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Full text of "Memorie storiche sopra l'uso della cioccolata in tempo di digiuno : esposte in una lettera a Monsig. illustriss. e reverendiss. arcivescovo N.N"

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MEMORIE 

STORICHE 

SOPRA 

L’USO  DELLA  CIOCCOLATA. 


a 


MEMORIE 

STORICHE 

Sopra  l’ufo  della  Cioccolata 
in  tempo  di  Digiuno , 

ESPOSTE 

IN  UNA  LETTERA 

A MONSIG,  ILLTfSTRlSS,  , £ REVEREKDISS. 

ARCIVESCOVO  N N 


IN  VENEZIA 

— t 

Appresso  Simone  Occhi 

M D C C X L V I I I . 

CON  LICENZA  D E"  S,V  F E R IO  R I,  E VRIVILEG  IO, 


.i 


» . " 


Digitized  by  thè  internet  Archive,  ^ 
in  2016 


'L 


https://archive.org/details/memoriestoriches1748conc 


AL  LETTORE  CRISTIANO 
che  veramente  crede. 


Escono  giornalmente  da  ogni  parte  Libri  pefii- 
feri  che  macchiano  omfìà^  che  corrompo- 
no la  virtù , che  pervertono  le  majftme  del 
buon  c 0 fiume  ^ che  rendono  vacillante  la  creden'za 
del  Vangelo,  Le  pubbliche  flampe  d'Europa  ci  por- 
gono Libri  ^ che  allettano  a frequentare  fcene^ 

7ìi , e giuochi  : componimenti  poetici  che  delicata- 
mente  aguT^no  gli  appetiti  , e con  fo avita  le 
paffioni  incantano:  Roman'zi  lordi  ^ che  imbrattano 
la  fantafta^  ed  immagini  turpi  imprimono  nell'  ani- 
milo : Controverffli  in  fidio ft  che  attaccano  i dogmi 
fami  : Libertini  empj  , che  in  ridicolo  mettono  la 
Religione  divina  , Di  sì  fatti  Libri , che  da  per 
tutto  mondano , chi  fc  ne  lamenta  ? Contro  a quefli 
Libri  chi  mormora?  Chi  al:^  la  voce?  Chi  grida? 
Ninno,  Afìzi  da  altri  con  plaufo  fi  ricevono^  e da- 
gli altri  con  piena  indifferen'ga , e con  profondo  f- 
icn^gio  fi  tollerano. 

Comparile  in  pubblico  qucflo  Libretto^  nel  quale 
fi  tratta  con  tutte  le  cautele  poffibili  un  punto  di 

eccle^ 


ecclefiaftica  difcipìina  : cd  eccovi  la  indifferen^s 
f affai  a in  furiofa  /manìa , il  ftlen?:io  rìfpetiofo  ver^ 
fo  gli  accennati  Libri  pejlìknziali  cambiato  in  mor^ 
morai/oni^  in  ìjìrepitì^  in  cenfure  contea  un  Auto» 
re^  perchè  /piega  un  punto  dì  Morale  crifliana.  AU 
tri  diranno:  E chi  ha  ìflituito  co  fluì  legislatore  ^ e 
cen/ore  ^delle  co/luman'::(e  moderne  ? Altri  grideran» 
no:  Al  Rigorifta,  al  Mifantropo,  al  Fanatico.  AU 
tri  /Irìngeranno  le  /palle  ^ e con  politiche^  e de /Ire 

reticente  diranno Da  quejìa  indifferenica  ^ c 

indolen'za  nel  primo:  e da  quejìo  /degno/o  ri/enti» 
mento  nel  /ecoìido  ca/o  nojlro , conchìuderai  quale  /sa 
la  credenza^  quale  lo  /pirito  dominante  in  molti 
del  /ecol  nojìro.  Ex  angue  Leonem.  yhi  /elice. 


INDICE 

§.  I. 

^^Ccaftone  di  fcrivere . pag.  i 

§.  II. 

Si  premettono  alcune  avvertenze  per  far  capire  con  chiarezza 
la  importanza , e lo  flato  precifo  della  qmflione . xx 

§.  IIL 

Origine  della  cioccolata  neW  Indie  . Sua  introduzione  in  Eu~ 
ropa , xxviii 

§.  IV. 

'Documenti  de^  Teologi  propugnatori  deW  ufo  del  cioecoìate  in 
tempo  di  digiuno^  xxxvl 

§.  V. 

Le  ragioni  plà  robufle  allegate  in  favore  della  lecita  bevanda  in 
Quareflma  fimi  di  pafto . xliii 

§.  VI. 

Raccolta  di  tutte  le  altre  ragioni  prodotte  dal  P,  Hurtado  in 
difefa  del  cioccolate  , li 


f,  VII. 


§.  VII. 

Due  Cardinali  Brancaccio  e Cozza  propugnano  V ufo  del  cioc- 
colate infteme  col  digiuno . Ixv 

§.  Vili. 

Tre  altri  Dottori  ferivano  in  difef a della  bevanda  del  ciocco^ 
late  in  Quarefima  » Ixxv! 

§.  IX. 

1 fagrì  Teologi  Antiprob abili fii  ^ e Probabili jìi  infieme  ripro* 
vano  comunemente  la  bevanda  del  cioccolate  in  tempo  di  di- 
gitme  . Pretendono  che  le  ragioni  loro  fieno  ad  ogni  replica 
fuperiori . cxvi 

§.  X. 

Efame  delle  ragioni  narrate  a favore  della  pozione  Indiana . I 
Jagri  Teologi  pretendono  di  dimofìrarcy  che  quelle  non  fieno 
ragioni  y ma  illu fièni  ^ e cavili  azioni  ripugnanti  ^ e che  feri- 
feono  il  fenfo  comune  , non  che  la  difeipUna  della  Chiefa 
Romana . cxxlx 

§.  XI. 

Se  la  parvità  della  materia  renda  lecita  la  moderna  coflumanm 
del  cioccolate  in  tempo  di  digiuno . clxvi 

$.  XIL 

Conclufione  della  Lettera  con  poche , mà  importanti  confiderà-^ 

zioni . clxx 


i 

ILLUSTRISSIMO  E REVERENDISSIMO 
SIG.  SIG.  PADR.  COLENDISSIMO 

L 

Ceca  Clone  di  ferì  vere  . 

O fiimatifTimo  foglio  che  V.  S, 
Illuftriffima,  e Reverendiffima 
già  due  ordinar)  m’  inviò,  ri- 
pieno delle  folite  lue  gentilez- 
ze verfo  di  me,  nella  trilla  ne- 
ceflità  mi  ha  pollo  di  rifponde- 
re  fopra  un  punto  nel  quale  non  cl  farei  da  me 
giammai  entrato,  per  efl’ermi  purtroppo  nota  la  guer- 
ra che  quello  fa  ad  una  delle  più  delicate,  e delle 
più  intereflànti  palTioni  , qual  è quella  della  gola. 
Ella  mi  chiede,  fe  vera  fia  la  voce  per  varie  Città 
d’ Italia  fparia,  che  un  Predicatore  nella  pallata  Qua- 
refima  dopo  aver  in  una  delle  principali  Città  do- 
minanti condannato  V ufo  del  cioccolate  in  tempo 
di  digiuno,  fiafi  poi  pubblicamente  fullo  He ffo  Pul- 
pito difdetto.  A quella  lua  inchiella  io  non  pollo 
prec i fa , e netta  rifpofta  recare,  fenza  efporle  fotto 
gli  occhi  la  fincera  narrazione  del  fatto.  Quello  è 
talmente  col  diritto  conneffo,  che  appena  poìTo  di 

A quel 


quello  fenza  di  quello  parlare.  Or  V.  S.  Illuflrifli- 
ma  3 e ReverendilBma  ben  quindi  comprende  a qua- 
le cdiofo  cimento  io  m’elponga.  Se  uno  fpirito  di 
antica  feverità  a condannare  mi  fpigneffe  l’ufo  del- 
la faporofa  pozione,  io  in  quello  cafo  controdi  me 
provocherei  tutto  il  mondo  ricco ^ nobile,  delicato, 
deiiziofo  3 e quali  quali  direi  eziandio  religiofo;  giac- 
ché a’noftri  tempi  ancora  di  quelli  fi  trovano  di  cui 
favella  Sant’  AgoUino  : Sunt  quidam  obfervatores  Qua- 
drago fimcc  deìicioft  potius  quam  religio  fi  , exquiren^ 
tes  novas.  fuavitates.  {a).  E’  vero  che  S.  Agollino, 
che  S.  Girolamo,  e tutti  gli  altri  Padri  con  piena 
libertà  parlavano  centra  fimili  corruttele;  ma  a tem- 
pi nollri  tanta  minor  libertà  c’è  di  parlare,  quanto 
maggiore  è l’ eccello  de’vizj,  ed  il  numero  de’  vi- 
ziofi.  Quelli  non  folo  vogliono  foddisfare  i proprj 
appetiti,  ma  pretendono  di  veftire  i loro  vizj  col 
manto  di  virtù,  e di  mantenerli  in  pacifico  poffel- 
fo  di  quelle  ooftu manze  che  fono  alle  paflloni  loro 
più  conformi,  e di  fdegno  fi  accendono  centra  tutti 
quelli  che  ardifeono  di  condannarle.  Farmi  già  di 
udirgli  contra  1’  Autore  di  quello  Scritto  dolcemen- 
te con  fillabe  ben  aggiuftate  in  sì  fatta  guifa  nelle 

^ ami- 


(a)  Ser  .cc'A.  alias  caf\  vili. 


m 

amichevoli  converfazioni  difcorrerfela  . E quando 
mai  la  finirà  cotefto  buon  uomo  di  ftordirci  T orec- 
chio con  quelli  fuoi  digiuni  di  prifca  invenzione 
Pretende  di  far  a quelli  depor  la  borfa:  a quefU 
vuol  far  gittar  le  chicchere,  ed  involar  loro  la  cena. 
Olfervate  fin  dove  giugne  il  coraggio  fuo.  Ardifce 
di  metter  in  difpata  per  fino  la  confuetudirie  di  be- 
re la  cioccolata  in  Quarefima.  V’ha  egli  prudenza 
nel  toccar  tallo  così  delicato?  Oh  di  quanti  impru- 
denti* il  mondo  abbonda.  Sembra  che  cert’uni  ab- 
biano per  ifeopo  di  renderli  odiofi,  e di  efporfi  al- 
le pubbliche  dicerie  . Colto  io  tra  quelli  due  feo- 
gli,  o di  commettere  inciviità  con  lei,  le  non  ri- 
fpondo , o di  tirarmi  addoffo  una  tempefta  di  rim- 
proveri, fe  alla  concupifeenza  rapifeo  sì  guflofo  ri- 
ftoro,  mi  Infingo  d’avere  feoperta  via  di  mezzo, 
per  cui  evitare  tutti  e due  gli  eftremi.  Horìfoluto 
adunque  di  non  veltire  in  quella  calila  la  divifa  nè 
di  benigno  Probabililla,  nè  di  fevero  Teologo,  ma 
foltanto  quella  di  Storico.  Quindi  ho  proccurato  di 
raccorre  tutte  le  ragioni  che  dall’ una,  e daU’altra 
parte  fono  Hate  fin  ora  inventate  ; le  quali  unite 
infieme  ralfegno  a V.  S,  Illufltiffima.,  eReverendif- 
fima  , Quelle  potranno  fervir  di  MEMORIE  alla 
Storia  Teologica  della  bevanda  del  cioccolate  in 

A ij 


tena- 


h 

tempo  di  digiuno.  Ma  prima  dì  tutto  conviene  che 
alla  domanda  fattami  dia  rifpofta.  Sappia  pertanto  V. 
S.  Illuftriffima,  e Reverendiflima,  che  io  fui  pre- 
lente  a tutte  e due  le  mentovate  prediche,  e nella 
mia  memoria  fono  vivamente  impreffe  le  cofe  tut- 
te che  in  tal  propofito  il  Predicatore  recitò.  Nella 
feconda  parte  della  prima  predica  detta  nel  giorno 
delle  ceneri  fopra  il  comandamento  del  quarefima- 
le  digiuno  inculcò  le  feguenti  verità. 

IL  „ Riveriti  Afcoltatori,  fino  al  tredicefimo  fe- 
„ colo  il  digiuno  della  Romana  Chiefa  fu  fempre 
5,  mai  ofiervato  con  una  fola  refezione  il  giorno  , 
„ fatta  prima  verfo  il  vefpero,  poi  intorno  a nona, 
,,  e finalmente  circa  ij  mezzo  giorno  . Dopo  tanti  fé- 
„ coli  fu  introdotta  la  Cole7:iom  della  fera,  cosi 
„ chiamata,  perchè  fatta  dopo  le  conferenze  fpirituali 
5,  dette  Colla':^om,  Confifteva  quefta  in  una  mera 
5,  bibita  d’acqua.  Si  aggiunfero  poi  o un  po’ di  frutte, 
35  o un  po’ di  pane  . Al  tempo  di  S.  Carlo  Borromeo 
5,  era  riftretta  ad  una  fola  oncia  di  pane,  e a due 
„ bicchieri  di  vino.  I pofteriori  Cafifti,  più  benigni, 
3,  e più  dolci  di  S.  Carlo,  l’hanno  accrefciuta  chi  a 
5,  quattro,  chi  a fei,  chi  a otto,  e chi  per  fine, 
„ colla  corameffione  di  una  fola  venia!  colpa,  fino  a 
3,  dieci  oncie  di  ogni  forra  di  cibi  quarefimali.  Da 


55 


V 

alquanti  anni  è fiata  introdotta  un’altra  colezione 
5,  la  mattina  confiftente  in  una  faporofa  bevanda  ma- 
5,  nìpolata  colle  droghe  del  novello  mondo.  Sicché  il 
„ digiuno  del  Secol  nofxro  dotto  ed  erudito  , egli  è 
un  digiuno  il  più  vago,  ìi  più  benigno,  il  più  pia- 
„ cevole  del  mondo.  Egli  ammette  un  faporito,  elo- 
,,  fianziale  rifioro  la  mattina;  un  lauto  pranfoamez- 
„ zo  dì:  una  colezione  la  fera  di  otto  onde,  che 
5,  ben  diftribuite  formano  ad  uomo  di  ordinario  vitto 
,5  una  buona  cenetta.  Se  in  un  digiuno  di  quella  fatta 
5,  vi  fi  ravvifi  la  vera  immagine  di  quella  penitenza, 
„ e mortificazione,  che  forma  lo  fpirito,  e la  vera 
„ eflenza  del  digiuno  ecclefiaftico  , lafcio  a voi, 
„ fiimatiffimi  Signori,  la  decifione.^^ 

III.  Con  quefte  caute  maniere  menzione  fece  il 
Predicatore  della  cioccolata.  I Fautori  della  Moral 
dolce  andarono  diffeminando  per  la  Dominante  au- 
gufta  Città,  fpezia! mente  nelle  cafe  delle  Dame, 
e delle  Principeffe  , dove  è famigliare  P ufo  della 
deliziofa  bevanda , che  il  P.  Predicatore  avea  detto 
dal  Pulpito , che  chi  beve  una  chicchera  di  ciocco- 
lata, pecca  mortalmente.  E per  conciliar  più  nu- 
merofo  concorfo  al  P.  Predicatore , foggiunfero: 
Ecco,  o Signore,  le  fevere  dottrine  di  certi  Zelan- 
ti de’ nofiri  tempi.  Opprimono  % poveri  Crifiiani 

A iij 


con 


vi 

con  gioghi  crudeli,  efuperiori  alle  umane  forze,  con- 
tra  lo  fpirito  della  divina  legge  loave , e dolce  , e 
contro  la  intenzione  della  benigniflima  madre  fanta 
Chiefa.  Riempiono  le  anguftiate  anime  difcrupoli, 
e lacerano  le  vifcere  della  cofcienza.  Voi  però,  Si- 
gnore,  per  non  intorbidare  la  tranquilla  calma  del 
cuor  voftro,  e per  non  difturbare  le  voftre  eofcien- 
ze,  non  date  retta  a fimili  Predicatori,  da’ quali  fe 
ilarete  lontane,  ferete  aflai  bene.  Sappiate  che  non 
folo  una  chicchera  di  cioccalata  il  giorno  in  tempo 
di  Qiiarefima , ma  due  , quattro,  e quante  volte 
voi  volete,  potete  lecitamente  bere:  perchè  quella 
è una  pura  bevanda;  e per  altro  lìquida  ?ion  fran- 
gunt.  Quindi  liccome  il  vino,  così  la  cioccolata  po- 
tete bere  fecondo  che  v’aggrada. 

IV.  Quelli  difcorfi  furono  fatti  alla  prefenzadiper- 
fone  e fecolari , e Religiofe  gravi , dotte  , e probe , 
fuperiori  ad  ogni  eccezione  , le  quali  puntualmente 
gli  riferirono  ai  Padre  Predicatore . Quelli  afficura- 
to  da  più  tefiimonj  graviffimi  della  verità  del  fat- 
to, giudicò  fpediente  , anzi  neceffario  di  rintuzzare 
dal  pulpito  la  civolgata  perniciofa  impollura.  Però 
la  feconda  Domenica  di  Quarefima , dopo  che  reci- 
tata ebbe  la  predica  del  Paradifo  , ad  un  popolo  così 
tiumcrofo,  che  riempiva  tutto  il  vafto  Tempio  [ ep- 

pur 


pur  altrove  fi  andava  dicendo,  che  banchettava]  fece 
quefta  feconda  parte. 

V.  „ Io  fo  di  certo  , miei  dilettiffimi  afcoltanti, 
„ efl'erfi  fparfa  voce  per  la  Città  , eh’  io  infegnato 
„ v’abbia  nella  mia  prima  predica  , che  chi  beve 
35  una  chicchera  di  cioccolata,  pecchi  mortalmente  * 
55  Voi  fiete  di  quefta  patentiffima  falfità  teftinionj 
, irrefragabili . Io  in  quella  prima  predica  del  di* 
35  giuno  , altro  non  vi  ho  detto  che  le  feguenti 
,5  verità  . e recitò  le  parole  che  qui  addietro  fi 
fono  narrate  : e poi  ripigliò  di  quefta  guifa  il  fuo 
difeorfo. 

VI.  55  Con  quefta  occafione  giovami  bene  di  afii- 
,5  curarvi  , che  io  rinunzio  , maffimamente  in  pul- 
3,  pito  , a qualunque  partito  di  fcuole  . Elercito 
55  qui  5 avvegnaché  indegnamente  , il  miniftero  ap- 
55  poftolico  di  efplicarvi  la  parola  fanta  , fecondo  le 
35  interpretazioni  de’  Padri  , de’  Concilj  , e di  que. 
55  fta  Romana  Chiefa  . Sappiate  , che  fe  io  vi  rap- 
55  prefento  la  Morale  evangelica  di  Gesù  Grillo 
55  più  fevera  di  quello  che  veramente  ella  è in  sè 
35  ftefta  5 pecco  ; fe  io  ve  la  raddolcifco  più  del  giu- 
55  fio  5 pecco  . In  dubbio  o di  fevcrità  , o di  con- 
,5  difccndenza  , mi  appiglio  alla  clemenza  , dipendo 

chQ  Deus  dives  ejì  in  miferìcordìa  : Ephef.  11.4. 

A iiij  Cai 


33 


VHl 

35  Chi  ihfegna  foverchio  rigore,  pecca  , c pecca  da 
5,  matto  5 perchè  fa  due  mali  ; Tuno  perchè  infegna 
3,  la  falfità  ; l’altro  perchè  infegna  una  falfità  tor- 
5,  rnentofa  , e che  al  mondo  rende  odiofa  la  cri- 
fìiana  morale.  Chi  infegna  foverchio  benignilmo, 

55  pecca  5 perchè  infegna  il  falfo  ; ma  almeno  fe  fa 
55  un  male  , fi  procaccia  un  tal  qual  bene  , perchè 
55  infegna  una  falfità  che  piace  , che  incontra  , e 
55  che  fi  acquifta  il  feguito  numerofo  di  due  terzi 
55  del  mondo  , del  mondo  ricco  , e nobile.  11  ri-  i 
35  ferito  fatto  della  cioccolata,  quefla  verità  grande- 
55  mente  conferma.  Quelli  che  fpacciano  poterfi  le- 
55  citamente  bere  toùes  quoties  ciafcun  vuole  la  cioc- 
55  colata  in  tempo  di  digiuno  , il  genio  incomra- 
55  no  5 il  plaufo  5 e le  acclamazioni  della  maggior 
55  parte  del  mondo  delicato  , e avido  di  dottrine  ^ 
53  che  agli  appetiti  proprj  fieno  accomodanti.  Ora  ' 
55  per  voftra  iflruzione  fappiate , che  ficcome  io  non  j 
55  ho  giammai  da  quefio  pulpito  pronunziata  la  mem 
53  tovata  opinione  , che  la  bibita  di  una  fola  chic- 
53  chera  di  cioccolata  contenga  un  peccato  morta- 
^ le  5 così  non  giudico  fpediente  di  decidere  fe  j 
55  quella  dottrina  fia  vera  . Sappiate  , che  io  non 
55  mai  dal  pulpito  adopero  la  diftinzione  di  peccato 
35  mortale , e di  peccato  veniale  , fe  non  nelle  cofe 


evi- 


ix 

„ evidenti  . Lafcio  il  famigliare  ufo  di  quella  di- 
„ ftinzione  a certi  Cafifli  , i quali  nelle  loro  Som- 
55  me  veggonfi  con  in  mano  le  bilance  della  mali- 
55  zia  5 di  continuo  intercalando  : Wrum  fit  peccai 
55  tum  mortale  , vel  veniale  . Frobabilìm  effe 
55  peccatum  veniale  . Se  io  voleffi  palefare  a voi 
55  ciò  che  fento  intorno  all’ ufo  della  cioccolata  , 
55  vi  direi  5 che  quefta  bevanda  ripugna  al  precetto 
5,  del  digiuno  ; direi  5 che  fi  dà  parvità  di  materia  , 
5,  e che  dal  pulpito  non  vo’  decidere  quale  materia 
55  fia  grave  5 e qual  leggera . Ma  lafciando  da  banda 
35  per  ora  la  fentenza  che  io  foftengo  in  quefta  ma 
55  teria  5 mifo,a  prefervarvi  dall’errore  gravifiìmo  , 
55  fparfo  dagli  avverfarj  per  quefta  voftra  augufta 
^5  Città . Dico  per  tanto  francamente  5 che  la  dottri- 
55  na  colla  quale  s’infegna,  che  in  tempo  di  digiu- 
55  no  fi  può  lecitamente  bere  toties  quoties  Uno  ^\xo\q 
55  il  cioccolate,  è una  dottrina  falfa , erronea,  ican* 
5,  dalofa  : che  gi’iafegnatori  di  tale  dottrina  fono 
55  in  ciò  perniciofi  alla  Romana  Chiefa  , che  difere- 
55  ditano  la  noftra  fanta  Religione  , che  rendono 
55  fpregevole  la  fanta  difciplina*^  de’  noftri  digiuni 
3,  prelio  gli  ftelTi  Eretici  5 i quali  appunto  per  fimi- 
35  li  dottrine  fi  burlano  de’  digiuni  noftri  , dicendo 
35  c con  !a  voce , e colle  ftampe , che  tra  i Papifti 

55  quelli 


X 

quelli  digiunano  i quali  non  hanno  di  che  man- 
„^giare  : e che  perciò  grinfegnatori  di  così  fcan- 
5,  dalofe  dottrine  meriterebbono  d’  effere  gaftigati 
5,  come  perniciofi  al  ben  pubblico  della  noftra  fan- 
„ ta  Cattolica  Religione. 

VII.  „ Ecco,  miei  riveriti  afcoltanti  , dove  va  a 
5,  parare  il  Benigm/mo  moderno  , che  Tempre  gri- 
,,  da  .*  Al  Rigori/mo , al  Rtgorifmo . Io  detefto  tut- 
,,  te  quelle  dottrine  foverchiamente  auftere , inven- 
3,  tate  di  là  da’  monti , e dannate  dalla  Chiefa  ; e 
3,  parlo  unicamente  di  quel  morale  pratico  Rigo- 
5,  rifmo  contrario  alle  laffe  opinioni  di  tanti  Cafi- 
5,  fli  . Dico  , che  fe  un  Foreftiere  Orientale  non 
3,  pratico  de’  cofiumi  noftri  capitaffe  qua  in  Italia  , 
„ in  udendo  da  per  tutto  a rifuonare  : Al  Rigori- 
„ , al  Rigorijla  : guardatevi  da  certi  RigorilU 

5,  imponenti  : il  gran  male  , i gravi  turbamenti  che 
„ nelle  buone  cofeienze  cagionano  quelli  Rigorifti  ; 
„ quello  Forelliere  , fe  ad  occhi  chiafi  tali  voci 
3,  afcoltaffe  , a credere  fi  darebbe , che  i Cattolici 
3,  fodero  una  Setta  fiera  , difumanata  di  Circonci- 
,,  lioni  , di  Flagellanti , di  Mifantropi  maciati  , 
„ fcarnificati  da  difcipline  fanguinofe , ellenuati  da 
„ feverillimi  digiuni . Non  è così  ? Ma  fe  poi  que- 
„ Ito  Forelliere  fchiudeffe  gli  occhi  , ed  a confide- 


rare 


xi 

rare  fi  faceffe  le  lautezze  delle  menfe  quarefimali , 
„ le  carni  che  per  ogni  minimo  pretefio  nel  tempo 
5,  fagro  fi  mangiano  , le  gozzoviglie  , i banchetti  , 
3,  le  fquifitezze  maggiori  , o minori  fecondo  che  le 
„ borie  il  permettono  ; qual  idea  , qual  concetto 
55  ne  formerebbe  egli  della  Cattolica  Religione?  Non 
55  griderebbe,  che  il  Rìgorifmo  fpacciato  da’Benigni- 
35  fii  è una  chimera  , che  in  pratica  nell’ Italia  non 
33  fi  trova  : una  larva  inventata  dal  Demonio  per 
53  dare  il  guafto  univerfale  alla  Morali  di  Gesù  Cri- 
33  Ilo  ? Non  griderebbe  , che  il  Lajftfmo  è il  vizio 
33  vero  3 e reale  : il  vizio  dominante  , che  aggui- 
35  fa  d’impetuòfo  torrente  innonda  da  per  tutto  , e 
55  da  per  tutto  trionfa  e ne’  digiuni  , e nelle  fre- 
55  quenti  Comunioni  [ che  qui  ci  farebbe  da  fcrive* 
33  re  un  Tomo  ] e nelle  impudicizie  , e nelle  com- 
35  medie  , e ne’  giuochi  . Voi  dunque  , o Cattoli- 
35  ci  3 guardatevi  da  coloro  i quali  vi  dicono  che- 
55  potete  foddisfare  l’appetito  in  bevendo  toùes  quo 
35  tm  3 quante  volte  a voi  piace  , la  faporofa  bevan- 
3,  da  del  cioccolate, 

Vili.  Tutte  quelle  cofe  recitò  dal  pulpito  il  Pa- 
dre Predicatore  con  voce  così  chiara  , e così  rifuo- 
nante  , che  fi  fece  fentire  per  ogni  angolo  di  quel- 
la vafia  Chiefa  asche  dai  mezzo  fordi . Che  ne  dice 


ora 


Xll 

oraV.S.IlluftriflìmajeRcverendiflimaPUnadeclaniaiiio- 
ne  sì  forte  e contra  T abufo  della  bevanda,  e cen- 
tra la  enormità  deila  impoftura  viene  fpacciata  per 
una  difdetta,  perlina  ritrattazione  ^Quello  è il  Seco- 
lo delle  RhratPazioni . Si  raddoppiano  a gruppi  le 
falfità.Si  divulga,  per  rendere  odiofo  il  Predicatore, 
che  condannaffe  di  mortale  colpa  la  bibita  di  una 
fola  chicchera  di  cioccolata  , quando  neppur  men- 
zione di  ciò  vi  fece.  Riprovata  quefta  calunnia,  fe 
ne  inventa  una  peggiore  , in  dicendo  , che  dopo 
aver  condannato  V ufo  della  cioccolata  in  tempo  di 
digiuno,  fiafi  pubblicamente  ritrattato.  Sono  incrc. 
dibili  le  cofe  per  altro  certillime  , che  in  varie  Cit- 
tà d’Italia  fi  vanno  fpargendo . Quando  certi  Signo- 
ri , e certe  Signore  criftiane  timorate  di  Dio  du- 
bitano di  contravvenire  al  precetto  in  bevendo  il 
guftofo  riftoro  , immantinente  loro  vien  detto 
y,  S,  non  ft  lafcì  dominare  da  fmili  fcrupoli  ma- 
line  onici  . Acciocché  con  maggiore  tranquillità  di 
cojcienxp  pojfa  bere  il  fuo  cioccolate  la  mattina  , 
ed  il  giorno , e quando  njuole  , fappia  , che  il  Pre- 
dicatore N»  N.  per  aver  condaìmato  r ufo  di  quejìa 
bevanda  è flato  da  Suprema  Autorità  obbligato  a 
disdir  ft  in  pulpito  pubblicamente  . Quefio  è il  bal- 
famo  d’ invenzione  novella  che  fi  va  ora  adoperan- 
do 


ào  5 per  guarire  le  piaghe  delle  difcipline  , e de- 
cilicj  , per  ritìorare  dalle  lunghiffime  inedie  K%i^i- 
diffimi  Criftiani , e le  maciate  Dame  de’  tempi  no- 
i\r\  . Prima  dei  due  Brevi  Pontificj  centra  la  cena 
dei  dilpenfati  a mangiar  carne  , fi  diceva  ai  Cri- 
fliani  dubbiofi  di  peccare  in  cenando  .*  Mangi  V.  S. 
la  iera  lulla  mia  cofeienza  un  quarto  di  cappone  : 
ora  che  tale  opinione  è difapprovata  , fi  dice  .*  Be- 
va V.  S.  il  cioccolate  , perchè  chi  il  predicava  in- 
compatibile col  digiuno  5 fi  è difdetto  . Che  ne  di- 
re 5 Monfignore  , di  quella  premura  , di  quello  im- 
pegno univerfale  per  la  Morale  , diciamola  , non 
larga,  ma  indulgente  ? Ogni  uno  può  impegnarfi  in 
una  qualche  falfa  opinione  . Ma  quella  deliberata 
prontezza  di  animo  di  fpalleggiare  , di  proteggere 
tutte  le  opinioni  accomodanti , e confacevoli  alla 
carne,  ed  al  fangue,  parmi  che  Ha  una  cofa  affai  fi- 
gnifìcante.  Sì  difputa  , fe'ila  cena  Ila  lecita  : Signor 
sì  . Si  difputa  , fe  il  cioccolate  fia  lecito  .*  Signor 
sì.  Si  difputa,  fe  quelle  ceremonie  fiano  lecite  .-Si- 
gnor sì.  Si  difputa  , fe  i Canonici  poffano  fare  la 
foia  figura  di  fiatue  mute  in  coro  , fenza  cantare  : 
Signor  sì.  Si  difputa...'.  Ma  capperi,  Monfignore, 
la  cofa  va  troppo  , e tanto  innanzi  , che  io  fulla 
fine  di  quella  lettera  vi  accennerò  le  confeguenze 

che 


xiv 

che  da  tal  opinare  Tempre  indulgente  , e Tempre 
impegnato  per  le  fentenze  favorevoli  alla  umanità 
deliziofa,  neceffariamente  derivano  .Alcuni  fi  lamen- 
tano, , e gridano  , Ali"  impo flora  , al  caìumììiatore  , 
quando  fentonfi  accufati  di  Laffifmo  , di  Benigni f- 
mo  5 quando  veggono  fotto  il  bel  punto  di  giuda 
veduta  efpofte  certe  Arane  opinioni  .•  e poi  non  fi 
accorgono , che  con  la  pratica  cotidiana  vifibile  di 
propugnare  con  impegno  le  accennate  opinioni,  ven- 
gono a confeffare  per  verità  incontraftabili  quelle 
che  per  non  faper  altro  che  dire  , chiamano  impo- 
fture  . !\la  ripigliamo  per  ora  il  ragionamento  no- 
ftro.  Dalla  difdetta  promulgata  per  Italia  inferifco- 
no  , che  anche  fecondo  il  Padre  Predicatore  Ri- 
gorifta  li  può  lecitamente  nella  Quarefima  la  mat- 
tina affaporare  , e bere  allegramente  il  dolce  rW 
fioro. 

IX.  Voi  quinci  comprendete  , Monfignore , che 
quefta  impofiura  non  tanto  è diretta  a difcreditare 
il  P.  Predicatore,  quanto  a rendere  trionfante  la  cor- 
ruttela della  bevanda  ^ e deridevole  la  fagra  difciplr 
na  del  quarefimale  digiuno  . Se  lo  fielfo  P.  Predica- 
tor  fevero  ha  dovuto  pubblicamente  difdirfi  della  con 
danna;z;ione  pronunziata  contra  l’ufo  della  cioccolata 
nella  Quarefima,  chi  potrà  in  avvenire  a tale  coftu- 


man- 


XV 

manza  opporfi?  Se  un  Rigorida  cosi  auftero  ha  do- 
vuto finalmente  approvarla,  chi  ardirà  di  contraddi- 
re ? Quelle  fono  le  argomentazioni  colle  quali  fi  fludia- 
no  di  canonizzare  la  corruttela,  di  accomodare  alla 
gola  il  digiuno,  e di  mettere  in  pacifico  poffeffouno 
fcandalofo  Lajjìfmo. 

X.  Ed  eccovi,  Monfignore,  la  forte  ragione  che 
m’ha  obbligato  a raccogliere  con  quella  occafione  di 
rifpondere  alla  domanda  voflra,  le  MEMORIE  STO* 
RIGHE  fpettanti  all’ ufo  della  cioccolata  in  tempo 
di  digiuno.  Se  la  falfa  voce  fparfa  aveffe  rifiagnato 
nel  digredito  folo  della  perfona  del  P.  Predicatore, 
non  avrei  fatta  della  impoftura  parola  alcuna,  benfa- 
pendo  ch’egli  fi  è già  renduto  fuperiore  alle  maldi- 
cenze de’fuoi  avverfarj.  Ma  il  debito  flretto  di  difen- 
dere, per  quanto  la  fiacchezzaj'mia  il  permette,  la 
Criftiana  Morale,  e il  zelo  di  mantenere  nel  fuo  vi- 
gore la  fagra  difciplina  del  quarefimale  digiuno  , 
|.anto  combattuto  ai  tempi  noftri,  non  folo  colla  fre. 
quenza  delle  trafgreflioni  , ma  molto  peggio  colla 
pravità  delle  opinioni , i veri  , e foli  motivi  fono 
fiati  che  a pubblicare  in  quefta  Lettera  le  dottrine 
de’  Teologi  fu  quefio  controverfo  punto  mi  hanno co- 
firetto.  Dicami  chiunque  è di  buon  fenno  fornito,  fe 
fenza  colpa  potevafi  lafciar  correre  la  riferita  falfità 

f^ar- 


xvi 

fparfa  per  tante  Città  d’Italia  con  si  grave  pregiudl-» 
zio  della  quarefimale  offervanza . 

XI.  E’ dottrina  comune  dei  Padri,  che  non  (olo 
coloro  la  verità  tradifcono  i quali  invece  della  veri- 
tà fpacciano  le  bugie , ma  eziandio  quelli  che  per 
una  larva  di  fciocca  politica,  o per  un  vano  mondano 
timore  di  foggiacere  ad  impofture,  ed  a calunnie, 
non  palefano  la  verità,  o tralafciano  di  difenderla, 
quando  uopo  è di  manifeftarla , e di  coraggiofamen- 
te  propugnarla,  come  infegna  S.  Giovanni  Grifofto- 
mo,  o chiunque  fia  l’Autore  dell’Opera  imperfetta. 
NoH  folum  ille  proditor  eji  verìtath  qui  tranfgv^- 
diens  'veritatem^  paìam  prò  meritate  mendacìum  lo^ 
quitur  ; [ed  etiam  ille  qui  non  Ubere  verhatem 
pronunttat  ^ qucim  libere  pronuntiare  cportet  , aut: 
non  Ubere  veritatem  de  fenditi  quam  Ubere  defe?i-  ' 
dere  convenite  proditor  eJi  ^eritatis  {a)*  Oppongo- 
no i prudentoni  del  mondo,  che  le  coftu manze  fo- 
no talmente  avanzate,  ed  hanno  gittate  radici  sì  pro- 
fonde, che  è una  manifefta  imprudenza  ,*  per  non 
dire  una  pazzia,  il  volerfi  opporre  alla  corrente  uni- 
verfale:  ed  approvano  quello  lor  perniciofo  errore 
coll’oracolo  dello  Spirito  Santo:  Ubi  auditm  non 

e/l 


(a)  Homt  XXV t in 


xvii 

ejì^  non  effundas  femonem:  Eccli.xxxii.  Il  fenfo 
legittimo  di  quello  divino  oracolo  è , che  quando  pru- 
dentemente fi  prevede  che  quello,  o quel  privato  c 
ollinato  nella  malvagità,  allora  lì  debba  fofpendere 
la  correzione  privata.  All’ incontro  per  la  fcandalofa 
contumacia  de’ privati , non  fi  dee  giammai  ommet- 
tcre  di  fpiegare  al  pubblico  la  verità:  perchè  effendo 
tra  la  moltitudine  de’ reprobi  ollinati  anche  gli  elet- 
ti, vi  ha  Tempre  allora  fperanza  di  frutto.  Quella  è 
la  dottrina  certa  e de’ Teologi,  e de’Padpì.  Il  gran 
Teologo,  e Dottor  efimio,  il  P.  Suarez  (/?)  efpref- 
(amente  infegna  , che  quando  fi  tratta  de  pubUca 
correttone  ^ & dotrìna^non  eji  omìttcnda^  etiamfi 
ynulti  fmt  illa  male  nfuri:  quìa  in  illa  femper  e fi 
fpes  frutus.  E che?  argomenta  Agollino.  (Chieg- 
go venia , le  fui  bel  principio  mi  dilungo  un  po’po’in  una 
digreffione  per  altro  importantiffima , e nec^ffaria.  j 
Si  dovrà  per  avventura  tralafciare  di  porgere  la  me- 
dicina a quelli  che  fe  ne  approfittano  , per  la  ollina- 
tezza  di  coloro  che  le  piaghe  incancherite  avendo, 
la  rigettano?  Numquìd  ideo  negligenda  ejì  medici- 
na , quìa  nonnullorum  e fi  ìnjanabilis  peflilentìa  ? Tu 
non  attendis  nifi  eos  qui  ha  duri  funt^  ut  nec  h 
r B Jìam 


(a)  Tcm,lViip'  iii.  />.  difp,  xxxii,  fec,  4,».  5. 


XVlll 

Jìam  recipiant  dtjàpììnam  ,.w  feà  debes  ettam  tanì 
ìmìtos  attendere^  de  quorum  Jalute  gaudemus*  {a) 
La  medicina  della  parola  fanta  non  lolo  è iftituita 
per  rifanare  i malati,  ma  del  pari  per  cuftodire, 
e prefervare  i fani.  Duo  fum  [ fegue  Agoftino  ] 
officia  medicina  : umm  quo  fanatur  infirmitas\  aU 
tenm  quo  fanitas  cufloditur  {b)  4 Della  fementa  fpar- 
fa  dairagricoltore  evangelico  altra  tra  le  fpine  ca- 
deva, altra  tra  le  pietre,  ed  altra  fuori  di  firada; 
ma  altra  ancora  ne  cadeva  fulla  terra  fruttifera,  ed 
ubertofa.  Se  noi  tralafciaffimo  di  fpargCj.e  il  feme 
delle  verità  crifiiane  pel  timore  che  gran  parte  del 
grano  debba  tra  le  fpine  cadere^  e tra  le  pietre; 
noi  non  coltiveremmo  mai  il  terreno  fecondo-  Si  \ 
trepidar  et  mittere  [emina  ^ ne  aìiud  cader  et  in  via.^ 
aliud  inter  fpinas^  aìiud  in  loca  petrofai  mtmquam 
femen  pojfet  etiamadterram  optimam  pervenire  {c) , ^ 
Trafando  per  ora  le  divine  dottrine  di  S.  Tomma- 
fo  a quefio  propofito  . Si  acquietino  pertanto  i Si- 
gnori Prudentoniy  e Faciloni  del  mondo,  che  a lo- 
ro non  è diretta  quefia  mia  fcrittura  , ma  ai  foli 
Crifiiani,  che  veramente  credono  , e che  lìncera- 
mente  bramano  di  falvarfi.  Seie  invincibili  ragioni 

che 


(a)  Tr.de  Epic.  & Stole. cap.i,  fb)  1 1.  (c)  In  rf.yii.conc.z. 


thè  fono  pei  raccontare  contro  la  coftumanza  moderna  i 
foffero  tante  feroci  legioni  dì  Ujari  , e di  Licanty 
che  colla  fciabla  alla  mano  andaffero  ad  invedire  i Sir 
gnori  bevitori , per  rapir  loro  di  mano  le  chicchere  * giu- 
ftamente  avrebborio  diritto  di  reclamare  contro  di  me , e 
di  chiedermi:  E chi  mai  ha  conferito  a te  la  poteftà 
d’erigere  tribunale,  e di  renderti  legislatore  di  noi 
altri,  in  foggettaridoci  colla  fpàdà  alla  mano  ad  un 
capricciofo  Rigorifmo  , ad  un’aftinenza  arbitraria? 
Qual  temerità  è mai  coteda?  Un  privato  uomó  ardi- 
fce  di  dar  legge  a tutto  il  mondo  cridiano  ? Tut- 
to ciò  potrebbono  giudamente  opporre  j anzi  diritto 
avrebborio  di  sbafattare  cotede  legioni  , di  malme- 
narle , e dì  facrificare  la  loro  pazza  temerità  alla 
feverità  di  un  giudo  gadigo  . Ma  queda  fcrittura 
modeda,  e vereconda  fe  ne  giace  rinchiufa  in  cafa: 
non  va  in  traccia  d’  alcuno  j nè  fi  lafcià  vedere  fe 
non  a chi  la  ricerca;  e veduta  nort  fi  lanlenta,  av- 
vegnaché con  difprezzo,e  confado  venga  rigettata. 
Che  può  efigere  d;  vantaggio  la  libertà  del  penfar 
giudo?  Pretenderà  per  avventura  il  pulito  fecol  no- 
dro  di  levare  a’ Teologi  la  facoltà  d’efplicare  con 
piena  chiarezza  quella  fanta  Morale  che  fi  reputa 
al  Vangelo  piò  conforme  ? Pretenderà  il  fecol  no- 
dro  d’impedire'  che  a’  Cridiani  fi  perfuada  la  peni" 

B i j ten- 


XX 

tema?  Con  piacere  fi  afcoltano,  fi  acclamano  tanti 
e tanti  , che  privi  affatto  della  neceffaria  fcienza, 
divulgano,  quando  colla  voce  ne’ privati  colloquj , 
quando  in  ifcritto  colle  pubbliche  ftampe  opinioni 
le  più  ripugnanti  alla  fublime  e puriflima  Morale 
evangelica:  ed  all’  oppofto  di  fdegno  fi  accendono 
contro  a quelli  che  propongono  le  fante  maffime 
di  quella  mortificazione  che  Gesù  Crifto  e coll’ 
efempio,  e con  la  legge  ha  prefcritta  a’fuoi  fegua- 
ci?  Sappiano  però  cotefti  novelli  eruditi  del  penfar 
libero,  che  fe  Gesù  Crifto  ha  Tempre  avuto  contro 
di  sè  un  numerofo  partito  contrario  alla  fua  Mora- 
le, ha  Tempre  mai  avuti,  e Tempre  avrà  feguaci,  ! 
che  con  invitta  coftanza  difenderanno  la  purità  im- 
macolata della  Tua  divina  dottrina, 

5.  I I. 

Sì  premeìtopo  alcune  avvertente  ^ per  far  capire 
con  chiaretK^  la  ìmportanta , ^ lo  flato 
precifo  della  quijlione , 

I.  “p  Rima  di  tutto  giovami  bene  di  rendere  perfua- 
fa  Voftra  Signoria  Illuftriflìma  e Reverendif- 
fima,  che  la  caufa  cui  fono  per  trattare,  nonè,  come 

alca- 


xxi 

alcuni  per  avventura  fi  danno  a credere,  di  poca 
confeguenza,  ma  bensì  di  grave  importanza,  come 
quella  che  fommamente  infiuifce  nel  grande  affare 
della  noftra  eterna  falvezza.  Due  fono  i peccati, 
per  cui  i Criftiani  comunemente  piombano  all’ in- 
ferno, cioè  fenfo,  ed  intereffe.  Tutti  gli  altri  pec- 
cati fono  ordinariamente  come  compagni  di  quefti 
due.  Datemi  un  Griftiano  virtuofamentc  difinteref- 
fato,  e cafto;  che  ve  lo  do  fubito  umile,  fincero, 
caritativo,  difpregiatore  di  grandezze  terrene.  Ora 
fappiate , dice  Agoftino,  che  tra  la  luffuria,  una 
delle  due  univerfali  cagioni  per  cui  tanti  Cattolici 
fi  dannano , e tra  la  gola  vi  è fempre  mai  una  re- 
ciproca flrettiffima  confederazione.  L’una  nutrica  T 
altra,  e fcambievolmente  fi  difendono.  Sempsrenim 
jwìEla  ejì  faturitati  lafctvia . Vicina  fibi  funp  veri- 
ter  ^ & genitalia^  & prò  membrorum  ordine  or  do 
vitiorum  intelligitur . Ejecit  ergo  nos  de  paradifo 
cibus?  Reducat  efuries^  reducar  jejunium  [^].  La 
gola,  vedete,  è uno  de’ vizj  capitali,  per  lo  cui 
mezzo  il  primo  peccato  entrò  infenfibilmente  nel 
mondo.  Tutti  i Santi  criftiani,  vale  a dire  tutti 
quelli  de’ quali  fappiam  di  certo  che  fono  falvi  , 

B iij  pp- 


(a)  Serm,  i ijntrim,  Dcm. 


pofero  un  fommo  ftudio  nella  mortificazione  della 
rnedefima;  La  penitenza  corporale  nel  digiuno  prin- 
cipalmente confiftente  ella  è comandata  dalla  legge 
naturale,  divina,  ed  ecclefiaftica,  come  è manife- 
fto  a tutti  quelli  che  i primi  elementi  fanno  di  Teo- 
logia criftiana.  Le  quali  cofe  alla  sfuggita  fi  fonp 
accennate,  acciocché  fi  rifletta  non  efler  sì  lieve, 
bensì  di  grave  importanza  caufa  che  abbiamo  ^ 
trattare, 

II.  Per  difporvi  poi  a ben  capire  la  controversa 
la  cui  Storia  io  fono  per  abbozzarvi,  neceffario  giu-? 
dico  di  ben  efporvi  lo  flato  netto  della  contefa.  Spe- 
ro che  quella  femplice,  e fincera  dichiarazione  debba 
per  metà  guadagnare  la  mente  voftra . Prefupporr? 
adunque  conviene  in  primo  luogo,  che  non  fi  dilpu- 
ta  ora,  fe  chi  per  elercitare  la  carica , l’impegno,  il 
miniftero  ha  bifogno  di  qualche  rifloro,  poffa  bere 
quel  tanto  di  cioccolate  che  giudica  neceffario  a rin- 
forzare la  fua  debolezza,  e renderli  abile  all’eferci- 
zio  puntuale  de’fuoi  doveri.  Altri  fono  vecchi,  altri 
acciaccofi,  altri  di  flomaco  debole.  Sono  obbligati 
a fludiare,  ad  intervenire  a congregazioni , a con- 
greffi,  a confulti  . Altri  debbono  maneggiare  af- 
fari di  grave  importanza,  che  ricercano  pronta,  e for- 
fè applicazione.  Se  la  debolezza,  o gl’incomodi  di 

que- 


xxin 

quefti  fono  tali  che  al  miniftero  loro  gli  renda  inabi- 
li, poffono  prendere  riftoro  al  bifogno  loro  convene- 
vole. Infecondo  luogo  convien  riflettere,  che  que- 
fto  riftoro  necelTario  a rinforzare  la  corporale  fiacchez- 
za non  è talmente  attaccato  alla  cioccolata,  che  non 
ammetta  qualunque  altra  cofa  non  vietata  dalla  leg- 
ge quarcfimale  per  cagione  della  qualità  . Altra- 
mente guai  a coloro  che  deboli  eflendo,  ed  acciac- 
cofi  , non  poffono  mezzo  paolo  fpendere  in  una 
chicchera  di  bevanda.  Quelli  ugualmente  poITono 
riftorarfi  con  un  bichier  di  vino,  con  una  ciambel- 
la, o altra  cofa  opportuna,  nel  fuppofto  che  vero 
reai  bifogno  tengano  di  riftoro  per  adempiere  i pro- 
prj  doveri.  In  terzo  luogo  fuppongo,  che  ciafcuno 
immediatamente  dopo  il  pranfo  pofla  la  guftofa 
bevanda  prendere  per  facilitare  la  digeftione.  E per 
fine  è certo  che  ficcorne  in  altre  materie  , così 
anche  in  quella  fi  dà  parvità  di  materia. 

III.  Lo  flato  dunque  precifo  della  controverfia  è 
quello.  Se  affblutamente  fia  lecito  Tufo  della  cioc- 
colata in  tempo  di  digiuno,  precifo  qualuhque  par- 
ticolare bifogno,  in  quella  guifa  che  è lecita  la 
bevanda  del  vino,  del  rofolio,  dell’acqua,  e d’altri 
fimili  licori  : ovvero  fe  la  parvità  della  materia  pof- 
fa  la  odierna  coftumanza  di  tal  mattutina  bevanda 

B iiij  giu 


XXIV 

giuftificare.  Poco  avveduto  io  farei  ^ fe  mi  facefE 
a combattere  a fronte  aperta  una  sì  dolce  confue- 
tudine.  Provocherei  contro  di  me,  come  fui  prin- 
cipio ho  accennato,  lo  fdegno,  e la  fatira  più  af- 
filata non  lolo  dei  ghiottoni  , e dei  laffi  Cafifti  , 
ma  di  coloro  ancora  che  vantando  dottrine  rigide 
pegli  altri,  fogliono  con  tal  licore  le  fauci  proprie 
nella  Quarefima  fanta  innaffiare  . Per  evitar  frat- 
tanto ogni  odiofità , e per  rendere  i miei  cortefi 
leggitori  vie  piu  difpofii  a capire  la  verità,  ho  ri- 
foluto  di  riferire  unicamente  i fentimenti  , e le 
dottrine  de’Teologi  delPuna,  e dell’altra  parte  , 
affinchè  fatti  giudici  i lettori  medefimi  , polfano 
a quella  fentenza  appigliarfi , che  o vera  , o più 
vicina  al  vero  giudicheranno.  Titolo  di  MEMO- 
RIE per  la  Storia  Teologica  ho  dato  a quello  pic- 
colo fcritto,  perchè  in  effetto  altro  io  non  farò  fc 
non  le  dottrine,  e maffime  narrarvi  che  i Teologi 
dell’ una,  e dell’altra  parte  hanno  ftampate.  Se  o- 
gni  minima  Storia  delle  più  triviali  coftumanzè 
religiofe  de’ pagani  tanto  diletta  ; quanto  più  dee 
piacere  la  Storia  vertente  fopra  un  punto  che  ap- 
partiene alla  difciplina  della  noftra  Religione?  La 
curiofità  di  fapere  le  più  ridicole  cerimonie  de’ 
gentili  , la  naufea  di  ben  conofeere  la  forza  dei 

pre- 


XXV 

precetti  della  propria  Religione  non  fono  contraf- 
fegni  di  una  troppo  cicca  frenefia?  E’ vero  che  que- 
Ita  non  farà  unaStoria  compita,  e perfetta:  sì  per- 
chè dove  ferivo,  i libri  di  non  pochi  Autori  mi 
mancano,  sì  perchè  il  mio  feopo  non  è tanto  di 
riempiere  la  mente  de’ miei  leggitori  di  pellegrine 
notizie,  e de’ piu  minuti  fatti,  quanto  di  rendergli 
ben  iiìruiti  nello  fpirito  della  Modale  criftiana  fpet- 
tantcaquefto  punto.  Nulla  però  ommetterò  di  ciò 
che  i Teologi  di  amendue  i partiti  hanno  fin  ora 
faputo  inventare  per  l’una,  e per  l’altra  parte. Mi 
è paruto  più  fpediente  di  rendervi  ben  ammae- 
fìrati  in  quella ’caufa  fotte  la  figura  di  Storico  col 
racconto  di  ciò  che  infegnano  gli  altri  Teologi  , 

- che  fotte  quella  di  Teologo  col  decidere  da  giu- 
dice fopra  l’una  delle  due  parti.  Però  fe  le  ragio- 
ni che  accoppiano  l’ufo  deljcioccolate  col  digiuno  > 
vi  fembreranno  tutte  inette,  vane,  e nella  maggior 
parte  ridìcole,  che  ferlfcono  il  fenfo  comune;  non 
porrete  in  conto  alcuno  fdegnarvi  contro  di  me  , 
ma  loltanto  ammirerete  fin  dove,  ed  a quai  difeorfi 
vani  fa  condurre  le  menti  eziandio  de’  Teologi  la 
premura  di  fecondare  con  buona  intenzione  gli  ap- 
pettiti umani.  Ed  affinchè  niuno  ardifea  di  cenfu- 
rarmi  o di  troppo  parziale,  o di  meno  fmeero,  ri- 

fe- 


xxvi 

ferirò  le  parole  fteffe  de’ principali  Teologi  • Con- 
ciofTiachè  alcuni  Probabiiifti  ogni  qual  volta  veggo- 
no in  giuda  veduta  efpofte  le  laffe,  e fcandalofe  o- 
pinioni  dei  loro  Cafifti,  torto  ricantano  all’ orecchio 
de’  lor  divoti  terziàri  la  folita  rancidiffima  canzo- 
na, che  alterati  fono  i partì  de’ loro  Autori  , e che 
violata  è la  carità  fanta , Se  i parti  fodero  alterati, 
farebbe  violata  la  giuftizia  > la  carità  , la  verità , e 
qualunque  regola  di  oncftà.  Avverto  dunque  i leg- 
gitori cortefì , e gli  artìcuro  , che  con  pienirtìma 
fincerità  farà  fcritta  quefta  breve  Storia  teologica 
di  quanto  infegnano  i Dottori  Moralifti  dell’uno  , 
c dell’altro  partito.  Perciò  qualunque  cofa  in  con- 
trario vi  diranno  fu  quefto  punto  alcuni  Signori  Pro- 
babiiifti, tenetela  per  falfità  ficura,  fimile  alle  altre 
fu  quefto  punto  di  alterati  tefti  fpacciate  , La  quale 
verità  fempre  farà  loro  rimproverata,  fin  tanto  che 
durano  i libri  de’ Cafifti  loro  , Ma  tempo  è ornai 
che  ci  avviciniamo  alla  narrazione  della  caufa  . E 
per  introdurvi  nella  medefima  con  qualche  piacere  , 
vo’ darvi  da  leggere  il  feguente  poetico  componi- 
mento, parto  di  gran  Teologo  , ed  opportuno  per 
animarvi  alla  lettura  della  ftorica  contefa. 


^xvii 

SONETTO, 

nel  quale  parla  la  cioccolata. 

Oìei  fon  io  che  per  r antica  ejfeni^a 
Ebbi  già  col  digìun  sì  fiere  liti  : 

Che  t maggiori  Teologi  fmarritì 

Non  fanno  a chi  di  noi  dar  la  fentenx^^ 

Studian  del  pari  il  gufloj  e raftinen^^ 

Nella  Scuola  ambedue  de  i , 

E dice  f un  ^ che  i lìquidi  afforbiti 
Frangono  y quando  v'è  P incontincn:(a  ^ 

Per  fedar  P altra  i f crup  oli,  con  figlia^ 

Che  fia  rito  civil  delP  amici'gia , 

Se  fi  prende  talor  fen^z^  vainiglia, 

Quefta  tra  P innocenza  ^ P maàiziit 
Dottrina  media  accorda  a maraviglia 
Il  digiuno^  la  gola,  e P avarizia ^ 


ìxxviii 


§.  HI. 

Origini  della  cioccolata  nell"  Indie , Sua 
inttodu'^ione  in  Europa . 

I.  *XTEir  Indie  Occidentali  fu  inventata  la  fapo_ 
rofa  bevanda.  Agoftino  Padilla  Arcivefco- 
vo  de  la  E(panola  nel  fecondo  Libro  della  Storia 
delie  Provincie  del  Meffico  al  capitolo  Ixxxiv. 
ferivo,  che  la  gloria  di  così  guftofo  ritrovato  deefl 
alla  Provincia  della  Chiapa  : ed  in  quello  fatto 
comunemente  gli  Scrittori  fi  accordano  . Quello 
Storico  però  non  ci  manifefta  l’anno  della  inven- 
zione jT  ma  per  quanto  ho  potuto  da  varj  Autori 
raccogliere,  ciò  avvenne  verfo  la  metà  del  fecolo 
decimo  fedo . Per  circa  mezzo  fecolo  non  ufcì  , 
per  quanto  a me  fembra  , dal  novello  mondo  . 
Lodovico  Lopez,  che  viveva  nella  Spagna  fua  Pa- 
tria l’anno  1592.  nel  fuo  Tomo  intitolato  Inflru- 
Eorium  &c.  ftampato  in  Salamanca  Panno  1585. 
fcrive  nel  Capitolo  cxii.  che  nell’Indie  in  ufo  era 
tale  bevanda  ; ma  che  folfe  per  ancora  nella  Spa- 
gna introdotta,  non  ne  fa  parola.  Per  quanto  li 
può  prudentemente  conghietturare,  verfo  il  MDC. 

dall’ 


XXIX 

dair  Indie  la  coftumanza  del  licore  pafsò  nelle  Spa- 
gne, e qui  per  qualche  tempo  fermoffi,innanzìchè 
in  altri  paefi  dell’ Europa  fi  avanzaffe. 

II.  Il  P.  Tommafo  Tamburino,  il  quale  nel  trat- 
tare le  cafiftiche  quiftioni  agli  altri  Cafifti  la  pal- 
ma prende,  e non  v’ha,  per  cosi  dire,  chi  lo  u- 
guagli,  non  che  chi  lo  fuperi,  fcrive  nel  Lib.  IV. 
lovra  il  Decalogo  cap.  v.  §.  2.  n.  9.  che  da  molto 
tempo  la  cioccolata  fi  ufava  e nell’ Indie  , e ^nelle 
Spagne  : e che  folaraente  di  frefco  cominciofli  ad 
introdurre  nell’Italia  ; Cocholata  IncUs  ^ Hifpan'tf 
que  jam  diu\  Italis  vero  dudum  valde.  Il  P.  Tam- 
burino lafciò  di  vivere  in  quello  mondo  l’anno 
1(575.  Sicché  verfo  la  metà  folamente  del  ^ffato 
fecolo  cominciò  a introdurli  il  novello  coftume  nell’ 
Italia  nollra.  Tra  i primi  Teologi,  che  a difputa- 
re  fi  fecero  fopra  il  lecito,  o illecito  ufo  di  que- 
lla bevanda,  fu  Antonio  di  Lion , che  con  erudi- 
to ragionamento  dimollra  non  poterli  infieme  uni- 
re cioccolata,  e digiuno,  e riporta  1’  autorità  del 
lamofo  medico  Cardano  , cui  lì  unirono  Trullen- 
co,  e Diana. 

III.  Tra  i primi  Teologi  Probabilifti  che  a fcri- 
vere  imprendeffero  interi  Trattati, ed  a raccoglie- 
re tutte  le  poffibiii  ragioni,  onde  accordare  infie- 


me  l’indiana  bevanda  col  digiuno  europeo  , uno 
fu  il  P.  Tommafo  Hurtado  dell*  Ordine  de’Cheri- 
ci  Minori.  Quefti  impiega  tutto  intero  il  Tratta- 
to decimo  del  fecondo  Tomo  delle  fue  Morali  Ri- 
foluzioni  ftampato  V anno  MOGLI,  e vi  aggiu- 
gne  in  fupplemento  un’Appendice  di  più  capitoli  . 
Avvifa  nel  proemio  del  Trattato,  che  pochi  Dot- 
tori aveano  fin  allora  degnamente  quella  còntrover- 
lia  difcuffaj  quantunque  grandemente  neceffaria  fof- 
fe  la  decifione  della  medefima , così  per  placare  le 
cofcienze,  come  per  levare  dal  mondo  i peccati  • 
Fauci  DoBoreSj  qui  fua  fcrìptd  predo  mandarunt  , 
Controverftam  hanc  nttigetunt^  lìcet  bis  temporibus 
plurimum  necéjfaria  ftt  ejus  decifió  ^ turri  AD  FA- 
CANDAS  CONSCIENTIAS , TVM  AD  MUL- 
TA PECCATA  VITANDA  . Quefle  fignificantr 
parole  ci  pernlettono , fenza  violare  le  buone  rego- 
le della  Stòria  ^ di  fare  al  leggitore  una  qualche 
breve  offervazione . Non  fi  può  con  chiarezza  mag- 
giore efprimere,  che  lo  feopo  di  quella  Probabili- 
ftica  Teologia  fià  di  addormentare  le  cofcienze,  e 
di  levar  dal  mondo  i peccati  coll’efentar  dall’  of- 
fervanza  delle  leggi  i Crilliani.  Il  P.  Diana,'  tut- 
toché folfe  dal  fuo  Caramuele  appellato  Agnello 
che  dal  mondo  toglie  i peccati,  non  feppe  [ còme 


XXXI 

fi  è indicato,  e fi  dirà  più  abbaffo  ] trovar  ragione 
che  acquetafle  le  cofcienze  di  coloro  che  in  tempo 
di  digiuno  beveffero  il  cioccolate.  Quefto  uno  è di 
quei  peccati  che  il  beiìigniffimo  Diana  non  feppe  to- 
glier dal  mondo# 

IV.  Sicché  il  noftro  P.  Hurtado  più  coraggiofo  in» 
fieme,  e più  benigno  del  Diana,  non  dice  di  fcrive- 
re  il  fuo  Trattato  per  indagare  fe  la  legge  ^ e la  na- 
tura del  digiuno  amnietta  la  bevanda  fuori  di  patto; 
ma  afferma,  che  lo  fcopó  dello  fcrivere  fuo  è di  cal- 
mare le  cofcienze , e di  levare  i peccati  . Adunque 
le  cofcienze  fono,  fenza  Tajuto  de’Cafifti  , da  sè 
ftelfe  agitate , ed  anguftiate  , quando  in  Quarefima 
vuotan  le  chicchere.  Soggiugne  di  voler  confutare  un 
dotto  Moderno  , che  troppo  fcrupolofamente  ha 
fcritto  in  quefta  caufa,  le  colcienze  aggravando  , e 
moltiplicando  nel  mondo  tanti  peccati  quante  chic- 
chere di  cioccolate  bevonfi  in  tempo  di  digiuno,  fen- 
za particolare  bifogno  . Quare  opera  pretìum  duxi 
eam  adamujfm  enucleare  ^impugna^is  quemdam  Mo- 
dernum  [ath  do6ìum , qui^  quajìione  hac  de  re  e- 
à\ta^  nimis  fcrupulofe  'uìdetur  locutus  . 1 Criftiani, 
regolati  da  que’  lumi  che  Iddio  ha  {parfi  fu  i loro 
volti , veggono  la  ripugnanza  che  c’è  tra  il  digiuno 
e coletta  guttofa  bevanda  . Ma  fpinti  per  una  parte 

dai 


xxxii 

dai  pugnenti  ftimoli  della  gola  ad  umettare  Is  fau- 
ci, rimproverati  per  l’altra  dal  lume  di  violare  il 
digiuno,  fperimentano  gravi  rimorfidicofcienza;  e, 
con  quefte  cofcienze  agitate  e lacerate  , il  dolce  li- 
core bevendo,  peccano.  Ma  ficcome  l’infermo  affe- 
tato  bramofo  di  bere,  cerca  medico'  condifcendente; 
così  quelli  Criftiani  in  cerca  (e  ne  vanno  di  que’ 
Teologi,  i quali  ftudiano,  configliano,  e ftampano, 
tum  ad  pacandas  Confcientias  ^ tum  ad  multa  evi- 
randa  peccata  : c fotto  la  (corta  di  quelli  valenti 
Teologi,  rintuzzati  i rimorfi  fufcitati  dal  naturale, 
e divino  lume,  i Crilliani  bevono  allegramente;  ed 
uniti  co’ loro  Teologi,  di  fcrupolofi  , e di  rigorilli 
condannan  coloro  che  altramente  fentono. 

V.  Premeffo  il  breve  proemio,  entra  il  P.  Hurfado 
nella  caufa.  Avvifa  nel  primo  capitolo  , come  tutti 
concedono,  che  la  infermità,  o parvità  della  mate- 
ria fcufano  dalla  violazione  del  precetto . Vuole  pe- 
rò , che  una,  ovver  due  once  di  cioccolata  non  ol- 
trappaffi  i confini  di  quella  parvità  di  materia.  Est- 
filmo  tamen  unam^  vel  DUAS  uncias  parvam  ef- 
fe materiam  . Ed  allega  l’autorità  de’ piu  frefchi,  e 
detti  Moderni.  Sic  doóìi  Recentiores,  In  quella  gui- 
fa,  continua  egli,  che  chi  è invitato  dagli  amici  ne- 
gli onelli,  e amabili  crocchi,  può  per  titolo  di  ci- 

vil- 


XXXUÌ 

viltà  mangiare  una,  o due  once  di  comcftibili,  o di 
cioccolata . Sicup  ille  qui  urbanitaùs  caufsa  invita* 
tus  ab  amiche  unam  vel  duas  tmcias  alicujus'  co* 
mejìibilts^  am  potiofìis  de  qua  loquimur^  furnit , 

VL  Stabilito  quefxo  principio  , ne  pianta  un  al- 
tro opportuno  per  la  fua  caufa  , ed  è , che  febbe^ 
ne  gli  antichi  Criftiani  diretti  da  que’  Teologi  che 
dai  Santi  Apporteli  , e dai  Padri  Santi  a quelli 
fucceduti  , furono  amnaaertrati  , rt  afieneffero  nei 
..loro  digiuni  dal  vino  , V ufo  però  di  querto  è di- 
. venuto  ue’  pofteriori  tempi  lecito  . Concede  pe* 
rò  anche  querto  benigno  Probabilifta  , che  que’ 
Crirtiani  i quali  non  folo  per  ertinguere  la  fete,  nta 
per  nutricare  il  corpo,  e ioddisfar  T appetito  frequen- 
temente beveffero  fuor  di  parto  la  Quarefima  , pec- 
cherebbono  non  folo  contra  la  virtù  della  tempe- 
ranza , ma  eziandio  eontra  il  precetto  del  digiuno 
[rf]  . E quella  fentenza  è certamente  , come  afferma 
il  medefimo  P.Hurtado,  foftenuta  da  S.  Tomrnafo, 

C dall’ 


(m)  In  tradatu  typis  edito...  lacilTitne  prqbavi  , quod  fi 
vinum  iumatur  ea  intentione  ut  nutriat  ,rtangit  jejLinitirri , quia 
alVumitur  in  fraudem  legis  , & fraus  nulli  debet  patrocinari  . 
Haec  tamen  dodrina  omnium  Antiquorum  aliquibos  Moderni? 
nimis  dura  vifa  eli;  mihi  vero  veriflìma  apparet  ; ad  quod  fut- 
ficit  quod  eam  tradat  D.  Thomas,  quem  fcqimti  fune  duod:?- 
cim  Audo.res  graviflimi  quorum  nomina  dedi  loco  ciuco,  qui- 
bus  addo  Archidiaconum,  Ludovicum  Lopez,  Azorium, .Aleti!-* 
fem,  Sai;auelein  Liibliaum,  Letiìum.  TruH. 


xxxiv 

dairAlenfe,  da  S.  Antonino,  dal  Medina  j dal  Pa-' 
lazio,daI  Gabriele,  dal  Tabiena,  da  Natale  Afef- 
fandro,  da  Enrico  di  S,  Ignazio  : e lo  fteffo  Diana 
probabile  la  chiama.  Il  P.  Tommafo  Tamburino  , 
avvegnaché  condannine!  calo  noftro  Pufo  della  cioc- 
colata, foftiene  però  che  fi  può  bere  in  Quarefima 
vino,  rofolj , ed  ogni  forta  di  licori  più  fpiritofi,  e 
delicati  per  mera,  e ptira  voluttà,  anzi  in  fraude 
della  legge  fteffa»  Sed  licct  bibere  vìnum^  mujìum^ 
cervi fiam^  aquas  ex  berbis,  veì  eodem  modo  difiìl- 
latas,  ettam  de  mane  oh  SOL  AM  DELECT  ATiO- 
NEM^eftam  multotws  in  die ^etiam  in  FRAUDEM 
jejunVt . Ita  Layman  , SancbeZj,  Diana  , y 

FagundeT:^  [/^J.Quefta  è dottrina  dannata  dalla  Ghie- 
fa  : il  che  detto  fia  per  la  vera  carità  di  avvifare  i 
leggitori  di  tal  errore , acciocché  poffano  sfuggirlo 
eiiendo  una  bugiarda  carità  quella  che  per  foffenere 
una  chimerica  riputazione  del  Cafifta,  che  con  buo- 
na intenzione  ha  errato y non  vuole  che  fi  avvifino  i 
Crifiiani,  i Confeffori  a guardarfi  da  fimili  fcandalo- 
fe  dottrine . 

VII.  Ma  ripigliamo  la  Storia  . II  punto  adunque 
della  controverfia  verte  y fegue  il  P.  Hurtado  , fe  la 

cioc- 


(a)  Vih^  IV.  in  JOecalog.  $.2.»- 4. 


?:xxV 

cioccolata  , come  fi  manipola  in  oggi  tra  noi  ^ IÌ4 
bevanda  vera , e per  modo  di  bevanda  fi  prenda  . I r- 
perciocché  fe  vera  bevanda  è,  certamente  al  digiu  ^ 
non  C oppone é Per  ló  che  convengono  tutti  , can^ 
^enìunt  omnssj  che  violerebbe  il  digiuno  chiunque 
mangialfe  in  bocconi  quella  porzione  di  cioccolata 
che  diftemperata,e  ben  frullata  nell’acqua  a caler  di 
carboni  accefi  ^ non  pregiudica  punto  alf  offervanza 
del  digiuno^  Quello  è un  prefuppofto  aliai  maravi- 
gHofo.  Chi  mangia  tjuattro  once  di  fquifito  (lorio-^ 
ne  arrollito  guafta  il  digiuno  r fe  lo  fa  (quagliare,  e 
preparare  in  un  ellratto  di  brodo  foftanziofo  , non 
pecca  punto.  Finalmente  conchiude  i fuoi  prefuppo- 
(H  il  P.  Hurtado  in  dicendo  , che  fe  la  cioccolata 
non  nelfacqua^  ma  nel  latte  fi  fquagfiaffe,  e che  i 
torli  d’ova  dentro  fi  mefcolaffero  , allora  certameii- 
te  guaderebbe  il  digiuno,  perchè  (ebbene  il  latte  è 
tra  i liquidi  , non  è però  ufato  per  bevanda  co*r 
munex^ 


XXXVl 


5.  I V. 

Documenti  de"  Teologi  peopug^natorì  deli"  ufo  del 
cioccolate  in  tempo  di  digiuno . 

\ 

I.  ^ Piegati  nel  primo  capitolo  i riferiti  prefuppo-  j 
^ fìi  principi,  come  certi  prefifo  tutti,  ftabili- 
fee  nel  fecondo  capo  la  feguente  proporzione.  Seri- 
ito  igìtUT  valde  probabile  effe  , & tmum  in  praxi 
potionem  ijìam  de  chocolate  non  frangere  jejunium  i 
Ecckfice  ; fed  bujus'  ejfcntìam  falvam  confi  fiere , etiar» 
fi  bujufmodi  potio  ali  quotici  fumaturìn  magna  quarta 
tifate.  La  fentenza  è efpofta  chiaramente  col  bene- 
fizio deila  Probabilità  novella  . E’  molto  probabi-  j 
le,  e ficuro  nella  pratica  che  fi  pofia  bere  la  cioc- 
colata  non  una,  ma  piu  volte  , e in  grande  quan-  i 
tità.  Qui  il  leggitore  comincia^  fentire  del  ribrez- 
zo alla  confiderazione  di  fentenza  cotanto  laffa,  e , 
forma  poco  buon  concetto  di  così  fatti  Teologi . 
Ma  il  P.  Hurtado  fapendo  che  uno  de’ principi  del- 
la Probabilità  è i’  autorità  eftrinfeca  , la  fentenza  | 
appoggia  ali’  autorità  de’  più  gravi  Theologi  , di  S* 
'Tomniafo,  di  S.  Antonino,  di  Paludano  , di  Du- 
rando^, d:  Silvefiro,  di  Giovanni  da  Tabia,  drMe- 

V d 1^ 


XX  XVII 

dina,  e di  altri  antichi,  i quali  fcriffero  pià  fecolì 
avanti  che  in  Europa  compariffe  la  cioccolata.  Ai- 
tempi  di  S.  Tommafo  dopo  la  cena  [la  unica  re- 
fezione ancora  riteneva  il  nomedi  cena,  perchè  fat- 
ta circa  tre  ore  dopo  mezzo  dì]  fi  coftumavadi  pi» 
gliare  un  po’  di  sìettuarìo  ^ o fa  conferva  unica- 
mente per  facilitare  la  digefHone  del  cibo  , e con- 
fortare lo  ftomacoa  ben concuocerlo . Tutti  e quan-- 
ti  coteilì  antichi  efpreffanaerite  dicono  , che  quelle 
conferve  fi  prendevano  dopo  la  cena  come  medici* 
ne  facilitanti  la  digeftione  : ed  i moderni  juniori 
con  probabiliflica  fmcerità  vogliono  dar  ad  inten- 
dere, che  anche  fecondo  la  dottrina  di  S.  Tomma- 
fo, e degli  altri  gravi  Teologi  la  mattina  per  tem- 
po fi  poffa  prendere  la  cioccolata.  Confeffa  però  il 
raedefimo  P.  Hurtado  al  n.  48.  che  tutti  gli  anti- 
chi Teologi  da  lui  addotti  parlano  delle  conferve 
prefe  in  luogo  di  medicine  , ed  aggiungono,  che 
chiunque  le  pigliava  per  eflinguer  la  fame  , e per 
nutrire  il  corpo,  violava  il  digiuno,  e io  fiefib  di- 
rebbono  della  cioccolata . Omnes  quos  adduxi , di- 
cunt  ekfluaria  ( & id^m  àtcercnt  de  cbocolato  ) fra?K 
gere  ]ejuniim^  fi  aìimo  nutrtendì  fumanPur  in  frati- 
dcm  hgh.  Sicché  per  due  fini  fi  può  il  cioccolate 
bere  : o per  ePsingner  la  feto  , e come  medicina 

G iij  ri- 


XXXViil 

rHanante;  o come  bevanda  nutritiva  . Chi  coti  h 
prima  intenzione  !a  beve,  non  viola  la  legge;  ma 
chi  con  la  feconda  intenzione  alle  labbra  la  chicche- 
ra accoda,  indubitatamente  trafgredifce  il  comanda- 
mento, e pecca ^ Potio  (iìii^ua&  efì  inedicinaìis  y&* 
cjì  dulcìs  , & apta  ad  nutrìendpim  ; & propter  utrumqit^ 
finem  potejì  fumi^&  ut  janct^&  ut  mtriat.Sì  quìs  eo  fine 
fumat  ut  mtrtat , quìs  dubitar  frangere  je'junmm  } 
E ne  affegna  la  ragione,  perchè  allora  forbe  la  be^ 
vanda  per  nutricarli,  e mangia  per  mangiare,  non 
per  rifanare  • Cum  fumat  rem  prout  ejì  nutritiva , 
& manducete  ut  manducete  non  ut  fanetur , Chiun-f 
Cjue  dunque  fi  rifolve  di  bere  la  cioccolata  in  Quare*. 
fima,  fi  armi  di  buone  intenzioni,  e intenda  di  pren- 
der medicina  per  rifanare,  non  nutrimento  per  ifiar 
meglio.  Troppo  per  avventura  fcfievoli  e gioconda 
vi  parranno,  Monfignore,  cotefle  ragioni  dalla Teo^ 
logia  Probabiliftica  inventate  , Ma  quando  cattiva 
è la  caufa,non  poffono  le  ragioni  effer  migliori, 

IL  Deboli  fono  parate  al  medefimo  P.  Hurtado 
le  accennate  fpecolazioni  diffufamente  da  lui  efpli^ 
cate,  e perciò  nel  terzo  capitolo  del  fuo  Trattatp 
ne  avanza  delle  altre , le  quali  vuole  che  vagliano 
fe  non  come  teflamento  , almeno  come  codiciìlof 
'Quefioè  un  Probabiiiftafpiritofo.  Ricorda, che  quan- 

dp 


xxxix 

do  i Cattolici  fono  grandemente  inclinati  ad  una  qual- 
che coftumanza  che  pare  contraria  alla  legge  , come 
in  effetto  lo  fono  a quella  di  bere  il  cioccolate,  che  ri- 
pugnante appunto  fembra  al  digiuno  , e dalla  quale 
inclinazione  difficilmente  aftengonfi  ; allora  debito  è 
de’Dottori  Teologi,  che  reggono  il  Tribunale  delle 
cofcienze,  d’interpretare  quella  legge  , per  quan- 
to mai  fi  può  , in  favore  , e quiete  delle  co- 
fcienze , per  evitare  in  quella  guifa  molti  peccati 
mortali.  Concioffiachè  per  efimere  gli  uomini  dalla 
legge  umana  , balla  una  ragione  probabile;  anzi  non 
fi  richiede  che  fia  probabile,  ma  bada  che  per  proba- 
bile fu  .apprefa  dagli  uomini  dotti,  e timorati.  Pro- 
duciamo le  parole  dell’Autore.  Sedut  hujus  fenten- 
ùàs  maxima  probabiììtas  pratica  ojlendapur  ^ duabus 
aliis  vìis  incedendum  ejì ^ ut  vale at  , fi  non  ut  tc- 
flamentum,  faltemuc  codicillum.  Quando  enim  fide- 
les  maxime  indinantur  ad  aliqtùd  operandum  quod 
videtur  ejfe  cantra  legem  aliquam  pofiittvam  huma- 
nam,  a qua  inclinatione  difficile  avertuntur  ; Do^o- 
yibus,  prcecipue  Theologis  qui  forum  conficientide  refipi* 
eiunt , incumhit  Uhm  declarare  , ejus  obìtgationern 
flperirey  quantum  fieri  pot  e fi  y in  con  fetenti  de  favor  sm  ^ 
& quittem , ut  fic  peccata  mortali  a evitentur . Eunim 
tu  ali  qua  lex  human  a non  oh  ferve  tur  , fat  e fi  ratto 

C i i i i prit- 


probabUìs\  & non  folum  probabìih  ^ fed  quod  proba* 
hilfs  apprebendatUT  a viris  do6lis , & ùmoratis . 

III.  Qiiefto  è un  pezzo  di  Teologia  Probabiliftica 
della  più  raffinata,  e della  più  recondita.  Ella  man- 
da in  aria  tutte  le  leggi  ed  ecclefiaftiche , e civili. 
Difficilmente  gli  uomini  pagano i tributi,  le  gabelle, 
i debiti  ai  creditori.  Sono  inclinatiffimi  a defraudar- 
gli. Dunque,  dice  il  P.  Hurtado,  ed  acconfente  il 
F.  Tamburino,  i Dottori  Teologi  debbono  tutto  Io 
Audio  loro  impiegare,  c tutte  le  induftrie  per  efime- 
rc  gli  uomini  dalla  oflervanza  di  così  fatte  leggi  dif- 
fìcili da  praticarfi.  Eccovi  fvclati  gli  arcani  delPro- 
babilifmo  . Quando  i Dottori  Teologi  difendono 
ouefìo  Probabilifmo  in  aAratto,  lo  cingono  con  nu- 
jiierofo  prefidio  di  diAinzionisì  fpeAe  che  nafeondono 
il  fuo  orrore.  Ma  quando  poi  ufo  pratico  ne  fanno 
del  medefimo,  allora  fi  fa  conofccre  per  moAruofo, 
come  appare  nella  riferita  dottrina,  ed  in  cento  al- 
tre dannate  dalla  Chiefa.  Cosi  noi  la  difeorriamo; 
ma  il  P.  Hurtado  ripiglia  il  fuo  difeorfo,  e feriva, 
che  dobbiamo  sforzarci  a tutta  poffa  per  produrre 
ragioni  probabili , almeno  di  una  probabilità  eArin- 
feca  appoggiata  all’  autorità  dei  Dottori  , le  quali 
perfuadano  ? che  la  cioccolata  non  è al  digiu- 
no oppoAa  . Quare  CONANDUM  ejìj  rattones 

adr 


xli 

f.dducere  auH’oy'ttat^  Dotìorum  nìtentes  , qués  cuh 
*vis  cordato  probabtks  apparebunt  , ad  ofienden- 
dwn  potionem  de  cbocoìato  jejunìum  non  frangere . 

IV.  La  prima  ragione  da  qucfti  fuoi  laboriofi , e 
forzati  ftudj  inventata  è,  che  la  cioccolata  è per  fe 
bevanda,  è ordinata  per  fe  ad  effer  bevuta,  e non  è 
per  fe  cibo,  avvegnaché  per  accidens  poffa  nutrire. 
Gli  rimorde  però  la  cofcienza  per  aver  detto  che 
la  cioccolata  per  accidens  nutrifea,  convenendole  di 
natura  fua  una  tale  proprietà;  per  il  che.  Ho  detto, 
fegueegli,  per  accidens^  comparando  quella  pozio- 
ne alla  intenzione  di  chi  i’ha  iftituita,  dalla  quale 
intenzione  regola  prendono  quelli  che  la  forbono . Per 
altro  fo  che  di  natura  iua  ella  è nutritiva  . Dhi  per 
accidens^  non  quia  per  accidens  conveniat  hujufmo- 
di  pononì  nutrire  : hoc  enìm  es  natura  fua  habet , 
cum  ftt  mixtum  convertibile  in  fubjìantiam  itlud  /«- 
mentis  ...  Sed  dìpcì  per  accidens^  comparando  hanc 
potionem  ad  tntemionem  infiituentis  ^ a qua  regu- 
lantur  Jmnentes.  Injìituens  enìm  bujufmodì  pQtiones  ^ 
primario  no7i  intendh  nutrimentum  , quod  per  fe 
\ fid  aut  delePiationem  qu<ie  acquiritur^  aut 
refrigerimi  naturce , Ognuno  è perfualo,  che  a tutt’ 
altro  penfino  i bevitori  della  cioccolata,  che  alPin- 
tenzione  di  chi  rhv^i  ifiituita.  Prbduce  ilnoflroHuf- 

ta- 


xlii 

tado  il  fapìentiffimo  P.  Macftro  Lopez  per  approva- 
tore  di  quella  fua  dottrina;  ma  il  P.  Lopez  efpref- 
famente  afferma  il  contrario.  Aggiugne  T autorità  dì 
fapientiffimi  Maeflri  di  Salamanca  , e del  Sommo 
Pontefice  Gregorio  XIII.  e di  molti  Maeflri  Gefui- 
ti,  Francefcani,  e di  Medici  celebri,  e rigetta  le  ri- 
fpofie  del  Pinelli.  Sul  fine  del  capitolo  fi  oppone, 
che  la  cioccolata , accendendo  la  libidine  , ripugna 
alla  mortificazione  , e macerazione  della  carne,  che  è 
il  fine  del  digiuno.  Ma  rifponde,  che  il  fine  della 
legge  non  cade  fotto  la  legge,  fenza  diftinguere  dall’ 
intrinfeco  reflrìnfeco  fine.  Ncque  objìap  quod  cbo- 
colatum  cum  bis  ingredientibus  inchct  ad  lumrìam , ■ 
& foìic’ttet  ad  coitum  , & carni s mornfìcatìom^ 
quam  mtend  'tt  jejunìum^  opponatur,  Etf  entm  finis 
intentus  ab  Ecclefia  fit  carnis  maceratio , & morti- 
ficano pajfionum  carnalium  ; hic  tamen  finis  nonca- 
dit  fub  legCy  ut  commune  axìoma  J unfperitorum  te- 
net.  Io  vo  llendendo  fotto  gli  occhi  de’ miei  leggito- 
ri alcuni  fquarci  di  Probabiliftica  Teologia,  affinchè 
Tempre  più  perfuafi  rellino,  quanto  perniziofo,  e fa- 
tale fia  alla  crifiiana  Morale  quel  Probabilifmo  che 
a giorni  noftri  tutti  c quanti  i Sapienti  d’Europa, 
così  Cattolici , come  Luterani , e Calvinifti  detefta- 
noy  che  tutta  la  gran  Chiefa  di  Francia  ha  condan- 
na- 


xJiii 

rato,  qual  velenofo  fonte  di  tutti  i mali  : eppure  in 
un  l'ecolo  così  ilJuminato,  e in  mezzo  a tanta  luce 
ancora  gente  fi  ritrova  , la  quale  non  arroffifce  di 
ofientare  la  difefa  di  tal  chimera  con  metodo  geome- 
trico. Ma  l’errore  ha  fempre  avuti  ì fuoì  feguaci 
numerofi,  e bifogna  lafciargli  deliziare  in  fimili  di- 
molirazioni  geometriche  . Trattante  riflettafi  alla 
bizzarria  di  cotefio  benigno  Probabilifta  , Che  la 
cioccolata  folleciti,  provochi  alla  luffuria,  non  im- 
porta: fi  può  bere,  perchè  il  fine  della  legge  non 
cade  lotto  la  legge.  Non  fa  mefliere  di  molte  pa- 
role centra  tale  dottrina,  che  di  natura  fua  rendefi 
deteflabile, 


V. 

Le  rcjgicni  più  rolufìe  allegate  in  favore  della 
lecita  Levanda  in  Oudrefima  fuori  di  pafo. 

I.  T A ragione  più  robulìa  onde  pretende  il  P. 

Hurtado  di  accoppiare  col  digiuno  la  cioc- 
colata, ce  la  porge  nel  capitolo  quarto  di  quello 
lue  Trattato.  (Quella  è fondata  folla  confoetudine, 
la  quale  ha  riabilito  che  quella  cioccolata  fia  po- 
dionQ  per  fe^  come  il  vino.  E ficcome  il  vino  più 

Yol- 


xliv 

volte  bevuto  non  frange  il  precetto,  cosi  neppur  k 
cioccolata . Ef  ficut  potus  vini  pluries  repeùtm  non 
frangiti  ita  neque  chocolatus.  La  difficoltà  riducefi 
a dimoftrare  fe  quefta  confuetudine  fia  rettamente 
introdotta,  e bene  ftabilita.  Due  forte  di  confuetu. 
dini  egli  diftingue:  T una  che  deroga  alla  legge  già 
introdotta;  l’altra  che  nuova  obbligazione  da  sè 
impone.  Affinchè  l’una  e l’altra  vigore  abbiano  o 
di  legge  che  nuovo  debito  imponga,  odileggenuo* 
va  che  l’antica  legge  abolifca,  fi  richiede  che  gl’ 
introduttori  delle  medefime  intenzione  abbiano  di 
obbligare  fotto  colpa.  A quello  fine  il  confenfo  è 
neceffario  del  legislatore,  e lo  fpazlo  di  tempo  con- 
gruo. Vi  fi  richiede  ancora  un  qualche  giuflo  tito- 
lo. La  confuetudine  di  bere  la  cioccolata  ella  è di 
tutte  quelle  prerogative  fornita . Dunque  ha  vigore 
di  derogare  alla  legge  del  digiuno,  e di  dichiara- 
re che  cotcfla  palla  fquagliata  nell’acqua,  fia  effen- 
zial  mente,  q per  fe  pozione.  E primamente  quella 
cofiumanza  fu  introdotta  con  la  credulità  della  mol- 
titudine, che  foffe  di  fua  illituzione  bevanda,  la 
fecondo  luogo  v’intervenne  l’efprelfo  confenfo  di 
Gregorio  XII L Vi  fono  feorfi  dairintroducimento 
fino  all’ora  prefente  piu  di  quarant’anni.  Ed  ancor- 
ché quello  Pontificio  confenfo  non  vi  foffe,  bada 

pel 


pel  valore  della  confuitudine , che  da  cinquant’an- 
ni  in  qua  nella  Spagna  vi  fia  fiato  quefio  errore 
comune,  che  tale  confenfo  il  Papa  T abbia  dato  ri- 
fpetto  airindie.  E quefia  confuetudine  non  folo  nell’ 
Indie,  ma  ancora  nella  Spagna  dee  fupporfi  intro- 
dotta; febbene  qui  con  qualche  timore  : ma  quefio  ti- 
more merita  d’eiTere  cacciato,  bafiando  il  tefiimo- 
nio  deir  lllufirifTimo  Arcivefcovo  Padilla , che  il 
Sommo  Pontefice  abbia  dichiarato,  che  il  ciaccola- 
te non  rompa  il  digiuno.  quidem  confuetudo 

hnroduBa  ejì  non  folum  in  regionibus  Indiamm  , 
fed  ctiam  m ?ìoJìra  Hifpanìaj  licet  hic  cum  aliqua 
formidine^  qucé  abtgi  debet , Per  placar  le  cofcien- 
ze,  e per  cacciare  dal  mondo  i peccati,  e per  ri* 
pulfare  il  demonio,  non  ci  vuol  paura,  ma  corag- 
gio . E quando  nella  cofcienza  qualche  timore  di 
colpa  forge,  convien  fubito  cacciarlo:  perchè  que- 
fio timor  di  peccare  turba  le  cofeienze,  affligge  lo 
fpirito,  non  lafcia  con  piacere  aflaporare  la  dolce 
bevanda.  Abtgi  debet , Ojaefio  è il  linguaggio  del 
noi.ro  Probabilifta,  che  ad  ogni  buon  Criftiano  ca- 
giona orrore. 

IL  Appena  il  Padre  Kujtado  avea  dettate  al  fuo 
manuenle  le  deferitte  ragioni  , che  alle  mani, gli 
capitò,  ccm’effo  narra  neirimmediato  capitolo  quin^ 

to, 


xlvi 

to  , un  certo  fcritto  del  faplentiflimo  Padre  Rode-' 
rico  Manrique  molto  dotto  , ed  erudito  fopra  que,^ 
fta  quiftione  : il  quale  fcritto  glielo  prefentò  il  rc- 
ligiofiffimo  Padre  Fra  Gafpare  de  los  Reyes  una  vol- 
ta Provinciale  offervantiffimo , e per  letteratura  e 
per  fantità  illuftre,  della  Regai.  Famiglia  di  Santa 
Maria  della  Mercede  dei  Padri  Scalzi  * nel  quale 
molti  pcfi  d*  autorità  ha  ritrovato  per  confermazio^ 
ne , e per  iftabilimento  di  quefta  ragione  appoggiata 
alla  confuetudine  . Qui  fi  legge  , che  il  Padre  Se- 
baftiano  di  Oviedo  Domenicano  della  Provincia  di 
Guatimala  dimandò  al  Dottor  Martin  Navarro  efi- 
ftente  in  Roma  il  fuo  configlio  {opra  quefta  con- 
troverfia  . L’  originale  dello  fcritto  di  Navarro  fi 
conferva  nella  Città  della  Chiappa  y dal  quale  ne  è 
fiata  trafcritta  copia,  come  atteflano  il  R.  P.  Fran- 
cefco  deirOlmo  Superiore  del  Convento  di  San  Do- 
menico d’eflfa  Città  a’  2.2.  d’Aprile  Tanno  1577. 
Gabriel  de  Morales , Idelfonfo  de  Nurena , e Fra 
Francefco  Salzedo  Guardiano  del  Convento  di  San 
Francefco  Atitoenfe  della  Provincia  di  Guatimala . 
Ed  il  Padre  Raffaello  de  Luxan  Provinciale  della 
Provincia  di  San  Vincenzo  delTÓrdine  de’ Predica- 
tori con  giuramento  afferma  , che  il  Padre  Fra  Gi- 
rolamo di  San  Vincenzo  della  medefiraa  Provincia 

Pro- 


Provinciale  j uomo  religiofo  ec.  di  virtù  (ingoiare 
0li  ha  detto  , che  ritrovandoli  in  Roma  , moffo  da 
un  appoftolico  zelo^  confultò  fopra  quefto  cafo  San 
Pio  V.,  e r informò  della  maniera  onde  nell’ Indie 
quella  bevanda  manipolavafi  ; e che  ricevette  quella 
rifpolla  : Votus  non  frangit  jejumumt  e ch’egli  te- 
neva quella  dichiarazione  qual  oracolo  di  viva  vo- 
ce , come  fe  colà  folle  fiato  mandato  da  un  Eminen- 
ti ffimo  Cardinale  ^ mentre  il  predetto  Fra  Girolamo 
di  San  Vincenzo  fu  uomo  di  autorità  maffiraa  , e 
di  fantità  efimia  • Tutto  ciò  fommariamente  ha  di- 
chiarato'il  Padre  Luxan  a di  23.  Marzo  i6ig. 

III.  Quindi  così  argumenta  il  Padre  Hurtado  . 
Quando  il  Pontefice  è interrogato  fopra  un  dubbio 
de’  Fedeli  circa  ia  offervanza  di  un  qualche  coraan" 
damento,  e legge  ecclefiaftica  5 la  Pontificia  rifpofta 
fa  dichiarazione  giuridica  ^ come  infegna  il  Panor- 
mitano  , ed  il  Cardinale  Paleoto.  Nè  offa  la  rifpo- 
fta del  Covarruvias , di  Melchior  Cano  , del  San- 
chez  5 del  Suarez  , i quali,  dicono  che  la  rifpofta 
del  Principe  data  in  occafione  di  alcuna  interroga, 
zione  5 fatta  da  privati , fui  dubbio  che  concerne 
la  legge  univerfale,  non  ha  forza  d’interpretazione 
giuridica  , quando  il  Principe  non  vuole  che  la  fua 
interpretazione  fia  univerfale  . Imperciocché  que- 

fla 


xlviii 

fta  dottrina  è vera^  ripiglia  l’Hurtado  noflro  , quan* 
do  la  interpretazione  del  Principe  è obbligatoria  * 
non  quando  difobbliga  dall’offervanza  della  legge  . 
Nel  noftro  cafo  il  Papa  dichiara  , che  il  cioccolate 
non  viola  il  digiuno  : la  quale  dichiarazione  vaie  , 
ancorché  foffe  del  Papa  come  Dottor  privato.  Pon^ 
tsfex  deccrnìt  chocolatum  non  frangere  : decla. 

ratio  j etiamft  ejjet  ut  Do6loris  particularis , fujficiens 
ejfet  ad  Jtojirum  interi tum , Quello  acuto  Probabili- 
fla  tiene  in  pronto  certe  inafpettate  rifpofte , colle 
quali  fi  libera  con  dcftrezza  mirabile  da  ogni  più 
flretta  argumentazione* 

IV.  Air  oracolo  di  viva  voce  di  San  Pio  V.  ne 
aggiugne  il  Padre  Hurtado  un  altro  del  Pontefice 
Paolo  V.  riferito  dal  Padre  Manrique,  il  quale  nar- 
ra , che  il  Padre  Diego  di  Sofà  Vifitator  della  fua 
Compagnia  nel  Mexico  gli  diffe  , come  il  Padre 
Niccola  di  Anaya  Proccuratpr  di  quella  Provincia 
prefentò  quella  difficoltà  nel  i<5i4.  al  S.  P.  Paolo  V. 
il  quale  comandò  che  in  prefenza  lua  fi  manipo* 
laffe  il  cioccolate , fe  ne  preparale  per  una  bibita  , 
e dopo  diffe  Sua  Santità  .*  Hoc  non  frangit  jejti* 
nìum.  Ed  il  Padre  Anaya  mandò  quella  dichiarazìc-^ 
ne  al  fuo  Provinciale  del  'Mexico  , ed  i Padri  gra- 
vi la  -raccontarono  al  Padre  Diego  de  Sgfa  loro  Vi- 
:■  , fila- 


Xii:: 

fitatore  qual  cola  certa  ^ e indubitata  . Quella  di- 
chiarazione fola  bafta , acciocché  tutti  poffano  leci- 
tamente praticar  detta  bevanda,  ancorché  quelli  non 
fappiano  nulla  di  tal  dichiarazione  .*  imperciocché 
hanno  (ufficiente  faenza  per  operar  bene , quando 
fi  p'prefume  che  ognun  fappia  le  cofe  notorie  , e 
pubbliche  , fecondo  cl^p  infegnano  il  Mafeardo  , il 
Sordo,  il  Menochio , il  Barbofa. 

V.  Confermano  quella  nOitra  fentenza,  foggiugne 
il  Padre  Hurtado , molti  altri  Padri  della  Compa- 
gnia di  Gesù  , i quali  ai  di  Giugno  dell’  anno 
1(530.  fottoferiffero  il  narrato  Trattato  , e fono  il 
Padre  Lodovico  Ramirez,  il  Padre  Criftoforo  Ruyz, 
il  Padre  Marco  del  Caftillo,  il  P.  Ferdinando  de 
los  Rios , il  P.  Didaco  Tello  , ed  il  P.  Ildeforifo 
Fernandez  de  Cordova  , tutti  uomini  dotti  e molto 
eruditi , come  la  faau  canta  in  quello  noflro  teatro 
di  Siviglit. 

VI.  Da  tutte  quelle  cofe  gran  rinforzo  riceve  la 
fentenza  noflra  a doppi©  motivo  appoggiata . Printa 
perchè  dal  tempo  di  San  Pio  V.  e di  Gregorio  XIII. 
è cominciato  Tufo  della  probabilità  di  quella  opi- 
nione .*  e quella  probabilità  alla  giornata  forze 
riceve  , ed  accrefeimento  / Cujus,  probabilità^  in  dks 
vsres  refumit , & incv  e me  ntam  : perchè  gli  uomini 

T) 


fempre  più  guftano  quefta  bevanda . Che  fe  alcuno 
troppo  fcrupolofo  non  fi  fidaffe  di  appoggiare  la 
fua  cofcienza  al  fondamento  della  probabilità  , che 
giuftifica  la  pozione  , fi  ferva  , fe  vuole  , della  di- 
chiarazione Papale . Quod  fi  quh  mulo  ufus  opimo- 
nis  probabilis , non  velif  hac  pottone  uti , utatur , [t 
njelit  j mulo  declaratìonis  Fontificia . E fe  finalmen- 
te nè  l’uno,  nè  l’altro  di  quefti  due  titoli  baftaffe 
per  indurvi,  o Crifiiani , a bere  con  tranquillità  di 
cofcienza  quefta  cioccolata  , fervitevi  alla  buon’  ora 
del  titolo  della  confaetudine  derogatoria  della  leg- 
ge del  digiuno  . Quod  ft  hoc  contentus  non  fit , uta- 
tur  mulo  confuetudìnis  deroganth  • Al  noftro  Pro- 
babilifta  preme  che  i Criftiani  nella  Quarefima  , o 
in  virtù  della  probabilità , o in  vigore  della  Papale 
dichiarazione  , o finalmente  in  virtù  della  confuetu- 
dine , fenza  fcrupolo,  e con  tranquilla  cofcienza  più 
volte  il  giorno  fi  ricreino  coll’ufo  della  faporita  po. 
zione  : perchè  in  quefta  guifa  la  probabilità  di  gior- 
no in  giorno  robuftezza  acquifta  , ed  incremento . 
Cujus  probabiìitas  in  dies  vires  refumit  , & incre- 
mcntim  . Se  qualche  fcrupolo  inforge  , o qualche 
larva  di  timore  lo  fpirito  ingombra  , dee  rintuz- 
zarfi  . Ahigi  debet . Conchiude  il  fuo  quinto  Capi- 
tolo il  P.  Hurtado  con  un  dubbio  che  manda  in  aria 

l’al- 


f allegata  confuetudiae  ; attefocbè  i prodotti  Ora-^ 
coli  Pontifici  furon  pronunziati  fopra  la  cioccolata 
che  fi  beve  nell’Indie,  la  quale  può  effere  vera  bevan*^. 
da , come  è la  limonea  tra  noi  . E però  la  confueta- 
dine  può  valere  nell’ Indie  , e può  effere  corruttela 
in  Ifpagna  . Hac  [ confuetudo  ] poter at  ejfe  m Iif 
dia  5 & non  Hifpania  i Perciò  fi  rimette  a produrre 
ne’  feguenti  capitoli  più  robufte  ragioni. 

§.  V I. 

Raccolta  di  tutte  le  altre  ragioni  prodotte  dal 
Padre  Hurtado  in  difefa  del  cioccolate . 

I.  T N tutti  i paefi  del  mondo  v*'  è introdotta  una 
qualche  bevanda  fpremuta  da  alcuni  comefii*^ 
bili  y dice  il  P.  Hurtado  fui  bel  principio  del  fuo 
fedo  capitolo  . Nella  Spagna  l’ aloxa  ^ predo  i Ro- 
mani il  vino  melato  , preffo  i Fiaminghi  la  cervifa  5 
e preffo  i Cantabri  la  zidra  era  in  ufo  . Ed  avve- 
gnaché quelle  pozioni  dai  Pagani  fieno  fiate  inven- 
tate , non  perciò  ne  feguc  che  noi  altri  Cattolici 
non  poffiam  praticarle  : perchè  fecundum  principia 
thsoìogìca  dicimus  , potum  , et  fi  Gentilium  ^ non 
frangere  jcjunium  . Nè  dee  fgomentarci  che  i Sa:er- 

D i I doti 


Ili 

doti  idolatri  fi  attengano  dal  cioccolate  in  tempo 
de’lor  digiuni  : perchè  eglino  ufano  tal  attinenza  per 
digiunare  con  piu  di  rigore  , il  qual  rigore  non  ap. 
partiene  alla  fottanza  del  precetto  di  noi  altri  Cri- 
ftiani . Quod  Sacerdotes  genriles  in  fuis  jejuniis  ab- 
Jììneant  a chocolato  , non  obejl  : quia  e ti  am  abjìi- 
nebant  a vino , quod  fackbant  ad  rigoroftus  jejunan^ 
dum  : qui  rigor  non  ejì  de  fubjìantta  pY<jeceptì  nojìri . 
La  penitenza  di  noi  altri  Criftiani  è dolce  , e foave, 
nella  cui  fottanza  non  ci  entra  il  Rigorìfmo  , fecon- 
do la  probabilità  dello  Storico  nottro. 

IL  Una  feconda  ragione  la  fonda  egli  fopra  la  Glofa 
Civile  \x^\Q,vQxh.Sponfum\  C,  de  raptu  Virginis  , e 
fulla  Giofa  del  Decreto  Ad  caput  denique  , dove  fi 
ha  \ ~EtQ  quo  unum  conce  di  tur  , omnia  fmiHia  in  felli- 
guntur  effe  conce Jfa  , Dal  qual  principio,  dice  il  P. 
Hurtado,  molte  cofe  raccoglie  , come  è fuo  coftu* 
me  , il  P.  Tommafo  Sanchez  . Effendo  dunque  nel  | 
rimembrato  capitolo  permeffo  il  vino  , ne  viene  per 
legittima  confeguenza  , che  del  pari  le  altre  pozioni 
al  vino  fimili  fieno  concedute . La  pozione  del  cioc- 
colate è Amile  al  vino.  Dunque  s’ intende  ugualmen- 
te che  il  vino  approvata. 

III.  La  terza  ragione  egli  la  forma  con  quefta  pa- 
rità. Il  zucchero  duro  , ed  il  mele  folo  fe  mangianfi 

in 


in  gran  quantità,  fciolgono  il  digiuno  ; e pure  li- 
quefatti nel  vino  non  rompono  il  precetto  , perchè 
veramente  fono  bevanda  , e per  modo  di  bevanda  li 
prendono  . Adunque  lo  fteffo  dobbiam  conchiudere 
lifpetto  alla  cioccolata,  la  quale  peT  fe  è bevanda  , 
ed  a maniera  di  bevanda  fi  piglia. 

IV.  Sul  fine  del  Trattato  allega  il  noftro  Proba^ 
bilifta  un  coafiglio  di  Navarro  , nel  quale  due  pun- 
ti fi  affermano.  11  primo  è che  nellTndie  fi  cofiuma 
quella  pozione  , colia,  quale  i lavoratori  fi  alimeni^ 
tano  tutto  il  giorno*  Nel  fecondo  fi  rifolve  che  que- 
llo alimento  non  fi  oppone  al  digitino . In  tutte  le 
Opere  di  Navarro  un  tale  coafiglio  non  fi  ritrova. 
E quando  anche  fi  trovaffe , qual,  fuffragio  rechereb- 
be all’ ulo  della  cioccolata  Europea,  fe  favella  del-, 
la  Indiana  ? 

V.  Il  P.  Leandro  da  Marcia  Cappuccino  confutò 
valorofamente  la  dottrina  del  P.  Hurtado  , cenfu- 
randola  di  falla  , e di  contraria  alla  pietà  crifliana 
L’ Hurtado  lunga  Appendice  al  fuo  Trattato  aggiun- 
fe  , nella  quale  in  parte  difende  la  fua  fentenza  , e 
in  parte  la  ritratta  * Nel  primo  capo  di  quell’ Ap- 
pendice , o fia  Apologia  , fi  accende  contra  il  Padre 
Leandro  , per  aver  quelli  fcritto  , che  alla  pietà  cri- 
ftiana  la  benigna  fentenza  fi  oppóne  ; e fcrive  che 

D i i j 


« • 

ì\v 

in  hoc  R,  P.  ninjtum  e)^cejjtf  :ptrchh  il  fine  del  pre- 
cetto non  cade  fotto  il  precetto  . Reca  egli  il  tc 
guente  efempio  . Il  fine  prefiffo  dalla  Chiefa  nel 
precetto  di  recitare  le  ore  canoniche , e di  afcolta- 
re  la  lanta  Meffa  , egli  è la  devozione  de’  fedeli  , 
ed  il  culto  di  Dio  ; e pure,  perchè  quefto  fine  non 
cade  fotto  il  precetto , non  pecca  contra  il  medéfi- 
mó  il  Cherico  che  con  volontarie  diftrazioni  recita 
il  divino  Officio  . E lo  fteffo  diciamo  di  chi  volon^ 
tariamente  diftràtto  in  giorno  di  fella  al  Sagrificio 
della  Meffa  alfiffe,  come  infegnano  il  Cardinale  de 
Lugo,  il  Leffìo,  il  Laimano,  e tanti  altri.  Or  chi 
dirà  j che  cotefti  Dottori  deroghino  alla  criftiana 
pietà  ? Chi  dunque  infegna  offervarfi  la  foftanza  del 
precetto  , benché  il  modo  ommetta,  ed  il  merito 
perda  dell’offervanza  , nè  confeguifea  il  fine  della 
legge  ; exwdc  derogat  pìetati  chrìfliam  con- 
tra  ipfam  dùcendo . Dio  fole  può  fapere  qual  idea 
vi  fofse  nella  mente  del  P,  Hurtado  della  pietà  cri^ 
lliana  , Da  ciò  che  ne’  feguenti  capitoli  di  fua  Ap- 
pendice fcrrve  , raccogliefi  che  ogni  opinione  , o 
che  fia  probabile  , o che  fi  apprenda  per  probabile , 
è conforme  alla  criftiana  pietà  , Affegna  nel  terzo 
capitolo  i fondamenti  della  probabilità  di  fua  fen- 
tenza  • Un  folo  Dottore  per  dottrina  , c per  pietà 


illuftre  bada  per  rendere  una  fentenza  probabile  . 
Ora  non  uno  , ma  più  Dottori  la  fentenza  noflra 
difendono  . Chi  può  dunque  la  probabilità  contra- 
flarle  ? E fe  è probabile  , ella  è benigna  ; fe  beni- 
gna , dunque  pia. 

VI.  Riproduce  nel  quarto  capitolo  il  principale 
argomento  di  fua  fentenza , che  la  cioccolata  è ve- 
ra bevanda . E per  mettere  in  migliore  veduta  que- 
flo  grave  argumento , fi  fa  a fpiegare  le  definizio- 
ni del  cibo  , e della  pozione  , allegando  le  autori- 
tà di  Bercorio,  di  Celfo,  di  Plinio  , e di  rinoma- 
ti Medici.  Diftingue  tre  forte  di  bevanda,  natura- 
le, artificiale,  è medicinale.  Ripone  la  cioccolata 
nel  novero  delle  bevande  mille  artificiali . Copia  le 
parole  del  Medico  Ramirez,  il  quale  dice  .*  Potus  hic 
dupHcem  habet  naturam  , cibi  , & potus  . Felici  i 
viaggiatori  , e gli  uomini  tutti  , fe  la  dottrina  di 
quefto  Medico  valelfe.  Ognuno  con  poco  incomodo 
potrebbe  maogiare  , e bere , e menar  fua  vita  fen- 
za  tanti  aggravj , con  la  fola  provifione  di  alquan- 
ta cioccolata.  E’  vero  che  le  Indie  non  potrebbo- 
no  fomminiftrar  tanto  caccao  * ma  la  umana  indu- 
ftria  cercherebbe  di  trapiantar  anche  altrove  fimili 
piante. 

VII.  Dì  bel  nuovo  mette  fotto  gli  occhi  i Pa- 

D iiij  pali 


ivi 

pali  oràcoli , cd  a quelli  di  S.  Pio  V.  di  Gregorio 
Xlllé  e di  Paolo  V.  ve  ne  aggiugne  un  altro  di 
Gregorio  XV.  e fi  accende  centra  il  Padre  Leandro 
Cappuccino  , che  francamente  fpaccia  per  favolofe 
cotefte  Pontificie  dichiarazioni  . Ed  il  P.  Hurtado 
rifponde  , che  le  rifpofie  del  P. Leandro  Cappuccino 
tmnia  fupiìia  funt  : perchè  febbene  non  fono  au- 
tentiche le  Papali  dichiarazioni  nel  foro  elìerno  , 
fono  tuttavia  nel  foro  della  cofcienza  legittime,  ba» 
flando  un  folo  accreditato  tefìimonio  per  rendere 
nel  foro  della  cofcienza  probabile  una  opinione  , c 
la  relazione  di  un  fatto  , come  infegnano  il  Dia- 
na , il  Zambrana  , il  Granado , il  Salas , Probabi- 
lifti  autorevoli. 

Vili.  Corrobora  nel  lefto  capo  la  ragione  della 
conluetudine  , in  virtù  della  quale  rimane  dichiara- 
to , che  la  cioccolata  fia  bevanda  , e non  cibo.  Ci' 
ta  molti  autori  a fuo  favore  , maffimamente  il  Dia- 
na, il  quale  prova  che  nel  Regno  di  Sicilia  è lecito 
Tufo  della  mantecca  di  porco  y o fia  llrutto  di  lardo., 
onde  fi  condifcono  le  vivande  eziandio  quarefimali. 
Se  la  confuetudine  rende  lecita  quella  , perchè  non 
quefta  ? Moltiffime  altre  cofe  fcrive  intorno  alla 
confuetudine,  che  fenza  pregiudizio  della  Storia  le 
traiando  come  inutili  al  punto  controverfo . 

IX.  Fa 


Ivii 

IX.  Fa  rifaltare  di  naovo  in  campo  nel  lettimo 
capitolo  la  parità  degli  elettuarj , o fieno  conferve 
praticate  ne’  fecoli  paffati  5 dopo  la  refezione  fatta 
in  giorno  di  digiuno  per  facilitare,  come  s’è  detto > 
la  digelVione  . Il  P.  Hurtado  oppone  un  Tefto  di 
S.  Tommafo  , del  quale  enormemente  fe  ne  abufa  , 
come  dimoftrano  i Teologi  delia  contraria  fenten- 
za  . Rifponde  nell’ ottavo  capitolo  agli  argumenti 
del  P.  Leandro  con  tutta  brevità . 

X.  Il  P.  Zaccaria  Pafqualigo  , avvegnaché  piu  di 
qualfifia  altro  Probabilifta  abbia  talmente  allargata 
la  legge  dei  digiuno,  che  il  fuo  Tomo  fopra  quefta 
materia  è llato  dalla  Chiefa  dannato  , non  ha  po- 
tuto evitare  le  acri  cenfure  del  P.  Hurtado  nofiro, 
il  quale  nel  nono  capitolo  della  fua  Appendice  lo 
confuta  , perchè  ha  negato  lecito  l’ufo  del  ciocco- 
late |in  tempo  di  digiuno.  Gran  che  I efclama  il 
Plurtado  . Appena  v’  ha  fiato  di  perfone  che  il  P. 
Zaccaria  Pafqualigo  non  efenti  dal  digiuno  : e poi  è 
fiato  capace  di  fcrivere  , che  quefta  bevanda  guafti 
il  digiuno  a frivoli  fondamenti  appoggiato  ? Ep  Jn 
primis  mirar  Zacbariam  , qui  cum  in  Tomo  pr(S- 
grandi  jam  citato  , njix!  fit  flatus  hominum  in  Ec- 
clefm  qiicm  ab  obìigatiojie  jejunii  non  excludat  , 
dicat  , qmd.potus  ifle  jcjmium  frangat  . Numera 

cir- 


circa  cinquanta  flati  di  perlone  che  il  P.  Pafqualigo 
difpenfa  dal  digiuno  .*  e novamentc  ripieno  di  am- 
mirazione non  può  capire , come  un  sì  acuto  Pro- 
babilifta , che  ha  faputo  ritrovar  ragioni  per  efime- 
re  dal  digiuno  i poveri , i fervi , i viaggiatori  , i 
maritati  deboli , le  donne  che  perdono  in  digiunan- 
do il  colore  , col  quale  gradevoli  rendonfi  al  mari- 
to , le  vergini  fpofe  , quando  v’  è pericolo  di  ofFu- 
fear  la  venuflà  , tutti  quelli  che  efercitano  arti  la» 
boriofe  , i facchini , i calzolai  , i cocchi , i forna- 
ri , i teftori  , i mugnaj , i conciatori  di  pelli  , gli 
argentierf , gli  orefici  , i venditori  di  merci  per  le 
vie,  le  donne  lavandaje  , i pittori,  gli  Scultori,  le 
ferve  che  faticano  , gli  ftampatori , i maripari  , i 
foldati  valorofi , i conciatori  di  Chiefe , quelli  che 
viaggiano  a piedi,  quelli  che  corrono  a cavallo  ful- 
le  mule  (FAlquiler  , i giuocatorì  di  balla  , o dì 
qualche  altro  giuoco  laboriofo , coloro  che  dall’in- 
temperaate  libidine  fono  divenuti  fiacchi,  i Predi- 
catori di  tre  giorni  per  fettimana , i Lettori  , i 
Cattedratici , i Confeffori  che  faticano  affai  , quel- 
li che  ftudiano  di  continuo,  gli  Avvocati,  i Proc- 
curatori  , i Giudici  che  travagliano  , i Nota)  che 
fcrivono  per  k maggior  parte  del  giorno , i Secre- 
tar] de’  Principi  ne’  giorni  che  faticano,  di  molto  , 


lix 

grinfermieri , i Vefcovi  ne’ giorni  delle  Ordinazio- 
ni numerofe  , i Flagellanti  della  fettimana  Tanta  , i 
pellegrini  che  vanno  a’  luoghi  fanti,  quelli  che  ab- 
bondano di  calore  diftomaco,  cd  altri  che  ommetto. 

XK  Terminata  la  lunga  ferie,  conchiude  ilP.Hur- 
tado.  /lu^orem  iftum  mìratus  fum^  qui  cum  ratio* 
77CS  pYobabiles  invenhet  ad  omms  relatos  excufan* 
dos , non  [ibi  occurriffe  ad  dicendum , quod  choco* 
late  non  frangtt\  nifi  forfan  hoc  dìcat  prò  Italia^ 
& aliis  regionibus^  in  quibus  confuetudo  ìpfum  bi- 
bendi  non  ìnvaluity  ficut  invaluit  in  Indiis,  & in 
Hifpania.  Non  ha  confiderato  il  P.  Hurtado  , che  fe 
il  Pafqualigo  ritrovava  la  probabilità  anche  per  la 
pozione  coccolatica,  non  rimaneva  piu  alcuno  che 
davvero  digiunafle  . Per  altro  è d’  uopo  confeffare 
che  non  lenza  ragione  il  P*  Hurtado  fi  lamenta,  che 
quello  fuo  collega  non  abbia  nel  vallo  arfenale  del 
Probabilifmo  fapnto  ritrovare  perii  cioccolatanti  ra- 
gion probabile,  che  gli  metta  al  coperto  del  precet- 
to, quando  ha  faputo  ritrovare  probabilità  per  cin- 
quanta fiati  di  perfone,  affine  di  efentarle  dal  digiu^ 
no  . Ma  ficcome  il  Probabilifmo  aUro  fondo  non  ha, 
fecondo  me,  che  il  capriccio  degli  uomini  ; così  non 
è maraviglia,  fe  fecondo  la  varietà  de’genj  fi  multi- 
plicano  le  probabiiiflicke  opinioni , 


Xll 


h 

XII.  Finimento  métte  al  fuo  Trattato  il  P.  Hur-* 
tado  con  ritrattare  in  fuftanza  quanto  ha  detto.  Egli 
conchiude,  thè  chiunque  la  cioccolata  beve,  come 
pure  il  vino,  con  intenzione  di  nutrirfi,  viola  il  pre- 
cettò del  digiuno.  La  intenzione  degli  uomini  nè 
dà,  nè  toglie  al  preziofo  licore  virtù  , o forza  : e 
pure  il  noftro  P.  Hurtado  vuole  che  da  quella  fola 
intenzione  dipenda  la  offervanza,  o la  trafgreffione 
del  precetto.  Già  veggo  che  qui  i leggitori'  fi  com- 
muovono forfè  contro  di/ me,  non  potendo  darli  a 
credere  che  un  Teologo  alla  intenzione  degli  uomini 
riduca  o la  violazione,  o T adempimento  della  leg- 
ge. Perciò  conviene  trafcrivere  le  di  lui  parole.  In 
tramata  typh  dato  ...  ìaùjftms  probavi^  quodftvi- 
num,  & chocolate  fumnntuY  e a intentions  ut  nu- 
triamo frangunt  jejunìum  ...  Hdsc  tamen  do^rinay 
quds  omnium  àntìquòrum  efì^^  aliquibm  moder- 
nìs  nìmìs  dura  njt fa  e fi*  Mihi  vero  vertjfima  appa* 
ret  : ad  quod  fuffcit  quod  e am  tradat  S.  Thomas  ^ 
'quem  fecutì  fimt  duodecim  AuBores  gravifftmi  ^ quo- 
rum nomina  dedì  loco  citato,  Quìbus  addo  Arcbtdia- 
conum^  SUvejìrumo  Abulenfemo  Lopez^  o Medinamo 
AzpTtiumj  Compìutenfemo  Alenfenio  LublinunìoLef 
fmmr  ' 

XIII.  Il  fondamento- primiero  di  quella  fentenza 

è,  che 


Ixt 

è,  che  e la  cioccolata,  e il  vino  veramente  nutrifco- 
no  . E chi  ardirà  di  negarlo?  efclamail  P.  Hurtado  . 
Non  ce  Io  dimofira  la  fperienza,  avvegnaché  di  pri- 
maria ifiituzione  fieno  faevande?Chi  dunque  le  pren- 
de con  la  intenzione  di  eftinguer  la  fame,  e di  nu- 
tricar il  corpo  luo,  prevaricatore  fi  rende  della  legge. 
pYtmimì  fu7ìdamentum  ejì^  quia  tam  vinum,  qmm 
potus  de  chocoìate  vere  ììutriunt.  Et  quìs  t hoc  ne- 
gra ì £um  experientia  id  doceat^  quamvìs  ex  pri- 
maria fui  iìijìituùone  [int  potus , Ergo  fi  quis  ea 
fumat  e a int  emione  ^ ut  nutrì  ant  ^ & famem  extin- 
giiaìit , peccat  coìitra  praceptum  jejunii , & r cip  fa 
ipfum  frangit.  Certe  verità  di  lor  natura  lampanti 
efiorcono  fovente  dagli  fieffi  avverfarj  almeno  im- 
brogliati confcntimenti . Si  concede  qual  verità  in- 
contraftata  alla  cioccolata  il  nutrimento;  ma  nello 
fieffo  tempo  fi  ricorre  alla  chimerica  iftituzione  pri- 
maria, colla  quale  fu  riporta  nel  novero  de’ liquidi . 
Se  la  primaria  irtituzione  la  produce  in  parta  foda, 
opportuna  per  eiTere  marticata,  e mangiata^  come 
può  diri]  , che  di  primaria  irtituzione  fia  collo- 
cata tra  i liquidi  ? 

XIV.  L’altro  fondamento  è,  che  allora  frauda  fi 
commette  contra  la  legge,  quando,  fai  ve  le  parole 
della  legge,  fi  clrccnviene  la  fentenza,  e lo  fpirito 

del 


Ixii 

della  legge:  ficcome  quando  un  Regolare  non  di- 
mette l’abito  religiofo,  ma  fopra  Tabito  religiolo 
la  divifa  vette  di  laico,  circonviene  la  legge;  c fe 
fuori  de’Chiottri  cosi  vettito  va  camminando,  fecon- 
do tutti , le  cenfure  incorre  contra  gli  Apottati  ka-^ 
gliateé  Sendo  per  tanto  verità  certa  che  la  ciocco- 
lata nutrimento  reca  al  corpo,  quantunque  chi  la 
beve  , materialmente  non  mangi  ( e per  quetta  par- 
te fuflittono  le  parole  della  legge  ) in  realtà  però 
li  delude  la  fentenza,  e lo  fpirito  della  legge,  per- 
chè contro  di  quetta  più  di  una  volta  il  giorno  il 
corpo  fi  nutrica.  Tunc  fit  aìiqmd  in  fraudem  legts^ 
cum  quisjfahis  ìllius  verbìs^  fententiam  ejus  circum- 
venit , ut  con  fìat  in  Religiofo. , qui  non  dimit- 

tens  habitum  regularem  , fupra  ipfum  ìnduitur  habitu 
/oculari  : ifte  enim , et  fi  non  dimittat  habitum  occuU 
te^  fi  tamen  dìwgetur  extra  clouflra^  omnes  con^ 
veniunt  ipfum  taìem  ejfe  Apofìatam^  incurrere  cen- 
furas  contra  Apofiatas  ìatàs^  quia  fententiam  legit 
circumvenit , fervatts  verbìs  Ergo  fi  quis  bibat 
n)inum , aut  cbocolate  animo  fe  fuflentandi  , & 
nutriendi^  cum  ifidc  potiones  vere  nutriant,  quam- 
•vis  ad  hoc  non  fimt  hiJhtutcCj  et  fi  ore  non  come^ 
dat  fed  bibat  ^ & fic  falvet  vcrba  legti\  tamen 
ejus  fententiam  circumvenit^  & vere  ex  imentioney 

& ex 


& fx  opere  operato  plurìes  cibatur , & jejunium 
frangtt . Quefto  fquarcio  di  dottrina  fa  ftrage  del 
Probabilifmo:  condanna  per  ifcomunicati  tutti  qu*e^ 
Regolari  che  mafcherati  girano  per  la  Città,  ancor- 
ché fotto  le  vefti  laicali  portaffero  o il  facro  fcapula- 
re,  o tonaca,  o zimarra:  condanna  per  trafgreffori 
del  fagro  digiuno  tutti  i bevitori  di  cioccolata,  per- 
chè niun  la  beve  per  eftinguere  la  fete,  ma  per  rin- 
forzar il  ventricolo  contra  i pungoli  della  fame. 

XV.  Sin  qui  abbiam  fuccintamente  narrato  tutto 
ciò  che  di  più  ingegnofo , ed  abbagliante  abbia  fapu- 
to  inventare  il  Probabilifla  Hurtado  con  tutti  gli  al- 
tri Probabilifti  del  tempo  fuo,  per  accoppiare  in  fa- 
migliare amiflà  cioccolata,  e digiuno  criftiano.  Ac- 
corda anche  il  buon  Probabilifta , che  il  digiuno  de’ 
Sacerdoti  idolatri  non  comporti  così  deliziofe  bevan- 
de ; ma  ricorda  che  un  tale  rigore  di  aftinenza  non 
ha  che  fare  con  la  foftanza  del  digiuno  criftiano. 
Dobbiam  però  grazie  rendere  a quefto  Teologo  per 
due  capi.  Primo  perchè  avendo  con  tutta  fincerità 
cfpofti  i principi  del  pratico  Probabilifmo,  ha  fatto 
conofcere  quanto  fieno  e deboli,  e ridicoli:  ci  ha 
fatto  toccar  con  mani,  che  per  quanto  in  una  fpe- 
culativa  aftrazione  fi  proccuri  con  folta  fiepe  di  di- 
ftinzioni  di  propugnarlo,  quando  poi  fe  ne  viene 

a fa- 


Ixiv 

a fare  pratico  ufo,  fi  comprende  fubito  quanto  per- 
niciofo  fia  alla  Morale  crifiiana.  In  fecondo  jluogo 
il  P.  Hurtado,  a differenza  di  tanti  altri  Probabi- 
lifti  troppo  coftanti  nella  diiefa  del  loro  fiflema, 
e delle  loro  opinioni,  le  non  ritratta  pienamente 
la  fua  fentenza,  la  circoferive  però  di  tal  maniera, 
che  niun  uomo  faggio  ritroveraffi  giammai  che  in 
Quarefima  beva  la  cioccolata  fu  i fondamenti  ap- 
poggiato ch’egli  produce.  Di  tutti  quelli  che  in 
Quarefima  bevono  la  cioccólata,  non  v’ha  uno  che 
badi  alla  intenzione,  onde  la  prende.  E ciò  che 
rileva  fi  è,  che  di  tanti cìoeColatanti  che  la  pigliano, 
non  v’ha  alcuno  che  la  beva  con  intenzione  di  bere, 
e d’eftinguer  lafete;  ma  tutti  finceramcnte  confef- 
fano  che  la  bevono  per  corroborare  lo  ftomaco,  e ri- 
ftaurare  le  forze.  Sicché  il  P.  Hurtado  avendo  due, 
anzi  tre  lunghi  Trattati  impiegati  per  dimofirar  le- 
cita la  mattutina  colf  amanza  del  guftofo  rifioro,  e 
non  avendo  potuto  av'anzare  nemmeno  una  fola  ra- 
gione fufliftente,  e valevole  a perfuadere  una  men- 
te fuperiore  alle  preftigie  delia  gola,  ne  fegue  per 
legittima  confeguenza  che  improbabile  fia  la  fen- 
tenza  favorevole  alla  bibita  del  cioccolate,  in  vir- 
tù di  quanto  ha  faputo  teologizzare  il  P*  Hur- 
tado. 


ixv 


§.  VII. 

Due  Card'wali^  Brano  acci  ^ o Co^^a  proptignam 
r ufo  del  cioccolate  infieme  col  digiuno» 

I.  T^Opo  il  P.  Hurtado  due  Cardinali  hanno 
fcritto  in  difefa  dell’ ufo  della  cioccolata, 
e fono  l’Eminentiffimo  Brancacci,  erEminentiffimo 
Cozza,  i quali  diffufamente  fu  quella  controverfia 
hanno  fcritto.  Il  primo  una  intera Differtazione  ha 
pubblicata.  Il  fecondo  ciò  che  ha  fcritto  il  primo, 
con  alcune  fue  rifleffioni  ce  lo  porge  diffufamente 
nel  fuo  Tomo  fovra  il  digiuno  III.  P.  ar.  i.  dub.  9. 
ri.  109.  e feg.  . Amendue  nuli*  dicono  di  piu  di 
quello  che  ha  fcritto  il  P.  Hurtado.  Soltanto  1’ 
Eminentiffimo  Cozza  pretende  di  fondar  la  fua 
fentenza  full’ autorità  della  Scrittura  Tanta,  col  fe- 
guente  ragionamento.  Quella  bevanda  fi  chiama  fi- 
cera  da  Giovanni  a Colla.  Or  quella  ficera^  ripi- 
glia il  Porporato  Teologo,  non  è cibo,  ma  bevan- 
da. Adunque  non  gualla  il  digiuno.  Che  cibo  non 
fia,  ma  bevanda,  egli  lo  prova  con  un  Tello  del- 
la Scrittura  Tanta  , la  quale  della  lleffa  maniera 
parla  del  e della  ficera»  Q^uelle  fono  le  pa- 

E role 


Ixvi 

role  regiftrate  nel  Deuteronomio  a cap.  xxix. 
nem  non  cmiediftis  : vinum , Ù*  ftceram  non  bibt- 
fiis.  Lo  fteffo  afFermafi  nel  Libro  de’ Giudici  a cap. 
XIII.  Cave  ergo  7ie  bibas  vinum,  &ficeram.  Una 
dunque  delle  due:  o l’ufo  del  vino  al  digiuno  fi 
oppone.*  o fe  col  digiuno  il  vino  è lecito,  del  pari 
lecita  dee  dirli  la  cioccolata.  Ella  è ben  gioconda 
e feftevole  quella  argumentazione . I Cafifti  non 
fanno  ordinariamente  ufo  della  divina  Scrittura,  nè 
de’ Padri  per  confermare  le  dottrine  del  Decalogo, 
c le  verità  piìi  rilevanti  della  Morale  evangelica: 
ed  ora  colP  autorità  della  divina  Scrittura  fi  preten- 
de di  rendere  plaufibile  una  coftumanza  la  più  ri- 
pugnante a que’  digiuni  feveri  che  la  Scrittura  fan- 
ta  comanda?  Ma  feguitiamo  la  Storia. 

IL  L’Eminentiflimo  Cozza  ^ prima  di  farfi  ad 
cfporre  le  ragioni  del  Brancaccio  fepara  le  cofe  cer- 
te dalle  controverfc^  Stabilifce  per  principio  certo 
preflb  tutti,  che  la  cioccolata  di  lua  natura  è un 
cibo,  fendo  compofta  di  puri  comellibili*^  Afcoltig- 
mo  lui  fteffo.  Ad  exaffam  Jbu/us  rei  difcujfwnem 
fecernenda  funt  certa  ab  incertis,  ut  cìarius  proceda-^ 
tur.  Et  primo  in  hoc  concordane  omnes  quod  choco- 
ìates  in  fe , & ex  natura  fua  habet  rationem  cibi  * 
nam  componitur  ex  materia  comeftibili:  componitur 


emm 


ixvii 

ièniYn  (TX  cacao  , cinnamomo , face  baro  , & vagìnuìa  ; 
quóè  omnia  in  fe  habent  ratioriem  cibi  nutritivi . Or 
chi  può  negare  che  un  compofto  di  tali  ingredien- 
ti non  fià  un  vero,  e fuftanzialé  cibo?  Perciò  tutti 
accordano,  ch6  chi  quefta  cioccolata  rriàngia  in  pa- 
ftaj  e nella  fua  primaria  natura  j rompa  il  precet- 
to del  digiuno.'  La  controverfia  verte,  fe  (quagliata 
nell’ acqua,  e beri  frullata  al  fuoco,'  al  digiuno  fi 
ópporiga.  Stabilifce  un  altro  principio  l’erudito  Car- 
dinale Cozzai  ed  è quefto.  (Qualunque  bevanda  fpre- 
Wuta  da  cibi  quafefimali  non  è al  digiunò  contra" 
ria  ; ma  fòlò  quella  pozione'  diliillata  da  cibi  vis* 
tati  nella  Quarefìrrìa  j come  fono  i brodi  eftratti 
dalle  Carni . Potus  in  omnium  Jententta  noti  adver^ 
fatur  integritàti  jejUnii^  nifi  fit  extraftus  ex  mate^ 
ria  iti  diebus  efufialibus  prohibita  j ut  jufcuìa  ex 
tarnibus  , & ftmilia  . Quindi  i brodi  eflratti  da 
fìtaridorle,'  da  ftorióni,'  da  trote,  gamberi,  e fané, 
èd  altri  pefei  piu  (celti  in  virtù  di  quefto  principio 
riori  (arino  guerra  al  criftianò  digiuno.  Se  quefto 
principiò  fofle,  come  dice  il  Sig.  Cardinale,'  certo 
preffo  tutti,’  la  quiftiòne  farebbe  decifa. 

III.  Il  dotto  Cardinale  Brancacci,  difenforé  per 
altro  delle  fané  dottrine,  propugna  quefta  opinio- 
ne, ma  con  varie  limitazioni:  e conofeendò  anch’ 

E ij  egli 


Ixviii 

egli  là  debolezza  de’fuoi  argumenti,  alla  parvità 
della  materia  la  fentenza  fua  riftrigne.  Il  celebre 
P.  Maedro  Giovan-Lorenzo  Berti  Agoftiniano,  chia- 
ro per  dottrina,  per  erudizione,  per  probità,  ed  al 
prefente  Bibliotecario  della  infigne  Biblioteca  An- 
gelica per  opera  del  P.  Reverendifìimo  Maeftro  Gioja 
fuo  Generale,  che  fi  fa  gloria  di  efaltare  ai  pedi 
gliori  deir  Ordine  ifuoi  piu  dotti  e piu  probi  Religiofi, 
nel  quarto  Tomo  della  fua  Teologia  al  Lib.  XXIV. 
e capitolo  ultimo  alla  propofizione  iii.  riporta  con 
elegante  brevità,  e chiarezza  tutti  gli  argumenti 
dei  Brancacci  con  le  fue  rifpofte. 

IV.  Prima  di  tutto  io  vo’  riferire  una  fincera 
confeffione  di  quefio  infigne  Cardinale,  il  quale 
nella  Differtazione  fua  avverte  di  non  appoggiare 
in  conto  alcuno  la  fua  fentenza  agli  Oracoli  Pon- 
tificj,  allegati  dal  P.  Hurtado,  come  fondamenti 
della  confuetudine,  fulla  quale  poi  fonda  la  dot- 
.trina  fua  favorevole  alla  cioccolata.  Non  afeifeam 
m 'ihi  hac  ajfertione  prcofidium  ex  ajfertts  Summonim 
Fcntìficum  Pii  P.  Gregorii  XIIL  Fauli  V,  Gregorii 
XV*  dcclaratìonibus  relatis  pojl  ceteros  ab  Hurtado^ 
tìUt  ex  Bulla ^ felicis  memorice  Urbani  Vili,  cujus 
meminit  Henricus  Stubeus^  & prius  Pellìcer  ab 
Hurtado  relatus  negativ.am  nojìram  jententiam  con- 

fr- 


Ixix 

firrnamibus.  De  bis  enim  rnibì  leghime  non  con- 
fìat, Ncque  illas  vidi^  ncque  id  a viris , quorum 
certe  cogyùùonem  fugere  non  poterat  ^ audhi,  Immo 
cum  plcrumque  cor  am  Pontifice  in  Epifeoporum  exa- 
mine^  me  prefmte  ^ heec  controverfia  fuerit  propo- 
fìta^  nulla  de  ajjertis  Bullis  mentio  fa^a  efì,  Pd 
Ibli  Domenicani  deila  Chiappa,  ed  ai  Gefuiti  del 
Mexico  fono  flati  palefi  gli  Oracoli  pronunziati 
da’ Sommi  Pontefici  Rema# 

V.  11  primo  argomento  di  quefto  Cardinale  è il 
folito  prodotto cemunemente  dagli  altri, che  la  cioc- 
colata è bevanda,  non  cibo.  E quefla  pozione  è fa- 
migliare e comune  agli  Americani,  agli  Spagnuoli. 
Ciò  che  dì  natura  fua  è bevanda,  non  può  aver  ra- 
gion di  cibo  in  qual  fi  fia  paefe  del  mondo  # E ciò 
che  di  cibo  natura  non  ha  , ma  di  liquido  , al  di- 
giuno non  fi  oppone,  perchè  liquida  non  frangunt. 
Quefio  difeorfo  induffe  il  celebre  Medico  Caldera 
Spagnuolo  a ritrattare  la  fua  fentenza,che  nel  Trat- 
tato intitolato  Tribunal  Medico^Magìcum  avea  in- 
legnata.  Bifogna  che  quefto  Medico  Caldera  foffe  di 
mente  aliai  pieghevole,  quando  da  sì  fatti  argumen- 
ti  reflava  perfuafa . Riferifce  il  mentovato  P.  Mae- 
Aro  Berti  che  il  Medico  Inglefe  Srube  con  ifperi- 
mento  fatto  ha  dirnoflrato  che  da  un’oncia  di  caccao 

E i i j fpre- 


fpremcfi  più  di  untuofo,  c di  umore  nutritivo  , 
da  una  libbra  di  carne  bovina.  Tommafo  Gage  rac» 
conta  d’aver  intefo  dagli  Arnericani  mcd^fimi  , che 
quelli  i quali  tra  di  loro  fono  foliti  a bere  il  cipccor 
)ate,  fogliono  edere  quadrati,  torofi , e graffi  : e 
ne  affegna  la  ragione  . Imperciocché  febbene  nel 
,caccao  ci  fieno  molte  parti  frigide,  ve  ne  fono  per 
rò  affai  più  di  butirrofe,  e nutritive  . E gli  altri  | 
ingredienti  calidi  fono,  come  la  cannella*  per  rolli- 
la dire  della  vainiglia,  che  non  ferapre  ci  entra  . 

Il  Sig.  Cardinale  Brancacci  afferìfee  d’ aver  fatto  I 
fperienza  più  di  una  volta  , che  una  folita  chic- 
chera  di  cioccolata  non  gli  corroborava  Io  ftoma- 
co , nè  gli  riftaurava  le  forze  più  di  fette  ore  ^ | 
Donde  inferifee,  effer  falfo  che  due  onde  di  cio^-  , 
colata  porgano  più  nutritnentp  che  tre  onde  di 
carne.  Io  poffo  affermare  che  fojaniente  per  tre  in 
quattro  ore  quella  bevanda  , quando  per  qualche 
congiuntura  la  prendo,  mi  eftingue  la  fanne  , ini 
corrobora  lo  ftomaco  ^ ed  il  capo  ; e paffate  le 
quattro  ore  grave  fame  (perimento  • JVJa  fe  da  ciò 
yoleffi  inferire  , che  quella  fquifita  pozione  non 
nutrica,  non  conforta,  direi  una  fallità  patentiffì- 
ma,  contraria  alla  fenfibile  fperienza. Che  poi  magr 
gipr  nutrimento  rechino  due  pneie  di  cioccolate 

eh? 


Ixxi 

che  tre  o qitattro  di  carne,  quella  è una  quiftione 
ch’io  la  reputo  quanto  difficile  da  deciderfi, altret- 
tanto vana  ed  inutile.  Il  punto  batte  che  fecondo 
la  comune  fentenza  de’ Medici  la  cioccolata  fom- 
miniftra  un  ottimo  nutrimento  , come  dimoftra 
Giacomo  Mangetti  nella  fua  Biblioteca  Farinaccio 
ficO’Mcdica,  Ma  di  ciò  fi  parlerà  quando  narrere- 
mo le  dottrine  de’  Teologi  che  ripugnante  al  di- 
giuno affermano  la  cioccolata, 

VI,  Il  fecondo  argumento  del  Brancacci  è , che 
il  vino,  e la  cervifa  non  guadano  il  digiuno,  av- 
vegnaché licori  fieno  nutritivi;  di  maniera  che  al- 
cuni vini  fecondo  Galeno  egualmente  nutrichino 
che  la  carne  porcina  : per  lo  che  una  volta  prima 
de’ combattimenti,  agli  Atleti  vini  generofi  porge- 
vanfu  Gumaro  Huygens  bravo  Teologo  Lovanien- 
fe  con  forti  argumenti , e con  vada  erudizione  ncr 
ga  che  il  vino,  e la  cervifa  fuori  di  pado  non  fi 
oppongano  al  digiuno,  Cofa  fenta  il  benigno  Pro- 
babilida  Hurtado  fu  quedo  punto,  fi  è riferito  di 
lopra.  Ma  fi  accordi  col  comune  fentimento  de’ 
Teologi,  che  il  vino  ufuale,  che  fuole  nelle  menfe 
praticarfi,  non  violi  il  digiuno  : chi  perciò  accop- 
pierà col  digiuno  l’ufo  di  quel  vino  pretto  , e ge- 
nerofo,  di  cui  fa  menzione  Galeno  , e che  davali 

E iiij  ' agli 


jxxii 

agli  Atleti,  o di  un  vino  che  per  via  di  comefìi- 
bili  fquagliatì  fi  rendeffe  ipeffo,  e fiffo  a maniera 
dei  cioccolate? 

Vii.  La  parvità  della  materia  è il  terzo  fonda- 
mento della  fentenza  del  Brancacci  . Ma  quello 
argumento  dimoftra  evidentemente  difperata  la  cau- 
la.  Ninno  nega  darli  parvità  di  materia  anche  in 
quella  bevanda  . Ma  fe  è vero  ciò  che  i Medici 
più  infigni  Mangcto,  Pafquio,  Zacchia  , Stubeo  , 
ed  altri  infegnano,  che  in  un’oncia  fola  di  cioc- 
colata vi  è tanta  virtù  nutritiva  che  fupera  il  nu- 
trimento recato  dai  migliori  cibi;  malagevole  cofa 
farà  il  difegnare  i confini  di  quella  parvità  , per 
accoppiarla  con  un  digiuno  che  crediamo  figurato 
in  Mosè,  ed  in  Elia,  e confagrato  coll’efempio 
di  Gesù  Grillo  Signor  nollro , e dairappollolica  ed 
antica  Tradizione  avvalorato. 

Vili.  L’ultimo  argumento  del  Cardinale  Bran- 
cacci ci  propone  la  cioccolata  fotto  figura  ^di  me- 
dicamento, che  rinforza  il  caler  naturale,  che  ge- 
nera un  iangue  più  puro,  che  vivifica  la  follanza 
del  cuore,  che  i fiati  rompe,  e fgombera  , ed  al- 
io flomaco  reca  giovamento  « Le  parole  latine  del 
Cardinale  fpiegheranno  con  più  di  vivezza  quelle 
belle  proprietà  della  fpiritofa  bevanda  • Roborat 

na- 


Jxxiii 

^aturaìem  calorem^  genevat  pufior^m  fanguinem  ^ 
cordis  fubjìnmiam  vivificata  dijfipat  fiatus^  & prod^ 
eft  ad  flomachum  robot andum.  Io  aggiugncrei  che 
rallegra  il  cuore,  che  rifveglia  gli  fpiriti,  e gli 
mette  in  dolce  moto  , che  conforta  il  capo  , ch« 
feconda  la  mente  di  acuti  concetti,  e rende  elo- 
quente la  lingua,  non  già  per  mormorare,  ma  per 
rendere  più  amene,  e piu  brillanti  le  convcrfazio- 
ni  di  que’  crocchi,  dove  fuole  beverli  allegramen- 
te . Quello  medicamento  è ornato  di  tante  prero- 
gative, che  è ottimo  e pegl’ infermi,  e per  li  fa- 
ni.  La  voce  chele  gli  attribuifce  di  medicamento, 
può  fervire  di  tale  qual  mafchera  preffo  gl’ idioti  ^ 
perchè  poffa  in  tempo  di  digiuno  camminar  impu- 
nemente. Nel  rimanente  fi  afferma  chiaramente  , 
che  quella  pozione  rinforzi  il  calor  naturale  , che 
vivifichi  la  fullanza  del  cuore,  che  fangue  più  pu- 
ro generi,  e più  dilicato,  che  corrobori  lo  ftoma- 
co  ; e poi  nello  lleffo  tempo  fi  ha  tanto  coraggio 
di  negare  che  nutrichi  il  corpo,  che  gualli  il  di- 
giuno? Ma  quali  migliori  effetti  producono  nel 
corpo  umano  i brodi  di  capponi  , i dillillati  de’ 
piccioni , delle  pernici  ? 

IX.  Quelli  fono  tutti  gli  argumenti,cui  il  Car- 
dinale Brancacci  la  fua  fentenza  appoggia  : argu- 


men- 


Ixxiv 

menti,  conchiude  il  mentovato  P.  Maeftro  Berti 
che  non  foddisfaranno  giammai  alcun  faggio  Teo-^ 
logo.  Ed  acciocché  lo  fplendore  del  Porporato  non 
ferva  di  abbaglio,  ed  il  fapere  di  cosi  dotto  Car- 
dinale non  fi  polla  allegare  per  autorità  , che  dia 
grado  di  probabilità  a quella  opinione  rifpetto  a 
coloro'  che  per  probabile  ricevono  tutto  ciò  che  da 
qualche  Scrittore  fi  (lampa y giova  bene  il  ricorda- 
re ciò  che  di  foprafi  è accennato, vale  a dire,  che 
elfo  Cardinale , alla  parvità  della  materia  la  fua 
fentenza  riduce , e che  quella  parvità  la  rellrigne 
ad  un’  oncia  fola  di  cioccolata , chiaramente  infe- 
gnando,  che  quando  la  cioccolata  non  è diluta,  ma 
fpeffa,  rompa  il  precetto  del  digiuno.  La  qual  cofa 
maffimamente  s’inculca  a coloro  che  fcnza  aver  let- 
ti i libri  , vanno  (pacciando  per  affolute  le  limi- 
tate, e circofcritte  opinioni  degli  Autori, 

X.  L’ Eminentiilimo  Cozza  agli  argumenti  che  di 
Hurtado,  e di  Brancacci  produce,  vi  aggiugne  que- 
lla rifledìone  da  altri  Autori  altresì  avanzata.  Quan-» 
do  la  quantità  delPacqua  formonta  la  quantità  della 
materia  comeltibile  che  dentro  vi  li  mette , allora 
il  mifto  ha  ragione  di  bevanda,  e non  di  cibo  • Al 
contrario  quando  la  quantità  dell’acqua,  nella  quale 
mefcolafi,  è minore  , allora  il  miflo  ha  ragione  di 

ci* 


i:ibo,  non  di  bevanda.  Quella  medefima  dottrina  fi 
produce  dal  P.  Leandro, e dal  P.  Geribaldi  amendue 
Cafifti  affai  benigni.  Il  P,  Leandro  tuttoché  beni- 
gniffimo  tra  i Probabilifti  , affolutamente  nel  fuo 
Trattato  V,  Dif.  v.  q.  5.  afferma  che  la  cioccolata 
guafta  il  digiuno  ; e poi  infegna  che  noi  guafta  , 
quando  la  quantità  dell’acqua  fupera  quella  del  cioc- 
colate, Uopo  è il  dire,  che  quello  Padre  ignoraffe  la 
maniera  onde  quella  pozione  in  Europa  fi  manipola . 
Jn  ogni  bevanda  di  cioccolata  che  comunemente  u- 
fafij  la  quantità  deir  acqua  fupera  la  quantità  della 
palla  che  dentrp  vi  fi  mette  , La  ragione  avanzata 
dal  ]Leandro,  e adottata  dal  Geribaldi,  e dal  Coz- 
za, è una  manifella  illufione.  h?Lpolenfa^  cibo  fami- 
gliare alla  gente  di  campagna,  dovrà  collocarli  tra  i 
liquidi,  e denominarli  acqua,  perchè  in  quello  nii- 
fto  ad  ogni  libbra  di  farina  vi  corrilpondonq  tre  di 
acqua.  La  minellra  di  rifa  tanto  comune  nelle  men- 
fe,  fi  dovrà  chiamar  acqua , perchè  ad  ogni  oncia  di 
rifo  vi  corrifpondono  circa  fei  d’acqua.  Se  vera  fof- 
fe  la  fentenza  di  Leandro,  di  Geribaldi,  di  Cozza, 
che  quando  }a  quantità  dell’  acqua  'fupera  il  comelli- 
bile,  allora  U miito  fi  denomina  bevanda,  e che 
ognuno  può  forbirne  in  magna  quamuate^&  quotìes 
ìibuerip  ; ne  feguirebbe  che  ognuno  poteffe  bere  u- 


xxvi 

na  j e due  libbre  di  cioccolata  il  giorno  lìempsrata  la 
tre  libbre  d’acqua. 

VII  I. 

Tre  altri  Dottori  fcrivouo  in  -difefà  della  be- 
vanda del  cioccolate  in  Quare/ima  * - 


I.  '"T^RE  altri  Scrittori  hanno  in  queflì  ultimi 
tempi  trattata  quefia  caufa  . Il  P.  Domeni* 
co  Viva  , tra  gli  altri  , ce  la  porge  di  una  manie- 
ra fua  particolare  . Io  traferiverò  tutte  le  fue^  paro- 
le 5 acciocché  la  lolita  canzona  non  fi  ricanti  di 
poca  fincerità  nel  riferire  la  fua  dottrina . Cosi  dun 
que  egli  fcrive  nel  fuo  Tomo  primo,  parte  fecon- 
da , alla  quiftione  decima  , nell’ articolo  primo  al 
num.  vili.  ( /7 ) 

il.  „ In- 


{a)  Circa  chocolatam  num  frangat  jejunium  , Varii  varia  . 
Complures  affirmant  apud  Dian.  Pare.  IV.  tra£i.  iv.  refol.  194.  & 
Pare.  V.  traél.  v.  refol.  ii.  Aliqui  negant  apud  Tambur.  proptér 
inateriae  parvicatem  . Alii  vero  apud  eumdem  negane  , quia  eft 
pocus  ufualis  in  Mexico,  non  fecus  ac  cervifia  apud  Germanos  ^ 
& vinum  apud  noftrates . 

Idem  Tambur.  Se  Dian.  propfei*  au^ìoritatem  extrinfecam 
jnultorum  Theologorum  , Se  propter  ufum  timoratorum  putanc 
probabiliter  jejunium  non  frangere . Machad.  eriirn  Tom.  I.  Lib.  II. 
part.  IV.  trad.  3.  dicit  in  Hifpania  ufque  adco  effe  ufualem  , uc 
xeie  nemo  fit  qu.i  religioni  habeat  illam  furaere  die  jejunii.  Ve- 


Ixxvii 

IL  „ Intorno  aila  cioccolata  fe  rompa  il  digiu- 
„ no  , varj  Autori  varie  cofe  dicono  . Molti  afier- 
55  mano  preffo  il  Diana . Alcuni  negano  preffo  Tarn. 
5,  burino  per  la  parvità  della  materia  . Altri  ne- 
5,  gano  preffo  il  medefimo  , perchè  nel  Mexico 
pozione  ufuale  , non  altramente  che  la  cervifa 
55  prdlo  i Tedefchi  , ed  il  vino  predo  di  noi . 

IIL 


rum  , pr^Ecifa  audoritate  cxtrinfeca  , arridet  milii  opinio  Emi- 
Kentìiììaii  Brancatii  cum  Efcob.  quod  fcilicet  fi  ea  utamur  eo 
modo  quo  in  Mexico  eft  potus  ufualis  ( ita  videlicet  ut  feptem 
vei  odo  unciis  aquce  addatur  una  lincia  chocolate,  & media  iac» 
chari  )jcjunium  non  frangat;  lecus  vero,  fi  magna  quantitas  cho- 
colatac  intermifceatur  aqus,  ita  ut  inducat  rationem  pulmenti  , 
ut  diximus  de  forbetta  . Ratio  non  efì:  , quia  uncia  eft  maceria 
parva  : nam  fic  non  polle^  iliam  pluries  fumere  fine  mortali  , nec 
iemcl  fine  veniali  ; led  qhia  in  tanta  quantitate  efi  potus  ufualis 
apud  illas  nationes  j & fic  ubilibec  tamquam  potus  ufualis  fumi 
poteft . 

Ncque  dicas  primo  , quod  quamvis  talls  potus  fit  ufualis  apud 
Indos  , non  eft  apud  noftrates  ufualis  . Nam  fi  alicubi  eft  po- 
tus ufualiS  , iam  natura  fua  habet  fumi  ad  vehiculum  cibi  , & 
ad  fedandam  fitim  ; quod  autem  natura  fua  eft  tale,  ubilibet  eft 
Cale  : & hac  de  caufa  apud  noftrates  cervifia  non  frangit  jeju- 
niuin,  quamvis  non  fit  hic  ulualis. 

Ncque  dicas  fecundo,  quod  vere  nutriat.  Nam  idem  dici  pof- 
lec  de  vino  , Se  cervifia  , quse  tamen  jeiunium  non  frangunt  : 
quia  , ut  notat  Laym.  Se  Lefs.  nutrìunt  per  accidens  : lu- 
ndciir  cnim  vinum  magis  ad  alteratlonem  corporis  , Se  digeftio- 
nem  cibi,  quain  ad  nutritionem  , ut  ioquitur  Div.  Thom.  quseft. 
147-  arr.  6.  ad  2.  licet  aliquo  modo  nutriat  ; Sc  ideo  jejiinium 
non  frangit  . Ceterum  , ut  adverti  in  Trutina  exponendo  the- 
fim  29.  ab  Alexandro  VII.  proferiptam  , in  praxi  non  facile  hi- 
fee  opinionibus  laxandas  funt  habeiicC,  pr^fertim  a timoratis , qui 
Cbriftum  Dominum  imftari  3 iiftque  > non  abdomini  , infervir^ 
fatagunt. 


<i' 


ixxvlii  I 

in. ,,  i medefimi  Tamburino,  cDiana  p^r  Tatì- 
5,  torità  eftrinfeca  di  molti  Teologi, c per  Tufo  dei 
timorati  pehfano  probabilmente  ^ che  fiori  rompa 
5,  ii  digiuno.  Imperciocché  Machadó  nel  Torri.  I. 

5,  Lib.  II.  p.  iVi  traft.  3.  dice  , che  nella  Spagna  è 
5,  così  ufuale  che  quafi  fiiuno  fi  fa  fcrupolo  il  preri- 
5,  derla  in  giorno  di  digiunò  ^ Verartìente  , levata 
via  r autorità  ejìrinfeca  , a me  piace  la  opinio* 

3^  ne  deirEmirìentiflimo  Bfancacci  cori  Efcóbario  , 

3,  che  appuntò  fe  ci  fervìarrio  della  cioccolata  nella 
3,  maniera  che  nel  Mexico  è bevarida  ufuale  [ cioè 
3j  fe  a fette  ò otto  oncie  di  acqua  fe  rie  aggiunga  | 
3j  Una  di  ciòccòlata,  e mejtza  di  zuccaro]  non  gua- 
3,  fta  il  digiuno  * ma  fe  sì  rnefchii  colf  acqUa  grani 
quantità  di  cioccolata  , per  guHa  che  abbia  foriria 
„•  di  minelira , allora  guada  il  digiuno  , corrie  ab- 
„ biam  detto  della  forbetta  . La  ragione  non  è ^ ! 
3,  perche  un^  oncia  è parvità  di  materia  : impercióc^ 

„ chh  in  qUeJla  guifa  tu  noti  potrai  prenderla  piu 
3,  volte  fenga  mortai  colpa  , nè  uria  fola  volta  feriga 
iy  peccato  veniale  : ma  perchè  preffo  quelle  Nazioni 
5,  è bevanda  ufuale,  e così  in  qualunque  luogòcóme' 

3,  bevanda  ufuale  fi  può  prendere . 

IV,  „ Nè  vogli  primamente  opporre  , che  , av- 
„ vegnachè  tal  bevanda  ufuale  Ila  preffo  gl’ Indiani, 


Ixxi)c 

3^'iion  la  fia  prcffo  di  noi . Concioffiachè  y fe  irt 
5,  qualche  luogo  è bevanda  ufuale  , già  di  natura 
5,  fua  è deftinata  a prendcrfì  qual  veicolo  del  cibo, 
„ e ad  eftinguer  la  fetc  : Quod  autem  natura  fua 
5,  ejl  tak^  ubiìihet  e fi  tale  : c per  quefta  ragione 
5,  preffo  i noftri  la  cctvifa  non  rompe  il  digiuno  , 
„ avvegnaché  non  fia  qui  ufuale. 

V.  „ Nè  vogli  opporre  in  fecondo  luogo , che 
„ veramente  nutrica  ^ Imperciocché  lo  fteffo  fi  può 
5^  dire  del  vino , della  cervifa  j e non  perciò  rom* 
„ pono  il  digiuno  .‘perché,  come  notano  Laimano , 
„ e Leffio  , nutricano  per  accidente  : imperciocché 
„ il  vino  fi  beve  più  per  alterare  il  corpo,  e dige- 
„ rire  il  cibo  , che  per  nutrimento , come  parla  S. 
„ Tommafo  nella  quifl.147.an0.  adì.  benché  in  qual- 
„ che  maniera  nuteifeaj  e perciò  il  digiuno  nonvio- 
„ la . Nel  rimanente,  cóme  ho  avvertito  nella  Tru- 
,,  tina  , efponendo  la  tefi  29.  da  Aleflàndro  VII* 
„ dannata  , nella  pratica  non  fi  dee  facilmente  in 
,3i  quefle  opinioni  allargar  le  redini , fpeeiaìmente 
„ dai  timorati  , che  Criflo  Signor  noflro  voglio- 
,3ì  no  imitare  , e a lui , non  al  ventre , ed  alla 
„ gola,  fervire. 

V”.  Ognun  qui  domanderà  al  Padre  Viva  , per- 
chè abbia  fcritto  del  cioccolate  degl’ Indiani , e non 

del 


hxx 

del  cioccolate  degl’ Italiani . Se  la  cioccolata  è faN 
ta  a maniera  di  quella  dei  Mcxicani , non  guada  il 
digiuno  ? Si  dovrà  dunque  andare  al  Mexico  per 
fapere  , fe  la  cioccolata  di  quel  paefe  è firaile  alla 
noftra  ? Nò  , perchè  allora  la  noftra  è fimile  a quel- 
la degl’ Indiani  , quando  in  fette  o otto  oncie  d^ 
acqua  vi  fi  mefcola  un’oncia  di  cioccolata  , e rae^ 
za  di  zucchero . Ma  perchè  fi  mette  il  zucchero  fe- 
paratamente  , fe  quefto  zucchero  è uno  degl’ingre- 
dienti del  cioccolate  ? Si  fepara  la  mezza  oncia  del 
zucchero,  fapete  perchè?  Perchè  , fe  dite  un’oncia 
e mezza  di  cioccolate  in  un  fiato  , pare  che  ecce- 
da la  parvità  della  materia  • Per  altro  in  Italia  la 
cioccolata  s’impafta  col  zucchero.  Sicché,  fecondo 
il  P.  Viva,  un’oncia  e mezza  di  cioccolata  in  fet- 
te oncie  di  acqua  è all’ufo  degli  Americani.  Ma 
della  cioccolata  che  bevefi  comunemente  in  Italia  > | 
ed  in  Europa  tutta  , che  ne  rifolvete  ? La  voflra 
Teologia  è ella  indirizzata  ad  iftruire  gli  Ameri- 
cani , o gl’italiani  ? Io  ho  voluto  informarmi  coi 
più  periti  di  quefta  bevanda  ; e tutti  dicono  , che 
un’oncia  e mezza  è quella  dofe  che  comunemente 
adoperali , quando  anche  fi  vuol  bere  una  buona 
chicchera  di  cioccolata  . Le  due  oncie  fono  per  la 
ottima,  e quafi  firaordinaria. 


VII. 


Ixxxi 

VII.  Ora  il  R.  P.  Viva  infegna  , che  quefte  chic- 
chere di  un’oncia  c mezza  di  cioccolata  diftempera- 
ta  in  fette  oncie  di  acqua  ben  bollita  , concotta 
e da  mano  delira  frullata  fi  poffan  vuotare  nella 
Quarefima  toties  quottes  a uno  piacerà , fenza  violar 
il  precetto  del  digiuno  . Perchè  , dice  egli , la  ra- 
gione che  giuftifica  quella  bevanda  non  è giJ  la 
parvità  della  materia  . Concioffiachè  fe  la  parvità 
della  materia  folle  la  ragione  che  lecita  rende  co- 
teda  bevanda  , fi  peccherebbe  mortalmente  in  be- 
vendola due  o tre  volte  ; e chi  la  bevclTe  una  fola 
volta,  un  peccato  veniale  non isfuggirebbe.  Ora  que- 
llo peccato  veniale  renderebbe  amara  , e difguPtofa 
una  tal  bevanda  alle  anime  fpezialmente  timorate. 
Dottrina  dunque  bifogna  rinvenire  la  quale  e ci 
faccia  bere  la  faporofa  pozione  con  tranquillità  di 
cofeienza,  fenza  che  v’intervenga  neppur  venial  col- 
pa ; e ce  la  faccia  bere  non  una  , ma  quante  volte 
noi  vogliamo , come  beviamo  l’ acqua  , ed  il  vino 
uluale.  Ratio  mnejì^  quia  micia  eji parva  materia* 
E pure  quella  è una  delle  principali  ragioni  dell’ 
Eminentiifimo  Brancacci  . Ma  comunque  fia  , que- 
lla ragione  non  comoda  le  cofcicaze  delicate  , co- 
m‘e  s’ è detto  . Nam  [ic  non  pojfes  illam  pluries  fu^- 
mere  fine  mortali^  nec  femel  fine  veniali*  Si  dica 

F duri- 


Jxxxii 

dunque  , che  in  tanta  quantitate  ejl  potus  u/ualk 
apud  illas  Natìones  ^ & fic  ubilibet  tamquam  potm 
ufualis  fimi  potè  fi  : vale  a dire  , quante  volte  voi 
volete , fenza  peccare  neppur  venialmente  contra 
il  precetto  del  digiuno; che  che  fia  della  virtù  del- 
la temperanza  ^ della  quale  di  prefente  , per  parlare 
con  precifione  , e con  nettezza  , non  fi  difcorre  . 
Nè  vogliate  fcrupolizzando  oppormi , che  febbene 
preflb  gli  Americani  quefta  cioccolata  fia  ufual  be- 
vanda , tale  però  non  è ne’^  paefi  noftri . Impercioc^ 
chè  quefti  fono  fcrupoli  eccitati  dal  mal  umor  ip- 
pocondriaco.  Ammeflb  una  volta  che  quefta  fia  be- 
vanda ufuale  in  qualche  paefe , tale  di  fua  natura 
è in  ogni  altro  luogo  del  mondo  . TSÌam  fi  alicubi 
efl  potus  ufualis  j jam  natura  fua  ubilibet  e fi  talis 
Non  voglio  neppure  che  fcrupolo  alcuno  la  cofcien- 
za  voftra  turbi , perchè  quefta  bevanda  nutrimento 
reca  ; mentre  anche  il  vino  nutrifee  , e la  cervifa , 
e non  perciò  a fcrupolo  vi  recate  di  violar  il  pre- 
cetto j ancorché  più  volte  ne  beviate  • Nel  rima- 
nente , conchiude  il  fuo  difeorfo  il  P.  Viva , non 
bifogna  nella  pratica,  come  s’è  avvifato  nella  Tru- 
tina , allargar  facilmente  le  redini  a quefte  opinio- 
ni . Non  facile  hifee  opinìonìbus  la^candae  funt  ha* 
benne . Maffimamente  dai  timorati  imitatori  di  Cri- 

fto 


Ixxxiii 

fio  Signore , prefertim  d timoratis  , qui  Chrìflund 
Domimm  imttari , ed  a quefto  , non  al  ventre , ler- 
virc  vogliono,  tUiquSi  noti  abdominì^  fervire  fata- 
gunt , Ma  quelli  che  non  fono  timorati  ^ e che  non 
fono  di  (porti  ad  imitar  Crifto  , iri  macerando  con 
veri  digiuni  la  gola  j é la  concupifcenza  / anzi  al 
contrariò  vogliono  realmente  fervire  al  ventre  , e 
alla  gola  / cofa  debbono  fare  querti  ghiottoni  di  più 
che  bere  di  quefta  cioccolata  tante  chicchere  il  gior* 
ho  , quante'  ne  vogliono  ^ come  accorda  il  P.  Viva  ? 
Querti  infegna  che  i Criftiani  in  tempo  di  digiunò 
polfonò  fuori  di  parto  noii  folo  per  ertirigùere  la  fe- 
te  , ma  ancora:  per  rifiofare  le  forze  bere  quanto 
loro  aggrada  del  vinò , e di  ogni  altra  bevanda  ufua- 
le  . Tarn  in  merifa , quam  extra  men farri  licttum  e fi 
bibere  j & vino  vires  reficere , ficut  etiarri  quolibei 
alio  potu  ufualì  . loc.  cit.  num.  vi.  La  cioccolata  y 
quando  fe  ne  metta  un’oncia  é mezza  in  fette  oacie 
di  acqua  , è una  bevanda  ufuale  , Iri  tanta  quanti- 
tate  e fi  potus  ufualis  apud  illas  Nationes\  & fic  ubi- 
libet  tamquam  potui  ufuaìii  fumi  potè  fi  Nè  vògli 

tu  opporre  , che  chi  beve  fuor  di  menta  , non  per 
ertinguer  la  fete  , ma  per  faziar  la  fame  , beve  in 
fraude  del  digiunò , e della  legge  Ncque  dicaL,..., 
Qiii  extra  rnenfam  bibit  ad  reficiendas  viresf  bibit 

F i j irt 


Ixxxiv 

in  fraudem  jejunìi , & in  fraudem  legis  . Ergo 
cat . Quefto  è un  opponimento  vano  , fuggerito  da 
tetro  umore  fcrupolofo  . Ma  quefto  fcrupolo  io  lo 
fgombro  col  P,  Reginaldo  . Imperciocché  non  opera 
in  fraude  della  legge  chi  fi  ferve  del  fuo  diritto  . 
Ciafeuno  in  virtù  di  confuetudine  ha  jus  di  bere  per 
eftinguer  la  fete  • Adunque  ancorché  beva  per  rifto- 
rare  le  forze , fi  ferve  del  fuo  jus . 'Refpondeo  tamen 
cum  Regi fJ ah  negando  minor em  • ISÌon  enim  in  frau- 
dem le^is  operatur  qui  utitur  jure  fuo , Quilibet 
autem  ey:  confuetudine  bnbet  jus  bibendi  ad  fedan- 
dnm  fttim  . Ergo  f bibat  etiam  ad  reficiendas  vi^ 
res  j utitur  jure  fuo  . Che  fe  quefto  ragionamento 
con  pienezza  non  vi  rendeffe  perfuafi  , afcoltate  la 
ragione  radicale  , che  fi  aftegna  dall’  Abulenfe  ap- 
pretto Monfignor  Marti  A Bonacina  • Non  opera  in' 
fraude  della  legge  chi  opera  contra  il  fine  della  leg- 
ge , ma  foltanto  chi  opera  contra  la  efprejfa  inten- 
zione della  legge  , Et  ratio  radicalis  ajfignatur  ab 
Abulenfi  apud  Bonacinam  punfl,  2.  quia  fcilìcet  non 
operatur  in  fraudem  legis  qui  facit  contra  finem 
kgis  5 fed  qui  facit  contra  intentionem  legis  eyprìf 
fam . Intenzione  efpreffa  di  legge  , e fine  di  legge 
fono  due  cofe  tanto  diverfe  , che  rendono  lecita  la 
bevanda  toties  quotiesj  dice  il  P.  Viva  . Fra  poco 

vedre- 


IxxxV 

vedremo  come  i Teologi  contrari  fe  n.e  fanno  gi- 
uoco di  fimile  diAinzione  .•  perchè  il  fine  intrinfecp 
della  legge  forma  l’anima  , e la  effenza  della  leg. 
ge  , che  che  fia  del  fine  eArinfeco . 

Vili.  Un  celebre  Predicatore  non  in  latino , co? 
me  vorrebbono  alcuni  che  queAe  morali  QuìAioni  A 
fcriveffero,  ma  in  italiana  favella  pervia  di  dialo- 
go tra  Silvio,  Lucrezio,  e il  Predicatore,  nella  ter- 
za parte,  ch’egli  chiama  famigliare,  e da  camera, 
della  prima  Predica  del  fuo  quarcfiraale  , riferifce  le 
varie  fentenze  degli  Autori  fu  queAo  punto,  e poi 
ne  forma  la  fua.  Mi  Infingo  che  non  riefcerà  al  leg- 
gitore difaggradevole  la  intera  lettura  di  tutto  e quan- 
to il  Ragionamento  di  queAo  Padre.  Scrive  per  tanto, 
egli  cosi, 

IX. „ Silvio.  Ditemi;  Se  voglio  digiunare,  potrò 
„ io  prendere  liberamente  il  cioccolate.? 

,,  Lucr.  Oh!  da  queAo  fcrupolo  vi  poffo  liberar 
„ ancor  io.  Ho  letto  tutto  il  lungo  Trattato  che  ne 
„ fa  il  Padre  Bonapace^  e al  fuo  difcorfo  mi  fonda- 
„ to  convinto,  mentre  prima  di  leggerlo  io  era  di 
„ opinione  contraria.  Effo  fuppone  ciò  che  è certo: 
„ da  cofa  che  nonfia  nutritiva,  non  guafiarfi  il  digiu- 
,,  no  ecclefiaAico . Ciò  fuppoAo  , difcorre  così . Noa 
„ può  eAere  nutritivo  quel  compoAo  di  cui  iieffuna 

F iij  „ par- 


ixxxvi 

5,  parte  è nutritiva:  quefla  propofizion  mi  par 
„ ta.  Mette  la  minore,  c dice:  Neffuna  parte  del 
,5  cioccolate  è nutritiva:  e lo  prova.  Il  zucchero  è 
„ un  fai  dolce  , e fecondo  ì Medici  non  nutrifce-: 
non  nutrifcon  gli  aromi  : refta  il  cacao  ; ma  que- 
„ (lo,  dice,  è di  natura  frigidiffimaj,*  e per  dottrina 
„ de’ Medici,  cji’egli  cita,  le  pofe  di  natura  frigidi^ 
5,  fima,  fono  indigeftibili , non  nutritive. 

„ Vred.  Quello  Teologo  va  per  una  ftrada  difihci- 
5,  lilTima,  e piena  di  fcrupolofità.  Il  cacao  abbando-? 
„ nato  nella  fua  frigidezza  fia  ìndigeftibile  ; non 
5,  per  quello  fi  può  provare  che  non  abbia  in  sè  prin- 
„ dpi  nutritivi,  abiliffimi  a nutrire,  quando  fienp, 
5,  liberati  dalla  ecceflìva  frigidezza  ; e colla  fua  ma- 
„ nipolazione,  collo  sfumare  dell’umido  foprabbon- 
„ dante  nella  fua  abbroftitura,  e macinatura,  coir 
aggiunta  del  zucchero,  e droghe  palide  fi  riduce 
„ a un  temperamento,  dopo  il  quale  non  può  prò? 
5,  varfi  ch’ei  non  fia  nutritivo. 

„ Silvio.  V’è  almeno  Tempre  a che  ricorrere  ^ 
„ la  parvità  della  materia. 

3,  Fred.  Neppur  quefta  ftrada  mi  piace,  i.  Perchè 
„ la  parvità  della  materia  prefa  fenza  giufto  motivo 
,,  che  la  coonefli , non  libera  da  colpa  veniale  ; e 
„ non  voglio,  caro  il  mio  Signor  Silvio,  che  de’ 

V pec- 


Ixxxvii 

5,  peccati  veniali  facciam  poco  conto.  2.  Perchè  in 
„ realtà  non  è sì  facile  a ridurla  a parvità  di  mate- 
ria.  Bollito  il  cioccolate,  e incorporato  coll’ ac- 
„ qua,  forma  una  terza  fpecic,  che  produce  diverfi 
„ effetti,  e in  iftima  morale  fi  giudica  una  terza  fo- 
„ danza,  come  poco  rifo,  opoco  pane  fatto  bollire, 
„ e incorporato  a qualche  liquore» 

„ Lucr.  Quando  il  cioccolate  fia  incorporato  coll’ 
„ acqua,  è cofa  liquida;  e liquida  non  frangunt . 

,,  Prd’rf.  Neppure  ammetto  quefta  dottrina:  e col 
„ Cardinale  Toledo,  e altri  Teologi  diftinguo  due 
„ claffi  di  liquidi.  Una  è ordinata  a toglier  la  fete; 
„ e ancorché  fia  nutritiva,  non  rompe  il  digiuno  ec- 
„ clefiaftico.  Il  vino,  l’acqua  vita,  la  birra  fi  dige- 
„ rifcono  dallo  ftomaco  umano;  dunque  fon  liquori 
„ che  nutrilcono  ; ma  per  sè  fteffi  non  fono  ordinati 
„ a nutrire,  nè  a toglier  la  fame,  ma  folo  ad  eftin- 
„ guer  la  fete:  così  le  ordinarie  lattate,  quali  fo- 
„ glion  farfi  da’  forbettieri  , ancorché  contengano 
5,  mandole  pelle,  o altri  femi  nutritivi,  non  rom- 
„ pono  il  digiuno  ecclefiaftico,  perchè  fono  mera- 
„ mente  ordinate  per  sè  a eftinguer  la  fete.  Percon- 
5,  trario  il  latte,  il  brodo  di  rane,  o d’altri  pelei 
„ pingui;  anzi  le  orzate  ftelfe,  o lattate,  fe  vi  fi 
aggiungano  torli  d’ova,  oppure  la  mano  in  effe  fia 

F ii  ij  „ più 


ixxxviii 

„ più  liberale  di  femi,  o mandole,  per  renderle  mu 
5,  tritivc,  guaflano  il  digiuno:  perchè  fono  liquidi 
5,  di  un’altra  claffe,  ordinati  non  ad  cftinguer  lafc- 
„ tc,  ma  a toglier  la  fame,  e a nutrire:  nè  vedo  che  il 
„ cioccolate  fi  beva  comunemente  per  eftinguerlafete, 

„ Silv.  Dunque  voi,  o Padre,  giudicate  che  il 
5,  cioccolate  fia  contrario  al  digiuno? 

3,  Pred.  Non,  mio  Signore  ; ma  mi  fervo  d’altri 
„ principi.  Parlando  fpeculativamente  dico.  Talbe- 
5,  vanda  non  è ordinata  ad  eftinguer  La  fete,  non  a 
„ toglier  la  fame  ■ ma  a confortare  il  capo,  e lo  flo- 
,,  maco  : dunque  non  è propriamente  nè  cibo  , nè  t 
„ bevanda  ufuale;  ma  medicamento  prefo  in  bevan- 
5,  da:  e le  medicine  , benché  per  accidente  poffan  nu-  I 
„ trire,  come  foglio  di  mandole  dolci,  e altri  tali 
,5  liquori , però  non  fi  oppongono  al  digiuno  eccle- 
„ fiadico.  La  bevanda  del  cioccolate  è una  bevanda 
„ medicinale  per  sè  medefìma  ordinata  alla  fanitàdel  I 
,,  capo , e dello  ftomaco  • Che  fe  alcuno  fen  vale  | 
„ per  pura  delizia,  e pecchi  contro  la  temperanza, 

„ non  per  foltanto  vien  a peccare  contro  il  digiu- 
„ no  ordinato  da  fanta  Chiefa.  Così  molti  bevono 
„ per  pura  delizia  i forbetti  di  melangolo.*  commet- 
,,  teranno  altro  peccato,  ma  non  peccano  contro  que- 
,,  fio  precetto. 

„ Z.I/- 


Ixxxix 

55  Lmy*  Qutfto  dilcorfo  mi  appaga  molto. 

5,  ^red>  Più  vi  appagherà  il  difcorfo  pratico , che 
y,  con  piena  certezza  conclude . Il  digiuno  ecclefia- 
5,  ftico,  dice  il  citato  Cardinal  Toledo  , eft  /ibjìì- 
y,  nentta  volunfaria  cibi  jmta  ritum  Eccìefu^  : dun- 
,5  que  ciò  che  non  è contrario  al  rito  , c volontà  del- 
5,  laChiefa,  non  è contrario  al  precetto  di  lei.  Mi 
55  fpiego.  La  collazione  che  fi  piglia  la  fera,  certa- 
55  mente  è cibo,  e nutrifce,  ed  è feparatocon  molte 
55  ore  di  tempo  dal  pranfo;  nè  abbiamo  canone  po- 
55  fulvo  che  la  permetta . NuIIadimeno  è certo  che 
55  non  guada  il  digiuno  ecclefiadico  poiché  laChie- 
55  (a  vede  tal  collazione  edere  praticata  da’ fedeli,  nè 
55  mai  l’ha  proibita.  Difcorrete  nel  modo  delTo  del- 
,5  la  bevanda  del  cioccolate.  Chiamatela  bevanda, 
,5  o cibo,  o medicamento,  come  volete;  nutrifca,  o 
55  non  nutrifca,  come  volete  / al  dì  d’oggi  non  è 
55  cofa  nuova:  da  gran  tempo  cda  fi  ufa  in  Roma,  e 
55  fuor  di  Roma,  da  uomini  dotti,  e pii,  nelle con- 
„ verfazioni  pubbliche,  in  pubblici  rinfrefchi,  in  vi- 
„ da  de’ Prelati,  e de’ Pontefici;  nè  quedi,  nè  le 
„ Congregazioni  hanno  mai  reclamato;  ed  effendo 
,5  cofa  appartenente  al  jus  politi vo,  mai  di  pubblica 
,5  ecclefiadica  autorità  non  fi  è fpiccato  contro  tal 
$5  bevanda  alamo  editto.  Dunque  lidi  lei  ufo  non  è 

5,  con. 


xc 

5,  contrario  al  rito  ccclefiaftico  : dunque  non  rompe 
,p  il  digiuno. 

„ Lucr.  Sicché  potrà  ufarfi  ancor  ne’  digiuni  del 
„ Giubileo,  e d’altre  Indulgenze  ? 

„ Pred.  Quando  il  Pontefice  pel  Giubileo,  o per 
5,  altra  Indulgenza  preferive  qualche  digiuno  , non 
„ pretende  digiuno  di  natura  diverfa  da  quel  che 
„ preferive  la  Chiefa  negli  altri  digiuni  da  sè  co^. 
„ mandati;  negli  altri  non  preferive  Taftinenza  da 
„ quella  bevanda:  dunque  il  Pontefice  non  preten»* 
„ de  tal  attinenza  he’ digiuni  del  Giubileo,  o d’altre 
,,  Indulgenze. 

X.  Noi  non  ci  poflìam  difpenfare  di  fare  alcune 
brevi  annotazioni  fopra  un  difcorlo  cotanto  concetto^ 
fo,  nel  quale  li  ravvi  fa  la  fecondità  dell’  umano  in- 
telletto nell’inventar  ragioni  che  fecondino  le  premu- 
re del  fuo  amico  corpo . Il  Padre  Bonapace  fuperio-.^ 
re  a tutti  i rimproveri  della  fperienza , non  li  fgo, 
menta  di  avanzare  al  pubblico, che  la  cioccolata  non 
nutrifea.  Con  ragione  dice  jl  P.  Calino  che  quejìo 
Teologo  va  per  una  ftrada  difficili Jfma  , e piena 
di  jtrupulofità . Per  vero  dire  non  ci  è poco  fcrupolo 
l’opporfi  al  fentimento  univerfale  del  genere  umano, 
ed  all’intimo  lenfo  che  fperimenta  quegli  tteflb  che 
così  parlai 


XI. 


xci 

XI.  Approvo  altresì  il  fentimento  dei  P.  Predica, 
tore  nel  rigettare  l’altro  principio  della  parvità  del- 
la materia.  Prima  per  la  ragione  già  accennata  dal 
P.  Viva,  che  quella dalla  venia!  colpa  non 
ci  libera  ; e non  voglio^  caro  il  mio  Signor  Silvio^ 
che  de"*  peccati  veniali  ne  facciam  poco  conto  . 
Feliciflimo  Silvio/  Tu  hai  quella  volta  trovata  una 
Teologia  per  tanti  fecoli  occultiffima  : ed  è di  por 
ter  lenza  colpa  neppur  veniale  con  una  cofcienza  de- 
licatiflima  praticare  ne’medefimi  giorni  fanti  di  pe- 
nitenza le  più  fquilite  , e difpendiofe  delizie  . Se 
non  che  in  fecondo  luogo  è malagevole  di  ridurre  la 
odierna  collumanza  della  cioccolata parvità  di  ma- 
teria. Bollito  il  cioccolate^  e incorporato  coll'’  acqua 
forma  una  ter^a  fpecie  ^ che  produce  diverft  effetti  , 
e in  ijlima  morale  ft  giudica  una  tev'za  fofìanTa  . 
Quello  è un  difcorfo  lodo,  al  cui  confronto  vano,  e 
ridicolo  riefce  l’ opponimento  di  Lucrezio,  che  li- 
quida non  frangunt.  Il  P.  Calino  egregiamente  di- 
llingue  due  claffi  di  liquidi  : gli  uni  per  ellinguerla 
icte  / gli  altri  dellinati  a toglier  la  fame  , e a nu- 
trire : nè  vedo , che  il  cioccolate  fi  beva  per  ejiinguer 
la  fete.  Rifleflb,  che  la  fperienza  univerfale  il  lug- 
gerifce  a chiunque  non  ha  alla  ragione  naturale  chiu- 
fa  la  porta  • 

XIL 


xai 

XIL  Silvio  di  fdegno  accefo  per  vedere  riprovate 
tutte  le  principali  ragioni,  che  i Teologi  pretefi  be- 
nigni producono  a favor  della  lecita  pozione  , gridar 
Dunque  Voi^  Padre  giudicate  che  il  cìoecolate  fta 
contrario  al  digiuno} 

XIII.  A/i,  mio  Signore  ; ma  ?m  fervo  di  altri 
principi , Parlando  fpeculativamente  dico  . Tal  be- 
vanda non  è ordinata  ad  eftinguer  la  [ete  ^ non  a 
toglier  la  fame  ; ma  a confortare  il  capoy  e lo  Jìo-^ 
maco , Dunque  non  è propriamente  nè  ciboy  nè  be^^ 
vanda  ufuale  y ma  medicamento  prefo  in  bevanda  . 
Se  io  non  temefli  di  far  montar  in  collera  certi  Si- 
gnori, i quali  fi  fono  fitta  in  capo  una  maffima  affai 
malagevole  d’impedire  ai  Teologi  che  chiamino  le 
cofe  col  loro  proprio  nome,  cioè  che  le  cofe  ferie  le 
dicano  ferie,  e che  le  cofe  burlevoli  le  fpaccino  per 
burlevoli;  io  certamente  direi,  che  quefto  fquarcio 
di  Teologia,  che  il  P.  Predicatore  chiama  da  came- 
ra , fia  daj teatro.  Ma  per  evitare  la  coftoro  indi- 
gnazione, lafcierò  che  i leggitori,  i quali  fanno  che 
il  cioccolate  non  fi  beve  fpeculativamente  y ma  prati- 
chiflìmamente  , non  fi  poffa  dire  propriamente  nè 
cibo  , nè  bevanda  ufuale , ma  medicamento  prèfo  in 
bevanda  y facciano  gli  ovvj,  e naturali  rifleffi  fopra 
tale  ameniffima  dottrina  . Eglino  meglio  di  me  fa- 

pran 


xdii 

j^ran  interrogare  il  P.  Predicatore  , fe  quella  medici- 
na prefa  in  bocconi  guaiti  il  digiuno  . E tutti  dico- 
no di  sì»  Molti,  o per  non  aver  comodo  , o perchè 
l'ono  in  viaggio,  o perchè  lor  piace  così,  in  bocconi 
tolti  prendono  tal  medicina,  e non  in  bevanda. Re- 
plicheranno a quel  periodo  ; La  bevanda  del  cioc- 
colate è una  bevanda  medicinale  per  se  medefma  or- 
dinata alla  fanìtà  del  capo^  e dello  Jìomaco  : il  di- 
Itillato  di  un  cappone,  di  un  piccione  , di  uno  fio" 
rione,  non  è anch’elfo  ordinato  alla  fanità  del  capa, 
e dello  jÌQmacoì 

XIV.  Molti  poi  fi  accenderanno  di  giulìo  e Tanto 
Idegno  contro  di  quella  ragione  nella  quale  fi  rappre- 
Tenta  la  Tanta  Sede  , come  approvatrrce  di  tale  co- 
fìumanza.  Si  ufa  in  Roma^  ?ìelle  conver] alcioni  pub- 
bliche ^ in  pubblici  rinfrejt'hi^  in  vifta  de' Prelati  , 
e de^  Pontefici  ; nè  quejii  , nè  le  /agre  Congregazio- 
ni hanno  mai  riclamnto.  Quello  argomento  più  ab- 
bado , col  più  profondo  riipetto  verTo  gli  .Autori 
che  lo  propongono  , e col  più  giulto  zelo  in  difeTa 
della  Santa  Romana  Sede  , fi  dirà  che  è un  TofiTma 
inlidioTo,  per  non  dire  un’impoftura,  che  diTcredita 
la  fìeiìa  Tanta  Romana  Sede  preflo  gli  Eretici  , ai 
quali  fi  rappreTentano  per  ridicoli  ,e  per  cofe  da  giuo- 
co i fanti  digiuni  noltri  . Gli  Eretici  appunto  Tono 

co- 


xciv 

coloro  che  disi  fatto  fo  filma  fervonfi  per  infamar^ 
la  fanta  Sede . Se  tutto  ciò  che  nelle  pubbliche  con- 
verfazisnì^  e ne' pubblici  rinfrefchi  fi  ufa  in  Roma,- 
e fuor  di  Roma  j doveffe  dirfi  lecito  ed  approvato 
dalla  fanta  Sede,  perchè  R.i.ria  non  fulmina  fcoihu- 
niche,  perchè  non  pubblica  editti^  che  ne  feguireb- 
be?  In  Roma  tanti  pubblicarriente’  giuocano  , che 
per  la  profefllone  loroi  non  poffono  giuocare  ; tanti 
tengono  aperti  banchi  giri , che  noti  poflbriò  tener- 
gli/ tanti  appunto  nelle  pubbliche  corìverfaxionì  ^ e 
ne^ pubblici  rinfrefchi  fanno  molti  (fi  me  cofe  che  non 
poffono  fare  : epure  mai  non  [t  è /piccato  cantra 
tali  cofe  alcun  editto i Dunque  fono  lecite  ? Dun- 
que Roma  le  approva  ? Si  dimioftrerà  in  appreffo  y 
che  quelli  i quali  di  così  fcandalofo  argunìento  fi  fer- 
vono, ignorano  cofà  fia  la  Chiefa  di  Gesù  Crifìo,  il 
quale  ci  aftefta,  che  in  quefta  fua  Chiefa  ci  farà  fino' 
alla  fine:  il  grano,  e la  zizzania;  anzi  dice  : Sinite 
utraque  ere  fiere  ufque  ad  meffem . Gran  che  1 Se  Ro- 
ma /picca  editti  , fi  deludono  con  interpretazioni 
capricciofe  : fi  va  dicendo  , che  in  fimili  quiltioni 
non  c’è  infallibilità  : fi  va  divulgando  ,'  che  i Papi 
pentiti  di  aver  pubblicate  le  coffituzioni , gli  editti, 
hanno  con  un  vivoe  njoci§  oraculó  dichiarato  il  con- 
trario. Ed  in  quefta  guifa  fi  rapprefenta  che  Roma 


co- 


xcv 

Cogli  editti  j coi  brevi  , e colle  coftitutioni  ftara- 
paté  j e promulgate  infegna  una  cofa,  e coll’  oraco- 
lo di  viva  voce  ne  infegna  un’altra.  Niuno  qui  gri- 
derà, che  fi  laceri  la  carità:  perchè  non  effendo  no- 
minato alcuno  niuno  vorrà  confeffarfi  reo  di  un 
tanto  male.  Per  altro  fi  pretenderà  forfè  di  flampa- 
re  le  opinioni  laffe,  e ingiuriofe  alla  fanta  Sede  per 
fino  nelle  Prediche  quarefimali  in  volgar  favella,  e 
infieme  fi  avrà  coraggio  di  pretendere  , che  niuno 
ardifca  di  confutarle  ? Se  molte  cofe  fi  faceffero , e 
che  infieme  fi  tàceffe,  fi  potrebbono  alle  volte  lafciar 
correre  per  vatj  riguardi  : ma  farle  , e poi  ftampar- 
le?  praticarle,  e poi  giuftificarle  con  le  pubbliche 
fiampe?  Quefto  è un  compleflb  di  cofe  , che  non  fi 
può  lafciar  correre  fenzà  confutazione.  Anzi  fecondo 
la  dottrina  e de’ Padri,  e de’ Teologi , peccherebbe 
chi  potendo  non  confutalfe  le  indicate  laffezze  : e 
Iddio  ha  promeffo  , che  fe  nella  fua  Ghiefa  fempre 
vi  faranno  i coltivatori  della  zizzania,  fempre  altre- 
sì vi  faranno  gli  agricoltori , che  dalla  zizzania  il 
grano  prefervino  . Ma  rientriamo  nell’  ^rgumerito’  . 
Se  dall’  altra  banda  Roma  non  ifptcca  gli  editti , al- 
lora tutto  è lecito,  allora  Roma  approva  tutto  col 
fuofilenzio.  Ed  ecco  verificato  T oracolo  di  Crifto  , 
che  v’è  il  grano,  e la  zizzania. infieme.  So  che  que- 

fte 


xcvi 

ftc  argumentazionì  faranno  da  alcuni  con  le  rifa  ri-^ 
cevute  ; ma  fappiano  coftoro , che  ficcome  Gesù 
Crifto  ha  predetto  , che  non  vi  mancheranno  mai 
di  quelli  che  nella  fua  Chiefa  coltivino  la  zizzania 
con  la  buona  intenzione  5 e credenza  di  coltivare  il 
grano;  così  non  vi  mancheranno  giammai  degli  altri 
che  con  petto  invincibile^  e con  fanto  zelo  realmen- 
te coltivino  il  grano  della  celefte  dottrina  prefervan- 
dola  dal  fufifocamento  della  zizzania. 

XV.  L’ultimo  dubbio  che  il  Signor  LucreT^io  muo- 
ve, è veramente  degno  di  chi  vuole  falire  in  Paradi- 
fo  per  una  via  onninamente  contraria  alla  via  di  quel- 
la penitenza  corporale  che  crocifigge  la  carne, e mor- 
tifica la  gola.  Si  è ftabilita  lecita , dice  il  Sig*  Sil- 
vio , la  piacevole  pozione  nella  Quarefima  , nelle 
quattro  tempora,  nelle  vigilie  ; reftava  a decidere, 
fe  anche  ne’  digiuni  del  fagro  Giubileo,  nel  cui  tem- 
po la  umiliazione  , la  mortificazione  , la  penitenza 
fogliono  effer  più  vifibili , permeflb  fia  Tufo  della 
deliziofa  bevanda . Suppofta  favorevole  la  rifoluzio- 
ne,  anche  di  quefto  punto  fono  afficurati  i Criftiani, 
che  per  tutto  quello  loro  pellegrinàggio  non  rimar- 
ranno neppur  un  giorno  fenza  la  medicina  conforta- 
trlce  del  capo,  e dello  flomaco, purché  la  borfa  non 
manchi . Nè  fi  dee  tralafciare  di  fpendere  in  si  pia- 


ce- 


XCVK 

cevole  riftoro,  nemmeno  per  far  limofma  in  tempo 
di  Giubileo.  Privi  fe  ne  refterannodi  quefia  pozione 
que’foli  Criftiani  che  deftituti  di  peculio,  non  po- 
tranno provvederfi  di  così  difpendiofo  conforto  , af- 
fine di  prenderlo  cotidianamente  per  fino  in  quel 
tempo  di  Giubileo,  nel  quale  pareva  che  dai  facri 
digiuni  sbandite  elfer  doveffero  tutte  le  delizie  ripu- 
gnanti alla  vera  penitenza,  ed  umiliazione.  !VIa  bi- 
fogna  confefi’are,  che  la  ragione  cui  affegna  il  P.  Pre- 
dicatore, non  è,  fuppofti  i Tuoi  principj  , tanto  dif- 
prezzabile  . Il  digiuno  che  il  Papa  Tanto  nel  Giu- 
bileo impone  , non  è di  natura  diverfa  da  quel 
che  preferive  la  ' Chiefa  negli  altri  digiuni  da  sè 
comandati  t Negli  altri  non  preferive  /’  ajìinenx^ 
da  quefla  bevanda.  Dunque  il  Pontefice  non  pre- 
tende tal  ajiinenxa  né"  digiuni  del  Giubileo  ^ o d 
altre  Indulgerne  . Quello  è un  lìllogifmo  che  nei 
principj  del  Signor  Lucregio  non  ammette  replica  * 
La  prima  propofizione  è certa  . La  feconda  è vera- 
mente falfa  in  sè  ftefla;  ma  egli  la  lappone  per  ve- 
ra in  virtù  di  ciò  che  ha  definito  di  fopra  . Quindi 
conchiude  , non  effervi  giorno  in  cui  non  fi  polla 
confortare  lo  fiomaco  , ed  il  capo  colla  deliziofa 
medicina.  Un  altro  folo  dubbio  pare  che  redi  da 
deciderfi,  ed  è,  fe  nella  ipotefi  che  il  ConfeJore 

G im- 


xcviii 

ìmponelTe  un  digiuno  in  pane,  ed  acqua  [ benché  h 
ipotefi  è rariffima  a’  tempi  noftri , che  un  Confcffo- 
re  di  que’'  penitenti  che  bevono  cioccolata  imponga 
per  penitenza  di  fornicaziohi  ^ di  adulterj  , di  mol- 
lezze, digiuni  in  pane  ed  acqua  ] fi  poteffe  ufar  il 
chccokite , Ma  già  fecondo  quelli  che  dicono  effere 
bevanda  ufuale,  non  c’è  quilìione  / perchè  è bevan- 
da non  di  vino,  ma  d’acqua,  in  cui  è manipolata  • 
In  fentenza  poi  del  P.  Predicatore  , la  cofa  è fuori 
di  controverfia  / perchè  quello  cioccolate  , fecondo 
lui,  non  è nè  cibo,  nè  bevanda,  ma  medicamento, 
che  conforta  il  ventre,  ed  il  capo.  Or  chi  dirà,  che 
la  medicina  ripugni  al  digiuno  in  pane  , ed  acqua  ? 
Bada  aver  efpofto  fotto  il  punto  di  fua  giuda  veduta 
quello  ragionamento  da  camera  , perchè  i Crilìiani 
timorati  di  Dio  veggano  quanto  conforme  lia  a quel- 
la penitenza  che  Gesù  Grillo,  c la  Chicfa  comandano 
a’ loro  fedeli. Quelli  poi  che  tanto  declamano  centra  j 
chi  llampa  in  volgar  favella  le  morali  quiflioni,  rof-  Il 
{ore  proveranno, e dolore  nel  vedere  dentro  un  Qua- 
refimale  di  Prediche  llampate  efaminati  non  punti  ' 
morali,  che  edifichino,  ma  dubbj  [ fiami  permeffo 
di  dirlo]  ridicoli  , che  offendono  il  buon  fenfo  . 
Nelle  medefime  Prediche  {lampare  fi  difputa  , le  fi- 
no nel  Giubileo,  non  che  in  Quarefima,  fi  polla  la 

mat- 


xcix 

ftiattina  per  tempo  confortar  il  capò,  e lo  ftomaco? 
Quelle  fono  le  maflime,  quelle  le  Prediche  , quelle 
le  opinióni  che  fi  acquiltano  numerofo  Icguito. 

XVI.  Sin  ora  abbiamo  narrate  le  ragioni  de’  Pro- 
babililli  favorevoli  al  cioccolate  : e quelle  degli  An^ 
tiprobabililli , dove  le  lafciamo  ? Ci  renderei  noi 
rei  di  parzialità  verfó  di  quelli  ? Ceffi  Iddio  da  noi 
ùn  tanto  male.;  Eccovi  pertanto  un  Antiprobabiliila, 
qual  è il  M.  R.  P.  Tommafo  Pio  Millante  , il 
quale  ha  voluto  ridurre  anche  egli  al  vaglio  della 
Teologia,  nori  Cafiftica , nià  purgata  e nobile,  nel-^ 
la  fua  Efercitazione  XXIIL  fopra  le  proporzioni  dan- 
nate da  Aleffandro  VIÌ^  la  celebre  contefa  ^ Comin- 
cia il  fuo  difcorfó  cori  le  maraviglie  fopra  le  diver- 
fe  maniere  di  opinare  de’  Cafifti . Mirimi  ejì  quam 
varia  fif  Cafuijìarum  vefponfioy.&  fenmiti a « I Pa- 
droni della  difciplina  più  molle  , lecita  la  difendo* 
no  nori  irieno  che  la  bevanda  dell’acqua,  e del  vi- 
no . Quidam  enim  moìUoris  difciplina  Patroni  abfo^ 
Iute  eoe h al at arri  in  die  jejunìi  permìttunv  , non  [e cui 
ac  •vinum  , & aquam , eò  quod  fumatur  per  modum 
potus  . Dall’ altra  parte  i Rigorijìi  la  sbandifeono  af- 
fatto dai  giorni  di  digiuno  ; e tra  quelli  Rigorijìi  ci 
fono'  il  Diana,  il  Sarichez  , il  Trullénch  , TAzor- 
re,  il  Macado,  il  Cafiropalao,  il  Leandro,  il  Pa- 

G i j,  fqua- 


c 

fqualigo  j c tanti  altri  della  più  molle  difciplina  « 
Altri  riducono  la  controverfia  alla  parvità  di  mate- 
ria confiftente  in  un’oncia  e mezza.  Altri  finalmente 
allegano  privilegj  Pontifici  infinti. 

XVII.  Riprova  il  P.  Millante  tutte  quefte  opinio- 
ni . In  primis  afferò  nuìlum  prcefatis  dicendi  mo- 
dis  fub filiere  poffe  , addendamque  effe  moderationem 
quamdam^  qua  PROBABILIUS  diffinitiva  profera^ 
tur  fententia.  Qui  ftiamo  meglio  che  mai  : fentcn- 
za  diffinitiva  , ed  anche  più  probabile  afficura  tut- 
ti c quanti  i partiti  . Nell’ammettere  , dice  egli  , 
la  prima  fentenza  altro  non  fi  fa  che  facrofanHam 
jejunii  ìcgem  fraude  elidere  , & dolo  fa  inventione 
peffumdare  . Quelli  cheaU’afilo  della  parvità  di  ma- 
teria fi  rifugiano , diminuifcono  , è vero  , la  colpa, 
ma  non  la  levano . Commetterebbono  Tempre  i be- 
vitori innumerabili  colpe  veniali.* e chi  una  fola  col- 
pa veniale  difendeffe  per  lecita  , una  erefia  diffe- 
minarebbe. 

XVIII.  Per  altro  il  diffinire  , che  quella  bevanda 
famofa  fia  in  dì  di  digiuno  peccaminofa  , è un  feri- 
re la  riputazione  di  uomini  per  dottrina  , per  pro- 
bità infigni  , i quali  in  oggi  fenza  fcrupolo  la  pren- 
dono , e come  lecita  agli  altri  la  perfuadono  , non 
che  la  permettono  , Ma  ciò  che  maffimamente  im- 

por 


d 

porta,  fi  è che  innumerabili  di  quefti  bevitori,  del 
ceto  fono  di  coloro  che  fudano  , e traffudano  per 
coltivare  la  più  nobile  , e più  purgata  Teologia  ^ 
Adfstcre  omntno  adverfam  éfmiaìibus  dkbus  pra^ 
fatam  cocbolata  potionem  j eji  carpere  viros  ^ qua 
doBrina , qua  probit ate  infignes  , qui  badie  illa  fine 
fcrupulo  utuntUY , aliifque  ut  licitam  fuadent  ; pr<e« 
fertim  cum  innumeri  ex  ih  f nt  de  coetu  eorum  qui 
7ìobilioTÌ , purgatiorique  Tbeologìce  aperam  navant . 

I Signori  Probabilifti  qui  giuftamente  fi  rifcaidano, 
e non  poffono  comprendere  T indole  di  quefta  Teo- 
logia nobilioris  , & purgatioris . Più  nobile  , e più 
purgata  ? Quefta  Teologia  del  P*  Millante  concede 
più  che  tutti  i più  rinomati  Probabilifti  infieme  # 
La  Teologia  de’  Probabilifti  fi  chiama  Cafiftica  , e 
rilaffata  ; e quefta  dell’ Antiprobabilifta  fi  chiama 
mbilior  ^ & purgatior.  Che  poi  il  P*  Millante  con-^ 
ceda  più  in  quefta  materia  del  digiuno  che  non  i più 
rinomati  Probabilifti , è evidente  • Si  traferivano  con 
fincerità , e fenza  parzialità  le  fue  dottrine  ; e fi  ve- 
drà , fe  diciamo  il  vero  ^ 

XIX.  Ubbidire  conviene  ai  Signori  Probabilifti , 
che  è ben  giufto*  Traferiviam  dunque  la  diffinitiva 
fentenza  di  quefta  più  nobile,  e più  purgata  Teo^ 
logia . Dico  i^nuY  , ideino  in  pr^fentìarum 

G i i j abfa^ 


cu 

flb folate  ìicitam  cocbolatdt  potìonem  \n  moderate^ 
fefqmuncia  quanthate  , quia  parvitas  materica 
joonfuctudìne  introduca  , & toìerata  ab  Ecclefta 
omntno  eiscufat  a culpa  ; lìcet  ex  fey  abfque  tali 
pernii jfiùne^  nulìatenus  excufaret.  Sin  ora  non  ha 
nulla  di  diffinitivo,  fingolarc,  e dipinto  ^ Soggiugne 
che  quella  conluetudine  trionfa  ubique^  prafertim  in 
Alma  Urbcy  feiente  Romano  PomificCy  potente  im^ 
pedire  y & ?2ullatenus  impediente  ^ Ciò  che  feguc 
ha  qualche  prerogativa  di  fingolarità  • In  virtù  di 
quello  fuo  principio  conchiude,  che  fe  ne  può  bere 
in  giorno  quarcfimale  nna  chicchera  di  un’uncia  e 
mezza  fenza  veruna  colpa,  neppur  veniale,  Chi  poi 
ne  bevelfe  una  feconda  chicchera  di  altra  oncia  e 
mezza,  con  venial  colpa  il  candore  macchierebbe  di 
fua  cofeienza,  per  la  parvità  della  materia.  Perchè 
la  prima  fefquiuncia  è approvata  dalla  confuetudine  ; 
ì’altra  uncia  e mezza  è parvità  di  materia  non  ap- 
provata, e perciò  la  colpa  veniale  non  fi  potrebbe 
sfuggire.  Ma  chi  troppo  ghiotto  ne  beveffe  la  terza 
volta,  collui  poi  peccherebbe  mortalmente,  Ex  quo 
principio  fequitur , quod  qui  eodem  efuriali  dw  P^fl 
epotam  cocbolatee  fefquiunciam  , ft  aliam  quoque 
propinare  foellet , peccaret  n)emaìiter  ob  parvitatem 
fnateriae^  nm  permijfam  tolerantia  Eccleftce  ^ Sed 

fi 


cm 

fi  infuper  quls  tertio  id  faceret , peccaret  mortalher . 
Quefti  hanno  le  loro  bilance  pronte , onde  diffinire 
anche  più  probabilmente:  Quefto  è mortale:  quejìo 
è veniale^  Se  chiedete,  perchè  un’oncia  e mezza  di 
cioccolata  debba  rcftrignerfi  dentro  i confini  di  par- 
vità di  materia  * rifpondono;  Perchè  così  decidono  i 
Teologi  che  la  bevono.  Ma  è parvità  di  materia 
un’oncia  e mezza  di  carne?  un’oncia  e mezza  di  ca- 
feio?  un’oncia  e mezza  di  llorione?  Ma  lafciamo  da 
banda  fimili  interrogazioni,  alle  quali  forfè  più  pro- 
babilmente rifponderebbe  di  sì. 

XX.  Le  lamentanze  de’  Probabilifti  padroni  della 
difciplina  molle,  per  una  parte  pajonmi  giuftiffime. 
Ecco,  gridano,  dove  vanno  a parare  i rigori  di  tanti 
Teologi  Antiprobabilifti  J Quelle  cofe  che  eglino 
praticano,  fono  le  più  probabili.  Bevono  la  ciocco-’ 
lata;  e quella  è la  opinione  più  probabile.  Tengono 
groflo  peculio;  c quefta  è la  opinione  più  proba- 
bile . Voglion  vivere  lautamente  ; e quella  è la 
opinione  più  probabile.  Certi  ncllri  Antiprobabilifti, 
certi  nollri  Rigorifti  gridano  : Al  Lajftfmo , al  Pro- 
babilifmo  del  ftcol  nojìrol  Ma  frattanto  eglino  fan 
diventar  più  probabile  ciò  che  loro  aggrada.  Afcol- 
tiamo  le  declamazioni  ferventiffime  del  medeanio 
P.  Minante  nella  citata  Efercitazione  alla  pag.  257. 

G ili]  SeJ 


civ 

Sed  proh  dcpìorabilem  Jaculi  la^itatem , & chrìjlia^ 
ethiC(S  conupte\am\  Fudet  quidem  htc  vel  4L 
gito  rnonjìrare-,  quoda  laxonibus  cantra  fas jas 
docetur  ^ quod  pejus  ejì  ^ non  fine  fcandalo  ad 
prasim  reducitur  * E pure  quello  aulleriffimo  Anti- 
probabilifta  nella  medefima  pagina  dopo  aver  conce- 
duta la  coleiione  mattutina  ai  Criftiani  nella  Quarc- 
fima,  ed  un  buon  pranfo  al  mezzo  dì,  concede  la ie- 
ra  una  colezione  di  otto  onde . Eccovi  le  j-ue  parole. 
Ut  igitur  cxnula  ifla  innoxia  fit , debet  effe  modi- 
ca ^ ita  nimirum  ut  o6io  unciarum  pondus  ordina- 
vie  haud  escedat  quantitas  illa  qua  prò  refezione 
fumitur:  ita  quidem  univerftm  viri^  qua  pietate  ^ 
qua  dcEirina  pollentes,  docente  & ad  pra^m  re- 
ducunt . Quelli  uomini  che  di  qua,  e di  là  di  dot- 
trina fplendono,  e ip  pietà,  fe  folfero  di  buon  ap- 
petito potrebbono  eglino  eccedere  la  taffa  delle  ot- 
to onde?  Chi  ne  dubita?  rifponde  quivi  V Autor  no- 
firo  5 (piegando  la  refcriita  parola  ordinarie , la  qua- 
le non  è a cafo  inferita.  Di^i , ordinarie^  quia  ju- 
Jìa  ex  caufa  poterit  effe  majoris  ponderisi  quando 
videlicet  aliquis  majori  eget  nutrimento  . Paffiamo 
avanti,  e troverem  di  meglio.  Che  i p^fcctti  fala- 
ti poffano  elTere  materia  di  quella  cenetta  , noi 
mette  in  dubbio.  Si  avanza  a chiedere,  num  parvi 

pifei^ 


})tfcìcuìi , iiqu&  reccntes , & mìnime  faU  conditi 
pojfmt  indulgevi.  Rifponde , che  ciò  è si  certamen- 
te lecito  che  nec  fcrupuìofus  quidem  Theologus  in- 
fidavi  audet  ^ prafertìm  quia  & viri  prudentes^  ac 
do£li^  immo  RegulariumCommunitates  eifdem  vefci 
edam  in  antipafcbali’jejuni'o  confueverunt . E quali 
fono  mai  quelle  Comunità  Regolari,  che  in  Quare- 
fima  nella  colezione  vefpertina  imbandifcono  pefcì 
piccoli  frefchi  Z’  Rifponde  il  P.  Millantc,  che  que- 
lle Comunità  Regolari  non  fono  veramente  le  ri- 
formate, che  afpirano  ai  migliori  doni  celefli,  ma 
le  non  riformate.  In  Reìigionibus  atitem  vefovmcah^ 
& quije  nemulaniur  charifmata  meìtova  ...  non  nifi 
seropbagia  in\  ferotina  collatione  fervatur  . Verum 
non  e^i  Monajiica  rigidiori  obfervantia  fas  ejì  in- 
ferve  praceptum  commune  cetevos  haud  obfiridos 
Regulds  Monafiicte  adflvìngens.  E’ vero  che  la  offer- 
vanza  monadica  non  debba  inferir  precetto  obbli- 
gante ai  Criftiani;  nè  dirò  per  ora,  che  la  legge 
della  Quarefima  obbliga  ugualmente  tutti  e Rego- 
lari, e fecolari . Ciò  che  mi  forprende  li  è,  come 
il  P.  Millante  affermi  lecito  l’ufo  de’pefcicoli  fre- 
fchi  nelle  Regolari  Comunità  non  riformate,  quan- 
do nelle  riformate  non  è lecito.  Comunemente  le 
Comunità  Regolari  e riformate  , e non  riformate 


evi 

’profeffano  la  medefima  Regola,  le  ftefliffirac  Co- 
ftituzìoni:  nè  altra  differenza  c’è,  fe  non  che  nel- 
le riformate  fi  olfervano  le  leggi,  e nelle  non  ri- 
formate non  fi  olfervano.  Ignorantemente  alcuni  per 
rapprefentare  una  Comunità  di  regolare  offervanza  la 
chiamano  rigidioris  obfervantice y quafiche  nelle  altre 
Comunità  la  continuata  oppofia  irregolare  trafgreffione 
delle  leggi  profeflata , foffe  una  non  rìgidior  , ma 
rigida,  o efatta  offervanza  regolare.  Ciò  detto  fia 
di  paffaggio,  e per  difinganno  degl’idioti,  perchè 
fimili  frafi  fono  ed  ingannevoli,  e perniciofe,  men- 
tre confondono  una  Ugrimevole  corruttela  con  una 
offervanza  mitigata.  Per  altro  fono  perfuafo  che  [il 
P.  Millantc  innocentemente  creda  , che  dentro  una 
Religione  nella  quale  la  profellìone  è la  medefima , 
fi  polla  in  alcune  cale  mangiare  pefcicoli  frefehi  nel- 
la colezionc  vefpertina  della  Quarefima,  c nelle  al- 
tre cale  non  fi  polla.  Ciò  che  quefto  Teologo  fog- 
giugne  immediatamente,  piu  di  tutto  mi  forprende. 
Infegna  dunque  di  vantaggio , che  non  folo  i pefeet- 
ti  frefehi,  ma  ancora  i pefei  della  maggior  grandez- 
za, e per  levare  ogni  Icrupolo,  tutti  que’  pefei  che 
fi  poffono  mangiare  a.  pranfo  , fi  polfono  mangiare 
anche  acolezione,  purché  fi  oflervi  ordinariamente 
!a  taffa  delle  otto  once.  Ut  ingenue  meam  hac  in 


CVll 

re  pYoferam  fententiam  ^ attenta  prafentì  fiìfcipìi- 
na , fme  ullo  fcrupulo  pojfe  etiam  magnos  pifces  in 
eadem  quantitate  permitti  e^iftimo  linde  ficut 
hodie  in  prandio  licet  grandes  pifces  comedere , li- 
cet  pariter  in  ccenuìa  cum  debito  moderamine  man- 
ducare. Ora  sì  che  io  credo  ciò  che  fcrive  il  P. 
Niccolò  Ghezzi  in  uno  de’fuoi  Dialogi , cioè  che  un 
Rigorifta  di  quelli  qua  doblrina  , qua  probitate  poi- 
lentium  invitato  in  villa  una  fera  di  digiuno  fi 
mangiò  una  buona  porzione  di  fiorione.  Il  P,  Minan- 
te ne  concede  a buoni  patti  mezza  libbra  con  due 
onde  di  pane.  Che  fe  vi  foffe  maggior  appetito, 
fi  può  crefcer  la  dofe;  Pw,  ordinarie  j quia  jujìa 
ex  caufa  poterit  effe  majoris  ponderisi 

XXI.  Reo  di  fcandalo  mi  riputerei , fe  tali  dot- 
trine aveffi  riferite  fenza  confutarle.  Il  P.  D.  An- 
tonino Diana,  il  P.  Leandro  Principi  de’Benignifii 
alla  tefia  di  numerofa  fquadra  de’piii  dolci  Probabi- 
Jifti  fi  accendono  di  giudo  zelo  centra  così  feandar 
lofa  dottrina  , e condannano  di  peccato  mortale 
chiunque  in  pratica  la  riduce.  Afferò^  indiala  col- 
ìatione  fub  onere  peccati  mortalis  quantitatem  lici- 
taci non  poffe  fumi  in  pifeibus , Diana  Tom*  IV. 
Refi  cxvi.  n.  4..  Più  firetto  rifolve  il  P.  Leandro. 
An  faìtem  liceat  in  follatione  uti  pifeibus  fumo  fic- 
ea- 


cviii 

CAth^  faìeifue  còndìth  Uf  mibi  certum  fefpònde9 
non  pojfe:  quia  nec  ratio  ^ ncc  ufus  vìrorum  pruden* 
rum , & timorata  confcìentìa  ad  contrarium  tuendum 
urgente  ut  conflati  cum  ft  omnino  contrarim . Trafl. 
V.  dif.  IV.  q.  42.  Il  celebre  Collegio  Salmanticenfe 
de’PP.  Scalzi  non  folo  i pefci  frefchi  piccioli,  e 
grandi  afferma  proibiti  per  comune  confenfo  de’ 
Dottori  5 ma  eziandio  i pefci  fecchi , ed  affamati . 
Communìs  Do^ìorum  fsntentia  docet  non  effe  mate^ 
riam  coìlationis  pifciculos  parvulos  j five  recente  sfmt  ^ 
ftve  fumo  ficcati,  Traft.  xxii i.cap»  2.  punft. 
n.  80.  ed  i Probabiliftì , che  in  confermazione  di 
tale  fentenza  citano,  fono  Azorio,  Reginaldo,  Fi* 
liuccio,  Laimano  , Fagundez  , Sanchex,  Angles  , 
Vivaldo  , Berarduccio  , Grafio  , Molfefio  , Villalo- 
bos,  Caftropalao,  Trullenco,  ed  altri.  Ciò  detto 
fia  di  paffaggio,  e per  una  tal  quale  digreffionc  / 
che  prima  di  terminarla,  rifpondo  ai  Probabilifti, 
che  giuftiffìmamente  eglino  gridano  centra  alcuni 
Antiprobabilifti  i quali  bruttamente  abufanfi  dei 
migliori  fiftemi,  e con  una  cattiva  pratica  difere* 
ditano  una  fanta  teorica.  Ma  quindi  anfa  non  pof* 
fono  prendere  i Signori  Probabilifti  di  declamare 
contra  le  dottrine  fané , e le  fentenze  più  vicine 
al  vero,  per  T abufo  di  alcuni  privati.  Più  tofto 

do- 


dovrcbbono  riflettere  ed  i Giornalifti  Trivolziani,  c 
quelli  che  hanno  ftampato  negli  Svizzeri,  alle  pc- 
ricolofe  confeguenze  che  poflbno  derivare  dagli  en- 
comj  tributati  alla  dottrina  falfa  pubblicata  dal 
fuddetto  Autore  in  favore  del  peculio  monaftico. 
I PP,  Lechi,  e Sanvitale  hanno  flampati  panegiri- 
ci in  lode  de’due  Libri  5 Vita  Claujìralis^  e Vinài- 
ci(S  Regtàarìum . E poi  fi  lamentano,  fe  fono  di- 
moftrati  per  approvatori  di  dottrine  fcandalofe  ? 
Leggano  il  Libro  intitolato  Defenfw  Decretorum 
CoììciL  &c,  e troveranno  il  loro  difinganno,  e il 
debito  di  ritrattare  gli  encomj  fatti  ali’ errore.  Ma 
terminiamo  la  digreflìone,  dalla  quale  pofiono  ad 
evidenza  comprendere,  che  noi  fcriviamo  per  ifpi» 
rito  di  verità,  non  per  impegno  di  partito,  non 
per  affetto  ad  un  Ordine  più  che  ad  un  altro.  Ri- 
petiam  dunque  le  parole  del  P.  Millante:  Sedproh 
deplorab'ilem  /acuii  Uv/itatcm  & ebrijiiana  et  bica 
.covruptelaml  Pudet  quidem  bic  vel  digito  demon- 
jìrare  quod  a laxonibus  cantra  fas , & jm  docetur^ 
Ò",  quod  pejus  e/ì  ^ non  fine  fcàndalo  ad  prasim 
reducitur,  Sovra  cui  vadano  a rovefciarfi  quefie  fo- 
cofe  efclamazioni,  lafcio  che  i leggitori  fe  lo  giu- 
dichino. 

XXIL  In  ultimo  luogo  vo’ riferire  la  maniera  con 

la 


Cx 

la  quale  il  P.  Claudio  La-Croix  commentatóre  del 
P.  Buflembau  iftruifce  i fuoi  Confeffori  fu  quella  con- 
troverfiaé  Trafori verò  tutte  le  (ue  parole  fu  quello 
punto  pei*  prevenire  la  folita  fola  di  poca  fincerità  . 
Scrive  dunque  cosi.,,  Dechocolata  docent  Th.HurPé 
,5  Lop,  8c  alii  noli  frangere  jejunium  • Idem  tenet 
5,  Henrìq.  v.  jejmtum  , referens  Urbaniim  Vili.  , 
3,  oblath  tngred'tenuts  i & in  ejui  confpeElu  confe^ 
33  £lo  cbocoìate  3 de  ilio  guflato  dixilfe  , ejfe  , & 
33  manere  potumé  Idem  refpònfum  efl'e  a Gregorio 
33  XlIL  S.  Pio  V.  Paulo  V.  tejìantur  plures  DD, 
33  inquit  Ills,  T.  IV»  d.  t.  n.  39.  Idem  defendit  Gar-’ 
33  diti.  Brancatim  in  Differc,  de  chocolate  • Et  hanc 
,3  fententiam  Diana  p.  n.  t.  vi.  Ref.  84.  & Tarn- 
,3  buTé  n,  7.  dicunt  elfe  abfolute  probabilem^  E con- 
33  tra  frangere  jejunium  docent  plurimi  alii  curri 
3,  Cajlr.  fupra3  probantque  fufe  Tambur.  fupra 
33  & P»  IL  q.xviì.confideratis  ingredientìis,' 

33  & vi  nutritiva  illius.  Nihilorriinus  putant  Leand,' 
33  & Dìan.  fi  non  mifceatur  muItUm  illius  materise,' 
,3  fed  bibatur  tenue,  non  fràngere  jejanium  ; fecus 
33  fi  multum  mifceatur  3 Se  coquatur  inftar  denfse  pul- 
33  tis.  Addunt  faltem  numquam  graviter  frangere-  , 
33  nifi  mifceatur  ultra  duas  uncias 

XXIII.  Tutti  i Saggi  efaltano  Io  Itudio  della  Cri- 


tica  j ehe  nel  fecol  noftro  fiorifce . Una  delle  princi« 
pali  incumbenze  di  quefta  è di  pronunciare  giudizio 
fulle  opere  degli  Autori,  recandone  al  leggitore  un 
fincero,  e naturale  ritratto.  E per  ciò  fare  animo  fi 
richiede  fcevero  da  palTioni,  da  partiti,  da  impegni, 
il  paiTo  trakritto  del  P.  La-Croix  è una  immagine 
di  tutta  la  fua  opera.  Se  nel  traferitto  fquarcio  voi, 
Moniignore,ci  feoprite  un  mero  e pretto  Pirronif- 
mo  figliuolo  legittimo  del  Pròbabilifmo  , lo  fleffo 
giudicate  quafi  di  tutta  P opera  . Raccoglie  quefto 
Autore  le  opinioni  delPuno,  e dell’ altro  partito,  an- 
corché ripiene  di  manifefte  favole,  e le  rimette  fot- 
to  l’arbitrio  de’,  fuoi  leggitori  , acciocché  in  virtìb 
del  Probabilifmo  fcelgano  quell’opinione  che  più  lo- 
ro aggrada.  Se  quella  (ia  la  maniera  di  efplicare  la 
Morale  di  Gesù  Crifto,  altri  il  giudichino.  Può  ef- 
fere  più  folenne  la  favola  di  rapprefentare  Urbano 
Vili,  fpettatore  della  manipolazione  del  cioccolate, 
e che  affaggiatala , abbia  pronunziato  effere  , e re- 
flar  bevanda  ? Per  non  produrre  in  pubblico  fimi- 
li  dance,  non  l>afia  egli  una  piccola  fcintilla  di 
lume  naturale  ? Io  per  me  non  cefferò  d’  incul- 
care agli  ftudenti  della  Morale  criftiana  che  fi 
aftengano  da  fimili  libri,  e leggano  invece  loro  i 
due  celebri  Gefuici  il  P,  Gabriello  Antoine  , edi 

il 


CXll 

il  P.  Paolo  Gomitolo,  il  Pontas,  Natale  Aleffan-^ 
dro,  Befombes,  Abert,  Paolo  da  Lione. 

Ritrovandomi  ormai  fui  fine  dello  ftorico  rac- 
conto, veggomi  in  neceflità  di  fciorre  una  oppofi- 
zione  la  quale  da  un  fecole  e mezzo  fi  va  efage- 
rando;  ed  è,  che  io  abbia  efpofte  fotto  comparfa 
deridevole  le  ragioni  favorevoli  alla  bevanda . Da 
un  fecolo  e mezzo,  quando  alcuni  veggono  certe 
Cafiftiche  opinioni  al  vivo  dipinte  , con  maniere 
affai  induftriofe  lamentanfi  che  fieno  porte  in  deri- 
fione  le  opinioni  de’Moralifti , con  violazione  del- 
la fanta  carità.  Ma  quelli  tali  con  fimiglianti  la- 
mentanze  danno  a divedere,  che  eglino  non  fanno 
cofa  fia  nè  carità,  nè  giuftizia.  Le  opinioni  confutate 
fono  pubblicamente  ftampate  . Dunque  o pecca 
contra  la  giuftizia  chi  le  confuta  , mancando  di 
fincerità  nell’ aggravarle  ; o fe  le  rapprefenta  fince- 
ramente,  non  mai  può  peccare  contra  la  carità  , 
quando  per  altro  proccura  di  giuftificarc  gli  Autori 
di  tali  opinioni  con  la  pia  intenzione  di  averle 
credute,  ed  infegnate  per  vere.  Peccherebbe  bensì 
lo  Storico  e contra  la  giuftizia,  e contra  la  carità 
verfo  il  genere  umano,  quando  o tralalciaffe  , po- 
tendo, di  confutare  le  dette  opinioni  perniciofe  al- 
la falute,  o fi  rendeffe  fofpetto  di  bugia  nel  de- 
ferì- 


cxm 

fcriverle.  Ed  allora  lo  Storico  certamente  cade  in 
fofpetto  di  mendace  , quando  le  cofe  non  rappre- 
fenta  tali  quali  fono  in  sè  medefime,  cioè  le  gra- 
vi come  gravi,  e le  ridicole  come  ridicole  . Le 
parole  fono  iftituite  per  fignificare  le  cofe,  delie 
quali  fi  debbono  efprimere  le  giufte  nozioni  . Tan- 
to è mendace  chi  rapprefenta  per  ridicola  una  co- 
fa  grave,  quanto  chi  dipigne  con  lineamenti  di  gra- 
vità una  cofa  vana,  e frivola.  Lamentanfi,  che  le 
opinioni  larghe  fono  melTe  in  derifione?  Adunque  è 
evidente  che  iono  deridevoli  in  sè  medefime  . Imper- 
ciocché chi  tentalTe  di  fpacciare  per  ridicola  una  ft-a- 
tenza  grave,  e da  valide  ragioni  foftenuta  , rende- 
rebbe ridicolo  sè  medefimo.  Lo  Storico  adunque  per 
non  mancar  di  linccrità  dee  rapprefenta^re  le  opinio^ 
ni  vane  ed  inette  con  parole  a tali  opinioni  corrif- 
pondenti  per  non  accreditarle  con  gravità  di  iiile  , 
giufta  lo  infegnamento  di  Tertulliano  tante  volte 
ridetto . Si  rìddbitm  alicubi  , materiis  ipfis  fatis- 
fiet  • Multa  fmt  fic  digna  revinci  , ne  gravitate 
adornentur . Vanitati  proprie  feftivttas  cedit,  Coft- 
grutt  & veritati  ridere^  quia  latans,  & de  dcmU- 
lis  Juh  ludere^  quìa  fecura  efl.  Ma  gli  Autori  di 
tali  opinioni  tono  in  iftima,  ed  in  credito  . Tanto 
peggio  . Adunque  tanto  più  capaci  ad  imporre  , ed  n. 

H 


cxiv 

rendere  con  la  loro  autorità  probabili  le  (tefle  falfe , 
e fcan«daIofe  opinioni  . Quando  GESÙ’  Crifto  dice 
in  S.  Matteo  a cap.  xxiv.  ha  ut  inducantur  m 
enorem  [fi  fieri  poteft]  eùam  ehólij  non  parla  per- 
avventura  di  Dottoridotti,  accreditati,  ed  autore-  ^ 
voli?  Gli  eletti  non  fono  in  pericolo  d’eflere  ingan- 
nati  da  Teologi  dozzinali,  e di  niun  ereditò  . La  * 
fola  autorità  di  Teologi  rinomati  , accreditati  , ed 
applauditi  può  fervir  ai  buoni  Cattolici  di  pericola 
di  cader  nell’ errore.  Adunque  fe  le  opinioni  laffe  , | 

c perniciofe  al  coftume  fono  inlegnate  da  Teologi  j 
dotti  e (limati , con  più  di  diligenza  fi  debbono  efpor-  ' 
re  ( fuppofio  Tempre  che  fieno  tali,  altramente  fi 
peccherebbe  centra  la  giuftizia  ) fotto  il  loro  deri- 
devolc  e mofiruofo  afpetto,  acciocché  la  eftimazio- 
ne  degli  Autori  non  le  renda  probabili . E’una  illu- 
fione  fatale,  ed  una  fpccie  di  (educimento  lagrime- 
vole  quello  da  cui  tanti  fono  prevenuti,  i quali  van- 
no fpacciando  die  redi  violata  la  carità  , quando  i 
veggono  le  opinioni  falfe  e fcandalofe  dipinte  co’ loro  i 
naturali  colori  , (ull’  erroneo  pretefio  che  reftino  I 
pregiudicati  gli  Autori  ,i  quali  altra  difefa  non  am- 
mettono che  la  pia  intenzione  , e la  buona  fede  di 
averle  credute  vere.  Gli  Autori  di  quefte  opinioni 
fono  già  nel  loro  termine , fuperiori  alle  vicende  del 

mon- 


cxv 

mondo.  Quando  noi  abbiamo  giuftificata  la  loro  pia 
intenzione  di  credere  per  vere  le  opinioni  fcoperte, 
e riputate  falfe  dagli  altri,  è foddisfatto  a tutto  il 
debito  verfo  di  loro.  Ma  la  verità  fi  è che  lotto 
il  manto  di  una  carità  fantaftica  verfo  gli  Autori 
fi  vorrebbono  mantenere  in  credito  le  opinioni  laf- 
fe.  Se  lulfiftelfe  quello  erroneo  pretcfto  di  carità, 
non  fi  potrebbe  neppur  dire,  che  nel  tale  Libro  vi 
fi^no  opinioni  dannate.  In  poche  parole  quelle  il- 
lufioni,  e v^riffìme  feduzioni  mantengono  in  voga 
un  Pirronifmo  fanello  , che  rovefeia  i fondamenti 
della  criftiana  Teologia  . Cento  volte  fi  fono  fven- 
tate  fimili  illufioni,  che  da  un  fecolo  e mezzo  re- 
gnano nel  mondo;  e quella  farà  cento  e una  . E 
con  ciò  metto  fine  al  racconto  ftorico  delle  dot- 
trine teologiche  avanzate  da  alquanti  Cafifti  per 
accoppiare  col  digiuno  della  Romana  Chiefa  la 
pozione  del  cioccolate. 


<XVl 


I X. 

/ Teologi  Antìprohahìlifli  ^ C Pvoh abili fit 

. infieme  riprovano  comunemente  la  bevanda 
• del  cioccolate  in  tempo  di  digitino  . Preten^ 
, dono  che  le  ragioni  loro  fieno  ad  ogni  replica 
fu  peri  ori . 

I.  1^’  Ornai  ora,  Monfignore  , eh’  entriamo  net 
racconto  della  contraria  fentenza  propugna- 
ta non  folamcnte  da  tutti  i fagri  Teologi,  ina  e- 
ziandio  dalla  maggior  parte  di  que’ benigni  Proba- 
bilifti , che  fono  in  iftima  di  accomodare  piucchè 
poffono  alla  mifera  umanità  la  offervanza  della  Leg- 
ge fanta  • Quella  feconda  parte  della  mia  Lettera 
farà  fcritta  con  ifìile  del  tutto  contrario  a quello 
col  quale  ho  fcritta  la  prima  . Quella  differenza  di 
ftile  è un  parto  neceffario  della  diverfità  delle  cofe 
narrate.  Le  dottrine  che  hanno  inventate  que’ Teo- 
logi , i quali  favorifeono  i bevitori  del  cioccolate  in 
tempo  di  digiuno  , fono  come  V*  S.  ha  rilevato  ’ 
vane,  inette,  puerili.  Per  efporre  con  fincerità  la 
viva  immagine  delle  medefime  doveva  io  forfè  traf- 
naturarle,  inalzandole  a grado  più  alto  , con  gravità 


cxvu 

é\  flile?  Doveva  lo,,  per  avviatura  illuftrarle  con  e?* 
leganzadi  orazione?  Nò, dice  Tertulliano^  m gra^- 
vitate  iìhijìrentur . Doveva  io  neppure  fenza  con- 
travvenire ai  doveri  di  fincerp  Storico  le  loro  inette, 
fottigliezze  coprire?  Nò  certamente  , che  che  ne  àU 
ca.no  alcuni  dotti  Moderni^  i quali  vanno  divolgan^ 
doj  che  fi  lacera  la  carità  , quando  fotto  il  punto 
convenevole  di  giufta  villa  le  ridicolofe  opinioni  di-, 
pingonC.  Ma  fi  violano  le  leggi  della  verità  , della 
carità,  della  giuftizia  , quando  le  monete  falfe  per 
vere  fi  fpacciano,  quando  le  cofe  deridevoli , e gio- 
cote  fi  rapprefentano  in  aria  di  gravità,  e di  maeftà, 
che  loro  approvazione  guadagni,  e {eguaci . Ma  già 
di  ciò  fi  è detto  abbaftanza  di  fopra.  Entriamo, 

IL  I primi  fondamenti  della  fentenza  cui  fono 
per  deferivere , fono  ftabiliti  fulla  natura  fteffa  del 
digiuno  che  Chiefa  fama  comanda.  La  indole  , la 
efienza  dì  quefto  digiuno  è di  mortificare  la  gola  , 
di  macerare  la  carne,  di  frenare  il  fenfo  , di  foggeN 
tare  gli  appetiti  rubelli  alla  volontà,  di  umiliare  V 
uomo  avanti  il  trono  della  divina  Maeftà  . NeU’  an-^ 
tico  Teftamento,  quando  gli  uomini  erano  più  roz- 
zi, per  rendere  fenfibili  quelle  verità,  i diglunatori 
veftivano  facco,  ecilicj,  e coperti  di  cenere  fi.  pa^ 
kfavanoper  veri  penitenti , Le  loro  aftinenze  erano 

H i i j 


cxviii 

lunghiflTimc . I Crlftiani  noftri  antenati  per  lunga 
ferie  di  fecoli  hanno  a un  di  preflb  offervata  T aufte- 
rità  di  quefti  digiuni.  Le  vivande  delicate  , i pefci 
fcclti,  i condimenti  ricercati , i vini,  i licori  d’ogtii 
lorta  erano  sbanditi  dalle  menfe  loro.  Negli  ultimi 
fecoii  la  difciplina  fi  è alquanto  mitigata  . Ignoran- 
do ed  i moderni  Cafifti,  ed  i Criftiani  comunemen- 
te la  qualità  di  quella  mitigazione,  cadono  in  gravi 
errori  , e abolifcono  dalla  Chiefe  il  vero  digiuno  . 
Fa  di  meftiere  adunque  con  tutti  i Padri , e con 
Teologi  conofeitori  della  criftiana  Morale  due  gra- 
vi importanti  cofe  dillinguere  : lo  fpirito  , T ani- 
ma, la  effenza  del  digiuno  dalla  efteriore  cortec- 
cia del  digiuno  : fpirito  della  legge,  e lettera  del- 
la legge.  Lo  fpirito  del  digiuno  egli  è uno  fpirito 
di  penitenza  corporale,  che  ha  per  ifeopo  in  pri- 
mo luogo  di  foddisfare  alla  divina  giuftizia  pir  le 
commeffe  colpe  : ed  in  fecondo  luogo  , per  evitar 
in  avvenire  i peccati,  macera  la  carne,  affligge  i 
fenfi , che  fono  gli  oftinati  nemici  i quali  Tempre 
nuovi  tradimenti  macchinano, e nuove  infidie,  per 
fedurre  le  anime,  e precipitarle  eternamente.  Tanto 
è aU’uomo  neceffario  un  digiuno  di  tal  natura  che 
mortifichi  la  carne  , che  freni  la  concupifeenza  , 
che  affligga  la  gola,  vizio  capitale  , quanto  è ne- 


Cxi.'C 

celiarlo  un  forte  freno  per  reggere  a dovere  uno 
sfrenato  cavallo. 

III.  La  difciplina  può  variarfi , ed  in  effetto  è va- 
riata falla  lettera  della  legge  , fulla  corteccia  efterio- 
re  del  digiuno  ; ma  lo  fpirito  del  digiuno  è inva- 
riabile, nè  v’ha  poteftà  nel  mondo , che  poffa  dal 
medefimo  difpenfare.  Le  aufterità  fteffe  efteriori  fot- 
to  due  rapporti  poffono  confiderarfi  : e rifpetto  alla 
legge  pofitiva  della  Ghiefa  che  le  prefcrive  ; e lot- 
to quella  confiderazione  certamente  a diverlità  , ad 
alterazione  , ed  a mitig^izione  fono  foggette  : e ri- 
fpetto alla  legge  naturale  che  le  comanda  a mifii- 
ra  del  maggior  , o minor  bifogno  di  macerare  la 
carne  , e di  foggettare  allo  [pirico  il  fenfo  . Ora  in 
rapporto  a quella  legge  non  fi  può  llabilire  nè  pre- 
fcrizione,  nè  derogazione  contraria.  Ma  ficcome  chi 
è dominato  da  maggior  lete  corporale,  ha  indifpen- 
fabilmente  bifogno  di  bevanda  più  abbondante;  così 
que’  Criftiani  che  tiranneggiati  fono  da  più  ardente 
concupifcenza,  da  ribellioni  più  contumaci,  bifogno 
hanno  di  digiuni,  di  allinenze,  di  mortificazioni  più 
Tevere;  e (otto  quella  confiderazione  non  hanno  luo- 
go nè  difpenfe  , nè  difcipline  mitigate.  Se  la  infer- 
mità del  fenfo , della  gola , della  concupifcenza  in 
voi  è leggera;  fe  i peccati  vollri  fono  pochi , e pic- 

H iiìj  doli; 


cxx 

cioli  ; pochi  fieno , e initiflimi  i digiuni  voftri  non 
comandati  . Ma  fe  gagliarde  in  voi  fono  le  paffio- 
ni  , ricalcitrante  la  carne  , sfrenata  la  concupifcen- 
za  ; potete  vantare  quante  difcipline  mitigate  voi 
volete  5 che  fenza  mortificazioni , aftincnze  , digiu- 
ni 5 e penalità  voi  precipiterete  eternamente  . Que- 
lla è dottrina  di  tutti  i Padri, c S. Tommafo  in  po- 
che parole  ce  la  conferma  , Unufquifque  autcm  es 
natuvalt  raùone  tenetur  tantum  jcjunVn  utt  , quan- 
tum  [ibi  necejfarium  ejì  ad  pvcedibìa  . Et  ideo  jeju- 
mum  in  communi  cadit  fub  prcecepto  LEGIS  NA- 
TURA ; fed  detsrmìnatio  tempom  , & modi  /V- 
junandì  fub  pr^ecepto  juris  pofaivi , quod  efl  a Fra- 
ìatis  Ecclefa:  injìitutum  ; & hoc  efi  jejunium  Ec^ 
cìefice:  aliud  vero  ejì  natura,  2. 2.  q.  147.  a.  3. 

IV.  Al  confronto  di  quefta  incontraftata  criftia- 
na  Morale  voi  immantinente  comprendete  la  falfità 
di  quella  diftinzione  , che  il  fine  della  legge  non 
cade  fono  la  legge . 1 CaClli  , come  abbiamo  di  fo- 
pra  veduto  , ne  fanno  un  perpetuo  abufo  di  tale  di- 
fìinzione,  colla  quale  abolifcono  dal  mondo  i veri 
digiuni . Tutti  i Teologi  diflinguono  due  fini  della 
legge  .*  Tuno  eflrinfeco , che  non  Peperà,  ma  Pope- 
rante  rifguarda  : l’altro  intrinfeco  , eh’  è l’oggetto  , 
€ forma  la  fieffa  effenza  della  legge  . La  natura  del 

digit:- 


cxxi 

drgiuno  è di  mortificar  la  carr>e  , e di  tormentar  la 
gola  , e di  debilitare  moderatamente  la  concupifcen- 
aa  . QL^eflo  è il  fine  , quella  la  effenza  del  digiuno. 
Per  lo  che  conchiude  S.  Tcmmafo:  Starutum  ejì  ut 
/etnei  in  die  a jejunantibus  comedatur  : 2. 2.  q.  147. 
a.  6,  Può  accader  che  vi  fieno  temperamenti  sì  robu- 
fti  , che  da  quella  unica  refezione  non  ifperimenti- 
no  gli  effetti  mentovati  ; ma  ciò  è un  accidente  : ba- 
ila che  il  digiuno  fia  di  fua  natura  abile  a produrgli^ 
quando  fi  offervi  giuda  le  regole  dalla  Chiefa  pre- 
fcritte  . AU’oppodo  quando  nel  digiuno  fi  ufano  tan- 
te refezioni  , tanti  rifiori  , che  il  digiuno  diviene 
inetto  a mortificar  la  carne  , a diminuir  la  concupi- 
fcenza  ; quefio  digiuno  è ridicolo  , non  è digiuno  , 
ma  larva  di  digiuno , perchè  privo  del  fuo  intrinfe- 
co  effenzial  fine  , per  colpa  di  chi  multiplica  le  re- 
fezioni. Quando  dicefi,  che  il  fine  del  digiuno  è 
di  mortificare  la  gola,  di  frenare  la  concupifcenza, 
rifpondono  i benigni  Probabilifii  che  finis  ìegis  non 
cadit  fub  ìege  . Per  efporre  in  opportuna  comparfa 
r applicazione  di  queda  dottrina  : qual  è il  fine  del- 
la briglia  del  cavallo  ? La  direzione  , e regolamen- 
to del  cavallo.  L’artefice  forma  la  briglia  di  fot- 
tiliffimo  nadro  , per  non  affliggere  troppo  il  povero 
dedriero  . Quedo  burlandofi  di  quel  galante  nadro 

furi- 


cxxii 

furibondo  corre  a fuo  genio , e torto  precipita  il  ca- 
valcante, il  quale  fi  lamenta  coir  artefice  .*  e quelli 
rifpondej  che  il  fine  della  legge  non  cade  fiotto  la 
legge  : che  il  fine  di  frenare  il  cavallo  non  è ifpc- 
zione  deirarte  fua^  Non  farebbe  coftui  condannato 
di  pazzo  ? Il  digiuno  è il  freno  del  corpo , e delle 
paflTioni  umane  . Se  le  fottigliezze  della  gola , e le 
fpeculazioni  di  alcuni  Cafifti  di  tal  maniera  raddol- 
cifeoao  quello  digiuno,  e di  tante  delicatezze  l’ ador- 
nano , che  in  vece  di  freno  per  fommettere , ferve 
di  fiuzzicamento  per  rivoltare  contra  lo  fpirito  la 
concupifeenza ; non  è quello  un  digiuno  ridicolo,  un 
digiuno  da  feena  , da  giuoco  , da  burla  ? 

V.  Quelli  dunque  che  il  digiuno  talmente  efte- 
nuano , raddolcifcono , mitigano,  che  gli  levano  la 
virtù  di  affliggere  il  corpo  , di  crocifiggere  la  car- 
ne , di  frenare  la  concupilcenza , dalla  Chiefa  i ve- 
ri digiuni  abolifcono  . Il  dire  che  quelli  accennati 
effetti  fono  il  fine  del  digiuno  , e che  il  fine  del 
digiuno  fotto  il  precetto  del  digiuno  non  cade  , è 
un  farli  giuoco  delle  leggi , degli  uomini , e di  Dio 
fleflb  . Quello  è un  infamare  la  difciplina  della  no- 
llra  Chiefa  : quello  è un  rendere  i nollri  fanti  digiu- 
ni oggetti  di  beffe , di  derifioni  agli  fleflì  Eretici . 
Da  quelle  moftruofe  laffezze  anfa  hanno  prefo  Dal- 

leo  , 


CXXIU 

Ico  , Chemnizio  , Calvino  , e tanti  altri  di  calun- 
niare di  fuperftiziofi  i digiuni  noftri,  e di  fpacciar- 
li  per  larve  , colle  quali  ci  burliamo  di  Dio  . A 
confufione  di  coloro  che  le  fcandalofe  opinioni  di- 
fendono , e praticano,  voglio  riferire  i rimproveri 
che  TErefiarca  Calvino  kaglia  centra  le  mafehere 
di  tanti  digiuni  che  tra  noi  fi  offervano  . Ineptijjì-^ 
mo  abjìinentios  pmtextu  cum  Deo  ìudere  experunp. 
Nam  in  exquifttijftmts  quibufque  delie tis  ìaus  jeju- 
7ìii  quperitUY . Niella  tunc  lauthiee  Jufficiunp  . Num- 
quam  major  ciborum  vel  copia , vel  varietas  , vel 
Juavitas . In  tali  ac  tam  fplendido  apparatu  putant 
fe  vite  feìvire  Deo.  In  fumma  bis  Jummus  ejì  Dei 
cultm  a carnibm  abjìinere  , & , illis  exceptìs  , af- 

fiuere  omni  genere  lautitiartm  Hodie  njulgare 

eft  inter  omnes  divites , ut  fcilicet  non  alio  fine  je- 
junent  , nifi  ut  lautius  , nitidiufque  e pulentur . 
Sed  nolo  multum  •verborum  profimdere  in  re  non 
adeo  dubia  . Hoc  tantum  dico  ^cum  in  jejuntis  ^ tum 
in  omnibus  aliis  difciplinee  partibus  , adeo  nihil  re- 
Ri  , nihil  finceri , nibil  bene  compofiti , ac  ordinati 
habere  Fapijìas  ^ ut  fuperbiendi  occafionem  ullam 
babeant,  Lib. IV. Inft.cap. xi  i. ftc.  1 5. & 2 1.  Mala, 
feiamo  da  parte  Calvino  , che  con  troppa  sfaccia- 
taggme  le  diffolutezze  , e gozzoviglie  di  tanti  feo^ 

ftuma- 


ftumati  Cattolici  nella  Romana  Chiefa rifonde. Sanf^ 
Agoflino  mcdefimo  affila  le  invettive  fue  centra  sì 
fatti  digiimi  ^ e deride  coloro  che  aftenendofi  dalle 
carni , altre  vivande  e di  maggior  prezzo , e con  più 
fquifiti  condimenti  preparate  irnbandifeono  . Peroc- 
ché quello  non  è digiunare  , ma  bensì  cambiare  lit 
luffuria  di  una  vivanda  nella  luffuria  di  un’altra  i 
IlU  qui  ftc  a carnibus  temperant , ut  alias  efeas  diffi- 
ciìiorts  praparationis  , & majoris  pretii  mquìrant  j 
nmìtum  errtint  . Hoc  enim  non  cjì  fufeìpere  abfti- 
neniuim  ^ fed  mutare  luxurìamé  Ser.  z.in  Quadrag. 

VI.  Quelli  lono  i princip)  generali , che  i fagri 
Teologi  premettono  5 per  quindi  inferire,  che  quei 
digiuni  ne’ quali  fi  beve,  li^  mattina  per  tempo  una 
chicchera  di  cioccolata  fecondo  gli  uni,  ed  anche  due 
fecondo  gli  altri  * a nvezzo  dì  un  lauto  pranfo  , più 
o meno  lauto,  fecondo  che  più  o meno  la  borfa  ab- 
bonda ; la  fera  una  colezione  di  otto  oncie  di  fqui- 
lìti  cibi  , fieno  digiuni  da  commedia  , fieno  peni- 
tenze da  giuoco , più  valevoli  a provocare  che  a pla- 
care la  divina  vendetta.  Non  v’ha  erefia  , non  v’ha 
letta  che  i fuoi  digiuni  non  pratichi  . In  ninna  di 
quelle  fette  , lia  di  Turchi  , fia  di  Ebrei  , fia  di 
Protellanti , ritroveraffi  che  i digiuni  praticati  per 
umiliarfi  avanti  a Dio  , per  placare  la  divina  ven 

detta 


CXXV 

dettà 5 ammettano  tre  refezioni  il  giorno,  e le  de- 
lizie più  fquìfite . I foli  digiuni  confacrati  da  tanti 
Profeti,  da  fanti  Apposoli,  e da  Gesù  Grillo  me- 
de fimo  ; i foli  digiuni  della  Cattolica  Chiefa,  che 
profeffa  una  penitenza  la  più  perfetta  , fono  con  tan- 
te refezioni , e con  tante  delicatezze  profanati . Ma 
è ornai  tempo  di  entrare  nel  racconto  delle  ragioni 
più  proffime  al  punto  che  avanzano  i Teologi  ri- 
provatori del  cioccolate  in  tempo  di  digiuno. 

VII.  L’autorità  comune  de’  Teologi  che  hanno 
fcritto  centra  il  cioccolate  , è il  primo  argumento 
onde  la  rea  coftumanza  condannafi  . Io  ne  riferirò 
alquanti  de’ principali  Probabilifli , e de’ più  benigni. 

Il  P.  D.  Antonino  Diana,  il  P.  Zaccaria  Pa- 
iqualigo , [c]  il  P. Ferdinando  de  Caftropalao,  [d] 
il  Trullenco,  [^]  il  Villalobos,  [/]  Francefeo  Sii- 
5 [<§■]  P.Gìovanni  Azorio , [^]  il  P.  Giovan- 
ni da  S.Tommafo,  [i]il  P. Tomniafo  Sanchez,[k[ 
Antonio  di  Leon , [ / ] il  Solarzana , [ w ] il  Pinello  , 
[»]  il  Leandro  di  Marcia  [o]ìì  Lezana,[/?]  il  Tur- 

riano 

fa)  Tffm.lV.CoouLTraSi.Vl,reJ.^i.{h)Trfi^,de  Je^un.ref. 
n.'i.  ( c ) Tom.  VII,  Traci. i . dìfp.^.punc.  2.  §.  2.  mm.  2.  ( d ) Lìb.  HI.  tn 
JDecal.cap.  2.  dub.  2.  ( e ) InSum.  7.  P.traSl.TiWW  i.dìffìculf.  8.(  f)  2.  2, 

1 47.  6,  ( g ) Tom.  2.  Uh.  VJJ.  cap.  x.  7.  ( h ) Doelr.  Chrijl.  prac.  iv, 

(i)  7nCon/il.TraB.V.n.  De  chccol.tp.iH  {\)  In  Polir, 

dnd,  Llb.U.  cAf>.x.  (w.)  de  chccol.{r\^  q»  aJI. ’^.v.  in  Reg.S. Prone. 

(o)  Sum.Verb.]Q]\xxì.à' 

114.  conci,  é’  7. 


cxxvi 

riano  j [a  ] i\  Corella,  [ ^ ] il  Laymano  j [ c]  il 
Tamburino  , [ ] il  Leandro  del  SS.  Sagramento  , 

[^]  il  Fagundez  , [/]  il  Geribaldi  , [ ^]  l’Efcoba- 
rio,  \_b1  il  Cardano  . Quelli  fono  Probabilifti,  ed 
i capi  di  tal  partito . Vero  è che  alcuni  dei  rimem- 
brati, pregiudicati  dal  loro  Probabilifmo  , giudica- 
no probabile  anche  la  oppofta.  Quello  indifferentif- 
mo  si  frequente  tra  i Probabilifti  dovrebbe  pur  una 
volta  far  conofcere  che  quello  Probabilifmo  fatale  è 
un  pretto  Pirronifmo  che  rovefcia  da’  fondamenti 
il  fiftema  della  criftiana  Morale  . Gli  Antiprobabi- 
lifti  poi  comunemente  tutti  d’accordo  riprovano  la 
coftumanza  novella  . Lorenzo  Berti  , Pietro  Balle- 
rini, Enrico  da  Sant’ Ignazio  , Giovanni  Pontas  , 
Martino  l^vigandt , Natale  ab  Alexandro , Onorato 
Tournely , ed  il  Collegio  Salmanticenfe , i quali  quat- 
tro ultimi  rinomati  Teologi  ottimamente  più  volte 
ftampati  nella  infigne  ftamperia  dell’  illuftre  Signor 
Pezzana  , hanno  ora  quello  fpaccio  che  una  volta 
aveano  gli  Efcobarj,  i Diana,  i Caftropalai,  i Tam- 
burini, e limili.  Sicché  è fuor  di  dubbio  che  l’auto- 
rità 


(a)  In  PraEÌ.Conf.TraSi.iii.p.  3.  n.  30.  (b)  Lth.  V.  c.  i.  (c)  Lìh,  lY, 
$Hp,  V.  2.  ».  9.  ( d ) TraB.  V.  difp,  K.  5.  ( c ) Lih,  /.  c.  iv.  n.  Z4-.  de  4. 

prdcept,EccL  ( f ) TraB.VlU,  (g) 

j.  (h)  Ùe  poTtchiCt 


CXXVll 

riià  maggiore  de’  Teologi  e Probabilifti  , ed  Anti- 
probabiiilli , e de’ Medici  condanna  Tufo  della  be- 
vanda in  tempo  di  digiuno  • Anche  il  P.  Viva  ha 
confeflata  quefta  verità  per  lo  che  , come  abbiam 
veduto,  feri  ve  .*  Verum  pracifa  au^ovitatc  extrirife- 
ca^  arrìdet  mìhi  opimo  8cc,  Il  Sapientiffirtio  Regnan- 
te Pontefice  BENEDETTO  XIV.  che  con  tante 
fue  immortali  opere  ha  ornai  efaurita  tutta  la  ec- 
clefiaflica  erudizione,  nel  cui  Audio  è talmente  per 
tutto  il  tempo  di  vita  fua  affuefatto  , che  in  mez- 
zo alle  immenfe  follecitudini  del  fupremo  governo 
della  Chiefa  univerfale , voluminofi  Tomi  va  pub- 
blicando a vantaggio  univerfale  de’ fedeli , di  dottif- 
fime  Paftorali,  Coftituzioni  , Bolle,  e Differtazio- 
ni  ; nella  NOTIFICAZIONE  XV.  del  luo  primo 
volume , che  da  Arcivekovo  di  Bologna  diede  in 
luce  l’anno  1733.  al  num.7.  oiTerva  , che  akum  fo- 
lamente  difendono  l’ufo  del  cioccolate.  Ecco  le  fue 
parole.  Si  va  dìfputando{  fra’  Teologi)  fe  la  nuova 
bevanda  del  cioccolate  prefa  fuori  deir  erra  della  re* 
fei^ione  guajìi  il  digiuno  ; foflenendo  ALCUNI  la 
fenten'ga  negativa . Donde  evidentemente  rifulta  , 
che  fe  alcuni  difendono  la  negativa  , comunemente 
gli  altri  Teologi  foftengono  la  contraria  affermati- 
va. Al  num,  IO.  poi  ricorda  , che  chi  voglia  fervirfi 

della 


cxxviii 

della  opinione  più  benigna,  là  quale  per  motivo  del- 
la parvità  della  materia  giuftifica  Tufo  di  una  ordi- 
naria chicchera,  non  debba  quefta  mifura  eccedere. 

Si  cammini  pure  ( fegue  il  dottiffimo  Cardinale  ) 
coìr  opinione  piu  benigna  , che  il  bere  il  cioccolate 
non  guafii  il  digiuno  : ma  chi  potrà  feufare  dalla 
colpa  d^  intemperan^za  ^ e forfè  anche  dalla  trafgref- 
fione  del  digiuno^  chi  ne  prendere  una  taz^  affai 
piu  grande  dei  folìto , deferitta  da  S Girolamo  nel- 
la lettera  a ,*  Sorbitlunculas  delicatas,  & 

contrita  olera  , baccarumque  fuccum  non  calice  Ibr- 
bere  , fed  concha  : ; o chi  piu  volte  né"  giorni  di  di- 
giuno lo  prendeffe  ? fe  gli  Autori  piu  gravi , che 
hanno  in f e guato  non  guaflarfi  il  digiuno  dal  ciocco- 
late , ?ie  hanno  pe^  li  fopr addetti  motivi  riprovate  le 
replicate  bevande  ne^ giorni  di  digiuno  ^ come  puh  ve, 
derft  nella  citata  Differì,  del  Cardinal  Brancacci  » 
e nel  Trattato  de  jejunio  del  Cardinal  Cogja  .Il 
dottiffimo  Cardinale,  Superiore  ricrovandofi  di  vada 
Diocefi,giufta  le  confuete  regole  della  fua  incompa- 
rabile prudenza,  non  giudicò  fpediente  dì  portar  pa-  • 
rere  , e di  decidere  lopra  quefta  concroverfia  / ma  ? 
con  raffinato  giudizio  , ed  avvedutezza  fa  fapere  a’ 
fuoi  Diocefani,  che  alcuni  folamente  difendono  que-  -■ 
fla  fentsnza  . Dipoi  avvifa  che  i piu  dotti  tra  quelli 


CXXiX. 

4Ìvum  riducono  la  controverfia  alla  parvità  della 
materia.  Un  Arcivefcovo  che  per  giufti  motivi  non 
vuole  pronunziare  fua  diffinitiva  fentenza  ^ non  po- 
teva nè  con  maggiore  prudenza  , nè  con  maggiore 
dottrina  avvifare  i luoi  fedeli  a ftarfene  lontani  dal 
pericolo  di  peccar  mortalmente  per  la  difficultà  di 
faperfi  contenere  tra  ì cormai  di  quefta  parvità 
materia. 

§.  X. 

Efam^  delle  ragioni  narrate  a favore  della  po- 
T^ìone  Indiana . I [agri  Teologi  pretendono  di 
dinjofirare  che  quejie  non  Jieno  ragioni^  ma 
illudonì^  e cavilla^ioni  ripugnanti  y e che  f e- 
rijcono  il  fenfo  comune , non  che  la  difciplì- 
na  della  Chic  fa  Romana . 

I.  Air  autorità  eftrinfeca  dc^  Teologi , e de’  Me- 
dici  pafliam  ora  a raccontare  le  ragioni 
che  i mentovati  Teologi  avanzano  contra  la  oppofta 
opinione  . E perchè  la  Storia  noftra  s’avanzi  con  la 
neceffaria  chiarezza,  giovami  bene  di  richiamar  a 
memoria  le  due  fentenze  teftè  indicate  dal  NoUro 
Regnante  Gran  Papa  BENEDETTO  XIV.  La  pr.- 

I nia^ 


cxx.t 

ma,  che  affolutamente  àiknàt  totles  qm- 

tìes  quante  volte  a voi  aggrada  la  bevanda  del  cioc- 
colate: lii  feconda,  che  ad  una  fola,  e piccola  chic- 
chera Tufo  lecito  riftrigne  per  cagione  di  parvità  di 
materia.  In  primo  luogo  io  apporterò  le  ragioni  che 
condannano  affolutamente  la  prima  fentenza.  Do- 
po narrerò  ciò  che  comunemente  dicono  della  fe- 
conda . 

II.  La  prima  ed  unica  ragione  de’ Teologi,  che 
affolutamente  la  bevanda  del  cioccolate  condanna- 
no, è fondata  fui  nutrimento  che  la  cioccolata  di 
fua  natura  porge.  Quelli  che  difendono  la  opinio- 
ne larga,  ch’eglino  chiaman  benigna,  negano  alla 
cioccolata  diftemperata  nell’acqua  [il  nutrimento  , 
benché  glielo  concedano , fe  in  bocconi  torti  fi  man- 
gi . Or  contro  sì  ridicolofo  fofìfma  formano  la  fe- 
guente  evidentiffima  dimortrazione  i fagri  Teolo- 
gi. La  cioccolata  guafta  il  digiuno  prefa  in  bocco- 
ni. Dunque  più  gravemente  il  guarta  prefa  in  be- 
vanda. Mangiata  in  bocconi  al  digiuno  ripugna  , 
perchè  effa  è fortanziofa,  e nutritiva.  Or  diftempe- 
rata nell’ acqua,  concotta  al  fuoco,  e ben  frullata 
non  folo  la  fua  foftanza  neri  perde,  ma  l’acquifta, 
e più  guftofa , e più  piacevole  al  palato  fi  rende . 
La  prima  propofizione  è degli  Avverfarj . La  fecon- 
da 


cxxxx 

da  è raffermata  da  tutti  e quanti  quelli  che  bevono 
cioccolate  . La  confeguenza  è neceffaria  . II  pine 
mafticato  in  bocconi  rompe  il  digiuno  : e tritato ^ 
e diftemperato  nell’acqua,  mefcolato  con  zucchero, 
con  cannella,  con  vainiglia  , e ben  preparato,  e 
cotto  al  fuoco,  e poi  forbito,  non  guafterà  il  di- 
giuno ? Da  uomini  ^ da  Cafilli  di  ragion  forniti 
cofe  sì  moftruofe  dovremo  udire  ? 

III.  Il  P.  Tommafo  Tamburino,  che  nella  eie-- 
ganza  dello  fcrivere  , nell’ordine , nella  chiarezza 
tutti  i Cafifti  fupera,  d’ordinario  con  qualche  le- 
pido racconto  fuole  i fuoi  ragionamenti  ornare.  Or 
io  vo’ recarvi  in'  volgare  il  fucceffo  che  a quello 
propofito  narra,  (a),.  Una  mattina  affai  per  tempo 
„ me  n’andai  a vifitare  uomo  nobile  mio  famiglia- 
„ re  , per  conferire  feco  lui  alcuni  negozj  : ed 
3,  avendo  nel  primo  ingreffo  offervato  il  di  lui  vol- 
„ to  d’infolito  pallore  afperfo,  macilento,  e fimilif- 
5,  fimo  ad  un  cadavero,  dimandai,  fecondo  che  co- 
„ ftùmafi,  come  fteffe  di  fanità.  Quefti  con  voce 

li)  w qiia- 


(a)  Semel  ego  vifum  nobilem  mlhl  famìliarìrite  conjnn- 
dam  conveni  mane  diiuculo,  CLim  eo  quseJam  negotia  collatu- 
rus.  Ctimque  primo  ingrclTu  obfer'/aflem  ejus  vultum  infoienti 
pallore  fuffufum  , macilentum , cadaverique  perfimilem,  inter- 
rogavi, ut  tìt,  de  ejus  valetudine.  Is,  inllrme  fatis  fe  habere 


CXXXll 

quafi  tremante,  rifponde  ritrovarfene  affai  male, 
yj  ed  amorofiffimamente  pregommi  di  ritornarmene 
y,  dopo  mezz’ora.  Ubbidii,  me  n’ andai,  ritorno  i"> 
9,  ci.  Maravigliofa  cofa!  Ravvifai  la  di  lui  faccia 
5,  al  primiero  colore  reffituita,  occhi  allegri,  voce 
„ forte;  di  modo  che  a ragione  l’avrefti  creduto  ri- 
,,  tornato  da  morte  a vita.  Per  il  che  trattenere  non 
„ mi  potei  d’efclamare:  A Dio  Signore,  ed  ai  San- 
5,  ti  grazie  fieno  rendute.  Io  mi  rallegro  di  vedere 
„ Vuffìgnoria,  non  folamente  in  buona,  ma  in  otti- 
„ ma  fanità.  E donde  mai  così  imnaantinente,  etan- 
5,  ta  riftaurazione  di  forze?  Con  forrifo  T amico  ri- 
5,  fpofe:  Non  vi  maravigliate,  o amantiffimo  Padre* 
„ Imperciocché  in  quello  punto  ho  prefa  la  pozione 
„ del  cioccolate , la  quale  a guifa  di  miracolo,  qua- 
„ fi  in  un  iftante  fuole  reftituirmi  il  colore,  le  for- 
„ ze,  la  vita.  Dio  immortale!  Tu  chiamerai  que- 


fubtremula  voce  refpondit,  meque  peramanter  rogavit  ut  poli 
mediam  horam  reverterer . Parui , ivi,  redivi.  Mirum!  Adver- 
ti  eius  faciem  priftino  colori  reOitutam,  oculos  hiUres,  vocem 
validam:  ex  morte  in  vitara  jam  rediiffe  non  gratis  dixilfes  . 
Quare  me  cohibere  non  potui  quominus  exclamarem:  Deo,  iu- 
^rifque  fine  gratis.  Bene,  immo  optime  valere  gratulor  do- 
minationem  veftram.  Undenam  tam  fubita , ac  tanta  virium  re- 
fedio? Subridens  refpondit  amicus:  Ne  mirere  P.  amantiflìme. 
Modo  enim  chocolatae  potionem  rumpfi,  qus  miraculi  inftar, 
colorem  , vires,  vitam  fere  in  infialici  noihi  parere  confuevit  . 
Deus  immortalisi  Hanc  meram  potionem,  non  vero  validam 
eoraellionem  iejunii  fini  ex  diametro  oppoficam  appellaveris  ? 


9) 


CXXXlll 

fìa  uaa  pura  bevanda , e non  una  (oftanziofa  rife- 
35  zione  al  fine  del  digiuno  diametralmente  op- 
„ porta  P 

IV.  Ho  inferito  qui  il  racconto  graziofo  del  P* 
Tamburino  per  un  tal  quale  divertimento  del  leggi^ 
tore,  non  già  perchè  il  credeffi  bifognevole  a com- 
provare il  foftanziofo  nutrimento  del  cioccolate.  Que- 
fio  abbondante  nutrimento  della  pozione  cicccolatica 
ce  lo  affermano  tutti  i piu  celebri  Medici . Giacomo 
Sponio  celebre  Medico  Lionefe  fece  pubblicare  tre 
Trattati  comporti  da  eccellenti  Medici  fopra  le  po- 
zioni del  Caffè j del  del  Cioccolate.  Nel  terzo 
Trattato  fta  fcritto  al  cap.  2.  pag.  174.  Ceterum  noìì 
foìum  nutrit  optìme , fed  etiam  impinguai  chocola- 
ta.  Si  produce  Tattertato  di  tutti  coloro  che  tal  po- 
zione forbono . Cbocolatam  quicumque  bibunt , eam 
muìtum  nutrimenti  corporì  fuppeditare  fatentur^  ita 
ut  jufculum  eyi  carne  nectam  diu^  nec  tam  fortitet 
nutriate  vìrefque  fujìentet  ...  Amicm  quidam  mem 
vuìgaria  alimenta  ob  morbum  ferre  non  valens  3 
Partftis  Lugdunum  rb  ed  a veRus  per  undecim  dìes^ 
tres  dumta^at  ciatbos  quotidie  baurìebat  ^ ac  bene 
fe  hahehnt . pag.  \6c).  Produce  la  fperienza  di  tutti  i 
Predicatori,  i quali  per  corroborare  il  petto,  e ren- 
dere più  fonora  la  voce,  più  nerborute  le  forze  , 

I i i j que- 


cxxxiv 

quefta  pozione  pigliano.  Omties ferme  ccncionatorei 
ah  ejus  ( chocolata^  ) ufu  ^ five  ante^  five  pofl  concio^ 
7ìem^  opttme  fe  babent . Ante  concìonem  pe^oris^  & 
neocìs  vires  dìutius  quam  jufculum  fufiinet  * pofl  vero 
exbaujìas  corporis  vires  reparat.  Produce  altresì  la 
fperienza  dei  viaggiatori . Qonvemt  & iter  facien^ 
tibus.  Quella  pozione  a molti  che  viaggiano  ferve 
di  pranfo.  Io  per  me  fono  così  certo  del  nutrimen- 
to di  quella  bevanda,  che  quando  ben  mancaffero 
tutti  quelli  attesati  delPuman  genere,  non  perciò 
dubiterei  punto:  ed  ognuno  per  intimo  fenfo  que- 
lla verità  conofee  nel  tempo  che  quella  bevanda 
pratica . 

V.  Chi  ora  non  ammirerà,  non  fo  fe  debba  dir- 
mi o il  coraggio,  o la  fimplicità  di  que’Cafilli  , 
tra’  quali  è il  P.  Buonapace , i quali  a fronte  di  tut- 
to, dirò  così,  il  genere  umano,  che  beve  ciocco- 
lata, alla  medefima  negano  il  nutrimento?  La  lo- 
ro rilpolla,  che  (ebbene  prefa  in  bocconi  gualìa  il 
digiuno,  non  però  dillemperata  nell’acqua,  non  fe- 
rifee  ella  il  fenfo  comune?  Chi  è che  nonconfeffi, 
che  manipolata  la  palla  del  cioccolate  coll’acqua, 
c cotta,  e travagliata  al  fuoco,  paflà  in  un  miiio 
che  forma  quafi  una  terza  follanza  incomparabil- 
mente più  efficace  a efpeller  la  fame,  a dilettare 

il 


cxxxv 

il  palato,  a placare  il  ventricolo,  a corroborare  lo 
fìomaco,  a foddisfare  T odorato,  a confortare  il  ca. 
p^,  che  mangiata  afciutta  afciutta  in  bocconi? 

VI.  Quefta  fola  addotta  ragione  bafta  per  deci- 
àre  la  controverfia,  dicono  i Teologi  propugnato- 
à di  quella  fentenza . Imperciocché  certe  verità  di 
or  natura  manifefte , e palefi  perdono,  non  acqui- 
ìano  lume  dalla  moitiplicità  delle  parole.  OrnmefTa 
perciò  ogni  altra  ragione,  fi  fanno  a ribattere  le 
ragioni  della  parte  contraria,  e pretendono  di  far» 
le  apparire  fofifmi  così  grofli  che  ferifcano  il  fen- 
fo  comune. 

VII.  E’  vero  , dicono  i benigni  Cafirti  , che  il 
cioccolate  nutrifce,  ma  di  fecondarla,  non  di  pri- 
maria fua  intenzione  . Ed  eccovene  in  pronto  la 
ragione  . La  cioccolata  diftemperata  nell'  acqua  è 
bevanda  ufuale  nellTndie  occidentali  . Adunque  è 
bevanda  ufuale  anche  in  Europa,  ed  in  ogni  luogo 
del  mondo,  dice  cogli  altri  il  P.  Domenico  Viva. 
S/  alicubi  eft  potus  ufualis^  ubilibet  ejì  talis . Che 
neir  America  fia  bevanda  comune  , lo  fuppongono 
per  cofa  certa . E queflo  fatto  ammeffo  , la  con- 
fe^uenza  è legittima.  Imperciocché  febbenc  le  be- 
var.de  ufuali,  come  acqua,  vino,  birra,  nutrifcano; 
tuttivia  perchè  di  lor  natura  non  fono  deftiiiate  a 

I i i i j 


nu- 


cxxxvi 

nutrir  Tuomo,  ma  a diftribuire  il  cibo,  a facili- 
tars  la  digeftione,  ad  elìinguere  la  fete , perciò  al 
digiuno  non  ripugnano. 

Vili.  Di  zelo  qui  accendonfi  i fagli  Teologi 
centra  i Cafifti,  e gridano  mancarvi  in  quella  ct- 
villofa  argumentazione  la  fincerità,  la  buonafede; 
mentre  con  quefta  voce  bevanda  s’  incanta  Torco 
chio  di  un  popolo  propenfo  a contentare  i fua 
appetiti  • Come  ? La  cioccolata  è bevanda  ufual< 
in  Italia?  Ed  in  qual  menfa  fi  è mai  veduta  bere 
ft  maniera  del  vino  , o delTacqua  ? E chi  T ha 
giammai  bevuta  per  eftinguer  la  fete  nè  in  menfa, 
nè  fuor  di  menfa?  E ciò  che  rende  più  moftruo- 
fa  5 ed  intollerabile  la  fofiftica  illuGone  , fi  è il 
fatto  feguente.  Non  è egli  vero  che  comunemen- 
te infieme  con  la  cioccolata  fi  porge  un  groilo  bic' 
chier  d’acqua,  la  quale  altri  prima  la  bevono,  al- 
tri alla  metà,  altri  dopo  aver  vuotata  la  chicche- 
ra, per  temperare  il  calore,  e perchè  ferva  di  vei- 
colo a diflribuir  per  le  vene  Io  fpeffo  , e denfc 
miflo  del.  cioccolate  ? Quefto  è un  fatto  palefe  a 
tutti.  Ed  a fronte  di  verità  così  evidenti  , fi  na 
coraggio  dì  fpacciare  che  il  cioccolate  è bevanda 
ufuale?  Ma  nell’ Indie  occidentali  è pozione  comu- 
ne . Dunque  ella  è tale  ubiìibep  ? O è vero , o 

fai- 


cxxxvri 

falfo  r antecedente.  Se  vero,  la  cioccolata  Ameri- 
cana è del  tutto  diveifa  dalla  nollra  : perchè  le  a 
maniera  della  noftra,  e come  la  noftra  bevefi,  tanto 
è ripugnante  che  bevanda  fia  ufuale,  quanto  è ripu- 
gnante che  come  bevefi  tra  noi , lìa  opportuna  ad  e- 
Itinguer  la  fete.  Se  poi  T antecedente  è falfo,  l’argu- 
mentazione  è un’impoftura.  Bevanda  ufuale  può  dir. 
fi  nell’ Indie  in  due  maniere  : o perchè  qualche  gra- 
no di  cioccolate  infondefi  nell’  acqua  , come  anche 
tra  noi  un  grano  di  cannella  , alquante  gocce  di  ro- 
folio  nell’acqua  infondefi  per  levarle  la  crudezza,  e 
darle  fapore  ; e così  adoperali  per  eftinguer  la  lete 
ed  in  menfa , e fiior  di  menfa  * e che  in  quella  guifa 
non  rompa  il  digiuno,  fi  concede  : oppure  uiuale 
dicefi,  perchè,  attefa  l’abbondanza  che  colà  v’è,  ed 
il  buon  prezzo,  più  comune,  e più  frequente  è l’u- 
fo : come  anche  in  Europa  più  ufuale  è il  cioccola- 
te in  Ifpagna  che  in  Italia  , più  a Roma,  a Napo- 
li , a Milano  che  in  Venezia  , che  in  Padova,  che 
in  Verona  : così  il  latte  è piu  ufuale  in  Germania 
che  in  Italia.  Ma  non  per  quello  capo  alcun  uomo 
faggio  inferirà,  che  bevanda  ufuale  compatibile  col 
digiuno  fia  o il  latte,  o il  cioccolate  . E per  recare 
le  molte  parole  in  poche,  fe  il  cioccolate  neli’Ame. 
lica  fi  manipola,  e fi  beve  come  in  Europa  ‘ tanto 

là, 


I 


cxxxviii 

là,  quanto  qua  il  digiuno  guafta  . Se  è diverfo  il 
cioccolate,  il  fofifma  da  sè  cade  . Non  mancava  al- 
tro alla  Teologia  cafiftica,  che  andar  nell’  America 
a ripefeare  tra  que’ Pagani  una  golofa  coftumanza,per 
quinci  trarne  ragione  , onde  lìabilire  un  punto  di 
criftiana  Morale.  Così  pieni  di  zelo  i Teologi  pro- 
pugnatori della  fana  Morale  riprovano  quefto  vaniffi- 
mo  cavillo.  Il  vino,  l’acqua  nutrifeono  piu  e meno; 
ma  perchè  quelli  liquidi  di  lor  natura  iftituiti  fono 
ad  eftinguer  la  feto,  a facilitare  la  digeftionc , ed  a 
dillribuire  per  le  parti  del  corpo  il  cibo,  per  quello 
lono  col  digiuno  compatibili.  Non  fi  è ancora  mai 
veduto  a pigliar  da  chi  fi  fia  il  cioccolate  o fuor  d\ 
menfa  per  ellinguer  la  fete,  o nella  menfa  in  mez- 
zo al  cibo,  come  o il  vino  bevefi,  o l’acqua  : e poi 
uomini  fi  trovano  di  tal  tempera  che  coraggio  abbia- 
no di  difendere  pubblicamente  , che  non  meno  del 
vino  lecito  fia  in  Qiiarefima  l’ufo  del  cioccolate?  E 
qaefti  lamenteranfi,  ripigliano  i mentovati  Teologi , 
fe  diciamo  che  l’ufo  pratico  del  Probabdifmo  rende 
lecito  l’ufo  di  cofe  le  piu  oppofte  alla  Legge  fanta 
di  Dio? 

IX.  Ripigliano  figto,  ed  alzano  un’altra  volta  la 
voce  i propugnatori  della  bevanda  mittutina  . Non 
è egli  vero  che  la  birra, o fia  cervifa,  fpremefi  dall’ 

or- 


CXXXJ5C 

orzo,  e dal  frumento?  L’orzo,  ed  il  frumento  fono 
comeflibili  grandemente  nutritivi*  e non  quindi  s’ 
inferifce  che  la  birra  da  quelli  grani  eftratta  fia  al 
digiuno  contraria,  quantunque  anche  quella  cervifa 
nutrifca.  E perchè  quella  birra  nei  paeli  fettentrio* 
nali  è bevanda  ufuale,  in  ogni  paefe  del  mondo  in 
tempo  di  digiuno  può  beverlì . Adunque  ancorché 
la  cioccolata  in  sè  lleffa  fia  un  comellibile  nutriti- 
vo; quando  però  agguifa  del  grano  , dell’orzo  di- 
fliilafi  neir  acqua  , rendefi  bevanda  . Così  le  uve 
mangiate  rompono  il  digiuno, il  vinodalleuve  [pre- 
muto non  lo  gualla, 

X.  Quello  è un  dlfcorlo  peggiore  del  primo,  per- 
chè evidentemente  inganna  la  credulità  de’ bevitori 
con  una  parità  la  più  difparata,  la  più  inetta  . Ac- 
ciocché la  parità  avefTe  luogo  , dovrebbe  di  quella 
guifa  formarfi,  11  vino  [premuto  dalle  uve  comelli- 
biii,  la  birra  dillillata  dal  grano  non  guallano  il  di- 
giuno. Adunque  il  licore  [premuto  dal  grano  del  cac- 
cao  al  digiuno  non  fi  oppone  ; ed  in  quella  ipotefi 
accorderemo  la  confeguenza  • Si  prendano  adunque 
i grani  del  caccao , e dai  medefimi  grani  fi  [prema 
un  liquore,  come  dai  grani  del  frumento,  o dell’or- 
zo , o dell’uva  fi  dillillano  la  birra,  il  vino  ; e cef- 
[erà  ogni  coniefa.  A-ltro  è che  da  materie  [ode  , e 

co- 


comeftibili  fi  poffano  fpremere  licori  che  fervano  di 
bevanda;  ed  altro  totalmente  diverfo  è che  quefte 
fteffe  materie  comeftibili  fi  congiungano  con  un  liqui- 
do o di  acqua,  o di  latte,  e che  da  quefti  due  in- 
gredienti manipolati,  e col  benefizio  del  fuoco,  e 
dell’arte  preparati,  le  ne  formi  un  mifto,  una  terza 
foftanza  ornata  di  tutti  i requifiti  più  delicati  a far 
godere  il  palato,  il  ventre,  l’ odorato . Ma  per  chiu- 
dere fenza  replica  la  bocca  agli  avverfarj , dimando. 
Se  i grani  dell’orzo,  del  frumento  fi  bruftoliffero  , 
come  il  caccao,  e poi  mefcolaticon  zuccaro,con  vai- 
niglia,  e con  cannella,  fi  formalfe  per  via  dell’  arte 
una  pafta  [ e lo  fteffo  dite  delle  uve  infecchite  , e 
preparate]  e poi  di  quefta  pafta  unita  coll’acqua  , o 
con  altro  liquido,  fi  formafle  un  mifto  faporofo,  e 
nutritivo  ; farebbe  egli  compatibile  col  digiuno  ? 
Sicché  i grani  dell’orzo,  del  frumento  , delle  cafta- 
gne  ridotti  in  farina,  e poi  in  pafta,  ancorché  fi  di- 
fìemperino  dentro  l’acqua  nella  detta  maniera, certa- 
mente forbiti  guaftano  il  digiuno.  I grani  del  caccao 
riduconfi  in  farina  meicolata  con  zuccaro  , cannella  , 
e vainiglia.  Con  ciò  foda  ed  ottima  pafta  fi  forma, 
che  poi  fi  fparte  in  tanti  panetti,  come  in  panetti  fi 
divide  la  pafta  della  farina  del  grano . Ed  i panetti 
del  grano,  e dell’orzo  avvegnaché  diftemperati  nel 


mo- 


cxit 

modo  detto  dentro  1’  acqua  , al  digiuno  forbiti  op- 
pongonfì  .*  e poi  i panetti  del  cioccolate  manipolati 
coir  acqua  compatibili  col  digiuno  fi  dicono  ? Qual 
uomo  che  vanti  fenfo  comune,  non  fi  vergognerà  da 
quinci  innanzi  di  produrre  la  parità  del  vino,  o del* 
la  birra,  per  dimoftrare  lecito  l’ufo  del  cioccolate? 

XI.  Fin  verfo  il  fecolo  duodecimo  e feguenti  era 
lecito  l’ufo  degli  elettuarj,  o fieno  conlerve . Perchè 
dunque  non  può  a’ tempi  nofiri  efler  lecita  la  ciocco- 
lata? Le  mode  de’cibi,  e delle  vivande  , come  le 
mode  del  veftire,  fi  cambiano.  Se  perciò  ne’  tempi 
in  cui  la  difciplina  del  digiuno  era  più  leverà,  l’ufo 
delle  conferve  nón  ripugnava  al  digiuno  ; perchè  P 
ufo  del  cioccolate  farà  in  tempo  di  digiuno  vietato? 

XII.  Bifogna  confeffare,  che  l’arte  di  foddisfar  la 
gola  fia  piena  d’ aftuzie  5 e d’inganni.  Chi  narra  1’ 
ufo  di  quefti  elettuarj  ? Chi  ? S.  Tonimafo,  S.  Bo- 
naventura, e ruttigli  Scrittori  di  que’iecoli  . Fa 
durque  mefiiere  di  ammettere  gli  elettuarj  nella  for- 
ma fiefla  nella  quale  ci  vengono  dai  rimembrati  Dot- 
tori rapprefenrati  . Ora  quefii  Dottori  ci  atteflano 
che  quelle  conferve  dette  elettuarj  fi  prendevano  do- 
po la  cena  per  facilitare  la  digefiione  del  cibo  . In 
quc’fecoli  non  fi  rompeva  il  digiuno  che  tre  ore  do- 
po mezzo  giorno,  cioè  a nona  .*  nè  vi  era  la  cole- 


ZJO- 


a:\ii 

zione  di  roba  comefliblle^  come  attempi  nofirl,  ma 
foltanto  bevevafi  . Tutti  gli  Scrittori  atteftano  che 
quelle  conferve  prendeanfi  come  medicine  facilitanti 
la  digeftione  del  cibo.  In  oppofto  chi  le  aveffe  prefe 
fraudolentemente  per  eftinguer  la  fame  ^ e per  nu- 
trirfi,  avrebbe  trafgredito  il  precetto,  come  elpref- 
famente  tra  gli  altri  infegna  S.  Tommafo.  Le  cioc- 
colate de’ tempi  noftri  prendonfi  per  avventura  quale 
medicina  dopo  la  cena  per  ajutare  la  digeftlone  in 
chi  ne  ha  bifogno?  Non  è egli  vero  che  la  mattina 
per  tempo  piglianfi  per  placare,  e fpuntare  i pungo- 
li del  ventricolo, per  rifcaldare  lo  ftomaco,  e per  de- 
liziare le  fauci?  Al  prefente  fi  fcioglie  il  digiuno  a 
mezzo  giorno  ; la  fera  una  colezione  prendefi  di  pa- 
ne, di  frutte,  e da  alcuni  anche  di  pefcì  / fi  beve 
del  buon  vino  da  chi  ne  ha  : e poi  fi  ha  ardimento 
di  pubblicare  colle  ftampe  , che  anche  la  mattina 
prendere  fi  pofia  un  più  foftanziofo,  e faporofo  ri  fio- 
ro? E perchè?  Perchè  quando  era  in  vigore  la  leve- 
rà difciplina  del  digiuno , il  quale  non  fi  fcioglieva 
che  a nona, dopo  la  cena  fi  pigliava  la  medicina  dell’ 
elettuario  affine  di  facilitare  la  digefiione  . Polfono 
piu  Arane  cofe  udirfi?  Se  quefii  cavilli  folfero inven- 
tati da  un  popolo  tiranneggiato  dalla  gola  , farebbe 
oggetto  di  commiferazione  . Ma  che  fimili  paralo- 

gif- 


cxliii 

gifmi  ii\ventIno  que’  medefimi  che  fcelti  fono  da  Dio 
per  difenfori  delle  fue  leggi , e per  promotori  della 
offervanza  degli  ecclefiaftici  comandamenti , non  tan- 
to eccita  la  commiferazione  , quanto  il  zelo  a rim- 
proverargli con  le  parole  di  Ezechiello  : Va  Pro^ 
phcth  mftpienùbus  , qm  fequuntur  fpiritum  fuum  ’ 
& nìbil  vtdent  . Quafi  •vulpès  in  defertìs  Pro- 
pbeta  fui.  Vident  vana^  & divinant  mcndactum. 
cap.  XII I. 

XIIL  L’ancora  cui  in  oggi  fi  attaccano  pih  forte- 
mente i propugnatori  della  bevanda  , è la  confuetu- 
dine  ormai  pi;evalente,  e dilatata  da  per  tutto  . La 
confuetudine  gìufiifica  la  colezione  della  fera  : dun- 
que dei  pari  onefta,  e lecita  può  rendere  la  colezio- 
ne mattutina.  La  cofturnanza  del  cioccolate  in  Qua- 
refima  è fornita  di  tutte  le  prerogative  di  una  vera 
confuetudine.  Effa  ha  a fuo  favore  la  pratica  della 
moltitudine,  il  fine  onefto  di  refocillare  il  povero 
corpo,  il  confenfo  del  legislatore  . In  Roma  Sede 
Tanta  della  Religione  noltra,  d’onde  efcono  le  leg- 
gi, i precetti,  le  coftituzioni,  quella  cioccolata  fi 
beve,  fi  vende  nelle  botteghe,  fotto  gli  occhi  de’ 
Prelati,  de’Cardinali , de’Papi,  fenza  che  niuno  vi 
reclami.  Anzi  Gregorio  XIIL  S.  Pio  V.  Paolo V. 
Urbano  Vili,  hanno  pofitivamente  lodata  con  ora- 


co- 


cxliv 

coli  di  viva  voce  tale  cofiumanza  . Adunque  k 
confuetudine  è legittima,  e la  pratica  è lecita. 

XIV.  I fagri  Teologi  chieggono  a cotefli  argumen- 
tatori,  fe  poffibil  fia  d’introdurre  nella  Cattolica  Ro- 
mana Chiefa  una  confuetudine,  che  rende  ridicoli^ 
e oggetti  di  beffe , di  derifioni , e di  fcandalo  i fuoi 
fagri  digiuni,  confagrati  da  Gesù  Crifto  col  fuoefem- 
pio,  avvalorati  da  fanti  Appoftoli  con  feveraoffervan- 
za,  autorizzati  da  tanti  Concilj,  e dalla  Chiefa  uni- 
verfale  con  efpreffi  comandamenti.  Sin  ora  fi  è di- 
moftrato  ad  evidenza , che  la  cioccolata  è un  gufto- 
fiffimo  alimento  che  ingrafla  il  corpo,  una  faporo- 
fa  bevanda  che  compiace  il  palato . Si  è fatto  vede* 
re,  che  un  digiuno  il  quale  ammetta  tre  refezioni  il 
giorno:  cioè  una  buona  chicchera  di  cioccolata  la 
mattina , anzi  fecondo  la  comune  di  quelìi  Cafifti  e 
due,  e tre  tazze,  e quante  ognun  vuole,  perchè  //- 
quida  non  frangunP ; un  lauto  pranfo  a mezzo  dì 
una  colezione  la  fera  di  otto  once,  fecondo  gli  uni 
di  pane  e frutte,  fecondo  gli  altri  di  pefeetti  piccoli, 
e fecondo  gli  altri  di  trote,  di  ftorione,  di  linguat- 
tole:  fi  è fatto,  dico,  vedere,  che  quefto  è una  lar’ 
va  di  digiuno,  una  mafehera  di  digiuno,  un  digiuno 
da  fccna  , che  infama  la  difciplina  della  Romana 
Chiefa  > diferedita  la  noftra  fanta  Religione.  E pure 


tuf 


cxiv 

tutte  le  riferite  cofe  fi  c^inonizzano  dai  Cafifti  noftri 
coir  autorità  della  confuetudine.  Confuetudine  perla 
colezione  affolutamente;  confuetudine  per  le  otto  on- 
ciey  confuetudine  per  li  pefcetti  fumati,  e falati; 
confuetudine  per  li  pefcetti  frefehi,  ma  piccoli  ; con- 
fuetudine per  lì  pefci  frefchi  grandi,  grofiì,  e delica- 
ti ; confuetudine  finalmente  per  la  colezione  mattu- 
tina della  cioccolata.  E Dottori  che  capaci  fono  d’ 
avanzare  sì  belle  dottrine,  dovran  fervire  di  regola 
per  afficurare  le  cofcienze  cri  diane? 

XV.  Qiicfto  è il  proemio  che  i fagri  Teologi  pre- 
mettono allo  fcioglimento  precifo,  onde  dirittamen- 
te ribattono  T oppodo  fofifma.  E primamente  bra- 
man  eglino  faperc,  fe  qued’ allegata  confuetudine  fa- 
vorifea  foltanto  la  cioccolata  , oppure  ogni  e qualun- 
que equivalente  cibo  quarefìmale . SÌ  vuol  fapsre,  fe 
il  folo  cioccolate  fia  un  cibo  celede  privilegiato  tra 
tutti  gli  altri  cibi  quarefimali  dalia  confuetudine.  Che 
fi  rifponde  ? Ì1  cioccolate  nutrica,  ingraffa,  diletta 
■pili  di  una  ciambella,  e d’una  tazza  di  vino  : pia  di  un’ 
oncia  di  calcio,  e d’un’ oncia  di  pane.  Orperchè  non 
potranno  i Crifiianl,  che  comanemente  fpenderc  non 
poffono  un  mezzo  paolo  in  una  chicchera,  nè  un  pao- 
lo intero  in  due  chì^;hertf  di  cioccolate,  prendere 
un’oncia  di  pane,  ed  un’oncia  di  mandorle  la  mat- 

K ria  I ? 


cxlvi 

tina  ? Perchè  fono  cibi  folidi  ? Ma  fi  pcfteranno 
mandorle  , fi  fquaglieranno  in  latte , fi  farà  dentro 
un  pentolino  bollire  con  pane  tritato  con  zucchero, 
e cannella  ^ e caldo  caldo  in  una  tazza  fi  prenderà 
il  cordiale  a foggia  del  cioccolate.  Che  fi  rifpoude? 
V’ha  egli  diverfità  tra  l’una  e l’altra  bevanda  in  quan- 
to alla  foftanza  ? Che  fe  diverfità  foftanziale  non  v’ 
ha,  perche  anche  i poveri  Criftiani  non  potranno  re- 
fiziarfi?  V’ha  forfè  un  Vangelo  per  li  ricchi,  e per  li 
Nobili;  un  altro  per  li  mercanti,  artieri,  e plebei? 
V’ha  forfè  una  confuetudine  perii  Br^^gmanr^  l’al- 
tra per  li  Pareasì  La  confuetudine  della  colezionevc- 
fpertina  è univerfale  per  tutti  i Criftiani.  Adunque 
la  confuetudine  della  colezione  mattutina  p deve  fa- 
vorir tutti  i Cattolici , o niuno.  Adagio,  che  qui 
fiamo  incappati  nel  laccio.  Rifponderanno  beniflimo  i 
noftri  Cafifti  avverfarj,  che  la  confuetudine  favori- 
fca  tutti,  e che  tutti  la  mattina  prender  pollano  la 
merenduzza  loro. 

XVi.  Ma  qui  a’fagri  Teologi  fi  unifcono  i Cri- 
ftiani,  e cóme  eredi  de’fagri  digiuni  offervati  dai  lor 
maggiori  dichiarano,  e proteftano pubblicamente,  che 
la  decantata  confuetudine  è un  manifefto  abufo,  una 
patentiffima  corruttela ‘ingiuriofa  alla  fanta  difcipli- 
na  della  Romana  Chiefa  . Tutti  i fagri  Dottori  e 

Teo- 


cxlvii 

iTeologi,  e Canonifti,  e Giurifli  infegnano,  che  per 
una  confuetudine  vera  fi  richiede  la  pratica  delia  mag'  ^ 
gior  parte  del  popolo.  Ora  non  folo  de’Crifiiani  al 
l'agro  digiuno  obbligati  la  maggior  parte  non  prende 
la  cioccolata^  ma  dei  Criftiani  di  tutta  Italia  non  ve 
ne  fono  ficuramente  otto  ( e dico  troppo  ) per  cento. 
Perchè  j eccettuati  i ricchi,  ed  i nobili  doviziofi  y 
ed  alquanti  Religiofi  timorati  qua  àoEirìna^  qua  prò- 
bitatti  fulgentes^  dice  il  P.  Millante^  tutta  la  gran 
moltitudine  de’Criftìani  non  fa,  per  così  dire,  cofa 
fia  cioccolate.  Nè  quelli  Criftiani  lecito  fi  fanno, 
precifo  particolare  bifogno,  di  prendere  alfun  riftoro 
la  mattina.  Che  più?  I Teologi  e Probabilifti,  ed 
Antiprobabilifti  nel  numero  certamente  maggiore 
gridano,  che  quella  noti  è confuetudine,  ma  corrut- 
tela. Ed  a fronte  del  maggior  numero  de’  Teologi, 
de’ Medici  più  ragguardevoli  per  dottrina,  per  fama, 
fi  ardirà  di  battezzare  per  confuetudine  un  abufo 
fcàndalofo?  Sicché  è evidente  che  la  prima,  e princi- 
pale condizione  neceffaria  vi  manca.  Dunque  la  mil- 
lantata confuetudine  è una  manifella  corruttela. 

XVII.  Altra  prerogativa  per  una  vera  confuetu» 
dine  derogatoria  della  legge  è,  che  fia  ragiònevole, 
che  promuova  il  ben  comune,  o che  per  lo  meno 
al  medefimo  non  ripugni.'  La  origine  della  cde- 

K i j zìo\ 


I 


cxlviìi 

zione  vefpertina  non  può*  effere  più  ragionevole  • 
Cominciò  ne’ digiuni  monadici,  che  fi  fcioglievano 
aU’ora  di  nona;  ed  era  riftretta  a una  determina- 
ta mifura  d’acqua,  che  i Monaci  per  laboriofe  fa- 
tiche affetati  beveano.  Ne!  nono  fecolo  pafsò  ne’ 
digiuni  quarefimali,  che  fcioglievanfi  al  vefpero  . 
In  mezzo  alle  conferenze,  e lezioni  fpirituali,  dette 
Colla'zjoniy  bevevafi  un  po’ d’acqua.  Per  più  fecoli 
fu  quefta  colezione  riilretta  alla  fola  bevanda  di 
acqua,  e poi  di  vino.Toftato  fu  tra  i primi  a dif- 
putare  • fe  poteafi  prendere  o un  pezzetto  di  pa- 
ne , o qualche  frutto,  acciocché  il  bere  non  pre- 
giudicane.  L’anticipazione  del  pranfo  dal  vefpero  a 
nona,  da  nona  al  mezzo  dì  aprì  la  porta  a piglia-  ^ 
re  pane,  e frutta  la  fera  per  conciliare  il  Tonno,  ed 
ajutare  colla  bevanda  la  digeftione.  Al  tempo  di 
S.  Carlo  Borromeo  quefta  era  di  tal  colezione  la 
taffa.  Semel  tantum  in  dìe  fojì  meridìem  ctbum 
capiant  • Quod  ft  aìiquid  aìicui  amplìus  opus  fuerit  ^ 
^cfperì  panis  unctam  cum  dìmìdia^  & vini  poculum 
tantum  capere  lìce at . Qui  fi  vede  l’ innocenza  e dell’ 
origine  , e del  progreffo  di  quefta  colezione  dalla 
coniuetudine  approvato  qual  rimedio  a conciliar  il 
Tonno 5 attefa  l’anticipazione  del  pranfo,  e ad  ajutar 
la  natura.  Non  cadelie  però  mai  in  penfiero  che  le 


cxlit 

lafle,  e fcandalofe  opinioni  ituìicate  di  alcuni  Ca- 
fifti  fieno  dalla  Chiefa  approvate . Sicché  in  quefta 
colezione  vefpertina  abbiamo  e la  pràtica  univer- 
fale  de’Criftiani , e la  convenienza  della  medefima 
col  fine  principale  del  digiuno,  che  è bensì  di  mor- 
tificare, non  di  difiruggere  il  corpo:  abbiamo  fi- 
nalmente un  tacito  confenfo  della  Chiefa.  Tutte 
quelle  condizioni  mancano  nella  colezione  mattuti- 
na, anzi  tutte  le  fono  contrarie.  La  pratica  univer- 
fole  de’Criftiani  condanna  quella  colezione:  la  na-, 
tura  del  criftiano  digiuno  deteflà  così  deliziofa,  e 
difpendiofa  bevanda . L’ unica  ragione  per  cui  la 
comune  confuetudine  ha  riabilito  di  differire  il 
pranfo  al  mezzo  dì,  effa  è per  affliggere  la  carne 
colla  fame,  che  in  tale  dilazione  fi  foffre.  Ora  fe 
la  mattina  fi  piglia  un  foftanziófo  rifloro,  non  èun 
burlarli  della  legge?  So  che  i Cafifti  Filiiuccio,  Vi- 
va, ed  altri  anche  quella  lalfezza  hanno  flampata, 
che  polfafi  a talento  anticipare  il  pranfo  con  una 
fola  colpa  veniale.  Quelli  Cafifti  'ergono  tribuna- 
le fopra  la  confuetudine  della  Chiefa,  o a genio 
decidono.  Ma  contra  tale  laffa  opinione  altrove  fi 
parlerà.  Finalmente  perchè  fi  vegga  quanto  crafla  fia 
r ignoranza  di  coloro  che  dalla  colezione  della  fera 
pretendono  d’ inferire  lecita  h colezione  mattutina 

K i i j del 


cl 

del  cioccolate,  dimando:  in  quai  (ccolo  fi  fono  op^ 
podi  i Teologi  contra  la  colazione  della  fera?  Han- 
no bensì  difputato,  e difputano  tuttavia  intorno  al- 
la quantità,  e qualità  della medefirnaj  ma,  come  ha 
offervato  T Autore  dell’  Opera  intitolata  Difciplma 
antica  e moderna  intorno  al  digiuno  della  Romana 
Cbiefa^  non  mai  difputarono,  o fi  oppofero  aU’in- 
troducimento,  o alla  continuazione  di  tale  colezio- 
ne  aifolutamente  confiderata  . Dovechè  all’  oppofto 
i Teologi  Probabilifti  più  benigni,  cioè  dire  i Tam- 
burini, i Sanchez,  i Caftropalai  , i Diana,  i Paf- 
qualighi , i Leandri,  gli  Azorj,  i Villalobi,  e tanti 
altri  Cafifti  uniti  ai  Teologi  di  maggior  autorità  fi 
fono  oppofti  alla  coftumanza  del  cioccolate  in  giorno 
di  digiuno,  eia  condannano  qual  corruttela  ripugnan- 
te al  precetto  della  Chiefa  . Ed  un  abufo  condanna- 
to dai  più  benigni  Probabilifti,  e dai  più  rinomati 
Teologi,  fi  ardirà  di  fpacciare  per  confuetudine?  Io 
non  veglio  mettere  in  maggior  veduta  quefto  vano 
foSfma,  per  non  confondere  maggiormente  chi  non 
fi  arroffifee  di  opporlo.  Soltanto  aggiungo,  che  tra 
le  molte  ragioni  che  m’  hanno  indotto  a pubbli- 
care quefte  Memorie  Storiche^  una  fi  è di  (venta- 
re quella  larva  di  fantaftica  confuetudine  con  av- 
vifare  gl’imperiti , che  quefta  non  è altramente  con- 
fu e- 


cii 

fuetudine,  ma  abufo  colpevole,  e corruttela  perni, 
dofa. 

XVIII.  Gli  oracoli  Papali  di  viva  voce,  che  fi 
vantano  dai  Frati,  e dai  Padri  Americani  di  fopra 
citati,  fono  più  che  favolofi.  Nulla  più  famigliare 
ad  alcuni  Cafifti  che  infingere  a capriccio  oracoli 
di  viva  voce.  Si  legga  la  celebre  Bolla  Omnium  fo* 
licimdinwn  8cCf  Q ìq  TìQ  vedranno  gli  efempj . Ma  quel- 
li che  fono  capaci  di  produrre  ragioni  che  ferifconoil 
fenfo  comune  a favore  dell* accennata  opinione,  ben 
poffono  fpacciare  in  Europa  oracoli  Pontifici  pubbli- 
cati per  la  prima  volta  nella  Chiappa , e nel  Mexi- 
co. Abbiamo  già  di  fopra  accennato  Tattefiato  del 
medefimo  Cardinale  Brancacci  contra  la  menzogna 
di  quefti  oracoli  ingiuriofi  alla  S,  Sede.  Sarebbe  dar 
credito  alle  favole  più  patenti,  quando  tempo  fi  pcr- 
deffe  nel  confutare  la  chimera  di  sì  fatti  ora- 
coli. 

XIX.  Ma  perciocché  i benigni  Dottori  con  ifiu- 
diata  eloquenza  mettono  in  veduta  la  pratica  di  Ro- 
ma, uopo  è di  difendere  la  Capitale  della  noftra  fan- 
ta  Religione.  In  Roma^  dicono!  Signori  Probabili- 
fti,  fi  difpenfa  il  cioccolate  in  Quarefima  nelle  con- 
ver J anioni  pubbliche^  né' pubblici  rinfrefchi^  in  *vì- 
fla  de  Prelati j e de' Pontefici': jiè  quejìi  ^ nè  le  fa- 

K iiij  ere 


dii 

ere  Càngrega'zlom  hanno  mai  reclamato  ; ed  ejfeì> 
do  cofa  appartenente  aljus  pofjti'uo^  inai  da  pubblica 
cecie [ìajìtca  autorità  non  fi  è jptccato  contro  tal 
bevanda  alcun  EDITTO,  Dunque  d di  lei  ufio  non 
è contrario  al  rito  ecclefitajìico , Per  comprendere 
quanto  (imili  argumentazioni  fieno  alla  fanta  Sede, 
fecondo  il  mio  deboi  parere,  pregiudicievoli,  convien 
riflettere,  che  queftl  i quali  cos^  argumentano,  vo- 
gliono compatibile  col  precetto  del  digiuno  la  be- 
vanda dei  cioccolate  per  tutto  il  giorno,  e nelle 
pubbliche  converfiaTtoni , e ne^ pubblici  rìnfirejchi  : ,e 
quefia  cofiu manza  fi  vuole  approvata  dalla  fanta 
Sede,  perchè  praticata  in  vtjìa  de' Prelati^  e de 
Po77tefici^  e perchè  non  fii  è fipiccato  contra  tal  be- 
vanda alcun  Editto,  I Protefianti  che  tanto  han- 
no fcritto  contra  i fagri  digiuni  della  noftra  Ro- 
mana Chiefa,  in  leggendo  sì  fatte  cofe,  con  deri- 
fione,  e con  difprezzo  vanno  declamando  : Ecco  co- 
me molte  delle  cole  che  hanno  fcritto  Chemnizio, 
Calvino,  Dalleo  contra  i digiuni  de’Papifti,  fono 
vere  per  fentimento  degli  fleffi  Predicatori  della 
Ghiefa  Romana.  Dagli  fieflì  pulpiti  d’Italia,  dagli 
fiefli  Qiiarefimali  flampati  per  edificazione  de’ fedeli, 
fi  confeffa,  anzi  fi  vanta,  che  le  deliziofe  cioccolate, 
che  ne’ giorni  fanti  di  Quarefima,  giorni  di  umilia- 


zio- 


cliii 

zioae,  e di  penitenza,  fi  dilpsnfano  tizWs  pubbliche 
conver^a'xioni  ^ e né* pubblici  rinfrefcbi^  fono  dalla 
loro  Chiefa,  dai  loro  Pontefici  approvate.  E poi 
non  vogliono  che  noi  diciamo , che  i lor  digiuni 
fono  digiuni  da  burla,  da  leena,  da  commedia  ? 
Dov’è  in  fimili  digiuni  il  patimento,  la  mortifi- 
cazione, la  umiliazione?  Dove  vi  trafpira  aria  di 
(incera  contrizione,  di  penitenza  evangelica?  Non 
fa  di  meftiere  eh’  io  più  a lungo  rapprefenti  le 
declamazioni  de’  Protefianti  . La  dottrina  riferita 
parla  da  sè. 

XX.  Ora  per  difinganno  e de’Proteftanti,  e degl’ 
idioti  Cattolici  5, rifletter  in  primo  luogo  conviene  , 
come  in  Roma,  e fuor  di  Roma  tanti  Cardinali  , 
Prelati,  Religiofi  , e Crifliani  di  ogni  condizione 
da  tale  bevanda  in  giorno  di  digiuno  fi  aftengono  : 
e di  quelli  i noftri  Benignijìi  nulla  dicono  . E pure 
r efempio  di  quelli  dovrebbe  per  ogni  riguardo  pre- 
valere alla  collumanza  di  coloro  che  la  bevono  e 
nelle  pubbliche  connjerfa’gtonì ^ e ne^ pubblici  rinfte- 
/chi.  In  fecondo  luogo  bifogna  confiderare  , che  la 
vecchiezza  cagionevole  , che  occupazioni  e fatiche 
gravi,  che  debolezze,  e incomodi  perfonali  poffono 
rcnaere  lecita  una  chicchera  di  cioccolata  a molti 
Criftiarà . Ora  in  Roma  fpezialmente  tanti  Cardi- 
na- 


cliv 

nali,  Prelati,  c Miniftri,  altri  avanzati  in  età  , al- 
tri oppreffi  da  occupazioni  neceffarie,  debbono  inter- 
venire a Congregazioni,  a Congreflì , dove  fi  maneg- 
giano affari  graviffimi.  Or  chi  negherà  lecito  a que- 
lli il  riftoro  del  cioccolate  per  renderli  abili  ad  efer- 
citare  il  loro  rninifteto , il  loro  impiego  ? Dunque 
quefto  cioccolate  è lecito  nelle  pubblìcbs  convdrfa- 
Trioni j ne^ pubblici  rinfrefchì  ai  Damerini,  alle  Da- 
mcrine?  E tal  coftumanza  è approvata  dalla  fanta 
Romana  Sede  ? Quelle  fono  confeguenze  che  recano 
orrore,  e fpremono  dagli  occhi  le  lagrime.  I Sommi 
Pontefici  prudentemente  non  formano  EDITTI  cen- 
tra tale  bevanda, perchè  a molti  eifendo  pegli  accen- 
nati motivi  lecita  , non  vogliono  promulgare  una 
proibizione  univerfale  per  tutti.  Stravaganza  inaudi- 
ta, efiupenda!  Quelli  benigni  Dottori  altro  non  fan- 
no che  efagerare  in  un  fenfo  falfiffimo  la  foavìtà  dell’ 
evangelico  giogo  / jugum  meum  fuave  ejì  : e nello 
fteffo  tempo  che  foave  vantano  il  giogo  evangelico, 
il  vorrebbono  gravofo  di  più  precetti , ed  anatemi  , 
che  non  era  il  giogo  Mofaico  . Un  EDITTO  dal 
Vaticano  fi  vuole  centra  il  cioccolate  : altrimente  è 
lecito.  Un  EDITTO  centra  le  otto  onde  di  Ilo- 
rione,  di  trota,  o di  linguatole  : altramente  fono 
lecite  . Un  EDITTO  contra  V anticipazione  del 

pran^ 


civ 

pranfo  più  ore  avanti  il  meriggio  : altrimenti  è le? 
cito  pranfare  a terza,  e quando  aggrada  . Tre  editti 
per  li  difpenfati  dalle  carni , acciocché  fi  aftengano 
dal  cenare . Che  fe  tanti  editti  ci  vogliono  per  la  fo- 
la offervanza  del  digiuno  ; quante  migliaja  di  mi- 
gliaja  d’editti  ci  vorranno  per  la  offervanza  di  tutti 
gli  altri  comandamenti  ? Secondo  queffi  Signori  la 
ianta  Sede  altro  far  non  dovrebbe  che  ogni  giorno 
promulgare  editti,  ed  anatemi  centra  le  laffe  opinio- 
ni de’Cafifti.  Ma  quando  bene  promulgaffe  tutti  que- 
ffi EDITTI  e centra  gli  abufi  di  ammettere  alla 
facrofanta  Comunione  le  Damerine,  i Damerini, gli 
fpettatori  de’ Teatri,  delle  Commedie,  i feguaci  del 
lufio,  del  fallo  ; contra  tanti  giuochi  perniciofi  al 
pubblico,  ed  al  privato  ; contra  tanta  immodeftia 
fcandalofa  di  veftire;  contra  tanti  mercimonj,  ed  u- 
fure  ; contra  tanta  libertà  di  converfare  : quan- 
do bene,  ripiglio,  la  fanta  Sede  promulgaffe  tutti  que- 
ffi EDITTI,  fi  ubbidirebbe  poi  fubito  elattamente 
fenza  inventare  diftinzioni,  interpretazioni  , futterr 
fucj  ? Si  piegherebbe  poi  fubito  con  piena  raffegna- 
tezza  l’umile  capo? 

XXI.  Quelli  che  non  vogliono  praticare  la  peni- 
tenza criffiana,  nè  adempiere  la  divina  legge,  nè 
abbandonare  le  delizie,  le  morbidezze  , le  pompe  , 

le 


k coftumanze  di  un  fecoio  corrotto  5 fe  non  a forza 
di  Editti^  di  Anatemi^  di  Decreti , di  Cojiitwzio^ 
niy  di  Brevi^  di  Bolle  ^ fono  fugli  ultimi  eftremi 
del  precipizio,  fono  falla  via  dell’ inferno.  Iddio  c’ 
impone  comandamenti  diffìcili  , ci  affegna  i mezzi 
opportuni  per  offervargli  ; ma  per  non  opprimerci 
con  moltitudine  di  precetti,  quefti  mezzi  opportuni 
ad  offervar  la  legge  non  ce  gl’ impone  fotto  partico- 
lare comandamento . I noftrì  Cafifli  moderni  , per- 
chè L mezzi  accennati  non  fono  con  particolar  pre- 
cetto importi,  gli  feparano  dalla  legge.  Che  ne  fe- 
gueP  Che  la  offervanza  della  legge  diviene  impra- 
ticabile, Querti  che  giurtificano  le  cofiumanze  qua- 
fi  univerfali,  perchè  con  particolari  editti  non  ven- 
gono proferitte,  ignorano,  come  fi  accennò  di  fo- 
pra,  cofa  fia  la  Chiela  di  Gesù  Crirto  . Ecclefia 
Dei  (dice  Agortino  [a])  inter  multam  paleam  , 
multaque  ‘zi':?:ania  confìituta^  multa  tale rat.  La  Chie- 
la  di  Dio  è circondata  quindi  da  molta  paglia,  e 
quinci  da  molto  loglio.*  ed  il  noftro  divin  Reden- 
tore ha  difpofto  che  infieme  col  frumento  crefeano 
le  malvagie  erbe  . Ed  i noftri  benigni  Dottori 
vorrebbono  che  i Vicarj  di  Gesù  Crirto  rteffero  di 

con- 


(a)  £/»//.  ex  IX, 


cJvii 

continuo  cola  falce  alla  mano  per  tagliare  tutto  il 
loglio,  e tutta  la  paglia.  Ma  non  veggono  che  in 
quello  calo  bifognerebbe  confegnar  alle  fiamme  in- 
riumerabìli  volumi  ripieni  di  Icandalofe  opinioni  ? 
Sin  tanto  che  durerà  quella  Chiela  militante,  vi  fa- 
ranno fempre  e buoni  e cattivi  , e vere  e falfe 
dottrine,  veri  e faifi  Profeti,  veri  e falfi  Dottori, 
dice  iddiomedefimo nelPEcckfiaftico  al  cap.xxxiii.. 
Cantra  bonum  malum  ejì , & cantra  mortem  vita  : 
fic  <&  cantra  vlrum  fujium  peccator.  Et  [ic  Intue* 
re  la  omnia  opera  Altljfmi»  Duo^  tX  duo  j & u- 
7ium  cantra  U7ìum , Ci  avvila,  che  quelle  fieife  co- 
ftu manze  che  ci  paiono  rette  e giufie  , ci  conducono 
alla  morte  : Ejì  via  quce  videtur  homlnl  jufta  / 
mvijfma  autem  ejus  dsducunt  ad  mortem  [z?], Sap- 
piate, che  fe  la  Chiefa  di  Dio  [ legue  Agoflino] 
tollera  le  falle  dottrine  , non  mai  le  approva-  . la 
quella  Chiefa  vi  faranno  fempre  mai  uomini  di  Dio  , 
eh?  non  foio  non  fegulranno  l’errore,  nè  faranno  il 
male/  ma  di  più  non  taceranno,  e grideranno  non 
comra  i Dottori,  ma  centra  le  falfe  dottrine  . Quae 
Junt  cantra  fidem  non  approbat  , nec  tacci  , nec 
facit . 


(a)  l'rov,  cap,  xiVt  :W.  u. 


XXII. 


civili 

XXII;  Vogliono  di  bel  nuovo  pai*lare  i difendi^ 
tori  della  pozione y e ad  alta  voce  novamente  dage* 
rano  l’autorità  di  Religiofi  , di  Regolari  qua  do5lri- 
na , qua  pYobitate  inftgntum  , innumerabili  de’  quali 
nobilioriy  purgatiorique  Tbeologics  op&ram  navanf  y 
dice  il  Pi  Minante;  Quella  autorità  di  uomini  pii, 
di  Regolari  probi  ^ che  forbono  quella  dolce  bevan- 
da, fa  grandiiTima  imprelTione  non  folo  nelle  menti 
degl’idioti,  ma  per  fino  nelle  nienti  più  rifvegliate* 
Il  P.  Tomnialb  Tamburino  dopo  che  ha  con  tutta 

forza  confutata  la  falfa  opinione,  attefta  che  la  ra-* 

\ 

gione  il  convince  della  oppofizione  tra  il  cioccolate 
ed  il  digiuno  ; ma  V autorità  degli  uomini  pii  y re- 
ligiofi ,e  dotti  non  gli  permette  diefcludcre  dai  con- 
fini della  probabilità  la  negativa  contraria  fentenza  . 
[a]  Qua  baSienus  de  cbocoìata  dì/putavi , vera  mìhi 
vìdentur  propter  rationes  intrinfecas  : ceterum  quìa 
video  viros  piosy  religiofoSy  ac  doHos  putare  earrìy 
prout  in  Hi/pania , & Romcé  ejt  nunc  in  ufu , ejfe 
ufualem  potionemy  7ìec  violare  jeju7%iunìy  nolo  [ id~ 
que  propter  au^oritatem  eTctrinfecam']  kaìK  fenten- 
tiam  a probabilitatisy  fecuritatifque  finibus  esclude- 
re, Ecco  di  bel  nuovo  come  il  fermento  fatale  del 

Pro- 


(a)  Lìh,lY.  V.  §.  2, n,  1 3» 


cJix 

t^robabilifmo  fi  diffonde  da  per  tutta  la  Teologia,  t 
da  per  tutto  le  migliori  dottrine  guafta.  Le  ragioni 
dimofirano  al  P.  Tamburino  la  verità,  ma  l’autorità 
di  Religiofi  pii,  edotti  gli  rende  probabile  quefta. 
fieffa  opinione,  che  giudica  faifa  ili  virtù  e di  auto- 
rità, e di  ragione  . Ma  afcoltiamo  un’  altra  vòlta  il 
P.  Tamburino  che  fegue  così, „ Enarravit  mihi  Vir 
„ noftrae  Societatis  omni  fide  dignus,  Eminentiffi- 
„ mum  Joannem  de  Lugo  ^ antequam  ad  facram 
„ Purpuram  effet  afcitus,  dum  fcilicet  Theologiam 
„ in  Romano  Collegio  profiteretur  j ita  facete  re- 
„ fpondifle  cuidam  Sacerdoti  ab  eo  fcifcitanti , an 
3,  chocolata  jejunium  frangeret  é Qui  eam  ufurpantj 
„ nequaquarri  frangere  afferunt  : frangere  conten- 
,,  dunt  qui  ab  e a Je  continent.  Ego  vero  cum  in- 

ter  ufuypantes  firn  ^ neutìquam  jejunium  violare 
„ pronuntio,  Hsec  ille.  Si  ergo  vir  adeo  doftus , ad- 
3,  eo  pius,  tantaque  auftoritatc  prseftans  , fic  di- 
i,,  fertis  verbis  cdifferit;  qua  ratione  eum  non  prò- 
,j  babiliter  loquij  & agere  ^ vaìet  quifpiam  fufpi- 
3,  cariì 

XXIIL  Per  dir  il  vero,  io  fono  uno  di  coloro 
che  non  folo  fofpetto,  ma  francamente  giudico  che 
quello  Teologo  parli  appunto  probabiiizzando  prò- 
babiliter  lo  qui  ; ma  foggiungo  che  quefta  fua  pro- 
ba- 


clx 

babile  parlata  non  folo  non  dee  fervire  di  autorr- 
tà  che  renda  lecita  l’azione,  ma  di  motivo  per  ab- 
borrirla.  Come?  Un  Teologo  Religiofo  interrogato 
fopra  nn  punto  dì  Morale  criftiana,in  cui  trattafidi 
peccare,  o non  peccare  mortalmente  , rifponde  con 
una  facezia?  Facete  refpondit?  E quell’ uomo  face- 
tofo  renderà  probabile  quellafentenza  che  ilP.Tam- 
burino  fleffo  giudica  falfa.^ Iddio  Tempre  ci  guardi  da 
quello  probabilizzare  . Parlando  noi  feriamente , fe 
doveflìmo  chiamar  all’efame  rautorìtà  di  quello  Teo- 
logo nella  Morale  evangelica,  diremmo  fecondo  ilno- 
flro  debole  giudizio  , cke,  attefe  le  tante  fentenze 
laffe  da  lui  llampate,  non  debba  fervir  dì  regola  ad 
alcuno,  lo  ho  letto  un  fuo  MSS.  fulla  dillribuzione 
de’ beni  ecclefiallici,  che  mi  ha  forpreib  : egli  opu-  ' 
fcoli  morali  llampati  con  le  altre  opere  morali  bada- 
no per  non  arrenderfi  alla  fola  di  luì  autorità  fepara- 
ta  dalla  ragione,  come  fi  arrende  il  P.  Tamburino. 
Ma  ora  non  è tempo  di  efercitare  giuda,  e riverente 
critica  fulle  opere  morali  del  Cardinale  de  Lugo,ma 
bensì  di  rifpondere  all’argumento . 

XXIV.  Non  folo  in  queda  materia,  ma  in  ogni, 
per  così  dire,  controverlia  morale,  viene  oppoda  que- 
lla autorità  di  uomini  pii-^  e dotti  j di  Religiofi,  di 
Kegolàri , qua  doélrina  ^ qua  probikite  tnftgwim^  i 

qua- 


quali  purgatìori  Theologi^  optvnm  navant  ."E 
perchè  quello  è un  argumento  che  di  continuo  ,*ed  in 
ogni  cbntroverfia  oppongono  anche  i Criftiaai  del  fe- 
cole, Tempre  intercalando:  Pojftbik  che  qué^Religio- 
fi  vogliali  dannarfi  dopo  aver  abbandonati  e comodi^ 
e libertà?  Il  P.  Sporer  alle  volte  per  rendere  una  o* 
pinione  plaufibile  fuol  dire  ; Sic  ego  praticavi  in 
Confejftonaìi > Ed  ora  fi  dice:  Bevono  la  cioccolata 
in  Quarefima  gli  fteffi  Religiofi  clauftrali  gravi,  pii ^ 
c dotti,  E poi  fi  dirà,  che  lecita  non  fia? 

XXV.  lo  per  ora  non  rifponderò  fecondo  quella 
tremenda  e formidabile  dottrina  di  Autori  veramen- 
te celebri,  che  in  ogni  Religione  maggiore  , o gran- 
de fia  il  numero  de’ reprobi  / ma  voglio  narrare  i dif- 
corfi  , onde  i fagri  Teologi  llringono  cotefti  avver- 
farj,  che  tanto  oppongono  la  probità,  la  dottrina  de’ 
Religiofi  clauftrali.  Difeorrono  dunque  cosi.  Prima- 
mente le  centinaje  di  propofizioni  falfe  , erronee,  e 
fcandalofe  già  condannate, non  fono  forfè  Hate  inven- 
tate, infegnate,  e difefe  acremente  da  uomini  pii  , 
e dotti?  Quante  erefie  non  fono  fiate  inventate  da 
uomini  dottiffimi,  e che  agli  occhi  del  mondo  appa- 
rivano pii,  edotti?  Secondariamente  non  è egli  ve- 
ro che  un  uomo  per  fare  autorità  in  un’arte  debb’ef- 
fer  pratico  , e perito  in  cotal  arte  ? Per  decider  un 

L pun- 


clxii 

punto  di  nautica  fi  citerà  forfè  un  pittore  dotto,  e 
probo  ? E per  lentenziare  fopra  una  pittura  fi  citerà 
per  avventura  un  pio,  e probo  nocchiero?  Sicchèper 
decidere  fopra  un  punto  di  penitenza  corporali  cri- 
fliana,  "bifogna  citare  i periti  in  cotefia  arte  , quali  j 
fono  grilarioni,  i Pacomj , i Francefchi  d’  AflTifi,  i 1 1 
Pietri  d’ Alcantara,  i Carli  Borromei , e tanti  altri  ||i 
eccellenti  Dottori,  e luminofi  efemplari  della  peni-  j 

tenza  criftiana.  Se  quefli,  o i fintili  a quefti  bevef-  i 

fero  in  Quarefima  la  cioccolata  , confeflb  che  la  loro  ^ 

pratica  mi  farebbe  grande  autorità  . All’  oppofto  io  ^ 

non  riconofco  per  efemplari  di  penitenza  corporale 
criftiana,  nè  per  Dottori  da  far  autorità  in  tal  ma- 
teria, que’Religiofi  i quali  ne’ giorni  fanti  di  peni- 
tenza ogni  mattina  fenza  particolare  bifogno  bagnano 
col  cioccolate  le  loro  fauci.  Quefti  renderanno  pro- 
babile, e lecita  tal  coftumanza?  Ma  non  dicono  e- 
glino  fteffi  : Qui  ecim  ufurpant  ^ neqmquam  fran* 
gere  afferunt  : fra??gere  contendunt  qui  ab  e a fe 
coììtìnent}  Ed  è veriffimo.  Chi  fono  quelli  che  vo- 
glian  pubblicamente  praticare  un’  azione  che  giudi- 
cano colpevole?  Quefti  Religiofi  qua  doElrina^  qua 
probitate  infignes  prendono  inQuarefima  il  cioccola*  ' 
te?  Adunque  fono  inabili  ed  incapaci  di  far  autorità 
in  materia  di  penitenza  corporale.  E perchè  ? Perchè 


m 


clxiM 

in  queft’arte  fono  imperiti,  fono  ignoranti*  Se  egli- 
no non  praticano  la  penitenza  corporale  , non  fanno 
che  quella  è neceffaria,  o in  voto,  o in  effetto , po- 
tendo, pel  Paradifo.  E ciò  ignorando,  fono  incapa- 
ci di  far  autorità  in  quello  genere  . Molti  Religioli 
oppreffi  da  gravi  fatiche  , ripieni  di  acciacchi , lecita- 
mente poffono  con  tale  bevanda , o con  altra  cola  ri- 
fìorarll  anche  in  tempo  di  digiuno  : e quelli  poffono 
fare  autorità,  perchè  fono  penitenti  in  voto,fe  non 
in  effetto  per  la  loro  debolezza . 

XXVI.  Nel  rimanente  fi  chiede  a cetefìi  milanta- 
tori  della  probità,  della  gravità  , della  dottrina  di 
cotelli  Religioli  , cofa  intendano  per  probità  , per 
gravità,  per  dottrina*  Saranno  per  avventura  probi, 
gravi,  e pii,  perchè  lontani  vivono  da  que’  peccati 
che  gli  difonorano  preffo  il  mondo  ? Ma  di  quella 
pietà , e probità  fe  ne  trova  da  per  tutto  più  e me- 
no, anche  nelle  Sette  dei  Pagani,  degli  Eretici, de- 
gli Ebrei.  Forfè  perchè  offervano  il  Decalogo  ? Ma 
per  non  perdere  tempo  in  interrogazioni  fuperflue  , 
riferiamo  il  ragionamento  de’  fagri  Teologi  . Reli- 
giofi,  dicono,  che  profeffano  perfezione  evangelica, 
che  debbono  effere  efemplari  di  allinenza  ai  Crillia- 
ni,  fenza  particolare  necelfità,  nella  Quarefiraa  fan- 
ta  cotidianamente  così  deliziofa  bevanda  forbono  ì 

L ij  Quan- 


clxiv 

Quanto  qucftaconfiderazionc  debba  conchiudere, noi 
noi  fappiamo  . L’  abbiamo  foltanto  accennata  per 
decidere  irrefragabilmcrìte,che  quefti  decantati  Teo- 
logi dotti , probi  , c pii , i quali  fenza  particolare 
bifogno  bevono  il  cioccolate  dentro  la  Quarefima  , 
nella  quale  dovrebbono  con  la  pratica  di  vera  peni- 
tenza edificare  il  mondo,  non  fono  in  tal  fituazione 
di  probità,  nè  di  pietà,  nè  di  autorità,  che  debbano 
acquiftare  alcun  grado  di  probabilità  all’ ufo  della 
bevanda  in  tempo  di  digiuno  ; fe  per  confelTione 
del  benignìflimo  P.  Tamburino  le  ragioni  convinco- 
no ripugnante  al  digiuno  un  tale  riftoro, 

XXVII,  I facri  Teologi  dall’altra  banda  rintuzza- 
no il  perniciofiflìmo  fofifma,  che  tanta  gente  inganna 
c feduce . Voi  opponete,  ripigliano,  la  probità,  la  ! 
pietà  di  tanti  Clauftrali,  i quali  in  tempo  di  digiu-  j 
no  bevono  il  cioccolate , e che  purgatiori  Tbeologìas 
operam  navant  : e la  probità, e la  dottrina  di  quel- 
li che  hentgnmì  TJ^eologia  de/udanf^  dove  lalafcia- 
tc?  L’autorità,  la  dottrina,  la  probità,  la  pietà 

dì  Cajlropalao , di  Diana  , di  Tamburi- 
no ^ di  Avorio  y di  ViììaìoboSy  di  Trullenco,  di  Le- 
zanay  di  Leandro  y dove,  dove  la  lafciate  f E la 
pietà,  la  probità,  la  dottrina  degli  Antiprobabilifti 
in  qual  grado  di  fiima  Pavere  ? Non  è egli  eviden- 
te 


cIxV 

teche  i Teologi  e Probabilifti,e  Antiprobabilifti  più 
comunemente  condannano  il  cioccolate  irt  giorno  di 
digiuno  ? Con  qual  coràggio  adunque  opponefi  la 
probità  j la  dottrina  , T autorità  dei  Religiofi  bevi- 
tori? Quelli  fcandalo  piuttofto  che  credito  cagionano 
ne’ faggi  Criftianié  Ma  per  chiudere  ad  ogni  {cappa- 
ta il  paflbé  Concediamo  per  ridondanza  che  la  con- 
tefa  abbia  dall* una,  e dall* altra  parte  ugual  proba- 
bilità ed  cftrinfeca  d’ Autori  , ed  intrinfeca  di  ra- 
gioni. Neppur  in  quella  ipotefi  , per  altro  falfilTi- 
ma,  fi  può  allegar  confuetudine  , che  deroghi  alla 
legge,  fecondo  iprincipj  de’ Probabililli  .Impercioc- 
ché in  quella  ipoteli  la  caufa  farebbe  dubbia  : e la 
legge  del  digiuno  è certa,  e in  poffeflb.  Or  una  con- 
fuetudine dubbia  , e contradata  , non  può  ad  una 
legge  certa , e collituita  in  polTelTo  per  tanti  fecoli 
derogare/  effendo  comune  raflioma:  Meìior  ejì  con- 
ditto pofftdentìs . Da  tutte  le  ragioni  addotte  non 
rifulta  evidentemente  che  la  decantata  confuetudine  è 
un  manifello  peccaminofo  abufo,  una  fcandalofa  cor- 
ruttela? 


§.  XL 


L ii  j 


clxvi 


5.  XI. 


Se  la  parvità  della  materia  renda  lecita  la 
moderna  cofiumani^a  del  cioccolate  in 
tempo  di  digiuno. 


I,  In  ora  io  v’ho  fedelmente  narrate  le  ragioni 


deir  una,  e dell’altra  parte.  Tutte  le  ra- 
ion! che  col  digiuno  uftikono  affolutamente  il  cioc- 


colate, fono.  I.  Il  cioccolate  non  è foftanziofo,  non 
nutrifee  . 2.  Il  cioccolate  è bevanda  nell’  Ame- 
rica.* adunque  febbene  nutrifea accidem^  può  pi- 
gliarfi  anche  in  Europa.  3.  La  birra,  benché  fpre- 
mutadal  grano, può  beverfi.  4.  La  confuetudine  fa- 
vorire. 5.  Religiofi  pii,  e dotti  la  praticano.  6.  La 
cioccolata  non  è nè  cibo,  nè  bevanda,  ma  medicina 
prefa  in  bevanda.  I fagri  Teologi  con  pieniffima  evi- 
denza dimoftrano  che  quefte  non  fono  ragioni,  ma 
illufioni;  non  difcorfi , ma  cavilli  , e fofifmi  cosi 
groffolani,  e ridicoli  , che  ripugnano  alla  retta  ra- 
gione, che  ferifeono  io  fieffo  fenfo  comune,  che  fono’ 
riprovate  dagli  ftefli  loro  Autori,  i qualinon conven- 
gono tra  di  loroj  ma  quella  ragione  che  a quelli  lem- 
bra  probabile , agli  altri  riefee  ridicola , ed  improbabile . 


Il 


clxvii 

IL  Rimane  ora  che  in  ultimo  luogo  raccontiamo 
la  varietà  delle  opinioni  intorno  alla  parvità  di  ma- 
teria. E’cofa  certiffima  preho  tutti  darfi  parvità  di 
materia  nel  precetto  del  digiuno.  La  difficultà  tutta 
fi  riduce  a difegnare  i confini  angufti  di  quella  parvi- 
tà. Io  continuo  a farla  da  Storico.  L’Erninentiffimo 
Cardinale  Brancacci  nella  fua  Differtazione  ftabilifce, 
che  un’  oncia  di  cioccolate  fia  parvità  di  materia. 
Hcec  valde  inibì  arrìdep  conclufio , quod  fcilìcst  ebo^ 
colatis  patio  unius  uncids  non  excedens  quantìtatem 
cum  quìnque  imciis  fmpìkis , aut  dijiìllatcc  a qua , non 
inferat  jejunìo  injunam . 

III.  Il  P.  Domenico  Viva  fcrive,  come  s’è  vedu- 
to , di  feguire  la  fentenza  dei  Cardinal  Brancacci . 
Fracifa  auHorìtate  extrinfeca^  mtbi  arrìdet  opimo 
Eminentijfimi  Brancacci . Ed  egli  vi  aggiagne  due 
oncie  d’acqua,  e mezza  di  zuccaro,  che  impafiato 
col  cioccolate  fa  un’oncia  e mezza  di  parta.  A que- 
lla mezza  oncia  di  parta  giuftamente  ne  accrefee  due 
di  acqua  .*  e quindi  conchiude,  che  tu  la  polli  bere 
pili  volte  il  giorno  , amiche  fenza  peccato  veniale. 
Ratìo\non  eft ^ quia  uncìa  ejì  materia  parva  : nam 
fic  non  pojfes  tllam  PLURIES  fumere  [me  mortali , 
nec  femel  [me  veniali  : fed  quia  in  tanta  quantitate 
e fi  potus  ufuaìis  apud  illas  Nationes , & fic  ubilibet . 

L i i i j Sic- 


clxviii  ^ 

Sicché,  fecondo  il  P.  Domenico  Viva,  come  già  fu 
offervato  di  fopra,  potrai  pigliare  anche  una  libbra 
di  cioccolata  il  giorno,  purché  ad  ogni  oncia  e mez- 
za di  palla  ce  ne  aggiunghi  fette  di  acqua.  La  cola 
che  grandemente  difpiace  nel  P.  Viva , fi  é che  di- 
vulghi sì  lalTa  opinione  come  fentenza  deU’Eminen- 
tiflimo  Brancacci.  Imperciocché  ai  leggitori  idioti 
che  non  poffono  leggere  gli  Autori  in  fonte , fa  gran- 
de imprelEone  Tautorità  di  un  tanto  Cardinale.  E 
poi  quelli  fono  quelli  che  gridano  contra  la  fmcerità 
di  riferire  le  fentenze  altrui . Ma  feguitiamo  la  Storia^ 
IV,  Il  P.  Efcobar  anch’  egli  rillrigne  la  parvità 
della  materia  ad  un'oncia:  il  Cardinale  Cozza  ad 
un’oncia,  e al  fommo  a due  . Il  P.  Zaccaria  Pafqua- 
ligo,  benignilfimo  neU'allargar  la  legge  del  digiu- 
no, rillrigne  quella  parvità  alPottava,  o al  piu  alla 
Iella  parte  di  un’oncia.  Antonio  di  Leon  a mezza 
oncia.  Traferivo  le  parole  del  Pafqualigo  , dccif. 
141.  Solum  parvitas  materia:  pojjfet  e xcuf are  a mor- 
tali.  Seti  difficultas  ejì  quanam  cenfenda  fit  parva 
.materia.  Cum  enim  talis  patio  adeo  nutriat , & 
corroboret^  diverfa  ejì  ratio  de  ipfa  ac  de  ceterh 
cibis . Antonhis  de  Leon  loc.  cit.  putat , dimidium 
ancia  chocolatis\poJfe  in  potìone  mi/ceri  tamquam par-’ 
vam  materiam . Sed  hoc  ego  nimium  esijìimo  : quia 

prò* 


cJxix 

pYopovuonaìUev  ìoquendo  umia  dìmìdia  chocolath  pìu$ 
nutrìt  , & corroborata  quam  fot  uncìa  alterius  cibi 
'ualde  nutritivi . Unde  cum  ad  hoc  fit  attendenda 
quantitas  formaìis , riempe  virtus  nutritiva^  utpote 
quia  in  jcjunio  prcccìpitur  abjlinentìa  a cibo^  tam* 
quam  a nutritivo  ; illa  habenda  ejl  prò  parva  mate- 
ria qua  parum  nutrire  poteji  : unde  puto  non  pojfe 
eccedere  oiiavam  partem  uncia^  aut  ad  fummum  feta- 
tam  partem  * alioqmn  femper  affert  notabilem  nutrì- 
tionem . Bifogna  dire  che  il  cioccolate  cui  pigliava 
il  P.  Pafqualigo  , foffe  d’  una  fquifitezza  lingola- 
re,  € pili  foflanziofo  di  quello  che  comunemente  fi 
prende  * 

V.  II  P.  Tommafo  Tamburino  anch’^  egli  giudica 
^he  mezz’  oncia  fia  materia  grave , c che  ripugni  al 
digiuno . Cosi  egli  fcrive  loc.  cit-  Ad  dignofeendum 
an  res  fit  modica  in  aliqua  materia , femper  e fi  re^ 
currendum  ad  finem  prohibitionìs At  certe  media 
uncia  chocolata  valde  nocet  fini  intento  ab  Ecclefia 
in  jejunio:  fiquidem  media  ejufmodì  potìonis  uncia 
rmltum  ac  valde  nutrir  ^ ^ ut  audio  ^ pluf  quam  fere 

uncia  alterìus  cibi  valde  nutrientis . Ergo  minus  re&e 
bac  in  re  parvitatem  demetiris . Fojfes  ad  eumdem 
modum  un  am  vel  al  ter  am  uncìam  eec  vjtellis  ovorum 
cum  modicijfimo  faCcari  frujìulo  aqua  ebullientì  im- 


mt- 


clxx 

mtfcevc  [ nam  ftc  pultem  noù  ingratam  palato  confla^ 
bis  ] ìllamque  fme  man  ali  abfumere  interdiu^  cum 
jejunas^  quia  Bulla  Ciruciatcs  gaudes  Apage  bcec. 

VI.  Il  P.  Millanta  come  coltivatore  della  Teolo- 
gia più  purgata  di  quella  del  P.  Tamburino,  ne  con- 
cede fefquiunciam  un’oncia  e mezza  : e quelV oncia  e 
mezza  pretende  che  giuftificata  fia  dalla  confuetudi- 
ne,  già  dimoftrata  una  perniciofa  corruttela.  Aggiu- 
gne  che  un’altra  oncia  e mezza  tu  la  polli  bere  con 
un  peccato  veniale . Pojì  epotam  chocolatcs  fefquiun- 
ciamy  ft  aliam  quoque  propinare  vellet , peccaret 
venialiter  oh  parvitatem  materiae.  Se  finalmente  la 
gola  ti  fpigneffe  a berla  per  la  terza  volta,  tu  allora 
peccherefti  mortalmente.  Sed  fi  infupev  quis  tertìo 
id  faceret  peccaret  mortaliper.  Qui  terminano  le 
Memorie  fpettanti  alia  Storia  del  cioccolate. 

5.  XII. 

Conciti fione  della  Lettera  con  poche , ma 
importanti  conJìdera:(^ionì . 

I.  'T^Erminato  il  racconto,  alcune  brevi  confide- 
razioni  aggiungo.  E per  cominciare  da  ciò 
che  in  ultimo  fi  è accennato,  chi  non  rimane  forpre- 

fo, 


clxxi 

fo,  c di  orrore  ricolmo,  nel  vedere  uomini  di  quel 
fapereche  i loro  difcorfi  fin  qui  narrati palefano, col- 
le bìlancealla  mano  a pefare  i peccati  mortali  *,  ed  i 
veniali  con  tanta  facilità,  con  quanta  numerano  le 
'chicchere  del  cioccolate?  Se  tu  ne  bevi  due  oncie,  di- 
ce quegli,  non  pecchi  che  venialmente.  Anzi  fe  tu 
ne  pigli  una  fola  mezz’  oncia,  tu  lei  dannato;  gri- 
da T altro.  Nò,  dice  quelli,  un’oncia  e mezza  è 
libera  da  ogni  colpa:  un’altra  oncia  e mezza  una  fo- 
la venial  colpa  feco  porta:  la  terza  fefquiuncia  con- 
tiene il  peccato  che  ti  manda  all’  inferno  eterna- 
mente. 

II.  Se  tu  chiedi  chi  ha  loro  date  in  mano  quelle 
bilance  per  pefare  con  tanta  facilità  i gradi  della  ma- 
lizia , e di  mandar  quello  con  una  chicchera  e mezza 
aU’inferno;  e l’altro  con  due,  con  quattro,  con  ot- 
to inParadifoy  ammutiranno  come  pefci . So,  e 1’ 
accordo,  che  i Teologi  pofiono  con  la  dovuta  cau- 
tela difiinguere  la  materia  grave  dalla  piccola,  ed  il 
mortale  dal  veniale  peccato  . Tutto  ciò  ammetto. 
Riprovo,  e detefto  foltanto  e la  troppa  facilità,  e 
la  troppa  franchezza  di  allargare,  di  crefcere,  difmi- 
nuire  a capriccio  quella  materia,  fecondo  che  a cia- 
fchedun  in  capo  gli  viene.  S.  Tommafo  dice  , che 
omnis  in  qua  de  peccato  mortali  agitur  , 


clxxii 

periculofe  deteYmìnatuY , nifi  verìtas  e^^prejfa  ha^ 

beatUY. 

IIL  Due  cofe  par  che  noi  polfiam  con  morale 
certezza  da  tutta  quefla  Storia  ricavare.  La  prima, 
che  r ufo  del  cioccolate  ripugna  al  precetto  del  digiuno  ^ 
La  feconda  , che  febbene  diali  parvità  di  materia, 
malagevole  però  è il  diiinire  di  quefta  i precifi  con- 
fini. Se  un  Pafqualigo,  un  Tamburino  aH’ottava, 
alla  fella  parte  di  un’oncia  la  riftringono;  che  dovre- 
mo noi  dire?  Dovrem  noi  per  una  mezza  chicchera 
più  e meno  giudicar  dannata , o beata  eternamente 
un’anima?  Ma  per  contrario  farai  tu,  olCrilliano, 
così  vigliacco,  così  cieco,  di  voler  arrifehiare  la  tua 
eterna  falute  peggio  che  Efau,  per  una  chicchera  di 
cioccolate?  Se  imprudente  io  farei  a diffinire  quelli 
confini,  per  lo  pericolo  di  errare  ; non  farai  tu  mil- 
^e  volte  più  imprudente  neiravventurare  la  tua  eter- 
na falute  ad  una  tale  incertezza  per  cofa  così  leggera? 
Se  tra  i Medici  vi  foffero  tanti  difpareri,  fe  vi  fia  o 
nò  il  veleno  mortale  nella  chicchera  che  devi  bere, 
quanti  ve  ne  fono  fra  i Teologi , fe  lia  o nò  in  quel- 
la il  peccato  mortale  ; ardirelli  tu  di  accollarvi  le 
labbra  ? Se  comunemente  i Medici  più  accreditati 
lleffero  per  la  efillenza  del  veleno,  come  per  la  efi- 
ftenza  del  peccato  mortale  Hanno  i Teologi  e per  nu- 


me- 


clxxiiì 

mero , e per  benignità , c per  dottrina  fuperiori  ; chi 
non  s’afterrebbe  da  tal  bevanda? 

IV.  Io  per  me  non  fìfferò  giammai  i limiti  a que* 
Ila  materia.  So  che  il  precetto  non  obbliga  quelli  che 
ne  hanno  vero  bifogno  ; e fo  del  pari  coi  certezza 
che  tutti  quelli  che  fenza  bifogno  la  bevono,  pecca- 
no . Quali  poi  fieno  i gradi  della  malizia  di  quello 
peccato,  io  gl’ ignoro . So  altresì  che  il  motivo  di  ila- 
re meglio  non  fonda  titolo  di  particolari  bifogno  , 
come  è certo  , che  fenza  patimento  non  è comune- 
niente  poffibile  il  vero  digiuno.  La  fperienza  di  tutti 
i Criiliani  che  prima  di  un  fecole  fenza  cioccolate 
digiunavano  , la  fperieaza  prefente  delle  cinque  parti 
de’  Criiliani  che  fenza  cioccolata  vivono  e in  rem-  > 
po  di  digiuno  , e fuor  di  digiuno  , fono  giuili  rim“ 
proveri  a tanti  ed  a tanti,  i quali  affateinati  o dalle  il- 
lufioni  della  gola , o da  un  amore  fmoderato  di  agia- 
tezze, di  comodità  , credono  di  non  poter  ofle,rvare 
la  fanta  Quarefima fenza  coteila bevanda. Sono ficuro 
che,  eccettuati  alquanti  infermicci,  e precifi  alcuni  ac- 
cidenti particolari  o di  fatica  grave , o di  debolezza 
ftraordinaria  , comunemente  quelli  che  la  bevono  , 
con  un  poco  d’incomodo  , e di  patimento  , offerve- 
rebbono  il  fanto  digiuno.  Baderebbe  un  impegno,  un 
puntiglio,  un  accidente  per  rendergli  adinentiflìmi  . 

Io 


clxxiv 

Io  ho  offervato  che  la  occafione  di  ufta  carica  5 di  tin 
impiego  ha  rendati  vigilanti , forti , aftinenti  quelli 
che  per  tanti  anni  a tutto  fi  dichiara  vano  impotenti.  Se 
io  poteffi  ottenere  da  qualche  leggitore  di  quefto  fcrit* 
to,  che  volefe,  fe  non  per  altro  , almeno  per  un  tal 
quale  impegno  metterfi  al  pnntc  di  fperiraentare  una 
fettimana  di  Quarefima  fenza  bere  cioccolate;  io  fa- 
rei certo  di  ottenere  il  bramato  fine , che  è di  rende- 
re almeno  uno  de’ miei  leggitori  aftlnente  dalla  pecr 
caminofa  bevanda . 

V.  La  opinione  dunque  di  poter  bere  la  cioccolata, 
per  cagione  della  parvità  della  materia  , io  per  m^ 
non  l’ammetto. Percliè primamente  non  fi  evitai!  pec- 
cato veniale  , che  dalla  confuetudine  non  refta  aboli- 
to 5 come  faJfamente  fuppone  il  Millante,  pretenden- 
do che  la  parvità  della  materia  fia  paffata  in  prefcri- 
zione  : il  cui  capricciofo  concetto  già  ad  evidenza  è (la- 
to rigettato  come  chimerico . In  fecondo  luogo  perchè  è 
difficiliflTimo  raffegnare  i confini  precifi  di  quella  par- 
vità, come  appare  dalla  varietà  di  que’medefimi  che 
la  difendono  . Terzo  perchè  nella  pratica  è malage- 
vqliflìmo  che  quelli  che  la  bevono  ne  pollano  fare  un 
ufo  così  precilo  . Quarto  perchè  ammelfo  l’ufo  della 
parvità  della  materia  , i’ abufo  è irreparabile  , come 
in  elfetto  fi  vede  . Tanti  di  quelli  che  fi  producono 


m 


clxxv 

k efcmpio.  per  autorizzare  !a  fcandalofa  corruttela  , 
€)  la  prendono  per  bifogno  , o la  pigliano  in  quantità 
piccola  . Ma  il  Pubblico  vede  , che  il  cioccolate  fi 
piglia,  e da  Religiofi  di  credito,  di  probità  :non  va 
più  oltre  a difaminare , fe  per  infermità  , o per  fiac- 
chezza d’ età  , o per  qualche  particolare  bifogno  , o 
finalmente  per  goloferia,  e per  ghiottoneria  tale  be- 
vanda fi  prenda . Tutte  le  corruttele  cominciano  a 
poco  a poco  ; e guai  a coloro  che  ne  aprono  la  por- 
ta : ma  non  perciò  meno  colpevoli  fono  coloro  che  le 
fomentano,  che  le  mantengono,  che  le  promuovono. 

VI.  La  confiderazione  poi  importantiflima  è que- 
fta,  che  fe  iCriftiani,  Religiofi  fieno,  o laici,  non 
praticano  un  po’di  vera  penitenza  corporale  la  Quare* 
lima,  quando  la  efeguiran  eglino?  O quelli  nulla  cu- 
rano la  eterna  falute  , o ignorano  affatto  la  legge 
evangelica  . S.  Paolo  ci  fa  fapere  , che  fe  vogliamo 
cffere  a parte  della  gloria«^del  Redentore , dobbiam  ef- 
fere  partecipi  delle  fue  pene.  Si  compatimm  ^ & con- 
glori ficabtmur  {a).  Non  è poffibile  che  lo  vegga  in 
cielo  gloriofo  chi  non  proccura  di  raffomigliarfi  a lui 
crocififfo  in  terra  . Aprite  gli  occhi , efclama  TAppo- 
ftolo  , e fiffategli  in  quefto  luminofiflimo  efemplare 

Gesù 


(a)  Ad  Rom»  vili. 


clxxvi 

Gesù.  Grillo,  per  li  cui  meriti  Iddio  v’ha  prcfcelti , 
c predellinati  , acciocché  mortificati  , ed  umiliati  , 
rinunziando  alle  opere  della  carne  , e del  peccato  , 
conformi  a lui  vi  rendiate . Quos  j>rafcìvìt , & 
deftinavif  conformes  fieri  imagini  filii  fui  . Il  fanto 
Davide  con  un  tuono  di  voce  propria  di  un  Sovrano 
grida  : Domini  indurati,  e contumaci,  e fin  a quan- 
do farete  voi  idolatri  della  vanità  , della  bugia  , e 
dell’errore  ? 'Filii bominum  ufquequo  gravi  corde?  W 
quid  diligitis  vanir apenty  & quarith  mendacium?{a) 
La  penitenza  così  interna  , come  efterna  , ella  è tal- 
mente neceffaria  per  tutti  quelli  che  hanno  peccato  , 
che  fenza  di  efla  è impoffibile  la  falute  • 'Nifi  poenU 
tentiam  egeritìs  ^ omnes  fimul  perìbìtis:  dice  Gesù  in 
S.  Luca  ( b ) . Quella  penitenza  ella  è qual  pianta  la 
quale  fc  non  produce  frutta  efteriorì  di  digiuni  , dì 
limoline , di  preghiere , ella  è Iterile , infruttifera  , 
dellinata  all’ eterno  fuoco.  Nifi  pxniten$iam  egerifisy 
omnes  fimul  peribitis. 

, VII.  Io  ben  preveggo  che  le  ragioni  fin  ora  addot- 
te quanto  fono  efficaci  per  convincere  l’intelletto,  al- 
trettanto languide  faranno  per  diftornare  i bevitori 
dalla  peccaminofa  collumanza  • Le  ragioni  prodotte 

per 


( a ) Ffiìlm.  I V . (b)  Ca^,  x 1 1 1 . 


clxxvii 

per  difendere  la  coftumanza  della  bevanda  fi  fono  di- 
moftrate  falfe  , vane  , ridicole  , ripugnanti  alla  retta 
ragione,  al  fenfo  comune,  alla  fperienza  univerfale. 
Adunque  una  delle  due  / o bifogna  palefarfi  talmente 
idolatri  del  ventre  , e della  gola  , che  non  fi  voglia 
più  afcoltare  la  voce  della  verità  ; o bifogna  rinun- 
ziare alla  corruttela  : o bifogna  entrare  nel  novero  di 
quelli  che  centra  ogni  ragione  vogliono  foddisfare  ai 
proprj  appetiti  ; o bifogna  arrenderli  alla  verità . Io 
fpero  almeno  che  ragioni  sì  forti , che  autorità  sì  ve- 
nerabili ferviranno  a rendere  perfeveranti  i buoni , a 
rinforzare  i vacillanti,  a prelervare  gl’ innocenti,  per- 
chè non  cadano  nel  viziofo  coftume  . Quefti  vo’io 
animare,  non  con  le  mie  parole  , ma  con  quelle  de’ 
Padri  fanti. 

Vili.  In  tutti  i tempi  vi  fono  fìat!  i viziofi , i go- 
lofi,  i ghiotti , che  hanno  tentato  di  deludere  i veri 
digiuni,  rimedj  efficaci  contra  i vizj  e della  gola  , e 
della  luffuria.  Anche  al  tempo  di  Sant’Agoftino  mol- 
ti alla  privazione  delle  carni  ,^e  de’  vini  foflituivano 
altre  deliziofe  vivande,  ed  ifquifiti  liquori . Cambia- 
no [ dice  il  Santo  Padre  ] non,  ifminuifeono  i piaceri. 
In  vece  del  vino  fpremono  dalle  frutte  inufitati  lico- 
ri. Non  erano  però  giunti  all’ecceffo  di  bevergli  fuo- 
n di  palio . Recitiamo  le  parole  del  Santo . Caven- 

M dum 


clxxviii 

(km  e fi  ne  muteSy  non  minuas  voluptam,  Vtdemenhn 
quofdam  prò  ufttath  vino  inufttatos  lìqmres  esqutre^^ 
re  , Ó*  \aliorum  esprejfione  pomorum , quod  ex  uva  [u 
hi  denegante  multo  fuavm  compenfare  : cibos  extra 
carnes  muìtipìicivarietate ^ ac  jucunditate conquirere : 
& fuavitates  , quai  alio  tempore  confe^arl  pudet  , 
huic  tempori  quaft  opportune  coìligere  : ut  videlr 
cct  obfervatio  Quadragefm<t  non  fit  veterum  con- 
cupifcentiarum  vepre Jfw  , Jed  novarum  d elici arum 
occafjo  . H^Cy  Fratte s , ne  vobis  perfuafa  fubre- 
pant  y quanta  potejìis  vigiìantia  providete . Far- 
ftmonia  jejuniis  conjungatur  . Sicut  ventris  cajìì* 
ganda  faturitas  , ita  gulne  irritamenta  cavenda 
funt.  [/;] 

IX.  In  un  altro  ragionamento  il  fanto  Padre  ci 
rapprefenta  la  vaniloquenza  di  certi  Dottorini , i qua- 
li anche  a quel  temp#  feducevano  con  larve  di  con- 
luetudini,  e con  fofifmi  inventati  nella  fcuola  della 
concùpifcenza  i femplici  Criftiani . Sono  certi  [ dice 
egli  joffervatori  della  Quarefima  più  deliziofi,  chere^ 
ligiofi,  i quali  vanno  Tempre  in  bufca  di  novelle  de- 
lizie , Fropter  bominum  errore^  , qui  per  vaniloquas 

fedu- 


( 4 ) Sir,  ccvii.  alins  Ixxi.  de  diverf,  iii. 


clxxix 

feduSliones , & pravai  confustudines  nobis  molejìam  prò 
vobis  caram  in  ferve  non  ceffant , tacere  non  pofsum. 
Smt  quidam  obfervatores  Quadragefmce  delkio fi  po^ 
tim  quam  religiofi^  epcquirentes  nomasi fmvitates  ma- 

gìs  quam  veteres  concupifcentiat  caftigantes Va- 

fa  in  quibm  cobt<e  funt  carnes  tanqtiam  immunda  for- 
midant,  & in  fiua  carne  vemris  j & gutturis  luxu- 
ri  arri  non  formidant . . é » . ^ Sunt  etìam  qui  ^ . alios 
ìiquores  non  falutis  caitfa  , fed  jucunditatis  ey^quì- 
rant,  tamquam  non  fit  Quadragefima  ptee  himUita-' 

tìs  obfervatìo  , fed  nòvae  voluptatis  oc  c a fio * 

Quid  auteiìi  abfurdiut  ^ quam  tempore , quo  caro 
arblius  efl  caflìganda^j  tantas  carni  fuavitates  pro^ 
curare}  [//] 

X.  Anche  San  Girolamo  altamente  dedama  contra 
le  delicatezze  che  alcuni  praticavano  al  tempo  fuo  * 
E pure  tanto  fono  inferiori  a quelle  de’noftri  tempi, 
quanto  i loro  digiuni  erano  dei  noftri  più  Teveri . La 
declamazione  fteffa  del  Santo  ci  palefa  , quali  erano 
le  delizie  che  accendevano  il  zelo  de’  Padri  fanti  • 
Quid  prodefl  oìeo  non  vefci^  & moìeftias  quafdam  5 
difficultatefque  ciborum  qucerere  y caricas,  pi  per  y nu- 

' M i j CCS  y 


(a  ) Ser,  ccx.  IxxiV* 


l 


clxxx 

cc%  , pahnarum  frdìus , fmtlam  [ ecco  le  delizie  di 

que’  tempi  ]we/,  pijlaccia? Audi»  praterea  ^uof- 

dam  cantra  renm , homtnumque  naiuram , aqmm  non 
hibere , non  vefci  pane , fed  forbitiunculas  delicatas  y 
& contrita  olera  , haccarmnque  fuccum  , non  ca.  i 
lice  forbere  , fed  concha  . ¥roh  pudor  ! Non  erube- 
fcimus  cjufmodi  ineptiis , nec  tasdet  fuperfiitionis  ? 
[rt]  E pure  quefte  bevande  non  le  praticavano  che 
nella  fola  unica  refezione  , e non  mai  fuori  di 

XI.  Ma  palTiamo  dagli  antichi  al  noftro  Santiffimo 
Padre  BENEDETTO  XIV.  il  quale  , ficcome  in 
ogni  fua  o Bolla  , oCoftituzione  , o Paftorale  porge 
al  cattolico  fuo  Gregge  infegnamenti  divini  per  la  ri- 
forma de’ coftumi , e per  riftaurare  la  ecclefiafiica  di- 
fciplina;  così  nel  BREVE  col  quale  ultimamente  ha 
efaltato  fu  i.fagri  altari  alla  pubblica  adorazione  de’ 
Fedeli  il  B.  GIROLAMO  EMILIANO  Fondatore 
della  illuRre  Congregazione  Somafca,  e luminofo  or- 
namento della  immortale  Veneta  Repubblica,  di  cui 
ne  lu  inclito  Patrizio , ci  lomminiftra  due  graviffimi 
infegnamenti  al  nollro  intento  opportuniffimi.  Ci  ri- 

cor- 


( « ) £?:/.  di  mn- 


clxXxt 

corda  in  primo  luogo  , che  la  penitenza  veramente 
criftiana,  valevole  a placare  lo  fdegno  della  provoca- 
ta divina  giuftizia , ed  a riformare  gli  {corretti  co- 
ftumijè  una  penitenza  mortificante  ,laboriofa,  fecon- 
da di  amari  pianti,  e di  Teveri  digiuni . Ci  fa  fapere 
fecondariamente,  che  noi  viviamo  in  un  fecolo,  non 
rigori fta, come  taluni  cercanodi  dar  ad  intendere,  ma 
INDULGENTISSIMO,  nel  quale  la  penitenza  cri- 
fiiana  , praticata  dai  veri  fervi  di  Dio,  e fpeciaU 
mente  dal  B.GIROLAMO  EMILIANO  , viene  con 
imbellettamenti  di  parole , e con  tai  lenqcinj  di  opi- 
nioni raddolcita  , e ammorbidita  , che  larva  può 
dirli  di  penitenza  . In  hoc  INDULGENTISSIMO 
Saculo  tot  verborum  knocinlis  delinltam  . Ma  tra- 
fcriviamo  intero  il  Pontificio  ammaeftramento  con 
eleganza  di  parole  , non  meno  che  con  fublimirà 
di  fentìmenti  efprefib  . Lapft  porro  , qutbus  incum- 
bit  ìmprobam  vìtéc  confuetudìnem  ^ corruptofque  mo* 
res  emendare^  non  .jUaìemcumque  potnitcnùam  in 
hoc  IN DU LGE  NT I S S I MO  fdcculo  tot  'verbo^ 
rum  lenocinih  delinitam , ftbì  fatis  effe  confidant  ; 
fed  hujus  fervi  Dei  moneantur  esemplo  , ad  gra- 
fia expianda  delizia  , /2d  fiellendam  Omnipotentis 
tram  ^ & ad  inflaurandam  fpiripus  novitatem , quam 
BEATUS  HIERONTMUS  TEMILI ANUS 

M i i j ajfe- 


clxxxii 

.^Ifecumejì^  & qu(;5  ipft  tantam  pcperìt  gloriarne 
fme  magnis  noflris  flctibus , & laboribus , divina 
id  esigente  jujiitia , pervenire  nequaquam  pojje . 

XII.  Io  ho  voluto  riferire  quefti  pochi  partì  , 
ommeflì  innumerabili  altri , perchè  coloro  i quali 
forfè  diranno,  che  io  poteva  tralafciare  di  fcrivere 
fu  quella  materia  , con  loro  confufione  veggano  che 
i noftri  Padri  fanti  contro  tali , anzi  minori , abufi 
occupavano  le  loro  penne,  e vibravano  i dardi  del 
loro  celefte  zelo . Se  a’  tempi  noftri  peggiori  abufi , 
c più  fcandalofe  corruttele  trionfano , e innondano* 
non  dovrem  noi  efercitare  le  noftre  penne , ed  op- 
porci airimpetuofo  torrente  delle  feoftumatezze  ? 
Saremo  noi  meritevoli  di  riprenfione , perchè  [in 
qualche  cofa  almeno  c’induftriamo  , affine  di  calca- 
re le  veftigia  di  que’  fanti  Dottori , che  la  Chiefa 
ci  propone  per  noftri  Maeftri  ? Ma  la  verità  fi  è che 
altri  non  vorrebbono  vedere  rimproverato  il  proprio 
vergegnofo  ozio  , la  vita  infingarda , ed  il  peflìmo 
colpevole  fcialacquo  de’  proprj  talenti  in  curiofità 
vane  : altri  golofi  non  vorrebbono  fentire  difgufta- 
ta,  e combattuta  la  loro  gola  ; altri  per  fine  rifpon- 
deranno,  che  la  difciplrna  è cambiata,  che  la  leg- 
ge del  digiuno  , effendo  pofitiva  , è fottopofta  a 
cambiamenti  , a mitigazione  , Lo  accordo  , Ma  è 

per 


clxxxiii 

per  avventura  foggetta  a mitigazione  quella  legge: 
Nifi  pxnitentiam  egerttis , omnes  fimul  peribif  is  ? 
E’  foggetta  forfè  a prefcrizione  quell’ altra  : Pache 
ergo  fruii  US  dignos  pxnhentia ...  Omnìs  arbor  qu(;e  non 
faeìp  fruUum  bonum  , excidetur  , in  ignem 
mhteturf  (/?)£’  forfè  più  facile  la  via  del  Para- 
difo  a’  tempi  nollri , che  ai  tempi  di  Girolamo , e 
di  Agoftino?  Era  forfè  più  leverò  Iddio  a quel  tem- 
po che  di  prefcnte  ? Quello  è tutto  ciò  che  di  più 
importante  ho  potuto  raccorre,  Monfignore  Illullrif- 
fimo  , e Reverendiffimo  intorno  alla  bevanda  del 
cioccolate  in  tempo  di  digiuno  • Serviranno  quelle 
Memorie  che  io  con  tutto  l’oflequiofo  rifletto  le 
raffegno,  almeno  perchè  non  pollano  quidam  deli- 
ciofi  potius  quam  religiofi , per  fervirmi  delle  pa 
role  di  Agoftino,  vantare  confuetudine  autenticata 
col  tacito  confenfo  : perchè  nella  Chiefa  fanta 
fempre  vi  farà  chi  non  approbat , non  tacer , 7ìon 
facit. 

XIII.  Prima  di  por  fine  alla  Lettera  , apporto 
una  dottrina  di  Sant’Agoftino . Quello  fanto  Padre 
tra  gli  altri  ha  prevenuti  in  gran  parte  i cavilli  di 

M i i i j cer- 


( a v.B.  0*  io. 


cJxxxiv 

certe  moderne  Teologie . Le  opinioni  inventate  nel- 
la fcuola  della  concupifcenza  fono  a un  di  preflb 
fiate  Tempre  le  medefime  . La  differenza  loltanto  è 
che  al  tempo  di  Sant’Agoftino  le  opinioni  laffe  fi 
fermavano  nelle  menti  de’Criftiani  trafgreffori  del- 
la ecclefiaftica  difciplina  , dove  che  da  alquanto 
tempo  fono  paffate  ne’  libri  di  molti  Cafifti  , ed 
autenticate  con  la  loro  autorità  . AI  tempo  di 
Sant’Agoftino  i Criftiani  golofi  , e voluttuofi  per 
coprire  la  loro  ripugnanza  ai  digiuni  , alla  peniten- 
za andavan  ripetendo  1’  oracolo  evangelico:  Jugum 
nteitm  fuave  eji , & onus  meum  leve  . Al  prefente 
non  folo  i Criftiani  ignoranti , ma  molti  Cafifti  fi 
abufano  di  quefto  divino  oracolo. /ed  evvegnachè  i 
libri  di  quelli  fieno  affatto  di  Scritture  fante  vuo- 
ti, tutti  però  dell’ accennato  oracolo  pompa  ne  fan- 
no : ed  alla  foavità  del  cioccolate  accoppiano  la  foa- 
vità  del  giogo. 

XIV.  Ora  il  gran  Tanto  Padre  in  cento  luoghi 
delle  fue  opere  fpiega  e la  foavità  del  giogo,  c la 
leggerezza  del  pefo  della  evangelica  legge  con  una 
dottrina  direttamente  oppofta  alla  moderna  cafifti- 
ca  interpretazione  . Certi  moderni  , quando  odono 
alcuna  dottrina  che  promuove  la  offervanza  fincera 
della  penitenza  , della  caftità  ^ rifpondono  : Jugum 


’ 

}. 


meum 


clxxxv 

^.ìieum  - Pretendono  quelli  effer  foave  il 

giogo  , perchè  fia  conforme  alla  carne  , al  lenfo  , 
alle  delicatezze*  Sant* Agoflino  con  tutti  e quanti 
gli  altri  Padri  infegna  ^ che  amariflimo  è il  gio- 
go , fe  fi  confiderà  la  graviffima  contrarietà  tra  ef- 
fo  e la  umana  natura  : graviffinio  è il  pefo  della 
legge  i fe  le  forze  fi  rifguardino  dell’ uomo.  Ma  Id- 
dio con  inneffabile  fapìeriza  ha  provveduto  Tuomo 
di  mezzi  opportuniffimi  a portar  quello  giogo  ^ ed 
a follener  quello  pefo.  Offervatej  dice  il  fanto  Pa- 
dre : i corpi  degli  uccelli  di  lor  natura  gfavi  fono 
e pefanti  ; ma  per  rendergli  al  volo  abili  Iddio  gU 
ha  provveduti  di  ale  ^ Il  cullode  degli  uccelli  iiì 
veggendo  nel  bollore  della  (late  che  tante  piume 
gli  rìfcaldano  j recide  ad  elfi  le  ale  , fedotto  da 
urta  falfa  benignità  di  rendere  piii  leggero  il  pefo 
del  loro  corpo  : ed  i poveri  uccelli  nell’atto  di 
metterfi  al  volo,  in  terra  fen  giacciono.  Iddio  per 
rendere  all’uomo  il  fuo  giogo  foave  , e leggero  , 
gli  ha  donate  tante  ale  , quante  fono  le  fue  divi- 
ne virtù i La  temperanza,  l’aftinenza  , il  digiuno, 
la  caftità  j la  giùftizia  , la  fede  , la  fperanza  , la 
carità  fono  le  ale  che  con  voli  fubiimi  a Iddio 
r uomo  portano  * Non  pochi  moderni  Cafifìi  per 
una  lagrimevole  illufione  , credendo  che  le  ale  di 

M i i i i j que- 


clxxxvi 

quelle  virtù  aggravino  il  giogo  della  legge  , o re-' 
cidono  affatto  parte  di  quefte  ale  , come  le  Teo- 
logali, dicendo,  che  non  obbligano  (e  non  per 
cidensj  ed  in  rari  cafi;  o talmente  quefte  ale  tar- 
pano, che  non  folo  non  fervono  al  volo  , ma  tan^ 
to  più  aggravano  il  giogo  , quanto  più  ingraffano 
il  corpo  . Il  giogo  è foave  , dicono  tanti  Proba- 
bilifti  . Adunque  la  cioccolata  foave  fi  può  bere  / 
adunque  nella  colezione  vefpertina  può  mangiarli 
mezza  libbra  di  ftorione.  Il  giogo  è foave  : adun- 
que non  bifogna  aggravarlo  con  proibire  ai  Cri- 
fiiani  commedie  , teatri  , giuochi  , converfazioni 
promifcue  * II  linguaggio  della  Scrittura  divina  è 
direttamente  oppofto  , Cajììgo  corpus  meum , & in 
fervitutem  redigo  , dice  San  Paolo  [a'\  : t lo  Spi- 
lo Santo  avvifa  : Virginem  ne  confpicias  , ne  for^ 
te  fcandaìii^ris  in  decoro  iìlius  [b) . La  penitenza 
vera  , la  cuftodia  de’  fenfi  , la  vigilanza  fono  le 
ale  che  rendono  agile  il  giogo  . Afcoltiamo 
Sant’Agoftino  . Vide  quia  oneratus  non  evis  , fi  ip- 
fum  audicris  . Jugum  enim  meum  leve  efl:  . Quid 
leve  e fi  ? Quid  fi  habet  ponduf , Jed  mtnus  ? .... 

Hcec 


(a)  Cmnth,  lyi.zj,  (b)  EccU.  ix.  5. 


clxxxvii 

ììse  farcirla  non  efl  pondm  onerati  , fed  aloe  vo- 
laturì  . Habent  & aves  pennarum  fuarum  farci- 
nas . Et  quid  fi  dìcamm  : Portant  alas  , Ù*  por- 
tantur  . Portant  iìlas  in  terra  , & portantur  ab 
illis  in  calo  , Tu  fi  mifericordiam  -velis  prabere 
avi  , prafcrtim  aflate  , & dicas  : Miferam  iflam 
aviculam  onerant  penna  : & detrabas  onus  hoc  : 
in  terra  remanebit^  cui  fubvenire  voluifìi  . Porta 
ergo  permas  pacis . Alas  accipe  carltatìs.  Hac  efl 
jarcina  : fic  implebi  tur  le>i  C bri fli . [a) 

XV.  V.  S,  Illuftriflìma  e Reverendiflima  fa  che 
tutti  gli  vromini  di  Dio  fi  lamentano,  e reftano  for- 
prefi  nel  vedere  che  i coflumi  fieno  rilaffati  nel  fe^ 
colo  noftro  airefiremo:  che  le  fcelleratezze  innon^ 
dino  da  per  tutto.  Ma  io  rifpondo  non  effer  ciò  og- 
getto di  ammirazione  , fe  in  un  fecolo  fiamo  nel 
j!  quale  non  pochi  de’ Teologi  medefimi  infegnano  , 

Il  approvano,  fpingono  : dove  F al  peccato?  Dirò.  Niu- 

no  infegna  effere  lecite  le  fornicazioni,  gli  adulte. 
I rj,  le  mollezze;  ma  infegnano,  e difendono  per 
lecite  quelle  pratiche  che  a si  fafti  peccati  con 
una  fpecie  di  morale  neceffità  inducono.  Concedo- 
no 


■li 

:|i  (a)  XXIV, 


clxxxviii 

no  airuomó  le  piìi  laute  vivande,  le  pià  fquKite 
delizie  nella  fteffa  Quarefima:  rendono  inzuccherati 
i digiuni,  ed  incipriata  la  penitenza  , accoppiando 
nella  fteffa  Quarefima  comunioni , e converfazioni  ^ 
cferciz)  di  pietà , ed  efercizj  di  galanteria . É fi  pre. 
tenderà  che  quefti  corpi  deftituti  di  digiuni,  di  pe- 
nitenza, anzi  ripieni,  ingraffati,  torofi,  in  amiche- 
vole converfazione  collocati,  fieno  puri,  catti,  pu- 
dichi  ? Non  farebbono  quefte  pretenfioni  ftolte,  e 
chimeriche?  Ecco  dunque.  Quefti  tali  norì  infegna- 
no  direttamente  leciti  gli  adulterj,  le  fornicazioni  ; 
ma  infegnano  effer  lecite  quelle  coftumanze  che  alle 
fornicazioni , agli  adulterj  con  moral  certezza  porta- 
no. Non  infegnano  effer  lecito  il  furto ^ ma  al  la- 
dro fpalancano  la  porta,  aprono  lo  fcrigno  t dico- 
no effer  lecito  toccar  le  doble,  baciarle,  vagheg- 
giarle.* e poi  pretenderanno  che  il  ladro  non  rubi? 
Air  affamato  imbandifcono  lauta  U menfa;  all’af- 
fetato  mettono  in  mano  le  tazze;  e poi  pretende- 
ranno  che  non  mangi,  che  non  beva?  Eh  che  chi 
concede  l’antecedente,  conceder  debbe  anche  il  con^ 
feguente. 

XVL  Ma  di  grazia,  Monfignor  llluftriflimo,  e 
Reverendiffimo,  facciamo  un’altra  pratica  importane 
tiffima  confiderazione.  Non  Colamente  in  quefto  no- 

ftro 


clxxxix 

firo  fecole  il  coflume  è guado  al  fommo;  mane  veg- 
liamo r ultimo  portentofo  moftro  di  quella  corruzio- 
ne, che  è la  incredulità,  la  miferedenza,  la  empie- 
tà . Per  formare  una  giuda  idea  della  maniera  onde 
fi  genera  quedo  pratico  ateifmo , richiamate  a me- 
moria la  maffima  del  Probabilida  P.  Hurtado  rife- 
rita di  fopra  al  §.  iii.  al  num.  ni.  Queda  infegna 
d’inventare  opinioni  che  plachino  le  cofeienze,  e che 
levino  dal  mondo  le  colpe:  tum  ad  pìacandas  con- 
feientias^  tum  ad  multa  peccata  njìtanda.  La  qual 
dottrina  con  più  di  chiarezza  s’  inculca  nel  §.  iv. 
al  num.  in.  E’ verità  incontradata  che  le  dottrine 
laffe,  non  meno  che  i vizj,  fono  la  vera  forgente 
della  incredulità . Queda  incredulità  ha  per  fuo  pa- 
dre il  cuore  marcito  nel  vizio , e per  fua  madre  la 
mente  fconcertata  nel  penfare  . Il  falfo  opinare  in 
materia  di  fede  è un  parto  legittimo  del  falfo  opi- 
nare in  materia  di  codume.  Si  pecca  prima  dal  po- 
polo con  rimorfo,  e con  notizia  della  colpa.  Que- 
llo lume  della  colpa  vibra  dardi  acuti  che  fquar- 
ciano  la  cofeienza . Per  godere  con  pienezza  il  pia- 
cere della  colpa,  fi  va  in  cerca  di  opinioni  tum. ad 
placandas  confeientias , tum  ad  multa  peccata  vi- 
tanda, Si  va  in  traccia  di  Teologi  che  travedano 
i vizj  con  colori  di  onedà,  che  tramutino  le  colpe 


in 


cxc 

in  virtù.  Cambiate  le  colpe  in  virtù,  eccovi  cam- 
biata la  fede  in  incredulità,  la  Religione  nell’ em- 
pietà. Non  è egli  vero,  Monfignor  Illuftriffimo  e 
Reverendiflimo,  che  tutti  veggono,  e confeffano  9 
che  la  incredulità,  la  irreligione  ferpeggiano  con 
funeftiffima  ftragep  Ma  poi,  aon  foper  quale  fatai 
deftino,  pochi  fono  quelli  che  vogliano  aprire  gli 
occhi  per  ravvifare  i veri  fonti  del  velenofo  con* 
tagio . Il  fumo  fi  vede , anzi  è cosi  denfo  che  da- 
gli occhi  le  lagrime  fpreme.  Ma  ninno,  o pochifli- 
hii  hanno  il  Coraggio  di  rovefeiar  l’acqua,  onde 
eftinguer  il  fuoco  che  il  fumo  produce.  Anzi  per 
ultimo  gaftigo  dei  peccati  noftri,  altri  prevenuti  da 
una  falfa  Morale , altri  agitati  o da  vile  invidia , 
o da  altre  occultiffime  paflìoni,  fi  oppongono  a co- 
loro che  con  intrepidezza  la  fana  dottrina  propu- 
gnano. Ma  rifirigniamorargumento . La  incredulità 
dal  libertinaggio , il  libertinaggio  dalla  libertà  di 
penfare  in  materia  di  coftume,  e la  libertà  di  pen- 
fare  in  materia  di  coftume  procede  dalla  libertà  di 
probabilizzare  che  fi  fa  da  que’Cafifti  che  inven- 
tano le  opinioni  ad  placandas  conjcìmùas y & ad 
'uitanda  peccata*  Sin  tanto  che  non  fi  applichi  la 
feure  alle  radici  venefiche  di  quelle  opinioni  no- 
velle le  quali  approvano  quelle  cofe  che  fpingono 

con 


t con  morale  neceffità  ai  vizj  più  moflmofi,  e fìnal- 
' mente  alla  incredulità,  non  fi  vedrà  giammai  rifor- 
ma alcuna.  Si  va  dicendo,  che  il  Probabilifmo  è 
una  pura  quiftione  di  voci,  fovra  cui  non  fi  dee 
più  litigare,  nè  rompere  la  pace  fanta,  quando  e 
l’autorità  de’fagri  Teologi,  e la  fperienza  lenfibi- 
I liflima  ci  fa  toccar  con  mano  che  quefto  Probabi- 
1 lifmoèla  forgente  univerfale  di  tutte  le  rilaffatez- 
ze  fijìematkbe ^ Perocché  in  virtù  di  quello  Pro- 
babiìifmo  fopra  ogni,  per  così  dire,  materia  mora- 
le fi  opina  per  l’una,  e per  l’altra  parte.  E quan- 
tunque da  una  parte  la  malizia  fia  quafi  evidente, 
fe  però  pochillimi  Cafifti,  di  tanto  fapere,  quanto 
ne  palefano  i libri  loro,  difendono  la  parte  con- 
traria, fubito  fi  argomenta;  Quella  opinione  è di* 
fefa  da  alquanti  Teologi:  dunque  è probabile.  Se 
probabile,  dunque  lecita.  Rendiamo  evidente  quella 
verità  coll’ applicarla  al  cafo  nollro.  Le  autorità,  c 
le  ragioni  che  dimoftrano  peccaminofa,  prccife  Iccir^ 
coftanze  di  bifogno  particolare,  la  bevanda  del  cioc- 
colate in  tempo  di  digiuno,  fono  evidenti;  o,  per 
abbondare  di  generofa  cortefia,  diciamo  che  fono  in- 
comparabilmente più  forti  delle  ragioni  addotte  dalfa 
contraria  parte;  e ciò  dovrebbe  bafiare,  ed  in  effet- 
to, prima  del  Probabilifmo,  baftava  per  coachiudere 

col- 


cxcii 

colpevole  la  bevanda.  Ma  di  prcfcnte  fi  difcorre così ^ 
Quantunque  fia  più  probabile  la  opinion  contraria, 
non  perciò  lafcia  d’eflere  anche  k noftra  probabile, 
benché  meno  dell’ altra.  Adunque  lecita,  e ficura  ^ 
In  effetto  , quanti  fono  quei  Cattolici  che  bevano  in 
Quarefima  il  cioccolate  perfuafi  di  peccare  ? Pochif- 
fimi.  Comunemente  in  onta  di  quanto  fi  è detto,  i 
Damerini,  eie  Damerine  la  mattina  eziandio  prima 
di  alzarfi  da  letto  rifcalderanno  il  loro  flomaco  colla 
foave  bevanda.*  ed  infieme  fi  comunicheranno  più  vol- 
te nella  Tanta  Quarefima  , ragionando  di  quella  gui- 
fa.  I noftri  ConfeiTori  ci  afficurano  che  quella  be- 
vanda è lecita.  I Confeffori  foggiungono:  E’  vero, 
perchè  molti  dotti  Teologi  ciò  probabilmente  infe- 
gnano.  E ficcome  fiotto  la  fcorca  della  probabilità  fi 
continua  la  colpevole  collumanza  della  bevanda;  co- 
sì l'otto  la  medefima  ficorta  .fi  continuano  i giuochi, 
le  converfiazioni,  le  cene,  quando  c’è  dilpenfa  dalle 
carni  , le  commedie , i teatri  , gl’  innamoramenti  . 
Adunque  è più  che  evidente  che  il  Probabilifmo  è la 
velenofa  forgente  delle  rilaffatezze  ftjìematiche . Di- 
co fifìematicbe  , perchè  è vero  che  fenza  Probabi- 
lifmo vi  può  effer  abufo  delle  migliori  dottrine;  e 
fenza  Probabililmo  vi  fono  (lati,  vi  fono,  e vi  fa- 
ranno peccati  in  ogni  genere:  ma  quelli  fono  almeno 


co- 


cxciii 

conofciuti  per  peccati,  e per  moftruofi  parti  della 
umana  debolezza.  Dovechè  le  indicate,  c cento  al- 
tre colpevoli  coflumanze  fono  dal  Probabilifmo  giu- 
fìificate.  E perchè  le  deferitte coflumanze  con  morale 
necefiltà  fpingono,  come  s’è  detto,  ai  peccati  piu 
gravi  , e più  enormi,  e quefli  precipitano  a vacilla- 
re fulle  verità  della  fede  fleffa;  perciò  ne  rifulta  ad 
evidenza  che  i’  opinare  probabiliflico  fia  la  infetta 
fonte  di  tutte  le  rilaflàtezze  fiftemntìche  ^ e per  ccn- 
feguenza  della  flefla  incredulità.  Gli  uomini  provve- 
duti di  acuto  difeernimento,  e di  buon  giudicio  na- 
turale, ma  per  altro  (chiavi  de’  piaceri  mondani,  veg- 
gono da  una  parte  la  evidente  ripugnanza  tra  i fanti 
comandamenti  della  fubiime  eriftiana  Religione,  e 
la  vita  fcofìumata  di  tanti  Signori  Crifliani , e Signo- 
re Crifìiane  . Dall’  altra  banda  veggono  che  quefta 
vita  feoflumata , che  quefta  condotta  è approvata  da 
non  pochi  e Teologi,  e Confefiori,  che  la  prima  fi- 
gura fanno  nel  mondo  cattolico.  Adunque  inferifeo- 
no.-  Cola  debbiamo  noi  credere?  Tanto  vai  dunque 
a continuare  la  carriera  noflra.  Adunque  chi  fa  come 
r affare  andrà  a finire.  Adunque  ....  Quefto  razio- 
cinio fi  renderà  piu  chiaro  in  altra  Opera,  in  cui 
di  propofito  fi  parlerà  della  incredulità  pratica  moder- 
na . Ecco,  Mcnftgnor  Illuflriffimo,  e Reverendiffi- 

mo, 


CXCdV 

mo,  le  MEMORIE  STORICHE,  che  io  , colla 
occafione  di  rifpondere  alla  (ua  Lettera  , ho  rac- 
colte intorno  all’  ufo  del  cioccolate . Se  quelle  in- 
contreranno l’autorevole  fua  approvazione,  non  an- 
drà gran  tempo  che  le  raffegnerò  un^altra  Lettera 
fuinNDIFFERENTISMO,  ofia  indolenzadi  tan- 
ti Cattolici  in  materia  e di  Religione,  e di  coftu- 
me,  fedotti  da  una  fpecie  iiFataìifmo^  e di  Poli- 
tìcifmo  di  accomodarli  alla  corrente  é Le  dipignerò 
con  giulle  pennellate  i ritratti  di  tanti  miferi  politi- 
chetti,  i quali,  avvegnaché  perfuali  che  molti  cer- 
cano e di  adulterare  la  fana  dottrina,  e di  promuo- 
vere un  perniciofo  Indulgentìfmo , nondimeno  ricu- 
fano  di  palefarli  per  manifefti  feguaci  della  verità, 
e ftudianli  di  camminare  con  un  piè  in  terra,  coir 
altro  in  mare,  a maniera  dell’ Angiolo  dell’ Apoca- 
liffe.  L’intereffato  vililTimo  timor  mondano  ó di 
rovefciare,  o di  ritardare  iproprj avanzamenti,  chiu- 
de loro  in  bocca  la  lingua,  e gli  rende  negl’in- 
contri, in  cui  v’è  il  precetto  di  palefare  la  veri- 
tà’, mutoli  come  ftatue.  Altri  , o per  acquiftarli 
fama  di  faggi,  di  prudenti,  o per  certe  altre  fe- 
crete  paffioni  , ed  occuItilTime  pieghe  dell’  uman 
cuore,  oftentano  un  certo  Savifmo^  un  certo  /«- 
differentifmo  , da  cui  derivano  le  piit  perniciofe 


con- 


cxcv 

confeguenze.  Tutte  quefte  immagini  io  le  delinec» 
rò  , Monfignore  , co’  tratti  i più  naturali  • Per 
ora  le  umilio  la  mia  fervitù  , e le  bacio  la  fagra 
vefte. 

Di  V.  S Iliuflriffima  e Reverendi fTima 


Vmiltjf.  D^vo^fìJJ,  Qèblipatiffmo  Servidore 

N.  N. 


CXCVl 


NOI  RIFORMATORI 


Dello  Studio  di  Padova . 

Vendo  veduto  per  la  Fede  di  Revifìone,  ed  approva^ 


xione  del  P,  F.  Paolo  Tommafo  Manuelli  InquifttoYs 
nel  Libro  intitolato  Memorie  Storiche  [opra  P ufo  della  cioc- 
colata^ efpojìe  in  una  Lettera  non  v’eUcr  cofa  alcuna  con- 
tro la  Santa  Fede  Cattolica,  e parimente  per  atteflato  del 
Segretario  noflro  niente  contro  Principi,  e buoni  coflumi , 
concediamo  licenza  a Simone  Occhi  Stampatore  di  Venezia, 
che  pofìTi  elTere  Campato  joffervando  gli  ordini  in  materia  di 
fìampe,  e prefentando  le  folite  copie  alle  Pubbliche  Libre- 
rie di  Venezia,  e di  Padova. 

Data  li  2.  Gennaro  I747»  V. 


( Daniel  Bragadin  Kav»  Proc,  Riff. 


( Barbon  Morofini  Kav.  Proc,  Rijf, 


( 


Rcgiflrato  in  Libro  a Carte  i<5.  al  N.  122. 


Michel  Angelo  Marino  Segretario,