432,79) 6m 4°23) 36.18 | 468.97 | 469.52 | — 0.55 
58 22.25) 64333 | 421.70 58 .48 | 47.78 | 469.48 | 469.35 | + 0.13 
59.72 | 660.16 | 412.06) 7 35.95] 56.69 | 468.75 | 469.24] — 0.49 
6 0 40.92! 708.46 |384.98| 9 17.15) 84.65 | 469.63 | 468.93 | + 0.70 
1 40.62 | 743.83 |364,16 10 16.85 | 103.76 | 467.92 | 468.75 | — 0.83 
2 19.36 | 764.28 | 352.48 55 .59 | 117.19 | 469.67 | 468.64 | + 1.03 
30.601 793.07 | 335,97 | 11 36.83 | 132.40 | 468.37 | 468.51 | — 0.14 
35.74 | 817.00 | 322.27 | 12 11.97 | 146.09 | 468.36 | 468.40 | — 0.04 
429.91 | 857.08|299.,32/13 6.14 | 170.65 | 469.97 | 468.24 | + 1.73 
5. 5:92 | 883.58 284.15 41 .55 | 184.02 | 468.17 | 468.13 | + 0.04 
33.60 | 906.01 | 271.31 | 14 9.83 | 196.91 | 468.22 | 468.05 | + 0.17 
60 4.42) 983.21 | 255.74 40 .65 | 211.44 | 467.18 | 467.95 | — 0.77 
55.06 | 977.832 | 230.49 | 15 81.29 | 236.45 | 466.94 | 467.80 | — 0.86 
7 29.22 |1006.92| 213.54|16 5.45 | 254.11 | 467.65 | 467.70| — 0.05 
80 4:57 | 1040 .23 | 194.47 40 .80 | 273.05 | 467.52 | 467.59 | — 0.07 


x = 470.62 y = + 58.88191 e, = 0.1850 


LATITUDINE DI TORINO lo 


1889 Gennaio 28 — f Aurigae. 


Verticale Est. 


0, z Letture R—v R—- 
Tempi siderali corrette di / R sal da Wo 
5® ]5m 45°70 60°.83 | 755P.18 | 35m 385.01 |1246.94 | 491.76 | 492.09 | — 0.33 
16 54.17 | 196.65 | 677 .42 | 34 29 .54 [1169.30| 491.88 | 491.81 | + 0.07 
17 33.93 | 277.03]|631.40|33 49.78 |1124.26 | 492.86 | 491.65 | + 1.21 
18 31.61 | 384.77 |569.72|32 52.10 |1061.25 | 491.53 | 491.41 | + 0.12 
19 20.39 | 492.95 | 507.79 31 53.32] 999.22] 491.43 | 491.17 | + 0.26 
209 885/270.) 402.10 8.75 | 953.10 | 491.00 | 490.99 | + 0.01 
21 32.51 | 708.46 |384.41|29 51.20] 875.73 | 491.32 | 490.67 | + 0.65 
50.24 | 736.42 | 368 .40 33 .47 | 858.48 | 490.08 | 490.60 | — 0.52 
22. 56.11 | 845.63 | 305.88 |28 27.60] 796.01] 490.13 | 490.33 | — 0.20 
23031311 910.85 | 268.54 | 27 46.40) 758.11 | 489.57 | 490.16 | — 0.59 
24. 18.90] 977.32 | 230 .49 4.81 | 720.75 | 490.26 | 489.99 | + 0.27 
25 12.81 11056.19 | 185 .33 | 2b 10.90] 693.77 | 489.44 | 489.77 | — 0.33 
57.61 | 1123 .54 | 146.78 | 25 26.10] 635.96 | 489.18 | 489.58 | — 0.40 
26 45.89 | 1190 .67 | 108.35 | 24 37.82 | 596.38 | 488.03 | 489.39 | — 1.86 
| 28° 3.09 11298.08.|. 4685 | 23 20.62 | 535.75 | 488.90 | 489.07 | — 0.17 
| 290-535 (13/992 0.00 | 22 18.36 | 489.15 | 489.15 | 487.78 | + 1.37 


x = 483,29 y = + 80.30976 e; = 0.1661 


Verticale Ovest. 


Letture 
corrette 


(BR—v|(R—v) 


Tempi siderali osservate | calcolate 


| 
Ò 


6% Om 44594 | 708P.46 | 384P.41 | 90 21523| 86.08 | 470.49 | 471.00 

3. 14.06 | 797.88 | 333.22] 11 50 .35 | 137.89 | 471.11 | 470,49 

55.39 | 827.08 | 316 .50 | 12 31.68 | 154.41 | 470.91 | 470.29 

4 31.86 | 854.79|300.64|13 8.15) 169.75 | 470.39 | 470.22 

5 24.74 | 897 .38)276.25|14 1.03] 193.28 | 469.53 | 470.04 

6 58.55 | 977.32 230 .49|15 34.84] 233.81 | 469.30 | 469.72 
7 
8 
9 


34.23 | 1008 .13 | 212.85 | 16 10.52 | 257.36 | 470.21 | 469.60 
22.83 | 1055 .79 | 185 .56 59 .12 | 288.76 | 469.22 | 469.44 
19.54 |1112.86 | 152.89 | 17 55.83 | 316.23 | 469.12 | 469.24 
52.36 | 1148 .82 | 132.30 | 18 28.65 | 335.77 | 463.07 | 469.13 
10 33.57 | 1190 .87 | 108.34| 19 9.86 | 361.20 | 469.54 | 463.99 
ll 12.75 |1235 .82) 82.50 49 .04 | 386.22 | 468.72 | 468.86 
12 15.11 | 1308 .64| 40.81|20 51.40 | 427.72 | 463.52 | 468.64 
13 13.90 |1379.92| 0.00|21 50.19 | 468.82 | 468.82 | 463.44 
45.99 | 1420 .42| 23.19|22 22.28] 492.05 | 463.86 | 468.383 
14 21.01 |1467.70) 50.25 57 .30 | 518.07 | 407.82 | 468.21 


Faris ia ia 
ASEeee ie GIS SIAZIZIO 
Wim uuiornaosnurroou 
© Co CO DO Ha DI DI dI O I TODI 


x = 472.92 y = + 66.49520 e 01265 
Serie II. Tom. XLIV. T 


F. PORRO 


1889 Febbraio 17 — B Aurigae. 


Verticale Est. 


. . i R—v)|{(R—v 
Tempi siderali Te \l t k ima So OC 
5 20m 18821 | 572° 76 | 4622.10 | 3]m 58.19 | 949.49 | 487.39 | 487.09 | -| 0.30 
21 36.69 | 708.46 |384.41|29 46.71 |871.34| 486.93 | 486.76 | + 0.17 
22 29.04 | 795.47 | 334.60|/28 . 54.36 | 821.11 | 486.51 | 486.55 | — 0.04 
23: 15.881. 871.27] 29120 7.52 | 777.40 | 486.20 | 486.36] — 0.16 
52.86.|. 928.89 | 258 .50|27. 30 .54 | 743.77 | 485.27 486.20! — 0.93 
24 23.38 | 977.32| 230.49 0 .02 | 716.54 | 486.05 | 486.08 | — 0.03 
25 31.99 | 1081 .49| 170.85 |25 51.41 | 656.73 | 485.88 | 485.80 | + 0.08 
26 6.05 |1130.10 | 143.02 17 .35 | 628.66 | 485.64 | 485.66 | — 0.02 
39 .46 | 1177 .71 | 115.76 | 24 43.94] 601.12 | 485.56 | 485.52 | + 0.04 
28. 1.31 |1290.77]| 51.04|23 22.09 | 636.87 | 485.83 | 485.28 | + 0.55 
34.36 | 1334 .22| 26.16 |22 49 .04|511.92 | 485.76 | 485.04 | + 0.72 
29 11.00 | 1379 .92 0.00 12 .40 | 484.86 | 484.86 | 484.89) — 0.03 
80. 88.89 | 1486.98| 60.72/20 40.91 | 423.28 | 484.00 | 484.53 | — 0.53 
31 34.06 |1550.71| 97.78|19 49.34] 486.42 | 484.20 | 484.30 | — 0.10 
32. 11.18 | 1591 .27 | 121 .00 12.22 | 362.68 | 483.68 | 484.15 | — 0.47 
55 .54 | 1639 .23 | 148 .45 | 18 27.86 | 335.90 | 483.35 | 483.96 | + 0.39 
CIMA y = + 80.63636 ej = 0.1005 
Verticale Ovest. 
bear : Letture R—v R—v 
Tempi siderali corrette Ù / R al a ORO 
62 Om 405.17 | 708P,46 | 384.41 | 9m 16577] 84.72 | 469.13 | 469.41| — 0.28 
2 7.24 | 759.66|355.10/10 43.84 | 113.29 | 468.39 | 469.26 | — 0.87 
55 .98 | 787.78 | 339 .00 | 11 32.58 | 131.08 | 470.08 | 469.17 | + 0.91 
3 38.03 | 817.20 | 322.16 | 12 14.63 | 147.48 | 469.64 | 469.10 | + 0.54 
415.68 | 846.03 | 305.65 52 .28 | 162.95 | 468.60 | 469.03 | — 0.43 
5 12.67 | 889.97 |280.50|13 49.27 | 187.93 | 468.43 | 468.93 | — 0.50 
53.18 | 921.84|262.25| 14 29.78 | 206.71 | 468.96 | 468.86 | + 0.10 
6 56.80 | 977.32 | 230.49 | 15 33.40 | 238.06 | 468.55 | 468.74] — 0.19 
7 25.35 | 1001 .49 | 216 .65| 16 1.95 | 252.59 | 469.24 | 468.69 | + 0.55 
80 5.77 |1040.33 | 194.41 42 .37 | 274.55 | 468.96 | 463.62 | + 0.34 
59 .30 | 1093 .07 | 164.22 | 17 35.90 | 304.61 | 468.83 | 468.52 | + 0.31 
9 34.78 |1130.30 | 142.91 | 18 11.38 | 325.48 | 468.39 | 468.46] — 0.07 
10 29.91 |1188.47 | 109.60|19 6.51 |359.10 | 468.70 | 468.36 | + 0.34 
11° <7546*|1231.00?|585€26 44 .06 | 382.98 | 468.24 | 468.29 | — 0.05 
12° 5.47 (1297.98| 46.91|20 42.07] 421.38 | 468.29 | 468.19| + 0.10 
131138137992 0.00|21 47.98 | 467.27 | 467.27 | 468.07 | — 0.80 
a = 470.41 € = 1041225 


y = + 34.76543 


LATITUDINE DI TORINO 155 


1889 Febbraio 18 — B Aurigae. 


Verticale Est. 


CORI i Letture R—v|R—v 
Tempi siderali corrette È È R et SR Dial 
5° 32m 39579 | 1159P.06 | 126.44 | 18m 485,59 | 344.88 | 471.32 | 470.66 | + 0.66 
33-20-27 1117-:70-| 15012 3.11 | 320.51 | 470.63 | 470.55 | + 0.08 
53 .03 |1086 .18 | 168 .17 | 17 30.35 | 301.41 | 469.58 | 470.46 | — 0.88 
34 48.55 |1031.10]|199.70|16 34.83 | 270.42 | 470.12 | 470.31 | — 0.19 
35 16.10 |1004.91 | 214 .69 7.28 | 255.66 | 470.35 | 470.24 | + 0.11 
46.34 | 977.32 | 230 .49 | 15 37.04 | 289.92 | 470.41 | 470.15 | + 0.26 
ST. 2.72 | 912.16 |267.79]|14 20.66] 202.41 | 470.20 | 469.94 | + 0.26 
34.54 | 888.57 | 281.30 | 13 48.88 | 187.75 | 469.05 | 469.86| — 0.81 
88 5.34 | 863..04 | 295 .91 18 .04 | 174.05 | 469.96 | 469.77 | + 0.19 
59 .48 | 824.84] 317.78] 12.23.90] 151.23 | 469.01 | 469.62 | — 0.61 
39 33.49 | 800.18 |331.90|11 49.89 | 137.72 | 469.62 | 469.53 | + 0.09 
40025777010) 344,88 17.13 | 125.31 | 470.19 | 469.44 | + 0.75 
41 20.33 | 732.11|370.87|10 3.05] 99.39 | 470.26 | 469.24 | + 1.02 
42. 8.69 | 708 .46|384.41| 9 14.69) 84.09 | 468.50 | 469.10) — 0.60 
43 12.01 | 676.72 |402.58| 8 11.37 | 65.99 | 468.57 | 468.93 | — 0.36 
49.32 | 659.36 | 412 .52| 7 34.06] 56.35 | 468.87 | 468.83 | + 0.04 | 
gii 407.58 y = + 53.88537 ei = 0.1356 
Verticale Ovest. 
MIRO, i Letture R —v lai —W 
Tempi siderali | corrette >) t k in ei O 
6h Om 7531 |2102?.20 | 413.50] 8m 48593 | 75.02 | 488.52 | 484.65| + 3.87 
53.09 | 2069 .68 | 394.89] 9 29.71| 88.70] 483.59 | 484.41 | — 0.82 
1 44.35 | 2050.98 | 384.18 | 10 0.97] 98.70] 482.88 | 484.24 | — 1.36 
2 23.54 |2017.30|364.90|11 0.16] 119.12 | 484.02 | 483.93 | + 0.09 
3 0.81 | 1989 .27 | 348 .85 37.43 | 132.87 | 481.72 | 483.74] — 2.02 
34.95 | 1969 .09 | 337.30 | 12. 11 .57 | 146.27 | 483.57 | 483.56 | -+ 0.01 
L19439: 19411332129 50 .05 | 161.54 | 482.83 | 483.35 | — 0.52 
Si 12" 189617 295.55 13 47.74 |187.21 | 482.76 483.00] — 0.29 
50 .86 | 1864 .23 | 277 .27 | 14 27.48 | 205.63 | 482.90 | 482.84| + 0.06 
627.76 |1832.81 | 259.30|15 4.38 | 223.49 | 482.79 | 482.65 | + 0.14 
MleZ2l/2% 7783..39|230/.99 58 .34 | 250.95 | 481.94 | 482.36 | — 0.42 
8 24.91 |1724.78|197.41|17  1.53|285.11 | 482,52 | 482.03 | + 0.49 
9Qiitesno 1685-98 10/522 38 .49 | 306.11 | 481.33 | 481.84| — 0.51 
10 3.47 |1622.74]|139.01]|18 40.09 | 342.75 | 481.76 | 481.52 | 4+- 0.24 
33 .83 | 1587 .88 | 119.06] 19 10.45 | 361.56 | 480.62 | 481.35 | — 0.73 
11 6.70 | 1553.30 | 100 .40 43 .32 | 382.50 | 482.90 | 481.18 | + 1.72 


xe = 487.41 y = + 102.41156 e, = 0.3250 


156 


Tempi siderali 


È 31° 15.53 
33 2.45 


S4 
39 


36 
37 


33 
39 


40 
41 
Ad alito 


x = 469.93 


Tempi siderali 


5° 56 295.37 
57 53.49 
DS. 280 
59.6: 
6. 01.5. 


UU wr 
(vs) 
(near) 


Letture 
corrette 


1251".71 
1132 .31 
1086 .58 
1057 .18 
1003 .80 
977.82 
935 .02 
891. 
868 . 
840. 
802. 
182. 
745. 
Mot 
708. 
686 . 


Letture 
corrette 


21852.36 
2156. 
2142. 
2126. 
2097 . 
2072. 
2050 . 
2015. 
1994. 
1974. 
1922. 
1896. 


F. PORRO 


1889 Febbraio 25 — BR Aurigae. 


39% . 
340. 
310. 
295. 


Verticale 


y = + 37.92685 


Verticale Ovest. 


20.62 
41.62 
49.40 
58.54 
74.59 
88.06 
101.75 
121.18 
132.57 
144.96 
173.48 
188.30 


y = + 71.30278 


(R—v) 
osservate 


471.82 
472.81 
| 472.96 
471.57 
472.06 
470.47 
470.79 
471.92 
471.66 
471.12 
472.43 
471.53 
470.84 
471.44 
470.78 
470.70 


(R—v) 


osservate 


486.73 
486.09 
485.76 
485.71 
485.23 
484.42 
485.93 
484.98 
484.62 
485.16 
484.36 
434.65 


(R— v) 
calcolate 


472.28 
472.08 
471.99 
471.93 
471.82 
471.76 
471.66 
471.57 
471.51 
471.43 
471.34 
471.27 
471.16 
471.09 
471.03 
470.94 


© 
I 
e) 


DIFI+4HTH+ L41441 
SID CIO IE 
PRESBSERRS8L8IIS 


e, = 0.1577 


(R— v) 
calcolate 


486.32 
486.01 
485.38 
485.74 
485.52 
435.36 
435.20 
485.00 
484.89 
484.77 
484.52 
484.39 


o 
| 
e 


Rica 013 43 
coccscccccssco 
DD WIDO LO MONO 
Sì Sì O ST DO 10 > 0 WWW 00 


e; = 0.1288 


LATITUDINE DI TORINO 157 


1889 Maggio 17 — 33 Bootis. 


Verticale Est. 


| | | 
R—-v|R—v 
osservate | calcolate 


Letture 


corrette bi t | R 


Tempi siderali 


© 
| 
@ 


14° 2% 958.57 | 2050P.98 | 3842.18 | 32" 345.49 |1042.37 | 659.19 | 659.99 
47.79 |1976.92 | 341 .78|31 56.27 |1003.02| 661.24 | 659.86 
317.38 | 1925 .56 | 312.38 26 .68 | 972.38 | 660.00 | 659.76 
4 14.06 | 1826 .07 | 255 .42| 30 30.00) 914.89 | 659.47 | 659.57 
38 .79 | 1783 .39 | 230 .99 5.27 | 890.35 | 659.36 | 659.48 
57.87 |1734.02|202.82|29 36.19| 861.85| 659.03 | 659.38 
55 .16 | 1656 .49 | 158 .43 | 28 48.90) 816.70 658.27 | 659.22 
6:33.19 | 1592..77 | 121 .96 10.87 | 781.26| 659.30 | 659.09 
7 
8 


15.88 | 1427 .08| 82.24|27 28.18) 742.27 | 660.03 | 653.95 
52.66 | 1379.92 0.00 | 25 51.40 | 657.81] 657.81 | 658.60 

9 36.63 |1314.47| 37.57 7.43 | 621.02] 653.59 | 658.45 
10 16.55 |1258 .66| 69.52 |24 27.51] 588.66] 653.18 | 653.32 
11 26.06 | 1163.04|124.26 | 23 18.00] 534.22] 658.48 | 658.08 
12. 1.18 |1118.61|149.70|22 42.88 | 507.75 | 657.45 | 657.95 
41.39 | 1066 .81 | 179.64 2.67 | 478.22| 657.86 | 657.82 

13 53.76 | 977.32|230.59|20 50.30) 427.40| 657.99 | 657.57 


Rane iran ani 
cccsspsoercscsosccsro 
ERSSKROSNAgnoRGS 


x = 653.28 y = + 66.88489 e, = 0.1570 


Verticale Ovest. 


(f—-v)|(R-v) 
osservate | calcolate 


Letture 


Tempi siderali corrette 


o 
| 
Q 


14% 41% 375.42 |24642.13 | 620.80 | 6" 53536 | 46.74 | 667.54 | 667.78 
42 12.48 | 2449 .42 | 612.38 | 7 28.42 55.01] 667.39 | 667.64 
45 .03 | 2435 .22 | 604 .16| 8 0.97) 63.28 | 667.44 | 667.50 

44 14.16 | 2389 .84|578.18| 9 30.10] 88.91 | 667.09 | 667.13 
55.79 | 2366 .81 | 564.71) 10 11.73; 102.37 | 667.08 | 666.96 

45 29.16 | 2345 .93 | 553 .04 45 .10 | 113.83 | 666.87 | 666.82 
46 26.50 | 2308 .03 | 531 .34 | 11 42.44 | 134.96 | 666.30 | 666.58 
47 11.06 | 2278 .30 | 514.82 | 12 27.00 | 152.63 | 666.95 | 666.40 
46 .86 | 2250 .42 | 498 .36 | 13 2.80) 167.71 | 666.07 | 666.25 

49 10.67 | 2185 .36| 461.11 | 14 26.61 205.40 | 666.51 | 665.90 
46.18 | 2154 .10|443.22|15 2.12] 222.58 | 665.80 | 665.76 

50 41.03 |2105.71 | 415 .51 56 .97 | 250.99 | 666.50 | 665.53 
61 38.68 | 2050 .98 | 384.18 | 16 54.62 | 281.52 | 665.70 | 665.29 
52 16.59 |2012.06 | 361.90 | 17 32.53 | 302.96 | 664.86 | 665.13 
53. 12.01 | 1951 .31 | 327.12 | 18 27.95 | 335.04 | 662.16 | 664.90 
51.24 | 1914 .78|306.21|19 7.18 | 359.83 | 666.04 | 664.74 


PINS esodo 
Wuibppooancuibmo-vooNw 
© Ya N ai 00 Ot 00 Ot do HS 9 I 


+1 14+++1+1++! 


x = 669.50 y = + 80.59067 e, = 0.2135 


158 


F. PORRO 


1889 Novembre 1 — a Cygni. 


Verticale Est. 


ARI È Letture R—v|(R—v 

Tempi siderali corrette è È R A n Ore 
20% 15% 95.86 | 1144P,23 | 134P.98 | 222 295.98 | 498.12 | 633.05 | 632.85 | + 0.20 
44.90 | 1098 .78 | 160.95 | 21 54 .94| 472.55 | 633.50 | 633.05 | + 0.45 
16 17.67 | 1058 .07 | 184 .26 22.17 | 449.41 | 633.67 | 633.23 | + 0.44 
46 .68 | 1024 .15 | 203.68 | 20 53.16 | 429.29 | 632.97 | 633.39 | — 0.42 
Jil = 26 ‘865|:1977.32.1 23049 13 .48 | 402.55 | 633.04 | 633.60 | — 0.56 
18. 21.41 | 913.56 | 266 .99 | 19 € 18.43 | 366.86 | 633.85 | 633.91 | — 0.06 
56 .47 | 873.95 | 289 .67 | 18. 483 .37 | 345.04 | 634.71 | 634.10 | 4 0.61 
19.30.55 | 840.33 | 308 .91 9.29 | 324.43 | 633.34 | 634.29| — 0.95 
20.24.39 | 784.08 | 341.12 | 17 15.45 | 293.16 | 634.28 | 634.58 | — 0.30 
21 1.80 | 748.12]|361.70 16 838,54 | 272.64 | 634.34 | 634.78| — 0.44 
43.75 | 708.46 | 384.41 | 15 56.09 | 249.97 | 634.38 | 635.02 | — 0.64 
22 32.47 | 663.73 | 410.02 7.37 | 225.13 | 635.15 | 635.29| — 0.14 
23 8.98 | 631.50 | 428.47 | 14 29.86 | 206.92 | 635.39 | 635.49 | — 0.10 
55.93 | 590.07 | 452.19 | 13 43.91 | 185.63 | 637.82 | 635.74 | + 2.08 
24 23.92 | 572.76 | 462.10 15.92. 1173:23 | 635.53. 1630:90) 1240557 
57.31 | 545.83 | 477.52 |12 42.53 159.02 | 636.54 | 636.09 | + 0.45 

x = 640.28 y = — 106.94706 cio==0.1888 

Verticale Ovest. 
Aa 5 Letture R—v R —v 

Tempi siderali* | corrette v È R ali Su O.AC 
R0% 42% 125.17 | 2472P.06 | 625P,25| 4” 325.33 | 20.29 | 645.54 | 645.41 | + 0.13 
43 .65 | 2463 .83 | 620 .54| 5 3.81] 25.25 | 645.79 | 645.60 | + 0.19 
43.18.42. | 2453 .30 | 614 .51 38.53 | 31.42 | 645.93 | 645.80 | + 0.18 
48 ,88 | 2443 .93 | 609 .15| 6 9.04| 37.25 | 646.40 | 645.99 | + 0.41 
44.50.37 |2419.11|594.94| 7 10.53] 50.70 | 645.64 | 646.35| — 0.91 
45.57.67 | 2389 .,84|578.18| 8 17.83] 67.78 | 645.96 | 646.75 | — 0.79 
46. 35.27 | 2372 ..16 | 568 .06 05.43 | 78.42 | 646.48 | 646.98| — 0,50 
47. 39.04 | 2338 .52 | 548.80) 9 59.20] 98.19 | 646.99 | 647.35! — 0.36 
48.31 .54:| 2307 .83:| 531.22. 10. 51.70 | 116.15 647.38 | 647.67. — (0.29 
49 20.87 | 2278 .30 | 514.32 | 11 41.03 | 134.40 | 648.72 | 647.96 | +4 0.76 
54.57 |2255 .89 | 501 .49| 12 14.73 | 147.59 | 649.08 | 648.16 | + 0.92 
50. 35.22 | 2225 .36 | 485.01 55 .38 | 164.42 | 649.43 | 648.40 | + 1.03 
52. 11.11 | 2149 .52 | 440.50 | 14 831.27 | 207.58 | 648.08 | 648.97 | — 0.89 
50 .52 | 2118 .91 | 423.07 | 15 10.68 | 226.78 | 649.85 | 649.21 | + 0.64 
58. 26.65 | 2085 .48 | 403 .93 46 .81 | 245.12 | 649.05 | 649.42 | — 0.37 
64 4.25 | 2050 .98 | 384.18 | 16 24.41 | 264.97 | 649.15 | 649.64| — 0.49 

O 164378 y= — 115.52481 e, = 0.1583 


Tempi siderali 


2004 125.93 
ò 25.09 


9) 
6 
7 


Tempi siderali 


° Letture 


Letture 
corrette 


572.76 
708 .46 
814.27 
834 .98 
935 .82 
977 .32 
1059 .36 
1}19.21 
1170 .08 
IPA A 
1310. 
1379. 
1448. 
1499. 
1572. 
1620 . 
1651. 


corrette 


LATITUDINE DI TORINO 


1889 Novembre 15 — a Cygni. 


Verticale est. 


159 


(R—v R—v 

ì È R a n) IRC 
4622.10 | 33% 275.52 [1100.50 | 638.40 | 637.19 + IR2i 
984.41!) 32:, 14 /36:]1021.74 | 637.33*| 637.54 — 0.21 
s20:83 lol 6.27 |-961/51.|637.68*1'/637.:82:+—. 0.14 
288.30! | -30!:36,83 |(921.57.| 638.2216383.01 + 0.21 
254 (25 6.414 891.35'| 637.101/1638:16:| — 1.06 
230 .49 | 29 43.32) 868.73] 638.24 | 638.27 | — 0.03 
183 .52| 28 54.05] 821.43| 637.91 | 638.51 | — 0.60 
149 .26 18.25 | 787.91 | 638.65 | 633.69 | — 0.04 
120.13 | 27 46.36 | 758.68 | 638.55 | 638.84| — 0.29 
62.20:|:26°. 42.13'|. 701.39" 639.13 659.16: — 0,03 
40.01 | 16 .68 | 679.28 | 639.27 | 639.28 | — 0.01 
0.00|25 31.06 | 640.21 | 640.21 | 639.50 + 0.71 
39 .39 | 24 42.78 600.84] 640.23 | 639.73 + 0.50 
I 68.56 © +05 | b71.19!| 639.75: 639.92: — 0.17 
11034 |/23. I2.29|' 529/81!) .640.15°:640.18°|— 0.03 
137.146 |:122° ‘36.38 | 502.87'| 640.33. 640:35.| _—'0.02 
199437 12.36 | 485.19 | 640.50 | 640.47 + 0.09 

y= — 95.02701 e = 0.1203 


Verticale Ovest. 


21% 0° 465.09 


leSd8% 


© O (0.0) NI DO ww 


find 


|1299. 


11702.08 
1206. 
1253. 


1379 .92 
1427. 
1486. 
1542. 
1636 . 
1698 . 
lol 
1783. 
1864. 
1922 .24 
1937% 
2050 . 


120P.13 


Li 
81 
24008: 


25 
26 


Da 


28 
29 


30 
sl 


32 


65.64 


R—-v) 


B—-v) 


R osservate | calcolate | 9 — © 
525.50 | 645.63 | 645.76) — 0.13 
546.28 | 645.56 | 645.91 | — 0.35 
573.43 | 645.86 | 646.11 | — 0.25 
600.85 | 646.73 | 646.19 | + 0.54 
646.57 | 646.57 | 646.61 | — 0.04 
673.82 | 646.71 | 646.79] — 0.08 
708.49 | 647.60 | 647.02 | + 0.58 
740.27 | 647.35 | 647.22 | + 0.13 
794.67 | 647.60 | 647.55 | + 0.05 
827.97 | 648.18 | 647.75 | + 0.43 
860.61 | 647.76 | 647.94| — 0.18 
878.36 | 647.37 | 648.04| — 0.67 
925.89 | 648.23 | 648.31 | — 0.08 
959.41 | 648.93 | 648.50 | + 0.43 
996.81 | 648.98 | 648.70 + 0.28 
1032.50 | 648.32 | 648.89 | — 0.57 

e, = 0.09210 


y = — 109.68269 


160 


F. PORRO 


Verticale Est. 


1889 Novembre 16 — a Cygni. 


par ; Letture R—v|(R—v 

Tempi siderali corrette v È R Sei Sa OO 
20? 15” 58515 | 1087P.68 | 167P.31 | 21” 415.27 | 462.88 | 630.19 | 630.60 | — 0.41 
16 28.99 | 1048 .72 | 189 .61 10 .43 | 441.17 | 630.78 | 630.77 | 4 0.01 
17 8.90 | 999,58 | 217.74|20. 30.50 | 413.92 | 631.66 | 630.99 + 0.67 
29.85 | 977.32 | 230 .49 10 .07 | 399.63 | 630.12 | 631.10 | + 0.02 
18. 30.74 | 906.52] 271.02 | 19. 8.68) 360.73 | 631.75 | 631.43 + 0.32 
58.98 | 874.84]|289.16|18 40.44 |343.23 | 632.39 | 631.58 + 0.81 
19 28.81 845 .13 | 386 .17 10 .61 | 325.23 | 631.50 | 631.74| — 0.24 
55.90 | 816.29 | 322.68 | 17 43.52 | 309.28 | 631.96 | 631.89 + 0.07 
20. 45.26 | 767.10 | 850.84 | 16 54.16 | 281.24 | 632.08 | 632.16 | — 0.08 
21 20.33 | 733.01 | 370 .36 19.09 | 262.13 | 632.49 | 632.35 + 0.14 
47.33 | 708 .46 | 384.41 | 15 52.09 | 247.88 | 682.29 | 632.50) — 0.21 
22 23.65 | 674.25 | 404.00 15.77.| 229.83 | 633,38 | 632,69/7— ‘0:36 
23 18.97 | 629.90] 429.39 | 14 20 .45 | 202.47 | 631.86 | 632.99] — 1.13 
44.65 | 606.01 | 443.06 | 13 54.77 | 190.48 | 633.54 | 633.13 + 0.41 
24 28.81 572 .66 | 462.16 10.61 | 170.94 | 633.10 | 633.37 | — 0.27 
25. 9.83 | 541.23 | 480.15 | 12. 29.59 | 153.67 | 633.82 | 633.60 + 0.22 

ali l637107 y = — 105.57484 e, = 0.1137 

Verticale Ovest. 
Lar: ì Lettur R=& v R—v 

Tempi siderali a v t R AR nto 0.30 
20% 592 209565 | 1699P.58 | 1883P.00 | 21° 505.23 | 469.22 | 652.22 | 652.61| — 0.39 
59 .06 | 1663 .46 | 162 .33 | 22 19.64 | 490.50 | 652.83 | 652.79 | + 0.04 
21 0. 34,42 | 1619 .62.| 377 .23 55 .00 | 516.76 | 653.99 | 652.99 | + 1.00 
l 7.89 | 1572.94]| 110.50] 23. 28 .47 | 542.19 | 652.69 | 653.19| — 0.50 
2 7.77 |1491.07| 63.63]|24 28.35 | 589.26 | 652.89 | 653.54] — 0.65 
38.73 | 1449 .22| 39.67 59 .31 | 614.27 | 653.94 | 653.72 + 0.22 
310.73 |1401.69]| 12.46/25 81.31 | 640.80 | 653.26 | 653.91 | — 0.65 
27.83 |1379 .92 0.00 48 .41 | 655.03 | 655.03 | 654.01| + 1.02 
4.27.29 |1288.57| 52.30|/26 49.87 | 707.34 | 655.04 | 654.37 + 0.67 
5 1.81 | 1236 .42| 82.15 | 27 21.89] 736.55 | 654.40 | 654.606| — 0.16 
32 .56 | 1185 .48 | 111 .32 53 .14 | 764.84 | 653.52 | 654.75] — 1.23 
6 2.84 | 1139 .13 | 1837.8528 23 42 | 792.75 | 654.90 | 654.92| — 0.02 
52 .47 | 1060 .06 | 183,12 |29 13.05 | 839.61 | 656.49 | 655.22 | + 1.27 
720.1441011 157] 24412 40 .72 | 866.17 | 655.05 | 655.38 | — 0.33 
40.06 | 977 .82|230.49/30 0.64 | 885.69 | 655.20 | 655.49 — 0.29 

x == 644.87 y = — 114.86992 e = 0,1848 


161 


LATITUDINE DI TORINO 


———r.—-.-+/+.r.--_ese_ecll PG vic_:i or aoro Tre r.actf;.: 


LSHAO MIVOLL'UMA 


- 


ISU HTVOLLUMA 


INOIZVAFUHSSO NHTTHO ILVLITASI(i 


0£' 8 SL 04/89" L c6° SE 69° IP 0I/0Z6" 9/20" 6 +|998" FF9/8FE' 629/0ZE" 8 —|g99" Le9| 240/90 | 9I 
ca 9 Ria LO €0° 93 PO EF 0I08S' 9Foero' 8 +86" LeOlLEF* 689/88" £ —|ese' 9x9) 2240800 | I 
6L° 8 Fe 0—|Sl' 6 aL 9% 88° &h_0I9L8" 3S9/860° 6 +8LL" EPOILLE" ISO|LOF® 8 —|F8z" OFO| 22000 | 1 squosoy 
98° L L3° 3+/60° 9 LI PES [6° 0 TI(OFO" £99/89F"° 9 —|86F° 699(E08° 8c9/02o* a +ega: ecol s200g gE| LI 08StK 
nes 83° 0-|FE' 8 8L' 0I 9G° LG L (009° &8F|PF8' P — FEE L8FloIo' eLplaeo’  +ego' 69pionbemp g | eg 
DV L Cola 2109 68° OI 68° SG L |LPH' OSF|I96" 9 — [80° L8F|603° ILF|629° € +/0gc' Lox|20614np 9 | 81 
63' L 1° ‘0+|gL' 9 €8° 01 GP 9G L ILPO" 89FE9E° & —|0IF° OLF|FSS' PREIS! STELE" 6LE06%4mP 9 | LI oqgI 
[9° L I° 141° 9 60° 8 88° 89 L [8LE' SOF|IFS® F —|616° SLF|28E" 8SF|680% C+ 62" ESpaobump d | sz 
VW L aL e+69' £ GINE. La" 9G L (G0G* 99FOIO" # — 19" OLFIPS' 98F|290% 1 —|E09° LSP|2n6wnp 9 | GI 
0° 8 0° 1+jt0° L Ge e 99° IT 8 (093° 69F/&Fe' L — 20° 99F|oLo' FoSigLe” d +a6o' L6panbiunp g |} 
16° L 86° &—|26° 01 10° GU 99 (I6° 8 (0EE° BOFIEIS® I —|8FS- 69F|68F" sosioLe' S+|616% 006|22624np g | e oruvg 
i 6881 
89,8. 09V/89401100",8 ,P 0SFE6PL 89 PE|80,89 01882 L80082"uL —/8Z0 068/9288 LL/FR8 8 + 280012] 20060 0 | SAY 
8881 
otbe— |gso07urs/i-| o-q—d g5007 054 x 
d ‘20 tp) U] ,d Q Q_-,d VITHIS |: VIVA - 


Serie II. Tom. XLIV. 


162 F. PORRO 


PARTE TERZA 


Discussione dei Risultati definitivi. 


Esposti nelle due parti che precedono i ragionamenti ed i calcoli per i quali 
siamo stati condotti ai valori della latitudine consegnati negli ultimi quadri di cia- 
scuna di esse, dobbiamo ora raccogliere e discutere i valori stessi, per ricavarne il 
valor finale. 

A tale scopo, raggruppando i valori dati da ciascuna stella, notiamo che le 19 
medie che otteniamo debbono differire fra loro: 


I. Per gli errori residui delle osservazioni; 
II. Per le variazioni della latitudine; 
III Per gli errori delle declinazioni adoperate. 


Rinunziando, come ho detto nella Introduzione, a ricavare dalla mia serie le 
variazioni a corto periodo della latitudine, e ritenendo sensibilmente nulle nell’inter- 
vallo le variazioni secolari, convien premettere ad ogni discussione ulteriore sugli 
errori l'eliminazione delle variazioni periodiche. A tale scopo si è calcolato una tavola 
che dà mese per mese, nel periodo abbracciato dalle osservazioni, il valore della dif- 
ferenza fra la latitudine vera @ e la media ©); e per fare questo calcolo si è ado- 
perato la formula che il Chandler dà nel numero 277 dell’ Astronomical Journal: 


@ — do = — 73 cos [A + (t — T)6] — #2 cos (0 — G), 


dove ) è la differenza di longitudine fra la nostra stazione e Greenwich, T l’epoca 
(in giorni) dell'ultimo minimo di latitudine a Greenwich, # la data dell’osservazione, 
0 il movimento diurno dell’oscillazione di semiamplitudine 73, 7, la semiamplitudine 
dell’oscillazione annua, © la longitudine del Sole, G la longitudine del Sole quando 
il secondo termine è massimo in valore assoluto. Dal medesimo numero dell’ Astro- 
nomical Journal furono ricavati i valori numerici di questi simboli. 

Nei quadri che seguono espongo i risultati di questa correzione. Ogni quadro 
contiene tutte le latitudini date da una stella, le correzioni relative, ricavate per 
interpolazione dalla tavola di cui si è detto, e finalmente le latitudini medie, riferite 
cioè non al polo istantaneo della rotazione terrestre, ma al punto (che si ritiene fisso 
e stabile sulla superficie del globo) nel quale l’asse dei massimi momenti incontra 


la superficie stessa. 
$ 


LATITUDINE DI TORINO 163 


B Aurigae. 
DATA | (0) Correzione Latitudine 
k888"Gennaio © 19%... . 0. CESLOG + 07.052 1".1608 
” 5 20 SENIO + 0 _.052 8.825 
5 È 22 BZ + 0 .051 5818 
1889 Gennaio 5 7.940 +0 .156 8.096 
n s Lo 8.020 +0 .158 8.178 
5 n 19 T 440 +0 .170 7.610 
” » 28 7.610 + 0 .165 Tr (73) 
» Febbraio 17 7.290 + 0 .155 7 .445 
I ” ” 18 7 440 +0 .154 7.594 
I 3, 3 25 8.110 + 0 .143 8.253 
Media 7.941 
| o Herculis. 
o DATA ® Correzione Latitudine 
| 
| eos@Maoeto 296008. i ia 6'”.680 — 0'.082 61.598 
o MGIUEnO n, LL, 8.272 — 0 _.088 8 .184 
| 3 o (MO 4 PON II IO 8.266 — 0_.097 8 .169 
TO (Ci 0008 A 7.479 — 0 _.118 7 .361 
3 Ù lose e 8.296 — 0 .148 8 .148 
3 Ù IMeionÀ oe 7.680 — 0 .152 7.528 
di È O i mt MRO ZO — 0 .158 MIDO 
Media st 70622 
dò Cygni. 
TDRVASNTIVRA © Correzione Latitudine 
1888 Giugno Dei Cn 7!'.836 — 0”.088 7.748 
” ” i ia sli 8.994 — 0 _.090 8.244 
” ” Seria. 7902 — 0 _.091 (CATA 
SIN GIugno SA n 7.700 — 0 _.147 7.098 
» ”» N SII idiioo — 0.158 Too 
s Luglio Si a nie ci 8.194 — 0 _.205 7 .989 
PRREDCLLOMPLESIA 0 o 7.996 — 0..151 7.845 
PMOLTORTOMAEZO N e 08 — 0.082 7.680 
Media: ion (1/68 


en ni Man 


164 F. PORRO 

\ Ursae Majoris. 
DATA (o) Correzione Latitudine 
1888. Gennaio 19 e aa 8''.176 + 0”.052 8!’ .228 
1890. Marzo: «295 80 e 7 .274 +0 .174 7 .448 
Media TUE 898 

33. Bootis. 

MO IFARNIRFAE o) Correzione Latitudine 
1888 Maggio 3 . 7" 409 — 0".051 USS 
n 2 61° 7 .529 — 0_.055 7 474 
ee 2 9. 7 .622 — 0_.059 508 
; n O Tei — 0.078 7 .636 
po (Giugno 2 142 — 0 _.086 7.056 
> n Diu. 208 — 0 _.088 7.180 
1889 Maggio 17 . ‘3600 — 0 _.074 7 .286 
3 n mae 6 .631 ERO 6 .524 
ni Giugno tal. 7.424 — 0 .110 914 
” z 63 67225 023 6.102 
Media SNZIIZ9 

«x Andromedae. 
DATA (0) Correzione Latitudine 
1888 Novembre (9 one 8'.906 + 0'.087 8'.993 
i 7 DUO E EN 8.383 + 0 .090 8.473 
i 3 DI o + 0 .092 7 .844 
5 A 29300 7. .954 + 0 .094 8.048 
» > 25. 8.468 + 0 .096 ‘8.564 
a. Dicombre:!3,. 8226 +0 .112 8 .338 
ò ha alia 8 242 +0 .114 8.356 
1889 Novembre 8 . 7 .639 007 li 022 
3 5 o. 8.180 20013 80 cllon 
gi A TSO 8.004 + 0 .013 ZUR 
Media 8!” 2492 


È 


LATITUDINE DI TORINO 165 


36 Lyncis. 

DRAREISA (o) Correzione Latitudine 
Kes9#Dicembre:20 /:!/. \. ea 7"'.880 + 0”.147 SILOLT 
ieo0eMarzo: 228 ln + 1.790 +0 .174 7.964 

Media . . . 7".995 
o Cygni. 

I DIANA 0) Correzione Latitudine 
1888 Novembre 24 . 7 .625 + 0'.095 713720 
G > 259: | 8.680 +0 .097 SALI 
Dicembre. | 1. 7.908 + 0 .105 8.013 
1889 Giugno 6 sig — 0 .123 7.609 
” ” 17 8.500 — 0.152 8.348 
s Novembre 1. 8.790 — 0 _.044 8.746 
7 3 DÌ 8.101 — 0 _.015 8 .086 
i 5 9 8.459 — 0 .011 8.448 
” ” 15 6 .250 + 0 .014 6 .264 
” n 16 8.300 + 0 .018 8 .318 
Media . . . 8.083 

1 Andromedae 

DATA ® Correzione Latitudine 

1888 Dicembre 1 8.377 + 0"”.108 8! .485 
” ” 2 7.840 + 0 .109 7.949 
” ’ 5 7.630 +0 .115 7 .145 
3 3 6 1 1889 +0 .116 8.005 
» ” Ti 7 .638 +0 .118 Mi .756 
5 P 8 9071 + 0 .120 8.097 
5 È 9 7.768 +0 .122 7.890 
5 Ù 10 8 .109 +0 .123 31292 

1889 Ottobre 23 7.609 — 0.082 TOAST 
s Novembre 7 8 .101 — 0.020 8 .081 

Media: 0007977 


166 


DATA 


1889 Marzo 12 
5 SI 
” ” 25 


DATA 


DATA 


1889 Gennaio 8. 
” ” 17 LI 


n Febbraio 19. 
” »” 23 o; 


» Marzo (GO 
s Novembre 17. 
” ” Qui. 
” ” 30 . 


F. PORRO 


58 Ursae Majoris. 


8!”.984 
7 .7162 
8 .010 


v Persei. 


8"”.069 
.579 
.431 
.959 
.139 
.746 
.414 
.680 
.875 
.736 


SERIES 


y? Aurigae. 


0 
n 
(0.0) 
DO 


2 Sa 0 OT dI 
Vof=dKorK=yxo) 
uo ta vd 


do 
(96) 
(AS) 


.261 
.975 


1 00 00 00 CO 00 00 01 


Correzione Latitudine 
+ 0".115 9'".099 
+ 0 .106 7 .868 
+ 0 .086 8.096 
Media 8".345 
Correzione Latitudine 
+ 0”.108 Sa 
+0 SEI 7.690 
+ 0 .118 049 
+ 0 4123 8.082 
+ 0 .129 7 268 
+0 “139 T .879 
“n 0 .136 SODO 
| 0 .163 7.843 
+ 0 .167 8.042 
IL onaTO 7.906 
Media 7" .799 
Correzione Latitudine 
+ 0”.186 8/.318 
+ 0 .163 7 .462 
+ 0 .167 8.675 
+0 .154 8.514 
+0 .146 8.581 
+ 0 .144 Soloa 
| 0 .126 8.223 
+0 .022 8 .254 
+ 0 .058 8 .309 
L 0 072 8 .047 
Media 9" 254 


LATITUDINE DI TORINO 167 


10 Ursae Majoris. 


IDIEANZIORA P Correzione Latitudine 
1889 Marzo VARE 7"".837 + 0'.113 ‘7"'.950 
È A TORA oa IA 415 + 0 .107 582 
MeDicembpresdl is... HIT. . 6.947 + 0 .150 7.097 
h A D'Oro i, i 6 .899 + 0 .156 7 .055 
1890 Marzo 3 RAR pr: CREA OR AA CO N 7.368 +0 .225 7 .593 
Media . . . 7.455 

e Aurigae. 
DIARI (o) Correzione Latitudine 
liss9tGennaio . 24.0... 0... 8".897 + 0".167 9"! .064 
n 3 DR o e 0a 7.904 +0 .167 8.071 
a È DM i N 8 _.006 +0 .166 Se 
3A 5 Oreto RURAL 8.263 +0 .164 8.427 
mmbiehbraio!-= di. 3 ro 8.368 +0 .164 Soa 
È 3 bea vana 7.076 | 0 nli62 7.838 
1 si 6 (599 | 0 .161 7.896 
1 È SU 8.048 +0 .159 8.207 
Pi i 13 8.376 +0 .158 8.594 
» 5) 16 8.096 +0 .156 8.252 
Media 8! 299 


u Ursae Majoris. 


IDARSIZZA P Correzione Latitudine 

IESITMANZORE ORE ea "7" 852 + 0”.126 7" .978 
DI 5 PRATICA SE RPS I IGURA TS ARIA 7.559 +0 .080 7.639 
7 fe TRAD 8.286 ORO 8 .363 


Media... | > 77993 


168 


1889 Marzo 12 
S d 13 
5 5 17 
” ” 25 
s Dicembre 1 


1890 Febbraio 9 
» Marzo 10 


DATA 


1889 Giugno 6 . 
8 


” 


; Luglio 29 . 


D:AT A 


1889 Settembre 17 . 
” ” 18 . 
- 5 22 . 


s Ottobre Sai 
È È 14. 
E ” Tor. 
” ” 16 Lo 


DATA 


1889 Luglio 31 


È Lyrae. 


8.137 


| Correzione 


! —i0"/205 
Media 


F. PORRO 

31 Lyncis. 
lo) Correzione Latitudine 
8.601 + 0”.115 8".716 
8.470 +0 .114 8.584 
8 .143 + 0 .106 8.249 
8.248 + 0 .086 8.334 
8.279 +0 .076 8 .355 
7.812 +0 .084 7.896 
7 .373 +0 .248 7.621 
8.147 + 0 .213 8.360 
Media 8" .264 

Gr. 2090 
® Correzione Latitudine 
8'.076 — 0”.123 1!" 953 
I 996 — 0.129 7.867 
8.846 — 0 _.205 8 .641 
Media Jra8t 1654 

E Cygni. 
lo) Correzione Latitudine 
7.753 — 0”.162 71" .59] 
7.550 — 0 .160 399 
8.207 — 0._.153 8.054 
7.887 — 0 _.147 7.740 
id109. — 0 _.145 7.614 
7 .560 — 0.143 T 422 
7 .951 — 0.131 7.820 
7 .486 — 0 .109 ASA 
7 .486 — 0 .107 919 
8.504 — 0 .104 7,400 
MediarreezZe5o 


| Latitudine 


| 77.932 
7.932 


LATITUDINE DI TORINO 169 


Il quadro seguente ricapitola i risultati relativi ad ogni stella. Quelle segnate 
con asterisco non appartengono alle Fondamentali di Pulkova, e sono quindi certa- 
mente meno sicure delle altre. La 33 Bootis, ad esempio, che scarta più di tutte le 
altre dal valor medio, è indubbiamente mal determinata in declinazione; essa fu 
osservata anche a Milano, e diede risultati meno buoni. Il suo moto proprio è ancora 
molto incerto. 


STELLA ® PESO 

emo rsa Magris. + . L .° 45° 4" 8".345 3 
e@plurigaen cli e ha Si L299 1 

DI IAS AREA AT 8.264 8 

y Aurigae . SVEVIA TA Ae 8.254 10 

* x Andromedae 8.242 10 
SG 2933). 8.154 3 
o Cygni. 8.033 10 

*. 36 Lyncis ; 7.995 2 
u Ursae Majoris . a 998 3 

1 Andromedae TRENT 10 

B Aurigae . 7 .941 10 

ER Lyrae AI 7.932 1 

\ Ursae Majoris . 7.888 | 2 

v Persei 3 UOs199 10 

dò Cygni 7.168 8 

o Herculis . 7.622 7 
MLA Cygni 7 1000 10 
10 Ursae Majoris . 7 455 5) 

* 33 Bootis 7.149 10 

Media generale 45° 4’ 7".914 


L’errore medio di un'osservazione, calcolato in base agli scartamenti dei valori 
singoli dalle medie del quadro ora scritto, mediante la formula 


240: [vv] 
sia DE ESS 


dove m è il numero delle osservazioni e % quello delle stelle, è risultato uguale 
a +0”,405. Esso è indipendente dagli errori delle declinazioni adoperate, e si può 
considerare come risultante di due parti, una delle quali dovuta all’incertezza colla 
quale si osservarono gli appulsi, l’altra a tutte le residue cause d’errore, special- 
mente locali ed istrumentali. Della prima è indice sicuro l’error medio e) già calco- 
lato per ogni stella; indicando con €, l’error medio dovuto alle altre cause, abbiamo 


ca Ve dallo 


Ora, combinando le e}, si trova che il valore di ey risultante alla media è + 0",183. 
Serie II. Tom. XLIV. v 


170 F. PORRO — LATITUDINE DI TORINO 


Quindi 
€ (0,405)? 220,183)? =0,1905=*(0:361)?. 


In altri termini, l’error medio di una osservazione per la parte dovuta agli appulsi 
non è che la metà dell’error medio per la parte imperfettamente corretta degli errori 
strumentali e per le cause incognite di errore. 

Col valore e= + 0",405 si è calcolato l'errore medio x di una posizione del - 
catalogo, secondo il metodo esposto nella citata “ Determinazione della latitudine... 
di Milano... e di Parma ,. Con due sole approssimazioni si ottenne 


L00565 


e quindi i pesi con i quali ciascuna stella dovette fornire il valore definitivo della 
latitudine (essendo 1" l’error medio corrispondente all’unità di peso) furono i seguenti: 


4,544 per È Lyrae, osservata una volta; 


7,243 , 36 Lyncis e X Ursae majoris, osservate due volte; 

9,031, 58 Ursae majoris, Gr. 2533, u Ursae majoris, osservate tre volte; 
11,254 , 10 Ursae majoris, osservata cinque volte; 

12,581 , © Herculis, osservata sette volte; 

13,062 , 31 Lyncis e d Cygni, osservate otto volte; 

13,802 , le rimanenti nove stelle, osservate dieci volte. 


Con questi pesi, e coll’error probabile dato dalla formula 


gdo na) 
VEp 


si ottiene il seguente valore definitivo della latitudine del centro del Cupolino Ovest 
dell’Osservatorio di Torino i 


p = 45° 4' 7,920 + 0,045, 


che differisce solo di 0,006 dalla media generale semplice e di 0,022 dal valore dato 
nella Comunicazione preliminare. 


© uo è 


RICERCHE DI GEOMETRIA 


SULLE 


SUPERFICIE ALGEBRICHE 


MEMORIA 


FEDERIGO ENRIQUES 


Approvata nell’Adunanza del 25 Giugno 1893. 


INTRODUZIONE 


i. La geometria che studia le proprietà degli enti algebrici (curve, superficie, 
varietà) invariabili per trasformazioni birazionali dell'ente dicesi geometria sull’ente (1). 

Il concetto di questa geometria scaturisce per la prima volta dalla teoria delle 
funzioni algebriche di una variabile nella capitale memoria di Riemann sulla Theorie 
der Abelschen Functionen (2). Da un altro lato la geometria sul piano (e sulle super- 
ficie razionali) nasce dai classici lavori sulle corrispondenze algebriche di Cremona 
e Clebsch (trasformazioni del piano, rappresentazione delle superficie omaloidi). 

Nello sviluppo della geometria sull’ente sono da distinguersi due momenti ca- 
ratterizzati da due diversi indirizzi (3). 

a) In primo luogo si presenta la ricerca delle condizioni perchè due enti pos- 
sano riferirsi in corrispondenza birazionale: questa ricerca è il naturale resultato 
della provata fecondità di quelle trasformazioni. Essa si presenta sotto due aspetti. 
Da un lato la determinazione di caratteri numerici invariantivi (legati alle singola- 
rità dell'ente) come nei lavori del signor Zeuthen (4). Dall'altro lato lo studio delle 
funzioni collegate all'ente algebrico (in modo invariantivo). Sotto questo secondo 
aspetto (che può anche considerarsi come collocato fra il primo momento della geome- 
tria sull’ente ed il secondo nel quale si ricercano le proprietà dell’ente stesso) la 


| questione della possibilità di trasformare birazionalmente un nell’altro due enti al- 


(1) Le notizie storiche che seguono sono in parte tolte dalle lezioni litografate del sig. KLeIx 
sulle “ Riemannsche Flichen , (1892) e dalle “ Vorlesungen , di CLesscna-Lixpemann (Bd. I), che si 
possono consultare per maggiori dettagli. 

(2) CRELLE, t. 64. 

(3) Naturalmente la differenza tra i due indirizzi non è netta, ed alcune ricerche partecipano 
dell’uno e dell’altro, ma questa osservazione è soltanto un corollario della gran legge di continuità 
che governa le produzioni scientifiche (come ogni altra produzione organica). 

(4) “ Mathematische Annalen ,, t. III e IV. Appartengono a questa categoria varie dimostrazioni 
della conservazione del genere per le curve tra le quali una del sig. Bertini. Cfr. CLeBscH-LinpeMANN. 
Bd. I (8° parte). 


I: 


dO 


FEDERIGO ENRIQUES 


gebrici, venne trattata nei lavori fondamentali di Clebsch (1), che stabilì così il con- 
cetto di genere per le curve e per le superficie; questi resultati generalizzati alle 
varietà comunque estese furono ritrovati algebricamente dal signor Noether (Mathe- 
matische Annalen, IL e VII), dove insieme al genere di Clebsch (Fléchengeschlecht) 
viene introdotto per le superficie il Curvengeschlecht. 

La determinazione dei moduli per le curve (2) e per le superficie (3) rientra pure 
nel primo momento dello sviluppo della geometria sull’ente. 

Accanto a queste ricerche sono ancora da porsi quelle che studiano la classifi- 
cazione di certi enti mediante la riduzione a tipi (irreducibili per trasformazioni bi- 
razionali), così le ricerche sulla riduzione (all’ordine minimo) dei sistemi lineari di 
curve piane (4) mediante trasformazioni cremoniane, e sotto un punto di vista non 
molto dissimile possono riguardarsi le ricerche sulla razionalità delle superficie fra. 
cui sono classiche quelle del signor Noether (5). 

5) Nel secondo momento la geometria sull’ente diviene essenzialmente studio 
delle proprietà invariantive dell’ente (6). Nella geometria sopra una curva questo 
studio si riattacca all'applicazione delle funzioni abeliane di Clebsch (1. c.) e riceve 
stabile assetto geometrico nell’importante memoria dei signori Brill e Noether (7). 

In questo lavoro si trovano riuniti i principali teoremi di geometria sopra una 
curva che hanno più tardi numerose ed utili applicazioni nella teoria delle curve 
gobbe dello spazio (8). 

Ma una nuova idea caratterizza uno sviluppo nuovo della geometria sopra una 
curva rendendola indipendente (come si richiedeva per la sua perfezione) da una 
particolare varietà cui la curva può supporsi appartenere. Intendo parlare dell’uso 
degli iperspazi, i quali introdotti da Grassmann nel 1844 (come pure espressioni ana- 
litiche) e da Riemann, furono usati dal Cayley nel 1867 e 1869 (come varietà di 
elementi di arbitraria natura (9)) e con successo applicati allo studio delle curve 
dal Clifford (10) (1878). 

Il signor Veronese raccogliendo questi vari materiali di geometria iperspaziale 
scrisse nel 1881 il suo classico lavoro (11) che fu il punto di partenza dello svolgi- 


(1) Ueber die Anwendung der Abel’schen Functionen in der Geometrie (CreLLe, t. 63). Cfr. anche 
CLessca e Gorpan, Theorie der Abel’schen Funetionen (Leipzig, 1866) e CLeesca (£ Comptes rendus , 
1868) dove è stabilito il concetto di genere per le superficie. 

(2) Riemann, l. c., $ 12. Waierstrass, cfr. Brit e Norrner (“ Math. Ann. ,, VII) o CreBsca-Liw- 
DEMANN, Bd. I (2° parte). 

(3) Norrmer, Anzahl der Moduln einer Classe algebraischer Flichen (£ Sitzangsberichte von 
Berlin ,, 1888). 

(4) NoerzER (“ Math. Ann. ,, Bd. V); Bertini (£ Annali di Mat. ,, serie 22, t. VIII); Guocia (4 Circolo 
Mat. di Palermo ,, t.1); Juxe (“ Istituto lombardo ,, 1887-88 e “ Annali di Mat. ,, serie 22, t. XV. 
e XVI); Marminerti (“ Istituto lomb. ,, 1887 e “ Circolo di Palermo ,, t. I); CasteLnuovo (“ Circolo 
di Palermo ,, 1890 e “ Accademia di Torino, Atti ,, 1890). 

(5) “ Mathem. Ann. ,, III 

(6) Un progresso analogo ha subìto la geometria proiettiva nel passaggio da Poncelet a Staudt. 

(7) Ueber die algebraischen Functionen und ihre Amwendung in der Geometrie (£ Mathem. Ann. ,, 
Bd. VII. 

(8) Cfr. NoetnER, Zur Grundlegung der Theorie der algebraischen Raumeurven (£ Journ. fiir Mathem. ,, 
Bd. 93); HaLrnen, Mémoire sur les courdes gauches algébriques (£ Comptes rendus ,, t. 70, 1870). 

(9) Questo modo di vedere fu introdotto da Pluecher. 

(10) On the Classification of Loci (£ Phil. Transactions ,). 

(11) Behandlung der proiectiwische Verhdltnisse, ecc. (£ Math. Ann. ,, XIX). 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE lej5 


mento di quella geometria avvenuto specialmente in Italia per opera del signor Ve- 
ronese stesso e del signor Segre (1). 

Fu allora che si pensò di rendere indipendente la geometria sopra una curva 
dalla rappresentazione di essa nel piano e di sostituire così in quello studio i con- 
cetti di curve aggiunte, ecc. coi procedimenti più semplici e generali proprì delle 
considerazioni iperspaziali. Il signor Segre ed il signor Castelnuovo (2) riuscirono ad 
elevare con questo concetto una nuova teoria della geometria sopra una curva che 
alla semplicità ed armonia delle basi congiunge una potenza per la quale si fecero 
in questo campo nuovi ed importanti acquisti. 

La geometria sopra una superficie non ha progredito in proporzione alla geome- 
tria sopra una curva, anzi si può dire che essa non è ancora entrata nel 2° momento 
del suo sviluppo, poichè la teoria generale dei sistemi lineari di curve sopra una 
superficie di arbitrario genere (fatta nel senso della geometria sopra una superficie) 
non è ancora avviata. II lavoro fondamentale nell'argomento resta ancora quello 
(citato) del signor Noether del 1874-75 (Mathem. Ann., VII) nel quale le funzioni 
invariantive appartenenti ad una superficie vengono studiate in modo profondo. Suc- 
cessivamente si ha un lavoro del signor Picard (3) dove in particolare sono studiate 
le superficie con trasformazioni in sè stesse, e due note del signor Castelnuovo (4) 
contenenti notevoli esempi di particolari classi di superficie. Invece la geometria sul 
piano è entrata nel secondo periodo del suo sviluppo col noto lavoro del sig. Castel- 
nuovo (5) il quale contiene concetti originali ed importanti a cui sembra possa darsi 
maggiore estensione coll’applicarli allo studio delle superficie di genere > 0 (6). 

2. Delineato rapidamente lo svolgimento che ebbe fino ad oggi la geometria 
sull’ente ed in particolare sopra una superficie, debbo esporre quali contributi porti 
questo lavoro alla nominata teoria e quali concetti mi abbiano guidato nella ricerca. 

Lo scopo principale del lavoro è lo studio dei sistemi lineari 00” di curve (alge- 
briche) appartenenti ad una superficie (algebrica). Li definisco come sistemi tali che 
per r punti della superficie passi una curva di essa, e di cui gli elementi (curve) 
possono riferirsi proiettivamente ai punti di uno spazio lineare $, (7). 


(1) Per maggiori dettagli cfr. la Monografia storica del sig. Loria, Il passato e il presente delle 
principali teorie geometriche (£ Accad. di Torino, Memorie ,, serie 2°, t. 38). Cfr. pure Sere, Su alcuni 
indirizzi, ecc. (£ Rivista di Mat. ,, 1891). 

(2) Cfr. specialmente: Sreare, Sulle curve normali di genere p dei varii spazii (“ Istituto lomb. ,, 
1888 e Courbes et surfaces réglées (£ Mathem. Ann. ,, t. XXXIV e XXXV); CasreLnuovo, Ricerche di 
geometria sulle curve algebriche (£ Accad. di Torino, Atti ,, 1889). 

(3) Sur la théorie des fonctions algébriques de deux variables indépendantes (* Journal de 


| Lionville ,, 1889). 


(4) “ Istituto lombardo , (1891). 

(5) Ricerche generali sopra i sistemi lineari di curve piane (* Accad. di Torino, Memorie ,, 1891). 
Tra i lavori precedenti si possono considerare come facenti parte di questo 2° momento della geo- 
metria sul piano, la nota del sig. Seere (£ Circolo di Palermo ,, t. I) e quella del sig. CastELNUOvO 
(£ Ann. di Mat. ,, 1890). 

(6) Per la geometria sulle superficie rigate cfr. il citato lavoro del sig. Segre (£ Mathematische 
Annalen ,, XXXV). 

(7) La 2* proprietà è una conseguenza della 1% pr. »> 1, se le curve del sistema non sì spez- 
zano. Cfr. la mia nota: Una questione sulla linearità dei sistemi di curve appartenenti ad una super- 
ficie algebrica (£ Accad. dei Lincei ,, giugno 1893) e la successiva del sig. CasteLnuovo (£ Accad. di 
Torino ,, giugno 1893) in cui quel teorema è dedotto da un altro più generale relativo alle invo- 
luzioni sopra una curva. 


174 FEDERIGO ENRIQUES 


Dopo avere premesso alcuni lemmi (noti) sui sistemi di curve riduttibili passo 
ad esporre il concetto di sistema normale e di sistema completo, cioè di sistema non 
contenuto rispettivamente in un altro dello stesso grado o dello stesso genere, e 
stabilisco che un sistema di dato grado D (cioè di cui due curve s'incontrano in D 
punti variabili) appartiene ad un determinato sistema normale dello stesso grado; 
e risulta poi che sopra una superficie di genere > 0 una curva appartiene ad un 
determinato sistema completo dello stesso genere. Ne deduco la 1° parte del teorema 
del resto (PRestsate) (1), (cap. 1). 


Nel cap. II considero le curve le quali godono la proprietà di segare un gruppo 


residuo (nel senso di Brill e Noether) della serie caratteristica (2) sulla curva gene- 
rica d’un sistema lineare oo" (dotato di curve fondamentali distinte) ed un gruppo 
contenuto nel residuo della serie caratteristica sopra la curva generica di un si- 
stema 00"7! contenuto nel primo: siffatte curve, sommate con curve fondamentali 
del dato sistema, godono le medesime proprietà rispetto ad ogni altro sistema della 
superficie (anche non dotato di curve fondamentali distinte) e sono segate sopra una 
superficie d’ordine » in S; da superficie aggiunte d’ordine n — 4: perciò le dette curve 
formano un sistema lineare (se esistono) e le componenti variabili del sistema (che 
denomino curve canoniche) hanno un carattere invariantivo rispetto alla superficie il 
quale risulta fissato molto semplicemente dalla loro definizione (3). Nasce quindi una 
distinzione dei sistemi appartenenti ad una superficie in sistemi puri ed impuri se- 
condochè le curve canoniche segano sulla loro curva generica un gruppo residuo della 
serie caratteristica o un gruppo contenuto in un tal gruppo residuo: sopra una su- 
perficie convenientemente trasformata (facendo segare dai piani le curve d’un sistema 
puro), i primi sistemi non hanno punti base, i secondi sì; la questione si riattacca 
alle curve eccezionali (ausgezeichnete) di Noether. Un sistema puro normale è neces- 
sariamente completo. 

Nel cap. HI introduco il concetto di sistema aggiunto ad un sistema lineare (0) 
di dimensione r => 2; se (C) ha curve fondamentali distinte, le curve del detto si- 
stema aggiunto sono definite dal segare un gruppo canonico sulla curva generica 
di (C) e dal segare sopra la curva generica d’un sistema co'7 contenuto in (C), un 
gruppo contenuto in uno appartenente alla serie somma della serie canonica e di 
quella differenza fra la serie segata sulla curva da (C) e la serie caratteristica del 
sistema 00°" (o il gruppo dei punti base semplici se » = 2). 

La definizione data del sistema aggiunto esclude che (C) contenga in sè un 
sistema co"7! di curve razionali (il che è impossibile se la superficie non è razio- 
nale); sotto tale restrizione il sistema aggiunto a (C) coincide coll’aggiunto puro 
definito dal signor Castelnuovo pei sistemi di curve piane, quando la superficie è 


(1) Noerzer, “ Mathem. Ann. ,, VIII. Come ognun vede quest'ordine di idee è una conveniente 
estensione alle superficie dei concetti che, come ho detto, il sig. Segre ed il sig. Castelnuovo intro- 
dussero a fondamento d’una teoria della geometria sopra una curva. 

(2) Con questo nome (introdotto dal sig. Castelnuovo pei sistemi di curve piane) indico la serie 
che tutte le curve di un sistema segano sopra la curva generica di esso. 

(3) L’invariantività è dimostrata analiticamente dal sig. Noether (“ Mathem. Ann. ,, VIII). Il 
numero delle curve canoniche linearmente indipendenti è il genere (geometrico) p della superficie. 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 75 


razionale. Quando 003 curve € sono sezioni piane d'ordine » d’una superficie F di $S; il 
sistema aggiunto a (C) viene segato sulla F dalle superficie aggiunte d’ordine n — 3. 

Per le superficie di genere p > 0 (a cui ci riferiamo) il sistema aggiunto è il 
sistema normale somma del sistema canonico di (C) e dei suoi punti base (se (0) è 
impuro) e questa proprietà serve a definirlo nel caso in cui (C) non abbia curve 
fondamentali distinte. 

Stabilire la dimensione del sistema aggiunto ad un sistema (C) di genere m, è 
questione della massima importanza per le molteplici applicazioni cui conduce la 
considerazione del sistema aggiunto. Indicando con è (0) il difetto di completezza 
(= 0) della serie (canonica) che il sistema aggiunto sega sulla curva generica © di 
(C), la dimensione del detto sistema aggiunto è p+r —1—d(0). 

Se (C) è un sistema puro semplice (cioè in cui il passaggio d’una curva per un 
punto non trae di conseguenza il passaggio per altri punti) si dimostra che la quan- 
tità è (03) relativa ad un arbitrario sistema puro (C,) è < è (r €) (essendo (r €) il 
sistema rplo di (C)) per r assai grande. Se dunque il è (r €) invece di crescere in- 
definitamente con » ha un massimo K (come avviene certo se la superficie ha sin- 
golarità ordinarie), K è un vero carattere invariantivo della superficie. Importante è 
il caso in cui K= 0; indipendentemente da qualsiasi restrizione relativa alle singo- 
larità della superficie, si prova che è K=0 se è (20) =0, e viceversa; quindi se 
(C) è un sistema puro semplice per cui è.(2 C) = 0 per ogni altro sistema (anche 
impuro) di genere m, la dimensione del sistema aggiunto è p+ m — 1: se in parti- 
colare la superficie è così trasformata da avere soltanto singolarità ordinarie, il 
genere geometrico p di essa è uguale al suo genere numerico p; definito da Zeuthen 
e. Noether, e viceversa è K —=0 sep = p;. La restrizione K= 0 è ammessa nel se- 
guito per le superficie che si considerano (fino all'ultimo cap. escl.); e nel $ 7 del 
cap. III ho creduto opportuno (vista l’importanza della cosa) di richiamare altre 
circostanze che permettono di concludere la sussistenza di tale fatto. 

Servendomi del sistema aggiunto dimostro quindi che ogni sistema impuro (con 
punti base distinti) può dedursi coll’aggiunta dei suoi punti base da un sistema puro 
o (forse) da un sistema con soli punti base semplici: dimostro poi la 2* parte del 
Restsatz ($ 3), e nei $$ 5 e 6, do esempi relativi alle superficie di genere 0, 1 (cap. III). 

Il maggiore interesse si concentra nello studio dei sistemi puri (C) (completi); 
il sistema aggiunto permette di dedurre che la loro serie caratteristica è completa 
se tale è quella del sistema canonico (o se il sistema canonico non ne ha alcuna) 
(cap. IV): in siffatta ipotesi per l’intersezione di due curve C di (C) passano 2p+w — i 
curve (linearmente indipendenti) del sistema aggiunto a (0), essendo p il genere della 
‘ superficie, i — 1 la dimensione del sistema residuo di (C) rispetto al canonico (l’in- 
dice di specialità i = 0 se (0) è non speciale cioè non contenuto nel canonico) ed w > 0; 
designo w col nome di sovrabbondanza di (C) perchè (come risulta più tardi) se si 
suppone la superficie in S, e si fa segare (C) mediante aggiunte in modo arbitrario, 
la sua dimensione virtuale p calcolata in base alle formole di postulazione di Noether 
è tale che (indicando con r la dimensione effettiva di (C)) si ha: 


r—p=zWT_- i. 


Se t è il genere di (C) ed » è il suo grado, si ha la relazione 


176 FEDERIGO ENRIQUES 
q-_l-n+r=api+w—i 


(dove î = 0 se (C) è non speciale). 

Questa relazione costituisce un'estensione del noto teorema di Riemann Roch della 
geometria sopra una curva: essa fu data sotto forma di disuguaglianza dal signor 
Noether (1), ma la relativa dimostrazione mi sembra presentare una lacuna. 

Definendo w mediante l'uguaglianza 7 — p = w — è, la relazione precedente sus- 
siste ancora se (C) è impuro (dedotto coll’aggiunta di punti base da un sistema puro) 
ed è ancora w => 0. 

Infine la relazione stessa sussiste anche prescindendo dalla restrizione invarian- 
tiva per la superficie che la serie caratteristica del sistema canonico sia completa, 
ma allora non risulta dimostrato che sia sempre w = 0; si ha però certo w => 0 se 


‘A e fili essendo p (1) il 2° genere (Curvengeschlecht) della superficie. 


L'utilità della precedente relazione si presenta nel cap. V trattando delle curve 
fondamentali. Poste alcune limitazioni per queste curve si dimostra una relazione 
fra i caratteri d’un sistema (C), il genere d'una curva fondamentale e i caratteri del 
sistema residuo (C’): se ne deduce alcune notevoli proprietà dei sistemi regolari 
(W = 0) e del sistema canonico; p. e. un sistema regolare di dimensione > p non ha 
curve fondamentali di genere > 0. Così se di un sistema puro (0), senza curve fon- 
damentali di genere > 0, si considera il multiplo secondo wm, per m assai grande 
questo è regolare: si può in tal modo trattare un caso semplice delle formule di 
postulazione relative alle varietà che passano per una superficie negli iperspazi. 

Infine le curve fondamentali di genere 0 dei sistemi lineari sono degne di atten- 
zione perchè conducono ad un nuovo carattere invariantivo per le superficie (p > 0): 
in particolare si troverà dimostrato un teorema sui punti doppi che una superficie 
può acquistare (per trasformazione) in S.. 

Nel cap. VI do un rapido sguardo alle involuzioni. Estendo per quelle irrazio- 
nali un teorema fondamentale stabilito dal signor Castelnuovo (2) per le involuzioni 
appartenenti ad una curva. 

Finalmente determino una espressione invariantiva per le involuzioni razionali 
sopra una superficie, formata coi caratteri di una rete di cui due curve si segano 
in un gruppo dell’involuzione. 

Questo in breve è il tessuto del mio lavoro, di cui i numerosi mancamenti spero 
mi si vorranno perdonare in vista degli ostacoli che ad ogni passo s'incontrano; io 
sarò lieto se queste ricerche varranno ad invogliare taluno allo studio di un così 
bello argomento di cui le difficoltà esercitano una meravigliosa attrattiva. 


1° giugno, 1893. 


FeDERIGO ENRIQUES. 


(1) “ Comptes rendus ,, 1886. 
(2) * Accad. dei Lincei ,, 1891. 


RICERCHE DI GEOMETRIA SUILE SUPERFICIE ALGEBRICHE 177 


I 


Generalità sui sistemi lineari di curve appartenenti 
ad una superficie algebrica. 


1. Definizioni. — Teoremi preliminari. — Si dirà sistema lineare co di curve 
(algebriche) sopra una superficie algebrica S, un sistema di curve tale che per % 
punti della superficie in posizione generica passi una ed una sola curva del sistema, 
e tale che gli elementi (curve) di esso possono riferirsi proiettivamente agli elementi 
generatori (punti o iperpiani Sx.) di una forma lineare S; (in modo che ad un Sx, 
o ad un punto corrisponda un sistema lineare immerso in quello co* e viceversa) (1). 

Sopra una superficie appartenente ad uno spazio S, un sistema lineare co” di 
varietà (ad »—1 dimensioni) non contenenti la superficie, sega sempre un sistema 
lineare co di curve; vedremo più tardi come in tal modo si possa ottenere qualunque 
sistema lineare d’una superficie S, ad es. segandola con sistemi lineari di superficie 
se essa appartiene allo spazio Sy (o è stata proiettata in quello); ma noi vogliamo 
anzitutto ricavare le proprietà generali dei sistemi lineari dalla definizione che ne 
abbiamo data, senza occuparci del modo con cui sono stati costruiti. 

Se si ha un sistema lineare co" di curve di cui le parti variabili si segano due 
a due in D punti variabili, diremo che il sistema è di dimensione k, e grado D: se 
le curve del sistema sono irreduttibili e la curva generica ha il genere t, diremo 
che il sistema co" è di genere n. 

Se k= 1 non si può parlare di grado del sistema. Non vi sono altri casì in 
cui non si può parlare di grado d’un sistema irreduttibile. 

Infatti se X > 1 per un punto della superficie deve passare più d’una curva del 
sistema e quindi il punto è comune a due curve; perciò l’unico caso in cui non si 
possa parlar di grado del sistema è quello in cui due curve aventi un punto comune 
abbiano comuni altri infiniti punti ossia abbiano comune una linea, l'insieme di tutte 
queste linee è tale che per un punto della superficie ne passa una ossia è ciò che 
dicesi un fascio; allora le curve del sistema si compongono d’un certo numero m di 
curve del fascio e non sono più irreduttibili. Per ogni sistema lineare irreduttibile di 
dimensione % > 1 i caratteri %, D, © hanno dunque un significato ben definito. 

Può darsi che tutte le curve d’un sistema 00° passanti per un punto, debbano 


(1) Il secondo fatto per X >1 è una conseguenza del primo quando la curva generica del 
sistema è irreduttibile. Cfr. la mia nota: Una questione sulla linearità dei sistemi di curve apparte- 
nenti ad una superficie algebrica (“ Accad. dei Lincei ,, giugno 1893). Il teorema è stato nuovamente 
dedotto dal sig. Castelnuovo come corollario di una importante proposizione sulle involuzioni appar- 
tenenti ad una curva algebrica (“ Accad. di Torino ,, giugno, 1898). 


Serie Il. Tom. XLIV. x 


173 FEDERIGO ENRIQUES 


in conseguenza passare per altri punti della superficie in numero finito m — 1 va- 
riabili con esso, e si ha allora sulla superficie una seiie co* di gruppi di m punti 
tale che un punto appartiene ad un gruppo della serie, ossia ciò che può dirsi una 
involuzione I,; possiamo dire che il sistema appartiene all’involuzione In; diremo sem- 
plice un sistema in cui il passaggio d’una curva generica per un punto non trae di 
conseguenza il passaggio per altri punti variabili con esso. 

Un sistema 00° (rete) appartiene ad una involuzione Ip, se D è il suo grado. 
Tranne per le superficie omaloidi un sistema semplice ha sempre la dimensione % > 2. 

Si riferiscano proiettivamente le curve del sistema semplice (C) agli iperpiani 
(S.-;) di Sx; ogni punto della superficie S è dase per un sistema lineare 00 costi- 
tuito da tutte le curve di (C) che passano per esso; a questo sistema 00° corisponde 
in S, la 00** degli iperpiani per un punto P, ossia la stella di centro P: in questo 
modo nascono in S, co? punti P i quali generano una superficie F, e poichè, per 
ipotesi, (C) è un sistema semplice, la superficie F_è riferita alla S punto per punto. 
Indicheremo brevemente la trasformazione eseguita dicendo che si è trasformata la 
S in umaltra superficie F_di S, su cui le curve del dato sistema (C) sono segate dagli 
iperpiani od anche dicendo che facciamo segare sulla saperficie le curve del sistema (€) 
dagli iperpiani di Sx. 

La trasformazione indicata non riesce più biunivoca se il sistema (C) non è 
semplice. In tal caso possiamo sempre costruire un sistema lineare 00! di curve 
(fascio razionale) che non appartenga all’involuzione I, cui appartiene (C); invero 
basta considerare il fascio segato da un fascio di iperpiani (o di piani) nello spazio 
5, a cui la superficie S appartiene, escludendo (tatt’al più) posizioni particolari dello 
S,-s base. Ciò posto si riferiscano proiettivamente le curve del sistema (0) agli iper- 
piani (S) di un Sx+1 per un punto O e le curve del fascio razionale agli iperpiani 
per un S,-, in Sx+1 non contenente O: un punto della superficie S è base per un 
sistema 00" di curve in (C) ed appartiene ad una curva del fascio; al sistema co! 
corrisponde la forma degli iperpiani aventi una retta base per O, ed alla curva un 
iperpiano per lo S;_, che incontra la detta retta in un punto P; il luogo dei punti P 
così costruiti è una superficie F_di Sx+1 riferita biunivocamente alla S su cui le curve 
del sistema (C) sono segate dagli iperpiani per O. 

Questa 2° trasformazione riesce biunivoca per tutti i sistemi (C) (naturalmente 
anche per quelli semplici) tali che il passaggio di una curva di essi per un punto 
non tragga di conseguenza il passaggio per infiniti punti. Infine anche un fascio ra- 
zionale di curve può fursi segare dai piani d’un fascio in Sg (o dagli iperpiani d’un 
fascio in un iperspazio), adoprando una rete (od altro sistema) ausiliaria e compiendo 
la trasformazione indicata innanzi. È utile che ci fermiamo a considerare alcune par- 
ticolarità di queste trasformazioni ottenute partendo da una rete e da un fascio (nel 
seguito si sottintenderà razionale salvo avviso in contrario), come pure di un’altra 
trasformazione analoga che può ottenersi partendo da tre fasci, poichè nel seguito ci 
occorrerà di richiamare queste proprietà. 

Si abbia una rete di grado D, ed un fascio di cui una curva generica seghi in 
n punti variabili una curva della rete e che non appartenga all’involuzione Ip che 
la rete determina; riferiamo proiettivamente le curve della rete ai piani per un 
punto O e le curve del fascio ai piani per una retta r (non contenente 0), compiendo 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 179 


così la trasformazione della data superficie. Sulla nuova superficie F i piani per r 
segano (fuori di r) curve d’ordine » (aventi x punti comuni coi piani per 0); ad un 
punto della » corrispondono i D punti base d'un fascio appartenente alla rete, e quindi 
la » è D pla per la F, la quale risulta d'ordine + D; una retta per O sega la 
F in D punti (base d’un fascio immerso nella rete), quindi O è x plo per la superficie F: 
inoltre la superficie contiene curve multiple secondo A, À,,... (in generale una curva 
doppia) i cui punti corrispondono risp. a gruppi di %,, fo,... punti contenuti in un gruppo 
della involuzione Ip cui appartiene la rete ed appartenenti ad una stessa curva del 
fascio; vi sono poi in generale rette multiple per O della F e punti multipli isolati 
corrispondenti a curve che non hanno intersezioni variabili con quelle della rete 
(fondamentali), ed infine la F potrà presentare anche altre singolarità in corrispon- 
denza a singolarità della primitiva superficie. È anche d’uopo avvertire che dalla 
superficie F_ può eventualmente staccarsi un certo numero di volte il piano O r, ed 
allora soltanto la parte residua dovrà considerarsi la trasformata propria della su- 
perficie data; il caso accennato si verifica se il fascio e la rete hanno una curva 
comune cui corrisponda il piano Or sia considerato come appartenente alla stella di 
centro O, sia come appartenente al fascio di asse r. 

In modo analogo potranno vedersi le proprietà, che ora accenno, della trasfor- 
mazione in cui si fanno segare 3 fasci dai piani risp. per 3 rette r1, 7, 73 (non pas- 
santi per un punto). Se le curve del 1° fascio incontrano quelle del 2° risp. in w9, n, 
punti e quelle del 2° e del 3° s’incontrano in #} punti (e 3 curve di ciascuno dei 
fasci per un punto non han comuni altri punti variabili con esso), riferendo proietti- 
vamente le curve dei 3 fasci risp. ai piani per r,, ro, #3, la superficie si trasforma 
in una F di ordine n} + 3 + #3, che ha le rette r,, ro, #3, multiple risp. secondo 
n, No, 3, ecc. È da osservarsi che due rette ad es. 7,, r, possono essersi scelte 
passanti per un punto 0, ed allora può ancora accadere che si stacchi il loro piano 
(un certo numero di volte) dalla superficie F. 

Stabiliamo ora il seg. teorema: Se in un sistema lineare la curva generica si 
spezza, o il sistema si compone delle curve irriduttibili d'un altro sistema a cui si sono 
aggiunte delle curve (componenti) fisse, o le componenti irriduttibili delle curve del sistema 
formano un fascio (razionale 0 no) (1). 

Facciamo segare le curve del sistema (0) (in cui si può supporre % > 1) dagli 
iperpiani di S:-1 per un punto O sulla superficie F riferita in modo semplice o mul- 
tiplo alla primitiva; la F non può essere spezzata (poichè tale non si suppone la 
primitiva), quindi dico che le sue sezioni iperpianali per O non possono tutte spez- 
zarsi tranne in rette per 0. Basta vedere il fatto per X = 2 potendosi altrimenti 
proiettare la F in S,. Ora ricordiamo che la F può supporsi riferita semplicemente 
alla primitiva superficie se la F stessa non è un cono di vertice O (ossia la rete (0) 
ha un grado): escluso che la F sia un cono, consideriamo un fascio di piani seganti 
la F il cui asse r passi per O e non appartenga alla F; le curve C sezioni dei piani 
per » formano un fascio cioè un sistema che sulla superficie irreduttibile F non può 


(1) Cfr. pei sistemi lineari nel piano: Berrmi (“ Istit. lomb. ,, 1882), e per quelli su una qua- 
lunque superficie: NorrzEr, “ Math. Ann. ,, III, pag. 171; VII, p. 524. 


180 FEDERIGO ENRIQUES 


spezzarsi in più sistemi; se in ogni piano per r la sezione della F è spezzata in 
s(> 1) curve K, sulla varietà co! che ha per elementi le curve K (componenti un 
fascio) i gruppi di s curve costituenti le C formano una serie lineare 9g; la quale 
possiede almeno 2 (s — 1) elementi di coincidenza: si arriverebbe così alla conclusione 
che per un’arbitraria retta r per O vi sono dei piani tangenti alla F lungo una linea 
(una K), e poichè vi sarebbero infiniti di tali piani la F sarebbe contata più volte, 
ciò che è assurdo. 

Ciò posto nel 1° caso (cioè se le sezioni generiche della F per 0 sono irredut- 
tibili) alla curva generica di (C) corrisponde una parte variabile irreduttibile sezione 
della F con un iperpiano per O, ed il punto 0 che non può esser dato se non da 
componenti fisse; nel 2° caso le curve del sistema (C) si compongono con quelle 
del fascio, rappresentato dalle 00! rette per O sulla F. Così ogni sistema riduttibile 
di cui le curve non si compongono delle curve d’un fascio definisce un sistema irre- 
duttibile di ugual dimensione ottenuto staccando le componenti fisse: diremo genere 
e grado del primitivo sistema quelli del sistema irreduttibile così definito, ed eselu- 
deremo nel seguito la considerazione dei sistemi di cuì la curva generica si compone di 
m curve d'un fascio. 

Sussiste pure il teorema : 

In un sistema lineare di curve irreduttibili la curva generica non può avere punti 
multipli fuori dei punti base, e delle linee multiple della superficie (1). 

Nel sistema lineare si consideri un fascio (razionale); basterà dimostrare che 
non può esistere una linea, non singolare per la superficie, luogo di punti multipli 
delle curve del fascio; ne seguirà allora immediatamente il teorema enunciato. Ora 
la dimostrazione si farà per assurdo. 

Supposto che esista una tal curva C luogo dei punti multipli delle curve del 
fascio, si può immaginare sulla superficie una rete di curve per la quale il passaggio 
per un punto della C non porti di conseguenza il passaggio per altri punti della € 
stessa (in modo cioè che la C non sia luogo di coppie appartenenti a gruppi dell’in- 
voluzione definita dalla rete), ed allora si può trasformare la superficie in una F su 
cui le curve della rete sien segate dai piani per un punto O, quelle del fascio dai 
piani per una retta », ed alla curva C venga a corrispondere sulla F una curva 0' 
non singolare; ora la sezione piana generica della F_ per » non può avere punti mul- 
tipli fuori della curva multipla della F stessa e della retta multipla » la quale 
contiene i punti di contatto con F del piano generico per 7; è dunque assurdo che 
le sezioni piane per r della F abbiano dei punti multipli i quali descrivano la C' 
come avverrebbe per conseguenza della nostra ipotesi sulla C. 


2. Sistemi normali e sistemi completi. — Come è noto una superficie si dice mor- 
male in un S, a cui appartiene, quando essa non può ritenersi come proiezione di 
una superficie dello stesso ordine (ossia da un punto esterno) di 5,41; traducendo 
questa definizione in linguaggio invariantivo diremo normale un sistema lineare (avente 
un grado) che non può esser contenuto in un altro dello stesso grado. È chiaro, appunto 


(1) Cfr. pei sistemi piani: BertINI (I. c.). 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 181 


per la considerazione proiettiva da cui siamo partiti, che se un sistema semplice è 
contenuto in un altro dello stesso grado, anche i generi dei due sistemi debbono essere 
uguali. Non sussiste però la proprietà inversa, giacchè proiettando una superficie nor- 
male da un suo punto semplice (da S, in S,_) si ottiene una nuova superficie normale 
le cui sezioni sono curve dello stesso genere, ma di cui l'ordine è diminuito di una 
unità. Questa osservazione fa nascere l’idea di considerare accanto ai sistemi normali 
quei sistemi (che diremo completi) è quali non possono esser contenuti in altri di ugual 
genere; il concetto di sistema completo è dunque più largo di quello di sistema nor- 
male, poichè, per quanto abbiamo osservato, un sistema completo è sempre un sistema 
normale (anche se non è semplice come risulta da un successivo teorema), ma non 
viceversa. È anche opportuno rilevare con esattezza ciò che può intendersi dicendo 
che un sistema è contenuto in un altro. Dato un sistema (K) di curve K, un si- 
stema (C) di curve C è contenuto in (K) in modo totale se ogni curva C è da sola 
una K; ma può anche darsi che invece ogni curva C non costituisca da sola una K, 
mentre una curva composta di una C e di un’altra €’ sia una K; si dirà allora 
che il sistema (0) è contenuto in (K) in modo parziale (ossia che le C sono curve 
parziali di (K)). Ora io dico che un sistema non può essere contenuto parzialmente in 
un altro di ugual grado. 

Infatti se un sistema 00° (K) ne contiene uno 0° (C), facendo segare le curve K 
di (K) dagli iperpiani di S.41 per un punto 0, sulla superficie F, le curve C di (0) 
risulteranno segate dagli iperpiani per un S,_, contenente O: se ora le C sono con- 
tenute in (K) in modo parziale il detto S,_, sega F secondo una curva €’ (o in un 
gruppo di punti) che insieme a ciascuna C dà una K ed allora si può considerare 
un sistema 00”+! immerso in (K) contenente parzialmente (0). Si facciano segare le 
curve del nuovo sistema dagli iperpiani di S,.-1 sulla superficie F' (la quale potrebbe 
essere anche in corrispondenza [1 m] colla F); alla curva €’ corrisponde su F' un 
punto, in generale multiplo, e proiettando la F' da questo punto si ottiene certo una 
superficie d'ordine minore; dunque il sistema (K) ha il grado maggiore di (C). Dalle 
considerazioni occorse risulta pure che, ove si voglia attribuire un senso invarian- 
tivo al fatto che un sistema sia contenuto parzialmente o totalmente in un altro, 
bisogna intendere che una curva Cl’ la quale insieme ad una € costituisce una curva K 
di (K), possa anche esser rappresentata da un punto; così se in un sistema lineare 
se ne considera un altro contenuto con qualche punto base di più (in modo che il 
grado diminuisce), il secondo sistema è contenuto parzialmente nel primo. 

Per il resultato precedente si vede che la definizione di sistema normale come 
di sistema non contenuto in altro di ugual grado è indipendente dalla larghezza di 
significato che voglia attribuirsi alla parola contenere, dicendo contenuto in un altro 
anche un sistema che vi è contenuto parzialmente, giacchè è inutile cercare un sistema 
di ugual grado che ne contenga un altro parzialmente. Invece non accade lo stesso 
per rispetto alla definizione di sistema completo, ed un esempio varrà ad illuminare 
meglio la cosa. Si abbia sopra una superficie F un sistema (0) del genere tr; le curve C 
per un punto semplice O costituiscono un sistema contenuto in esso dello stesso ge- 
nere; ora si trasformi la superficie in modo che al punto O corrisponda una curva 
semplice K della superficie trasformata F'; alle curve © corrispondono sulla F' le 
curve C' d’un sistema (C’), ed alle curve C per O curve C' spezzate nella K ed in 


182 FEDERIGO ENRIQUES 


altre curve d’un sistema lineare (0"); il sistema (C") è contenuto parzialmente in quello 
(C') dello stesso genere. Da questa osservazione scaturisce la necessità di fissare bene 
il senso della parola contenere nella definizione di sistema completo, e noi fissiamo 
di chiamare completo un sistema che non può essere contenuto in altro di ugual genere 
nemmeno parzialmente; questa definizione più larga è assolutamente necessaria (come 
appare dal prec. esempio) ove si voglia che il carattere d’un sistema di essere com- 
pleto (invariantivo per trasformazioni birazionali della superficie) esprima qualcosa 
di differente da quello di esser normale. 

Si considerino ora due fasci di curve irreduttibili di ugual genere aventi comune 
una curva totale dello stesso genere e sulla superficie F si facciano segare le curve 
di essi risp. dai piani per le rette », r' che s'incontrano nel punto O; se la trasfor- 
mazione è fatta nel modo generale indicato, alla curva comune dei due fasci, secon- 
dochè si considera appartenente all'uno o all’altro fascio, corrisponde la retta mul- 
tipla » o la »' sulla F; abbiamo già notato però che se si fa corrispondere, nella 
proiettività posta tra ciascuno dei due fasci ed il fascio di piani omologo, la curva 
comune al piano rr’, questo si stacca (un certo numero di volte) dalla superficie F; 
dico che alla rimanente F non appartengono le rette r,'. Un punto infinitamente 
vicino alla curva comune © dei due fasci individua in generale una curva in ciascun 
fascio, e quindi alla curva comune dei due fasci corrisponde punto per punto la se- 
zione della F col piano r 7' fuori dir ed r'; se la retta 7 appartiene (come semplice 
o multipla) alla F, le corrisponde una curva che insieme alla C compone una curva 
del fascio segato sulla F dai piani per r'; quindi nell’ipotesi fatta che la C sia una 
curva totale per i due fasci, le rette r, r' non appartengono alla F, e su questa i 
piani per O segano una rete di curve dello stesso genere dei due fasci, in cui questi 
sono contenuti totalmente. 

Supponiamo ora che la curva C comune ai due fasci sia contenuta parzialmente 
in uno di essi o in ambedue, ma abbia però il genere comune dei due fasci. Com- 
piendo la trasformazione eseguita prima, sulla F (da cui è staccato quante volte 
occorre il piano r #') alla © corrisponde la sezione del piano + #’ fuori di r ed »'. 

Le rette r, #" (ambedue o una sola di esse) apparterranno ora alla F con molte- 
plicità è, è’ risp. Sia n l'ordine della F, m la molteplicità del punto O, è il numero dei 
punti doppi a cui equivalgono (rispetto alle formule pluecheriane) i punti multipli di 
una sezione generica per O fuori di O, m il genere di tale sezione; si avrà: 

(a — 1) (n — 2) Lr ESE 


Ta 2 nr 9 


La r potrà incontrare la curva multipla di F in qualche punto, in modo che 
una sezione piana per r da cui sia tolta la » avrà è — è, punti doppi fuori di 0 
(o molteplicità equivalenti) essendo è > è; ; indicando con , il genere di una tale 
curva si avrà dunque 


n—-i_-1l)nT_-t—- 2) Mm_-d)m_—-i—-1) Dida 
PIACE ASSIONI SLA VOTATI CIAD E cera fe 1° 


Tj,= 9 9 


dando a rj', dy' gli analoghi significati di t,, è;, rispetto alle sezioni piane della F 
per »' da cui è tolta la r', si ha pure 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 183 


_ ni -1)n—_ i — 2) (m_- i)(m_—- i — 1) 


La curva C di genere n, sezione della F col piano r »' da cui sieno tolte le 7, #', 
è d'ordine n» — è — i’, ed ha è — è, — è, punti doppi (almeno) fuori di 0 (0 mol- 
teplicità equivalenti), poichè la curva composta C +» + »' ha è punti doppi (o mol- 
teplicità equivalenti) sulla curva doppia (o multipla) della F fuori di O, di cui è, 
dipendono dal fatto che il piano della C passa per la retta multipla », è,’ dal fatto 
che passa per 7,'. Il genere della C vale dunque 


Li Ce Ir e) (m_i—- i) (n 


m ini lunici ci (muicil@m ini pata, 


dove il segno < dovrebbe prendersi se la C avesse ulteriori punti multipli acci- 
dentali (di cui potrebbe escludersi l’esistenza). 


Ora dalle uguaglianze scritte segue: 


Tq_-_m=i—m_-1)—- òd 

Tq_-qn,=i(n_-m— 1) d, 

Tq_-m=(+4+)n-m_-1)—-d—d', 
ossia 


Tq_-T=2n- TT, mm, 


Ma secondo le nostre ipotesi 


Moi = Mi = 
quindi 
T— Mm => 2(©1 — m) 
pe 
Dico che ne segue 
Ti=—— My 00 percio — To = Ma. 


Infatti r è il genere d’una sezione piana generica della stella di centro O su F, 
se questa sezione si particolarizza comunque spezzandosi in s parti di genere k,, 
ko... ks di cui due parti di genere %,, %, si segano in i», punti, si ha, secondo una 
formula di Noether (1), 


tq=k +... +h+Zi,— 1 


(1) “ Acta Mathematica ,, 1886. È da prendersi il segno = quando nessuna delle componenti 
della curva spezzata acquista punti multipli accidentali. 


184 FEDERIGO ENRIQUES 


dove la somma è estesa a tutte le combinazioni di x, p; siccome la curva composta 
spezzata è connessa perchè limite di una curva irreduttibile connessa, almeno s fra 
le i,, non possono essere o, quindi 


t=k +ko+..+%; 


perciò nel nostro caso : 


to mis 


Si deduce che i piani per O segano ancora sulla F una rete di curve dello stesso 
genere dei due fasci e della loro curva comune parziale, nella quale i due fasci sono 
contenuti (tutti e due parzialmente o uno parzialmente e uno totalmente). Si conclude: 

Due fasci di curve dello stesso genere aventi comune una curva di ugual genere, 
sono contenuti in una rete dello stesso genere, e sono contenuti totalmente in una tal 
rete se la loro curva comune è totale. i 

Questo teorema è suscettibile di una immediata generalizzazione. Infatti, sia 
estendendo il metodo qui seguìto, sia mediante le più elementari proprietà dei sistemi 
lineari di enti si deduce che: 

Se due sistemi lineari 0, 0° di curve sopra una superficie hanno comune un 
sistema 007 di curve dello stesso genere comune ai due sistemi (per 0 = 0 s'intende una 
curva), vi è un sistema lineare o°*5=7 che ha pure il detto genere in cui i due sistemi 
sono contenuti. 

Il sistema 00°*+*-7 si costruisce prendendo risp. nei due sistemi 00°, co° due fasci 
che abbiano comune una curva del sistema co” e costruendo la rete che contiene i 
due fasci come prima abbiam visto. 

Supponiamo che i sistemi 00”, 00° e quello co7 comune abbiano il grado D (0 >2); 
ossia che il sistema 007 sia contenuto totalmente nei due. Facendo segare le curve 
del sistema 00*+*77 dagli iperpiani per un punto O in 5S,+s-7+1, sl vede che questo 
sistema ha pure il grado D, giacchè altrimenti gli S,-,, Ss-s base dei sistemi d’iper- 
piani seganti i due sistemi 00°, 00" conterrebbero qualche curva o punto della su- 
perficie F_ ed il sistema 00° segato dagli iperpiani per lo Sr+s-2, a Cui Sr-s, Ss, 
appartengono, avrebbe un grado minore di quello dei due sistemi 00°, co°. Tanto 
basta per concludere che un sistema di dato grado non può appartenere a due di- 
versi sistemi normali (s'intende dello stesso grado), giacchè questi sarebbero con- 
tenuti in un altro di ugual grado. Ora poichè la dimensione d’un sistema lineare 
non può superare il grado aumentato di una unità, concludiamo: 

Un sistema lineare di dato grado appartiene ad un determinato sistema normale 
dello stesso grado. 

Quando si ha una sola curva (od un fascio) non si può parlare di sistema nor- 
male individuato da essa, mancando per essa la nozione di grado: bisogna quindi 
ricorrere al concetto di sistema completo. 

Noi possiamo per ora asserire (in modo analogo al prec. teor.) che: 

Una curva non può appartenere a due diversi sistemi completi dello stesso suo genere. 

Non possiamo però trarne la conclusione generale che esista un sistema com- 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 185 


pleto (con un numero finito di dimensioni) individuato da una data curva: occorre 
perciò fissare un massimo della dimensione d’un sistema di dato genere, e questo 
massimo manca ad es. pei sistemi di curve razionali nel piano e di curve di genere 
più alto sulle rigate di genere > 0: queste classi di superficie verranno escluse nei 
cap. che seguiranno, e dopo aver parlato del genere p delle superficie vedremo come 
per p > 0 il teorema accennato sussista senza eccezione (cap. II). Intanto una curva 
appartiene ad un determinato sistema completo se si sa che essa è contenuta (anche par- 
zialmente) in un sistema completo. 


3. Sistemi residui. — Teorema del resto. — Tutte le curve C’ d’un sistema lineare 
(K) che insieme ad una stessa C formano una curva totale C + C’ di (K) costituiscono 
il sistema residuo della curva C rispetto al sistema (K): è da avvertire che la C potrà 
essere una curva composta e tra le sue componenti potranno esservi dei punti base 
per (C’). 

Sia (K) un sistema completo e (C') il residuo della curva C rispetto ad esso. 
Si consideri (se vi è) un sistema contenente (C’) e dello stesso genere di esso, ed 
in quel sistema un fascio contenente una curva generica C' di (0°); il detto fascio 
venga fatto segare sulla superficie F dai piani per una retta r', mentre un fascio 
di curve K di (K) contenente la C+- C' venga segato dai piani per una retta r inter- 
secante la »' in un punto O: inoltre il piano r 7" considerato come appartenente ai 
due fasci corrisponda risp. alle curve C' e C + C', di guisa che esso si stacchi (un 
certo numero di volte) dalla superficie F. Staccato il detto piano la curva C’ vien 
rappresentata dalla sezione di esso sulla F fuori di »r'. 

Sia mil genere d’una sezione piana generica della F per O, m, il genere d’una 
sezione per r, ty" quello d’una sezione per r', m, il genere della C'; si ha per ipo- 
tesi m, = ny": come abbiam visto nel precedente $, sussiste la relazione 


Tq_-m=2n- n, mm, 


e quindi, posto in esso t,' = T,, segue tT<tT, e però t= tm, 

Si deduce che le sezioni per O della F sono curve del sistema completo (K) di 
genere T, e poichè la C+ C'è una curva totale di questo sistema la r non appar- 
tiene ad F. 

Il fascio delle sezioni piane per r' (contenente €’) appartiene dunque parimente 
a (K) ed esso è il residuo della componente della C rappresentata dalla r'; le altre 
componenti debbono necessariamente essere curve razionali giacchè se il genere di 
una curva spezzata (connessa) è uguale al genere di una componente, le altre com- 
ponenti sono di genere O (avendosi il genere della curva composta maggiore od 
uguale della somma dei generi delle sue parti): si vede così che nel caso più gene- 
rale possibile la C si spezza in due parti C;, C, (la 2° delle quali composta di parti 
razionali) in modo che il sistema residuo di C, rispetto a (K) è il sistema completo 
a cui appartiene il residuo (C’) della C (= 0, 4- 0,). 

Così si ha intanto: 

Il sistema residuo d’una curva C, senza componenti razionali (0 punti), rispetto ad 
un sistema completo (K) è completo. 

Serie II. Tom. XLIV. » 


186 FEDERIGO ENRIQUES 


Supponiamo che (C') abbia un grado e consideriamo il sistema normale di ugual 
grado 00° a cui appartiene: questo è contenuto nel sistema completo residuo di (€; 
rispetto a (K). 

Si consideri (se esso non è completo) un sistema 005! di curve generiche del 
sistema completo residuo di C, che contenga in sè il sistema normale 00° e si fac- 
ciano segare queste curve dagli iperpiani di Ss+1 sulla superficie (semplice o mul- 
tipla) F'. Il sistema 00° vien segato dagli iperpiani per un punto O in generale mul- 
tiplo per F", ed al punto O corrisponde sulla data superficie una curva Cs (composta 
forse anche di punti) tale che il residuo della C, + Cz rispetto a (K) è il sistema 
normale a cui appartiene (C’). Perciò la C, fa parte della C, (la quale insieme con 
C, costituisce la € che ha per residuo (0')), e siccome il sistema (C') deve esser 
contenuto totalmente nel sistema normale di ugual grado che esso determina, si de- 
duce che C, coincide con C, e però (C') col sistema normale residuo di C, + 0, = 
C+ = 0. 

La deduzione sussiste ancora se il sistema (K) non è completo ma soltanto nor- 
male purchè appartenente ad un sistema completo. Infatti in tal caso se la dimen- 
sione di (K) è 7, possiamo considerare un sistema 00”! che lo contenga appartenente 
al sistema completo (U) che (K) determina; le 00”! curve posson farsi segare dagli 
iperpiani di S,41 sulla superficie (semplice o multipla) F'; su di essa si ha allora un 
punto (in generale multiplo) O rappresentante una curva L il cui residuo rispetto 
al sistema completo (U) è il sistema normale (K); basta aggiungere alla C la L e 
considerare il residuo di L + C rispetto al sistema completo (U) per trarne la con- 
clusione che il sistema residuo (0°) è normale. Dunque: 

Il residuo d’una curva rispetto ad un sistema normale (appartenente ad un sistema 
completo) è un sistema normale (se ha un grado). 

Nel sistema completo (K) sieno contenuti parzialmente i due sistemi irredutti- 
bili (C) e (C’) tali che (C') sia il residuo di una curva generica © rispetto a K, e 
(C) il residuo di una generica C'. Supposto (per brevità) che la superficie non sia 
razionale, le C, C' generiche non sono razionali, quindi (0°) e (C) (residui di esse rispetto 
al sistema completo (K)) sono completi (la deduzione sussiste anche per le super- 
ficie razionali). Poichè una curva generica di un sistema completo lo determina in 
modo unico, si trae la conclusione che (C') è il residuo d’ogni altra curva C di (C), 
e (C) è il residuo di ogni altra curva C' di (C’). Dunque: 

Se in un sistema completo (K) sono contenuti parzialmente due sistemi irreduttibili 
(C), (0”), tali che ciascuno di essi sia il residuo rispetto a (K) di una curva generica 
dell’altro, ciascuno dei due sistemi è il residuo rispetto a (K) di ogni curva dell'altro; 
così tra i sistemi (C), (C') è stabilito un tal legame reciproco che ogni curva dell'uno 
insieme ad una curva dell'altro costituisce una curva totale di (K). 

Questo teorema è noto sotto il nome di teorema del resto (/testsate (1)), i due 
sistemi (C), (C’') diconsi residui uno dell’altro. 


4. Sistema somma di due sistemi. — Sieno dati due sistemi CO”, 00° e si facciano 
segare le curve di essi sulla superficie F in $,4s risp. dagli iperpiani per un $,_, e 


(1) NoetzEr, “ Math. Ann. ,, 8. 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 187 


per un S.1 riferendo le dette curve proiettivamente ai nominati iperpiani; le qua- 
driche di Ss per S,-., S,-1 segano sulla F un sistema contenente tutte le coppie di 
curve composte con una curva d’un sistema e uno dell’altro, e contenente totalmente 
le dette coppie: così accade che se x, x’, sono i gradi dei due sistemi e la curva 
generica dell’uno incontra in D punti quella dell’altro, il sistema segato su F dalle 
quadriche per S,-1, S:-1 è di grado n + #' + 2 D. Il detto sistema apppartiene ad 
un determinato sistema normale; non possono esistere due sistemi normali diversi 
contenenti tutte le coppie di curve dei due dati sistemi poichè essi avrebbero comune 
un sistema dello stesso grado. Dunque: 

Esiste un determinato sistema normale irreduttibile contenente totalmente tutte le 
coppie di curve composte con una curva d'un sistema normale e una d’un altro (irre- 
duttibili): esso si dirà il sistema somma dei due nominati. 

Il sistema somma d’un sistema (C) con se stesso si dirà il suo doppio; il sistema 
rplo di (C) risulta definito come somma di (0) col sistema (r — 1) plo di (C) ed è un 
determinato sistema normale contenente totalmente tutti i gruppi di r curve di (0). 

Si può considerare il sistema somma di (C) con una curva (che in una trasfor- 
mazione può essere sostituita da un punto), ma le curve di questo possono anche 
esser spezzate in quelle di (C) e nella curva nominata. 


Il 


Il sistema canonico. 


1. Superficie aggiunte. — Una superficie F_di Ss ha in generale una o più cyrve 
multiple e dei punti multipli particolari che diremo isolati appartenenti in vario modo 
alle curve multiple. Se si considera una retta » non appartenente alla F che passi 
per un suo punto multiplo 0, può darsi che la sezione piana generica della F_ per r 
abbia in o una singolarità superiore di quella competente alla sezione generica della 
stella di centro 0; si dirà in tal caso che sulla retta » vi è un punto multiplo in- 
finitamente vicino ad 0; se la r è tangente ad una curva ipla per 0, vi è certo su 
di essa un punto iplo infinitamente vicino ad 0, ma questo non è un punto iplo iso- 
lato. Se non vi sono punti multipli isolati infinitamente vicini a qualche punto mul- 
tiplo (isolato) della F si dirà che la F ha punti multipli isolati distinti: introduciamo 
per ora tale restrizione. Diremo superficie aggiunta alla F (1) ogni superficie che 
gode delle due proprietà caratteristiche seguenti: 


(1) Cfr. Noermer (“ Math. Ann. ,, 2, 8). 


188 FEDERIGO ENRIQUES 


a) sega un piano generico secondo una curva aggiunta alla sezione piana 
della F; 

6) sega un piano passante per un punto multiplo isolato secondo una curva 
che insieme ad una retta arbitraria per il punto costituisce una linea aggiunta alla 
detta sezione piana. 

Segue che se la F è dotata solo di singolarità ordinarie una sua superficie 
aggiunta è sottoposta alla condizione di avere come (i — 1)pla ogni curva ipla della F 
e come (n — 2)plo ogni punto nplo di essa: ma non possiamo escludere che per 
effetto delle condizioni imposte ogni superficie di un dato ordine aggiunta alla F 
possa avere nei punti singolari della F molteplicità superiori di quelle assegnate, 
o (come diremo più brevemente) delle ipermolteplicità. 

Quando poi si tratta di singolarità straordinarie, per questo solo fatto può avve- 
nire che le aggiunte debbano avere nei punti (o curve) multipli molteplicità superiori 
di quelle indicate: così p. e. un punto doppio isolato ordinario non appartiene in 
generale alle aggiunte della superficie F, ma se il punto è un contatto della super- 
ficie con sè stessa (tacnodo) (1), in guisa che in ogni piano per esso la sezione ha ivi 
un tacnodo, segue dalla definizione che le superficie aggiunte alla F debbono passare 
(semplicemente) per quel punto. 

Se n è l'ordine della superficie F, una sua aggiunta w,_, d'ordine n — 4 (se esiste) 
sega un piano qualunque secondo una curva C,_, aggiunta alla sezione C, della F, 
(la quale insieme ad una retta dà una C,_3 aggiunta alla C,) e quindi se la w,_, non 
ha ipermolteplicità nella linea singolare della F, la sua curva sezione colla F (fuori 
della linea multipla) sega una C, sezione piana generica in un gruppo residuo (2) di 
quelli segati dalle rette del piano: per togliere ogni caso d’eccezione noi possiamo 
osservare che, allorquando la yw,_; e quindi la C,_4 ha delle ipermolteplicità nei punti 
singolari della C,, si debbono riguardare come cadute in quei punti alcune delle 
intersezioni della y,_y colla C,, giacchè in una trasformazione della C, a quei punti 
in quanto sono ipermultipli corrispondono punti della curva trasformata che com- 
pletano su di essa il gruppo residuo di quello corrispondente all'intersezione di una 
retta colla C,. Un riguardo analogo deve aversi per le sezioni piane passanti per 
un punto multiplo della F. 

Così si abbia una superficie F d'ordine » dotata di un punto iplo O (ordinario) 
e si supponga che O abbia una molteplicità > è — 2 (per precisare è — 1) per le super- 
ficie w,_y d'ordine n — 4 aggiunte alla F: allora ciascuna di esse sega sopra una sezione 
piana per O fuori dei punti multipli un gruppo residuo di quello segato da una retta 
generica del piano, e contenuto nel residuo di quello segato da una retta per O; 
secondo le nostre convenzioni riguardo alle ipermolteplicità dobbiamo però conside- 
rare il gruppo segato da una w,_; sulla sezione piana di F per O fuori deiî punti 
multipli come la somma del gruppo considerato e di quello degli i punti infinitamente 


(1) Cfr. ad es. la superficie del 4° ordine con tacnodo di Cremona (“ Collectanea mathematica ,) 
e Norr®Er (“ Gottinger Nachrichten ,, 1871 e “ Math. Ann. ,, 33). 

(2) Nel senso dei signori Brit e Norrurr (‘ Math. Ann. ,, 7), cioè rispetto alla serie spe- 
ciale gets della curva che (seguendo una denominazione del sig. Segre) si dirà serie canonica della 
curva. 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 189 


vicini ad O: trasformando la superficie si ha come corrispondente alla sezione della 
w,_; in F la curva che corrisponde alla sezione propria della w,_; e quella luogo dei 
punti corrispondenti ai punti infinitamente vicini ad 0, ed allora questa curva com- 
posta delle due nominate sega proprio un gruppo residuo della serie caratteristica 
sopra una curva generica della rete trasformata di quella delle sezioni piane per 0 
della F. 

Per chiarire riferiamoci ad un esempio. Si consideri un sistema lineare 00°, 
(r > 2) ed in esso le curve d'una rete che hanno » — 2 punti fissi: si può costruire 
(fissando una curva del sistema fuori della rete) un sistema 00° che contenga la rete, 
e supporremo che esso sia semplice: facendo segare le sue curve dai piani sulla 
superficie F d'ordine » le superficie w,_; d'ordine n — 4 aggiunte alla F segano 
sulla F una curva C la quale determina un gruppo residuo della serie segata dai 
piani sopra una sezione piana generica, per modo che la linea corrispondente C' sulla 
prima superficie sega un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva gene- 
rica del sistema 00°; supponiamo inoltre che la F abbia solo una curva doppia e 
non di molteplicità superiore, cioè non esistano infinite terne di punti presentanti una 
sola condizione alle curve del sistema 008. Al gruppo base di r — 2 punti per la 


rete contenuta nel sistema 003 che stiamo considerando, corrisponde sulla F un punto O 


(r — 2)plo che è e_2e08 


plo per la curva doppia: si vede quindi che il punto O 
è (r — 8)plo per le y,_ aggiunte alla F (anzichè (r — 4)plo); questo fatto porta che 
la C' sega sulla curva generica della rete un gruppo residuo della serie caratteri- 
stica aumentata del gruppo base (di 7 — 2 punti) della rete, ciò che è d’altra parte 
una conseguenza del modo con cui la C' è stata costruita: la C' aumentata degli 
(r — 2) punti base della rete sega quindi un gruppo residuo della serie caratteristica 
sopra la curva generica della rete; essa gode dell’analoga proprietà anche rispetto 
al sistema 008 contenente la rete, poichè i punti base della rete sono curve senza 
intersezioni colle linee del sistema che non passano per essi. 


Ciò posto possiamo dire che: 


Una superficie w,_, d'ordine n-4 aggiunta ad una F d'ordine n sega sopra una 
sezione piana generica (fuori dei punti multipli) un gruppo residuo di quello segato da 
tutte le rette del piano, e sopra una qualunque sezione piana per un punto multiplo iso- 
lato un gruppo residuo di quello segato dalle rette per il punto. Così pure sega un 
gruppo speciale, contenuto nel residuo del gruppo dei punti base semplici, sopra la sezione 
piana generica di un fascio il cui asse contenga quanti si vogliano punti multipli 0 sia 
una retta multipla. 


Infatti una retta ripla della F è (i — 1)ipla per una y,_; aggiunta e quindi la 
sezione della w,_; con un piano generico passante per la retta si compone di una curva 
C,-;-3 e della retta r contata (i —1) volte; la C,_;_3 ha come punto (p — 1)plo un punto 
pplo della sezione C,_; della F fuori di 7, e così pure come punto (p — 1)plo un 
punto (p + è)plo della C,_, sulla r, giacchè questo punto (p + è)plo per la sezione 
totale di F, è (p + — 2)plo per la curva composta di C,_;-3 e di r contata è — 1 
volte. 

Se invece la » non appartiene alla F, essa, insieme alla sezione C,_4 della y,_y 
con un piano per essa, dà una curva C,-; aggiunta alla sezione piana della F. 


190 FEDERIGO ENRIQUES 


Le proprietà che secondo il teorema precedente competono ad una curva sezione 
della w,_, sulla F (tolta la curva multipla) sono caratteristiche per questa curva, 
anzi due sole di esse bastano a definirla, dico cioè (per limitarmi a ciò che qui 
occorre) che: 

Se si ha una superficie F_ (non rigata) e si considera una stella di sezioni piane 
di essa tale che pel suo centro non passino rette multiple infinitamente vicine, e si ha 
una curva C la quale seghi un gruppo residuo di quello segato dai piani della stella 
sulla sezione generica di essa e seghi un gruppo speciale contenuto nel residuo del 
gruppo dei punti base semplici sulla curva sezione generica d'un fascio contenuto nella 
stella, la C è sezione della superficie F (d’ordine n) con una determinata superficie ag- 
giunta d'ordine n — 4 (W,_;). 

Sia O il centro della stella ed r una qualunque retta per esso, la quale sup- 
porremo non incontri la curva in questione C: un piano per r sega la F secondo 
una curva K, su cui la C sega un gruppo che insieme al gruppo segato da una retta 
per O dà un gruppo canonico, cioè un gruppo sezione di una determinata curva 
d'ordine n — 3 aggiunta alla K: questa aggiunta d’ordine n — 3 si spezza per altro 
necessariamente (anche se 0 è multiplo) nella retta per O ed in una curva x d’or- 
dine n — 4 aggiunta alla K tranne tutt'al più nel punto O che risulta (i — 2)plo 
almeno per essa se è iplo per la F (i > 2): ora il luogo della curva y variando il 
piano scelto per » è una superficie (contenente la data curva €) che si comporta nel 
punto O e rispetto alla curva multipla della F (tranne eventualmente rispetto a rette 
multiple per 0) come una superficie aggiunta: se questa superficie contenesse r essa 
dovrebbe segare F in qualche curva passante per le intersezioni di 7 con F, ma 
poichè (la r essendo una retta arbitraria per 0) per queste non passa C nè la curva 
multipla, e la ulteriore curva intersezione non ha con un piano per » altri punti 
comuni fuori di C e dei punti multipli, la detta ulteriore intersezione dovrebbe com- 
porsi di rette incontranti la retta arbitraria » fuori di 0, mentre la F non è rigata. 
Dunque la superficie luogo della curva x è una w,_; di ordine n — 4 come la xy. 
Resta a vedersi che questa superficie w,_y si comporta come una aggiunta anche 
rispetto alle rette multiple (eventuali) per O ed ai punti multipli isolati fuori di O 
e che essa è determinata in modo unico dalla ©, ossia è indipendente dalla r. 

Sia « una retta hpla della F per 0 (fh>0): se la y,_; contiene la @ con una 
molteplicità < & — 1 (o non la contiene), essa sega un piano per a secondo una 
curva d'ordine > n —X— 3 (oltre la a) la quale è aggiunta della sezione piana 
della F (fuori di @) tranne forse rispetto a punti su @; per conseguenza in tale ipotesi 
la y,-y segherebbe sopra la sezione piana del fascio di asse a un gruppo non speciale, 
mentre il gruppo sezione appartenendo alla C è per ipotesi un gruppo speciale: così 
risulta che la y,_; ha come (X — 1)pla (almeno) la retta hpla « della F. 

Si consideri ora un punto multiplo isolato 0' della F, p plo per essa: la retta a = 00, 
sarà in generale Apla per F con X=> 0. Suppongasi dapprima 4 = 0: la yn_, sega (come 
la €) un gruppo speciale sopra una sezione piana generica della F per «, contenuto 
nel residuo del gruppo sezione di a (fuori dei punti multipli), quindi la curva d’or- 
dine » — 4 sezione della w,_; con un tal piano dà insieme alla a una curva d’ordine 
n—3 segante la sezione piana di F in un gruppo speciale, la quale si comporta come 
un'aggiunta rispetto ai punti multipli della detta sezione fuori di a, dunque essa ha 


: 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 191 


la molteplicità p — i (almeno) nel punto pplo 0’ della F e perciò questo è (p — 2)plo 
(almeno) per la y,_;: la conclusione permane se vi sono più punti multipli isolati 
sulla «, giacchè le ipermolteplicità che la w,_; potrebbe avere in qualcuno di essi 
rappresenterebbero soltanto dei punti del gruppo segato da C caduti nell’intorno di 
un punto multiplo. Suppongasi invece 4 > 0: allora la @ è (f — pla per la w,_, e 
la y,_; sega sopra un piano per 0 una curva d'ordine n —/— 3 la quale si com- 
porta come un'aggiunta rispetto alla curva d’ordine n — » sezione della F col piano 
(fuori di 4) nei punti multipli della curva multipla; poichè essa sega sulla detta 
curva un gruppo speciale si vede (analogamente al caso precedente) che ogni punto 0' 
pplo su a deve essere (p — 1)plo (almeno) per essa, ossia la w,_, ha come (p — 1)plo 
(almeno) ogni punto pplo sulla retta hpla a. 

Finalmente la superficie w,_; (che si è dimostrato essere aggiunta alla F) è uni- 
camente determinata dalla condizione di contenere la curva C. Infatti l'intersezione 
della y,_4 colla F si compone della curva multipla, della C ed eventualmente di rette 
per O; queste rette per O non possono variare al variare della retta » che ha ser- 
vito per la costruzione della yw,_, giacchè altrimenti la F sarebbe un cono, quindi 
l'intersezione della w,_; colla F è fissa al variare della r: tanto basta per affermare 
che la w,_; stessa è indipendente dal variare della », giacchè altrimenti si avrebbe 
un fascio di superficie w,_, aventi fissa l’intersezione colla superficie F d'ordine n 
(>n— 4), ciò che è assurdo. 

Così rimane stabilito il teorema enunciato in principio. 

Escluderemo nel seguito le superficie F rigate e le loro trasformate per le quali 
d'altra parte si può stabilire che non esistono superficie aggiunte w,_;. 

Se è data una superficie F d'ordine »# in S} e si considera la stella delle sezioni 
piane per un punto fuori di essa si deduce: 


Se una curva C sega un gruppo residuo di quello segato da una retta arbitraria 
sopra una sezione piana generica della F, ed un gruppo contenuto nel residuo di quello 
segato da una retta pel punto multiplo sopra una sezione piana generica per un punto 
multiplo isolato, la detta curva C è la sezione colla FP di una determinata superficie w,; 
d'ordine n — 4 aggiunta alla F. 


2. Il sistema canonico. — I teoremi del precedente $ sono suscettibili d’una più 
vasta estensione conducendo ad un resultato generale che possiamo enunciare sotto 
forma invariantiva. 

A tal fine diremo curva fondamentale per un sistema lineare ogni curva parziale 
del sistema (cap. I), la quale presenti una sola condizione ad una curva del sistema 
che debba contenerla; se la curva è irreduttibile basta assegnare la condizione che 
la curva fondamentale non abbia intersezioni variabili colle curve del sistema, non 
così se è composta: intendiamo per altro di includere sempre in una curva fonda- 
mentale composta tutte le linee parziali (o punti) che si staccano da una linea del 
sistema in conseguenza dello staccarsi di una parte di essa. 

Allora una linea fondamentale d’una rete di curve, quando questa venga segata 
dai piani d’una stella, è rappresentata o da una retta (multipla) pel centro della stella, 
o da uno o più punti multipli isolati sopra una retta pel detto centro ed eventual- 


192 FEDERIGO ENRIQUES 


mente anche dalla retta stessa; nel 1° caso la curva non è fondamentale per il 
sistema 003 segato dai piani, nel 2° sì se si tratta d’un solo punto multiplo isolato. 

Una linea fondamentale d’un sistema semplice viene sempre rappresentata da 
un punto multiplo sopra la superficie F trasformata facendo segare dagli iperpiani 
(o piani) le curve del sistema: diremo che il sistema ha curve fondamentali distinte 
se la superficie F ha punti multipli isolati distinti (cfr. $ prec.). Fisseremo l’analoga 
definizione per una rete dicendo che essa ha curve fondamentali distinte quando è 
impossibile fare segare le curve di essa sopra la superficie dai piani per un punto (in S3) 
per cui passano due rette multiple infinitamente vicine: è facile vedere che una rete 
generica immersa in un sistema semplice 00° con curve fondamentali distinte ha 
curve fondamentali distinte, poichè non contiene due fasci infinitamente vicini residui 
di curve fondamentali. 

Ciò posto noi stabiliamo ancora di definire come serie caratteristica di un si- 
stema lineare la serie gy— che le curve del sistema (di dimensione r e grado D) 
segano sopra una curva generica del sistema stesso (1): i piani d’una stella (ossia le 
rette pel centro) segano sopra una sezione piana la serie caratteristica della rete 
delle sezioni piane della stella stessa, ecc. 

Si abbia sopra una superficie una rete con curve fondamentali distinte e si 
consideri un arbitrario sistema lineare oo (K > 1) ed in esso un fascio generico 
avente m punti base semplici: facciamo segare sulla superficie F_(d’ordine x) le curve 
della rete dai piani per un punto 0, e le curve del fascio dai piani per una retta r 
non passante per 0; ai punti base semplici del fascio corrispondono rette per o sem- 
plici per F (curve fondamentali della rete aventi una intersezione con ciascuna curva 
del fascio). 

Sia c una curva la quale seghi un gruppo residuo della serie caratteristica sulla 
curva generica della rete, ed un gruppo speciale contenuto nel residuo del gruppo 
dei punti base semplici sulla curva d’un fascio contenuto nella rete; come nel prec. $ 
sì prova che la c è sezione della superficie F_ d’ordine n con una superficie yw,_; 
d'ordine n — 4 la quale si comporta come un’aggiunta rispetto alle linee multiple 
della F (quantunque forse la F possa non avere punti multipli isolati distinti): dico 
inoltre che la y,_, contiene le rette semplici per o corrispondenti ai punti base del 
fascio fatto segare dai piani per r. Infatti un piano per una tal retta « sega la F 
secondo una curva K,_, d’ordine n — 1 (fuori di ») e la c sega la K,_, secondo un 
gruppo che insieme ad una retta per o, p. es. insieme alla r, costituisce un gruppo 
canonico, sicchè la curva sezione della w,_; fuori di x è una curva d’ordine n — 5 
che insieme alla 7 costituisce un’aggiunta d'ordine n — 4 alla K,-,, perciò la r ap- 
partiene alla w,_,, cdd. Ne segue che la c aumentata delle rette per o analoghe ad a 
sega sopra la curva sezione della F con un piano per r, un gruppo appartenente a 
quello segato dalla w,_,, ossia dalla curva d’ordine n — î — 3 sezione della yw,_; col 
piano fuori della x (supposta ipla per F) ed aggiunta alla sezione piana di F: in 
altre parole la c sega un gruppo contenuto nel residuo del gruppo dei punti base 
semplici sulla curva del fascio fatto segare dai piani per r, e sommata (ove occorra) 


(1) Cfr. pei sistemi di curve piane, CasreLwuovo (“ Accad. di Scienze Torino, Memorie ,, 1891). 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 193 


con curve fondamentali della rete (ulteriore sezione della w,_; con F fuori delle 
rette analoghe ad 4) sega proprio un tal gruppo residuo sulla curva generica del 
detto fascio. Si deduce che la ec insieme ad eventuali curve fondamentali della data 
rete sega un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva generica del si- 
stema 00°. 

Il ragionamento precedente patisce eccezione se il fascio preso ad arbitrio nel 
sistema co” sulla superficie appartiene alla involuzione che la rete determina; in tal 
caso sussiste ancora la conclusione precedente perchè la c (completata ove occorra) 
gode della stessa proprietà fissata per la primitiva rete rispetto ad altre reti non 
appartenenti alla stessa involuzione. 

Così possiamo enunciare il teorema : 

Se una curva C sega un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva gene- 
rica d’un sistema co" (con r = 2) dotato di curve fondamentali distinte, ed un gruppo 
contenuto nel residuo della serie caratteristica (che si riduce al gruppo dei punti base 


semplici per un fascio) sulla curva generica di ogni sistema co'T' 


contenuto nel primo, 
residuo d'una curva fondamentale, la curva C sola 0 insieme a qualche curva fonda- 
mentale pel dato sistema sega un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva 
generica d’un sistema 0° (s=> 2) (semplice 0 no) arbitrariamente fissato sulla superficie. 

Da questo teorema risulta che le curve C definite dalle proprietà indicate rispetto 
ad un sistema co” (r => 2) non dipendono dalla natura deli sistema ove si prescinda 
da certe componenti fisse di esse (curve eccezionali): le curve © si ottengono come 
sezioni della superficie F_d’ordine n in Sy colle superficie aggiunte d’ordine n — 4 
quando la F sia stata preventivamente trasformata in modo da avere punti multipli 
isolati distinti (come supponiamo), e perciò compongono un sistema lineare; segue 
che le componenti variabili del sistema lineare segato sopra una superficie d'ordine n 
dalle superficie d’ ordine n — 4 aggiunte ad essa, si trasformano in curve analoghe 
quando si trasforma birazionalmente la superficie; queste curve, legate invariantiva- 
mente alla superficie, che diremo curve canoniche, segano sulla curva generica d’ogni 
sistema lineare un gruppo contenuto in un gruppo residuo della serie caratteristica 0 
proprio residuo di essa (1): dovremo poi distinguere quando si presenti l'uno o 
l’altro caso. 

Il sistema canonico (costituito dalle curve canoniche) conduce in generale a due 
caratteri invariantivi della superficie; cioè il 7° genere p (o semplicemente genere) 
cioò la dimensione del sistema canonico aumentata di 1 (Flichengeschlecht) (2), ed il 
2° genere p' cioè il genere del sistema canonico (Curvengeschlecht di Noether); un 
terzo carattere, il grado p9, è legato al 2° genere p! dalla relazione 


po=pÙ—_1 


stabilita dal Noether (Mathem. Ann. VIII), di cui ora dovremo discorrere. 


(1) L’invariantività delle curve canoniche è stata dimostrata per la prima volta dal sig. NoerHER 
(£ Math. Ann. ,, II, VIII) con un lungo procedimento analitico. Il sig. CasreLnuovo (“ Istituto lomb. ,, 
1891) ne ha dedotto la proprietà qui enunciata di queste curve, la quale sotto le restrizioni del 
precedente teorema risulta ora caratteristica di quelle curve. 

(2) Il concetto del genere per le superficie, fu dapprima stabilito da CLesson (‘ Comptes rendus ,, 
1868), quindi il detto concetto fu stabilito dal sig. Noermer (£ Mathem. Ann. ,, II) per tutte le 
varietà algebriche più volte estese. . 


Serie II. Tom. XLIV. si 


194 FEDERIGO ENRIQUES 


Se il 1° genere p= 1, mancano le curve canoniche propriamente dette (secondo 
la nostra definizione), ma ogni sistema lineare ha la serie caratteristica speciale: 
manca il secondo carattere pl: esiste una superficie d’ordine n — 4 aggiunta alla 
superficie supposta d’ordine n in Ss. 


3. Curve eccezionali. — Consideriamo un sistema semplice 00° (0) (r > 3) con un 
punto base iplo (isolato) in un punto semplice O della superficie F_e trasformiamo 
la superficie in una F' di Sy su cui 00° curve generiche C di (0) vengano segate dai 
piani: al punto O corrisponde sulla F' una curva d’ordine è (che può anche ridursi 
ad una curva d'ordine -—- contata j volte) la quale deve essere aggiunta ad ogni 
curva canonica (insieme forse ad altre curve) per segare un gruppo residuo della 
serie caratteristica sulla sezione piana generica di F'; infatti la curva composta di 
una curva canonica e del punto O sulla F sega un gruppo residuo della serie carat- 
teristica sopra la curva generica di ogni sistema non avente il punto base O e quindi 
pel teorema principale del precedente $ sega un gruppo residuo della serie caratte- 
ristica anche sopra la curva generica d’un arbitrario sistema avente il punto base O. 
Dunque la curva d'ordine i che corrisponde al punto O su F' appartiene a tutte le 
superficie d'ordine n — 4 aggiunte alla F' supposta d'ordine n; per questa proprietà 
la detta curva dicesi (secondo il Noether Math. Ann. VII) una curva eccezionale 
della F' (ausgezeichnete). 

Viceversa si supponga l’esistenza di una curva eccezionale C d’ordine è sulla F': 
il sig. Noether (op. cit., $ 514) ha indicato una trasformazione della superficie F" 
in una F su cui alla C corrisponde un punto semplice per la F e base iplo per il 
sistema delle curve corrispondenti alle sezioni piane della F°. 

La curva eccezionale © su F' può eventualmente essere sostituita da un punto; 
la trasformazione della F' in una superficie F su cui la C è rappresentata da un 
punto 0 semplice (per F) e base (con data molteplicità) per il sistema delle curve 0" 
corrispondenti alle sezioni piane della F' continua a sussistere, ma nel punto O le 
curve C' hanno le tangenti fisse altrimenti ad O corrisponderebbe una linea su F': 
reciprocamente se sopra una superficie F si considera un sistema (semplice) 00° 
(almeno) di curve C' con un punto base O semplice per F e con data molteplicità 
per le C', dove le C' hanno le tangenti fisse, facendo segare le curve C' dai piani 
(di S,) sopra la superficie F', si ha su F' un punto 0" multiplo eccezionale, ossia un 
punto ipermultiplo di cui un intorno rappresenta una curva appartenente a tutte le 
curve canoniche; in particolare si può considerare l’esempio in cui le C' tocchino 
in O una data retta, O' è allora un punto doppio eccezionale per la F". 

Risulta di.qua che non vi può essere sulla F' un punto eccezionale semplice 
(per F'), ossia un punto base pel sistema canonico (semplice per la F'). Infatti 
sulla superficie trasformata F il punto O corrispondente ad 0' non potrebbe essere 
un punto base isolato per le C', altrimenti gli corrisponderebbe una curva sulla F', 
e d’altra parte se in O le C' hanno una tangente fissa il punto 0' risulta doppio 
almeno per la F'. 

Ora si consideri una trasformata F della F' senza curve (nè punti) eccezionali, 
come è possibile con successive trasformazioni che mutino in punti semplici le curve 
eccezionali della F'; sulla F, supposta d’ordine x, le superficie aggiunte w,-4 (d’or- 


RICERCHE DI GEOMETRIA SUI.LE SUPERFICIE ALGEBRICHE 195 


dine n» — 4) segano fuori della curva multipla soltanto curve canoniche (e non com- 
ponenti fisse eccezionali), e quindi le curve canoniche segano sulle sezioni piane 
della F proprio un gruppo residuo della serie segata dai piani (non un gruppo con- 
tenuto in un gruppo residuo). 

Se si considera sulla F un sistema semplice (00° almeno) senza punti base e si 
fanno segare le sue curve dai piani di S,, sulla superficie trasformata non nascono 
curve eccezionali (che corrisponderebbero necessariamente a punti sulla F) e quindi 
la proprietà indicata compete alle curve canoniche anche rispetto alle curve del nuovo 
sistema. 

La proprietà di una superficie di S; di non possedere curve eccezionali si tra- 
duce in una proprietà invariantiva pel sistema delle sezioni piane che può enunciarsi 
dicendo che il sistema è privo di punti base, intendendo che il sistema non può acqui- 
stare punti base (semplici per la superficie) sopra una superficie trasformata, e sce- 
gliendo per tipo fra le trasformate una superficie senza curve eccezionali sulla quale 
il sistema avrebbe necessariamente punti base se li avesse sopra un’altra superficie 
riferita ad essa biunivocamente: con questa scelta della superficie tipo rimane pure 
fissato che cosa si deve intendere quando si dice che un sistema ha certi punti base 
con certe molteplicità; nella scelta medesima evitiamo di riferirci a quelle superficie 
su cui accidentalmente i punti base del sistema cadano infinitamente vicini a punti 
multipli. Infine queste definizioni non esigono che il sistema di cui si tratta sia 
semplice. 

Con queste convenzioni l’esistenza di punti base d’un sistema costituisce una pro- 
prietà invariantiva di esso che compete evidentemente al sistema normale definito dal dato 
sistema (altrimenti il grado aumenterebbe). 

Diremo per brevità puro o impuro un sistema secondochè non ha o ha punti 
base; diremo pure curva eccezionale sopra una superficie in S, la curva che corri- 
sponde ad un punto base pel sistema delle curve trasformate delle sue sezioni 
iperpianali. 

Ora sopra una superficie F senza curve eccezionali si abbia un sistema puro 
(semplice o no): se una curva canonica non segasse proprio un gruppo residuo della 
serie caratteristica sulla curva generica del sistema (supposto di dimensione > 2), 
tale proprietà competerebbe alla somma di essa con una curva eccezionale su F; 
questa curva non potrebbe essere che un punto base pel sistema, ciò che contrasta 
all'ipotesi che il sistema sia puro. Concludiamo: 


Una curva canonica sega proprio un gruppo residuo della serie caratteristica sulla 
curva generica d’ogni sistema puro (co? almeno) ed è caratterizzata da questa proprietà. 

Parimente: 

Se un sistema impuro (00? almeno) ha s punti base isolati di molteplicità i, ig... is 
una curva canonica sega sulla curva generica di esso un gruppo che aumentato dei gruppi 
di i, ip... i, punti infinitamente vicini ai rispettivi punti base dà un gruppo residuo della 
serie caratteristica. 

Il sistema canonico non ha punti base (come abbiamo osservato), quindi la serie 
caratteristica del sistema canonico è autoresidua e perciò 


p9=p"—1 


196 FEDERIGO ENRIQUES 


(cfr. citaz. precedente): va fatta eccezione per il caso che il sistema canonico si spezzi 
nelle componenti d’un fascio (0 per p= 1 in cui il teorema non ha significato) giacchè 
tali sistemi sono stati esclusi dalle nostre considerazioni nel $ 1°, cap. I; nondimeno 
il signor Noether ha stabilito che in tale ipotesi le curve componenti le curve cano- 
niche sono ellittiche, sicchè p® = 0, p!=1, e la relazione è ancora verificata. 

Possiamo ora estendere il concetto di superficie aggiunta anche al caso in cui 
la superficie F sia stata trasformata in modo da non avere più punti multipli isolati 
distinti, basandoci sulla invariantività del sistema canonico (p > 0). Invero una 
curva canonica C insieme alle curve eccezionali sega un gruppo residuo della serie 
caratteristica del sistema 00° segato dai piani sulla sezione piana generica della F, 
ed un gruppo residuo di quello segato dai piani per il punto sopra la sezione piana 
per un punto multiplo isolato, perciò col ragionamento del $ 1 si prova che la curva 
composta della C e delle curve eccezionali (corrispondenti ai punti base del sistema co° 
segato dai piani) è sezione di una determinata superficie w,_; d'ordine n — 4 (essendo 
n l'ordine della F) la quale soddisfa alle condizioni @) 5) del $ 1 richieste dalla de- 
finizione di superficie aggiunta rispetto ad una superficie con punti multipli isolati 
distinti; inoltre la w,_y si comporta nei punti multipli isolati della F in un modo 
particolare pienamente determinato (p. e. si può vedere che essa ha come (è — 2)plo 
almeno} un punto iplo infinitamente vicino ad un punto multiplo); noi assumiamo 
il modo di comportarsi della w,_; nei punti multipli come definizione del modo di 
comportarsi delle superficie aggiunte alla F, con riguardo però al fatto che debbono 
considerarsi come ipermoltiplicità della F i punti multipli rappresentanti una curva 
eccezionale; per evitare discussioni troppo minute diciamo che sono aggiunte alla 
superficie F dotata di arbitrarie singolarità e di curve eccezionali distinte, le superficie 
che segano un piano generico secondo una curva aggiunta alla sezione piana e si com- 
portano nei punti multipli isolati come le W,-:; invero nessuna curva eccezionale (im- 
magine d’un punto base isolato) può in questo caso ridursi all’ intorno d’un punto 
multiplo. 

Osserviamo che la costruzione delle w,_; riesce per p="1 anche se mancano le 
curve eccezionali, essendovi in ogni piano una curva d’ordine n — 4 aggiunta alla 
sezione piana: va fatta eccezione per le superficie del 4° ordine (genere 1) a cui 
sono aggiunte tutte le superficie. 


4. Applicazioni. — Una conclusione emerge subito dai resultati del $ 2°. Se il. 
genere p di una superficie è > 0, la dimensione r d’un sistema lineare di genere tr 
è < t (poichè la serie caratteristica è speciale), quindi ricordando gli ultimi resultati 
del cap. precedente si ha: 

Sopra una superficie di genere > 0 una curva appartiene ad un determinato sistema 
completo. 

E parimente (poichè allora ogni sistema normale è contenuto in un sistema 
completo) : 

Il residuo d’una curva rispetto ad un sistema normale è sempre un sistema normale 
(se ha un grado). 

Si consideri ora un sistema normale di grado » (C), appartenente ad un sistema 
completo puro di grado n + è (è > 0), sopra una superficie di genere p > 0. Una 


RICERCHE DI GEOMETRIA. SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 197 


curva canonica sega la curva generica del sistema completo di genere m in 
2(1—1)—n—òd punti, ed insieme ai punti base di (0) sega una curva generica C 
(di (C)) in 2(nr—1)—» punti; i detti punti base non possono essere multipli perchè 
(C) ha lo stesso genere n del sistema completo a cui appartiene, quindi (0) ha almeno 
ò punti base semplici, e precisamente ne ha è perchè è è la differenza fra il suo 
grado e quello del sistema completo. 

Si deduce che se èd=0 (C) coincide col sistema completo a cui appartiene. 
Dunque: 


x 


In sistema puro normale è necessariamente completo (p > 0). 


DI 


Il sistema aggiunto. 


1. Definizione del sistema aggiunto. — In S; si abbia una superficie F d’ordine n; 
una superficie w,_; d'ordine n — 3 aggiunta alla F sega la F (fuori dei punti multipli) 
secondo una curva K la quale gode delle due proprietà seguenti: 

a) sega una sezione piana generica della F secondo un gruppo canonico, 

5) sega una sezione piana generica (non razionale) per un punto multiplo O 
della F secondo un gruppo contenuto in uno appartenente alla serie somma di quella 
canonica e della serie differenza di quella segata sulla curva dai piani generici di S, 
e di quella segata su di essa dai piani per 0. Escludiamo che la F abbia una stella 
di sezioni piane razionali (nel qual caso sarebbe razionale). 

Se il punto 0 è un punto iplo ordinario la serie differenza di quella segata dai 
piani generici di S, sopra una sezione piana per O e di quella segata sulla curva 
stessa dai piani per O, è la serie determinata dal gruppo degli è punti della curva 
in questione infinitamente vicini al punto O. 

In modo analogo a quello con cui è stato dimostrato il teorema principale del 
$ 1°, cap. II si stabilisce che: 

Se la F è dotata solo di punti multipli isolati distinti, una curva la quale goda 
delle proprietà a), b), è la sezione della F con una determinata superficie aggiunta w,-s 
d'ordine n — 3. 

Le proprietà a), 2) di una curva K rispetto alla F, si traducono in proprietà 
della K rispetto alle sezioni piane di una stella col centro fuori della Fo in un 
punto semplice di essa, le quali d'altra parte (per la dimostrazione analoga a quella 
citata) sono caratteristiche per la K. Si ha dunque: 

La condizione necessaria e sufficiente affinchè la K sia la sezione della F (dotata di 
punti multipli isolati distinti) con una superficie w,-3 d'ordine n.— 3 aggiunta alla F 
stessa, è che la K.: 


198 FEDERIGO ENRIQUES 


a) seghi un gruppo canonico sopra ogni sezione generica della F con un piano 
appartenente ad una stella il cui centro O è fuori della Fo è semplice per essa, 

8) seghi un gruppo contenuto in uno appartenente alla serie somma della canonica 
colla serie differenza di quella segata dai piani per O e di quella individuata dal gruppo 


dei punti base semplice del fascio, sopra la curva generica d'un fascio segato da piani per O. 


Si supponga che le sezioni piane della F di genere tr sieno le curve di un sistema 
generico 00° immerso in un sistema completo (0) di dimensione r > 83 (e necessaria- 
mente semplice). Le curve © si facciano segare sulla superficie trasformata @ dagli 
iperpiani di S,: il sistema delle sezioni piane della F viene segato dagli iperpiani 
per un S,_; di S, non incontrante la 9. Dato un altro S,_; non incontrante la @ in 
S, si può sempre costruire una serie di S,_; in S, (avente per estremi i due dati) tale che 
due S,_; consecutivi giacciano in un S,_3 senza intersezioni colla g. Allora una curva 
K che gode delle proprietà a), 5) rispetto al primo sistema 008 (quando le sue curve 
sieno fatte segare dai piani di Ss), gode delle proprietà a), 8) rispetto alle curve della 
rete data dagli iperpiani per S,_3 (che vien segata dai piani d’una stella col centro 
fuori di F, quindi gode delle proprietà «), 2) rispetto al 2° sistema 00° immerso in 
(C) e così via fino all'ultimo (supposto che tutti questi sistemi sieno semplici). 

Allora traducendo in linguaggio invariantivo le proprietà a), 8), @), 6) si può 
enunciare il teorema: 


Stia (C) un sistema completo semplice di dimensione r =>3 dotato di curve fonda- 
mentali distinte, e sia K una curva la quale goda delle due proprietà seguenti: 


a) di segare un gruppo canonico sopra la curva generica di una rete generica 
immersa in (C), 

B) di segare sopra la curva generica di un fascio contenuto nella rete un gruppo 
contenuto in uno appartenente alla serie somma della serie canonica e di quella diffe- 
renza tra la serie segata dalla rete e quella individuata dal gruppo dei punti base sem- 
plici del fascio; allora la curva K gode le due proprietà caratteristiche seguenti: 

a) sega un gruppo canonico sopra ogni curva generica di (0), 

b) sega sopra la curva generica d’un sistema 0 residuo di una curva fonda- 
mentale di (C) un gruppo contenuto in uno appartenente alla serie somma della serie 
canonica e della serie differenza fra quella segata sulla curva da (C) e la serie carat- 
teristica del sistema 00°. 

La curva K è caratterizzata dal fatto di essere la sezione (fuori della linea. mul- 
tipla) della superficie F_ d'ordine n ottenuta facendo segare dai piani di Sg, 03 curve 
generiche di (C), con una superficie w,-s d'ordine n — 3 aggiunta ad essa F. Perciò le 
curve K compongono un sistema lineare che si dirà il sistema aggiunto di (C). 

Se si tratta di una superficie di genere p > O, le proprietà a), 0) rispetto ad un 
sistema (C) con punti base distinti (1), competono alle curve composte di una curva € 
(di (C)) e di una curva canonica aumentata dei punti base di (0) (cfr. cap. II, $ 3), 


rl 


(1) Ossia tali che in nessuno di essi le curve C hanno una tangente fissa. Sebbene introduca 
costantemente questa ipotesi per non entrare in una analisi troppo minuta, non sarebbe difficile 
estendere molti resultati anche al caso in cui (C) abbia punti base di arbitraria natura, come si fa 
nel piano colla considerazione delle singolarità straordinarie delle curve. 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 199 


e quindi evidentemente anche alle curve del sistema (normale) somma di (C), del 
canonico, e delle curve rappresentate dai punti base di (C). 

Viceversa consideriamo il sistema (K) aggiunto di (0). Sulla curva generica € 
di (C) una K di (K) sega un gruppo canonico per il quale passano oltre la K. 00° 
curve del sistema aggiunto spezzate nella C ed in una curva canonica aumentata 
dei punti base (o curve eccezionali corrispondenti) di (C), quindi pel detto gruppo 
canonico passano almeno 00° curve di (K); ma per il gruppo non possono passare 
più di co” curve K giacchè altrimenti vi sarebbero più che 00°! curve di (K) spezzate 
nella C ed in una curva residua, la quale per le proprietà a), 8) di (C) possiede ne- 
cessariamente le proprietà caratteristiche (indicate nel cap. II, $$ 2, 3) proprie di 
una curva canonica e delle linee eccezionali (o punti base) di (C); dunque per un 
gruppo canonico sezione d'una curva irreduttibile K con una curva generica C pas- 
sano appunto co? curve K. Il sistema (K) è dunque il sistema normale somma di (0) 
col sistema canonico e colle curve eccezionali (distinte) di (C), e questo fatto si assu- 
merà come definizione per (K) se (C) non ha curve fondamentali distinte (per p > 0): 
risulta ancora (per la convenzione del cap. prec.) che (K) viene segato dalle superficie 
d’ordine n — 3 aggiunte sulla superficie d'ordine » le cui sezioni piane sono curve 
generiche di (0). 

Come ora abbiamo osservato le curve di (K) residue di una C sono curve cano- 
niche aumentate dei punti base di (C); allora consideriamo un punto base O iplo isolato 
di (C) (sopra una superficie senza curve eccezionali) e supponiamo per pura sempli- 
cità di ragionamento che (C) non abbia altri punti base. 

Staccando da (K) una curva © generica si ha un sistema residuo somma del 
sistema canonico e del punto O, ciò vuol dire che il punto O ha come residuo rispetto 
a (K) il sistema somma di (C) e del canonico; poichè il sistema canonico non ha 
punti base (è puro) il detto sistema somma ha il punto O come base iplo; ora si pos- 
sono fare due ipotesi; o il sistema (K) è spezzato nel detto sistema somma e nel 
punto O (se si vuole curva eccezionale corrispondente), oppure il punto O ha una 
tale molteplicità s per le curve K che imponendo ad una di esse di avere un altro 
punto infinitamente vicino ad O oltre agli s tenuti fissi (ossia staccando O, o se si 
vuole la curva eccezionale corrispondente, da (K)) il punto O diviene iplo per le 
curve K residue; il punto O facendo parte una sola volta delle curve K spezzate in 
una C in una canonica ed in O, segue che s=i— 1, ossia il punto 0 è (i — 1) plo 
per (K). D'altra parte (K) non può avere altri punti base fuori di quelli di (C) poichè 
un punto base O di (K) è base pel residuo del canonico e pel residuo rispetto al nuovo 
sistema di curve o punti non contenenti 0. Deduciamo : 

Sopra una superficie di genere > 0 il sistema (K) aggiunto a (C) (00° almeno) è il 
sistema normale somma di (C), del sistema canonico e dei punti base (supposti isolati) 
(0 curve eccezionali) di (C): un punto base iplo di (C) o si stacca (forse) da tutte le 
curve di (K) ed allora è iplo per le componenti irreduttibili di esso, o è base (i — 1) 
plo per (K); (K) non ha punti base fuori di quelli di (0). 


2. Dimensione del sistema aggiunto. — Le curve del sistema (K) aggiunto a (0) 
segano sulla curva generica C (di (C)) gruppi canonici; sorge la questione “ la serie 
segata da (K) sulla curva C è la serie canonica completa? ,. 


200 ‘  FEDERIGO ENRIQUES 


Con effettivi esempi (di superficie aventi il genere geometrico diverso dal nu- 
merico che avrò occasione di menzionare) si vede che può avvenire l’uno o l’altro 
caso; importa però a noi di stabilire che questo fatto è legato invariantivamente alla 
superficie e non dipende dal particolare sistema (C) considerato. 

Intanto notiamo che la questione posta equivale a quella di determinare la di- 
mensione del sistema (K) aggiunto al sistema (C) di genere m sopra una superficie 
di genere p, infatti abbiamo avuto occasione di osservare nel precedente $ che per 
un gruppo canonico della C sezione di una K (di cui la C non fa parte) passano 00° 
eurve K, quindi la dimensione di (K) èp+m—w —1 essendo w (= 0) il difetto di 
completezza della serie che (K) sega sulla C. Questa quantità w > 0 che esprime la 
differenza fra la dimensione virtuale (per dir così) p4+ n — 1 dell’aggiunto a (C) e la 
dimensione effettiva del detto sistema aggiunto, si designerà nel seguito con è (0). 

Il sistema (C) sia un sistema puro semplice (quindi 003 almeno, essendo p>0), e 
co? delle sue curve generiche sieno segate sulla superficie F dai piani di Sg; la F 
risulta senza curve eccezionali; s'indichi con (C') il sistema canonico e con (C+ Cl") 
il sistema normale somma di (C), (0'), ossia il sistema aggiunto a (0); analogamente con 
(r C+ C') il sistema aggiunto ad (rC); infine ml! designi il genere di (r C) (n! = n). 
Il sistema (r €) contiene in sè (totalmente) quello segato sulla F da tutte le super- 
ficie 9, di ordine 7; dato un arbitrario sistema (C,) si può prendere r così grande che 
per la curva generica C, passino delle ,, e quindi (C,) sia contenuto (parzialmente) 
in (r ©); anzi per r assai elevato le @, passanti per C, non passeranno in conseguenza 
per altri elementi fissi e perciò il residuo di (C,) rispetto ad (r C) sarà un sistema 
puro (0); supponiamo ancora che (C,) stesso sia un sistema puro. 

Indicando con t,, ty i risp. generi di (C;), (0), la curva spezzata C, + ©, non 
ha fuori dei punti multipli per le curve di (r 0), altri punti multipli che i D punti 
doppi intersezioni di C,, C, (essendo (C;), (C) due sistemi puri residui un dell’altro 
rispetto ad (r C)), quindi secondo la formola di Noether che dà il genere d’una curva 
spezzata si ha: 


qaemt+mt+D_-1. 


Ora il sistema aggiunto di (r ©), ossia (r C+ C°) è anche la somma (0, + (0; 
-—- C')) ossia è la somma di (C;) e dell’aggiunto a (C,). Sopra la curva generica 0, 
(di genere ty) il sistema (C, + (01 +4 €) = (01 4- (C° + Cl’) sega una serie g (forse 
scompleta) di grado 
D+2m,—-2 
e però di dimensione 
D+rm_-2-w (wo > 0): 


se pt+ia—-1— w, (w,=òd (C;)=0) 


è la dimensione di (C, + C°), per un gruppo della serie g passano co?+71-% curve 
di (C, + C+ €’) tra cui coP+71-1-® spezzate nella C, ed in una curva arbitraria di 
(C, + C'); dunque la dimensione del sistema aggiunto ad (r C), cioè di (r C+ C0')= 
(C, + C, + C') vale 


Par tot Te ail Wi; 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 201 


ma ti+mt+D—-1i=nm”, 
quindi è 

dr C)=w, + d(C,) @(C)=w;) 
ossia 


d(rC) => d(C,). 


Dunque la quantità è (C;) relativa ad un qualunque sistema puro (C,) non supera 
l’analoga quantità calcolata per (» €) dove si prenda r assai elevato. Perciò se il 
d (» €) anzichè crescere indefinitamente con r assume un valore massimo (che sarà 
pur quello di è ((r + s) C) per s= 0), questo valore è un vero carattere invariantivo 
della superficie; effettivamente se la F ha singolarità ordinarie in guisa che si pos- 
sano applicare da un certo punto in poi le formule di postulazione di Noether per 
calcolare le dimensioni dei sistemi delle superficie (di dato ordine) aggiunte alla F 
(di ordine x), si verifica con un semplice calcolo che la dimensione del sistema ag- 
giunto ad (r ©) che contiene quello segato dalle aggiunte d’ordine n — 4 + r è (per r 
assai elevato) 


= ti 1 


dove p, è un numero indipendente da » che esprime il numero virtuale delle super- 
ficie aggiunte d'ordine n — 4 (linearmente indipendenti) e dicesi genere numerico 
della F; si ha dunque: i 


d(rO<p—p, 


e perciò il d (r C) ha un massimo K che esprime il massimo difetto di scompletezza della 
serie segata sulla curva generica di un arbitrario sistema dal suo sistema aggiunto (e 
si stabilirebbe essere = p — pi dimostrando che è completo il sistema segato sulla F 
da tutte le aggiunte di ordine assai elevato) (1). Ma ciò che a noi interessa è la 
considerazione del caso in cui K=0, e delle condizioni che permettono di trarre 
tale conclusione, a cui vogliano giungere senza occuparci della natura delle singolarità 
che la F possiede. 

Occorre premettere un lemma di geometria sopra una curva la cui dimostrazione 
si compie facilmente usando di un ragionamento adoperato dal signor Castelnuovo 
in un suo recente lavoro (2). Il lemma è il seguente: 

Sopra una curva piana d’ordine n e genere n la minima serie g di grado 
(C+1)n+42(m— 1)contenente tutti i gruppi composti dell’intersezione d’una curva ag- 
giunta d'ordine n—-3 + r e dell’intersezione d’una retta, è la serie completa somma della 


Sinio(m3) Segata dalle curve aggiunte d'ordine n—3+r, e della gi segata dalle rette. 


(1) Così risulterebbe fissata in ogni caso la invariantività di p, che i signori Zeur®en (‘ Math. 
Ann. ,, IV) e Norrzer (“ Mathem. Ann. ,, VIII) hanno stabilito soltanto con restrizioni alle singo- 
larità nascenti sulla superficie nelle trasformazioni considerate. Effettivi esempi di superficie aventi 
il genere geometrico diverso dal numerico (comunque elevato) sono stati dati dal sig. CasreLNUOvo 
(‘ Istituto lomb. ,, 1891). 

(2) “ Sui multipli di una serie lineare di gruppi di punti appartenente ad una curva algebrica , 
(‘ Circolo Mat. di Palermo ,, t. VII. 


Serie Il. Tom. XLIV. Ai 


202 FEDERIGO ENRIQUES 


Per dimostrare questo lemma osserviamo anzitutto che la serie 9g in questione 
è certo contenuta nella serie completa segata sulla nostra curva C, dalle Cn-3+(+» 
aggiunte d'ordine n —3+(r +41); basta quindi stabilire che è completo il minimo 
sistema lineare contenente tutte le curve composte d’una C,-3+r (d'ordine n — 3+ r) 
aggiunta alla C, e d'una retta: infatti il sistema delle C,-3+(+1) che sega la 9 sulla C, 
(comprese in esso sistema tutte le C,-34(r+1 per un gruppo della 9) è appunto tale 
che contiene in sè tutte le curve composte d’una retta e d'una C,-3+, e non può 
essere completo se è scompleta la detta serie g. Ora per ipotesi fra le curve Cn-3+(r+) 
vi sono quelle composte di una retta fissa @ e di una Cn-3+ che sono 


r(r-3) 
07= LTT ona 


e così pure quelle composte di una retta fissa «' e di una Cn-3+r; i due sistemi hanno 
comune il sistema delle C,-3+-n la cui dimensione è 


m—1+—1n+ 0023 


e però il loro minimo sistema somma ha una dimensione 


=>2}n_-1+rn+ eo - in —1+(-10)a+ SI 
cioè 


== 24 CL) la 


ma questo sistema è contenuto o coincide con quello delle C,-34+1 passanti per il 
punto comune ad a, a', e poichè le C.-3+(+» seganti la g sulla C, non passano tutte 
per quel punto, la dimensione del sistema delle C,-3+(+1) in questione è 


=n-14(+1)n+ftHe22 
e quindi è appunto la dimensione 


t—-14+(r+1)n+tMe2 


del sistema completo di tutte le Cn-3+(+1) € dd. 

Ritornando alla questione precedente si ha come immediata applicazione del 
lemma ora stabilito, che se il sistema (r C+ C’) aggiunto ad (r C) (dove r>1) sega 
sulla curva generica C una serie completa, lo stesso accade per ((r +1) C+ C'), e 
poichè la differenza (=> 0) fra è ((r +1)C) e è (rC) è la scompletezza w della serie 
segata da ((r +1) C) sulla €, si ha in tal caso 


I 
Pi 


d (FC) =d((F+1)0)=..... 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 203 


Un corollario di questo resultato è il seguente: se per r > 1 è d(rC)= 0, la 
superficie ha il carattere K=0; il resultato più semplice si ha per » = 2. Possiamo 
così enunciare il teorema: 

Se sopra una superficie di genere p > 0 esiste un sistema puro semplice (C) (quindi 
008 almeno) tale che il sistema aggiunto a (2 C) seghi la serie canonica completa sulla 
curva generica di (2 C) (ossia abbia la dimensione p+ 2r + n — 2 dove ni ed n sono risp. 
il genere e il grado di (C)) allora sulla curva generica di ogni sistema puro di genere TT, 
appartenente alla superficie, il sistema aggiunto sega la serie canonica completa, ossia 
esso ha la dimensione 


prTrT- 1 


In altre parole la condizione necessaria e sufficiente affinchè per una superficie sia 
il carattere invariantivo 


e—=0 
è che esista un sistema puro semplice (C) tale che 
d (20) =0. 


Il teorema verrà poi esteso anche ai sistemi impuri; dobbiamo prima illuminarne 
meglio il contenuto ponendolo in relazione colle proprietà che si riferiscono al genere 
numerico della superficie, ed ai sistemi segati su di essa da superficie aggiunte. 


3. Sistemi segati sopra una superficie dalle superficie aggiunte. — Consideriamo 
in S; la superficie F d’ordine n di genere p > 0 senza curve eccezionali, dotata di 
singolarità qualunque, le cui sezioni piane appartengono ad un sistema puro (0); 
indichiamo col simbolo w, le sue superficie aggiunte d’ordine u. Come nel $ 1 per 
le w,-3, si dimostra che le curve appartenenti al sistema (normale) somma di (C) e 
del sistema aggiunto a (C) sono sezioni della F_ con una w,_:, e però che le yw,_; 
segano sulla F un sistema normale; poichè (C) è puro le w, segano sulla F il 
sistema puro completo aggiunto a (2C) (cioè (2 C + C’) se (C’) è il sistema canonico). 
Parimente si vedrebbe ancora che le y,_} segano sulla F il sistema completo 
(3C + C’) (poichè ancora il gruppo sezione sopra una sezione piana C appartiene ad 
una curva aggiunta d’ordine n — 1). 

Supponiamo che le superficie y,--3+r (r > 1) seghino la serie completa sopra 
una sezione piana generica C della F; per il lemma di geometria sopra una curva 
stabilito nel precedente $, segue che le wn-3+(r+1) segheranno pure sopra la C la 
serie completa; allora se il sistema segato dalle w,-3+, sulla F è il sistema (r C+ C') 
completo, quello segato dalle w,-3+(r+1 è necessariamente il sistema completo 
(#+1)C+C”) e si ha (come si è visto) 


5(r0)=d ((r+ 10). 


Dunque se dè (2C)= 0 (poichè le y,... segano sulla F tutto il sistema (2 C+ C’)), 
le superficie aggiunte alla F wn_s-r (r > 1) segano pure sulla F tutto il sistema 


204 FEDERIGO ENRIQUES 


(r C+ C’). In tal caso le yn-3+, segano sulla F un sistema di dimensione p+n"#_ 1 
(essendo n” il genere di (r C)); per ogni curva sezione passano (se 7 > 3) () +1 yns+; 
linearmente indipendenti fra cui (3) spezzate nella F ed in una arbitraria superficie 
d'ordine r — 3, quindi il numero A,-.3+ della superficie yn-s+r linearmente indi- 


pendenti è dato da 
An-aur=p + m+1)L (3) (dove (3) =0 se r<3). 
Se n0 = è il genere di (C) si ha 


ne+b canMky+at+rn_-1, 
quindi 


Anopr = Aug4e-y + r+ra—14+(3), 


uguaglianza la quale significa che le w,-3+, segano sopra un piano il sistema lineare 
completo delle curve d'ordine 7 —- 3 + aggiunte alla sezione piana la cui dimen- 
sione è T+rn-2+(3). 

Ma se la F è dotata di singolarità ordinarie e se i numeri An-3+,, An-3+(r-1) 
sono quelli dati dalle formule di postulazione di Noether si deduce appunto (per 
differenza) la precedente uguaglianza (come il signor Castelnuovo ha osservato (1)): 
valendo la detta formula ricorrente (che è stata dimostrata partendo dall’ipotesi 
K=òd(2C0)=0), si conclude dunque che valgono le formule di postulazione di 
Noether per le y,-3., se valgono per le w,_3 e poichè esse dànno pi + Tr, y,-3 linear- 
mente indipendenti se p, è il numero virtuale delle y,_y (ossia il genere numerico), è 
condizione necessaria e sufficiente affinchè valgano per » assai grande le dette formule 
di postulazione che sia 


Pr Dj 


siccome effettivamente le formule di postulazione di Noether valgono per r assai 
elevato, l'uguaglianza p= p; risulta stabilita. Viceversa se p = pi valendo le formule 
di postulazione per r assai grande, si ha è (rC) =0 e quindi K=0. 

Si conclude il teorema: 

Le superficie di genere p > 0 per le quali il carattere invariantivo K= 0 allorchè 
sieno trasformate in modo da avere soltanto singolarità ordinarie (se è possibile) e non 
curve eccezionali, hanno il genere numerico pi = p, e viceversa (2). 

Poichè p, non è definito per le superficie con singolarità straordinarie assume- 
remo per esse convenzionalmente p, =p quando è K= 0. 

Possiamo enunciare il teorema (dimostrato mediante le considerazioni precedenti): 

Sopra una superficie d'ordine n di Sg senza curve eccezionali, dotata di singolarità 


(1) “ Sulle superficie algebriche le cui sezioni piane sono curve iperellittiche , (‘ Circolo Mat. 
di Palermo ,, t. IV, 1890). 

(2) Indipendentemente dai ragionamenti fatti che suppongono p > 0, tenendo conto dell’osser- 
vazione che la differenza virtuale Ar — Au-1 è la dimensione del sistema di tutte le curve d’or- 
dine u aggiunte ad una sezione piana, partendo dall’ipotesi che le formule di postulazione valgano 
per u assai grande (come accade se la superficie ha singolarità ordinarie) si prova che è pi £p e 
se p1="p le formule di postulazione valgono per le yn-4+r(r =>0). 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 205 


qualunque, avente il genere numerico uguale al geometrico > 0, (ossia K = 0), le super- 
ficie aggiunte di arbitrario ordine segano un sistema completo. 

La dimostrazione è stata data soltanto per le w,-3+, conr=0 (poichè esse 
segano tutto il sistema aggiunto ad un sistema puro il quale è un sistema puro 
normale e perciò un sistema completo), ma in vista del teorema del resto del cap. I, 
staccando successivamente sezioni piane si stabilisce la cosa in ogni caso. 

Allora adoperando il ricordato teorema del resto del cap. I si ha: 

Il sistema completo a cui appartiene una curva C sopra la superficie F viene segato 
da tutte le superficie aggiunte di arbitrario ordine che passano per una intersezione 
complementare irreduttibile della C e si comportano debitamente nei punti multipli della 
C stessa. 

È questo il complemento del ricordato teorema del resto (Restsatz, secondo 
Noether). 


4. Sistemi impuri. — Sopra la superficie F di genere geometrico uguale al nu- 
merico p> 0, le cui sezioni piane appartengono ad un sistema puro (C), si consideri 
ora un sistema impuro (C,) avente s punti base multipli risp. secondo i, dn. ..%,; 
possiamo prendere r così grande che (C;) sia contenuto in (rC) ed abbia come re- 
siduo rispetto ad esso il sistema puro (C»). Indicando con q, tt, i risp. generi di (C;), 
(C.), con t quello di (r C), e considerando che un punto jplo d’una curva le cui 
ilg—1) 

2 


tangenti stanno in un piano diminuisce di il genere della curva, si ha 


ORI ARTI 
n=m+m+D-1+r USL 


dove D è il numero delle intersezioni di una C,, con una Cs. Sia (C’) il sistema ca- 
nonico e quindi (rC +4 C') l’aggiunto di (r0), ed (rC+C' — C.) il residuo di (0) 
rispetto al detto aggiunto; ripetiamo il ragionamento del $ 2; (rC + C') sega sulla 
C, una serie di grado D+ 2 t, — 2 e quindi di dimensione D+ t) — 2 — w, (w> 0), 
sicchè la dimensione di (rC + C' — C)) è 


pt n" —D aio +, 
ossia è 


p+tm +e el 14 


Le curve d’un sistema lineare che hanno un punto jplo in un punto semplice 
di F soddisfano ad Meo condizione lineari al più; quindi le curve di (r C + C' — C) 


che hanno un punto (i. — 1) plo in ogni punto base è. plo di (0) costituiscono un 
sistema di dimensione 


=p+m-1+w; 


| questo sistema appartiene evidentemente al sistema somma di (C;) con (C’) e coi 
punti base di (C;) ossia all’aggiunto di (C,), il quale ha una dimensione < p + n, — 1; 


206 FEDERIGO ENRIQUES 


segue w= 0, e la dimensione del nominato sistema aggiunto a (C;) è quindi proprio 


pt+r 1. 

Dunque: 

Sopra una superficie F_di genere geometrico uguale al numerico p > 0, anche ogni 
sistema impuro di genere TT ha il sistema aggiunto di dimensione p + TT — 1 come ogni 
sistema puro. 

Se il sistema impuro (C;) ha i suoi punti base distinti (come supponiamo) non 
può nessuno di essi staccarsi dal sistema (K) aggiunto a (C,), poichè (K) deve segare 
la serie canonica completa sulla curva generica C,, e questa non ha come punti fissi 
gli è punti infinitamente vicini ad un punto iplo; quindi (cfr. anche il $ 1): 

Sopra la superficie F il sistema aggiunto ad un sistema impuro con punti base 
distinti è irreduttibile ed ha come (i — 1) plo un punto base iplo del nominato sistema 
impuro. 

Sopra la superficie F senza curve eccezionali di genere geometrico uguale al 
numerico p > 0 di cui le sezioni piane appartengono al sistema (puro) (0), si torni 
a considerare il sistema impuro (0') di genere T, con s punti base distinti di mol- 
teplicità i,, in... è,, e si prenda r così grande che il sistema (rC) di genere '” con- 
tenga (C) in modo che (C;) abbia come residuo rispetto ad esso un sistema puro (Co) 
di genere ,; sia ancora (C’) il sistema canonico. Il sistema (rC + C' — C,) residuo 
di (C,) rispetto ad (rC + C’) ha la dimensione 


So 
Anali nin 


(come abbiamo visto essendo w= 0); questo sistema non può avere alcun punto base 
fuori dei punti base di (C,), poichè un tal punto sarebbe base per l’aggiunto di (03); 
d'altra parte se un punto O base iplo per (C,) fosse base per (rC + C' — (3), impo- 
nendo a questo sistema di avere il punto O come (î — 1) plo si imporrebbe alla 
curva generica di esso meno di Lal condizioni lineari e ne conseguirebbe che 


la dimensione del sistema aggiunto a (C;) sarebbe > p +, — 1 mentre ciò è im- 
possibile; si conclude che staccando (0;) da (rC + C’) il sistema residuo (r © + C' — 0.) 
non può acquistare punti base, ossia è un sistema puro. Consideriamo il sistema 
(»C — C3) residuo di (C’) rispetto al nominato sistema (r C+ C'— C.); il sistema 
aggiunto ad (r C — C,) è la somma di (rC+C'— C,) coi punti base eventuali di 
(rC— C;), e però ha la dimensione 


O 
Pra z suo di sil 
(numero esprimente la dimensione di (rC + C' — C,)); ma il genere di (rC — 0) è 


= ip (io — 1) 
“una 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 207 


e precisamente vale 
Ta, 
sd — 1 
Ti Ì x 2 


se (»C — C3) non ha punti base multipli e vale meno del detto numero in caso con- 
trario; tenendo conto del fatto che la dimensione del sistema aggiunto ad un dato 
sistema è uguale al genere di esso aumentato di p — 1, si conclude che (rC — C)) 
non ha punti base multipli e quindi è di genere 


n, SE 5 în da DI 
1 


ed il suo aggiunto è proprio il sistema (rC 4 C' — C,) di dimensione 
= dif — 1) 
p+m+E eV 1 


Sono dunque possibili due casi: 

o il sistema (rC — C.) è un sistema puro ed allora (C,) si ottiene da esso 
imponendo i punti base colle molteplicità i,, iv... î, alle sue curve generiche; 

o (forse) il sistema (rC — €) ha alcuni punti base semplici (conseguenza dello 
staccare (C,) da (rC)) i quali cadono in punti base di (C,), ma però coincide col 
residuo del sistema canonico (C’) rispetto al suo aggiunto (mentre in generale un 
sistema impuro è contenuto nel residuo del canonico rispetto al suo aggiunto, quando 
lo staccare il sistema canonico dal detto sistema aggiunto non tragga di conseguenza 
lo staccarsi dei punti base del primitivo sistema); allora (C,) si ottiene da (rC — C.) 
imponendo le molteplicità î,, è»... nei punti base di (C,) sieno essi base o no 
per (rC — Co). 

In ogni caso possiamo dunque concludere: 

Ogni sistema impuro (con punti base distinti) può dedursi coll’aggiunta dei suoi 
punti base, non traenti con sè lo staccarsi di alcuna altra curva, da un sistema che 
coincide col residuo del canonico rispetto all’aggiunto, il quale è puro o (forse) ha sol- 
tanto dei punti base semplici. 


5. Cenno sulle superficie di genere O. — Nei precedenti $i abbiamo escluso le 
superficie di genere O alle quali non si estende la dimostrazione del teorema fonda- 
mentale del $ 2. In virtù però delle considerazioni svolte in quel $ (cfr. anche una 
nota di esso) intorno alle formule di postulazione di Noether, ed approfittando del 
citato teorema di Zeuthen e Noether sulla invariantività del genere numerico nelle 
trasformazioni che non producono sulla superficie singolarità straordinarie, possiamo 
concludere che: 

Sopra una superficie di genere geometrico uguale al numero O, un sistema (C) sem- 
plice di genere n, tale che la superficie su cui gli iperpiani segano le curve di (C) ha 
soltanto singolarità ordinarie, possiede un sistema aggiunto DOT. 

Ora stabiliremo il seguente teorema: 


208 FEDERIGO ENRIQUES 


x 


Se sopra una superficie razionale dotata di punti multipli isolati distinti vi è un 
sistema semplice (C) (co almeno) tale che i residui delle sue curve fondamentali sieno 
sistemi di genere > O, quando la superficie sia rappresentata sul piano, il sistema ag- 
giunto a (C) viene rappresentato dal sistema delle curve d'ordine n — 3 aggiunte alle 
curve C',, d’ordine n immagini di quelle di (C), spogliato delle componenti fisse eventuali (1). 

Per la dimostrazione si consideri nel piano il sistema (C',) delle C’, e quello 
(C',-3) delle curve aggiunte d’ordine n — 3; le curve C',.3 segano anzitutto sopra la 
curva generica C’, un gruppo canonico. Sia G una curva fondamentale di (C',) e (C',) 
il sistema residuo d'ordine p: sia (C',_3) il sistema delle curve d’ordine p — 3 ag- 
giunte alle C', (le quali sono di genere > 0). Fra le C',_3 vi sono le curve composte 
G+ C',-: le quali segano sopra una C', dei gruppi di punti (individuanti la serie 
segata da C’,_3) che sommati con un gruppo sezione di una C', dànno gruppi equiva- 
lenti (cioè appartenenti alla stessa serie completa) a quelli segati sulla C°, dalla curva 
composta 0’, C’,3=(G+ C,) + C',-3. Dunque le C',_3 segano sulla C', gruppi 
della serie somma della serie canonica (segata dalle C',_3) e di quella differenza tra la 
serie segata dalle C’, e la serie caratteristica di (C’,). Tanto basta (secondo la defini- 
zione del $ 1) perchè il teorema risulti dimostrato; giacchè il sistema aggiunto a (0) 
di genere t è intal caso 007! ed è pure co7-! quello (C',_3) nel piano: le componenti 
fisse delle C',_3 nel piano rappresentano curve che si possono impunemente aggiun- 
gere al sistema aggiunto a (C) perchè essendo fondamentali per (C) non ne risultano 
alterati i caratteri essenziali di esso ($ 1). 


6. Un teorema sulla superficie del 4° ordine. — Sopra una superficie di genere 1 
(geometrico e numerico) si consideri un sistema (C) con s punti base distinti di mol- 
teplicità î,, in ...é; risp., e sia è la più alta molteplicità di un punto base. Indi- 
chiamo con (C') il sistema aggiunto a (0), con (C") l’aggiunto di (C') (0, se si vuole, 
2° aggiunto di (0)), ecc.; il sistema (0) :° aggiunto di (C) è un sistema puro da 
cui (C) è dedotto coll’aggiunta dei suoi punti base. 

Sopra una superficie di genere 1 non vi sono curve canoniche (non eccezionali), 
quindi un sistema puro di genere t è l’aggiunto di sè stesso e però ha la dimensione n 
e il grado 2(n— 1). 

Si possono classificare le superficie di genere 1 a seconda del sistema puro di 
dimensione minima che esse contengono. In questa classificazione s'incontra dapprima 
la superficie del 4° ordine, poi la superficie del 6° ordine di S, sezione d’una qua- 
drica con una varietà cubica, poi la superficie di 8° ordine sezione di 3 quadriche 
in S;, e così via; l’irreducibilità di queste superficie (generali) a quella generale del 
4° ordine seguirà dalle considerazioni che andiamo ad esporre (2). 


(1) Ossia dal sistema aggiunto puro di quello (Cn) delle C'n secondo la definizione di Castel- 
nuovo. La restrizione che i sistemi residui delle curve fondamentali di (C) sieno di genere >0 
dipende solo dal fatto che la definizione data pel sistema aggiunto non si estende al detto caso 
escluso: siccome una superficie con una rete di curve razionali è razionale, possiamo estendere con- 
venzionalmente il teorema di guisa che il sistema aggiunto risulta definito anche pei sistemi 
(C) OO” contenenti un sistema 00”-! di curve razionali. 

(2) Il sig. Castelnuovo mi segnalò le dette classi di superficie di genere 1 contenenti lo stesso 
numero di moduli delle superficie del 4” ordine e ad esse irreducibili. 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 209 


Senza toccare l'interessante questione di assegnare tutti i tipi irreducibili di 
superficie del genere 1, ci limitiamo quà a risolvere il seguente problema: 

Quando due superficie generali del 4° ordine possono essere riferite punto per punto? 

Si dimostrerà che questo avviene soltanto quando esse sono proiettive. 

Invero sì immaginino due superficie generali del 4° ordine riferite punto per 
punto; alle sezioni piane dell’una corrispondono sull’altra le 003 curve d’un sistema 
lineare, le quali se la superficie è generale debbono essere intersezioni complete di 
altre superficie (1); se esse non fossero ancora sezioni piane (cioè se le superficie 
non fossero proiettive), il sistema 00° suddetto (essendo di genere 3) avrebbe dei punti 
base multipli e quindi non sarebbe puro: ciò è assurdo perchè in una trasformazione 
birazionale d’una superficie un sistema puro è sempre mutato in un sistema puro. 
Dunque: 

Due superficie generali del 4° ordine riferibili punto per punto sono protettive. 

Si trae pure poichè gli unici sistemi puri sopra una superficie generale del 4° 
ordine sono quelli segati da tutte le superficie d’ordine #, che: 

Una superficie generale del 4° ordine non è riferibile ad altre superficie normali 
senza curve eccezionali di uno spazio superiore, tranne di ordine 4 n? nello spazio San+i 
(a sezioni iperpianali di genere 2n° + 1). 

Il teorema dato prima per le superficie generali del 4° ordine si estende a quelle 
generali d’ordine n > 4, sia collo stesso metodo, sia (anche più semplicemente) usando 
qui del sistema canonico; per modo che si conclude: 

Due superficie generali d’ordine n => 4 (in S3) si possono riferire biunivocamente solo 
quando sieno protettive. 

Il teorema non sussiste per n = 3. 


7. Osservazioni sui resultati contenuti in questo capitolo. — I resultati fondamen- 
tali di questo capitolo fondati sopra l'esistenza d’un sistema c0?+7-! aggiunto ad un 
sistema di genere tt sopra una superficie di genere geometrico p > 0 son fatti di- 
pendere dalla restrizione K=0 che si è trovata verificata se esiste un sistema puro 
semplice (C) tale che d(2C)=0. 

Poichè si tratta d’un punto fondamentale nella teoria delle superficie è interes- 
sante stabilire come la uguaglianza è (2 ©) =0 segua da quella dè (C) = 0 ove si sappia 
che la serie caratteristica di (C) è completa. Invero nel seguente capitolo verrà di- 
mostrato che ogni sistema puro ha la serie caratteristica completa se tale proprietà 
compete al sistema canonico; sebbene non sembri possa dedursi un tal fatto dalla 
restrizione già ammessa per la superficie (K= 0), pure il fatto stesso appare così 
legato alla restrizione medesima per effetto del teorema accennato che vogliamo 
dimostrare. 

Premettiamo le seguenti considerazioni fondate suilo stesso concetto che ha 
servito per il lemma del $ 2°: 

Sopra una superficie si abbiano due sistemi (0), (K); sia », la dimensione di (0), 
7; quella di (C + K), r, quella di (C+ 2 K). 


(1) Cfr. Noetner, Zur Grundlegung der Theorie der algebraischen Raumcurven, $ 11, © Abhandl. 
d. Akad. d. Wiss. ,, Berlin, 1883. 


Serie II. Tom. XLIV. B 


1 


210 FEDERIGO ENRIQUES 


AI sistema (C +2 K) appartiene il sistema 00" costituito da una curva fissa K' 
di (K) presa insieme con tutte le curve di (C + K), cioè (simbolicamente) il sistema 


(C+-K)+K': 
parimente se K" è un’altra curva di (K) a (C+ 2K) appartiene il sistema 
(C+K)+E"; 


i due sistemi (c0o” ciascuno) hanno comune un sistema di dimensione r, (cioè 
(0) +K'+K") e però il loro sistema somma ha la dimensione 


=> 2r, Fo 


Ora questo sistema è contenuto nel sistema delle curve di (C + 2 K) che pas- 
sano per le D intersezioni delle curve K', K'; se dunque sono v, le condizioni im- 
poste dal gruppo K' K" alle curve di (C+ 2 K) che debbono contenerlo, si ha: 


to = 271 — tr + Vo. 


Indichiamo con v; il numero delle condizioni che il gruppo K',K" impone alle 
curve di (C+ K), e sia r la dimensione di (K); allora per v; — 1 tra i D punti del 
gruppo K'K" passa una curva di (C + K) non contenente tutti i D punti del gruppo, 
e per r — 2 punti del gruppo medesimo (appartenente alla serie caratteristica gp" 
di (K)) si può condurre una curva K'"" di (K) non contenente tutti i D punti, la 
quale insieme con una curva di (C+ K) pei detti v. — 1 punti compone una curva 
di (C+ 2 K) non contenente tutto il gruppo K' K"; ne segue che 


v=vib+rT_-2 0 vw=>D—-1 
(l’ultima disuguaglianza valendo nel caso che sia v\+r —3 > D — 1). Si deduce 


v>2r-hb+twuktrT_-2, 
0 rr=2rr-fh+D_-1 


Ora sia (C) il sistema canonico (supposto irreduttibile, con nr =p —1= 2), e 
(K) sia un sistema puro semplice 00° di genere m e grado D, la cui serie caratteri- 
stica sia (per ipotesi) completa; inoltre il sistema (C+ K) aggiunto a (K) abbia la 
dimensione p+T — 1. 

Il gruppo della serie caratteristica completa gp" di (C), impone (pel teorema 
di Riemann Roch) 


v=aeD—-r+1 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 210 


condizioni alle curve del sistema aggiunto (C + K) che debbono contenerla; in questo 
caso è dunque: 
v=>D—- 1, (1=p+n—- 1) 
e perciò 
n= 2@tr1)_ DK D-1 


rr>p+2T1+D—2; 
e poichè 27 +D —1 è il genere n, di (C+ K) si ha proprio 
rr=p+m_1l 


(non potendo essere r, > p+ mt — 1). 

Dunque (poichè è ora è (K)= d(2K)=0) si ha il teorema: 

Se sopra una superficie di genere p > 2 (a sistema canonico irreduttibile) sì ha un 
sistema puro semplice di genere avente la serie caratteristica completa, e di cui l’ag- 
giunto è 0OP+1, per ogni altro sistema di genere TT appartenente alla stessa superficie 
la dimensione del sistema aggiunto è 


tape 


cioè la superficie ha il genere geometrico uguale al numerico. 


IV. 
Sistemi puri. — Estensione del teorema di Riemann-Roch. 
1. La serie caratteristica. — In seguito al teorema del capitolo precedente $ 4°, 


il nostro maggior interesse si rivolge allo studio dei sistemi puri, poichè dalle pro- 
prietà di questi potranno dedursi quelle di tutti i sistemi impuri ottenuti coll’aggiunta 
di punti base, non avendo in complesso a superare difficoltà maggiori di quelle che 
s'incontrano nello studio dei sistemi lineari di curve piane e di una indole non molto 
diversa. In questo capitolo parlando di un sistema (C) (ove non si avverta espressamente 
il contrario) intendiamo senz’altro che sia un sistema puro irreduttibile di dimensione 
= 2 (completo); supponiamo inoltre che la superficie di cui si tratta abbia il genere 
geometrico uguale al numerico p>0, e intendiamo che il sistema (K) aggiunto a (0) 
sia semplice, e per ciò basta che sia semplice (C) o il sistema canonico. 

Dato il sistema (C) se ne designerà con t il genere, con n il grado, con r la 
dimensione, e diremo senz’altro che (0) ha i caratteri ti, n, r. Sia (K) il sistema ag- 


212 FEDERIGO ENRIQUES 


giunto di (C) (necessariamente puro) e TT, N, R i suoi caratteri. Vi sono curve K di 
(K) spezzate in una C di (C) ed in una C' del sistema canonico (0°); una curva ge- 
nerica C o una generica C' (poichè (C), (C’') son sistemi puri) non hanno punti mul- 
tipli in punti semplici della superficie (o ipermolteplicità nei punti multipli) dimodochè 
per la formula di Noether (1) 


T=pMt+t3n-1)- n: 


due curve spezzate ciascuna in una C ed una C' si segano come due K in N punti 
quindi: 
N=pU_-1+44n—-1)— a; 
si ha poi (Cap. III, $ 2): 
R=ptn_- 1 


Si riferiscano ora le curve K del sistema (K) aggiunto a (C) agli iperpiani di 
Sp+7-1 e si consideri la superficie F_ così trasformata. 

Una curva C sta sulla F in un Sr_1 poichè vi sono 00? K spezzate in una C 
ed in una curva canonica, ossia oo’?! iperpiani per la C. Invece una curva canonica 
C' sta in un Sp+r-2-,, poichè vi sono 00° K spezzate in una C' fissa ed in una C. 
Le curve K ossia gli iperpiani di Sp+7-1 segano sulla C la serie canonica completa 
(la C è curva canonica in S7_1). Consideriamo gli iperpiani che passano per lo Sp+r—2-r 
contenente una C' e la serie che essi segano sopra una curva C; essa viene segata 
nello Sz-1 della C dagli Sz_2 contenenti l'intersezione dello Sp+r-2-, di C' e dello 
Sr-1 di C; essa è dunque completa se i 2 (t — 1) — n punti comuni alle C, 0°, in- 
dividuano l'intersezione dei 2 spazi a cui le €, C', risp. appartengono; se questo non 
accade, ed i detti 2 (mt — 1) — » punti non individuano quella intersezione, ma uno 
spazio di dimensione minore, la detta serie è invece necessariamente scompleta. Ma 
allora per la stessa ragione è scompleta (e con un difetto di completezza non mi- 
nore) la serie che gli iperpiani (S,+7-2) passanti per la detta intersezione degli spazi 
di C, 0°, segano sulla C". Ora la 1? serie non è altro che la serie caratteristica del 


x 


sistema (C), la 2° è quella del sistema canonico (C’) (suppostane l’esistenza). Dunque: 

Se la serie caratteristica del sistema canonico è completa, è completa la serie carat- 
teristica di ogni altro sistema puro (2). 

Nel seguito considereremo per ora soltanto le superficie aventi la serie caratte- 
ristica del sistema canonico completa (se p > 2). Così su tali superficie ogni sistema puro 
ha la serie caratteristica completa; ciò accade anche se p= 1 (cfr. cap. IM), e se le 
curve canoniche si compongono di quelle d’un fascio (p = 2) bastando ripetere in 
questo caso il precedente ragionamento; anche questi casi nei quali non esiste serie 


caratteristica del sistema canonico sono tra quelli che consideriamo. 


(1) © Acta Mathematica ,, 1886. 

(2) Il teorema si estenderebbe colla medesima dimostrazione anche ai sistemi impuri che coin- 
cidono col residuo del canonico rispetto all’aggiunto, notando che una curva eccezionale non ha 
intersezioni con una curva canonica. 


| 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 213 


2. Estensione del teorema di Riemann Roch. — Ci proponiamo il seguente problema: 
Quante curve del sistema aggiunto a (C) passano per un gruppo della sua serie 
caratteristica, cioè per un gruppo comune a due curve C ? 

Supponiamo dapprima il sistema (0) non speciale (cioè non contenuto nel cano- 
nico), e consideriamo il sistema (K) aggiunto a (C). Sieno mn ri caratteri di (0); 
e riferiamo le curve K agli iperpiani di Sp+,-1 in guisa da ottenere una superficie 
trasformata F, sulla quale (come prima abbiam visto) una © sta in un Sr_1. 

Due arbitrari Sr_1 contenenti ciascuno una curva C non possono esser conte- 
nuti in uno spazio a meno di p+m — 1 dimensioni, altrimenti il sistema doppio di 
(C) (contenente tutte le coppie di curve C) sarebbe contenuto nell’aggiunto (K) di 
(C) e quindi (togliendo una C da ambedue i sistemi) (C) sarebbe contenuto nel ca- 
nonico (cioè sarebbe speciale); quindi due tali Sr_1 si segano secondo uno spazio 
Sr-1 » per il quale passano co??-! iperpiani. Ognuno degli 00%! iperpiani passanti 
per S,-1-p passa per gli x punti comuni alle due curve C, quindi per gli n punti 
passano almeno co??-! curve K, ed in generale coP?-1+° con w => 0. 

La quantità w ha un altro significato notevole; invero poichè gli iperpiani se- 
gano sulla C una serie completa, quelli passanti per una C segheranno sopra un’altra 
C una serie il cui difetto di completezza è w (cfr. $ prec.) poichè gli » punti co- 
muni a due © stanno in un Sr-1-p—e immerso nello S:-1-, comune ai due Sx; che 
contengono le dette C. 

Ora questa serie è quella che le curve canoniche segano sulla curva C, la quale 
(poichè (C) è non speciale) è una 9&7_n-n immersa dunque in una serie completa 
Fira: Si vede intanto che per il gruppo di punti comune a due curve C d’un 
sistema non speciale passano 00°?-!+° curve del sistema aggiunto, essendo w il di- 
fetto di completezza della serie che le curve canoniche segano sulla ©. 

Sia ora (C) un sistema speciale, e sia r' la dimensione del residuo (s'intende residuo 
di esso rispetto al canonico), designeremo la quantità è =7' +1 col nome di indice 
di specialità del sistema. (Quando è = 0 il sistema è non speciale). Allora il doppio 
di (C) è contenuto nell’aggiunto (K) ed il residuo di questo doppio rispetto a (K) è 
il residuo di (C) (rispetto al canonico) e quindi è di dimensione +’; due S7_1 conte- 
nenti ciascuno una C sulla Fin Sp+r-1, Sono ora immersi in un Sp+r-1-: e quindi 
han comune un Sr-1-p+: per il quale passano co°?-1-' iperpiani. Quindi si conclude 
come nel caso precedente che pel gruppo comune a due curve C passano 00?2-!1+@ 
curve del sistema aggiunto, dove w = 0 è ancora il difetto di completezza della serie 
segata sopra una O dalle curve canoniche, la quale serie è dunque una g7-}_n 


(poichè essendo r' la dimensione del sistema residuo di (C) per un gruppo della serie 
passano co' = c0”#! curve canoniche giacchè una C fa parte di 007! curve canoniche) 
immersa in una serie completa g&-!5t7. Così possiamo concludere: 

Per un gruppo comune a 2 curve C d’un sistema non speciale, sopra una super- 
ficie di genere p, passano 2p + w curve linearmente indipendenti del sistema aggiunto; 
e se il sistema è speciale coll’indice di specialità i ne passano 2p — i+ w; la quan- 
tità w=0 è in ambi i casi il difetto di completezza della serie segata dalle curve ca- 
noniche sopra una curva © (1). 


(1) Il teorema può anche enunciarsi dicendo che in S3 vi sono per una retta 2p + W — è super- 


214 FEDERIGO ENRIQUES 


Diremo w la sovrabbondanza del sistema (C); questa denominazione è intanto 
giustificata dal fatto che per p=0 (quindi anche i=0) la w è la ordinaria sovrab- 
bondanza dei sistemi lineari di curve piane (1) (supposta la superficie razionale); ma 
la denominazione stessa verrà meglio giustificata quando considereremo il sistema (0) 
come segato da superficie aggiunte sopra una superficie in S; ed esamineremo la 
differenza fra la sua dimensione effettiva e quella virtuale data dalle formule di postu- 
lazione di Noether. 

D'ora innanzi parlando di un sistema dovremo considerare insieme ai caratteri 
T, 7, n già definiti anche la sua sovrabbondanza w; sew=0 diremo il sistema re- 
golare. I caratteri tt, r, n, w (ed è, cioè l’indice di specialità, se si tratta d’un sistema 
speciale) di un sistema (C) sono legati da una relazione nella quale figura il genere 
p della superficie. Invero sopra una curva C la serie caratteristica 977 (che è com- 
pleta), è residua di una serie completa go, a cui appartiene quella 987_)-n 
segata dal sistema canonico, quindi per il teorema di Riemann Roch si ha 


qo_-l_-n+ra=ptbtw—-i 


dove è î=0 se (0) è non speciale. 

Questa relazione dà un'estensione alla superficie (e per ora soltanto pei sistemi 
puri) del teorema di Riemann Roch relativo alle serie lineari appartenenti alle curve 
algebriche. Si può enunciare il resultato sotto la forma seguente: 

Per un sistema puro non speciale di caratteri ©, r,n,w sì ha: 


m_-1_-n+r=ptuw(2) 


Se un sistema speciale puro di caratteri ©, r, n, w ha un sistema residuo di di- 
mensione 1’ si ha: 


vr =p_-TnT+nan—r+u 03). 


ficie linearmente indipendenti d’ordine n — 3 aggiunte ad una d’ordine x e genere p, quando le 
sezioni piane appartengono ad un sistema (puro) d’indice di specialità è e sovrabbondanza w, essendo w 
il difetto di completezza del sistema delle curve d’ordine n —4, segato sopra un piano dalle ag- 
giunte d’ordine n — 4. 

(1) Cfr. CasreLnuovo, “ Accademia di Torino, Memorie ,, 1891. 

(2) Enunciando questo resultato sotto forma proiettiva si ha l’ estensione del noto teorema di 
Clifford per le curve (“ Phil. Transactions ,, 1878). 

(3) Non si creda che possa prendersi sempre in queste formule w=0. Basta per ciò considerare 
gli esempi seguenti: 1° il sistema segato dalle quadriche sopra la superficie del 5° ordine dotata 
di un punto triplo; 2° il sistema segato dei piani sulla superficie del 7° ordine con due punti tripli 
ed il residuo segato dalle quadriche per i due punti. 

Il 2° teorema sotto la forma 


r=>p_n+n—r 


è stato dato dal sig. NoeraER (‘ Comptes rendus ,, 1886) con una dimostrazione non differente da 
quella qui usata: mancano solo là le restrizioni da noi introdotte, che appariscono necessarie per 
dimostrare come la serie caratteristica di un sistema (C) sia completa (ciò che viene omesso), ed 
il teorema appare qua completato essendosi assegnato il significato di w. 

I due teoremi enunciati vengono poi estesi anche ai sistemi impuri. 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 215 


8. Sistemi speciali residui uno dell'altro. — La relazione precedentemente trovata 
permette di esprimere in funzione dei caratteri di un sistema speciale la dimensione 
del residuo, nell'ipotesi che il dato sistema sia puro; la restrizione stessa è in ge- 
nerale soddisfatta quando si considerano due sistemi residui uno dell'altro di dimen- 
sione > 2 in relazione reciproca (0), (C’). 

Sieno (C), (0') due sistemi puri residui uno dell’altro (di dimensione > 2), espri- 
miamo tutti i caratteri n’, »", n’, w' dell’uno (C') in funzione di quelli tr, r, n, w del- 
l’altro (C), o viceversa. 


Sia al solito p'” il 2° genere della superficie, e sia D il numero dei punti comuni 
ad una curva C ad una C°'. Poichè il sistema canonico è la somma di (€), (C’) usando 
di note formule già adoperate, sì ha: 


pVa=nt+rv+D_-1 
(A =) pY—_-1=n+an'+2D, 
e, poichè una curva canonica incontra una C in 2(r — 1) — » punti, 
?2n+D=  2(n- 1) 
Mediante l’ultima relazione eliminando D si deduce 
D= 2-1) — 2w 
pYO =3n-1)+n — 2a 
pV—1=% +4n-1)— 8a; 
siccome poi sottraendo segue 


N — CT — RT 


e si ha 
rtrap_ntbtn+w=p_-Tt0+a'4uw, 


così si deduce: 


Dunque: Fra i caratteri n, r, n, w, m', r', n, w', dei due sistemi speciali (puri), (C), 
(0’) residui uno dell’altro, di dimensione > 1, sussistono le relazioni 

(i r=p_nTt+nan—-rk+w 

| m= più — 8(l-1)+ 2 
CSO 


wii = fw n=» — n). 


216 FEDERIGO ENRIQUES 


4. La sovrabbondanza. Dimensione virtuale d’un sistema. — Il concetto della so- 
vrabbondanza d’un sistema (C) cui siamo giunti partendo dalla considerazione delle 
curve del sistema aggiunto a (C) che passano pel gruppo comune a due curve C, è 
suscettibile di ricevere un’altra interpretazione, cui già ho accennato, la quale rende 
meglio ragione della denominazione scelta. 

Si consideri un sistema (K) di caratteri TT, R, N, 2, I (dove l’indice di specia- 
lità I= 0 se (K) è non speciale) ed un sistema (C) contenuto in esso e residuo di una 
curva 0"; sieno q, r, n, w, i i caratteri di (C), e la curva C' sia di genere n’ incon- 
trata in D punti da una curva €. i 

Supponiamo che la C' non abbia punti multipli in punti semplici della super- 
ficie (o ipermolteplicità nei punti multipli) di guisa che, essendo (C) un sistema puro, 
una curva C+ C' non abbia altri punti multipli che non siano tali per le K eccetto 
i punti doppi intersezioni di una C e di una C', allora si ha: 


M=et+tWLD= 1 


Una curva K incontra una curva K spezzata in una C e nella C' in N punti; 
d'altra parte una curva K spezzata in una C ed una C' incontra una C in n+4D 
punti, quindi una K incontra la C' in D' punti dove: 


N=n+D+D. 


Ora il sistema (K) sega su C' una serie gì-"-1; se indichiamo con e il difetto 


di completezza della serie e con % il suo indice di specialità si ha dunque: 


RT—-r_-1+te=D'—-qn'+% 
ossia: 

R=D'-n+h-etr4+1 

Ne segue: 
T_1-N+R=(n+q+D-—-1)-1-(n-+D+D')+ D'—n+h—-e+r+1) 
ossia: 
T-1-N+Ra=n_-1-n+r+t@%—- 0: 

d’altra parte è: 


NARO 


q_-_1l_-n+ra=ptuw_—i 
quindi 
Q_-I=zw_-ith— ©) 
ed 
wT-i=Q-IT (e An. 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 217 


Dunque: 

Se da un sistema (K) se ne deduce un altro puro (C) come residuo di una curva 
C' che non abbia punti multipli in punti semplici della superficie (nè ipermolteplicità nei 
suo punti multipli), la differenza fra la sovrabbondanza e l'indice di specialità di (0) 
è uguale all’analoga differenza per (K) aumentata dalla differenza fra il difetto di com- 
pletezza e l'indice di specialità della serie che le curve K segano sulla C'. 

Di questo teorema è utile il corollario: 

La differenza fra la sovrabbondanza e l'indice di specialità d'un sistema (C) re- 
siduo della curva C' rispetto ad un sistema regolare non speciale (K) è uguale alla dif- 
ferenza fra il difetto di completezza e l'indice di specialità della serie segata dalle curve 
K (di (K)) sulla C'. 

Per il nostro scopo occorre ancora dimostrare il lemma: 

Il sistema aggiunto ad un sistema puro (C) è regolare. 

Questo si verifica immediatamente. Infatti se tr, r, n, sono i caratteri del sistema 
(0), e TT, R, N, £ quelli del suo aggiunto, si ha: 


Tan+pO+2n-1)—-na-1 
R=pkia-1 


N=na+pY_-1+2{2m-1)— n} 
e quindi: 
TI-1-N+-R=p, 
ed 
Na #0f2cididì 


Deduciamo che sopra una superficie F_ di S; d’ordine n, senza curve eccezionali, 
le superficie aggiunte d’ordine >» — 3 segano un sistema regolare; infatti abbiamo 
già avuto occasione di osservare che le aggiunte d’ordine n — 3 + r segano sulla F 
il sistema aggiunto a quello rplo delle sezioni piane. 

Ora si consideri sulla F un sistema (C) segato da superficie aggiunte d’ordine 
> n — 4. Sappiamo che il sistema segato da tutte le superficie aggiunte d'ordine 
> n — 4 ha la dimensione che si può calcolare in base alle formule di postulazione 
di Noether, le quali in base alla convenzione p, = p (cap. II, $ 3) ed al corollario 
di Castelnuovo secondo il quale si ha l’espressione della differenza fra il numero 
delle superficie aggiunte di un dato ordine e quello delle superficie aggiunte dell’ordine 
consecutivo, debbono riguardarsi come valevoli anche per le superficie dotate di singo- 
larità straordinarie. Se vogliamo calcolare secondo queste formule di postulazione la 
dimensione che dovrebbe competere al sistema (C), dobbiamo far passare per una curva € 
(di (C)) un'aggiunta d'ordine n — 3+! (=> 0), w.-3+, la quale seghi ulteriormente 
la F in una curva C' (che possiamo supporre non avente punti multipli in punti sem- 
plici della superficie) e vedere quante condizioni la C', unita al gruppo base, imponga 
ad una y,-3: che debba contenerla. Possiamo dire che il numero così calcolato (che, 
per così dire dovrebbe esprimere la dimensione del sistema (C)) è la dimensione vir- 
tuale del sistema (0); ma può sorgere il dubbio che questo numero vari con 7, 0 
muti rifacendo la costruzione per una superficie trasformata. 

Serie II. Tom. XLIV. ci 


218 FEDERIGO ENRIQUES 


A questa questione rispondono i risultati precedenti. Infatti quando uniamo la 
C' al gruppo base delle yn-3+, e vogiiamo calcolare l’effetto prodotto sulle formule 
di postulazione, noi veniamo in sostanza a considerare la serie 9g, segata da tutte 
le w,-3+: sulla C' (di genere T') come completa e non speciale, ed allora la sua di- 
mensione vien data dal teorema n —%= q'; il numero p così calcolato è la dimen- 
sione virtuale di (0), ed in base al calcolo precedente (poichè il trinomio (TM —1—n+- p 
non differisce dall’analogo calcolato per il sistema regolare non speciale segato dalle 
Wn-341) sì ha: 

o—-l1_-n+p=p. 


Se vogliamo la dimensione effettiva » dobbiamo introdurre la differenza 6 fra 
il difetto di completezza e l’indice di specialità della serie che le w,_-3+: (ossia le 
curve del sistema regolare non speciale che esse segano sulla superficie) segano sulla 
C', e si avrà: 


r=pt 0, 


dove 0=w— 3; cioè si avrà appunto come abbiamo trovato 


mu_—-1l1_-n+r=ptw_- di. 
Concludiamo: 
La dimensione p (virtuale) di un sistema puro (C) calcolata facendo segare il sistema 
(C) da superficie aggiunte d'ordine > n — 4 sopra una superficie d'ordine n (in S3) priva 
di curve eccezionali, è un carattere invariantivo del sistema (C) e coincide colla dimensione 
effettiva se il sistema è regolare non speciale, in modo che si ha: 


q_—_1_-n+p=p. 


La differenza (w — i) fra la sovrabbondanza e l'indice di specialità di (C) è uguale 
allu differenza (r — p) tra la dimensione effettiva e quella virtuale del sistema stesso. 

Così la denominazione di sovrabbondanza data alla quantità w (definita nel $ 2) 
appare pienamente giustificata. Di più è interessante notare che él teorema stabilito 
sussiste indipendentemente dalla completezza della serie caratteristica del sistema cano- 
nico (1) (da cui segue quella di (C)) e quindi unche prescindendo da quella ipotesi si 
ha la relazione: 


qT—1l_-n+r=pthirw—-i 
dove la sovrabbondanza w è definita dalla uguaglianza 
wT-di=T — p. 


Solo non risulta così che sia sempre w = 0 come si è riconosciuto sotto la pre- 
cedente restrizione, ma questo resultato sarà stabilito nel successivo $ al di là di 
un certo limite per r. 

Il teorema stesso si estende ai sistemi impuri (C') normali, dedotti da (C) coll’ag- 
giunta di s punti base di molteplicità hy, hs . . . h;; infatti i caratteri n', n°, #', w', è’ di (C’) 
si esprimono per quelli di (C) mediante le formule: 


(1) Infatti nel dimostrarlo non si è tenuto conto di quella ipotesi. 


REA ZA 7 


Pre TT 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 219 


hh 1) 
a 


men i sv — ina dine — pr See 1) ZERO 


(dove 6= 0 è il numero dei legami tra i detti punti base) dimodochè risulta 


mu_—-1_-n' +#z=n_-1_-n+tr+ 0; 
d'altra parte è = i (poichè (C') e (C) hanno lo stesso sistema residuo) e la dimen- 
sione virtuale p' di (C’) vale 


p=p — ESE, 


sicchè sì conclude: 
n_l1_-an+ra=pt+u—i w_=wt+ 6) (1) 


Ora è opportuno rilevare una differenza peculiare che si presenta fra lo studio 
delle serie complete lineari di gruppi di punti sopra una curva e quello dei sistemi 
lineari di curve sopra una superficie. Nella geometria sulle curve di genere m si 
presentano accanto alle serie gir non speciali la cui dimensione è data dal teorema 
n-—-r =mt quelle speciali la cui dimensione è, per così dire, superiore a quella vir- 
tuale, quindi per una gi completa il binomio n — r, che di regola può considerarsi 
uguale al genere della curva sostegno, non supera mai questo genere T, ed è 
n—-r<% solo quando la gr è contenuta in una data serie (la canonica 97,7). Nel 
piano la dimensione di un sistema lineare normale può superare quella virtuale (se 
vi sono legami tra i punti base), ma non può esserle inferiore; per così dire una sola 
causa perturbatrice opera anche qui in un solo senso sulla dimensione del sistema, 
ma a differenza di quel che avviene sulle curve la causa perturbatrice non cessa 
con lo elevarsi dalla dimensione del sistema (ma solo coll’elevarsi della dimensione 
in confronto al genere). 

Sulle superficie, di genere qualunque, vi sono in generale due cause perturba- 
trici opposte per le quali la dimensione effettiva può differire dalla virtuale; l'una 
dipende dall’esser il sistema contenuto nel canonico ed opera quindi limitatamente 
(come per le curve, ma in senso opposto), l’altra opera invece (come vedremo) su 
sistemi comunque elevati (come nel piano) ed è legata (pure come nel piano) alle 
curve fondamentali del sistema (2). Per ciò la opportunità di dare due nomi diversi 
(sovrabbondanza e indice di specialità) ai caratteri modificatori della dimensione che 
provengono dalle due cause nominate, giacchè introducendo soltanto la loro diffe- 
renza (w —i=7r — p) si avrebbe un termine correttivo algebrico, ma si presenterebbe 
allora come regolare un sistema speciale sovrabbondante in cui w=4, un sistema 
cioè che (dal punto di vista geometrico) apparisce doppiamente irregolare. 


(1) Pei sistemi di curve piane sussiste pure la relazione t—1—n+r=w (p=0; i=0) con- 
tenuta essenzialmente nel teorema del sig. Segre (£ Circolo Mat. di Palermo ,, t. I) o in quello del 
sig. Casrernvovo (“ Accad. di Torino, Memorie ,, 1891, pag. 24). 

(2) Così anche segando sopra una superficie un sistema mediante le superficie per una curva, 
l'errore nell’applicazione delle formule di postulazione dipende dall’ esser scompleta o speciale la 
serie che le superficie postulabili segano sulla curva. 


220 FEDERIGO ENRIQUES 


5. Un teorema sulla sovrabbondanza. — Per un sistema puro o impuro (C) di 
caratteri tr, 7, », w, î, sopra una superficie di genere p, siamo pervenuti alla relazione 


tnq_-1l1-n+r=ptw—-i, 
o, introducendo la dimensione virtuale p, all’altra 
q_—-l1l1_-ntp=p, 


ed abbiamo visto che w = 0 supponendo che la serie caratteristica del sistema ca- 
nonico fosse completa, poichè di là abbiamo dedotto che la serie caratteristica di 
un sistema puro doveva pure esser completa; si sono esclusi soltanto i sistemi im- 
puri dedotti coll’aggiunta di punti base da un sistema con soli punti base semplici 
coincidente col residuo del canonico rispetto al suo aggiunto (anzichè puro), ma anche 
per quelli sarebbe facile dimostrare come sussista la relazione precedente lievemente 
modificata (aggiungendo al grado il numero dei detti punti base semplici). 

Quando non si sa nulla circa la completezza della serie caratteristica del sistema 
canonico e quindi del sistema puro da cui (C) è dedotto, rimane incerto il segno 
di w, che soltanto può asserirsi essere non minore della sovrabbondanza del corri- 
spondente sistema puro. 

Vediamo cosa possa dirsi del segno di w prescindendo dalla detta ipotesi; pos- 
siamo supporre (senza restrizione), che (C) sia un sistema puro (di caratteri t, x, 7, 
w, i); indichiamo con (K) l’aggiunto a (C) di caratteri TT, N, R, 2 (I=0). 

Secondo quel che abbiamo dimostrato, se è 0 il difetto di completezza della 
serie dr, segata da (K) sopra una curva canonica (generica) C' diminuito 
dell’indice di specialità della medesima serie 9, sussiste la relazione 


TI-1-N+Ra=n-1-nan+r-wti=n-1-n+4r-0(=p): 


poichè è = 0 se anche 0= 0 segue necessariamente w = 0. 
Basta dunque perchè si possa concludere che w= 0, sapere che la serie 9g se- 
gata da (K) sulla C' è non speciale, come ad esempio se 


2m_-1)_-n>pY_- 1 


È notevole il fatto che questa circostanza può essere accertata soltanto col pren- 
dere r abbastanza grande. Appunto la determinazione di questo limite per r forma 
l'oggetto di questo $. 

Per ciò che abbiamo notato alla fine del $ 1 si può supporre qui che sia p > 2 
e che il sistema canonico sia irreduttibile. 

Supponiamo dapprima che il passaggio per un punto di una curva canonica 
tragga di conseguenza il passaggio di essa per un altro punto coniugato della detta 
curva supposta iperellittica; allora (secondo Noether) (1) è 


ME 


(1) “ Math. Ann. ,, VIII. 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 22] 


Sia (C) un sistema puro di dimensione 


Se (C) è speciale deve essere 


r=p—l1l 


e però (C) è il sistema canonico per il quale w= 0. 

Se (C) è non speciale (è = 0), ma contiene il sistema canonico, la serie segata 
dall’aggiunto (K) sulla curva canonica C' è non speciale o è (forse) la serie cano- 
nica; nel 1° caso w = 0; il 2° caso è impossibile giacchè (C) conterrebbe totalmente 
il sistema canonico (poichè la C e la C' hanno pl — 1 punti comuni) e quindi avrebbe 
lo stesso grado di esso (cap. I) mentre esso è normale (anzi completo). Infine se (0) 
non contiene il sistema canonico pur essendo non speciale, la serie segata da (0) 
sulla C' è una serie g di dimensione r e però (secondo un noto teorema di Clifford) 
di grado > 27, cioè di grado = p‘! — 1; ma la serie g potrebbe avere soltanto il 
grado 2r se fosse r= p! — 1, quindi la detta serie ha il grado > pU —1; ne 
segue che l’aggiunto (K) di (C) sega sulla C' una serie di grado > 2 p! — 2 e quindi 
non speciale, ed in conseguenza è 


we 0. 


Suppongasi invece che il sistema canonico sia semplice; allora è (sempre secondo 
Noether): 


2p_-2<pUM—-1 


(anzi, secondo Castelnuovo (1) pY >3p — 6); perciò se la dimensione r di (C) sod- 
disfa alla disuguaglianza 


pA 1 


I == in 


2 


; 


si har > p— 1 ossia (C) è non speciale, e col ragionamento precedente segue 
P p 8 


wa 0. 

Dunque: 

Pur prescindendo dalla completezza della serie caratteristica del sistema canonico, 
per ogni sistema lineare appartenente ad una superficie di 2° genere p!, avente una 
dimensione 

Di 
RE D ) 1 


la sovrabbondanza 
(e se il sistema non è il sistema canonico esso è non speciale, sicchè n —1—n+r>= p). 


(1) “ Istituto lombardo ,, 1891 (Nota Il). 


222 FEDERIGO ENRIQUES 


Me 


Le curve fondamentali. 


1. Preliminari. — Mi propongo ora di esaminare le proprietà dei sistemi lineari 
in relazione alle loro curve fondamentali; siccome capiterà qui sempre di conside- 
rare la differenza tra la sovrabbondanza e l’ indice di specialità (cioè quella » — p 
tra la dimensione effettiva e la virtuale) indicherò qui con 8 questa quantità (che 
prima avevo designata con w — i), e così 0 sarà ora la sovrabbondanza (= w) quando 
sì tratta d’un sistema non speciale; indicherò ancora con q, r, n, gli altri caratteri 
d’un sistema (C) e supporrò che (0) sia un sistema semplice (r = 3) dedotto coll’ag- 
giunta di punti base distinti da un sistema puro. Supporrò inoltre la superficie 
avente il genere geometrico uguale al numerico p > 0. 

Come già abbiamo detto, una curva fondamentale di (C) è una curva K che pre- 
senta una sola condizione ad una © che debba contenerla; escluderò che essa possa 
essere rappresentata da un gruppo di punti semplici sopra una superficie trasformata; 
per la definizione il sistema residuo della K rispetto a (0) è c0'7; noi supporremo 
che esso soddisfi alla restrizione di avere punti base distinti e di esser dedotto me- 
diante l’aggiunta di essi da un sistema puro. Le curve © si facciano segare sulla 
superficie F dagli iperpiani di S,: alla K corrisponde un punto multiplo O, quindi 
una curva fondamentale non ha intersezioni variabili col dato sistema ma ha qualche 
intersezione variabile col residuo. Gli iperpiani per O non hanno altri punti fissi sulla F, 
quindi includendo in K il gruppo di tutte le curve (e punti) che corrispondono ad 0, 
lo staccarsi della K da (C) non trae di conseguenza lo staccarsi di altre curve; è 
quanto dire che lo staccarsi da (0) d'una curva fondamentale può trarre solo di con- 
sequenza lo staccarsi di altre curve fondamentali le quali tutte compongono insieme una 
curva fondamentale K. 

Quando si fan segare sulla F le curve C di (C) dagli iperpiani di S,, nella tras- 
formazione che così viene ad eseguirsi ad ogni punto della primitiva superficie che 
sia base iplo per (C) viene a corrispondere una curva eccezionale d’ordine i sulla F. 
Ora una curva eccezionale d’ordine î che abbia il punto O come p plo viene proiet- 
tata da O in una curva d’ordine è — p eccezionale per la superficie proiezione della F, 
e si deve notare che la curva d’ordine è (che corrisponde ad un punto) non può es- 
sere spezzata e però è è > p tranne per îi=p= 1; così si deduce: Il sistema re- 
siduo della curva fondamentale K rispetto al sistema (C) ha come punto base iplo ogni 
punto iplo di (C) fuori della K; la curva K può avere una molteplicità p < i in un 
punto base iplo per (C) con i > 1, e solo un punto semplice (p =i="1) in un punto 
base semplice di (C), ed allora il residuo della K ha un punto base (i — p) plo (e non 
di molteplicità più elevata) nel detto punto base iplo di (0). 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 223 


Questa deduzione (importa notarlo) è fondata sull’ipotesi fatta che il sistema (0°) 
residuo di K rispetto a (C) abbia solo punti base distinti, e quindi i tangenti varia- 
bili in un punto iplo. 


2. Una relazione fra i caratteri d’un sistema, il genere d’una sua curva fondamen- 
tale ed è caratteri del residuo. — Se una curva K è comunque composta con parti 
irreduttibili distinte C,... C, di generi ti, t»... t,, e se C,, €, hanno i» punti 
comuni, il genere della curva composta è (secondo Noether) 


TUaerntpbtmt.. + tii—s+1 


dove la X va estesa a tutte le combinazioni di valori diversi » e p (come già ab- 
biamo avuto occasione di ricordare). 

La curva K=C, + C+... + €, sia una curva fondamentale per il sistema 
(C) (nella quale per convenzione sono incluse tutte le componenti, anche punti, che 
si staccano da (C) quando si stacca una componente); i generi t, t,..., sieno 
calcolati prescindendo dalle molteplicità delle curve C,, C3... C, fuori dei punti 
base di (C), inoltre il genere di un punto 4 plo (componente K) sia 0 come quello della 
curva razionale d'ordine è che gli corrisponde sulla superficie su cui gl’iperpiani se- 
gano le curve C' residue di K rispetto a (C). Diremo TT il genere della curva fonda- 
mentale K di (C), che non ha (per ipotesi) componenti multiple, calcolato in base alle 
convenzioni precedenti. 

Sieno m, x, n, 9 i caratteri di (0), n’, 7, 2, 0' quelli del residuo (C’') di K. Una 
curva composta C' +4 K ha (per il teorema del $ precedente) le stesse molteplicità 
d'una curva generica C nei punti base di (0); allora se indichiamo con è il numero 
delle intersezioni variabili della K con una l' cioè (come diremo) il grado della K, 
sì avrà: 


oe=t+ITt+i—- 1; 


d'altra parte se si fan segare le curve C da iperpiani, il punto O che viene a cor- 
rispondere a K sulla superficie trasformata è iplo per quella superficie, quindi 


n= + i 


(infatti nel numero î sono comprese le intersezioni che una C’ ha con ogni compo- 
nente di K ed in particolare anche coi punti che risultano hpli per (C’)). 
Si deduce: 


t-1i1-n+tr=at-1-#+r<4T; 
ma 
tq_-1—-n+r=ptkt9 
t—-1—-n'+r=pt 90, 
quindi 
ICE NIE 


224 FEDERIGO ENRIQUES 


Dunque si può enunciare il teorema: 

Se il sistema (C) possiede una curva fondamentale K di genere TT (priva di com- 
ponenti multiple), ed avente come residuo il sistema (C'), fra è caratteri 0, 0", dei sistemi 
(C), (0) sussiste la relazione 


E EDESSA 0 I) 


(ossia wu—it—(w —()= TT. 


3. Sistemi regolari. — Suppongasi in questo $ che se il sistema canonico è irre- 
duttibile con p > 2, la sua serie caratteristica sia completa; i resultati più restrittivi 
a cui si perviene prescindendo da questa ipotesi si stabiliranno facilmente in modo 
analogo riferendosi al cap. IV, $ 5. 

La relazione stabilita nel precedente $ stabilisce un interessante legame fra la 
sovrabbondanza d’un sistema ed i generi delle sue curve fondamentali quando p. es. 
il sistema residuo delle curve fondamentali sia non speciale, e perciò basta che la 
sua dimensione sia > p — 1, o il suo grado > p'! — 1. Noi vogliamo trarre da 
quella relazione alcuni utili corollari. 

Se un sistema (C) di dimensione > p ha una curva fondamentale K di genere TT, 
il residuo (C') ha la dimensione > p — 1 e quindi è non speciale; allora i carat- 
teri 0, 9', di (C), (C’) sono le loro sovrabbondanze w, w' (sempre positive); in questo 
caso la relazione precedente ci dà: 


wi TI. 

Di qui il corollario: 

Un sistema regolare di dimensione > p non ha curve fondamentali di genere > 0. 

Per trarre la deduzione enunciata bastava conoscere in qualsiasi modo la non 
specialità di (C'), e quindi sapere per es. che il suo grado è > p! — 1; per ciò 
basta che il grado di (C) superi p" — 1 aumentato del grado di K. 

Di qui il teorema: 

Se un sistema regolare (C) ha una curva fondamentale K, tale che il grado di (0) 
supera il grado di K aumentato di pò — 1, la curva fondamentale K è di genere O. 

Se un sistema regolare ha una curva fondamentale di genere TT, il residuo (C') 
ha il carattere 


Oi 002 
ma 
dii: we) 


e quindi 6 < 0, sicchè 0' < — TT; ora 


quindi 


Dunque: 
Se un sistema regolare ha una curva fondamentale di genere TT, il residuo è spe 
ciale con un indice di specialità maggiore del precedente almeno di TT. 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 225 


Ora si consideri un sistema speciale co”?; sulla superficie canonica (ottenuta 
facendo segare dagli iperpiani di S,_; le curve del sistema canonico supposto sem- 
plice) esso è segato dagli iperpiani per un punto, e però ha come residua una curva, 
ossia il suo indice di specialità è 1 come quello del sistema canonico (00°). 

Si deduce: 

Il sistema canonico, se è semplice, non ha curve fondamentali di genere > 0. 

In modo analogo si dimostrano i corollari: 

Un sistema regolare vo” non può avere altre curve fondamentali di genere > 0, 
tranne tutt'al più una sola curva fondamentale di genere 1 (che ha per residuo il sistema 
canonico). 

Un sistema regolare co” non può avere altre curve fondamentali di genere > 0 
tranne curve fondamentali di genere 1 (ed allora è non speciale). 


4. Sistemi multipli d’un sistema. — Se si hanno sopra una superficie F due si- 
stemi (C), (C’), che possono supporsi segati da due sistemi lineari di superficie, il 
sistema somma dei due sistemi di superficie sega sulla F un sistema lineare di curve 
contenente tutte le curve composte C+ l'; questo sistema appartiene ad un deter- 
minato sistema normale che si è detto il sistema somma di (C), (C') e si è indicato 
con (C+ C'); si è detto poi mplo di (C) ed indicato con (m €) il sistema somma di 
m sistemi (C), cioè il sistema normale contenente tutti i gruppi di mm curve C. 

Enuncio alcuni lemmi di facile dimostrazione: 

Se una curva irreduttibile è fondamentale per il sistema (C) essa è fondamentale 
per (mC). A 

Se una curva irreduttibile è fondamentale per (mC) essa è fondamentale per (0). 

Se una curva irreduttibile è fondamentale per (C) ma non per (C') essa non è fon- 
damentale per (C -|- 0°). 

Le dimostrazioni di questi lemmi si fondano sulla considerazione che una curva 
irreduttibile non avente intersezioni variabili con quelle d’un sistema è fondamentale 
per esso e viceversa. 

Come abbiamo avuto occasione di osservare nel cap. III se (C) è puro, il sistema 
(m C) per m assai grande contiene un altro arbitrario sistema, in particolare il cano- 
nico, in modo che il residuo di questo rispetto ad (m €) (disposto convenientemente 
di m) è un sistema puro (K) di dimensione elevata quanto occorre. 

Se si suppone che (0) abbia solo curve fondamentali irreduttibili di genere O 
(distinte), lo stesso avverrà per uno dei precedenti lemmi pel sistema (C+ K). Si fac- 
ciano segare 003 curve generiche di (C+ K) dai piani di Sy sulla superficie F_ e si 
supponga per semplicità che essa sia dotata soltanto di curva doppia e punti multipli 
ordinari; ad una curva fondamentale (di genere 0) del sistema corrisponde un punto 


multiplo secondo d a cono osculatore irreduttibile di genere 0; un tale cono ha 

= Meca generatrici doppie (o generatrici multiple equivalenti), le quali rappre- 

sentano altrettanti rami della curva doppia della F passanti per esso, giacchè una 

generatrice doppia del cono non tangente alla curva doppia rappresenterebbe un punto 

doppio della curva fondamentale del sistema (C + K) che non andrebbe computato 

nel genere della curva ($ 2). Allora si considerino le curve del sistema ((m + 1) ©), 
Serie II. Tom. XLIV. DI 


226 FEDERIGO ENRIQUES 


e si supponga che (C) e quindi ((m + 1) C) sia puro. Esse segano su quelle di (C + K) 
(sezioni piane della F) un gruppo canonico, ‘e quindi sono segate da una superficie 
Wp_3 aggiunta alla F (supposta d'ordine D) salvo forse nei punti multipli (cfr. capi- 


tolo II, II), e poichè i punti dpli della F sono SILE phi per la curva doppia 


la wp_3 ha la molteplicità d — 2 (almeno) in un punto dplo e quindi è aggiunta 
alla F. Ne segue che il sistema ((m + 1) C) è aggiunto a (C+- K) e però è regolare 
capitolo IV, $ 4). 

Dunque: 

Per m assai grande il multiplo (m C) del sistema puro irreduttibile (C) non dotato 
che di curve fondamentali irreduttibili di genere O, è regolare. 


5. Sulla postulazione d'una superficie di S, rispetto alla varietà d'ordine m. — Si 
abbia in S, una superficie F non dotata di curve eccezionali, ed avente soltanto punti 
multipli a cono osculatore di genere O. Quante varietà V, (linearmente indipendenti) 
d'ordine m contengono la F in $,? 

Se le sezioni iperpianali della F segano sulla F 00° curve appartenenti ad un 
sistema (C), le V, segano sulla F curve appartenenti al sistema (m ©). 

Indichiamo con tr, #n, 7» i caratteri del sistema normale (mC); (91 =", #3 = n); 
abbiamo allora le relazioni: 


Tn = Tm1 +PTtTHMm_- )n_- 1 


Nim = Nma1 + 2(m =" 1) n + n 
e quindi 


mame + Ln _mti 


Nm = Mn: 


; : 3 È O IS (VERA 
al crescere di m la dimensione di (m C) cresce oltre ogni limite (e quindi oltre È 3 E 


di guisa che come nel $ precedente si deduce che in ogni caso la sua sovrabbon- 
danza (w, =>0) è =0; perciò quando m è assai grande, 


ra =p+ ia Lom (me 1); 


Se indichiamo con 


N —_ (E) mett Il 


la infinità delle V,, per ogni curva sezione della V,, colla F passano co%m-"", V, e 
perciò la postulazione della superficie rispetto alle V,, è 


< in t+l=p+©*ln_m0a_-1)4] 


dove vale il segno = se (come avviene, si può dire, nel caso generale) il sistema 


RICERCHE DI GEOMETRIA SUI.LE SUPERFICIE ALGEBRICHE 227 


segato dalle V,, su F, per 7 assai grande, è completo (e per ciò, poichè esso è puro, 
basta che sia normale). 
Dunque, per la superficie F_di S, passano (per m assai grande) 


Ri as Die m(m+ 1) 


nt mm 1) 
varietà Vn linearmente indipendenti. 

Facciamo ora una breve digressione determinando il numero delle quadriche di 
S, passanti per una superficie F a sezioni normali (sulla quale non si fa nessuna 
altra ipotesi). 

Se per la F di S, passa una quadrica la sezione iperpianale C7 di F e gli n 
punti sezione d’un S,_s stanno pure sopra una quadrica (risp. in S,-1 e in S,_»). Sup- 
pongasi ora che gli n punti sezione della F con un $,-; sieno sopra una quadrica g; 
in un S,_; per lo Sr_s le quadriche Q per qg sono 00° e segano sulla C, la serie (com- 
pleta) segata dagli iperpiani (9g77'), quindi vi è una ed una sola quadrica @Q per la 9g 
contenente la curva C7; in modo analogo può costruirsi un’altra quadrica Q’ conte- 
nente la sezione C'7, della F con un altro S,1 per lo S,-,, e contenente pure la 9g; 
ora le due quadriche Q, Q' risp. appartenenti ai 2 $,-, ed aventi comune la sezione 9g 
con un S,-:, appartengono ad un fascio di quadriche F in $,; la quadrica T del fascio 
contenente un punto fissato ad arbitrio sulla F, contiene quindi la F, poichè ne con- 
tiene già due sezioni iperpianali. Ora giacchè ogni quadrica per la F sega un $,_; in 
una quadrica contenente la sua curva sezione, e vi è una quadrica determinata che 
contiene la F passante per una quadrica che contiene una sua sezione iperpianale, 
si conclude: 

Il numero delle quadriche linearmente indipendenti, che contengono una superficie 
qualunque a sezioni normali di S,, è uguale a quello delle quadriche in S,-, che con- 
tengono una sua sezione iperpianale, o di quelle in S,-s, che contengono il gruppo di 
punti sezione della superficie. 


6. Curve fondamentali di genere O. — Abbiamo già avuto occasione di notare 
($ 4) che alle curve fondamentali di genere O d’un sistema lineare (C) corrispondono, 
sulla superficie F di Sz di cui le co? sezioni piane sono curve C, punti multipli che non 
impongono condizioni alle superficie aggiunte e però non esercitano influenza sul ge- 
nere; a questo fatto si collega l’altro che tali curve non hanno effetto sulla sovrab- 
bondanza del sistema (C). Una analisi più minuta di siffatte curve fondamentali porta 
alla conseguenza che esse (a differenza delle curve fondamentali di genere > 0) sono 
più intimamente legate alla natura della superficie, che a quella del sistema (C) che 
su di essa si considera. 

Il caso più semplice è quello delle curve fondamentali di grado 2, le quali ven- 
gono ad essere rappresentate da punti doppi isolati (non eccezionali) (1) sulla super- 
ficie F di Sg (di cui le sezioni piane appartengono al sistema (C)), o sulla superficie 
normale F' ottenuta facendo segare dagli iperpiani d’un iperspazio tutte le curve O. 


(1) Poichè si è esclusa la considerazione delle curve fondamentali costituite da coppie di punti. 


2928 FEDERIGO ENRIQUES 


Se n» è l'ordine della F, le superficie w,., d'ordine n — 4 aggiunte alla F, se- 
gano su di essa il sistema canonico: non può darsi che tutte passino per un punto 
doppio della F non eccezionale, e però ad un tal punto doppio corrisponde un punto 
doppio della superficie canonica su cui le curve canoniche sono segate dagli iperpiani 
(supposto semplice il sistema canonico, p > 3). 

Viceversa un punto doppio della superficie canonica dà una curva fondamentale 
di grado 2 per un sistema (C) che, su di essa, non ha il punto doppio come punto base. 

Concludiamo : I 

Una superficie in Sy può acquistare per trasformazione tanti punti doppi isolati non 
eccezionali quanti sono i punti doppi isolati della corrispondente superficie canonica. Il 
numero di questi punti doppi è un nuovo carattere invariantivo per le superficie di ge- 
nere p > 3. 

Il resultato precedente si esprime sotto forma invariantiva dicendo: 

Sopra una superficie un sistema lineare (C) non può avere altre curve fondamentali 
di grado 2 tranne quelle che sono tali pel sistema canonico. 

Consideriamo ora una curva fondamentale irreduttibile di genere O e di grado i 
pel sistema (C): si facciano segare 003 curve C sulla superficie F_ dai piani di Ss, e 
supponiamo (per semplicità) che la F sia solo dotata di curva doppia. Alla curva 
fondamentale per (C) corrisponde sulla F un punto iplo a cono osculatore razionale, 
ED) 

2 
curva doppia. Se » è l'ordine della F, le w,_, (d'ordine » — 4) aggiunte ad essa hanno 
il detto punto come (è — 2) plo, come conseguenza del contenere la curva doppia 
della F; una curva canonica ha dunque un tal punto come (i — 2) plo (essendo è — 2 
=i(i—-2) —(i—1)(î— 2))edivi ha le i — 2 tangenti variabili giacchè il sistema 


per il quale passano quindi (come già abbiamo notato al $ 4) rami della 


canonico non ha punti base. Dunque ad un tal punto corrisponde una curva razio- 
nale d’ordine è — 2 sulla superficie canonica. 

Concludiamo: 

Le curve fondamentali di genere O e di grado i per il sistema lineare (C), corrispon- 
dono a curve d'ordine i — 2 sulla superficie canonica. 

Così si vede che ad una superficie appartengono 3 categorie di curve razionali 
che corrispondono ai punti doppi della superficie canonica, alle sue curve razionali, 
e ad i suoi punti (le curve eccezionali); le prime due categorie forniscono caratteri 
invariantivi della superficie; invece le curve della 3 categoria sono in numero arbi- 
trario poichè se ne crea quante si vuole con trasformazioni della superficie. 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 229 


VI, 


Le involuzioni. 


1. Estensione d’un teorema di Castelnuovo. — Relazione fra i secondi generi di due 
superficie in corrispondenza |1m]. — Rivolgiamoci ora ad un breve studio dei sistemi 
lineari (C) in cui il passaggio per un punto trae di conseguenza il passaggio per altri 
punti della superficie. 

Lasciamo da parte, come non offrente interesse, il caso in cui le curve C (di (0) 
si spezzino in quelle di un fascio; allora (cap. I, $ 1) le curve € che passano per 
un punto O, passeranno in conseguenza per un numero finito di punti 0), 0; ... On, 
ed i gruppi analoghi ad 0, 03... On formano un'involuzione In, cioè una serie oo? 
di gruppi di m punti tale che un punto generico della superficie determina un gruppo 
della serie. Lo studio del sistema (C) (che abbiamo denominato appartenente all’invo- 
luzione I,) si annoda strettamente allo studio dell’involuzione. Ad ogni involuzione 
appartengono sistemi (C) come ora facilmente vedremo. 

Si riferiscano biunivocamente i gruppi della I, (elementi di una varietà 00°) ai 
punti d’una superficie F'; ad un sistema (C’) di F' corrisponde su F un sistema (0) 
appartenente all’involuzione I,. La F' ossia l’involuzione In abbia il genere geometrico 
p> 0 (1); allora possiamo fissare come sistema (C') quello delle sezioni piane di F' 
che supponiamo avente curve fondamentali distinte come il suo corrispondente su F, e 
possiamo considerare una curva canonica K' (completata colle curve eccezionali della 
F') la quale è definita dal segare un gruppo residuo della serie caratteristica sulla 
curva generica di (C’) ed un gruppo contenuto nella serie analoga sulla curva generica 
di ogni sistema co? contenuto in (C') (cap. II, $ 2). Sia K la curva corrispondente alla 
K' sulla F, H la curva di coincidenza della involuzione I, (luogo dei punti in cui ne 
coincidono due di un gruppo di I,) e sieno le C le curve corrispondenti su F alle 
C' di F'. Una curva composta K+C+ H sega sopra una curva generica © un 
gruppo che è il trasformato di un gruppo canonico di C' aumentato del gruppo delle 

coincidenze dell’involuzione i cui gruppi corrispondono ai punti di C', quindi per un 
teorema di Castelnuovo (2) il detto gruppo è un gruppo canonico della €, ossia la 
curva K + H sega sulla curva C un gruppo residuo della serie caratteristica di (C); 
parimente si prova che la K +4 H gode l’analoga proprietà rispetto ad ogni sistema 


co? contenuto in (C) (come rispetto ad ogni altro sistema appartenente alla I,), dunque 
sussiste il teorema: 


(1) Non imponiamo nè per la F nè per la F' alcuna restrizione di uguaglianza del genere geo- 
metrico al numerico. 


(2) Alcune osservazioni sulle serie irrazionali, ecc. (£ Accad. dei Lincei ,, 1891). 


230 FEDERIGO ENRIQUES 


Se le superficie F', F sono in corrispondenza [1, m], alle curve canoniche della prima 
(supposta di genere > O) corrispondono curve speciali della seconda, componenti curve 
canoniche insieme alla curva di coincidenza dell’involuzione I, è cui gruppi corrispon- 
dono sulla F ai punti della F'. 

È questa, come si vede, l’estensione del teorema già adoperato del signor Castel- 
nuovo sulle involuzioni irrazionali appartenenti ad una curva, teorema che apparisce 
come fondamentale nella teoria appena avviata di quelle involuzioni. 

Sia P il genere (geometrico) della F, e p il genere (geometrico) della F', ad ogni 
curva canonica della F' corrisponde una curva che insieme ad H costituisce una 
curva canonica di F, quindi P => p: in particolare non può essere P=0 se non è 
anche p="0. 

Sia ora p > 1, e quindi anche P> 1, e indichiamo con p”, P! risp. è secondi 
generi delle F', F, con è il numero dei punti d'incontro d’una curva canonica di F' 
colla curva di diramazione (ossia quello delle intersezioni della curva di coincidenza 
H con una curva residua), con T il genere della curva di diramazione su F' (o di 
quello di coincidenza H su F), sia infine n il genere delle curve corrispondenti 
sulla F a quelle canoniche di F". 

Per il teorema di Castelnuovo, o per la formula di Zeuthen, si ha: 


2m (pY) — 1)+d=2(n— 1); 


per il teorema prima dimostrato si ha invece, in generale (adoperando la formula 
che dà il genere d’una curva spezzata) 


PO=ZzT_-1+tTt4+dò, 


quindi sussiste in generale la relazione 
PO Z=M(pPYO- 1)+T+ 7 ò, 


la quale può considerarsi come un’estensione della nota formula di Zeuthen per le 
corrispondenze [1m] tra due curve. 

In qualche caso può essere P' maggiore del numero indicato dalla formula 
scritta se le curve corrispondenti su F a quelle canoniche di F' aumentate della Bi 
non sono curve generiche (spezzate) del sistema canonico della F ossia una delle 
componenti ha qualche punto multiplo in un punto semplice della superficie (o qualche 
ipermolteplicità in un punto multiplo). 


2. Involuzioni razionali. — Diamo ora un breve cenno delle involuzioni I, ra- 
zionali; la superficie F_sui punti della quale i gruppi della I, sono rappresentati è 
un piano (superficie razionale) e ad ogni rete omaloidica di esso corrisponde sulla 
data superficie F_una rete di curve di cui due s’intersecano in un gruppo della In; 
restringeremo a tali reti il nome di reti appartenenti all’involuzione. 

Una rete (C) appartenente all’involuzione I, sia di genere tr (il grado è m) e pos- 
sieda s curve fondamentali C,... C,,... C, aventi come residui s fasci risp. di ge- 


RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 231 


nere T,... ©... T,; introdurremo i caratteri è, ... è, ... è, definiti dall’ugua- 
glianza 
doh = TT — TM 


e diremo è, la volenza della curva fondamentale C,. Il carattere è, è legato semplice- 
mente a quelli, altre volte introdotti, cioè il genere (virtuale) p, della C, ed il suo 
grado i, (numero delle intersezioni con una curva residua); infatti è 


Tq=tr:-prpt&a—- 1 
quindi 


do = pp|+ao—_ 1 


Si facciano ora segare le curve C della rete dai piani di una stella col centro O, 
sulla superficie F, e sieno a, ... a; le rette per O (multiple o contenenti punti mul- 
tipli per la F) che corrispondono alle curve fondamentali C, ... C,. Nell’involuzione 
I, ci sieno @ gruppi dotati di due coincidenze staccate (di due punti doppi), e t gruppi 
dotati d'un punto triplo (dove ne coincidono 3): le a rette che proiettano da O i primi 
o gruppi sono corde per la curva di coincidenza di I,,, le t che proiettano i t gruppi 
secondi sono tangenti per essa. 

Ora la curva di coincidenza sega un piano generico per O in 2 (m+m— 1) 
punti fuori di O ed un piano per ax (fuori di 4) in 2(m1 4-wm — 1) punti, ossia la 
a, ha colla curva è, intersezioni. Proiettando dunque la detta curva di coincidenza 
da O sopra un piano, si avrà il suo genere dato da 


Pon om 9) Lom È aloe l)—_act 
1 
Si conclude che la quantità 
(27 + 2m — 3) (l+m — 2) — Zèd, (20, — 1) (=a+1t+ P) 


ha lo stesso valore per tutte le reti appartenenti all’involuzione I, ed è quindi essenzial- 
mente un carattere della I, anzichè delle dette reti. Invero si osserverà che, pren- 
dendo nel piano multiplo rappresentativo della I, una rete omaloidica le cui curve 
abbiano assai intersezioni con quella di diramazione, si avranno sulla F reti di ge- 


«nere grande quanto si vuole, appartenenti alla I,, e quindi separatamente i carat- 
‘teri t, è, non sono caratteri della I,. 


Esaminiamo brevemente il caso (m = 2) di una involuzione razionale IL sopra 
una superficie F. 


Le curve d’una rete (C) appartenente alla I, sieno segate dai piani per O sulla F. 
Se n è l'ordine della F, le aggiunte d’ordine n — 4 alla F_ sono coni col vertice 
in O (che è (n — 2) plo per la F), quindi: 

Se sopra una superficie vi è un’involuzione Io, le curve canoniche che passano per 
un punto passano per il coniugato (1). 


(1) Questa proprietà è nota; infatti il sig. CasreLnuovo (“ Istituto lombardo ,, 1. c.) ha dimo- 
strato che se vi è un fascio di curve iperellittiche sopra una superficie d'ordine x, le aggiunte 
d'ordine x —4 per un punto passano per il coniugato sulla curva iperellittica che lo contiene. Il 


tipo di superficie di cui stiamo trattando è stato considerato per la prima volta dal sig. NoetHER 
(“€ Math. Ann. ,, VIII, l.c.). 


La 


232 FREDERIGO ENRIQUES 


Secondo la relazione precedentemente scritta il genere della. curva di coinci- 
denza della I, è 


Pirri (i) 
1 


dove m è il genere d’una rete appartenente alla I, (composta di curve iperellittiche) 
e è, è la valenza d’una sua curva fondamentale C, (XK =1... s). 

La rete (C) sia segata sulla F dai piani per O; una curva canonica sega una C 
in 2(m—1) — 2 (m=2) punti, e quindi se è l'ordine della F i coni aggiunti d’or- 
dine n — 4 si spezzano nel cono (fisso) proiettante la curva doppia della superficie, 
e in coni variabili d'ordine mr — 2. 

Se la a, è una retta per O multipla secondo 0, (o semplice) per la F contenente 
arbitrari punti multipli, un piano per la a, è segato da una superficie d’ordine n — 4 
aggiunta alla F secondo una curva d’ordine n — 6, — 3 aggiunta alla sezione d’or- 
dine n — 0, della F (tolta la «,) (cfr. cap. II, $ 1); questa sezione è dunque segata 
in 2(m, — 1) punti da una curva canonica (essendo m, il genere di essa), e però il 
cono d'ordine t — 2, facente parte d’una aggiunta d’ordine » — 4 alla F, ha la 
retta a, come multipla secondo nr — 2 — (mm —-1)=d,— 1 

Ora ogni curva C, fondamentale per la rete (C) viene rappresentata da una tal 
retta a,, o da una retta per O contenente un punto doppio isolato per la F; in questo 
2° caso il detto cono d’ordine t — 2 non contiene in generale la retta congiungente 
il punto doppio, e quindi si può dire ancora che la contiene colla molteplicità dè, — 1 
= — m — 1 poichè rg = — 1. Dunque i coni d'ordine t — 2 col vertice 0 
seganti sulla F le curve canoniche sono assoggettati ad avere come (d, — 1) pla ogni 
retta per O che corrisponde ad una curva C, fondamentale per la rete (0), di va- 
lenza è. 

Indicando con p il genere (geometrico uguale al numerico) della F sussiste dunque 
la relazione 


di qua si ricava 


e confrontando coll’altra relazione trovata 


P_l(2r- La -2(20,-1)ò,, 
st ha 
P_A4ip=sn— Id 


Ss 


dove il secondo membro è uguale per tutte le reti che appartengono alla involuzione Lo. 


n 


RIVISTA CRITICA 


DELLE 


SPECIE DI “ TRIFOLIUM ,, ITALIANE 


COMPARATE CON QUELLE STRANIERE 


DELLA SEZIONE 


EO PINA SPE: (Buxbaum) 


MEMORIA 


del Dottore 
SE BIEL, 


Approvata nell’'Adunanza del 25 Giugno 1893. 


PREFAZIONE 


Nello studio della presente sezione i dubbii sollevati da tempi anteriori a Linnè 
— sull’affinità del T. Lupinaster col genere Trifolium, e l'incertezza colla quale anche 
oggidì alcuni autori ve lo ascrivono, parvero offrirmi una buona occasione per dir 
qualche parola sopra alcune questioni generali di tassonomia vegetale. Il T. Lupi- 
naster venne dunque con assidua vece iscritto e radiato dal novero dei Trifogli, 
e le ragioni che trassero gli autori a questi mutamenti verranno in appresso ampia- 
mente riferite e discusse. Intanto, se sì considera un momento il modo con cui 
Tournefort caratterizza il genere Trifolium, evidentemente il T. Lupinaster deve 
esservi incluso; e la questione sotto questo punto di vista mi par definitivamente 
esaurita. Ma ben altrimenti importante è la questione, non nuova del resto, di sapere 
se alcuni generi, tali quali vengono oggidì accettati, siano entità naturali o non costi- 
tuiscano piuttosto un gruppo di esseri, che hanno qualche carattere similare, ma che 
‘non possiedono rapporti di morfologica affinità dimostrabile nell’attualità con un com- 
plesso di caratteri costanti. Tali sarebbero i generi Cytisus e Genista; Trigonella e 
Trifolium; Astragalus e Onobrychis, ecc.; i quali sono certamente meno distanti fra 
loro di quello che nol siano le specie di Trifolium della sezione Galearia da quelle 
della sezione Lagopus, o quelle dei Calycomorphum da quelle dei Chronosemium, che 
tutte vengono comprese nel solo G. Trifolium. 

Più mi addentro nello studio di tali generi, e più mi convinco che l’ unità 
tassonomica vera, riconoscibile sempre per caratteri proprii, fissi entro certi limiti, 
indipendente da circoscrizioni più late, è la Stirps, intesa nel senso già esposto 
e ben precisato nel saggio elaborato in comunione al Prof. Gibelli intorno alla se- 

Serie II. Tom. XLIV. 50]: 


234 S. BELLI 


zione Lagopus (Vedi Saggio monografico “ Mem. Acc. Sc. Torino , 1888). Compresa in 
questo significato la stirps può co’ suoi estremi toccare una porzione del campo ar- 
tificialmente concesso a due o più sezioni, senza che ne venga perciò a soffrire la 
sua omogeneità. Nei Trifogli non sono rari questi esempi. 

Parallelo allo studio dei gradi inferiori di dignità delle forme attuali, conside- 
rate come il risultato dell'evoluzione di diversi tipi originari, è oggidì tenuto in 
onore uno studio che tenta di risalire soprattutto coll’aiuto dell’istologia comparata 
alla parentela antica, che collegherebbe i gruppi fra di loro, e cerca di riunire le 
membra sparse di quell’organismo, che, ipoteticamente ricostrutto, ne rappresenterebbe 
lo schema genealogico. A questo scopo sono evidentemente rivolti gli ultimi studii 
di egregi botanici (Vesque, Delpino, ecc.). 

Giova a me citare qui il Vuillemin, autore di un libro testè uscito col titolo: 
“ La subordination des caractères de la feuille dans le Phylum des Anthyllis ,, 
Nancy, 1892. Se io mi permetto di arrestarmi alquanto a discorrere di quest’ultimo 
lavoro, non gli è certo a scopo di pretenziosa ed importuna critica, la quale sarebbe 
sovrattutto e solamente possibile e giustificabile, ove io avessi rifatto l’immane la- 
voro dell'Autore. Io voglio limitarmi essenzialmente ad alcune considerazioni di or- 
dine generale, che nascono spontanee dalle premesse e dalle conclusioni, che l’ Autore 
trae dal suo libro, accurato, fine, ricco di indagini minuziose ed esatte le quali dimo- 
strano in lui una grande conoscenza dell’Anatomia vegetale. 


Nel leggere questo libro io mi sono spesso domandato: È possibile, per le clas- 
sificazioni degli ultimi gradi di dignità, o per togliere le incertezze che spesso regnano 
sulla posizione sistematica di un vegetale che tocca due generi vicini, trar partito 
dei criteri che vennero adoperati dall’Autore? In altre parole e per venire ad un 
esempio pratico, è possibile con questi criterii stabilire se p. e. il Trifolium ornito- 
podioides è veramente un Trifoglio od una Trigonella? ovvero se il T. Lupinaster 
porti seco le stimmate di un Trifoglio, o sia da riferirsi ad altro genere già cono- 
sciuto, ovvero finalmente sia un’ entità autonoma degna di speciale denominazione? 

La domanda pare a tutta prima oziosa, o meglio pare fuori di posto, e la risposta 
par facile. Mi si potrebbe dire: che cosa hanno a che fare simili questioni con un 
libro, che ha tutt'altro obbiettivo fuor di quello di stabilire delle categorie di dignità 
basate sulle affinità specifiche? Il Vuillemin parte da un genere che porta un nome: 
il genere Anthyllis; e come tale questo nome ha un significato più o meno concreto; 
L'Autore si è fissato per iscopo di stabilire i legami del G. Anthyllis colle altre 
Leguminose e nulla più! La questione quindi è di tutt'altra natura, ed è fuori luogo. 
Per verità essa sarebbe tale, ove realmente il libro del Vuillemin apparisse senz'altro 
inteso a stabilire i rapporti strutturali del G. Anthyllis cogli altri generi vicini; fosse 
cioè esclusivamente uno studio comparativo dei caratteri istologici della foglia del 
G. Anthyllis con quella delle altre Leguminose. Ma questo lavoro è altresì isto-tattico, 
ed anzi è al lato tassonomico di esso che l’Autore ha consacrato il tempo non breve 
e la fatica grave, che deve essergli costata una disamina così sapientemente condotta. 
Nel libro del Vuillemin inoltre ho visto ripetute, troppo più volte che nol consenta 
la supposta intenzione dell’Autore, delle osservazioni riguardanti il concetto di specie 
e della sua pratica significazione, perchè non mi sia lecito di sviscerarne il significato. 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 295 


Finalmente sta il fatto che partendo dai principì emergenti dal suo studio anatomico, 
l'Autore ha stabilito tre nuovi generi. 

L'Autore a proposito della significazione della parola plylum così si esprime 
(p. 16): “ Le terme phylum n’équivaut ni è tribu ni è section ni è aucun des termes, 
“ par lesquels on désigne habituellement les cadres de la classification. Établir un 
“«“ phylum, c'est méme, dans un sens, chercher è renverser les barrières posées ardi- 
“ trairement à travers la série des étres pour aider la mémoire, et è faire apparaitre 
“ l’évolution lente, progressive et souvent indépendante des divers caractères origi- 
« nellement uniformes, dont la combination permet les distinctions spécifiques. Établir 
“un phylum; c'est chercher des liens plutòt que des séparations. 

“ Le phylum d’une plante, c’est-à-dire sa lignée, n’est pas l'ensemble des espèces 
“qui ont avec elle une affinité révélée par un, deux, trois caractères convenus et 
“ désignés d’avance comme de premier ordre, d’après l’opinion qu'on aura pu se former 
“ de leur importance dans un groupe différent. C'est l'ensemble des plantes reliées 
“ entre elles par des intermédiaires insensibles, concernant tous les caractères im- 
“ portants, de facon qu'on puisse les considérer comme unies par un lien généalo- 

.“ gique. Si le groupement répondant è cette définition comprend un grand nombre 
“ de Genres, il peut se faire que certains caractères, par l’accumulation de variations 
“ faibles, se soient totalement transformés è travers la série. Par conséquent l’affi- 
“ nité n'est pas une conséquence forcéte de la filiation. Deux plantes d’un méme phylum 
“ peuvent n'avoir aucun caractère commun x. 

In altre parole l'Autore dice che la storia della filogenesi è la vera storia na- 
turale delle forme, mentre le nostre classificazioni e la subordinazione dei caratteri 
possono essere naturali, ma spesso possono anche non esserlo; ed il perchè egli lo 
dice chiaramente: “ Établir un phylum c'est méme dans un sens renverser les bar- 
“ rières posées arbitrairement è travers la série des étres pour aider la mémoire ,. 
Le classificazioni secondo l'Autore sarebbero dei gruppi arbitrarà. E di più: “ l’af- 
“ finité n’est pas une conséquence forcée de la filiation. Deux plantes d’un méme 
“ phylum peuvent n’avoir aucun caractère commun ,. — Ma se due piante d’uno stesso 
“phylum possono non avere alcun carattere comune, ed ammettendo colle stesse parole 
dell'Autore che il phylum è un legame, che dimostra la connessione degli esseri at- 
traverso ai secoli, per qual altro motivo dunque, esse vi apparterranno dal momento 
che caratteri che li leghino non esistono? E qual è la guida, quale il criterio che 
rivelerà all'Autore la comune o non comune origine di questi esseri, che non hanno 
alcun carattere che li congiunga? E come si potranno distinguere due esseri di phylum 
diverso, i quali siano nelle medesime condizioni, di non «aver cioè alcun carattere 
comune ? 

Ammettere, che due piante di uno stesso phylum possano non avere dei carat- 
teri comuni, vale quanto lasciar supporre che il tassonomo possa servirsi di altri 
mezzi che non sia l'osservazione macro 0 microscopica dei caratteri strutturali per lo 
studio delle forme. Ora, là dove il filo conduttore dell’osservazione si spezza, è forza 
ricorrere all’induzione, la quale spesso serve, ma più soventi è scorta fallace e lascia 
dietro di sè il dubbio e l'incertezza. E l’ammettere coll’Autore, che tutti gli esseri 
‘viventi non formino che un phylum unico, vale secondo me quanto distruggere ogni 
classificazione. Perciocchè fra le membra di questa catena interrotta esistono delle 


236 S. BELLI 


lacune (gli Watus dell'Autore), che il corso dei secoli hanno scavate, ed in questo 
caso se a colmarle può e deve servire l’osservazione strutturale delle membra stesse, 
e l'analogia tuttora esistente fra esse, io mi domando come sarà possibile distinguere 
i caratteri di affinità dai caratteri di filiazione, dal momento che l’Autore scrive: 
“ l’affinité n'est pas une conséquence forcée de la filiation ,! 

Il periodo più sopra citato mi pare illogico. 

Prosegue l'Autore: “ Quant è l’étendue méme du: phylum elle est théoriquement 
“ illimitée. On a méme de bonnes raisons de croire que tous les étres vivants ne for- 
“ ment quun phylum. Les hiatus, qui séparent les groupes conventionnels de nos 
“ classifications, tiennent en partie à l’extinction, qui a supprimé les termes de pas- 
“ sage; ils tiennent aussi à ce que bien souvent ces groupes sont mal formés. Par 
exemple le phylum des Anthyllis comprend des genres classés constamment dans 
“ des tribus différentes (Hedisarées-Galegées); tandis qu'on ne saurait y rattacher 
“aussi directement des plantes considérées comme en étant très affines et méme 
“ certaines espèces rangées par plusieurs auteurs dans le genre Anthyllis. 

“ L'établissement d’un phylum ne constitue donc pas précisément un groupement 
“commode, donnant une clef pour la détermination facile des espèces. Toute préoc- 
“ cupation utilitaire doit mème en étre écartée au début. Le résultat pratique vient. 


C 


ensuite de lui-méme, car les séries des plantes dont on connaît exactement la fi- 
“ liation peuvent étre classées d’après des principes plus rationnels, et bien des dif- 
“ ficultés nées d’un groupement prématuré disparaissent naturellement ,. 

Evidentemente qui l'Autore ammette l’idea, che gli studii filogenetici debbano 
influire sul raggruppamento pratico delle specie, per quanto questo non ne sia il 
risultato immediato. E di fatti; secondo l’Autore, il phylum delle Anthyllis comprende 
delle forme finora comprese dagli Autori nelle Hedysareae-Galegeae cioè in altre pa- 
role i caratteri su che l'Autore basa il suo phylum non sono gli stessi adoperati fin 
qui per riunire o separare questi generi, e secondo lui sono i veri, dal momento che 
stabiliscono la sistemazione di quei generi fra le AntAyllis piuttosto che fra gli He- 
dysarun o le Galega. Qui soprattutto sta la giustificazione di questa critica. 

Ammettendo nella seriazione del Vuillemin le corrispondenti lacune (Wiatus), è 
difficile il provare che esse costituiscano i corrispondenti gruppi convenzionali delle 
nostre classificazioni. È da supporre, che là dove questi Ayatus saranno piccoli fra 
gruppo e gruppo, ivi le differenze fra essi dovrebbero essere minori; dove invece 
l’hyatus sarà un vero abisso, non dovrebbe rimanere fra anello e anello che un lie- 
vissimo vestigio o nessuno dei caratteri, che li legavano, perchè molto più numerosi 
sono i termini soppressi. Or bene si può dire che questi vacui e questi gruppi cor- 
rispondano alle nostre classificazioni ? Mi pare di no! E difatti noi abbiamo detto 
più sopra come molti generi siano fra loro più vicini strutturalmente, che nol siano 
talvolta le specie in essi comprese paragonate fra loro. Per es. è certo più diffe- 
rente la Stirps del T. alpinum da quella del 7. scabrum, di quello che nol sia la 
grande circoscrizione dei Trifogli dalla grande circoscrizione delle Trigonelle o dei 
Melilotus. 

Dove l'Autore dice giusto, secondo me, è allorquando scrive che spesso i gruppi 
sono mal formati. Ma il difficile sta nel provare che un dato gruppo è più naturale 
se ordinato coi caratteri che l’Autore vuol dedurre dallo studio anatomico della foglia, 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 3317 


piuttosto che con quelli comunemente dedotti dal fiore. Può darsi che essi vadano 
di pari passo; ed allora ne guadagnerà la naturalezza della categoria. Ma quando 
essi si troveranno in opposizione, con qual dritto si dovrà dar la preferenza agli uni 
piuttosto che agli altri? Dirò più avanti quale sia il requisito, che i caratteri (di 
qualunque specie essi siano) debbono avere perchè siano preferiti; ma per ritornare 
alle idee dell'Autore sull’affinità delle specie io citerò ancora un brano del suo libro 
(pag. 3). “ Une classification est naturelle quand elle groupe les espèces de facon à 
“les rapprocher en raison directe de leur parenté. Le terme parenté, employé de tout 
“temps dans un sens abstrait, a pris une acception définie avec la doctrine transfor- 
“ miste. Dans ce sens la classification naturelle doit étre généalogique. S'il en est ainsi 
“ Vaffinité west plus la base directe de la classification naturelle, pas plus que la res- 
“ semblance de deux hommes ne suffit è démontrer leur consanguinéité; elle n'a de 
“ valeur qu'autant quelle est l'indice de la filiation. L'affinité positive ou négative permet 
“ de séparer ou de réunir les espèces dans des cadres de diverses catégorics; mais 
“« elle ne nous renseigne pas sur les rapports réels de ces cadres (!). Tandis que l’affinité 
“ est basée sur la constatation des caractères concordants, la filiation doit reposer sur 
“ la réductibilité des caractères différents ,. 

Da questo periodo si rilevano anzitutto due cose: 1° che il trasformismo avrebbe, 
secondo l'Autore, definito finalmente il senso del vocabolo parentela, che, per mio conto 
almeno, ha sempre avuto un significato abbastanza concreto. Ma in qual modo sarebbe 
definito? ammettendo che la classificazione naturale deve essere genealogica, e per questo 
motivo, secondo l'Autore, l’affinità non sarebbe più la base della classificazione. In 
altre parole, e per prendere un esempio pratico: se questo dovesse verificarsi per 
la sistemazione delle specie, noi non avremmo più il diritto di riunire nello stesso 
quadro (Stirps) il T. alpinum p. es. col T. polyphyllum, finchè non ci sia possibile 
dimostrare, altrimenti che coi caratteri attuali di rassomiglianza, che questi due esseri 
sono proprio discesi dallo stesso ceppo. E siccome il rimontare per l’oscura notte 
dei secoli ci è per ipotesi non concesso, e d’altra parte non ci si concede di trar 
partito delle affinità morfologiche, se non come di una guida mal sicura ed empirica, 
così ognun vede, come di questo passo sia semplicemente annullata ogni sistema- 
zione, perchè non è possibile di giudicare della parentela di due forme altrimenti che 
colla concordanza dei loro caratteri strutturali. 2° Il Vuillemin ha detto, che se la 
classificazione naturale deve essere genealogica , l'affinità non è più la base della 
classificazione, allo stesso modo che la rassomiglianza di due uomini non basta a 
dimostrare la loro consanguineità. Ma o io sbaglio o qui siamo di fronte ad un so- 
fisma. Anzitutto il paragone fra due uomini e due specie o due generi non regge. 
Tanto varrebbe pretendere che due piante per es. di Trifolium diffusum uscite dalla 
fecondazione di due ovoli di uno stesso legume dovessero per questo motivo svilup- 
parsi in modo da essere sovrapponibili; ed esse non appartengono perciò meno al 
genere Trifolium. E d’altra parte, se la rassomiglianza di due uomini non prova la 
loro consanguineità, è certo che talvolta la discrepanza delle loro linee è lungi dal 
provare che essi non siano consanguinei. Ma a parte ciò, se l’affinità non ha valore 
che in quanto essa è l’indizio della filiazione, e poichè la filiazione presuppone ed im- 
plica l’ereditarietà, e poichè tra caratteri ereditarii e di adattamento è spesso diffi- 
cile pronunciarsi, e finalmente poichè i caratteri acquisiti si trasmettono per eredità, 


238 S. BELLI 


io non giungo a capire perchè la rassomiglianza di due forme non si debba in ogni 
caso ritenere come l’espressione di un nesso genetico qualsiasi, senza essere costretti @ 
supporre l'origine non filetica di queste affinità. 

Se dunque l’affinità non è sempre conseguenza della discendenza diretta od in- 
diretta di che cosa sarà la conseguenza? Ed ammesso che essa possa essere la con- 
seguenza di un accidentale ravvicinamento di due esseri originariamente differenti, 
chi è colui che potrà con sicurezza dire, quando si ha a che fare con una consan- 
guineità vera o con una apparente dal momento che i caratteri che ci servono di 
guida sono gli stessi in ambidue i casi? 

È egli possibile stabilire delle categorie di caratteri corrispondenti, che servano 
a rivelare quando due forme sono o non sono parenti? Evidentemente no! Io non 
potrò mai comprendere l'opposizione assoluta fra caratteri filetici ed epharmonici 
stabilita dal Vesque. 

Secondo Vuillemin l'affinità positiva o negativa permette di separare o di tener 
riunite le specie nei quadri di diverse categorie, ma essa non ci dà notizia alcuna 
sui rapporti reali di questi quadri. 

Esisterebbero, secondo l’Autore dunque, due specie di affinità, la negativa e la 
positiva. Quest'ultima si capisce: la prima non può essere che la negazione di ogni 
rassomiglianza; la seconda è rappresentata dai caratteri concordanti, la prima dai 
caratteri differenti è quali sono passibili di una riducibilità. Ma è evidente, che se 
la concordanza dei caratteri può far riconoscere il nesso fra specie e specie, la ridu- 
cibilità dei caratteri discordi potrà far riconoscere una lontana affinità fra genere e 
genere, tra famiglia e famiglia; ma non potrà applicarsi alla sistemazione delle unità 
tassonomiche di ordine inferiore. E se le caratteristiche basate sulle rassomiglianze, 
usate da Linnè ai giorni nostri per raggruppare le specie sono rapporti fittizii, quali 
saranno e in qual parte del vegetale converrà ricercare i rapporti reali che l'affinità 
non è capace a rivelarci secondo l’ Autore ? 

La prova di quanto dicemmo più sopra sull’influenza nulla che per la sistema- 
zione delle specie deve esercitare lo studio di un phylum è questa: che ogni esempio 
pratico, presentato dal Vuillemin a sostegno delle sue asserzioni, è tolto dalla con- 
siderazione di apparati o di sistemi di organi isolati, i quali debbono essere natu- 
ralmente enormemente variabili, essendo in certo modo gli strumenti dei quali il 
vegetale si serve per raggiungere la sua definitiva forma e costituzione. A tale cate- 
goria appartengono tutti i caratteri desunti dall’organizzazione della foglia, e dei 
suoi accidenti di superficie, come l'apparato stomatico, il cribro-vascolare, il paren- 
chima e l'apparecchio accumulatore. Ognun vede a prima giunta quale applicazione 
enormemente vasta debbono aver simili caratteri, e quanto le influenze del mezzo, 
debbano influire su di essi; nè per quanto si sforzi l'immaginazione si giungerà a 
capire, come la sclerosi di un periciclo possa venire in aiuto a rischiarare i rapporti 
genetici di due specie controverse od anche di due generi. 

Chi voglia p. e. basarsi solo sulla configurazione esterna delle foglie per classi- 
ficarei grandi gruppi delle Leguminose, farebbe certo opera vana. Ma è illusorio il 
supporre che l'anatomia di essa possa servir meglio a quello scopo. Che lo studio isto- 
logico della foglia, al pari di quello del fiore, possa rischiarare il phylum di un gruppo 
cioè la sua discendenza o consanguineità coi gruppi vicini nessuno mette in dubbio; 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 239 


ma che poi il risultato pratico discenda fino all'ordinamento dei generi e delle specie, e 
possa portar luce su qualche specie controversa, è quanto mi permetto di porre in dubbio. 

Lo esame anatomico meravigliosamente accurato dei caratteri della foglia ha 
condotto il Vuillemin a stabilire tre generi nuovi Podostemma , Lotopsora e Pseudo- 
sophora, tolti dai G. Astragalus, Psoralea e Sophora, ed in forza di caratteri quali la 
presenza 0 l'assenza delle emergenze nodali o stipolari, l’esistenza dei cristalli aci- 
culari nel libro, lo sviluppo dei tanniferi attorno al legno dei fasci, i peli flagel- 
liferi, ecc. 

Ammesso che questi caratteri siano in sè e per sè migliori od equipollenti a 
quelli che formano il substratum delle classificazioni comuni, resta a sapere se loro 
equivalgano nella costanza, e se un'esperienza di coltivazione in ambienti diversi per 
suolo, nutrizione, esposizione, ecc., non possa modificare questi dati, che sembrano 
troppo legati colla funzione vegetativa dell'organismo vegetale. 

L’Autore discutendo l'opposizione dei caratteri filetici cogli epharmonici stabiliti 
dal Vesque così prosegue (p. 4): 

“ Dans cette théorie si une plante possède des caractères phylétiques c'est uni- 
quement parce que ses ancétres les possédaient et les lui ont transmis. Mais pour- 
quoi les ancétres en étaient-ils dotés? Il n’y a que deux réponses possibles à cette 
question. Puisque aucun caractère de forme extérieure ou de structure n’est iden- 
tique è lui-méme dans toute la série végétale, chaque particularité a fait son ap- 
parition è un stade plus ou moins ancien de la phylogénie. Il faut donc ou que 
les caractères phylétiques aient apparu sans motif è un moment donné, ou qu’ils 
se soient produits par adaptation et maintenus par sélection, conformément aux 
lois de l’évolution. 

£ On ne peut sortir de ce dilemme. La première alternative est simplement la 
négation du transformisme; car elle suppose des catégories indépendantes, définies 
par les caractères phylétiques et offrant des modifications de détail plus ou moins 
étendues. Chacune de ces catégories immuables serait alors la véritable espèce, dont 
les limites seraient par le fait démesurément élargies; les propriétés épharmoniques 
caractériseraient de simples variétés. Dans la seconde alternative les caractòres 
devenus héréditaires ont d’abord été variables, et ces variations ont été provoquées 
elles aussi par le milieu ,. E già nella Prefazione a questa sua pregevolissima opera 
(pag. vi) l'Autore scriveva: “ Les caractères faciles è voir à l'oeil nu sont surannés, 
“les caractères anatomiques sont infidèles; la subordination des uns et des autres 
“ est un vain mot. La principale cause de ce malaise est peut-étre l’inconséquence 
de la pluspart des Botanistes qui, tout en proclamant è l’envi les principes trans- 
formistes, considèrent chaque caractère comme une entité immuable et de valeur 
constante ,. 


K 
“ 


IIC 


Se da una parte ripugna il pensare, che i gruppi che noi vogliamo stabilire col 
nome di Stirpes sono delle categorie immutabili, altrettanto poco ci riesce di capire 
come i caratteri “ d’abord variables , e “ devenus héréditaires ,, non godano, con questo 
cambiamento, di una fissità relativa (che in un certo senso e fino ad un certo punto 
potrebbe paragonarsi alla fissità assoluta delle categorie immobili più sopra citate dal 
| Vuillemin), la quale permetta di riconoscere ad un dato momento per mezzo loro 
una parentela di grado diverso fra i vegetali che compongono un gruppo. 


240 S. BELLI 


Il rimprovero però che i sostenitori del trasformismo scagliano a coloro che 
ancora credono al motto tot species sunt quot creatue fuerunt mi pare un coltello a due 
tagli. Poichè, se non è ammissibile la fissità delle categorie, ci pare anche inammis- 
sibile la Zoro continua mobilità, che distruggerebbe ogni tentativo di classificazione. 
Ed il periodo più sopra citato del Vuillemin potrebbe ben trasformarsi in quest'altro: 
“ La principale causa di questo guaio è forse l’inconseguenza dei botanici, che pro- 
clamando il trasformismo si mettono nella condizione di dover segnare i limiti della 
durata di ogni successiva forma, e naturalmente mon ci riescono ,. D'altra parte 
il Vuillemin stesso ammette dei caratteri d’abord variables devenus héréditaires. Ora, 
sì può domandare, per quanto tempo dura questo carattere così ereditato? Forse 
finchè durano le circostanze “ provoquées par le milieu ,? 

Neppur questo mi persuade. 

È noto dai lavori dell’Hackel sulle Festuche d’Europa, per citare un solo esempio, 
che certi caratteri non sentono l'influenza del mezzo in cui vivono, ed è appunto su 
questi caratteri, i quali mostrano una costanza grande nelle loro manifestazioni este- 
riori, che Hackel ha gettate le basi del suo lavoro modello, dimostrando precisa- 
mente che la loro specificità è in ragion diretta della resistenza, che essi oppongono 
alle cause esteriori, che tendono a farli variare. Egli è perciò che, secondo me, sarà 
lavoro eminentemente proficuo del tassonomo quello, che parte da un simile indirizzo, 
e questo deve essere il requisito di cui più sopra ho parlato, e che fa sì che i ca- 
ratteri di una categoria debbano avere il sopravvento su quelli di un’altra, allorchè 
nel raggruppamento delle forme essi si trovano in opposizione. 

L’obbiezione capitale, che si suol comunemente fare a queste considerazioni, è: 
che la fissità dei caratteri constatabile nell’attualità, quali dominanti di una categoria, 
è una fissità molto, troppo relativa, quando si pensi all'enorme spazio di tempo che 
costituisce già solo un’epoca geologica. E contro quest’obbiezione nulla si può opporre. 

Però le cause che fanno variare questi caratteri agiscono troppo lentamente, 
perchè non possa esere concesso di pensare ad una certa costanza (relativa certo di 
fronte alla successione dei secoli od anche solo di un’epoca geologica) ma abbastanza 
assoluta nell’epoca attuale, perchè essa possa permettere un’applicazione pratica. Del 
resto della fissità o della mobilità delle specie si potrà a tutto rigore dir quello, che 
il Vuillemin con tutta ragione scrive della teoria che vede nel cauloma un semplice 
aggregato di decorrenze fogliari, o della teoria inversa secondo la quale la foglia 
non è che un’espansione del fusto; si può dire cioè che questa questione ricompa- 
rirà e scomparirà periodicamente, perchè nessuno potrà mai materialmente dimostrare 
l’una o l’altra cosa. 

Ma per poco che essa duri è sempre una fissità, ed è indipendente attualmente 
dai mezzi in cui il vegetale cresce. E si può d’altro canto semplicemente dire, che una 
difficoltà del pari enorme si presenta a coloro che pretendono sostenere la continua 
mobilità dei caratteri; cioè quella più sotto accennata che è loro impossibile lo stabi- 
lirne le modalità ed i limiti, coll’aggravante di essere costretti a distruggere ogni 
tassonomia. 

Ciò non di meno il Vuillemin mette innanzi come una prova dell’indiscutibilità 
della teoria transformista il fatto, che nelle Papilionacee alcuni caratteri, che sono 
considerati come i più insensibili agli agenti fisici, vengono a variare e quindi “ les 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 241 


“ limites de la réductibilité des espèces sont reculées bien au delà du terme défini 
«“ par les caractères épharmoniques , (pag. 4). E continua (pag. 5) con queste pa- 
role: “ A vrai dire on pourrait définir les caractères phylétiques; des propriétés 
“ morphologiques dont la raison d’étre n'a pas encore été deéterminée. C'est une 
“ catégorie par trop subiective pour devenir le fondement de la taxinomie de l’avenir ,. 

Mi pare che esista in questo periodo ùn altro malinteso. Il limite dei gruppi 
(generi, specie) dato dai caratteri efarmonici può essere mal definito da una imper- 
fetta conoscenza o da uno studio incompleto dei gruppi stessi: potrà allargarsi o 
restringersi, ma un limite deve pure esistere anche a detta dell'Autore. Ora, se i 
caratteri filetici, cioè i caratteri ereditarii, sono delle proprietà morfologiche a cwi 
ragione di essere non è per anco stata determinata, e costituisce una categoria troppo 
soggettiva perchè possano divenire il fondamento della tassinomia dell'avvenire, io mi 
domando quale scopo si sia prefisso l'Autore nel suo lavoro sul Philum delle An- 
thyllis all'infuori di una semplice enumerazione delle consonanze e delle differenze 
istologiche della foglia delle Anthyllis colle altre Leguminose, e a quale altro criterio 
debba improntarsi la tassinomia futura? 

L'Autore chiude la sua opera con un periodo che qui cito parzialmente (p. 330): 

“ Chaque caractère tiré de l’organisation de la feuille a une dignité variable 


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suivant le niveau considéré de ce groupe soumis è une active évolution qui cons- 
titue le phylum des Anthyllis. Faut-il pour cela considérer la structure foliaire 
comme moins digne d’attention que la morphologie fiorale? Assurement non; car 
les propriétés de la fleur ne sont pas plus invariables. Pour n’en citer qu'un exemple: 
la monadelphie, l’articulation du légume, bases essentielles de la classification des Papi- 


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(1a 
“ lionactes ont acquis è ce stade critique de la phylogénie une incostance qui les place 
“qu dessous du mode d’épaississement du flagellum ou de V existence des poils glanduleux 
“ bien qu’elles se soient intégrées d’une fagon si parfaite chez les vraies Hédysarées 
“ ou chez le Génistées ,. 

Data e concessa la maggior costanza dell’ispessimento del flagello e l’esistenza 
dei peli glandolosi nelle Leguminose in confronto dei caratteri fiorali, ne nascerebbe 
che non più questi ma bensì quelli dovrebbero costituire il criterio di raggruppamento 
della famiglia. E se questi caratteri si riconoscessero domani identicamente costanti 
in confronto di tutti gli altri che determinano oggidì la famiglia delle Rosacee, sa- 
rebbe d'uopo allargare la circoscrizione delle Leguminose includendovi le Rosacee e 
via via. Ognun vede dove di questo passo si va a finire per quanto legalmente. Ma 
ammesso pure questo allargamento, si può dire che la circoscrizione così stabilita 
sia più naturale di quella che raggrupperà i nuclei esistenti in ciascun genere cioè 
le nostre Stirpes? E saranno proprio il flagello ed i peli glandulosi che staranno a 
prova di un antico legame naturale, genetico, certo, fra le Rosacee e le Leguminose? 
o non saranno piuttosto quei rapporti ben più fittizii di quelli che, tolti dal com- 
plesso delle species, verranno a costituire le vere unità tassonomiche cioè le Stirpes? 

Il minimo dettaglio di struttura, scrive infine il Vuillemin, “ può divenire carat- 
teristico di una categoria estesa purchè abbia raggiunto un grado sufficiente di palin- 
genia nel gruppo considerato ,. Ed in ciò siamo perfettamente d’accordo. Ma appunto 
perchè estesa, la categoria non può sempre essere l’espressione di un raggruppamento 
naturale. Per es. la pubescenza dei petali è caratteristica validissima di una Stirps ap- 

Serie IL Tom. XLIV. r 


242 S. BELLI 


partenente alla sezione Lagopus (Tricoptera); questo è un rapporto evidentissimamente 
di affinità di parentela fra le specie che compongono questa Stirps. Invece il legume 
villoso è carattere proprio di una quantità di specie, le quali appartengono certa- 
mente a diverse Stirpes. Il primo è un rapporto reale, il secondo è fittizio e tutti e 
due sono basati su di un carattere identico, la presenza dei tricomi sugli organi. Il 
primo carattere deve evidentemente essere filogenetico per quelle specie: il secondo no. 

Non sarà fuor di luogo il dire qui anche due parole in proposito delle idee esposte 
dal D' Terracciano (1) sui rapporti sistematici delle forme di un genere qualsiasi. 

Scrive il D" Terracciano: “ Per me tipi e gruppi e stirpi e specie, ecc., ecc., per 
quanto unità relativamente concrete, prese così di per sè sole, hanno sempre valore 
filogenetico considerate l’una rispetto all’altra. I loro rapporti sistematici abbracciano 
quindi un insieme di caratteri morfologici e geografici, onde spesso alcuni possono 
non interessare la tassinomia rivolta allo scopo di far conoscere le piante nel com- 
plesso loro più o meno generale; altri, e sono i più, porrebbero nella mente quella 
gran confusione, che dal frazionamento e dallo sminuzzamento delle forme ricercate 
a stabilire le affinità suole sempre seguire. Il Prof. Gibelli, della cui affettuosa ami- 
cizia mi onoro, conosce la stima ch'io abbia delle sue idee per sapermi voler male 
se in un campo così vario e subiettivo un poco mi discosti dal suo modo di vedere, 
allargando cioè o restringendo la significazione alla nomenclatura da lui proposta ,. 

Le mie brevi osservazioni allo scritto del D" Terracciano avrebbero dovuto veder 
la luce molto prima d’ora, se me ne fosse venuta l'occasione che ora mi si presenta, 
lontanissimo dal voler iniziare una polemica qualsiasi su questo soggetto, ma unica- 
mente perchè mi pare che, o il D" Terracciano non ha ben afferrato le idee del 
prof. Gibelli, che sono anche un poco le mie, come si vede dal titolo dell’opera, 
ovvero che noi non ci siamo abbastanza chiaramente spiegati. 

Noi non abbiamo messo mai in dubbio che le stirpes (e le species che le com- 
pongono), per quanto unità relativamente concrete non siano filogeneticamente legate 
le une alle altre, ma questo non abbiam detto mai dei gruppi in generale e soprat- 
tutto delle sezioni, cioè di categorie artificialissime, che possono essere, anzi di solito 
sono fatte ad arbitrio per facilità di sistemazione, e non rappresentano dei nuclei 
affini. Se si vuol far entrare il nesso filogenetico nelle sezioni, converrà intenderlo 
nel senso in cui il Vuillemin intende il phylum universale, che raggruppa tutti gli 
esseri viventi. 

In altre parole nel genere Trifolium non crediamo che un nesso filogenetico 
leghi per es. le Amorie ai Lupinaster, pel solo fatto che il vessillo è libero o quasi 
in tutte e due le sezioni; mentre siamo più che persuasi, che un vero nesso di con- 
sanguineità (mi si passi la parola), corre p. e. fra il Trifolium nervulosum Boiss. 
e tutte le specie della Stirps Glandulifera, quantunque al primo manchi uno dei 
caratteri posseduti dalle altre specie, cioè il collaretto involucrante del capolino, mentre 
tutte le altre note concordano. 

E per lasciare un poco le vedute soggettive, come le chiama il D' Terracciano, 


(1) © Malpighia ,, Anno III, vol. III, p. 297 (in nota) e seg.: Dell’Allium Rollii e delle specie 
affini (1889). 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 243 


nelle quali è spesso difficile accordarsi, sarà bene di scendere un momento nel campo 
pratico della sistemazione delle forme, dove le vedute soggettive devono trovare una 
corrispondente applicazione sotto pena di non intendersi più. 

La filogenesi entra a costituire l’ordine diremo così : ‘ontologico dei diversi gruppi; 
la loro ordinazione pratica fa parte dell'ordine del sensibile e del reale: si può cioè 
essere incerti sulla via probabile, che le attuali forme hanno seguìto per essere quello 
che sono, ma non vi può essere gran diversità di vedute nello stabilire il valore 
dei vocaboli che si usano per definire i gruppi oggidì esistenti, dal momento che 
questi vocaboli hanno avuto prima di noi ed hanno tutto dì un significato. 

Questo ragionamento prende a tutta prima l’aspetto di un paradosso; avvegnachè 
questa benedetta filogenesi dei gruppi non si possa in ultima analisi in altra maniera 
dedurre, che studiando i rapporti di forma dei vegetali fra loro; ma. non è meno 
vero che tutte le classificazioni hanno un lato in certo modo artificiale, ed almeno 

*in questa bisogna, oggettiva fin che si vuole, è d’uopo accordarsi (1). 

Ed è in questo campo che io vorrei vedere mantenuto fino al limite del possibile, 
il parallelismo dei valori; questa è, volere o no, la sola via per giungere a stabi- 
lire i gradi di dignità corrispondenti al nesso genealogico presupposto. 

Così si andrà contro alla confusione, dalla quale il D" Terracciano giustissima- 
mente rifugge, ed a questo scopo molti fitografi moderni (Hackel, Burnat, Naegeli, 
Christ Haussknecht, ecc.), hanno rivolto le loro più amorose cure. 

Conviene insomma addivenire ad una specie di casellamento delle forme, subor- 
dinate alla Stirps, nel quale sia evidente, che p. e. la forma a dipenda dal gruppo 
di ordine superiore A, per la stessa ragione per cui la forma è appartiene al gruppo 
di ordine superiore B, e nei quali si possa sempre controllare (mi si perdoni il bar- 
barismo) la costanza, il numero ed il valore dei caratteri similari usati a stabilire 
questi rapporti. 

Spesso invece nel lavoro del D' Terracciano si trovano usate espressioni come 
la seguente: “ la forma A passa per la forma B, ece. ,. Ora con questa semplice 
espressione non si può capire se la forma A passi vicino o lontano pei suoi carat- 
teri dalla forma B e paragonata con un’altra forma corrispondente collaterale. 

Così pure l’espressione grafica dei nessi strutturali delle diverse specie, sotto- 
specie e varietà, come vien trattata nel lavoro sull’ Allium Rolli, non ci pare possa 
renderli chiari, poichè essi non esprimono la differenza di valore dei legami, ma 
costituiscono un aggruppamento, mutuo o no, ma uniforme. 


(1) Per spiegare meglio con un altro esempio questa specie di indipendenza della tassinomia 
delle forme attuali dalla filogenesi, mi servirò di un gruppo di Trifogli già altra volta utilizzato 
nella Prefazione ai Lagopus. — Il T. dalmaticum, che, secondo noi, sta oggidì ad uno dei capi della 
Stirps Scabroidea, avrà forse appartenuto ad un tipo un tempo più differente dal 7. scabrum; e le 
differenze che lo separano oggidì da questa specie, avranno potuto essere di gran lunga meno valide 
delle analogie, che lo legavano ad un tipo scomparso, cosicchè se noi potessimo oggi vedere quelle 
forme, forse il 7. dalmaticum farebbe parte di un’altra Stirps. Ma così come oggi stanno, noi non 
possiamo far a meno di riunire il 7. dalmaticum: al T. scabrum nella stessa Stirps, per quanto essi 
stiano ai due poli della circoscrizione, ed abbiano il 7. /ucanicum che li collega da un lato solo, 
mentre l’altro lato è quello dove il 7. dalmaticum non ha rapporti con nessun’altra forma. 


244 S. BELLI 


Anzitutto poi è ncessario partire, nella nomenclatura, dalle definizioni delle se- 
riazioni; e questo è stato per noi un lavoro altrettanto necessario quanto faticoso. 
E si capisce che per allargare o restringere (sono parole del D' Terracciano) le idee, 
che altri può aver espresse in un processo tassinomico, conviene anzitutto farsene 
un concetto esatto e dare la definizione esatta delle modificazioni che vi si introdu- 
cono. E poichè ci siamo, comincierò dalla definizione che il D' Terracciano ha dato 
della Stirps (p. 298). Eccola: 

“ Il gruppo ed i sottogruppi, per quanto idealmente, coneretizzano un complesso 
di caratteri generali riconoscibili nel tempo e nello spazio fra tutto il differenzia- 
mento morfo-geografico, a cui andarono soggette le molteplici loro forme ; nelle quali, 
se essi genericamente una per una si adattano, specificamente non vi sono compresi, 
sì da poterne essere rappresentati. Invece quando, stabilito un carattere, ad esso 
altri si aggiungono, per modificare ed affermare un assieme di forme entro certi 
confini morfologici ed in rapporto all'ambiente considerato o quale mezzo presente 
di evoluzione, o termine di evoluzioni da epoche più remote ed in rapporto alle con- 
dizioni inerenti al loro quale che siasi ciclo biologico, sorgono le Stirpes ,. 2? 

Io confesso ingenuamente che non ho potuto capire questa definizione. Non do 
la colpa ad altri di questa mia insufficienza; ma osserverò soltanto che da Spring a 
Noegeli esiste la definizione della Stirps molto più semplice, con un significato chia- 
rissimo, che noi abbiamo cercato di precisare ancora meglio nella Prefazione ai “ La- 
gopus ,, e che ognuno che l’usa ha il dovere di discutere, dato che ne alteri il 
significato, o lo allarghi, o lo restringa. La definizione della Stirps è questa: Un 
complesso di entità che hanno uno stampo comune; che probabilissimamente hanno avuto 
un'origine comune dimostrabile nell'attualità, e che si rassomigliano fra loro così da 
costituire un vero nucleo quasi sempre ben separato dalle altre Stirpes della sezione a cuì 
esso appartiene, ed è cui caratteri sono inegualmente distribuiti nei membri che lo compon- 
gono, originando così i diversi gradi di dignità che esso comprende, species, subspecies, 
varietates, ecc. Questa definizione non differisce sostanzialmente da quella una volta 
attribuita alla Specie Linneana se non per ciò, che essa è basata sull’esistenza di un 
complesso di caratteri, e permette una certa oscillazione degli elementi che la costitui- 
scono; mentre la definizione Linneana della specie implicava una fissità disperante 
delle forme. 

Definito così il significato di Stirps era còmpito del D" Terracciano il dire dove 
questo significato era allargato e dove ristretto. Farò io invece un breve esame della 
sua seriazione in confronto colla nostra. 

Al di sopra della Stirps sta per noi la Sezione che abbiamo detto essere una 
circoscrizione artificiale. Pel D' Terracciano sta invece il Typus (p. 304) che è un 
sottogruppo (p. 298), corrispondente alla nostra Sezione, perchè basato su di un solo 
carattere (Typus monoumbellatus e Typus biumbellatus). 

L'Autore conviene qui di aver usato impropriamente questo vocabolo, che ha 
un significato troppo preciso (cioè modello, stampo), per significare invece una grande 
casella, che comprende essa stessa dei tipi diversi. Non insisteremo più oltre su 
questa improprietà di nomenclatura già sconfessata dall’Autore. 

AI di sopra del Typus sta pel D' Terracciano il prototypus e nella nostra seria- 
zione al di sopra della sezione sta il Genere. 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 245 


Che cosa sia il suo prototypus, il D" Terracciano non spiega: aggiunge però fra 
parentesi (Prototypus = typus sensu vero). 

Ma il guaio è che nel grande quadro degli Allium, in fondo al lavoro, la parola 
prototypus non esiste più nella seriazione, mentre vi è nuovamente riprodotta la pa- 
rola Typus; e, quello che ci sorprende è di vedere assieme riportato i vocaboli Sectio 
e Subsectio. 

In questo caso le parole Sectio, Subsectio, Typus avrebbero lo stesso significato 
ed almeno una sarebbe di troppo. 

La divisione che corrisponde al Typus monoumbellatus è ben equivalente nel 
concetto sistematico alla sezione “ Crommium , e Subsectio Porrum, Boiss. ,. 

Come si vede è difficile capire, il dove, il come, ed il perchè l’Autore abbia 
allargato o ristretto il concetto da noi esposto nel lavoro sui Trifogli. Soprattutto 
risulta chiaro, che il nesso filogenetico, che correrebbe per es. fra i membri della 
Stirps “ Descendens , è un vero nesso di affinità, mentre è chiaro che i due #ypus: mono- 
e biumbellatus comprendono delle Stirpes diverse, ed il nesso filogenetico, fra quelle 
sezioni non è certo dello stesso valore di quello che stringe fra loro i membri delle 
diverse Stirpes. 

Creando poi la parola Prototypus l'Autore pare abbia voluto designare il capo- 
stipite di una discendenza. Ma il capo-stipite di una discendenza si può supporre 
esistente in una Stirps secondo le nostre idee, non in una Sezione, basata su di un 
carattere solo: chè tale sarebbe il 7ypus del D* Terracciano. Noi però abbiamo ri- 
nunciato a stabilire, quale delle species di una Stirps debba venir designato come 
tipo o capo-stipite: perchè è semplicemente impossibile il saperlo. Nell'ambito della 
Stirps tutti i caratteri sono rappresentati da una o più forme (species); o solo in 
parte (subspecies), ma non è possibile dire quale di esse è direttamente il rappresen- 
tante primo dell’evoluzione di una forma tipica. 

Questi sono i punti controversi che io avrei voluto vedere discussi dal D' Ter- 
racciano, facendo un parallelo accurato dei suoi valori sistematici con quelli già usati 
in tassinomia, per es. coi valori stabiliti dall’immortale Decandolle nel Congresso 
Botanico di Ginevra, quando non avesse voluto fermarsi alle nostre classificazioni. 
Ma finchè non si faranno questi paralleli, non potremo a meno di deplorare che si 
introducano nella nomenclatura dei vocaboli, che hanno un'influenza dannosissima, 
tanto più quando sono stati adoperati da altri in altro senso, ovvero quando espri- 
mono un significato opposto alla loro natura. 

Mi permetto ancora un’ultima osservazione alla nota posta a pag. 297 della 
Malpighia. L'Autore parlando delle stirpi, gruppi, specie, ecc., scrive, che i loro rap- 
porti genetici “ abbracciano un insieme di caratteri morfologici e geografici, onde 
spesso alcuni possono non interessare la tassinomìa, rivolta allo scopo di far cono- 
scere le piante nel complesso loro più o meno generale; altri, e sono i più, porreb- 
bero nella mente quella gran confusione, che dal frazionamento e dallo sminuzzamento 
delle forme suole sempre seguire ,. 

Secondo l’Autore esisterebbero dunque due specie di caratteri, morfologici e 
geografici. Io confesso che non giungo a farmi un'idea di un carattere geografico in 
astratto. Il carattere geografico per me si confonde senz'altro col carattere morfo- 
logico o, a dir meglio, il secondo può essere una dipendenza ed un’espressione del 


246 S. BELLI 


primo. Vale a dire che a seconda della sua ubicazione una forma qualsiasi potrà 
modificare la sua struttura. In tal caso, come è possibile che vi siano dei caratteri 
morfo-geografici, che possono non interessare il tassonomo ? 

In quanto essi sono caratfterî avranno un valore più o meno grande a seconda 
dell'importanza dell’organo e soprattutto della costanza loro, ed allora serviranno a 
scopo tassinomico; potranno essere variabili estremamente, anche in uno stesso in- 
dividuo ed allora si trascurano. Quali siano poi i caratteri, che possono esser causa 
di gran confusione nella mente di chi si accinge ad un lavoro di sistemazione nep- 
pure giungo a capire, come non mi riesce di afferrare il concetto filogenetico tal 
quale è espresso nel lavoro dell'Autore. Ho cercato nel lavoro da lui citato in nota 
a pag. 304 della Malpighia cioè: Le Viole italiane della Sezione Melanium “ N. G. 
Bot. Ital. ,, Vol. XXI (1889) qualche schiarimento su queste idee; ma con mio rin- 
crescimento non ho trovato che un solo periodo, quello con cui l'Autore chiude la 
memoria, e che non mi è parso più chiaro degli altri. Discorrendo delle viole egli 
così finisce (p. 328): “ Quale di tutte il prototipo, come nel tempo e nello spazio si 
siano differenziate, quanto spetti alla plasticità, sia in rapporto con tipî anteriori e 
con altri futuri, dirò in lavoro di maggior momento, di cui queste idee non sono che 
il riepilogo più breve il quale abbia saputo farmi ,. 

Qui il prototipo è nuovamente messo in serie. Ma per me trovo che se è cosa 
molto problematica il sapere come nel tempo e nello spazio una Stirps si sia diffe- 
renziata, mentre è possibile studiarla tale quale oggidì si presenta, riesce poi asso- 
lutamente al di sopra di ogni immaginazione il figurarsi quanto la plasticità di un 
genere possa essere in rapporto con tipi futuri. 

Non mi vorrà male, spero, l’egregio D" Terracciano se, a molti che mi parvero 
voli di ardita fantasia, io ho opposto la fredda logica dei fatti, anche a costo di averne 
taccia di pedante. Nè creda, che il divergere completamente dalle idee sue sogget- 
tive, voglia significare un dubbio sull’esattezza delle sue osservazioni sul genere 
Alliun o sul genere Viola, dei quali non ho che limitatissima conoscenza. Mio solo 
scopo in questa breve critica è stato quello, come già dissi di far sì, che le nostre 
idee esposte nella Prefazione ai “ Lagopus , non venissero fraintese da chi, per av- 
ventura non conoscendola, avesse voluto o dovuto farsene un concetto dall’esposi- 
zione sistematica del D* Terracciano sul G. Allium. 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 247 


LUPINASTER (BuxBAUM) 


Buxbaum Nova pl. Gen. (in Comment. Acad. Sc. Imper. Petrop. Tom. II, p. 345 
(1729) — Manch Suppl. ad Meth. pl. etc. Vol. II, p. 50 (1802) — Link Enum. pl. 
R. H. Berol. Vol. II, p. 260 (1822) — Seringe in DC. Prodr. Vol. II, p. 203 (1825) 
p. p. — Duby Bot. Gall. Vol. I, p. 135 (1828) p. p. — Pres! Symb. Bot. Vol. I, 
p. 46 (1832) p. p. — Rehbch. FI. Exc. Vol. II, p. 495 (1832) p. p. — End!. Gen. 
pl., p. 1268 (1836-40) — Puccinelli Syn. Pl. Agr. Luc. Vol. I, p. 371 (1841) — 
Endl. Enchyr. Bot., p. 668 (1841) — Ledeb. FI. Ross. Vol. I, p. 551 (1842) — Koch 
Syn. FI. Germ. et Helv. Vol. I, p. 90 (1843) — De Vis. FI. Dalm. Vol. III, p. 300 
(1850) — Koch Syn., ediz. III*, p. 149 (1857) — Benth. et Hook. Gen. PI., p. 488 
(1862-67) — Fuss FI. Transsilv., p. 162 (1866) — Boiîss. Fl. Or. Vol. IL, p. 112 
(1872) — £Eehbch. fil. Ic. FI. Germ. et Helv. Vol. XXII, p. 74 (1874) — Celak. Aufb. 
der Gatt. Trif. (in Oesterr. Bot. Zeitschrf. N. 2, p. 42) (1874) — Koch Tbch. der 
Deutsch. u. Schw. Fl. ediz. alt., p. 521 (1878) — Nyman Consp. Fl. Europ., p. 179 
(1878-82) — Willk. et Lange Prod. Fl. Hisp. Vol. III, p. 358 (1880). 


PENTAPHYLLON Pers. Syn. Vol. II, p. 352 (1807). 

PENTAPHYLLUM Spreng. Syst. Veg. II, p. 286 (1826) p. p. 

DACTYPHYLLUM Rafin. In Journ. Phys. LXXXTX-261 (ex Endl. Gen. PI. L c. 
et Enchyr. l. c.). 

LOTOIDEA L. Sp. pl., p. 1079 (1764) p. p. et Syst. Nat. II, p. 501 (1767) 
p. p., et Syst. Veg. (ed. 14% Murray), p. 687 p. p. — Wild. Sp. pl. Vol. III, p. 1357 
P. p. (1800) — Suter FI. Helv. Vol. II, p. 107 (1802) — Pers. Syn. Vol. II p. 348 
P. p. (1807) — At Hort. Kew. Vol. IV, p. 881 (1812) p. p. — Sibth. et Sm. FI 
Gr. Prod. Vol. II, p. 96 p. p. (1813) — Lapeyr. Hist. PI. Pyr. Vol. II, p. 432 p. p. 
(1813) — St. Amans FI. Agen., p. 304 p. p. (1821) — ? Maratti FI. Rom. Vol. II, 
p. 153, p. p. (1822) — Gaud. FI. Helv. Vol. IV, p. 578 (1829) — JItichter Cod. Bot. 
Linn., p. 742 p. p. (1835) — Gaud. Syn. FI. Helv., p. 628 (1836) — Gren. Godr. 
MiElde Fr. Vol. I, p. 417 p. p. (1848). 
GLYCIRRHIZUM Bertol. FI. Ital. Vol. VII, p. 101 (1850). 


248 S. BELLI 


GENERALITÀ SULLA SEZIONE 


Il vocabolo “ Lupinaster , venne introdotto nel 1729 dal Buxbaum, il quale 
credette riconoscere un genere nuovo nella pianta omonima, che allora costituiva da 
sola il genere stesso. 

Sul valore delle ragioni, che indussero il Buxbaum in quest’opinione, sarà detto 
più avanti. Linnè ricondusse fra i Trifogli questa specie, e, come già si disse nella 
Prefazione, stando alla definizione del G. Trifolium, quale vien data da Tournefort, 
il T. Lupinaster non dovrebbe venirne tolto, salvo a giustificare a più forte ragione 
i generi fondati dal Presl a spese delle specie Linneane. Linnè ascrisse il T. Lu- 
pinaster alla sua Sezione “ Lotoidea , caratterizzata dalla frase: “ Leguminibus 
“ tectis polyspermis ,. È ovvio il capire come una caratteristica tanto ampia po- 
tesse e dovesse comprendere una quantità di specie disparatissime per naturale 
affinità. 

Moltissimi Autori accettarono la classificazione Linneana come si rileva. dalla 
sinonimia più sopra esposta. 

Moench (I. c.) tornò a sua volta a ritogliere il T. Lupinaster dai Trifogli e 
ricostituì il genere omonimo colle seguenti diagnosi: 

“ Calyx campanulatus, quinquedentatus dentibus setaceis, quatuor sub vexillo; 
“ imo sub carina. Corolla papilionacea, vexillo ovato longiori: alae erectae oblongae, 


6 


carina obtusa. Stamina decem ad medium usque connata, supremum liberum. Stylus 
“ unus. Stigma uncinatum. Legumen enode, teres, polyspermum ,. Buxbaum Acta (1) 
. p. 345, Tab. 20. 
Persoon (1. c.) ritenne la classificazione di Moench mutando il nome del genere 
in quello di “ Pentaphyllon ,, cambiato dipoi in “ Pentaphyllum: , da Sprengel, il 
quale riunisce in questo gruppo due specie: T. Lupinaster e 7. megacephalum Nutt. 
pianta americana che, a giudicare dalla descrizione, non deve appartenere alla stirpe 
del T. Lupinaster. 
Da Link e Seringe in poi, il nome “ Lupinaster , fu adottato per stabilire 
una Sezione alla quale si riunirono, a seconda dei diversi Autori, molte altre specie 
più o meno eterogenee, ma nella quale si comprende sempre il 7. alpinum. Gli 


DO 


(1) Giova qui notare come Mcnch nella caratteristica del Genere citi il Buxbaum, ma non si 
riporti per nulla alla descrizione del Buxbaum stesso, aggiungendo anzi altre note molto discutibili 
e certo meno valide di quelle date da Buxbaum. — Nella citazione poi, Mcench scrive: “ Buxbaum 
Acta ete. ,. Ora non esistono del Buxbaum Acta di sorta, ma è quasi certo che Monch ha copiato 
senz'altro la citazione Linneana del 7. Lupinaster (vedi Ricater, “ Cod. Bot. Linn. ,, p. 742), cioè: 
“ Ac., 2, p. 845 ,, interpretando l’ abbreviazione Ac. per Acta, mentre significa “ Academia , (Vedi 
più avanti la citazione testuale della frase di Buxbaum a pag. 250. 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 249 


Autori che si servirono del vocabolo “ Lupinaster , per stabilire le loro Sezioni, 
variarono tutti qual più qual meno la caratteristica del Buxbaum, adattandola natu- 
ralmente alle specie che vollero includervi, citando spesso il Moench ciò che è poco 
corretto e poco chiaro. 

Seringe p. e. riunì nella Sezione Lupinaster (Moench) il 7. Gussoni (Chronose- 
mium), il T. uniflorum il T. involucratum, etc. La stessa osservazione vale per 


_ Presl. etc. etc. 


Bertoloni trovò un nuovo vocabolo per caratterizzare la Sezione alla quale 
ascrisse il solo 7. alpinum, e secondo me questa sarebbe la denominazione più adatta 
a raggruppare in un’ampia Sezione non solo i Lupinaster degli Autori in generale, 
ma anche molte specie ascritte al genere Loxrospermum di Hochstetter. 

La frase semplicissima di Bertoloni per la sua Sezione G/ycirrhizum suona così: 
“ Capitulis fructiferis umbellaribus, involucro brevissimo, connato, flore magno ,. 

Verrà detto più avanti e già fu ripetuto altra volta (Vedi Saggio Monografico 
“ Lagopus , Mem. Accad. Sc. in Prefazione) come la Sezione rappresenti per noi 
non una circoscrizione naturale, ma un raggruppamento artificiale, fatto per comodo 
di tassonomia, e basato su pochi od anche su di un solo carattere, preso convenzio- 
nalmente ed artifiziosamente. E tali sono la maggior parte delle Sezioni oggidì sta- 
bilite nel genere Trifolium. Gli è perciò che io avrei adottato senz'altro il nome 


Glycirrhizum per questa Sezione se veramente, il carattere “ 


K 


capitulis fructiferis 
umbellaribus , non convenisse male al T. Lupinaster, il quale ha un’infiorescenza 
tutt'altro che ombrelliforme. Ho invece adottato in senso ampiissimo la denomina- 
zione di Buxbaum, perchè anche il gruppo del 7. a/pinum, per quanto naturalmente 
distante dal T. Lupinaster, può esservi artificialmente compreso, ritenendo che le 
sue foglie, di solito trifogliolate, sono rarissimamente quinate, ma certamente digi- 
tate. Quello che importa a me di stabilire si è, che nell’ambito di questa Sezione 
così accettata ed affatto artificiale, sono riconoscibili facilissimamente dei nuclei 
naturalissimi, delle vere “ Stirpes , nel nostro significato. 

Le osservazioni che qui seguono permetteranno, spero, di giustificare la separa- 
zione della Sezione Lupinaster in due Stirpes: l'una rappresentata (per quanto io 
mi sappia) dalla specie omonima e dal 7. eximium Steph., cioè la Stirps Eulupinaster; 
la seconda che ha per capo il 7. alpinum L. e comprende T. polyphy0um C. A. 
Meyer e T. nanum Torr., e porta il nome di Glycirrhizum giù adottato dal Bertoloni 
pel 7. alpinum. Sono da escludere assolutamente da questa Stirps le specie africane 
T. calocephalum Fresen., T. Schimperi Hochst. e T. multinerve Hochst. appartenenti 
alla Sezione Loxospermum Hochst., le quali artificialmente potrebbero venir comprese 
nella circoscrizione Bertoloniana, stando a quella caratteristica, ma che hanno d’uopo 
di ulteriori studi. 


Serie II. Tom. XLIV. al 


250 S. BELLI 


Il 


Buxbaum (1) stabilì come segue il suo genere Lupinaster “ Nova Plantarum 
genera , — “ Secundum genus plantarum novum a nobis appellatur Lupinaster 
cujus notae sunt: Folia instar Lupini digitata: Flores papilionacei in capitulum 
longo petiolo ex foliorum alis egresso sustentatum congesti; siliquae longae de- 
pressae, seminibus reniformibus foetae, quae notae ipsum a congeneribus satis 
evidenter separant ,. 

E più avanti: (T. Lupinaster): 

“ Caules profert hic Lupinaster semipede altiores non raro pedales rotundos 
et striatos virides, parvis ramis ex alis foliorum egredientibus praeditos. Folia 
longa, acute serrata glauca non tamen hirsuta, eleganter striata et rigida. Quinque, 
sex, septem imo plura digitatim instar folioram Lupini communi insident pediculo, 
brevi, ex vagina sublutea, caulem amplectente prodeunte. In summo caule et 
ramulis nascuntur flores purpureo-coerulei, in capitulum collecti, exacte flores 
Trifolii (Psoralea) bituminosi referentes, pediculis uncialibus aut longioribus su- 
stentati et calyce in multa segmenta acuta scisso excepti. Siliquae longae, depressae 
seminibus reniformibus, nigris, repletae. Crescit haec elegans planta ad ripas Volgae 
intra Astrakanum et Czarizinam: ob similitudinem cum Lupino hoc nomen imponere 
“ placuit ,. 

Savi nella “ Biblioteca italiana , (1. c.) (2) ha una nota critica accuratissima 
su questa separazione del T. Lupinaster dal G. Trifolium fatta dal Buxbaum, che 
io riporto per intero, anche perchè il libro non è troppo facile a trovarsi nelle bi- 
blioteche, ma soprattutto perchè se le argomentazioni del Savi non lasciano dubbio, 
che questa pianta debba, pei caratteri dati da Moench (ed anche da Buxbaum) 
rientrare nel G. Trifolium, ci permettono d'altra parte di dimostrare coll’esame 
accurato di essa, che il T. Lupinaster costituisce una Stirps evidentissima, la quale 
non ha, per quanto io mi sappia, altro stretto affine che il 7. erimium Steph. del- 
l’Asia centrale ed orientale. 

Così scrive Savi: (T. Lupinaster). 

“ Mancava questa bella specie nella mia memoria su i trifogli, ove deve collo- 
carsi nella quarta Sezione (Trifoliis bracteatis calyce immutato nervoso, corolla 
immutata, vexillo non sulcato) (3). L'ho avuta in fiore per la prima volta nel 
corrente anno 1817 ed eccone la descrizione: 


K 
“% 


“% 


(1) £ Commentarii Academiae Scient. Imperialis Petropolitanae ,, tom. II, p. 345 (1729); Petropoli, 
Typis Academ.), cum tab. XX (optima). 

(2) “ Biblioteca italiana ossia Giornale di Letteratura, Scienze ed Arti compilato da varii lette- 
rati,, tomo VIII, anno II (ottobre-novembre-dicembre), 1817 (Milano). Memoria contenente alcune 
correzioni ed aggiunte alle Observationes in varias Trifoliorum species del sig. Savi, Professore di 
Botanica e Direttore del Giardino dell’Università di Pisa (p. 132). 

(3) Comprende le © Amorie ,, il 7. parviflorum, T. montanum, T. alpinum, T. formosum. 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 251 


“ (T. Lupinaster, caule erecto, solido, foliis 3-Snatis, involucrismonophyllis Nob.),. 


“ (T. Capitulis dimidiatis foliis quinatis, sessilibus, leguminibus polyspermis 
sllun. Spec.) ,. 


“ (T. Leguminibus polyspermis, foliis pluribus Gmel. FI. Sibir. Tom. V. Tab. 19, 
«“ pag. 19, tab. 6, fig. 1 (mala).) 


“ Caulis 8-10 pollicaris, cylindricus, glaber superne tantum laeviter pubescens 
“ et ramosus — Folia sessilia, prima ternata, reliqua quinata — Foliola lanceolata, 
“ acuta serrulata, glabra. Stipulae connatae, glabrae nervosae, caudis triangulo = 
“ acutis — Capitula terminalia dimidiata, subbifida ex 2-3florum seriebus, quavis 
“ serie basi involucro monophyllo brevissimo crenulato instructa — Flores 4-5 lineas 
“ longi pedicellati — Calyx subconicus, nervosus, pilosus, dentibus subulatis, elongatis, 
“ 2 superioribus brevioribus, inferiore longiore. — Corolla calyce 3-plo longior alba, vel 
“ rosea, exsiccatione immutata, persistens Vezillum lanceolatum, obtusum, laeve, apice 
“ vix emarginatum, subreflexum — Alqe lanceolato-obtusae — Stylus apice reflexo- 
uncinatus — Legumen corolla persistente tectum, 3-4 lineas longum, compressum, 
torulosum, lanceolatum, superna parte marginatum, ad summum tetraspermum. 
Perenn. ,. 


Moench credè di dover stabilire un nuovo genere con questo trifoglio, e, ridu- 
cendo generico il nome triviale di Linnè, lo chiamò Lupinaster pentaphyllus — 
Persoon poi, cui pure parve che convenisse un’innovazione rapporto al genere, ma 
cui non piacque il nome adoperato, si servì del nome triviale di Moench come di 
nome generico, e viceversa chiamandolo Pentaphyllon Lupinaster. I caratteri asse- 
gnati a questo genere Pentaphylon o Lupinaster sono: “ Calyx campanulatus 5-den- 
“ tatus, dentibus setaceis, uno sub carina. Stigma uncinatum. Legumen enode teres, 
“ polyspermum ,. 

Ma questi caratteri a me non sembrano abbastanza validi per costituire un 
genere nuovo perchè: 1° il calice non è in nulla diverso da quello degli altri trifogli 
— 2° lo stimma è vero che è fortemente uncinato, ma si arriva a questo grado in- 
sensibilmente passando per molte specie, cosicchè trovasi alquanto curvo nel 7. elegans 
e manifestamente uncinato nel 7. vessiculosum. Finalmente il legume non è terete 
ma compresso, e non contiene maggior numero di semi di quel che ne contengano 
i T. repens, hybridum e angulatum etc., e in quanto all'essere enode non vi è fra i 
trifogli specie alcuna che l’abbia veramente nodoso, e solamente in diversi sonvi 
delle protuberanze nei posti occupati dai semi, e queste si osservano anche nel 
legume del T. Lupinaster. Avendo la smania di far dei generi nuovi se ne potreb- 
bero far quattro dividendo il G. Trifolium: ma l'andamento delle specie ci si oppone: 
i caratteri si intrecciano; bisognerebbe separare delle piante che per molti rapporti 
devono stare unite, e ho ben conosciuto, che ne risulterebbero generi meno naturali 
di quello stabilito da Linneo ,. 

Fin qui il Savi. 

Dalle sue parole risulta altresì, come Egli non conoscesse la nota del Buxbaum 
e riferisse a Moench la creazione del nuovo genere Lupinaster. 

Come dicemmo sono ben altri i caratteri che dànno al T. Lupinaster una 


252 S. BELLI 


particolare fisonomia la quale rivela un tipo di pianta tutto suo proprio. Esaminia- 
moli in breve. 

Il T. Lupinaster presenta anzitutto un fatto curiosissimo. Esso possiede un 
caule in parte ipogeo rizomatoso, strisciante e ramificato assai nella porzione sotter- 
ranea (pochissimo invece fuori terra). I brevissimi stoloni gemmiformi, che si possono 
osservare sui vecchi rizomi di un cespo in riposo nella stagione invernale, allorchè 
hanno raggiunta la lunghezza di un centimetro o poco più (Tav. I, fig. 7 a) conten- 
gono nel loro interno già formati i rudimenti delle infiorescenze che si svilupperanno 
di poi. — Queste infiorescenze stanno all’apice del breve cono vegetativo rinchiuso nella 
gemma ed all’ascella delle due o tre ultime foglie, fra le quali sta l’apice dell’asse 
vegetativo stesso. Ne consegue che una sezione mediana di un germoglio consistente 
in un corpicciuolo cilindraceo-conico (Tav.I, fig. 1) lascia vedere come esso sia costituito 
da un asse brevissimo sul quale si inseriscono in ordine distico le stipole inferiori afille 
(esterne). Solo le due, o (più di rado), le tre supreme (interne) provviste di foglioline, 
portano ciascuna alla loro ascella un capolino rudimentale; tutte le altre sono sterili 
o non dànno che rami fogliferi, in certe circostanze sterili anch'essi. Chiameremo queste 
produzioni, nel corso di questo lavoro, gemme ipogee, per brevità di linguaggio. Al- 
l’ascella della fogliolina è (superiore) sta il capolino d' ed all’ascella della fogliolina @ 
(inferiore) sta il capolino a'. Fra questi due capolini sta l’apice dell’asse caulinare 
arrestato di buon ora nel suo sviluppo e ridotto ad un piccolo tubercolo mammel- 
liforme (1) — I due capolini stanno sulla sezione laterale del diagramma e disposti 
in modo che la porzione superiore del capolino inferiore (più giovane) viene ad 
adattarsi contro la base del superiore. 

Il fatto importante per questa specie è, che per ogni ramo fiorifero proveniente, 
dal rizoma sotterraneo non si svilupperanno, a vegetazione finita, che uno due o tre 
capolini, cioè tanti quanti stanno già formati nel piccolo tubercolo gemmiforme ini- 
ziale sotterraneo, tutto all’opposto di quanto succede nella generalità dei Trifogli, nei 
quali l’asse di vegetazione va gradatamente svolgendosi per accrescimento apicale 
formativo del caule o dei rami e per ulteriori apici laterali all’ ascella delle foglie, 
che diventeranno rami o peduncoli fiorali. — Questo fatto interessantissimo spiega la 
singolare struttura definitiva del peduncolo e del capolino del T. Lupinaster, come 
vedremo or ora nella sua Infiorescenza. 

Esaminato macroscopicamente il capolino del T. Lupinaster appare portato da 
un peduncolo di varia lunghezza, il quale non è cilindrico o quasi, come si osserva 
nella massima parte dei Trifogli, bensì quasi semicilindrico, poichè la sua faccia interna, 
invece di essere piana, come il richiederebbe un vero corpo semicilindrico, è scanalata, 
depressa; cosicchè una sezione trasversale di esso (Tav. I, fig. 16) offre una figura 
irregolarmente semilunare o reniforme. Questa scanalatura (Tav. I, fig. 4a) percorre 
il peduncolo da cima a fondo, e si fa gradatamente più profonda di mano in mano che 
sl avvicina all’apice del peduncolo stesso. Nella sua porzione suprema il peduncolo 


(1) Nella figura 1, Tav.I, non precisamente mediana l’ apice dell’asse non è visibile. La man- 
canza di spazio non ci ha permesso di dare il disegno di altri preparati dove esso è evidente, ma 
dove la posizione reciproca dei capolini non è così ben designata come nella fig. 1. Del resto si 
capisce come si debba per forza ammettere teoricamente un apice caulinare fra essi. 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 259 


è dilatato e termina in una specie di ricettacolo foggiato a spatola od a palmetta 
spatolato-ovata, appiattita (Tav. I, fig. 45), in modo da presentare rispetto all’asse 
della pianta due faccie, una esterna e l’altra interna: la prima convessa, la seconda 
concavo-pianeggiante. 

Sulla faccia interna della palmetta sono disposti ordinariamente in più ordini con- 
centrici e più o meno regolarmente verticillati i fiori, involucrati da due serie di 
brattee saldate a collaretto continuo più o meno denticolato-frangiato (Tav. I, fig. 45, 
e 285). A tutta prima questa infiorescenza si direbbe una cima scorpioide (Tav. I, 
fig. 26) avvegnachè i fiori inferiori appajano sempre meno sviluppati graduatamente 
dei superiori che sono i primi a sbocciare (1). Ma questa falsa apparenza di infio- 
rescenza cimosa è un'illusione, a spiegar la quale occorre, come si disse, ricorrere 
allo studio della gemma fiorale. 

La interessente struttura dell’infiorescenza del T. Lupinaster fu descritta in 
modo molto esatto dal Trecul (2). L'Autore riconobbe già fin d'allora che l’infiore- 
scenza del T. Lupinaster è un vero racemo, per quanto la posizione della sua base 
geometrica corrispondente all’apice organico dell’asse o ricettacolo, la mascheri al 
punto da farla rassomigliare ad un’infiorescenza cimosa scorpioide. 

Il signor Trecul ha studiato nell’infiorescenza del T. Lupinaster anche la dispo- 
sizione ed il decorso dei fasci fibro-vascolari; e basandosi su questi risultati egli 
trova una nuova conferma della natura di questa infiorescenza. Egli così si esprime: 
(p. 126): “ Si l'on fait une coupe transversale du pédoncule canaliculé on trouve 
“ que les faisceaux fibro-vasculaires y sont isolés les uns des autres, et distribués 
autour d’un centre médullaire. Ceux qui sont situés près de la face interne du 
pédoncule sont notablement plus faibles que ceux de la face externe: ce sont 
aussi ces derniers principalement qui fournissent aux fleurs les vaisseaux qu'ils 
renferment. En effet, si l'on examine des coupes longitudinales, on voit les fais- 
ceaux de la face externe se prolonger dans les fleurs de la première série, mais, 
auparavant ils émettent des ramifications qui se rendent dans les fleurs des séries 
subséquentes: et cette division s’opère de manière è produire, d’arrière en avant, 
des fascicules de différents degrés. Ces fascicules ou ramifications vasculaires du 
premier degré iraient dans les fleurs de la deuxième série: leurs subdivisions se 
rendraient dans les fleurs de la troisiòme etc. Ainsi ces fleurs recoivent des rami- 
fications des faisceaux primitifs d’un degré d’autant plus élevé que ces fleurs sont 
insérées plus bas sur l’axe. Les faisceaux de la face interne du pédoncule ne 
donnent de vaisseaux qu’aux fleurs les dernières développées. Il est donc bien 
évident que le sommet organique de l’inflorescence du Trifolium Lupinaster cor- 
respond à sa base géométrique ,. 

L'Autore continua esponendo come dallo sviluppo dell’infiorescenza del T. Lu- 
pinaster Egli fosse condotto ad applicare erroneamente le stesse norme allo sviluppo 


(1) A questa disposizione dell’infiorescenza alluse già il Mceench coll’espressione “ Capitulo dimi- 
diato ,, che trovasi spesso ripetuta dagli autori posteriori. Savi aggiunse le parole “ capitula subbifida , 
che noi non comprendiamo bene. 

(2) Note sus l’inflorescence unilatérale du Trifolium Lupinaster (“ Bulletin de la Soc. Bot. de 
France ,, vol. I, p. 125, 1854). 


254 S. BELLI 


delle foglioline delle foglie pennate e digitate, stabilendo le diverse categorie di 
sviluppo, ed enunciandole quindi nelle basipete — Oggidì è messo in sodo che il 
decorso dei fasci può solo in via secondaria servire a stabilire la genesi cronologica 
delle parti di un organo o di un vegetale, ma che generalmente l'organo stesso 
prima di ricevere la sua impalcatura, il suo sistema vasale, possiede già la sua 
forma; ed il sistema meccanico ed il conduttore si adattano, diremo così, ai bisogni 
dell'organo stesso, seguendo le vicende del suo sviluppo — Comunque sia il Trecul 
ha perfettamente interpretata secondo, me, la natura dell’infiorescenza del T. Lupi- 
naster. Gli è però all’organogenesi dell’infiorescenza stessa che era d’uopo rivolgersi 
per essere certi della sua natura, e questo studio interessante è stato fatto nel 1876 
dal Dutailly (1). 

L'Autore divide queste infiorescenze unilaterali in tre gruppi: 1° che comprende 
le infiorescenze, nelle quali l’unilateralità non si manifesta che per mezzo dello svi- 
luppo tardivo di alcuni fiori, tutti posti dallo stesso lato; 2° nel quale classifica le 
infiorescenze unilaterali alla loro base per aborto d’un certo numero di fiori e nor- 
mali alla loro parte superiore; 3° nel quale stanno le infiorescenze realmente unila- 
terali dalla loro base al loro apice. Nel primo gruppo starebbero 7. arvense, campestre, 
pratense, elegans fra i trifogli e l’Hyppocrepis comosa. Nel secondo la Medicago lupu- 
lina e V Anthyllis vulneraria sono presi quali tipi di queste serie. Il terzo gruppo 
racchiuderebbe un tipo che avrebbe attinenza coi due precedenti e sarebbe precisa- 
mente il T. Lupinaster, ed altri tipi secondo l'Autore schiettamente e completamente 
unilaterali e rappresentati dalle Vicia e dai Lathyrus. di 

Mi limiterò a poche osservazioni su questo lavoro, che meriterebbe una disamina 
molto più diffusa, sia perchè questo non ne sarebbe esattamente il luogo, sia anche 
perchè, pur essendo esso in massima la conferma della natura racemosa.del capolino 
del T. Lupinaster, i punti che mi pajono controversi richiedono uno studio ulteriore 
su materiali vivi, che al momento non mi sono concessi — Più tardi ed in lavoro a 
parte riferirò le mie conclusioni in confronto a quelle del Dutailly — Pel momento 
accennerò solo a poche cose. 

Un punto lasciato in oblio tanto nel lavoro del Dutailly come in quello del 
Trecul più sopra menzionato è quello per me capitale, che cioè le infiorescenze rudi- 
mentali del capolino nel T. Lupinaster si trovano già racchiuse nelle brevissime 
gemme ipogee, e che gli internodì supremi che portano le infiorescenze non subiscono 
che un leggerissimo accrescimento intercalare, venendo così portati all’apice dei cauli 
evoluti nello stesso stadio di sviluppo o poco più, in cui si trovavano nella gemma 
ipogea; mentre gli internodì sottostanti accrescono invece rapidissimamente. 

Un altro fatto che non ha fermato l’attenzione dell'Autore, e che non è pur meno 
di grande momento, è che non sempre il ricettacolo fiorale presenta la consueta 
foggia di palmetta ovata con due faccie, una esterna e l’altra interna, dove stanno 
inseriti i fiori, ma nelle infiorescenze solitarie è spesso notevole la tendenza del 
ricettacolo ad assumere una disposizione molto vicina alla orizzontale, ed in questo 


(1) Observations organogéniques sur les infloréscences unilatérales des Légumineuses, in “ Assoc. 
Frang. pour l’avane. des Sciences ,. Congrès de Clermont Ferrand. Séance du 25 aoùt (1876). 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 255 


caso la scanalatura del peduncolo è meno accentuata in relazione colla diminuzione 
della pressione esercitata su di esso dalla stipola del capolino inferiore mancante. 
Già abbiamo detto come la disposizione dei capolini e quindi dei relativi pe- 
duncoli (nella gemma ipogea) accorciatissimi sia tale, che essi si trovano sempre 
laterali nel diagramma — Questi capolini vengono infine portati in alto dall’accresci- 
mento intercalare rapido degli internodi, come vedremo in appresso, e costituiscono 
la gemma fiorale. Se esaminiamo una gemma fiorale (1) (Tav. 1, fig. 3) in sezione 
trasversa si osservano i peduncoli ed i capolini sempre nella posizione laterale del 
diagramma come erano nella gemma ipogea. Ne consegue che la faccia interna del 
peduncolo superiore è naturalmente rivolta verso il dorso della stipola che avvolge 
il capolino inferiore, formando un corpo allungato con margine sottile carenato. Questo 
capolino a sua volta è rivolto colla sua faccia interna contro il dorso della stipola 
che avvolge il terzo fiore (quando esiste) o, quando manca, verso la stipola che rav- 
volge l’apice dell'asse caulinare, che gli è addossato un po’ più in basso. 
Evidentemente queste produzioni sono soggette ad una compressione mutua. Ora 
due fatti concorrono qui ad esagerarne gli effetti. Il primo è questo, che le infiore- 
scenze sono racchiuse in uno spazio relativamente strettissimo, e sono compresse dalle 
pareti resistenti delle stipole afille esteriori, fornite di guaina altissima. Il secondo 
è, che le stesse infiorescenze debbono star a lungo soggette a questa compressione, 
perchè, formate di buon ora sul rizoma sotterraneo antico della pianta, non vengono 
a subire grandi modificazioni, fintantochè l’accrescimento intercalare fortissimo degli 
internodii sottostanti, che si allungano di molto, e rapidamente, non abbia condotto 
ciascun caule alla sua definitiva dimensione e statura. Solo allora l'accrescimento 
avviene negli internodii supremi delle gemme fiorali, le quali sviluppano finalmente 
dal seno delle enormi stipole allungate e mettono a giorno le loro infiorescenze. In 
quest’ultima fase soprattutto il peduncolo fiorale soffre una compressione lenta e gra- 
duata dal dorso carenato della stipola che avvolge il peduncolo del fiore più giovane 
(Tav. I, fig. 6) coll’ asse abortito, e quivi il peduncolo del fiore sollecitato da due 
forze di cui l'una lo comprime lateralmente e l’ altra tende a spingerlo in alto, 
subisce una specie di stiramento nel senso della risultante e in proporzione dell’in- 
tensità di esse, il quale ha per risultato uno schiacciamento della corrispondente 
faccia interna. Finalmente il peduncolo fiorale, liberato dalla lunga pressione subìta 
nell'interno del manicotto stipulare, accresce rapidamente e prende la sua definitiva 
struttura e dimensione. La compressione esercitata dal capolino inferiore sul supe- 
riore e rispettivamente dall’apice dell’asse sull’inferiore, agisce soprattutto sul ricet- 
tacolo, appiattendolo ed anche scavandolo. Si capisce quindi che se una superficie 
orizzontale, dapprima piana, circolare, e portante più ordini concentrici di fiori pedi- 
cellati involucrati da due corrispondenti collaretti di brattee membranacee, venga 
schiacciata gradatamente da uno dei lati e lungo una linea, e sia costretta a svilup- 
parsi lentamente in queste condizioni, si capisce, dico, come questa superficie debba 
poco a poco dilatarsi nel punto opposto a quello dove la schiacciatura è stata più 
forte e dove non è impedita di svilupparsi ed assumere una forma più o meno ro- 
tonda. I tessuti spinti verso il centro dell'organo debbono arrestarsi nel loro sviluppo, 


(1) La fig. 3 della tav. I dovrebbe essere girata di 90' sul piano per avere la sua giusta posizione. 


256 S. BELLI 


e. quindi anche i fiori e. le brattee, inferiori corrispondenti a. questo punto compresso 
devono, abortire. E difatti lo studio anatomico del peduncolo fiorale (che qui non è 
il luogo di riferire per disteso ma che sarà dato altrove), (Tav. 1, fig. 16 e 16°) rivela 
una, modificazione profonda degli elementi istologici della parte compressa. Il capo- 
lino del T. Lupinaster appare, quindi realmente come dimezzato, e la sua. forma di 
cima scorpioide non è che una falsa apparenza, mentre siamo qui di faccia ad una 
vera infiorescenza racemosa, anormale e larvata. Un’attenta osservazione del capo- 
lino concede di vedere alla base del ricettacolo e lungo i margini della scanalatura 
del peduncolo numerosi fiori tabescenti, piccolissimi, biancastri, lunghi talvolta ap- 
pena un millimetro, ai quali fanno seguito dal basso all’alto altri fiori gradatamente 
più sviluppati, finchè si giunge ai supremi sviluppatissimi. L’apice organico del ca- 
polino è dunque spostato in basso per la compressione laterale subìta, il capolino 
ha sofferto una specie di torsione nel senso verticale che gli ha dato la forma di 
cima scorpioide e questa è, secondo me, la ragione per cui i fiori si sviluppano nel- 
l’ordine preciso che venne descritto dal Dutailly. 

T cingoli membranacei dei capolini nel punto in cui subirono il prolungato schiac- 
ciamento o sono affatto abortiti ovvero sono ridotti a piccolissime squamule quasi 
fibrilloidi; perciò non è sempre facile in quel punto del ricettacolo l’osservare i rap- 
porti ordinarii di posizione fra bratteola e pedicello fiorale. Spesso si vedono pedi- 
celli apparentemente extra-bratteali nudi e talora anche inseriti al disotto di qualche 
squamula senza ordine visibile. 

Tutto questo spostamento di una disposizione che sarebbe regolarissima in un 
ricettacolo normalmente sviluppato (per es. nel 7. alpinum) è dovuto al fatto della 
compressione suaccennata. Nella porzione superiore della superficie d’inserzione dei 
fiori essi stanno più o meno regolarmente inseriti in due o più ordini. concentrici 
ravvolte dal collaretto di bratteole. Una prova indiretta degli effetti. della compres- 
sione in discorso l'abbiamo nel fatto, che alloraquando in luogo di due o tre capo- 
lini per ogni ramo fiorifero (caule) se ne sviluppa uno solo (già solitario. fin dalla 
gemma sotterranea) allora questo capolino mostra un peduncolo molto meno scana- 
lato inferiormente, e la porzione sua suprema che serve di ricettacolo ai fiori è meno 
schiacciata nel senso laterale tendendo a. rialzarsi nel piano orizzontale; in questo 
raro caso i due ordini di brattee sono disposte quasi normalmente cioè verticali, e 
la porzione corrispondente allo schiacciamento è frastagliata ma non affatto soppressa 
(Tav. I, Fig. 5). Anche i fiori sono allora più normalmente sviluppati ed il capolino 
assume la forma tendente all’emisferica, lassa, avvicinandosi a quella delle Amorie. 
La diminuita compressione è occasionata in questo caso dalla mancanza del corpo 
costituito dal capolino inferiore ravvolto nella stipola, ed il solo capolino che esiste 
trovasi leggermente compresso alla sua base solo dall’apice dell'asse caulinare tenue 
in confronto al capolino non esistente. 

Abbiamo già detto come i capolini del T. Lupinaster stiano già iniziati nella 
breve gemma ipogèa, ed all’ascella delle foglie supreme, le quali sole nella gemma 
stessa portano foglioline, mentre le esterne involucranti sono afille o portano gemme 
rameali. Dicemmo pure come al momento dello sviluppo epigeo di queste produzioni 
succede un enorme e rapido sviluppo intercalare, che allunga rapidamente l’asse cau- 
linare, originando degli internodii lunghissimi ricoperti in basso dalle stipole afille. 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 257 


Ora i due o tre internodii supremi determinati dalle foglie fiorifere non partecipano 
a tutta prima a questo accrescimento subitaneo del caule, ma vengono portati, bre- 
vissimi ancora, all'apice del caule, dove costituiscono la gemma fiorale. Più tardi poi 
l'accrescimento longitudinale colpisce anche questi internodii, ed allora la gemma 
fiorale si apre e gli internodii si allungano. 

Di più è da notare che nel T. Lupinaster le sole foglie supreme sono fiorifere, 
mentre all’ascella delle stipole infime afille o delle susseguenti fogliute non si ori- 
ginano mai, in grazia di un’evoluzione posteriore di gemme, salvo casi eccezionali, 
peduncoli fiorali e ben di rado rami secondarii (Vedi pag. 260). 

Invece, per es., nella Stirps del 7. alpinum gli scapi fioriferi solitari sono por- 
tati all’ascella delle foglie inferiori dei rami brevissimi, mentre l’apice del ramo 
seguita a crescere indefinitamente, arrestandosi solo nell'inverno, e sviluppando nuove 
foglie apicali, delle quali le supreme non portano infiorescenze ascellari. Questa strut- 
tura fiorale del T. Lupinaster, finora non studiata per quanto io mi sappia, potrebbe 
ben essere dipendente dalle condizioni di vegetazione alle quali la specie è sotto- 
posta, data la sua ubicazione nelle alte latitudini (Siberia, Circolo polare (Sommier)). 
Avviene forse del T. Lupinaster quello che succede alle piante crescenti in livelli 
altimetrici elevatissimi, nelle quali, come è noto si possono trovare già formati nelle 
gemme degli organi che, in altri vegetali posti in condizioni più favorevoli, si svi- 
luppano molto più tardi per graduale evoluzione di speciali meristemi. Così è del 
T. Lupinaster. Tutto il lavorìo di formazione dei capolini avviene sotterra allorchè 
il rizoma ipogeo organizza le piccole produzioni gemmiformi, che si svilupperanno 
di poi in altrettanti cauli fioriferi. Nel 7. alpinum che è precisamente pianta delle 
regioni elevate delle alpi e nei suoi affini, ha luogo un fatto analogo, sotto il rap- 
porto biologico quantunque differisca sostanzialmente dal lato morfologico da questo 
del T. Lupinaster. A suo luogo ne terremo parola (Vedi T. alpinum. Generalità). 
È qui il caso di ricordare come anche nel T. Lupinaster le infiorescenze per quanto 
apicali ed apparentemente terminali, siano affatto ascellari. Alcuni Autori (Moench, 
Savi, ecc.) ascrissero al T. Lupinaster infiorescenze o peduncoli terminali, le quali 
teoricamente non possono esistere neppure nel senso dato loro dal Celakowsky (Vedi 
Celak. Oesterr. Bot. Zeitserf., 1. c., p. 77). 

Un altro carattere, non proprio esclusivamente del T. Lupinaster, perchè si 
osserva in altre poche specie europee ed africane, è la mancanza assoluta del pic- 
ciuolo, esistente invece, ed anzi sviluppatissimo, nelle specie che gli Autori vogliono 
riunire al T. Lupinaster in sezione (7. alpinum, polyphyllum, ecc.). 

Le foglioline del T. Lupinaster hanno delle denticulature marginali a denti 
ricurvi che finiscono in un'appendice uncinata cornea, simili assai a quelle del 7. ru- 
bens e del T. montanum (1), ma assai più robuste. Nel gruppo del 7. alpinum le 
foglioline hanno invece denticulature subnulle. La mancanza delle foglioline nelle 
stipole inferiori del T. Lupinaster non è un carattere speciale ad esso, ma, come 


(1) RercaenBaca, FI. exe., 1. c., riunisce nella sez. Lupinaster, col T. alpinum il T. montanum che 
egli ritiene quale anello di congiunzione fra la sez. Lupinaster e la sez. Micrantheum. È indubbio 
che il 7. montanum ha una lontana analogia col T. Lupinaster soprattutto per l’ovario villoso e per 
la forma delle foglioline. È però altrettanto certo che appartiene per noi a tutt'altra Stirps. 

Serie II. Tom. XLIV. al 


Di. 
258 S. BELLI 


è noto, è comune a tutte quelle piante, nelle quali, esistendo un rizoma sotterraneo 
la funzione assimilatrice del lembo è abolita. Però nel caso nostro questo carattere 
diventa un valido diagnostico nella ricognizione della Stirps, quando si voglia para- 
gonare al gruppo del T. Lupinaster quello che comprende il 7. alpinum, poly- 
phylum, ecc. 

Il calice del T. Lupinaster non offre in massima particolarità che possa giu- 
stificare la sua separazione dal G. Trifolium, come pretendeva il Moench; se si vo- 
lesse pesare sopra questo solo carattere le Galearia ed i Trigantheum potrebbero 
vantare ben maggiori diritti. Ma se il calice del T. Lupinaster è in massima quello 
di tutti gli altri Trifogli, esso è però tipicamente differenziabile da quello del 7. al- 
pinum ed affini; soprattutto nelle dimensioni costantemente minori, nella forma della 
fauce tagliata obliquamente a spese del labbro superiore; nei rapporti di lunghezza 
fra tubo e denti, nella disposizione delle nervature dentali, nella forma dei denti e 
dei seni interdentali; e finalmente anche nell’indumento che nel gruppo del 7. @l- 
pinum manca completamente (all’infuori delle produzioni glanduloso-clavate comuni 
a tuttii Trifogli). L’ovario del T. Lupinaster contiene costantemente 4 0 più ovoli 
ed è villoso superiormente; quello del 7. alpinum costantemente due, ed è perfetta- 
mente glabro. 

Molto simile invece è la struttura e la forma del vessillo nel T. Lupinaster 
e nel gruppo del 7. alpinum e, per dirla in breve, anche in tutti i Loxospermum; 
cosicchè sotto questo rapporto si potrebbe benissimo riunirli in un gruppo molto 
grande, caratterizzato dal diametro longitudinale grandissimo del vessillo, fornito di 
nervature percorrenti in parte la lamina per intero, ripetutamente biforcate e riunite 
in basso in pochi fasci non molto robusti. Tutte queste specie a grandi fiori presen- 
tano ancora altri caratteri nel vessillo abbastanza notevoli; tali per es. quello di 
mancare della strozzatura fra lembo ed unghia, così caratteristico nelle Amorie (ed 
anche nei Lagopus); di essere foggiati un po’ a barchetta nella porzione infima cor- 
rispondente all’unghia, e finalmente di essere quasi affatto liberi dagli altri petali 
salvo per un brevissimo cercine basilare. Questo carattere però è comune anche alle 
Amorie. Si può ancora far cenno qui del modo costante di comportarsi di questi 
grandi vessilli, i quali prima e dopo l’antesi sono affatto deflessi sul resto dei pe- 
tali che avvolgono completamente, mentre all’epoca della fecondazione si rialzano 
alquanto anteriormente, ma non così esageratamente come nelle Amorie, dove questo 
fatto pare anche in relazione colla strozzatura del vessillo stesso. Il vessillo persiste 
a lungo accartocciato sul legume assieme agli altri petali e prende una consistenza 
quasi scariosa. 

Fra i caratteri che indussero il Mcench a stralciare dal G. Trifolium il T. Lu- 
pinaster troviamo anche quello dello stilo uncinato. Su questo punto siamo perfet- 
tamente d’accordo colle osservazioni di Savi più sopra citate. Ma d'altra parte è 
anche vero che il T. Lupinaster ha uno stilo diversamente foggiato da quello del 
T. alpinum ed affini. Anzitutto lo stilo della prima specie è evidentemente molto più 
curvo alla sua estremità stigmatifera, ma per di più presenta due schiacciature in 
due sensi opposti, che nel 7. alpinum mancano. Nella sua porzione basilare, che con- 
tinua colla sutura ventrale, lo stilo del T. Lupinaster è abbastanza compresso nel 
senso antero-posteriore, mentre la porzione superiore uncinata è schiacciata nel senso | 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 259 


trasversale. Le papille stigmatiche sono portate specialmente sulla faccia inferiore 
dello stimma la quale in grazia della curva diventa superiore, ma sono impiantate 
anche sulla vera faccia superiore ed all’ apice dello stigma, che si può senza tema 
di errare chiamare a bottoncino schiacciato (1). Lo stilo del 7. alpinum è affatto cilin- 
drico, va gradatamente assottigliandosi a guisa di lesina ed ha una superficie stigma- 
tica molto meno sviluppata. Sotto questo riguardo si avvicina anche alle Amorie, 
nelle quali però lo stilo grosso e cilindrico alla base non è così assottigliato supe- 
riormente dove va a terminare con una grossa capocchia stigmatifera. 

Un'altra particolarità da non passare sotto silenzio nel T. Lupinaster e che 
pare in relazione col suo modo di vegetare è questa: sezionando longitudinalmente 
una delle gemme ipogee del suo rizoma sotterraneo si scorgono all’apice dell’asse 
caulinare breve e tutto intorno alle infiorescenze rudimentali ivi contenute dei nu- 
merosissimi peli clavato-pedicellati di cui altrove già parlammo, trattando cioè 
delle Galearie e dei Trigantheum. Queste produzioni comuni a tutti i Trifogli (2) 
stanno abborracciate nella cavità formata dalle foglioline giovanissime, che contor- 
nano la gemmula fiorale, sui calici appena abbozzati, sui margini delle stipole, ecc. 
e sono così numerose da formare una specie di turacciolo, che riempie questa cavità 
‘costituita dalle stipole ricurve a volta sulla piccola infiorescenza. I margini delle 
giovànissime foglioline appartenenti ai due o tre internodii superiori della gemma 
ipogea, sono guernite altresì di numerosi peli flagelliformi, lunghi, denticulati per 
ingrossamenti dovuti ad ossalato calcico. 

A giudicare dal loro numero stragrande, dal posto dove si originano e dal fatto 
che esse vanno diminuendo di mano in mano che l’infiorescenza si sviluppa, non es- 
sendo esse più reperibili che sul calice (spesso dentro e fuori), non ci pare soverchio 
ardimento il supporre in esse un ufficio di protezione delle gemme e degli organi 
fiorali giovani. Queste produzioni si trovano nella pianta adulta sparse anche sulle 
stipole, più di rado sulle foglie e sul caule, e la loro diminuzione in confronto alla 
frequenza loro nella gemma, è dovuta anzitutto a ciò, che non formandosene altre 
col crescere della pianta e del tessuto del calice e delle stipole, esse debbono natu- 
ralmente parer diminuite di numero in ragion diretta dell'aumento delle superficie; 
di più esse sono facilmente caduche. Spesso non sono visibili anche al microscopio 
se la preparazione non è trattata previamente con una soluzione alcoolica od acquoso 
di jodio. In nessun trifoglio però, di quelli da me esaminati finora, io ho potuto tro- 
vare una quantità così grande di queste glandule come nel T. Lupinaster, anche 
nell'esame delle gemme fiorali. E se è lecito supporre un nesso immediato di causa- 
bilità fra la lunga durata di tempo che corre dalla formazione della gemma ipogea 


(1) WrrLromm e Lance, l. c., p. 353, hanno stabilito una sotto-sezione Platystilium nella quale 
comprendono il solo T. montanum e varietà. La caratteristica dice: “ Ovarium et legumen..... în stylum 
‘ basi latum compressum productum ,. — Questo carattere aggiunto alla villosità dell’ovario di cui 
gli autori tacciono, ravvicinerebbe fino ad un certo punto la Stirps del 7. Lupinaster sottosezione 
degli autori sopracitati. — Il 7. montanum è una specie che necessita uno studio ulteriore perchè la 
sua posizione nei Trifogli sia nettamente stabilita. 

(2) Confronta anche VurLemn, La subordination de la fewille dans le Phylum des Anthyllis, 
pag. 324, lin. 5 (dall'alto) e fig. 47. Nancy, Impr. Berger-Levrault e C., 1892. 


260 S. BELLI 


all’espandersi delle infiorescenze, e la necessità di possedere un apparato di. prote- 
zione contro gli attriti che questa gemma può subire prima che giunga a E 
non parrà soverchiamente fuori luogo la mia supposizione. 

Citerò ancora un altro carattere che mi venne fatto di osservare nella radice 
del T. Lupinaster e che lo allontana sempre più dal gruppo del 7. alpinum. 

I saggi spontanei numerosissimi da me osservati nell’erbario di Berlino, in quello 
particolare del Prof. Ascherson, dei Sigg. Sommier e Levier e degli Orti Botanici 
che gentilmente mi fornirono di materiali di studio, mostrano una vera radice tube- 
rizzata, che potrebbe paragonarsi per forma e salve le dimensioni a quella degli 
 Asphodelus o delle Dahlie, Phyteuma, ecc., però poco ramosa e poco fibrillosa. Invece 
nel T. Lupinaster, che da molti anni si coltiva nel R. Orto Botanico di Torino, si 
trova sempre una radice fatta di membra obconiche, ramificata assai, ma poco o 
nulla tuberizzata. 

Per ultimo accennerò ancora ad una particolarità che tocca la ramificazione del 
caule del T. Lupinaster. Dissi più sotto che questa specie raramente mostra rami- 
ficazioni ‘di 2° ordine nei cauli fioriferi epigei. (Nel rizoma sotterraneo le ramifica- 
zioni sono invece numerose). Su questo proposito debbo però accennare ad un fatto 
che mi occorse ogni qualvolta dovetti servirmi di piante coltivate per studiare le 
gemme ipogee. Staccando dal rizoma vecchio queste gemme, dopo alcun tempo esso 
rimetteva altri germogli più sottili, meno ingrossati all’apice (dove di solito stanno 
le infiorescenze rudimentali) e costantemente sterili, privi di infiorescenze e soltanto 
fogliferi. Questi rami dopo essersi alquanto allungati emettevano all’ascella delle loro 
stipole altri rametti di 3° ordine con foglie molto ottuse. Su questi rami nascevano 
alla loro volta altri rametti di 4° ordine i quali erano tutti provvisti di fiori. Non 
ho potuto osservare più a lungo questa alternanza consecutiva di rami fogliferi e 
fioriferi, che però si osserva spesso in molti altri vegetali (Pomacee, Ampelidee, ecc.). 
Ma il curioso è che questi rametti invece di crescere fra il caule e la stipola un. 
po obliquamente all’asse generatore, perforavano la stipola e crescevano quasi per- 
pendicolari all’asse generatore, lasciando la stipola fra loro e l’asse stesso. 

Riassumendo tutte queste osservazioni e tenuto anche conto della facies gene- 
rale del T. Lupinaster ci riesce impossibile di riunire il T. Lupinaster alla Stirps 
del T. alpinum. E secondo noi se è da lodare nel Savi la sua esitazione a crear 
nuovi generi, esitazione che noi dividiamo del tutto in ragion diretta delle diffi- 
coltà che le nuove vedute sulla tassonomia hanno create nel limitare il concetto 
generico, non si può per altro soverchiamente biasimare il Buxbaum, allorchè cre- 
dette di riconoscere nel T. Lupinaster un tipo differente per struttura dai Trifogli 
Tournefortiani e Linneani. 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 


261 
» 


DIMOSTRAZIONE GRAFICA 


DELLE Stirpes, CONTENUTE NELLA sezione Lupinaster. 


Secto LUPINASTER 


s9° Eviupinaste, i 
N 


T.eximium Steph. Subv.6 


T.Lupinaster L. 


(= Species 


& Subspecies 


D Varietas 


€ Subvarietas 


262 S. BELLI 


STIRPS Pr. 


EULUPINASTER Nob. 


CarAcT. — « Caules initio hypogagi, rhyzomatosi, e gemmis apogeotropicis (sensu 
Darwiniano) (1) prodeuntes, et inflorescentias rudimentales apice gemmarum inclusas 
gerentes. —- Stipule rhyzomatis et inferiores caulorum epigeorum aphyllae: superiores 
caulis tri- quinque- septem- novem foliolatae » NoB. 


Hujus stirpis: T. Lupinaster L. — T. eximium Steph. 


SPECIES 1?. 


T. Lupinaster, L. 


L. Sp. pl., ed. HI?, p. 1079 (1764), et Sist. Veg. (14 ediz. Murray), p. 687 
(1784) — Thunbg. FI. Japon., p. 290 (1784) — Wild. Sp. pl. Vol. II, p. 1357 
(1800) — Schkuhr Bot. Handb. Vol. II, p. 402 (1805) — Ait. Hort. Kew. Vol. IV, 
p. 381 (1812) — Sidth. et Sm. FI. Grec. Prod. Vol. II, p. 95 (1813) — Savi Bibliot. 
Ital. Vol. VII, p. 132 (1817) — Link Enum. R. H. B. Berol. Vol. II, p. 260 (1822) 
— Maratti FI. Rom. Vol. II, pag. 153 (1822)? (2) — Savi Bot. Etr. Vol. IV, p. 47, 
N. 496 (1825) — Ser. in DC. Prod. Vol. II, p. 204 (1825) — Leded., C. A. Meyer 
et Bunge FI. Alt. Vol. III, p. 258 (1831) — Lessing FI. Sud Ural u. stepp. in 
Linnaea, Vol. IX, p. 154, 157 (1834) — Richter Cod. Bot. Linn., p. 742 (1835) — 
Ledeb. Fl. Ross. Vol. I, p. 551 (1842) — Griseb. Spicil. FI. Rumel. Vol. I, p. 8 
(1843) — Dietrich Syn. pl. Sez. IV, p. 1003 (1847) — Nyman Syll. Fl. Europ. 
p. 296 (1854-55) — Aschers. Beitr. Fl. nordòst. Deutschl. in Linnaea, Vol. XXI 
p. 504 (1859-60) — Reichbch. fil. Icon. FI. Germ. et Helv. Vol. XXI, p. 74 (1874) 
— Celak. Ueb. Aufb. der Gatt. Trifolium in Oesterr. Bot. Zeitschf., N. 2, p. 42 et seg. 
(1874) — Nyman Consp. FI. Europ., p. 179 (1878-82) — Koch Taschbch. der Deutsch. 
u. Schw. FI., ediz. 22, p. 521 (1878) — Garcke FI. von Deutschl., p. 96 (1878) — 
Janka Trifol. Lot. Europ., p. 154 (1884) — Schlehtdl. etc Hallier Fl. von Deutschl. 
Vol. XXIII, p. 275 (1885) — Garcke FI. von Deutschl., 162 ediz., p. 104 (1890). 


(1) Darwin, La faculté motrice dans les plantes (trad. Heckel), Paris, Reinwald, 1882, p. 6. 
(2) Vedi la © Distribuzione Geografica del 7. Lupinaster , a pag. 270. 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 263 


Lupinaster sp. Buxdaum, l. c. 


Lupinaster pentaphyllus Mench, 1. ce. — Presl. Symb. Bot. Vol. I, p. 47. 
Pentaphyllon Lupinaster Pers., l. c. 


Pentaphyllum Ammani. Ledeb. Ind. Sem. H. Dorpat, p. 5 (1823). 
Pentaphyllum Lupinaster Spreng., 1. c. 


Lupinaster purpurascens Fisch. (in litt.) sec. Ser. in DC. Prod., L c. 
(Vide quoque in “ observationibus , Auctores ante Linnaeum). 


Subvar. 8. olbiflorum Ser. in DC. Prod., 1 c. — Ledeb. FI. Ross., 1. c. 


Lupinaster albens H. gorenk. (ex Besser in herb. Zeyheri) sec. Ledeb. FI. Ross., 1. c. 
Lupinaster albens Fisch. in Herb. R. H. Bot. Berol. 


Subvar. y obtusifolium Nob. = T. Lupinaster var. y oblongifolium Ser. in DC. 
Erod*, ;l. c. 


Icones. — Buxrbaum, 1. c. — Bot. Mag. 22, 879 (Pritzel) — Gmelin FI. Sibir. 
Tab. 6,.fig. 1 — Martyn FI. Rust. t. 16 — Reichdceh. fil. Icon, I. c., tab. 81 — 
Schlchtdl. etc. Hallier, 1. c., fig. 2390. 


Icon nostra. — Tab. I, fig. 116°. 


“ Pedunculis axillaribus, interno latere profunde canaliculato-sulcatis, in recepta- 
culum dilatatum subovatum, intus excavatum extus plano-convexulum desinentibus. Floribus 
magnis (12-15 mill. long. usque ad 20), interna facie receptaculi, irregulariter bi-seriato- 
subverticillatis; pedicello longiusculo villosulo affiris; inferioribus semper minus evolutis, 
saepe tabescentibus, cymam scorpioidem simulantibus, revera racemosis ; quoque verticillo 
involucro tenui, squamiformi, continuo, interno latere tantum interrupto, denticulato- 
erosulo, villosulo-ciliato suffultis — Legumine superne villosulo 4-plejospermo, sutura 
superiori dehiscente vel lateraliter ruptile — Foliolis sessilibus 3, 5, 7, 9-natis, elegan- 
tissime nervosis nervis elevatissimis apice cartilagineo sursum verso terminatis , Nob. Y. 


Subvar. B_“ Floribus albis, foliolis saepius lineari-lanceolatis acutiusculis , Nob. 
) p 


Subvar. y — “ Foliolis apice obtusis, lato-lanceolatis vel oblongo-obovatis nervis 
dentibusque obsoletioribus , Nob. 


DESCRIZIONE. 


Perenne: 


Radice di solito fascicolata subtuberizzata, napiforme (rammenta quella della 
Campanula rapunculus, dei Phyteuma, Asphodelus, ecc.) ramificata inferiormente ov- 
vero (nel 7. Lupinaster coltivato) suddivisa in rami di 2° e 3° ordine gradatamente 
decrescenti in grossezza fino alle radicelle capillari numerosissime formanti una fitta 
matassa provvista di numerosissimi grumi a corpuscoli bacteroidi. . 

Caule cespitoso. Rami molteplici dal colletto, più di rado uno solo dapprima bre- 
vissimi, gemmiformi ravvolti dalle stipole afille accavalcantisi, poi gradatamente 


2604 ‘+ S. BELLI 


arcuato-ascendenti (apogeotropici) e finalmente epigei, allungati, con internodii distanti, 
cilindrici, glabri o leggermente pubescenti in alto, verdi, o colorati in sanguigno alti 
fino a 60 cent. semplici, rarissimamente ramificati. 

Foglie senza picciuolo. Quelle della porzione ipogea rizomatosa ridotte alla sola 
stipola, brevi, appressate, tubulose (lineari distese in piano, più o meno guainanti 
inferiormente, con due brevi orecchiette (code) ottuse od *arrotondate, mucronate o 
no, e cigliate superiormente per peli brevi, rigidi, denticolati le susseguenti dap- 
prima trifoliolate con stipole più allungate, conformi alle precedenti, colorate in 
verde od in rossigno, membranacee, presto scariose, biancastre, con code triangolari- 
allungate più o meno ottuse od anche acute, guainanti alla base: le superiori 
con 5-7 e rarissimamente con 9 foglioline, e con stipole larghe ovato-oblunghe, 
con guaina alta e con code oltrepassanti la parte adesa, acuminate, glabre, cigliate. 
— Foglioline più verdi sopra, più pallide sotto, inserite direttamente sulla sti- 
pola, glabre o villose soltanto di sotto lungo la nervatura mediana, lanceolato- 
oblunghe, oblungo-lineari o lineari-lanceolate, più di rado (var. 1) obovate, spesso 
acute, ottusette (var. Y) e raramente acuminate, mucronulate, finissimamente e dop- 
piamente seghettate al margine, con denticulature alternativamente grosse e piccole, 
terminate in punta cartilaginea ricurva verso l’apice della fogliolina o più di rado 
con denticoli poco salienti (var. y); elegantissimamente nervose, con nervi elevati e 
sporgenti sulla pagina inferiore, specialmente il mediano, fitti, appressati, arcuato- 
paralleli, pennati, ripetutamente forcati e coi nervi più esili frapposti ai rami della 
biforcazione. 

Infiorescenza. — Peduncoli ascellari del caule e più raramente dei rami (Vedi parte 
generale) di lunghezza varia e scanalati sulla faccia interna. Capolini dimezzati ir- 
regolari, non numerosi (ordinariamente due o tutt'al più tre per ogni caule), più o 
meno lassi, con 4-5 fiori od un po’ compatti (fino a 40 fiori), grandi, vistosi (12. 
(media 16), 20 millim. lunghezza) (Vedi parte generale); i superiori più sviluppati, 
gli inferiori man mano più piccoli e gli infimi spesso intristiti. Pedicelli pubescenti 
o glabriusculi, subeguali al tubo calicino o più brevi, talvolta più lunghi, inseriti 
talora senza ordine apparente, ma più spesso disposti in due o tre ordini concentrici, 
salvo in corrispondenza alla scanalatura interna del peduncolo ed all’ascella di squame 
saldate a collaretto membranaceo-scarioso, crenulato-ondulato, cigliato (costituito da 
una semplice duplicatura epidermica), spesso colorato in rossigno come i pedicelli 
ed interrotto pur esso a livello della gronda del peduncolo, od anche ridotte in tal 
punto a minute squamule o fibrille indistinte, disordinate, ravvolgenti i pedicelli. 

Calice campanulato-obconico, tagliato un po’ in sbieco dall’alto al basso (a spese 
del labbro superiore), membranaceo, spesso colorato in rossigno, pubescente per peli 
un po’ crespi esternamente in corrispondenza della fauce ed anche un po’ sulla 
faccia interna alla base dei denti e sugli spazii interdentali parabolici, con dieci 
nervi, dei quali cinque (dentali) più validi e continuantisi nei denti triangolari-allun- 
gati, sottili (subulati) trinervi alla base e poi uninervi con fitte e brevi ciglia al 
margine e quivi più o meno scariosi, più lunghi del tubo talora il doppio, segnata- 
mente l’inferiore, 

Corolla porporino-rosea, massime nella porzione superiore dei petali, pallida in- 
feriormente, ovvero tutta bianca (var. 8), seccando subscariosa, persistente a lungo 


fesa; 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 265 


accartocciata sul legume e finalmente caduca. Vessillo quasi libero dagli altri petali 
connati nell’unghia, obovato o lanceolato-ellittico (disteso in piano), dapprima com- 
piegato sugli altri petali, poi leggermente rialzato anteriormente ed ai lati al mo- 


‘ mento dell’antesi e finalmente accartocciato di nuovo; lungo il doppio del calice e 


più; con unghia subnulla, arrotondato all’apice, integro o lievemente smarginato- 
troncato, mucronulato, ricco di nervature esili, furcate, riunite in pochi fasci più 
grossi alla base. AZ alquanto più brevi del vessillo, irregolarmente lanceolato-obovate, 
con auricula rostriforme ottusa. Carene cultriformi, apiculate e con auricula breve 
ottusa, subeguali alle ali. 

Stami colla porzione concresciuta più lunga assai dei filamenti liberi che sono 
alternativamente dilatati e no sotto l'inserzione delle antere e il mediano più dila- 
tato di tutti, talora il mediano solo dilatato. Stame vessillare libero, subulato. Antere 
introrse, dorsifisse, oblungo-ellittiche. Polline grande, globuloso, con tre pori di 
deiscenza. 

Ovario irregolarmente fusiforme, stipitato, poliovulato, glabro dovunque salvo an- 
teriormente sulla sutura ventrale, dove è fornito di due serie di finissimi villi pro- 
lungantisi spesso fino ai */, della lunghezza dello stilo, rarissimamente con qualche 
villo sparso; stilo un po’ schiacciato nel senso antero-posteriore alla sua origine, 
poi cilindrico, e finalmente schiacciato lateralmente in alto nella porzione ricurva 
stigmatifera. Stimma a bottoncino, dorso-ventrale. 

Legume brevemente stipitato, lineare, oblungo, membranaceo, glabro salvo che su- 
periormente sulla sutura ventrale lungo i margini, dove conserva i villi già accen- 
nati sull’ovario; leggerissimamente venuloso-reticolato sulle pareti, deiscente sulla 
sutura ventrale e contemporaneamente per rottura delle faccie. Semi (4 (media 5), 
8, 10) globuloso-cordiformi, compressi, verdognoli, lisci, disposti colla loro faccia 
perpendicolarmente all'asse longitudinale del legume. Cotiledoni accumbenti: radi- 


chetta discretamente prominente. 


LETTERATURA E CRITICA. 


Fra i pochi Autori‘anteriori a Linné che si occuparono del T. Lupinaster, citerò 
Gmelin (1), che lo descrisse e figurò assai bene. A sua volta questo Botanico si ri- 
ferisce ad un “ Trifolium montanum purpureum folio obtuse crenato , di Bauhino 
(Pin.), il qual carattere non ci pare molto spiccato nel T. Lupinaster. Ma, al solito, 
è difficile dire se Bauhino alludesse veramente al T. Lupinaster con quella frase. 
Trascrivo qui sotto la descrizione dello :Gmelin, la quale tien conto di molte parti- 


‘colarità del T. Lupinaster, tralasciate dagli Autori moderni : 


. “« Radix crassiuscula, intus alba, foris fusca, asphodeli ramosi non multum absi- 
milis; caules ex ea plures, septem vel ‘octo geniculis distineti a quibus stipulae 
vaginantes prodeunt foliola emittentes lanceolata serrulata, primordialia terna, se- 
quentia quina, rarissime sera, magnitudine inequalia, vigente planta utrinque vi- 
ridia breui pediculo insidentia. 


(1) D. Ion. Grora. Guerin, Flora sibirica, t. IV (Petropoli), 1769, pag. 19, n. 27. 
Serie II. Tom. XLIV. i ; 


266 S. BELLI 


“ Flores capitati terminales, nec infrequenter ad caules copiosi. Calycis tubus 
“ breuis quinquedentatus, dentibus tribus, inferioribus longitudine fere carinae, supe- 
“ rioribus brevioribus. Alae et carinae infra cum filamentis novemfidis coalitae; 
“ corolla persistens vel purpurea vel alta; legumen calyce longius, polyspermum. 
Capitula longe pedunculata sunt, situs (1) nonnumquam ut caulis in fastigio prae- 


longetur atque capitulum protrudat maiori florum numero compositum. 


“ 
4 

“ In omnibus Sibiriae montosis locis, praesertim in rupibus inter Zeniseam et Kras- 
“ nojaricum urbes, circa Irkutiam usque ad mare orientale occurrit. Ammannus habet 
“ et Baskirorum regionibus ab Heinzelmanno adlatum quoque fuisse. 

“ Sub initium mensis Tuni floret, atque sub medium Augusti semina sua perficit ,. 

Pare che°questo Autore abbia osservato qualche cosa di anormale nel capolino 
del T. Lupinaster; devo però confessare che io non posso comprendere il signifi- 
cato della frase: “ ...ut caulis in fastigio praelongetur atque capitulum protrudat 
“ majori florum numero compositum. , La curiosa disposizione dei fiori nel capolino 
del T. Lupinaster, oltrechè da Linné e da’ suoi predecessori, è stata notata da altri. 
Sehkuhr, 1. c., scriveva: “ T. Lupinaster... mit  getheilten Blumenkòpfchen ,; Koch 
e Garcke, 1. c.: “ Dolden einseitig ,; Reichenbach (fil) accennò solo ed unico alla cu- 
riosa conformazione del collaretto adattantesi al ricettacolo foggiato a palmetta colla 
frase “ involucro semicupulari ,. 

Non mi fu concesso di vedere le descrizioni o le frasi degli Autori di Flore 
Russe (eccettuate le citate) o di coloro che scrissero sul T. Lupinaster raccolto nei 
viaggi, quali Iundzill, Eichwald, Pallas, Besser, Fisch, Georgi, Lepechin, Falk, Claus, 
Goebel, Turczaninow, ecc. 

Non posso passar sotto silenzio come Presl nella caratteristica della sezione 
Lupinaster scriva: “ herbae humiles , e “ vexillo non nervoso-plicato ,, due carat- 
teri che non si confanno col T. Lupinaster da lui riunito in questa sezione con 
altre specie non legate per naturale affinità, come già si è detto. Aggiunge il Presl 
che il nome Lupinaster dato da Moench a questa sezione deve essere conservato, 
quantunque vi si includano altre specie: “ Nomen Moenchi servandum ,. Ma Presl 
non dice il perchè. Secondo me invece si dovrebbe dire anzitutto: “ Nomen Buxbau- 
“ mii servandum ,, e, del resto, a giudicare dai caratteri di Moench, il genere Lu- 
pinaster dovrebbe scomparire. 

Dalla descrizione dello Gmelin appare come la varietà a fiori bianchi fosse già 
fin da tempi remotissimi conosciuta. La descrizione di Buxbaum ‘accenna nel suo 
tipo a corolle porporine, ma è probabile che anche la var. aldiflora sia altrettanto 
espansa nel suo luogo natale. Nell’Erbario del Museo Imperiale di Berlino ho ve- 
duto un saggio di 7. Lupinaster che mi parve fino ad un certo punto distinto per 
la forma delle foglioline piuttosto obovate che lanceolate, e soprattutto ottusissime 
all’apice. In esso anche le nervature erano meno accentuate e la consistenza del lembo 
minore. Foglioline però ottusissime in esemplari coltivati ho osservate soventissimo, 
massime allorchè si tagliano i cauli fioriferi ed il rizoma mette nuovi germogli. 


À 


(1) Prima di “ situs , dovrebbe esservi “ Pedunculus? , (questa parola supponibile manca nel 
testo). 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE | 267 


in un solo saggio dell’Erbario di Berlino ho” osservato delle foglioline acuminatis- 
sime con lungo mucrone apicale. 

Il T. Lupinaster varia poco nelle sue membra vegetative e meno ancora negli 
organi fiorali. La varia sua statura ed il suo sviluppo sono certamente in dipen- 
denza di circostanze locali di vegetazione. Si legge nella lora Altaica di Lede- 
bour, l. c., che la var. B purpurascens “ caulem habet erectum elatiorem, qui in 
var. a (albiflorum) humilior ipsa basi adscendente, caeterum erectus. , 

Mi è parso però di vedere nei diversi erbarii ed anche abbiamo coltivata la 
var. albiflorum con caule molto sviluppato e viceversa la var. purpurascens con cauli 
bassi e cespitosi. 

Soventi volte il T. Lupinaster mostra foglioline affatto lineari, strettissime, so- 
prattutto in certe forme coltivate degli erbarii, nelle quali anche la ramificazione è 
più sviluppata. Il numero delle foglioline sembra essere prevalentemente dispari. 
Prescindendo dalle primordiali delle stipole inferiori che cominciano a mostrarne 
(una, due o tre), esso è quasi sempre cinque, sette e più di rado nove. 

Varia eziandio entro certi limiti la lunghezza dei peduncoli fiorali, la larghezza 
della palmetta, o ricettacolo ovato che porta i fiori e variano pure nello sviluppo e 
nella grandezza e profondità delle dentature i collaretti che li avvolgono; in molti 
casi si ha un collaretto molto ben sviluppato con denti regolari così da rammentare 
le vere Involucrarie americane. % 

Già abbiamo parlato d’una circostanza che fa variare la profondità della scana- 
latura nel peduncolo fiorale (Vedi parte generale) in rapporto col maggiore o minor 
numero dei capolini nella gemma ipogea; all’infuori di ciò il peduncolo fiorale varia 
anche nella grossezza e nell’indumento esteriore tricomatoso. 

I fiori hanno una lunghezza media di 16 millimetri con un massimo di 20 ed 
un minimo di 12, ben inteso, prendendo a misurare sempre uno dei fiori superiori 
di ciascun capolino al momento dell’antesi. 

Un po’ variabile è la lunghezza relativa del tubo del calice in confronto ai 
denti, ed un rapporto assai costante si ha misurando sempre il dente inferiore, che 
è di solito più lungo del doppio del tubo e raggiunge metà della lunghezza del ves- 
sillo; questi rapporti sono molto più costanti nel tipo che nella var. 8. La lunghezza 
degli altri denti varia in ragione della maggiore o minore obliquità della fauce. Si 
hanno variazioni di poco conto nell’abbondanza dell’indumento esteriore tricomatoso 
del calice, nella larghezza basilare dei denti e nelle loro nervature, le quali sono 
talvolta riunite fra loro da qualche trabecola trasversale. Quanto alla villosità, si 
può dire che la var. B è più villosa sul tubo del calice che non il tipo. 

Nei petali v’ha uniformità somma quanto a contorni, grandezza e colore, all’in- 
fuori delle poche variazioni già dette. 

La difficoltà estrema di procurarmi dei semi spontanei di T. Lupinaster mi 
impedisce di stabilire degli sperimenti di coltura onde assicurarmi del valore in 
costanza delle varietà da me stabilite. 


268 S. BELLI 


e 
HABITAT. 


Erbario Mus. Imperiate R. di Berlino. 


Dahurien — (Fischer misit) 1839 (Erb. Link.). 

Altai — Meyer misit (1832). 

Altai — leg. D' C. Dumbery (Barnaoulensi). 

Wernoje in regionibus cis = et transiliensibus. Cf. Regel, “ Bull. de la Soc. Impér. 
de Moscou ,, 1866 (imp. separ., p. 55) — leg. Kuschakenvicz. i 

In pratensibus prope Buchtarminsk (Sibiria Altaica) sat frequens leg. Karelin et 
Kiriloff. (1840). 

In Diirren Waldern des Grodnickern districts im Sudlichen Lithauen héiufig (Rchb, 
Fl. Exc. nov.) leg. S. B. Gorski. 

Slato-ust (i. e. Ostium aureum) Ural — Lessing misit (1833). 

Bogoslawsk-Jekaterinburg — Ehrenberg (1829). 

Amur — leg. Maximowicz. 


Subvar. 8. 
Herb. Hort. Petrop. ex reg. cis = et transiliensibus — leg. Kuschakenwicz. 
Herb. Kunth. Circa Barnaoul (Sibiria) leg. Patrin. 
Herb. Hort. Petrop. = Japonia, Nippon, Fudzi-Yama (mons ignivomus prope Tokio) 
leg. Jeddo. 


Subvar. v. 
Herb. Royal Gard-Kew. — Coast of Manchuria (Lat. 44-45 N.), leg. C. Wilford (1859). 


Erbario Ascherson (Berlino). 


Herb. Klinggréff. Thorn im Grabier Walde (Borussia occid.), leg. Nowicki (Juli 1853). 

Herb. Rostafinski — Ciechocinek bei Wtoctaweck (Polonia rossica, haud procul ab 
urbe borussica Thorn), leg. E. Alexandrowicz. 

Argenau (olim Gniewkow) Kr. Inowrazlaw. Provinz Posen. Kiefernwalde éstl. d. 
Eisenbahn am Wege nach Ruhheide, leg P. Ascherson — 18-1888. 

Argenau — Chaussee nach Thorn im Kiefernwalde, leg. P. Ascherson. 


Subvar. f. 

Herb. Sanio — Lyck im Baranner Forst. (Borussia orient.), leg. Otto Fischer (Jul. 
1856). 

Argenau — Chaussee nach Thorn im Kiefernwalde, leg. Dabrowski (Cf. Bericht der 
Deutsch. Bot. Gesell. 1892, p. 74). 


NB. — Kock, ed. 4° (curante Wohlfahrt, p. 574), ritiene che il T. Lupinaster 
sia pianta originaria di Siberia ed importata in Lituania e Prussia. Il Prof. Ascherson 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 269 


di Berlino che gentilmente mi comunicò il materiale del Regio Museo ed il suo 
proprio, aggiunge in una sua lettera, che l'opinione del Koch sopra esposta sul 7. Lu- 
pinaster è falsa: “ Opinio erronea T. Lupinaster plantam Sibiricam esse in Europam 


“ tantum efferatam redit nuperrime in Koch Syn. ed. 4, curante Wohlfahrt, p. 574 ,. 
“ Aus Sibirien eingewandert ,,. 


Erbario Boissier. 


In Ircutia leg. Hschunin. 

Prope Krasnoyarsk leg. Adams. 

Amur leg. Maximovicz (var. y obtusifolium). 
Langarei-Karkaroly-Berge leg. Schrenk. 


In pratensibus prope Buchtarminsk leg. Karelin et Kiriloff (Soc. Imp. Nat. curios. 


Mosgq.). 
In pratis trans-baikalensibus — misit Turczaninow. 
Var. 8, — Alatan misit Bunge. 


Erbario Sommier. ui 


Ad flumen Ob-Or Nial (Balscioinos). Ultimum promontorium ripae dexterae parum 
ultra circulum polarem — leg. Sommier. 


Ad flumen Ob in sylvaticis ripae dexterae — Monastyr-Kandjusk. 
Ad flumen Ob ripa laeva (terra firma) Voikarskii Zimnii-jurti. 
Ad flumen Ob-Obdorsk sub circulo polari. 

Var. Bf. 


In collibus saxosis arenosisve regionis mediis jugi Uralensis (G. o Clere Plantae 
Uralenses). 


Haud procul a Nijni-Taghilsk in pratis et sylvis montium Uralensium. 
Ad flumen Ob ripa laeva sub circulo polari — Labuitnang (Sommier). 


Erbario Roma. 


Saggio del “ Scientific department of Tokio University ,, senza località. 


DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA. 


NB. — Il T. Lupinaster ha il suo centro di diffusione nell'Asia boreale e 
media. — Ledebour, l. c., assegna a questa specie le seguenti regioni: “ Rossia 
media (Lithuania) Iundz. Eichw. ad flumen Kama; Falk: in guberno Orendurg prope 
Slatoust (Nesterofski), et omni Sibiria (J. G. Gmelin); (uralensi!) (Heinzelmann ex 
Amman, Pallas, Lepechin, Falk, Claus, Lessing, Uspenski): (altaica/) (Pallas, Falk. 


270 S. BELLI 


FI. Alt.) prope Krasnojarsk (Turczaninow in litteris): (Baikalensi!) (Georgi, Turcza- 
ninow Schtschukin): et orientali, inter Jakutzk et Wilnisk (Kruhse), inque Davuria 
(Turezaninow. Fisch pl. exsicc.) ,. — Il suo limite occidentale è segnato in Europa 
dalla Prussia (est ed ovest) dove fu trovato secondo Garcke, l c.: “ In Ostpreussen 
bei Lyck im Baranner Forste; im Johannisburger Forst zwischen Schiast und Piskor- 
zòwen, Osterode, und frither bei Allenstein; in Westpreussen unweit Thorn in einer 
Birkenschonung hei Lerchenort und Kuchmie ,. 

Il suo limite orientale è segnato dalle coste di Manchuria (Wilford), e Thunbherg, 
1. c., riporta Osacca come la sola località nel Giappone dove questa specie sia stata 
trovata spontanea ma nell’Erbario di Berlino esiste pure raccolta a Nippon e sul 
Fudzi-Yama. 

In Prussia esistono tutte e due le forme a fiori porporini e bianchi. Così scrive 
Ascherson, 1. c.: “ 7. Lupinaster: Grabier Wald bei Thorn von Novicki, von Herrn 
von Klinggràff mitgetheilt. Dort scheint die Pflanze nur purpurne Blithen zu haben, 
wihrend sie bei Lyck in Oestpreussen nach Sanio nur mit gelblich-weisser Blumen- 
krone vorkommt ,. 

Nella flora romana di Maratti, 1. c., vien riportato il T. Lupinaster come 
pianta stata trovata spontanea “ ad caput Rami et ad Nympham, etc. ,. È possi- 
bile che altra volta siasi trovata accidentalmente questa specie nelle località citate 
dal Maratti. Certo è che oggidì non se ne trova più traccia nè negli erbarii, nè fra 
le specie avventizie trovate nella Flora Romana. Così ebbe a dirmi il Prof. Pirotta 
di Roma. Altrettanto deve dirsi del 7. Lupinaster ascritto da Ucria al dominio della 
Flora Sicula, e riportato da Gussone nel “ Prodromo , (pag. 53) “ in siccis et 
montosis ,, e poi nella “ Synopsis , dove però aggiunge: “ an T. hybridum? ,. 
Il Dott. Lanza, assistente alla Cattedra di Botanica di Palermo, scrissemi non aver 
trovato negli Erbarii di Gussone e di Tineo alcun saggio riferentesi al 7°. Lupinaster 
od al 7. hybridum, aggiungendo: “ Sul fatto che Ucria riporti il 7. Lupinaster, non 
st può stabilire che a suo tempo questa pianta crescesse veramente in Sicilia. Le 
piante di Ucria che Gussone riporta precedute da una croce (34) in calce ai generi 
cui si riferiscono, più che piante oggi scomparse o non più ritrovate, sono piante 
dall’Ucria malamente determinate ,. 

Nyman, i. c., assegna le seguenti regioni al T. Lupinaster: Lithuan — Polonia 
— Boruss. — Ross. med. 


Species Il. 
T. eximium Steph. 


Ex Fischer et Stev. in litteris (Ser. in DC. Prod. Vol. II, p. 203 (1825) — 
Bunge Enumer. pl. Altaic., p. 63 — Turce. Cat. Baikal, N. 308 — Leded. FI. Ross. I, 
p. 551 (1842) — Walpers Repert. Vol. I, p. 647 (1842). 


T. elegans Steph. herb. (fide specim.) non Savi. 
T. grandiflorum Ledeb. in Spreng. Syst. Veget. Vol. III, p. 218, N. 108 (1826) 


et FI. Ross. Icon. Vol. I, p. 28 (1829) — Ledeb. C. A., Meyer et Bunge FI. Alt. 
Vol. II, p. 257 (1831) — Dietrich Syn. pl. Sect. IV, p. 1003, Num. 131 (1847). 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 271 


T. speciosum Fisch. (in herb. R. H. Bot. Berol.). 


T. alpinum Pallas. It. II, p. 123 — Georgi Beschr. d. Russ. R. III, 4, p. 1191 
(ex parte) non L. (ex Ledebour Fl. Ross., L c.). 


Var. albiflora (Fisch. in litt.) Ser. in DC. Prod. II, p. 204. 


“«“ Pedunculis subbifloris, calycis glabri dentibus lanceolatis corolla multo brevioribus, 
vexillo amplo alas latas superante, stipulis late ovatis, caule humili pubescente, foliolis 
obovatis serrulatis glabriusculis , Ledeb. in Spr., l. c. 


“ Caule hypogaeo repente, ramis adscendentibus, pedunculis axillaribus, floribus 2-5, 
pedicellatis laxe umbellatis, defloratis deflexis, calyce corolla 2-triplove breviore: dentibus 
lanceolatis suboeequalibus tubum paullo superantibus, stipulis ovatis vel ovato-oblongis acutis 
mucronatisve, pedunculis pilosiusculis, foliolis ternis, obovatis serrulatis subtus ad costam 
adpresse pilosis caeterum glabris ,, Ledeb. Fl. Ross., l. c. 


“ Pedunculis axillaribus cilindricis, vel laevissime canaliculatis. Involucro cupulari 
regulari sinuato-crenulato. Calycis dentibus basi cordatis lacintis reticulato-venosis. 
Legumine tenwissimo, membranaceo subtiliter venuloso — Foliolis breviter vel longiuscule 
petiolatis — Vexillo amplo — Ovario glaberrimo — Corolla roseo-luteola , Nob. 

Icones — Ledehb. Fl. Ross. Icon., 1. c., tab. 96. 


Icon nostra — Tab. II, fig. A. 


DESCRIZIONE. 


Perenne. 

Radice fusiforme più o meno grossa e fittonosa, ramificata, grumosa. 

Caule cespitoso, dapprima ipogeo con gemme apogeotropiche, strisciante, rizoma- 
toso con rami infine epigei, pochissimo ramificati, superiormente cilindrici, glabri o 
pubescenti. Stipole del rizoma ipogeo afille, sottili, membranacee, oblunghe, ottuse, con 
nervature spiccate e con due cordoni peziolari più robusti: stipole delle foglie infime 
dei rami epigei, sviluppanti dapprima una, due o tre foglioline piccolissime, quasi 
senza picciuolo, rudimentali; le susseguenti con foglioline gradatamente più svilup- 
pate e con tre cordoni peziolari percorrenti per intero la guaina, ramificato-biforcati 
al margine, tutte glabre, con code ottuse all’apice e brevemente guainanti alla base. 
Stipole superiori obovato-lanceolate o semi-ovate, bianco-verdognole alla periferia, 
brevemente guainanti, acute od acuminate, oscuramente dentate, quasi ondulate ai 
margini e quivi con rare ciglia, con nervature ripetutamente biforcate ed anasto- 

mosate in reticolo con nervi più esili fra le biforcazioni. — Foglioline obovate od 
obovato-ellittiche, od oblungo-obovate, glabre salvo che di sotto sulla nervatura me- 
diana dove si trova qualche villo setoloso, con nervature poco elevate e non nume- 
rose, bi-triforcate a metà percorso o solo al margine con altre più piccole interposte 
formanti un reticolo oscuro, subcrenulate al margine massime inferiormente. 

Infiorescenza. — Peduncoli solitari ascellari cilindrici, talora con leggiero solco 
sulla parte interna, villosi od irsuti, portati tutti all’ascella dalle foglie supreme, uno 
per ramo o più di rado due, terminati da un capolino assai lasso, con due o tre fiori 


272 S. BELLI 


involucrati da un collaretto cupuliforme, membranaceo-scarioso, senza nervature, cre- 
nulato o dentato con rari villi e qualche glandola pedicellato-clavata (sparsa anche 
sui peduncoli). Fiori pedicellati: pedicelli subeguali al calice (denti compresi). 

Calice tagliato in sbieco a spese del labbro superiore: tubo glabro esteriormente; 
internamente guernito di glandule clavato-pedicellate. Nervature del tubo dieci, 
cinque dentali più valide; cinque commissurali più esili che giunte allo spazio inter- 
dentale si biforcano e si recano ognuna alla base ed al lato interno di ciascun dente 
formando una serie di maglie larghe irregolari che vanno sino all’apice del dente 
stesso (Vedi Tav. II, Fig. 2). Denti larghi, triangolari, cordati alla base, acuti, un 
po’ fogliacei, guerniti di peli brevi e radi ai margini, più lunghi negli spazii inter- 
dentali e in corrispondenza della fauce. 

Corolla roseo-giallognola, seccando un po’ scariosa, persistente a lungo nel frutto. 
Vessillo quasi libero dagli altri petali, grande, obovato-ellittico, senza unghia, un po’ 
cochleariforme, compiegato prima e dopo l’antesi, un po’ rialzato al momento della 
fecondazione, molto più lungo del calice (2-3 volte) ed oltrepassante le ali, con ner- 
vature percorrenti tutto il lembo, biforcate e riunentisi in pochi fasci inferiormente. 
— Ali irregolarmente obovate, con becco ottuso; acute od ottusette all’apice. — Ca- 
rene cultriformi apiculate. 

Stami coi filamenti liberi più brevi della porzione adesa, decrescenti in lunghezza ‘ 
dal mediano ai laterali e quello più dilatato di tutti sotto l'inserzione delle antere 
introrse, oblungo-ellittiche. 

Ovario fusiforme-lineare, glaberrimo. Stilo cilindrico, ingrossato-ricurvo verso l’alto 
e quivi con stigma a bottoncino apicale. Quvoli 3-(6)-7. Legume clavato-oblungo, te- 
nuissimo membranaceo, colle suture robuste, reticolato-venuloso sulle pareti, glabroj 
stipitato. Semi 3-5-6 cordato-globulosi, glabri, lisci, verde-giallastri. 


LETTERATURA E CRITICA. — OSSERVAZIONI. 


Il T. eximium rappresenta la seconda specie da me conosciuta che faccia parte 
della Stirps Eulupinaster. AI pari del 7. Lupinaster esso possiede un rizoma sotter- 
raneo con stipole afille, il quale dà origine a gemme dapprima brevi, poi allungantisi 
dopo un certo tratto apogeotropicamente e dando origine a rami epigei fogliferi e 
fioriferi. Nelle brevissime gemme ipogee sta pure qui rinchiusa l’infiorescenza in 
miniatura, la quale non presenta il fatto osservato nel 7. Lupinaster della scanala- 
tura del peduncolo fiorale per ciò che il capolino quasi sempre unico per ogni ramo 
è ridotto a due o tre fiori e non subisce perciò nella gemma la forte compressione 
derivante dal numero dei fiori e dalla vicinanza dei capolini ristretti all'apice del 
caule nelle guaine stipolari rispettive. Per la stessa ragione nel 7. eximium il ricet- 
tacolo è normalmente sviluppato, simmetrico e regolare. Nel peduncolo può ricono- 
scersi una leggerissima depressione al lato interno; del resto esso è affatto cilindrico. 
Il 7. erimium è apparentemente simile nell’ aspetto generale al 7. alpinum, ma in 
realtà egli è un vero parente del 7. Lupinaster soprattutto per la struttura del- 
l'ovario e del legume, pel numero e per la forma dei semi e per la natura dei tricomi 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 273 


che rivestono la fauce ed i denti del calice. — Il T. eximium si riconosce facilissi- 
mamente, oltre agli altri caratteri, soprattutto per le lacinie del suo calice cordate 
alla base ed elegantemente reticolate. — Dalla figura data da Ledebour nelle Icones 
il vessillo appare roseo più o meno pallido e le ali e le carene bianco-giallastre, 
o giallo-brunastre: la fogliolina mediana è sessile e le foglie sono veramente digi- 
tate; i pedicelli in detta figura sono più lunghi del calice, lo che sui saggi essic- 
cati spesso non si trova. In questi anche il colore della corolla pare uniforme. 
Seringe in DC. Prod. 1. c. ascrive al T. eximium corolle porporine, aggiungendo una 
var. 8. albiflora, la quale probabilmente deve corrispondere alla forma figurata da 
Ledebour. Nella descrizione sua non si fa cenno del colore delle corolle (1). “ T. ra- 
“ dice repente, caule adscendente pubescente, stipulis ovatis, acutis, submembranaceis, 
“ foliolis ovatis denticulatis, subtus ad costam adpresse pilosis, caterum glabris, 
“ umbellis 2-4 floris laciniis calycis campanulati suba@equalibus tubo parum longioribus, 
“ corolla multoties brevioribus, leguminibus 4-5 spermis ,. 

“ Habitat in alpe circa fontes fluminis Tschegan et in insulis fluminis Tschuja 
“ (nec non in Davuria Dec.) % ,. 


“ Floret. Junio-Aug. ,. 


HABITAT. 


Dahuria-Altai (Fischer-Meyer). 


(1) Icones plantarum novarum vel imperfecte cognitarum floram Rossicam imprimis Altaicam illu- 
strantes, ed. Carolus Friedericus a Ledebour, centuria 1* (Riga, apud L. Deubner; Londini, Parisiis 
et Argentorati, apud Treuttel et Wirtz; Bruxellae, in Libraria Parisiensi (1829). 


Serie II. Tom. XLIV. ù 


274 S. BELLI 


STIRPS II°. 


GLYCIRRHIZUM Nob. (Bertol.). 


Caract. — <« Stipulae imae sphacelato-fimbriatae, reticulum brunneo-fuscum vel 
helvulum efformantes caulesque decurtatos inferne obtegentes - Inflorescentiae annotinae 
in axilla foliorum inferiorum evolutae; aequali tempore in axilla foliorum juniorum inflo- 
rescentiae rudimentales (sequenti anno evoluturae) adsunt - Inflorescentia composita, 
racemoso-cimosa » NoB. 


Hujus stirpis: 7. alpinum L., T. polyphyUum C. A. Meyer., T. nanum Torr. 
(non Europeum). 


SPECIES 12. 


T. alpinum L. 


Sp. pl. (Ediz. 32), p. 1080 (1764) et Mant. altera, p. 451 (1771), et Syst. Veg. 
(ediz. 14 Murray), p. 688 (1784) — 44. FI. Pedem. Vol. I, p. 302 (1785) — Vill. 
Hist. pl. du Dauph. Vol. II, p. 476 (1789) — WiWd. Sp. pl. Vol. II, p. 1360 (1787) 
— Suter FI. Helv. Vol. II, p. 108 (1802) — Schred. in Sturm Deutsch]. FI. Heft. 15 
(1804) — Savi Due cent. etc., p. 146 (1804) — Re FI. Segus., p. 62 (1805) — 
Sternberg Reise d. Tirol, ete., p. 62 — Schkuhr Bot. Handb. Vol. HI, p. 402 (1805) 
— Lamk et DC. Syn. PI. Fl Gall., p. 346 (1806) — Pers. Syn. Vol. II, p. 349 (1807) 
— Loisel. de Longchp. Fl. Gall., ediz. 12, p. 480 (1806) — Poir. Encyclop. Vol. VII, 
p. 1 (1808) — Biroli FI. Acon. Vol. II, p. 40 (1808) — Savi Obs. in var. Trif. sp., 
p. 99 (1810) — Ait. Hort. Kew. (Ed. 2°), Vol. IV, p. 382 (1812) — Lapeyr. PI. 
Pyren. Vol. II, p. 433 (1813) — DC. FI. Fr. Vol. IV, p. 519 (1813) — Pollini Viaggio 
al M.'° Baldo, etc., pp. 101-102 (1816) — Pollini FI. Veron. Vol. II, p. 516 (1822) 
— (?) Maratti FI. Rom. Vol. II, p. 155 (1822) (1). — Link Enum. pl. R. H. Berol., 
part. Il, p. 261 (1822) — Comolli Enum. pl. prov. Lar., p. 142 (1822) — Ser. 
in DC. Prod. Vol. II, p. 204 (1825) — Savi Bot. Etr. Vol. IV, p. 46, N. 1056 (1825) 
— Spreng. Syst. Veg. Vol. III, p. 208 (1826) — Jan Elenc. pl. Parm., p. 12 (1826) 
— Benth. Cat. pl. Pyr. et Langued., p. 125 (1826) — Loisel. de Longchp. Fl. Gall. 
Vol. II, p. 119 (1828) — Duby Bot. Gall. Vol. I, p. 135 (1828) — Gaud. FI. Helv. 
Vol. IV, p. 579 (1829) — Host. FI. Austr. Vol. II, p. 367 (1831) — Rehbceh. FI. Exe. 
Vol. II, p. 495 (1832) — Presl Symb. bot. Vol. I, p. 47 (1832) — Reut. Cat. pl. 
vasc. env. Genève, p. 32 (1832) — Colla Herb. Ped. Vol. II, p. 113 (1834) — 


(1) Vedi la Distribuzione Geografica del 7. alpinum a pag. 285. 


lente DC 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 275 


— Massara Fl. Valtell. Prod., p. 188 (1834) — Mutel FI. Fr. Vol. I, p. 264 (1834) 
— Richter Cod. Bot. Linn., p. 743, N. 5651 (1835) — Gaud. Syn. FI. Helv., p. 630 
(1836) — Puccin. Syn. pl. agr. Luc. p.* altera, p. 371 (1841) — Bertol. It. Apen., 
p. 15 (1841) — Koch Syn. FI. Germ. et Helv., ed. 2°, p. 190 (1843) — Comolli FI. 
Com. Vol. V, p. 433 (1847) — Dietrich Syn. PI. Sect. IV, p. 1001 (1847) — Gren. 
Godr. Fl. de Fr. Vol. I, p. 418 (1848) — Zumaglini Fl. Pedem. Vol. II, p. 197 (1849) 
— Boreau FI. du centr. de Fr. Vol. II, p. 132 (1849) — Bertol. FI. It. Vol. VII, 
p. 101 (1850) — De Vis. Fl. Dalm. Vol. HI, p. 300 (1850) — Willkomm Sert. pl. 
hisp., p. 43 (1852) — Rota Prosp. FI. Prov. Bergamo, p. 33 (1853) — Nyman Syll. 
FI. Eur., p. 296 (1854) — Koch Syn. FI. Germ. et Helv. (ediz. 3°), Vol. I, p. 149 
(1857) — Caruel Prod. FI. Tosc., p. 169 (1860) — Koch Nomencl. Fl. Germ. et 
Helv., p. 22 (1861) — Reut. Catal. pl. vasc. Genève, p. 48 (1861) — D'Angre». FI. 


. Valles., p. 32 (1862) — Fuss FI. Transsilv., p. 162 (1866) — Ardoino FI. Alp. marit., 


p. 104 (1873) — Ces. Passer. Gib. Comp. FI. It., p. 712 (1867) — Zersi Prosp. pl. 
vasc. Bresc., p. 61 (1871) — Verlot Les plantes alpines, p. 97 (1873) — Morthier 
FI. analyt. Suiss. (5* edit.), p. 146) (1873?) — Arcangeli Comp. FI. It., p. 176 (1874) 
— Celak. Ueber Aufh. der Gatt. Trifolium. Oesterr. Bot. Zeitschf., N. 2, p. 42 (1874) 
— Rehbch Icon. FI. Germ. et Helv. Vol. XXII, p. 75 (1874) — Bowvier FI. Alp. 
Suiss. et Sav., p. 150 (1878) — Koch Taschb. der Deutsch. u. Schweiz. FI., p. 521 
(1878) — Nyman Comp. FI. Europ., p. 179 (1878-82) — Willkomm et Lange Prod. 
FI. Hisp. Vol. II, p. 358 (1880) — Rossi Stud. FI. Ossol., p. 82 (1881) — Re FI. 
Segus. (Comm. a B. Caso), p. 89 (1881) — Gidelli e Pirotta FI. Moden. e Regg., 
p. 46 (1882) — Janka Trif. Lot. Europ., p. 154 (1884) — Schlcehtdl. et Haller FI. 
von Deutschl. Vol. XXIII, p. 273 (1885) — Camus Catal. pl. de Fr., p. 65 (1888). 


Lupinaster alpinus Presl., l. c. 


Subvar. 8. albifliorum Haller Hist. Stirp. indig. Helv. Vol. I, p. 161, N. 369 = 
var. 6. albiflorum Rota, 1. c. (et auct. plur.). 


Subvar. y. stenophyllum Nob. (in herb. R. H. B. Romani). 


Icones. — Pona PI. mont. Baldo, etc., pag. ccoxL et edit. ital., pag. 194 (fig. 
in textu) — Parkinson Theatr. Bot., p. 1104 (in textu) — Bauhin. Hist. pl. univers., 
p. 376 (fig. in textu) — Morison Hist. pl. univ. Vol. II, Sect. Il, tab. 12, fig. 2 (mala) 
— Sturm Deutschl. FI., 1. c., heft. 15 — Icon. Taurin., tab. XI, fig. 2. — Perini, 
frat. Fl. It. Sett. Cent., 12. — Reichbe. fil, 1. c., tab. 114. — Cusin Herb. FI. Fr. 
tab. 1120. — Sehlechtdl. et Hall., 1. c., tab. 2389. 


Subvar. y. stenophyllum Nob. (in herb. R. H. B. Romani). 


“ Capitulis laxifloris (7-14 fl.). Floribus maximis (in G. Trifolio), 19, 21 (media) — 
25 mill. longis; duplicatim verticillatis; verticillastris superpositis, infero 6-7, supero 
4-5-floro saepe reducto, uni-bifloro, omnibus involucratis, involucello tenui, albo-membra- 
naceo, denticulato, glabro; axi florifero indefinito in medio florum superiorum mucronulo 
centrali (Tab. II, fig. 15% a), protrudente, interdum abortu subnullo, floribus cymosis — 


_ Calycis dentibus apice subulatis, acuminatissimis, inferiore dimidium verillum semper 


276 S. BELLI 


superante, rarissime ei subaequilongo — Foliolis ternatis, rarissime (Bertoloni) quinatis 
— Corolla speciosissima purpureo-rubente, siccando atropurpurea vel (var. 8) alba — 
Ovario biovulato — Legumine saepissime bispermo — Tota planta glaberrima ,, Nob. %. 

Subvar. B. “ flore albo, caeterum ut in typo ,. 

Subvar. 1. “ foliolis strictissimis, linearibus, acuminatis ,,. 

Icon nostra — Tab. II, fig. B. 


DESCRIZIONE. 


Radice fittonosa, legnosa, obconica, legnosa, lunga, più o meno ramosa, divisa e 
fibrillosa inferiormente, guarnita delle solite produzioni grumose a bacteroidi. 

Caule nano, cespitoso; rami molteplici dal colletto, tosto ramificati, grossi, tozzi, 
arcuato-flessuosi, o stoloniformi, ma non mai radicanti (Exempl. Pierre sur Haute 
Erbario Levier) con internodii brevi, gli infimi ricoperti dai residui delle vecchie 
stipole sfilacciate e ridotte ad un invoglio fibrilloso-reticolato, brunastro o fulvo. 

Foglie tutte all'apice dei rami, appressate, ricoprentisi a vicenda nella porzione 
stipulare: le inferiori (esterne) più lungamente picciolate, le superiori (interne) 
meno; picciuoli glabri, leggermente scanalati superiormente, grossi; stipole vegetanti 
oblungo-lineari, tutte conformi, oblungo-lineari (distese in piano), verdi dapprima, 
presto biancastro-scariose, guainanti inferiormente per breve tratto, con molti nervi 
paralleli e scarse anastomosi, massime nelle code brevi, triangolari, attenuato-acumi- 
nate. — Moglioline tre, rarissimamente (secondo Bertoloni) cinque, glabre, sessili 
oblungo-lanceolate od oblungo-lineari, cuneate alla base, più o meno lunghe (fino a 
8 centimetri; in media 3 cent.), acute od ottuse od anche arrotondate, più verdi sopra, 
più pallide sotto, o glauche, integre al margine od oscuramente denticulate; rara- 
mente con denti fini e spiccati; con nervature fitte, pennate ma poco arcuate, salvo 
al margine dove sono forcate ed anastomosate con altre più esili, colle quali formano 
un reticolo a maglie oblunghe. 

Infiorescenza (Vedi anche la Parte Generale e la Critica di questa specie). — 
Peduncolì ascellari, pochi per ogni cespo (2-3), solitarii, cilindrici, glabri, di lunghezza 
variabile, ma più spesso oltrepassanti al momento dell’antesi la foglia corrispondente. 
— Asse fiorale indefinito, prolungantesi sotto forma di mozzicone all’apice delle infio- 
rescenze formate da pochi fiori (10-12), (al massimo 15, e al minimo 6): grandi (i più 
grandi del Genere) (18; (media 20) 25 mill. lunghezza), disposti ordinariamente in due 
verticillastri sovrapposti più di rado in uno solo (per aborto del superiore ridotto 
ad un fiore o due), rarissimamente con accenno ad un terzo verticillastro nei capolini 
enormemente sviluppati, ognuno involucrato da un collaretto membranoso-scarioso, 
biancastro, denticolato, glabro o con qualche emergenza glandulifera, enerve. — Pedi- 
celli fiorali glabri, cilindrici, più brevi del calice, dapprima eretti, alla fine deflessi, 
cosicchè il capolino diventa umbelliforme. i 

Calice campanulato, glabro o guarnito dentro e fuori delle solite produzioni tri- 
comatose glandulose, pedicellato-clavate, molto grandi, con tubo breve, tagliato a spese 
del labro superiore, leggermente saccato alla base superiormente, verdognolo, bian- 
castro o colorato in rossigno, con dieci nervi; cinque dentali e cinque commissurali 
più esili. Denti cinque triangolari-allungato-subulati, assai più lunghi del tubo; i due 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE Dt 


superiori più brevi dei laterali, l’inferiore più lungo di tutti ed oltrepassante sempre 
metà della lunghezza del vessillo, tutti trinervi massime alla base e con qualche 
nervo trasversale; scariosi al margine, colorati o no in rossigno. 

Corolla vistosissima roseo-porporina, invecchiando fosco-bluastra o fosco-vinosa, 
più di rado bianca (var. 8) persistente a lungo ed un poco scariosa. 

Vessillo libero o quasi dagli altri petali connati nell’unghia, lungo un po’ meno 
del doppio del calice, foggiato inferiormente alquanto a navicella (poco distensibile 
in piano senza lacerazione) e dilatato superiormente in lembo obovato-ellittico, ottuso, 
arrotondato, troncato o smarginato all’apice, integro al margine con nervature furcate 
riunentisi in basso in pochi fasci non troppo robusti; senza strozzatura dorsale, 
compiegato sugli altri petali prima e dopo la fecondazione e un po’ rialzato ante- 
riormente durante la stessa; più lungo delle ali irregolarmente oblunghe, ottuse con 


orecchietta poco bollosa, ottusa, ricche di vene più scure. — Carene foggiate a distory 
retto, apiculate, senza orecchietta. 
Stami come nel 7. Lupinaster. — Antere idem. 


Ovario fusiforme, glabro, stipitato, quasi costantemente biovulato, terminante nello 
stilo gradatamente assottigliato in alto, cilindrico; stigma a bottoncino papillifero 
anche sulla faccia dorsale. 

Legume ellittico, stipitato, indeiscente, glabro, membranaceo, colle suture robuste; 
la ventrale un po’ tuberculata e le pareti sottili leggermente venulose. 

Semi due (raramente tre) grandi, nerastri, lisci subrotondi con ilo profondo e 
radichetta prominente. 


VARIETÀ. — LETTERATURA E CRITICA. — OSSERVAZIONI. 


All’infuori della variazione a fiori bianchi, il 7. alpinum non presenta vere va- 
rietà, essendo specie oltremodo uniforme e ben caratterizzata. Ho creduto di riferire 
come semplice sottovarietà anche la forma a foglie strettissime (abbastanza rara), 
non essendo questo nel G. Trifolium un carattere di soverchio valore. — Se non erro, 
fu Haller (Hist. Stirp. indig. Helv., Vol. I, pag. 161) che pubblicò la var. f. “ flore 
albo, in monte Serin ,. — Dopo di lui ne fecero cenno, come di semplice accidentalità 
nel colore della corolla e senza designarla con lettere, Allioni, Schkuhr, Savi, De- 
candolle, Pollini, Loiseleur, Gaudin, Reichenbach (fl. exc.), Colla, Mutel, Koch, Dietrich, 
Grenier et Godron, Zumaglini, Bertoloni. Il Rota solo la distinse nella Flora di Ber- 
gamo come var. d. Io Yho veduta nell’ Erbario di Firenze raccolta dal Rota stesso 
a Ca di S. Marco nel Bergamasco e dal Cesati nel monte Legnone e l’ho raccolta 
io stesso sotto il Colle di Tenda scendendo a Limone. -- La sottovarietà stenophyl- 
lum fu raccolta nel monte Fusio in Val Sambuco da A. Franzoni (Erbario di Roma). 

È appena il caso di accennare alle variazioni di statura del 7. alpinum, certo 
in relazione colle condizioni di nutrizione e di località della specie. Così mi accadde 
di vedere saggi evolutissimi raccolti dal Thomas nel Vallese (planta major helvetica 
del suo cartellino e riportata dal Nyman 2. c.); nel Tirolo australe (Monte Jaufen 
Erbario Levier): a S. Caterina di Val Furva (Valtellina Erbario Roma); sul Roccia- 
melone (Alpi Cozie) leg. Berrino, alle Echelles presso Bardonecchia id.; sulla Zeda 


«278 S. BELLI 


nella Valle Intrasca (Lago Maggiore) DNot., ecc. — Un saggio addirittura enorme 
con foglioline lunghe 7 centimetri, fiori lunghi 25 mill. e con radice lunga strisciante 
è quello contenuto nell’Erbario Sommier e raccolto a Bormio (Valtellina). 

Molti Autori (Pollini, Savi, Sprengel, Loiseleur, Host, Koch, ete., etc.) attribuiscono 
al T. alpinum foglioline serrulate al margine. Questo carattere non è sempre costante; 
molto soventi le foglioline sono affatto integre nel contorno. Del resto se gli Autori 
in generale sono molto concordi nella descrizione di questa specie, pochi di essi si 
sono occupati del carattere speciale che offrono le sue stipole allorchè invecchiano, 
e quasi nessuno ha osservato a fondo la curiosa infiorescenza dei G/lycirrhizum. Non 
sarà inutile il soffermarci un momento su questi due fatti. — Un cespo di 7. alpinum 
tolto con diligenza dal terreno mostra le parti inferiori dei rami affatto ricoperte 
da un ammasso di fibre nerastre o brunastre, sfilacciate , intricatissime che vanno, 
di mano in mano che il ramo cresce, sfacelandosi. — Questa struttura accennata da 
qualcuno dei moderni, Reichenbach (fil.), Bertoloni, era stata anticamente osservata 
dal Decandolle, il quale scrive l. c. “ Sa racine est longue, garnie vers son collet de 
“ beaucoup de paillettes ou espèces de poils grisàtres ,. — L’ammasso di fibrille sopra 
accennato è costituito dai residui delle stipole vecchie in cui il tessuto parenchima- 
toso si è distrutto lasciando solo la porzione dei fasci fibro-vascolari. Questo carat- 
tere è di grandissimo valore per riconoscere gli affini del 7. alpinum : così esso è 
comune al 7. polyphyllum del Caucaso, ed al T. nanum dei Focky-Mountains d’ America. 

Più interessante ancora è la infiorescenza del 7. alpinum e dei Glycirrhizum in 
generale. 

Tutti gli Autori parlando di essa la descrivono più o meno come un capolino 
lasso, foggiato ad ombrella allorchè è fruttificato, lasciando così sottinteso che questa 
infiorescenza non differisca sostanzialmente da quella degli altri trifogli. Alcuni pochi 
hanno vagamente accennato ad una differenza strutturale di essa, ma senza venire 
ad una conclusione, come vedremo più avanti. 

Il primo accenno all’infiorescenza del 7. alpinum venne dato dal Micheli (Nova 
plant. Genera, pag. 28) nel 1729, il quale descrivendo l’Ordo V così si esprime: 

“ Trifoliastri floribus in fasciculum, seu corymbum minus speciosum per binos 
“ tantum ordines dispositis, qui, dum pistillus in fructum abit deorsum reflectuntur ,. 
Dalla qual frase risulta come il Micheli avesse benissimo osservata la apparente 
esterna struttura del capolino, ma la riferisse ad un corimbo o fascicolo di fiori. — 
Ognuno sa che il corimbo è un’infiorescenza racemosa, e che il falso corimbo è una 
cima. Non si può quindi dedurre dalle parole del Micheli a quale infiorescenza abbia 
voluto alludere, tenuto anche conto dell’epoca in cui furono scritte, e delle cognizioni 
che allora si avevano sui varii tipi di ramificazione. 

Fu Schreber il secondo che rilevò la struttura fiorale del T. alpinum. Egli così 
si esprime: “ Lc. “ Der Kiirze Schaft trigt ein einzelnes Blithenkòpfchen an der 
“ Spitze, zuweilen in proliferirenden Dolden, denn die suntern Bliithen entspringen 
“ alle aus einem gemeinschaftlichen mittelpunkte, und das nihmliche findet noch 
“ einmal an dem verlangerten Schafte statt ,. . 

Schreber, molto meno esattamente del Micheli, ritiene, come è facile vedere, il 
verticillastro inferiore dei fiori come il vero capolino normale e suppone doversi ad 
un'anomalia, cioè alla proliferazione dell’asse il secondo verticillastro. Questa osser- 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 279 


vazione si scosta dal vero in ciò che il fatto da Schreber riferito ad un’accidenta- 
lità, è invece il modo ordinario di comportarsi della pianta; il che non toglie nulla 
alla esattezza dell’osservazione. Altri Autori, p. es., Seringe 1. c., si limitarono ad 
accennare la disposizione dei fiori “ pedicellis minimis subverticillatis , od inter- 
pretarono erroneamente questa infiorescenza. 

Ricorderemo cose già note. L'infiorescenza del T. alpinum (ed affini) è fatta di due, 
raramente da tre, verticillastri sovrapposti. Nel verticillo superiore, più povero di fiori 
e spesso con qualche fiore tabescente, come nell’inferiore più ricco di fiori, i pedicelli 
nascono tutti attorno ad un punto dell’asse ed involucrati dal collaretto membranaceo, 
continuo, più o meno dentato. Tra i due verticillastri corre un tratto dell’asse comune, 
nudo. Ma se si osserva con attenzione il centro del verticillastro supremo si vede 
che quasi sempre esiste colà uno spuntone breve che rappresenta la continuazione del- 
l’asse fiorale (Tav. II, fig. B, 15% @). È certo che senza uno studio organogenico ed ana- 
tomico accurato, che metta in chiaro la cronologica evoluzione delle membra, non si può 
matematicamente essere certi della natura di questa infiorescenza, tanto più che la 
genesi di molti verticillastri, in altri Generi che non sia il G. Trifolium (Labiate), spesso 
è tutt'altro che facilmente dimostrabile. Ma nel caso del 7. alpinum il dubbio, anche 
a priori non mi par possibile. E, in verità, è egli ammissibile ritenere questa per una 
infiorescenza racemosa ridotta a due verticilli? Il volerlo supporre basandosi sul fatto 
che questo modo d’infiorescenza è comune a tutti i Trifogli, per quanto talora mo- 
dificato o larvato (7. Lupinaster, ecc.) è un po’ azzardato. Per ammettere una simile 
infiorescenza converrebbe supporre che un capolino fosse ridotto ad avere due giri 
di spira abbassati in piano quasi orizzontale con un tratto di ricettacolo nudo. Il 
che mi parrebbe voler portare le analogie ad un limite troppo spinto. Io sono per- 
suaso che questa idea deve essere affatto abbandonata, e che l’ infiorescenza del 
T. alpinum debba essere annoverata fra le infiorescenze racemoso-cimose 0 botrio-cime, 
analoghe a quelle di molte Labiate, nelle quali la natura di racemo spetta al solo 
asse generale dell’infiorescenza, svolgentesi indefinitamente, mentre le infiorescenze 
secondarie parziali, con assi soppressi, stanno raggruppate all’ascella di brattee, con- 
cresciute o no, sotto forma di verticillastri, semplici o composti. — Nel caso del 
T. alpinum ed affini due fatti ci fanno ritenere che tale sia la sua infiorescenza: 
1° la presenza costante del mucrone apicale nel centro del verticillastro superiore; 
2° lo svilupparsi e lo sbocciare in ordine acropeto dei wverticillastri consecutivi per 
cui il superiore è nel suo complesso sempre più giovane dell’inferiore; però i fiori di 
uno stesso verticillo possono essere di età diversa; 3° finalmente appunto il diverso 
sviluppo e la diversa età dei fiori che si trovano in uno stesso verticillo considerati 
gli uni rispetto agli altri, al momento della fecondazione in guisa da dimostrare ampia- 
mente essere essi produzioni cronologicamente differenti e dipendenti in parte, se non 
tutte, da assi soppressi di inegual valore genetico (1). Il fatto della proliferazione riferito 


% 

(1) Se si suppone p. e. che i 6 fiori di un verticillastro inferiore appartengano a due cime di- 
cotomiche nate all’ascella del collaretto i cui assi siano soppressi, è evidente che i due fiori termi- 
nanti l’asse di 1° ordine della dicotomia si svolgeranno più presto dei laterali che nascerebbero 
all’ascella delle due brattee sottostanti al fiore terminale. — La soppressione degli assi porterebbe 
seco la saldatura delle brattee a guisa di collaretto, ammettendo che le minute squame onde si 
compone l'involucro abbiano valore di filloma, ciò che non è affatto dimostrato. 


280 S. BELLI 


dallo Schreber sarebbe dunque perfettamente in parte giustificato, cioè per quel tanto 
che riguarda il prolungamento dell’asse. Soltanto, secondo lo Schreber, questa strut- 
tura fiorale, come si è già detto, sarebbe accidentale nel 7. alpinum (Zuweilen in 
proliferirenden Dolden), mentre è generalissima. È poi appena il caso di accennare 
alla supposizione che questo prolungamento dell'asse sia un simpodio, e che vi pos» 
sano esistere due assi primarii, supposizione che non è giustificata da nessun fatto 
strutturale. 

Più raro è, già dicemmo, il vedere un terzo verticillastro soprastante ai due 
inferiori, e nei pochi casi che mi fu concesso di vederlo, cioè in esemplari enorme- 
mente sviluppati, lo spuntone apicale porta al suo apice un rudimento di collaretto 
con un fiore solo tabescente. Mi riservo di comunicare altrove lo studio morfologico 
e la genesi di questa infiorescenza interessantissima, che non avrebbe ragione di 
essere qui riferita data la natura di questa rivista critica. — È certo intanto che 
anche per questo carattere la Stirps Glycirrhizum si allontana affatto da quella a 
cui appartiene il 7. Lupinaster. 

Di non minore interesse in riguardo alla storia del 7. alpinum è una circostanza 
che mi venne fatto di rilevare nel suo modo di vegetare e che probabilmente ripete 
la sua origine, oltre che dalla natura della pianta, anche dalle condizioni in cui la 
pianta stessa vive, cioè in altitudini elevate assai. Se si tolgono ad una ad una le 
stipole di un ramo di 7. alpinum in piena infiorescenza, si osserva che, contempora- 
mente agli scapi fiorenti, ed all’ascella delle stipole susseguenti alle scapifere, stanno 
delle infiorescenze rudimentali, piccolissime, lunghe tutt’al più 1 centimetro e spesso 
lunghe pochi millimetri, nelle quali però sono distinguibili, e perfettamente costituiti 
gli elementi fiorali od almeno il calice e gli stami. Queste infiorescenze passano 
l'inverno ricoperte dalle stipole vecchie, per svilupparsi poi rapidamente nel susse- 
guente estate. È un fatto analogo, biologicamente, ma topograficamente differentis- 
simo da quello che abbiamo esposto nel 7. Lupinaster, dove le infiorescenze, prefor- 
mate, stanno sotterra nelle gemme, e ricoperte dalle stipole afille, incassate le une 
nelle altre come i pezzi d’un cannocchiale. Nel 7. alpinum invece sono le foglie 
susseguenti a quelle delle infiorescenze evolute nell’anno, che albergano alla loro 
ascella le infiorescenze rudimentali, mentre la sua porzione Ciproma col ciuffo di foglie 
giovanissime eresce indefinitamente, arrestandosi solo nell'inverno, ma all’ascella di 
queste ultime non stanno mai infiorescenze. 

Il collaretto di brattee che sottosta ai verticillastri, pare fatto da una dupli- 
catura epidermica, non mostra nervature di sorta e difficilmente può paragonarsi 
ad un filloma ridotto, come, p. es., nelle vere Involucrarie od in certi Lagopus. 
Mostra invece molta analogia colle squamule che sottostanno ai fiori delle Chrono- 
semium portando come essi soventi delle emergenze glandulose microscopiche o delle 
glandule clavato-pedicellate identiche a quelle che si trovano sul calice e più di rado 
sulle stipole. 


È secondo tutte le probabilità falso che Bauhino nel Phytopinax (1596) abbia 
fatto allusione al 7. alpinum; avvegnachè le sue caratteristiche non gli siano ap- 
plicabili per nulla. Pona (x) pel primo la descrisse assai bene e la figurò nella storia 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 281 


delle piante del Monte Baldo. Gli Autori che dopo di Pona e prima delle “ Species 
“ plantarum , Linneane se ne occuparono, sono i seguenti in ordine cronologico: 
Parkinson (1) = Bauhino (2) — Morison (3) — Tournefort (4) — Scheuchzer (5) 
— Micheli (6) — Zannichelli (7) — Linnè (8) — Seguier (9) — Sauvages (10) — 
Holler (11). 

Quest'ultimo Autore non fa uso della nomenclatura binomia nell’opera citata 
quantunque posteriore alle “ Species plantarum ,,. 


(x) “ Trifolium 42 siue alpinum minimum flore luteo ,. 

Plantae seu simplicia, “ ut vocant, quae in Baldo monte et in via ab Verona ad Baldum 
“ reperiuntur ,, etc., p. cccxL (Antwerpie, 1601), apud Crusrow, © Rar. pl. Hist. ,; et “ Monte Baldo 
descritto da Giovanni Pona etc. ,, ediz. ital, p. 194 (Venezia, 1617). 

(1) Theatrum botanicum, pag. 1104 (London, 1640), “ Trifolium angustifolium alpinum ,, non 
Trifolium Glycyrrhizites ut voluit Hallerus ,! ab 

(2) Pinax Theatri Botanici sive Index, etc., p. 328 (1671), Basilea: “ Trifolium alpinum flore 
“ magno radice dulci; Glycyrrhiza astragaloides quibusdam , — et “ Historia plantarum universalis , 
(Ebrodum, 1671, p. 376, vol. II); “ Trifolium alpinum rheticum astragaloides , — et TTpodpduos Theatri 
Botanici, pag. 148 (Edit. altera emend., Basilea, 1671): “ Trifolium alpinum flore magno radice 
“ dulci etc. ,. 

(38) Plantarum histor. univers. Oxoniensis, etc., vol. II, pag. 139 (Oxonii, 1715): © Trifolium pur- 
“ pureum angustifolium alpinum ,. 

(4) Institutiones rei herbariae, vol. I, p. 408 (Parisiis, 1719) — “ Anonis alpina humilior, radice 
“ampla, dulci ,. 

(5) Oupeciportne helveticus sive itinera per Helv. alp. reg. fact. annis 1702-11; Lugd. Bat. (1723); 
It. I, p. 43; It.II, p. 143; It. IV, p. 342. 

(6) Nova plantarum Genera etc., p. 28 (Florentiae 1729) — “ Trifoliastrum alpinum purpureum, 
“ humile, caule nudo, simplici, foliis' angustioribus, acutis, floribus amplioribus, siliquis planis, 
“ incurvis et dispermis ,. i 

(7) Opuscula botanica posthuma ‘a Johanne Jacobo filio in lucem edita, p. 73. Venetiis, typ. Dom. 
Lovisa (1730). 

(8) Hortus Cliffortianus, p. 499 (Amstelodami, 1737). 

(9) Plantae Veronenses sea Stirp. quae in agro Veronensi reperiuntur methodica Synopsis, vol. II, 
pag. 95 (Veronae, Typis Seminarii), 1745. 

(10) Methodus foliorum seu plantae florae Monspeliensis, p. 185 (A la Haye, 1751). 

(11) Historia stirpium ingligenarum Helvetiae inchoata, vol. I, p. 161, n° 369 (1768): “ Trifolium 
“ scapis radicatis, floribus racemosis, foliis ellipticis, lanceolatis integerrimis ,. 


Serie II. Tom. XLIV. x! 


282 S. BELLI 


HABITAT. 


(Bo. Erbario Boissier — B. Erbario Belli — C. Erbario Cesati — F. Erbario 
Firenze — G. Erbario Gibelli — R. Erbario Roma — T. Erbario Torino — L. Er- 


bario Levier — S. Erbario Sommier). 


Piemonte e Liguria, 


Monte Armetta (Liguria). . . . fayiea 
Colle di Tenda e Colle della Perla (Alpi maritt.) 
Alpi sopra Viozennnes . 

Liguria (?) . CI ITA 
Moncenisio (al Monti) al Lago etc. 


Riva. (Valsesia) ; 

Punta della Mologna da Biellesi) i 

Passo della Croce Mulattiera sopra i Melezet 
(Bardonecchia) Alpi Cozie . 

Valdieri (Alpi marittime), Vallone della Merie 
(lago della Sella) . 

Monte Tabor presso Bardonecchia (Alpi ‘Gozia) 

Colle di Tenda ad ovest del Passo (Alpi maritt.) 

Monte Bego presso Tenda (Alpi marittime) 

Sciaccari e Mappa (Alpi marittime) . 

Alpi di Giaveno (Prov. di Torino) . 

Monte Rocciamelone (Susa, Prov. Torino) 

Madonna delle Finestre 

Alle“ Echelles., presso Reni (Alpi Cozie) 

Monti d’Oropa (Biella) all’Alpe della strada 

Valsesia (Alpi Pennine) 3 

Monti d’Oropa (Biella, Alpi Potoi . 

Monte Turlo (Alpi Biellesi) 

Colle di St-Théodule (Alpi Pennine) 

Gressoney (Alpi Pennine) . 

Alagna (Valsesia) 

Alpi di Garessio (Alpi some 

Argentera (Alpi marittime) 

Monte Cramont (Alpi Graje) . 

Col du Geant (Alpi Graie) î 

Orno (Col di Tenda, Alpi marittime)! 

Gran S. Bernardo (Alpi Graje) . 

Alle Balze di Cesare presso Crissolo (Molviso) 

Vachère sopra Angrogna (Alpi Cozie). 


. leg. Gentili. F. 


Belli 

Ricca F. 

Bertoloni R. 

Pedicino R. - Cesati C. - Arcan- 
geli F. - Parlatore F. - Bucci F. 
Balbis T. 

Carestia R. 

Malinverni R. 


Berrino T. 


Ferrari e Belli T. 
Berrino T. 

Ungern - Sternberg T. - Reuter F. 
Ungern-Sternberg T. 
Ungern-Sternberg T. 
Giusta T. - Delponte F. 
Berrino T. 

Giusta T. 

Berrino T. 

Belli B. 

Carestia F. - Gibelli G. 
Cesati F. 

Carestia C. F. 

Belli B. 

Carestia F. - Piccone F. 
Carestia F. 

Berti F. 

Parlatore F. 

Parlatore F. 

Parlatore F. 

Borgeau F. 

Parlatore F. 

Ferrari T. 

Rostan F. 


M Jouly (Vallese) “ Planta major helvetica , 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 283 


Lombardia, Veneto, Emilia, Toscana. 


Corno alla Scala (Bologna) 


Val Furva (Alta Valtellina), 1700 metri . 
S. Caterina in Val Furva (id.) 
Bormio (id.), 1500 m. 
Fusio (Val Sambuco) 


Monte Legnone (Lecco) (flore albo). 
Valle Formazza (Ossola) 


Monte Canossio (Ossola), 2200 m. 

Val Toggia (Ossola) . 

Moncucco (Ossola), m. 2000. 

Valcamonica (all’Incudine). 

Spluga 

Val Brembana (a Bai : 

Tonale (pascoli alpini) . Ò 

Sulla Zeda in Valle Intrasca (Lago Maggiore) 

Alpi Bresciane (Colombine) 

Monte Rosa 

Ca di S. Marco (Alpi del Bengifisasco) 

Boscolungo (Appennino pistoiese) 

Appennino Estense . 

Sommità del monte Cose di Vesiano: (Alpi 
Apuane) . 

Prati del Cimone (Alto Aranda Moda) 

Alpi di Cusna (Appennino Reggiano) 

Pizzo Stella sopra Campodolcino e Valle di Lei . 

Sul Rondinajo (Appennino Lucchese) 

Sul Procinto (Alpi Apuane) LE 

Cimone di Caldaja (Appennino modenese) 


Alpi di Mommio. 


Alpe di Borga 
Prati di Macerino 


} Al Da) i 


Monte Moro (Alpi Leponzie) . . . . ... 


" . leg. Pirazzoli e Tassinari R. 
Val Viola (Alta Valtellina-fra Senago e Campo) 


Levier L. 

Levier L. 

De Notaris R. - Parlatore F. 

Sommier S. 

A. Franzoni R. 

Cuboni R. 

Cesati C. - Balsamo F. 

Gibelli C. - Cesati e Negri C. - 
Negri F. 

Rossi e Malladra T. 

Id. Id. 

Id. Id. 

Caldesi F. 

Cesati F. 

V® Rampoldi F. 

Parlatore F. 

De Notaris F. 

Parlatore PF. 

Erb. Accad. Georgofili F. 

Rota C. 

Forsit: Mayor L. - Parlatore F. 

Targioni-Tozzetti R. F. 


Cesati O. 

Gibelli G. - Parlatore F. 
Ferrari G. 

Gibelli G. 

Giannini F. 

P. Savi F. 

Parlatore F. 

Calandrini F. 

Parlatore F. 

Parlatore F. 


LOCALITÀ NON ITALIANE VISTE NEGLI ERBARII. 


Svizzera. 


Alpi Bernesi 5 
Grindelwald (Oberland Horse) 
Hospice du Simplon (Valais). 


. leg. Em. Thomas Bo. 


Levier L. 
Christener L. 
Lewvier L. - Cuboni R. 


284 S. BELLI 


Faulhorn (Alpi Bernesi) 6-7000' . 
S. Bernardino Grigioni . 

S. Gottardo . 

S. Moritz 

Camfer (Grigioni). 

Spluga 

Lucomagno . 


Francia. 


Pyrénées (environs de Barèges) . 

Colle d’Olle et Glaciers de St-Sorlin d Artes 
(Maurienne-Savoie) 

Mont Dore (Auvergne) . 

Vallon de Ségure près Abriès (Hautes Alpes) 
2000 m. 

Pierre sur Haute di 


Pelouse de Gondran (Briangon) . 
Pyrénées centrales: Esquierry 
Faux bonnes (Pyren. occid.) . 
Pyrenées (Lheris). 

Lautaret (Hautes Alpes) 


Spagna. 


Pico Cordel (Castella Vetus) . 
Pyrenées Arragon. in pascuis Jugi Diu do 
Canfranc., 3600 m. 


Pedicino R. 

DNris R. 

Sommier S. - Parlatore F. 
Sommier S. 

Rosa Cesati C. 

Cesati O. 

Franzoni F. 


VOTE Awuohé Bo. 


E. Didier Bo. 
Bo. - Lecoq (Clermont Ferrand) R. 


Bo. 

Frères Faustinien et Gandoyer L. 
Gastien G. 

Erh. Fauché Bo. 

J. E. Zetterstedt L. 

J. Ball L. 

Erb. Francavillanum R. 

J. de Parseval Grandmaison R. 


Bo. 


Willkomm Bo. 


Austria e Tirolo Italiano. 


Montelaufen a Sterzing, 2000 m. (Tirolo centrale) leg. Huter L. 


Alpi Tirolesi . È 

Alpi del Tirolo TE î . 

Tirolo Austro-orient. Lienz in monte Schleinitz- 
Iselrein 7000' 

Trento (Bondone) Col Santo 

Alpi di Duron e monti di Passirio (Trento) 

Val Fassa (Trentino) 


Erb. Pedicino R. 
Hoffman T. 


Rev. Gander T. 

Fratelli Perini C. F. - Ambrosi F. 
Fratelli Perini F. 

Bracht F. 


DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA. 


Pirenei spagnuoli, Asturie, Pirenei e Alpi Francesi, Svizzere, Tirolesi, Italiane, 


Mont Dore, Appennino boreale, Carpazii (Transsilv.). 


Nvywan., l. c. 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 285 


NB. — Maratti nella Flora Romana, l. c., ascrive anche il 7. alpinum alla sua 
dizione come già vi ascrisse il T. Lupinaster. Dietro notizie avute dal Prof. Pirotta 
crediamo che si tratti anche qui di un errore, o che tutt'al più possa essere stato 
importato per caso, quantunque anche questa supposizione sia un po’ azzardata trat- 
tandosi di specie affatto alpina e che difficilmente vive a lungo anche nelle regioni 
fredde, se portato alla pianura. — Il limite più basso a cui sia disceso a mia cogni- 
zione il 7. alpinum sarebbe il Monte Summano nel Vicentino ivi raccolto dallo Zan- 
nichelli. Così il Prof. Saccardo scrissemi in proposito: “ A pag. 73 delle Opuscula 
“ botanica leggesi fra le piante raccolte dall’ Autore in Monte Summano territorii Vicen- 
“ tini: T. alpinum flore magno radice dulci Casp. Bauhin. Pinax, p. 328. T. alpinum L. 
Non abbiamo in erbario detta specie dal M. Summano ma dalle vicine Alpi verso il 
Trentino. Il Summano è alto 1300 metri e ignoro se il T. alpinum possa veramente 
trovarsi a tale altezza. Generalmente Zannichelli è autore accurato ,. — Per conto 
mio non ho mai visto il 7. al/pinum discendere al disotto di 1800 metri; ignoro se 
fu raccolto più in basso: ma le località qui riportate paiono accennare al più a 
questo limite estremo. Il limite più elevato, sarebbe dato dalla quota di Wilkomm 
metri 3600 s. m. nei Pirenei Arragonesi. — Il Comolli nella Flora Comensis, LL c., 
dice che il 7. alpinum abita in tutti i monti della provincia della Valtellina e del 
Canton Ticino che sorpassano i 6000 piedi. 


(3 
K 


K 


Susspecies I. — T. polyphyllum C. A. Meyer. 


Verzeich. Pfiz. am Caucas., p. 159 (1831) — Dietrich Syn. pl. Sect. IV, p. 1003 
— Ledeb. FI. Ross. Vol. I, p. 551 (1842) — Valpers Repertor. Vol. I, p. 642 (1842) 
— Boiss. FI. Or. Vol. II, pag. 148 (1872) — Celakowsky, 1. c., p. 42 (1874). 


Subvar. a. stenophyllum Nob. in herb. Boissier (Aucher Eloy Herb. d’Orient) 
Lazistan. 


Var. BR. ochroleucum Sommier et Levier (in litteris et herb.). 


Icon nostra. — Tab. II, fig. C. 


“ Capitulis laxifloris (7-12); floribus magnis (18-(20 media)-22) mill. longis, dupli- 
catim verticillatis; verticillastris superpositis, infero 5-6, supero 2-3 ‘floro, saepissime 
reducto unifloro, omnibus involucratis, involucello tenui, albo-membranaceo-scarioso, den- 
tato-crenato, glabro; mucrone in medio florum superiorum (axi inflorescentiae) subnullo 
vel nullo, floribus cymosis — Calyce corollam dimidiam subaequante vel longiore (var. B) 
— Dentibus calycinis triangularibus, acuminatissimis, basi et facie interna pilis plus 
minus raris obsitis — Foliolis 5-7, rarissime 9; nervis secundariis tenuibus — Corolla 
purpurea vel (var. B) ochroleucis , Nob. %. 


Var. B. “ Floribus dilute ochroleucis, vel citrinis, fere albis — Calyce corollam 
dimidiam parum superante , (Sommier et Levier in litt.). 


286. S. BELLI 


DESCRIZIONE. 


Perenne. 

Radice fittonosa, grossa, legnosa, più o meno ramificata. Del resto simile affatto 
a quella del T. alpinum. 

Caule come nel 7. alpinum; reticolo formato nel residuo delle istipole infime 
sfilacciate, di colore più chiaro, quasi biondo. 

Foglie glaberrime, le inferiori più lungamente picciolate, le superiori meno; pic- 
ciuolo grosso, subcilindrico, appena appiattito superiormente. Stipole quasi identiche 
a quelle del 7. alpinum con code un po’ più sottili, subulate, massime le supreme. 

Foglioline sessili (5, 7, di rado 9, 0 3, 4), lanceolate, o lanceolato-lineari, sca- 
nalate a doccia alla base cuneiforme, allungate, acute od acuminate, di rado ottuse, 
con nervature diritte e poco marcate, con margini quasi integri o leggermente 
denticolati. 

Infiorescenza. — Peduncoli ascellari solitarii più lunghi della foglia cortispon- 
dente o di rado più brevi, cilindrici, glabri. Capolini come quelli del 7. alpinum, 
soventi con minor numero di fiori (3, 8) formati da due verticillastri sovrapposti, 
ciascuno involucrato dal collaretto proprio, membranaceo, scarioso, crenato, enerve, 
l’inferiore più ricco di fiori, il superiore spesso ridotto ad uno o due fiori con col- 
laretto rudimentale e privo dello spuntone mediano che continua l’asse fiorale in- 
definito. 

Calice conforme a quello del 7. alpinum, verdognolo, o spesso colorato in ros- 
signo. Tubo leggermente saccato alla base e sul lato superiore, con dieci nervi: 
cinque dentali più validi, cinque commissurali più esili, glabro, o con pochi peli fla- 
gelliformi alla base dei denti ed internamente in corrispondenza della fauce, più di 
rado con villi sparsi su tutta la superficie esterna insieme alle solite produzioni 
glandulose, clavato-pedicellate. Denti cinque triangolari, allungati, acuminatissimi, 
l’inferiore lungo il doppio del tubo e metà del vessillo o poco più (var. £), glabri, 
o con qualche pelo al margine massime inferiormente. 

Corolla porporina, ovvero (var. 8) giallo-citrina, persistente a lungo e leggermente 
scariosa. 

Vessillo quasi libero dagli altri petali o con leggerissimo cercine basilare, oltre- 
passante il calice del doppio (denti compresi) o poco meno (var. B), oblungo-obovato, 
arrotondato all'apice, troncato o smarginato, con nervature percorrenti tutto il 
lembo, forcate e riunentisi in basso in pochi fasci un po’ più robusti, dapprima com- 
piegato sugli altri petali, poi rialzato alquanto sul davanti al momento della fecon- 
dazione, poi nuovamente compiegato. Ali irregolarmente lanceolate, ottuse, con breve 
auricula poco bollosa. Carene cultriformi con margine superiore retto, l’inferiore con- 
vesso, ma ottuse, un poco più brevi delle ali non auriculate. 

Stami come nel T. alpinum. 

Ovario, idem. % 

Legume membranaceo, oblungo-elittico, glaberrimo, deiscente sulla sutura ven- 
trale, del resto come nel 7. alpinum. 

Semi due, subgloboso-compressi, cordiformi, verdognolo-glauchi, lisci. 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 287 


»% VARIETÀ, LETTERATURA e CRITICA. — OSSERVAZIONI. 


Il 7. polyphylum del Caucaso è senza discussione una pianta che dimostra una 
origine comune col 7. alpinum delle Alpi. È impossibile osservare queste due specie 


| senza essere colpiti dall'estrema rassomiglianza esteriore rivelante la strettissima 


loro affinità genealogica; a tal punto che, tolto il fatto costante della polifillia nel 
primo e fatta astrazione da alcuni altri pochi caratteri leggerissimi, per quanto co- 
stanti, si crederebbe di aver a che fare con due varietà di una stessa specie. Co- 
mune ad entrambi è il carattere, validissimo qui, dedotto dalle fibrille sfacelate delle 
vecchie stipole, comune la glabrescenza generale, il portamento, l’infiorescenza, la 
forma dei petali e la presenza di due sorta d’infiorescenza contemporaneamente esi- 
stenti, cioè le une sviluppate, le altre rudimentali. Identica poi l'ubicazione nelle 
alte regioni montuose, e finalmente parallele le variazioni nel colore della corolla. 
Difficilmente la pratica del concetto di Stirps nel nostro significato troverà altrove 
nel G. Trifolium una più bella applicazione. Diamo qui un piccolo schema delle dif- 
ferenze intercedenti fra T. alpinum e T. polyphyllum : 


T. alpinum L. 


Foglioline 3, rarissimamente 5. 

Due verticillastri ad ogni asse fio- 
rale; di rado tre (il supremo ridotto ad 
un fiore involucrato); più di rado an- 
cora un solo. Verticillastro supremo con 


spuntone mediano rappresentante l’asse 


fiorale abortito, raramente mancante. 

Calice un po’ più lungo rispetto alla 
corolla. Denti triangolari, acuminati, evi- 
dentemente trinervi fin quasi all’apice, 
con qualche trabecola trasversale. Tubo 
con nervature commissurali e dentali den 
rilevanti e spiccanti sul tessuto sottile 
interposto, affatto glabro. 


T. polyphyUum ©. A. Meyer. 


Foglioline più spesso 5; più di rado 
VSC 

Due verticillastri ad ogni asse fio- 
rale; più di rado uno solo; il superiore 
ridotto ad uno o due fiori involucrati da 
un collaretto rudimentale. 

Manca lo spuntone apicale in mezzo 
al collaretto superiore rappresentante 
dell'asse, o ridotto ad una prominenza 
mammillare. 

Calice un po’ più breve per rap- 
porto alla corolla. Denti sottilissimi, su- 
bulati. Nervature del calice, massime le 
commissurali meno evidenti e con trabe- 
cole più scarse. Tubo più spesso colorato 
in rossigno con qualche villo denticulato 
alla fauce ed alla base dei denti. 


Il T. polyphyUum osservato allorchè germina, dopo di aver emesso i cotiledoni, 
dà origine a foglie che portano 3 o 4 foglioline: le susseguenti ne portano più fre- 
quentemente cinque, le supreme talvolta sette, rarissimamente nove. 

Il 7. alpinum ne porta, come vedemmo, sempre tre ad ogni picciuolo, ma Ber- 
toloni scrive aver osservato il T. alpinum con foglie “ rarissime quinata ,. Io non 
ho mai potuto osservare questo fatto nè negli erbarii nè sul vivo, ma, ritenendo 
esatta la asserzione del Bertoloni, essa parlerebbe ancor una volta in favore della 
colleganza genetica fra T. alpinum e polyphyllum. 


288 S. BELLI 


Quest'ultima specie, quale io l'ho esaminata nell’erbario Boissier, presenterebbe 
due forme abbastanza distinte. L'una raccolta dal Meyer stesso e rispondente ai ca- 
ratteri da lui dati e nella Flora orientalis, 1. c., dal Boissier; l’altra è notevole b 
la grossezza della radice e per la forma tozza dei rami, grossi, brevissimi, all'apice 
dei quali stanno raggruppate delle foglioline minutissime lungo poco più di 15 mill., 
strette, lineari (Erbario Aucher, Eloy. Herb. d’Orient). In questo saggio il calice 
giunge coi denti appena al terzo della corolla. 

Con un solo esemplare è difficile il dire se questa sia una varietà fissa: ad 
“ stenophyllum ,, la quale cor- 
risponderebbe fino ad un certo punto all'omonima del 7. alpinum. Anche nel saggio 
tipico, raccolto dal Boissier e più sopra citato, il calice arriva coi denti appena al 
terzo della lunghezza del vessillo ed i denti sono abbastanza larghi, acuti, ma non 
acuminati come nella var. B, di cui entriamo a parlare. 

Questa bella forma di 7. polyphyllum ci fu comunicata dai signori D' Sommier 
e Levier, che recentemente hanno visitato la catena del Caucaso, riportandone una 
ricca messe di piante. Il sig. Sommier annotò i saggi inviatici colle seguenti pa- 
role: “ 7. polyphyUum, C. A. Mey. — Flores ochroleuco-citrini nec purpurei ut Bois- 
“ sier FI. Or. dicit. A descriptione Boissieri differt praesertim colore diluto ochro- 
“leuco (fere albo) florum; dentibus calycinis longioribus (calyce corollam mediam 
“ excedente). A descriptione originali C. A. Meyeri differt dentibus calycis inaequa- 
“ libus. Differentiae paucae nec constantes. , 

A me pare che l’egregio Autore abbia dato troppo poca importanza a questa 
varietà, la quale, a quanto ho potuto osservare dalle località riferite nei saggi è 
abbastanza diffusa. Le differenze accennate dal Sommier sono esattissime e tutti gli 


ogni modo io l’ho enumerata come una sottovarietà 


esemplari raccolti nel suo erbario (all'infuori forse dei saggi nani dei luoghi eleva- 
tissimi, nei quali pare che la corolla si sviluppi a preferenza del calice) mostrano 
in modo costante i caratteri da lui designati. E queste differenze si fanno molto più 
evidenti se si paragonano le piante in questione con quelle autentiche dell’erbario 
Boissier. Io l'ho quindi ritenuta per varietà distintissima nella mia rivista. 

La var. BR presenta essa pure come il tipo delle variazioni nella forma e nelle 
dimensioni delle foglioline, in rapporto specialmente collo sviluppo generale della 
pianta. Così ho visto forme nane (vedi haditat) con foglioline quasi lanceolate, ottuse 
e con nervature un po’ più spiccate corrispondenti al saggio autentico di Meyer nel- 
l’erbario Boissier, e delle forme evolutissime parallele a quelle del 7. alpinum. 


HABITAT. 


Alpi del Caucaso occidentale leg. C. A. Meyer (1842) Erb. Boissier. 
Subvar. stenophyllum. 
Lazistan (Aucher-Eloy. — Herbier d’Orient) — Erbario Boissier. 


Var. B. ochroleucum Sommier et Levier. 
Svanetia libera ad limites Adkhasiae in montibus inter flumina Neuskra et Seken 
in rupibus circ. 2600-2800 m. #/m, 22 aug. 1890, leg. Sommier et Levier. 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 289 


Abkhasia in valle fluminis Kliutsch infra jugum Klukkow 2700-2800 m. 5/m, 
28 aug. 1890, leg. Sommier et Levier. 
«(Forma nana) — In jugo “Tiederdinski perival , dicto, inter flumina Tiederda et 
Do-ut, ditionis Kuban. 2500-2600 m. “/m circa; in pascuis alpinis, II, 2 7° 1890, 
leg. Sommier et Levier. 


SPECIES 22. 


T. nanum Torr. 


in Ann. Lyc. N. York 1, 35, t. 3 — Watson in Proceed. Am. Acad. XI, p. 128 — 
Rothr. PI. Wheeler — Walpers Repert. Vol. I, p. 6483 — Dietr. Syn. pl. Sez. IV, 
p. 1003 — Gray in Am. Journ. Sc. II, 33, p. 409. 


Questa sottospecie non è europea, ma abita le Montagne Rocciose nell'America 
Nord. — Potei studiarla sopra pochi saggi comunicatimi dalla cortesia dell’amico 
Prof. Mattirolo che li ebbe dal Prof. Rothrock di Filadelfia, e raccolti nella regione 
del Rio Colorado all'enorme altezza di 12000’ (1). Il cartellino accompagnante i saggi 
portava scritto quanto segue: 

“ Exploration and Surveys West of the 100 th. meridian — Lieutenant G. M. 
“ Wheeler Com’ding; Corps of Engineers U. S. Army, Expedition of. 1873 ,. 

L’aspetto esteriore, la facies del T. nanum è assolutamente quella del 7. alpinum, 
tanto che, osservati così all’ingrosso, si potrebbero scambiare l’uno per l’altro. Ma un 
esame un po’ attento lascia vedere nel 7. nanum delle particolarità curiosissime, che 
nel T. alpinum non si ritrovano. La più essenziale è questa. I germogli scapiferi si 
originano dai germogli sterili (fogliferi soltanto) all’ascella di una stipola perfetta- 
mente conformata, e crescono portando delle stipole biancastre scariose, diversamente 
foggiate da quelle che hanno code e foglioline. Sono cioè senza code, rigonfie, ampie, 
e si accavalcano le une sulle altre a cagione degli internodii brevissimi; e finalmente 
ad un certo punto si saldano pei loro lati, formando una specie di collare grande 
tre-quadri-fido, dal quale spunta il peduncolo o scapo fiorale, che porta due o tre 
fiori grandi come quelli del 7. alpinum, ma ognuno dei quali ha un secondo colla- 
retto scarioso-membranoso proprio. 

Il calice del 7. nanum ha i denti triangolari, cordati alla base, più brevi del tubo 
o tutt'al più subeguali ad esso. L’ovario è oblungo-lineare, poliovulato, ed in ciò si 
distingue anche dal 7. alpinum. — Nei saggi esaminati sgraziatamente mancava il 
legume. Nel resto del fiore le differenze dal T. alpinum sono quasi nulle. 

Certamente occorrerebbe un materiale fresco, per poter studiare meglio l’infiore- 
scenza così strana del T. nanum. Se mi sarà dato di farlo in tempo avvenire, potrò 
anche meglio stabilire se questa sia una specie od una sottospecie del 7. alpinum 
stesso. Ma per ciò fare occorrerebbe poter studiare le forme, che crescono a lui 
vicine sui Rocky-mountains, cosa non troppo facile. Certo è che il 7. nanum appar- 
tiene alla Stirps Glycirrhizum. N. (Bertol). 


(1) Il 7. alpinum, come già si disse, venne raccolto ad altezza maggiore (2600 metri nei Pirenei 
Arragonesi — Wilkomm). 


Serie Il. Tom. XLIV. Li 


290 S. BELLI 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA L° 


1. Sezione longitudinale di una gemma ipogea di 7. Lupinaster —- a) Stipola 
del capolino inferiore a' — 8) Stipola del capolino superiore 9" — y Stipole afille 
senza capolini o rami all’ascella (ingrandimento 2%). 


2. Infiorescenza pseudo-scorpioide di 7. Lupinaster — a) Ricettacolo foggiato 
a palmetta visto pel dorso — 5) Fiori inseriti all’apice organico del capolino spostato 
in basso e tabescenti (ingrand. 4/,). 


3. Sezione trasversa di una gemma ipogea del 7. Lupinaster passante un 
po’ al disopra del punto in cui due capolini stanno in boccio — @) cordoni vascolari 
delle stipole afille — 5-c) Stipole più interne (superiori) disposte secondo la diver- 
genza !/, — d) Ricettacolo del capolino inferiore — e) Ricettacolo del capolino supe- 
riore tagliato trasversalmente e ricevente nella sua concavità, l’inferiore del quale 
si vedono solo due fiori rappresentati da due mamelloni x e x’ (ingrand. circa ‘/;). 


4. Ricettacolo del T. Lupinaster foggiato a palmetta ovata coi peduncoli 
fiorali inseriti all’interno dei due collaretti di brattee, e mostrante il peduncolo sca- 
nalato «, terminante nella superficie interna è allargata e concavo-pianeggiante 
(ingrand. $/,). 


5. Ricettacolo come sopra tendente a divenire orizzontale, molto meno schiacciato 
lateralmente (ingrand. 5/,). 


6. Infiorescenza in boccio del TY. Lupinaster — a) Stipola inferiore fogliuta 
avviluppante il capolino a’ e contemporaneamente la stipola è; la quale a sua volta 
abbraccia il capolino d' — Il capolino e ravvolto nella corrispondente stipola si 
applica contro la base del ricettacolo del capolino d', e tutto questo corpo si applica 
a sua volta contro la base del ricettacolo del capolino a' — I capolini sono nella 
figura divaricati e le guaine tagliate per mostrare i punti di pressione reciproca sui 
ricettacoli e sui peduncoli fiorali (ingrand. 1°/, c. c.). 


7. Porzione di rizoma sotterraneo del 7. Lupinaster portante due gemme 
ipogee colle stipole afille, di cui una in via di sviluppo (ingrand. 8/,). 


& 


“e 922 Voto XII 


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STE 


RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 291 


8. T. Lupinaster — Fiore completo. 

9. Vessillo (ingrand. 4/,). 

10. Ala È È 

11. Carena. 3 » 

12. Stami 7 ’ 

13. Ovario ” ” 

14. Legume ” » 

15. Seme ” » 

16. Sezione trasversa di un peduncolo fiorale di 7. Lupinaster. 


16°. Porzione ingrandita dello stesso peduncolo che dimostra la differenza di 
sviluppo soprattutto dei fasci fibro-vascolari nelle due regioni esterna ed interna del 
peduncolo fiorale — i) Faccia interna — e) Faccia esterna — @) Cuffia di elementi 
sclerenchimatosi (libro duro) — e) Xilema — d) Regione endoxilare del fascio, rap- 
presentata da elementi sclerificati in parte ed in parte parenchimatosi, simili a quelli 
del libro esterno — Nella faccia interna del peduncolo i fasci vascolari sono molto 
più piccoli; la cuffia di libro duro è molto meno sviluppata, lo xilem è ridotto ad 
una sola serie di vasi punteggiati con qualche rara trachea, e nella regione endoxilare 
mancano quegli elementi parenchimatosi sclerificati rappresentati nella figura alla 
lettera d nei fasci esterni del peduncolo. 


292 S. BELLI 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IL 


A) T. exîmium Steph. — 1. Fiore completo — 2. Calice aperto — 3. Vessillo 
— 4. Ala — 5. Carena — 6. Stami — 7. Ovario — 8. Legume. 


B) 7. alpinum L. — 9. Fiore completo — 10. Vessillo — 11. Ala — 
12. Carena — 13. Stami — 14. Ovario — 14°, Legume — 15. Seme — 155, Asse 
dell’infiorescenza col mozzicone rudimentale sporgente all’apice. 


0) T. polyphyWlum €. A. Meyer. — 16. Fiore completo — 17. Vessillo — 
18. Ala — 19. Carena — 20. Stami — 21. Ovario — 22. Legume — 23. Seme. 


NB. L’ingrandimento in tutte queste figure è circa 4‘/, salvo per gli stami nei 


quali è maggiore. 


Lo sedili 


i i Ni; ù si î TO x 
£ > “a v 
| i TI 
3 5 i, 
È i: * 


ERRATA CORRIGE 


‘ A pag. 237 linea 8 (dal basso) legume i. <a se vario 
s 259 , 4 (dall’alto) in nota 7. Lupinaster sottosezione T. Lupinaster alla Sottosez. 
s 280, ultima nulla. Pona (x) nulla (x). Pona 
n 280 , ultima la descrisse ..... e la figurò . lo descrisse..... e lo figurò 
2890, 2 (dal basso)in nota maggiore . . . . . . . press’a poco eguale 


Nota alla pag. 284: 


Fra le località spagnuole riportate per l’ © Habitat , del 7. alpinum havvi la seguente: £ Pyrenées 
“ Arragon. in pascuis Jugi Puerto de Canfrane. 3600 metr. ,. — Il cartellino di Willkomm portava 
questa quota altimetrica scritta evidentemente per inavvertenza, poichè, considerando anzitutto che 
la cima più alta dei Pirenei centrali non raggiunge i 3500 metri, non è poi supponibile che la 
pianta sia stata raccolta proprio sull’estrema vetta priva di qualsiasi vegetazione. 


Nota alla pag. 285 : 


Ho potuto avere dalla cortesia del sig. Burnat di Vevey le seguenti località dove fu raccolto 
il T. alpinum, le quali proverebbero come esso scenda a livelli relativamente bassi nelle Alpi ma- 
rittime: 

“ Entre les vallées de Cairos et de Ceva près de Fontan (Dép. des Alp. marit. frang.) 1500 m. s/m. 

“ Près de Beuil (Dép. des Alp. marit. frane.) Herbier Marcilly - 1450 m. s/m. 

“ Caussols (près de Grasse - France) Abbé Pons in litteris - 1100 m. s/m. , 


“ 


se 


x 


DLE: A Rude 
avi fa 


do 


; 


LS 
ASirà 


SULLE 


EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 


LE CUI RADICI 


SI POSSONO RAPPRESENTARE CON x«, 0, 0°, 


MEMORIA I 


DI 


V. MOLLAMEI. 


Approvata nell’Adunanza dell’11 Giugno 1893. 


Se m + 1 è un numero primo, l’equazione seguente 
oo Lat L...., +te+1=0, (1) 


che è quella della divisione del cerchio, oltre ad essere reciproca, è anche abeliana, 
come è noto. Le sue radici sono i termini della serie 


D) 
(O SAC 0 CAPRIO CASI SURRIOT , 0 (2) 


nella quale g è una radice primitiva del numero primo m + 1 ed a è una radice 
qualunque, diversa da 1, dell'equazione binomia 


ank it, (3) 


le cui radici, salvo 1, son tutte primitive. 
Inoltre, imaginando divisa in wm parti uguali la circonferenza di un cerchio, se le 
radici (2) si pongano, ordinatamente, nei punti di divisione, risulteranno reciproche quelle 


k+ 
; Ro ; % 
che sono negli estremi di un diametro, per es. af", of °(£K—=0,1,2,..., m— 1), 


come a suo tempo verrà provato. 

Quest'ultima proprietà e l’altra precedentemente detta, cioè che ogni radice a, 
diversa da 1, dell'equazione (3) dà luogo ad una serie (2), i cui termini sono le ra- 
dici di un’equazione abeliana reciproca, non sono che casi particolari di quel che 
avviene per alcune radici 


(rea nr) (4) 


294 V. MOLLAME 


di certe equazioni più generali dell'equazione (3). Se M (x) = 0 è una di tali equa- 
zioni, con ogni sua radice x appartenente al sistema (4) si può, mediante una deter- 
minante funzione razionale 0(x), formare la serie 


CARLI 00) AH (7) RCNRINO or (1) 


i cui termini sono le radici di un’equazione abeliana reciproca, di grado pari » e 


per la quale 0% (x) e +3 (OOO , n — 1) sono radici reciproche. 
Le radici (4), il cui numero v è multiplo di x, sono quelle di una equazione 

F(x)=0, di grado v, con coefficienti razionali rispetto a quelli dell'equazione M (x) = 0. 
In particolare, l'equazione 


n 


20°(@=1, (3) 
nella quale » è un numero pari positivo, e 


WIE REI + 
CS est GESSO + ar 


0a) === 


è una delle anzidette equazioni. Essa può divenir binomia, ed allora si riduce all’una 
od all'altra delle seguenti 


arf+1—=1, (6) 
qriteiZi (7) 


nella seconda delle quali i numeri interi e positivi r ed vi devonsi supporre dispari. 


Nel campo delle radici (4) trovansi le radici primitive delle equazioni (6) e (7) (*) 
allorchè ad una di esse si riduca l’equazione (5). 

Con le radici primitive dell'equazione (6), o della (7), si può comporre, come è 
noto, un’ equazione razionale, G (x) = 0, il cui primo membro è perciò un fattore 
razionale di F (x), quando l’ equazione F (x) = 0 è quella che si ricava dalla (6) o 


dalla (7). 
Se f(x) = 0 è un'equazione abeliana reciproca di grado n, le cui radici siano 
rappresentabili con x, 0 (x), 0° (2), ..... , 9*-1 (2), il numero p' nella radice 0! (x), 


che è reciproca dell’altra radice x,, può essere o indipendente da u, e quindi dalla 
scelta della radice diretta x,, ovvero variare con u. Dalla prima di queste due 
ipotesi fondamentali scaturisce una classe di equazioni abeliane reciproche fra le quali 
trovasi quella della divisione del cerchio: esse formano il soggetto della presente 
memoria. 


(*) Per le radici primitive dell'equazione binomia am = — 1 veggasi la mia Nota, Sulle radici 
primitive dell'unità negativa (£ Rendiconto della R. Accademia delle Scienze di Napoli ,, Fascicolo 7° 
a 12°, 1892). 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 295 


a 


Sia 
f(a) = 0 (1) 


un'equazione di grado x, le cui radici, indicando con x una qualunque di esse, siano 
rappresentate dai termini della serie 


CALO E, oz (2) 
nella quale si è posto per brevità di scrittura 
ox: — 6:[0(2)], 0% = 0(0°*2), ecc. 


e si è denotata con 6 (x) una funzione razionale di x, tale, che per ogni valore di x 
che sia radice dell'equazione (1) risulti 


Oa =%, (3) 
e 
diiVrimoni = (4) 
qualunque sia il numero v scelto nella serie 1, 2, 3, ...,n—- 1. 


In virtù delle ipotesi fatte sulle sue radici, 1’ equazione (1) è abeliana. Dalla 
equazione (3) e dalla condizione (4) si deduce poi immediatamente che al numero £, 
o esponente di 0 in 0% x, se x è radice dell'equazione (1), si può aggiungere o togliere 
un multiplo di n», e che da 0 x = 0” x segue che la differenza fra % e £' deve essere 
un multiplo di x. 

La funzione 0 (x) si dirà funzione generatrice delle radici dell'equazione abeliana (1). 

Suppongasi inoltre che l’equazione (1) sia reciproca e, scelta una sua radice 24, 
ne sia ex, la radice reciproca. L’esponente u' di 0 in 6! x potrà essere o indi- 
pendente da u, cioè dalla scelta della radice %,, o variare con questa. Dalla prima 
di tali ipotesi fondamentali nasce una classe di equazioni abeliane reciproche che 
formano il soggetto della presente memoria e che, per brevità di linguaggio, si 
diranno equazioni abeliane della classe (1). 

Sia x una radice qualunque dell’ equazione (1), supposta abeliana e della 
classe (I), e 0 x, ne sia la radice reciproca: sarà v indipendente da x; e però se 
nella serie (2) si imagini che all’ultimo termine segua il primo, come al primo segue 


296 V. MOLLAME 


SOI: 


il secondo e così via, le radici reciproche seguiranno ad intervalli uguali le radici 
dirette; e, come applicando v volte l’ operazione 0 si passa dalla radice x alla 
radice reciproca 0”x, così applicando v volte la stessa operazione alla radice 0 si 
passerà da 0” x alla radice reciproca di 0” x, cioè si tornerà alla radice x. Si ha quindi 


2v 
ee 


e perciò 2v deve essere un multiplo di ». Or essendo v uno degli esponenti di 0 
nella serie (2), si ha v < x — 1; per la qual cosa il multiplo di » che può essere 
uguale a 2v o è zero, ovvero è n. Se è 2v= 0, cioèv= 0, allora ogni radice del- 
l'equazione (1) è reciproca di sè stessa, e quindi quella equazione non ha altre radici 
che 4 1, o — 1. Questo caso che non offre nulla degno di nota non sarà preso in 
considerazione e rimane perciò a porre soltanto 2v = n. Adunque la radice reciproca 


n 


di x è 0? x, qualunque sia x, cioè si deve avere 


CT ) (3) 


per ogni radice x dell’equazione (1) e per ogni valore finito del numero intero e 
positivo k. 

Si può quindi conchiudere che: 

Le equazioni abeliane della classe (1) sono di grado pari; e se 0 (x) è la funzione 
generatrice delle loro radici, ognuna di queste deve soddisfare l’equazione (3). 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 297 


UD 
DO 


Nelle ricerche ulteriori si presenta il problema seguente, del quale si premette 
ora qui la soluzione. i 


Determinare la forma generale di una funzione razionale 0 (x) che goda la pro- 
prietà espressa dall’equazione identica 


0()8(1) = 1 (1) 


Pongasi 


= aedtt+azn201 +... + ao + E A (2) 
net ba + ba 1 +... + dba + do < B(a) 7 


e le funzioni intere A (x), B(x) si suppongano prive di fattori comuni e decomposte 
in fattori lineari. Allora 0 (x) assumerà la forma seguente 


_a@a(e-2a)le- e)... (ea) 
O ara) FCE) ENI: ESITA) (2) 


nella quale una €, non può essere uguale ad una xg. Dalla (2) si ha che 


1\_@&(1-m2 (1-2)... (1-22) ,. 
bere (3) 


e però l'identità (1) in virtù delle (2) e (3) diviene 


| aet—m) (ex)... (a-x2)(1A—- 2,2) (39)... ge = i (4) 
! be cElezb... (Ed had... 1-4) Wa 

Il numeratore della precedente frazione si annulla per x= xg (B= 1, 2, ..., 7), 
| ed è xg una quantità finita, perciò deve annullarsi anche il denominatore; e siccome 


una z, non può essere uguale ad una xg, così nessuno dei primi s fattori di quel 
denominatore può annullarsi per x = xg. Tale annullamento deve adunque essere 
prodotto da qualcuno dei rimanenti fattori. Se è 1— xg5,=0, si avrà 


Serre II. Tom. XLIV. | 


298 V. MOLLAMR 


82. 


e perciò le quantità Z. sono reciproche delle quantità xg: per la qual cosa deve 
essere r = s e deve B(x) avere la forma seguente 


Ba) = Ma, + a10 + @e +... + ma), 


nella quale A è una quantità indipendente da x. Col precedente valore, B (x) l’espres- 
sione di 0 (x) diviene 


05 aid + anal tb... paso Phi. 
o@ =] Mae + at! +... + ax + ap) 


e questa, applicandovi l’identità (1), mostra dover essere \= + 1: quindi si ha per 
la chiesta funzione la seguente espressione 


oe are + a-10 +... + ar + a 
(7) =£ ma + ae +... + = + 2a ) (5) 


nella quale i coefficienti @ ed il grado r rimangono arbitrarii. 
Si ha inoltre che: 


Se una funzione razionale 0(x) gode la proprietà espressa dall’equazione identica (1), 
anche Valtra funzione 0% (x) godrà quella stessa proprietà; ossia sarà, identicamente, 


9* (2) 0* (1) 1 (6) 
In effetti l'identità (1), che può scriversi 
0. (tie Lie 
(3) no (O) 


RE: 7 - 16.2 7 
mostra che l’azione di 6 sopra una frazione della forma -— si esplica solo sul de- 


nominatore x; e però applicando % volte di seguito l'operazione 0 risulterà 


"() = 7 


cioè la (6). 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 299 


83. 


Sia f(x) = 0 un'equazione di grado », abeliana e della classe (I). E però ogni 
sua radice dovrà soddisfare anche le equazioni 


dr etzz=1, 1) 

(AAA (2) 

nella prima delle quali il numero intero e positivo % può ricevere qualunque valore 
finito. Cambiando % in k + vi , l'equazione (1) non muta per ogni sua radice che 
verifichi anche l'equazione (2): quindi dall’ equazione (1) si ottengono equazioni fra 
loro differenti solo per gli $ Valoris0, glo 220275 5 — 1 di £. Tali equazioni, in- 
sieme alla (2), formano un sistema di “i + 1 equazioni alle quali, come fu detto, 
devono appartenere le n radici di f(x) = 0. Questo sistema può sostituirsi con quello 
formato dalle ni equazioni ricavate dalla (1) per X= 0, 1, 2, ..., 2 — 1 e dal- 


2 
l’altra fornita dalla stessa (1) per K = Si cioè dalla seguente 


0?%x 0"x = 1. 
Imperocchè da questa equazione, paragonata con l’altra 
DORATI (3) 


che si ha dalla (1) per #=0, si deduce l'equazione (2). Sicchè le n radici di 


f(x) = 0 devono esser comuni alle seguenti Si + 1 equazioni 


02x0"ax=1; 


le quali mostrano immediatamente: 1° che se x’ è una loro radice comune, sarà pur 
tale ciascuna delle quantità 0.2’, 0°", ..... , 0 e; 2° che 0" x’ riproduce #'; 3° che 


300 Ve MOLLAME 
$ 3. 


da k+ . DATA LC 
le radici 0" x" e 0? ' sono fra loro reciproche. In conseguenza di ciò, se n è il 
più piccolo degli esponenti v di 0, per i quali si ha 0Vx' = #', allora i termini 
della serie 


n 


saranno le radici di un’equazione f(x) = 0 di grado n, abeliana e della classe (I). 
Per la composizione di un’equazione della specie di f(x) = 0 è dunque mestieri 
innanzi tutto che la funzione razionale 0 (x) sia determinata in guisa che le Di +1 
equazioni (4) abbiano una radice comune. 
Al sistema (4) può sostituirsi anche il seguente 


cea = 1 
0x gei 1 
Po 
ox 4 1 (5) 
HA 
9 p 03 — 1; 
XL 


giacchè per ogni radice x comune alle equazioni (4) si può in quelle sostituire 


a 0? x la quantità eguale È , tratta dalla prima di esse, ed allora il sistema (4) 


si riduce al sistema (5). Viceversa dal sistema (5) si deduce il sistema (4) col sosti- 


n 


tuire nelle equazioni che seguono la prima delle (5) ad 5 il suo valore 0% tratto 


da quella equazione. Il sistema (5) è più semplice del sistema (4), se si tien conto 
del numero di volte che devesi applicare l’ operazione 0; essendo tal numero nel 
sistema (5) minore di quello relativo al sistema (4). 


Esprimendo che le 5 + 1 equazioni (5) hanno una radice comune, si ottengono, 
al più, Hi equazioni diverse, razionali nel campo dei coefficienti di 0 (x), alle quali 


soltanto devono soddisfare i coefficienti di qualunque funzione 0 (x) razionale in «, 
se essa si voglia assumere come funzione generatrice di un’ equazione di grado # 
abeliana e della classe (I). 

Sul grado della funzione 0 (x), se essa è intera, o sui gradi del numeratore e 
del denominatore di 0 (x), se essa ò frazionaria, si può notare quanto segue. 

Sia 0 (x) funzione intera di x, per es. 


0(2) = ara + aan L...... + ape; 


sarà 0"(x) del grado »” ed x?” ne sarà il termine di minor grado. 


penne 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 301 


IRE 


Perciò in 0 (1) il numeratore è di grado »” — p” ed il denominatore di 


grado 7‘. Adunque, se per brevità di scrittura si rappresenta con (u, u') una fun- 


zione algebrica fratta della quale u e u' sono i gradi del numeratore e del deno- 
minatore, si avrà 


0 (2) = (, 0) 
e (4) ==.) 


Per la qual cosa, i gradi delle equazioni (5), ridotte a forma intera, sono dati, ordi- 


natamente, dai numeri » ® + 1, 2 — p, 2° — p°, ecc. Quindi, affinchè le » radici 
53 OM all RSPP , 0"-1' comuni alle equazioni (5) possano essere fra loro disu- 
guali, è necessario che o nessuno dei precedenti gradi sia minore di x, la qual cosa 
importa che sia r > 1, come è chiaro, ovvero che si convertano in identità quelle 
equazioni i cui gradi risultano minori di w. 

Ora si ha 


rz=[1+-1M)]}=1+3-1)+ ARE +TG-D)* ++)? 


elite i Le 


x LS "1° . n DS è . 
dove e è una quantità positiva diversa da zero, se DIET 2: e perciò risulta in tal caso 


n 
pr? 


Sd 23 lea lol 


Se in questa relazione ad r — 1 (= 1) si sostituisce 1, si ottiene l’altra 


la 


da 


>n+ 1 


e quindi si conchiude che 
r?2Lt1=3n+1, 


dove il segno = si riferisce solo alle ipotesi (4 == 2) ; (3= bor= 2). 
Adunque il grado della prima delle equazioni (5) non è mai inferiore ad n. Delle 


equazioni rimanenti poi, la seconda è quella di grado minore: giacchè i gradi di 


tali equazioni, per p = 7, sono dati dai numeri crescenti x, °, r°, ecc. e per p < 7, 
dall’identità 


P_pa=G—-p + rp+.....+ po 


302 V. MOLLAME 


sia: 


segue che al crescere di v cresce la differenza 7” — p‘ e quindi cresce vieppiù l’altra 
differenza 2r” — p‘; sicchè i gradi delle equazioni che seguono la prima delle (5) 
sono sempre crescenti, e la seconda di dette equazioni ha perciò il grado minore, 
2r — p. O dunque deve essere 2r — p = x, ovvero, se 


Q_-p<pu, 


e le predette » radici x, 0.4", 0° e", ..... , 0 x' sono fra loro disuguali, deve la 
seconda delle equazioni (5) convertirsi in una identità; nel qual caso avverrà altret- 
tanto di tutte le equazioni che seguono quella, in virtù della proposizione enunciata 
in fine del $ precedente; ed allora la funzione intera 6 (x) deve avere per espressione 
quella riportata nel detto $. Tale espressione intanto non può ridursi a forma intera 


se.non. pera ==... = @r-155:0; in.tal. caso si avrà 0(0) = aterla 
prima delle equazioni (5) diverrà un'equazione binomia, x” = + 1. In conseguenza 
le radici 2!, 0.0! 0%... , 0 2' di essa, cioè di f(x) =0 sono radici dell’unità 


reale, positiva o negativa. Si conchiude perciò che 
Se 2r — p < n, la funzione intera 


Ud lar tai a + ap a? 


si può solo allora assumere come generatrice di un'equazione f(x) = 0, abeliana, della 
classe (1) e di grado n, quando ap = a&-1=..... a-1=0 eda == 1; cioè quando 
quella funzione si riduce alla potenza x". In tal caso le radici di £(x)=0 sono 
radici dell'unità reale, positiva 0 negativa. 

Sia 0 (x) una funzione frazionaria, per es. 


IU MAD x + Ar-1 Xrtl + alate alte + a ARR fr (x) 
0) = bs a + bi. + cere pa| E x) j 


I gradi r ed s non si possono supporre entrambi uguali ad 1; altrimenti le 
equazioni (5) risulterebbero tutte del secondo grado. Ora si ha: 


0? (2) eta ar fe” + Ar-1 fra gs + BRODO + ao gs” str. 
bs fr + bs-1 fr Is L SRO + bo gs$ Is 7 


e quindi, se è r > s, la potenza g,5-” figurerà nel denominatore di 6°(x) con l’espo- 
nente positivo r—s. In tal caso il numeratore di 6°(x) risulta di grado °, rispetto 
ad x, ed il denominatore di grado 2rs — s°. Se invece è r = s ed a, è, non=0, il 
numeratore ed il denominatore di 6°(x) risultano entrambi di grado s°: sicchè si avrà, 
secondo la precedente notazione 


0(2) = (r, 3) 
0°) = (1°, 2rs— s°), r=>s 


0) =i($, %), KISI® 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 303 


$ 3. 


Siccome poi con y => s si ha pure 2r — s > 1, cioè 2rs — s° > s ed è in ogni 
caso 7° > 2rs — s°, così ponendo 


“@= , #), 


si ha che da @(x), con la condizione r => s, si arriva a 0°(2)[= (r', s')] dove è pure 

verificata la condizione r' => s’, la quale perciò sarà verificata in 0*(x) per qualunque 

valore intero e positivo di v. Oltre a ciò, come a motivo di r = s in 0(x) si è avuto 

r>r ed s'> s, così da 7 =>s' in 0°x) si avrà r'">r' ed s"> s'in60°(x)e così via. 
Si ha pure, per a,, è, non = 0 


ti) |... 
e(+| a) \ 
0 (+) =#(5,45) | 

PIVZTES 
e(+)= 6.9 | 


e si può quindi conchiudere che il grado del numeratore e quello del denominatore di 
; 1 È = . . y 
8*(-) sono uguali fra loro e crescono con v, così come avviene in 0*(x). Adunque 
\ 


la seconda delle equazioni (5), anche nel caso che 0(x) sia una funzione fratta per 
la quale @, d, non = 0, è quella che ha il minor grado fra le equazioni che seguono 
la prima. Tal grado è dato da 2r se r = s, ovvero da 2s se s=>r. Quindi se le x 
radici x’, 00’, 0°, ..., 0”-1x' comuni alle equazioni (5) debbono essere fra loro disu- 
guali, è necessario che il grado 2r, o 2s, della seconda di quelle equazioni non sia 


minore di n. Nel caso contrario, cioè quando il maggiore dei numeri r ed s, o uno di 


n 


essi, se sono uguali, è minore di DE la seconda delle equazioni (5), e come conse- 


guenza tutte le rimanenti, debbonsi convertire in altrettante identità. La funzione 
0(x) in tal caso sarà quella determinata nel $ precedente; in essa i coefficienti 
a, ed a, devonsi supporre diversi da zero, altrimenti o il numeratore, o il denominatore 


di 0 (x) sarebbero privi del termine indipendente da x, ciò che in principio si è per 
ipotesi escluso. Si conchiude adunque che: 


Supponendo 2, bh, non = 0, se è r = s, la funzione 


are + ara + ..... + 
bs 2x5 Se bs1 asl + Rata ra + do 4 


Ù E n " È n 6 O 5 
nell'ipotesi di r, s < 5 non può assumersi come funzione generatrice delle radici di 


un'equazione abeliana di grado n e della classe (1). Ciò può farsi 0 quando il maggiore 


. ° . si (E D 
dei due numeri r,s non è minore di >, ovvero quando r=s. In quest'ultimo caso deve 


304 V. MOLLAME 


$ 3. 


essere bi = shiag boe = tarata , bo = + a, convenendosi di prendere costante- 
mente luno o l’altro dei segni +. 

In particolare se 0(x) sia stata determinata in guisa che le equazioni (5) abbiano 
una radice comune e che qualcuna di quelle equazioni risulti di grado n, essa sarà 
un'equazione della specie di f(x) = 0, purchè non abbia radici uguali. 

In generale, dopo aver determinata la funzione 0 (x) in modo che le equazioni (5) 
abbiano una radice comune, sia M(x) il massimo comun divisore dei primi membri 
di quelle equazioni ridotte a forma intera e con uno dei membri uguale a zero. Con 
ogni radice dell'equazione M(x) = 0 si può formare la serie 


contagia 


nella quale è 
, 


oe = a 


n 
r+® 
002 — 1; 


e però se nella precedente serie avviene che 0"x' è il primo di quei termini che 


riproducono ', saranno 2', 04°, 0°%', ..., 0"-' radici di M(x) = 0 con le quali si 
può comporre un'equazione di grado », della specie di f(x) = 0. Se dunque si sop- 
prime da M(x) = 0 ogni radice x” per la quale nella serie x", 04", 6°x”,... non 


è 0"x" il primo di quei termini che riproducono x”, l'equazione cui si perviene sarà 
decomponibile in equazioni che hanno i caratteri di f(x) = 0 e che sono tutte quelle 
che nascono per effetto della determinazione ricevuta dalla funzione generatrice 0(2). 
Per sopprimere dall’equazione M(x) = 0 la radice x", comune a tutte le equazioni (5), 
basterà sopprimerla da una qualunque di esse. A tal fine è sufficiente sopprimere da 
una delle equazioni (5) ogni sua radice x che sia comune a qualche altra di dette 
equazioni e per la quale si abbia 0”x = « per #' < n. Scelgansi, per es., la prima e 
l’ultima delle (5), 0, ciò che è lo stesso, le equazioni (3) e (2). 

È facile vedere innanzi tutto che una radice x comune alle equazioni (3), (2) 
ed a qualche equazione, 


n' 


a0?a = 1, (6) 


della stessa forma della (3), ma con un esponente — #. di 0 minore di è da sop- 


I 
primersi da una delle equazioni (3) e (2), per es. o (3): giacchè per una tale 
radice risulta i 


Dirt (7) 


con n' < n. In effetti, per ogni radice x comune alle equazioni (3) e (6) risulta 


0% i=i(0%gs (8) 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 305 


$ 3. 


n n 
or applicando una volta l'operazione 06? ed un’altra l’operazione 0% ad ambo i membri 
della (8), e tenendo presente l'equazione (2), che per ipotesi è pur essa verificata 
dalla radice x in discorso, si avrà, rispettivamente, 


nin 


a =0 ? x 


n+n' 
(3 ASAP, RA dl 


e dal confronto di queste due equazioni si ottiene la (7). 

In generale, nella presente quistione basta considerare quelle soltanto delle 
equazioni (6), nelle quali »' è un divisore (pari) di n, minore di », che dà un quo- 
ziente dispari. Sia infatto x una radice delle equazioni (3) e (2) che verifichi anche 
qualche equazione della forma (2) ma con un esponente di 0 minore di n. Di tali 
equazioni sia 


0% = x (9) 


quella nella quale 6 ha il più piccolo esponente: in tal caso dovrà essere @ un di- 
visore di n; altrimenti, posto n = av + u, dove v e u sono il quoziente ed il resto 
della divisione di » per a, l'equazione (2), cioè la seguente 


OOo 
per ogni sua radice che soddisfi anche la (9) diviene 
Ol Ch=—#05 


e questa, essendo u < «, mostra non esser la (9) quella fra le anzidette equazioni 
nella quale è a il più piccolo esponente di 0, ciò che è contro l’ipotesi. 


Adunque essendo u = 0 ed n» = av, l'equazione (3) può scriversi 


4y 


ade = 1. (10) 
Il numero v può essere pari o impari; nel primo caso, essendo DO un multiplo 
di 4, l'equazione (10), cioè la (3), per ogni sua radice che verifichi anche la (9) si 


si riduce alla seguente 


#=1, (11) 


e si conchiude che se a è un divisore di » che dà un quoziente pari (in particolare 

se « = 1) le radici che le equazioni (3) e (2) possono avere comuni con la (9) sono 

le radici 4-1 o — 1 dell’equazione (11). Tali radici devonsi perciò sopprimere dall’e- 
Serie IT. Tom. XLIV. ni 


306 V. MOLLAME 


83. 


quazione (3), quando vi siano. Sicchè nell'equazione (9) è da considerarsi solo il caso 
in cui a è un divisore di n che dà un quoziente dispari v. 

Sia v = 26 + 1; in conseguenza a deve essere pari. L'equazione (10), cioè 
la (3), si può scrivere 


(d1 


29° 0!x = 1, 


e questa, per ogni sua radice che verifichi anche la (9), diviene la seguente 


(27 


xx =1 (12) 


nella quale, come fu detto, a è un divisore (pari) di », minore di », che dà un 


° . ° ONES °_° . . °e_ n D 
quoziente dispari; ovvero nella quale ip O UD divisore di n, minore di 9 che dà 


un quoziente pari. 
Si può ora enunciare il seguente 


Teorema. — La funzione razionale 0(x) sia tale che le F + 1 equazioni (5) 


[o (4)] abbiano una radice comune. Dall'equazione (3) si sopprimano tutte quelle radici 
che essa ha in comune con altre equazioni della stessa sua forma ma con esponenti di @ 


minori di FI e O(x) = 0 sia l’equazione che ne risulta. Ridotte a zero ed a forma 
intera le equazioni O(x) = 0 e quelle che seguono la prima delle (5), sia F(x) @ mas- 


simo comun divisore dei loro primi membri; l’equazione 
REi0 (13) 


sarà decomponibile in equazioni di grado n, abeliane e della classe (1); per le quali 0(x) 
è la funzione che genera le radici. 

Se si sopprimono dall’equazione (3) le radici +1 e —1, quando vi siano, allora 
delle anzidette equazioni aventi la forma della (3), ma con esponente di 0 minore di 


= basterà prendere in esame quelle soltanto nelle quali, come nella (12), a è un divi- 


sore (pari) di n, minore di n che dà un quoziente dispari: cioè quelle nelle quali l’espo- 
n 
9) 

Non esistono altre equazioni abeliane della classe (1) oltre quelle ottenute nell’anzi- 
detto modo. 


nente di 0 è un divisore di n, minore di chè dà un quoziente pari. 


tele nie i E NE SIMERI 


eda ni 
pe 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 307 


84 


. . . . n . . è 
Il caso in cui la funzione @(x) sia tale che le > equazioni che seguono la prima 


delle (5) del $ precedente diventino identità, vien preso in esame nel presente $. 
Sia dunque la funzione 6(x) determinata in guisa che le equazioni 


gala 1) 


8 


diventino altrettante identità. In tal caso il sistema (5) del $ 3 è verificato da ogni 
radice x' dell'equazione non identica 


n 


x02x = 1, (2) 


che è la prima di quel sistema; e quindi con la radice x’ e con la funzione gene- 
ratrice 6(x) si può comporre un'equazione abeliana della classe (1), che sarà di grado n 
se nella serie x’, 0x', 0°", ecc. è 0"' il primo dei termini che riproducono 2°. 

Per la formazione di tale equazione e delle altre analoghe deducibili dalla (2) 
già provvede il teorema poc'anzi enunciato, nel quale l’equazione F(x) = 0 è quella 
che si ottiene sopprimendo dall’equazione (2) tutte quelle radici che sono considerate 
nel citato teorema. 

Or affinchè riescano identiche le equazioni (1) è sufficiente che la prima di esse 
si riduca ad un'identità, secondo quel che fu detto nel $ 2, nel quale fu data anche 
l’espressione che deve avere 0(x) nel caso in discorso: e però si ha il seguente 


Teorema. — Sia 


E Ci e e AO tiase' wo. 
CT ma + mart + ..... + aa + ar” 


se dall’equazione 
A 
20% 1 
sì sopprimono tutte quelle radici considerate nel teorema del $ 3, l'equazione rimanente 


Fx) = 0 sarà decomponibile in equazioni abeliane di grado n e della classe (1), per 
le quali è 6(x) la funzione generatrice delle radici (*). 


n 


(*) Le radici dell’equazione #0°x = 1, non appartenenti ad altre equazioni della stessa forma 


. . . n . . sa. . . 
della precedente e con esponente di 9 minore di -, potrebbero denominarsi radici abeliane di 


308 V. MOLLAME 
$ 4. 
L'equazione (2), se 0(x) ha per espressione quella indicata nel teorema prece- 


dente, è di grado r? + 1. Essa, se la formola che dà 6(x) si prende col segno +, 


ha la radice x = 1, qualunque sia r; ha inoltre la radice x = — 1 se r è dispari. 
n n n 
Imperocchè essendo attualmente 0%x 921 = 1, identicamente, ne segue che 0?x 


avrà un'espressione della stessa forma di quella della funzione 0 (x) determinata nel 
$ 2; quindi l'equazione (2) potrà mettersi sotto la forma seguente 


Spa x(bsa + bs1a51 + CANINE + bjx + do) PA 1 (s guai r) 
°° boa + bre 1 4... + bio db; Far 


e sarà verificata da x = 1, se sì prende il segno -+ nel primo membro, qualunque 
sia il valore di s e quindi di r: se poi s, e quindi r, è impari quell’equazione, nel- 
l'ipotesi del segno --, sarà verificata anche da x = — 1. 

Se poi si sceglie il segno — nel primo membro dell'equazione precedente, essa 
ha la radice x = + 1, o l’altra x = — 1, secondo che r è dispari o pari. 

Così, posto 


Pax + da +c, 
Q= ce +4 de + a, 
e@=+ 


le equazioni biquadratiche seguenti 


(ax — c)P° + ble — DPQH (ce—-a QQ? __ 


x 1 


(ax + e) P°? + ble +1) PQ+ (ce +@Q? __ 0 
c4+1 PARRA, 
sono abeliane della classe (1) ed hanno per funzione generatrice delle loro radici 


[0(2) =] + È [0(a) =] — $ rispettivamente. 


ordine n di quella equazione. Con ciascuna di tali radici può comporsi un'equazione abeliana di 
grado » e della classe (I). Nel campo di queste radici trovansi le radici primitive dell’equazione 
in discorso, quando essa sì riduce ad un’equazione binomia, come sarà in seguito dimostrato. 

n 


Le rimanenti radici dell'equazione x0°x = 1, salvo +1, —1, appartengono ad equazioni della 


a 
forma x0%x = 1 dove a è un divisore di n, minore di n, che dà un quoziente dispari [$ (8)]; e 
però se x è della forma 24, e solo allora, le radici dell’equazione in discorso, che diviene 


p-1 
CAI 


sono tutte abeliane, tranne +1, o —1. 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 309 


UN 
(dl 


Alle equazioni. abeliane della classe (I) considerate nel $ precedente apparten- 
gono, come caso particolare, quelle le cui radici sono radici dell'unità, positiva, o 
negativa. Per l’indagine di tali equazioni è necessario ricorrere ai teoremi (A) e (B) 
che seguono. 


Teorema (A). — Ir ognuna delle equazioni binomie 
cui (1) 
gra (2) 


se una radice, x», è funzione razionale di un’altra, x;, si potrà esprimere xs come po- 
tenza con esponente intero e positivo di x,. 

In effetto se a è una radice primitiva dell’equazione (1), si potranno esprimere x, 
ed x, come potenze di a, con esponenti interi e positivi, siccome è noto. Sia 


gd, = 0°, de, = 0; (3) 


si avrà allora 
CE 
do = QP; (4) 


e quindi se x, è funzione razionale di x, dovrà essere q multiplo di p: per es. q = pr; 
in tal caso la relazione (4) diviene 


Xe = di (5) 


ed il teorema precedente rimane dimostrato per l’equazione (1). 
Estesa poi la definizione di radice primitiva dell'equazione (1) anche all’equa- 
zione (2) si ha che: 


Se a è una radice primitiva dell'equazione (2), i termini della serie 


esprimono tutte le radici dell'equazione (2) (*). 


In conseguenza le relazioni (8) relative all’equazione (1) e le altre (4) e (5) che 
da quelle scaturiscono sono vere anche nel caso dell'equazione (2). Dopo. ciò il pre- 
cedente teorema rimane provato anche per l’equazione (2). 


(*) Questo teorema trovasi dimostrato nella “ Nota ,: Sulle radici primitive dell'unità negativa, 
P 0) 


(già innanzi citata. Tale nota, alla quale spesso si ricorre nella presente Memoria, sarà detta, per 
brevità, Nota A. 


310 V. MOLLAME 
Sb. 
d 


Il numero intero r = i nella relazione (5) può risultare maggiore di 7, nel 


caso dell'equazione (2); giacchè gli esponenti p e g variano da 1 a 2w — 1. In tal 
caso se per es. è r=m +’, la relazione (5); ponendovi —1 in luogo di x” diviene 
oa GRAN (6) 

Suppongasi ora che la funzione 6(x) sia stata determinata in guisa che le equa- 
zioni (5) del $ 3 abbiano una radice comune x: esse avranno comuni anche le radici 
0x, 0°, ecc. In virtù della detta determinazione, 0(x) assuma una forma tale che 
l'equazione 


n 


x0?x = 1, (7) 


cioè la prima delle (5) del $ 3, si riduca ad un’equazione binomia: ciò che può 
A: 
avvenire solo se 0%x è una potenza di x, per es. se 


02x = + 2. 
In tal caso l’equazione (7) diviene 


H+ 1: (7) 


e siccome se x è una radice della precedente equazione, cioè della (7), anche 60(x) è 
radice della stessa, così a motivo delle relazioni (5) e (6) alle quali ha dato luogo 
il teorema (A), la funzione razionale (x) che esprime una radice dell’equazione bi- 
nomia (7’) mediante un’altra x può mettersi sotto la forma 


6()i= oa (8) 


dove r è un numero intero che si può sempre supporre minore di v + 1. 

E però da una parte le equazioni che seguono la prima delle (5) del $ 3 attual- 
mente diventano tutte identiche, per virtù della forma (8) di 0(x), e dall’altra l’espres- 
sione di 0(x) rientra in quelle che emanano dalla formola (7) del $ 2. Adunque 
l'equazione F(x) = 0 considerata nel teorema del $ 4 è decomponibile, presentemente, 
in equazioni abeliane della classe (1) e di grado », le cui radici sono tutte radici 
d’un medesimo indice o dell’unità positiva o dell’unità negativa. 

Viceversa poi se 0(x) assume la forma (8), allora l'equazione (7) si riduce ad 
un'equazione binomia e precisamente alla seguente 


arci calo (9) 


se nella (8) si sceglie il segno +; e se invece si sceglie il segno —, si trova che 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE ANNI 


8/5. 


n 


ici 


ros 


a=(—- 1)f2 
dove 
1 


AS SE ee I A e 


e che l’equazione (7) si cangia nell’altra 


» 


e 1)far®+1! = 1, 


= Ò 9 ° = . SN Ri È î n È 
la quale non è diversa dall’equazione (9) se e è pari, cioè se r è dispari ed è pari. 


La precedente equazione è invece diversa dalla (9) se e è dispari: nel quale caso 
essa diviene 


TONE (10) 


Sorge qui l'opportunità di considerare separatamente le due ipotesi di » dispari 
o pari. 


Se r è dispari, allora e che è somma di 5 numeri dispari risulterà dispari solo 


quando > è pur tale. 


Se r è pari il numero e è sempre dispari qualunque sia x. Adunque prendendo 
il segno — nell'espressione (8) di 6(x) si otterrà dalla (7) l'equazione (10), invece 


della (9), solo allorquando è r pari, ovvero # ed 5 sono entrambi dispari. 

Oltre alle equazioni abeliane della classe (I) aventi per radici le radici dell’unità 
positiva o dell'unità negativa, e che si ottengono come poc'anzi fu detto, non ne 
esistono altre. La verità di questa asserzione poggia sul seguente 

Teorema (B). — Se una radice x, dell'equazione 


quat 


è funzione razionale di una radice x» dell'altra equazione 


dovrà essere x una potenza, positiva 0 negativa, con esponente intero, di xs. 
In fatto da 


si deduce che 


312 V. MOLLAME 


005 


e che 


Se dunque x, è funzione razionale di x, deve essere m' multiplo di m. C.D. D. 
Segue dal precedente teorema e dal teorema (A) che se un’equazione f(x) = 0 
ha per radici i termini della serie 


CIONI tea, (0l2f=t) 


nella quale è 0(x) una funzione razionale di x, e se x e 6(x) sono radici dell’unità 
positiva, o negativa, dovrà essere 0(x) una potenza positiva, o negativa di x: e però 
0(x) dovrà avere un’espressione della forma (8). Quindi l'equazione 0"x = « alla 
quale deve soddisfare ogni radice di f(x) = 0, diviene l’una o l'altra delle seguenti 


ASI Y 
gioia iS 


le quali provano che le radici di f(x) = 0 sono tutte radici con uno stesso indice, 
o dell’unità positiva, o dell'unità negativa. 

Inoltre, se l’ equazione f(x) = 0 è reciproca, allora la (7), alla quale devono 
pur soddisfare le radici di f(x) = 0, diviene l’equazione (9), o l'equazione (10). Si può 
quindi conchiudere il seguente 


Teorema I. — Le equazioni abeliane della classe (1) e di grado n che hanno per 
radici le radici dell’unità positiva, 0 negativa, sono quelle sole che si possono ottenere 
o mediante l'equazione binomia (9), qualunque siano i numeri interi e positivi r ed n, 0 


mediante l'equazione binomia (10) allorchè r è pari, oppure allorchè r ed 5 sono entrambi 


dispari. 

Il processo dichiarato nel teorema del $ 3 sull’equazione generale (3) di quel $ 
serve a comporre le equazioni menzionate nel teorema precedente; ed a tal fine quel 
processo verrà in seguito sottoposto ad ulteriori considerazioni. 

Per le equazioni che si ottengono mediante la (9) la funzione 0(x) generatrice 


CLONI . . N . ° No x 
delle radici è espressa da x", qualunque siano r ed se poi r è dispari ed e 


DO 


pari, allora 0(x) può avere per espressione sia x" che —a". Per le altre equazioni 


ottenute mediante la (10), nella quale deve essere 7 pari, ovvero r ed 5 entrambi 


dispari, la funzione 0(x) è espressa da — e”. 
In particolare suppongasi che n + 1 sia numero primo, ed » ne sia una radice 
primitiva: sarà allora 
vi emo 1) 


e quindi 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 313 


$ 5. 


vr — 1= maltiplo (n + 1), 
ossia 


(,3 JE n (,2 I 1 = multiplo (n + 1). 


Il numero » | 1 dovendo dividere il primo membro della precedente egua- 


glianza e non potendone dividere il fattore »* — 1, altrimenti non sarebbe r radice 
primitiva di n + 1, dovrà quel numero dividere l’altro fattore r® + 1. È dunque 


r? + 1 un multiplo di x + 1: e però ogni radice dell’equazione 
Qi ani 


è radice anche dell'equazione (9). Le radici dell'equazione «°*! —= 1, diverse da 1, 
possono esprimersi, come è noto, con 


e sono le radici dell'equazione 


CAN at i e PASSO +ax+1=0 


x 


che è quella della divisione del cerchio in n + 1 parti uguali. Tale equazione, reci- 
proca per la sua forma, ed abeliana per la forma delle sue radici, appartiene alla 


n < x È VINES ; , 7 
classe (I): giacchè per ogni radice x” di essa, o dell'equazione x? = 1, risulta 
p 8 ’ , 


essendo r7 + 1 multiplo di n + 1: perciò si ha y(k) = £ SÈ ($ 1). Dunque V’e- 
quazione della divisione del cerchio è una delle equazioni abeliane della classe (1) che 
sì possono ottenere dall’equazione (9) quando r esprime una radice primitiva del numero 
primo n + 1. 
Le ulteriori considerazioni che seguono in questo $ servono a semplificare in 
parte il processo di composizione delle equazioni alle quali si riferisce il teorema I. 
Sia x una radice dell’equazione (9): le quantità 


COL po (11) 


sono anche radici di quella equazione e deduconsi l’una dall'altra, ordinatamente, 


mediante l’operazione espressa da [0(x) =]2". Se r è pari, e quindi r? + 1 è di- 
spari, le radici dell’equazione (10) sono uguali ed opposte a quelle dell’equazione (9): 


perciò, posto —x = @,, ne segue che come le quantità (11) sono radici della (9), 
così le altre quantità 


Serie II. Tow. XLIV. o! 


314 V. MOLLAME 


85 


che sono eguali ed opposte alle quantità (11), e deduconsi l’una dall’altra mediante 


i ea H 5 È ; % 
l'operazione |0(x1) =] — x, sono radici dell’equazione (10): e se avviene che x* = x, 
JIA % 


k 
per k = e non perk< n, e che a." °=1, avverrà pure che — a = x per 


gle MO 
k=n e non per k< n, e che x, . 2 


= 1. Si conchiude perciò che se r è pari 
e mediante la funzione generatrice |0(x) =]|", applicata ad una radice x dell’equa- 
zione (9), si è potuto comporre l'equazione abeliana f(x) = 0 di grado x e della 
classe (I), l’altra equazione che si può formare con la radice —x(=;) della (10) 
e con la funzione generatrice [0(x,) =] —xr è pure abeliana, della classe (I) e di 
grado n» ed è data da f(—x)= 0. Questa equazione è sempre diversa dall’altra 
f(@) = 0; altrimenti f(x) =0 dovrebbe avere radici uguali ed opposte, ciò che è 
impossibile, giacchè le radici di f(x) = 0 appartengono alla (9), e questa, essendo di 
grado dispari, non può avere radici uguali ed opposte. Si ha quindi il seguente 


Teorema II. — Se r è pari e con una radice x dell'equazione (9) sì è potuto 
comporre l'equazione f(x) = 0 abeliana, della classe (I) e di grado n, avente [0(x)="]x" 
per funzione generatrice delle sue radici; con la radice —x(=x;) della (10) si potrà 
comporre un’altra equazione abeliana della classe (1) e di grado n, nella quale è 
[0(x)=]1—x la funzione generatrice delle radici. Questa equazione è espressa da 
f(—x)=0 ed è sempre diversa da f(x)=0. 

Nel caso di r pari è quindi inutile il prendere in considerazione l’equazione (10), 
basta solo associare ad ognuna delle equazioni f(x) = 0 dedotte dalla (9) l’altra 
equazione f(—x) = 0. 


Sia ora » impari, e quindi r*® + 1 pari; l'equazione (9) ha le sue radici a due 
a due uguali ed opposte. Mediante la radice x della (9) e con la funzione genera- 
trice [0(x) =]|]x" si supponga formata l'equazione abeliana g(x) = 0 della classe (I) 
e di grado », le cui radici sono perciò i termini della serie seguente 


PA omni 


CISL AI ANI sin ai (12) 


Con l’altra radice —x (= 2) dell'equazione (9) e con la funzione generatrice 
[0(x.) =] x" si ottengono i termini dell’altra serie 


o 2 n_l 
Lis di, ci Seen ene) ’ x 5 (13) 


bp 


. k k D n 
e come avviene che x”° == x per X = x ma non per K< n, e che 2°." ° = 1, così 


avverrà pure che gi x, per t= n ma non per K < n, e che Di I 
I termini della serie (13) i quali sono uguali ed opposti ai loro corrispondenti nella 
serie (12) sono dunque radici di un'equazione g(—x)= 0 che si trova nelle stesse 
condizioni di g(x) = 0. 

Le due equazioni g(x) = 0, g(—x) = 0 sono sempre fra loro diverse: altri- 
menti l’equazione g(x) = 0 dovrebbe avere radici uguali ed opposte: dovrebbero cioè 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 315 


$ 0. 


i termini della serie (12) essere a due a due uguali ed opposti: ora ciò non può 
avvenire. In effetto se fosse 


cer (14) 
ne seguirebbe che 
ala ii gr == ene = arl 
° N . x . . . LI ON 
giacchè essendo x radice della (9), sarà pure radice dell’ equazione #° — = 1, cioè 


& n . . . x 
sarà =". Per la qual cosa dovrebbe essere 2% multiplo di n; e siccome è k< #, 
così potrà essere solo 2% = n. In tal caso, insieme all’equazione (14) che diviene 


o È 

X 
o 1 ; 3 +) ; . 
si dedurrebbe che — a = PRU chose ==, (i = (1a }: Dax =+ + segui- 
rebbe poi che x°° = x, se r è della forma r = 4p + 3, oppure 2° = 2, se r è 
della forma » = 4p + 1: in conseguenza essendo anche 2° —x ed 2° il primo 


dei termini della serie (12) che riproducono x si dovrebbe avere o n = 2, 0d n = 1, 
in conformità di 2° = x o di x = «. L'ipotesi di n = 1 non è ammissibile : quella 
din=2 fu già precedentemente esclusa, perchè non offre nulla degno di nota, quindi 


la supposta relazione (14) non può sussistere. Nè parimente può sussistere l altra 
relazione più generale 


et= — e. 
giacchè da essa si dedurrebbe che 


kW 
gli = 499 


e si ricadrebbe in una relazione della forma (14). Le equazioni g(a) = 0, g(—a=0 
sono dunque sempre fra loro diverse. 


Tenendo ferma l’ipotesi di » impari, si supponga che » sia multiplo di 4. Se 
1 termini della serie (12) si prendono con segni alternati, si otterrà l’altra serie 


(15) 
ì cui termini sono tutti radici dell'equazione (9) e si ottengono l’uno dall’altro me- 


diante l'operazione [0(x)=]—x". Essi, inoltre, sono radici di un’equazione %(x) = 0 
che è abeliana, della classe (I) e di grado n. Per dimostrare ciò basterà far vedere che 


(1a = (16) 


316 V. MOLLAME 


$ 5. 


per X = % ma non per X < @, e che 


| +3 243 OTT 
0.0 =] (1) Ca.a SUE (17) 


Ora, per & = n la (16) diviene x°° = x, ed è verificata giacchè x è il primo 
termine della serie (12): per & < » la (16) si riduce all’una od all’ altra delle se- 
guenti relazioni, secondo che % è pari o dispari 


ar” ==, 
(kE < n) 


k 
goa, 


delle quali la prima non può verificarsi, altrimenti i termini della serie (12) non sareb- 
bero tutti fra loro disuguali come si è supposto, e la seconda non può neppure 
verificarsi altrimenti fra i termini della serie (12) dovrebbe sussistere la relazione (14) 
ciò che si è dimostrato impossibile. i 


La relazione (17) poi, essendo per ipotesi ci pari, si riduce alla seguente 


k 


(2741) =; 


che è un'identità, giacchè x è radice dell’equazione (9). L'equazione /(x) = 0 tro- 
vasi dunque realmente nelle predette condizioni e quindi, nell'ipotesi di » impari, si 
ha il seguente 

Teorema III — Se r è impari e con una radice x dell'equazione (9), mediante 
la funzione generatrice |9(x) =] x" si è potuto comporre l'equazione abeliana g(x)=0, 
della classe (I) e di grado n, l’altra equazione g(—x)=0 formata con la radice 
—x(=x;) della (9) e con la medesima funzione generatrice [0(x.) =] x", sarà pure 
abeliana della classe (1) e di grado n. E se, oltre ad essere r impari, è 7 pari, 


l’equazione h(x)= 0 formata con la stessa radice x ma con la funzione generatrice 
[0(x)=]— x" sarà anch'essa abeliana della classe (1) e di grado n. 
Nell'ipotesi di y dispari devesi però prendere in considerazione anche l’equa- 


zione (10), se > è pure dispari (Teorema I). 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE Dl 


$ 6. 
Teorema I. — (Se x è una radice primitiva dell'equazione 

Di 

2 
r+1 — 1 (1) 

si avranno le sequenti proprietà : 
a) Le n quantità 
ll 

x, Q', Dn OTO Dito (2) 


sono radici di un'equazione abeliana della classe (1) e di grado n; 
b) Le stesse quantità sono tutte radici primitive dell'equazione (1); 
c) Le altre n quantità 


2 n-l , 
Zi, Ci, Lalli alata ASL ’ (2') 


formate con una radice primitiva dell’equazione (1), non compresa fra le (2), sono tutte 
disuguali alle quantità (2) e fra loro. 
a) Ogni radice «x dell’equazione (1) è pure radice dell’altra equazione 


d-1=1, (8) 


giacchè 7° — 1 è multiplo di r® + 1. Or l’equazione (3), messa sotto la forma se- 
guente, 


mostra che per ogni radice x dell'equazione (1) v'è sempre un qualche esponente v 
per il quale risulta 


e’ = g, (4) 
cioè 
e -1= 1 (5) 


x 


Intanto se la detta radice x è radice primitiva dell’equazione (1), dal confronto 


di tale equazione con la (5) risulta che »° — 1 deve esser multiplo di r® + 1, cioè 
deve essere 


Il 


r=1 mod. (,î + 1). (6) 


218 V. MOLLAME 


8 6. 


Or affinchè il quoziente sia un numero intero, è necessario e sufficiente 


r°z +1 


che v sia multiplo pari di nr cioè un multiplo di n, per es. v = pn: ed allora si 


conchiude che il più piccolo valore di v nella (4) e nella (6) è . Di qui segue im- 
mediatamente che le quantità (2) sono tutte fra loro disuguali; altrimenti da 


at = a (o <n) 


seguirebbe che (se % > &') 


e non sarebbe » il più piccolo valore di v nella (4), essendo % — %' < n. 


ke 

. è k STR . DIA DR . 
Si ha inoltre che 2" ed x" ° sono quantità reciproche, come si è già visto 
altrove; e però, ponendo 0(x) = x”, si ha 


perciò le quantità (2) hanno tutte le idoneità delle radici di un'equazione abeliana 
della classe (1) e di grado n. Rimane quindi provata la prima parte del teorema 
precedente. 

5) Le quantità (2) sono tutte radici primitive dell'equazione (1). In fatto si 


n 
ha in primo luogo che i numeri r? + 1 ed » sono primi fra loro; altrimenti ogni 
loro comun divisore d diverso da 1 dovendo dividere il primo di essi ed ogni po- 
n, n 
tenza, per es. r?, del secondo, dovrebbe dividere anche la differenza 1 fra 7? + 1 
n 
ed r®. 
n 
I numeri r, r°, r°, ecc. sono dunque primi col grado r® + 1, dell’equazione (1): 
or le potenze delle radici primitive di un’equazione binomia della forma a" = 1, 
cioè della forma (1), i cui esponenti sono numeri primi col grado dell’equazione sono 
pur esse radici primitive, come è noto, quindi la proprietà (3) rimane dimostrata. 
23 . . k Ò k 
c) non può essere infine un termine x” della serie (2’) eguale ad uno x° 
della serie (2). Imperocchè in tal caso da * 


k k 
rt =. 2° 


si dedurrebbe, se £ > %,, che 


ovvero, se £ < Xi, che 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 319 


$ 6. 


ed allora la quantità x, figurerebbe fra i termini della serie (2), ciò che è contro 
l'ipotesi. Inoltre essendo x, radice primitiva dell'equazione (1), le quantità (2’) tro- 
vansi nelle identiche condizioni delle quantità (2) e sono perciò tutte fra loro 
disuguali. Il teorema precedente rimane quindi dimostrato. 

Il più piccolo valore di v nella congruenza (6) è, come fu visto n; e però il 


n 


numero r appartiene all’esponente n, rispetto al modulo r? + 1. 
Dal teorema precedente si deduce che le radici primitive delle equazioni (1) 
sì possono ordinare in uno schema della forma seguente 


(7) 


nel quale le » quantità disposte sopra ogni orizzontale sono radici di un’ equazione 
abeliana, di grado » e della classe (1). 


Il numero delle quantità (7) è dato, come si sa, da @ (r? + 1), se @ (m) ha il 


significato noto nella teoria dei numeri: perciò deve essere @ (r? + 1) un multiplo 
di n, e quindi si ha che 


® (r' + 1) = multiplo 2w, (N: 


Sia r dispari, ed il numero pari r? + 1 sia multiplo di 4; allora le radici pri- 
mitive dell’equazione (1) sono a due a due ed uguali opposte (*), e però se x, è radice 
primitiva dell'equazione (1), tale sarà pure — x. La radice — x, non può trovarsi 
fra i termini della prima orizzontale dello schema (7), come è stato dimostrato nel 
$ precedente: e però, se come radice iniziale x, della seconda orizzontale dello 
schema (7) si prende — x,, i termini della seconda orizzontale di quello schema 
diventano uguali opposti ai loro corrispondenti nella prima orizzontale. Similmente, 
se si pone x, = — %3, i termini della quarta orizzontale dello schema (7) diventano 
uguali opposti ai loro corrispondenti nella terza orizzontale, e così via. Quindi le 
radici primitive dell’ equazione (1) si possono ordinare anche secondo lo schema 
seguente 


(€) Se m è multiplo di 2, e solo allora, in ciascuna delle equazioni 
gqm= —1, xm=1 


le radici primitive sono, a due, a due, uguali ed opposte. “ Nota ,, A, teor. IV. 


320 V. MOLLAME 


$ 6. 
co Ci A 1 01] 
e re 
MR aa IT (8) 
gi (ie o o, AN 


Le @(m) radici primitive di un’equazione binomia, x" = 1, sono, come è noto, 
le radici di un'equazione razionale. Sia questa F(x) = 0, nel caso dell’equazione (1): 


n 


sarà @ (r? + 1) il grado di F(x)=0. Tale equazione si può scrivere 


fi(@) fi(— 2) fsla) fi(-— 2) . . . fu) fu(— a) =0, 


dove i 2 fattori f(x), f(— x) uguagliati a zero dànno le equazioni abeliane di 
grado n e della classe (I) le cui radici sono, rispettivamente, i termini delle succes- 
sive orizzontali dello schema (8), e dove deve essere 


n 


2nu = (1° + 1). 


Nelle equazioni f= 0 è poi [6(x) =] " la funzione generatrice delle radici. 
Le radici primitive dell'equazione (1), sempre nell'ipotesi che r* 4-1 sia mul- 
tiplo di 4, si possono ordinare anche secondo lo schema seguente 


Ciani da xi ibiza: Gr SERA INI 9 ona TE 
iI TO = 20, at, MA, et 

Lo VESTO, do, xs, Tea. 43, (EU ZISTE NY Maran AI, (9) 
RE RI A e I TA 


il quale si ottiene dallo schema (8) con facili scambii sulle verticali di posto pari. 
Le serie costituite sulle orizzontali dello schema (9) hanno la forma della serie (15) 
del $ precedente; nella quale fu supposto essere x una radice tale dell’equazione (1) 
da potersi con essa mediante la funzione generatrice [0 (x) =] — x”, comporre un’equa- 
zione abeliana della classe (I) e di grado n: la qual cosa avviene per ogni radice 
primitiva della (1) [teorema (I)]. Perciò le quantità che sono sulle singole orizzontali 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 321 


$ 6. 


dello schema (9), a simiglianza di quelle della serie (15) del $ precedente, sono radici 
di un'equazione A, (x) = 0, od X,(—2)=0, abeliana, della classe (I) e di grado #, 
nella quale è [0(x) =] — «’ la funzione generatrice delle radici. 

L'equazione F(x) =0 si potrà quindi scrivere anche nel seguente modo 


hy (2) hn(— 2) he(e) ha(— 2)... hu(0) hu(— 2) =0. 


Con i risultati fin qui ottenuti in questo $ si possono enunciare i teoremi 
seguenti: 


Teorema II — Il numero ® (r° 4-1), (r > 1), è divisibile per 2n (*). 


Teorema III. — L'equazione F(x) = 0 che ha per radici le radici primitive del- 


; a 
l'equazione binomia x°°+1—=1ì decomponibile in Reti equazioni abeliane di gradon 
e della classe (1); in ciascuna delle quali è [0(x) =] x" la funzione generatrice delle radici. 
n 
Se r°?-|- 1 è multiplo di 4, la detta decomposizione può farsi in due modi. Dei 
quali uno fornisce coppie di equazioni della forma f(x) = 0, f(— x)="0 che hanno 
tutte per funzione generatrice delle loro radici |6(x)=|x"; e l’altro dà coppie di equa- 


zioni h(x) = 0, h(—x)=0 che hanno [6(x) =]— x" per funzione generatrice delle 
loro radici. 


Se 7" + 1 è numero primo, il teorema II diviene il seguente: 
Teorema IV. — Se r" + 1 è un numero primo, sarà r" divisibile per 2n, (cr > 1). 
I teoremi I e III hanno i loro corrispondenti rispetto all’equazione 


e = 1, (10) 


nell'ipotesi che r ed # siano due numeri dispari, nel qual caso soltanto la prece- 


dente equazione è da prendersi in esame, come fu provato nel $ 5. 
Sia x una radice qualunque dell’equazione (10). I termini della serie 


I 
VA A ARA A I A (11) 
sono pur tutti radici di quella equazione, come è facile verificare, e si deducono l’uno 


dall’altro, ordinatamente, mediante l'operazione espressa da [0(x) =] — e". Quei ter- 
mini inoltre sono a due a due reciproci; e precisamente sono reciproci i termini 


(*) Questa proprietà del numero @(r" + 1) risulta anche dal fatto che il numero x al quale, come 


fu innanzi dimostrato, appartiene r rispetto al modulo r*-+ 1, è un divisore di @(r° + 1). Cfr. 
DiricaLer, Teoria dei numeri $ 28, parte I 


Serie Il. Tom. XLIV. pi 


322 V. MOLLAME 


$ 6. 


n 


” Rn H+T 
Palena e bian; 
giacchè, essendo r ed si numeri dispari ed x una radice dell’equazione (10), si ha 


x _k 


aio, 


n 
2 


n È n { 
(2). et (= (— DT (a 
Intanto ogni radice, x, dell'equazione (10) è radice anche dell’altra equazione 


dA =1, (13) 


n 


perchè essendo r® — 1 un numero pari, si ha 


x —1 = (74) uo (= yi == 1 


mostra che per ogni radice x della (10) esiste sempre qualche numero intero e po- 
sitivo v tale che risulti 


= g; (14) 


e se v è pari allora 2”' è della serie (11) un termine che riproduce il primo. 

Ciò posto sia x in quella serie una radice primitiva dell’ equazione (10): allora 
in virtù del seguente teorema 

C) Le equazioni 


hanno le stesse radici primitive (*), 
sarà x radice primitiva anche dell’altra equazione 


gl) pra 1 È 


la quale, paragonata con la (14), che può scriversi 


Vl 


E iL 


(*) Cfr. “ Nota , A. 


sa = = E rr-ET___———————É"___ 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 323 


$ 6. 


n” 


fa conchiudere che r, — 1 deve essere divisibile per 2(r? + 1). Sia g il quoziente 
di tale divisione: si avrà così 


_ 2 nre 29. 
r?+1 
Il più piccolo valore di v per il quale risulta numero intero il quoziente ded 
r° +1 


è n come fu visto precedentemente; e per v = x il detto quoziente risulta anche 
pari, giacchè 


cpr EI " 
—- rr =r .—1= numero pari. 
r°+1 


Adunque per ogni radice primitiva dell'equazione (10) è » il più piccolo valore che 
può avere v nella (14); e siccome n è pari, così sarà 2" un termine della serie (11) 
e precisamente il primo di quelli che riproducono x. Associando a questa proprietà 
di ogni radice primitiva dell'equazione (10) l’altra espressa dalla relazione (12) si può 
conchiudere che se x è una radice primitiva della (10) i primi » termini della 
serie (11) sono radici di un’ equazione abeliana della classe (1) e di grado x, e che 
[0(x) =] — x" ne è la funzione generatrice delle radici. 

Quegli » termini, inoltre, sono tutti, come il primo, radici primitive dell’equa- 
zione (10). In effetti, in virtù del teorema (C), poc'anzi citato, si ha che la radice 
primitiva « dell'equazione (10) è pure radice primitiva dell’altra equazione 


n 


gela So) 


n 
Or il grado 2(r°-+-1) della precedente equazione ed il numero r non possono avere 
alcun divisore comune; altrimenti dovendo questo esser dispari, come r, e dovendo 


esso dividere anche i numeri 2r* e Ar + 1), dividerebbe la loro differenza 2: ciò 
che è assurdo. 

Essendo r, e quindi le potenze di » numeri primi col grado dell’equazione (15), 
le potenze 2” della radice primitiva x di quella equazione, sono pur esse radici pri- 
mitive di tale equazione. Siccome poi il grado dell'equazione (15) è multiplo di 4 


perchè r°+ 1 è numero pari, così sarà radice primitiva di detta equazione sia A 
che — 2°", come fu già notato innanzi. E però si conchiude che i termini della 
serie (11) sono tutti radici primitive dell'equazione (15) e quindi anche dell’ equa- 
zione (10) [teorema (C)]. 

Sia x, un’altra radice primitiva dell'equazione (10) non compresa nella serie (11); 
le quantità 


324 V. MOLLAME 
$ 6. 


È 
OLI r 
Zi, — Ur, 4 NO 


>) x (16) 


si trovano nelle stesse condizioni di quelle della serie (11) ed inoltre son tutte a 
quelle disuguali. In effetto, se fosse per es. 


(= ID, aghi 2, (= 1) ar S (17) 


ne seguirebbe, per % e %, entrambi pari od entrambi dispari, che 


e quindi che 


se è K > ki, ovvero 


pera m+k—k 
Chat i 


se è k< ki; cioè x, sarebbe un termine della serie (11), la qual cosa è contro 
l’ipotesi. 

Se poi dei numeri % e %, l'uno è pari e l’altro dispari, allora la relazione (17) 
diviene 


att = di 
e da questa si conchiude come innanzi che 
kl 
pis 
ovvero che 
rN+k—ka 


X =— % 


secondo che è % > k, ovvero % < k,: per la qual cosa x, dovrebbe di nuovo trovarsi 


DS 


fra i termini della serie (11), ciò che si è escluso. 


Le precedenti deduzioni intorno all’equazione (10) dànno luogo ai due teoremi 
seguenti: 


n . . O . DA ono 
Teorema V. — Se r ed 5 Sono numeri dispari ed è x una radice primitiva 


dell'equazione 


gr +1 — LI Th (a) 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 325 


$ 6. 
sono tutte radici primitive di quella equazione. Con esse si può comporre un’ equazione 
abeliana di grado n e della classe (1), per la quale è [0(x) =] = — x" la funzione 


generatrice delle radici. Tale equazione non avrà alcuna radice comune con ogni altra 


che si può comporre mediante una radice primitiva dell'equazione (a) non compresa fra 
quelle della serie (0). 


Teorema VI. — Se r ed 5 sono numeri dispari, V equazione G(x) = 0 che ha 


per radici le radici primitive dell'equazione 


dal 2 


Lal.) 
PLS — Fu equazioni abeliane di grado n e della classe (1), în 


ciascuna delle quali è [0(x) =] — x" la funzione generatrice delle radici. 


è decomponibile in 


326 V. MOLLAME 


UD 
| 


I teoremi I e V del precedente paragrafo stabiliscono che con qualunque radice 
primitiva di ciascuna delle equazioni 


gr +1 1 ; (1) 


g°H4= _ 1, (2) 


6 n o A È A) % 
nella seconda delle quali r ed 5 Sono due numeri dispari, si può comporre un’e- 


quazione abeliana della classe (I) e di grado n. Ma fra le radici delle dette equazioni 
ve n’ha di quelle che, pur non essendo primitive, hanno però di queste la stessa 
attitudine nella presente quistione. Così se n + 1 è un numero primo ed r ne è una 
radice primitiva, le » quantità 


formate mediante una radice x dell'equazione x"+! = 1 sono radici dell'equazione 


O Pt LP 1L=0 


che è abeliana e della classe (I). Intanto fu dimostrato nel $ 5 che la radice %, 
come ogni altra dell'equazione 2*+! = 1, è pure radice dell’equazione (1), ma non ne 
è una radice primitiva. Sicchè esistono nell'equazione (1) radici le quali quantunque 
non primitive danno luogo però ad equazioni abeliane di grado » e della classe (I). 

Il teorema generale del $ 3 provvede ad escludere dalle radici dell’equazione (1) 
o dell'equazione (2) quelle con le quali non è possibile comporre equazioni abeliane 
di grado n. L'equazione (12) considerata in quel teorema diviene nel caso presente, 
in: cul'èsola)i = 


a 


s=1, (3) 
se si pone 0(x) = 2"; e se invece si pone 0(z) = — 2”, quell’equazione diviene 
HAT, (4) 


dove è 


a 


ei Li 


—1 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 327 


87. 


Or l'equazione generale (3) del $ 3 si ridusse all’ attuale equazione (1) in seguito 


s° . . pa . . °- n E 

all'ipotesi di 6(x) =", per ogni valore di r e di > Ovvero di 0a) = — 2’, ser 
x È È n È ‘+ n > N a a ts NY 
è dispari ed — è pari. Ma se 5 è pari, tale è pure > Che è un divisore di ni 


al quale deve corrispondere un quoziente dispari, e però in tal caso, risultando pari 
il numero e’, ne segue che l’equazione (4) si riduce all’equazione (3) e si conchiude 
che dalle radici dell'equazione (1) son da escludersi solo tutte quelle che tale equa- 
zione ha comuni con le equazioni della forma (3). 

Analogamente si conchiuderebbe che dalle radici dell'equazione (2) vanno escluse 
solo quelle che tale equazione ha comuni con equazioni della forma 


E 


i (5) 


Per quel che riguarda poi le radici + 1 o — 1 che, secondo il teorema del $ 3 
devonsi sopprimere dall’equazione (1) o dalla (2), si ha che 1 è radice comune alla (1) 
ed a ciascuna delle equazioni (3), ed altrettanto, se » è impari, avviene della radice 
— 1 dell'equazione (1). Di guisa che le radici + 1 o — 1 di questa equazione ver- 
ranno da essa soppresse come radici che tale equazione ha comuni con una qua- 
lunque delle (3). Fa solo eccezione il caso nel quale delle equazioni (3) non ne esista 
alcuna; ciò che può avvenire solo allorquando x è una potenza di 2, oppure ENI 
è un numero primo. Giacchè se n è una potenza di 2 non esistono i numeri a e se 


n a 


r° +1 è un numero primo, allora non esistendo i numeri »° + 1, che altrimenti 


n 


sarebbero divisori di r° + 1, non esisteranno neppure i numeri a. Il secondo di 


n 
TE 


questi due casi include il primo: imperocchè se r 


stendo più i divisori r° + 1, non esisteranno neppure i divisori a di n e quindi n 
dovrà essere una potenza di 2. 
Ora, se delle equazioni (3) non ne esista alcuna, è d’uopo sopprimere dall’equa- 
zione (1) solo la radice 1, se r è pari, o solo le radici 1 e — 1 se r è dispari. 
L'equazione (2) poi non può avere nè la radice +1 nè la radice — 1 essendo 


n 


+ 1 è numero primo, non esi- 


è DE ° “x ° AIRES ° ° . x 
in essa 7° + 1 un numero pari. Oltre a ciò, siccome Da dispari, esisterà sempre 


qualche equazione della forma (5), per es. l'equazione 2*+! = — 1, per la quale 


okal=2D 
Si possono ora enunciare i teoremi seguenti. 


. n UAIO . SOR . . ° 
Teorema I. — Siano r ed 5 Que numeri interi e positivi, il secondo dei quali 
non sia una potenza di 2: siano inoltre a, a', a'', ecc. tutti quei divisori positivi di n, 


minori di n, che danno quozienti dispari. Se dall'equazione 


n 


pH 1 () 


328 V. MOLLAME 


87. 


si sopprimono tutte quelle radici che essa ha comuni con le equazioni seguenti 


La dei el 
ag 41, g'+4=1, ga 1, ecc.; (a) 
ovvero se dall’equazione 
> 
+1 — __ le (2') 


nella quale r ed $ si suppongono dispari, si sopprimono tutte quelle radici che essa 


ha comuni con le altre equazioni seguenti 


r rr 
a a 


a 
2 O 2 
albe dated an rl 22 iecei (a') 


le equazioni razionali D(x) = 0, W(x) = 0 che, nel primo caso, o nel secondo, risul- 
tano formate con le rimanenti radici dell'equazione (1'") o dell’ equazione (2'), sono 
decomponibili in equazioni abeliane di grado n della classe (1). 

Le equazioni provenienti dalla scomposizione di ® (x) = 0 hanno per funzione ge- 
neratrice delle loro radici |0(x) =|x"; le altre, relative all’equazione Y (x) == 0, hanno 
per funzione generatrice delle loro radici [0(x) =] — x”. 


Se nell'equazione (1') r è impari ed Di è pari, la decomposizione di d (x) = 0 può 
farsi in due modi: potendosi assumere come funzione generatrice sia [0(x) =) x' che 


[0 (x) =] — x". (Teorema III, $ 5) (*). 


Teorema II. — Le equazioni 


e luo (6) 


=" =0, (7) 
nella prima delle quali r è pari e nella seconda r è dispari, sono decomponibili in 
equazioni tutte abeliane di grado 2"+! e della classe (1). Di tali equazioni, quelle che 
provengono dalla decomposizione dell’ equazione (6) hanno per funzione generatrice delle 


loro radici |0(x) =]x", e quelle provenienti dalla decomposizione dell'equazione (7) pos- 
sono avere per funzione generatrice 0 [09(x) =] x" ovvero [0(x) =] — x (**). 


(*) Le radici delle equazioni ® (x)=0 e Y(x)=0 sono radici abeliane d'ordine n delle equazioni 


(1°) e (2°). Esse potrebbero anche denominarsi radici abeliane di indice r° +1 dell'unità positiva o del- 
l’unità negativa. Nel campo di tali radici trovansi le radici primitive delle equazioni (1’) e (2°). Cfr. la 
nota al $ 4. 


(**) Le radici dell’equazione binomia ei 0, salvo +1, sono tutte abeliane di ordine 2”+1 
Cfr. la nota al $ 4. 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 329 


$ 7. 


m 


Il grado 7° — 1 dell’equazione (7) dovendo esser multiplo del grado 2"! delle 
equazioni abeliane nelle quali essa si decompone, ne segue che, ponendo r = 2p + 1 
deve essere 


Q0+1" —1 


ont = numero intero , 


per ogni valore del numero intero e positivo p. 


19] 8 


a SU ai 7 < . . . 5 
Essendo i divisore di 3 che dà un quoziente dispari, si deduce che r° + 1 
- 
3 ° . gii 
è divisibile per °-+ 1: e però il quoziente ——_- è una funzione intera di x. 
©) 
SOI, 
n a 


Inoltre il quoziente di r° + 1 diviso per ri + 1 è dispari: imperocchè se 9g è il quo- 


» . - AR . 
ziente dispari 7 Si ha 


» n n (07 
paladz ali 


n a n da | 
I 2 2 2 2 
ic, —r i —r 


or la funzione di +, f(r), che è nel secondo membro della precedente uguaglianza ha, 


w STE. 5 i 
È 2 : = - (9 1) | termini, i quali formano 5 : Soa 


differenze che son tutte pari; e però f(r) + 1 è un numero dispari. 


oltre al termine 1, altri 


n a 


. Lea . DT eo 2 HA 
Essendo dispari il quoziente di 7° +1 diviso per r°-+ 1 ne segue che ee 


è una funzione intera di %. 
a’ 


ae 
DSS . . ° IO do +1 9 nea: 
Ciò premesso, siano pu, (x) il massimo comun divisore fra eda F1 
p , a 


i 
DUET], 
(dove devonsi prendere contemporaneamente o i segni superiori o quelli inferiori), 
n 
cani 


(277 iu) 


asi 


ed a*° + P1 e così via; si 


Mb» (€) il massimo comun divisore fra 


avrà allora che l'equazione 


2 e 
r #1 


a) (8) 


(221 la paio 


esprimerà l'equazione ® (x) = 0 o l'equazione Y(x) = 0, secondo che si prendano 
ì segni superiori o quelli inferiori. 
Serie II. Tom. XLIV. o! 


330 V. MOLLAME 


STO 


In particolare sia n = 2*9, dove g è un numero primo: in conseguenza 2 è 
l’unico divisore di » che dà un quoziente dispari. L'equazione ®(x) =0 presente- 
mente diviene 


1 


r +1 
x — 1 


ed il suo grado r?° e — +87 [= +27!(2741 — 1)] deve essere un multiplo 
di n, cioè di 2'9. Posto adunque v — 1= p, si ha l’altro seguente 


Teorema III. — Se q è un numero primo positivo, e sono r e p due numeri in- 
teri positivi qualunque, sarà 


2P( 29(g1 
r (; eri 


1 
gr q 


= numero intero. 


Essendo q un numero primo, il numeratore della precedente espressione deve 
essere divisibile per g: e quindi se q non è un divisore di r, sarà 


RA (e) 
1 = numero intero. 


La precedente eguaglianza per p = 0 dà il teorema di Fermat. 
L'equazione Y (x) = 0 se, come si è supposto poc'anzi, è ”n = 2°9, diviene 


—1 

Ù 5 

di 

x +1 0 
g—1 RR 
LA 


x +1 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 331 


$ 8 


Sia x una qualunque delle radici dell'equazione ® (x) = 0 o dell'equazione 
Y(x)= 0 considerate nel $ precedente e per le quali è (0(x) =) + &” la funzione 
generatrice delle radici. 

La funzione seguente 


y=x + 00 + 0x +... + 0" 


di n radici di ® (x) =0, o di Y(x)=0, rimane invariata se in essa in luogo della 
radice x si pone una qualunque delle altre radici 0x, 0°, ...,0"'x: e perciò y può 
avere solo v valori, se v è il quoziente del grado di ® (x) = 0, o di Y(x) = 0, diviso 
per n. Per la qual cosa y è radice di un’equazione razionale 


VOI (1) 


di grado v, la quale si ottiene con processi noti. 

Se questa equazione non ha radici uguali, con la sua risoluzione si conoscerà 
la funzione simmetrica y di n radici dell'equazione ®(x) = 0 o dell'equazione Y(x)=0, 
e, mediante la conoscenza di y, resteranno determinati, come è noto, i fattori di 
grado » di ®(x) o di Y(x): questi uguagliati a zero forniscono le equazioni abeliane 
di grado » e della classe (I) nelle quali è decomponibile l'equazione ®(x) = 0, o 
baltra Na) =0. 

Questo processo generale può però nei casi particolari essere semplificato. 

Vogliansi, per es., determinare le equazioni abeliane di quarto grado e della 
classe (I) per le quali è r = 3 ovvero r= 2. 

L’equazione 


per r = 3 diviene 


0 1 (2) 


L'equazione (7) considerata nel teorema II del $ 7 è data attualmente da 


22 SU (8) 


cioè da 


332 V, MOLLAME 


8 8. 


Questa equazione deve esser decomponibile in due equazioni abeliane di quarto 
grado e della classe (1) le quali hanno [0(x) = ] «* per funzione generatrice delle 
loro radici. E siccome presentemente r è dispari, così l’equazione (3') si può decom- 
porre anche in altre due equazioni abeliane nelle quali la funzione generatrice è 
[6(x) =] — «°. La precedente funzione y per 0(x) = x* diviene 


y=rx0+boA +e ko, 


cioè 

y=s+es ++ (4) 
giacchè «°° = x°. x = x", in virtù dell'equazione (3). Per 0(x) = — @° la funzione y 
diviene invece 

yqy=% — dB -d+o, (5) 


L'equazione (1) corrispondente alla funzione (4), od alla funzione (5), è di se- 
condo grado: essa può ottenersi eliminando x fra le equazioni (3') e (4), ovvero 


(8) e (5). 


Addizionando membro a membro le equazioni (3') e (4) si ha che 


et.. (6) 


x— 1 


e siccome x è una radice diversa da + 1 dell’equazione (2), così la (6) si riduce 
alla seguente 

iz are d, 
dalla quale si ottiene 


gia al 


e ‘perd'iygicz ili 
Col valore —1 della funzione y si ottiene il seguente fattore biquadratico del 
primo membro dell’equazione (3') 


CkH0o+e2+a+1 
e col valore +1 di y si ottiene, conseguentemente, l’altro fattore 
d-0+a - +1 


Sicchè l'equazione (3') si scinde nelle seguenti due equazioni abeliane della 
classe (I) 


I 


ta +a+xax+1 (7) 


d-%RL+La —xax+1=0, (8) 


SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 999 


8 8 


le cui radici hanno [6(2) =]? per funzione generatrice. L'equazione (8) si ottiene 
dalla (7) mutando « in x, come prescrive il teorema II del $ 5. 
L’altra equazione 


ta 
ef41=_- 1 
nella quale 3 deve esser dispari, non è da prendersi attualmente in considerazione, 
. x x . 
giacchè > (= 2) è pari. 


Le equazioni (7) ed (8) si potevano anche ottenere immediatamente considerando 
che 


TSO GRES cli POI alex | 
ESE AE ATI 


= (+0 +e +ea+Lbla-d+e —-x+1); 


e che se x è radice di una delle due equazioni (7) ed (8) che si hanno uguagliando 
a zero i due precedenti fattori in parentesi, anche [0(x) =]* è radice di quella 
equazione; giacchè si ha 

CL + +R+1=LR +++ +1= 


= +e +x+®+1=0, 
ed 


do +aA-R+1=r0_- da +eoxax-g#+4+1= 


=e+e-e_-#+1=0. 


Oltre a ciò è pure, per n = 4, 


bo RP k gl 
13 38°? = g38 (1433) — (019) == 


Se r = 2 si rinvengono immediatamente di nuovo le equazioni (7) ed (8). 

Per avere l’altra equazione (1) risultante dall’eliminazione di x fra le equa- 
zioni (3') e (5), si moltiplichino ambo i membri della (5) per x e se ne sottraggano 
poi quelli della (3'); risulta così 


ay Reg — 20 
cioè 


m=- ++ Ata 


od anche, tenendo presente l'equazione (3') 


eyg=— 2@+1)+2. 


V. MOLLAME 


$ 8 


Da quest’ultima equazione, notando che x! = 2°, si deduce l’altra 


334 


dyg=4(+a0 +e +e +1)+ 5, 


la quale, in virtù della (3’), si riduce alla seguente 


e questa dà 
y= + y8. 


Mediante il valore — V/5, od il valore +5 della funzione y, l’equazione (3') 


si decompone nelle due seguenti 
ai + V54 + 3e£ + yV5x +1=0 (9) 
i VR RIA LI_L0 (10) 
Sicchè, oltre alle equazioni (7), (8), (9), (10), mediante le radici di +1 non si 
possono formare altre equazioni abeliane, biquadratiche e della classe (1), per le quali 


è r =83, ovvero r=2. 


Catania, 1892. 


i did 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE 


E DEI MASSIMI GENERI 


BEXUNO, SPAZIO QUALUNQUE 


MEMORIA 


GINO FANO 
Approvata nell’'Adunanza del 25 Giugno 1893 (*). 


AI concorso aperto dall'Accademia delle Scienze di Berlino pel conferimento del 
terzo premio STEINER (sopra un tema relativo alla teoria delle curve sghembe alge- 
briche (1)) si presentarono, com’è noto, due celebri Memorie; una dell’HALPHEN (2), 
l’altra del NoETHER (3): pregevolissime entrambe, n’ebbero anzi diviso il premio (4). 
E fra i risultati contenuti in queste Memorie è certo importantissimo il teorema, 
che le curve sghembe di dato ordine e GENERE MASSIMO sono tutte contenute in una 
quadrica (5). Questa proposizione è stata poi estesa dal sig. CastELNUOvo alle curve 
di uno spazio lineare a un numero qualunque r di dimensioni (6), e in luogo della 
quadrica compare in questo caso più generale la rigata razionale normale di or- 
dine r — 1 (7) (o anche, per r = 5, la superficie omaloide F} di VeRronESE (Mem. 
della R. Accad. dei Lincei, 3°, XIX)). Con quest’estensione si può ritenere esaurita 
la determinazione delle varie curve di genere massimo (mt) di uno spazio qua- 


lunque S, (e di ordine > 2r); appunto perchè queste curve ne risultano contenute 


(*) Questa Memoria è tratta dalla Dissertazione di Laurea presentata dall’autore alla Facoltà 
di Scienze dell’Università di Torino nel giugno 1892. 


(1) “ Irgend eine auf die Theorie der hòheren algebraischen Raumcurven sich beziehende Frage von 
“ wesentlicher Bedeutung vollstindig erledigen ,. 

(2) Mémoire sur la classification des courbes gauches algébriques: un estratto di questa Memoria era 
già stato pubblicato nei “ Compt. Rend. de l’Ac. des Sc. , (t. 70, 1870). All'’HarPHEN è pure dovuta la 
tdeterminazione del numero minimo di punti doppi apparenti (ossia del massimo genere) che può 
avere una curva sghemba di dato ordine. 

(3) Zur Grundlegung der Theorie der algebraischen Raumcurven (Berlin, 1888). 

(4) V. “ Sitzungsber der Berl. Akad. ,, 1882; p. 735 (offent. Sitz. vom 29 Juni). 

(5) Proposizione già accennata da Harpmen nei Compt. Rend. (1870). 

(6) Cfr. la Mem. Ricerche di Geometria sulle curve algebriche; ni 23 e seg. (“ Atti dell'Accad. di 
Torino ,, vol. XXIV). In questo stesso lavoro è anzi stato determinato per la prima volta il genere 
massimo di una curva di dato ordine e appartenente a un dato spazio qualsiasi. 

(7) Della quale appunto quella quadrica (dello spazio S3) è caso particolare. 


396 GINO FANO 


in superficie (razionali) molto semplici e di proprietà ben note, sulle quali sarà sempre 


facile costruirle. La questione che si presenta ora invece come — dirò così — 
successiva, e che sembra anche meritevole di essere studiata, è quella di fare una 
ricerca analoga anche per le curve di genere Tr —1, t—-2,..... determinando se e 


quando anche queste possano stare sulla rigata ER’ (0, per »= 5, sulla Fi di Vero- 
nese); ovvero, quando non vi stiano, in quali altre superficie (possibilmente semplici) 
esse siano contenute. E tale ricerca costituisce appunto l'oggetto principale di questo 
lavoro. Già prima ch'io cominciassi ad occuparmene lo stesso sig. CASTELNUOVO mi 
aveva detto di ritenere che le curve di genere t — 1 dovessero stare necessariamente 
— almeno da un certo ordine in poi — su di una superficie a sezioni ellittiche o 
razionali. La proposizione sussiste effettivamente, e si vedranno anzi in seguito enu- 
merati i vari casi che queste curve possono presentare. Uno studio analogo sarà 
fatto anche per le curve di genere n — 2; più in succinto però, perchè molte loro 
proprietà si potranno poi stabilire facilmente e con ragionamenti affatto identici a 
quelli già usati per le curve di genere m — 1. E sarebbe forse interessante il cercar 
di estendere questi stessi risultati anche alle curve di genere m — 3, m — 4,..... €, 
in generale, 7 — %X; ma di questo (come dico pure alla fine del $ 8) non intendo per 
ora occuparmi. i 

A questa ricerca fa seguito, come appendice, una breve Nota, nella quale, ap- 
plicando quel concetto, ormai notissimo, ma sempre fecondo (1) a cui è informata 
la Neue Geometrie des Raumes di Gruoio PLUECKER e a cui pure si informarono in se- 
guito parecchi lavori di altri scienziati — e primi fra tutti quelli del sig. KLEIN —, 
si deducono dai risultati ricordati e ottenuti in questo lavoro alcune proprietà di 
certe rigate e congruenze di rette appartenenti al nostro spazio (2). 


gi) 
Genere massimo di una curva 


che sta sopra un dato numero di quadriche. 


1. Il signor CasteLNnuovo dopo aver determinato nelle sue Ricerche di geometria 
sulle curve algebriche (Atti della R. Ace. di Torino, XXIV) il genere massimo di una 
curva di ordine » (C") appartenente allo spazio S, (3), dimostra che : 


(1) © Die Liniengeometrie ist wie die Geometrie auf einer M; des R; , (Cfr. F. Kern: Ueb. Linien- 
geometrie und metrische Geometrie; “ Math. Ann. ,, V. p. 261). 

(2) Mi è caro rinnovare qui i più vivi ringraziamenti al prof. C. Sere, che mi iniziò allo studio 
delle curve algebriche e della Geometria sopra queste (nelle sue lezioni di Geometria sopra un ente 
algebrico, dettate nell'Università di Torino l’anno acc. 1890-91), e al prof. G. CasteLnuovo dell’Uni- 
versità di Roma, che volle anche gentilmente dirigermi in queste ricerche. 

(8) Questo genere massimo (che noi in seguito indicheremo sempre colla lettera t) egli lo trova 
espresso da 


r 
Xin —- 9 rr 9 


dove x è il minimo intero non inferiore a Sn (cfr. loc. cit., 27). Questo stesso risultato fu poi | 


ridimostrato, circa un anno più tardi, dal prof. E. Bertini nella sua Nota: Intorno ad alcuni teoremi 
della Geometria sopra una curva algebrica (£ Atti dell’Accad. di Torino ,, XXVI). In questo lavoro si 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. SIOU 


Per una curva di S, d'ordine n => 2r e del massimo genere passano ("3°) quadriche 
linearmente indipendenti; e ogni altra quadrica passante per una tal curva appartiene 
al sistema lineare di quelle. — La prima parte dell’enunciato è vera anche se l’or- 
dine della curva è inferiore a 2r; ma per questa curva potranno passare allora 
anche più di ("3') quadriche indipendenti (1). 

Da questo risultato egli deduce poi che: 

Se n > 2r, la curva d'ordine n e di genere massimo di S, sta in una superficie a 
due dimensioni d'ordine r — 1; superficie che, come sappiamo, è sempre rigata se r 
è diverso da 5 (2), ma può non esserlo nel caso di "= 5 (superficie di VeronESsE) (8). 
Questa superficie è comune a tutte le quadriche passanti per quella curva, e costituisce 
anzi precisamente la varietà base del loro sistema lineare (4). 

La dimostrazione che il sig. Castelnuovo dà di quest’ultima proposizione si ap- 
plica anche a qualsiasi curva di S, di ordine n > 2r per la quale passino ("3°) quadriche 
indipendenti (sia o non sia questa curva di genere massimo) (5) (6). 


trovano anche generalizzate alcune delle proprietà che condussero il Castelnuovo a quella deter- 
minazione, e ne sono accennate alcune fra le possibili applicazioni. 

Non occorre avvertire che il genere massimo da noi indicato con mr è sempre funzione dell’ or- 
dine » della curva e della dimensione 7 dello spazio cui essa appartiene. Per brevità ci asteniamo 
dall’usare per questo una notazione più espressiva, scrivendo ad es. 11) n, 7 {: e ciò perchè, anche 
in seguito, non ci sembra vi sia pericolo di confusione. 

(1) Ci sia concesso, ora ed in seguito, di parlare semplicemente di quadriche indipendenti, sot- 
tintendendo per brevità il linearmente. 

(2) Cfr. Der Pezzo: Sulle superficie dell’o° ordine immerse nello spazio Sn41 (‘ Rendiconti della 
R. Accad. di Napoli ,, 1885). 

(3) La superficie omaloide normale a due dimensioni del quarto ordine dello spazio a cinque dimen- 
sioni e le sue proiezioni nel piano e nello spazio ordinario (“ Mem. della R. Acc. dei Lincei ,, serie 32, 
vol. XIX, 1883-84). 

(4) Nel caso di una superficie rigata, come osserva anche il sig. Castelnuovo, il numero x aumen- 
tato di un'unità dà il numero dei punti in cui la curva considerata incontra le varie generatrici 
di quella stessa rigata. Però, per le curve il cui ordine è un multiplo di » —1 aumentato di una 
unità, questo stesso numero può anche esser dato dalla somma x-t 2. Segando infatti la rigata R"* 
con una varietà M*_, che non le sia tangente in alcun punto, ma passi per r — 2 sue generatrici, 
otteniamo come intersezione (residua) una curva di ordine n= (kE — 1)(r —1) +1 incontrata da ogni 


generatrice in X punti; e perciò, per una nota formola, di genere (35) (r — 1), cioè appunto di 


genere t. E il numero x, in questo caso precisamente uguale a dui, vale soltanto £ — 2 
(onde t=yx 4-2). 

La formola cit. è quella data dal sig. Sere nella Nota: Intorno alla geometria su una rigata 
algebrica (° Rendic. R. Accad. dei Lincei ,, 1887), e da lui stesso poi generalizzata nella Nota suc- 
cessiva (stessi Rendic.): Sulle varietà algebriche composte di una serie semplicemente infinita di spazi. 

(2 novembre) L'osservazione contenuta in questa nota è stata fatta anche recentemente dal 

| sig. Castelnuovo, in un lavoro inserto nei “ Rend. di Palermo , (t. VII, p. 97). 

(5) Questa sola proprietà (l’essere contenuta cioè in (5) quadriche indipendenti) basta infatti 
per concludere che le n intersezioni della curva C” con un S,_j (intersezioni che possiamo ritenere 
ad 7 ad » indipendenti) non imporranno certo alle quadriche di quest’ultimo spazio che le conten- 
gono più di 2r —1 condizioni distinte. E il sig. Castelnuovo fa vedere appunto (cfr. loc. cit.: 30) che 
in tal caso, se x > 2r, quelle x intersezioni dovranno stare sopra una curva razionale normale di 
ordine »r — 1, che sarà pur contenuta a sua volta in tutte le quadriche passanti per quegli stessi 
n punti. E dalla curva CT! di S,_; si risale poi subito alle superficie E! di $,. 

(6) Questi risultati ottenuti dal sig. Castelnuovo e qui ricordati si possono anche estendere al 


Serie II. Tom. XLIV. RI 


338 GINO FANO 


2. Una curva di S, la quale stia sopra meno di ("z') quadriche indipendenti non 
potrà dunque essere di genere massimo (t)— e non starà sopra una rigata razionale 
normale, nè sulla superficie di Veronese (se r = 5) —. 

Si presenta dunque, di per sè, la questione: Sapendo che per una certa curva 
C; appartenente a S, passano solo ("z) — è quadriche indipendenti (0 almeno non ne 
passano di più), determinare per il genere p di questa stessa curva un limite superiore 
(possibilmente diverso da , e precisamente inferiore a questo, se dè > 0). 

A questa domanda si può rispondere facilmente, con un ragionamento analogo 
a quello con cui il Castelnuovo giunse alla determinazione del genere m. E noi di- 
mostreremo precisamente che : 

Il genere p di una curva normale (1) d'ordine n appartenente a S, per la quale 
passino non più di ("3')—d quadriche indipendenti non può mai superare il limite 


+1 Tati 
xo fn SÈ — My {fx 1}d 


n—-r—òd 
DRESA. ® 
Questo risultato comprenderà come caso particolare (d = 0) quello già ottenuto 
dal sig. Castelnuovo. i 
Infatti, per le nostre ipotesi, la serie lineare (di ordine 2x) segata sulla curva C; 
dal sistema di tutte le quadriche di S, sarà di dimensione 


dove Xs è il minimo intero non inferiore a 


caso in cui, invece di quadriche, si vogliano considerare varietà pure di dimensione » — 1, ma di 
un ordine qualunque % = 2. E si ha precisamente: 
Per ogni curva appartenente ad Sr e del genere massimo passano almeno 


(eo 


varietà Mi; linearmente indipendenti. Indicando questo numero per brevità con (x, 4), possiamo 
aggiungere: 

Quando l’ordine della curva di genere massimo è superiore a k(r — 1) per essa passano precisa- 
mente (r, k) varietà Mi, indipendenti; e ogni altra ME, che la contiene appartiene al sistema 
lineare di queste. La dimostrazione si può fare per induzione completa da % a X-+1, osservando 
che le Mà_, passanti per una curva (irriduttibile) appartenente a Sr e per un dato S,__1 (di questo Sr) 
sono tante quante le Mil che contengono quella stessa curva. E infine: 

Se per una curva appartenente ad Sr e di ordine n >k(r—-1)+2 passano (r, k) varietà M*_, 
indipendenti, questa curva starà su di una superficie razionale normale di ordine r — 1 comune a tutte 
quelle varietà. Questa proposizione si applica in particolare alle curve di genere massimo; da essa 
deduciamo altresì che, se una curva di Sr è contenuta in (r,%) varietà indipendenti di un certo 
ordine %, ed è a sua volta di ordine > X(r—1)+2, essa dovrà anche stare sopra almeno (#, #) 
varietà indipendenti di ogni altro ordine 4 => 2. 


Anche le ricerche che andremo ora facendo per curve contenute in sistemi lineari di quadriche 


di dimensione inferiore a (50) — 1 potrebbero estendersi al caso di sistemi di varietà MESSE ma 


già il calcolo analogo a quello che faremo nel n° 2 riuscirebbe molto complicato; ci basti quindi 
di aver accennata la possibilità di questa estensione. 
(1) Si potrebbe anche omettere questa restrizione, e supporre la curva normale per un $,,;, 


modificando solo opportunamente il limite superiore che segue. Ho preferito tuttavia dare al teo- 
rema questa forma (più semplice) perchè sarà solo a curve normali che dovremo applicarlo. Si può 
anzi ritenere, come sappiamo, che una curva speciale (di quelle non speciali non avremo ad occu- 
parci) sia anche, in generale, una curva normale. 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 359 


CAI Irreni 9 M piid 


ossia 
d=>3r+t+td—_ 1 
Supponiamo che questa serie gì, sia speciale. Sarà allora speciale — perchò 
contenuta in quest’ultima — anche la 9g; segata su C; dagli iperpiani (S,_.) di S,, 


e speciale la curva stessa. Essendo questa normale, ogni gruppo di quella 97 im- 
porrà a un gruppo della serie canonica (98) che debba contenerlo un numero W di 
condizioni precisamente uguale a n — r. D'altra parte, se indichiamo con w il nu- 
mero (minimo) delle condizioni imposte pure da un gruppo di 9, a un gruppo della 
serie residua 983%! che debba contenerlo (e di gruppi così fatti ve ne saranno 
certo) avremo, per una delle relazioni stabilite dal Castelnuovo (1), 


dz= 2n — (uu + Ha) 
(e ciò risulta anzi evidente, quando si pensi al significato della somma pu + H); e 
quindi, a fortiori, 


3r + d — 1<2n— (i+ Ha) 
ossia 


M + ue Ss 2n — Br — d | 1. 


E tenendo conto infine della relazione u, = n» — r ossia 


(1) u=a—- (r-1)—- 1 
se ne deduce quest'altra: 
(ra) ei A 


Osserviamo poi che sarà precisamente 2x — (u, + us) la dimensione della serie 
completa di ordine 2» che contiene la gî, — se questa già non è completa (2) — 
e quindi le varie coppie di gruppi di 97 (3). 

Se si ha poi ancora 


(03) H+ 2 — (1) < p 


si dimostra facilmente (cfr. CAstELNUOVO, 1. c., ni 25 e seg.; BERTINI, ni 5 e seg.) che 


anche a un gruppo della serie gt! residua della g}:-(t) si può imporre di 


contenere un gruppo arbitrario G, di 97; e che, indicando con w; il numero minimo di 


(1) La relazione generale (loc. cit., 28) sarebbe 


p=kn_-(4ht bat -.... 4) 


dove p è la dimensione della serie lineare segata su Cp dal sistema di tutte le Mî_, di Sr. Questa 
formola si applica qui per X=2. 

(2) E sarebbe completa appunto nel caso estremo d = 2% — (U —- po). 

(3) Di queste serie multiple di una data serie lineare si è occupato recentemente (e in modo 
più particolare) lo stesso sig. CasreLnuovo, nella Nota: Sui multipli di una serie lineare di gruppi di 
punti appartenente ad una curva algebrica (“ Rend. di Palermo ,, t. VII). In questo lavoro si trova anche 
determinato nuovamente il valore del genere massimo , per una via sostanzialmente non diversa, 
ma forse più semplice, di quella tenuta nelle Ricerche (2 novembre). 


340 GINO FANO 


punti di un tal gruppo che devono stare nel primo, perchè questo lo contenga per 
intiero, si dovrà avere 


us UU —- (f_-1) 
ossia 


(T3) a = mit (n= dd, 


Segue pure da ciò che le terne di gruppi G, sono a lor volta gruppi speciali 
Ss gruppi Sp ’ 
e appartengono precisamente a una serie speciale completa di ordine 38n e dimensione 


n — (Wi + Ma AF Ms). 


E se ora estendiamo alle p,..... PRIZE le definizioni date per 41, Me, 4, nell’ipo- 
tesi, s'intende, che siano soddisfatte le successive relazioni i 


(0,) Md bo + 2 — (1) < p 


(02) MP + Mo +... a e e) 
troveremo facilmente che anche per queste nuove u si ha in generale 


i reati CAO) 


e quindi 
(14) usn— 4-1) d_-1 
(73) uen_ 5-1) —-d_- 1 
(rà u sn — krf_-1)—- d_- 1 


dalle quali relazioni si deduce immediatamente 


idea one (5°) GC-D-Mb-@+) 
ovvero anche 


fi + pe ++ ii +2 — D+ + 


Il numero £ si supponga ora precisamente tale che, essendo pur verificate le 
relazioni a;) per è < %, non lo sia più la 0,,,); ma si abbia invece 


ber en e e) 


(1) Supposto cioè che si verifichi la (0,), chiameremo p, il numero minimo di punti di Gn che 


devono trovarsi in un gruppo della serie residua della gare (tir Phat ho] perchè questo gruppo con- 


tenga tutto Gn medesimo, ecc. ecc. 

(2) È chiaro che un valore così fatto di % dovrà sempre esistere (cfr. anche CastELNUOVO, loc. cit.). 
Potrebbe però essere X#=2 (non essere cioè già più soddisfatta nemmeno la (a3)), — e allora do- 
vremmo naturalmente fermarci alla relazione (Ya) —. 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 341 


Allora da queste ultime due relazioni seguirà immediatamente 


(a) ps|jrt+1]fn-t}!- @+ 7) 
e questa stessa disuguaglianza sarà anche soddisfatta, per X = 1, se la gi, è non 
speciale. In tal caso si avrebbe infatti, per un noto teorema, p = 2% — d; e quindi, 
a fortiori, p< 2n — 3r +1— è. 
Esisterà dunque certo, in ogni caso, un valore di £ soddisfacente alla relazione (a). 
Ma il secondo membro di questa stessa relazione può scriversi anche così : 


a+ (etti) 4a] 


2 2 2 ) 


e diventa perciò massimo quando i due fattori 


(& + 


e 


121 

1) — 

) 

la cui somma è costante sono uguali fra loro ed eguali quindi entrambi a 


DO PA (ai SE 27! 
Dia ai È 


Questo si otterrebbe prendendo £ + 1 = “ ato? +3 -; ma dovendo nel nostro 


caso k (e quindi % -- 1) essere un numero intero, basterà ni prendiamo per esso 


r— d 


a DS nIOS 5 E 1 5 3 Co È È 
l’intero più vicino al valore medesimo 1 _ go Ossa il minimo intero non in- 


feriore a nroì (ADE 


Indicando perciò questo stesso intero con xy, è chiaro che si dovrà avere in 
ogni caso 


r+1 r—1 


pewin—- 53 wi] [xw-1}d 


e questo è appunto quanto si voleva dimostrare. 
Come conseguenza (sebbene quasi evidente) di questo teorema e di quelli ricor- 
dati al n° 1, abbiamo: 


Una curva di S, la quale sia di ordine n > 2r e di genere 
"+1 —1)} 
Pony ca im +1 


7 Di , ; . n_—-r—-1 2 : 
{dove X1 è il minimo intero non inferiore a notai) sta sempre su di una superficie 


di ordine r — 1 comune a tutte le quadriche che la contengono. 


(1) Se io 


77° fosse precisamente un numero intero, 1’ espressione considerata di sopra assu- 


merebbe lo stesso valore massimo per X 4-1 eguale a questo intero, o anche al successivo (all’intero 
cioè immediatamente superiore). 


342 GINO FANO 


UO 
DD 


Sull’ordine di una curva per la quale deve passare 
un dato numero di quadriche. 


8. Il risultato semplicissimo ottenuto nel $ precedente ci permetterebbe di sta- 
bilire subito un minimum per il numero delle quadriche che passano per una curva 
di dato ordine e genere e appartenente a un dato spazio (o almeno di stabilire un 
tal minimum in modo nuovo, se la curva è non speciale). Ma per noi ha molto 
maggior importanza lo studio della questione seguente: Determinare possibilmente un 
ordine dal quale in su una curva di S,, supposta normale (1) e di genere n —k (dove 
k ha un valore assegnato ad arbitrio) (2), stia necessariamente sopra almeno ("3") — d 
quadriche indipendenti. Di una tale ricerca ci converrà ora occuparci. 


Sarà condizione sufficiente per quanto si richiede che si abbia : 


RA O A A TA ( | 
T k>yx n 3 aa enni 10, 1}{b+1] 
dove n è l’ordine della curva e y' indica il minimo intero non inferiore a ATI (3). 


E chiaro che, quando nessuno dei numeri 


n-r—-d0—1 n—- rd n—-r—-1 
r-1 i RIZZA r—- 1 


7 D v Ò ES È ò 5 nT_- N OS 
sia intero, lo stesso x" è anche il minimo intero non inferiore a 71: e perciò la 
TE 


relazione scritta testè — sostituendo a il suo valore — si riduce subito a que- 
st’altra 


Pe 


S i + 1. Se dunque indichiamo con / il resto della divisione di % per 


d+ 
. k—_—-1l 
ò USV AE 
d + 1, basterà che sia y' = voy 
nr k—-l1 
pe: > +1 


(1) n= ital}, _ ile 


ossia y' > 


+ 2, e per questo è sufficiente (e anche necessario) 


L 1, ossia 


(1) Questa condizione la troveremo però, nella maggior parte dei casi, già di per sè soddisfatta 
(cfr. anche la nota seg.). 
r+1 1 


2 Pmi i 


(2) Il genere di questa curva sarà dato dunque dall’ espressione Xx}x — 


& n 9 QUID è . ° n—-r 
dove x (= xo) indica il minimo intero non inferiore a =". 


sarebbe certo normale quando il suo ordine superasse un certo limite (che dipenderà dal valore di €, 
e sarebbe anche facile da determinare). 
(3) Scriviamo per brevità x" anzichè Xg +1 (cfr. $ preced.). 


Avvertiamo poi che la curva stessa 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 343 
" «nr T_-d-1 —r—l,. +. < 
Se dunque nessuno dei numeri Sn orsi è intero, basterà che 


l'ordine della curva considerata non sia inferiore a 


ae DA: 
(Users afjr_1}42 


4. Supponiamo ora che fra quegli stessi numeri ve ne sia uno ed uno solo in- 


tero (non ve ne sarà certo più di uno se dò <r — 1); e sia questo y' = abri 
dove 0 < 4 < è (1). Sarà quindi 


=D DA 4-2; 


e allora basterà che si abbia 


Ex STE RE) STAMERENII Ì 
n k>x | n 2 xa | ix 1} {xt} 


Cosi 


ossia 


SES | I 
N A Goria e A SAP 
ovvero ancora 
n_-r_(n—-rT_-h_-1)-k>—}yx-<1{}d+1, 


che si riduce a 
kt—-h<1 


EE TO tl. 


N 


E questa condizione è certo soddisfatta se = numero y' si prende uguale o su- 


periore a i + 2 (2), e lo è anche per xy = dl =" a 1, purchè però sia h =>! 


È dunque sempre soddisfatta per 
kt 1 
(2) n ao 1}41+2 


nella qual disuguaglianza è contenuta anche la (1). 
Concludiamo dunque che: Una curva normale di ordine n e genere 7 — k, la quale 


appartenga allo spazio S,, sta sempre sopra ("3°) — è quadriche indipendenti (d < r —1) 
quando 


dove 1 è il resto della divisione di k per d +1 (3). 


ner—0=1 

r_1 i 

(2) Con 7 indichiamo sempre il resto della divisione di X per d-{- 1. 

(3) Si potrebbe determinare un limite analogo per l'ordine » anche nel caso di èò=>r— 1; ma 
il calcolo (pur non offrendo alcuna difficoltà) riuscirebbe alquanto più complicato, sicchè, per il 
momento, non ce ne occupiamo. 


(1) Qui ancora dunque x è il minimo intero non inferiore a 


344 GINO FANO 


Come primo caso particolare molto notevole abbiamo : 

Una curva C_, di S, sta sempre sopra ("3') quadriche indipendenti — e quindi 
sopra una rigata razionale normale o una superficie di Veronese comune a queste qua- 
driche — quando 


n= kK+2C_-1)+2 00Q60. 


E così pure: Una C?_, normale di S, sta sempre sopra non meno di (3°) — 1 


quadriche indipendenti quando 


n="*+°(r 1) +2 oppure n= >°(r_1)+8 

secondo che k è numero pari 0 dispari. 

Per dò =%— 1, abbiamo: Nello spazio 5, una curva normale di genere t—-k (k<r) 
e di ordine non inferiore a 3r — 1 sta sempre sopra almeno ("3') — k + 1 quadriche 
indipendenti. i 

Ponendo infine è = % si ha: Per una curva normale C%_, di S, (dove k<r—1) 
passano sempre almeno ("3') — k quadriche indipendenti, quando sia n => 2r + k. Però 
un ragionamento quasi ovvio ci convince facilmente che una tal curva sta sempre 
sopra non meno di ('(3')—k quadriche indipendenti (qualunque ne sia l’ordine). — 
L'ordine 2r + £ è quello dal quale in su la curva C?_, è necessariamente speciale. 


$ 3. 


Alcune osservazioni sulle curve contenute 


in una rigata razionale normale. 


5. Dalle poche cose esposte finora appare già come, fra tutte le curve di S,, 
debbano avere una certa importanza quelle contenute in una rigata razionale nor- 
male R'- (perchè su di una tal superficie (4) stanno appunto le curve di S, di 
genere t — k, da un certo ordine in poi). Mi sembra perciò opportuno di fare qui 
senz'altro su queste curve alcune osservazioni, per quanto semplici, delle quali avrò 
a valermi (e spesso) in seguito. 


(1) La parte relativa alla superficie E°! cessa però di sussistere, per X=0, nel caso estremo 
n= 2r. 

(2) In questo caso il limite inferiore dato per l'ordine n è tale che la curva C7_y risulta già 
di per sè normale. 

(3) In particolare una curva C%_j dello spazio S3 starà certo sopra una quadrica quando 


n= 8 (se di genere t— 2 invece, quando # > 10; ecc.). Questi risultati rientrano in quelli ottenuti 
dal sig. ALrnEN e già accennati da lui nei Compt. Rend. 
(4) Colla sola eccezione, per = 5, della superficie di Veronese. 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 345 


Sulla rigata razionale normale di S, si abbia una curva di ordine n e genere 
p= © — È, la quale incontri ogni generatrice in m punti e sia priva di punti 
doppi (1). Allora, oltre alla relazione 


x NEON pat r—1) 
pe=n_-k=xX)n 9 Wa 
dove x è il minimo intero non inferiore a “i avremo anche quest'altra : 
vr+1 rT_1 ; 
p=(m-1)(n- til m- pz) 0). 


Uguagliando fra loro queste due espressioni del genere p della nostra curva, 
si deduce facilmente 


=: 1477 
(1) ixom+1|]f{n-1-]x+m{53]j=k 


Questa relazione può sussistere qualunque sia », se X è nullo, purchè si abbia 
x=m — 1 (ossia m=x + 1) (3). In casi particolari potrebbe annullarsi anche 
il secondo fattore, ma si vede subito che, fra le soluzioni che se ne ricaverebbero, 
la sola di cui si debba tener conto è quella che si avrebbe per m=x+ 2 (e 
questo anche va d'accordo con quanto si è detto nella nota (4) a pag. 5). Ma se in- 
vece % è diverso da zero, l’ordine n della nostra curva dovrà soddisfare a certe 
condizioni che ora determineremo; e così pure, volendo che esista sulla rigata R'_ 
una curva C; priva di punti doppi, non potremo più dare ad arbitrio il numero % 
per cui p+k%=n. Pongasi infatti 


n=YX}r-1}++1 


(essendo perciò 0 < Z < r — 1). Allora la relazione (1) potrà anche scriversi: 


E OL mio 


e ponendo ancora per brevità x — m + 1=, vediamo che il numero % dovrà 
sempre essere del tipo 


(2) Fe + W 


(1) Sulla rigata razionale normale un punto che sia doppio per una curva tracciata su di essa 
conta sempre come due fra le intersezioni della stessa curva colla generatrice che lo contiene (e 
influisce quindi direttamente sul genere della curva). Ciò perchè la rigata razionale normale non può 
avere essa punti doppi (cfr. anche C. Sere: Recherches générales sur les courbes et les surfaces réglées 
algébriques; Ile partie; “ Math. Annalen ,, XXXIV). 

(2) Che si ottiene applicando una formola del sig. Sere già ricordata in una nota preced. (n° 1). 


(3) E così appunto si ottengono, sulla rigata R'-!, le curve di genere m appartenenti a Sr. 
Serie II. Tom. XLIv. s' 


346 GINO FANO 


dove h è intero (e non nullo, se vogliamo sia X > 0). Dalla stessa relazione 
n=YX}vr — 1{ ++ 1 si ricava poi 


(3) n=l+1 (mod. » — 1). 


Perchè possa dunque esistere sulla rigata R'"! di S, una curva Ci _,, (% > 0) priva 
di punti doppi è necessario che il numero k e l'ordine n siano nello stesso tempo l’uno 
del tipo (2) e l’altro del tipo (3) (1). Questo stesso risultato può ritenersi valido anche 
nel caso di X=0, perchè allora la relazione (2) è sempre soddisfatta per % = 0, 
e lascia anzi del tutto indeterminato il numero /, sicchè la (3) non impone più al- 
l’ordine n alcuna restrizione. 


6. Ma se la relazione (2), per un dato valore %, è soddisfatta da una certa coppia 
di valori particolari di % e di ! (2), essa rimarrà del pari soddisfatta quando le 
stesse 4 e / si mutino rispett. in hL'= — he l'=r —1—-! (8); perciò, per un 
dato valore 


pie Ses (a Ir, 


non saranno possibili (4) soltanto gli ordini n dati dalla (3), ma anche quelli per cui 
(25) n= — 14 1 (mod. r — 1). 


Nelle relazioni (3) e (3') sono però compresi tutti i casi possibili. 
Le curve Cz_, delle quali è così prevista come possibile l’esistenza esistono 


anche effettivamente, almeno a partire da un certo ordine, da un certo multiplo 
cioè di r — 1 aumentato di 2 + 1 o diminuito di Z — 1 (ordine e multiplo che di- 
penderanno naturalmente dal numero %). Le curve il cui ordine è del tipo (3') si 
possono tutte ottenere segando la rigata con una varietà M? , che non la contenga 


r—1 

e non le sia tangente in alcun punto, ma passi per %{(r — 1) + — 1 sue genera- 
trici (5). L'ordine x della varietà sarebbe il numero dei punti in cui si vuole che 
la curva seghi ogni generatrice (6). — Invece le curve il cui ordine è del tipo (3) 
non si possono più segare con varietà di ordine eguale al numero dei punti in cui 
esse tagliano ogni generatrice, ma solo con varietà di un ordine alquanto più ele- 


(1) Ed è chiaro che, dati ad arbitrio X e » (ed 7), non esisteranno in generale due numeri 
interi % e 7 per cui queste condizioni siano soddisfatte. Dato n è determinato 7, e dato % è deter- 
minato 4 (colla condizione 0<=»x— 1); ma nell’uno e nell’altro caso il valore di % o rispett. / 
che ci è dato poi dalla (2) non sarà in generale intero. 

(2) Valori che, ove esistano, saranno sempre determinati e in modo unico, quando sia X> 0 e 
si voglia altresì 1>0; 0<I1<,—- 1. 

(3) Nel caso limite 7=7 — 1 si potrebbe anche mutare %X in — (+ 1) e ritenere  =r — 1; 
allora anche per 7 si avrebbero i limiti 0<7 = r— 1. 


(4) Possibili, in quanto cioè possano esistere sulla rigata R"-! curve di ordine » e genere T — 
prive di punti doppi. 

(5) Essendo % e ? definiti dal valore dato di % (cfr. anche la nota (2) qui sopra). 

(6) Si può dimostrare anzi, più generalmente, che ogni curva priva di punti doppi e tracciata 
su di una rigata razionale normale R"— in modo da incontrarne ogni generatrice în x punti può otte- 


TIVA . ; . 19018 x » . A 
nersi come intersezione della stessa rigata con una varietà M,_j quando il suo ordine non sia supe- 


SOPRA LE CURVE Di DATO ORDINE, ECC. 347 


vato (1); e l'intersezione residua deve essere precisamente una curva di ordine 
h(r 1) —!— 1 incontrata da ogni generatrice in 24 — 1 punti, quando sia 1<r— 2; 
e una curva di ordine (f +1) (r — 1), o rispett. (h-+1)(r — 1)— 1, incontrante 
ogni generatrice in 24.4-1 punti quando sia invece /=r —2 0 r — 1. Curve così 
fatte esistono sempre sulle rigate (o almeno su quelle di uno o più gruppi) (2); 
potranno però essere riduttibili, e anzi nella maggior parte dei casi dovranno essere tali. 

In particolare, noi potremo segare sulla rigata R'7* delle curve di genere n — k, 
dove o3zk<r—2, mediante varietà M*_, condotte per r — 2.-+ k generatrici di detta 
rigata, o per una direttrice di questa di ordine r — 2 — k. 

Se la varietà M? 


r-1l 


(9) 6 


si conduce invece per 2r — 4, 2r — 3, 2r — 2, 2r — 1, ecc. 
generatrici, la curva d’intersezione residua sarà del genere massimo (t) diminuito 
rispett. di r — 2, r - 1, r+1,r+-3, ece. unità. 

Si vede facilmente che le due serie di ordini n date dalle relazioni (3) e (3') 
non possono coincidere, se r > 3, che per Z=r — 1; quando cioè £ è del tipo 
Ah+1) 

2 
se {= 1, quanto se = 2). E nello spazio ordinario si trova precisamente che: /l 


genere di una curva priva di punti doppi e giacente su di una quadrica è superato dal 


(r — 1) (3). Invece per r — 3 questa coincidenza ha luogo sempre (tanto 


genere massimo corrispondente all'ordine di essa di un numero che è sempre quadrato 
perfetto o prodotto di due numeri naturali consecutivi, secondo che l'ordine anzidetto è 
pari 0 dispari (4). 

Osserviamo infine che le cose dette in questo $ per curve prive di punti doppi 
valgono anche per curve di genere m — & e con un certo numero &' di punti doppi, 
purchè al valore % dianzi considerato si sostituisca la differenza % — k'. Ciò segue 
immediatamente dalla formola cit. del sig. Secre (Rend. Lincei, 1887), dalla quale 
si deduce anche subito che la differenza % — #' non può mai essere negativa (5). 


riore a x(r—1). — Il genere di una tal curva (supposta di ordine n) sarebbe infatti = (e —1)n — 
— )r + (€31). Di più, se n <x(r—1), la gg, segata su di essa dal sistema di tutte le MZ_, 
di S, è certo non speciale; la dimensione di questa serie sarà perciò S n + (3) r_ (5) e per 
la curva stessa dovranno passare almeno ("£°) — n— (3) "+ (€51) 1 varietà M7_; indipendenti. 


Ma per la rigata non ne passano che ("i") — (##!) r+ (8) — 1 (cfr. anche l’ultima nota al n° 1); 


e À Ò Z . 8 5 è r-1)—% gi ari I È 
vi sarà quindi, nelle nostre ipotesi, un sistema lineare almeno 00°—!)7" di varietà M7_) passanti 


per la curva C° e non per la rigata, — il che basta a provare il nostro asserto. Questa proposi- 
zione fu già dimostrata nel caso di «==2 (e in questo stesso modo) dal sig. Seere (Recherches 
générales ete., I, 20; © Math. Ann. ,, XXX). 

(1) E un ordine certo abbastanza elevato possiamo determinarlo facilmente in ogni caso, osser- 
vando che una curva priva di punti doppi e tracciata su di una rigata razionale normale in modo 
da incontrarne ogni generatrice in x punti può sempre ottenersi come intersezione della stessa 


rigata con una varietà MZ*f, purchè il suo ordine sia inferiore a let+5| }r — 1{+ 1. La dimo- 


| strazione si conduce in modo affatto analogo a quella della nota precedente. 

(2) Per la distinzione delle rigate razionali in gruppi, v. C. Seerr: Sulle rigate razionali in uno 
spazio lineare quelunque (“ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XIX). — E si noti che 
questa diversità fra i varî gruppi si presenta già, come vedremo subito, per i valori più piccoli di &. 

(8) Allora infatti la (8) e la (39) si riducono entrambe a n=1...(mod. r— 1). 

(4) Questa proposizione si trova sostanzialmente già in Harrnen (“ Compt. Rend. ,, t. 70). 

(5) Il sig. CasreLnuovo nella Nota cit. dei Rend. di Palermo (n° 10) ha dimostrato anzi che questa 
stessa differenza X — % è sempre > 0 per qualsiasi curva (irriduttibile) 0? di S, (in altri termini, 


che il numero %' dei punti doppi di una C; deve essere < T— p). 


348 GINO FANO 


8 4 


Varietà basi di un sistema lineare co (":')-: di quadriche. 
Dimostrazione di un teorema relativo a questi sistemi. 


". Fatte queste poche osservazioni sulle curve contenute in una rigata razionale 
normale R" di S,, e quindi in ("3') quadriche indipendenti (e non in un numero 
maggiore, se l’ordine loro supera 2r — 2), torniamo allo studio delle curve Cj di S, 
contenute in sistemi di quadriche di dimensione soltanto ("7') — i; (î > 1). 

E proponiamoci anzitutto la questione analoga a quella di cui si occupa il 
sig. Castelnuovo al n° 30 delle sue Ricerche: la determinazione cioè delle possibili 
varietà basi di questi sistemi. Si vede facilmente che nello spazio S, un sistema 
lineare di quadriche di dimensione ("3!) — è non può avere (almeno per è < 7 — 2) 
una varietà base appartenente a S, stesso e di dimensione superiore a due. Suppo- 
niamo infatti che un tal sistema di quadriche abbia una M$ base (irriduttibile) ap- 
partenente a S,. Segandolo con un S,_3 non contenuto in alcuna sua quadrica, — il 
che (come osserva anche il sig. Castelnuovo per il caso di î = 1) è sempre possi- 
bile —, avremo in questo spazio un sistema lineare di quadriche (M?_,) pure di 
dimensione (31) — î, e con x punti basi — in generale — dei quali possiamo anche 
supporre che mai 4 + 1 (K < r — 3) stiano in uno stesso S,_,. Se fosse dunque 
x > i — 1, bisognerebbe che le M?_, passanti per è — 1 (e forse anche meno) di 
quegli x punti passassero di conseguenza anche pei rimanenti, e ciò per è < 7 — 2 
ossia i — 1<7r — 3 (come qui supponiamo) non è certo possibile. Dovrà dunque 
essere z <î — 1 e quindi, a fortiori, < » — 8, mentre invece è noto che una M; 
appartenente a S, deve essere di ordine almeno uguale a » — 2. Concludiamo perciò: 

Se un sistema lineare di quadriche di S, di dimensione ("3') — i ha infiniti punti 
basi, questi, finchè 1 <r — 2, non possono costituire, di varietà appartenenti a S,, che 
curve o superficie. Se vi è una varietà base di dimensione superiore a due, questa deve 
essere contenuta in uno spazio inferiore a S, (1). 


8. Ciò posto, seghiamo la curva © (che supponiamo irriduttibile) con un iper- 
piano (S,_1) tale che delle sue » intersezioni con essa r qualunque siano linearmente 
indipendenti. Il sistema di quadriche proposto verrà segato dallo stesso S,_, in un 
nuovo sistema, pure di dimensione (3%) — i, e con quelle n intersezioni per punti 
basi; e poichè le quadriche tutte di S,_, formano un sistema di dimensione ("}!) — 1, 
è chiaro che in questo nuovo sistema ogni quadrica passante per 


(E) 1{- (3) - ii = 2-1)+di 


(1) Si può dimostrare anzi più generalmente (e in modo affatto analogo) che un sistema lineare 
di quadriche (di S;) di dimensione uguale o superiore a ("75*!) non può avere una varietà base di 


dimensione (uguale 0 superiore a) k e appartenente pure a Sr. 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 349 


di quegli stessi » punti dovrà (se n > 2(r — 1) + è) contenere di conseguenza i 
rimanenti (1). 

Si può prevedere fin d’ora che, se » supererà un certo limite, quelle quadriche 
di S,-1 dovranno avere, non solo questi n, ma infiniti punti (ossia tutta una curva) 
a comune (2); ciò perchè un sistema lineare di quadriche di data dimensione e con 
un numero finito di punti basi ammette necessariamente, per questo stesso numero, 
un massimo (3). Si tratterebbe ora di trovare appunto questo massimo per il nostro 
sistema, di dimensione (3!) — èî, in $S,_, (essendo pur sempre è < r — 2). 

La questione è piuttosto complicata, ma possiamo dare tuttavia un teorema che 
ci sembra notevole e dal quale potremo poi ricavare nei $$ seg. (almeno per i casi 
di i=2 e i=8) risultati della natura di quelli che testè andavamo cercando, e 
che si collegheranno anche con quelli già ottenuti nei $$ precedenti. Ragioneremo, 
per comodità, nello spazio S,, e supporremo perciò il sistema di quadriche assog- 
gettato a 2r + i (anzichè a 2(r — 1) + è) condizioni. 


9. Il teorema del quale intendiamo parlare è il seguente : 

Se nello spazio S, si ha un gruppo di 2(r + i) + 1 punti indipendenti (4) e tali 
che le quadriche passanti per 2r + i qualunque fra essi passino sempre di conseguenza 
per i rimanenti i + 1, questi punti staranno tutti sopra una varietà Mi? = co' ra- 
zionale normale di S;_,, che sarà anche segata in una Mîzi dall’'S._2 di r — 1 qua- 
lunque fra quei punti (5). 

Consideriamo infatti l’ S,_, di x—1 qualunque fra i punti proposti (Ai, As, ..., A,_.), 
e chiamiamolo a. Costruiamo poi le curve razionali normali di ordine r che hanno a 
per spazio (r — 1) - secante e passano per altri r + 1 fra i punti dati (B,, B»,..., Bui) 
e rispett. per altri è ancora fra quegli stessi punti (C,, Cs, ..., C)). Congiungendo i 
vari gruppi di punti di queste curve che stanno in un iperpiano variabile attorno 


(1) Si può dire anzi che, se l’S,_j di cui sopra è stato scelto in modo generale, ogni quadrica 
passante per 2(r — 1)-+i qualunque fra questi » punti dovrà passare di conseguenza anche pei 
rimanenti; impongano pure o non impongano quei primi 2(r — 1) +: condizioni tutte distinte. 

(2) E quindi le quadriche di S, passanti per la curva (0 dovranno avere a comune tutta una 


superficie. 


rl 
(8) La questione, trasportata sulla varietà mel) di S(r—1)r+2) che rappresenta il sistema di 
9 


d 


tutte le quadriche di S,_;, si tradurrebbe così: Se la varietà M ha comune con uno spazio Sk un 
numero finito di punti, questo numero non potrà superare un certo limite; e questo può ritenersi 
evidente. E alla stessa questione può anche darsi la forma seguente, pure notevole: Sulla curva di 
ordine V 7? (e di genere (rv — 4) ori + 1) intersezione generale di vr — 2 quadriche in Sr-1 Vordine 
di una serie lineare di gruppi di punti di data dimensione non può scendere al di sotto di un certo 
limite (che dipenderà naturalmente da questa dimensione). 

(4) Anche per i punti, come già per le quadriche, ci permettiamo di dire semplicemente ?ndi- 
pendenti, sottintendendo per brevità il linearmente. Avvertiamo poi che, per i punti, questa indi 
pendenza dovrà sempre intendersi come relativa (per così dire) allo spazio in cui si sa che i punti 
stessi sono contenuti. Se siamo quindi in Sx, intenderemo (soltanto) che mai X +1 fra quei punti 
stiano in uno stesso S,_j. 

(5) Variando questi ultimi punti, potrà variare però la Li Mata ; e questo apparirà anche dalla 
dimostrazione che ora daremo. 


350 GINO FANO 


ad a mediante altrettanti S;_,, otterremo una serie semplice razionale di spazi, il 
cui insieme costituirà una Mf' normale (1). Lo spazio a incontrerà quei vari S;_i 
secondo altrettanti S,_:, quindi la varietà M, secondo una M,;_; che risulterà di or- 
dine r — i, e potrà anche scindersi in una Mi_i-* irriduttibile e in % spazi S.,_1 
(contenenti rispett. altrettanti S,_, di questa M;_,). 

Ora, la varietà M/7*! è contenuta in ('7*!) quadriche indipendenti di $, (2), e 
di queste si vede facilmente che, se è <= x — 1 (3), ve ne sono certo almeno 00°" 
che contengono lo spazio a. Nel caso estremo î=r —1 la varietà Mf7'*! è essa 
stessa una quadrica passante per questo spazio; se invece è < x — 2 (e così noi 
supporremo sempre in seguito), vi saranno certo infinite quadriche passanti per la 
varietà Mi'*# e per lo spazio a, e queste non passeranno di conseguenza per nessun 
altro punto (e saranno precisamente c0°7*!) (4). Ma queste quadriche passano già 
tutte per i 2r + è punti A,... A._1, Br... B,4u,, O... Ci; dovranno dunque passare 
anche per gli altri è + 1 punti proposti (Dì, D», ...,. Di); e questi ultimi, non po- 
tendo alcuno di essi stare nello spazio a, saranno tutti contenuti nella varietà M{7'#. 
Faremo vedere ora che questa stessa varietà (ossia la Mimi sua intersezione collo 
spazio a) deve contenere anche gli r — 1 punti A. 

Lo spazio a, come abbiamo già detto, sega infatti la varietà M7=#! in una Mizi 
che può anche spezzarsi in una M'-i-* irriduttibile e in % spazi S;_. È chiaro che 
fra gli S,_3 determinati dai punti A a » — 2 per volta ve ne sarà certo (almeno) 
uno non contenente (per stare nel caso più generale) la M7_i-* (£ > 0); questo stesso 
spazio (che chiameremo a,) potrà contenere tuttavia un certo numero 4' degli 7 
spazi S,_;, e segherà allora i rimanenti & — #' in altrettanti S,_;, e la varietà 
Mii in una Mi-i** dalla quale potrà ancora staccarsi qualche altro S,_3; l’or- 
dine complessivo però di questa M;_., compresivi tutti gli S,_: (anche quei primi 
‘-h— hh), sarà r—i—2N. — Fra glir— 2 punti A con cui si è determinato lo 
spazio a, scegliamone ora r — 3 il cui S,_; (0;) non contenga la M,_, irriduttibile 
testè ottenuta; questo spazio as potrà contenere della sezione precedente un certo 
numero 4" di S;_ e un certo numero / di S,_» (oltre agli #' — 4' in cui sega i 


(1) L’ordine di questa varietà si può stabilirlo con successive induzioni, partendo dai valori più 
semplici di i. Che se poi il gruppo delle è intersezioni variabili di cui sopra fosse sempre conte- 


nuto in un S;_5, si giungerebbe a una varietà M7_{*? per la quale potrebbero farsi passare infi- 
nite MY_‘#! segate anche da a altrettanti una M,_,_. 
(2) Ciò essendo vero per i valori più semplici di #(#="0, 1, 2) ne segue:facilmente che per la 


M}_‘#! non possono certo passare più di ("—3*!) quadriche indipendenti. Osservato poi che, perchè 


una quadrica contenga la Might è certo sufficiente che ne contenga due sezioni piane e un punto 
fuori di queste, si può tosto concludere (ammessa sempre la proposizione per i valori più piccoli 

BE à ; 1 È SORTE PIET | n 
di :) che il numero di quelle quadriche non può nemmeno essere inferiore a ( SG ). La proposi- 


zione sussiste tanto se la M; è irriduttibile, quanto se da essa si stacca un numero qualunque 
di S: (passanti per altrettanti S,_j della Mi residua irriduttibile). 


(3) Restrizione che corrisponde alla è < x — 2 del n° 7, perchè qui siamo passati da S,_ ® Sr. 


(4) Se queste quadriche passassero infatti tutte per un altro punto qualsiasi di Si, segando 
coll’'S,__j di questo punto e di a, si avrebbero nello stesso iperpiano almeno 00o*-?1 quadriche 


contenenti un dato S,_o, un dato S;_j (intersezione residua dell’S,_, colla varietà M:) e un dato 


punto fuori di questi due spazi, il che è assurdo. Lo stesso ragionamento, astraendo da quest’ultimo 
punto, prova altresì che quelle quadriche sono precisamente 00"-#1 (e non di più). 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 351 


rimanenti S,_;), e l’incontrerà poi ancora in una Mj-{”-*-® dalla quale potrà 


| staccarsi un certo numero di S;_3. Così continuando, giungeremo a un $S,_;_1 (8) pas- 


sante per » — i punti À e incontrante la varietà MT! secondo un certo numero 


ni-i di spazi S;-1, un certo numero n,» di spazi S,., ..... un certo numero Wo 


di punti. 
Per la sezione determinata dallo spazio a, (#' spazi S._, e una Miî_;-®) si ha 
la relazione: 
2.h'4+1.(r-i-2h')l=rT_- i. 
Per quella successiva (4'” spazi Si_1, R' — 4" + 1 spazi S;_s e una Mj_j-?-h"-2!) 
si ha del pari 
3.h'+2.hP_RAPVHk+1l.@e—-i-20h—-hn"—-2l)=rTi 


e così via. Per l’ultima si avrebbe (e lo si potrebbe provare facilmente col solito 
metodo dell’induzione da un caso qualunque al successivo) 


in Po 1) not. + 2.wnt+1l.w=r— i (1) 


Quest'ultima sezione potrebbe essere costituita in particolare da un gruppo di r — i 
punti; ma le nostre considerazioni più generali sono egualmente necessarie, non poten- 
dosi asserire a priori che fra gli S,_;_ determinati da r — i fra i punti A ve ne 
debba sempre essere uno che incontri M in soli » — è (e non in infiniti) punti. 
D'altra parte, dal fatto che per la varietà Mi7*' e per lo spazio a passano 
precisamente co! quadriche segue tosto che si può scegliere (e in infiniti modi) 
un sistema lineare di dimensione ("3') — 1 costituito da quadriche passanti tutte 
per la varietà Mi7*' e non per a; e perciò ogni quadrica di quest’ultimo spazio 
passante per la Mi-; di cui sopra potrà ottenersi come sezione di una quadrica di S, 


passante per la M,; stessa (e non per a). — Analogamente, fra le oo(2)! quadriche 
di a che passano per la sezione Mii ve ne sono co”! che contengono lo spazio a, (2); 
sì potrà quindi dal loro sistema stralciarne uno, pure lineare, di dimensione ("7 ) #1, 
nel quale nessuna quadrica contenga quest’ ultimo spazio. E questo stesso (ossia 
("a 


co l)-"-!) è anche il numero delle quadriche dello spazio a, che passano per la 


sezione determinata da esso nella varietà M;_i (o nella M7**) (3); ciascuna di queste 


(1) In termini meno esatti ma forse più espressivi si potrebbe dire (ed è, d’altronde, anche 
quasi evidente) che una retta contenuta in un S;_j della Mi conta in questa sezione come due 
punti, un piano come tre, ecc. 

(2) E sono quelle che si spezzano in a, stesso e in un S,_g variabile attorno al- 
list m+i-1-1-= Sao della Mii costituita dalla stessa Mai meno gli #' spazi S,_3 che 
sono già contenuti in ay. 

(3) Infatti le quadriche indipendenti che contengono la MIT57?* sono, nello spazio 8,_9y_3 cui 


questa appartiene, (a e nello spazio S,_g3 = 


Roia or ili)... Lo_29=(7) +27 6-1. 


Queste ultime devono ancora assoggettarsi a contenere 7' spazi Sj_1, di ciascuno dei quali conten- 


352 GINO FANO 


ultime sarà dunque sezione di una delle prime, ossia di una quadrica di S, passante 
per Mi7*' e non per a. Fra quelle stesse quadriche dello spazio a, possiamo ora 
trovarne un sistema lineare di dimensione ("3‘) — ©" — 24” — l' — 1, nel quale nes- 
suna varietà contenga lo spazio a, (1); e questo numero è anche quello delle qua- 
driche di a, stesso che passano per la sezione determinata nella varietà M; da que- 
st'ultimo spazio (2). Così continuando, si conclude facilmente che le quadriche dello 
spazio R passanti per la sezione determinata da questo stesso spazio in M; sono 
precisamente tante quante quelle di S, che passano per Mî'*' e non per 8 (3); e 
perciò una qualunque delle prime può sempre ottenersi come sezione di una di queste 
ultime. In particolare, se fra quelle prime quadriche ne consideriamo una passante 
per un certo numero, ad es. per r — î — 2 fra gli r — è punti A che stanno in 8 
— supposta la cosa possibile —, la quadrica di S, (passante per M.) di cui quest’ul- 
tima quadrica può considerarsi come sezione dovrà pure contenere quegli stessi 
punti. Ma questa quadrica di S, passerà allora per la varietà M{7'#, quindi per tutti 
i punti B,..... Cio D,..... (in numero di r + 2i + 2), e conterrà perciò complessiva- 
mente già 2r + è fra 1 punti proposti; essa dovrà dunque contenere anche i rima- 
nenti è + 1, e in particolare quegli altri due punti A che stanno in B. Questi ultimi 
staranno perciò anche sulla quadrica di B prima considerata, ossia: 

“ Le quadriche dello spazio B passanti per la sezione che questo spazio deter 
“ mina nella varietà M, e per r — i— 2 qualunque fra i punti A in esso spazio 
“ contenuti passano anche tutte per gli altri due fra questi stessi punti ,. 


gono già un S;_g fisso, e ciò equivale a nuove A'(2i— 1) condizioni, che è facile anche riconoscere 


come tutte distinte. E si ha precisamente: 
(3) A 21) (6) 


(1) E ciò perchè quest’ultimo spazio è a sua volta contenuto in un sistema lineare di quelle 
stesse quadriche di dimensione 2/4 '—1. Questo numero deve essere infatti quello degli S,_4 


di a, che passano per la sezione determinata da a, stesso in M, astrazion fatta dagli 2” spazi S;_1 


e dagli V spazi S,_9 già contenuti in d,. Ora la Mj_o di a (compresivi tutti gli S,_g) è di ordine 


2 
r—i— 27; senza quegli 7 spazi resterà dunque di ordine r» — è — 24 —/, e apparterrà perciò a un 
[r— 2% —l — 83]. E quest’ultimo spazio, insieme ai rimanenti #' — 7° spazi S,_j, determina un 


Q9'4V-1 4 
d, —4 


(2) Per la sola M,_g di a (che, compresivi tutti gli S,_3, è di ordine r — i — 2% — h'—21) 


r—i—-2h!'-h" 
2 


[r— 24" —T — 3] pel quale in a; passano appunto 00 
passano, nello spazio cui essa appartiene, ( Ti) quadriche indipendenti; nello spazio ag 


ne passano invece (i) + (224 2° + 27)(i— 2). Queste ultime devono ancora obbligarsi a passare 
per #' —n"+! spazi S,_s e per #" spazi S,_; (già segati in altrettanti S;_4 fissi); il che equivale 
complessivamente a (#' — 2° + 2°) (2î — 3) 4 4° (Bi — 8) condizioni (e ancora tutte distinte). E il numero 


(3)+ NA + 2-2 WR + Mi —- 3 (B— 3) 
sì riduce precisamente a 
(3) 2-1 
8) Questa proposizione sarebbe evidente o quasi quando lo spazio 8 segasse Mita in soli 


v—i punti; allora non vi sarebbe anzi in @ nessuna quadrica passante per la Mii e per 8. Ma, 
come già si è detto, non possiamo asserire di poterci sempre ridurre a questo caso. 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. DOS 


Da ciò noi dedurremo subito che gli » — è punti A dello spazio 8 devono stare 
tutti sulla sezione che questo spazio determina in M, (e quindi su M, stessa). 

Abbiamo già veduto infatti come tale sezione sia costituita. Consideriamo per- 
tanto uno qualunque 5, degli spazi in essa contenuti (o = p = è — 1)(1), e poniamo 
per brevità 7 — —1=p. Fra gir —-i=p+1 punti A dello spazio Sf = 8 
possiamo sempre trovarne uno non contenuto in Su (2); poi un altro non contenuto 
nell’ Su+1 di Sy e di questo primo punto, un terzo non contenuto nell’Su+s di questo 
Su+1 e del secondo punto, ecc. Possiamo infine, fra gli stessi p + 1, trovarne p — u 
i quali insieme allo spazio Su costituiscano un gruppo appartenente a Sp. Chiame- 
remo questi punti A‘, AQ, ....., AM; i rimanenti, AO, AO 

Dalla relazione i. n; + ..... +an=7r —i=p+1 segue altresì che, tolto 
lo spazio Su, i rimanenti che con esso concorrono a formare la sezione di f colla 
varietà M; staranno certo in un Sp-u-1. Considero ora lo spazio S;_1 = Y determi- 
nato da questo S;_y-1 e da u qualunque fra i punti Al (escludendone perciò uno 
qualsiasi A°) (3), e poi un altro S;-1, che chiamo è, determinato dall’Sy di cui 
sopra e da p—-pu —1 qualunque fra i punti A“ (tutti ad es. meno A"). Questa 
coppia di S:—1 è una quadrica di S; contenente già l’intera sezione B.M; e p— 1 
fra i punti A (tutti meno A“ e A); la stessa quadrica dovrà dunque passare anche 
per questi ultimi due punti. Ma A‘ non può stare in è (perchè l’insieme di S, e dei 
punti A" appartiene a S,); starà dunque in Y, e ciò qualunque sia l’indice # scelto 
fra i numeri 1, 2,..., p—p; in altri termini, lo spazio y dovrà contenere tutti 
quanti i punti A"; e contenendo perciò complessivamente già p punti A, non potrà 
più contenere A“. Quest'ultimo punto starà dunque in è, e ciò ancora qualunque sia 
krapgli indici 0.1.2... u quello designato con s; in altri termini, tutti i u + 1 
punti A® dovranno stare nello spazio è — e anzi in ciascuno dei p — u spazi Spi 
che congiungono l’S, considerato da principio a p — u — 1 qualunque dei punti A"! —; 
essi staranno perciò anche nell’S, stesso che è precisamente l'intersezione di tutti 
questi spazi. 

Segue da ciò che uno spazio qualunque S, appartenente alla sezione 8 . M; deve 
contenere u-+ 1 fra i punti A dello spazio 8; e questi punti varieranno anche tutti 
da uno di quegli spazi all’altro, perchè due qualunque di questi ultimi non si incon- 
trano (4). Avendosi poi la relazione Z (u+ 1) nu = p + 1, è chiaro che ip+-1 
punti A verranno tutti assorbiti dai vari spazi Su e staranno perciò tutti sulla se- 
zione B. M.. 


(1) Se detta sezione si componesse di (soli) r — î punti, non potrebbe essere, naturalmente, che 
u=0. Il nostro ragionamento vale però (come si vedrà subito) anche per questo caso. 

(2) Farebbe eccezione il solo caso in cui fosse u=; ma allora lo spazio Sp = B sarebbe tutto 
contenuto in M;, e su questa varietà starebbero perciò senz'altro tutti i p-+-1 punti A. 

(3) Per il momento, non si potrebbe ancora asserire che lo spazio y rimanga con ciò indivi- 
duato; certo però che vi è qualche S,_1 passante per quell’S,_y-1 @ per questi u punti. Dal 
seguito del ragionamento apparirà poi che non può esservene che uno. 

(4) I vari spazi Su sono contenuti infatti rispett. in altrettanti Sj_1 di Mista ; e due qua- 
lunque di questi S,_; non si incontrano, a meno che la varietà stessa non sia un cono — nel qual 
caso ci converrà (e basterà) prendere lo spazio f non incidente all'asse (al più S,_3) di questo cono. 


Serie Il Tom. XLIV, ni 


354 GINO FANO 


La varietà Mi! di S, contiene dunque certo (r — ) + (r+1) + i4+(+1) 
ossia 2r +-é+ 2 fra i punti proposti; conterrà perciò anche i rimanenti è — 1 
(perchè le quadriche passanti per essa non passano, di conseguenza, per nessun altro 

punto); e la proposizione enunciata al principio di questo n° rimane così dimostrata. 
Il teorema si estende manifestamente al caso di un numero di punti anche su- 
periore a 2(r + i) + 1, purchè sempre le quadriche passanti per 2r + i qualunque 
fra questi passino di conseguenza anche pei rimanenti. — Nel caso di i=1 questo 
teorema coincide con quello già dato dal sig. Castelnuovo nelle sue Lricerche (n° 30); 
veniamo quindi addirittura a svilupparne le conseguenze più importanti per il caso 
di.a=:2: 


8 5. 


Sistemi lineari col)? di quadriche e loro varietà basi. 
Superficie di ordine y a sezioni ellittiche. 


10. Facendo nel teorema del n° 9 è = 2, troviamo la proposizione seguente: 

Se nello spazio S, (r = 4) si ha un gruppo di 2r +24 x punti indipendenti e 
tali che le quadriche passanti per 2r 4- 2 qualunque fra essi passino sempre di conse- 
guenza pei rimanenti x, questi punti, se x = 3, staranno tutti su di una rigata razio- 
nale normale R' (che sarà anche segata in una curva di ordine r — 2 dall'S,-, di 
rT_- 1 fra quei punti). 

Dico ora che, nella stessa ipotesi x = 3, le quadriche passanti per quei primi 
2r | 2 punti devono avere non solo x, ma infiniti altri punti a comune. Infatti, se 
così non fosse, fra le quadriche passanti per quegli stessi punti se ne potrebbe certo 
trovare qualcuna che incontrasse la rigata R'— secondo una curva irriduttibile (di ordine 
2r — 2 e genere r — 2) (1). Su questa curva le quadriche di S, segherebbe una 
gii (2); imponendo loro perciò di passare per 2r 4 2 fra i punti proposti (8), 
rimarrebbe una 95 con « punti fissi; cosa che è evidentemente assurda per x > 2. 

Concludiamo pertanto: 

Se nello spazio S, (r > 4) si ha un gruppo di 2r 4 5 0 più punti indipendenti e 
tali che le quadriche passanti per 2r + 2 qualunque fra essi passino sempre di conse- 
guenza pei rimanenti, queste quadriche avranno a comune infiniti punti (e quindi tutta 
una linea, passante per una parte almeno di quegli stessi punti). 


(1) Se questa curva dovesse necessariamente spezzarsi, se ne concluderebbe tosto ch’essa deve 
contenere una parte fissa comune a tutte le quadriche passanti per i 2x-+2+x punti proposti (e 
passante a sua volta per una parte almeno di questi punti). Non sarà forse inutile l’osservare che 


per questi stessi punti passa un sistema lineare (almeno) 7-3 di quadriche non contenenti la 
rigata R"1 

(2) Infatti la curva (Opi sta precisamente su (455) -+ 1 quadriche indipendenti. 

(3) Punti che possiamo supporre impongano condizioni tutte distinte (se no si cadrebbe nel 
caso di (="1). 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 355 


Ovvero anche: Se un sistema lineare di quadriche in S, ha un certo numero 
k(=>2r +3) di punti basi indipendenti e tali che le quadriche passanti per 2r + 2 
qualunque fra essi contengano sempre di conseguenza anche i rimanenti (ma non con- 
tengano altri punti fissi) sarà certo k = 2r +4- 4. 


11. Da questi risultati, riuniti alle considerazioni di cui al n° 8, deduciamo 
ancora : 

Se per una curva (irriduttibile) appartenente a S, (r > 5) e di ordine n > 2r +2 
passano ("=") —1 quadriche indipendenti, queste quadriche avranno a comune tutta una 
superficie passante a sua volta per quella curva. È facile anzi riconoscere che questa 
superficie non potrà essere di ordine superiore a r (1); ciò perchè un sistema lineare 
di quadriche (Mf_3) di S,-s di dimensione ("')— 2 non può avere più di » punti 
basi indipendenti, a meno di non averne infiniti. Dunque : 

Se per una curva (irriduttibile) appartenente a S, (cr => 5) e di ordine superiore a 
2r + 2 passano ("3'9) — 1 quadriche indipendenti, la stessa curva dovrà stare su di una 
superficie di ordine <tr (e quindi di ordine r 0 r — 1) comune a queste quadriche. 

O in altri termini: Se nello spazio S, (r = 5) un sistema lineare di quadriche di 
dimensione ("3") — 2 ha infiniti punti basi, questi punti non potranno costituire (di 
varietà appartenenti ad S,) che una curva di ordine <2r +2 0 una superficie di 
ordine <= r (2). 

Tenuto conto infine di quanto si è detto nel $ 2 sull’ordine di una curva di 
genere t — £ per la quale si vuole che passino (almeno) ("3') — 1 quadriche indi- 
pendenti, abbiamo : 


Una curva normale, la quale appartenga ad S, (r = 5) e sia di generet — k e di 
ordine superiore a 


“3° _1)+2 oppure FE (0-1) +38 


secondo che x pari o dispari, sta sempre su di una superficie di ordine r o r — 1 
(comune a tutte le quadriche che la contengono) (3). Se non sta dunque sulla rigata R'7! 
o sulla superficie di Veronese (nel caso di r = 5), sarà certo contenuta in una su- 
perficie di ordine r. Supposto % > 0, fa eccezione il solo caso di k="1 nel quale, 
anzichè n > 2r + 1, bisogna supporre n > 2r 4-2. 


12. Ora, una superficie di ordine r appartenente a S, può avere le sezioni ra- 
zionali od ellittiche. Nel primo caso si hanno le rigate razionali ma non normali, 
bensì proiezioni di quelle di ugual ordine appartenenti a $r+1; e di più, per "= 4, 


(1) E la linea di cui è fatta parola nel penultimo enunciato del n°10 non potrà quindi rie- 
scire di ordine superiore a 7 + 1. 

(2) Con questo non intendiamo però escludere che, almeno se quegli ordini massimi non sono 
raggiunti, vi possa essere anche qualche ulteriore punto base (isolato), oppure, nel secondo caso, 
oltre la superficie, anche una curva base non contenuta in questa. 

(3) Sappiamo anzi che questa superficie può essere di ordine 7 solo quando l’ordine della curva 


sa <= (K+2)r-1b)+1 


356 GINO FANO 


una superficie non rigata contenente una 00° di coniche, proiezione precisamente 
della superficie di Veronese da un punto esterno ad essa (1). Ma per le rigate razio- 
nali di ordine r e appartenenti a S, passano in generale solo (‘7) —3 quadriche 
indipendenti se r > 4, e ne passa una sola se r= 4; e per la superficie di quart’or- 
dine non rigata non ne passa, in generale, alcuna (2). Non sarà dunque sopra queste 
superficie che potranno stare le curve C5 considerate di sopra; esse saranno invece 
contenute (quando non stiano sopra F°_) in superficie di ordine r a sezioni ellittiche. 
E queste saranno anche le sole superficie di S, che possano essere varietà basi per 
sistemi di quadriche di dimensione ("3’) — 2 (3). 

D’ altra parte è pur noto (cfr. DeL Pezzo, loc. cit.) che una superficie d’or- 
dine » (F") appartenente a S, e colle sezioni ellittiche è sempre rigata per r > 9; e, 
se rigata, è necessariamente un cono (4). Per r < 9 esistono invece in S, delle super- 
ficie di ordine r a sezioni ellittiche e non rigate, che sono razionali e, se di ordine 
inferiore a 9, si possono anche ottenere (con una sola eccezione, per 7 = 8) come 
proiezioni della F° di S,. Queste superficie, studiate per la prima volta dal 
sig. DeL Przzo, sono quelle appunto che rappresentano i sistemi lineari di cubiche 
piane con 9 —r punti basi; e in quel caso speciale accennato per r=8 (super- 
ficie F° di seconda specie) il sistema delle quartiche piane con due punti doppi fissi. 
Dunque: 

Se nello spazio S, un sistema lineare di quadriche di dimensione ("3°)— 2 ha infi- 
niti punti basi, questi punti, per vr > 9, non potranno costituire (di varietà apparte- 
nenti ad S,) che una curva di ordine non superiore a 2r + 2 (5), oppure un cono 


(1) Per queste superficie, e per le altre (non rigate) pure di ordine x e appartenenti a S7, cfr. 
ad es. DeL Pezzo: Sulle superficie del n° ordine immerse nello spazio di n dimensioni (“ Rend. Circolo 
Mat. di Palermo ,, 1). 

(2) Infatti, se una superficie di S, si può ottenere come proiezione di altra appartenente 
@ S,41, è chiaro che le quadriche di Sr passanti per la prima saranno tante quanti i coni quadrici 


di S,,j che passano per la seconda e hanno il vertice nel centro di proiezione. Nel nostro caso 
si tratta di superficie di ordine » che appartengono ad Sr e sono proiezioni di altre di egual ordine 
appartenenti a S,,; e fra le (5) quadriche indipendenti (di S,__1) che passano per una di queste 
ultime superficie non vi sono in generale (come si vede subito) che soli (#38 coni col vertice 


x 


nel centro di proiezione (che è un punto assolutamente arbitrario in S,1, purchè esterno alla 


F, considerata). Però, se r=4 e quindi r+1=5 — e in questo solo caso —, ogni punto dello 
spazio S,41 = Ss sta sopra una corda della rigata normale Rr = R*, corda che è asse di un cono 
quadrico di 2* specie (S,- cono) passante per la rigata medesima; sicchè la R* di S, viene ad 
avere un punto doppio e a stare a sua volta in un cono quadrico col vertice in questo punto. — 
Questa stessa eccezione non si presenta invece per la F* non rigata, che non ha, in generale, punti 
doppi. Solo quando il centro di proiezione si sia preso nel piano di una conica della superficie 
normale (di Veronese), essa viene ad avere tutta una retta doppia (come può succedere anche per 
la rigata) e a stare perciò sopra un intero fascio di quadriche (in questo caso, di coni quadrici); 
ma allora essa può considerarsi (e così intenderemo che sia) come un caso particolare della F* a 
sezioni in» generale ellittiche, che è intersezione generale di due quadriche di S,. 

(8) Intendiamo naturalmente (qui ed in seguito) che per queste superficie non passino altre 
quadriche all’infuori di quelle contenute nel sistema accennato. 

(4) Cfr. C. Seene: Sulle rigate ellittiche di qualunque ordine (* Atti R. Acc. di Torino ,, XXI) oppure 
la Mem. cit. nei “ Math. Ann. ,, XXXIV; n° 14. 

(5) V. la nota (2) a pag. prec. 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 357 


normale ellittico (e in questo caso anzi tutte le quadriche del sistema saranno coni, 
e collo stesso vertice del cono base) (1). Per r <= 9 la varietà base potrà anche essere 
una superficie razionale di ordine r a sezioni ellittiche (2). 

Una curva appartenente ad S, e di ordine n > 2r +2 per la quale passino preci- 
samente (3°) — 1 quadriche indipendenti sta sempre sopra un cono normale ellittico, se 
r > 9; (e quelle quadriche saranno tutte coni, ecc.). Se r <= 9, la curva potrà anche 
stare su di una EF razionale a sezioni ellittiche. 


E in particolare: Una curva normale di genere n — k e di ordine superiore a 
Kit (_-1)+10 È - 2 (r — 1) + 2 secondo che k è pari o dispari (2r + 2, sek= 1) 


starà sempre su di una rigata razionale normale o su di un cono normale ellittico se 


lo spazio (S,) cui essa appartiene è superiore a Ss. 
Se però r < 9, la curva potrà stare anche su di una F" razionale a sezioni ellit- 
tiche; e anche sulla superficie di Veronese, se r = 5. 


13. — Una curva tracciata su di un cono normale ellittico di S,, in modo da 
avere un punto s"° nel vertice di questo cono e da incontrarne ancora ogni genera- 
trice in altri m punti, è di ordine 


n=mr + 8 


e di genere 
p=(9r+1+s(m-1)— 


se con 2 indichiamo il numero dei suoi punti doppi (astrazion fatta dall’accennato 
punto sP°) (3). Perchè dunque una curva di S, di dato ordine n e dato genere p= — k 
possa stare su di un cono normale ellittico, è necessario che le due equazioni scritte 
siano soddisfatte da una medesima terna di valori interi e positivi di m, s e e (in- 
clusovi per s e 2 anche lo zero). A priori si può dunque aspettarsi la cosa come non 
sempre possibile; si può aspettarsi cioè che qualche curva della quale siano asse- 
gnati ad arbitrio l’ordine ed il genere possa — qualunque siano gli altri suoi carat- 
teri — non stare mai sopra un cono normale ellittico dello spazio a cui appartiene. 
Vedremo in seguito, esaminando alcuni casi particolari, che così è effettivamente; e 
che le curve giacenti su di un tal cono devono avere appunto certi ordini e certi 
generi particolari, o almeno particolarmente legati fra di loro. 


(1) Ciò perchè i coni quadrici che necessariamente fanno parte del sistema bastano ad esaurirlo. 
Del resto, se il vertice del cono ellittico non fosse punto doppio per una quadrica qualsiasi di 
questo sistema, questa dovrebbe ammettere in quello stesso punto un S,_1 tangente ben deter- 
minato e contenente tutte le generatrici di quel cono; cosa che sarebbe assurda, perchè queste 
generatrici non stanno in un medesimo iperpiano. 

(2) Questo si è dimostrato per x => 5. Per »=4 poi il sistema di quadriche in discorso si ridur- 
rebbe a un fascio, e avrebbe quindi per varietà base appunto una superficie F* a sezioni (in gene- 
rale) ellittiche. Per » <4 la dimensione (1059) — 2 diventerebbe <0. 


(3) Ciò per la nota formola del sig. Segre, già più volte applicata. Per il caso in cui (come qui) 


la rigata è un cono, la formola era stata data anche dallo Srurm (“ Math. Ann. ,, XIX, p. 487). 


358 GINO FANO 


Il caso di una curva per la quale si possa condurre un cono normale ellittico 
ci appare dunque, quasi direi, come eccezione. E si potrebbe anche asserire (e ciò 
apparirà meglio in seguito) che per r > 9 una curva di S, di genere tr —k e di 
ordine superiore ai limiti già più volte ricordati sta IN GENERALE sulla rigata razionale 


r=l 
Den —1 : f . 
normale R'7, e quindi sulle col 3) quadriche che contengono quest ultima superficie. 


8 6. 


Sulle curve di genere TT — 1. 


14. — I risultati ottenuti nel paragrafo precedente si applicano a lor volta alle 
curve di genere t — 1, per le quali (com'è noto) passano sempre almeno (*3)) — 1 
quadriche indipendenti; e non riuscirà forse privo d’interesse l’esaminare un po’ più 
da vicino i vari casi che queste curve possono presentare. Basterà naturalmente che 
ci occupiamo di quelle di ordine n < 3 — 1 (1); e potremo anche limitarci alle curve 
speciali, supporre cioè altresì n > 2r. Posto pertanto n = 2r+i dove 0<i<r— 1, 
ed osservato che all’ordine 2r + i deve corrispondere il genere massimo r=r+-2î + 1, 


è chiaro che le curve da considerarsi saranno del tipo 0}! (2). 


K anzitutto: quali fra queste curve possono stare sul cono normale ellittico? 
E chiaro che una C°7}i contenuta in questo cono dovrebbe avere un punto iP° nel 
vertice, e incontrare ancora ogni generatrice in due altri punti. Supposto pertanto 


che una tal curva abbia (all'infuori del vertice) r punti doppi, potremo scrivere 


r+2=1.rbt1+i.1T-e2 


ossia i= 1 — 2; relazione che (dovendo essere i > 0, 2 > 0) è soddisfatta solo per 
i=1, z=0. L'unica delle nostre curve che possa stare sul cono ellittico è dunque 


la 0275"; questa dovrà passare (semplicemente) pel vertice del cono, e non avrà 


punti doppi. 
Ciò posto, osserviamo che la curva C+, essendo di genere r + 2î, conterrà 
, ? 


È : GINE SON i; sta ALI 
come serie canonica una g5t;l,; e siccome su di essa gli iperpiani ($,-1) segano una 
I5r4; COSÌ vi sarà pure, come residua di quest’ultima, una g3;-» (3). La considerazione 
di questa serie residua sarà, come vedremo, fondamentale per lo studio che ci siamo 


proposti. 


(1) Se l'ordine fosse più elevato (n > 3r — 1) la curva starebbe certo su di una superficie di 
ordine r — 1 (v.8 2). 

(2) E queste curve sono anche tutte normali, perchè una C+ di Sr+1 non può essere di 
genere superiore a (r +1) + 2(— 2) +1=r + 2i— 2 (quando sia î> 0 e £ r-+1.. 

(3) È nota la proprietà caratteristica di queste serie (reciprocamente) residue; che cioè un 
gruppo dell’una e un gruppo dell’ altra, presi pur comunque, formano sempre insieme un gruppo 


della serie canonica (987). 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 359 

15. E cominciamo col supporre î= 1 (1). Avremo curve C?"41 di S,, nelle quali 
la serie lineare segata dagli iperpiani ha per residua una gî. Queste curve si possono 
dunque tutte ottenere come proiezioni delle Cî”5° (canoniche) di Sr41 rispett. da loro 


punti (2). Sono in generale prive di punti doppi; ne acquistano uno soltanto quando 
contengono una 93, il che non si verifica, in generale almeno, se r + 1 > 3, ossia 
iS 29): 


16. Poniamo î = 2, quindi r > 3 (4); avremo curve del tipo C?°+?, e queste 
contengono una gi. Potrebbe questa gi avere un punto fisso (5), e la nostra curva 
sarebbe allora proiezione di una C+ di S,+1, starebbe sopra una rigata razionale 


normale, e ne segherebbe ogni generatrice in tre punti; avrebbe anche sempre un 
punto doppio. 


Escludiamo questo caso, e supponiamo quindi la gi priva di punti fissi. Si può 
domandare se e quando i suoi gruppi possano essere collineari. Supposto che lo siano, 
e applicando alla serie la formola più volte cit. del sig. SeGRE (Rend. Lincei, 1887), 
si vede che la cosa risulta possibile in due soli casi, cioè per una C$° di Sj con punto 
doppio e per una Cs di S; priva di punti doppi; curve che stanno rispett. sulle 
rigate R° e R' e ne tagliano ogni generatrice in quattro punti (6). 

Se poi i gruppi della gj non sono collineari, essi staranno però certo in altret- 
tanti piani (cfr. CasreLNUOvo, Ricerche ecc., 14); e questi piani costituiranno una 
serie co! razionale, normale (perchè è tale la nostra curva), e quindi di ordine » —2 (7); 


una varietà M:-° dunque, che conterrà la C?4°. E poichè le quadriche di $, passanti 


per questa varietà formano un sistema lineare di dimensione ("3°) — 1, vi sarà certo 
un altro sistema, pure lineare, di dimensione 


(Cepeaie Cerlbad=r_4 


e costituito da quadriche passanti tutte per la curva C?"+?, ma non per la varietà 
r_2 


5°. Queste quadriche segheranno già ogni piano di M;”° in quattro punti fissi 
(formanti un gruppo della gi); imporre dunque ad una di esse di contenere uno di 


(1) Le proposizioni generali trovate precedentemente non sono applicabili ai casi di 7=1 e 
i=2, nei quali la curva in discorso risulta di ordine < 2» +2. La trattazione di questi casi è 
però ugualmente interessante, e servirà nel tempo stesso a render più completo il nostro studio. 

(2) In generale, una curva speciale C" di Sy si può ottenere come proiezione di una ON di 
$,,1 quando la serie residua (rispetto alla serie canonica) della 97 da essa rappresentata ha qualche 
punto fisso. È questa la traduzione (per le curve degli iperspazi) del teorema inverso del Reduc- 
tionssata di NorrHER. 

(3) Se la OSARE di S,41 sta (come può effettivamente stare) sul cono normale ellittico di or- 
dine »-4-1 — epperò contiene (condizione necessaria e sufficiente a ciò) una serie 00' ellittica di 
coppie di punti — la sua proiezione in Sr starà sul cono ellittico di ordine ; è così che si ottiene 
quell’unico caso già considerato di curva di genere t —1 giacente su di un tal cono. 

(4) Essendosi supposto î < — 1, i risultati che otterremo per un dato valore di é varranno 
solo per r>i-+1 (ossia per gli spazi superiori a $;41). 

(5) Più di uno, si vede subito che non può averne. 

(6) Queste curve si possono ottenere .come intersezioni delle rigate che le contengono con 
varietà del quarto ordine condotte per due o rispett. quattro loro generatrici. Nel primo caso la 
varietà M4 dovrebbe anche toccare la rigata R? in un suo punto. 

(7) Da ciò segue altresì che mai tre punti di uno stesso gruppo della 9g} potranno essere collineari. 


360 GINO FANO 


questi piani equivarrà ad imporle due (nuove) condizioni; e noi potremo perciò sempre 
MAS È ; De] pesi; 
trovare nell’ultimo sistema una quadrica la. quale contenga almeno - 0) de (se- 
condo che r è pari o dispari) fra quegli stessi piani. L’intersezione residua di questa 
3r—4 
2 
e su questa dovrà stare la curva proposta. La superficie stessa con- 


quadrica colla varietà M:”° sarà una superficie F_di ordine (non superiore a) 
dr3, 
prog: 
terrà pure una co' razionale di coniche, e sarà perciò (a meno che la conica gene- 
rica non si spezzi) razionale, a sezioni iperellittiche; sarà anche normale, perchè tali 
sono le sue sezioni (1). Il genere di queste sarà uguale all’ordine della superficie F 


rispett. 


TRIO ; 6 R a e È vr percio 
diminuito di + — 1; non potrà quindi essere superiore a rio sal 
rale, avrà precisamente l'uno o l’altro di questi valori. La curva C?+? (che dicemmo 
stare su F) si potrà ottenere come intersezione (completa o parziale) di F stessa e 
di una quadrica (altra del sistema 00°‘, e non contenente la superficie F (2)); e se 


di queste essa è intersezione solo parziale, l’intersezione residua sarà costituita da 


A vr-—6 _ rT—5 
un certo numero (nel caso più generale —— o 3 


drica passante per la curva C?+? e non per F sega ciascuna delle coniche di questa 
già in quattro punti fissi, posti su quella curva; sicchè la conica di F_ passante per 
un nuovo punto eventualmente comune a F stessa e a quella quadrica avrebbe co- 
muni con quest'ultima già cinque punti, e starebbe perciò tutta su di essa (3). 
L'ordine della superficie F_potrà però qualche volta abbassarsi, — e altrettanto 
avverrà allora del genere delle sue sezioni —. Così, p. es., se la MT? fosse un cono 
— se cioè quegli co' piani passassero tutti per un medesimo punto — vi sarebbe 
una quadrica contenente anche r — 5 fra quegli stessi piani; 


; ma, in gene- 


di coniche. Infatti ogni qua- 


r_4 


certo nel sistema 00 
la superficie F risulterebbe allora di ordine r + 1 e colle sezioni di genere due, e 
le sue co' coniche passerebbero tutte per un medesimo punto (4). La curva C?27+? 
sarebbe allora intersezione completa di questa superficie con una quadrica. 

Più particolarmente ancora può darsi che quelle co! coniche (passando pur sempre 
per uno stesso punto) si scindano tutte in coppie di rette (concorrenti in questo punto); 
allora la superficie F_ sarebbe un cono di ordine » +1 e genere due, e la C+? sa- 
rebbe intersezione (completa) di questo cono con una quadrica non passante pel suo 
vertice. Questa curva conterrebbe allora una serie 00! (di genere 2) di coppie di 
punti, e la gi sarebbe, in un certo senso, composta mediante quella serie (sarebbe 
cioè la 93 entro la stessa 00° di coppie di punti) (5). 


(1) Sono infatti curve iperellittiche, ottenibili come intersezioni di una rigata razionale nor- 
male con una quadrica condotta per un certo numero di sue generatrici. 

(2) E di quadriche così fatte ne esisteranno certo, se 7 > 4. 

(3) Abbiamo così anche un modo, e abbastanza semplice, per trovare delle curve piane atte @ 
rappresentare queste CRGUE partendo cioè dalle note rappresentazioni delle superficie a sezioni 
iperellitiche (Cfr. alcuni lavori del CasreLnuovo che verranno cit. più particolarmente in seguito). 

(4) Questa superficie si rappresenterebbe precisamente con un sistema di sestiche piane aventi 
a comune un punto quadruplo e du8 punti doppi infinitamente vicini a questo. 

(5) Il ragionamento fatto è, come si vede, assai semplice; ma si può anche applicarlo (con 
poche e lievissime modificazioni) in molti casi analoghi, alcuni dei quali saranno pure accennati in 
seguito. Per questo appunto ho voluto esporlo qui per disteso. 


SOPRA LE CURVE Di DATO ORDINE, ECC. 361 


Questo ragionamento non è più applicabile (tutto almeno) al caso di r = 4. Dal 
fatto però che per la C$° di S, passano sempre co' quadriche (tutte quelle cioè di 
un fascio) segue senz'altro che questa curva dovrà stare sulla superficie F' comune 
a quelle stesse quadriche (e uno dei coni del fascio sarà precisamente costituito dai 
piani che contengono i singoli gruppi della g)). 

Riassumendo dunque, abbiamo: Una curva C74? di S, (r>4) la quale non stia 
sulla rigata R'"! sta in generale su di una superficie razionale normale di ordine 


sr—4 1 sr—3 
2 2 


(secondo che r è numero pari o dispari) a sezioni iperellittiche di genere 


r_2 “ pel x GEAR DORIA di Va 
= 0 respett. 5 € può ottenersi precisamente come intersezione di questa superficie 


2 
drica passante per "3 0 "=? sue coniche. L'ordine della s erfici r 
con una quadrica p per 3 3 uperficie, e cor- 
rispondentemente il genere delle sue sezioni e il numero di queste coniche, possono però 
abbassarsi e ridursi rispett. fino ai valori limiti r + 1, 2, 0; in quest'ultimo caso la 
superficie può anche essere un cono di ordine r + 1 e genere due. — Infine per r < 8 


la curva C24? può anche stare su di una F' razionale a sezioni ellittiche comune a 


tutte le quadriche che la contengono (e ciò si verifica anzì sempre per r = 4) (1); e per 
r=5 esiste anche una C*° contenuta in una Fi di Veronese. 

Queste curve sono tutte prive di punti doppi, meno l’ultima (03° di S;) che ne 
ha uno (2). 


17. Per î = 3 lo studio delle curve Co di S, rimane assai facilitato, potendo 


noi già asserire a priori (in forza di teoremi precedenti) che ciascuna di queste curve 
dovrà stare su di una superficie normale a sezioni razionali od ellittiche. Sappiamo 
anzi che questo secondo caso potrà presentarsi solo per » < 9 (e anzi solo per r = 8 
se l'ordine 2r + i = 18 + i della curva in Sy non è un multiplo di 3); ma possiamo 
anche ritrovare la stessa cosa per altra via. 


(1) Questo ci è confermato (almeno in parte) anche dall’enumerazione delle costanti, la quale 
ci dice appunto che la (Cv generale non sta certo sulla F” razionale a sezioni ellittiche se 7 > 4, 


ma può forse starvi per »=4. Infatti le curve (URero di Sr formano, tutte insieme, un sistema 


di dimensione almeno uguale a (r 4-1) (2r + 2) — (r + 3) (r — 3) ossia 7° + 4r + 11 (cfr. CastELNUOVO : 
Numero delle involuzioni razionali etc.; © Rend. Acc. dei Lincei ,; serie II, 1889). Quelle invece che stanno 


sopra una F” a sezioni ellittiche (esclusa almeno la F* di seconda specie) ne formano uno di dimen- 
sione (72 4-10) + (8r +5) =7° + 3r + 15. (Infatti le F" di S, a sezioni ellittiche sono 00°°+!%(r < 9), 
e su ciascuna di queste le (Goto — che si rappresentano con C° piane aventi nei 9 — r punti fon- 


damentali rispett. un punto triplo e 8—r punti doppi — formano (per x = 8) 9 — r sistemi lineari 
di dimensione appunto 35 —6—3(8—7)=3r+5). E questo secondo numero (7° + 3r + 15), infe- 
riore al primo per r => 5, diventa invece eguale ad esso per r = 4. 

(2) Volendo fare a parte la ricerca delle Ci, con punto doppio, si potrebbe osservare che 
queste ultime contengono una ian quindi (come residua), una 98; e questa può essere composta 
mediante una 9 (ma non altrimenti) — e allora si hanno le curve esistenti sulla rigata Ri 
e considerate da principio —, oppure non composta (e senza punti fissi). In tal caso la C+? deve 
potersi riferire a una sestica piana, il che esige r +4 < 10, quindi r = 6, e anzi » < 5 perchè la 
sestica piana generale non contiene alcuna gd Per r=4 si ha allora la (Or di S, coi gruppi della gi 
collineari; per "= 5, la CH di Ss posta sulla superficie di Veronese. 

Serie Il. Tom. XLIV, u! 


362 GINO FANO 


Abbiamo già osservato che la curva Ct! contiene una serie lineare gi. Perciò, 


se questa serie non è composta e non ha punti fissi, quella curva sarà certo rife- 
ribile a una C*7? (semplice) di S,_,, sulla quale la g3-', verrà segata dagli $S,_» 
contenuti nel suo S;_,. 


La serie gi: non può essere composta. Infatti, essendo SÈ < 4 (se è > 2), essa 


potrebbe tutt'al più essere composta con una serie 00! di coppie o di terne di punti. 
Quest'ultimo caso si esclude subito, perchè l'ordine 3ié — 2 non è certo multiplo di 3. 
Quanto al primo, esso potrebbe presentarsi soltanto quando i fosse pari; e, supposto 
allora i = 2%, il genere della serie di coppie di punti non potrebbe superare il limite 
(0k — 1) — (X—1)=% (1). E questo ci porterebbe a concludere che le congiun- 
genti di quelle stesse coppie di punti formerebbero una rigata di ordine < — 1, 
risultato che è manifestamente incompatibile colle nostre ipotesi (anche nel caso 
estremo dell'ordine = r — 1). 


BROS] x ri > © 
La serie gs! può avere un punto fisso. Allora la curva Cb è proiezione di una 


C2++1 di 5,41; sta quindi sulla rigata razionale normale e ha un punto doppio. Le 
generatrici di questa rigata determinano su di essa una 93, e la g5-3 che si ottiene 
dalla gi» col fare astrazione dal punto fisso è precisamente composta con quest’ul- 
tima serie. — E possiamo anche dire, inversamente, che ogni Cb; di S, (i<r—1) 
tracciata sulla rigata R'—! in modo da incontrarne ogni generatrice in tre punti deve 
avere un punto doppio e può ottenersi come proiezione di una C*Y+1 di S,41. — Più 
di un punto fisso la 9g} non può avere. 

Escluse pertanto queste curve contenenti una 93, non resteranno che quelle ri- 
feribili a una C*-° di S;_1; e siccome d’altra parte il genere di questa C*7 
essere superiore a 15, se i = 3; a 16, se î=4; e a 3(#-+ 1), se î > 4, potremo 
concludere che, fuori della rigata R", 

le curve Cî7* possono esistere soltanto per r + 6 < 15 ossia per r < 9 (dunque 

perni 20, 04,68:49): 
le curve C2"4* solo per r + 8 = 16 ossia per r = 8 (dunque per r = 6, 7, 8); 


le curve C?+% (i > 4) solo per r + 2î < 3 (i+ 1) ossia per r < è + 3 (dunque 


rT+2i 
perr=i-+42, +43); 
e anzi queste ultime (come si vede facilmente) se x > 9 dovranno stare anch'esse 
sulla rigata R'-!, ma ne taglieranno ogni generatrice in quattro (anzichè in tre) 
punti (2). 


non può 


(1) La serie CAT si riduce infatti, su questa co' di coppie di punti, a una gain e quest'ul- 
tima serie è certo non speciale se Bk —1<2(2% — 1) ossia se X> 1. 

(2) Per » <= 9 potranno invece essere contenute ancora in superficie di ordine r; ciò proviene 
dal fatto che la curva C*7? di Si-1, pur essendo in generale contenuta in una rigata Ri? e in. 
contrando le generatrici di questa in quattro punti, può tuttavia, p&r valori particolari di è, incon- 
trare queste stesse generatrici in cinque punti, o anche stare sulla superficie di Veronese. — E questo 
limite 9 (e anzi 8 quando l’ordine della curva, per »= 9, non risulterebbe multiplo di 3) mi sembra 
veramente notevole. Certo che non ne abbiamo una nuova dimostrazione dei risultati già ottenuti 
dal sig. DeL Pezzo per le superficie razionali a. sezioni ellittiche (in quanto specialmente queste non 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 363 


18. Possiamo riassumere i risultati ottenuti sulle curve di genere n — 1 e di 


ordine compreso fra 2r +1 e 3r — 2 (limiti inclusi) — curve quindi del tipo 
Cerbi (O<i<x—1) — nel modo seguente: 


Per ogni valore di r e di i esiste: 


Una 0275 con punto doppio e contenuta in una rigata razionale normale R'—! della 


quale essa incontra ogni generatrice in tre punti; 


Per ogni valore di r abbiamo ancora: 


I A & i. ; : CE : SE 
Una C?74', in generale priva di punti doppi, che è sempre proiezione di una (274 
canonica di S,-1. Può contenere una serie ellittica di coppie di punti, e allora 
sta sul cono normale ellittico di ordine r (e passa semplicemente pel vertice 


di questo cono); 


Una €74, che contiene una gi (lineare) e sta (in generale) su di una superficie 
"1 


razionale normale a sezioni iperellittiche di genere < “ni Questa stessa curva 


può contenere una serie co! di genere due di coppie di punti, ed è allora inter- 
sezione del cono normale di genere due (e ordine r + 1) con una quadrica non 
passante pel vertice di questo cono. Anch’essa non ha, in generale, punti doppi; 


Una C-è, anche priva di punti doppi, contenuta in una rigata R'- e incontrata 
da ogni generatrice di questa in quattro punti. Essa è riferibile (in generale) 
se r è pari, a una C"+#! piana con punto (r — 3)P°; se r è dispari, a una C"+? 
piana con un punto (r — 2)?° e un punto triplo (contiene dunque in questo caso 


una gi); 


Una 087 con punto doppio, e contenuta pure in una rigata R'7 di cui incontra 
ogni generatrice in quattro punti. Essa può riferirsi (in generale) a una C+? 


piana con un punto (r — 2)?° e un punto doppio. 


Per r < 9 si hanno poi ancora le curve seguenti : 


possono esistere per 7 > 9); ma ne abbiamo però una conferma, notevole sopratutto per il modo 
in cui vi siamo giunti, partendo cioè da un ordine di idee affatto diverso da quello in cui era lo 
stesso sig. DeL Przzo. La stessa via, considerando le curve di genere t —2, t —3,..., conduce ai 
limiti analoghi 11, 14, ..... 


364 


GINO FANO 


Numero 
Indicazione dei Superficie in cui le curve Curve piane 
della curva punti sono contenute cui sono riferibili (1) 
doppi 
d 
(e) 
ch: Re — Superficie F' a sezioni ellittiche | 0° piana (A* Bî Bî B$ Bj) 
dl 
È | 9° 1 Superficie F* di Veronese C° piana (A°) 
Si | ; F° a sezioni ellittiche | C” piana (A* B? Bî B3) 
Li 
Ri | ti fami ” » ” ” (Aî Aî Aî Ai) 
SÉ Le — Superficie F° a sezioni ellittiche 3 (A* Bî B3) 
2.9 
SR E = ” ” ”» ” (Aî AS 3) 
A i; 
; Li - È E 5 C° piana (Aî Aî B?) 
d | to Dai Superficie F° a sezioni ellittiche | C° piana (AB?) 
(©) A 2 
s \ Ci puri ” ” ” ” (Ai A5) 
DI 
(77) 8 « 
2 15 — ; 3 3 C* piana (Aî A5) 
= 
5 5 ET ” ” ” ” (A° B?) 
| È DAL - 
te — | Superficie F* di prima specie O” piana (A°) 
E ti sog ” ” ” ” (A°) 
D . 
39 18 =» DI » ” 0 piana (A°) 
N 
È Do E ” ” ” ” (A°) 
S È ee È di seconda specie 3 (A* B3) 
(cb) 
ni DR o È 3 7 C° piana (Ai A3) 
DO fan ” ” ” (04 piana (A° B‘) ez) 
a È Li Superficie F° a sezioni ellittiche | 0° piana generale 
2 è 5 vaio? ” ” ” 05 piana ” 


(1) Le parentesi (4° BÎ Bî BÎ Bi) ecc. di quest’ultima colonna — e così pure quelle dell’ ana- 
loga tabella alla fine del $ 8 — indicano i punti multipli delle varie curve piane. La prima 0! 
avrebbe quindi un punto triplo (A*) e quattro punti doppi (Bî 301B2) — la multiplicità essendo 
sempre data dall’indice superiore —. E da questo si deduce anche facilmente quali serie notevoli 
di gruppi di punti contengano le varie curve. 


: 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 365 


(VIa) 
NI 


Sistemi lineari di quadriche di dimensione (73!) — 3. 
Loro varietà basi. — Superficie di ordine »-+- 1. 


19. — Lo stesso teorema del n° 9 ci dà ancora, per î=3: 

Se nello spazio S, (r = 5) si ha un gruppo di 2r+3+-x(x=4) punti indipen- 
denti e tali che le quadriche passanti per 2r +3 qualunque fra essi passino sempre 
di conseguenza pei rimanenti, questi punti staranno tutti su di una M:7° = 09 razio- 
nale normale di piani (che sarà anche segata in una rigata R'7* dall'S,_s di r — 1 
fra quei punti). 

Si può mostrare anche qui che le quadriche passanti per quei primi 2r +3 
punti dovranno averne comuni di conseguenza non solo x, ma infiniti altri. — Sup- 
poniamo infatti che il loro sistema lineare abbia soltanto un numero finito 2r 4-3 + « 
di punti basi. Per questi punti passano certo (3?) — 2r — 3 ossia (3) — 2 quadriche 
indipendenti, mentre per la varietà M7* non ne passano che ("3°); vi sarà dunque 
un sistema lineare (almeno) co”7° (e quindi, se » = 5, di dimensione certo > 0) di 
quadriche passanti per i punti proposti e non per la varietà M57°. Fra queste pren- 
diamone, possibilmente, una che seghi la M5" stessa in una superficie irriduttibile; 
superficie che risulterà di ordine 2r — 4 e colle sezioni iperellittiche di genere r — 3, 
e passerà per quei certi punti. Si seghi ancora questa superficie con una quadrica 
che non la contenga, ma passi per questi stessi punti; si avrà così una curva di 
ordine 4r — 8, per la quale passeranno ("3°) +2 quadriche indipendenti. Su questa 
le quadriche di S, segheranno una g$_îe; e obbligando queste stesse quadriche a 
passare per quei primi 2r +3 punti, rimarrà una g$_% che dovrà avere x punti 
fissi. Se noi dimostreremo che questa serie (supposta almeno la C7* irriduttibile) 
non può avere più di tre punti fissi, potremo dunque concluderne che, nel nostro 
caso, la superficie o la curva di cui sopra saranno necessariamente riduttibili, e che 
perciò le quadriche passanti per i punti proposti avranno certo infiniti punti a 
comune (1). Supposto pertanto che la gîr-b possa avere anche tre punti fissi, basterà 
mostrare che la g$_35: ottenuta astraendo da questi ultimi non può averne più alcuno. 
È questo appunto che ora faremo. 

La superficie considerata di ordine 2r — 4 si può infatti rappresentare sul piano 
col sistema delle curve di un certo ordine r — 1+pu(u<v — 3) aventi a comune 
un punto (r — 34 u)P° — che chiameremo P — e poi ancora u punti doppi infi- 


(1) Infatti, se la superficie E° fosse necessariamente riduttibile,, la cosa sarebbe quasi evi- 


ves CAN . " . g 2 
dente, perchè in ogni iperpiano — e precisamente sulla sezione determinata da questo nella Mg 


— vi sarebbe qualche punto comune a tutte quelle quadriche. Che se poi la superficie potesse 
prendersi irriduttibile, ma non così la curva sua sezione con una quadrica, le sezioni così ottenute 
(non potendo, come si vede facilmente, spezzarsi in curve di un fascio) avrebbero certo tutta una 
parte a comune (parte che passerebbe per alcuni almeno fra i punti proposti). 


306 GINO FANO 


nitamente vicini a questo e 2r — 4 punti semplici (1). La sezione determinata da 
una quadrica in quella superficie — in particolare dunque la curva considerata di 
ordine 4r — 8 — si rappresenterà allora con una curva piana di ordine 2r — 2 + 2p 
avente il punto P per (2r — 64 2u)P!° e poi ancora u punti quadrupli (A) infinita- 
mente vicini a questo e 2r — 4 punti doppi (B). Questa curva — che chiameremo C — 
è di genere 4r — 11, e contiene perciò come serie canonica una gg2%; ad ogni 
gi2î: su di essa corrisponderà dunque come residua una g5,-.. Fissato pertanto un 
gruppo arbitrario G»,_» di quest’ultima serie, potremo segare su C la g$;78 col sistema 
lineare delle curve di ordine 2r — 5 + 2u che passano per il gruppo G»,_s e sono 
aggiunte a C stessa, hanno cioè il punto P per (2r —7+ 24)P, i u punti A per 
tripli, e passano ancora semplicemente per i 2r — 4 punti B (2). Da una qualunque 
di queste curve si staccheranno però le u rette che congiungono P ai singoli punti A; 
e, facendo astrazione da queste, rimarrà una curva generica F di ordine 2r — 5.4 wu 
avente il punto P per (2r —7+ u)?P, i u punti A per doppi, e passante ancora sem- 
plicemente per i 2r — 4 punti B. E qui possono darsi due casi: 
1° La curva generica [ è irriduttibile; 
2° La curva stessa si spezza; e in tal caso, non potendo spezzarsi in curve 
di un determinato fascio (3), essa conterrà necessariamente una parte fissa. E questa 
parte può essere costituita soltanto : 
a) Da un certo numero di rette uscenti dal punto P; 
5) Da una curva di un certo ordine % avente in P la multiplicità & — 1 (4). 
Esaminando separatamente questi diversi casi — cosa che non presenta d’al- 
tronde alcuna difficoltà — si trova che ciascuno di essi conduce effettivamente a 
determinare sulla curva © delle serie g$/_3, ma prive tutte di punti fissi. Per non 
dilungarci troppo, ci limitiamo ad accennare in nota il ragionamento (5). — La 


(1) Il numero u è la differenza da »— 3 dell'ordine della direttrice minima della superficie im 
discorso (ordine che è appuuto =7— 3). Cfr. ad es. CasteLnuovo: Sulle superficie algebriche ecc. 
(£“ Rend. di Palermo ,, IV). 

(2) La serie 957_53 è certo completa, essendo tale la gg,_% e quindi la gg 59 (v. pag. prec.). 

(38) Perchè se no la CA risulterebbe composta mediante una serie lineare, di ordine = 3 se 
r>5 e =4 se r=5; e di serie così fatte sulla curva C non ne esistono. (Per "= 5 sarebbe anche 
una gi diversa da quella che è segata dalle rette uscenti da P). 

(4) Non da una curva di ordine % avente in P la multiplicità 4 — 2, perchè se no la gAlana 
dovrebbe risultare composta mediante la gi segata dal fascio P. 

(5) Cominciamo col supporre che la curva generica M passante pel gruppo Gy,_g sia irridut- 
tibile. — È facile riconoscere che un sistema lineare 00% di curve di un ordine qualunque 7 avente 
un punto (n — 9} e u punti doppi basi non può avere ancora, se d>n—pu—1, più di 
8(n—Uu —(4-+1) punti basi semplici, e non più di 4(n — p) — 2(4-+ 1) se invece d<n—ut— 1; 
ciò segue immediatamente dal fatto che la serie caratteristica del sistema (ossia la serie lineare segata 
sopra una curva generica di questo stesso sistema dalle rimanenti curve di esso) è non speciale nel 
primo caso, e speciale nel secondo (e quindi — fatta astrazione dai punti fissi — composta mediante 
la 93). Nel nostro caso si ha n=2r — 54 4, d=2r — 8; sicchè i punti basi semplici non potranno 
essere in numero superiore & 

4(2r — 5) — 2-7) =4r—-6, 


e siccome tanti appunto ci sono già dati dai 2» —4 punti B e dal gruppo Ga,_9, così è chiaro 
Qr_-8 4 . 
che la 9g,_99 non potrà avere in questo caso nessun punto fisso. 
Supponiamo ora che le curve M passanti pel gruppo G,,_s contengano tutte una certa retta @ 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 367 


serie gi;2io sulla curva C"7* (supposta irriduttibile) non può avere dunque più di 


tre punti fissi, e questo ci permette di concludere: 

Se nello spazio S,(r = 5) si ha un gruppo di 2r +7 0 più punti indipendenti e 
tali che le quadriche passanti per 2r +3 qualunque fra essi passino sempre di conse- 
quenza pei rimanenti, queste quadriche avranno certo a comune infiniti punti (e quindi 
tutta una linea, passante per una parte almeno di quei primi punti). 

Ovvero anche: Se nello spazio S,(r => 5) sì hanno kK(=2r + 4) punti indipendenti 
e tali che le quadriche passanti per 2r +3 qualunque fra essi passino sempre pei rima- 
nenti — ma non per altri punti fissi — dovrà essere altresì k = 2r + 6 (1). 


20. Questi stessi risultati, uniti ad osservazioni precedenti, ci dànno ancora: 
Una curva (irriduttibile) appartenente a S, e di ordine superiore a 2r + 4 per la 
quale passino ("=') — 2 quadriche indipendenti è sempre contenuta in una superficie 
comune a queste stesse quadriche. Si può anche riconoscere facilmente che questa super- 
ficie sarà di ordine <r + 1 (2); e sarà anzi (in generale) di ordine precisamente 


passante per P. Astraendo da questa, la curva residua variabile (che supponiamo irriduttibile) dovrà 
essere di ordine 2r — 6+ u, colla multiplicità 2r — 8 + u nel punto P, e coi soliti u punti doppi (A) 
e 2r —4 punti semplici (B) basi. Ma il sistema di queste curve non può avere (v. sopra) più di 4r — 10 
punti basi semplici, e d’ altra parte i' punti B e il gruppo Go,_o9 ne dànno già complessivamente 
4r — 6; quattro di questi punti (e precisamente del gruppo Ge;—2) dovranno dunque stare sulla retta « 
(ossia il gruppo Ga,_y dovrà contenere tutto un gruppo della gl); ma con tutto ciò la serie ge7_5o 
non potrà avere ancora punti fissi. — Questo ragionamento suppone implicitamente che la retta a 
non passi per nessuno dei punti A e B; ma se passasse anche per uno di questi, le considerazioni 
stesse già esposte, con poche modificazioni, si potrebbero ancora ripetere e condurrebbero all’identica 
conclusione. E un ragionamento analogo si potrebbe anche fare quando dalla curva generica F si 
staccasse un numero maggiore qualsiasi di rette uscenti da P. 

Se infine la curva generica M contiene una parte fissa di un certo ordine 7 e colla multiplicità 
h—1 nel punto P (parte che potrà essere irriduttibile, o anche contenere a sua volta qualche retta 
uscente da questo stesso punto) è chiaro che, astraendo da tutta questa parte, rimarrà un sistema 
lineare di curve y di un certo ordine t=2r —54+u— #7 e colla multiplicità X— 1 nel punto P. 
Questo sistema sarà di dimensione 2r — 8 e avrà (fuori di P) precisamente 


k(k+3) k(k—1) 
2 fon 2 


— 2r+8=2%X —2r+8 


punti basi semplici. Ma fra le intersezioni della sua curva generica yF colla C ne cadono nel punto P 
sole (X —1)(2r —6+ 24); fuori di P dovranno dunque esservene 


k(2 —2+2u)—(k—1)(r —-6+2u)=4%X42r — 6+ 2u 


Ammesso perciò (ed è il caso più sfavorevole) che fra quei 2% — 2r +8 punti vi siano tutti u i 
punti A e che i rimanenti siano anche tutti punti B, è chiaro che da questi stessi punti potranno 
essere assorbite soltanto 


4u + 2(2%X —- 2r4+8—-Uu=4%k — 4r + 16 — 2u 


di quelle intersezioni, e perciò certo 6r — 22 fra esse cadranno fuori dei punti basi del sistema 
delle y e saranno quindi tutte variabili. Questo caso più sfavorevole è anzi il solo che possa presen- 
tarsi (quando si voglia ottenere una GESSO): ma esso ci conduce ancora a una serie priva di 
punti fissi. 

(1) Il valore massimo X=2r + 6 può essere però raggiunto; e se ne ha un esempio nel gruppo 
generale delle intersezioni di una quadrica con una curva (normale) di ordine » +3 e genere 3. 
Così pure, nell’ultimo enunciato del n° 10, può essere anche XK =2r + 4. 

(2) E quindi di ordine < » + 2 la linea considerata nel penultimo enunciato del n°. preced. 


368 GINO FANO 


=r +1, se per la curva proposta non passa un numero di quadriche superiore a 
quello indicato. — Avvertiamo però che in questo enunciato (e così pure in seguito) 
si dovrà sempre ritenere » = 6 —. Possiamo anche aggiungere: 

Se un sistema lineare di quadriche di S, è di dimensione ("=') — 3 e ha infiniti punti - 
basi, questi punti non potranno costituire (colle stesse riserve del teorema analogo 
dato al n° 11) che una curva di ordine <2r +4 o una superficie di ordine <r + 1. 

La prima di queste due proposizioni si applica in particolare (cfr. $ 2) alle curve 
(normali) di genere mt —% e di ordine superiore a 


Nereo 
jo +2{{r-1]j+1+1 
dove / è il resto della divisione di % per 3. 


21. Si vede subito però che dalle superficie di ordine r + 1 testè comparse nel 
nostro studio possiamo escludere senz’ altro tutte quelle non normali (per le quali 
passano appunto, in generale, meno di (":') — 2 quadriche indipendenti). E, fra quelle 
normali, si devono anche escludere le rigate ellittiche, per le quali ne passano sol- 
tanto ("3') — 3. Non rimangono perciò che le superficie (normali) a sezioni di genere 
due, cioè: 

a) i coni normali di genere due: 
6) le superficie non rigate, che sono razionali, ma esistono soltanto per r < 11 (1). 
Nel caso estremo r = 11 queste superficie possono rappresentare: 
il sistema delle quartiche piane con un punto doppio base; 
Ù delle quintiche con un punto triplo e un punto doppio; 
5 delle sestiche con un punto quadruplo e due punti doppi infinitamente 
vicini a questo. 

Per » < 11 rappresentano invece 1 sistemi ottenuti da questi coll’ aggiunta di 
uno o più punti basi semplici. 

Quindi: Una curva appartenente a S, e di ordine superiore a 2r + 4 per la quale 
passino precisamente ("3) — 2 quadriche indipendenti — in particolare dunque una 
curva normale di genere n —k e di ordine superiore al limite ricordato poc'anzi — 
sta sempre sopra un cono normale di genere due, o (se r < 11) su di una superficie 
razionale normale a sezioni di genere due comune a tutte quelle quadriche. 

Per il cono di genere due possiamo ripetere le stesse considerazioni già fatte 
per il cono ellittico (n° 13), e dedurne che il caso di una curva giacente su di 
esso si presenta solo, per così dire, come eccezione. Ne seguirà che le curve di 


sa +2 ed (+2+2 dove / ha il noto signi- 


genere t — & e di ordine n=| 


(1) Più generalmente anzi, una superficie razionale colle sezioni di genere p > 1 non può appar 
tenere a uno spazio superiore @ Sgp45 (e se appartiene a un Sgp+5 le sue sezioni devono essere 
curve iperellittiche). Questi risultati — e le loro traduzioni per i sistemi lineari di curve piane — 
si trovano in diversi lavori del sig. CasteLNUOvo; cfr. ad es.: Sulle superficie algebriche le cui sezioni 
piane sono curve iperellittiche (“ Rend. di Palermo ,, IV); Massima dimensione dei sistemi lineari di 
curve piane di dato genere (“ Ann. di Mat. ,, serie II, t. XVIII); e Ricerche generali sui sistemi lineari 
di curve piane (“ Mem. Acc. di Torino ,, serie II, vol. XLII). 


caso: 


ist a TARE Se 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 369 


ficato staranno în generale, se r > 11, sopra almeno ("3') — 1 quadriche indipendenti, 


e anzi precisamente sopra ("7') tali, ancorchè non abbiano l’ ordine superiore a 
(+2) 1)+1 


$ 8. 


Sulle curve di genere TT — 2. 


22. I risultati ottenuti nel $ precedente si applicano in particolare alle curve 
di genere t — 2, per le quali, come sappiamo, passano sempre almeno (73)) — 2 
quadriche indipendenti (e ne passano anzi certo almeno ("3') — 1 se l'ordine è supe- 
riore a 3r — 2, e ("3') se è superiore a 4r — 3; condizioni queste, s’ intende, solo 
sufficienti). — Daremo ora un cenno su queste curve di genere mt — 2 (come già si 
è fatto per quelle di genere x — 1); ma proponendoci di tenere, nei limiti del pos- 
sibile, la massima brevità. 

E cominciamo colle curve di ordine inferiore a 3r — 1, quindi del tipo Ce 
(supposto anche qui 0 < è <7— 1) (1). Esse contengono per è = 2 — come residua 
della g5,,; segata dagli iperpiani — una gg, e di ciò avremo a valerci in seguito. 
Fra queste curve, come si vede facilmente, possono stare sul cono normale ellittico 
soltanto quelle di ordine 2r + 1 (m=2, s=2=1) e 2r+ 2 M=s=2, 2=°0); 
e sul cono normale di genere due soltanto quelle di ordine 2r + 3(m=2, s=1, 2=0)(2). 


23. Facendo i = 1, abbiamo curve del tipo C?+!, e queste sono certo non 
po Ct, eq 


speciali. Possono stare, come abbiamo veduto or ora, sul cono normale ellittico (3). 


Per i=2(r > 3) abbiamo delle C274°, che si possono tutte ottenere come proie- 


zioni delle curve canoniche C?+* di S,,, rispet:. da loro corde. Non hanno in gene- 


r+3 TA-2 
rale punti doppi, perchè se no dovrebbero contenere almeno una g;, il che, in 
generale appunto, per r + 3 > 6 ossia r > 3 non si verifica. 
Per î=3(r > 4) abbiamo curve (775° contenenti una g;. E qui ci converrà 
distinguere vari casi: (4) 


a) Curve con due punti doppi: Stanno tutte sulla rigata R'7 e ne incontrano 


| ogni generatrice in tre punti. Solo la CI di S; può incontrare queste stesse rette 
in quattro (anzichè in tre) punti. 


(1) Anche queste curve (come quelle di genere m —1 considerate nel $ 6) sono tutte normali. 
(2) Per il significato di queste varie lettere cfr. n° 13. 
(8) Sono di questo tipo anche le curve di ordine 2r-+1 che stanno sul cono razionale normale 


di ordine y—1 e hanno nel suo vertice un punto triplo (v. C. Segre: Recherches générales ete., 1; 


“ Math. Ann. ,, XXX). 
(4) Possiamo supporre che la 9 non abbia punti fissi, perchè se no la CHL sì potrebbe 


ottenere come proiezione di una DEE di Sr+1 (che è di genere t — 1, e quindi da noi già stu- 


s È 2 ; 
diata). Questo caso si presenta anche quando la C 7+8 sta sul cono normale di genere due. 
Serie II Tom. XLIV. vi 


370 GINO FANO 


5) Curve con un (solo) punto doppio: Per ciascuno dei valori » = 5, 6, 7, 8,9, 
abbiamo una 0°:3 contenuta in una F razionale a sezioni ellittiche (di prima specie, 
per "= 8); e di più, per "= 6, una Ci? che sta sulla rigata R° e ne incontra ogni 
generatrice in 4 punti (1). 

c) Curve prive di punti doppi: In queste curve i gruppi della 93 non sono mai 
collineari; possono però stare in piani per r < 11 (e in questo caso vi sono preci- 
samente 11 —y gruppi con una terna di punti collineari). La nostra curva è allora 
contenuta in una superficie di ordine r |- 1 comune a tutte le quadriche passanti 
per essa; e la stessa superficie sarà anche luogo delle coniche determinate dai sin- 
goli gruppi della gi, delle quali 11 — si spezzeranno (naturalmente) in coppie di 
rette (2). — Infine i singoli gruppi della serie gj possono appartenere a spazi S; (non 
però a S,). Applicando a questo caso un ragionamento analogo a quello già tenuto 
in altra occasione (v. n° 16), si trova che queste curve stanno allora (in generale) 
in una superficie contenente una 09° razionale di quartiche ellittiche, e di ordine 


12.1) 


non superiore & 5 


24. Sia ora i—= 4; r > 5. Avremo curve del tipo C°74*; e queste contengono 
una gî, che possiamo anche supporre priva di punti fissi. 
a) Questa serie gi può essere composta: 

a) Con una serie 00° di coppie di punti di genere k <3. Questo è possibile 
solo per X=3; e si ha così una curva di ordine 2r 4-4 (priva di punti doppi) che 
è l'intersezione generale di un cono normale di ordine r +2 e genere 3 con una 
quadrica (non passante pel suo vertice); 

B) Con una serie lineare gi. È gruppi di questa possono essere collineari nei 
tre casi di r = 6, 7, 8; e troviamo così delle curve contenute rispett. nelle rigate 
razionali normali R°, R°, R”. In ogni altro caso i gruppi della gi dovranno apparte- 
nere ad altrettanti piani; e la curva C2#* starà su di una superficie razionale nor- 
i 3, — 3 
DR O 


° DIO . è è v 
, a sezioni iperellittiche di genere — 0 


male di ordine (in generale) dr 3 


Via 


1 ì ; i ; i 
; e si potrà segare su questa stessa superficie con una quadrica condotta per 


3 ga sue coniche. L'ordine della superficie, il genere delle sue sezioni, e il 
numero di queste coniche possono però abbassarsi fino ai limiti rispettivi r + 2, 3, 0, 
e in quest’ultimo caso la superficie può anche essere un cono (iperellittico) — il che 
rientra nel caso a) —. Per # < 11 l’ordine della superficie può anche ridursi a r + 1, 
e può ridursi anche ad r per r < 9, e a quattro per r = 5; in questi casi però la 
superficie stessa risulta comune a tutte le quadriche passanti per la curva proposta. 


(1) Quest'ultima curva — e così pure la Co di Ss di cui all’al. a) — contengono evidentemente 
una gd e quindi infinite 9 con un punto fisso; ma contengono pure rispett. due ed una gi prive di 


punti così fatti. 
(2) E questo va d’accordo perfettamente con un risultato già ottenuto dal CasreLnuovo (Sulle 
superficie algebriche le cui sezioni piane sono curve iperellittiche, n° 5). 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 371 


5) Se la gi non è composta (e non ha punti fissi) la Chi sarà riferibile a una 
C* piana. Questo esige naturalmente r + 7 < 21, ossia r < 14; e si hanno così vari 


casi semplicissimi, che saranno poi enumerati, alla fine di questo $, nella relativa 
tabella. 


25. Per 4<i<r—1, sappiamo già che la curva C?-ti , deve stare su di 
una superficie (razionale) di ordine r — 1, r, o r+1 e colle sezioni di genere 
rispett. 0, 1, 2, comune a tutte le quadriche che la contengono. Si potrebbe però 
ritrovare questo per altra via e fare nel tempo stesso un’enumerazione dei vari casi 
che queste curve possono presentare, partendo dalla considerazione della serie gi, 
su di esse. Basterebbe perciò osservare che questa serie non può essere in alcun 
modo composta (e ciò per ragioni analoghe a quelle già esposte al n° 17 per la 
serie gi»); ma può essere costituita da una gi;î:, composta con una gi, più due punti 
fissi, o anche da una gg non composta e alla quale si sia aggiunto un punto fisso. 
Esclusi questi due casi che dànno luogo a curve proiezioni di altre già studiate, 
la C275i_, dovrà sempre essere riferibile a una C*- (semplice) di S;_,. E questo per 
i=5 o é= 6 richiede r = 11; per î> 6,r < + 4. — Lo studio ulteriore di queste 
curve non presenta del resto alcuna difficoltà, e perciò appunto ci limitiamo ad 
enumerarle alla fine di questo $. 


26. Le curve di S, di genere t — 2 e di ordine n > 3r — 1 stanno, come già 
si è detto, sopra almeno ("3!) — 1 quadriche indipendenti, e quindi su di una super- 
ficie (normale) di ordine r o r — 1 comune a tutte queste quadriche (almeno se r > 8). 
E questo varrà in particolare per le curve di ordine =3r — 1. Del resto, se anche 
non lo sapessimo, basterebbe osservare che queste curve contengono tutte (come 
residua della g3,-, segata dagli iperpiani) una gi- che non può essere in alcun modo 
composta. Prescindendo perciò dal caso in cui questa serie abbia un punto fisso — 
e la nostra curva sia quindi proiezione di una C8_, di S,.1 (di genere t) — è chiaro 
che la C3-3 dovrà sempre essere riferibile a una C”-? (semplice) di S,_.. Questa 
curva (che è pure di genere m — 2, e corrisponde precisamente al tipo C3t1 di Sp) 
sta sempre sulla rigata razionale normale (R’-*) del suo spazio, — o anche, per r = 7, 
sulla superficie di Veronese (1) —. Da questo e dalle note proprietà delle curve trac- 
ciate sulle rigate razionali normali (v. $ 3) si può dedurre senza alcuna difficoltà che: 

In ogni spazio $, esiste una 0873 che sta (per r > 3) sulla rigata R', e ne 
incontra ogni generatrice in tre o in quattro punti (o, in casi particolari, anche in 


ì cinque); 


Nello spazio Ss esiste anche una Cij (con due punti doppi) contenuta in una 


superficie di Veronese; 


E infine, per tutti i valori di 7 inferiori a 9, si hanno ancora delle curve 
3:73 giacenti sulle superficie razionali di ordine r a sezioni ellittiche (di 1 specie 


| peri -98). 


(1) Questo, per ora, lo ammettiamo, riservandoci di dimostrarlo fra poco (v. ni 28 e 29). 


372 GINO FANO 


27. Veniamo ora alle curve del tipo 03" ,. 


Quelle fra esse che stanno sopra 
("=') quadriche indipendenti saranno pur contenute (se r > 2) in una rigata RT, 
della quale potranno incontrare ogni generatrice in tre o in quattro punti (e nei casi 
di r=4er=-5 anche in cinque punti). Per altri particolari rimandiamo al quadro 


posto alla fine del $. Sulla superficie di Veronese invece la C37,, (Ci per 7 = 5) 


non può stare. 

La stessa curva può stare però sul cono normale ellittico, incontrandone ogni 
generatrice in tre punti (distinti dal vertice). Una tal curva sarà sempre priva di 
punti doppi, e si potrà ottenere (e lo si vede facilmente) come intersezione di questo 
cono con una varietà cubica (M?_,) non tangente ad esso in alcun punto e non 
passante pel suo vertice. 

Infine, per » < 9, le curve C,, possono anche stare su di una superficie razio- 


nale normale a sezioni ellittiche (di prima e seconda specie per r = 8), e sono allora 
precisamente l’intersezione (generale) di questa stessa superficie con una varietà 
cubica (M?_,) di S, (cfr. anche la tabella in fine del $) (1). 


(1) La serie lineare g}, segata dagli iperpiani sopra una 07 +1 di 8, ha per residua rispetto 
alla serie canonica ( 1159) un’altra g5,, — che può in particolare coincidere con essa —. Si dice in tal 
caso che questa serie è autoresidua, e l'insieme di due suoi gruppi qualunque è allora sempre un gruppo 
della serie canonica. Questa particolarità si presenta certo per tutte le o +1 che stanno sopra 
sole (633) — 1 quadriche indipendenti, perchè su queste curve la ZA canonica sì può appunto rite- 
nere segata dal sistema di tutte le quadriche di Sr. Invece sulle GS +1 che stanno sopra (7) 


quadriche indipendenti esistono due g5, distinte e residue l’una dell’altra (come si vede subito ricor- 
rendo p. e. alle rappresentazioni piane che dalle curve stesse si possono ottenere con successive 
proiezioni); e la geni segata dalle quadriche è quindi una serie non speciale (completa). — Il 
signor CasreLnuovo, nella Nota (Il): Osservazioni intorno alla geometria sopra una superficie algebrica 
(“ Rendiconti Ist. Lombardo ,, serie II, vol. XXIV) ha determinato quali sono le curve di genere 3r 
che contengono una 93,_1 autoresidua. Questo corrispondeva al caso limite inferiore, dovendo l’or- 
dine » di ogni g7 autoresidua essere > 3 — 1 (e quindi il genere (=x-+1) della curva > 37). Noi pos- 
siamo ora fare la determinazione analoga per il caso successivo (n= 37); e, tenuto conto altresì del 
fatto che una ORE autoresidua non può essere in alcun modo composta (non con una 9 lineare, se no 
la curva starebbe sulla rigata R"—!; non con una serie di coppie di punti, perchè la formola del 
Segre condurrebbe a un risultato assurdo) e non può nemmeno avere punti fissi, concluderemo: 
Qualsiasi curva di genere 3r +1 che contenga una g5, autoresidua è riferibile: 


Per r=2: A una sestica piana con tre punti doppi posti in linea retta (poichè due rette qua- 
lunque del piano devono poter far parte, insieme, di una cubica aggiunta a questa sestica, è chiaro 
che non sono qui possibili altri casi); 


Per r > 2: All’intersezione generale di una superficie normale di ordine r a sezioni ellittiche con 


una varietà cubica di dimensione r — 1. E questa superficie sappiamo pure che è 


è certo un cono se 
r>9; e solo per x 9 può essere non rigata e razionale. 


—1 


In particolare quindi: Ogni g3, autoresidua in cui sia r >9 deve contenere una 85; 


composta 
con una serie CO! ellittica di terne di punti, e perciò ogni curva contenente una tal 93, deve potersi 
rappresentare con una curva ellittica C" di S,_j tripla (da contarsi cioè tre volte). Il fatto che 
quest’ultima curva ammette 7° spazi S,_o iperosculatori si traduce p. e. in quest'altro: Nella serie gir ; 


vi sono r° gruppi costituiti rispett. da altrettanti gruppi della gi ellittica contati ciascuno r votte. 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 373 


28. Dimostreremo ora che le curve di genere t — 2 appartenenti a S,, quando 
l’ordine loro n è superiore a 3r stanno sempre sulla rigata R' o sulla superficie 
di Veronese. 

Queste curve, per n > 3r, non possono stare infatti sul cono ellittico; già la 
curva di ordine 3r + 1 (passante semplicemente pel vertice di tale cono) è di ge- 
nere soltanto t — 3, e le successive sarebbero di genere ancora inferiore a T — 3. 
Rimane dunque solo da verificare se, per r < 9, queste stesse curve possano stare 
sulle superficie razionali normali di ordine r. 

K si vede facilmente di no. Infatti, indicando con m l’ordine della curva piana 
cui verrebbe riferita la C* nella solita rappresentazione della superficie, e supposto 
che questa y” abbia negli i=9 — punti fondamentali (escludiamo la F* di seconda 
specie) rispett. le multiplicità v), %, ....., v;, sarà n=3m — 20; e perciò, se vogliamo 
che il genere p della curva C” sia precisamente uguale a mt — X, dovrà essere 


(GA Zv—-r) (m_-Zo-1) _ k (1). 


di 2-1) 


Ma d'altra parte abbiamo pure 


pr 


( — 1 ( — 2 v 
m L m se z (1). 


Quindi, @ fortiori: 


(3n—- Tvr) (mn Zo—- 1) 
2(e— 1) 


paia) 6). 


Risolvendo ora questa disuguaglianza rispetto a m, e determinando (il che non 
offre difficoltà) il limite superiore del secondo membro, si trova alla fine 


mi = dA. 


Ossia: Se sopra una superficie razionale normale a sezioni ellittiche (esclusa la F* 
di 2° specie) si ha una curva di genere n —k, l'ordine m della sua rappresentante 
piana nella solita rappresentazione della superficie non può superare il limite 3+-4 Y/x+1. 

Im particolare, le curve di genere n — 2 devono avere rappresentanti piane di or- 
dine non superiore a 9 (2). 

Ciò posto, ne segue senz'altro la verità del nostro asserto, perchè già le curve 
Cart (ad es. la Cs di Sg) — e a fortiori le successive — dovrebbero avere le rap- 


presentanti piane di ordine = 10. 


x 


è infatti il valor minimo che può avere il 
genere t corrispondente all’ordine n=3m — Xv (e questo valore lo si ha appunto quando noi 
è intero e quindi = x). 


(2) Per le curve di genere t —1 si avrebbe m = 8; e questo è confermato dai risultati otte- 
nuti nel $ 6. 


(1) La frazione che compare al secondo membro 


374 GINO FANO 


Un ragionamento affatto analogo si potrebbe applicare alla F* di 2? specie; ma 
per brevità lo omettiamo. 


29. Possiamo però anche giungere allo stesso risultato per altra via, mediante 
considerazioni sopra serie lineari. Supponiamo infatti che per una curva Chio SU 
(e sono di questo tipo appunto — per 0<i< —2 — quelle che ora dobbiamo 
considerare) (1) passino soltanto ("z!) — 1 quadriche indipendenti. Il sistema di tutte 


le quadriche di S, segherà allora sopra questa curva una gè,,;; e siccome la serie 


rette, x 


canonica è in questo caso una gir), è chiaro che la stessa curva dovrà anche con- 
tenere, come residua di quella prima serie, una gî.. Faremo vedere che una tal serie 
essa non può contenerla, a meno di non stare sulla rigata R'7!, — il che sarebbe 
contrario alle nostre ipotesi —. 

La curva proposta non potrà infatti riferirsi a una Cf di S,, perchè quest’ultima 
avrebbe per genere massimo 21 se i = 2, 25 se #—=3, e 6(2+ 1) se 2= 4; do- 
vrebbero dunque verificarsi in questi casi rispett. le relazioni 


IA 


Griso =20' è ossia gd, seri =2= 
3r + 10 <= 25 “% r 


Sr LB, Siae 


IA 


Di Sean _9 
i+1, sed > 4; 


IA 


le quali sono invece tutte incompatibili coll’ipotesi fatta è < r — 2 ossia r > d4- 2. 

La gi, non può nemmeno essere composta mediante una serie 00! di coppie di 
punti (di genere < i+ 1), nè mediante una serie di terne di punti (se è è multiplo 
di tre), nè infine con una g} (lineare) i cui gruppi appartengano ad altrettanti piani, 
perchè sempre l’applicazione della formola del sig. Seere condurrebbe ad un risul- 
tato assurdo (si troverebbe cioè che la nostra curva, che abbiamo supposta appar- 
tenere ad S,, dovrebbe stare sopra una rigata di ordine <r — 1, o su di una My 
di ordine < — 2). Nè la gi può avere qualche punto fisso, perchè, se ne avesse 
ad es. un certo numero %, astraendo da questi, rimarrebbe una gi.,, che dovrebbe 
essere rappresentabile mediante una C“* di S,, oppure composta mediante una 
serie co! di coppie o terne di punti; ipotesi tutte che conducono agli stessi risultati 
assurdi di prima. 

Rimane dunque la sola ipotesi che la gi; sia composta mediante una gi coi gruppi 
collineari. Ma allora le rette contenenti questi singoli gruppi dovrebbero formare una 
rigata razionale normale (di ordine » — 1), e perciò la curva dovrebbe stare sopra ("3)) 
quadriche indipendenti, mentre abbiamo supposto che stesse sopra sole ("3!) — 1. 
È dunque in ogni caso assurda quest’ultima ipotesi; e possiamo perciò asserire che: 

Ogni curva appartenente a S, (r > 2) la quale sia di genere n — 2 e di ordine n > dr 
sta su di una superficie razionale normale di ordine » — 1 (comune a tutte le qua- 
driche che la contengono). 


(1) Se fosse 7 > » — 2, l'ordine della nostra curva risulterebbe = 4rx — 2, e in questo caso sap- 
piamo già che la proposizione che qui vogliamo dimostrare è vera. 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 375 


30. I risultati ottenuti sulle curve (di S,) di genere mt — 2 e di ordine => 2r + 1 
ma = 8r, su quelle curve cioè di genere t — 2 e ordine > 2r che non stanno ne- 
cessariamente su di una F', possono riassumersi così : 


a) Curve del tipo O*ti | (O0<i<rT—]1): 


r4+2i—1 


Per ogni valore di r e di i esiste: 


r—l 


Una C?4i , con due punti doppi, che sta sulla rigata R'—' e ne incontra ogni gene- 


r+2i-1 
ratrice in tre punti; 


Per ogni valore di r abbiamo ancora: 


2r +41 ; si n 1 i n Ù a i tia a 
Una 07% (non speciale) che può presentare diversi casì, e può anche in particolare 


esser contenuta in un cono ellittico di ordine r. In questo caso avrebbe un punto 
doppio (non però nel vertice del cono); 


Una C27t°, che è sempre proiezione di una C°"** canonica di $,+2, e può anche stare 


sul cono ellittico di ordine r (pel cui vertice deve allora passare doppiamente); 


Una 024° priva di punti doppi e contenente una g;. Questa curva può essere con- 


tenuta in un cono normale di genere due ; 
Una C?274* anche priva di punti doppi e contenente una gi. Quest'ultima curva sta 
9 ò È z Cao DOO È x 
su di una superficie razionale normale a sezioni iperellittiche di genere < g; SU- 
perficie che può anche essere sostituita da un cono normale iperellittico di ge- 
nere tre (e ordine r + 1); 


3r—-9 
e contenuta in una rigata R"-! di cui incontra 


Una C3-3 con un punto doppio 


Una 0-4 priva di punti doppi | 
| ogni generatrice in quattro punti. 


Una Cè? con due punti doppi 

La prima di queste curve è riferibile (in generale) a una C” piana con punto 
(r — 4)P° se r è pari, e a una C+! con punto (r — 3)P° e un punto triplo se r è 
dispari; la seconda pure a una C+! con punto (r — 3)P° e un punto doppio ; la 
terza a una C+? con punto (r — 2)? e due punti doppi. 


Infine per r < 11 sì hanno ancora le curve seguenti : 


376 


GINO FANO 


DI Numero Aa . E 
Indicazione dei Superficie in cui le curve Curve piane 
delle curve punti sono contenute cui sono riferibili 
doppi 
È | 8 — | Superficie F° a sezioni ellittiche C' piana (A° Bî Bè) 
3”) | i > 0» (ATAZAGATAG) 
SI 1 = x R° » digenere due | C°° , (A°A;BîB2...Bî)(D 
1 iù — | Superficie F° a sezioni ellittiche | C° piana (A? B°) 
ii o a, 
3 O n° — s OL »  digenere due | C° , (A°A3BÎB:BIBIB?) 
5 15 — 5 FS ù ellittiche Ct (ATA | 
to io O, (AfA3B?Bj) 
DI e Pale » «FP. , digenereduel, . , (A*B:B:B:B:B) 
Le _ x KS È ; inci Di si VASARI) 
1 —. | Superficie F” a sezioni ellittiche | C” piana (A*) 
| a ’ " ’ ’ Co, (BI 
1 1 n ’ n ” Cin AES) 
n | CH — È F* » digenere due | 0°, (A°?A:B°B3B3 Bj) 
E ClÒ _ 3 TR 7 ellittiche Ceno (49 
O SERE 5 Coi (ATA) 
£ Mi del È F* s digenere due | , n (ASB#BaB Bo 
2. e e Sire | O 
to e n 104 uo ellittiche Cio ANSA) 
eli SOG, O, (A*BIBì) 
I O E a F* s. di genere due | 0°,  (A*B3*CîC3 03) 
to i Superficie F* a sez. ell. di 1° specie | 0” piana (Aî A3) 
O R — si F° =, di genere due C'°. ., (AGA3B°B}B3) 
w — 1 E p'ell.di-lè'specie | o penerale 
È | î5 1 , E 26 AC) 
2 sE e n E°, di genere due|, » . (A*BfBs Bi) 
È | gn A LUO i ee o) 
Ss si 1 5 E°... , ell-dil*specio.., ni (ABI) 
6 o ch da A PF... idi.genere due |; (ABC) 
| 2a 1 È E°. orcell.di.l&specie; Cut (A) 
( i 1 È i È î dalai C° so (ABI) 
| to _ 3 F°, di genere due |, n (A* Bî Bì B$) 


(1) Si noti (per questa curva, e per le analoghe che si troveranno più avanti) che i due punti 
quintupli potrebbero essere (in particolare) infinitamente vicini. Se non lo sono, l’ordine di questa 
rappresentante piana si può abbassare (per » = 10) con una trasformazione Cremoniana (e la su- 


perficie pi (qui F°) si potrà certo rappresentare con un sistema di quartiche piane). 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. SI 


2 — —— O ll, 


Indicazione di us Superficie in cui le curve Curve piane 
delle curve REA sono contenute cui sono riferibili 
ti | 1 i Superficie F° a sezioni ellittiche | O” piana (A?) 

A È = s F° =, digeneredue| 0° , (A°A5B?B) 
de|- e, (BR) 
î 7 a n Io sumircdlio, poet. A) 
€ CE = 5 1 UA due AC, TCA BC) 
E AL MORE e0ellittiche CO (A) 

O RA È F°, digeneredue | 0° , (A‘B?Bî) 

25 n i à ) A CRAS C°) 

sE, — | Superficie F" a sezioni di gen. due | C'° piana (Aî A3 B°) 
e O: I Ta) 

9 A A SE) aa URI »  (ATAZAZAZ) 
È (GA = ” Pil v n duel C° » (A‘B?) 
cia E, ed 
Zi 8 | ù n n Ci (ABI) 

| | 3 È , men i SOS, CASB) 
té — | Superficie F'° a sez. di gen. due di 1° 
o) o 2*specie(1)] 0°, (AîA3) 
8 | — n NARRA EE IS Ca (40) 
d " ni 5 F58., gen.tre n.» (ATASA3) 
‘$ (OH = 5 Fi.» , duel*speciei C° , (A°B') 
oe — RO e e (AI 
C e | — ù ein eo Ccopinr (ABI) 
0 oa ’ nie lit aC OA") 
n “ERI » ” » b) ” le ” 0 » (A” B') 


e negli spazi Sis, Sig € Su esistono ancora rispett. una Cî, una C$ e una CÈ con- 
tenute in superficie razionali normali (di ordini 14, 15, 16) a sezioni di genere tre 
(di prima specie) (2) e riferibili a una C° piana con 2, 1 e 0 punti doppi. 


(1) Per la distinzione delle superficie a sezioni di genere due (e, più generalmente, a sezioni 
iperellittiche) in specie, cfr. il lav. cit. del CasreLnuovo (“ Rend. di Palermo ,, IV). La nostra super- 
ficie F!° si dirà di prima specie se non ammette direttrici di ordine <8 (ma di direttrici cubiche 
ne ammetterà allora un fascio); e di seconda specie se ammette una direttrice conica o rettilinea, 
o se le sue 00' coniche passano tutte per uno stesso punto (che sarà triplo per essa). In questo 
primo caso la F'? può essere tanto di prima quanto di seconda specie (con direttrice rettilinea); in 
Seguito, dove è detto di seconda specie, deve intendersi con direttrice conica. 

(2) Cfr. CasteLnuovo: Sulle superficie algebriche le cui sezioni sono curve di genere tre (“ Atti di 
Torino ,, XXV). 


Serie Il. Tom. XLIV. xi 


378 GINO FANO 


5) Curve di ordine 3r — 1 e genere 3r — 2: 


Queste curve, per ogni valore di r, possono stare sulla rigata R'7!, incontran- 
done ogni generatrice in quattro punti. Hanno in tal caso due punti doppi, e sono 
riferibili a una C"+3 piana con un punto (r — 1)P° e due punti doppi. Della rigata 
R' esse possono però incontrare ogni generatrice anche in soli tre punti; hanno 
allora un punto doppio, e sono proiezioni di una C* di S,+1 — intersezione della 
rigata R' di questo stesso spazio con una varietà cubica (M°). 


Abbiamo poi ancora: 


1. Una Ci di S, contenuta in una rigata R* e incontrata dalle generatrici di questa 
in 5 punti. Non ha punti doppi ed è riferibile a una sestica piana generale; 

2. Una 0! di S, con due punti doppi e contenuta in una F‘ di Veronese. È riferibile 
a una C’ piana con due punti doppi; 

3. Infine, per r < 8, una C3;-3 contenuta in una F' a sezioni ellittiche (di prima 
specie per r== 8) e riferibile a una C° piana con punto quadruplo e 8 — r 
punti tripli (1). A 


c) Curve di ordine 3r e genere 3r +1: 


Queste curve, per ogni valore di r, possono essere contenute: 


1. In una rigata R', della quale incontrino ogni generatrice in quattro punti. Hanno 
allora due punti doppi e sono riferibili a una C"+#4 piana con un punto rP° e 
due punti doppi (2). Della stessa rigata R' esse possono anche incontrare le 
varie generatrici in soli tre punti; non hanno allora punti doppi, e si possono 
ottenere (per » = 6) come intersezioni di questa rigata con una varietà di quarto 
ordine (M/_,) passante per una sua direttrice di ordine r — 4; 

2. In un cono (normale) ellittico di ordine 7; e sono allora l'intersezione di questo 
cono con una M?_, non passante pel suo vertice. 

Per r <= 9 le stesse curve possono anche essere intersezioni di una F" a sezioni ellit- 
tiche con una Mî_,. Questa proprietà ne dà anche immediatamente le rappresen- 
tazioni piane. (per questo caso). 

E infine per "=4er=5 le curve Ci e Cè contenute rispett. in una rigata R° o R* pos- 
sono anche incontrare ogni generatrice di questa stessa rigata in 5 punti. La 05 
di S° ha allora ur (solo) punto doppio, e la Ciò di S; non ne ha alcuno (3) (4). 
(1) Nel caso di "=7 questa rappresentazione non è però sempre possibile; quando non lo sia, 

la curva Cio si potrà invece riferire a una C* piana con due punti doppi. E anche per 7 <7 

potrebbe la 030 riferirsi a una C* piana con 7—r punti tripli e due punti doppi; ma questa 
rappresentazione non differirebbe allora sostanzialmente dalla precedente. 

(2) Per y=383 si avrebbe una (07, contenuta in una quadrica, e che dalle generatrici di uno 
dei due sistemi di questa sarebbe incontrata effettivamente in quattro punti. Da quelle dell’ altro 
sistema essa sarebbe però incontrata in cinque punti. 

(3) Questa (0 di Sy è riferibile alla curva di 10° ordine intersezione generale di una quadrica 
del nostro spazio con una superficie di quinto ordine (e anzi da una generatrice qualunque della 
rigata R‘ che la contiene essa si proietta precisamente in una curva così fatta). 

(4) I risultati ottenuti in questo $ risolvono completamente, nel loro insieme, la questione 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 379 


Applicazione dei risultati precedenti 
alle rigate e congruenze di rette. 


81. I risultati ottenuti in questo lavoro si riferiscono, in gran parte almeno, a 
curve e a superficie per le quali passa un sistema lineare di quadriche (in generale 
non tutte degeneri) di nota dimensione; le proprietà da noi stabilite potranno dunque 
tradursi facilmente in risultati di Geometria della retta (1). Rappresentandoci infatti 
— nel caso di r=5 — una qualsiasi Q (purchè non degenere) fra quelle quadriche 
coll’insieme delle rette dello spazio S;, è chiaro che ogni altra quadrica del sistema 
considerato determinerà nella prima una sezione rappresentata a sua volta da un 
complesso quadratico; e alla nostra curva o superficie corrisponderà (nella quadrica 
delle rette) una rigata o una congruenza di rette comune a tutti questi complessi (2). 


della determinazione di tutte le curve di genere t—2 (e di ordine >2r) dei vari spazi (almeno 
per 7 => 3); — e l’analoga determinazione per le curve di genere T—1 era a sua volta contenuta 
nei risultati che abbiamo esposti nel $ 6. — Si potrebbe ora domandare di estendere queste ricerche 
alle curve di genere t — 3, o (più generalmente) di genere t —% (almeno per % non superiore a 
un qualche limite). Premesso che non è mia intenzione di occuparmi per ora di questo argomento, 
voglio però aggiungere che l’unica difficoltà forse che così facendo si incontrerebbe sarebbe quella 


di dare peri sistemi lineari di quadriche di dimensione (7a) — 4 (in Sr) un teorema analogo a 
quelli che ai ni 11 6 20 si sono dati rispett. per i sistemi di dimensione ("31) — 2 e ("31) —3. 
Questo teorema dovrebbe scaturire probabilmente da quello (più generale) del $ 4; ma dalle consi- 
derazioni di cui abbiamo dovuto valerci in sul principio dei $$ 5 e 7 non appare ancora (è un fatto) 
nessun concetto che si possa generalizzare e applicare ai casi successivi. Molte ragioni mi indur- 
rebbero a credere che quel massimo valore di x a cui ho accennato nel $ 4 (n° 8) sia eguale precisa- 
mente a 2(r—1-+-4) — almeno per à <=rx —3 —, e questo è ormai assodato peri casi di è = 1, 2, 3; 
per i casi successivi, è una questione che merita di essere studiata. 

Quello stesso teorema non sarebbe però applicabile alle curve di genere t —% che quando l’or- 


| dine loro fosse > 2(r +%). Per le curve di ordine < 2(r + %) si potrebbero fare delle ricerche ana- 


loghe a quelle accennate nei casi di X=1 (ni 15 e 16) e X=2 (ni 23-25), partendo cioè dalla con- 
siderazione di qualche serie lineare sopra le curve stesse. È notevole forse in particolar modo la 
. DE È 
curva Cai (che è appunto di genere t —% per 2x<r— 1, ossia % £ A). Essa contiene 
una 06 che può essere composta con una serie 00! di coppie di punti di genere X-+1, o con 


una Vi lineare (o anche con una serie 00! di terne di punti, di genere £ +, se X è multiplo di 3), 


e può anche non essere in alcun modo composta, se 7 = 34 + 5 (X = 2). In ciascuno di questi casi 


si può determinare facilmente in che superficie la curva deve essere contenuta. 


(1) Cfr. ad es. la Mem. del sig. Krem già cit. nella prefazione. Alcuni fra i concetti conte- 


aa nuti in questa Memoria furono già applicati da me in un lavoro precedente (“ Ann. di Mat. ,, 
ser. II, t. XXI) allo Studio di alcuni sistemi di rette considerati come: superficie dello spazio a cinque 


dimensioni. 

(2) La rigata avrà anzi lo stesso ordine e lo stesso genere della curva che rappresenta. Quanto 
poi alla congruenza, il suo ordine m e la sua classe n saranno dati rispett. dal numero dei punti in 
cui la superficie corrispondente è incontrata dai piani dei due sistemi della quadrica Q (sarà quindi 


um + x l'ordine della stessa superficie); e il suo rango sarà dato dalla differenza (m —1)(n—1)—(p + d), 
_ dove p è il genere delle sezioni di quella superficie e d l’ordine della sua linea doppia (se una tal 


linea esiste; se no, si dovrà ritenere d = 0). 


380 GINO FANO 


Noi potremo quindi ricavare dai teoremi già ottenuti proprietà delle rigate e delle 
congruenze di rette per cui passa un dato numero (un sistema lineare cioè di data 
dimensione) di complessi quadratici; e precisamente le proprietà relative ad enti 
contenuti (per »= 5) in 00* quadriche si applicheranno alle rigate e congruenze con- 
tenute a lor volta in 00* complessi quadratici. 

Cogliamo l’occasione per dare l’ analoga interpretazione anche dei risultati già 
ottenuti dal sig. CAstELNUOvo e qui ricordati al n° 1. 


32. Il genere massimo di una rigata algebrica di ordine n e non contenuta in un 
complesso lineare (1) è dato dal prodotto x}n—2x—3} dove x è il minimo intero 


non inferiore a n° (2). 


Per una rigata algebrica di genere massimo (di genere cioè precisamente = 
xìîn—2x—3}) passano sempre almeno co° complessi quadratici di rette, e ne passano 
precisamente tanti (e non di più) quando l’ordine di questa rigata non è inferiore a 10. 

Ogni rigata algebrica di ordine superiore a 10 e per cui passino co' complessi 
quadratici (in particolare quindi ogni rigata di genere massimo e di ordine sempre >10) 
è contenuta in una congruenza di rette comune a tutti questi complessi (3). Una tale 
congruenza può presentare due casi distinti: 

a) Congruenza (2, 2) costituita da una serie 00° di fasci di raggi coi centri 
su di una conica e i piani tutti tangenti a un medesimo cono quadrico (4). Questa 


(1) È in questa restrizione appunto che si traduce quella che imporrebbe alla curva O"° di ap- 
portenere allo spazio Sg; essa è perciò indispensabile. Se la rigata stessa in x (solo) complesso 


lineare, il suo genere massimo sarebbe an (22—3y —5); e se stesse in infiniti (00°) complessi e 


quindi in una congruenza lineare, x"(x — x” — 2); — essendo X' e x” i minimi interi non inferiori 
6 n_ 4 n_-3 
x19pebte® sane rgarina. 

(2) Da questo risultato e da quelli contenuti nella nota precedente segue ancora che, nello 


5 7 9 s o È c 5 (n — 3)? . 
spazio ordinario, una rigata di ordine » e di genere superiore @ —5 sta sempre in un com- 


(a— 2) (n— 8) 
; i 


plesso lineare, e anzi in una congruenza lineare se il suo genere è superiore anche a 
(n 2 
4 


Infine, una rigata di ordine n e di genere > è necessariamente un cono (0 un inviluppo piano). 


Di quest’ultima proposizione è fatto cenno anche in una Nota del sig. KipPer (“ Math. Ann. ,, XXX); 
ma le considerazioni che hanno condotto l’A. a questo risultato sono affatto estranee alla geometria 
della retta; tant'è vero che per dedurre questo stesso risultato dalla proprietà corrispondente delle 
curve di ordine x egli ha ricorso ancora a un ragionamento semplice sì, ma affatto inutile, visto 
che non si trattava d’altro che di applicare a un caso (e precisamente @ uno spazio) particolare un 
risultato generale già ottenuto. 

(3) Per la rigata di genere massimo e di ordine = 10 (quindi di genere 6) il teorema non 
sarebbe più vero. Questa rigata può invece ottenersi in generale come intersezione di un complesso 
quadratico e di una congruenza (2, 3) o (8, 2) di genere uno (cfr. il mio lavoro cit., n° 6). Infatti la 


x 


curva canonica generale di genere 6 (05° di Sy) — che è riferibile a una sestica piana con quattro 
punti doppi — è contenuta in una superficie F° razionale a sezioni ellittiche, ed è precisamente 
intersezione di questa superficie con una quadrica non passante per, essa. 

(4) Quella conica non deve però passare pel vertice di questo cono —. Lin: sieme di tutte le tan- 
genti a questo stesso cono che si appoggiano a quella curva si spezza precisamente in due con- 
gruenze (2, 2) così fatte; cfr. ad es. Kummer: Ueber die alg. Strahlensysteme ecc. (£ Abhand. der Berl. 
Ak. ,,1866) e Sturm: Die Gebilde ersten und 2weiten Grades der Liniengeometrie ecc.; vol. II (Leipzig, 1892). 


SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 981 


congruenza corrisponde alla rigata razionale normale del quarto ordine di S;, del 
primo o del secondo gruppo (con una direttrice rettilinea cioè, oppure con una sem- 
plice infinità di coniche direttrici) secondo che il vertice di quel cono cade nel piano 
stesso della conica, oppure è esterno ad esso. In quest’ ultimo caso la congruenza 
contiene una serie razionale 00 (di indici {2, 2}) di rigate quadriche, passanti 
tutte per quella conica e tutte tangenti ai singoli piani di quell’inviluppo (ossia di 
quel cono) quadrico. L'una e l’altra di queste congruenze corrisponde per dualità a 
sè stessa; 

5) Congruenza (1, 3) delle corde di una cubica sghemba, — oppure il sistema 
reciproco di questo, una congruenza cioè (3, 1) le cui rette siano le intersezioni a 
due a due dei piani osculatori a una tal cubica (siano quindi, in altri termini, le 
congiungenti delle coppie di punti omologhi di due piani collineari in posizione 
generale) —. Questi due sistemi (reciproci) sono ben distinti fra loro, ma corrispon- 
dono entrambi alla superficie di Veronese (1). L’uno e l’altro di essi contiene una 
serie 00° di rigate quadriche (corrispondenti alle 00° coniche della F$ di Veronese); 
e il sistema di queste quadriche (considerate rispett. nei due casi come luoghi e 
come inviluppi) è anzi lineare (2) (3). 


(1) Cfr. C. Secre, Considerazioni intorno alla geometria delle coniche di un piano ecc. (* Atti della 
R. Acc. di Torino ,, XX). 

(2) Le rigate contenute in una congruenza di questo secondo tipo conterranno dunque a lor 
volta una cubica sghemba, incontrata da ogni loro generatrice in due punti, oppure saranno tali 
che per ciascuna di queste generatrici si possano condurre due piani osculatori a una determinata 
cubica. Possiamo anche dire che una qualsiasi di queste due proprietà dovrà sempre verificarsi per 
la rigata proposta o per una qualunque sua trasformata reciproca. Questo caso non può presentarsi 
però che per rigate di ordine pari; la metà di quest’ ordine darebbe precisamente la multiplicità 
(per la rigata) della cubica dianzi considerata. 


Invece le rigate contenute in congruenze del tipo a) avranno tutte indistintamente una conica 
n_ 5 
4 , 


direttrice; e anzi, se la rigata è di genere massimo, il numero x (che sappiamo essere. > ma 


< “2 ) aumentato di un’unità, ci darà, in generale, la multiplicità di questa stessa direttrice. 


Se però l’ordine della rigata fosse del tipo 4m +1 (m essendo intero) la stessa multiplicità potrebbe 
anche essere uguale a m +1 (ossia a x + 2). 


(3) Per una rigata contenuta in u complesso lineare si può dire che, se è di ordine n> 8 e 
(n—-4)(n—-1) e_ia22) 
6 9 6 


di genere massimo ( quindi = , dovrà, stare in una congruenza (1,2) o 


(2, 1) — costituita nel primo caso dalle rette che si appoggiano a una retta data e a una conica 
pure data e avente con quella retta un punto comune, nel secondo caso dalle tangenti a un cono 
quadrico che si appoggiano a una data tangente di questo stesso cono (quel complesso lineare 
sarà quindi in, ogni caso speciale, e le rigate in discorso avranno sempre una direttrice rettilinea 


dotata di una certa multiplicità) —. Infine una rigata contenuta in una congruenza lineare e di 


(n—-2)? (a—1)(n—3) 
DT TESO Cane? TI 


genere massimo (quindi, se di ordine 7, di genere , secondo che » è pari o 


dispari) avrà due direttrici rettilinee (in generale distinte) e multiple entrambe secondo sea se n è 


n_-1 nHtT1 
7 l’una e secondo 3 


pari, secondo l’altra se n, è dispari. Questa, proprietà si.trova già nella 
Nota cit. del sig. KirPER; ad essa possiamo aggiungere che quelle stesse rigate si potranno sempre 

. . . a . . è n 
ottenere come intersezioni della congruenza lineare che le contiene con un complesso di grado +- 


+1 È i TRE Lal : È 
5 (e in quest'ultimo caso vi sarà, naturalmente, un fascio di rette come intersezione re- 


n 
(0) 


sidua). 


382 GINO FANO 


33. Una rigata algebrica per la quale passino non più di co? (1) complessi 
quadratici non può essere di genere superiore @ 


xojn — 2x5 — 3 — xs 11d 


n_—-5 — d 
ai 

Da questo si deduce che per una rigata di genere uguale al massimo corrispon- 
dente al suo ordine (t) diminuito di % unità (dunque di genere mt —%) passano 
sempre (almeno) 00° complessi quadratici quando il suo ordine n è superiore o eguale 


a 4k+- 10; almeno 00 sen=2%k+ 10 0 n= 2X +9 secondo che & è pari o dispari; 
almeno co° quando n > 4 d- ++ 10 dove ? è il resto della divisione di % per 3; 
almeno co quando n =%-+ 10. 


In particolare, per una rigata di ordine » e genere t — 1 passano sempre 


dove Yy è il minimo intero non inferiore 


almeno ‘00° complessi quadratici; e ne passano certo 00‘ per n > 14. Quando ne pas- 
sino soltanto 00°, essi potranno avere a comune la sola rigata R” finchè n < 12; per 
n=13 avranno a comune tutta una congruenza (2, 3) o (3, 2) di genere uno, con- 
tenente la rigata in discorso (qui Rij) — che non avrà in questo caso generatrici 
doppie —. Però la rigata Rit, può anche stare in 00‘ complessi quadratici; allora 
ha sempre una generatrice doppia, e una conica direttrice tripla o quadrupla. 

Anche la rigata Ry può esser contenuta in c0' complessi quadratici, e avere 
una conica direttrice tripla o quadrupla; in quest’ultimo caso però non avrà gene- 
ratrici doppie. Esiste anche una rigata Ri) con una cubica sestupla incontrata da ogni 
sua generatrice in due punti, e con una generatrice doppia. — Se questa stessa 
rigata è contenuta in soli 00° complessi quadratici, potrà ancora stare in una con- 
gruenza (2, 3) o (3, 2) — sempre di genere uno — comune a questi complessi; se no, 
sarà intersezione di un complesso quadratico con una congruenza (3, 3) di genere due 
(congruenza di RocceLLA) (2). — Non avremo invece una rigata Ri, corrispondente 
alla curva C}' di S; che sta sul cono normale ellittico (di quinto ordine) perchè le 
quadriche passanti per questa curva sono tutte degeneri. 


34. Similmente, per una rigata di genere t — 2 passano sempre almeno ‘09’ 
complessi quadratici; e anzi almeno 00° se l’ordine di essa è superiore a 13, e 
certo 00° se è superiore a 15. La rigata di 15° ordine (e genere 16) contenuta in 
soli 00° complessi quadratici è intersezione generale di una congruenza (2, 3) o (3, 2) 
di genere uno con un complesso cubico. — Gli altri casi che queste rigate possono 
presentare si deducono anche facilmente dal quadro che abbiamo dato alla fine 


del $ 8, sicchè crediamo inutile insistervi sopra più a lungo. 


(1) Questa proposizione vale per 0 < è < 4; e anche, se vogliamo, per è=5, intendendo però 
allora che per la rigata non passi più nessun complesso quadratico. L'ipotesi che qui vien fatta 
esclude implicitamente che la congruenza possa stare in un complesso lineare. 

(2) V. RoccrLLa: Sugli enti geometrici dello spazio di rette ecc. (Piazza Armerina, 1882). Cfr. anche 
il mio lavoro cit., n° 9. 


UN METODO 


PER LA 


TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI 


ODI ATE TRSINCA TDI VI 


ED UNA APPLICAZIONE DI ESSO 


A 


MOTORI ELETTRICI A CORRENTI ALTERNATE 


MEMORIA 
DEL SOCIO 


Prof. GALILEO FERRARIS 


Approvata nell’'Adunanza del 3 Dicembre 1893. 


Lo studio di alcuni apparecchi elettrotecnici moderni, e segnatamente quello di 
alcune specie di motori elettrici, porta a considerare grandezze alternative vettoriali. 
Per la trattazione di tali grandezze può giovare ricorrere a qualche modo di rap- 
presentazione grafica, il quale dia di esse non solo l'ampiezza e la fase, ma anche la 
direzione. 

To qui presento un metodo, che nella interpretazione e nella esposizione elementare 
di molti fenomeni può riuscire assai semplice e perspicuo. Per mostrare poi l’uso e 
l’utilità del nuovo metodo, lo applico ai campi magnetici ed espongo per mezzo di 
esso una teoria elementare de’ principali motori elettrici a correnti alternative. 


L 


Vettori rotanti e vettori alternativi. 


1. Definizione. — Denominiamo vettore rotante una grandezza vettoriale della 
quale il valore scalare è costante, mentre la direzione ruota attorno ad un asse con 
velocità uniforme. 

Qui ci limitiamo a considerare vettori rotanti in un dato piano. In questo caso 
a definire un vettore rotante ci bastano i seguenti elementi: la grandezza, il verso, 
la frequenza, ossia il numero di giri fatti in una unità di tempo, e la fuse, ossia la 


frazione di giro compiuta all'origine del tempo. 


384 GALILEO FERRARIS 


Data la frequenza, possiamo rappresentare il vettore rotante per mezzo di un 
segmento di retta 0d, od os (fig. 1) facendo semplicemente queste convenzioni: che la 
Xx lunghezza del segmento rappresenti la grandezza del vettore, che 

la direzione di esso sia quella che ha il vettore nell’origine del 

$ tempo, e che la lettera d od s indichi il verso, destro o sinistro, 
\ della rotazione. Se oX è la retta a partire dalla quale si vogliono 
misurare gli angoli descritti dal vettore, l’angolo X od od Xos è 

quello percorso dal vettore all’origine del tempo e si dice valore 

0 


angolare della fase. Il rapporto 00, oppure £08 è la fase. 
Roseto 


27 
Per nominare i vettori così rappresentati potremo servirci 
semplicemente delle lettere d ed s. 


2. Composizione di due vettori di eguale frequenza rotanti nel medesimo 
piano. 

Primo caso: Vettori rotanti nel medesimo verso. — Si abbiano due vettori rotanti 
nel medesimo verso e colla medesima frequenza; e sieno questi, per esempio, d e d' 
(fig. 2). In ogni istante la loro somma vettoriale, ossia la loro risultante, è il vettore 

o rappresentato dalla diagonale 0D del parallelogrammo 

d fatto su di essi, 0, ciò che val lo stesso, dalla retta oD 

che chiude il triangolo 0d D od il triangolo od'D. Ora 

siccome d e d' girano nel medesimo verso e colla me- 

1 desima velocità angolare, così l’ angolo dod' rimane 

| costante. Rimane quindi costante anche la diagonale oD. 

REATO Essa intanto gira attorno ad o colla stessa velocità 

angolare delle componenti. Dunque la risultante di due vettori di uguale frequenza, 

rotanti nel medesimo piano e nel medesimo verso, è anch'essa un vettore rotante 

nel medesimo verso e colla stessa frequenza. 

‘ Se l'angolo dod' è uguale a due retti, se cioè le fasi di d e di d' differiscono 

di 180°, noi diciamo che d e d' hanno fasi opposte. Se i due vettori componenti 
hanno grandezze uguali e fasi opposte, la loro risultante è nulla. 

È inutile diro come dal caso di due soli vettori si passi al caso di un numero 
qualunque di vettori rotanti nel medesimo piano e nel medesimo verso, e come si 
dimostri che il vettore risultante è anch’esso un vettore rotante nel medesimo piano 
e nel medesimo verso, ed è rappresentato dalla retta che chiude il poligono fatto coi 
vettori componenti. 


Secondo caso: Vettori rotanti in versi opposti. — Se (fig. 3) 
i due vettori componenti od, os rotano in versi opposti, l'angolo 
sod varia; quindi la diagonale 0A varia inevitabilmente di 
grandezza. Essa intanto può variare, ed in generale varia, anche 
di direzione. 

Ma: si hanno a considerare due casi: 

a) Il caso in cui le grandezze od ed os dei due vettori 

Fig. 3. componenti sono uguali tra di loro; 
5) Quello in cui tali grandezze sono disuguali. 


(1) 


UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 385 


3. a) Caso in cui i due vettori componenti hanno grandezze uguali. — 
In questo caso la risultante ha una direzione fissa. Infatti la diagonale 0A (fig. 3) 
è allora in ogni istante la bisettrice dell'angolo s0d, e siccome 0d ed os ruotano 
colla stessa velocità angolare l’uno verso la destra e l’altro verso la sinistra, così 
essa rimane fissa nello spazio. 

Varia invece il valore della risultante, il quale è legato all’angolo variabile Aod 


dalla relazione SES 
of = 2od cos Aod. 


Ponendo 0A = a e 20d4=AÀ, rappresentando con » la frequenza, con t il tempo e con 
a il valore dell'angolo Aod per t=0, questa relazione si scrive: 


a = A cos (2mnt + al. 


Una grandezza variante secondo questa legge è ciò che comunemente dicesi una 
grandezza alternativa od alternante armonica 0 sinusoidale. La costante A è l'ampiezza, 
n la frequenza, l’angolo a il valore angolare della fase, quando si prende come ori- 
gine del tempo l’istante in cui « è massima. 

Noi dunque diciamo 0A: un vettore alternativo, e concludiamo: due vettori uguali, 
rotanti in un medesimo piano, colla stessa frequenza ed in versi opposti dànno per 
risultante un vettore di direzione fissa, alternativo, della stessa frequenza. La dire- 
zione di questo vettore alternativo è quella della bisettrice dell'angolo che in un 
istante qualunque è compreso fra i due vettori componenti, e perciò anche quella 
della bisettrice dell’angolo che i due vettori componenti comprendono nell’istante in 
cui t=0 ossia quella dei due segmenti di rette coi quali si rappresentano, secondo 
la nostra convenzione, i due vettori componenti. 

L'ampiezza del vettore alternativo risultante è uguale al doppio della grandezza 
di uno dei vettori componenti. 

Viceversa un vettore alternativo sinusoidale si può sempre scomporre in due 
vettori rotanti di ugual valore e di versi opposti. Qualunque vettore alternativo 
sinusoidale si può considerare come risultante di due vettori ro- 
tanti nel modo detto. 

Ora questo modo di considerare un vettore alternativo con- 
duce a rappresentazioni grafiche semplicissime, atte ad indicare 
di un vettore alternativo la direzione fissa, l'ampiezza e la fase. 
L’artifizio consiste nel rappresentare con un segmento di retta la s 
direzione e l'ampiezza del vettore alternativo e con altri segmenti 
di rette i vettori rotanti di cui quello si compone. Disegnando tutti 0 
tre questi segmenti, si ha la rappresentazione indicata nella fig. 4. Fig. 4. 

In questa figura il segmento o4 indica la direzione e dà l’am- 

piezza del vettore alternativo, mentre i segmenti 0d ed os rappresentano i vettori 
rotanti, destro e sinistro, in cui 0a si può scomporre. L'angolo @0d, od il suo 
uguale a0s, rappresenta il valore angolare della fase. Ma siccome 0a =20s= 20d 
ed è sulla bisettrice dell'angolo s0d, così uno qualunque dei segmenti 0a, 08, od si 
può trovare quando sono dati gli altri due. Quindi si ha una rappresentazione com- 
pleta anche disegnando solamente questi due. Per tal modo possiamo rappresentare 
il vettore alternativo semplicemente con 0ad, 0 con 0as, 0 con 0sd. 

Serie II. Tom. XLIV. Di 


a 


386 GALILEO FERRARIS 


4. 5) Caso in cui i due vettori componenti hanno grandezze diverse. — 
Se i vettori rotanti componenti, od ed os (fig. 5), non sono uguali, 
è variabile non solo l'ampiezza, ma anche la direzione del vettore 
risultante. Col centro in 0 e con un raggio uguale al più piccolo 
dei vettori componenti, uguale ad os nel caso della figura, si de- 
scriva l’arco di circolo sFd'. Si può considerare 0d come risul- 
tante di due vettori od’ e d'd rotanti nel medesimo verso. Ora i 
due vettori rotanti od’ ed os dànno per risultante un vettore alter- 
nativo o a di direzione fissa bisettrice dell’angolo sod e di ampiezza 
oa=20d'=20s. Dunque i due vettori rotanti od ed 0s di versi 
opposti e di valori diversi equivalgono ad un vettore alternativo 
oa di direzione fissa e ad un vettore rotatorio d' d. 


Fig. 5. 


5. Composizione di due o più vettori alternativi di idirezioni fisse. — 
Valendoci delle considerazioni precedenti possiamo ridurre la composizione di vettori 
alternativi a quella di vettori rotanti. Se per esempio abbiamo due vettori alter- 
nativi di direzione fissa 0asd ed 0'a's'd' (fig. 6), noi possiamo comporre d con d' 

A 


& 


d 


Fig. 6. 


ed s con s' e poi comporre insieme, nel modo or ora indicato, le due risultanti. Per 
comporre d con d' tiriamo da un punto 0 un segmento 0D uguale e parallelo a d 
e da D un segmento DD' uguale e parallelo a d'; troviamo così la risultante O D'. 
Per comporre similmente s con s', tiriamo OS ed SS' rispettivamente uguali e pa- 
ralleli ad s e ad s'e tiriamo OS'. Dopo ciò noi possiamo dire che il sistema dei due 
vettori alternativi a ed a' dati è equivalente al sistema dei due vettori rotanti OD' 
ed OS'. Ora ai due vettori rotanti 0D' ed OS' possiamo applicare la costruzione 
precedente: Se O D' è il minore dei due, noi prendiamo 0S"—=0D' e sulla  biset- 
trice OF dell'angolo S'OD' prendiamo 0OA=20D'=208". I due vettori rotanti 
OD' ed OS’, e quindi anche i due vettori alternativi dati @ ed a’, equivalgono al 
vettore alternativo OA ed al vettore rotante S'"S'. 

La proposizione si può estendere senz'altro al caso di un numero qualunque di 
vettori alternativi: qualsivoglia sistema di vettori alternativi di uguale frequenza, 


UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 387 


situati in un medesimo piano, si può ridurre ad un sistema semplice di un vettore 
alternativo fisso combinato con un vettore rotante. L'operazione da farsi è ancora 
quella indicata nella fig. 6 con questa sola differenza, che in luogo dei triangoli 
ODD', 0SS' si hanno a fare i poligoni di tutte le componenti d e di tutte le com- 
ponenti s dei vettori dati. 

Importa applicare la proposizione a casi particolari. 


6. Casi particolari: 
a) Vettori alternativi aventi la medesima direzione. — Se a’ è parallelo 
ad a (fig. 7), gli angoli 0SS'’, ODD' sono uguali tra di loro, quindi i triangoli OSS’, 
A 


Fig. 7. 
ODD’ sono uguali, e per conseguenza 08'= OD’. Inoltre la bisettrice O A dell’an- 
golo S'OD' è anche bisettrice degli angoli SOD ed S'S,DD', ed è perciò parallela 
alle 0a ed o'a'. Dunque la risultante OA dei due vettori alternativi paralleli @ ed 
a' è anch’essa un vettore alternativo fisso ed è parallela ai componenti. 

Per trovare questa risultante non è necessario eseguire tutta la costruzione 
indicata nella fig. 7: basta evidentemente fare una metà di essa, per esempio la 
parte 0DD'. Secondo l’interpretazione finora data alla figura, i segmenti OD e DD' 
rappresentano la metà delle ampiezze dei vettori alternativi componenti, ed il seg- 
mento OD' rappresenta la metà dell’ampiezza del vettore alternativo risultante. Se 
si abbassano le perpendicolari DB, D'B' su OA, le proiezioni O B, BB' ed OB' rap- 
presentano similmente le metà dei valori istantanei che i due vettori componenti 
ed il risultante hanno per t= 0; e se si suppone che la figura ODD' giri attorno 
ad O colla frequenza #, le proiezioni di 0D, DD’, 0D' sulla retta fissa O A rappre- 
sentano in ogni istante le metà dei valori istantanei dei vettori medesimi. Ma noi 
possiamo ora rappresentare con 0D e con DD' non le metà, ma le intiere ampiezze 
dei vettori componenti; e con ciò abbiamo subito in 0 D' la rappresentazione del- 
l'ampiezza della risultante e nelle proiezioni su OA le rappresentazioni dei valori 
istantanei delle grandezze dei tre vettori considerati. Così noi ritroviamo la nota e 
solita costruzione di cui si fa uso nello studio delle grandezze alternative. Essa è 
un caso particolare della costruzione più generale da noi indicata. 


388 GALILEO FERRARIS 


Le fatte considerazioni si estendono senz'altro al caso di un numero qualunque 
di vettori alternativi paralleli. 


#7. 6) Vettori alternativi di direzioni diverse. — Se i due vettori alternativi 
dati, a ed @', non sono paralleli, la costruzione generale esposta all'art. 5, e rappre- 
sentata nella figura 6, conduce a trovare che i due vettori dati equivalgono a due 
vettori uno alternativo di direzione fissa rappresentato da OA e l’altro rotante di 
valore costante, rappresentato da S"S'. Ma vi hanno casi particolari nei quali di 
questi due vettori esiste soltanto l’uno o soltanto l’altro. 

Esiste solamente il vettore alternativo di direzione fissa quando i due vettori 
alternativi componenti hanno la medesima fase. 


À 


Fig. 8. 


In questo caso infatti gli angoli 0SS', ODD' (fig. 8) sono uguali entrambi al 
supplemento dell'angolo ao0a' e perciò sono uguali tra di loro. Quindi i triangoli 
S0$', DOD' sono uguali l’uno all’altro, e per conseguenza si ha 08' = O0D'. Dunque 
si hanno a comporre due vettori rotanti 0 D' ed 08" uguali e di versi opposti i quali, 
come si è dimostrato [3], dànno per risultante un semplice vettore alternativo di 
direzione fissa. 

Questa risultante è rappresentata dal segmento OA uguale a 208' ed a 20D' 
e giacente sulla bisettrice OF dell'angolo 8"OD'. La sua fase ha il valore angolare 


SOA = 4 S'OD' = 3 sod =+ s'od': essa è uguale alla fase dei vettori alter- 


nativi componenti. 

Se si tira a A' uguale e parallela ad 0a’ e se si tira o A', si ha il triangolo 04 A’, 
il quale è simile al triangolo OSS' perchè l'angolo « è uguale all’angolo S ed i lati 
oa, aA' sono uguali al doppio dei lati 0S, SS'. Dunque si ha oA=208'=0A. 
Inoltre dalle eguaglianze 

da SR 0a SL gioie La 

si deduce 5o0À' = SOA; il che significa che o A' è parallelo ad 0 A. Per conseguenza 
oA' è uguale e parallelo al vettore risultante OA. Diremo adunque: Due vettori 
alternativi di uguale fase si compongono in un unico vettore alternativo di ugual 
fase, del quale l'ampiezza e la direzione sono rappresentate dalla diagonale del pa- 
rallelogrammo fatto sulle rette che rappresentano per ampiezza e per direzione i due 
vettori componenti. 


UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 389 


8. — La composizione di due vettori alternativi dà inveve come risultante un 
semplice vettore rotante quando l’uno o l’altro dei vettori rotanti 0 D', OS' (fig. 6, 
art. 5), è uguale a zero. 

Questo caso si verifica quando 0s ed 0's' (fig. 6) oppure 0d ed 0'd’ hanno gran- 
dezze uguali e direzioni opposte; allora infatti il punto S', oppure il punto D' coin- 
cide con O. 

La condizione os= 0's’, oppure 0d = 0'd', implica @ 
quella che sia oa = 0'a', ossia che le ampiezze dei due 
vettori alternativi dati sieno fra di loro uguali. 

La condizione poi, che os ed 0's', oppure od ed o'd' - 
abbiano direzioni opposte, implica una relazione tra le 
direzioni dei due vettori alternativi oa ed 0'a' e le fasi LL - 
dei medesimi. È facile vedere quale sia questa relazione. 
Supponiamo infatti (fig. 9) che sia od’ opposto ad o d, 
diciamo a l'angolo @ 0a’ tra le direzioni dei due vettori 
alternativi componenti, e rappresentiamo con @ e con q' 
i valori angolari 40d, a'od' delle fasi dei vettori mede- d/ —- 9 
simi; abbiamo: Fig. 9. 


oto —p= rt, ossia pd —p=T—- a. 


Dunque due vettori alternativi di direzioni fisse dànno per risultante un sem- 
plice vettore rotante quando hanno ampiezze uguali e presentano una differenza di 
fase, il valore angolare della quale è uguale al supplemento dell’angolo compreso 
fra le loro direzioni. 


9. Esempi. — Come primo esempio consideriamo il caso di due vettori alter- 
nativi, mutuamente perpendicolari 0a, o'a' (fig. 10). , 


s 
. . R ° a a 
Il teorema dice che acciocchè essi si  compongano 
in un semplice vettore rotante dev'essere in primo luogo 
o'a' =0a. In secondo luogo deve essere p' — p = n — a No 
. ° ui 
e quindi, essendo a = 3” 
p' 
, BASATE 0 
Pra Dia 
Fig. 10. 
. 5 . ’ TT 
Se per esempio prendiamo @ = 0, ossia: angolo a0d =0, dev’ essere p' = 9 
« T 
ossia angolo a'o'd' = 7 


Ora che veramente, date queste condizioni, i due vettori a ed a' producano come 
risultante un vettore rotante, si riconosce subito applicando ad essi la costruzione 
dell'art. 5, fig. 6. Infatti per comporre d con d'’ si deve tirare OD =0d e poi 
DD'=0'd', col che si ricade sul punto 0; per comporre invece s con s' si hanno 
a tirare 0S ed SS' uguali e paralleli ad os e ad 0's', col che si trova la risultante 
0S', che è una rotazione sinistra di grandezza uguale ad s + s', ossia a 25, ossia ad @ 
e ad a'. I due vettori alternativi dati producono adunque come risultante un semplice 
vettore rotante della medesima frequenza e di grandezza uguale alle loro ampiezze. 


390 GALILEO FERRARIS 


Come secondo esempio consideriamo il caso di due vettori alternativi uguali 0a 


3 
TUE 


ed o'a' (fig. 11), le direzioni dei quali comprendono un angolo a = 


Si 


n 
== 
- 
Sua 
(I 


Fig. 11. 


In questo caso la condizione espressa dal teorema dimostrato è che si abbia 
’ AZIO 
Dea oro: 
° Ai , 7 "pp 79pI E o 
Se per esempio: pg = aod = 0, dev'essere p' = a'o'd 7: K veramente, se si 


applica a questo caso la costruzione della fig. 6, si trova che D' si confonde con O. 
La risultante si riduce al vettore rotante OS'. La sua grandezza è rappresentata 


dall’ipotenusa del triangolo rettangolo isoscele 0S$S'; essa è perciò uguale ad sy 2 


O a 
ossia ad —. 
V2 


10. — Dal caso ora considerato di due soli vettori alternativi componenti si 
passa subito al caso generale di un numero qualunque di vettori: un sistema qua- 
lunque di vettori alternativi può equivalere ad un semplice vettore rotante. La con- 
dizione necessaria perchè ciò avvenga è semplicemente questa; che il poligono delle 
componenti d oppure quello delle componenti s sia chiuso. 

Un caso particolare importante è quello nel quale i vettori componenti sono uguali 
e fanno gli uni cogli altri angoli uguali. Sieno dati in un piano N vettori alternativi 
uguali, ciascuno dei quali faccia col precedente un angolo a che non sia nè t nè un 
multiplo di t, ed abbia rispetto al medesimo una precedenza di fase di valore an- 
golare uguale anch'essa ad a. Allora ciascuno dei vettori rotanti s fa col precedente 
un angolo a — a, ossia zero: il poligono delle s ha tuttii suoi lati su di una mede- 
sima retta, la risultante S di tutte le s è uguale alla loro somma, ossia S= Ns. 
Il poligono delle 4 è invece un poligono regolare del quale gli angoli esterni hanno 
il valore 2a; acciocchè esso sia chiuso, è necessario e sufficiente che N di tali angoli 
facciano un multiplo di quattro angoli retti, ossia che si abbia 


2aN = 2kn, 
od 
STA 
a=w- 


ove 4 è un numero intiero qualunque non divisibile per N. Se è soddisfatta questa 
condizione, gli N vettori rotanti d hanno una risultante nulla; e ciò vuol dire che 
gli N vettori alternativi dati hanno per risultante il semplice vettore rotante S. Se 


n 7 


UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 391 


diciamo a l'ampiezza comune dei vettori alternativi dati, il valore del vettore rotante 
risulta 


Se invece di supporre, come abbiamo fatto, che ciascuno dei vettori dati abbia una 
precedenza di fase a rispetto a quello che lo precede, avessimo supposto che esso 
abbia un ritardo di fase, avremmo trovato che il poligono delle d giace su di una 
retta e dà D= nd, e che il poligono delle s è chiuso, e dà S= 0; in questo caso 
la risultante degli N vettori alternativi dati sarebbe un semplice vettore D rotante 
verso la destra. 

Abbiamo escluso il caso di a uguale a m, o ad un multiplo di n, e per conse- 
guenza abbiamo detto che il numero intero & non deve essere divisibile per N. Se 
si facesse a = mt o ad un multiplo di t, ossia se si prendesse X uguale ad N, o ad 
un multiplo di N, gli angoli esterni del poligono delle d sarebbero uguali a 2T o ad 
un multiplo di 27, ed il poligono si ridurrebbe, come quello delle s, ad una linea 


N 


retta. Allora si avrebbero due vettori rotanti S e D uguali entrambi ad > 


a e di 


versi opposti, i quali darebbero come risultante un vettore alternativo di direzione 
fissa e di ampiezza uguale ad Na. Ciò è quanto si sapeva di già, perchè supporre 
a=t 0 multiplo di t equivale a supporre che i vettori alternativi dati sieno tra 
di loro paralleli. 

I casi che più comunemente si hanno a considerare nello studio dei motori elet- 
trici sono quelli ove X=2, quelli cioè ove i vettori alternativi considerati sono 
regolarmente distribuiti, a distanze angolari uguali, tutt’'attorno ad un asse. Fra 
questi casi poi merita una menzione speciale quello ove N = 3. Allora le distanze 
angolari tra i vettori dati ed i valori angolari delle loro differenze di fase sono uguali 


(9 


a sr, ossia sono di 120°. Il vettore rotante, che risulta dalla composizione dei tre 


vettori alternativi, ha il valore 5% ossa è uguale ad una volta e mezzo l'ampiezza 


di ciascuno dei vettori componenti. 


11. — Ciò che precede riguarda la composizione, ossia la somma de’ vettori da 
noi considerati. Per le applicazioni alle quali miriamo conviene aggiungere qualche 
considerazione sui prodotti «5 cos @, ad seng delle ampiezze a e 5 di due vettori 
pel coseno e pel seno dell’angolo @ compreso fra le direzioni dei medesimi, prodotti 
dei quali il primo è lo scalare col segno cambiato, ed il secondo è il tensore del 
vettore del prodotto dei due vettori. 

In primo luogo conviene ricordare questa proposizione: se sono dati due gruppi 
di vettori, e se in un dato istante sono: a la grandezza di uno qualunque dei vet- 
tori del primo gruppo, 5 quella di uno qualunque dei vettori del secondo gruppo, 
A il valore istantaneo del vettore risultante di tutti i vettori a, B quello del risul- 
tante dei vettori 5, @ l'angolo compreso tra un vettore a ed un vettore 6, e © l’an- 
golo di A con B, si ha 


Z ab cos @ = AB cos d, 


Zab sen pg = AB sen d. 


392 GALILEO FERRARIS 


Per dimostrare la prima di queste uguaglianze, del resto notissime, basta osser- 
vare che se si dice Y l’angolo tra A ed uno dei vettori 5, si ha: 


bZa cos @ = dA cos y, 
quindi Zab cos @ = XbA cos y = AZ. cos y. 
Ma Z5 cos y = B cos ©, dunque 


Zab cos g = AB cos ©. 


La seconda eguaglianza, ossia la Zaò seng= ABsen ®, si dimostra in modo 
analogo. 


12. — In secondo luogo conviene vedere quali sieno i valori medii dei prodotti 
ab cos @ ed ad sen @ quando i vettori a è sono delle specie di cui noi qui ci occu- 
piamo, quando cioè essi sono vettori rotanti o vettori alternativi. E qui si hanno 
più casi. 

1° Caso. — Se i due vettori a e 5 sono vettori rotanti nel medesimo piano, colla 
medesima frequenza e nel medesimo verso, l’angolo @ compreso fra i medesimi ri- 
mane costante: esso è uguale al valore angolare della differenza di fase de’ due vet- 
tori. Siccome, per la definizione di vettore rotante da noi adottata, anche a e d sono 
costanti, così i prodotti « è cos p, a dè sen @ sono indipendenti dal tempo. 

2° Caso. — Se a e 5 sono ancora vettori rotanti in un medesimo piano, ma con 
frequenze diverse x ed m, l'angolo @ compreso fra di essi passa in ogni unità di 


tempo n—m volte da 0 a 27, ossia varia tra 0 e 27 nel tempo Il valore medio 


n—m' 
di cosg e di sen @ durante tale tempo è uguale a zero, ed è perciò uguale a zero 
anche il valore medio dei prodotti considerati. 

3° Caso. — Un caso particolare compreso in quello or ora considerato è quello 


di due vettori rotanti in versi opposti: se sono ” ed m le frequenze dei due vettori 


rotanti, l'angolo g varia tra 0 e 2 nel tempo ha e durante questo tempo i 


valori medii di ad cos @, e di ab sen @ sono uguali a zero. 
4° Caso. — Un altro caso particolare è quello in cui a è un vettore rotante e 
5 un vettore fisso di grandezza costante. Questo caso si riduce ai precedenti facendo 
semplicemente m = 0. Anche in questo caso i medii prodotti sono uguali a zero. 
5° Caso. — Se a è un vettore alternativo di direzione fissa e 6 è un vettore 
rotatorio, possiamo immaginare a scomposto in due vettori uguali rotanti in versi 


opposti, d ed s, e valendoci del teorema ricordato all’articolo precedente (11), porre: 


ab cos p = d. db cos dè + s. d cos 0, 
ab sen @ = d.b sen dò + s. 5 sen 0, 


ove è e o rappresentano gli angoli che nell'istante considerato 6 fa con d e con s. 
Così siamo ricondotti ai casi precedenti. 

Se a e 5. hanno frequenze diverse, tanto i prodotti dd cos dè, d è sen dè quanto i 
prodotti s5 cos 0, sb seno hanno valori medii uguali a zero; quindi sono uguali 2 
zero anche i medii di @d cos @, e di ad sen @. 


UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 393 


Se a e 6 hanno una medesima frequenza, solamente i prodotti d d cos dè, d d sen òd, 
oppure solamente sd cos 0, sd sen o sono nulli; gli altri due sono diversi da zero 
e sono costanti. Se, per esempio, è è un vettore rotante verso destra i prodotti s è cos 0, 
sb seno hanno un valore medio uguale a zero, ed i prodotti d è cos è, d è sen d sono 
costanti. Si ha perciò semplicemente: 


medio di 48 cos @ = dd cos ò, 


medio di ab sen @ = db sen è. 


Se si rappresenta con A l’ampiezza del vettore alternativo, si ha d = 3, e 


quindi 
medio di ad cos @ = + Ab cos ò, 
medio di ab sen @ = i Ab sen òd. 


Se si prende come origine del tempo l’istante in cui a ha il valore massimo A, 
l'angolo è, che figura in queste espressioni, è il valore angolare della differenza di 
fase tra a e d. 

6° Caso. — Se finalmente @ e d sono due vettori alternativi di uguale frequenza, 
noi consideriamo il primo come risultante di due vettori rotanti d ed s ed il secondo 
come risultante di due altri vettori rotanti d' ed s'. In grazia della proposizione dimo- 
strata all'art. 11, i prodotti a 8 cos @, a 5 sen @ sono in ogni istante uguali alla 
somma di quelli che si hanno colle combinazioni d d', d s', s d', ss". Ma, in grazia di 
ciò che si è detto dianzi trattando il caso 3°, i valori medii dei prodotti corrispon- 
denti alla seconda ed alla terza combinazione sono uguali a zero; dunque, se di- 
ciamo è l'angolo costante tra d.e d'e 0 l'angolo costante tra s ed s', abbiamo: 


medio di 45 cos @ = dd' cos dè + ss' cos 0, 


medio di ad sen @ = dd' sen è + ss' sen o. 


Se diciamo A e B le ampiezze dei due vettori alternativi dati, e se notiamo che 


d=:s=; e ds, 
possiamo scrivere anche : 
medio ad cos gp = 0 (cos è + cos 0), 
e medio ad sen @ = AP (sen è + sen 0). 


Se poi, dicendo a e 8 le fasi di « e d, notiamo che 


O ipercoop ‘Ria, 
possiamo scrivere ancora : 


medio 40 cos @ = SE cos Q. cos (B — a), 
\ 
medio ab sen @ = È: sen Q. cos (B — a). 


Serie II. Tom. XLIV. zi 


394 GALILEO FERRARIS 


Il 


Applicazione ai campi magnetici ed ai motori elettrici 
a correnti alternate. 


13. — Possiamo applicare le considerazioni generali sovraesposte al caso speciale 
in cui i vettori considerati sono forze magnetiche. 

In questo caso le proposizioni degli articoli 8, 9 e 10 mostrano subito come per 
mezzo di due, o di più campi magnetici alternativi di direzioni fisse si possa pro- 
durre un campo magnetico rotante; esse mostrano perciò come un campo magnetico 
rotante si possa produrre per mezzo di due o più correnti alternative di fasi diverse ; 
esse comprendono, in. altre parole, il principio fondamentale dei motori elettrici a 
correnti alternative polifasi. 

Viceversa la proposizione dell'art 3 mostra come un campo magnetico alter- 
nativo, od un flusso d’induzione alternativo si possa sempre considerare come risul- 
tante di due, o di più campi, o di due o più flussi di valore costante, rotanti gli uni 
verso destra e gli altri verso sinistra. Ora questo modo di considerare un campo 
magnetico od un fiusso d’induzione alternativo può tornare molto utile nello studio 
delle correnti indotte in conduttori posti nel campo magnetico e delle forze che questo 
esercita sulle medesime; può per conseguenza tornare utile nello studio de’ fenomeni 
fondamentali in molti apparecchi elettrici, e specialmente nei motori elettrici per 
correnti alternative. Per dare un esempio di applicazione noi prenderemo qui a trat- 
tare di questi ultimi. 


14. Motori sincroni. — Consideriamo dapprima una armatura costituita da 
un'unica spirale, della quale le spire sieno in piani perpendicolari ad un asse comune 
oa (fig. 12), e supponiamo che essa possa rotare nel piano della figura, attorno ad un 
asse 0, in un campo magnetico, ove l’induzione magnetica abbia il valore uniforme B 
e la direzione costante 0B. Se tale spirale è percorsa da una cor- 


B 


rente elettrica, essa equivale ad un magnete di asse 0a, il mo- 


mento magnetico del quale si ottiene moltiplicando la somma 
delle superfici delle spire per la intensità della corrente in 
misura elettromagnetica assoluta. Noi possiamo rappresentare 
questo magnete, e quindi anche la spirale percorsa dalla cor- 
rente, per mezzo di un vettore avente la direzione 0a ed una 
grandezza uguale al momento magnetico sovraddetto. Se la 
corrente è alternativa colla frequenza x, anche il vettore è 
Fig. 12. alternativo colla medesima. frequenza, e noi lo possiamo rap- 
presentare, secondo il nostro metodo, in 0a sd. Il fare uso 

di questa rappresentazione equivale a sostituire al magnete alternativo o a due ma- 
gneti rotanti, i momenti magnetici dei quali sono rappresentati da 0d e da os. 
Dicendo A l'ampiezza 0a e d ed s le grandezze dei due vettori rotanti od, 0s, sì 


ha dos 


UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 395 


Ciò posto, consideriamo le forze esercitate sulla spirale dal campo magnetico 
in cui essa è collocata. Queste forze si riducono ad una coppia, il cui momento è 
CTS 
B.a sen Boa, e, pel teorema ricordato all'art. 11, è uguale alla somma 


Bd sen è + Bs sen 0, 


ove con è e con o si rappresentano, come più sopra, gli angoli che nell’istante con- 
siderato fanno con 0B i due vettori rotanti destro e sinistro d ed s. 

Se la spirale è in riposo, i vettori d ed s rotano con la medesima frequenza n 
l’uno verso destra e l’altro verso sinistra, e, per ciò che si è detto all’articolo 12 
(4° caso), i valori medii dei prodotti Bd sen dè e B s sen 0 sono uguali a zero. È quindi 
uguale a zero il medio valore del momento della coppia considerata. 

Se si fa rotare la spirale attorno all’asse o con una frequenza m, gira con essa 
il vettore 0a, ed i due vettori od ed 0s prendono a girare con velocità angolari 
uguali alle somme algebriche di quelle ch’essi hanno relativamente all’armatura e 
di quella che hanno comune con questa. Se per esempio l'armatura ruota verso la 
destra, il vettore rotante d gira nello spazio con la frequenza » 4- m, ed il vettore s 
gira colla frequenza n — m. Però finchè m è diverso da n i valori medii dei momenti 
delle coppie sono ancora uguali a zero. 

Ma se m=n, la frequenza di d diventa uguale a 2» e quella di s si riduce a 
zero. La corrente dell'armatura equivale allora a due magneti di momento magne- 
tico costante, uno dei quali, d, ruota nel verso dell'armatura con una frequenza doppia, 
e l’altro, s, sta fisso nello spazio. La direzione fissa di quest’ultimo è quella per cui 
passa l’asse oa della spirale rotante nel momento in cui in essa la corrente alterna- 
tiva ha l’intensità massima. Tale direzione fa con 0B un angolo determinato che 
rappresenteremo con s. In questo caso il momento della coppia agente sull’armatura 
non ha più un valore medio uguale a. zero : allora infatti è uguale a zero soltanto 
il momento medio della coppia agente su od, ossia il valore medio del prodotto 
Bd senò; mentre il momento della coppia agente su os, ha il valore costante 


Bs sen 5, 
ossia 


1 AB sen e. 


Questa coppia tende a chiudere l'angolo soB. Se tale angolo è, come in figura, 
a destra di 0B, ossia dalla parte verso cui l'armatura ruota, la coppia si oppone al 
movimento, obbliga a spendere un lavoro; l’apparecchio funziona come una dinamo. 
Se invece l'angolo Bos giace a sinistra di 0B, ossia dalla parte opposta al movi- 
mento, la coppia agisce nel verso della rotazione, essa fa un lavoro; l'apparecchio 
funziona come motore elettrico ; esso è, nella forma più semplice, un motore sincrono. 


La coppia motrice di questo motore varia tra 0 ed 5 AB quando s varia tra 0 


e ni Per valori di = minori di 5 il funzionamento. del motore è stabile. Se infatti si 


aumenta la coppia resistente, l'armatura si attarda alquanto, cresce l’angolo 7 e 
cresce con esso il momento della coppia motrice. Se invece si diminuisce la coppia 
resistente, l'armatura accenna per un momento ad accelerarsi, diminuisce così l’an- 
golo > e con esso diminuisce la coppia motrice. 


396 GALILEO FERRARIS 


15. Motori asincroni. — Armatura chiusa posta in un campo magnetico rotante. 
— Consideriamo in secondo luogo una armatura formata di N spire, o di N spirali 
elementari, chiuse su se stesse in corto circuito e disposte regolarmente ad uguali 
distanze angolari, in altrettanti piani diametrali, tutt’attorno all’asse di rotazione. 
Diciamo S la superficie, r la resistenza ed L il coefficiente di autoinduzione di una 
delle spirali. Immaginiamo poi che l’ armatura si trovi in un campo magnetico 
rotante, nel quale l’induzione magnetica, costante ed uniforme, abbia il valore B e 
ruoti relativamente alla armatura con una frequenza w. 

Nella spirale elementare -colla normale della quale l’induzione B fa, alla fine 
del tempo #, un angolo a, passa in tale istante un flusso d’induzione BS cos a; quindi, 
per la variazione di a dovuta alla rotazione di B rispetto all’armatura, si ha nella 
spirale una forza elettromotrice 


2r7«BS sen a. 


Questa forza elettromotrice produce nella spirale elementare una corrente di 
intensità i data dalla formola 
A r0) 


da BS sen (a — ©), 


ove ® è il valore angolare del ritardo di fase della corrente rispetto alla forza elettro- 
motrice, dato dalla relazione 


e p è la resistenza apparente della spirale, ossia 


p= Vr + 4n0W21?. 


Tale corrente equivale ad una lamina magnetica, il cui momento magnetico è uguale 

ad iS, ossia a l 
2% BS? 
pi sen (a — ©), 

e si può rappresentare con un vettore avente la direzione della normale al piano 

della spirale, 0, come possiamo dire concisamente, la direzione a. 

Ora se si proietta questo vettore prima sulla retta che fa con B l'angolo @®, e 
poi sulla perpendicolare ad essa, si ha rispettivamente 


si BS? sen (a — @) cos (a — ©), e st BS? sen? (a — ©); 


e se si calcolano i valori medii di queste proiezioni per a compreso tra 0 e 2t, si 
. È n à o 12muBS° 
trova che questi valori medii sono rispettivamente zero e DI ap Dunque le N 


spirali equivalgono in complesso ad un magnete di momento magnetico 


N Qu 


A rare 


BS?, 


I 


UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 397 


l’asse del quale fa con la direzione di B l’angolo costante 
@ + D. Tale magnete segue B nella rotazione, stando co- 
stantemente indietro, alla distanza angolare @ + 5. Se 


nella fig. 13 si suppone che il campo magnetico ruoti rela- 
tivamente all’armatura nella direzione della freccia «, e se 
OX è perpendicolare alla direzione 0B della induzione ma- 
gnetica, la direzione del magnete equivalente alla armatura 
è la OA, la quale fa con OX l'angolo XOA = 9g. 


Fig. 13. 


16. Motori a campo rotante. — Un’armatura come quella che abbiamo ora 
considerato, collocata in un campo magnetico rotante prodotto per mezzo di un sistema 
di correnti polifasi, costituisce un motore a campo rotante. 

La coppia motrice è quella che il campo magnetico eserciterebbe se al posto 
dell'armatura vi fosse il magnete equivalente dianzi considerato. Il momento di essa 
è adunque (fig. 13) AB sen AOB; dicendolo K e ponendo per A il valore trovato 
nell'articolo precedente, si ha: 


Reis Li pes? 2ru. cea a) 


O Toi . = . 
Ricordando che cos @ = p° si può scrivere anche 


N 2ru 
K —_ Fox B?28?, pi’ 
ossia 


K = aiNB?8? o (1) 

In questa espressione la lettera « rappresenta la frequenza del moto relativo di 
rotazione del campo magnetico rispetto all’armatura. La formola dà la relazione tra 
la coppia di rotazione K e la frequenza «; ed è facile vedere quale sia l'andamento 
della linea, nella quale la formola si traduce quando si prende vu come ascissa e K 
come ordinata. 

La (1) si può scrivere 

Lu mNB*S?7 
Arata) 


onde appare che K cambia di segno senza cambiare di valore quando si cambia « 
in —u, ha il valore zero per u=0 e per u= + 00, ed ha un valore numerico mas- 
simo quando i due termini del denominatore, il prodotto dei quali è costante, sono 
uguali tra di loro, ossia quando 


P 


1 
Ai 
% ir Rir To 


Perciò la linea C, C, (fig. 14) i punti della quale hanno per ascisse i valori di « e 
per ordinate i corrispondenti valori di K, si compone di due rami omotetici rispetto 


398 GALILEO FERRARIS 


all'origine O, passa per l’origine, è assintotica da entrambe le parti all’asse delle 


ascisse e presenta due punti M, M' d’ordinata numericamente massima, i quali cor- 


à) a . x ì h p 
Lao x ”. I valore del massimo è TINO, 


rispondono alle ascisse + 


2rL°. arl Da 
rY Yi 


Fig. 14. 


L'origine 0 è un punto d’inflessione, e nelle sue vicinanze la linea si confonde 


TN B°S° 


con una linea retta, la pendenza della quale è . Le ascisse dei punti massimo 


e minimo M ed M' e la lunghezza del tratto, che praticamente si confonde con una 
retta, crescono col diminuire di L al limite, per L—_ 0, i punti M ed M' andreb- 
bero all’infinito e la linea si trasformerebbe in una retta passante per O colla pen- 
t N B° 8? 
denza TREIA 
Dato il valore di «, e ritenuto costante L, la coppia K varia colla resistenza r. 
La legge della variazione apparisce chiara se si mette l’espressione di K sotto la forma 


E a NB°S?u 
4g ua L? * 


r + na 


424° L? 


Per r=0 e per r= 00, K si annulla; perr= , ossia per 


= SITUA 


x . . SM ITUNIBISTO 
esso è massimo; il valore del massimo è 7 


valore di r, a cui corrisponde il massimo di K, è proporzionale alla frequenza « del 


, come sopra. E da notare che il 


moto relativo tra il campo e l'armatura. 


1'7. — In ciò che precede si è considerata la relazione tra la coppia di rota- 
zione e la frequenza « del moto relativo del campo rotante rispetto alla armatura. 
Per trovare ora la relazione tra la coppia e la velocità della rotazione dell’armatura 
basta osservare, che se si rappresenta, come al solito, con » la frequenza del campo 
magnetico rotante, e se con m si rappresenta la frequenza della rotazione dell’ar- 


matura, ossia il numero di giri che l'armatura fa in 1”, si ha 


u TNT M. 


UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 399 


Portando questo valore nella (1) si ha 


ro0 202 r(nT_m) 
K= nNBeS e o... 2) 


la quale dà la relazione cercata. 

La curva in cui si traduce questa formola, quando si prende come ordinata la 
coppia K e come ascissa la frequenza m della rotazione dell'armatura, si può de- 
durre subito dalla curva C,0C, della fig. 14; anzi è la stessa curva riferita soltanto 
ad altri assi di coordinate. Si porti infatti su OX' una lunghezza 00,= n, e sia p 
il piede dell’ordinata di un punto qualunque P della curva (€,C,; si ha Op = 
=00,— Op=n—u=wm. Dunque se si prende il punto 0, come origine delle 
coordinate, la retta O,Y, parallela ad OY come asse delle ordinate e la 0,0X, di- 
retta da destra verso sinistra, come parte positiva dell’asse delle ascisse, la linea 
C,.M'OPMQC, è senz'altro quella i punti della quale hanno per coordinate i valori 
di m e di K. 

La curva mette in evidenza le principali proprietà del motore. Bisogna distin- 

A 


TrA at E 
guere due casi: il caso di n = E RA quello di n > dn 1 


dp 
L 
l'origine 0; cade a sinistra di 9, od in q. Allora K ha il valor massimo per m = 0: 
la coppia motrice è massima quando l'armatura non ruota ancora, è massima nel 
momento della messa in moto. Se a partire dal riposo, ossia da m=0, si fa cre- 
scere m, K diminuisce fino ad annullarsi per m =w e a diventare negativo per 
m > n. Il funzionamento del motore è stabile. Infatti se cresce la coppia resistente 
e se perciò diminuisce m, cresce pP, cresce cioè anche la coppia motrice K fino a 
diventare uguale al nuovo valore della coppia resistente. Se viceversa diminuisce 
la coppia resistente e se perciò la velocità aumenta, diminuisce pP, ossia diminuisce 
anche la coppia motrice K fino a ristabilire l’equilibrio. 


; 1 Sa ; 
Nel primo caso, quando n= , quando cioè 2rnL =r, si ha 003 09, 


Nel secondo caso, quando n > # ossia quando 2rnL > », si ha 00, > 0g, 


L 
a 
l'origine 0,, cade a destra di q. Allora per m=0 la coppia motrice K ha un va- 
lore 0,Q minore del massimo qM. Se si fa crescere m a partire dal valor zero, K 
comincia a crescere e raggiunge il valore massimo gM quando m= 0,qg= 0,0 — 
— 0q=n — “n Dopo di ciò, se m cresce ancora, K diminuisce fino ad annullarsi 
per m=n ed a diventare negativo per m > n. Il funzionamento del motore è sta- 


bile per m > 0;q, ossia per mn>n— perchè allora, come nel caso precedente, 


INCANTA 
21° 
un aumento della coppia resistente, provocando una diminuzione di m, dà luogo 
RA 
271 
il funzionamento del motore è instabile. Se infatti per un aumento della coppia 
resistente si verifica una diminuzione di m, questa diminuzione dà luogo ad una 
diminuzione della coppia motrice K e quindi ad una ulteriore diminuzione di m; e 
questo effetto si riproduce e si moltiplica fino a tanto che il motore si riduce al 
riposo. 


ad una diminuzione di K, per cui si ristabilisce l’equilibrio. Ma per m n — 


400 GALILEO FERRARIS 


In tutti i casi K si riduce a zero per m="n e diventa negativo per m > w. 
Ciò vuol dire che in ogni caso non si può far girare l'armatura con una frequenza 
superiore a quella delle correnti, se non per mezzo di una coppia motrice applicata 
dall’esterno all'albero, se non colla spesa di un lavoro. La coppia a ciò necessaria 
ha il momento massimo g'M' quando 
m = 00 +09 — 0,0 |'0g = LC 
Nel secondo caso or ora considerato, quando cioè 2rnL > r, può accadere (e 
accade comunemente quando n è grande) che il valore 0,Q di K corrispondente ad 
m="0 sia insufficiente per l'avviamento del motore. Allora si può aiutare l’avvia- 
mento inserendo nel circuito dell'armatura una resistenza non induttiva, facendo cioè 
crescere r senza aumentare L. Infatti il valore K, di K che la formola (2) dà per 
m= 0, valore che si può scrivere: 


47T2n2L2 ? 
Ù r 


K, = aNBese 
+ 


è massimo per r= 2mnL; e perciò, finchè r è minore di 2mnL, esso cresce col cre- 
scere di r. L'efficacia di questo artifizio per accrescere K, nel momento della messa 
in marcia è tanto maggiore quanto più è grande la frequenza » delle correnti ado- 
perate; ed è precisamente nel caso di grandi frequenze che esso può essere neces- 
sario. Il motore può avviarsi da sè, senza speciali provvedimenti, ed ha un funzio- 
namento più stabile quando la frequenza x è piccola. 


18. Armatura chiusa posta in un campo magnetico alternativo. Motori 
asincroni monofasi. — Si immagini ora che la stessa armatura già considerata 
all’art. 15 sia collocata, non più in un campo magnetico rotante, ma in un campo 
magnetico alternativo di direzione fissa; ciò che allora ha da accadere si può facil- 
mente dedurre dalle cose or ora dette. 

Il campo magnetico alternativo equivale a due campi rotanti in direzioni op- 
poste; similmente le correnti indotte nell’armatura equivalgono a due magneti ro- 
tanti in direzioni opposte; sull’armatura agisce adunque una coppia uguale alla 
risultante di quelle esercitate dai due campi sui due magneti rotanti. Ma per le . 
cose dette all'art. 12, caso 3°, i valori medii delle coppie prodotte da ciascuno dei 
campi sul magnete rotante nel verso opposto sono uguali a zero, dunque il valore 
medio del momento della coppia risultante totale agente sull’armatura è semplice- 
mente uguale alla differenza tra quello della coppia che il campo rotante verso 
destra esercita sul magnete rotante verso destra, e quello della coppia che il 
campo rotante a sinistra produce sul magnete rotante verso sinistra. Detti K, e K, 
i momenti di queste due coppie, e detto K il momento della coppia risultante agente 
sull’armatura, preso come positivo quando la coppia è diretta verso la destra, si ha 


K — K, Tar K,. (3) 


Le coppie K, e K, si calcolano colla formola (1) dell'art. 16. Si deve a quest’uopo 
ritenere che B rappresenti il valore della induzione magnetica in ciascuno dei due 
campi rotanti in cui si è scomposto il campo alternativo dato, si deve cioè ritenere che. 
il valore massimo dell’induzione magnetica in quest’ultimo sia rappresentato con 2B. 


UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 40] 


Si devono poi sostituire nella formola, alla frequenza « del moto relativo, succes- 
sivamente i valori v, ed «, corrispondenti ai moti che i due campi rotanti hanno 
relativamente all’armatura. Ora se si suppone che l'armatura ruoti verso destra con 
una frequenza m, e se si rappresenta con n la frequenza del campo magnetico al- 
ternativo, si ha 


un — Mm, unt m; 
dunque 
ide Tp2 92 ram) 
Res=*tNB?S CORVI SEO AIN (4) 
SE 202 r(n+ m) 
K, = aNB?S REA ei (5) 
e quindi 
Ke NB2S27 Matti Mag SU n m 
RE, _rt + 472L° (nm) 3 + 4r2L°(n4+m) 


Le linee, che rappresentano le relazioni tra K,, K., K e la frequenza wm della 
rotazione dell'armatura, si possono ricavare subito dalla C,0 C, che nella fig. 14 
rappresenta l'equazione (1): 

La €, 0 €, è riprodotta e segnata colle stesse lettere nella fig. 15, ove, come 
nella 14, il punto O è l'origine delle v ed il punto 0}, alla distanza 00,=% da 0, 
è l'origine delle m. 

Si prenda (fig. 15) O, p, = 0 pg="m, e si tirino le corrispondenti ordinate p, P, 
€ po Pa; si ha subito: Op, = 00, — p;0,=n—m ed Op, = 00, + Op, =n+4- m. 


Y LAI 
| U, 
b7 
A 
TI 
x o//i 42) 0 P 
era |--——- m-------2! e 
(ep n= tenre >e----- Wire > 
Ki (EEA FE NI CSA IA E 
sE 
Fig. 15. 


Dunque le ordinate p,P) e p, Ps rappresentano rispettivamente K, e K,. Per avere K 
basta sottrarre p,P, da p,P,. Se si prende su p; P; il segmento P;-P= p,P,, il rima- 
nente segmento p, P_rappresenta K, ed il punto P_è un punto della curva che dà K 
in funzione di m, riferita agli assi coordinati 0,X ed O; Y,. 

Quale debba essere l'andamento della linea K si vede anche più chiaramente 
se si disegna in QP,C, la linea simmetrica, rispetto all’asse 0,Y,, alla porzione 
QP,C, della C,0 C,. Allora il valore di K corrispondente al valore 0, p, di w risulta 


i rappresentato dal segmento PP, compreso fra le due linee QP,C, e QP,0,. A questo 


| segmento è uguale, per la linea K, l’ordinata p, P corrispondente all’ascissa m=0p,. 
Pi L'esame della curva K mette in chiaro le principali proprietà del motore. Il 
momento K della coppia agente sull’armatura è nullo quando m = 0, ossia quando 
Serle II. Tox. XLIV. A} 


402 GALILEO FERRARIS 


l'armatura è in riposo; ma se questa gira, subito K prende valori diversi da zero, 
e se la frequenza m della rotazione non supera il valore rappresentato in figura con 
O, A, esso è positivo, ossia la coppia ha il verso stesso della rotazione, è una coppia 
motrice. Se, partendo dal riposo, l'armatura prende velocità crescenti, la coppia, nulla 
da principio, va crescendo anch'essa fino ad un massimo, raggiunto il quale, se mm 
seguita a crescere, essa diminuisce rapidamente, e si riduce di nuovo a zero quando 
m raggiunge un determinato valore 0,A alquanto inferiore ad ». Pei valori di m 
maggiori di O,A la coppia K diventa e rimane sempre negativa, ossia essa è opposta 
alla rotazione, è una coppia resistente. 

Il tratto discendente MM' della curva corrisponde ad un funzionamento sta- 
bile del motore. Infatti se mentre l'armatura gira colla frequenza m=0;p; e colla 
coppia motrice p,P, la coppia resistente viene ad aumentare alquanto e diventa mag- 
giore di p;jP, la velocità dell'armatura diminuisce, 0;p, diminuisce, e cresce la coppia 
motrice pjP fino a ristabilire l'equilibrio. Se similmente la coppia resistente viene a 
diminuire, l'armatura si accelera, p, si sposta verso sinistra e la coppia motrice pjP 
diminuisce anch'essa. 

Invece il funzionamento non è stabile pel tratto ascendente 0,M della linea, ossia 
per valori di m minori di quello a cui corrisponde il massimo della coppia motrice. 
Allora infatti una diminuzione di velocità dovuta ad un eccesso della coppia resistente 
sulla coppia motrice provoca una diminuzione di quest’ultima e quindi una ulteriore 
diminuzione di velocità, la quale si moltiplica e si continua fino a che l'armatura si 
ferma completamente. i 

Il tratto discendente della linea K, pel quale si ha un funzionamento stabile, 
ha una pendenza di poco inferiore a quella della vicina linea C,0C,, e la pendenza 
tNB?S° 

U 


di questa nel punto O (art. 16) è uguale a Similmente il punto massimo 


della linea K dista assai poco da quello della linea €00, l’ascissa del quale è 


n + "a (art. 16). Dunque se è piccola la resistenza r, il tratto utile della linea K 


ha una grande pendenza, e, se non è piccolissima l’induttanza L, i valori di m ad 
esso corrispondenti sono compresi fra limiti l’uno all’altro molto vicini. Ciò accade 
appunto spesso nella pratica: il motore è bensì asincrono, ma i limiti fra i quali la 
velocità può variare compatibilmente colla stabilità del funzionamento sono spesso 
molto ristretti. 

La linea QP, 0C, (fig. 15) è quella che rappresenterebbe la relazione tra la 
coppia motrice e la velocità quando l’ armatura, invece di essere.collocata in un 
campo alternativo ove l’induzione magnetica ha il valore massimo 2B, fosse collo- 
cata in un semplice campo magnetico rotante, ove l’induzione avesse il valore co- 
stante B. Perciò la fig. 15 mette in chiaro le analogie e le differenze che esistono 
tra le proprietà di un motore asincrono a campo alternativo e quelle di un motore 
a campo rotante. 

Se n non è molto piccolo, e se la resistenza » dell'armatura è, come di solito, 
assai piccola, le due linee QP}0C, e O,KPAK, corrono vicinissime l’una all’altra 
per tutti i valori di m superiori a quelli pei quali i motori cominciano ad avere un 
funzionamento stabile. Dunque per tutte le velocità compatibili con un funzionamento 
stabile il motore monofase si comporta approssimativamente come il motore a campo 


UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 403 


rotante; solamente la coppia motrice è in esso alcun poco più piccola e si annulla 
per un valore di m alcun poco minore di n. Le due linee si scostano invece note- 
volmente l’una dall’altra nelle parti corrispondenti alle velocità minori; e la diffe- 
renza caratteristica che da ciò deriva è che per m —=0 il momento della coppia 
motrice, che nel motore a campo rotante può avere un valore 0,Q anche notevole, 
è nullo nel motore monofase: il motore a campo rotante può avviarsi da sè, il mo- 
nofase non lo può. 

L'espressione (6) della coppia motrice di un motore monofase si può trovare 
facilmente anche senza ricorrere al nostro metodo di trattazione de’ vettori alter- 
nativi; essa fu infatti dimostrata dal Dr. J. SAHULKA direttamente con procedimento 
puramente algebrico (1), ed è notissima. Ma l’esservi arrivati col nostro metodo 
giova alla intelligenza delle ragioni fisiche dei fatti, e mette in evidenza le relazioni 
che esistono tra un motore a campo alternativo ed uno a campo rotante. Un motore 
a campo alternativo si presenta come un motore a campo rotante differenziale ; le 
sue proprietà si derivano direttamente da quelle dei motori a campo rotante. 


19. — Imoltre varie considerazioni si presentano, le quali sarebbero meno ovvie 
colla trattazione analitica ordinaria. 

Una di queste si riferisce alla natura delle correnti nell’armatura ed alle rea- 
zioni di esse sull’induttore. Le correnti dell'armatura equivalgono, come abbiamo 
dimostrato, a due magneti rotanti in versi opposti. I vettori che rappresentano questi 
magneti girano nello spazio con velocità angolari uguali e precisamente colla fre- 
quenza » del campo magnetico alternativo; essi adunque (art. 4, 4) equivalgono al 
sistema di un vettore rotante e di un vettore alternativo. Ciò vuol dire che le cor- 
renti indotte nell’armatura producono nello spazio un flusso di induzione magnetica, 
il quale si può considerare come risultante dalla sovrapposizione di due flussi, uno 

di valore costante e di direzione rotante e l’altro di valore alternativo e di dire- 
| zione fissa. Consideriamo l’uno dopo l’altro questi due flussi. 

Flusso rotante. — Il flusso rotante è proporzionale alla differenza tra i valori 
assoluti dei vettori che rappresentano i due magneti rotanti equivalenti alle correnti 
dell'armatura (art. 4, 3). Perciò esso è proporzionale ad 


GA ate 
ove con y; e con yy si rappresentino i valori assoluti, corrispondenti ad 
u=n—m ead u=n+m, 


della funzione y di v data dalla formola 


U 


dui Vi + inte L? 


Per farsi un’idea del modo di variarie di esso in funzione di m basta conside- 
rare l'andamento di y. Ora y ha valori assoluti uguali per wu e per — v, è uguale 


i (1) J. Sanutga, Theorie der Thomson'schen (Brown'schen) Motoren firm gewòhnlichen Wechselstrom. 
‘ Elektrotechnische Zeitschrift , — Berlin, 7 Juli 18983, pag. 391. 


404 GALILEO FERRARIS 


a zero per u= 0, cresce col crescere di u e per u = =00 tende assintoticamente 
verso il valore limite 9 Se adunque (fig. 16) si prendono come ascisse i valori 


di u e come ordinate i valori assoluti di y, e se si prende come origine il punto 0 
e come direzione positiva dell'asse delle u la OX', si trova la linea F, OF, che ha 
per assintoto la retta LL parallela all’asse delle ascisse. Per trovare y — yg Si 


prendano 0 0, = # ed 0, p; = 01p, = #; risultano 0 p, = n — m, Op,=" n + m, quindi 
le ordinate p, Pj e po Po rappresentano y, ed y, e si ha subito y, — yo="p1 Pi — 
po Pa = — (pa Po —piP). 

Il modo di variare di questa differenza apparisce chiaro se si disegna in QP,M la 
linea simmetrica rispetto ad 0, Y, alla QP,F,. Allora si ha yy — ya=—PiPo. Si può, 
se si vuole, prendere questa lunghezza come ordinata, e così si trova, che prendendo 
come origine il punto 0,, come asse delle ordinate la retta 0; Y, e come direzione posi- 
tiva dell'asse delle ascisse la 0, X, y1—y, è rappresentata in funzione di m dalla 
curva 0, PMN. 

Il segno (—) del valore trovato derivante dall’essere p, P, > p1P dice che il. 
flusso considerato ruota verso la sinistra, ossia in direzione opposta al movimento 
dell'armatura. Ora questo flusso che ruota verso la sinistra, produce nel metallo 
della parte fissa della macchina correnti indotte sulle quali poi esso esercita forze 
tendenti a trascinarle nella propria rotazione, verso la sinistra. Dunque viceversa le 
correnti indotte nella parte fissa della macchina sollecitano l'armatura a girare verso 
la destra, nel verso cioè nel quale essa già si muove. Quindi risulta che il flusso 
rotante dovuto alle correnti nell’armatura provoca correnti indotte, le quali aiutano 
la rotazione e dànno luogo ad una coppia, che si aggiunge alla coppia principale di 
cui si è parlato nell’articolo precedente. i 

Il valore della coppia dovuta alle correnti indotte varia col variare di m e cresce 
col crescere dell’ordinata p, P della linea 0, MN. Essa è nulla per n= 0 e massima 
per m==n. In grazia di essa la coppia totale agente sull’armatura invece di annul- 
larsi perm=0; A (fig. 15), non si annulla se non per un valore alcun poco più 
grande, più vicino ad n. 

Flusso alternativo. — Il vettore alternativo risultante dalla composizione di due 
vettori rotatorii di versi opposti ha una ampiezza uguale al doppio del più piccolo 
fra i due vettori componenti (art. 4). Perciò il flusso alternativo è proporzionale @ 

n M 


Vi + ARL (n mt 


Ksso può essere nullo solamente per m= n. 


0 eran e -—_ 


LENTA POLARIZZABILITA DEL DIBLETTRIG 


LA SETA COME DIELETTRICO 


NELLA 


COSTRUZIONE DEI CONDENSATORI 


MEMORIA 
dell’Imgegnere 


LUIGI LOMBARBI 


Approvata nell’Adunanza del 3 Dicembre 1893 


Delle sostanze dielettriche in genere, e particolarmente di molte sostanze orga- 
niche le quali più spesso si adoperano come isolanti, così negli apparecchi più delicati 
di laboratorio come in quelli più grandiosi di trasmissione d’energia, le proprietà 
sono pochissimo conosciute per ora, sebbene il loro studio interessi da vicino molti 
problemi importanti della scienza della Elettricità. Questa Memoria ha per oggetto, 
come modesto contributo a quello studio più vasto, l'esame di alcune di quelle pro- 
prietà e di alcuni fenomeni di polarizzazione dielettrica , oltrechè lo studio della 
applicabilità della seta come dielettrico nei condensatori. 

Tale esame e tale studio furono da me intrapresi nei primi mesi di quest'anno 
presso il Politecnico di Zurigo per consiglio del Prof. Dott. H. F. Weber, a cui, per 
la guida illuminata e cortesissima, e pel soccorso potente dei mezzi del suo splendido 
laboratorio, in questo come in tutti gli altri miei piccoli lavori ivi eseguiti, mi è 
primo e caro dovere attestare qui la più viva riconoscenza. 


1. — Polarizzabilità lenta di alcuni dielettrici. 


Era stato constatato che spirali bifilari, quali si trovano comunemente avvolte 
per scopi di misura e per applicazioni di laboratorio, presentano una capacità 
elettrostatica notevole, in molti casi superiore di gran lunga a quella che i rapporti 
di superficie e distanza d’armature farebbero prevedere. Il fatto che la quantità di 
elettricità che ivi si poteva immagazzinare cresceva marcatamente colla durata di 
carica, e che la resistenza apparente, determinata colla misura diretta della corrente 


406 LUIGI LOMBARDI 


prodottavi da una nota forza elettromotrice, o mediante la perdita di carica elettro- 
statica, andava col tempo lungamente crescendo, si accordava coll’aumento di carica 
e di resistenza apparente che è notissimo nelle misure presso i cavi e che inter- 
viene per quasi tutti i coibenti. Si suol dire che questi si vanno per azione delle 
forze elettrostatiche polarizzando; ma la definizione del fenomeno non dice molto 
sulla natura intima di esso, e sulle cause che lo producono. 

Di un condensatore a dielettrico lentamente polarizzabile varia col tempo la 
carica, che si suol misurare mediante la prima elongazione di scarica attraverso 
un galvanometro balistico, siffattamente che questa è funzione non solo della durata 
di carica che l’ha immediatamente preceduta, ma di tutti i processi di carica e sca- 
rica a cui il sistema fu assoggettato in tempi prossimi a quello d’osservazione. Con 
serie sistematiche di cariche a durata regolarmente crescente e decrescente si pos- 
sono far percorrere al sistema dei cicli di polarizzazione elettrica che hanno quasi 
tutti i caratteri dei cicli di na magnetica. Più tardi saranno resi più 
chiari alcuni elementi di questa analogia. Come nelle sostanze magnetiche la lenta 
polarizzabilità origina la parte di magnetismo residuo che col tempo va gradatamente 
scomparendo, così la lenta polarizzabilità dei dielettrici dà luogo ai fenomeni di carica 
residua, pei quali non si è ancora formulata una legge precisa. 

Nelle spirali bifilari che s'erano sperimentate qui l'isolamento tra i fili era un 
comune avvolgimento di cotone o di seta, ed in alcune spirali maggiori di sostanza 
organica analoga impregnata di materia isolante. In queste condizioni è chiaro che 
il coibente non è affatto preservato dal contatto coll’aria esterna, e perchè questa 
circola abbondantemente negli interstizi della massa, che è quasi sempre molto igro- 
scopica, ne rende le proprietà eminentemente variabili. Per uno studio sistematico 
delle proprietà che a noi interessavano non si poteva ad altro ricorrere che ad un 
vero condensatore, e questo fu costrutto sul tipo dei condensatori comuni con arma- 
ture rettangolari di stagnola, isolandole con fogli di seta. La seta tra le sostanze 
organiche si presentava specialmente opportuna, sia per la facilità di ottenerla dal 
commercio pura ed a tipo costante; sia perchè di essa è noto il grande potere iso- 
lante, e furono per le sue più frequenti applicazioni meglio studiate le proprietà 
fisiche ed elastiche, delle quali il diretto confronto colle proprietà dielettriche pareva 
specialmente degno di nota. 


2. — Un condensatore a seta: costante del dielettrico. 


Il primo condensatore fu costrutto con 20 armature di stagnola di superficie 
S= 28 X 28 cm, alternate con fogli di stoffa di seta, leggermente giallognola, così 
detta seta cruda del commercio, ricevuta direttamente dalla fabbrica, e non altri- 
menti essiccata che mediante una leggera soppressatura con ferro caldo per eliminarne 
le increspature; nessuna cura particolare fu presa parimenti per seccare la stagnola, 
ricavata da fogli soliti arrotolati. | 

Per avere una idea dell’ordine di grandezza della costante di questo dielettrico, 
sebbene esso in pratica non possa adoperarsi se non in condizioni analoghe alle 
attuali cioè in presenza di una quantità variabile di aria, la capacità fu esattamente 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 407 


determinata nelle circostanze ove la seta era allo stato naturale, e dove la sovrap- 
posizione accurata dei fogli di armatura permetteva di ritenerne utilizzata tutta la 
superficie. La distanza di questi, che dipendeva naturalmente dalla pressione, fu de- 
finita dalla media di parecchie misure di spessore eseguite con una vite microme- 
trica sopra un piccolo sistema di fogli di stagnola e di seta, alternati come nel 
condensatore, e sotto un peso proporzionalmente paragonabile. Lo spessore di un foglio 
di seta solo tra due superficie levigate darebbe una dimensione troppo grande; quello 
di molti fogli di seta semplicemente sovrapposti e compressi ne darebbe una troppo 
piccola, perchè i fogli di stagnola si adattano, ma solo in parte, alle piccole sinuosità 
della stoffa. La distanza media delle superficie di armatura era pertanto d4=0.131 mm.; 
la capacità 0.133 mF: onde, dicendo u la costante del dielettrico costituito dalla 
mescolanza di sostanza solida delia seta e gasosa dell’ aria e delle tracce di vapor 
acqueo presenti, era 


__ 0.133 X 105 X 9 Xx 10% X 47 X 0.0181 


28 X 28 X 19 1.32, 


u 


esprimendo in unità elettrostatiche la capacità misurata in microfarad e definita dalla 
formola 


DS 
4qTd 


Cop 


che vale per condensatori a facce piane e superficie indefinita. 

Essendo l’energia immagazzinata in un condensatore, a parità di forza elettro- 
statica, proporzionale al volume del dielettrico, la costante u' della parte solida del 
dielettrico si deduce con una relazione semplice di proporzionalità. Se cioè la frazione 
percentuale del volume totale da questa occupata è x, 


bien) 


ritenendo la costante della parte gasosa eguale all’unità. 

Per determinare x, non potendosi applicare i metodi più elementari di misura 
del volume specifico per immersione, perchè sarebbe difficilissimo espellere dalla massa 
tutta l’aria, non può ricorrersi razionalmente che alla variazione di volume di una 
nota massa gasosa in recipiente chiuso, in presenza della sostanza porosa, sotto 
pressione diversa. 

i Le osservazioni furono fatte con un volumenometro a ciò costruito, consistente 
in un tubo manometrico graduato, di alcuni centimetri di diametro, dove pezzi di 
stoffa di parecchi decimetri quadrati potevano essere introdotti dalla parte superiore, 
chiusa a vite ermeticamente; alla parte inferiore si raccorda un tubo d’unione flessi- 
bile con una vaschetta che si può spostare lungo un’asta verticale. L'apparecchio è 
parzialmente riempito di mercurio, mentre una chiavetta superiore permette la 
circolazione dell’aria. Chiusa quella, la pressione può variarsi spostando la vaschetta 
tra limiti relativamente estesi, e misurarsi con grande approssimazione leggendo le 
differenze di livello col catetometro a meno di pochi centesimi di millimetro; la pres- 


408 "LUIGI LOMBARDI 


sione esterna è letta nello stesso luogo all’atto di ogni osservazione. La calibrazione 
del tubo per unità di lunghezza si può fare facilmente capovolgendolo e pesando il 
mercurio che effluisce dalla chiavetta per abbassamenti esattamente misurati di 
livello. Però la verifica dello zero della scala non può essere fatta così pesando l’ul- 
tima parte della colonna di mercurio, poichè oltre che della capacità della chiavetta 
occorre tener conto dello spazio che il mercurio lascia libero per l’incurvarsi del 
menisco sotto il piano orizzontale tangente nel vertice: a questo corrisponde un peso 
che sarebbe due volte da sommare all’ ultima pesata. Si deve dunque cercare lo 
zero della scala, se i volumi si esprimono in altezze, applicando ancora la legge di 
Mariotte ad una quantità d’aria isolata nell’ apparecchio senza introdurvi corpi 
estranei. Le due determinazioni fatte con molta cura potrebbero definire con molta 
approssimazione il volume rimasto libero per effetto della capillarità sotto il piano 
di livello superiore. 

Detta H l'altezza della colonna barometrica; % la differenza di livello del mer- 
curio letta al catetometro; V l'altezza libera del tubo manometrico, cioè quella cor- 
rispondente allo spazio d’aria, e riferita alla scala del tubo sebbene letta col cateto- 
metro; detta v finalmente la correzione dello zero, ed « l'altezza corrispondente al 
volume occupato dalla seta, quella è definita dalla equazione 


Varo, tane 
VA o © H4+%? 


questa dalla 


NI ee HAI 
Vigna ni 


dove & ed 4" possono scegliersi eguali a zero lasciando stabilirsi il mercurio allo 
stesso livello coll’aprire la chiavetta. In ogni caso la sopraelevazione del mercurio 
nel tubo manometrico dovuta alla capillarità non eccede 1 o 2 centesimi di millimetro. 

Il volume corrispondente ad 1 cm? di stoffa di seta fu trovato così essere 
0.0065 cm, cioè nel condensatore il volume del dielettrico essere occupato dalla 


. È 0.0065 K ; ; 
sostanza solida per una porzione eguale a "0.060 che è con molta approssimazione 


la metà. Evidentemente la costante dielettrica della seta risulta così 1.64; e se 
questo è un valore medio per una simile sostanza, può sempre aversi una idea della 
costante del dielettrico in condizioni analoghe quando sia variata colla pressione la 
distanza delle armature, che può essere di molto ridotta. È però verosimile che le 
qualità diverse di seta possano avere costanti diverse non meno dei dielettrici comuni, 
essendone la struttura complessissima; ed è inoltre certo che la costante è largamente 
modificata dalla presenza di acqua condensata, avendo questa allo stato liquido un 
potere induttore specifico elevatissimo. 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 409 


3. — Influenza dell’umidità sulle proprietà del dielettrico. 


È facile vedere come per la presenza dell’acqua si modifichino svantaggiosamente 
le proprietà del condensatore. Si verifica difatti in parte, quando nel dielettrico è 
acqua condensata, il fenomeno che ha luogo quando in un liquido sono immerse due 
lastre od elettrodi: la quantità di elettricità che ad esse si può condurre mediante 
una data forza elettromotrice cresce notevolmente rispetto quella che basterebbe a 
caricare allo stesso potenziale il sistema delle due armature isolate, pur prescindendo 
dalla possibilità che succeda del liquido una scomposizione elettrolitica, la quale non 
permetterebbe più alcun confronto cogli elementi di una capacità elettrostatica. Il 
liquido si polarizza; e questa polarizzazione, che nella ipotesi di Grotthus è il 1° feno- 
meno della elettrolisi, consiste verosimilmente in un orientamento speciale delle mole- 
cole liquide in modo che gli elementi elettropositivi ed elettronegativi rispettivamente 
si volgano agli elettrodi caricati di elettricità opposta, per azione delle forze elettro- 
statiche. Ora è chiaro che questo orientarsi delle molecole, che devono rotare attorno ai 
loro centri di gravità e vincere le resistenze d’attrito originate dalle forze di coesione, 
non può succedere istantaneamente, ma occorre un certo tempo perchè il più gran 
numero di molecole abbia presa la nuova posizione di equilibrio. Non altrimenti nel 
condensatore occorre un certo tempo perchè la carica sia completa, poichè 1’ orien- 
tarsi nel campo di particelle che noi consideriamo caricate di elettricità opposte, 
nella direzione in cui le forze elettrostatiche le sollecitano, ha per effetto di dimi- 
nuire in ogni punto il potenziale, cioè di crescere la capacità elettrostatica. Il tempo 
totale di carica e la carica stessa dipendono dunque dalla quantità di liquido pola- 
rizzabile condensato; perchè la presenza di un vapore secco non altera sensibilmente 
l'uno e l’altra, avendo i gas in genere una costante vicinissima ad 1 ed una pola- 
rizzabilità quasi istantanea. 

Nel caso dei dielettrici comuni è sempre molto difficile eliminare ogni traccia 
di acqua condensata; difficilissimo per sostanze a struttura porosa o filiforme, quale 
era la seta, di cui potevasi dunque presumere che, senza precauzioni speciali, si sa- 
rebbero le proprietà mostrate imperfette e variabili col tempo. 

Effettivamente, essendosi conservato il sistema isolato tra due fogli di ebanite 
sotto pressione notevole, ma senza protezione contro l’aria esterna, le variazioni si 
resero in giorni e settimane successive molto sensibili, come dimostrano i risultati 

seguenti di osservazioni fatte senza che il condensatore fosse stato menomamente 
rimosso dal posto. È detta è' la 1* elongazione di scarica letta al galvanometro 
balistico dopo una carica momentanea; è' la massima elongazione ottenibile prolun- 
gando gradatamente la durata di carica con un elemento Clark (1); c è la capacità 
in microfarad data dal confronto di questa elongazione colla massima ottenibile sca- 
ricando nelle identiche condizioni un condensatore normale caricato allo stesso poten- 
ziale; dA è la massima variazione percentuale di elongazione o di capacità apparente: 


(1) L'ordine diverso di grandezza di queste elongazioni dipende naturalmente dalla diversa sen- 
sibilità a cui il galvanometro era disposto nel corso di altre misure. 


Serie II. Tom. XLIV. B° 


410 LUIGI LOMBARDI 


Data d’osservazione Ò' è” Ad È 
17 gennaio 144.0 149.0 3:38, %o 0.132 
18 Hi 140.6 146.0 OG 0.134 

7 febbraio 211.5 224.0 5.6 %o 0.137 
9 fo 161.6 170.8 5.4 %o 0.137 
18 A 161.2 173.1 659200 0.137 
19 H 246.7 269.0 8.3 °/o 0.137 
22 1; 129.0 208.8 38.2 %/o 0.158 


Evidentemente l’ultima enorme variazione improvvisamente intervenuta, e ricon- 
fermata da varie osservazioni nello stesso giorno e nei seguenti, accusa la presenza 
di una quantità di acqua notevole, od assorbita dall’aria eccessivamente umida esterna, 
o sfuggita alla condotta vicina di vapore pel riscaldamento. Essendo impossibile di 
continuare così le misure il condensatore fu dunque rimosso e artificialmente seccato. 

Non essendo una prova fatta tenendo parecchi giorni il sistema in un piccolo 
spazio chiuso, in presenza di acido fosforico anidro, riuscita ad abbassare la massima 
variazione di carica sotto il 20 °/, si dovette smontare il condensatore per ottenere 
dei singoli pezzi di stoffa e di stagnola un essiccamento migliore. Perciò questi furono 
lungamente esposti al sole, e quelli tenuti parecchie ore sotto la campana della mac- 
china pneumatica a pressione di pochi millimetri di mercurio ed in presenza di acido 
fosforico. La variazione massima era tornata dopo ciò a circa 6 °/,; la capacità ad 
un valore dello stesso ordine dei primi qui riferiti, ma non direttamente confronta- 
bile con essi non essendosi curata la sovrapposizione dei fogli di armatura esatta- 
tamente nelle condizioni precedenti. 

Dei risultati di gran lunga migliori si ebbero però seccando tutti i pezzi d’ar- 
matura e d’isolante ad alta temperatura, al quale artificio non s'era voluto ricorrere 
prima d’aver esauriti gli altri mezzi che potevano applicarsi con sicurezza maggiore 
di non alterare le proprietà fisiche ed elastiche della seta. 

Ma di questo si dirà dopo aver accennato ad alcune altre osservazioni eseguite nei 
primi giorni dopo la costruzione del condensatore, durante i quali le proprietà della 
seta naturale s'erano conservate più costanti. E prima di tutto converrà ricordare 
la forma generale della curva di carica, la quale si conserva la stessa in tutti i 
casi detti sopra, salvo a presentare una curvatura ed una differenza di ordinate 
estreme diversa. 

I tempi presi come ascisse sono le durate di carica, sono ordinate le prime 
elongazioni di scarica. Le due curve riferite qui e riprodotte nella tavola I (fig. 1 e 2) 
si riferiscono alle osservazioni citate del 18 gennaio e del 18 febbraio : 


{ |mom, dl 2 Re 00 202 8060 O0A 


| 
Il 
Ì 
| 


(140.6 141.9 142.6 143.0 143.5 143.8 144.1 144.4 144.5 144.7 145.0 146.0 146.0! 


= 


ò 


= 


d""161.2 164.8 166.2 167.3 168.7 169.9 171.0 171.8 172.2 172.8 173.1 — coi 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 411 


Il tempo dopo cui non è più apprezzabile una variazione della prima elonga- 
zione di scarica non può naturalmente essere esattamente precisato, perchè la curva 
si accosta asintoticamente alla sua tangente orizzontale, onde la quistione non è che 
di sensibilità dei mezzi di osservazione. Del resto si vedrà che a quella valutazione 
è assolutamente da dare poca importanza, non essendo quel massimo che un valore 
relativo, apparente, della carica la quale continua a crescere per un tempo molto 
più lungo. 


4. — Proporzionalità della carica al potenziale. 


La proprietà più importante di un condensatore è la proporzionalità della 
carica al potenziale, scegliendo per questa una durata arbitraria, o tale dopo cui la 
quantità di elettricità scaricantesi attraverso il galvanometro balistico non sia più 
suscettibile di crescere. Perchè quella proporzionalità si possa verificare occorre 
primieramente che il dielettrico abbia una resistenza convenientemente grande, indi- 
pendente dalla forza elettrostatica a cui esso viene assoggettato, e dalla intensità 
della corrente che lo può attraversare. Di più occorre che in esso procedano propor- 
zionalmente al potenziale anche i fenomeni di polarizzazione, dai quali dipende una 
parte notevole della capacità. 

Quella proporzionalità si suole verificare in tutti i buoni condensatori da labo- 
ratorio finchè la differenza di potenziale adoperata è contenuta tra limiti opportuni, 
cui non suole eccedere l’uso comune degli apparecchi. 

Pel condensatore a seta, a meno di differenze piccolissime comprese nei limiti 
dell’approssimazione conseguibile nelle misure, quella proporzionalità fu verificata 
in generale, successivamente descrivendo con potenziali diversi le curve di carica, 


e constatando che le ordinate di queste sono alla differenza di potenziale proporzionali 


anche per tempi brevissimi quando dal circuito di carica sia eliminata ogni resistenza 
e selfinduzione troppo grande, atta ad introdurre nella carica ritardi secondarì. 
Così con 1, 2,3 elementi Daniell preparati di fresco si ebbero prime elongazioni di 
scarica dopo cariche di un millesimo di secondo ed un decimo di secondo: 


t = 0".001 dI 
DOVA d' 


| 

chi 
oh) 
> 


eu, 1242 LIO 
ARCI 130047 92 


Il 


E con carica di 10”, dopo cui la scarica è poco diversa in ogni caso dalla massima, 
con un numero crescente da 1 a 6 di elementi Clark, dei quali prima si era verificata 
la forza elettromotrice eguale a meno di uno per mille, si ebbero elongazioni 


o = 00.5 140.9 211.2 282.1 353.4 423.0 


dove lo scostamento massimo dalla legge di proporzionalità non arriva a 0,4 °/. 
Naturalmente le deviazioni lette non possono essere confrontate senza essere 
affette della correzione per dedurre dalla misura proporzionale di tang. 2 u, che si fa 


sulla scala, quella di sen S che è misura relativa della quantità di elettricità scari- 


412 LUIGI LOMBARDI 


cantesi attraverso al galvanometro balistico e producente una prima deviazione «. 
Ò 


Se tang. 2u= Di sviluppando si trova 
CI O O 
Sato irpini gup topi api 


dove è, sono le elongazioni lette, Dla distanza della scala allo specchio. 


5. — Misura della resistenza del dielettrico 
col metodo della perdita di carica. 


Non è altrettanto semplice formarsi una idea esatta della resistenza di isola- 
mento di un condensatore, come notoriamente non è facile eseguire una misura esatta 
di una resistenza polarizzabile. 

Ordinariamente si ha un criterio per giudicare della isolazione di un condensa- 
tore caricandolo per un tempo determinato, in genere tanto a lungo che non cresca 
ulteriormente la prima elongazione di scarica, e scaricandolo dopo tempi diversi ; 
oppure misurando in corrispondenza con un elettrometro la differenza di potenziale 
delle armature. 

Se si ammette che il dielettrico possieda una resistenza ohmica R e che questa 
sia indipendente dalla differenza di potenziale V, in modo che una corrente propor- 
zionale ad essa lo attraversi in ogni istante, e nessun altro fenomeno avvenga per 
cui masse elettriche possano essere disperse od assorbite, l'equazione differenziale della 
diminuzione di carica o di potenziale 


dà subito 


È il metodo notissimo detto della perdita di carica, altrettanto utile per la misura di 
capacità in valore assoluto, quando si lascino scaricare attraverso resistenze note, 
come per la misura di resistenze grandissime, attraverso cui si scarichino capacità 
note. Per la determinazione della resistenza di elettroliti il metodo ha il grandissimo 
vantaggio che la corrente che li deve attaversare è piccolissima, onde la forza elet- 
tromotrice di polarizzazione può essere trascurabile. 

È però chiaro che le ipotesi su cui il metodo si fonda non sono in genere 
verificate. 

E primieramente la carica non è in ogni istante proporzionale alla differenza 
di potenziale in tutti i casi dove il dielettrico si polarizza con una certa lentezza, 
cosa che succede quasi sempre nella pratica, nè allora è legata tanto semplicemente 
al potenziale la diminuzione della carica apparente. Qualunque sia la modificazione 
dello stato molecolare che noi diciamo polarizzazione, è certo che in questa le mole- 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 413 


cole presentano una energia diversa, e perciò a produrla occorse una spesa di lavoro 
che le forze elettrostatiche hanno eseguito, e che i fenomeni di depolarizzazione ci 
possono restituire in tutto od in parte. La spesa di lavoro si presenta sotto forma 
di una quantità di elettricità che penetri nel dielettrico, e che è comunemente detta 
carica assorbita. Ora questo assorbimento che, se le armature son legate in perma- 
nenza alla pila, si fa a spese della forza elettromotrice di questa, se le armature 
sono isolate continua a farsi a spese della loro differenza di potenziale, e della quan- 
tità di elettricità che sopra di esse è distribuita. La differenza di potenziale e la 
carica apparente diminuiscono dunque anche là dove il dielettrico abbia una resi- 
stenza ohmica infinita; diminuiscono finchè il dielettrico sia polarizzato completamente, 
cioè finchè l'equilibrio interno nuovo si sia stabilito tra le forze molecolari e le forze 
elettrostatiche; e la quantità di energia che a ciò si è spesa è naturalmente variata 
in ogni unità di tempo successiva, accostandosi asintoticamente ad un valore nullo. 

Il fatto che si verifica in modo evidente nei condensatori, perchè ivi le scariche 
residue ne attestano le conseguenze e ne possono dare la misura, avviene sempre dove 
una porzione del circuito di una corrente sia costituita da una resistenza polarizzabile, 
perchè anche qui esistono sempre due elettrodi, e tra essi, che sono ad una data 
differenza di potenziale, esiste un campo elettrostatico. In tali condizioni il quoziente 
della caduta di potenziale per la quantità di elettricità che nell'unità di tempo attra- 
versa la superficie di confine degli elettrodi non ha nulla a che fare con una resi- 
stenza nel significato ordinario della parola, e la definizione di resistenza che se ne 
suol dare è assolutamente arbitraria: ed è arbitraria la misura che durante la fase 
variabile della polarizzazione si può fare della resistenza d’isolamento qui come nel 
caso dei cavi ed in tutti gli altri analoghi. 

Una resistenza in condizioni esterne invariate non deve avere caratteri di varia- 
bilità, e perciò negli esempi detti non può essere valutata che allo stato di regime: 
ed allora veramente può essere definita come quoziente di una differenza di poten- 
ziale per una corrente, quando questa nel tempo si conserva inalterata, sebbene 
non si implichi con ciò la indipendenza del valore così definito dalla corrente o 
dal potenziale, la quale può solo essere verificata dalla esperienza. Non altrimenti 
assurdo sarebbe valutare la resistenza interna di un accumulatore dividendo la diffe- 
renza di potenziale degli elettrodi alla carica per la corrente; salvo che qui noi 
possiamo sempre determinare, interrompendo istantaneamente la corrente, la forza 
elettromotrice dovuta al lavoro di scomposizione chimica che tra gli elettrodi si 
è eseguito, od al lavoro che le forze di affinità chimica tendono a fare. Nel caso 
di un dielettrico la modificazione è solamente fisica, verosimilmente non riguarda 
che il raggruppamento delle molecole; ma noi non possiamo impedire che essa si 
compia a spese della energia data alle armature, e, finchè essa dura, se l’energia da 
essa consumata non ci è nota per esperienze precedenti, non possiamo distinguerla da 
quella che si trasforma in calore per la conduttività del mezzo, per la legge di Joule. 

Se una conduttività nel dielettrico esiste, e questo si verifica sempre, non 
sì può nemmeno pensare di prolungare tanto la carica che la polarizzazione sia 
completa, per determinare poi le perdite di carica come differenza delle prime 
elongazioni di scarica dopo tempi diversi di isolamento, poichè l’equilibrio delle 
molecole dipendendo in ogni istante dalla forza elettrostatica attuale è continua- 


414 LUIGI LOMBARDI 


mente variato al diminuire la carica per le correnti di conduzione. Ora le mole- 
cole riavvicinandosi all'equilibrio primitivo, ch’esse avevano nel dielettrico non pola- 
rizzato, restituiscono una parte dell’energia che per la loro polarizzazione s'era spesa, 
dovendo essere l’energia immagazzinata, che è la misura per noi della polarizzazione, 
proporzionata in ogni istante all’intensità attuale del campo. Così le armature mo- 
strano una differenza di potenziale in tempi successivi maggiore di quella che esse 
avrebbero conservata se i soli fenomeni di conduzione si fossero verificati. Solamente 
nel caso che nessuna conduzione o dispersione elettrica avvenisse la polarizzazione 
non originerebbe fenomeni secondarî quando fosse completa; ma allora la differenza 
di potenziale si conserverebbe indefinitamente identica. 

I fenomeni di scariche residue non sono che quelli ora accennati nel caso in cui 
le armature siano state una volta scaricate; essi consistono cioè nello scaricarsi della 
quantità di elettricità che s'è venuta di nuovo accumulando sulle armature, in esse 
sviluppando una differenza di potenziale dopo che quella prima esistente s’ era una 
volta ridotta a zero. La nuova differenza di potenziale va dunque crescendo; però non 
indefinitamente, nè finchè tutta la massa elettrica assorbita dal dielettrico sia stata 
restituita alle armature, perchè evidentemente, per il potenziale crescente, cresce la 
forza nel campo elettrostatico, e quando essa fa equilibrio alle forze molecolari che 
sono venute gradatamente prevalendo si è in una nuova condizione di regime, che, 
se non intervenisse la conduzione o dispersione dell’energia per isolamento imperfetto, 
non avrebbe nessun motivo di variare col tempo. 

In pratica la quantità di elettricità che dopo la 1 scarica resta immagazzinata 
nel sistema suol essere una frazione piccola della quantità totale che si era data, 
onde è piccola la differenza massima di potenziale che essa basterebbe a sviluppare 
di nuovo, e questo massimo non sarebbe raggiunto prima di un tempo notevole, 
avvenendo i fenomeni di depolarizzazione come quelli di polarizzazione sempre 
lentamente. Perciò la scarica secondaria che si ricava dopo la scarica principale 
suole mostrarsi tanto maggiore quanto maggiore è il tempo che nei limiti ordi- 
nari di osservazione si lascia precedere ad essa. Se poi la scarica secondaria si 
misura colla deviazione del galvanometro balistico, non si trova quasi mai minore 
sensibilmente della somma di scariche che si sarebbero potute avere chiudendo nello 
stesso intervallo di tempo le armature parecchie volte in corto circuito; ma è evi- 
dente che là la depolarizzazione ha dovuto essere meno intensa. 

Il caso più comune è quello in cui la carica del condensatore non sia stata pro- 
lungata fino a polarizzazione completa, cioè non abbia raggiunto il suo massimo valore 
totale. Allora la curva che si vuol rilevare per avere una idea della isolazione, cioè 
la curva della scarica primaria diminuente al crescere della durata di isolamento, pre- 
senta un carattere generale che la allontana dalla forma teorica. Essa cioè si abbassa 
nei primi istanti più rapidamente, ove una parte della carica dalle armature penetra 
ancora nel coibente; poi acquista per un certo tratto una curvatura sensibilmente 
normale, cioè conforme ad una legge logaritmica di decrescenza, là dove la polariz- 
zazione che è andata crescendo finì per corrispondere alla intensità del campo che 
venne decrescendo, dove cioè l’effetto della polarizzazione potè essere trascurabile 
rispetto quello della conduzione. Però la curvatura non si conserva normale, perchè 
decrescendo sempre la differenza di potenziale interviene la depolarizzazione a sopperire 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 415 


in parte alla carica che le armature perdono per conduzione, e la curva si accosta di 
più ad una orizzontale. Se le osservazioni si prolungassero più che per misure ordi- 
narie non sì soglia, si arriverebbe verosimilmente ad un istante ove la curva quasi si 
confonde colla, parallela all’asse delle ascisse, se la conduttività del mezzo è molto 
piccola rispetto la sua polarizzabilità. In fatto naturalmente la curva continuerebbe 
lentamente ad abbassarsi, perchè per conduzione finirebbe di esaurirsi tutta la carica 
che nel dielettrico era immagazzinata. Evidentemente dalla curva di un fenomeno tanto 
complesso, e diverso da quello ipotetico, è impossibile avere valori confrontabili delle 
differenze di logaritmi in tempi successivi. 

Se il metodo è applicato per la misura di una resistenza esterna al conden- 
satore è chiaro che osservazioni analoghe valgono ancora, perchè i fenomeni di pola- 
rizzazione e di conduzione interna avvengono sempre parallelamente a quelli di 
conduzione esterna e contemporaneamente ad essi. Se la curva delle prime elonga- 
zioni di scarica del condensatore solo, isolato durante tempi diversi, ci definisce quella 
che può dirsi resistenza apparente interna, la curva delle elongazioni quando il con- 
densatore è chiuso per tempi diversi sopra una resistenza esterna ci definisce la 
risultante delle due resistenze in parallelo, apparente interna, ed esterna apparente 
od ohmica secondo che anche qui intervengono o non fenomeni secondari di pola- 
rizzazione. 

Il metodo non perde nondimeno tutto il suo valore quando i fenomeni secondari 
giuochino una parte non importante nel fenomeno principale; ma perchè è pratica- 
mente impossibile che essi non abbiano un'influenza sui risultati, occorrerà portare a 
questi una correzione corrispondente. 

Se si misura cioè una resistenza esterna, rispetto la quale la apparente resistenza 
interna del condensatore sia grandissima, come può verificarsi adoperando un buon 
condensatore normale, non sarà irrazionale correggere semplicemente le prime elon- 
gazioni di scarica lette di tanto quanto erano le perdite corrispondenti lette col 
condensatore isolato. Rilevando successivamente e nelle identiche condizioni le due 
curve, le differenze delle loro ordinate si possono cioè ritenere eguali alle perdite 
di carica che sarebbero avvenute attraverso alla resistenza sola esterna, sebbene 
questo non sia vero, essendo in ogni istante la differenza di potenziali sulle armature 
minore del suo valore teorico, e minore la corrente di scarica attraverso la resi- 
stenza esterna. 

Che se si tratta di determinare la resistenza interna del condensatore, occorre 
tener conto separatamente della energia spesa per la polarizzazione; e perchè questa 
noi possiamo ricuperare con scariche successive, ci sarà lecito ricorrere ad una 
‘correzione analoga alla precedente in analoghe condizioni, cioè quando i fenomeni di 
polarizzabilità successiva non abbiano importanza grande rispetto quelli di condut- 
tività. Naturalmente occorrerà prescindere dai primi tempi di isolazione, durante i 
quali la polarizzazione si fa ancora più energica; poi bisognerà ad ogni somma di 
scariche residue, rilevata dopo una fase qualunque di isolamento, sottrarre quella 
avuta quando ad una carica eguale aveva tenuto dietro una scarica immediata, 
perchè prima di questa il potenziale non aveva subìto alcuna variazione dal valore 
normale. Però sarà molto più difficile che questa correzione sia fatta con l'esattezza 
della prima, perchè le scariche residue non si possono ricavare che in tempi lunghi, 


416 | LUIGI LOMBARDI 


e la moltiplicità delle letture di deviazioni che vanno diminuendo fino a zero fa che 
la loro somma non rappresenti quella di scariche successive che molto grossolana 
mente. Più ancora, sarà impossibile che deviazioni del galvanometro si apprezzino 
fino all'esaurimento completo della carica residua, e la parte che sarà trascurata 
sarà tanto più grande quanto più a lungo il dielettrico è rimasto sotto l’azione delle 
forze elettrostatiche. Della energia per correnti di conduzione dispersa nei tempi 
successivi alla prima scarica non si ha modo di tener conto, ma certamente essa 
è piccolissima perchè le differenze di potenziale qui sono molto deboli. 

L'uso dell’elettrometro per misurare invece delle quantità di elettricità i potenziali 
non sarebbe applicabile, non potendosi immaginare una correzione analoga alla detta. 


6. — Misura diretta mediante l’intensità di corrente. 


Da tutto ciò che s'è detto risulta che la misura della resistenza interna di un con- 
densatore non può essere fatta col metodo della perdita di carica se non prolungando 
la serie delle osservazioni per tempi lunghissimi, poichè dopo una carica di durata 
appena notevole il dielettrico impiega a depolarizzarsi completamente un tempo dello 
stesso ordine di grandezza di quello che si richiederebbe per la sua polarizzazione 
perfetta, ed, eccetto pochi dielettrici ottimi, quel tempo raggiunge sempre un numero 
d’ore che molte volte non è espresso con poche unità. 

Ma in queste condizioni è evidentemente più razionale, se la resistenza non 
abbia un valore immensamente grande, e se si possieda un galvanometro convenien- 
temente sensibile, misurarla col metodo diretto per mezzo della corrente che una 
forza elettromotrice nota manda attraverso ad essa allo stato di regime, di polariz- 
zazione completa. Siccome i più perfezionati galvanometri moderni a sistema asta- 
tizzato di magneti ed a decine di migliaia di spire permettono di valutare con sicu- 
rezza correnti di diecimillesimi di un milionesimo d’ampère, con forze elettromotrici 
di pochi volt si possono misurare direttamente resistenze di centinaia di migliaia di 
megohm, maggiori delle quali le resistenze in quasi tutti i casi della pratica si pos- 
sono considerare come infinite. 

Il metodo diretto ha il vantaggio di lasciar seguire nella successione del tempo 
l'andamento dei fenomeni di polarizzazione e di conduzione sommati, essendo le 
deviazioni lette ad ogni istante la misura della quantità spesa di elettricità nella 
corrispondente unità di tempo; e questo ci permetterà più avanti di scoprire alcune 
proprietà interessanti dei fenomeni stessi. La polarizzazione è completa quando l’ago 
ha raggiunta la sua posizione stabile di equilibrio. Naturalmente è supposto il 
condensatore completamente scarico prima, se non si vuole durante la fase variabile 
tener conto dei fenomeni dovuti alla polarizzazione residua da cariche precedenti. 

Il dottor Behn-Eschenburg nello studio di un cavo a guttaperca del laboratorio 
di Zurigo (1) per rendere il comportamento del dielettrico indipendente dalle fasi 
precedenti di polarizzazione si servì di un artificio ingegnoso analogo a quello di 


(1) Elektrotechnische Zeitschrift, fasc. 30, 31; 1892. 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 417 


eliminare il magnetismo residuo del ferro mediante una corrente alternativa. Egli 
cioè invertì mediante un commutatore la corrente di carica un certo numero di volte 
ad intervalli eguali di tempo relativamente brevi; siccome si può immaginare che 
i fenomeni di polarizzazione seguano parallelamente, indipendenti tra loro, alle fasi 
diverse di carica, quando queste sono opposte ed eguali la somma algebrica dell’e- 
nergia per quelli assorbita tende per simmetria a zero. Anche della polarizzazione 
dovuta a cariche anteriori in un verso qualunque devono più facilmente sparire le 
ultime traccie, perchè le rapide variazioni di raggruppamento molecolare agevolano 
l’orientarsi delle particelle sotto l’azione delle forze nuove come le meccaniche vibra- 
zioni agevolano la depolarizzazione magnetica. In una serie di cariche alternate rego- 
lari ad un istante qualunque d’una fase di carica può dunque ammettersi che l'in- 
tensità di corrente sia funzione solamente del potenziale di carica e della. distanza 
di quest’'istante da quello in cui il potenziale fu invertito. La curva della corrente 
è certamente una curva periodica alternata, di cui varia col potenziale l'ampiezza, 
colla frequenza la lunghezza di periodo, e la forma colla legge dei fenomeni di pola- 
rizzazione. Per rilevar questa occorrebbe un galvanometro ideale, di cui la deviazione 
si leggesse in ogni istante proporzionale alla intensità momentanea della corrente; ma 
anche con un galvanometro a smorzamento conveniente certo si vedrebbe la devia- 
zione durante ogni fase diminuire regolarmente dopochè la corrente di carica avrebbe 
raggiunto il suo massimo, purchè si scegliessero periodi sufficientemente lunghi. Il 
dottor Eschenburg si servì di un galvanometro con smorzamento piccolissimo, desti- 
nato a misure col metodo balistico, e scelse come periodi intervalli di tempo appena 
| sufficienti a fare con sicurezza una lettura di deviazione ed una di zero; quindi è 
naturale che dopo pochi periodi abbia conseguito medie deviazioni eguali; queste 
però erano funzione, oltrechè del potenziale, delle condizioni speciali di sperimenta- 
zione, ed il quoziente costante della differenza di potenziale al valore istantaneo letto 
della corrente fu da lui arbitrariamente definito resistenza del dielettrico non avendo 
nulla di comune colla resistenza ohmica di questo. 

Una resistenza ohmica è sempre di tal natura che in essa una quantità di 
energia è dissipata in calore al passaggio di una corrente, e noi vedemmo come 
‘mediante una corrente continua essa possa essere rigorosamente definita anche per le 
sostanze polarizzabili. Per contro la polarizzabilità in genere non implica una perdita 
principale di energia, perchè l'energia che è immagazzinata nel dielettrico non è con- 
vertita in calore, ma può essere restituita come scariche residue le quali si sommano 
e si confondono colle cariche opposte succedenti quando si tratta della trasmissione 
di una corrente alternativa. La polarizzabilità non corrisponde che all'aumento più 
o meno lento di una capacità, e questa nel circuito di una corrente continua non ha 
effetto di sorta, in quello di una corrente alternativa non fa che modificare la fase. 

Veramente una perdita ancora qui si verifica, perchè la polarizzabilità di un 
dielettrico non è mai perfetta, e nella depolarizzazione non è mai restituita tutta 
l'energia che alla polarizzazione è occorsa; ma la parte secondaria dispersa così, che 
è analoga all'energia che si spende per la magnetizzazione alternata del ferro, è di 
gran lunga più piccola della totale impiegata in ogni semplice polarizzazione diretta. 

Pertanto nella misura della resistenza dei cavi in genere non ha minore impor- 
tanza riferirsi solo al minimo valore a cui la corrente data da una forza elettro- 

Serre II. Tom. XLIV. c° 


418 LUIGI LOMBARDI 


motrice costante può discendere, di quello che abbia presso i cavi adoperati per 
corrente continua fare unicamente la determinazione dopo una lunga fase di riposo 
durante la quale il cavo sia possibilmente messo in corto circuito, perchè la  pola- 
rizzazione residua, specialmente se dovuta a potenziali elevati ed a cariche lunghis- 
sime, non renda le misure, fatte eventualmente servendosi di una corrente in un sol 
verso, del tutto illusorie. 


7. — Indipendenza della resistenza della seta 
dalla intensità di corrente. 


L’artificio adoperato dal dottor Eschenburg è tuttavia utile per verificare alcune 
proprietà nel comportamento del dielettrico. 

Se difatti i valori della resistenza apparente, come fu da lui definita e misurata, 
si trovano eguali comunque vari il potenziale, ed egli lo verificò per la guttaperca 
tra limiti estesi, per quel punto che si è scelto per far la lettura nella durata del 
periodo è proporzionale al potenziale la spesa di corrente per conduzione e. polariz- 
zazione. Se questo fosse verificato per tutti i punti e per periodi di lunghezza 
diversa, sarebbe verificata, in quelle determinate condizioni di esperienza, 1’ indi- 
pendenza della forma della curva di carica dal potenziale, e se ne potrebbe colla 
massima verosimiglianza dedurre l’indipendenza dal potenziale per quei due singoli 
fenomeni che seguono leggi del tutto diverse, quindi la costanza della resistenza 
effettiva. L’equivalenza di equazioni a variabili indipendenti permette sempre di 
identificare i coefficienti di queste. 

Col piccolo condensatore a seta s'era cercato di assodare una proprietà di questa 
natura applicando sistematicamente alla determinazione della resistenza apparente il 
metodo della perdita di carica dopo serie di cariche eseguite per tempi eguali con 
differenze di potenziale crescente. 

Leggendo le prime elongazioni di scarica dopo durate di isolamento crescenti 
di 10" in 10" fino a 60", dopo aver caricato per 10" con numero di elementi nor- 
mali crescente da 1 a 6, si vedevano i decrementi logaritmici delle elongazioni seguire 
una legge di diminuzione molto approssimatamente identica, cioè i valori della resi- 
stenza apparente oscillare attorno ad una curva media regolare, rispetto alla quale 
gli scostamenti non eccedevano i limiti di approssimazione delle osservazioni. Però 
la resistenza apparente s'era elevata in 1’ da 2200 a 9000 megohm, valore che non 
aveva ancor nulla a che fare colla resistenza effettiva. Per avere un’idea del valore 
di questa una delle serie di osservazioni fu diligentemente ripetuta, ed ogni lettura 
di prima elongazione affetta della correzione per le scariche residue succedenti, misu- 
rando queste ad ogni minuto finchè le deviazioni superavano 0,1 mm. sulla scala. 
Prescindendo dai tempi più brevi dove la porzione di carica che si va assorbendo è 
troppo grande rispetto la totale, si ebbero dopo durate di isolamento # le scariche 
totali è che qui sono riferite: 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 419 


t 60” 90” 120" 150” 180” 
ò 169.7 168.1 166.5 164.9 163.4 
log ò 2.22968 2.22597 2.22141:  2.21722 2.21325 
A log. d 0.00411 0.00416 0.00419 0.00397 


Il valore medio di questo decremento logaritmico corrisponde, per una capacità 
quale fu misurata in queste condizioni di 0,136 mF., ad una resistenza di circa 
23300 megohm. 

L'indipendenza però di questa resistenza dal potenziale fu meglio provata col 
metodo diretto, chiudendo il sistema in circuito con un numero crescente di elementi 
normali e col galvanometro disposto a gran sensibilità. Sarà ricordata più avanti 
la forma della curva della corrente, che si conserva della stessa natura in tutti i 
dielettrici dove i fenomeni di polarizzazione hanno una intensità paragonabile, e 
ricorda quella di una iperbole avente per asintoti l’asse delle ordinate e una paral- 
lela all’ asse delle ascisse. Qui è solo da notare che la forma della curva non 
dipende assolutamente dal potenziale nei limiti tra cui questo fu variato, da 1 
a 12 elementi Clark, poichè le divergenze delle ordinate, che si misurarono ad inter- 
valli eguali di tempo dalla chiusura del circuito, rispetto la legge di proporzionalità, 
non superano una piccola frazione percentuale in tutte le curve rilevate dopo un 
lungo periodo di scarica, cioè col dielettrico in condizioni eguali. 

Naturalmente le curve che erano successivamente rilevate, dando alla scarica 
tempi troppo brevi perchè la depolarizzazione fosse completa, si scostano sistema- 
ticamente dalla variazione proporzionale in quanto nei primi tempi le ordinate hanno 
valori minori dei normali. Ma questa differenza va sensibilmente diminuendo man 
mano che la curva si avvicina alla sua tangente orizzontale. La distanza di questa 
dall’asse delle ascisse è in ogni caso proporzionale alla differenza di potenziale ado- 
perata. E se la sensibilità del galvanometro fu determinata misurando la deviazione 
che dà la corrente d’una pila campione messa in serie con una resistenza convenien- 
temente grande, mentre sui morsetti del galvanometro è in derivazione un shunt che 
ha rapporto noto alla resistenza del moltiplicatore, si ha la misura diretta della resi- 
stenza ohmica del dielettrico, che a noi è lecito perciò. ammettere indipendente dal 
potenziale. i 

Per ricordare a conferma di ciò una sola delle numerose serie di osservazioni 
fatte, si ebbero pel condensatore a seta con 2, 4, 6, 8 elementi Clark rispettivamente 
ed a distanza di soli 390" dal primo istante di carica, deviazioni lette di 6.6, 12.8, 
| 18.8, 24.5 parti di scala, avendo ripetuto le esperienze successivamente scaricando 
| ogni volta il condensatore solo durante alcuni minuti. Ma prolungando un'altra volta 
| la carica con 4 elementi, dopo 1 ora la deviazione era 6.0 parti di scala; con 8 
elementi dopo 1 ora era 12.0 parti di scala e si abbassava dopo 2 ore a 11.0, dopo 
8 ore a 10.5; dopo cui durante ore successive non si avevano che oscillazioni pic- 
colissime, evidentemente dovute a variazioni della sensibilità del galvanometro. Essendo 


420 LUIGI LOMBARDI 


il valore medio di questa corrispondente ad una intensità di corrente di 0.5 X 107° 
ampère per una parte di scala, quella deviazione minima corrispondeva ad una resi- 
stenza di 21800 megohm circa, di cui l’ordine di grandezza è assolutamente confron- 
tabile con quello prima riferito tenendo conto che le due determinazioni furono fatte 
in giorni diversi e verosimilmente in condizioni igroscopiche del sistema non identiche. 


8. — Variazione della scarica residua in funzione del potenziale. 


Si è detto che la proporzionalità delle ordinate della curva di carica in ogni 
momento al potenziale lascia concludere la proporzionalità dei fenomeni di polariz- 
zazione, misurati dalla quantità di elettricità per essi assorbita, e la indipendenza 
della resistenza ohmica dal potenziale. Siccome le osservazioni, in parte riferite, e 
ripetute molte volte su questo condensatore e su altri di capacità maggiore ed a 
dielettrico diverso, si accordano molto bene in quella proporzionalità, è altamente 
verosimile che queste proprietà si verifichino almeno tra limiti abbastanza ristretti 
di potenziale, per i dielettrici medesimi; dal che è facile prevedere come in pratica 
variino in funzione del potenziale i fenomeni di scarica residua che sono la conse- 
guenza dei fenomeni inversi di polarizzazione. 

Se infatti noi potessimo raccogliere come scarica residua tutta l’elettricità che 
è stata immagazzinata nel dielettrico, noi avremmo somme di scariche residue pro- 
porzionali al potenziale. 

Ma primieramente il dielettrico presenta sempre una certa conduttività, e per 
essa durante il tempo lungo occorrente all'esaurimento di tutta la carica residua una 
frazione di questa si disperde come corrente di conduzione, tanto maggiore quanto più 
lunghi sono gli intervalli dopo cui le scariche si rinnovano, perchè tanto maggiori 
sono le differenze di potenziale a cui le armature son venute salendo. D'altronde, 
quanto più sovente le scariche si ripetono, tanto minori sono le deviazioni del gal- 
vanometro e più facili gli errori di lettura. Di più ancora diminuisce la durata di 
tempo totale per cui le scariche dopo i singoli brevi intervalli si rendono apprez- 
zabili, onde una quantità maggiore della carica residua totale è trascurata, e 
questa può non essere proporzionale al potenziale di carica ma crescere più rapida- 
mente di esso se avvenga che l’equilibrio molecolare, che è stato più intensamente 
turbato, più lentamente si vada ripristinando. Quando la curva più lentamente si 
accosta alla sua tangente che è l’asse delle ascisse, è più grande la parte di area 
che tra quella e questa si trascura a partire da un minimo eguale di ordinata 
apprezzabile. 

Questo fa che la determinazione della somma di scariche residue possa essere 
in genere errata in meno tanto maggiormente quanto il potenziale fu più elevato, 
quindi la intensità di polarizzazione possa apparire leggermente decrescente al cre- 
scere il potenziale. Ora l’espressione conferma pei fenomeni di depolarizzazione suc- 
cessiva un andamento di questa natura, poichè la curva delle somme di scariche 
residue R anzichè continuare rettilinea uscendo dall’ origine, si stacca lentamente 
dalla sua tangente ivi, e volge la sua leggera concavità all’asse delle ascisse. 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 421 


Lo prova la serie seguente, rilevata con un numero » crescente di elementi 
normali dopo cariche eguali di 5”. Le cariche non furono prolungate di più per limi- 
tare il tempo necessario all'esaurimento sensibile della scarica che per 12 elementi 
Clark non era minore di mezz'ora. La prima elongazione di scarica con 1 elemento 
era 182.5: 


1 9 3 4 5 6 8 10 12 
R IRR 90005901 1096. 1295 
> RIO O RO 6 118. 110 108 


Teoricamente nulla contraddice a priori ad ammettere che la polarizzabilità del 
dielettrico vada leggermente decrescendo al crescere il potenziale. Invero al limite non 
può essere una massa finita di dielettrico sede di una quantità illimitata di energia 
in essa condensata per solo fatto di una lenta modificazione molecolare. Il fenomeno 
avrebbe una analogia di più con quelli di polarizzazione magnetica. Siccome però 
quello scostamento dalla legge di proporzionalità è in gran parte spiegabile nelle 
condizioni dell'esperienza, ed accenna a scomparire quando invece di scariche suc- 
cessive isolate si rileva la curva della scarica continua, l'analogia si può verosimil- 
mente stabilire più intima coi fenomeni di elasticità, nei quali, tra i limiti di ela- 
sticità perfetta, le deformazioni totali sono sempre proporzionali alle forze applicate. 


9. — Variazione in funzione della durata di carica. 


Come la polarizzazione del dielettrico varii col tempo di carica è chiaramente 
mostrato dalla curva della corrente di carica. 

E veramente, se una quantità di elettricità attraversa nell’unità di tempo le 
armature, oltre a quella che devesi alla resistenza ohmica per noi ben definita ed 
invariabile del dielettrico, essa può considerarsi come assorbita intieramente dal 
mezzo, che, cessate le forze elettrostatiche, la può in tutto od in parte restituire 
come dicemmo. Se prescindiamo dalle piccole dispersioni, e consideriamo la somma 
di scariche successive come restituzione integrale di quella massa elettrica, si vede 
subito la forma della curva, riferita al tempo di carica, della scarica residua. Essa 
cioè sale col tempo, prima rapidamente ove la corrente di carica ha un’intensità 
notevole, poi sempre più lentamente accostandosi asintoticamente ad una tangente 
orizzontale che non è raggiunta prima che la polarizzazione sia completa e la cor- 
rente sia ridotta a quella di conduzione. Nel nostro caso vedemmo che occorre a ciò 
un tempo non inferiore ad alcune ore. 

La curva della carica totale è insomma la curva integrale della corrente di 
carica. Siccome la prima elongazione di scarica, cioè la scarica primaria come è 
comunemente definita, al prolungarsi della carica ha cessato dopo pochi minuti di 
crescere, la curva della carica residua da quel momento deve rappresentare quell’in- 


422 LUIGI LOMBARDI 


tegrale a meno di una costante. Le perdite secondarie sole avrebbero per effetto che, 
se quella curva si deducesse da questa con un processo qualsiasi di integrazione 
grafica, le ordinate sarebbero leggermente maggiori di quelle che colla misura diretta 
si rilevano. 

I risultati che seguono ricordano la curva della scarica residua R del conden- 
satore a seta dopo che il tempo di carica # s'era venuto aumentando. Siccome però 
si vedrà più avanti che la distinzione di scarica residua da scarica primaria non ha 
che un valore relativo, la curva più caratteristica del fenomeno è quella della carica 
totale Q che è riportata nella fig. 3 e che si confronterà poi colla curva delle defor- 
mazioni elastiche: 


t de 2' 3' 5! Te 10' Tia): 20’ 30" 14 ore 
Ri (1041 145,80 175.0.212:0235.2 | 255.0. (275.0129255 312:503895:0 
Q (346.1 388.8 419.0 456.5 480.0 500.0 520.0 597.5. 557.5. 640.5 


Della forma della scarica nei tempi successivi si può avere una idea dalla curva 
che ha per differenze di ordinate le singole letture di scarica secondaria fatte in 
corrispondenza alle ascisse rispettive poichè queste rappresentano le diminuzioni 
corrispondentemente subite dalla carica totale, prescindendo da correnti di conduzione 
interna. 

È riportata come esempio la curva delle osservazioni di scarica dopo aver cari- 
cato durante 10'. L’ordinata corrispondente al tempo zero è naturalmente la carica 
totale residua quale da noi fu apprezzata, dovendo prescindere dalla durata momen- 
tanea della scarica primaria. Ma siccome si avvertì già l impossibilità di tener 
conto di una parte della carica effettiva, perchè la depolarizzazione completa del 
dielettrico domanda un tempo lunghissimo e perchè sono insufficienti i mezzi di 
osservazione, una differenza costante si ha in tutte le ordinate dal valore teorico. 

Per contro la discontinuità del fenomeno, che ha per effetto di ritardare, come si 
disse, la depolarizzazione del dielettrico, fa che le ordinate successive siano mag- 
giori di quelle che si sarebbero rilevate se il potenziale delle armature non fosse 
andato in ogni intervallo crescendo. Di ciò si dovrà tener conto se si vorranno con- 
frontare le due curve dei fenomeni inversi, di carica e di scarica, tra le quali è ma- 
nifesta l’analogia, e più avanti si dimostrerà la identità. 

Le ordinate della curva riferita nella fig. 4 sono: 


t' 0' I 2' 3! DI do 10' 15; 20% 0250 ! 
R'1 25507 L83041 30 824939 6020098 45 | 


L’ordine di grandezza di queste cariche residue è relativamente notevole, e devesi 
alle condizioni igroscopiche del dielettrico, molto variate rispetto quelle dei primi 
giorni. 


“Li È 
mig pa 7 
Se rar 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 423 


Con sensibilità conveniente del galvanometro si può rilevare una curva rego- 
lare di scarica residua per corrente continua, la quale va naturalmente decrescendo 
secondo una legge analoga alla precedente, ma che, per ragioni dette, si presta 
meglio al confronto. 

Dopo aver caricato durante 40' il condensatore a seta con 6 elementi Clark fu 
possibile valutare con sicurezza durante più di mezz'ora le deviazioni di scarica al 
galvanometro. Siccome ad una parte di scala corrispondeva molto approssimativa- 
mente una intensità di 0.9 Xx 10-'’ampère, se si integra l'area della curva si ha 
una quantità di elettricità dello stesso ordine di grandezza che le ordinate della 
curva di scariche isolate ci davano, tenendo conto che là il potenziale di carica era 
2 volt circa, poichè aveva servito alla carica un accumulatore. 

La curva a cui si allude è individuata dalle letture seguenti : 


at 2 3; SARO eo Pa 30 


ò 59.0 34.0 23.6 15.0 6.5 4.0 2.7 2.0 1.6 


10. — Fenomeni di carica e scarica durante tempi brevissimi. 


In tutto ciò che s’è detto fin qui non s'è tenuto conto particolarmente delle 


‘condizioni del circuito di carica e scarica, perchè le osservazioni erano sempre 


fatte dopo tempi notevoli rispetto quelli in cui hanno importanza i fenomeni dovuti 
alla resistenza e selfinduzione del medesimo. Ma è noto che, finchè questi sono sen- 
sibili, le curve di carica e scarica presentano caratteri speciali, e non è escluso che 
questi siano modificati dalle proprietà del dielettrico. 

Un primo fatto importante scaturisce dalle cose in parte già esposte. Perchè 


i fenomeni di polarizzazione modificano in modo identico la carica e scarica di un 


condensatore durante tempi successivi di durata notevole, e perchè per tempi co- 
munque brevi la forma della curva teorica di carica e scarica è la stessa, è alta- 
mente verosimile che la forma reale di queste due curve si conservi identica entro 
limiti di tempo qualunque, e comunque brevi. E veramente tutti i fenomeni che ivi 
intervengono dipendono dai medesimi elementi, e se si traducono in formole hanno 
le stesse equazioni. Solamente, dove nella equazione della scarica entra la tensione 
o caduta di potenziale tra le armature AP, è nella carica sostituita la differenza 
della forza elettromotrice E impiegata e della tensione predetta, identificando in ogni 
momento la quantità di elettricità che nella carica deve ancora darsi al condensatore 
per render questa completa, con quella che nella scarica esso deve ancora restituire 
per tornare allo stato naturale: queste sono le due quantità di elettricità che in 
momenti che si corrispondono della carica e della scarica devono ancora attraversare 
una sezione qualunque del circuito. 

È naturalmente presupposto che gli elementi del circuito siano in entrambi i 
casì eguali, cioè eguale sia la resistenza r e la selfinduzione L. Le due equazioni della 


424 LUIGI LOMBARDI 


corrente differiscono solamente per una costante: 


e quindi differiscono per una costante le equazioni delle quantità di elettricità, 
ridotte alla sola 


d'q vr dq Gai 
ga L dt te=90; 


se C è la capacità, e se nella carica g= CE — g', essendo g' la quantità immagaz- 
zinata nel condensatore. 

Se fosse possibile esprimere in funzione semplice del tempo la variazione di ca- 
rica per la lenta polarizzabilità del coibente, il termine relativo dovrebbe portarsi 
come correzione in questa equazione. Ma l’espressione di quella variazione, come si 
dirà più avanti, non può per sua natura essere semplice. 

D'altronde i fenomeni di polarizzazione sono tali che la loro azione si rende sen- 
sibile con una certa lentezza. Se noi ci limitiamo a tempi di ordine di grandezza 
estremamente piccolo, si può ammettere che una penetrazione della carica nella massa 
del dielettrico non abbia luogo, ed esso si comporti come un dielettrico perfetto, onde 
in ogni istante sia la carica proporzionale alla tensione delle armature come nella 
teoria si suppone. 

Ora l'ordine di grandezza dei tempi che qui intervengono è dato subito dalla 
equazione integrata: 


| pera none, E IE 
q=e 36 \Agy #1 CL L Be 4L? CORO). 


la quale dà anche la forma della curva di carica o scarica. 


4L DEA È Se ; 1 HR 
Se 72 > “g> Cioè se sono reali le radici dell'equazione caratteristica dedotta 
dall’equazione differenziale lineare, la curva ha un andamento continuo, e si accosta 


senza oscillazioni al suo asintoto orizzontale. È quello che accade se la selfinduzione 


è convenientemente piccola rispetto la capacità e la resistenza. Se G è trascurabile 


rispetto 7* l'equazione di carica può scriversi semplicemente 


t 
gi = CE la i 3 |, 


Lora i ; È i È È È : 1 
cioè la deficienza di carica dovuta alla resistenza del circuito è ridotta ad Da del 
suo valore massimo, della carica totale, quando 


Gi OrAlopi. 


. Se si carica 1 microfarad in un circuito di pochi ohm di resistenza, certamente 
quella variazione è inapprezzabile dopo pochi milionesimi di 1". Nella scarica lo 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 425 


stesso tempo basta a che la quantità di elettricità rimasta per effetto della resistenza 
sia inapprezzabile. 

Se la selfinduzione del circuito ha valore convenientemente grande rispetto la capa- 
cità e la resistenza, l'integrale generale della equazione differenziale si può esprimere 


7 Ara lea Lan) : EPLITt i 4L 
mediante funzioni sinusoidali che sostituiscono i complessi; cioè se r2 < n la curva 


è oscillatoria ed il periodo è 


< NOR Tre. 
che, se r° è trascurabile rispetto o SÌ riduce alla formola nota 


T = 2nYCL 


adoperata da Thomson e da Hertz. Ma ancora qui il fattore esponenziale dice che 
ie ampiezze delle oscillazioni diminuiscono rapidamente e sono ridotte ad 1 del valore 


primitivo CE dopo un tempo 


che, se non è L notevole, si può difficilmente apprezzare in pratica. 

Certamente questi tempi sono immensamente più brevi di quelli necessari a 
caricare un condensatore in modo che dopo una scarica primaria ed immediata se ne 
possano ricavare scariche successive apprezzabili, in modo cioè che abbia effetto sen- 
sibile la polarizzazione successiva. 


11. — Cariche e scariche oscillanti. 


In realtà, sebbene la polarizzabilità susseguente del dielettrico tenderebbe vero- 
similmente a diminuire l'ampiezza delle oscillazioni di carica, non è difficile rea- 
lizzare condizioni di circuito in cui con mezzi adatti si possa riconoscere la carica 
di un condensatore decisamente oscillatoria. I fenomeni di scarica oscillatoria non 
sono che gli inversi dei primi, e furono in questi ultimi anni più ampiamente stu- 
diati, fecondi nelle nuovissime ricerche dei più mirabili risultati. 

Per realizzare in esperienze di analisi qualitativa tempi di grandezza minima 
il mezzo più semplice è l’ urto, la cui durata, se per essa si intenda il tempo per 
cui i corpi urtanti restano a contatto, è funzione delle condizioni delle masse e della 
velocità relativa. Se si utilizzano velocità eguali, la durata dipende solamente dal 
coefficiente di elasticità, e dalla deformazione che i due corpi subiscono ossia dalle 
masse dei medesimi a cui è proporzionale la forza viva che nell’ urto si consuma. 

È nata così l’idea di applicare dei sistemi di piccole sfere d'acciaio, di cui una 
essendo fissa, l’altra sospesa ad un filo conduttore viene ad urtare la prima con velo- 
cità sensibilmente costante, se si lascia cadere da un'ampiezza di deviazione invariata 

Serie Il. Tom. XLIV. DÈ 


426 LUIGI LOMBARDI 


e se il filo non oppone una resistenza notevole alla flessione. Si possono per tal 
modo chiudere circuiti di corrente per tempi tanto più brevi quanto più piccola è 
la sfera che cade e quanto l’oscillazione è più rapida. La prima variazione del tempo 
al diminuire del raggio della sfera mobile è sempre molto sensibile. Al crescere 
l'ampiezza invece la durata diminuisce lentamente, e solo fino ad un certo limite, 
oltre il quale non è improbabile che l’effetto della deformazione aumentata compensi 
quello della maggior rapidità con cui il contatto succede; conviene sempre scegliere 
colle piccolissime sfere una ampiezza di caduta prossima a questo valore, affinchè le 
piccole variazioni di quella non influiscano sensibilmente sul tempo nelle osserva- 
zioni che devono essere paragonate. Della sfera fissa la diminuzione del raggio par- 
rebbe far prevedere una diminuzione della durata d'urto, diventando la curvatura 
maggiore e più piccola la superficie di contatto; l’esperienza però non rivela alcuna 
notevole variazione, forse perchè la diminuzione della massa, che è tenuta in genere 
solo fissa pel proprio peso su un sopporto isolante, ne diminuisce l’inerzia e fa che 
dalla massa urtante essa riceva un impulso maggiore, percorrendo a sua volta nella 
direzione dell'urto uno spazio maggiore, durante il quale l’urto non è interrotto. 

Se un sistema di questa natura si volesse utilizzare per lo studio sistematico di 
fenomeni aventi una durata brevissima, occorrerebbe naturalmente disporre di una serie 
di sfere molto numerosa e di dimensioni crescenti regolarmente secondo una legge 
che non sarebbe difficilissimo definire. Poichè sarebbe sempre possibile valutare con 
una approssimazione sufficiente queste durate di urto, quando esse fossero la durata 
della chiusura d’un circuito privo sensibilmente di selfinduzione, e nel quale si mi- 
surasse la quantità di elettricità messa in movimento da una forza elettromotrice 
nota attraverso una data resistenza, per esempio mediante un galvanometro bali- 
stico; con un sistema magnetico convenientemente astatizzato un numero piccolis- 
simo di spire potrebbe essere sufficiente per avere la voluta sensibilità. Siccome 
però qui per ottenere tempi molto brevi si poteva disporre di altri apparecchi su- 
scettibili di un maneggio non meno semplice, ma di una graduazione molto più precisa, 
si adoperò una piccola collezione di queste sfere d’acciaio solamente per constatare 
la presenza delle oscillazioni in condensatori di tipo e capacità differente, ed a die- 
lettrico diversamente polarizzabile. 

Se si leggono al galvanometro balistico le elongazioni di scarica residua dopo 
che il condensatore è stato messo in corto circuito pel tempo brevissimo di cui è 
quistione, certamente si possono realizzare in questo circuito le condizioni di minima 
resistenza, potendosi escludere la pila che in molti casi rappresenta della resistenza 
la parte maggiore. Però bisogna aver dato al condensatore cariche sempre eguali, 
quindi poco inferiori alla massima, dopo cui il dielettrico ha già subìto tutti gli effetti 
della lunga polarizzazione. 

È dunque meglio inserire il sistema pel contatto nel circuito di carica, adope- 
rando elementi primari a resistenza piccola, o meglio accumulatori dove questa può 
essere ridotta ad una grandezza insignificante. 

Tuttavia alcune osservazioni furono fatte in entrambi i modi sul condensatore 
a seta e su capacità eguali a 0.1 mF di un condensatore a carta paraffinata e di 
un condensatore normale a mica. Una serie preliminare eseguita con una pila Clark, 
la cui grande resistenza certamente impediva la produzione della carica oscillante, 


= nera sie a rin n ci DL ar in 


e rale 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 427 


aveva mostrato che il comportamento del dielettrico nei tre condensatori non era 
essenzialmente diverso; cioè riferendo le elongazioni di scarica ai raggi delle sfere 
adottate per la carica come ordinate ad ascisse si avevano curve assolutamente 
analoghe, salvo che esse dalla tangente orizzontale si scostavano meno nella mica e 
più nella carta paraffinata e nella seta, di quantità però non grandemente diverse. 

Con una sfera urtante di 2.56mm. di diametro il condensatore a mica prendeva 
in un urto 0.589 della sua carica massima; quello a paraffina 0.576; quello a seta 
0.516; con una sfera di 4.90 mm. rispettivamente 0.898 0.830 0.730; con una 
sfera di 7.89mm. 0.946 0.880 0.797; con una sfera di circa 3 cm. 0.982 0.924 
0.861; mentre con 1” di carica si aveva 0.999 0.985 0.975 e dopo 10" in tutti 
sensibilmente la carica completa, o meglio la massima elongazione di scarica. La 
più piccola delle sfere aveva diametro 1.21mm. e massa tanto piccola da rendere 
particolarmente difficile l’ottenerne oscillazioni regolari e cariche confrontabili ; la 
sospensione era fatta con un filo d’argento di pochi centesimi di mm. di diametro; 
nella serie citata essa aveva dato valori relativi rispettivamente pei tre conden- 
satori 0.380 0.360 0.207 certo con una durata media di carica eccezionalmente breve. 

Ora siccome le sfere dopo la prima e la seconda verosimilmente davano tempi 
di carica già eccedenti il periodo di oscillazione anche quando alla pila si erano 
sostituiti tre accumulatori in parallelo, queste due sole furono impiegate per veri- 
ficare le oscillazioni ripetendo con esse un numero diverso di volte rapidamente il 
contatto di carica. i 

È evidente che con questo artificio il fenomeno della carica è notevolmente com- 
plicato, perchè i fenomeni di induzione, che dipendono dalla variazione di corrente, si 
modificano ogni volta che la corrente si interrompe, e la carica è la somma di tante 
cariche parziali, di cui ognuna è funzione della durata di essa e del complesso di 
quelle che l’hanno preceduta. 

Sta il fatto però che serie replicate di osservazioni di questa fatta rivelarono 
nel modo più evidente il carattere oscillante della curva in ciascuno dei condensatori 
già nominati; sia che il sistema pei brevissimi contatti fosse inserito cogli accumu- 
latori nel circuito di carica, nel qual caso si avevano prime elongazioni di scarica 
totale varianti con una certa regolarità al di sopra e al di sotto del valore massimo 
normale; sia che, eseguita indipendentemente la carica, i contatti si ripetessero per 
chiudere direttamente le armature in corto circuito, dopo il che le deviazioni di scarica 
residua si riproducevano periodicamente nel verso positivo e nel verso negativo della 
scala. Lo scostamento delle letture dal valore normale massimo qui raggiungeva 
sovente coi tempi più brevi il 10°/ di questo. Sebbene il fenomeno non succedesse 
con continuità, e sebbene fosse impossibile seguire nella progressione dei tempi l’anda- 
mento della curva con precisione, si constatava però che quelle variazioni andavano 
decrescendo, cioè l'ampiezza delle oscillazioni doveva essere sempre minore. La rego- 
larità poi con cui in corrispondenza ad ogni numero d’urti quelle variazioni si ri- 
producevano, quando le osservazioni erano fatte successivamente molte volte, lasciava 
credere che i tempi fossero determinati con una sensibile costanza, e la durata di 
uno di quegli urti fosse dell'ordine di grandezza della durata di quelle oscillazioni. 

Si è condotti ad ammettere così che gli urti di quelle sfere piccolissime non 


durassero più di frazioni milionesime di 1° se si tien conto delle condizioni in cui 
le esperienze erano fatte. 


428 LUIGI LOMBARDI 


12. — Periodo di oscillazione. 


Per avere difatti un’ idea del periodo di oscillazione di carica basta ricordare 
che in ogni caso era la capacità così caricata dello stesso ordine di grandezza, 
essendosi col condensatore a seta, la cui capacità superava poco 0.13 mF, con- 
frontate capacità di 0.1 mF di condensatori graduati a mica e carta paraffinata. 
Tutte le connessioni del circuito di carica erano formate con filo di rame di dia- 
metro maggiore di 1 mm. sopra una lunghezza complessiva di circa 5 m., la cui re- 
sistenza non superava 0.1 ohm. Il solo breve tratto di sospensione della piccola sfera 
era costituito da un filo di argento di circa 5 centesimi di mm., la cui resistenza per 
1m. può essere 8 ohm. L'aumento di resistenza per la localizzazione superficiale della 
corrente, che ha luogo quando la variazione di essa è rapidissima, non deve es- 
sere sensibile qui dove le quantità di elettricità messe in movimento sono ecce- 
zionalmente piccole, escluso forse il primo istante nel quale arriva alle armature la 
massima parte della carica; avendo dunque limitato il tratto di sospensione a circa 
12 cm. la resistenza non doveva superare 1 ohm, e questa doveva rappresentare la 
parte principale della resistenza totale, rispetto cui quella interna degli accumulatori 
era trascurabile. 

Non sarebbe nemmeno facile definire la resistenza al contatto delle due sfere, 
la quale è evidentemente variabile nella durata dell’urto; ma essendosi sempre pulite 
accuratamente le superficie delle sfere, e conseguìta coll’altezza di caduta una velo- 
cità d’urto notevole, si può ammettere che per la massima parte del tempo la resi- 
stenza non fosse grande, e che la resistenza complessiva del circuito non superasse 
di molto 1 ohm. 

Si immaginino ora le connessioni disposte secondo uno schema possibilmente 
semplice, per es. secondo i lati di un quadrato o la circonferenza di un circolo in 
un piano orizzontale, prescindendo dal piccolo tratto verticale in cui il filo di so- 
spensione della sfera mobile e quello di congiunzione colla sfera fissa si vengono a 
trovare paralleli e vicinissimi. 

Del coefficiente di selfinduzione totale la parte dovuta alla pila ed al conden- 
satore è assolutamente trascurabile. Quella dovuta ai fili di circuito può essere cal- 
colata colla formola di Neumann 


° tn 
Q = j feed COS E 


dove ds ds' rappresentano due elementi qualunque del circuito siti a distanza r ed 
angolo e. 

Questa formola calcolata pel caso di un semplice quadrato di cui il perimetro 
sia ! essendo p il raggio del filo dà 


Q=21| log (2) di 2.60 | 1 


poni 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 429 


pel caso di un circolo 
21 È 
— 20 Ai 
Q L| log( n 2.20 | 


Se queste due espressioni si confrontano con quella del coefficiente di selfinduzione 
di un tratto rettilineo di conduttore di lunghezza /, dedotta parimenti dalla formola 
generale, 


Q= 2|log (È) — 075], 


si vede che esse non ne differiscono che pel coefficiente numerico del 2° termine. 
Effettivamente nel caso per es. del quadrato la selfinduzione può approssimativamente 
considerarsi somma dei quattro termini eguali rappresentanti la selfinduzione di 
uno dei lati 


meno quattro termini eguali rappresentanti la induzione di uno qualunque dei lati 
sopra il suo opposto, perchè tra lati contigui che sono ad angolo retto la induzione 
mutua è nulla. Ma questi termini, dove nel valore differenziale compaiono al deno- 


minatore distanze dell’ordine di grandezza 4° Ron hanno grande importanza rispetto 


i primi: quindi noi possiamo tenerne conto come di una correzione (1), ed immaginarci 
calcolato il coefficiente di selfinduzione totale come quello di un conduttore rettilineo 
di egual lunghezza, salvo che è modificato opportunamente il coefficiente numerico 
del 2° termine. 

Con considerazioni simili si potrà senza un calcolo minuzioso avere un’idea del 
coefficiente d’induzione non solo per quelle forme di schema tipiche, che in pratica non 
è sempre possibile di realizzare perfettamente, ma per tutte quelle forme che dalle 
prime non molto si allontanano: per es. per rettangoli ove il rapporto dei lati sia 
poco diverso dall’unità, e in genere per poligoni chiusi di cui i lati si scostino poco 
dalle rispettive parallele tangenti ad un medesimo cerchio. È sempre supposto che 
il raggio del filo sia trascurabile rispetto alle dimensioni del circuito. In tutti questi 
casi si potrà ritenere 


0= 01 [te (8) a] 


(1) In realtà la correzione, che da queste considerazioni apparirebbe qui molto semplice, è 
complicata dal fatto che la somma delle induzioni parziali proprie e mutue dei lati non rappre- 
senta che approssimativamente l’induzione totale, onde abbisogna a sua volta di essere modificata. 
In ogni caso il calcolo esatto si può solo eseguire valutando il potenziale mutuo di due circuiti 
elementari di corrente, paralleli all'asse del circuito dato, ed aventi per sezione due elementi della 
sezione del conduttore; ed eseguendo la doppia integrazione rispetto a tutti gli elementi analoghi. 
Da un calcolo di questa natura non si potrebbe assolutamente prescindere se il secondo termine 
numerico dovesse avere un'importanza notevole rispetto al primo termine logaritmico. Cfr. © Remarks 


on the second paper of Mr. Hughes regarding selfinduetion , Prof. H. F. Weber. Electrical Review. 
9 luglio 1886. 


430 LUIGI LOMBARDI 


dove m è un coefficiente numerico dipendente dalla forma precisa del circuito ma 
non eccedente poche unità. 

Nel caso attuale era facile disporre le connessioni in modo che soddisfacessero 
a quelle condizioni, e per la parte principale del circuito si poteva ritenere 


e (2 


ARIGLI 

cioè Q dell’ordine di grandezza 7300 cm. Ed è facile vedere che rispetto questa è 
ben piccola la parte della selfinduzione totale dovuta al tratto verticale di sospen- 
sione delle sfere, sebbene al denominatore del logaritmo entri p che per il filo di 
sospensione era piccolissimo. Trattandosi di due tratti paralleli di fili a raggi di- 
versi p p' quando la distanza a è piccola rispetto alla lunghezza ! si può sempre 
calcolare il coefficiente di induzione colla formola 


Qq=2 [log()+4 |; 


pp 


supposto qui.p;=— 0:05 ipi:—-0/0025.l'a= 265 = 121 han0 2224270) 
Ritenendo dunque la resistenza del circuito dell’ordine di grandezza di 1 ohm, 


la selfinduzione totale dell’ordine 7000 cm. si vede che 
r2=1X 108 2 = 28X10% 


se si carica la capacità di 0.1 mF = 10-! unità c. g. s. La carica è dunque oscil- 
latoria, e cesserebbe solamente di essere tale se r raggiungesse 16,7 ohm. La durata 
delle oscillazioni deve essere 


Se 1 
I=S9T VCL NRE 72IC] 
3-4 
cioè dell'ordine di grandezza 
2T VCL = 9,9 X JO 


ossia 5,9 milionesimi di 1". 


La ampiezza avrebbe dovuto nelle oscillazioni essere ridotta ad saio del suo 


valore, cioè ad un valore certamente inapprezzabile, se si fosse proceduto per tempi 
crescenti di carica continua, dopo un tempo 


t — “2 log 1000, 


cioè dell’ ordine 96 milionesimi di 1”. Pel condensatore a seta di capacità poco 
superiore doveva essere di poco maggiore la durata delle oscillazioni: in ogni caso 


dopo un tempo di quell’ordine di grandezza queste dovevano ritenersi praticamente 
esaurite. 


pere 


mu oca 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 431 


13. — Durate brevi di carica col pendolo di Helmholtz. 


Per procedere più razionalmente all'analisi quantitativa del comportamento del 
dielettrico studiato, ed al confronto coi dielettrici usuali già citati e con altri, fu 
sistematicamente adoperato per realizzare cariche brevi il pendolo di Helmholtz. 

Questo apparecchio, che fu applicato la prima volta allo studio delle correnti di 
induzione, permette la misura assoluta di tempi comunque brevi. Esso consiste essen- 
zialmente di un pendolo di lunghezza proporzionata ai tempi da misurare, e di massa 
notevole, la quale lasciandosi cadere da altezza nota descrive una prima oscillazione 
con velocità in ogni punto determinata. Al passaggio in due punti opportuni facendo 
che si chiuda e si rompa rispettivamente il circuito della corrente, la durata di essa 
è solo funzione della distanza dei due punti, della lunghezza del pendolo, e della 
massima sua ampiezza di oscillazione. Con lunghezza di pochi decimetri, ampiezza 
di circa 90° e spostamento relativo dei due punti di contatto di frazioni di millimetro, 
si realizzano tempi di milionesimi di 1”. 

Siccome però qui non si trattava specialmente di tracciare per punti la curva 
della carica oscillante, ma di esaminare l'andamento della curva di carica quando le 
oscillazioni erano già esaurite, fu scelto un pendolo di lunghezza notevole, ove la 
durata di oscillazione era poco minore di 1”, ed ove, essendo la massima ampiezza 
circa 15° e la velocità nel punto più basso dell'arco di oscillazione circa 1m per 1”, 
gli spostamenti di 0.1 mm sulla scala del corsoio corrispondevano in media a 0”.0001. 
Così in un tempo minore o paragonabile al minimo apprezzabile i fenomeni dovuti 
alla induzione e resistenza nella carica potevano ritenersi resi insensibili, e solo pro- 
nunciarsi in seguito quelli di polarizzazione che a noi più interessano. Questi potevano 
essere analizzati nei limiti di tempo a cui corrisponde la lunghezza della scala, cioè 
di circa 0',2 essendo la scala del corsoio pel contatto mobile lunga circa 20 cm. 

Naturalmente la misura di ognuno di questi tempi non può farsi in valore 
assoluto con una approssimazione pari a quella minima durata apprezzabile, per. le 
condizioni pratiche dell’esperimento. Difatti il contatto di chiusura è primieramente 
stabilito per l'urto del pendolo che libera il braccio di una leva a cui finisce la prima 
parte del circuito, affiorante con una punta di platino la superficie del mercurio in 


"un pozzetto messo in comunicazione col resto del circuito. Ora tra la punta di platino 


ed il mercurio deve essere una distanza sempre di alcuni decimi di millimetro per 
evitare il pericolo di un corto circuito e di una carica a tempo inopportuno. Gene- 
ralmente la massa che cade imprime al nasello, che per un filo tagliente sostiene la 
leva, una piccola scossa di cui l’effetto è aumentare leggermente, ma in modo non 
costante, quella distanza che la leva percorrerà prima di chiudere il circuito; così 
la chiusura è ritardata di tempi che possono variare di quantità paragonabili ai tempi 
minimi che la scala permetterebbe di apprezzare. La minima traccia poi di pulviscolo 
depositato o di ossido metallico formato alla superficie del mercurio fa che questa 
sì incurvi leggermente sotto la punta cadente di platino, ed occasiona un ritardo 
dello stesso ordine di grandezza. 


432 LUIGI LOMBARDI 


Il punto della scala in corrispondenza al quale ha luogo la prima carica deve 
dunque essere ad ogni volta trovato per tentativi, ed in genere non coincide in 
osservazioni successive, sia se intervengono le perturbazioni dette, sia se impiegasi alla 
carica potenziale diverso, che, se più elevato, lascia il circuito chiudersi più presto 
mediante una piccola scintilla tra la punta ed il mercurio. Nel contatto ove il cir- 
cuito è rotto la scintillazione che prolungherebbe il contatto non è altrettanto facile, 
essendo esso formato da pezzi di metallo a superficie assai larga che alla velocità 
notevole della massa cadente vengono rapidamente separate. 

Trattandosi di fare col pendolo una lunga serie di osservazioni conviene rendere 
le condizioni di queste possibilmente identiche, dando al pendolo un'ampiezza massima 
costante di oscillazione, e determinando una volta per tutte la scala dei tempi, cioè 
i tempi dal momento in cui la caduta comincia a quello in cui il pendolo viene in 
corrispondenza dei punti successivi della scala delle letture; in ogni esperienza si 
conteranno poi i tempi dal momento ove la prima carica fu osservata. 

Siccome l'ampiezza che nei limiti della scala si utilizza è piccola in confronto 
della massima ampiezza di oscillazione, si possono ritenere le letture sulla scala 
eguali agli archi di cui esse rappresentano la tangente. 

D'altronde, perchè l'ampiezza massima era in questo caso piccola a sua volta, si 
poteva ammettere la durata delle oscillazioni successive invariata, ed eguale a quella 
che avrebbero avuto oscillazioni piccolissime in un pendolo semplice corrispondente. 
Effettivamente, essendo la massa notevole, la resistenza dell’aria aveva pochissimo 
effetto, ed i perni essendo sostenuti su rotelle giranti accuratamente lubrificate, le 
resistenze passive avevano una somma trascurabile, cosicchè il decremento logaritmico 
delle oscillazioni successive era piccolissimo ed il loro isocronismo doveva essere 
molto approssimato. La durata di oscillazione potè perciò essere determinata con- 


60” p 
pn 0”.953. 
Sulla scala delle letture la posizione verticale del pendolo corrispondeva alla 
divisione 131 mm; la corda della massima deviazione era 313 mm.; la distanza del 
braccio di leva, che stabiliva i contatti, dall’asse di oscillazione era 1183 mm.; onde 


l’arco totale di oscillazione era 


tando molte volte il numero di oscillazioni in 1', ed era 


313 


ZE o) iù 
DNA 15° 12: 


2 arcsen 

il massimo angolo utilizzato nelle letture era 
ARR SIRIO 
arctg 1183 00 


Siccome si può considerare in ogni momento nell’ oscillazione di un pendolo 


semplice la velocità i eguale a quella. dovuta alla altezza di caduta, se a è la lun- 


ghezza del pendolo semplice equivalente al nostro pendolo meccanico, in corrispon- 
denza ad un'ampiezza d’angolo attuale 0, se la massima era 0, si ha 


dal VE — da 
i) 


V2 cos a — 2 cos 8 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 433 


e ritenendo dello sviluppo dei coseni solo i due primi termini 


detta T la durata della mezza oscillazione. 

Così furono valutati i tempi che il pendolo impiegava per raggiungere cadendo 
i punti sulla scala del contatto mobile, di centimetro in centimetro fino alla posizione 
verticale, e si dedussero quelli successivi per simmetria. In corrispondenza alle letture d 
si ebbe pertanto: 


UTO. DIL 2.1 5.1 4.1 5.1 6.1 Cene 8.1 Sola 10 Nk 


t' |0.3470 0.3575 0.3679 0.3782 0.3883 0.3983 0.4083 0.4182 0.4280 0.4378 0.4475 


I | 


SR ale? ee AE Lo.1 slo. SI7:l*. 18.1, 19.1 20.1 21.1 


#' (0.4572 0.4669 0.4765 0.4861 0.4958 0.5055 0.5152 0.5250 0.5348 0.5447 0.5547 


14. Il primo condensatore a seta essiccata. 


Il condensatore che più interessava di studiare era quello a seta ch'era stato 
oggetto delle misure precedenti. 

Ma perchè nel corso di queste s'era notato un aumento della capacità e della 
variazione di carica col tempo, dovuto certo all’ accesso dell’aria umida che aveva 
modificate le condizioni igroscopiche del dielettrico, questo dovette essere seccato 
artificialmente. E perchè l’ essiccamento dei singoli pezzi d’ armatura e d’isolante 
colla macchina pneumatica non aveva migliorate di molto le proprietà del condensa- 
tore, l’essiccamento si rinnovò a temperatura elevata. 

Perciò i singoli fogli di seta e di stagnola furono riscaldati su due grosse lastre 
di rame verso i 200° durante parecchi minuti, così che non solo fosse eliminata da essi 
l’acqua superficialmente condensata, ma dalla seta presumibilmente anche la massima 
parte dell’acqua di costituzione, senza spingere la temperatura tant’alto che le pro- 
prietà fisiche apparenti ne fossero sensibilmente modificate. Ad evitare che nuovo 
Vapore fosse assorbito durante la ricostruzione del sistema, questa fu interamente 
eseguita sopra una terza lastra riscaldata a temperatura poco inferiore , sovrappo- 
nendovi i fogli man mano che si toglievano secchissimi dalle due prime; il complesso 
appena finito fu posto tra due fogli ben secchi di ebanite, e il tutto chiuso con forti 
liste di carta incollata, sovrapponendovi poi un peso notevole. 

Le proprietà del condensatore apparvero subito enormemente migliorate. La 
capacità s'era ridotta a 0.110 mF, in parte per la esclusione di uno dei fogli di 
armatura guastatosi nella nuova costruzione, in parte per la diminuzione verosimil- 
mente subìta dalla costante dielettrica. Il valore nuovo non può però essere con- 

Serre Il. Tom. XLIV. E° 


434 LUIGI LOMBARDI 


frontato coi precedenti, perchè alla sovrapposizione esatta delle armature non s’era 
data qui cura speciale, nè paragonabili erano le condizioni di pressione, ecc. L’im- 
portante è che la variazione di carica tra 0".1 che poteva equivalere alla durata 
delle prime cariche dette momentanee, e 10" dopo cui la 1% elongazione di scarica 
non cresceva più, s'era ridotta a circa 2 °/, mentre la massima variazione apprez- 
zabile non raggiungeva il 5 %/o. 

La forma della curva di carica è individuata dalla serie seguente, scelta tra le 
molte di osservazioni fatte in condizioni identiche, e riferita, come quelle che segui- 
ranno, per semplicità nella prima parte alla scala di letture è, del pendolo, nella 
seconda a tempi ordinari di carica. Il tempo minimo è dell’ordine 0‘.0005, essendosi 
trovata la posizione corrispondente sulla scala per tentativi, con spostamenti suc- 


Nu i Se 
cessivi del corsoio di 9 Dm. 


0,07 E QI ZIE o ee dessi0a] 21.1 | 
e (205.3 206.5 207.8 208.3 209.0 209.5 210.1 210.6 211.0 211.4 211.8 212.1 212.4 212.6 


ALI ira DU qst 10” 20!” 30!” 6( " 


e | 213.5 214.0 214.6 215.0 215.0 215.0 215.0 


Naturalmente, essendo diminuita l’importanza dei fenomeni di lenta polarizza- 
zione, sono qui molto ridotti quelli di scarica residua in confronto ai valori misurati 
prima, come mostra la serie di osservazioni riferita ai tempi di carica: 


MO 00 e 
Ri dd. (346 53660 


Dopo 1 ora di carica la polarizzazione doveva essere completa, perchè la somma 
di scariche residue non si modificava più sensibilmente: della scarica totale non rag- 
giungeva dunque il 33 °/, perchè in questo caso ad essa corrispondeva una massima 
elongazione di 445. La curva della carica totale conserva però gli stessi caratteri di 
quella già ricordata. 

La resistenza di isolamento in corrispondenza al miglioramento del dielettrico 
era notevolmente più alta. La perdita apparente di carica dopo 60", cioè la dimi- 
nuzione della prima elongazione di scarica, non superava 5 °: ma la diminuzione 
di scarica effettiva, tenendo conto delle scariche residue, era una frazione percentuale 
piccolissima, e non avrebbe potuto dare una misura molto approssimata e attendibile 
della resistenza. Col metodo diretto, disponendo il galvanometro a gran sensibilità, 
la quale qui corrispondeva a 0.43 X 10-!° ampère per una parte di scala, la corrente 
di carica con 6 elementi Clark, che nei primi istanti dava deviazione di circa 15 mm. 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 435 


s'era abbassata a 3 mm. dopo 30'; dopo 1 ora non era più possibile leggere le devia- 
zioni con sicurezza perchè troppo influenzate dalle continue piccole variazioni che 
con questa sensibilità intervenivano nella posizione di riposo dell’ago; certamente la 
deviazione non arrivava a 1.5 mm., cioè la corrente a 0.65 X 10 — 1° ampère, cor- 
rispondente a una resistenza di circa 130 mila megohm. 

Una causa del tutto estranea al dielettrico interveniva però qui, per cui la 
resistenza di isolamento determinata in condizioni esterne leggermente modificate 
non appariva costante, ed era il grande potere igroscopico della carta con cui il 
sistema si era suggellato, non essendosi evitata la sovrapposizione di essa alle 
lastrine di rame che davano i contatti colle armature. La resistenza era sempre 
grandissima se prima delle osservazioni si era moderatamente riscaldato il sistema. 

Perciò questo fu un'ultima volta portato sulla lastra metallica durante parecchio 
tempo alla temperatura più elevata che il rammollirsi dei fogli di ebanite concedeva, 
forse a 150°, e così a caldo fu il tutto verniciato con paraffina di cui sì riempirono 
diligentemente tutte le piccole aperture. In queste condizioni si ebbero i risultati 
migliori, e la curva di carica caratterizzata dalla tabella qui riferita, e rilevata per 
molti giorni e settimane di seguito, non accennò più a modificarsi sensibilmente. 
Dopo un mese dalla costruzione, durante il quale il condensatore restò esposto all'aria 
non secca nei locali del laboratorio, la massima variazione di carica non arrivava 
a 2,8%, essendo 2 °/ nei primi giorni: 


ò. dn 10.7 dal: TR6 2.1 5.1 5.1 Tai DS dt 2051 


e 250.1. 250.6. 251.2. 251.5 251.6 251.7. 251.8 251.8 251.9 252.0 


TA Trad 5! 10! 30" 60" 


e 253.0. 254.5 255.0 255.0 255.1 


La somma di scariche residue era ancor diminuita di molto rispetto le misure 
precedenti, ed il massimo di essa ottenibile con parecchie ore di carica non oltre- 
passava il 22 °/, della scarica totale. La determinazione della resistenza tenendo conto 
delle scariche residue dava risultato illusorio, perchè nella leggera incertezza delle 
letture molteplici era largamente compresa la piccolissima diminuzione di carica 
effettiva. Con 6 elementi Clark la corrente di carica si abbassava rapidamente sino 
«dai primi minuti; dopo due ore non era possibile apprezzare con sicurezza la devia- 
zione che non arrivava a mezzo millimetro; la resistenza doveva dunque superare 
colla attuale sensibilità 200 mila megohm, e poteva praticamente considerarsi infinita. 


15. — Altri condensatori a seta. 
“La influenza grandissima dell’acqua sui fenomeni di polarizzazione lenta era 
dunque provata. Ma era interessante vedere se colla eliminazione più perfetta di 
essa quei fenomeni potessero ancora venire notevolmente ridotti. Questa quistione, 


436 LUIGI LOMBARDI 


che è sempre importante nella fabbricazione di condensatori, lo è essenzialmente per 
la costruzione di apparecchi normali da laboratorio, dove si richiederebbe che i con- 
densatori prendessero istantaneamente la loro carica totale, perchè senza di ciò non 
è possibile, come si vedrà, una precisione assoluta di misura. 

Perciò una serie di tentativi fu ancora fatta con seta di un’altra qualità, cioè 
con foulard bianco finissimo, di cui lo spessore essendo poco più della metà del pre- 
cedente [circa 0.06 mm.] permetteva di avere in volume notevolmente minore la stessa 
capacità. 

Alcuni piccoli condensatori furono costrutti così con un piccolo numero di arma- 
ture di pochi decimetri quadrati di superficie, seccando i singoli fogli di seta e di 
stagnola verso i 200°, e montando a temperatura poco minore il complesso, che 
veniva rapidamente chiuso tra due fogli di ebanite, e suggellato con liste di gutta- 
perca che con un vetro caldo si potevano far perfettamente aderire senza intermediari 
liquidi od imperfettamente isolanti. 

Alcune prove preliminari diedero risultati dello stesso ordine del condensatore 
precedente; isolazione sensibilmente perfetta; variazione massima di carica poco 
superiore a 2 %. 

Ma un'ultima prova, fatta ancora con una piccola capacità per poter costrurre 
il sistema più accuratamente, dove la temperatura della seta si era elevata quanto 
la stoffa aveva permesso prima di mostrare la prima traccia di abbrustolimento, ad 
un valore poco inferiore alla temperatura di fusione della stagnola, diede i migliori 
risultati fra tutti quelli ottenuti; la curva di carica fu cioè (V. Fig. 5): 


ò, 0.85 1.1 1.6 2.1 3.1 5.1 9.1 a ZI it 
e 245.4 246.0 246.38 246.5 246.6 246.8 247.0 247.2 247.8 
all TU! Du ALL 6! 10” 30!” 60” 
e 247.8 248.0 248.2 248.3 248.3 248.3. 248.3 


dove la variazione massima è appena di 1.17 °/, mentre la scarica residua dopo 
60" di carica, che è una durata molto maggiore di quelle che in esperienze ordi- 
narie possano occorrere, non superava 2.1 °/. L'isolazione era praticamente perfetta, 
ed i risultati non si modificarono sensibilmente, finchè il condensatore fu conservato 
nelle stesse condizioni, controllando le misure per molti giorni di seguito. 

Per contro non si riuscì qui ad avere risultati migliori ripetendo i tentativi con 
precauzioni analoghe e maggiori, come seccando una prima volta la seta a tempe- 
ratura elevata, tenendola poi parecchi giorni sotto la campana della macchina pneu- 
matica a pressione di pochi mm. di mercurio e in presenza di acido fosforico anidro, 
riseccandola ancora all’atto della costruzione. 

Tuttavia. non è inverosimile che quella piccola variazione percentuale ancora 
per una parte o in tutto sia dovuta alla presenza nel dielettrico di una traccia di 
umidità che i mezzi ordinari non permettono di eliminare operando in ambienti 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 437 


comuni, e servendosi per la essiccazione di fiamme a gas che producono sempre una 
notevole quantità di vapor acqueo. 

Per confermare questo si ricorse ad una piccola capacità ove il dielettrico era 
costituito dall'aria, si adoperò cioè un piccolo condensatore a lastre piane circolari 
di ottone, spostabili sopra due sopporti isolanti di gomma lacca. Le due armature 
furono montate sul tornio e ripulite a nuovo con polvere secca di vetro, levigandole 
perfettamente; strofinando diligentemente ad ogni esperienza, ed in alcune tenendo i 
due dischi orizzontali, separati da piccoli frammenti di mica, in modo da poter con- 
servare la temperatura sopra i 100° durante le osservazioni, una variazione di carica 
col tempo fu sempre notata; una variazione dello stesso ordine di grandezza di 
quella che si otteneva se ai due dischi si frapponeva un foglio di seta ben secco. 
Anzi con questo artificio fu impossibile ridurre l’ordine di questa frazione percentuale 
al minimo che si era ottenuto colle armature a stagnola, verosimilmente perchè con 
questi fogli metallici sottilissimi l’essiccamento poteva essere eseguito più perfet- 
tamente e meglio conservato. Sebbene la capacità piccolissima del sistema a dischi 
richiedesse l’impiego di una forza elettromotrice non piccola per leggere le devia- 
zioni con sicurezza, non si doveva verosimilmente alla resistenza del circuito un 
ritardo sensibile nella carica. D'altronde variazioni analoghe si verificarono con 
batterie di parecchi elementi Daniell, con una batteria di 50 piccolissimi accumu- 
latori collocati nella immediata vicinanza dell'apparecchio per semplificare le connes- 
sioni, e con una serie di 50 grossi accumulatori a cui le comunicazioni erano sta- 
bilite per mezzo di cavi concentrici privi di sensibile selfinduzione. 


16. Un condensatore a seta di capacità notevole. 


I risultati ottenuti non sono privi di importanza. Attualmente i migliori con- 
densatori che si pongono in commercio, gli unici che possano adoperarsi come appa- 
recchi normali in esperienze di precisione, sono quelli a mica, di cui il prezzo è però 
molto elevato, essendo non solo in ragione del prezzo della mica che cresce rapi- 
damente colla dimensione e la purezza di questa, ma in ragione anche delle difficoltà 
di fabbricazione che sono grandissime, ed a vincere le quali solamente può avere 
insegnato l’esperienza lunga e minuziosa. 

Si dirà tra poco come l'esame di due capacità di 0.1 mF in due condensatori 
normali del laboratorio abbia mostrato una variazione di carica col tempo quasi 
eguale in uno di essi e superiore nell’altro a quella della seta. Questa variazione non 
è identica nelle diverse frazioni di capacità dei condensatori detti, come molte misure 
hanno mostrato; ma il valore medio pei due condensatori è in ogni caso superiore 
ad 1°/. La somma di scariche residue dopo 60" di carica è parimenti prossima a 
quella della seta. 

Ma la seta si può avere ad un prezzo di gran lunga inferiore ed in qualunque 
dimensione; lo spessore può essere ridotto in ogni caso a pochi centesimi di millimetro, 
e la costante dielettrica, diminuendo la proporzione dell’aria con conveniente pressione, 
può diventare forse eguale o superiore ad un terzo di quella della mica. Essenzial- 
mente l’essiccamento è facilissimo e si può fare a temperatura due volte più elevata 


438 i LUIGI LOMBARDI 


di quella della mica, e, se pure con tutti gli artifici che per una fabbricazione appro- 
priata sarebbe agevole di applicare non si riuscisse ad ottenere fenomeni di pola- 
rizzabilità lenta più piccoli di quelli della mica, sarebbe sempre altrettanto facile 
garantire che essi non si modifichino col tempo, mediante chiusure ermetiche opportune. 

Per mostrare come la seta possa essere utilmente applicata alla costruzione di 
condensatori eccellenti si volle ancora istituire un ultimo esperimento a fine di 
realizzare una capacità un po maggiore, dell'ordine di quelle che si sogliono appli- 
care più soventi, e di ottenerla in condizioni di sicura invariabilità. 

Per questo un vero condensatore da laboratorio fu costrutto con un centinaio 
di fogli di stagnola di armatura, racchiusi colla seta in un solido telaio di metallo 
che si protesse con una cassetta di legno portante nel solito modo applicati al 
coperchio mediante blocchi di ebanite i morsetti per la carica e per la chiusura in 
corto circuito. 

Il telaio è costituito da due robuste lastre di ottone accuratamente levigate di 
dimensioni 33 X 18 cm., tra cui può esercitarsi una pressione considerevole ed uni- 
forme mediante 6 viti robuste agli estremi ed al mezzo dei lati maggiori. L’essic- 
camento dei fogli di seta e di stagnola fu eseguito nello stesso modo di prima sopra 
grosse lastre di ottone riscaldate colla maggiore uniformità verso i 200°, lasciandovi 
prima parecchi minuti i singoli pezzi, e rivoltandoli fin che ogni traccia di vaporiz- 
zazione d’acqua era scomparsa; poi radunando tutti i fogli d’isolante e d’armatura 
sopra una lastra conservata lungamente a temperatura poco minore, onde essi all’atto 
della costruzione si venivano togliendo; finalmente riseccandoli ancora ad uno ad uno 
sulle prime lastre sopra una delle quali il sistema si veniva completando. I contatti 
colle armature furono stabiliti lasciando unite ai fogli di stagnola striscie di pochi cm. 
di larghezza uscenti rispettivamente ai due lati, le quali furono poi insieme ripiegate 
e compresse tra i piccoli morsetti di rame saldati ai fili di comunicazione che si 
rivestirono di caoutchouc. L’isolamento dalle lastre d’ottone è garantito con fogli 
sottili di ebanite che rivestono completamente il telaio, e con fogli sottilissimi di 
mica ricoprenti tutto lo spazio occupato dalla seta. Quando l’apparecchio fu montato, 
tra gli orli delle lastre si frapposero striscie di ebanite dello spessore di 5 mm. e di 
altezza esattamente eguale a quella che il condensatore occupava sotto la pressione 
più energica delle viti. Per due fori centrali si lasciarono uscire i fili di comunica- 
zione, chiudendo ermeticamente tutte le commessure con mastice. 

In queste condizioni è prevedibile che le proprietà del condensatore siano per 
rimanere indefinitamente immutate. Effettivamente la capacità in molte misure coi 
condensatori normali del laboratorio ripetute a varia distanza di tempo risultò 
sempre 0.351 mF alla temperatura di 21°. La proporzionalità della carica alla diffe- 


renza di potenziale fu verificata a meno di TO per le piccole tensioni a cui appa- 


recchi simili si possono destinare, variando il numero di elementi Daniell da 1 a 9, 
la durata di carica da 0'.0005 a 10”. L’isolamento è notevolmente elevato, perchè 
la determinazione della resistenza col metodo della perdita di carica, tenendo conto 
delle piccole scariche residue, dà un valore superiore a 10! ohm. Solamente la 
somma delle scariche residue è un po’ maggiore di quella prima ottenuta col con- 
densatore più piccolo, e dopo 60” di carica supera di poco 3%, mentre la massima 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 439 


variazione apprezzabile nella scarica primaria, mediamente, variando il tempo di 
carica da 0"”.0005 a 60", si accosta ad 1.7 °%o. 

In condizioni identiche fu constatata per la capacità 0.1 + 0.2 mF del conden- 
satore normale Clark una variazione di carica di 1.6 °/ e una somma di scariche 
residue poco inferiore al 3 °/,. 

Si noti però : la seta usata qui è della stessa stoffa che servì negli esperimenti 
a cui per ultimo si accennò, cioè di spessore minore di 0.06 mm.; e siccome un tes- 
suto di questa sottigliezza, non fabbricato con precauzioni speciali a questo scopo, 
presenta sempre sopra larghe superficie dei punti di minore compattezza, sebbene 
fossero stati scartati dei pezzi isolanti tutti quelli che mostravano inomogeneità, 
accadde alla prima costruzione del sistema che sotto la forte pressione alcune delle 
armature di stagnola venissero attraverso gli interstizi della seta a contatto. Il 
numero di questi corti circuiti, facilmente accertato mediante una pila ed un galva- 
noscopio, non era tanto piccolo che potesse consigliarsi di rimuovere semplicemente 
i pezzi di seta difettosi; quindi nella costruzione definitiva si preferì di raddoppiare 
lo spessore dell’isolante, cioè di frapporre ad ogni coppia di fogli d’ armatura due 
fogli di seta. Questo ebbe evidentemente per effetto di diminuire notevolmente la 
capacità e di crescere inversamente il costo; più ancora ebbe per conseguenza una 
difficoltà maggiore nella essiccazione, per cui questa non raggiunse il grado di per- 
fezione delle precedenti, non essendosi potuto conservare fino agli ultimi fogli che 
sullo strato si venivano sovrapponendo la temperatura elevata che avevano gli infe- 
riori, affinchè non venissero questi bruciati e fuse le armature. 

Lo spessore complessivo, dal sistema di circa 100 fogli di stagnola e 200 di seta 
occupato tra le lastre, è di 12 mm.; ed in esso od in uno spazio poco superiore capi- 
rebbe una capacità quattro volte maggiore se come isolante si adoperasse una stoffa 
di seta di spessore eguale o poco superiore, purchè ne fosse la struttura più com- 
patta come da una fabbricazione speciale si otterrebbe facilmente. Il confronto dei 
condensatori a mica non può evidentemente considerarsi molto svantaggioso sotto 
questo aspetto. Per contro la forma si potrebbe variare a piacere; la graduazione 
delle capacità sarebbe facilissima variando fra piccoli limiti la pressione; certamente 
Il costo non sommerebbe che ad una piccola frazione di quelli a mica, perchè per 
la capacità di 1 mF potrebbero in ogni caso bastare pochi metri quadrati di stoffa, 
il cui prezzo non sarebbe elevato. 

Solamente una leggera complicazione deriverebbe dalla necessità di tener conto 
della variazione di capacità al variare la temperatura, la quale è qui notevolmente 
superiore a quella dei condensatori a mica. Una determinazione esatta del coeffi- 
‘ciente di riduzione non fu fatta per questo condensatore. Però per avere un'idea del 
suo ordine di grandezza la capacità fu in due giorni diversi esattamente misurata 
alla temperatura dell'ambiente che era 22°, e fu trovata 0.3513 mF. Il condensatore 
fu allora portato in un ambiente artificialmente raffreddato con ghiaccio, e lasciato 
ivi parecchie ore; vicina si collocò una cassetta di legno identica a quella del si- 
stema, contenente un termometro che segnava, al momento in cui la cassetta fu 
riportata al luogo di misura, la prima volta 9°, la seconda 9°,5; le osservazioni ese- 
guite rapidamente diedero nei due casi 0.3456 e 0.3462 mF. Una variazione analoga 
sì constatò misurando la capacità dopo che la temperatura all’interno della cassetta 


440 LUIGI LOMBARDI 


si era elevata a circa 35° mediante una lunga esposizione al sole, essendosi trovata 
la capacità eguale a 0.3550 mF. Lasciato alcune ore alla temperatura della stanza 
il condensatore mostrava di nuovo una capacità identica alla primitiva. Il coefficiente 
di variazione si potrebbe dunque determinare colla massima esattezza, ed essendo 
fatta la calibrazione ad una temperatura prossima alla media a cui il sistema vor- 
rebbe essere adoperato, la piccola riduzione, non eccedente di molto 1 millesimo per 
1° di differenza di temperatura, si potrebbe applicare in ogni caso nello stesso modo 
che si è soliti fare nel confronto delle resistenze metalliche o dei campioni di forza 


elettromotrice. 


17. — Variazioni di carica per dielettrici diversi. 


L'acqua è la causa principale della lenta polarizzabilità della seta, e vero- 
similmente di quasi tutte le sostanze organiche nelle quali essa entra come ele- 
mento importante di costituzione. E però è naturale supporre che essa abbia un 
effetto analogo anche in tutti gli altri dielettrici. Per vedere se alcuni di essi su- 
bissero in modo specialmente marcato quest’azione, e per avere un'idea della facilità 
con cui essa potesse essere eliminata, furono prese in esame parecchie delle sostanze 
che più comunemente si adoperano come isolanti. 

Mica. — È il dielettrico considerato fin qui il migliore per la costruzione dei con- 
densatori normali, dove effettivamente offre molti vantaggi per la struttura lamellare 
che ne permette la sfaldatura in fogli sottilissimi, e pel valore elevato della costante 
dielettrica unita ad una resistenza specifica che, se è inferiore a quella di molti 
altri isolanti, è però sufficiente in quasi tutti i casi della pratica. Nelle migliori con- 
dizioni il comportamento della mica può osservarsi nei condensatori campioni e qui 
se ne esaminarono due, rispettivamente della fabbrica Clark e della Carpentier, aventi 
proprietà perfettamente analoghe. Le due capacità sono parimente graduate per fra- 
zioni di 1 mF, e la graduazione fu verificata esatta a meno di pochi millesimi, seb- 
bene la misura assoluta della capacità totale abbia accusato un valore un po’ supe- 
riore a quello dato dalla fabbrica, cioè per quello Clark 1.013 mF. 

Le curve di carica, come nei casi che precedono ed in quelli -che seguiranno, 
furono determinate col pendolo; e qui, perchè si voleva conservare la sensibilità del 
galvanometro e tutte le altre condizioni possibilmente eguali a quelle in cui i primi 
condensatori a seta erano stati studiati, si caricò la capacità di 0.1 mF con un solo 
accumulatore, mentre ne erano presi alcuni in serie nei casi dove la capacità era 
notevolmente minore. La massima variazione si intende sempre definita dalla minima 
carica apprezzabile con una durata dell'ordine di 1 a 5 diecimillesimi di 1' alla 
massima ottenibile, misurate le cariche come si suole per proporzionalità alle prime 
elongazioni di scarica. 

In condizioni identiche a quelle del primo condensatore a seta, pel condensatore 
Clark la variazione massima era 1.4°/,, la somma di scariche residue dopo 60" di 
carica era circa 2°/,; pel condensatore Carpentier si trovarono grandezze dello stesso 
ordine, sebbene un po’ minori; cioè variazione 1.12 °/,, scarica residua 1.6%. La 
figura 6 riporta una delle curve pel condensatore Clark rilevata sulla capacità 
0.1 + 0.2 mF in confronto all'ultimo condensatore più grande a seta: 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRIUI 441 


Di i O 71 I iS 211 

e 202.0 202.2 2025 2028 203.1 203.3 203.5 203.8 204.0 
Manon 0/5 60" | 
| e | 2045 2046 2048 2049 2050 2050 | 
a 


La mica quale si trova in commercio non presenta però così eccellenti proprietà 
dielettriche senza una laboriosa preparazione. Fu verificato qui sfaldando una lastra 
di mica perfettamente bianca e trasparente, di dimensioni 15 X 18 cm., in molte 
lastre dello spessore di alcuni centesimi di mm., di cui si costruì un piccolo conden- 
satore. Con questa capacità bastavano, per avere deviazioni notevoli, due soli accu- 
mulatori, onde non era la resistenza più grande che nei primi casi. Questa mica 
allo stato naturale, cioè non altrimenti seccata che mediante strofinamento con cotone 
secco, mostrò una variazione massima di carica enorme; 


Hapogcariche di ivi. Lo 0'”.0002 0'.2 2 20” 200" 


la 1° elongazione di scarica era 118 182 252 311 327. 


La somma di scariche residue aveva valori in proporzione elevatissimi. La mica fu” 
dunque seccata sulle lastre di rame come i singoli pezzi di stagnola e ad una tem- 
peratura poco più elevata, forse a 250°; la curva apparve molto migliorata; la mas- 
sima variazione s° era ridotta a 18°/,, e le scariche residue s’ erano abbassate in 
corrispondenza : 


id, MS NOAA 1 I ALI III 151171211 
je |114.2 115.7 117.0 117.9 118.4 118.8 119.4 119.9 120.3 120.6 120.9 121.1 121.4 


I O ot son 607 1207 180" 


, 126.0 128.0 129.2 130.3 132.2 133.5 134.5 135.8 136.8 137.9 139.0 
| 


Supponendosi che a temperatura più elevata l’essiccazione darebbe risultati mi- 
gliori, le stesse lastrine di mica furono portate a temperatura elevatissima in modo 
da comunicare loro un principio di arroventamento; però la variazione di carica era 
in seguito molto cresciuta, e dell'ordine di grandezza della prima osservata. Evi- 
dentemente dove la mica è diventata una volta incandescente le sue proprietà fisiche 
si sono profondamente modificate, e come è diminuita la sua durezza e trasparenza 
e in genere la sua fisica elasticità, è pur divenuta molto più imperfetta la elasticità 
elettrica, salvo che è verosimile che questa diminuzione cominci a temperatura molto 

Serie II. Tom. XLIV. F° 


442 LUIGI LOMBARDI 


più bassa della prima, o almeno più bassa della temperatura a cui i mezzi ordinari 
ci permettono di apprezzare la prima. 

Non era dunque improbabile che la prima essiccazione si fosse eseguita già 
a temperatura troppo elevata. Per provarlo due nuove lastre di mica di spessore 
circa 0.3 mm. aventi una tinta leggermente bruna, ma però un aspetto perfettamente 
omogeneo, furono esperimentate prima allo stato naturale, seccate con solo strofina- 
mento, poi riscaldandole a temperatura molto inferiore a 200°; i fogli di stagnola 
erano in ogni caso seccati a circa 200°, Nel primo caso la variazione di carica era 
poco inferiore al 50 °/,; nel secondo era discesa a 30°/; ma riscaldando di nuovo 
poco sopra 100° per tempo più lungo, e provando a sostituire ai pezzi di stagnola 
due lastre levigate di rame che si erano potute scaldare a temperatura più elevata 
e strofinare fortemente per assicurarsi che ogni traccia di umidità condensata alla 
superficie fosse eliminata, non fu possibile ottenere una variazione minore del 20 %,. 

È però chiaro che la condizione della mica in lastre a spessore notevole era 
rispetto alla essiccazione meno vantaggiosa. Prescindendo difatti dalla costituzione 
chimica di questo complesso silicato, che è sempre diversa nei varii casi, e proba- 
bilmente corrisponde a proprietà dielettriche diverse, la struttura lamellare è favore- 
volissima alla occlusione di gas, in presenza dei quali si trova verosimilmente anche 
vapor d’acqua in piccolissime bolle disseminate tra i fogli immensamente sottili della 
mica. E difatti al riscaldarsi delle lastre di mica compaiono in molti punti, all’interno 
della massa, bolle che la temperatura crescendo fa dilatare, e che difficilmente possono 
sfuggire dalle cavità che le racchiudono. Se vapor acqueo è ivi, molto probabilmente 
a temperatura ordinaria e sotto la pressione notevole che la massa esercita nel con- 
trarsi, si condensa, o riducendosi in bollicine liquide invisibili, o venendo addirittura 
dalla sostanza solida assorbito. Quanto più sottili possono ottenersi le lastrine di 
mica, è dunque tanto minore la quantità acclusa di gas, e più facile l’essiccazione. 

Tuttavia alcune lastrine sottilissime di mica ricavate dalle due predette, ed una 
quantità di altre perfettamente bianche e tolte ad un piccolo condensatore del labo- 
ratorio che per tempi ordinarii di carica funzionava assai bene, mostrarono per tempi 
brevissimi una diminuzione di carica molto notevole. La variazione massima diffi- 
cilmente restava sotto il 15 %o. 

Dello stesso ordine di grandezza fu la variazione constatata presso due piccole 
lastre sottili, che per ultima prova si richiesero direttamente alla fabbrica Carpentier 
di Parigi, e che ivi furono scelte tra quelle adoperate negli ottimi condensatori nor- 
mali di questa firma. E qui s'era proceduto con tutte le cautele, prima essiccando solo 
la mica con strofinamento meccanico, poi riscaldandola poco a poco lungamente verso 
1 100° ed a temperatura superiore. 

La preparazione della mica è dunque eccezionalmente difficile e laboriosa. Per 
dichiarazione della stessa ditta le miche devono subire una diligentissima scelta, 
ed essere scartate tutte quelle che contengono tracce di ferro, o mostrano, esaminate 
al microscopio, delle inomogeneità; l’essiccazione si fa poi lentissima in stufe a calor 
dolce, ove la temperatura non raggiunge 100°. Essenzialmente la riuscita buona degli 
apparecchi normali è subordinata ad una infinità di precauzioni delicate di fabbrica- 
zione che l’esperienza sola ha consigliato. Ma questo non fa che riconfermare quanto 
sì disse dei vantaggi che l'applicazione razionale della seta potrebbe presentare. 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI . 443 


Paraffina. — Ha una resistenza specifica centinaia di volte maggiore della mica 
ed una costante dielettrica pari almeno alla metà di questa, onde pel poco prezzo 
è opportunissima alla fabbricazione di condensatori per usi comuni di laboratorio, 
anche per potenziali molto più elevati. Generalmente si impiega impregnandone 
fogli di carta sottili così che la distanza delle armature possa essere conveniente- 
mente piccola. La carta ha pure in determinate condizioni resistenza specifica enorme, 
e certo buone proprietà dielettriche per quanto i sistemi così costrutti permettono 
di giudicare, 

La fabbrica di cavi elettrici di Cortaillod nella Svizzera fornisce condensatori 
a carta paraffinata, graduati in frazioni di microfarad, che in confronto a molti altri 
condensatori posti in commercio presentano proprietà assai buone. La curva a cui 
sì riferisce la tabella seguente si rilevò per la capacità di 0.1 ;F di un simile 
condensatore di 1 mF, e mostra una variazione massima di 5,7%; la somma di 
scariche residue dopo 60" di carica era circa 5,5 °%: 


do, 045 0.5 0.8 del 1.6 2.1 5.1 5.1 9 loi Sa2E.1 


È 245.0 247.7 250.8 251.9 253.0 258.5 254.0 254.3 254.7 255.1 2554 


al [Pd 9! 5! I U(0}% 30” 60! 


e 257.0 259.0 259.6 259.7 2598 259.8 


Però la stessa fabbrica ha costrutto pel laboratorio di Zurigo un gran numero di con- 
densatori a carta paraffinata, chiusi in telai semplicissimi di ghisa, dei quali la capacità 
è meno accuratamente graduata, non dovendo servire questi come campioni di unità, 
ma di cui le proprietà sono eccellenti. La somma di scariche residue dopo 60" di 
carica non supera in uno di questi condensatori qui esaminato, il 4%; la variazione 
massima fu constatata nella carica di 3%, sebbene questa capacità che era circa 
1mF si sia dovuta caricare per servirsi dello stesso galvanometro con una piccola 
forza elettromotrice, e si siano perciò messe in opposizione una pila Daniell con una 
Clark, dove la resistenza era notevolmente elevata. La curva è qui riferita (V. Fig. 7): 


ò, O o OI 5 IL A ZI 
e 299.0 300.9 301.7 302.1 302.5 3029 303.5 304.0 304.4 
oi e o” 2010 60! 
e 305.7 806.9 307,5 308.1 3082 308.2 


Condensatori di questa natura hanno servito alla costruzione del gran cavo del la- 
boratorio di Zurigo, avente una resistenza di 375000 ohm ed una capacità comples- 


444 LUIGI LOMBARDI 


siva di 620 microfarad, destinato allo studio della trasmissione di correnti continue 
ed alternative. Per questo la esiguità dei fenomeni di polarizzazione successiva era 
una condizione essenziale per giungere alla verifica, che si ottenne con mirabile pre- 
cisione, delle formole date dalla teoria. Le proprietà dei cavi nella pratica non sono 
mai altrettanto perfette. 

La fabbricazione dei condensatori a paraffina dev'essere specialmente agevolata 
dalla possibilità di eliminarne l’acqua scaldando la paraffina ad una elevata tempe- 
ratura, che fuori dell’aria può salire sopra 300°. La paraffina come si trova in com- 
mercio contiene verosimilmente sempre delle tracce d’acqua sciolte; almeno alla super- 
ficie una piccola quantità ne è sempre condensata, che si scioglie nella massa quando 
questa fonde a bassa temperatura. 

Fu sperimentata una sottile lastra di paraffina ordinaria, raschiandone rapida- 
mente lo strato superficiale ed applicandovi due armature di stagnola; la variazione 
di carica fu 30°/. Tenendo la temperatura della paraffina fusa per qualche tempo 
verso i 100°, colando questa in un telaio di vetro di cui s’ era rivestito il fondo di 
stagnola ben secca, e sovrapponendovi ancora a caldo la seconda armatura, la varia- 
zione massima non si abbassò sotto 20°, nè la somma di scariche residue dopo 60” 
di carica sotto 24/. La forma della curva è caratterizzata dalla serie seguente, che 
è una di quelle rilevate nelle condizioni ora dette: 


ò, 05085 RS e ae] 

e LOS 7220 MAS A TI 088 | 
TA i 9! 3! 5” Tal 10” 15” 90! 30!” 

e 9RSL 99 098:2/0 990909 L00600 90059 

Ebanite. —- Ha una resistenza specifica poco inferiore a quella della paraffina, 


ed in un grandissimo numero di casi si presta come ottimo tra gli isolanti nella 
costruzione degli apparecchi da laboratorio. Alla costruzione di condensatori non fu 
molte volte applicata, perchè la fabbricazione di fogli molto sottili offre gravi difficoltà 
e rende il prezzo molto elevato. 

Nel laboratorio di Zurigo fu però montato un condensatore a fogli di ebanite 
della grossezza di circa 0.5 mm., a quest’uopo fabbricati. La capacità è di circa 1 mF, 
e le proprietà assai buone; il volume è però notevole ed il costo fu molto superiore 
a quello dei condensatori a mica. 

Per il confronto cogli altri dielettrici qui studiati si presero in esame alcuni 
fogli di ebanite della medesima natura. Essendo la superficie perfettamente levigata — 
una meccanica essiccazione è relativamente facile, ed è sufficiente, se l’ebanite fu 
conservata in un ambiente ben secco, per dare ottimi risultati. Ma se l’ ebanite 
è stata lungamente esposta all'aria umida, una quantità d’acqua si è verosimilmente - 
condensata tra i pori della sostanza, e ad espellerla non basta uno strofinamento mec- 
canico nè il leggero riscaldamento che la sostanza può subire prima di rammollirsi. 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 445 


Per questo i piccoli fogli di ebanite stati lungamente impiegati ad altri usi mostra- 
rono una variazione di carica del 30 °/,, ed una somma di scariche residue corrispon- 
dentemente elevatissima. 

Ma un condensatore costrutto con pochi grandi fogli nuovi, seccati coll’esporli 
lungamente al sole e collo strofinarli fortemente con cotone caldo mentre le armature 
di stagnola venivano riscaldate a 200°, presentò una massima variazione di 4,3 °/y 
circa, e dello stesso ordine era la somma di scariche residue dopo 60” di carica. È 
qui riferita la curva rilevata mediante due soli accumulatori in serie (V. Fig. 8): 


Soana 0:60.77 0.9 1.1 Irognee2 lips oote 91 131 EQ 


| | 
ca SOSIA 194759485) 9519520954 95/6795." 9610962 | 


pe TI Oui 5! 20!” 30”' 


MCR OTO 198:0198.0" 1 "98.0 


Le condizioni di questo condensatore si conservarono lungamente inalterate senza 
altra protezione che la pressione energica, che faceva perfettamente aderenti i fogli 
di ebanite ed impossibile l’accesso dell’aria. Per contro non si riuscì ad ottenere 
risultati migliori ripetendo parecchie volte l’essiccamento colla massima cura. E tut- 
tavia è altamente verosimile che le tracce di umidità assorbite dalla massa fossero 
ancora la causa principale di quella lenta polarizzabilità, perchè gli stessi fogli con- 
servati per settimane nell'ambiente del laboratorio mostrarono in misure successive 
una variazione sempre più marcata ed impossibile ad eleminarsi. Non sarebbe però 
difficile premunirsi da questo inconveniente con precauzioni speciali all'atto della 
fabbricazione e seguenti ad essa. 

. Solfo. — Non avendo applicazioni in genere come isolante, l'esame di esso non 
era per altro interessante se non perchè esso è uno dei pochissimi dielettrici che sì 
possano avere allo stato di assoluta purezza. La facilità di colarlo in lastre molto 
sottili agevolava specialmente l'esperimento, sebbene le lamine prendano nel raffred- 
darsi una struttura cristallina inomogenea. Per contro la temperatura relativamente 
bassa a cui lo zolfo fonde, e l’impossibilità di tenerlo nell'aria a temperatura molto 
più elevata senza che lo stato della sostanza accenni a modificarsi molto prima che 
una vera deformazione allotropica abbia luogo, impediscono di assicurarsi che tutta 
l’acqua sia stata espulsa. 

I piccoli condensatori erano costrutti come quelli a paraffina in sottilissimi telai 
di vetro riscaldati gradatamente sopra i 100°, ove il primo foglio di armatura si 
adagiava accuratamente sul fondo, ed il secondo si applicava sulla lamina di zolfo 
al primo accenno di solidificazione; l'adesione a caldo era perfetta. 

Furono così esaminati vari campioni di zolfo raffinato in bastoni, che mostrarono 
variazioni di carica e somme di scariche residue elevatissime. Lo zolfo puro in pol- 
vere, tenuto lungamente sotto la campana della macchina pneumatica a pochi mil- 
limetri di mercurio di pressione per seccarlo in presenza di acido fosforico, poi con- 


446 LUIGI LOMBARDI 


servato liquido parecchio tempo verso i 120° agitando la massa liquida continuamente 
per facilitare la liberazione delle particelle di vapor acqueo, mostrò ancora una 
variazione di carica di circa 14°/, come risulta dalla serie : 


(SENTO: IR DL RE eV E 
e 6013-671075 0912 090-6946970 010301 
Gel JESS DI 4” Igt KON 90?! 30” 60" 

e EMO IAA ES II€NO ARTO A00 AMOS, 


Parecchi altri tentativi condotti in modo analogo diedero analoghi risultati; ma 
non sarebbe possibile dedurne se questa sia una proprietà inerente alla sostanza, 
o se, come è verosimile, dipenda ancora in massima parte dalle condizioni igrosco- 
piche della medesima. Perciò occorrerebbe fare una serie sistematica di osservazioni, 
o distillando in precedenza lo zolfo direttamente, o tenendolo lungamente fuori del- 
l’aria a temperatura possibilmente alta. 

Gomma lacca. — Ha una grandissima resistenza specifica che la rende preziosa 
specialmente come vernice isolante. Però si suole sempre applicare sciolta in alcool, 
e, perchè questo non è quasi mai puro, lascia evaporando certamente residui d’acqua. 
Verosimilmente erano questi che nella prova qui fatta, sciogliendo a caldo la gomma 
in molto alcool e impregnandone fogli di seta prima seccati, mascheravano il com- 
portamento della sostanza principale, perchè non si riuscì ad ottenere variazioni 
massime di carica inferiori al 20 °/, con scariche residue corrispondentemente elevate. 

Guttaperca. — Dovendosi sperimentare in fogli sottili, l’essiccamento è reso as- 
solutamente difficile dalla natura stessa della sostanza che ha sempre condensata 
alla superficie una grande quantità di acqua; ora questa non può essere senza ar- 
tifizi specialissimi eliminata, non potendo assoggettarsi la sostanza a strofinamento 
meccanico nè a riscaldamento sensibile. Tuttavia fogli di guttaperca furono osservati 
dopo lunga esposizione all’aria secca, ed al sole, e ad un getto d’aria artificialmente 
seccata attraverso un tubo ad acido fosforico, mandata sotto pressione da un piccolo 
ventilatore; ancora lasciando i pezzi per parecchi giorni sotto la campana della 
macchina pneumatica nel modo solito. Il migliore risultato che si ebbe corrispondeva 
però ad una variazione massima di carica del 23 °/, e ad una somma di scariche 
residue dopo 60" di carica pari al 40 °/. Esso è riferito nella serie seguente: 


d, e i gi 2 
e 54.5 56.0 57.0 58.3 593 60.3 613 624 630 634,688 
di ore OO 30/0 DI 
e 66.7 67.7 68.2 686 68.9 692 694 69.7 702. 70.8 


————_rc "= =----——@—1@@——@—@—@—@—@—@—@—@—@—@—@—@<@1—1@11111.. 11° 0). l9rr9/l1@#11111@@—————__—_—1—t_—_+_++___=_= 


_ 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 447 


Vetro. — È noto che le sue proprietà dielettriche sono in genere molto imper- 
fette, sebbene la resistenza specifica sia molto grande. Il comportamento varia enor- 
memente colla natura della sostanza, ed è prevedibile che un esame sistematico delle 
diverse qualità di vetro, nel quale uno alla volta e per gradi si variassero gli ele- 
menti di questo composto complicato, scoprirebbe con sicurezza l’ influenza di cia- 
scuno di essi, e darebbe utile norma per la scelta di vetri adatti alle applicazioni 
dielettriche. Non altrimenti nel laboratorio di Jena, che ha fama meritata per la 
produzione di vetri ad usi scientifici, si è precisata negli ultimi anni l’azione dei 
vari costituenti del vetro sulla sua dilatabilità termica, che ha tanta importanza nei 
termometri di precisione, e si riuscì colla scelta razionale di essi ad eliminare quasi 
perfettamente quella che potrebbe dirsi isteresi termica, cioè il ritardo con cui il 
vetro segue nella dilatazione le modificazioni di temperatura. È questo un fenomeno 
che si può ben paragonare al ritardo con cui un dielettrico in genere, ed il vetro in 
particolare, subisce la polarizzazione elettrica. 

Qui trattavasi solo di avere un'idea dell’ordine di grandezza dei fenomeni che 
questo ritardo può produrre, tanto più che nel caso generale il vetro adoperasi in 
lastre a superficie molto levigata, e l’ essiccamento può farsi specialmente accurato 
strofinando energicamente e riscaldando sopra i 100°. 

Fu perciò sperimentata, dopo essiccamento diligente, una lastra di vetro comune. 
Ma, in perfetta conformità col fenomeno notissimo delle numerose scariche residue 
della bottiglia di Leyda, la carica apparente, misurata dalla prima elongazione di 
scarica, andò crescendo per un tempo molto lungo, e certamente la carica totale 
sarebbe cresciuta per un tempo molto maggiore. Definita nel solito modo la varia- 
zione di carica era circa 33%, ed all’ esaurimento delle scariche residue non 
bastava un grandissimo numero di minuti. È riferita la curva di quella variazione 
nella Fig. 9, e nella serie seguente: 


Ò, MS (0 SO 9) 2.1 3.1 4.1 5.1 CA CORE ge GI LET IRAN Bis yl ISEE aa 


e 137.5 145.2 149.5 152.5 154.5 156.2 158.5 160.0 161.0 162.8 164.9 


TA 1102 9 gu 5” hi 10” 15” 95! 60! 90” 120’ 


e 186.0 192.6 195.2 197.6 198.6 199.7 200.8 202.3 203.8 204.8 205.0 


In questo caso la presenza dell’acqua era in massima evidentemente esclusa; 
tuttavia i caratteri del fenomeno non si mostrano essenzialmente diversi da quelli 
dei corpi nei quali la presenza di un elettrolito è facile a constatare. E siccome si 
può avere il vetro in speciali condizioni comportantesi come un corpo eminentemente 
igroscopico, può vedersi subito che la presenza dell’acqua modifica l'andamento della 
curva in modo continuo, e si può pensare che la polarizzazione dei dielettrici in 
genere presenti sempre con quella degli elettroliti una strettissima analogia. Di più 
è interessante vedere sotto quali aspetti le proprietà elastiche e quelle dielettriche 
dei corpi possano essere confrontate; e, come tra i dielettrici organici si prestava 


448 LUIGI LOMBARDI 


a ciò specialmente opportuna la seta, tra i dielettrici inorganici comuni poteva esa- 
minarsi il vetro con vantaggio. 

Fu adoperata a ciò la così detta lana di vetro, costituita da fili di vetro sot- 
tilissimi e brevi, arricciati in un ammasso quale si suole applicare per avere un buon 
coibente termico. Le proprietà elastiche furono poi esaminate, come si dirà, sopra 
lunghi fili regolari di vetro; di questi e dei primi l'aspetto essendo del tutto identico, 
ed entrambe le sostanze essendosi ricevute dalla medesima fabbrica, era molto 
verosimile che tutte due avessero eguale costituzione. Appunto per la piccolissima 
conduttività termica e per la enorme superficie che presenta la lana di vetro ha 
un potere igroscopico grandissimo, ed è veramente difficile conservarla con artifizi 
comuni libera da umidità condensata. Tuttavia l’essiccazione si può fare a temperatura 
molto elevata, e qui fu eseguita frammezzo a due lastre metalliche scaldando 
verso 300°: la variazione di carica, prima colossale, si mostrò dopo ciò notevol- 
mente diminuita, ma non tanto che la variazione ultima non fosse ancora di gran 
lunga superiore e tutte quelle prima constatate. Ciononostante risulta dalla curva 
qui riferita nella tabella che la forma è ancora quella che pel vetro si era ottenuta. 
Dopo 20" di carica la somma di scariche residue era circa 60°/, della scarica primaria. 


ò; 0.8 Li Rd 0 4A OLII 9A e Zi 
e. |89.0° 40.0 ‘48.80 54.2 58.0) 61/2 ‘60.8 692° 72.5 6.079: 20 


, 


i E! Ti DUI pil 451 5! 6! 8g! 10" 15! 20” 302! 


e 104.5 115.5 120.5 123.4 125.5 126.7 128.5 129.2 130.5 131.2 133.0 


Olio. — L’ esame di questo poteva interessare come d’un tipo dei dielettrici 
liquidi non elettrolizzabili: ma si riscontrò una polarizzabilità successiva enorme. Olio 
puro di lino fu scaldato lungamente verso i 150°, e portato così caldo sotto la campana 
della macchina pneumatica in presenza di acido fosforico anidro. Diminuendo la pres- 
sione a pochi mm. di mercurio, una grande quantità di bolle si svolgeva, e dopo 
ripetuta l'operazione del riscaldamento e della diminuzione di pressione una 2? volta, 
avendovi già immerso 1 fogli di seta che dovevano conservare a distanza le armature, 
si poteva ammettere che la massima parte dell’acqua fosse eliminata. Le armature di 
stagnola vennero applicate dopo averle riscaldate nel solito modo, e si fecero aderire 
perfettamente con pressione notevole, così che tutta l’aria era esclusa. La curva 
di carica continuava per un lunghissimo tempo a salire, sebbene l’elettrolisi di tracce 
d’acqua, se eventualmente avessero potuto restar ancora, fosse impossibile quando 
la carica si eseguiva con una forza elettromotrice piccola, cioè con un elemento 
Daniell ed un Clark in opposizione: la variazione di carica tra 1" e 20" raggiun- 
geva ancora qui 70 °/o. 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 449 


18. — Osservazioni sui fenomeni di lenta polarizzabilità. 


Da tutto ciò che s'è detto si può concludere ad alcune osservazioni generali. 
Qualunque sia la natura della polarizzazione elettrostatica, cioè qualunque sia l’in- 
tima essenza di quella modificazione dello stato molecolare che noi definiamo con 
quella parola, è certo che essa non si suole mai produrre istantaneamente, cioè le 
molecole non sogliono raggiungere il nuovo equilibrio se non con una certa len- 
tezza quando sopra di esse son venute ad agire le forze elettrostatiche. Questa 
lentezza è diversa nei diversi corpi, e dev'essere connessa strettamente colla natura 
loro e del loro raggruppamento molecolare. Essa è la causa principale della variazione 
di carica nei condensatori oltre i tempi ove intervengono i fenomeni dovuti alla indu- 
zione ed alla resistenza del circuito. Inversamente essa è la causa di tutti i feno- 
meni di scarica residua e di una gran parte dei fenomeni di variazione della resi- 
stenza apparente sotto potenziale costante. 

Nessuno dei dielettrici comuni ha mostrato sinora la proprietà di polarizzarsi 
istantaneamente, e forse essa non appartiene che all’etere, polarizzandosi solamente 
i gas con una tale rapidità che il tempo a ciò necessario sfugge alle nostre osser- 
| vazioni. Le sostanze organiche, che hanno in genere una struttura più complicata, non 

presentano però necessariamente una lentezza di polarizzazione maggiore, se non 
in quanto esse sogliono contenere quantità variabili di liquidi, elettroliti o non. 
Difatti, quando due sostanze si trovano in presenza una dell’altra, esse subiscono 
indipendentemente l’azione delle forze elettrostatiche, e, come l’energia della loro 
polarizzazione interviene proporzionalmente al volume nell’aumento della energia rac- 
chiusa nel condensatore, così essa si va per fenomeni paralleli immagazzinando in 
ciascuno di essi. La presenza dei liquidi si rende specialmente avvertibile perciò 
che in essi la lentezza della modificazione nell’equilibrio molecolare è sempre mar- 
catissima. 

I fenomeni di lenta polarizzazione non sono dunque fenomeni elettrolitici, seb- 
‘bene, quando questi intervengono, quelli vi siano sempre accompagnati e presentino 
con essi alcuni caratteri comuni. 

Ora i fenomeni elettrolitici seguono leggi perfettamente definite e semplicissime; 
non è egli possibile che quelli di polarizzazione siano retti da norme costanti nella 
successione del tempo, oltre che nella funzione della forza che li produce, dove una 
semplice proporzionalità pare sia già accertata ? Per rispondere a questa quistione non 
è inutile stabilire alcune analogie. 


19. — Fenomeni di lenta deformazione elastica: 
misura del modulo di elasticità. 


L’idea della analogia dei fenomeni di polarizzabilità dei dielettrici e di defor- 
mazione dei corpi elastici è generalmente diffusa, accennandosi sempre quando si 
parla di scariche residue di condensatori a dielettrico imperfetto alla rassomiglianza 

Serie II. Tom. XLIV. a 


450 LUIGI LOMBARDI 


colle manifestazioni di elasticità susseguente nei corpi non perfettamente elastici. 
L'esame della seta come tipo tra le sostanze isolanti organiche s'era appunto pre- 
sentato più opportuno per la possibilità di studiare parallelamente i due ordini di 
fenomeni. 

W. Weber in Gottinga fu il primo ad occuparsi sistematicamente delle defor- 
mazioni elastiche della seta, ed i risultati delle sue ricerche, estesi alle deformazioni 
dei corpi elastici in genere durante la loro fase variabile, furono pubblicati da lui 
in tre memorie (1) che formarono la base della prima teoria esatta della elasticità. 
Difatti in esse la prima volta si fece luogo alla considerazione del tempo nelle defor- 
mazioni, e senza tener conto di esso la legge di proporzionalità della deformazione 
e della forza non può semplicemente essere verificata. 

Weber definì azione susseguente della forza (Nachwirkung) l’effetto di essa che 
si produce nei tempi seguenti l'istante in cui la forza è venuta ad agire. Essa non 
è naturalmente da confondere colla deformazione permanente a cui ogni nuova appli- 
cazione della forza può dare origine, perchè, se forze eguali o minori si vanno suc- 
cessivamente riapplicando, le deformazioni nuove permanenti vanno diminuendo e 
finiscono per sparire, e allora veramente la deformazione totale è solo proporzionale 
alla forza. Per contro l’azione susseguente non cessa mai di verificarsi, ed a regime 
in una serie indefinita di deformazioni elastiche originate da una medesima forza si 
conserva inalterata. Di più, per definizione stessa, la deformazione permanente, come 
conseguenza di una forza una volta applicata, rimane nel corpo; la deformazione 
susseguente è funzione essenzialmente del tempo, e al prolungarsi di questo, se la 
forza è cessata, essa scompare. 

. Per enunciare una teoria di questa elastica deformazione Weber considera le 
molecole del corpo elastico come dotate di tre assi di elasticità. In una deformazione 
simmetrica rispetto tre assi qualunque, come potrebbe essere una dilatazione termica 
di corpi isotropi, le dimensioni del corpo e le distanze delle molecole crescerebbero 
egualmente in tutti i sensi, cioè la posizione relativa degli assi molecolari non va- 
rierebbe. Ma in una deformazione elastica, per esempio per tensione, le molecole 
sono generalmente sollecitate ad allontanarsi in una sola direzione, e ad avvicinarsi 
per conseguenza nelle direzioni normali; quindi gli angoli fra gli assi di elasticità 
delle molecole diverse cambiano. Le molecole subiscono, una rispetto all'altra, una rota- 
zione; e questa non può avvenire istantaneamente, perchè si devono vincere le forze 
di coesione molecolare che agiscono come resistenze passive, ed eseguire un lavoro 
della natura d’un lavoro d’attrito, il quale suole sempre ritardare il moto relativo 
dei corpi materiali che sono in contatto. 

E per formulare una legge di questa deformazione successiva suppone Weber 
che le molecole del corpo si muovano verso la nuova posizione di equilibrio con una 
velocità funzione della distanza che da questa ancora le separa. 

Se si dice x questa distanza, essa è naturalmente una misura della deformazione 
del corpo che deve ancora succedere, e quella velocità che si può dire di deforma- 


(1) Pogg. Ann., XXXIV, 1835: “ Ueber die Elasticitàt der Seidenfaden ,. — Gottingae Sumpt. 
Dieterich., 1841: “ De fili bombycini vi elastica ,. — Pogg. Ann., LIV, 1841: © Ueber die Elasti- 
citàt fester Kérper 


n° 


APati 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 451 


dx 
dit‘ 
al quadrato di quella distanza, si ha: 


zione è rappresentata da — Se si suppone che questa velocità sia proporzionale 


da ta P b 
dt babi t+e 
che si esprime: “ la parte di deformazione che ad un dato istante deve ancora succe- 


dere è inversamente proporzionale al tempo trascorso da una origine che per ogni caso 
si può determinare in base ai risultati della esperienza ed alla curva del fenomeno ,. 
Questo equivale evidentemente ad ammettere che la curva sia una iperbole, di cui 
un asintoto è l’asse delle ascisse, e l’altro è parallelo a quello delle ordinate, deter- 
minante appunto l’origine dei tempi. 

Ma siccome questa legge non risponde con molta approssimazione ai risultati 
delle misure, Weber ammette semplicemente che la velocità di deformazione sia pro- 
porzionale ad una potenza da determinare della deformazione stessa: 


USUALI 


e deduce il valore della deformazione che deve ancora seguire ad un dato istante: 


Il 


vi NM) ae (o), 


dove dalla esperienza sono da dedurre i tre coefficienti m.d.c, ed in esperienze diverse 
con uno stesso filo non si possono « priori ritenere invariati se non è ed m che 
dipendono esclusivamente dalla natura del filo. 

Come si vede, sebbene la forma della curva possa ancora compendiosamente 
definirsi come una iperbole di ordine m, l’espressione della legge non è più semplice, 
cioè non si scopre a primo aspetto un significato fisico semplice nella formola la 
quale non può servire se non come una descrizione analitica più o meno rigorosa 
del fenomeno. 

Non perciò sono meno importanti i risultati generali a cui Weber giunge con 
questa discussione, pel fatto che quella formola risponde con molta approssimazione 
alle sue misure. 

È difatti evidente che l’origine delle coordinate qui non rappresenta alcun punto 
particolare della curva, corrispondendo essa semplicemente all’istante nel quale le 
condizioni inerenti all'esperienza hanno permesso di cominciare le letture. La curva 
è pertanto continua tra i suoi due asintoti, come certamente è continua ogni ma- 
nifestazione di un fenomeno naturale. Ma allora la stessa curva colla stessa appros- 
simazione deve includere la rappresentazione della prima parte del fenomeno, la 
quale noi possiamo solo considerare come istantanea in ragione della sensibilità 
dei nostri mezzi di osservazione che non ci permettono di apprezzarne la durata. 
Ne viene che da noi non si può parlare di deformazione elastica corrispondente ad 
una data forza se per quella non si intenda la deformazione totale, cioè il valore 
che questa ha preso quando le molecole hanno raggiunto il nuovo equilibrio stabile; 


452 LUIGI LOMBARDI 


sebbene a questo esse non si avvicinino che lentamente, ed in molti casi non si possa 
dire che sensibilmente esse l'abbiano raggiunto prima che un tempo lunghissimo 
sia trascorso. Solamente per questa deformazione finale può essere definito il modulo 
di elasticità, e mediante la misura di essa essere questo verificato costante fra i limiti 
di elasticità. 


20. -- Analogia dei fenomeni di lenta polarizzazione dielettrica: 
misura delle capacità. 


Nel caso della polarizzazione elettrica noi assistiamo a fenomeni precisamente 
della stessa natura di quelli ora descritti. 

Prescindiamo da tempi eccezionalmente brevi, durante i quali hanno importanza 
fenomeni secondari dovuti alla induzione ed alla resistenza. Ad essi corrisponde- 
rebbero i tempi, di cui non è quistione qui, durante i quali sono sensibili nelle defor- 
mazioni elastiche le azioni d’inerzia e di resistenze passive; ed è ben noto che le 
oscillazioni iniziali hanno gli stessi caratteri e possono rappresentarsi colla stessa 
equazione in una deformazione elastica sotto l’azione di una forza bruscamente venuta 
ad agire, come nella carica di un condensatore di cui le armature si siano repenti- 
namente portate ad una data differenza di potenziale. 

Ma, indipendentemente da ciò, o supponendo di impedire le oscillazioni elastiche 
con una resistenza passiva conveniente come con una resistenza ohmica sufficiente si 
possono sempre prevenire le oscillazioni della carica d’un condensatore, noi abbiamo 
veduto che questa carica non avviene mai istantaneamente, ma si fa secondo una curva 
che va salendo con rapidità diversa per le sostanze diverse e per le diverse condizioni 
in cui sono sperimentate. I fenomeni di scarica non sono che gli inversi di quelli 
di carica, come le opposte deformazioni di un filo elastico dove la forza stirante fu 
aumentata e diminuita; quando noi giudichiamo che gli uni o gli altri siano com- 
pleti, ciò non vuol dir altro se non che le variazioni posteriori sfuggono ai nostri 
mezzi di osservazione. Ma noi vedemmo già che durante ore intiere varia la carica 
totale di un condensatore ordinario, e dopo ore di scarica il condensatore suol ancora 
sempre presentare una maggiore facilità ad essere caricato, la quale non sussiste- 
rebbe se il dielettrico non conservasse una parte della polarizzazione. Solamente, 
perchè essa va scomparendo con grandissima lentezza, non dà più luogo per noi a 
scariche residue in brevi intervalli di tempo apprezzabili. Il tempo che fili elastici 
di diversa natura impiegano, perchè l'allungamento sotto una forza stirante sia mas- 
simo, o perchè al cessare di questa essi ritornino alla lunghezza primitiva, è molte 
volte dello stesso ordine di grandezza e talora maggiore. 

Pel confronto noi dobbiamo paragonare gli allungamenti, riferiti alla lunghezza 
iniziale, che il filo ha fino ad un dato istante subìto sotto uno sforzo costante, colla 
quantità totale di elettricità che si è immagazzinata nel condensatore, prescindendo 
naturalmente da fenomeni secondari di dispersione e conduzione. Dalla scarica del 
condensatore noi non possiamo dedurre quella quantità se non sommando con quella 
che diciamo scarica primaria tutte le scariche secondarie che ad essa succedono 
sino ad esaurimento completo della polarizzazione. 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 453 


Ma dunque una curva sola e continua deve rappresentare per noi l'andamento 
della carica o quello della scarica, e la distinzione di scarica primaria dalle sca- 
riche residue non ha senso se non in quanto la durata di quella rispetto i nostri 
mezzi di osservazione si possa considerare istantanea. In valore assoluto non esiste 
che una carica ben definita, ed è quella che il condensatore ha preso quando la 
corrente che arriva alle armature si è ridotta a zero od al minimo valore che corri- 
sponde alla resistenza ohmica del dielettrico; ed in valore assoluto non può definirsi 
la capacità se non il rapporto della quantità di elettricità che allora è nel conden- 
satore alla differenza di potenziale delle armature. 

La misura delle capacità, come attualmente è fatta in generale, è dunque per 
principio inesatta; ed inesatti sono i valori che da essa si sogliono dedurre delle 
costanti dielettriche. 

Si sogliono misurare le capacità proporzionalmente alle quantità di elettricità che 
esse, quando furono caricate per un tempo convenientemente lungo con una stessa forza 
elettromotrice, scaricano, dicesi, istantaneamente attraverso un galvanometro balistico; 
e la durata di carica non si suole con miglior criterio determinare, se non assumendo 
quella dopo cui la prima elongazione del galvanometro non cresce più, per quanto 
i mezzi di lettura permettono di osservarlo. Se si volessero confrontare le scariche 
dopo tempi qualunque di carica eguali, evidentemente si avrebbe un carattere di più 
di arbitrarietà. 

Si vorrebbe dunque considerare come carica del condensatore solamente la 
quantità di elettricità che si è accumulata sopra le sue armature, e potrebbe essere 
una definizione relativa precisa, se precisamente si potesse definire la durata della 
scarica istantanea. Ma questa definizione è puramente convenzionale. 

Se sì vuole assumere come durata di scarica istantanea semplicemente un tempo 
così breve che sia trascurabile rispetto alla durata di oscillazione dell’ago, lo che 
basta per soddisfare alle condizioni di una misura esatta di quantità di elettricità 
mediante il galvanometro balistico, si potrà variare quel tempo in ragione delle con- 
dizioni del galvanometro, e del momento d’inerzia dell’ago, o dello smorzamento delle 
oscillazioni; lo che è assurdo. 

Se la chiusura del circuito sul galvanometro si vuol prolungare all’atto della 
scarica per un tempo comunque breve ma costante, la quantità di elettricità che si 
scaricherà sarà sempre l’integrale, durante quel tempo, della intensità di corrente, 
e, come tale, funzione non solo delle proprietà del dielettrico, ma anche delle condi- 
zioni di resistenza e di selfinduzione del galvanometro che variano da caso a caso. 
Ora, anche in condizioni identiche di circuito esterno, l’interna capacità di conden- 
satori diversi farà che non sia proporzionale la quantità di elettricità da essi scari- 
cata, perchè noi vedemmo che a ciò occorrerebbe un tempo che fosse proporzionale 
alla capacità medesima, come dice la formola 


(iCirilogm 
da noi prima riferita, e da cui per tempi di quest'ordine di grandezza non si può più 


prescindere. Per questi tempi stessi, e più per tempi maggiori, se essi si volessero 
adottare per convenzione, la forma della curva di scarica per dielettrici diversi, 


454 LUIGI LOMBARDI 


parimenti tangente ai due medesimi asintoti, ma da essi variamente scostantesi 
perchè la curvatura è funzione della rapidità di polarizzazione, farà che quantità 
assolutamente diverse di elettricità si scarichino, e con legge assolutamente diversa 
vengano ad agire sull’ ago la cui velocità non può essere considerata nulla se non 
per un tempo brevissimo. 

Se si possedesse un galvanometro balistico senza selfinduzione, e si scaricasse 
il condensatore attraverso un circuito senza resistenza, non si potrebbe teoricamente 
ancora avere una misura indipendente dalla depolarizzazione del dielettrico, e quindi 
rigorosamente definita, se non realizzando un tempo di scarica infinitesimo. 

La capacità dunque che si è soliti misurare è una grandezza apparente che 
non ha valore se non in rapporto alla definizione arbitraria che noi ne sogliamo 
dare, ed alla approssimazione delle nostre misure. Un valore assoluto non si potrebbe 
valutare se non dalla quantità totale di elettricità del sistema dopo una carica in- 
definitamente lunga, ed essa non si potrebbe altrimenti immaginare integrata se non 
mediante una serie di scariche successive istantanee, prolungata fino ad esaurimento 
completo della polarizzazione; e per scariche istantanee si potrebbero accettare du- 
rate comunque brevi fra certi limiti arbitrari, purchè tali che soddisfacessero alla 
ipotesi della misura col galvanometro balistico. La misura diretta della corrente, 
che dopo i primi istanti si potrebbe fare agevolmente, sarebbe in quelli impossibile 
per la sua enorme variabilità. Solamente se processi comuni elettrolitici potessero 
realizzarsi in condizione di conveniente sensibilità per quantità eccezionalmente pic- 
cole di elettricità potrebbero fornire un mezzo semplice di misura. In ogni caso però 
se una conduttività esistesse nel mezzo coibente, ed una corrente di conduzione si 
verificasse in ogni istante secondo leggi non perfettamente accertate, la misura teo- 
rica sarebbe impossibile. 

Vero è che nella pratica si tratta sovente di sistemi le cui proprietà si sco- 
stano relativamente poco da quelle di un condensatore ideale a polarizzabilità istan- 
tanea; e in tali casi una definizione ed una misura convenzionale di capacità può 
sempre utilizzarsi con approssimazione sufficiente. Ma non è men vero che il valore 
ne è puramente relativo, e se un campione di capacità unitaria si volesse stabilire 
come fu fatto di resistenza e di forza elettromotrice occorrerebbe trovare un dielettrico 
ove effettivamente la polarizzabilità fosse istantanea; cosa che rimarrebbe verosimil- 
mente irrealizzabile se non si ricorresse a gas secchi od a spazi vuoti d’aria. 

Non è d’uopo avvertire che, se si potesse facilmente dare ad un condensatore 
una quantità determinata di elettricità, e si volesse dedurne la capacità misurando 
il potenziale, la misura sarebbe molto più complicata, non meno inesatta nella suc- 
cessione del tempo, e di più non suscettibile di correzioni altrettanto facili. 


21. - Leggi dei fenomeni inversi di polarizzabilità. 


In base alle idee fondamentali accennate si può accedere ad un confronto più 
intimo dei fenomeni di polarizzazione con quelli di elasticità, e, se si vuole, formu- 
larne una teoria perfettamente analoga. 

Difatti le molecole del dielettrico si possono immaginare ancora dotate di assi 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 455 


di polarità elettrica diversa, i quali, quando esso si trova allo stato naturale, siano 
indifferentemente orientati in tutte le direzioni, onde non ne risulti una deter- 
minata polarizzazione della massa; ma che sotto l’azione delle forze elettrostatiche 
tendano ad orientarsi in una direzione speciale, che è quella del campo, senza potersi 
sottrarre alle forze molecolari che si oppongono alla rotazione e non possono essere 
vinte senza la spesa di un lavoro. La posizione nuova di equilibrio sarebbe quella 
dove le forze elettrostatiche e le tensioni molecolari si compensano, e questa non 
potrebbe essere raggiunta istantaneamente, ma le molecole vi si andrebbero accostando 
con una certa lentezza dipendente dalla costituzione molecolare della sostanza, e dal 
modo risultante con cui le forze che sollecitano le molecole distanti dall’ equilibrio 
loro variano al variare questa distanza. 

Si vedrà tra poco che le curve dei due fenomeni presentano caratteri perfetta- 
mente paragonabili: e si è già visto come la curva delle cariche totali dopo durate 
diverse di carica, e quella delle cariche residue dopo durate diverse di scarica, ricor- 
dino con una certa approssimazione la forma di una iperbole, avente per asintoti 
l’asse delle ordinate e rispettivamente una parallela all’asse delle ascisse corrispon- 
dente alla carica massima, o l’asse stesso corrispondente alla carica nulla. Quindi, 
se si volesse, si potrebbe formulare una legge simile a quella che W. Weber diede 
per i fenomeni di elasticità, e nell'espressione analitica di essa definire per mezzo 
delle osservazioni sperimentali i vari coefficienti. Salvo che noi abbiamo veduto qui 
che i fenomeni di lenta polarizzabilità sono potentemente influenzati dalle circostanze 
esterne, quindi quella determinazione per la medesima sostanza non avrebbe valore 
se non nel caso preciso in cui essa fu fatta. 

Inoltre si noti: il fenomeno della carica del condensatore è perfettamente 
analogo alla deformazione d'un corpo elastico sotto l’ azione di una forza costante, 
se là il potenziale è costante. Per studiare in modo simile i fenomeni inversi, come 
noi sogliamo sottrarre il corpo elastico alla azione di ogni sforzo esterno, così dobbiamo 
annullare in ogni istante la forza elettrostatica che agisce sul dielettrico, cioè tenere 
le armature in corto circuito. Quando noi cerchiamo di esaurire la carica di un con- 
densatore mediante una serie di scariche ad intervalli di tempo determinati, il feno- 
meno si presenta con una discontinuità che ne altera il carattere, perchè durante 
ognuna di queste fasi di isolamento la depolarizzazione che si va continuando nel 
dielettrico origina nelle armature una nuova carica crescente, cioè una differenza 
crescente di potenziale. A questa non devesi solamente una corrente di conduzione, 
se il dielettrico ha una certa conduttività, come fu già avvertito, ma un nuovo 
campo elettrostatico la cui intensità tenderebbe a crescere col tempo tanto che le 
nuove forze elettrostatiche facessero equilibrio alle tensioni molecolari; da quel 
momento, in condizioni di isolamento perfetto, ogni variazione di polarizzazione sa- 
rebbe esclusa. Ora, sebbene nelle osservazioni si sia soliti ripetere le scariche residue 
a distanze di tempo molto minori di quelle che occorrerebbero a raggiungere quell’e- 
quilibrio, la prima parte del fenomeno si va ad ogni modo ogni volta ripetendo; cioè 
la depolarizzazione avviene liberamente solo nei primi istanti dopo ogni nuova sca- 
rica; poi la sua intensità va diminuendo così che all'esaurimento completo di tutta 
la carica occorre un tempo teoricamente più lungo di quello che in condizioni normali 
non sarebbe occorso. 


456 LUIGI LOMBARDI 


È un fatto simile a quello che si verificherebbe in un filo di cui la tensione non 
fosse stata provocata mediante un peso liberamente applicato, ma dall’accrescimento 
della distanza tra due punti fissi a cui fossero legate le sue estremità. La tensione 
elastica interna qui andrebbe, per l’azione successiva definita da Weber, diminuendo 
col tempo, come la tensione elettrica tra le armature del condensatore a cui una volta 
si fosse data la quantità di elettricità necessaria a caricarne le armature a un 
potenziale determinato. Quando del filo si riducesse la tensione istantaneamente a 
zero, avvicinando pel solo spazio a ciò necessario gli estremi, la tensione elastica 
interna andrebbe riaumentando, non altrimenti che quella elettrica nel condensatore 
dopo un corto circuito momentaneo. 

L'osservazione avrebbe meno importanza pel riguardo di definire sperimental- 
mente la legge del fenomeno, perchè perciò si potrebbe ricorrere alla curva della 
scarica continua, misurando in ogni istante la intensità di corrente, cioè studiando 
l'equazione differenziale del fenomeno da cui Weber partì a sua volta per formulare 
la sua ipotesi. Ma essa non può essere dimenticata se i due fenomeni inversi della 
polarizzazione si vogliono confrontare direttamente, e se di essi si vuol verificare 
una proprietà accertata da Weber pei fenomeni di elasticità, che dichiara uno dei 
caratteri più importanti della carica e della scarica dei condensatori. 

Weber cioè ha trovato nell'analisi delle due curve di deformazione di un filo 
elastico per aumentata e diminuita tensione i coefficienti eguali, le due curve sovrap- 
ponibili. Questo fa pensare che anche le curve di carica e scarica del condensatore 
possano essere identiche. Effettivamente, quando la carica è nulla e quando essa è 
completa distando le molecole egualmente dalla nuova posizione di equilibrio a cui 
con una carica od una scarica di durata indefinita debbono tendere, non si potrebbe 
immaginare una ragione per cui esse non vi si avvicinassero con una velocità eguale 
in ogni istante corrispondente. La carica e la scarica paiono dunque doversi consi- 
derare come due fenomeni reversibili, sempre che non avvengano dispersioni secondarie. 

Ora questo fu constatato entro i limiti di approssimazione che dall'esperienza si 
potevano aspettare. 

Le curve parecchie volte rilevate della corrente continua di carica e di scarica 
pel condensatore a seta prima costrutto avevano sempre presentata una forma per- 
fettamente analoga che s'è ricordata. Solo la sovrapponibilità non s'era mai potuta 
verificare con tutta la sicurezza, perchè le quantità di elettricità erano piccolissime, 
non potendosi caricare la piccola capacità con potenziali molto elevati. Avveniva 
d'altronde che la polarizzazione non era completa se non dopo un gran numero d’ore, 
e l’ isolamento non era del tutto perfetto quando la presenza di traccie d’ umidità 
lasciava luogo a più sensibili variazioni di carica, onde nelle curve di scarica si 
notava una tendenza ad avvicinarsi più rapidamente alla tangente orizzontale, pre- 
sentando nel ginocchio una curvatura più stretta. Gli stessi caratteri si manifesta- 
vano nelle curve delle cariche residue, rilevate con serie regolari di osservazione ad 
ogni minuto dopo durate di carica diverse; sebbene qui la discontinuità già accennata 
del fenomeno, rallentando specialmente nei primi tempi la depolarizzazione, tendesse 
già a far confrontabili le curve di scarica con quella di carica totale dopo che la carica 
era durata 10", come mostrano le figure 3 e 4. 

Pertanto per avere una prova più convincente di ciò che s'è detto, e che si 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 457 


presumeva valere per tutti i dielettrici aventi un comportamento simile, si ricorse 
ad un condensatore a carta paraffinata della fabbrica di Cortaillod, che in esperienze 
precedenti aveva mostrato un isolamento eccellente, una variazione massima di carica 
non grande, ed una polarizzazione sensibilmente completa dopo un tempo relativa- 
mente breve; la capacità era circa 1 mF. La carica fu prolungata per più di tre ore 
mediante una serie di 50 piccoli accumulatori, tolti alla grandiosa batteria di 
10.000 elementi di cui il laboratorio fu recentemente dotato per lo studio di alti 
potenziali. Le curve continue di carica e scarica furono rilevate durante la prima 
mezz'ora ove si pronuncia la curvatura più marcata, e la parte della curva più inte- 
ressante è riferita nelle fig. 10 e 11. Le deviazioni erano lette ad ogni 10", avendo 
durante i primi 30” escluso dal circuito il galvanometro che aveva sensibilità gran- 
dissima. Siccome a cagione di questa la posizione di riposo dell’ago variava conti- 
nuamente di piccole quantità, dopo brevi intervalli di tempo si rimetteva il galva- 
nometro fuori circuito, facendo alcune letture dello zero che determinarono il percorso 
regolare della linea a partire da cui le ordinate dovevano essere misurate. Le due 
curve della tavola sono dedotte proporzionalmente dal disegno che si fece in scala 
5 volte maggiore sui risultati dell'esperienza. 

Se le due figure si sovrappongono cogli assi delle ordinate sulla medesima retta, 
essendo preso come origine il momento della prima chiusura del circuito, si vedono 
le due curve con molta approssimazione coincidere, e gli assi delle ascisse cadere 
- sopra due parallele distanti circa 32 mm. Ora questa distanza corrisponde a meno 
di decimi di mm. alla deviazione permanente che dopo la carica lunghissima si leg- 
geva al galvanometro, e che misurava certo la corrente che attraverso la resistenza 
ohmica non infinita del dielettrico mandava quella elevata differenza di potenziale. 
L'esperienza fu ripetuta parecchie volte, lasciando poi naturalmente per moltissimo 
tempo il condensatore in corto circuito per eliminare ogni influenza di cariche pre- 
cedenti; e sempre si ebbero risultati analoghi. 

Si può dunque affermare che per questo condensatore a carta paraffinata la 
scarica si faceva esattamente colla stessa legge della carica, e che la dispersione di 
quantità di elettricità durante tutto il processo osservato non era apprezzabile con 
sicurezza. E veramente qui correnti sensibili di conduzione interna non possono aver 
luogo alla scarica tra le armature che sono sempre in corto circuito ; e se una perdita 
di energia è avvenuta nell'atto della polarizzazione del mezzo, non è di tal ordine 
che qui la si possa avvertire. 

Per lo stesso condensatore la curva di carica fu ancora rilevata con 25 accumu- 
latori, e fu constatato con pari approssimazione la proporzionalità delle ordinate al 
potenziale. Non è dunque irrazionale parlare qui di una resistenza ohmica del dielet- 
trico indipendente dalla intensità di corrente. 

E se si rifletta che le elongazioni di scarica dopo durate eguali di carica 
sogliono essere, per un grandissimo numero di dielettrici comuni, proporzionali alla 
differenza di potenziale, e che questa proprietà fu verificata da noi per la seta e 
per altri coibenti anche per frazioni decimillesime di 1’, è molto verosimile che 
essa sussista per la maggior parte di questi corpi per tutti i tempi, cioè che per essi 
l’ordinata della curva di polarizzazione in ogni istante sia proporzionale al potenziale; 

Serie II. Tom. XLIV. n° 


458 LUIGI LOMBARDI 


legge che probabilmente vale anche per la elasticità, qualunque sia l’importanza delle 
deformazioni susseguenti. 


22. Curve di deformazione elastica della seta. 


La forma delle curve pubblicate da W. Weber per le deformazioni elastiche dei 
fili di seta concorda con quella della carica totale di un condensatore in generale; ma 
perchè appunto un condensatore a seta era stato studiato, era interessante vedere 
se qualche relazione semplice si scoprisse tra gli elementi di due fenomeni nella 
medesima sostanza. 

È però chiaro che la cosa non è facile, dal momento che le circostanze esterne 
hanno sul comportamento dielettrico una influenza grandissima, e quelle circostanze 
sole nelle quali una costanza notevole può per esso verificarsi, e dove le proprietà 
intime della sostanza hanno su quelle di corpi estranei la prevalenza, non possono 
essere se non con speciali artifizi realizzate per lo studio del comportamento ela- 
stico. Qui difatti un filo è sempre esaminato in uno' spazio libero da cui non può 
espellersi l'umidità, e, se questa fosse dall’ ambiente eliminata, sarebbe ben difficile 
togliere alla seta la massima parte dell’acqua di costituzione; ora è assai probabile 
che la presenza di questa modifichi le proprietà elastiche anche notevolmente. 

D'altronde, se si crede che l’analogia delle due deformazioni sia completa, si tro- 
vano per certi corpi anomalie marcate. Vedemmo che di un condensatore a lana di 
vetro la variazione di carica è enorme, e, se pure si debba ammettere che l’essicca- 
mento era nell’esperienza ancor molto imperfetto, non si può dimenticare che una 
lastra di vetro comune ben secca aveva mostrata una variazione quasi. dello stesso 
ordine di grandezza. È notissimo che il vetro in genere presenta i fenomeni di scarica 
residua in modo eminente. Qui furono esaminati dei fili di vetro lunghi alcuni metri, 
di cui s'è già detta l’analogia col vetro di quelle esperienze. Ebbene, assoggettando 
questi fili a sforzi diversi, cresciuti fino alla rottura, non si riescì a notare che una 
deformazione susseguente insignificante, appena apprezzabile pei carichi minori com- 
presi tra i limiti di elasticità. 

Per la seta stessa non poteva dunque cercarsi che l’ordine di grandezza delle 
modificazioni susseguenti, in quanto i mezzi di osservazione permettevano di apprez- 
zarle in confronto alle modificazioni totali. La proporzionalità al carico, la identifi- 
cazione delle curve per tensione aumentata e diminuita, non potevano facilmente 
ricercarsi qui, perchè i fili sottilissimi che dalla stoffa s'erano ricavati, curando di 
non assoggettarli a sforzi di trazione notevole, conservavano tutte le increspature 
del tessuto che complicavano colla loro resistenza alla distensione quella all’allun- 
gamento longitudinale del filo; quando esse sotto l’azione di un carico erano state 
quasi d’un tratto eliminate, lasciando luogo esclusivamente alla deformazione susse- 
guente della lunghezza, cessato il carico si ristabilivano in parte, facendo che la curva 
qui salisse molto più marcatamente e lungamente che là non si fosse abbassata. 

I fili di seta qui esaminati appartengono tutti alla stoffa adoperata pel primo 
condensatore, per cui la curva della carica totale in funzione del tempo fu riferita 
nella fig. 3. Questi fili venivano appesi ad un alto sopporto per la parte superiore, por- ri 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRILI 459 


tando in basso un piccolo uncino di metallo pesante pochi centesimi di grammo, il 
quale serviva e come zavorra per conservare il filo disteso senza deformarlo sensibil- 
mente, e come punto di collimazione pel cannocchiale del catetometro, e sosteneva i 
pesi che si volevano lasciar agire sul filo. Non si ricorse a mezzi più delicati per 
valutare gli allungamenti, quali si sarebbero potuti realizzare avvolgendo il filo a 
un piccolo tamburo portante lo specchio per la lettura angolare colla scala, od altri- 
menti, perchè le bave di seta potevano solo sopportare pesi assai piccoli senza che 
fossero superati i limiti di elasticità; onde sarebbe occorso dare al tamburo una 
massa eccezionalmente leggera, ed eliminare nel modo più perfetto le resistenze pas- 
sive che avrebbero ostacolato le piccolissime rotazioni. Del resto la sensibilità del 
catetometro, che dava col nonio e la vite micrometrica i centesimi di millimetro, 
era più che sufficiente per fili di lunghezza non inferiore ad 1 m. 

Weber adottò per consiglio di Gauss un artificio ingegnoso che permetteva di 
variare per gradi comunque la tensione. Il filo era cioè teso orizzontalmente tra una 
vite di trazione ed un robusto filo verticale fisso alla parte superiore e portante un 
peso opportuno, immerso nell'acqua per eliminare le oscillazioni. Quando si ritraeva 
la vite, il 2° filo era deviato dalla verticale, e la componente orizzontale della forza 
dovuta al peso e scomposta nella direzione dei due fili, dava la tensione del filo di 
seta. L'angolo di deviazione era letto col cannocchiale e colla scala, di cui l’immagine 
si rifletteva su un piccolo specchio applicato al filo che si deviava. Si aveva così 
l'inconveniente che la tensione poteva solo essere diminuita nel filo gradatamente, 
dovendo essere in ogni momento il filo stirato per le letture; di più la tensione era 
continuamente variabile col tempo, per l’azione susseguente, in tutte le fasi variabili 
della deformazione. Tuttavia questa variazione, essendo proporzionale alla variazione 


di elongazione del filo verticale, potè portarsi in conto per determinare la legge del 
fenomeno introducendovi un nuovo coefficiente. 


L'essenziale, se uno studio sistematico di queste deformazioni variabili si volesse 
fare, sarebbe di realizzare un mezzo per seguire quelle variazioni fino dai primi 
istanti in cui la forza è venuta ad agire; ora tanto il metodo di Weber quanto 
quello di carica diretta richiedono almeno un buon numero di secondi per aver col 
cannocchiale fatta la prima lettura; qui occorrevano a ciò generalmente 30". Inoltre 
converrebbe sempre assoggettare il filo prima ad una serie di cariche con pesi eguali 
o maggiori di quello con cui si vuol sperimentare, e di scariche, a fine di eliminare 
tutti gli effetti di deformazione permanente. È naturalmente necessario sottrarre il 
filo ad ogni variazione di temperatura, perchè il coefficiente di dilatazione termica 
è notevole, e gli allungamenti su lunghezze notevoli si rendono molto sensibili. 

Le figure 12 e 13 riportano le curve di carica e scarica mediante 1 gr. per un 
filo di seta lungo originariamente 103 em. Dopo 40’ l'allungamento essendo di circa 
26,45 mm., non molto inferiore all’allungamento massimo che sotto quel peso il filo 
avrebbe potuto subire, la variazione della deformazione dopo i primi 60" appare 
circa 8,5 °/. Se si vuol fare il confronto colla curva della carica totale del conden- 
satore a seta naturale, si deve riferire la variazione di carica totale fra gli stessi 
limiti di tempo non a tutta la carica, perchè una gran parte di essa si sarebbe ad 
ogni modo condensata sulle armature del sistema se fosse mancato il dielettrico, 
ma alla sola porzione che si può presumere dovuta alla polarizzazione del medesimo. 


460 LUIGI LOMBARDI 


Per avere una idea di questa basta sottrarre la carica istantanea ridotta nella ragione 
della costante dielettrica della ‘seta ad 1. Ebbene qui si trova una variazione enor- 
memente maggiore, perchè dopo i primi 60" di carica la massima parte della carica 
di polarizzazione era ancora da formare. La curva di scarica del filo ricorda più 
approssimativamente la forma della curva di scarica del condensatore, ma in parte 
se ne accennò già il perchè. Questo carattere è comune a tutte le curve di cui una 
serie numerosa fu rilevata in condizioni variate di lunghezza, di peso. 

Se si ricorre a bave di seta naturali, cioè tolte a fili naturali di bozzolo, che 
si presentano molto meglio distese, le differenze delle due curve scompaiono in gran 
parte come mostrarono parecchie serie di analoghe osservazioni. Però, se un dielettrico 
di questa natura si comportasse come la seta tessuta, e pare verosimile, bisognerebbe 
per ottenere tra gli stessi limiti di tempo una variazione paragonabile di polarizzazione 
considerare ‘almeno il sistema privo della massima parte dell’umidità .che allo stato 
naturale può avere condensata alla superficie ed internamente alla massa. 

In ogni caso non pare inverosimile che 1 fenomeni. di elasticità dipendano meno 
‘marcatamente dallo stato igrometrico della sostanza, e che scindendo in modo rigoroso 
la parte di quelli di polarizzazione che si devono alla presenza di corpi secondari 
si possano trovare variazioni dello stesso ordine di grandezza per alcuni corpi. 


23. — Concetto di Maxwell sui dielettrici: esperienze di Hess. 


È però chiaro che analogie della natura delle precedenti, le quali sono ridotte 
verosimilmente alla sola forma dei fenomeni, non ne implicano necessariamente una 
analogia stretta d’origine, sebbene possano studiarsi con frutto per dedurre degli uni 
o degli altri proprietà interessanti. Non altrimenti certe ipotesi artificiose possono ta- 
lora svilupparsi utilmente, sebbene più che per la loro verosimiglianza in ordine ai 
fatti della natura esse meritino di essere accolte come semplice modo di descrizione 
e di rappresentazione di questi. 

Così Maxwell si immaginava un condensatore a dielettrico lentamente polariz- 
zabile come un complesso di tanti condensatori ideali, a polarizzazione cioè istantanea 
e ad isolamento perfetto, collegati fra di loro in parallelo mediante grandi resi- 
stenze. Effettivamente la discussione di questa ipotesi non contraddice ad alcuno dei 
risultati sperimentali, ed il Dr. Behn-Eschenburg coll’analisi del caso più elementare 
di due condensatori soli ha compendiato in formole semplici i risultati del suo studio 
precitato di un cavo a guttaperca, mostranti la variazione della carica col tempo 
e della capacità colla temperatura. 

Recentemente il sig. Hess ha ripresa l’idea di Maxwell, ed in una memoria letta 
davanti la “ Société Francaise de Physique , (1), a conferma dei calcoli teorici con- 
frontò il comportamento di un condensatore imperfetto con quello di un sistema di 
due condensatori. messi in serie, possibilmente perfetti, ed aventi tra le armature 
l'uno una resistenza che si poteva ammettere infinita, l’altro una resistenza finita con- 


(1) © La Lumière félectrique ,, 26 nov.‘e 10 ‘dic.192; “The ‘Electrician ,, 3 marz.893. 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 461 


venientemente grande. Quando ;si chiude il circuito della pila la differenza di poten- 
ziale agli estremi del sistema resta costante; ma perchè la corrente di carica del 
primo condensatore deve attraversare la resistenza derivata sulle armature del se- 
condo, e, (dopo aver raggiunto nei primi istanti un massimo, deve col tempo dimi- 
nuire a zero, la differenza di potenziale sulle armature del condensatore shuntato 
dopo essere passata per un massimo cade ancor essa a zero, ed in corrispondenza 
quella dell'altro condensatore sale gradatamente fino al massimo valore permanente 
dato dalla \forza elettromotrice della pila. Le condizioni di equilibrio non si realiz- 
zano dunque se non con una certa lentezza, che dipende solo dalla ragione delle due 
capacità e dalla resistenza derivata. Alla scarica succede il fatto inverso, perchè la 
corrente di scarica attraversa in senso opposto quella resistenza, e la differenza di 
potenziale delle armature in questo condensatore passando per un massimo negativo 
viene a zero, onde, essendo zero la somma delle due, la differenza di potenziale nel 
primo diminuisce solo gradatamente col tempo. Se gli estremi si isolano a un dato 
istante, la differenza negativa del condensatore shuntato deve diventar zero, e quella 
dell'altro condensatore ha ancora un valore positivo che appare come differenza di 
potenziale totale quando la, prima si è, secondo la legge esponenziale ordinaria, annul- 
lata. Evidentemente però alla carica il.rapporto della forza elettromotrice alla corrente 
non ha nulla di comune col valore della resistenza, perchè in questo circuito essa è 
infinita, e solamente se una resistenza finita esistesse ancora tra le armature del 
‘primo . condensatore si arriverebbe ad equilibrio stabilito ad una corrente di regime, 
invariabile, per cui dividendo la differenza di potenziale sui morsetti della pila si 
avrebbe la misura della resistenza totale. In tal caso però il fenomeno non sarebbe 
più tanto semplice, perchè anche sulle armature del secondo condensatore si stabi- 
lirebbe una differenza permanente di potenziale. 

In complesso i fenomeni di ‘lenta polarizzazione si presentano con caratteri 
analoghi. 

Il sig. Hess eseguì la sua esperienza con. due condensatori a mica di capacità 
;rispettive 0.1 e 0.5 mF, mettendo sulle armature di, questo .in derivazione una resi- 
stenza di circa 1100 megohm. 

Per avere una idea della approssimazione. colla, quale i fenomeni di polarizzazione 
«lenta, possono così essere artificialmente riprodotti fu qui istituita una serie siste- 
«matica di. osservazioni, ‘variando singolarmente la ragione delle due capacità me- 
diante condensatori normali a mica graduati, e la resistenza derivata sulla prima 
di.esse. La resistenza, constava di sottili e lunghi tubi di vetro ripieni di una solu- 
“zione allungata di, solfato di rame, variamente collegati in. serie o .in derivazione. 
Le curve furono.rilevate per tempi brevissimi col pendolo, e,per.tempi ordinari nel 
imodo solito, ed effettivamente corrispondono. alla forma generale delle curve di, carica 
cdei condensatori da noi esaminati. 

La, variazione della capacità e della, resistenza ha l’effetto che.è facile a priori 
odi prevedere. Poichè la curva di..carica a parità di resistenza, sale tanto più lenta- 
«mente verso ;la. tangente orizzontale, e. possiede un ginocchio a curvatura tanto più 
;vampia, quanto, più piccola, è la. capacità shuntata . rispetto, quella isolata ; e. veramente 
al, limite se quella capacità.si riducesse.a zero ,si avrebbe nel. circuito solamente il 
«secondo. condensatore polarizzabile in; tempo, brevissimo, ma, in serie la grande resi- 


462 LUIGI LOMBARDI 


stenza ch’era derivata sul primo, pel cui effetto la curva esponenziale si manterrebbe 
per lungo tempo lontana dalla sua tangente. Se invece si riduce a zero la seconda 
capacità non ha più luogo alcuna carica; onde, quando quella è piccolissima, è piccola 
la quantità di elettricità che si mette in movimento e l'equilibrio è ben presto rag- 
giunto. Se si varia poi la resistenza del shunt e le due capacità sono invariate, la 
curva si avvicina tanto più presto alla tangente quanto la resistenza è più piccola; 
se questa difatti si annullasse, la prima capacità non avrebbe più alcun effetto e la 
seconda si caricherebbe istantaneamente, per quanto la polarizzabilità della mica, 
che è qui un elemento secondario, lo concederebbe. Se la resistenza diventasse infinita 
non sarebbero più realizzate le condizioni qui poste, perchè si avrebbero due conden- 
satori in cascata, e la capacità del sistema, diversa da quella che in tutti gli altri 
casi si aveva, si caricherebbe, com’è naturale, istantaneamente: ma se quella resi- 
stenza fosse solamente grandissima, la capacità effettiva sarebbe solo quella del 
2° condensatore, a caricare la quale occorrerebbe un tempo lunghissimo. 

Questo si è detto solo per conchiudere che con una scelta conveniente degli 
elementi del sistema si può sempre modificare a piacere l'andamento della curva, 
rendendo la variazione massima di carica, ed il tempo necessario perchè la carica 
sia completa, grandi quanto si vuole. È dunque sempre possibile con un sistema 
di questa natura approssimare la rappresentazione dei fenomeni di polarizzabilità 
susseguente, e la forma è sempre riversibile come pei dielettrici fu verificato. Ciò non 
implica però che in fatto alcun che di simile si verifichi, anzi è assolutamente vero- 
simile che il processo di polarizzazione dipenda da cause molto meno complicate. 


24. — Teoria dei dielettrici. 


La teoria più semplice e verosimile dei dielettrici si può ancora formulare 
prendendo a base l’idea enunciata da Faraday, che il dielettrico consista in un 
sistema di piccole masse conduttrici disseminate in un mezzo perfettamente isolante. 

Per una sfera conduttrice portata in un campo elettrostatico omogeneo è nota 
la legge semplicissima con cui si distribuisce l’elettricità indotta in ogni punto della 
superficie, variando la densità come il coseno dell’angolo che il raggio vettore corri- 
spondente della sfera fa colla direzione del campo. Se il potenziale di questa elettricità 
indotta si esprime per mezzo delle funzioni sferiche aventi per modulo quell’angolo, 
che è la sua espressione più semplice, si vede subito la forza ad esso dovuta in un 
punto qualunque esterno avere a quella in un punto interno la ragione dei cubi del 
raggio e della distanza del punto esterno dal centro. Siccome in tutti i punti della 
sfera conduttrice il potenziale è lo stesso, la forza ivi dovuta alla elettricità indotta 
è eguale e opposta a quella del campo. Da ciò deriva che, se il dielettrico si considera 
costituito da simili masse conduttrici di dimensioni molecolari disseminate a distanze 
non immensamente piccole, si potrà nello spazio che una qualunque di quelle masse 
occupa ammettere trascurabile rispetto la forza del campo tutte quelle dovute alle 
masse indotte di elettricità, cioè si potrà ammettere ognuna di quelle masse pola- 
rizzata nello stesso modo come se la sola forza del campo esistesse, intendendo per 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 463 


polarizzazione lo svilupparsi di masse elettriche di segno opposto per induzione elet- 
trostatica. 

La distribuzione di masse elettriche che è indotta così equivale per tutte 
le azioni esterne ad una distribuzione uniforme di elettricità sulle faccie terminali 
del dielettrico, contigue alle armature, come se una distribuzione uniforme di elet- 
tricità positiva nella massa del dielettrico, prima della polarizzazione neutralizzata 
da una eguale di elettricità negativa, all'atto di quella si fosse spostata di uno 
spazio elementare nella direzione del campo: e questa è la forma discussa da Maxwell. 
Questo spazio, e quindi la densità costante di quella distribuzione, è proporzionale 
alla intensità del campo, cioè alla densità della distribuzione uniforme iniziale di 
masse elettriche sulle armature. Se questa proporzionalità si riferisce alla densità 
massima che la elettricità indotta aveva sulla sfera, perchè questa a sua volta è 
proporzionale all’intensità del campo, si trova come coefficiente di proporzionalità 
un numero m che è caratteristico di ogni sostanza, e rappresenta il rapporto della 
porzione di volume occupato nel dielettrico dalle masse conduttrici al volume totale. 

Ora è chiaro che, quanto quella densità di distribuzione fittizia è più grande alla 
superficie limite del dielettrico, tanto minore è diventato il potenziale delle armature 
se la quantità di elettricità è rimasta invariata. Per conservare alle armature lo stesso 
potenziale occorre dunque una quantità nuova di elettricità, e noi diciamo per defini- 
zione la capacità del sistema essere cresciuta per effetto della polarizzazione del dielet- 
trico; è questo coefficiente di accrescimento che misura l’effetto della presenza del 
dielettrico, e che è perciò detto costante dielettrica del medesimo. È facile mostrare 


. 3m SL ERRONEUA ; ì 
che esso ha per espressione 1 + im? 0 è direttamente funzione della parte 


proporzionale di volume occupata da sostanza conduttrice. Pei dielettrici comuni, 
dove la costante dielettrica è rappresentata da numeri di poche unità, noi dobbiamo 
solo ammettere pochi decimi del volume occupati da materia conduttrice; nei gas, 
dove questa parte non può essere che piccolissima, possiamo ritenere la costante 
dielettrica rappresentata da 1 + 3 wm, cioè funzione lineare della densità come l’espe- 
rienza ha in ogni caso dimostrato. Nell’acqua, per citare uno tra gli elettroliti, la 
costante essendo elevatissima bisogna ammettere m notevole; ma si vede subito che 
la costante dielettrica deve diminuire crescendo la temperatura; difatti le esperienze 
recenti del sig. Heerwagen (1) hanno condotto alla formola 


x = 80,878 — 0.862 (6 — 179). 


Così la discussione teorica permette di renderci conto dell'aumento di capacità 
quando un dielettrico è presente. Ma essa non contraddice alle manifestazioni che 
da noi si sono constatate di polarizzazione susseguente. 

Difatti in ciò che s'è detto non s'è altrimenti definita la conduttività delle 
particelle del dielettrico se non ammettendo che il potenziale fosse lo stesso in con- 
dizioni di regime nei singoli punti d’ ogni particella isolata. La forma di queste 
notoriamente non ha effetto, perchè tutto il ragionamento si può estendere al caso 


(1) Wiedem. Ann., 6, 1893 


464 LUIGI LOMBARDI 


di forme qualunque, purchè le particelle si considerino eguali per semplicità, e dis- 
seminate a distanza notevole rispetto le loro dimensioni; e questo è in genere 
d'accordo coi principii della fisica molecolare. Ma quella definizione null’altro implica 
necessariamente riguardo alla natura di quella conduttività, e nulla ci persuade 
ch'essa abbia molti caratteri comuni colla metallica, o che le resistenze che là inter- 
vengono abbiano misure paragonabili a quelle dei conduttori comuni, o che la distri- 
buzione delle masse elettriche vi si faccia in tempi dello stesso ordine di grandezza. 
Nulla contraddice dunque all’ipotesi che la polarizzazione si vada facendo lentamente, 
e questa lentezza sia funzione della natura del corpo e delle condizioni in cu? esso 
si trova. Quando si trova in presenza un altro corpo estraneo i fenomeni di indu- 
zione avvengono in questo indipendentemente, e nelle condizioni che per questo sono 
caratteristiche; se la costante di questo dielettrico è notevolmente più elevata di 
quella del primo, e se i fenomeni di polarizzabilità susseguente vi si verificano con 
molta lentezza, come indubbiamente accade per l’acqua, tracce insignificanti di esso 
possono bastare a mascherare il comportamento del dielettrico principale. 


25. —- Isteresi elettrostatica. 


La energia di polarizzazione, che nel dielettrico si trova allo stato potenziale, 
verrebbe pertanto a poco a poco restituita man mano che, cessata l’azione esterna, 
le molecole polarizzate si riavvicinerebbero alla loro condizione primitiva. Ma sarebbe 
essa completamente restituita ? 

Se la conduttività delle particelle disseminate nel dielettrico fosse della natura 
di una conduttività metallica la polarizzazione sarebbe istantanea, e 1 energia 
potenziale condensata nella massa sarebbe completamente ritrasformata in energia 
cinetica quando le armature si chiudessero in corto circuito. Ma la differenza che 
noi riscontriamo in quella conduttività ipotetica rispetto alla conduttività ordinaria fa 
prevedere che anche una quantità di energia possa nella doppia trasformazione essere 
dispersa in calore. 

Se per esempio noi supponiamo che le molecole abbiano assi di polarizzabilità 
particolare, che cioè l’induzione di masse elettriche per le forze elettrostatiche 
avvenga in direzioni determinate di preferenza che in altre, le molecole conduttrici 
cercheranno di orientarsi così che l’asse di polarizzazione principale sia nella direzione 
del campo, tenderanno cioè a rotare come le molecole elastiche nella teoria di 
Weber. Allora la condizione stessa che farà non essere la polarizzazione istantanea 
farà che un lavoro sia speso a vincere le resistenze molecolari. Il meccanismo della 
polarizzazione elettrostatica si mostrerebbe così strettamente analogo a quello della 
polarizzazione magnetica. Il lavoro disperso potrà essere caratterizzato come un lavoro 
d'attrito molecolare se si ammetterà che un attrito esista tra le molecole, e che possa 
essere governato da leggi che abbiano analogia con quelle dell’attrito dei corpi solidi. 

Se con un concetto analogo a quello dei magneti molecolari di Weber si volesse 
ammettere che le particelle del dielettrico possedessero per loro stesse una polarità 
elettrica permanente secondo assi determinati, ma orientati inizialmente in modo 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 465 


indifferente, si incontrerebbe ancora l’ipotesi di un lavoro speso nelle rotazioni per 
l'orientamento delle molecole nel campo elettrostatico, ma la polarizzabilità della 
massa avrebbe un limite analogo a quello di saturazione dei corpi magnetici, e vi 
sì avvicinerebbe dessa come questi alla saturazione loro, sempre più lentamente al 
crescere la forza elettrostatica. Questo però non è provato per ora dalla esperienza, 
la quale pare piuttosto conduca all'idea della proporzionalità della polarizzazione 
alla forza. 

Comunque è certo che una perdita di energia nella polarizzazione avviene, come 
prova il fatto noto da tempo che un condensatore assoggettato a cariche alternate 
si riscalda. Quella perdita può essere con frutto e razionalmente confrontata colle 
perdite di isteresi magnetica, come hanno fatto recentemente il signor Steinmetz (1), 
il signor Janet (2), e l'ing. Arnò (3); vogliasi poi accogliere come più probabile l’ipotesi 
di Wiedemann di un vero attrito molecolare, o vogliasi cercar di seguire anche qui 
l’idea moderna accettata per spiegare il meccanismo della polarizzazione magnetica 
mediante le sole azioni mutue tra le masse elementari polarizzate. 

È noto che il prof. Ewing è così riuscito a chiarire tutti i fenomeni di magne- 
tizzazione nella fase variabile col tempo e nella porzione che rimane come residuo 
al cessare della forza (4), al che si prestavano meno completamente le teorie di 
Weber e di Maxwell sull'esistenza d’una forza direttrice tendente a riportare le mole- 
cole magnetiche alla loro prima posizione, od in ogni caso, o solamente quando da 
questa esse fossero deviate d’un angolo inferiore ad un limite dato. Ora le forze tra 
le masse elettriche sono della stessa natura e governate dalle stesse leggi delle forze 
tra masse magnetiche. 

Nel caso della polarizzazione magnetica tutti i risultati della esperienza si ritro- 
vano nella teoria se si suppone che un determinato tempo passi dall’applicazione della 
forza al momento in cui la magnetizzazione ha raggiunto il suo valore corrispon- 
dente. Quel tempo si è imparato a misurare, e ad esprimere in funzione di esso le 
perdite di isteresi; esperienze recentissime con correnti alternative eseguite nel labo- 
ratorio di Zurigo ne hanno messo in sodo la dipendenza dalla frequenza e dalla 
caduta di potenziale, e formeranno oggetto di un altro mio piccolo studio. 

. Nel caso della polarizzazione elettrostatica l’ ipotesi di un ritardo di quella 
natura non offre per principio minore verosimiglianza, dal momento che le stesse 
variazioni di polarizzazione non avvengono che lentamente. 

Se un ritardo simile interviene, non è nemmeno difficile immaginare artifizi 
opportuni per constatarlo e per misurarlo, così nel caso in cui quelle variazioni 
avvengano lentamente, come in quello in cui si debbano ad una corrente alternativa 
di frequenza qualunque; poichè in ciascuno di questi il dielettrico può presentare un 
‘comportamento diverso, dipendentemente dalla rapidità delle variazioni, o dalla am- 
piezza, o dalla forma loro. 


(1) © Elektrotechnische Zeitschrift ,, 29 aprile 1892. 

(2) “ Comptes rendus ,, 20 febbraio 1893. 

(3) “ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei ,, 16 ottobre 1892; 30 aprile 1893. 
(4) “ Proc. Roy. Soc. ,, XLVII, 1890; “ Phil. Mag. ,, settembre 1890. 


Serie II. Tom. XLIV. Ti 


466 LUIGI] LOMBARDI 


Così presso una ordinaria macchina alternatrice sarebbe facile rilevare ed ana- 
lizzare le curve della forza elettromotrice e della carica del condensatore, messo 
direttamente in serie sui suoi poli, per dedurne direttamente la differenza di fase. 
Per assoggettare invece a lente variazioni di polarizzazione un pezzo di dielettrico 
basterebbe lasciarlo oscillare in un campo elettrostatico sensibilmente uniforme, e qui 
si potrebbe studiare la variazione della legge di oscillazione per effetto del ritardo 
di polarizzazione, che originerebbe. una coppia ritardatrice in ogni istante proporzio- 
nale al seno della sua misura angolare. Si constaterebbe così se quel ritardo esiste, 
perchè per scoprire la variazione di esso in funzione degli elementi che lo possono 
modificare occorrerebbe prima determinare esattamente l’azione che questi hanno sulla 
intensità della polarizzazione, cosa che non è ancora fatta. In modo analogo l’appa- 
recchio recentemente costrutto dall'ing. Arnò utilizza colla maggiore semplicità ed 
eleganza il principio delle rotazioni elettrostatiche, e misura per mezzo della torsione 
di una sospensione bifilare il momento che un campo elettrostatico continuamente 
rotante esercita sopra il dielettrico. 

È facile definire come questo momento sia funzione di quel ritardo, nell'ipotesi 
in cui ad esso sia esclusivamente dovuto. 

Difatti noi possiamo immaginarci la direzione del campo precedente in ogni 
istante nella rotazione la direzione della polarizzazione per un angolo x. Siccome in 
un campo uniforme, finchè la distribuzione di elettricità indotta non origina forze 
notevoli rispetto quella del campo, ogni elemento del dielettrico si polarizza nello 
stesso modo, noi possiamo considerare questa polarizzazione come equivalente ad una 
distribuzione di masse elettriche di segno opposto sulle opposte faccie dell'elemento 
nella direzione della polarizzazione. La densità è quella che in un condensatore noi 
abbiamo già considerato idealmente alle faccie di termine del dielettrico contigue alle 
armature, e che ci è nota in funzione della costante dielettrica e della intensità del 
campo. Ogni elemento avrà dunque un momento elettrostatico, definendo così il 
prodotto delle masse di elettricità alle faccie opposte per la loro distanza; il momento 
sarà proporzionale al volume, e la somma di tutti i momenti elementari darà il mo- 
mento totale. Nel campo rotante supposto uniforme la polarizzazione si produce 
ancora in modo analogo, salvo che un ritardo esiste, cioè la direzione del campo e 
quella del momento elettrostatico fanno un angolo fra di loro. Ma per definizione 
del campo elettrostatico ogni massa elettrica in questo sarà sollecitata nella dire- 
zione di esso da una forza ad essa proporzionale, e l’azione sull’elemento di dielettrico 
sarà un momento di rotazione elementare, e l’azione totale un momento totale eguale 
al momento elettrostatico moltiplicato per la intensità del campo e pel seno del- 
l’angolo che noi abbiamo chiamato «. 

Compendiando in formole, se K è la intensità del campo, ognuna delle sfere 
elementari conduttrici di cui noi immaginiamo costituito il dielettrico prende una 
distribuzione superficiale di elettricità indotta la cui densità in un punto qualunque, 
sul vettore che fa l'angolo @ colla direzione del campo, è 


K 
7 COS = O COS Q. 


gl 


Se una di queste sfere conduttrici di raggio R è contenuta in ogni volume elementare 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 467 


pari ad un cubo di lato a, immaginando in così fatti elementi suddiviso tutto il 
c n 4 RI 9 ò Da bs E 
dielettrico, ang il numero che noi chiamammo già m, così che la densità super- 


ficiale della distribuzione di elettricità che idealmente ci rappresenta la polarizzazione 
del dielettrico è 


R3 
Mio K, 


che per noi è meglio conservare nella forma 


S 
Fi 


4 ’ 
3 T 


perchè noi ricaviamo m dalla costante dielettrica. Se il volume del dielettrico è V, 
ed il campo è uniforme, così che la polarizzazione lo sia a sua volta, il momento 
elettrostatico sarà dunque 


mK 
Var; 
TU AI 


ed il momento di rotazione 


m K° 
Vir Sen, 


3 Tr 


a cui sono proporzionali le perdite così dette di isteresi elettrostatica. 

Se per una data frequenza la polarizzazione avvenisse proporzionalmente al poten- 
ziale per ogni valore di questo, come per alcuni valori pare da noi dimostrato, le 
perdite sarebbero proporzionali al prodotto della intensità quadrata del campo pel seno 
dell’angolo che misura il ritardo della polarizzazione rispetto alla forza. 

Una forma analoga compendia l’analisi dei fenomeni di polarizzazione magnetica 
nel caso di un trasformatore a corrente alternativa, ed esprime le perdite di isteresi 
in funzione del ritardo angolare della magnetizzazione rispetto alla forza, e del 
coefficiente di induzione propria della spirale primaria. Queste perdite, che l’ espe- 
rienza mostra indipendenti dal carico del trasformatore, si possono rappresentare con 


P.I. sen 2tTtnx, 


ove P, è la differenza efficace di potenziale sui morsetti primari; I.o la intensità 
efficace della corrente primaria quando la spirale secondaria è aperta; 2tnx è il 
ritardo di magnetizzazione, se x si valuta in tempo. Ora la resistenza del primario 
non ha effetto sensibile rispetto alla selfinduzione Q, nella resistenza apparente, onde 
può ritenersi 
| lo = ene ’ 

2Tn0Q 


cioò le perdite di isteresi possono rappresentarsi con 


Pi sen(2T% a) 
PAVEZION ‘ 


468 LUIGI LOMBARDI 


o con molta approssimazione con 


P.rx 


Qi 


Le nostre esperienze hanno dimostrato che crescendo P, il ritardo di magnetiz- 
zazione va lentamente diminuendo. D’ altronde, essendo il ferro nei trasformatori 
generalmente lontano dalla saturazione, Q, cresce al crescere l'intensità di corrente, 
cioè la differenza di potenziale, come dimostra la forma della curva di magnetiz- 
zazione. Perciò per doppia ragione le perdite nel ferro crescono meno rapidamente 
del quadrato del potenziale primario, cioè della forza magnetizzante; e le due varia- 
zioni simultanee rispetto alla semplice legge di proporzionalità, le quali si possono 
rappresentare mediante diminuzioni rispettive dell’esponente nella formola, si accor- 
dano tra i limiti fra cui il trasformatore è generalmente adoperato in modo che quel- 
l'esponente ridotto si conservi sensibilmente costante e prossimo al valore 1,6 dato 
da Steinmetz. Ma è verosimile che per intensità di magnetizzazione molto minori, 
dove la curva di magnetizzazione si stacca più lentamente dalla tangente orizzontale, 
e per intensità molto maggiori, in corrispondenza alle quali Q, cresce assai lenta- 
mente, l'esponente della formola di Steinmetz non sarebbe perciò più esatto. 

Nel caso di un condensatore nulla è permesso di dire per ora con sicurezza 
riguardo al ritardo di polarizzazione, perchè questo non è ancora mai stato diretta- 
mente misurato, ed è per ora una ipotesi. Però se un ritardo esiste è molto vero- 
simile che la sua variazione in funzione del potenziale sia di un ordine di grandezza 
assai piccolo o nullo, per quanto possono far supporre le forme rilevate delle curve 
di polarizzazione, che, pure per tempi notevolmente più brevi di ‘quelli che alle 
ordinarie frequenze corrispondono, si mostrano del tutto indipendenti dal potenziale. 
In tal caso le perdite di isteresi elettrostatica risulterebbero proporzionali al quadrato 
della intensità del campo, come già nelle sue prime esperienze sopra un condensatore 
a carta paraffinata il sig. Steinmetz (1) aveva verificato, misurando l’energia dissipata 
col wattometro. 

L'ing. Arnò (2) nei primi risultati pubblicati delle sue misure dedusse da una 
serie di osservazioni sopra un cilindro di ebanite un esponente di variazione delle 
perdite d’ isteresi elettrostatica in funzione del potenziale che si scosta poco dal- 
l'esponente di Steinmetz per la isteresi magnetica. 

In seguito a ciò Steinmetz (3) ha ripetute le sue esperienze, misurando ancora 
direttamente l’energia dissipata mediante il wattometro; ma scegliendo tali valori 
della resistenza e selfinduzione della spirale in derivazione di questo, che il ritardo w 
da essa prodotto nella corrente che l’attraversa sia poco differente dal ritardo a che 
in causa della polarizzazione non istantanea del dielettrico subisce la corrente di 
carica attraversante la spirale principale. Siccome nell’energia che il wattometro 
w, e siccome W è costante, 


misura entra come fattore il seno della differenza a 


(1) “ Elektrotechnische Zeitschrift ,, 29 aprile 1892. 
(2) © Rendiconti della R. Acc. dei Lincei ,, 30. aprile 1893. 
(3) “ Electrical World ,, 26 agosto 1893. 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 469 


il metodo è particolarmente atto a mettere in rilievo le variazioni di a, se esse suc- 
cedono. Ma variazioni di questa natura tra i limiti estesi di queste osservazioni non 
fu possibile di constatare, onde parrebbe confermato che quel ritardo di polarizza- 
zione sia costante. 

Per rendersi ragione dei risultati delle esperienze di Arnò, Steinmetz si forma 
l’idea che nei dielettrici esista una doppia perdita di isteresi; una statica, la quale 
sarebbe analoga alla perdita di isteresi magnetica, e potrebbe essere governata da 
una legge eguale; ed una viscosa, la quale varierebbe come il quadrato della fre- 
quenza e della intensità del campo, non altrimenti che la perdita nel ferro per cor- 
renti di Foucault. Per piccole frequenze ed intensità di campo, come Arnò ha ado- 
perato, la prima potrebbe preponderare sulla seconda, e per frequenze grandi ed 
intensità notevoli essere non di meno quasi completamente mascherata da questa. 

L'ipotesi è ingegnosa, sebbene non accenni ad alcuna causa probabile per cui 
la isteresi statica debba variare con una legge non quadratica. L’analogia colle per- 
dite per correnti di Foucault ha anche caratteri di verosimiglianza, poichè ogni modi- 
ficazione dell’intensità del campo è prodotta mediante correnti variabili, le quali 
generano campi magnetici: nelle particelle conduttrici del dielettrico possono perciò 
prodursi correnti parassite; anzi queste sarebbero l’unica causa della dispersione di 
energia nei dielettrici secondo la teoria sostenuta da Hess (1). 

Quanto all'osservazione sulla influenza della frequenza differente, essa ha forse 
peso minore in seguito alle esperienze del prof. Sahulka (2), eseguite pure sopra un 
condensatore a carta paraffinata. Queste confermarono la proporzionalità della dissi- 
pazione di energia al quadrato del potenziale, sebbene siano state verosimilmente 
fatte con frequenze assai minori di quella che Steinmetz ha adoperata, e più vicine 
a quella di Arnò. i 

Però resta la differenza dei limiti tra i quali l’intensità del campo fu variata 
nell’apparecchio di Arnò e si suol variare nei condensatori comuni. Infatti questi 
hanno quasi sempre uno spessore di dielettrico piccolissimo tra le singole armature, 
e tuttavia le misure dirette dell’energia dissipata con capacità non molto grandi 
richiedono l’impiego di potenziali notevolmente elevati. Per ora non è sufficientemente 
dimostrato che nell’intervallo totale che deve abbracciare quei limiti differenti il 
valore della costante dielettrica apparente, da cui noi dobbiamo dedurre il coeffi- 
ciente m della nostra formola, sia costante, e non si può nemmeno escludere 4 priori 
che su di esso frequenze molto elevate possano avere un’ influenza non trascurabile. 

Sopratutto resta la differenza sostanziale della forma secondo la quale la perio- 
dica variazione di campo si produce nei condensatori caricati con una semplice cor- 
rente alternativa, e nell’apparecchio di Arnò a campo continuamente rotante. Nostre 
esperienze hanno mostrato che le perdite di isteresi magnetica dipendono sensibil- 
mente dalla forma della corrente magnetizzante, anche quando la differenza è solo 
quella tra una curva sinusoidale semplice ed una curva complessa che risulta dalla 
«somma di curve sinusoidali di frequenza diversa. Per ora non è ancor dimostrato 


(1) “ La Lumière électrique ,, 26 nov.-10 dic. 1892. 
(2) “ Wiener Sitz. Ber. ,, luglio 1893. 


470 LUIGI LOMBARDI 


che nei campi magnetici rotanti le perdite di isteresi del ferro siano governate dalle 
stesse leggi che valgono nei campi somplicemente alternativi. Tanto meno si potrà 
presumere che leggi identiche valgano nei due casi per la isteresi elettrostatica. 

Che se una differenza di questa natura si verificasse, il nostro ragionamento 
teorico non varrebbe più nemmeno rigorosamente nel caso del campo rotante delle 
esperienze di Arnò. Invero, il campo rotante in queste è generato mediante due campi 
alternativi componenti che si producono con intensità eguale e differenza di fase 
di 90° fra due coppie di lastre di dimensioni 42 X 21 mm., affacciate alla distanza 
di 42 mm. Questi campi sono dovuti a differenze di potenziale prodotte da una mac- 
china Siemens, di cui la curva della forza elettromotrice è con molta approssima- 
zione sinusoidale. Così è soddisfatta la prima condizione perchè il campo risultante 
abbia intensità indipendente dal tempo. Ma qui non sono soddisfatte che approssi- 
matamente le condizioni per cui l'intensità sia indipendente dal punto dello spazio 
nel quale il campo si considera. Difatti i due campi elementari non sono certamente 
uniformi, e non lo può essere il campo risultante in tutto lo spazio occupato dal 
dielettrico ; nè perciò lo può essere la polarizzazione di questo. 

A ciò si potrebbe verosimilmente ovviare in gran parte generando invece di due 
soli campi due coppie di questi tra quattro sistemi di lastre a curvatura cilindrica, 
due a due opposte, e abbraccianti il cilindro cavo di sostanza che si studia in una 
forma analoga a quella degli elettrometri a quadrante di Edelmann. I campi opposti 
dovendo essere eguali, richiederebbero solo due differenze di potenziale; ma i campi 
tra lastre molto vicine e parallele potrebbero rendersi più intensi crescendo la sensi- 
bilità, e più omogenei, cosa indispensabile per poter valutare con conveniente appros- 
simazione la forza ed il coefficiente di isteresi. Le quattro lastre interne potrebbero 
anche unirsi in un solo cilindro metallico, da tenersi a potenziale costante con una 
comunicazione a terra, e dove masse elettriche sarebbero solamente provocate per 
induzione; l’artificio sarebbe specialmente utile per esaminare il comportamento di 
sostanze ricavabili in fogli sottili facilmente pieghevoli, poichè allora basterebbe dar 
loro per sopporto un cilindro leggero per es. di carta rivestito di stagnola, oppure 
un cilindro di lastra sottilissima di alluminio. 

Finalmente non può essere dimenticato che in queste manifestazioni dei fenomeni 
di isteresi, i quali devono evidentemente essere legati da vicino a quelli di polariz- 
zazione lenta dei dielettrici, le condizioni esterne possono avere una grandissima 
influenza, e le proprietà del corpo che si studia possono essere in gran parte masche- 
rate da quelle di corpi secondari, come traccie di umidità. Noi vedemmo che l’ebanite 
e la mica che assorbirono una piccola quantità d’acqua presentano una variazione di 
carica addirittura colossale: in tal caso la sola presenza di un essiccante ordinario 
nell'ambiente chiuso dell'apparecchio non sarebbe sufficiente a ridurre la sostanza 
allo stato normale. 

L'ing. Arnò ha in questi ultimi mesi istituita una serie sistematica di misure 
sopra campioni di dielettrici i più disparati. Quando i nuovi risultati saranno noti 
potrà accertarsi se e fino a qual punto le previsioni teoriche siano verificate in 
quelle condizioni particolari di esperimentazione (1). 


(1) Nei Rendiconti della seduta del 12 novembre 1898 della R. Accademia dei Lincei, pubblicati 


TRI cai 


"TRA po e 


LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 471 


Comunque, il problema della applicazione razionale dei condensatori alla distri- 
buzione di correnti alternative, pel quale è resa tanto interessante la determinazione 
delle leggi quantitative di questi fenomeni, ha troppa importanza perchè ad esso non 
debba volgersi l’attenzione di tutti gli studiosi di cose elettriche. 


dopo la presentazione di questa Memoria, sono riferiti i risultati delle misure dell’ing. Amò a cui 
in questa s'era fatto allusione. 

Questa lunga serie interessante di osservazioni, estesa a 14 dielettrici diversi, ha riconfermata 
nell’autore l’idea che la dissipazione di energia nel campo elettrostatico rotante sia dovuta ad una 
vera isteresi elettrostatica, regolata da una legge eguale a quella che Steinmetz verificò per l’isteresi 
magnetica nel ferro. Solamente una serie ulteriore di esperienze comparative potrà constatare se 
questa conclusione si verifichi anche nel caso dei condensatori nei circuiti di semplici correnti 
alternative. 

Intanto nei risultati attuali è notevole che la mica, la quale, opportunamente preparata, si com- 
porta rispetto ai fenomeni di polarizzazione come ottimo tra i dielettrici conosciuti, qui presenterebbe 
il massimo coefficiente di isteresi. La minima dissipazione di energia tra i dielettrici più comunemente 
adoperati si riscontrerebbe nella paraffina, e questo si accorda coi risultati di esperienze recenti del 
sig. Kleiner (*) e di altre ultimamente istituite nel laboratorio di Zurigo per misurare direttamente 
il riscaldamento del dielettrico sotto l’aziore di cariche alternate ad alta frequenza ed alto potenziale. 
La variazione di temperatura della paraffina apparve quasi inapprezzabile, sebbene ricercata coi più 
delicati metodi di misura di resistenze metalliche, aventi coefficiente di variazione notevole. 

Ma il risultato più importante sta nell’ordine di grandezza dei coefficienti di isteresi che Arnò ha 
misurato in valore assoluto. Difatti, ammettendo anche che nella mica e nelle altre sostanze il 
fenomeno non sia qui stato turbato dalla presenza di traccie di umidità, la dissipazione di energia nei 
dielettrici principali delle misure predette quando il campo elettrostatico ha una intensità eguale ad 
un’unità C.G.S. sarebbe compresa tra 556 e 21 erg per centimetro cubo e per 1”, essendo solo legger- 
mente minore per la gommalacca e per l’ambra. Siccome la frequenza era di 40 periodi per 1”, 
l'energia dissipata sarebbe compresa tra 13.6 e 0.52 erg per 1 cm.} e per ciclo di polarizzazione, e si 
conserverebbe per la maggior parte dei coibenti più vicina a questo limite minore. La grandezza di 
questi coefficienti sarebbe notevolmente più alta di quella dei coefficienti d’isteresi magnetica dati 
da Steinmetz, i quali per una massima induzione magnetica rappresentata da un’unità C.G.S. cor- 
rispondono ad una perdita per ciclo di 0.002 a 0.08 erg per 1 cm.5, dal più dolce ferro fucinato al più 
duro acciaio adoperato per magneti permanenti, conservandosi per buoni materiali ordinari più vicina 
al limite minore. Però in quasi tutti gli apparecchi dove il ferro è utilizzato per le sue proprietà 
magnetiche, e dove le perdite di isteresi possono avere un’importanza non trascurabile, il flusso 
unitario d’induzione magnetica suol essere dell'ordine di parecchie migliaia. Nei condensatori comuni, 
anche in quelli costrutti per le più alte differenze di potenziale alternative, difficilmente l’intensità di 
campo supera un centinaio di unità assolute. Se nei due casi, per assumere valori non lontani dai 
medii, le intensità dei campi misurate nelle rispettive unità fossero rappresentate da 10.000 e da 100, 
e se le dispersioni di energia seguissero la stessa legge esponenziale, la ragione dei fattori esponen- 
ziali delle quantità di energia dissipate sarebbe all’incirca 1600 :1, cioè di un ordine di grandezza 
che differisce poco da quello della ragione inversa dei rispettivi coefficienti di isteresi. 

A parità di frequenza le dissipazioni di energia per unità di volume sarebbero dunque pa- 
ragonabili! 


(*) “ Wiedem. Ann. ,, 50. 1893. 


472 


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LUIGI LOMBARDI — LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 


INDICE DELLE MATERIE NEI DIVERSI PARAGRAFI 


. Polarizzabilità lenta di alcuni dielettrici. 

. Un condensatore a seta: costante del dielettrico. 

. Influenza dell’umidità sulle proprietà del dielettrico. 

. Proporzionalità della carica al potenziale. 

. Misura della resistenza del dielettrico col metodo della perdita di carica. 
. Misura diretta mediante l'intensità di corrente. 

. Indipendenza della resistenza della seta dalla intensità di corrente. 

. Variazione della carica residua in funzione del potenziale. 

. Variazione in funzione della durata di carica. 

. Fenomeni di carica e scarica durante tempi brevissimi. 

. Cariche e scariche oscillanti. 

. Periodo di oscillazione. 

. Durate brevi di carica col pendolo di Helmholtz. 

. Il primo condensatore a seta essiccata. 

. Altri condensatori a seta. 

. Un condensatore a seta di capacità notevole. 

. Variazioni di carica per dielettrici diversi. 

. Osservazioni sui fenomeni di lenta polarizzabilità. 

. Fenomeni di lenta deformazione elastica: misura del modulo di elasticità. 
. Analogia dei fenomeni di lenta polarizzazione dielettrica: misura delle capacità. 
. Leggi dei fenomeni inversi di polarizzabilità. 

. Curve di deformazione elastica della seta. 

. Concetto di Maxwell sui dielettrici: esperienze di Hess. 

. Teoria dei dielettrici. 

. Isteresi elettrostatica. 


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Tav. I 


Fig. 3.6.7.8.9.- Curve di carica con dielettrici diversi 


204 


203 


305 | 


305 

303 H 303 

301 301 
Paraffina 

299 299 


| 95 


Ebanite LIB 


170, 


150 150 


005 Ù 010 | 0515 


Fig. 12.13 - Deformazioni elastiche di un filo di seta 


10 


10, 20' 30 


DITTERI DEL MESSICO 


PARTE TERZA 


MUSCIDAE CALYPTERATAE 
OCYPTERINAE, GYMNOSOMINAE, PHASINAE, PHANINAE, TACHININAE, 
DEXINAE, SARCOPHAGINAE 


MEMORIA 
DEL 


Dott. E. GIGLIO-TOS 


Assistente al R. Museo di Anatomia comparata. 


CON 1 TAVOLA 


Approvata nell’ Adunanza del 17 Dicembre 1893. 


MUSCIDAE CALYPTERATAE 
OCYPTERINAE 
I — Gen. OCYPTERA. 


LarREtLE, Histoire nat. des Insec. et Crustac., XIV, p. 378 (1804). 


1. — Ocyptera Dosiades. 


Ocyptera Dosiades Warker (39), Part IV, p. 695. — van per Wurp (84), 
p. 15, 1. — Trier Towxsen (31), I, p. 143. 

? Ocyptera Euchenor Wauker (37), Part IV, p. 696. — Trrer Towxsenp (31), 
.I, p. 144. 

Ocyptera binotata Bisor (2), p. 44, 4. — TyLer Towwsen (81), I, p. 144. 

Ocyptera soror Braor (2), p. 46, 8. — van per WutP (6), IL, p. 5, 1. 

Ocyptera simplex Bisor (2), p. 47, 9. 

Ocyptera atra Ròper (22) p. 344. 


Ho potuto esaminare 13 esemplari in parte maschi ed in parte femmine i quali 
corrispondono all’una od all’altra delle descrizioni sopracitate. Dopo un’osservazione 
accurata dei singoli individui non mi fu possibile assolutamente di distinguerli in 
varie specie, ma dovetti comprenderli in una sola ed unica, molto variabile però nella 

Serie II. Tom. XLIV. dì 


474 DITTERI DEL MESSICO 


colorazione. I caratteri costanti di questa specie sono la colorazione nera delle an- 
tenne, della proboscide, del torace e dello scudetto, dei piedi, e la colorazione bianca 
delle calittere. Variano invece assai la colorazione della faccia e dell'addome, l’in- 
tensità della infoscatura delle ali, la statura, la leggera pollinosità del torace, e le 
nervature alari; ma si nota un così graduale ed insensibile passaggio nel variare di 
essi che non mi fu possibile fare una separazione netta delle varie forme. 

In tutti gli esemplari mancano le setole discali dell'addome e solamente sono 
presenti quelle presso il margine posteriore dei segmenti. Le macchie giallo-rossiccie 
laterali dell'addome sono talora così grandi da occupare buona parte dei segmenti 
secondo e terzo (0. Dosiades) e in tal caso le ali sono talora più intensamente offu- 
scate (0. dinotata); oppure le macchie addominali occupano una più piccola parte 
laterale dei segmenti (0. soror) e talora scompaiono affatto (0. atra). Le dimensioni 
variano da mm. 10 a mm. 7. 

La faccia, generalmente a riflessi bianchicci, ha talora riflessi giallicci special- 
mente verso la sua sommità ed ai lati del fronte. Le ali sono più o meno intensa- 
mente offuscate ; la vena trasversa apicale, talvolta fortemente, tal’altra più debolmente 
arcuata; la vena trasversa posteriore curva o quasi diritta; la vena quarta longi- 
tudinale munita di breve appendice o priva. La lunghezza degli uncini dei piedi è il 
carattere sessuale secondario del maschio. 

Noto inoltre che il nome specifico di soror dato dal Brgor non potrebbe essere 
accettato, perchè già usato dal WirDEMANN per indicare un’altra specie di Ocyptera 
del Capo di Buona Speranza (40) Ig p. 652, 7. 

Ocyptera minor RéDER (22), p. 344, è distinta da questa specie per avere le setole 
discali sull’addome. 


Has. — Nord-America: Nova Scotia, Massachusset, Newfoundland (37), Balti- 
more (2), Quebec (34), Minnesota, New Messico, Jowa, Illinois (31) — Portorico (22) 
— Messico (2): Orizaba (6), Orizaba (Boucarp, SUMICHRAST). 


II. — Gen. XANTHOMELANA, 
van DER Wutr (35), p. 188. 


2. — Xanthomelana articulata. 
(Fig. 12, capo). 


Xanthomelana articulata van per Wuxr (35), p. 188. 


Maschio. —. Faccia concava bianco-gialliccia con riflessi dorati, ai lati delle 
antenne giallo-dorata; epistomio molto sporgente; ai lati della bocca una serie di 
piccole setole; vibrisse deboli ed inserite assai al di sopra del margine orale, — 
Proboscide lunga quanto è alto il capo, nera; palpi lunghi come la proboscide, fili- 
formi, gialli, neri all'estremo apice. — Fronte larga al vertice un terzo della lar- 
ghezza del capo, e tutta occupata quivi dalla striscia mediana larga, nera, vellutata; 
ai lati in basso giallo-dorata: ad ogni lato di essa una ‘serie di deboli setole inero- 
ciate, che discendono solo fino alla base delle antenne, — «Antenne nere; il primo 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 475 


articolo cortissimo, il secondo un po’ più lungo con alcuni peli superiormente; il terzo 
triplo del secondo, stretto, lineare, un po’ concavo superiormente, un po’ convesso al 
di sotto; stilo nero, lungo quanto il terzo articolo, ingrossato per quasi tutta la sua 
lunghezza. — Occhi grandi, giungenti fin presso al margine orale, oltrepassando le 
vibrisse, nudi. — Torace nero, vellutato; una fascia sottile trasversale nel mezzo e 
due larghe striscie laterali che congiungono la fascia al margine anteriore, giallo- 
dorate; petto e pleure grigio-pollinosi. — Scudetto nero; due setole all’apice incrociate 
e due più lunghe ai lati di queste divergenti. — Addome lungo, quasi conico, giallo, 
sparso di piccoli peli neri; sul secondo e terzo segmento una macchia neriecia lon- 
gitudinale nel mezzo; sul quarto una simile macchia dilatata al margine posteriore 
in una fascia trasversale; il quinto ed il sesto totalmente neri; su ogni segmento, 
escluso il primo, due setole dorsali mediane e due laterali, solo marginali. — Ventre 
uniformemente giallo. — Piedi neri; anche, base dei femori anteriori e mediani 
e metà basale dei femori posteriori, gialle; uncini e pulvilli lunghi; pulvilli giallicci. — 
Ali nere, gradatamente meno offuscate dal margine anteriore al posteriore; cellula 
apicale chiusa e peduncolata all’apice dell'ala; quarta vena longitudinale curva alla 
sua piegatura; piccola vena trasversa posta al di là del mezzo della cellula discoi- 
dale; vena trasversa posteriore fortemente convessa. — Calittere gialliccie. — Bilan- 
cieri gialli. 
Lunghezza mm. 6. 
Un solo maschio. 


Has. — Messico (35): Orizaba (SumIcHRAST). 


GYMNOSOMINAE 


III — Gen, GYMNOSOMA. 
Maicen (17), II, p. 278, 100. 


3. — Gymnosoma — ? 


Un solo esemplare mancante di capo determinato dal BELLARDI come apparte- 
nente al genere Gymnosoma, e coll’addome quasi simile a quello di G. rotundatum, 
cioè globoso, giallo-ranciato, con una macchia tondeggiante nera sul dorso di ogni 
segmento presso il margine posteriore. 


Has. — Puebla (SAUSSURE). 


IV. — Gen. CISTOGASTER. 
Larrece (8), V, p. 511. 


4, — Cistogaster ferruginosa. 
Cistogaster ferruginosa van per Wuxp (35), p. 187. 


Riferisco a questa specie, stando alla breve diagnosi del van per WuLP, un 
maschio di circa 7 mm. di lunghezza, colla faccia, i lati del fronte, il torace e lo 


476 DITTERI DEL MESSICO 


scudetto ocracei, con riflessi dorati sulla faccia ed ai lati del torace; il terzo arti- 
colo delle antenne alla sua base e nella parte inferiore e l’addome sono fulvi; i 
primi articoli delle antenne, la striscia mediana del fronte, e le striscie del torace 
poco distinte, la base dell'addome ed i piedi sono neri; le ali un po’ gialliccie alla 
base; le calittere gialle. 


HaB. — Messico (35): Mexico (TrugQuI). 


5. — Cistogaster variegata. 


Cistogaster variegata van per Wurp (35), p. 187. 


Un solo esemplare maschio distinto da C. ferruginosa per le dimensioni minori 
(mm. 5 circa), per il terzo articolo delle antenne nero e di forma ovale, per le 
quattro striscie del torace più distinte e per avere sui segmenti quarto e quinto 
dell'addome delle macchie confuse nere al margine posteriore. 


Ha. — Messico (35): Orizaba (SumicHRAST). 


PHASINAE 


V. — Gen. TRICHOPODA. 
Trichiopoda Larrenne (8), V, p. 512. 


6. — Trichopoda lanipes. 


Thereva lanipes Fagricius (11), p. 220, 10. 

Trichiopoda lanipes Larrente (8), V, p. 512. 

Trichopoda lanipes Wrepemann (40), II, p. 270, 4. — Rosmeau-Desvomy (21), 
p. 284, 5. — Waxxer (37), Part IV, p. 696. — Osren Sacken (20), p. 146. 
— Truer Townsenp (31), Paper I, p. 138. 


Tre femmine. 
Has. — Carolina (11, 40, 21) — Georgia (37) — New Mexico (31) — Messico: 
Cuantla (SAUSSURE). 


7. — Trichopoda pyrrhogaster. 


Trichopoda pyrrhogaster Wrepewann (40), II, p. 272, 6. — van per Wurr (84), 
p. 15, 3; (6), II, p. 3, 2. — TyLer Townsen (81), I, p. 188. 
Trichopoda pyrrhogastra RépER (22), p. 344. 


Due soli maschi. 
Has. — Sud-America ? (40) — Guadalupa (34), Portorico (22) — Guatemala: 
San Gerénimo (6) — Messico: Orizaba, Cuernavaca (SUMICHRAST). 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 477 
8. — Trichopoda pennipes. 


Musca pennipes Fagricros (10), p. 348, 149. 

Dictya pennipes Fagricros (11), p. 327, 5. 

Phasia jugatoria Sax (28), p. 172, 2. — Complete Writ., II, p. 364. 

Trichopoda pennipes Wiepemanx (40), II, p. 274, 9. — Rogineav Desvomy (21), 
p. 283, 1. — Wacker (37), Part IV, p. 696. — Osren Sacken (20), p. 146. 
— van DER WuxP (84), p. 15, 2; (6), II, p. 3, 1. — Brauer e BereenstAMM 
(#), I, p. 147 (part.). — Truer Towxsenp (81), Paper I, p. 188. 


Un solo maschio privo di capo. 

Has. — Nord-America (10, 37, 11, 40): Carolina (21), Indiana (28), Florida, 
Georgia (37), New Mexico (81) — Repubblica Argentina (34) — Messico: Pre- 
sidio (6), Orizaba (SUMICHRAST). 


VI. — Gen. ACAULONA. 
van DER Wutr (6), II, p. 4. 


9. — Acaulona costata. 


Acaulona costata van per Wuxr (6), II, p. 4, 1, tab. III, fig. 1, 1a, 10. — 
Braver e BereenstAamm (7), II, p. 388. — Tyuer Townsenp (31), Paper I, 
p. 141. 


Un solo esemplare che reputo maschio per avere gli uncini ed i pulvilli dei 
tarsi assai sviluppati, e che differisce solo da quelli descritti da van peR WuLP per 
l'addome di forma più stretta e più allungata di quanto è rappresentato nella figura. 
Le appendici genitali da quell’autore disegnate non sono in esso visibili, forse perchè 
ripiegate sotto il ventre che è concavo. Io credo fermamente che gli esemplari esa- 
minati dal van peR WuLP sieno femmine, avendo essi gli uncini ed i pulvilli dei 
tarsi molto piccoli. 

Ha. — Messico: Orizaba, Medellin presso Vera Cruz (6). — Senza indicazione 
di località messicana (SumicHRAST). 


PHANINAE 


VII — Gen. PENTHOSIA. 
van DER Wutr (85), p. 189. 


10. — Penthosia satanica. 
(Fig. 1, capo). 
Scopolia satanica Bisor (5), p. 254, 5. 
Penthosia satanica van per Wuxp (35), p. 190. 


Maschio. — Faccia obliquamente ritratta, nera, lucente, con riflessi argentini 
ai lati, se si osserva obliquamente dall’alto ; epistomio appena sporgente; una serie 


478 DITTERI DEL MESSICO 


di peli tenui lungo le creste facciali; guancie alte circa più della metà del diametro 
longitudinale degli occhi; vibrisse appena distinte inserite al margine orale. — Pro- 
boscide e palpi neri. — Yronte un po’ sporgente, larga circa un terzo del capo, nero- 
vellutata, munita di una serie di peli sottili ai lati di una larga striscia mediana 
indistinta. — Occhi nudi. — Antenne lunghe nere, obliquamente dirette in avanti; 
primo e secondo articolo brevi e quasi uguali; il terzo molto più lungo, circa sei 
volte il secondo, appena più largo nel mezzo, tronco all'apice; stilo nero, lungo quanto 
il terzo articolo, sottile, appena pubescente. — Occipite piatto in alto, fortemente 
rigonfio in basso dietro alla bocca, nero lucente. — Torace quadrangolare, nero un 
po’ lucente, rivestito di peli neri, più lunghi sulle pleure ed agli angoli anteriori, 
munito di qualche setola alla base delle ali, ed agli angoli posteriori. — Scudetto 
grande, semicircolare, nero, con due setole per ogni parte al margine e due ‘altre 
apicali un po’ più deboli, fortemente incrociate. — Addome più stretto del torace, 
molto più lungo di esso, quasi cilindrico, simile a quello delle specie di Ocyptera, 
ricurvo all'apice e munito di un ipopigio sporgente e bitubercolato; uniformemente 
nero, lucente, tendente al violaceo, rivestito di corti peli neri, con due setole dorsali 
ed una laterale solo marginali e brevi sui segmenti terzo, quarto e quinto ; segmento 
primo brevissimo, gli altri lunghi e quasi fra loro uguali; il secondo munito ai lati 
di lunghi peli neri. — Ventre colorato come l'addome, ma più lungamente peloso. — 
Piedi lunghi, robusti, pelosi e setolosi, di color nero-pece, un po’ lucente; i femori 
anteriori con tre serie di setole, una lungo il margine superiore, due lungo il mar- 
gine inferiore, di cui una interna, l’altra esterna; gli altri femori con setole irrego- 
larmente disposte, le tibie anteriori prive di setole fuorchè all’apice, le mediane e 
le posteriori munite di qualche setola anche verso il mezzo; le tibie posteriori più 
robuste e curve; i tarsi lunghi quasi quanto le tibie cogli articoli apicali un po’ dila- 
tati e con alcuni lunghi peli apicali sull’ultimo. — Uncini e pulvilli molto lunghi; 
i pulvilli giallo-pallidi. — Al interamente fuliginose; cellula apicale chiusa e pedun- 
colata; la quarta vena longitudinale piegata ad angolo retto e quivi appendicolata; 
vena trasversa apicale e vena trasversa posteriore ripiegate ad S; piccola vena 
trasversale posta quasi nel mezzo della cellula discale. — Calittere e bilancieri neri; 
questi fulvi alla base. 


Femmina. — Differisce per il fronte appena un po’ più largo, i piedi un poco 
meno pelosi e specialmente poi per i pulvilli e gli uncini meno lunghi e l’apparato 
copulatore che in essa appare formato da una piccola appendice ricurva in basso, 
sporgente dall'ultimo segmento dell'addome che è tronco obliquamente. 

Lunghezza mm. 15 circa. 

La specie Hermyia afra RoBineAU Desvorny (21), p. 227, 1, ben distinta da questa, 
non è forse di questo stesso genere? 

Maschi: 3. — Femmine: 2. 


Has. — Messico (5): Orizaba (SUMICHRAST). 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 479 


VII. — Gen. HEMYDA. 
Rosinrau Desvory (21), p. 226, III 


11. — Hemyda armata. 


Ancylogaster armatus Bisor, Bull. Soc. entom. de France, 1884, p. xx. 


Tre maschi. 
La espressione usata da Brcor nella diagnosi del suo genere Ancylogaster: 
antennis.... segmento tertio angusto, obtuso, secundo mazxime longiore , è molto oscura 


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e trasse in errore il distinto ditterologo TyLer Townsenp che credette essere il 


secondo articolo assai più lungo del terzo, mentre è l’opposto. Quest’errore è evidente 


nella sua tavola analitica dei generi delle Ocypteridae in: “ The North American 
genera of Calypteratae Muscidae , Paper I (Proced. ent. Soc. Washington, II, n° 1 — 
1891), a p. 98. 


Has. — Messico (Bigor): Orizaba (SumicaR.). 


TACHININAE 


IX. — Gen. ECHINOMYIA. 


Echinomya Duwéri, Exposition d’une méthode natur. pour la classif. et Vétude 
des Ins. (1798); Consid. gén. sur la Classe des Ins., p. 231 (1823). 


12. — Echinomyia robusta. 


Tachina robusta Wrepewann (40), II, p. 290, 15. 

Echinomyia analis Macquart (16), 1° suppl., p. 144, 4, tab. 12, fig. 3. — 
TyLer Towwsenp (32), p. 10. 

Echinomyia haemorrhoa van per Wurr (38), p. 145, 17, pl. 4, fig. 13-16. — 
Wicusron (41), p. 30. 

Echinomyia robusta van per WurP (84), p. 19, 8; (6), p. 32, 1, tab. II, fig. 104. 
— Truer Towxsen (31), Paper II, p. 93. 

Peleteria robusta Braver e BergenstAm (7), Pars II, p. 408. — Tver TowxsenD 
(32), p. 11. 

?! Tachinodes robusta Braver e BercenstAmm (7), Pars II, p. 409 nec ibid. p. 438. 


Un solo esemplare femmina, alquanto guasto, che concorda bene colla descrizione 
del Wiepemann. Il carattere delle setole sulle guancie è troppo costante in alcune 
specie di questo genere, sieno europee od esotiche, perchè la Tachina (Echinomyia) 
Anaxias di WALKER (387) Part. IV, p. 726, possa essere identificata con questa specie, 
giacchè nella descrizione è detto: “ no bristles on the sides of the face ,. 


480 DITTERI DEL MESSICO 


Has. — Montevideo (40) — Repubblica Argentina (34) — Colombia (16) — 
Nord America (38): White Mountains (41); Costantine, Nebraska, Jowa, Carlinville, 
New Hampshire, New York, Ottawa (31) — Costa Rica: Volcan de Irazu (6) — 
Messico: Ciudad in Durango (6), Cordova (SAUSSURE). 


13. — Echinomyia filipalpis. 


Echinomyia filipalpis Ronpani (2), p. 15. — T'rLer Townsenp (32), p. 10. 
Echinomyia Cora Bieor (3), p. cx1; (4), p. 81, 3. 
Echinomyia robusta van per WurP (6), p. 32, 1 (partim). 


Dalla breve diagnosi di E. Cora Brgor non appare che questa specie differisca 
da E. filipalpis RonpAnI se non per la colorazione bruno-scura delle tibie. In quasi 
tutti gli esemplari da me osservati le tibie, specialmente le posteriori, hanno almeno 
nel mezzo un color ferruginoso scuro, in qualcun altro sono pressochè nere. Non 
credo che la specie £. Cora possa venir distinta da quella del RonpANI per questo 
solo carattere. 3 

Maschi: 4 — Femmine: 1. 


Has. — Chilì (27) — Messico (4): Oaxaca (SALLÉ). 


14. — Echinomyia cinerascens. 
Echinomyia cinerascens Bisor (5), p. 256, 12. 


Un solo esemplare femmina mancante delle antenne, che riferisco perciò dub- 
biosamente alla specie suddetta. — Faccia bianca con due setole alle guancie. — 
Fronte dello stesso colore con qualche riflesso bruno e la striscia mediana fulvo- 
rossiccia. — Torace nero, come al solito grigio-pulverulento: angoli posteriori testaceo- 
bruni, così anche lo scudetto. — Addome nero, notevolmente cosparso della solita 
pulverulenza argentina, assai abbondante, mancante solo al margine posteriore dei 
segmenti, assai più splendente e visibile sull’ ultimo segmento: i lati del secondo e 
terzo segmento sono bruno-testacei. — Piedi neri. — Ali grigie, gialliccie alla base 
e lungo un certo tratto del margine anteriore. 


Has. — Messico (5): Solco (SUMICHRAST). 


15. — Echinomyia macrocera. 
Echinomyia macrocera Bieor (3), p. cxL; (4), p. 81, 4. 


I palpi sono assolutamente filiformi nei due sessi. In un esemplare maschio 
osservai un po’ di color ferruginoso-scuro ai lati del secondo e terzo segmento del- 
l'addome. L’addome della femmina è, come al solito, alquanto più corto e quasi 
subgloso, mentre quello del maschio è assai più oblungo coll’organo copulatore assai 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 481 
sviluppato e sporgente di color nero lucente, e coperto di numerosi peli neri misti 
a setole. 


Riferisco a questa stessa specie un maschio ed una femmina che differiscono 
per la maggiore statura e per la pruinosità del torace e dello scudetto molto più 
abbondanti. Potrebbero forse essere distinti in una nuova specie. 

Maschi: 4 — Femmine: 2. 


Has. — Messico (4): Oaxaca (SALLE). 


X. — Gen, MICROPALPUS, 
Macquart (15), II, p. 80. 


16. — Micropalpus fulgens. 


Tachina fulgens (Horrea) Mercen (18), IV, p. 259, 34; tab. 41, fig. 23. — 
Zerterstent (43), INT, p. 1096, 93. 

Linnaemya Heraclei Rogmexu-Desvory (21), p. 53, 3. 

Linnaemya analis Ros.-Desv. (21), p. 54, 4. 

Linnaemya distincta Ros.-Drsv. (21), p. 54, 5. 

Linnaemya aestivalis Ros.-Desv. (21), p. 54, 6. 

Linnaemya borealis Ros.-Desv. (21), p. 54, 7. 

Micropalpus Beraclei Macquart (15), II, p. 81, 3. 

Micropalpus analis Macquart (15), II, p. 82, 4. 

Micropalpus borealis Macquart (15), II, p. 82, 5. 

Micropalpus comptus Ronpaxi (26), II, p. 70, 7. — Braver e Bergensram (7), 
I, p. 133 e II, p. 408. 

Micropalpus fulgens Mersen (18), VII, p. 217, 1, tab. 70, fig. 12-15. — Scaner 
(29), I, p. 428. — van DER WurP (6), II, p. 34, 1. 


Un solo esemplare femmina, colle antenne affatto nere, lo scudetto interamente 
testaceo e la parte mediana delle tibie di mezzo alquanto testaceo-oscura. 


Non ritengo sinonimo di questa specie il M. fulgens Macquart (15) II, p. 83, 10, 


. perchè nella sua descrizione è detto: “ Troisiòme article des antennes subitement 


élargi , che credo invece un carattere distintivo della specie seguente. 


Has. — Europa (Avor.) — Nord America (21) — Messico: Presidio, Ciudad in 
Durango (6), Orizaba (SuMICHRAST). 


17. — Micropalpus comptus. 


Tachina comta Faruén (9), II, Muscides, p. 24, 48. — Zemersrenr (48), II, 
p. 1094, 91. 


? Tachina marmorata Mzisen (18), IV, p. 261, 36. 
Serie II. Tom. XLIV. 4 


482 DITTERI DEL MESSICO 


? Micropalpus marmoratus Mzicen (18), VII, p. 217, 3. 
Micropalpus fulgens Macquart (15), IT, p. 83, 10. 
Micropalpus comtus Scumner (29), I, p. 429. 


Due esemplari femmine, di cui uno mancante del terzo articolo delle antenne, 
che riferisco con dubbio però a questa specie, essendo distinti dalla antecedente per 
la forma subitamente allargata del terzo articolo antennale, per avere le guancie 
munite di una o due setole e l’addome più snello. 


Has. — Europa (Auor.) — Messico: Tuxpango (Susmicarast), Tampico (SAUSSURE). 


XI — Gen, GYMNOMMA. 
van per Wuxp (6), II, p. 38. 


18. — Gymnomma novum. 


(Fig. 2, capo). 


Gymnomma novum Gisvio-Tos (13), p. 1. 


Femmina. — Faccia gialla: epistomio assai prominente; lati della faccia sparsi 
di piccoli e brevi peli, ma sprovvisti di vere setole. — Proboscide nera, alquanto 
lunga. — Fronte assai larga, più stretta in alto, nericcia, giallo-pollinosa, con due 
serie di setole, e fra queste sono sparsi dei peli alquanto lunghi; striscia mediana 
rossiccia. — Antenne gialle; terzo articolo circa doppio del secondo, securiforme, note- 
volmente dilatato verso l'estremità e obbliquamente troncato, nero, appena un po’ giallo 
alla base; stilo assai lungo, robusto, appena visibilmente pubescente. — Occipite 
adorno di peli gialli, assai lunghi ed abbondanti in basso. — Torace e petto giallo- 
olivaceo-pollinosi, le striscie nere appena visibili; due appaiate mediane anteriori e 
due laterali interrotte alla sutura; alcune setole nere assai lunghe ai lati ed al mar- 
gine posteriore. — Scudetto fulvo, leggermente giallo-pollinoso, privo di spine e solo 
munito di setole, di cui alcune assai lunghe. — Addome ovale, privo di vere spine, 
fulvo, con una macchia nera nel mezzo dei segmenti primo, secondo e terzo; quella 
del secondo si estende dal margine anteriore al posteriore; quella del terzo è abbre- 
viata anteriormente; sul quarto una macchia bruna meno distinta, abbreviata ante- 
riormente e quivi biloba. Il primo segmento è sprovvisto di setole; il secondo ne 
ha sul dorso due discali e due marginali, ed una per parte ai lati; il terzo ne ha 
due discali ed una serie di 10-12 marginali; il quarto ne porta molte, specialmente 
alla sua estremità. — Ventre fulvo, nero all’apice, dove è specialmente coperto da 
numerose setole e peli neri frammisti. — Piedi fulvi con peli neri e setole nere, 
notevolmente lunghe sulle tibie posteriori (i piedi di mezzo mancano); uncini neri 
alla loro estremità; pulvilli gialli. — Ali brune, un po’ gialle alla base; piccola vena 
trasversale posta quasi nel mezzo della cellula discale; cellula apicale largamente 
aperta; vene trasverse apicale e posteriore alquanto curve. — Calittere e bilancieri 
giallo fulvi. — Lungh. mm. 9. 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 483 


Questa specie è notevolmente simile a G. discors van DER WuLP (35), p. 193, 
ma la ritengo una specie distinta per la diversa forma del terzo articolo delle an- 
tenne e la presenza di setole discali anche sul secondo segmento. 

Una sola femmina. 


Has. — Mexico (SUuMmIcHRAST). 


XII. — Gen. MICROTRICHOMMA. 
‘Grozio-Tos (13), p. 1. 


Faccia, guancie, epistomio, proboscide e fronte come nel genere Echinomyia; 
guancie prive di setole; palpi un po’ clavati; antenne come in Echinomyia, non rag- 
giungenti l’epistomio; terzo articolo ovale appena più lungo del secondo; stilo lungo, 
non geniculato, col secondo articolo assai sviluppato; occhi relativamente piccoli, 
pelosi; addome con due setole discali sul secondo e terzo segmento, due marginali 
sul secondo e la solita serie di marginali sul terzo e parecchie anche discali sul 
quarto; nella femmina i tre articoli intermedi dei tarsi anteriori dilatati ed il fronte 
con due setole orbitali. 


19. — Microtrichomma intermedium. 


Nemorea intermedia van per Wutr (6), II, p. 50, 5. 
Microtrichomma intermedium Gisuio-Tos (13), p. 2. 


Femmina. — Faccia bianco-gialliccia, alquanto concava, coll’ epistomio un 
po’ prominente; le guancie assai grandi ed il margine boccale colle setole disposte 
come nelle specie di Echinomyia. — Palpi gialli. — Fronte giallo-pollinosa ai lati, 
assai larga, colla striscia mediana bruno-fulva e un po’ stretta in alto. — Antenne 
giallo-fulviccie; il terzo articolo bruniccio nella metà apicale; stilo nero, appena 
pubescente. — Occhi pelosi. — Torace e scudetto densamente pollinosi; il primo colle 
solite striscie nere sottili, ma ben distinte sul davanti; gli angoli posteriori e lo scu- 
detto un po’ ferruginei. — Scudetto munito di lunghe setole al margine e nel mezzo 
di alcuni peli spinosi e di qualche corta spina. — Addome nero lucentissimo, ovale 
ed un po’ più largo del torace. Sul primo segmento una setola marginale laterale; 
sul secondo due discali e due marginali dorsali ed una per parte marginale; sul 
terzo due setole discali dorsali ed una serie di altre marginali; sul quarto molte 


discali. — Piedi neri; femori e tibie ferruginoso-scuri, setolosi e pelosi; pulvilli 
gialli; uncini gialli, neri all'apice. — Ali un po’ grigie, gialliccie alla base. — Ca- 
littere gialle. — Lunghezza mm. 10. 


Una sola femmina. 


Has. — Messico: Xucumanatlan ed Omilteme in Guerrero (6), Mexico (6) 
(CRAVERI). 


484 DITTFRI DEL MESSICO 


XHI. — Gen, NEMOCHAETA. 
van DER Wutr (6), II, p. 38. 


20. — Nemochaeta dissimilis. 


Nemochaceta dissimilis van per Wutr (6), II, p. 39, 1, tab. II, fig. 18, 18 a. 
Tachinodes dissimilis. Braver e Bereenstamm (7), II, p. 409 e 427. 


Un solo maschio che differisce da quello descritto da van DER WuLP per avere 
la faccia bianca, il torace cinereo-pollinoso e lo scudetto ferrugineo. 


Has. — Costa Rica: Cache (6), Mexico (SumicHRAST). 


21. — Nemochaeta seminigra. 


Tachina seminigra Wrepemann (40), II, p. 296, 26. 

Jurinia analis Macquart (16), IL, 3° partie, p. 39, 1, tab. II, fig. 8. — Osten 
SackeN (20), p. 149. — Réper (22), p. 345. — Trier Towwsenp (82), p. 8. 

Tachina divisa WaLker (38), p. 270. 

Echinomyia seminigra Scar (30), p. 331, 118. 

Tachinodes seminigra Braver e Bercensramwm (7), II, p. 409, 439. — Trier 
TownsenD (32), p. 11. 


Gli esemplari che esaminai corrispondono assai bene specialmente alla descri- 
zione di Tachina divisa di WaLkER. Trovai questi esemplari segnati in collezione 
da BeLLARDI col nome di Jurinia analis Macquart. 

Maschi: 8 — Femmine: 6. 

Has. — Brasile (40,16) — Parà (38) — Colombia, Chilì (80) — Portorico (22) 
-— Messico (16): Orizaba, Oaxaca (SumicHRAST). 


22. — Nemochaeta incerta. 
(Fig. 3, capo). 


Nemochaeta incerta Gieuio-Tos (13), p. 2. 


Maschio. — Simile nell'aspetto ad alcune specie del genere Echinomyia. — 
Capo alquanto più largo del torace. — Faccia bianchiccia, poco inclinata all’indietro; 
epistomio alquanto sporgente; guancie assai larghe; lati della faccia sparsi di peli 
neri lungo il margine anteriore degli occhi, più rari in basso. — Proboscide nera; 
palpi gialli. — Fronte assai larga, un po’ più stretta in alto con una serie di setole 
frammiste ad altri peli neri, di cui taluni anche setolosi; striscia mediana fulvo- 
rossiccia; peli dell’occipite abbondanti e gialli. — Antenne coi primi articoli gialli; 
il secondo munito di peli al margine superiore, di cui alcuni lunghi e quasi setolosi; 


DEL DOTT. E. GIGL!O-TOS 485 


il terzo nero alquanto più lungo del secondo, col margine superiore notevolmente 
convesso, l’inferiore rettilineo. — Torace nero, grigio-pollinoso, colle solite striscie 
nere alquanto distinte; pleure e petto neri, grigio-pollinosi. — Scudetto testaceo- 
ferruginoso, munito specialmente al margine posteriore di lunghe setole e nel mezzo 
di peli neri, ma privo di spine. — Addome cordiforme, lucente con riflessi sericei, 
nero-azzurrognolo alla base, in una larga striscia mediana e su tutto il quarto 
segmento; rivestito di peli neri specialmente lunghi sul quarto segmento; i lati del 
secondo e terzo segmento largamente ed oscuramente ferruginosi; mancano le vere 
spine e le setole molto robuste sono così disposte: una per ogni lato al margine 
posteriore del primo segmento; due dorsali ed una laterale, marginali sul secondo; 
una serie di marginali sul terzo e parecchie anche discali sul quarto. — Ventre 
ferrugineo in una zona mediana trasversale, setoloso lungo il mezzo. — Geritali assai 
grandi, sporgenti, pelosi all'apice. — Piedi affatto neri; i femori e le tibie, special- 
mente le mediane e posteriori setolose; l’ultimo articolo dei tarsi munito all’ apice 
di alcuni lunghi peli; uncini molto lunghi e neri; quelli dei piedi posteriori solo neri 
all'apice, gialli nel resto; pulvilli gialli. — Al quasi limpide, nervature gialliccie; 
vena trasversale apicale fortemente curva alla base, quindi diritta; la vena trasver- 


sale posteriore diritta alla base, quindi curva. — Calittere bianche; bdilancieri nericci. 
— Lunghezza del corpo mm. 12. 


Due soli maschi. 


Has. — Oaxaca (SUMICHRAST). 


23. — Nemochaeta dubia. 
(Fig. 8, antenna). 


Nemochaeta dubia Gierio-Tos (13), p. 2. 


Maschio. — Capo alquanto più largo del torace. — accia bianco-gialliccia; 
epistomio poco sporgente; lati della faccia nudi. — Proboscide nera; palpi gialli. — 
Antenne gialle nei primi articoli; il secondo articolo appena con pochi peli superior- 
mente; articolo terzo nero, appena lungo come il secondo. — Fronte assai largo, 
giallo-pollinoso; striscia mediana fulva. — Torace assai densamente giallo-pollinoso, 
come anche le pleure ed il petto, colle solite striscie nere. — Scudetto ferruginoso, 
anch'esso giallo-pollinoso. — Addome cordiforme, lucente con riflessi sericei, oscuro- 
ferrugineo e con una striscia mediana nera appena appariscente, che scompare alla 
estremità del terzo segmento; i lati del quarto segmento alquanto fulvo-pollinosi. 
-— Le setole dell'addome, i piedi e le ali come in N. incerta. — Calittere: brune. 

Questa specie ha molta somiglianza colla N. incerta; ne differisce tuttavia note- 
volmente per la mancanza assoluta di peli neri sulle guancie, per il terzo articolo 
delle antenne minore, per la pollinosità gialla del torace, per il colore dell’addome 
e delle calittere. È anche simile all’Echinomyia dispar van peR WuLp (6) II p. 34, 
6, tab. II, fig. 14, ma ne differisce per il terzo articolo delle antenne, per la colo- 


razione delle calittere e del torace. — Lunghezza mm. 12. 
Un solo maschio. 


Has. — Non è indicata nè la località del Messico, nè da chi fu raccolta. 


486 DITTERI DEL MESSICO 


24. — Nemochaeta crucia. 
Nemochaeta crucia Gieuio-Tos (13), p. 2. 


Maschio. — Corpo robusto un po’ tozzo. — Capo alquanto più largo del torace. 
— Faccia gialliccia; epistomio alquanto sporgente. — Proboscide nera; palpi gialli. 
— Fronte grigio-nericcia, gialliccio-pollinosa; striscia mediana larga e fulva sopra 
la base delle antenne, molto più stretta e bruna al vertice. — Occhi nudi. — An- 
tenne coi primi articoli bruni, talora un po’ gialli, talora quasi neri; il secondo arti- 
colo con peli sul margine superiore di cui qualcuno assai lungo; il terzo appena più 
lungo del secondo, nero e fortemente convesso al margine superiore. — Torace nero, 
un po’ lucente, alquanto grigio pollinoso, specialmente in avanti, e colle solite striscie 
nere assai distinte; le pleure più densamente grigio-gialliccio-pollinose. — Scudetto 
nero-pece, un po’ grigio pollinoso alla base, privo di vere spine. — Addome assai 
più largo del torace, cordiforme, tutto rivestito di peli densi e corti, più lunghi 
all'apice; di color piceo, con riflessi sericei su cui si intravede confusamente una 
striscia mediana nera terminante all'estremità del terzo segmento; le setole robuste 
disposte come in N. incerta; il quarto segmento un po’ fulvo-pollinoso, visibile se 
osservato assai obliquamente di fianco. — Ventre piceo; una zona mediana longitudinale 
di vere spine. — Piedi neri; femori anteriori densamente gialliccio-pollinosi dal lato 
posteriore; ultimo articolo dei tarsi con alcuni peli lunghi ; uncini fulvi, neri all'apice; 
pulvilli giallo-fulvicci. — Ali un po’ grigie; nervature come in N. incerta. — Calit- 
tere brune, con riflessi sericei. 


Femmina. — Differisce per il fronte notevolmente più largo e con due setole 
orbitali ricurve in basso, il secondo articolo delle antenne molto più peloso sul mar- 
gine superiore, i pulvilli e gli uncini dei piedi assai più corti e le calittere alquanto 
più brune. I tarsi anteriori non sono visibilmente più dilatati che nel maschio. — 
Lunghezza mm. 15 circa. 

Questa specie è forse la stessa che Fubricia infumata Biaor (4), p. 85,1? Dalla 
breve descrizione di questo autore non potrei affermarlo; non sono accennate in essa 
la forma e le dimensioni del terzo articolo delle antenne che nei genere Fabricia è 
visibilmente più breve del secondo. 


Has. — Mexico (Truqui), Tuxpango (SumicHaRAst), Huastec. 
25. — Nemochaceta perno. 


Nemochaeta pernor Giatio-Tos (13), p. 2. 


Maschio. — Faccia giallognola; epistomio assai prominente; lati della faccia 
con alcuni peli neri lungo gli occhi; proboscide nera; palpi gialli, assai clavati e 
con alcuni peli neri alquanto lunghi al di sotto presso l'apice. — Fronte nericcia, 
un po’ gialliccio-pollinosa; striscia mediana quasi nera. — Antenne nere; il secondo 
articolo un po’ peloso e setoloso sul margine superiore; il terzo alquanto più lungo 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 487 


del secondo, assai largo, e convesso al margine superiore; stilo nero, appena visi- 


bilmente pubescente. — Occhi nudi. — Torace nero, grigio-pollinoso, colle solite striscie 
nere assai distinte. — Scudetto nero-piceo, munito di lunghe e robuste setole al mar- 
gine posteriore e rivestito nel mezzo di ispidi peli corti. — Addome robusto , più 


largo assai del torace, piceo con riflessi sericei, rivestito di peli rigidi neri, procum- 
benti e più lunghi all’apice; sul primo segmento una sola setola laterale marginale 
per ogni lato; sul secondo due o quattro dorsali ed una per ogni lato, tutte margi- 
nali; sul terzo una serie di setole solo marginali assai robuste; sul quarto parecchie 
discali. — Ventre piceo, con la sola striscia di setole spinose lungo il mezzo. — Geni- 
tali assai sporgenti e pelosi. — Piedi neri, robusti, tutti pelosi e setolosi; l’ultimo 
articolo dei tarsi con alcuni peli più lunghi; uncini molto lunghi, fulvi, neri all'apice; 


pulvilli molto sviluppati, gialli. — Ali un po’ grigie; le vene come nelle altre specie. 
— Calittere picee. 


Femmina. — Differisce per il fronte un po’ più largo, colle due setole solite 
orbitali, curve in basso; i pulvilli e gli uncini dei piedi assai più piccoli. I tarsi ante- 
riori non sono visibilmente più dilatati. — Lunghezza mm. 18 circa. 

Assai simile a N. crucia questa specie ne differisce tuttavia notevolmente per 
le dimensioni maggiori, l'addome assai più largo e privo di pollinosità sul quarto 
segmento, e per la forma diversa del terzo articolo delle antenne. 

Maschi: 2. — Femmine: 1. 


Has. — Mexico, (Boucarp)?, Orizaba (SumicHRAST). 


_ 26. — Nemochaeta chrysiceps. 


Jurinia chrysiceps Rogingau-Desvomy (21), p. 37, 8. 
Tachina (Jurinia) chrysiceps WaLkeRr (37), Part. IV, p. 715. 
Jurinia flavifrons Jaennicke (14), p. 82, 109. 


Maschio. — Faccia e palpi gialli; proboscide nera. — Fronte bruniccia, densa- 
mente giallo-pollinosa; striscia mediana bruno-fulva. — Antenne coi primi articoli 
gialli; il terzo nero, un po’ più lungo del secondo, molto convesso. — Torace gialliccio 


pollinoso, specialmente sul davanti, colle solite striscie nere assai distinte — Scudetto 
nero, nel mezzo irto di spine corte e non robuste, alcune più lunghe e più forti al 
margine posteriore, fra le setole lunghe e robuste. — Addome nero-azzurrognolo 
lucentissimo, densamente coperto di lunghi peli neri, fra cui spiccano delle setole 
robustissime, quasi simili a spine, così disposte: sei o sette dorsali e tre per ogni 
lato solamente marginali sul secondo segmento; una serie sul terzo di setole mar- 
ginali; molte sul quarto discali; la solita striscia di altre spine lungo il mezzo del 
ventre. — Piedi neri, setolosi e pelosi; i femori anteriori giallo-pollinosi dal lato poste- 
riore; uncini lunghi, fulvi, ad apice nero; pulvilli gialli. — Ali bruniccie, la vena 
trasversa posteriore quasi retta. — Oalittere picee. — Lunghezza mm. 15 circa. 
Maschi : 2. 


Has. — Brasile (21) — Messico (14): Mexico (SuMIcHRAST). 


488 DITTERI DEL MESSICO 


27. — Nemochaeta jurinioides. 


(Fig. 5, capo). 
Nemochaeta jurinioides Giario-Tos (13), p. 2. 


Maschio. — Corpo robusto. — Faccia bianco-gialliccia; i lati di essa e le 
guancie munite di peli neri ben visibili; epistomio assai sporgente; proboscide nera; 
palpi gialli. — Fronte gialliccio-pollinosa; la striscia mediana bruno-fulva, molto larga 
in basso sopra la base delle antenne, molto stretta al vertice. — Occhi nudi. — 
Antenne coi primi articoli fulvo-brunicci; il secondo con alcuni lunghi peli neri sul 
margine superiore; il terzo nero, appena più lungo del secondo, dilatato all’estremità 
a forma quasi di martello; il margine superiore poco convesso , l’inferiore notevol- 
mente concavo, l’apice obliquamente troncato; stilo nero. — Torace nero, densamente 
coperto di peli neri fra cui sono sparse le setole, appena un po’ grigio-pollinoso 
anteriormente; gli angoli anteriori, i lati, ed una grande macchia quadrangolare al 
margine posteriore di fronte allo scudetto, picei; petto e pleure neri. — Scudetto 
piceo con lunghe setole nere al margine, irto nel mezzo di corte spine. — Addome 
assai più largo del torace, cordiforme, piceo, appena lucente, munito di robustissime 
setole e di qualche spina; il quarto segmento fulvo pollinoso, specialmente se osser- 
vato obliquamente da lato; le setole e le spine così disposte: sul secondo segmento, 
due dorsali ed una per lato tutte marginali e alcune spine discali corte ma robuste 
nel mezzo di esso; sul terzo una serie di setole robustissime marginali e alcune corte 
spine discali solo nel mezzo; il quarto con parecchie setole quasi spinose discali 
sparse fra i lunghi peli neri che lo ricoprono. — Ventre munito delle solite spine 
lungo il mezzo. — Genitali picei e pelosi. — Piedi robusti, neri, pelosi e setolosi; 
uncini neri; pulvilli fulvi. — Ali grigiastre; la piccola vena trasversale offuscata di 
nero; la vena trasversale posteriore diritta per un piccolo tratto alla base, quindi 
fortemente curva. — Calittere picee. — Lunghezza mm. 15. 

Un solo maschio. 


Has. — Oaxaca (SALLE). 


28. — Nemochaeta (?) aberrans. 


(Fig. 9, capo). 
Nemochaeta (2) aberrans Giatio-Tos (13), p. 2. 


Non possedendo di questa specie che un solo esemplare femmina ed alquanto 
deteriorato, non mi credo autorizzato a creare per esso un nuovo genere, sebbene i 
caratteri suoi sieno tali da non potersi porre nel genere Nemochaeta. Solo momenta- 
neamente pertanto io la comprendo in questo genere, aspettando che l'esame di altri 
esemplari possa permettere la creazione di un genere apposito. 

Per la forma del corpo, del torace, dell'addome, per la disposizione delle setole, 
per le nervature delle ali è in tutto simile alle altre specie di Nemockaeta. I carat- 
teri differenziali principali stanno nella forma del capo e dei palpi. Il capo è ante- 


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DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 489 


riormente rigonfio fra gli occhi, press'a poco come nella specie del genere Gonia; i 
lati della faccia sono perciò assai larghi e quasi tumefatti, con una impressione sulle 
guancie ai lati dell’epistomio, e colle guancie rigonfie in basso; la faccia è quasi 
verticale appena concava e l’epistomio leggermente sporgente; il fronte è assai largo, 
e la striscia mediana larga tanto che al vertice occupa buona parte della lar- 
ghezza del fronte; ai lati di essa (sebbene nell’esemplare in questione sieno cadute) 
tuttavia si vede dalle impressioni lasciate una serie di setole che giunge fino al 
livello delle inserzioni delle antenne con altre due setole più esterne orbitali. I palpi 
sono filiformi. La proboscide e le antenne sono come in Nemochaeta, ma il terzo arti- 
colo antennale, appena più lungo del secondo, è quasi rettilineo al margine superiore 
ed inferiore, e all'apice quasi troncato. 


Femmina. — Faccia gialla; proboscide nera; palpi gialli. — Fronte gialla 
come la faccia; la larga striscia mediana fulva. — Occhi nudi. — Antenne gialle; 
il terzo articolo nero nella metà apicale. — Torace, scudetto ed addome neri, lucenti; 


un po’ di pollinosità grigia specialmente sul davanti del torace; le solite striscie nere 
del torace poco distinte; petto nero, come il torace, grigio-pollinoso sulle pleure. 
Sull’addome le setole sono così disposte: due dorsali ed una per parte ma tutte mar- 
ginali sul secondo segmento; una serie di sole setole marginali sul terzo, e parec- 
chie discali sul quarto; tutto l’addome è rivestito di corti peli rigidi, procumbenti, 
più lunghi all’apice; sul ventre una zona mediana longitudinale di spine. — Piedi 
neri, robusti, pelosi e setolosi; uncini neri, e pulvilli gialli, ambedue poco sviluppati. 
— Al bruniccie, nere alla base. — Calittere picee. — Lunghezza mm. 15 all’incirca. 
Has. — Metztillan. 


| XIV. — Gen. JURINIA/ 
Rosinzau-Desvomy (21), p. 34, n. II — Macquarr (16), II, 3° partie, p. 37, 3. 


29. — Jurinia dichroma. 
Jurinia dichroma van ver Vute (6), II, p. 27, 1, tab. II, fig. 5, ba. 


Sebbene la Iurinea apicalis JAeNNIcHE (14), p. 82,110, sia distinta da questa 
specie per la colorazione ferruginea dell'addome e per qualche altro carattere, tut- 
tavia deve essere notevolmente somigliante a questa per l’aspetto generale. 

Maschi: 6. — Femmine: 9. 

Has. .— Costa Rica: Rio Sucio, Volcan de Irazu (6) — Messico: Ciudad in 
Durango (6), Mexico (Truqui, CrAveERI), Cuernavaca. 


30. — Jurinia basalis. 


? Tachina (Jurinia) basalis Warxer (37), Part IV, p. 713. 


Molto dubbiamente riferisco a questa specie del WALKER un esemplare femmina, 
alquanto deteriorato, mancante di quasi tutti i piedi, e che nel resto corrisponde 
alquanto alla descrizione data da quest’autore. 

Has. — Giamaica (37) — Huastec, (SALLÉ). 

Sern IL Tom. XLIV. 1° 


490 DITTERI DEL MESSICO 


XV. — Gen. DEJEANIA. 
Rosinzau-Desvomy (21), p. 33. 


s1. — Dejeania corpulenta. 


Tachina corpulenta Wiepemann (40), TI, p. 280, 1. 

Dejeania rufipalpis Macquart (16), II, 3° partie, p. 35, 5, tab. II, figo l. — 
BrAuek 6 Bercensranm (7), II, p. 409 e 438. 

Dejeania corpulenta Scumer (30), p. 337, 143 (exclus. synom.). — Ostin 
Sacken (20), p. 147 e 256, nota 265. — van ner Wutr (34), p. 16, 1; 
(6), II, p. 9, 4} tab. I, fig. 4. — Wittisron (41), p. 297. — BrAurre 


Beroenstanm (9), II, p. 409 e 426. — Tyrer Towwsen (82), p. 5 [nec 
D. corpulenta Macquari (16), II, 3° partie, p. 35, 4 e (15), II, p. 77, 22 
(Echinomyia)|. 


Dejeania veratrix Osren Sacken (19), p. 343. 


Parecchi esemplari molto diversi in dimensioni da mm. 10 a mm. 15 e quasi 
tutti femmine. 


Has. — Sud-America (30) — Colombia: Bogota (34) — Nord-America: Colo- 
rado (19), Nuovo Messico, Arizona (41) — Costa Rica: Cache, Volcan de Irazu (6) 
— Panama: Volcan de Chiriqui (6) — Messico (40,16, 6): Oaxaca, Mexico, Solco 
(SALLÉ, TRUQUI, SUMICHRAST). 


32. — Dejeania aurea. 
Dejeania aurea Gietio-Tos (13), p. 3. 


Maschio. — Corpo tozzo, coll’addome assai largo, il torace molto più stretto 
ed il capo più stretto ancora del torace. — Faccia gialla col fronte e l’epistomio 
notevolmente sporgenti. — Proboscide nera; palpi gialli, lunghi un po’ meno della 
proboscide, assai sottili, cigliati ai lati di peli neri più lunghi all'estremità. — Fronte 
gialla, notevolmente stretta in alto con una sola ‘serie di setole ‘ai lati della linea 
mediana fulvo-rossiccia. — Antenne ‘gialle; il terzo articolo ‘ovale un po’ giallo ‘alla 
base ed al di sotto, nero nel resto; stilo nero. — Occhi nudi. — Torace tutto den- 
samente coperto di pollinosità gialla; giallo su tutto il petto, le pleure, ai lati ed 
al margine posteriore del dorso; il disco si intravede nero al di sotto della polli- 
nosità; le striscie solite nere non sono appariscenti. — Scudetto giallo-fulvo sparso 
di robuste spine nere. — Addome fulvo-rossiccio, tutto densamente coperto di lunghi 
peli giallo-sulfurei, fra cui spiccano le spine nere; quasi ovale, spiccatamente bilobo 
posteriormente, coi segmenti così notevolmente convessi ‘ai lati ‘che i margini latèrali 
non sono determinati da una curva continua, îna da una série di Curve coòrrispon- 


DEL DOTT. F. GIGLIO-TOS 491 


denti ad ogni segmento; anche il margine posteriore dei segmenti è notevolmente 
concavo nel mezzo del dorso. Il segmento primo è nero nel mezzo; il secondo, il 
terzo ed il quarto segmento portano nel mezzo alla loro base una macchia triango- 
lare nera come in D. corpulenta. Le spine sono tutte marginali, fuorchè alcune discali 
sul quarto segmento; sono assai numerose sul primo segmento, formando una serie 
alquanto interrotta ai lati del dorso; formano una serie quasi ininterrotta sul secondo 
e una serie continua sul terzo; sul quarto sono sparse fra i peli nella sua metà apicale, 
essendo la metà basale priva di esse. — Ventre fulvo rossiccio; verso i lati del mar- 
gine posteriore dei segmenti nericcio e nel mezzo con una serie marginale di robuste 
spine. — Genitali fulvo-rossicci, come l'addome. — Piedi giallo-fulvi, con rare setole 
nere e con peli setolosi gialli sui femori; uncini neri nella metà apicale, assai 
lunghi; pulvilli gialli. — Al e calittere gialliccie. — Lunghezza mm. 11. 

Questa specie è rassomigliantissima nell’aspetto e nelle dimensioni a D. corpu- 
lenta; ne differisce però per molti caratteri e sono convinto si debba considerare 
come una specie distintissima. Oltre ai peli dell'addome che non sono fulvi ma giallo- 
sulfurei, come in Saundersia aurea, sono ancora caratteri distintivi la forma dell'addome, 
la notevolmente minore larghezza del torace e del capo, la forma dei palpi molto 
più sottili e più pelosi, il fronte assai più stretto, ed il primo segmento dell'addome 
più sviluppato munito di spine marginali anche nel mezzo del dorso, mentre in 


D. corpulenta è solamente munito di qualche spina ai lati. Le ali sono anche pro- 
porzionatamente assai più strette. 
Un solo maschio. 


Ha. — Solco (SumIcHRAST). 


XVI. — Gen. SAUNDERSIA. 
Scuner (30), p. 333. 


388. — Saundersia aurea. 


(Fig. 4, capo). 


Saundersia aurea Gietio-Tos (13), p. 3. 


Maschio. — Faccia gialla con epistomio assai sporgente; ai lati della faccia 
due setole assai robuste, nere ed una serie di altre setole meno forti, talune filiformi, 
che si estendono fino a congiungersi colle setole frontali. — Proboscide nera, assai 
lunga. — ronte assai larga, un po’ più stretta in alto, di color giallo più fulvo; 
la striscia mediana giallo-rossiccia. — Occipite giallo, un po’ bruno in alto, densa- 
mente vestito di lunghi peli dorati, e con una serie di corte setole al margine poste- 
riore degli occhi. — Antenne fulve; il secondo segmento con corti peli neri all'apice 
nella parte superiore; il terzo appena leggermente bruniccio nel mezzo, assai bru- 
scamente allargato all’apice e quivi obliquamente troncato, securiforme; stilo nero, 
assai lungo, diritto, appena pubescente. — Torace con disco, nero, fulvo-pollinoso, 
con quattro striscie longitudinali nere più distinte; i lati, una macchia quadrangolare 
di fronte allo scudetto e tutto il petto di color fulvo; superiormente il torace è 


492 DÌTTERI DEL MESSICO 


cosparso di peli più lunghi giallo-dorati fra cui stanno le solite setole nere. — Scu- 
detto fulvo; sparso di spine nere, più lunghe al margine posteriore; due setole me- 
diane molto più lunghe si estendono dal margine posteriore fino a metà del secondo 
segmento addominale, ricurve in basso. — Addome fulvo, ovale, sub-globoso, coperto 
di lunghissimi peli giallo-sulfurei, lucenti, più abbondanti e più lunghi all'apice; sul 
primo segmento una macchia nera mediana sotto allo scudetto, ma nessuna setola, 
nè spina; sul secondo e sul terzo una serie di spine robuste nere al margine poste- 
riore e molte altre nel mezzo di cui le mediane più lunghe e robuste; sul quarto 
qualche spina nera ai lati e nel mezzo. — Ventre fulvo, nero lucente al margine 
posteriore del terzo segmento e su tutto il quarto; i peli giallo-sulfurei sono raris- 
simi; le spine nere sono corte e numerosissime sulla parte nera del terzo segmento 
e su tutto il quarto; più rare ma più lunghe nel mezzo del margine posteriore di 
tutti i segmenti. — Piedi interamente fulvi; gli uncini neri nella metà apicale, i 
pulvilli gialli, ma non molto grandi; i femori con setole nere robuste sparse qua e 
là fra le altre setole gialle come quelle dell'addome, ma meno robuste; le tibie mu- 
nite di setole solamente nere, rare e assai lunghe. — Ali quasi limpide; base diffu- 
samente gialla; vene gialle fin presso all'estremità; piccola vena trasversale posta 
circa nel mezzo della cellula discale; le vene trasversali apicale e posteriore curve 
e di color bruno. — Calittere e bilancieri giallicci. 

Un individuo, che credo femmina, si distingue per il terzo articolo delle antenne 
meno dilatato e assai meno obliquamente troncato all’apice e per il primo segmento 
dell'addome munito di spine al margine posteriore, di cui una per parte ai lati, assai 
lunga, e tre più corte per ogni parte della linea mediana. Inoltre i segmenti del- 
l'addome sono tutti più scuri al margine posteriore. — Lunghezza del corpo mm. 14. 

Come appare dalla descrizione questa specie è molto simile per l’aspetto a quella 
descritta dal RonpanI col nome di Epalpus rubripilus (24), p. 7, 4, della Venezuela, 
e ridescritta poi dal van per WuLP come specie nuova col nome di Saundersia ru- 
fopilosa (6), Il, p. 22, 5, tab. I, fig. 18. Ne è però ben distinta per vari caratteri; 
nella S. rubripila RonpANI il terzo articolo delle antenne è nero, l'addome ha una striscia 
dorsale nera, ben distinta, le ali sono bruniccie ed i peli dell'addome non sono giallo- 
dorati, ma fulvo-rossicci. 


Maschi: 2. — Femmina? 1. 
Ha. — Mexico (Craveri), Angang. 
84. — Saundersia Jaennickei. 


Micropalpus rufipes Jaennicxe (14), p. 79, 109. — Osren Sacxen (20), p. 150. 
Saundersia rufipes van Der Wurr (6), II, p. 27. 


Un solo esemplare femmina che differisce alquanto dalla descrizione del JAENNICKE 
per le macchie dell'addome, ed il colore del ventre e le dimensioni alquanto minori. 


Femmina. — Faccia gialla; epistomio assai prominente; guancie prive di se- 
tole. — Yronte nericcia, giallo-pollinosa; la striscia mediana bruno-rossiccia ; due serie 
di setole. — Antenne gialle; terzo articolo appena più lungo del secondo, quasi ret- 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 493 


tangolare, appena più dilatato all’apice e quivi leggermente arrotondito. — Torace 
e petto giallo-olivaceo-pollinosi; angoli posteriori fulvo-rossicci. — Scudetto fulvo- 
rossiccio con una serie di spine nere al margine posteriore e alcune altre verso il 
mezzo. — Addome pure fulvo-rossiccio, sparso di peli corti, non fitti, neri, più lunghi 
ai lati e munito di spine robuste nere; il primo segmento, superiormente, è privo 
di spine e porta solo ai lati alcuni peli setolosi; il secondo ha nel mezzo alcune 
spine irregolarmente disposte, di cui talune al margine posteriore; ai lati qualche 
spina marginale; il terzo ha alcune spine discali ed una serie di altre marginali 
assai numerose, prolungata anche sul ventre, dove sono più corte; il quarto, eccet- 
tuato il terzo basale, tutto sparso di spine anche nella parte ventrale: il primo, il 
secondo ed il terzo segmento portano nel mezzo una macchia nera, oblunga in questi 
due ultimi; nel quarto forse tale macchia è svanita. — Ventre fulvo-rossiccio come 
l'addome; una striscia mediana di spine che si prolunga fino al margine posteriore 
del primo segmento, dove sono più lunghe. — Piedi fulvo-rossicci, assai setolosi, 
specialmente le tibie di mezzo ed anche le posteriori; tarsi e pulvilli gialli; uncini 
neri alla metà apicale. — Ali brune; vena apicale trasversale poco curva. — Calit- 
tere e bilancieri bruno-gialli. — Lunghezza mm. 12. 

Ho cambiato nome a questa specie, perchè la specie brasiliana Hystricia rufipes 
Macquart (16), suppl. 4°, p. 172, 8, avendo i palpi corti, appartiene quasi senza 
dubbio a questo genere Saundersia. 


Has. — Panama (14) — Mexico (SALLÉ). 


85. — Saundersia bipartita. 
Saundersia bipartita van per Wutp (6), II, p. 25, 11, tab. II, fig. 3, 3a. 


Un individuo femmina concorda molto bene colla descrizione del van DER WurP. 
Un altro esemplare pure femmina differisce per dimensioni maggiori (14 millim. 
circa), le ali più brune, ed il terzo articolo delle antenne un po’ più largo. 

Has. — Costa Rica; Cache (6) — Messico: Ciudad in Durango (6), Mexico 
(TRUQUI). 


36. — Saundersia bicolor. 
Saundersia bicolor Winston (41), p. 304. 


Una sola femmina differente dalla descrizione del WiLLIstoN per avere i piedi 
interamente giallo-fulvi, esclusi i tarsi. 


Has. — Nuovo Messico, Arizona, California, Washington (41) — Messico: Me- 
xico (Truqui). i 


494 DITTERI DEL MESSICO 
37. — Saundersia macula. 


Micropalpus macula Macquart (16), II, 3° partie, p. 46, 2, tab. V, fig. 2. 

Saundersia macula Scrner (30), p. 334, 130. — van per Wourp (6), II, p. 21,3, 
tab. I, fig. 16. — Braurr e Bereensramwm (7), II, p. 409. — Truer TowxsenD 
(32), p. T?. 

Saundersia (Epalpus) macula Braver e Bercensramm (7), II, p. 433. 


Un solo maschio che differisce dalla descrizione del van per WuLP per avere 
le macchie dell'addome e le calittere perfettamente bianco-candide. La macchia del- 
l'addome è limitata solo al mezzo e non si dilata ai lati. 


Has. — Sud America (16, 30) — Costa Rica: Rio Sucio (6) — Mexico (CrAVERI). 
38. — Saundersia albomaculata. 


Micropalpus albomaculatus Jarnnicxe (14), p. 80, 105. 
Saundersia albomaculata van per Wu (6), II, p. 21, 4, tab. I, fig. 17. — 
Braver e Beraenstamm (7), II, p. 409. 


Due maschi e due femmine. — In un maschio e nelle femmine l'addome non 
è di color nero ma ferruginoso-scuro; la macchia bianca dell'addome è estesa fino 
ai lati ed anche un po’ sul ventre; le calittere sono bianche. — Lunghezza mm. 14 
circa. 


Has. — Guatemala: Quezaltenango (6) — Messico (14): Ciudad in Durango (6), 
Mexico (CraveRI) Oaxaca (SALLE). 


39. — Saundersia rufipes. 


Hystricia rufipes Macquart (16), 4° suppl., p. 172, 8, tab. XV, fig. 11. 
Saundersia ? rufipes van per Wur (6), II, p. 27. N. B. 
Saundersia rufipes Truer TownsenD (32), p. 7. 


Maschio. — Faccia gialla; guancie prive di vere setole. — Yronte bruniccia, 
grigio-gialliccio-pollinosa; la striscia mediana bruno-rossiccia. — Antenne coi primi 
articoli testacei; il secondo peloso superiormente; il terzo nero, un po’ testaceo al 
margine inferiore che è rettilineo; il margine superiore curvo. — Torace nero, den- 
samente gialliccio-pollinoso, colle striscie nere sottili, ma assai ben distinte. — Scu- 
detto ferruginoso-scuro, un po’ gialliccio-pollinoso, con setole lunghe al margine poste- 
riore e spine nere anche nel mezzo. — Addome quasi subgloboso, nero lucentissimo, 


coperto di assai rigidi e corti peli neri e di molte spine. — Piedi neri; le tibie ed 
i tarsi ferruginoso-scuri, questi ultimi all'estremità più chiari; uncini gialli coll’apice 
nero; i pulvilli gialli. — Ali grigiastre, gialliccie alla base; vena trasversale poste- 


riore alquanto curva. — Culittere nereggianti. 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 495 


Femmina. — Differisce per i tarsi anteriori dilatati ed il terzo articolo delle 
antenne un po’ meno curvo superiormente. — Lunghezza mm. 10-11. 

Gli esemplari da me esaminati differirebbero da quelli del Macquart pèr la 
sola nervatura trasversale posteriore forse un po’ più curva. 


Maschio: 1 — Femmine: 2. 
Has. — Brasile (16) — Mexico (TRUQUI, SumcHRAST). 
40. — Saundersia nigriventris. 


Hystricia nigriventris Macquart (16), II, 3° partie, p. 44, 1, tab. IV, fig. 3. 

Micropalpus nigriventris Macquart (46), 1" suppl., p. 150. 

Cryptopalpus hystrix Rowpaxi (27), p. 18. 

Saundersia nigriventris Scumer (80), p. 334, 131. — Réprr (28), p. 10. — 
TyLeR Towxsenp (32), p. 7. 


Saundersia (Epalpus) nigriventris Braurr e Bereensramm (7), II, p. 409 e 485. 
Saundersia rufitibia van per Wurr (6), II, p. 24, 8. 


Due sole femmine, in cui le tibie sono ferruginoso-scure, l’ultimo articolo dei 
tarsi giallo all'estremità, i pulvilli gialli, gli uncini neri all’apice, i femori anteriori 
gialliccio-pollinosi nel lato posteriore. In tutti e due gli esemplari, guardando obli- 
quamente l'addome dai lati e dallà parte posteriore, si vede che l'estremità del terzo 
segmento e la base del quarto sono sparsi di una pollinosità fulvo-rossiccia. 

Has. — Sud-America (30) — Colombia (16, 23): Sancta-Fè de Bogota (16, 27) 
— Messico: Orizaba (6) (Sumicarast). 


41. — Saundersia picea. 
(Fig. 10, capo). 


Saundersia picea Gisuo-Tos (18), p. 3. 


Maschio. — Faccia bianca, epistomio assai prominente; guancie prive di setole 
ma bianco-pelose. — Proboscide nera. — Fronte nera, veduta da lato; gialliccio-pol- 
linosa vista dall'alto; striscia mèdiana bruno-rossiccia, quasi nera in alto. — Antenne 
nere; il secondo articolo un po’ peloso superiormente; il terzo appena più lungo del 
secondo, convesso al margine superiore, rettilineo a quello inferiore; stilo assai lungo, 
nero, appena visibilmente pubescente. — Occhi nudi. — Torace nero, poco densamente 
grigio-pollinoso colle solite striscie nere alquanto distinte. — Scudetto piceo, munito 
di setole molto lunghe al margine posteriore e nel mezzo irto di spine. — Addome 
piceo, un po’ fulvo-pollinoso alla base del quarto segmento; talora si intravede ap- 
pena una larga Striscia nerà longitudinalè nel mezzo, confusa còol colore fon- 
damentale dell'addome; i primi segmenti e specialmente il secondo sono copetti 
densamente da peli corti ma rigidi e neri; il primo segmento manca affatto di setole 


496 DITTERI DEL MESSICO 


e di spine; il secondo ed il terzo portano delle spine, non troppo robuste, ma quasi 
setoliformi, solamente al margine posteriore, od, eccezionalmente, qualcuna dorsale, 
posta però molto vicino a quelle marginali; il quarto segmento, fuorchè alla base, 
munito di spine disposte in varie serie. — Ventre piceo con una striscia mediana di 
vere spine. — Genitali picei, con peli neri all’apice. — Piedi affatto neri, con setole 
assai lunghe nere, specialmente sulle tibie mediane e posteriori; i femori anteriori 
grigio-pollinosi dal lato posteriore con una serie di setole sopra e sotto; uncini molto 
lunghi, gialli nella metà basale; pulvilli gialli. — AW grigie; vena trasversale api- 
cale fortemente curva alla base, quindi diritta; cellula apicale aperta; vena trasversa 
posteriore diritta per un buon tratto, quindi ricurva prima di congiungersi colla 


quarta longitudinale. — Bilancieri e calittere picei. 

Femmina. — Differisce solo per i soliti caratteri sessuali, cioè per il fronte 
alquanto più largo ed i tarsi anteriori un po’ dilatati; inoltre per la statura alquanto 
maggiore e l’addome più largo. — Lunghezza mm. 10-12. 

Maschi: 3 — Femmine: 2. 

Has. — Mexico (SumicARAST). 


XVII — Gen. HYSTRICIA. 
Macquart (16), II, 3° partie, p. 43. 


42. — Hystricia ambigua. 


Hystricia ambigua Macquart (16), 4° suppl., p. 172, 9. — van per Wurr (6), II, 
p. 13, 3, tab. I, fig. 7. — Truer Townsem (82), p. 6. 

? Hystricia ambigua Wuston (41), p. 298. 

Pseudohystricia ambigua Brauer e BereenstAm (7), I, p. 132, H, p. 409 e 422. 


Maschi: 2. — Femmine: 3. 
Has. — Colorado (41, '7) — Costa Rica: Rio Sucio, Cache, Volcan de Irazu (6)— 
Guatemala: San Geronimo (6) — Messico (16, 41): Orizaba (6) (SumrcHRAst), Mexico 


(SALLE), Solco. 


43. — Hystricia pollinosa. 
Hystricia pollinosa van per Wutr (6), II, p. 14, 5, tab. I, fig. 8. 


I tre esemplari della collezione Bellardi, uno maschio e due femmine, differiscono 
da quelli descritti dal suddetto autore per la statura alquanto minore (14 a 15 
millim.). 

Has. — Guatemala: San Gerénimo — Costa Rica: Rio Sucio e Cache (6) — 
Mexico (Truqui): Metztillan (SAUSSURE). 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 497 
44, — Hystricia amoena. 


Hystricia amoena Macquart (16), II, 3° partie, p. 44, 2. — van per Wurr (6), 


II, p. 16, 8, tab. I, fig. 11. — Bravrr e Bercensramwm (7), I, p. 181, II, 
p. 409 e 422. 


Macquart descrisse il maschio di questa specie e van per Wutp la femmina. 
Nella collezione BeLLARDI non esistono che due maschi, che concordano bene colle 
descrizioni. 


Has. — Costa Rica: Volcan de Irazu (6) — Messico (16): Coscom (SumrcHRAST), 


45. — Hystricia micans. 


Hystricia micans van per Wutr (6), IL, p. 16, 9, tab. I, fig. 12. 


Maschio. — Corpo robusto. — Faccia bianco-gialliccia con qualche piccolo pelo 
ai lati; guancie munite in basso di parecchi e lunghi peli neri; epistomio assai pro- 
minente. — Pulpi gialli, alquanto ingrossati all'apice e quivi muniti al di sotto di 
alcuni peli neri alquanto lunghi. — Fronte assai sporgente, larga in basso, molto più 
stretta in alto. — Occhi irti di peli lunghi fulvicci. — Antenne coi primi articoli 
gialli; il secondo con lunghi peli sul margine superiore; il terzo nero, lineare, leg- 
germente concavo al margine superiore e convesso all’inferiore, un po’ arrotondato 
all'apice, almeno il doppio in lunghezza del secondo. — Torace col disco nero, leg- 
germente grigio-pollinoso colle solite striscie nere poco distinte; i lati giallo-fulvi. 
— Scudetto giallo-fulvo, irto di spine. — Addome rosso, assai più largo del torace, 
cordiforme, munito di robuste spine nere, che rivestono la metà posteriore del se- 
condo, terzo e quarto segmento; sul secondo segmento si estendono nel mezzo fin 
verso la base; sul primo segmento ve ne sono solo alcune ai lati. Le incisioni dei 
segmenti presentano un riflesso bianco-argentino, se osservati molto obliquamente 
dal di dietro. Sul mezzo del dorso di ogni segmento, fuorchè sul quarto, una macchia 
quasi rotonda nera. — Genitali rossi come l'addome, molto sporgenti e muniti di un 
ciuffo di lunghi peli neri setolosi all'apice. — Ventre irto lungo il mezzo di spine 
nere. — Piedi robusti, fulvi; i femori rivestiti di peli lunghi gialli, misti a setole 
nere; uncini gialli, all'apice neri; pulvilli gialli. — Ali e calittere bruno-gialliccie. — 
Lunghezza mm. 14-15. 

Questa specie, sebbene ben distinta per vari caratteri dalla H. amoena, è però 
nel complesso assai simile ad essa. 

Due soli maschi. 


Has. — Costa Rica: Rio Sucio, Volcan de Irazu (6) —- Messico: Oaxaca (SALLE). 


Serie II. Tom. XLIV. i 


498 DITTERI DEL MESSICO 


46. — Hystricia soror. 


Hystricia soror Wiuston (41), p. 298. — ‘van Der Won (6), IL p. 15, 6, 
tab. I, fig. 9. 


Un maschio e tre femmine. — Nel maschio lo scudetto è bruno-pece, nelle 
femmine è invece quasi nero. In una femmina il torace è notevolmente più pollinoso 
e le quattro solite striscie sono ben distinte. Nel resto concordano bene con quelli 
descritti da WiILLIston e van per WutP. 

Has. — Nord-America: Arizona (41) — Guatemala: San Gerénimo — Costa 
Rica: Cache (6) — Mexico (SAaLLÉ e SumicHRAST). 


XVHI. — Gen, TROPIDOPSIS. 


Brauer e Beroensramm (7), I, p. 132. 


47. — Tropidopsis pyrrhaspis. 


Tachina pyrrhaspis Wrepewanw (40), II, p. 307, 47. 

Hystricia pyrrhaspis Macquarr (16), IL, 3° partie, p. 43. — Scumer (80), p. 332, 
122. — van per Wurr (6), II, p. 18, 12. 

Tachina Anthemon Warker (37), Part IV, p. 733. 

? Tachina Amisias Warker (3), Part IV, p. 734. 

Tropidopsis pyrrhaspis Braver e BeroensrAm (7), I, p. 132; II, p. 409 e 438. 
— Tyuer Towxsem (32), p. 6. 


Ho esaminato sei esemplari, tutti maschi, molto varianti in dimensioni (lunghezza 
da 13 a 18 mm.), ma assai costanti nella colorazione delle varie parti del corpo, 
col quarto segmento addominale costantemente nero, ma solo in taluni è nero anche 
l'apice del terzo. 

Tachina Anthemon di WALKER corrisponde perfettamente a questa specie; non 
ho potuto però riscontrare il carattere a cui egli accenna: “ facets (of eyes) on the 
fore part rather larger than those elsewhere , che forse è poco distinto. 


Has. — Sud-America (30) — Brasile (40, 37) — Guatemala: Las Mercedes, 
San Gerò6nimo, Cubilguitz, Lanquin (6) — Messico: Cordova (6), Tuxpango, Orizaba. 


XIX. — Gen. BLEPHARIPEZA. 
Macquart (16), II, 3° partie, p. 54, 10. 


48. — Blepharipeza leucophrys. 


Tachina leucophrys Wiepewann (40), II, p. 308, 49. 

Blepharipeza rufipalpis Macquart (16), IL, 3° part., p. 55, 1, tab. VI, fig. 1; 
I suppl., p. 158. — Bisor, MHistor. fis. poht. y nat. de Cuba, VII, Ins., 
p. 343. — Ronpani (25), p. 8, 12. — Braurr e Beroensramm (7), I, p. 96. 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 499 


Tachina (Blepharipeza) latifrons WaLker (88), p. 284. 

Tachina (Blepharipeza) nigrorufa WaArker (38), p. 284. 

Blepharipeza leucophrys Scrmer (30), p. 336, 139. — Réper (22), p. 345. — 
Wituiston (41), p. 304. — Braor (4), p. 89. — Bravuer e BereensrAamm (7), 
II, p. 402 e 432. — Trier Towxsenp (82), p. 9; (81), Paper III, p. 89. 

Belvosia rufipalpis van Der Wurr (34), p. 25, 17. 


Belvosia leucophrys van Der Wurr (6), II, p. 30, 2, tab. II, fig. 9, 9a. 


Undici esemplari dei due sessi, che differiscono alquanto nelle dimensioni e in 
qualche altro carattere. Tutti hanno le tibie posteriori cigliate; in taluni le spine 
discali dell’addome sono molto numerose e robuste, in altre scarse e quasi man- 
canti; così anche lo scudetto è in alcuni irto di spine nel mezzo; in tutti è di color 
piceo. Anche il colore dell'addome varia dal nero lucente al piceo, e la pollinosità 
del torace è più o meno densa. in un esemplare femmina un po’ più piccolo degli 
altri la base delle ali è notevolmente più nera. Sono però convinto che essi appar- 


tengono tutti alla stessa specie, non essendovi un carattere solo costante che valga 
a distinguerli in due specie diverse. 


Has. — Sud-America (38): Repubblica Argentina (34), Brasile (40, 25, 30, 
34, 41) — Guiana (16) — Colombia (38, 30, 34) — Nord-America: Connecticut, Pensil- 
vania (41) — Cuba (16) (Biaor) — Portorico (22) — San Domingo (41) — Costa 
Rica: Rio Sucio, Volcan de Irazu (6) — Messico (16, 4): Presidio, Orizaba, Medellin 


presso Vera Cruz (6), Guanajuato (31), Orizaba, Mexico, Oaxaca (SumicHRAST e SALLÉ), 
Solco. 


XX. — Gen. BELVOSIA. 
Rosrnrau-Desvomy (21), p. 103. 


49. — Belvosia analis. 
Belvosia analis Macquart (16), I suppl., p. 160, 2, tab. XIV, fig. 4. 


Maschio. — Corpo tozzo, robusto. — Capo più largo del torace. — Maccia assai 
obliquamente ritratta, bianco-argentina, molto larga; epistomio appena leggermente 
sporgente; le due setole orali più lunghe inserite assai al di sopra del margine orale; 
le creste della faccia munite di sei o sette setole che si estendono per quasi due 
terzi della lunghezza della faccia; la fossa facciale assai profonda; le guancie breve- 
mente pelose nella parte più bassa ai lati della bocca. — Proboscide nera, corta — 


| Palpi gialli, lunghi come la proboscide, fortemente clavati. — Fronte nericcia, alquanto 


grigio-pollinosa, molto larga in basso, più ristretta in alto, ma tuttavia ancora larga 
quivi quanto un terzo del capo; la striscia mediana quasi nera, molto larga in basso, 
molto più stretta al vertice; ai lati di essa due serie di setole per parte, ricurve 
all’indietro. — Antenne lunghe, che si portano fin presso alle due vibrisse più lunghe 


500 DITTERI DEL MESSICO 


orali; i due primi articoli giallo-brunicci; il secondo munito di setole al margine 
superiore ed alquanto allungato; il terzo circa due volte e mezzo il secondo, nero, 
rigonfio superiormente alla sua base; stilo nero assai lungo. — Occhi assai grandi, 
nudi. — Torace quasi quadrato, nero, leggermente cinereo-pollinoso anteriormente 
colle solite striscie nere sottili e poco distinte, coperto di ispidi e corti peli neri. 
— Scudetto piceo, irto di corti peli neri, e munito al margine di lunghe e robuste 
setole nere. — Addome alquanto più largo del torace, ovale e tozzo, nero vellutato, 
coperto di peli neri, corti e rigidi, procumbenti; il quarto segmento giallo-dorato per 
una densa pollinosità che lo ricopre e sparso di rari, piccoli e brevi peli neri; due 
setole marginali sul dorso del primo e secondo segmento ed una per parte ai lati; 
una serie continua di setole marginali robuste e simili a spine sul terzo e sul quarto. 
— Piedi robusti, neri, pelosi e setolosi; le tibie posteriori cigliate, con qualche setola 
posteriormente; uncini molto lunghi, gialli, neri all'apice; pulvilli fulvi, assai svilup- 


pati. — Ali brune, gradatamente più nereggianti verso la base; la piccola vena 
trasversa avanti il mezzo della discale è molto ‘obliqua; quella posteriore legger- 
mente fatta ad S. — Culittere picee. — Lunghezza mm. 12. 


Un solo maschio. 

Assai simili a questa, e forse anche appartenenti alla medesima specie, sono le due 
seguenti Belvosia Weyenberghiana van per Wuxp (34), p. 26,18, pl. I, fig. 16 e 
B. leucopyga van DER Wuxp, Notes from the Leyden Museum, IV, p. 84, 17 e (34), 
p. 27, 19, tutte e due specialmente distinte per avere i due articoli basali delle 
antenne neri. 


Has. — Brasile? (16) — Messico: Tuxpango (SumicrRAsT). 


50. — Belvosia bella. 


(Fig. 6, capo; 6a, ano). 


Belvosia bella Gierio-Tos (13), p. 3. 


Femmina. — Capo più largo del torace. — Faccia obliquamente ritratta come in 
B. analis, bianco-argentina, larga; guancie nude anche nella parte più bassa; le se- 
tole sulle creste facciali più spaziato e solo in numero di tre o quattro. — Probo- 
scide corta, nera. — Palpi gialli, clavati. — Fronte molto larga, appena più stretta 
in alto, bruniccia ed un po’ cinereo-pollinosa; la striscia mediana fulva; ai lati di 
questa una sola serie per parte intera di setole ed altre tre setole orbitali rivolte 
in basso. — Occhi nudi. — Torace di forma trapezoidale, cioè più stretto posterior- 
mente, grigio-pollinoso nel mezzo, colle solite striscie nere alquanto distinte, di cui 
le laterali più larghe e diffuse; lungo i lati di esso sulle pleure e sul petto densa- 
mente gialliccio-pollinoso. — Scudetto nericcio alla base, quindi a poco a poco testaceo 
fino all'apice, munito al margine di lunghe setole nere. — Addome appena più largo 
del torace, ovato ed ottuso all'apice, nero, e sparso di pollinosità gialliccia, fuorchè 
sul primo segmento ed all’apice del secondo e del terzo; i lati del secondo segmento 
un po’ ferruginosi; la pollinosità del terzo segmento più gialla e più densa; il quarto 
segmento, poco sviluppato ed in parte nascosto sotto il terzo tutto giallo-dorato, 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 501 


come in B. aralis, per una densa pollinosità di tal colore che lo ricopre; le setole 
così disposte: due marginali dorsali ed una per parte laterali piccole sul primo e 
secondo segmento; una serie di marginali più robuste e simili a spine sul terzo; 
un’altra serie di marginali sul quarto, i cui margini posteriori ravvicinati formano 
una fessura longitudinale all’apice dell'addome. — Ventre convesso, ferrugineo, den- 
samente pollinoso su tutto il terzo segmento ed alquanto alla base del secondo. — 
Piedi robusti, neri, pelosi e setolosi; le tibie posteriori cigliate e con alcune setole 
dal lato esterno; pulvilli gialli; uncini neri; ambedue poco sviluppati. — Ali un poco 
gialliccie, specialmente alla base; le nervature press’a poco come in B. analis. — 
Calittere bianche. — Lunghezza mm. 10. 
Una sola femmina. 


Has. — Non è indicata la località del Messico in cui fu raccolta. 


XXI. — Gen, CHAETOGENA. 
Ronpani (26), III, p. 172, 175. 


51. — Chaetogena carbonaria. 
(Fig. 19, capo). 


Chaetogena carbonaria Gievio-Tos (13), p. 4. 


Maschio. — Faccia bianco-argentina, molto obliquamente ritratta; epistomio 
non sporgente, con due vibrisse lunghissime e convergenti; qualche setola ai margini 
laterali della bocca; creste facciali molto rilevate, munite di una serie di 10-11 
lunghe setole, gradatamente decrescenti verso l’alto e ricurve in basso, che si esten- 
dono fino alla base del terzo articolo delle antenne; guance pelose ai lati della bocca. 
— Proboscide mediocre, nera, colle labbra assai sviluppate; palpi lunghi come la 
proboscide, ricurvi in alto, neri alla base, fulvi nel resto, un po’ingrossati all’apice 
e pelosi verso il mezzo. — Fronte molto sporgente, assai larga, un po’ più stretta 
in alto, nera ai lati con riflessi grigio-gialliccio-pollinosi; striscia frontale nera, larga 
appena più dei lati; da ogni parte di essa una serie confusa di setole miste a peli 
che discendono dal mezzo fino all'apice del secondo articolo delle antenne ed al ver- 
tice tre setole più lunghe ricurve all’indietro e due ocellari ricurve in avanti e diver- 
genti. — Occhi grandi, inferiormente assai lontani dalle vibrisse, irti di lunghi 
e fitti peli fulvi. — Antenne grandi, lunghe quanto la faccia, inserite sull’apice della 
sporgenza frontale, nere, adagiate nella fossa facciale; il primo articolo corto, il se- 
condo un po’ più lungo e con qualche pelo al margine superiore; il terzo molto largo, 
lineare, un po’ arrotondato all’apice, lungo da 4 a 5 volte il secondo; stilo lungo e 
sottile, appena un po’ ingrossato alla base; il secondo articolo brevissimo. — Torace 
nero , grigio-gialliccio-pollinoso con quattro striscie nere ben distinte; le mediane 
più sottili, le laterali più larghe e interrotte alla sutura; pleure e petto neri, polli- 
nosi come il torace. — Scudetto nero piceo; la pollinosità grigia è solo visibile os- 
servandola obbliquamente dal di dietro. — Addome sub-conico, largo quanto il torace, 
ma un po’ più lungo, terminato all’apice da lunghi peli neri, misti a setole; tutto 


502 DITTERI DEL MESSICO 


nero-opaco con riflessi pollinosi fulvi alle incisioni e sul ventre, appena distinte se 
osservate molto obliquamente; le setole, tutte marginali sui primi tre segmenti, così 
disposte: sul primo e sul secondo due dorsali e una o due laterali; sul terzo una 
serie di 8-10 assai spaziate ma robuste; sul quarto parecchie discali miste a lunghi 
peli neri. — Ventre coi riflessi pollinosi alla base dei segmenti ben più distinti. — 
Piedi robusti, ed assai lunghi, neri, pelosi e setolosi; i piedi anteriori hanno i femori 
grigio-pollinosi dal lato posteriore, con una serie di setole ben ordinate dal lato 
esterno e da quello interno; le tibie al loro apice ed i tarsi alla base con riflessi 
sericei fulvo-dorati; le tibie mediane con due lunghe setole esternamente e le poste- 
riori con due setole verso il mezzo e due presso all'apice quasi appaiate; l’ultimo 
articolo di tutti i tarsi muniti di lunghissimi peli; gli uncini ed i pulvilli molto 
lunghi; i pulvilli gialli. — Al ialine, un po’ fulviccie alla base e lungo un certo 
tratto della costa, che è setolosa all’ima base; la terza vena longitudinale con qualche 
setola alla base; la cellula apicale largamente aperta e sboccante prima dell’apice; 
la vena apicale trasversa molto concava alla base, quindi diritta; la quarta vena 
longitudinale priva di appendice al gomito; la piccola vena trasversa posta un poco 
prima del mezzo della cellula discale; la vena trasversa posteriore un po’ bisinuosa. 
— Calittere bianche orlate di bruniccio. — Lunghezza mm. 13-14. 
Due soli maschi. 


Has. — Orizaba (SumicHRAST). 


52. — Chaetogena cincta. 
Chaetogena cincta Giario-Tos (13), p. 4. 


Per la forma del corpo e delle varie sue parti e per la disposizione delle setole 
è assolutamente simile a C. carbonaria. Differisce nella colorazione. 

Maschio. — Faccia gialliccia ai lati, argentina nel mezzo; guancie pelose in 
basso ai lati della bocca. — Proboscide nera; palpi gialli, pelosi in basso verso il loro 
mezzo. — Fronte giallo-pollinosa ai lati; la striscia frontale nera. — Antenne nere, 
stilo sottile e lungo. — Torace nero, grigio-gialliecio pollinoso, colle striscie come 
in C. carbonaria; petto e pleure grigio-pollinosi. — Scudetto nero all’ima base, un 
po’ rossiccio all'apice e densamente grigio-pollinoso, fuorchè alla base. — Addome 
nero; i lati del secondo segmento largamente e quelli del terzo alla base ferruginosi; 
alla base dei segmenti secondo e terzo e quarto una fascia grigio-pollinosa, larga 
quanto la metà dei segmenti; le incisioni argentino-pollinose se osservate obli- 
quamente dal di dietro. — Ventre quasi tutto argentino-pollinoso. — Piedi, ali e 
calittere come in C. carbonaria. 


Femmina. — Differisce per il fronte un po’ più largo, e due setole orbitali 
ricurve in basso oltre alle altre come nel maschio; il torace, lo scudetto e l'addome 
più densamente pollinosi e quest’ultimo non ferruginoso ai lati; i pulvilli e gli un- 
cini assai più corti. — Lunghezza mm. 12-13. 

Maschi: 2. — Femmine: 1. 


Has. — Orizaba (SumIcHRAST). 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 503 


53. — Chaetogena gracilis. 
(Fig. 7, antenna). 


Chaetogena gracilis Giaio-Tos (13), p. 4. 


Femmina. — Faccia argentina, assai obliquamente ritratta; epistomio non 
sporgente; vibrisse proprio al margine boccale; creste facciali munite di una sola 
serie di 6-7 setole ricurve in basso, che si estende fin presso alla base del terzo 
articolo delle antenne; guancie molto strette. — Proboscide nera; palpi gialli appena 
un po’ ingrossati verso l’apice. — Fronte giallo-dorata, assai larga e sporgente; la 
striscia mediana nera; ai lati di essa una serie di setole che si estende dal mezzo 
fino all'apice del secondo articolo delle antenne; fra queste, due più lunghe presso 
la base delle antenne convergono e si incrociano al di sopra di queste; due setole 
orbitali ricurve in basso; tre altre più interne di cui la mediana più piccola ricurve 
all'indietro; due ocellari ricurve in avanti e divergenti. — Occhi irti di peli bian- 
chicci, grandi, che giungono in basso fin presso al margine boccale. — Antenne lunghe 
quanto la faccia, nere, inserite al di sopra del mezzo degli occhi; il primo articolo 
brevissimo, il secondo un po’ più lungo del primo, un po’ peloso superiormente; il 
terzo almeno quadruplo del secondo, quasi tronco all’apice, stretto alla base e gra- 
datamente più dilatato verso l'estremità; stilo più corto del terzo articolo delle an- 
tenne ingrossato fin presso all’apice. — Torace nero, densamente grigio-pollinoso; 
le due striscie nere mediane non distinte, le laterali larghe e un po’ confuse; petto 
e pleure grigio-pollinosi. — Scudetto nero, densamente grigio-pollinoso. — Addome 
largo quanto il torace, ma un po’ più lungo, sub-conico, nero un po’ lucente; tutti 
i segmenti, fuorchè il primo interamente e una stretta fascia al margine posteriore 
degli altri, grigio-pollinosi; sul primo e secondo segmento due setole marginali dor- 


. sali ed una per parte laterali; sul terzo una serie di sei a sette marginali; sul quarto 


qualcuna discale; quelle del primo segmento molto deboli e corte, le altre molto 
robuste e lunghe. — Ventre nero, grigio-pollinoso fuorchè all’apice, alle incisioni e 
in una sottile striscia longitudinale mediana. — Piedi neri, robusti, pelosi e setolosi; 
i femori anteriori grigio-pollinosi dal lato posteriore; uncini e pulvilli molto piccoli; 
pulvilli fulvi. — Al quasi ialine; le vene come nelle altre specie precedenti. — 
Calittere bianche. — Bilancieri bruni. — Lunghezza mm. 9. 

Questa specie che per la colorazione è un po’ simile a C. cincta ne è però ben 
distinta per la forma più gracile del corpo, del terzo articolo delle antenne e dello 
stilo e per la mancanza di striscie nere distinte sul torace. 


Has. — Una sola femmina raccolta da BoucArDp senza indicazione di località. 


XXII. — Gen. BLEPHARIPODA. 
Braver e Bercensranm (17), I, p. 96 - pro B/lepharipa Ronpani (26), IV, p. 13. 


54. — Blepharipoda mexicana. 
(Fig. 18, capo). 


Blepharipoda mexicana Gisuio-Tos (13), p. 6. 


504 DITTERI DEL MESSICO 


Femmina. — Faccia giallo-dorata, obliquamente ritratta, e appena concava 
sopra all’epistomio; vibrisse incrociate, inserite un po’ al di sopra del margine boc- 
cale; sulle creste laterali una serie di setole sottili e deboli, gradatamente più brevi, 
che si estende visibilmente oltre la metà della faccia; guancie alquanto grandi, circa 
la metà dell’altezza degli occhi, pelose. — Proboscide nera; palpi fulvi, leggermente 
ingrossati dalla base all'estremità, ricurvi in alto. — Yronte giallo-dorata, come la 
faccia, più stretta in alto; la striscia frontale nera, opaca; ai lati di questa una serie 
di setole discendenti fino all’apice del secondo articolo delle antenne, ricurve in dentro; 
due di esse al vertice ricurve all’indietro; due orbitali robuste ricurve in basso; e 
due ocellari più piccole; una doppia serie di piccole setole al margine posteriore 
degli occhi. — Occhi grandi, discendenti fin presso all’apice delle antenne, nudi. — 
Antenne un po’ meno lunghe della faccia; il primo ed il secondo articolo bruno-fulvi; 
il secondo un po’ più lungo del primo, peloso di sopra ; il terzo nero, lineare, triplo 
del secondo, arrotondato all’apice; stilo molto lungo, nero, ingrossato dalla base fin 
verso il mezzo. — Torace nero, bianco-gialliecio-pollinoso ; così le pleure ed il petto; sul 
dorso quattro striscie nere ben distinte, di cui le laterali più larghe, posteriormente quasi 
confuse colle mediane; un’altra striscia nera nel mezzo, breve, di fronte allo scudetto. 
— Scudetto grigio-pollinoso, nero alla base, rossiccio nel mezzo e testaceo all'apice; 
tre setole per parte lunghe e due all’apice più corte e sottili. — Addome ovale, ap- 
pena più largo del torace, acuto, nero, tutto cosparso, fuorchè sul primo segmento, 
di pollinosità bianchiccia, più o meno visibile secondo l'incidenza della luce, racchiu- 
dente macchiette irregolari nere; la pollinosità sul quarto segmento, gialliccio-dorata; 
sul primo segmento una setola per parte marginale; sul secondo due dorsali ed una 
laterale tutte marginali; sul terzo una serie di otto setole marginali; sul quarto 
molte discali. — Ventre convesso, uniformemente bianchiccio pollinoso; la serie delle 
setole marginali del terzo segmento si continua su tutta la larghezza del ventre 
dove sono più brevi. — Piedi neri, pelosi e setolosi (mancano gli anteriori); tibie 
posteriori cigliate al lato esterno; due setole nel mezzo dal lato interno e due ap- 
paiate presso l’apice; pulvilli ed uncini mediocri; pulvilli bruno-fulvi. — A% limpide, 
appena un po’ bruniccie alla base e lungo un tratto della costa; piccola vena tras- 
versa obliqua posta un po’ prima del mezzo della discale; cellula apicale larga- 
mente aperta prima dell’apice dell'ala; nessuna appendice al gomito della quarta 
vena longitudinale; la vena trasversa apicale un po’ concava; la vena trasversa po- 
steriore dritta alla base, quindi obliqua. — Calittere bianche, orlate di gialliccio. — 
Lunghezza mm. 13. 

Una sola femmina, simile alla specie europea B. scutellata, ma distinta special- 
mente per la colorazione della faccia, e la mancanza di setole dorsali sul primo seg- 
mento dell’addome. 


Has. — Tehuacan. 


XXIII. — Gen. ACROGLOSSA. 
Winston (42), p. 1916. 


WixListon nel 1889 creava questo genere per un dittero (A. hesperidarum) alle- 
vato da Harris da un Epargyreus tityrus. Ma nel 1891 i ditterologi BRAUER e 


e ia darci 


i caecS 


DEL DOTT. E. GIGLIO TOS 505 


BerGENsTAMM non accettavano tal genere, siccome quello che a loro parere “ non può 
essere distinto dal genere SPALLANZANIA di RoNDANI , ; (?) II, p. 354. Nella collezione 
Bellardi di ditteri messicani esiste un dittero che corrisponde perfettamente ai caratteri 
generici di Acroglossa. Confrontato da me colla specie Spallanzania hebes europea, tipo 
del genere, esistente nella collezione Bellardi di ditteri europei, ho potuto convincermi 
che le due forme non hanno altro di comune fra di loro che la disposizione delle setole 
sul fronte e sull’addome. Nel resto della forma del capo diversificano moltissimo. In 
Acroglossa il fronte e la faccia sono assai meno rigonfi e larghi, questa più obliquamente 
ritratta e munita di una serie regolare di setole sulle creste laterali, mancanti in 
Spallanzania, inoltre le antenne, il cui secondo articolo è notevolmente corto, ed il 
terzo molto più lungo e di forma ben diversa da quello corrispondente in SpaMlan- 
zania, avvicinano questo genere a Frontina, come ben a ragione credette WILLISTON, 
oppure meglio al genere Baumhaueria col quale ha ancora comune i peli ai lati della 
faccia. Da quest’ultimo genere differisce poi specialmente per la grandezza relativa 
degli occhi che discendono molto in basso in Acroglossa e sono invece assai piccoli 
in Baumhaueria; e per questo stesso carattere dovrebbe forse la specie Baumhaueria 
discrepans van DER WutP (6), II, p. 115, 1, tab. III, fig. ‘17, essere compresa nel 
genere Acroglossa, se essa non differisse però per le nervature delle ali come si può 
vedere dalla figura. Il genere Distichona van DpeR WutP (6), II, p. 44, differisce per 
aver la faccia verticale molto larga, il fronte più largo, le vibrisse un po’ distanti 
dal margine boccale, le guancie larghe, le antenne più corte e i lati della faccia 
pelosi. Inoltre, se la figura del capo di profilo è esatta, le antenne sono inserite quasi 
al di sotto del mezzo degli occhi, mentre in Acroglossa sono visibilmente al di sopra. 


55. — Acroglossa tessellata. 


Acroglossa tessellata Giauio-Tos (13), p. 5. 


Femmina. — Faccia dorata, obliquamente ritratta, coll’epistomio leggermente 
sporgente; creste laterali assai pronunziate e munite di una serie regolare di setole 
ricurve in basso che si estende fin quasi presso alla base del terzo articolo delle 
antenne; ‘lati della faccia sparsi di peli neri; le guancie alte appena un quarto del- 
l'altezza degli occhi; vibrisse inserite un po’ al di sopra dell’epistomio, lunghe e in- 
crociate. — Proboscide nera, lunga quanto è alta la faccia, colle labbra sottili; palpi 
gialli appena un po’ più ingrossati all'apice. — Fronte larga assai sporgente, giallo- 
dorata, colla striscia ‘mediana nera; ai lati di questa una serie regolare di setole 


‘che scendono ai lati fin sotto all’apice del secondo articolo delle antenne ; due setole 


orbitali ricurve ‘in basso: e due altre ricurve all'indietro; due ocellari ricurve in 
avanti e divergenti. — Occhi assai grandi, nudi, discendenti fino all’apice delle an- 
tenne. — Antenne nere, lunghe, che si portano fin presso alle vibrisse; il primo ar- 
ticolo cortissimo, il secondo un po’ più lungo, il terzo lineare, gialliccio alla base, 
quasi troncato all'apice, lungo almeno tre volte il secondo; stilo nero, robusto; il 
secondo assai lungo, il terzo lungo quanto il terzo articolo delle antenne, leggermente 
geniculato col secondo, ed ingrossato fin oltre la metà basale. — Torace densamente 
grigio-gialliccio-pollinoso specialmente in sul davanti ed ai lati; le quattro striscie 
Serie II Tom. XLIV. nî 


506 DITTERÌ DEL MESSICO 


nere assai larghe e distinte; petto e pleure grigio-pollinosi. — Scudetto nero, grigio- 
pollinoso, testaceo al margine posteriore specialmente all’apicoe. — Addome ovato, 
un po’ più largo del torace, nero, tutto densamente grigio-gialliccio-pollinoso , con 
riflessi neri irregolari ed indescrivibili; il quarto segmento tutto giallo quasi dorato; 
le setole sono solamente marginali fuorchè sul quarto segmento dove talune sono 
anche discali; esse sono due dorsali ed una laterale sui due primi segmenti, ed una 
serie di 6-8 sul terzo. — Piedi robusti, neri, setolosi; tutte le tibie, specialmente 
le posteriori ferruginose nel mezzo; uncini e pulvilli fulvi. —— Al un po’ grigie; la 
cellula apicale aperta e terminata assai prima dell’apice; vena apicale trasversa 
leggermente concava alla base quindi diritta; la vena trasversa posteriore appena 
bisinuosa. — Calittere bianche. — Bwlancieri bruni. — Lunghezza mm. 9. 

Questa specie è simile a Frontina acroglossoides TyLer Towxsenp (84), Paper II, 
p. 367, la quale però differisce per avere sul torace tre strisce nere e sul secondo 
segmento dell'addome due setole discali oltre alle marginali, oltre ai caratteri propri 
del genere. 

Una sola femmina. 


Has. — Oaxaca (SUMICHRAST). 


XXIV. — Gen. MYSTACOMYIA. 
Gienio-Tos (13), p. 4. 


Capo quasi emisferico. — Faccia perpendicolare, non molto larga; i lati di essa 
privi di peli; epistomio e fronte non sporgenti. — Antenne inserite all’altezza del mezzo 
degli occhi, brevi che appena giungono al mezzo della faccia, verticali; il terzo ar- 
ticolo stretto, lineare, arrotondato all’apice, appena doppio del secondo in lunghezza; 
stilo lungo, nudo. — Vibrisse orali distinte, a notevole distanza dalla bocca, più av- 
vicinate all'apice delle antenne che ad essa. — Margini laterali della bocca muniti 
di una serie di fitti peli corti neri che prolungandosi sulle creste laterali della faccia 
oltrepassano appena le vibrisse. — Occhi irti di fitti peli; così grandi che si esten- 
dono per quasi tutta l’altezza del capo, oltrepassando in basso le vibrisse e rima- 
nendo separati dal margine laterale della bocca da un breve tratto di guancie. — 
Palpi filiformi. — Fronte stretta, con una sola serie di setole non lunghe nè robuste 
ai lati della striscia mediana. — Occipite piatto. — Scudetto assai grande con setole 
lunghe al margine. — Addome ovale, tozzo ; il primo segmento grande come gli altri; 
mancano affatto le setole dorsali e quelle laterali sono così disposte: una piccola sul 
primo ed una più lunga sul secondo; due o tre sul terzo, e una serie al margine 
posteriore del quarto, all’apice dell'addome frammiste con peli quasi altrettanto lunghi. 
— Piedi un po’ robusti; tibie posteriori cigliate dal lato esterno. — Al colla. cel- 
lula marginale largamente aperta prima dell’apice; vena trasversa apicale un poco 
concava; piccola vena trasversale obliqua; la vena trasversa posteriore leggermente 
bisinuata ; il margine anteriore cigliato all’ima base. i 

Questi caratteri generici si convengono al maschio; quelli della femmina sono 
finora sconosciuti. 

La specie tipica è la seguente : 


e rr 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 507 


56. — Mystacomyia rubriventris. 


Mystacella rubriventris van per WuxP (6), II, p. 52, 1. 
Mystacomyia rubriventris Gierio-Tos (13), p. 4. 


Maschio. — Faccia bianca con riflessi cinerei. — Palpi gialli, proboscide nera. 
— Fronte molto stretta in alto; la striscia frontale nera. — Occhi irti di fitti e corti 
peli bianchicci. — Antenne nere; i primi due articoli gialli. — Torace bianco-gial- 


liccio-pollinoso, con cinque striscie nere ben distinte di cui le tre mediane più sot- 
tili, quelle laterali più larghe e diffuse, un po’ interrotte alla sutura; petto e pleure 
gialliccio-pollinosi. — Scudetto assai grande, testaceo; alcune setole lunghe al mar- 
gine. — Addome ovato, testaceo, argenteo-pollinoso su tutti i segmenti, nero nel 
mezzo del primo segmento sotto allo scudetto e lungo una striscia mediana dorsale; 
abbreviata all’apice del terzo segmento; molti peli corti, neri, procumbenti, lo rico- 
prono e si fanno più lunghi sul quarto segmento formando all’apice dell'addome un 
ciuffo; le setole disposte come è detto nella diagnosi generica. — Piedi neri pelosi 
e setolosi; le tibie posteriori un po’ ferruginoso-scure nel mezzo e cigliate; uncini 
lunghi, neri; pulvilli lunghi e grigi. — Ali limpide, gialliccie alla base e lungo il 
margine anteriore. — Calittere bianche. — Lunghezza mm. 10. 
Un solo maschio. 


Has. — Messico: Atoyac in Vera Cruz, Tuxpango (6), Mexico (BoucaRp). 


XXV. — Gen. EXCRISTA. 
Mrrcen (17), II, p. 280, 108. 


57. — Exorista rufilatera. 


Exorista rufilatera Ronpani (24), p. 9 e 10. 


Masipoda geminata Braver e Bereensramm (7), I, p. 162; IL, p. 402 e 430. — 
TyrLer Towxsen (32), p. 17. 


Esxorista latimana van per Wutr (6), II, p. 67, 12, tab. II, fig. 10. 


I nove esemplari della collezione BeLLARDI sono tutti maschi, epperò non ho 
potuto notare il peculiare carattere della grande dilatazione dell’ultimo articolo dei 
tarsi che è esclusivo della femmina. Ma dalla disposizione delle setole frontali nei 
maschi, tutte bene ordinate in una serie sola ai due lati della striscia mediana fron- 
tale, ho potuto riconoscere che senza dubbio appartengono alla specie Hrorista lati- 
mana di van per WuLp, sinonima di Masipoda geminata BraurrR e BERGENSTAMM. 
Nella collezione di ditteri del Museo zoologico di Torino ho però trovato il tipo della 
specie descritto da RonpanI col nome di Exorista rufilatera nel 1850 e porta ancora 


l'etichetta con tale indicazione scritta dal Rondani stesso. Anche questo esemplare 


è un maschio e posto a confronto cogli altri maschi della collezione Bellardi non ne 


508 DITTERÌ DEL MESSICO 


differisce e senza alcun dubbio appartengono tutti alla stessa specie. ll nome dato 
dal Rondani ha perciò la priorità’ e l’ho' dunque sostituito agli altri due. 

Le variazioni principali che si notano negli esemplari suddetti e che hanno poca 
importanza si riferiscono essenzialmente allo scudetto che in taluni è tutto nero col- 
l'apice grigio, in altri è più o meno rossiccio verso. l'apice ed in altri poi, come 
nell’esemplare tipico, è tutto rossiccio, esclusa la base che è nera. Anche il colore 
rossiccio ai lati dell'addome è più o meno diffuso ed in qualche esemplare il secondo 
, segmento porta anche due setole marginali sul dorso, che mancano negli altri e 
nel tipo. 


Has. — Venezuela (24) — Brasile (32) — Messico: La' Venta, Tierra Colorada, 
Amula, Xucumanatlan e Sierra de las Aguas Escondidas in Guerrero, Atoyac e Me- 
dellin in Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6), Orizaba (6, 7), Orizaba e Tuxpango 
(SUMICHRAST). 


58. — Exorista trivittata. 
Exorista trivittata van per Wuxr (6), II, p. 70, 17. 


Maschio. — Nero, grigio-pollinoso. — Faccia un. po’ obliquamente. ritratta, 
giallo-pollinosa con qualche riflesso bruno; guancie nericcie e pelose ai lati della 
bocca. — Fronte giallo-pollinosa; la striscia mediana stretta e nera; una serie di 
setole per parte che discendono fino all'apice del secondo segmento delle antenne. 
— Antenne, palpi e proboscide neri. — Occhi pelosi. — Torace grigio-gialliccio pol- 
linoso; tre striscie longitudinali nere molto larghe e ben distinte; ai lati di quella 
mediana un’altra striscia più sottile presso al margine anteriore ; petto e pleure neri, 
gialliccio-pollinosi. — Scudetto nero, grigio-pollinoso , un po’ fulviccio all'apice. — 
Addome sub-conico, nero, lucente, peloso; la pollinosità bianca forma delle larghe 
fascie su tutti i segmenti (fuorchè il primo), interrotte nel mezzo e ben più distinte 
alla base di essi; una fascia un po’ meno larga al margine posteriore dei medesimi 
segmenti è nera, perchè priva di pollinosità; le setole solamente marginali così disposte: 
una per lato sul primo segmento; due dorsali ed. una: o due laterali. sul secondo; 
una serie sul terzo e quarto, quelle di quest’ultimo frammiste coi lunghi peli anali. 
— Ventre nero; la fascia bianca basale dei segmenti assai più stretta. — Piedi neri; 
una serie di setole anteriore ed un’altra posteriore sui femori anteriori; alcune assai 
lunghe sparse sul margine interno dei femori posteriori; due setole assai lunghe 
esternamente sulle tibie mediane; le posteriori un po’ cigliate e con due setole più 
lunghe verso il mezzo ed altre due all’apice, appaiate ; l’ultimo articolo dei tarsi con 
lunghi peli; uncini lunghi neri; pulvilli lunghi, fulvi. — Al limpide, un po’ bruniccie 
lungo la costa ed alla base. — Calittere bianche. — Lunghezza mm. 10. | 

Non rimangono in collezione che due maschi di cui uno mancante dell’addome. 


Has. — Messico: Atoyac in Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6), Orizaba (Su- 
MICHRAST). 


DEL DOTT. E: GIGLIO-TOS 509 


XXVI. — Gen. TRICHOLYGA. DO 
Ronpani (26), III, p. 184, gen. 89. 


59. — Tricholyga gracilens. 
(Fig. 16, capo). 


‘Tricholyga gracilens Gierio-Tos (13), p. 5. 


Maschio. — Capo più largo del torace. — Faccia bianca obliquamente ritratta; 
epistomio non sporgente; vibrisse inserite al margine orale, lunghe, incrociate; im- 
mediatamente sopra ad esse due setole più piccole; il resto delle creste facciali nudo; 
guancie molto strette nude. — Proboscide nera; palpi gialli sporgenti dall’epistomio. 
— Fronte largo, appena più stretto in alto, bianco con riflessi brunicci; striscia fron- 
tale larga, nera; ai lati di questa una serie di setole robuste di cui una a mezzo il 
fronte ricurva all'indietro e più lunga, le altre convergenti e discendenti fin oltre 
la base dello stilo delle antenne. — Occipite piatto. — Occhi grandi, irti di peli 
lunghi, giallicci. — Antenne lunghe come la faccia, nere, inserite quasi contro al 
mezzo degli occhi; il secondo articolo talora fulvo-bruno; terzo, stretto alla base, 
appena più dilatato all’apice; stilo lungo, ingrossato alla base, nudo. — Torace nero, 
cosparso di pollinosità cenerino-glauca; quattro striscie nere anteriormente poco 
distinte. — Scudetto grande, del color del torace, anche pollinoso. — Addome conico, 
nero lucente, con fascie di pollinosità glauco-cenerina alla base dei segmenti escluso 
il primo; setole robuste, nere, solo marginali fuorchè sul quarto segmento; le due 
setole marginali mediane del terzo segmento un po’ lontane dal margine. — Piedi 
neri molto setolosi; pulvilli brunicci, mediocri; femori anteriori cenerini al di sotto. 
— Ali grigie; la quarta e quinta vena longitudinale appendiculate all’apice ; cellula 
apicale aperta prima dell’apice dell'ala; vena trasversa apicale quasi diritta; vena 
trasversa posteriore molto obliqua e curva prima di congiungersi alla quarta longi- 
tudinale; 1° e 3° vena longitudinale, cigliate visibilmente per tutta la loro lunghezza; 
la 5? cigliata solo nella metà basale. — Calittere bianche. —- Bilancieri giallicci. — 
Lunghezza mm. 10. 

Due sole femmine senza indicazione di località messicana (Boucarp). 


60. — Tricholyga insita. 
Tricholyga insita Gisuio-Tos (13), p. 5. 


Maschio. — Faccia cenerino-gialliccia, obliquamente ritratta; epistomio appena 
sporgente; vibrisse inserite al margine orale lunghe, incrociate; sopra ad esse due 
altre setole lunghe quanto esse e quindi alcune altre più brevi sulle creste facciali 
fin circa al mezzo della faccia; guancie mediocri munite in' basso di alcuni piccoli 
peli. — Proboscide nera; palpi gialli. — Fronte cenerina a riflessi neri ai lati} assai 
più stretta degli occhi al vertice; striscia mediana nera; serie delle setole frontali 


510 DITTERI DEL MESSICO 


discendenti fino alla base del terzo articolo delle antenne. — Occhi irti di lunghi 
peli fulvicci. — Antenne nere, un po’ meno lunghe della faccia; articolo 2° con una 
setola al margine superiore; articolo 3° largo, triplo del secondo, arrotondato all’a- 
pice e un po’ convesso al margine superiore, fulvo alla base; stilo nudo. — Torace, 
scudetto e addome neri alquanto lucenti, cenerino-pollinosi, specialmente il torace sulle 
pleure e l'addome alla base dei segmenti, escluso il primo; due setole discali sul 
secondo e terzo segmento dell’addome oltre le marginali. — Piedi neri, setolosi; 
uncini lunghi; pulvilli lunghi e fulvi; femori cenerini al di sotto. — Al grigie; vena 
trasversa apicale concava alla base quindi molto obliqua; vena trasversa posteriore 
molto obliqua; piccola vena trasversa un po’ prima della metà della cellula discale. 
— Calittere grigie. — Bilancieri bruni. — Lunghezza mm. 7. 
Un solo maschio senza indicazione di località messicana (Bovcarp). 


XXVII. — Gen. CYRTOPHLOEBA. 
Ronpani (26), III, p. 187, gen. 30. 


61. — Cyrtophloeba horrida. 
(Fig. 11, capo, lla, ala). 


Cyrtophloeda horrida Giatio-Tos (13), p. 6. 


Maschio. — Faccia bianca con riflessi nericci, molto obliquamente ritratta; 
guancie strette nude, epistomio non sporgente; vibrisse al margine orale, lunghe, 
incrociate; sopra alle vibrisse due o tre setole sulle creste facciali; sui lati della 
faccia una serie di quattro lunghe setole robuste, ricurve in basso. — Proboscide nera; 
palpi fulvi. — Fronte larga più degli occhi anche al vertice, nericcia ai lati; striscia 
mediana picea; setole frontali lunghe discendenti fin sotto alla base delle antenne, 
dove comincia la serie delle setole facciali. — Occhi irti di lunghi peli fulvi. — An- 
tenne nere, lunghe un po’ meno della faccia; articolo secondo un po’ lungo, superior- 
mente fulvo e con due setole; terzo largo, doppio del secondo, arrotondato all’apice, 
convesso al margine superiore ; stilo mediocre, nudo, nero, ingrossato fin oltre la 
metà. -— Torace, scudetto e addome neri, alquanto lucenti; dorso del torace legger- 
mente cenerino-pollinoso con quattro striscie abbastanza distinte; una fascia bianca 
stretta alla base dei segmenti addominali, escluso il primo; setole solamente mar- 
ginali, fuorchè sul quarto segmento; le due mediane del secondo e del terzo sono 
però alquanto allontanate dal margine; addome conico. — Piedi neri; pulvilli fulvi. 
— Ali grigie, nericcie lungo la costa e alla base; vene trasverse offuscate di nericcio; 
piccola vena trasversa al di là del mezzo della cellula discale; cellula apicale aperta 
assai prima dell’apice dell'ala; vena trasversa apicale concava alla base quindi 
obliqua; vena trasversa posteriore convessa e posta a mezza distanza tra la piccola 
vena trasversa e la vena trasversa apicale; prima vena longitudinale interamente 
cigliata; la terza cigliata fin oltre la piccola vena trasversa. — Calittere bruniccie. 
— Lunghezza mm. 8. 

Un solo esemplare senza indicazione di località messicana (SuUmIcHRAST). 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 511 


XXVII — Gen. PHOROCERA. 
Roeineau-Desvomy (21), p. 131, XVI. 


62. — Phorocera parvula. 
Phorocera parvula van ver Wutr (6), II, p. 78, 4. 


Femmina. — Nera lucente; i lati della faccia e del fronte sono fulvi; la base 


dei segmenti dell'addome bianco-pollinosi; le calittere bianche, le ali ialine. — Lun- 
ghezza mm. 6. 


Quattro esemplari tutti femmine che si accordano bene colla descrizione del 
VAN DER WuLrp. 


Has. — Messico: Orizaba (6). — Vennero raccolti da BoucarD, ma non è indicato 
in quale località del Messico. 


63. — Phorocera atriceps. 


Phorocera atriceps van per Wurp (6), II, p. 79, 5. 


Femmina. — Nera opaca, e pelosa; i lati della faccia e del fronte neri; l’ad- 
dome un po’ rossiccio ai lati del terzo e quarto segmento; ali ialine; calittere 
bianchiccie. — Lunghezza mm. 6. 


Quattro esemplari femmine, che bene si accordano colla descrizione del van 
DER Wurp. 


Has. — Messico: Orizaba, Venta de Zopilote e Amula in Guerrero (6). — Gli 


esemplari della collezione furono raccolti da BoucarDp, ma non è indicata la località 
del Messico. 


XXIX. — Gen. PLAGIA. 
Mricen (18), VII, p. 201, 6. 


64. — Plagia americana. 
Plagia americana van ver Wutr (6), II, p. 102, 2, tab. III, fig. 19. 


Due esemplari femmine, di cui uno corrisponde bene alla descrizione del van 
DER Wutrp, l’altro differisce per avere la terza vena longitudinale spinosa molto al 
di là della piccola vena trasversale. Tutti e due hanno una piccola appendice all’an- 
golo della quarta vena longitudinale che nella figura del van DER WuLP non è indicata. 


Has. — Messico: Orizaba, Venta de Zopilote, Xucumanatlan ed Omilteme in 
Guerrero, Teapa in Tabasco (6). — Raccolti da BoucarD senza indicazione di località. 


512 DITTERI DEL MESSICO 


65. — Plagia mexicana. 
(Fig. 13, capo). 


Plagia mexicana Gievro-Tos (13), p. 5. 


Femmina. — Nera, cinereo-pollinosa. — Faccia e fronte gialle; la striscia frontale 
bruna; vibrisse lunghe ed incrociate; due o tre piccole setole sopra di esse; le setole 
frontali oltrepassanti la base del terzo articolo delle antenne; la setola terminale 
ricurva in basso; le due setole di questa serie nella parte più alta del fronte ricurve 
all'indietro; tre setole orbitali ricurve in basso. — Proboscide nera e corta; palpi 
bruno-fulvi. — Occhi nudi, grandi. — Antenne nere; primi articoli brevissimi ; il 
terzo almeno triplo del secondo, raggiungente quasi il margine orale. — Torace 
trapezoidale, assai più largo in avanti, grigio-pollinoso, colle striscie nere confuse; 
stilo nero, ingrossato fino alla sua metà. — Scudetto nero, grigio-pollinoso. — Addome 
stretto, conico, nero-lucente; il secondo e terzo segmento con una fascia cinereo-pol- 
linosa, visibile specialmente alla base; sul secondo segmento due setole dorsali ed 
una laterale marginali; sul terzo due dorsali lontane dal margine e due o tre late- 
rali veramente marginali; sul quarto alcune discali. — Piedi neri, pelosi e setolosi; 
uncini e pulvilli minuti. — Al quasi limpide; la prima vena longitudinale spinosa 
per tutta la sua lunghezza ; la terza fino molto al di là della piccola vena trasversa; 
la vena trasversa apicale, appena concava all’ima base, poi leggermente ondulata 
ed obliqua; una piccola appendice al gomito della quarta vena longitudinale. — Ca- 
littere bianche. — Lunghezza mm. 8. 

Ne osservai una sola femmina, molto simile a P. americana, ma che mi parve 
dover distinguere per la colorazione gialla della faccia, la maggior lunghezza del 
terzo articolo delle antenne e la forma trapezoidale del torace. Per gli stessi carat- 
teri differisce anche da P. aurifrons Tvyuer Townsenp (81), Paper V. 


Has. — Non è indicata la località del Messico, in cui fu raccolta da Boucarp. 


66. — Plagia dicta. 


Plagia dicta Gievio-Tos (13), p. 5. 


Femmina. — Faccia cenerina obliquamente ritratta; epistomio appena sporgente; 
guancie strette nude; vibrisse al margine orale; tre o quattro setole sopra le vibrisse; 
il resto delle creste facciali nudo. — Proboscide nera coll’apice fulvo; palpi fulvi. — 
Occhi irti di brevissimi peli. — Fronte in avanti alquanto sporgente, larga meno 
degli occhi, cenerina ai lati, nera sulla striscia mediana; una serie di setole ad ogni 
lato discendente fino alla base delle antenne; due setole orbitali. — Antenne nere, 
lunghe quanto la faccia; secondo articolo con setole al margine superiore; terzo arti- 
colo largo, lineare, quintuplo del secondo; stilo nudo. — Torace e scudetto neri, cene- 
rino-pollinosi, specialmente sulle pleure ; sul dorso del torace quattro striscie appena 
distinte. — Addome conico, nero, lucente; una fascia stretta bianca alla base dei 
segmenti; due setole marginali dorsali sul primo segmento; due discali e due mar- 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 513 


ginali sul secondo; due discali e una serie di marginali sul terzo; alcune discali sul 

quarto. — Piedi neri; femori cenerini inferiormente; pulvilli giallicci. — Ali grigie; 

vena trasversa apicale concava alla base quindi molto obliqua; vena traversa poste- 

riore bisinuosa. — Calittere grandi, bianchiccie. — Bilancieri giallicci. — Lungh. mm. 7. 
Una sola femmina senza indicazione di località messicana. 


XXX. — Gen. METOPIA. 
Mrrsen (17), II, p. 280. 


67. — Metopia perpendicularis. 
Metopia perpendicularis van per Wutr (6), IL, p. 115, 1, tab. III, fig. 18, 18a. 


Un solo esemplare femmina che differisce da quelli descritti da van DER Wutp 
specialmente per la forma della vena posteriore trasversale che è diritta all’ima base, 
quindi concava e poi un po’ obliqua; la vena trasversa apicale è leggermente ondu- 
lata. L’addome nero, un po’ lucente, appare, visto dal di dietro, munito di macchie 
bianchiccio-pollinose sui tre ultimi segmenti separate da una linea mediana longitu- 
dinale e da due laterali. 


Ha. — Messico: Amula in Guerrero, Cuernavaca in Morelos (6), Solco (Su- 
MICHRAST). 
XXXI. — Gen. MASICERA. 
Macquarr (15), II, p. 118. 


68. — Masicera bilineata. 
Masicera bilineata van ver Wutr (6), II, p. 112, 17. 


Un solo esemplare femmina (raccolto da BoucarD senza indicazione di località) 
che differisce solamente da quello descritto da van per WurP, perchè il primo seg- 
mento dell'addome non è apparentemente più breve del secondo. 


Has. — Messico: Temax in North Yucatan (6). 


69. — Masicera sesquiplex. 
Masicera sesquiplex Grovio-Tos (13), p. 6. 


Femmina. — Faccia gialla, bianchiccia nella depressione mediana, quasi per- 
pendicolare; vibrisse al margine orale; due o tre peli al di sopra di esse immedia- 
tamente; il resto delle creste facciali nudo; guancie un po’ pelose ai lati della bocca, 
molto strette. — Proboscide nera e corta; palpi gialli. — Fronte un po’ più stretta 

Serie II, Tom. XLIV. i 0? 


514 DITTERI DEL MESSICO 


in alto e quivi larga quanto gli occhi, gialla; la striscia mediana nera, larga quanto 
i lati; per ogni parte di essa una serie di setole, di cui le tre più basse scendono 
al di sotto della base delle antenne; e le tre più alte sono ricurve all'indietro; due 
setole orbitali ricurve in basso. — Occhi grandi, oltrepassanti l’apice delle antenne 
e raggiungenti il livello delle vibrisse, nudi. — Antenne nere un po’ più corte della 
faccia; il primo articolo brevissimo, il secondo assai lungo, il terzo una volta e mezzo 
lungo quanto il secondo o poco più; stilo lungo un po’ più delle antenne, ingrossato 
nel terzo basale, quindi sottile. — Torace densamente grigio-gialliccio-pollinoso; an- 
teriormente più largo, quattro striscie nere ben distinte in avanti; le laterali più 
larghe si confondono posteriormente colle mediane; petto e pleure gialliccio-pollinosi. 
— Scudetto nero alla base, gradatamente testaceo rossiccio verso l'estremità, anch'esso 
pollinoso. — Addome ovato, tutto gialliccio-pollinoso, fuorchè il primo segmento, una 
sottile striscia mediana sul secondo e terzo segmento e due altre laterali poco di- 
stinte ed i margini posteriori che sono neri; il quarto segmento affatto giallo-dorato 
per la densa pollinosità che lo ricopre; sul primo e secondo segmento due setole 
dorsali ed una laterale, marginali; quelle dorsali del primo deboli; sul terzo una 
serie di setole robuste; sul quarto alcune discali. — Ventre grigio-pollinoso. — Piedi 
neri; le tibie posteriori brevemente cigliate all’esterno, e come le altre anche mu- 
nite di alcune setole; uncini e pulvilli piccoli; pulvilli un po’ giallicci. — A% lim- 
pide; la piccola vena trasversa un po’ prima del mezzo della discale; la vena 
trasversa posteriore dritta alla base, poi obliqua; la vena trasversa apicale obliqua, 
appena concava alla base. — Calittere bianche; bdilancieri bruni. — Lunghezza mm. 8. 

Questa specie è molto simile a M. auriceps MAcquaRT (16), II, 3° part., p. 59, 
1, per la colorazione del capo, del torace e dell'addome, ma la ritengo ben distinta 
per la mancanza di setole sulle creste facciali. 

Una sola femmina. 


Has. — Senza indicazione della località messicana (BoucaRp). 


70. — Masìcera usta. 


Masicera usta Giaturo-Tos (13), p. 6. 


Femmina. — Faccia giallo-dorata, un po’ obliquamente ritratta; creste facciali 
nude; guancie pelose ai lati della bocca; proboscide nera; palpi gialli. — Fronte 
dorata; le setole come in M. sesquiplex; la striscia nera più stretta dei lati. — 
Antenne lunghe circa quanto la faccia e nere; il terzo articolo lineare, triplo del 
secondo, arrotondato all'apice; stilo nero, ingrossato alla base per un certo tratto e 
leggermente pubescente, lungo e sottile nel resto. — Torace dorato; le due striscie 
mediane sottili ma ben distinte; le laterali più larghe ma interrotte alla sutura; 
pleure aureo-pollinose. — Addome ovato sub-conico, nero; sul secondo, terzo e quarto 
segmento una fascia dorata alla base, più visibile lungo le incisioni; quella del quarto 
segmento larga quanto la metà della lunghezza e più intensa; le setole solamente 
marginali fuorchè sul quarto segmento; due dorsali ed una laterale sul primo e 
secondo segmento, una serie sul terzo. — Ventre con fascie aureo-pollinose come il 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 515 


dorso dell'addome. — Piedi neri, pelosi e setolosi; uncini e pulvilli piccoli; pulvilli 
fulvi. — Al limpide largamente alla base, al margine posteriore ed all’apice; offu- 
scate intensamente nella regione mediana anteriore; la cellula apicale aperta un 
po prima dell’apice dell'ala; la vena trasversa apicale fa colla quarta longitudinale 
un angolo molto ottuso ed è appena leggermente piegata vicino all’apice; la vena 
trasversale posteriore fortemente bisinuosa; la piccola vena trasversale corrisponde 
al mezzo della cellula discale. — Calittere bianchiccie, a margine gialliccio. — 
Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 7. 

Questa specie sebbene molto affine a M. picta van DER Wu (6), II, p. 108, 
tab. III, fig. 13, 130, ne è però distinta specialmente per i disegni del torace e le 
nervature delle ali. 

Has. — Messico (BovcaRD). 


71. — Masicera vittata. 


Tachina vittata WaLkeR (38), p. 301 (nec ibidem, p. 273). — TyLer Towxsenp 
(32), p. 15. 


WALKER non descrisse che il maschio di questa specie; io descrivo la femmina 
aggiungendovi quei caratteri che sono oggidì necessari per una buona descrizione. 

Femmina. — Faccia gialliccia e fronte gialla; creste facciali nude; guancie, 
strettissime; proboscide nera e palpi fulvo-bruni; la striscia frontale nera più larga 
dei lati; le setole disposte come in M. glauca. — Antenne nere; il terzo articolo 
triplo del secondo, raggiungente quasi l’epistomio, lineare, arrotondato all'apice; stilo 
nero, lungo, ingrossato alla base e appena pubescente. — Occhi grandi, che raggiun- 
gono quasi le vibrisse. — Torace giallo-pollinoso, così il petto e le pleure; sul dorso 
quattro striscie larghe, nere, ben distinte. — Scudetto nero, gialliccio-pollinoso nella 
metà apicale. — Addome ovato, nero-opaco; sui segmenti secondo, terzo e quarto 
una stretta fascia dorato-pollinosa alla base, appena interrotta nel mezzo, ed un 
po dilatata ai lati; oltre alle solite setole marginali due discali sul dorso del se- 
condo e terzo segmento, un po’ più deboli. — Piedi neri, alquanto lunghi; i tarsi un 
po’ più lunghi delle tibie; pulvilli bruno-fulvi. — Al affumicate, fuorchè lungo il 
margine posteriore ed all'apice; cellula apicale aperta presso l'apice; vena apicale 
facente un angolo ottuso colla quarta longitudinale, obliqua, ed appena piegata presso 
l'apice; piccola vena trasversa posta al mezzo della cellula discale; vena trasversa 
posteriore bisinuosa. — Calittere gialliccie. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 7. 

Due femmine. 

Has. — Sud-America (38) — Senza indicazione della località messicana (BoucaRp). 


72. — Masicera strigata. 


Masicera strigata van per Wutr (6), II, p. 105, 2. 


Una sola femmina che differisce dal tipo descritto per avere le ali ialine. 
Has. — Messico: Venta de Zopilote in Guerrero, Cuernavaca in Morelos, Atoyac 


in Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6) — Senza indicazione di località messicana 
(BoucarD). 


516 DITTERI DEL MESSICO 


73. — Masîicera glauca. 


Masicera glauca Giario-Tos (48), p. 6. 


Femmina. — Faccia bianchiccia nella depressione mediana, gialliccia ai lati 
che sono molto stretti e nudi; guancie strettissime ; vibrisse inserite proprio al mar- 
gine orale ed incrociate; proboscide e palpi gialli. — Fronte quasi non sporgente, 


un po’ più stretta in alto, gialla; la striscia nera, larga al vertice un po’ più delle 
parti laterali; ai lati di questa una serie di setole convergenti, di cui le due infe- 
riori poste al di sotto della base delle antenne e raggiungenti quasi l’apice del 
secondo articolo e le due ultime superiori ricurve all'indietro; due setole orbitali 
ricurve in basso; due ocellari ricurve in basso e divergenti. — Antenne nere; il 
secondo articolo peloso, al di sopra breve; il terzo lineare, stretto, un po’ incavato 
al margine superiore presso la base, arrotondato all’apice, lungo almeno quattro volte 
il secondo e raggiungente quasi l’epistomio; stilo nero, lungo, sottile, ingrossato per 
un breve tratto alla base. — Occhi nudi, così grandi che raggiungono le vibrisse. — 
Torace, scudetto e addome tutti di color nero-pruna, coperti di una fine pollinosità 
cinereo-glauca; così anche le pleure ed il petto. — Scudetto munito ai lati di due 
lunghe setole e di altre due più lunghe all’apice che giungono fino a metà del terzo 
segmento addominale; e nel mezzo di due setole più piccole. — Addome ovato, ri- 
gonfio; il primo segmento manca di pollinosità, è lungo quanto il secondo ed ha una 
sola setola marginale ad ogni lato (quelle dorsali sono così sottili che non si distin- 
guono dagli altri peli); sugli altri segmenti è più visibile alla base ed ai lati, variando 
però secondo l’incidenza della luce; il secondo segmento ha solo setole marginali, 
due dorsali ed una per lato; il terzo ed il quarto ne hanno anche due dorsali discali 
oltre alla solita serie marginale. — Ventre convesso, colorato come l'addome. — 
Piedi picei, pelosi e setolosi; i femori anteriori grigio-pollinosi; uncini e pulvilli pic- 
coli; pulvilli gialli. — A% un po’ grigie; cellula apicale aperta presso all’apice del- 
l’ala; piccola vena trasversale prima del mezzo della cellula discale: vena trasversa 
posteriore appena concava alla base, quindi alquanto obbliqua. — Calittere grigie. 
— Lunghezza mm. 8. 
Una sola femmina. 


Has. — Senza indicazione della località messicana (Boucarp). 


XXXII. — Gen. DEGEERIA. 
Mzrcen (18), VII, p. 249, 37. 
74. — Degeeria mexicana. 


Degeeria mexicana Giavio-Tos (13), p. 7. 


Maschio. — Corpo snello, nero, un po’ lucente, peloso. — Faccia grigia con 
riflessi neri, assai obliquamente ritratta; guancie strette, pelose in basso ai lati della 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 517 


bocca; margini orali muniti di lunghi peli setolosi; vibrisse al margine orale, inero- 
ciate; al di sopra di esse alcune piccole setole sulle creste facciali, che si estendono 
appena per un terzo dell'altezza della faccia; lati della faccia nudi. — Proboscide 
nera; palpi filiformi neri e pelosi. — ronte molto stretta in alto, bianchiccia; la 
striscia mediana nera, più stretta in alto, ma al vertice occupante quasi tutta la 
larghezza; ai lati di questa una serie sola di setole convergenti, di cui tre o quattro 
superiori ricurve all'indietro, e le cinque inferiori al di sotto della base delle an- 
tenne si estendono fino oltre l’apice del secondo segmento delle antenne; due setole 
brevi ocellari. — Occhi grandi, nudi. — Antenne lunghe, raggiungenti quasi l’epi- 
stomio, nere; il secondo articolo un po’ peloso superiormente; il terzo triplo del se- 
condo, lineare ; stilo lungo, sottile, ingrossato per un breve tratto alla base. — Torace 
nero, alquanto lucente, peloso, appena con qualche leggero riflesso bianco agli angoli 
anteriori e sulle pleure, se osservato molto obliquamente. — Scudetto grande, trian- 
golare, nero lucente, con due lunghe setole divergenti all'apice. — Addome conico, 
nero lucente, sparso di peli eretti, fra cui sono frammiste le setole; le incisioni con 
riflessi bianchi, se osservate molto obliquamente; sul primo segmento, lungo quanto 
il secondo, due setole dorsali ed una per parte tutte marginali; sul secondo, e sul 
terzo e sul quarto oltre alle marginali anche due discali dorsali. — Piedi alquanto 
lunghi, neri; i femori anteriori con una serie posteriore ed un’altra anteriore di 
setole; gli altri irregolarmente setolosi; tarsi un po’ più lunghi delle tibie; uncini e 
pulvilli mediocremente lunghi; pulvilli gialli. — A offuscate di bruno lungo il mar- 
gine anteriore e gradatamente più limpide verso il margine posteriore e l’apice che 
sono ialini; cellula apicale aperta presso all’apice dell’ala; vena trasversa apicale 
che fa colla quarta longitudinale un angolo molto ottuso (nella maggior parte degli 
esemplari non forma un vero angolo ma una curvatura); piccola vena trasversa pres- 
sochè nel mezzo della cellula discale; vena trasversa posteriore fortemente bisinuosa. 
— Calittere brune come la parte offuscata delle ali. — Lunghezza mm. 7-8. 

Questa specie che a quanto pare è comune nel Messico, è alquanto simile alla 
europea D. separata (Tachina) MererN (18), IV, p. 406, 290, ed anche a D. nigrocostalis 
VAN DER Wutp (6), II, p. 151, 1, tab. IV, fig. 10, dalla quale però differisce note- 
volmente per le vene alari. 

Undici esemplari tutti maschi, di cui uno differisce per avere le ali quasi ialine 
ed i riflessi bianchi alle incisioni dell'addome un po’ più distinti; ed un altro per 
avere i palpi e la proboscide all’apice bruno-fulvi. 


Has. — Orizaba (SumicHRAST). 


75. — Degeeria unthracina. 


Degeeria anthracina Bisor (5), p. 259, 30. 


Stante la breve descrizione del Breor non posso assicurare che un esemplare 
maschio della collezione, che corrisponde bene ai caratteri accennati in essa, con- 
venga anche coll’esemplare tipico per gli altri caratteri che non vi sono accennati. 
Credo perciò conveniente di ripetere la descrizione sull’esemplare da me esaminato. 


518 DITTERI DEL MESSICO 


Maschio? — Nero, lucente; faccia con qualche riflesso bianchiccio, molto incli- 
nata all'indietro, colle creste facciali munite di piccole setole per quasi tutta la loro 
lunghezza; vibrisse inserite al margine orale; guancie strettissime. — Proboscide 
nera; palpi bruni. — Fronte larga al vertice circa un terzo del capo; striscia frontale 
nera, larga assai; una serie di setole ai lati di essa che discende fin presso all’apice 
del secondo segmento delle antenne. — Antenne lunghe quanto la faccia; il terzo 
articolo sei o sette volte lungo quanto il secondo. — Torace con qualche leggero 
riflesso bianchiccio agli angoli anteriori. — Addome conico, acuto; sul secondo seg- 
mento due setole discali oltre alle solite marginali. — Al ialine; cellule apicali 
aperte presso all'apice; gomito della quarta vena longitudinale curvo; piccola vena 
trasversa prima del mezzo della cellula discale: vena trasversa posteriore perpen- 


dicolare sulla quarta longitudinale e diritta. — Calittere bianche. — Lungh. mm. 4. 
Has. — Messico (5) — Senza indicazione di località messicana (BoucarD). 
76. — Degeeria insecta. 


Degeeria insecta Giario-Tos (13), p. 7. 


Femmina? — Faccia obbliquamente ritratta, cinerea; argentina se osservata 
dall'alto; vibrisse inserite un po’ al di sopra del margine orale; alcune setole imme- 
diatamente sopra di essa sulla cresta facciale estese per un terzo dell’altezza della 
faccia; guancie un po’ più larghe che nelle specie precedenti, pelose. — Proboscide 
nera, con labbra gialle; palpi gialli. — Fronte alquanto sporgente, assai larga, un 
po’ più stretta in alto, colorata come la faccia; la striscia mediana nera, più stretta 
delle parti laterali; una sola serie di setole per parte convergenti, di cui le tre 
prime superiori ricurve all'indietro, le due ultime inferiori al di sotto della inser- 
zione delle antenne; due setole ocellari. — Occhi nudi. — Antenne nere, lunghe assai 
meno della faccia; il secondo articolo con alcuni peli lunghi e rigidi al margine 
superiore; il terzo triplo almeno del secondo, stretto e lineare. — Torace col petto 
e le pleure, e scudetto uniformemente e densamente cinereo-pollinosi; sul dorso del 
torace nessun accenno di striscie nere. — Addome nero, coperto di peli lunghi neri; 
alla base del secondo e terzo segmento una fascia cinereo-pollinosa ben distinta, 
larga quanto la metà della lunghezza del segmento; sul quarto la fascia è visibile 
solo ai lati; le setole solamente marginali, fuorchè alcune discali sul quarto; due 
dorsali ed una per parte laterale sul primo o secondo segmento; una serie sul terzo. 
— Piedi neri; uncini e pulvilli piccoli; pulvilli fulvi. — A% ialine; cellula apicale 
aperta presso l’apice dell’ala; piccola vena trasversa posta prima del mezzo della 
cellula discale; vena trasversa posteriore appena obliqua e quasi diritta, posta più 
vicina alla curvatura della quarta vena longitudinale, che alla piccola vena tras- 
versa. — Calittere bianche. — Lunghezza mm. 8. 

Un solo esemplare che credo femmina stante la piccolezza degli uncini e dei 
pulvilli e la larghezza del fronte. 


Has. — Senza indicazione di località messicana (BoucaRp). 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 519 
77. — Degeeria cruralis. 
Degeeria cruralis Gisrio-Tos (13), p. 7. 


Femmina. — Faccia molto obliquamente ritratta, grigio-bianchiccia; le vibrisse 
al margine boccale, incrociate; creste facciali ben spiccate, munite di setole fino a 
due terzi dell’altezza della faccia; guancie strette. — Proboscide e palpi gialli. — 
Fronte larga, grigio-bianchiccia; la striscia mediana, stretta più dei lati, nera; ai 
lati di essa una serie di setole che discende un po’ al disotto della base delle 
antenne; due setole orbitali in alto del fronte ricurve in basso. — Occhi nudi. — 
Antenne nere, lunghe quanto la faccia; il terzo articolo stretto, lineare, quadruplo 
del secondo. — Torace e scudetto neri; anteriormente il dorso del torace bianchiccio- 
pollinoso con quattro striscie nere poco distinte; petto e pleure grigio-pollinosi. — 
Addome conico, nero, lucente; una stretta fascia bianco-pollinosa, alla base dei seg- 
menti secondo, terzo e quarto; quella di quest’ultimo un po’ più larga; in sul primo 
segmento due setole dorsali ed una laterale, solo marginali; sul secondo oltre a due 
dorsali e due laterali marginali anche due dorsali discali; sul terzo due dorsali 
discali oltre ad una serie di marginali; sul quarto molte discali. — Ventre nero lu- 
cente, colle fascie bianche alla base dei segmenti più larghe e più visibili. — Piedi 
neri; femori testacei; uncini e pulvilli piccoli; pulvilli fulvi. — A% limpide, un poco 
grigie; cellula apicale aperta all’apice dell’ala; la nervatura della quarta vena lon- 
gitudinale non angolosa; vena piccola trasversa appena un po’ prima del mezzo della 
cellula discale; vena trasversa posteriore quasi diritta e perpendicolare alla quarta 
ed alquanto più vicina alla piegatura di questa che alla piccola vena trasversa. — 
Calittere bianchiccie. — Bilancieri giallicci. — Lunghezza mm. 6. 

Una sola femmina. 


Ha. — Senza indicazione di località messicana (SumicHRAST). 


78. — Degeeria dicax. 
Degeeria dicax Gieuio-Tos (13), p. 7. 


Maschio. — Faccia obliquamente ritratta, bianco-gialliccia nella depressione 
mediana, giallo-dorata ai lati; vibrisse assai lunghe, incrociate, poste al margine 
boccale; al di sopra di esse alcune piccole setole sulle creste facciali che si esten- 
dono fin verso il mezzo della faccia. — Proboscide e palpi neri. — Fronte alquanto 
sporgente, giallo-dorata ai lati, assai più stretta in alto; la striscia frontale nera, 
larga al vertice assai più delle parti laterali; ai lati di essa una sola serie di setole 
convergenti, di cui le tre prime superiori curve all'indietro e le tre ultime inferiori 
poste al di sotto dell’inserzione delle antenne si estendono fino all'apice del loro 
secondo articolo. — Occhi nudi. — Antenne nere, lunghe quasi quanto la faccia; il 
terzo articolo lineare, quasi tronco all'apice, stretto e lungo tre volte il secondo; 
stilo lungo, sottile, nero, ingrossato per un breve tratto alla base. — Torace, petto 
e pleure neri, giallo-pollinosi; sul dorso quattro striscie nere ben distinte, di cui le 


520 DITTERI DEL MESSICO 


laterali più larghe assai. — Scudetto nero, grigio-gialliccio-pollinoso all’apice. — Ad- 
dome conico, nero, sparso di rari e corti peli; sui segmenti secondo, terzo e quarto 
una lunga fascia basale, grigio-gialliccio-pollinosa, dilatata ai lati da occupare quasi 
tutta la lunghezza del segmento, ristretta nel mezzo, perchè incavata posteriormente; 
i lati del secondo segmento sono un po’ testacei; setole numerose discali e margi- 
nali, così disposte: sul primo segmento due dorsali ed una laterale solo marginali; 
sul secondo quattro discali, due presso al margine anteriore e due nel mezzo appaiate, 
quindi due dorsali e tre per parte ai lati marginali; sul terzo le discali come nel 
secondo, ed inoltre una per parte verso i lati anche discale e la serie solita di mar- 


ginali; sul quarto poi molte discali oltre alle marginali. — Ventre colorato come il 
dorso dell'addome. —- Piedi neri; i tarsi anteriori un po’ più lunghi delle tibie; pul- 
villi bruno-fulvi. — Ali un po’ bruniecie dalla base lungo il margine anteriore e gra- 


datamente ialine verso il margine posteriore e l’apice; cellula apicale aperta presso 
all'apice; curvatura della quarta vena longitudinale non angolosa; vena trasversa 
apicale obliqua, un po’ ondulata, e presso all'apice piegata; piccola vena trasversa 
corrispondente pressochè al mezzo della cellula discale; vena trasversa posteriore 
fortemente bisinuosa. — Calittere bianco-gialliccie, con orlo gialliccio. — Bilancieri 
gialli. — Lunghezza mm. 8. 

Un solo maschio. 


Has. — Senza indicazione di località messicana (BoucARp). 


XXXII — Gen. MACQUARTIA. 
Rorinzau-Desvomy (21), p. 204. 


79. — Macquartia setiventris. 
Macquartia setiventris van per Wutp (6), II, p. 129, 1, tab. III, fig. 21, 2la. 


Una sola femmina che differisce dal maschio per avere il fronte largo con due 
setole orbitali ricurve in basso oltre alla solita serie ai lati della striscia frontale. 


Has. — Messico: Orizaba, Omilteme in Guerrero (6), Solco. 


XXXIV. — Gen. MYIOBIA. 
Myobia Rosinzau-Desvomy (21), p. 99. 
80. — Myiobia flavicornis. 
Myobia flavicornis van per Wutp (6), II, p. 133, 1, tab. IV, fig. da da 


Un solo esemplare senza indicazione di località messicana, coll’apice delle antenne 
e le tibie bruniccie. 


Has. — Messico: Teapa in Tabasco (6). 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 521 


XXXV. — Gen. PROSPHERYSA. 
van DER WutP (6), II, p. 116. 


81. — Prospherysa aemulans. 


Prospherysa aemulans van per Wure (6), II, p. 117, 1, tab. III, fig. 14, 14a. 
Dexiophana aemulans Braver e BergENsTAM (#7), IL, p. 374 e 421. 


Un solo maschio (senza indicazione di località messicana) colla spina costale 
delle ali assai distinta e di statura maggiore (mm. 10). Nel resto corrisponde alla 
descrizione del tipo. 


Has. — Messico: Atoyac in Vera-Cruz, Teapa in Tabasco (6). 


XXXVI. — Gen. HYPOSTENA. 
Mzisen (18), VII, p. 239, n° 29. 


82. — Hypostena triangulifera. 


Homodexia triangulifera Biaor (5), p. 268, 75. 
Hypostena blandita van per Wute (6), II, p. 142, 2, tab. IV, fig. 4, 4a e p. 264. 


Tre maschi che convengono bene nei loro caratteri colla descrizione del van 
peR WuLP, ma senza indicazione della località messicana in cui furono raccolti. 


Has. — Costa-Rica: Rio Sucio — Messico: Xucumanatlan, Omilteme e Sierra 
de las Aguas Escondidas in Guerrero, Orizaba (6). 


83. — Hypostena concinna. 
Hypostena concinna van ver Wutr (6), II, p. 142, 3. 


Un solo esemplare maschio un po’ guasto, ma tuttavia facilmente distinto dalla 
H. triangulifera per i caratteri accennati dal van per Wutp. Senza indicazione di 
località messicana. 


Ha. — Messico: Amula e Xummanatlan in Guerrero (6). 


XXXVII. — Gen. ANISIA. 
van DER Wutp (6), II, p. 186. 


84. — Anisia nigella. 


Anisia nigella van per Wutr (6), II, p. 193, 14. 


Una sola femmina mancante di riflessi bianchicci alia base dei segmenti, e senza 
indicazione di località messicana. 

Has. — Messico: Teapa in Tabasco (6). 

Serie Il. Tom. XLIV. ES 


5200: DITTERI DEL MESSICO 


85. — Anàisia opaca. 
Anisia opaca van DER Wutp (6), II, p. 200, 31. 


Un solo esemplare femmina. 


Has. — Messico: Sierra de las Aguas Escondidas e Omilteme in Guerrero (6), 
Coscom (SUMICHRAST). 


XXXVIII. — Gen. PHASICPTERYX. 
Brauer e Beroenstamm (7), I, p. 147. 


86. — Phasiopteryx ochracea. 


Pyrrhosia ochracea Bisor (5), p. 268, 78. 

Phasiopterye Bilimekii Braver e Bercenstamm (9), I, p. 147. 

Neoptera rufa van ver Wurr (6), IL, p. 166, 1, tab. IV, fig. 11, 11a, 118, 1lc, 
12, 12a (vide etiam, p. 211). 


Una sola femmina raccolta da BoucArp, senza indicazione di località messicana, 
corrispondente alle descrizioni dei suddetti autori. Stando alla testimonianza del van 
per WuLP che potè osservare l'esemplare femminile tipico di Pyrrhosia ochracea man- 
datogli in esame da Brgor, questa specie è la medesima che Phasiopterya Bilimekii 
descritta nel 1889 da BrauEeR e BergenstAMmM e Neoptera rufa descritta dal vAN DER 
Wurp nel 1890. Il nome specifico di Breor ha perciò la priorità perchè data dal 1888. 


Has. — Messico (5): Orizaba (7), Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6). 


XXXIX. — Gen. OESTROPHASIA., 
Braurr e Bercensramm (7), I, p. 145. 


87. — Oestrophasia clausa. 
Oestrophasia clausa Brauer e BergenstAna (7), I, p. 146. 


Una sola femmina, in cui la cellula apicale non è chiusa e brevemente pedun- I 
colata, ma appena aperta. I 


Has. — Colorado (7) — Messico: Cuantla (SAUSSURE). 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 


Ut 
do 
(06) 


XL. — Gen. CLISTOMORPHA. 
Truer Towwsenp (81), Paper V. 


88. — Clistomorpha ochracea. 
Clistomorpha ochracea Gietio-Tos (13), p. 7. 


Femmina. — Faccia alquanto concava di profilo; creste facciali poco accennate 
e nude; epistomio sporgente; una serie di setole al margine orale che ascendono 
per un certo tratto lungo le creste facciali e sono terminate dalle vibrisse incrociate, 
poste perciò a notevole distanza dal margine della bocca; guancie larghe , circa la 
metà dell’altezza degli occhi, sparse di piccoli peli neri. — Proboscide lunga circa 
quanto è alto il capo, bruna, all'apice gialla; palpi gialli, filiformi, ricurvi in alto. 
— Fronte gialla come la faccia, larga, assai più stretta in alto, larga al vertice 
circa un quarto della larghezza totale del capo; striscia frontale, fulva, di larghezza 
costante, larga al vertice il doppio delle parti laterali; al vertice una macchia ocel- 
lare nera, quasi triangolare; ai lati della striscia frontale una serie sola di piccole 
setole che discendono appena oltre la base delle antenne; ai lati di esse alcuni pic- 
colissimi peli. — Occhi nudi. — Antenne brevi, gialle ; il primo articolo brevissimo; 
il secondo un po’ lungo, il terzo lungo una volta e mezzo il secondo, di forma ovale; 
stilo lungo, sottile, ingrossato alla base. — Torace giallo-ocraceo, olivaceo-pollinoso 
sul dorso con qualche piccola setola ai lati ed alcune più lunghe al margine poste- 
riore. -—- Scudetto grande, sub-triangolare; una setola marginale per parte presso 
alla base e due accoppiate all'apice. — Addome ovale, sub-conico , fulvo-ocraceo; 
alcune setole ai lati di ogni segmento; quelle del secondo, terzo e quarto segmento 
poste in una piccola macchia tondeggiante nera. — Piedi gialli, con alcune deboli 
setole; le tibie posteriori brune alla base ed all’apice ed un po’ curve; tutti i tarsi 
bruni specialmente all’apice; uncini neri; pulvilli gialli. — Ali gialliccie, un poco 
fosche al margine anteriore presso l’apice; cellula apicale chiusa all’apice e non pedi- 
cellata ; gomito della quarta vena longitudinale curvo; vena trasversa apicale leg- 
germente curva; piccola vena trasversale corrispondente al mezzo della cellula 
discale; vena trasversa posteriore un po’ obliqua e quasi diritta. — Calittere e bilan- 
cieri gialli — Lunghezza mm. 5. 

Una sola femmina. 


Has. — Mexico (SumicHRAST). 


XLI. — Gen, RHINOPHORA. 
Rosineau-Desvomy (21), p. 258. 


89. — Rhinophora laevigata. 
Ehinophora laevigata van per Wutr (6), IL p. 205, 1, tab. IV, fig. 17, 17. 


Una sola femmina senza indicazione di località messicana corrispondente pei 
suoi caratteri alla descrizione del tipo. 


Has. — Messico: Atoyac in Vera Cruz (6). 


924 DITTERI DEL MESSICO 


XLII. — Gen. MYIOTHYRIA. 
Myothyria van per Wurr (6), II, p. 208. 


90. — Myiothyria trichosoma. 
Myothyria trichosoma van ver WutP (6), II, p. 208, 1. 


Riferisco con dubbio a questa specie un solo esemplare maschio senza indica- 
zione di località messicana, un po’ mal conservato, in cui i caratteri specifici non 
sono più ben visibili, ma con setole distinte discali sull’addome, oltre alle marginali. 


Has. — Messico: Atoyac in Vera Cruz (6) (Boucarp). 


DEXINAE 


XLII. — Gen. HYSTRISIPHONA. 
Hystrisyphona Bisor (1), p. 309. 


91. — Hystrisiphona nigra. 


Hystrisyphona niger Bicor (1), p. 309. 
Hystrisyphona nigra Bisor, Bull. Soc. ent. fran., 1883, p. xLv. 
Hystrisiphona nigra van per Wurr (6), IL, p. 213. 


Un solo esemplare maschio. 
Has. — Messico (1): Oaxaca (SALLÉ). 


92. — Hystrisiphona bicolor. 
(Fig. 17, capo). 


Hystrisiphona bicolor Gieuio-Tos (12), p. 1. 


Maschio. — Faccia a profilo concavo, gialliccio-pollinosa con riflessi sericei; 
lati della faccia pelosi fino al livello del margine inferiore degli occhi; guancie alte 
circa quanto gli occhi, nude; vibrisse inserite un po’ più in alto del margine orale, 
incrociate; al di sopra di esse una breve serie di 5 a 6 setole sulle creste facciali 
che ascendono fin presso il mezzo della faccia. — Proboscide nera, quasi lunga quanto 
il capo ed il torace insieme uniti, più lunga perciò che in H. nigra; palpi brevi, 
fulvi, filiformi. — Fronte larga in basso, molto più stretta al vertice, sporgente, gial- 
liccio-pollinosa ai lati e quivi sparsa di peli brevi, neri; striscia frontale di colore 
castagno scuro, striata longitudinalmente; ai lati di ‘essa una sola serie per parte 
di setole nere, ricurve in basso e incrociate che discendono fin presso alla base 
delle antenne; al vertice due setole laterali ricurve all'indietro e lunghe, e due ocel- 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 525 


lari ricurve in avanti e dietro a queste molte altre più deboli e ricurve nella stessa 
direzione. — Occhi nudi. — Antenne lunghe un po’ più della metà della faccia; i 
primi due articoli fulvo-rossicci; il secondo peloso superiormente; il terzo nero, doppio 
del secondo, assottigliato e arrotondato all’apice ; stilo nero, ingrossato alla base e 
visibilmente piumoso. — Torace nero, appena grigio-pollinoso con cinque striscie nere 
quasi indistinte di cui tre mediane sottili e due laterali un po’ più larghe ed inter- 
rotte alla sutura; sul dorso parecchie setole miste a peli; petto nero, grigio-polli- 
noso; sulle pleure una serie di setole robuste ricurve all’indietro di fronte alla base 
delle ali. — Scudetto nero, con lunghe setole al margine, ma nel mezzo privo di 
spine e munito solo di peli. — Addome robusto, un po’ più largo del torace, cordi- 
forme, giallo-testaceo; la parte mediana del primo segmento, una macchia dorsale 
triangolare all’estremità del secondo e terzo segmento e tutto il quarto segmento, 
neri; sul primo segmento due sole spine laterali, una per parte, marginali; sul se- 
condo alcune spine discali e marginali sul dorso, e alcune laterali; sul terzo pure 
alcune discali dorsali oltre ad una serie di molte marginali; sul quarto parecchie 
discali miste a peli neri e lunghi specialmente all’apice. — Ventre giallo-testaceo; 
nero sull’ultimo segmento, armato di molte spine in una larga zona mediana. — 
Piedi neri, pelosi e setolosi; tutte le tibie ferruginose; uncini e pulvilli lunghi ; pul- 
villi gialli — Ali gialle alla base e con tutte le vene marginate di giallo; cellula 
apicale largamente aperta prima dell’apice dell'ala; vena trasversa apicale legger- 
mente concava, e inclinata ad angolo retto sulla quarta longitudinale; vena trasversa 
posteriore bisinuosa. — Calittere e bilancieri picei. — Lunghezza mm. 14. 

A parte i caratteri generici è notevolissima la somiglianza che questa specie 
presenta per la colorazione colla Iurinia dichroma van per Wurp. 

Un solo maschio. 


HaB. — Mexico (TruQUI). 


XLIV. — Gen. MOCHLOSOMA. 


Braurr e Bercenstamm (7), I, p. 126. 
93. — Mochlosoma lacertosum. 


Prosena lacertosa van per Wutp (6), II, p. 215, tab. V, fig. 1, la. 


Due sole femmine. 


Has. — Messico: Ciudad in Durango (6), Solco (SumIcHRAST). 


94. — Mochlosoma anale. 


Mochlosoma anale Gierio-Tos (12), p. 1. 


Maschio. — Faccia bianco-gialliccia con riflessi sericei, concava; epistomio 
sporgente; guancie nude. — Proboscide lunga quasi quanto il corpo, sottile, nera; 
palpi filiformi, brevi, fulvi. — Fronte molto stretto in alto, largo in basso, sporgente, 


526 DITTERI DEL MESSICO 


coi lati nericci visti di fianco, argentino-pollinosi visti dall’alto, e sparsi di peli neri; 
striscia frontale bruno-fulva, larga in basso; ai lati di essa una sola serie di setole 
per parte che arrivano appena alla base delle antenne. — Antenne giallo-fulve, brevi; 
il terzo articolo appena bruniccio verso l’estremità lungo una volta e mezzo il se- 
condo, che è sul margine superiore munito di peli fra cui due più lunghi di tutti ; 
stilo piumoso. — Torace nero, appena leggermente pollinoso, anteriormente con alcune 
striscie appena accennate. — Scudetto piceo. — Addome nero piceo, un po’ lucente, quasi 
conico, rivestito di lunghi peli neri eretti, e munito, fuorchè sul primo segmento, di 
setole dorsali discali e di altre marginali dorsali e laterali; quarto segmento tutto co- 
perto di pollinosità fulva con riflessi sericei, interrotta lungo la linea mediana dorsale; 
ipopigio assai sporgente, nero e peloso. — Piedi neri; tibie ferruginee; uncini e 
pulvilli molto lunghi; pulvilli giallicci. — Ali gialliccie alla base; vene gialle nella 
metà basale, brune verso l’apice; piccola vena trasversa posta nel mezzo della cel- 
lula discale; piegatura della quarta vena longitudinale un po’ curva; vena tras- 


versa apicale quasi diritta; vena trasversa posteriore leggermente hisinuosa. — Ca- 
littere piceo. — Biwancieri gialli. 
Femmina. — Differisce per il fronte largo al vertice circa quanto la larghezza 


degli occhi, e con due setole orbitali; la pollinosità del torace anteriormente più 
densa e le striscie perciò più distinte; l'addome più tozzo, e cordiforme, meno peloso; 
la pollinosità fulva del quarto segmento assai più densa e non interrotta; gli uncini 
ed i pulvilli meno lunghi. — Lunghezza mm. 13-14. 

Un maschio e due femmine. 


Has. — Mexico (Truqui). 


95. — Mochlosoma sericeum. 


Mochlosoma sericeum Gieuio-Tos (12), p. 2. 


Femmina. — Faccia giallo-sulfurea con riflessi sericei; guancie nude. — Pro- 
boscide nera, lunga appena il doppio dell'altezza del capo; palpi fulvi. — Fronte 
largo, ai lati giallo-sulfureo come la faccia; striscia frontale bruno-fulva, larga. — 
Antenne giallo-fulve; il secondo articolo con un ciuffo di peli neri sul margine supe- 
riore ; il terzo circa doppio del secondo; stilo nero, appena pubescente , ingrossato 
nella metà basale. — Torace nero, cosparso di pollinosità cinerea nel mezzo, sulfureo- 
pallida ai lati e sulle pleure; al margine anteriore due striscie mediane e due late- 
rali nere appena distinte. — Scudetto nero, cosparso di pollinosità cenerina. — Addome 
quasi cordiforme, nero, cosparso di densa pollinosità quasi argentina nel mezzo ante- 
riormente e sulfureo-pallida ai lati, sui segmenti posteriori e sul ventre (Questa 
pollinosità, quasi uniformemente sparsa su tutto l'addome, è visibile solamente se 
si osserva obliquamente e cambia anche colore coll’incidenza della luce); alcune se- 
tole discali oltre alle marginali su tutti i segmenti, fuorchè sul primo. — Piedi fulvi; 
tarsi ed uncini neri; pulvilli giallicci. — A% gialle nella metà basale; le vene gialle 
fin presso all’apice, quindi brune, ma tutte contornate di giallo; piegatura della quarta 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 527 


vena longitudinale ad angolo retto; vena trasversa apicale obliqua ma rettilinea; 
piccola vena trasversa posta un po’ prima del mezzo della cellula discale; vena 
trasversa posteriore obliqua e quasi rettilinea. — Calittere e bilancieri gialli. — Lun- 
ghezza mm. 13-14. 

Due sole femmine. 


Has. — Mexico (TRuqui). 


96. — Mochlosoma mericanum. 


Prosena mexicana Macquart (16), 4° suppl., p. 231, tab. XXI, fig. 12. — van 
DER Wuxr (84), p. 30, 1. 


Prosena tessellans van per Wutp (6), II, p. 216. 


Due maschi e due femmine colle calittere affatto bianche. 
. Has. — Messico (16, 34): Ciudad in Durango, Tierra Colorada, Rincon, Tepetlapa, 
Acienda de la Imagen, Chilpancingo, Sierra de las Aguas Escondidas e Omilteme in 
Guerrero (6), Mexico (Truqui), Oaxaca. 


XLV. — Gen. HYSTRICHODEXIA., 
Roper (23), p. 266 (sep. 11). 


97. — Hystrichodexia pseudohystricia. 


Hystrisiphona pseudohystricia Braver e Bereensramm (7), I, p. 167. 
Hystrichodexia pseudohystricia van ver WutP (6), II, p. 219, 1, tab. V, fig. 3, 3a. 


Due soli maschi. 


Has. — Messico: Takubaya (7), Xucumanatlan ed Omiltene in Guerrero (6), 
Solco (SUMICHRAST). 


98. — Hystrichodexia — n. sp.? 


Un solo esemplare maschio un po’ guasto differisce da H. pseudo-hystricia per 
avere l'addome di color fulvo, lucidissimo, con riflessi quasi metallici, i piedi me- 
diani e posteriori coi femori e le tibie ferruginose (gli altri piedi mancano), lo scu- 
detto pure bruno-fulvo e le calittere gialle. Negli altri caratteri è affatto simile alla 
specie suddetta. 


Has. — Mexico (CrAVERI). 


528 DITTERI DEL MESSICO 
99. — Hystrichodexia formidabilis. 


Rhamphinina formidabilis Bieor (5), p. 264, 58. 
Hystricodexia formidabilis van per Wurr (6), II, p. 220, tab. V, fig. 4, 4a. 


Due soli maschi. 


Ha. — Nicaragua: Chontales (6) — Messico (5): Paso del Macho (6), Orizaba 
(SUMICHRAST). 


100. — MHystrichodexia brevicornis. 
Prosena brevicornis Macquart (16), 4° suppl., p. 230, 6. 


Un solo maschio che ha tutti i caratteri del genere Hystrichodexia e concorda 
bene colla descrizione della specie sopradetta del MAcquaRrt. Questa specie simile per 
la colorazione dell'addome alla precedente H. formidabilis ne è ben distinta per la 
colorazione dei piedi, per il colore fulvo del petto, delle pleure, dei lati del torace. 
Di fronte allo scudetto sul torace una grande macchia quadrangolare ha lo stesso 
colore fulvo. Le setole dell'addome sono meno numerose. — Lunghezza mm. 15. 


Has. — Brasile: Bahia (16) — Mexico (TruUqQUI). 


101. — Hystrichodexia mellea. 


Hystrichodexia mellea Giauio-Tos (12), p. 2. 


Maschio. — Faccia gialliccia con riflessi sericei grigi. — Proboscide nera, palpi 
gialli. — Fronte larga al vertice un po’ meno della larghezza degli occhi, grigio- 
gialliccia ai lati; striscia mediana nera, larga; ai lati di essa una sola serie di setole 
che raggiunge la base delle antenne; nessuna setola orbitale. — Antenne fulve; 
articolo terzo nero; sul secondo articolo due lunghi peli; stilo nero, piumoso. — 
Torace nero, fulvo-pollinoso leggermente; gli angoli anteriori, i lati ed il margine 
posteriore fulvo-rossicci come miele; petto e pleure giallo-fulvi, giallo-poilinosi. — 
Scudetto fulvo-miele armato di spine nere anche nel mezzo. — Addome cordiforme, 
tutto di color fulvo-miele, un po’ rossiccio ; una striscia sul primo segmento, ed una 
macchia nera triangolare alla base del secondo; una macchia nera -longitudinale 
all'apice del terzo e del quarto solamente visibile osservando l'addome molto obli- 
quamente da lato; le spine così disposte: due o tre laterali sul primo segmento e 
nessuna dorsale; molte dorsali e discali e molte laterali sugli altri segmenti; quelle 
del secondo e del terzo raggruppate ai lati e nel mezzo; ipopigio assai sporgente. 
— Ventre del color dell'addome ma più chiaro, specialmente verso la base, anch’esso 
munito di spine. — Piedi gialli con peli gialli e setole nere; uncini e pulvilli lunghi; 
metà apicale degli uncini nera. — Ali grigie, gialle alla base; vene marginate di 
giallo; vena trasversa apicale leggermente concava; vena trasversa posteriore appena 
bisinuosa. — Calittere gialliccie. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 15. 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 529 


Sebbene abbia il fronte molto largo, tuttavia gli uncini e i pulvilli molto lunghi, 
la mancanza di setole orbitali sul fronte, e specialmente poi l’ ipopigio ben spor- 
gente non mi lasciano dubbio alcuno che si tratti di un maschio. 


Has. — Oaxaca (SALLÉ). 


102. — Hystrichodexia aurea. 
Hystrichodexia aurea Gierio-Tos (12), p. 2. 


Femmina. — Faccia bianco-gialliccia con riflessi sericei; setole del margine 
orale gialle; vibrisse nere poste assai al di sopra del margine orale; faccia forte- 
mente carenata nel mezzo fra le antenne. — Proboscide nera; palpi gialli con peli 
dello stesso colore. — Fronte largo al vertice quasi quanto gli occhi, bianco-pollinosa 
ai lati; striscia mediana bruno-nera, larga; ai lati di essa una serie di setole che 
raggiungono la base delle antenne; le tre ultime più basse gialle, le altre nere; tre 
setole orbitali nere. — Antenne gialle; nel margine supero del secondo articolo due 
setole lunghe gialle; il terzo appena bruniccio verso l'estremità, quasi doppio del 
secondo; stilo bruno, ingrossato alla base, piumoso. — Torace nero, gialliccio-pollinoso 
sul dorso; due striscie laterali nere, largamente interrotte alla sutura e poco distinte; 
i lati ed il margine posteriore largamente giallo-fulvi; petto e pleure giallo-fulvi. — 
Scudetto anch'esso fulvo armato di spine nel mezzo. — Addome cordiforme , largo, 
tutto di color di miele, tendente al rossiccio e rivestito di peli giallo-dorati, molto 
lunghi all’apice; una striscia mediana nera interrotta alle incisioni; il primo seg- 
mento con qualche spina solo ai lati; parecchie dorsali e laterali, discali e marginali 
sul secondo e terzo segmento; il quarto ne è assolutamente privo fuorchè nella parte 
ventrale. — Ventre melleo, tutto irto di molte spine specialmente verso l’apice. — 
Piedi gialli; femori con setole nere miste ad altre gialle; uncini e pulvilli mediocre- 
mente lunghi; metà apicale degli uncini nera. — Al gialliccie alla base ; vene con- 
tornate di gialliccio; vena trasversa apicale concava alla base; vena trasversa poste- 
riore diritta per un breve tratto alla sua origine quindi fortemente convessa. — 
Calittere e bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 15. 

Questa bella specie presenta per la colorazione e per i peli una notevole somi- 
glianza con Dejeania corpulenta WiepEm. 

Una sola femmina. 


Has. — Senza indicazione di località messicana (SUMICHRAST). 


XLVI. — Gen, RHYNCHODEXIA. 


REhynchodexia Bisor, Bull. Soc. ent. fran., 1885, p. x1. 
Ehamphinina Bicor ibidem, p. x1. 
Ehynchodezia van per Wutp (6), II, p. 225. 


Serie II. Tom. XLIV. o 


530 DITTERI DEL MESSICO 


103. — Rhynchodexia anthracina. 


Rhamphinina anthracina Bisor (5), p. 265, 62. 
Prosena obscura Bisor (5), p. 264, 56. 
Ehynchodexia anthracina van per WutP (6), II, p. 234, 16. 


Parecchi esemplari di ambedue i sessi. 
La sinonimia è stabilita sulla testimonianza di van peER Wutrp che esaminò i 
tipi della collezione Breor. 


Has. — Messico (5): Ciudad in Durango (6), Solco (SumcHRast), Patzcuaro 
(SAUSSURE). 


104. — RAhynchoderia angulata. 
Bhynchodexia angulata van ver Wutp (6), II, p. 233, 14. 


Una sola coppia. 


Has. — Messico: Ciudad in Durango, Jalisco, Acapulco, Xucumanatlan, Omil- 
teme, Sierra de las Aguas Escondidas in Guerrero (6), Orizaba (SumIcHRAST). 
105. — EAhynchoderia scutellata. 
Rhynchodexia scutellata van ver WutP (6), II, p. 230, 7. 


Un maschio ed un altro esemplare femmina un po’ mal conservato che riferisco 
dubbiamente a questa specie. 


Ha. — Messico: Ciudad in Durango (6), Mexico (SAussuRrE), Orizaba (SUMICHRAST). 


106. — RAhynchodexia rubricornis. 


Enhynchodexia rubricornis van per Wute (6), II, p. 230, 8. 


Due soli maschi, di cui uno assai più piccolo. 


Has. — Messico: Northern Sonora, La Venta, Amula, Xucumanatlan, Omilteme, 
Sierra de las Aguas Escondidas in Guerrero, Teapa in Tabasco, Atoyac in Vera 
Cruz (6), Mexico (TRUQUI). 


107. — Rhynchodexia major. 
Rhamphinina major Bisor (5), p. 265, 59. 


Tre maschi ed una femmina; quest’ultima di minore statura e coll’addome ovato 
e largo; le macchie bianche assai meno visibili fuorchè sull’ultimo segmento e sul 
ventre; ogni segmento porta sul dorso alla base una stretta fascia bianco-pollinosa. 


HaB. — Messico (5): Orizaba (SumicaRAst, BoucARD). 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 531 


108. — &Ahynchodexria fraterna. 
Ehynchodexia fraterna van per Wutr (6), II, p. 229, 6. 


Parecchi esemplari maschi e femmine di statura varia. 
Has. — Messico: Tepie, Santiago de Iscuintla, Orizaba, Acapulco, Tierra Colo- 
rada, Rincon, Venta de Zopilote, Chilpancingo ed Amula in Guerrero, Cuernavaca 


in Morelos, Atoyac in Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6), Oaxaca (SaLLé), Orizaba 
(SumicgRrAsT), Tehuacan. 


XLVII. — Gen. PROSENA. 
Sr. Farerav et Servire, Encyelopédie méthodique, tom. X, p. 500 (1825). 


109. — Prosena curvirostris. 


Prosena curvirostris Bisor (5), p. 264, 57. — van per Wutr (6), II, p. 217, 4. 


Parecchi esemplari dei due sessi. 


Has. — Costa Rica: Rio Sucio (6) — Messico (5): Tierra Colorada, Rincon, 
Chilpancingo ed Amula in Guerrero; Atoyac e Fortin in Vera Cruz, Teapa in Ta- 
basco (6), Orizaba (SumricHRrAst, BoucarD). 


XLVII. — Gen. SCOTIPTERA. 
Macquarr (16), II, 3° part., p. 83. 


110. — Scotiptera ? cyanea. 
Scotiptera cyanea Gisuio-Tos (12), p. 2. 


Maschio. — Corpo interamente di color nero lucente tendente all’azzurrognolo. 
— Faccia e lati del fronte gialliccio-pollinosi; guancie con riflessi sericei. — Proboscide 
nera; palpi gialli. — Antenne coi primi due articoli fulvi (il terzo manca). — Fronte molto 
stretta al vertice, colla striscia mediana nera ed una sola serie di setole ad ogni 
lato. — Torace anteriormente e sulle pleure cinereo-pollinoso; quattro striscie, due 
mediane sottili e due laterali più larghe solo distinte al margine anteriore. — Ad- 
dome con setole discali oltre alle marginali; incisioni con riflessi cenerino-pollinosi, 
se osservate obliquamente. — Piedi neri; uncini e pulvilli lunghi; pulvilli grigi. — 
Ali uniformemente brune, quarta vena longitudinale appendicolata alla sua piega- 
tura; vena trasversa apicale leggermente concava e molto obliqua; piccola vena 
trasversa posta nel mezzo della cellula discale; vena trasversa posteriore diritta 
alla base quindi un po’ convessa. — Calittere e bilancieri bruni, quasi picei. — Lun- 
ghezza mm. 10. 


532 DITTERI DEL MESSICO 


Sebbene mancante del terzo articolo delle antenne, posso quasi con certezza rife- 
rirla per gli altri caratteri al genere Scotiptera. 
HaB. — Angang (SAUSSURE). 


XLIX. — Gen, MYIOSCOTIPTERA. 
Giorio-Tos (12), p. 2. 


Corpo snello; proboscide lunga almeno quanto l’altezza del capo; palpi sporgenti, 
distintamente clavati e della lunghezza quasi della proboscide; guancie più larghe 
della metà dell’altezza degli occhi; vibrisse inserite al margine orale; faccia alquanto 
obliquamente ritratta, epistomio sporgente; antenne estese quasi fino alle vibrisse, 
col terzo articolo almeno tre volte più lungo del secondo; fronte sporgente, superior- 
mente ristretta nel maschio; addome conico, munito di setole discali oltre alle mar- 
ginali; ali colla cellula apicale aperta; la quarta vena longitudinale non appendiculata; 
gli uncini e i pulvilli dei piedi sono lunghi; organi genitali esterni grandi. 

Questo genere assai affine ai generi Scotiptera e Myiocera differisce da ambedue 
per la lunghezza notevole e la forma distintamente clavata dei palpi; dal genere 
Scotiptera poi per la mancanza di appendice alla quarta vena longitudinale delle ali; 
dal gen. Myiocera per la presenza di setole discali sull’addome. 


111. — Myioscotiptera cincta. 
(Fig. 14, capo). 


Miyoscotiptera cincta Giaio-Tos (12), p. 2. 


Maschio. — Faccia cenerino-gialliccia, con riflessi sericei; guancie nude e larghe; 
epistomio alquanto sporgente. — Proboscide nera, un po’ più lunga dell’altezza del 
capo ed alquanto curva; palpi gialli quasi lunghi quanto la proboscide, sottili, e 
distintamente clavati all’estremità, muniti di lunghi peli neri all'apice. — Fronte 
alquanto sporgente, stretta in alto, argentina ai lati; striscia frontale quasi nera; 
una sola serie di setole ad ogni lato di essa, che si prolunga fino alla base delle 
antenne. — Antenne che raggiungono quasi le vibrisse; i primi due articoli brevi, 
fulvi; il terzo triplo del secondo, nero, lineare, arrotondato all’apice ; stilo ingrossato 
alla base, lungamente piumoso. — Torace nero, cenerino-pollinoso, con due striscie 
mediane sottili e due laterali larghe distinte al margine anteriore; petto e pleure 
cinereo-pollinosi. — Scudetto nero, cenerino-pollinoso alla base. — Addome conico, 
nero, lucente, con lunghi peli misti a setole; il primo segmento appena grigio-pol- 
linoso ai lati; gli altri con una larga fascia basale cinereo-pollinosa, interrotta nel 
mezzo del dorso, ed estesa anche sul ventre; segmenti secondo e terzo con riflessi 
fulvo-pollinosi osservati obliquamente e con due setole dorsali discali oltre le mar- 


ginali; ipopigio sporgente, grande e peloso. — Piedi neri; uncini e pulvilli lunghi 
e gialli; apice degli uncini nero. — Ali leggermente gialliccie ; cellula apicale lar- 


gamente aperta un po’ prima dell’apice dell’ala ; vena trasversa apicale concava presso 
alla base, quindi obliqua e leggermente ondulata; vena trasversa posteriore appena 
bisinuosa. — Calittere e bilancieri giallicci. — Lunghezza mm. 10. 

Un solo maschio. 

Has. — Solco. 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 533 


L. — Gen. DEXIOSOMA. 
Ronpani (26), I, p. 85. 


112. — Dexiosoma vibrissatum. 


Dexiosoma vibrissatum vas per Wutp (6), IL p. 244, 1, tab. V, fig. 13, 13 a. 


Due soli maschi che concordano colla descrizione del tipo. 
Has. — Messico: Teapa in Tabasco (6), Tuxpango (SumIcHRAST). 


LI. — Gen. MICROPHTHALMA. 
Macquarr (16), II, 3° part., p. 84, n° 4. 


113. — Microphthalma sordida. 
Microphthalma sordida Gieuio-Tos (12), p. 8. 


Maschio. — Faccia testacea, ocraceo-pollinosa, obliquamente ritratta ; vibrisse 
superiori molto lungi dal margine boccale; guancie molto larghe, nude. — Fronte 
molto sporgente, nera ai lati, osservata di profilo, e pelosa fino al margine inferiore 
degli occhi; ocraceo-pollinosa vista dal di sopra; striscia mediana fulva; una sola 
serie di setole per ogni parte, che discende fin oltre la base delle antenne. — Occhi 
piccoli, nudi. — Antenne giallo-fulve ; il terzo articolo sottile, nero nella metà api- 
cale; stilo breve, nero, ingrossato nella sua metà basale, pubescente nel resto. — 
Torace e scudetto neri, leggermente cinereo-pollinosi specialmente ai lati del torace 
prima della sutura; le striscie nere quasi indistinte. — Addome nero, fulvo rossiccio 
ai lati del secondo e terzo segmento e su quasi tutto il quarto; alla base di ogni 
segmento una fascia cenerino-gialliccio-pollinosa che occupa la metà della lunghezza 
del segmento; due setole dorsali e laterali sul secondo segmento ed una serie sul 
terzo solamente marginali; sul quarto alcune anche discali. — Ventre nero nel mezzo, 
rossiccio ai lati. — Piedi neri, pelosi e setolosi; uncini e pulvilii lunghi; pulvilli 
giallicci. — Al un po’ grigie; cellula apicale aperta presso all'apice dell’ala; vena 
quarta longitudinale con una lunga appendice al gomito; vena trasversa apicale con- 
cava alla base, quindi molto obliqua; piccola vena trasversa posta quasi nel mezzo 
della cellula discale, ed a margini offuscati; vena trasversa apicale fortemente bisi- 
nuosa. — Calittere gialliccie. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 10-11. 

Due maschi in cui la colorazione dell'addome è un po’ diversa, ma che sono simili 
nel resto; altri due paiono formare una specie distinta, ma sono mal conservati e 
non si possono descrivere. 


Has. — Mexico (Truqui), Toluca (SAUSSURE) (BoucaARD). 


534 DITTERI DEL MESSICO 


LI. — Gen, MEGAPARIA. 
van DER Wutp (6), II, p. 240. 


114. — Megaparia venosa. 


Megaparia venosa, van per WutP (6), II, p. 240, 1, tab. V, fig. 9, 9a. 


Due femmine che differiscono appena dalla descrizione del van per WutP (la 
proboscide ed i palpi non visti da quell’autore sono l’una nera, gialla all’apice, gli 
altri assai brevi e gialli) e due maschi, non descritti, alquanto vari nella colorazione, 
ma distinti dalle femmine per dimensioni maggiori (lunghezza mm. 12 circa). 


Ha. — Messico: Ciudad in Durango (6), Mexico (CrAvERI). 


LII. — Gen. STOMATODEXIA. 
Brauer e Beroenstamm (7), I, p. 125. 


115. — Stomatodexia quadrimaculata. 


Dexia quadrimaculata Waxxer (38), p. 319. 


Due sole femmine differenti dal maschio descritto da WALKER per avere sul 
fronte due setole orbitali, per la mancanza di macchie nere laterali sull’addome, che 
è ovato e più largo del torace. Le ali e le calittere sono gialliccie. 


Has. — Brasile (38) — Mexico (TRUQUI). 


116. — Stomatodexria cothurnata. 


Stomoxys cothurnata Wrepemann (40), IL, p. 249, n° 5. 

Prosena maculifera Bisor (5), p. 264, 55. 

Stomatodexia cothurnata Braver e BercenstAm (7), I, p. 125, tab. VII, fig. 195. 
— van DER Wurr (6), II, p. 239, 1. 


Due maschi e tre femmine. 

Has. — Brasile (40) — Messico (5): Acapulco, Acaguizotla, Rincon, Rio Papa- 
gaio e Chilpancingo in Guerrero, Atoyac in Vera Cruz, Santiago Iscuintla in Ialisco (6), 
Orizaba (SumicHRAST). 


117. — Stomatoderia similigena. 


Stomatodexia similigena van per Wutr (6), II, p. 239, 2. 


Quattro maschi e due femmine. 
Has. — Messico: Amula in Guerrero (6), Orizaba (SumicaRAsT), Oaxaca (SALLÉ). 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 995 


LIV. — Gen. THELAIRODES. 
van DER Wut (6), II, p. 257. 


118. — Thelairodes basalis. 
Thelairodes basalis Gisuio-Tos (12), p. 3. 


Femmina. — Faccia con riflessi sericei argentini. — Pulpi gialli (la  probo- 
scide è nascosta). — ronte larga quasi quanto gli occhi con riflessi argentini vista 
dal di sopra, bruniccia vista di fianco; striscia mediana assai larga, nera; due setole 
orbitali. — Antenne lunghe quasi quanto la faccia, gialle; il terzo articolo lineare, 
almeno quadruplo del secondo, bruno nella metà apicale; stilo piumoso. — Torace, 
petto e scudetto neri, coperti uniformemente di pollinosità bianca a riflessi d’argento. 
— Addome sub-conico, acuto, nero, con larghe fascie basali bianco-argentine sui seg- 
menti secondo, terzo e quarto; il primo segmento grande quanto il secondo, tutto 
giallo ; nella parte ventrale anche il secondo segmento è giallo ; setole solo margi- 
nali. — Piedi coi femori e le anche gialli; tibie brune; tarsi neri; uncini e pulvilli 
molto piccoli. — Ali gialliccie lungo la costa; vene trasverse apicale e posteriore 
oblique e leggermente ondulate; prima vena longitudinale cigliata per un buon tratto 
verso l'estremità; la terza vena longitudinale con poche ciglia solo alla base. — 
Calittere bianchiccie. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 8. 

Una sola femmina. 


HaB. — Senza indicazione di località messicana (BovcaRp). 


LV. — Gen. CHAETONA. 
van DER Wuxp (6), II, p. 253. 


119. — Chaetona cruenta. 
Chaetona cruenta Giavio-Tos (12), p. 3. 


Femmina. — Faccia gialliccia, verticale; epistomio appena sporgente; guancie 
nude. — Proboscide e palpi gialli. — Fronte gialliccia ai lati, larga al vertice quasi 
quanto gli occhi; striscia frontale assai larga, gialla; due setole orbitali. — Antenne 
al di sopra del mezzo degli occhi, gialle; il terzo articolo triplo del secondo, lineare, 
stretto, bruno verso l'estremità; stilo lungo. — Occhi grandi, nudi, discendenti al- 
quanto al di sotto delle vibrisse. — Torace nero, coperto di pollinosità gialliccia assai 
densa; due striscie mediane e due laterali un po’ più larghe, interrotte alla sutura, 
nere, ben distinte; un’altra mediana appena accennata davanti alla sutura; petto e 
pleure grigio-pollinosi. — Scudetto testaceo-bruniccio. — Addome ovato, nero; i seg- 
menti secondo, terzo e quarto con una fascia stretta basale di pollinosità bianchiccia; 


596 DITTERI DEL MESSICO 


ai lati dell'addome presso alla base due larghe macchie rosso-mattone, che occupano 
quasi tutto il secondo e primo segmento, lasciando solo una striscia mediana nera; 
apice dell'addome anch'esso rosso-mattone. — Piedi coi femori gialli fuorchè l’estre- 
mità dei posteriori che è nera; tibie brune, tarsi neri; uncini e pulvilli piccolissimi. 
— Ali quasi limpide; la vena trasversa apicale concava alla base; la piegatura della 
vena quarta longitudinale fortemente ricurva; vena trasversa posteriore obliqua e 
leggermente sinuosa. — Calittere e bilancieri bianchieci. — Lunghezza mm. 8. 

Una sola femmina che per alcuni caratteri della faccia e delle ali si allontana 
un po’ dal genere Chaetona. 

Has. — Senza indicazione di località messicana (BoucaArp). 


LVI. — Gen. APORIA. 
Macquart (16), 1" suppi., p. 168. 


120. — Aporia elegans. 
(Fig. 15, capo). 


Aporia elegans Gisrio-Tos (12), p. 3. 


Maschio. — Faccia bianco-argentina, con riflessi sericei, obliquamente ritratta; 
epistomio non sporgente; vibrisse inserite al margine orale; guancie alte quanto un 
terzo dell'altezza degli occhi, sparse di pochi peli neri nella parte più bassa. — Pro- 
boscide nera, con labbra grandi; palpi bruno-fulvi, pelosi. — Fronte assai stretta in 
alto, un po’ sporgente, argentina ai lati; striscia mediana nera; una sola serie di 
setole ai lati di essa discendenti fino alla base delle antenne. — Occhi grandi, pelosi. 
— Antenne inserite alquanto al di sotto del mezzo degli occhi, lunghe un po’ meno 
della faccia, nere; il primo articolo brevissimo, il secondo doppio del primo, con peli 
superiormente di cui uno assai più lungo; il terzo articolo sottile, un po’ più largo 
verso l’apice, appena doppio del secondo; stilo lungo, nudo, ingrossato alla base e 
sempre più sottile verso l'estremità. — Torace nero, lucente, coperto di pollinosità 
argentina densa ai lati e sulle pleure, scarsa nel mezzo; due striscie mediane nere 
sottili ben distinte anteriormente, e due altre laterali assai più larghe, un po’ con- 
fuse e interrotte alla sutura. — Scudetto nero, grigio pollinoso fuorchè alla base. — 
Addome lungo, conico, nero, lucente, con tutti i segmenti uguali o quasi; una larga 
fascia cenerino-pollinosa alla base dei segmenti secondo e terzo; oltre alle setole 
marginali anche due discali accoppiate sul dorso del secondo e terzo segmento e 


parecchie sul quarto. — Ventre bruno-nero a riflessi bianco-pollinosi. — Piedi neri; 
i femori anteriori e mediani cenerino-pollinosi dal lato posteriore: tibie posteriori 
robuste e’ ferruginee; uncini e pulvilli lunghi, pulvilli giallicci. — Ali gialle nella 


metà basale; nella metà apicale intensamente brune; il margine posteriore e la por- 
zione centrale delle cellule apicale e discale ialini; una breve spina alla costa; 
vena quarta longitudinale brevemente appendicclata alla sua piegatura; vena tras- 
versa apicale appena concava alla base; vena trasversa posteriore leggermente bisi- 
nuosa. — Calittere grandi, bianche. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 14. 

Un solo maschio. 

Has. — Tuxpango (SUMICHRAST). 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 537 


LVII. — Gen. CORDYLIDEXIA. 
Cordyligaster Macquart (16), II, 3° part., p. 90, 8. 


121. — Cordylidexia minuscula. 
Cordyligaster minuscula van per Wure (6), II, p. 252, 1, tab. VI, fig. 7, 7a. 


Un solo esemplare maschio mancante di addome, ma in tutte le altre parti cor- 
rispondente alla descrizione di questa specie. 


Il nome generico usato da Macquart venne da me cambiato perchè già occupato 
fin dal 1820 per indicare un genere di Libellulidi. 


Has. — Messico: Rio Papagaio e Tierra Colorada in Guerrero, Teapa in Ta- 
basco (6), Orizaba (SUMIcHRAST). 


SARCOPHAGINAE 


LVII. — Gen. PHRISSOPODA. 


Macquarr (16), II, 3° part., p. 96. 


122. — Phrissopoda praeceps. 


Sarcophaga praeceps Wiepemanx (40), IL p. 355, 1. 
Peckia imperialis Rogixeau-Desvomy (21), p. 335, 1. 
Phrissopodia imperialis Macquart (15), II, p. 223, 1. 
Phrissopoda imperialis Macquare (416), II, 3° part., p. 96. 
Sarcophaga fortipes WaALker (39), p. 43. 


Phrissopoda praeceps Wiusroy (41), p. 307. — Braver e BeroensrAmm (17), I, 
p. 124. 


Un solo maschio mancante di capo ma ancora determinabile, e indicato in col- 
lezione col nome di P. imperialis. 


. Has. — Cuba (40, 21) — Haiti (39) — San Domingo (41) — Port Jackson nella 
Nuova Olanda (16) — Mexico (SALLÉ). 


1239. — Phrissopoda immandis. 


Sarcophaga immanis W aLker (37), Part IV, p. 815. 


WALKER descrisse solamente la femmina di questa specie; il maschio differisce 


per il corpo notevolmente più lungo, per avere il capo ed il fronte più larghi, lo 


Serie II. Tom. XLIV. R° 


598 DITTERI DEL MESSICO 


stilo delle antenne più lungamente piumoso; il terzo articolo delle antenne interna- 
mente fulvo alla base, come anche in taluna femmina; i piedi inferiormente coperti 
di peli lunghi e fitti specialmente sulle tibie mediane e posteriori; gli uncini dei 
tarsi molto più lunghi, ed i pulvilli più grandi; l'addome oblungo, sub-conico, peloso, 
tessellato di pollinosità bruno-fulva, un po’ gialliccia alla base ed ai lati dei segmenti; 
l’ipopigio grande, sporgente, peloso, di color bruno-rugginoso lucente. — Lunghezza 


mm. 19-22. 
Quattro maschi e tre femmine (Un maschio fu trovato a Vera Cruz nel corpo 


di un granchio morto). 
Has. — Honduras (37) — Mexico (SALLE). 


124. — Phrissopoda plumipes. 


Peckia plumipes Rosmeav-Desvomy (21), p. 336, 4. 
Sarcophaga intermutans WALKER (39), p. 41. 


Quattro maschi ed una femmina. 


Has. — Haiti (21) — Messico (39): Mexico (SALLÉ). 


125. — Phrissopoda lamanensis. 


Peckia lamanensis Rosinzav-Desvomy (21), p. 335, 2. 


Un maschio ed una femmina. 
Has. — Lamana (21) — Mexico, Orizaba (SumicHRAST). 


LIX. — Gen. SARCOPHAGA. 
Mercen (18), V, 14 (1826). 


126. — Sarcophaga obsoleta. 


Sarcophaga obsoleta Wieprmann (40), II, p. 367, 29. 
Sarcophagula obsoleta van per Wutp, T'ijdschr. v. Entomol., XXX, p. 178 (1887). 


Qualche esemplare di ambi i sessi che riferisco dubbiamente a questa specie 


stante la troppo breve descrizione del WIEDEMANN. 
Has. — Indie Occidentali (40) — Messico: Tuxpango (SUMICHRAST). 


127. — Sarcophaga spinigena. 


Sarcophaga spinigena Ronpani (27), p. 26. 


Un solo maschio, che presenta però la spina alare poco sviluppata. 


Has. — Valdivia (27) — Messico: Orizaba (SumicHRAST). 


rm 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 539 


128. — Sarcophaga plinthopyga. 


Sarcophaga plinthopyga Wirepemann (40), II, p. 360, 10. — Watker? (86), 
p. 352, 57. — Réoprr (22), p. 346. 


Molti individui dei due sessi varianti nella statura e nella colorazione della pol- 
linosità del corpo dal bianco al giallo. 


HaB. —- Indie occidentali: Isola di S. Tomaso (40) — Portorico (22) — S. Ca- 
terina (36) — Messico: Orizaba, Tuxpango (SumicHRAsT, SAUSSURE, BoucaARD). 


Vennero inoltre descritte le seguenti specie del Messico: 


Sarcophaga trivittata Macquart, Dipt. exot., II, 3° partie, p. 105. 
Id. trigonomaculata Id., ibid., p. 106. 
Id. perneta WALKER, Trans. ent. Soc. London, V, n. s., P. VII, p.41. 
Id. innota Id., ibid., p. 41. 
Id. conclausa Id., ibid., p. 42. 
Id. — despensa Id, ibid., p. 42. 
Id. effrenata Id., ibid., p. 42. 


540 


14. 


15. 


16. 


DITTERI DEL MESSICO 


INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE 


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de France ,, 5° série, tome VII, 1878, pp. 31-48. 


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entom. de France ,, 1887, pp. 0xxxIX-OXLII. 


. Id. Diptères nouv. ou peu connus, 33° partie, XLI: Tachinidae, in “ Ann. de la Soc. 


entom. de France ,, 6° série, tome VIII, 1888, p. 77-101. 


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Enrica 


ba 


18. 


dio, 


24. 


25. 


26. 


27. 


28. 


29. 


30. 
31. 


32. 


39. 


34. 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 541 


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von Alphons Stibel, in “ Stettiner entom. Zeitung ,, XLVI Jahrg., 1886, 
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Id. Dipterorum species et genera aliqua erotica revisa et annotata, novis nonnullis 
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“ Trans. amer. ent. Soc. ,, XIX, 1892, pp. 88-132. — Paper IV, in “ Entomological 
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pp. 1-60. 


42 


35. 


36. 


37. 


38. 


39. 


40. 


41. 


42. 


43. 


DITTERI DEL MESSICO 


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INDICE ALFABETICO DELLE SPECIE 


Acaulona costata 
Acroglossa tessellata . 
Ancylogaster armatus . 
Anisia nigella 

Id. opaca . 
Aporia elegans . 


Belvosia analis 

Id. bella 

Id. leucophrys 

Id. leucopyga. 

Id. rufipalpis . 

Id. Weyenberghiana 
Blepharipeza leucophrys . 

Id. rufipalpis 

Blepharipoda mexicana . 


Chaetogena carbonaria 
Id. cincta . 
Id. gracilis 
Chaetona cruenta 
Cistogaster ferruginosa 
Id. variegata . 
Clistomorpha ochracea 
Cordylidexia minuscula . 
Cordyligaster Id. 
Cryptopalpus hystrix . 
Cyrtophloeba horrida . 


Degeeria anthracina 

Id. cruralis 

Id. dicax 

Id. insecta. 

Id. mexicana. 
Dejeania aurea . 

Id. corpulenta 

Id. rufipalpis. 

Id. vexatrix . 
Dexia quadrimaculata. 
Dexiophana aemulans . 
Dexiosoma vibrissatum 
Dictya pennipes . 


DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 


Pag. 
477 
505 
479 
521 
922 
536 


499 
500 
499 
500 
499 
; 500 
. 498-499 
. 498-499 
503 


501 
502 
503 
595 
475 
476 
523 
537 
537 
495 
510 


517 
519 
519 
518 
516 
490 
490 
490 
490 
534 
521 
533 
477 


Echinomyia analis . 


Id. cinerascens 
Id. Cora. 

Id. dispar . 

Id. filipalpis 

Id. haemorrhoa . 
Id. macrocera. 
Id. robusta 

Id. seminigra . 


Epalpus rubripilus . 
Exorista latimana . 
Id. rufilatera . 
Id. trivittata . 


Fabricia infumata . 


Gymnomma discors 
Id. novum 
Gymnosoma — ? 


Hemyda armata . 
Hermya afra . - 
Homodexia triangulifera . 
Hypostena blandita 

Id. concinna 

Id. triangulifera . 
Hystrichodexia aurea . 


Id. brevicornis . 
Id. formidabilis. 


Id. mellea 


Id. pseudohystricia 


Id. —_ ? 
Hystricia ambigua . 
Id. amoena . 
Id. micans 
Id. nigriventris . 
Id. pollinosa . 
Id. pyrrhaspis 


Id. rufipes. 
Id. SOror . 
Hystrisiphona bicolor . 
Id. niger 
Id. nigra 


Id. pseudohystricia . 


043 


Pag. 
479 
480 
480 
485 
480 
479 
; 480 
479-480 
484 
492 
507 
507 
508 


486 


488 
482 
475 


479 
478 
521 
521 
521 
921 
529 
528 
528 
528 
527 
527 
496 
497 
497 
495 
496 
È 498 
. 493-494 
498 
524 
524 
524 
927 


044 


Jurinia analis. 
Id. basalis 
Id. chrysiceps . 
Id. dichroma 
Id. flavifrons 


Linnemya aestivalis 
Td. analis 
Id. borealis . 
Id. distinceta . 
Id. Heraclei . 


Macquartia setiventris 
Masicera bilineata . 

Id. glauca . 

Id. sesquiplex 

Id. strigata 

Id. vittata. 

Id. usta 
Masipoda geminata . 
Megaparia venosa . 


Metopia perpendicularis . 
Micropalpus albomaculatus . 


DITTERI DEI, MESSICO 


Id. analis . 

Id. borealis 

Id. comptus . 
Id. fulgens 

Tds Heraclei . 
Id. macula 

Id. marmoratus . 
Id. nigriventris . 
Id. rufipes 


Microphthalma sordida 


Microtrichomma intermedium . 


Mochlosoma anale . 


Id. lacertosum . 
Id. mexicanum . 
Id. sericeum . 


Musca pennipes . 
Myiobia flavicornis . 
Myioscotiptera cincta . 
Myiothiria trichosoma. 
Mystacella rubriventris 
Mystacomyia Id. 


Nemochaeta (?) aberrans . 


Id. chrysiceps 
Id. crucia . 

Id. dissimilis. 
Id. dubia . 

Id. incerta 

Id. jurinioides . 
Id. pernox 

Id. seminigra 


Nemorea intermedia 
Neoptera rufa. 


Pag. 
484 Ocyptera atra 
489 Id. binotata . 
487 Id. Dosiades . 
489 Id. Euchenor. 
487 Id. minor . 
Id. simplex 
481 Id. soror 
481 Oestrophasia clausa 
481 Sage E 
481 Peckia imperialis 
481 Id. lamanensis . 
Id. plumipes. 
Peleteria robusta 
520 Penthosia satanica . 
513 Phasia jugatoria . 
516 Phasiopteryx ochracea 
513 Id. Bilimeckii . 
515 Phorocera atriceps . 
515 Id. parvula”. 
514 Phrissopoda immanis . 
507 Td. imperialis 
594 Id. lamanensis . 
513 Id. plumipes . 
494 Id. praeceps . 
481 Phrissopodia imperialis. . 
Manto Plagia americana 
481-482 Id. dicta . 
.481-482 Id. mexicana 
481 Prosena brevicornis 
494 Id. curvirostris 
482 Id. lacertosa 
495 Id. maculifera. 
492 Id. mexicana . 
538 Id. obscura. 
488 Id. tessellans . 
525 Prospherysa aemulans. 
525 Pseudohystricia ambigua. 
527 Pyrrhosia ochracea . 
526 
477 Rhamphinina anthracina . 
520 Id. formidabilis 
532 Id. major 
524 Rhinophora laevigata . 
507 Rhynchodexia angulata 
507 Id. anthracina. 
Id. fraterna 
Id. major 
488 Id. rubricornis 
487 Id. scutellata . 
486 
484 Sarcophaga conclausa . 
485 Id. despensa . 
484 Id. effrenata . 
488 Id. fortipes 
486 Id. immanis . 
484 Id. innota . 
483 Id. intermutans . 
522 Id. obsoleta . 


Pag. 
473 
473 
473 
473 
474 
473 
473 
922 


587 
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538 
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477 
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522 
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511 
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537 
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530 
527 
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496 
522 


530 
523 
530 
523 
530 
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531 
530 
530 
530 


539 
539 
539 
937 
537 
359 
538 
588 


e rioni 


‘ Sarcophaga perneta 


Id. plynthopyga . 
Id. praeceps . 


Id. spinigena . 
Id. trigonomaculata 
Id. trivittata . 


Sarcophagula obsoleta 
Saundersia albomaculata . 


Id. aurea 

Id. bicolor . ne: 
Id. bipartita |... 
Id. Jaennickei 

Id. macula . SIN 
Id. (Epalpus) macula . 
Id. nigriventris . . . . 
Id. (Epalpus) nigriventris 
Id. picea 

Id. rubripila . 

Id. rufipes . 


Id. rufitibia 

Id. rufopilosa . 
Scopolia satanica 
Scotiptera (?) cyanea . 
Stomatodexia cothurnata. 

Id. quadrimaculata . 

Id. similigena . 
Stomoxys cothurnata . 


Tachina Amisias 


Serig II. Tom, XLIV. 


DEL DOTT. 


Pag. 
539 
539 
537 
588 
539 
539 
538 
494 
491 
493 
493 
492 
494 
494 
495 
495 
495 
o 492 
- 492-494 
495 
492 
477 
531 
534 
DS4 
534 
934 


498 


E. GIGLIO-TOS 


Tachina Anthemon. 


Id. (Jurinia) basalis. 
Id. Id. chrysiceps 
Id. compta. 
Td. corpulenta. 
Id. divisa 
Id ttulcens i 
Id. (Blepharipeza) latifrons . 
Id. leucophrys 
Id. marmorata Zena 
Id. (Blepharipeza) nigrorufa . 
Id. pyrrbaspis. 
Id. robusta. 
Id. seminigra . 
Tachinodes dissimilis . 
Id. robusta 
Id. seminigra . 


Thelairodes basalis . 
Thereva lanipes . 
Tricholyga gracilens 


Id. insita 
Trichopoda lanipes. 

Id. pennipes . 

Id. pyrrhogaster . 


Tropidopsis pyrrhaspis 


Xanthomelana articulata . 


545 


Pag. 
498 
489 
487 
481 
490 
484 
481 
499 
498 
481 
499 
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484 
479 
484 
580 
476 
509 
509 
476 
477 
476 
495 


474 


6 


10 
11 
11 


12. 
13. 
14. 
15. 
16. 
17. 
18. 
9: 


DITTERI DEL MESSICO DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 


. Penthosia satanica Bieor (capo) è. 

. Gymnomma novum —Gieio-Tos (capo) °. 

. Nemochaceta incerta ; LIO; 

. Saundersia aurea È MEO, 

. Nemochaeta jurinioides d a) 

. Belvosia bella ” MiO: 

T: ROBIOR 6 n (ano) °. 

. Chaetogena gracilis 5 (antenna) 9. 

. Nemochaeta dubia Ù È Ò 

ù aberrans di (capo) 9. 

. Saundersia picea A DILNMIOÌ 

. Cyrthophloeba horrida È a 05 

a. 5 o Ù (ala) è. 
Xanthomelana articulata van DeR WuLP (capo) è. 
Plagia mexicana Grezio-Tos (capo) 9. 
Myioscotiptera cincta n ibi) 
Aporia elegans di o) 
Tricholyga gracilens Ù TS: 
Hystrisiphona bicolor " RIO 
Blepharipoda mexicana —, Mt Ro 
Chaetogena carbonaria , a MRiOì 


XLIV 


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UCCELLI DEL SOMALI 


RACCOLTI 


DA 


D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 


DESCRITTI 


DA 


TOMMASO SALVADORI 


Memoria approvata nell'adunanza del 14 Gennaio 1894. 


Nell'anno 1891 D. Eugenio dei Principi Ruspoli fece un viaggio di esplorazione 
nel paese dei Somali; di questo viaggio si trovano notizie in alcune lettere pubbli- 
cate nel Bollettino della Società Geografica Italiana per gli anni 1891 (pp. 738, 
983, 1012) e 1893 (p. 689 con cartina dell'itinerario). 

Il Ruspoli, durante il viaggio, ebbe cura di raccogliere animali, e la collezione 
degli Uccelli egli volle affidare ai miei studii fin dal 1892; altri lavori, pei quali 
io doveva, appunto in quel tempo, recarmi a Londra, m’'impedirono prima d'ora di 
compiere lo studio affidatomi. 

Come è noto, il Somali è una vasta penisola dell’Africa orientale, che si 
protende verso oriente nell'Oceano Indiano e che è compresa fra il 9° parallelo nord 
e l’Equatore. 

L’Avifauna del Somali è molto incompiutamente conosciuta. Il primo uccello che si 
conobbe del Somali è il Oynniris albiventris descritto nel 1852 dallo Strickland (1). 

Poscia apparve un Catalogo di una collezione di 36 specie di Uccelli raccolti dallo 
Speke, pubblicato nel 1855 dal Blyth (2), il quale vi descrisse tre specie nuove, 
che son sempre rimaste rarissime nelle collezioni (Spreo albicapillus, Passer  casta- 
nopterus, Sipheotides humilis). 

Lo Speke (3) nel 1860 publicò alcune notizie intorno ai costumi ed alla distri- 
buzione delle specie da lui raccolte nel Somali e menzionate dal Blyth. 

Il lavoro del Blyth, coll’aggiunta delle note dello Speke, fu ripubblicato a parte 
per cura dello Sclater (4) nell’anno 1860. 


(1) “ On a New Species of Nectarinia , (Contr. Orn. 1852, pp. 42, 43, pl. vxxxvi). 

(2) “ Report on a Zoological Collection from Somdli Country , (J. A. S. B. XXIV, Aves, 
pp. 298-305). 

(3) “ On Birds collected in the Somali Country , (Ibis, 1860, pp. 243-248, pl. vi). 

(4) Report on a Zoological Collection from the Somali Country, by Epwarp BLyra, Curator of 
the Royal Asiatic Society"s Museum, Calcutta. Reprinted from the twenty-fourth volume of the 
Journal of the Asiatic Society of Bengal, with Additions and Corrections by the Collector Jonn 
Hannine Spege, Capt. Bomb. Nat. Inf., F. R. G. S., ete., London, 1860. 


548 TOMMASO SALVADORI 


L’Heuglin (1) nel 1859 menzionò alcune specie della costa settentrionale del 
Somali, in un lavoro intorno agli Uccelli osservati e raccolti durante un viaggio 
nel Mar Rosso; alcune specie nuove da lui scoperte furono denominate e descritte 
dall’Hartlaub nello stesso lavoro (Sylvia delicatula, Lanius somalicus, Otis heuglini). 

L’Oustalet (2) nel 1881 pubblicò un breve lavoro contenente la descrizione di 
due nuove specie del Somali (Tockus deckeni ed Eupodotis gindiana) e nell’anno suc- 
cessivo, 1882 (3), pubblicò un altro lavoro intorno a 21 specie di Uccelli raccolti dal 
Revoil nel Somali, e fra essi una specie era nuova, cioè il Merops rewvoili. 

Lo Shelley (4) nel 1882, in un lavoro intorno ad una collezione di uccelli rac- 
colti dal Kirk nell’Africa orientale, menzionò due specie del Somali il Circaetus 
cinereus ed il Melierax poliopterus. 

Il keichenow (5) nel 1883 descrisse lo Struthio molybdophanes. 

Lo Shelley (6) nel 1885 pubblicò il Catalogo degli Uccelli raccolti dal Lort nel 
Somali; essi appartengono a 66 specie, delle quali vennero descritte come nuove le 
seguenti: Coracias lorti, Dryoscopus ruficeps, Telephonus jamesi, Argya aylmeri, Saxi- 
cola phillipsi, Parus thruppi, Cursorius gallicus somalensis. 

Nel 1886 l’Hartlaub (7), correggendo una erronea identificazione dello Shelley, 
descrisse una nuova specie del genere Trachyphonus, che chiamò T. shelleyi. 

Finalmente in un lavoro intorno agli “ Uccelli raccolti durante il viaggio della 
Corvetta Vettor Pisani negli anni 1879, 1880 e 1881 , io ed il Giglioli (8) pubbli- 
cammo una Lista di 13 specie di Uccelli del Somali, raccolti presso Durderi. 

Altre specie del Somali si trovano sparsamente descritte in altri lavori e spe- 
cialmente nei recenti volumi del Catalogue of Birds in the British Museum (I-XXILI). 

La collezione di uccelli fatta dal Ruspoli consta di 183 esemplari appartenenti 
a 77 specie e quindi è la più ricca che sia stata portata finora in Europa; essa non 
contiene molte specie nuove, giacchè quattro soltanto si possono considerare come tali 
(Trachyphonus uropygialis, Lagonosticta somaliensis, Dienemellia ruspolii e Lamprotornis 
viridipectus), tuttavia essa serve ad estendere le nostre cognizioni intorno alla distri- 
buzione geografica degli Uccelli dell’Africa orientale, giacchè molte delle specie 
raccolte non erano state trovate finora nel Somali, e si conoscevano soltanto dello 
Scioa, o di regioni più meridionali. 

Disgraziatamente il Ruspoli non ha unito agli esemplari alcun cartellino indi- 
cante le esatte località, nelle quali essi sono stati raccolti; tuttavia egli ha creduto 


(1) “ List of Birds observed and collected during a Voyage in the Red See , (Zbis, 1859, 
pp. 337-352, pls. x, x1). 

(2) “ Oiseaux nouveaux de l’Afrique Orientale , (Bu. Soc. Philom. de Paris, 1881, pp. 160-168). 

(3) Revoil, Faune et Flor. Gomalis, Oiseaux (Estratto, pp. 1-14). 

(4) © A Second List of Birds recently collected by Sir John Kirk in Fastern Africa , (P. Z. S., 
13882, pp. 304-310, pl. xvm). 

(5) “ Ueber einen neuen Strauss , (Sonntagsbl. Norddeutsch. Allgem. Zeit., n° 37,16 Sept.); “ Immer 
Neues aus Africa , (Mitth. Orn. Ver. Wien, 1883, p. 203, Taf.). 

(6) © On Mr. E. Lort Phillips's Collection of Birds from Somali-land , (Ibis, 1885, pp. 389-418, 
pls. x1, x1r, xml). 

(7) “ On a New Species of Barbet of the Genus Trackyphonus , (Ibis, 1886, pp. 105-112, pl. v). 

(8) “ Memorie R. Acc. Sc. Tor. ,, ser. II, t. XXXIX, pp. 101-104 (1888). 


UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 549 


di poter dare a memoria per molti esemplari le indicazioni mancanti. Molti dei 
luoghi che si troveranno menzionati nel seguente Catalogo, non sono indicati nelle 
relazioni del viaggio publicate nel Bollettino della Società Geografica e nella Cartina 
che accompagna dette relazioni; il Prof. Dalla Vedova, Segretario della Società 
Geografica Italiana, al quale mi sono rivolto per schiarimenti intorno ai luoghi men- 
zionati nel presente lavoro, mi ha dato le seguenti indicazioni, delle quali gli sono 
gratissimo : 

Monti Golis (orlo montuoso verso il golfo di Aden dalla parte interna). 

Oduin (pianura a Nord dell’Ogaden). 

Uebi, fiume che più a valle di Ime, fra gli Scebeli, chiamasi Uebi Scebeli. 

Valle di Hento, sulla destra dell’Uebi, poco a valle di Ime. 

Valle Habir, sulla sinistra dell’Uebi presso Ime. 

Montagne di Lido, sulla sinistra dell’Uebi, a valle di Ime. 

Duxi Catabel, sulla destra dell’Uebi Scebeli, a sud di Barri. 

Non sono riuscito ad avere precise. indicazioni intorno ai luoghi: Banan o 
Barsan, Altipiano di Ghilai, Mandera, F. Adadle, Aduma e Gurat. 

Nella cartina menzionata si trovano segnati Uarandab, Ogaden, Uebi e Bessera, 
quest’ultimo sulla destra dell’Uebi a valle di Ime. 
A me corre l’obligo gradito di ringraziare l’ egregio viaggiatore per la fiducia 
in me riposta, affidandomi lo studio della sua collezione ornitologica, e di fargli qui 
i più vivi augurii affinchè egli riesca a condurre a felice compimento il nuovo 
viaggio, che egli intraprese nell’ anno decorso nello stesso paese dei Somali (Boll. 
Soc. Geogr. Ital., 1893, pp. 668, 708 con cartina) colla nobile ambizione di spingersi 
verso il Lago Rodolfo. A quanto pare, anche in questo secondo viaggio il Ruspoli 
non tralascia l'occasione di mettere insieme preziose collezioni zoologiche, botaniche 
e mineralogiche, che saranno argomento di nuovi studii. Colle nuove collezioni si 
potranno avere maggiori materiali per definire il carattere della fauna del Somali, 
che sembra costituire una provincia zoologica ben distinta dell’Africa Orientale. 


Torino, Museo Zoologico, gennaio 1894. 


550 TOMMASO SALVADORI 


1. Lophogyps occipitalis (Burc4x.). 
Lophogyps occipitalis, Sharpe, Cat. B. I, p. 15 (1874). — Gurn., List Diurn. B. of Prey, p. 6 (1884). 


a, 6. (ad.). Banan. 


Ambedue gli esemplari sembrano adulti, ma uno ha le remiganti secondarie 
bianche, mentre l’altro le ha di color grigio scuro; ambedue sono notevoli per avere 
il piumino formante il ciuffo occipitale e le piume bianche delle tibie e delle ali 
tinti di roseo, probabilmente dovuto a qualche ocra delle roccie frequentate dai 


medesimi. 
2. Poliohierax semitorquatus (SwTH). 


Poliohierax semitorquatus, Sharpe, Cat. B. I, pp. 370, 459 (1874). — Gurn., List Diurn. B. of Prey, 
p. 94 (1884); Shell., Ibis, 1885, p. 391 (Somali). 


a. Uarandab. 


Esemplare col dorso castagno. 
DA 
‘3. Melierax poliopterus (CaB.). 


Melierax polyzonus, Blyth (nec Riipp.), J. A. S. B. XXIV, p. 298 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, 
p. 244 (Somali). — Blyth and Speke, Report Coll. Somali Country, p. 9 (1860). 
Melierax poliopterus, Sharpe, Cat. B. I, p. 88 (1874). — Shell., P. Z. S. 1882, p. 805 (Somali). — 


Gurn., List Diurn. B. of Prey, p. 26 (1884). 
a. (ad.). Somali. 
4. Bubo lacteus (Temm.). 
Bubo lacteus, Sharpe, Cat. B. II, p. 83 (1875). — Shell., Ibis, 1885, p. 392 (Somali). 


a, b, c. Uarandab, Faf e Banan. 


5. Bubo cinerascens, GuER. Ù 


Bubo africanus, Blyth (nec Temm.), J. A. S. B. XXIV, p. 298 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, © 
p. 244 (Somali). — Blyth and Speke, Report Coll. Somali Country, p. 9 (1860). 
Bubo cinerascens, Sharpe, Cat. B. II, p. 32 (1875). 


a. (ad.). Altipiano di Ghilai. 
6. Scops leucotis (Temw.). 


Scops leucotis, Sharpe, Cat. B. II, p. 97 (1875). 


a, db, c. (ad.). Duxi Katabel. 


===" 


UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 551 


7. Carine spilogastra (Hruot.). 


Noctua spilogastra, Heugl., Orn. N. O. Afr., I, p. 119, tab. IV (1869-74). 


Carine spilogastra, Sharpe, Cat. B. II, p. 138 (1875). — Salvad. e Gigl. Mem. R. Ac. Sc. Tor. (2) XXXIX, 
p. 101 (Durderi, Somali) (1888). 


Carine glaux, Shell. (nec Savigny), Ibis, 1885, p. 392 (Somali). 


a, 6, c. (ad.) Duxi Katabel ed Habir. 


Piccola specie, che mi sembra distinta dalla O. glaux (SAVIGNY). 


8. Posocephalus rufiventris (RipP.). 


Peocephalus rufiventris, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 298 (1855) (Somali). — Speke, Ibis, 1860, p. 243. 


— Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 9 (1860). — Shell., Ibis, 1885, p. 393. — Salvad., 
Cat. B. XX, p. 372 (1891). 


a-g. Cinque maschi e due femmine adulti. Sud dei Monti Golis. 


9. Trachyphonus shelleyi, HartTL. 


Trachyphonus erythrocephalus, Shell. (nec Cab.), Ibis, 1885, p. 394 (Somali). 


Trachyphonus shelleyi, Hartl., Ibis, 1886, pp. 105, 111, pl. V (Somali). — Shell., Cat. B. XIX, 
p. 103 (1891). 


a. Somali. 


Esemplare adulto simile alla figura data dall’Hartlaub. 


10. Trachyphonus uropygialis, nov. sp. 


Trachyphonus T. boehmi F. et R. simillimus, sed supracaudalibus lateralibus coc- 
cineis, mediis, apicalibus et basalibus flavis. 

Pileo subcristato nigro, plumis nonnullis posterioribus apice flavis; capîtis et colli 
lateribus gulaque laete sulphureo-flavis, nigro minutissime maculatis; plumis nonnullis 
supraciliaribus, genarum et menti flavo-rubentibus; collo postico fusco, plumarum apice 
flavo-sulphureo, strictissime nigro-limbato; interscapulio, alarum tectricibus, scapularibus, 
remigibusque fuscis, maculis plus minusve rotundatis albis notatis; tergo et uropygio 
dilute flavis ; supracaudalibus flavis, sed lateralibus coccineis; rectricibus fuscis, in 
utroque pogonio albo-flavido maculatis ; scutello gutturali chalybeo-nigro; pectore et epi- 
gastrio flavis, maculis minutissimis nigris rarius notatis; fascia pectorali interrupta e 
plumis nigris, macula apicali rotundata alba ornatis, composita; abdomine pallide albo- 
flavescente; subcaudalibus coccineis; rostro pallide corneo, pedibus nigricantibus. 

Long..tot. circa 170 mill.; al. 70 mill.; caud. circa 60 mill.; rostri culm. 17 mill.; 
tarsi 22 mill. 


a. Somali. 


592 TOMMASO SALVADORI 


11. Campothera nubica (Gw.). 
Dendrohates ethiopicus, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 299 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 244 
(Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 10 (1860). 
Campothera nubica, Harg., Cat. B. XVIII, p. 93 (1890). 


a, b, c. $. (ad.). Mandera. 


12. Dendropicus hemprichi (EnrENB.). 
Dendromus hemprichii, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 299 (1855) (Somali). — Speke, Ibis. 1860, p. 345 


(Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 11 (1860). 
Dendropieus hemprichi, Shell., Ibis, 1885, p. 393 (Somali). — Hargitt, Cat. B. XVIII, p. 300 (1890). 


a. è. Uebi, Valle Habir. 


13. Schizorhis leucogaster (RiipP.). 
Chizeris leucogaster, Blyth, J.A.S.B. XXIV, p. 299 (Somali) (1855). — Blyth and Speke, Report Coll. 


Somali Country, p. 11 (1890). 
Schizorhis leucogaster, Speke, Ibis, 1860, p. 245 (Somali). — Shell., Ibis, 1885, p. 400 (Somali). 


a-d. (ad.). Odeuin, Uebi. 


14. Colius leucotis, Riipp. 
Colius leucotis, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 341, pl. XII, f. 1 (1892). 


a, Db, c. (ad. et juv.). Valle di Habir. 


Gli adulti hanno la cervice e la parte anteriore del collo con strette fascie 
scure ben distinte; nel giovane quelle fascie sono meno distinte. 


15. Merops persicus, PaLn.? 
Merops persicus, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 66 (1892). 


a. (juv.). Habir. 


Esemplare giovane colle due timoniere mediane incompiutamente sviluppate, e 
poco più lunghe delle laterali; esso è notevole pel colore verde volgente all’ azzur- 
rognolo, specialmente sul sopraccoda e sul sottocoda, pei quali caratteri somiglia 
al Merops philippinus, Lann.! 


16. Merops nubicus, Gm. 


Merops nubicus, Shell., Ibis, 1885, p. 397 (Somali). — Sharpe, Cat. B. XVII, p. 85 (1892). 


a, 6, c. (ad.). Somali. 


UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 953 


- 


17. Melittophagus cyanostictus, Cas. 


Melittophagus cyanostictus, Sharpe, Cat. B. XVI, p. 48, pl. I, f. 3 (1892). 


a-d. Uebi, Valle di Hento. 


Simili in tutto agli esemplari dello Scioa. 


18. Halcyon semiceruleus (Forsk.). 


Haleyon semicerulea, Shell., Ibis., 1885, p. 395 (Somali). 
Haleyon semiceruleus, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 232 (1892). 


a-e. (ad. et juv.). Uebi. 


I giovani hanno l'addome ed il sottocoda di color castagno molto più chiaro 
che non gli adulti. 


19. Irrisor sp. 


Promerops senegalensis, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 299 (Somali) (1885). — Blyth and Speke, Report 
Coll. Somali Country, p. 10 (1860). 

Irrisor senegalensis (Vieill.) Speke, Ibis, 1860, p. 244 (Somali). 

Irrisor erythrorhynehus, Shell. (nec Lath.?), Ibis, 1885, p. 395 (Somali). 

Irrisor viridis, Salv., Cat. B. XVI, p. 17 (1892). 


a-d. Fiume Adadle. 


I quattro esemplari sono apparentemente adulti; essi hanno il becco nero, ma 
in due la base della mandibola inferiore è tinta di rosso. 

Io non riesco ad identificare con certezza gli esemplari suddetti; il Salvin attri- 
buisce, almeno nella sinonimia, gli esemplari del Somali all’Irrisor viridis, ma io non 
trovo che essi differiscano da quelli dello Scioa, che dal Salvin vengono riferiti 
all’I. erythrorhynchus! 


20. Rhinopomastes minor (RipP.). 


Promerops minor, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 299 (Somali) (1855). — Blyth and Speke, Report Coll. 
Somali Country, p. 10 (1860). 

Irrisor minor, Speke, Ibis, 1860, p. 224 (Somali). — Oust., in Revoil's Faun. et Flore Gomalis, Ois., 
1882, p. 7 (Somali). : 

Rhinopomastus minor, Salv., Cat. B. XVI, p. 26 (1892). 


a, b. (ad.). Fiume Adadle e Monti Golis. 


Il primo è simile ad un esemplare dello Scioa in abito perfetto; il secondo ha 
i lati della testa e le parti inferiori di color bruno. 


21. Lophoceros erythrorhynchus (Tex)? 


Buceros erythrorhynchus, Heugl., Ibis, 1859, p. 343 (Somali). 
Lophoceros erythrorhynehus, Grant, Cat. B. XVII, p. 409 (1892). 


Serie IL Tom. XLIV. x; 


554 TOMMASO SALVADORI 


a, Db. Valle dell’Uebi. 


Non sono al tutto certo che gli esemplari suddetti appartengano alla specie 
indicata, giacchè hanno i lati della testa interamente bianchi come le parti inferiori, 
la prima timoniera esterna quasi interamente bianca, e la seconda pure bianca, 
tranne i due quinti della base nera. Mi pare che gli esemplari suddetti siano inter- 
medi fra quelli del vero L. erythrorhynchus e quelli del L. damarensis, SusLL. 

Il Grant riferisce al L. erythrorhynchus un esemplare di Capangombe (Mossa- 
medes), ma uno della stessa località, inviato al Museo di Torino da quello di Lisbona, 
ha le macchie bianche delle ali circondate da un margine bruno, anche all’apice, la 
quale cosa non è nel vero L. erythrorhynchus, e forse quelli di Capangombe spettano 
a specie distinta. 


22. Lophoceros flavirostris (RiipP.). 


Buceros (Tockus) flavirostris, Blyth, J. A. S..B. XXIV, p. 299 (Somali) (1855). 
Buceros flavirostris, Speke, Ibis, 1860, p. 244 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country 
p. 10 (1860). 
Lophoceros flavirostris, Shell., Ibis, 1888, p. 67. — Grant, Cat. B. XVII, p. 412 (1892). 
Tockus flavirostris, Salvad. e Gigl. Mem. R. Ac. Sc. Tor. (2) XXXIX, p. 101 (Durderi) (1888). 
a, Db. (ad.). Valle dell’Uebi. 


Durante la stampa di questo lavoro il Reichenow ha pubblicato la descrizione 
di un Lophoceros somaliensis (Journ. f. Orn. 1894, p. 96) raccolto dal Dr. Hildebrandt 
presso Meid nel Somali, e che finora era stato riferito al L. Alavirostris, dal quale 
tuttavia differisce per avere la mandibola inferiore tinta di rosso; questa cosa non 
si osserva nell’osemplare della Valle dell’ Uebi, che perciò mi sembra debba essere 
riferito al L. flavirostris. 


23. Coracias garrula, Linx. 
Coracias garrulus, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 15 (1892). 


a, b. Uarandab e Duxi Kataber. 


24. Coracias nevia, DauD. 
Coracias nevius, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 24 (1892). 


a, d. (ad.). Aduma. 


25. Coracias lorti, SHELL. 


Coracias lorti, Shell., Ibis, 1885, p. 399 (Somali). — Salvad., Ann. Mus. Civ. Gen. (2), VI, p. 224 
(1888) (Scioa). — Sharpe, Cat. B. XVII, p. 20 (1892). 


a-j. (ad. et juv.). Regione fra l'Uebi ed il Giuba ed altipiano di Ghilai. 


I giovani hanno le due timoniere esterne più brevi delle altre, i colori molto 
più sbiaditi, il groppone senza la tinta azzurra indaco, ed il colore violaceo lilla 
della gola in alto più sbiadito. 


È 
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UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 555 


- 


26. Hirundo rustica, Linn. ‘ 
Hirando rustica, Sharpe, Cat. B. X, p. 128 (1885). — Id., Mon. Hirund. pts. XVI, XVII (1893). 


a. (ad.). Uebi. 


Nuova pel Somali. 


27. Buchanga assimilis (BecHsr.). 


Dierurus lugabris, Ehrenb. — Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 303 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, 
p. 247 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somaly Countri, p. 14 (1860). 
Buchanga assimilis, Sharpe, Cat. B. III, p. 247 (1873). — Shell., Ibis, 1885, p. 401 (Somali). 


a. Esemplare non adulto colla coda imperfetta e colle cuopritrici inferiori 
delle ali e colle piume del sottocoda marginate all’apice di bianco. 


28. Lanius dorsalis, Cas. 


Lanius (Fiscus) dorsalis, Cab. J. f. O. 1878, pp. 205, 225. 
Lanius dorsalis, Oust. in Revoil’s Faun. et Flor. Gomalis, Ois. p. 10 (1882) (Somali). — Shell., Ibis, 
_ 1885, p. 401 (Somali). — Salvad. e Gigl. Mem. R. Ac. Sc. Tor. (2) XXXIX, p. 101 (Durderi) (1888). 


a, b, c. (ad. et juv.). Banan. 


Il giovane ha il pileo con molte piume grigio-brune; il dorso, il groppone ed 
il sopraccoda con traccie di fascie scure trasversali, le cuopritrici delle ali e le re- 
miganti terziarie coi margini chiari; anche le piume bianche delle parti inferiori 
hanno traccie di fascie scure. 
Io sospetto che il Lanius somalicus, Hartl., Ibis, 1859, p. 342, incompiutamente 
descritto, sia da riferire a questa specie. 


29. Rhodophoneus cruentus (H. et E.). 
Laniarius cruentus, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 803 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 247 


(Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860). — Gadow, Cat. B. VIII, 
p. 152 (1883). — Shell., Ibis, 1885, p. 402 (Somali). 


a-î. Nove esemplari adulti, quattro col sottogola nero, e cinque senza, questi 
avendo tutta la parte mediana della gola rossa. 


30. Nilaus brubru (LATH.). 


Nilaus capensis (Shaw) — Heugl., Ibis, 1859, p. 342 (Rio Gore presso Berbera, Somali). — Gadow, 
Cat. B. VIII, p. 168 (1883). 


a. è. Somali. 


Esemplare adulto simile in tutto ad altro del Matabele. 


556 TOMMASO SALVADORI 


31. Monticola saxatilis (Linw.). 


Monticola saxatilîis, Seebh., Cat. B. V, p. 13 (1881). 


a, b. è ?. Somali. 


Esemplari in abito invernale; il maschio è un poco più piccolo di altri d'Europa 
in abito corrispondente. 
Specie nuova pel Somali. 


32. Saxicola leucomela (PatLt.). 


Saxicola morio, H. et E. — Seebh., Cat. B. V, p. 872 (1881). 


a. Somali. 


33. Saxicola phillipsi, SHELL. 


Saxicola phillipsi, Shell., Ibis, 1885, p. 404, pl. XII (Somali). 


a. (ad.). Somali. 


Simile in tutto alla figura citata. 


34. Cinnyris hunteri, SueLL. 
Cinnyris hunteri, Shell. P. Z. S. 1889, p. 365, pl. XLI, f. 2 (Useri River). 


a. $. Mandera, o Monte Golis. 


Esemplare adulto, cui bene si attagliano la descrizione e la figura dello Shelley. 


35. Cinnyris habessinicus (H. et E.). 


Nectarinia- habessinica, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 303 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 247 
(Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860). — Oust. in Revoil, Faun. et 
Flor. Gomalis, Ois. p. 8 (1882). 

Cinnyris habessinicus, Shell, Mon. Nect. p. 205, pl. 63. 


a, b. è. (ad.). Mandera, o Monti Golis. 


36. Cinnyris albiventris (STRICKL.). 


Nectarinia albiventris, Strickl., Contr. Orn. 1852, p. 42, pl. 86 (Ras Assoun, potius Ras Hafoun, 
Somali). — Sclat., tom. cit. p. 124 (1852). — Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 303 (Somali) (1855). — 
Speke, Ibis, 1860, p. 247 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860). 

Cinnyris albiventris, Shell, Mon. Nect. p. 233, pl. 73. — Salv., Cat. B. Strickl. Coll. p. 165 
(Tipi) (1882). 

Cinuyris venusta, part., Gadow, Cat. B. IX, p. 39 (1884). 


a, b. è. (ad.). Mandera, o Monti Golis. 


Specie rarissima nelle collezioni, mancante nel Museo Britannico, e della quale 
si conoscono soltanto i tipi, maschio e femmina, nel Museo di Cambridge, e gli 
esemplari raccolti dallo Speke, che suppongo siano conservati nel Museo di Calcutta. 


4 


UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 557 


37. Tmetothylacus tenellus (Cas.). 


Macronyx tenellus, Cab., J. f. O. 1878, pp. 205, 220, tab. II, f. 3 (Taita). — Fischer, J. f. O. 1879 


p. 299. — Fisch. et Rchnw., ibid. p. 355 (Kibaradja). — Shelley, P. Z. S. 1881, p. 574 (Lamu). 
Tmetothylacus tenelius, Cab., J. f. O. 1879, p. 488. 


Anthus tenellus, Sharpe, Cat. B. X, p. 618 (1885). 


a-d. (ad. et juv.). Montagne di Lido. 


La figura di questa specie (loc. cit.) mostra la fascia pettorale nera più stretta 
di quello che non sia negli esemplari adulti soprannoverati. 

Questa specie è notevolissima, oltre che pel suo colorito, per avere i tarsi infe- 
riori nudi, pel quale carattere il Cabanis ha creduto di doverne fare il tipo di un 
genere distinto, che è stato ommesso nel vol. X del “ Catalogue of Birds ,. 

Il giovane ha le parti superiori di color bruno pallido, coi margini delle piume 
più chiari, le parti inferiori di color fulvo con una lieve tinta gialla sull’addome; 
le cuopritrici inferiori delle ali gialle, le remiganti con un sottile margine giallo 
esterno e largo verso la base del vessillo interno; la coda è bruna, ma le due timo- 


niere esterne sono in gran parte gialle; il tarso (0,029) è un poco più lungo che 
non negli esemplari adulti! 


38. Motacilla boarula, Linn. 


Motacilla melanope, Pall. — Sharpe, Cat. B. X, p. 497 (1885). 


a. (ad.). Somali. 


Esemplare in abito invernale. 


Lo Sharpe (loc. cit.) non menziona l'Africa nell’Habitat di questa specie. 


39. Linura fischeri (Rcuanw.). 


Vidua fischeri, Shell., Ibis, 1886, p. 342. — Salvad. e Gigl., Mem. R. Ac. Sc. Tor. (2) XXXIX, p. 103 
(Durderi) (1888). 


Linura fischeri, Salvad., Ann. Mus. Civ. Gen. (2), VI, p. 104 (1888). — Sharpe, Cat. B. XIII, 
p. 210 (1890). 


a-e. $. (ad.). Regione dei laghi a sud del Deserto di Ogaden. 


40. Lagonosticta somaliensis, sp. nov. 


Lagonosticta L. brunneicipiti Sharpe, similis, sed colore rubro magis roseo, et 
dorsum tectricesque alarum quoque tingente. 
a. è. (ad.). Somali. 
Esemplare adulto col mezzo del pileo e coll’occipite di color bruno, lievemente 
tinto di roseo; esso differisce dagli esemplari dello Scioa per avere il colore rosso 


della testa, del collo, delle parti superiori e del petto, decisamente roseo, e che 
colora anche il dorso e le cuopritrici delle ali. 


558 TOMMASO SALVADORI 


41. Dinemellia dienemelli (RiPp.). 


Textor dienemelli, Shell., Ibis, 1885, p. 409 (Somali). 
Dienemella dinemelli, Sharpe, Cat. B. XII, p. 506 (1890). 
a, b, c. Banan. 
Esemplari adulti simili ad altri dello Scioa. 


42. Dienemellia ruspolii, nov. sp. 


Dienemellia D. dienemelli similis, sed minor, colore fusco notaci valde pallidiore, 
parte basali alba remigum valde latiore et non abrupte divisa, sed sensim in colorem 
fuscum partis apicalis transeunte, parte basali pogontii interni tectricum remigum prima- 
riarum alba, margineque carpali albo rubro-tineto, distinguenda. 

Testa, collo, petto ed addome bianchi; dorso e remiganti terziarie di color 
bruno-grigio pallido, le ultime e le scapolari marginate esternamente di bianco; 
groppone, sopraccoda e sottocoda rosso-minio, cuopritrici minori presso l’ angolo 
dell’ala rosso-minio; remiganti primarie bianche per tre quinti della base, e la parte 
bianca non nettamente separata dal color bruno nero dei due quinti apicali, ma il 
bianco passa gradatamente nel bruno nero; lo stelo delle remiganti primarie bianco 
per gran parte della porzione apicale scura; anche inferiormente la porzione bianca 
delle remiganti occupa gran parte del vessillo interno e passa gradatamente nel 
colore grigio scuro dell’apice; cuopritrici delle remiganti primarie bianche alla base 
e nel vessillo interno; margine carpale bianco tinto di rosso-minio; cuopritrici infe- 
riori delle ali e piume delle tibie grigie; coda bruna, collo stelo delle timoniere 
bianco inferiormente; becco corneo scuro; piedi neri. 

D. dienemelli 


Lunghezza totale . . 0,200 Qm,210 
Ala 0. OTTO Qu 122 
Coda... i spo): L10070 02,083 
Beccati uit 0020 02,021 
Tarso de a ie 08:030 02,032 


a. Banan (2). 

L’esemplare tipo di questa specie è indicato di Banan, come i tre della specie 
precedente, ma forse la indicazione non è esatta, giacchè, come ho notato nell’in- 
troduzione, il Ruspoli non ha messo cartellini colla località agli esemplari raccolti, 
e le località indicate sono state aggiunte a memoria dopo il suo ritorno. 


43. Textor intermedius, Cas. 


Textor intermedius, Shell., Ibis, 1885, p. 410 (Somali). — Sharpe, Cat. B. XIII, p. 511 (1890). 


a, b, c. Habir. 


I primi duo sono adulti in abito perfetto nero; il terzo è un giovane colle parti 
superiore brune; le piume delle parti inferiori hanno macchie lanceolate nere nel 
mezzo e larghi margini chiari; le remiganti e le cuopritrici delle ali sono marginate 
esternamente di rossigno fulvo. 


UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI FRINCIPI RUSPOLI 059 


è 


44. Hyphantornis intermedia (RiipP.). 


Hyphantornis intermedius, Sharpe, Cat. B. XIII, p. 460 (1890). 


a, b. è 2. Somali. 


Il maschio non è perfettamente adulto, avendo qualche piuma gialla fra le nere 
della gola; esso differisce alquanto da un esemplare adulto dello Scioa (SALvaD., 
Ann. Mus. Civ. Gen. (2), VI, p. 290), per avere il dorso di color verde-giallognolo 
meno giallo e senza macchie nere lungo il mezzo delle piume, pel groppone di un 
giallo meno vivo, pel colore castagno che tinge l’occipite e la cervice meno intenso 
ed anche pel colore giallo delle parti inferiori più chiaro. 

La femmina, non ancora descritta, ha le parti superiori di colore verde-olivastro, 
con macchie scure lungo il mezzo delle piume del dorso; i lati della testa e le parti 
inferiori di color bianchiccio lievemente tinto di giallo; sulla regione del gozzo una 
lieve tinta fulviccia; le remiganti e le timoniere bruniccie con i margini verdognoli. 

È questa una specie rarissima nelle collezioni. 


45. Lamprocolius chalybeus (Enr.). 


Lamprocolius chalybeus, Sharpe, Cat. B. XIII, p. 176 (1890). 


a. (ad). Valle di Hento. 


Simile agli esemplari dello Scioa. Questa specie non si conosceva finora del 
Somali, che probabilmente segna il confine meridionale della medesima. 


46. Heteropsar (?) albicapillus (BLvrH). 


Spreo albicapillus, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 301 (1855) (Somali). 
Notauges albicapillus, Hartl. — Speke, Ibis, 1860, p. 246, pl. VII (Somali). — Blyth and Speke, Rep. 
Coll. Somali Country, p. 12 (1860). — Shell., Ibis, 1885, p. 413 (Somali). 


 Heteropsar albicapillus, Sharpe, Cat. B. XII, p. 186 (1890). 


a. Pianura di Uarandab. 


Questa specie, esclusiva del Somali, è rarissima nelle collezioni, ed anche una 
delle più singolari per la sua colorazione. La sua posizione nel sistema non mi 
sembra ben determinata. 


47. Cosmopsarus regius, Rcunw. 
Cosmopsarus regius, Shell., Ibis, 1885, p. 411 (Somali). — Sharpe, Cat. B. XIII, p. 160 (1890). 


a-g. Uebi, Uebi Sciabeli, Hento, Banan. 


Sette esemplari; uno in abito imperfetto ha molte piume brune sulla testa, 
residuo dell’abito giovanile, e così pure fra le cuopritrici delle ali; fra le piume 
gialle delle parti inferiori ve ne sono molte fulve, anch’ esse residuo dell’ abito 
giovanile. 


560 TOMMASO SALVADORI 


48. Notauges superbus (Riipp.). 


Lamprotornis superba, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 801 (Somali) (1855). 

Notauges superbus, Speke, Ibis, 1860, p. 245 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Cowntry, 
p. 12 (1860). — Shell., Ibis, 1885, p. 412 (Somali). 

Spreo superbus, Sharpe, Cat. B. XIII, p. 189 (1890). 


a-c. (ad.). Uarandab e Mandera. 


49. Lamprotornis viridipectus, sp. nov. 


? Lamprotornis purpuropterns, Cab. (nec Riipp), J. f. O. 1878, p. 233 (Adi). — ? Fisch. et Rchnw., 
ibid., p. 261 (Wito). — Fischer, ibid., p. 286 (Wito). — ?Id., Zeitschr. f. ges. Orn. I, p. 336 
(Nguruman) (1884). 

? Lamprotornis porphyropterus, Fisch. et Rchaw., J. f. O. 1879, p. 349 (Ualimi). — Sharpe, Cat. 
B. XIII, pp. 156, 157 (part., Adi River) (1890). 

Lamprotornis L. caudato (= aeneo, Gm.) similis, sed valde minor, cervice cyane- 
scente, lateribus obscure cyanescentibus, minime violaceis et abdomine medio quoque 
obscure cyanescente, sed minime aeneo-cupreo. 

Capite obscure aeneo; collo postico viridi cyanescente, dorso viridi, vix cyaneo 
micante, tergo, uropygio et supracaudalibus nitide cyaneis, paullum purpureo tinctis; 
collo antico et pectore summo nitide et pure viridibus; lateribus, abdomine et sub- 
caudalibus obscure cyanescentibus; alis nitide viridibus; cauda supra cyaneo-purpu- 
rascente, rectricibus mediis purpureis, omnibus transversim fasciolatis. 

Long. tot. 0,270; al. 0%,140; caud. 0%,125; rostri culm. 0%,016; tarsi 02,039. 


a, b. Valle di Hento. 

Gli esemplari suddetti hanno grande somiglianza con quelli della L. caudata, 
ma non dubito punto che essi appartengano ad una specie distinta, alla quale molto 
probabilmente è da riferire l esemplare del Fiume Adi raccolto dall’Hildebrandt e 
menzionato dallo Sharpe (loc. cit.). 

Io inclino ad ammettere che nella sezione del genere Lamprotornis, distinta pel 
colore bronzato della testa, siano da riconoscere quattro specie distinte: 

a. Pectore nitide et pure viridi: 

a. Dorso pure viridi; plaga abdominali media nitide aeneo-cuprea . L. caudata. 

(Africa occidentali). 

d. Dorso viridi, vix cyanescente; abdomine concolore, obscure cyane- 

scente et plaga abdominali media aeneo-cuprea destituto . L. viridipectus. 


(Somali et Africa orient.). 
b. Pectore distinete cyaneo-purpurascente; plaga abdominali media niti- 


dissime aureo-aenea : 
e. Cervice et dorso summo cyaneo-purpurascentibus ; ° . L. eytoni. 
(Africa occid. et Sudan). 
d. Cervice nitidissime purpurea, dorso summo cyaneo-purpurascente . 1 AT 
cioa). 


50. Dilophus carunculatus (Gw.). 


Dilophus caruneulatus, Sharpe, Cat. B. XIII, p. 61 (1890). 


a. Somali. 
Non si conosceva ancora del Somali. 


UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 561 


51. Buphaga erythrorhyncha (SranL.). 


Buphaga erythrorhyncha, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 301 (Somali) (1855). — Speke, This, 1860, 
p. 246 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 12 (1860). — Shell., Ibis, 1885, 
p. 410. — Sharpe, Cat. B. XIII, p. 196 (1890). 


a-d. Pianura di Uarandab. 


52. Vinago waalia (Gw.). 
Treron waalia, Shell., Ibis, 1885, p. 414 (Somali). 
Vinago waalia, Salvad., Cat. B. XXI, p. 15 (1893). 
a, b, c. Mandera e monti Golis. 


53. Chalcopelia afra (Lixv.). 
Chalcopelia afra, Salvad., Cat. B. XXI, p. 506 (1893). 


a. (ad.). Somali. 
Varietà colle macchie verdi dorate sulle ali. Nuova pel Somali. 


54. Oena capensis (Linw.). 


Oena capensis, Salvad., Cat. B. XXI. p. 501 (1898). 
a. ©. Somali. 
Nuova pel Somali. 


55. Pteroclurus exustus (Trmw.). 


Pterocles senegalensis, Blyth (nec Pf. senegallus, Linn.), J. A. S. B. XXIV, p. 303 (Somali) (1855). 
— Speke, Ibis, 1860, p. 247 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860). 
Pteroclurus exustus, Grant, Cat. B. XXII, p. 12 (1898). 
a-d. Valle di Hento fra i Monti Lido e Yesi (?). 
Due maschi e due femmine. 
Credo che le citazioni del Blyth e dello Speke appartengano a questa specie e 
non al P. senegallus, come ha stimato l'Ogilvie-Grant (loc. cit.). 


56. Pterocles decoratus, Car. 


Pterocles sp. ?, Sclat., P. Z. S. 1864, p. 113 (Uniamesi). 
Pterocles decoratus, Cab. in v. d. Decken Reisen, III, p. 43, t. XIII (1869) (See Jipe). — Id., J. f. O. 
1868, p. 413. — Finsch u. Hartl., Vòg. Ostafr., p. 565 (1870). — Grant, Cat. B. XXII, p. 21 (1893). 


a. Valle di Habir. 
Esemplare adulto, apparentemente maschio, simile alla figura sopramenzionata, 
ma colla fascia nera a traverso il petto non interrotta, ma completa. 
Nuovo pel Somali. 


57. Pterocles lichtensteini, Tewwm. 


Pterocles lichtensteini, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 305 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1869, p. 247 
(Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860). — Grant, Cat. B. XXII, 
p. 29 (1893). 


Serie II. Tom. XLIV. u? 


562 TOMMASO SALVADORI 


a-c. Pianura di Uarandab. 


Tre esemplari senza le fascie nere sul capo e sul petto, e perciò senza dubbio 
femmine. 


58. Acryllium vulturinum (Harpw.). 


Numida vulturina, Shell., Ibis, 1885, p. 414 (Ogadayn, Somali). 
Aeryllium vulturinum, Grant, Cat. B. XXII, p. 385 (1893). 
a-f. Somali. 


Il Ruspoli menziona di aver trovato questa specie nell’Ogaden (Boll. Soc. Geogr. 
Ital. 1891, p. 984). 


59. Francolinus granti, HarmtL. 


Francolinus granti, Shell., Ibis, 1885, p. 414 (part.) (Somali). — Grant, Ibis, 1892, p. 42 (part.). — 
IA., Cat. B. XXII, p. 148 (part.) (1898). 


a, v. Pianura di Odeuin. 


Due esemplari adulti con lunghi sproni, e quindi senza dubbio maschi. 
Io sono di opinione che gli esemplari suddetti siano sufficientemente distinti 
dal . schoanus, HruaL; essi si distinguono pei seguenti punti: 
1° Le piume delle parti superiori hanno molto più del colore castagno. 
2° Le macchie castagne del collo si estendono molto più in basso fin sul petto. 
3° Le timoniere laterali hanno più di castagno verso la base, ed in uno dei 
due esemplari del Somali le quattro timoniere mediane sono di color castagno puro. 


60. Pternistes infuscatus, CAB. 


Pternistes rubricollis, Blyth, J. A. S. B., XXIV, p. 304 (Somali) (1855). — Speke (nec Lath.), Ibis, 
1860, p. 248 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 15 (1860). 

Piernistes lencoseepus, Salvad. (nec G. R. Gr.), Ann. Mus. Civ. Gen. (2) I, p. 309 (Scioa) (1888). 

Pternistes infuscatus, Cab. — Grant, Cat. B. XXII, pp. 183, 560 (1893). 


a. (juv.). Somali. 


L’esemplare suddetto, come anche quelli dello Scioa, sono simili in tutto ad un 
altro del Fiume Usari (Hunter), inviato dal Museo Britannico a quello di Torino. 


61. Heterotis humilis (BLvrH). 


Sypheotides hmmilis, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 304 (1855) (Somali). — Speke, Ibis, 1860, p. 248. — 
Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p.15 (1860). — Heugl., Faun. d. Roth. Meer, No. 228. 
— Finsch u. Hartl., Vog. Ostafr., p. 618 (1870). 

Heterotis humilis, Sharpe, Bull. Br. Orn. Club, No. IX, p. L (1892). 


a. Altipiano di Ghilai. 


Questa specie è notevole per la sua piccolezza e per la brevità del suo tarso; 
a me sembra che non si possa separarla dal gruppo di specie contenente I'0. sene- 
galensis, VO. canicollis, ecc. Essa ha colorito generale isabellino arenaceo, finamente 
punteggiato di nero, l'addome ed il sottocoda bianco, il collo grigio, la gola nera 


UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 563 


(colle piume bianche all’apice), una macchia nera sull’occipite, le ascellari nere e le 
cuopritrici delle remiganti primarie bianche nella metà basale e nere nell’apicale. 
L'esemplare di Ghilai corrisponde abbastanza bene colla descrizione del Blyth, se 
non che in questa non è menzionata la macchia occipitale nera; inoltre nella mede- 
sima è detto che le piume del pileo formano un ciuffo distinto, la quale cosa certo 
non appare nell’ esemplare sopra menzionato! Lunghezza del tarso ©",064 (= pol- 
lici inglesi 2 ‘/s). 


62. Neotis heuglini (HartL.). 


Otis heuglini, Hartl., Ibis, 1859, p. 844, pl. XI ($) (Tchuscha, Somali). — Finsch u. Hartl., Vog. 
Ostafr., p. 613 (1870). — Heugl., Orn. N. O. Afr. II, p. 942 (1873). 

Eapodotis heuglini, Heugl., Peterm. Geogr. Mitth. 1860, Taf. 18. 

Neotis heuglini, Sharpe, Bull. Br. Orn. Club, VIII, p. L (1893). 


a. Pianura di Faf. 

L’esemplare suddetto corrisponde colla descrizione dell’Otis heuglini, special- 
mente per avere le piume della parte inferiore ed anteriore del collo di color rugginoso 
vivo, ma ne differisce per non avere la maschera nera coprente i lati della testa e 
della gola, come nella figura pubblicata nell’ Ibis, 1859, pl. XI; invece esso ha i 
lati della testa e la gola bianchicci con macchiette nere; in un altro esemplare del 
Museo di Torino, d’ignota località, la gola è interamente bianca; suppongo che la 
mancanza della maschera nera sia carattere della femmina, o dipendente dalla 
stagione. 


63. Lophotis gindiana (Ousr.). 


Eupodotis gindiana, Oust., Bull. Soc. Philom. de Paris, 1881 (aoùt), p. 163 (Extract, p. 4) (Afrique 
orientale). 
Otis (Lophotis) falvierista, Cab., Orn. Centralbl. 1882, no. 2 Jan., p. 14 (Berdera, Somali). — 
Rcehnw. u. Schal., Journ. f. Orn. 1882, p. 113. 
Lophotis fulvicrista, Cab., J. f. 0. 1882, p. 123; Rchnw., Zool. Jahresb. f. 1882, p. 223. 
Lophotis gindiana, Salvad., Ann. Mus. Civ. Gen. (2) VI, p. 543 (1888) (Scioa). 
a, b. Habir presso Bessera. 


Esemplari adulti, maschio e femmina, simili ad una coppia dello Scioa. 


64. Cursorius somalensis, SHELL. 


Cursorius gallicus somalensis, Shell., Ibis, 1885, p. 415 (Somali). 
Cursorius somalensis, Seebh., Ibis, 1886, p. 116. — Id., Geogr. Distr. Charadr., p. 237, pl. XI (1887). 


a, b. (ad.). Pianura di Uarandab. 
Questa specie, come ha fatto notare il Seebhom, è perfettamente distinta dal 
C. gallicus, per le piume ascellari e per le cuopritrici inferiori delle ali di color 
grigio isabellino e non guari nero; per le dimensioni minori e per altri caratteri; 
essa si conosceva nei Musei di Europa solo per l'esemplare tipico raccolto dal Lort. 


65. Hoplopterus spinosus (Linv.). 
Hoplopterus spinosus, Heugl., Orn. N. O. Afr. II, p. 1004 (1873). 
Vanellus spinosus, Seebh., Geogr. Distr. Charadr., p. 219, cum fig. (1887). 
a-c. Gurat. 
Non era stato menzionato finora del Somali. 


564 TOMMASO SALVADORI — UCCELLI DEL SOMALI, ECC. 
66. Stephanibyx coronata (Gw.). 


Chettusia coronata, Shell., Ibis, 1885, p. 417 (Somali). 


a, b. Pianura di Uarandab. 
Questa specie si estende verso Nord, fin nello Scioa (SaLvan., Ann. Mus. Civ. 
Gen. (2), I, p. 220). 


67. Ardea purpurea, Linn. 
a, Gurat, Regione dei Laghi. 
68. Ardea melanocephala, Via. et CimpR. 


a. (ad.). Bessera, Uebi. 


69. Ardetta minuta (Linw.). 
a. $. (ad.). Pianura di Uarandab (!). 


70. Ciconia abdimii, LicHm. 


a. (ad.). Valle di Habir, presso Bessera. 


71. Fulica cristata, Gw. 


a-c. Gurat, Regione dei laghi. 


72. Chenalopex egyptiacus (Linw.). 


Chenalopex egyptiacus, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 305 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 248 
(Somali). — Blyth and Speke, Report Coll. Somali Country, p. 15 (1860). 


a, b. (ad.). Gurat. 
73. Dendrocygna viduata (Linwx.). 
Dendrocygna viduata, Shell., Ibis, 1885, p. 414 (Somali). 
a-4. (ad.). Gurat. 


74. Poecilonetta erythrorhyncha, Gw. 


Pecilonitta erythrorhyneha, Shell., Ibis, 1885, p. 415 (Somali). 
a. (ad.). Gurat. 


75. Querquedula circia (Linn.). 
a. 9. (ad.). Gurat. 

76. Spatula clypeata (Linv.). 
a. Gurat (2). 

77. Podiceps capensis, LicHm. 


Podiceps capensis, Salvad., Ann. Mus. Civ. Gen. (2) I, p. 252 (1884) (Scioa). 
Podiceps fluviatilis capensis, Shell., Ibis, 1885, p. 418 (Somali). 


a. Somali (Gurat?). 


* «mo è 


STUDIO SPERIMENTALE 


SULLA 


RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 


MEMORIA 


Dott. R. VIVANTE 


Assistente nel Laboratorio di Patologia generale della R. Università di Genova. 


x 


Approvata nell’ Adunanza dell'11 Febbraio 1894 


Griffini e Vassale pubblicarono nel 1888 (1) uno studio sperimentale sulla ripro- 
duzione delle ghiandole peptogastriche, ed era loro intenzione di estenderlo a quella 
delle ghiandole della mucosa pilorica, ma la grave spesa di tempo, cui la mortalità 
degli animali determinava, e le esigenze di altri lavori li obbligarono a sospendere 
le esperienze iniziate. 

Ebbi dal prof. Griffini il conforto a continuarle, ed ora accingendomi ad esporne 
i risultati sento il dovere di rendergli qui pubbliche grazie per l'affetto. con cui mi 
fu guida nell’ottenerli. 

La struttura e la funzione delle ghiandole piloriche diedero in questi ultimi anni 
argomento a vivaci discussioni e negli studî dello Schwalbe (2), del Nussbaum (3), 
dell’Ebstein (4), del Griitzner (5), dello Haidenhain (6), dell’Edinger (7), del Trinkler (8), 
del Bikfalvi (9), e di molti ancora troviamo espresse e combattute intorno a quelle 


(1) Grirerni e Vassare, Sulla riproduzione della mucosa gastrica, R. Accademia di medicina in 
Modena, 1888; “ Beitriîge zur pathol. Anat. und allg. Pathol. von Ziegler ,, Bd. 3, S. 425, 1888. 
(2) ScawaLer, Beitrige zur Kenntniss der Driisen in Darmwandung; “ Archiv fir mikros. Anat. ,, 


Bd. 8, 1872. 


. (3) Nusssaum, Uedber den Bau und die Thitigkeit der Drisen; * Archiv fiir mikros. Anat. ,, 
Bd. 16, 1879. 


(4) Essvern, Beitrige cur Lehre vom Bau und der Function der sogenannten Magenschleimdriisen, 
Bd. 6, 1870. 

(5) Grirzwer, Uedber Bildung und Ausscheidung von Fermenten; “ PAliger's Archiv ,, Bd. 20, 1879. 

(6) Hamennarn, Physiologie der Absonderungsvorginge; * Hermann's Handbuch der Phys. ,, 
Bd. 5, 1880. 

(7) Epincer, Zur Kenntniss der Drilsenzellen des Magens.; * Avchiv fiir mik. Anat. ,, Bd. 17, 1880. 

(8) TrinxLer, Veber den Bau der Magenschleimhaut; © Archiv fiir mik. Anat. ,, Bd. 24, 1884. 


(9) Brrrarvi K., Beitrige zum feineren Bau der Magendrisenz © Orvos. hermèszet-tudomàny ,, 
Ertesito, 1887. i 


566 R. VIVANTE 


le opinioni più contradditorie. Così mentre da taluno fu affermata l'analogia che corre 
fra ghiandole piloriche e ghiandole peptiche, o assoluta o ristretta ad uno solo degli 
elementi cellulari che le caratterizzano, da altri fu in tutto negata, e si volle am- 
mettere invece una stretta parentela fra ghiandole piloriche e ghiandole del Brunner. 
Ora, lasciando da parte gli eccessi di alcune di tali affermazioni, che non possono 
spiegarsi se non con un difetto di osservazione, chè invero non so come si possano 
assegnare, p. e., a questi organi i caratteri delle ghiandole acinose, è certo che la 
storia del loro sviluppo e quella della loro rigenerazione tendono a dimostrarne la 
spiccata individualità: perchè se una legge generale regola lo sviluppo delle ghian- 
dole piloriche e quello delle peptiche, non è meno vero che piccole differenze nei 
caratteri degli abbozzi primitivi, un'intensità diversa nel processo di proliferazione 
possono influire grandemente sulla loro struttura e per conseguenza sulla loro desti- 
nazione fisiologica. 

Il processo di riproduzione delle ghiandole piloriche, seguito nella riparazione 
di lesioni artificialmente prodotte, non credo sia stato finora oggetto di studîì speciali; 
ma poichè un tale processo riproduce più o meno fedelmente quello dello sviluppo 
embrionale, trovo utile ricordare quanto intorno a questo fu scritto. Prima del 
Toldt (1) che dello sviluppo della mucosa gastrica fece uno studio accurato e com- 
pleto, poco si disse delle ghiandole piloriche, ed i varì autori che lo precedettero, il 
Laskowski (2), il Brand (3), il Koelliker (4), il Sewall (5) si limitarono a constatare 
ch’esse si sviluppano prima e più rapidamente delle peptiche. È merito. del Toldt 
quello di aver affermato che sì per l'una varietà ghiandolare, come per l’altra, il 
processo di formazione si svolge interamente nello strato epiteliale, e di aver date 
anche per le ghiandole piloriche una storia particolareggiata del loro sviluppo. Se- 
condo questo A. negli abbozzi primitivi di queste ghiandole non si riscontrerebbero 
le cellule rotondeggianti od ovoidali, a nucleo rotondo od irregolare, che concorrono 
a formare gli abbozzi delle ghiandole peptiche; ma alla loro formazione partecipereb- 
bero esclusivamente cellule cilindriche a nucleo ovale, che se non influiscono molto 
per la loro forma su quella dell’abbozzo a cui appartengono/ vi influiscono per il loro 
numero, rendendolo più ampio e più svasato. Gli otricoli primitivi, che derivano da 
questi abbozzi, si svilupperebbero rapidamente oltrepassando la superficie basale dello 
strato epiteliale, accolti entro infossamenti del tessuto connettivo sottomucoso; ed 
anche qui come per le ghiandole peptiche la suddivisione del corpo ghiandolare si 
effettuerebbe per gettoni epiteliali che si elevano 0 dal fondo cieco della ghiandola 0 
dalle sue pareti. L’ulteriore sviluppo dell’organo avverrebbe o per aumento numerico 
delle cellule che lo compongono, o per alcuni cangiamenti nei loro caratteri primitivi, 
assumendo esse un contorno più fine e più netto, una granulazione del protoplasma 


(1) Toror, Die Entwickelung der Drisen des Magens.; Aus dem LXXXII Bande der “ Sitzb. der 
k. Akad. der Wiss. ,, 1880. 

(2) Laskowskt, Ueber Entwickelung der Magenwand; “ Sitzb. der k. Akad. d. Wiss. ,, Bd. 58, 1868. 

(3) Branp, Bertriige zur Entwickelung der Magen und Darmwand, Wiirzburg, 1877. 

(4) KorLLigEr, Entwickelungsgeschichte, 2 Auflage, 1879. 

(5) SewaLL, The developement und regeneration of the gastric glandular epithelium during foetal 
life and afther birth; “ Journal of Physiology ,, vol. 1878. 


SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 567 


più delicata e più rara. Solo nella terza settimana di vita extrauterina, e prima 
nel fondo che nelle pareti laterali del tubo ghiandolare, si noterebbe quella speciale 
evoluzione del nucleo per cui esso si dispone col massimo diametro perpendicolare 
all’asse della cellula. Con questi risultati in gran parte concordano quelli più recen- 
temente ottenuti dal Salvioli (1) che affermò doversi riferire il primo delinearsi delle 
ghiandole gastriche ad una sproporzione fra l'ampiezza dello strato mesodermico ed 
il numero delle cellule dell’epitelio che vi è sovrapposto: gli elementi attivamente 
proliferanti di questo strato, sporgendo verso le parti che offrono minore resistenza, 
verso la cavità, cioè, dello stomaco, darebbero luogo a quei rialzi che limitano i 
primitivi infossamenti ghiandolari. Colla guida che lo studio diligente delle forme 
cariocinetiche gli offriva, seguì questo A. l’ulteriore sviluppo della mucosa gastrica, 
constatò il più rapido svolgimento delle ghiandole piloriche, e confermò il fatto già 
da Bizzozero e Vassale (2) osservato che le mitosi in esse sono molto più numerose 
che nelle peptiche e per più lungo tempo perdurano nei loro fondi ghiandolari. Col 
Toldt infine ammise la suddivisione dei tubuli ghiandolari come determinata da ap- 
pendici epiteliali elevantisi dal loro fondo, ed assegnò in questo periodo una parte 
attiva al tessuto connettivo che li circonda. 

Nel riferire ora i risultati delle mie ricerche avrò spesso motivo a notare come 
il processo di rigenerazione delle ghiandole piloriche segua l’andamento del loro svi- 
luppo embrionale; ma avrò pure occasione ad avvertire come alcune fasi della loro 
riproduzione si scostino da quelle norme che dalle osservazioni sopra riferite ema- 
nano, e, senza voler escludere che tali differenze possano in realtà esistere, farò 
osservare come alcuni errori d’interpretazione possano facilmente farle supporre. 


Lo studio della rigenerazione delle ghiandole piloriche feci esclusivamente sul 
cane, animale che meglio degli altri si presta all’esperienza, e che m’offriva l’oppor- 
tunità d’instituire non solo degli utili confronti fra i miei risultati e quelli che si 
erano avuti precedentemente per le ghiandole peptiche, ma ancora di giovarmi degli 
utili ammaestramenti che in tale genere di ricerche mi venivano dal lavoro di Griffini 
e Vassale (3). Però, come ho avuto occasione di notare più sopra, a rendere lungo 
e faticoso il lavoro influì questa volta la grave mortalità degli animali, che, mal- 
grado la precauzione d’un’antisepsi accurata, il digiuno assoluto nei primi giorni, e 
la massima cura nella successiva graduale alimentazione, soccombevano per ulcera- 
zione della parete stomacale. Il raccogliersi del contenuto fortemente acido di pre- 
ferenza nella regione pilorica è di grave ostacolo alla riparazione della ferita pel 
processo flogistico che vi determina: la forte emigrazione di leucociti, nello spessore 


(1) Sacviori, Alcune osservazioni intorno al modo di formazione e di accrescimento delle ghiandole 
gastriche; Estr. dagli “ Atti della R. Acc. delle Scienze in Torino ,, vol. XXV, 1890. 

(2) Brzzozrro e Vassare, Sulla riproduzione e sulla rigenerazione fisiologica degli elem. ghiandolari, 
“ Archivio delle Scienze mediche ,, vol. XI, n. 12, p. 196, 1887. 

(3) V. loc. cit. 


568 R. VIVANTE 


dei margini e del fondo della ferita, solleva e stacca l’epitelio che man mano si 
forma, e li priva così di quanto vale a proteggerli dall'azione distruttiva del succo 
gastrico; siccome poi per evitare il restringersi soverchio della soluzione veniva 
anticipatamente rimossa anche una parte della tonaca muscolare, così facilmente si 
comprende come si potesse venire ad un’ulcerazione completa della parete dell’organo. 
Per questa sfortunata circostanza si dovettero, adunque, moltiplicare le esperienze, e 
ciò non solo perchè molti animali soccombettero, ma anche perchè molti di quelli 
sopravvissuti non presentarono, in rapporto al tempo trascorso, una riparazione pro- 
porzionatamente progredita. Così, p. e., la fig. 1*, che rappresenta una delle prime 
fasi del processo rigenerativo fu tratta da una soluzione di 20 giorni, mentre le 
fig. 2,3, 4,5 che ne rappresentano fasi ulteriori corrispondono a soluzioni di data 
molto più recente. 

L'atto operativo fu analogo a quello usato da Griffini e Vassale per lo studio 
della riproduzione delle ghiandole peptogastriche: fatta una ferita lineare sulla parete 
anteriore dello stomaco in vicinanza al piloro, si rendeva sporgente attraverso a 
quella la parete corrispondente posteriore spingendola con due dita, e dopo aver 
rimossa, disseccandola accuratamente, la mucosa, si assottigliava con precauzione la 
tonaca muscolare sottogiacente. Si applicava poi nel centro della soluzione un’ansa 
di filo che, rimanendo protrudente nella cavità gastrica, doveva servire di contrassegno, 
e, suturata, infine, alla Lembert la parete dell’organo e riunita con doppia sutura la 
ferita addominale, si teneva per due giorni a completo digiuno l’animale, ed in se- 
guito si alimentava con poco latte e poi gradatamente con latte e un po’ di pane. 
I pezzi raccolti dai molti cani, uccisi a tempi diversi dopo l’operazione, distesi e 
fissati con spilli su lamine di sovero, e su questi sollevati m modo da essere in ogni 
parte bagnati dal liquido, s'immergevano per 10-12 ore in alcool a 70°; poi, staccati 
dal sovero, e mantenuti per alcuni giorni in alcool a 90°, venivano coloriti col car- 
minio all’allume, inclusi in paraffina e tagliati al microtomo in sezioni asseriate. 
Non ho creduto di ricorrere ad altri mezzi di fissazione e di colorazione, perchè 
quello adoperato serve benissimo a mantenere le forme cariocinetiche, ed offre il 
grande vantaggio di una maggiore semplicità: devo solo osservare come e per il 
volume considerevole dei pezzi esaminati, e più ancora per la durezza quasi legnosa 
cui assume la tonaca muscolare, riesca impossibile ottenere cogli ordinarì microtomi 
sezioni sottili a spessore costante, e come solo adoperando il microtomo di Cambridge, 
modificato dal Minot, io abbia potuto raggiungere lo scopo. 


Se noi esaminiamo una soluzione di continuo 24 ore dopo essere stata eseguita, 
noi la vediamo coperta da una pseudomembrana fibrinosa che dal suo fondo si eleva 
a rivestire i margini, e che può in taluni punti raggiungere uno spessore rilevante. 
Essa non si mantiene di solito a lungo, chè nel tessuto connettivo e nei vasi si 
stabiliscono ben presto dei processi neoformativi per i quali un tessuto di granula- 
zione la invade e la sostituisce: però in alcuni casi questa pseudomembrana perdura 
fino a stadi abbastanza avanzati, ed ostacola la rigenerazione dell'epitelio, che avanti 


SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 569 


ad essa si arresta, o su di essa si ripiega. A questo stadio iniziale, al di sotto della 
pseudomembrana, si nota di solito una enorme massa di leucociti che, al centro della 
soluzione, infiltra il tessuto sottomucoso eventualmente rimasto o gli strati superfi- 
ciali della tonaca muscolare, e, alla periferia, raggiunge le ghiandole più o meno 
intaccate dal tagliente. Ora, come fu già osservato per la mucosa del fondo dello 
stomaco, e come più recentemente fu, in questo stesso laboratorio, constatato per la 
mucosa uterina (1), è appunto a queste ghiandole, che si trovano in tutta vicinanza 
delle parti normali, che noi dobbiamo, nei primi giorni, portare la nostra attenzione, 
siecome quelle dalle quali anche in questo caso procede la riproduzione. Infatti, 
mentre molte di esse per la gravità dell’azione traumatica e per la deficiente nutri- 
zione vanno interamente perdute, o per occlusione del loro sbocco si tramutano in 
cisti, in altre, rappresentate da residui ghiandolari più o meno cospicui, si svolge 
un processo di viva proliferazione per cui si rinnovano in gran parte gli elementi 
epiteliali che le rivestono, e successivamente si ricoprono gli spazi che fra esse sono 
interposti. Così è che ai margini della soluzione noi possiamo al 3° o 4° giorno notare 
dei tubuli semplici, corti che quei residui rappresentano e che potrebbero essere 
confusi con tubi veramente neoformati. E poichè la loro presenza in una soluzione 
ristretta potrebbe far credere ad una rapida rinnovazione della mucosa, mi sembra 
necessario lo stabilire fin d’ora quali sieno i caratteri per i quali questi tubuli sem- 
plicemente modificati si distinguono da quelli che più tardi si riproducono. i primi 
si avvertono fin dall'inizio del processo di riproduzione, quando cioè il fondo della 
ferita non è che in parte ricoperto da epitelio; si trovano verso le parti sane della 
mucosa, hanno forma spesso irregolare, per lo più sono inclinati sul piano della 
soluzione, e infine si rivestono di un epitelio basso, granuloso, poligonale o cubico: 
i secondi invece, come vedremo, non si riscontrano in soluzioni recenti, ma solo 
quando l’epitelio che le riveste s'è già fatto cilindrico; cilindriche pure, per quanto 
granulose, sono le cellule che li tappezzano, sono regolari di forma, normali sempre 
alla superficie dell’organo. 

La proliferazione vivace degli elementi epiteliali, poi che al rivestimento dei 
residui ghiandolari, e a quello degli spazì che vi sono interposti, ha provveduto, 
non si arresta, ma dai tubuli, che più da vicino limitano la soluzione di continuo, 
vediamo partire uno strato d’epitelio che gradatamente si spinge a tappezzarne il 
fondo. Se fra il sesto e l'ottavo giorno studiamo delle sezioni di mucosa, non è dif- 
ficile cogliere delle imagini analoghe a quella che dalla fig. 1* è rappresentata. Noi 
vediamo, cioè, in d e in d' disegnati due residui ghiandolari, tappezzati da cellule 
basse, granulose e cubiche, che mantenendo questi caratteri ricoprono lo spazio che 
fra loro è interposto e che nel tubo d'a poco a poco si modificano per uniformarsi 
alle cellule dell'epitelio di rivestimento (9), e nel tubo d, facendosi sempre più basse 
e più granulose, passano a rivestire (f) il fondo della ferita. A partire dal tubulo d 
l’epitelio presenta un graduale appiattimento delle sue cellule, che verso il centro 
della soluzione, nelle parti cioè più recentemente formate, assumono la forma pret- 
tamente pavimentosa. La proliferazione vivace delle cellule è attestata dalle numerose 


(1) Bossi, Sulla riproduzione della mucosa dell’utero, Genova, 1891. 
Serie II, Tom. XLIV. v 


so 


570 R. VIVANTE 


mitosi che sia nei tubuli modificati, sia nel nuovo epitelio di rivestimento si riscon- 
trano: mitosi che, per la massima parte, corrispondono ad un piano di scissione così 
diretto da provare l’estendersi in superficie dello strato che si va formando. Anche 
qui, adunque, come per le ghiandole peptiche, come per le ghiandole della mucosa 
uterina, e come già fin dal 1883 il Griffini (1) ebbe a dimostrare per i dotti escretori 
delle ghiandole mucipare della trachea, l’epitelio di rivestimento si sviluppa da un 
epitelio che è esclusivamente ghiandolare. Vi ha così perfetta analogia fra i fatti che 
si osservano in condizioni patologiche e quelli che in condizioni normali si avverano: 
fatti che, dopo le ricerche numerose ed accurate del Bizzozero (2), non devono essere 
più riguardati come ipotesi, che possano, come dice lo Haidenhain, essere facilmente 
da altre migliori sostituite. 

Il nuovo epitelio di rivestimento, originato, come si è detto, dai tubuli modificati 
dei bordi, crescendo continuamente si spinge man mano sul fondo della soluzione, 
fino a rivestire completamente lo strato di tessuto connettivo che va contemporanea- 
mente neoformandosi. Nello stesso tempo le cellule epiteliali, a partire dai margini 
della soluzione e procedendo verso il centro di essa, vanno a poco a poco acquistando 
i caratteri di cellule cubiche ed alla fine, sempre più allungandosi, quello di cellule 
cilindriche. Così è che se noi rivolgiamo l’attenzione a quei tratti di epitelio in cui 
tale trasformazione è già avvenuta, in soluzioni, p. e., di 10 giorni, noi constatiamo 
facilmente come alle primitive cellule cubiche si sieno sostituite delle cellule cilin- 
driche di una certa altezza, granulose, con nucleo ovale o subrotondo, fra le quali 
alcune in via di scindersi spiccano per il volume maggiore, per la forma ovoidale e 
per la trasparenza del loro protoplasma (fig. 2). Ora è precisamente a tale stadio 
dello sviluppo, quando cioè l’epitelio ha già acquistato i caratteri di cilindrico, che 
noi vi sorprendiamo, nelle parti meno recenti, degli aggruppamenti cellulari che pos- 
siamo ritenere come primo accenno alla neoformazione ghiandolare. La fig. 3, rap- 
presenta appunto uno di tali aggruppamenti, che vediamo costituito da alcune cellule 
basse, piramidali, circondate da altre più allungate che sovra quelle s’incurvano e si 
adattano. Come una tale disposizione si effettui è facile comprendere. L’epitelio d in 
seno al quale il processo si svolge ha già il carattere d’un epitelio adulto, ed offre 
una resistenza agli spostamenti cui determinano le cellule (@) in via di attiva pro- 
liferazione, che qua e là in mezzo ad esso si trovano. Così gli elementi che da esse 
derivano (6, b', 6") non possono spostare in totalità le cellule vicine, e riescono solo 
a smuovere la base di alcune (c, e’, c'") che vengono costrette ad incurvarsi ed 
assumere, per la pressione che da ogni parte su di esse si esercita, la forma allun- 
gata e ricurva che è segnata nella figura. Viene in tal maniera a delinearsi un 
aggregato di cellule, che all’esterno è costituito da elementi curvi, assottigliati con 
un nucleo quasi bastonciniforme, e all’interno da cellule basse con protoplasma più 
granuloso, con un nucleo rotondo e spinto alla base. È facile poi il comprendere 
come pel moltiplicarsi delle cellule proliferanti venga a rendersi più spiccata l’incli- 


(1) GrirrINI, Contribuzione alla patologia del tessuto epiteliale cilindrico; Estr. dalle “ Memorie 
della R. Accad. delle Scienze in Torino ,, serie 11, vol. XXXVI, 1884. 

(2) Cfr. Brzzozero e Vassane, loc. cit. e Brzzozero, Ueder die Schlauchformigen Driisen des Magen- 
darmkanals ete.; * Archiv f. mikr. anat. ,, Bd. 33, 1889 e id. id., Bd. 40, 3 Heft, 1892. 


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SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 571 


nazione degli elementi che le circondano, i quali alla lor volta trattenuti dagli 
elementi che al loro esterno si trovano, obbligano quelli che sono al loro interno 
a crescere verso il tessuto connettivo sottoposto. È così che si formano i primi 
abbozzi delle ghiandole piloriche, abbozzi che presentano grande analogia con quelli 
che nello studio della rigenerazione delle ghiandole peptiche fu riscontrato. Però non 
si ha in questo caso la formazione di una cavità imbutiforme così ristretta come è 
quella che per le ghiandole peptiche fu rilevata, ed è appunto nella larghezza mag- 
giore di questa cavità primitiva che noi possiamo già riconoscere l'origine dello 
sviluppo più rilevante che il vestibolo delle ghiandole piloriche assume di fronte a 
quello delle ghiandole peptiche. Ciò, come abbiamo detto, concorda esattamente con 
quanto il Toldt affermò, studiando lo sviluppo embrionale di questi organi: solo non 
si riesce a comprendere come egli escluda dalla formazione dei loro abbozzi le cellule 
rotondeggianti, isolate, situate nella profondità dello strato epiteliale, ch'egli notò in 
quelli delle ghiandole peptiche, e che, come è probabile, non sono altro che le cellule 
in mitosi che più sopra abbiamo descritto. 

Col proliferare delle cellule centrali dell’abbozzo, e coll’inclinarsi sempre mag- 
giore di quelle periferiche, l’aggruppamento cellulare protrude sempre più verso il 
tessuto connettivo sottostante ed assume la forma di un tubulo, che raggiunta così 
una certa lunghezza (fig. 4 a), comincia a presentare un differenziamento delle sue 
cellule. Si osserva, cioè, che le più superficiali si vanno facendo più trasparenti, 
mentre le più profonde si mantengono protoplasmatiche, e, attivamente proliferando, 
provvedono all’ulteriore sviluppo del tubo. Al tessuto connettivo non mi sembra di 
poter assegnare una parte attiva in tale allungamento, ammettendo che esso sospinga 
verso la cavità dello stomaco l’epitelio di rivestimento interghiandolare: se ciò fosse, 
si dovrebbero in questo trovare i segni di una proliferazione che provvedesse a 
rifornire gli elementi necessari alla maggiore superficie da rivestirsi, mentre gli spazi 
intertubulari e la parte alta dei tubuli sono costantemente rivestiti da epitelio mu- 
coso. Il connettivo coll’aumentare uniformemente non fa che fornire lo spazio neces- 
sario al maggiore accrescimento dei tubuli ghiandolari, Ie cui cellule profonde, 
attivamente proliferando, dànno luogo ad altre cellule che, frapponendosi alle preesi- 
stenti, trovano nell’aumentato spessore della mucosa il modo di disporsi a tapezzare 
un maggior tratto di parete. Così il tubulo a poco a poco si allunga, e, mentre le 
cellule sue più superficiali e più inclinate vanno acquistando il carattere di cellule 
mucose, quelle più profonde, per un tratto più o meno lungo a seconda dello stadio, 
mantengono i caratteri di cellule protoplasmatiche proliferanti. È in tal maniera che 
da tubuli corti come quelli della fig. 4, si passa gradatamente a tubuli analoghi a quello 
della fig. 5, tratta da uno stadio di 17 giorni. A quest'epoca la mucosa ha raggiunto 
uno spessore che presso a poco eguaglia la metà di quello della normale, il connettivo 
si presenta meno ricco di cellule con discreta sostanza fibrillare, e i tubuli seguendo 
l’ampliarsi della mucosa raggiungono una rilevante lunghezza. Ad indicare però lo svi- 
luppo più lento del connettivo in confronto a quello dell’epitelio, come anche una certa 
resistenza che il primo comincia ad offrire all'attività proliferante del secondo, si nota 
una certa ondulosità nel decorso dei tubuli che non presentano più quella regolarità 
che si osserva in stadì anteriori. 

Alle cellule granulose, che prima tapezzavano le parti più alte, si sono andate 


572 R. VIVANTE 


man mano sostituendo degli elementi che non presentano ormai alcuna differenza 
da quelli dell’epitelio di rivestimento, stipati, con un corpo trasparente, con un nucleo 
bastonciniforme allontanato dalla base. Le cellule protoplasmatiche, invece, conser- 
vando quei caratteri pei quali anche a stadi più avanzati si lasciano facilmente 
riconoscere, di forma cioè piramidale, granulose con un nucleo rotondo e sospinto 
verso la larga base d'impianto, a poco a poco cedono il posto alle mucose e si 
limitano a rivestire il fondo e un piccolo tratto della parete del tubo. Su quello che 
ho disegnato, la parte mucosa ne costituisce già i tre quinti superiori, e se si con- 
fronta con le imagini cui presentano le ghiandole peptiche a stadî di sviluppo consi- 
mili, si osserva come in quest'ultime la parte protoplasmatica conserva proporzioni 
molto maggiori. 

Quando i tubuli primitivi hanno raggiunto il grado di sviluppo che abbiamo 
descritto, si può dire che si sieno già fissate le proporzioni che le fossette delle 
nuove ghiandole assumono, inquantochè nelle loro parti profonde si cominciano qua 
e là a sorprendere delle disposizioni cellulari che si devono interpretare come le 
prime traccie dei tubuli ghiandolari. Griffini e Vassale, nel lavoro più volte citato, 
malgrado le difficoltà da essi incontrate nel seguire il graduale sviluppo di questi 
tubuli, ammisero come probabile che qui si ripetano gli stessi fatti che per gli ab- 
bozzi ghiandolari si erano osservati nell’ epitelio Gi rivestimento. Orbene a me più 
fortunato è riuscito di cogliere così chiaramente le varie fasi del processo da poter 
con tutta sicurezza stabilire il modo con cui esso si svolge: i tubuli ghiandolari si 
sviluppano dal fondo dei tubuli primitivi nella stessa maniera con cui questi si 
sviluppano dall’epitelio di rivestimento. Le cellule protoplasmatiche che tappezzano a 
quest'epoca la parte più bassa dei tubuli, conservano ancora vivace la capacità pro- 
liferativa, ma gli elementi a cui esse dànno origine trovano nell’epitelio adulto un 
ostacolo al loro sviluppo, e incapaci di spostare completamente le cellule vicine non 
riescono che ad allontanarne la base e ad inclinarle. Si formano così degli aggruppa- 
menti cellulari costituiti al centro da elementi recentemente formati, e alla periferia 
da altri che sopra quelli s'incurvano e s’adattano. L’inclinazione degli elementi peri- 
ferici (fig. 6, 5, 6'), si rende man mano più evidente col moltiplicarsi degli elementi 
centrali (c, c', c'"), ma raggiunta che quelli abbiano una certa obliquità, trovano nel- 
l’epitelio che li circonda (@) una resistenza tale da impedire non solo il loro ulteriore 
spostamento, ma da costringere gli elementi, che al loro interno proliferano, a pro- 
trudere nel tessuto connettivo circumambiente. Viene in tal maniera a delimitarsi 
una microscopica cavità che si presenta molto più ristretta di quella che negli abbozzi 
dell’epitelio di rivestimento abbiamo osservata, e che col continuarsi del processo 
proliferativo, cui attestano le numerose mitosi di tali aggruppamenti (fig. 7), si allunga 
in un canale imbutiforme, limitato nella sua parte più ristretta dall’estremità libera 
delle cellule cilindriche, e nella parte più larga dalle profonde più basse e piramidali. 
Così l’abbozzo epiteliale assume allungandosi la forma d’un tubulo (fig. 8), che con 
un'apertura ristretta comunica con la cavità, cui ormai possiamo dire vestibolare, e che 
col suo fondo cieco si spinge a ridosso degli strati superficiali della tonaca muscolare. 
Esso riproduce fedelmente quelle particolarità che abbiamo già notate nei tubuli 
primitivi: noi lo vediamo, cioè, nella sua parte più superficiale, tappezzato da cellule 
allungate, con nucleo ovale, gradatamente meno granulose quanto più sono alte, e, 


rr 


SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 573 


nella sua parte profonda, tappezzato da cellule più basse e più granulose, a nucleo 
rotondo e sospinto alla base dell'elemento. Se vi ha una differenza fra i tubuli pri- 
mitivi e quelli che ne derivano è tutta di forma: i primi cioè mantengono in tutto 
il loro decorso un calibro pressochè eguale, mentre i secondi assumono una forma 
otricolare a causa di una strozzatura (fig. 7, 5, fig. 8, è) nel punto in cui essi si 
originano, strozzatura che sta ad indicare che Ja resistenza cui l’epitelio del fondo 
della fossetta presenta al moltiplicarsi delle cellule, è maggiore di quella che queste 
trovano nel connettivo che le circonda. Il processo di rigenerazione non segue, 
adunque, nella formazione dei tubuli secondari, quelle norme che dal Toldt (1) e dal 
Salvioli furono date per il loro sviluppo embrionale: anzi ne è affatto contrario, chè 
mentre noi vediamo i tubuli svolgersi da bottoni epiteliali cavi che s’infossano nel 
tessuto circumambiente, quegli A. ne ammettono una origine indiretta da bottoni 
compatti o da pieghe della mucosa, che elevandosi dal fondo della ghiandola la 
suddividono. Ora io non voglio, come ho già detto, escludere che differenze vi abbiano 
fra sviluppo embrionale e processo di rigenerazione; ma posso affermare, per quanto 
riguarda quest’ultimo, che mai mi occorse di osservare un qualche fatto che anche 
lontanamente lasciasse supporre un simile processo di sviluppo. Del resto è difficile 
comprendere come per l’elevarsi di una prominenza dal fondo di un tubo, questo 
abbia a dividersi in due, chè, per quanto quella si allunghi e si allarghi, la cavità 
primitiva resterà sempre unica, più o meno occupata da questa appendice che le 
cresce nel mezzo. Si comprende come da un taglio longitudinale, che cada sul piano 
mediano di questi bottoni o di queste introflessioni, possa risultare l’imagine sche- 
matica di un tubulo suddiviso, ma da un taglio trasversale si avrà sempre l’imagine 
d’una cavità circolare che nella parte centrale presenta la sezione trasversa di quei 
bottoni o di quelle introflessioni. I veri tubuli ghiandolari si formano sicuramente 
nella forma che ho descritta, solo non posso escludere, per quanto me ne manchino 
le prove, che qualche tubo primitivo continuando ad allungarsi, e mantenendosi nella 
porzione inferiore, di calibro più ristretto, possa per ulteriori modificazioni dell’epi- 
telio, e per qualche modificazione di forma, presentare successivamente un differen- 
ziamento in fossetta e tubulo. 

Se noi ora confrontiamo le ghiandole piloriche e le ghiandole peptiche a questo 
momento della riproduzione, troviamo che mentre nelle prime i tubuli secondarì 
dipartono a preferenza dal fondo del tubulo primitivo, nelle seconde emanano a 
preferenza dalle pareti. Ciò dà ragione del maggiore sviluppo che le fossette ghian- 
dolari assumono nella mucosa pilorica, e dimostra che, analogamente a quanto fu 
osservato nello sviluppo embrionale, le ghiandole di questa regione mantengono per 
più lungo tempo la loro capacità proliferativa. Infatti una tale differenza di contegno : 
non si può spiegare se non coll’ammettere che nelle ghiandole peptiche le cellule 
non riescano a vincere, come quelle delle ghiandole piloriche, la resistenza del con- 
nettivo già. stipato che ne tappezza il fondo, ma svolgano la loro attività verso il 
connettivo più lasso che fra le ghiandole è interposto. È solo in questa maniera 


(1) Cfr. fig. 20 e 21 del lavoro di Toldt, loc. cit. 
(2) Loc. cit. 


574 R. VIVANTE 


indiretta che noi possiamo assegnare al connettivo una qualche influenza sulla 
formazione delle ghiandole, nelle quali, come vedremo, col procedere della riprodu- 
zione, si delineano meglio alcune particolarità indipendentemente dall’attività del- 
l’epitelio. 

A 24 giorni ho trovato le fossette ghiandolari meglio conformate che nello stadio 
di 21, tappezzate per la massima parte da cellule mucose che si arrestano solo a 
livello di quella strettura che viene chiamata colletto, e che viene determinata dallo 
staccarsi dei tubuli ghiandolari secondari. Tale strozzatura che per lo stiparsi poi 
del connettivo meglio si definisce (fig. 9, 0, 0) resta caratterizzata dalle cellule basse, 
granulose, in cui l’epitelio mantiene la sua attività proliferativa. Tali cellule, le sole 
in cui lungo tutto il processo di riproduzione si possono riscontrare i segni di tale 
attività, ricoprono intieramente la parete dei nuovi tubuli, i quali nel loro fondo 
cieco presentano appunto degli elementi oltremodo bassi e granulosi, a nucleo rotondo 
che ne occupa l'estremo esterno. Le mitosi vanno man mano rendendosi più scarse, 
ma nella ondulosità dei nuovi tubuli (fig. 9), di cui riesce impossibile in una sola 
sezione seguire il canale, che, come si scorge dal disegno, compare e scompare più 
volte nello stesso piano, abbiamo la prova del fatto che l’attività epiteliale si man- 
tiene ancora molto più viva di quella del connettivo, che a tale periodo si presenta 
già ricco di sostanza fibrillare, e scarso di elementi cellulari. E che tale attività 
perduri lungo tempo ancora lo dimostrano i tubuli che si possono avere da stadi 
di 35 giorni, dove i tubuli non trovando uno spazio sufficiente, dopo aver raggiunto 
gli strati superficiali della tonaca muscolare, si adagiano sopra di questi e su di questi 
si allungano. A tale epoca dello sviluppo noi possiamo cogliere il primo accenno ad 
un'ulteriore modificazione che nella loro forma assumono gli elementi per acquistare 
il carattere di cellule ghiandolari. Noi vediamo cioè, che mentre nelle parti superiori 
de’ tubuli l’epitelio mantiene quei caratteri che più sopra abbiamo descritti, nelle 
parti più basse gli elementi che lo costituiscono perdono a poco a poco la granulo- 
sità del loro protoplasma, ed il nucleo vi si dispone in maniera da presentare il suo 
massimo diametro normale alla direzione di prima. Il fatto è tanto più evidente 
quanto più ci avviciniamo al fondo cieco del tubulo, dove vediamo come le cellule 
divenute più trasparenti e più regolarmente cilindriche (fig. 10), presentano alla lor 
base il nucleo foggiato a mezza luna, a denotare la forma di piastra da esso assunta 
parallela alla base dell’elemento a cui appartiene. Tale modificazione comincia così 
negli elementi che tappezzano il fondo cieco dei tubuli ghiandolari, per continuarsi 
successivamente nelle loro parti superiori: e poichè in questi tratti così modificati 
noi non troviamo più alcuna mitosi, mi pare di poter asserire che già a questo 
stadio di 35 giorni la parte attiva dell'epitelio si è limitata ad una zona che dal 
colletto si estende per un tratto più o meno lungo del tubo ghiandolare. Avverrebbe, 
adunque, nel tratto inferiore delle ghiandole quello che si avvera nel tratto superiore; 
nel centro, cioè, dell'organo esisterebbe un focolaio di proliferazione, che mentre da 
una parte provvede alla rinnovazione degli elementi mucipari del vestibolo, dall'altra 
provvede alla produzione di quelli che tappezzano i tubuli ghiandolari propriamente 
detti. Ciò del resto corrisponde perfettamente a quanto si osserva nelle condizioni 
normali: chè se noi osserviamo la mucosa pilorica d'un cane, a completo sviluppo, 
noi vediamo che a partire dal colletto, i tubuli ghiandolari prima di presentare quei 


SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 575 


caratteri che s'iniziano nello stadio che abbiamo or ora studiato, si offrono per un 
certo tratto tappezzati da cellule basse, granulose, qua e là in via di scissione, che 
devono di necessità provvedere alla riparazione di quelli elementi che ne occupano 
la parte maggiore e sottoposta, in cui colla più accurata osservazione non sì riesce 
a sorprendere alcun segno di attività proliferante. 

A quarantacinque giorni (1) le varie particolarità che caratterizzano le ghiandole 
piloriche si vanno facendo più spiccate e più nette, per quanto da un processo di 
riproduzione noi non possiamo aspettarci che tutto proceda nel modo facile e regolare 
con cui questi fatti si svolgono nello sviluppo embrionale. Le fossette, nella massima 
parte più lunghe e più ristrette delle normali, occupano la metà, o anche più, dello 
spessore della nuova mucosa, e i tubi che ne emanano, aumentati di numero tanto 
da poterne osservare in taluni casi quattro, raggiunta la tonaca muscolare, decorrono 
ad essa parallelamente per un tratto più o meno lungo. Soggetti alla costrizione che 
il connettivo, rendendosi più stipato, esercita sulla conformazione di tutta la ghian- 
dola, essi si presentano più ristretti che nello stadio precedente, e le cellule dei 
loro fondi, per quanto ci appaiano ancora un po’ granulose, lasciano scorgere il nucleo 
foggiato a semiluna così respinto alla periferia da delimitarne il contorno esterno. 
Insisto su questa peculiare disposizione perchè, col divenire permanente viene a co- 
stituire una nota differenziale importantissima fra queste cellule e quelle delle 
ghiandole peptiche che a nessun stadio di sviluppo, e tanto meno nell’animale adulto, 
ci presentano qualche cosa di simile. A quarantacinque giorni il connettivo intertu- 
bulare non ci presenta più differenze spiccate da quelle che circonda le ghiandole 
normali; la sostanza fibrillare vi è di molto aumentata, e qua e là cominciano a 
formarsi sottili fascetti di fibrocellule muscolari, che derivano dallo strato muscolare 
sottoposto. Si può ritenere, adunque, che a quest’epoca il processo di riparazione 
abbia quasi raggiunto quanto di meglio può dare, e, se si prescinde dal fatto che 
col progredire del tempo meglio si fissano i caratteri degli elementi cellulari, io credo 
che la regolarità maggiore delle fossette, lo sviluppo più rilevante dei tubuli ghian- 
dolari che in stadì successivi si potranno riscontrare, più che ad un ulteriore perfezio- 
namento degli organi riprodotti, sia da riferirsi al modo più o meno rapido con cui 
il processo si è fin dal principio incamminato. Nella fig. 11 ho rappresentato un 
tratto di soluzione al 170° giorno; in questo stadio in cui, a buon diritto, possiamo 
ritenere assolutamente finito il processo riproduttivo, la mucosa si mantiene di spes- 
sore inferiore al normale; le fossette vi restano inclinate contorte, e i tubuli che ne 
emanano sono così irregolarmente disposti, che riesce impossibile seguirli nella stessa 
sezione fino alla tonaca muscolare. La parte proliferativa dell’epitelio si è, come nelle 
ghiandole normali, limitata al colletto e al tratto iniziale dei tubuli ghiandolari, la 
cui parte maggiore è tappezzata da quelle cellule regolarmente cilindriche, trasparenti, 
a nucleo semilunare, che dànno loro un'impronta così caratteristica. Il tessuto con- 
nettivo interghiandolare s'è reso più stipato ancora che nelle condizioni normali, e si 
presenta attraversato da fasci cospicui di tessuto muscolare (7) che originati dalla 


(1) Queste date non devono prendersi in modo assoluto, perchè, come fin da principio ho fatto 
osservare, lo sviluppo del processo non è proporzionato al tempo decorso dall'operazione. 


576 R. VIVANTE 


tonaca sottostante s’insinuano fra i tubuli ghiandolari. In questo stadio, infine, 
vediamo confermate quelle differenze che siamo andati man mano notando fra ghian- 
dole peptiche e ghiandole piloriche, che per lo sviluppo maggiore degli elementi 
mucipari, per i caratteri speciali degli elementi che ne tappezzano i tubuli, meritano 
d'essere da quelle così differenziate da giustificare, a mio avviso, la denominazione 
particolare che loro fu data di mucogastriche. 

Ed ora riassumendo i fatti osservati, mi sembra di poterli raccogliere nelle con- 
clusioni seguenti: 


1° Che la mucosa che tappezza la porzione pilorica dello stomaco, rimossa per 
largo tratto e in tutto il suo spessore, si riproduce colla rinnovazione completa degli 
organi che vi hanno normalmente sede; 


2° Che le ghiandole mucogastriche vi sì sviluppano, come le peptiche, dall’epi- 
telio di rivestimento, che a sua volta deriva dalle ghiandole che più da vicino limitano 
la soluzione di continuo; 


3° Che i tubuli ghiandolari traggono origine, con processo analogo, dall’epitelio 
proliferante che tappezza le parti profonde delle nuove fossette, senza alcuna parte- 
cipazione del connettivo, o di appendici epiteliali che elevandosi dal loro fondo le 
suddividano ; 


4° Che la riproduzione delle ghiandole piloriche differisce da quella delle 
peptiche, per la forma degli abbozzi primitivi, per lo sviluppo maggiore delle fossette, 
per la derivazione diversa dei loro tubuli ghiandolari, per i caratteri che assumono 
le cellule che li tappezzano; 


5° Che il processo di riproduzione, come quello dello sviluppo embrionale riesce 
a dimostrare la specificità delle 2 forme ghiandolari, che occupano lo spessore della 
mucosa gastrica. 


10 Settembre 1893. 


Fig. 


Fig. 


Fig. 


Fig. 


Fig. 


Fig. 


SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILURICA DIL 


SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 


1. — Sezione perpendicolare alla superficie di una soluzione di continuo di 20 
giorni in cui per la difficoltata riparazione siamo ancora alle prime fasi del 
processo riproduttivo : 

a, epitelio di rivestimento della mucosa pilorica non intaccata dal tagliente; 
b, sezione di tubulo ghiandolare occluso e tramutato in cisti; c, tessuto con- 
nettivg neoformato del fondo della soluzione; d, d', tubuli ghiandolari modificati 
dei bori della soluzione; e, f, 9g, epitelio neoformato dall’epitelio dei residui 
ghiandolari che si trovano alla periferia della soluzione. Koristka. Oc. 3. Obb. 4. 
Camera chiara Zeiss. 

2. — Sezione perpendicolare alla superficie dell’epitelio di rivestimento neofor- 
mato da una soluzione di 10 giorni; a, 5, cellule in mitosi. Koristka. Oc. 3. Obb. 8. 
Camera chiara. 

3. — Sezione verticale della soluzione precedente in un tratto più vicino ai 
bordi. Aggruppamento cellulare che rappresenta l’abbozzo primitivo di una ghian- 
dola pilorica: 

a, cellula in mitosi; 5, 8‘, 5'', cellule basse, piramidali a nucleo rotondo e 
sospinto alla base dell'elemento recentemente formato che costituiscono la parte 
centrale dell’abbozzo, e, c', c'’, cellule dell'epitelio di rivestimento neoformato che 
sulle precedenti s’incurvano e si adattano a costituire la parte periferica del- 
l’abbozzo; d, d', epitelio di rivestimento neoformato, id. id. 

4. — Sezione verticale di due tubuli ghiandolari: 

a, b, tubuli primitivi da una soluzione di 13 giorni; c, c', cellule profonde, pro- 

toplasmatiche in cui si mantiene vivace la capacità proliferativa; d, d', cellule più 


superficiali che vanno gradatamente assumendo i caratteri di quelle dell’epitelio di 


rivestimento. Koristka. Oc. 3. Ob. 6, id. 
5. — Sezione verticale di un tubulo ghiandolare primitivo da una soluzione 
di 17 giorni: 

a, epitelio di rivestimento; 5, porzione mucosa del tubulo che corrisponde circa 
a 2 quinti della sua lunghezza; c, porzione protoplasmatica nella quale si vedono 
due cellule in mitosi: Koristka. Oc. 2. Obb. 6, id. 
6. — Sezione verticale del fondo di un tubulo primitivo, da una soluzione di 21 
giorni. Abbozzo di un vero tubulo ghiandolare: 

a, cellule del fondo del tubulo primitivo, protoplasmatiche, qua e là in via di 
mitosi; 5, 6’, cellule periferiche dell’abbozzo del tubo ghiandolare; e, c', e’, cellule 


- centrali. Koristka. Oc. 3. Obb. 6, id. 


Serie II Tom. XLIV. x 


5780 R. VIVANTE — SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 


Fig. 7, 8. — Stadî di sviluppo ulteriore dei tubuli ghiandolari presi da soluzione 
di 21 giorni: 

a, a, epitelio del fondo del tubulo primitivo che costituisce il vestibolo della 
nuova ghiandola; 5, 6', strozzatura (colletto) che si forma al punto di distacco 
del tubo ghiandolare; c, c', c'", cellule che tappezzano i tubuli ghiandolari neofor- 
mati, che mantengono il carattere di protoplasmatiche, qua e là in via di scissione. 
Koristka. Oc. 3. Obb. 6, id. 

Fig. 9. — Porzione inferiore di una fossetta ghiandolare al 24° giorno, da cui si 
staccano due tubuli ghiandolari: 

a, a', epitelio della fossetta ghiandolare; 6, 5', colletto della nuova ghiandola; 
e, e', tubuli ghiandolari contorti; 4, d', cellule del fondo dei tubuli ghiandolari, 
basse, granulose a nucleo rotondo, sospinto all'estremo esterno dell'elemento. 
Koristka. Oc. 2. Obb. 6, id. 

Fig. 10. — Tubulo ghiandolare preso da una soluzione al 35° giorno. Il tubulo es- 
sendo contorto ci si presenta nella parte superiore in sezione verticale, nella 
inferiore in sezione trasversa: 

a, a', epitelio della fossetta da cui il tubulo diparte; 6, 2’, colletto; e, c', c'", cel- 
lule del fondo del tubulo «ghiandolare che cominciano ad assumere i caratteri di 
cellule veramente ghiandolari, più trasparenti, più regolarmente cilindriche e col 

nucleo foggiato a semiluna. Zeiss. Oc. 2. Obb. C. €. id. 

Fig. 11. — Sezione verticale di una larga soluzione di continuo al 170° giorno: 

a, epitelio di rivestimento; 5, 5, 5, fossette ghiandolari; c, c', tubuli ghiandolari 
contorti; d, d', d'', sezioni trasverse di tubuli ghiandolari; e, muscularis mucosae; 
f, fasci di tessuto muscolare che si spingono nel tessuto connettivo interghian- 


dolare. Zeiss. Oc. 3. Obb. AA., id. 


Nea -— —___ 


NE i & GY 3 7 È (sa NYA NI è) . 'oraa 
Moll de ARTI EA Perte 2 Como XLIV 


MEMORIE 


DELLA 


REALE ACCADEMIA 


DELLE SCIENZE 


DI CLORENO 


SERIE SECONDA 


Tomo XLIV 


TORINO 
CARLO CLAUSEN 
Libraio della R. Accademia delle Scienze 


MDCCCXCIV 


PROPRIETÀ LETTERARIA 


‘Torino — Vincenzo Bona, T'ipografo di S. M. e Reali Principi 
e della Reale Accademia delle Scienze. 


SCIENZE 


MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


INDICE 


CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE 
E FILOLOGICHE 


Le più recenti indagini statistiche sugli Scioperi; Memoria del Socio Salvatore 
COCNEITRDESWARTSA to e a a e a PI: 


Di alcuni Manoscritti Copti che sì conservano nella Biblioteca Nazionale di 
Torino; Memoria del Socio Francesco Rossi 


»” 


L'antica Biblioteca Novaliciense e il frammento di un Codice delle Omelie di 
S. Cesario; Memoria del Socio Carlo CrpoLna . 


” 


Alfonso Corradi ricordato nei suoi lavori scientifici in relazione alla Storia; 
Memoria del Socio Gaudenzio CLARETTA . 


»” 


Appunti dal Codice Novaliciense del “ Martyrologium Adonis ,; Memoria del 
Socio Carlo CiPoLLA 


L'ultima colonna della iscrizione etrusca della Mummia; Memoria del Socio 
corrispondente Elia LarTES 


” 


Notizia di alcuni Codici dell'antica Biblioteca Novaliciense; Memoria del Socio 
Carlo CIPOLLA . 


” 


Antichi inventari del Monastero della Novalesa con la serie degli Abbati e dei 
Priori del medesimo; Memoria del Socio Carlo CrPoLLa. 


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LE PIÙ RECENTI INDAGINI STATISTICHE 
SUGLI SCIOPERI 


MEMORIA 


DEL SOCIO 


SALVATORE GOGNETTI DE MARTIIS 


Approvata nell’ Adunanza del 2 Luglio 1893 


Lo sciopero, benchè possa essere considerato anche da punti di veduta estranei 
alla economia, pure è, per l’intima natura sua, un fenomeno che appartiene alla ca- 
tegoria delle perturbazioni economiche. Certo il funzionamento regolare della vita 
economica è turbato dovunque gli operai deliberatamente e più o meno concorde- 
mente sospendono il lavoro in appoggio di richieste o pretese contrastate in tutto 
o in parte da coloro nelle cui aziende lavorano. Ma in qualsiasi estrinsecazione della 
vita, così degli organismi individuali come degli organismi sociali, le perturbazioni 
non avvengono a caso. Laonde il loro studio non è meno importante e proficuo di 
quello che ha per oggetto il funzionamento normale di cotesti organismi. 

Purtroppo il materiale statistico riguardo agli scioperi è scarso. 

In Inghilterra solo dal 1888 data la pubblicazione d’una relazione annuale sugli 
scioperi (strikes) e sulle serrate (lock-outs) per opera d'un Corrispondente pel Lavoro 
(Labour Correspondent) addetto al Board of Trade (1). In Francia la Direzione del 
Commercio interno raccolse e pubblicò i risultati di una inchiesta sugli scioperi av- 
venuti nella repubblica dal 1874 al 1885, continuata poscia sino al 1887 dal signor 
Turquan Direttore della Statistica generale francese. In seguito l'Office du Travail 
istituito presso il Ministero del Commercio e dell’Industria diede alle stampe la sta- 
tistica degli scioperi occorsi nel 1890 e 1891 (2). Negli Stati Uniti d'America un 
saggio d’indagini statistiche sugli scioperi comparve nel ventesimo volume del X cen- 


(1) Reports on the strikes and lock-outs of 1888 by the Labour Correspondent of the Board of 
Trade. Londra, 1889, pp. 104; id. per il 1889, pp. 145; id. per il 1890, pp. 361; id. per il 1891, pp. 546. 

(2) Turquan, Les Grèves; recherches statistiques sur les grèves qui se sont produites en France 
depuis 1874. Communication faite à VInstitut Intern. de Statistique, ete. Rome, 1390, pp. 16; 0ff. du Trav. 
— Statistique des grèves survenues en France pendant les années 1890 et 1891. Paris, 1892, pp. 124. 


Serie II. Tom. XLIV. il 


2 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS 


simento e concerne il 1880; più tardi nel Terzo Rapporto annuale del Commissario 
del Lavoro (1887), dedicato esclusivamente agli scioperi a alle serrate, il Commis- 
sario Carroll D. Wright fece un’analisi particolareggiata di coteste perturbazioni, 
abbracciando un periodo di sei anni, dal 1881 al 1886, e riunì anche in un capitolo 
speciale quante notizie potè raccogliere su quelle anteriori al 1881. È una fonte pre- 
ziosa, tanto per la elaborata copia dei dati, quanto per la varietà degli aspetti sotto 
i quali i dati medesimi sono posti sotto gli occhi del lettore (1). Egualmente prege- 
voli sono le monografie statistiche sugli scioperi del Massachusetts contenute nel- 
l'undicesimo (1880) e nel decimonono (1888) rapporto dell'Ufficio di Statistica del 
Lavoro di quello Stato. Dobbiamo il primo alle cure del sig. C. D. Wright che, com’è 
noto, reggeva l’Ufficio del Massachusetts innanzi di passare a reggere l'Ufficio fede- 
rale in qualità di Commissario, il secondo a quelle del sig. Orazio G. Wadlin attuale 
Capo dell'Ufficio del Massachusetts (2). In Italia la Direzione Generale della Stati- 
stica ha pubblicato testè la Statistica degli scioperi avvenuti nell'industria e nel- 
l'agricoltura durante gli anni dal 1884 al 1891, lavoro eseguito con molta cura sia 
nella parte dedicata alla illustrazione delle notizie, sia nelle Tavole analitiche (3). 

E queste, si può dire, sono le sole fonti ufficiali riguardo alla statistica degli 
scioperi nel vecchio e nel nuovo continente. Si trovano, è vero, in taluni rapporti 
di altri uffici di statistica locali degli Stati dell’Unione Americana notizie e dati 
sugli scioperi avvenuti in questo o quello Stato; ma tali pubblicazioni, salvo qualche 
rara eccezione, non godono ancora la reputazione che l'Ufficio del Massachusetts ha 
saputo meritamente acquistare ne’ ventiquattro anni della sua operosa esistenza. 
Inoltre è da osservare, rispetto a coteste fonti ufficiali, che non tutte hanno carat- 
tere di continuità, nè la esposizione e la elaborazione dei dati vi si trovano. fatte 
nello stesso modo e con uniformità di criterii direttivi. Laonde nell’uso di esse s’in- 
contrano ostacoli non sempre nè facilmente superabili. 

Abbiamo poi le fonti, per dir così, frammentarie. Consistono in ricerche fatte 
da privati studiosi, o da uomini politici, o da funzionari pubblici in maniera occa- 
sionale. Sono del genere le cifre pubblicate e illustrate dal Bevan nel Journal of the 
Statistical Society, marzo 1880, e dall’Howel nell’Annuario del 1888 della Wwolesale 
Cooperative Society di Londra, sempre relativamente all’Inghilterra; quelle messe dal 
deputato Di San Giuliano nella sua relazione parlamentare al progetto di legge sugli 
scioperi presentato dai ministri Depretis, Savelli e Berti il 30 maggio 1883; quelle 
pubblicate dal Crouzel nel suo Eude historique, 6conomique et juridique sur les coali- 
tions et les grèves dans l’industrie (Paris, 1887); quelle date dal sig. Condie Stephen in 
un pregevolissimo rapporto sulle relazioni tra il capitale e il lavoro in Francia pub- 
blicato l’anno scorso nella Miscellaneous Series (N° 258) del Foreign Office britannico, 


(1) Report on the Statistics of Wages in manufacturing industries with supplementary reports on 
the average retail prices of Necessuries of life and on Trades Societies and on Strikes and Lock-outs 
by Jos. D. Weeks special agent Tenth Census, Washington, 1886. Third Report of the Commissioner of 
Labor, 1887: Strikes and Lock-outs, Washington, 1888, pp. 1172. 

(2) Eleventh Annual Report of the Bureau of the statist. of Labor, january, 1880, Boston, 1880, 
pp. 1-71; Nineteenth Ann. Rep. ete. december 1888; Boston, 1888, p. 1-118. 

(3) Roma, 1892, pp. 88. 


AT i n e i Ana in iride 


LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 3 


e finalmente i prospetti contenuti nell’'Annuaire de la Bourse du Travuil della città 
di Parigi pubblicato anch’esso nel 1892. 

Tralascio altre pubblicazioni di carattere diverso (1). 

Ora, non intendendo far qui un ampio studio sugli scioperi, ma semplicemente 
mostrare come e quanto giovino le indagini su coteste perturbazioni, mi limiterò a 
toccare tre punti soli: dirò prima del complessivo contenuto delle fonti dianzi indicate, 
poi della frequenza degli scioperi in genere, finalmente di quegli scioperi che avven- 
gono per dissidii relativi alla mercede e costituiscono, come vedremo, la categoria 
più numerosa. 


Le fonti inglesi c’informano complessivamente di 6062 scioperi avvenuti dal 1810 
al 1891. Ma bisogna distinguerli in quattro gruppi. Un gruppo di 112 scioperi dal 
1810 al 1869 che figurano in un prospetto pubblicato nella prima relazione annuale 
del Board of Trade (pp. 21-29); un altro di 2352 dal 1870 al 1° dicembre 1879 
contati e studiati dal Bevan; un terzo gruppo di 23 dal 1880 al 1887 indicati anche 
essi nella predetta relazione; un quarto di 3575 esaminati nelle quattro relazioni 
ufficiali. Solo quest’ultimo gruppo fornisce elementi sicuri alla osservazione scienti- 
fica. Degli altri tre il secondo, cioè quello del Bevan, viene, per intrinseca impor- 
tanza, subito appresso. I due rimanenti hanno carattere frammentario senza dubbio; 
tuttavia riescono di qualche utilità per quel tanto che esprimono e fanno intendere 
rispetto agli anni più o meno molestati da scioperi nei due periodi ai quali si rife- 
riscono. 

I documenti relativi alla Francia numerano 2413 scioperi dal 1822 al 1891. Ma 
anche qui bisogna fare delle distinzioni. Un gruppo di 20 scioperi è dato dal Crouzel 
per tutto il periodo dal 1822 al 1851; un gruppo di 1813 comprende gli scioperi 
notificati alle autorità governative dal 1852 al 1889 e i dati si trovano nella rela- 
zione del Condy Stephen, nel Turquan e nel volume della Borsa del Lavoro di Parigi: 
nelle due ultime fonti però parzialmente (1874-87 e 1874-89); e un gruppo di 580 
per il biennio 1890-1891 è fornito dalla pubblicazione mentovata dell’Office du Tra- 
vail. Hanno, certo, più importanza i dati del terzo gruppo. Quelli degli altri due 
hanno carattere soltanto indiziario e in modo più efficace i dati del secondo gruppo 
che quelli del primo. 

Dalle fonti americane si desume un elenco di 7200 scioperi dal 1741 al 1888, 
più il biennio 1890-1891, per tutti gli Stati dell’Unione. La cifra complessiva va 
spartita in quattro gruppi. Il primo comprende dati frammentari raccolti e messi in 


(1) Daupr, Des grèves ouvrières, Bruxelles, 1884; Swrra, Les coalitions et les grèves d’apròs V Histoire 
A > . 
et Economie politique, Paris, 1886; RenAULT, Histoire des grèves, Paris, 1887; Masè Dari, Sciopero e 


| coalizione di operai, Torino 1887; il med., voc. Sciopero in Dig. Ital. 


4 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS 


prospetto nel Cap. IV del Rapporto del Commissario Wright e riguardano il periodo 
1741-1879, segnando 678 scioperi; il secondo è costituito dai 610 scioperi del 1880 
illustrati dal Weeks; il terzo annovera i 3902 scioperi del sessennio 1881-1886 che 
è, come s'è detto, quello cui si riferisce nella sua parte sostanziale il poderoso lavoro 
del Wright, e il quarto è formato da 2610 scioperi avvenuti nei due bienni 1887- 
1888 e 1890-1891 e notati d'anno in anno dal Bradstreets, giornale mercantile ame- 
ricano donde ne ha trascritte le cifre il Labour Correspondent inglese sig. Burnett 
nei suoi rapporti del 1888, del 1390 e del 1891. Mancano i dati pel 1889. 

Le due Relazioni del Massachusetts analizzano 1179 scioperi occorsi in quello 
Stato dal 1825 al 1886. I gruppi qui sono tre: il primo è di 159 scioperi dal 1825 
al 1879 e trattasi di dati frammentarii; il secondo espone 25 scioperi del 1880; il 
terzo ne ha 995 del sessennio 1881-1886 ed è il gruppo più notevole. 

Il volume della statistica italiana dà notizie di 1709 scioperi per un periodo 
che va dal 1860 al 1891; con la quale somma complessiva si formano tre gruppi. 
Il primo di 634 scioperi dal 1860 a tutto giugno del 1878 e si tratta di dati rac- 
colti dalla Commissione reale d’inchiesta sugli scioperi nominata nel 1878; il secondo 
di 242 scioperi dal 1° luglio 1878 a tutto il 1883 e le cifre sono quelle della men- 
zionata relazione del Di San Giuliano; il terzo di 833, che sono gli scioperi dei quali 
la benemerita Direzione generale della Statistica è la prima a darci conto. 

Riguardo ad altri paesi, alcuni dati compariscono d’anno in anno nei rapporti 
britannici sotto la rubrica: “ Scioperi coloniali ed esteri ,. Ce n’è dunque per quattro 
anni soltanto e si tratta di notizie sugli scioperi di maggiore importanza; troppo 
scarse per lavorarvi attorno con qualche pro. 

Kcco intanto qui in tabella tutte le cifre testè riferite distinguendole per paesi 
e per gruppi: 


GRANBRETTAGNA | FRANCIA | STATI UNITI ITALIA 
RE N° di VISSE N° di TS N° di algo N° di 
| Grupp: Scioperi Gruppi Scioperi Gruppi Scioperi Gruppi Scioperi 
| 


1° (1810-69) | 112 | 1°(1822-51) 20 | 1°(1844-79)| 678 |1°(1860-78*) | 634 


| 2°(1870-79) | 2352 | 2°(1852-89) | 1813 | 20 (1880) | 610 |2°(1878**-83)| 242 
3° (1880-87) | 23 | 3°(1890-91)| 580 |3°(1881-86) | 3902 |3°(1884-91) | 833 


4° (1888-91) | 3575 ai — |4°(1887-88e| 2610 ur = 
90-91) 


Totali N° | 6062 2413 12007 90 1709 


Î 
il 
| 


Abbiamo un complesso di 18,185 scioperi nei quattro Stati in vari periodi che vl 


vanno dal 1810 al 1891. Ma i dati dei singoli gruppi mal si prestano a confronti, 
sia per la disuguale lunghezza dei periodi di tempo, sia per la disuguale composi- 


LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 5 


zione de’ gruppi, derivante, come s'è detto, da mancanza di dati pe’ gruppi più scarsi 
non da più scarso numero effettivo di scioperi in questi che negli altrî. Adunque 
ciò che coteste cifre ci dànno sono i dati numerici raccolti, non la precisa espres- 
sione numerica delle perturbazioni avvenute nei rapporti tra il capitale e il lavoro 
nella Granbrettagna, in Francia, negli Stati Uniti e in Italia. 


Il 


Le indagini rispetto alla frequenza degli scioperi mirano a mettere in evidenza 
gli anni più o meno colpiti, e, nell’anno, le stagioni in cui gli scioperi sono più fre- 
quenti e quelle in cui occorrono meno frequentemente. L'interesse della ricerca sta in 
ciò che si è condotti a intendere le ragioni dell'abbondanza e della scarsezza degli 
scioperi secondo gli anni e le stagioni, cioè dire si osserva e s'intende il movimento 
del fenomeno perturbatore secondo coteste due sezioni di tempo. 

Data l’indole frammentaria delle cifre che costituiscono il primo de’ gruppi in- 
glesi, ciò che solo si può fare senza temerità è segnar gli anni ai quali corrisponde 
il ricordo di un maggior numero di scioperi. Furono, nel periodo, due: il 1824 con 
dieci scioperi, e il 1866 con sette. Piccole cifre in sè, ma pure le più grosse di quelle 
delle quali s'è serbato ricordo nei cinquantanove anni, giacchè formano rispettiva- 
mente l’otto e il sei per cento della somma totale. Ora, il 1824 in cui fu ricono- 
sciuto agli operai in Inghilterra il diritto di coalizione, fu colà anno di prosperità 
grande e d’intensa attività economica, e preluse alla notissima e tremenda crisi 
di speculazione del 1825. Fu invece anno di depressione il 1866, dopo la spaventevole 
crisi di credito scoppiata nel “ venerdì nero , della seconda settimana di maggio. 
E per il primo gruppo ciò basti. 

Il gruppo studiato dal Bevan è raffigurato nel prospetto seguente: 


Anni Scioperi Quoziente annuo Anni | Scioperi | Quoziente annuo 
1870 | N° 30 1% 1875 | N° 245 10 °/o 
1871 1198 di, 1876 1: gu 
1872 sRn949 I, 1877 s 180 TESTA 
1873 11,865 5a 1878 | , 268 1, 
1874 236 N IR, , 308 18% 

| | 


6 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS 


Qui il contingente più forte è dato dal 1873; il più debole dal 1870. E va anche 
notato che il gruppo può dividersi in tre sezioni: nell’una la quota annua degli scioperi 
sale da 30 a 365; nell’altra scende via via sino a 180; nella terza risale. Certamente 
la cifra del 1870 è soltanto indiziaria e così forse in minor proporzione, deve dirsi 
di quella del 1871. Ad ogni modo emerge il fatto dell’accrescimento annuale degli 
scioperi dal 1870 al 1873 e della annuale loro diminuzione dal 1874 al 1877, per 
ricominciare a crescere nel 1878. Getta luce sul fenomeno il procedimento dell’attività 
economica inglese in quel tempo. Dal 1871 al 1873 fu continuo e progressivo lo svi- 
luppo degli affari: abbondanza di capitali, buoni profitti, mercedi alte specialmente 
nella utimazione delle miniere del carbon fossile e del ferro. E nel 1873 il centro 
degli scioperi inglesi fu la regione carbonifera e ferriera del Galles meridionale (1). 
Mutarono le cose negli ultimi mesi del 1873 e nei primi del 74. Languì il moto delle 
industrie e dei traffici al cadere del 73; cominciarono a scemare le mercedi nel 
secondo mese del 74. 

Del 1877 si sa che fu uno dei peggiori anni nella storia economica contempo- 
ranea del Regno Unito; ma tale fu anche il 1878, e solo in settembre del 1879 
apparvero segni di miglioramento. Eppure il 1878 ebbe più scioperi dell’anno pre- 
cedente; cosa che meravigliò il Bevan, il quale scriveva al Times nel dicembre del 
1878: “ Naturalmente si supporrebbe che con questa diminuzione di operosità si 
dovessero registrare comparativamente meno contese concernenti il lavoro, vedendo 
che il numero dei disoccupati è stato assai grande durante il 1878 ed ora ha rag- 
giunto enormi proporzioni. Sfortunatamente non è così, ecc. (2) ,. 

Notisi che il gruppo del Bevan appartiene ad un’epoca che s’inizia con prospera 
fortuna, con vive lotte per la diminuzione della giornata di lavoro e termina in mezzo 
agli sforzi delle classi operaie per tutelarsi dalle conseguenze della depressione in- 
dustriale. E il movimento delle cifre rispecchia coteste tendenze diverse nei rapporti 
tra le maestranze e gl’industriali. Negli anni grassi la mano d’opera faceva sciopero 
per vincere il punto d’affaticarsi meno ed essere meglio rimunerata; negli anni magri, 
come si liquidavano gli effetti della prosperità precedente, essa, pur producendo meno, 
lottava per impedire che le si scemassero i proventi (8). 

Gli scarsissimi dati del terzo gruppo sembrano designarci rispettivamente il 1884 
e il 1887 come gli anni del minimo e del massimo numero degli scioperi occorsi dal 
1880 al 1887. La quota risulterebbe del 4° pel 1884; del 34% pel 1887. Di co- 
testi due anni il primo fu uno dei più fiacchi nel lungo periodo di depressione co- 
minciato dieci anni innanzi; nel secondo migliorarono alquanto le condizioni dell’in- 
dustria, ma duravano tristi quelle dell’agricoltura. Però l’esiguità della cifra di questo 
gruppo è tale da rendere temerario qualunque discorso vi si facesse attorno. 


(1) © Gli alti prezzi avevano seminato il malcontento tra gli operai del South Wales e condus- 
sero ad uno de’ tanti scioperi che susseguentemente occorsero in questo e in altri distretti del 
Regno Unito ,. Crump, The key to the London money market, Lond., 1877, p. 44. 

(2) Vedi The Economist, Commercial History and Review of 1878, p. 58. 

(3) “ Di scioperi in ogni industria e d’ogni dimensione c’è stati esempi continui, col quasi uni- 
forme risultato della sconfitta degli scioperanti ,. Così si discorre degli scioperi del 1878 nella citata 
Comm. Hist. dell’Economist a p. 1. Sulla scemata efficacia della mano d’opera nel periodo di depres- 
sione, vedi la Comm. Hist. del 1877 a p. 2. 


I deg e 


CEE. 


LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI - TI 


Non è così per le cifre del quarto gruppo, quantunque anche qui ci sia l’incon- 
veniente della brevità del tempo cui esso si riferisce. Eccone i particolari con alcuni 
altri dati che giovano ad illustrare quelli degli scioperi, perchè concernono le condi- 
zioni degli strati più umili, economicamente parlando, della popolazione. 


Sciopori Disoccupati Porno Credito sui libretti delle Casse 
Anni | Scioperi p. °/o . di risparmio 
p. cento | -__—_—__ (Inghilterra e Galles) =>" 
Mass. | Min. Ordinarie Postali 


1888| 509 | 14,25| 7,8 | 3,1 |738,388 | 26,2 °/oo|Ls. 47,156,131 |Ls. 53,904,127 
1889| 1145 | 32,001 3,3 | 1,6 |713,247 | 25,1 , | , 45,959,856 | ,, 58,614,600 


1890| 1028 | 28,76| 2,28| 1,4 |695,821 | 24,2 , | , 44,861,448 | , 63,020,925 


1891| 893 | 24,91] 4,48) 2,6 |675,175 | 23,4 ,, | , 43,836,098 | , 67,760,621 


Le caratteristiche economiche dei quattro anni sono queste: il 1888 sviluppò ener- 
gicamente in moto intenso e largo i conati di miglioramento avvertiti sulla fine del 
1887: il numero dei poveri sussidiati dalle parrocchie scemò, e così quello degli 
operai disoccupati, manifatture e agricoltura si giovarono degli aumentati capitali in 
larga misura, in molte aziende industriali crebbero le mercedì, il movimento dei 
traffici fu assai notevole. Il 1889 fu anch'esso anno buono: il volume del commercio 
estero superò di più che l’8 per cento quello dell’anno precedente e il traffico fer- 
roviario riescì oltre il 6 per cento superiore a quello dell’88, convenienti i profitti, 
ottimo il raccolto, favorevolissime le condizioni di esistenza alla mano d’opera. “ In 
niun’altro ordine sociale fu nel 1889 così sensibile il miglioramento come nel ceto 
operaio. Ogni specie di lavoro abile si trovò nelle migliori condizioni d’impiego, e 
mentre vi fu un generale e sostanziale aumento di mercedìi, pochissimo andò su il 
costo dei generi di sussistenza, la maggior parte dei principali generi alimentari fu 
così a buon mercato in fin d’anno come era stata a principio , (1). Nel 1890 la po- 
sizione fu piuttosto mantenuta bene che sensibilmente avvantaggiata. Le mercedì si 
mantennero alte, i prezzi dei generi di sussistenza bassi, il lavoro non mancò. La 
potenza d’acquisto delle classi operaie risultava aumentata considerando il consumo 
delle bevande spiritose, del vino, della birra, del tabacco, del the e del caffè in quel- 
l’anno. E l’Economist, nella consueta occhiata alle condizioni del ceto operaio, mentre 
constatava ciò, deplorava che tanta parte dei guadagni della mano d’opera fosse 
spesa in spiriti e thé invece d’andar ad impinguare ancor più i depositi delle casse 
di risparmio. La cifra degli scioperi del 1890 è di poco inferiore a quella dell’anno 
innanzi, ma l’effemeride ora citata informa della loro frequenza e dell’acrimonia in- 
trodotta in parecchie contestazioni, incolpandone gli apostoli del nuovo Unionismo (2). 
Nel 1891 si videro segni di mutamento, e non in meglio, in quasi tutti i rami del- 


(1) The Economist, Commercial History of 1889, p. 3. 
(2) The Econ., Comm. Hist. of 1890, p. 3. 


8 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS 


l'industria britannica, Riguardo alle classi operaie, non si potè dire che la loro con- 
dizione continuasse a migliorare come nei due anni precedenti. La riduzione del pau- 
perismo, pur segnata quassù nel 1891, avvenne piuttosto nei centri rurali che negli 
urbani e manifatturieri. I profitti scemanti inducevano a ridurre le mercedi; ma tra 
il sopportare una lieve diminuzione nei guadagni e l’affrontare i rischi degli scioperi 
parve miglior partito agli industriali il primo. 

Si può dunque dire che, nei quattro anni, prima salì rapida e snella la fortuna 
britannica, poi scese, ma “lo scender fu poco ,. E con movimento analogo proce- 
dettero gli scioperi: più frequenti negli anni di prosperità, divennero meno frequenti 
quando cominciò la depressione. 

Tale è del resto di regola il movimento degli scioperi inglesi in tutta la serie 
degli anni pei quali abbiamo dati o frammentarii o completi. Lo si argomenta dai 
primi, se ne ha la dimostrazione dai secondi. Il 1824, il 1873, il 1889 segnano nel 
primo, nel secondo e nel quarto gruppo (omettiamo il terzo) il massimo degli scio- 
peri in ogni singolo periodo e, come si è visto, furono anni di grande espansione di 
affari e di abbondanza di capitali. Viceversa il 1877 fu assai triste nei riguardi eco- 
nomici e vediamo in quell’anno la cifra più picciola del decennio studiato dal Bevan. 
La cifra elevata del 1878, anno di depressione e quella esigua del 1888 anno pro- 
spero, possono parere in contradizione col carattere testò notato del movimento degli 
scioperi britannici. Ma illustrammo già la prima, e in quanto alla seconda, bisogna 
considerare che già i dati del 1888 mostrano un aumento di scioperi in confronto 
con quelli raccolti nel 1887, la cui quota, sebbene puramente indiziaria, è la massima 
nel periodo 1880-1887; che perciò la cifra del 1888 non rompe la continuità del moto 
ascendente degli scioperi nel periodo di espansione; e che la statistica ufficiale rego- 
lare degli scioperi faceva per l'appunto le prime sue prove nel 1888. 

Passiamo alla Francia. 

Del primo gruppo non è il caso d’occuparsi se non forse per notare come la. 
quota più elevata sulle pochissime che abbiamo si riferisca al 1848, anno di agita- 
zioni violentissime, nel quale per la prima volta nel continente europeo le questioni 
concernenti gl’interessi della mano d’opera furono scritte in un programma di go- 
verno. Nel secondo gruppo la cifra massima è quella del 1889 (327), la minima quella 
degli anni 1853, 1872 e 1873 (7). Troviamo un rilevante numero di scioperi anche 
negli anni 1882 (182), 1886 (160) e 1883 (141); e un numero scarso nel 1856 (3), 
nel 1853 (4), nel 1872 (7); tuttavia nei dati del gruppo non appaiono indizi chiari 
e spiccati di regolarità nella successione delle cifre annuali a periodi alternativi di 
numeri alti e numeri bassi. Fluttuazioni, certo, s’intravedono nel movimento degli 
scioperi francesi, ma le variazioni sono brusche in confronto, ad esempio, di quelle 
che si scorgono nel gruppo inglese del Bevan. Ciò dev'essere effetto sopratutto del 
modo con cui era compilata la statistica degli scioperi in Francia nell'epoca alla 
quale si riferiscono i dati del secondo gruppo. Nondimeno si può tracciare nella suc- 
cessione dei medesimi, così quali li abbiamo, un aumento quasi costante dal 1852 (1) 
al 1862 (24), poi diminuzione anch'essa quasi costante sino al 1865 (15); quindi di 
nuovo accrescimento sino al 1870 (26) seguìto da discesa sino al 1873. Nel triennio 
seguente si va da 21 scioperi nel 1874, a 48 nel 1876; ma nel 1877 (30) si scende, 
per poi risalire da 33, cifra del 1878 a 182 cifra del 1882. Diminuzione ancora sino 


LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 9 


al 1884 (89), aumento sino a 160 nel 1886, ridiscesa nel 1887 (108), lieve accresci- 
mento nel 1888 (1270), notevolissimo e rapido nel 1889, che, come s'è detto, ha la 
più grossa quota del gruppo. 

Questi avvicendamenti a salti mettono in evidenza un sensibile divario tra il 
movimento degli scioperi in Francia e il movimento degli scioperi in Inghilterra, e 
il divario sembra specialmente dipendere da ciò che, mentre in Inghilterra gli scio- 
peri sono d’ordinario organizzati e diretti dalle Unioni Artigiane, in Francia cotesta 
organizzazione manca quasi affatto (1). Inoltre in Francia fino a che furono in vigore 
gli articoli 414 a 416 del Codice penale, che consideravano e punivano come reato 
la coalizione d’operai, cioè sino alla promulgazione della legge 25 maggio 1864, le 
manifestazioni sotto forma di scioperi trovavano uno speciale e forte impedimento. 
E anche dopo gli ostacoli vennero dalle interpretazioni quasi sempre restrittive nelle 
quali la giurisprudenza dei magistrati contenne, talora sino a violentarlo, lo spirito 
liberale di quella legge. L’effettiva libertà di coalizione data in Francia solo dalla 
legge 21 marzo 1884 sui sindacati professionali. E infatti da quell’anno in poi è forse 
meno malagevole rendersi conto della successione degli scioperi in quel paese, pur 
tenendo calcolo delle condizioni speciali del mercato francese e dei contrasti che a 
volte appaiono nello stato contemporaneo di alcuni suoi grandi centri industriali e 
commerciali, taluno dei quali prospera mentre altri languono. Così nelle regioni me- 
ridionali le industrie si trovarono in condizioni relativamente favorevoli nel 1882 e 
nel 1883, anni di depressione in tutto il resto della Francia (2). Alla liquidazione 
della crisi operatasi durante il 1886 e il 1887 tenne dietro la ripresa progressiva 
nel 1888 e nel 1889. Gli anni seguenti 1890 e 1891 ebbero, dal punto di vista eco- 
nomico, non diverso aspetto in Francia e in Inghilterra. Come nel 1889, l’anno del- 
l’Esposizione, si svolse più attivo e fecondo il lavoro francese così si mostrò più 
esigente e più indocilis pauperiem pati. Nè va trascurata l’influenza che sugli animi 
degli operai esercitarono indubbiamente le discussioni e le risoluzioni del Congresso 
internazionale socialista tenutosi a Parigi in luglio di quell’anno da 612 delegati di 
varie nazioni.e della susseguente Assemblea federale dei Minatori. 

Nel terzo gruppo, che è di due anni, il 1890 ebbe 313 scioperi ossia il 53 °/, del 
numero complessivo del biennio; il 1891 n’ebbe 262 ossia il 46 °/, cifre che sembrano 
accennare a un periodo di declinazione. Va notato che tra il movimento degli scio- 
peri francesi e quello degli inglesi nel triennio 1889-91 c’è molta correlazione. 

Occupiamoci ora degli Stati Uniti d'America. 

Ne) 1° gruppo che ha, come già avvertimmo, cifre di carattere indiziario, il con- 
tingente più grosso è fornito dal 1879 e subito dopo viene quello del 1877; s’încon- 
trano cifre via via più tenui risalendo la serie, salvo qualche rara eccezione, sino 


(1) © Chez nous malheureusement le signal de la grève est donné par une minorité turbulente; 
“la masse obéit à l’impulsion, et les ouvriers honnétes et laborieux qui auraient le plus envie de 
‘ rester étrangers è ces revendications trop souvent inopportunes, sont obligés, comme les autres, 
“de subir l’entraînement général ,. Revwaup, “ L’année financière et commerciale (1882) ,, Paris, 
1883, p. 219. 

(2) Vedi Bernarp, Les conditions du travail et les grèves récentes, in “ Journal des Économistes ,, 


marzo 1884, p. 419. 
Serie II. Tom. XLIV. 2 


10 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS 


al 1844. Il 1879 segnò per l'Unione Americana la definitiva uscita dalla forte depres- 
sione incominciata nel 1873. I fallimenti delle società (uno dei più notevoli e penosi 
coefficienti della crisi) completamente liquidati, un magnifico raccolto di cereali in 
combinazione con scarsissimi prodotti della mietitura in Europa, attivo movimento 
delle correnti commerciali tra i due continenti uno de’ quali inviava grano all’altro 
chiedendo in cambio ferro, acciaio ed altre mercanzie, forte espansione della popo- 
lazione verso l’Ovest e il Nordovest. E la classe operaia a chiedere di partecipare 
in conveniente misura alla prospera fortuna che arrideva ai capitali impiegati nel- 
l'agricoltura, nelle industrie e nei commerci. In tutt'altra situazione erano scoppiati 
gli scioperi del 1877. La vita economica della grande repubblica transatlantica era 
allora colpita di languore. Fiacco il traffico turbato dalla sfrenata concorrenza che 
si facevano le compagnie ferroviarie, torpido tutto l'organismo della produzione. In- 
cominciarono le falcidie nelle mercedi, ed ecco gli operai della linea Baltimora-Ohio 
mettersi in sciopero, e in brevissimo tempo insorgere a difesa dei salari minacciati 
un esercito di quindicimila lavoratori sparsi nel Maryland, nella Pensilvania, nella 
Virginia Occidentale, nell’Ohio, nel New-York, nel New-Jersey, nell’Indiana, nel Mi- 
chigan, nell’Illinese, nel Kentucky, nel Missouri (1). 

Nel secondo gruppo figurano gli scioperi contati dal signor Weeks nel 1880, 
l’anno del decimo censimento. L’acuto Commissario speciale notò che erano accaduti 
per la maggior parte negli Stati ove erano più numerosi i centri minerarii e mani- 
fatturieri; infatti la Pensilvania e il New-York diedero essi soli i due terzi della 
somma complessiva. Furono quasi tutti scioperi di carattere analogo a quelli del 
precedente anno 1879, fatti cioè per render partecipe il lavoro alle prospere condi- 
zioni dell'ambiente economico. 

Il terzo gruppo mette in vista una diminuzione di scioperi nel 1881 (471) e nel 
1882 (454); poi un non forte aumento nel 1883 (478), seguito da nuova discesa nel 
1884 (443). Cresce sensibilmente il numero nel 1885 (645) e giunge al colmo nel 
‘ 1886 (1414) che da solo ha il 36 % del totale. Larga parte ebbero i sodalizi operai 
(Unioni artigiane, società con speciali denominazioni, federazioni, ecc.) nel suscitare 
e organizzare questi scioperi. Nel pregevolissimo Terzo Rapporto del Wright sono 
calcolati ad 82 per cento gli opificii colpiti in quel periodo da scioperi organizzati. 
Riguardo all’indole di queste perturbazioni, basti dire che avvennero durante la lunga 
depressione che ebbe principio nel 1882 e giunse alla massima intensità nel 1886. 
È detto nel volume col quale per l’appunto in quell’anno s’aprì degnamente la serie 
dei Reports annuali dell'Ufficio Federale (ora Dipartimento) del Lavoro che la depres- 
sione aveva seriamente paralizzata la classe salariata e ristretto perciò in più an- 
gusti confini il consumo, sviliti i prezzi, messo in grave imbarazzo parecchie industrie, 
non ridotta però di troppo la massa degli affari (2). Questa natura mista della de- 
pressione americana, analoga in ciò alla francese, è rispecchiata dalla numerosa 
quantità di scioperi avvenuti nei sei anni ch’essa durò, come si vedrà meglio nel- 
l’ultima parte di questa Memoria. 


(1) Vedi Dacus, The Annals of the great strikes, Chicago, 1877, p. 22. 
(2) First Ann. Rep. etc. (Industrial Depressions), p. 73. 


LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI ll 


Nel quarto gruppo emerge il 1890 con 926 scioperi preceduto (poichè mancano 
i dati del 1889) dal 1888 con 672 e dal 1887 con 872 e seguìto dal 1891 che ne 
avrebbe avuti soli 133 stando alla fonte di cui mi valgo. L’anno 1890 fu tutt'altro 
che buono per l'economia nazionale dell’Unione Americana. Gli sforzi già bene ini- 
ziati per scuotere il torpore della depressione furono impacciati da una cattiva legge 
monetaria, da una peggiore tariffa doganale e da una violenta crisi di borsa. Nè 
l'abbondante raccolto frumentario del 1891 valse a togliere gli effetti perniciosi di 
tali cause combinate, pur avendo in qualche modo giovato alle classi salariate. 

Il signor Weeks nel 1880, mentre ammetteva che nei centri dove sono agglo- 
merate grandi masse d’operai c'è sempre gente la quale “ per motivi sinistri e mer- 
cenari , crea dissensi e si sforza di suscitare scioperi, opinava che questi tendessero 
a scemare (1). Le cifre posteriori al 1880 non confermano la previsione, anzi mo- 
strano che gli operai americani, non meno dei loro confratelli di Francia e d’Inghil- 
terra ricorrono, all’occorrenza, volentieri agli scioperi e sanno organizzarli con molta 
abilità. 

In quanto agli scioperi del Massachusetts, solo riguardo al terzo gruppo di essi 
abbiamo la cifra massima che è quella del 1886 e la minima che è quella del 1881. 

I gruppi italianî ci dànno rispettivamente il maggior numero di scioperi negli 
anni 1873 (103) e 1890 (139). La quantità annua degli scioperi va crescendo dal 
1870 al 1873 poi scema via via sino al 1880 (27); nel seguente anno ripiglia l’au- 
mento che tocca il punto più elevato nel 1890. Nel 1891 vi fu una lieve diminu- 
zione. Le cifre minime sono quelle degli anni 1870 (25), 1871 (26) e 1880 (27). 

I due anni delle cifre massime non ebbero pari indole economica. Il 1873 fu 
anno di eccessiva speculazione seguìta da crisi; il 1890 appartiene al periodo di 
depressione cominciato nel 1887. Dei tre anni delle cifre minime il 1870 e il 1871 
furono anni di attività; il 1880 fu anno di lenta ripresa dopo il periodo di reazione 
contro l’esagerato moto ch'era riescito alla crisi. 

Riassumendo, le più grosse cifre degli scioperi occorrono in sei anni di attività: 
1824 (Inghilterra), 1873 (Inghilterra e Italia), 1879 e 1880 (Stati Uniti), 1889 (In- 
ghilterra e Francia) 1890 (Inghilterra e Francia); e in sei anni di depressione : 1866 
(Inghilterra), 1877 (Stati Uniti), 1878 (Inghilterra), 1883 e 1886 (Stati Uniti), 1887 
(Inghilterra), ai quali bisogna aggiungere il 1890 che fu anno di depressione e di 
molti scioperi negli Stati Uniti e in Italia. Appartengono ad anni di attività le scarse 
cifre del 1853 e 1872-73 (Francia), del 1888 (Inghilterra) e 1891 (Stati Uniti); ad 
anni di depressione quelle, scarse anch'esse, del 1877 e 1884 (Inghilterra). 

La notevole frequenza di scioperi anche in anni di fiacchezza industriale e com- 
merciale mostra come non s’apponesse in tutto al vero il Guyot quando scriveva che 
il numero degli scioperi aumenta quando la produzione cresce; durante la crisi di- 
minuisce; passata la crisi, gli scioperi ricominciano (2). Non in tutto, dico, perchè 
qualcosa di simile può scorgersi, almeno come tendenza, nel movimento degli scio- 


(1) A p. 1 del Rep. on Strikes ete. nel Rep. on the statist. cit. 
(2) Guror, “ La Science économique ,, Paris, 1881, p. 294. 
(3) Rep. on the Strikes etc. of 1888, p. 16. 


12 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS 


peri inglesi. Tuttavia l’alta cifra di cotesti scioperi nel 1878, come s'è già notato, 
anno tutt'altro che attivo, vieta di ammettere in senso assoluto che la quantità degli 
scioperi cresca quando il moto dell’operosità economica proceda rapido, scemi quando 
rallenti. Posteriormente al 1875, serive il Burnett, le industrie della nazione hanno 
attraversato due periodi d’intensa depressione economica durante la quale gli scio- 
peri sono stati ampii, prolungati e frequenti (3). Il Crouzel esaminando le cifre da 
lui raccolte, osserva invero che tanto i periodi di grande attività industriale, quanto 
quelli in cui questa attività vien meno, e una crisi comincia a farsi sentire sono pre- 
cisamente i più agitati da scioperi. E spiega il fenomeno con queste parole: “ Dans 
les premiers temps de prospérité industrielle les ouvriers élèvent de fréquentes 
réclamations pour bénéficier aussi de la bonne situation des affaires; les patrons 
ne consentant souvent que contraints et forcés à y faire droit, les conflits doivent 
naturellement se multiplier. Lorsqu’au contraire, une crise survient, les patrons 
se voient contraints de revenir sur les concessions faites à leurs ouvriers pendant 
des temps meilleurs et ceux-ci résistent alors avec une énergie qui rend presqu’im- 
possibles les arrangements amiables , (1). Nel già menzionato volume italiano della 
statistica degli scioperi è detto che la frequenza degli scioperi ha fondamento nelle 
mutabili condizioni della produzione e dei commerci, ma è anche acutamente notata 
l'influenza perturbatrice esercitata dall’agitazione socialista su tale frequenza, sicchè 
non sempre questa va illustrata con criteri prettamente economici. 

Dacchè se da questi soli fossero motivati, gli scioperi dovrebbero essere più 
numerosi e importanti nei periodi di prosperità ascendente e sarebbero pure da pre- 
vedersi quando il capitale non fosse in grado di rimunerare nella consueta misura 
il lavoro. Qui, si vede, è corretta la veduta del Guyot. Se non che non è l’agita- 
zione socialistica la sola causa perturbatrice. Ce n'è altre ancora. Così ad esempio, 
gli scioperi detti di simpatia o di solidarietà, quelli che si fanno in Inghilterra e negli 
Stati Uniti per imporre agli industriali operai affiliati alle Trades Unions ed altri 
d'altro genere non causati da ragioni concernenti direttamente e attualmente la distri- 
buzione del prodotto tra gli elementi che concorrono a formarlo non prendono ne- 
cessità dall’incremento o dal Janguore della vita economica, ma dalla coscienza che 
gli operai hanno del principio: vis unita fortior. Ad ogni modo si può, coeteris paribus, 
consentire che “ gli scioperi erompono quando è più rapido il movimento sia di pro- 
gresso sia di discesa , e che “ la stazionarietà nella quale il movimento economico 
si adagia per qualche tempo nella prosperità o nello spostamento offre minor occa- 
sione di scioperi , (2). 

Diamo ora le cifre percentuali degli scioperi secondo le stagioni nelle quali ebbero 
principio. I periodi cui cotesti dati si riferiscono sono, per l'Inghilterra il quadri- 
ennio 1888-91, per la Francia il triennio 1889-91, per gli Stati Uniti il sessennio 
1881-86, per l’Italia i due settenni 1878-91. 


(1) Crouzet, Op. cit., p. 378. 
(2) Statistica degli scioperi in Ital., p. 22 seg. 


PTC, ae «ll rt 


LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 13 


INVERNO PRIMAVERA STATE AUTUNNO TOTALI 
(Dec. Genn. Febbr.) | (Mar. Apr. Magg.) | (Giug. Lugl. Agos.) | (Sett. Ottob. Nov.) 
Inghilterra 22.02 22.56 24.77 30.65 100 
Francia . 18.49 36.75 28.30 16.45 100 
Stati Uniti 16.48 42.36 22.59 18.57 100 
Italian. 15:62 31.16 39.28 17.94 100 


Per l'Inghilterra il quoziente più grosso è quello dell’autunno, che è l’epoca del- 
l’anno nella quale d’ordinario le aziende industriali ricevono le commissioni. Per la 
Francia il fenomeno della maggior frequenza degli scioperi in primavera fu già av- 
vertito dal Turquan che in proposito scrive: “ Il est légitime de supposer que les 
“ grèves ont plutòt tendance è éclater lorsque le travail est dans toute son activité, 
“ que dans les mois de l’année pendant lesquels le travail languit , (1). Gli Stati 
Uniti si trovano nelle medesime condizioni della Francia e probabilmente per le me- 
desime ragioni. In quanto all'Italia la prevalenza della quota estiva è cagionata dagli 
scioperi agrari che naturalmente cadono nella stagione nella quale sono più attivi i 
lavori campestri. 


LI 


Vengo ora a dire degli scioperi concernenti la mercede. 

Le cause degli. scioperi sono molteplici. La statistica inglese del 1891 ne enu- 
mera venti: quella francese del Turquan ne indica trentotto, l’altra dell’ “ Office du 
Travail , ne conta tredici principali; l'americana del 1880 le spartì in sette cate- 
gorie, l’altra del 1887 in diciotto; la statistica italiana le raccoglie in cinque gruppi. 
Ma in tutte le statistiche la classe più numerosa è sempre quella che comprende gli 
scioperi cagionati da contestazioni relative alla mercede. Nell’inchiesta belga del 
1886 un bravo minatore diede la più efficace espressione dei sentimenti che suscita 
negli animi degli operai la preoccupazione della mercede quotidiana dichiarando: “ Je 
“ suis un bon homme et je n’ai jamais fait de mal è personne, mais le jour où ma 
“ femme et mes enfants me demanderaient du pain sans que je puisse leur en donner, 
“ je ne répondrais pas de moi , (2). 

Gli scioperi che avvengono in causa della mercede possono riferirsi alla misura 


(1) Turquan, Op. cit., p. 6. Così è anche in Germania. Vedi Recueil de Rapports sur les conditions 
du travail, ete. Allemagne, p. 99. 
(2) Commiss. du Trav., vol. II, E, p. 76. 


14 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS 


di questa, ovvero al tipo (mercede a tempo, a fattura, ecc.), od anche al modo o al 
tempo del pagamento. Qui prendo in considerazione unicamente gli scioperi concer- 
nenti le variazioni quantitative della mercede. Essi vanno spartiti in due categorie, 
secondo che gli scioperanti hanno in mira d’ottenere l'accrescimento della mercede, 
o d’impedirne la diminuzione. E interessa molto sapere quale esito abbiano sì gli 
uni come gli altri. 

Ecco le cifre inglesi per il periodo 1888-1891 (1): 


dr Scioperi Scioperi Scioperi per l'aumento |Scioperi contro la diminuzione 
REI | in genere | per la mercede della mercede della mercede 

*Fav. NF. Tran. Fav. NF. Tran. 
1888 509 374 320. 175 48 76 DASIZAEZO 3 
1889 1145 813 768 342 76 290 45 1298820, 10 
1890 1028 639 514 ‘208 109 152 831 9480 14 
1891 893 421 917 149 68 74 104. 42 20 (29. 
(*) Fav. = Favorevoli (agli scioperanti); N. 7. = Non favorevoli; Tran. = Finiti con transazione. 


È sconosciuto l’esito di 152 scioperi per l'aumento e di 32 contro la diminuzione. 

Nei Reports del 1890 e del 1891 ci sono dati che informano di quanto le mer- 
cedi di operai ascritti alle Trades Unions crebbero o scemarono sia per effetto degli 
scioperi, sia indipendentemente da essi. Per il 1890 risulta che 182,779 individui ebbero, 
dopo scioperi favorevoli, aumento di mercedi per un complesso di 28,193 lire ster- 
line per settimana, mentre 10,483 individui, dopo scioperi sfavorevoli, subirono ri- 
duzione di mercedi in ragione di 1082 lire sterline settimanali. Ebbero aumento di 
mercede senza ricorrere a scioperi, ma per effetto di trattative pacifiche 225,710 
operai per complessive 28,054 lire sterline la settimana; si assoggettarono in pari 
modo a riduzione dei salari per una somma di 566 lire sterline settimanali 2639 
operai. Nel 1891 scioperi riusciti procuravano a 51,589 operai l'aumento di 6,235 lire 
sterline per settimana; scioperi sfavorevoli fecero perdere 1,477 lire sterline sul sa- 
lario settimanale a 15,223 individui. Gli aumenti settimanali ottenuti senza sciopero 
aumentarono a 11,740 lire sterline per 140,382 operai; le riduzioni avvenute in pari 
modo sommarono a 2,204 lire sterline per 22,337 operai. Sebbene queste notizie ri- 
guardino i soli operai unionisti, pure è da considerare, come avverte il Burnett, che 
esse forniscono indizi che trascendono la cerchia de’ soci delle Unioni Artigiane e 
possono ritenersi, come segni del relativo incremento o decremento delle mercedì, 
ben più importanti che non paia a primo aspetto (2). 


(1) Le cifre frammentarie del periodo 1810-1887 dànno 12 scioperi per causa della mercede, 
senza determinazione di scopo; 40 per l'aumento, de’ quali 10 favorevoli, 13 non favorevoli, 4 finiti 
con una transazione, 13 d’esito sconosciuto; 63 scioperi contro la diminuzione, de’ quali 5 favorevoli, 
81 non favorevoli, 14 finiti con transazione, 14 d’ esito ignoto. In complesso 115 scioperi in causa 
della mercede sopra 194 scioperi segnati per tutto il periodo. 

(2) Report on the Strikes etc. of 1891, p. 34. 


LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 15 


Intanto le cifre riferite nella tabella mostrano, per ogni anno del quadriennio, 
superiore la cifra degli scioperi per l'aumento a quella degli scioperi contro la di- 
minuzione. Ricordiamo che il 1888 e il 1889 furono anni favorevolissimi alle industrie 
britanniche e intenderemo agevolmente come il 54 per cento degli scioperi per l’au- 
mento riescissero favorevoli agli operai nel primo dei due anni e il 44 per cento 
nel secondo. 

La proporzione s’attenua nel 1890, ma risale nel 1891 in cui però troviamo la 
più grossa cifra degli scioperi contro la riduzione avvenuti nei quattro anni. Indizio 
questo della natura economica per così dire mista di bene e di male di quell’anno 
meno prospero del 1890, ma abbastanza buono per suscitare movimenti a scopo di 
mandar su le mercedi in certi rami d’industria nei quali gli effetti della prosperità 
precedente furono avvertiti alquanto più tardi. Infatti nella prima metà del quadri- 
ennio lottarono e vinsero per l'aumento della mercede gli operai delle industrie tes- 
sili, delle miniere, e quelli addetti alle officine metallurgiche e ai cantieri marittimi; 
nell'ultimo anno venne la volta dei mestieri connessi all’edilizia e degli operai che 
lavorano in generi di vestiario. Notisi inoltre come sia scarsa nel 1888 la cifra delle 
transazioni, segno della resistenza degli industriali, mentre ingrossa sensibilmente e 
rapidamente nel 1889, segno di pronta cedevolezza ispirata dalla buona fortuna del 
mercato e dalla forza organica delle Unioni Artigiane. Ancora va notato, come in 
entrambi gli anni pei quali abbiamo i dati sui guadagni e le perdite degli operai 
unionisti, la cifra degli operai i quali si videro aumentata la mercede senza ricor- 
rere a scioperi sia superiore a quella degli operai che ottennero l'aumento per mezzo 
dello sciopero. E anche questo è indizio ed effetto della potente organizzazione delle 
Trades Unions e della parte sempre più efficace che prendono alla tutela degli inte- 
ressi del ceto operaio. 

I dati francesi sugli scioperi per la mercede sono i seguenti (1): 


SS Scioperi Scioperi Scioperi per l'aumento Scioperi contro la diminuzione 
MII | in genere | per la mercede della mercede della mercede 
Tot. Fav. NF. Tran. Tot. Fav. NF. Tran. 
1889 | 321 197 161° 33 94 834 36 12 TOT 
1890 313 208 140. 394 71 33 59 22 25. 12 
1891 267 162 117 40 42 33 45 16 20 st] 


La pubblicazione dell'Ufficio del Lavoro donde coteste cifre sono tratte, nulla ci 
apprende circa l'ammontare dell’accrescimento o della riduzione dei salari con o senza 
sciopero. Tuttavia anche qui troviamo più grosse le cifre degli scioperi per l'aumento 


(1) Nel periodo dal 1874 al 1887 su 1080 scioperi classificati secondo le cause, si contarono 
474 scioperi per l'aumento (44 per cento), 267 contro la diminuzione (25 p. c.) ossia il 69 per cento 
di scioperi per la mercede sul totale degli scioperi. Vedi Tureuan, Op. cit., p. 8 seg. 


16 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS 


che quelle degli scioperi contro la riduzione. Ma le cifre degli scioperi non favore- 
voli agli operai sono sempre superiori a quelle degli scioperi favorevoli, a differenza 
di ciò che s'è visto nei dati inglesi, specialmente per quanto concerne gli scioperi 
di miglioramento ossia quelli per l'aumento della mercede. Probabilmente è questo 
un effetto della mancanza d’organizzazione che s'è già avvertita negli scioperi fran- 
cesi. Mentre in Inghilterra l’intervento delle Trades Unions nelle contese tra le 
maestranze e gl’industriali si è venuto svolgendo e determinando da lungo tempo 
con criteri sempre più corretti e indirizzato a scopi strettamente economici, giovan- 
dosi degli ammaestramenti dell’esperienza; in Francia l’azione dei Sindacati operai 
in tali controversie è ancora, si può dire, allo stato di prova e perciò non sicura 
nei metodi, non ferma nei criteri e spesso o non chiesta, o sospettata, o soperchiata 
da quella di agitatori i quali si cacciano tra le parti contendenti non già con lo 
scopo di cooperare a ristabilire tra esse l'accordo, ma con quello di dividerle e ina- 
sprirle più che possano l’una contro l’altra. Vi sono, senza dubbio, delle eccezioni. 
Si contano casi nei quali l'intervento dei Sindacati francesi non è stato turbato o 
impacciato ed ha prodotto buoni effetti. Ma sono ancora scarsissimi, e molto resta 
a fare perchè delle istituzioni di cotesto genere possa dirsi ciò che concordemente 
affermano delle Trades Unions quanti hanno studiato le norme e i risultati della loro 
ingerenza nelle perturbazioni della mano d’opera (1). Come s’andrà rinvigorendo e mi- 
gliorando la costituzione dei Sindacati operai, come più prevarranno in essi i senti- 
menti espressi dai delegati dell'Union des chambres syndacales ouvrières innanzi alla 
Commissione d’inchiesta del 1884 (2), così meglio saranno condotte nell’interesse 
degli operai le ostilità tra essi e gli industriali ogni qualvolta verrà meno il reci- 
proco accordo. 

Kcco ora le cifre degli scioperi americani per la mercede. S'avverta che nel 
prospetto seguente l’unità non è lo sciopero, ma lo stabilimento colpito da sciopero. 
Su questa base fu compilata la statistica compresa e illustrata nel Third Report del 
Commissario federale signor Wright. 


(1) Vedi tra le fonti più notevoli oltre i citati Reports annuali sugli scioperi e le serrate, le 
cinque relazioni annuali (1887-1891) sulle Trades Unions e i Digests della R. Commission of Labour 
nelle parti che concernono gli scioperi e le serrate, 1’ arbitrato e la conciliazione; HoweLt, The 
conflicts of capital and labour, 2* ediz., 1890, p. 128-181; RerwAuD, Les Syndicats professionnels, etc., 
Paris, 1886, p. 88-100. 

(2) “ Quelle a été la première préoccupation de ces associations syndicales? Elles ont de suite, 
“ aussitòt qu’elles se sont senti un peu d’autorité morale, noué des relations avec l’Union des 
“ chambres syndicales des patrons pour débattre amiablement les intérèts du capital et du travail. 
“ Des conférences ont été organisées d’un commun accord entre les deux parties en présence. Dans 
“ ces conférences il a été question des grèves et on a étudié sincèrement des deux còtés les moyens 
“à employer pour les éviter..... On s'est évertué è changer l’antagonisme, qui prévaut si regretta 
“ blement entre les deux facteurs du produit, en solidarité sérieuse, c'est-à-dire en contrat équitable 
© pour les uns et pour les autres ,. In RerwaAUD, Op. cit., p. 97 seg. 


(4 


LE PIU RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 17 


Stabilimenti Stan Scioperi per l’aumento Scioperi contro la diminuzione 
Anni colpiti Fasi dop pae della mercede della mercede 

da sciopero perla mercede (stabilimenti) (stabilimenti) 

Tot. Fav. NF. Tran. Tot. Fav. NF. Tran. 

1881 2,928 1795 1,652 1187 315 150 143. 68. 70 5 
1882 2,105 1743 1,559 914 496 143 190 30 134 26 
1883 2,759 2086 1,784 1310 301 -123 002! 92 217 48 
1884 2,367 1209 802-453) 292‘. 57 407 112 265 830 
1885 2,284 2116 1,668 639 391 38 448 197 204 47 
1886 9,861 2824 2,650 1726 619 285 194 . 94:93 7 


Gli stabilimenti nei quali avvennero scioperi d’ogni genere negli Stati Uniti du- 
rante questi sei anni sommarono a 22,304; quelli colpiti da scioperi per causa di 
aumento o riduzione dei salari o sole o combinate con altre cause furono 13,595. In 
cifre proporzionali ciò forma il 60,95 °/. Eliminando gli stabilimenti in sciopero nei 
quali la questione della misura del salario era combinata con altre questioni e te- 
nendo conto di quelli soltanto in cui unica e sola causa dello sciopero fu la varia- 
zione quantitativa della mercede, si ha la proporzione del 50 per cento. E in questa 
percentuale gli stabilimenti ove si scioperò per l’aumento (42.32) figurano con una 
cifra assai superiore a quella degli stabilimenti ove si scioperò contro la diminu- 
zione della paga (7.77). Nel sessennio gli scioperanti per aumento della mercede che 
riescirono nell’intento furono 168,761. Le mercedì da essi perdute durante gli scioperi 
sommarono a Doll. 3,445,478, cioè in media una perdita di Doll. 20.40 per operaio 
durante lo sciopero. Ora, nei casi di scioperi favorevoli, le mercedi salirono in media 
di 27 cents al giorno per individuo; sicchè gli operai favoriti dal successo poterono 
in 76 giorni ricuperare quanto, durante lo sciopero, avevano perso. D'altra parte il 
numero degli operai impegnati in scioperi per aumento finiti con transazione fu nei 
sei anni di 34,047 e la somma delle mercedi perdute durante gli scioperi ascese a 
D. 1,475,673, ossia in media a D. 43.34 per testa. Il guadagno conseguito mercè la 
transazione fu di 12 cents al giorno per operaio, laonde il ricupero del salario perduto 
importò per costoro non meno di 361 giorni di lavoro. Prendendo insieme le due 
categorie di cotesti scioperanti, s'ha un complesso di 202,808 persone le quali subi- 
rono durante gli scioperi la perdita di Doll. 4,921,151 ossia in media Doll. 24.27 per 
testa e guadagnarono per effetto dello sciopero 24 cents e mezzo. Il periodo di ricu- 
pero risulta di 99 giornate di lavoro. 

In Italia sul totale degli scioperi avvenuti dal 1878 al 1891 inclusivo (n° 1075) 
se n’ebbero 676 per causa della mercede e vanno distinti come si vede nel seguente 
prospetto: 


Serre Il. Tom. XLIV. 3 


18 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS 


Tot. Fav. NF. Tran. Tot. Fav. NF. Tran. 
1878* 9 11 7 — 5) 2 4 — 2 2 
1879 32 18 14 4 7 3 4 — 1 3 
1880 27 17 16 4 ti 5) 1 —  — 1 
1881 44 29 25 Pi i ENASET2 4 1 1 2 
1882 47 34 30 Di Ando 4 —_ 4. — 
1883 73 48 42 PARIE22 6 = 1 5) 
1884 81 57 51 91923 6 1 2 3 
1885 89 55 49 To, a feb 6 2 — 3 
1886 96 5 44 oo de a22 13 4 5) 4 
199409 44 37 Leo 7 —_ 1 6) 
1888 101 61 48 Si On 2 13 4 4 5) 
1889 126 73 60 06190238 13 _ 6 L) 
1890 139 95 81 1651/26 334 14 2 7 3 
1891 132 77 dI AL 114) -,28 24 1,15 7 


* 2° sem. 


Le percentuali dànno 51 scioperi per aumento della mercede, 11 per resistere 
alla diminuzione, ragguagliando a 100 il totale degli scioperi. Aggruppando tutti 
questi anni in due periodi, uno di espansione economica sino al 1887, l’altro di sof- 
ferenza dal 1888 al 1891 la statistica italiana conta 54 scioperi per aumento nel 
primo periodo e 48 nel secondo; 10 scioperi contro la diminuzione nel primo periodo, 
13 nel secondo. La lista degli scioperi finiti con transazione è in entrambi i periodi, 
più numerosa delle altre. 

Il numero degli scioperi favorevoli è maggiore nella categoria degli scioperi di 
aumento che non in quelli di diminuzione. Ma tanto nell’una quanto nell’altra cate- 
goria la cifra degli insuccessi supera quella dei successi. Anche qui, come s’è visto 
per la Francia, la causa probabile degli insuccessi è la mancanza di organizzazione. 
“ Non di rado... gli scioperi s'intraprendono per iscopo di agitazione socialista piut- 
tosto che per un intento pratico immediato; anzi talvolta, senza avere prima attuata 
un’organizzazione che abbia da dirigerlo e moderarlo, s’iniziano scioperi in contra- 
dizione evidente colla realtà della situazione di fatto dell'industria , (1). 


(1) Statistica italiana cit., p. 25. 


LE PIU’ RECENTI INDAGINI STATISTICHE SUGLI SCIOPERI 19 


IV. 


Le cifre testè esposte ed illustrate offrono materia a molte considerazioni sia 
dal punto di vista tecnico come contributi statistici, sia come raffigurazione dei feno- 
meni di perturbazione economica ai quali si riferiscono. 

Il materiale statistico da esse costituito è, certo, prezioso, ma è raccolto con 
procedimenti non uniformi nei quattro paesi, sicchè meno facile riesce d’utilizzarlo 
tutto quanto nel processo comparativo. E per ovviare sin ch'era possibile a questo 
inconveniente s'è tracciato il secondo diagramma con dati percentuali, ragguagliando 
a cento il numero degli scioperi d'ogni singolo periodo. Ancora c’è che il tempo al 
quale appartengono i fenomeni espressi dalle cifre non è uguale pei quattro paesi 
nè identico. Finalmente è da augurare che la pubblicazione di cotesti dati sugli scio- 
peri, dove è cominciata, non s’arresti, ma continui, perchè nelle rivelazioni della 
statistica non ci dev'essere soluzione di continuità ond’essa riesca efficace strumento 
d’indagini scientifiche. 

Intanto, come e quali li abbiamo, questi dati sugli scioperi mettono in chiaro 
parecchie cose: 

1° Che nella frequenza degli scioperi si osserva una certa regolarità con mo- 
vimento ritmico in cui si succedono periodi nei quali avvengono molti scioperi e 
periodi nei quali ne avvengono meno; 

2° Che in questa regolarità ritmica si scorge un moto di leidolza piuttosto 
all'aumento che alla diminuzione se si considerino interi i periodi di tempo per ogni 
paese, e piuttosto alla diminuzione se per ciascun paese si prenda l’ultima sezione di 
cotesto tempo (V. Diagramma 1); 

3° Che tale regolarità è più appariscente negli scioperi cagionati esclusiva- 
mente da motivi economici e dove nella manifestazione e nella condotta degli scioperi 
prevalgono le influenze economiche ; 

4° Che in questo caso la regolarità nel movimento degli scioperi prende ne- 
cessità dalle vicende della vita economica del paese; 

5° Che la massima frequenza degli scioperi si ha nei periodi di grande atti- 
vità e nei periodi di forte depressione, e più in quelli che in questi; 

6° Che così sulla quantità come sulla regolarità degli scioperi influisce non 
poco la organizzazione dei medesimi mercè predeterminazione dei criteri e norme di 
procedimento, come avviene nella Granbrettagna e negli Stati Uniti d'America per 
opera delle Trades Unions; 

7° Che ordinariamente gli scioperi accadono nella stagione dell’anno in cui 
sia per la previsione dei lavori, sia per le attuali esigenze di essi, la posizione della 
mano d'opera è tale da poter esercitare una forte pressione con la sospensione del 
lavoro; 

8° Che il motivo pel quale più scioperi accadono è la mercede. E si sciopera 
più per aumentarla che per resistere alla sua diminuzione (V. Diagramma Il); 


20 SALVATORE COGNETTI DE MARTIIS 


9° Che la maggior parte degli scioperi per la mercede, essendo appunto scio- 
peri di miglioramento, occorre d’ordinario nei periodi di espansione efficace e vigorosa 
della vita economica; 

10° Che nei periodi di languore gli scioperi contro la diminuzione aumentano 
tanto quanto maggiore è la forza di resistenza combinata degli operai ed è più sen- 
sibile la diminuzione del salario; ; 

11° Che gli anni nei quali si ha il massimo numero degli scioperi di miglio- 
ramento hanno il minimo numero di scioperi di resistenza ; 

12° Che l’ esito favorevole degli scioperi concernenti la mercede dipende in 
realtà dalle condizioni di fatto dell’industria, ma può essere agevolato o contrastato 
da circostanze speciali; 

13° Che a parità di circostanze gli scioperi di miglioramento hanno più pro- 
babilità di successo degli scioperi di resistenza; 

14° Che ordinariamente la frequenza degli scioperi di miglioramento e quella 
degli scioperi di resistenza procedono in ragione inversa; 

15° Che le transazioni meglio si concludono dove è più estesa e sistemata 
l’organizzazione degli operai e degli industriali. 


A GG . 9 CN > TR i. > SEE 
È Eecad. Re delle iO 0] Cio “rio XIV 


DIAGRAMMA I 


Movimento degli Scioperi nella Granbrettagna in Francia, negli Stati Uniti e in Italia . 


Anni 
1500 11852 53 54 35 56 57 58 59 60 6I 62 63 64 65 66 67.68 69 70 7I 72 73 74 75 70 TI 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 i 
e SRO SI SEA È o dint i i L PO | 11 : 13 hi + NONE ai | E: anni È è i à i î di NI i LI à HI i i . do 
1400 po 2 E a BR ORI LI N: SA E IO RA SEI REI TI SSD: IR | ircdoio PA deci î I the bei 1400 
1300 fe i dd td. 4 dl _l | i | i i _ 1300 
fGiggeso& dii |: |. dii I Lidl Ì 1200 
GRANBRETTAGNA_  _ __ _ __ ____ 1870-1891 
ERANGLALL ASI i EA 1852 - 1891 
SRAFTI UNITI Sie bi dI LI 1880-1891 
ITALIA deal o AA 1878 - 1891 
ii «335555 1100 
NL. Dove le curve sono interrotte 
IMATITCATTO le cifre 
1000 SI 1000 
900 Ai dii 900 
| 300 deci iii SN 
FCE | O VO I CO De SI E 700 
Gue | | | |! 600 
nopic | >» 500 
217 IO A 400 
sog | 300 
ME) 200 
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100 Ì 100 
80. 80 
0 A 60 
CO | 40) 
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0 IST i dA Sat | SA i 0 
185253 54 55 56 57 58 59 60 61/62 63 6465 66 67 68 69 70 ZI 72 73 74 75 76 77 18 79/80 g1 82 83 84 85 86 37 88 89 90 91 


| 507 


GRANBRETTAGNA 
SMI SM+ SM+f SM+nf SMtrt SM- SM-f 5M=nf SM-t 
1898 89.90.81, 1858. 99.90 91 1888 89.30 SI (1688 09/20,.91 1888 89 90 91 1388 89 90 31 1888,69 90.91 1888 89 90 91 1888 89 90 91 50% 
i . I Ì I I I ir] Ì L 1 OÙ /o 
15. 
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L, 4 PI ii I DE 
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FRANCIA 
SMI SM+ SM+f SM+nf SM+t SM- SM-f S M-nf° SM-t 
97 18899091 1889.9091 18 89 90 91 18899091 1889 90 9I 1889 90 91 1889 90 91 1889 90 91 18,99 90 91 50% 
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STATI UNITI 
| SMt SM+ SM+f SM+nf' SM4+1 SM- SM-f S M-nf° SM-t 
3g MOL 02 8 6 06,65, 2. IBBI 8298, 56 85\d6 1881,62/43 84.85 dh 181 82 83.06 85 fi 1881 62 83 84 85 N [1981 82 RG BI AG GG | 1081/02,63 Bb BS 86, |-1881/8283.84-85/86164100.83 Bh 86.66 | | 350 
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LL] 0, 
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ITALIA 
| SMt SM+ SM+f SM+nf' SM+t 
1071878 79 80 81 82,93, 84 85 86 87.88,89.90 91. 178,79 8081/82 83 84 85 86 8788.8990 91/78 79 80 8182/83 B4 85.86 87 88/79.90.9 }a 65 i 
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Si oi Iminuzione (-/della mercede SM- Scioperi contro la diminuzione della mrercede 
|ISRRER Ocioperi per l'aumento D. SM-f | favorevoli 
iii 3 ì favorevoli S M-nf non favorevoli 
M+nf ” ’ non favorevoli SM-t finiti con transaxtoni 


DIAGRAMMA II 


Scioperi per l'aumento o contro la diminuzione della mercede 
nella Granbrettagna, in Francia, negli Stati Uniti e in Italia. 


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ALCUNI MANOSCRITTI COPTI 


CHE SI CONSERVANO 


NELLA 


PREFIOPTERCATNAZIONATE" DI TORINO 


MEMORIA 


DI 


FRANCESCO ROSSI 


Approvata nell’Adunanza del 26 Novembre 1893. 


A compiere la pubblicazione dei manoscritti copti della Biblioteca Nazionale di 
Torino, rimane il trattato gnostico Sulle particolari virtà che hanno da Dio gli Spiriti 
celesti, scritto su papiro in dialetto tebano. 

Il gnosticismo, sorto, come è noto, in Oriente quasi nel medesimo tempo del 
Cristianesimo, si faceva a spiegare, per mezzo di un sincretismo delle dottrine filo- 
sofiche religiose dell’Assiria, della Persia e dell'Egitto, i più ardui problemi sulla 
natura di Dio e dell’uomo; ed elevando a scienza principe la magia, prometteva 
all'uomo l’unione colla divinità, e gli additava il modo di divenire immortale come 
Iddio stesso. 

Non è quindi meraviglia, che in una società, la quale aveva perduto la fede 
nelle antiche credenze, ed avida di nuove dottrine, aspirava ad un rinnovamento 
sociale, trovasse questa scienza degli ammiratori. Ed invero nei primi secoli dell’èra 
cristiana fece il gnosticismo numerosi proseliti, che presero diversi nomi, ma tutti 
mettevano capo nell’insegnamento professato da Simone, il mago di Samaria, l’avver- 
sario dei due grandi apostoli San Pietro e San Paolo. Onde il signor Amelineau nel 
suo Saggio sul gnosticismo egiziano lo chiamò giustamente il padre del gnosticismo 
e di tutte le eresie, che infestarono in quei primi secoli la religione di Cristo. 

Ma gli scritti di tutti quelli eresiarchi andarono quasi tutti perduti, ed oggi 
noi conosciamo le loro dottrine per le opere specialmente dei Padri della Chiesa, 
che combatterono strenuamente i loro errori. Da questo generale naufragio scampa- 
rono pure due manoscritti copti, che contengono le principali dottrine di Valentino, il 
più illustre maestro del gnosticismo. 


22 FRANCESCO ROSSI 


Furono questi manoscritti recati dall'Oriente in Europa verso la fine del secolo 
passato, e si conservano oggi a Londra, uno nel Museo britannico, e l'altro nella 
Biblioteca Bodleiana di Oxford. Il primo di questi porta il titolo Pistis Sophia, e fu 
pubblicato nel 1851 dal sig. Petermann con la traduzione latina, che ne aveva fatto 
l’illustre coptologo tedesco dottor Schwartze, rapito da immatura morte alla scienza, 
che già aveva illustrata col Das alte Agypt, lavoro pieno d’erudizione. 

Siccome Tertulliano ricorda, fra gli scritti di Valentino, uno col titolo Sophia, 
così si opina che questa Pistis Sophia del manoscritto copto non sia altro che una 
traduzione del testo greco della Sophia di Valentino, specialmente perchè esso versa 
quasi tutto sulle varie vicende di questa Sapienza, una degli Eoni delle scuole 
gnostiche, la quale ha tanta parte nel sistema di Valentino. Onde ne viene che se 
non a lui, ad uno certamente de’ suoi discepoli devesi attribuire il lavoro. 

Il secondo manoscritto, quello cioè della Biblioteca Bodleiana di Oxford, rimase 
sino quasi a questi giorni inedito, ed ebbe a soffrire dall'umidità del clima, ove fu tras- 
portato, e più ancora dal modo, con cui fu il papiro incollato sul cartone, non piccolo 
danno. Fortunatamente nell'Università di Oxford si conserva la fedele copia che fece 
di questo manoscritto il dotto orientalista Voide, e fu questa che servì all’ illustre 
coptologo francese Amelineau di guida per ricostituire l’originale che egli poscia 
pubblicò nel 1891, col titolo: Le papyrus gnostique Bruce. 

Dall'esame quindi che fece del teste-questo dotto coptologo, risulta comporsi 
questo manoscritto di due distinte parti, la prima delle quali ha per titolo: 
HA WWeLeE Nireuiimeic dmagopaton, il libro delle gnosi dell’Invisitile, e contiene 
i precetti dati da Gesù a’ suoi discepoli per raggiungere il tesoro della Luce, ossia 
il centro del Pleroma, allorchè per la morte l’anima viene separata dal corpo, e per 
vincere gli Eoni con formule e segni gnostici. La seconda, che porta il titolo di 
IMA WWLLE aL TINO IMA toc Rata IeererHapion, i libro della grandezza del 
Verbo, secondo il mistero, spiega l’intera catena di tutte le varie emanazioni che 
costituiscono il pleroma Valentiniano (1). 

Colla pubblicazione quindi del trattato gnostico, che dobbiamo alle sapienti 
ricerche del nostro benemerito Bernardino Drovetti, noi arriechiamo la letteratura 
copta di un terzo documento delle dottrine gnostiche. 

Consta questo manoscritto di ventidue fogli di papiro, scritti solamente nel 
diritto, con una grande figura gnostica nell’ultima pagina. 

Il nostro collega Bernardino Peyron, che primo fece menzione di questo papiro, 
lo intitolò: Delle particolari virtù, che hanno da Dio gli spiriti celesti; titolo che io 
pure ho conservato, sebbene non risponda pienamente al contenuto del nostro testo. 
Questo infatti si compone di una serie d’invocazioni agli angeli, perchè vengano in 
aiuto all’invocante, e tengano lontano da lui gli spiriti malvagi. 

Ma a queste invocazioni precede un foglio portante in testa cinque linee che 
dovevano servire d’ introduzione alle medesime, e di cui ora non si leggono che 
queste parole: | coas ze meroor ilauredoc g10H acmraTtatneTacarA LIMIT 


EREOpmI oTRAOGRL HNOTEPT..... Scrivo dei quattro angeli, che stanno innanzi alla 


(1) V. AmeLineAU, Essai sur le gnosticisme égyptien, pag. 195. Paris, 1887. 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 23 


cortina del padre: tu porteraì una corona di rose.....; prosegue quindi accennando un 
oggetto che deve tenere nella mano, ed un altro nella bocca, ma che, per rottura 
del papiro, non mi è dato precisare. 

A metà di questo foglio vi sono ancora altre quattro linee, la prima delle quali 
reca varie parole abbreviate, e le tre altre sono talmente guaste, che non riuscii a 
decifrarle, e diedi nella mia trascrizione le lettere ancora leggibili. Seguono quindi 
le invocazioni, che tutte portano intercalate delle parole magiche, e ricordano nella 
forma sia quelle che si leggono nella Pistis Sophia, sia quelle del papiro di Oxford. 

Così in quest'ultimo Gesù invoca il padre suo in tale maniera: Ascoltami, padre 
mio, io invoco il tuo nome incorruttibile, che si trova nell’Eone della Luce, azapaxcaza, 
dara GKpatiTà® IWiw ecc., e dopo una serie di questi nomi magici prosegue: 
Ascoltami, padre mio, padre d'ogni paternità, luce infinita, io invoco il tuo nome incor- 
ruttibile, che è nell'Eone della luce (1). 

Nella prima invocazione del nostro papiro leggiamo invece queste parole: 
O grande Unigenito, ascoltami oggi, io grido a te, Padre unico onnipotente, la mente 


LI 


che è nascosta nel padre, il primogenito di tutte le creazioni, e di tutti gli Eoni afda 
amanda... ascoltami oggi, io grido a te che sei in tutti gli Eoni, il primogenito ecc. 
E più sotto in un’altra invocazione è detto: .....nel tuo nome santo, 1aw Sabaot, 
Adonai, Eloim, l’onnipotente oggi io grido a te, saw Sabaot Adonai Eloei Dio unico 
grande che è nell'interno della settima cortina, sedente sul suo trono di gloria pura, 
manda a me Gabriele, l'angelo della Giustizia, che tiene snudata nella mano destra la 
spada, cacci da me tutti gli spiriti impuri, non stiano essi alla mia presenza, ma fug- 
gano tutti d’innanzi al mio volto. Io ti chiamo co tuoi nomi venerati Adonai Eloei, 
Elemasabaktani. 

In queste invocazioni incontrasi anche frequentemente la voce abbreviata 
aImoA/ , che io non dubito di considerarla come l’ abbreviazione del nome Apollo, 


divinità spesso invocata nei testi magici. Infatti in uno dei papiri magici del Museo 
di Berlino, pubblicato dal Parthey, è questa divinità così invocata: O Signore delle 
Muse, Dio, che apporti la vita, vieni a me, scendi tosto sulla terra, Dio santo dalla 
chioma d’ellera! Dalla tua bocca d’ambrosia, canta un inno a Febo! (2). Ma sgrazia- 
tamente parecchie di queste invocazioni sono nel nostro manoscritto interrotte da 
lacune dovute a rottura del papiro, cosicchè oggi poche sono le pagine, alle quali 
non manchi in principio od in fine di esse qualche linea, epperò ho cercato di darne, 
per quanto mi fu possibile, la traduzione letterale. 

Ma prima d’incominciare la pubblicazione di questo testo, debbo ancora segna- 
lare alcune irregolarità, che occorrono in esso, ed in ispecie il frequente scambio 
delle lettere © e &%, a e T, ce 3; così, per esempio, troviamo sberpe, egli faccia, 
invece di mejespe, ed a lato ad oWwf, cosa, la forma gwe, casgpiH) invece di 


tcafdpinà. La sostituzione della 7 alla e ha luogo nel verbo c@TaR, scritto quasi 


(1) V. AmeLInEAU, opera sovracitata, pag. 251. 
(2) V. AmeLIneAU, Op. cit., pag. 317. 


24 FRANCESCO ROSSI 


sempre 7>wTag; ed infine lo scambio delle lettere a e T occorre nelle parole greche 
TOAVTOKPaTwp, duvauig e daiuwv, scritte nel nostro testo MNANAORpaaWp, TFHMaAgLie 


e Teegon. Ed a questa sua singolare ortografia sono da aggiungere le forme ver- 


bali alterate del futuro, scritto etetiime invece di eretuma, e dell’ottativo LIA PET, 
invece di eeapor, che trovasi anche talvolta nel testo della Pistis Sophia, ed altre 
che saranno facilmente rilevate dal lettore. 

Unito a questo papiro ho trovato anche un altro foglio con ventisette linee di 
testo, seguito da alcuni segni o sigilli gnostici. Ma sono queste linee così logore e 
sbiadite, che non mi fu possibile leggerne una sola frase, ed io le riproduco nei 
pochi gruppi che potei leggere, senza tentarne la spiegazione, volendo che nella mia 
pubblicazione fossero riuniti tutti i manoscritti copti, che appartengono alla Biblio- 
teca nazionale di Torino. 

Termino infine il mio lavoro colle varianti che dovevano accompagnare il Salterio, 
che forma la prima parte della mia Memoria. i 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 


TRATTATO GNOSTICO 


SULLE 


PARTICOLARI VIRTÙ CHE HANNO DA DIO GLI SPIRITI CELESTI 


È coai xe meyToor nantedoc QIOH ae 
RaTaneTacCoRA ITIWT ER(DOpi 
itorkÀose MOTEPT Epeor K..aToc 
ILOPC ... QITE(R)219 epe 0..astor nr 


A Rot ou PWR 


© A... eta — ear) eeag/ 

WTIEC — 0... POLLITeE . RIN da, WALOM.. 
ti eq MOTENT/ ...9/ Raphoner.. ZH... 
mAerro(m)/ ...A0 iter 


Serie II. Tom. XLIV. 4 


FRANCESCO ROSSI 


Foglio 1. 


(ft napara)Af sssson din(co7.. )TeTai 
+ +. GI NETTE Ua IM... GI Ne 
+ + + Uà THE. TINOG &RAL0NO 
CHNHC , COLEI Epos dLeITooT ei 
WU eEopaî epor IIWT qeqra(T)aàa| 
MMANAOKpaaWdp . TMNOTC eT 
QHIT Q4® MIT. TIUEpearaeice 
MOWNT irar «et EMWII Nine 
abAatt... ata ada. ZuTIW 
Epo! £eH00T EIWU COPaàIr epor 
MEOINN EMI Iiae . MNUJEpireLice 
Mpa martedoc THpov. età 
PETTW’TIL epor NGI Nature 
Aoc THpor Persi MApyx mante doc 
HeeggmoTacce Mal. NGI pwH 
cic tas Tuta. eToU MEsTONOC 
ON OTGENH. Mai tap me n)oT 
0uy i calawe . apibo(H)eta 
epoî. rNioatioce ima tre) Noce 
(se)apertWoT ehoA ae(arot) 


(mazaze THpov art... 


Foglio 2. 


(27. SIT O)TGENH . sacap(eritw) 


(T eBoà e)mago on ov Rag 


W XIHA TEOMXN NEGO® TH 


POT ETTASPHT. Opacpani 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 


Teorie mersar. rabpiaà 


TMEeTRH EGO. apmanà 


METAILA\POTIE., OTpiHA me 


erxîi neRdoee,. tr pad . 


meoixii ThoHetra . AaRENTAHÀ 


MEGINM NECIOT. ACENTAHÀ 


meorxer MpH. HpatpaHnà 


TMEOINIT IEOOOT. sEPewHA 


NeOIXN MERPHRTHPION . 
HpiH meorzii iereaeooT 


panorH) mneerasi nera proce 

apaHà meerzar Hex (Mon 
(AR)pand rneorsi ca dMac)ca 
LIRA. neoszi NE(eeWoT) N9woT 


.. aborHi . neo medm...uH., 


20°. AGIHÀ. TEO MATA... 


i e 0 al e TIC(OINL®) IL. i 


Foglio 3. 


- 0... OATPOTHÀ . Meossi ner 


No(se .. aapacazani. meorsn 


mmeb(p)rmxe . 1AOHÀ . neosan 


TOnNoc tiee., cabaHd . rneorzae 


MIETMA MOT]. da aQ(a}kA 


meerzar INICGOTH FENIOT Q0Nn 
nerjes chod . anoà/ SERAC 
ETETILTECI Mai . NTETITAGE 
PATTHITH NELLA! . TETN 


norx ehoà greH(ae): ago qemmtià 


rog HahagabTon n QLAPETÀ 


FRANCESCO ROSSI 


MAX Wpi edod pren «erraso 
THpov sENNETZOOC XE e 
TON IEUWNOTTE . aLA PET 
CTOT NCENWT £TMALLTO 


ebhoA THpor . QI MPa e21110©@ 
LEN TIUFAPE QL1 ITEITIA ETOT 
aab. addii. AUTO 


atroce auroc. RTpioc ca(baw)e 


+ » Hpoc 00Tpaloc RH ERp. THC dà 


-L...09 (TIM FE00T ia R(T)tpe0o7 


Foglio 4. 


(ue) RoatIOC THpoT. law Titte 
o(oT N)ak migagkioc cabawe . 
IUOP(M) strie seu mrag . Tute 
0OT Ia. a amar. edoei mia 
AMQRPATWP . MUJOpm emere 
PoThIN cer mecepae@ut. TI 
Teoor ian ssapeurapavwe . 
METUJoONT saeH martedoc 

gui mapyHattedoc . TIrte 
i erre, 
NETOAOH IMIRLNTALYTE 
ttereperaza . Titpeoor tar 
epanar. menraqombe sen 

Rag orar TINOTIN. èAcau (TIE) 
Noe NoTRAstAapa. TIpeoor 
MAR LAMA X We. MENTA 


cas(i) cite Ire sent mRao 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA RIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 


a<Taxpo FEMIRENTA TE me 
Teperara . orsi MIbT(O)OT tte 
(MAA ROC. TICFEOOT (Mar ae)n 


. .. pawder. MenTaser 0... . 


Foglio 5. 


NT... CHE NTACHTE Agneya Nos 


cia(T) MApcHToT. TITFeooT Nar 


GaprRaree . MAI NTAxI ALNENPo 


CONO NUA®KpiHd . TIEFeooT itak 


_— ——-— —_— _— 


NaTpiHd . MeRonoaroce itpatpaHrà 
TH"Yeoor ne TIT. TIWYeoor INak 


MRA9 Titeoor nak mpH. TITTEOOT 


Mak Hoo TYeoov man cahawe 


RAM MECIOV THPOT . TH"eooy mafk 


AparRToc. Tilfeoor ian aw 


(a)orRpaaWp CONTO EpoOI. ALLoOT 


Uja por Hahagoc TAqpiaà. WC 


DE HARCWT® Epor eemtoor eThe 


TEICEPPaRIC NTE AAONaAI. II 
seit miaeitTa<yre ATPHAARTH 
PION ETOIT TAGIN NOTA . 
ETPEREI Uapor ererroroe ie 
(U)wwne mas aermpocTaTHE . Me 
(RO)Itoss0c . Nborrera integoor 
(TH)por dENAWII . 

. + + DTS ehod dRmita mi(agno) 


MHA(poc) 


29 


FRANCESCO ROSSI) 


Foglio 6. 


SI(NARAGA)PTON eITE 900TT 

EITE cole eITE MOTPa(H)1or 

EITE MAIIRA9 EITE NMamaHp 
NETENGTILTOLL CADEPATOT aemMage 

TO ehoA ovTe dEImeaeTO ehoà 
ITTERIOG NGOse MIOTTE. SaqeH(M) © 
Tieoor nar. nempoc(w)morn 


NMAAMitàar edoer 7 IMMAnamK 


paawp. owceae NUECWTAE Epor 


AL HEIDOOOT NUTENOOT Mai N 


cagqpind. narreNdoc NTAI 
RasocHuH. nb upapor erbe Ter 
CEpparie. Te nHiWe NIanaWk 


PàaAaWp eee HTAaGctx NotTHaeg. NC 


SIC 


A9EpaTR CA OTMALL Q201 ndo 
HOla Epos. coovtIi ehod ner 
coTe exit MapyxHmAaceca en 
MEWYTHMAqLIC THPOT. qeli Me 
(T)leasoitioni NARA GapTon sort m0 


(IP)OI. OTWITRO (T)ER(SI=2)]Epor ee 


(HOOT). tw)orwirag(iar eho%)£eroor 


Foglio 7. 


N(TERATW)AgLIC QeIl MER(E)OOT . ei 
Tà(pRKO) sesso £EITOOT CA piaà: 
mratacabep. bNapa(p)o muyo 


LLUT ALITPOCWITON . €TON TaLH 


DI ALCUNI MANO>CRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 31 


TE ALINIKTOOT NOTH Ac eT 


TWOTN Sa TITÉ QQ nrao 


_ — —_ — _— —T["- 


ea dasewpà . eHcosà. eàalcapa 


TTAprno aesson TApiad . aerei 
YToor Nattedoc eTage 

epaTo7 ex T(e)yToOoT vernà 
À0c. EpePpaTOT TANPHOT ©XII ite 
CITE ROTIMOTH . METOTAAY ET 
TWOTH QAeH TIE . SHPIHÀ . 
epond. bari. <rapanaQi 


ALWTH MEWYTOOT N(0)5 narte doc 


TE TAIE 2150. XERAC ETE 
THMETENOOT MAI NUaAKpirà mat 
Ted OC NTATRAIOCHIMH . IÒI Usa 


p)o: nborwao mai ehoà nrey 
(For) aert Ieeoor. ato) rai tap 


(Mo7)0u dimmarmambgpaao0np. ca 


(awe). serac eheei Wa(por ae110)o7 


++. TTapro qessor (capi) nà 


Foglio 8. 


TEOR) . . Se TPIHA mM... MIDT 
ER(CeLua)poi HNROTOMNMAO epor TAXH 
rapro aeseor cApiaà . LLMMEYTOOT 
NETOS) FRMaeNTA LITE NeTeperaca 

NERCEI UJAPOI NEUE Ieqsai. que 
MEIDOOT IN TEIOTNOT. irhonora 
Epoi ON TERGOLL 420 MEREOOT SI oT 


TAXH Trapro qeseor IWsprrìà Ra 


TA Yonne iovoenti erogata MOT 


32 


FRANCESCO IOSSI 


EOS HT MOHNTOT ALLITATENTALLIE 


—_— 


NaaT. Tar EMecpali ITE ara para paeei 


TIMOG. ITaga LETEMTMaA . MAAQIITAI 


eEXOEI. MMAMAWRpaaWp . ere 
OTOWIIAO EPpor HUTENOOT IAI Muay 
SN 

PIHÀ mMmaruredoc iNTAIRASOCHMNH 
QLITOOT Nej=WWp ehoX caeH dro: eettità 
MIAL INTE WarTamac . NTATTA 
ALIOOT THPOT AEECHAT NOPOOOT NI 
O)TWT. IMX0€IC TIMOTTE MIAMaAWR 

» 
pa)aop ormwitao Mar eboA iTERTH 


M)ALLIC. TENOOT NAS NCApraà ma 


red NTAIRASOC(TIA) . ibi 


(uaporon OVGENH 9a(eLH) c. 


Foglio 9. 


eTh . .... ermerpam eroraab 


ao. c(ab)awe . aaotar edoei 


MMANAMRPpaaWp . dA T0097 eIWU 


EQpar epor. raw cabawe. aabiar 


EÀOEI Muog morte LATAAY eTCA 
QOTN AENCAWY MRATA < NETACLLÀ 
IETQLLOOC QI MEWYeponoce 
NITEOOT ETOTAAt. eRETENOOT 
INPS rapina naturedoc nr 
AIRAIOCHMH. epe TeycHbr 
BHU NTOOTY. ecom Teyore 

sic 
mormmaee nbmora calo) eeor seri 
SEO sic 


Ma Nee MARAaGapTon. Mevya 


agepator ana aeTo eDboN . ad 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DESLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 383 


Na a2A posTIOT oiOH deMmago THpoT 


/ 5 nua A 
aTToÀ) . Friapara)Ni saqsor MITERPAN Ù 


ETTAINT. AAMITAI EÀOEI. eNesca 


CABARTAMI. MEMAYXWYIJT EXN 
sic 


NMUEQLITHTOE MNCECTUUT . Uape 


mTRAg Ioosmey. caba . cabab. caha 


We fa. fade. Ha — DHp Tal TTe 


TERPAN €EGHIT. TIMOTTE ETO 


LL00C€ on METRIOCE ECAEC 


ab. ...... a207 Tarot 
Foglio 10. 
ONoEpoc . TOTWPaA . <... (A)Ra@o(c) 


erarafe. xeboreanme .. agernà 


— —_ —__—_— __ —T— —_ 


TALLA 0 . QLAQLIMÀ . LLàApIHR TWaR 


ETWAR. aAypar. (0A.k . ITET9LLOOC 
oram ieneporbni trraparaMi 
aeqroR ITTATIE ba GOTPIHA ITIMOG 
HIOT daN TEYSTS NOTIAL® TAI 
eTagragTE NITERALITIOTTE 


THPpc . QWCAE NUCWTAL EpO! allo 


AA . METENOOT ehoNomn TIE NAI 
9 


MAOWNAGAGOIA® ETE Teypan 
cAupinà nattedoc ITTIRAI 

OCHMH NI Ua por rieprpe LO LESINI 
epmaparai qesson eThrTY. atto 
xWÀK WreRmiTe ess nApX.H 

mA acqsa del MeejrHmaeeie THpoT 


TOR? WrercHbH exit MapX.Hn 


Nacara qeit eGo THpoT . 
Serie Il. Tom. XLIV. 5 


34 


FRANCESCO ROSSI 


RAGap(ize mar dimerromoe rece 
urha(ee)aea ge - RAGApi7ge Mal 
EnImonII itcentha IRILAGE 
RaGaàpizge nai meet ee 
rrda acqua ge RAGapige (121) 


Aerieaeo (1)T stcentha (Araeaoe) . 


Foglio 11. 


sic 


RAGAPpije Nas asmp(se . MCenT)bagea 
ge. RA@aàpize Hai £IMe(2e NNT) ice 
turba aeqeage. Raeaprze mas dina 
HIP sice NTha qnesage xe IMerer € 
por. arro%/ ato aio xe trapara 
Ni qea20R capirà rame nba 
SOTPIHÀ IMOG NIWT RUOTE 

MAI ATMPOCTATHC. NEROMOLLOC 
N(B)oHBOc . gii 9Wy rise. veome 
rrapara)Ni asqror aitor me 
Mempocoron ita cabawe 


da QNar IMAaNnToKRpaaWp 


NUucwWTA Epoi ex Ujapor erro 
ov eThe Tecpparnio &IMwT 
ETORR NEIpHAARTHPiow ANI Tà 
SIX NOTNALL MXOTTAYTE ne 


RES EGOSZO TEKpH A ARTHpron 


LITIWT . QWC NTECWTLL Epo! 


gu orcenn. TnapanaMi qe(ae08) 


CAYPIHÀ . ATINOG NPpall dCHIWT 
geui meseoor eroraat aet(mer) 


age epator derrecjeaeto ehoà 
a(©)w0(mac. cia. Reac. cabar 


Raaf . RaHcac. eRwe. ... tua 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 35 


Foglio 12. 


para aegeoR TAYpirà (str)arm(e) 
qessiaHà . papanà . aMA(H)A capirà 


TAUpiai . atpirìà. papind. cacaHà 


MeENIHA * ARONINÀ . pini. FUSTTPON 


AROTTAHÀ Mai ETAGEPATOT LITRO 
TE TINIOT NATIHAT Epoy den TEY 
RAGETPÀ . NERE UA por NKporc 
EPor NE9OOT THPor IMAA 
amtoà/. *trapanadi NITENITUTTE.\ 
ISS napyrHantedoc 


TOPOT. deri Padani. ser ba pià 


Apoaseinà , apwb D TADRA. LEGESÒI 


ESPIIIZ HAI ETADE EpaT &eITAR 
TO EDOÀ dEIIWT ETCWTIL eMeT 
ma ehodgu po. TAI TeTage 
QU) JUOTRE EHETHAT ehoNow 
por. gassHn 7 alo also xe È 
MApaRaii eeeeok capirà 
NA RAGO0C LLNHEOOT £LIIMOG 
Wepo(moc) ALniDe xe OTUa 


MAD .... MEUT.... 


Foglio 13. 


ON UJag IA ..T IE ETALOT.. ON 
TOTARLLOC IIHWOT ME ETROTE 

Epoy eET(C)WK 9ATEWYH XEREEI 
Uuapor rai .. ao capirà (xe Fa 


PàRAAI qeqcoR ALIETOOTH 


36 


FRANCESCO ROSSI 
sic 


CONT ETCOR VAPoY. OT9O LLOTI 
OTOO qLALACE. OT9O NAETOC. OTOO I 
posse. xeReei Hapor enoor. anoA/ 
traparadi sea00r dTOOT taYypiHA 
NEIPHAARTHPioN eToàa NETEPHTE 
ALTROT NAT Epe ou HJonujo ITTE TITE 
QU TIRAO . . LT DATETOH. 22€ 

neer Wapor ario /. <trrapara2%i 


LLLLOR RAKpiHd AL mNog cav Ncepa 


pur, Epe COOTHTITAG oi motà ToTàa 
LLLULOOT. cat eTowhe ae(me)r90 
cnar erowhe mevepate . ETOHA 
ehoNoti CHAT OTA ÎICAOTÀ 2282007 
etWye ehoi emezw qeqsoc e 
gaATToC gatroc gatroe na. 


cabamw(e .. AFpoc ovpaltoe .. 


MH e CORNA 


Foglio 14. 


Que mereoor erotaat. xee(Re)ei wapoî 


arto / Trrapana)i arqsor taegpiaà 


—___- _ ——- 


Mar TpaNMnMopta . IHCWarà THpWY QeIMIWT 


ox Oppaesinà mos uTaHde ST 
TEIX NOTIALL dTMIWT QLIT TAME erre 
Xe. sere Mapor TEnoor AttoA/ 
triapaÒa)i qessor capirà nr 
AHMALLIC 220222 NOTHÀ cabame 
Trapara)i dieeor caypind irora 


sic 


MOVMALLITIV)T LL TECPPARIC 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 


ETONM ROTMY LIMIT LEN MEI 
PHAARTHPION ETCHO eTREHCTII 


QHT &EHIOT., XEREEI Uapo! 
AÎmoor oi ovcenHn, anoà/ tra 
o' 


n 


PaRaNi qeqsok tasupiHà NnTUop 


meitponzi NTacer ehodont pw 
iInsOT. sem mude inraceI (ehOÀ) 


ON IEeYzeyua aeeemTeQe ,, 
àR aRàagoc Q21 IEOOT ETR(WTE) 
Epo] xeReei Uapor dero(ov aIo%)) 


trraparadi eseror caypi(nA 


CM... TAXA ÙQ°OC < nor... 
Foglio 15. 
QU TREa dic MIorwy epe... LnIWT 


CH9 epoc xeKeei Wapor dinoor ano) / 
trrapara9i eeqsor TAcqpiri aemoroent 
FEMIWT ETO NOTOEM MOT Nor xe 

sic 
Xeporbni seit iecapaspni. sen medì 
IHTE THPOT &LI MROCALOC THPe 
xeReei UHapor denoor atto) 
trrapara)i sescon tagpiad sec 
TOÙH ecoTOU|y nee NOTRXIWN 
Epe HIWT à00΀ dee20€ . seit 
mbÒW Megane ely)o mee mov 
COpr NOTWYWY MRAGAPon aeit 
MenTHora ATmen dos ea p 
RapiTHe eToIsim Tae dIniwT 


xveReei Wyapor denoor ano) 


37 


38 


FRANCESCO ROSSI 


traparaNi qeqcorn taqpirà 
somaro tinbeehe eroate ehoX 
RICSTI TAMe FINIOT. geM MMOG 
maeroc epe iesrema9! mopuy 
ehoNorsi TANE QNT 

ZEREEI Uapor dET0OT amtoà/ 
*tria(pasaNi) drgscorn tay(pinà) 


BR LOR RIECNrONO MOTOEI . . , 


Foglio 16. 


MSERECIPE NOWY mise et... e0)od9N por 
armo)/ <triapara)i areeor taspirà 
ItTNOG ARTTAPoenoc ETTAIHT epe 
TIT QH(M)MoOHTE NGI neujo 

pi LL TATENTALLIE Ra aT REREEI 
Uapor dinoov anoà/ Traparadi ee 
qrOR TApird sinuposet 9007 
Na MOT aaT chagepaty scema 
Tetrise eTERTHCIC THpc. amo; 
*raparaAi seqeor tasypinà 
GNNORLW NTA MOT (1)TY 
equamdacce ianage g0it TEO 

pape iractoro ebodou Teor 
H9DOTP deNt IAIOT ETOIT TEY 

GIS NOTARE. NTAY.... 
Mecpantedoe MONTY cer 


TROCQL0C THpY 2xEREEI Wa 


por amoor. attof/. <trapa 


(1) Era Tao ed il MI fu corretto in TENAO. 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 


RAÙI seceor caupirà srma(T) 
ce iraceI ChOAAI poy TEMIWT 
ACUoITE NOTTHUH aeqeot ... 
NAg . xe(Ree)i Wapoi 21007 
t(naparna%i) arqeor casy(pind) 


SIDE RIC 


Foglio 17. 


imperriH nraci ehodom . ..A dIOT 
+ = p 

exe Arneyunupe orsi? Iectoc 

SERI Wapor semoor amoà/ tra 

paRaii qeqsor TtapiHà erbe rei 


pan etoTaat NTE HIWT , qrapi mal 


_— 


srapera por. babaee piwoT 


baeorpiHA . JAM cahawe aaa 


_— 


MIAMAMRpa a Wp e2A MOTTA 


n = —= ——_— —_——@— 


cabame abaeor. raNaor rar 


—_ —- _— 


cabawe . iar epe aaminà QHTI 


NOHTY QWCAE ITUI UJApor errei 
TONOC esupoori HOHTY ehe 

90 Nice NTAIApaRaii dreeon 
ETBATOT ERETANPO! MO HTOT 
THpoT megooT THpor £&enaw 
MAO . QARLHN iò qapernaoa 
pi7e CORELLI AS que Tua meo 


MaARàagGapTon. €éITe TNa NTE 


QLONION MOOOTT , ENTE TINA 


MTERLONION ILCOTRRE , ESTE 


TIVA MAREAIRH NTE . ... 
este mita NTE MapXx.Hn(Aac) 
LÀ IL... perzazore ape... 


EPA da ERETO LE. ai 


39 


40 


FRANCESCO ROSSI 


Foglio 18. 


aNAa qeap(o7)M0T o(reH dinaoo)THpor 
QRL 1ò eRERA@Ap(izge ee)mer 
TOMOC ermtia ner NA RAGAPTON 
poerc epor ENeeooT THpoT MeEgOOT 
THpoT Aemamnao Ra@apize 

sie 
Mai de regTmonmoc aeTRWTE 
EPor ricetttha aescage eyROTE 
RAGApr7e tai TEMNOTN HNCEN 
Tha aqnqea0e OITITE aLa201 N 
cenTha qnqeade SEMETEI € 


mEcHT epor arto/ <yrapaga 


As sescor taypiHd. Atncaujy n 


MOAA TIWT. CEPHETOÒ 


MabawWeo(T). aupiTo. agciTon 


SEWOAMATTHpr . qa 0a dà dà dà dà dà 


ba eorpiHA TNOG MIOT ba eoTPiHA 


cabawe . AhWOboHA . aeamwp aeate 


MNOTTE MENOTTE ERETENMOOT NàI 
NUagpinà . mautedoc NTAISRAI 
OCHIH. mebeerpe NOW Miee 


etmaparadi asesor eThHATOT 


— — — — — — — 


—— —_—  — 


807 X7 - - + TrrapanaAi aeecor 


CA(UPIAÀ) . .. INOG Mparità . 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA RIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 41 


Foglio 19. 


cabawe. BaeoTpiHA .. -. LANA 
ara pid NE TETHME(TE)MOOT Ital 
neaypiad nautedoc ITTIRAI 
OcHNMH. epe TesycHube BH ecou 
TEYGIS NOTMAgT®. Ed IMETARÀ 
Niger NARAGOpTon. erTe TELLON 
M90OTT EITE TEQLON Icgrase 

erTe enTHp 9Q00TT EITE en 

THP itegrese . amo. AH). i0HA 
SAHÀ . OPpoHÀ . cani. band. ok 


n _ 


eHi caboni SAYpiaà . CApoaHà 


aboeHi casini. cATHi. ovHÀ 


_—__  — — — _— — ——— —_—_ —— 


TALLDHA . Gapored. asse axH TaxaHA 
CApcaHi . capcosswni . cap 


cabaflà . MaoTTAUTE Nate 
Noc eTAGEPATOT EMZOTTAYTE 


sempechaTepoc . hoHer epor 


raggu ragu. SE GIR O 
807 XX m7. TWOTIT 2WAK WreR 
mite exit Map Hmdacera (aert 


NMEWYTH(NMALL)IC THpoT... 


SCRITTA 530 cc 


Serie IL Tom. XLIV. 6 


42 


FRANCESCO ROSSI 


Foglio 20. 


ETTEWYTOOT NeETHA NOCc dE(MMo) TI. 
ethe TesYTO Mare. (e. T.) TWTW 
ga TWOopm(eat)me amoà/. caspinà 
NAUTENOC NTAIRAIOCHNH TORA. 
NTERCHDE OM TERGI® MoTALe 


TWT Neca ITifà Hiae ITOMHPON 


ano) Gan PWHA AH SpoHA 
eabaii ewHi baXx WWW esa 


ApoHd asepn . AporwHA . CAOHÀ 


THA. OTHA o650HX . eapiseiHà 
AXHA aapoabaÙfli. come epor 
martedoc nsowpe. xe “ta 


PàRA%I aeqeWTH ALTMXOEIC TI 


SIC 
ZOTTAYTH Mapy Hartedoc 


= = —TTT —: 


STE TCWega IIa IEXa Wwe 


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DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 43 


Foglio 21. 


ceo CI INUJO) 
aLUpà . . . aseweagzab . . a. Cartoo 
ALLA! . . ALLmeaee, A‘ypwewease 


CAyPpiad aeowilae asvwirae 


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. SF . IOTO , 


44 


FRANCESCO ROSSI 


FRAMMENTO GNOSTICO 


Pre OTHAI JA) LLETERGOLL . .. 

2. 0... TERXAp.a....dA0Mal... 
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DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 45 


TRADUZIONE LETTERALE DEL TESTO COPTO 


Scrivi (1) dei quattro angeli, che stanno innanzi alla cortina del Padre; tu porti 


una corona di rose; sia un..... nella tua mano, sia un..... nella tua bocca 


Foglio 1. — Io invoco te oggi..... o grande Unigenito, ascoltami oggi; io 
grido a te Padre unico onnipotente; la mente che è nascosta nel padre, il primo- 
genito di tutte le creazioni e di tutti gli Eoni abAatt..... amaarda. Ascolta me 
oggi, io grido a te che sei sopra tutti gli Eoni, il primogenito ..... Ascoltino me 
gli angeli tutti e gli arcangeli; a me siano sottomesse tosto le forze tutte fisiche e 


spirituali che sono in questo luogo. Imperocchè questa è la volontà di cafawe: 


vieni in mio aiuto, gli Angeli Santi allontanino da me i nemici miei tutti e 


Foglio 2. — tosto. Allontanino dal mio volto ..... XIHA, che presiede alle 
forze tutte ferme; Opapanhà, che presiede alla salute; cabpirà, che presiede 
alla pietà; apmaHA, che presiede all’udito (2); ovpirA, che presiede alle corone; 


nepanà, che presiede al soccorso (Bongea); aKentaHà, che presiede alle stelle; 
acentaHà, che presiede al sole; Hpabanà, che presiede al giorno; IEpemHA, 
che presiede ai vulcani; Hpind, che presiede alle acque; qpanoTHA, che presiede 
ai frutti; acparà, che presiede alla neve; akpanA, che presiede al mare; 


LAAHR, che presiede alle pioggie; ...abonà, che presiede . . . ...; 


. AI HÀ, che presiede 


Foglio 3. — ..«QATPOTHA,, Chegpresiedeg. ann. dapacazanà, che 


presiede alle fulguri; samnà, che presiede ogni luogo; cabartA, che presiede al 


(1) Il primo segno di questo testo, da me trascritto È, è molto sbiadito e quasi illeggibile 
nel papiro, e potrebbe anche essere una semplice croce, come quella che usasi talvolta porre in 
principio di un testo; epperò in questo caso il nostro manoscritto comincierebbe coll’ imperativo 


COàI, scrivi. 
(2) WwrTer forma contratta di TICWTA®, auditio, auditus; come pure NMETANQ® sta per 


mTeeixae, quindi la traduzione letterale della frase Meoizar WoTae sarebbe: quegli che è 


sopra Vudizione. 


46 FRANCESCO ROSSIì 


bene; amom(a) HA, che presiede alla porta interna del padre e sua uscita atto | ; 


acciocchè veniate a me, e rimaniate con me, e cacciate d’ innanzi al mio volto 
tutti gli spiriti impuri; si allontanino d’innanzi al mio volto tutti, nè dicano: 
ov'è il mio Dio? Tremino e fuggano tutti dalla mia presenza nel nome del Padre 


nnt 


e del Figliuolo e dello Spirito Santo aaaziazzzadàa, santo, santo, santo il Signore 


cabawe. ..... Diamo gloria a te, diamo gloria 


Foglio 4. — a tuoi santi tutti, saw, Diamo gloria a te, santo cahawe, il 


I 


primo del cielo e della terra. Diamo gloria a te dA OMMI, eNoer l’onnipotente, il 


primo dei Cherubini e dei Serafini; diamo gloria a te sLAPasapawe, quegli che è 


__—— — mr=z 


innanzi agli angeli ed agli arcangeli; diamo gloria a te Yascaperaprao, quegli 
che è innanzi ai quattordici firmamenti; diamo gloria a te oparai, quegli che 


sostenne la terra sopra l’abisso, e sospese il cielo a guisa di volta; diamo gloria 


a te scan 0e, quegli che pose le fondamenta del cielo e della terra, e costituì 


i quattordici firmamenti sopra le quattro colonne, diamo gloria a te..... 


Foglio 5. — ..... la spada fra le sue due ginocchia (?)..... Diamo gloria a te 


rl 3 —_ 


GApKRaice, costui che prese la figura di Gabriele; diamo gloria a AATpirà, l’eco- 
nomo dei patpaHà:; diamo gloria a te, cielo; diamo gloria a te, terra; diamo gloria 


a te, sole; diamo gloria a te, luna; diamo gloria a te, cabawe, ed alle stelle tutte; 


nn 


diamo gloria a te, AparTOG; diamo gloria a te, à0; diamo gloria a te, dAMNAI 
does, l’ onnipotente, ascolta me, vieni a me, o buon Taqprà, affinchè tu ascolti 
me oggi per questo sigillo di aabmar padre, e per i quattordici amuleti, che sono 
nella mia mano destra, acciocchè tu venga a me in questo luogo, e sii mio protettore, 


economo ed aiuto nei giorni tutti della mia vita. Siano allontanati gli spiriti tutti 


malvagi 


Foglio 6. — ed impuri, o maschi, o femmine, o del cielo, o della terra, o del- 
l’aria, non possano stare alla mia presenza, nè alla presenza della tua grande 
potenza, o Dio! Amen tre volte. 


Io do gloria a te, forma di aabiar Noci l’onnipotente, acciocchè tu ascolti 
me in questo giorno, e mandi a me TAqpinà, l’angelo della giustizia; venga a me 
per questo sigillo del Padre Onnipotente, che è nella mia mano destra. Stii tu alla 
destra mia, sii mio aiuto; dirigi la tua saetta sopra il primo plasma, e sulle sue 


forze tutte e sopra i suoi demoni impuri e malvagi; mostra la tua mano a me oggi; 


mostra a me oggi 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 47 


Foglio 7. — la tua virtù e la tua gloria. Ti giuro oggi, o TAYPpinà, per 


cabep. dda papo le tre figure che stanno fra le quattro colonne, che reggono il 


= — _ —— nic 


cielo e la terra, os dasowpa, eHcooaà, eadicapa. lo ti giuro, 0 waypitrà, per 
questi quattro angeli, che stanno sopra le quattro colonne, ferme sopra le basi del- 
l’abisso; il santo reggente la parte anteriore del cielo (1). SHp:HA, SponA, Barr. 

Io invoco voi, quattro grandi angeli del capo del Padre, perchè mandiate a me 


casgpinà l'angelo della giustizia. Venga a me, manifesti a me la sua virtù e la 


sua gloria. amo. Imperocchè questa è la volontà dell’Onnipotente cabawe, che 
[e] 


egli venga a me oggi..... To ti giuro, 0 tap, per la 
Foglio 8. — potenza ..... OTPIAA MIO perchè tu venga a me, e ti manifesti a 


me tosto. Io ti giuro, o TAUpirà, per i quattro angoli dei quattordici firmamenti, 
perchè tu venga a me, e sii con me in questo giorno ed in quest'ora; sii il mio 
aiuto nella tua virtù e nella tua gloria con celerità. Io ti giuro, o swrpirà per la 
nube di luce, che sta innanzi al Padre, ove stava nascosto (?) prima che creasse 


_——_— — 


cosa alcuna; questa il cui nome è asaperapaasei il grande, il luogo dello spirito 


di ambra: edoer l’onnipotente; manifesti a me, mandi a me tasqpirà, l'angelo 


della Giustizia oggi, acciocchè disperda d’innanzi a me tutti gli spiriti di Satana, 
che furono creati tutti in due soli giorni (?). Signore, Dio onnipotente, palesami la 


tua virtù, manda a me taspinà l'angelo della giustizia; venga a me tosto, 


amen tre volte. 


Foglio 9. — per virtù del tuo nome santo saw. calawe, anta: eAoer 


l’onnipotente. Oggi grido a te iam. cabane. sanita. eAoei il Dio solo grande 
che è nell'interno della settima cortina, sedente sul suo trono di glorie pure, perchè 
tu mandi a me Gabriele, l'angelo della Giustizia, tenendo sguainata la spada nella 
sua mano destra per cacciare lungi da me gli spiriti tutti impuri. Non possano essi 


stare alla mia presenza, ma fuggano tutti innanzi al mio volto, aTIoA/ 


To ti invoco ne’ tuoi nomi venerati aagm@mar. edoer. eNesacabaRrTaAI . 


Se volge lo sguardo su quelli del cielo (?) essi tremano, la terra si scote caba . 


_—_ 


cabab. cabame. taW 1aAWe ..... questo è il tuo nome occulto, Dio, che siede 


nei luoghi eccelsi eeaecad . .... 


(1) ETTWOTH 0A@H Te potrebbe anche tradursi sorgente prima del cielo. 


48 FRANCESCO ROSSI 


Foglio 10. — ONMOEPor 3 TOTOWPa SEI il buono, equarade. xehorTaIIE 
 DARINÀ TARLA N. SRALLIÀ . LCA PINK .. TOAR ETWAR. AUpaR. Tak, 
che siede sui Cherobini. Io ti invoco pel capo di baeorpia% il grande Padre, e 


per la sua mano destra; questa che tiene tutta la tua divinità, acciocchè tu ascolti 


me 22, e mandi dal cielo a me agwWniaewitae il cui nome è Gabriele l'angelo 
della Cei Venga egli a me, e compia l’opera mia, per cui ti invoco AToà. 
Tendi il tuo arco sopra il primo plasma e tutte: le sue forze; sguaina la tua spada 
contro il primo plasma e tutte le sue forze; purificami questo luogo per sessanta 
decine di migliaia di cubiti; purificami l’ abisso per sessanta decine di migliaia di 
cubiti; purificami l'oriente per sessanta decine di migliaia di cubiti; purificami il set- 


tentrione per sessanta decine di migliaia di cubiti; 


Foglio 11. — purificami il mezzodì per sessanta decine di migliaia di cubiti; 
purificami l'occidente per sessanta decine di migliaia di cubiti; purificami l’aere per 


sessanta decine di migliaia di cubiti; perchè non vengano a me, amoA/ aio aro; 
(e) 
perchè io ti invoco, o Gabriele, pel capo di ha eovpiHA, il grande Padre; tu sii a 


me di duce, di economo, di aiuto in ogni cosa. Io prego, io invoco te forma di taw 


cahawe aammna: l’onnipotente, ascolta me, vieni a me oggi pel sigillo del Padre, 
che è in quest’amuleto, nella mia mano destra, per le ventiquattro lettere che sono 
in questo amuleto del Padre, acciocchè tu mi ascolti tosto. 


To invoco te, o Gabriele, pel grande nome del Padre e per la sua gloria santa 


e per quelli che stanno alla sua presenza aemitac. ciar. Reac, cahar. Kaab. 


RAaHCcac. ERWE è. . 000 


Foglio 12. — To invoco te, o Gabriele, pel capo di sesyx'aHà. paparà. 
3A. capo. capii pri spa an e 
pini. acinA. anorTAHA, questi che stanno attorno al Padre invisibile, ed 
alla sua cattedra, acciocchè tu venga a me, e vegli su me nei giorni tutti della mia 
vita, atoà/. Io invoco Gabriele il settimo arcangelo TOPoT e papa rà e Ba pià 
Apoaseinà . apop THOHA . LESESN EpwIz, questi che stanno alla presenza 
del Padre, ascoltanti le parole, che escono dalla sua bocca; questa pure è la maniera 


di ascoltare le parole che escono dalla mia bocca. amen sette volte. aio aio. 


Perchè io invoco te, o buon Gabriele, per la gloria del grande trono del Padre ..... 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 49 


Foglio 13. — ..... in fiumi di fuoco... che lo circondano, traentisi innanzi a 
Lui (?), acciocchè tu venga a me TAÀ .. aio TAYPinÀ. Imperocchè io invoco te 
per le quattro creazioni che si traggono innanzi a Lui, con volto di leone, con 
volto di toro, con volto d’aquila, con volto d'uomo, acciocchè tu venga a me oggi, 


atmoà/, Io invoco te oggi per questi amuleti che sono ai piedi del Padre; questi 
0' 


che sono in migliaia di migliaia pel cielo e per la terra ..... perchè tu venga a 
me atto”. 
Io invoco te, o Gabriele, per i due grandi Serafini che sono ..... in ciascuno 


d’essi; due che coprono il loro volto, e due i loro piedi, l’uno dei due volando da una 
parte, l’altro volando dall’ altra di essi, gridando: Santo, Santo, Santo il Signore 


CXbAWE' .. .... 


Foglio 14. — dalla tua gloria pura, acciocchè tu venga a me armoà,. To invoco 
te, o Gabriele, col nome di opepa, il corpo intero del padre, ed oppassinà, il 
grande dito che è nella mano destra del Padre, ed il capo di Cristo, acciocchè tu 
venga a me oggi, anioA/. Io invoco te, o Gabriele, per la virtù di Manuele caba@t: 
io invoco te, o Gabriele, per la mano destra del Padre, e pel sigillo, che è nel seno 
del Padre, e per questi amuleti scritti, che sono nel petto del Padre; acciocchè tu 
venga oggi tosto a me, anoA. Io invoco te, o Gabriele, per la prima voce, che è 


uscita dalla bocca del Padre, e per l’alito che usàì dalle sue narici (1), e per la sua..... 


buona, e per la gloria che lo circonda, acciocchè tu venga a me oggi, arto%/. To 
A 


invoco te, o Gabriele, per le quattro colonne ..... 


Foglio 15. — e pel capo d’oro..... acciocchè tu venga a me, oggi, atto). 


Io invoco te, o Gabriele, per la luce del Padre, per cui splendono i Cherubini ed i 
Serafini e quelli tutti che sono nei cieli, e la terra tutta, acciocchè tu venga oggi a me, 


aMo%. Io invoco te, o Gabriele, per la stola bianca al pari di neve, di cui s’ av- 


volge il Padre, e per la sua chioma che è come lana bianca e pura, e per la 
corona (2) di margherite, che è sul capo del padre, acciocchè tu venga a me oggi, 


AITOÀ Io invoco te, o Gabriele, per la pioggia fluente sul capo del Padre, e per 


(1) Considero la forma ea o 2euyaae del nostro testo come una variante di 
ZRELLUJAI 705US. 


(2) La traduzione letterale del gruppo agi ITerttriaca dt rier Adora LLAPRApIiTHC 
sarebbe: e per la collana della corona di margherite. 
Serie Il. Tom. XLIV. 7 


50 FRANCESCO ROSSI 


la grande aquila, che stende le sue ali sulla testa del Padre, acciocchè tu venga a 
me oggi amo”. 


Io invoco, te, o Gabriele, per ..... diflucenttst. 


Foglio 16. — acciocchè tu faccia ogni cosa, che....... della mia bocca 


amoà). To invoco te, o Gabriele, per la grande Vergine venerata, in cui il Padre 


s'occultò per..... prima che creasse alcuna cosa, acciocchè tu venga a me oggi, 


Amor. Io invoco te, o Gabriele, per i tre giorni, in cui il Padre stette, prima 
che mettesse in moto ogni cosa (1), ATTOA/. To invoco te, o Gabriele, per il 
lavacro che il Padre ricevette, formando Adamo e pel fiore che germogliò nella sua 
mano sinistra, ed il calice che è nella sua mano destra, e vi formò i suoi angeli e 
tutto il mondo, acciocchè tu venga a me oggi amoà.. Io invoco te, o Gabriele, per 
lo sputo che uscì dalla bocca del Padre, e divenne una fonte d’acqua di vita, acciocchè 


tu venga a me oggi. Io invoco te, o Gabriele, 


Foglio 17. — per la lacrima, che uscì dall'occhio del Padre a vedere suo figlio 


sulla croce, acciocchè tu venga a me oggi, amoà. Io invoco te, o Gabriele, per 


questi santi nomi del Padre. asapi na(k). gqsaperapor. Babas piwor. 


—_—_ —_PT__—_° —_ —__ —_T —  —— —_& — — — —> 


ba eoTpiHA. ian. cahawe. aaa: l’onnipotente Manuele cabawe abaeor. 


FANALI. IVASdày cahawe questi, in cui è occulto Daniele (?) acciocchè tu venga 
a me in questo luogo, in cui sono, per ogni cosa, per la quale ti ho invocato, e mi 
vi confermi in tutti giorni della mia vita, amen dodici volte. Sia purificato il mio 
corpo da ogni spirito impuro, sia spirito di demone maschio, sia spirito di demone 


femmina, sia spirito ..... sia Spirito 0. non possano stare alla mia presenza; 


Foglio 18. — ma fuggano d’innanzi al mio volto tutti, amen, dodici volte. Puri- 
fichi questo luogo da ogni spirito impuro, vegli me da ogni male in tutti i giorni 
della mia vita; purifichi per me questo luogo che mi circonda per sessanta decine di 
migliaia di cubiti attorno; purifichi per me l’abisso per sessanta decine di migliaia 


di cubiti sopra di me, e sessanta decine di migliaia di cubiti sotto di me, amoà. 


AUpITOM. ALITO”. OEWOAMATTHPI. dà dà dà dà dà dà dà = 

(1) Tradussi col nome vago cosa la voce greca RTHCIC, che secondo i lessici significa acquisto, 
possesso, 0 ciò che si possiede, beni, proprietà, ecc.; epperò la traduzione letterale dell'intera frase: 
AOLLTHOOO® NTA IIWT dat EhaoepaTwy Ara TeyRIee ETERTHCIC. THpc 


sarebbe: per i tre giorni, che il padre passò stante (?) prima che movesse ogni possesso. 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO Sl 


il grande Padre ba eoTpiHA cabane. BoboHA. acani ssate il Dio degli 


Dei (?) acciocchè tu mandi a me Gabriele l’ angelo della Giustizia, acciocchè egli 


faccia tutto ciò per cui ti invoco. Amen. ST € HZ IT 07 TT 7 7 XxX 


Io invoco te, o Gabriele ..... pel grande nome di..... 


diate a me Gabriele l’angelo della Giustizia, che tiene snudata nella sua mano destra 


la spada contro ogni spirito impuro, sia demone maschio, sia demone femmina, sia 


enrHup (1) maschio, sia esrrap femmina. amto)/ eaHà. iGHA. GAHi. oporà. 


candid. bari. coReHi . GAboHA . SAUPpad. cApoaÒà , aboeri . sa- 


QUA. GATHÀ. OTHA. TARCBHA . GAPpored . ameasu, TAXAHA . cap- 


—_ — _— ——.— _— —_Tf ——T[ — 


CATA . capcosroH) . capcabaÒi i ventiquattro angeli, che stanno innanzi ai 


ventiquattro vegliardi (mpecboTepoc). Vieni in mio aiuto a me tosto, tosto 37 € 


HI I 07 T7 07 27 X7 MI. Sorgi, tendi il tuo arco contro il primo plasma e 


le sue forze tutte...... SENIO EEA 


Foglio 20.. — ..... alle quattro colonne dell’abisso contro le loro quattro teste, 
che sostengono il primo cielo, amnoà); Gabriele, l'angelo della Giustizia, tieni sguai- 


nata nella tua mano destra la spada, metti in fuga gli spiriti tutti malvagi, ATToA, 


BAHA OHA 6aHi epori cabali eoHA Ba xoWi esrà apori. 
AYPHA. AporoHA. caoHA . atti, oTHA. ohoHA. capraità.. SXHA 


aapoabartrà, 
Ascoltino me gli angeli potenti; perchè io vi invoco pel Signore, più i venti- 


quattro arcangeli del corpo di saw Iexa, acciocchè mi ascoltiate e mi mandiate 


x0biiae aewiiae, cioè Gabriele l'angelo della Giustizia, venga a me e faccia 


l’opera mia anoA/. Amen tre volte (2). 
(e) 


(1) La voce ENTHp, che trovasi anche scritta EMTAIP fra i nomi magici della Pistis Sophia, 
deve probabilmente designare spiriti o genti, di cui altri erano maschi, altri femmine. 
(2) Il segno, che nella mia trascrizione ho dato per ©, è nell'originale molto sbiadito, e po- 


trebbe anche essere la 1, sormontata dalla lineetta, indizio del numero dieci; e quindi invece di 


Amen, tre volte, sarebbe a leggersi Amen, dieci volte. 


52 FRANCESCO ROSSI 


Foglio 21. 


SIC}. MAGO. 
seupaà . .. agmeazab . . a. Cao 


àaLài .. aLe dale, àupwoeewWeaee 


Tapird aoowise aewnae 


Spi 
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anti WWWLWWWWWW dl 


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TAHAXacqcapiesa 


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DE abpacaz LANA 
OXA 18) bpacag e 
Benioew pacaz xaescwe ae 
A LLIOTO) ——_ i 
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àcaz EHIOT! 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 53 


VARIANTI DEL SALTERIO DAVIDICO 


FRA IL NOSTRO TESTO E QUELLO PUBBLICATO DALL’IDELER (1) 


Pag. 1, lin. 12: 


Pag. 3, lin. 3: 
Pag. 4, lm. 2: 
Pag. 4, lin. 11: 
Pago gin I 


Pag. 6, lin. 13: 


Salmo LXVIII. 


me <errereroo ehof (non come fu scritto ear menaroo ehoA). 
In. Ce eerrenecoo ehoà. 

euyteasitat «tho04. In. euresematenoA. 

atoToo eopui. Ip. aroràgor eopui. 

drnenoporcSHorT. In. aanenoporeSHToT. 

etgWoTi atmeanic. Ip. etoWoTi atitenec NTaAY 

conforme al testo greco toÙg metednuevoug ato. 

mapox Îime merebrair eseagroni areeoc. Ip. maxpox inte 


MERehiaIiR ETCÀRLONI deasoc. 


Salmo LXIX. 


Nel titolo di questo Salmo noi abbiamo: emzowr tinaa eqpeeri. In. enzor 


Pag. 12, lin. 2: 


Pag. 14, lin.10: 
Pag. 14, lin.12: 


NAATIA ETALETI 


corrispondente al greco eig àvduvnow. 


Salmo LXXI. 


èejerogess Îimnprrxi ehoXSen oveeHer. In. ooo eyè- 
mogese MimnpryxH ie monri ecpecot moryox A 
ehoASen oTasHCeI 

RIMIMPHpi dae taTY|. Ip. Noattyeprpi rara TATY. 

ie ppatt ire meqwor. In. Îaxe mipan eooTab ire meywoT. 


Il testo greco dice: tò dvoua tg déEng adtod. 


(1) In queste varianti ho tralasciato di registrare la presenza o l'assenza della particella di 


congiunzione OTO9, molto frequente nei due testi, come pure quelle varianti, che sono segnalate 


dall’IneLer nelle sue note. 


54 


FRANCESCO ROSSI 


Salmo LXXII. 


In testa di questo Salmo il nostro manoscritto pone amessoTIIR Ne imowe Ie 


Pag. 16, lin. 3: 
Pag. 16, lin. 13: 
Pag: 17, (lins9: 


Bag 19082: 
Pag. 20, lin. 3: 


Pag. 20, lin. 8: 


Pag. 22, lin. 11: 


Pag. 23, lin. 1: 


Pag. 23, lin. 8: 


Pag. 24, lin. 5: 


natia IH Mecce, corrispondente al testo greco: 

ézeMirtov oi Uuvor Aquid TOÙ vI0ò 160001, 

ma nel testo dell’IpeLeR manca affatto questo versetto. 
matorroe. Ip. mimapattoaroe. 

acagrasi areemor. Tp. acagsoni areewoT. 

ATcAZI ÎOTALETEPA HOT aycazi oraLe TAI sONe Wa èopHi 
ENGiei. Ip. ATCAZI NOTALETTETOWOT ATCAZI NOTALETTI 
sone ua ÈopHi rsici. 

Testo greco: eXGinoav év movnpia, ddikiav eig TÒ Uyog éXdinoav. 
arrestati magHT. Ip. aroasar emaoH. 

uatue n èSorn emersa cooraf. In. wa Tyers eSorn 
ua nirea esorab. 

eohe ToTraeetTOdOoc (formato dalla particella eeet e dalla voce 
greca dorog corrispondente al doMétng del testo greco). 


Ip. eohe morasetoNoc. 


Salmo LXXVII. 


aTROTOr eteri ecroàs. In. ArRoTOr torri ecroQx. 


Salmo LXXXI. 


(sumpecpepriohi . asavraNasa. Ip. tiupecpitobi ed omette 
ala pra Aaea che trovasi nel testo greco. 

Tare a@mpecsepuobi. Ip. Tara iorpecjepirobi. 

TETENNALLOT LPpHY Îiorar îintiapyi oil Terenmager. 
Ip. Teremmazeon dppu} ipattposei oro9 £bpHY 
Nova! iuapyon rerenmmager conforme al testo greco: 


c 


ug dvApwitoI dTOAVNOKETE, Kai dg eis TÙV ApyxOVTWYV TTITTETE. 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLÌ}OTECA NAZIONALE DI TORINO 55 


Salmo LXXXIV. 


Pag. 27, lin. 1: xe ottAi iter oTeeeoeeHI. Ip. Ormai mese oTELEERELHI 


secondo il testo greco: "ENeog kai daMeera. 


Salmo XCIV. 


Pag. 30, lin. 7: tipse iiposeni. inir iposeni. 
Pag. 30, lin. ult.: earmorcoren mageemit. Ip. aerorcoren Ha geWiT 


conforme al testo greco: Tùg Odovg uou. 


Salmo XCV. 


Pag. 31, lin. 5: paazaa. In towafd ire sata: 

ddù 1 Aavtò. 
Pag. 32, lin. 6: oTOg doi itoot przen mimort. In. or pot èxen mort. 
Pag. 32, lin. ult.: oToTWHP ehoA ese orseetcatè. In. OtrwnoéhoA tese 


orcase (1). 


Salmo XCVI (2). 


Pag. 36, lin. 3: «emateggcesenmi ite mecgraor. In. eracsceasiti ite mecqraogi; 
il testo greco dice: Ote N YÎ aùtod Kkadiotata. 

Pag. 36, lin. 7: pamtHicoc ero. In. imiricoc eTowy. 

Pag. 39, lin. 2: ese îteor me noce eecoci. In. xe iteor Mac eTgoci: 
oTI où eî Kupiog 6 Uy1otog. 

Pag. 39, lin.10: mH eoorad. Ip. ni coorad imay: 
TÙV Ociwyv aùtod. 

Pag. 39, lin. 12: sreitosios cermpecjepmofi. Ip. irertosios tire mipecsepitobi: 


ÉK yEIpòg GuapTw\wv. 


(1) Nel nostro testo fu per isbaglio scritto sic sopra il nome OTOTWITO. 


(2) Il numero di questo salmo fu nel nostro testo scritto due linee innanzi ed indicato col 


gruppo Jo invece di oe. 


56 FRANCESCO ROSSI 


Salmo XCVII (1). 


Pag. 42, lin. ult.: seae miu etigon fiSHTe. Ip. ese otoN miberr etyon NSATC 
il testo greco dice: kai oi katoikodvteEg AùTHiV. 
Pag. 43, lin. 3: mitwoT ereeeAHA. Ip, ntwWoTr ertoeA HA aarmeecoo &erige : 


tà Opn dvaliaoovta. 


Salmo XCVIII, 


Pag. 46, lin. 9: OTWWT OIZEN IEYTWOT eeotrat. In. oTWWT LITEYTWOT 


Salmo XCIX. 


Pag. 46, lin. 13: mijraAgeoc ite natia. In. mnypaAaroc eroromo ho 


conforme al testo greco: waluòg eig EZouoAoynow. 


Salmo C. 


Pag. 50, lin. 12: measoui Sen oTaEwIT. Ip. DH COLOMJI SI OTILWIT. 


Pag. 52, lin. 1: ebari @noc mesutorti. In. ehari ance: 


ék molewsg Kupiou. 


Salmo CI (2). 


Pag. 54, lin. 2: auyzxoTrUuT exe mMpoceTXH. In. xe azorut èxen 
npocerX A. 

Pag. 54, lin. 8: mA acc erormageace. In. md aoc erortmtaconTy : 
Naòs © KkTiZOuevos. 

Pag. 54, lin. 11: èhoXgSen moaici èoorab iTaY. Ip. èhoXSem reygiei 
èoeorap tima. 


Pag. 58, lin. 2: quacworTten ie norxpox. In. cemacworten îise Morapox. 


(1) In questo salmo a pag. 41 lin. 3% fu scritto per isbaglio tmieemoce invece di Nineetmoc, 
(2) Alla pag. 58 lin. 1 correggasi EOPERUJEITOHT in EOPERIMENOHT. 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 57 


Salmo CH (1). 


Pag. 59, lin. 4: «pH erecot etmemi ehoAsgen nTaRo. In. pHerewk cerrer 
Wus éhoi Sert NTARO: 
Ttòv Autpovpuevov ék PBopag THiv Zuiv dov. 

Pag. 60, lin. 12: oTog quiaekgbom ast. Ip. omRE Tinteegaabon ast, 


Pag. 62, lin. 2: acgujenpHnt ite noe. In. mapa aquenon ine nec. 


Pag. 63, lin. 7: tusapr finH erapeo. Ip. iurnpi nuerapeo. 


Salmo CIII (2). 


Pag. 66, lin. 11: ape micaTteogi erecat. Ip. Cpenicatyi XH Qeeat. 
Pag. 68, lin. 3: cemaroTtoT èmraoi. Ip. cenarotor ÈIMOTRAOI: 


eiG TÒV XOÙv aUTÙV ETIOTPÉYOVO. 


Salmo. CIV (3). 


Pag. 71, lin. 11: sese abpaase rmeyfwr teas ecc. Ip, tease afpaagee mess ecc. 
Pag. 72, lin. 5: €oritoo Îipoy. I. otto Îipwwy. 
Pag. 72, lin. 8: Sen mautrory]om, Ip. ènesmroryon, 
Pag. 77, lin. 8: ano iorasorItomoT erad ape. I. ayXxo imor 
ILOTHOWOT ÎoraA eee: 
"EBeto tàg Bpoyàs aùtòv xhiaZav. 
Pag. 77, lin. 13: mese mob; tinente ooo iui Îime moreowy. Ip. iese 
oTbhw iRemte oTo9 Www mbe ire moTEeOowW: 
Koi TÙg CuKkdg aùTtòèv, Kai cuveTtpiye Toiv ZUdov Opiov aùTtùv. 
Pag. 78, lin. 7: asforwee miticarao THpor Îime morraoi. In. aqgorwee 


Mimicareo THpoy INTE IMOTRAOI. 


(1) Alla pag. 61 lin. 10 leggasi OTHOT invece di oThHOT. 
(2) Alla pag. 65 lin. 1 leggasi (HSapa)sworTe invece di (Nioapa)cworte. 
(8) Alla pag. 75 lin. 1 leggasi TH|p< invece di TITp, alla pag. 78 lin. 7 Nicea O invece 
di wireeeag; ed alla pag. 79, lin. 7: acì €QpHI invece di acì eouI. 
Serie II. Tom. XLIV. 


00 


58 FRANCESCO ROSSI 


Pag. 78, lin. 12: etSex NOTHAOS!. Ip. eTSen Xu: 
ÈK Tfg Yfjg AÙTDòY. 


Pag. 80, lin. 9: Sem gatierattaosemor., In. epamesattaoremer. 


Salmo CV. 


Pag. 33, Im. 1: Oraewor ayowbe topi éxen ecc. Ip. Orawor acowhe 
eXeN CCC. 

Pag. 84, lin. 13: acqoeek iaaeatn. Ip. acqorer immaoam. 

Pag. 87, lin. 11: mess epwo$T semorrexpon. In. itese epo$T amoraspos: 
Kai toù KkataBareîv TÒ oTÉépuoa aùTtuv. 

Pag. 88, lin. ult.: xwov ya xWwor near ua éèeo. Ip. swov wa xWor 
ud Èèueo. 

Pag. 89, lin. 8: eamortaRO uniieemoc, Ip. «anrovtarRoO £emteonoc: 
oùk ézw\6Apevoay tà éevn. 

Pag. 89, lin. 12: acyreafio emorobitori. In. artcabo èiorobHori. 

Pag. 89, lin. ult.: aTephoR aerimseovmza tira. Ip. arepfiwr îmorssone iter: 
édovNeucayv Toîg YÀAUTTOÎG aÙTY. 

Pag. 90, lin. 1: Oro9s aquom. TI. Orog par aquoni: 
xoì érevnon. 

Pag. 90, lin. ult.: Sem gasceroy. Ip. Sen mesto”. 

Pag. 91, lin. 11: aTEPoe epwor. Ip. aTepuice èpwor. 

Pag. 93, lin. 5: aQitessoo ini THpoy eTateper ea A oTerIt ae wor. 
Ip. seme aeoo inHerepeyx ara AoTeTÌt ateewoT: 


évavtiov movtwv TÙV aiyua\wTeuodvTwv aùTobg. 


Salmo CVI (1). 


Pag. 96, lin. 2: emanitorgozser. Ip. Sen masunitorgozoes. 
Pag. 96, lin. 8: eeporue èSoru cohari, Ip. eeporwye eSorm èorbari. 


Pag. 97, lin. 9: arttaont Mmucasi ire nec. Ip. atttamir inucazi Te pt. 


(1) Alla pag. 103 lin. 8 invece di oTaca upon leggasi OVALAMUYWIHI. 


a 


ce 


e. 


— oca 


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Pa 


(0{e) 


(0) 


Pag. 


Pag 
Pag 


Pag 
Pag 


Pag 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 59 


-98, lin. 1: ovog quo att. Ip. oTo9 maquorn alt 
.99, lin. 6: avareoni aeeemor Sert paeWit èho INTE noTàIORsetà, 
Ip. agàeeonmi eeeemwor ehoA der paeWiT ite TOTÀIORETà: 
°AvteddBeTo aùtùv éZ Odod dvopiag aùtbd)v. 
102, lin. 6: rese pattaeoit éDhoA tire gartaswor evibi. In. tese orata 
sO I x 
deeoyi Îimte pameewor erìbi: 


kai diezodoug UddTtwYv €IG diwov. 


. 104, lin. 8; nou aos eopii. In. IO aqzsoy eopii, 


.104, lin. 9: agcopaesor. In. aTcoparor: 


ét\dvnoev aùTtoùc. 


Salmo CVII. 


. 105, lin. 12: add Wal Toaaa, In. mnpaNssoc imetowan ie sata: 


Ud waluod Tò david. 
.106, lin. 12: Sem mieertoc, In. Sen panno, 
.108, lin. 4: erppese me. Ip. Èppeeee ne. 


.108, lin. 9: esecort@mn. Ip. esécorten, 


Salmo CVIIEI. 


Pag. 110, lin. 2: agoron itpor. Ip. ayoron èpor. 


. 110, lin. 6: Sem gamdac îinxpoy. In. Sen ordaocc NY po: 
TAwoon dolia. 


Pag. 112, lin. 13: mramgetne, Ip. maamieTrwHe, 


Pag. 113, lin. 6: orae iure pequenogat uom. Ip. oTOg inepegueng HT 


UWOTTI, 


Pag. 113, lin. 12: ereepepaseori. In. erteprparesti, 


Pag. 114, lin. 10: auyGoni ica orpweer Îixof ovoo ionri. Ip. aysori 


ica OTPw”waeLI MOHRI NOS UE 


KaTeEdiwZEY dvOpwTov TÉvVNTA Koi TTWXÒvV. 


Pag. 116, lin. 13: ppt iorsarbr eacpiri, Tp. @pprrt iorSHibi acpiri: 


Wwéel Okiù év TWD Ekk\îvor aùTtà]v. 


60 


Pag. 117, lin. 3: 
Pag. 117, lin. 6: 


Pag. 118, lin. 14: 


Pag. 119*lintb: 
Pag. 120, lin. 13: 


Pag. 121, lin. 2: 
Pag. 121, lin. 6: 


Pag. 124, lin. ult.: 


Pag. 126, lin. ult.: 
Pag. 127, lin. 10: 


Pag. 128, lin. 13: 


Pag. 130, lin. 4: 


FRANCESCO ROSSI 


Salmo CIX. 


Rata TTagie. Ip. Rata TAgIC 
Sem megoor ire mesa. In. Ser mègoor inte MersoONnT: 


c 


év Nuépa dprflg aùTod. 


Salmo CX. 


OrotwITI ehoà iteae ott aemetcate. Ip. Ormno eho% 


mer OTMIUT aeecetcatò. 


Salmo CXII, 


Hrtoryssort itorcaet. In. Orae tinoruyssori torceen. 
ALLO EITHI Naapoit aqersror ema erepoot. In. etfecaror 
eri i Adpon ececasor enmmerepoot: 


eUNdynoe tòv oîkov ’Aapwv. EùNbynoE TOÙg mofouvpévoug ecc. 


Salmo CXV. 


amor ae areebior essay, Tp. aitor ae aroetiò teramo. 
or me etuatminey. In. ovte|ua THAI. 
Salmo CXVII. 


ov Me eTe Tipwaer MNaasy str, Ip. ov me Te posti 


IAA] IHI, 

mac ae me etaytTot. In. ovo9 nec neraytroT. 

Coruna «nce mne eraccaet. In. cora dance 
neTaCGaCT, 

Ape mNreagHi MAye eSOTH NéHTc. Ip. epe nioseni maye- 
wo eSorn iSHTC, 


erecorTOH. Ip. eRecorTEN, 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 61 


Salmo CXVIIE. 


Pag. 132, lin. 9: eemorarogi gi mense, Îp. a*tiovoro°HJ essoyi oi 
MECLwIT: 
Ou... év tTaîgs Odoîg aùtod éropevanoav. 

Pag. 134, lin.ult.: asormIto iutigari ite pwr ho). Ip. atot>Ip ioan 


THpoT Îime por ehoà: 


éENYrena TaVvTA TÀ Kpiuatoa TOÙ OTOUATÒG COU. 


DI 


Pag. 136, lin. eho) cap Ser mermossoc, Ip. eboASert mertmoasoce, 
Pag. 137, lin. 4: seatatgor or mereebit, Ip. asaTANSZor or menaoit: 


èv Ti) 6dò cov Zioov ue. 


D 


Pag. 139, lin. xe Mano t iica merestoNa, In. xe ao dica mer- 
ENTOAH: 
GTI Tàg Evto)dg cou ézeZninoa. | 

Pag. 140, lin.12: see «pai me eraygt moset it. In. Hr erayt stoset ipa, 

Pag. 141, lin. 1: xe mercazi me eraytansor, In. xe mercaxi MeTayTansolr, 

Pag.143, lin. 5: astaceo ÎimacadNaTta èeneceraceoper arcebhTtOTT, Ip. ai 
Taceo ÎmacaNara èasen meRaceTaReOper ascebTOm, 

Pag. 144, lin. 2: Wart@nT eoroito mar eho%. Ip. WartonT NTaoTONI 
marg éhod, 

Pag. 145, lin. 6: «era teoebior. In. aamatoehrò, 

Pag. 146, lin. 10: asepaeedetam eerreritorroc. Ip. asepacedNeram Ses mer- 
IOLLOC, 

Pag. 148, lin.ult.: se merparm paraseosem ne, In. xe mergar noe RESO 
L0EGLLHI Me: 
OTI dikaloouvn TÀ Kpiuatd cou. 

Pag. 151, lin. 4: merewToAH THpor galeseoaeni mne, Ip. xe nerento AH 
THpoT oTILEOQLHI TE: 
macari ai évtoNai dov dindera. 

Pag. 152, lin. 13: meritoseoc eor areeeNeta nai. Ip. mermoscoc or drare- 
NETH AI, 

Pag. 155, lin. 6: onta iîtraàpeg ànercazi. Ip. gra itadpeo ènercazi: 


Omwg dv guiXdzw TOoÙg NOYOvg Gov. 


Pag. 


Pag. 


Pag. 


Pag. 


Pag. 


.155, lin. 
.156, lin. 
-156, ln. 
-156, lin. 
(dbm 


“158, lin: 


.159, lin. 
-160, lin. 


l'oddin: 


162, lin. 


162, lin. 


169, lin. 


170, lin. 


.170, Im. 


72, ini 


173, lin. 
.174, lin. 


175, lin. 


Julie 
d: 
dî 

12: 

dele: 


FRANCESCO ROSSI 


mercazi Mimaybobr, Ip. mercazi Sen TAUDOWSI. 

arerecte eterni rrbert. Ip. aseeecTe aemiT mrben, 

ovorwni me imaeeoit, Ip. oT*èNI me MmaeeoiT, 

areehror. Ip. areebio. 

dermicmopere cahoA innererntoAH. Ip. sermempese ehoAoa 
NERENTOAEH, 

arepoeAmie emercasi. In. arepgeAmie emercazi: 
gig ToÙg Abyoug Gou éTiTICA. 

èhoAga pH etzoruyr èho). Ip. èhoAoa re tasoruyt èho%. 

ETOTOT® ÎMH €eGGI decor ione, Ip. èTOTOv MNHETGI 
dra cor Îizone. 

NCHOT IE Ipi nec. In. mesor me espi dance: 
Kaipòg Toù Too TW Kupiw. 

egoTe mmorò (leggasi mntorò) nese mromaason, Ip. epoTe 
MIMOTO teao NITONA TION, 

aid9i èpatt othe merentoAn. Ip. asdoiépaTt ode mer- 
ENMTOAH. 

OTOO ifeneecoeeHni AL MOTROYT itemwor. Ip. ze nenaceossHi 
LUTRWT iiewor: 
OTI TÀ dikotwuata ov oÙKk éZeliaminoav. 

autor ne aempiri caboA imerasereceoper. Ip. £erupiri 
caboA interscetaseoper: 
ÈK TÙV uopTupiwv cou oùk ézék\iva. 

xe gemroràpeo émercazi, Ip. eohe xe cemoràpeo ermercazi: 
OTI TA \6YId Gov oÙk Equ\dzavto. 

masmoryT saro. Ip. marzorut èhofd SatoH. 

CEXH Lt TeKec00 noe. In. CEXH deITeER 00 anse. 

madac éepeeporo Sex mercasi. Ip. madac eqeeporo 
BEN MERCAXI? 
PAEfzato  YAÒocd uov tà Xbyia cou. 

ROY ica merbor noe xe ecc. In. RWY ica merdwr se ecc. 


Zminoov Tòv dodlbv cou, dTI ecc. 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 63 


Salmo CXIX. 
Pag. 176, lin. 6: Ov ne èrormatHIy naar. Ip. ovne TOvHATHIY Mar, 
Pag. 176, lin. 10: ceggenuyon. In. ceuebuywb. 
Pag. 177, lin. 6: Sem pateeHuy aterà ITAIOI ÎTONPHITHIKOC Neae IH CCC. 


Ip. Sen OTALHU) eLasa ITAIOI ÎOIPHITIROC IE Ieao Me ecc. 


Salmo CXX. 


Pag. 179, lin. 3: mae ne ereperena. In. nice eèeperena: 


Kupiog oKéTtn Gov. 


Salmo CXXI, 


Pag. 180, lin. 5: mad dmabaoaroc, Ip. YTnpocerXA te niamabaoeroc 
ITERATIA: Ud) TOV dvaBagudv. 

Pag. 181, lin. 2: gt cai car. In. gr par èepai 

Pag. 181, lin. 7: eormwito edod appari aenige. In. eroTwIto èho% Lppan 
&AnGe: 10Î ézouoMoynoaodar Ttò dvéuati Kupiou. 

Pag. 181, lin. 12: wywntr tica MNAToIpAnK rAsae nes orereena. In. wu 
ÎICA MATESIPHMH TÀ Has messo oTeTEHITIA, 


Pag. 182, lin. 8: mascagi îtovoipuma, Ip. arcazi NOTEIPAMA, 


Pag. 182, lin. 12: masrot nea ecc. In. asrot tica ece. 


Salmo CXXII. 


Pag. 184, lin. 6: Muyow seni inucacioHnt. Ip. orop mupouy imugacioHt: 
Kai î EzoudévwoIS Toîg UTEPn@AVOIS. 
Salmo OXXII (1). 


Pag. 184, lin. 12: Sen manteporT”WoTHOT ÈopHr èx0tr Ip. Sen rizsisi- 
TOTHWOT XU, 


Pag. 186, lin. 3: èboA9a miepawy. In. ehoASen mpaw. 


(1) All’ultima linea della pag. 185 si corregga T2209C in TXOPXC. 


64 


Pag. 
Pag. 


Pag. 


Pag. 
Pag. 


Pag. 


Pag. 


Pag. 


Pag. 
Pag. 


Pag. 


Pag. 


69 line 222 
189, lin. 9: 
90M 
190; dim.09: 
190, lin. ult.: 
192,hm. 1: 
9 gli 
196, lin.12: 
197, lin. ult.: 
198, lin. 4: 
199, lin! 6: 
199, lin. 12: 


FRANCESCO ROSSì 


Salmo CXXV. 


oro9 metdac Sen oT6eAHA. Ip. ovoo mendace NOTOEXHA. 
dirmiaeotitcWOpere ero pHc. Ip. torasoTIHcC‘WpPeee DI PpHe. 
ETALOUI NATLLOUJI Te eTpiaei. In. eTescoUJi MmataroWJI me 


OTO MATpieei: topevduevor Eropevovto Kai éK\arov. 


Salmo CXXVI. 


ATGIfIcI iepAHor. In. avcisici epA Ho. 

auepupoic ÎiepAHor inse na erapeo. Ip. asepupwic 
epAHor ite pH èrapeo: 
eig udtnv RYPUTvNOEv Ò mu\doTwY. 

Sen Tess ioamaopi, Ip. Sen Tess TE oTEWPI: 


Èv yXeipì duvaToi. 


Salmo CXXVIII. 


dppit itpatteworben ece. In. ppt iorcworfen ecc. 
Usgel yOpToc ecc. 


etoco. În. etweo. 


Salmo CXXIX. 


ze aryalttoerr. In. Akyantoena. 
xe mrxw eboA orèboNorrotr ne, Ip. xe nagwéhoAX 


orehoA orrotR me: Hr Tapà co) è iNacubg étotw. 


ehoASer iorattossia THpor. Ip. ehoASer necjamosera 


THPpoo: ék Taoùv TÙv dvouròv aùTod. 


Salmo CXXX, 


Sen samuut. In. Sem sammeermusni. 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 65 


Salmo CXXXTI, 


Pag. 201, lin. 2: artobo &bY inaroò. In. ayrobo bt ularob: 
nuzato TD Oed ’laxwB. 

Pag. 201, lin. 7: èxenm mxNos. Ip. èxen THEN, 

Pag. 204, lin. 3: mas etmnatcabwor epwor. In. mr àror etiateabbwGor 
èépwor: TaÙTA È didaZw adTovg. 

Pag. 204, lin.ult.: tecyxgaipa Sem orceror. In. TecoHpa Seni ovcason. 

Pag. 205, lin. 5: mH eeorad itrac, In. mteoovraò inrac. 

Pag. 205, lin. 12: seas eietoiotoT origini. In. megzazi eretoiotoT 


NOTUEPT. 


Salmo CXXXIT. 


Pag. 206, lin. 10: pH ex grxen oratopT. In. pHeEettHor orxel OTALOPT: 
tò xatafaîvov ri TWrwVA. 
Pag. 206, lin. 12: «pH eenHor èxem Teo. In. pHeomHor èspHi èxen TeOM. 


Pag. 206, lin.ult.: ppt ictiot. In. a&tpprrt itoriot. 


Salmo CXXXIV. 


Pag. 209, lin. 9: ze amor aseeei. Ip. Artor arseser: 81 éfù érvwxa. 

Pag. 210, lin. 10: aceazeso itorcerebpia. Ip. agoasrio itpatcerebpHa. 

Pag.211, lin.ult.: Zion morpo. In. Criwn morpo. 

Pag. 213, lin. 3: mtort ire ireeitoc. In. iunort THPor ite mreeitoc. 

Pag. 214, lin. 3: morcadara dreewor orco Îrorigerogi. Ip. tovcadaz 
LLLWOT OTOO ÎNOTALOUI. 

Pag. 214, lin. 5: îtmoryerorti itorceeti èhoX.Ser  Torydbwhi. Ip. ovae 


imoryeorti èhoùsen Torubobi. 


Salmo CXXXV. 


Pag. 215, lin. 10: xe ovrXpc me. In. se ovrXxpe. 


Pag. 218, lin. 12: ehoNSsem Toreent. In. ehoASer TeNLLHUT: èK uécov aùtdv. 
Serie II. Tom. XLIV. 9 


66 


Pag. 


Pag. 


Pag. 


Pag. 


Pag. 


Pag. 


222, lin. 


. 223, lin. 
. 224, lin. 


228, lin. 
228, lin. 


.229, lin. 


-.230:.din 
290 
r 283, lin. 


. 235, lin. 13: 


295, lin. 


237, lin. 


237, lin. 


238, lin. 


(1) Alla linea 7 


FRANCESCO ROSS: 


Salmo CXXXVI. 


cpanatia cone repeariac. - In. ipa aaa ie lepeserac: 
TÒ david, ‘lepepiou. 
noce Temazo. Ip. HiWe Temmagwe. 


aryanepiobu inAnse. In. aanepambu; IArs. 


Salmo CXXXVII. 


meygoci inse noce. Ip. Soci me noe: gn dynidg Kupios. 
arcortoH naxrs. Ip. arRcovten TeRaIa: 


éZétervag Yeîpag cu. 


Salmo CXXXVIII. 


unta daccc ire aaa. In. éemsmwreboA eerimpaNaroc ecc. 
Eig TÒ TÉNOg, waruòg TÙ davd. 

aRX0 ÎTeRSIA FIL. Ip. aRyxo timerais Copia èx01. 

xe Lppuy cerrepani. In. Mppry cemegga ri. 

armeom@)d inse marac. Ip. &arreqgo;r ie maràac. 


SN N 
sem ms am coscoct araeor. In. MH rsrerasoc aresok alt. 


Salmo CXXXIX (1). 


MAO QLET pr. Ip. MAO LET nec: °EzeXod ue, Kupie. 

marcobt Noanfore. Ip. ercoht tigambote: 
TOPeTtàoTouTO TONÉuouc. 

da mioreporor. arnpaANesa. In. Sa norcporor: 
UTÒ TÀ Xeian aùUTtwv. dida) puote 


OTPOWEetT Îpeygi îizome seatoTzon Ip. OTPWLL INpeygi 


XONC MAGRLET, 


della pag. 237 invece di ratobt leggasi marcoft. 


FRS ST PE 


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DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 67 


Pag. 238, lin. 11: avg 601 nHi itorspor. alavpradeea. In. avoqiono sui 


Pag. 


Pag. 


Pag. 


Pag. 


Pag. 


Pag. 


239, lin. 


239, lin. 


240, lin. 


240, lin. 


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-248, lin. 
. 243, lin. 
. 243, lin. 


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245, lin. 


. 245, lin. 
.-245, lin. 


246, lin. 


1: 


10: 


13: 


feti 


14: 


NOTGPolr: 
ckavdarov Èé0ev TÒ uor. didya)ua. 

Gicarn T enspwor ire matoo. In. Gicarn nc ercaen 
re mato. 

LL HTTOTE NOTATI . alafraNeca. Ip. seHmoTe iNTOTGICI: 


unmoTe Lywwodow. didya)ua. 


: eggegormcor etéger èxwor. Ip. eyègohcor. Erèoer espHi 


è WOT. 


: Sen morta Nenwpra. In. Ser orTANENWprà : èv TadimWwpiorg. 


Salmo CXL. 


: oTche TA Zpo. Ip. ovche NTe orTazpoO. 


: EQANCANI INTE ovaretttetomor. In. forcazi ITe oTeeET- 


METOWOT: eis A6Youg Tovnpios. 


* ZE et TANpocerxH. Ip. e eTI TAMPoceTYH è 


c 


OTI ÈTI Kai Î Tpogeuyxn uou. 


aTwreR. Ip. aTOReR. 


: MororeesoT ÎtRaos. In. itoveeoT MRAGI. 


: TINpawy eTaTcEReMATE. Ip. Micpauj pH eTaTCELLNATY. 


èwecyugite. Ip. Èrreepupitri: ev dupiBMoTpw aùTod. 


Salmo CXLI. 


: Empoceryx Ho Îime naar eggen mbnb. = Ip. Craft ie 


natia eyya sem mbond YmpocerXH: 


Zuvecewg TÙ Aaud, év TW eivar'aùtòv Èv TÒ oTNdaiW, TpogEvYXn 


: tasoyy. In. Yinaxzowy. 


SEN MAILLOIT (pas èrrareroui orwWTey. Ip. Ser ma geWiT 
par emareeouji OrWTe: ‘Ev 6dò TaUTn N Eropevounv. 

magqreT èhoi IiToTOT Îimazazi Mega IH ETTORI NCWI. 
In. magaretèhoA iimoror imHerooxi NCWI: 


pooai ue ÈKk TÙV KaTadIWKOVTWYV pe. 


68 FRANCESCO ROSSI 


Salmo CXLII. 


Pag. 247, lin. 9: eygoni itcwy ite meswnpi. Ip. eyGoxi mse MequApi: 
OTE aùTÒv O viòg KATEdIÒKEL. 

Pag. 248, lin. 3: ose îmiecgarar xe Îiecagsagi dereracoo. Ip. ze imtecqueai 
atmeraroo: dt 0Ù dixamw@ncetar è vumiév Cov. 

Pag. 249, lin. 10: @kppHt Îorhasi Îtaoarmor ar arapadesa. Ip. Leppa 
NOTRAGI Ia eeLWoT HAR: 


ws Yfj dvudpog cov didyarua. 


Salmo CXLIII. 


Pag. 252, lin. 4: mnjadAesoc code vodiae. In. minfpaANerocc ire Aavra oThe 
Todiae: 1® Aquìd mpòg tòv Foidò. 

« Pag..258, In. dl: ‘pH etepo ema daoc RICA \(2-TAP Ip. ®Heropo Lema daoe 
GIEZWCY. 

Pag. 253, lin. 9: armeni aeppirt iorsHbi. In. wmavenu @pprt iorSHibi. 

Pag. 256, lin. 5: morusepi cercarò s£reewor. Ip. movwjHpi cerarò srarvot: 
ai Buratépeg aùTtòv KexaAX\wTiopévor. 

Pag.256,lin.ult.: equpom ast. Ip. fuori ast. 


Pag. 257, lin. 6: © ovmaty £emupà o). Ip. WwormaTy] mA acc. 


Salmo CXLIV (1). 


Pag. 258, lin. 9: ececasor emernobrmovi. In. emecasor emerobHori. 

Pag. 259, lin. 10: ereoeA HA Sen TeRsccoseHI. —In. ovogo eteepacedetan 
NTERALEGALAT: Kai tf) dixonocim Gov diraNidoovtar. 

Pag. 260, lin. 9: sasaporcesor èpon. In. erècasor èpor. 

Pag. 260, lin. 13: eepororwno imeneceozmpi ho. Ip. eepororowno 
mene tsmpiehoN: T0Ò Yvwpioar tiv duvaoTetAv Gov. 


Pag. 261, lin. 1: mwor irfmuuyyt. In noor irfeeruut. 


(1) Alla linea ultima della pag. 257 invece di LERLFIUNT ,  LUALFNTI leggasi ONTO 
Leger, 


di eni 


i rta A 


DI ALCUNI MANOSCRITTI COPTI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI TORINO 69 


Salmo CXLV (1). 


Pag. 264, lin. 13: ese èxert 1nuynpi. Ip. sese inps. 

Pag. 265, lin. 9: ape TeygoeAmie. Ip. epe TegeAme. 

Pag. 266, lin. 3: esqpi itorgar tifi eTorci areewor ifsorne. In. espi 
ARITOAN IUHETSHOY Îimsote. 


Pag. 267, lin. 4: quaTanoy. Ip. quararo. 


(1°) 


Salmo CXLVI. 


2 


Pag.267, lin.ult.: pui etROT mina, In nerrot el'Anae. 


[°) 


Pag. 268, lin. 8: trre QANCIOT OOO attpas EPWOT. Ip. PA eTtoiani 


LATAUJAI ÎITE FANCIOT OT09 eytpaii épwor. 


[e] 


Pag. 268, lin. 10: ormiyt te Tequos. In. Oruuyt ne nec OTT Te 


Teyzoar: Méras è Kupiog Nuòv kai perdàn N ioyùg aùTod. 


[o] 


Pag.268, lin.ult.: ejoefto ne ipampesgepiodi wa èSpri emgaoi. In. eeoento 
ioampesepiob: ua èSspuHi ÈmRagi: 
Tate dé duaptwioùg éwg Tfg YÎs. 

Pag. 269, lin. 3: Nupopuk ene. Ip. muopnr ga noe. 

Pag. 269, lin. 12: eefesethor. In. erssetdor. 

è 

Pag.269, lin.ult.: pA eTt imspe inuredivwori. Ip. Gyt sivbspe iuu- 
TEBINWOTI HWOT: 
Kai dDIdDOVTI TOÎG KTIVEOLI TPOPMNV AÙTWY. 

Pag. 270, lin. 12: rese ovo niber erepoeArmie ermeupuar. Ip. mese nHerepo 
EAÀTITC EMEpuas: 


kai év mao tToîq éMmiZovor érì tò Èieog aùTod. 


Salmo CXLVII. 


Pag. 271, lin. 1: aAAHAovia. Ip. ANANAROTIa pa Atuteoc res Faryxapiac: 
°AMnXovia ’Ayraiou kai Zayxapiou. 


Pag. 271, lin. 11: ecjeGoni ite meqcazi. In. yGoxi tirse meycazi. 


(1) Alla linea 3 della pag. 266 invece di MIOTOAII, leggasi MOTOAI. 


70 FRANCESCO ROSSI 


Salmo CL. 


sic 


Pag. 275, lin. 4: Casor epoy Sen gattneserese tece vavwopoc. In. Casor 


€EPOY Ben oTRELLRELL INMeQe carntopoc. 


Salmo CLI. 


Pag. 278, lin. 6: aswAi itreqàpe awd ftoryimi èhoAX. Sert menusapi «eric. 
Ip. aswAi ttoryimedoA Sen rmemugiipi «erticA: 


atexe@alica aùtòv Kai fipa dverdog éz vimv ‘Iopanà. 


L'ANTICA 


BIBLIOTECA NOVALICIENSE 


E IL 


FRAMMENTO DI UN CODICE 


DELLE 


OMELIE DI S. CESARIO 


MEMORIA 
del Socio 


CARLO CIPOLLA 


Approvata nell’'Adunanza del 4 Febbraio 1894. 


Chi vorrà narrare la storia della cultura in Piemonte nei secoli più lontani del 
medioevo, dovrà occuparsi prima di tutto dell’abazia di Bobbio, dove S. Colombano 
stabili uno splendido centro di studì, trapiantandovi la fiorente civiltà irlandese. 
Questo avveniva nel secolo VII. Nel X secolo si raccoglievano libri presso agli epi- 
scopî di Vercelli e di Ivrea; colà per opera del vescovo Attone si accresceva una 
biblioteca, le cui lontane origini risalgono forse a molti secoli prima; qui probabil- 
mente si deve al vescovo S. Warmondo (1) se ebbe origine, o almeno sviluppo un’altra 
e importante biblioteca. Anche presso l’episcopio di Torino pare che ci fosse già una 
qualche raccolta di libri nel secolo IX, se badiamo alle citazioni di Padri che rac- 
. colse il vescovo Claudio, nei suoi Commentarî biblici (2). Secondo le costituzioni di 
Olona, 825, pubbliche scuole erano indette in Torino e in Ivrea; alla torinese dove- 


| vano intervenire gli scolari da Ventimiglia, da Albenga, da Vado, da Alba, cioè da 


buona parte dell’ odierno Piemonte meridionale e della Liguria. Non è detto quali 
scolari dovessero recarsi in Ivrea, dove le scuole erano affidate al vescovo (8). 


(1) Sopra due mss. forse del sec. X, che ancora si conservano nella biblioteca Capitolare d’Ivrea, 
e che appartennero a Warmondo, si legge: Sume Dei Genitrivx Warmundi dona fidelis  praesulis 
3 (A. Proressione, Inventario dei mss. della biblioteca Capitolare d'Ivrea, Forlì, 1894, p. 5; altri codici 
. che furono posseduti da Warmondo, sono descritti, ivi, p. 9). 
Ripa (2) Ofr. F. Savio, Antichi vescovi di Torino, Torino, 1858, p. 32; L. Tosti, Storia della Badia di 
Montecassino, 2* ediz., I (Roma, 1888), pp. 396 seg. 
(3) Capitularia regum Francorum, ed. A. Borettvs, 1 (Hannover, 1883), p. 327. Tommaso VALLAURI, 


_ Storia d. Università d. studî del Piemonte, I (Torino, 1845), p. 6, accennando ai luoghi nei quali prin- 


cipalmente fiorì la cultura in Piemonte, ricorda anche le cronache di S. Michele della Chiusa, della 
Novalesa e di Pedona. Quest'ultima fu posteriormente riconosciuta falsa, e non molto antica sembra 
‘anche la prima, edita da G. Avocapro, Storia dell'abbazia di S. Michele della Chiusa, Novara, 1837, 


dA documenti, p. 3 sgg. A. Drespner, Kultur- und Sittengesch. der italien. Geistlichkeit im 10 «. 11 Jh., 


_Breslau, 1890, pp. 285-7, 241, 243, parla di Asti (dove trova un grammatico verso la metà del sec. XI), 
. di Bobbio, di Ivrea, della Novalesa, di Torino. 


72 CARLO CIPOLLA 


Dopo della celebre biblioteca Bobbiense, ma prima forse delle biblioteche epi- 
scopali ora ricordate un altro centro di cultura si costituiva nelle Alpi sopra Susa, 
in luoghi orridi, silvestri, ma importanti perchè danno via alla Savoia. Sopra un 
poggio che sembra staccarsi da’ giganteschi e maestosamente solenni massi alpini, 
Abbone fondò nel 726 un monastero, per consiglio di Walchino o Walcuno, vescovo 
forse di Embrun e di Moriana, e dedicollo a S. Pietro. 

Il prof. Giuseppe de Leva (1), che in un notevolissimo discorso riassunse la storia 
dello svegliarsi della cultura in Italia, segnalò diggià il monastero Novaliciense, per 
la parte ch’esso ebbe in quest'opera di civiltà (2). Per me è bello ricordare il nome del 
mio illustre maestro, per sviluppare, sebbene imperfettamente, un suo pensiero. 

In quel monastero si diede assai per tempo opera agli studi, del che ci ha con- 
servata memoria l'anonimo Cronista del monastero. Pur troppo là dove egli special- 
mente discorre di questo argomento, noi non abbiamo più il testo originale e completo 
della Cronaca, e dobbiamo quindi accontentarci quasi sempre degli estratti pubbli- 
catine dal Duchesne o trascritti dal Baldesano nel sec. XVII. Leggesi tuttavia nel 
testo originale il ricordo dei libri composti (3) da S. Eldrado, nel IX secolo, veduti 
dallo stesso cronista. Ma non ci resta l'originale del brano in cui si narra (4), che 
quando (sul principio del X secolo) i Saraceni irruppero da Frassineto, devastando 
la Provenza, e il territorio di Arles, e si spinsero fino alla Gallia subalpina, i monaci 
fuggirono dal monastero “ et pretiosiora queque Taurinum esportaverunt in templum 
sancti Andreae; et inter cetera delati sunt libri sex mille ,. In altro luogo (5) 
sembra significare che, salvati quei codici dalle ugne dei Saraceni, si perdettero 
poscia per prestito. Egli parla infatti nuovamente della fuga dei monaci e soggiunge: 
“ sicque remansit pars maxima thesauri cum aecclesiastis libris accomodati, nec 
postea recuperati ,. Soggiunge quindi che prestarono il tesoro a Riculfo prevosto 
(torinese), ma dei libri qui espressamente non parla. Guglielmo Baldesano (6), che 
scriveva tra il cadere dal secolo XVI e il principiare del seguente, amplificando le 


(1) Del movimento intellettuale d’Italia nei primi secoli del medioevo, Venezia 1876; nuova ediz. 
presso G. Finzi, Prose letterarie, Torino, 1889, p. 295. 

(2) Posteriormente il Tosti (Della vita di S. Benedetto, Montecassino, 1892, pp. 301-2) discorrendo 
dei principali monasteri benedittini, che si resero benemeriti del sapere, ricorda il Novaliciense. 

(3) Chron., ed. L. Bethmann, I, c. 12 (MGH., Script. VII, p. 81). 

(4) Chron., ed. L. Bethmann, IV, c. 26 (loc. cit., p. 109). 

(5) Chron., IV, c. 30 (loc. cit., p. 110). 

(6) L’ab. Giuseppe Pavesio fu nominato professore di filosofia morale nell'Università di Torino 
addì 1° genn. 1788, e professore effettivo il 1° sett. 1795. Nacque a Montalto presso Chieri nel 1757, 
e morì nell’anno 1800, in ancor verde età (cfr. VaLaurI, Storia dell’Università degli studi, II, 216). 
Or bene in un suo volume dal titolo Miscellanea di storia patria (Bibl. di S. Maestà in Torino) si 
trova al n° 17 una breve nota (di 4 pagine) in cui si accenna a certo ms. comunicatogli “ dal sig” N. N. , 
[alludesi evidentemente ad Eugenio De Levis, di cui parleremo in appresso], il quale riassume ia 
storia della biblioteca Novaliciense “ devastata..... dai Saraceni, di cui furono gli avanzi trasportati 
al monastero di S. Andrea di Torino, dove furono poi preda del fuoco in un incendio sopravve- 
nuto [la fonte di questa notizia è ancora il Chronicon, V. c. 1, che parla di incendio bensì, ma senza 
dire che in tal occasione i codici andassero bruciati]. Pretende però che cinquecento di essi codici 
stati salvati, fossero posti in pegno presso il prevosto di Torino, da cui i padri Gesuiti avessero 
poi modo di ritirarli [Qui si pensi alle parole del Baldesano, il quale compose il suo libro soggior- 
nando presso i Gesuiti di Torino]. Narra ancora in un suo viaggio alla Novalesa, d’aver ivi ancora 
ritrovati alcuni codici ecc. ,. 


L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 73 


parole del Cronista, dice che “ 500 libri... per buona sorte l'abate aveva dati in guardia 
a Riculfo preposito della chiesa di Torino , (1). Filiberto Pingone (2) asserisce che 
“ Riculphus prepositus ecclesiae Taurinensis , ebbe cinquecento libri prima che la 
biblioteca bruciasse in S. Andrea di Torino, e cita la Cronaca. 

A libri dispersi il Cronista accenna più chiaramente là dove parla di antiche 
biografie di abati, e di uomini ragguardevoli, cioè delle vite di Asinario, Waltario, 
Arnolfo, Frodoino, S. Eldrado; e anzi il Cronista parla espressamente di un libro, assai 
importante per la storia dell’ abazia, che certo antistite Pietro, col quale egli aveva 
parlato, ai suoi bei giorni aveva veduto in Verona. Sino a Verona erano adunque 
andati dispersi i libri dell’abazia! Non è difficile il pensare che in queste espressioni 
ci sia un po’ di esagerazione. Dal complesso di quanto staremo per dire risulta che nè 
tutto il tesoro, nè tutte le carte dell'antica abazia andarono in rovina. 

Non è questo il luogo di discutere la storia dell’abazia Novaliciense. Mi accon- 
tento di poche parole intorno ad un argomento assai oscuro, e del quale il Cronista 
parla molto confusamente. Da esso risulta in ogni modo che l’abate Domniverto, ve- 
dendo che il monastero correva pericolo per le incursioni dei Saraceni, lo abbandonò 
e venne a Torino, trovando asilo presso S. Andrea (8). Ciò avvenne al tempo del 
vescovo di Torino Guglielmo, e nei primi anni del X secolo. A_Domniverto successe 
l'abate Belegrimo, che in Torino mutò sede all’abazia. Questa tuttavia non rimase 
lungo tempo nella detta città. Poichè verso la metà di quel secolo stesso, il mar- 
chese Alberto comperò una parte di Breme nella Lomellina, e per essa scelse a suo 
erede S. Pietro. Colà i monaci andarono a stabilirsi (4). A Belegrimo, che fu abate 
per 19 anni, successe Giovanni, che durò soltanto un biennio, e dopo di lui venne 
Gezone (5). 

I documenti confermano sostanzialmente questa narrazione, quantunque anche in 
essi si abbia a lamentare non piccola confusione. Nella lettera dell'abate Belegrimo 
al pontefice, che viene riferita nel Chronicon (6), si dice che il monastero venne fon- 
dato nel luogo appellato Novalicium da un patrizio di nome Abbone, al tempo di 
re Teoderico; disfatto il monastero dai Saraceni, venne restituito da Adelberto 
marchese nel luogo denominato Breme. Questa medesima cosa si asserisce da Bene- 
detto VII (7) nella bolla, febbraio 1014, all'abate Gotefrido (successore di Gezone), 
della cui autenticità messa in dubbio senza sufficienti motivi dal Bethmann dovrò 


(1) Historia della occidentale Italia, fasc. 36, fol. 2, ms. nell'Archivio di Stato di Torino. 

(2) Augusta Taurinorum, Taurini, 1577, p. 26. 

(3) Chron., IV, c. 25; V, c..2. Cfr. a questo proposito la - donazione di Adalberto marchese, 
28 febbraio 929, in Chart. I, 131-3, n° 79, la quale tuttavia non ha che indiretta relazione colle 
presenti quistioni. — Dal Cronista e daj documenti conosciuti dipende L. Crsrario (Studi sul San- 
tuario della Consolata, Torino, Marietti, 1845, p.4; Storia di Forino, II (Torino, 1846), p. 291), che 
parlò di questi fatti colla sua consueta maestria. 

(4) Chron., V, c. 16 e 17 (ed. cit., p. 114). 

(5) Chron., V, c. 20 (ed. cit., p. 115). 

(6) Appendix, c. 3. 

(7) Jarré, 2* ed., 5002. S. LowenreLD qui ripete il dubbio di L. Beramann, il quale, avendo visto 
il documento nell'archivio arcivescovile di Torino, lo giudicò una copia del sec. XII e dubitò della 
sua integrità. Riservandomi a parlare di ciò ampiamente in avvenire, mi limito qui a dire che il 
documento, da me pure esaminato, mi pare non soltanto genuino, ma originale. 


Serie II. Tom. XLIV. 10 


74 CARLO CIPOLLA 


dire altrove; quel pontefice pure parla di re Teoderico e di Abbone patrizio. In alcuni 
documenti di più antica epoca si diceva invece che il monastero era stato fondato 
al tempo di Carlo magno. Lo vediamo nei diplomi di re Ugo (929, luglio 24) (1), e di 
Ottone I (972, maggio 1) (2), e nella bolla di Giovanni XII, 21 aprile 972, all’abate 
Belegrimo (3). Ma anche in questi documenti si parla dell’origine del monastero di 
Breme in modo conforme a quanto avviene nei documenti precedentemente citati, e 
nel diploma, 26 aprile 998, con cui Ottone III (4) conferma all’abate Gezone i pri- . 
vilegi del monastero stesso di Breme. Ugo col citato diploma del 929 confermò alla 
Congregazione Novaliciense, allora abitante a S. Andrea di Torino, le Corti di Breme 
e del Polesine donatele dal marchese Adelberto, ma delle origini lontane della con- 
gregazione non fa accenno alcuno. 

I citati documenti posteriori al 929 considerano sempre la sede abaziale di Breme. 
Frattanto cessarono le incursioni dei Saraceni, e questi finirono per perdere anche 
Frassineto. I gioghi alpini ritornavano dunque sicuri. Dall’anonimo Cronista (5) per- 
tanto apprendiamo che Gezone, abate di Breme, vedendo “ quod Novelucis mona- 
sterium dirutum et pene incognitum iam lateret ,, mandò un monaco perchè ne fosse 
“ ricuperator et auctor ,. Fu il monaco Bruningo che, recatosi colà per ordine del- 
l'abate, rifece l’abside (cappella) di S. Andrea, che sembrava di troppo piccole dimen- 
sioni. Non per questo Gezone trasferì colà l’abazia; egli rimase a Breme, e i documenti 
surricordati ce lo dimostrano. A Gezone successe Gotefrido, il quale era abate di 
Breme, allorchè (1014) ricevette da Benedetto VII la bolla succitata. E l’ abazia 
restò a Breme, rimanendo alla Novalesa una casa, che presto troviamo eretta in 
priorato, il quale fu elevato a dignità abaziale soltanto in epoca tardissima, e dopo 
cessata o trasformata l’abazia di Breme. Sotto Gezone quindi il monastero Novali- 
ciense risorse. Una carta del gennaio 1025 lo ricorda colle parole: “ monasterio 
sancti Petri qui est constructo in loco Novalicii , (6). 

Intorno all’epoca della restituzione del monastero per opera di Gezone, noi siamo 
all'oscuro. Gezone è ricordato nel diploma di Ottone II del 998 indicato dal Beth- 
mann (7). Dal Cronista Novaliciense sappiamo (8) che egli fu in amichevole relazione 
con Fulcardo vescovo di Alba, e si può provare che questi era già morto, e proba- 
bilmente almeno da qualche mese, il 18 luglio 985 (9). Noi non sappiamo quanto 
tempo Gezone abbia retto l’abazia; probabilmente la governò per molti anni, giacchè 
raggiunse tardissima età (10). E in che sia consistita veramente la ricostruzione del 


(1) Mon. Hist. Patriae, Chart. I, 135-6, n° 81. 

(2) Srumpr, 505. SickeL, Diplomata, I, 556-7. L’illustre editore osservò con ragione che il diploma 
Ottoniano dipende dalla bolla di Giovanni XIII. 

(3) JarFé, 2* ed., n. 3761. 

(4) Stumpr, 1148. 

(5) Chron., lib. V, c. 25 (ed. cit., p. 116). 

(6) Il somigliante si ricava anche dalla offersione del 1042, edita nella 3:52. Sedus., Cent. I, 
cap. LKXXIV; dove pure si parla del monastero di S. Pietro “ quod est constructum in Novalis loco ,. 
L'aggiungere altre notizie non è di questo luogo. 

(7) M. G. H., Script., VII, 133; Mon. Hist. Patriae, Chart., I, 817. 

(8) ORron., V, 34 (ed. cit., p. 118). 

(9) © Mem. Ace. di Torino ,, II serie, XLII, 2, 23. 

(10) Chron., V, 38 (ed. cit., p. 119). 


L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 75 


monastero Novaliciense, non ci è propriamente noto; per altro il Cronista (1) ricorda 
che i monaci invitarono il vescovo di Ventimiglia a recarsi a consacrare le cappelle 
di S. Michele, S. Maria Vergine, S. Salvatore e S. Eldrado; locchè sarà avvenuto 
posteriormente alla ricostruzione della cappella di S. Andrea. Queste parole bastano 
a far comprendere che quella badìa fu ristorata nella sua pristina grandezza. Il 
primo priore Novaliciense si incontra nel 1093 (2). 

Non so se sia stato in questa occasione che si restituirono al monastero Nova- 
liciense (3) i suoi più antichi documenti, e primo tra essi l’atto col quale, nel 726, 
il patrizio Abbone fondò l’abazia. Il tempo del trasporto non lo si può adesso stabi- 
lire con certezza. Seguendo la via delle induzioni, anche legittime, potremmo risalire 
ad epoca assai antica, forse alla metà in circa del secolo XI. Se vogliamo una prova 
esplicita dell’esistenza del documento del 726 e delle altre antichissime scritture alla 
Novalesa, forse dovremmo scendere molto in basso coi tempi. Ad ogni modo non è 
opportuno in questo luogo istituire ricerche di tal natura. Mi accontento di qui ricor- 
dare che Vincenzo de Jallono, priore di Novalesa, sembra aver veduto l’atto di fonda- 
« zione di Abbone, ma, com'è naturale, senza essere riuscito a leggere quel documento 
scritto in carattere merovingico. Abbiamo una sua supplica, non datata, come di 
costume, ed indirizzata ad Amedeo (IX) duca di Savoia, la quale contiene la domanda 
per la conferma dei privilegi. 

Il duca con diploma del 17 dicembre 1432 esaudì i voti del petente, confer- 
mando in generale i diritti e le immunità del monastero (4). Dall’istanza del priore 
trascrivo le prime linee: “ Jllustrissime ducali vestre Sabaudie dominacioni exponitur 
reverenter pro parte humilium oratoris Vincencii de Jalliono prioris prioratus vestri 
Novalisit hominumque et subditorum eiusdem, Quod cum prefati exponentes habeant 
priuilegia, franchesias et libertates sibi dudum per serenissimum principem dominum 
Abbo patrocium (5) quondam imperatorem concessas, Et successive post eum per 
dominum Karolum magnum eciam imperatorem, consequenterque per inclite recordie 
omnes et singulos progenitores vestros et uos gradatim confirmatas ... ,. Queste linee 
contengono un vero e proprio inventario di privilegi, autentici e falsi, siccome si 
potrebbe con facilità rilevare, notando che per il documento di Carlo magno intendevasi 
un privilegio falso, rimasto per secoli famoso, e per i documenti Savoiardi intendevasi 
un diploma di Adelaide, ch'io anche reputo falso, ed i diplomi dei conti Umberto (1093), 
Tommaso (1204) e Amedeo (1233). 


(1) Chron., V, 44 (ed. cit., p. 120). i 

(2) Lo notò giustamente Derra Chiesa, Series Chronol., Aug. Taur., 1645, p. 202. 

(3) Se si volesse sostenere che fino dai primi tempi in cui il monastero Novaliciense fu rialzato 
dalle rovine, vi siano stati trasportati i documenti, converrebbe ammettere che altri atti, e preziosi, 
i monaci di Breme vi abbiano in seguito mandato. Non solamente i diplomi Ottoniani riguardanti 
Breme, ma anche quello di Enrico INI (II), del 19 aprile 1048 (MurarorI, Antig., V, 1052) porta sul 
verso il nome di A. Provana e l’anno 1502. A. Provana entrò in quell’anno nel priorato della Nova- 
lesa, e tosto si occupò dei suoi documenti, come ricorderemo di qui a poco. Al tempo dell'anonimo 
cronista pare che i documenti si trovassero custoditi, in quell’armariolum di cui egli parla (lib. V, 
c. 22; ed. cit., p. 115) a proposito del diploma di Ottone III in favore dell'abate Gezone. 

(4) I due documenti conservansi in originale nell'Archivio di Stato di Torino, Novalesa, busta VIII. 

(5) La voce patricium, è divenuta patrocium, cognome. 


76 CARLO. CIPOLLA 


Vincenzo de Jalliono (1) ha il merito di citare il documento di Abbone, ma senza 
intenderlo, e di Abbone fa addirittura un imperatore. Ma non è a meravigliarsene. 

Andrea Provana, appena ottenne il priorato Novaliciense, ne esaminò l’archivio, 
e sul verso delle pergamene ne segnò o piuttosto fece segnare un regesto,. spesso 
aggiungendovi il proprio nome e l’anno: 1502 (2). Queste indicazioni riescono utilis- 
sime, considerate quali materiali per la ricostruzione l'archivio della Novalesa al 
principio del secolo XVI; infatti è evidente che le pergamene segnate dal Provana 
trovavansi effettivamente alla Novalesa, e non nell’abazia di Breme, continuata anche 
dopo l’erezione del priorato novaliciense. Or bene, sul verso della pergamena del 726 
il Provana segnò il suo nome, e aggiunse che quel documento era illeggibile. 

E ancora più prezioso di queste indicazioni è l'inventario che, sotto le date 
del 1502 e del 1512 ci è pervenuto, compilato da Pietro de Allavardo, agente del Provana. 
Di sua mano, per l’ uniformità del carattere, sembrano anche i suindicati regesti. 
Gli altri inventari delle carte Novaliciensi giunti fino a noi sono tardi, cioè dei 
secoli XVII-XVII e molto imperfetti, senza calcolare frammenti di poco conto (3). 
In tutti questi lavori d’inventariazione si registrarono bensì i libri di documenti, 
ma i volumi di carattere letterario si trascurarono. Nella redazione degli inventari 
più tardi ebbero parte gli ufficiali governativi, particolarmente in quello eseguito nel 
marzo 1721 dall’avv. Giuseppe De Gregorij, che agiva quale delegato del conte Nicolis 
de Robilant, primo presidente della Camera dei Conti. ltecatosi dunque il De Gregori] 
alla Novalesa, addì 19 marzo di detto anno, chiamò l’abate Massetti, e lo interrogò 
intorno all'archivio monastico. Il Massetti rispose: “ non esservi alcun archivio for- 
male, tener bensì lui nella sua camera diverse scritture a detta abazia apartenenti, 
che ritrovò nell’istesso posto quando venne ad habitare nel presente monastero; et 
haver perinteso che molte altresi si trovano nella città di Torino, senza sapere 
appresso di chi siano ,. 

Da molto tempo l’antico monastero erasi trasformato in commenda. Nel sec. XVII 
ebbe ancora una certa fioritura letteraria, piuttosto per parte di estranei, che. non 
dall’opera dei suoi monaci. Ma poco giovò. La stessa cronaca Novaliciense, dopo essere 
stata studiata da Filiberto Pingonio nel secolo XVII, e dopo aver servito per gli 
estratti pubblicatine dal Duchesne, andò smarrita. Nel 1727, dopo molte ricerche la 
sì rinvenne, insieme con molte altre carte del monastero, in una cassa, che non era 
stata aperta da più di 40 anni (4). 


(1) Della famiglia dei signori di Giaglione. 

(2) Qualche volta la coda dell’ultima cifra è piegata di guisa da lasciarci incerti, se prenderla 
per 2 o per 3. 

(3) Un regesto delle pergamene dovuto all’ab. Sineo è imperfetto. Un inventario risale al tempo 
di Maurizio Filiberto Provana, che fu priore fino al 1684 (cfr. M. A. Carrerto, Vita e miracoli di 
S. Eldrado, Torino, 1693, p. 113). Può aversi in conto di qualcosa più che un inventario, il volume 
in cui, per incarico della Camera dei Conti, correndo l’agosto del 1721, B. Bazzano, notaio; copiò 
una scelta di documenti (726-1557), per lo più antichi. Egli disimpegnò la sua difficile.incombenza; 
dando prova di una perizia paleografica, che. non dovea essere comune ai notai di quel tempo. Il 
suo volume si conserva nell'archivio citato, busta II. In una delle ultime buste (nella parte il cui 
ordinamento non è ancora terminato), sotto il titolo Liber cappellarum. monasterii. s. Petri Novali- 
ciensis, coll’anno 1664, trovasi un ampio regesto di documenti dei sec. XIV-XVII. 

(4) Questo si apprende dalla prefazione ad una. copia della Cronaca di mano del sec. XVIII, 
esistente nell'Archivio di Stato, Novalesa, busta II. Una copia simile, preceduta da uguale prefazione, 


L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE Hal, 


Nel 1755 si trovò murato in una casa di Susa un fascicolo di carte Novaliciensi, 
carte per verità di poco valore, trattandosi del ricordato diploma falso di Carlo magno 
e di successive conforme a noi note per altre vie. Tuttavia vuolsi tener conto anche 
di questo fatto, di cui due anni sono parlò il ch. barone G. Claretta (1). 

I codici vennero trascurati anche più dei documenti, non presentando interesse 
pratico. E ciò specialmente avvenne quando per l’antichità divennero illeggibili, 
quando i volumi a stampa nell'uso comune soppiantarono i mss. Si comprende facil- 
mente il motivo per cui al re Vittorio Amedeo II venisse suggerito da Scipione 
Maffei di scambiare con libri moderni, e di facile uso, i manoscritti, preziosi per i 
dotti, inutili per la maggior parte delle persone, che non si conservavano dai mona- 
steri colla cura dovuta. 

Abbiamo veduto che l’anonimo Cronista parla della ricchissima biblioteca, che il 
monastero Novaliciense possedeva nel secolo IX. Egli ci lascia quasi credere che, 
trasportata giù dalle Alpi, sia andata del tutto perduta. Non bisogna prendere le sue 
parole. alla lettera, poichè egli stesso (2) soggiunge di aver letto i fatti di S. Eldrado, 
per compilarne la vita. Non è dubbio: qualche antico libro del monastero deve avergli 
servito a tale scopo. 

Da un'origine locale dipende certamente l’anonimo autore della biografia di 
S. Eldrado pubblicata negli Acta Sanctorum (3). Di quella vita si credeva autore il 
Cronista medesimo, locchè viene negato ora dal Bethmann, con ragioni che dovrò 
discutere in altra occasione. Comunque si pensi intorno a ciò, quell’opuscolo ha per 
fonte una antica vita, la quale, siccome il Bethmann (4) provò fino all'evidenza, era 
scritta in versi. 

Il Cronista mostra di conoscere la storia di Odoacre e di Teoderico (5), mentre 
di Costantino e di Massimiano sa: pochissimo, ma pur li vide ricordati (6). Cita (7) 
invece, e due volte, i dialoghi di S. Gregorio Magno, libro molto diffuso nel medioevo. 
Gli sono note le vite degli antichi vescovi di Vienna compilate dal loro successore 
Leodegario (8), che visse contemporaneamente al Cronista (9). Aveva sotto agli occhi 
il poema di Waltario, col quale compose una buona parte del libro II della sua Cronaca. 

Non è forse molto facile lo stabilire se il Chronicon Novaliciense, siccome ora 
siamo usi denominarlo; sia stato scritto alla Novalesa od a Breme; infatti al primo di 


trovasi anche nella Biblioteca Nazionale di Parigi, mss. Latini, 12904; debbo questa notizia alla 
gentilezza del sig. C. Couderez, al quale mi è grato di professare pubblicamente la mia riconoscenza. 

(1) Sulle peripezie occorse a documenti spettanti al celebre monastero della Novalesa, nel giornale 
“ L'Indipendente , di Susa, 4 settembre 1892. Le carte stesse rimasero a Susa, dove il barone Claretta 
assicura averle vedute anche pochi anni or sono. Stavano presso la sottoprefettura di Susa; poscia 
passarono in mano privata. 

(2) Chron., III, c. 81 (ed. cit., p. 106). 

(3) Martii, II, 333. 

(4) Mon. Germ. Hist., Script. VII, 128. 

(5) Chron.. I, c. 2 (ed. cit., p. 79). 

(6) Chron., App. 11 (ed. cit., p. 126). 

(7) Chron., V,.c. 32 e c. 44 (ed. cit., p. 118, 120). 

(8) App., c. 12 (ed. cit., p. 127). 

(9) Leodegario fu vescovo di: Vienna dal 1030 al 1070; il suo libro sulle vite dei suoi prede- 
cessori, che si reputava perduto, venne testè identificato e criticamente pubblicato dal DuckssNe, 
Fastes épiscopaux de Vancienne Gaule, I (Parigi, 1894), p. 166 sgg. e 179 sog. 


78 CARLO CIPOLLA 


questi siti richiamano i ricordi locali, ricordi vivi, ed espressi con parole calde di 
affetto. A Breme accennano alcune frasi: in un luogo dice il Cronista (1) che il vescovo 
di Como “ venit , a Breme, e poco dopo (2) di un altro egli soggiunge che “ ad mo- 
nasterium Bremetense pervenit ,. Più espressivo ancora è quanto nel Chronicon (3) 


“ 


leggiamo di Fulcardo vescovo di Alba, il quale “ nostrum dilexit locum ,. Trattan- 
dosi di un vescovo d'Alba, non si può con noster locus alludere che a Breme, al quale 
luogo del resto accenna tutto il contesto (4). 

Il nostro anonimo vissuto fra il X e l'XI secolo, e testimonio della ricostruzione 
del monastero Novaliciense, nel suo luogo di origine, può aver soggiornato e sulle 
Alpi ed a Breme. In quei primi tempi non ci potea essere alcun sentimento di mala 
armonia o di gara fra l'uno e l’altro luogo; formavano anzi una cosa sola. 

De’ libri monastici non abbiamo notizia. Dalla cronaca non si può dedurre dove 
il Cronista abbia veduto quei pochi che egli cita. i codici che possiamo ritenere sal- 
vati dalla rovina della prima biblioteca, saranno ritornati nell’antica loro sede insieme 
coi documenti. Mancano tuttavia le testimonianze esplicite intorno a ciò. Soltanto 
possiamo dire che nelle carte pagensi, che si andarono redigendo alla Novalesa, vedesi 
per alcun tempo l'influsso della cronaca, nell'adozione del nome “ Novalux ,. Si sa 
che presso il Cronista nobilitasi il nome antico, in quello di Novalux (5); e ciò fu fatto 
collo scopo che esprimesse come di là, mercè la predicazione di S. Pietro, si diffuse 
largamente la luce del Vangelo. È una leggenda, senza prova storica (6); di essa, a 
dir vero, espressamente non parla il Chronicon, secondo il testo attuale, ma di essa 
sì! trova ricordo in altre fonti, delle quali non parleremo in questo luogo. Qui mi 
limito a notare che negli atti notarili redatti alla Novalesa si adoperò a lungo una 
forma, che doveva naturalmente piacere. L'ultimo documento in cui la trovai è del 
26 marzo 1117: “ monasterio beati petri in loco qui novalux dicitur , (7). 

Prima di passare alle posteriori notizie intorno ai codici, aggiungo una parola sui 
tesori, di cui l anonimo Cronista ci ha parlato. Anche qui abbiamo confermato, 
che non andò perduto tutto quello che trasportossi via dalla Novalesa, al momento 
della invasione Saracena. Le reliquie di S. Eldrado avranno seguìto l’archivio e la 
biblioteca dalla Novalesa a Torino ed a Breme, e da Breme alla Novalesa. Nel 
secolo XIII, o piuttosto nel XIV, furono racchiuse in una bellissima arca d’argento, 
che ora si venera nella chiesa parrocchiale del villaggio di Novalesa. L’arca è 


(1) App., e. 7 (ed. cit., p. 127). 
(2) App., c. ® (ed. cit., p. 125). 
(3) Lib. V; c. 34 (ed. cit., p. 118). 

(4) Il Barpessano, cita volentieri la nostra Cronaca, quale Cronaca di Breme. Anche testè 
C. DronisortI, I Reali d’Italia, Torino, 1893, p. 66, parlando di questa cronaca la disse scritta da 
“un monaco del monastero di Breme nativo dello stesso luogo ,, e rimanda a F. Maraspina, Sulle 
potria e sull'età del cronografo Novaliciense, Tortona, Massa, 1816. E infatti questi autori, contro ai 
motivi coi quali il Terraneo si era studiato di stabilire che il cronista scriveva in Torino, sostiene 
che invece egli abitava nel monastero di Breme. 

(5) Chron., I, c. 8 (ed. cit., p. 80). Peraltro il Cronista non usa sempre di questa forma, anzi 
per ordinario scrive Novalicium e Novalisium. 

(6) Di siffatti viaggi di S. Pietro non tenne conto testè il ch. mons. Istnoro Carini, prefetto 
della Vaticana, nel suo succoso Discorso sulla vita di S. Pietro, Roma, tip. editr., 1893, pp. 22. 

(7) Perg. orig. nell'Archivio della Novalesa, busta III, Arch. di Stato di Torino. 


L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 79 


ornata sulle due faccie e sui due lati con figure argentee, di bellissimo lavoro. 
La statuetta di S. Eldrado porta accanto la leggenda, in bellissimo gotico del tempo 
indicato: ‘$ | AL | DR | AD’ | AB | AS. L’inventario di A. Provana la ricorda. Secondo 
la tradizione locale, questa teca, al momento della soppressione del monastero, con- 
servavasi nella cappellina di S. Eldrado, presso al monastero stesso. 

Il primo ricordo dei libri conservati alla Novalesa lo trovo in un processo scritto 
in un fascicolo cartaceo, frammentato, in carattere della seconda metà del sec. XIV (1). 
Nel processo si riferisce una carta del 26 gennaio 1366, indirizzata a Ruffino (de 
Bartholomeis) priore della Novalesa in quel tempo. Questa circostanza serve a pre- 
cisare la data del fatto. 

Trattasi di frate Antonio de Sartoribus, priore del priorato di Corbières, ch'era 
una dipendenza del monastero Novaliciense. Egli aveva apostato dal suo ordine, dive- 
nendo “ clericus secularis ,. Tra le accuse fatte al detto Antonio, c’era la seguente: 
«“ Jtem quod dictus dominus Anthonius ornamenta artariis (sic) et pannos et libros 
“ dicti prioratus sua culpa et negligentia dimisit Jnreparatos et inaccatos, inrefectos 
“ et minus debite custoditos in tantum quod propter insufficientem reparationem, acca- 
“ tionem et custodiam panni vsi et demoluti putrefactura fuerunt et libri a muris 
“ et tineis et aliter diversimode demoluti, delacerati et decarnati fuerunt et deuastati 
“ pro maiore parte et adhuc peiorantur et destruuntur, vt supra, culpa et negligentia 
“ dicti domini Anthonij ,. Sopra un foglio separato, fra gli altri fatti, imputati al 
detto Antonio, si trova: “ Jtem quod dictus dominus Anthonius non nulla ornamenta, 
“ calices et libros ecclesiastica et alia bona mobilia et inmobilia dicti prioratus vendidit, 
“ alienauit, distraxit, pignori tradidit ,. Si direbbe ch'egli avesse venduto una biblioteca 
intera; ma subito dopo, venendo ai particolari, l’estensore di quel documento, accenna 
bensì a molti oggetti da lui dati in pegno, come lenzuola, coperte e perfino un calice, 
ma quanto a libri ricorda soltanto: “ quemdam breuiarium, qui fuit domni Guillelmi 
de Chigimno (?) monachi dicti prioratus ,. 

Sicchè anche da questo documento poche cose possiamo raccogliere. Risulta tut- 
tavia che nella seconda metà del secolo XIV c’era alla Novalesa una certa raccolta 
di libri, fatta preda ai sorci ed alle tignuole. 

Un secolo fa incirca la biblioteca Novaliciense era ancora abbastanza ricca di 
libri preziosi (2). Nel 1778, in novembre, si recò lassù un valente archeologo piemon- 
tese, Eugenio de Levis, e dei volumi da lui trovati, nonchè di quelli che l'abate Cauda 
anteriormente gli aveva regalati, egli diede notizia abbastanza particolareggiata in 
un’opera (3) uscita alcuni anni appresso, nella quale anzi egli stampò alcuni aneddoti 


(1) Arch. della Novalesa, busta V, Arch. di Stato di Torino. 

(2) Forse alla biblioteca monastica si allude nel documento 13 gennaio 1646 col quale Filiberto 
Maurizio Provana dei signori di Leynì, allora abate e commendatario perpetuo dell’abazia Nova- 
liciense pose le fondamenta della cessione di questa ai monaci Cistercensi. Im esso infatti, mentre 
si afferma che l’abazia venne fondata ancora “ vivente S. Benedetto ,, si soggiunge che in allora 
essa aveva una “ quantità , di monaci chiari per dottrina, “ come hoggidì anche di molti se ne 
conseruano le memorie ,. Forse il Provana pensava a Remigio, che poi il De Levis cercò provare 
essere stato veramente monaco Novaliciense. Checchè sia di ciò, pare proprio che le parole del 
documento accennino a quanto nella biblioteca Novaliciense si conservava ancora a memoria dei suoi 
antichi giorni gloriosi. 


(3) Anecdota sacra, Augustae Taurinorum, 1789, vol. I (unico), p. xxvrr sgg. 


80 CARLO CIPOLLA 


desunti da quei medesimi manoscritti. Del De Levis esistono anche parecchie schede 
manoscritte, delle quali ultimamente discorse il prof. Giuseppe Galligaris (1), nell’atto 
di dar notizia di un manoscritto del sec. XV, ora posseduto dal ch. barone G. Claretta; 
questo ms. ci conserva la copia dell’antico codice Novaliciense della Historia Lan- 
gobardorum di Paolo diacono. Degli studi pur troppo rimasti incompleti che il De Levis 
fece sopra i codici Novaliciensi dovrò con maggiore larghezza parlare in altra occa- 
sione, e perciò mi fermo. 

Dei codici Novaliciensi fino ad ora uno solo fu segnalato come tale, ed è quello 
che faceva parte della raccolta Hamilton, e che ora si custodisce nella biblioteca di 
corte di Berlino. Ne diede anni or sono una sommaria notizia il prof. Carlo Miller (2) 
di Berlino (3). Di un altro ms., finora non identificato, parlerò in altra occasione. 


TE 


Il giorno 24 gennaio 1894, studiavo gli antichi registri dell’archivio Novaliciense, 
approfittandomi del permesso gentilmente accordatomene dal ch. barone E. Bollati di 
St. Pièrre, direttore dell'Archivio di Stato di Torino. Mi venne allora alle mani un 
volume cartaceo, di fogli 71, in carattere cancelleresco franco-piemontese della fine 
del sec. XV o dei principio del sec. XVI, col titolo: “ Huiusmodi liber est debitorum, 
“ seruitiorum ac censuum annuatim debitorum Reuerendo d. Priori Noualicij factus 
“ de anno 1497 et pro annis sequentibus, pro vera Jnstructione ipsius domini prioris 
“et sui monasterij per R. viros Damianum Bossardi et Franceschum Cestarij con- 
“ missarios recipientes recognitiones huiusmodi monasterij de mandato Reuerendi 
“ d. Georgij Prouane prioris defuncti die 14 Ianuarij anno 1502, cui successit Reue- 
“rendus d. Andreas de Prouanis eius nepos , (4). Questo volume era legato con un 
doppio foglio pergamenaceo, scritto sopra tutte Ie sue facciate. Staccatolo, apparve 
contenere due fogli, ossia quattro facciate, di bella scrittura, in minuscolo carolino. 
È il foglio doppio appartenente ad uno fascicolo costituente un antico ms. delle omelie 
di S. Cesario, che fu vescovo di Arles al principio del sec. VI. Il testo del foglio 1 
in origine non precedeva immediatamente il testo del foglio 2; è a credere che quello 
fosse separato da questo, per mezzo di un altro foglio doppio (5). 

Comincio con una sommaria descrizione del contenuto. 

Foglio 1° (sciupato all’angolo superiore destro). Faccia recto. La colonna « prin- 
cipia colle ultime parole della nota omelia che comincia Quotienscumque fratres charissimi, 


(1) Di un nuovo ms. della “ Hist. Langob. , di Paolo diacono. in © Boll. dell’Ist. stor. italiano ,, 
X, 31 sgg. 

(2) Analekten, Kirchengeschichtliche Handschriften in der Hamilton Sammlung, in * Zeitschrift fiir 
Kirchengeschichte ,, VI, 247-82; le pagine che c’interessano sono le pp. 253-6. 

(3) Il Necrologio, che il Beramanx (M. G., VII, 181) vide in mano di C. Gazzera, trovasi ora 
nella, biblioteca dell’Accademia delle Scienze di Torino. In altra occasione parleremo della sua rela- 
zione col Monastero Novaliciense. 

(4) Segue una firma di difficile lettura. 

(5) Questo ms. non poteva essere ricordato dal Dr Levis. Sebbene egli parli (p. xxx1x) di un 
“ fragmentum homiliarii ,, dalle indicazioni, che ne fornisce, si comprende trattarsi di tutt'altra cosa. 


L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 8 


e che viene anche attribuita a 3. Agostino:(1).Il brano, che ‘ci resta, consiste appena 
nelle ultime linee: “ anima deo :angelis ‘presentabitur in ‘caelo — liberare -dignetur. 
“ Ipso adiuuante qui uiuit & regnat in secula seculorum. AMEN ,. 

Segue immediatamente, e senza neppure la distinzione di capoverso, la didascalia 
seguente: AMMONICIO AD ILLOS QUI SIC ELIMOSINAS FREQUENTIUS 
FATIUNT UT TAM ET RAPINAS EXERCEANT ET ADULTERIA :COMITTANT. 

La voce AMEN è in scrittura capitale rustica (2), non trattamdosi nè qui ‘nè in 
seguito «del vero e splendido capitale romano, e ‘d'inchiostro nero. La didascalia se- 
guente è in capitale rustico, ma d'inchiostro rosso icon mescolanza di lettere onciali, 
come avviene anche mella seguente didascalia. 

Col testo dell’omelia si va «a ‘capo linea. La iniziale K ‘capitale, è in color rosso, 
lucente, alquanto sbiadito, sia per l’età, sia perchè forse lo era anche in origine. La 
lettera è così grande ida occupare lo spazio di ‘cinque linee, ed è in vero capitale, di 
forme purissime. Il resto della prima linea è di color nero, in ‘carattere rustico 
mescolato d’onciale; colla seconda linea ricomincia il minuscolo. L’omelia di cui ab- 
biamo riferito il titolo ossia il riassunto, è pure di S. Cesario, ma viene attribuita anche 
a S. Agostino (8), e comincia: ROGO UOS FRS DILIGENTIUS CON | siderate. & ecc. 
La prima linea è in maiuscoletto rustico, con mescolanza di onciale. L’omelia occupa, 
oltre alla col.a del £, 1 recto tutta la colonna è del medesimo, nonchè le due intere 
colonne del fol. 1 verso. Il fol. 1 recto termina con: “ esse non possumus sed de capi- 
talibus , (4). Nel nostro testo l’omelia finisce così, f. 1, col. 2: “ & cum dies iudicii 
uenerit. &si coronam non merentur | accipere. uel peccatorum indulgentiam conse- 
quantur. | Prestante domino mostro ihù xpo. cui est honor & gloria in secula | secu- 
lorum ameN. 

Foglio 2° (oltre ad essere molto smarginato a destra, è sciupato specialmente 
al lato destro della metà inferiore), faccia recto. La colonna a e le prime linee della 
colonna 5, sono occupate dal termine di una omelia, qui attribuita pure a S. Cesario, 
siccome risulta dalla didascalia della omelia seguente. Pur troppo andò perduto il 
principio dell’omelia, dal quale avremmo avuto un mezzo assai vantaggioso per l’iden- 
tificazione. Fra le omelie che il Migne registra come appartenenti o anche soltanto 
attribuite a S. Cesario, la nostra non si trova. Essa ha peraltro grande somiglianza 


con una, attribuita tanto a S. Cesario quanto a S. Agostino (5). Ma non è la me- 
desima (6). 


(1) Micxe, Putrologia latina, XXXIX ($. Aucusoii, V), coll. 2319-25. 

(2) La divisione della scrittura del capitale in elegante ed in rustica fu tra noi chiaramente 
definita dal mio illustre maestro prof, A. Guoria (Manvale, Padova, 1870, p. 57 e Atlante, tav. I). 
Veggasi ora il PaoLi, Programma, 2* ediz., Firenze, 1888, p..3. 

(8) Mine, op. e vol. cit., coll. 2338-40. 

(4) Cfr. il testo del Mione, col. 2339. 

(5) Mrewe, op. e vol. cit., coll. 1875:7. Le altre omelie di S. Cesario o a lui attribuite, leggonsi 
nei volumi LXVII (coll. 1041 sgg.) e L (coll. 844, 848, 855, 857) del Miane. Nel Corpus sceriptorum 
ecclesiasticorum dell’Accademia di Vienna, non fu ancora pubblicato S. Cesario. 

(6) Col. a. (poeniten)tiam. Si uero non preuales impossibilitati tune cum humilitate postula ueniam. 
Dura tibi uidentur praecepta (La sillaba prae è abbreviata al solito modo, e l’avverto per la questione 
del dittongo), quanta (corr. di prima mano in quantum) tibi duriora erunt consilia deceptoris? aspera 
tibi uidentur que tibi a senioribus imperantur. quantum duriora sunt que auaritia imperat culto- 


Serie II. Tom. XLIV. 11 


82 CARLO CIPOLLA 


Alla voce finale AMEN, in rustico, inchiostro nero, segue senza distacco alcuno 
la didascalia di un’altra omelia. La didascalia è pure in rustico, ma colla De la U 
di forma onciale. 

La G più che non la solita 9 maiuscola ricciuta, che combina col capitale 
rustico, si accosta al capitale. La didascalia è dunque la seguente: ITE OMELIA 
EPDE CESARII DE EO QUOD SCRIPTU EST IN EUUGLO CAP XIII. Non c'è 
distinzione di parole. 

Segue il testo evangelico (Matth., xvi, 21) che occupa un'intera linea in maiu- 
scoletto. La R iniziale, in bel capitale, è simile alla grande iniziale di Rogo, di cui 
abbiamo testè parlato, ma di grandezza un po’ minore. Il rimanente della linea è 
in nero, e in lettere rustiche, colla U onciale; oltracciò alcune lettere e specialmente 


x 


la T, hanno la regolarità del capitale; ancora è ad osservare che le lettere TR di 
intra sono in nesso, e che in vos la o è inclusa nella v. Dice dunque il nostro 
testo: “ REGNUM DI INTRA VOS EST ||& ut inter animam & carnem iusto 
iuditio iudicetur, et ut numquam contram deum murmurantes pacem cum ipso habere 
possimus, & qualiter iustitiam & pacem, uel gaudium habere possimus ,. Il testo va 
a capo con “ Audiuimus cum euangelium legeretur , ecc. La A d'inchiostro rosso, è 
in capitale, di dimensioni grandi, ma inferiore alle R di Regnum e di Fogo; il rima- 
nente del testo è in minuscolo. L’ omelia è ben conosciuta, ed è una di quelle che 
si aggiudicano anche a S. Agostino (1). 

Il fol. 2° recto finisce con: “ — Ipse (ediz. : ipsa) est ergo uestra iustitia que 
“ o|mnibus] ,, e il fol. 2° verso, col. @, riprende: “ hominibus hoc quod — , (cfr. ediz., 
col. 1916). La seconda colonna di questa faccia termina colle parole: “ — Bene- 


ribus suis? Quam laboriosa et quam periculosa itinera illos sustinere conpellit! & cum illud totum 
pacienter excipiant propter poecuniam temporalem, tu quare non equanimiter pertuleris (in rasura, 
ma di prima mano), propter uitam &erna (& con cedilia)? Non legisti: meliora sunt uulnera diligentis, 
quam fraudolenta oscula odientis (così corretto di prima mano, forse per: gaudentis) [Prov., 27, 6]. & illud: 
corripi& me iustus in misericordia & increpabit me, oleum autem peccatoris non impingu& capud 
meum [Ps. 140, 5]. Senior enim castigat, ut corrigat, diabolus autem blanditur ut perdat. Consilium 
enim diaboli, ut propheta dicit, ad tempus impinguat fauces, postea felle amarior inuenitur. Ipse 
enim breuissimo tempore per uiam latam & spatiosam superbientes, uel luxuriantes ducit ad mortem. 
Sicut e contrario Christus dominus noster per artam & angustam uiam humiles & obedientes (traccia 
di correzione) perducit ad uitam. Ambe iste uie & latam & angustam finem habent (NT in nesso) & 
breuissime sunt. Nec in angusta (corr. da: -am) uia diu laboratur, nec in lata diu gaudent. Ac si quibus 
lata uia & luxuriosa delectat, post breue gaùdium, sine fine supplicium, & e contra illi qui Christum 
per uiam artam secuntur, post breues angustias, ad &ernam (& con cedilia) merebuntur praemia 
(pmia) peruenire. Nam si laicus homo, in seculo constitutus superbiam habeat peccatum est. 
Monachus uero si habuerit, sacrilegium est. Taliter uos exhibere debetis fratres, tam sancte & iuste, 
tam pie, ut merita uestra non solum uwobis sufficere, sed &iam peccantibus aliis in hoc seculo pos- 
sitis ueniam impetrare. Nam si linguam non refrenamus, non est uera sed falsa religio nostra, & 
melius fuerat non uovere, quam post uotum promissa non reddere. & haec fratres non ideo suggero 
quod uos tales esse cognouerim [col. 6] timent[is magi]s animo quam reprehendentis loqui prae- 
sumo (psumo). Propter quod Apostolus dicit: Cum m&u & tremore uestram salutem operamini 
[Philipp. II, 12). Non ideo dixi quia illud facitis (corr. di prima mano da facites), nos enim talem 
fiduciam de uobis habemus, ut magis nos credamus uestris orationibus adiuuari, ut inter procellas 
uel tempestates seculi huius poss(i)mus (corr., di prima mano?, da possitis) ad portum uenire felici- 
tatis supplicantibus uobis, adiuuante domino nostro Jesu Christo, cui est honor & gloria in secula 
seculorum. AMEN. 
(1) Mione, XXXIX (Aucusrinus, V) 1915-8. 


L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 83 


“ dicam dominum in omni tempore , (ediz., col. 1917), rimanendo incompleta 
l’omelia. 

Le varianti fra il nostro testo e la lezione del Migne sono abbastanza frequenti, 
ma non di rilievo. Il nostro testo è tutt’altro che scevro di errori. Non è per altro 
mio scopo attuale quello di determinare il valore del presente ms. per una nuova edi- 
zione di S. Cesario, e quindi credo di dovere intorno a ciò passar oltre senz’altro. 
Trascelgo qualche variante nelle prime linee dell’omelia fogo vos, e cioè: “ ne nobis 
“ (ediz.: ne vobis); subripiat (subrepat); unam securitatem (vanam securitatem); iustum 
“ est (iustitia est); timeo ualde, timeo (timeo, et valde timeo) ,. 

Qui e colà abbiamo l’opera di un correttore (1), che scrive con inchiostro alquanto 
più nero del testo, ma adoperando pure il minuscolo carolino. Talvolta aggiunge, 
talvolta muta qualche parola. Fra le correzioni, due sono di notevole lunghezza, e si 
trovano al margine superiore della colonna «a e d del foglio 2 verso. La prima ag- 
giunge le parole “ Habemus ergo & interiorem hominem & exteriorem ,, che per via 
di un segno di richiamo (.‘.) vanno ad unirsi al testo là dove le reca anche l’edizione. 
La seconda aggiunta, richiamata al testo con altro segno di richiamo ni dice: 
“ pacificare uidentur adulteri, quam sibi inuicem ,,. 

Di due postille debbo tener parola. La prima leggesi al margine destro della 
colonna è del fol. 2 recto, accanto alla didascalia, ed è importante perchè conserva 
il nome di Cesario. È imperfetta, per causa dell’avvertita smarginatura del foglio. 
Dice: Jtem homell[ia sancti] | caesar[ii .....| | script ..... È contornata da una cornice, 
leggermente ornamentata. 

‘ L’altra postilla si trova apposta alle prime linee del testo dell’omelia Audivimus 
cum euangelium, e si riduce a una sola parola, di incerta lettura. Il testo dice: “ -R|ogo 
ergo] uos | fratres karissimi considerantes conscientias [nostras] | uideamus si regnum 
dei intra arcellas “alnimae nostrae| | repositam habemus — ,. Essa si ritrova in rispon- 
denza alla linea fratres, e sembrami significare tolle, quantunque non mi trovi per- 
fettamente sicuro di questa lettura. È poca cosa, eppure questa postilla così breve e 
così oscura, ha essa pure la sua importanza (2). 

Considerando il nostro frustolo sotto il riguardo paleografico, va anzi tutto rile- 
vata la distribuzione del testo su due colonne, secondo una consuetudine che nelle 
più antiche età vediamo comune nei mss. biblici. Nè quest’uso era scaduto all’età 
Carolina, come apparisce dall’ Evangeliario scritto nel 781 o 782, in servigio di 
Carlo magno, da Godescalco (3). 

Della rigatura delle linee difficilmente può ormai scorgersi traccia. Ogni colonna 
ha 40 linee (4), ma non sono molto regolari. Tuttavia una rigatura dev'essere esi- 
stita, poichè la irregolarità non è grande. Senza dubbio era una rigatura fatta collo 


(1) Sui correttori dell’epoca carolingica, e sulle prescrizioni date da Carlomagno in proposito, 
veggasi l’erudito articolo del Carni, I correttori, Roma, 1894, pp. 24-5. 

(2) Osservo che lo spazio di linea che dovea seguire dopo conscientias, pare un po’ troppo 
ampio per ricevere la sola voce: nostras. Che forse ci fosse qualche parola in più da cancellare? 

(3) Cfr. Prov, Manuel de paléographie, p. 81. E trovasi anche in inss. non biblici. A due colonne 
è il codice di Giuseppe Flavio, del sec. IX, descritto da H. ScaeNkL, Bidl.patrum latin. britann. (Wiener 
Stteungsber., CKXVII, p. 7). 

(4) Al verso del fol. 2 ne abbiamo 41, in causa delle aggiunte, di cui abbiamo parlato. 


34 CARLO: CIPOLLA 


stilo, ossia a punta secca, quale vediamo nei più antichi mss. (1), e quale si usò fino 
al sec. XI (2). Nel sec. XI s’introdusse la rigatura a piombo, che divenne ordinaria 
nei secoli XII e. XIII, 

Veniamo al carattere. 

Come abbiamo indicato tre sono i caratteri adoperati nei fogli, che stiamo de- 
scrivendo: il capitale nelle iniziali maggiori, il rustico con. mescolanza talvolta di 
lettere. onciali, eil. minuscolo carolino. Sono caratteri coi quali è spesso difficile deter- 
minare l'epoca. di un manoscritto. Nella. didascalia: e. nella. prima: linea di due omelie 
è adoperato un carattere maiuscolo di piccole proporzioni, là. in rosso, qui in nero; 
come. dicemmo, il carattere è rustico, ma la V è sempre onciale; allato alla D e 
alla E rustica, ci sono anche le rispettive onciali, ed onciale è la F. Non manca 
anche. la. A e la T capitale accanto alle rispettive. lettere. rustiche. Queste linee in 
maiuscolo rosso. e. nero sono poche, ma pur sufficienti a. rilevare. l'antica. eleganza 
dei caratteri. Specialmente degne di osservazione sono le pochissime, ma belle ini- 
ziali in capitale, fra le quali la migliore e più grande è la di Rogo vos. Del minu- 
scolo abbiamo un tratto abbastanza diffuso, per poter. essere sottoposto ad esame. 

Il minuscolo uscito dalla scuola di Tours presenta. tuttavia molte difficoltà, quando 
lo si vuol studiare per la determinazione cronologica dei manoscritti. In sostanza 
esso. si mantenne identico a se stesso per due o tre secoli in circa, di tempo in tempo 
subendo modificazioni leggere e graduate, ma non tali da escludere anche in mano- 
scritti tardi la persistenza di forme antiche. Quando ci avviciniamo al XII secolo, cioè 
all’ultima età della scrittura carolina, le differenze sono ormai divenute così forti, 
da costituire quasi un carattere nuovo; ma per l'età che va dalla metà del sec. IX 
al cadere del sec. XI si possono presentare esempi di caratteri che quasi lasciano tra 
loro. scorgere difficilmente differenze spiccate. 

Una delle caratteristiche più visibili è la frequenza delle forme corsive, ma 
anche questa da. sola non sempre somministra argomenti sicuri. Il Wattenbach (3); 
dopo averla segnalata, soggiunge che anche nel see. XI non sono rari gli esempi di 
elementi corsivi. 

Il minuscolo si' alterna talvolta col corsivo. Così in una pagina del codice Hei- 
delbergense-Palatino. latino 912 della. Historia. Langobardorum di Paolo diacono (4), 
dopo alcune linee in minuscolo carolino (colla a e colla 9g chiuse) seguono altre nelle 
quali l'elemento. corsivo è forte, colla @ aperta, e perfino: coi nessi caratteristici corsivi 
di ro, e di ar. 

Iillustre. T. von Sickel (5); e sulle sue traccie il Paoli (6), e quindi il Carini (7), 
distinguono il minuscolo carolino primitivo, sec. VIMI-IX; il' minuscolo neocarolino, 
sec. X;. il minuscolo perfezionato (sec: XI-XII). Il: Sickel, come domandava lo scopo 


(1) Lersr, Ur%kundenlehre; 2* ediz., Lipsia, 1893; p. 44 — Cfr. Warrensac®, Das. Schriftwesen, 
2° ediz., Lipsia, 1875, p. 178-80. 

(2) Prov, Manuel, p. 169: Lupi, Paleogr. delle carte, Firenze, 1875, p. 69. 

(3). Andeitung zur latein. Palueographie, 4° ediz., Lipsia, 1886; p: 35 e p. 40. 

(4); Facsimile. presso Warrz, Script: rer. Lang., p. 37, tav. IV: 

(5) Das Privilegium Otto. T fiir. die ROmische Kirche, Innsbruck, 1888; pp. 10:2: , 

(6) Programma di Paleogr. latina, I (Firenze, 1888), pp. 234. 

(7) Sommario di. Paleografia, 4*- ediz. (Roma, 1889), pp. 55-6; 


L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 35 


del suo. lavoro, si ferma particolarmente sulla seconda forma del minuscolo, ch'egli, 
per distinguerlo dal carolino, chiama minuscolo del decimo secolo. Vi trova le lettere 
grosse e larghe; esse in generale sono ineleganti, specialmente le lettere: i, u, n, m. 
La » e la m hanno. l’ultima asta piegata a d., e non a sin., come avveniva nel 
IX secolo; rotondeggiano assai le lettere 0, d, 9, p, g; la » è prolungata inferior- 
mente. Questi sono i caratteri principali di siffatto minuscolo di seconda maniera, 
secondo. il Sickel, il quale peraltro soggiunge che risale a molto addietro l'origine 
di tale scrittura, e nota come i resti del carattere corsivo vanno. mano a mano 
scomparendo: dal sec. IX al X. Avverte che nel sec. XI la scrittura ritorna dî nuovo 
elegante. 

Dal sec. IX in poi abbiamo una progressiva trasformazione del minuscolo caro- 
lingico, finchè esso, perdendo l’ antico rotondeggiare, assumerà le angolosità del 
gotico. Quindi nel minuscolo; l’una specie si distingue dall’altra per un' perfeziona 
mento maggiore e una più sicura individualizzazione delle lettere. Già nel secondo 
periodo è abbandonata la « aperta, insieme colle altre forme semi-corsive. Nell'ultimo 
periodo la scrittura è elegante, regolare; quasi manierata. Fu detto che nel primo 
periodo si ha un carattere elegante, nel secondo un carattere regolare; e nel terzo 
un carattere regolare ed elegante. Ma anche questa regola non basta da sola, poichè 
regolare ed elegante è il carattere dei primissimi lavori di Tours; quello p. e. delle 
bibbie di Teodulfo. Tuttavia giova anche l’enunciata regola. 

Queste sono le linee fondamentali, ma nella pratica non si possono segnare 
divisioni nette fra un periodo e l’altro. Testè Federico Leist (1), avvertiva che la & 
aperta, ancora: comune nelle carte ai tempi di Ottone I e di Ottone II, va scompa- 
rendo sotto Ottone III. Questo ad ogni modo rimane fisso, che nei periodi anteriori 
del minuscolo carolingico: le vestigia del corsivo s'incontrano, mentre queste mancano 
nei periodi posteriori, 

Alcuni mesi or sono, sotto: l'impulso del prof. Sickel, la Società Romana di 
Storia patria pubblicò il primo fascicolo dei Diplomi imperiali e reali delle cancellerie 
d'Italia: (2); comprendendovi un: diploma di Berengario del 905, nel quale pure ado- 
perasi regolarmente: la a aperta. 

Anche sulla particolarità di aggruppare il sec: XP al XII piuttosto che al sec. X, 
si potrebbe porre innanzi qualche dubbio; ovvero segnare il punto di distacco alla 
metà incirca del sec. XI. 

Com'è notorio, uno degli elementi dei quali conviene tener conto è la sigla espri- 
mente et. La forma “ & , è quella che ricorre nei documenti più antichi. La nota 
tironiana somigliante alla cifra 7 non comincia che molto in ritardo. Il Leist (3) 
pensa ch’essa. sia comune diggià: nel sec. X, ma, almeno fra:noi, parmi che maggior 
ragione avesse un, egregio: allievo. del Paoli,. il signor F. Nitti (4), dicendo. che essa 
è “ una: forma relativamente moderna, una forma cioè raramente adoperata prima 
“ del mille. ,.. Nel nostro ms. abbiamo il medesimo nesso & ingrandito, usato. come Et 
colla E maiuscola. 


(1) Urkundenlehre, 2* ediz., Lipsia, 1893; p. 87. 

(2) Roma, 1892 (ma: 1893). 

(8) Op. cit., p: 88. 

(4) Di una iscrizione religuiaria anteriore: al' mallé; in: Arch: stor: ital. ,, Vser., XII 259: 


86 X CARLO CIPOLLA 


Ciò premesso, il minuscolo del nostro testo si fa notare per alcuni importanti 
caratteri di arcaicità, tra’ quali spicca la 9, che è costantemente aperta: essa, in altre 
parole, è la 9g corsiva. La a sovente è chiusa, ma non mancano anche gli esempi della a 
aperta, i quali anzi spesseggiano al principio dell’omelia Fogo vos. Talora la a è 
pochissimo aperta, e il tratto curvo s’accosta anzi alla retta verticale. 

La a chiusa, derivata dalla onciale, e simile alla « umanistica ora adoperata 
nella stampa, è tutt’ altro che sconosciuta alla minuscola carolina fino dai suoi 
inizî, come possiamo vedere, p. e., nel più bello e nel più antico forse fra gli esempi 
di questa scrittura, quale è il codice Parigino, Bibl. Nazionale, Latini, 1451, del 
quale abbiamo un facsimile presso il Duchesne (1), riprodotto dal Prou (2). Questa 
forma di a si riscontra anche nei mss. usciti direttamente dalla scuola di Tours (3), 
e scritti in semionciale. La « chiusa e la « aperta s’alternano nei diplomi delle can- 
cellerie italiane del IX secolo (4). Nel nostro ms. avverto i nessi ct e +t; quanto a 
quest’ultimo, noi abbiamo nella parola artam (fol. 2 recto, col. @) un esempio di forma 
schiettamente corsiva. Quanto all’altro nesso, ne rilevo la piena semplicità, poichè 
esso si riduce ad una c di grandi dimensioni, che dal suo apice superiore si inchina 
a destra e dà origine alla #. Eppure era questo un nesso che offriva facilmente oc- 
casione ad ornamentazioni complicate, proprie di età meno antiche (5). 

Nè posso trascurare la & cediliata, e sormontata da una lineetta d’ abbrevia- 
zione, per farle significare deter in aeternam, ed aeterna (fol. 2, recto, col. a). Questa 
forma viene indicata come propria del IX secolo dal Prou (6). 

La r è prolungata inferiormente, e nella m e nella » l’ultima asta è piegata a 
sinistra, anzi talvolta manca anche l’apice inferiore, che in altri casi dà all’ asta 
stessa una qualche curvatura a destra (7). 

Le iniziali minori adoperate nel corpo del testo in generale sono rustiche, ma 
vi abbiamo sempre la V e la H onciale, e oltracciò nella A, nella D, nella N e 
nella Q, la forma onciale si alterna colla rustica. Accanto alla E rustica abbiamo 
la E minuscola ingrandita. 

A questi caratteri speciali va unita la circostanza che le parole non sono rego- 
larmente distinte le une dalle altre. Manca insomma quella regolarità che è 
distintivo del secondo e del terzo periodo; c’è invece quella eleganza speciale che 
distingue il periodo sbocciato come immediata conseguenza della scuola calligrafica 
turunense. 


(1) Lib. Pontif., I, tav. I. 

(2) Manuel de Paléographie, Paris, 1890, tav. 4, a p. 79. 

(8) Veggansi i fac simili dati dall’ illustre L. DevisLe, École calligraphique de Tours, in “ Mém. 
de l’Acad. des Inscript. ,, vol. XXXII, Parigi, 1886. Il DeLisLe approva il canone del conte de Bastard, 
che fra le caratteristiche della calligrafia turunense rileva la 9 aperta, e la a formata da c e da è 
in contatto. Quest'ultima @ è similissima alla @ aperta. 

(4) Diplomi imperiali e reali, ecc., tav. VII, IX, XI, XII. Nel diploma, 1030, di Roberto re di 
Francia (Prov, p. 98, e tav. VII, n° 1) vediamo usata la @ aperta. 

(5) Di questo nesso abbiamo esempî nel celebre codice epigrafico di Einsiedeln, del sec. IX-X; 
facsimile presso De Rosst, Inser. christ. urbis Romae, II, p. 10 e tav. I. 

(6) Op. cit., p. 65. 

(7) Se paragoniamo queste w, x, colle rispettive lettere del diploma Ottoniano riprodotto dal 
SicgeL, Das Privilegium ecc. tav. fot., ne vediamo subito la spiccatissima differenza. 


L’ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 87 


Le abbreviazioni sono alquanto numerose, sia per troncamento, sia per contra- 
zione, e più numerose forse che in generale non siano nei primi tempi del minuscolo 
carolino. Tali abbreviazioni per altro sono razionali e costanti, e non sono in tal 
numero da doversi dir frequentissime. 

È antica sentenza del Mabillon, che fu il padre della paleografia, che bisogna 
in questa sorte di ricerche affidarsi non ad una speciale caratteristica, ma al 
complesso di tutti i dati. Il Sickel non ha molto ripetè e sanzionò colla sua alta 
autorità quella massima. Or bene, il complesso di questi dati parla in favore dell’alta 
antichità del nostro manoscritto. Se lo paragoniamo al citato ms. Parigino Lat. 1451 
e al Bernese 408 (1), ne portiamo non dissimile impressione. Se quei due manoscritti 
sono, l’uno del 796, e l’altro del IX secolo, saremo indotti ad attribuire anche il 
nostro a quella medesima età incirca, cioè al sec. IX. 

Per l’ortografia, noto la presenza costante del dittongo «e, o in questa forma o 
indicati colla e cediliata. 

In sancte, avverbio, usasi anche dove non andrebbe. 

Le abbreviazioni, come dicemmo, sono abbastanza numerose, e fra esse rilevo le 
seguenti: ee (= esse), e (= est), er (= erunt), s (= sunt). Abbiamo le sillabe pre, 
per, pro, qui indicate nei soliti modi. La sillaba con è espressa con una e sormontata 
da una lineetta orizzontale. I segni ° per us, e 9 per rum qui adoperati, non hanno 
importanza nella questione cronologica. La voce quod è indicata da una g tagliata col 
solito segno ripiegato: .$ e anche con qd, quando non sia scritta per disteso. Rilevo 
t (=ter). La voce non incontrasi espressa con i. Altre forme notevoli sono: ù0 (= vero), 
ul (= vel), & (= ergo). Il segno - lo trovo sull’ultima lettera # di certi verbi al 
passivo, come invenit (= invenitur), uident (= videntur), nonchè in sup (= supra). 

Non fa conto di rilevare dis (= dominus), mia (= misericordia) e simili voci 
abbreviate, dalle quali non si può ricavare criterio alcuno per stabilire la cronologia 
del manoscritto. Sono queste fra le più antiche abbreviazioni. 

Sempre riguardo alle abbreviazioni, rilevo la forma arcaica di indicare l’abbre- 
viazione -us per mezzo di un semplice punto. Veggansi: “ seniorib. raptorib. quib. 
“ unusquisq. ,. E così: q. (= que). 

Ho accennato ad un correttore, il quale adopera un bel minuscolo carolino, che 
forse è presso a poco contemporaneo al testo. Nelle due aggiunte più lunghe, che 
abbiamo indicato in testa alle due colonne del fol. 2 verso, incontrasi, insieme colla e 
comune, una singolare forma della e minuscola, consistente in una e con una specie 
di virgoletta o coda, colla quale la e si rialza al di sopra delle altre lettere. | 
Questa e potrebbe anche appellarsi e crestata. 

Rimane ora a dire delle due postille, delle quali la più antica è quella che 
giudicammo doversi interpretare per folle. Essa è scritta a tipo corsivo, con influsso 
del minuscolo. 

Le due /! prolungate, rivolgono leggermente a destra l’apice superiore. Il nesso 
iniziale ha la o aperta. In questa parola mi sembra quindi di ravvisare piuttosto le 
caratteristiche del IX secolo, che quelle del X. 


(1) Facsimile presso Ducnesne, Lib. Pont., I, tav. 5, n° 2. 


88 CARLO CIPOLLA — L'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICIENSE 


Posteriore è di molto l’altra postilla, in minuscolo regolare ed elegante. Essa 
si distingue per le forme diplomatiche (0 bollatiche, che si abbiano a dire) di alcune 
lettere, e specialmente della s di Caesar|ii] e della ! di homel[ia]. Questa s prolun- 
gasi eretta, e termina in uno dei nodi caratteristici del carattere indicato. Ma vuolsi 
notare che qui abbiamo un nodo semplice, quale usavasi spesso anche in tempi ‘assai 
antichi. Per darne un esempio rimando al diploma Berengariano del 1905 edito nel 
1° fascicolo dei Diplomi ecc. Invece la 7, pure prolungata ed eretta, finisce in nodo 
doppio proprio di età più recente. Esempî di questi nodi, ma in forma ancora incerta 
e rozza, ci sono forniti peraltro ormai dalla bolla di Nicolò I in favore di S. Dionigi 
parisiense, del 28 aprile 863 (1). 

S' aggiunga, che quantunque ad età antica e precisamente al minuscolo post- 
carolino non si possano dire estranee le lettere prolungate e terminate in nodi 
semplici, tuttavia la loro presenza, dove non è richiesta dall’estetica calligrafica, sug- 
gerisce sempre l’attribuzione della scrittura ad un’epoca seriore. Come esempio di 
raffronto cito la sottoscrizione di Johannes Dei gratia ueronensis episcopus nella carta 
veronese del 1023, pubblicata a facsimile non molto tempo addietro (2). 

Questa seconda postilla si attribuirà dunque al sec. XI incirca, al momento cioè, 
in cui avviene un risveglio letterario nell’Abazia di Breme, e nel ristorato monastero 
della Novalesa, risveglio cui caratterizza la compilazione della Cronaca. 

Insegnano i maestri che nell’esporre gli argomenti paleografici bisogna procedere 
“ con molta modestia ,. Se questa massima viene rispettata dai maestri, a molto 
maggior ragione debbono attenersi ad essa i discepoli. Quindi è che nel conchiudere 
procedo colla dovuta circospezione. Parmi ad ogni modo che forti argomenti sugge- 
riscano di considerare il nostro frammento Cesariano come scritto nel IX secolo, nel 
più splendido periodo dell’abazia Novaliciense che dura dall’ età carolina fin quasi 
alle invasioni dei Saraceni. 

Se ciò è veramente, abbiamo ragione di supporre che questo lacero avanzo per- 
gamenaceo abbia seguìta la dolorosa via percorsa dai monaci fuggendo la invasione 
dei pagani. È una presunzione cui nessuno può negare un certo grado di verisi- 
miglianza. Non è infatti molto probabile, nè consentaneo alle più usuali tradizioni mo- 
nastiche, il supporre per il nostro codice una origine non locale. Nè si perda di 
vista la circostanza che la Novalesa, dipendente nei suoi primi tempi dal regno 
Franco, mantenne lunghe e amichevoli relazioni col versante occidentale delle Alpi, 
mentre tra i possessi qualcuno si trovava lontano in terra franca, perfino a Marsiglia. 

Il ch. prof. G. De Leva nel lavoro che ho citato al principio di questa comuni- 
cazione segnalò il monastero della Novalesa, siccome un luogo dove fiorì in special 
modo la calligrafia. Possiamo ora sperare di avere un esempio dell’antica calligrafia 
Novaliciense. Nè questo esempio rimarrà isolato. 


(1) PrLuex-Harttune, Specimina, tav. IMI 
(2) Archivio paleografico del ‘prof. E. Monaci, tomo III, fasc. 1, tav. 9. 


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Roma Fototipia Danesi 


ALFONSO CORRADI 


WéiCORPDATO NEI-SUÙUOLRTLAVORT SCIENTIFICI 


IN RELAZIONE ALLA STORIA 


MEMORIA 


del Socio 


GAUDENZIO CLARETTA 
Approvata nell’ Adunanza del 4 Marzo 1894 


Volgeva il settembre dell’anno 1889, allorquando in un crocchio d’amici conve- 
nuti a Firenze pel IV Congresso storico italiano mi veniva specialmente presentato 
il professore Alfonso Corradi, che come profondo cultore delle scienze mediche in 
correlazione alla storia, avrebbe potuto prendere attiva parte a quel Consesso, distol- 
tone invece dalla natia sua modestia. Il nobile aspetto, la fronte spaziosa, l’occhio 
vivace e scrutatore in lui facevano tosto dimenticarne la singolare riservatezza e una 
certa taciturnità, che parevano accennare a precoce vecchiezza, ancorchè toccando 
egli allora appena i cinquantacinque anni, già sembrava li superasse di molto; i 
soliti profili che solcano il viso dei veri figli del tenace lavoro e della diuturna 
applicazione. Ma facendo astrazione dall’acuto e versatile ingegno, dalle benemerenze 
sue scientifiche, veramente ragguardevoli, io mi affezionava tosto a lui, avendovi facil- 
mente potuto scorgere un carattere ingenuo, costumi semplici ed austeri, serena 
indipendenza di giudizi; nè mai, come ci raccontano i suoi biografi, e ne fui pur io 
testimone, tu lo avresti trovato disposto a pronunciar parole che suonassero biasimo 
o disprezzo verso gli altri (1). D’allora in poi un frequente carteggio mi tenne unito 
al dotto professore, che più d’una volta a me ricorse per indagini storiche, e per 
propagarne i frutti, come n'è prova altresì il breve lavoro che, or fanno due anni, 
io leggeva a nome suo a questo scientifico Consesso. : 

Egli era nato a Bologna il sei di novembre del 1833 da Corrado e da Madda- 
lena Gullini, ottimi genitori, giunti a tarda età (il padre aveva compiuti gli ottanta 
quattro anni) e che furono assai solleciti dell’educazione della loro prole. In quella 
città, compiuto il corso degli studii, laureavasi il Corradi in medicina nel 1856, e 
nell’anno seguente in chirurgia. Ma qui non si tratta di darne una biografia speciale; 


(1) Mazzonti, Necrologio del Corradi. Bologna, 1893. 
Serie Il. Tom. XLIV. 12 


90 GAUDENZIO CLARETTA 


ufficio che meritamente già fu compiuto da parecchi, e meglio competenti nella 
materia, ma sibbene di abbozzare la figura del nostro professore, e far rilevare 
piuttosto quel che da altri appena fu detto, e così accennare al più alto merito che 
gli spetta, di aver cioè, il primo, scritto opere, non tentate da alcun altro, e di aver 
alla medicina associato lo studio della storia, traendone i più ingegnosi argomenti 
nei rapporti che .con quella ebbero, o ritrovati, od usi, o gli studiosi di essa. E i 
cultori di medicina che siansi rivolti a codesto genere di studii sono ovunque sempre 
scarsi. E fra noi pure, tre soli possiamo ricordare che con qualche larghezza abbiano 
consacrate le loro fatiche a simili indagini; ed in certi limiti vi riuscirono, nel secolo 
scorso, il saluzzese Vincenzo Malacarne, nel suo lavoro Sulle opere de’ Medici e de’ 
cerusici che nacquero e fiorirono prima del secolo XVI negli stati della R. Casa di 
Savoia. — Torino 1786; e nell’odierno, il Bonino, nella sua biografia medica piemontese, 
e il dottor Trompeo, nelle notizie sui medici, e sugli archiatri della casa di Savoia. 

Il còmpito di queste mie pagine adunque è di considerare sommariamente le 
opere del Corradi in relazione alla storia, poichè se altrimenti io estendessi queste 
ricerche, ben a ragione, come profano, potrei venir tacciato d’ingenuo e di temerario. 
Solamente a cornice del quadro che mi sta innanzi mi si consenta, esponendo bre- 
vemente lo schema cronologico degli uffici tenuti dal Corradi, di avvertire, che sin 
dal 1859, ed in ragione dei suoi meriti scientifici, egli veniva nominato professore 
di patologia generale nell'Università di Modena: e dopo soli quattro anni, e così nel 
1863, per concorso vinceva la Cattedra della stessa materia nell'Università di Palermo. 
Non era allora ancora onore tanto comune quello di esser a quell’età professore ordi- 
nario in una fra le università primarie del Regno. Ma egli non si dimostrò impari alle 
significazioni di stima avute. Per considerazioni domestiche ei non poteva trattenersi 
che pochi anni nell'Italia meridionale; e nel 1867 scambiava la cattedra di materia 
medica e di farmacologia con altra eguale nella Università di Pavia, che fu la se- 
conda sua patria. Ivi nel 1875 venne nominato preside della Facoltà, e dopo pochi 
‘mesi rettore; cariche esercitate da lui con proficui resultamenti per la scienza. Im- 
perocchè egli cooperava assai a determinare i restauri al palazzo dell'Orto Botanico 
per renderlo sede di parecchi istituti scientifici, e a contribuire al riacquisto ed al 
riattamento del palazzo Botta, destinato ad accogliere i cinque stabilimenti biologici. 
Ma pel nostro assunto meglio è ricordare, che sin dal primo suo anno di rettorato, 
il Corradi diè opera a raccogliere i documenti storici di quell’Università. E frutto 
delle sue applicazioni su quell’argomento, fu la pubblicazione eseguita colla colla- 
borazione di altri, delle Memorie e dei documenti per la storia di Pavia e degli uomini 
più illustri che vi insegnarono. Pavia 1876-1878. 

Pavia fu pel Corradi la palestra massima del suo operare, poichè oltre al con- 
corso prestato ai lavori richiesti dagli uffizi tenuti, egli assiduo trascorreva giornal- 
mente molte ore nella biblioteca universitaria. Quindi ben egli era degno che dalla 
sua patria d'adozione avesse a ricevere segnalate prove di pubblica stima, come 
quelle di essere stato eletto consigliere comunale, membro del Consiglio provinciale 
di sanità, presidente del Consiglio d’amministrazione del Collegio Ghislieri, ecc. 

Premesse queste notizie sommarie, entreremo senz'altro nel sodo dell’argomento, 
a considerare cioè il Corradi nelle opere sue scientifiche ch’ ebbero relazione, ben 
inteso, colla storia. Ma non dissimuliamoci che il campo è assai vasto; e che come 


ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 9l 


il percorrerlo, generò molto diletto e non poca istruzione a chi vi si accinse, così 
speriamo che non altrimenti abbia ad avvenire a quanti avranno la sofferenza di 
seguirci in questo cammino. 

Cominciamo dall’opera principale e di gran mole del Corradi: GU annali delle 
epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850, compilati con varie note 
e dichiarazioni. Con questo lavoro il Corradi regalava all’Italia uno scritto unico nel 
suo genere; e torna di non lieve onore alla Società medico-chirurgica di Bologna, 
a cui veniva presentato nel 1863, l’averne accettata la stampa, che durò sino ad 
oggi, in cui postumi uscirono i copiosi suoi indici. Non molti avrebbero lena e voglia 
di sobbarcarsi ad opera di siffatta mole, che regge al paragone di quelle dell’immor- 
tale storico d’Italia Ludovico Antonio Muratori. E pur troppo i Muratori sono oggidì 
assai scarsi, e molti si consacrano all’ufficio di scrivere, soltanto per buscarsi ap- 
plausi, per qualche concetto pellegrino o singolare, per qualche periodo ben tornito, 
ma senza prefiggersi uno scopo pratico ed utile alla società. Sono codesti concetti 
sintetici svolti dall'autore stesso, il quale rettamente dichiarava nella sua prefazione, 
che... quantunque oggi generalmente siasi perduto il gusto dell’erudizione, spero che 


niuno mi farà colpa se talvolta scorra in quegli ameni campi... Colgo notizie che 


alla fin fine tornano a profitto dello studio nostro, ed in argomento qual è il presente 
sì tristamente uniforme, il cercare altrove un po’ di sollievo parmi possa essere 
concesso... E meritamente egli stabiliva che la... ricerca intorno alla morbilità delle 
moltitudini nei diversi tempi non è certamente vana e di semplice curiosità, avve- 
gnachè come dalla maggiore o minore frequenza con cui un individuo ammala, noi 
giudichiamo dello stato di sua complessione e salute, egualmente dal numero delle 
epidemie occorse nei vari secoli noi possiamo fare stima delle condizioni dei popoli, 
del grado di loro civiltà ed in parte anche della maniera di vivere... 

Ho citato questo passo, come quello che vale a renderci conto dell'importanza 
di questo scritto del nostro professore, al quale dovranno sempre ricorrere quanti 


amano di essere profondamente istrutti di tutto ciò che scientificamente e storica- 


mente concerne le epidemie e le carestie. E questo grande lavoro analitico e crono- 
logico deve ritenersi una vera biblioteca epidemiografica, per compilar la quale l’autore 
non risparmiò di compulsare quanti archivi e quante biblioteche fugli possibile, e 
di attinger le notizie a fonti, o poco note od anche inesplorate. Ed ancora qui, 
meglio che le mie, lo rivelano queste sue parole... Ho consultate a tal fine opere di 
ogni fatta, libri medici, relazioni, ricordi, cronache, annali, storie municipali, poemi 
ed ogni altra scrittura che avesse potuto somministrarmi buoni documenti. Non 
pago dell’asserzione di un solo, ne cercai la conferma in altri, anzi è stata mia cura 
di scegliere le testimonianze da ogni parte d’Italia... 

Basti quest’esordio per dimostrare di qual lavoro si tratti, insomma di opera 
tale, che comincia dall’ottavo secolo prima dell’èra volgare, e viene sino al giorno 
d'oggi. !! perchè il suo lavoro, lasciando da parte quelli di tal genere dell’Ozanam 
e del Villalba di lieve momento, supera persino quello recente e pregevole sulla storia 
delle epidemie in Inghilterra del Creighton, il quale comprende il periodo dal 664 al 
1666; e molto lascia a desiderare nella parte concernente la storia della economia 
pubblica. 

Gli scritti medici propriamente cominciando ad apparire all’epoca del rinasci- 


92 GAUDENZIO CLARETTA 


x 


mento, egli dovette espillare le notizie dei più remoti tempi, da Plutarco, da Dio- 
nigi d’Alicarnasso, da Tucidide e da altri classici dell'antichità, per iscendere ad umili 
e rozzi cronachisti e a modeste memoriucce di regioni secondarie d’Italia, ed ai 
giornali locali delle diverse provincie, ed alle tradizioni scientifiche popolari ed alle 
consuetudini inconscie del volgo, le quali tutte insieme collegate, dovevano apportare 
il loro granello di senapa fruttificante. Erculea fatica insomma, che sarà sempre il 
monumento aere perennius che seppe innalzare a sè il Corradi, il quale ci lasciò una 
storia assai compiuta dello svolgersi delle epidemie, e raccolse i ricordi delle carestie, 
dei perturbamenti atmosferici e tellurici antecedenti o concomitanti le pestilenze. Ma 
altro monumento si eresse il nostro autore, e forse ancor più considerevole, poichè 
basato sulle doti dell’animo e sul carattere suo fermo ed incrollabile, ei non si dimostrò 
mai del carattere di coloro che sono tagliati al dorso di tutti. 

Un suo biografo (1) c’informa ch'egli “ nelle opere della scienza rimase costan- 
temente fedele alla libertà del pensiero, che in politica fu di opinioni liberali mode- 
rate, che in religione non fu un bdigotto (bacchettone), nè intollerante, e che sul terreno 
dei principii non venne mai meno a sè stesso ,. Rettamente scrisse Buffon Le style 
c'est l'homme, ma nel Corradi anche l'esterno dava a divedere l'interno; poichè come otti- 
mamente scriveva V. Gioberti (2): “la quiete e la fortezza dell’animo dipende dalle dot- 
trine che si professano. La maggior parte dei nostri coetanei sono fiacchi e codardi, perchè 
non credono a nulla. , Ai retti principli sovra accennati noi troviamo pertanto infor- 
mate le scritture del Corradi, e di essi ei ci lasciò larghe tracce. Noi lo scorgiamo 
capace e volenteroso di far molte distinzioni, di attribuire l’unicuique suum, senza spe- 
culare qual vento spirasse, per ispiegar a quello le vele. E senza far idilii del pas- 
sato pel fine di denigrar il presente, come educato a quel fine intelletto dei tempi, 
per cui nè si devono idoleggiare gli antichi, nò censurare i vecchi per cattivo 
astio, nè per l’istesso pregiudizio vuolsi far indegna stima della vita contemporanea, 
ei seppe e volle per amor del vero scoprir le magagne e corregger i giudizi storti, 
ed in detrimento del giusto. Ne potremo addurre esempli parecchi nel cenno che 
stiamo per dare delle sue opere. In questa stessa che esaminiamo, egli in un passo 
prese a confutare Giovanni Miiller lo storico della confederazione svizzera, che volle 
sostenere, come Niccolò V fosse stato affetto da un morbo di sozza natura. Ora il 
Corradi afferma che... guardando solo al modo con cui Vespasiano da Bisticci scrit- 
tore e Giannozzo Mannetti segretario di quel papa fanno il loro racconto, dee parere 
strana e temeraria quella opinione. Più naturalmente dobbiamo credere che il male 
di quel dotto e virtuoso pontefice consistesse in emorroidi che pur dànno acerbi dolori 
e freddo... (3). E si può aggiugnere che angustiato assai fu il pontificato del sarzanese 
Tommaso Parentucelli, il quale sostenne i noti urti coi romani per la congiura Porcariana, 
e fu pur afflitto da gravi malattie, e tormentato, come scrissero altri, dalla podagra. 


(1) Carro Magenta, Alfonso Corradi, Commemorazione per la R. Deputazione di Storia patria 
delle antiche provincie. Il Magenta, socio di questa Deputazione di storia patria, sopravviveva poco 
a questo ricordo del Corradi, essendo pur egli morto il 19 settembre scorso a S. Colombano ai 
Lambro; ed avrà degna commemorazione a sua volta nei volumi della Miscellanea di storia italiana, 
alla quale attende il dotto collega Comm. Carlo Dell'Acqua. 

(2) Massari, Ricordi biografici e carteggio di V. Gioberti, vol. II, p. 25. 

(3) Pag. 582 delle Memorie della Società medico-chirurgica di Bologna, vol. 6, fascicolo 3, della 
cui edizione ci siamo valsi pel nostro studio. 


ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 93 


Si sa poi qual forza possono talora avere gli avversari potenti colle armi della 
viltà, dell’invidia, dell’ipocrisia e della calunnia, e quante volte parva necat morsu 
spatiosum vipera taurum! Essendo quel pontefice facile all'ira, ma disposto e bene- 
volo, come inclinato al perdono ebbe, secondo scrisse il Platina, molti malevoli che 
si dimostrarono disposti a calunniarlo, come fra gli altri il Volterano, che gli ascrisse 
una passione esagerata pel vino, cosicchè continuamente ordinasse di far ricerca dei 
più squisiti. Quindi in simili casi i giudizi possono sempre essere fallaci. 

Altrove, all’anno 1457 (1) all’apparir di una cometa rossa con coda grandissima, 
lunga quasi 30 palmi, e grande più di 100, e quando mancava, avendo il papa Cal- 
listo III ordinate pubbliche preci e processioni, ed essendo da qualche’ scrittore 
censurato, il Corradi viene in questo ragionamento... “ Di questi terrori del secolo XV 
oggi ci ridiamo, ma con noi non rideranno altri che pur non son volgo. , Così Giu- 
seppe de Maistre sostiene che le comete sono segni dell’ira celeste, e che l'astrologia 
non è senza ragione — Soirées de S. Petersbourg, 3* ediz., c. II, p. 317. — E con- 
chiude: “ E poi quando sì ferma ed universale era la credenza ai sinistri augurii di 
quelle meteore, come avrebbe potuto il capo della Chiesa, benchè ei diversamente la 
pensasse, non ordinare pubbliche espiazioni? , 

Conviene anche rammentare che Callisto III non era punto un santocchio: fu il 
primo tra i pontefici a stabilire una marina militare, ed a far construrre sedici galee 
sotto il comando del cardinal legato Luigi Scarampi Mezzarota; e fu quegli che seppe 
ai suoi giorni impedire la propagazione della potenza ottomana. 

E per la stessa ragione dell’indipendenza professata, come il Corradi era disposto 
a sostenere certe opinioni nel fine di difendere pregiudicati a torto, così nei fautori 
di spirito partigiano, sapeva d’altro canto scernere il grano dalla mondiglia. Quindi, 
per addurre fra tanti un esempio, egli deplora le vittime dell'ignoranza, che come 
altrove ed in altri tempi, così si manifestarono nel 1514 nel Cremasco. Al qual pro- 
posito egli notava..... Ma quasi che sangue bastantemente non fosse sparso, e pochi 
fossero i morti, l’Inquisizione accendeva i suoi roghi, e sciagurate femminuccie vi 
dannava, cui la superstizione, la malattia, il contagio dell’imitazione avevano travolta 
la fantasia: povere illuse che la caritatevole scienza del secol nostro ricetta nei ma- 
nicomî o cura in altra guisa, riguardandole, piuttosto che colpevoli, inferme (2). 

Sicuramente che la parte più attraente di questa storia è quella riferentesi alla 
memorabile pestilenza del 1630, che entrata nella Lombardia coi tedeschi del Col- 
lalto, e nel Piemonte coi francesi guidati dal Richelieu ebbe ad affliggere in modo 
straordinario quei due stati. 

L'epoca più recente consentì all'autore di dare più speciali notizie attinte dal 
numero sempre crescente di storici ch’ebbero a discorrerne. E tant'è, ch'egli fu in 
grado di radunar dati statistici relativi al numero approssimativo delle vittime di 
quel terribile flagello in varie città italiane. Certamente che, a giudicar da quanto 
accennò il Corradi, da Torino e dalle città del Piemonte ch’ebbero quella funesta 
visita, si deve argomentare che anco sulle altre il soggetto non fu esaurito, poichè 


(1) Ib., p. 591. 
(2) Zb., volume 6, fascicolo 4, p. 682. 


94 GAUDENZIO CLARETTA 


sarebbe stato pretendere l’impossibile l’esigere che l’autore avesse potuto compulsare 
gli archivi di comuni secondari, ove talora si trovano notizie del massimo interesse, 
come ci sarà dato di provare a tempo opportuno in due lavori, pei quali abbiamo 
già raccolto una congerie di documenti. Ma anche senza di questo, devesi affermare 
che egli compiè a quanto era fattibile, e colmò su tale argomento una importante 
lacuna. 

Nella pestilenza del 1656 che diè qualche disturbo a Roma, e che contribuì 
anche a tener un poco lontana da quella città la ben nota e ben molesta e bishe- 
tica regina Cristina di Svezia, il Corradi, sempre consentaneo ai suoi principii cor- 
regge il Gastaldi (più tardi cardinale) il quale aveva scritto che il male era cresciuto 
di forza, imprudenter indicto Iubilaco, hominum concursu aucto. Invece, afferma il nostro 
autore, che il morbo era apparso ben prima che il giubileo fosse stato bandito (1). 

All’anno 1720, dov’egli elogia il primo re di Sardegna che col mezzo dei rigori 
delle quarantene contribuì a preservare l’Italia dal male che aveva allora desolato 
alcune città della Francia meridionale, giova correggerne il nome, avendo egli con- 
fuso Carlo Emanuele con Vittorio Amedeo II (2). 

Ma non dovendo seguire l’autore a passo a passo, avvertiremo che accurate 
assai sono le tavole sinottiche sulla diffusione del cholera in Italia dal 1835 al 1837. 

K quasi siffatta mole di memorie non fosse ancor bastante, egli nel 1892 com- 
pieva in un volume di oltre un migliaio di pagine, le aggiunte e le correzioni ai famosi 
suoi annali. Esse cominciano dal 747,e vengono sino al 1848; ed ancor qui si deve 
ripetere, improba la fatica a cui si piegò il Corradi, che fecesi a scartabellare altra 
volta libri, cronache, consultando documenti non esaminati la prima volta. Ed il 
compenso deve essere notevole, poichè d’importanti notizie scientifiche e storiche 
veniva ad arricchire il suo-tema. Consentaneo poi sempre ai suoi metodi il Corradi 
non lasciò, occorrendogliene il destro, di confutare opinioni erronee e contrarie al vero, 
per quanto manifestate da gravi e ragguardevoli scrittori odierni; fra cui il Gregorovius. 

Ma non trattandosi qui, come dicemmo, di rassegna delle opere del nostro autore, 
ma solamente avendo per obbietto di considerare i punti scultorii che ne rivelano 
le mire, il carattere, basterà avvertire sommariamente quel ch'egli ebbe a notare, e 
che non fu rilevato da chi ben l'avrebbe potuto, per dare un'idea esatta di uno scrit- 
tore, le ‘cui sviste sono maggiormente gravi in riguardo deila fama raggiunta. Accen- 
nando all'anno 1167 alla mortalità che incolse all'esercito dell’imperatore Federigo I 
sotto le mura di Roma, nota il dubbio del Gregorovius, asserente che angeli ster- 
minatori armati del flagello delle febbri scendessero a disperdere il nemico, a salvare 
il pontefice. Lo storico tedesco ascrive il malanno a... “ Nemesi che scese a fermar 
il braccio dell’oltrepotente monarca per dar tempo e forza alle città di spezzar le 
loro catene. La mano del destino colse Federico parimenti, come ebbe colto Serse e 


Napoleone... ,. Ma che cos'è questo destino, riprende il nostro autore: fantasticheria 
immaginaria dei fatalisti! Quindi, fondato su altri principii il Corradi qui soggiun- 
geva... “ Al gran storico adunque, piuttosto che il Dio dei cristiani, giusto rimu- 


(1) ID., p. 1220. 
(2) Ib., fascicolo 6, p. 1358. 


III nin tinto 


ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 95 


neratore delle opere buone, giusto vendicatore delle cattive, piace invocare la figlia 
dell'Oceano e della Notte, la formidabile divinità dell'Olimpo che ministra della 
giustizia comandava pur al cieco destino. E così in pien secolo XIX risuscitando 
concetti pagani non si è da meno dei poveri cronisti del rozzo medio-evo derisi 
per la loro credulità, poscia che oggi, come allora, si vuol dare ragione di un fatto 
naturale per mezzo di potenze sovrannaturali ,. 

K il fatto naturale che decimava l’esercito imperiale era la mal aria, era il cat- 
tivo influsso della stagione e dei luoghi, ai quali erasi associato il tifo castrense, di 
cui fu vittima l'arcivescovo di Colonia, non l’imperatore, che seppe ben ripararsi 
ad montana. 

Con certe idee preconcette che aveva il Gregorovius era ben difficile ch'egli 
potesse cogliere sempre nel vero. E qui il Corradi, da vero italiano, si dimostrò 
dolente che il citato autore si fosse lasciato trascinare a non tenere nella dovuta 
stima la più gran donna italiana di quel tempo, Santa Caterina da Siena, che bene- 
merita per i buoni uffici promossi da lei pel ritorno a Roma della sede pontificia, 
sì rese pur eroica nei tempi della pestilenza che afflisse la sua patria, ed a cui 
nulla toglie il sentir men proprio dell’autore della storia della città di Roma. 
Ecco gli accenti del Corradi, al riguardo... “ Anche il Gregorovius consente che 
l’Italia possa venerare la Benincasa come una santa della patria, ma solo perchè 
non ha di meglio; ed invece nell'età Avignonese questa contrada fu così povera di 
grandi cittadini che i suoi maggiori patriotti furono un poeta erotico in abito di 
abate, un folle tribuno ed una visionaria! fanciulla del popolo ,. A cui il Corradi 
di ripicco: “ Fortunate le altre contrade ricche di grandi cittadini! Attendiamo che 
una nuova edizione della storia della città di Roma nel medio evo ce li mostri oltre 
alpi; noi di qua non li vediamo; bensì par di ricordarci che l'università di Praga 
sorgeva per consiglio del Petrarca, che l'impero tedesco si volgeva a Bartolo di 
Sassoferrato per avere la dolla d’oro, la quale ad obbligare la dieta di Francoforte 
a procedere spedita minacciava gli elettori dopo trenta giorni di metterli a pane ed 
acqua , (1). Non è con questo che il nostro autore abbia a ritenersi un buon cre- 
denzone qualunque, pronto a prestar piena fede ai prodigi che in tempi di calamità 
ed in mezzo all’ignoranza si riproducevano sotto diverse, e più o meno seducenti 
sembianze. Egli conosceva abbastanza l’ambiente dell’epoca e ben era persuaso “ come 
l'ignoranza delle leggi naturali incitava l’innata tendenza al maraviglioso, fomen- 
tava la credulità, madre di superstizione e di fanatismo, e credevasi come ogni volta 
che alcuno straordinario avvenimento seguiva, prossima la fine del mondo. A menti 
così disposte, ad immaginazioni sì pronte a commuoversi, ad uomini che conduce- 
vansi a credere per impulso di sentimento o per ossequio più che per forza di ragione, 
a gente cui la devozione teneva luogo di fede non era difficile accogliere miracoli 
ed a giurarne anche con atto solenne la veracità , (2). 

Ma eccederemmo di gran lunga i limiti che devono essere assegnati a questa 
Memoria ove volessimo proseguire a battere questo terreno. Il sin qui detto è suf- 


(1) Pag. 2688 delle Memorie della Società medico-chirurgica di Bologna, ove è stampata l'opera. 
(2) Pag. 2720. 


96 GAUDENZIO CLARETTA 


ficiente più che mai ad assodare, qual criterio avesse il nostro autore nella sua 
scientifica missione. Il volume che qui citiamo, e pel quale si valse di quanti libri 
e cronache vennero pubblicate dopo la compilazione dei primi, si chiude ancora con 
altre aggiunte; cosicchè sarà difficile che siavi altr’opera più compiuta di questa; 
per la cui compilazione il Corradi tenne dietro a quante pubblicazioni si fecero in 
Italia, relativamente al tema trattato da lui. 

L'esame fattone ben ci conferma, come lontane da ogni millanteria, secondo che 
molte volte in altri invece suole avvenire, debbano ritenersi le parole della conclusione 
definitiva di un’opera, alla quale ben con ragione egli potè scrivere di avere... dedi- 
cato i migliori anni della vita, non perdonando a fatiche ed a spese perchò potesse 
meglio soddisfare allo scopo prefissole... 

Ivi pure egli dava ragione di quelle appendici, aggiunte al volume principale, 
rese necessarie del resto... dai documenti inediti, dai libri posteriormente venuti alla 
luce o da altri malagevoli a trovarsi, o che difficilmente lasciavano supporre di poter 
servire al nostro proposito... Ed ancora qui deve essergli consentita questa dichia- 
razione, in cui candidamente egli affermò, che nella compilazione del suo lavoro..... 
“fu messa tale assiduità e diligenza da non potersi forse dare maggiore, tenuto 
conto eziandio che per ben poche opere quanto in questa fu consultato ad un 
determinato scopo, numero sì grande e sì vario di documenti, dall’umile cronica, 
cioò idalla popolare canzone, dalla lettera famigliare all’istoria togata, all’epico 
poema, all’orazione accademica, senza dire delle testimonianze mediche propriamente 
dette... , 

Eppure, ad onta di questo, l’illustre nostro autore non s’illudeva di avere esau- 
rito il tema, il quale, se compiuto nella parte analitica e cronologica, ancor rimaneva 
ad essere svolto nella sintetica. Egli adunque faceva ancor ultimi voti, ove la salute 
fossegli per l'avvenire rimasta gagliarda, siccome pertinace e non istanco aveva il 
volere, di ridurre col tempo ad insieme i particolari singolarmente considerati, per 
esaminare le attinenze dei morbi ed i loro naturali aggruppamenti, per iscoprire le 
cagioni donde i morbi stessi sorsero, crebbero e largamente si diffusero le altre da 
cui quelli vennero contenuti in angusto spazio od in breve tempo soffocati e spenti. 

Ma la Parca, invida di così forte volere non consentiva più ch’egli avesse a 
pubblicare quest'altra opera utilissima. Valga il buon esempio a far nascere tale che, 
erede dello zelo e della capacità del Corradi, possa essere in grado di arricchire il 
patrimonio scientifico di quanto si proponeva di fare il nostro autore. 

Facciamoci ora a dar sommaria notizia delle altre, che per quanto ragguarde- 
voli, possono in paragone di questa definirsi opere sue minori. 

Allorquando il Corradi scrisse l’opera or esaminata degli Annali delle epidemie 
in Italia, all'anno 1494 egli aveva avvertito che documenti inediti, or rari, attorno 
alla storia dei mali venerei sarebbero stati altrove pubblicati da lui. E nel 1884 
egli scioglieva il suo debito, pubblicando negli annali universali di medicina il nuovo 
lavoro. Ancor ivi troviamo qualche cenno che c’interessa; come p. e. il ricordo 
del nostro distinto chirurgo Pier Antonio Perenotti da Cigliano in quel di Vercelli 
che fu premiato dall'Accademia di Francia, chirurgo della Corte Sarda e dell’esercito, 
ed anche socio corrispondente di quest’Accademia, secondo un cenno suo biografico, 
sebben manchi alla serie datane nel libro: Il primo secolo della R. Accademia delle 


i Pi AAT TIR 


ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 97 


scienze, ecc. (1). Il Perenotti fu autore della storia generale dell'origine e dell’essenza 
e specifica qualità della infezione venerea. 

Ed anche di altro nostro compaesano fa onorevole menzione il Corradi, cioè 
dell’illustre bibliotecario ducale di Parma, il padre Paciaudi, autore di erudita dis- 
sertazioncella, confacente agli studii del nostro autore, cioè di nota sulla famosa 
Missa beati Iacobi contra morbum G'allicum. 

Come dicemmo, liberale di buona lega, nè partigiano, non mai tradì il Corradi 
l’uffizio di storico col mezzo di falsi sottintensi e coll’omissione di rivelazioni che 
avrebbero coadiuvato a lumeggiare i tempi. D’animo mite seppe, occorrendo, far tra- 
scorrere leggiera la mano su piaghe, onde non andarono immuni alcuni ordini del 
corpo sociale, presso i quali sarebbe sempre stato a desiderare che i costumi si fos- 
sero ognora mantenuti incorrotti. 

Non devesi dissimulare che sulle prostituzioni d’ogni genere, ed anche sull’in- 
fima e di più sozza specie, il libro del Corradi ci fornisce notizie singolari. Ma non 
dobbiamo tacere che fra le varie città della penisola segnate dagli scrittori, come 
specialmente infette da quel vizio, non compaiono le nostre subalpine. Il che non 
vuol dire che queste ne fossero affatto immuni, perchè documenti ed argomenti in- 
diretti ci potrebbero attestare il contrario, ma il sozzo vizio non era radicato nella 
proporzione in cui trovavasi altrove, cosichè non faceva mestieri che gli scrittori, 
i cronachisti del tempo se ne dovessero preoccupare troppo. Mitezza maggiore nei 
costumi, governo temperato nei dominatori, moralità maggiore in coloro che devono 
fornire agli altri l'esempio dell’illibatezza dei costumi, coadiuvati persino dal clima 
preservarono il Piemonte dal cadere negli eccessi che si ascrivono ad altre province 
italiane, per quanto le eresie vi serpeggiassero in alcune parti, nè mancassero esempi 
molti di vivere sciolto ne' magnati, con tutte le conseguenze del mal esempio quando 
viene dall’alto. 

Negli stessi annali universali di medicina il nostro autore pubblicava nel 1885 
una dotta notizia sui documenti storici spettanti alla medicina, chirurgia, farmaceutica 
serbate nell'archivio di Stato di Modena, ed in particolare sulla malattia di Lucrezia 
Borgia e sulla farmacia nel secolo X. 

L'idea di questo lavoro era spuntata nel Corradi dacchè all’epoca dell’associa- 
zione medica italiana tenutasi a Modena nel 1882, in grazia del buon proposito avuto 
dal cavaliere Foucard direttore di quell’archivio, eransi messe in bella mostra, in 
un con parecchi autografi di medici celebri, memorie di medicina, di chirurgia e di 
farmacia. Ma la parte per noi più attraente di questa scrittura sono le pagine con- 
cernenti la malattia della ben nota Lucrezia Borgia, andata sposa a Ferrara al 


(1) Alla cui serie nella classe dei corrispondenti vuol pur ‘essere aggiunto altro medico omesso, 
cioè Gian Stefano Gatti da Casorzo, morto ad Altavilla nel 1827, autore del Monzisferrati collium ad 
Casalensem ditionem spectantium topographia medica. La qualità accademica leggesi pure nel seguente 
suo epitafio posto nella chiesa della borgata Franchini, frazione di Altavilla: Zohanni Stephano Gatti 


medico — Domo Casvrtio — R. Scientiarom Academiae Tavr: Sodali — Qvi non foeneris non ambitvs 
non honorvm spe — Nobilissimam artem non minvs scite quam liberaliter — Svmmaqve com hvma- 
nîtate exercvit — Viro morvm svavitate ingenti pietate spectatissimo — egregii nominis apvd svos vitae 


apvd svperos — Immortalitatem adepta — I. B. Martoratti medicvs ope proprio — M. P. Q. M. — 
Vixit p. m. annì LXXVII obiit Altaevillae — Pridie Non: febrvarii MDOCCXXVII. 


Serie II. Tom. XLIV. 13 


98 GAUDENZIO CLARETTA 


principe Alfonso d'Este nel 1502. L’autore qui seppe addentrarsi nell’intimo della 
vita di quei coniugi, che erano allora in piena luna di miele, informandoci delle spe- 
ranze, degli affanni donde furono travagliati durante la pericolosa malattia della 
comunemente creduta figlia di Alessandro VI. E consenziente sempre al sistema di 
appurare ben bene all’egida dei documenti i fatti, egli non lasciò di notare parecchie 
mende del Gregorovius, come, per es., allorquando nell’erudita sua storia di Roma 
scrisse, che essendosi il duca Alfonso recato a Loreto per isciogliere da parte della 
moglie il voto fatto per la sua guarigione, ella si fosse rinchiusa nel convento delle 
Clarisse del Corpus Domini di Ferrara, soltanto per respirare aria migliore, e non 
mossa da sentimento alcuno di pietà. 

Siccome poi gli speziali di quei giorni facevano commercio, non solamente delle 
droghe medicinali, ma delle drogherie e dei prodotti di tutto l’Oriente, non escluse 
le perle e le pietre preziose, vendendo altresì cera e zuccheri, che foggiavano in 
varie specie, esercitando perciò anco l’arte del confetturiere, così il Corradi valendosi 
di un documento, in cui notansi voci poco note o mal conosciute, diede un piccolo 
lessico in proposito, che non è al certo privo d’interesse. 

Notevole contributo alla nuova farmacopea italiana diede il Corradi nella sua 
prima farmacopea italiana, ed. in particolare dei ricettari fiorentini. Milano 1887 — 
Annali universitari di medicina. — Ivi egli svolse l’origine, il :progresso e il perfezio- 
namento del ricettario fiorentino, che fu la prima pubblica farmacopea, intesa secondo 
il senso moderno, cioè di libro, scritto per ordine delle autorità, che indica i me- 
dicamenti da tenersi nelle officine farmaceutiche, e. che ordina le regole da seguirsi 
nel prepararli. Una simile pubblicazione segnava novella éra, poichè dava un rude 
colpo al vecchiume arabico-galenico. Il nostro autore però, ammettendo pur il fatto, 
non dubitava di asserire che sarebbe stata opinione fallace quella di ammettere, che 
gli antichi non fossero tutti assenzienti ugualmente nelle composizioni dei, medica- 
menti, ma che anzi fossero più concordi che noi... dopo tanti congressi internazionali 
per mettere insieme la farmacopea universale... 

Come vero bibliografo, il Corradi, anche in quest'opera seppe lardellare il testo 
di molte note, che attestano l’esistenza di libri rarissimi di farmacia. In codesta 
rassegna il Piemonte non compare, tranne in ciò che l’antidotaria romana, l’ultima, 
cronologicamente parlando, delle farmacopee ufficiali, comparsa nel cinquecento, nella 
sua edizione del 1624, venne intitolata al nostro commendatore Antonio Dalpozzo, 
noto mecenate di dotti e di. artisti. 

Forse fra ie notizie qua e là raccolte di autori di ricette, di antidoti di orvie- 
tani e di empirici potrebbero trovarsi quelle di pochi de’ nostri che gareggiarono 
anche per parte loro a spacciar lucciole per lanterne, ma con poco o nissun resul- 
tamento (1). 


(1) Fra quali, l’autore che corre sotto il nome del piemontese D. Alessio, il quale m’induce ad 
accennar qui alla rara edizione dei Secreti del reverendo donno Alessio piemontese; Venezia, 1555. 
Altra edizione di questo libro fecesi pure a Basilea nel 1559, colla versione in lingua latina a cura 
del dottore in medicina Jacopo Wecker; altra ha la data di Venezia del 1638; nè sono le ultime. 
Ma più benemerito di costui, per quanto non abbia menato tanto rumore con cervellotiche pubbli- 
cazioni fu qualche tempo dopo l’oggi, affatto dimenticato Gian Tommaso Danese da Cuneo, detto 


ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 99 


Nell’altro scritto sugli antichi statuti degli speziali — Milano 1886, il Corradi ci 
fece conoscere molti di quegli statuti, avendo di tal guisa raccolta larga messe bi- 
bliografica, sfuggita al Luigi Manzoni, autore della bibliografia statutaria storica 
italiana. . 

Ancor qui il Piemonte non si fa vivo in alcun modo, tuttochè avesse già nel 
secolo XVI il suo collegio degli speziali, che poteva benissimo essere retto da’ suoi 
statuti, non venuti a mia notizia (1) e che venne soggetto a norme certe dal duca 
Emanuele Filiberto. Nello scritto però che ricordiamo, il Corradi accenna al nostro 
Giovanni Argentero che professò medicina dal 1542 al 1555 nello studio di Pisa (2), 
restaurato da Cosimo I. E non è a dire che non vi fossero delle benemerenze nel 
sostenere quell’ufficio, poichè, come l’Argentero stesso c’informa, quell’università 
soleva ogni anno venir decimata a cagion della mal aria, singulis amnis ab his ma- 
lignis morbis, contro i quali nessun rimedio riusciva efficace 00 stagnantes aquas, cioè 
le note maremme. 

Ma procediamo brevemente nel nostro assunto, intertenendoci di altri scritti del 
Corradi, collegati colla storia e colle lettere. Quello, intitolato escursioni di un medico 
nel Decamerone, pubblicato nel volume XIV, quinto della serie III delle Memorie del 
R. Istituto Lombardo, Milano 1881, non solamente è curiosissimo, ma utile, poichè 
tale ad invogliare anco i profani a conoscere dati scientifici di molto interesse. Ren- 
dendo noto quali fossero le malattie più volgari dei tempi trascorsi, quali le con- 
suetudini mediche di cura in allora, egli seppe trarre argomento altresì del nesso 
strettissimo fra la storia della civiltà e la scienza della salute, e ricongiungere la 
medicina al resto della letteratura, da cui oggi, com’egli ben osserva, con danno 
gravissimo è disgiunta. 

Già di una prova di codesto genere di studii medico-letterarii egli aveva dato 


Tabarino, rinomato allora per operazioni sue manuali, elettuari, contraveleni e medicinali non ciar- 
lataneschi, dispensati a pubblica utilità, fra cui il ginepro triacale; e che otteneva vari favori dal 
duca Carlo Emanuele II con una sua patente del 1674. 

(1) Pare che il collegio farmaceutico di Torino siasi costituito in ordine alle patenti di Ema- 
nuele Filiberto del 12 maggio 1565 che ci fanno conoscere la primitiva esistenza del collegio dei 
farmacisti di Vercelli che aveva il suo abate, consoli ed uffiziali. Ma nel 1568 già esisteva indub- 
biamente. Nel 1615 eranvi 24 speziali ordinari e 6 sovranumerarii. In detto anno ragunavasi ancora 
in casa di Emanuele Giorgis un de’ suoi sindaci, e così nel 1638, in cui comparivano Clemente 
Pochettini e Pietro Maria Viale. Ma il venerando collegio de’ speciari di Torino notavasi poi affatto 
ben costituito nel 1651 in una divergenza avuta in quell’anno coi farmacisti Luciani (famiglia che 
tenne farmacia in Torino sin verso la metà del secolo odierno). Erano in quell’anno sindaci del 
collegio Pietro Francesco Marchetto e Gian Giacomo Sereno. — Archivio notarile. — Il Collegio dei 
farmacisti aveva, sin dai primi anni di quel secolo, il patronato della cappella dei Ss. Cosimo e 
Damiano nella chiesa di S. Francesco d’Assisi; quello dei chirurghi era patrono della cappella degli 
stessi santi nella Metropolitana. /D. 

(2) Dellà benemerita famiglia di Chieri, venuta su appunto allora in grazia del merito proprio, 
e sollevatasi poi a notevole potenza, sia coll’ammessione ad elevate cariche, sia col possesso di 
parecchi feudi. 

Il Giovanni, citato dal Corradi, aveva due altri fratelli anche dottori in medicina e in filosofia. 
Bartolomeo, uno di essi, fu lo stipite dei marchesi di Berzè, ecc. Giacomo, altro di essi, nel 1598 
pubblicava in Asti dal Pizzamiglio il porta tecum rimedii più veri e approvati, tanto preservativi 
quanto curativi contro la peste, ecc. Giovanni, di cui si è occupato il Corradi, autore di varie opere 
‘ mediche aveva sposato Margherita dei Broglia di Chieri, donde Caterina che maritavasi anche con 
un professore all’Università di Torino, cioè Gian Giacomo Bovio, ed Ercole. 


100 GAUDENZIO CLARETTA 


saggio, e nella vita intima dei primi secoli del Medio Evo e la Medicina e nel libro 
della cucina del secolo XIV pubblicato nel 1864 nell’Igea, col titolo La cucina e le 
malattie del trecento. Nissuno aveva sin’allora indagato e considerato quanta attinenza 
possa avere il Decamerone del celebre Certaldese colla medicina, oltre la nota de- 
scrizione della peste del 1348. A colmare questa lacuna dava opera il Corradi, che 
con questo viaggio traverso il nostro novelliero riuscì a renderci famigliari pratiche 
mediche, condizioni dei medici, opinioni e credenze relative alla medicina dell'età di 
Mezzo. 

Nella prima escursione egli si fa a trattare sulle novelle del Boccaccio l’ane- 
stesia, gli anastetici e la chirurgia del medio evo, traendo l'argomento dalla novella 
della giornata IV, La moglie di un medico e Vamante alloppiato. Di qui il nostro 
autore trasse notizie curiosissime, e sui vari narcotici degli antichi, e sui sistemi 
che usavano i chirurghi nelle operazioni più dolorose per togliere i sensi al paziente, 
gli empirici per cavarne pro o per favoreggiare l’amore del meraviglioso, la credulità 
e la superstizione. Egli ci fa vedere, come la scienza indisciplinata estranea alle scuole, 
anco in mezzo alle fantasticherie, agli erramenti, alle audacie, agli errori sapeva 
trar alla luce qualche cosa di singolare, e preparare materiale per la scienza nuova. 

Curiosi i particolari che il Corradi dà dei rimedi che nel medio evo erano in 
uso per premunirsi contro il fuoco e contro ogni specie di tormento, con affanno e 
stupore degli inquisitori e processanti, che credevanli l’effetto di arti diaboliche, di 
magia, di stregoneria e va dicendo. Fra la copiosa serie di nomi che dà l’autore, 
cita anco con lode due de’ nostri rinomati chirurghi, Ambrogio Bertrandi e Francesco 
Rossi da Torino, autore questo secondo di un trattato elementare delle operazioni 
chirurgiche, Torino, anno XI. Egli chiude la lunga ed interessante sua dissertazione 
togliendo argomento dalla novella ottava della giornata II del Boccaccio per ricordare 
altri soporiferi, e confermando l'esattezza e la veracità del celebre novelliere, nei cui 
racconti seppe artificiosamente alla realtà mescolare le finzioni. Nè piegò alle super- 
stizioni o credenze del volgo, che per ischernirle e sfatarle. 

Nella peste di Milano del 1576 e il cardinale Borromeo, Milano 1882, egli ebbe 
per obbietto di esporre qual ne fosse stato il governo politico, medico ed ecclesiastico. 
Considerando le geste tanto del cardinale arcivescovo, quanto del magistrato di 
sanità, egli riconosce che e l’uno e l’altro non fecero che seguire le opinioni e le dot- 
trine dominanti, cosichè ed il bene ed il male venutine vogliono esser in gran parte 
ascritti ai tempi. Il Borromeo era d’opinione che tutti potessero accendersi dello 
zelo e della carità dond’egli rifulgeva; e che il fervore dimostrato nel resistere al 
morbo si potesse conseguire dal popolo col mezzo di pubbliche espiazioni. Sta però 
che quella peste rimanga memorabile, più che per i deplorevoli errori seguìti, per 
la eminente opera caritativa dell'arcivescovo di Milano. 

Anche il grande e sventurato cantore della Gerusalemme liberata, le cui vicende 
eccitarono sentimenti di pietà in ogni cuor ben nato, furono argomento delle indagini 
del Corradi. Il quale già nelle Memorie del predetto Istituto, del 1880, aveva pub- 
blicato uno scritto col titolo Su le infermità di Torquato Tasso, ove coll’investigare 
persino i mali negli ascendenti del poeta, così sublime nell’epica, potè confutare 
molti errori sfuggiti ai vari autori che ebbero ad intrattenersi in particolar modo 
dei casi sgraziosi del Tasso. Ne va egli considerando l’infanzia, le prime malattie 


ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 101 


a cui andò soggetto, i prodromi della maggiore; la sua prigionia, le fughe di lui ; 
insomma la diagnosi dei mali. di spirito e di corpo di quel grande è così ac- 
curata, che ti pare di veder l’autore assistere al capezzale dell’infelice poeta. Ed 
ancor qui, sempre consentaneo ne’ suoi principii, egli non permette che si abbiano 
a formare storti giudizi. Discorrendo egli, a cagion d’esempio, dell’influenza che 
possa aver ricevuto l’animo del Tasso dal modo di educazione avuto, prende a con- 
futare il dottor Rothe, direttore del manicomio di Varsavia nel suo Eine psychia- 
trische Studie sul celebre epico, che affermò che il Tassino era rimasto nella scuola 
dei gesuiti di Napoli in istato d’instupidamento intellettuale. Il Corradi, senz’accingersi 
ad investigare quali fossero i metodi didascalici a cui si erano attenuti i discepoli del 
Loyola, indagini estranee al suo scopo, si limita unicamente ad osservare che.... “ bisogna 
andar cauti nel dichiararli sì perniciosi come li stima il nostro autore, cioè il Rothe, 
perocchè altrimenti avendo essi signoreggiato nelle scuole fin quasi ai giorni nostri, 
e presso che universalmente, converrebbe conchiudere, contro la storia, che per il 
corso di oltre due secoli l'Europa non ebbe uomini, nè di mente nè di cuore. Non 
bisogna esagerare, come che grandissima, la potenza dei sistemi didattici e peda- 
gogici, tanto da reputarli capaci di plasmare gli intelletti e gli animi tutti alla 
forma concepita: ricordiamoci che dalle scuole dei gesuiti, uscirono, come Benigno 
Bossuet e Francesco di Sales, che la religiosità elevavano con la dottrina, con la 
maestà dell’eloquenza, con il fervore delle opere caritatevoli, così il Voltaire e l'Hel- 
vetius, intenti a scalzare ogni fondamento di fede; ma n’uscirono del pari Scipione 
Maffei e Lodovico Antonio Muratori che seppero mantener libero il pensiero e com- 
battere, così l’incredulità, come la superstizione. La ferula magistrale non doma certe 
prepotenti nature, nè le pastoie scolastiche rattengono e sviano gli ingegni eletti. 
‘ Intanto sappiamo che quei padri non forzavano la mente de’ fanciulli a comprender 
cose alle loro intelligenze superiori, quali i misteri della religione; eglino si conten- 
‘tavano di metterne la fede volgendosi al sentimento....., p. 320. 

Nel percorrere le varie fasi della vita del Tasso il Corradi considera pure il 
suo viaggio in Piemonte alla Corte del nostro duca Emanuele Filiberto, nel settembre 
del 1578. Ma su questo avvenimento fece qualche osservazione Alessandro di Vesme 
nel suo scritto Torquato Tasso e il Piemonte, pubblicato nel tomo XXVII della Mi- 
scellanea di storia italiana, in asserzioni però meramente accessorie e cronologiche. 
Così egli non s’accorda coll’illustre professore, il quale vorrebbe che la data dei 
25 settembre s’avesse a correggere nel 25 ottobre, perchè il Tasso aveva scritto di 
essere giunto nel Vercellese “ quando il vendemmiatore suol spremere dall’uve mature 
il vino, e che gli arbori si veggono in alcun luogo spogliati di frutti ,. Quest’autore 
obbietta qui, che oltre a contraddizioni che vi sarebbero ‘a ritenere vera la data, 
secondo l'opinione del Corradi, le vendemmie nell’alta Italia facendosi piuttosto in 
settembre che in ottobre, alla fine di questo già sono compiute affatto. Sta bene, 
«ma quel che toglie ogni dubbio, e che fa doversi ritenere certa la data del set- 
tembre, è che nel noto dialogo del padre di famiglia, ove si accenna a questa 
particolarità, il Tasso, oltre all'osservazione della vendemmia, dice che gli furono 
alla mensa presentati dei poponi..... e incontinente de’ melloni fu quasi caricata la 
mensa, ecc..... ,. Ora si sa abbastanza che i poponi, già presso di noi molto radi in 
fin di settembre, più non si trovano nello stato naturale a! cader del mese seguente, 


102 GAUDENZIO CLARETTA 


ed in così gran copia, almeno, come accenna il Tasso. Che più! Nello stesso suo 
dialogo del padre di famiglia il Tasso mette successivamente in bocca a questo, che 
alla mensa a cui si assise nella casa del gentiluomo vercellese (che sarebbe stato, 
secondo le conghietture del citato Vesme, di Niccolò, della nobile e ragguardevole 
famiglia vercellese degli Aiazza) (1) il bue si porta piuttosto per un cotal riempi- 
mento delle mense che perchè da alcuno in questa stagione calda sia gustato. Or 
nell'ottobre la stagione sarebbe stata tutt'altro che calda. 

Un altro errore che doveva essere qui corretto, è lo scambio fatto dal Corradi del 
nome di Giuliano, dato al cardinale della Rovere, arcivescovo di Torino, a vece di 
Gerolamo. Ma sol per ragione di storica esattezza vogliono essere notati questi nèi, 
sebben si sappia abbastanza, che essi nulla detraggano al merito del lavoro, essendo 
propri di qualunque libro, che anzi ogni scrittore è in diritto di rilevare per amor 
del vero, allorchè avviene, senz’incorrere nella taccia di mala fede o di volgar pas- 
sione, onde non potrebbero esimersi quanti facendo sembianze di non tener conto 
del buono del libro, cercano solamente di metterne in evidenza la parte errata. 

Sul pietoso argomento il Corradi davasi ad altre ricerche, e non meno. delle 
precedenti interessanti. Lasciando da parte le note e le gravi quistioni agitatesi fra 
il Rosmini e il Capponi sull’origine del castigo ricevuto dal Tasso, egli prendeva a 
considerare se dovesse ritenersi vittima della reazione cattolica, che è quanto dire dei 
gesuiti, secondo la recente opinione manifestata da Cherbulier, da Rodolfi, ed ulti- 
mamente dal Monnier. Ed il nostro autore riusciva a provare vittoriosamente, che 
l’origine delle disavventure del poeta devesi ricercare nelle infermità stesse di lui 
e nel suo carattere, aggravate bensì dalle condizioni dei tempi e dei luoghi, ma non 
create da questo. Il Corradi, coll’appoggio di nuovi documenti avuti dal lodato ca- 
valiere Foucard direttore dell’ Archivio di Stato di Modena, riusciva a compiere gli 
studii in precedenti fattivi dal Cibrario, dal Campori e da altri valentuomini. In tal 
guisa egli poteva provare, che nei sette anni di reclusione sofferta dal Tasso, ei fu 
affetto dalla pazzia detta alternante, e così scusare il duca Alfonso II, che dimo- 
strandosi per un verso crudele, per l’altro umanissimo, aveva le sue buone ragioni 
per non acconsentire alla liberazione di lui. 


(1) Nello scritto del Vesme, questi rinfresca pure la bella confutazione fatta dal compianto 
marchese Campori, secondo cui rimane provata falsa una lettera che il Tasso avrebbe Iscritto al ce- 
lebre abate Giovanni Botero di Bene, ove avrebbe dichiarato di aver tolto l’idea delle descrizioni 
fatte in una stanza della sua Gerusalemme del giardino del palagio incantato d’Armida, dal parco 
di Torino, sebbene già esistente ai suoi tempi. 

Ma se nel poema del Tasso non compare il parco torinese, nel suo Forno primo, della nobiltà, 
è nobilmente ricordato il carmagnolese Agostino Bucci, medico e filosofo ragguardevole de’ suoi 
giorni, del quale piacemi riferire quanto leggesi nello scritto inedito dell’illustre barone Vernazza: 
I Bucci letterati, ecc. Ma lodi nè più nobili, nè da personaggi più grandi furono date ad Agostino 
Bucci che da Torquato Tasso, onde tanto durerà la memoria del Bucci quanto durerà che senza 
dubbio fia sempre gloriosa e perenne la fama del Tasso! Egli nel soggiorno di quattro mesi, che 
da ottobre 1578 fece in casa del marchese Filippo da Este in Torino conobbe principalmente Ago- 
stino Bucci. Qui scrisse il primo dialogo della nobiltà e in questo primo e nel secondo ed anche 
nel terzo che fu della dignità, il Tasso introdusse per favellatore due dei più illustri soggetti che 
allora fossero in Torino, e che erano molto famigliari del marchese suo ospite e signore, cioè 
Antonio Forni, gentiluomo modenese, caro a Filippo e dal duca molto per la sua virtù favorito ed 
Agostino Bucci da Carmagnola, primario professore di filosofia, ecc. 


- 


ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 103 


“ Pericoloso a sò ed agli altri il Tasso, soggiunge il Corradi, doveva essere 
rinchiuso, nè lasciato libero, se non guarito o fatto risanare, e però non il rinserra- 
mento o la durata di esso deve far meraviglia perchè a chiunque altro nelle me- 
desime condizioni sarebbe potuto allora del pari che oggi toccare lo stesso; la mera- 
viglia sorge e giustamente quando si pensi alla gelosa custodia del duca di Ferrara, 
alla ripugnanza di accondiscendere alla liberazione che pur tanti ed alti personaggi 
richiedevano, alle cautele con cui finalmente consegnava l’infermo al cognato principe 
di Mantova, all’ansia per riaverlo allorquando quegli anche di colà scappava ,. 

Egli adunque opina che la ragione della detenzione si debba ricercare nelle pre- 
cauzioni che aveva il principe estense di non dar troppi disgusti alla curia romana 
presso cui già era in mala voce la sua Corte, e per le passate vicende di Renata di 
Francia sua madre, e per i sospetti che le dottrine calvinistiche fossero assai pro- 
pagate a. quella Corte, il che punto non conveniva al duca, il quale maneggiavasi per 
assicurare la successione nella linea collaterale, non avendo egli prole, e dovendo 
devolversi alla chiesa i suoi stati. 

Ora il Tasso nei suoi vaneggiamenti si teneva eretico; ed il duca si guardava 
di lui, e procurava di tenerlo sotto buona guardia, affinchè non vi potesse mai essere 
pericolo di alcuna mala satisfazione, non tenendo egli in freno nè penna nè lingua. 

Procediamo innanzi. Vincitore nel 1870 del premio straordinario Sgarzi-Gaiani, 
proposto dalla Società medico-chirurgica di Bologna, quattr’anni dopo il Corradi pub- 
blicava il suo lavoro: Della chirurgia in Italia dagli ultimi anni del secolo scorso sino 
al presente. La giunta esaminatrice del suo manoscritto aveva sentenziato, che nel 


di considerare quest'altro insigne lavoro nei suoi particolari: e basterà ancor qui 
avvertire, che in esso pure partecipano allo scientifico banchetto i nostri compaesani. 
E mentre l’autore. considera Carlo Guattani (1), secondo lui novarese, il fondatore 
della scuola romana, rende i dovuti elogi ad Ambrogio Bertrandi, già superiormente 
ricordato, che avrebbe potuto ristorare la chirurgia: ma purtroppo la vasta orma 
segnata da lui; come fulgida meteora nel campo dell’arte chirurgica, doveva sorgere, 
risplendere e sparire in breve volger di tempo. Nota egli altresì quanto alla chi- 
rurgia avrebbe potuto giovare il nostro saluzzese Malacarne, perspicacissimo com'era, 


ove il versatile suo ingegno non l’ avesse spinto ad argomenti svariati, laddove, 


dopo aver accennato a Francesco Rossi valente e ardito operatore, perito nelle cose 
anatomiche, e degli sperimenti fisiologici passionatissimo, dice che “ il Riberi..... con 
minore ingegno, con meno vaste cognizioni, ma con mente più ordinata e fermis- 
sima volontà diè alla scuola torinese quello splendore che i suoi maestri non sep- 
pero o poterono conferirle, e che da oltre mezzo secolo essa pur sempre attendeva..... ,. 


(1) Ma sebbene altri il dica nato a S. Bartolomeo Bagni nella provincia di Novara, forse S. Bar- 
tolomeo Valmara, poichè il S. Bartolomeo Bagni io nol seppi rintracciare in alcun luogo; pare che 
il Guattani fosse milanese. L'’illustre Salvatore Betti nell’elogio del figlinol suo Giuseppe Antonio, 
archeologo di certa fama, dice ch’egli era nato bensì a Novara, ma di famiglia milanese, e dal 
matrimonio del nostro Carlo con Catterina Pagliarini sorella dell’illustre letterato e tipografo che, 
regnando Clemente XIV, era stato incaricato degli affari di Portogallo. 


104 GAUDENZIO CLARETTA 


Apertosi altro concorso del premio biennale Sgarzi-Gaiani, nel quale era proposto 
di ....esporre ed apprezzare la parte che spetta agli italiani nell’avanzamento della scienza 
ed arte ostetrica, nonchè nello studio delle malattie delle puerpere e dei neonati dal prin- 
cipio del secolo fino al presente, il Corradi riusciva di nuovo vittorioso in quella scien- 
tifica palestra. Ed ancor qui basterà in merito avvertire, che nel lavoro Corradiano 
la Giunta riconosceva “ .....una maestria non comune, un cumulo di cognizioni sor- 
prendente, una discussione approfondita di ogni argomento, da tornare, data in luce, 
della massima utilità sì teorica che pratica, costituendo una delle migliori opere di 
ostetricia, e che più diffusamente ed estesamente tratti la parte che risguarda il 
pratico esercizio ,. 

In questo scritto egualmente l’ autore pone in bella luce il nostro paese, e 
Torino in ispecie, poichè sebbene l'insegnamento dell’ ostetricia venisse da essa più 
tardi di quanto avrebbe dovuto essere, pur nondimeno ne fu la prima scuola (aperta 
nel 1728 nel nostro Ospedale di S. Giovanni) che secondo l’odierno significato fosse 
stata con pubblico decreto istituita intorno all'arte dei parti. 

E qui di nuovo ricompare con lode il nostro Ambrogio Bertrandi, autore nel 1764 
del compendio dell’arte ostetrica (pubblicato però soltanto postumo nel 1890); opera 
che fu tra le prime a dare all’Italia le prime istituzioni moderne italiane intorno a 
questa importante parte della medicina. Così del pari evvi menzione di scritti su 
quell’argomento di parecchi de’ nostri, e men recenti, come ad esempio, del poco fa 
lodato Vincenzo Malacarne che professò a Pavia, e di coloro che conseguirono rino- 
manza ai giorni nostri, fra i quali meritamente tiene uno de’ primi posti il valente 
Scipione Giordano, dai cui scritti seppe il Corradi trarre ampio partito. 

Prezioso lavoro si è quello pubblicato dal Corradi nei rendiconti dell'Istituto 
lombardo del 1873 sullo Studio ed insegnamento dell'anatomia in Italia nel medio evo 
ed in parte del cinquecento. 

Discorrendo ivi del celebre Andrea Vesalio, Wesale, di Bruxelles, che fu il più 
grande anatomico del secolo XVI, o piuttosto il creatore dell’anatomia, e discendente 
di una famiglia in cui la medicina era ereditaria, il Corradi appena appena accennò 
alla viva polemica contro il famoso suo libro: De corporis humani fabrica libri septem, 
Basileae 1543, suscitatasi dai fautori delle dottrine galeniche, fra’ quali principale 
e più veemente oppositore fu il nostro compaesano Francesco Dalpozzo (1). Con quel 


(1) Ancorchè non sia, al certo, compito di questa Memoria di colmare le lacune degli scritti Corra- 
diani, anche nella sola parte che più da vicino ci tocca, nondimeno trattandosi di tale che ci fornisce 
mezzo di far conoscere parecchi anatomici subalpini e delle provincie che fecero più tardi parte dei 
nostri Stati, e passati inosservati al Corradi e ad altri biografi, credo pregio dell’opera di consegnare 
in questa nota, per quanto assai lunga, il frutto delle spigolature che ci fornisce uno scritto di questo 
medico Dalpozzo, libro non troppo comune, che fa parte della mia libreria particolare. Esso appar- 
teneva all’illustre medico milanese Giambattista Silvatico, primario professore di medicina alla 
Università di Pavia, autore di dieci e più opere mediche, morto nel 1621. Sull’esemplare posseduto 
da me il Silvatico vi lasciò il suo autografo con queste parole: Est. Io. Baptistae Silvatici medici. 

E di esso darò in tale congiuntura alcune notizie, ch’egli d'altronde ben si merita, perchè l’opera 
sua, che fu presa di mira sotto l’aspetto scientifico per essere censurata (nè noi ci facciamo punto 
sostenerla, poichè l’autore vi compare come un retrivo, avverso ostinatamente alle innovazioni della 
scienza professata), per altre considerazioni deve essere invece encomiata. Discorsero del Dalpozzo, fra 
i nostri, il Degregori nella sua storia della letteratura vercellese, il Bonino nella biografia medica pie- 


ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 105 


suo Îavoro il Vesalio gettava le basi di un rivolgimento generale nella medicina, ned 
egli ignorava che sarebbe stato, come dice il Corradi: “ .....fieramente morso da co- 
loro che servilmente ossequiosi a Galeno, non volevano sapere di novità, tutto vero 
giudicando l’antico e sprezzando il giovane che svelava i vecchi errori, senz’essersi 
al par di lui esercitati nel taglio e nell’osservazione de’ cadaveri .....quam minime ab 
ilorum morsibus erit tutus qui perinde ac nos in IDALICIS SCHOLIS anatomen sedulo 
non sunt aggressi ,. E fra costoro compariva appunto il nostro Dalpozzo, che vuol 
essere aggiunto agli altri già conosciuti oppositori, quali Driander, il modenese Ga- 


montese, il chiar. collega comm. Dionisotti nella sua biografia dei vercellesi illustri e nelle memorie 
storiche di Vercelli. Tutti costoro però conobbero, ma non esaminarono a fondo il citato suo libro: 
Apologia pro Galeno in anatome examen contra Andream Vexalium bruxellensem Francisco Puteo medico 
vercellensi authore. Venetiis, apud Franciscum de Portonariis de Tridino, 1562, ecc. Che se esso fosse stato 
esaminato perfettamente, si sarebbe almeno dai suddetti rivelato, che questo libro fornisce appunti 
singolari per la biografia medica patria e per fatterelli contemporanei succeduti, che io qui ripro- 
durrò, inframmettendoli a cenni sullo stesso autore, in parte fornitici da quel suo scritto, e così 
per la stessa ragione passati inosservati. — Il Pozzo o Dalpozzo era nato a Villanova in quel di 
Casal Monferrato. Che egli fosse del celebre casato biellese dei signori di Viverone, Romagnano, 
Ponderano, Voghera, Neive e poi principi della Cisterna, certo che no. Ma peraltro ei vi apparte- 
neva indirettamente col mezzo di quelle aggregazioni allora in uso, e seguita a suo favore per opera 
di Francesco Dalpozzo da Biella, marchese di Romagnano, capitano di Santhià, di cui parleremo. 
Il che fa onore al nostro medico, essendo prova de’ suoi meriti. Ecco come si spiega la sua ten- 
denza d’indi in poi a lasciar credere di appartenere alla illustre schiatta dei biellesi Dalpozzo. E 
questo lo vedremo, dopo aver accennato alla carriera del Dalpozzo, della cui famiglia presen- 
tiamo il presente schema genealogico, in parte ricavato dal suo libro. 


BarroLomeo Darpozzo da Villanova Casalese, stabilitosi a 
Vercelli sul principio del secolo XVI, medico di fama, 
professore di filosofia e rettore degli scolari di quella città 
nel 1539 } 1551; sposò pa de Longis da S. Germano. 


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AwmEDEO CATTERINA FRANCESCO ANTONIA 
{ avvelenato a Pavia, sposò Emiliano medico a Vercelli, ivi + ancor vivente nel 1562; 
studente di leggi, e già De Opezzino. il 20 novembre 1564, fon- sposò Bartolomeo Pagis 
+ nel 1562. datore del Collegio Pu- da Olcenengo. 


teano. Sposò Franceschina 
fu Luigi Caccia di Novara. 


Datosi, alla guisa del padre, allo studio della medicina, sembra che Francesco siasi laureato 
a Pavia sotto la disciplina del milanese Branda Porro, che professò a Pisa, Pavia e Bologna, e di 
Giacomo Pacini, che sempre nominò con riverenza di discepolo riconoscente. Consacratosi poi spe- 
cialmente allo studio dell'anatomia, affine di perfezionarvisi, non risparmiò di frequentare le uni- 
versità di Padova, di Bologna e di Pisa, ove potè avvicinare i professori più esperti. E come del suo sog- 
giorno a Venezia, così di quello fatto a Bologna ei fa ripetuta menzione, non astenendosi da varii aneddoti 
capitatigli per ragione dello studio, nel quale desiderava di approfondirsi il più che possibile. Nè veglie, 
nè tediosi uffizi egli ebbe a risparmiare per riuscire ne’ suoi intenti. E basti il dire, come a Bologna in 
ispecie, egli di continno frequentasse, e le gradinate del S. Petronio, e i sedili del S. Pietro, e S. Michele 
in Bosco, e il peristilio della Vergine del Baracane, e il cimitero di S. Francesco, per poter esa- 
minare a suo agio mendici affetti da uno special genere di morbo, cui desiderava di conoscere a 
fondo. Ma dove esercitò la sua professione fu a Vercelli, ed ivi compilò l’opera sovracitata, dalla 
‘quale abbiamo tolti questi cenni, e di cui parleremo ora con qualche diffusione, non per discorrere 
del suo valore scientifico, già allora contestato, locchè avemmo pure ad avvertire superiormente, ma 
per far conoscere le molte notizie attinenti alla nostra biografia, che in essa si racchiudono. Basterà 
poi a dar un saggio dell’indole dei tempi e degli scritti specialmente letterarii di quell’età questa 


Serie IL Tom. XLIV. 14 


106 GAUDENZIO CLARETTA 


briele Falloppio, anatomisti di certa fama, Eustachio ecc. Ma i più ardenti oppositori 
suoi non mancarono di essere presi di mira dal celebre belga; e basti per noi avvertire, 
che al nostro Dalpozzo ei rispose col suo pseudonimo Examen apologiae Fr. Putaei 
pro Galeno. 

Del resto, come succedeva in quei giorni d’inveterati pregiudizii e di opinioni 


sua veemente apostrofe contro il Vessalio: Certe 0 studiosi angor plurimum de hoc homine et exerutior 
qui huiuscemodi mendattis, vel dicam potius ineptiis, studuerit Galeni famam obumbrare: 0 petulantiam 
non ferendam mehercle potest omnibus innotescere quam scelerate fuerit factum cum huiuscemodi men- 
datiis in his Galenum calumniari; in aliis autem in quibus Vessalius non calumniose, sed aperte con- 
traviatur Galeno, non ita videtur esse detestandus... Ib., p. 93. 

Questo suo libro ei volle intitolato, non ad uno scienziato, ma ad un porporato, o perchè suo 
omonimo, 0 forse perchè suo mecenate, ovvero che sperava di aver tale, e che era il cardinale Jacopo 
Dalpozzo, della famiglia che fioriva a Nizza di mare. L'antiporta del libro ci dà in una modesta 
zilografia il suo ritratto in un ovale incartocciato a fregi del cinquecento avanzato, a cui sovrasta 
lo stemma Dalpozzo, ma se l’ artefice che ne fece il disegno fu esatto, esso sarebbe differente nel 
color del campo da quello dei Della Cisterna, ecc. che è d’oro, laddove quel del nostro medico 
sarebbe rosso, ma allora il pozzo non potrebbe essere più dello stesso colore, che però mal si scorge 
dalla figura. Ma in quanto alla sua famiglia, discorrendo nel suo libro del fratel suo Amedeo, 
comincia a parlarne con qualche vezzo nei seguenti distici : 


Cultor Amaedeus legum doctissime frater 
Aspice, quid nostrum nobile stemma docet 


Tu cernis binos angues puteumque nitentem 
Ob Glauci vitam, quod fuit inde datum 


Quid dubitas igitur sacras demittere leges 
Peanisque arti te dare solicitum 


Tu noscis Vafrae logices aenigmate et altos 
Naturae cursus stelliferumque polum 


Ni antiquo generi facias respondeat ortus, 
Crede domus nostrae dedecus istud erit. 


E rivolgendosi indi al prelato, nell’augurargli con troppa facilità il Papato, interloquisce consi- 
derando l’antichità della sua stirpe che si gloria di accomunare colla propria Sed ultra hace non 
mediocriter nos gloriari possimus 0 illustre ac reverendissime praesul de nostra prosapia... Poi, quasi 
supponendo che l'illustre Cassiano Dalpozzo, figlio di Antonio, scudiere del duca Carlo II e di 
Margherita Della Torre, signore di Castellengo, di Reano, ecc. e primo presidente del Senato, fosse 
affine a loro, così egli ne parla... Praesertim quando Cassianum Puteum tibi adiunxeris virum inquam 
amplissimum humani divinique iuris consultissimum Sabaudiae Praesidem illustrissimum sactissimique 
Senatus Pedemontiwn, omnium facile principem, in quo fortitudo, temperantia, et prudentia, perpetuae 
comites semper extiterunt, quarum significationem ex hoc habere possumus, quod in regendis urbibus non 
familiarissimus ut plerique alii, sed innocentissimus habetur ab omnibus, curarum remissionumque, 
tempora sapienter ordinans: est enim gravis ubi iudicia poscunt, et intentus atque severus, et aliquando 
misericors: ei etiam adiunguntur animi candor et singularis integritas cum summa amplitudine et di- 
gnitate marima, ob cuius animi dotes non est qui de co non admiretur summopere ct cum tamquam 
numen non colat, quum sit in omni virtutum genere ornatissimus potissimum quando relicta auarttia, 
omnium bonorum authorum sit maecenas. . . 

Ricordando il fratel del presidente Cassiano, cioè il sovranominato scudiere, capitano di Santhià 
marchese Francesco, loda in lui la purezza dell'animo, la singolar prudenza, la moderazione negli 
affari, l’aurea e liberale opulenza, coll’'abbondanza della discendenza. È qui apertamente egli, pro- 
fittando dell’aggregazione accennata, si fa della stessa famiglia, dicendo che... cum filiorum abun- 
dantia sperare debemus nostram prosapiam non mediocriter illustrari posse, praesertim quando adsit 
illustris Ludovicus inter omnes, pauca ipsorum dixerim, mactae virtutis, atque excellentis ingenti iuvenis, 
de quo existimo eius expectationem, apud quoscumque non fore minimam... (1). E finalmente non lascia 


(1) Cioè Ludovico Amedeo, figlio di Francesco capitano di Santhià, epperciò nipote di Cassiano. 


ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 107 


preconcette, ai novatori troppo rischiati a propagare il vero ed a combattere i tenaci 
errori, frutto dell’ignoranza, tuttochè il Vesalio fosse stato medico di Carlo V, e lo 
fosse ancora di Filippo II, fu ricercato dall’Inquisizione, mossa su dai suoi emuli che 
accusaronlo di precipizio nel suo operare. Dubitavasi che mentre disseccava il corpo 
di un gentiluomo, affetto forse d’isterismo, erasi visto il cuore del supposto estinto 


a 


di tributare i meritati elogi agli altri fratelli di Ludovico Amedeo, cioè Fabrizio, conte di Ponde- 
rano (morto pure nel 1581) e Carlo, che non doveva smentire gli elogi precoci datigli dal Dalpozzo, 
che chiamollo puerumn non dicam sed iuvenem potius ob suam praecocis ingenii singularitatem qui hoc anno 
în aetate undecim annorum mansuetiores musas relinquens ut legibus operam daret Papiam concessit... 
Egli faceva pur voto che avesse ad essere serbato a lunga vita pro dignitate domus. E fa proprio 
esaudito, poichè il lodato divenne l’illustre arcivescovo di Pisa, ove fondò il ben noto Collegio, dal 
suo nome chiamato Puteano. 

Certamente che non si può di meno che scorgere un poco di vanità nel ricordare con siffatto 
entusiasmo quei personaggi omonimi, lasciando crederne comune l’attinenza e che non vale a mi- 
tigare il dirsi omnium minimus. Tant'è, che proseguendo ad accennare ch'egli naturae doctus... si non 
possum aliis dignioribus fieri illustrior, ad primos tamen honores me contuli... 

Ma tolti i nèi, dei quali oggidì stesso nemmeno si potrebbe far troppo carico al Dalpozzo, 
che viveva in età, in cui col professare le idee seguite da lui si potevano ricavare vantaggi straor- 
dinari, egli ci disseppellisce molti cultori delle scienze mediche di quei tempi, nostri compaesani, 
alcuni dei quali affatto obliati dai nostri biografi. Nel prospetto storico ove esalta la nobiltà e 
l'eccellenza della medicina loda Gaspare Capra, cioè Capris di Torino, vescovo di Asti (morto poi 
a Vercelli nel 1568) che il Dalpozzo ci rivela, non solum in sacris litteris, in quibus profitetur, sed 
etiam in philosophia ac medicina doctissimus; Francesco Borsa da Casale, chirurgo a Vercelli del buon 
duca di Savoia Carlo HI, anatomico muactae virtutis atque excellentissimi ingenii invenis,'ancor esso 
difensore di Galeno ed oppositore del Vessalio; ancor esso dimenticato dal Bonino e dal Trompeo 
nei loro elogi; il novarese Bartolomeo Caccia, homo in medicina ercellentissimus, col figlio suo Giu- 
seppe, quam praeclarissimo, Lanfranco Boniperti, con miglior lezione a vece di Bonaparte secondo 
l’autore, che fu rettore dell’Università pavese o degli artisti nel 1549. Il Dalpozzo chiamò il Boniperti, 
Bonaparte, forse perchè così poteva valersi anche di un argomento, deboluccio al certo, per confutare 
il suo potente avversario. Bonaepartis nec immerito bonae partis quum alias Ticini ob bonas quas habet 
animi partes ab illa universitate electus sit rector magnificus. Come mai si sarebbe potuto allora preve- 
dere che si scherzava innocentemente su di un nome che doveva due secoli dopo divenir di fama 
mondiale! Ma sostengo che anzichè Bonaparte debba leggersi Boniperti, famiglia che fioriva a quei 
dì a Novara, patria appunto del Lanfranco di cui si tratta. Il Vidari lasciò scritto (1): “ Il Morbio 
pubblica il rescritto di Carlo V dato Mediolani die septembris MDXL: dal quale e da una lettera 
bidellis universitatis gumnasti nostri papiensis appare proposto a lettore Lanfranco Boniperti nova- 
rese, cogli onori e colle preminenze devolute all’officio ,. E sebbene manchi alla recente serie degli 
illustri novaresi data nel 1890 dal Finazzi, nondimeno quest’autore stesso accenna ad un Gerolamo 
Boniperti medico novarese altresì, che esercitò la sua professione a Venezia, dove pubblicò nel 1547 
il suo scritto delle crisi di Galeno. Notisi che anche costoro furono sconosciuti ai nostri biografi 
odierni. Poi vengono Bartolomeo Bailetti d’Ivrea, definito da lui virum benevolum et sapientissimum. 
Ed altro eporediese egli commenda a carte 86 del suo libro, mentre intanto ci rende conto di una 
calorosa disputa scientifica avvenuta nello studio Vercellese ai tempi di Carlo III, al quale pure 
rende elogi ob suam quam semper habuit summam erga nos et benignitatem, et clementiam. In un deter- 
minato giorno erasi accesa una disputa a favore di Galeno, e contro il suo oppositore e detrattore 
Vessalio. Vi assistevano, coll’autore e col Bailetti, Giorgio Della Porta, Francesco Martinengo d'Ivrea 
Galeni et ippocratis omnium quos norim studiosissimus, Marcantonio Cusano vercellese, di famiglia 
che aveva già avuto altresì medici rinomati, dimenticato anche dai nostri scrittori che accennarono ad 
altri due medici della stessa famiglia, Giambattista Facino, Marcantonio Capra (2), Domenico Mar- 
tino Mottone e principe fra essi il protomedico Antonio T'esauro fossanese, medico della Corte du- 
cale. Ed in costui il Dalpozzo salutava l’archiater marimus, de cuius fama non solum Italia, sed 


(1) Frammenti cronistorici del’agro Ticinese. Pavia, 1891. 
(2) Questi divenne poi protomedico di Emanuele Filiberto, signor di Curino, FTA ecc. 


108 GAUDENZIO CLARETTA 


muoversi sotto il ferro chirurgico, falsità come dicevano gli esperti, non essendovi 
letargia tale, capace a resistere alle operazioni antecedenti all’ apertura del cuore. 
Interpostosi peraltro Filippo II, potè egli a stento ottenere che suo medico potesse 
scambiare la punizione che lo attendeva, col viaggio di Gerusalemme, come successe. 


Germania, Gallia, Hispania et aliae provinciae in quibus medicans (dum sequeretur aulam illustrissimi 
principis) versatus est. Ed anche di altro fossanese egli discorre in altra disputa sullo stesso argo- 
mento avuto a Bologna, vale a dire, di Tommaso de Salomoni, iuvenis admodum doctus, necnon 
futurus maximus si ab inceptis non desisterit. 

Alle notizie spigolate da questo campo, ricco di messe non peranco falciata da altri, aggiugne- 
remo ancora l'autopsia del cadavere del buon duca Carlo III, mancato di vita il 17 agosto del 1553 
a Vercelli, lembo di terra dell’avito dominio rimastogli nell’occupazione straniera, seguita mentre 
il prode Emanuele Filiberto combatteva cogli imperiali al fianco di Carlo V. Si sa che quell’infelice 
principe, non assistito da’ suoi cari, morivasi improvvisamente, senz’altra compagnia che quella di 
Catelano Cibuorno (vodese), fedele suo barbiere, che lo assistette, mentre i cortigiani invereconda- 
mente non attendevano che a spogliar la camera dei migliori arredi; onde si fece poi un’inquisizione 
criminale d’ordine del duca Emanuele Filiberto. Il medico giugneva tardi: il povero Duca era stato 
tolto di vita da un assalto violento, non di mal di petto, come scrisse il Cibrario, ma di una sincope 
prodotta da altro male che subito avevalo ridotto all’agonia. Come era cosa naturale, tanto più 
allora, ed in quegli aggiunti si suppose una violenza od un veleno. Il Dalpozzo nel passo che 
ne tratta esclude affatto quel dubbio: anzi informandoci del vero morbo, che fu mortale, traeva 
motivo dal genere di sua morte a sostenere la tesi apologetica contro il suo acre avversario. 
... Quid viderim, nihil aliud dicaum, nisi quae a pluribus una mecum fuerunt animadversa in illu- 
strissimo patrono nostro Carolo Sabaudiae duce nono (cioè terzo, anzi propriamente secondo, tut- 
tochè fosse prevalso l’uso di chiamarlo così, per non essersi tenuto conto di Carlo Giovanni 
Amedeo, e detto qui nono secondo la serie dei duchi) qui ut mortuus est, quoad solet fieri in 
principibus, apertus est ut eremptis visceribus... medicato corpore diutius conservaretur, praesertim 
quando ab insperata et subita morte sit abreptus, ad quem spectaculum omnes et medici et chyrurgici 
nostri conterranei accessere. In primis vidimus Franciscum Martinenghum (già sovracitato) virum in 
medicina admodum excellentem quam unquam alium agnoverim; prope quem stabant ambo Marci Antoni 
et Cusanus et Capra (pur sovra lodati) viri integerrimi: ab illorum dextra assidebat Baptista Phacinus 
(di cui sovra pure), komo quantum in medicina valeat quam notissimus: non longe aberat Georgius de 
la Porta in medicina senex venerandus, quem sequebantur Franciscus Alexander (medico vercellese 
seguace di Galeno che studiò a Pavia; e divenne medico di Emanuele Filiberto; e fu autore di un 
trattato della peste e di altre secondarie pubblicazioni (morto a Vercelli nel 1587 di soli 58 anni); 
e fratello di Alessandro, ‘ancor egli medico e poeta) et Octavius Lancea, ob suam quam habent doc- 
trinam haud unquam reticendi iuvenes: his medii interiecti crant chyrurgi, in primis Joannes de Solidis 
qui negotium aggrediebatur, multae virtutis atque excellentissimi ingenii iuvenis: ibi prope (si recte 
commemini) erat Franciscus Bursa casalensis, iuvenis etiam quam clarissimus, qui a cura principis 
ob suum quam habet in medendo peritiam, haud unquam fuit alienus: aderat etiam Joannes Maria 
Vialardi usu et doctrina valde insignis, dein Joannes Antonius Caresana et Franciscus Scatiotus quam 
clarissimi. E costoro tutti non furono menzionati dai nostri scrittori; ed ammesso anco non si abbiano 
a meritare tutti gli elogi cui era propenso di loro tributare il Dalpozzo, si devono peraltro rite- 
nere come distinti medici e chirurghi dell’ età loro, e fra essi specialmente addetto alla persona di 
Carlo III, ossia medico di camera, Francesco Borsa da Casale, omesso dal Trompeo nel suo libro 
sovracitato sugli archiatri ducali. 

Ecco ora la prova che il morbo il quale condusse al sepolero quel duca, non fu nè veleno, 
come fu supposto, ed abbiam detto, nè mal di petto, secondo il Cibrario, ma sibbene mal di fegato, 
causa della sincope..... Hi omnes (cioè tutto quel collegio dei sovraccennati medici e chirurghi) per 
Jovem mihi possunt esse testes, quod observatum est hepar (cioè il fegato) habuisse quatuor pennulas nec 
quod vena cava in ipso transigat, ut ipse eristimat contra Galenum in suo praegrandi libro tertio, capi- 
tulo sexto: sed vidimus ipsam hepatis carnem..... tam ab ipsius quam venae portae surculis et germi- 
nibus esse repletam..... 

Ma qui porrò termine alle spigolature che ancor si potrebbero raccogliere dal suo libro, se scien- 
tificamente oggi di lieve pregio convien ripetere, importante per le ragioni sovra allegate e che già a’ 
suoi giorni gli sollevò contro Gabriele Cuneo milanese, vìr nostrae aetatis insignis splendor, come lo 
chiamò il Dalpozzo. Il Cuneo pubblicava a Venezia nel 1560 questo libro: Gabrielis Cunei mediolanensis 


ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 109 


Ma mentre nel 1564 faceva ritorno per recarsi a Venezia, dove eragli stata offerta 
la vacante cattedra di anatomia, sorpreso da un’aspra fortuna di mare egli moriva 
nell'isola di Zante. 

Che se in quest'opera il Corradi non accennò allo studente di medicina Gian 


% 

apologiae Francisci Putei pro Galeno in anatome, eramen. Ma ancor egli, Vessalliano per eccellenza, 
non risparmiava al certo il suo avversario vercellese: e ne basti questo saggio... Quam turpiter vere 
et ridicule te, ut Antonii Fossani (cioè il Tesauro) in Vesalium (quod scilicet hic illius solitum alias 
questum, in Caesaris Caroli et Regis Philippi aula non leviter immimerit invidiae subservires, insci- 
tiamque tuam omnibus detegeres, tuis in Vesalium conuiciis dederis, ac quam arti cui manus nunquam 
adhibuisti, praeter rationem te ingesseris (quandoquidem nimirum ita cupis) nunc citra scurrilem tuam 
dicacitatem rabiemque omnem aperiam... E via di questo passo per alcune linee susseguenti, dimo- 
strandosi per nulla grato di essere stato definito dal Dalpozzo: splendore insigne dell’età sua. 

Francesco Dalpozzo, ammogliato con Franceschina Caccia, figlia del novarese Luigi, morì improle. 
Egli aveva fatto testamento nel 1551 al rogito di ‘G. B. Ghislarengo notaio vercellese, uno o due 
mesi dopo la morte del suo padre, mancato perciò di vita in esso anno 1551, come ci rivela il 
nostro Francesco nel suo secondo testamento, cosicchè va corretto il DrowisorTI, Biografie di vercellesi 
illustri, pag. 247, che lo disse morto nel 1561. 

Questo secondo testamento, che altamente onora sotto ogni rapporto il medico Dalpozzo, e che 
avendo appositamente esaminato nell’archivio dell'Ospedale di S. Andrea di Vercelli, ove col mezzo 
dell’egregio collega cav. Camillo Leone, potei consultarlo per cortesia del sig. avv. Giacomo Sebele, 
segretario di quell’Istituto, farò conoscere con qualche larghezza. Esso ha la data dell’anno 1564 
Seite al giove quinto decimo giorno di giugno....., e fu compilato al rogito di .....Jeronimo f. del fu 
nobile Jo. Maria Salamone delli gentilhomini di Tronzano del vescovado di Vercelli, cittadino e 
pubblico, per imperiale autorità, notaro collegiato et matricolato vercellense..... Ne furono testimoni 
Gian Domenico Raspa; Gian Pietro de’ Corradi, dei gentiluomini di Lignana, speciaro; Alberto 
Vialardi dei gentiluomini di Vestignaco (Vestignè) de Verona notaio collegiato; Gian Francesco della 
Porta alias Momo, speciaro; Francesco Freiapani, speciaro; Bernardino Ballocco di Masserano, gabel- 
liere del sale, e Pietrino Carello da Caramagna dell’arcivescovado di Torino, libraio in Vercelli. 

Esso comincia così: .....poichè la vehementia della infermità corporale, spesse volte è solita 
voltar la mente dell’infirmante dal diritto sentiero della ragione..... per la qual cosa ivi personal- 
mente constituito il magnifico signor Francesco Dal Pozzo di Villanova Casalense phisico et cittadino 
di Vercelli sano per grazia di Dio di mente e senso ed intelletto abbenchè valetudinario con voce 
rauca ....ha procurato fare il suo ultimo testamento nuncupativo senza scritti..... Con questo ordi- 
navasi la sepoltura nella chiesa di S. Maria del Carmine sotto la cappelletta .....et nella sepoltura 
dove giacciono le ossa di messer Silvestro! Dal Pozzo suo padre de schola rettore, senza alcuna 
pompa funebre con le sue debite esequie..... 

A quel monistero legava scudi ducento d’Italia, affinchè facesse acquisto di un podere, coll’ob- 
bligo di celebrare in suo suffragio quotidianamente all’altare presso cui giacerebbero le sue spoglie, 
la prima messa (era la solita messa, detta dell’aurora, che molti pii testatori a quei giorni usavano 
di legare nei loro lasciti). Ai frati di S. Agostino di Vercelli, stanziati a S. Bernardo legava tre scudi 
una volta sola; all'ospedale maggiore detto di S. Andrea .....della magnifica comunità di Vercelli, 
lasciava. cinquanta lire di moneta nuova di Piemonte. Venivano poi i legati a madonna Catterina 
sua sorella e consorte di Emiliano de Opezzino, lasciandole una masseria ad Olcenengo, al nipote 
Bartolomeo, figlio dei furono Bartolomeo de Pagis da Olcenengo e di madonna Antonia sua sorella, 
faceva altri legati, e così a Gian Pietro Dal Pozzo di Villanova suo agnato, a Quirico, figliuolo di 
costui, con sostituzione di Melchiorre, fratello di esso Quirico. 

Lasciava poi usufruttuaria della sua eredità la propria consorte .....magnifica signora Francesca, 
figlia del magnifico signor Aluixio Casia cittadino novarese... Ma ecco l'istituzione che rese il 
Dalpozzo veramente benemerito di Vercelli, e ne tramandò la memoria sino al giorno d’oggi: 
RSA Oltre di ciò perchè l’intentione e la mente di esso sig. testatore è di fondare un collegio a laude 
e gloria d’Iddio, honore della magnifica città di Vercelli et con beneficio dei poveri pupilli, perciò 
ha statuito et ordinato che nella casa della soa restaurata habitatione posta nella contrada di 
S. Bernardo, la quale egli ha nuovamente riedificato, sia fatto et fundato uno collegio nella maniera 
che qua sotto si dirà, talchè la detta casa con le sue pertinentie sia perpetuamente destinata all'uso 
e servitio di detto collegio solamente e non si possa ad altro uso e servizii convertire per qualsivoglia 
causa nè in qualsivoglia persona nè tempo, nel quale colleggio vuole et ordina esso testatore che 


110 GAUDENZIO CLARETTA 


Vincenzo Gosio da Dronero, che a Torino nel 1606 aveva pubblicato le sue tavole 
anatomiche (1), ne discorreva poi come in luogo più appropriato nell’altro suo lavoro: 


siano posti et collocati perpetuamente dodeci fanciulli, i quali non siano minori d’età di anni sei 
maxime li sei suoi attinenti et li altri non siano mancho d’età d’anni otto nel tempo che saranno posti 
nel colleggio nè possano essere rimossi dal collegio sino a tanto che li sei attinenti d’esso testatore 
non saranno pervenuti all’età di anni decesette per caduno di loro, et li altri sei per fin che saranno 
di età di anni 17 ognuno di loro salvo se altrimenti non fosse la volontà loro o de’ suoi ‘padri et 
parenti, et salvi ancora i casi che qui sotto si diranno. Et perchè esso testatore intende che questo 
benefitio sia dispensato secondo l'ordine della charità et della affectione che egli porta a suoi parenti 
et a quelli della famiglia sua vuole che indifferentemente ogniuno possa esser assonto a questo luogo 
perciò che li magnifici infrascritti esecutori habbiano secondo il buono et retto giudicio loro ad 
alloggiarne sei, tre de’ quali siano nobili et tre plebei, originari tutti della città di Vercelli, mentre 
poco che siano poveri et figlioli di honesto padre e madre et che essi fanciulli sieno di spirito 
capace di virtudi et li altri sei li allogeranno dell’agnazione et cognazione d’esso testatore..... È qui 
nuovamente senz’'allusione speciale di parentela, dopo la vocazione dei Dalpozzo di Villanova, accenna 
ai Dalpozzo di Biella ed a’ suoi discendenti di sorella. .....In difetto dei chiamati gli esecutori dovevano 
eleggere poveri nobili originarii di Vercelli .....e che siano nodriti in collegio, allevati et disciplinati, 
e che gli siano insegnate la gramatica et altre lettere di umanità et li principii et fundamenti della 
dottrina christiana da uno maestro il quale si deputarà ad arbitrio delli signori esecutori, dato 
costumato et di buona vita catolica..... Quanto fosse il Dalpozzo previdente e pratico delle rette ed 
acconce norme d'insegnamento lo si vede altresì dalla proibizione al maestro eligendo di darsi ad 
altre cure consimili, tolto che col consenso degli esecutori testamentarii, i quali erano .....li molto 
magnifici signori regulatori et che intervengono al governo et regimento dell’hospitale grande de 
Sancto Andrea et così quelli che sono deputati dalla magnifica comunità di Vercelli, come quelli 
che sono deputati per parte del serenissimo signor duca nostro et dell’ill»®° et reverendissimo 
signor vescovo di Vercelli..... pregandoli per le viscere del nostro signor Giesù Christo ad avere la 
medesima cura del colleggio predetto che haverano dell’hospitale essendo questa così pia et chari- 
tativa opera come l’altra... 

Prevedendo pur il caso che il collegio erigendo, o per fatto del papa o del duca di Savoia ovvero 
del municipio di Vercelli o per qualsiasi altra ragione avesse a cessare, in tal caso gli sostituiva i 
canonici regolari di S. Andrea e i frati carmelitani di S. Maria. Finalmente istituiva usufruttuaria 
dell’intiera eredità sua madre, ancor vivente, madonna Agnese de Longis da S. Germano (Archivio 
dell'ospedale di S. Andrea, da copia, autenticata dal notaio Torda del secolo XVIII. 

Il collegio fiorì sino al giorno d’oggi, accresciuto da stabilimenti, anche dall'arcivescovo di Pisa 
Carlantonio Dalpozzo, fondatore in questa città del noto collegio puteano, e da lasciti di altri bene- 
meriti cittadini, ma fu aggregato al collegio convitto civico, fatto che commenta pure il Dionisotti 
con giuste osservazioni. 

Morì il Dalpozzo nello stesso anno 1564, e fu sepolto, secondo la sua disposizione, nella chiesa del 
Carmine, ora distrutta. Quattr'anni dopo sua madre faceva riporre un quadro della disputa di Gesù, 
lavoro del L'anino, con questo distico : 


Qui cupit Puteus Franciscus reddere, mater 
Eius nunc animae conscia fecit opus 1568. 


Nel 1824 nel collegio gli fu posta questa memoria, dataci pure dall’or lodato Dionisotti nei 
suoi scritti citati: Francisco Dalpozzo medico vercellensi — MDLXIV — collegii cognominis conditori 
— non immemor patria — hune posuit lapidem — MDCCXXIV. 

Ma nel 1883 su di un cartello che serve di modiglione al busto in marmo. del Dalpozzo, sulla 
porta d’ingresso vennegli dedicata quest’epigrafe, che deggio alla solita cortesia del collega cav. Leone: 
Franciscus Dal Pozzo — Vercellensis — cognominis collegium — fundavit dictavit — anno salutis — 
MDLXIV — patritio benemerito — patria memor — MDCCCLXXXIII. 

(1) Gosù Io. Vincentii Draconeriensis, almae taurinensis universitatis syndici et philosophia ac 
medicinae studiosi, tabulae anatomicae ex optimorum auctorum, sententiis memoratue, et dilucida methodo, 
selectae et concinnatae..... Alle notizie anatomiche date dal Corradi si può aggiungere, in quanto a 
noi, che nel ruolo dei professori dell’Università restaurata da Emanuele Filiberto, fra gli artisti 
della sera del 1573 compariva Angelo Visca da Savona, detto l’anatomico, e che giù aveva insegnato 
a Mondovì; al 1570 poi risale la spesa fatta dal municipio torinese attorno ad una sala assai 
capace per la notomia. 


ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 111 


Dell’antica autoplastica italiana; Milano, “ Rendiconti dell’ Istituto lombardo ,, 1874. 
Il Corradi proponevasi ancora di rinvenire sull’argomento della notomia per dimo- 
strare come il tardo risorgere di quella scienza ed il lento suo procedere nel medio 
evo, fossero la conseguenza delle miserevoli condizioni in cui giacevano allora gli 
studii della scienza della natura, e specie, del vieto pregiudizio, non solo del volgo, 
ma di ogni ordine di persone, che vietava di toccare i cadaveri. 

Ma è ormai tempo che restringendo a brevi note il molto che vi sarebbe ancor 
a dire sulle opere del Corradi, ci limitiamo strettamente ad alcuni scritti di lui, pub- 
blicati negli ultimi suoi anni, e che naturalmente presentano interesse storico. 

Ancor adolescente il Corradi aveva meditato quel passo del Cabanis (Pietro Gian 
Giorgio, il noto amico, e collaboratore ardente di Mirabeau) nei suoi rapports du phi- 
sique et du moral de l’homme, ove si diceva che i fondatori di alcuni ordini religiosi 
avevano prescritto nelle loro costituzioni, salassi più o meno frequenti, a pro dei 
riottosi, e specie dei ricalcitranti alla vita claustrale, perchè fomentati da brame 
e da passioni violente insoddisfatto. Ma il Corradi, che giovane dimostravasi qual si 
fu d’età attempata, cioè guidato da un principio di giustizia e di equità insite in lui, 
volle studiare a fondo l’asserzione spacciata dal seguace degli enciclopedisti, dal 
medico filosofo, da tale insomma che era fra gli assidui della brigatella della vedova 
del noto Helvetius. 

Quindi nel 1887 pubblicava nelle Memorie dell'Istituto Lombardo un suo lavoro 
col titolo Della minutio sanquinis e dei salassi periodici. Egli con questa dotta serit- 
tura riusciva a mettere in sodo che il minuere monachum, attribuito dal citato scritto 
francese, come regola periodica bimestrale presso i certosini per evitarne i furiosi 
delirii, non fosse solamente uso dei seguaci di S. Brunone, ma sì della maggior parte 
delle comunità religiose, e così dei Benedettini, dei Cluniacensi, dei Canonici regolari, 
dei frati predicatori, dei serviti e va dicendo. Anzi egli riesce a provare, che quello 
fosse uso seguito dal clero secolare, dai laici, dai principi, e persin dal popolo. L’au- 
tore adduce la prova che Federico I (Barbarossa) allorchè nel giugno del 1208 era 
| stato assassinato da Ottone di Witelsbach, giaceva in letto in prima die minutionis. 
Egli opina che le frasi del minuere monachum, minutio monachi, le quali il Cabanis 
volle dare espressioni testuali delle costituzioni monastiche, debbano invece essere 
sostituite da quelle di minuere sanguinem, di minutio sanquinis, o perchè quell’au- 
tore non aveva nemmen esaminato l’intiero capitolo che lo riguardava, ovvero 
perchè aveva pur troppo voluto propalare soltanto quello che poteva acconciarsi ai 
suoi fini. 

Affine all'argomento trattato era quello che il Corradi svolgeva qualch’anno 
dopo, perchè il salasso fosse già pena militare ignominiosa, dissertazione che vide la 
luce nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Bologna. Ancor qui il Cor- 
radi da un’annotazione di Aulo Gellio nelle sue motti attiche, in cui propugnava la 
. sentenza che il salasso fosse pei soldati pena ignominiosa, riuscì mercò la profonda 
sua erudizione a snebbiare quel punto. 

Egli prova pertanto che era piuttosto la punizione morale che produceva il 
salasso, cagionando un riposo forzato che confinava il salassato fra le turbe imbelli, 
a cui non rimaneva, come ai pusilli di Orazio, che di nascondersi e piagnucolare fra 
le gonne delle cortigiane. 


112 GAUDENZIO CLARETTA 


Altro lavoro assai in relazione colla storia è quello comparso nelle stesse me- 
morie dell'Istituto lombardo: Degli esperimenti tossicologici in anima nobili nel cinque- 
cento. Ma siccome i principi di Savoia non potevansi paragonare a molti dei sovrani 
italiani di quell’età, così indarno si ricercherebbero alla Corte loro esempi di vittime 
sacrificate per la salute di fortunati gaudenti e di medici che si fossero prestati ad 
essere strumento di simili sacrifizi. Quindi nessun cenno evvi di noi in questo scritto 
del Corradi. 

Non è il caso che troppo io m’abbia ad intrattenere del lavoro prettamente storico 
che, a nome del Corradi, or fanno due anni, io leggeva alla Classe di quest’Acca- 
demia intorno alla relazione del sacco di Roma del 1527 del commissario imperiale Gian 
Bartolomeo Gattinara. E basterà avvertire, che facendo egli svanire i dubbi lasciati 
da precedenti scrittori che avevano discorso di quella relazione, riusciva ad assodare 
con prove irrefragabili, esserne autore Gian Bartolomeo Gattinara reggente di Napoli, 
non però nipote, come fu scritto, ma consanguineo del gran cancelliere di Carlo V, 
Mercurino Gattinara (1). 

Non vi è stupire che il Corradi, bibliografo intus et in cute si fosse anco applicato 
a questo genere di erudizione così praticamente utile. Quindi, sin dal 1859 egli di 
compagnia dei professori Brugnoli e Taruffi aveva fondato in Bologna un giornale 
di bibliografia italiana delle scienze mediche. E così preludiava fra noi la costumanza, 
già invalsa in Germania, di agevolare agli studiosi la conoscenza bibliografica. 

Donde la parola Calamita ! Questa Memoria letta all'Istituto Lombardo fu il canto 
del cigno del nostro autore, che la compilò poco prima del suo dipartirsi di quaggiù. 
Nel raccoglier i materiali per la storia della farmacologia, specialmente in Italia, il 
Corradi aveva dovuto intrattenersi specialmente della magnete. Nell’imbattersi in 
quella pietra lapis magnetis egli erasi fatta l’obbiezione, perchè da secoli essa venisse 
chiamata Calamita. E secondo il suo sistema egli svolge ampiamente quel dubbio col 
sussidio degli argomenti tratti dalla letteratura, riuscendo a darci per intiero la 
genesi di quel vocabolo, e la varia fortuna che subì nel corso dei secoli. 

Il Corradi erasi applicato ugualmente a far conoscere epistolari, tratti poco noti 
della vita d’insigni cultori delle scienze della natura e mediche. Quindi, oltre a quelli 
del celebre Lazzaro Spallanzani, serbati nella biblioteca comunale di Reggio Emilia, si 
intrattenne del non men celebre Giambattista Morgagni, di cui cominciava a dare 
nel 1874 — Atti dell'Istituto Lombardo — l'indice dei consulti inediti. E volle altresì 
pubblicare le lettere del Lancisi e del Morgagni, che illustrò con note dottissime. 

E rinviando alla compiuta bibliografia Corradiana (regalataci dal dottor Luigi 
Mazzotti nella citata sua necrologia letta alla Società medica chirurgica di Bologna, 
che fa salire a ben 157 gli scritti del nostro professore), quanti abbiano vaghezza 
di esserne pienamente informati, riuniremo in poco quel che ci rimane a dire a con- 
clusione di questa notizia. 

Era troppo giusto, che colui il quale era concorso a costituire un patrimonio 


(1) Nel testamento 23 luglio 1529 uno degli esecutori testamentari fu appunto eletto da lui... 
“ Johannem Bartholomeum de Gattinara mihi consanguineum, juris utriusque doctorem ac militem 
Caesareae Majestatis Consiliarium, regentemque Cancellariam Coronae Aragonum, ... ,. E così ri- 
mane provato che il Gian Bartolomeo non era nipote del gran cancelliere, 


ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI SCIENTIFICI, ECC. 113 


di tanto momento per la scienza .dovesse in qualche guisa venire corrisposto dalle 
pubbliche podestà e dalle scientifiche congregazioni. 

Già superiormente abbiamo accennato alle onorifiche attestazioni ricevute dal 
Corradi (1). A queste vuolsi aggiungere che ragguardevoli istituti scientifici gareggia- 
rono ad aggregarlo a loro, tali citiamo l’Istituto Lombardo nel 1865, che nel biennio 
1886-1887 lo innalzava al grado di suo presidente; la Reale Accademia delle Scienze 
dell’Istituto di Bologna parimenti ammettevalo tra i suoi soci corrispondenti; dicasi 
lo stesso delle regie deputazioni di storia patria della Romagna, delle antiche pro- 
vincie piemontesi e della Lombardia, della nostra Accademia, di quelle di Modena, 
Padova e delle principali Accademie di medicina, italiane e straniere. 

Ned il Governo ometteva di affidare a così erudito e passionato cultore d’Igèa 
a quando a quando l’incarico di rappresentarlo , od in avvenimenti solenni, od in 
congressi internazionali; e così per tale riguardo fu nel 1882 inviato a Ginevra, nel 
1884 all’Aja, a Vienna nel 1887, e nel 1890 a Londra. Ma a riguardo del Congresso 
d'Inghilterra, che fu l’ultimo, a cui egli prese parte, nella funzione della seduta di 
apertura al cospetto del presidente onorario, il principe di Galles, il Corradi pro- 
nunziò il suo discorso, nel quale ebbe anche mezzo d’intromettere il Piemonte, ac- 
cennando a quel luminare della chiesa, che fu S. Anselmo d'Aosta, restauratore nell’ XI 
secolo degli studii a Cantorbery (2). 

Di quell’assemblea di dotti il Corradi doveva portar seco dolce rimembranza, 
poichè non molto appresso ei veniva nominato honoris causa dottore dell’Università 
di Cambridge, e poteva indossare nell'atto del conferimento di quel grado gli ele- 
ganti paludamenti che gli inglesi, per quanto patrocinatori per eccellenza delle più 
liberali istituzioni, hanno sempre saputo conservare, persuasi come anche la semplice 
forma e l’esteriorità, ancorchè sieno meri accessorii, possono giovare talora alle cose 
principali e sostanziali, ed a mantenere quella grave serietà, quel prestigio che una 
volta, o perduti o depressi, non è poi cotanto facile di reintegrare. 

Ma chi in quel momento di festosa accoglienza avrebbe potuto imaginarsi mai 
che quell’elegante toga di seta scarlatta, quell’originale pileo in velluto nero, in 
men di due anni dovessero ornar la bara dei suoi funerali! Eppure era così: sor- 
preso da gagliardo morbo, in pochi giorni colui, che la dignità del carattere e la 


(1) Quasi tutti i biografi del Corradi vollero tenere in conto le onorificenze che egli aveva avuto 
dal governo. Ma non bisogna dissimulare, che se forse quelie più degne avrebbero potuto coronare 
col tempo la sua veneranda canizie, egli non avevale ancora ricevute, quantunque vi potesse aver 
diritto, e per la specialità, mole ed importanza de’ suoi lavori; e che con poca verecondia invece 
si vedono talora prodigalizzate ad arcimediocri e poco noti. 

(2) Grazie alle premure del figlio del Corradi, dottore Augusto, già dirctiora del R. Liceo di 
Macerata, ed ora preside del R. Liceo-Convitto nazionale di ‘Correggio, sono in grado di qui pub- 
blicare il suo discorso, non conosciuto tra noi. 


“ Altezze Reali, Signore e Signori, 


“ Porto gli omaggi ed i saluti dell’Italia. Antichi sono i vincoli che uniscono la mia patria 
all'Inghilterra, e sono i più durevoli perchè della scienza. Lanfranco di Pavia e Anselmo d'Aosta 
“ ristaurarono nell'XI secolo gli studi a Cantorbery, e fra gli scolari delle nostre Università pren- 
“ deva parte la nazione anglicana. Ma già maestro Roberto d’Anglia era tra rettori che aprivano 
“ nel 1205 nuova Università a Vicenza, emigrando da Bologna, dove poc’anzi il poeta Gualfrido 


Serie II. Tom. XLIV. 15 


(13 


114 GAUDENZIO CLARETTA — ALFONSO CORRADI RICORDATO NEI SUOI LAVORI, ECC. 


nobiltà dell'ingegno fecero venerando, chiudeva serenamente l’operosa sua vita, assi- 
stito dai suoi cari e dalla numerosa clientela dei suoi famigliari, il 28 novembre 
1892, fra il rammarico dei suoi pavesi, che seppero piangerlo e amarlo quasi citta- 
dino e comune amico. E siccome a sua volta egli era stato ottimo figlio, così venne 
corrisposto; e suo figlio Augusto sovra memorato si propone quanto prima di dare 
alla luce il volume ultimo degli annali delle epidemie, al quale precederà la degna 
commemorazione del rimpianto suo genitore. 

L'arte salutare che scruta il corpo umano, or nello stato naturale, ora infermo, 
che quando ne previene i mali, ‘quando li espugna, e che ha come fide ‘ancelle ‘e 
ministre parecchie altre facoltà od arti, trovò pertanto nel Corradi un largo esposi- 
tore od illustratore, la cui fama rimarrà saldata alla storia della medicina. 

Ed io sono lieto di essere nel confine consentito, disseppellenido dai monumenti 
meno a conoscenza del pubblico, ove si conservano le principali opere del Corradi, 
concorso a far conoscere la benemerenza che si ebbe questo valentuomo, ‘e special- 
mente la gratitudine che deggiono al Corradi, medico, anche i cultori delle storiche 
discipline. 

In tal guisa io ho adempiuto il meglio che per me fu possibile al cortese man- 
dato avuto dall’onorevole nostro presidente, officio che le mie forze mi avevano 
tenuto un momento in dubbio di dovere accettare, ma da cui non volli poi esimermi, 
per aver l’occasione di rinverdire la memoria di uno scienziato, ‘che non ebbe ‘altra 
ambizione fuorchè quella propria del suo stato, che non ottenne altri successi fuorchè 
quelli dovuti ai suoi ‘meriti, e frutto della diuturna sua applicazione al lavoro. E tale 
semplicità di vita, tale rettitudine di agire, hanno gran valore al momento d’oggi, 
al cospetto dei raggiri, delle aspirazioni ambiziose di coloro che vivono in uno stato 
morboso e di agitazioni. Sia dunque l’esempio del Corradi proposto ai giovani in 
ispecie, che dovranno riconoscere in lui il iustum et tenacem propositi virum del poeta, 
sprone a temprar l'intelletto a cose ‘stabili ed utili. 


aveva insegnato con grande plauso umane lettere, e dove poco a presso Alano, il dottor universale, 
rendeva famosa la cattedra di diritto ‘canonico. Gli ‘insegnamenti e le discipline ‘delle ‘scuole ita- 
liane entravario condiscepole, fatte maestre in Oxford'e Cambridge, e la tradizione si mantenne. Ma 
se questi erano vincoli di consuetudine, uno più intimo seguiva nel seicento Guglielmo Harvey che 
riuniva indissolubilmente nel campo della scienza il nome delle due nazioni, poichè egli dava la 
dimostrazione di un fatto di cui nelle nostre Università e particolarmente nella scuola anatomica 
di Padova ‘trovava i principii fondamentali, ma dalle prove parziali dai concetti slegati-od ‘incerti 
ei traeva fuori un intiero sistema, nel quale tutto è connesso ‘nella grandiosa semplicità. La 
scoperta della circolazione del sangue è la più solenne testimonianza che altri inaugura le grandi 
cose, altri le compie. L’insigne avvenimento segna uno dei maggiori momenti nella storia delle 
scienze oltre che per il fatto in sè e per il nuovo ‘spirito ‘che infondeva nella ‘biologia, nella 
quale ha fondamento l’igiene. Pertanto ‘il ricordare qui il nome del ‘medico di Folkestone ‘e del 
vetusto Ospedale di S. Bartolomeo, dello Stator perpetuus del ‘Collegio medico di Londra è bene 
auspicare del VII congresso internazionale d’igiene. La gloria di Harvey rifulge sopra i suoi 
precursori e i suoi maestri; il saluto a lui è saluto insieme all'Italia ed all’Inghilterra le quali 
nel celebrare il nome immortale affettuosamente si ‘congiungono .,. 


e ea Pernioe 


APPUNTI 


DAL 


CODICE NOVALICIENSE 


DEL 


“ MARTYROLOGIUM ADONIS,, 


MEMORIA 


del Socio 


CARLO CIPOLLA 


Approvata nell’ Adunanza del 4 Marzo 1894. 


L'illustre Guglielmo Wattenbach (1)-segnalava parecchi anni or sono quei codici 
della raccolta Hamilton, passata alla biblioteca di Corte di Berlino, i quali hanno 
interesse storico. Fra questi indicò, sotto il n. IV, un Martyrologium Adonis, ch'egli 
attribuì al sec. XI. Così comportandolo la natura delle sue note, egli registrava sec- 
camente quel manoscritto, senza ulteriori osservazioni. 

Più tardi Carlo Miller (2), persona ben conosciuta per le sue ricerche sulla 
storia ecclesiastica medioevale, parlò con qualche maggiore larghezza di questo me- 
desimo manoscritto, del quale egli diede una descrizione un po’ meno sommaria, e 
determinò ch’ esso proviene dalla Novalesa. Avendo egli segnalato un cenno bio- 
grafico intorno a S. Eldrado, datoci da una postilla marginale del codice, questa 
circostanza offrì materia ad una brevissima nota del ch. prof. E. Bresslau (3), il quale 
consigliò di confrontarla colla vita che di quel santo fu pubblicata negli Acta Sanctorum. 

Era naturale che, occupato da parecchi anni nella ricerca delle più antiche 
notizie del monastero Novaliciense, desiderassi di vedere quel manoscritto. Per somma 
cortesia dell’illustre dott. R. Wilmans, prefetto della reale biblioteca berlinese, il codice 
mi fu trasmesso a Torino, e quivi depositato nella biblioteca nazionale-universitaria. 
Le piè vive grazie debbo al Wilmans per tanta larghezza. Ed obbligatissimo mi dico 
ancoru al dott. A. Frassati il quale, nel suo soggiorno a Berlino, trattò di questo 


(1) Neues Archiv, VIII, 329. 

(2) Kirchengeschichtische Handschriften in der Hamilton Sammlung, in Zeit. fùr Kirchengesch., VI, 
2, 253-6. 

(8) Neues Archiv, IX, 244. 


116 CARLO CIPOLLA 


prestito col Wilmans stesso; nonchè al ch. cav. dott. Francesco Carta prefetto della 
biblioteca nazionale Torinese, il quale ricevette in deposito il codice, e con ogni 
maniera di cure e di cortesie me ne facilitò lo studio. 

Così sono in grado di comunicare intorno al medesimo qualche notizia, raccolta 
non tanto collo scopo di precisare il valore del codice riguardo al testo del marti- 
rologio di Adone, quanto per trarne qualche raggio di luce a chiarire la storia let- 
teraria della Novalesa. 

Il manoscritto (1) si compone di 128 fogli pergamenacei, dei quali i due primi e 
i due ultimi sono fogli di guardia; sopra di essi stanno scritte alcune note, che non 
hanno alcuna relazione col corpo del volume, il quale dunque è costituito dei fogli 
3-126. Anzi il testo di Adone non comincia che col verso del f. 3, la cui faccia 
recto, originariamente bianca, venne poscia riempiuta con altra notazione estranea 
al testo stesso. 


Il 


Cominciamo da un cenno sul contenuto del corpo del codice. Questo si divide 
in due parti, in quanto è scritto da due mani, siccome meglio si dirà a suo tempo. 
La prima comprende i fogli 3 v—90 ». 

Fol. 3 v. Didascalia in rosso, in carattere capitale rustico: QVO GENERE VEL 
CVLTV SCI MARTYRES VENERANDI SVNT; || EX LIBRIS BEATI AVGVSTINI 
EPISCOPI. Segue il testo in minuscolo, che principia: “ Populus christianus me- 
morias — ,. 

Fol. 4 r, al fine. Didascalia in rosso, in capitale rustico: YMNUS SCI AMBROSII. 
IN LAVDE SCORVM MARTYRV. Testo in minuscolo. Il testo principia al f. 4 
con: “ Aeterna Christi munera — ,. 

Il testo del martyrologium principia solo al fol. 4 v, colla didascalia, pure in 
rosso e in rustico: INCIPIT LIBELLVS DE FESTIVITATIBVS APLO9% ET RELI- 
QVO% QVI DIS | PVLI (sic) AVT VICINI SVCCESSORESQ: IPSO% APLO% 
FVERVNT. 

Avverto che la F ha il tratto orizzontale superiore, piegato in alto così da 
sorpassare il livello delle altre lettere; essa è quindi una F onciale. 

Dopo questa didascalia ha tosto principio il testo, e cioè: 

III KL IVL Rome. Natalis beatorum apostolorum — (= Martyrologium ADonIs, 
ed. Domenico Grorgi, Romae 1745, vol. I, p. XLI). La datazione e la R di Roma, sono 
in rosso, e in capitale rustico. E questo è il sistema adottato in tutto il testo. Dopo 
il tratto dedicato alle commemorazioni apostoliche, al fol. 14 + leggesi pure in ca- 
rattere rustico e di tinta rossa: FINIT LIBELLVS PRIMVS. Quindi cominciano 
le commemorazioni dei santi a partire da S. Giovanni Battista, cioè dal 24 giugno: 


(1) La sua magnifica rilegatura è del tutto moderna, 


e Me er De _———_—______ É_mm_—t@€ et e 
____—_————— 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL © MARTYROLOGIUM ADONIS » 117 


“VII Kl. ivl. ,, ma senza alcuna didascalia. Al fol. 17 r, col titolo in rosso e in 
capitale rustico LETANIAE INDICENDAE. MENSIS IAN. HABET DIES XXI. 
LVNA XXX (= ediz. citata, p. 15). Il febbraio (fol. 26 è = ediz., p. 75), il marzo 
(fol. 32r = ediz., p. 108), l'aprile (fol. 37r = ediz., p. 142), il maggio (fol.42r = ediz., 
p. 179), il giugno (fol. 52 v = ediz., p. 248), il luglio (fol. 65 v = ediz., 309), e 
l’agosto (fol. 75 v = ediz., p. 367) ha simiglianti didascalie. Col fol. 90 +, sotto: 
“ VII KI. sept. , (vita di S. Genesio martire) e precisamente alle parole: “ — et an- 
gelos Dei , (= ediz., p. 424, lin. 22) cessa la mano (A) di quell’amanuense, che scrisse 
il libro presente fino dal suo principio. 

Col fol. 91 » principia un altro carattere (B), assai meno elegante e regolare. 
Nel testo rimane una lacuna fra la prima mano e la seconda, poichè il fol. 91 , 
comincia con: “ XII kl. oct. ,, e colla vita dei Ss. Giustina ed Evilasio , (= ediz., 
p. 484). Mancano dunque, oltre ad una parte del 25 agosto, i giorni 26 agosto—19 set- 
tembre. 

Le didascalie premesse ai mesi di ottobre (f.94v= ediz., p. 509), novembre (fol. 106 r 
= ediz., p. 555), e dicembre (fol. 119 v = ediz., p. 608) sono conformi a quelle 
provenienti dalla mano A, quantunque, com'è facile pensare, assai più rozze. Il 
martirologio ha termine al fol. 126 v colle parole: “ — ad eius tumbam miracula 
creberrime fiuNT EXPLICIT , (= ediz., p. 636). Quello che ora abbiamo notato 
sulle didascalie prova che esse non provengono tutte da una mano dal principio al 
fine del codice, così che si possa supporle aggiunte da un medesimo scrivano nelle 
parti lasciate vuote dalle due mani che trascrissero il testo del Martyrologium; ed è 
anche questa una circostanza degna di considerazione. ò 

Vuol essere rilevato che fra il fol. 92 e il fol. 93 non c’è continuazione nel testo. 
Verso la fine del f. 92 verso comincia il giorno “ VIII kI. oct. , (= ediz., p. 491), 
mentre al fol. 93 r termina il giorno: “ IM KI. oct. , (= ediz., p. 503). Mancano dunque 
i giorni 24-28 settembre, la fine del 23 e il principio del 29 del mese stesso. 

Il nostro testo non è gran fatto diverso da quello pubblicato dal Giorgi, e che 
egli ricavò dal confronto fra la lezione volgata ed alcuni mss. di età diverse. E coi 
mss. di lui il nostro codice si accorda più che colla volgata. 

Le differenze fra il nostro testo e l’edizione citata consistono piuttosto in ommis- 
sioni, che in aggiunte; e le ommissioni sono più volte supplite dalle postille, le quali 
talora dànno anche più che non l’ edizione stessa. In qualche caso abbiamo scam- 
biato l'ordine di qualche commemorazione. Di queste diversità sarà bene dare un saggio. 

Fol. 7 x, 28 ott. (ediz., p. xLi) nel ms. il tratto finale della commemorazione 
dei Ss. Simone e Giuda, cioè Quod quidam putant, non si trova nel testo, ma gli fu 
aggiunto in postilla. Al fol. 16 + (ediz., p. 7), sotto il 26 dicembre, nel ms. la com- 
memorazione di papa S. Zosimo precede, e non segue quella di S. Stefano. Fol. 16r 
(ediz., p. 8), sotto il 27 dicembre, la commemorazione di S. Giovanni Evangelista 
segue e non precede la commemorazione di S. Dionisio. — Fol. 16 v., sotto il 29 dic. 
(cfr. ediz., p. 10), il ms. (e si accorda coi mss. del Giorgi) tralascia S. Crescenzio disce- 
polo di S. Paolo apostolo. — Fol. 17, 31 dic. (cfr. ediz., p. 13) nel ms. la commemo- 
razione di S. Silvestro papa si arresta a: “ —et cessauit episcopatus eius dies XV ,, 
mentre nell’ediz. prosegue ancora, Sedit autem, ece., con un lungo tratto, la cui ultima 
parte (“ Hic constituit — diaconorum ,) si trova nel codice aggiunta di mano del più 


118 ‘CARLO CIPOLLA 


antico postillatore (a), con questo peraltro che la postilla continua ancora con alcune 
linee, mancanti nella citazione edizione del Giorgi, e cioè: “Et constituit ut nullus 
clericus propter causam quamlibet in curiam introiret. nec ante iudicem causam 
diceret nisi in ecclesia et altaris sacrifitium in syndone linea celebrare ,. — Fol. 19 7, 
3 genn. (cfr. ediz., p. 23) il nostro codice termina la commemorazione di S. Antero 
papa con: “ — via Appia ,. Il Giorgi, avvertendo pure che anche i suoi mss. si ar- 
restano a quel punto, dalla lezione volgata accetta un'aggiunta: “Hic gesta — recon- 
didit ,. Questo brano fu aggiunto nel nostro ms. dal postillatore (a), che lo fece 
seguire dalle parole: “ propter — coronatus est ,. — Fol. 197, 3 gennaio, manca la 
commemorazione di S. Florenzio, vescovo di Vienna. Il Giorgi (p. 23) la reca, ma sol- 
tanto sulla fede della volgata. — Fol. 19, 5 genn., il tratto “Hic constituit — dice- 
retur,, dato dal Giorgi (p. 28), ma solamente sulla fede della volgata, è tralasciato 
dal nostro testo, ma aggiunto dal più antico postillatore (a). — Fol. 20%, 10 genn., 
manca il ricordo del martire S. Ermete, dal Giorgi (p. 38) dato solamente in base 
alla lezione volgata. — Fol. 217, 13 genn., manca la commemorazione di S. Vero 
vescovo di Vienna (ediz., p. 40). 

Ivi stesso, e sotto il medesimo giorno, leggesi il seguente tratto, che manca al 
Giorgi; avverto che sotto il dì seguente, 14 gennaio, il ms. dà la vita di S. Felice 
di Nola, in modo rispondente all’ediz., p. 41. 

“Item apud nolam beati Felicis episcopi qui passus est VI kl. augusti qui magnis 
miraculis clarus Archelaum presidem ad fidem Christi cum multitudine populi con- 
uertit, et post flagella et ignes. post uncinos ferreos in lateribus infixis et diu sus- 
pensus, et iterum grauissime cesus. postquam in fouea infossus ibique acutissimis 
et ualidissimis palis infixus, ad ultimum gladio percussus martyrium consummauit. 
Cuius memoria in hac die ab ecclesia caelebris agitur. Beati Remigii episcopi et con- 
fessoris qui gentem barbaricam francorum primus perduxit ad fidem catholicam ,. 

Fol. 22r, sotto il 19 gennaio, manca il ricordo di S. Caeldo vescovo di Vienna, 
tralasciato del resto anche dai mss. usati dal Giorgi (ediz., p. 42). — Fol. 220, 
sotto il 17 gennaio manca la commemorazione di S. Sulpicio vescovo (ediz., p. 48). 
— Fol. 24v, 22 genn., il nostro ms. ha il ricordo dei martiri Vincenzio, Oranzio 
e Vittore, che il Giorgi (p. 58 — cfr. ivi, Append., p. 637) non inserì nel suo testo, 


quantunque lo trovasse nei suoi mss. — Fol. 26r, 26 gennaio, commemorazione di 
S. Sulpizio vescovo, mancante nell’ ediz. (p. 65) (1). — Fol. 26%, 1 febbraio, nel 
ms. manca S. Ignazio (p. 75). — Fol. 27r, 3 febbr., su rasura, in minuscolo roton- 


deggiante: “ Eodem die in Sebastea ciuitate passio sancti Blasi episcopi et mar- 
tyris ,. Nell’ed., p. 79, la commemorazione è data, in compendio, da un ms. Giorgi; 
un altro la rimanda al 4 febbraio. — Fol. 28 v, 10 febbraio, nel ms. abbiamo la 
commemorazione di S. Scolastica, tralasciata nell’ediz., p. 86, ma offerta al Giorgi 
da mss. (efr. ivi, Append., p. 638). — Fol. 30 è, 22 febbr., nel ms. è ommesso $. Pa- 
scasio vescovo di Vienne (ediz., p. 99). — Fol. 84, 15 marzo, nel ms. manca S. Za- 
caria papa (p. 122) — ivi, 16 marzo, nel ms. manca S. Ilario vescovo di Vienne (p. 124). 


(1) Non è identica a quella che poc'anzi vedemmo invece data dall'edizione e taciuta dal 
nostro ms. 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL ‘ MARTYROLOGIUM ADONIS » 119 


— Fol. 35r, 20 marzo, il ms. aggiunge S. Archippo, del quale tace bensì il testo edito 
(p. 128), ma il G. lo trovò in altri mss. (cfr. ivi, Append., p. 639). — Fol. 36 r,28 marzo, 
nel ms., sotto S. Sisto papa, manca il tratto Hic criminatorem, che fu aggiunto in mar- 
gine (ediz. p. 137). — Fol. 39, 17 aprile, nel ms. manca S. Pantagato vescovo di Vienne 


(ediz., p. 160, manca in mss. veduti dal Giorgi) — ivi, 18 aprile, manca S. Ursmaro 
vescovo (ediz., p. 161). — Fol. 40r, 22 aprile, nel ms. manca $S. Giuliano vescovo 
di Vienne (ediz., p. 167). — Fol. 40%, 25 aprile, nel ms. manca S. Chiarenzo ve- 


seovo di Vienne (ediz., p. 171). — Fol. 47r, 10 maggio, nella vita di S. Epimaco il 
ms. tralascia il tratto finale Hic Epimachus (ediz., p. 202), che viene poi aggiunto in 
postilla (a). — Fol. 48, 11 maggio, il ms. (con uno dei codici Giorgi) aggiunge: “ Eodem 
die sancti Maloli abbatis ,. A scanso d’equivoci, aggiungo che il ms. conserva $S. Ma- 
merto vescovo di Vienne (p. 205). — Fol. 49%, il ms. trasporta S. Peregrino vescovo, 
con S. Calidiano e con S. Massimo, dal 16 al 17 maggio (ediz., p. 215) (1). — Fol. 49%, 
il ms. trasporta S. Torpete dal 17 al 18 maggio; siccome poi la sua commemora- 
zione finisce (fol. 507) dicendo che la sua festa scadeva: “ XVI KI. iun. , (= 17 giugno), 
così queste ultime parole furono poi raschiate (ediz., p. 217). — Fol. 52%, 1 giugno, nel 
ms. si ommette tanto S. Nicomede, quanto S. Claudio vescovo di Vienne; quest’ultimo 
è tralasciato in due mss. del Giorgi (ediz., p. 243). Il primo è aggiunto dal secondo 
postillatore (B). — Fol. 61, 14 giugno, nel ms. manca S. Eterio vescovo di Vienne, 
tralasciato anche nei mss. del Giorgi (ediz., p. 274). — Fol. 163r, 25 giugno, nel ms., 
alla commemorazione di S. Sosipatro, segue, e incontrastabilmente di prima mano: 
“ Eodem die apud Italiam ciuitate Taurinis sancti Maximi episcopi magni doctoris et 
preclarissimi viri .,. Nulla di ciò presso il Giorgi (p. 292). — Fol. 65, 27 giugno, nel ras. 
manca il cenno ai sette dormienti, tralasciato anche dai mss. del Giorgi (ediz., p. 299). 
— Fol. 65, 1 luglio, nel ms. manca S. Martino vescovo di Vienne, che non trovasi 
neanche nei mss. visti dal ‘Giorgi (ediz., p..309). — Fol. 67%, 6 luglio, nel ms. 
manca .S. Goaro (ediz.. p..318) — ivi, 7 luglio, nel ms. manca S. Evoldo vescovo di 
Vienne, che non trovasi neanche in due mss. del Giorgi (p. 320). — Fol. 69%, nel 
ms. si trasporta S. Pio I papa dall’11 al 12 luglio; sotto l’11 è tralasciato in cod. 
Giorgi (p. 331) — ivi, 13 luglio, nel ms. trasportasi dal 12 al 13 luglio la comme- 
morazione :di S. Cleto papa; nei codd. Giorgi manca (p. 333). — Fol. 70, 13 luglio, 
nel ms. manca S. Silea ((ediz.,.p. 335) — ivi, 16 luglio, in fine a questo giorno nel 
nostro ms. una mano del sec. XII ex., che volle imitare il carattere del testo, ag- 
giunse: “Apud Antiochiam natalis sanctorum martyrum Cyrici et Tulite matris eius ,. 
Manca questo nell’ediz. (p. 339), ma mon è che la ripetizione di quanto era stato detto 
sotto il 16 giugno (fol. 600 = ediz., p. 278). — Fol. 70 è, 19 luglio, nel ms. manca 
il ricordo di S. Epafra (ediz., p.342). — Fol. 73r, 24 luglio, nel ms. la commemo- 
razione di S. Cristina è trasportata dopo quella di S. Vittore (p..350). — Fol. 73%, 
25 luglio, nel ms. mancano S. Germano e S. Glodesinda. Quest'ultima santa viene 
tralasciata anche ;dai .codd. visti dal Giorgi (ediz., p..352). — Fol. 78 è, 3 agosto, in 


(1) (E ciò ‘per ‘un errore ‘materiale. L’amanuense che ‘scrisse il testo in nero, prima della com- 
memorazione di questi santi, lasciò inavvertitamente uno spazio bianco, che fu quindi supplito ‘in 
rosso colla indicazione del giorno successivo. Il primo errore fu causa del secondo, riguardante 


S. Torpete. 


120 CARLO CIPOLLA 


fine al testo di questo giorno, nel nostro ms. segue di prima mano, tranne le parole 
che scrivo in corsivo, le quali furono aggiunte da uno scriba pure del tempo : 
“Apud Nouariam transitus sancti Gaudentii magni episcopi et confratris ,. Nulla di 
tutto questo trovasi presso il Giorgi (p. 375). — Fol 86r, 11 agosto, nel ms. il 
testo di questo giorno finisce con: “Apud castellum Ebroas sancti Taurini ,. Una 
commemorazione di questo santo, sebbene espressa in forma differente, trovavasi in 
alcuni dei mss. visti dal Giorgi (p. 397). — Fol. 89 è, 20 agosto, finisce commemo- 
rando S. Filiberto abbate, del quale, sebbene con parole mutate, parlano i mss. del 
Giorgi (p. 415). 

Sotto il 25 agosto, “ VII kl. sept. ,, alla vita di S. Genesio martire, e preci- 
samente alle parole: “— et angelos dei , (= ediz. Giorgi, p. 424, lin. 22), colla fine 
del fol. 90 è, termina la prima mano. Col fol. 91», principia la seconda mano, che 
segue fino al compimento del testo, fol. 126 ». 

Fra il fol. 900 e il fol. 91r non c’è continuità. Quest'ultimo comincia col 20 set- 
tembre, “XII KI. oct. ,, (= ediz., p. 484), alla vita di S. Giustina e di S. Evilasio. 
Continueremo il nostro confronto sommario, per notare quelle diversità che possono 
aversi per caratteristiche. 

Fol. 91 », 21 sett., il ms. tralascia la commemorazione di S. Alessandro vescovo 
(ediz., p. 485). 

Tra il fol. 92 v e il fol. 93r abbiamo una nuova lacuna. Su quello infatti prin- 
cipia il testo del giorno 23 sett. (ediz., p. 491), mentre su questo vediamo terminare 
il testo del 29 di detto mese (ediz., p. 503). 

Fol. 950, 2 ottobre, il ms. ha la commemorazione di S. Eusebio papa, somiglian- 
temente all’Append. di Adone, ediz. Giorgi, p. 643, col. 2. — Fol. 987, 8 ottobre, il ms. 
tralascia S. Simeone, di cui tacciono alcuni codd. del Giorgi (ediz., p. 520) — Fol. 98r, 
9 ottobre, il ms. menziona S. Gereone ed altri martiri Tebei, che l’ediz. (p. 523) men- 
ziona al 10 seguente. — Fol. 104r, 27 ott., il ms. non ricorda la vigilia dei santi 
Simone e Giuda (ediz., p. 548). — Fol. 105 r, 29 ott., il ms. tralascia S. Teodario 
abbate (di Vienne) (ediz., p. 551). — Fol. 107%, 3 nov., il ms. non ricorda S. Uberto 
vescovo (ediz., p. 561; manca in alcuni codd., del Giorgi). — Fol. 109, 10 novembre, 
nella vita di S. Martino papa nel codice si abrasero le ultime parole multis in codem 


loco, ecc. (ediz., p. 571). — Fol 111, 17 nov., il ms. tralascia S. Aniano vescovo 
di Orléans (ediz., p. 582). 
Il testo ms. termina, 23 dic., fol. 126, colle parole: “— ad eius tumbam mira- 


cula creberrime fiunt. Explicit , (= ediz., p. 636). 

Il testo del ms. non è molto corretto; se ciò può affermarsi tanto della prima, 
quanto della seconda mano, è vero peraltro che assai più trascurata è quest’ultima. 
Ma neanche la prima è corretta. Specialmente certe parole di non chiaro signi- 
ficato, sono state alterate dal trascrittore, il quale qualche volta corresse poi sè 
medesimo. Abbiamo anche alcune correzioni di altra mano, più o meno contempo- 
ranea. Così, per e., dove l’ediz. (p. 391) legge: “Mea, inquit Laurentius, nox — ,, il 
nostro ms. aveva soltanto: “ Mea inquid nox — , (fol. 83). Mancava il nome del 
santo, e il correttore ve lo aggiunse, ma distendendo la frase: “ Beatus Laurentius 
dIXI6S* 

Alcune pagine sono più corrette e altre meno. Abbastanza scorretta è la pagina 


Tiara Sai oli 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL ‘ MARTYROLOGIUM ADONIS » 121 


recto del fol. 5, dove notai: “canonici (ediz., p. xLt: catholicae), auctor (Actorum), 
Preter (Praeterea), et que (ea quae), Deo migrauit (commigrawuit),. In questi luoghi 


| l'edizione ha sicuramente ragione. 


Nella seconda parte del codice (fol. 91r —126%) l’opera de’ correttori è anche 
maggiore. Nè senza motivo, poichè qui fu alquanto trascurato il primo amanuense, 
il quale mostra di avere inteso assai poco il suo esemplare. 

Insieme con questo cenno alle correzioni voglionsi qui ricordare alcuni supple- 
menti o varianti. 

Al fol. 62 avvenne, nel campo dello scritto, una rottura della pergamena, con 
perdita di un brandello della medesima. Una mano (del periodo che corre tra la fine 
del sec. XI e il principio del XII, ma più probabilmente del sec. XI), con inchiostro 
alquanto colorito, supplì le parole o le lettere perdute (1). 

Le varianti sono poche. Sembrano della stessa mano, e questa forse identica 
o almeno contemporanea a quella del testo, quelle che si leggono ai foll. 20r e 46r. 
Nel primo caso, 9 gennaio, il testo ha: “seruabant circiter XX commoti et timore 
perculsi,; var. in margine: “ alias et stupore ,. Nell’ediz., p. 36: “servabant, circiter 
viginti, commoti, et stupore perculsi,. Nel secondo caso, 6 maggio, il ms. reca : 
“ dignam memoriam et pro fide catholica constantiam ,; e in margine: “apostolica ,. 
Nell’ediz., p. 194: “ et pro fide apostolicam constantiam,. Di mano diversa, e colle 
lettere ad angoli più acuti è la variante che si legge al fol. 1210, 4 dicembre (ediz., 
p. 613); dove il testo ha: “ gallienus dixit olympio: Adhuc quidem differo poenarum 
tibi inferri supplicia, quia de sua constantia dubius non sum ,, sul margine, richia- 
mata col ripetuto segno y alla voce “ constantia ,, leggesi la variante “ uel con- 
scientia ,. 

Qui potrebbero trovar posto alcune spiegazioni marginali. Noto, fol. 497, 
14 maggio, che le parole: “ Natalis Uictoris et Coronae , (ediz., p. 212) sono contrasse- 


«gnate da questa indicazione ad essa sovrascritta: “Sanctorum martyrum ,, di mano 


poco posteriore al testo. Al fol. 71 è, 23 luglio: “ Natalis sancti Apolenaris episcopi , 
(ediz., p. 347), e sulla prima voce, di mano presso a poco contemporanea, ma diversa 
da quella che fece la nota interlineare or ora indicata, leggesi: “passio ,. 

Trascuro alcuni numeri che talvolta si trovano sui margini e servono a dividere 
in capi il testo relativo. Anche questi, e non sono tutti della stessa età, servono a 
dimostrare l’uso continuo, che si faceva del presente libro. 


(1) Ecco infatti in qual modo furono eseguiti i necessarì supplementi. Faccia reeto, lin. 5: “ — et; 
hymnis Zaudantes Christum perseue | rante lanceis per latera transfixi. cum gloria martyrii ad 
svderea regna migrarunt. | XI-Ml KL IVL Mediolani. Natalis sanctoram geruasii. @ protasii mar- 
tirum Qui beatissimi cum |per decem annos in uno cenaculo conclusi. lectionibus & orationibus 
atque — ,. Faccia verso: “ — et wirgine dei perreximus ad uirum dei nouatum. hoc cum widisset 
uir dei | nouatus omnes congregatos ad se uenisse gratias coepit agere deo quia meruit a sancto 
pio episcopo et uirgine domini praxede cum nostra deuotione uisitari. Et fuimus in domo eius | 
diebus ac noctibus octo Factumque est — ,. Tranne che in “ laudantes , e in * uirgine , i sup- 
plementi sono in margine e richiamati per via di segni. Tanto insistetti sopra di questi supple- 
menti, poichè significano qualche cosa nelle questioni riflettenti il sistema di correzione ai mss. 


Serie II. Tom. XLIV. 16 


122 CARLO CIPOLLA 


IL 


Nel nostro codice una parte notevolissima è tenuta dalle postille, le quali anzi, 
considerate dal punto di vista che abbiamo sul principio precisato, quasi costituiscono 
l'oggetto principale delle nostre indagini. Infatti essendo esse abbastanza numerose, 
e di epoche fra loro non identiche, giovano anche più del testo alla storia della 
paleografia Novaliciense. 

Molti sono i postillatori del nostro codice, e tra essi uno appartenne al se- 
colo XVII (1). Ora è nostro debito soffermarci sulle postille antiche. Comincio peraltro 
dai segnalare alcune inserzioni, che sostanzialmente possono avvicinarsi alle postille, 
ma che per la loro posizione materiale a rigore non si possono dir tali. 

Delle accennate postille di tarda epoca farò in appresso un cenno sommario, 
premendomi di dare migliore notizia dei postillatori più antichi. 

Abbiamo incidentalmente ricordate diggià tre aggiunte, ai fogli 27 r (S. Biagio), 
70r (Ss. Cirico e Giulitta), 780 (S. Gaudenzio). Di queste aggiunte la più antica sembra 
quella che ricordammo per ultima, ed essa ha una certa somiglianza col sogno descritto 
sul fol. 2r, di guardia, di cui parleremo a suo luogo; nonchè colla postilla del f. 24 r. 

Vengo ora alle vere e antiche postille, delle quali faccio il catalogo, distribuendole 
secondo le varie mani da cui provengono. 


a) Postillatore a. 

1) Fol. 4 v, 29 giugno (cfr. ediz., p. x11), alla vita di S. Pietro: “ Hic ordinauit duos 
episcopos linum et cletum qui presentialiter omne ministerium sacerdotale in 
urbe roma populo uel superuenientibus exhiberent. Ipse uero orationi et predi- 
cationi operam dabat ,. — La postilla è chiusa da cornice nera. 


2) Fol. 5r, 29 giugno (cfr. ediz., p. xLI), commemorazione di S. Paolo: “ Kodem anno 
quo passus est dominus constat paulum ad fidem uenisse ,. — La postilla è chiusa 
fra cornice nera. 


3) Fol. 7+, 28 ottobre, Ss. Simone e Taddeo (= ediz., p. xLIm): “ Quod quidam putant 
— gesta narrat ,. Questo tratto nell’ediz. chiude la commemorazione dei detti 
santi, la quale nel nostro ms. finiva con; “ — ipsi genuerant ,, cioè colle parole 
immediatamente precedenti. — Fra cornice nera. 


4) Fol. 7 v, 25 aprile, S. Marco Ev. (= ediz., p. xi): “ Loca bucolicae dicebantur uicina 
alexandriae circa aegyptum. plena ferotium barbarorum ,. — Fra cornice nera. 


(1) Trascuro affatto qualche rara postilla, di mano nostrana, che sembra della fine del secolo 
scorso (cfr., p. e., fol. 171). Qui la ricordo appena di passaggio, col solo scopo di dedurne la presenza 
del codice in Italia fino a tempi a noi così vicini. 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL @ MARTYROLOGIUM ADONIS » 123 


5) Fol. 17r, 31 dicembre, S. Silvestro papa (= ediz., p. 13). Lunga postilla dipendente 
dal Lib. Pontif., ed. Duchesne, I, 171. La prima parte della medesima “ Hic con- 
stituit crismam — scilicet diaconorum , si ha nell’ediz. Giorgi, p. 13; non così la 
seconda, che è di questo tenore: “ Et constituit ut nullus clericus propter 
causam quamlibet in curiam introiret . nec ante iudicem causam diceret nisi in 
ecclesia et altaris sacrifitium in syndone linea celebrare ,. — Fra cornice nera. 


6) Fol. 19r, 3 gennaio, S. Antero papa (ediz., p. 23). Dipende dal Lib. Pont., I, 147, e 
contiene l’ordine dato dal papa per la raccolta degli atti dei martiri, e il suo 
stesso martirio. Nell’ ediz., la nostra postilla trovasi inserta nel testo fino a 
recondit. Quindi la postilla prosegue: “ propter quodam maximino presbytero 
qui martyrio coronatus est ,. — Fra cornice nera. 


7) Fol. 197, 5 gennaio, S. Telesforo (= ediz., p. 28). L'intera postilla “ Mic constituit ut 
septem (ediz.: sex) ebdomadibus — misse celebrarentur , sta nell’ediz., e dipende dal 
Lib. Pont., 1, 129 (“ septem ebdomades ,). Nell’ediz. la postilla trovasi allogata 
nel testo sulla fede della volgata. — Fra cornice nera. 


8) Fol. 21r, 11 gennaio (cfr. ediz., p. 39). Commemorazione di S. Igino papa, dipen- 

| dente dal Lib. Pontif., 1, 131. Eccone il tenore: “ Sancti Ygini pape qui sedit 
rome annos quattuor. hic constituit clerum et distribuit gradus. sepultus est in 
uaticano. III id. ian. ,. — Fra cornice nera. 


9) Fol. 22 r (cfr. ediz., pp. 46-7), S. Marcello papa. Sui cimiteri e sui titoli da lui 
istituiti; è il tratto, che sotto di questo giorno abbiamo nell’Append. ad Adone, 
ediz. Giorgi, p. 637. Dipende dal Lib. Pont., 1, 164. — Fra cornice nera. 


10) Fol. 280, 11 febbraio (cfr. ediz., p. 87), S. Desiderio martire. Il testo nel nostro 
ms. ha: “ Apud lugdunum desiderii episcopi et martiris ,. E la postilla: “ Hic 
beatus uir passus quidem est , ecc., come nell’Append. ad Adone, p. 638 (Giorgi). 
— Senza cornice. 


11) Fol. 29 r, 13 febbraio (cfr. ediz., p. 89). La postilla, che si riferisce a Gregorio II, 
e che in parte ha relazione col Lib. Pont., I, 397, dice: “ Gregorii pape qui 
rexit ecclesiam , ecc., secondo che abbiamo pure nell’App. ad Adone, p. 638 
(Giorgi). — Chiusa fra cornice rossa. 


12) Fol. 30 r, “ x kal. mar. , (cfr. ediz., p. 96), S. Simeone. “ Constat tamen quia 
cleopa cuius filius fuit. frater fuit ioseph ,. Sta in una variante data da un ms. 
del Giorgi (cfr. anche App., p. 639). — Fra cornice rossa. 


13) Fol. 32, 2 marzo (cfr. ediz., p. 109): “ Simplicii papae qui sedit rome annis 
quindecim. hic accaciutt (evidente errore di trascrizione per accacium) constanti- 
nopolitanum episcopum eutychianos dampnavit ,, come nell’Append., p. 639. 


Qualche relazione col L. P., I, 249. — Fra cornice rossa. 


14) Fol. 32», 4 marzo (cfr. ediz., p. 111), alla vita di S. Lucio. Suo precetto sui preti 
e sui diaconi desunto da L. P., I, 153, e cioè: “ Hic precepit ut duo presbyteri 
et tres diaconi — ecclesiasticvm ,. Questo tratto nell’ediz. Giorgi sta inserto nel 
testo. — Fra cornice nera. 

15) Fol. 33 0, 12 marzo (cfr. ediz., p. 119), S. Gregorio I e S. Innocenzo papi. Una 
postilla sola parla di ambedue: “ Hic constitutum fecit ecclesia — damnabat. 


124 CARLO CIPOLLA 


hoc innocentius (è la notazione che abbiamo nell’Append., p. 639, e dipende dal 
L. P., I, 220). Gregorius uero aucmentavit — dispone , (fine della notazione che 
leggesi nell’Append., p. 639; dipende dal L. P., I 312). — Fra cornice rossa. 


16) Fol. 34 r, 15 marzo (cfr. ediz., p. 122), S. Zaccaria. Le prime parole della postilla 
(“ Zachariae pontificis qui rome sedit annos x ,) sono del testo a stampa. Ma 
poi la postilla segue ricordando che quel papa trovò il capo di S. Giorgio, ecc., 
secondo la notazione in Append., p. 639; dipende dal L. P., I, 426, 434-5. — 
Fra cornice rossa. 


17) 18) 19) Fol. 35 r, 21 marzo: “ Vernale aequinoctium et prima caelebritas 
paschae ebreorum ,. — Fol. 35 è, 25 marzo: “ Passio domini ,. — Fol. 35 o, 
25 marzo: “ Resurrectio ,. — Le tre postille sono senza cornice. 


20) Fol. 36 r, 29 marzo (cfr. ediz., p. 138), S. Eustasio discepolo di S. Colombano: 
“ Hic criminatorem suum bassum nomine nutu diuino mortuum manibus suis 
cum linteaminibus et aromatibus tractans sepeleliuit apud beatum petrum ,. — 
Senza cornice. 


21) Fol. 37 è, 6 aprile (cfr. ediz., p. 148), S. Sisto papa. Suoi precetti, dedotti da 
L. P., I, 128. È l’intera notazione che abbiamo in Append., p. 639 (Giorgi). — 
Fra cornice rossa. 


22) Fol. 37 e, 8 aprile (cfr. ediz., p. 149), commemorazione di S. Celestino papa, 
desunta dal L. P., I, 230. È, con leggere varianti, la notazione che hassi in 
Append., p. 639 (Giorgi) sotto il 7 aprile. — Fra cornice rossa. 

23) Fol. 38 r, 12 aprile (cfr. ediz., p. 154), S. Giulio I papa. Suoi decreti ricavati 
da L. P., I, 205; è la notazione che abbiamo in Append., p. 640 (Giorgi). — 
Senza cornice. 


24) Fol. 38 è, 16 aprile (cfr. ediz., p. 159), commemorazione di S. Aniceto papa, da 
L. P., 1, 134; è l'annotazione di Append., p. 640 (Giorgi). — Fra cornice rossa. 

25) Fol. 39 r, 20 aprile (cfr. ediz., p. 163), S. Vittore papa. Sue costituzioni, da L. P., 
I, 137; questa è la notazione che si ha in Append., p. 640 (Giorgi). — Fra 
cornice rossa. 

26) Fol. 39 è, 21 aprile (cfr. ediz., p. 165), commemorazione di S. Sotero papa, da 
L. P., I, 135, ed è la notazione stampata nell’Append., p. 640 (Giorgi). — Fra 
cornice rossa e nera. 

27) Fol. 40 r, 22 aprile (cfr. ediz., p. 166), S. Caio papa. Sua costituzione sugli ordini 
ecclesiastici, da L. P., I, 161, ed è la notazione che trovasi in Append., p. 640 
(Giorgi). — Fra cornice rossa. 

28) Fol. 40r, 22 aprile (cfr. ediz., p. 166), commemorazione di S. Agapio papa, da 
L. P., I, 287-8, ed è la notazione che abbiamo in Append., p. 640 (Giorgi). — 
Fra cornice rossa. | 

29) Fol. 40 è, 26 aprile (cfr. ediz., p. 172). S. Anacleto papa (1): “ Hic memoriam 
beati petri construxit et composuit loca ubi episcopi reconderentur. Hic presbyter 


(1) Il nostro ms. ora legge “ Cleti ,, ma tale lezione vi proviene da tarda correzione. 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL @ MARTYROLOGIUM ADONIS » 125 


a beato petro est ordinatus ,, da L. P., I, 125. — Questa e la seguente postilla 
nel ms. sono per errore assieme unite; chiude ambedue un'unica cornice rossa. 

30) Fol. 40 è, 26 aprile (cfr. ediz., p. 172): “ Hic ad sacrificandum dictus (corr. poste- 
riormente: ductus) sacrificauit. deinde penitentia ductus pro confessione uere fidei 
capite truncatur ,, da L. P., I, 162. 


31) Fol. 41r, 27 aprile (cfr. ediz., p. 173), S. Anastasio I papa. Sue costituzioni, da 
L. P., 1, 218); la postilla rassomiglia alla notazione che abbiamo in Append., 
p. 640 (Giorgi). — Senza cornice. 


32) Fol. 41 è, 28 aprile (cfr. ediz., p. 175). Santa Teodora vergine, che nel testo figura 
come martirizzata ad Alessandria: — “ Hoc beatus Ambrosius (1) Antiochiae 
gestum narrat ,. — Senza cornice. 


33) Fol. 45 r, 3 maggio (cfr. ediz., p. 186), S. Alessandro papa: “ Hic constituit aquam 
sparsionis cum sale benedici in habitaculis hominum. et passionem domini miscuit 
in precatione sacerdotum quando missae caelebrantur ,. Dipende da L. P., I, 127. 
— Senza cornice. 


34) Fol. 46 0, 8 maggio (cfr. ediz., p. 198), ricordo di S. Benedetto papa, da L. P., 
I, 308; è la notazione data dall’Append., p. 640. — Fra cornice rossa. 


35) Fol. 47 v, 10 maggio (cfr. ediz., p. 202), cenno su S. Epimaco: “ Hic epimachus 
apud alexandriam — deinde romam translate ,, che è dato dal testo volgato 
a stampa, ma non dai mss. veduti dal Giorgi. — Senza cornice. 


36) Fol. 50 è, 21 maggio: “ Ipso die Taurini (corr. da Taurinis) ciuitate. Translatio 
. sancti secundi martyris infra ciuitate. qui fuit dux thebeorum legionis. Facta a 


mo 


domno Willhelmo episcopo, Anno incarnationis dominicae. decce vI° , (2). — 
Senza cornice. 


37) Fol. 50 v, 23 maggio. Cfr. sopra fol. 28 è, postilla 10, commemorazione di S. De- 
siderio vescovo di Vienna; somiglia affatto alla notazione in Append., p. 640 
(Giorgi). — Senza cornice. 

38) Fol. 51 r, 25 maggio (cfr. ediz., p. 229), S. Eleuterio papa: “ Hic firmauit ut 
nulla esca a christianis repudiaretur que rationalis et humana est ,, da L. P., 
I, 136. — Senza cornice. 


39) Fol. 510, 28 maggio (cfr. ediz., p. 235), S. Giovanni I papa: “ Quo tempore 
theodericus rex duos senatores praeclaros et exconsule (sic) symmachum et 
boetium occidit qui xcvit die postquam papa iohannes defuncetus est subito 
interiit et mortuus est ,, da L. P., I, 275-6. — Senza cornice. 


40) Fol. 73 è, 28 luglio (cfr. ediz., p. 357), S. Pantaleone: “ Passus est hic martyr 
x kl. mar. festiuitas eius caelebrior (forse da correggersi in caelebratur) 
v kl. aug. ,. — Senza cornice. 


(1) De Virgin., lib. II, c. 4 (Miane, XVI, 212-6). 

(2) Rilevo tosto la coincidenza di espressioni fra questa postilla e un brano del Chronicon 
Novaliciense (lib. IV, c. 80) pervenutoci solo dagli estratti del Ducneswne. Come si vedrà meglio in 
seguito, se la postilla è di certo indipendente dal Chronicon, da ciò non consegue con piena sicn- 
rezza che questo sia una diretta trascrizione di quella. 


126 CARLO CIPOLLA 


41) Fol. 76 0, 2 agosto (cfr. ediz., p. 371). Costituzione di S. Stefano I papa, da L. P., 
I, 154; è la notazione, che vediamo stampata in Append., p. 642 (Giorgi). — 
Cornice rossa, inferiormente acuminata. 


42) Fol. 79 r, 6 agosto (cfr. ediz., p. 380). Commemorazione di S. Ormisda papa, da 
L. P., I, 269-70; è la notazione che leggesi in Append., p. 643 (Giorgi). — Fra 
cornice rossa, acuminata inferiormente. 


Postillatore 6. 


1) Fol. 23 è, 20 gennaio (cfr. ediz., p. 54): “ Ipso die natalis sancti solutoris. aduen- 
toris et octaui. foris muros taurinensis ciuitatis ,. Fra cornice rossa, inferior- 
mente acuminata. 


2) Fol. 52 è, 30 maggio (cfr. ediz., p. 239), S. Felice papa: “ Hic constituit supra me- 
morias martirum missas celebrari ,. Fra cornice nera, acuminata inferiormente. 


3) Fol. 52 è, 1° giugno (cfr. ediz., p. 243, dove la nostra. postilla è inserta nel testo): 
“ Dedicatio sancti nicomedis , ecc. — Fra cornice nera, acuminata inferiormente. 


4) Fol. 99 r, 14 ottobre (cfr. ediz., p. 528), S. Callisto papa: “ Hic constituit ieiunium 
die sabbati in anno fieri. frumenti uini & olei secundum prophetiam ,, da L. P., 
I, 141. — Fra cornice nera, inferiormente acuminata. 


5) Fol. 103 è, 25 ottobre (cfr. ediz., p. 544). Commemorazione di papa Bonifacio, da 
L. P., I, 227-8. È la notazione stampata in Append., p. 644. — Fra cornice 
rossa, acuminata inferiormente. 


6) Fol. 104 r, 26 ottobre (cfr. ediz., p. 547), S. Evaristo papa: “ Hic titulos in urbe 
diuisit presbiteris. & vit dyacones ordinauit qui custodirent episcopum praedi- 
cantem ,, da L. P., I, 126. — Fra cornice rossa, acuminata inferiormente. 


7) Fol. 112 r, 19 novembre (cfr. ediz., p. 585). Commemorazione di S. Gelasio papa, 
da L. P., I, 255; è la notazione edita nell’Append. (Giorgi), p. 645. — Fra cor- 
nice rossa, inferiormente acuminata. 


8) Fol. 113 r, 23 novembre (cfr. ediz., p. 590), S. Clemente papa: “ Hic septem re- 
giones ,, ecc., da L. P., I, 123. E la notazione pubblicata nell’Append., p. 645. 
— Fra cornice rossa, inferiormente acuminata. 


9) Fol. 116 è, 26 novembre (cfr. ediz., p. 598), S. Lino: “ Hic excepto (cioè ex prae- 
copto) beati petri , ecc., da L. P., I, 121. È la notazione che leggesi nell’Append. 
all'edizione del Giorgi, p. 645. — Fra cornice nera, inferiormente appuntita. 

10) Fol. 118 è, 28 novembre (cfr. ediz., p. 603): “ Gregorii pape in (errore per: 10) 
qui rexit ecclesiam ann. x. hic instituit , ece. Dipende da L. P., I, 417. È la 
notazione data dall’Append. (Giorgi), p. 645. — Fra cornice nera inferiormente 
acuminata. 

11) Fol. 122 7, 8 dicembre (cfr. ediz., p. 617), S. Eutichiano papa: “ Hic constituit 
ut fruges super altare tantum fabe & uuae ,, ecc. Dipende da L. P., I, 159. È 
la notazione data nell’Append. (Giorgi), p. 645. — Senza cornice. Le linee sono 
disposte così che la postilla ha la forma di un triangolo, col vertice in basso. 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL (‘ MARTYROLOGIUM ADONIS » -127 


12) Fol. 122 è, 10 dicembre (cfr. ediz., p. 619): “ Sancti melciadis papae , ecc. Dipende 
da L. P.I, 168. È la notazione data dall’Append. (Giorgi), p. 646. — Fra cornice 
nera, inferiormente acuminata. 


13) Fol. 123 r, 11 dicembre (cfr. ediz., p. 620), S. Damaso papa: “ Hic multa corpora 
sanctorum martyrum — et constituit ut psalmi die noctuque canerentur per 
omnes ecclesias. qui etiam — germanam suam , ecc. (Giorgi), da L. P., I, 212-3. 
Sono due annotazioni date, sotto questo dì, dall’Append., p. 646. — Fra cornice 
nera, terminante in punta. 


Postillatore Y. 


1) Fol. 24 », 22 gennaio (cfr. ediz., p. 57), S. Vincenzo martire. In corrispondenza 
colle parole “ a ruine guttis , del testo, occorre la postilla marginale: “ A ruina 
dicitur, que a quibusdam axuncia uocatur ,. — Senza cornice. 


Postillatore è. 


1) Fol. 34 7, 13 marzo (cfr. ediz., p. 121), Ss. Macedonio, Patrizio e Modesta: “ Noua- 
licii [in] (1) monesterio. depositio beati helderadi (2) abbatis. Hic uir egregius 
ex gallicana prouintia fuit (3) indigena (4). Spreta quoque (5) pompa mundi. et 
relictis rebus patris. facto ex his oratorio. in honore beati petri apostolorum 
principis. poene post circuiens totum mundum. flagranti desiderio. sequi vestigia 
probatissimorum monachorum. Ad ultimum uero (6) uenit noualicium. quo uitam 
ducens celibem. & huius rei gratia factus est monachorum ferme quingentorum 
optimus pater. Quibus autem peruigili cura instans. per xxx' annos. deposita 
carnis sarcina. liber ad astra uolat. Ad cuius sacrum tumulum clarum uidetur 
miraculum. Infirmus quisque dum ingreditur. facta oratione. domum sanus reuer- 
titur. Ecce enim his exuberat beneficiis qui christo nihil carius habuit , (7). — 
Senza cornice (8). 


Postillatore e (9). 


1) Fol. 50 0, 19 maggio (cfr. ediz., p. 219): “ Ipso die in brittanniis ciuitate doru- 
bernensi que est metropolis ipsius insule transitus gloriosissimi uiri Donstani 
archiepiscopi quem in terra uiuentium uwiuere crebra miracula et plurima que 

| flagitantibus eius auxilium beneficia conferuntur quotidiana testantur ,. — Senza 
cornice. 


(1) La sillaba in fu aggiunta, come pare, da mano tarda. 

(2) La seconda e fu, in antico, raschiata. 

(3) Voce aggiunta interlinearmente di prima mano, in sostituzione, forse, di altra voce (est?) 
raschiata. 

(4) La sillaba na di prima mano in rasura. La sillaba ge pure di prima mano, ma aggiunta. 

(5) Voce aggiunta di prima mano. 

(6) Voce aggiunta, forse di prima mano, ma con inchiostro più scuro. 

(7) Un sunto, nè del tutto esatto, ne diede K. MiiLuer, loc. cit., p. 256. 

(8) La postilla è richiamata al testo, con un segno ripetuto (cerchio tagliato). 

(9) Forse anche qualcuna delle correzioni del testo può attribuirsi a questo postillatore. 


128 CARLO CIPOLLA 


Postillatore Z. 


1) Fol. 28 è, 9 febbraio (cfr. ediz., p. 85): “ Eodem die noualiciensis monasterii dedi- 
cacio ecclesie sancte dei genitricis ad radicem montis , (1). — Senza cornice. 


2) Fol. 29 è, “ xv kl. mar. , (cfr. ediz., p. 92): “ Eodem die dedicacio ecclesie sancti 
blasi , (2). — Senza cornice. 


3) Fol. 46 v, 8 maggio (cfr. ediz., p. 198): “ Eodem die dedicacio ecclesie sancti Ste- 
phani protomartyris de burgo ,. 


4) Fol. 69 è, 11 luglio (cfr. ediz., p. 330): “ dedicacio ecclesie saneti p&ri ,. — Senza 
cornice (8). 


Postillatore n. 


1) Fol. 125 è, 25 dicembre (cfr. ediz., p. 631-2): “ dedicacio ecclesie sanctorum Cosme 
et (4) damiani ,. — Senza cornice. 


Postillatore 0. 


1) Fol. 95 r, 1 ottobre, vita di S. Germano. Il testo dice: “ ..... Beatus preterea (5) 
uir dum aliqua|diu (sic) uno loco infirmitatis necessitate teneretur, in uwicina 
qua manebat | casula exarsit incendium. Sed hospicium sancti uiri expauescens 
flamma. | nequaquam ansa tangere transiliuit — , (cfr. ediz., p. 509). Di fronte 
alla linea “ casula — flamma , fu apposta la notazione in note criptografiche, 
Tav. II, n. 2, che per maggior chiarezza riproduco anche qui in incisione. 


05,8 
l 


Postillatore 1. 


Per tutto il codice sono sparse numerose postille, del secolo XVII, dovute ad un 
erudito, che volle completare il testo, coll’ aggiunta di parecchi santi. È indu- 
bitato che il postillatore era un monaco Novaliciense. Sotto il giorno 10 ottobre 
(fol. 98 r) infatti trovasi questa annotazione: “ Apud Noualicium in monasterio 
sancti Petri translatio sancti Eldradi abbatis eiusdem monasteri) ,. 


(1) La postilla è richiamata al testo con segno ripetuto (croce di S. Andrea). — Si riferisce 
alla chiesa di S. Maria (Maggiore) del Moncenisio, che dipendeva dal Monastero Novaliciense. 

(2) Nel testo del ms. si commemora “ S. Blauius ,; nel testo del Giorgi, in luogo di “ Blauius , 
si accetta la lezione volgata “ Blasius ,, ma si ricorda l’altra, che unica era data a quell’editore 
dai mss. da lui consultati. 

(3) Forse quest’ultima postilla è di mano diversa dalle precedenti, ma non lo si può assicurare. 

(4) Usasi qui il segno tironiano che somiglia alla 7. 

(5) Ms.: pterea. 


CERRI EI EEA 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL ® MARTYROLOGIUM ADONIS » 129 


IV. 


Il volume è chiuso da due fogli di guardia al principio e da due al fine. Sono 
nel medesimo formato del resto, ma la pergamena ne sembra più spessa. Le perga- 
mene dei fogli di guardia non formano fascicolo col testo. 

Fol. 1 recto, bianco. 

Fol. 1 verso. Il centro è occupato dal rozzo disegno di un fromboliere, eseguito 
prima che si scrivesse la nota di possessi, della quale ora devo dar conto. Questa nota 
occupa la maggior parte di questa faccia e pare scritta da più mani. Consiste nella 
enumerazione dei redditi, che alcune consorterie dovevano pagare, verisimilmente al 
convento. Le consorterie stanno divise topograficamente, e sono “ de Carni[an]o , 
(= Carignano; cfr. diploma di Corrado II, 1026, in MHP, Chart., I, 453), “ de Con- 
douoro , (= Condove, nel territorio di Susa), “ de Cumbauiana , (= Cumiana), “ de 
Campilione ,, (= Campiglione, nella diocesi di Pinerolo), “ de Ceredo , (= Ceretto, 
frazione di Condove). Tutte le mani da cui provengono queste notazioni sono presso 
a poco dell’epoca stessa (1). 

Dalla posizione di queste località sembra che il creditore dovesse essere il mona- 
stero Novaliciense; ma coi documenti di questo non mi riuscì di dar valore di prova 
a tale ipotesi. Fra le altre carte conservasi (2) un rotolo contenente altre confraterie 
o consorterie di debitori verso quel monastero, e il rotolo è della fine del sec. XI 
o del principio del sec. XII; ma nulla vi trovai che confrontasse colla nota presente. 

A questa nota fa seguito in carattere del sec. XI: “ Benedicamus domino , ecc., 
voci contrassegnate con antichi neumi musicali preguidoniani. 

E al disotto, in carattere minuscolo grosso: “ Annis centenis c[om] mon|ade] 
mille repletis Nam tumulus siri patetici ex tempore Christi ,. Le lacune si integrano 
coll’altra copia che di questo medesimo motto si legge al f. 127 o. Pare vi si alluda 
alla sepoltura di certo Siro, morto 101 anno dopo la Passione di Cristo, rimanendo 
peraltro incerto con che si abbia a ragion di grammatica ad accordare patetici. Pen- 
sando alla posizione geografica di Breme, ch’è in Lomellina, e quindi in una certa vici- 


(1) Mano I: “ fratres de carni...o Martinus. peregrinus s[extarios]. IL. unum de frumento et alium 
de sigale. Martinus freius similiter. Aldo similiter. Boniprandus similiter. Ingelrammus similiter. 
Wazo similiter. Bertrannus decanus similiter. Girardus similiter. Lebertus cum uxore & filiis suis 
sex[tarios]. VI. Warinus presbiter s[extarios]. II. Guarinus cum matre sua sex[tarium]. I. 

“ Fratres de condouoro. Aimo. IIINI. Goffredus sex[tarios]. IL Dominicus similiter ,. 

Mano Il: Fratres de cumbauiana Richardus s[extarios]. V. Iohannes s[extarios]. II. Litab[ert]us. II. 
Aribertus. II. Walterius. II. Wini[c]erius. II. Rozo. IL Albertus. II. Randoinus. IL Michael. Il. 
Richardus. II. Benedictus langobardus. II. Vidricus. IL 

“ De campilione Rodulfus & Homodeus presbiteri. III. Ioannes. II. Giselbertus subdiaconus. II. 
P&rus laicus, II. Wilmarus. III Andreas. II. Albertus. II. Gisulfus. INIL. Ioannes. II. Winiterius. IL 
Martinus. IL ,. 

Mano INI: Confratres de ceredo. Walerius cum uxore sua s[extarios]. II. Adalbertus cum 
uxore s[extarios]. II. Iohannes cum uxore sfextarios]. II. Iohannes s[extarium]. I. ,. 

Mano IV: “ Roza aburiense d[enarios]. IL Bonognus. II. Petrus. IL |,. 

(2) Arch. di Stato di Torino. Novalesa, Busta II 


Serie II Tom. XLIV. 17 


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130 CARLO CIPOLLA 


nanza a Pavia, saremmo tentati a trovare qui un’ allusione a S. Siro, protovescovo 
di quella città. E notorio che una tradizione, alla quale ora si nega fede (veggasi 
l’erudito del p. FapeLE SAVIO, La leggenda di S. Siro primo vescovo di Pavia, in 
“ Giorn. Ligust. ,, XIX, 401 sgg.), trasporta S. Siro ai tempi apostolici, anzi lo fa 
presente ai fatti della Redenzione. Oggidì lo si attribuisce piuttosto al IV secolo, come 
anche pensavano gli eruditi del passato secolo. La controversia forse non è ancora 
del tutto finita (1). Ad ogni modo sul suo avello, scoperto qualche lustro addietro 
in Pavia, leggesi soltanto: SVRVS | EPC. 

La faccia recto del fol. 2 è occupata dal principio di un sogno, che, per la ma- 
teria, ha qualche relazione col Chronicon Novaliciense. Da alcuni pentimenti si deduce 
che qui si tratta della trascrizione di un aneddoto, il quale per giunta rimase incompleto. 

“ Quidam ex nostris fratribus uwidit (2} somnium. quod narrans nobis ita se 
uidisse. Uidebam me esse ad radicem cuiusdam montis excelsi. & lacus magnus & 
fétidus (3) iuxta montem positus erat. Cumque ambularem per crepidinem montis uel 
iuxta in marginem laci. uidebam quasi paruam insulam prope ripam laci. & quedam 
domunculam modicam que uidebatur partem adherere laci. partemque montis. Cumque 
transissem hostium illius domuncule. aliumque. exterius transmeassem. apparuit 
mihi (4) domnus iohannes monachus nuper defunetus. Cumque aspicerem eum. repre- 
hendebam tonsuram capitis eius que uvidebatur mihi (4) ualde esse deformis. At ille 
intendens reprehensionem meam. Ne mireris inquit frater quia defunetus sum seculo. 
Numguid (5) non (6) audisti de morte mea? Cui respondi. Audiui. sed minime reco- 
lebam. Indico tibi frater karissime. quia penuriam magnam hic pacior. famemque 
tribulationis conturbor. sed obsecro te ut des mihi (4) si quid poteris que (7) man- 
ducare queam; Cumque indicassem illi nil sumptus me illic habere, apparebant 
mihi (4) quosdam fructus quos offerens illi inquit. Nihil (8) aliud inuenire me po- 
tuissem. At ille inquit. parum widetur mihi (4) frater hoc quod inuenisti. si amplius 
non dederis. Sed rogo te interuenias pro me apud domnum abbatem. ceterisque 
senioribus nostris. ut misericordiam inpendant mihi (4). Specialiter uero inter ceteros 
roga domnum albertum consobrinum nostrum. Simulque domnum rodulfum. fratremque 
gosmarium. ut ueteras (sic) amicitias reminiscant. & in penuria (9) famis quam hic patior 
succurrant. His inter nos sermocinantibus fragor magnus desuper uerticem montis 
cepit erumpere. In quo sonitu horror magnus & pauor me inuasit. Cumque tremens 
sursum aspicerem. uidebantur mihi (4) quasi effigies hominum ruere desuper cum 


(1) Forse sono stato troppo preoccupato in senso contrario, quando esposi (Pubblic. sulla storia 
medioevale nel 1892, Venezia, 1893, p. 36) l'opinione del Savio riguardo alla questione cronologica, 
opinione che vedo accettata dai Bollandisti e dal Duchesne. In ogni modo si tratta di una que- 
stione di singolare difficoltà. Ora che ho veduta la lapide, mi sembrano meno difficili i dubbî paleo- 
grafici del Savio, dubbi che tutti desidereremmo veder discussi dal Dr Rossi. 

(2) La seconda è? è di correzione. 

(3) L’accento pare aggiunto posteriormente. 

(4) Avverto che la voce è abbreviata: m, sicchè potrebbesi pur leggere: michi. Preferisco mihi 
poichè abbiamo in questo stesso tratto niWil. 

(5) La g è di correzione e sostituisce una o due lettere non più leggibili. 

(6) Correzione, per nam. 

(7) Voce aggiunta nell’interlinea, e forse di mano posteriore. 

(8) L'amanuense aveva dapprima scritto N, che poi mutò in NiWil. 

(9) Le sillabe in pe sono in rasura. 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL « MARTYROLOGIUM ADONIS » 131 


aqua simulque cum palude magna usque in profonditate laci ,. E qui troncasi la 
narrazione del sogno, quasi col finir della pagina. 

In questo brano parlasi di un abate, del quale pur troppo si tace il nome. I 
nomi poi de’ monaci qui ricordati, non ci sono noti, per quanto sappia, da altre 
fonti. Siecchè manchiamo del migliore mezzo per la determinazione cronologica del 
nostro aneddoto. Una cosa tuttavia si può dimostrare, ed è che esso è anteriore 
di certo alla fine del sec. XI, quando alla Novalesa si costituù un priore. Prima 
d’allora un solo abate governava Breme e la Novalesa. Questo è il limite ad quem; 
quanto poi al limite « quo, esso non ci può essere offerto neppure dai criterì paleo- 
grafici, giacchè, come abbiamo rilevato or ora, non abbiamo qui una composizione 
originale, ma soltanto una trascrizione di più vetusto aneddoto. 

Sulla faccia verso del foglio 2 sta trascritto il tratto Conressor Sanctus Benedictus 
plus appetiit ecc., musicato. La faccia termina: “ Uos estis templum Dei uiui ,, e con- 
tinua il medesimo testo sul margine inferiore della faccia recto del fo1.3: “ & Spiritus 
Sanctus habitat in uobis. Cui gloria Patri & Filio & Spiritui Saneto; cui ,. 

Fol. 3 recto. Disposti sopra due colonne abbiamo alcuni versi di argomento augu- 
rale. Che essi siano stati seritti prima del Conressor Sanctus Benedictus risulta evi- 
dente da ciò, che quest’ultimo aneddoto viene a terminare sul margine inferiore della 
pagina lasciato vuoto da quello. 

I versi sono distribuiti sopra due colonne. 

Nella prima abbiamo i versi che segnano i nefasti giorni egiziaci. per ciascun 
mese. Quantunque non sia povera la letteratura di tal genere (1), forse può riuscire 
di qualche utilità il trascrivere qui anche il nostro aneddoto (2): 

La seconda colonna, dopo le voci Alleluia e Interrogabat musicate, segue di 
mano simile, se non identica a quella cui dobbiamo i versi sui giorni egiziaci, una 


(1) Cfr. Murarori, R. I S., II, 2, 1024; G. Amari, Ubbie, cianconi e ciarpe del sec. XVI. Bologna, 
Romagnoli, 1866 (disp. LXXII delle Curzsosità letterarie), p. 11-2. 


(2) Si tenebre aegypti greco sermone uocantur. 
Inde dies mortis tenebrosos iure wocamus. 
Bisdeni binique dies seribuntur in anno. 
In quibus una sol& mortalibus hora timeri. 
Mensis quisque duos captiuos possid& horum 
Ne simul hos iunctos homines peste trucident. 
1. Jani prima dies & septima fine tim&ur. vis. 
11). Ast februi quarta. precedit tercia finem. mm. 
1. Martis prima necat cuius in cuspide quarta. 11. 
x. Aprilis decima undeno & fine minatur. x1. 
11]. Tercius est maio lupus. & septimus anguis. vi]. 
x. Junius in decimo. quindenum ad fine salutat. xv. 
x1). Tredecimus iulii. decimo innuitante kalendas. x. 
i. Augusti nepa prima fugat de fine secundo. 17. 
ir. Tercia septembris uulpes ferit e pede dena. x. 
ni. Tercius octobris pullus decem in ordine nectit. x. 
v. Quinta nouembris acus wix tercia mansit in urna [.]iy. 
x. Dat duodena cohors septem in decimaque decembris. x. 
His caueas proprio ne quid de sanguine demas. 
Num opus incipias nisi forte ad gaudia tendat. 
& capud & fimem mensis in corde teneto. 
Ne in medio ima ruas sed clara per aethera uiuas. 


Quindi i giorni egiziaci sono: Gennaio 1, 25; Febbraio 4, 26; Marzo 1, 28; Aprile 10, 20; Maggio 3, 25; 
Giugno 10, 16; Luglio 13, 22; Agosto 1, 30; Settembre 3, 21; Ottobre 3, 22; Novembre 5, 28; 
Dicembre 12, 22. 


132 CARLO CIPOLLA 


descrizione, pure in versi, dei dodici mesi dell’anno in relazione colle rispettive 
costellazioni (1). È un epigramma già noto, e che si attribuisce ad Ausonio (2). 

Fanno seguito, in carattere minuscolo quadro, non più tardo del principio del 
XIII secolo (secondo Carlo Miller sarebbe del sec. XII) alcune note, che assai proba- 
bilmente si riferiscono ai redditi del monastero: “ In mense ////{!! (3) marcii erant oues 
nostre cum lacte x. trentenaria et (4) xx (5) et (4) tues oues. inter arietes et (4) 
multones. xx. agni . 1. trentenaria et (4) sesdecim ,. 

D'altra mano contemporanea: “ Martinus tres in augusto ,. 

Il testo del martirologio di Adone termina, come abbiamo veduto, al fol. 126 ». 
Sul basso della pagina fu aggiunto il seguente tratto musicato: “ Jubila & lauda deum 
syon cuius uultu tangit organa sanctorum ibi et uos gerarcha Nicole archimandrita 
Ylderade canitis concorditer ymnum hierusalem. In cuius chorum introducat nos sol- 
lempnitas amborum. Ibi & uos ,. Il carattere in cui sono scritte queste linee è note- 
volmente somigliante a quello della prima parte del Martyrologium, non solo per l’uso 
della N maiuscola (piccola) rustica in luogo della n minuscola, ma assai più per una 
forma speciale della e, che si eleva, in qualche caso, sopra il livello delle altre let- 
tere; di questa specie di e abbiamo fatto cenno nella nostra precedente Memoria sulla 
biblioteca Novaliciense. — Vengono poscia i due fogli di guardia. 


Fol. 127 r: 
Bertrannum (6) monachum furem nequeo reticere. 
Quem possunt omnes de prodicione notare. 
Namque noualicii pastoralem speciosum. 
Furtim subripuit. pro quo describo perosum. 
Semper talis erit. fures similes sibi querit. 
Fallax peruersus uiciorum gurgite mersus. 
Nigra sibi uestis man&t interius mala pestis. 
Hec mores celat nec crimina plura reuelat. 
Serpens antiquus. fallit. uenator iniquus. 
Ad mortem strauit, radicitus adnichilauit. 
Pro turpi uita. diffamauit bremetenses. 
Prudentes monachos. discretos atque ualentes. 
Sacrilegum dampnes istum sacrista iohannes. 
Sulfure crucient eternis (7) ignibus amnes (8). 


(1) Principium iani sancit tropicus capricornus. 
Mense numen (ms. num) in medio soli distat sydus aquari 
Procedunt duplices in marcia tempora pisces. 
Respicis aprilis aries frixee kalendas. 
Maius ageno miratur cornua tauri. 
Tunius aquatos celo uid& ire laconas. 
Solstitium ardentis cancri fert iulius austrum. 
Augustum mensem leo feruidus igne perurit. 
Sydere uirgo tuo baccum september opimat. 
Equat et octuber sementis tempore libram. 
Scorpius hybernium precebs iub& ire nouember. 
Terminat architenens in medio sua signa december. 


(2) Riese, Anth. latina, Il, 92, n° 640. 

(3) Breve vocabolo raschiato. 

(4) È il segno tironiano somigliante a 7. 

(5) “ etxx ,, voci aggiunte interlinearmente, ma di prima mano. 

(6) Questi versi, che furono riferiti anche da Carlo Miiller, non erano passati inosservati ad 
Kugenio De Levis. Il quale li copiò, con un certa diligenza, e li lasciò trascritti fra le sue schede 
(nell'Archivio dell’Economato Generale di Torino, Cronaca Ecclesiastica, busta II, “ Novalesa ,), facen- 
doli precedere dalla semplice dichiarazione “ In fine Martyrologii haec habentur, ut supra ,. 

(7) Ms.: etnis. Non abbiamo quindi in questo luogo le sillabe deter raggruppate nella sola 
sigla d’, cediliata e sormontata da una lineola d’abbreviazione, come si usava fare in epoca più 
antica di quella alla quale spettano questi versi o almeno la loro presente trascrizione. 

(8) Avverto, da un lato, una grossa d maiuscola di forma onciale, formata da due animali, che 
scambievolmente si mordono la coda. 


I 


APPUNTI DAI, CODICE NOVALICIENSE DEL 4 MARTYROLOGIUM ADONIS » 133 


Pare che questi versi siano stati qui ricopiati da altro esemplare, e ciò perchè 
vi si notano vari pentimenti. Anzi il verso Nigra sibi e il seguente, tralasciati dap- 
prima, vennero aggiunti di prima mano. 

Fol. 127 v. Al sommo della pagina leggesi un cenno sopra il luogo di nascita 
di, S. Paolo. Nelle prime linee corrisponde quasi affatto al testo Adoniano (fol. 5 r), 
ma poi se ne diparte: “ Natus igitur apostolus paulus in oppido galilee giscali (1) fuit. 
quo a romanis capto cum parentibus suis tharsum cilicie commigrauit. A quibus ob 
studia legis missus hierosolimam. a gamalielo (Adone: gamaliele) uiro doctissimo 
sicut ipse memorat eruditus est. Non autem se ciuem sed municipem a municipio. 
idest a territorio eiusdem ciuitatis quo nutritus est apellat. Dictum est autem muni- 
cipium quod tantum munia idest tributa debita uel munera reddat. Nam liberales & 
famosissime cause & que ex principe proficiscuntur ad dignitatem ciuitatum pertinent. 
Nec mirum si se tharsensem & giscalitem dicat. cum dominus ipse in b&hleem natus 
non b&hlemites sed nazarenus sit cognominatus ,. 

Nè in Festo (2), nè in Paolo diacono si trova cosa alcuna che corrisponda alla 
etimologia qui data a municipium. 

Viene appresso d’altra mano la trascrizione di una notizia: 

“ Breue recordationis inuestiture quam fecit Clemens de gailone sancto petro 
domnoque Adraldo abbati. Tradidit namque saneto petro de Noualitio coram testibus 
subterscriptis omnem medietatem sue mobilie quam habere uisus fuerit in fine 
uite sue. 

“ Testes Petrus magister bellonus de uenal. & Mainerius & benedictus ,. 

Al basso del foglio seguono tre linee musicate, coi neumi guidoniani, disposti 


sopra tre linee, che sono accennate a sinistra colle tre lettere C 
A 
F. 


Il testo è: “ Regnum mundi & omnem ornatum seculi contempsi propter amorem 
domini mei iesu xpisti (sic) quem vidi | quem amaui quem quesiui & dilexi Eructauit 
cor meum uerbum bonum dico ego opera mea reg..... | Gloria patri & filio & spiritui 
sancto Quem uidi ,. 

Chiude questa pagina l’indicazione cronologica che abbiamo trovato sul fol. 1 è, 
ed è della medesima mano: 


“ Annis centenis. con monade. mille repletis 
Na (sic) tumulus siri patetici. ex tempore xpi ,. 


Fol. 128 r. Parecchie prove di penna, di varie mani, e di niun valore, conte- 
nenti, per lo più, frasi di argomento sacro, come: “ Xpe Patris uerbum ece. ,. 
‘Fol. 128 è. Pagina bianca. 


(1) Non a Tarso (come anche testè asserì il ch. L. Arosro, La mente di S. Paolo, Milano, 1893, p. 1), 
ma a Gischala in Giudea nacque S. Paolo, anche secondo le recenti ricerche di M. KrenkrL (Bei- 
trige 2. Aufstellung d. Gesch. u. d. Briefe des Apostels Paulus, Braunschweig, 1890), alle quali ade- 
rirono non ha molto i Bollandisti, Anecdota Bolland., XII, 452. 

(2) De verborum significatione quae supersunt cum Pauri epitome, ed. C. O. Miuer, Lipsie, 1839, 
pp. 127, 131, 142. 


134 CARLO CIPOLLA 


V. 


Fatta eccezione per i quattro fogli di guardia, tutti i fogli del codice sono 
rigati, e tutti ad un modo. Le rigature sono fatte a punta secca. Quattro linee, due 
orizzontali e due verticali, che si estendono a tutta la pagina, determinano coi loro 
quattro punti di intersezione il campo destinato alla scrittura. Il margine interno è 
assai minore del margine esterno. La linea verticale che distingue il campo dal 
margine esterno è raddoppiata. 

Nel campo sono tracciate 24 righe, che unite alle due righe determinanti il 
campo stesso, costituiscono 26 righe. Queste righe sono state condotte sopra misure 
prese col compasso: infatti presso all’orlo esterno si vedono chiare le 26 impressioni 
lasciate dalle punte del compasso. La rigatura si eseguì sulla faccia recto di ciascun 
foglio. 

Non è rigato il recto del fol. 3, che era destinato (come si è avvertito) a rima- 
nere bianco. 

Passiamo alle osservazioni paleografiche, cominciando dalla prima parte del testo 
di Adone, foll. 3 0-90 v. Le didascalie e le indicazioni dei giorni dei mesi, e le iniziali 
di ciascun giorno sono in rosso. In questi luoghi si fa uso del capitale rustico, molto 
regolare e corretto. Non c’è quasi affatto mescolanza di lettere onciali, non manca 
tuttavia la A. Ed onciale è sempre, qui e altrove, la F. Le iniziali maggiori sono 
in rustico ordinario, con qualche mescolanza di onciale (nelle lettere A e D), con 
tendenza al capitale. L’iniziale principale del libro è quella con cui (dopo Ia dida- 
scalia) principia il testo Populus, fol. 3 v. Essa è molto semplice. È una P, rossa, della 
grandezza di tre linee di testo, chiusa. L’unico ornato consiste nella pancia ingrossata 
a destra verso l’interno, dove l’ingrossamento, verso il suo mezzo, si acumina in punta. 
I due rimanenti filetti della pancia stessa presentano ciascuno un ingrossamento 
biacuminato (verso l'interno e verso l'esterno). — Le iniziali minori, nel corpo del testo, 
sono in generale rustiche, ma con mescolanza di forme onciali, locchè si riscontra 
nella simultanea presenza della V (rustica) e della U (onciale), delle due forme 
della A, della D, della Q e della T. Della E abbiamo l’ onciale, la rustica, e la 
e minuscola ingrandita. La F, colla orizzontale superiore rialzata, è di forma onciale 
o vi si accosta. La divisione delle parole e delle sillabe nelle linee scritte in maiu- 
scolo, non avviene con regolarità. 

Il rimanente del testo è in scrittura minuscola carolina, assai regolare ed elegante. 

Le parole sono abbastanza regolarmente distaccate le une dalle altre. Se tal- 
volta questo distacco manca, non sempre lo si deve attribuire al sistema arcaico 
dell'amanuonse. È un fatto che l’amanuense era alquanto trascurato, e più di una 
volta dimostra di non intendere il testo, che trascriveva. Noto l’assenza totale della 
nota tironiana indicante la congiunzione et, la quale, se in nesso, è sempre rappre- 
sentata da &. Noto ancora “ q. , e più spesso “ qg , per que. Tale virgoletta g è ado- 
perata per indicare us, dopo la d. Quindi avremo: “ orationibg ,, e altre forme con- 
simili. La r spesso è prolungata inferiormente, così da aversi una lettera di forma 
tendente al corsivo. Nelle voci molliri (fol. 13 7), tauri (fol. 30 +), la sillaba ri viene 


3 


gia 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL  MARTYROLOGIUM ADONIS » 135 


espressa dal solito nesso corsivo, che corrisponde a quello della voce petri (f. 34 7) 
del postillatore a; in quest’ultima voce peraltro il nesso è più ornato, è un nesso 
corsivo a forma bollatica. La 9 è chiusa; e così la a. Non molto di rado la » minu- 
scola è sostituita da una piccola n» maiuscola rustica. Cfr. “ lumeN , (fol. 35 r), 
“tormeNta , (fol. 29 2), “ Nouissime , (fol. 29 ©). E quindi è possibile il notissimo 
nesso N colla # costituita da una lineola orizzontale sopra l’asta verticale destra 
della N. Questo nesso nel testo che esaminiamo è abbastanza comune. Sopra tutto 
rilevo una forma speciale della e che superiormente finisce in una specie di cresta, 
rialzantesi sopra il livello delle altre lettere. Questa e trovasi con qualche frequenza 
frammischiata alle altre e minuscole di forma ordinaria. Il lettore può vederne qualche 
esemplare nel brano che rappresentiamo al n. 1 della Tav. I Di raro, ma pur tal- 
volta si incontra nel mezzo del discorso, la I prolungata, quasi fosse una maiuscola, 
e questo è indizio di relativa antichità. Le lettere 9, d, è, #4 hanno grande e roton- 
deggiante la pancia; larga è la o. Accanto a questi caratteri che accennano ad 
antichità di forme, devo invece notare la m e la x coll’ultima asta ripiegata a destra. 

Assai notevole è la presenza della c di forma bollatica, cioò con una appendice 
che s’innalza perpendicolarmente sopra di essa, in Hunc (fol. 27 0, 29 »), come pure 
in hoc (fol. 54r) ed hinc (fol. 32 7). Qui va ricordato il nesso c-f, nel quale la c ha 
una coda, che, partendo dalla sua estremità superiore, s'innalza di molto e quindi 
piega a destra allacciandosi colla &. 

Non sempre, ma spesso, è conservato il dittongo «e, che viene espresso con: ae, 
e, e. Trovai la cedilia applicata alla p in “ pdicationis , (fol. 10 r), che quindi si 
leggerà: “ praedicationis ,. Anzi il dittongo ae trovasi dove non dovrebbe esserci. 
Non può dirsi irregolare: “ caelo , (per “ coelo ,) (1), ma non debbo trascurare l’uso 
arcaico di allungare la e iniziale di ecclesia (2), e vocaboli derivatine; sicchè abbiamo: 
“ aecclesia, ecclesia ,. Così pure trovo: “ eloquenter, emanant, pretiosi, aeductus, 
eloquenter, aegit ,, ecc. Più che una volta anche l’ avverbio termina per dittongo: 
“ grece, maxime, hebraice, nouissime ,. Parimenti l’ablativo: “ sabino duce ,, 
nonchè il vocativo: “ sanctae ,. 

“ Nihil, e “ mihi , ricorrono senza la c. Le maiuscole minori (ossia quelle ado- 
perate nel corpo del testo) sono, in generale, nient'altro che le maiuscole rustiche, 
impiccolite, Tuttavia ne abbiamo alcune, che sono invece soltanto minuscole ingrandite. 
Cito come esempi: E, M, N, Q. Talvolta la T si avvicina alla forma onciale, ripie- 


gando a destra la punta inferiore della sua verticale. Quanto poi alla E, ne abbiamo 


tre specie: la rustica, la onciale, e la minuscola ingrandita. Della D abbiamo la rustica 
e l’onciale. La F ha la orizzontale superiore rialzata, e talvolta anche ad elegante 
risvolta; è insomma, come sempre nel nostro testo, di forma onciale. Queste maiu- 
scole minori assai spesso sono illuminate in rosso. 

Per l’ ortografia avverto ancora: “ dampnatus , allato a “ damnari ,, “ con- 
sumptum, redemptor, assumptus, contempior, sollempnes ,. 


(1) Non manca altrove il dittongo oe. Sicchè abbiamo: poenitentiae, coeperunt. 

(2) Peraltro è necessario notare che anche in epoche tarde non mancano esempì dell’ortografia, 
che diciamo arcaica. Un documento originale Novaliciense, del 1162 (Arch. dell’Economato Generale 
di Torino, Cronaca Ecclesiastica, busta II, “ Novalesa ,) ci dà: “ ecclesiam ,. 


136 CARLO CIPOLLA 


Le contrazioni e ‘sospensioni sono le solite, ammesse dalla scrittura carolina, o 
anche più antiche: ul (= vel), aut (= autem), un (= unde), id (= idest), è (= uero), 
qm (= quoniam), îì (= non), ecc. Qui possono ricordarsi: ms (= meus), mm (= meum), 
ss (= suis); nonchè le forme antichissime: gra (= gratia), eps (= episcopus), di (= dei), 
do (= deo), ecc. A questa categoria richiamo: puocau (= prouocauit), dix (= dixit), 
e forme consimili, che sono qui rare. L’amanuense non amava affatto i troncamenti nelle 
3° persone plurali dei perfetti. Noto: aut (= autem), int (= inter), ur$ (= urbis), 
tempr (= tempore), ppio (= populo). 

L'uso della —, e della -, è il solito; ma, naturalmente, quest’ultimo segno di 
abbreviazione è adoperato con parsimonia, tranne che nelle finali avverbiali: 


— i (=-ter), o nelle coniugazioni dei verbi: —t (= -tur). Incidentalmente poco 
fa indicammo: qs e q., e dp. Accenno qui alle abbreviazioni: p (= per), € (= con), 
%X (= rum), ° (= us), W (= mus), m (= men), ecc. Abbreviazioni delle forme verbali 
di esse: ee (= esse), e (= est), s (= sunt). Particolare osservazione merita 1’ abbre- 
viazione: 4 per quod, che ricorre qui con frequenza, mentre è rara l’abbreviazione qd; 
e p per prae (praedicationis, fol. 10 r; praecipitate, fol. 58 r). 

Passiamo alla seconda parte del martirologio (foll. 91 x-126 v) scritto da altra 
mano, e questa meno corretta della prima. Come meno corretto è il testo, così assai 
più trascurata è la calligrafia. Non è più il carattere rotondo, abbastanza regolare 
ed elegante dei fogli precedenti. È un carattere, che pure rimanendo nel fondo simile 
al precedente, si fa più acuto nelle angolosità delle lettere, meno accurato, più 
volgare. 

Come nella prima parte, anche qui sono in rosso le didascalie, le notazioni cro- 
nologiche dei giorni del mese (1), e le lettere iniziali del testo di ciascun giorno. 
Questa parte è in capitale rustico, ma con qualche mescolanza di onciale, special- 
mente nelle iniziali. In queste e nelle didascalie si trova la E onciale accanto alla 
rustica. Nelle iniziali è rara la A onciale, e ricorre precisamente nella forma che vien 
data dalla prima parte del Martyrologium. Quanto alle iniziali minori, anche in esse 
predomina il rustico. Ma non vi sono rare anche le forme onciali, che in generale 
non sono e non possono essere altro che le lettere minuscole in forma ingrandita. 
Quanto alla E, la lettera viene rappresentata in triplice forma, rustica, onciale, 
minuscola ingrandita. Della D c’è la rustica e l’onciale, e così della H, della Q, 
della T; ma la T rustica è rara. La M rustica accompagnasi colla m minuscola 
ingrandita. La F ha la orizzontale superiore rialzata, ma naturalmente in forma più 
grossolana, che non avvenga nella prima parte del Martyrologium. 

L’angolosità delle lettere si avverte particolarmente nel minuscolo, e questo 
colpisce subito, alla faccia recto del fol. 91. Procedendo, il carattere si va lentamente 
cambiando. Al fol. 95» si avvicina al minuscolo delle carte pagensi, ma subito dopo 
riprende la forma prima descritta, per poi farsi di nuovo variabile (fol. 96 0-98 7). 
Hassi qualche leggera traccia di bollatico, specialmente in alcune f, che peraltro non si 


(1) Un’eccezione, 30 nov., al fol. 119 v, dove anche tale notazione “ II kl. dec. , è in nero al 
pari che la commemorazione successiva: “ Natalis sancti andree apostoli ,. Tutte queste parole, cioè 
la data e la commemorazione, sono di mano di un correttore. 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL € MARTYROLOGIUM ADONIS » 137 


innalzano mai di molto sul livello delle lettere. Queste velleità di carattere bollatico 
trovansi miste al fare spedito e trascurato del corsivo. Insomma, nel suo complesso, 
il carattere assume non di rado un aspetto che si avvicina a quello delle carte. 
Anche alcune s finali s'innalzano, ma non troppo, sulla linea delle lettere. Non manca 
di essere rappresentata la 9 aperta (gram, fol. 111 », interrogatus, fol. 117 r), ma è 
rara. La r non è prolungata inferiormente. La e qui non sopravanza mai il livello 
superiore delle altre lettere. Ben di rado s'incontra la n maiuscoletta, in luogo 
della minuscola (fol. 117»; oratne; iubeNe). La 4 minuscola qualche rara volta è rap- 
presentata dalla D maiuscola di forma onciale impicciolita. 

L’ortografia non presenta fondamentali variazioni dalla prima parte del Marti- 
rologio, avendosi, p. e., anche qui il dittongo «e rappresentato da “ ae , e da “ e ,. 
Anche qui abbiamo qualche volta il dittongo, dove non è richiesto: efugandum, 
diuerse (avv.), strenue (av0.), caelebrae nomen (fol. 101 v). Tuttavia è minore l’abbon- 
danza di questo dittongo (1), così che si rileva anche in questa particolarità un uso 
meno arcaico. Per l’ortografia noto ancora: “ sumpsimus ,. Non manca il dittongo: oe. 

Anche qui abbiamo: “ mihi, nihil ,, e la sillaba ef rappresentata bensì da &, 
ma non dalla nota tironiana, ovvia nelle carte di età posteriore. 

I segni d’abbreviazione p (= per), p(= pre), P (= pro), 4 (= rum), m (= men), 
“t (=-ter), t.(= -tur), € (= con), ?(= us) non mancano. Quanto all’abbreviazione 
per dus, questa non ricorre così frequente come nella prima parte, e si indica 
con bd; e con d.. Dell’ abbreviazione -bg trovai invece rarissimi esempi (fol. 103 r: 
quibg; fol. 123 r: facultatibg). Siccome abbiamo indicato, nella prima parte incontrasi 
“ q. , per “ que ,, ma quasi per eccezione, mentre l'abbreviazione ordinaria è “ qg ,. 
Qui invece abbiamo come regola “ q. , (p. e.: “ ibiq., namq. ,, ecc.). Manca l’abbre- 
viazione (= quod), ed è rarissima l'abbreviazione qd (fol. 121 r, e 123 r). 

Certe parole abbreviate si corrispondono perfettamente, fra la prima e la seconda 
parte. Valgano questi esempi: dm (= deum), sci (= sancti), impî (= imperator), 
aut (= autem), eps (= episcopus). Abbreviazioni del verbo essere: è (= est), 
ee (= esse), eet (= esset), s (= sunt). Ma sono abbreviazioni tutt'altro che singolari, 
e quindi esse dicono poco. Preferisce l’amanuense nelle finali dei perfetti pl. l’abbre- 
viazione F (= runt, = re). Assai più rara è l'abbreviazione del singolare come: dix. — 
Noto le solite parole abbreviate per sospensione: aut, tam, pret, nom, tam, e 
simili. Può notarsi: u0. Minor interesse hanno le abbreviazioni: -NT (= -ntur), 0 
-& (= -etur). 

Concludendo, può affermarsi che nella sostanza il sistema di abbreviazione è 
identico nella prima, come nella seconda parte; ma le speciali differenze sono 
alquanto numerose, così da doversi riguardare come costituenti una spiccata distin- 
zione di scuola. La differenza ortografica non manca essa pure. Tutto questo si 
accorda benissimo col tipo paleografico diverso. Da ciò non bisogna peraltro affret- 
tarsi a dedurre una maggiore o minore discrepanza di età. 

Non molte sono le differenze nella forma delle lettere, ma pur vi sono. Meno 


“ 


(1) Manca poi dove dovrebbe stare: “ aegregiae xpi ancille , (fol. 100 r). 


Serie Il, Tom. XLIV. 18 


138 CARLO CIPOLLA 


spiccato è il rotondeggiare della o e delle pancie di d, 6, f. La m e la » hanno 
l’ultima asta piegata leggermente a destra. La r è prolungata solo nei brani nei 
quali il carattere si avvicina alle forme corsive. 

Constatando che nella parte prima i caratteri generali siano più arcaici, che nella 
seconda, questa circostanza può benissimo ammettersi anche supponendo una approssi- 
mativa contemporaneità fra le due mani. Le traccie del corsivo che rilevammo, piut- 
tosto che in certe forme speciali delle lettere, nell’andamento generale di alcune 
linee, possono esse pure avvertirci a non ritardare di troppo l’età di questa parte del 
codice. E poi se lo scriba in alcuni luoghi adoperò liberamente qualche forma cor- 
siva, vuol dire che la conosceva, e che se altrove le preferiva la forma minuscola 
carolina, questo faceva di deliberata volontà, e non per ignoranza dell’altra forma. 

Se badiamo alle forme angolose delle lettere nella parte seconda, saremmo 
indotti a preferire per questa la ipotesi di una mano straniera, mentre la prima 
parte, scritta in carattere rotondeggiante, sembra da attribuirsi senz’altro a mano 
italiana. Ma se concludessimo così, ci affretteremmo troppo. Nulla infatti puossi sta- 
bilire con certezza in proposito, poichè la scuola di Tours è la maestra nella regola- 
rità, nella eleganza, e nel rotondeggiare delle lettere. A questo riguardo devo notare 
che le carte novaliciensi non cominciano a presentare la nota caratteristica dell’an- 
golosità delle lettere se non in epoca molto tarda. Ma da questa considerazione non 
si può certamente ritrarre alcuna conclusione riguardo alla nostra speciale questione. 
l’unica conclusione evidente è che la questione non presenta una soluzione facile. 

Dall'esame della paleografia del testo, passiamo a considerare la paleografia 
delle postille. 

Fra le postille, meritano particolare attenzione quelle che attribuimmo al postil- 
latore a. Or bene, dà nell'occhio immediatamente la grande rassomiglianza tra questo 
postillatore e l’amanuense della prima parte. Pare che qui si tratti soltanto di un 
carattere più minuto, ma in tutto il resto identico a quello del testo. Questa prima 
impressione confermasi mediante un esame accurato. Non riuscii a distinguere alcuna 
vera differenza fra l’ uno e l’ altro carattere, nè nella forma delle lettere, nè nelle 
altre particolarità paleografiche. Le maiuscole, che sono di piccola forma, sono 
rustiche: ma la H è rappresentata tanto dalla forma rustica, quanto dalla onciale. 
Quindi qui avremo: manibgs (= manibus), qs (= que). In un luogo (fol. 39 r) la. virgo- 
letta appoggiata all'ultima g di quicumque assume una forma simile al caratteristico 3 
delle età posteriori. Una sola volta in queste postille ricorre “ quid , ed è scritto a 
tutte lettere. Appena è il caso di fare attenzione alle abbreviazioni 4 (E qui), 
p(= per), P (= pro), pb = pre), 4 (= rum), m = men), t(=ter), t(= tu), 
? (= us), € (= con), poichè da esse nulla può dedursi. La g è chiusa. La r è più o 
meno prolungata inferiormente, anche dove il carattere non è bollatico; molto è 
prolungata in mortuum (fol. 36 »). La m e la n hanno l’ultima asta rivoltata a destra. 
Abbreviazioni del verbo essere, ee (= esse), cet (= esset). Per “ vero , trovo: ù. 
Secondo il solito, abbiamo: ul (= uel). Anche qui troviamo (fol. 40 v): construx per 
“ construxit ,. 

Ma ben vuolsi notare il nesso ri, colla » corsiva, fol. 37 r, che si trova anche 
nel testo, e l’uso della N rustica per » minuscola (canoNis, fol. 36 v;  Neque, 
fol. 39 v, ecc.). La » leggermente prolungata verso il basso non manca anche nelle 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL € MARTYROLOGIUM ADONIS » 139 


postille a (cfr. f. 32 r), ed è una particolarità degna di attenzione, poichè sa di arcaico, 
in quanto che dà a quella lettera la forma corsiva. Molta attenzione merita la € 
finale bollatica nella voce: hoc (fol. 41 v), in una forma che, non sconosciuta ai primi 
periodi del minuscolo, si fa sempre più frequente col passare del tempo. Egualmente 
importante a rilevarsi è una H maiuscola illuminata in rosso (fol. 17 r), che trovasi 
in piena corrispondenza con molte minuscole minori del testo, siccome si è rilevato. 
Speciale considerazione vuolsi dare alla presenza della e col tratto sorpassante, quasi 
a forma di cresta, il livello delle altre lettere; la si può vedere p. e. in fecit (fol. 22 r). 
E ancora noto che la F maiuscola della postilla riguardante S. Secondo (fol. 50 v) è 
rialzata, e somiglia perfettamente alla più ornata fra le due forme che di quella 
lettera abbiamo nella prima parte del Martyrologium. Non trascuro: construx, e 
ancora la lettera è prolungata all’in su nel mezzo del discorso (cioè: “ In ,, fol. 45 r). 

Avverto ancora che in qualche caso la cornice racchiudente la postilla è rossa. 
Più spesso è nera, ma anche in questo caso l’amanuense doveva avere a sua dispo- 
sizione anche l'inchiostro rosso. Infatti da alcune di queste cornici (fol. 360, 37%, 
397, 40r, 72r) appare manifesto — come mi faceva notare il ch. cav. Francesco Carta 
— che la penna era tinta in rosso, e poi l’amanuense la bagnò nell’inchiostro nero, 
sicchè vi si vide una mescolanza di rosso e di nero. Che dedurne? Pare innegabile che 
la cornice è posteriore alla postilla, tanto più che in parecchi casi manca; essa sarà 
stata fatta quando furono scritte in rosso le didascalie e le altre voci di cui si è 
detto, e quando si illuminarono in rosso le minuscole minori di maggior conto. Se 
tale congettura è esatta, ne avremo che prima si scrisse il testo in nero, poi le 
postille, poi la parte in rosso. La differenza di tempo non può essere poi che piccola. 
Vale a dire, tutto è fatto, a così dire, in una sol volta. Nè si dimentichi che più di 
una volta, come abbiamo notato, la postilla è senza cornice. E da ciò si conferma 
l’identità della mano che scrisse il testo e quella delle postille a. 

Abbiamo testè notato che una c finale, con coda di forma bollatica, lega stret- 
tamente l’amanuense a collo scriba della prima parte del Martyrologium. Dalle nostre 
parole non si deduca essere quella la sola traccia di bollatico da rintracciarsi nelle 
postille a. Tutt'altro. Vi rassomiglia la e di capud nella postilla sul papa S. Zaccaria, 
fol. 34r, dove è a segnalarsi la d sormontata superiormente da una lineetta oriz- 
zontale che la tocca così da farne in certo modo un #. È una forma questa che trovasi 
nel rotolo originale del Chron. Novalic. 

Molte postille di mano a sono per intero in minuscolo semplice, alcune invece 
sono tutte o quasi tutte in bollatico; altre presentano mescolato quello e questo 
carattere. Come esempio di postilla con mescolanza dei due caratteri cito quella sui 
papi Ss. Gregorio I ed Innocenzo, fol. 33 v: l’ultima parola, “ dispone ,, ha la prima 
asta molto prolungata inferiormente. A questa categoria della mescolanza dei due 
caratte: appartiene pure la ricordata postilla di S. Zaccaria (fol. 34r), dove c'è la 
voce “capud(t),, che abbiamo già descritta. Qui la voce “ maris , (= “ martyris ,) 
presenta la r molto prolungata inferiormente, e la s prolungata tanto inferiormente, 
quanto superiormente. La prolungazione superiore della s si ‘annoda, e, dopo il nodo, 
volgesi a sinistra in modo da costituire il segno di abbreviazione. L' ultima voce 
“petri, ha per la sillaba ri il nesso corsivo, ma coi prolungamenti (inferiore e supe- 
riore) della r e col prolungamento (inferiore) della i, così pronunciati da costituire 
una vera forma bollatica. La e in “inuenit, è crestata. 


140 CARLO CIPOLLA 


Alla categoria delle postille scritte tutte in carattere calligrafico-bollatico, appar- 
tengono quelle su S. Simplicio papa (fol. 32r), e su S. Lucio papa (fol. 32v). Le linee 
vi sono assai distaccate le une dalle altre, e collocate a distanze pari. Nella prima 
postilla rilevo le parole: “coNstantinopolitaNum ,, “ eutichianos ,, “ dampnauit ,. Nella 
prima di queste tre parole, se poco ora c’interessano le due N in maiuscoletto, è 
invece degno di nota il nesso s-t, nel quale la s si innalza sopra la linea e, ripie- 
gandosi in nodo, si allaccia alla #. Nella seconda e nella terza parola sono da osser- 
varsi le due finali (rispettivamente s e #) molto prolungate superiormente; la # porta 
la lineetta orizzontale al sommo della verticale prolungata. 

Le caratteristiche della scrittura bollatica si rilevano con evidenza fors’anco 
maggiore nell’altra postilla. Quivi noto le parole: “omi,, “epm,, “ ecctastiev,. Il 
nesso s-#, in nodo, è simile a quello che abbiamo descritto a proposito dell’antecedente 
postilla. Ma invece richiedono attenzione i tre segni di abbreviazione, che sono a doppio 
nodo, vale a dire molto ornati, così come s'incontrano nei diplomi. 

Questo carattere ha somiglianza colle due varianti notate nella prima parte del 
Martyrologium, mentre la variante avvertita nella seconda parte del medesimo so- 
miglia al carattere del testo rispettivo. Non azzardo tuttavia di attribuire addirit- 
tura le due prime al copista del primo testo, e l’altra a quello del secondo. 

Alle postille a, e allo scrittore della prima parte del testo, avvicinasi lo scrit- 
tore di “Jubila — , in fine al Martyrologium (fol. 1260). L'identità non è completa. 
Infatti in “Jubila—, il carattere è più regolare, e sopratutto vi si sente l’appros- 
simarsi di quelle forme quadrate che il minuscolo finì per assumere lungo il sec. XII. 
Tuttavia esso è ancora lontano dal carattere del sec. XII, e lo si vede subito nella 
forma più spigliata e libera delle lettere. In questo tratto “ Jubila— , avvertii la e 
minuscola, in Nicholae, della forma speciale, segnalata in a e nell’amanuense della 
prima parte del testo, cioè la e da noi detta crestata. 

In questo tratto “Jubila — , e precisamente nella parola “gerarcha , abbiamo 
la a aperta, di ricordo corsivo. La m e la » hanno l’ultima asta ripiegata a destra, 
locchè ci allontana dai primi periodi del minuscolo carolino. 

Una certa somiglianza trovo tra il primo amanuense e le mani che scrissero’ 
le note delle confratrie sul fol. 1 verso (1). Prima di tutto va notato che anche queste 
notazioni sono in scrittura minuscola derivata dalla carolina, che si attiene peraltro 
alla forma in uso nelle carte, piuttosto che a quella dei codici. Quindi è meno regolare, 
e meno elegante. Le lettere sono rotondeggianti. Quanto alle abbreviazioni, rilevo : 
“Homodeg , (= Homodeus), “ Dominicg , (= Dominicus), “ Gisulfg, (= Gisulfus). Nè 


va tralasciata la parola “Iohs ,, nella confratria de Ceredo, dove la s, di forma bollatica, 
prolungasi superiormente sino a che s’annoda, ripiegandosi poi a sinistra e costituendo 
il segno di abbreviazione. Qui avverto anche la presenza di una “.a , aperta, cioè di 
forma corsiva; trovasi nella voce sua, pure nella fratria de Ceredo. La r talvolta 
è prolungata inferiormente, ma poco e non sempre: la m e la » hanno l’ultima asta 
piegata a destra. Le maiuscole sono in rustico; va notato il W, sia colle due V sol- 
tanto accostate, sia colle medesime in nesso, secondo l’uso attuale. 

Il tipo paleografico del sogno (fol. 27) è a tutta prima diverso affatto da quello 


(1) Non ricorre qui l'occasione di alcun dittongo e, 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL ‘ MARTYROLOGIUM ADONIS » 14] 


di a, ma l’esame delle singole lettere dimostra che la differenza reale non è così grande 
come l'apparente. Abbiamo avvertito, a proposito della parte seconda del Martyrologium, 
alla facilità colla quale il carattere si trasforma, appena che l’amanuense abbandona 
la preoccupazione di scrivere con la elegante regolarità, conveniente ad un codice. 
Questo è appunto il caso. In alcune parole si tradisce l'abilità dell’amanuense a scrivere 
diversamente da quello che solitamente fa. Il carattere tuttavia, sebbene si avvicini a 
quello delle carte, è sempre abbastanza regolare e curato. Noto la r che si accosta al cor- 
sivo, ma piuttosto nella curvatura, che nella lunghezza dell’asta verticale: la g aperta, 
il nesso c-t, formato dalla coda superiore della c che s’incurva ad allacciarsi alla t; 
la tendenza bollatica in alcune fed s. Una e crestata. L’abbreviazione di que è: “ q. , 
Accanto a ciò abbiamo: “ fructg, defunctg ,. Dittongo: e. Per quod abbiamo l’abbrevia- 
zione: “ qd ,. Noto: ù (= uero), colla o sovrascritta. La » è prolungata inferiormente, 
ed ha una vera svolta corsiva. La m e la » hanno l’ultimo tratto rivolto a destra. 
Quanto alle maiuscole, lo scarso loro numero non ci consente molte osservazioni : 
la Q è onciale, e così la N e la H; della A abbiamo la forma rustica e la onciale. 
Questo sistema non è quello di niuno degli amanuensi del Martyrologium, ma non 
può essere di un’età molto posteriore alla loro. 

Non può distaccarsi da quest'epoca neanche il carme sui giorni egiziaci (fol. 3 r), 
in minuscola carolina molto regolare ed elegante; anzi è più regolare che non sia 
quella di a, della quale a tutta prima potrebbe sembrare notevolmente più tardo ; 
ma è un’apparenza, e l’esame delle lettere prova che siamo assai lontani ancora 
dalla forma caratteristica del minuscolo romano della metà del sec. XII. Anzi è 
soltanto qui che noi incontriamo la m e la » coll’ultima asta piegata verso sinistra; 
talvolta peraltro occorre la » coll’ultima asta piegata a destra. La r è prolungata 
inferiormente. Nella voce Ne del v. 6 abbiamo la e crestata. Una A maiuscola è 
onciale. I nessi e le code delle lettere meritano attenzione. Sono evidenti, anzi ab- 
bondanti, le tendenze bollatiche. Nel v. 19, nella voce His (dove la X maiuscola iniziale 
è onciale), la s finale è ben notevole; essa s’innalza assai, e quindi, annodandosi, piega 
a sinistra. Forme simili se n° hanno parecchie, ma non è necessario avvertirle qui 
tutte. Di una non posso peraltro tacere, cioè di octobris, colla s finale della forma 
descritta; ma in questa parola avvi ancora di più. Il nesso c-t non è costituito se- 
condo il solito uso, ma la c è una maiuscola la quale superiormente (e senza code) 
s’incurva ad unirsi alla # susseguente. Questa forma di nesso fu da noi avvertita nel 
frammento di Omelie di S. Cesario. Dittongo: e. Le minuscole sono in generale 
onciali, e ciò puossi notare specialmente nella A. La M rustica si associa a quella di 
forma onciale. 

Accanto ai versi sui giorni egiziaci, alla 2* colonna, abbiamo quelli sui mesi. La 
scrittura è simile, nel fondo, ma più quadrata, cogli angoli più accentuati. In altre 
parole, vi sentiamo un’epoca più tarda. Le forme bollatiche abbondano, e i nodi vi 
sono talvolta complicati, locchè avviene sopra tutto nel nesso s-t di qustrum al v. 7. 
Dittongo: e. La r è prolungata inferiormente; piegano a destra l’ultima asta della wm 
e quella della n. Le maiuscole sono generalmente in rustico; ma la E è onciale, e 
la A si accosta all’onciale. 

Posteriore di certo ai versi sui giorni egiziaci è il Confessor Sanctus Benedictus, 
che occupa la faccia verso del fol. 2 e termina sul margine lasciato, al recto del 


142 CARLO CIPOLLA 


fol. 3, dai versi succitati. Il carattere anche qui è il solito minuscolo, originato dalla 
scrittura carolina, ma è sviluppato, e ormai tende ad assumere la forma quadrata 
dei tempi posteriori. Il prolungamento della » è dubbio; la m e la » hanno l’ultima 
asta piegata a destra. Non mancano anche qui le tendenze bollatiche, ma in quantità 
scarsa, essendo ciò richiesto anche dalla natura della cosa. Rilevo l’innalzarsi della 
s finale, che succede più volte. In estis, verso al fine, ambedue le s si elevano d’assai 


sul livello delle altre lettere. Nodi e simili ornamenti mancano. Dittongo: e. Av- 


vertasi: etna, forma di non grande antichità. La g è chiusa. La troppo forbita ele- 
ganza di alcune iniziali (noto particolarmente una U onciale molto ornata) ci fa 
accorti dell’epoca relativamente tarda della scrittura. La D è talvolta rustica e tal- 
volta onciale; e onciale è la F coll’asta orizzontale superiore rialzata. 

In tutti i caratteri finora descritti, la sillaba et rappresentasi bensì da &, ma 
giammai dalla nota tironiana. 

D'altra mano, ma non di epoca molto diversa dal Martyrologium, è il tratto 
sulla nascita di S. Paolo, fol. 127, in minuscolo, fra il corrente e l’accurato, con 
appena qualche traccia di corsivo nella curvatura della r. Le N maiuscole prolun- 
gansi talvolta inferiormente, con eleganza di ornato, che sembra proprio di età meno 
antica; ma la prima e maggiore N iniziale (Natus igitur, ecc.) è senza ornamento 
di sorta ed è in capitale schietto. La g chiusa alternasi colla 9 aperta. Dittongo: g. 
La r è sensibilmente prolungata al di sotto dalla linea; piegano a destra l’ultima 
linea della m e quella della ». Le forme delle lettere sono rotondeggianti. 

Sulla medesima faccia, e immediatamente dopo di questo aneddoto, abbiamo il 
Breve recordationis riguardante l’abbate Adraldo, in carattere regolare, elegante, ma 
non quadrato. In esso vediamo alcune particolarità che richiamanci ad a. La voce 
tradidit, ha la prima t (semi-maiuscola) coll’asta molto prolungata superiormente. 
Le lettere in bollatico sono frequenti, specialmente nell'elenco dei testimoni, dove 
vanno notate sopra tutto le parole testes e magister, poichè il nesso s-t vi è di forme 
schiettamente bollatiche, con complicazione di nodi. La s finale di testes è rialzata 
assai. La r è prolungata inferiormente. La 9 è chiusa. La » è prolungata inferior- 
mente; piegano a destra le ultime linee della m e della ». Non combina con a la man- 
canza dell’ abbreviazione: gs. Abbiamo infatti: “ testib; ,. Sino ad un certo segno, 
questo può ripetersi per: “ q. , (= que). Dittongo: e. La A è onciale. 

Il tratto fegnum mundi & omnem, distinto colle note guidoniane, ha le lettere 
di forma assai più tendenti al quadrato, e ad angoli più recisi. Vi avverto la ma- 
iuscola € di forma onciale, ma della varietà propria di un’epoca seriore. Anche la 
r è tarda, ed è dubbio se sia prolungata inferiormente. 

Chiudesi il foglio con Anniîs centenis, ecc., in carattere grosso rotondeggiante, 
e proprio delle carte pagensi. Non può essere posteriore al principio del sec. XII. 

Attorno al tipo paleografico che andiamo descrivendo, si possono raggruppare 
due altre postille; la prima è al fol. 24r, e la seconda al fol. 34r. La prima (y) è 
brevissima, ma pur presenta sufficienti caratteri per la sua determinazione. Il ca- 
rattere, minuscolo, è molto rotondeggiante, con questo anche, che le lettere vi stanno 
vicendevolmente discoste. Caratteristiche di arcaicità vi si manifestano particolarmente 


nella 9 aperta, e nella curvatura accentuata della », che pure prolungasi inferiormente. 
Noto : “ -b. , (== -dus). 


Ù] 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL © MARTYROLOGIUM ADONIS » 143 


Assai più lunga è l’altra postilla (è), la quale, per il suo argomento, è quella 
che più di tutte ci interessa: è il cenno biografico sopra S. Eldrado. Evidentemente 
questa postilla non si può giudicare ad una stregua colle postille a e f, le quali 
sono state fatte tutte ad un tratto, e rappresentano non il pensiero del postillatore, 
ma il testo del ms. ch'egli trascriveva. Qui trattasi invece di una vera aggiunta 
fatta dal postillatore al codice, come pur avviene per le postille y, e, Z, n. Il ca- 
rattere è minuto e molto regolare ed elegante, e ricorda assai davvicino quello 
del Chronicon. Sopra il rapporto esistente fra questi due caratteri, non è il caso che 
qui si venga ad un esame più minuzioso. 

Le parole vi sono staccate. Il dittongo € (celidbem) si accompagna al dittongo oe 
(= poene, avv.). Nella voce enim, la e si solleva leggermente sul livello delle altre 
lettere. La a di wolat non è propriamente nè minuscola, nè corsiva. La r talvolta è 
prolungata e talvolta no. La m e la » hanno l’ultimo tratto piegato a destra. Qualche 
traccia di bollatico, specialmente nelle s finali prolungate superiormente. Noto: “ -b. ,, 
(= -bus), “ -q. , (= -que). Le abbreviazioni sono molto numerose: t (= ter); t (= tur); 
® (pro), ° (= us), g (= gre), $ (= ber), x (= rum), $ (= qui). Specialmente no- 
tevoli sono; q (= quo), à (= qui), ù (= vero); le due prime forme non le incontrammo 
nelle scritture più antiche, e, anche di per sè considerate, fanno sospettare un’età meno 
vetusta; ciò pare doversi ripetere della duplice abbreviazione nella voce: “ ingdit ,. 
In generale le abbreviazioni per lettera sovrapposta denotano una minore antichità 
nel testo. Ortografia: “ nihil ,. — Vuol segnalarsi la M onciale (minuscolo piccolo) nella 
parola: “ Monasterio ,, non meno che la prima iniziale, ch'è una N capitale. La A 
è rustica. 

Nella prima parte del Martyrologium abbiamo notato tre aggiunte inserte nel 
testo. Due di esse vogliono essere qui esaminate. Quella al fol. 27 » in minuscolo 
rotondino, apparisce assai somigliante ad a; e quella del fol. 78 v (colla 9 aperta) 
è forse da attribuirsi al postillatore y. 

Ora devo ritornare all’amanuense della seconda parte del Martyrologium, che si 
distingue, come dicemmo, per l’acutezza (relativa) degli angoli delle sue lettere. In 
certi punti il carattere diventa minuto, regolare, come p. e. alla fine della faccia 
recto del fol. 126. Chi raffrontasse questi tratti con quelli, nei quali ravvisammo la 
sua trasformazione verso il corsivo, difficilmente vi ravviserebbe l’opera di una me- 
desima mano, come riesce invece evidente a chi ne avverte le successive e graduate 
mutazioni. 

Affatto simile alla forma minuta, assunta, là dove dicemmo, da questo carattere, 
è quello del postillatore 8. Come identificai a coll’amanuense della prima parte del 
Martyrologium, così credo si possa identificare B con quello della seconda. Le carat- 
teristiche di questa scrittura sono parecchie. La » non è prolungata inferiormente, 
ma ha una curva molto sentita. Anche qui rimane esclusa la nota +7 per et, che, se in 
nesso, rappresentasi con: d. L’abbreviazione più notevole è “ -q. , per -que (1). Nella 
postilla su S. Clemente papa, dove il testo edito ha (p. 645) giustamente quia, il 
postillatore ha la “ q. , tagliata (per: qui), che legasi in nesso colla N in maiuscolo 


(1) Non ricorre mai “ —bus , in abbreviazione. 


144 CARLO CIPOLLA 


minore (= quin). Più volte incontriamo il nesso n-t. Comune il con espresso (fol. 118 ©) 
dalla sigla c, tanto nel testo, quanto nella postilla, come vedesi in “ 
della postilla fol. 122v. Segno di seriorità sembra la v sormontata dalla virgoletta 
(corruzione di una r) con valore di ver, che abbiamo nella voce aduersus, al fol. 112 r. 
Per la forma, quel segno è peraltro simile a quello che, collocato sopra la t, così 
nella prima come nella seconda parte del Martyrologium, significa tur. — Nulla 
significano le abbreviazioni: p (= per), p (= pre), ° (= us), y (=rum), 4 (= qui), 


costituit , 


c (= con), t(=tur), è (= est). 

Riconosco alquanto più sicuri i caratteri di posteriorità nel carme su Bertranno, 
che leggesi (trascritto) sul fol. 127recto. Quel carattere è un minuscolo quadrato, nè 
elegante nè bello. L’abbreviazione “ -q ,; (= que) può essere peraltro anche antica, e 
di per sè sola non dice gran che. Argomento sicuro non può ricavarsi neanche da : 


dampnes. Non può facilmente risalire ad epoca molto antica “ etnis , (1). Ma è l’in- 
sieme che dimostra trattarsi di un carattere ormai molto sviluppato. 

Posteriori ancora sono i postillatori e e Z, presso il primo dei quali abbiamo 
qualche traccia di bollatico. I loro caratteri si distinguono per la regolarità, e per le 
forme quadrate delle lettere. Ancora più tardo è il postillatore n (fol. 125), che final- 
mente ci presenta la et rappresentata dalla nota tironiana. Questa medesima nota 
usasi anche nell’elenco delle pecore sul fol. 3 recto. Qui la forma della m, della n, 
della r è del tutto trasformata dal tipo carolino. Le iniziali sono rustiche, ma la H 
è onciale. 

E qui sono lieto di aggiungere una spiegazione di paleografia tecnica ch'io devo 
alla somma cortesia e alla perizia del cav. Luigi Cantù. Egli, dopo aver eseguite le 
fotografie, che si annettono a questa Memoria, ebbe la bontà di inviarmi una lettera, 
dalla quale tolgo quanto segue: “ Nell’eseguire le fotografie dei frammenti di pagine 
“ del codice Novaliciense di cui la S. V. chiar.® pubblica gli appunti nel volume 
“ delle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, mi è accaduto di osser- 
“ vare che alcune delle intestazioni di capitoli, parecchie lettere iniziali, nonchè 
alcuni caratteri più grandi intercalati nel testo, presentano ancora traccie di argen- 
“ tatura ossidata dal tempo, ma tuttavia abbastanza evidenti. Essendomi occorso per 
“lavori miei di miniatura, di studiare i metodi usati dagli antichi alluminatori per 
“le dorature sulla pergamena, ho motivo di credere che le accennate scritture pre- 


“ 


“ 


sentino i caratteri di quelle segnate con un mordente composto di cinabro stem- 
“ perato nel succo d’aglio condensato; sovrappostavi quindi ad umido la fogliolina 
“ d’argento, a secco, la scrittura veniva poi lucidata col brunitoio d’agata ,. 


VI 


Ben arduo è il passaggio da queste considerazioni alla discussione sulla cronologia 
relativa assoluta dei diversi amanuensi. Una cosa è sicura quanto alla composizione 
del manoscritto. Il postillatore a non aggiunse alcuna postilla alla seconda parte 


(1) Nel tratto Confessor sanctus (fol. 2 v) abbiama; etna (= aeternam). 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL « MARTYROLOGIUM ADONIS » 145 


del Martyrologium, mentre nella prima parte abbiamo alcune postille di f. Anche da 
ciò adunque confermasi l’anteriorità di a a R. La differenza tuttavia fra l’età delle 
due mani non può essere grande. Il minuscolo in ambedue le parti è ancora in for- 
mazione; peraltro in a esso si presenta con caratteri evidentemente più arcaici. 
Abbiamo un elemento di fatto per stabilire il limite « quo da assegnarsi ad a, e 
questo ci è dato dalla postilla (fol. 50 2), che parla della traslazione delle reliquie 


di S. Secondo fatta dal vescovo Guglielmo “ anno incarnationis dominicae. DCCCC VI i 
Questo fatto essendo qui ricordato come relativo ad una consuetudine liturgica, è 
lecito conchiuderne che gli è anteriore una corrispondente notazione storica. Voglio 
significare che questa notazione liturgica può facilmente risalire ad una fonte storica, 
in forma di cronaca, a noi non pervenuta. Di qui dovrebbesi conchiudere che all’ama- 
nuense a difficilmente potrà assegnarsi un’ epoca anteriore alla seconda metà del 
X secolo. Le forme bollatiche, talvolta a nodi complicati, ie quali sono proprie di a, 
ci avvisano che dobbiamo tenerne relativamente bassa l'epoca, non tanto perchè anche 
nei diplomi dell’età dei Carolingi non si incontrino le aste prolungate e annodate, 
quanto perchè qui si tratta di nodi complicati e profusi con frequenza. 

Il Breve recordationis ha qualche legame paleografico con a, e in esso si fa parola 
dell’abbate Eldrado II, il quale visse, secondo il Bethmann (1), fino al 1043 almeno. 

Di qui si raccoglie che il codice non può essere stato scritto dopo la metà 
incirca del secolo XI. Entro a tali limiti si può facilmente collocare la maggior parte 
delle scritture che abbiamo descritto. Il Confessor sanctus Benedictus potrebbe agevol- 
mente porsi fra le scritture posteriori, e collocarsi alla fine del sec. XI, o anche 
più basso forse, avuto riguardo alla speciale regolarità della scrittura. I carmi sui 
giorni egiziaci e sui mesi possono benissimo appartenere alla metà incirca del sec. XI. 

Alla fine del sec. XI ascriverei il carme su Bertranno, e allora forse fu scritto 
anche il tratto Regnum mundi musicato coi segni guidoniani. Con ammis centenis toc- 
casi la medesima epoca incirca; le postille e e < sono senza dubbio del sec. XII inoltrato, 
se anche non toccano il sec. XIII. La statistica delle pecore, e la postilla n, colla 
nota tironiana significante et, non possono essere anteriori alla fine del sec. XII. 
Sicchè il periodo nel quale il codice fu scritto è di circa due secoli, tra la fine incirca 
del sec. X e la fine del sec. XIÎ. Segnai termini molto approssimativi, poichè la trasfor- 
mazione di un carattere in un altro avviene con lentezza impercettibile. 

La e colla codetta superiore l'abbiamo anche e più volte nel Chronicon, che pur 
appartiene indubitatamente al sec. XI avanzato. In esso abbiamo anche la virgoletta g 
nel significato di -us nei nominativi: “ rodulfg, agressg ,. Nè vi manca la N maiusco- 
letta, sostituita, anche in mezzo di parola, alla minuscola. Accanto a queste somi- 
glianze, le quali si estendono a tutto l'insieme della scrittura, non mancano pure le 
dissomiglianze, delle quali non è debito nostro di parlare qui particolareggiatamente. 

È necessario adesso parlare della provenienza del ms. Fino al cadere del secolo 
scorso esso appartenne al monastero Novaliciense. Ma allora “ gratia et benignitate 
reverendissimi cuiusdam monasterii abbatis , passò in dono ad Eugenio De Levis (2), 
il quale poi lo descrisse, in modo sommario bensì, ma molto preciso, attribuendolo 


(1) MG., SS. VII, 133. 
(2) Anecdota sacra, Aug. Taurin., 1789, p. XXXIII. 
Serie li. Tom. XLIV. 


146 CARLO CIPOLLA 


al sec. X incirca. Il De Levis, nato a Crescentino (provincia di Novara) nel 1737, 
morì vecchio e povero nel 1810. Pare che i suoi autografi passassero in proprietà 
al celebre letterato suo concittadino, G. De Gregory (1), il quale ricorda appunto i 
mss. del De Levis come da lui posseduti. Il De Gregory, morendo, istituì colla sua 
copiosa raccolta di libri una pubblica biblioteca, che affidò al municipio di Crescentino. 
Fu poi accresciuta, e di non pochi volumi. Sperai per qualche tempo che in questa 
biblioteca si custodissero non solo gli autografi del De Levis, alcuni dei quali (se- 
condo la descrizione datane dal De Gregory) riguardavano la Novalesa, ma anche 
gli antichi e preziosissimi codici Novaliciensi, che egli accenna nei suoi Anecdota. 
Mi recai quindi sopra luogo, e, coadiuvato gentilmente dai sacerdoti Giov. Bosso e 
Giov. Albertinetti, feci le relative ricerche; ma pur troppo fui completamente deluso. 
Colà anzi intesi che alla morte del De Gregory molte carte mss. furono trasportate 
a Trino, dove andarono vendute. 

I codici Novaliciensi, sui quali serba silenzio anche il De Gregory, forse ven- 
nero venduti subito dopo la morte del De Levis, seppure egli stesso, ridotto a misere 
condizioni finanziarie, non gli alienò, per far denari. Uno ricomparisce ora nel ms. 
che stiamo descrivendo. 

1l Martyrologium, fatta astrazione dalle aggiunte e dai fogli di guardia, non 
presenta prova sicura della sua provenienza novaliciense; ma pur ci sono gravi ragioni 
per crederlo torinese. Infatti sotto il 25 giugno vi trovammo inserta nel testo la 
commemorazione di S. Massimo vescovo di Torino. Oltracciò il postillatore a (che è 
poi l’amanuense della prima parte del Martyrologium) sotto il 21 maggio (fol. 50 ) 
ricordò la traslazione di S. Secondo, in questa forma: “ Ipso die Taurini ciuitate. 
Translatio Sancti Secundi martyris infra ciuitate, qui fuit dux Thebeorum legionis. 


Facta a domno Willelmo episcopo, anno incarnationis dominicae. DOCCO VI. » Questa 
precisa postilla passò nel Chronicon (2), ma colle prime parole modificate di guisa 
da farne scomparire l’allusione al giorno in cui la traslazione scadeva, e cioè: “ Hoc 
tempore in Taurinensi civitate translatio facta est Sancti Secundi martyris infra 
civitatem, qui fuit, ecc. ,. Questa notizia trovasi nelle parti conservate dal Duchesne, 
e quindi tanto più importante riesce il vederla confermata da mano antica. La natura 
della notizia è tale che manifestamente nel Chronicon essa derivò dal Martyrologium, 
e non viceversa. Non possiamo con certezza assoluta stabilire se il cronista abbia 
avuto proprio tra mano il volume presente o piuttosto quello da cui esso fu trascritto. 
Considerando tuttavia che questo volume, forse in origine, certo assai per tempo 
appartenne al monastero Novaliciense, pare davvero probabile che noi abbiamo qui 
la fonte stessa del cronista. 

Qui richiamo anche l'antica aggiunta, fol. 78 è, riguardante S. Gaudenzio vescovo 
di Novara, la quale fu da noi segnalata a suo tempo. 

Tuttavia sull'origine prima del volume, mi trovo incerto. Il ricordo di S. Massimo 
conveniva benissimo alla Novalesa, che appartenne alla diocesi di Torino fino a tempi 
recenti. Nè disconveniva neppure al monastero di Breme, almeno in riguardo alle 


(1) Istoria della Vercellese letteratura, TV (Torino, 1824), p. 228 sgg. A pp. 228-9 vi si dà la biblio- 
grafia dei libri pubblicati dal De Levis, e a pp. 229-232 quella dei suoi autografi letterari. 
(2) Lib. IV, c. 30 (ed. cit., p. 109). 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL € MARTYROLOGIUM ADONIS » 147 


origini di questo. Mi trattiene dall’affermare la sua provenienza monastica la circo- 
stanza che il cenno biografico sopra S. Eldrado non è inserto nel testo, ma aggiunto da 
un postillatore posteriore. Il testo non ha alcuna commemorazione di quel santo, che 
pur avrebbe dovuto, pare, esservi ricordato, se il Martyrologium fosse stato trascritto 
ad uso del monastero Novaliciense. 

Se in generale l’amanuense a e gli scribi che intorno ad esso si raggruppano, molto 
rassomigliano allo scrittore del Chronicon, cui uniformasi in molti casi anche nella 
ortografia (p. e. nell’abbondanza e sovrabbondanza del dittongo e, od e), tale vicinanza 
si accentua particolarmente per la postilla sopra S. Eldrado. Colpisce anzi tutto la 
frequenza delle abbreviazioni: 4, 4, 4, & (= gre), p, -q.(= -que). L’ abbondanza 
delle abbreviazioni accenna ad età posteriore. Devono qui notarsi ancora nella postilla 
stessa le abbreviazioni: %(= rum), -b; (= bus), -© (= tur), è (= uero). Rilevo una 
M maiuscola di forma onciale. 

Aggiungeremo di qui a poco alcune spiegazioni paleografiche sul Chronicon Nova- 
liciense, le quali forse non saranno inutili per intendere quello sviluppo progressivo 
del carattere minuscolo, al quale alludiamo. Intanto, pur mantenendoci riserbati nel 
nostro giudizio, pare che non si possa sbagliare di troppo attribuendo la presente 
postilla alla metà incirca del secolo XI. 

L’anonimo cronista (1) dice di avere scritta la vita di S. Eldrado, narrandone 
anche i miracoli, e tutto questo in base a quanto aveva veduto, udito e letto. Nel 
sec. XVII esisteva nell'abbazia novaliciense un ms. antico colla vita di S. Eldrado, 
che fu pubblicata nella collezione dei Bollandisti (2). Il ms. andò perduto; e, per 
quanto fui assicurato, l'archivio dei Bollandisti in Bruxelles non conserva più neanche 
la copia che deve aver ricevuto da Torino due secoli fa. Perduto è anche quel San- 
ctorale del quale la “Probatio vitae beati Eldradi monachi et abbatis Novalicii , 
venne data alle stampe per cura del Rochez (3). Ho trovato peraltro una copia del 
sec. XVII (4) dell’Officium sancti Eldradi confessoris et abbatis, che in buona parte 
dipende di qui. La Prodatio e l’Officium discendono immediatamente dalla Vita. Sotto 
a tutte queste fonti s’intravede un lungo ritmo, che il Bethmann (5) tentò di rico- 
struire, e che è presupposto anche dalla postilla, di cui stiamo parlando. La nostra 
postilla anzi va considerata come il più autentico e più antico documento di quell’inno, 
per quel poco che ne contiene. Noto le frasi: “ex gallicana provincia fuit indigena (6). 
Spreta quoque pompa mundi (7), et relictis rebus patris (8) facto ex his oratorio in 
honore beati Petri apostolorum principis (9); poene post circuiens totum mundum (10) 
flagranti desiderio sequi uestigia probissimorum monachorum. Ad ultimum vero 


(1) Lib. III, c. 31. 

(2) Mart. INI (dies 13), 333: riprodotta nei M. X. P., Script. III, 173 sgg. 

(3) La gloire de VAbbaye et vallée de la Novalèse. Chambéry, 1670, pp. 99-101. 

(4) An. di Stato di Torino. Novalesa, Busta XV. 

(5) MGH. Script., VII, 128-9. 

(6) Inno, Vita: “ ex Gallicana patria... indigena fuit ,. 

(7) Vita: “ mundi mutatis phaleramentis , — Probatio: “ Pompas detestans huius saeculi ,. 

(8) Vita, Probatio e Offitium:“ non modicam a parentibus sibi relictam substantiam... distribuere 
curavit ,. 

(9) Probatio e Offitium: “ ecclesiam beati Petri meritis dicatam construxit ,. 

(10) Inno, Vita, Probatio, Offitium: “ circamiens Galliam ,, ecc. 


148 CARLO CIPOLLA ‘ 


uenit Noualicium... factus est monachorum ferme quingentorum optimus pater... (1) 
per XXX annos..., (2). 

È appena opportuno rilevare che la natura della postilla dimostra la preesi- 
stenza dell’inno, di cui si fece quell’uso limitato, ch’era richiesto dallo scopo pro- 
postosi dal postillatore. 

Nel rotolo originale (3) del Chronicon molti sono i fatti paleografici che ne ac- 
costano il carattere a quello del nostro ms. Il Bethmann opinò che il rotolo sia 
stato scritto da più mani; se ciò sia veramente, o se si tratti soltanto di variazioni 
derivanti dai tempi diversi, nei quali a poco a poco fu condotta a termine quella 
scrittura, è cosa da trattarsi altrove, ed è questione di soluzione difficile. Per il caso 
attuale, e dovendosi qui considerare quel rotolo soltanto come il testimonio della 
paleografia Novalicense, quale era verso la metà del sec. XI, la indicata questione 
non ha molto valore; tanto più che per lo scopo presente debbono bastare pochi 
cenni (4). 

Il carattere è minuscolo corrente derivato dalla scrittura carolina, ma ormai 
trasformata. Le didascalie sono in maiuscolo rustico mescolato di maiuscolo onciale. 
Trovo infatti, accanto alla A rustica, la A onciale, e così ripetasi della E e della U; 
la T ha la gamba verticale leggermente piegata a destra. Fra le minuscole minori 
rilevo, accanto alla M rustica, la M onciale (che richiama alla postilla sopra S. Eldrado) 


(1) Zeno è Vita: * sub cuius moderamine quingentorum... domino monachorum [tune] agmine 
militabant dignissima ,. 

(2) Vita: “ annis... prefuit autem triginta ,. 

(3) Conservasi questo prezioso cimelio nell'Archivio di Stato di Torino. 

(4) Questo sia detto senza entrare nelle spinose quistioni riguardanti la precisa età del mano- 
scritto e la data della compilazione del Chronicon. Quest'ultima ricerca. fu in parte toccata ora 
dall’illustre prof. Pro RaynA, in un lavoro di grande importanza, intitolato: La Cronaca della Nova- 
lesa e Vepopea Carolingia (Romania, XXIII, 37); egli, sviluppando un concetto del Beramann, si mostra 
d’avviso che il secondo libro del Chronicon sia stato compilato anteriormente al 1029, e probabil- 
mente anche prima del 1027. Le conclusioni del Rayna riguardano peraltro non tanto la compila- 
zione del Chronicon nel suo stato attuale, quanto quella del materiale del medesimo; o almeno si 
possono forse restringere a quest’ultima questione. 

Riserbandomi di ritornare in luogo più acconcio sul nodo della questione cronologica, cioè sul e. XIV 
del libro II del Chronicon, mi permetto ora di proporre qualche dubbio. Ivi il cronista parla dei 
Longobardi che disfecero il monastero della Novalesa. Fra gli uccisi fuvvi anche un monaco di nome 
Giusto, giusto di nome e di fatto, nonchè un altro monaco denominato Flaviano. “ Horum namque 
monachorum epythafia suis capitibus subposita sunt, tempore interfectionis eorum. Quorum unus 
sic legebatur: Hic iucet. Justus monachus frater Leonis, sotius sancti Petri Veri [forse si leggerà: 
Petruni]. Alterum vero non reminissimus ,. Siccome si crede che la traslazione del corpo di S. Giusto, 
dall’originario suo posto alla chiesa dedicatagli m Susa, sia avvenuta verso il 1027, così il Bethmann, 
ed ora il Rajna, pensano che nelle parole del cronista si abbia un “ valido indizio , cronologico. 
Da esse, quegli illustri eruditi pensano di vedere, con certezza, o almeno con somma probabilità, 
provato che ai giorni del cronista il corpo di S. Giusto non fosse stato ancora rimosso ©“ dalla 
sua oscura tomba primitiva ,. A me invece le parole del cronista fanno proprio l'impressione op- 
posta. Infatti non mi sembra dubbio che qui egli non parli di iscrizioni incise esternamente sul 
sepolero di S. Giusto e su quello di Flaviano, ma accenni ai Zibellid posti sotto il capo dei due 
morti. Quei libellî non potevano vedersi se le tombe non fossero state aperte. Mi par dunque che 
il cronista voglia qui significare ch'egli si ricordava del tempo in cui i due sepolcri erano stati 
scoperchiati. Della traslazione di S. Giusto a Susa, nulla dice; nè era del suo scopo l’aggiungere 
parola intorno a ciò. So bene che, se anche mi si acconsente questo, non si avvantaggia molto la 
intralciata questione cronologica. Comunque sia, vorrei che le questioni fossero discusse di nuovo, 
poichè non mi sembrano ancora sufficientemente chiarite, 


APPUNTI DAL CODICE NOVALICIENSE DEL * MARTYROLOGIUM ADONIS » 149 


e la m minuscola ingrandita (che richiama alla prima parte del Martyrologium, 
cioè all’ amanuense a); la T talvolta è rustica, talvolta si avvicina all’onciale col 
ripiegare a destra la punta inferiore della verticale, e talora è addirittura onciale. 
La V e la U si alternano senza discrepanza nel loro valore. La E rustica si accom- 
pagna colla onciale e colla minuscola ingrandita. La H onciale si alterna colla rustica; 
e così ripetasi della N. La F di solito ha rialzata l’asta verticale superiore. Quanto alle 
maiuscole maggiori, le lettere A, E, M, H, sono rappresentate dalle forme capitale e 
onciale; la V dalla sola capitale. Non manca il nesso N°, nel maiuscolo rustico. 
Qualche volta le minuscole minori sono illuminate in rosso. Rarissima è la N maiu- 
scoletta in mezzo di parola; noto : “ cstaNtino ,. Fra le abbreviazioni colla p, oltre alle 
solite, s'incontra “ d , (= pri), che non trovai nel Martyrologium di Adone. Colla t si 
formano le due consuete abbreviazioni, significanti: ter, tur. La sillaba que è rappre- 
sentata con: “q., “q;,. La finale us, dopo m, trovasi espressa tanto con: “ m AS 
quanto con: “ m°,. Ma la virgoletta ondulata non manca anche per indicare us nei 
nomi propri, 2* declinazione, nominativo, sebbene con molta parsimonia. Non di rado 


scrivesi: “-b., “-b;, per significare “ -bus ,. Il relativo quod rappresentasi di rado 
con 4, e più di sovente con “qd ,. Le finali dei perfetti sono abbreviate più di 
sovente che non avvenga nel Martyrologium. Abbiamo: “ uwider, fecer, destrux 


(= destruxit) ,. Come nel Martyrologium, così anche qui abbiamo € (= con), e manca 
affatto il segno tironiano che rappresenta questa sillaba. 

Non trattandosi qui di scrittura regolare e calligrafica, è meno facile ad avvertirsi 
il rotondeggiare di: 0, d, 6, h. In alcuni tratti tuttavia quel fatto si avverte distin- 
tamente. Non è costante il prolungamento inferiore della r. Questa lettera è peraltro 
quasi sempre in minuscolo e molto di rado in corsivo: notai “reuertimini, colla 
seconda r corsiva. Alternato è l’uso della 9 aperta e della g chiusa, e ciò in parole 
scritte dalla stessa penna e nel momento stesso. 

Qualche volta il carattere diventa meno regolare e si accosta al corsivo; men 
di rado prende l’aspetto bollatico. Abbiamo quindi la s finale prolungata, e qualche 
volta anche annodata. Ma l’amanuense aveva fretta, e non poteva curarsi troppo 
di rabbellire la sua scrittura con forme bollatiche. | 

Notevole è la e rialzata, 0, come dicemmo, crestata. Invece indica posteriorità 
l’uso, molto abbondante, della d minuscola (derivata dalla onciale) coll’asta verticale 
ripiegata a sinistra; in questo fatto (che nel Martyrologium verificasi solo per alcune 
maiuscolette minori) presentasi il gotico. 

Non mancano le lineette rette sopra alcune i, quali sono proprie dell’ultima 
forma del minuscolo. 

Quanto all’ortografia, l'abbondanza dei dittonghi, anche dove non dovrebbero 
trovarsi, ci richiama indietro col tempo. Noto: “nomine, imperatore, euaserit, ecclesie, 
sarraceni, mansuetudine, consuetudine, ecc. ,. 

Abbiamo dunque ancora alcune caratteristiche arcaiche, alcune forme corsive, 
che si accompagnano ad altre caratteristiche modernissime, e quali sarebbero proprie 
del sec. XII. Nel Martyrologium le caratteristiche arcaiche sono molto più abbondanti, 
e le altre o scarseggiano assai o mancano affatto. 

I due documenti, il Martyrologium colle sue postille e il Chronicon, possono 
quindi considerarsi come due anelli consecutivi nella storia paleografica del mona- 
stero. Ritorniamo quindi al Martyrologium e concludiamo. 


150 CARLO CIPOLLA 


I risultati, ai quali siamo giunti sono i seguenti: abbiamo preso in considera- 
zione un codice del Martirologio Adoniano in uso nella regione piemontese fino dal 
cadere del sec. X, se non forse dal principio del secolo XI, e scritto appunto in quel 
periodo di tempo (1); questo potè benissimo dipendere da un altro codice, che già con- 
teneva la commemorazione di S. Massimo e che quindi avesse relazione esso pure colla 
diocesi di Torino. La stessa postilla su S. Eldrado può giudicarsi non posteriore alla 
Cronaca. Il nostro ms. può riguardarsi presso a poco contemporaneo alla riedificazione 
del monastero della Novalesa, dovuta all’abate Gezone. Il ms. medesimo, se non nella 
sua prima origine, almeno assai presto fu adoperato dai monaci Novaliciensi (2). 
Esso ci offerse l'opportunità di assaggiare lo studio della paleografia locale durante 
la seconda trasformazione della scrittura minuscola carolina. Oltracciò, ed è cosa 
assai più notevole, ci dimostrò l’uso della musica sacra nel monastero Novaliciense 
prima e dopo l'introduzione della riforma guidoniana (3). In fine, da questo codice 
ricavammo le basi più antiche di alcune notizie storiche, come la translatio di 
S. Secondo, e il cenno biografico su S. Eldrado, che noi conoscevamo soltanto 
imperfettamente. Nè va qui dimenticata anche la postilla del sec. XII riguardante 
la dedicazione della chiesa di S. Maria a pie’ del monte (Cenisio) (4). 


(1) Come vedemmo, il De Levis attribuì il nostro codice al secolo X. 

(2) Nella loro biblioteca rimase troppo trascurato, come gran parte dei codici della medesima. 
A dimostrare in qual misero conto si tenevano i codici negli ultimi secoli del monastero voglio 
qui citare un opuscoletto ms. del 1651 (Archivio della Novalesa, parte non ordinata, busta LXVI; 
Arch. di Stato di Torino), contenente un “ Inventario dei mobili della sacristia di S. Pietro di No- 
valesa ,. Vi si ricordano le reliquie, gli oggetti di chiesa, i paramenti, le mobilie delle stanze, le 
vesti, e persino gli oggetti di cucina. De’ libri, pochissime parole appena, dove si tocca di quanto si 
trovava “ nella stanza del Rettore ,, dove stavano “ alcuni puochi libri ,. E qui si ricordano alcuni 
volumi del Bonacina, di “ Paulo Aretio ,, del p. Coana, ecc. “ et altri molti libri di stampa vechia 
senza titolo dell'autore ,. Di codici ms., neppure una parola. 

(3) Per mezzo del mio amico prof. Gruserre RosertI inviai qualche facsimile a mano di alcune 
note musicali, tratte dal nostro ms., all’illustre p. Amprogio AmeLri, Cassinese, il quale ne rilevò 
l’importanza, e m’incoraggiò a ricavare i relativi facsimili fotografici. 

(4) M’affretto a correggere due sviste occorse nella mia Memoria L'antica bibliot. Novalic. A p. 7 
in luogo di “ Amedeo (IX) ,, leggasi “ Amedeo (VII) ,, e a p. 11 si corregga “ Chigimno , in 
“ Chignino ,, poichè qui si allude all’illustre famiglia savoiarda di quel cognome, come mi fece 
cortesemente notare il ch. barone Domenico Carutti. 


DESCRIZIONE DELLE TAVOLE 


Tav. I, fig. 1 (dal fol. 3); fig. 2 (dal fol. 127%); tig. 3 (dal fol. 127 7); fig. 4 (dal 
fol. 126 ©); fig. 5 (dal fol. 50 v); fig. 6 (dal fol. 127 r.. 


Tav. II, fig. 1 (dal fol. 104); fig. 2 (dal fol. 95 r); fig. 3 (dal fol. 27); fig. 4 (dal 
fol. 1v); fig. 5 (dal fol. 347). 


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L'ULTIMA COLONNA 


DELLA 


ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 


MEMORIA 
del Socio Corrispondente 


ELIA LATTES 


Approvata nell’ Adunanza del 22 Aprile 1894 


I. — Struttura e divisione del contesto. 


1. Nessuna parte delle Fasce monumentali più di quella che prendo qui a stu- 
 diare minutamente (1), mi sembra adatta a mostrarne la struttura grammaticale e 
a servire d’introduzione all’indice morfologico e fonetico che dell’intero testo, e, per 
occasione di questo, delle altre iscrizioni etrusche, si viene preparando. Invero, nè 
va questa parte, salvochè alla prima linea, deturpata da lacune, nè la lezione riesce, 
salvo un luogo (lin. 7), incerta; inoltre, benchè breve (13 linee), non solamente può 
con certezza smembrarsi in due sezioni ben distinte, ma sì ancora ciascuna delle 
due parmi contenere voci verbali di tempo finito, ed anzi nella maggiore lo stesso 
verbo ripetersi tre volte; infine, mentre direi vi abbondino gli accusativi coll’espo- 


nente di caso ben conservato, non vi mancano incongruenze morfologiche e fonetiche 


evidenti, le quali dopo che qui si constatino, si possano altrove fondatamente sup- 
porre. S'aggiunge poi bella copia di manifesti parallelismi, la cui interpretazione 
risulta agevolata da ciò, che di parecchie parole già conosciamo per precedenti testi- 
monianze l’indipendente esistenza lessicale ed anche il significato. 


2. Dimostro anzitutto doversi l’intero contesto dividere nelle due sezioni che 
seguono (2), delle quali porgo insieme, antecipando, come so meglio, l’interpretazione: 


(1) Sfiorai l'argomento di queste pagine nei ‘ Saggi e Appunti intorno all’iser. etr. della Mummia ’ 
(Milano, 1894), p. 55 (cfr. 146 LV) e 122 sg.; agl’indici della quale scrittura si sottintende sempre il 
rinvio per la prova delle cose che qui per avventura, contro il mio intendimento, non risultino 
bastevolmente documentate. 

(2) Conforme all'uso del KraLt (p. 30) indico con «x gli elementi non decifrati, giacchè il loro 
facile computo si richiede per tentare con probabilità, come sin d’ora di frequente si può (e fu già 
dallo Scopritore più volte con molta felicità effettuato), l'integrazione per via conghietturale. Seguo 
il Krall altresì nel segnare il doppio punto obliquo, là dove non gli riuscì di riconoscere con cer- 


152 ELIA LATTES 


1) XII! /rasxexxxrrxoarraseaareinezae 0: elinam | asna noci 
reus'ce . Aiseras'. S'eus' |® Qunxulem . mu0 . hilarOune . etertic | # caBre . xim . 
enay . Unyva . medlum0 . puts |? mu®d . hilarduna . Tecum . etrindi . mu | ° 
nac: huca . Unxva . hetum . hilarduna . Gend | 7 hursic : capl-du . Cexam . enae . 
ceisna . hindu | ® hetum . hilarBuna . etertic . cadra | ® etnam . aisna . ix . matam 
|-Zuil | . vaclinam“ .....5.. | (sacerdos) vocalis] duos (cyathos) cibarium (vinum) 
sacravit atque denicalem (vini) rivulum Aesariae (et) Sivae duplicem; mustum 
in sepulecro duplici alteraque in quadra, centum unumque (cyathos) Uninquus 
in medellumo (habuit) potus; mustum in duplici sepulero Decumus (habuit); 
iterum mustum denicali in (sepulero) duplici (habuit) Uninquus; faecatum 
in sepulcro duplici metato haurientesque capidulas duas Caecamus (habuit); 
unumque sacravit (vocalis sacerdos) mortuale faecatum in sepulero duplici 
alteraque in quadra; cibarium (vinum) sacravit atque manum V (cyathos) 
vocalis (sacerdos) ’. 


2) XII10 Qunem . cialyus' . masn Unialti: Ursmnal | adre . acil an . s'acmien . 
Cilo . Cexa(ne) . sal |! Cus . cluce . caperi . zamtie . svem . 0umsa | * matan . 
cluctras' . hilar “ secundi (et) quinquagesimi (sepuleri) mansione in Uniali 
Orsiminali atrii ancillus, in sacello Caelestiali Caecami-sacerdotes tres, Quinti 
in-cloaca sacerdos-a-capidibus saventiusque suem cremarunt manem, (precati) 
cloacae sepulerum ’. 


Ora, che queste due sezioni siano da reputare ben distinte, e che la seconda 
stia di per sè, e però eziandio la prima, risulta assai probabile ed anzi, fino a prova 
contraria, sicuro, dalle parole con cui quella comincia: Ounem cialxus'. In effetto, 
otto volte (Saggi p. 41 sg., 46 num. 73, 186) le colonne delle Fasce essendo interrotte 
da spazi vuoti ora di un rigo (VIII 3. IX y2. XI 17), ora di più (VI 14. 18. XI 12), 
ora di mezzo rigo con sovrapposta linea rossa punteggiata (VI 9. XI 13, cfr. Krall 22); 
nè potendosi, pare, siffatto modo intendere altrimenti, se non come indizio che prima 
dello spazio finisce una parte e materia, e dopo di esso principia un’altra, si trova 
che come qui la 2* sezione con Ounem cialxus', così a puntino comincia la lin. XI 17 con 
Qunem [cialxus']; e analogamente XI 12 con eslem cealyus, IXr 2 ciem cealyus', VI 14 
eslem zadrumis', VI 9 2adrumsne lusas'; e con piccole diversità VII 3 celîi hudis' 
zadrumis', cui fa riscontro in testa della medesima colonna, e però in luogo eminen- 
temente acconcio al principio di un nuovo capitolo, VIII 1 @ucte cis' s'aris'. Pertanto 
sopra otto sezioni, tutte separate con estrinseca evidenza dal precedente contesto (3), 


tezza, se l'interpunzione del punto unico interverbale fosse notata od omessa. Ometto per contro la 
distinzione fra gli elementi chiarissimi e i meno chiari, perchè pur di questi la lettura gli risultò 
pienamente assicurata, dovunque insieme al trascriverli in carattere corsivo, egli non vi sovrappose 
il segno d’interrogazione. Infine scrivo a bella prima con lettera maiuscola iniziale le voci, che 
reputo nomi propri, cioè nomi di deità e loro derivati, giacchè nessun'altra maniera di nome proprio 
trovo io nelle Fasce. 

(3) Esse crescono a nove se, come di giusto, pur si conti l’ultima, non contraddistinta da spazio 
vuoto, ma in compenso iniziale di colonna, e sarebbero anzi dieci se la linea VI 18 non fosse omai 
illeggibile. 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 153 


ben sette principiano in modo uguale o analogo alla nostra lin. 10; e però anche 
con questa vuolsi credere muti l'argomento e incominci un paragrafo nuovo, quan- 
tunque manchi l’estrinseco segno dello spazio vuoto; e tanto più si vuole, in quanto 
questo due volte si vede già ridotto alla misura minima di mezzo rigo (VI 9. XI 13): 
bensì può tenersi vi supplisca in quei due casi, la linea rossa punteggiata, ma di 
rimpatto manca per uno (XI 14) il segno intrinseco delle parole iniziali, in esso 
affatto diverse (cninam Oesan), come nel nostro manca l’estrinseco dello spazio vuoto 
e della linea rossa. 


II. — La 8° ps. sg. pf. att. in -a e plur in -sa. 


3. Vengo alle forme verbali finite, che sono per me: lin. 2.9 aisna, 7 cisna e 
2.12 0umsa; ed osservo anzitutto 1’ analoga struttura offerta da lin. 2 etnam aisna 
ix nac reus'ce(m) e 9 etnam aisna ix matam e 12-13 svem Bumsa matan; dove, quanto 
alla prima combinazione, a renderne più manifesta la somiglianza colle altre, sup- 
plisco in fine a reus'ce il -m, di cui cerco a suo luogo ($ 10) mostrare probabile lo 
scadimento. Ora le Fasce stesse ci dànno anche XI 12-13 e 14-16 etnam aisna e 
VI 12 etnam eisna: inoltre IXy 1 nacum aisna hindu(m) vinum, X 19-20 ratum aisna 
leitrum, e come qui 7 eisna hindu(m) hetum, così IV 22 eisna pevay vinum; infine come 
qui 12 svem 0umsa, così Xy 2-3 0umsa Cilva Neri(s') Canva Carsi(s') putnam. Ne con- 
segue che non solamente fra etnam e aisna 0 eisna dovette intercedere alcuna assai 
stretta relazione, ma che tanto daisna o eisna, quanto 0umsa furono tali parole, da 
richiedere o amare la compagnia d’altre uscenti in -m. — Ma le Fasce ci dànno ancora 
VII 19 amce etnam, dove con etnam s’accompagna, non più disna o eisna, ma am-ce 
che tutti oggi ammettono, per documento di altri testi, essere verbo finito alla 
8* persona del perfetto in -ce; fra’ quali testi poi uno (F. 2340 lin. 20) mostra 
puiam amce, ossia di nuovo in compagnia dello stesso amee una voce in -m, come 
l’einam della Mummia; quindi sorge già abbastanza gagliarda la conghiettura, che 
come etnam e putnam e svem a puiam, così ad amce equivalgano sotto il rispetto 
morfologico e sintattico aisna o cisna e 0umsa. E la conghiettura trova abbondante 
conferma nelle epigrafi etrusche prima conosciute, dove già ripescammo pwiam amce; 
perocchè primieramente vi troviamo più esempi di voci in -m unite con tali che 
sono di sicuro verbi finiti, benchè, come qisna e 0umsa, non escano in -ce: 1) F. 48, 2753 
(vaso eneo di Capua) peraciam tetet, o, secondo avrebbe letto il Garrucci, peracis 
estam tetet, dove telet evidentemente pareggia lat. dedit e osco deded dedet; 2) is. di 
Novilara 1. 2-3 rotnem uvlin Partenus' polem is'airon tet, dove rotnem polem tet difficil- 
mente vorrà separarsi da peraciam o estam tetet, e rotnem wvlin e polem is'airon con 
tet fanno preciso riscontro a svem matan con dumsa della nostra lin. 12-13; 3) F. 48, 2754 
(vaso fittile di Capua) Limurce sta pruxum, dove sta, equidesinente con aisna 0 eisna, 
tutti consentono oggi che vada con lat. arc. stare per statuere sistere. Nelle iss. etr. 
incontriamo poi più esempi di voci in -m con verbi finiti uscenti in -ce, come in 
puiam amce 0 amce etnam Vamce predetto: 4) F' 399 (secondo l'autopsia del Deecke, 
Etr. Forsch. V 2. 44 VII 2, confermata dal Bugge, Arm. 91) zilace uentum; 5) F. 2033 bis E? 

Serie II. Tom. XLIV. 20 


154 ELIA LATTES 


[z]ilaynce pulum e insieme tenve mexlum, dove tenve ben riflette lat. tenuit, ed ha 
riscontro 6) nell’equidesinente s'renceve o s'renyve delle Fasce, sempre accompagnato 
(dieci volte) da cletram, parola in -m, come il mexlum di tenve; 7) F. 2339 zilaynee 
me0lumz 8) F. 2330 vence lupum; e s'aggiunge 9) ersim (0 p. ersim, cfr. sup. peraciam) 
con turke, la nota parola per lat. donavit, di una inedita epigrafe perugina, letta sopra 
una lastra che serviva di manico (Carattoli e Nogara). 


4. Cerco ora di stabilire quale specie di forma verbale si vogliano tenere codesti 
aisna 0 eisna e dumsa. E primieramente osservo che la compagnia costante di verbi 
con parole in -m, spiegasi assai facilmente, qualora si ammetta essere queste al 
caso accusativo e dipendere da quelli, i quali pertanto spetteranno alla. coniuga- 
zione attiva. Per entro alla quale, osservo poi sembrare bensì a primo aspetto che 
fra sta, e quindi disna, e lat. stat, interceda la relazione medesima che fra fal. cupa 
e fal, cupat e lat. cubat, e fra umb. sì e lat. sit: nondimeno una cotale benchè debole 
presunzione, a favore del perfetto, mi sembra già derivare da ciò, che come etnam 
aisna 0 eisna, abbiamo nelle Fasce amce etnam; ora manca in quelle qualsiasi indizio 
che mai muti l'argomento o la qualità del discorso; qualsiasi indizio che questo p. e. 
di narrativo diventi imperativo od inversamente. Inoltre, fuori di sta pruxum, dove 
il verbo esce precisamente come aisna 0 eisna, e però rientra nel quesito di cui ci 
occupiamo, tutte le rimanenti combinazioni testè allegate analoghe a etnam aisna, 
ci mostrano verbi appunto al perfetto qual'è amce: giacchè o la evidente loro risposta 
latina (tetet lat. dedit, tenve lat. tenuit, e per confronto con questo s'rencve) attesta 
che sono tali, oppure escono in -ce (vence, zilace, zilaxnee, turke), la quale uscita parve 
sempre a tutti che dovesse tenersi di perfetto. Ora può bensì essere mero caso che 
i pochi testi a noi pervenuti offrano soltanto ‘diede’ o ‘donò’ anzichè © dà’ o 
‘dona’, ma torna giusto supporre insieme che possa il caso non entrare affatto e 
che veramente la formola tralaticia delle sacre dedicazioni abbiano usato stilare gli 
Etruschi al passato anzichè al presente; e la supposizione risulterà confermata dal 
fatto, che pure gli altri simili testi, dove manca al verbo la compagnia dell'oggetto 
in -m, quando quello non è appunto turke o turce, suona tez 0 tes 0 tis 0 des o stes (4); 
tutte forme le quali evidentemente più s’accostano, se mai, a lat. dedi dedit o steti 
stetit che non a dat o stat. Parmi pertanto legittimo ricercare, se perfetti in -a, 
quali sta o aisna, possano fondatamente ammettersi : il che quando si provi, anche il 
fatto di tale possibilità aggiungerà forza, direi, al sospetto proposto. Ora per ispiegare 
umb. subdocau lat. © invocavi °, il Bréal (tab. Eug. 69 sg. cfr. Mem. Soc. de ling., IH, 287) 
si richiamò all’analogia “ du parfait cantò (pour cantau) ainsi qu’@en calabrais où 
l'on a les prétérits «mau passau ,, e insieme ricordò i perfetti lat. volg. expensaut 
triumphaut pedicaud. Il che posto, senz’ uscire dal campo umbro, non intendo come 
non siasi la stessa dichiarazione applicata allo stahu con cui finisce l’is. terminale 
di Assisi, e si continui a interpretarne le ultime parole: sacre stahu, con lat. sacrum 


(4) Saggi 54 n. 78-83; cfr.‘ Di due nuove iscrizioni preromane trovate presso Pesaro ’ (Roma- 
Milano, 1895) p. 28 e n. 22. Si noti anche la formola iniziale delle preghiere umbre: teio (o tio 0 
tiom) subocau suboco “te invocavi invoco ” (t. Eug. VIa 22. 24. 25, b 6. 8. 26. 27), e la finale: #0 
(o tiom) subocau “ te invocavi” (VIa 35. 45. 55, b 15. 36; VII a 20. 22. 23. 33-34. 36). 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 155 


sto (5); laddove stahu parmi avere con subocau la relazione medesima che p. es. umb. 
persnihimu e lat. umb. Nahartes con persnimu e Nartes; e però doversi rendere con 
lat. steti; cioè statui, e confrontare col davi dei Glossarii e di man-dati pel classico 
lat. dedi. Con codesto stahu, o meglio con lat. inritat cervar calcai per inritavit 
signavit calcavi (W6lfflin in Arch. f. lat. Lex. IX 140), mando io poi, nella riferita 
ipotesi, etr. sta e quindi aisna, i quali anzichè con cantò e cantau penso vadano con 
fr. mangea porta e con ant. ven. mangià sforzà tornà trovà: infatti a per au s'ha pure in 
etr. Mayan Lamtun per Mayxdwv Adopédwv, Aclinei Afles (lat. Afillivs) Harenies latni 
Rafe all. a Auclina Aufles (lat. Aufillius Offilius) Havrenies lautni Raufe, come p. es. in 
lat. Agusto Cladius Gadentius (Corss. II, 205 sg.); meglio però forse varrà ripetere 
-a da -avi -ai 0 da -avit -ait -at, giacchè in tal caso etr. pf. att. 3° sg. disna starà 
a etr. perf. att. 3° sg. cure pute (Saggi 32 sg.) per lat. cura(v)i(t) pota(v)i(t), come 
p. es. ($ 16) etr. loc. sg. cara Buna a cadre Oune da *caorai *Qunai. 


5. Passo a 0umsa. Come qui lin. 12 caperi zam@i-c svem 0umsa, così VINI 10 
caperi : zam0i-c . vacl . ar . flereri. sacnisa e VI 6 0ensnua . caperzc . heci . nayva . 
tindas'a: vale a dire in tutti tre i testi insieme col vocabolo in -sa (cioè 0umsa 
sacnisa tandas'a), ne occorrono due (caperì zamQic-c, deusnua caper-c) congiunti dalla 
copula -c fal. -cue lat. -que -c ($ 12); torna pertanto ragionevole sospettare, che fra 
l'uscita -sa e il numero plurale, o almeno duale, delle cose o persone significate dalle 
due parole sempre congiunte interceda alcun rapporto. 

Ed ecco a conferma due epitafi viterbesi, lun de’ quali (F° 327 1 4) ci dà: 
papalser .acnanasa.VI Manim.arce e (1. 2) clenar ci acnanasa, e Valtro (F° 318): 
clenar . zal . arce. acnanasa; ossia un vocabolo in -sa, cioè acnanasa, preceduto 
ora dalla cifra VI, ora da’ numerali za) e ci, rispondenti pe’ più a ‘tre’ e ‘cinque’, 
per nessuno all'unità. Ma lo stesso cal, scritto sal (cfr. Zalvi canes' zarve cati zeri Zulus 
all. a S'alvi sane s'arve s'adas' seri Sulus') s° ha pur nella Mummia, e pure insieme 
con voce in -sa: VII 6-7 trin0das'a . s'acnitn an . CHA cexane . sal; ed anzi tale una 
voce, cioè trindas'a, che quasi interamente si tocca col tin0as'a, insieme col quale 
sopra osservammo la coppia: 0eusnua caper-c. V'ha di più; il nostro 8umsa occorre 
anche Xy 2: @i vacl . cesa-sin . Bumsa . Cilva; e parallelamente XI 3 ci dà: di dapnes'ts' 
tritanas'a; quindi legittimo supporre che fra Oi e le due parole in -s@, cioò Bumsa 
e tritanas'a con cui s'accompagna, interceda relazione analoga, a quella che fra ci o 
zal e acnanasa; ora il latino ci suggerisce d(u)i- d(u)is- (d)bis, come possibile risposta 
per @i ($ 9), ed ecco subito a rincalzare il suggerimento, F' 419-420 (corretto per 
autopsia dal Deecke V 4): s'acnis'a: Qui: /e/0: s'udi0 acazr, dove s'acnis'a, che sopra 
avemmo colla coppia caperi cam@i-c (come Bumsa, e come tindas'a con Beusnua caper-c), 
abbiamo e con parola (acazr) uscente in -r al modo di clenar e papalser, in cui com- 
pagnia trovammo tre volte acnanasa, e con Bui che sta a lat. dui (p. es. duicensus), 
come @i a di-. Infine comincia per Qui e finisce con voce in -sa, preceduta da altra 


(5) BiicaeLer, Umb. 54. 195: stahu ‘ sto ’; subocau -avu È sive ut amavi sive ut oscum manafum ,; 
Briar ha subocauu, non -vu. Cfr. Avrreoas-Kircamore 392 che risalirebbero a *stalriu, e trovano assi. 
curato il presente dalla connessione coll'imp. stalitu stahituto. 


156 ELIA LATTES 


in -r, l’epitafio (Sag. 150): Qui cl0i . a .. utniad0 Vel. Velus'a . avils'-cis . ca@rmis-c s. 
e....r: auis'a; e contiene poi lo sacnis'a, che vedemmo con Bui e acazr e con caperi 
zam@i-c, l’epitafio (Sag. 25, 29): aseies: ha sacnisa, dove aseies finisce per -s, come 
Qapnes'ts' del testo con tritanas'a. Se quindi per le addotte ragioni ($ 3) 0wmsa fu 
verbo finito, probabilmente al perfetto, non può dubitarsi, parmi, che fu precisa- 
mente la 3* persona plurale di quel tempo. E per vero, lasciati da parte l’umb. denuso 
e covortuso che una volta stimavansi rispondere a lat. venerunt e converterunt, ed ora, 
essendo preceduti sempre da ape (lat. vb) “ qui prend ordinairement après lui le 
futur simple ou le futur composé , (Bréal, t. Eug. p. 361), s’interpretano (cfr. Biicheler, 
204. 211): ‘ ventum erit’ e © revorsum ’ o © convorsum erit ’; lasciato da parte il 
sospetto che umb. eitipes e gli analoghi osc. upsens e pel. koisatens, con cui il Biicheler 
(Umbr. p. 195) lo manda, risalgano a -eso -enso, nessuno dubita che lat. arc. dedero 
(cfr. dedrot dedront) risalga a *dedeso, la cui uscita rasenta già abbastanza davvicino 
etr. acnanasa auis'a 0umsa sacnis'a tindas'a trindas'a tritanas'a, perchè quanto all’-a 
di essa rimpetto all’-o dei Latini, torni forse lecito richiamarci all’ analogia di 
etr. Velimna per lat. Volumnius, insieme con lat. arc. Fourio pel classico Furius. 


III — Il perfetto sg. aisna e l’acc. sg. etnam. 


6. Quanto al significato probabile di aisna o eisna e di dumsa, la determinazione 
approssimativa riesce tanto facile pel primo quanto difficile pel secondo. Tutti invero 
agevolmente penseranno per aisna o eisna alla notissima base panitalica ais- eis- 
(gr. 1[0]- in 1|0|-epo-), la cui più semplice espressione s'ha appunto nell’ etrusco 
aîcoi per 0edi ùmò Tuppnvoòv conservatoci da Esichio; col quale aicoi perfettamente 
combacia etr. Ais His (cfr. Aisu) Es e mars. aiîsos esos per lat. deis (6): ora, da quella 
base, con suffisso nasale, trassero gli Umbri esunu © divino ° e sostantivamente ‘ cosa 
divina, sacrifizio ’; possiamo quindi anzitutto immaginare che ais(a)na significhi al- 
l’incirca ‘ sacrificavit °. Ma fra gli oggetti sui quali si esercita l’azione espressa da 
aisna, già vedemmo ($ 3) due volte essere menzionato il vinum; ossia tale cosa di 
cui per una parte non potè certo dirsi che fosse ‘ sacrificata ’, per altra parte potè 
soltanto dirsi, avuto riguardo alla base verbale di cui si tratta, che fu © consecrata ’: 
conghietturo io pertanto, fino a prova contraria, che aisna o eisna rispose a lat. sa- 
cravit; e mi fo a ricercare se tale prova risulti per avventura dalla condizione del- 
l'oggetto sul quale l’azione dell’uisna più di frequente si esercitò; vale a dire 
etnam ($ 3), oppure se anzi l’etnam fu tale da confermare l’interpretazione proposta. 


7. Occorre etnam nella nostra colonna in compagnia con visna due volte (XII 1-2. 9), 
e due altre ($ 3) nella stessa compagnia in altri luoghi delle Fasce, le quali poi, 
tutto sommato, nominano etnam nientemeno che da quaranta a quarantasette volte. 


(6) Aggiungasi pel. Aisis sato, ben reso testè da C. Pascar (Rendic. R. Acc. di Napoli, 1894) con 
,Dei sacrum ’. — Cfr. per etr. vinum, Atti Acc. di Tor. XXVIII, 1892-93 p. 243-252 = estr. 3-12. 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 1557 


Ora, primieramente, come etnam aisna o eisna, già vedemmo ($ 3) aisna hindu(in) 
vinum 0 eisna pevaX vinum, donde comincia ad apparire probabile che etnam, secondo 
che subito, appena scoperte le Fasce, sospettai (Atti Acc. di Torino, 1890-92, 
XXVII 10, p. 173 = estr. 18), indichi cosa simile al vinum; e la probabilità cresce, 
qualora si confrontino VIII 5-6 mula-x husina vinum paiveism acilò ame, e ib. 8.9 
vinum aclil/0 ame mula hursi, con VII 14 acil ame etnam, dove vinum, accompagnato 
da mula hur)sina o mula hursi, sta in relazione con acil0 ame, e parimenti etnam con 
acil ame. In secondo luogo abbiamo VII 19-20: etnam s'uci murin; ora fu la murrina 
dei Latini un ‘ genus potionis ’ (cfr. murrata potio); ed ebbero essi anche un mur- 
ratum vinum detto, secondo alcuni antichi (Fest. 144 M. = 125 Thew.) “ex uvae 
murrinae nomine’: quindi nuovamente si conferma la relazione di etnam col vino. 
Nè osterà l’interposto s'uci; giacchè chiuso com'è fra etnam e murin, tornerà giusto 
sospettare che non differisca guari da lat. sucì succi, e spetti fors’anzi al sucus della 
vite; e il sospetto acquisterà forza da ciò che le Fasce ci dànno altresì: VII 22 
etnam ix matam s'uci-c fir-in, ib. 9-10 ceren s'uci-c fir-in tesim etnam, 15-16 etnam ic (2) 
clevrnd s'uci-c, ossia tre ulteriori esempi di etmam con s'uci. In due de’ quali, s'uci 
vedesi poi associato con fir-in, vale a dire con parole, cred’io, significanti: “in igne” (7); 
società opportunissima per cosa liquida, quale da s'uci sarebbe indicata, se pareggia 
lat. sucì succi; giacchè ognuno sa come gli antichi usassero spegnere col vino i 
funebri roghi (8). 

Designò pertanto etnam verisimilmente tale cosa, che, come il vino, potè essere 
adoperata a sacri usi, e però tale cui supremamente conviene il verbo «isna, se 
disse: ‘ sacravit °. Ma s’aggiunge che nelle linee: VII 10 etnam celucum caitim Cereryva, 
VII 2 Culs'cva spetri ectnam, XIr 2 etnam raum ica Oludcva, VII 14 etnam Cilecve-ti, 
troviamo etnam in compagnia di Cerere e d'altre deità; similmente fuori della 
Mummia: G. 804 1. 2 ...etna-X Cexa; e di nuovo poi nella Mummia VI 6-7 subito dopo 
etnam Veldinal etnam Aisunal, abbiamo le parole: Ourxers' (9) in s'acnicla, nell’ul- 
tima delle quali facilmente riconosciamo all’incirca un © sacello ° (letter. lat. ‘ sanquini- 
cula °); infine, per tacer d’altri meno aperti esempi, nella nostra colonna stessa XII 1-2 
abbiamo etnam in compagnia delle dee Aisera che va con lat. etr. Aesar, e S'eu ($ 10): 
etnam aisna ix nac reus'celm) Aiseras' S'eus Qunyulem, cui fa riscontro V 7-8 etnam 
fardan Aiseras' S'eus'. — Fu dunque etnam un sacro liquido, e somigliò sopratutto 
al vino: perciò, una maniera di questo essendosi detta cibarium, parmi lecito con- 
ghietturare che etnam rifletta come un lat. © edanum ’, che si ha veramente nel 
gr. édbavév (10), e designi cioè tal vino quale nella raffinatezza de’ tempi presenti, 


(7) Cfr. nu0-in, lec-in, s'can-in (Sag. 116 ‘ in nocte, in lege, in scamno ’) ecc., umb. pir ed etr. Oefri 
Qufl0as' all. a Oepri Oupl0as e afrs per lat. apros. 

(8) Cfr. p. es. Plin. n. h. XIV 88 legge di Numa ‘ vino rogum ne respargito ’. Del resto a diretta 
conferma dell’analogia fra etnam e murin, incontriamo altresì: VII 20 etmam Velbite, XI 8 murin 
Veldines, VI 6 etnam Velbinal. 

(9) Oun-xer-s, cfr. Qua Ous'a ecc. (Sag. 241) e lat. Mala-cer. 

(10) Circa il genere di etnam, non vedo quale sia: cfr. insieme col quasi sinonimo rev, femmi- 
nile al par di S'ew ($ 10), etnam ix matam con svem matan suem bonam ”, e $ 7. 17 ...etna-y, che sta 
forse per etna(m)-X; quanto al quasi sinonimo vera-s, cfr. gen. venes e oîvog di fronte a lat. vinum. 


158 ELIA LATTES 


usavasi per l’ordinaria alimentazione, ma sarà stato di certo raro e pregiato, quando 
sorsero i riti sacri descritti nelle Fasce. Così a Roma la mola salsa, e il nigrum 
catinum di Numa e i fittili tuscanica degli Arvali: vilissima roba, quando si scrissero 
i documenti che a noi ne ricordano il sacro uso, conservato per omaggio a tempi 
in cui questo era nato, quando quella suppellettile appariva tuttavia preziosa, con- 
forme alla povertà e barbarie del costume antichissimo. 


IV. — Il perfetto att. 3° ps. pl. 06umsa e l’acc. sg. svem. 


8. Assai più malagevole che non di «isna eisna, mi riesce determinare il pro- 
babile approssimativo significato di 0umsa. S'incontrò finora soltanto nella Mummia, 
la quale, secondo già fu accennato ($ 3), lo mostra anche in Xy 2-3: halxze. Qui . 0 . 
vacl . cesas-in . 6umsa . Cilva Neri(s'). Canva . Carsi(s') . putnam. Tale azione dovremo 
pertanto trovare significata da 0umsa, che convenga sì a putnam, sì & svem: ora dall’un 
canto put-na-m potrà stare a etr. put-s lat. potus e a lat. potare, come et-na-m &@ 
lat. edere, e potrà similmente sve-m, fino a prova contraria, pareggiarsi a lat. sue-m. 
D'altro canto, avendosi in etrusco: Qui all. a Rui, desn-in all. a hes'ni umb. fesna 
ose. fiisna-, Quluni all. a Fuluni, Oulyniesi all. a Hulxmesi e fal. Folcusio, Oezle per 
lat. etr. Faes(s)ulae (cfr. due iss. prer. p. 46, n. 30) e forse Olecinia = Olainei (detti 
entrambi della stessa persona) per lat. Fluccinius (Sag. 58-60 n. 87), sembrami per ora 
lecito allineare 0um-sa con lat. fum-u-s gr. @iu-0-g, e conghietturare che significhi 
letter. ‘ fumarunt ° per ‘ cremarunt ’; invero, secondo il pensiero dell’antica teologia, 
potè, direi, siffatto verbo adoperarsi tanto per la vittima sacrificale svem, quanto per 
la pozione versata sul fuoco, giacchè almeno della untuosa kvioon dice Giove: 
tò Yàp Adafopev Yvépag (Il, IV 48). 


V. — Le altre parole del contesto. 


9. Chiariti e fermati così, mi lusingo, i capisaldi dell’interpretazione, passo a 
giustificarla studiando ad una ad una le parole del testo, delle quali non accadde 
ancora toccare, nell’ordine in cui si trovano. — Lin. 1 Bi etnam, con cui giova con- 
frontare: a) Mummia XI 6 etnam Bi, donde risulta probabile che alcuna speciale atte- 
nenza interceda fra le due voci; b) F. 2340 ci clenar e F°. 327 clenar ci, M. XI 9 ara 
Qui e XIr 5 Oui aras', M. XIr3 tei lanti inine es'i tei, Lenno sialyveiz aviz e aviz 
sialyviz: dove la stessa voce ora sta anteposta, ora posposta, come 0i in 0i etnam 
e etnam di; c) F. 1914 A 15 naper s'ranczl Oi insieme a F. 2003 tus'urdii, F!. 106 
mii spural e G. 642 mii (da solo), insieme con F. 1247 tus'ur0i, F. 354 mi Fulnial, 
F. 1048 mi Unial, Not. 1887 p. 362 mi Atial, G. 627” e Mittheil. Rom. 1887 p. 267 mi 
(da solo): donde appare che Oi ben può essere mera varietà grafica di 6i; d) F. 1914 
A 15 maper s'rancel dii con A 5-6 naper XII, A 24 naper ci, A 16 hut naper, 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 159 


F. 346 = C. I. Etr. 48 hu0 maper: donde consegue, che la voce naper sempre essendo 
accompagnata da numerali, tale vuolsi presumere anche 0% (11) e che pertanto, se 6i 
non ne differisce, sarà pure esso un numerale; e) M. XT 9 vaclinam e VII 12 cntnam, 
preceduti dalla cifra V in rosso, insieme a VI 10 fler vaclinam dezeri è VIII 16-17 
Qezin fler vacl etnam: donde risulta che vacltnam, contratto da vacl etnam, e l'analogo 
cntnam, sono accompagnati da numerali; e però tornare probabile che siffatta com- 
pagnia convenga altresì ad etnam, il che appunto sarebbe qualora 0% di 0i etnam o 
etnam Bi fosse numerale, conforme la possibile identità sua con @ii lascia aspettare; 
£) M VII 5, dove la cifra 0 D, ossia d = 1000 (Sag. 135), in rosso come i due V pre- 
detti innanzi a vaclinam e entnam, sta nel margine di linea contenente la parola etnam, 
la quale ricorre altresì in ciascuna delle tre precedenti linee, e sempre ugualmente 
tutte le quattro volte nell’identica combinazione, ossia le due prime e la quarta Hia 
etnam ciz e la terza Hia trin0 etnam ciz; g) M. Xr 2 0i vacl cesas-in Vumsa e 
XT3 07 0apnes'ts' tritanas'a, in ambo i quali luoghi 9 essendo associato con verbo 
al numero plurale ($ 5), torna probabile che fra questo e quella voce siavi alcun 
rapporto. Tutto ciò considerato, e considerato insieme che etnam, come bevanda 
vinacea non solo ammise, ma negli usi rituali certamente richiese alcuna determi- 
nazione di numero e misura, e che pur di Oci 0e- tei tem può dimostrarsi essere state 
voci numerali (Sag. 142-144), parmi affatto probabile tale qualità anche per 0%. Ora 
etr. 0, che risponde a gr. è in Area0a Crisida Ziumide Palmide Uduze per ’Apiaòvn 
Xpuonidns Aiouidng TTaraundng ’Oduoceds, e, parmi, a lat. d in ca@ra * quadra ’ e forse 
in e8e e adelis' per lat. in-aede e aedilis, trovasi rappresentato da lat. d nelle trascri- 
zioni latino-etrusche Dana Lardia Sadnal Sudernia Ted(a) Teda per etr. Oana Lar0ia 
Sadnal Suorina Tea (cfr. anche Ludnia con etr. lau0n e lat. perug. Veldumnianus 
con etr. perug. Vel0unas'); ben può quindi etr. 0i pareggiarsi a lat. di- gr. èi-, e 
così insieme a dis e dig, e 0; etnam interpretarsi: © bis cibarium (vinum) ’, cioè “ due 
volte’ la nota rituale misura del sacro liquido, così designato e nella proposta versione 
espressa per figura con lat. gr. cyathus. Siffatta interpretazione riceve poi, se ben 
vedo, conferma dall’essere M. VI 12-13 detta 0uns'na(m) “ duplicem” l’etnam del 0uns' 
flers' (letter. ‘ duplicis faleris °) e M. XI 13 tu@)xWla(m) la suntnam (cfr. sup. vacltnam 
per vacl etnam), come qui subito dopo 0i etnam e parallelamente a questa abbiamo 
il nac(e) reus'celm) dunyulem. 


10. Lin. 2 wisna, $ 3 e 4. — Il seguente ix è particola congiuntiva, secondo già 
riconobbe il Krall (p. 24 sg.), ossia circa lat. atque (12): cfr. 1. 9 etnam aisna ix matam 
con VII 22 e XI 4-5 etnam ix matan, donde risulta che ix sta interposto in realtà 
anche nel primo luogo fra due parole equidesinenti (etnam e matam), e però presu- 
mibilmente o concordate o analoghe, astrazion fatta dall’aisna che le separa; cfr. inoltre 
XI 17-18 Qunem /cialyus' etfnam ix eslem cialyus' vanal, dove ix sta interposto fra 
due tali coppie (9unem cialxus' e eslem cialxus'), la cui estrinseca somiglianza pareggia 


(11) Cfr. Sag. 149 quanto alla divisione prima proposta di s'rane-2(@)1. 
(12) Trattasi cioè, cred'io, di i(n)-x = i(n)-e = in-c; cfr. ose. inim in(im) inim e $ 12 quanto a 
-c 0 -X per lat. celt. -c -k. 


160 ELIA LATTES 


l’intrinseca, come quelle che hanno comune una delle due voci (cialxus’) ed equide- 
sinente l’altra (0unem, eslem), oltre ad essere poi di tutte tre già nota la qualità di 
numerali ($ 20). Analogamente offrendoci il nostro testo: 0i etmam ix nac reus'ce 
Aiseras' Seus' Qunyulem, sarà giusto sospettare in 0unyulem il termine equidesinente e 
analogo, anzitutto collegato da ix con etnam. — Vedo in 0un-yule-m l’acc. sg. con- 
cordato con etna-m, di 0un-Xulo-, derivato, sul fare di lat. sin-gulu-s, da 0u-n e per 
via di questo da 0u, come da lat. duo, ossia appunto etr. Ou, lat. du-onu-s b-onu-s; 
interpreto quindi 0unyulem © duplicem °. — Vedo in S'eu-s' il gen. sg. di un nome 
feminile uscente in -v, come p. es. Vilenu per ‘ Elena’, Oanyvilu-s lat. Tanaquilae, 
Ravndu Ram0u all. a Ramda, leu scritto sopra una leonessa, G. 266 Velia Nuisu, 
Bull. 1881 p. 34 Larsui Ram@0a zifv]u, e come p. es. umb. etantu mutu per etanta 
muta e lat. tanta multa, osc. Viteli vid lat. Italia via; reputo poi S'eu un nome di 
dea, come Lasa Vecu, Alpanu o Alpnu, Culs'u, perchè sempre occorre in compagnia, 
come qui, della nota dea Aisera o Eisera (M. II 12, Vò 20), oppure (M. V 10. 14) 
insieme con S" (lat. Seia), preceduti entrambi da Eiser plurale di Eis o Aîs, e però 
identico con etr. aicoi per Oeoi (Hesych.): cfr. p. es. clenar (pl. di clan) ci (0 zal) 
acnanasa, papalser VI acnanasa, du-lutfe]r e tu-s'urdir scritti sopra o sotto la figura 
di due persone, e 0u-X iXutevr riscontro abbastanza preciso di umb. prinuvatur dur. 
L'associazione poi di S'eu con S', che ragguaglio a lat. Seia, e l’aversi, a parer mio 
(Sag. 75) nelle Fasce (VIII 7) reu-x pel riva-x della lamina di Magliano, mi persuadono 
essere S'eu la stessa parola che lat. -siva in Opeconsiva. — A reu testè detto, ran- 
nodo io reu-s'ce, diminutivo derivato da quello per via del suff. -sco di vedvioKog 
taidiokog oikiokoc, suffisso che trovo (13) in ham@i-sca laivi-sca delle Fasce (cfr. ham@es' 
laes') e, come in lat. e-sca po-sca e forse vescus (Brugman, Grundr. II 259), così p. es. 
in fali-sca mari-scu-s scutri-scu-m aci-scu-lu-s (cfr. $ 17 etr. ena-s'c-la), e altresì in 
Etru-scu-s Tur-sku-m Fali-scu-s Vol-scu-s, del pari che in got. Thiudisk lit. Prussizkas(14). 
Designa rev nella Mummia, come cercai mostrare altrove (Sag. 75 sg.), un sacro 
liquido, analogo esso ancora al vino e però all’etna: leggiamo infatti M. VII 8: 
reur zineti ramue0 vinum afcil]0 ame È liquamina in tina ramea (et) vinum in servili 
ama °; ib. 5-6 vinum paiveism acile ame © vinam bibesium in servili ama’; VII 14 
acil(6) ame etnam ‘ in servili ama cibarium (vinum)’; VII 7 reu-x zina caved 2us'leva-c 
macra s'uri © liquamen in tina cava tortivumque (letter. ‘ torculivumque °) in mor- 
tuali (letter. © macro ’, cfr. makrake © morì’ e lat. maciem larvalem) copò ° (Sag. 48. 


(13) A torto quindi Sag. 23 n. 38, se meglio oggi m’appongo, allineai lo -sca di queste voci con 
quello di Skanesnas Sanesnas' ecc. A favore dell'equazione Scarpia natus = Casprial, che il PavLi 
(Altit. St. III 119) si compiace di vedere abbandonata dal Dercke, sta però (F. 1275 con F!. p. 102) 
Plute Scatrnia con 1279 Plaute Catrna, quantunque naturalmente non si tratti, nè qui, nè per Casprial 
Scarpia, neanche per me, di metatesi, ma soltanto di sca- = sa- = ca-. Quanto a s'acniestres’, malgrado 
Pacsinial all. a Pacinnial, lo scomporrei ora in saen-ic-s-tre-s'; cfr. s'al(n)enie- con san(e)t-ic sen(e)t-ic. 

(14) Cfr. p. es. Ausones Lingones con pusio tiro Auseli Bimbelli Magelli Statielli Vipielli, e Albanus 
Romanus Sicanus Turdetanus con Albula Romulus Siculus Turdulus, tutti con suffisso diminutivo, ora 
vezzeggiativo (Rendic. Ist. Lomb. 1892 p. 581 n. 27 e ‘ due iss. prer. ’ p. 192). Reputo poi non diverso 
dallo -oko -sco predetto (cfr. D'Arpors pe JusAINviLLE, Prem. habit. de l’Eur. I 365 con MiiLLeNBOFE, 
Deutsche Alterthk. III 177 sgg. contro I 86 e Pauri, eine Vorgr. Inschr. von Lemnos II 259 con 198 sg.) 
V -a-sca (cfr. FLecnia, Nomi loc. It. sup. 63) dei Liguri: come cioè Vi-ne-la-sca Vi-ne-le-sca, così etr. 
ena-s'c-la lat. aci-scu-lu-s e Mut-ue-sci. Fale-sce Fali-sci Tauri-sci Tauri-nî. 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 161 


139 sg.). Insieme all’identico riva della lamina di Magliano manderei pertanto re(W)v 
con lat. rivus (15); e però reus'ce, letter. rivulus, viene e per la forma e pel senso a 
toccarsi con lat. po-sca. Infine per analogia così di ei tul var all. a cim tul var nelle 
Fasce, come di Leta all. a Ledam sul bronzo di Piacenza, di ipa Ma.ani ( iBn 
Maanium°) di un epitafio cornetano (F. 2279, 3) di contro a Manim arce (‘in arca 
Manium °) d’un epitafio viterbese (F.3 327, 4), penso esser caduto in fine di rews'ce il -m 
dell’accusativo, intatto in 0unyulem, come in etnam; sicchè reus'celm) Ounyulem presenti 
combinazione uguale a lat. arc. sudegit omne(m) Loucanam. Risulta pertanto reus'celim) 
Aiseras' S'eus' Qunyulem (‘ rivalum [dearum]| Aesariae [et| Sivae duplicem [vini] °) 
perfettamente parallelo a 0i etinam (‘ bis cibarium [|vinum]”), e ben va ad esso con- 
giunto da ix lat. atque. — Resta mac, premesso a reus'celm). Esso conferma anzitutto 
il significato testè attribuito a questo, sul fondamento della sua connessione con rew 
e dell’analogia di reu con vinum; infatti come qui nac reus'ce, abbiamo M. IXy 1 
nacum aisna hindu vinum: vi abbiamo cioè associata con vinum, che trovammo testè 
congiunto e parallelo di reu, la stessa parola (nacum), che la nostra colonna ci dà 
(nac) associata con reus'ce; inoltre veggiamo qui nacum vinum associato con aisna 
‘saeravit’, in compagnia del quale ci dà la nostra colonna subito prima di nac 
reus'ce, come altri testi ($ 6), etnam: quindi si conferma l’ analogia di reus'ce con 
ctnam, e la relazione con reu e con vinum. Ma nacum, oltrechè con aisna e vinum, 
sta qui in compagnia di hin0v, in fine al quale per le ragioni addotte a proposito 
di reus'ce(m), supporremo caduto un -m, sicchè in realtà si tratti di nacum hindu(m) 
vinum: ora hindiu s'intitola nell’epitafio di S. Manno (F. 1915) la su@i o * sepolcro ° 
(F. 1915 cehen: sudi: hindiu); Hindia è una donna velata fra Caronte e l’ombra di 
Pentesilea (F. 2147); hindial Patrucles s'intitola l'ombra di Patroclo (F. 2162) e hindial 
Terasias' o Teriasals l ombra di Tiresia o Tiresiale (F. 2144, F°. 407); non si sba- 
glierà quindi molto conghietturando che Rindu(m) vinum dica all’ incirea quel che 
presso i Latini inferium vinum, e che nacum, hin®u(m) vinum possa interpretarsi 
all’incirca: ‘ denicale inferium vinum ’. Invero l’unione di nacum con hindu(m) rav- 
valora l’opinione (Bugge e Deecke) che etr. nac nacva nacna e altrettali vadano con 
lat. nex gr. véxug zend. nacu ecc.; opinione a favore della quale stava già da tempo 
l’epigrafe: may, di un’olla cineraria perugina (F. 1972), e sta ora l’aversi nace me 
in principio, e mulu in fine, dell'iscrizione arcaica letta sul vasetto della tomba del 
Duce a Vetulonia (Not. 1887 p. 494 e t. XVI, 5, 5°), come in principio di un epitafio 
sanese (F.429) s'ha: mi murs, e in fine: mulune; sicchè pareggiato me a mi e mulu 
a mulune, risponde nace a murs, cioè a parola verisimilmente connessa con etr. murs"! 
murzua e con lat. mors mortuus. Codesto nace, che sta a nacum come Aule a lat. Aulus 
bonus Aulum bonum, presumo io ritrovare nel nostro nec, privo dell’-e non già, direi, 
per apocope, ma sì per semplice omissione della vocale medesima che notossi in fine 
del susseguente reus'ce: infatti (cfr. Deecke, Magl. 20. 20), come lat.arc. regem Antio- 
cho(m), omne(m) Loucanam, Fourio(s) tribunos militare(s), multi(s) modis, tecti(s) fractis, 
Gnaivod patre(d), aire(d) moltatikod; come (0. I. L. 1 1313, XI 3160) lat. fal. lectu(s) I 


(15) Letter. lat. rigua: cfr. p. es. ativ con ativu a lat. etr. Ativai, Luiscla laes con laivisca e 
lat. Zaevus. 


Serie II Tom, XLIV. 21 


162 ELIA LATTES 


datus, umb. agre(r) Casiler, tre(f) buf, veskles snate(s) asnates, sakre(m) uvem, perca(m) 
arsmatiam, osc. Pakiu(d) Kluvatiud, pel. des forte(s) © dives fortis ’, Cerfum sacaracirix 
Semunu(m); come etr. lauin(à) eteri e (Corssen, Deecke) cemulm lescul(im), Lar®ials' 
Atnal(8')-c clan; così trovo io in un epitafio viterbese (F°. 329): spure0ì dpasi svalas(i), 
nel Cippo di Perugia Larezula mevaxyr(a) lautn(a), nelle Fasce Tins'i(m) tiurim © lovium 
mensem ‘’, firi)-in ar9) in igne ardente ’, een(e) zeri lec(e)-in ine zec(e) © agonia sacra 
in lege atque sancta ’, eluri ceri-c zec(e), trau(8') pruxs', vinum trin(um) all. a vinum 
Usi trinum; e così nella tazza di Foiano zel(zi) es'ulzi (forse “ter octies ’), al modo 
che nella tavola del carme arvale: intraver(unt) con consed(erunt) e acceperunt. In tutt'i 
quali esempi vedonsi omessi nella scrittura gli elementi finali d'una parola preceduta 
o seguìta da altra in cui gli stessi elementi sono notati; quindi analogamente nac(e) 
reus'ce per nac(e) reus'celm); e però interpreto: nac(e) reus'celm) Bunyulem È denicalem 
rivulum (vini) duplicem ”. 


11. Lin. 3-8: abbiamo qui di nuovo il verbo eisna © sacravit ’, che già ci occorse 
alla 1. 2 colla grafia wisna, con cui ricorre alla 1.9; ne consegue pertanto contenere 
le linee 1-9 almeno tre proposizioni perfette, la prima delle quali possiam credere 
omai di conoscere quasi a pieno: 0i efnam aisna ix nac(e) reus'ce(m) Aiseras' S'eus' 
Qunyulem “ bis cibarium (vinum) sacravit atque denicalem (vini) rivulum (dearum) 
Aesariae (et) Sivae duplicem ’; non però ancora a pieno, giacchè ci manca il soggetto 
di aisna, che il seguito ($ 19) insegnerà se debbasi per avventura stimar celato nella 
parte illeggibile della 1. 1, e come possa, se mai, in alcun modo supplirsi. — Dopo 
Qunyulem comincia un contesto, che fra la 1. 3 e 1. 8 ci dà tre volte (1. 3. 5) la 
parola mu0, tre volte (1. 5. 6. 8) hilarduna e una hilarOune (1. 3), questo accompa- 
gnato da eterti-c cadre, come uno degli hilarBuna da eterti-c cadra; sarà pertanto 
ragionevole sospettare che siffatte ripetizioni appartengano a incisi diversi, la cui 
separazione potrà sino ad un certo punto conseguirsi coordinandole estrinsecamente. 
Otteniamo così, tenuto conto eziandio per antecipazione di quanto tantosto circa il 
valore delle diverse voci si rende probabile: 


muo hilarQune eterti-c cadre 
Xim ena-c puts medlum0Q Unxva 
muo hilarduna Tecum 
etrin0i muo nac huca Unxva 
hetum hilarduna Bend Cexam 
Qu hursi-c capl 
eisna ena-c hindu(m) hetum hilarduna eterti-c cadra 


nel quale coordinamento il -c congiuntivo suffisso a Ahursi-c e ad ena-c si sarebbe 
dovuto per maggiore evidenza trasportare alla parola qui anteposta, il cui luogo nel 
testo si presenta occupato da quella col -c. Di questo, poichè mi giova per l’inter- 
pretazione parlarne subito, abbiamo primieramente e nella Mummia e fuori non 
pochi esempi, in cui vedesi suffisso alla seconda di due parole uscenti per sillaba 
uguale. Nella Mummia: otto volte (II 8. III 23. IV 16. 19. V 6. IX 6. 13. 21) s'pureri 
me0lumeri-c; poi IV 4. 17 meleri sveleri-c, VIM 4 s'ucri dezeri-c, V 22 eluri zeri-c; così 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 163 


pure cinque volte (IV 15. 20. V 11.14. IX 19) yis' eswis'-c; così infine V 20. 21 Oeiviti 
faviti-c e II 7. V 5.12 ha0r0i repindi-c, V 21 Oesane Uslane-c e IL 19 2ziyne s'etirune-c 
(cfr. 5 /ziyxn]e s'[etir]June-c). Negli epitafi: F*. 398 (con Deecke V 2) Hulyniesi Marcesi-c 
caliadesi; F. 420 Arndal Vipinal-c e F°. 382 Arndal Ruvfial-c; F. 2327 ter" Tarnes 
Ram@es-c; Mon. V II t. 36 (Sag. 150. 202) cis ea0rmis-c. In altri non pochi casi, le due 
parole hanno però comune soltanto 1’ elemento finale. Nella Mummia, come nella 
nostra colonna XII 12 caperi zamti-c, così VIII 10 caperi cam@i-c; inoltre IV 18 ruze 
luzlyne-c (2), V 3 Cilos' s'pures'tres'-c e cinque volte yis' esvis'-c; e così pure IX 8 carve 
fas'ei-c, 14 2us'leve fas'ei-c, VINI 5 /ars'e] fas'ei-c, dove l'uscita, benchè apparente- 
mente diversa nelle due parole (-e con -eî), vuolsi tenere in realtà identica: cfr. yis' 
esvis'c fas'e, allato a y. e. fas'ei, Velia Caine all. a Velia Cainei, Celia Ceilia, Cesi 
Ceisies, Easun Eiasun, Velia, Veilia, Vesial Veisial, Svetiu Sveitus, lat. decreivit leigibus 
pleibes. Negli epitafi: F. 2071 Xuryles Oanyvilus-c, 2340 mayxs mealyls-c. Ora in pre- 
senza di tali e così copiosi documenti, tutti più o meno già estrinsecamente analoghi, 
non par lecito dubitare che etr. -c (Mem. Ist. Lomb. 1873 p. 11 = 271, cfr. Deecke 
Etr. Forsch. 15-37) ebbe ufficio congiuntivo; il quale si vorrà pertanto stimare sino 
a prova contraria esercitato in alcun modo anche là dove manchi l’indizio estrinseco 
della equidesinenza; e però, anche là dove questa non concorra ad attestare estrinse- 
camente che fra le parole collegate da -c intercede alcuna relazione di analogia, dovrà 
questa, fino a prova contraria, presumersi. Ed ecco la riprova: insieme con caperi 
zamti-c 0 zam@i-c, dove -c congiunge due -i, ci dà la Mummia VI 6 0Qeusnua caper-c, 
dove l’equidesinenza manca; ma tant'è vero essere pur qui -c congiuntivo, e però inter- 
cedere fra Geusnua e caper(i) relazione analoga a quella che fra caperi e camti 0 zam@i, 
che, come con questi ($ 5) il verbo sta alla 3? ps. pl. e suona cioè 0umsa e sacnisa, così 
con deusnua caper-c incontrammo tindas'a. Similmente fra poco vediamo ($ 12. 15) xim 
ena-c 0 ena-X, dove ci risulterà essere era numerale, al pari di xim. Così pure IV 21 
Ais' Cemna-c, V 18 Ais Cemna-c, X 10 Eis Cemna-c, VII 16 Ais Cemna-y; dove ricor- 
dato per Ais' Ais Fis etr. aîcoi per Beoi, e ricordato per Cemna il prenestino Gemna 
lat. Gemina e insieme Ianus biformis o bifrons e Diana triformis o triplex, torna già 
di per sè probabile che le parole congiunte da -c o -X siano entrambe nomi di deità. 
Così d’altronde pure negli epitafi: F. 2383 Lar0als' Atnal-c, F! 431 Velus'a Aninai-c. 
Quelli dànno anzi a tale riguardo anche più e meglio. Dànno cioè primieramente 
F. 2335° ‘Lar0al : sey : Lardial-c Alednal, F'. 388 Lar@al : clan : Pumplial-x, F. 2335. 
Plecus : clan : RamQas-c; dove la parola cui sta suffisso -c 0 -x trovasi anzichè col- 
l’ultima, come di solito, equidesinente colla penultima, essendo però fra questa e la 
voce col -c o -X interposto clan ‘filius’ o seX ‘ filia , vale a dire tale voce che fa come 
parte della precedente ossia penultima, e non può da essa staccarsi. Analogamente poi 
leggiamo: F°. 329 /A/rn0al cla/n.] Oanxvilus-c. Ruvfial, dove -c sta suffisso a parola 
di uscita diversa anche dalla penultima, la quale però ne è separata solo da cla», 
come le due penultime equidesinenti testò allegate. Che se nessun caso identico so 
io veder nelle Fasce, mi offrono esse tuttavia tre combinazioni abbastanza analoghe: 
V 231 spural me0lumes'-c, VI 5 cltral mula-x, XI 12-13 Ce/iJal tuyla-c. 


12. Ed ora, quando fra gli addotti esempi si scelgano i più facili e sicuri, chiaro 
apparirà potersi etr. -c -x equiparare a lat. -que fal. -cue (cfr. lat. ne-que ne-c, 


164 ELIA LATTES 


at-que a-c); così nella Mummia: His Cemna-c 0 Ais' Cemna-y È Deus (Sol) Geminaque 
(Luna) ’; xim ena-c 0 ena-y © centum unusque ’; così negli epitafi: Arn0al Vipinal-c 
‘ Arruntialis Vibennalisque ° (cfr. lat. ager vectigal per a. vectigalis); Hulyniesi Marcesi-c 
‘ Holconesius Marcesiusque ’ (cfr. p. es. lat. etr. Ocresia) ecc. come lat. honestius ma- 
gnificentiusque, laboribus susceptis periculisque aditis ecc. Ma s° aggiunge a riprova, 
occorrere talvolta il -c sì negli epitafi e sì nella Mummia suffisso anche a due parole 
consecutive, alla maniera di lat. rexque paterque, urbesque gentesque, diesque noctesque: 
F. 2340 /-Affufnas-c. Matulnas-c; Mummia IV 4. 16 hate-c repine-c (cfr. IM 23 
hante-c (2) repine-c); ib. V, 10. 14 Eiser S'i-c S'eu-c. Dei quali tre casi, nel primo le 
due parole consecutive cui -c sta suffisso, hanno identica 1 ultima sillaba (-as), nel 
secondo la vocale finale (-e), nel terzo nemmeno questa (-i con -u): esso entra 
quindi nella categoria di yim ena-c e di Velus'a Aninai-c: Lasciato ora qui da parte 1l 
secondo caso tuttodì piuttosto oscuro, nel primo sta il -c suffisso a due noti nomi 
propri (Afuna lat. Aponius Afonius e Matulna), nel terzo a due nomi di deità, cioè 
($ 10) lat. Seia e -Siva in Opeconsiva: si tratta adunque in due sopra tre casi, di 
voci delle quali sin d’ora possiamo ammettere che sono realmente analoghe, e con- 
cludere quindi che anche il doppio -c usarono gli Etruschi al modo del doppio -que 
latino. — Dopo di che, facciomi a considerare i cinque -c della nostra colonna: 1.3 
hilardune eterti-c cabre e 1.8 hilarduna eterti-c cadra; 1. 4 yim ena-c; 1. 6-7 Unyca 
hetum hilarQuna Gen hursi-c capl-du, Ceyam ena-c cisna hindu hetum. In nessuno di 
questi luoghi la parola con -c finisce come quella che ad essa precede; già però 
accennammo e tantosto vediamo ($ 15) di una (xim ena-c © centum unusque ’), che -c 
vi congiunge parole affatto analoghe. Ora cotesta parola con -c (ena-c) riappare indi 
a poco; quindi torna ragionevole credere che pur qui abbia essa il medesimo signi- 
ficato di prima, e però che l’abbia altresì il suo -c. Questo occorre poi già tre parole 
innanzi (hursi-c cfr. VII 9 mula hursi); nè par legittimo supporre che a sì breve 
distanza possa avere significato diverso. Restano i due eterti-c, ambo le volte prece- 
duti e seguiti da parole diversamente uscenti, ma fra loro in ambo le occasioni non 
solo analoghe, sibbene quasi affatto identiche (hilarQune e cabre, hilarduna e cadra): 
esse parole hanno adunque coll’ interposto eterti-c uguale rapporto, e però devesi 
anche al -c di quello assegnare funzione, fino a prova contraria, congiuntiva (16). 


13. Ritornando ora al proposto schema ($ 11), e anzitutto alle parole contenute 
nelle lin. 3-8 dopo 0unyxulem, vedesi ai tre mu0 corrispondere rispettivamente nei 
varii incisi paralleli: puts, hetum, hindu hetum, capl hursi. Di tutte codeste voci la 
più facile ad intendere, e però la più acconcia, in causa: del parallelismo, a lumeg- 
giare le altre; è puts. Leggiamo infatti nell’ epitafio di Laris Pulena (G. 799, 1. 6): 


(16) Notevolissimo (Sag. 208. 6) sarebbe il riscontro gallico ioredo locito-k ‘ fecit locavitque ? (Srorks). 
— Quanto a Hulxniesi Marcesi-c caliadesi, letter. © Holconesius Marcesiusque caliatesius ’, credo signi- 
fichi: ‘ dimorante nella kad di Marce Hulynie®; così Lar0al sex Lar0iale Ale0nas ‘© Lartalis filia 
Lartialisque Aletiniae ‘, cioè f. di Larte e di ‘ Lartia Aletinia’, o per indicare che pur la madre 
era della stessa gens, o il matrimonio perfetto da lei contratto, e la piena legittimità dei figli, atte- 
stata dall'assunzione del nome maritale. Circa il -sé del primo testo, agli argomenti del venerando 
Faprerri (Atti Acc. Tor., 1890-91, XXVI, p. 172) in pro del dativo (Pauri e Busce, genitivo), risposi 
secondo il poter mio, Sag. 194 sg. cfr. 74. 127 sg. 147. 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 165 


melecraticces puts, ossia per me put(u)s, omessa nella scrittura della seconda sillaba 
la vocale scritta nella prima; ora che melecraticces sia derivato col suff. -ico da 
uerixpatov, torna evidente; a ragione pertanto il Deecke (Magl. 18) ne dedusse doversi 
il concordato put(u)s allineare con lat. potus. Ma s’ aggiunge di presente (S. 30-34), 
che le Fasce ci dànno ben nove volte: cisum pute, e che cisum occorre una volta in 
epitafio tarquiniese susseguito da tamera, il quale in altri epitafi tre volte s'incontra 
in compagnia di venas ossia lat. vini (cfr. lur-venas lat. lora vini); e però cisum risul- 
tando analogo a vena (cfr. lat. mustum circumcisitium o circumcidaneum), abbiamo 
nelle Fasce pute in relazione col nome di una bevanda, come appunto put(u)s nel- 
l’epitafio predetto di Pulena; abbiamo vale a dire entrambe queste voci connesse 
con altre che supremamente convengono con lat. potus potare, cui 1 apparenza loro 
già consiglia di riportarle. — A puts, di cui si determina più innanzi la ragione 
grammaticale, come a’ tre mu0, fanno poi riscontro nel testo nostro hetum e hindu(m) 
hetum. Ora questo ci richiama a nacum hindu(m) vinum È“ denicale inferium vinum 
($ 10), e dà sospetto che pure hetum possa designare cosa non diversa dal paral- 
lelo puts. E veramente leggiamo M. XI 4: hetum . vinum . Gil . vacl . hexz . etnam, 
dove hetum che vedevamo testè unito a hin0u(m), epiteto di vinum, sta esso mede- 
simo associato con vinum. Ma v’ abbiamo inoltre hey con etnam, termine analogo 
esso ancora di vinum; ora M. VII 11 ci dà hecia . aisna . clevana: xim. ena-c Usil e 
XII 4 xim. ena-y. Unyva . medlum® . puts; donde risulta hecia xiùn ena-c essere paral- 
lelo di yxim ena-x puts, ossia hecia parallelo di puts, come nel nostro testo puts di 
hetumj; quindi hetum hecia hexz son voci verisimilmente connesse. Siffatta deduzione 
riesce poi confermata da ciò, che come hetum vinum, hindu hetum, hindu vinum, 
abbiamo M. X 15 hindu heyz e tre volte heys'9 vinum (IV 9. IX 6. 7) 0 vinm (IV 14): 
arroge che hetum, dietro l'analogia di Ataium per ’Axtaiwv e di Utaunei per lat. Octa- 
viana (17), potrà supporsi alterazione fonetica di he(c)-tu-m (cfr. hectam) part. pass. 
passivo di un verbo hec- hex- (cfr. hex-2 0 hexs'0), al modo di etr. e lat. pura-tu-m 
da lat. pura-re; il che posto, hetum dovendo essere un ‘potus’ simile al wvinum e 
all’etnam, qualora si consideri che anche etr. e sta spesso per ai ce e etr. A s'avvi- 
cenda con f (18), non sembra illecito congetturare in he(c)-tu-m il riflesso etrusco di 
lat. faeca-tu-m e scorgere la base di lat. faex in etr. hex-e hey-s'0 hec-ia. Nè manca 
forse un principio di riprova: perocchè, come testè hecia clevana, così M. VII 15-16 
etnam ic (2) clevrn8 s'uci-c, ossia clev-ana con hec-ia e clev-r-n- (loc. clevrn-6, cfr. lat. 
cav-er-na tab-er-na) fra ctnam ° cibarium (vinum)’ e s'ucî lat. succi; quindi primie- 
ramente hecia apparisce parallelo e simile a s'ucî, ossiano circa * succi vinacei °, quali 
appunto sono le facces; in secondo luogo se clev-ana e clev-r-n- si suppongono far 
famiglia con lat. eluere cloaca, potrà hecia clevana interpretarsi allo incirca: * faeces 
purgatae ’ (19), ossia si avrà con hecia tale aggettivo che ben conviene alle faeces. 


(17) Cfr. n. 13 sart-ic sent-ie lat. © sanct-ico- ° e Setumi Setumes Setumnei Setumnal, lat. volg. Setimus 
Setimius per lat. Septimius; e fuori d’Etruria, cfr. prenest. Vitoria, umb. petenata tettom-e, lat. volg. 
fa(c)tum le(c)to. 

(18) Cfr. Esera Aisera etr. lat. Aesar, Cnevi Cnaive-s etr. lat. Cnaeve lerzinia (F. 1914 A 18) Laer- 
sinas; Hastia Hasti Hasdi Fastia Fusti Fas@i, har0(na) farBana farO(ana), Hausti-s' (dea) lat. Naustae. 

(19) Cfr. sul vaso di Moncalieri (F 2614 quat.) «ska eleivana © doxéc olivanus ’, cioè ‘da o ‘ di 
olio ’; ossia eleiva-; eXoîov = lat. Achivus: Axaîos (Iss. paleol. 105). Quanto a Mlakas Sela di quel 
testo, che altrove è Zilî Mlax(s), v. Sag. 154. 


166 ELIA LATTES 


14. Divenuto omai pertanto probabile che tre de’ termini paralleli a mu@, cioè 
puts lat. © potus °, hetum lat. “ faecatum ’, lin0u(m) hetum lat. “ inferium faecatum ’, de- 
signino cose liquide e vinacee, torna ragionevole ricercare fra queste anche mu0 me- 
desimo. Ora per cisum, nove volte compagno di pute nella Mummia, già accennammo 
aversi riscontro assai preciso nel mustum circumcisitium e circumcidaneum del 
Lazio, e del resto anche la sacrima de’ riti latimi fu ©“ mustum inditum in amphora ° 
(Fest. p. 318 M.); supposto quindi che siasi in fine di mu09 omessa, come in put(v)s, 
la vocale della sillaba precedente, e reintegrato così mu@(v), non pare esorbitante 
sospettare che dia esso, priva del -m ($ 10), la risposta etrusca di lat. mustum: 
cfr. F. 1123 Cre0nal e 2397 Cveon con 1120 Cvesonal e 1748 Xvestnas', tutti, meno 
Cveon, di Perugia; inoltre cfr. Caialida Epleda Lusceneda con Caialisa Claucesa Luscesa, 
Reusi Reusial Fasi Fasntru con Reusti Reustial Fasti Fastntru, Remena Nus'ei con 
Nustesa Remenal, Xvesnas (G. 689) di Perugia col perugino Xvestnas' testè addotto; 
infine cfr. Veldinas' Velzinas'ia e Vestrnalisa  VezOrnei con Uduze Uduste Udste 
’Oduooveg, Axvior Axvistr Ayuvitr, ee e0 es't lat. et. — Resta l'ultimo parallelo dei 
tre mu0, cioè hursi-c capl-du. Qui chiaro è sopratutto 9, voce numerale nota dai 
dadi di Toscanella, e da’ più giustamente pareggiata a lat. duo, perchè 0u-lut/e/r sta 
scritto sopra due persone (F. 2095"), tu-sur@ir tu-s'ur0t tu-s'urdi presso a due coniugi 
(F. 2003. 1246 sg.), 0un-s'unu sopra uno schiavo che suona la doppia tibia 
(F. 2033 bis A°). Quanto a capl-, chiede il Krall nelle osservazioni alla sua trascrizione 
(p. 43), se capl-0u non sia da leggere piuttosto di capi :0v; a me l'uno come l’altro 
(capi cioè o capl) tornano di per sè assai probabili. Invero cape è l’ unica scritta 
di una stele sepolcrale perugina (F. 1995), e capi si legge in ambo le iscrizioni di un 
ossuario volterrano (F. 348 bis®% — ©. IL Etr. 142); kape-muka@desa sta sopra un’anfora 
(F. 2583), kapes-Sli sopra due vasi dipinti (F. 2197 Vulci, F° 409 Italia meridionale), 
nipi kapi mirnunei su vasetto fittile (F° 83) di Chiusi. Ora, cape della stele e capi del- 
l’ossuario ricordano osc. etr. xamditwu per © sepolero ’, e hanno conferma nell’Rrin0a 
cape del Cippo di Perugia (F. 1914 A 14), che ben s’interpreta: © mortuariam capidem ° 
(Corssen © mortui capulum ’); mentre poi kape kapes kapi essendo scritti sopra vasi, 
rinsaldano l'opinione che questa voce non si possa separare da umb. capif lat. capis, 
opinione assicurata d’altronde dall’apposizione chiusina nipi kapi “vimmmp capis’ e insieme 
forse dall’unito aggettivo mirnunei, se vi si scorga come un lat. © murrinonia ’, ossia 
‘ destinato alla murrina potio’ dei morti. Dirà quindi capi :0v, quando siffatta 
lezione si preferisca, © capides duae ° o * duas ’; e sarà caduto in fine d’ambo le voci 
il -s (cfr. $ 5 oi 0apnes'ts' tritanas'a, aseies ha sacnis'a) o il -r (cfr. ib. papalser 
acnanasa VI e Qu-x ixutevr e tu-surdir con umb. prinuvatur dur) del plurale, come p. es. 
cadde il -s o il -r in cexane di trindas'a cexane sal all. a clenar zal acnanasa, e in 
vacl di 0. vacl Oumsa all. a sacnis'a dui acazr (S. 148); e come in tus'urdì tus'ur0ti 
all. a tus-urBir, e nelle Fasce /lere in craps'ti o nunden zus'leve all. a fleres' in craps'ti 
e eus'leves' nunden e in rils-Qvene(s). Che se preferiscasi leggere capl-0u, io restituirò 
a capl in mezzo e in fine la vocale finale dell’indiviso 06u, regolarmente, secondo gli 
allegati esempi ($ 13.14 cfr. 10), omessa, e nell’integrato cap(#)Iv) vedrò, privo del -s 
o -r plurale, lat. capulos capulas, però nel senso di capidulas (20). La lezione capl-0u 


(20) Oserei poi sospettare che capi(s), 0 capi(x) e cap(u)l(u) risalgano a capi(a)(s) 0 capi(a)(1) 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 167 


darebbe, se mai, uno dei pochissimi esempi di complessi ininterpunti offerti dalla 
Mummia: così nella nostra colonna hilar-duna hilar-gune, e per contro VIT 17.23 ara Quni 
(con spazietto divisorio, ma non col solito punto); così (Sag. 186) reur-cineti reu-y-zina 
hil-x-vetra rils-0vene(s). Che si tratti poi di capi-9u o di capl-6v, il collocamento del 
numerale trova riscontro in X 20-31 halxza-9v (preceduto da 2u0eva cal, es'i-c ci e 
seguito da es'i-c al e Y 3 puntnam du. — Finalmente per ciò ch'è dell’hursi-c prece- 
dente a capi-9u o capl-Qu, vi scorgo un aggettivo di capi(r) lat. capides, 0 cap(#)I() 
lat. capidulas, circa uno ’ha)ur-(1)s-i(a) per lat. haurientes gr. civoydug: cfr. Plute 
Scatrnia con Plaute Catrna (n.13), lutni o Lutni con lat. etr. Ludniae all. a lautni, 
lutanda (Not. d. Sc. 1891 p. 227-21) all. a lautn0a (F. 814 bis con Rendic. Ist. Lomb. 
1891 p. 553) lautnida, Luxmnes all. a Lauymes, Atnates caper-c Pacnei all. a Atinates 
caperi Pacinnei. Reputo così hursi capi * haurientes capides ’, equivalere all'incirca al 
chiusino nipî kapi È vimmti]p capis 


15. Parallelamente a 0u con capi o capl, mostra il contesto prima (L. 4) xim 
ena-c con puts, e appresso (1. 7) ena-c con hindu(in) hetum. Se in vero si confrontino : 


M. XII 4 xim . ena-X. Unyxva . medlum0 puts 
VILII hecia . aisna clevana . Xim . ena-c Usil 
G. 799 lin. 6 melecraticces . puts . Xim. Culsu 
Magl. A. lin 1 LXX . ez. XimQm . casdialo 
ib. 3 afrs . ci-ala0 . XimOm 
Cippo A. 22 xim0-s'pel-duta-s'cuna 


si trova che due volte è xim congiunto con ena dalla copula -c lat. -que ($ 11-12), e 
una volta è xim9m preceduto da cifra (LXX), tra la quale ed esso sta ez, che si 
direbbe surrogare il -c degli altri due luoghi, e potrà tanto più quindi, come già 
primo propose il Deecke (Magl. 18), pareggiarsi a etr. es't (cfr. Uduste Axvistr all. a 
Uduze Axvier) e a lat. et): sorge così la presunzione che Xim sia abbreviazione o 
alterazione fonetica di xim0m, e come questo a yim e ee a -c, risponda ena a LXX, 
e sia cioè voce numerale. Il che posto, diventa probabile che lo sia anche yim o 
xim®m, associato com’è con ena due volte e una volta colla cifra LXX; e la presun- 
zione si rincalza, primieramente per 1’ altra associazione sua pur due volte con puts 
lat. potus (cfr. melecratices, precedente ed equidesinente a puts, con uerikpatov), e però 
con parola analoga a etnam, di cui vedemmo ($ 7. 9), come sia spesso accompagnato 
da numerali; in secondo luogo, perchè uno de’ testi riferiti mostrandoci afrs ci subito 
prima di ala0 yim0m, a yxim®9m già estrinsecamente risponde ci, ch'è una delle parole 
numerali dei dadi, e la rispondenza si fa intrinseca e probabile, se col Deecke s’in- 
terpretino afrs e ala9 con lat. apros e alites (letter. alatos); con che, allato a' due nu- 
merali, ottengonsi cose, che sogliono appunto andare numerate nelle prescrizioni 


da *capida(s) *capida(r) e *capid(u)l(u) lat. capides ecc., per iscadimento del 4 intervocalico, quale 
proposi di vedere in umb. capif pihos lat. piatus, e in etr. sarsnaus ‘ cenatae ’, ossia ‘ cenulae ’, 
purts'vav- © pursvatus °, e in lat. osc. Pe(d)uc-etii per l’identico Pedic-uli e altrettali (Due iss. prer. n. 19 
e ind. fonet. p. 191). 


168 ELIA LATTES 


rituali alla maniera di quelle fissate dall’epigrafe di Magliano. Ammesso ora che yîm 
o ximn9 o Xin®m ed cena siano parole numerali, non sembra difficile indovinare il 
valore con sufficiente probabilità etimologica, e sarà nuovo argomento che spettino 
appunto alla categoria cui li attribuiamo; in effetto già il Deecke (Bleipl. v. Magl. 17) 
allimeò yim0n con lat. centum e lit. seimtas, ed enza (Woch. f. Klass. Philol. 1892 col. 1253) 
con lat. oînos cenus unus, got. dins lit. v-énas: cfr. anche etr. venas venes con gr. Fowog. 
— Quale sarà però la relazione sintattica di xim ena-c con puts e di ena-c con 
hindu0n) hetum? Quanta questo, niente permette di vedervi struttura diversa da 
quella di capi-0vu 0 capl-9u: si tratterà pertanto di un nom. acc. sg. ena(im) hinBu(m) 
hetum. Quanto a puts, il -s, come nelle altre favelle italiche, conviene anche in etrusco sì 
al nom. e gen. singolare, sì al nom. acc. plurale: vedemmo infatti pur testè 06 dapnes'ts' 
tritanas'a (‘ duo sepultores ter libarunt ’) e usedes ha sacnis'a (‘ arulae - sacerdotes hic 
sacrarunt ’), e ci dànno le bilingui i nomi proprii etruschi Cafates Pisis per lat. Cafatius 
Phisius, e mostrano altre epigrafi p. es. hindial Patrucles o Terasias' sull’ombra di 
Patroclo o Tiresia (F. 2144. F'. 407), puln Marces per © pelvis Marci’ (F. 2642 con 
Corssen 1219), Clauces o Viplis' puia per © Glauci’ o © Vibillii uxor ° (F. 929. 1587). 
Ora, sebbene si presenti a noi più probabile che xim ena-c puts, e più ancora puts 
melecraticces significhi ©‘ 101 (misura) di bevanda melieratica ’, anzichè ‘101 bevande 
melecratiche ’, tuttavolta il confronto con ena-c hin8u(m) hetum e con tutti i simili 
esempi in parte già allegati delle Fasce (V vaclinam o cntnam, putnam du calatnam, 
halyza Qu, ena-c es'i, xim0 es'i, es'i-c ci es'i-c cal ecc.), m’impedisce di ravvisare anche 
in puts e put(u)s melecraticces niente più che nom. ace. plurali. Io per me so imma- 
ginare soltanto, che dopo il numerale si sottintenda sempre una nota e fissa misura 
p. es. il cyathus, e questa col numerale assegnatole faccia apposizione alla cosa mi- 
surata, come in ted. cin Glas Wein (21). Certo è in ogni caso che Xim ena-c e ena 
stanno prima della cosa cui si riferiscono, laddove 9v sta posposto a capi, secondo 
già si vide ($ 9) occorrere altrove. 


16. Seguono al primo mu9 (lat. mustum) le parole: hilardune eterti-c cadre, al 
secondo mu9 il solo WlarQuna; segue all’analogo he(e)tum (lat. faccatum) di nuovo 
hilarduna, accompagnato da 9en9, e segue a Windu(m) he(c)tum (lat. ° mortuarium fae- 
catum °) di nuovo, come al primo mu@, tutto intero il complesso: NilarBuna eterti-c 
cadra; abbiamo inoltre me8lum0, equidesinente di 9en9, con puts e nac huca, che inte- 
greremo in nac(a) huca per le ragioni stesse ($ 14) per le quali integrammo nac(e) reus'ce 
mud(u) put(u)s cap(a)l(u), il quale nac(a) huca è equidesinente di hilarBuna e cadra. 
Ora fra queste voci, due portano il noto esponente -ti -Bî -0(i) del caso locativo, 
cioè dire: eter-ti, come cela-ti c(e)l-Gi “in cella’ da etr. fal. cela lat. cella, come s'pelane-0ì 
‘in sepultura ’, sudi-9G) 0 sudi-ti ‘in sepulcro” da su0i ‘ sedes, sepulerum ’, zine-ti 
‘in tina’, reke-ti “in regia’. Ma allato a questa forma di locativo, ne conoscono 
le iss. etrusche una seconda: S"ene (cfr. lat. arc. dat. sg. Diane) per lat. Senae, are 
‘in ara’, e sulle Fasce ha0re repine all. a ha0r-0i repin-9i e persino insieme acil-8 ame; 
e però anche hilarQune e cadre potranno tenersi per locativi, e eter-ti-c ca@re si rico- 


(21) Cfr. Grim, Deutsche Gramm., IV 285 e DeLBRiick, Syntax, 588. 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 169 


nosceranno come giustamente concordati (22). Abbiamo però altresì WilarQuna deng e 
eterti-c cadra, come altrove cina cave-0 all. a cine-ti ramue-0, macra s'ur-0i e seduma-ti 
simlxa; dunque il locativo potè uscire anche in -@, e starà questo a -e, ossia -ae -ai 
(cfr. S'ene per -nae -nai) come lat. arc. nom. pl. Matrona e dat. sg. Feronia Matuta 
a Feroniae Matutae. Come però si spiega che insieme nella stessa colonna, e quasi 
nella stessa linea, si abbiano forme in -e concorrenti con forme in -4? Io me lo 
spiego col confronto di cresverae hevtai insieme scritti sulla Mummia, e di Tamiae 
Dertone (cfr. Anniae Sefarine, Fonteiae Septime ecc.) offerta da un’epigrafe paleo- 
latina dell'Etruria (C. I. L. I 1345 = XI 2726), dove abbiamo inversamente disposta 
la combinazione stessa di Ankariate Vesiae (Sag. 109) in un’epigrafe veramente etrusca 
(F. 71); penso cioè che come qui -ai -ae -e, benchè scritti diversamente dovettero 
suonare in modo identico, così hilarduna e hilardune, cabra e cadre della nostra 
colonna siansi identicamente pronunciati come uscenti all'incirca .in -@ (23). Del resto 
nella V delle tavole di Gubbio “ à cinq lignes de distance , (Bréal p. 340) leggiamo 
panta muta (B 2) e etantu mutu (B. 6) per lat. quanta e tanta multa. — Quanto al signi- 
ficato di ciascuna delle anzidette parole, per hilarQune e hilarduna già si accennò come 
il confronto con ara Buni consigli di scomporle in hilar e Quna dune; e più vale anche 
incontrarsi nelle stesse Fasce, come ara da solo, così da solo hilar hilare e da solo 
Quni. Abbiamo anzi hilar per ultima parola della nostra colonna e dell'intero monu- 
mento; e vi sta preceduta dal gen. cluctras', sicchè subito, fino a prova contraria, 
ne deduciamo che fu verisimilmente un nome; abbiamo inoltre nella Mummia XI y 5 
Rasna hilar e altrove due volte, uno di contro all’altro, tular Ras'nal (F. 1044 = 
C. I. Etr. 439 e Pauli, Altit. St. III 17 è 56) sopra lapide cortonese, dove Pas'nal 
rispondendo a Rasna, risponde tular a hilar, e Ras'nal essendo aggettivo, cioè 
‘ Rasenniale ° (cfr. Ras'nes' Rasneas ‘Pacéva), ne discende avere Rasna perduto veri- 
similmente il -s del genitivo, e Rasna(s) hilar stare a tular Ras'nal come © ambra 
Tiresiao” hindial Teriasals a “ umbra Tiresialis ° hindial  Terasias' e p. es. lat. Ubri 
Pontificum a libri Pontificales; onde si conferma per Wlar la qualità di sostantivo. 
Una pietra di Montepulciano (F. 937) mostra poi: tular lMilar, e sarà apposizione 
somigliante a nipi kapi È vimthp capis ($ 14), e rinsalderà la relazione di hilar con 
tular; relazione che risulta ulteriormente avvalorata dallo aversi nella Mummia, 
come lo scempio tul, così l’analogo Wil (VI 2 hil-X-vetra cfr. reu-X-cineti, lat. veteris 
it. Vetra), i quali insieme sempre più persuadono kil-ar e tul-ar doversi, sotto il 
riguardo morfologico, allineare con lat. alt-are calc-ar luc-ar, e anche perciò doversi 
stimare, come tular, così hilar sostantivo; s’aggiunge infine a tale proposito il con- 
fronto di cluctras’ hilar, con acil hamqes' laes', acil Hupnis', e con Wlare(s) acil, 
rils-Qvene(s) acil, adre(s) acil, S'erque(s) acil e simili, tutti nelle Fasce. Queste col 
loro ara Buni all. a hilar-0una hilar-dune, suggeriscono come probabile altresì l’ana- 


(22) Cfr. anche Iss. paleol. 98 etr. camp. upsatuh sent Tiianei ' operati sunt Teani ’, cioè ‘ cele- 
brarono il rito’ di cui il vaso così iscritto doveva essere, io penso, documento e parte. Non però 
reputo locativi Turxnal-9i Velcl-di, che interpreto letter. © Tarquinialitius Volcialitius ’ (cfr. lat. com- 
pitalicius ecc.) per ‘ Tarquiniese ” e ‘ Volcense ’; cfr. Magl. casdial0(4) ‘ casta sacra ’ con DeEcKE, p. 17. 

(23) Forse non mancò al lat. arcaico pure un loc. in -a, e s'avrebbe nell’AlDa e Roma delle mo- 
nete (Iss. Pal. 86, n. 120). 


Serie Il Tom. XLIV. 22 


170 ELIA LATTES 


logia lessicale di hilar con ara: d'altro canto risulta dalle allegate epigrafi già prîma 
conosciute, che /i/-ar significò verisiimilmente alcun che di simile a tul/-ar; ma questo 
fu da tempo bene interpretato con ‘tumulo, sepolcro °’; e d’altro canto lat. ara non 
solamente fu spesso cosa sepoletale (cfr. p. esi Virg. Aen. VI 177 © aramque sepuleri ’, 
nei funerali di Miseno), ma sta più volte nelle iscrizioni di quella lingua senza più 
per ‘ sepolcro °; non si sbaglierà quindi molto attribuendo tale valore anche a Wilar, 
e, comunque se ne spieghi l’origine (cfr. Corssen, Etr. I, 468), simile significato. Il che 
anìmesso, anche l’aggiunto 9una dune riesce abbastanza chiaro qualora vi si riconosca 
(cfr. $ 10 Bun=yule-m) un derivato di 0 lat. duo, sul fare di lat. du-onu-s da lat. duo 
appunto (24); invero hilar-0una 0 hilar=dune; se vale ‘in sepulero duplici’ si toc- 
cherà quasi con ara 8uni “ in ara duplici ° (25); ossia l’ara gemina dei riti funebri nel 
Lazio: cfr. nei funerali d’Anchise, Virg.; Aen. III, 305 ‘ et geminas causam lacrymis 
sacravimus aras ’; e Ov. Met. VII 240, a proposito di Medea: ‘statuitque aras e 
cespite hinas dexteriore Hecates ° ecc. — Nè a siffatta interpretazione contraddirà il 
susseguente e congiunto eterti-c cafra o cadre; perocchè ca@ra, dietro l’ esempio di 
Xartillas' insieme con Xvartv in un medesimo epitafio (F. 466°is, cfr. Xestn e Cestnal 
all. a Xwvestnas' CvesAnal Cve0nal Xvesnas) potrà pareggiarsi a lat. quadra nell’antica 
accezione di ‘ quadrato ° {Fest. 268 M. ‘ locus gradibus in quadram formatus °), nome 
opportuno del sepolero in Etruria, dove le camere e i monumenti sepolcrali ebbero 
sì spesso forma quadrata; come poi ca0ra a hilar, risponderà eter-ti-c a duna dune, 
qualora si riconosca ché etr. eftera, gen. pl. eterau(m) eterav(m), e così etrun) fem. 
itru(m)-ta, eteraia gen. eternias eterai(a)s, etrin-0i, etr. lat. Etru-scu-s (E)TU7)-scu-s, 
etr. umb. (E)Tur-sku-m, fanno famiglia con umb. etram-a etraf etre etres etru “ ad 
alteram alteras, altero e alteri, alteris e altero ’ e con lat. iferum. A questo penso 
equivalga etr-iîn-0î, posto nella nostra colonna fra’ due mu9 della lin. 5: mu0 hilarQuna 
Tecum, etrindi mud nac huca Unxva È mistum in sepulero duplici Decumus (habuit), 
iterum in nac(a) huca ($ 17) Uninquus (habuit) °; così pure M. XI 12-13 e0ri fra einam 
e tu(n)y(wla(m) (( duplicem ’, cfr. PunXulem) suntnam; e quindi e8(e)rse ‘ iteravit° e 
et(e)ra-s'a È itevarunt ’ (26). Come poi l’etnico Etrusci, se ben m’appongo (Sag. 29, 209 e 
‘ due iss. prer.° 132-138) significa: ‘i secondi ’ rimpetto a’ prisci o priores, cioè forse ai 
‘Pacéva che li precedettero nell’ emigrazione italica (cfr. lat. prisci Latini, Ramnes 
priores e posteriores, umb. Kasilate, etre Kasilate, tertie Kasilate, osc. pumperias pustmas 
‘ quincuriae posteriores, pel. prismu Petiedu); come etera etru itruta e Vastratto eteraia, 
titolo per tutti di persone non interamente libere, ma pur superiori agli schiavi e ai 
liberti, designarono a parer mio la seconda generazione dopo quella del primo affrancato; 
così forse etera cadra si appellò la © seconda ’ camera sepolcrale, rimpetto alla prima e 
doppia, detta hilar(a) duna. — Che se infine con hilar-0una veggiamo una volta con- 
giunta la voce 0en09, nemmeno questa ripugnerà alle interpretazioni proposte, quando si 


(24) Cfr. bonus con du-ellu-s bellus bellum, con riferimento al bene della parità e al male della 
discordia, impliciti nel numero due: circa il diminutivo duellum, contestato ultimamente, v. Sag. 227. 

(25) Anche ara ®uni è locativo, come celi ‘in cella ?, ‘al par di cela-ti: trattasi cioè di -@i «ei «di -i, 
come (Sag. 107-109) nel gen. Anaini per Ancinai nella stessa epigrafe, lat. etr. Marci per Marciae, 
Larthiaei per Larthiai Larthiae. 

(26) Vedo in e0ri in locativo del tipo registrato nella nota precedente, e in etr-in-Bi un loca- 
tivo del tipo solito in -ti -Bi dal tema ampliato éter-ino-; l’uno e l’altro però ‘von funzione avverbiale. 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 171 


rannodi a dentma 6ens't del cippo di Volterra (F.346 = C.I. Etr. 48, S. 74), e si rendano 
esse voci (efr. Corssen I 621) all’incirca con lat. ‘ saeptum (sepulcrum) saepsit ’ (letter. 
‘ tentimam °, come lat. ‘ vietimam ’, per ‘ téuevog ’ o ‘ templum tempsit ’): integrato 
cioè, conforme alla regola ($ 14) dell’omissione vocalica, Gen0 in der(e)9-(e), e questo in 
0e(n)n-(e)0-(e) 0e(m)n-(e)0-(e), dietro l’ esempio di Ve/li/nna Velimna, Tequn(mas 
Tecumnal, Nusun(n)us' Nusumna, risulterà esso il loc. di un part. passivo fem. del 
verbo, di cui 0ens't è la 3* ps. sg. del perfetto attivo: cfr. ten-0a-s lat. -ten-tu-s, 
sval-0a-s È vissuto’, cilayn-0a-s © stato zila0 ’, meua-0a ‘ munitam ?, he(c)-tu-m lat. faeca- 
tu-m, etr. e lat. pura-tu-m. Forse però precedendo hilar-9una, torna più probabile suppor 
tacciuto in fine di 0en0 l’-a di quello anzichè, come in mezzo, il suo proprio e: legge- 
remo quindi piuttosto /ilur-0una Be(m)n(e)0(a), sempre naturalmente con -a per -ai -e. 


17. Con Wilar-duna forse riconosciamo altresì fin d’ora convenire a pieno anche 
il parallelo nac(@) huca. Conviene invero anzitutto, sotto il riguardo ideologico, nac(@) 
‘ denicalis’ con Wilar © sepulerum ’, almeno in quanto con questo conviene lat. ner. 
Conviene poi forse eziandio hu-ca, se dietro l'esempio di hui Hulxniesi hes'ni all. a 
Qui Oulyniesi desn-in (‘in fano °, efr. osc. fiisna umb. fesnaf-e fesner-e), si ricolleghi 
hu a Qui lat. dui (cfr. cimbr. dui lat. duae), e si ravvisi in hu-ca un derivato sul 
fare di teisni-ca da tesne lat. de(c)ni e di lat. cloa-ca carru-ca lecti-ca. Il che posto, 
nac(a) huca, letter. © denicalis duica ’, direbbe all'incirca quanto Wilar-0una “ sepulerum 
duplex °. — Resta medlum-0, vocabolo oscuro, e, se mai, parallelo a’ precedenti 
solo nel senso in cui nac(4) lo è di hilar, e capl-du È capides duas ’ di mu9 lat. mustum 
e di hetum o hindu hetum È mortuarium faecatum ’. Prima della Mummia, conosce- 
vamo: zilaxnce medlum, e (G. 7-99) me0lumi pul Hermu, parallelo di alumna0 pui 
Hermu e di alumnade Hermu; ossia meQlum in qualche attinenza col magistrato 
(zila9), la cui azione era espressa dal verbo 2ilaxnce (cfr. marnu tenve meylum © maro 
tenuit m-um °), e me0lumi una persona di relazione siffatta col dio Hermes, che la 
simile aveva un ‘alumnus’ del dio (cfr. alumnade con lautni lautn-ate “liberto” e lautn-ata 
‘liberta ’); la Mummia aggiunse poi nove meolumeri (‘ m-arius 9) e un meolumes'. 
Questo occorre nella combinazione (V 22-23): s'acnicla CHlOl . s'pural . meglumes'-c 
enas'cla; è connesso cioè medlumes', gen. di -mi, colla s'acnicla Cilol * sacellum Caele- 
stiale’ ossia ‘ della dea Caelestis ’ ($ 19), come il me0lumi col dio Hermu, col quale 
ebbe che fare anche il testè ricordato parallelo alumnade; analogamente me0lumeri 
ò sei volte sopra nove (II 7. V 6. 13 IX 5-6. 12-13. 21. 22) anzitutto s'acnicleri CAL, 
sicchè, come qui s'acmicla medlumes'-c, così s'acnicleri medlumeri-c ne' tre primi e 
| asindeticamente s'acnicleri medlumeri ne’ tre ultimi luoghi; in tutti nove abbiamo poi 
me0lumeri enas' come qui medlumes' enas'cla; sicchè il personaggio intitolato dal 
mebdlum si trova avere altresì relazione costante con ena lat. unus. Ora, sebbene a 
primo tratto, per un personaggio designato con voce italica cominciante per met- 
torni naturale pensare col Deecke a ose. meddix, pare a me che fra me8-lo-, cui più 
direttamente ci portano i titoli il me0lumi 0 me0lumeri, ed ena, con cui entrambi 
hanno sulle Fasce costante rapporto, interceda la relazione che fra lat. medius e unus, 
cioè dire fra la metà e l’unità; e che queste debbano intendersi di territorio e per- 
sone civilmente e religiosamente raggruppate, sicchè loro sia appartenuta anche una 
s'acnicla, detta perciò enas'ela ($ 10, letter. © unu-sc-ula ’) del me0lumi, cioò propria 


172 ELIA LATTES 


della sua era, e precisamente del me0lo- o metà di questa a lui commessa. Ma come la 
s'acnicla, potè spettare al me@lo- dell’ena un luogo o edifizio detto perciò esso ancora 
circa me0lumo-: ed il locativo di siffatto nome (che potrebbe rendersi all’incirca con 
lat. regia, sebbene questa si appellasse dal rex sacrificus, laddove dal meglumo- sareb- 
besi direttamente appellato il meolum-io-), conghietturo aversi nel nostro me0lum-9, 
luogo di sacre offerte e libazioni, come i paralleli hilarBuna, care, nac huca. Vedo 
io quindi in me0-(e)l- un diminutivo di med-io- (cfr. Medullia e Medulli), sul fare di 
lat. sem-el sim-ul: e vedo in me8-(e)l-um-0- 0 med-(e)l(1)-umo- un superlativo foggiato 
a mo’ di lat. simillimus, significante alla lettera “cosa o persona supremamente in 
mezzo °, come lat. extimo- infimo- intimo- ° cosa 0 persona supremamente fuori, sotto, 


dentro ’. 


18. Passo a dire di Unyva, Tecum e Ceyam. Come Cereryva a lat. Cereris, sta Unyva 
a Uni, il noto nome etrusco di Giunone, la Une che nella Mummia costantemente s’ac- 
compagna con Nettuno (NeQun-s! © Neptuni-culus °, cfr. muni-svl-e0 all. a muni-cl-e0, 
e lat. Ianus Iani-culu-m, Redi-culu-s ecc.) e Malacia (Mlax); così pure sta Culs'cva 
della Mummia al nome della già conosciuta dea infernale Cul-s-u (cfr. Cul-su con lat. 
oc-cul-tu-s e con Cal-u e lat. cal-ig-0); così infine, a tacer d’altri esempi (Sag. 109-112), 
sta Sul-Xva a Sul lat. Sol (cfr. M. VI 17 Martid Sulal “ in Martio Solari’, dove il 
dio Sole sta insieme con Marte, dio solare italico per eccellenza). — Quanto a Tecum, 
erane il ricordo già stato dal Pauli (V 146) restituito fra gli dei del ‘ templum ° eneo 
di Piacenza, dove la lezione ondeggiava fra Te@vm e Tecum, ed eravi Tecum stato dal 
Pauli stesso identificato colla dea Decima dai Romani (Varr. ap. Gell. III 16 10 e 
Tertull. adv. Valent. 32) invocata a favore del giusto parto nel decimo mese. — 
Finalmente per ciò ch'è di Cexam, penso pur sempre che sia Ceya nome di deità 
(cfr. lat. Caca Caeculus con lat. Cecius Cecilius e lat. etr. Babius Cacina Cnaus all. a 
Baebius Caecina Cnaeus), e lo confermano, a parer mio, le Fasce mostrandoci XI 13 
suntnam Cexa e parallelamente subito dopo entnam Oesan; dove come suntnam a 
entnam, risponde Ceya a Oesan, la nota dea dell'Aurora, cui in quelle prestasi culto 
simile al culto del Sole (cfr. XI 10 spurtn Oesas © sportam Aurorae ° con X y 5 spurta 
Sulsle © sportam Soliculae °). Arroge che l’unico testo etrusco (G. 804 1. 4): ...etna-X Cexa, 
in cui prima e fuori della Mummia siasi finora forse incontrata la voce etna, sì spesso ivi 
associata ($ 6) con nomi di deità, ce la dà appunto in compagnia di Ceya: compagnia 
d'altronde già documentata dalla testè detta combinazione suntnam Cexa, perchè 
suntnam, come cntnam, calatnam, vacltnam, è verisimilmente un vocabolo composto di 
cui fa parte etinam (cfr. vaclinam all. a vacl etnam); mentre poi altra non meno de- 
cisiva compagnia risulta dalla triade Herma Tins Ceye di patera orvietana, come 
parallelo non meno decisivo di suntnam Cexa con cntnam Oesan ci porge clen Ceya 
di F. 1055. 2613 confrontato con clen Ounxul0e del Cippo di Perugia (A 12). — Ed 
ora, quale sarà la relazione grammaticale di Ceyam con Ceta? A prima giunta si 
pensa non differisca da quella p. es. di -etna puia con etnam puiam, e sia quindi, come 
questi anche Ceyam un accusativo ; mi vieta però di crederlo il parallelismo di Cexam coi 
due Unxva e coll’equidesinente Tecum, che, reputo, sino a prova contraria, nominativi, 
perchè immuni da qualsiasi indizio flessionale; immunità tanto più notevole in quanto 
che poco prima avemmo in Aisera'-s S'eu-s', due perfetti genitivi. Credo pertanto 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 173 


doversi, fino a prova contraria, tenere per nominativo anche Cexam, e penso con- 
corra esso nelle Fasce con CeXa, come sul bronzo piacentino Le0am (XVII, gen. Le0ms 
IX', o Le0ns IX), con Leda (XXII), e sia -m, come in Tecum Le0am Letem Nadum 
Oe-tlom- (pl. Oe-tlvm-r È duo Tellumones ’) parte integrante, benchè ascitizia, della 
parola stessa (27). — Se però Unyva, Texum, Cexam sono nominativi, quale vorrà 
stimarsene la ragione sintattica? Di quale verbo saranno il soggetto? Unico verbo 
del testo finora studiato, è aisna © sacravit ’: ora quantunque, conforme alla dottrina 
delle indigitazioni, l'intervento personale degl’iddii nelle cose umane sia cosa normale 
e frequente, e quantunque di esso io trovi ne’ testi etruschi più testimonianze 
(cfr. p. es. Sag. 223 Nure@i Meiani canoce © Nortia Mania condidit ’), non mi sembra 
lecito portarne sì oltre l'applicazione sino ad immaginare che si facessero dagli dei 
stessi consecrare le libazioni a loro stessi offerte. Perciò in questo e simili luoghi della 
Mummia non so in mancanza di meglio conghietturare altro, se non che i nominativi 
delle tre deità siano il soggetto di un sottinteso verbo ‘ habuit ’, cui spettino come 
oggetto le cose loro offerte; o meglio, che si tratti come di una registrazione cen- 
suaria, in cui i nomi degli dei stiano di per sè a mo’ di titolo della rubrica delle 
offerte e riti proprii di ciascuno; registrazione di cui il testo della Mummia ben 
potrebbe serbar traccia, se, quale a me apparisce, si giudichi, una compilazione let- 
teraria ritmico-metrica delle Acta pontificum o sacerdotum di un particolare sodalizio 
funerario (Sag. 170). Restituite alla semplicità di simili documenti, penso cioè le prime 
otto linee della col. XII abbiano detto all’incirca: “il dì tale, il tale sacerdote fece 
questo per le tali deità; il dio tale: questo e questo; il dio tale: codesto e quello ’; 
e così di seguito. 


19. Si chiude la prima sezione della colonna colla 1. 9: etnam aisna ix matam V 
vaclinam “ cibarium (vinum) sacravit atque manum quinque (cyathos) sacerdos - vocalis - 
a - cibario(-vino)”. V.$ 6 etnam; $ 3.6 aisna. — Circa matam e l’inseparabile matan 
della 1. 13, noto anzitutto, che la Mummia offrendoci celuc(u)n all. a celucum e eim ei 
per l’ein d'altri testi (Sag. 113-116), possono, sino a prova contraria, quelle due forme 
tenersi identiche; ora matam dietro l'esempio del congiunto etnam, dovendosi sino a con- 
traria prova, giudicare acc. sg., dimostrerà matan, conforme già opinarono il Corssen 
e il Deecke, essere in etrusco l’acc. sg. uscito, oltrechè in -m, anche in -n, come nel 
lat. volgare e forse già nell’arcaico (cfr. C. I. LI 206, 104 Liditinan): per contro presso 
i Messapi (p. es. sanan Aproditan), i Veneti (p. es. Leehtiahn Nerikahn) e i Celti, come 
p. es. presso i Greci, uscì quel caso soltanto in -n. Il nom. mata occorse prima della 
Mummia sopra vaso suessolano: G. 939 mi-mala-Aiianes; il maschile matu in mezzo 
d’epitafio Chiusino: G. 203 Aule i-matu Arndal V, e in fine d’epitafio Viterbese: 
F° 318 matu manimer i, dove è sta posposto a matu, come nel precedente esempio 
va anteposto, mentre poi mamimer sta a medlumeri s'acnicleri ecc. come caper-c a 
caperi; trovo io poi ma0u nell’is. della tazza vaticana di Cere: F. 2404 (con Arch. 
glott. it., Suppl. I 20-52) mi-ni-cedu-ma-mi-madu-. Ne’ primi tre documenti non pare 


(27) La grafia Cexam può essersi preferita, anche perchè poco dopo s'ha Cexa abbreviato ($ 21) per 
Cexa(ne). 


174 ELIA LATTES 


che alla voce onde si tratta possa attribuirsi all'incirca altro significato da quello 
di © morta, morto ’; dirà così il primo documento; ‘ ego (sum) mortua (uxor) Aiani ’; il 
secondo: “Aulus en (0 “ego °) mortuus Arruntialis (cioè © Arruntis f. ’) V (annos natus) ’; 
il terzo: ‘ mortuus Manium - deditissimus en (0 “ego ’)°. E per verità dall’un canto 
celt. mat dice ‘ buono ’; dall'altro canto significa “ buono ° lat. manis, e la dea Bona fa 
in molti rispetti famiglia con Mania; ma non basta: dall’un canto “ buono ’ fu il Cerus 
cantato dai Salii di Roma, e ipa murzua Cerurum (° iBn mortualis Cerorum ’) 0 sui 
Cerinu(‘sepulerum Cerrinium °) ecc. designarono il sepolcro gli Etruschi; dall'altro canto 
dei Maatuis Kerrivkis fa menzione fra gli dei osci la tavola d’Agnone, e a Roma stessa 
mane il ‘ buon ° mattino, successore, della negra e ‘ triste ° notte, parente etimologico 
dei Manes, si tocca con matu-tinu-s e colla dea Matu-ta. Ne deduco pertanto che 
mata matu magu significarono, come lat. manis, “ buono * e quindi ‘ morto ’; e sino ad 
un certo punto mi apparisce ciò riprovato dallo svem matan della nostra colonna: 
perocchè se non di ‘porci buoni’, parlano gli antichi autori (Varr. r. r. II 1. 20; 
Fest. 318 M. = 464 Thew.) di porci puri detti perciò sacres (cfr. Plaut. Rud. IV 
6.4 = 1208). — Per la cifra V seguente a matam (che per strano caso, direi, coincide 
col matu V chiusino), v. $ 9 e). — Ultimo abbiamo vacltnam, soggetto di aisna e della 
proposizione, ed equidesinente con etnam putnam calatnam cntnam suntnam: ora, mentre 
et-na-m put-na-m, ben vanno con lat. edere e potare (etr. puts puds pute), se cntnam, 
conforme alla conghiettura ($ 14. 16), doversi supplire agli opportuni luoghi la vocale 
notata in uno (p. es. put/u/s mu9/u]), s'integri in c(a)n(a)tnam, supplendo al principio 
la vocale conservata in fine, e se similmente s’ integri vac-(a)l e si pareggi a lat. 
voc-alis (28), si troverà con esso corrispondente il concetto fondamentale di que’ due 
vocaboli e altresì quello degli analoghi rimanenti cala-tnam e sun(u)-tnam, perchè 
come vac- con lat. vocare, andranno quelli rispettivamente con lat. calare canere sonare; 
nè sarà poi mera ipotesi, essendosi letta, secondo già si accennò ($ 14), sopra l’im- 
magine di un diauleta la parola: 0un-s'unu ° doppio-suonatore ’ (letter. © duonisonon °), 
e ben potendosi, parmi, cala- c(a)n(a)- per analogia di lat. -cola -gena interpretare 
con ‘calans, canens ’. Ma all. a vacl-tnam giù vedemmo aversi vacl etnam; sarà quindi 
lecito immaginare che pur calatnam c(a)n(a)tnam sun(u)tnam siano nati per via di 
crasi dalla unione con etnam del rispettivo tema testè fissato. S'aggiunge poi, a conferma 
della relazione strettissima di queste voci fra loro e con etnam, che, secondo già si 
mostrò ($ 9), e questo e vaclinam e cntnam si accompagnano con numerali; nè tale 
indizio manca pure sia per calatnam, sia per suntnam, giacchè leggiamo M. X y 3: 
putnam . du . calatnam, con du lat. duo preposto a calatnam, come V a waclinam e 
cntnamz; M. XI 13 tuxla-c . eri . suntnam . CeXa, dove a suntnam precede tu(n)X(u)Mla(m) 
= Ounyulem È daplicem ° (cfr. VI 12-13 etnam - - Quns'nafm/] 9duns' flers' “ cibarium 
duplex duplicis faleris °). Inoltre come etnam ($ 7) per lo più sta in compagnia di 
nomi di deità, ed anzi già prima della Mummia erasi avuto etua-X CeXa, così qui 
suninam Ceyxa, e XI 14 cntnam Qesan, e X y 2-3 Cilva Neri (ctr. lat. Nerio). Canva: 
Cursi . putnam . du . calatnam, e VIII Esvita vacltnam. Bensì manca siffatto indizio 


(28) Cfr. Axlae ’AxeA®oc, Rutapis ‘Podòrc, cande candce caneda lat. condidit condita, malave malce 
lat. molavit, rayxa8d È rogans ’, favi-ti © in fovea’, umb. maletu lat. molito, lat. etr. favissa lat. fovea. 


_ —_—rrreu tti 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 175 


teologico per vacltinam nel nostro luogo e in M. VI 9; ma supplisce in questo il 
premesso fler(eri), cioè © quel del flere ° (letter. ‘© falerarius °), parola eminentemente 
sacrale (letter. lat. falere) per ‘cosa alta’, e quindi ora ‘ altare ’ ora ‘statua ’ 
di certe deità (Sag. 158 sg.); e supplisce in quello 1 analoga congiunzione con 
aisna ° sacravit’, che rannoda vacltnam alle numerose deità prima nominate. Dice 
adunque, se le esposte ragioni si approvino, letteralmente vacl-(e)tnam © vocans ci- 
barium (vinum)’; e in simile modo cala-(e)tnam cla)n(a)-(e)tnam sun(u)-(e)tnam 
‘calans’ o ‘ canens” o ‘° sonans cibarium (vinum) ’: io non so quindi pensare, se non 
all'uso antico e moderno di accompagnare i riti con certe formole e suoni, onde la 
frase latina praeire verbis, e i vocaboli gr. lat. spondaules spondaulium; sicchè siffatto 
uso essendosi, io penso, osservato in Etruria anche nella consecrazione dell’etna e 
nelle sacre libazioni con esso celebrate, e l’etna essendosi adoperato così di frequente 
ne’ riti, che la Mummia ne parla 40-47 volte, potè sorgere un titolo sacerdotale spe- 
cifico, in cui entrarono insieme e il nome della cosa (etna) e il modo del relativo rito 
(vacal- cala- cana- sunu-). Bella conferma di tale spiegazione, almeno nella sua 
sostanza, sembrami essere poi ora offerta, dalle parole: kalatnenis' vilatos' dell’iscri- 
zione maggiore di Novilara; giacchè vilatos' equivalendo manifestamente, se mal non 
vidi, a lat. velati, e però accennando alle cerimonie del rito Romano velato capite, 
non può parmi kalatnenis' (ossia un derivato in -ena del predetto cala-tna-) designare 
se non persona sacerdotale (cfr. © due iss. prerom. ’, p. 36). Considerata ora di nuovo 
la frequente associazione di etnam e con aisna e con vacl, parmi verisimile che 
vacltnam o vacl, debba reputarsi il soggetto anche del primo aisna (1. 1-2), soggetto 
a noi nascosto dalla lacuna, dove pertanto m’avventuro a supplire: /vacl./ Bi: etnam 
aisna (cfr. XI 4 0il . vacl . hexz . etnam). 


20. Studiata così minutamente la prima e maggior sezione della XII colonna, 
e giustificata già, mi lusingo, per occasione di quella, in buona parte l’interpretazione 
proposta in principio anche per la seconda, osservo circa i numerali Qunem cialyus' 
con cui essa incomincia, che le Fasce oltre a Qunem, ci dànno ciem, eslem e marem, 
e già prima nel Cippo di Perugia si sarebbero potuti avvertire xiem e tem (S. 28. 144), 
come già prima in un epitafio (G. 658) erasi restituito esle/m/(Deecke). Che si tratti 
di numerali, non può dubitarsi; come 0unem con 9u, va cioè ciem yiem con ci, eslem 
con esals eslz es'ulzi, marem con may, tem (in compagnia di amer plurale di ama) 
con ei; inoltre nel predetto epitafio, esle/m 2/-agrumfi]s, che ricorre tal quale nel- 
l’eslem cadrumis' della Mummia (VI 14), sta alla fine preceduto dal solito avils ‘ anni ’, 
e però fa riscontro p. es. a F. 2073 avils XVIII, F. 442 avils XXXII, Fò 316 
avils XXXVIII, G. 800 avils LXXV, tutti in fine d’epitafio; così pure in fine all’epi- 
tafio F. 2070 avils ciem-za@rms e nella Mummia IX Y 2 ciem cealxus', X2 ciem cealXue, 
come nella nostra colonna 9umem cialxus'. Risulta pertanto chiaro da questi tre ultimi 
riscontri pur la qualità numerale di cialXus' o cealyus', derivato del numerale ci, che 
sta su’ dadi di Toscanella, al pari di ciem yxiem (cfr. avils yi-s' sette volte sulle Fasce) 
e forse di cem (Sag. 218) e altresì di cis cealyls o celyls. Quanto al significato, in generale 
avils XVIII non sembra si possa interpretare letteralmente che ‘ anni decimi octavi : 
efr. F. 2119 avils XX tivrs s'as “ anni vigesimi mensis sexti’, ed eziandio ©. I L. 
XI 2193 “[mortuus] LXVII aetatis anu’ e 5862 ‘[mortuus] XXVIII aetatis 


176 ELIA LATTES 


sue anno’, testi entrambi tardi ma, notisi bene, Gallici; quindi pure avils eslefm 2]a- 
0rumis, pareggiata la base di eslemp. es. ad “ otto ° e quella di aQrumis p. es. a ‘trenta ’, 
dovrà interpretarsi all'incirca: ‘ anni octavi trigesimi ’; e però altresì Qunem cialxus' 
circa ‘ secundi quinquagesimi ’. Se però siano da reputare ordinali veramente, o non 
piuttosto, cardinali, e come si voglia spiegarne l’origine, e se p. es. 9unem ciem ecc. 
si debbano ad influenza analogica di lat. septem novem e siano stati indeclinabili, od 
abbiano che vedere coi superlativi celtici coemem ‘ bellissimo °, dilem © gradevolissimo ’, 
lugem ° piccolissimo °, è quesito per me assai difficile: osservo solo che il confronto 
di cea-lx-us' con cea-ly-l-s e cezpa-ly-al-s, ossia, per me, circa lat. -dic-ali-s, (Sag. 40 
n. 60 e 175), mi rende più probabile che ciem sia numero cardinale; e alla stessa con- 
clusione inclinerei circa 9unem pel confronto di Ounem cealyus con maxs mealyls-c 0 
sem®@alxls, huAs celyls e cis cealyls, huds muvalyls e cis muvalxl/s], dove con numerali 
-lx-(a)l-s, ossia per me verisimilmente ordinali, s’° accoppiano anche altri, almeno 
in sè medesimi, cardinali; sola eccezione sarà forse (F' 387) es-al-s cecpa-ly-al-s. — 
Ed ora, a che spetterà e da che dipenderà codesto genitivo Ounem + cealyxus'? Con- 
ghietturo per analogia di alcune indicazioni epitafiali e di altri siffatti genitivi delle 
Fasce (S. 165-169), dopo i quali una volta abbiamo il locativo celì “in cella’ (VIII 3 
celi hudis' zadrumis' “in cella quarti trigesimi ’), si sottintenda ‘sepolcro ° pure in 
genitivo; e che il genitivo taciuto, come i due espressi, dipendano dai seguenti locativi, 
quali a me paiono, masn(a) Unialti Ursmnal(ti), che così integro conforme alle ad- 
dotte regole ($ 14.19), supplendo in fine a masn l’unica vocale in esso scritta, in 
fine a Ursmnal la sillaba finale del precedente Unialti: ottengo così due coppie, di 
cui la prima masn(a) Umialti ha riscontro sulla Mummia in cina cave-0,. seduma-ti 
simlxa e eter-ti cagra, e l’altra Unial-ti Ursmnal-(ti) in Marti-9 Sulal(-0). Che signi- 
fichi masn(a), non so; oso ricondurlo a ma(n)s(-a)n(a) e mandarlo con ves-ana ° domi- 
cilium ’, mut-ana © sepulerum ?, s'pel-ana- © sepultura ? e con lat. mansio, e penso in 
ispecie alle sacrali mansiones delle processioni Saliari. Col loc. mas(a)n(a) in -a, alla 
maniera di Mhilar-duna e cadra ($ 16), concorda Unial-ti — loc. di Uni-al “ Giunoniale ’ 
(cfr. lat. Lupercal Volcanal) a mo’ di cela-ti © in cella ’, se0uma-ti “© in septima ’, 
su@i-ti “ in sepulero ° — col susseguente Ursmnal, come con Marti-0 “in Martio’ il sus- 
seguente Sulal © solari ’: e va Ursmnal coll’Ursmini d’epitafio etrusco (G. 836) proba- 
bilmente chiusino e con lat. etr. Orsminnius Orsminnio Orsminniae di Chiusi (0. I. L. 
XI 2370; sicchè ne deduco essersi data una Uni Ursmini, che farà il paio con (F. 440 
quat.® C. I. Etr. 26) Uni Caneda (29). — Succede a0re(s) acil, primo soggetto di 0umsa, 
per me letter. ‘ atrii ancillus ’, ossia, direi, lat. atriensis (Sag. 64-69) della predetta dea: 
cfr. a Roma atrium Vestae, atrium Libertatis ecc. 


21. Le quattro parole che vengono appresso, formano un solo tutto; invero, 
così come qui: an s'acnien CilO Ceya sal - - - 0umsa, leggiamo VII 6: trindas'a . 
s'acnitn an. CIA . ceane . sal; parallelo prezioso anche perchè c’insegna essere il 
nostro Oexa diverso dal solito ($ 18), e cioè verisimilmente una delle pochissime 


(29) Cioè can(m)e0a ossia ‘ condita ’: cfr. Lasa Ra-cun(n)-eta o ° Recondita ° e lat. Consus (Nettuno). 
In F. 2369 l’azione della dea Nur0zi Meiani (lat. etr. Nortia Mania) è espresso dal verbo can@ce 
lat. condidit (Sag. 56 n. 85 con 223 sg.). 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 177 


abbreviazioni delle Fasce; trattasi vale a dire qui di cexa(ne) sal, come altrove (Sag. 187), 
secondo in ciascun caso i luoghi paralleli (Sag. 96, 139, 6 con 31, 118 n. 122, 235 con 
137 e 158), in cui la parola occorre compiuta, dimostrano, ca0drum(is) zus'le(ves') 
0ans(ur) trin(um) un(um) Un(e) fler(eri). — In an vedo una particola ora enfatica e 
iniziale, ora mediana e congiuntiva (Sag. 116 cfr. 221); il secondo ufficio, che qui le 
spetta, sembrami risultare evidente da Bull. 1880, p. 61: ci. mux . ara . an . ci .sesaQri, 
dove an collega due membri comincianti l’uno e l’altro per ei; così qin (30) in F. 103 
tular s'pural ain puratum ‘ tumulus spurii (letter. spurialis) et puratus’ (S. 28 n. 44 
e 208, 6). — Ma quali parole congiunge codesto an? Penso, il soggetto primo a0re(s) 
acil, ossia l’atriensis della dea Uni Ursmini, col secondo soggetto Ceya(ne) sal © sacer- 
dotes Cecae tres’: come lat. font-anu-s hum-anu-s urb-anu-s * quel della fonte, della 
terra, della città’, così etr. cex-ano-, e ulteriormente cey-an-eri (cfr. lat. etr. Vol-an- 
er-ius Cas-in-er-iu-s °), © quel della dea Ceca”. Non però, io sospetto, furono essi tre 
semplicemente sacerdoti di questa dea: perocchè sebbene non veda chiara la rela- 
zione sintattica di s'acnien o s'acnitn (cfr. aQumitn tes'amitn) CHO con Cexa(ne) sal, 
credo non scostarmi assai dal vero allineandoli coll’ hermeri Slicales dell’ epitafio di 
Laris Pulena; ossia, per me, un sacerdote (cioè ivi il defunto stesso) di Hermes e 
Selia (etr. Sela Selaei Zili Sli, lat. etr. Selia, etr. dimin. Sli-cla sul fare di Ouf9i-cla 
coll’a epentetico di ArnAalis'ala per Arn0alisla) o, meglio di Selia Hermia, binomio teo- 
logico a mo’ di lat. Janus Iunonius, Maia Volcani, Nerio Martis, umb. Vesuna Puemunes 
Puprikes, Tusa S'erfia S'erfe Marties, etr. Mlakas Sela, Zili May, Mlacas' Mani, Nurozi 
Meani (lat. etr. Nortia Mania), e sulle Fasce Cilva Neri, Canva Carsi (Sag. 111. 224). 
In effetto s'ucnicn (cfr. lat. vati-cinium patro-cinium) o s'acni-tn (cfr. lat. Libitina Liben- 
tina Florentinus) non si può manifestamente separare da s. asì sacni, aseies sacnis'a, 
sudi sacniu (Sag. 24 sg.); ora di quest’ultimo abbiamo quasi la traduzione in Cic. Phil. 
IX 6. 14: ‘“sepulcrorum sanctitas’ e ‘“sepulera sanctiora fiunt vetustate ’; 
giacchè su0i da tutti ora ammettendosi che valga ‘ sepolcro (cfr. lat. sedes solium *sodio-, 
ant. ir. suide), basterà ricondurre sacn- a sa(n)c-n- per riconoscervi lat. Sanquinius, 
derivato di Sancus, ossia sanctus. Quant'è poi a (#0, sta esso a Cil0-cva come lat. 
Ceres a etr. Cerer-xva, etr. Culsu a Culs'-cva, etr. Sul-xva a Sul lat. Sol, etr. Ma0-cva 
a osc. Maattis lat. Matuta ($ 17); e del resto fra gli dei del bronzo piacentino 
(Deecke p. 50) incontriamo Cilen e Cilen-sl (letter. © Cilen-culo- °, come Ne0un-sl 
‘ Neptuni-culo- ’, Veti-st © Vedio-culo- ’ (cfr. lat. Aes-cul-anus Jani-culu-m Redi-culu-s, 
etr. Oufldi-cla Sli-cale-s); e sopra una terracotta raffigurante due dee, di cui una è 
Minerva, leggesi (F. 20952) Mera: Cilens (non Cil-ens), ossia verisimilmente Mer(r)a 
per Me(n)r(v)a, e Cilens per la sua compagna. Che anzi, il confronto con Marziano 
Capella avendo mostrato (Deecke 1. c.) che questi pone Juno Caelestis precisamente 
nella regione medesima (° bis septena ’) da Cilen-s! (XIV) occupata nel bronzo; e aven- 
dovisi anzi, subito dopo (XV), Tin(a) Cilen(s), cioè questo in tale compagnia (etr. Tina 
Tinia ° Giove ’), quale egregiamente conviene a Giunone, io non esito a riconoscere 
in etr. Cilens appunto lat. caele(n)s- donde poi, cred’io pur sempre, cueles-ti-s (cfr. p. es. 


(80) Sta cin ad an come avil Ananis atiu Clantis ad aivil Anainis aitu Claintiz, e fa quindi con- 
ghietturare che an debbasi ricondurre ad *«ni: cfr. anche loc. WilarBuna cadra con hilarBune ca@re, 


cioè -a con *-ai -e. 
Serie II. Tom. XLIV. 23 


178 ELIA LATTES 


cisum lat. circumcisitium caesum), e nella dea Cilens la dea Caelestis tanto venerata 
da’ Latini, notisi bene (cfr. Sag. 3 n. 2) dell’Africa settentrionale, per fusione proba- 
bilmente colla simile dea fenicia e fors’'anche libio-fenicia. — Un altro nome di deità, 
vedo io nel gen. Cu-s susseguente a Ceya(ne) sal. La Mummia lo ricorda forse anche 
X 2 insieme ad un suo sacerdote pe(n)0-er-eni (letter. © penderanius ’ ossia ‘ quel 
della pe(n)9-era- o delle pendentiae’, cioè © anatemi pensili ’); certo, direi, l'abbiamo 
poi nella triade (S. 82 cfr. 241) di F. 1054, dove a Cus succede la nota dea Oupl0a-s', 
mentre poi nel precedente Vel-s, il confronto con etr. lat. Vel-it-anu-s per lat. Martius 
(cfr. Ermius per ‘ Agosto °) già da tempo (Rendic. Ist. Lomb. 1871 p. 634) mi persuase 
a sospettare un nome etrusco del dio Marte, anche perchè fra gli dei latini ricordasi 
Heries Martea e il prenome paleolatino Herius, raccostato a umb. heri per lat. vel 
(cfr. ose. Herentatei lat. Volupiae), dice appunto quanto l'omonimo prenome etr. Vel. 
Ricorda poi Cu-s (cfr. ‘due iss. prer.° n. 44) verisimilmente anche il dio Cu-sl-anu-s 
degli Etruschi Reti (cfr. il gentilizio etr. Cu-ie- in Cu-ie-sa Cu-i-s'-la  Cu-i-s-la Cu-i- 
-sl-an-ia-s Cu-i-2l-an-ia), e forse altresì il titolo sacerdotale ku-s-encu-s dell’is. retica 
della situla tridentina, se col dio Cu-s ha la relazione di etr. man-in-ce con Mani 
Meani e lat. Manes (cfr. Sag. 134 ut-ince con Ut-l-ite Ale), e non va piuttosto con 
ebr. etr. Kos" ‘bicchiere’, come forse dap-i(n)c-un con lat. dapis e lat. sab. cup-encu-s 
con lat. gr. cupa (31). — Dipende Cu-s dal susseguente loc. cluce (cfr. qui avanti 
cluc-tra-s' e sup. clev-ana clev-r-n-0), ossia, direi, lat. in-cloaca, forse cioè una sua 
fossa o altare sotterraneo, quali le profonde fosse sacrificali del Cabirion in Samo- 
tracia (Busolt, Griech. Gesch. I° 177) e gli altari ‘ in effossa terra ° (cfr. Sag. 107 etr. 
crap-s'-ti) degli dei inferi nel Lazio (32). Fa quindi loc. eluce riscontro a loc. ma(n)- 
s(a)-n(a) Unial-ti, e dà qualche sospetto che simile locativo s’abbia forse pure in 
s'acnic(i)n(i) CU()A(1), e sarebbe naturalmente un locativo foggiato alla maniera di 
celi “in cella’, 0uni “in gemina” (n. 25 sg.). — Il che posto, avendosi finalmente in 
caperi zamti-c il terzo soggetto del verbo 0umsa, il testo nostro risulterebbe paralle- 
lamente ordinato a questo modo: 


Ounem cialyus' masn Unialti Ursmnal adre acîl 
an s'acnien Cilo Ceyane sal 
Cus cluce caperi zam0i-c 


svem d0umsa matan. 


In cap-er-i io scorgo un derivato in -ar-io (Sag. 31 sg. e n. 46) di cape lat. capis, e 
però come un lat. ‘ capid-ar-iu-s °, non guari diverso, direi, dal cap-en-î che pur s'ha 


(31) Mi avventuro a rendere Cu-s (cfr. Tus' Ouves) con ‘ Quinti° per confronto con cem, se pa- 
reggia ciem e Xiem (cfr. tem-amer © binae amae ’), con Tecum ‘ Decimus’, con Zelv0 da zal zelar zel(zi), 
con Qua Ous'a Tus'e(cfr. però umb. Tuse Turse) ecc., e aggiungo ora Tur(a) Tiiur-s Teuri, tutti forse 
da Bu (cfr. 0Oura tura) lat. duo. Accanto alle triadi numerosissime, una prima cinquina teologale già 
si avvertì Sag. 160. 

(32) Si confronti la fossa detta dai Latini mundus, sacra alle deità infere Dis pater con Proserpina 
e Cerere, e forse connessa colle ‘ februationes ’, perchè Dite anche s’identificò con Februus, e perchè 
da februa degl’inferi superci si disse Februarius il loro mese. I giorni ‘ quibus mundus patet ’ erano 
religiosi come quelli delle Parentalia e delle Feralia. 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 179 


nella Mummia (Sag. 78), e mi riflette come un lat. ‘ capid-an-iu-s ° sul fare di Afranius 
Fundanius e simili (cfr. Vibennius Pescennius). — Niente vedo circa camti 0 zam@i, 
molto vicino a cam0ìi eterau(m) — per me, © consul (letter. *caventius) libertorum secun- 
dorum ’ (Iss. Pal. 47 n. 75), e forse connesso, se non è addirittura identico — con esso 
cam@i (cfr. Catrna Scatrnia, Skanesnas Sanesnas' ece.); per la base, cfr. ca-m agi-m e za-n-1 
(Sag. 139). — Ultime parole: cluctra-s' Milar © il sepolcro della clu-c-tra ’, vocabolo inse- 
parabile da clu-ce e, direi, da lat. clo-aca, foggiato come cle-tra-m umb. kle-tra-m 
lat. mulc-tra fere-tru-m ara-tru-m, e forse qui adoperato con ufficio toponomastico. 
Quale sia però la relazione sintattica di cluctras' hilar con svem Bumsa matan ° suem 
cremarunt manam ’, sgraziatamente non intendo, e debbo accontentarmi di ricordare 
la non meno enimmatica struttura delle Fasce: cisum pute tullur) 0ansur, dove, per 
me, da pute lat. potavit, dipende non solo l’acc. sg. cisum (© vino tagliato ’), ma ancora 
l’acc. pl. tul(ur) 0ansur © tumulos dansios ° (cfr. novil. tas'ur). Sono io così ridotto a 
sospettare, che in questo come nel nostro caso, l’azione sacrale espressa dal verbo, 
comprenda quella taciuta del © pregare’ (cfr. lat. arc. ollas precari); sicchè come 
lat. orare poscere rogare e simili, 9umsa, e così pute e tutti in generale i verbi della 
Mummia, richiedano il doppio accusativo tanto frequente nella sintassi antichissima 
di tutte le genti ariane (Delbriick, Synt. 381 sg.). 

Riassumendo, l’ultima colonna delle Fasce contiene adunque soltanto il ricordo 
di alquante deità secondarie, nominate per occasione di certe minute cerimonie che 
in loro onore si celebrarono da persone sacerdotali di poco conto, benchè assai nume- 
rose. — Nè di meglio mi dànno le colonne precedenti dalla prima all’ultima linea (32): 
materia per verità tanto umile, da tornare inesplicabile a’ profani la grande impor- 
tanza che certo ebbe per chi stimò opportuno di fissarne il ricordo colla scrittura, 
e quella ancor più grande che promette acquistare per noi, mercò agli sprazzi di 
luce insperata che incomincia a gettare sulla vita civile degl’Itali antichi. Si conferma 
intanto sempre più che ben poterono essere stati per eccellenza gli Etruschi il popolo 
delle ‘ Larisse ” pelasgiche (‘ due iss. prer.° 174 sg. cfr. 102-153), dei sepolcri e dei 


(32) Non conviene, per me, tuttavolta propriamente alle Fasce la designazione di ‘ rituale ’, che 
meglio l’egregio Miani (Mon. Ant., p. 34) attribuì all’iscrizione di Magliano, con cui quelle appaiono 
del resto strettamente connesse (Sag. 164. 229, cfr. Mrrani, Op. cit., p. 31, dove si vogliono però togliere 
tius tius'i, perchè si tratta di Tins' e Tins'î). Le Fasce sono, a mio giudizio, delle ‘ Acta’, letteraria- 
mente coordinate in forma ritmico-metrica, di riti in tale e tal tempo celebrati (Sag. 170); l’is. di 
Magliano per contro indica riti che solevansi celebrare in onore di tre triadi infere, la prima (Causa, 
Aisera, Maris!) nominata nella prima faccia, le due rimanenti (Max Oanra Calu-s e S'uris Eis con 
Mlax e Tin-s) nella seconda. Guardiamoci bene però dallo scorgervi “ un vero e proprio breviario 
della disciplina sacrificale etrusca ,; vi si parla invero di pochi dei in un paese che ne possedette 
a centinaia, e di alcuni pochi riti propri di codesti dei nella qualità di inferi. Quanto alle osser- 
vazioni dal benemeritissimo nuovo editore esposte in calce alla sua importante pubblicazione, giova 
avvertire: che Marishin®ians non esiste, ma sì Maris Ismin®ians ossia Marte-Apollo Sminteo; che 
Maris Husrnana (non Hursnana), ossia verisimilmente ‘ l’attingitore ° (Sag. 65 sg. n. 92), non può sepa- 
rarsi dal l'analogo Hermu Huernatre; che in F. 2608bis Ou/0icla (la ‘luna doppia ’ o © piena °) è dea 
indipendente, la quale fa terno con Aiseras (la ‘luna °) e con Trutvecie (forse la ‘luna dei quarti 5 
cfr. osc. trutum truta-s); e che inF.1054 alpan non è già nome di deità, come il seguente turee “donavit ° 
mostrò sempre a tutti, ma una voce connessa con questo, e probabilmente pari a lat. libens (per 
me a-l[a]p-an[s], cfr. alap[a]nas, lat. adlubens), come Alpanu per lat. Libitina Lubentina (Buase). 


180 ELIA LATTES 


morti. Si conferma altresì (Sag. 184 n. 134), considerate le perpetue oscillazioni della 
grafia e della grammatica, apparire inverisimile che abbiano gli Etruschi posseduto 
una ricca letteratura liberamente e pienamente scritta, quale, conforme alle illusioni 
della probabilità attuale, la loro potenza e civiltà fece presumere. Infine le norme, 
che omai si vengono intravvedendo e divisando, della omissione vocalica, mi sem- 
brano confermare il sospetto, che vera patria della stenografia tironiana sia stata 
l Etruria (Sag. 189); mentre poi il progresso degli studii messapici e la ricognizione 
delle congruenze di dì in dì crescenti, a mio avviso, fra il messapico e le altre 
favelle italiche (cfr. © due iss. prer.’ 190. 191 H), getterà, cred’io, luce inattesa sulla 
parte avuta da Ennio in quella cospicua invenzione (cfr. W. Schmitz, Comment. 
Tir. p. 10) e nella riforma dell’ortografia latina, questa e quella già dalla paleografia 
messapica (Deecke, Rh. Mus., 36 p. 577) direttamente lumeggiate. 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 181 


INDICE 


Arcomento. — I. $$ 1-2. Struttura e divisione del contesto. — IL $$ 3-5. La 
3° ps. sg. in -a e pl. in -sa del perfetto attivo. — II. $$ 6-7. Il pf. att. sg. aisna 
e l’acc. sg. ctnam. — IV. $ 8. Il pf. att. pl. 0umsa e l’acc. sg. svem. — V. Le altre 
parole della colonna XI: $ 9. 0î; $ 10. ix, Ounyulem, S'eus', reus'ce, nac; $ 11.12. -c; 
$ 13. puts, hetum; $ 14. mu0, capl, qu; $ 15. xim ena-c; $ 16. hilarduna hilarQune, 
cagra caQre, eterti-c, Gend; $ 17. nac, huca, medlum0; $ 18. Unyva, Tecum, Ceyam; 
$ 19. matam matan, vacltnam; $ 20. Qunem cialyus', masn, Umialti Ursmnal, adre acil; 
$ 21. an, Ceya(ne), s'acnicn, CIA, Cus, caperi, cluctras', hilar. — Riassunto e conclusione. 


Voci ETRUSCHE (33). — a- (a[t]-) n. 33 

(v. alpan); acaer $ 10; Aclinei $ 4; acil 
$ 20; acilò $ 10; acnanasa $ 5; adelis' $ 9; 
adre $ 20; ain $ 21, n. 30; Aîs $ 10-11; 
 aisna $3-6; alpan n. 32; alumna@8e $ 17; 
amce $ 3; ame $ 10; an $ 9. 21; arce $ 10; 
aseies $5; aska n. 21; Atnal-ce $ 11; 
Auclina $ 4; auis'a $ 5; Aufles Afles $4; 
afrs $7. — -c $11 sg. e n. 16; ca@ra 
cadre$ 16; calatnam (nov. kalatnenis') $ 19; 
caliadesi n. 16;camdi $ 20; candce caneda 
n. 29; Canva $ 3.19; kape cape kapes 
$ 13; capeni $ 20; caper-c caperi $ 5, 21; 
kapi capi capl $ 14; Carsi(s') $ 3; cealyuz 
cealyus' $2.19 (cfr. cialyus'); celi $2, n. 25; 
Cemna $ 11; Cerurum $ 19; Ceya Cexam 
$ 18, n. 27; Ceyane Ceya(ne) $ 21; cialyus' 


$ 2, 20 (cfr. lemn. sialyveiz sialyviz); Cilva - 


$3; Cila Cilacva Cilen Cilens Cilensl $ 21; 
cis' 82.19; cisum $13; clevana clevrna $ 13; 
clenar $ 5; cletram $ 3, 21; cluce cluctras' 
$ 21; cntnam $ 2,18,19; Cus Cuiesa Cuizla- 


nias Cuislanias $ 21, n.31. — e.....r(auis'a) 
$ 5; ez e0 $ 14; e0e $ 9; e0ri e0rse $ 16, 
n. 26; ei eim $ 10; Eis Eiser $10, 11; eisna 
$ 3; eleivana n. 19; ena $ 15; enas'cla $17; 
ersim (2) $3; eslem $ 2,20; es't $9; estam (2) 
$ 3; etera eterav eterau eteraias eterai(a)s 
eterti-c $ 16; etnam $ 3,7, n. 7,9; etras'a 


etrindi etru $ 16, n. 26. — wvacl $ 5; 
vacltnam $ 9,19; Veldunas' $ 9; vence $ 3; 
vinum $ 3. — cadrumis' $ 3; cagrumsne 


$ 2; cal $ 5, 14; cam0i-c zamti-c $ 5, 21; 
zanes! 2qrve zati zeri $ 5; zivu $ 10; zilace 


zilayncé, $ 3; zina zineti $10. — ham@es' 


* ham@isca $ 10, n. 13 sg.; Haustis' n. 16; 


heci hecia hectam $ 13; Hermu $ 17; hetum 
heyz heys'o $ 13; hil hilar hilarQuna hi- 
lardune $ 16, 21; hinda Hindia hindial 
hindiu hindu $ 3, 10, 14; huca $ 17; 
hudis' $ 2; hursi hu(risina $ 7, 14. — 
dapnes'ts' $ 5,14; 0e- v. Oetlemr; Oeele $ 8; 
Qen0d dens't Oentma $ 16; des $ 4; Oesan 
Oesas $ 2, 18; desn-in $ 8; Oetlomr $ 18; 


(38) Premetto le abbreviazioni ‘ camp. ’, ‘ nov. *, ‘lemmn. ’, quando sì tratti di voce appartenente 
ad epigrafe etrusco-campana, o all’is. di Novilara, o alle Lemnie. V. circa queste e quella ‘ due iss. 


prerom. ° (Roma-Milano, Accad. de’ Lincei, 1893-94). 


182 ELIA LATTES 


Qeusnua $ 5; Qvene (lat. dueni) $ 15; Oi Qui 
$ 9; Olainei Olecinia $ 8; Quete $ 2; 0u 
Qulut[e]|r $ 14; 0umsa $ 3,8; Quna dune 
Qunem duni Quns' Quns'na Quns'unu $ 2, 
9, 16, 20, n. 26; Ounxers' n. 8; Ounyulem 
810. — è 8 18; -in $ 7, n. 6; ipa $ 19; 
nov. îs'airon $3; ix $ 3,9, n. 12. — laes' 
laivisca Laiscla $ 10, n. 11; Lamtun latni 
lautni $ 4; Ledam $ 18; leitrum $ 3; 
lerzinia n. 16; Limurce $ 3; lupum $ 3; 
lusas' $ 2. — macra makrake $ 10; madu 
manimer $S19; Ma.ani Manim $ 10; masn 
$ 20; mata matam matan matu $ 19; 
Mayan $ 4; me $ 13; meglum -umi -umes'c 
-umeri -um0 $ 3, 17; melecraticces $ 13; 
Mera $ 21; mexlum $ 4; mi mi $ 9,10,19; 
mirnunei $ 14; Mlakas n. 19; Mlax $ 18; 
muo $ 14; mula, murin $ 7; murs $ 3. — 
nac nace nacum nayx $ 3,10, 17; Nadum 
$ 18; naper $ 9; Neri(s'") $ 3; nipi $14. — 
papalser $ 5; nov. Partenus', pevax $ 3; 
pedereni $21; peraciam (0 -cis), nov. polem, 
pruxum, puiam, pulum $ 3; puratum $ 21; 
putnam $ 3, 19; puts $ 13. — s'acnicla 
$ 7; s'acnicn -itn $ 21; s'acnics'tres' n. 13; 
s'adas' s'ane s'arve $ 5; s'aris' $ 2; S'eu 
S' $ 10; s'rancal n. 11; s'rencve $ 3; 
s'pural $ 21; s'uci $ 7; ratum $ 3; Raufe 
Rafe $ 3; reu reus'ce reur $10. — sacnisa 
-is'a $ 5; sacniu $ 21; sal $ 5, 14; seri 
$ 5; svem $ 3,8; Se.la Sli Slicales $ 14; 
spurta spurtn $ 18; sta $ 3; stes $ 4; Sulal 
Sulxva $18; suntnam $ 7,18, 19. — Tecum 
$ 18; tes $ 4; tenve camp. tetet $ 3; Teuri 
Tiiurs' n. 31; tindas'a $ 5; tis $ 4; trind 
$ 9; trindas'a tritanas'a $ 5; tul tular $ 16, 
20; Tur n.31; turke::$8 3; Tus'en. 31; 
tus'urdi -Qii tusurdir $ 9, 10, 14; tuyxla-c 
$9. — ucntum $ 3; nov. solin $ 3; Unial 
Unialti, Ursmini Ursmnal $ 20; Unyxva 
$S 18. — -x$ 11 sg.; yim xim0 Ximom $ 15. 
fir-in $ 7. 


Riassunto MORFOLOGICO (34). — De- 
clinazione: Nom. sg. Cafates © Cafatiùs” 
Disis © Phisiùs °, ambedue nelle bilingui; 
Aufles Afles, kapes, Ais Eis Cilens £., murs; 
aska, Auclina, Canva, Cilva, Aeusnua, 
Cemna f., Ceya, Cuiesa f., eleivana, etera, 
Olecinia £., Mer(oa f., Selli)a £., Sulyva, 
Unyva; alumnade, kape cape, Limurce, 
Raufe Rafe; Aclinei f.,Olaineif., mirnuneif., 
caliadesi, cam0i, capeni, caperi, kapi 
capi f., cam0i -mti, latni lautni, meQlumi, 
meblumeri, nipi, S'i f., Teuri, Ursmini; 
etru(n), civu f., hingiu f., Quns'unu(n), 
madu f., matu, S'eu f., reu f., s'acniu £.; 
acil, Cilensl, hil, hindial, s'pural, sulal, 
tul, vacl; hilar nt., tular nt., Tur; Cexam, 
Ledam, Nadum, Tecum; alpan, Cilen, 
Oesan, clan; Mayan, Lamtun; caper-c 
(cfr. Ounyer-s'), manimer (cfr. memesna- 
mer); nac nax Mlay. — Nom. (acc.) pl. 
aseies, dapnes'ts'; clenar, Eiser, 9u-lut[e]r, 
naper, papalser, tu-sur0ir, reur, Oe-tlmvr, 
acazr, e....r; Ot, tu-s'urdii, tu-s'ur@ì (cfr. 
VelaQri lat. etr. Volaterrae con gen. Marci e 
Shlat. Marciae e Seliae, loc. celi lat. Romae); 
Ceyxane, Oezle f. per lat. etr. Faesulae; vacl 
0î =‘ vocales’ [sacerdotes] duo’, cfr. 
acc. capl-du “capidulas duas’. — Acc. sg., 
calatnam, cletram f., cntnam, estam (2) £., et- 
nam, vacltnam, hectam, matam, peraciam(?), 
puiam, putnam, suntnam; dunyulem, nov. 
polem, svem; ersim; cisum nt., vinum nt., 
leitrum nt., lupum, medlum, meylum, 
nacumnt., pruyum, pulum (cfr.nov. polem), 
ratum nt., ucntum nt.; matan, spurt(a)n, 
nov. elin, is'airon; ena(m) enas'cla(m), 
ham®isca(m), hinda(m), Gentma(m), duns'- 
na(m), laivisca(m), lerzinia(m), s'acnicla(m), 
spurta(m), tuyla(m); cape(m), reus'ce(m), 
pevay(m) = paiveism. — Acc. (nom.) pl., 
melecraticces, afrs, puts; heciant., heci(a)nt., 
hursi(a) s'uci(a) nt.; clevana, hu(r)sina nt., 


(34) Qui più che mai, per le parole di cui siasi toccato in questo scritto soltanto d'occasione e 
di volo, debbo, quanto alle ragioni e prove, onde se ne giustifica, a parer mio, la classificazione gram- 
maticale, rinviare a’ rispettivi luoghi del libro intorno ‘alle ‘due iss. preromane ’, dei ‘ Saggi e 
Appunti intorno all’is. etr. della Mummia” e delle ‘Iss. paleol. di provenienza etrusca. ’ 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 183 


mula (lat. mella); murin(i); capl, s'rancezl. 
— Gen. sg., cluctras', Veldunas', lusas', 
sadas'; Cuizlanias f., Cuislanias f., ete- 
raias o eterai(a)s f. (cfr. ArGaes Velvaes), 
Mlakas o Mlacas'; zanes', ham®@es', laes!, 
medlumes', s'acnies'tres'; Afles, Aufles, 
Sticales ; agelis', cis', za0rumis', Haustis' £., 
hu@is', s'aris', peracis(?); cealyus' o cealxue, 
cialyus', nov. Partenus' £., Cus; clens' 
Qunyers', 0uns' flers' Tiiurs';  Laiscla(s); 
Qvene(s); Carsi(s'"), Neri(s'); Tus'e (cfr. cres- 
verae hevtai, Ankariate Vesiae); Sti (cfr. 
Anaini 0 Anainai gen.) in kapes Sli ‘ capis 
[deae] Seliae ° (cfr. Zilî Mlax con Se . la 
Mlakas e ank(ar) Ankariate Vesiae © an- 
clabre [deae] Faesulanae Vesiae ’; Her- 
mu(s), Oesan(s) Oesa(n)s, Mlax(s), cioè 
M[a|axla](s), in Zili Mlax pari a Se.la 
Mlakas ° Selia Malaciae °, cfr. Mlacas' 
Mani‘ Malaciae Mania ° (35). — Gen. pl, 
Cerurum (cfr. Velusum nefts * Veliorum 
nepos ’, cioò ‘ nipote dell’avo paterno e 
materno per nome Vel’; Arndialum clan 
‘ Arruntialium filius ’, cioè © figlio di 
padre e madre Arrunziali’, ossia entrambi 
figli di padre Arn0 °); Manim, Ma.ani(m) 
come paleol. Maanium; eterau(m) . ete- 
rav(m). — Abl. sg., zeri (0 seri) lec(e)-in 
‘sacra in lege’, QaXs'e-in, Oesn(e)-in, 
fir-in. — Loc. sg. eter-ti, zine-ti, Unial-ti; 


etrin-0i; acil-0, clevrn-0, trin-0 (cfr. 0un-t); 
celi, e0rìi, Quni; ame, arce, cadre, cluce, 
ede, zadrumsne, dune, Quete, s'ane, S'ene ; 
cadra, zina, duna, huca, macra; masn(a), 
nac(a) huca; acil(0) ame, den0(e), s'acnien(i), 
Unialti Ursmnal(ti). — Dat. abl. pl. ces'as-in 
cesas-in: cfr. cesa e lec-in ‘ in lege ” fir-in 
‘in igne’” ecc. con lat. Devas Corniscas. 
— Coniugazione: 8? ps. sg. pf. att. 
aisna eisna sta (cfr. zara = scara con 
scare, tutti per © sacravit °, con -a -e da 
-ai -a(v)i(t) come gen. e loc. -« da -ai 
(-ae) con gen. e loc. -e da -ai (-qe) -ais 
(-ges) -aîas); s'rencve tenve (lat. tenwit); stes, 
des tes tez; Oens't, hexs'0 hexe; amce, vence, 
zilace zilagnee -nuce, makrake, turke; 
e8rse (cfr. Esera nuera ars'e “luna nova 
ortast ’, letter. ‘ Aesaria [ossia ‘ Dea ’| 
novaria orsit ’). — 3° ps. pl. pf. att. 
acnanasa, auis'a, etras'a, dumsa, sacnis'a 
= -sa, tindas'a = trindas'a, tritanas'a. — 
Partic. pres., alpan(s), clen(s): cfr. Cilens. 
— Partic. pass. pass., hectam, hetum, pu- 
ratum, ratum; zilaxnoas, svaldas, tendas; 
0en0; cfr. murs (lat. mort-io-) e aynaz (lat. 
agnat-io- con osc. hurz lat. hortus ecc.). — 
Numerali: 1. (s)m-ax (s)m-ar-em (cfr. 
zel-ar s'ar lat. triarius sextarius e cfr. 
altresì etr. 0u-ra tu-ra con lemn. tove- 
-ro-m-), ena, ena-s'c-la (cfr. lat. Octacula); 


(35) Non esistono, a parer mio, in etrusco, genitivi sg. in -a/ -sa 0 -si, nè doppi genitivi in -alisla, 
nè dativi in -sé 0 -rî: tutte forme, penso io pur sempre, nominativali rispondenti alle latine in -a/ 
-ali-s, -ali-sso-lu-s 0 -ali-culu-s, -s-iu-s -r-iu-s (Saggi p. 173 sg. 194 sg. e pass.). Mancano quindi per 
me di fondamento, anche sotto questo riguardo, certe interpretazioni che soglionsi stimare di verità 
“ palpabile ,; come, per ora, credo mancare di fondamento, anche sotto questo riguardo, l’afferma- 
zione potersi e doversi nell’etrusco distinguere due elementi, l’uno dei quali italico, e l’altro tale 
che ad esso “ nemmeno la tortura potrebbe strappare una risposta ariana ,: invero le parole che a 
prova si citano, o già risultarono' essere, non che ariane, italiche, o presentarono la stessa identica 
struttura di quelle che già si riuscì a dichiarare come ariane ed anzi italiche. Citansi infatti p. es. 
come documento luculentissimo di quella teoria, le linee del Cippo di Perugia in principio della 
seconda colonna: atena zuci enesci ipa s'pelanedì fulumyva s'peldi renedi; ora atena non esiste, ma 
sibbene s' | atena (cfr. A 19 cia s'atene con B 11 zea 2uci), e sarà verisimilmente S'af-ena, sinonimo 
teologico di Zir-na (lemn. Zer-ona lat. celt. Sir-ona) e cioè nome di una deità ‘ San(c)tona ? (cfr. qui 
appresso le congruenze etr. lat. s. v. ceri e Zirna e le congruenze etr. umbre s. v. zati sate); quanto 
alle altre voci, esse si trovano omai quasi tutte plausibilmente, com’'io mi lusingo, chiarite, secon- 
dochè più avanti nelle ‘ congruenze ° cerco mostrare. E però dicono le allegate linee all'incirca: 
‘(Volsinio diede) al (dio) Satena succhi mortuarii (cioè il vinum inferium), [e] un’ ÎBn nel sepolereto 
al (dio) Fulumxva (cfr. Sag. 110 sg. Cerer-xva Sul-xva ecc. con sup. $ 18 Na0um Tecum Oe-tlvm-r), 
[cioè] nella sepolcrale arena ’ (cfr. lat. ‘ mollique tegaris arena ’). 


184 ELIA LATTES 


2.0 (lat. duc) Qui (lat. dui-) 0: 0ii (lat. 
dis- di-) 0e- tei t-em, dun Buna dune Quni 
Qun-em (cfr. lat. duonus Duenus), Qun- 
-xule-m, tu(n)-x(la (cfr. lat. sin-gulu-s 
Octacula), Oun-s'na ‘0-il (cfr. lat. Dui- 
lius) ecc.; 3. 2-al s-al (cfr. es-al-s cecpaty- 
al-s), 2-el-ar za-Qru-mi-s' (cfr. lat. deci- 
ma-tru-s), za-0ru-m-sne; 4. hud hut gen. 
hudis' hu0s'; 5. ci si gen. ci-s Xi-s' cea- 
-ly-u-s cea-ly-(a)l-s ce-ly-l-s, ci-em Yyi-em 
cem; 6. s'a gen. s'a-s, s'-ar; 7. sem®-S'; 
sem®a-lx-ls ecc.; 8. es-al-s  es-l-em es'- 
ul-zi ecc.; 9. muva-lx-l-s; 10. tesne tene 
(cfr. lat. deni); 12. gen. tesns' teis'; 
16.tes'am-sa; 100. Xim®m ece.; unum ece. — 
Pronome di 1° persona: mi miî, me 
(abl. loc. “io per me °); cfr. equ eku ecu exu, 
lat. ego eco ego, fal. eko. — Preposizioni 
e posposizioni: a- -in. — Congiun- 
zioni: an cin -c, ee = e0 = es't, cim ei. 
— Avverbii: e0ri etrindi. 
OSSERVAZIONI FONETICHE. — A per 
ai ae e: $9 adelis' ede lat. aedilis aede; 
$ 20 avil ail, an ain; $ 15, 20 loc. sg. 
-a -e (cfr. 3* pl. sg. pf. att. -a(0)i(t) -e -a 
p. es. scare scara ecc.); $ 17 lat. etr. 
Babius Cnaus; per -avit -avi -av -au: 
$4, 8° sg. pf. att.; per lat. o: $ 7, 3° pl. 
pf. att. -sa lat. -s0; $ 18 malave lat. mo- 
lavit, fav-in lat. in foveà (cfr. favissa, pars 
portio ecc.); metafonesi: $ 20 n. 17 santic 
sentie, capeni caperi lat. Afranius argen- 
tarius ecc.; epentesi, $ 20 Arn0alis'ala 
Sti-cale-s cfr. Oufl0i-cla s'acni-cla. — E 
per ai ae: $ 8, 12, n. 16 Olecinia Olainei 
(della stessa persona), lerzinia Laersinas; 
per i: $ 10 reu-x riva-x, S'eu lat. -siva; 
ca per ia: $ 20 cealyus' cialyus'; eu per iu: 
n.28 Teuri Tiiurs'; per ei; $ 11 Easun 
Velia fas'e all. Eiasun Veilia fas'ei ecc. 
— I per e: $ 17 itruta etru; per ae; $ 21 
Cilens cfr. lat. caele(n)sti-s, cisum lat. cae- 
sum; per u; $ 14 mirnunei murin; per -ia: 
$ 13 heci hecia, bil. Mesi lat. Mesia; per -ùi 
-ei -ai: n. 26, 27 loc., cfr. n. 22 Tiianei 
con Aîianes Tiiurs'; per -iu lat. «ion: $ 3 
Neri lat. Nerion- Nerien-; epentesi e pro- 
pagginazione: $ 10, 21 forse aivil avil, 
Teriasals Terasias', Cus Cuislania.—U per 


au: $ 14 lutni Plute ecc.; per ua eu ev: 
$ 21 eluca, clevana, clevrn9; dileguo od 
omissione grafica: $ 9 tuyla tunyulem. -C, 
dileguo apparente: $ 8 Olainei Olecinia 
(cfr. Velyaias Velxacias ecc.), $ 13 
Ataium, hetum hectam; assibilazione rap- 
presentata da sc o cs: n. 13 Catrna 
Scatrnia, Skanesnas Sanesnas', Pacinnei 
Pacsnial (cfr. camoi camdi, Xaine Caine 
ecc. e fr. cheval per lat. caballus ecc.). 
— X per c: $ 10, 16, 20 n.19 Xartillas! 
cadra, Xiem ciem, nax nac, MlaX Mlakas 
Mlacas'; per lat. g: $ 10 Qun-xule-m cfr. 
lat. sin-gulu-s. — H che s'alterna con f: 
$ 13, n. 18, Hastia harona con Fastia far- 
dana ecc.; per 0: $ 8, 18 hui Bui ecc. — 
T per ct: $ 12 Ataiun, hetum hectam; 
per pt: n. 17 Setumi ecc.; intervocalico (d) 
dileguato; n. 20. — ‘© per lat. d: $°9 
0i 0u cadra adelis' Lardia ecc.; per 2 s 
st (cfr. 2 e s): $ 13 e0 ez es't lat. et, muo 
lat. mustum (cfr. nu0-in lat. ‘in nocte” 
con nuz-lxne È‘ noctilucanus ’); alternato 
con t: $9, 10, 14, 19, 21 0unyulem 
tu(n)x(u)la-c, @u-luter tu-surGîr, Ledam 
Leta, madu matu, camQi camti ecc.; alter- 
nato con 4 0 f: $ 8, 17 Qui hui, Oezle 
lat. etr. Faes(s)ulae ecc.; dileguo di -0: 
$7 acil ame all. a acila ame, nunden0 
eus'leve all. a 2us'leves nunden0, dileguo 
nel primo caso forse solo apparente, 
perchè dopo -! (cfr. etr. -al e tul 0ansur 
con lat. facul semel consul, ager vectigal), 
$ 15 yxim xim0 yxim0m, se non si tratta 
di scrittura abbreviata. — ' alternato 
con s: $ 2, 5 cealyus' tus'urQdii -s'a; al- 
ternato con e: $ 5 S'alvi s'arve ecc.; s'0 
con -2, $ 13 hey-s'0 hexz. — S alternato 
con 2: $ 5, 21, n. 18 sal cal, Cuislanias 
Ouizlanias, Laersinas lerzinia; dileguo 
di -s' -s5:$ 3, 14, 16, 21 Cilen(s) Cilens, 
rils-Qvene(s), Cilva Neri(s'), Canva Car- 
si(s'), Rasna(s') hilar. — Z alternato con 
s' s:$ 5 carve ceri s'arve seri ecc.; per st, 
$ 14. — Pinf:$7,n. 7 Oepri Oefri ecc. 
— F da p: $ 7 Oefri Qufulta ecc.; av- 
vicendato con h: $ 13, n. 18 fur0 har9 ecc. 
— V dileguato: $ 5, 10, 16, 21, n. 15 ati 
ativu, laes' Laiscla laivisca lat. laevus, 0- 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 185 


S'eu reu cadra Xartillas'. — M in n: 
$ 18, 19 Le0ms Le@ns, celucum celucn, 
matam matan; per mm da mp: $ 13 
tam(m)era, lat. temperavit (cfr. n. per nn 
da nd); dileguo di -m: $ 3, 10 ei tul all. 
eim tul, CeXa Cexam Leta Ledam, reus'ce, 
hindu vinum, ipa Ma.ani(m) come Manim 
arce (cfr. xim0 xim0m). — N per nn da mn: 
$9, 16 Veldunas' Nusunus' Tequnas', cfr. 
Velinna; dileguo: $ 9, 16, 21 tuxla itruta 
sacni cild pedereni. — L per U dl: n. 29 
a-l(a)p-an(s)lat. adlubens(cfr.alapn Alapnu 
[Bugge I 15] osc. a-flakus a-flukad). — 
È per rr da rv nrv: $ 21 Mera Menrva. 
— Apocope per crasi: $ 9 caclinam vacl 
etnam. — Epentesi v. A I. — Metafonesi, 
v. A. — Fonetica sintattica: $ 10 cemulm 
lescul(m), umb. tre(f)buf ecc., cfr. $ 16 
loc. -a con loc. -0, 0 -ti loc. -ti con loc. -a. 

OSSERVAZIONI PALEOGRAFICHE. — Tn- 
congruenze: $ 16 loc. -a con loc. -e; 
-ae con -ai -e (cfr. 3% ps. pf. att. scara 
con scare, cure con malave putace). — 
Omissione grafica di vocali, con- 
sonanti e sillabe: $ 10 omessa in fine 
la voc. cons. sill. della voce preced. o sg., 
Larezula mevaxr(a) lautn(a), nac(e) reus'ce, 
spuredì apasi svalas(î), cemul-m lescul(m), 
Unialti Ursmnal(-ti), Marti-0 sulal(-0); 
$ 21 tul(ur) dansur, zel(zi) es'ulzi; omessa 
in mezzo o in fine la vocale notata nella 
sillaba precedente:$ 13 put(u)s, 14 mu0(w), 
16 9en(e)9, $ 17 nac(a) huca, ib. med(e)l- 
|Z]um(u)0, $ 18 M(a)lax, $ 19 vac(a)linam 
sun(u)tnam, $ 20 ma[n]s(a)n(a); omessa 
la vocale propria del nome della conso- 
nante nella serie alfabetica, $ 19 c(a)m(a)- 
inam cfr. c(a)l(a)z e claz, p(e)s'li e pess'li 
osc. peeslom, Pl(a)s(i)nd e lat. Placont- 
(cfr. etr. Tesin0). 

VARIA. — Congruenze etrusco 
latine: A) fonetiche, $ 11 Ceisì 


Veisia ecc. lat. decreivit leigibus pleibes; 
$ 16 -a da -ai (etr. loc. e 3? ps. pf. att., 
lat. gen. dat. e nom. pl.); n. 19 etr. elei- 
vana éNata, lat. Achivi “Ayaîog ecc.; zeln)c 
se(n)ce cfr. lat. mars. Seinq(ualis). — 
B) morfologiche, $ 16 loc. -e -ae -ai 
(etr. S'ene |cfr. cresverae  hevtai] lat. 
Senae ecc.); n. 23 loc. -a da -ai (etr. 
eter-ti cadra, macra s'ur-0i, lat. monet. 
Alba Roma); $ 5, 3* pl. pf. att. etr. -sa, 
lat. -s0; $ 10, 13 etr. clev-r-n- dun-Xule-m 
reu-s'ce lat. cave-r-na sin-gulu-s  po-sca; 
n. 9 Qun-xer-s' (cfr. pahanu-scr=ei con 
paxanac payanate lat. pacus paganicus) lat. 
Fala-cer (cfr. pel. sacaracirix); hatrencu 
manince lat. sab. cup-encu-s; herm-eri lat. 
libitinarius, tul-arlat. cale-ar; Esvi-ta Vel@- 
ita, lantni-ta lat. etr. Never-ita lat. Bonnita 
Iulitta; Velicu danicu lat. Aaminica; s'an- 
tis'ts lat. etr. lanista; payanate alumnaBe 
Frentinate lat. Ferentinatis; payanac lat. 
Bruttaces; Nucr-tele lat. Pisatilis; etr-u 
lat. ancillula famulus pumilio; spurestres' 
1. magistri. — C) sintattiche: $ 11 -c -c 
lat. -que -que, dove fra’ documenti etru- 
schi vuolsi aggiungere F. 2335 atrs'r-c 
escuna-c, confrontando poi atr-s"r, se mal 
non vedo, con a0re acil lat. ‘atrii an- 
cillus° e con care-sr-î hec-sèr-i seda-sr-i 
tana-s(a)r  s'pure-stre-s'" ecc. — D) les- 
sicali (36): acve © in aqua ’, v. Letnle; 
akil acil cfr. pren. a(n)cil{l)a; acnanasa 
‘ut agnati parentarunt °’; acnesem acnina 
‘ agnaticiam ’ (v. clel); aiv-il av-il cfr. 
‘aevum ’; avil‘avilla’; adelis' * aedilis’; 
alapn alpan alpnas È adlubens °; ala@die 
ala®t ‘ alites ’; Altria © altrix ’; alumna0de 
‘alumnus’ (cfr. lautnate); alpazei “ albasio-; 
ama ame amer “ ama, in ama, amae° 0 
‘“amas’; apr|e|ns'a (fem.) aprin0 (masch.) 
‘ sacerdos ab apertionibus ° (Serv. Aen. 
IV 301), letter. “ aperienda aperiendus ’: 


(36) Si comprendono anche le parole studiate nelle ‘ Paleolatine ’, nei ‘ Saggi ’ e nel libro intorno 
alle ‘ due iss. preromane ’. È escluso qualsiasi artifizio di bussolotti etimologici, e trattasi sempre di 
tali vocaboli, di cui il contesto ne’ varii luoghi dove occorrono, sembra richiedere o giustificare, 
ora come probabile, ora come scientificamente possibile, il significato loro attribuito, sul fondamento 


del quale poggia poi il riscontro etimologico. 
Serie II. Tom. XLIV. 


24 


186 ELIA LATTES 


fer. secundus “seguente ’, Coinquenda È“ pu- 
rificatrice ’ ecc., e v. ims'; ara are‘ ara, in 
ara’: ara(i) duni “ arae geminae ’ (come 
lemn. arai tiz, cfr. etr. teis'), aras' peras' 
‘arae ignariae’ (come osc. aasal purasiat), 
dentma aras'a ‘ templum arae proprium ° 
(letter. © arasium ’, cfr. asilm ‘ asialem °); 
-ara8 v. tev-ara0 e cfr. 1. orans; arce ° in 
arca ’; arni (novil. arnuis') ‘ arnas’; arse 
(Esera nuera-) ‘ ortast (luna nova ’, letter. 
‘Aesaria novaria orsit ’); ar-u-s' as-u asu-t 
‘arulae -la, in arula ’: asux ‘ aruccia ”, 
asi sacni © arae sanctae ° (cfr. umb. vuke 
pir ase), asil-m tul “ arae proprium tu- 
mulum ’ (letter. © asialem ’, cfr. 0entma 
aras'a ‘ templum arae proprium °), aseies 
‘ quei dell’asa ’, i sacerdoti di essa); alxn\- 
(leg. aucel), cfr. 1. Auselius'; aue auis'a 
‘aveo, averunt’; axnaz ‘agnaticia’(v. clel); 
ayrum “ agrum’ (lem. aker); afrs ‘ apros’. 

-c lat. © -c -que ’; cacu È cantor 
(letter. © cancon- canicon- ’); cave * in 
cava’; cadinum È‘ catinum ’; ca@ra cadre 
‘ quadra, in quadra ’ (cfr. S'ene); Caipur 
‘ Caipor ’; calatnam È“ calator a cibario ’; 
Calu (dio infero), cfr. lat. caligo calim 
(Deecke e cfr. Kul-s'): dimin. Calus'tla 
‘ Caloniculo ° letter. “ Calonitulus ’, con st 
per # assibilato); cana v. canl; caneda 
(Uni) ‘ condita ° (cfr. Racuneta e lat. 
Consus); cande canQAce * condidit’; cam0i 
‘consul’ (lett. © caventius °); caniraxaò 
‘ candentis (ignis) rogarius’ (cioè canni- 
candi-); canl “è bianco splendido ° (letter. 
‘canulus ’, cfr. lat. Canuleius), dimin. di 
cana lat. cana, sottinteso ‘statua’ o 
altro oggetto ‘ candido’ o ‘ splendido °: 
canl cal * splendida (sepuleri) xa\id ° (cfr. 
celt. novar. kanta lokan © album ° cioè 
‘ splendidum sepulcrum °, gall. caneco 
sedlon ° sedia aurea ’, ven. azan kanta 
‘clavum splendidum °),: 9uta cnl “ dona 
(lett. “ duita °) splendida’, naper ci cnl 
‘quinque splendidas napuras ’, amer cnl 
‘amas splendidas ’; tape -es cape -es capi 
‘ capis °: capeni caperi ° quel delle capides ’ 
(letter. © capidanius, capidarius °), caper-c 
lett. “capidariusque’; Carus'lett.‘(dei) Ca- 
ronis (cfr.l.cara cognatio, caristia); casdial® 


‘ casta (sacra), lett. castalicia’; C20 Ca@a 
Catneis Catnis KaQuniia, cfr. il dio e la 
dea ‘© Catius -ia ’ (lett. © Catonia-iae °); 
catrua È quadrua’ (cfr. ca@ra); Caudas 
cfr. lat. celt. Cauto pate; Keka Ceka 
Cece © Caecus-Cacus ’ 0 ° Caeco-Caco ’, 
‘ Caeci-Caci° 0 © Caecae-Cacae °;  Cexagne 
Cexaneri Keka|s]|e Cexase ° sacerdote di 
Ceya °: lett. ‘ Caecanus, Caecanerius, Cae- 
casius° (cfr. lat. Casinerius Volanerius 
Soebasius); Ceztes * Sestius ’; cela cela) celi 
‘ cella cellae’ o ‘in cella’ (fal. cela); 
Cemna Cemna-c (pren. Gemna) ° Gemina 
(Luna’, cioè ‘piena’, cfr.Ouful0a Trutvecie); 
Centenas “ Centesimi ” (cfr. Cemna Qua 
Ouves' Oufulda Zelv8 Cus Tecum Uni, tutte 
deità di nome numerale); cenu “cena ’ (cfr. 
epl); Cerurum (ipa murzua) © Cerorum (in 
mortualis)’: cfr. Ma.ani Manim; Celr)s' 
zeris' ims' “ Ceri sacri (cfr. Zirna) imi ° 
o‘ inferi ’; ceren Cererxva È cererem, 
Ceres (msec.) ’; cveda lat. volg. © queta ’; 


ci(n) “ quin(que)’; ciz cite © (cae)cidit ’; 


Cilens “ Caele(n)s-tis °; cisum “ (circum)ci- 
sitium ’ o ‘ (circum)cidaneum (mustum) ’; 
clevana detto delle hecia lat. faeces: cfr. 
cluce e lat. cluere cloaca ’; clevrn-0 ‘ in 
purgamento ° (lett. ‘in cluerna ’, cfr. lat. 
caverna taberna); clel acnina È cellulam 
agnaticium ° e acnesem ipa‘ agnaticiam 
inv °); clen Cexa * cultor (lett. © colens ’) 
Caecae ’, clen Ounyulte © cultor (deae) 
Duplicis °, cfr. Ounxulem Oufulda e lat. 
singulus; cluce ‘ cloacae ° (gen. e loc.); 
c(a)n(a)tnam È cantor a cibario (vino) °; cs' 
v. ecs; Cs' per C(ae)s' © Gai”; cure * cu- 
ravit’; Kul-s' Culs'u Col(su) “ Culone Cul- 
sone ' (cfr. 1. oc-cul-tus) e sup. Calu: Kuls' 
nuteras' © Culonis inferi’ (cfr. Laiscla). 

ecn ecnia ‘ agonius’; ecs (e)es' ‘ agonii” 
(da ecni-s *acni-s); ee e0 es't “ et’; e0e 
‘in aede ’; ecu eku equ lat. eco (fal. eko) 
ego ego; e8l ‘ aedilis’; e0ri ‘ iterum ’; 
edrse © iteravit ° (cfr. etras'a); eleivana 
(aska) © olivanus ” (ackég), cioè ‘ da” 0 
‘ di olio’ (cfr. nipi mirnunei); ena “ cenus’, 
ena-s'cla lett. © unusculam ’ (cfr. lat. Octa- 
cula); enes'ci lett. “enecia ’ per denicales.; 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 187 


2uci enesci “suci denicales’ (cfr. nac reus'ce, 
nacum hindu vinum, heci naxva, etnam 
ix matam; epl tularu “ epulam tumuli ° 
(cfr. nac): cenu s'cuna epl-c felice © cenam 
secundam epulumque felix °. 

vacl “ (sacerdos) vocalis ’ (cfr. lat. arx 
Orcus, favissa fovea, jnirus ignorare, pars 
portio ecc.): vacl ara “ vocalis (sacerdos) 
in ara: vacl étnam o vdacltnam ‘ vocalis a 
cibaàrio ° (vino, lett. ‘ vocalis [sacravit] ci- 
barium ’); valce © valuit ” eufemismo per 
‘morì’, cfr. s-valce; Vale ‘ Valentiae ’; var 
(tul-) “ varus tumulus ’, cfr. cela pengna 
‘cella(sepuleri) pendula’, pen0na ope] n ]ina 
ama ° pendula ama’, celi pen trutum * in 
cella pendens quadrum (anathema)”; e/oa 
lat. etr. Volta; Veloun(n)as' lat. etr. Vel- 
dumnianus; venas venes “ vinì” (cfr. ven. 
veno): lur venas © lora vini’, vence © vino 
fecit °, mulvoneke * melle (et) vino fecit ’, 
mulveni “mel et vinùm’ (lett. ‘mellivinia)”; 
versum ‘versus’; vesana ‘domiciliùm °(cfr.1. 
etr. mutana spelana): cì vesana matvesi cale 
sece © hic domiciliùm mottuale in kad 
sancta ’; vetra ‘ vetus ° (fem.); via ‘ via ’; 
vinum pevay 0 paiveism ©“ vinum bibax ’ 
o ‘ bibesium ’; Visca © Vista’: Visca me 
pen ° Viscaè (deaé) ego pependi ’; etr. 
lat. voîsgra letter. © volucra ° (*volera 
*bolera voigra voiscra). 

zaldu © salute (infera) praedita’: cfr. 
Qapna s'al@n “ mortuarium salutare ?, cela 
s'al@n ‘cella (sepuleri) salutaris’ e v. sans’! 
sians' sias' (dei ‘sani’, altari ‘sani ’, 
morti ‘ sani °); canes' v. sane s'can-in; 
zard za: ra‘ sacravit°, carta * sactatùs >; 
zarva carua carve © sacet sacrae (lett. 
‘ sactivus -vae)”; 2arone0 <arfne0 ‘ in san- 
ctitate'” (lett. ‘ in sacronio’); cati catlyne, 
v. s'adas' e nuzlyne; zec (sece) © sanc(t)us 
(cfr. lat. Seinqualis) e zeri seri ‘ s&cer 
een(e)-zeri lec(e)-in in (0 inc) zec(é) © agonia 
sacra in lege et sancta’, zeri-c cec adelis' 
s'acnicla “sacroque sancto aedilis sacello”, 
zifo]u zeral e|ec a]ree (Bull. 1881 p. 60, 
cfr. Bugge I 73) ‘ diva (cioè © morta °) 


sacrata (lett. ‘ sacralis °) sancta in arca 


(jacet)”, Nleres zec sans’! * signumi sanctum 
“ sariim° (lett. “ sancùià' saniculuà ’, cfr. 


sanis'l slans'  sias'); <eral sacrale ’; 
Zirna lemn. Zerona gall. Sirona, lett. 
‘ Sacrona ’; zeriîs' (Ces') © Sacri (Ceri) ’; 
zeri nacya © series sacra denicalis ’; 2ivas 
‘ divus ’: v. zivu in zec; cina zine-ti ‘ în 
tina’; Zina (preceduto da Jane), v. Tind-s, 
Tin-s; zinace zince zi(n)yne zix- s'in(a) 
‘ signavit ° (cin- s'in- da 2ien- sicn-); 2uci 
s'uci ‘ suci°; 2u0(I)eva 2us'leva -ve -ves' 
‘ tortivum -vi (lett. ‘torculivae °): nun0en0 
zus'leve zarve È nundina sacrimae ’ (lett. 
‘in novilunio torculivae sacrivae ’). 

halxza halxzc © falce circumcisitium 
-til° (lett. ‘ falcissa ’, ossia ‘ falce vinea- 
tica circumcidaneum mustum)?; ham@es' 
seides' “ campi (con)sivi’, hampedes' -Q0i 
‘ campicelli, in campicello ’ (cfr. caneda 
Racuneta con lantnita -ida Esvita lat. etr. 
Neverita lat. Bonnita Iulitta); hanuv. fanu; 
harona har98(na) v. fard8ana; hasmun 
‘casmon- ’ (cfr. 1. Casmena); Hausti fa- 
nuse ‘ Faùstae (deae) in hanulo’; heci 
hecia ° faeces°, hectam he(e)tum ° faeca- 
tam -um’, hexz heys'9 ‘ faecavit ° (lett. 
‘ faecsit ’): heci naXva È faeces denicales ’, 
cfr. nacum hindu(m) vinum © denicale in- 
ferium vinum ’; huernatre lett. © haustri- 
nator (Bugge); hu(+)sina (mula) © mella 
haurienda ’ (lett. ‘ haurisina °), hursi capl 
0u ‘haurientes (lett. © haurisia’) capidulas 
duas’; hus'ur husiur © haustor °; huins 
‘ fons ’ (Bugge). 

Qapi(n)cun dapintas', cfr. l dapis e 
cupencus; Oany-v-il cfr. 1. pren. tongere 
tongitio; daura © taura°, daure Bauru-s 
‘ taurus ’ e lett. ‘tauron ’ (ossia ‘ torello °, 
cfr. lat. pumilio pusio tirò, ett. Iinducla 
murs nes') per © defunto’, cfr. lupu è 
lat. ludi Taurii è i ° tori ° epitafiali della 
Spagna latina; Oezeri Oezince dezine 
desuva, cfr. lat. Dis pel. Des des, etr. 
manince ceraneri. hermeri tineri lat. li- 
bitinarius con Libitina; eno dens't dentma, 
lat. dn (con)tempto tempsit templum ; Qesan, 
cfr. lat. dies {lett. © Divesana °); Oe-tom-r 
‘duo Tellumones ’; @vene © dueni bini ’; 
0° di © di-dis dui ’; ® ‘ dualis °, cfr. 
Duilivs; Olu Olu(n)9 © Tellus °; 0v ° duo °; 
Quete © in via (lett. ‘ in ducta'); Ova Ove 


188 n) 


Qui Ouium Ques' Quves', cfr. 1.° dui’; una 
-i -e 0un-s" Qun-t ° duonus ?: flers' Quns' 
e 0un-t tul, cfr. ara duni e hilarduna 
con lemn. araìi tia e lat. ara gemina; 
0umsa ° cremarunt ’ (lett. ©‘ fumarunt °); 
Ouna “ donavi ° (cfr. tun); Oun-Xule-m cfr. 
0un e lat. sin-gulu-m; Qus'a, cfr. Qua 
Ques'  Quves' fanus'e; Qutum pl. Quta 
‘donum -a ’ (lett. © duita °); Oupl0a-s' 
Oupites' Oufulda-s' Ouflda-s' “ Duplex ° 
(lett. ‘ Duplitta ’, cioè la ‘luna doppia * 
o Cemna, ossia ‘ piena °), Oufloicla lett. 
‘ Duplitticula ’: Aiseras Oufldicla Trut- 
vecie “ della Luna, della Lunetta doppia 
o piena e della Luna dei quarti lunari °. 

im-s' i(m)s' © imi, inferi °: Ces' zeris' 
ims' Semunin apr|e|ns'a © Ceri sacri imi 
(et) Semonum sacerdos-ab-apertionibus ° 
(lett. ‘ aperienda ° per ‘ aperitrix ° (cfr. 
pel. Cerfum sacaricirie Semunu); iue iui 
cfr. lat. ibi it. ivi. 

lae-s' lae-ti laivi-sca Lai-scla ‘© laevi, 
in laevo, laeviculam Laevicula ’: cfr. 
Kuls' nuteras' e lat. dii Lacvi o inferi e 
Seren. ‘inferis manu sinistra’ s. v. malce; 
Larezula cfr. lat. etr. Lares (lett. © La- 
rissola ’): Larezula mevaxr(a) © Laribus- 
sacra munera ’; lautni lautn-ate (£. -ata, 
cfr. alumn-a0e) lautn-ia lautn-ita lautn-ic 
lautne-s'cle lautuni-s' © liberto °, lett. ‘ lau- 
tonius ’ ossia ‘ lautino °, il piccolo lautus 
(cfr. lat. pusio tiro ecc.), cioè minore e 
dipendente dal lautus suo signore e pa- 
trono; leic (2) les'cem Lescan lescul cfr. 
lat. “ liquidus ’; Letem, cfr. 1. letum e al- 
tresì luetus nel senso di etr. eal0u s'al0n 
e della beatitudine sepolcrale; Lescan 
Letem, cfr. Nettuno infero; Letnle acve 
(Letanulae’ o ‘Laetanulae in aqua’), cfr. 
osc. Diumpats Kerrtiats; leitrum ‘litamen’; 
lile * delicavit ’: Hermu zara lile Col(su) 
‘ Hermae sacravit, dedicavit Culsoni °; 
lucu È lucus °, lucairce © luci sacerdos ’ 
(lett. © lucaricus °); lupu ‘lupus’, letter. 
‘lupon-’, cioè ‘ lupino ° per ° morto ’ (cfr. 
lat. luperci, sacerdoti di deità infere e 
percuotitori delle donne sterili con etr. 
Oaure lat. taura e ludi Taurii); lupuce 
‘lupucio °: lupuce surnu lett. ‘lupus (Ditis) 


ELIA LATTES 


soranus °, lupuce Calu surasi © lupus Ca- 
lonis sorasius’, cioè divenuto per la 
morte proprio e devoto di Dite Sorano, 
etr. S'uris o Calu S'uris (cfr. epigr. Naev. 
‘itaque postquamst Orci traditus the- 
sauro); lur venas ‘ lora vini’: luri miace 
‘in lora meavit’ dopo la morte, diguaz- 
zando fra’ beati nella perpetua ubbria- 
chezza cantata da Museo (cfr. vence lupum 
‘ vino fecit pro mortuo ’, puiam amce 
‘uxorem vino-adfecit ’); lut(ni) v. lautni. 

Ma.ani (ipa) © Bn Maanium ? cioè 
‘ D. M. Sacra” (cfr. manalcu Manim Ce- 
rirum), macra ° macra °; makrake ° morì ° 
e divenne cioè “ macer ’ delle “ macies 
larvalis’ (Petron.); malave malci malce 
‘molavit”: malce clel lur “molavit cellulam 
(sepuleri) lora ? (cfr. Seren. ‘ inferis manu 
sinistra immolamus pocula”), malvi Qanri 
‘ molavit (deae) Thanurae ’; Male Malena 
Malstria, cfr. lat. mdlus; manalcu (su8ì) 
‘ sepulerum D. M. sacrum ’ (lett. ‘ sedes 
Manalica ’); Manim arce ° in Manium 
arca ’, cioè ‘“D. M. sacra’; man-im-er 
man-in-ce © defunto’, come connesso su- 
premamente colle cose (‘ man-ima-) dei 
Mani e come dedicato ad essi (cfr. caper 
caperi, dezince e lat. victimarius libitina- 
rius con sab. cupencus); mar-va-s mar-u(n) 
mar-un-u-(n) mar-u-tl © Maro maro ma- 
roniculus °; macestrev- Macstrna mastr, lat. 
etr. Mastarna ° magister ° (cfr. it. mastro) 
‘ Magisterna ’; mata matam matan madu 
matu matves matvesi © buono ° per morto”: 
cfr. lat. manis Matuta matutinus con mane 
(v. vesana e cfr. Lar® matves con Aule 
i matu, e con mi mata Avianes); me mi 
‘me’ (lett. “io per me’) per ‘ ego ° 
mi-ma 0 ma-mi cfr. lat. © egomet ’; 
Mean Meani Mani © Mania ° (cfr. fal. 
Meania per Mania); mevaxr(a) © munera °: 
cfr. Clevsinas (non Clevsi. Nas'avlesa) 
Clevsinsl® clevana cluce, lat. munus murus 
moenia con simul-acru-m e osc. sakara- 
klu-m; mirnunei (nipi-) © vimmp murrinae 
(potionis) ’: cfr. aska eleivana e kape 
mukadesa; Mlakas Mlacas' Mlay °Malacia”, 
MlacuX © Malacuccia ’; mlaQ ° molatas : 
mlad cem arni ‘ molatas quinque arnas ’; 


L’ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 189 


Muan-tr-s"l (lett. ©“ Manitoriaculo ’, doppio 
diminut., forse msc., di‘Mania’): cfr. Mean 
con mealxls e muvalyls; mu0 © mustum ’; 
mula “ mella, mulsa , mulveni © mel (et) 
vinum ’, mulveneke ecc. melle vino fecit ° 
o ‘feci’; mulsle © mulsulum °; multl letter. 
‘ mellitulus ° per ° defunto ’, forse come 
imbalsamato, forse come onorato colle 
libazioni di mul-ven-i; mun® “ mundus ’ 
per © morto °: cfr. lat. mundus, la (fossa) 
‘“monda’ (ossia forse © dei mondi ’ o 
‘ morti’, cfr. qui avanti sans'!) sacra a 
Dite; muns-le lett. ‘ mund-ulu-s ’ per 
‘morto ° (cfr. hindu-cla murs'-1 nes'-1); 
murin (s'uci-) © suci murrini ’, cioè © mur- 
rina’ o ‘ murrata potio ’; murzua murs 
murs murs's ° mortua -uus -ui ° (efr. lat. 
‘ hostia prodigua prodigiva’ cioè ‘© dei 
prodigi °), murs'-1 lett. © mortulus” it. 
‘ morticino ’ per ‘ defunto ’; mutana © il 
luogo dei muti o morti’ (cfr. lat. Muta 
per Mania); mutince ‘ il sacerdote della 
dea Muta” (cfr. manince). 

nacnay nacva nasra neds'ra-s nes' nes'l 
nes'na e-nescì ece., lat. ‘nex enecare deni- 
calis’: nac akrum° mortualem agrum’, nac 
cal ° mortualis xa\id°, nacum hindu vinum 
‘ denicale inferium vinum’, 2uci enesci 
‘suci denicales’, nac reus'ce ‘ mortuale 
liquamen ’ come etnam ix matam © ciba- 
rium (vinum) et manum?’ cioè ‘de’ morti”, 
afrs nacv “ apros mortuales ° come svem 
matam È“ porcum manam ’ cioè ‘de’ morti ° 
(cfr. epl tularu ° epulum tumuli’; Nae 
Nai © Navius ’; Neri © Nerio ’; nefts ‘ ne- 
pos; nuera “ nova.’ (lett. ‘ novaria ’): 
v. ars'e; nuzlyne È noctilucanus ’; nu@-in 
“in nocte ’; nunden -ene © nundina -inae ; 
Nur6<(i) © Nortia ’ (lett. “ Novertia ’, ossia 
lat. Neverita): Nurozi Meiani È Nortia 
Mania’; nuteras', v. congr. etr. umbre; 
Nuqui Nuvi Nui (cfr. alfab. etr. camp. 
con @ per v) ‘ Novia Novius ’, fal. Noia. 

pahanuser-ei (cioè -grei -cr-ei, cfr. 
Oun-Xxer-s' con lat. Fala-cer e pel. sacara- 
cirix) © paganica ? (cfr. paxanac paXanate 
lat. etr. pacus pacanica lat. pagus paga- 
nica); paiveism pevax © bibesium bibax ° 
(cfr. fal. pafo pipafo È bibam °): vinum 


paiveism acilè ame “ vinum bibesium in 
servili (lett. © ancilla °) ama’, pevax vinum 
trau(s') pruxs' © bibax vinum vilis pa- 
terae ’ (lett. ‘ trahilis tpoxoî ’, cioè ‘ vilis 
vehilis °), hindu vinum trau(s') prucuna(s') 
‘ inferium vinum vilis paterae °; payanac 
-nate, v. pahanuscrei; painiem È panem ° 
(cfr. fr. pain); pe(n)dereni lett. © pende- 
ranius’, custode della per0era- ossia degli 
anatemi pen0na, lat. pendentiae: v. var; 
pen(8) © pendens ’; pens ° pependi ’; penna 
pe(n)tna, v. ama cal e cfr. pedereni; plutim 
‘ pluteum  (Deecke); prigas' © brisas °: cfr. 
scara pridas' * sacravit brisas ° con ranem 
scare ‘ liquamen sacravit °, etnam aisna 
‘ cibarium sacravit ’, aisna hindu vinum 
‘ sacravit inferium vinum ’, ratum aisna 
leitrum ° ratum sacravit litamem ’, eisna 
pevayx vinum È“ sacravit  bibax vinum ’ 
puia, cfr. lat. pullus puella; puiac puliac 
‘ figlio d'una puia’ cioè d’ una moglie 
di siffatta speciale categoria; pultace 
pu(dtace “pulte fecit’; puratum ‘puratum’; 
pural purana, cfr.‘ purus’; pute * potavit °; 
putnam puts' “ potus’; putiza “ pocillum ’ 
(Pauli). 
s'a°sex’; s'acni-cla © sacellum ? (lett. 
‘ sanquinicula ’, cfr. 1. Sancus Sanqualis 
Sanquinius),s'acni-cl-er-i © sacerdos’ (lett. 
sanquinicularius ’); S'a0as' s'agec cfr. 
s'antists' santic; s'al0n, v. caldu; s'antis'ts' 
cfr. huslenes'ts' dapnes'ts etr. lat. lanista 
lat. magister e v. santie; s'ar s'aris cfr. s'a, 
zelar e lat. © sextarium ’; s'can-in sane 
‘in scamno , canes' © scamni ’: cfr. Ska- 
nesnas Sanesnas', scuyie s'uci zuci ecc.; 
s'cuna ° seconda’ (per *secunna); s'enis 
‘ senis senex °: lautni ein s'enis “ libertus 
et senex ’, cioè ‘ vecchio servitore ’, ossia 
‘ morto vecchio nella famiglia di cui occu- 
pava il sepolcro’; s'etirune (cfr. mirnunei) 
‘ centurionus ‘; S'i-c S'eu-c ° Seia Sivaque ° 
(cfr. 1. Consiva Opeconsiva e etr. reu-x riva-X 
con seives'); s'in(a) v. cinace; s'pella) duta 
‘ sepuleralia dona °, s'pel-0i rene0ì ‘ in se- 
pulerali arena’ (v. rene0ì), s'pelanedì “ in 
sepulero ’: cfr. 1. ve-spillo; s'pural, cfr. 1. 
‘ spurius ’; s'ta s'tas * steti (lett. © stavi ’, 
cfr. © -davi’) status’: cfr. stes; s'ucri 


190 ELIA LATTES 


s'uzeri  sacedos a succis’ (lett. © succa- 
rius ”); s'uci v. 2uci; s'udi s'u0ce, cfr. lat. 
‘ sedes solium’; S'ul v.Sul; s'unu° sonans’ 
(lett.“sonon’); s'uplu © subulo subulonum ’, 
cfr. atrium sutorium cioè © dei suonatori °: 
mastr  s'uplu magister  subolonum 
(Deecke); S'uris Eis (Magl.) © (Dis) So- 
ranus deus ’ cfr. surnu surasi e lupuce. 
ratum “ ratum ’; ratum leitrum yuru, 
come lat. ‘ astrorum ratos cursus’ e 
‘chorus astrorum’; raxad rax09 ray(0) 
‘ rogarius ° (Bugge): cani raya9 © cadentis 
(ignis) rogarius ’; reketi “in regia °; reneoi 
‘in arena ’: s'peldi renedì © in sepulcrali 
arena ’ (Mart. ‘ mollique tegaris arena ’); 
reu-X (pl. reur) riva-y"rivus riguus rigua ° 
per ‘liquamen’; reus'ce gen. reus'ce-s' lett. 
‘rivulum’ per ‘ liquamen, efr. 1. posca. 
sacni v.s'acnicla ; s'acniestres', v. s'ac- 
nicla e s'untis'ts'; sacnisa © sacrarunt ’; 
sane v. zanes! e s'canin; sans'l sians'l 
sians' sias' “sanus (lett. © sani-clus’) sani”: 
Marisl sians'l © Martis sani’ (lett. © Ma- 
riculi saniculi ’, gen. privo del -s, perchè 
dopo -l, cfr. lat. consul ecc.), Ques' sians' 
‘ Duplicis (deae Lunae) sanae ’ (cfr. Cemna 
Oupldas'), mi putere sias' Kais'ies' “ ego 
tomjpiov sani Caesii ° (cioè ‘ divi’ 
mortui °), fleres' sans'l ‘ signi sani ’, fleres! 
zec-sans' ‘signi sancti sani’: e cfr. messap. 
sanan Aproditan È sanam Venerem ’, ven. 
s'ahnateh Rehtiiah‘sanatis [deae] Retiae?, 
lat. Forctes et Sanates e etr. caldu s'al0n 
‘ (sepolero) salutare ’ con lat. etr. Salutes 
pocolom (sepolcrale) e colle varie espres- 
sioni [efr. sup. mun@| della © stabilità 
sicurezza quiete bontà e beatitudine ° 
infera; sam(e)tic sen(o)tie © sanctus ’ (lett. 
sancticus ’); scara scare ° sacravit °: 
v. s'canin e zara; scuXie v. s'canin € 
euci; sece v. cale; Semunin v. apr|e|ns'a 
e ims'; s-valce * ex-valuit ° per © visse ’ 
e quindi ‘ morì ’; svalasti) sveleri svels'- 
tres' “ quel de’ morti ° (svala- ‘ exvalens ’); 
sve svem “ sues suem ‘; s00v © situs ’; 
Sipna (dea), cfr.‘ sibus °; slapinas' slapiyan 
‘clavigeri (dei) clavarius’; surasi surnu 
v. lupuce; spurta spurtn ‘ sportam ’; stes 
‘steti’; suoi aci o lautni ‘ sepulerum 


servile’ o ‘libertimum’: v. s'u@i, «eil, 
lautni; Sul © Sol’, Sulsle © Soliculae” (fr. 
soleil); sutana-s', cfr. sudì con vesana mu- 
tana s'pelane9ì. | 

tam(m)era ° temperavit ° (con cisum 
‘ mustum circumcisitium ’ e con zelar o 
s'ar venas ‘ trientem’ 0 ‘sextarium vini °); 
tev tev-ara9 (‘ sacerdos ’), cfr. lat. © deivos” 
e‘orans’(De.); fee tet “dedi dedit°; tes'amsa 
‘ decem sex’, tesns' teis' e tene tei cfr. 
lat. ‘ deni ’; fenve tenu È tenuit ’; tendas 
‘-tentus’; Tina-s Tins ( Iovis °) cfr. 
lat. dinus peren-dinus; tineri “ sacer- 
dote di Giove ’ (lett. © dinarius °, cfr. 
1. libitinarius con Libitina); tiv tiu tiv-r-s 
tiu-ri-m ‘ luna ° (cfr. lat. dies Diana ece.); 
trau © vilis’: v. paiveism; trind tringas'a 
tritanas'a ‘ tertia’ o ‘triplici libatione 
fecerunt ’; trinum trin(um) “© ter °; tul 
tular (gen. tularu[s]) © tumulus °: cfr. L. 
tuli tolles e v. var; tuna tun(a)° donavi °: 
i tuna © ego donavi’, è tun(a) turuce “ ego 
donavi [et] dwpw dedi ’; tuyla-c Tuyulxa, 
cfr. ounyulem Qunyuloe. 

u(n)entum ‘ùanguentum’; Unaial Unea 
Uni Une Unial Unyva (‘ Tuo Tunonius ’), 
cfr. lat. ‘ unus ° con Qua e 0w ecc. e v. Cen- 
tenas; unum un(um)° unum semel’, unu-0 
‘in uno” (cfr. 6un-t tun-t); uples © opulens ”; 
urg° orca’; Usi (-*sili -*st) Usil Usli(s) 
Uslane. cfr. adxni - lat. © Auselius ’; uffi 
v. uiples; ufra 1. ubere. — qipece © bibax ”. 
— Ximam xim0 xim(0) © centum ’. 

fav-in © in fovea ° (cfr. © favissa °); 
fala © fala°; fanu ‘ fanum °, funus'e © în 
hanulo ’ (lett. © in fanussa ’, cfr. putiza 
‘ pocillum ° con Eleializa Veliza all. a 
Aesialissai Caus'linissa); fardana fardan(a) 
faro(a)Ìna haro(a)na fardnaye faro(na) 
haro(na) © parentavit’ (Deecke); face fas' 
fas'e fas'ei ‘ (ponti)fex °, fasle © (sacri)fi- 
culus ’, fis'e “ fecit °; flere ‘ falere ? ossia 
‘ cosa alta’ e, come tale, ‘ signumi ° e 
‘ altare’ (di certe deità, e però la deità 
stessa: flereri lett. “falerarius ’ cioè © quel 
del flere °. 

Congruenze etrusco-umbre: 
d intervocalico, v. sup.ifid. fon; ib. fonetica 
sintattica; $' 10 fem. -w5 $ 4. 5' nom. ace, 


L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA DELLA MUMMIA 191 


pl. -r; ib. forse 1° ps, pf.att. sg. etr. aisna(u) 
sta(u), umb. stahu subocau; ib. 3 ps, pf. 
att. pl. etr. -sa, cfr. umb. denuso covor- 
tuso eitipes; a-lapn(s) a-mce (*a-vence 
‘ vino adfecit °, cfr. vence) u. a-fiktu; aisna 
eisna eisnev- esuinune ezine Ezna ece., 
umb. cesona esunu (cfr. Aisera Eisera 
Esera lat. etr. Aesar volse. esaristrom); 
asi, cfr. u. vuke pir ase antentu; cletram 
n. kletram -re; e@ri etera etru lat. etr. 


Etrusci, umb. etre Kasilate tertie Kasi- 


late; e-nesci cfr. u. eh-velklu; zati S'adas' 
s'adec S'atena S'atene, u. sate sahate sa- 
tam-e sahatam sahta; sacni (cfr. zec sece), 
u. Sace Saci Sans'ié Sans'i Sansi; han8-in 
hind9-in hindiu hindu hedu Hindia Rhingial, 
cfr. n. Hunte Cerfie, Huntia; hes'ni desn-in, 
u. fesna; huins cfr. u. huntak (Biich. 
‘ fontis lacunam ’; 0un2 Bunesi dufi u. duti; 
menas' mene menitla mimenica memesnamer 
(cfr.ven. mesneh amitern. mesene)u, menzne 
(cfr. antermenzaru  Biich. intermen- 
truarum °) lat. ‘mensis’; nerteratherem 
(Placido ‘auspice Tusco”) e nuteras', nord- 
etr. Kuls' — Smindis] ak[a]s'ke ° Culonis 
laevi Smintii famulus ’: cfr. etr. creals 
acasce, akase (plur. acaz-r) Arices lat. etr. 
Ancarius anculus ancilla, Apollo-Dis So- 
ranus e il sole infero, etr. Laiscla e gli dei 
laevi o inferi e Seren. ‘© inferis manu 
sinistra immolamus pocula’), e cfr. in- 
sieme ù. nertru cfr. veprepòg; s'ars'naus’, 
u. s'ersnatur s'esna s'ersiaru; S'erque, n. 
S'erfe S'erfe S'erfia o Cerfe (Deecke); 
s'ranczl s'rencve, cfr. u. krenkatrum crin- 
gatro|m]; ranem u. ranu; spanza u. spantea; 
Spetri u. Speture Speturie; Teisnica u. Te- 
senakes; tesim cfr. u. tesedi tenzitim; n. 38 
etr, u. Tuse; tutim tutin tutiu QuQiiala 
u.tuta todcor todceir; U9ur-l (lett. ‘ Aucto- 
rulus °) umb. whtur; fir-in, n. pir. 
Congruenze etrusco-osche (cfr. 
Paleol. 6 #iu per tu, 96-98 iss. campano- 
etrusche, 71 n. 95-97 VH per Y, alfab. 
nol. con V per pe zarfned all. a carone0 


nella Mummia): $ 10 nom. fem. -u; Aîs 
Aisu aidor o. ag gisusis marruc. aisos pel. 
Aisis (n. 6); Aisera o. Aisernim; aras' 
peras' 0. aasai purasiat; cal cale cali 0. 
kaila Iuveis cfr. xaMa xariag kaMdiov 
‘sacellum’; vla-0i o. ula: etr. s'u0i-ti vla-di 
Ua)-cldi “ in sepulero in olla illa in cella’, 
osc. nep memnim nep ulam (ora Biicheler 
e Buck Ulam umb. Hule) © neque monu- 
mentum neque ollam °; hes'ni desn-in 0. 
fiisn-im È in fano”; Oany-v-il (cfr. tans'- 
ina) 0. tanginud -ineis -inom; 9udiialz 
tutim tutin tutiu o. tauto -ad trtvtiks tou- 
tico lat. o. tuticus; in 0. inim inim ewem 
ew; Letnle acve, o. Diumpais Kerrtiats; 
madu Madcva matu matves, o. Maatuis; 
ps'li pess'li o. peeslom; s'ars'naus' 0. kerss- 
nais ecc.; S'erpue pel. Cerfum: etr. Ces' 
zeris' ims' Semunin apr|e|ns'a © Keri sacri 
inferi (et) Semonum (sacerdos) ab aper- 
tionibus’, pel. Cerfum sacaraciria Semunu 
‘ Cerorum (etr. Cerurum) sacerdos (et) 
Semonum ° (con sacariciriv fem. come 
etr. aprens'a fem. di aprin0); sacni o. 
ana-saket; Sipna o. Sipus lat. o. sibus; 
tru tru-0 trutum Trut-v-ec-ie o. trutum 
trutas. 

Congruenze etrusco-celtiche: 
zar Vne8-zar Fne9d; metafonesi; suff.-ax -ate 
-on diminutivo (fr. pion flacon, lat. tiro 
pumilio); n. 16 etr. -c gall. -& (cfr. es't-ac 
celt. etic ‘ atque °); Cau0a lat. celt. Cauto 
pate; evitiuras cfr. celt. eviter ; Zirna lemn. 
Zeronai lat. gall. Sirona; Qunes'i, cfr. celt. 
tanise ‘secondo’; mata matu e. mat ‘buono’; 
sud cfr. ant. ir. suide; tular cfr. ant. ir. 
tulach telach; painiem e Sulsle, cfr. fr. 
pain Soleil; avils ci-s' s'a-s ecc. cfr. lat. gall. 
‘ XXXVIII aetatis sue anno’, e ‘ LXVII 
aetatis anu’ e Lowis onze ecc.; cfr. infine 
la lunga quanto antica repugnanza allo 
scrivere, forse comune (Saggi, p. 184 sg. 
n. 134) a’ due popoli. 

Congruenze dell’etrusco col 
latino volgare e colle lingue romanze (37). 


(37) S'intende sempre che coll’avvertire il fatto della congruenza apparente e reale, non vuolsi 
punto affermata in nessun caso nè la continuità del fenomeno, nè l’identità delle cause che possano, 
entro gli stessi confini, in tempi diversi averlo prodotto. 


192 ELIA LATTES — L'ULTIMA COLONNA DELLA ISCRIZIONE ETRUSCA, ECC. 


_ Aferesi: Nevini Anaini, Randia Aranbia, 
etr. Trsk umb. Turskum lat.  Tuscus 
lat. etr. Etruscus; s-valce “ ex valuit ° ecc.; 
metafonesi: clan clens' clens'i; -en-i -es-i 
lat. -an-iu-s -ar-iu-s; -ai -au -a, v.3* pl. sg. 
pf. att.; dileguo del d intervocalico; vi- 
cenda di ct #; ce ci in se si; cl cn in 
sl sn;'cl.pl. flinici pi fis cim'hies sc.sì 
per s; dileguo di -m -s -r -l-t; -m in -n; 
cr tr in (r)r r; m per mm da mn 0 mp 


mb (cfr. Saggi e App. p. 5-11. 230-240. 
251 sgg.); 3° ps. sg. pf. att. cure aisna cfr. 
berg. kantè ven. e fr. porta; cedu cveda 
cfr. it. cheta queta; mi me it. dial. mi fr. 
moi per ‘io’ (lett. abl. istrum. ‘io per 
me °); mastr, cfr. it. mastro; ampliazioni 
sinonime: Hindial per Hindia, Truial 
per Truia, arni e suci o zuci per lat. 
suciece. rom. giornale segnale (cfr. Deecke, 
Bleipl. Magl. 11 sg.), ciliegio faggio ecc. 


CLASSIFICAZIONE METRICA DELLE LINEE DELLA COLONNA XII (38). — Secondo la 
teoria della quantità, nessun saturnio di tipo normale, quali s'incontrano qua e là 
nelle precedenti colonne (II 9. III 17. IV 16. V 20 ecc.; 

soppressa la penultima tesi del secondo emistichio: 


v. 2. aîs | nd ix | nde re | us'ce | Aîse | rds' | S'éus' 
6. nac | hica | Unyva | hétum | hilar | 6 | nà Bend 
11. a0 | ré a | cil an | s'denicn | CHO Ce | xd | (né) sal 
dove la metrica confermerebbe pertanto essere Cexa abbreviazione di Ceyane che ve- 


demmo scritto distesamente nel luogo parallelo (VII 7); 
soppressa la penultima tesi del primo emistichio: 


v. 7. hur | stc capl | 9% | Céxam | énac | efsna | hindu 
10. Ou | ném ci | dl | xas' masn | Uni | dlti | Ursmnal; 
soppresse ambo le tesi: 
v. 3. Oun | xulem | muo | hilar | Qune | é | tértie 
8. he | tim hi | lar | 0una | éter | tie | cdQra 
12. Cus | clice | ca | péri | zàmtic | svétm | dUmsa; 
senz’anacrusi e soppressa la tesi penultima del primo emistichio : 
Técum | étrin | 08 muo 


Vv. 5. mad hi | lar | Quna | 

senz'anacrusi e soppresse ambedue le penultime tesi: 

v. 4. cdOre | xim | énax |  Unxva | méd | lum®0 puts 

9. etnam | dis | nà ix | matam | ci | vacltnam 

dove leggo ci la cifra IITITII dell'originale, come in C. I. L.134 = VI 1289: “ annòs 
gnatus XX is Il[oc]efs (Biich. © diveis ’) mandatus’ leggesi naturalmente: 
‘“annés gnatiis viginti’; 

clausola logaedica dell’ultima sezione e dell’intero carme: 

v. 13. mdtan | clictras' | hilar 

tripodia trocaica corrispondente al secondo emistichio del saturnio tipico (Dabunt 
malum Metelli | Naévié poétae), frequentissima nelle Fasce come seconda 
parte delle linee, e però preferibile alla combinazione: matan cluctras' hlar che ci 
darebbe il primo emistichio, privo della penultima tesi, come p. es. in C. I L. 1 34 
Aetaàte quém parua posidét hoc sàaxum. 


(38) Cfr. Rendic. Ist. Lomb. 1894 p. 389-398, tenute ferme le riserve ivi espresse intorno alla 
bontà e ragione della teoria quantitativa rimpetto a quella dell’accento, validamente ridifesa dal 
Linpsay (Journal of American Philology 1893, p. 139-170. 305-334). 


——————— e era dA me. 


finira 3 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI 


DELL'ANTICA 


BIBLIOTECA NOVALICENSE 


MEMORIA 
del Socio 


CARLO CIPOLLA 
Approvata nell''Adunanza del 10 Giugno 1894. 


Ricordai un frammento di omelie di S. Cesario, e l’importantissimo codice del 
Martyrologium di S. Adone. Ora metto qui insieme tutto quello che intorno ad altri 
codici novaliciensi potei trovare in fonti manoscritte. Se si fa eccezione per un ms. 
della biblioteca già Phillips a Cheltenham e per un Messale ora posseduto dalla 
prevostura della Novalesa, quasi tutto il materiale da me raccolto consiste in fram- 
menti di codici, che trovai adoperati quali coperture di libri di amministrazione del- 
l'abbazia, composti nei secoli XVI e XVII. Quasi si può congetturare che allora i 
codici della negletta biblioteca fossero abbandonati in mano di chiunque se ne voleva 
servire. E fu ancora una fortuna per noi che alcune pagine siano state salvate, da 
chi pensava a tutt’altro che alla conservazione dei codici. 


I 
Un codice miscellaneo. 


Eugenio De Levis (1) descrivendo i mss. Novaliciensi che a lui erano stati 
regalati, si ferma lungamente sopra un ms., ch'egli contrassegna col n. XIII, e al 
medesimo attribuisce molta importanza. Di questo stesso codice egli tiene parola 
anche in alcune sue schede mss., conservate nell’archivio dell’Economato Gene- 
rale di Torino (2), e che sono state diggià segnalate da L. Bethmann (3). Più 


(1) Anecdota sacra, Aug. Taur., 1789, I, p. XXXIV sgg. 

(2) Cronaca Ecclesiastica, busta II. Molti ringraziamenti debbo ai preposti all’Economato, e segna- 
tamente al sig. archivista, il quale vi agevolò, con ogni maniera di attenzioni, le mie ricerche sto- 
riche, ivi durate lunghi anni. 

(3) Nella prefazione alla sua edizione del Chronicon Novaliciense, in MGH., Scrip. VII, e in una 
comunicazione al Warrz, Serip. rer. Ital. et Langob., prefaz. alla Hist. Langob. di Paolo diacono; 
Hannover, 1878, p. 42. 


Serie II Tom. XLIV. 25 


194 CARLO CIPOLLA 


ampiamente ne parlò il prof. G. Calligaris (1). Il Bethmann, che insistette lunga- 
mente sugli studi del De Levis sopra del Chronicon Novaliciense, poco disse intorno 
a quanto quell’erudito lasciò scritto sul codice predetto. Meno laconico fu il Calligaris, 
che si occupava della Historia Langobardorum di Paolo diacono; infatti egli ricordò ia 
descrizione del codice, che a noi ora interessa, in quanto che esso contiene un fram- 
mento della Historia. 

Mentre nella stampa il De Levis parla dell’abate Cauda, che lo accolse alla 
Novalesa nel 1778, e in modo indeterminato accenna all’abate che gli regalò alcuni 
codici del monastero, nelle schede manoscritte, discorrendo del presente volume, dice 
chiaro il nome del donatore. Ciò risulta dalla sua “ Descriptio codicis perantiquissimi 
Abbatiae Novalitii, quem Rev. dominus Abbas Sona mihi commodauit ,. 

A quell’epoca il monastero trovavasi commendato a Pietro Antonio Maria Sineo 
della Torre, di Rodi, che si nominava abbate, perpetuo comendatario, e anche signore 
della Novalesa. 

Succedette egii a D. Antonio Videt, che intitolavasi egli pure abate e perpetuo 
comendatario della Novalesa. Ho sott'occhio due documenti del 1758 (febb. 16), e 
del 1759 (marzo 13), che appunto così lo denominano (2). Sopra regia presentazione 
egli era stato nominato a quel posto da Benedetto XIV, con bolla del 15 nov. 1757; 
ne prese possesso addì 11 gennaio 1758. Il Vinet originava da Annecy, ed era 
confessore della duchessa di Savoia. Succedeva all’abate Carlo Francesco Badia. 
Morì il 21 aprile 1767, e i suoi beni furono ridotti a mano regia con atto del 27 
aprile dell’anno stesso (3). 

Nel 1767 l’abazia è ricordata come vacante (4). Il 12 giugno 1770 Carlo Ema- 
nuele II propose a papa Clemente XIV la nomina del Sineo, e il papa lo nominò 
con bolla del 13 luglio. Il Sineo prestò giuramento di fedeltà al re, 11 agosto 1770, 
e il 14 appresso prese possesso dell'abbazia. Il suo nome ricorre spesso nei docu- 
menti (5). Per l’ultima volta lo trovai in un atto del giorno 11 gennaio 1796 (6). 
Morì nel seguente mese di agosto. Egli fu dunque presente alla discesa Napoleonica, 
e alla prima rovina dell’abazia. 

A lui dobbiamo una serie di regesti di documenti abaziali distribuiti per mazzi (4). 
Questo diligente lavoro non ci pervenne completo, e principia, così frammentario 


(1) Di un nuovo ms. della È Hist. Langob. , di Paolo diacono, in Boll. istit. stor. ital., X, 47-9 
(anno 1891). 

(2) IepoLito TavernIER, Histoire de Samoèns, in Mém. et documents publiés par la Société savoi- 
sienne d’histoire et d’archéol., XXXI, 192-8, ne pubblica un documento del 30 maggio 1764. Qui egli 
è detto Videl, ma ciò si ascriverà ad errore di stampa. I due documenti ai quali accenno nel testo 
leggonsi nella parte non ordinata, buste LIX e LXV, dell'Archivio dell’Abb. della Novalesa, nel- 
l'Arch. di Stato di Torino. 

(3) Abbazia della Novalesa, busta II, nell’ “ Archivio dell’Economato Generale ,. 

(4) Arch. cit., busta LXV. 

(5) Arch. d. Nov., buste LI, LII, LVII, LVIII, LXV. Del 1775, luglio 29, abbiamo un suo decreto 
(Busta LVIII), colla sua firma autografa, in carattere minuto; reca il sigillo a secco, coll’arma 
(sormontata dal cappello abaziale), nel cui scudo vediamo un monte, e imminenti sopra di esso tre 
stelle. Una sua firma del 14 maggio 1785 (Busta LII) è fatta con mano tremante: egli doveva essere 
allora ormai molto inoltrato in età. 

(6) Arch. cit., busta LVIII. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 195 


qual'è, col mazzo 15. Una penna ignota del nostro secolo contrassegnò quel ms. con 
una notazione, nella quale lo attribuisce alla “ mano del celebre ab. Sineo ,. 

“Il Sineo era abbate commendatario, e non era tenuto alla residenza nel mona- 
stero. Colà si trovavano i monaci Cistercensi, succeduti nel secolo precedente ai Be- 
nedettini. Essi avevano il proprio superiore diretto, e un documento del 27 marzo 
1768 (1) ricorda appunto D. Costanzo Sona abate “ regolare , del monastero della 
Novalesa. Da costui dunque ebbe il De Levis i mss., da lui più tardi descritti. Se 
tacque il nome del donatore, forse lo si ascriverà a motivi di riguardo verso il me- 
desimo, poichè l’ab. Sineo avrebbe forse potuto muover richiami contro a quel dono, 
e negare al Sona il diritto di farlo. Nel Cauda che abbiamo ricordato poco fa, come 
quegli che accolse il De Levis nel 1788, riconosceremo probabilmente un altro abbate 
claustrale, forse il successore immediato del Sona. 

Nella descriptio il codice è illustrato con molto maggiore diligenza, e in modo 
più minuto -che negli Anecdota, e di ciò fece pure un cenno il Calligaris, a comple- 
mento di quel poco che ne aveva detto il Bethmann. Ma nè l'uno, nè l’altro pub- 
blicò per intero la descriptio o notò, che accanto a questa, fra le citate schede del 
De Levis, si trovano alcuni fogli, sui quali egli stesso trascrisse qualcuno degli 
aneddoti del manoscritto. 

Nella busta “ Miscellanea LXXI , della r. biblioteca nazionale-universitaria di 
Torino rinvenni (1892) alcuni fascicoli in bel carattere della fine del secolo XVIII, 
i quali contengono la trascrizione della maggior parte del codice Novaliciense, di 
cui ci occupiamo. Non so se essi siano un frammento (largo frammento, per fermo) 
di una trascrizione completa di quel prezioso manoscritto (2). Il carattere, abbastanza 
grande, e relativamente elegante, non ha relazione alcuna con quello del De Levis. 
Forse quei fascicoli proverranno da qualche seriba, cui il De Levis affidò la copia 
del codice; ma ho qualche dubbio ch’essi siano del P. Sona (83), del quale diremo di 
qui a poco. Chiunque fosse quello scriba, era egli di certo un uomo più che suffi- 
cientemente versato nella paleografia. La semplice ispezione di quei fogli, pur senza 
ricorrere a confronto alcuno, ce ne fa persuasi. 

Con tutti questi elementi non sarebbe difficile ricostruire, nei suoi principali 
tratti, la fisonomia del codice, anche se questo si dovesse lamentare irremissibilmente 
perduto: il che, per buona sorte, non è. 

Nella precedente Nota si è veduto come il Martyrologium di S. Adone, che fu pure 
fra le mani del De Levis, sia stato venduto lontano d’Italia. Entrò dapprima nella 
biblioteca Hamilton, ed ora fa parte della biblioteca reale di Berlino. Il ms. di cui 
ora parliamo, trovasi oggidì a Cheltenham, in Inghilterra, e fa parte della biblioteca 
Phillips. Questo apprendiamo da H. Schenkl (4), il quale descrive il ms. parte a 


(1) Arch. cit., busta LII. 
(2) Può anche darsi che questi fascicoli non comprendessero neppure in origine tutto il codice. 
Anzi non è assurdo il supporre che le schede mss. del De Levis siano state da lui compilate per 


completare, se non del tutto, almeno in qualche modo la trascrizione del codice. 


(38) I motivi di questi miei dubbii saranno noti a chi leggerà il cap. II di questa Memoria. 

(4) Bibliotheca patrum latinorum Britannica, articolo V (Sitzungsberichte der Wiener Akademie, 
vol. CKXVII, Wien, 1892), p. 21-2, n° 8462. — Alla morte di sir Tommaso Phillips la biblioteca 
passò a suo genero Mr. Fitz-Roy Fenwick; parecchi mss. furono venduti in Germania e nel Belgio, 
come lo Schenkl stesso annota; ma il nostro non è fra quelli. 


196 CARLO CIPOLLA 


parte, attribuendolo a due mani, la prima della fine del secolo X o del principio del 
secolo XI, e la seconda del secolo X, e fors’anco più antica. Il dott. Schenkl non 
si è accorto della provenienza del codice. ; 

Essendo la descrizione dello Schenkl (S) molto laconica, forse talvolta anche 
inesatta, non sarà cosa inutile paragonare le notizie dell’erudito tedesco con quanto 
ci offrono il De Levis, sia negli Anecdota a stampa (DL), sia nei fogli inediti (DL?), 
e l'anonimo autore delle schede conservate, siccome si è veduto, nella biblioteca 
nazionale di Torino (A). 


1. Fo. 1r-7v. Trattato liturgico sulla messa. Comincia acefalo. A: cuius (S 
eius) sanctissima protinus uerba leguntur, ut (S legi ist?) dulcedinis canore ece. ,. 
Termina A: “ His autem peractis et participato tanto sacramento gratiarum actio 
cuncta concludit, quam in his etiam uerbis ultimam commendauit Apostolus. Explicit. , 
S in luogo di “ Explicit , scrive: “ II , e riguarda l'opuscolo come incompleto. Del 
che non so vedere motivo sufficiente, tanto più che l'argomento vi è pienamente 
svolto, e le parole che testè ne riferimmo, corrispondono in tutto e per tutto a ciò 
che deve formare la chiusa ad un libro di tal natura. Veggasi il $ 5, c. xvir, del 
libro IV del De imitatione Christi (1). Il De Levis, nelle note mss., trovò discorde il 
nostro testo dalle spiegazioni delle orazioni della messa dovute a Floro diacono (2) 
da Remigio Autissiodorense, e dall’anonimo edito da Melchiore Hittorpius, De divinis 
catholicae ecclesiae officiis et mysteriis (Parisiis, 1610, p. 1169 sgg.). Parmi che il nostro 
anonimo abbia qualche lontana rassomiglianza coi librì misteriorum evangelicae legis 
di Innocenzo III (3), ma con Floro il nostro anonimo ha maggiore attinenza. 

Nella spiegazione della “ Praefatio ,, Innocenzo HI non si ferma ad interpretare 
la frase “ supplici confessione ,. Invece l'anonimo vi si dilunga sopra alquanto, citando 
anche Cassiodoro in questa forma: “ Hinc iterum Cassiodorus dicit: Confitentur enim 
qui peccata deplorant, et qui Domino gratias agunt. Sed illid in lacrimis, istud in 
gaudio, illud in afflictione, istud in sanctae mentis alacritate, illud in tristitia, istud 
in exaltatione,.. ,. Cassiodoro (4) più di una volta ha occasione di toccare di simili 
argomenti; ma il passo che meglio si avvicina a quello del nostro anonimo incon- 
trasi nel commento al v. 1 del salmo 110. 

Il nostro anonimo avverte che le parole Dies nostros in tua pace disponas sono 
state aggiunte “ a Gregorio papa, uiro eruditissimo ,. Queste parole, nella loro somma 
semplicità, mi paiono caratteristiche. 


2. Fol. 8. De Levis nelle schede mss.: “ Editio S. Bonifatii episcopi (S: qu, che 
non ha senso). Quomodo possit poenitentia septem annorum uno anno compleri ,. 
Comincia: “ Triduam pro triginta diebus — ,. Finisce: “ — aut in uno loco per or- 


(1) Il e. XVIII, che è veramente l’ultimo del libro, è una evidente aggiunta. 

(2) De actione missarum, in Bibl. maxima patrum, XV, 62*, sgg., Lugduni, 1677. Non molto di- 
versa è l’edizione di questo opuscolo procuratane da Martène e Duranp (Vet. Script. et monum. 
ampliss. collectio, Parisiis, 1733, IX, 577 sgg.), col titolo de expositione missae. Da quest’ultima edi- 
zione dipende quella del Miane, Patrol. Latina, CKIX, 17 sgg. — Floro visse verso il mezzo del sec. IX. 

(3) Opera, Coloniae, 1575, I, 318 sgg. Di qui dipende l’edizione del Miane, CXVII, 768 sgg. 

(4) Expositio Psalterii (Opera, II, Venetiis, 1729; Mione, Patr. Lat., LXX), commento ai Salmi, 7, 
v. 18; 66, v. 3; 91, v. 1. 


vi 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 197 


dinem. Explicit ,. È con molte varianti il brevissimo opuscolo De poenitentia, che 
leggiamo infatti sotto il nome di S. Bonifacio (1). 


3. Fol. 9: “ in fine columnae primae folii noni , (DL?) £ Cur LXXma, LXma et 
XL dicantur ,. E un brevissimo opuscolo, trascurato dallo Schenkl. Comincia: * Si 
diligentius his quae ex aeuangelica uel apostolica lectione recitata sunt ,. Finisce: 
“ sed simpla mors eius nos a duplici morte liberauit ,. Trascritto in A. 


4. Fol. 9. Opuscolo De Ogh Maghohg; dal De Levis, nelle schede mss. e negli 
Anecdota viene ascritto al “ P. Remigius monacus Novaliciensis ,. Ma è la nota lettera 
di Remigio Autissiodorense (Auxerre) a Bernuino (o Bernoino) vescovo di Verdun (2). 


5. Fol. 12. Breve tratto in difesa del culto delle immagini, col titolo # De ima- 
ginibus »- Comincia: “ Quidam putant lege Dei prohibitum — ,. Finisce: “ — Unde 
et pictura graece zoographia vocatur ,. (DL?) (3). 


6. Versi, di cui DL? ci lasciò due copie. Come avvertì lo Schenkl, questi versi 
formano un epigramma della Antologia latina (4). Varianti notevoli s'incontrano 
nei versi 4-7, che qui vengono perciò riprodotti: 


“ Mercurius quartum splendentem possidet altus 
Juppiter ecce sequens quintam sibi iure decauit 

concordat Veneris magnae cum nomine sexta, 
Emicat alma dies Saturno septima summo ,. 


7. Fol. 12 0 (DL?; 5). Breve carme, copiato due volte dal De Levis, che tratta 
“ de ambigenis (S: ambiguis) animantibus ,. Comincia: “ Haec sunt ambigenae ($S: 
ambiguae) quae nuptu dispare constant ,. Finisce: “ At lupus et catula formant 
coeundo liciscam ,. Questo carme fu trascritto e pubblicato dallo Schenkl (5). 


(1) J. A. Giuues, Sancti Bonifacii archiepiscopi et martyris opera quae extant omnia, Londini, 1844, 
II, 51; Mione, Patr. lat., LXXXIX, 187-8. 

(2) Martène et Duranp, Veter. script. et docum. ampliss. collectio, I (Parisiis, 1724), n. 230-5. Ne 
dipende il Micene, CXXXI, 963 sgg. 

(3) Trattandosi di un breve tratto, che può avere relazione colle discussioni teologiche agitate 
in Francia tra la fine del sec. VIII e il principio del IX, mi pare opportuno trascrivere qui tutto 
questo aneddoto: “ De imaginibus.| Quidam putant lege Dei prohibitum ne vel hominum, vel 


quorumlibet- animalium siue (ms. sine) rerum similitudines (ms. similitude) sculpamus. Quod ne 


quidem (ms. neque qui) hoc putarent, si ad memoriam revocarent Salomonem in templo palmas et 
Cherubin cum variis caelaturis fecisse, vel diligentius verba legis, quae hoc interdicere videntur, 
adtenderent. Nam cum dixisset ibi “ sculptile, neque omnem similitudinem , et caetera, aperte 
conclusit: “ non adorabis ea, neque coles ,. Quibus verbis aperte declarat, quia illae similitudines 
fieri prohibentur, quas in veneratione deorum alienorum facere solent impii, quosque ad colendum 
vel ad adorandum gentilitas errabunda repperit. Caeterum exaltationem (#ws.: — ne) Domini Salva- 
toris in cruce et alia eius miracula et sanationes, quae multum compunctionis saepe intuentibus 
praestant et et ignorantibus litteras quasi viam dominicae historiae pandunt dilectiorem (ms. pan- 
dere dilentionem) nulla legis littera interdere videtur. unde et pictura graece zoographia vocatur ,. 

(4) Ed. Riese, II, 38, n. 488. 

(5) Op. cît., pp. 121-2. 


198 CARLO CIPOLLA 


8. DL? trascrisse il seguente breve frammento intorno alla natura dell’aria. 
Comincia: “ Cum unus sit aér — ,. Finisce: “ quae si aere fiunt ,. 


9. Fol. 12, col. 2 (DL*; ossia: fol. 12 0). Breve tratto “ de ceroma ,, che comincia 
con “ Quaestiunculam mihi datam ,. Leggesi presso il Baluzio (1). 


10. Fol. 13, col. 2 al fine (DL?; S: fol. 13 0): “ Olympias quid sit ,. Dizionario 
greco-latino. 


11. Fol. 14, col. 2 (cioè: verso), al principio. Epigramma in memoria di Ambrogio, 
edito dal De Levis (2), da lui trascritto nelle sue schede, e copiato anche da A. 
Dalla moltiplicità delle trascrizioni originano alcune varianti, fra le quali noto queste. 
AI v. 5 A legge: “ Cumque ero (DL: Cum fuero) quod eram — ,. Al v.8 DL?: 
“ Lex in me qum mortua mortis erit ,, DL! “« Lex in me quidem — ,, A: “ Lex 
in me quoniam — ,. 


12. Fol. 14, col. 2 (cioè: verso) a metà (DL?) — A: “ Incipit uita beati Gregorii 
pape a uenerabili Beda presbitero conscripta. Gregorius urbe Romulee (S: urbi 
|— e?] Romulae a) patre Gordiano aeditus — — ,. Lo Schenkl propone d’identificare 
questa biografia, con quella ordinariamente attribuita a Paolo diacono, ma pure rimane 
esitante. Non è giustificata la sua esitazione, poichè l'opuscolo è proprio quello. Bisogna 
per altro osservare che qui n’abbiamo il testo più breve, e genuino, conformemente 
alla edizione critica pubblicatane da H. Grisar (3). Il ch. Grisar pose a fondamento della 
sua edizione tre mss. Cassinesi del secolo XI; fra i sei, che vengono in secondo ordine, 
uno (non italiano, ma di Einsiedeln) si fa risalire al X secolo. Gli ultimi dieci appar- 
tengono ai secoli XI-XII. Il nostro codice, la cui età rimane incerta tra la fine del 
secolo X e il principio del seguente, è quindi forse il più antico dei manoscritti 
italiani che contengono la vita presente. 

Pare essere questa la prima volta che questa vita viene attribuita a Beda, 
quantunque fosse ben nota la somiglianza intercedente fra essa e la Historia An- 
glorum (lib. IL, c. 1) di Beda (4). Fra le opere del ven. Beda non figurò mai alcuna 
biografia di S. Gregorio. Ben è vero peraltro che gli Anglo-Sassoni, in tempi molto 
remoti, possedevano alcune leggende intorno alla vita di quel pontefice. Ad esse, o 
almeno ad una fra esse si riferisce anche Giovanni diacono, l’autore della vita di 
papa Gregorio I più largamente diffusa nel medioevo, il quale in quattro capi cita una 


(1) Miscell., ed. Grov. Mansr, II, 31-2. Quindi presso il Mrewe, XCVI, 1385. 

(2) Anecd., pp. XXXIV-V. 

(3) Die Gregorbiographie des PauLus piac. în ihrer ursprunglichen Gestalt nach italienischen Hand- 
schriften, in Zeit. fiv kath. Theol., XI (Innsbruck, 1887), 158. I Bollandisti (Acta Sanet., Mart. II, 
150 sgg.) la riprodussero “© ex pluribus codicibus mss. ,, come anonima, e secondo il testo inter- 
polato. A Paolo l’aggiudica Masirron, Ann. Ord. s. Benedicti, I, 284-5 (Lutetiae Parisior., 1703). Su 
tale attribuzione può consultarsi JAcosus BasniaGIus, presso CanIsius, Thes. monument., IV, 3 (An- 
tuerpiae, 1725), pp. 258-5. Or ora il Warrenpacn (Deutsche Geschichtsquellen *, 1, 169), dava come 
incerta l'attribuzione di quella biografia a Paolo diacono. 

(4) Cfr. quanto a questo proposito lesgesi presso il Mione, Patr. Lat., LXXV, 42 sgg. Ivi si 
riproduce l’edizione dei Maurini, che è essa pure interpolata. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 199 


vita esistente “ penes Anglos ,. Una di queste leggende fu illustrata alcuni anni or 
sono dal compianto dottor Paolo Ewald (1), che la trovò, in carattere del IX secolo, 
in un ms. miscellaneo Sangallese. L’Ewald opina che questa nuova biografia Grego- 
riana (2) sia stata compilata nel monastero di Streoneshalch (ora Whitby, al nord 
di York) prima del 713, e che di essa siasi giovato Beda, il quale terminò la sua 
storia ecclesiastica nel 731, e morì nel 735. L'Ewald stampò alcuni brani di questo 
aneddoto, che sarà per intero pubblicato dal Grisar. Questi pure la considerò come 
“ una delle parecchie compilazioni della leggenda anglo-sassone di Gregorio, che 
andarono perdute ,. 


13. Fol. 19, col. 2 (cioè verso) — fol. 20, al principio (DL?). Epigramma Gre- 
goriano, che l’illustre G. B. De Rossi (3) riproduce, da parecchie sorgenti, più volte; 
egli, notando che quel carme era noto a Beda, lo dimostra assai più antico di quanto 
si reputasse. Il De Levis negli Anecdota si unisce a coloro che lo aserivono erronea- 
mente a Pietro Oldrado arcivescovo di Milano e si riferisce ad Antonio Sassi, Archiep. 
Mediolan. series, Mediolani 1755, 3 voll. 

Trattandosi di cosa breve, non credo inutile di qui riferire quel carme secondo 
DL e A. 


Scriptumque in tumba ipsius epitaphium huiusmodi (4). 


Suscipe de terra tuo corpus de corpore sumptum 
reddere quod ualeas uiuificante Deo. 
Spiritus astra petit. leti (5) nil iura nocebunt, 
cui uite alterius mors magis ipsa uia est. 
Pontificis summi hoc clauduntur membra sepulchro (6), 
qui innumeris semper uiuit ubique bonis. 
Esuriem dapibus, superauit frigora ueste, 
atque animas (7) monitis texit ab hoste sacris. 
Implebatque actu quidquid sermone docebat, 
esset ut exemplum mystica (8) uerba loquens. 
Anglos ad Christum conuertit mente benigna 
sic fidei acquirens agmina gente noua (9). 
Hic labor, hoc studium, hec tibi cura, hoc pastor agebas, 
ut Domino offerres plurima lucra gregis. 
Hisque Dei consul factus letare triumphis, 
nam mercedem operum iam sine fine tenes. 


(1) Die dilteste Biographie Gregors I, in Hist. Aufsiitze dem Andenken an Grore Warrz, Hannover, 
Hahn, 1886, pp. 17 sog. — A..Esert, Allgemeine Gesch. der Litteratur des Mittelalters im Abendlande, 
II, 42, Lipsia, 1880, che scriveva prima degli ultimi studi, notava che Paolo compilò la sua biografia 
giovandosi della Hist. di Beda e delle opere stesse di S. Gregorio Magno. 

(2) Sarà pubblicata integralmente dal ch. H. Grisar, secondo che egli stesso (12 pontificato di 
S. Gregorio Magno, Roma, 1893, p. 56) ne fece pubblica promessa. 

(8) Inscr. Christ., II, 52, 78, 112, 209; ne dà i primi versi a p. 166, e il primo verso a pp. 253, 
266, 275, 278, 290. 

(4) La didascalia manca in DL. 

(5) A loeto. 

(6) DL°: sepulero. 

(7) A: animos. 

(8) A mistica. ì 

(9) A: Ad Christum anglos conuertit pietate magistra | adquirens fidei agmina gente noua. 


200 CARLO CIPOLLA 


L'intitolazione del carme sostanzialmente si accosta a quella del Cod. Vatie. 
Palat. 591 (1), ma dove questo si chiude colla data emortuale e cogli anni del pon- 
tificato di S. Gregorio, tutte queste indicazioni mancano nel nostro codice. 


14. Fol. 20 (recto). Elogio metrico di S. Brunone, arcivescovo di Colonia, che 
morì a Rheims, addì 11 ottobre 965 (2). Lo Schenkl ne riporta di qui il primo verso, 
ma senza lasciar vedere ch’egli siasi accorto di qual Brunone vi si discorra. Il 
De Levis pubblicò questo elogio negli Anecdota. Mi sia peraltro concesso di ripro- 
durlo qui, trattandosi in un aneddoto tanto breve. Mi giovo di DL', DL?, A, e per 
il primo verso anche dello Schenkl. 


Pandite (3) corda preces (4), lacrimosas (5) mittite uoces 
ecce pater patriae conditus in silice. 


Regia progenies terras memoranda per omnes, 
Bruno pacificus, vir bonus atque pius. 


Archosantistes (6), cui clara Colonia sedes 
minus cunctis adest (7) carus ubique bonis. 


Offendit tenebras lux uiuacissima tetras (8); 
inuida lingua tacet, laus uera mundo placet. 


Non fuit hic mundus tam raro munere dignus, 
raptus ab hoc cuo, iam fruitur Domino. 


Idibus octubris (9) quinis (10) presul duodenis 
uite concessit; spes comes alma fuit. 


Come facevami notare il mio collega ed amico prof. Giacomo Cortese, al v. 11 
la voce duodenis allude all’episcopato di Brunone, che durò appunto dodici anni (11). 


15. Fol. 20, col. 1 (cioè recto), verso il mezzo. Vita di S. Teofilo diacono, che 
De Levis trascrisse per intero. È la vita di Teofilo penitente, edita dai Bollandisti (12), 
secondo la versione che Paolo diacono napoletano ne fece dal testo greco di Euti- 
chiano. Le varianti non sono molte. Noto per altro che il nostro ms., sul principio, 
riempie una lacuna, lasciata dal ms. usufruito dai Bollandisti. Quest'ultimo ricordava 
una città “ nomine s. La lacuna fu dai Bollandisti, seguendo Metafraste, riem- 
piuta con Adana. Il nostro codice ha: “ Athana ,. 


(1) De Rossi, Iascript., II, 52. 

(2) Cfr. GreseBrecHi, Gesch. der deutschen Kaiserzeit, I (5% ediz.), p. 488. Prima di lui avevano 
stabilita questa data i BoLLanpisti (Acta Sanct., XI Oct., V, 754), contro chi lo diceva morto nel 
giorno 10 ottobre; essi non citano il nostro epitafio. 


(3) Così DL!, A. Invece DL?: Fundite, ma colle prime lettere di correzione. ScaengL: Fundite. 
(4) A, ScHENKL: preces. 

(5) DL!: lacrymosas. 

(6) DL: Arcosantistes. 

(7) DL': adest; DL? om. 

(8) DI?: tetras. 

(9) DL: octobris. 

(10) DL! e DI?: qui nisi; A: quinis. 

(11) Dal 953 al 965, cfr. Gams, Series episcoporum, p. 270. 

(12) Acta Sancetor., IV Febr., I, 483-7. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 201 


Il titolo dell’aneddoto nelle schede del De Levis è: “ De Theophilo diacono ac 
vicedomino ,. Non intendo come lo Schenkl vi premetta la voce “ Pauendum ,. 


16. Fol. 26, al mezzo. “ Incipit sermo sancti Augustini de peccato (1) originali ,. 
Comincia: “ Unde fratres charissimi (2), qualiter trahetur peccatum originale, ut qua- 
liter inquietudinis — ,. Finisce, al fol. 27: “ — ante conspectum eterni iudicis appa- 
rabimus , (DL?). Nè il De Levis, nè lo Schenkl identificarono questo sermone con 
alcuno tra quelli pubblicati sotto il nome di S. Agostino. Manca fra i sermoni Ago- 
stiniani nell’edizione dei Maurini (3), e fra quelli recentemente pubblicati dal Mai (4). 


17. Fol. 28. “ Incipit (S om.) conuersio seu (S uel) penitentia S. Mariae Kgy- 
ptiacae , (DL?, DL', S Aegyptiacae) ,. E l'opuscolo che i Bollandisti (5) pubblica= 
rono da due mss., uno parigino e l’altro bavarese. Il De Levis ne dà un semplice 
cenno. 


18. Fol. 38, al principio. “ Conuersio uel penitentia S. Pelagiae , (DL?). Come 
De Levis avvertì, l’aneddoto fu pubblicato dal Rosweydus (6). 


19. Fol. 42, col. 1 (recto), al fine. “ Passio S. Marine martiris , (DL?) (S: mar- 
tyris Christi) (7). 


20. Fol. 43, col. 2 (cioè: verso), al tine. “ Incipit vita sancte Euphrosinae vir- 
ginis , (DL?) (8). 


21. Fol. 43 “ Vita vel passio S. Cattarinae martiris , (DL). DL? ne trascrive 
il brano: “ Ego Athanasius scriptor cum essem famulus ipsius sancte martiris ,; 
DL di questa vita dice che fu scritta dal greco Atanasio, e tradotta da Pietro. 

Secondo il ch. Mas Latrie (9) il culto di questa santa fu introdotto nella liturgia 
latina solo nel secolo XII. Questo non toglie che potesse esserne fra noi diffusa la 
vita anche anteriormente. 


22. Fol. 56, al principio. “ Reuersio sanete Crucis , (DL?). S ne dà Vinizio: 
“ Tempore illo postquam Constantino — |. 


29. Fol. 57, col. 2 (cioè: verso), al mezzo. “ De translatione S. Benedicti abbatis , 
(DL). (S: “ Cum diu gens Langobard. ,). Secondo S, è una cosa sola colla trasla- 
zione edita dal Mabillon, Acta Ord. S. Bened. Il, 332-438. 


(1) Scnengi: originali peccato. 

(2) ScHenKL: karissimi. 

(3) Vol. V, Parisiis, 1683. 

(4) Nova patrum biblioth., vol. I, Romae, 1852. — Nessuna omelia principiante colle indicate 
parole trovai negli Zritia librorum patrum latinorum raccolti da Giuseppe AumeR, per ordine del- 
l'Accademia Viennese delle scienze, Vindobonae, 1865. 

(5) Acta Sanct., II apr., 1, 76 (Miane, LXXII, 671). 

(6) Vitae Patrum, Antverpiae, 1615, p. 376 sgg. (Miane, LXXIII, 663). 

(7) Mione, LXXIII, 69. 

(8) Acta Sanctorum, XI febr., II, 537-41 (Mione, LXXII, 643). 

(9) Histoire de Cypre, II, 96, e Trésor de chronologie, col. 697. 


Serie II. Tom. XLIV. 26 


202 CARLO CIPOLLA 


24. Fol. 62, al principio della “ pagina ,. “ Sermo sancti Hieronimi ad Paulam 
et virgines sorores de assumptione sancte Mariae , (DI?) È il sermone stampato 
fra le opere di S. Girolamo, nell'edizione di J. Martianus, V, 82-95 (Mrene, Hier. ep. 
spur., IX, 30, 122). 


25. Fol. 73. DL' ricorda uno scritto anonimo sullo stesso argomento. Forse 
questa indicazione è un equivoco, atteso il silenzio serbato da DL? e da S. 


26. Fol. 74, col. 1 (cioè: recto), al fine. “ Amphilochi (A, S: Amphilochii) epi- 
scopi in uita et miraculis sancti patris nostri Basilii archiepiscopi Capadociae , (DL?) 

Di questo aneddoto si trova copia in A, e comincia: “ Dilectissimi, non erat 
indecorum (S: inde cor) fideles filios — ,. Altre versioni veggansi presso i Rollan- 
disti (Acta Sanctorum, XIV iun., II, 938 sgg.), e presso Roswevpus, De vita et verbis 
semorum, Antverpiae 1615, p. 152 sgg. 


27. Fol. 86, col. 1 (recto), a mezzo. “ Vita (S: Incipit vita) S. Hieronimi presbi- 
teri , (DL?). Secondo A comincia: “ Hieronimus natus in oppido Stridionis (S: 
Stridionem), quod a Gothis euersum — ,. Non isfuggì al De Levis che questa vita, 
generalmente attribuita a Gennadio, fu pubblicata da Giovanni Martiany (1); la ripro- 
dusse il Vallarsi (2), ma con numerose discrepanze. Quest'ultimo editore riconobbe 
che non ne fu autore Gennadio. 


28. Fol. 89, col. 2 (cioè: verso), al mezzo. “ Passio beatissimorum martirum Dio- 
nisii episcopi, Rustici archipresbiteri et Eleutheri archidiaconi ,, (DL', DL?). L’aned- 
doto fu pubblicato dai Bollandisti, 9 ott., IV, 925-30; secondo il De Levis, il testo 
ms. serve a completare le lacune dell’edizione. 


29. Fol. 101, col. 2 (cioè: verso), al principio. “ Incipit vita b. Dionisii episcopi 
Mediolanensis , (0L?), # Acta saneti Dionisii Mediolanensis episcopi , (4). Secondo 
il De Levis, una postilla, in inchiostro rosso, diceva: “ hic deest aliquid de incoha- 
tione huius vite ,. Fu questa vita trascritta in A, dove essa principia con “ tanta 
prerogatiua gratiae, Pater sanctissime — ,, che è l’inizio di questa biografia, anche 
secondo la edizione dei Bollandisti (25 mai, V, 510 sgg). 


30. Fol. 106, al principio. DL, S: “ Incipiunt gesta Langobardorum eorumque 
originem. Incipiunt capitula libri primi ,. 

Il prof. G. Calligaris, che abbiamo ricordato poc'anzi, diede conto di un ms. della 
Hist. Langob. di Paolo diacono, che fa parte della ricca biblioteca del ch. signor 
commendatore barone Gaudenzio Claretta, in Torino. Questo codice, del secolo XV, fu 
scritto, con molta chiarezza, su due colonne, ed è tutto di una mano. Il Calligaris 
ascrive il testo di questo codice alla famiglia dal Waitz contrassegnata con F, la 
quale ha il suo migliore rappresentante nel ms. F!, composto in Italia (forse a Mi- 


(1) Opera S. Hisronymi, V, 1 sgg., Parisiis, 1706. 


(elet) 


(2) Opera S. Hirronymi, XI, 241 sgg., Veronae, 1741. 


N55. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 203 


lano) e quindi trasportato oltr’alpe. Esso risale al secolo VIII-IX, ed è il più antico 
fra quelli, che conservarono nella sua integrità l’opera Paolina. Pensa il Waitz, che 
da questo prezioso ms., prima che esso abbandonasse l’Italia, siano state fatte quelle 
trascrizioni, le quali costituiscono un numeroso gruppo di codici italiani. 

Al Calligaris (p. 52) non soltanto riuscì di allacciare a questa famiglia il codice del 
barone Claretta, ma propose ancora, e fondatamente, la congettura che esso “ derivi 
da una copia un dì conservata nell’abbazia di Novalesa ,. Egli confortò la sua con- 
gettura, specialmente sopra un’aggiunta inserta nel c. 53 del libro VI, dove si parla 
della Novalesa. Nel testo genuino, della Novalesa non si fa menzione. Il Calligaris 
conosceva l’esistenza del codice Novaliciense dalle note (edite e inedite) del De Levis, 
dalle quali il Waitz aveva appreso il medesimo. Ma al Calligaris rimase ignoto il 
codice antico, che necessariamente dovea lamentare smarrito, mentre a lui rimase 
ignota anche la trascrizione fattane da A. 

Se lo Schenkl non avesse scoperto nella biblioteca Phillips l'antico ms. Novali- 
ciense, avrei qui dato conto molto particolareggiato della sua copia. Ora non n'è 
più il caso. Mi sia tuttavolta concesso di dare una riprova alla congettura del Cal- 
ligaris, dimostrando, per mezzo di alcuni confronti, che veramente dal codice Nova- 
liciense dipende quello del barone Claretta. Di qui si potrà avere un criterio per 
apprezzare quest’ultimo testo, che può in certa guisa completare il primo, oggidì 
molto imperfetto, non abbracciando che il primo libro e i primi 17 capi del libro Il. 
Non voglio sostenere addirittura che il codice Claretta (C) sia una copia diretta 
del Novaliciense. Ci può essere qualche anello intermedio. Ma sicuramente dipende 
da esso (1). 

Come il Calligaris avvertì, la famiglia F manca di indici nei libri I, Il e VI, 
e perciò gli indici di questi libri si incontrano diversi nei diversi codici. Del libro VI 
non è il caso di parlare, mancando nel codice Novaliciense, anche quando fu stu- 
diato dal De Levis venne trascritto da A. Gli indici poi dei libri 1 e Il quali sono 
dati da A, corrispondono a quelli del codice Claretta (2). La partizione per capi è 
identica, e ciò quantunque nei manoscritti regni in generale non poca incertezza, 
specialmente per i primi capi del I libro. Anzi in ambedue, tanto in A, quanto in €, 
il capo I si arresta, senza apparente motivo, a metà periodo, e con una parola 
sbagliata. Soltanto può riuscire dubbiosa la conformità quanto all’inizio del c. 5, 
giacchè in A la distinzione fra il c. 4 e il seguente è indicata in modo poco evidente. 

Vengo ora alle varianti. Tralasciando per il momento di considerare l’indice del 
libro I, che in A è acefalo, faccio lo spoglio delle varianti dei primi capi, dal quale 
si avrà lume a sufficienza, per venire alla conclusione sopra enunciata. Bisogna per 


(1) Forse la dipendenza genealogica dei codici potrebbe rappresentarsi così : 


Codice Novaliciense 


A x 
| 


Codice Claretta. 
(2) In A, per la perdita di un foglio, l’indice del libro I è appena frammentario. 


204 CARLO CIPOLLA 


altro osservare che i mss. A e C sono molto scorretti, e che quindi non si devono 
assumere quali vere varianti alcuni errori di trascrizione. Per brevità indicò, nei 


confronti, con W. l'edizione del Waitz. 


A C W 

(Cap. 1) (Cap. 1) (Cap. 1) 
feruori feruore feruori 
arcito (1) arcito arctoo 
propriis propter propriis 
nuncuperentur nuncupentur nuncupentur 
nominibus nominum a nominibus 
(om. vocabulo) (om. vocabulo) vocabulo 
uocitatur uocitatur vocitetur 
Renum Renum Rhenum 
dixerint dixerunt dixerint 
tanta prole tantas proles tantos 
quanto quantas quantos 
contigua Europam contigua Europa contiguam Kuropam 
afflixerunt afflixer adflixerunt 
Galliamque Galliaemque sunt Galliamque 


Wandalique profusi 


et Vuandalique perfusi 


Wandalique, Rugi 


(Cap. 2) (Cap. 2) 
Plenius Plenius (corr. in Plinius) Plinius 
terras terram terras 
refertur fertur fertur 
relinquere reliquid. et relinquere 
novasque novas quas novasque 
exquirere excolere exquirere 
perquirit perquirit perquirunt 
(Cap. 3) 
dedit dederat dederat 
solium solium solum 
et cedere excedere excedere 
urbe (forse corr. da arua) exteraque arua exteraue arua 
Ybor Ibor Ibor 
Agionem A gione Aionem 
possint possunt possint 
duorum ducum ducum 


in dubiis 


(1) Vi è sovrapposta la voce: 


uiribus dubiis 


arctito. 


in rebus dubiis 


n 


(I ETA 


magie 


MET] 


morit, 


n 
pure 


gr 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 205 


co 


Non posso escludere in modo assoluto qualsiasi esterna influenza sulla compo- 
sizione del testo C. Due passi vogliono essere qui particolarmente considerati, poichè 
non vedo come si possano ridurre immediatamente ad A. Nel libro II, c. 10, il co- 
dice A dice che Ilperico * sedem constituit Suessionis ciuitatem ,, mentre i testi 
veduti dal Waitz dànno, con lievi discrepanze tra loro: “ cathedram habebat apud 
Sessiones ,. Subito dopo, A narra che Sigeberto “ Remis ciuitatem regnabat ,, e i testi 
esaminati dal Waitz: # apud urbem (var. urbe) regnabat Metensem ,. In ambedue i 
casi, C fonde insieme i due testi, scrivendo: “ cathedram habebat apud Senones sedem 
constituit Suessionis ciuitatem ,, e: “ apud urbem regebat Metensem Remis ciuitatem 
regnabat ,. Ne risultano quindi nel codice C due lezioni assurde, le quali sembrano 
risalire ad un testo simile ad A, che avesse due postille dipendenti dalle fonti cui 
ricorse il Waitz, ovvero a due codici diversi. Ora che il codice Novaliciense fu ricu- 
perato alla scienza, non sarà impossibile verificare se esso contenga appunto le due 
postille, le quali ci darebbero la spiegazione di queste due lezioni di C. 

La trascrizione A si ferma alla frase Pupia apellatur del c. 15 del II libro, e 
si chiude colla notazione: “ Hic defficiunt capitula omnino obiiterata ita ut usu etiam 
uariorum medicaminum legi non potuerint ,. DL? nota: “ Liber I° completus est. 
Liber II" usque ad caput XVII et tres posteriores idest XV. XVI. et XVII semi in- 
teligibiles sunt ,. Schenkl conferma che il codice giunge sino al c. 17 del libro ILL 

Dopo che lo Schenkl ebbe la fortuna di ritrovare il codice originale, cessò di 
avere importanza qualsiasi indagine sull’epoca del medesimo, fatta in base alle 
trascrizioni. De Levis lo attribuì al X secolo. Lo Schenkl lo crede della fine di quel 
secolo, o del principio del successivo, fatta eccezione per la Historia Langobardorum, 
che è di mano più antica. Del resto, se anche dovessimo accontentarci dei risultati, 
sempre dubbiosi, che possiamo attenderci dall'esame di trascrizioni eseguite senza 
scopo paleografico, verremmo presso a poco alle medesime conseguenze. Notai l’uso 
ortografico “ nihil ,, “ nihilominus ,, “ nihilum ,, mihi ,. Anzi persino “ brahia }, 
# Sihibertus ,. Di rado: “ nichil ,, nichilominus ,,. Più significativo è l’uso di scrivere 
* aecclesia ,, “ aecclesiasticus ,, anzi perfino “ aeuangeliorum ,,. 

Nel frammento liturgico sulla messa si leggono queste parole: € amittere enim 
per unum m absque d, hoc est dimittere ,. Di qui si comprende, che l’autore di 
quell’opuscolo scriveva esattamente admittere. 

Da qualche equivoco di trascrizione si può intravvedere nel ms. l'abbreviazione 
e per est. È un’abbreviazione il cui uso risale molto in addietro, ma si continua anche 
lungamente. Il prof. F. Gabotto me la mostrò in un ms. del secolo XVI della Chro- 
nica astigiana di Guglielmo Ventura. 

Le forme “ dampnum ,, # dampnatio ,, # dampnare ,, “ solempnia ,, # contemp- 
nere , dicono poco. Allato a queste trovai anche “ somnus ,. Nell’epitaffio di S. Gre- 
gorio I abbiamo “ semptum , (1). 

Non insisto di più sopra di un argomento, che ormai non può essere conve- 
nientemente trattato, senza la visione del codice Phillips. Mi sia soltanto permesso 


(1) Il Groria, Manuale di paleografia, Padova, 1870, p. 434, fa rimontare sino al VI secolo l’in- 
troduzione della p nei casi qui contemplati, e nei somiglianti. 


206 CARLO CIPOLLA 


di addurre qui, a scopo di confronto, qualche esempio tolto dal rotolo originale del 
Chronicon Novaliciense (che possiamo assegnare alla metà incirca del secolo XI) e da 
alcuni antichi documenti del medesimo monastero. 

Nel rotolo abbonda il dittongo de, espresso con “ ae ,, “ e ,, 4 e ,. Talvolta peraltro 
quest'ultimo segno sembra adoperato quale una semplice variazione grafica di e. 
Rilevo: “ Naeque, ecciesiam, aecclesie, acuadere, etiamsi, dogmate, seu, episcopis, con- 
suetudine ,. Ovvie sono nel rotolo, forme come queste: “ dampnum, dampnatam, so- 
lempni, alumpnos ,, In esso la voce miki è volentieri abbreviata in “ m ,, Che nulla ci 
dice quanto alla sua ortografia. Vi trovo pol: “ nihil ,. 

Se passiamo all'esame dei documenti antichi originali, appartenenti al cenobio 
Novaliciense, bisogna lamentare che di questi ormai pochi rimangono. Sicchè non ci 
è più possibile una ricerca piena e precisa della paleografia delle carte, per quel 
monastero. Per lo scopo nostro attuale, basterà qualche appunto (1). 

Trovo la forma “ ecclesie , nella copia del secolo XI di una carta Novaliciense 
del novembre 1086, il cui originale ha invece “ ecclesie ,. Im questo originale in- 
contro “ michi ,, dove la copia ha “# mihi ,. Nell’uno e nell’altra: “ nichilominus ,,. 
La forma “ mihi , comparisce negli originali di carte fatte a Torino, marzo 1043, e 
ad Alpignano, marzo 1034. In un regesto, di mano del secolo XI, apposto ad un 
diploma del conte Umberto in favore della Novalesa abbiamo: “ acclesia ,. 

Non possiamo per ora stabilire se il codice presente, o almeno la parte di esso 
che contiene la Historia Langobardorum, sia stata scritta proprio nel monastero 
Novaliciense. Alla Novalesa richiama il cenno su quel monastero inserto nel libro VI, 
c. 53, della copia Claretta, come venne posto in evidenza dal Calligaris (2). Ma perchè 
potessimo aver la certezza assoluta che questo esemplare della. Historia fu scritto alla 
Novalesa, bisognerebbe provare, che il cenno rilevato dal Calligaris non era una nota 
marginale, ma apparteneva proprio al testo medesimo, nella sua forma genuina. Pur 
troppo, di quella parte il codice è manchevole ora, come già lo era al tempo del 
De Levis, e quindi nulla possiamo di qui dedurre, almeno con certezza. Ma se di qui 
la prova ci manca, questa la si troverà forse nell’indice del libro VI, al luogo relativo. 
Di questo indice parlerò di qui a poco, e vedremo come l’accordo di più circostanze 
conduca a credere che veramente l’inserzione dei ricordi Novaliciensi risalga al testo 
originario del codice, e non si riduca a mere postille. 

È impossibile ancora stabilire se il codice Novaliciense si chiudesse col termi- 
nare della Historia Langobarduram di Paolo. Forse vi faceva seguito un aneddoto, 
che nel ms. Claretta segue immediatamente alla fine della Historia. 

Infatti nel codice Claretta, finito il testo Paolino (f. 76), dopo un intero foglio 
bianco, il medesimo amanuense trascrisse, l’uno di seguito all’altro, due opuscoli di 
cose Braminiche, che, insieme uniti, costituiscono un unico libro, siccome si vedrà. 
Come continua lo stesso carattere, così segue lo stesso sistema di scritturazione, 
colla distribuzione del testo su due colonne sopra una medesima pagina. Anzi colui 
il quale supplì in rosso le iniziali, tanto nella Historia Langobardorum, quanto nei 


(1) Mi riferisco a documenti esistenti nell'Archivio di Stato di Torino. Novalesa, busta II. 
(2) Op. cit., Boll. ist. stor., X, 50. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 207 


due ricordati opuscoli, credette che questi formassero il seguito del sesto libro di 
quella. Tant'è vero che anche qui continuò, come aveva fatto nel luogo opportuno, 
a scrivere (in rosso) in testa alle singole pagine l'indicazione: “ 6% liber ,. Ma in 
realtà i due opuscoli non hanno alcuna relazione colla Historia di Paolo, e apparten- 
gono invece alla letteratura sulle leggende di Alessandro Magno. 

Il primo opuscolo (fol. 78r-80v) è quello che corre sotto il nome di Palladio e 
che fu pubblicato in greco (con versione latina) da Ed. Bissaeus (1). Alcune diffe- 
renze, e anche non lievi, si hanno fra i due testi, ma l’opera è quella. 

La nostra antica versione comincia così: “ Eo anno nitorium Palladij mens tua, 
que et discere cupit, inmenso sapientie amore succensa, ettiam aliud nobis opus quod 
eficere deberemus iniunxit, hoc est Brachmanorum consuetudinem vitamque mona- 
chorum. Ego quidem neque ipsos, neque patriam eorum vidisse memini. Longe enim 
terrarum spacio, non solum ab India, sed eciam ab ea quam Serigeam nominant 
regionem, seiuncti sunt. Habitant tamen iuxta fluuium quem uocant Gangem. Accessi 
autem ante aliquot annos usque ad summa Indie loca, cum Museo episcopo Dule- 
norum (2), ubi cum ecc. ,. 

Himiscossi.a. Hec igitur que Arriani alicuius historia quam ego legeram’ com- 
prendit ad te commonitorio meo aduncta (adaucta ?) transmissi, illius Arriani, qui 
discipulus philosophi Epittiti fuit, quique quum ex seruili gente descenderit, propter 
ingenium grande nature ad philosophie instituta peruenit, temporibus imperatoris 
quondam Neronis, qui Petrum et Paulum apostolos interemit ,. 

Segue (fol. 80r-88v) l’altro opuscolo, che viene dunque implicitamente atiribuito 
ad Arriano. Anche nel testo greco edito dal Bossaeus questo opuscolo vien presso 
all’altro (pp. 12-54). 

Nel nostro codice questo tratto comincia: 

“ Dandamus nomine Brachmanorum magister vitas eorum refferens hec lo- 
quutus est. 

“ Alexander imperator cum ei non sufficeret Macedonie solius imperium, neque 
Philippo tanto patre posset esse contentus, Aymonis filium semetipsum dicebat. Et 
quamuis ecc. ,. 

Nel nostro testo manca il tratto "Eoti dé tig -- TOTOv TOÙ Acudduewg (pp. 20-1). 

Più avanti (p. 23 dell’ediz.) al testo greco mancano alcune linee, di cui qui si rife- 
risce la versione, aggiunte le parole di congiunzione con quanto abbiamo; “ ..... neque 
per totum mundum imperialis foris sedem suam posuit. Non Zeneadem transit. Non 
in medio orbis uia cursum solis aspexit. Cuius Metorij et Carsofori, et Scithiane nomen 
quidem adhuc nosse potuerunt. Si ergo non capit eum illa quam ibi possidet terra..... ,. 

Al nostro testo manca il tratto: ’A\m Bivè didloxare — TÒ Èév 001 mvedua (p. 35). 


(1) Parcapius de gentibus Indiae et Bragmanibus, ecc., Londini, 1665, pp. 1-11. J. Zacuer, Pseudo 
callistenes, Forschungen zur Kritik und Geschichte der dltesten Aufeeichnung der Alexandersage, Halle, 
1567, p. 107, parla del falso carteggio scambiato fra Alessandro e Dindimo, che si trova diggià in 
codice del sec. IX, ma appena alla sfuggita ricorda Palladio. Nulla intorno a ciò può leggersi nel- 
l’erudito lavoro dell’egregio prof. D. CarraroLIi, La leggenda di Alessandro Magno, Torino-Palermo, 
Clausen, 1892. 

(2) Moisè vesc. di Adule è registrato dal Gams, Series episcop., p. 462, che lo crede vissuto 
verso il 400, e quindi contemporaneo a Palladio, seguace di Origine 


208 CARLO CIPOLLA 


La preghiera del Bramino, che è abbastanza lunga nel testo greco (p. 39): 
Bpatudave TAvta éyovoi, ecc., è brevissima nel nostro testo: “ Inmortalis, inquid, Deus, 
tibi ergo in omnibus gratias ago , (1). 

Finisce il testo: “ ..... vniuersam enim humanam ubique naturam uolumus per 
nos fieri esse meliorem ,. 

Segue a chiusura: (FE Explicit gesta. 

Da queste ultime parole sembra doversi argomentare che il testo originario 
portasse un titolo, che doveva probabilmente avvicinarsi a questo: “ Gesta Alexandri 
Magni ., o piuttosto “ Gesta Brachminorum ,. 

Non avendo neppure il Calligaris pubblicati gli indici dei libri I, II e VI, può 
essere dubbio se sia il prezzo dell’opera il darli qui, mentre nulla aggiungono al 
testo Paolino. La scoperta del Codice Phillips levò per i primi due libri quasi ogni 
valore alla copia della Biblioteca Nazionale di Torino e al Codice Claretta. Di 
qualche utilità può ancora riuscire invece la stampa dell'indice del VI libro. Esso 
è del seguente tenore : 


Incipiunt capitula sexti libri. 


(1) Quomodo Romoald dux Beneuenti Tarentum ciuitatem expugnauit atque cepit. 

(2) De morte Romualdi ducis et Grimoaldi germani eius et de ducato Gisulfi eius 
germani. 

(2) Quomodo ossa sancti Benedicti et Scolastice ab homines (corr. in: hominibus) 
Aurelianensis ciuitatis furate sunt. 

(3) De Rodoaldo duce Forioiuliano, et quomodo Ansfrit absque regis nutu eius du- 
catum peruasit. 

(4) De heresi que eo tempore apud Constantinopolim horta (corr. in orta) est. 

(4) De epistola Damiani Tycinensis ecclesie episcopi, quam contra heresis (corr. in 
heresim) Constantinopolitanam transmisit. 

(5) De lune clypsis seu de soli clypsis, que eo tempore fuit, seu de peste que hec 
signa secuta est. 

(6) Quomodo Cunipert Aldonem et Grausonem interficere uoluit, sed eis ab uno 
homine claudo hoc denunciatum est. 

(7) De Felice grammatico, quem rex baculo auri et argento decorauit. 

(8) De Iohanne episcopo Bergamensi, cui rex dedit equum indomitum, qui per ses- 
sionem sancti episcopi factus est mansuetissimus. 

(9) De stella cometis, que e0 tempore wisa est. 

(9-10) Quomodo Bebius eructauit, et quomodo Sarraceni in Africa Cartaginem ceperunt. 

(11) De morte Constantini augusti et quomodo Justinianus eius filius regnum suscepit. 

(12) Quomodo Leo Justinianum augustum de regno expulit et ipse eius regnum 
suscepit. 

(13) Quomodo Tiberius hune Leonem regno priuauit et ipse în regno eleuatus est. 

(14) De synodo que in Aquilegia tune tempore facta (corr. in: factus) est. 


(1) Altre diversità, e in non piccolo numero, sarebbero a notarsi, come p. e. la soppressione 
del nome degli Epicuiei (p. 52 dell’ediz.). Ma non è dello scopo mio lo istituire un completo raf- 
fronto fra questa versione e il testo greco. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 209 


(14) De synodo que apud Constantinopolim tempore Vigilii pape sub Justiniano au- 
gusto facta (corr. in: factus) est. 

(15) Quomodo Cedoald rex Anglorum Saxonum ad Romam uenit, ibique baptizatus est. 

(16) Quomodo in Gallius Francorum regibus maiordomui (1) apud se habere uidentur. 

(16) De Arnulfo qui eo tempore maior domus fuit, et postea apud Metensem urbem 
sanctus effectus est. 

(17) De morte Cuniperti regis et quomodo Liutpert eius filius in regno eleuatus est. 

(18) Quomodo Raginbertus dux Taurinensium con Asprando et Rothari ducibus apud 
Nouarias pugnauit atque deuicit, sed et ipse eodem anno mortuus est. 

(19) Quomodo Aribert filius Raginpert cum Liutperto rege apud Ticinum pugnauit 
et viuum comprehendit. 

(20) Quomodo Rothari dux in Bergamum se reclusit et ab Ariberto comprehensus 
est et in exilium missus est. 

(21) Quomodo Ansprand per curiam ad Theodebertum ducem Baioariorum aufugit. 

(22) Quomodo Aribert confirmato regno Sigiprandi, Ansprandi filius, oculis priuauit 
et Liutprandum iuniorem filium ad patrem suum ire permisit. 

(23) Eo tempore in Gallias Anschis Arnulfi filius maiordomus erat. 

(24) De morte Aldoni duci Foroiulano et quomodo Ferdulfus eius ducatum suscepit. 

(25) Mortuo Ferdulfo duce, Chorbulus in eius loco ordinatus est. 

(26) Quomodo Pemmo post mortem Chorbuli ducatum suscepit et de hello quod cum 
Sclauis gessit. 

(27) Quomodo Gisulf, Beneuentanorum dux, Suram, Yrpinum et Archim (2), Roma- 
norum ciuitates, cepit. 

(28) Quomodo Aripertus rex Langobardorum, Alpes Cociarum per suum preceptum 

» ad Romam condonauit. 

(29) Quomodo Benedictus archiepiscopus Mediolanensis causam egit in Roma de ec- 
clesia "l'ycinensi, sed exinde victus est. pi 

(30) De morte Trasamundi ducis Spolitani et quomodo eius filius ducatum suscepit. 

(31) Quomodo Justinianus Leonem et Thiberium, qui eius regnum abstulerant, occidit. 

(82) Quomodo Philippicus con Justiniano pugnauit et occidit, atque eius regnum 
adeptus est. 

(33) De morte Petri patriarce et quomodo Serenus honorem adeptus est. 

(34) Quomodo Philippicus augustus ad Constantinum papam literas direxit. 

(34) Quomodo Anastasius super Philippicum irruit et eius (sic) oculis priuauit et eius 
regnum accepit. 

(35) Quomodo Ansprand, qui in Baioariam fugerat, cum Baioariis in Italiam venit 
et cum Ariberto rege pugnauit, atque ab eodem deuictus est, et de morte Ari- 
berti, et quomodo Ansprand eius regnum accepit. 

(36) De Anastasio augusto, quomodo de regno eiectus est, et Theodosius inibi ordi- 
natus est. 

(37) Eo tempore multi Anglorum Saxones ad Romam venire consueuerunt et de 
Pipino, qui in Gallia principatum tenebat. 


(1) Forse si emenderà: reges maioresdomui. 
(2) Anche nel testo del capo il presente codice ha: Archim, e ciò corrisponde alla lezione di FI. 


Serie II. Tom. XLIV. 20 


210 


(37) 
(38) 


(39) 
(40) 
(40) 
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(56) 


CARLO CIPOLLA 


Quomodo Pipinus Francorum rex quendam suum adversarium, suo in cubiculo 
residente, uno tantum satellite sociatus, trucidauit. 

Quomodo Liutprand, filius Ansprandi, in regno confirmatus est, et eum duo 
armigeri sui occidere uoluerunt. 

De morte Gisulfi ducis Beneuentani et Romuald eius (filius) (1) ducatum accepit. 
De Petronace uiro Dei, quomodo ad ecclesiam sancti Benedicti rector effectus est. 
De monasterio Sancti Vincentii (2), quod a tribus fratribus est hedificatum. 
De magno castro Romanorum quomodo a Langobardis captum est, et a duce 
Neapolitano excussum est. 

De morte Theodosii augusti et quomodo Leo eius regnum accepit. 

De morte Pipini Franchorum principis et Karolus eius filius regnum accepit. 
Quomodo Liutprand rex Theuteperti Baioariorum ducis filiam in matrimonium 
accepit. 1 

Quomodo Faroaldus dux Spolitanus (3) Classe ciuitatem Rauennantium inuasit. 
Quomodo Theudebertus Baioariorum dux Romam orationis causa peruenit. 

De Pemnone duce Foroiuliani, quomodo cum Sclauis pugnauit atque deuicit. 
Quomodo Sarraceni Equitaniam venerunt et a Karolo rege ac Eodone duce Equi- 
tanie deuicti sunt. 

Quomodo Sarraceni Constantinopolim circumdederunt ac tres aanos obsiderunt. 
Quomodo Liutprand rex ossa sancti Augustini ad Ticinum deportare fecit. 
Quomodo Liutprand rex Rauennam obsedit et Classem destruxit. 

Quomodo Liutprand rex Bononiam et Pentapolim et alias ciuitates Romanorum 
inuasit. 

Quomodo Leo augustus ymagines Saluatoris ac Dei Genitricis cremare fecit. 
Quomodo Romoald dux Beneuenti Gumpergam neptem Liutprandi uxorem duxit. 
Quomodo inter Pemmonem ducem et Calistum patriarcham rixa surrexit, et ab 
eodem Pemmone in carcerem missus est, et Liutprand, hec audiens, ualde 
iratus est. 


) Quomodo Ratchis Foroiulianorum dux Carniolam patrium (Sclauorum) (4) inuasit. 


Quomodo Karolus Franchorum princeps Pipinum suum filium ad Liutprandum 
regem direxit, ut eius, iuxta morem, capillos incideret, et de fratre eius, qui in 
Novalicio prefuit monasterio et de situ ipsius loci. 

Quomodo Sarraceni cum Karolo principe iusta Narbonam bellum committunt, 
set ab eo deuicti sunt, et quomodo alia uice Sarraceni ad Arelatem uenerunt 
et Karolus Liutprandi regis auxilium petit et ipse festinus ad eum perrexit. 
Quomodo Trasamundus dux contra Liutprandum rebellauit et exinde ad Romam 
fugit et de morte Romoaldi ducis et quomodo Gregorius eius (nepos) (5) ducatum 
accepit. 

De morte Gregorii Beneuentani ducis et quomodo Godescalcus eius ducatum 
accepit. 


(1) Aggiungo questa voce, che mi sembra richiesta dal senso. 
(2) Ms.: Vincentis. 

(3) Ms.: d. S. dux. 

(4) Aggiungo questa parola, seguendo il testo del capitolo. 
(5) Supplisco, dal testo. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIELIOTECA NOVALICENSE 211 


(56) Quomodo Liutprand rex cum exercitu suo Spoletum uenit et coniunetis Romanis 
ac Spoletinis con Rachis et Astulpho ducibus pugnauerunt et ab eis deuicti sunt. 

(57) Quomodo Liutprand Trasamundum a ducato Spoletino expulit et Ansprandum 
suum nepotem ibi constituit. 

(58) Quomodo Liutprand rex in Beneuentum Gisulfum suum nepotem ducem constituit 
et quomodo monasterium sancti Petri ad Celum Aureum et Vercetum. et in 
Olona capella sancti Anastasi hedificauit. 

(58) De morte Petronij Ticinensis ecclesie episcopi, qui regis erat consanguineus. 


(58) De morte Liutprandi gloriosi regis et quomodo XXXI regnauerat annis. 


Forse tutti e tre gli indici, o almeno quest’ultimo, si possono riguardare come 
compilati nel monastero della Novalesa, dacchè non s'identificano con altri indici noti, 
e sopratutto a causa del cenno sulla Novalesa, che troviamo al $ 53 del libro VI, 
e che corrisponde al testo del paragrafo stesso. Solamente dall’indice si dovrebbe 
dedurre che quel paragrafo contenesse una qualche descrizione del monastero. Per 
contro il testo cl dà unicamente un brevissimo cenno sulla fondazione del monastero 
stesso, “ quod quidam construxit patricius nomine Abbo ,. Verrebbe il sospetto che 
colui il quale adattò ad uso del monastero Novaliciense la Historia di Paolo, nu- 
trisse dapprima l'intenzione di diffondersi alquanto sul suo monastero. 

Abbiamo accennato poc'anzi all’ipotesi, facile a farsi, che l’interpolazione fatta 
al c. 53 del libro VI fosse una nota marginale, ricevuta nel testo solo dall’ama- 
nuense del secolo XV del codice Claretta. Può farsi la stessa supposizione, per 
l’accenno che a quella notizia troviamo nell'indice? Sì, certamente, ma forse mi- 
nore verosimiglianza. Pare difficile che una postilla di una linea dia occasione ad 
un'aggiunta all’indice, ed un'aggiunta anche abbastanza lunga. 

Il Calligaris rilevò la relazione stretta che passa fra l’aggiunta al libro VI, 
c. 59 della Historia di Paolo e il Chronicon. 

L'aggiunta è brevissima. Dove si nomina Carlo (Martello), fu interpolato il brano: 
“ Hic et alios filios habuit, quorum unus, Ugo nomine, pater extitit sancte congre- 
gacionis Noualiciensis monasterii, quod quondam quidam construxit patricius nomine 
Abbo , (1). 

(Qui è evidente la confusione fatta tra Carlo (Martello) e Carlo Magno. Il rac- 
conto di Ugo, supposto figlio di Carlo Magno, dal padre affidato, per la sua educa- 
zione, all'abate Frodoino, e poscia posto (2) “ ad regendam Novaliciensis aecclesiam , 
s'incontra parecchie volte nel libro IMI del Chronicon, dov'è svolto non brevemente (3). 
Abbone poi viene considerato come patrizio in numerosi passi del Chronicon, a co- 
minciare dalle sue prime parole (4). 


(1) C'è nel ms. Claretta una postilla marginale, che potrebbe anche essere del copista del 
sec. XV: “ filius regis Karoli, fuit pater congregationis Novaliciensis ,. 

(2) Chron., lib. III c. 25. 

(3) Che Carlomagno, tra i suoi figli illegittimi, n’abbia avuto anche uno di nome Ugo, è notorio. 
Fu più tardi (834) abate di S. Quintino e cancelliere di suo fratello Ludovico il Pio (Simson, Ludwig 
der Fromme, p. 22-3, 85). Ma, quantunque poco si sappia sulla sua educazione, non sì è trovato 
modo di concordare le narrazioni Novaliciensi, per ordinario riguardate come leggendarie. colle 
notizie del tempo. 

(4) Chron., lib. I, ec. 1 


22 CARLO CIPOLLA 


Qui si presenterebbe una ricerca laterale. Se il codice è almeno del sec. X, 
poteva dare ad Abbone il titolo di patrizio ?. Questo titolo usato ad ogni momento 
dal cronista, manca negli antichi e autentici documenti, e, secondo l'opinione di 
critici egregi, proviene da una leggenda o da un errore. Una simile questione non 
si può trattare qui per incidenza. Ma devo accontentarmi a rilevare essere impossibile 
il provare che almeno nel sec. X quell’epiteto forse negato ad Abbone. E non pare 
che sia neppure escluso totalmente che Abbone in qualche modo meritasse quel titolo. 
Si sa infatti che “ Abbo patricius , incontrasi in carte del 780 (1) e del 780 in- 
circa (2): anzi in quest’ultima esso è designato esplicitamente come defunto: # Abbo 
patricius condam ,. Quei documenti riguardano S. Vittore di Marsiglia; e dal secondo 
di essi si comprende che Abbone viveva al tempo di Carlo Martello. Corrispondono 
adunque l’età, la regione, il carattere della persona. Il Datta (3) acconsentendo alla 
identità di quell’Abbone col nostro, non vuole tuttavia concedere che il titolo di 
patricius sia dato ad Abbone legittimamente. Ma ia negazione del Datta non ac- 
contenta guari il Bethmann (4). Si vede dunque che c'è a sufficienza per impedirci 
di negare così facilmente l’antichità della inserzione del passo in questione, nel luogo 
indicato della Historia Langobardorum. 

Il cronista verisimilmente fece uso della Historia di Paolo, specialmente là dove 
ricorda i duchi Langobardi Amone, Zaban e Rodano (5). Anzi non par dubbio che 
narrando (6) la spedizione di Liutprando in Francia, in soccorso di Carlo Magno, abbia 
usufruito della Historia, per il c. 54 del libro VI, vale a dire proprio il capo seguente 
a quello, nel quale leggesi l'aggiunta di cui disputiamo. Ne verrebbe quindi la con- 
seguenza che l'aggiunta stessa fosse presente al cronista, quando compilò il suo opu- 
scolo. Tuttavia in tutto questo non si ha chiarezza piena, poichè, se invece confron- 
tiamo il diffuso racconto del cronista, col succinto cenno della Historia, parrebbe che 
questo dipendesse da quello e non viceversa. Se ciò fosse, ne verrebbe che l’inter- 
polazione dipenderebbe dal Chronicon. Ma anche questa ipotesi non ha per sè un 
sufficiente grado di probabilità, poichè sono ovvie le spiegazioni, che si possono dare 
della brevità della interpolazione e della diffusione del racconto presso il Chromicon. 

EKvvi ancora un'osservazione a fare ed è questa: come mai un interpolatore del 
secolo X (se pur di questo secolo fosse il codice, e non del IX) (7), può aver co- 
nosciuta la narrazione di Ugo figlio di Carlo Magno, alla quale non sappiamo qual 
fondamento storico sottostia ? 

Ma nè questa, nè altre obbiezioni hanno forza di abbattere la supposizione contro 
di cui è indirizzata. Ascrivendo la postilla alla fine del IX secolo, si può consentire 
che il racconto tradizionale intorno ad Ugo fosse ormai accettato e diffuso. 


a Una carta del 780 con quel nome fu pubblicata dal Lr Corre, Annales eccles. Francorum, 


) Marrene et DuranD, Script. veter. nova collectio, I, 41. 

(3) Mem. Accad. Torino, I Serie, XXX, 184, 

(4) MGH., e VII, 80. 

(5) Chron., I, e. 10; cfr. Hist. Lang., IN, c. 8. 

(6) Chron. SA ci F. 

(7) Lo ScHenkL, come abbiamo detto, pronuncia un giudizio dubitativo, come abbiamo veduto: 
“ altra mano, s. X, o anche anteriore ,. 


sno su parere EA 


pe _ ar 
— —— 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 213 


Può anche osservarsi che, se il testo è del secolo X, questo apparterrebbe ad 
un periodo nel quale l'abbazia Novaliciense giaceva disfatta. Si può quindi fare il 
quesito se sia ammissibile in tali circostanze, la interpolazione di cui ci occupiamo. 

Quantunque sia vero che nel secolo X il monastero della Novalesa giaceva 
abbandonato e disfatto, tuttavia è pur certo che il cenobio di Breme riconosceva 
come suo “ caput , la Novalesa, siccome apprendiamo dagli scarsi documenti del 
medesimo in quest'epoca. E oltre a ciò si noti, che qui si dice che Ugo fu padre 
“ sancte congregacionis Novaliciensis monasterii ,, senza che si specifichi questa 
congregazione coll’appellativo di nostra, siccome in simili casi usavasi fare. 

È tempo di metter termine a questa serie di congetture, una delle quali incalza 
e forse anche intralcia l’altra. Fino a prova contraria, pare che le aggiunte al codice 
della Historia siano anteriori al Chronicon, ma che la narrazione offerta da quest’ul- 
timo sia, almeno in parte, da quelle indipendente. 


IL 
L'inno a S. Walerico. 


Non dal codice testè descritto, ma da altro ms. della Novalesa, pubblicò il 
De Levis (1) l'inno a S. Walerico (2), le cui reliquie, secondo il cronista (3), vennero 
donate da Carlomagno a Frodoino abate Novaliciense. Comunicato Vinno al De Levis 
il “ già noto ill." et r." P. Sona de Ordine Cisterciensium ex Congregatione S. Ber- 
nardi abbas S. Mariae de Abundantia , (4). Di quest’inno trovai una trascrizione 
nella “ Miscellanea LXXI , della biblioteca Nazionale di Torino, insieme colle tra- 
scrizioni, di cui abbiamo tenuto conto nel capo precedente. Ivi l'inno è preceduto 
dalla didascalia seguente, che corrisponde perfettamente a quella che gli premise il 
De Levis, salvo che questi vi aggiunse, che egli era debitore dell’inno al P. Sona. 

Ecco dunque la didascalia del ms.: “ Hymnus de saneto Walerico abate cuius 
reliquie a monasterio Noualiciensi Taurinum translate sunt, cum seuissima ibi pestis 
grassaretur, que sacri pignoris aduentu statim cessauit, ita Pinzonius sub anno ,. 
Non trovai il passo nell’Augusta Taurinorum del Pingonio, e pare che non l'abbia 
rinvenuto neppure il De Levis, poichè egli, nella stampa, ommise anche la frase 
sub anno. 


(1) Precisamente dal ms. che egli descrive a p. XXXIX-XL degli Anecdota, e che è fra quelli 
dal Levis avuti in dono. Di una non impossibile identificazione di questo ms. toccheremo al termine 
della Memoria presente. 

(2) “ Decus sanctorum nobile ,. — Diverso è l’inno de saneto Valerico riferito da G. M. Drevrs, 
Liturgische Reimofficien des Mittelalters, Lipsia, 1892, p. 256. — U. CarvaLieRr non ricorda, nel suo 
Repertorium hymnologium, V’inno di cui ci occupiamo. 

(3) Lib. III, c. 15. Sul culto a lui professato, e sopra un miracolo ottenuto colla sua interces- 
sione, veggasi ivi, 1. V, capi 32 e 86. 

(4) Anecdota sacra, pp. 173-4. — S. Valerico si festeggia nella archidiocesi di Torino nel giorno 
12 dicembre. Indarno cercheremmo qualche cosa per la storia della Novalesa nel libro Vita di 
S. Valerico abbate descritta in latino da D. Lorenzo Surio et da frate Gregorio Salino di Torino, ca- 
puccino, novamente în lingua italiana tradotta, Torino, A. Pizzamiglio, 1601, pp. 40 in 4° pice. 


214 CARLO CIPOLLA 


Dal ms. traserivo qui i versi contenenti qualche lezione variante dalla stampa, 
e scrivo tale lezione in corsivo. Verso 4: “ pangimus laudes celedrie ,; — v. 7: “ qua 
digne celì gaudia; — v. 10: “ wirtutum plenus coelitus ,; — v. 11: Walericus exi- 
mie ,; — Vv. 14: “ Sacra sequtus dogmata ,; — v. 18: “ demonum uertit delubra ,. —- 
Al fine manca “ Amen ,, che trovasi nell'edizione. 


Frammento di una Omelia del ven. Beda. 


All’Arechivio di Stato di Torino, tra le carte dell'Abbazia della Novalesa, un 
libretto del 1659 contenente una nota di contribuenti al Monastero stesso era co- 
perto con un mezzo foglio di pergamena, che fu staccato il 10 marzo 1894. 

Se n’ebbe così la metà inferiore di un foglio pergamenaceo di grandi dimensioni, 
scritto su due colonne. Ogni colonna era stata inquadrata a punta secca, e a punta 
secca erano stati parimenti segnati i righi, prima che l’amanuense facesse l’opera sua. 

Questo mezzo foglio di pergamena ci dà due frammenti della Homilia in visi- 
tatione b. Mariae Virginis del ven. Beda (1). 

Faccia recto, col. a. Comincia: “ nimi|rum ipse spiritus qui — ,. Finisce: “ — do- 
mini genitrix ea que , (2) (Mrene, XCIV, col. 17 A-0). 


Col. 5. Comincia: “ responsione Elisabeth — ,. Finisce: “ — in Deo salutari 
meo. Et cetera quibus , (Mrene, XCIV, col. 18 A-B) (3). 

Faccia verso, col. a. Comincia: “ [iudi|ciose fuisse — ,. Finisce: “ — Iuxta illud 
propheti|cum , (Miane, XCIV, col. 18 D — col. 19 A) (4). 

Col. 5. Comincia: “ se beatos fore considerent — .. Finisce: “ — subest cum 


uolu|erit , (Mrene, XCIV, col. 19 B-D) (5). 
Pare che il ms. risalga al principio del sec. XI, e forse anche tocchi il secolo X. 
Le minuscole talvolta sono onciali e talvolta rustiche. Abbiamo in onciale la A, 
la E, la F, la-M, Ja N; da 0; in'rustico: la, A; la-D, da ck.ila Ela 0 rlavVe 
È costante il nesso corsivo &. 


(1) Miexe, Patrol. latina, CXIV. 

(2) Varianti: Saluatoris intelligit (Mrene: Salvatoris intellexit), Elisabeth (M.: Elizabeth), exul- 
tatio significar& (M.: exultatio significasset), operacio (M.: operatio), mora est. Im uno (M.: mora est 
ubi Spiritus Sanetus doctor adest. In uno), sobolem ad amorem (M.: sobolem amore). 

(3) Varianti: Elisabeth (Mione: Elizabeth), Fide forte, corr. fortem da tarda mano (M.: Fide 
fortem), in pectoris (M.: in sui pectoris), carismate (M.: charismata), Mox &iam (Mione: Mox), celi 
(M.: coeli), Et cetera, quibus (M.: quibus). 

(4) Varianti: iudi)cio se fuisse testatur. Deus meus adiutor meus es, sperabo, inluxit nobis lux 
ueritatis demonstrat (M.: iudicio se fuisse demonstrat), celestis (M.: coelestis), precipua (M.: praecipua), 
eunctorum (M.: cunctarum), Addit (M.: Addidit), accione conlaudans (M.: actione collaudans), Nihil 
ergo (M.: Nihil igitur), adstrueret (M.: instrueret), quatinus (M.: quatenus), uere (M.: verae). 

(5) Varianti: digna est (Mrene: digna extitit), perp&ua (M.: perpetuae), sollerti (M.: solerti), 
exortacione (M. exhortatione), contempnentes (M.: contemnentes), in dicione (M.: in ditione). 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 215 


Le aste delle lettere 2, 4, ecc. sono di sovente leggermente di forma cuneata (1). 

La a minuscola è d’ordinario chiusa e di forma carolina. Ma non è qui molto 
rara anche la 4 aperta, e questo è un indizio di antichità (2). Non manca la e, che 
chiamammo crestata, e che trovammo nel frammento delle Omelie di S. Cesario e 
nel codice del Martyrologium di S. Adone. Questa forma di e non basta a deter- 
minare un’altra antichità in favore del nostro codice; infatti la rinvenni pure in una 
copia, presso a poco contemporanea all'originale, di una carta 7 marzo 1033 riguar- 
dante il celebre cenobio di S. Giusto di Susa (3). La 9 è aperta. Molto pronunciate 
sono le parti rotondeggianti della è, della d, della /, della p e della g; ed anche in 
ciò abbiamo un criterio cronologico, che rimanda alquanto addietro il nostro ms. 

Poco caratteristiche sono la m e la , nelle quali l’ultima asta talvolta piega 
a destra, secondo l’uso seriore, e talvolta a sinistra secondo l’uso antico. Manca ad 
ogni modo la vera e schietta forma arcaica; poichè anche in un’età non antica può 
bene sussistere questa incertezza di forme. Tuttavia bisogna fare qui un'osservazione. 
Anche dove l’ultima asta della 1 e della » termina con un apice piegato a destra, 
l'asta s'incurva aprendo la parte convessa verso sinistra. Quest'ultima forma della m 
e della » è tutt'altro che rara anche nei diplomi dell'età Carolingica. La r talvolta 
è leggermente prolungata al di sotto della linea, ma di solito rimane entro al limite 
delle altre lettere. In un luogo il nesso r-e si avvicina alla forma corsiva. 

Sull’ortografia poco ho da osservare. Il dittongo de è sempre espresso con e, 
che serve anche per oe. In perpetua (faccia verso, col. 5) abbiamo la sillaba et rap- 
presentata da d cediliata. Una riga prima, la parola precipuum è indicata colla p 
cediliata. Rilevo qualche abbreviazioni: “ —b; (= bus), q. (= que), intellex (= in- 
tellexit) , (4). 


(1) Questo sarebbe indizio di antichità. Il Jarri (presso Mommsen, Digesta Justiniani Augusti, 
Berlino, 1870, p. XXXXV) pone fra i caratteri del sec. IX le aste delle lettere d, d, ecc. di forma 
cuneata. Ma se si tratta di ingrossamenti a cuneo non molto forti, questo non è criterio assoluto. 
Nel Martyrologium Adonis da me antecedente descritto, come il lettore può vedere nei facsimili, 
queste incuneaziori si hanno, e in modo abbastanza spiccato; eppure il codice non è del IX secolo. 

(2) Sono le forme XI e XII della classificazione di A. Monaci, Per la storia dell’ * A,, Roma, 
1889, p. 4. 

(3) Abbazia di S. Giusto, busta I. — Arch. di Stato di ‘Tl'orino. 

(4) Il prof. F. Gabotto, che attende all'ordinamento dell’antico e prezioso Archivio di Monca- 
lieri, vi trovò un foglio grande doppio pergamenaceo, che aveva servito di fodera a qualche libro. 
Questo foglio, che per dimensioni è tuttavia inferiore al Novaliciense, reca esso pure un frammento 
delle omelie di Beda, anzi, per una buona parte, s'incontra nel Novaliciense. Anche il foglio di 
Moncalieri è scritto a due colonne; righi e colonne vi furono tracciate a punta secca, prima che 
fossero scritte. Il carattere è il minuscolo carolino abbastanza sviluppato, ma ancora lontano dal 
minuscolo del sec. XII. Non pare di molto posteriore al codice Novaliciense, e ad ogni modo non 
appartiene ad età più tarda del principio del sec. XI (!. La 9 aperta, la forma caratteristica del- 
l’ultima asta della m e della », le parti curvilinee della d, della d e della %, molto pronunciate, 
sono fatti paleografici, che c’invitano a risalire addietro coll’età da attribuirsi al ms. Locchè viene 
confermato dal maiuscolo rustico, quasi privo di mescolanza d’onciale, schietto, bene disegnato, che 
venne impiegato per la titolatura sul margine superiore della pagina, e per la didascalia di una omelta. 
Sulle due colonne del f. 17, e su quelle del f. 1» leggesi rispettivamente: BEDE | PRBTI | OME | LIA. 
Conformemente sulle quattro colonne del f. 2r e 2v. Il fol. 1» principia colle parole: “ uxorem 
habuerit — , che appartengono alla omelia in festo visitationis b. Marie, Miane, XCIV, 13 D. Quella 

(') Come termine di confronto cito una carta del 1031 circa, riprodotta dal Vayra, Museo storico, 
p. 380. 


216 CARLO CIPOLLA 


IV. 


Frammento delle “ Moralia , di S. Gregorio Magno. 


Nella HI busta delle carte dell’ Abbazia della Novalesa, nella serie conservata 
presso l’Economato Generale di Torino, c'è un volume in carattere del XVI secolo, 
così intitolato: “ Registro delle cause ciuilli e criminali, precetti, condanazioni et 
altri atti agittati et agittate nella corte del monasterio di San Pietro di Novalesa 


auanti me Gio. Bapta San Jorzo di Calusio notario ducalle et ca.”° (1) di Novalesa 
et sua giurisdictione per l’Illu. et molto rev.® sig. Gaspar Prouana della signoria 
di Leini sig. di Noualesa etc. del anno mille cinque cento e settanta doi et sotto 
li giorni dentro scritti || 1572 || de Sancto Georgio ,. 

Venne adoperata a legare tale Registro una bellissima e grande pergamena, con- 
tenente, come vedremo, un lungo frammento del libro XVI dei Morali di S. Gregorio 
e cioè la fine del capo VI, i capi VII-XIV, e il principio del cap. XV, secondo il testo 
del Migne (2). La legatura del Registro è certamente originale; locchè tanto più 
chiaramente appariva nei luoghi della cucitura, dove, per rafforzare la pergamena 
sì adoperò, ripiegata, qualche carta scritta del XVI° secolo. 

Abbiamo qui adunque un foglio semplice, col testo distribuito sopra due colonne, 
in ciascuna faccia del medesimo. Il carattere è il minuscolo ormai sviluppato, ma 
ancor lontano dall’assumere quella simmetria e quella regolarità, che precede il na- 
scere del gotico; è chiaro, ma non molto elegante, e talvolta ricorda il minuscolo 
delle carte pagensi. In generale si presenta come angoloso. Sono specialmente trascu- 
rate le maiuscole maggiori, in rosso. Esse sono di forma rustica, fatta eccezione per 
una £ onciale; vennero supplite posteriormente, essendo state indicate sul margine 
dal primo amanuense colle corrispondenti minuscole; può anche supporsi che queste 
maiuscole siano di non poco tempo posteriori al testo. Parte delle maiuscole minori 
sono rustiche e parte onciali; così p. e. abbiamo la D di ambedue le forme, e ciò 
si ripeta della N, della Q, ecc. La e minuscola ingrandita si fece servire per maiu- 
scola. La F è sempre onciale; ha cioè leggermente rialzata la orizzontale superiore. 


omelia termina a circa due terzi della col. d del f. 17, chiudendosi con AMEN in nero, carattere 
, 


LU ld r ld 
rustico. Segue in rustico rosso FR VI.LEC SCI EVGI SCDM LVCAM. E quindi: In ILLo TEMPORE. 
Exurgens beata maria —. La I è in rosso, di grande formato (occupa tre linee), e quanto segue, e 
fu qui trascritto in maiuscolo, è in rustico, inchiostro nero. Dopo il passo evangelico, segue in 


rustico, rosso: OMEL VEN BEDE PRBI DE EADE LEC. Il testo © Lectio quam audiuimus , co- 
mincia con una L di grandi dimensioni, similmente alla I ora indicata, cui fa seguito il carattere 
minuscolo. Il termine del f. 13 corrisponde alla col. 16 A del Miexe. Nel f. 2 prosegue il testo 
senza interruzione; la col. 5 del f. 2v termina corrispondentemente alla col. 18 C dell’edizione del 
Migne. 

(1) Castelario. 

(2) Parol. latina, LXKXV, 1125 e — 1130 c. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 217 


Venendo al minuscolo, oltre ai caratteri generali sopra indicati, sonvi alcuni 
fatti speciali da rilevare. La « e la g sono chiuse. La m e la n» hanno l’ultima asta 
di destra piegata esternamente, cioè verso destra. La +» è prolungata assai spesso 
inferiormente, fatto che non può dirsi raro ancora nel sec. XI. Qualche raro esempio 
della e crestata, l'abbiamo. In due casì, la c a fine di rigo ha superiormente un'ap- 
pendice, che la fa accostare per forma alla c bollatica. Non è rara la « cediliata, 
che trovo senza regola determinata in: perfidiae, tamen, ab, misericordia (a0/.), gaudii; 
pare quindi che sia un semplice vezzo calligrafico. La si può considerare una a mi- 
nuscola ridotta da una A maiuscola onciale. Non di rado la ?, anche in mezzo del 
discorso, è prolungata; ‘ quippe In ore’. Notevole la f, che è una maiuscola onciale, 
impiccolita. Nessun segno sopra le i. Rarissimi e molto leggeri gli ingrossamenti a 
cuneo nelle aste 5, d, ecc. 

L'uso delle abbreviazioni non presenta cosa alcuna degna di osservazione spe- 
ciale. Rilevo: —b;, —gq; (—bus, — que); il segno } vale us, dom’, ei (= domus, 


eius). La sillaba et, se si abbrevia, lo si fa sempre per mezzo del nesso onciale &, 
mancando affatto la sigla tironiana rassomigliante la cifra 7. Noto: “.6., (= est), 
“.66., (= esse). La voce “ quod , è abbreviata in “ qd ,. Non è eccessivamente 
frequente l’uso del dittongo «e, che esprimesi con: ae, e (1); e quindi si scrive sempre: 
“ ecclesia ,. Anzi talvolta il dittongo manca dove dovrebbe essere. Sente dell’antico 
l'ortografia: nihil. L'alternazione di due parole è segnata, contrassegnando ciascuna 
di esse con due linee parallele. Una sillaba fu cancellata, ponendola fra due lineette, 
Yuna al di sopra e l’altra al di sotto. Non sempre, ma con frequenza ciascuno dei 
righi occupati dal testo biblico venne discrepato dagli altri con una virgoletta semplice. 

Questi caratteri generali e particolari consigliano ad attribuire il nostro fram- 
mento al principio del sec. XI. E con ciò combinano altri dati. Le colonne e le linee 
‘vennero preventivamente segnate a secco, come spesso si usava fare in quella età. 
Doppie ossia geminate sono le linee laterali di destra in ambedue le colonne; la 
seconda di dette linee nella colonna prima, su ciascuna pagina, scade nel mezzo della 
pagina stessa e ad egual distanza, così della sua linea gemina, come della linea che 
disegna verso sinistra la colonna seconda. 

Il testo che possiamo ricavare dal nostro ms. non è molto buono. Ne do le 
varianti sull’edizione del Migne. Avverto una volta per tutte che il nostro codice 
non dà, nè la divisione per capi e paragrafi, nè la cifra numerale dei versetti. 

Faccia recto, col. a. Il nostro testo comincia: “ uiuere quam docuerunt — ,, e 
corrisponde all'edizione del Mrsne, col. 1125 €. 

Ne comunico la collezione secondo il metodo solito. Miane, col. 1125 Ci; ms.: 
tenuerunt (Mione tenuerant), detestantur (testantur); 1125 D, nel ms. manca: * 11 
adversa — exprobrant ,, neglegit (negligit), de strictione (ex districtione). 

col. 1126 A, tenebras (te tenebras), tibi in spe (in spe tibi), tua gaudebas (tua 
quasi de luce gaudebas), inruunt (irruunt); 1126 B, nel ms. manca è tratto “ Immen- 
sitatis — singulis ,, deo (Deum), esse se (se esse), inrisionis (irrisionis), excelsior 
caelo (caelo excelsior), uertice (vertices); 1126 C, eriae (aereae), iam (ima), perpendit 


(1) È sovrabbondante in un caso: speciae (= specie), faccia recto, col. a al fine. 


Serie Il. Tom. XLIV. 28 


218 CARLO CIPOLLA 


(perpendat), uid& (videat), uel ista (ista vel), dum sit (cum sit), argumentum (adju- 
mentum), in sua speciae (1) (in sua specie). 

La colonna a termina con: “ — ut tamen comprehendi non ualeat ,. 

La colonna è comincia: “ agnoxetis aestimatione — ,. 

Col. 1126 D, agoscentis (a cognoscentis), presentia (presentiam), quippiam (quid- 
piam), contremescat (contremiscat). 

Col. 1127 A, wideri (videre), aliquando (aliquatenus), nel ms. manca ‘13 Christi 
— superbia ’, nostri redemptoris (Redemptoris nostri), superbia (superbia est), quibus 
(quibus adhuc); 1127 B, fundamenta (fundamentum); nel ms. manca: ‘14 Iniqui — 
moriuntur ‘’, dicit (dicitur), ante tempus ex praesenti seculo (ex praesenti saeculo 
ante tempus proprium), quod ex diuina potentia ante tempora poscitur (omnipotens 
enim — ante tempora praescitur), sciendum (sciendum est), terminum (terminos); 
1127 € innocentia malitiam (innocentiam malitia), ad usum uero (sed ad usum), 
uitam XV (vitam quindecim); 1127 D, eius dispositio (dispositio eius). 

C. 1128 A, quorum uitae (eorum vita). 

Questa colonna del ms. finisce: “ — De quibus recte dicitur ,. 

Faccia verso, col. a. Comincia “ fluuius subuertit ,; col. 1128 A, fluuius (Et 
fluvius), nel ms. si trulasciano le parole: ‘15 Iniquorum — coelestibus est ’, neglegunt 
(negligunt); 1128 B, quia (qui), & uideas (Videas) nihil praesentis (nil praesentis), 
possent (possint), Electus (Electis); 1128 €, qua (quia), dedicationem reproborum 
(reproborum dedicationem), detrahendo (2) (subtrahendo), & que (sed quae), inmutatur 
(immutatur), quid (Quid). 

Col. 1129 A, domus (3) (domos), il ms. ommette il tratto: ‘ Deus — consilio ’, 
domus (domos), gratis sui (ingratis sua), contempnentes (contemnentes), ommette: 


‘ Aliud — consilium ‘. 
Sol. 1129 B, intellegi (intelligi). 
La col. a finisce con: “# — cogitationi desiderat esse’, e la col. d principia: 


* — dissimilis. Sequitur — ’ 

Col. 1129 B..letabuntur (laetabuntur), il ms. ommette il tratto: ‘ Tusti — laetaturi”; 
1129 C, superbiunt (superbi sunt), phariseus (pharisaeus), c&eri (coeteri), dicimus (si 
dicimus), fra adhuc ed incerta c’è nel ms. lo spazio di una dozzina di lettere che furono 
raschiate, exultacionis (exaltationis), &iam ferire (feriri); 1129 D, exultationis (exsul- 
tationis), inheserint? (inheserint), dampnationem (damnationem), conspiciunt (conspi- 
cient), conspicient (aspicient), exultando (exsultando), despiciunt (despicient), damp- 
natione (damnatione). 

Col. 1130 A, reliquias (reliqua), il ms. ommette il tratto: ‘ Mali — puniendi ’, 
actibus (actionibus), peruersa (perverse), conspectu (a conspectu); 1130 B, Adquiesce 
(Acquiesce), habes (habebis), il ms. ommette: ‘ hereticoruam — praesumptio ’, heretici 
{heretici), adquiescere (acquiescere), adquiescentibus (acquiescentibus). 

Finisce la colonna: ‘ — ad sua dogmata se’ (1180 C). Con queste parole ha 
termine il nostro frammento. 


(1) La «, riuscita poco chiara, fu dall’amanuense ripetuta interlineamente, e questa volta senza 
cedilia. 

(2) Colla 4 di correzione. 

(3) Voce aggiunta interlinearmente di prima mano. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 219 


Vi 


Un commento anonimo alla “ Regula , di S. Benedetto. 


Addì 3 marzo 1894 si staccò la copertura pergamenacea di due fascicoli inti- 
tolati “ Quinternetto di Giaglione e Mompantero dall'anno 1627 incluso , e “ Quin- 
ternetto de particolari di Mompantero , (1660-7); questi due fascicoli costituiscono 
un volume intitolato: “ 1665. Atti fra l'abate e perpetuo Comendatario di Novalesa 
unitamente a monaci Cistercensi di detto luogo contro gli uomini di Monpantero ri- 
fiutantisi a. pagare 1 fitti, censi ed altri redditi per beni semoventi del diritto dominio 
di detta Abazia , (1). 

La pergamena è un foglio doppio, di grande formato, coi margini esterni tagliati 
di guisa da essere stata portata via su ciascun foglio una parte del testo. Abbiamo 
adunque quattro pagine, ciascuna imperfetta a destra. Sono scritte sopra due colonne. 
Il carattere è il minuscolo derivato dal carolino, ma di età ormai alquanto avan- 
zata. II corsivo vi è affatto dimenticato; appena qualche » è leggermente prolungata, 
locchè poco significa. L'ultima asta della m e della # piegasi a destra. L'uso del segno 
di abbreviazione 4 non solo per ws, ma anche per s (priu’) può essere preso in consi- 
derazione, egualmente che: —b. —b; (= — bus), —q. —q; (= — que). Spesso ri- 
corrono abbreviazioni come queste: dixer (== dixerunt, o dixere), dic (= dicit), co& 
= coxit), subiunt (= subiunxit), manifesta (= manifestauit), exced (= excedit). 
Il pronome “ quod ,, non abbreviasi che con “ qd ,. La preposizione “ uero , è 
abbreviata arcaicamente in: uò. Accenna invece a seriorità: ùbuù (= uerbum); e ciò 
si ripeta per: aliq (= aliqua), quo (= quomodo), nullom (= nullomodo), dacchè 
le abbreviazioni per lettere sovrapposte indicano in generale un'età relativamente 
meno antica. Poco significa il nesso x (= nt). 

La sillaba et è abbreviata soltanto in &, tranne in un solo caso, dove abbiamo: 
la s seguita da 7 (= set), ed è un caso notevolissimo. La I prolungata a mezzo il 
periodo, ma tuttavia in principio di parola, non è qui molto rara. Talvolta la s e 
la f hanno forme semi-bollatiche. Qualche volta le aste delle lettere 6, d, ecc. sono 
leggermente cuneate. 

Il complesso di questi dati parziali si combina perfettamente colla impressione 
generale prodotta dal nostro testo, perchè abbiamo con sufficiente sicurezza ad attri- 
buire questo al secolo XI. Non contraddice l'ortografia di alcune parole notevoli: 
“ nichil, verumptamen, sollempnibus, sollemnibus ,. 

Questa conclusione suggeritaci dall'esame del minuscolo, è confermata dal ma- 
iuscolo, e dal semimaiuscolo; per questi caratteri si adopera il rustico, con mesco- 
lanza di lettere onciali. Si mescolano cioè le due forme delle lettere D, E, H, N. 
Talora la lettera maiuscola altro non è che la minuscola ingrandita. 


(1) Abbazia della Novalesa, nell'Archivio di Stato di Torino, busta intitolata: * Abbazia Nova- 
lesa, Atti di lite 1665-1698 .. 


220 CARLO CIPOLLA 


I più celebri, più ampli e più antichi commenti alla Regula sono quelli di Paolo 
diacono e di Hildemarus. Il primo, rimasto inedito fino a questi ultimi anni, fu pub- 
blicato dai benemeriti monaci Cassinesi (1). Il secondo è quasi affatto inedito. L’egregio 
e gentile sig. H. Omont mi diede notizia della esistenza di un antico codice (sec. X1) 
del medesimo, esistente (Lat. 12637) nella biblioteca Nazionale di Parigi, senza tener 
conto di due copie moderne (sec. XVII) (2). La relazione fra l’uno e l’altro commento 
fu determinata dai Cassinesi, nel senso che Hildemarus siasi largamente giovato del 
commentario Paolino. Essi peraltro altro non ebbero a loro disposizione che i fram- 
menti di Hildemarus riprodotti dal Migne (3), sicchè le loro conclusioni non sono 
definitive. 

Il commento Novaliciense si lega all’uno e all’altro dei due commentari, ma 
non si combina propriamente, nè con quello, nè con questo. Col commento Paolino 
esso conviene in ispecie per i capitoli 38 e 39 (4). Si consideri infatti il lungo tratto 


“ In ecclesia autem die dominica — quam multi legant qui non edificant , (cap. 38). 
Il principio del commento al cap. 39 ha molto del Paolino (5), e per il non breve 
tratto “ Nascentia uero leguminum — ita etiam de pulmentis intelligitur ,, i due 


commenti corrono parallelamente. Del commento Paolino resta poco meno che nulla 
nella nostra esposizione dei capitoli 45-46 (6). 


Fol. 1 recto, col. a. 


| ut autem fratres non legant aut cantent per ordinem hec ratio tali modo deb& 
ordinari. Uidelic& eligendi sunt tres. uel quattuor fratres. seu plures. si tales rep- 
periri possunt. qui ad edificationem audientium bene & expedite ualeant. & ipsi postea 
ordine suo legant. Simili quoque modo de cantoribus fiat. ut hii cantent qui possint 
edificare audientes. In ecclesia autem die dominico prius deb& legere ille infans qui 
pelus sapit. deinde qui melius. postmodum gradatim crescendo in melius. in ultimo 
abbas. Forte dicit aliquis. quare abbas non deb& legere prius. ut sit secundum or- 
dinem lectio ? In ecclesia autem isto (7) ordinem deb& esse lectorum. Crescere enim 
deb& lectio. & non minuere. ut qui audit legere melius intelligat. si melius ac melius 
audierit legere. Nam nulla edificatio erit si prius legerit ille qui bene potest legere. 
& postea qui peius. Nam iste est ordo legendi in ecclesia. Primus (sic) debent le- 


gere III infantes. Deinde TINI presbyteri (8). Deinde tres diaconi. postea abbas. Si 
autem non sunt tanti lectores. ut unus legat solummodo per lectionem. debent le- 
gere sex. aut quattuor. aut duo solummodo qui audientes possint edificare. Quia 
melius est ut unus legat tres. uel quattuor. aut quinque aut sex qui edificat. quam 


(1) Biblioth. Casinensis, IV, Spicilegium, p. 9 sgg. 

(2) Mss. latini, 11788 e 13800. 

(3) Patrol. latina, vol. LXVI. L’Omont mi trascrisse il principio del $ 39 dove il testo di Hilde- 
marus è quasi identico al Paolino. 

(4) Ed. cit., pag. 126, col. b al fine, — sino a p. 127, col. « al principio. 

(5) Ed. cit., p. 127, col. bd. 

(6) Recentemente il p. A. M. CarLen, Bernardi I abb. Casinensis in Regulam S. Benedicti exposttio, 
Rome, 1894, pubblicò un commento alla Regola, dovuto ad un celebre abate; ma esso non fa per 
noi, chè appartiene al sec. XIII. 

(7) Ms. isto isto. 

(8) Ms. pibi. 


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NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 221 


multi legant qui non edificant (1). Hoc autem omnino, a lectore obseruandum est. 
ut in medio solummodo totius dictionis sensu uox ipsius paulo eminentius eleuetur. 
& ante eleuationem. per singula sub distinetionis puneta grauetur. atque post pre- 
dictam eleuationem per singula puncta circumflectatur. In interrogationibus uero 
atque percunctationibus uox legentis necesse est accuatur. sed paulo uehementius 
quam in accuto accento. Hec nota est interrogandi? Hec percunetandi? Hec ne- 
gan[col. &|di. Inter percunctationem autem. & ilnterro|gationem. Hoc ueteres augu- 


stin[ | inter esse dixerunt (2). Quod ad percunctatio|nem | multa responderi 
possunt. Ad in|terroga|tionem autem. aut non. aut kiam. U| | percunctando le- 
gimus. Quis accusab[it ]uersus electos dei? Illudque quod | | sono interrogantis 
enunciatur. Deus | edi |ficat ? Ut tacite respondeatur. | | Itemque percunc- 
tando. Quis est qui con) ] Interrogando quod sequitur. Christus iesus. &| | 
Usque qui &iam interpellat pro nobis? Ut | respon|deatur. non. Negando autem 
legimus|in  Jiob. Numquid dominus supplantat iudi|cem |aut omnipotens subuertit 
quod iustum est | Jac si dicer&. Dominus non supplantat | | quia iustus 


iudex est. & omnipotens non sub|uertit| quod iustum est. quia rectus est & iustit|ia 
re|git. non subuertit. 


De mensura cybor[|um]. 


XXXVIII. “ Sufficere credimus ad refecti]onem] cotidianam. tam sexte quam 
“ n|one} omnibus mensibus. cocta duo pulmenta|ria| propter diuersorum infirmitates. 
“ V[t forte| qui ex uno non potuerit edere. ex|alio re|ficiatur. Ergo duo coeta 
“ pulme|ntaria] fratribus omnibus sufficiant. & si fue[rit| unde poma aut nascentia 
legum|inum] addatur & tertium (3). In quibusdam re|gulis] inuenitur mensis. sed 
melius est mensibus [quia a |iugitate temporum dictum intellega|s|. Ac si aliis rebus 
dicer&. Omni tem|pore| estatis seu hiemis. sufficere | | aut cotidianam refec- 
tionem tam se|xte quamjnone duo cocta pulmentaria. |refectio|] autem cotidiana 
intellegitur ita. |ut sicut| diebus priuatis. ita &iam in sollem[pnibus| reficiatur. idest 
ut duo pulmentari[a| debeant esse in sollempnibus sicut in [diebus]. 


Verso. 

Col. «. |priua]jtis propter illud quod patres nostri in di|ebus pri|uatis mandu- 
cabant ad nonam. [in s|ollempnibus ad sextam. & ita tantum |man]ducabant inter 
sextam & seram. ut non plus [in] diebus priuatis manducarent ad |nonam]|. Quia so- 
lummodo illum cybum quem ad no|nam m|anducabant. ipsum manducabant | ad sex |tam. 
& seram. Sed meliores aliquan[tulum si]ue tria pulmentaria cocta. nam nu[meru]m 
augebant. In eo quod dicit ad refec|tionem| cotidianam. datur intelligi. ut ad 
re|fectio nem sollempnium dierum aliquid plus et mellius|] debeat. Pulmentaria uero 
multis mo|dis dicu]ntur. Sed hoc loco non aliunde pro certo dicitur |sic ]ut de piscibus. 
aut de leguminibus. seu [de he|rbis. uel farina. De piscibus quidem habemus [testi- 
mjJonium in euangelio. domino dicente ad dis|cipul]os suos post resurrectionem qui 


(1) Sul margine interno, fra le due colonne Nota in nesso. 
(2) Ms. dixer. 


(3) Sul margine, in monogramma; Nota. 


222 CARLO CIPOLLA 


l 


dum pisca|rent| apparuit illis. & interrogauit eos |qui]d pulmentari haberent. & cum 
ue|neru|nt ad terram. uiderunt (1) prunam & panem super [prunam] & piscem. Di- 
citur quoque pulmentum de legu|minibus| sicuti habes in libro geneseos ubi | legitur] 
coxit iacob pulmentum. quod fuit de len|tibus] factum. Dicitur &%iam pulmentum 
quod fit |ex hole]jribus uel farina. sicuti habes in libro dal nieli|s prophete. quia coxit 
pulmentum ab acuc| ]rium panes in alueolo ut ferr& in ca] Jessoribus quod 
nichil aliud fuit nisi |co|ctum ex holeribus. Tradunt namque ma|iores| quia quicquid 
pani adicitur ut melius | |latur pulmentum dicitur. Pulmentum autem. ut |isi- 
do |rus ait uocatur a pulte. Sine &tiam sola | jJue quod (2) aliud alicuius per- 
mixtionis. | | pulmentum non incongrue dicitur. Nam qualis | cibus | monachorum 
debeat. manifestatur |  |Jo libro institationum. ubi sic legitur. |Sumen]dus est eybus 
non tantum qui concupiscentie |ferve|ntes aestus temper& minusque succenjcol. d|]dat. 
uerum diam qui ad parandum (3) sit facilis. & quem ad emendum oportunior est 
milioris pretii compendium prest&. quique sit conuersationi fratrum. usuique com- 
munis. Redditur plane causa quare duo pulmentaria cocta dixerit. cum subiunxit. 
Propter diversorum infirmitates ut forte qui ex uno non poterit edere. reficiatur ex | 
alio. Per hoc quippe datur intellegi. ut qui ex ambobus potest edere. tam temperate 
ex ipsis edat. ac si nisi ex uno eder&. quatinus in ipsis semper non edacitas sed 
sobrikas regn&d. Nascentia uero leguminum intelleguntur germinantia. Quia mos est 
illius terre. uel aliarum prouinciarum mittere legumina in aquam & cum germinata 
fuerint, tunc ea manducant. Hoc autem notandum est. quia in diebus priuatis si non 
fuerit calor aut maximus labor duo debent esse ad sextam pulmentaria cocta. & 
unum crudum. & ad seram tertium coctum. sì cenaturi sunt. ad estimationem panis. 
idest quia sic ipse dicit duas partes libre panis deb& monachus manducare ad sextam. 
& tertiam ad seram. ita &iam de pulmentis intelligitur. Hoc notandum. quia poma. 
aut ad sextam. uel ad seram debent dari ad cenam “ SQ (4) Panis libra una pro 
“ pensa sufficiat in die. sine una sit refectio. sine prandii & cene. Quod si cenaturi 
“ sunt. de eadem libra tertia pars a cellarario reseruetur. reddenda cenaturis. Quod 
“ sì labor forte factus fuerit maior. in arbitrio & potestate abbatis erit si expediat 
“ aliquid augere. Remota pre (5) omnibus crapula ut numquam subripiat monacho indi- 
«“ geries. Quia nichil sic contrarium est omni christiano quomodo crapula. Sicut ait 
“ dominus noster. Uidete ne grauentur corda uestra in crapula. Pueris uero minori 
“ aetate non eadem seruetur quantitas. Sed minor quam maioribus. seruata in om- 
“ nibus parcitate. Carnium uero quadrupedum omnino ab omnibus abstineatur com- 
“ mestio preter (6) omnino debiles & egrotos ,. In diebus uero sollemnibus uel quando. 

Fol:i 2 recto, col. a. 

Si correctus fuerit liber & postquam. legerit ante magistrum (7). & tune ipse 


(1) Ms. uideî, 
(2) Ms. 4d. 
(3) Correz. antica da parendum. 

(4) Cioè: Sequitur. 

(5) Ms. p. 

(6) Ms. pter. 

(7) Ms. anmagistrum, colla sillaba te aggiunta dopo an da altra antica mano. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 223 


lector male legerit. perlecta lectione pro hoc uadat in loco constituto ante altare. 
et ibi petat ueniam. Si autem per consuetudinem male legerit. & non emendauerit. 
corripiatur pro hoc in capitulo. Si autem qui psalmum. responsorium. aut antiphonam 
pronunciat, ita fallit ut chorum perturb&. ipse pariter & chorus genua flectat. Si 
uero se & non chorum turbauerit. tantum ipse flectat genua solus. Quod autem dicit 
maiori uindicte subiaceat. sic est intellegendum ut obiurgetur in capitulo coram 
omnibus & si se postea non emendauerit. excommunicetur simpliciter. & si adhuc 
perseuerauerit. ducatur per reliquos gradus usque ad expulsionem. Notandum autem 
quod dicit. Infantes pro tali culpa uapulent. non dicit si fefellerint. sed si non satis 
fecerint non sunt ducendi per alios gradus. nisi tantum ut moderate flagellentur. ne 
fiat neglegens. Et cum pro aliqua culpa flagellandi sunt nullomodo fiagellentur in 
capitulo. sed in scolis ubi discunt tantummodo. Uerumptamen hoc ualde precauendum(1) 
est. ut neque paruus neque magnus percuciatur umquam in ecclesia. quia hoc ualde 
contradicit regula. ubi dicit. Oratorium hoc sit quod dicitur. nec ibi quisquam aliud 
geratur. nisi cum summa reuerentia creatori nostro famuletur. Infantes enim in hoc 
loco. intelliguntur illi qui in custodia sunt generali. Deb& enim abbas talem fratrem 
‘ constituere qui sedeat iuxta lectorem. sicut diximus. ut eum possit emendare. atque 
corrigere. quando fefellerit. siue ipse intelligere possit quando ei silenter corrigit. 
quia nullo modo permittit regula inibi cuiquam loqui. sed proter (sic) uitium lectoris. 
atque ipsius //////{//{{{s quod legitur. concessum est. ut lectio lecto[ris| emendetur. 
De his qui in aliquibus deliquerit. uel fregerit [col. 8] xLvi. “ Si quis dum 
in labore quouis |in equina,] in cellario. in ministerio. in p|istrino.] in horto. in 
arte aliqua dum laborat |uel|]in quocumque loco aliquid deliquerit | aut | fregerit quip- 
piam. aut perdiderit. uel a|li]quid excesserit. ubi & ubi & non inuenien[|s] continuo 
ante abbatem. uel congregation|em} ipse ultro satisfecerit. & prodiderit delictum 
suum. dum per aliud cognitum fuer|it] maiori subiaceat emendationi. Si ani]|ma | uero 
peccati causa fuerit latens. [tantum] abbati. aut spiritualibus senioribus pa[tefa- 
ciant] qui sciant curare sua & aliena w[ulnera] non detegere et publicare ,. B[ | 
dixerat de satisfactione tam g|rauium|quam lewium culparum. & satisf[|actio | fallen- 
tium in oratorio. Dicit non |satis]|factione illorum qui in aliquibus rebus | | ut quod 
deerat sibi unum quodque ca| |suppler& uicinitate coniunctum | | sensus ibi iun- 
guntur. iungere | |ordine. “ Deliquerit, idest per incu|riami |uerit. & attin& ad illum 
dampn|um | aliquid sic uersatur. , ut recoliigi [| |“ Fregerit. adrumpere. “ Ex- 
cess[erit] pertin&. ad sonitum facere quand|o silen|tium debent custodire. uelu|t in 
refe]torio. cum cuppa. uel cultellum. |uel co [cliare in terram ceciderint. uel s|parserit | 
aliquid uini. uel aliquid aliud sic | fecerit ] ut sonitum cunctis audientibus | |. Excedere 
enim est modum transi|re, et si] modum quis transit. tunc excedit | |enim est moetas 
siuee modos tra|nsire] &iam excedere. ad uerba att| | alicui. uerbum durum dicit. 
Ue] |iniunctum offitium aliquod super fa|mulos &|] super fratres. & pro increpatione 
pl] lillis quam oportuit. uel in ration|  ||verso, col. a][|aliquam Seu forte///// 
dixisti alicui homini &iam | |subiecto uerbum durum. debes pro huiusmodi exces- 
sibus abbati soli confite[re|] secrete. uel congregationi. Similiter |si| forte cum incidis 


“% 


(1) Ms. peavendum. 


224 CARLO CIPOLLA 


panem. & incideris |m]elotam. aut aliquod uestimentum. tune abbati soli debes con- 
fiteri. & deb& inquiri si pro ioco sit deb& in caput secundum regulam iudicare. & 
si non. deb& ei dimittere. [Quod autem dicit. non detegere. aut publicare. | dete |gere. 
attin&. ad disco operire| |peccatum latens. Publicare autem |adtinet| ad palanter. 


siue ad manifestatio|nem pecc|ati. quod est occultans. “ Quod autem dicit | Jos 


continuo. ita intelligendum. | |statim deserat illam obedientiam.|  |et nunciare. 
& tune nunci&. De | |abb. propter maliuolos et inuidos | |]ere tempus quando 
qui excesserit [| |uel fregerit. pro suo excessu ueniam |petat| Uerbi gratia. Si hodie 


excesserit |crastin]o die ueniam petat. Ideo diximus [in|uidos. & maliuolos. quia sunt 
multi [ini|qui atque accusatores qui cum uiderit || aut excessum factum. antecedit 
| Jt abbati. quatinus ille qui exces|serit |ri uindicte subiaceat. sicut regu[la dicit]. 


per alium cognitum fuerit. mafiori subia|ceat emendationi. Ac per hoc si | ] te 
tempus petende uenie hoc est |  |itulum alterius diei nunciaue|runt |e qui excessit 
non teneatur adhuc|  |s in eo quod non manifestanit delic|tum, s|ji uero in statuto 


tempore ueniam |non peta|t & postea alter nunciauerit | abbati,| tune ille qui neglexit 
ueniam petere | debeat su|biacere maiori emendationi |col. 5] sicut regula dicit. Ut si 
uerbigratia. debuit antea ad unum offitium ueniam petere. postea petat ad duo. 
similiter si per duo penitere debuit antea. postea peniteat per quattuori Si autem 
parua res fuerit ueluti est cocliare olei. uel fialam uini. deb& abbati solummodo nun- 
ciare & ueniam petere. Si autem maius dampnum est quia non potest sine iuditio dimitti. 
tunc deb& ante congregatione uel abbati ueniam petere. & secundum culpam & inten- 
tionem peccantis. ita deb& extendere uel minuere iuditium e0 quod res monasterii 
sicut regula dicit sancta est. & nimis diligenter deb& tractari. Unde legitur in 
libro. IKI.*° institute patrum. qualiter monachus pro tribus granis lenticulis peni- 
tentia subiectus fuit. Que ebdomadario festinanti, Dum eam preparat. coctioni. inter 
manus cum aqua qua diluebatur elapsa sunt. Quod si uero tam paruum fuerit dampnum. 
deb& ei iniungi cantare duos uel tres. aut quattuor psalmos. Sciendum est. quod 
dicit excesserit. potest &iam intelligi obliuio alicuius rei que oblita est. In hac obli- 
uione discretio necessaria est. quia non nominis res equalis est. uerbi gratia. Si 
magna & sancta res est. & in rustico loco oblita est. tunc deb& ueniam petere. non 
tantum quia obliuioni tradidit. set (1) &iam quod in rustico loco eam posuit. Si autem 
in refectorio excedit hoc est si cocliare cadit. aut cultellum. aut cuppa. & faciunt 
sonum. tunc deb& surgere & flectare (2) ueniam. Abbas autem si paruus sonus factus 
est. deb& illi innuere. ut non petat ueniam. Infantes uero uel &tiam qui sub custodia 
sunt. si sonum in refectorio fecerint. aut rumpunt uel perdunt aliquid. ueniam debent 
petere ante abbatem sicuti maiores. Nam quod se ////{{{{{{/r. si uero anime peccati 
causa laten|ter] fuerit de hoc tantum. excessu quod ad ipsum |s]olum. | 


(1) Ms. esprime set con la s seguita dalla nota tironiana esprimente et. 
(2) Ms. flectare, colla a mutata in 2; ma poi con un punto sovrapposto si annullò la e. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 225 


VI. 
Frammento di un libro “ de computo ,. 


Di tutt'altra natura, ma pure importante è un altro frammento, che fu staccato 
il 10 marzo 1894 da un registro contenente la nota dei contribuenti al monastero 
della Novalesa, al quale serviva di copertura. ll registro fu scritto negli ultimi 
anni del secolo XVI. 

È un foglio doppio (ossia 4 pagine), nel quale il testo è distribuito sopra due 
colonne per pagina. Il carattere, minuscolo corrente, chiaro, quantunque non molto 
regolare od elegante, è alquanto serrato. Le iniziali maggiori sono in rosso, e le 
altre sono in nero, ma illuminate in rosso. Sono di formale rustica, con mescolanza 
di lettere onciali. Alla fine della colonna 5 del f. 2, c'è una didascalia, in rosso, i 
cui caratteri sono per la maggior parte onciali, tranne la V, e aleune lettere minn- 
scole ingrandite, cioè a, p, st. 

Di abbreviazioni notevoli poche ne trovai. Avverto: qd (= quod), -b;, -b (= -bus), 
“<q. (= que). La forma verbale est abbreviasi nei due modi: e, =. Noto il nesso s-f. 
La r è leggermente prolungata inferiormente; da ciò peraltro non si può conchiu- 
dere alcun che di certo sulla data del ms., dacchè una tal forma si continua alquanto, 
sebbene con poca frequenza, lungo il sec. XI. L'ultima asta a destra, sia della w sia 
della n è sentitamente ripiegata a destra, con distacco preciso dalla scrittura carolina 
arcaica. Le parti rotondeggianti nelle lettere 6, p, ecc. non sono molto spiccate. 
Manca la « aperta. La sillaba et non compendiasi che in &. Esaminando singolar- 
mente le lettere, non. vi troviamo molto patente l'influsso del corsivo, ma il complesso 
della scrittura, e lo avvicinarsi delle lettere l'una all'altra, dà al nostro frammento 
un vero colorito arcaico. Gli ingrossamenti a cuneo nelle aste delle lettere 4, 4, ecc. 
mancano. Il complesso di questi dati mi consiglia a supporre che il codice sia pro- 
babilmente del secolo XI in. 

Sull’intero fol. 1r e v, e su quasi tutto il fol. 2r (col. a e parte della col. 6). 
leggesi un trattato de computo, che non riuscii a identificare. Ha qualche rassomi- 
glianza con uno di anonimo, che viene attribuito al IX secolo (1). Ne riferisco per 
saggio il tratto, col quale il nostro frammento si inizia. 

Fol. 1r, col. a. 

“|Si] quis uero scire cupit cyclus lune sumat annos ab origine mundi ex quibus 
XIII subtractis ceteros diuidat per XUINI. & quot remanserint ipse est ciclus. Si 
autem nihil remanserint (sic) XUITI est. 

[Sji uis uero scire quotus sit ciclus lune, sume annos ab origine mundi. adde 
cum ipsis regulares V hos partire per XUIIII part|em, quod rem|an& ipse est ciclus, 
at si nihil remanserit XUHII erit. 


(1) Mione, CXXIX, 1368 sge. Veggansi in forma condensata, le medesime teoriche svolte nel 
Computus Paschalis di Cassiodoro, ivi, LXIX, 1249-50. 


Serie Il. Tom. XLIV. 29 


226 CARLO CIPOLLA 


Si uis scire quotus sit ciclus decemnouenalis, sume annos ab initio mundi, adde 
cum |ipsi]s regulares UIL hos partire per | XUILHT| partem, quot reman& ipse est 
evcelus. Quod si mihil remanserit, decemnouenalis erit. 

Si uis scire quotus annus est ab incarnatione domini nostri iesu christi ordines 
indictionam |sume] replica quindecies, adde & regulares XII. & indictionem eiusdem 
anni in quo computare uolueris, hoc tantum esto sollicitus, ut succedentibus annis 
semper cum ad XV indictionem ueneris ad indictionuam ordines unum addere ne 
obliuiscaris. 

Ad complendum bissextum in uno mense uiginti momenta indu |col. d| pl..... 
...in anno sex |h]ore in quattuor annis dies et nox acrescunt et ..... bissextus 
dicitur quia bis sex|tus| kalendas martii hab& ,. 

Fol. 2 r. col. 3, verso la fime: # DE LAVDE COPOTI AVGVSTIN?. DIC. 
Quattor (1) sunt necessaria in ecclesia dei. Cantus diuinus in quo narratur et prae- 
dicatur (2) wita futura. Hystoria in qua gesta rerum narratur (sic). Numerus in quo 
facta futurorum et sollempnitates diuine dinumerantur. Grammatica in qua scientia 
|fol. 2 ©, col. a] uerborum intelligitur. Iste sunt quattuor diuisiones scripturae. quasi 
quattuor fundamenta. || Item ysidorus in laude compoti dicit. Ratio numerorum con- 
tempnenda non est — ,. 

Finalmente alla col. è comincia un discorso sull’ atomo, che spetta a S. Isidoro 
di Siviglia (3). Comincia: “ Athomos (4) philosophi uocantur (5) quasdam — ,. Tron- 
casi alla fine della colonna, colle parole: “ — Uerbi gratia annum diuidis in tem- 
poribus .. 

Varianti più notevoli in confronto all’ edizione del Miexr. Il nostro codice ha: 
uocantur, corr. coll’ aggiunta della sillaba vera (M uocant), mensuram (M tounv), 
& athomi (M & dtopov), hii (M Hi), inanem (M inane), aerem inqui&is (M irrequietis). 
uolitari (M uolitare), illuc que (M illuc), tenuissimus puluis (M tenuissimi pulveres), 
infusus (M infusi), uidetur (M uwidentur), Ex his (M Ex iis), aut in numero (M aut 
in numero aut in litteras), ipsas partes (M et partes ipsas), Uerbi gratia annum 
(M annum verbi gratia), in temporibus (M in menses). 


VII. 
Libri di Cronache. 


Nella quarta Memoria sulla Biblioteca Novaliciense avrò occasione di parlare 
diffusamente di un volumetto contenente (6) gli inventari compilati da Pietro de 


(1) La Q in rosso, è di forma rustica. 
(2) Ms.: pdicatur. 
(3) Etymol., lib. XUHI, cap. 2 (Mrene, LXXXII, 472-3). 


(4) La «, onciale, è in rosso. 


(5) Una mano posteriore. ma pure antica, sovrappose veru, quasi per ridurre la parola a: uoca- 
uerunt. 


(6) Abb. della Novalesa, b. LXV. Arch. di Stato di Torino. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 227 


Allavardo vti procurator et negotiorum gestor di Andrea da Provana, che fu priore della 
Novalesa, negli anni 1502 e 1512. In esso figurano molti documenti, ma dei volumi 
della biblioteca per ordinario non si tiene memoria. Non si dava importanza ai libri, 
poichè non pareva costituissero un valore, e non servivano ad assicurare i diritti 
del monastero. Fa eccezione peraltro una cronaca papale e imperiale, che dovea 
essere una compilazione sul tipo di quelle posteriori di Ricobaldo da Ferrara e di 
Martino Polono; quel volume, per quanto pare, era chiuso insieme coi documenti. 
L'anzidetta cronaca viene così descritta dall’inventario del 1502: “ Catalogus Roma- 
norum pontificum et Imperatorum, in quo notabilia gesta eorumdem ac dies, menses 
et anni succincte continentur, quorum pontifices sunt numero 162 a beato Petro citra 
usque ad Gregorium nonum inclusive, Et imperatores regnantes ab incarnatione Christi 
anno primo citra numero 100, videlicet ab Octaviano semper Augusto usque ad Fede- 
ricum etiam imperatorem regnantem anno predicte incarnationis Christi 1220 ,. 
L'inventario del 1512 nulla aggiunge, anzi è più laconico. 

Quel volumetto è rilegato con una pergamena, sulla quale una mano del sec. XV 
trascrisse un documento del 1377. Sull’ultima faccia esterna di detta pergamena 
leggonsi, scritte da una mano del sec. XV cadente (?), pochissime note storiche, che 
qui riproduco, avvertendo ch’esse hanno stretta relazione col Chron. parvum Ripaltae (1). 

“ Anno domini Millesimo 13° xLvi) Fredericus imperator dedit  Ripolas comitti 
Sabaudie, 

“ Anno domini w°.ccc x° dominus Henricus de Lucembor rex seu imperator Roma- 
norum intrauit in Italiam, transeundo per montem Cenisium desuper Secusiam et 
de anno domini wm° ccc xt] ipse imperator mortuus est de mense Augusti , 


VII 
Libri sacri. 


Fra i libri sacri dell'Abbazia doveva certamente tenere uno dei posti più splendidi 
il testo degli Evangeli scritto dal monaco Atteperto, per comando dell'abate Fro- 
doino, verso il principiare del secolo IX. Il cronista (2) ne trascrisse alcuni dei versi, 
che Atteperto aveva scritto in testa al volume. Quel codice che era stato salvato 
dai Saraceni, possiamo figurarcelo in bella e grande e nitida calligrafia, siccome si 
usava scrivere libri di tal fatta in quei tempi, in cui d'ogni parte si diffondeva 
la cultura, di cui era focolare la scuola calligrafica di Tours. Atteperto era senza 
dubbio un amanuense dalla mano sicura ed elegante, se a lui fu affidato un sì dif- 


(1) Murarori, R. I. S., XVII, 1321-2. Uno studio ms. del De Levis per l'edizione critica della 
ChFonica parva Ripalte può vedersi nell'Archivio dell’Economato di ‘Torino, Abazia di Ripalta, 
busta XXV. Nella biblioteca dell’Accademia delle Scienze conservasi una pergamena del sec. XV in., 
gentilmente mostratami dal prof. E. Ferrero, la quale reca alcune note storiche, che stanno in vi- 
cinissima relazione colla suddetta Cronaca. 

(2) Lib. III, c. 19 (ed. Bethmann, MGH., Script., VII, 113). 


228 CARLO CIPOLLA 


ficile incarico; e ben possiamo credere che molti altri codici egli abbia scritto. Verso 
la metà del secolo XI l’abate Oddone, secondo che impariamo dal cronista (1), ven- 
dette “ texta aevangeliorum ,; evidentemente qui si tratta di Evangeliario diverso 
da quello di Atteperto, il quale fu veduto in monastero dal cronista. 

Con certezza non possiamo determinare se questi volumi, al tempo del cronista, 
si trovassero alla Novalesa od a Breme. Fino a prova contraria, possiamo credere 
ch'essì avessero fatto ritorno al caput prius dell'abbazia, assieme colle reliquie di 
S. Eldrado, e con quello che di più antico e prezioso erasi conservato dell’antico 
monastero. 

Nessuna bibbia, o frammento di essa, ho potuto trovare. Più fortunato fui in 
riguardo ai libri liturgici. 

Un volume liturgico completo e veramente notevole conservasi attualmente 
presso la prevostura della Novalesa, e mi fu cortesemente indicato dall’attuale pre- 
vosto, il quale si prestò come meglio egli potè, perchè io avessi tutto l’agio di esa- 
minare quel libro, veramente importante anche come documento paleografico. Trattasi 
di un grosso messale, pergamenaceo, di fogli 280, non compresi due fogli di guardia 
al principio, e pur senza contare il foglio di pergamena che al principio e al fine 
del volume sta incollato sulle parmole lignee. La legatura in legno è antica, ma non 
del tempo; le parmole erano originariamente coperte da marocchino rosso, con 
ornati ad impressione, il cui motivo è la rosa chiusa in cerchiello; ma del maroc- 
chino non rimangono adesso che scarsi brandelli. Pare che questa legatura sia da 
attribuirsi al sec. XV (2). 

Sul principio, la faccia scoperta del foglio incollato sulla parmola e i due fogli 
di guardia sono coperti da orazioni di varie mani, e caratteri, dal secolo XI al XIV 
incirca. JI messale è di bellissima scrittura, con ornati eleganti, quantunque non 
siano’ eseguiti con estrema diligenza. Il testo è in grosso minuscolo quadrato, di 
forma abbastanza avanzata, e perciò fino dal primo sguardo apparisce come appar- 
tenente alla metà incirca del secolo XII; non lo farei risalire alla fine del secolò 
precedente. La sillaba “ et ,, dov'è abbreviata, viene espressa col nesso corsivo &. 
Tuttavia non manca in modo assoluto anche il segno 7 (f. 271 +). Nelle parti mu- 
sicate, che sono molto numerose, si impiegò un minuscolo di minore grandezza. Le 
rubriche e le prime linee di alcuni tratti variano di carattere; per ordinario sono 
in maiuscolo prossimo al capitale con mescolanza di onciale; ma in qualche caso il 
carattere onciale ha la prevalenza. Le iniziali nell'interno del testo, sono di piccola 
grandezza, e in nero, con illuminazione rossa. Le iniziali dei capoversi sono di mag- 
giore dimensione, e, tranne pochi casi, tutte a colori. A tali iniziali maggiori corri- 
spondono rare iniziali interne al testo. Al principio dai tratti più rilevanti vengono 
adoperate iniziali di forma assai grande, ornatissime, a colori rosso, giallo, verde e 
bianco (3), ed eseguite con vivace fantasia, quantunque (come si è accennato) non 


(1) App. 10. 

(2) Questo è l’autorevolissimo giudizio datone dal cav. Francesco Carta, prefetto della Biblioteca 
Nazionale di Torino, al quale mostrai il codice, ch'ebbi in prestito dalla somma cortesia del prevosto 
della Novalesa. 

3) Il colore azzurro che con qualche frequenza vi si incontra proviene dalla mano inesperta 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 


229 


230 CARLO CIPOLLA 


con tutta la precisione e la correttezza desiderabili. Nel maggior numero dei casi 
queste iniziali massime sono ad intreccio: è un nastro che si annoda nelle forme 
le più svariate. Ma in alcuni casi si trae invece profitto da animali più o meno 
fantastici. Pubblicando i miei appunti presi dal codice già Novaliciense, ed ora della 
biblioteca reale di Berlino, riprodussi una D come prova di penna disegnata al fine 
del codice. Anche quella D è formata di animali e trova riscontro con due D del 
presente ms. (foll. 380 e 189), delle quali una viene riprodotta nella Tavola. 

Il maiuscolo viene adoperato anche in altri casi, e specialmente nelle didascalie, 
e nelle prime parole che fanno seguito ad una iniziale di massima grandezza. L’ama- 
nuense, pratico del capitale, del rustico e dell’onerale, seppe far uso, con molta arte, 
di queste diverse forme di lettere, e variò l'illuminazione, l’intreccio delle lettere, ecc., 
per accrescere l'eleganza dell’insieme. Inserisco qui le riproduzioni di alcune iniziali 
di mezzana grandezza, che sono ordinariamente in rosso, alterate da posticcie illu- 
minazioni gialle e verdi. Trascelsi quelle forme che mi parevano più caratteristiche, 
e anche più artistiche: e posi l’una accanto l’altra varie forme di una stessa lettera, 
perchè il lettore si facesse un concetto dell’abilità dell’amanuense. 

La bellissima D onciale è presa dalla faccia recto del f. 278, e con essa ha 
principio (“ Deus qui nos beati saturnini martiris — ,, sotto la rubrica: “ Saturnini 
martyris ,) la sezione delle solennità dei santi. Questa parte del Messale è preceduta 
dalla relativa didascalia scritta sulla faccia verso del f. 277, la quale è in rosso, in 
maiuscole capitali, mescolate con qualche onciale: In nomine pomini Incrprvnt MISSE In 


SOLLEMPNITATIBVS SCORVM AB ADVENTV DOMINI vsove In oorapas pascua. Noto: la 
ultima è di Domini ha un ingrossamento mediano, quale è ovvio p. e. nelle iscrizioni 
dei sec. XII e XIV, ma pur s'incontra anche in scritture antichissime ; la p di sollem- 
nitatibus, prima dimenticata, fu aggiunta interlineamente, e le due Z della medesima 
parola hanno assai prolungato inferiormente l’apice della linea orizzontale, com'era 
dell'uso arcaico; or di sanctorum, in nesso. Dacchè l'opportunità si offriva, non era 
male, penso, il mettere in rilievo questi interessanti fatti paleografici. 

Nei facsimili che comunico in fototipia, e che io devo alla singolare perizia del 
cav. Luigi Cantù, il lettore troverà una M onciale, cogli apici delle aste laterali 
disposti orizzontalmente così da farci presentire di lontano il gotico. Le virgolette 
sopra alcune i minuscole, che pure appariscono in quella tavola, sono aggiunte assai 
posteriormente alla scrittura originaria. 

Godo che qui, avendo ricordato il nome del cav. Cantù, mi si offra l'occasione 
di ringraziarlo non solo della esecuzione delle fotografie, ma ancora di quelle spie- 
gazioni, che egli, versatissimo in cose d’arte, mi favorì, riguardo alle descritte illu- 
minature delle maiuscole, facendomi osservare come si possa distinguere ciò che 
appartiene al primo artista, da quanto devesi attribuire al contraffatore. 

Il complesso degli esordì di alcuni tratti, che si iniziano con una maiuscola di 
massima grandezza, e si continuano per tutta la linea con caratteri capitali più o 


di qualche guastamestieri relativamente moderno. Il cav. L. Cantù nell'eseguire le riproduzioni 
fotografiche, che si annettono a questo studio, ebbe occasione di constatare con quanta poca abilità 
lavorasse colui che si arrogò di ritoccare l’opera dell’antico e valente amanuense. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSP 231 


meno ornati, m nero, senza essere un lavoro yaro, è tuttavia un’opera squisita. L’ama- 
nuense trasse partito da tutto; nelle maiuscole che fanno seguito ad una maiuscola di 
massima grandezza, legò una lettera all’altra, formò nessi, incluse una o più lettere in 
altra lettera. Fra i luoghi, sotto di tale rispetto, degni di maggior considerazione, rilevo 
il foglio 191 recto (tavola, fig. 2). Quivi abbiamo una grandissima P iniziale, costituita 
da tenie bianche intrecciantisi fantasticamente in nodi estremamente complessi. Nel- 
l'interno della pancia della P lo sfondo è in parte rosso e in parte giallo; mentre lo 
sfondo esterno è verde. Alla P segue sulla stessa linea: VER NATVS EST. La Eela R 
di puer sono legate. In natus la s attorciliasi alla seconda asta della V. La voce est è 
costituita da una È rotonda, onciale, entro alla quale si trovano le due lettere S e T, 
l'una sopra l’altra. Queste lettere tutte di forma capitale, tranne la È. sono nere, e 
illuminate con tratti rossi e gialli. Il prolungamento inferiore della iniziale P_va sino 
ad intrecciarsi con una (, egualmente di forme grandissime, e formata dai fantastici 
nodi di una tenia bianca; anche qui il fondo interno è in parte giallo e in parte 
rosso, mentre verde è il fondo esterno. Ma queste due grandi iniziali, che riproduco 
in fototipia, non sono per altro prive di ritocchi di tarda età. li fondo verde, con- 
tornato da una linea rossa, va certo attribuito ad un tardo contraffatore, che andava 
in cerca di buoni effetti, a mezzo di tinte calde. Quello sciagurato sciupò malamente 
un buon numero di iniziali, maggiori e minori. Soltanto coll’esame attento del disegno 
e considerando la specie di tinta adoperata, si può distinguere, almeno in parte, l’an- 
tico dal nuovo. Dovunque, quello era più semplice e sobrio di tratti e di colori. Sicchè 
le tinte sfacciate adoperate dal contraffatore contrastano con le antiche, più semplici 
ad un tempo e più corrette. Anche le illuminature hanno spesso eguale origine. Forse 
l'antico amanuense sì servì soltanto di colori giallo e rosso: infatti il verde e l'azzurro 
spesso sono stati dati con vera trascuranza. Segue alla €, sulla stessa linea natural- 
mente: “ OCEDE QS OMPS .. Cioè: * Co|n|cede quesumus omnipotens ,. L'amanuense 
dimenticò la N di Concede e la sostituì interlinearmente in rosso. La E di concede è 
inclusa nella D, e la Q di queswnus comprende la S. La 0 di omnipotens è attraversata 
dalla prima asta della M, la cui ultima asta si confonde con quella della P; il segno 
di abbreviazione taglia la P e la S. Queste lettere sono in capitale, tranne la È 
onciale: sono in nero illuminate in rosso, giallo, verde. 

Le rubriche sono in rosso. 

Più volte le maiuscole di media grandezza hanno certe illuminazioni a scacchi, 
che incontreremo nel frammento di Corale del secolo XV, trovato nell'Archivio di 
Stato di Torino. Così una E onciale è illuminata con due scacchi gialli, interni, l'uno 
sopra, l’altro sotto alla linea trasversale. Ma non è facile, a tale riguardo, distin- 
guere fra l’opera del tardo falsario, per fermo inetto miniatore, e quella del primo 
amanuense, che sempre è sobrio nell'uso dei colori, esperto nel misurare gli eftetti 
dell’opera propria, schivo dei lavori ad effetto, ma per contro esperto assai e franco 
nel disegno. Le illuminature a giallo e nero appariscono brutto lavoro di tarda epoca. 
Esse sono della natura seguente. In una N, p. e., un triangolo formato dalla trasver- 
sale con una delle rette è dipinto in rosso, e l’altro in giallo. 

Le iniziali a tenia intrecciata, e l’uso di scrivere in capitale le lettere che fanno 
seguito a siffatte iniziali di massima grandezza, trovano riscontro quasi a dire per- 
fetto e pieno con alcuni mss. Cassinesi attrituiti al IX secolo, e de' quali abbiamo 


232 CARLO CIPOLLA 


in pubblico alcuni ottimi saggi di riproduzione cromolitografica (1). La rassomiglianza 
si spinge sino al modo di illuminare le lettere capitali, le quali, come nel nostro 
codice, sono in nero. Ma non per questo posso far risalire il nostro codice sino al 
IX secolo, giacchè i dati che abbiamo desunti particolarmente dal minuscolo, ma che 
pur riappariscono nei due maiuscoli minori, parlano troppo chiaro, perchè si possa 
far risalire il codice a tanta antichità. Forse alla Novalesa le vecchie tradizioni 
benedettine si conservarono assai a lungo. Era quello un luogo così lontano dal con- 
sorzio degli uomini che una tradizione aveva modo di meglio perpetuarsi. Potrebbesi 
tuttavia chiedere perchè l’uso antico siasi continuato solo per le iniziali di massima 
grandezza e non per gli altri caratteri. 

Il codice presenta numerose correzioni ed aggiunte, fatte in vari tempi e da 
molte mani. Le più antiche non possono essere di molto posteriori al codice, e si 
possono attribuire alla metà incirca del sec. XII. Così p. e. la sostituzione di una 
rubrica al f. 203 v ha un aspetto di alta antichità, un'aggiunta al f. 264, è in mi- 
nuscolo regolarissimo, quale si usava verso il principio del sec. XII. 

Non posso dimenticare che più volte nelle rubriche abbiamo la et rappresentata 
dal solito corrispondente segno tironiano (cfr. p. e. fol. 204 0, 205 0); anche questo 
è un indizio in favore dell’età, che mi sono studiato di attribuire al presente codice. 

Nelle ultime parti del messale si commemorano due personaggi, cari al mona- 
stero Novaliciense, cioè S. Walerico e S. Eldrado (2). Questo basterebbe ad attri- 
buire questo messale all'abbazia della Novalesa; ma ciò viene anche confermato da 
altri dati, che espongo in nota (3). 


(1) Paleografia artistica di Montecassino, tav. X. P 

(2) Fol. 184 » (rubrica in rosso, IN in nesso) IN S WALERICI. Exaudi (la E iniziale è onciale, 
in rosso) quesumus domine preces nostras. quas in sancti vualerici confessoris tui sollempnitate 
deferimus. ut qui tibi digne meruit famulari. eius intercedentibus meritis. ab omnibus nos absolue 
peccatis. per. SCR (rosso). 

Sancti (iniziale in rosso) tui vualerici quesumus domine annua sollempnitas pietati tue nos 
reddat acceptos. per hec pie placationis officia. & illum beata retributio committetur. & nobis 
gratie tue dona concedat per. AD COMPL (in rosso). 

Beati (iniz. in rosso) vnalerici confessoris tui domine intercessione placatus. presta quesumus. 
ut quod temporali celebrauimus actione. perpetua [f. 184 ©] salutatione capiamus. per. (segue la festa 
di S. Lucia). 

Fol. 217 » (in rosso, IN in nesso) IN S HELDRADI ABBATIS. 

Deus (iniz. rossa, illuminata in giallo) qui nos beatissimi heldradi confessoris tui atque abbatis 
letificas commemo]f. 217 r]ratione sollempni. da nobis quesumus eius perfrui eterno consortio. cuius 
festino gratulamur offitio. per. SCR (rosso). 

Adesto (iniz. in rosso, ill. in giallo) quesumus domine precibus nostris. adesto muneribus ut 
que pro beati heldradi confessoris tui sollempnitate deuote offerimus. salutaria nobis esse sentiamus. 
per. AD COPL (rosso). 

Salutaribus (iniz. rossa, ill. in giallo) repleti muneribus quesumus domine sancti confessoris 
tui heldradi continuum nobis non desit suffragium. ut cuius festo letamur. eius semper auxilio 
muniamur. per. 

Da (iniz. rossa, ill. in g.) nobis quesumus omnipotens -deus beati heldradi precibus consequi 
ueniam delictorum. qui miraculis attestantibus tecum uiuit in regione uiuorum. per ,. 

(3) Al f. 265 si leggono alcune orazioni per la congregazione. La prima di tali congregazioni, 
colla rubrica in rosso (PR in rosso) che dice: PRo abbate vel congregatione. | © Defende quesumus 
beato petro apostolo tuo intercedente nostram ab omni aduersitate congregationem. ut tibi toto 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 233: 


Questo codice adurique fu scritto nel monastero, che si vantava di trovarsi sotto 
la protezione degli apostoli Pietro: ed. Andrea, e che aveva ragioni per venerare di 
culto speciale S. Walerico e S. Eldrado. 

Cid' ammesso, il' nostro. Messale acquista una particolare importanza come mo- 
numento paleografico. Dacchè pur troppo nulla si è conservato dell’Evangeliario di 
Atteperto, veduto anclie dal cronista, dobbiamo andar lieti clie almeno ci sia giunto 
un codice dî lusso, scritto nel monastero, prima della sua decadenza. È per questo 
che abbondai nelle riproduzioni, sia di singole lettere, sia di brani del testo. La 
ristrettezza dello spazio mi consigliò nelle riproduzioni fotografiche ad adottare una 
misura ridotta; ma porto fiducia che ciò non impedirà al lettore di constatare l’ele- 
ganza relativa della scrittura. I colori mancano, ma voglio sperare che neppur questo 
sia un guaio sì grave da rendere inutili i facsimili che accompagnano queste mie linee. 

Il presente Messale dimostra che le belle antiche tradizioni paleografiche, fra il 
sec. XI ed il XI non erano ancora sparite nell'abbazia. 

Il nostro manoscritto è reso più prezioso dal costume monastico di cantare fre- 
quenti versicoli nella celebrazione della messa. Abbiamo pertanto una vera abbon- 
danza di tratti musicati, in canto gregoriano, disposte sopra linee, non tirate, nè 
tampoco indicate di lato con lettere. 

A rattoppare un foglio del Messale fu adoperato, forse nel sec. XV, o anche 
posteriormente, un bricciolo di pergamena spettante ad altro libro liturgico, e senza 
dubbio di età più vetusta che non sia il Messale stesso. Poco più se ne legge ormai 


corde prostratam. ab hostium propitius tuearis clementer insidiis. per. ,. E al margine di mano 
del tempo: “ Pro congregatione ,. 

Da un’orazione al f. 253 v apparisce che a quel tempo la chiesa della congregazione vantavasi 
di possedere reliquie degli apostoli S. Pietro e S. Andrea, che sono fra i protettori del monastero 
Novaliciense. La rubrica è in rosso, colle lettere PR, IN, NT in nesso, e dice: “ de sanctis quorum 
reliquie in ipsa continentur ecclesia. Da quesumus omnipotens deus. ut sancta dei genetrix. omnesque 
angeli. beati quoque petrvs & andreas apostoli & omnes quorum in ista continentur ecclesia patro- 
cinia nos ubique adinuent. quatinus hic [fol]. 2547] illorum presenti suffragio. tranquilla pace in tua 
laude letemur. per eundem ,,. 

Mi permetto qui di riferire la messa di S. Zenone, che trovasi fra S. Ambrogio e S. Siro. Può 
riuscire d’interesse generale il vedere la estensione data in addietro al culto di S. Zenone, che 
visse nel IV secolo. Rubrica in rosso, con IN in nesso. Rossa, con illuminazione gialla, è la seguente 
iniziale C. “ In S. Zenonis. Concede quesumus domine beati sacerdotis & confessoris tu zenonis 
nos deprecatione muniri. ut & temporaliter his patrociniis foueamur. et spiritualiter preparemur 


eternis. per. SCR (rosso, e in rosso la seguente iniziale S). 

“ Sancti confessoris tui zenonis nos quesumus domine tuére presidiis. & eius semper interces- 
sionibus adiuuemur. per. AD COPL (in rosso, come la seguente iniziale B) BHatus sacerdos & 
confessor tuus zeno quesumus domine sua nos intercessione letificet. & pie nos faciat in sua (sol. 
lempnitate) gaudere. per. ,. Segue a parlare di S. Siro. Queste notizie non devono trascurarsi nella 
storia della liturgia, ma per lo scopo nostro attuale non possono avere quel valore, che dobbiamo 
attribuire ai dati surriferiti, dai quali risulta provata la provenienza locale del nostro mss. A 
proposito di S. Zeno, la sua festività vedesi ricordata anche in bel Messale (sec. XIV) dell'Archivio 
Capitolare di Asti; con: “ VI Id. decembris, s. zenonis episcopi ,. 

Devo notare che nè la commemorazione di S. Walerico, nè quella di S. Eldrado cominciano 
con una iniziale di massima grandezza, la quale viene invece adoperata per la festività di S. Bene- 
detto, ricordata subito dopo alle riferite orazioni per S. Fldrado (f. 117 v). Per altro anche questa 
iniziale, una O ad intreccio, non è nè fra le più grandi, nè fra le più belle tra quelle di tal genere. 


x 


Serie IT. Tom. XLIV. 20 


294. CARLO CIPOLLA 


sul verso. La faccia recto ha soltanto: “ [san]ctos tuos eam resuscitari | ....[s]aluator | 
dal: [cimi]terio requiescunt (didascalia in rosso) | ..... ne fidelium requi | ..... [fam]ulabus 
tuis ,. Forse il frammento risale al sec. XI. 

Presso la medesima prevostura mi fu anche mostrato un paio di fogli spettanti 
ad un corale. La maggior parte di questo frammento concerne la festa di S. Giorgio, 
la cui commemorazione principia col Vespro. Rubrica (in rosso): “ In sci Georgii, 
cap ad vpr. ,. Anche qui una gran parte dell’officiatura è musicata, con note di canto 
fermo. Anche nella “ pars S. Georgii martyris , i diversi periodi riguardanti la vita 
del santo si alternano con versicoli musicati. 

Questo frammento, in minuscolo, sembra appartenere al secolo XIV ex. 

Alquanto più antico è il frammento di un messale, composto di un foglio doppio 
pergamenaceo, che addì 11 maggio 1894 tolsi dal “ Registrum causarum ciuilium et 
criminalium curie monasterij sancti Petri Noualicij tempore regiminis officij mei 
Johannis Barberij not. subsignati et castellani totius Jurisdittionis dicti monasteri], 
Jneipiendo die XXVj mensis aprilis anno domini M° V°XVj Jndictione III? Johannes 
Barberij ,. Questo volume, cui il frammento pergamenaceo serviva di copertina, si 
conserva nell'Archivio dell’Economato di Torino (1). 

Tl nostro frammento si compone adunque di un foglio doppio, ossia di due fogli 
semplici, dei quali uno fu smarginato così, da asportarne non piccola parte del testo. 
Sopra uno di detti fogli si leggono alcune delle orazioni del Messale, che nei Messali 
Romani odierni sono destinate alla rubrica Orationes ad diversa (2). E cioè sulla faccia 
recto abbiamo due orationes, le secreta e il postcommunio delle preghiere ad petendam 
pluviam. N'è perduta la didascalia. Una oratio e le secreta sono identiche alle at- 


tuali, non così l’altra oratio e il postcommunio (3). — Segue la didascalia in rosso: 
“ pro se|renitate]| ,, e qui abbiamo la relativa orazio, le secreta e il postcommunio. Il 
postcommunio (4) è diverso dall’attuale, non così le altre due preghiere. — Poscia 


(sul verso) vengono le preghiere: “ ad repelle|ndas tempestates] ,; la prima oratio (5) 
è diversa dall'attuale, corrispondono alle preghiere odierne la seconda oratîo, le se- 
creta, il posterommunio. Seguono due orationes e il postcommunio, la cui didascalia è 
perduta, ma che corrispondono alle odierne preghiere del Messale Romano “ pro pe- 
titione lacrimarum ,; il testo n'è diverso (6). 


(1) Abbazia della Novalesa, busta II. 

(2) Per tali raffronti liturgici mi riuscì molto utile la collaborazione del p. B. Bensa, cui mi è 
caro manifestare qui la mia gratitudine. 

(3) “ Delicta fragilitatis nostre ,, “ Tuere nos domine ,. Nel Messale del sec. XII al f. 262» 
si ha rubrica “ ad plvviam postviandam ,, con la orazione “ Deus in quo uiuimus... ,, le secreta 
“ Oblatis domine placare... ,, e la orazione «d complendum “ Da nobis domine quesumus... ,. 

(4) “ Plebs tua, Domine, capiat ,. Nel Messale del sec. XII alla rubrica testè indicata segue 
l’altra © ad aeris serenitatem ,, con la orazione “ Ad te domine clamantes... ,, le secreta “ Preueniat 
nos quesumus domine... , e l’orazione “ [ad]complendum , È Quesumus omnipotens deus clementiam 
tuam... ,. 

(lia rerum tibi seruientium ,. Nel Messale del sec. XII (f. 263 ») viene appresso alle rubriche 
ora citate, l’altra ad repellendam tempestatem con la orazione “ A domo tua quesumus domine... ,, - 
le secreta * Offerimus tibi domine laudes... ,, la orazione [ad]complendum “ Omnipotens sempiterne 
deus qui nos & castigando sanas... ,. 

(6) © [Omnipotens sem]piterne Deus da capiti nostro habundanci[am] ,, “ ... [ob]laciones quas 
Domine ,. Questa rubrica non incontrai nel Messale del sec. XII. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 235 


L'altro foglio contiene alcune orazioni per un infermo (1), alle quali “ sequitur 
Letania Kyrrie (sic) eleyson Christe eleyson — ,. Sono le litanie de’ Santi, quasi 
del tutto diverse da quelle che si usano recitare oggidì. Come importante per desi- 
gnare la provenienza del ms. noto l’invocazione: “ Sanete Mauricii cum sociis tuis 
ora pro eo ,. Queste litanie (2) dunque provengono da Torino, o almeno dal Piemonte: 
e perciò si confanno pienamente al monastero della Novalesa, ch'era nei limiti della 
diocesi Torinese. 

Questo frammento è in carattere quadrato, abbastanza elegante, del secolo XIII, 
nè si presta ad una diffusa illustrazione paleografica. Le didascalie e le maiuscole 
maggiori sono in rosso. 

Servono a completare il concetto che dobbiamo formarci degli usi liturgici No- 
valiciensi, alcuni altri frammenti di epoca posteriore. 

Trovai un foglio doppio pergamenaceo di un Messale, a due colonne, in carattere 
del secolo XV (3). Il fol. 1, e v presenta le orazioni del 1 gennaio, festa della 
presentazione al Tempio; sul fol. 2 r si leggono le orazioni per la festa di S. Marco, 
e sul fol. 2v quelle che scadono: “ Jn sancti Petri martiris de ordine predicatorum ,, 
“ Jn sancti Bernardi abbatis ,, “ Jn sancti Philipp! et Jacobi ,. 

Due fogli doppi di un corale (musicato con note di forma quadrata, e quindi 
di tarda età) furono staccati (13 marzo 1894) da due Registri del cadere del se- 
colo XVI (4). Uno di essi comincia: “|O]|sanna in excelsis. Sanctus, sanctus, sanctus, 


(1) La prima orazio ©“ Omnipotens sempiterne Deus, qui subvenis in periculis et in necessitate 


laborantibus — ,, forse ora non si usa più. La seconda © Domine sancte pater omnipotens eterne 
Deus qui benedictionis tue — , è quella che ora si lesse nel Rituale Romanum alla rubrica ordo 


ministrandi sacram. ertreme unctionis, ma con qualche variante (noto: “ ecclesie tue sanctisque 
altaribus ,, in luogo di “ ecclesie tue sanctie , d’oggidì). La terza, “ Respice, Domine, famulum 
tuum — , è simile assai a quella del Rituale Romanum, alla rubrica denedictio adulti eyrotantis. 
Nel Messale del sec. XII alle rubriche testè descritte, segue questa pro infimrmo “ Omnipotens sem- 
piterne deus salus eterna credentium... ,, secreta “ [D]eus sub cuius nutibus uite nostre... ,, @d 
complendum “ Deus infirmitatis humane singulare presidium... ,. 

(2) Avendo il De Levis (Anecdota, pp. XL-XLIX) riportate altre litanie Novaliciensi, non mi par 
inutile riferire qui quelle da me trovate: “ Kyrrie eleyson | Christe eleyson | Christe audi nos | Sancta 
Maria ora pro eo | Sanete Johannes Baptista o. p. e. | Sancte Petre o. p. e. | Sancte Paule o. p. e.| 
Sancte Andrea o. p. e. | Sanete Jacobe o. p. e. | Sanete Johannes o. p. e. | Sancete Ppilipe (sie) o. p. e. 
Sancte Michael o. p. e. | Sancte Gabriel o. p. e. | Sancte Raphael o. p. e. | Oomnes (sie) saneti angeli 
orate p. e. | Sanete Jacobe o. p. e. | Sancte Thoma o. p. e. | Sancte Bartholomee o. p. e. | Sanete Mathee 
o. p. e. | Sanete Juda o. p. e. | Sancte Barnaba o. p. e. | Sancte Marce o. p. e. | Sancte Mathia o. p. e. | 
Omnes sancti apostoli orate p. e. | Sanete Stephane o. p. e. | Sancte Line o. p. e. | Sancte Clete o. 
p. e. | Sancte Clemens o. p. e. | Sancte Sixte o. p. e. | Sancte Laurenti o. p. e. | Sancte Corneli o. p. e. | 
Sancte Cypriane o. p. e. | Sancte Hermes o. p. e. | Sanete Juliane o. p. e. | Sancte Johannes o. p. e. | 
Sancte Paule o. p. e. | Sancte Cosma o. p. e. | Sanete Damiane o. p. e. | Sancte Mauricii cum sociis 
tuis o. p. e. | Sancte Sebastiane o. p. e. | Sancte Austremonii o. p. e. | Sanete Hyrene o. p. e. | Sancte 
Saturnine o. p. e. | Sancte Yirenei (?) o. p. e. | Omnes sancti martires orate p. e. | Sanete Hylari o. 
p. e. | Sancte Martine o. p. e. | Sancte Bricci o. p. e. | Sancte Marcialis o. p. e. | Sanete Remigi o. 
p. e. | Sancte ////e/l// o. p.e. | Sancte Leo o. p. e. | Sanete Augustine o. p. e. | Sancte ////renente 0. p. e. , 

(3) Questo frammento formava la copertina del volume: © 1620. Atti di lite fra Antonio Pro- 
vana abate della Novalesa ed il vassallo Pietro Paolo Provana, con sentenza che mantiene l'abate 
nel possesso d’'esiggere le decime dei frutti nascenti ne' beni feudali del vassallo Pietro Paolo ,. 
Ne fu staccato il 9 marzo 1894. 

(4) L'uno è il “ Registro delle Cause Civili e Criminali dell’Abazia della Novalesa per gli anni 
1591-2, essendo abate Gaspare Provana ,, e l’altro è il Registro corrispondente per gli anni 15935. 


236 CARLO CIPOLLA 


Dominus Deus Sabaoth —,, e l’altro: “ Et ut queamus,..celi ,gaudia adipisci :dicat : 
eleyson. Kyrie rex .genitor ingenite — ,..Il carattere di questi frammenti è un. ele- 
gante quadrato, colle iniziali in rosso e .verde, del secolo. XIV (1). Le. illuminazioni 
certo originali, servirono forse di tipo .a" quelle delle maiuscole..di media grandezza 
nel grande Messale Novaliciense. Quindi vediamo la lettera. riempiuta con uno 0 con 
due colori, disposti a scacchi. 

In carattere del secolo XVII incirca abbiamo trascritto in un fascicolo cartaceo (2) 
l'“ Officium Sancti. Eldradi. confessoris. et. abbatis, eius vitae et. miraculorum -seriem 
breviter complectens ,. Contiene tutt’intera l’officiatura. del Santo, compresa la parte 
biografica, della quale abbia tenuto parola a proposito della postilla offertaci dal 
Martyrologium di S. Adone. 

Sopra il foglio di guardia che custodisce un documento del. 14. marzo 1567 (3) 
una mano del secolo XVII aveva cominciato a ricopiare un cenno biografico (che 
per il contenuto e.la fonma ha relazione cogli usi liturgici) intorno :a S. Eldrado; 
ma, poi troncò la trascrizione. Ivi si dice che la festa di S..Eldrado si celebra. an- 
nualmente addì 13 marzo “ in ipsa ecclesia (della Novalesa) et in locis circumvicinis ,. 

Qui può trovar luogo, anche un ricordo del. Necrologio Novaliciense, che fu in 


(1) Le maiuscole di maggiori dimensioni (S, E, T, K) sono in rosso, con illuminazione in verde. 
La lettera-S: ricorre tre volte, e in tutti. e tre i casi lo sfondo ‘delle due curve è oceupato:.da una 
illuminazione verde. Occorre una volta la E di forma gotica, quasi del tutto chiusa per l’ incontro 
degli apici delle sue tre linee orizzontali; il campo superiore alla orizzontale mediana è colorito 
in verde al suo lato sinistro, e il campo inferiore è invece colorito in verde al suo lato destro. 
Pare che questi tipi fossero presenti al contraftatore delle iniziali del Messale, poichè in queste si 
può facilmente scorgere ln tendenza imitativa. C'è tuttavia una spiccata differenza nell’ abilità del 
pennelleggiatore e nella precisione del lavoro. Quanto sono belle ed eleganti le iniziali nel Messale 
del sec. XIV, altrettanto trascurate sono. le altre. 

(2) Abbazia della Novalesa, ‘b. XV; Arch. di Stato di Torino. — Si confrontino le parti biogra- 
fiche dell'Officium cogli estratti * ex notis... abbatie , presso Rocnrz, La. gloire, p. 99-101. L'officia- 
tura attualmente in uso nella diocesi di Susa è ben altra cosa, e in essa la eco del carme anti- 
chissimo andò perduta : oltracciò è molto breve. — Qui siami lecito aggiungere che presso il m. r. 
prevosto di S. Ambrogio (ai piedi del monte Pircheriano, ossia della Sagra di S. Michele) si con- 
servano due volumi di breviario, de’ quali uno contiene le feste fisse, e l’altro (in gran parte) le 
mobili. Sono in pergamena del sec. XV, e portano il nome dell’antico monastero di S. Michele della 
Chiusa (che vale: la Sagra di S. Michele, ora de’ PP. Rosminiani); nel sec. XVII erano del Collegio 
Torinese dei Gesuiti, secondo una nota che.si ripete sul primo foglio di ciascuno di essi. Or bene, 
quei. breviari che hanno commemorata la festa di S.Giovanni Vincenzo (fondatore della Sagra), 
difettano della festività di S. Eldrado: locchè costituisce una prova per credere che nel sec. XV, 
mentre la diocesi di Susa non era peranco eretta, il culto di S. Eldrado fosse tuttora molto ristretto. 
Ma non è l’unica prova. Nell'archivio della, prevostura. della. Novalesa esistono alcuni documenti che 
dimostrano quanto sia tarda la diffusione del culto di S. Eldrado fuori dell'abbazia. Vi lessi una 
carta del giorno 8 marzo 1799 colla quale i cittadini.di Novalesa, avendo la loro parrocchia avute dai 
monaci le reliquie di S. Eldrado, col consenso di Ippolito Sereno, loro parroco, chiedevano al vescovo 
di Susa di poter festeggiare S..Eldrado, nel giorno 18 di quel mese, secondo l’antico uso della Con- 
gregazione monastica. Il Vescovo, 9 marzo 1789, concesse officio e messa “ de comuni .abatum.,,,e 
ciò © ratione insignis reliquiae ,. Oggidì quantunque la festa di S. .Eldrado si usi celebrare in tutta 
la diocesi di Susa, tuttavia solo in Novalesa, Venaus e. Ferrera, ha luogo il rito doppio di seconda 
classe. Tornando ai mss. di S. Ambrogio, è tradizione locale che essi siano stati. comperati men che 
un secolo fa da un rivenditore di libri vecchi; questa circostanza non è senza valore per la storia 
dell'antica biblioteca dei Gesuiti, storia ancora molto oscura, eppure importante per la letteratura 
piemontese. 

(3) Abbazia dellu Novalesa, b. XII, Arch. di Stato di Torino. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 237 


piccola parte pubblicato nel 1846 dal.Bethmann (1). Di questo necrologio, che non 
.fu stampato dal Combetti insieme col Chronicon Novaliciense (2), esiste una copia com- 
‘pleta di mano di Eugenio De Levis (8), che rimase ignota all’erudito tedesco. 

Il Bethmann, pubblicando i suoi estratti dal Necrologio Novaliciense, cita le 
schede relative fatte dal Vernazza nel 1788, e a lui. comunicate dal Gazzera. Per 
buona ventura queste schede esistono ancora intatte, e si conservano presso la bi- 
blioteca dell’Accademia delle Scienze. Ne devo la conoscenza alla cortesia del chiar. 
«prof. Ermanno Ferrero. Le schede sono precedute dalla lettera, in data 11 maggio 1788, 
colla quale il Vernazza chiedeva al conte Perrone (4) una lettera per presentarsi “ al 
superiore locale del monastero della Novalesa ,, affine di ispezionare i frammenti del 
Necrologio, della cui esistenza egli aveva pur allora avuta “ notizia ,. Ricevuta la 
lettera commendatizia, il Vernazza recossi sopra luogo; addì 14, essendosi “ trovato 
il necrologio ,, lo descrisse paleograficamente e ne trascrisse il contenuto. Fatto 
ritorno a Torino, scrisse (in data 24 maggio 1788) una relazione al Perrone intorno 
alla propria scoperta, la quale relazione serve a colmare qualche lacuna lasciata 
.dalle schede .stese sul sito. Egli fa anche qualche congettura sull’ età in cui può 
essere stata seritta la parte più vecchia del necrologio, ma qui non fa che avven- 
turare ipotesi incerte, e poco concludenti. Poichè, mentre l’afferma anteriore al 1250, 
vorrebbe nel tempo stesso farla risalire nientemeno che allo scrittore degli ultimi 
capi del Chronicon — che per lui è diverso da quello cui si deve il rimanente —, 
il quale in realtà risale ad età vetustissima. Conchiude alla fine dicendo: “ per da 
forma dei caratteri può credersi cominciato circa il 1200 ,. Anche nelle schede 
del Vernazza si hanno indicazioni numerose, che il Bethmann tralasciò, perchè riguar- 
davano, persone di minor conto; ma per noi anch'esse sono preziose. 

Le schede del Vernazza non si estendono all’ultimo frammento del Necrologio 
20 settembre-7 ottobre, come fanno quelle di E. De Levis (5). 

In questa maniera viene resa possibile l’edizione critica del Necrologium, e meno 
dolorosa riesce la perdita del ms. originale. 

I frammenti indicati e usufruiti dal Bethmann sono quelli pure trascritti dal 
De Levis (1-28 gennaio; 13 febbraio-17 marzo; 3 aprile-2 giugno; 21 settembre- 
principio di ottobre). Ciò non pertanto il Bethmann non in tutti i casi ci da un 
testo identico al. nostro. Sotto il 4 marzo questi trascrive: “ Deposicio domni Um- 
berti comitis ,, dove la copia De Levis ha più ampiamente: “ Deposicio domini Um- 
berti comitis et domini Thomae comitis eius filij excellentissimi ,. 

Qui siami permesso anche di aggiungere che il testo del Necrologio di S. Andrea, 
che fu in proprietà di Costanzo Gazzera e dal quale il Bethmann (6) ricavò alcuni 


(1).In appendice alla sua edizione del CQr. Noval., in MG, VII 180-1. 

(2) MHP., Script., vol. III 

(3) Arch. dell’Economato Generale, Cronaca Ecclesiastica, busta IL. 

(4) Carlo Baldassare Perrone, ministro per l'estero dal 1780.al 1788, era nipote del barone Carlo 
Filippo Perrone,.i cui dispacci di Francia furono pubblicati dal Ferrero, dal Manno e dal Varga, 
Relazioni diplomatiche, vol. I, Il. 

(5) Ma nella relazione al co. Perrone il Vernazza asserisce che sotto il 5 ottobre il Necrologio 
registrava la morte di Enrico IN imp. accaduta in quel dì, l’anno 1056. Il De Levis invece copia 
trascuratamente gli ultimi giorni di ottobre, ch'erano certo consunti, e tralascia quella nota 

(6) Loc. cit., p. 131-2. 


238 CARLO CIPOLLA 


estratti, fu testè ritrovato tra i mss. della R. Accademia delle Scienze di Torino, 
alla quale il Gazzera legò morendo la sua ricca collezione di libri. Debbo anche 
questa notizia alla cortesia del ricordato prof. E. Ferrero, segretario della classe di 
scienze morali, che gentilmente mi pose sott'occhio quel prezioso cimelio (1). 

Antichissime note Necrologiche Novaliciensi furono, pochi anni or sono, segnalate 
dal Piper in un necrologio oltremontano, cioè nel Liber Sangallensis (2). 

Le poche disiecta membra della biblioteca Novaliciense che ci sono passate sot- 
t'occhio, dànno certamente un concetto inadeguato di quella raccolta di libri, che 
doveva essere veramente preziosa. Quanto dobbiamo deplorare, a cagion d’esempio, 
la perdita completa degli Evangeli scritti da Atteperto, ai tempi in cui fioriva ancora 
la scuola di Tours! Possiamo facilmente raffigurarci que! codice, scritto in grossi 
caratteri minuscoli, eleganti e regolarissimi, siccome allora si sapeva e si usava fare. 
Di tutto ciò, nulla pur troppo rimane oramai. 

In queste nostre indagini abbiamo tuttavia potuto aggiungere qualche cosa a ciò 
che finora era noto intorno alla biblioteca Novaliciense. Di libri scritturali, niente pur 
troppo. In fatto di patristica, trovammo frammenti di S. Cesario, di S. Gregorio Magno 
e di Beda. Il Cronista ebbe in mano i Dialoghi di S. Gregorio. Il Martyrologium di 
S. Adone era stato bensì accennato nel secolo scorso dal De Levis e recentemente 
da Carlo Miller, ma a nessuno s'era offerta occasione di discorrerne per disteso. 

Copie del De Levis e di altri mi permisero di parlare dell'inno a S. Walerico, 
del Necrologio monastico, e sopra tutto di un ms. miscellaneo sacro-profano, che ora 
fa parte della collezione Phillips a Cheltenham. Fra i libri patristici può collocarsi 
il framme.to della Regula di S. Benedetto, con un antico commento, che può riuscire 
importante, ora che gli studiosi si rifanno alla storia di S. Benedetto e dell'Ordine 
da lui fondato. Brani di due messali e di un corale ci diedero modo di intravvedere 
qualcosa di nuovo in fatto di liturgia locale. Degno di speciale attenzione, è un 
intero Messale (con qualche lacuna peraltro), a iniziali policrome. 


(1) Anche questo necrologio fu trascritto dal De Levis (Arch. Econ., Cron. Eceles., b. II); e la 
sua copia servì all’ edizione datane nel t. III degli Script. nei M. H. P. Il Bethmann ne estrasse 
soltanto poche notizie di interesse generale, trascurando quelle d'importanza locale. Quasi sempre 
fu esatto, distinguendo con accuratezza le varie mani, e segnando l’ epoca di ciascuna tra queste. 
Tuttavia. anche la sua riproduzione lascia luogo a qualche miglioramento. Così sotto il 9 maggio 
dopo aver riportato la commemorazione: “ Deposicio domni Aginulfi abbatis , si poteva notare che 
una mano del sec. XII aggiunse: “ pinariolensis ,. L’abate Aginulfo è il primo degli abati di S. Maria 
di Pinerolo, e l’illustre D. Carurmi, Storia di Pinerolo, Pinerolo, 1893, p. 574, lo registra sotto 
l’anno 1075. Cfr. A. Prrravino, Storia di Pinerolo, p. 54. 

Sotto il 10 maggio si legge: “ Depositio domni Asinarii & domni frodroini abbatum ,. Il 
Bethmann stampa: “ frodoini ,, e trascura l'aggiunta, di mano del sec. XII: “ Novaliciensium ,. Nè 
manca qualche vera ommissione di rilievo. 

Dell’edizione curata da L. G. Provana, poco si può dire. Condotta sulla copia del De Levis non 
può assolutamente accontentare. È sotto un punto di vista migliore che quella del Bethmann, perchè 
completa; ma per le numerosissime sue inesattezze lascia pur molto a desiderare. 

Il Bethmann asserisce che il necrologio attuale, nella sua parte più antica, è una copia di 
notazioni antecedenti, fatta al principio del sec. XII. Questa data non è inaccettabile. La notizia 
storica coll’anno 1104 riguardante la cappella di S. Maria della Consolata (sotto il 21 ottobre) è 
peraltro un'aggiunta di epoca tarda, anzi non anteriore al 1498. 

(2) Libri confraternitatum (MGH, ed. in-4°), p. 166. 


Wi 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 239 


Tiene relazione cogli studi sacri e coi profani un piccolo brano di un libro de 
computo. 

Pochissimo trovammo di storia, oltre una parte della Historia Langobardorum, 
che fa parte della miscellanea storico-profana suddescritta. Forse appartenne al mo- 
nastero Novaliciense l’aneddoto di Palladio sulla storia Indiana, pervenutoci in ver- 
sione latina in un ms. del barone Claretta, nel quale (come era stato già osservato 
dal prof. G. Calligaris) contiensi trascritto il testo novaliciense della Historia Lan- 
gobardorum di Paolo diacono. Qui va ricordata una Cronaca Pontificio-Imperiale, che 
giungeva sino al tempo di Gregorio IX e di Federico II, di cui resta il solo titolo; 
e oltracciò poche e brevissime notazioni storiche sui secoli XII e XIV, che appar- 
tengono ad una ben nota famiglia cronografica piemontese. 

Il Cronista ebbe a mano senza dubbio un testo della Historia Langobardorum, e 
probabilmente si giovò proprio del ms. da noi considerato. 

Tutt'altro che privo d’interesse, si presenta il lider de computo anonimo. 

Non ho creduto di parlare della Vita d. Heldradi (1) e del celebre Chronicon 
Novaliciense scritto sopra un rotolo, che anche oggidì si conserva. Della prima cercai 
indarno un qualsiasi ms. Del secondo non so se alcuna cosa avrei qui potuto dire di 
nuovo: sarà sufficiente avvertire ch’esso è manchevole ora, come lo era nel 1693, 
allorchè lo trascrisse il p. M. A. Carretto, siccome ho avvertito. Verrà tempo in cui 
si offrirà l'occasione di diffondermi un po’ di più sopra il Ohronicon; il mio scopo 
attuale non esigeva, com’io penso, una disamina paleografica, della quale appena 
diedi qualche saggio inadeguato. 

Il De Levis (2) pensa che il p. Turinetti (che in servizio dei Bollandisti tra- 
scrisse da un ms. Novaliciense la vita di S. Eldrado) abbia trasportati vari codici 
di quell’abbazia presso il collegio dei Gesuiti di Torino. La dispersione della biblio- 
teca del Collegio dei Gesuiti di Torino fu proprio completa; qualche libro a stampa 
se ne trova qui e colà nelle biblioteche di Torino, ma de’codici non rinvenni traccia. 
Il De Levis è ancora di avviso che altri mss., per volere di re Carlo Emanuele III (3) 
siano passati nella biblioteca della R. Accademia delle Scienze di Torino; ma poi 
sembra fare una cosa sola della suddetta biblioteca con quella dell’Università (ora 
Nazionale), poichè si lagna che il Pasini nel suo Catalogo non abbia indicato la 
provenienza de’codici Novaliciensi. Si sa che il Pasini diede alle stampe il catalogo 
dei codici della Nazionale, e non quello dei mss. dell’Accademia. E poi è fuori di 
dubbio che l'Accademia nè ha, nè ebbe giammai abbondanza di codici antichi. 

Il De Levis giunse al monastero della Novalesa la notte del 21 novembre 1778, 
e vi fu bene accolto “ gratia et humanitate Reverendissimi Fuliensium eiusdem mo- 
nasterii abbatis Caule ,. Vi rimase otto giorni, durante i quali trascrisse il rotolo 
del Chronicon (0 piuttosto ne prese le varianti), ed esaminò i pochi mss. che rima- 


(1) Acta Sanctorum, Mart., Il, giorno 18. Riprodotta di qui nel vol. Ill Seriptores dei Monum. 
Historie Patriw. 

(2) Anecdota Sacra, p. XXIX. 

(3) Rimasero infruttuose alcune ricerche fatte nell'Archivio di Stato di Torino per chiarire tale 
asserzione, la quale del resto essendo espressa in forma così indeterminata, mal sì presta al con- 


trollo. 


240 CARLO CIPOLLA 


nevano' nella biblioteca. E cioè: 1° Oifielie di S. Gregorio Magno; 2° Regola di' San 
Benedetto (codice certamente diverso da quello di cui abbiamo descritto un fram- 
mento); 3° Opere di' S. Fruttuoso; 4°-5° Miscellanee di vite di Santi ; 697° Sacra 
scrittura; 8° Libro' liturgico; 9° Altro’ libro' liturgico, colle vite dei ss. Solutore, Av- 
ventore ed Ottavio. 

Altri codici égli ebbe (certo antecedentemente) it donò “ gratia et benignitate 
réverendissimi cdiusdam eiusdert' monasteri? abbatis hi cioè C. Sona Descrive questi 
partitamente: 10. Messale, dal De Levis attribuito al cadere del'sec. VITI e certamente 
diverso da quello testè descritto; 11. Martiyjrologium di Adone (orà nella biblioteca reale 
di Berlino); 12. Esposizione de’ Salmi, dell'abate Remigio; 13. Codice miscellaneo 
sacro-profano (ora della biblioteca Phillips); 14-15. Libri liturgici; 16. Martirologio 
di Usuartdo; Evangeliarioy 17. Canoni Penitenziali: rito da usarsi per gl’ infermi 
moribondi (è tutt'altra cosa dal frammento liturgico, colla Orazione peri moribondi, 
di cui abbiamo parlato); 18. Omelie di Origene e di S. Ambrogio; 19. S. Agostino; 
orazioni di S. Massimo, ecc., coll’inno a S. Valerico (1); 20-20 dis. Libri liturgici, per 
l’Avvento; 21. Graduale di S. Gregorio. 

Il Cronista lesse una vita di S. Eldrado, ed una ne compilò egli medesimo. Di 
più ebbe a sua disposizione una serie di biografie di antichi abati, delle quali ora 
più nulla rimane. Le vite degli arcivescovi di Vienne scritte da Leodegario, di cui 
si servì il Cronista, e che si lamentavano perdute, vennero (come dicemmo) identificate 
testè dall’illustre Duchesne. 

Di letteratura profana, nulla si conservò. Il poema di Waltario, di cui si perde 
ogni traccia dopo del Chronicon, è TV unico monumento di questo genere, di cui si 
possa provare l’esistenza presso la congregazione Novalîciense. Gli autori classici, 
per quanto ne possiamo sapere, vi mancavano onninamente, ed è questo un fatto 
molto rimarchevole, e che può destare in qualcuno il desiderio di nuovi studî, in 
ordine alla cultura Piemontese. Ciò può riuscir strano a chi pensi che le origini 
della biblioteca Novaliciense risalgono all’ età Carolingica, cioè ad un periodo di 
tempo nel quale gli studì classici avevano avuto ormai un potente risveglio. 

Il Cronista (2) assicura che alla sua età si cantavano nell’abazia Novaliciense le 
antifone di S. Medardo, le quali non si cantavano altrove, e specialmente in nessun 
luogo del regno d’Italia. Così quell’anonimo. Oggidì queste antifone si possono la- 
mentare smarrite, non trovandosi neanche nel Messale del secolo XH, del quale 
parlammo. Ma se si potrà scovare il Messale del sec. VIII accennato dal De Levis, 
forse anche quelle antifone usciranno dall’obblio, in cui giacciono da secoli. 

Le notizie che ho raccolto sulla biblioteca Novaliciense, sono senza dubbio in- 
complete; e m’auguro che nuove scoperte possano accrescerle e migliorarle. Comunque 
sia, porto fiducia di aver potuto provare che essa, specialmente per gli studii sacri, 
occupa un posto notevole nella storia più antica delle lettere nel Piemonte. Spero di 
aver potuto dimostrare, più a fondo che finora non si fosse fatto, il valore di una 


1) Questo ms. sembra avere qualche lontana somiglianza col n. 4724 della collezione Phillips 
(H. ScnenkL, Bibl. patr. latin, V, in Wiener Sitzungsber., CKXVII; p. 1), ora trasmigrato a Bruxelles. 
(2) Lib. III, c. 30. 


NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA PIBLIOTECA NOVALICENSE 241 


biblioteca, che il Gottlieb (1) credette di non ricordare neppure, forse perchè di essa 
non c'è pervenuto verun catalogo antico. 

Benvenuto Rambaldi da Imola, commentando il v. 74 del canto XXI del Paradiso, 
narra che il suo maestro Boccaccio gli aveva descritto una visita da lui fatta alla 
biblioteca di Montecassino, mentre i codici vi stavano trascurati e in continuo peri- 
colo di andare dispersi. Anche per la biblioteca Novaliciense vennero i giorni brutti, 
e assai più, senza confronto, che ciò non sia accaduto a quella, tanto più celebre e 
più ricca, di Montecassino. Dove questa risorse e ricuperò tutto il suo splendore ori- 
ginario, quella continuò a decadere e scomparve. I suoi codici o vennero distrutti o 
dispersi nei luoghi più lontani; è bello il rintracciarne, per quel poco che è possibile, 
le vestigia. 

La questione proposta dall’illustre prof. G. De Leva in proposito dell'importanza 
dell'abbazia Novaliciense come scuola paleografica, ossia come centro “ produttivo , 
di coltura, un passo: lo ha fatto, se ben veggo, per mezzo dei codici che mi sono 
venuti sotto mano. Molto ancora resta a fare, senza dubbio. Ma ormai abbiamo 
qualche buon fondamento per portare un giudizio anche su quel campo. Il bel Messale, 
ora posseduto dalla prevostura Novaliciense, quantunque non lo si possa confrontare 
coi preziosi codici Cassinesi, colla varietà ed eleganza delle sue maiuscole, a tenia 
intrecciate e a figure di animali, dimostra quanto fosse progredita lassù l’arte dello 
scrivere e quella dello alluminare, nei più antichi e più bei tempi dell’abbazia. 


(1) Ueber mittelalter. Bibliotheken, Dessan, 1890. — Appena un cenno sul monastero Novaliciense 
fece G. GriirzmacHer, Die Bedeutung Benedikts von Nursia und seiner Regel, Progr. Univ. Heidelberg, 
Berlin, 1892; è questo un lavoretto utilissimo per la storia della Zegula di S. Benedetto, ma impari 
al suo assunto per rispetto alla storia dell'Ordine. 


Serie II. Tom. XLIV. 31 


242 €. CIPOLLA +— NOTIZIA DI ALCUNI CODICI DELL'ANTICA BIBLIOTECA NOVALICENSE 


DESCRIZIONE DELLA TAVOLA 


Fig. 1. Dal fol. 2v del Messale Novaliciense 


Fig. 2. 5 1917 È ” 
Fig. 3. RI 380 z 2 
Fig. 4. È 152, 5 da 
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ANTICHI INVENTARI 


DEL 


MONASTERO DELLA NOVALESA 


CON LA SERIE 


DEGLI ABATI E DEI PRIORI DEL MEDESIMO 


MEMORIA 


CARLO CIPOLLA 


Approvata nell'Adunanza del 24 Giugno 1894. 


In tre Memorie abbiamo discorso di parecchi codici che nei secoli andati forma- 
rono il decoro del monastero Novaliciense, e che ora o arricchiscono biblioteche 
straniere o si trovano ridotti alla misera condizione di informi frammenti. A_com- 
plemento di quello che abbiamo detto su questa biblioteca, non parmi inutile di 
comunicare qui alcune notizie sugli inventari degli antichi documenti del medesimo 
monastero. Avrei voluto parlare dei cataloghi della sua biblioteca; ma non ce n'è al- 
cuno, sicchè per questo riguardo nulla ho da dire. Aggiungo poi un cenno sugli inventari 
delle reliquie; la lipsanoteca argentea, contenente le reliquie di S. Eldrado, esiste 
tuttora e forma un vero monumento dell’arte del sec. XIII, degno per fermo che altri 
se ne abbia ad occupare largamente. Infine tento ricostruire la serie degli Abati e 
dei Priori, che ressero quella istituzione monastica, nella persuasione che questa tela 
cronologica, quando si potesse condurre a sufficiente perfezione, dovrebbe fornire un 
elemento indispensabile per qualsiasi ulteriore indagine storica e costituire il substrato 
e la base ultima delle ricerche già fatte. 

Nella storia piemontese durante i più antichi secoli del medioevo, il monastero 
della Novalesa ebbe una parte sommamente rilevante; e le sue vicende si ingranano con 
quelle di tutta la regione circostante, e si allacciano anche cogli avvenimenti d'in- 
teresse generale. Tale fatto impone maggiore esattezza e ampiezza a questi nostri studì. 


Gli Inventari delle Carte. 


Se la biblioteca abaziale fu, negli ultimi secoli, trascuratissima, non sì può di 
certo ripetere il medesimo riguardo al suo archivio. E ne è chiaro il motivo; le 


244 CARLO CIPOLLA 


carte documentavano diritti viventi, e quindi, se anche antiche e illeggibili, si con- 
servavano. I volumi antichi in pergamena non si leggevano più; diventati incom- 
prensibili, erano un peso inutile. Parlando delle reliquie, ricorderemo un inventario 
delle cose mobili della sacristia e del monastero, spettante al 1631. In esso si descrive 
quanto esisteva nella camera del Rettore, e vi si aggiunge: “ Di più vi sono alcuni 
puochi libri, gli quali i più principali sono il Bonacina, il Tolet — ,. Dei preziosi 
codici che ancora si conservano, non una parola. Di essi si tace, mentre si registrano 
perfino gli oggetti di cucina (1). 

I primi inizî della regestazione dei documenti bisogna ricercarli nei regesti 
apposti sul verso delle pergamene. Anche nell’ archivio Novaliciense e Bremetense 
l’uso di indicare esteriormente il contenuto degli atti, per facilitare le ricerche, è 
antichissimo. Ognun vede che quest’uso dipende dal sistema romano. 

Per non allargare di troppo il campo delle nostre osservazioni, mi limito a dir 
poche parole sopra documenti anteriori al sec. XI. 

Fra il sec. IX ed il X vanno collocati i regesti apposti ai diplomi di Lotario I, 
14 febbraio 825 (2), 13 giugno 844 (3) e 10 ottobre 845 (4), il primo in minuscolo 
rustico, e i due altri in litterae grossae. Tutti e tre i regesti sono di mani diverse. 

AI secolo IX-X mi pare si possa attribuire il regesto apposto sul verso del 
diploma di Carlomagno 24 marzo 773 (5), e al X-XI il regesto del placito del no- 
vembre 880 (6). 

Vorrei attribuire al sec. XI i regesti apposti all'atto di fondazione del 726 (7); 
sembrano del X quelli dei diplomi di Ottone II, 1° maggio 972 (973) (8) e di Ottone IIg 
26 aprile 998 (9), che furono ambedue scritti da una stessa persona. Forse è del 
sec. XI il regesto della carta di offersione del giorno 11 maggio 984 (985) (10). 

Forse è posteriore un secondo regesto sul verso del diploma Lotariano dell’a. 825. 
Al sec. XII ascrivo il regesto al diploma di Carlomanno, ottobre 769 (11), e un 
secondo regesto apposto al diploma citato di Ottone II (12). Al sec. XIV appartengono 
altri regesti, come quelli apposti alla bolla di Giovanni XI, 21 aprile 972, e al 
citato diploma di Ottone III del 998. 


(1) Abbazia della Novalesa, busta LXVI. Arch. di Stato di Torino. 

(2) “ prectum (sic) domni lotharii regis de appagnis et montis cinisii,, dove le ultime parole 
et m. C. sono aggiunte d’imitazione e rispondono ad alterazioni introdotte nel testo verso il sec. XII. 

(3) “ de domno ioseph episcopo. [praeceptum domni lotharii de theloneo] pontatico rotatico cau- 
satico , ecc. Chiudo fra [ ] quello che ora è illeggibile, ma che fu ricalcato da mano del sec. X e 
ripetuto, insieme col rimanente del regesto, da una mano del sec. XI. 

(4) “ praeceptum de bardinisca donni h[lotharii] ,. 

(5) ©“ #; praecepto exemplaria ,. 

(6) © Indicato secundo de maurino bardino ,. Si avverta l’importanza di questo regesto, dal 
quale impariamo che, quando fu scritto, doveva esistere un placito anteriore ad esso, poichè altrimenti 
esso non sarebbesi potuto chiamare: “ iudicato secundo ,. Il giudicato primo vuolsi identificare col 
placito dell’a. 827, che a noi pervenne soltanto in copia del sec. XI, con un regesto sul verso, scritto 
dalla stessa mano che il testo. 

(7) “ Priuilegium de ordinatione clericorum huius coenobii ,. 

(8) “ pceptum don otoni... ,. 

(9) “ pceptum domni ottoni imperatoris ,. 

(10) “ Carta oftersionis Sumundi in planicia ,. 

(11) “ Preceptum Karlamanni regis de theloneo ,. 

(12) “ [p]vi[vilegium domjni ottonis maioris imperatoris ,. È in Wtferae grossae. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 245 


Il regesto che leggesi sul verso del falso diploma di Carlomagno spetta al XV 
secolo. 

Sono copie antiche, ma non carte originali, la donazione di Teutcario, aprile 810 (1), 
e il giudicato del maggio 827. È notevole che i regesti scritti sul verso di queste 
due pergamene, sono delle mani stesse, alle quali si devono i due atti (2). Questo 
forse si spiega supponendo che i regesti si trovassero anche sugli originali, e che 
siano stati quindi trascritti unitamente coi testi relativi. Le due copie risalgono al 
secolo X. 

Non è possibile stabilire in qual tempo si sia pensato di collegare i regesti, 
scritti, secondo l’uso, sul verso delle carte, mediante la compilazione di un inventario. 
È verisimile che ciò non si sia fatto molto presto. Sembra indicarlo anche la irre- 
golarità di tali regesti, fatti da varie mani ed in vari tempi. È quindi credibile che 
un vero e proprio inventario non siasi realmente compilato prima di quello di Pietro 
de Allavard, di cui passo ora a dire alcun che. 

Non è un fatto comune quello di trovare un inventario di archivio, compilato 
al principio del sec. XVI. Il ritrovarlo è sempre una buona ventura, anche se l’in- 
ventario stesso dà conto soltanto di un ristretto numero di documenti. 

Questa lieta eventualità si verifica per l'abbazia della Novalesa, e ne dobbiamo 
essere riconoscenti al suo abate commendatario, Andrea Provana, dei signori di Leynì. 

Morto Giorgio Provana, condomino di Leynì, commendatario e amministratore 
della Novalesa (3), fu chiamato a succedergli Andrea (4), al quale i monaci e i sudditi 
del monastero prestarono obbedienza, i primi con atto del giorno 10 maggio 1503, 
e i secondi con atto del giorno 11 luglio 1503 (5). Il documento riguardante i monaci 
comincia così: “ Vniuersis fiat manifestum quod venerabiles relligiossi, dominus 
Johannes Nantermi vicarius, dominus Dominicus de Caluis sacrista, dominus Petrus 
Maioris penitentiarius, dominus Andreanus Chabodi, dominus Francexius Mattheodi, 
dominus Jacobus Borelli et dominus Michael Gagneria monaci prioratus monasteri] 
sancti Petri Noualiciensis, ordinis sancti Benedicti, Taurinensis diocesis, Romane 
ecclesie nullo medio subiecti..... ,. Tutti costoro prestano obbedienza al “ reuerendo 
domino Andree (Provana) nouiter Dei et Apostolice Sedis gratia facto et creato ac 
deputato priore seu commendatario perpetuo monasterij predicti post obitum nunc 


(1) Questo documento fu, pochi anni or sono, ripubblicato e dottamente illustrato dal conte Lui 
Provana pr Coreano (La donazione di Teutcario, in © Miscell. di storia ital. ,, XXIV, 241 sgg.), il 
quale non pronuncia alcun giudizio sull’originalità 0 meno dell’atto. 

(2) “ Cartula quam fecit Teutcarius alamannus sancti petri noualiciensis coenobii de uilla quo- 
moniana tempore frodoini abbatis ,. — “ Noticie due cum totidem itdicatis de hominibus uille 
anziatis — ,. 

(3) Lo trovo ancora vivente in un documento del 20 nov. 1494, Archivio della Novalesa, busta XI 
(Arch. di Stato di Torino). 

(4) Intorno a questo personaggio, senza dubbio molto meritevole, il ch. comm. barone G. CLamertA 
ebbe la bontà di comunicarmi alcune notizie biografiche. © Andrea, figlio di (Giacomo Provana. 
signore di Leinì e di Viù, consigliere ducale, governatore di Nizza, bailivo del ducato di Aosta e 
di Mara di Favria, nel 1503 era abate della Novalesa ed arcidiacono della metropolitana di Torino; 
nel 1510 fu prevosto di Vigone; nèl 1506 era stato ambasciatore a Roma. Testò nel 1520 ,. Ne 
riparleremo nell'elenco dei Priori. 

(5) Arch. della Novalesa, busta XII (Arch. di Stato). 


246 CARLO CIPOLLA 


quondam bone memorie domini Georgij Prouana olim dicti monasterij prioris siue 
commendatarij , (1). I documenti che ricordano questo abbate sono numerosi, e ne 
abbiamo per gli anni 1503 (2), 1509, 1510, 1511 (3), 1512 (4), 1513 (5), 1515 (6), 1516(7). 
Di pochi anni sopravvisse a quest’ultima data. Infatti nel giorno 19 novembre 1520, 
vediamo che gli uomini di Novalesa e di Venaus prestarono giuramento a Gaspare 
Provana dei signori di Leynì, protonotario, commendatario perpetuo ecc. (8). 

Ben poco intorno ad Andrea Provana lasciò scritto mons. Francesco Agostino 
Della Chiesa (8), nel suo elenco degli abati Novaliciensi. 

Il p. Marcantonio Dal Carretto (9) ne fa breve menzione. 

Vicario del Provana rimase per qualche tempo quel “ d. Johannes Nantermi , 
che in tale qualità prestò omaggio (come vedemmo) al Provana. Infatti “ d. Johannes 
Nantermus , incontrasi anche in un atto del 4 marzo 1504 (8). Ma in un documento 
del 13 dicembre 1518, comparisce quale “ vicarius , un altro monaco, cioè “ d. An- 
dreanus Conboti ,. 

Addì 1° marzo 1511 (8), Giulio II indirizzò un breve al “ magister Andreas de 
Prouanis perpetuus comendatarius prioratus — ,. 

Dalle cose che abbiamo dette si potrebbe conchiudere che Andrea Provana fosse 
stato nominato commendatario della Novalesa nel 1503. Ma non è vero. Egli lo era 
di certo nel 1502, anzi sin d’ allora erasi occupato degli affari del monastero. Una 
delle sue prime preoccupazioni fu la revisione dell'archivio, e di questo suo lavoro 
si hanno due traccie, cioè alcune notazioni apposte sul verso dei singoli documenti 
pergamenacei, e l’ inventario di cui ora diremo. Questo fu compilato nel 1502, e 
alcuni anni dopo venne rifatto. Le due redazioni si trovano ora, l’una accanto al- 
l’altra, legate in un solo volume. 

L’inventario consiste in un libretto di forma bislunga. È, in altre parole, una 
“ vacchetta ,. Si compone di tre fascicoli, scritti in più volte da una mano mede- 
sima. La legatura, in pergamena, serviva primieramente al solo primo fascicolo, ma 
essa fu adattata poi a ricevere gli altri due fascicoli. La suddetta pergamena con- 
tiene la copia (del sec. XV) di un istromento del 1377. 

Esternamente, sulla faccia posteriore della suddetta copertura, furono trascritte 
quelle due notizie storiche, riguardanti Federico II ed Enrico VII, che abbiamo 
riportate nella nostra precedente Memoria. 


(1) Sta unita a questo documento una formula di giuramento, di carattere posteriore d’assai, e 
che principia “ Ego Antonius Prouana perpetuus commendatarius monasterij prioratus nuncupati 
sanctorum Petri et Andree loci Noualitij sancti Benedicti uel alterius ordinis, nullius diocesis, pro- 
uincie Taurinensis — ,. Spetta ad Andrea Provana, che resse la Novalesa dal 1599 al 1640, dap- 
prima col titolo di priore e poscia con quello di abate. 

(2) Arch. della Novalesa, parte non ordinata, busta LII (Arch. di Stato). 

(3) Arch. della Novalesa, parte non ordinata, busta XLI. 

(4) Arch. della Novalesa, busta XII, e parte non ordinata, busta LXI. 

(5) Arch. della Novalesa, b. XII, e parte non ordinata, busta XXI (volume di Consegnamenti) e XLI. 

(6) Arch. della Novalesa, parte non ordinata, busta LVIII. 

(7) Arch. della Novalesa, busta XII. 

(8) S. R. E. Cardinalium, Archiepise., Episcop. et Abbutum Pedemontanae regionis Chronologica 
historia, Aug. Taur., 1645, p. 203. 

(9) Vita di S. Eldrado, Torino, 1593. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 247 


Esteriormente, sul foglio anteriore della copertura, leggesi il seguente titolo del 
volumetto, o, per essere esatti, del primo fascicolo del medesimo: “ Jnuentarium rerum 
existentium in capella sanctorum Cosme et Damiani sita in monasterio Noualiciensi, 
factum per me Petrum de Allauardo de Vigono prepositum saneti Jorij, vti capel- 
lanum et negotiorum gestorem reuerendi patris J. V. doctoris domini Andree Prouane 
apostolici prothonotarj, prioris dicti monasterij. Factum et Jnchoatum sub anno 
domini 1502 ,. Vigone è una grossa borgata nel circondario di Pinerolo. 

Il volumetto è cartaceo, e sul recto del f. 1 del primo fascicolo, si legge: “ Jn 
nomine domini amen. Anno a natiuitate eiusdem domini Millesimo quingentesimo 
secundo, Jndictione quinta, die uero sabbati vndecima mensis Junii, Ego Petrus de 
Allauardo, de loco Vigonj, vti procurator et negotiatorum gestor Reuerendi in 
Christo patris domini domini Andree de Prouanis condomini Laynici, apostolici protho- 
notarij, ac prioris seu commendatarij prioratus sancti Petri de Noualitio ordinis sancti 
Benedicti, Taurinensis diocesis, Romane ecclesie immediate subiecti, per modum Jn- 
frascriptum feci, scripsi et subscripsi Jnuentarium huiusmodi omnium rerum et Jurium 
existentium in capella sanctorum Cosme et Damiani, s'ta in castro dicti prioratus, 
et hoc presentibus uenerabilibus et religiosis dominis don Johanne Nantermj vicari], 
don Dominico de Caluis sacrista, don Petro Maioris pidentiario, don Adriano Cabotti, 
don Francisco Mattiodi, don Jacobo Borelli de Jaglono, don Michaele Gagnerio 
monachis dicti prioratus et d. Sebastiano Caualerj de Ciria presbitero Taurinensis 
diocesis, ibi etiam negotiorum gestore, testibus ,. 

L’elenco ha principio colla descrizione delle reliquie, della quale non è questo 
il luogo. di tener parola. Continua poi: “ Jtem in eadem capella erat vna capsa 
magna ,, di noce, contenente “ Jura infrascripta ,. Segue l’elenco dei diplomi e degli 
istromenti cominciando dai diplomi e dai documenti fondamentali riguardanti l’in- 
sieme della fondazione religiosa; vengono appresso quelli concernenti i suoi singoli 
possessi, e sono disposti in gruppi, in relazione ai possessi medesimi, “ Alpignanj, 
Ripolis (= Rivoli), Auilliane (= Avigliana), Planetiarum (= Pianezza), iura Porchayrani 
(= Monte Pircheriano, dov'è S. Michele della Chiusa), villarum Almesii (= Villar 
Almese), et villarum Fochardi (= Villarfocchiardo), Jura Lestadij (= Lostad) (1) et 
Venacij (= Venaus) insimul , ecc. In mezzo alle carte riguardanti i possessi si trova 
un manipolo di documenti col titolo “ pro prioratu Noualicij ,. 

Il secondo fascicolo è in formato maggiore del primo, ma le carte ne sono 
ripiegate per ridurle a giusta misura. Esso contiene: “ Jnuentarium quinternetorum 
et aliorum Jurium ac rerum Jnuentorum in castro Camerleti membri sanceti Petri 
Noualiciensis ,. Il quale inventario fu fatto il 2 marzo 1502 dal medesimo Pietro 
de Allauardo prevosto e commendatario di S. Giorgio, quale procuratore del Provana. 
Qui si registrano libri d’affari, oggetti varii, ecc. attinenti a Camerletto; ma nulla 
c'è che possa avere interesse storico, sotto il nostro punto di vista. 

Viene in appresso il terzo fascicolo, nel formato del primo. È scritto pure da 
Pietro de Allavardo, ma con calligrafia alquanto trascurata. E in qualche modo un 


(1) Chiamasi Lostad una regione tra la discesa della Brunetta e Venaus. Comunicazione gentile 
del sac, cav. G. Lanza, abate di Superga, e dell’attuale prevosto della Novalesa d. A. Belmondo. 


248 CARLO CIPOLLA 


rifacimento del primo inventario, colla didascalia: “ Jnuentarium Jurium prioratus 
Noualitij factum per me Petrum de Alleuardo prepositum Villefranche, de mandato 
reuerendi d, d. Andree Prouane apostolici prothonotarij, prioris et domini Nouali- 
ciensis, inceptum sub anno 1512, et die 20 augusti ,. Anche in questo elenco la 
distribuzione dei documenti venne fatta con qualche ordine. Dapprima incontriamo i 
“ priuillegia ,, secondo che dice l'inventario. Poi vengono: “ Jura Noualicij et Fer- 
rerie (= Ferrera) (1) in vna pera reposita, Jn alia pera Venacij (= Venaus) et Lestadij 
sunt huiusmodi iura, alia pera iurium Secuxie (= Susa) et Jagloni (= Giaglione), alia 
pera iurium Porchayrani, villarum Almesii et villarum Fochardi et Auilliane, alia 
pera iurium Camerleti (= Camerletto), Caseleti (= Caselle), Alpignani, Planetiarum 
et Ripolarum, in alia parua pera sine titulo continentur-alia infrascripta iura, alia 
diversa iura —, alia iura, quedam alia iura simul ligate Lanceyburgi (= Lansle- 
bourg) ,, “ quinterneti , di amministrazione fino ad Andrea Provana, “ instrumenta , 
posti nella cappella di S. Eldrado, che terminano colla data 30 agosto 1502, giorno in 
cui l’Allavardo terminò di elencare quanto trovavasi nella cappella di S. Eldrado. 

Segue d’altro inchiostro, ma della stessa mano, quasi a modo di appendice, una 
breve continuazione: “ Hic continentur alia iura, hic ponenda per reu. dominum 
Noualitij, que sunt in vna pera intitulata iura prioratus Noualiti] ,; segue 1’ elenco 
di parecchi documenti degli anni 1503, 1505-9. Poi viene una delle tante copie dei 
privilegi dell'Abbazia, col titolo consueto: “ autenticum priuillegiorum prioratus 
Noualitij ,. Dopo altre note di poco valore, viene indicato un “ Registrum recogni- 
tionum Noualicij, [Vena]cij} et Ferrerie, inceptum sub anno 1433, Jndictione vnde- 
cima — ,; e se ne rende conto. 

I documenti ricordati in questi inventari sono abbastanza numerosi, ma non 
sono tutti quelli dell'Abbazia. Oggi ancora se ne conservano all’ Archivio di Stato 
assai più che qui non vengano registrati. Gli atti catalogati riguardano così i primi 
come. gli ultimi secoli, prima della redazione dell'inventario. Darò notizia particola- 
reggiata dei documenti più antichi; quelli su cui non mi fermerò sono dei sec. XII, 
XHI, XIV e XV, e sono abbastanza numerosi. 

Sarà opportuno premettere un cenno sul modo col quale i documenti si conser- 
vavano nell'archivio abbaziale, secondo l'inventario del 1502. Come si è detto, l’eleneo 
principiava dai privilegi, compresi i due documenti di Abbone, il quale riguardavasi 
come “ patrizio , e “ imperatore ,. Nella cappella c’era “ vna capsa magna , di noce, 
ein essa un cofano dipinto (2), nel quale stava riposto il testamento di Abbone, l’atto 
col quale egli aveva istituito 1’ abbazia, il falso diploma di Carlomagno, la falsa 
donazione della contessa Adelaide, e varii diplomi autentici, sino a quello del 
conte Amedeo (IV) del 1232. Erano in tutto dodici documenti. Nella stessa cassa, 
trovavansi sciolte altre carte, tra le quali una copia (1468) dei privilegi del- 
l'Abbazia (3), due privilegi iMeggidili e altri istromenti pure antichi. Nella stessa 


(1) Ferrera è una borgata situata sulla via fra la Novalesa e l’Ospizio del Moncenisio. Venaus, 
la Novalesa e Ferrera sono tre borgate, che nei documenti trovansi spesso collegate insieme. 

(2) “ in quodam cophoneto ibidem existente et depicto ,. 

(3) Questa copia esiste ancor oggi nell'Archivio di Stato di Torino. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 249 


cassa c'era ancora “ una pera , con documenti posteriori, compresa una cronaca, 
della quale diremo in appresso. Poi vi si trovava un “ alius saccus , concernente i 
possessi monastici in Camerletto, Caselle, Alpignano, Pianezza, Rivoli. In una £ pera , 
di tela stavano chiusi “ iura Porchayrani, villarum Almesii, villaram Fochardi ,. 
In un’altra pera, come pare, custodivansi i documenti della villa di Novalesa (?) e 
di Venaus. La stessa cassa conteneva un “ sacchum ,, e in esso conservavansi 
“ diversa iura prioratuum Coysie, Corberie, Murete, de Bornay, de Romolon, et domus 
Aquebellete ,,. 

La cassa ora descritta stava riposta nella cappella dei santi Cosma e Damiano. 

Nella camera del papagallo (“ in camera papagay ,) trovavasi un’altra cassa, 
che racchiudeva molti istrumenti chiusi “ 
di queste carte erano antiche. 

L’inventario del 1512 è meno ricco di indicazioni di simil fatta. Da esso ricavo 


in diuersis peris de tella ,. E anche alcune 


che in una “ pera , erano riposti i documenti “ Noualicij et Ferrerie ,, in un’altra 
quelli “ Venauci] (= Venaus) et Lestadij ,, in una terza quelli “ Secuxie (== Susa) 
et Jagloni (= Giaglione) ,, ecc. I quinterni dell’amministrazione erano uniti in fascio, 
e legati con una corda. 

Non sempre riesce abbastanza agevole lo identificare i regesti molto sommari e 
molto mal fatti degli inventari 1502 e 1512 coi documenti ora superstiti. Ci possono 
aiutare fino ad un certo segno i sunti dei documenti, scritti sul verso delle pergamene, 
i quali hanno legame più stretto con l'inventario del 1512, che non col precedente. 

Ecco l’elenco dei documenti più antichi e più importanti. 


1. “ Priuillegium d. Abbonis patricii imperatoris factum de ordine monachorum , ecec., 
cioè l’atto 30 genn. 726, col quale Abbone istituì l'abbazia (Inventari 1502, 1512; 
il regesto viene ripetuto due volte in ambedue i luoghi). — Esiste l’originale. 


. “ Testamentum Abbonis patricij imperatoris illustris et fundatoris prioratus 
Noualicij fondati in valle Pugna nuncupata, postmodum a Carolo magno et alijs 
confirmatum ,. Così l'inventario del 1502. In quello del 1512 ripetonsi le stesse 
parole, ma si aggiunge al fine “ sub anno Domini 496, indictione 14 ,. Pare che 
qui si alluda al testamento di Abbone, a noi noto soltanto dalla trascrizione, che 
nel sec. XI incirca, se n'è fatta nel Cartolario della Chiesa di Grenoble (1), dove 
il testamento (datato dal giorno 5 maggio 739, ind. VII) è preceduto dalla conferma 
fattane da Carlomagno. Finora non si aveva notizia alcuna dell’esistenza di qual- 
siasi copia di questo testamento, all'infuori della trascrizione ora ricordata. 


DO 


DI 


» Diploma di Carlomanno, ottobre 769 (Inventari 1502 e 1512). — N'esiste l’originale. 


Al n. 26 ricorderò un privilegio, sul quale l’Allavard non dà notizia 
alcuna, ma che con molta probabilità vuolsi identificare con quello (ora perduto) 
di Carlomanno, 26 giugno 770 (769). 


(1) Che ora forma il ms. lat. 13879 della Biblioteca Nazionale di Parigi. Fu recentemente pub- 
blicato dal Marton, Cartulaires de Véglise cathédrale de Grenoble, Parigi, 1869, pp. 33-48. 


Serie II. Tom. XLIV. 


bo 


250 CARLO CIPOLLA 


4. Diploma di Carlomagno, 24 marzo 773 (Inventari 1502 e 1512, dov'è indicato 
come inintelligibile, senza nome di imperatore o data, ma lo si può identificare 
per identità di notazione sul verso). — N'esiste l’originale. 


5. Falso privilegio di Carlomagno (Inventari 1502 e 1512). — N'esiste il pseudo- 
originale. 


6. Donazione di Teutcario, aprile 810 (Inventari 1502 e 1512, dai quali parrebbe trat- 
tarsi di un diploma di Pipino e di Carlomagno; ma la confusione dipende dai 
nomi che ricorrono nella datazione, in testa al documento). — Se ne conserva 
una copia del sec. X, che taluno riguardò come originale. 


7. Priuillegium Ilu. Ludovici imperatoris eidem prioratui concessum, quarto non. 
aprilis, indict. septima, anno primo sui imperii , (Inventari 1502 e 1512). — 
Forse si allude al noto diploma di Lodovico I, datato dall'anno I del suo impero, e 
dall’indiz. VII (814); ma in esso manca il giorno ed il mese. Se l’identificazione - 
fosse giusta, dovremmo avvertire che di esso si ha un apparente originale. Ma 
resta il dubbio che qui si alluda ad un diploma ora perduto. Cfr. infatti il numero 
seguente. 


8. Come privilegio dell’imp. Enrico, registrano gli inventari 1502 e 1512 il pseudo- 
diploma di Lodovico I, 814. Lo si desume dall’identità del regesto scritto sul 
verso, con quello del secondo inventario, e dal fatto che il diploma viene contras- 
segnato B, siccome indicasi dal primo inventario. 


9. Diploma di Lotario I, 14 febbr. 825 (Inventario del 1502; identificasi mercè il 
confronto col regesto scritto sul verso della pergamena). — N'esiste l'originale. 


10. Giudicato di Bosone, maggio 827 (imperfettamente indicato dai due inventari). 
— Nesiste una copia del sec. X circa. 


11. Diploma di Lotario I, 13 giugno 844. Lo cita l’inventario 1512, che aggiunge: 
“cum uno sigillo antiquo impresso ad imaginem antiquorum ,. — Adesso il 
sigillo manca. 


12. Diploma di Lotario, 10 ottobre 845 (Inventari 1502 e 1512, dove non è citato 
il nome dell’imperatore). — Ne esiste l’ originale, nè mi sembrano fondati i 
dubbii del Bethmann (Archiv, V, 323, Reg. Carol., 594, MG., Script. VII, 133) e 
del Miihlbacher (Karol., 1088), che sospettano trattarsi di una copia o di una 
falsificazione. 


13. Placito di Boderado, novembre 880 (ambedue gli inventari). — Se ne conserva 
l’originale. 


14. Carta di Alpignano del 17 febbraio 1031 (Inventario del 1502). — Ne esiste 
l’originale. 


15. 


16. 


D%. 


18. 


I 


20. 


21. 


22. 


29. 


24. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 251 


Donazione della contessa Adelaide, 16 luglio 1039 (1) (ambedue gli inventari 
ricordano la donazione, e non meno di una copia della medesima). — Ne esiste 
il pseudo-originale, e una copia del sec. XIV, senza tener conto delle numerose 
trascrizioni, che ce ne dànno i rotoli, di tarda epoca, recanti la serie dei pri- 
vilegi abaziali. 


Commutazione del 26 febbraio 1043, segnata coll’ anno “ pccccoxLm, quarto 
kalendas marcii ,. È indicata nell’Inventario 1502 coll’anno: “£ coccoxLm] quarto 
kl. marcii ,. — Ce ne pervenne Voriginale. 


Diploma di Enrico II, 19 aprile 1048 (l'inventario del 1502 lo dà coll’a. 1048, 


e quello del 1512 coll’a. 1408). — Ne esistono due originali, somigliantissimi 
fra loro, e ambedue privi di sigillo, uno nell’ archivio della Novalesa, e l’altro 
in quello dei Regolari di Breme. Ne abbiamo anche una copia del sec. XIII 
nell’ archivio Pianezzo, come mi fu fatto osservare dal dott. A. Mathis. (Arch. 
di Stato di Torino). i 


“ Affictamentum de vna vinea sub fictu (in luogo di s. f., inventario 1512 legge: 
ad seruitium) vnius caponis et vnius casey et denarijs vi Stephano gastaido, 
sub anno 1063 , (ambedue gli inventari). — Pare che il documento più non esista. 


“ Donatio comitisse Adelade de quadam vinea, facta monasterio Novaliciensi 
sub 1066, in ciuitate Secuxie , (ambedue gli inventari). — Pare che il docu- 
mento sia andato perduto, purchè non ci sia qui una confusione colla falsa do- 
nazione del 1039, dove si legge: “ uenale apud Secusiam ,,. 


Commutazione di Drodone, 19 maggio 1071 (ambedue gli inventari). — Ne esiste 
l’originale. 


“ Instrumentum antiquissimum de quadam vinea extrauache (?; l inventario 
del 1512 tralascia questa parola), sita in territorio Secuxie, in Lestay, sub 
anno 1072 , (i due inventari). — Pare che il documento sia andato perduto. 


“ Recognitio Jacobi Lade de Ripolis facta anno 1088 , (ambedue gli inventari). 
— Pare che il documento sia andato perduto. 


Originale e copia del privilegio di Umberto conte di Maurienne, 10 maggio 1093. 
(ambedue gli inventari). — Esiste l'originale e una copia del sec. XIV. 


Donazione di Guido Ascherio, 1097 (ambedue gli Inventari). — Esiste l’originale. 


e 


(1) L’illustre barone D. CarurtI, Regesta comitum Sabaudiae, Torino, 1889, pp. 67-8, n. 189, e 


p. 69, n. 194, parlò di questo documento, sospettandolo interpolato, ed esitando sulla sua data, 
ma pur ritenendolo autentico. Così come ora sta, reputollo falso il Crarario (Chartar., I, 657), e non 
senza motivo, a mio credere. 


252 CARLO CIPOLLA 


25. “ Carta seu instrumentum sancti Petri de Porchayrano antiquum et inlegibile , 
(inventario del 1512). — Pare che il documento sia andato perduto. 


26. Un privilegio illeggibile e antico, ricordano i due inventari, colla forma egual- 
mente oscura e affatto indeterminata, con cui l’Allavard avea indicato il privi- 
legio, 769, di Carlomanno, e quello del 773 di Carlomagno. Questi ultimi si 
possono identificare con sicurezza mercè le conformi indicazioni scritte sul 
loro verso. Quello di Carlomanno è detto dall’Allavard “ obscurum in legendo ,,, 
e quello di Carlomagno viene qualificato come un “ privilegium antiquum et 
illegibile , (Inventario 1502), e ancora “ per antiquam et inusitatam litteram , 
(Inventario 1512). Ma quest’altro diploma indicato, come dicevo, in modo simile 
a quelli di Carlomagno, non saprei con quale documento identificarlo, se non fosse 
col diploma perduto, 770 (769), di Carlomanno, il quale andò perduto in tempo 
relativamente recente, ed esisteva tuttora nel 1721. C'è anzi motivo per credere, 
siccome vedremo, che quella pergamena esistesse ancora nel 1770. 


I due inventari ricordano anche la conferma, 16 marzo 1204, data dal conte 
Tommaso (di Savoia) alla donazione della contessa Adelaide. — Ne abbiamo 
tuttora l'originale. 


Oltracciò in ambedue gli inventari si registrano varie copie dei privilegi. Di tali 
copie ne abbiamo parecchie ancora. 

Prima di staccarmi da questi inventari, ripeto che ambedue fanno parola di 
una cronaca pontificia e imperiale, che, per quanto si può giudicare dalle loro 
scarse indicazioni, si avvicinava per tipo al Chronicon di Ricobaldo da Ferrara. Per 
questo riguardo l'inventario del 1502 è più completo dell’ altro, e quindi trascrivo 
da quello quanto segue: “ Cathalogus Romanorum pontificum et imperatorum, in quo 
notabilia gesta eorumdem ac dies, menses et anni succinte continentur, quorum pon- 
tifices sunt numero 162 a beato Petro citra vsque ad Gregorium nonum inclusiue, et 
imperatores regnantes ab incarnatione Christi anno primo citra numero 100, videlicet 
ab Octaviano semper Augusto usque ad Federicum etiam imperatorem, regnantem 
anno predicte incarnationis Christi 1220 ,. 

Nei secoli XV e XVI il monastero della Novalesa ottenne dai duchi di Savoia 
numerose conferme ai suoi diplomi, e così ebbe origine una serie di raccolte au- 
tentiche di detti privilegi. In testa a queste raccolte trovavansi i diplomi di Carlo- 
magno, della contessa Adelaide (1039), di Umberto conte di Maurienne (1093), di 
Tommaso conte di Maurienne (1204), e di Amedeo (IV) di Savoia (1233). Tra questi, 
i due primi documenti sono apocrifi; del che non è qui il luogo di parlare. Ma bensì 
dobbiamo accennare alla conferma dei privilegi fatta dal Senato di Carlo Emanuele I, 
in data 15 luglio 1586 (1). Dal preambolo trascrivo: “ .....ed essi tutti privileggi e 
concessioni debitamente sigillati, cioè tre più antichi in scatole di legno e tutti gli 
altri im scatole di tola (2), tutti però con le cordelle di seta di diversi colori ad essi 


(1) Ne abbiamo (oltre a parecchie copie di tarda età) un esemplare in carattere del XVI sec., 
nell'Archivio dell’Economato Generale di Torino, Cronaca ecclesiastica, documenti, memorie e storia 
di abbazie del Piemonte, busta ILL 

(2) Tola in dialetto piemontese significa latta. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 253 


privileggi pendenti e da essi Ser. Principi e loro Cancellieri e Secretarij rispetti- 
vamente signati e sottoscritti ,. 

Appena può ricordarsi una “ parcella instrumentorum receptorum per Johannem 
Barberij not. de Alpignano ad opus conuentus et capellarum monasterij sancti Petri 
Noualitii ,, nella quale sono registrati alcuni istromenti dalla fine del sec. XV sino 
all'anno 1500 preciso. È un opuscolo di forma bislunga. Non trattasi di un inven- 
tario d’archivio, ma di una semplice nota a scopo ristretto. Il carattere adoperato 
in questa parcella è il minuscolo franco-piemontese. 

Una breve notizia di non molti documenti riflettenti Lanslebourg, leggiamo in 
un foglio volante, di carattere franco-piemontese del secolo XVI, col titolo: 
IVRA LANCEYBVRGI. 

Di mano del secolo XVI, e pure in carattere franco-piemontese, abbiamo anche 
un fascicolo, con un regesto abbastanza ricco. Comincia (f. 1») così: “ Inuentarium 
iurium et scripturarum prioratus Noualici] in saculo existentium ,. Ma non vi si 
registrano documenti più antichi del sec. XIV. 

La necessità di rifare con maggior cura gli inventarii delle carte presentossi 
al tempo del regime abbaziale di Filiberto Maurizio Provana dei signori di Leynì, 
nominato commendatario della Novalesa da Urbano VIII, con decreto del 25 ot- 
tobre 1641 (1). Pochi anni appresso, vedendo egli che nel monastero rimaneva soltanto 
un monaco benedettino, pensò di chiamare i monaci della Congregazione riformata 
di S. Bernardo, dell'Ordine Cistercense, coi quali stipulò l'atto del 13 genn. 1646 (2). 
Diggià il suo predecessore, Antonio Provana, arcivescovo di Torino, nella sua qualità 
di commendatario e signore della Novalesa, aveva pensato di introdurre un nuovo 
Ordine monastico nel monastero, chiamandovi la Religione Certusiana, e segnando 
colla medesima la convenzione dell’8 marzo 1637 (3), ma questa convenzione non 
aveva avuto seguito. Anche il patto del 1646 non potè mandarsi così presto ad 
esecuzione, poichè molti ostacoli vi si opponevano. Non era cosa agevole l’accordare 
assieme i molti interessi che si trovavano in gioco. L'affare fu trattato a Roma, 
dove se ne occupò per molti anni la S. Congregazione del Concilio. Abbiamo un 
istromento del 15 ottobre 1665, col quale l’abate introdusse nel monastero i Padri 
della Congregazione Cistercense di S. Bernardo (4). Ma pur risulta che neanche dopo 
di quest’atto tutto fu finito, e le questioni anzi continuarono ancora a lungo. 

Coincide con questa stipulazione un primo inventario dei documenti. Della biblio- 
teca pochi si curavano, ma i documenti chiamavano a sè l’attenzione di tutti. 

Sotto la data 20 ottobre 1665 trovai un “ Inventario delle scritture esistenti 
nell'Archivio del ven. monastero della Novalesa , (5). Le pergamene vi sono distri- 
buite in sacchi. Nel primo sono poi partite per luoghi: Avigliana, Camerletto, ecc., 
oltre ad un mazzo di carte spettanti all'abbazia di Rivalta. Nel secondo sacco intolato 


(1) Abbazia della Novalesa, busta II. Arch. dell’Econom. generale. 

(2) Abbazia della Novalesa, busta II, nella serie dell’Arch. dell’Economato; Abbazia della Novalesa, 
busta LII, nella serie dell'Archivio di Stato di Torino. 

(8) Abbazia della Novalesa, busta II. Arch. Econom. generale. 

(4) Abbazia della Novalesa, busta XIINI e LII. Arch. di Stato di Torino. 

(5) Abbazia della Novalesa, busta I. Arch. dell’Econom. generale di Torino. 


Q54 CARLO CIPOLLA 


“ Saccus secundus priuilegiorum monasteri} Noualitij , non c'è più la divisione per 
luoghi; vi abbiamo segnate alcune date (1). Il terzo sacco si intitola da Lanslebourg, 
Termignon, ecc.; il quarto da Venaus; il quinto da Lansvillar. Finalmente il sesto 
denominasi “ Praepositura b. Marie Pedemontiscinisii ,. 

Vi è annesso d’altro carattere un secondo inventario, nel quale particolareggia- 
tamente ricordansi alcuni dei più antichi documenti, locchè non facevasi nel prece- 
dente. La data di questo secondo inventario non è indicata, ma deve presso a poco 
coincidere con quella del primo. Registrasi l’atto di Abbone del 726, ma non il suo 
testamento; e questo pare importante assai a notarsi, poichè serve a determinare il 
periodo, entro il quale quel documento andò perduto; una difficoltà peraltro c° è, 
e la vedremo tosto. Registransi i falsi originali di Carlomagno e di Adelaide, il di- 
ploma di Lodovico il Pio, ed uno di Lotario I, due copie dei privilegi (1448, 1478), il 
diploma Enriciano 1048, la donazione di Teutcario, i placiti dell'827 e dell’880 (2). Il 
“ saccus tertius Privilegiorum monasteri Noualitij , contiene, colla data dell’aprile 
dell’anno primo di regno, la cosidetta sentenza di Carlomagno, datata da Pavia, per 
la quale “ monaci recepti in monasterio Noualitij ibidem remaneant ,, ‘che altro non 
può essere che il citato placito di Boderado, novembre 880; si ripete il “ privi- 
legium de ordinatione clericorum , ecc., che è naturalmente l’atto del 726, già indi- 
cato come esistente nel mazzo secondo. Ce ne sarà stata una copia antica. Figuranvi 
poi due diplomi di Lotario, uno di Carlomagno, e due non letti. 

Un fascicolo, legato, in carattere del sec. XVII (3), si intitola: “ Repertorio delle 
scritture in pergamena spettanti all’Ill mo e R.»° signore Maurizio Filiberto Provana 
abbate della Noualesa, secondo del tempo ,. Maurizio Filiberto Provana fu abate 
dal 1640 al 3 settembre 1684, giorno di sua morte (4). Vi si registrano, distribuiti 
in 51 fascio, documenti di vario argomento, de’ quali il più tardo è del 1678. Ne 
consegue che questo inventario fu compilato verso il 1680. I documenti con data più 
antica sono compresi nel “ fascio primo segnato A ,, e in essi trovo una donazione 
riguardante Pianezza, 11 maggio 985 (984), la carta di Alpignano del 17 febbr. 1031, 
e una permuta del marzo 1043. Di queste carte conservansi anche oggidì gli ori- 
ginali. Vi si registra il pseudo-originale della donazione della contessa Adelaide, 1039, 
con una copia della medesima. C'è poscia una delle solite copie dei privilegi del- 
l'abbazia, che cominciano col falso diploma di Carlomagno e colla falsa donazione 
di Adelaide, e vengono poi ai documenti dei conti di Maurienne e di Savoia. Tra 
questi, erano primi quelli del conte Umberto (10 maggio 1093), e del conte Tommaso 
(19 giugno 1204). Seguiva la conferma di Amedeo (IV) del 21 maggio 1233, e poscia 
venivano le conferme di tarda età (5). 


(1) Fra l’altro si ricorda un “ vilupo ,, colla grazia conceduta dal re di Francia a chi aveva 
tentato di rubare la cassa delle reliquie. Di questo fatto clamoroso si parlerà nel seguente 
paragrafo. 

(2) Quest'ultimo è dato quale una sentenza di Carlomagno, e ciò a seconda del regesto del 1502. 

(3) Arch. della Novalesa, busta XV. Arch. di Stato di Torino. 

(4) M. A. Carrerto, Vita e miracoli di S. Eldrado, Torino, 1693, p. 113. 

(5) La più moderna compilazione della serie dei privilegi concessi all’abazia Novaliciense è 
quella che si chiude coll’atto del Senato, 15 luglio 1586, approvante e ratificante i suddetti privilegi. 
Di questa raccolta abbiamo una copia (del sec. XVII?) nell'Archivio dell’ Economato generale di 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 255 


Al tempo del medesimo abate appartiene anche un regesto di scritture del 
sec. XIV, col titolo: “ Imuentarium scripturarum spectantium abbatie sanctorum 
Petri et Andr[ejae de Noualitio, quae sunt in manibus mei Philiberti Mauritij 
Prouanae abbatis dictae abbatiae, confectum de anno 1660 , (1). 

A Filiberto Maurizio Provana successe don Giambattista Isnardi di Caraglio, ele- 
mosiniere di Madama Reale, il quale, colla partecipazione della Santa Sede, strinse 
una convenzione coi monaci, 1687 (2), nella quale, come poi vedremo, si provvide 
anche alla conservazione dell'archivio; della biblioteca nessuno parlava. 

E così veniamo al sec. XVIII, ed ai tempi di Vittorio Amedeo II, che assunse 
l’alto dominio dei beni dell’abbazia Novaliciense, come degli altri benefici vacanti, 
nel tempo di loro vacanza. In causa di ciò, nel 1721 venne fatta una ispezione a 
quell’abbazia, e frutto della medesima fu l’inventario, di cui ora parleremo (3). Ne 
trascrivo il principio, che serve di spiegazione al resto. 

“ Essendo mente di Sua Maestà che si riconoschi il stato degl’ archiuij de’ ve- 
scovati ed abbazie uacanti, ridotte sotto la sua real protettione, si formi un distinto 
inuentario delle scritture in essi essistenti, se gli dia un buon regollamento per la 
più sicura conseruatione delle medemme, inseguendo l'ordine che si è degnata darci 
la Maestà Sua per tal fatto, abbiamo determinato di commettere, come commettiamo, 
l'esecuzione di quanto soura al sig. conte di Montalenghe, maestro auditore della 
reggia Camera dei Conti, per gli archivij} del vescovato d’Ivrea, abbazia di S. Stef- 
fano e S. Benigno; al sig. conte e comendatore Bolgaro rispetto all’archivio del 
vescovato di Vercelli; al sig. prefetto et intendente Sapellani per l'archivio dell’ab- 
bazia di Lucedio; al sig. intendente Granella per l’archivio del vescovato d'Asti; ed 
al sig. avocato De Gregori) per li archivij dell’abbazia di S. Giusto e della Novalesa 
et della prevostura d’Oulx, quali incarichiamo della pronta speditione di detti inven- 
tarij e regolamenti, con la pontoal osservanza dell’instruttioni nostre, che se gli 
daranno a parte su questo particolare. 


“ Datum in Torino, li 5 febraro 1721. 


“ Per detto ill.®° et ecc.®° sig. Conte e primo Presidente 
manualmente sottoscritto CAGNOoLO, segretario ,. 


Segue una relazione, dalla quale emerge che l’avv. Giuseppe De Gregori], come 
delegato del primo presidente della Camera dei Conti, conte Nicolis di Robilant, 
addì 19 marzo di quell’anno recossi alla Novalesa. Fatto chiamare a sè l’abate Mas- 
setti, lo interrogò: “ se sappi ove si ritrovi l'archivio delle scritture dell'abbazia o 
sia priorato di S. Pietro della Novalesa al presente vacante e ridotta sotto la spe- 


Torino, Cronaca ecclesiastica, busta II. Un'altra copia, e questa autenticata, del 1731, trovasi nel- 
l’Archivio di Stato, Novalesa, busta II. Un'altra copia autenticata “ Baghera , ne trovo in un volume 
di cause dell’anno 1607 e anni seguenti, Arch. Novalesa, busta XLVII. Arch. di Stato. 

(1) Arch. Novalesa, parte non ordinata, busta LXV. Arch. di Stato. 

(2) Alcuni atti relativi ad essa, veggansi nella busta II dell'Abbazia della Novalesa, nell'Archivio 
dell’Economato generale. 
i (3) L'originale trovasi nell'Archivio della Novalesa, busta XY. Minore importanza ha la copia 
conservatane nella busta LXV. Arch. di Stato. 


256 CARLO CIPOLLA 


ciale protezione di Sua Maestà ,. Rispose il Massetti “ non esservi alcun archivio 
formale, tener bensì lui nella sua camera diverse scritture a detta abazia aparte- 
nenti, che ritrovò nell’istesso posto quando venne ad habitare nel presente monastero, 
et haver perinteso che molte altre sì ritrovano nella città di Torino, senza sapere 
appresso di chi siano ,. Ciò detto, il Massetti guidò il delegato nella sua stanza 
e quivi “ aperto un credenzino fatto in forma di mezza guardarobba, si sono ivi 
ritrovati diversi sacchetti pieni di scritture, con altre in esso credenzino collocate, 
quasi tutte dette scritture gothiche, et in carta pecora, et alcuni libri in scrittura 
anche anticha ,. Questo processo verbale fu firmato dal De Gregori} e dal segretario 
L. Vallin. 

L’abate commendatario G. Battista Isnardi di Caraglio, vescovo di Mondovì, era 
stato il successore di Maurizio Filiberto Provana. Egli resse l'abbazia per circa 43 
anni; dai documenti abaziali ricavasi che nel 1728 Vittorio Amedeo II nominò nuovo 
abate comendatario Carlo Francesco Badia. Infatti il 15 marzo di quell’anno (1) Giu- 
seppe Luca Pasini, prevosto di S. Maria del Moncenisio, quale procuratore del Badia, 
prestò al re giuramento di fedeltà. Il Badia poi prestò giuramento egli pure, di per- 
sona, nei giorni 20 giugno 1729 e 31 agosto 1731. 

Da oltre mezzo secolo erano cessati i Benedettini alla Novalesa, e vi erano 
stati sostituiti i Cistercensi, i quali vivevano sotto un proprio priore, tenuto alla 
residenza; mentre l’abate comendatario, come di regola, soggiornava altrove, più 
spesso a Torino. Così nel luglio 1702 un documento (2) mi dà il nome di Giuseppe 
di S. Lorenzo (3), cogli appellativi di abate titolare e di padre priore. Era l’abate 
locale. Similmente il surricordato Massetti dovea appunto essere il superiore dei Ci- 
sterciensi, residenti nel monastero. 

Il De Gregory attese a riconoscere i libri e le scritture dell’abazia nei giorni 
19, 20, 21, 22, 24 e 25 marzo (1721), e dedicò i giorni 26 e 27 a “ rescriverle nella 
forma , d'inventario, quale sta annesso alle carte ora indicate. 

L’inventario non ha molto valore per l’antica storia del monastero, ed è fatto 
da persona d'affari, non da uomo pratico negli studi di diplomatica. Il De Gregory 
comincia dal registrare le copie dei privilegi abaziali, esistenti in carta 10 genn. 1468 
e nel “ libretto , compilato coll’autorità del Senato, in data 16 marzo 1587. Poi ven- 
gono i documenti pergamenacei singolarmente descritti. Qui figurano: l’atto del 726 
con cui Abbone fondò l’abazia, la donazione di Teutcaro dell’anno 810, un diploma 
di Lotario I, un diploma di Lodovico il Buono (814); i placiti degli anni 827 e 880, 
il diploma di Enrico (III) del 1048. Tutti questi documenti ci sono pervenuti nella 
loro antica condizione. Ad altri atti vetusti accenna il periodo seguente: “ Più un 
pacchetto segnato E, continente sei carte peccore con scritture antichissime, che non 
si sono puotuto intendere, conoscendosi però che sono diplomi dell’imperatore Carlo 
Magno e d’altri imperatori successori del medemo ,. 

Il De Gregory distribuì ne’ sacchi questi e gli altri documenti (descritti per lo 
più molto laconicamente), e poscia depose tutto ciò nella guardarobba predetta. Vo- 


(1) Arch. della Novalesa, busta XIV. Arch. di Stato. 
(2) Arch. della Novalesa, parte non ordinata, busta LII. Arch. di Stato. 
(3) Quei frati, soppresso il cognome, si denominavano dal nome di un santo. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, EUC. Ir 


leva poi chiuderla, e portarne seco la chiave. Ma l’abbate si oppose adducendo che 
“ per convenzione seguita (13 sett. 1687) con mons. Gio. Batta Isnardo, vescovo di 
Mondovì, ultimo comendatario , si era stabilito che la “ guardarobba delle scritture , 
avesse due chiavi, una per il commendatario e l’altra per il monastero. Nata questa 
contestazione, si prescelse una via di mezzo, e si sigillò la guardarobba. Della Cro- 
naca (che in quel tempo era smarrita) non si fa parola; della biblioteca poi nessuno 
si prese pensiero. 

Pare che i documenti non rimanessero sigillati per molto tempo, giacchè di lì 
a qualche mese appena se ne trascrissero 28, indubitatamente fra i più importanti. 
Queste copie, autenticate dal notaio Bernardo Bazano, costituirono un bel volume, 
tuttora conservato (1), sul cui dorso si scrisse “ Abbaye de la Novalese ,. Precede 
un particolareggiato “ Indice de’ titoli esistenti nel presente volume ,. È quindi 
(fol. 1) comincia la serie dei documenti coll’atto (726) di fondazione di Abbone pa- 
trizio; termina con un privilegio conceduto (1557) all’abazia da Carlo de Ossa, signore 
di Brissac, che agisce quale luogotenente di Enrico II re di Francia. 

Le copie, che sono tutte del medesimo carattere, non sono di mano del Bazano, 
il quale invece appose a ciascuna la propria autenticazione, colla rispettiva data. 
I giorni segnati vanno dal 17 al 30 agosto 1721. Pare che il Bazano si limitasse 
a collazionare coi documenti originali le copie che trovava diggià preparate. Im quei 
pochi giorni appena c’era il tempo necessario ad un lavoro così lungo e difficile. 
Questo del resto ci dicono varie delle autenticazioni, una delle quali (fol. 32 r) viene 
qui trascritta: “ Ho estratto il sovraseritto diploma reggio dal suo proprio originale 
signato et sigillato come sopra resta espresso, seritto in carattere anticho, ad uso 
dell’Il].®° sig. Procuratore Generale di S. S. M., e per fede io Bernardo Bazano nod.., 
Att.° Colleg.'° e proffessor de carateri antichi mi sono quivi, precedente l’opportuna 
colatione, manualmente sottoscritto BAazANno not. ,. L'incarico di questo lavoro gli 
era stato dato addì 13 agosto precedente dalla R. Camera dei Conti (cfr. fol. 226 ). 

Mi si offrirà occasione (2) di dimostrare che il Bazano disimpegnò il suo incarico 
con molta valentia: così che le sue trascrizioni riescono talvolta veramente impor- 
tanti per la ricostruzione critica del testo di quei documenti. 

Di pochi anni posteriore è un fascicoletto, segnato col 26 dic. 1729, e intitolato 
Inventario delle scritture spettanti all'abbazia della Novalesa. Vi si notarono parecchi 
regesti di documenti del sec. XIV. Esso fu redatto evidentemente in correlazione 
colla nomina del nuovo abate commendatario Carlo Francesco Badia. 

Pure al sec. XVIII appartiene un fascicoletto con regesti di documenti Novali- 
ciensi dei secoli XIII e XIV. | 

Al medesimo secolo risale la Nota seu inventarium iurium abbatiae S. Petri de 
Novalitio et castri Camerletti, in bergameno, et aliarum scripturarum minutarum. L'elenco 
principia coi documenti di data più antica, e prima di tutto con una pergamena 
comprendente il falso diploma di Carlo magno, la falsa donazione di Adelaide 1029 


(1) Arch. della Novalesa, busta I. Arch. di Stato. Il volume consta di fogli 226, oltre ai 5 fogli 
dell’indice. 

(2) Nella pubblicazione dei Monumenta Novaliciensia vetusiora, in corso di stampa per cura del. 
l’Istituto storico italiano. Ò 


Serie lI. Tom. XLIV. 35) 


258 CARLO CIPOLLA 


(leggasi: 1039), ia conferma concessa dal conte Umberto 1097 (leggasi: 1093), la 
conferma di Amedeo IV, 1233, e quella di Amedeo IX, 1476 (leggasi: 1466). Trat- 
tasi evidentemente di una delle solite copie. Pochi documenti originali antichi ven- 
gono qui citati, e precisamente: un altro del 985 (984) maggio 11, una carta del 
gennaio 1025, e la permuta del marzo 1043. I due primi sono indicati assai male e 
dati come illegibili o quasi. Di tutti e tre esistono tuttora gli originali. Segue an- 
cora (fol. 5 v) il cenno poco chiaro: “ Carta Planetiarum inteligibile, signat. n° 28, 
de anno 994 ,, col quale forse si può alludere al diploma di Ottone II, 26 aprile 998, 
ove non si parla di Pianezza, ma si ricorda la “ cellam Poll[e|jntie ,. Quella di 
Pianezza ora esistonte è del 985 (984) maggio 11, e l'abbiamo vista di già ricordata. 

A dedurlo dal carattere risale a questa medesima epoca incirca, un fascicoletto 
col titolo: “ Sommario delle scritture dell’abbatia della Novalesa per il Studio e 
Pietrastretta esistenti , (1), nel quale si regestano numerosi documenti anche antichi. 
La descrizione tuttavia è imperfettissima, ma non resta inutile; poichè dà notizia 
anche di qualche documento antico che sembra perduto. Ivi si registrano gli atti 
del marzo 1048 (commutazione fatta dall’abate Eldrado), marzo 1044 (offersione 
fatta da Germana del fu Adalardo), 22 agosto 1070, 19 maggio 1071, dei quali 
sono a noi pervenuti gli originali. Un'altra carta del 21 ottobre (1012), Enrico (II) 
imp. a. 6, ind. 3 (Ildebrando detto Daniele figlio di Girbaldo, professante legge lon- 
gobarda, vende ad Ami... suddiacono e Gentrammo fratelli figli di Gislaberto e al 
loro nipote Milone figlio di Domenico, alcuni beni in Caselle) ora si trova nell'archivio 
di Stato, ma non più fra le carte della Novalesa (2). Egualmente mutò ora di posto 
anche la concessione ricordata ivi pure, fatta addi 1° marzo 1096 da Gandolfo abbate 
di S. Colombano, il quale investì il monastero di S. Pietro di Rivalta di una pezza di 
terra (3). Viene ricordata poi una donazione senza data: “ Donatione pia fatta da 
Domenico et Pietro... padre et figliuolo, di natione salica, a fauore di Anselmo pre- 
vosto di S. Pietro di Riueta [oggi: Rivalta] di tavole 50 di terra aratoria, situata 
nel territorio di Riveta, ove si dice Rigobruardo , (fol.6r). Non sarà male ripro- 
durre qui anche i regesti di due altri documenti pure riguardanti Rivalta, che ven- 
gono ricordati in questo inventario (fol. 6 0), e che ora sembrano perduti. 

“ 1100, octavo kal. aprilis [25 marzo]. Vendita fatta da Pietro figlio del fu 
Ruvidone et Adalasia giugali, figlia del fu Rubaldo, di nazione salica, a favore di 
Anselmo prete, figlio del quondam | Uberto], di beni di tavole 300 situate nel terri- 
torio di Riveta ove si dice Fontane ,. 

“ 1100, octavo kal. iul. [24 giugno]. Vendita fatta da Maginardo et Robaldo 
quondam Odone, Giovanni et Vidone padre e figlio, di nazione romana, a favore di 
Anselmo prete, figlio del fu Uberto, di tavole 100 di terra, situate nel territorio di 
Riveta, al luogo ove si dice Luchea ,. 

Il suddetto Anselmo prete incontrasi ancora nell’atto di compera da lui stipu- 
lato verso i coniugi Tibaldo e Maria, addi 27 dic. 1105. Questo documento conser- 


(1) Abbazia della Novalesa, busta LXV. Arch. di Stato. 

(2) Conservasi nella categoria Paesi, Provincia di Torino, Caselle. 

(3) Ora si trova (in originale) fra le carte dell'abbazia di Rivalta. Fu pubblicata dal Dara, in 
Chart., I, 718, che la dà come esistente fra le pergamene dell'abbazia della Novalesa, mazzo I, n. 20. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 259 


vasi ora in originale fra le carte dell’abbazia di Rivalta, nell'Archivio di Stato, e 
dal regesto apposto sul suo verso, risulta che esso pure fece parte dell'Abbazia No- 
valiciense. 

Troveremo di qui a poco qualche altra notizia sulle relazioni fra l'archivio di 
Rivalta e quello della Novalesa. 

L’abate Pietro Antonio Maria Sineo stese un minuzioso inventario delle carte 
dell’abbazia, ma pur troppo del suo lavoro conservasi solamente un grosso fascicolo (1). 
Quelle pagine sono autografe del Sineo, ed una mano moderna, a togliere ogni 
dubbio, seppure esso fosse stato possibile, vi sovrappose la notazione: “ di mano 
del celebre ab. Sineo ,. 

Trattasi di regesti, fatti con cura grande. Le carte sono distribuite per mazzi, 
seguendo (come può credersi) l’ordinamento che esse tenevano nell’archivio abbaziale. 
Il frammento di cui parliamo comincia col mazzo 1, il cui primo numero è un atto 
del 1202. Viene poi la descrizione dei mazzi 16, 17, 18 e 19. Quindi la notazione: 
“ Le scritture sopra descritte si sono ritrovate ordinate come sopra in diciotto mazzi, 
consegnati dal R. Economato all’ab. Sineo della Novalesa. Le seguenti note conse- 
gnate al detto abate in fasci consueti (?) e senza inventario sono state: riconosciute 
dal medesimo ed ordinate in tanti mazzi nella forma seguente, cioè: mazzo 19 — ,. 
AI regesto dei documenti del mazzo 19, fa seguito quello dei mazzi 20-30. Nulla vi 
sì contiene di antico. 

A qual tempo appartenga con precisione, tale inventario, non risulta da dati 
direttivi; non mi manca tuttavia il mezzo per determinarne l’epoca in qualche modo. 

L'abbazia era ormai e da tempo ridotta alla dipendenza dello Stato. Anche il 
predecessore del Sineo, Antonio Videt, confessore della duchessa di Savoia, era stato 
nominato e presentato dal re, e raffermato da Benedetto XIV (2). Morto il Videt, 
Carlo Emanuele HI chiese (2 giugno 1770) al papa, che gli sostituisse il Sineo, che 
fu nominato da Clemente XIV con bolla 13 luglio 1770; e il Sineo, come si è detto 
in addietro, prese possesso dell’abbazia il seguente giorno 14 agosto (1770) (3). 

Il Sineo si prese cura dell’archivio, che l’Economato gli consegnava. La con- 
segna delle carte da parte dell’Economato non significa che esse si trovassero a 
Torino; pur trovandosi alla Novalesa, al mutarsi dell'abate commendatario, biso- 
gnava che il nuovo investito le ricevesse ufficialmente dall’autorità, che ne aveva la 
cura suprema. Vediamo peraltro che intorno a questo tempo l'archivio fu trasferito 
effettivamente all’Economato di Torino. 

Abbiamo gli atti della ispezione e della consegna dell'Archivio Novaliciense da 
parte dell’Economato, che seguirono fra il 1770 e il 1771. Trovo (4) anzitutto un 
fascicolo intitolato: “ Inventaro delle scritture spettanti all'Abbazia de’ santi Pietro 


(1) Sta nell'Archivio della Novalesa, parte non ordinata, busta LXV. Arch. di Stato. — Appena 
fa conto di qui ricordare un foglio di tarda età, col titolo Moncenisio, prepositura dell'Ospedale. Il 
documento più antico ivi ricordato è il diploma di Lotario dell’anno 825. 

(2) Con bolla 15 novembre 1757, Abbazia della Novalesa, busta II. Arch. dell’Economato. 

(3) Veggansi questi documenti nella busta II dell'Abbazia della Novalesa. Arch. dell’Economato 
generale. 

(4) Archivio della Novalesa, busta XV. Arch. di Stato. 


260 CARLO CIPOLLA 


e Andrea di Novalesa ,. Alla fine di esso inventario fu aggiunta (e poi cancellata) 
una dichiarazione di ricevuta in consegna degli atti descritti, fatta a Torino, 4 set- 
tembre 1770, da Girolamo Francesco Sineo della Torre, quale procuratore  del- 
l'abate Pietro Antonio Maria suo fratello. L’inventario è fatto molto sommariamente. 
Nel mazzo primo destinato ai “ Diplomi degl’imperatori e reali sovrani di Savoia 
con donazioni a favore del Monastero ed Abbazia dei Ss. Pietro ed Andrea della 
Novalesa ,, si ricorda il diploma di Carlomanno del 20 giugno 770 (769), trascritto 
anche dal notaio B. Bazano. Pur troppo quella preziosa pergamena adesso non si 
trova più. Ci sono poi, oltre a varie delle solite copie de’ privilegi (una con privi- 
legi sino al 1448, e l’altra con privilegi sino al 1490), il diploma falso di Carlomagno, 
l’atto di fondazione (726) dell'Abbazia ecc. Manca anche qui il testamento di Abbone, 
il quale comparisce unicamente negli inventari di Pietro de Allavardo. Altri docu- 
menti antichi si registrano sotto il mazzo XI “ Donazioni e contratti in favore della 
Abazia ,, ma sono documenti tuttora esistenti e ben noti. 

Due mancano attualmente all’archivio Novaliciense, ma nè l’uno, nè l’altro, si 
riferiscono direttamente al monastero Novaliciense. Sono i seguenti, ambedue 
senza data: 

“ Donazione di Domenico ed Opizone padre e figlio, a favore della chiesa di 
S. Pietro di Rivetta [ora Rivalta] d’una pezza di terra aratoria in detto luogo, ove 
si dice Rigo Bruardo ,. 

“ Donazione fatta da Saremo (?) e Beatrice di lui madre a favore della chiesa 
di S. Maria di Corse di una pezza di terra nelle fini di S. Pietro [di Rivalta ?], colla 
metà della decima ed altra terra, ove si dice Clesin, colla decima ,. 

Nè l’uno, nè l’altro di questi due documenti si potè trovare nell'archivio di 
Stato di Torino, dove gentilmente li cercò, dietro mia preghiera, l’officiale di detto 
archivio sig. cav. C. D'Agliano, al quale mi è grato rinnovare ia manifestazione della 
mia gratitudine, per tutti gli aiuti coi quali ebbe la bontà di favorire le mie ricerche 
Novaliciensi. Il primo dei due documenti l’abbiamo visto indicato in altro inventario, 
con qualche diversità in alcuni particolari; ma sono diversità leggere, che non impe- 
discono la identificazione dei due atti. 

Probabilmente i due documenti, indicati dall’inventario, che stiamo descrivendo, 
avranno fatto parte di quel mazzo “ di tredeci bergamene concernenti le cose del 
monastero di Rivetta ,, di cui fa parola il ricordato Inventario del 20 ottobre 1665. 
Qualche altro documento della medesima natura, lo troveremo in appresso. 

L'anno successivo l abate Sineo pensò di nuovo alle carte d’ archivio. Il 
20 giugno 1771 (1) il Sineo recossi al monastero, e dall’abate locale, don Agostino 
Colomba, si fece aprire l'armadio, nel quale i monaci doveano custodire i documenti, 
sotto doppia chiave; a tenore della convenzione stipulata nel 1687 fra il commen- 
datario e i monaci, una chiave dovea essere nelle mani del commendatario e l’altra 
in quelle del superiore claustrale. Nel giorno successivo si esaminarono alcuni docu- 
menti, segnandone le date, la più antica delle quali è il 1266, ma si indicarono 


(1) Verbale di recognizione d'archivio dell'Abbazia de’ Ss. Pietro ed Andrea di Novalesa e successivo 
principio di descrizione delle scritture esistenti nel sudetto Archivio 1771*, nella busta II dell’ Abbazia 
della Novalesa, nell’Arch. dell’Econom. generale. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 261 


anche alcune pergamene “ in gottico oscuro , e “ un libretto di memorie e cataloghi ,, 
che non si lesse. 

L’inventario senza data, autografo del Sineo, al quale accennai poc’ anzi, deve 
essere senza dubbio posteriore al 1771. È un gran male per noi che il suo minu- 
zioso e diligentissimo regesto, ci sia pervenuto così manchevole. 

Nel 1788 allorchè il De Levis si recò alla Novalesa (1), trovò l'archivio spoglio 
di carte; queste si trovavano all’Economato, dove egli stesso se ne giovò (2). 

Il Sineo morì nell’agosto 1796, e il monastero fu, secondo il consueto, ridotto a 
mano regia, 3 settembre 1796. Il 12 luglio 1797 il “ regio subeconomo generale dei 
Vescovadi ed Abbazie vacanti ,, ab. Carlo Antonio Pulini, recossi colassù, e inter- 
rogò sullo stato del monastero il chirurgo Marco Chiapuzzi, che n’era economo. Gli 
domandò anche dell'archivio. E il Chiapuzzi rispose che di esso “ si è sempre tenuto 
doppia chiave, una appresso al signor abbate commendatario, l’altra appresso il padre 
abbate di governo di esso monistero; su di che interpellatosi il p. abbate di questo 
monistero, Alessandro Sismondi, all’oggetto di aver la visione di detto archivio e 
copia dell’indice delle scritture nel medesimo esistenti, rispose il medesimo essere 
stato detto archivio depredato, ed incendiate le scritture all'occorrenza che fu messo 
a sacco esso monistero nell’invasione seguita dai Francesi in esso luogo e distretto, 
ed essersene per accidente salvate alcune poche, quali qui esibite si trovarono non 
avere verun rapporto agli interessi di questa abbazia , (3). 

Da così esplicite dichiarazioni dovremmo arguire che l’archivio abaziale conte- 
nesse fino ad un secolo addietro un gran numero di documenti, andati perduii nelle 
guerre sardo-franche. Ma, almeno per quanto riguarda l'epoca antica e più impor- 
tante, noi lo abbiamo veduto con prove sicure, poco di certo andò perduto nell’ ul- 
timo secolo. Tranne un diploma di Carlomanno, noi abbiamo quasi tutto quello che 
potè vedere Bernardo Bazano nel 1721. La verità era che le carte si trovavano, e 
da molti anni, a Torino. 

Il Governo francese, se soppresse l'abbazia, conservò o almeno ristabilì l’ospizio 
del Moncenisio da quella dipendente (4). 

Per la storia dell'abbazia in quell'epoca fortunosa, è assai importante una let- 
tera indirizzata nel 1819 da Antonio Marietti abate del Moncenisio, e superiore del 
monastero di Novalesa, all’Economato Generale dei benefizi vacanti. Egli narra che, 
soppresso il monastero nel 1803, i suoi beni furono riuniti all’ospizio del Moncenisio 
ed affidati, per l’amministrazione, ai monaci della celebre badia di Tamiè in Savoia. 


(1) Arecdota sacra, p. xxIx. 

(2) Così trascrivendo egli il falso diploma di Carlomagno, dice di averlo visto £ in archivo apo- 
stolico regii economatus , (Cronaca Ecclesiast., busta II. Arch. dell’Economato). 

(3) Veggasi l’atto della visita nella busta II, Abbazia della Novalesa, nell’Arch. dell’Economato 
generale. 

(4) Nella busta LXIII dell'Abbazia della Novalesa nel R. Archivio di Stato, si conservano varie 
carte degli anni X e XI della Repubblica Francese, dalle quali emerge che l’ospizio allora esisteva. 
Una deliberazione dei Consoli, Parigi, 6 messidoro dell’anno X (25 febbraio 1802), prescrive all'art. 1: 
“ Les dispositions faites par le préfet du département du Mont Blanc, tant pour l’éstablissement d’un 
hospice sur le Mont-Cenis, que pour la direction d’un service hospitalier et la dotation des fonds 
destinés è pourvoir aux dépenses, sont approuvées ,. 


262 CARLO CIPOLLA 


Questi si occuparono dello “ ristabilimento , dell’ospizio, ma non ebbero tempo di 
prendersi pensiero della Novalesa, dove monastero e chiesa andarono nell’estrema 
rovina. In appresso le due case, del Moncenisio e della Novalesa, furono restituite 
con regio viglietto di Vittorio Emanuele I, 30 aprile 1816. Il Marietti ebbe infatti 
l'investitura del Moncenisio con atto 10 maggio consecutivo. Egli tosto si interessò di 
ristabilire il monastero Novaliciense, sicuro di secondare le pie intenzioni del re, e ne 
riferì al conte Borgarelli, ministro dell’interno, con lettera 11 giugno 1818 (1). 

In occasione del ristabilimento del monastero, si pensò anche al destino e alla 
inventariazione delle carte. 

Questo inventario, di carattere onninamente amministrativo, ci pervenne in due 
copie. Una di esse (2) reca il titolo “ Copia dell'elenco delle scritture spettanti al- 
l’abazia della Novalesa e conservate nell'Archivio del KR. Economato Generale in 
Torino ,; una postilla aggiunge: “ in gran parte rimesse al monastero della Novalesa 
e collocate in apposita credenza, segnata Arcivium (!) ..agosto' 1827 s- Nell’altro 
esemplare (3) quest’ultima indicazione manca, e il titolo è modificato. Poco impor- 
tanti sono le notizie che si possono avere dalla maggior parte di questo inventario, 
mentre riguardano argomenti storici soltanto gli ultimi numeri (154-162) del mede- 
simo, i quali ricordano la Cronaca Novaliciense, alcune copie mss. a stampa dei 
privilegi, ecc. In fine al secondo esemplare, a proposito di questi ultimi numeri, leg- 
gesi: “ N. Bene, dal n° 154 al 162 inclusi, sono tutti collegati in un invoglio e queste 
sono le scritture riacquistate nell’autunno dell’anno 1817 ,. Così leggesi scritto dalla 
prima mano cui si deve quell’Inventario. Posteriormente e di altro carattere fu ag- 
giunto: “ Queste vennero nel 1846 di nuovo collocate nella Miscellanea per l’Italia 
Sacra ,. 

Con queste ultime parole si allude alla busta II della Cronaca Ecclesiastica, pure 
nell'archivio dell’Economato. In quella busta infatti si trovano i documenti ricordati 
dai citati numeri di detto Inventario, insieme con altre carte riflettenti altre diverse 
istituzioni ecclesiastiche Piemontesi. Ma quelle carte, che si acquistarono nel 1817, 
non appartenevano veramente all’abbazia. Sono in tutto, o almeno in gran parte, 
null’altro che i materiali messi insieme da Eugenio De Levis, per la edizione da 
lui divisata del Chronicon, e per gli altri lavori da lui intrapresi sulla storia e sui 
codici dell’abbazia. 

L'abbazia, che nel 1827 riebbe parte del suo Archivio, fu nuovamente abolita 
nel 1855, ed ora ie sue carte si trovano divise fra l’ archivio di Stato e l’ archivio 
dell’Economato Generale di Torino. 

A conclusione di questi nostri studii sugli Inventari archivistici, sia detto che 
essi ci autorizzano a credere, che nonostante le tante traversie e vicende cui andò 
soggetto negli ultimi secoli quel monastero, la perdita subìta dal suo Archivio nella 
parte più antica e più importante del medesimo, non fu così grave, come si avrebbe 
potuto sospettare. 


(1) Abbazia della Novalesa, busta LXIII. Archivio di Stato di Torino. 
(2) Nella busta LXV dell’Abbazia della Novalesa. Arch. di Stato. 
(3) Trovasi nella busta VI dell'Abbazia della Novalesa. Arch. dell’Econom. generale. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 263 


Il. 
Gli Inventari delle Reliquie. 


La più antica memoria scritta riguardante questo argomento forse è quella che 
il barone Vernazza ed Eugenio De Levis copiarono dal necrologio abbaziale, sotto 
il 30 settembre: “ obiit millesimo . CC . nonogesimo tercio . magister iohannes de 
lancio vilario, qui obtulit brachium argenteum in honorem beati heldradi ,. L'antica 
teca qui indicata, ora non c'è più. La vide, per quanto pare, il Vernazza, e la trovò 
senza iscrizioni. Un documento, di cui dovremo tosto far parola, la ricorderà. 

Ma se quell’antico cimelio andò pur troppo smarrito, un altro e di ben maggiore 
importanza ci è stato conservato nella sua integrità. 

Ho già avuto occasione di ricordare la bellissima arca d’argento (1), che racchiude 


(1) Un brevissimo cenno su quest’arca, lo dobbiamo al bar. G. CraretTA, “ Atti Soc. archeol. e belle 
arti della prov. di Torino ,, V, 23. — Essa è veramente un monumento di grande importanza arti- 
stica. Lo scheletro della cassa è di legno; essa ha la forma dell’arca sepolcrale, a due pioventi. I- 
due pioventi, come pure le quattro faccie, sono coperti da sottili lamine di argento. Gli spigoli 
sono nel tempo stesso ornati e protetti da larghe fascie argentee decorate con ornamenti a sbalzo: 
una di tali fascie taglia per metà ciascun piovente insieme colla faccia sottoposta, in modo da divi- 
dere quello e questa in due campi. Abbiamo perciò da ciascuna parte quattro campi, senza calcolare 
le due fronti dell'arca. Prendiamo a considerarne a parte a parte ciascun lato. Primo lato. diovente: 
il primo campo è diviso in tre parti da tre arcate; nella mediana c’è la Vergine colla leggenda in 
caratteri gotici del XIII secolo circa: S MA | RIA, essendo le lettere disposte sopra due linee, ai lati 
della Vergine. Sotto gli altri due archi, due angeli in atto di adorare la Vergine; dappresso ad uno 
degli angeli, la lettera G ricciuta, iniziale di Gabriel. Nel secondo campo, tre archi, di cui il primo 
è trasformato in una grande iride, e in esso sta la figura del Salvatore sedente e benediciente, 
contraddistinta colle lettere A e £; sotto i due archi laterali, due angeli in adorazione. Faccia: I 
due campi si dividono in sei arcate, con sei fisure di apostoli, i quali non si guardano a vicenda, 
tranne che quei due i quali si trovano d’accosto alla figura di S. Pietro, i quali sì inchinano a lui. Sul 
secondo lato, il primo campo del piovente, diviso pure in tre arcate, ha la centrale occupata da S. Michele, 
che vince il drago infernale, colle iniziali <$ M; le altre due arcate sono occupate da due angeli, 
distinti colle iniziali G(abriel), R(aphael). Tre angeli occupano le tre arcate dell'altro campo. I 
due campi della faccia sono divisi in sei arcate, e contengono sei apostoli. Sopra una fronte, c'è la 
grande figura di S. Eldrado, col pastorale, e colla leggenda -$ | AL | DR | AD’ | AB| AS: corrisponde 
sull’altra fronte, S. Pietro. Lo spigolo superiore dell’arca è coperto da una specie di attica in ottone, 
che termina alle estremità in due pomi, ed a mezzo è intercettata da un modello di una torre coperta, 
e con fenestre simulate. Al basso dell’arca corre intorno una cinghia ferrea, di data recente, ma 
che vi si trovava quando mons. Fr. Vinc: Lombard, vescovo di Susa, addì 5 marzo 1828, rivide l’arca, 
e dichiarò che, secondo la costante tradizione, conteneva le reliquie di S. Eldrado. Le quattro faccie 
sono ornate ciascuna da una grossa finta pietra, che in realtà è vetro. 

Da un'istanza dei cittadini di Novalesa al vescovo di Susa, 8 marzo 1799, per ottenere un favore 
di carattere liturgico, si capisce che l’arca era stata concessa alla prevostura di Novalesa dai monaci. 
L'istanza, al pari che la lettera patente di mons. Lombard, conservasi ora nella prevostura stessa. 

A chiarire le parole di mons. Lombard, il quale si affida alla tradizione per quanto riguarda 
il contenuto dell’arca, vuolsi avvertire che essa non può aprirsi; è chiusa da tutte le parti, senza 
alcun segno di chiave. 

L’arca è alta, compresa la torretta centrale, cent. 60, e senza di quella, cent. 47; misura 78 cent. 
in lunghezza e cent. 31 in larghezza. 

Apparteneva, per quanto fui assicurato, ad una lipsanoteca una semisfera in bronzo, con ornati 
a incisione, e fornita di attacchi. Congiungendosi un’altra semisferata simile, oggi perduta, serviva 
a tutelare alcune reliquie. Trovasi anche questo oggetto presso la prevostura della Novalesa. 


264 CARLO CIPOLLA 


le reliquie di S. Eldrado, e che ora si custodisce nella chiesa parrocchiale del vil- 
laggio della Novalesa. Vedremo di qui a poco come nel 1502 si credeva che nella 
cassa, insieme colle reliquie di S. Eldrado, si trovassero anche quelle di S. Arnolfo, 
arcivescovo di Lione (1). È quella un’opera d’arte squisita e preziosa, la quale attende 
ancora un illustratore. Dalle forme delle lettere nelle leggende testè riferite, si 
può desumere l'età della medesima, fra il secolo XIH e il seguente. Il carattere 
gotico, impiegato in quelle iscrizioni, non essendo ancora molto sviluppato e perfetto 
mi fa decidere ad attribuirlo al sec. XIII piuttosto che al susseguente. Naturalmente, 
le prove paleografiche non dànno sempre la sicurezza assoluta, e quindi non giusti- 
ficano un giudizio assoluto; abbandono ai cultori della storia dell’arte lo studio defi- 
nitivo di questo prezioso cimelio. 

Non credo ad ogni modo che quest’arca si possa identificare con qualcuna delle 
lipsanoteche regalate all'abbazia nella seconda metà del XIV secolo dall’abate Ruf- 
fino de’ Bartolomei. Forse la cinghia di ferro, di data relativamente recente, che ne 
rinforza il piede ci toglie ora di leggervi il nome dell’offertore. 

L'arca di S. Eldrado non può essere collocata fra le grandi casse, una delle 
quali, più che doppia della nostra per dimensioni, fu testè descritta da L. Bickell (2) 
ed è quella di S. Elisabetta di Ungheria, esistente a Marburgo, nella chiesa omonima. 
Questa cassa, che ha la lunghezza di quasi due metri, ha colla nostra arca molta 
rassomiglianza nei tratti generali, ma la supera di gran lunga per finezza. La cassa 
di S. Elisabetta è verosimilmente del 1249, e quindi per età non si discosta molto 
dall’arca di S. Eldrado. 

Rappresento nella tavola una faccia della nostra arca, secondo la fotografia che 
gentilmente me ne procurò l’egregio cav. avv. Secondo Pia, valentissimo nel fotografare 
oggetti d’arte. Chi ne faccia il raffronto, troverà molta corrispondenza fra le due arche, 
sia nella distribuzione delle figure sulle due faccie e sui due lati, sia nella cresta 
di coronamento. 

Il barone Vernazza addì 14 maggio 1788 recatosi alla Novalesa, fermò la sua atten- 
zione sugli antichi reliquiari dell'abbazia, e ne trascrisse le relative iscrizioni: 1) 
“hoc . reliquiariù beati . zacharie | pris . beati . iohes. batiste | fecit . fieri . fr . ruffino . 
de . bthis | de . Secus . por . novalicien ,; 2) “ »K hoc . opus . fieri . fecit . frater . ruf- 
finus.d. bartholomeis . d . secusia . prior. novaliciensis , (S. Eldrado, annota il 
Vernazza); 3) anno . domini. M . CCC . LXXII . dns . ruffinus . de . berthis . de secus . 
prior. mon . novalic . fe , (S. Arnolfo, appone il Vernazza). La prima di queste iscri- 
zioni ha bisogno di qualche correzione. Probabilmente si leggerà: Johanmnis, prior. 

Di queste iscrizioni deve aver avuto notizia il camaldolese D. Francesco Bor- 
garelli (3), che sulla fine del secolo scorso rilevò il dono di Ruffino de’ Bartolomei, e 
soggiunse che nel 1367 questi fu esecutore del testamento di Giacomo vescovo di A.caia. 


(1) Assicuravami il m. r. d. Antonio Belmondo, prevosto di Novalesa, essere anche oggidì tra- 
dizione che la cassa contenga le reliquie di S. Arnolfo, assieme a quelle di S. Eldrado; ma nulla 
risulta di certo. 

(2) La chiasse de Sainte-Elisabethe, in “ Revue de l’art chrétienne ,, 1892, pp. 380 sgg. 

(3) De abbatia S. Petri de Noualisio ciusque abbatibus, ad montis Cinisii radices. Questa Memoria 
costituisce un capitolo nel volume ms. Abbazie del BorcAarELLI; alcune aggiunte vi fece (1868) il 
can. Antonio Bosro, al quale quell’operà appartenne. Ora essa si trova, insieme col resto della biblio- 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 265 


Il P. Marcantonio Carretto (1) nulla sa del regalo delle lipsanoteche d’argento. 
Il Rochez (2) ne tace affatto, e di fr. Ruffino scrive poche e poco esatte parole. 
Prima di ambedue, Mons. Franc. Agost. Della Chiesa (3) pose Ruffino all’anno 1353, e 
lo diede come uno degli esecutori del testamento (1366) di Giacomo Principe di Acaia (4). 

Intorno alla vita del priore non mancano notizie. Suo predecessore fu d. Lan- 
telfus Gay de Berlandeto, che col titolo di priore resse il priorato della Novalesa, sino 
alla sua morte, seguita il 26 agosto 1350. Fu sepolto il dì stesso. Nel giorno se- 
guente (5) si radunarono fr. Guglielmetto Vitona sacrista e gli altri monaci del 
cenobio; ricordando l'elezione del priore fatta nella persona di fr. Ruffino de’ Bartolomei, 
monaco di S. Giusto di Susa, invitarono a confermare tale elezione tre priori dipen- 
denti dalla Novalesa, cioè fr. Ugo Gay “ prior Murete , (= Le Muraz), fr. Filippo 
Gastini priore di Bornay, e fr. Umberto da Villareto “ prior Romoloni , (= Rumilly, 
Haute-Savoie), ed essendo questi tre assenti, indissero un nuovo capitolo per il 9 sett. 

Clemente VI ratificò l'elezione con bolla del 5 settembre, dell’anno IX del suo pon- 
tificato, cioè dell’anno 1350 medesimo. La bolla è indirizzata all'abate del monastero 
di S. Giusto, al priore di S. Maria Maggiore di Susa, ed al prevosto di S. Maria di 
Moncenisio, nella diocesi di Torino. 

La bolla, che s’inizia con feligionis zelus, comincia dal ricordare la precedente 
bolla del 2 ottobre 1346, colla quale Clemente VI avea riserbata a sè l’elezione del 
priore della Novalesa. Quindi, l'avvenuta elezione da parte dei monaci, nella persona 
di Ruffino Bartolomei, monaco di S. Giusto di Susa dell'ordine di S. Benedetto, è per 
sè stessa inefficace. Ma egli, conoscendo le virtù dell’eletto, dispone per grazia spe- 
ciale di confermarlo nel priorato Novaliciense “ monasterio Bremettensi, dicti Or- 
dinis, Papiensis diocesis, immediate subiectum ,. E perciò dal monastero di S. Giusto, 
lo trasferisce a quello di Breme, e lo conferma priore Novaliciense. 

Parecchi documenti di data posteriore ci indicano dunque Ruffino quale priore 
della Novalesa. Ed è curioso il vedere che un documento del 22 febbraio 1359 (6) muta 
il nome del sito, ma senza ritorcerlo a Novalux, come verisimilmente si sarebbe fatto, 
se si avesse avuta famigliare conoscenza del Chronicon. Si scrisse invece Novalex, voca- 
bolo che allude al medesimo ordine di pensieri, ma che non è un tutt’uno con Novalux. 
Ruffino tenne per lungo periodo di anni il priorato, nel quale lo trova ancora un 
documento del 4 gennaio 1380 (7). Addì 19 giugno 1384 (7) m’incontro nel suo succes- 
sore: “ Matheus Gastaudius Dey gratia prior monasterij sancti Petri de Novalicio ,. 
In questo documento accennasi ad altro del 25 nov. 1382, e pare che anche allora 
Matteo Gastaldi fosse priore. Forse era coadiutore del Bartolomei (8). 


teca Bosio, nel Collegio degli Artigianelli in Torino, dove potei esaminarla a mio agio; del che 

rendo grazie ai sovrintendenti di quell’istituto. 

) Vita di S. Eldrado, Torino, 1693, p. 109. 

(2) La gloire de V Abbaye de la Novalese, Chambéry, 1690, p. 144. 

(3) S. R. E. Card. Archiep., ecc., Aug. Taur., 1645, p. 202. 

(4) Non lo ricorda il Darta, Storia dei principi d’Acaia, I, 211, nel riassumere quel testamento. 
) L’atto relativo si conserva in originale nell'Archivio della Novalesa, busta VI. Arch. di Stato. 

6) Busta VI. Arch. di Stato. 

7) Busta VII. Arch. di Stato. 

(8) Il p. BorcareLLI segna all’anno 1384 la successione del p. Matteo Gastaldi, e lo dice origi- 

nario da S. Ambrogio, nella valle Susina, del che non trovo notizia nei documenti. 


Serie Il. Tom. XLIV. 34 


266 CARLO CIPULLA 


L’inventario compilato nel 1502 da Pietro de Allavard principia colla descrizione 
delle reliquie. Parlasi di ciò che esisteva nella cappella dei Ss. Cosma e Damiano. 
“ Et primo comperii ibidem vnam capsam argenteam magnam positam super altari, 
in qua repositum est corpus sancti Eldradi, cum corpore sancti Arnulphi archiepi- 
scopi Lugdunensis (1), et aliis multis reliquis in eadem capsa existentibus ,. “ Item 
in alio bufeto (2), in eadem copella existente reperiti unum paruum cofanetum, in 
quo erant reliquie infrascripte videlicet , (e cioè: ossa dei Ss. Innocenti, ricordi della 
Vergine (3), reliquie di S. Gioachino, di S. Lorenzo, e del sepolcro di Cristo; Ss. Bar- 
tolomeo e Teobaldo, polvere di S. Giovanni Battista, S. Nicolò, ossa di S. Lorenzo, 
legno della Croce, ossa di S. Agata e di S. Gregorio). In un’ ampolla di cristallo, 
c'erano reliquie di S. Vincenzo (4). Nello stesso buffetto trovavasi una “ busseleta , 
in legno, con reliquie anonime. Un altro vasetto d’avorio, “ buseleta de auolio ,, 
contenevane un secondo in legno, con altre piccole reliquie. 

Sotto l’altare si rinvenne una cassa di piombo, con reliquie. Una cassa di legno, 
dipinta, conteneva “ brachium unum in carne et ossibus ex 12 (?) partibus Francie, 
culus nomen, et dicitur, est Gothofredus , coperto di panno bianco. Nello stesso 
“ bufeto ,, due altre ampolle vuote. 

Se bene intendo, le reliquie erano tutte nella credenza, fatta eccezione per la 
cassa di piombo, e fors'anche per la cassa di legno contenente il braccio di S. Goffredo. 

L’anonimo cronista Novaliciense (5) attesta che Carlo Magno donò all'abate 
Frodoino i corpi dei Ss. Cosma, Damiano ‘e Valerico. Quindi (6) narra che questo 
abate, raccolto ricco tesoro, comprò una croce di oro e d’argento, splendida di pre- 
ziosissime gemme, e dentro vi chiuse alcune reliquie. 

Forse si riferisce a questa croce, forse a qualche altra consimile memoria anti- 
chissima, dalla tradizione locale fatta risalire all’età di Carlomagno, quello che ci 
raccontano gli atti di un processo, svoltosi a Camerletto nel 1540. Tale processo è 
la conseguenza di quanto avvenne addì 21 luglio 1588 allorchè ci fu un tentativo di 
furto, del quale dobbiamo dir qualche parola, e di cui fu reo un certo fra’ Gregorio, 
partigiano de’ Francesi. 

Correvano allora giorni tristissimi per il Piemonte, fatto teatro alle guerre re- 
ciproche della Francia e di Carlo V. Dopo lunghe trattative, colla mediazione di 
Paolo III, si conchiuse una tregua decennale, stipulata il 18 giugno 1538 (7), la 
quale non recò altro profitto allo sventurato duca Carlo II, fuorchè la sospensione 


(1) Di questo arcivescovo, ignoto al Gams, tace anche il Chrom. Novalie. 

(2) Franc. buffet. In dialetto veneto in luogo di significare “ credenza ,, bufeto vale: tavolino 
da notte. 

(3) Il Cronista (lib. III, c. 16) annovera le reliquie del latte e dei cappelli della Vergine, fra le 
reliquie raccolte da Frodoino. 

(4) Nella prevostura della Novalesa si conservano varie reliquie, contraddistinte con indicazioni 
del sec. XVII; c'è anche un’ampolla vitrea. 

(5) Lib. III, c. 15. 

(6) Lib. III, c. 16. 

(7) Ne parla diffusamente 11 Ricomri, Storia della monarchia piemuntese, I, 255. Il documento della 
tregua leggesi presso Du Mont, Corps diplom., IV, 2, 169 sgg. Per queste vicende guerresche si 
consulti G. B. AprianI, Le guerre e la dominazione dei Francesi in Piemonte 1536-39, Torino, 1867, 
estr. dal vol. XXVII della “ Miscellanea di storia ital. ,. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 267 


delle ostilità. Ma nè Francia, nè Impero restituirongli quanto occupavano, che era 
quasi intero il ducato. 

A questo tempo si riferisce il fatto di cui ora parliamo (1), e che ci è attestato 
da una lettera di Carlo Provana, priore e signore della Novalesa, al re di Francia, 
dalla risposta di quest’ultimo (in data di Torino, 29 ottobre 1540), e dal conseguente 
processo fatto a Camerletto il 1° nov. consecutivo, per regia autorità, e sopra do- 
manda di Stefano Nigra, prevosto di Novalesa e procuratore del Provana predetto. 

I testi interrogati sono numerosi e tutti sono persone, che presero parte al fatto, 
sia per aiutare fra’ Gregorio nella tentata esecuzione del suo misfatto, sia per impe- 
dirgliela. 

Dalla lettera del Provana e dalle varie testimonianze dei testi (le quali non si 
contraddicono giammai tra loro, ma soltanto si completano), è facile ricostruire la 
serie degli avvenimenti nel seguente modo. 

Durante la guerra, il regio luogotenente francese De Montegian (2) privò Carlo 
Provana del priorato, che fu affidato a fra’ Gregorio de’ Taddei, di Moncalieri, il 
quale si recò lassù colla sua “ familia ,, ed anche con una “ amaxia ,. Amministrò 
per parecchio tempo i beni del priorato, riscuotendone i crediti. Venne poscia la 
tregua del 18 giugno 1538, la quale stabiliva che a ciascuno fossero restituiti i suoi beni. 
Appena qualche settimana dopo, e precisamente la sera del 21 luglio, fra’ Gregorio 
si recava al monastero, insieme con Vincenzo Ricomario (?) da Giaglione, e con 
Michele Belleti. Rivolto al primo di essi, gli disse: Vincenzo, ricevetti oggi una let- 
tera, che mi obbliga a lasciare il monastero. Io, tu e Michele dobbiamo affrettarci 
a prendere le cose mobili e le vettovaglie del monastero; voi poi verrete a stare 
con me. Dopo la cena, essendo un’ora di notte, Gregorio tolse dalla sua stanza una 
cassa di noce nuova. L’aveva fatta Battista Bagherio, giovane falegname del vil- 
laggio della Novalesa, al quale era stato detto che in essa volevansi chiudere 
“ certas scripturas monasterij ,. Fra’ Gregorio portò la cassa sotto una loggia, e la 
depose sopra un gradino. Quindi chiamò Vincenzo e Michele, perchè prendessero la 
cassa, che doveva trasportarsi ad Oulx. Disse loro che essa racchiudeva tutte le 
reliquie del monastero, e inoltre calici, ed altri oggetti ad uso di culto. Michele si 
sforzò ad alzarla, aiutato da fra’ Gregorio. Ma non riuscì a sollevarla; disse che nel 
toccarla, si sentiva mancare le forze, sebbene fosse uomo gagliardo. Fu costretto a 
lasciarla lì. La stessa sera Vincenzo e Michele fecero un fascio di lenzuola, coltri, ecc., 
aggiungendovi anche il cacio del monastero; tutto questo doveva collocarsi sopra 
un carro (“ lexia, legia ,), cui erano attaccati i buoi del monastero; era intenzione 
di fra’ Gregorio di trasportare ogni cosa in un bosco, situato in prossimità del mo- 
nastero. Venuta la notte, si sarebbe portato altrove quel carico. 


(1) Il cenno che di ciò fece il Rocarz, La gloire de l’abbaye de la Novalese, Chambéry, 1670 
pp. 146-7, oltre che molto breve, è anzi inesattissimo. 

(2) Alhidesi al maresciallo Renato di Montejean, che il re di Francia nominò suo luogotenente 
in Piemonte, con decreto datato da Pinerolo, 29 novembre 1538. Il maresciallo morì al principio 
del 1539. Una breve, ma succosa biografia di questo illustre personaggio, che prese parte alla bat- 
taglia di Pavia del 1525 e all’assalto dato alla stessa città nel 1538, può vedersi presso De CourcELLES, 
Dictionnaire des généraux francais, VII (Paris, 1823), pp. 470-1. Non del tutto esatto è quanto scrive 
di lui il DanieL, Histoire de France, IX (Parigi, 1755), p. 493. 


268 CARLO CIPOLLA 


Ma intanto che si lavorava a far tutto questo, la cosa trapelò; ed il paese, rimasto 
fedele ed affezionato al legittimo “ signore ,, se ne commosse. I monaci ed i servi- 
tori del “ signor , della Novalesa andavano svegliando le persone del paese. Verso 
la mezzanotte Mainardo Baderio, castellano della Novalesa, fu svegliato da Giovanni 
Brontini, che lo avvertì del furto, che si stava tramando. Quindi arrivarono presto 
al monastero alcune persone, e forse fu tra queste certo Giacomo monaco, che par 
sia stato fra 1 più attivi e più solleciti a destare l'allarme. Fra’ Gregorio cercò difen- 
dersi col dire che egli aveva intenzione d’impedire altrui di rubare. Non gli si 
prestò fede, ed egli fu anzi sostenuto, ma pur nessun male gli si fece. Ecco intanto 
giungere il castellano della Novalesa, ed altri parecchi. Allora, ad istanza del sagrista 
fra’ Girolamo Rugia, il castellano compilò l’inventario delle cose che fra’ Gregorio 
aveva tentato involare. Risultò che nella cassa trovavasi la croce grande del monastero, 
racchiudente le reliquie, fra le quali c'era una porzione della santa Croce. Un braccio 
del crocifisso apparve rotto di fresco; era stato infranto, per poter acconciare la croce 
nella cassa. Vi si rinvennero eziandio e calici e altri oggetti destinati al culto (1). 

A proposito della croce, Carlo Provana, nella ricordata sua istanza al re di 
Francia, aggiunse che la reliquia della santa Croce era stata “ dellata ibidem per 
condam s. bone memorie regem Francorum Carolo magno (sic) ,. 

Fra' Gregorio fu condotto prigione al Provana, al quale spettava di giudicare; 
ma egli invece lo mandò al signore De Montegian, il quale lo rimise al preside regio, 
perchè lo esaminasse. Contro di lui nulla si faceva, anzi egli era riuscito a far cat- 
turare e chiudere nel castello di Susa, un tale del villaggio della Novalesa; e si 
vantava eziandio che si sarebbe vendicato dei monaci e dei paesani. Di qui il motivo 
della ira pubblica. Sull’esito finale di questa causa mi consta che il Vicerè francese, 
con decreto del 26 marzo 1541, accordò grazia a coloro che avevano tentato di ru- 
bare al monastero le reliquie e gli oggetti destinati al culto. il documento originale 
esiste tuttora, ed ha il sigillo pendente (2). Esso dimostra, che i ladri ben sapevano 
da chi erano protetti. 

Quanto abbiamo esposto prova l’esistenza di una croce preziosa assai, la cui 
storia, almeno per qualche reliquia in essa esistente, risaliva agli anni più antichi” 
e più splendidi dell’abbazia Novaliciense. E probabilmente la croce di cui parla il 
cronista (3), attribuendola all’abate Frodoino. La descrive come ornata d’oro, di argento 
e di gemme e preziosa per insigni reliquie. All’ epoca del Rochez (4), cioè verso 
il 1670, essa esisteva ancora, e si usava portare nelle processioni solenni. 


(1) Il m. r. d. Antonio Belmondo, parroco di Novalesa, mi fece vedere nella sua chiesa una 
reliquia della Santa Croce, in una teca argentea, con autentica del 1751; l’accompagna una lettera 
del card. G. B. Bussi. Si tratta di un reliquiario di epoca tarda, non proveniente dall’abbazia della 
Novalesa. — Sperai per un momento di poter identificare la lipsanoteca Novaliciense colla reliquia 
della Santa Croce esistente in Torino, presso la parrocchia della Gran Madre di Dio. Ma, vedutala, 
trovai ch’essa non è anteriore al sec. XVII, e dalle carte che l’accompagnano apparisce che fu rega- 
lata dal cardinale De Laura al procuratore generale dei Minori Conventuali di Asti; tanto dichiarò, 
16 maggio 1820, mons. A. Faà di Bruno, vescovo di Asti. 

(2) Arch. della Novalesa, busta XIII, Arch. di Stato. 

(3) Chron., INI, c. 16. 

(4) La gloire, p. 66. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 269 


Verso il tempo incirca nel quale Filiberto Maurizio Provana di Leinì, abbate 
commendatario della Novalesa, trattò per la prima volta di affidare il cenobio ai 
monaci dell’Ordine Cistercense, si fecero due inventari delle mobilie ecclesiastiche. 
Il primo di esse è lavoro del not. Bernardino Giacomelli, 18 giugno 1644, ed è molto 
ampio (1). L'altro porta la data del 3 maggio 1651 (2). Quest'ultimo ricorda tre croci: 
una di esse era d’oro, con pietre infisse ed un crocifisso di smalto, e può facilmente 
identificarsi con quello che tentò rubare il Taddei; un’altra presentava alcune figure 
di avorio in iscultura. L’inventario del 1644 registra: “ una croce guernita d’argento 
et pietre di diversa sorte, ove appaiono li luoghi di tre pietre mancanti, in la quale 
v'è un pezzo della santa Croce, con una pezza di tafetato attaccato a un suo manico 
de bosco (di legno) bianco tornito ,. 

L’inventario del 1644 passa poi alla descrizione della cappella di S. Eldrado 
“ ossia delle sante reliquie ,, e ricorda: “ braccio di legno dorato, con reliquie ,, 
altro braccio colla pelle “ che non si sa di chi sia , (3): la testa di S. Arnolfo, 
chiusa in argento con mtra; la testa di S. Eldrado, in una teca di legno coperta 
di argento (4); angelo di rame dorato che tiene in mano una cassetta con reliquie, 
e un altro angelo di legno dorato che tiene in mano un vasetto di reliquie (5). 
Tralascio altre minori reliquie, e noto che l'inventario del 1644 fa cenno di una 
cassa di legno, adorna di pietre preziose, contenente varie reliquie. Quello del 1651 
pare accenni alla finissima lipsanoteca del sec. XIII, là dove parla di una cassa d’ar- 
gento, lunga circa 4 palmi, contenente, insieme con altre reliquie, anche i corpi dei 
santi Arnolfo ed Eldrado. 

Le due teche o busti colle teste di S. Eldrado e di S. Arnolfo probabilmente 
si dovranno identificare con due delle lipsanoteche regalate al monastero da fra’ 

Ruffino de’ Bartolomei e descritte, siccome si è detto, dal Vernazza. Vedemmo come 
. alla descrizione di una, Vernazza apponesse il nome di S. Eldrado, e all’altra quello 
di S. Arnolfo. Queste due note sono significative e ci dànno un buon indizio in fa- 
vore della identificazione che ora si è proposta. 

Non è improbabile che si possano raccogliere ancora altre notizie sopra le re- 
liquie Novaliciensi. Quello che qui diamo è tuttavia sufficiente a confermare che, 
dopo la scomparsa dei Saraceni, i monaci, ritornando sulle loro montagne, vi ripor- 
tarono molti degli oggetti, che i loro predecessori avevano trasportato seco, al 
momento della fuga. 


(1) Conservasi nella busta I dell'Abbazia della Novalesa. Arch. dell’Econom. generale. 
‘ (2) Trovasi nella busta LXVI dell'Abbazia della Novalesa. Archivio di Stato. 
(8) L’inventario del 1651 crede che le due braccia, una di legno dorato e l’altra d’argento rac- 
chiudessero le braccia di S. Eldrado e di S. Arnolfo. 
(4) L’altro inventario menziona due busti d’argento, racchiudenti le teste di quei due santi. — 
Oggidì non se n’ha più traccia. 
(5) Nell’altro inventario il primo di questi due angeli è detto d’argento. 


CARLO CIPOLLA 


O) 
Si 
° 


II. 


Serie degli Abati e dei Priori. 


Il cronista Novaliciense (1) descrisse i luoghi con tanta evidenza, quale soltanto 
può venire dalla penna di un testimonio oculare. I monaci vivevano divisi per squadre, 
i vecchi separatamente dai giovani. Gli abati, coi sei monaci più avanzati negli anni, 
soggiornavano presso alla chiesa di S. Salvatore. Altri monaci di età inoltrata avevano 
le proprie chiese particolari, e speciali “ tugurì ,. I giovani stavano, sotto diligente 
custodia, nei chiostri del monastero. Alle donne era interdetto l’accesso al monastero: 
esse dovevano fermarsi ad una casa, che. trovavasi presso alla chiesa di S. Maria, 
costrutta lè dove ha principio la strada che mena al monastero. In quelia casa 
venivano ospitate tutte le donne, fossero di alto o di basso lignaggio, che si reca- 
vano lassù a pregare Iddio. Questa legge fu imposta da Abbone, edificatore del mo- 
nastero, il quale dapprima aveva costruito un monastero ad Urbiano, di Susa (2), 
ma poscia, ad evitare scandali, l'aveva trasportato lassù, lontano dalla città e dai 
villaggi. E la legge fu conservata diligentemente, sino a che il monastero fu profa- 
nato e disfatto dai Saraceni. Il Cronista raccoglie anche la leggenda monastica, 
secondo la quale Berta, moglie di Carlomagno, desiderosa assai di vedere il monastero, 
infranse quella prescrizione. Di notte si alzò da letto, si travesti, prese seco una 
sola compagna, e si accostò al monastero. Come fu alla porta dell’ “ Oratorio di 
S. Pietro ,, cadde a terra improvvisamente e spirò. Fu sepolta nel luogo detto “ ad 
crucem , presso la chiesa di S. Maria. Allorchè Gezone, fra il secolo X ed il seguente 
pensò di rialzare il monastero, che giaceva “ dirutum et pene incognitum , (3), vi 
mandò il monaco Bruningo, uomo di singolare valentìa, il quale rifabbricò ed ampliò 
la chiesa, abside, di S. Andrea. 

Il monastero si innalza sopra un mamellone staccantesi dalla grande catena 
alpina. Di lassù l’abbazia, contornata dalle sue quattro chiesette, sogguarda la valle 
della Cinischia, per la quale si discende dall’Ospizio del Cenisio sino a Susa. 

La linea più elevata del mamellone ora indicato è segnata dalle due chiesette 
di S. Pietro e di S. Salvatore. Dalla parte di NO, cioè verso la catena delle Alpi, 
scende abbastanza rapidamente il declive, e a brevissima distanza dalle due indicate 
chiesette s'innalza quella di S. Eldrado. Dalla parte opposta il declive scende più ripido, 
e presto s'incontra il monastero; dopo di questo più leggera si fa la pendenza, 
quantunque il declive continui. L'antica strada (oggidì sostituita da altra più lunga 
e incurvata, ma più comoda) scendeva di qui in linea retta sino al fondo della 
valle, e metteva in comunicazione il monastero col villaggio della Novalesa, e colla 


(1) Chron., lib. II, c. 1-4. 

(2) Urbiano (“ Orbiano ,, secondo la dizione usata nel testamento di Abbone, 739) è un villaggio 
a NE di Susa, in piena vicinanza di questa città. Ivi presso, verso SO, trovasi: Nurbiano. 

(3) Chron., V, c. 25. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 20700 


strada di Susa. Quella strada, poco sopra al cominciare dell’erta, passa dinanzi alla 
chiesetta di S. Maria Maddalena, che rimane a sinistra di colui che per di lì sale 
verso il monastero. Di fronte a quella chiesetta, e quindi a man destra dell’antica 
via, sì indica ancora oggidì il posto dell'antica croce, di cui parla il Cronista; ivi si 
trovarono, per quanto mi fu asserito, le vestigia di un antico edificio, che dovea 
essere la foresteria del monastero. Il cronista parla di quella croce come di cosa esi- 
stente al suo tempo e da lui veduta; ci è sconosciuto fino a qual tempo essa abbia 
continuato ad esistere. 

L'edificio dell'Abbazia è in gran parte opera moderna. La chiesa (che negli ultimi 
anni fu rimessa al culto dal compianto abate comm. Giuseppe Parato (+ 1893), che 
fu rettore del Collegio Nazionale Umberto I), è una ricostruzione dovuta, come ap- 
prendiamo da un’epigrafe del tempo, a Vittorio Amedeo II, e spetta al 1712. Riman- 
gono in parte le vetuste mura dell’antico edificio, esternamente ancora visibili nella 
loro condizione originaria. Portano alla loro sommità un coronamento ad archetti, 
intramezzati da lesene, le quali scendono per tutta l’ estensione della parete. Una 
parte di tali antiche muraglie, nella Tavola annessa a questa Memoria, viene ripro- 
dotta da una fotografia gentilmente eseguita per me dall'avv. G. Bobba. 

Sotto il chiostro del monastero furono raccolti pochi avanzi di antichità. Oltre 
a due frammenti epigrafici romani (un terzo frammento in bel carattere del buon 
tempo imperiale fu collocato degnamente nel giardino) si raccolsero qui due pezzi 
medioevali. Pare molto antico un capitello a fogliame. L'altro frammento forse facea 
parte della transenna dell’altare o dell’ambone (1): è una lastra marmorea incorni- 
ciata, nel cui campo spiccano sei nodi di tenia, la quale riproduce un tipo comune 
nei vecchi secoli medioevali. 

Per conoscere ciò che ci sia di antico nell’edificio del monastero, bisognerebb e 
levarne gli intonachi. Forse alcune vòlte a crociera, su cui ora non possiamo portare 
un sicuro giudizio, riapparirebbero come avanzi preziosi dei bei tempi di cui l’ab- 
bazia godette ancora dopo la sua ricostruzione. 

Non credo tuttavia che il monastero sia stato dai Saraceni completamente ab- 
battuto. Il cronista, è vero, adopera certe frasi che porterebbero a pensare ad una 
distruzione completa. Ma dal tutt’insieme della sua narrazione, si può anche conget- 
turare, che, abbandonato dai monaci fuggiaschi a Torino, esso sia rimasto disabitato 
e dimenticato così che al tempo, più che all'opera vandalica dei Saraceni, si debba 
la deplorevole condizione, in cui esso trovavasi all’età di Gezone. Non si può cre- 
dere che i Saraceni perdessero il loro tempo ad abbattere, senza scopo, le muraglie 
dell'abbazia, ormai priva di tutto. E ancora si avverta che quando il cronista di- 
scorre del ritorno della Congregazione lassù, non parla della ricostruzione completa 
dell'abbazia, ma soltanto del restauro dell'abside di S. Andrea. 

Questo tuttavia non dimostra che le chiesette attuali risalgano alla prima età del 
monastero. È questione ancora a decidersi, se esse possano invece attribuirsi ad età 
assai posteriore, al secolo XI o al XII, con restauri o rifacimenti ancora più recenti. 


(1) Il nostro frammento ha qualche somiglianza col pluteo di S. Pietro di Villanova nel Vero 
nese, presso R. Carranzo, L'architettura in Italia dal sec. VI al Mille. Venezia, 1888, p. 177. 


Dio CARLO CIPOLLA 


Ben è vero peraltro che, anche in tale supposizione, dovremmo crederle ricostruzioni 
delle chiese originali. Accenno alla doppia ipotesi, ritenendo prudente il sospendere 
un giudizio, del quale mancano finora gli elementi essenziali. Come ora si dirà, qui si 
verifica anche il caso che la parte posteriore di una cappella sia coperta con vòlto 
a botte, e la anteriore con vòlto a crociera. Il volto a botte conviene ad antichità 
molto remota, mentre quello a crociera, quantunque sia tutt'altro che recente, indica 
di solito un periodo posteriore nella storia dell’arte. 

Ad alta antichità accenna anche l'abside unico, proprio di queste chiesette, poichè 
esso, secondo il compianto R. Cattaneo (1), durò in uso fino alla fine incirca del 
sec. VIII. L'ornamentazione esterna ad archetti ed a lesene serve poco per la deter- 
minazione della età di un edificio, poichè rimase in uso lungamente. Questo tuttavia 
è da notare, ch’essa risponde benissimo anche ai tempi anteriori al Mille (2). 

Fra le chiesette peggio conservate vuolsi annoverare quella di S. Maria Madda- 
lena: sotto il volto a botte della parte posteriore della medesima veggonsi due affreschi, 
maltrattati da cattivo restauro: uno di essi ha una leggenda in carattere del cadere 
del secolo XV, che dice: S: MARIA : MAGDALENA : Anche l’altro affresco rappre- 
senta la medesima santa, tutta coperta dai lunghissimi capelli biondi. Nelle pareti 
sono notevoli alcune pseudobifore, o bifore chiuse. 

Poco di notevole offre la chiesa di S. Pietro. Quella invece di S. Salvatore ha 
l'abside e le pareti coronate d’archetti e divise in varii campi per mezzo di lesene. 
Come si accennò, esso è un motivo che s'incontra anche nelle chiese di antica costru- 
zione; per citare un raffronto con una chiesa abbastanza conosciuta, ricordo l’antica 
chiesa di S. Paragorio a Noli, presso a Savona, restaurata in questi ultimi anni. Essa 
pure ha gli archetti, le lesene, le fenestre, che hanno molta somiglianza colle rispettive 
parti delle cappelle Novaliciensi. La chiesa di Noli si attribuisce al sec. VIII (3), ma 
non so su quale fondamento sì faccia risalire quella costruzione a così alta anti- 
chità. Le fenestre a feritoia sono ad ogni modo un indizio di antichità. 

Daccanto a questa cappella, una ondulazione del terreno porta il nome di piano 
di Valtario. Narrano che la cappella fu edificata là dove S. Pietro piantò la croce. 

La chiesetta di S. Eldrado è l’unica fra quelle accennate che sia ancora al 
culto, ed è pur quella che desta il maggiore interesse per il cultore della storia e per 
l’artista. Forse le altre cappelle saranno più antiche e più preziose di questa, ma 
la loro attuale condizione non permette di studiarle a dovere. Ha un male per altro, 
ed è che fu molto ritoccata, così all’interno come all’esterno. Per quanto riguarda 
l'architettura antica (4) richiama la nostra attenzione l’abside, con coronamento ad 
archetti e con tre pseudobifore, e le pareti con eguale coronamento. Gli affreschi 
interni, rimaneggiati prima che il Collegio Nazionale acquistasse la Novalesa, sono 
lavoro del sec. XIII, e forse della prima metà di esso. 

Precede alla porta un atrio, ad arco unico; ma è lavoro rifatto. Internamente 


(1) L'architettura in Italia, ecc., p. 88. 

(2) La vediamo nell’esterno della chiesa milanese di S. Pietro in Prato, del sec. IX; CarranEO, 
op. cit., p. 212 (tavola). 

(3) Cfr. B. GanpoaLia, La città di Noli. Savona, 1885, p. 29. 

(4) Forse nel restauro (!) dell’Ab. Chapuis, 1828 (cfr. Zuccaeni-OrLANDINI, Corogr. dell’Italia, IV, 779). 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 273 


corre intorno alle pareti un sedile marmoreo, dal quale si drizzano le mezze colonne 
e i pilastri, che, sorreggendo gli archi, costituiscono l'ossatura della chiesa. 

Sotto l'atrio, la facciata della chiesa, presenta, sopra la porta, un’imagine di 
‘di S. Eldrado di rozzo pennello dello scorso secolo, colla iscrizione: ELDRADVS 
COMPVTAT VITA MELIORIS ANNOS. Pare che queste parole siano la corruzione 
di un esametro: “ Eldradus vitae melioris computat annos ,. Questa circostanza perciò 
fa credere che e pittura ed esametro siano la ripetizione di una dipintura più antica. 

Internamente, la chiesa consta di tre parti, di cui l’ultima è l’abside, e le due 
anteriori costituiscono la parte sostanziale della chiesa. 

L’abside è unito alla chiesa per mezzo del solito arco trionfale. La chiesa poi 
si divide in due parti. L'anteriore è a crociera, e la posteriore a botte: le due parti 
si allacciano per mezzo di un grande arco. Si presenta di per sè l'ipotesi che la 
parte coperta col volto a botte sia l'originaria, e il resto appartenga invece a po- 
steriore ampliamento. 

L'abside porta un grande fresco colla solita figura imponente del Redentore 
sedente, col nimbo crociato: la destra è alzata per benedire, e la sinistra sostiene 
un libro sul quale si legge: LVX. Ai lati stanno gli arcangeli S. Michele e S. Gabriele, 
S. Nicolò e S. Eldrado, rispettivamente colle leggende: -$ MICHAEL(1) 4 GABRIEL 
<G NICHOLAVS -$ ELDRADV’ | ABB. NOVAL (2). Ciascuno dei due arcangeli 
tiene un cartello; quello di S. Michele fu così malamente conciato dal solito per- 
verso restauratore, che non se ne capisce più nulla. L'altro contiene un motto reli- 
gioso, la cui ultima parola venne resa inintelligibile dal predetto restauratore : 
PARCE (3) DS POPVLO ProPRIO QVEm SANGVINE (4) MVR(?). 

La parte della chiesa coperta dalla volta a botte, porta gli affreschi rappre- 
sentanti la vita di S. Nicolò di Mirra. Ma il centro di essa volta è occupato da un 
“ Agnus Dei , chiuso in un cerchio, da cui partono quattro raggi, ciascuno dei 
quali è contraddistinto col nome greco dei punti cardinali: ARCTOC ANATOLE 
MISIMBRIA DISIS. Cioè a dire: dpktog, dvatoM, peonufpia, duorg. 

Non mi soffermo a descrivere minutamente i quadri che riproducono la vita di 
S. Nicolò, ciascuno dei quali viene spiegato da opportune leggende. Mi accontento 
soltanto di qualche cenno sulla vita di S. Eldrado, che viene ritratta in diversi 
quadri nella parte anteriore della chiesa. 

Sopra una delle vele della volta fu dipinto S. Eldrado (ELDRADUS) allorchè ab- 
bandona la sua terra nativa (LOC AMBILLIS) e il fiume che la bagna (DEDERAVSVS 
FLVVIVS), per girare il mondo in cerca di un monastero (NOBILIS ELDRADVS 
ProCERVM QVI DOGMA SECVTVS +4 Pro MERITO VITAE LINQVIT SVA 
DVLCIA REGNI), che corrispondesse alla sua austera vocazione religiosa. La seconda 
vela ci presenta ELDRADVS in forma di pellegrino, accolto dal SACERDOS che si 
rizza dal faldistario. Un'altra vela ci mette innanzi pure ELDRADVS che si av- 
vicina all’edificio del MONASTERI NOVALICI, dove viene accettato (ONO/////[] 


) C ed H in nesso. 

) V ed A in nesso. 

) La E inclusa nella C. 
) AN in nesso. 


Serie II. Tom. XLIV. 


ui 
Ur 


274 CARLO CIPOLLA 


GE[NI]TVS/////, DIGNAD//[[{ SVSCIPE[RE] GRADIENS LVCI). Nella quarta vela, 
ecco FR///// ELDRADVS, che DOMNus ANBLVLFus ABS veste dell’abito monastico, 
siccome apprendiamo dal fresco e dall’epigrafe: ACCIPE ABITVM «<$ BENEDICTI 
CORDE (1) BENIGNO. Una parete laterale ritrae il miracolo dei serpenti che 
<G ELDRADVS manda lungi dal monastero e fa ritirare sotto le pietre del suolo: 
IMPERAT HIS SCS MERITO CLAVDANTVE IN ANTRO. Sulla parete di fronte 
rappresentasi il momento in cui ‘S5 ELDRADVS, giacente sul letto, appoggiata la 
testa sopra un sasso, che gli serve di guanciale, riceve la Comunione. Dinanzi a lui 
stanno due FRS CONTRISTATI (2), dei quali uno lo comunica e l’altro piange. 
Poco ormai si può rilevare dalla leggenda: SPIRANTE (3) VIILILILNI Quod ///N AEK- 
THERE (4) ///{{/[VS. Questa leggenda fu pur troppo rifatta dallo sciagurato restau- 
ratore, il quale alterò liberamente quanto non intendeva. 

Le lettere sono in carattere rustico, con mescolanza di lettere onciali. Tuttavia 
si presentano anche le forme gotiche, di cui qualche traccia è dato rilevare in alcune 
lettere. Quantunque si debba confessare che l’opera del restauratore fu tale da im- 
pedirci di apprezzare pienamente il lavoro originario, tuttavia tanto ancora rimane 
dell’antica scrittura, da levarci dal pericolo di un giudizio completamente infondato. 
In più casi, i nomi sono scritti colle lettere disposte a colonna. Il nome di S. Eldrado 
è di sovente scritto così: 


Come abbiamo veduto, sopra una fronte dell’arca argentea del santo, che, se- 
condo una tradizione, trovavasi nella cappella di S. Eldrado subito prima del suo 
trasporto alla chiesa parrocchiale, le lettere sono disposte a colonna, ma accoppiate: 


$ 
AL 


DR 
AD’ 
AB 
AS 


Nelle leggende dell’arca esse sono gotiche del primo periodo. Negli affreschi 
ritraggono assai più delle forme romane; ma non azzarderei asserire che ci possa 
essere molta differenza di età fra le due opere d’arte. Esse rappresentano il mede- 
simo periodo nella vita dell'abbazia. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, EUC. 275 


A pochi passi di là dalla cappella di S. Eldrado, allarga perciò i suoi rami un’anti- 
chissima quercia, che quei del sito rannodano al ricordo di S. Eldrado, e la chiamano 
la quercia millenaria (1). 

Quest’abbazia, come tante altre istituzioni benedettine, costituì un faro di civiltà 
in tempi di barbarie e di tenebrìa, barbarie non così grande, e tenebrìa non così 
fitta di certo come favoleggiarono alcuni romanzieri della storia, ma pur sempre 
barbarie e tenebrìa. La leggenda letteraria, che nel Chronicon e in alcuni documenti 
di quell'età, trasformò in Novalux il nome della Novalesa, non può dirsi errata del 
tutto; e se il filologo la respinge, lo storico deve tenerne conto. 

Con un senso di rispetto si ascende quell’erta, che ci trasporta all’età dei Longo- 
bardi e di Carlomagno, e i nomi de’ suoi antichi abati risvegliano nella mente del- 
l’attento visitatore, memorie di cose venerande. Compiangiamo, come sventura di 
ieri, la incursione dei Saraceni, e la fuga dei monaci, la cui gelosa cura non bastò 
ad impedire la dispersione di gran parte della biblioteca monastica. 

Cacciati i Saraceni dall'Italia e dalla Provenza, i monaci benedettini rioccuparono 
il loro posto, raccolsero affettuosamente quanto era sopravanzato alla sciagura, e 
ricomposero una biblioteca, che poi l’età e le molteplici vicende che accompagnarono 
la decadenza e la morte dell’abbazia, nuovamente dispersero. Salendo quell’erta, pen- 
siamo ai viandanti che, mentre le strade mancavano di sicurezza, in quell’abbazia e 
nell’ospizio cercavano pace e soccorso. Se pur anche non tutte le memorie fossero 
liete, belle e lodevoli, non possiamo a meno di contemplare con venerazione e con 
gratitudine i ruderi, che ci parlano di una così splendida grandezza passata. 

La serie degli abati, cui fecero seguito i priori, e poi nuovamente gli abati, 
si può ricostruire con sufficiente esattezza, perchè le fonti non sono molto scarse, e 
perchè altri diedero opera a questo lavoro e spianarono la via alle ricerche presenti. 
Le fonti prime le abbiamo in quanto rimane dell'archivio abbaziale, cioè in 
69 buste conservate all'Archivio di Stato di Torino (AS), e in 7 buste esistenti presso 
l'Archivio dell’Economato Generale de’ benefici vacanti nella stessa città (Arch. Econ.). 
Pergamene originali, documenti in copia, concessioni enfiteutiche, libri di conti, ecco 
il materiale di cui possiamo disporre. 

I lavori di egregi eruditi possono giovarci assai, non solo perchè essi ci sono 
guida autorevole, ma anche perchè ci forniscono documenti forse ora perduti o nascosti. 

Filiberto Pingone (2) parla della Novalesa, citandone alcuni antichi documenti. 
Ma ben si sa che delle opere del Pingone bisogna far uso con molto riguardo, poichè 
non è poi scrupolosissimo nella citazione e nell'uso dei documenti (3). 

Per quanto io abbia finora trovato, il primo catalogo degli abati della Novalesa, 
è quello compilato dal celebre mons. Francesco Agostino Della Chiesa. Egli ce lo 


(1) Vuolsi citar qui una bella pubblicazione del compianto comm. G. ParaTo. È un albo di litografie 
col titolo “ Novalesa, villa del Collegio Nazionale Umberto I ,, Torino, 1890, lit. Doyen. Si compone 
di sedici tavole, le quali ci dànno varie vedute dell’ antica abbazia, prese in diverse posizioni, il 
chiostro, la cappella di S. Eldrado colla quercia millenaria, la chiesa abaziale e qualcuno dei quadri, 
che la decorano. 

(2) Augusta Taurinorum, Taurini, 1577. 

(3) Veggasi ora a tale riguardo F. RonpoLino, Il miracolo del Sacramento, Torino, 1894, p. 54. 


276 CARLO CIPOLLA 


diede nella sua ms. Descrizione del Piemonte. nonchè in un’opera a stampa (1). Della 
prima, usufruii due copie, l’una (sec. XVII) nella Biblioteca di S. M. il Re (2), e 
l’altra (sec. XVIII) nella raccolta Bosio, presso il Collegio degli Artigianelli di Torino. 
Abbiamo adunque tre elenchi, i quali sono l'uno molto simile all’ altro, ma pur 
qualche differenza li discrepa. Il testo a stampa e l’esemplare della Descrizione con- 
servato alla Biblioteca di S. M. giungono al 1640. L'altro catalogo fu continuato 
sino al 1770. 

Di poco posteriore al libro a stampa del Della Chiesa è quello del sacerdote 
I. L. Rochez (8), il quale se ne giovò. Il Rochez si arresta assai presto; il suo cata- 
logo, non condotto con piena diligenza, rimane di non molta importanza. 

Non vuol essere trascurato il diligente studio del p, Marc Antonio Carretto (4), che 
sul cadere di quel secolo in cui lavorarono il Della Chiesa e il Rochez, stese la “ serie , 
degli abati Novaliciensi, approfittando largamente e giudiziosamente dei documenti 
archivistici, e prolungolla sino ai giorni suoi; venne cioè sino al reggimento del- 
l'abate G. B. Isnardi, che prese possesso dell'abbazia nel 1685. 

Don Francesco Borgarelli, eremita camaldolese dell’ Eremo di Torino, ora è 
incirea un secolo, si occupava delle abbazie piemontesi. Il suo ms., pervenuto in 
mano del can. Antonio Bosio, ebbe da lui qualche aggiunta. Adesso esso si trova 
presso l’Istituto degli Artigianelli di Torino (5). Il Borgarelli si occupò anche della 
Novalesa, stendendo un catalogo dei suoi abati, nel capitolo “ De Abbatia S. Petri 
de Noualisio eiusque abbatibus, ad Montis Cinisii radices ,. Quantunque egli si giovi 


(1) S.A. E. Cardinalium, Archiepiscop., Episcop. et Abbatum Pedem. Regionis Chronologica historia, 
Aug. Taur., 1645. 

(2) L’esemplare della Descrizione esistente nella biblioteca di S. M. (in 5 voll.) è in massima 
parte autografo; ma non è peraltro autografo il volume che a noi ora interessa. 

(3) La gloire de l’Abbaye et vallée de la Novalese, Chambéry, 1670. — Per i primi abati giovano 
anche le ricerche del p. Le Come (Ann. ecelest. Francor., VI, 420, e altrove), quantunque egli accet- 
tasse le leggende sull’antichissima origine del monastero. Ma con qualche ottima osservazione aperse 
altrui la strada. 

(4) Nel frontispizio della Vita e miracoli di S. Eldrado, il p. Carretto promette di compiere 
l’opera sua “ con la serie degli abbati, le di cui vite descrivonsi brevemente, privilegj et antica 
Cronica del medemo, illustrata con notationi historiche ,. 1l volumetto, stampato a Torino nel 16983, 
è dedicato all’abate G. B, Isnardi di Caraglio. Quell’opera contiene infatti, oltre la vita del santo, 
anche la biografia degli abati, ma in tutti gli esemplari che ho potuto vedere, si chiude brusca- 
mente a p. 114, portando al basso della medesima il richiamo alla pagina successiva. Le biografie 
sono finite, compiendosi con quella dell’Isnardi, ma difettano i privilegi e la cronaca. De’ privilegi 
non so nulla; quanto alla cronaca, il manoscritto preparato dal Carretto per la stampa ci è perve- 
nuto, in autografo, e trovasi in un volume miscellaneo (Miscellanea patria, XII, n. 7-8) della biblioteca 
di S. Maestà in Torino. È la trascrizione del codice originale, con qualche nota storica. Per l’edizione 
della Cronaca esso non può avere una reale importanza, poichè riproduce la pergamena nello stato 
attuale, con ommissione anche di certi passi di difficile lettura. Questa trascrizione è accompa- 
gnata da qualche rara nota esplicativa, e chiudesi colla lettera dedicatoria all’Isnardi (26 nov. 1693), 
che trovasi (con leggerissime modificazioni) stampata in testa all’opuscolo succitato, — Trovandosi 
questa trascrizione del Chronicon in una miscellanea del Salvai, si spiega come questi l’abbia poi 
di sua mano copiata, in un colla lettera del Carretto, nel suo volume miscellaneo Cromniche delle 
città d'Asti, Cuneo e Novalesa, vol. II, f. 337 sgg. (ms. nell’Arch. di Stato di Torino). 

(5) Debbo molta riconoscenza al sig. Giuseppe Revelli, giovane studiosissimo della storia pie- 
montese, il quale con isquisita cortesia, mi indicò sia questo ms., sia la copia del Della Chiesa, che 
citai testè come esistente nella biblioteca degli Artigianelli, da lui diligentemente ispezionata. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 277 


assai del lavoro di mons, Della Chiesa, tuttavia non può dirsi che si accontenti di 
copiarlo; sicchè avremo occasione di citare il Borgarelli, come una fonte degna di 
considerazione. Giunge sino al 1770 (1), e cioè fino all’anno al quale arriva una delle 
copie del ms. Della Chiesa; nè tale coincidenza sarà casuale. 


ABBATES 


di 


726 genn. 30. Godo. 


Atto di fondazione fatto da Abbone, — Chron,, I, 2; IV, 18. — Liber San- 
gallensis, presso P. Preer, Libri Confraternitatum, p. 166, col, 40, n, 9. 


2. 


739 maggio 5. Abbo. 


Testamento di Abbone. — Chron., IV, 18. 


d. 
Joseph. 
Chron., IV, 18. 
4. 
Ingellelmus. 
Chron., IV, 18. 
Ò. 
$ marzo 22. Gislaldus 


Chron., IV, 18. — La data della morte risulta dal Necrol. S. Andreae in MGH,, 
Script., VII, 131. i 


6. 
— 760-2(?)-70 — { 10 maggio. Asinarius. 


Concilio Attiniacense del 760-2 (MGH., Leges, I, 29-30, coll’a. 765. — MG. 
A. Borertus, Capîitul. regum Francor., I, 221-2, con: 760-2). — Diplomi di Carlo- 


(1) Il Bosro aggiunse in calce al volume una serie degli abati e priori (sino al 1640), ma è una 
serie data in forma affatto sommaria e certo di niun rilievo. 


278 CARLO CIPOLLA 


manno, ott. 769 (Min. 117) e del 26 febbr. 770 (MiHntB. 124). — La data emor- 
tuale risulta dai Necrologi di S. Andrea e della Novalesa (MGH., Script., VII, 13). 
— Chron., I, 11; IN, 2.4; IV, 18. 


Witgarius episcopus. 


Chron., III, 4. 24; IV, 18. — Nonostante l'opinione del Bethmann è incerto 
se esso sia da identificarsi col vescovo Wilcharius di Sion, che prestò omaggio a 
Carlomagno nel dic. 771 (MiinrBacHER, 139 a), e di cui parla il DucHESsNE (Fastes 
épiscopaua, I, 239), il quale ricorda di lui, che fu abate di St. Maurice. RocHEZ lo 
identifica invece con Willicarius arcivescovo di Vienna, del che dubitò il CARRETTO; 
BorearELLI ne fa un vescovo di Maurienne, ma nella serie dei vescovi di questa 
città finora manca un tal nome. 


Officiali del Monastero. 


Richarius praepositus. 


Warnarius decanus. 


Chron., 1. e. 
8. 
— 173-814 (9) — Frodoenus, Frodoinus. 
Ordinato il 10 febbraio....., Chron., INI, c. 19. — Diploma di Carlomagno, 


25 marzo 773 (MinrBacHER 153) — altro diploma di Carlomagno, 23 maggio 779 
(Chron., App. 1, MitniLBAcHER 216) — donazione di Teutcario, aprile 810 — diploma 
di Lodovico il Pio (agosto?) 814 (MùHrLBAcHER, 513) (1) — governò l'Abbazia 43 anni, 
Chron., IN, c. 19 — morì il 10 maggio....., Chron., II, c. 19. Necrol. Novalic. e 
di S. Andrea Torin., in MGH., Script., VII, 131 — ricordato nel Chron., III, 2-19. 
25; IV, 18 — ricordato nel Liber Sangallensis, ed. Piper, p. 166, col. 40, n. 5. — 
Nel placito dei missì diseurrentes Wiberto ed Ardoino (citato nel placito di Bosone, 
827, MP. Chart., I, 34) si cita pure Frodoino. Ora quel placito, fatto prima che 
Carlomagno fosse coronato imperatore, viene attribuito al 799 (cfr. KrAUSE, Gesch. 
des Instituts der missi dominici, in MIOG F., XI, 260, n. 20). 


(1) Nell’Archivio di Stato di Torino (Abb. Noval., busta II) conservasi un finto originale di questo 
diploma, contraffatto assai più tardo. Anche la sostanza stessa del diploma fu soggetta a dubbii, 
dei quali non importa parlare in questo luogo. Accettando le indagini del Muratori, G. T. TERRANEO 
(Tabularium Celto-Ligustie., vol. I, ad a.) e il MiinrBacHER (Reg. der Karol., 513) non lo credono in- 
teramente falso, malo hanno per interpolato. Forse è un documento migliore dell’apparenza. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 279 
9. 
Amblulfus, Amplulfus. 


Successore di Frodoino secondo il Chron., II, 24 e IV, 18. Forse il cronista 
trasportò qui per errore un abate, che visse invece sul cadere del secolo. 


10. 
Hugo. 
Successore di Amblulfo. — Dal Chron., III, 26 pare si possa dedurre che 
lungo fu il suo reggimento; ma quel luogo forse è infarcito d’errori. — Morì il 


13 giugno..... Necrol. di S. Andrea (MGH., Script., VII, 132), e Chron., III, 31. 


9A 
— 825-7 — S.Hildradus, Elderadus, Eldaeradus, Eldradus. 


Immediato successore di Ugo, Chron., III, 31 e IV, 18 — ricordato in un 
diploma di Lotario I, 14 febbr. 825 (MinrBacHER, 989), e nel placito di Bosone, 
maggio 827. Incerte sono le notizie biografiche date dalla postilla al Martirologio 
Adoniano e dalla vita, ma ne risulta che morì il 13 marzo, sotto Lodovico il Pio (1). 


ID) 
Bonifacius. 
Ricordato dal Chron., IV, 18. 
13. 
Richarius. 
Ricordato dal Ohron., IV, 18. 
14. 
— 8402-845 — Joseph episc. Yporediensis. 


Dal Chron., IV, 18. 20, pare che entrasse abate sotto Lodovico il Pio 
(+ 20 giugno 840) — ricordato nei diplomi di Lotario I, 13 giugno (MinLBAcHER, 1087) 
e 10 ottobre 845 (MinmrsacHER, 1089) — morì il 27 genn......, secondo i Necrol. 
Noval. e di S. Andrea. — Lo rammenta il Lider Sangallensis, p. 166, col. 39, n. 1. 


(1) Tanto secondo la vita di S. Eldrado, quanto secondo il Chron., IV, 20, Lodovico sarebbe 
figlio e non padre di Lotario. 


280 CARLO CIPOLLA 


15. 
Heirardus. 


Secondo il Ohron., IV, 18 successe a Richarius e precedette Joseph; ma dal 
c. 21 raffrontato col c. 20, pare che invece succedesse a Giuseppe vescovo d'Ivrea, 
e vivesse al tempo del conte Manfredo, che dicesi facesse nell’a. 875 una dona- 
zione a quell’abate, cui allude F. Pincone, Aug. Taur., p. 24, ma senza precisarne 
l’anno; d’onde Rochez, p. 126, e Carretto, p. 99-100, che attribuirono il documento 
predetto all’a. 875, solo perchè il Pingone ne fa precedere il sunto da una notizia 
riflettente detto anno. 


16. 
880. Amblulfus. 


Ricordato unicamente dal placito di Boderado, nov. 880. Se di questo placito 
non ci fosse pervenuto l’originale, ben saremmo tentati ia negarne l’autenticità, 
poichè la collocazione dell'abate Amblulfo a quest'epoca contraddice alla replicata 
testimonianza del Chronicon. 


17. 
Dotbertus. 


Ricordato nel Liber Sangall., p. 166, col. 40, n. 7; ma sulla sua epoca nulla 
sì sa, e non è neppur certo che fosse proprio “ abba , della Novalesa. 


ts, 
Conibertus. 


Chron., IV, 18, dove è dato quale successore di Giuseppe. 


19. 
Petrus. 
Chron., IV, 18. 
20. 
Garibertus. 
Chron., IV, 18. 
21. 


Georgius. 
Chron., IV, 18. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 281 
22. 
SAI Domnivertus. 


Donazione del march. Adalberto, 929 febbr. 28, MHP., Chart., I, 130 — fu 
abate per 41 anno, Chron., V, 2; cfr. IV, 18. 


Da 
— 1955(9)-972 — Belegrimmus. 


Commuta con Amalrico vescovo di Torino, DURANDI, Piemonte traspadano, 
p. 155 (1) — ricordato nella bolla 21 aprile 972 di papa Giovanni (XIII), JAFFÉ, 
2° ed., 3761 — fu abate per 19 anni, Chron., V, 7 — morì il 1° maggio 
condo i Necrol. Novalic. e di S. Andrea. 


24. 


Romaldus. 
Chron., IV, 18. 


Chron., IV, 18. 


Johannes. 


Usurpò per due anni l’abbazia, ma senza ottenere la consecrazione, Chron., V, 20. 
Il cronista lo trascura (IV, c. 18) nel catalogo. 


27. 
— 977? — 984-998, Guivertus, Gezo. 


Commutazione del 4 dic. 984 — diploma di Ottone III, 26 apr. 998 — Chrown., 
IV, 18; V, 2. — Secondo il Necrol. Noval. morì il 5 marzo, ma secondo il Necrol. 
di S. Andrea morì il 14 di quel mese. — DeLLa CHIESA, p. 201, ricorda un dono 
fatto a questo abate da certo Vido, dono cui allude, ma in modo assai indeter- 
minato, il Pingone (p. 28), a proposito d’una notizia concernente l’a. 987. 


(1) Seppure il documento ivi citato è autentico, del che finora nessuno trattò coll’ampiezza con- 
veniente. È un fatto, che di quel documento finora non si conosce nè l'originale, nè una copia antica 
qualsiasi. 


Serie Il. Tom. XLIV. 36 


282 CARLO CIPOLLA 


98. 
EA Gotefredus. 


Bolla di Benedetto (VIII), febbr. 1014, il cui originale si conserva nell'Archivio 
arcivescovile di Torino (1) — diploma di Corrado II, 1026; qui il nome dell’abate è 
storpiato in: Otofredus, ma un abate di tal nome non si trova in Chron., IV, 18. 
— Morì il 15 genn., Necrol. Novalic., o il 16 di quel mese, Necrol. S. Andrea, e, 
come avvertì Bethmann, ciò dev'essere accaduto nel 1027, poichè nella primavera 
di quest'anno ebbe l’abazia Odilone. 


1027 (marzo-aprile)-1031 — Odilo. 


Secondo il Chron., App., 5, fu fatto abate, in Roma, da Corrado I; locchè non 
può essere avvenuto che nei mesi di marzo e aprile 1027, poichè allora soltanto 


Corrado trovossi in Roma. — Commutazione 17 febbr. 1031. — Il Pincone (p. 31) 
pure trasporta al 1027 il principio del regime di Odilone. — Per il posto da lui 
occupato nella serie degli abati, cfr. OChron., IV, 18. — Fu contemporaneo ai 


vescovi Alberico (1010-1023) e Litigerio (1031-48) di Como e Adalrico di Asti 
(1008-34), cfr. GAms, Series episc., p. 787 e 812. 


30. 
ZAR, (LE Aldradus. 


Due commutazioni del 26 febbraio e del marzo 1043. Tenne l’abbazia per 
dieci anni, avendola avuta dal vescovo Litigerio, Chron., App. 8. — Sulla sua 
posizione nella serie: ivi, IV, 18. — Morì mentr’ era ancora vescovo di Como 
Litigerio (+ 1048), cfr. Chron., App. 8. 


SI. 


—-al048-1050:= Oddo, Otto. 


Diploma di Enrico HI, 19 apr. 1048, e offersione del 4 genn. 1050. — Morì 
il 10 genn., Necrol. S. Andrea, dopo aver rinunciato all'Abbazia, Chron., App. 11. 
Il cronista lo trascura nel catalogo IV, 18. 


(1) A spiegare la presenza di questo documento presso l'archivio arcivescovile, sarà opportuno 
notare, che, come esistenti in quell’archivio, citansi carte dell’abbazia di Breme; alcune di esse furono 
usufruite dal co. L. Provana, La donazione di Veutcario, in “ Miscellanea di storia ital. ,, XXIV, 260. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 283 


32. 
Benedictus. 
Morì il 20 genn., Necrol. Noval. — La sua posizione nella serie risulta dal 
Chron., IV, 18. 
33. 
Adregondus. 


Chron., IV, 18, dove è ricordato come “ trigesimus ,. Secondo il nostro cal- 
colo sarebbe il 34°, comprendendo nella serie anche il vescovo di Walcuno, sic- 
come fa il cronista. Il BeramanN lo contrassegna col n. 30, ma omette Walcuno, 
sicchè per lui Adregondo riesce in realtà il 31°. 


Z221)60-1093: — Adraldus, Eraudus. 


Privilegio di Nicolò II, 1060, presso Zaccaria, Abbazia di Leno, p. 105, dove è 
detto “ Adraldus Bremensis (abbas) , — diploma di Umberto (II) del 10 maggio 1093: 
«“ Eraudus abbas Bremetensis ,. — Dubito che s’inganni il BrrHmANN identificandolo 
con Adraldus ({ 1075) vescovo di Chartres (cfr. Gams, Series episc., p. 536). — 
RocHEz (pp. 135-6) distingue Adraldo da Eraudo. Di Adraldo o Aldrado fa ono- 

. revole menzione S. Pier Damiani, chiudendo la sua lettera alla duchessa Adelaide (1). 
Lo chiama: “ Aldradus Bremetensis rector coenobii ,. Questo passo era già stato 
rilevato dal Della Chiesa. Ad Euarnro Dr Levis (2) non era sfuggito che il me- 
desimo santo lodò Aldrado nella sua Vita S. Odilonis (3). — Quanto ad Eraudo 
del diploma di Umberto (II), osservo che esso ci è pervenuto in copia del sec. XIV, 
e che, quantunque sostanzialmente genuino, non è libero da ogni sospetto di in- 
terpolazione. Ciò posto, anche il nome di Eraudo potrebbe essere un’ alterazione 
da Adraldo. — L’abate Adraldo è ricordato nella notizia di un documento rias- 
sunto in fine al Martyrologium di Adone (cfr. i miei Appunti da un cod. del 
‘ Martyrologium Adonis’, Torino, 1894, p. 21). 


(1) Opera, III [Parisiis, 1663], p. 184. 
(2) Nei suoi mss. all'Archivio dell’Economato, Cron. Eccles., busta IL 
(3) Opera, II [Parisiis, 1663], p. 180. 


284. CARLO CIPOLLA 


PRIORES 


1: 
AV Petrus (de Rambald0?) 


La carta del 10 maggio 1093 che ricorda “ Eraudus abbas Bremetensis ,, 
menziona anche Petrus Noualisii prior ,, intorno alla cui elezione, nulla sappiamo. 
Anzi ci è sconosciuto il tempo in cui la Novalesa fu eretta in priorato, e potrebbe 
agevolmente supporsi che anche al tempo degli abati, ultimi ricordati, la Novalesa 
si fosse costituita in priorato, come pare che lascino intendere alcune parole del 
Chron., App. 9, dove si allude all’ esistenza di qualche priorato. — Il cognome 
de Rambaldo è dato dal Borgarelli, ma forse per una falsa identificazione coll’omo- 
nimo del 1162. — Per noi, ritrovato ora un priore della Novalesa, non segui- 
remo la serie degli Abati di Breme, quantunque sia certo che, per lungo tempo, 
essi esercitarono giurisdizione sulla Novalesa. 


Priorati suffraganei. 
Bruninus prior Coysie (= Coyse) (1). 
Carta citata del 10 maggio 1093. 
Aymerinus prior Corberie (= Corbières). 
Carta come sopra. 
3: 
— 10970) — Otto (?). 


Secondo il CARRETTO e il BoreaARELLI è ricordato dalle carte del monastero per 
il periodo 1097-1127, e fu il predecessore di Stefano. Questo è certamente ine- 
satto; è peraltro difficile stabilire se questo priore ci sia stato o se sia addirittura 
da espungerne il nome dalla serie. 


1097 (2) Wilielmus. 
Una carta del 1097 (?) ricorda ad un tempo “ Wilielmus Novaliciensis sive 


Bremensis abbas , (2), od anche “ Wilielmus prior Novaliciensis ,. 


(1) Secondo Rocazz, lib. 3, p. 1, il priorato di Coyse fu fondato nel 1036. 
(2) Costui deve identificarsi con Guglielmo abate di Breme ricordato nella Vita d. Heldradi, 
$ 28 (Acta Sanct., 13 marzo, vol. Il). 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 285 


4. 
7 Gisulfus. 


Carte 26 marzo e 24 maggio 1117, in Abb. Noval., b. II (Arch. di Stato). 


5. 
1128 Stephanus. 


Breve del 4 genn. 1128 in Abb. Noval., Il (AS) — offersione dell’anno 1128 
al medesimo, citata dal BoRGARELLI. 


6. 
1150 Bernardus. 


Lo citano il CARRETTO (p. 106) e il BorGARELLI. 


TE 
1151 Aribertus. 


Carta 14 maggio 1151, Abb. Noval., II (AS). 


8. 
1162 Petrus de Rambaldo. 


Carta 24 aprile 1162 in Abb. Nov., II (AS); Cron. eccles., II (Arch. dell’Econ.). 


9. 
1163 Amedeus. 


Carta 22 novembre 1163, in Abb. Noval., IL (AS). 


Officiuli del Monastero. 


Stephanus gastaldus, 
Come sopra. 


10. 
1170 Josephus. 


Enfiteusi del 1170 citata dal BorGARELLI. 


286 CARLO CIPOLLA 
IL 
La Amedeus. 


Jarta 31 maggio 1177, Abb. Noval., III (AS). 


12. 
— 1204-28 — Stephanus (de Scalis, nob. Sabaudus). 


Carta 4 nov. 1202 (inserto in docum. 29 luglio 1234); carta 13 luglio 1228, 
Abb. Noval., b. III (AS). — Il cognome e la patria ricavo dal CARRETTO e dal Bor- 
GARELLI. Il CARRETTO lo trovò menzionato in carte dal 1202 al 1228. 


Officiali det Monastero. 


Ubertus de Solario sacrista. 


Jacobus 5 


Il primo in carta 30 gennaio 1211; il secondo in carta 17 novembre 1223 
Abb. Nov., b. II (AS). 


Albricus elemosinarius. 


Carta 5 nov. 1202, Arch. Noval., b. III (AS). 


Villelmus de Salabertavio claviger. 


Carta 1° luglio 1224, Arch. Noval., b. III (AS). 


Priori suffraganei. 
Petrus decanus Hetoni (1), prepositus eccl. S. Marie de Pedemontiscenisii (2). 


Carta 5 nov. 1202, Arch. Noval., b. III (AS). 


Giraudus prior de Romolono (3). 


Carta 27 agosto 1222, Arch. Noval., b. HI (AS). 


Jacobus prior de Coisia. 


Carte 17 nov. 1223 — 13 luglio 1228, Abb. Noval., b. II (AS). 


(1) Ayton. 

(2) Mentre la Novalesa è alta circa 824 m. sul livello del mare, assai più elevato è l’Ospizio, 
che si trova proprio al Cenisio, a cavaliere del passo alla volta di Lanslebourg. 

(3) Rumilly, Haute Savoie. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 287 


Guigo prior Corberie. 


Carta 17 nov. 1223, Abb. Noval., b. III (AS). 


Thomas de Sabaudia prior Murete (= Le Muraz). 


Secondo il Carretto, p. 107. 


13. 
1229 (0)-1265 — Jacobus (de Scalis). 
Ricavo l’anno 1229 e il cognome dal BoreARrELLI. — Il mio primo documento 


col nome di questo priore è del giorno 8 maggio 1230, e di lì in poi si seguono, 
quasi senza interruzioni, i documenti che parlano di lui, ultimo fra i quali viene 
uno del 23 aprile 1265, Arch. Noval., b. III (AS). — In varii documenti, dal 14 
aprile 1235 fino a quello or ora citato del 23 aprile 1265, egli spesso si trova 
contraddistinto anche col titolo di “ abbas Secusie ,, o con altro equivalente. 


Officiali del Monastero. 
Richardus prior claustralis. 


Carta 29 marzo 1233, Abb. Noval. b. III (AS). — Il BorGARELLI pose fr. Riccardo 
in serie cogli altri priori, e questo non è esatto. Il CARRETTO (p. 109) non avver- 
tendo che costui era priore claustrale, suppose che Giacomo abbia per qualche 
tempo smessa l’autorità. 


Chabertus sacrista. 


Carta 29 marzo 1232, Abb. Noval., b. III (AS). 


Priori suffr'aganei. 
Rodulfus de Montemaiori prior de Corbeira. 


Carta 16 ott. 1257, Abb. Noval., b. III (AS). 


Simondus prepositus de Mota (= La Motte). 


Carta 29 marzo 1233, Abb. Noval., b. II (AS). 


Ricardus prior de Coisia. 


Carta senza data (audizione di testi), Abb. Noval., b. II — Forse è identico 
coll’omonimo, che, come vedemmo, fu prior claustralis del monastero. 


288 CARLO CIPOLLA 


14. 
— 1267-1273 — . Thopetus prior. 


CARRETTO e BorgARELLI lo ricordano come rettore dell'abbazia dal 1267 al 1273. 
— Carte 23 luglio e 13 dic. 1273, Abb. Noval., bh. III (AS). 


15. 
971900528 Amedeus. 


Carte 4 agosto 1277—23 aprile 1302, Abb. Noval., buste III, IV (AS). 


Officiati del Monastero. 
Thomas de Vech sacrista. 


Documento 2 agosto 1279, edito in App. II; carta 30 giugno 1295, Abb. 
Noval., b. IV (AS). 


Johannes cellelarius. 


Documento del 2- agosto 1279, loc. cit. 


Priori suffraganei. 
Villelmus de Montemaioris prior de Coysia. 


Documento del 2 agosto 1279, loc. cit. 


Johannes prepositus S. Marie de pede Montis Cenisii. 
Documento del 2 agosto 1279, loc. cit. 
Amedeus de Podioguelterio prior Corberie. 


Lo dà come vivo una carta del 25 luglio 1298, Abb. Noval., b. IV (AS). 


Amedeus Guinardi de Moletis. 


Sostituito al precedente, come apparisce da carta 25 novembre 1301, Abb. 
Noval., b. IV (AS). 


16. 


— ‘1303-1304 = Lantelmus, Antelmus. 


Carte 27 marzo 1303—15 giugno 1307, Abb. Noval., b. IV (AS). 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 289 


Officiali del Monastero. 
Thomas de Rubeomonte sacrista. 


Carte 28 agosto 1303—9 sett. 1306, Abb. Noval., b. IV (AS). 


Johannes de Montemaiori pidanciarius (1). 
Carte 28 agosto e 12 ott. 1303, loc. cit. 
Bertrandus elemosinarius. 


Carta 28 agosto 1303, loc. cit. 


Jacobus Justi cellelarius. 


Amedeus Ù 


Il primo nella carta 12 ott. 1303, e il secondo in quella del 16 giugno 1305, 
loc. cit. 
Priori suffraganei. 
Jacobus prepositus eccl. b. Marie de Pede Montis Cinisii. 


Carta 13 ott. 1303, Abb. Noval., b. IV (AS). 


Petrus prior Coysie. 


Carta 12 ott. 1303, Abb. Noval., b. IV (AS). 


Amedeus (Guinardi) de Moletis prior Corberie. 


Carte 14 giugno 1303—11 sett. 1306, Abb. Noval., buste IV e LXIV (AS). 


Bertrandus prior Murete. 


Carta 12 ott. 1303, Abb. Noval., b. IV (AS). 


Johannes prior Calocii. 
Carta 12 ott. 1303, loc. cit. 
Franciscus de Bardonisca prior Romoloni. 


Carte 28 agosto e 12 ott. 1303, loc. cit. 


(1) Cioè: pitanziere. 
Serie II. Tom. XLIV. 37 


290 CARLO CIPOLLA 


17 
— 1308-1316 — Guido Gersius. 


Carte 7 luglio 1308—25 aprile 1315, Abb. Noval., buste IV-V (AS). Il Carretto 
(p. 108) ne trovò memoria anche in carte 14 febbr. 1308 e 13 luglio 1316. 


Officiali del Monastero. 


Thomas de Rubeo Monte sacrista. 


Carte 24 agosto 1308—29 nov. 1311, Abb. Noval., b. IV (AS). 


Jacobus Justi pidanciarius. 


Carte 11 ott. 1308—27 nov. 1314, Abb. Noval., b. IV (AS). 


Amedeus Raimundi elemosinarius. 


Carte 19 agosto 1309—27 nov. 1314, Abb. Noval., b. IV (AS). 


Lantelmus Robe cellelarius. 
Maynfredus de Coconato, Id. 
Petrus de Monte Chabaudo, Id. 


Il primo in carta 24 agosto 1308, il secondo in carta 29 nov. 1311, il terzo 
in carta 27 nov. 1314, Abb. Noval., b. IV (AS). 


Priori suffraganei. 


Johannes de Monte Maiori prepositus eccl. b. Marie de Pede Montis Cinisii. 


Carte 24 agosto 1308—30 nov. 1312, Abb. Noval., b. IV (AS). 


Petrus prior Coysie. 


Carte 30 nov. 1312—27 nov. 1314, Abb. Noval., b. IV (AS). 


Amedeus Guinardi de Moletis prior Corberie. 


Carta 17 nov. 1312, Abb. Noval., b. IV (AS). 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 291 


Bertrandus prior Murete. 


Carta 27 nov. 1314, Abb. Noval., b. IV (AS). 


Franciscus de Bardonisca prior Romoloni (= Rumilly, Haute-Savoie). 


Carta 24 agosto 1308, Abb. Noval., b. IV (AS). 


18. 
6132 Johannes de Montemaiori. 


Carte 29 dic. 1316—12 nov. 1321, Abb. Noval., b. V (AS). 


Officiati del Monastero. 


Jacobus Justi de Secusia sacrista. 


Carte 29 dic. 1316—12 nov. 1321, Abb. Noval., bh. V (AS). 


Thomas de Vilario Saleti pidanciarius. 


Carte 29 dic. 1316—12 nov. 1321, Abb. Noval., b. V (AS). 


Amedeus Raymundi elemosinarius. 


Carte 29 dic. 1316- 12 nov. 1321, Abb. Noval., b. V (AS). 


Hugo de Riboto cellelarius. 


Carta 24 maggio 1317, Abb. Noval., bh. V (AS). 


Priori suffraganei. 
Jacobus de Scalis prepositus eccl. b. Marie de Pede Montis Cenisii. 
Carte 26 febbr. 1317—12 nov. 1321, Abb. Noval., b. V (AS). 

Petrus prior Coysie. 

Hugo de Riboto, Id. 


Il primo in carte 29 dic. 1316—6 febbr. 1317, Abb. Noval., b. V (AS), ed 
il secondo in carte 20 luglio 1319—12 nov. 1321, ibid. 


Amedeus prior Corberie. 


Carta dic. 1318, Abb. Noval., b. V (AS). 


292 CARLO CIPOLLA 


Bertrandus prior Murete. 


Carte 29 dic. 1316—12 nov. 1321, Abb. Noval., b. V (AS). 


Petrus de Monte Chabaudo prior Romoloni (= Rumilly, Haute-Savoie). 


Carte 29 dic. 1316—12 nov. 1321, Abb. Noval., b. V (AS). 


Lantelmus Robe prior de Bornay. 


Carte 29 dic. 1316—20 luglio 1319, Abb. Noval., b. V (AS). 


19. 
—1322- 26 ag. 1350. Lantelmus Gay de Berlandeto. 


Carte 22 febb. 1322—27 agosto 1350 (dov'è ricordata la sua morte accaduta 
il dì precedente), Abb. Noval., buste V-VI (AS). 


Officiali del Monastero. 
Jacobus Justi sacrista. 


Jacobus Marchiosi, Id. 


Guilielmus (Vilielmetus) Vetone, Id. 


Il primo in carte 4 luglio 1327-17 maggio 1332, Abb. Noval., b. V (AS); il 
secondo in carta 4 febbr. 1336 (Ivi), e il terzo in carte 7 maggio 1346—27 ag. 
1350 (Ivi, buste V—VI.. 


Thomas de Vilario Salecti pidanciarius. 


Manfredus de Cochonato (Quoquonato). 
Il primo in carte 4 luglio 1327—17 maggio 1332, Abb. Noval., b. V (AS), 
ed il secondo in carte 23 nov. 1346—27 agosto 1350, Ivi, buste V—VI (AS). 
Amedeus Raymondi elemosinarius. 


Amedeus de Spina a 
Il primo in carte 3 marzo 1330—17 maggio 1332, e il secondo in carta 
27 agosto 1350, Abb. Noval., b. V--VI (AS). 
Jacobus de Scalis camerarius. 


Johannes Robe a 


Il primo in carte 4 luglio 1327—3 marzo 1330 (qui è anche detto “ prior 
Coysie ,), e il secondo in carta 23 nov. 1346, Abb. Noval., b. V (A8). 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 293 


Priori suffraganei. 


Jacobus de Scalis prepositus eccl. b. Marie de Pede Montis Cinisii. 
Amedeus Raymundi prior eccl. È 3 3 x 
Hubertus Rufi prepositus eccl. ; È 4 3 


Il primo in carta 16 agosto 1323; il secondo in carta 4 febbr. 1336, e il terzo 
in carta 27 agosto 1350, Abb. Noval., buste V-VI (AS). 


Jacobus de Scalis (Scala) camerarius prior Coisie. 
In carte 3 marzo 1330—23 maggio 1337, Abb. Noval., buste V, LXIV (AS). 
Amedeus Guinardi de Moletis prior Corberie in vale Urteriorum, Maur. dioc. 
Lantelmus Robe prior ,. 


Il primo in carte 26 giugno e 5 dic. 1330, e il secondo in carte 17 maggio 
1332—4 febbr. 1336, Abb. Noval., b. V (AS). 


Bertrandus prior Murete. 


Carta 4 luglio 1327, Abb. Noval., b. V (AS). 


Philipus Gartini prior S. Petri de Bornay (= La Borney). 


Carta 3 marzo 1330—17 maggio 1332, Abb. Noval., b. V (AS). 


Petrus de Monte Chabaudo prior S. Petri de Riveta (= Rivalta). 


Carta 9 ott. 1340, Abb. Noval., b. V (AS). 


20. 
— 1350 ag. 27-1380 — Ruffinus Bartolomeus 
(già monaco di S. Giusto di Susa). 


Carte 27 agosto 1350 (elezione da parte dei monaci, confermata con bolla 
papale del 5 sett. appresso) —4 genn. 1380, Abb. Noval., buste VI-VII (AS). 


Officiali del Monastero. 


Villelmetus Vetone sacrista. 


Amedeus de Spina — 


Il primo in carte 25 genn. 1366 e 30 sett. 1368, e il secondo in carte 11 no- 
vembre 1371 e 14 dic. (?) 1373, Abb. Noval., b. VII (AS). 


Q94 CARLO CIPOLLA 


Vallerinus Vascus pidanciarius. 


Carte 22 febbr. e 1° aprile 1359, Ivi, b. VI 


Amedeus Puie elemosinarius. 


Carte 25 genn. 1366-30 sett. 1368, loc. cit., b. VIL. 


Bartholomeus cellelarivs. 


Carta 25 genn. 1366, loc. cit. 


Humbertus Ruffi camerarius. 


Carta 25 genn. 1366, loc. cit. 


Priori suffraganei. 
Anthonius de Serconibus prior Corberie. 


Carta 26 genn. 1366, loc. cit. 


r 


Hugo Gays prior Murete. 
Carta del 1367, loc. cit. 
21. 


— 1384-1397 — Matheus Gastaudius. 


Incerto è a riguardo di questo priore un atto del 25 nov. 1382; carte 
19 giugno 18584—9 agosto 1397, Abb. Noval., buste VII-VIII (A8). 


Officiali del Monastero. 
Henricus (Parpaglia?) de Ruvigliasco (= Revigliasco) sacrista. 
Carta 27 luglio 1388, Abb. Noval., b. VII (AS). 
Jacobus rector (della cappella degli Angeli alla Novalesa). 
Carta 27 marzo 1381, Ivi, b. LII (AS). 


22. 
— 1399-1452 — Vincentius Ascherius de Jalliono (1). 


Carte 12 febbr. 1399-12 dic. 1452, Abb. Noval., buste VIII-IX, LI (AS). — 
[dentici sono i dati estremi di cui parla il Carretto, p. 109. 


(1) Il Derta Caissa e il BoreareLLI sotto l’anno 1418, quasi si trattasse di un nuovo abbate, 
ricordano Giovanni Provana da Carignano, per dire che egli ospitò Martino V, di ritorno dal concilio 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 295 


Johannes Venardi de Rocha, vicarius domini prioris. 


Carte 25 ott. 1430—12 dic. 1452, Abb. Noval., b. IX (AS). 


Officiali del Monastero. 


Hugoninus Chapusii sacrista. 
Philippus Pasquerius , 


Anselmus Champerii , 


Il primo ricordasi in carte 12 febbr. 1399—20 aprile 1411, Abb. Noval., 
b. VIII; il secondo fu eletto il 14 ott. 1439, e lo ricordano ancora le carte 9 e 
10 dic. 1443; trovasi rammentato il terzo in carta 25 ott. 1450, Ivi, b. IX (48). 


Franciscus de Aprili pidanciarius. 
Guyonus de Villeta de Avilliana (?), Id. 


Stephanus de Bosco (camerarius et prepositus 
S. Marie Pede Montis Cenisii), Id. 


Jacobus Januarius de Bramano, Id. 


Il primo in carta 12 febbr. 1399; il secondo in carta 3 giugno 1412; il terzo 
in carta 4 febbr. 1428; il quarto in carte 10 dic. 1443 e 22 aprile 1466; Abb. 
Noval., VIII-X. 


Henrietus Parpalia de Ruvigliasco camerarius. 
Stephanus de Boscho ’ 


Philippus Pasquerius a 


Il primo in carte 12 febbr. 1399 e 20 aprile 1411; il secondo in carte 4 feb- 
braio 1428—29 aprile 1447; il terzo in carte 4 maggio 1447-8 genn. 1455, Abb. 
Noval., buste VIII-IX. 


di Costanza, che gli concesse di aggiungere al suo stemma una colonna. Ma il Provana non era di 
certo abbate in quel momento, poichè numerosi sono i documenti, che, seguendosi in serie non inter- 
rotta, ricordano Vincenzo di Giaglione dal 1399 al 1452. — In carta 13 giugno 1443 (busta IX) è detto 
che il monastero dipendeva direttamente dalla Santa Sede; cotale privilegio, che ora comincia « 
determinarsi in forma canonica, dovea avere evidentemente la sua radice nei diplomi imperiali, che 
costituivano il monastero indipendente così dai vescovi, come dalle autorità laiche, e special. 
“mente nel diploma falso di Carlomagno, siccome dirassi parlando dell'abate Filiberto Maurizio 
Provana (f 1684) — Addì 21 luglio 1451 (busta IX) il monastero Novaliciense protestò contro la 
decisione colla quale Giovanni Jogiero canonico, delegato apostolico, l'aveva unito al monastero di 
S. Michele della Chiusa. Quantunque l’esito di questo affare non sia esplicitamente spiegato, tut- 
tavia i fatti provano che la Novalesa vinse. 


296 CARLO CIPOLLA 
Priori suffraganei. 


Anselmus Champerii rector eccl. S. Stephani Noualic. 


Carta del dic. 1437, Abb. Noval., b. XVII (AS). 


Philippus Pasquerius prepositus et curatus Venalicij (1). 


Carta 12 dic. 1443, Abb. Noval., b. IX. 


Henrietus Parpaglia de Ruvigliasco prepositus eccl. 
S. Marie de Pede Montis Cinisii. 

Stephanus de Bosco, Id. 

Philippus Pasquerius de Feruzasco, Id. 


Il primo in carte 12 febbr. 1399 e 20 aprile 1411; il secondo in carte 12 feb- 
braio 1425—6 ott. 1439; il terzo in carte 4 maggio 1447—7 aprile 1455, Abb. Noval., 
buste VIII-IX (AS). 

23. 
— 1484-1457 — Ubertinus (Borellus) de Moncalerio 
(amministratore perpetuo della Novalesa). 

Carte 17 genn. 1434—22 dic. 1457, Abb. Noval., b. X (AS). Nella carta 
26 febbr. 1456 se ne dànno i titoli così: “ fr. Obertinus de Montecalerio Ord. 
Minorum, sacre theologie doctor et magister, confessorque et consilliarius illustris- 
simi principis. Sabaudie ducis, administratorque perpetuus incliti monasterii — ,. 
Il suo cognome risulta dal DeLLa CHirsa, dal CARRETTO e dal BorGARELLI; il CARRETTO 


asserisce d’averne trovato il nome sino al 15 genn. 1461, data di un documento, 
nel quale invece si legge di lui: “ olim administrator dieti monasterii ,, b. X (AS). 


24. 


L11459; = Bertolottus Tanterius 
(amministratore in sede vacante). 
Carta 1459, Abb. Noval., b. X (AS). 
25. 
— 1460-1 — Martinus Lo Franc, prepos. Lausannesis, protonot. apost. 
(amministratore del priorato Noval.). 


Carte 1460—5 maggio 1461, Abb. Noval., buste X, XIX (AS). — Il CARRETTO 
(p. 110) lo trovò menzionato nelle carte del Monastero dal 1459. 


(1) Venaus, a non molta lontananza dalla Novalesa, sulla strada verso Susa. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 297 


Officiali del Monastero. 


Anthonius Champerius de Antesio sacrista. 


Carta 24 giugno 1460, Abb. Noval., b. X (AS). 


Jacobus Januarius de Bramano pidanciarius. 


Carte 24 giugno 1460, 24 agosto 1462, Abb. Noval., b. X (AS). 


Priori suffraganei, 
Johannes de Gorzano, Susinus, curatus Novalicii. 


Carta 24 giugno 1460, Abb. Noval., b. X (AS). 


” 


Philippus Pasquerius de Sercuzasco, preposit. S. Mariae “ supra Noualitium 


Carta 24 giugno 1460, Abb. Noval., b. X (AS). 
26. 


— 1464-68 — Eusebius de Margario protonot. archidiac. Vercellensis 


(amministratore perpetuo) (1). 


Carte 17 febbr. 1464—26 marzo 1468, Abb. Noval., X (AS) (sarà bene avvertire 
che le carte in cui lo trovai ricordato sono, oltre alle due estreme, alcune dei 
giorni 5 dic. 1464, 12 giugno 1465, 28 febbr. 1467, 26 maggio 1468; Ivi, busta cit. 
Al tempo suo avvenne alla Novalesa la cattura di Galeazzo Maria Sforza, nel 1466, a 
proposito della quale P. MaGrsTRETTI (2) pubblicò una lettera, Vercelli, 19 marzo 1466, 
di Agostino Ritius (Rizzo), dalla quale risulta che in allora il monastero era 
“ subiecto e submisso al reverendo..... mio fratello messer Eusebio, residente già 
longo tempo in corte di Roma ,, che si facea rappresentare dal nipote Giustiniano. 


Officiali del Monastero. 


Eustachius Camperii sacrista. 
Anfermus Champerii 3 


Johannes de Gorzano , 


Il primo in carta 17 febbr. 1464; il secondo rinunciò il 5 dic. 1464, e il terzo 
fu eletto in quest’ultimo giorno, Abb. Noval., b. X (AS). 


(1) Attesta il BorgareLLi che “ reliquit aliquos libros manuscriptos ,, al monastero. 

(2) Galeazzo Maria Sforza prigione nella Novalesa (* Arch. st. lomb. ,, serie II, vol. VI, 796). 
Nulla per lo scopo nostro hanno i documenti su tale fatto prodotti dal prof. G. Fruippi, Il matrimonio 
di Bona di Savoia con Galeazzo Maria Sforza, Torino, 1890, pp. 25-7, e dal prof. F. Gagorto, Lo Stato 
Sabaudo, 1, 96-7. 


Serie Il. Tom. XLIV. 98 


298 CARLO CIPOLLA 
Jacobus Januarius de Bramano pidanciarius. 
Carte 12 agosto 1463—17 febbr. 1464. Abb. Noval., b. X (AS). 
Philipus Pascherius camerarius. 


Carta 17 febbr. 1464, Abb. Noval., b. X (AS). 


Priori suffraganei. 
Johannes de Gazano (Gorzano) curatus eccl. S. Stephani de Noualicio. 
Jacobus Januarius de Bramano, pidanciarius, curatus Noualicij. 


Il primo in carte 12 agosto 1463—17 febbr. 1464; Abb. Noval., b. X (AS); 
il secondo (chiamato anche rettore della cappella di santa Croce esistente “ in medio 
ecclesie magne sancti Petri dicti monasterii ,), in carta 22 aprile 1466, Abb. 
Noval., b. X (AS). 


Philippus Pascherius praepositus eccl. S. Mariae “ de Pedemontis cenixij ,. 


Guilelmus Gudedi (?) (praepositus eccl. S. Marie et Ospitalis de Pede- 
montiscinisii). 


Il primo in carte 12 agosto 1463—5 dic. 1464, Abb. Noval., b. X (AS); il 
secondo in documento del 1464, bh. XLV (AS). 


Dl. 
N48 Theodorus card. S. Theodori. 


Paolo II, con lettera del 1468 ai vescovi di Alessandria e di Maurienne, e 
all’arcidiacono di Torino, annunzia di avere data l'abbazia Novaliciense al predetto, 
Abb. Noval., bh. X (AS). — È costui il card. Teodoro Paleologo, intorno al quale 
veggasi Cracconio, Vitae pontif. et card., II (Romae, 1777), 1112. 


Petrus Feyditi vicarius generalis prioratus. 


Carta 16 sett. 1440—27 giugno 1475, Abb. Noval., b. X (AS). 


Jacobus Januarij pidaciarius. 


Carte 18 marzo 1471-27 giugno 1475, Abb. Noval., b. X (AS). 


Priori suffraganei. 


Johannes de Gorzano curatus Novalicij. 
Carta 27 giugno 1475, Abb. Noval., b. X (AS). 


Petrus Feyditi praeposit. eccl. S. Mariae de Pedemontis Cynezii. 
Carte 12 giugno 1469—27 giugno 1475, Abb. Noval., b. X (AS). 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO$DELLA NOVALES4A, ECC. 299 


COMMENDATARII (1). 


JE 


— 1479 — { 14 gem. 1592 Georgius de Provana ex dominis de Leyni. 


Carte 1479 (amministratore), 17 giugno 1480 (amministratore e commendatario 
perpetuo), 15 aprile 1496, Abb. Noval., buste XI, LII (AS); la data della morte 
risulta da un documento che pubblicai in La Bibliot. Noval., p. 12; lo stesso 
risulta dal Necrol. Noval., al giorno 14 gennaio. 


Petrus Feyditii, ex dominis Covaciarum, vicarius generalis. 


Dominicus de Calvis sacrista et vicarius. 


Il primo in carte 17 giugno 1480 e genn. 1493, Abb. SIMIL b. XI (AS), e il 
secondo in carta 13 febbr. 1496, Ivi. 
Officiali del Monastero. 


Dominicus de Calvis sacrista. 


Carta 13 febbr. 1496, Abb. Noval., b. XI (AS). 


Manuel de Malinguis (canonista, priore di Susa, conservatore apo- 


stolico dei beni e privilegi di S. Pietro della Novalesa). 


Carte 10 giugno 1486—1° marzo 1487, Abb. Noval., b. XI (AS). 


Priori suffraganei. 


Jacobinus Peyni curatus Novalitij. 


Carta genn. 1493, Abb. Noval., b. XI (AS). 


Petrus Feyditij preposit. ecclesie S. Marie de Pedemontiscenesij. 


Carte 17 giugno 1480 e genn. 1493, Abb. Noval., b. XI (AS). 


(1) Erano dapprima “ commendatarii , del priorato e non dell'abbazia; la quale fu restituita 


solo nel 1602. 


300 CARLO CIPOLLA 


2. 


— 1502-1519 — Andreas de Provana 
ex dominis de Leynì, protonot. apostol. 


Carta 11 giugno 1502, Abb. Noval., inventario in b. LXV (AS); 28 nov. 1519, 
Abb. Noval., b. XI (AS). — Il CarRETTO (p. 111) lo trovò ricordato sino al 
10 dic. 1517. L'iscrizione necrologica alla Cattedrale di Torino dice: ANDREAS: 


sE RIVS BEN E, 
DE : PROVANA © SE | AP ‘* PROTHO © DNS © NOVALICII | AC * ECCLIE 
Ca CVS Pea 
TAVR ‘: ARCHID ‘ ET © | CANO ‘ DVM ‘| FRAGILITATEM | HVANI ‘ GENERIS 


MEDITATVS | SE : MORTALE : COGITAT - | MONVMENTVZ ‘ VIVENS | SIBI : 
PARAVIT M'DXII. 


Johannes Nautermi vicarius et pidenciarius. 


Andreanus Conbosi vicarius. 


Il primo in carte 11 giugno 1502 (inventario cit.)—-4 marzo 1504, ed il se- 
condo in carta 13 dic. 1518, Abb. Noval., buste XII-XIII (AS). 


Officiali del Monastero. 


Dominicus de Calvis sacrista. 


Jeronimus Rugia si 


Il primo in carte 10 maggio 1503—26 luglio 1507, Abb. Noval., b. XII (AS), 
ed il secondo in carta 13 dic. 1518, Ivi. 


Petrus Maioris pidentiarius. 


Andreanus Conboti vicarius et pidenciarius. 


Il primo in carte 10 maggio 1503—26 luglio 1507, ed il secondo in carta 
13 dic. 1518, Ivi. 


Priori suffraganei. 
Petrus de Provana de Ciriaco prepositus eccl. S. Marie in Pedemontiscenixij. 


Carta 25 marzo 1505, Abb. Noval., b. XII (AS). 


d. 
— 1520 — Gaspar Provana e dominis de Leynì. 


Carta 19 nov. 1520 (riceve il giuramento di fedeltà da quei della Novalesa 
e di Venaus), Abb. Noval., b. XII (AS). 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 301 
Priori suffraganei. 


Bartholom. de Bayro prepositus eccl. S. Mariae Montiscenixij. 


Carte 1521-1525, Abb. Noval., buste XLI, XLV (AS). 


4. 


— 1527-1556 — Karolus de Provana, 
ex condominis de Leynì, archid. Taurin. 
Carte 3 genn. 1527, Abb. Noval., b. XXIII—21 maggio 1556, ivi, b. XL (AS). 


— Nel Necrol. Noval. la sua morte è registrata sotto il 9 marzo. Il Carretto afferma 
averne trovato il nome dal 1525, e ne ricorda il testamento del 1559. 


Adrianus Combet pidentiarius et vicarius generalis. 
Sebastianus Croti, vicarius monasteri]. 


Il primo in carta 5 genn. 1527, Abb. Noval., h. XII (AS), e il secondo in 
carte 12 ottobre 1546, b. XXIV e 1562, b. LIV (AS) (1). 


Priori suffraganei. 


Barthol. de Bayro, praepositus eccl. Montiscenisij. 
Stephanus Nigra de Castromonte, Id. 


Petrus de Provanis de Ciriaco, Id. 


Il primo in carte 1546 e 1560-2, Abb. Noval., buste XII, XLII (AS); il 
secondo in carte 30 nov. 1549 e 18 nov. 1553, b. XXV (AS), e il terzo in carta 
17 febbr. 1555, b. XII e 31 genn. 1562, b. XXVI (A8). 


5. 


— 1561-1599 — Gaspar Provana 
ex condominis de Leynì. 


Notazioni 1561-2, e carta 25 febbr. 1563, Abb. Noval., XXVI (AS), e 5 ot- 
tobre 1599, b. XXXIV. E vero il Carretto (p. 112) afferma averne rilevato il nome 


(1) Durante la guerra francese, il luogotenente francese Renato di Montejean, concesse il priorato 
a certo frà Gregorio Taddei da Moncalieri, che governolla (o piuttosto sgovernolla) sino al trattato 
del 1538; la notte del 21 luglio di quell’anno, come si vide officialmente privato di quel regime, 
tentò di rubare gli oggetti sacri, del che abbiamo parlato, dove facemmo discorso degli antichi 
inventarî delle reliquie abbaziali (cfr. Abb. Noval., b. LXVI, AS). 


302 CARLO CIPOLLA 


x 


già in carta 17 ott. 1556, ma è probabilmente un errore; egli poi non ne trovò 
ricordo che sino al 28 agosto 1596. 


Sebastianus Crottus (domo Pinerolio) vicarius. 


Philippus Cavalerus 


» 


Antonius Nigra (e Castromonte) 


” 


Antonius Serenus e Ripulis 


» 


Il primo in carte 15 febbr. 1562, b. XXVI, 6 nov. 1570, b. XI, e la sua 
morte seguì addì 11 maggio 1572 secondo il Necrol. Noval.; il secondo in 
carte 2 marzo 1575, b. XXVII, a 17 dic. 1589, b. XXXIII; il terzo in carta 20 nov. 
1593, XXXIV; e il quarto in carte 16 febbr. e 24 agosto 1594, Ivi (AS). 


Gaspar Provana prepositus monasterii (procuratore del priore omonimo). 


Carte 5 marzo 1584 e 20 genn. 1588, Abb. Noval., b. XXXII (AS). 


Priori suffraganei. 
Marcus Barberius curatus eccl. Novaliciensis. 


Carta 5 genn. 1565, Abb. Noval., b. XXVII (AS). 


ABBATES 


I 


1599 — + 25 luglio 1640 Antonius Provana 


archiep. Dyrrachii, et postea archiep. Taurin. 


A norma della bolla 9 giugno 1599 di Clemente VIII, il Provana giurò fedeltà 
alla S. S. quale abate della Novalesa, Abb. Noval., b. II (Arch. Econom.). Il 
Carretto (p. 112) ritarda l'avvenimento di Antonio Provana sino al 1601. — Morì il 
25 luglio 1640, CarRETTO, Vita e mirac. di S. Eldrado, p. 112. — Notizie biografiche 
intorno a questo prelato che fu prima (1623) arciv. di Durazzo, e poi di Torino, 
veggansi presso J.F.MEyRANESIUS, Pedemontium sacrum, ed A. Bosto, Il (Torino, 1863), 
588-90, dove pure è citata la bolla di nomina del 6 giugno 1599. Ivi non si manca 
di attribuire a questo Provana la reintegrazione della Novalesa nella dignità abaziale. 


Georgius Groppellus prepositus et vicarius monasterii. 


In carte 6 luglio 1628—20 maggio 1641, Abb. Noval., buste XI, XII, LI (AS); 
I (Arch. Econom.). 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 303 


Di 
1641-1684 — Philibertus Mauritius Provana ex dominis de Leynì. 


Urbano VII, 25 aprile 1641, dà al predetto la commenda della Novalesa 
Abb. Noval., b. II (Arch. Econ.); ricordasi sino al 17 maggio 1684, Abb. Noval., 
Deli (AS). Secondo il CARRETTO (p. 113) morì il 3 sett. 1684. — Con atto 30 gen- 
naio 1642 gli uomini della Novalesa e Venaus gli giurarono fedeltà, Abb. Noval., b.I 
(Arch. Econ.). — Con atto del 2 maggio 1672 Luigi de Aguino protonotario apo- 
stolico dell'una e dell’altra segnatura, referendario pontificio, ad istanza di F. M. 
Provana, a tenore del decreto di Carlo Magno “ sexta idus iunii 1573, e della 
conferma fattane da Sisto IV, 14 maggio 1472, dichiara che l’abbazia della Nova- 
lesa è immediatamente soggetta alla Santa Sede, Abb. Noval., b. I (Arch. Econ.). La 
diretta dipendenza dell'abbazia Novaliciense da Roma, per cui era nullius dioecesis, 
non toglieva che la si avesse a considerare geograficamente come spettante alla 
diocesi di Torino, come si era usato in antico. Diggià in una Bolla di Inno- 
cenzo (IV) del 2 luglio 1247), datata da Lione, si legge: “ ...priori et conventui 
sancti Petri de Noualesa ordinis sancti Benedieti Taurinensis diocesis ,. Similmente 
in altra Bolla del medesimo Papa, 10 genn. (1246), Abb. Noval., b. II (AS). 


Georgius Groppellus prepositus et vicarius. 


Carta 20 maggio 1641, Abb. Noval., b.I (Arch. Econ.). — Addì 13 genn. 1646, 
| l'abate Filiberto Maurizio Provana, pensando che l'abbazia “ fundata, vivente 
5. Benedetto ,, era stata in addietro abitata da uomini insigni anche per dottrina 
“come hoggidì anche di molti se ne conservano le memorie ,, e che ora non c’è 
ivi più che un monaco solo; considerando che Antonio Provana aveva ottenuto da 
Urbano VII il permesso di sostituire i Benedettini con altri religiosi, e avea 
trattato colla Religione Cartusiana (1), che poi si ritrasse, ora conchiude per la 
cessione dell'abbazia all'Ordine Cistercense, rappresentato dal P. Pietro Maria di 
S. Giuseppe de’ Balbiani, provinciale negli Stati di Savoia, Abb. Noval., b. LII (AS), 

e b. I (Arch. Econ.). 

A Roma, dinanzi alla S. Congregazione del Concilio, la questione si agitò lun- 
gamente, per istabilire i patti della cessione (in buona parte sono raccolti in Abb. 
Noval., b.I, Arch. Econ., e Abb. Noval., b. LII, AS); al che si riferisce una lettera 
(Roma, 17 aprile 1666) del card. A. Celsi. — Un atto del 15 ottobre 1665, Abb. 
Noval., b. LII (AS), contiene l'introduzione dei Padri della Congregazione Cistercense 
nel monastero Novaliciense. Ma risulta che i Cistercensi ne presero effettivamente 
possesso il 1° febbr. 1646 (CARRETTO, p. 113); da un documento citato dal RocHEz, 
La gloyre, p. 137, parrebbe peraltro che i Cistercensi fossero entrati nel mona- 
stero anche prima del 1665, poichè ne sarebbe stato eletto priore (claustrale), il 
10 maggio 1648, d. Bernardino da S. Giovanni Battista. 


(1) Si allude all'atto stipulato in Torino, 8 marzo 1637, 450. Noval., b. I (Arch. Econom.). 


304 CARLO CIPOLLA 


Officiali del Monastero. 
P. Antonius a S. Carlo cellelarius. 


Carta 12 nov. 1677, Abb. Noval., b. XLII (AS). 


Priori suffraganei. 
Andreas Provana prepositus (abbas) S. Mariae maioris Montiscenisii 


Carte del 1654—8 ott. 1675, Abb. Noval., buste XLIV, LVII (AS). 


3. 


1685—1728 — Johannes Baptista de Castillo de Caralio 


(elemosiniere di Madama Reale, Granmaestro dell’Ordine della SS. Annunziata). 


Innocenzo XII gli conferì l’Abbazia, 7 agosto 1685, dopo la morte di F. M. Pro- 
vana, Abb. Noval., b. XIV (AS). Ne prese possesso alla fine di quel mese, secondo 
quello che apprendiamo dal CARRETTO, p. 114. 


Franc. Antonius a S. Catterina prior (abbas claustralis). 
Joseph a S. Laurentio 5 3 5 
Augustinus a S. Johanne ; È 7 


Massetti o ) ” 


Il primo in carta 23 agosto 1687, Abb. Noval., b. X (AS); il secondo in carta 
2 luglio 1702 (Ivi, b. LII); il terzo in carta 14 sett. 1709 (Ivi, b. LXVI); il quarto 
in carta 19 marzo 1721 (Ivi, b. XV). 


Officiali del Monastero. 


Joseph a S. Anna subprior. 
Joh. Bapt. a S. Mauro cellelarius. 
Carolus Ant. a S. Malachia lector. 


Joh. Bapt. a S. Bernardo secretarius. 


In carta 23 agosto 1687, Abb. Noval., b. X (AS). 


Priori suffraganei. 


Eman. Amad. Duchi prepositus et abbas S. Marie Montiscenisii. 
Franc. Maria Ferrerus de Lauriana , 3 3 


Il primo in carta 8 giugno 1700, Abb. Noval., b. XLII (AS); altra carta; 
1700, Ivi, b. XLIX (48); il secondo in carta del 1717, Ivi, b. XLIX (AS). 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 305. 


4. 


1728-1751 Carolus Franciscus Badia. 


Nominato da re Vittorio Amedeo, gli prestò giuramento, 15 marzo 1728, Abb. 
Noval., b. XIV (AS), 7 maggio 1751, ib. b. II (A. Econ.). Il Borgarelli scrive di 
lui: “ C. F. Badia Anconitanus orator eximius, S. Nicolai praepositus et S. Marcelli 
de Parma abbas, artium liberalium in R. Atheneo praeses ,,. 


Priori suffraganei. 
Joseph Luca Pasini praepositus S. Mariae Montiscenisij. 


Carte del 1728, Abb. Noval., b. II (Arch. Econ.), — 1740, Abb. Noval., 
b. XLIX (AS). 


Antonius Galli praepositus S. Stephani Noualiciensis, + 13 martii 1729. 


JB. Chiaputius 3 ; n 


“ A die 17 mart. 1729 usque ad mensem ian. 1753 , (1). 


Ò. 
1757—1767 — Antonius Videt. 
Benedetto XIV, sopra elezione regia, lo promosse all'abbazia addì 15 nov. 
1757, ed il Videt ne prese possesso, il giorno 11 genn. 1758, Abb. Noval., v. II, Arch. 


Econ. — Morì il 21 aprile 1767, Ib. — Era di Annecy e confessore di Maria 
Antonia Ferdinanda infanta di Spagna e duchessa di Savoia, secondo che c’insegna 


il BOoRGARELLI (2). 
Prevosto suffraganeo. 
Jacobus Brayda Brun, praepos. S. Steph. Noualic. 


A mense februario 1753 usque ad initium iunii 1773 (3). 


1767-70 (Vacat). 


Constantius Sona abbas “ regularis ,. 


Carta 27 marzo 1768, Abb. Nov., bh. LII (AS). 


(1) Per ambedue cfr. il Liber Mortuorum, nell'Archivio della prevostura della Novalesa. 

(2) HrepoLyre Tavernier, Histoire de Samoèns 1767-92 (in “ Mém. et documents publiés par la 
Société savoisienne d’histoire et d’archéol. ,, XXXI, 192-3) pubblica un documento redatto a Torino, 
30 maggio 1764, e firmato “ A. Videl, abbé de la Novalaise ,; è chiaro che Videl sta per Videt. 

(8) Libri Mortuorum, nell'Archivio della prevostura della Novalesa. 


Serie II. Tom. XLIV. 


39 


306 CARLO CIPOLLA 


6. 
1770-1796 — Petrus Ant. Maria Sineo, domo Rodi. 


Su proposta (2 giugno 1770) di re Carlo Emanuele II, Clemente XIV nominò 
abate il Sineo, 13 luglio 1770; l’eletto giurò fedeltà al re, 11 agosto 1770, ed 
entrò in possesso, 14 agosto (Abb. Noval., b. II, Arch. Econ.). Il Sineo morì nel- 
l’agosto 1796, Ivi, b. II (A. Econ.). 


Officiali del Monastero. 


Augustinus Columba abbas (claustralis). 
Cauda, Id. 
Simondi, Id. 


Il primo in carte 20 giugno 1771, Abb. Noval., b. II, Arch. Econ.; il secondo 
è quello che accolse E. De Levis (Anecdota sacra, Aug. Taur., praef., p. xxrx) addì 
21 nov. 1778; il terzo viene ricordato in un’istanza dell'abate Antonio Marietti, 
1819, Abb. Noval., b. LXIII (AS), come ultimo abate claustrale. 


Priori suffraganei. 
Victor Amedeus Petiti abbas Montiscenisij. 


Carta 1787, Abb. Noval., b. XLIX (AS). Da una carta del 1816, Ivi, b. LVII, 
appare che egli fu l’ultimo possessore dell’Ospizio del Moncenisio, prima della calata 
dei Francesi. 


Hippolytus Serenus praepositus S. Steph. Noualic. 


A mense sept. 1773 usque ad 21 oct. 1806 (1). 


Da un'istanza diretta dall’ab. Antonio Marietti all’Economo Generale dei benefici 
vacanti di Torino nel 1819 (455. Noval., b. LXII, AS) apprendiamo che, anteriormente 
alla soppressione del monastero, i beni della Novalesa si dividevano in due parti, 
la maggiore delle quali, costituente l'abbazia regia col titolo dei santi Pietro ed Andrea, 
ebbe per ultimo possessore il Sineo; questi beni andarono venduti nel 1798 e nel 1803. 
L’altra parte era dei Cistercensi, il cui ultimo abate fu Alessandro Sismondi, e anche 
questi possessi furono in parte alienati. Con decreto 6 messidoro, anno X (25 febbr. 
1802) i Consoli della Repubblica francese (408. Nov., b. LXINI, AS) si preoccuparono 
della riorganizzazione dell’Ospizio, e perciò il 24 agosto 1804 (ivi, b. LXV) troviamo 


(1) Libri Mortuor., nella prevostura della Novalesa. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, EUC. 307 


l’abate Gebeti col titolo di abate del Moncenisio e della Novalesa. — Dalla citata 
istanza del Marietti ricavasi poi che Vittorio Emanuele I, con viglietto 30 apr. 1816, 
stabilì la restituzione della casa del Moncenisio e di quella della Novalesa; e della 
prima fu messo in possesso il Marietti, 10 maggio 1816 (b. LXIII); egli si occupò 
tosto a riparare i danni subìti dal monastero Novaliciense. 

Qualche anno dopo (30 luglio 1823 — 14 marzo 1824, 434. Nov., buste LI, LXITN, 
AS) incontriamo Stefano Chapuis abate dei Cassinesi, ai quali era stata affidata la 
Novalesa. Come sopra notammo, egli fece pur troppo restaurare (!) nel 1728 la cap- 
pella di S. Eldrado. Più tardi trovo ricordato (carta 30 luglio 1830, 42%. Nov., b. LII, AS) 
Gaetano Lamberti da Bari quale priore, amministratore e superiore del monastero. 
Negli anni successivi, 1832-4 (busta LII, AS), i Cassinesi erano retti dall’ab. Ignazio 
Rossi, e quindi (carta del 1835, b. LXV) da Prospero Cardone. Le carte Novaliciensi 
all'Archivio di Stato di Torino terminano (b. LXIX) col 1851. Pochi anni ancora e 
l’abbazia fu di nuovo soppressa. 

Le sorti dell’edificio abaziale furono quindi varie e basse, fino a che l'abate 
Giuseppe Parato, quale rettore del Collegio Nazionale Umberto I, comperò quello 
storico luogo, e, riapertane al culto la chiesa, ch’era stata rivolta ad uso profano, 
lo destinò a dilettevole e salubre villa dei collegiati. 


A 


APPENDICE 


Raccolgo sotto questa rubrica pochi documenti, destinati a servire di schiari- 
mento all’elenco degli abati. Chi abbia veduto le argute considerazioni del prof. T. 
von Sickel sulla testura originale del diploma di Lotario I, 825 in cui si parla 
dell’Ospizio di S. Maria del Moncenisio, può desiderare di conoscere che cosa le carte 
del monastero dicono sulla soggezione dell’Ospizio stesso all'Abbazia. Il nome del 
priore Giacomo, che fu insieme abate di Susa, avrà richiamato alla mente del lettore 
le guerre piemontesi del sec. XIII e la figura cavalleresca di Tommaso II di Savoia; 
è naturale la curiosità di sapere se le carte del monastero Novaliciense riflettano 
in qualche guisa quei fatti così rilevanti. Il fatto della dipendenza dei villaggi di 
‘ Venaus e di Novalesa dall’abbazia pone innanzi un problema gravissimo, quello della 
condizione delle plebi rurali nel medioevo; il fatto è di tanto maggior valore, in 
quanto che qui si tratta di una popolazione collocata in una valle elevatissima e 
lontana dai grossi centri della popolazione; non prometto con queste parole la trat- 
tazione, anche fatta in succinto, del grave problema, ma solo l’indicazione di un 
documento, che è un vero statuto e che quindi può servire assai per dilucidare un 
argomento così scabroso. Il movimento delle popolazioni rurali è più oscuro e forse 
anche più importante, sotto qualche rispetto, che quello delle cittadinanze. Si presume 
che i contadini siano stati non solo tardissimi a guadagnare i diritti civili, scioglien- 
dosi dalla soggezione feudale, ma sembra ch’essi non abbiano mai ottenuto un’orga- 
nizzazione comunale; questo può essere avvenuto in molti casi; non sempre tuttavia. 
Il vero è che sulla condizione delle plebi rurali scarseggiano assai i documenti, e 
più ancora scarseggiano i nostri studì. 


305 CARLO CIPOLLA 


La soggezione dell’Ospizio del Moncenisio alla Novalesa. 


Il monastero della Novalesa — lo si comprende dall’insieme del documento, che 
qui viene pubblicato — aspirava da lungo tempo a sottomettersi l’Ospizio de’ pel- 
legrini, fondato sul Moncenisio da Lodovico il Pio. Collo scopo appunto di dar so- 
stegno a tali pretese, deve essere stato alterato in più luoghi il diploma col quale 
l’imperatore Lotario I, 14 febbr. 825, concesse il monastero di S. Pietro di Pagno 
a quello della Novalesa, per risarcirlo dei patrimonia toltigli, per darli all’Ospizio 
predetto (1); i ritocchi mutavano invece il senso del documento, e gli facevano dire 
che il monastero Novaliciense era padrone dell’Ospizio. Gli argomenti paleografici non 
ci apprendono con precisione l’età in cui quel documento fu alterato. Trattasi di 
poche lettere, eseguite col proposito di imitare le antiche; e attraverso a forme alte- 
rate di lettere è arduo argomentare l’epoca in cui visse il contraffattore. Appare 
tuttavia fuori di dubbio che quelle alterazioni non sono molto antiche. Non è im- 
possibile anzi che tali ritocchi siano in correlazione col documento di obbedienza, 
4 nov. 1202, pervenutoci in doppio originale (2), e che qui trascrivo: 

“ (S. T.) anno dominice natiuitatis millesimo . CC . secundo . IH . nonas nouembris, 
Jnditione V, in presentia monacorum sancti petri noualicii, videlicet donus albricus 
elimoscinarius, donnus Ricardus, donnus petrus girodus et aymo de cabarico, Johannes 
de ulcio, Johannes de Suleno, pellerinus et amedeus ingigu et (3) bernardus de altauilla 
et martinus iacceptus. petrus decanus hetoni et preposcitus hospitale montis ciniscii 
et petrus gunterius et bernardus gunterius et amblardus fratres hospitale montisci- 
niscii fecerunt hobbedienciam domino (4) stefano priori ecclesie sancti petri noualicie 
cognoscendo quod domus montis cinisii (5) nullo medio pertinebat domui sancti 
petri noualicie et quod preposcitus montis ciniscii (6) et omnes stantes in dicta domo 
montis ciniscii (6) tenentur facere hobedienciam priori sancti petri noualicie et eius 
supcessoribus quandocumque voluerit. 

Actum est hoc in claustro sancti petri novalicie. Signa . #TT - +77 - #77 testium 
qui interfuerunt rogati andrea, gaustadus, martinus, cuntus, albertus, becterius (7), 
vubertus, martina. Ego girodus imperialis notarius interfui et rogatus scripsi ,. 

Questo documento, anche senza l'esame di altri atti, presenta tali caratteri, 
che facilmente siamo indotti a considerarlo come quello che serbi memoria del primo 


(1) L'ultima edizione di questo diploma devesi all’illustre Ta. von SickeL (Diplomi imperiali e 
reali delle cancellerie d’Italia, fasc. I, n. VI; Roma, 1898), il quale, per il primo giunse a scoprire 
ciò che si leggeva originariamente nei luoghi alterati, e così intese il significato genuino del 
documento. 

(2) Abb. della Novalesa, busta III Arch. di Stato di Torino. 

(3) Uno dei due originali ha: “ ingigu et ,, e l’altro “ guigo ,. 

(4) Ambedue gli originali: “ dno , che può anche sciogliersi in: “ donno ,. 

(5) L'altro originale: “ montiscenisii ,. 

(6) L'altro originale: “ montis ceniscii ,. 
(7) L’altro originale: “ beierius 


u 


”* 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 309 


atto con cui l’ospizio si sottopose al priorato Novaliciense. A comprovarlo potrà ser- 
vire la rinnovazione dell’obbedienza fatta il 3 giugno 1207, con formule alquanto 
diverse. 

“ (S. T.) Anno dominice natiuitatis, Millesimo . CC VII . die tertio. Jntrante iunio. 
Indictione decima. Coram testibus infrascriptis dns nicolaus de aygabella prepositus 
hospitale montis cenesii et petrus ganterius canonicus et Johanes de ualloria con- 
uersus eiusdem hospitale fecerunt hobedienciam donno stefano priore sancti petri 
noualicie cognoscendo quod omnes qui manebant in eadem domo montisciniscii de- 
bebant eidem priori obedire tamquam dnum et priorem. 

«“ Actum [est](1) hoc in claustro sancti petri novalicie Jnterfuerunt testes ro- 
gati petrus, Jabertus, Raymudus (sic) de sancte (sic) andrea, Johannes ysardus, 
stefanus pistor, vbertus martini. Ego Johannes notarius sacri palacii Jnterfui, hane 
cartam scripsi rogatus ,. 

A comprovare l’asserto che la dipendenza dell’ospizio della Novalesa non risale 
al di là del 1202 ha valore un altro documento di obbedienza, del 29 luglio 1234, 
il cui testo comincia: “ ..... Cum dns Jacobus prior noualiciensis monasteri}, in 
presentia conuentus noualitij, a dno Jacobo preposito montiscinisii. Jn presentia vil- 
lelmi de aprili, et villelmi Jordani. et villelmi de auillania. et villelmi presbiteri 
sancti euuasii cannonicorum montiscenisii. et fratris Martini, Requisiset quod ei fa- 
ceret obedientiam quam debebat domui noualetij. et quod faceret fieri a residentibus 
in domo montis cinisii, tam a canonicis, quam a conuersis sicut predecessores sui 
facere eidem domui consueuerunt. et hoc probauit per quatuor publica instrumenta. 
Jn primo instrumento continetur quod dns petrus decanus de etone (2) et prepositus 
ospitalis montiscinisii et petrus Gonterius. et bernardus Gonterius. et Amblardus 
fratres ospitalis montiscinisii. fecerunt obedientiam dno stephano priori sancti petri 


noualitie sicut continetur in eodem istrumento facto per manus Giraudi notarii, anno 


domini. M . CC. secundo . indicione . V ., pridie nonas nouembris.  Jn secundo instru- 
mento continetur quod dns Nicolaus prepositus ospitalis montiscinisii. et petrus 
Gonterus canonicus. et Johannes de valori conuersus similiter fecerunt obedientiam 
dno priori predicto. ut continetur in publico instrumento facto per manus Johannis 
notarii, anno domini Millesimo . CC . septimo, indicione septima, die tercio JIntrante 
Junio — ,. Ricordati questi atti di obbedienza, quei di Moncenisio la prestano nuova- 
mente, e proprio “ secundum formam et tenorem instrumentorum predictorum ,; 
avviene tutto ciò, “ sopitis super eadem obedientia questionibus habitis inter eos, 
videlicet inter dictum prepositum et dictum priorem Jacobum et dictos cannonicos — ,. 
Questo documento, del 1234, fu rogato “ in claustro sancti petri noualetii ,. 

Amedeo (IV) di Savoia nel diploma di conferma conceduto, 22 giugno 1233, al 
monastero della Novalesa, nomina espressamente la “ fontem uarciniscam montis 
cinisii, cum domo helimosinaria eiusdem montis , (3). 


(1) Qui la pergamena è forata. 

(2) Ayton. 

(3) Di tale documento esiste l'originale (450. della Novalesa, busta III; Arch. di Stato). Il sigillo 
andò perduto, ma si conservò in parte la cordula serica, che lo sosteneva. Porta sul verso il regesto di 
mano dell’Allavard, colla firma: “ Andreas de prouana prior de anno 15..... ,,. Anche la firma è natu- 
ralmente di mano dell’Allavard. 


310 CARLO CIPOLLA 


Intermedio fra i documenti ora comunicati, è uno del 1211, di cui adesso ren- 
derò conto, affinchè meglio si vegga come avvenne che il monastero Novaliciense 
riportasse finale vittoria, nella lunga lotta da esso sostenuta contro l’Ospizio. 

Si può per verità considerare siccome un epilogo di quanto risulta dai riferiti 
documenti, il fatto accennato da un rogito del giovedì 30 dicembre 1211. Quivi 
“ donnus stefanus prior , e gli altri monaci del monastero Novaliciense “ fecerunt 
obedienciam donno Raymondo Berengario abbat[i mJon[|a]s[teri]j Bremetensis. et 
promisserunt ei nomine ipsius monasterij de Noualicio esse ohedientes suprascripto 
abbati et eius succ|essorib]us secundum Deum et Regolam beati Benedicti, promit- 
tentes dicti prior et fratres supradicti, quod non venient nec erunt contra libertatem 
dni abbati[s] et abbacie bremeten., et ibi presentes dictus prior et monaci supradicti 
a parte ipsius monasteri} receperunt fratrem Rycardum celerarium sancte Marie de 
Monsenesio et dominum Guillelmum capellanum et Anbrandum fratrem ipsius sancte 
Marie et Jacobum fratrem illius ecclesie in fraternitate<m> et societate bonorum 
tam spiritualium quam temporalium predicti Monasteri} Noualiciensis . .. ,. 

Ora mi resta a considerare una obbiezione. Il più antico privilegio originale che 
attribuisca all'abbazia della Novalesa l’ospizio di S. Maria di Moncenisio è quello 
del conte Tommaso di Maurienne (Savoia) del 19 giugno 1204, nel quale si legge: 
“ confirmamus etiam totam Novaliciensem vallem... usque ad fontem Varciniscam 
Montiscinisii cum domo helemosinaria eiusdem montis ,, e di questo diploma con- 
servasi tuttora l'originale (1). Nel diploma, senza dubbio falso, di Adelaide, 16 luglio 
1039, del quale esiste il pseudoriginale (2), cotale frase, proprio in questa stessa 
forma, non si trova, ma pur vi si leggono le parole “ usque ad fontem Varcinescam ,, 
senza ciò che fa seguito. Ma il cenno sulla casa ospitaliera, c'è pure in quel docu- 
mento e precisamente alcune linee prima. 

Nel diploma del conte Umberto (II) di Maurienne (Savoia), 10 maggio 1093, la 
frase c'è, e ad un modo come nel diploma di Tommaso. Ma del diploma del 1093, 
che viene esplicitamente confermato in quello del 1204, non abbiamo che una copia 
del sec. XIV (3), e quindi non possiamo sapere se contenga qualche interpolazione. 
È ad ogni modo lecito il sospetto. E se il sospetto si potesse cambiare in certezza 
avremmo una prova di più per avvicinare al sec. XI la soggezione dell’Ospizio alla 
Novalesa. Sarebbe il tempo al quale accennano i documenti autentici, e in cui fu 
alterato il diploma di Lotario dell’anno 825 e fu scritto il falso originale di Adelaide. 


(1) Abb. della Novalesa, parte non ordinata, busta LXIV. Arch. di Stato di Torino. 

(2) Ivi, busta II. 

(3) È quella usufruita anche da Prerro Darra (MHP., Ch. I, 709), e si trova nella busta II, Abbazia 
della Novalesa, nell’Arch. di Stato di Torino. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 311 


II. 
La prigionia dell'abate di Susa. 


Fra i più curiosi episodi della storia delle guerre piemontesi verso la metà del 
sec. XIII noverasi la prigionia di Tommaso II di Savoia. Condotto ad Asti, quel 
principe, se volle ricuperare la sua libertà, dovette accondiscendere ad alcuni deter- 
minati patti, e rilasciare in ostaggio i suoi due figli maggiori, Tommaso II ed 
Amedeo V, nonchè Giacomo abate di Susa. Di tali fatti si occuparono recentemente 
il prof. Carlo Merkel (1) e il conte Gerbaix de Sonnaz (2). Sopra questo aneddoto 
posso qui comunicare qualche nuovo documento (3). 

Giacomo, come vedemmo, era anche abate di Novalesa, e si occupava pure di 
questo monastero. Sicchè in un documento, rogato il 16 ottobre 1257 “ in claustro 
sancti Petri de Noualicio ,, incontriamo “ dns Radulfus de Monte maiori prior de 
Corberia et procurator et rector domus Noualicii ,. Egli vi fa una concessione di 
beneficio. Sostituisce naturalmente il priore assente a forza. 

Ma il priore di Corbières presto morì. Di qui si spiega il seguente documento: 

«“ (S. T.) Anno domini . M.cc. quinquagesimo nono. Jndicione secunda, die lune 
ultimo mensis marcii. iacobus dei gratia abbas Secuxie. Dilecto suo Aymo humili 
monaco salutem in domino. De eo quod intellesimus quod prior Corberie decessit, 
doluimus et ultra quam posset exprimi litteris condolemus. Quare prioratum Romo- 
loni in beneficium tibi duximus assignandum, te sicut possumus admonendo quatinus 
res et negocia dicti prioratus sic ger|e|re studeas et tractare, quod a nobis quando 
fuerimus a carceribus liberati possis non inmerito comendari. de negociis uero prio- 
ratus de noualiciis taliter prouidere procures quod tibi possem grates copiosas re- 
ferre. et cum monacis et omnibus aliis amicis tuis debeas pacifice permanere. et 
inde michi notario infrascripto fieri iussit publicum instrumentum. Actum |[e]st in 
domo dni Raymundi pellete (4). Testes interfuerunt obertinus de sancto iuliano. 
thomas de sancto iohanne et Guillelmus pelleta (5). Et ego berardus de casalupa 
notarius palatii interfui et sic scripsi ,. 

L’abate di Susa non dimenticò coloro che gli addolcirono la prigionia. Lo prova 
il seguente atto del 12 luglio 1259, che riferisco per disteso, anche perchè esso può 
aver valore come documento di diritto canonico. Trattasi di un beneficio concesso 
ad un chierico, ancora in età minore, per il quale dunque dovette intervenire la 
promessa del padre. Abbastanza curiosa è anche la notizia che se ne ricava, giusta 
la quale l’abate aveva in Asti il suo medico personale. 


(1) IL Piemonte e Carlo I d'Angiò, in “ Mem. Accad. di Torino ,, serie IL vol. XL, 2, 87-8. 
(2) Studii storici sul contado di Savoia, II, 1, 350. Torino, 1893. 

(3) Da pergamene originali in Abb. della Novalesa, busta IMI. Arch. di Stato. 

(4) Ms.: pelle. 

(5) Ms.: pélla. 


212 CARLO CIPOLLA 


“ (S. T.) Anno domini Millesimo ducentesimo quinquagesimo nono Jnditione se- 
cunda. die sabbati XII intrante Julio. Jn presentia infrascriptorum testium. Dns 
Jacobus prior ecclesie sancti Petri de Noualisio ordinis sancti Benedicti Taurinensis 
diocesis. intuitu seruiciorum que dns Thomas stromenatus ciuis Astensis ac eius 
consanguinei et amici sibi maxime existenti in detentatione astensium pro obside 
occasione dni Thome de Sabaudia Comitis condam exhibuerant. et alias multipliciter 
sibi et monasterio de Noualisio exhibituri sperabantur. Volens Johannino clerico filio 
dieti dni Thome facere gratiam specialem, ipsi Johannino contulit in personale bene- 
ficium ecclesiam sancti Petri de Riueta (1), Taurinensis diocesis, iacentem in terri- 
torio Porciliarum, cum omnibus pertinenciis suis et iuribus. Tali modo quod dictus 
Johanninus de cetero dictam ecclesiam cum omnibus suis iuribus et pertinencijs debeat 
tenere et possidere tanquam rector ipsius ecclesie. et fructus rerum ad ipsam eccle- 
siam pertinencium percipere et habere. Jta tamen quod bona inmobilia ipsius ecclesie 
uel iura alienare uel deteriorare non debeat neque possit. set ea fideliter perquirere 
et ammissa recuperare debeat bona fide. Et hoc idem promisit dns Thomas pater 
eius facere et curare quousque Johanninus predictus erit in etate legittima. Et idem 
Johanninus promisit esse obediens dieto dno priori et eius catholicis successoribus 
et monasterio de Noualisio de dicta ecclesia. sicut debet esse clericus . beneficiatus 
in beneficio personali. Et qui dns prior predictus, ipsum Johanninum de ipsa ecclesia 
sancti Petri de Riueta per quoddam lignum inuestiuit. Et inde iussa sunt duo Jn- 
strumenta vnius tenoris. quorum hoc est ipsius dni Jacobi Prioris predicti. seu Con- 
uentus et Monachorum ecelesie saneti Petri de noualisio. Actum Ast in turri pel- 
letarum ad dom. Interfuerunt testes rogati. Magister Petrus Phisicus (2) abbatis 
Secusie. et Petrinus Ypolitus de Ast. Et ego Petrus de Camayrano notarius palatii 
interfui et sic Scripsi Rogatus ,. 

Prego il lettore a fare attenzione ad una delle formule finali dell’atto, la quale 
c'insegna l’uso di stendere, per un contratto bilaterale, due esemplari da consegnarsi 
alle due parti, uno per ciascuna: i due esemplari tuttavia, si capisce, non erano del 
tutto identici, ma ciascuno di essi conteneva il nome della persona, per cui propria- 
mente era fatto. 


Il. 
Le franchigie di Novalesa e Venaus (1279). 


In varie trascrizioni ci è pervenuto un documento assai interessante. È l'atto 
col quale, previa una somma sborsata dai rappresentanti dei villaggi di Venaus e 
di Novalesa, Amedeo, priore dell’abazia, concesse a quegli abitanti una lunga serie 
di franchigie, che li redimeva da molti obblighi servili, e li rendeva, almeno fino ad 
un certo segno, liberi padroni dei loro beni privati. L’atto fu rogato il 2 agosto 1279; 


(1) Oggi: Rivalta. 
(2) Trovo costui anche in un atto del 13 dicembre 1273, Ab. Noval., busta III. Arch. di Stato. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 3183 


a tale concessione il priore venne antecedentemente (15 marzo 1279) (1) autorizzato 
da una lettera dell’abate del monastero di Breme, dal quale naturalmente dipendeva 
in certo qual modo il priorato Novaliciense. 

La concessione dell’abate precede di un decennio la liberazione dei contadini, 
decretata dal Comune di Firenze addì 6 agosto 1289. Le conseguenze dell’atto fio- 
rentino furono da molti ricercate e illustrate (2); non pare ch’esse fossero così ampie 
e benefiche come potremmo attenderci alla lettura del decreto, il quale vuol essere 
interpretato mercè delle disposizioni statutarie (3). Nel caso della Novalesa sarebbe a 
cercare se l'origine di quel Comune si debba attribuire, come pare probabile, al pri- 
vilegio del 1279, che qui metto alla luce. A Pinerolo il Comune sboccia di sotto al 
manto della signoria abaziale, come c’insegnò testè il veterano degli storici piemon- 
tesi (4). La Novalesa offre il secondo esempio di un Comune sorto per tale strada. 
Tant'è vero che fa opera vana chi vuol essere sistematico nella discussione sulle 
origini dei Comuni, e vuol assoggettare tutti i casi alla identica legge politica e 
sociale. 

Per la presente edizione mi giovai particolarmente di due trascrizioni (A, B), 
dei secoli XVI e XVII in., costituenti un fascicolo, sulla cui copertina leggesi un 
regesto del documento, scritto di mano dell'abate Sineo (5). Non trascurai anche 
una trascrizione dell’atto, Torino, 24 ottobre 1518, col quale il Consiglio di Carlo II 
di Savoia confermò e rinnovò le franchigie del 1279; è dessa una trascrizione 
semplice di mano d’anonimo del sec. XVII. Il trascrittore vi appose sul verso questa 
postilla: “ da copia presso il sig. Abate Sineo di Novalesa, non autentica , (6). 


Consilium illustrissimi principis domini nostri domini Caroli Sabaudie ducis, Chablaxij et 
Auguste, sacri Romani Imperii principis vicariique perpetui, marchionis in Italia, principis Pede- 
montium, baronis Vaudi, comitis Gebennensis et Rotundi Montis Nicigeque, Vercellarum ac Secusie 
domini, cum eodem ordinarie residens, Universis sit notum manifestumque quod nos vidimus, tenui- 
musque et palpauimus, ac videri, legi et palpari fecimus per secretarium ducalem subsignatum 
seripturam in bergameno antiquam, non vitiatam neque canzelatam, licet in aliquibus lineis vetustate 
corrossam, nullo tamen signo tabellionatus apposito, que linee et verba corrosa hic dimittuntur in 
albo, prout inferius iacent: 


“ Anno Domini millesimo ducentesimo septuagesimo nono, indictione septima, 
die mercurii secunda mensis augusti presentibus testibus infrascriptis et rogatis. Ad 
instantiam et requisitionem Jacobi Gastaudi de Noualisio et Stephani Gastaudi et 
Andre® Martina et Joannis Gastelli et Raimundi Bermondi et Martini Varrottini et 
Joannis de Conte sindicorum universitatum illorum de Noualitio et Venalibus qua- 
cumque commorantium in territorio monasterii saneti Petri Noualitiensis, scilicet a 


. (1) La domenica Luaetare è la quarta di quaresima, e nel 1279 la Pasqua scadeva il 31 marzo. 

(2) L’illustre prof. P. ViLrarI se ne occupò parecchie volte, e vi ritornò sopra anche testè, ristam- 
pando un articolo inserto nel “ Politecnico milanese , del 1867, nel suo volume: I primi due secoli 
della storia di Firenze. Firenze, Sansoni, 1893. 

(3) Veggasi D. MerLinI, Saggio di ricerche sulla satira contro il villano. l'orino, 1894, p. 10. 

(4) Storia della città di Pinerolo. Pinerolo, Chiantore, 1893. 

(5) Abb. della Novalesa, busta III Arch. di Stato. 

(6) Biblioteca di S. M. in Torino, Mss. Miscellanea di Storia patria, vol. CXVIII, n. 53. 


Serie Il. Tom. XLIV. . 40 


314 CARLO CIPOLLA 


Pallo Bonici (1) usque ad pontem Stadii Cinische et mei Joannis notarii infrascripti 
tamq uam persone publice recipientis nomine et vice predictarum uniuersitatum et 
omnium commorantium infra loca predicta ad presens et in futurum. Dominus 
Amedeus prior dicti monasteri Noualitiensis de consensu et voluntate expressa om- 
nium monachorum residentium in dicto monasterio, quorum nomina infrascripta sunt, 
habito consilio et tractatu virorum iurisprudentium et voluntate expressa domini 
Johannis prioris Bremetensis et conuentus eiusdem loci, sicut constabat per literam 
ipsorum sigillo eorum roboratam cuius tenor infrascriptus est, Attendens dictus do- 
minus prior Noualitiensis quod ville et iura decrescebantur propter intollerabilem 
successionem seruitutum, volens eis mitigare ius et consuetudinem in predictis ob- 
tentam, ita quod possint loca subiectis et liberis hominibus repleri, infrascriptam 
libertatem eisdem concessit. Jn primis quod frater fratri succedat in testamento vel 
ab intestato, si non sunt diuissi et si non existant filii; et si starent filii et vellent 
fratres cum filiis instituere, possint, reseruato iure civili; si vero diuisi fuerint, frater 
fratri succedat, si non fuerit ingratus et si filii non existant, et filii fratris premortui 
pro rata succedant. Jtem in successione fratris preferatur frater, ex utroque latere 
coniunetus (2), illo qui coniuncetus est ex uno latere tantum, ubi vero ex testamento, 
frater fratri succedit et fuerint diuissi, vigesima pars bonorum immobilium dicto 
monasterio applicetur, et si ab intestato, quarta pars bonorum immobilium similiter 
dicto monasterio applicetur. Jtem mater succedat filio suo (3) ex testamento, vel ab 
intestato, vigesima parte immobilium bonorum predicto monasterio reseruata, si filii 
non existant vel heredes filiorum, et si mater in dominio dicti monasterii perman- 
serit; sì vero extra dominium contrahere uoluerit, licitum sit ei bona immobilia infra 
annum distrahere; post vero annum si vendita non fuerint et extra dominium perman- 
serit, proximioribus filiis (iis?) de cuius successione agitur, bona immobilia applicentur; 
et si non essent proximiores, hoc est cognati et agnati infra quartum gradum, dicto 
monasterio applicentur (4). Jtem mulier possit testari dotem suam in immobilibus 
cum non habuerit filios, reseruata dicto monasterio vigesima parte bonorum immo- 
bilium existentium sub dominio dicti monasterii, in aliis libera facultas a iure con- 
cessa est reseruata. Si vero esset filiafamilias, quum testamentum facere non possit, 
dos ipsius et alia bona ad patrem libere deuoluantur (5), Etsi deinceps ab intestato 
parentibus non existentibus in gradu succedat (6), ut supra reseruata quarta parte 
rerum immobilium monasterio supradicto. Jtem possit (7) quilibet testari, cui de iure 
conceditur, cuicumque voluerit, |si] existerit in dominio predicti monasterii usque ad 
quartum gradum, reseruata quarta parte rerum immobilium eidem monasterio, si vero 
fuerit extra iurisdictionem dicti monasterii (et legatur vel testatur) et fuerit coniunctus 


(1) A lascia in lacuna le parole: “ scilicet a Pallo Bonici ,. 

(2) 4% coniunetus ,; B, iunctus ,; C “ iniunctus ,. 

(3) A“ suo ,; B e C omettono. 

(4) A tralascia il paragrafo: “ et si non essent proximiores, hoc est — applicentur ,. C dopo 
gradum , insiste con: “ post quartum gradum ,. 

(5) A“ denema... ,; B “ deuoluantur ,; C “ denomantur 

(6) A legge come nel testo; B e C “ et si 

(7) A Item possit ,; Be C “ Et si 


”* 


n* 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 315 


infra quartum gradum, tunc aut veniat infra annum, et rem legatam vendat ad 
usum loci Noualitii, alioquin proximiori applicetur, sub iurisdictione dicti monasterii 
existenti. Et est sciendum quod annus connumeratur a tempore scientie; excipiantur (1) 
autem minores et absentes iusta necessaria vel probabili causa. Jtem si quis mo- 
riatur ab intestato non habens filium vel parentes, hoc est patrem vel matrem, tune 
propinquiores in gradu succedant usque ad quartum gradum ineluxiue (2), quarta parte 
immobilium dicto monasterio reseruata, ut supra. Jtem si quis non habens filios vel 
parentes, vult (3) extraneum heredem instituere non sibi coniunetum infra quartum 
gradum, possit hoc facere, reseruata tertia parte bonorum immobilium monasterio 
supradicto, et hoc si fuerit sub dominio predieti monasterii, si vero fuerit extra, 
aut veniat sub dominio moraturus, aut vendat infra annum a tempore scientie com- 
putatum, alioquin proximioribus testatoris applicentur. Jtem si quis decedat ab in- 
testato et habeat proximiores extra dominium volentes succedere, aut veniant infra 
annum, a tempore scientie computatum, moraturi infra dominium, reseruata quarta 
parte immobilium dicto monasterio ut supra, aut (4) vendant, alioquin proximioribus 
aliis existentibus in iurisdictione dicti monasterii applicentur. Jiem minoribus (5) 
duodecim aut quatordecim annis (6), qui testari non possunt, succedant fratres, non 
existentibus parentibus, si vero parentes existerent, succedant una cum fratribus, 
secundum quod de iure (7) deffertur, fratribus vero vel parentibus non existentibus. 
proximiores admittantur, secundum quod superius est eis ordinatum. —Jtem possint 
testari ecclesie et confratrie, bona immobilia infra annum vendantur. Jtem est ordi- 
natum inter ipsos, quod si aliquis, non habens filium, voluerit testari uxori sue, testetur 
tantum de mobilibus et non ultra dimidiam bonorum immobilium, alioquin proximio- 
ribus applicentur(8). Jtem ordinatum est et confirmatum per longissimam consuetu- 
dinem inter antiquos patres, quod <si> aliqua mulier extra dominium et iurisdictionem 
dicti monasterii non possit dotari de rebus immobilibus, [sed] (9) teneatur vendere 
alicui de iurisdictione eiusdem monasterii et in territorio commoranti, infra triennium, 
faciendo usum loci et percipiendo fructus; post triennium vero, si vendita non fuerint, 
nisi reversa fuerit, ad dictum monasterium libere devolvantur. Jtem est ordinatum et 
confirmatum |sicut](9) hactenus et diutissime obseruatum fuerat, quod si aliquis contemp- 
nendo (10) dominium et iurisdictionem dicti monasterii alias se transtulerit moraturus, 
possit infra annum bona sua immobilia vendere, si in loco emptorem inuenerit et 
iustum pretium, alioquin ipso iure et libere ad dictum monasterium deuoluantur. 

Jtem est ordinatum, quod aliquis extra dominium bona immobilia non possit vendere 


(1) A“ excipiantur ,; B “ eximuntur ,; Cl “ et excipiunt ,. 

(2) A“ incluxiue ,; B e C “ inclusiue ,. 

(3) 4“ vitra ,; B‘ vult,; C“ velit,. 

(4) BeC“aut,; A ommette. 

(5) C “ iunioribus ,. 

(6) Be C“ annorum,. 

(7) A“ de Jure ,; Bel“apatre ,. 

(8) A “ applicetur ,. 

(9) Quest’aggiunta pare richiesta dal senso, quantunque le antiche trascrizioni non segnino qui 
alcuna lacuna. 

(10) A “ contemnando ,; B “ contemnendo , (di correzione); C “ contempnendo ,. 


316 CARLO CIPOLLA 


vel pignorare sine licentia rectoris dicti monasterii, si vero pignorauerit, nec inue- 
niantur mobilia, unde posset satisfieri creditori, quod inter subiectos (1) dicti mona- 
sterii bona immobilia distrahantur et de pretio satisfiat creditori (2). Jtem est 
ordinatum, si aliqua obscuritas siue dubitatio super predictis orietur, quod ad be- 
nignam interpretationem prescripti monasterii recurratur. Jtem fuit ordinatum inter 
predictos quod alia usagia, que hactenus consueuerunt facere in substitutis, rema- 
neant, et per suprascripta nullatenus vitientur; et est sciendum, quod predicta libertas 
extenditur inter subiectos commorantes infra dictos confines, exceptis hiis (3) qui 
commorantur in Ferreria nova montis Sinisii (4). Que ordinationes, statuta et liber- 
tates, secundum quod iacent in casibus suis, promisserunt dictus dominus prior et 
monachi infrascripti rata et firma perpetuo habere et tenere et inuiolabiliter obser- 
uare et iurauerunt per submissam personam, scilicet per fratrem Lantelmum (5) 
eleemosinarium (6), qui de precepto omnium et singuloram, manibus eorum tactis 
sacrosanctis euangeliis, iurauit inducendo me notarium et sindicos predictos in pos- 
sessionem uel quasi libertatum predictorum. Dicti autem sindici, nomine suo et 
predictarum universitatum, in recompensationem dicti benefici dederunt dicto mona- 
sterio quinquaginta libras bonorum denariorum secusiensium (7), quas confessi fue- 
runt (8) dictus prior et conuentus se ab eisdem numerando recepisse et ipsas fore 
-uersas in utilitatem dicti monasterit, ad soluendum debita feneratoribus, renunciantes 
exceptioni pecunie non accepte et non numerate et omni exceptioni doli et in factum. 

Jtem promisserunt dicti sindici et procuratores nomine suo et nomine quo supra, sub 
hypotheca (9) omnium bonorum suorum et dampnorum, expensarum et interesse, 
(restitutione), occasione dictarum libertatum (10) dare et soluere annuatim et perpetue 
in festo sancti Andree duodecim libras predicte monete. Hoc sunt nomina mona- 
chorum: frater Villelmus (11) de Montemaiori prior de Coysia (12), frater Johannes 
prepositus S. Marie de pede montis Cinisii (13), frater Thomas sacrista, frater Antelmus 
eleemosynarius (14), frater Iohannes cellerarius, frater Iohannes de Burgo, frater 
Thomas de Villario Gontrando (15), frater Amedeus de Podia Gauterii (16), frater 
Villelmus (17) de Cruce, frater Ugo de Altaripa, frater Petrus de Salio (18), frater 


) A“ subditos ,. 
2) dt termina il ms. A. 
3) € 


Così i © “ commemorantur..... nova mente senisii , 
B “ Lantermum ,; C ° Lantelmum ,. 

6) B* ellemosinarium ,,. 

BÈ“ secuxiensium ,. 


3) 

5) 

) 

) 
8) Da a confessus farti 
9) 

0 

1 


“ 


10) £ mes, »3.C° librarum ,. 

(11) 5ì Vitus:,s Ci Villusi. 

12) B © prior prioratus coyse ,; C “ prior de coysia ,. 3 
13) B © cenisii,,. 

14) B © ellemosinarius ,,. 

15) B“ frater Thomas de vilario giordano ,. 

16) 


B © Podio Gonterij ,. 
(17) B © vitus ,; C“ villus ,. 
(18) B © de Ialliono ;; € “ de Salio ,. 


ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 317 


Manfredus (1) de Aprili, frater Thomas de Villario Falleto (2). Tenor litterarum 
prioris Bremettensis (3) et conuentus eiusdem loci talis est. Nouerint uniuersi pre- 
sentem paginam [inspecturi] (4), quod nos frater Johannes prior monasterii Bremetensis 
et conuentus eiusdem loci damus et concedimus plenam licentiam et auctoritatem (5) 
religioso uiro domino Amedeo priori Noualiciensi et hominibus de burgo Noualitii 
et de Venalibus et alijs eiusdem prioratus subiectis, de conuentus eiusdem loci 
consensu, a quadam seruitute, que franchisie (6) nuncupantur (7) et quibusdam aliis 
eximere valeant et francare (8), et illam uel illos remittere, prout inter ipsos est 
compositum et tractatum, seu (9) quocumque modo sibi uidebitur expedire, et quia (10) 
memorati prioris laudabilis discretio honeste vite bonique regiminis opinio diuulgata 
[est](11), de ipso plenissime confidentes, nos inducit (12) quidquid (13) in predictis et 
circa predicta (14) dixerit (15) faciendum, fratrumque suorum consensu requisito et; 
habito, ratum et gratum habere promittimus et etiam presentibus confirmamus. 

Jn cuius rei testimonium presentem litteram sigillorum nostrorum munimine duximus 
roborandum (16). Datum Bremantina (17), die veneris post Letare Jerusalem, anno 
domini millesimo ducentesimo septuagesimo nono. Hoc acto, hinc inde precepe- 
runt. mihi Joanni notario quod de hoc tenore faciam (18) duo publica instrumenta, 
que possint dietari corrigi et emendari ad consiliuam domini Villelmi Jurisperiti, 
auctoritate mihi |tradita ?] (19) post confectionem ipsorum quorum presens est uniuer- 
sitatum Noualitii et Venalium. Actum in claustro dicti monasterii Noualitiensis. 
Testes ibidem rogati fuerunt dompnus (20) Villelmus (21) Bernardi (22) iurisperitus, 
Bartholomeus (23) frater eius, Ribaudus (24) de sancto Georgio Vianensis diocesis (25), 


(1) B“ Mafredus ,. 

(2) B “ falletto ,; C “ Salleto ,. 

(3) B “ predicti monaci ,; C “ prioris Bremettensis ,. 

(4) La lacuna non è indicata nè da B, nè da C. 

(5) B “ licentiam libertatem ,. 

(6) B“ franchij ,. 

(7) Forse si dovrà leggere: “ -atur ,. 

(8) B “ franchire ,. 

(9) Cin, 

(10)/B ad, (0); quia. 

(11) Sebbene in B e in C non si indichi qui una lacuna, pare che si abbia a leggere est, o alcun che 
di somigliante. 

(12) B “ inducit ,; C “ induxit ,. 

(13) B “ quicquid ,; C “ quidquid ,. 

(14) B “ dicta ,. 

(15) C dicerit ,. 

(16) C “ duximus roborandum ,; B “ p. 1. s. n. m. d. r. 

(17) B tralascia questa parola. 

(18) B “ facerem ,. 

(19) La emendazione è molto dubbia. 

(20) B “ dominus ,. 

(21) B“ Villier...s ,. 

(22) C “ Bernardus ,. 

(23) B “ Bartolomeus ,. 

(24) B “ Petrus Lombardi ,; C “ Ribaudus ,. 

(25) B omette questa parola. 


318 CARLO CIPOLLA 


Anricus (1) comes de Lomello (2), Ioannes Coindo de Venalibus clericus. Et ego 
Joannes sacri palatii notarius interfui et hanc cartam scripsi rogatus (3). 


Et quia facta debita collatione utrumque exemplum et exemplar concordare inuenimus, nihil] 
addito vel mutato, obmissis que in dictis lineis corrosis [neque] (4) videri neque legi possunt, ideo ad 
supplicationem communitatis et hominum Noualisii et Venalisii [et] aliorum quorum interest et 
interesse poterit in territorio monasterii sancti Petri Noualitiensis commorantium, presens transumtum 
seu vidimus, fieri et per dictum secretarium ducalem subscribi iussimus et sigillo cancellario sigilla- 
uimus, cui tantam fidem in iudicio et extra adhibendam esse decernimus, quantum originali scripture 
preedictae ; in quorum testimonium has duximus concedendas.  Datus Taurini, die vigesima quarta 
mensis octobris millesimo quingentesimo decimo octavo, presentibus Francisco de Prouana, Joanne 
de Lucerna, Hyeronimo delegatis collateralibus de Ruscatijs. 

Ego subsignatus presentem copiam a proprio transumpto originali scripsi, et hic me manualiter 
subscripsi. In fidem omnium premissorum subscriptus manualiter. Verqueria (5). 


Al lettore non sarà sfuggita, verso il principio di questo documento, una frase, 
che rispecchia evidentemente le lagnanze di quelli della Novalesa e di Venaus, e 1 
discorsi che si andavano facendo prima della concessione del privilegio. Amedeo, 
priore dell’abbazia, dichiara che egli concede queste franchigie per sollevare i suoi 
sudditi da una serie intollerabile di servitù e nella speranza, che loro mercè si ripo- 
polino di uomini liberi quei villaggi, i quali al momento trovavansi desolati. 


(1) 
(2). 
(3) 
( 
( 


B “ henricus ,. 

B“ Lemello ,. 

Qui termina il ms. 5. 

senso m’induce ad aggiungere questa parola. 


4) Il 
) Il tratto iniziale e il tratto finale, che scrivo in carattere minuto, mancano in A e B. 


5) 


POSTILLA. — Nella Memoria Appunti sul codice Novalic. del “ Martyr. Adonis , (p. 132), riferendo il 
carme su Bertranno, scrissi (al verso 7): “ man&t , per “ man& ,; e a p. 145 verisimilmente 
esagerai attribuendone il carattere alla fine del sec. XI. L’egregio sig. Gaetano Da Re, paleo- 
grafo valentissimo, mi fece osservare che probabilmente la scrittura del carme è di almeno 
mezzo secolo posteriore alla età da me proposta. L’ apice superiore della “ h, è una delle 
ragioni più forti, che militano in favore dell'opinione del Da Re. 

A p. 117 della stessa Memoria scrissi: © XXI, in luogo di “ XXXI ,._ 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 


1. Faccia esteriore di una muraglia dell’abbazia Novaliciense. 
2. Arca argentea di S. Eldrado, nella chiesa parrocchiale di Novalesa. 


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ANTICHI INVENTARI DEL MONASTERO DELLA NOVALESA, ECC. 319 


NOTA FINALE. 


Al principio del capitolo sulla serie degli abati (p. 271) tenni parola della rico- 
struzione dell’abbazia Novaliciense, e quivi lasciai inesattamente supporre che il 
cronista, lib. V, cap. 25, parli di quella, allorchè ricorda l’absida di S. Andrea. Invece 
egli alludeva di certo con questa espressione a S. Andrea di Torino, cioè all’odierna 
chiesa della Consolata. 

Alla sventura toccata all’abbazia, oltre che nel capitolo citato, accenna ancora 
il cronista nel cap. 44 del medesimo libro V, dove pure la dice diroccata dai pagani. 
Anzi persino aggiunge: “ et usque ad terram exinanita sunt eius moenia ,. Ma a 
questa frase devesi dare proprio un significato pieno e assoluto? Soggiunge egli che 
di recente, “ moderno tempore ,,i monaci ivi abitanti, “ inibi degentes ,, dolendosi 
di tanta sciagura, invitarono il vescovo di Ventimiglia a consecrare le chiesette 
diroccate, “ absidas dirutas ,, di S. Michele, di S. Maria Madre di Dio, di S. Salva- 
tore e di S. Eldrado. Il giro di queste frasi si concilia piuttosto con un restauro, che 
non con una ricostruzione delle chiesette ab imis fundamentis. E questo restauro si 
deve, come sembra (cfr. il citato cap. 25), al monaco Bruningo, congiunto del cronista, 
il quale dice del medesimo che largì i denari, “ opum instrumenta ,, per tale riedi- 
ficazione, “ ut reaedificaretur ,. Rimane ad ogni modo fuori di discussione questo, 
che le quattro absidi, così come l’abbazia, preesistevano alla invasione saracena; 
furono poi anch'esse ristorate nel sec. XI. 


ARES) stampi: 


Gruseppe CARLE, Vice-Presidente. 


Giuseppe Basso «di 


Segretario della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 


Ermanno FrRRERO 
Segretario della Classe di Scienze morali, i storiche e filologiche. 


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