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MEMORIE
STORICHE
SOPRA
L’USO DELLA CIOCCOLATA.
a
MEMORIE
STORICHE
Sopra l’ufo della Cioccolata
in tempo di Digiuno ,
ESPOSTE
IN UNA LETTERA
A MONSIG, ILLTfSTRlSS, , £ REVEREKDISS.
ARCIVESCOVO N N
IN VENEZIA
— t
Appresso Simone Occhi
M D C C X L V I I I .
CON LICENZA D E" S,V F E R IO R I, E VRIVILEG IO,
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» . "
Digitized by thè internet Archive, ^
in 2016
'L
https://archive.org/details/memoriestoriches1748conc
AL LETTORE CRISTIANO
che veramente crede.
Escono giornalmente da ogni parte Libri pefii-
feri che macchiano omfìà^ che corrompo-
no la virtù , che pervertono le majftme del
buon c 0 fiume ^ che rendono vacillante la creden'za
del Vangelo, Le pubbliche flampe d'Europa ci por-
gono Libri ^ che allettano a frequentare fcene^
7ìi , e giuochi : componimenti poetici che delicata-
mente aguT^no gli appetiti , e con fo avita le
paffioni incantano: Roman'zi lordi ^ che imbrattano
la fantafta^ ed immagini turpi imprimono nell' ani-
milo : Controverffli in fidio ft che attaccano i dogmi
fami : Libertini empj , che in ridicolo mettono la
Religione divina , Di sì fatti Libri , che da per
tutto mondano , chi fc ne lamenta ? Contro a quefli
Libri chi mormora? Chi al:^ la voce? Chi grida?
Ninno, Afìzi da altri con plaufo fi ricevono^ e da-
gli altri con piena indifferen'ga , e con profondo f-
icn^gio fi tollerano.
Comparile in pubblico qucflo Libretto^ nel quale
fi tratta con tutte le cautele poffibili un punto di
eccle^
ecclefiaftica difcipìina : cd eccovi la indifferen^s
f affai a in furiofa /manìa , il ftlen?:io rìfpetiofo ver^
fo gli accennati Libri pejlìknziali cambiato in mor^
morai/oni^ in ìjìrepitì^ in cenfure contea un Auto»
re^ perchè /piega un punto dì Morale crifliana. AU
tri diranno: E chi ha ìflituito co fluì legislatore ^ e
cen/ore ^delle co/luman'::(e moderne ? Altri grideran»
no: Al Rigorifta, al Mifantropo, al Fanatico. AU
tri /Irìngeranno le /palle ^ e con politiche^ e de /Ire
reticente diranno Da quejìa indifferenica ^ c
indolen'za nel primo: e da quejìo /degno/o ri/enti»
mento nel /ecoìido ca/o nojlro , conchìuderai quale /sa
la credenza^ quale lo /pirito dominante in molti
del /ecol nojìro. Ex angue Leonem. yhi /elice.
INDICE
§. I.
^^Ccaftone di fcrivere . pag. i
§. II.
Si premettono alcune avvertenze per far capire con chiarezza
la importanza , e lo flato precifo della qmflione . xx
§. IIL
Origine della cioccolata neW Indie . Sua introduzione in Eu~
ropa , xxviii
§. IV.
'Documenti de^ Teologi propugnatori deW ufo del cioecoìate in
tempo di digiuno^ xxxvl
§. V.
Le ragioni plà robufle allegate in favore della lecita bevanda in
Quareflma fimi di pafto . xliii
§. VI.
Raccolta di tutte le altre ragioni prodotte dal P, Hurtado in
difefa del cioccolate , li
f, VII.
§. VII.
Due Cardinali Brancaccio e Cozza propugnano V ufo del cioc-
colate infteme col digiuno . Ixv
§. Vili.
Tre altri Dottori ferivano in difef a della bevanda del ciocco^
late in Quarefima » Ixxv!
§. IX.
1 fagrì Teologi Antiprob abili fii ^ e Probabili jìi infieme ripro*
vano comunemente la bevanda del cioccolate in tempo di di-
gitme . Pretendono che le ragioni loro fieno ad ogni replica
fuperiori . cxvi
§. X.
Efame delle ragioni narrate a favore della pozione Indiana . I
Jagri Teologi pretendono di dimofìrarcy che quelle non fieno
ragioni y ma illu fièni ^ e cavili azioni ripugnanti ^ e che feri-
feono il fenfo comune , non che la difeipUna della Chiefa
Romana . cxxlx
§. XI.
Se la parvità della materia renda lecita la moderna coflumanm
del cioccolate in tempo di digiuno . clxvi
$. XIL
Conclufione della Lettera con poche , mà importanti confiderà-^
zioni . clxx
i
ILLUSTRISSIMO E REVERENDISSIMO
SIG. SIG. PADR. COLENDISSIMO
L
Ceca Clone di ferì vere .
O fiimatifTimo foglio che V. S,
Illuftriffima, e Reverendiffima
già due ordinar) m’ inviò, ri-
pieno delle folite lue gentilez-
ze verfo di me, nella trilla ne-
ceflità mi ha pollo di rifponde-
re fopra un punto nel quale non cl farei da me
giammai entrato, per efl’ermi purtroppo nota la guer-
ra che quello fa ad una delle più delicate, e delle
più intereflànti palTioni , qual è quella della gola.
Ella mi chiede, fe vera fia la voce per varie Città
d’ Italia fparia, che un Predicatore nella pallata Qua-
refima dopo aver in una delle principali Città do-
minanti condannato V ufo del cioccolate in tempo
di digiuno, fiafi poi pubblicamente fullo He ffo Pul-
pito difdetto. A quella lua inchiella io non pollo
prec i fa , e netta rifpofta recare, fenza efporle fotto
gli occhi la fincera narrazione del fatto. Quello è
talmente col diritto conneffo, che appena poìTo di
A quel
quello fenza di quello parlare. Or V. S. Illuflrifli-
ma 3 e ReverendilBma ben quindi comprende a qua-
le cdiofo cimento io m’elponga. Se uno fpirito di
antica feverità a condannare mi fpigneffe l’ufo del-
la faporofa pozione, io in quello cafo controdi me
provocherei tutto il mondo ricco ^ nobile, delicato,
deiiziofo 3 e quali quali direi eziandio religiofo; giac-
ché a’noftri tempi ancora di quelli fi trovano di cui
favella Sant’ AgoUino : Sunt quidam obfervatores Qua-
drago fimcc deìicioft potius quam religio fi , exquiren^
tes novas. fuavitates. {a). E’ vero che S. Agollino,
che S. Girolamo, e tutti gli altri Padri con piena
libertà parlavano centra fimili corruttele; ma a tem-
pi nollri tanta minor libertà c’è di parlare, quanto
maggiore è l’ eccello de’vizj, ed il numero de’ vi-
ziofi. Quelli non folo vogliono foddisfare i proprj
appetiti, ma pretendono di veftire i loro vizj col
manto di virtù, e di mantenerli in pacifico poffel-
fo di quelle ooftu manze che fono alle paflloni loro
più conformi, e di fdegno fi accendono centra tutti
quelli che ardifeono di condannarle. Farmi già di
udirgli contra 1’ Autore di quello Scritto dolcemen-
te con fillabe ben aggiuftate in sì fatta guifa nelle
^ ami-
(a) Ser .cc'A. alias caf\ vili.
m
amichevoli converfazioni difcorrerfela . E quando
mai la finirà cotefto buon uomo di ftordirci T orec-
chio con quelli fuoi digiuni di prifca invenzione
Pretende di far a quelli depor la borfa: a quefU
vuol far gittar le chicchere, ed involar loro la cena.
Olfervate fin dove giugne il coraggio fuo. Ardifce
di metter in difpata per fino la confuetudirie di be-
re la cioccolata in Quarefima. V’ha egli prudenza
nel toccar tallo così delicato? Oh di quanti impru-
denti* il mondo abbonda. Sembra che cert’uni ab-
biano per ifeopo di renderli odiofi, e di efporfi al-
le pubbliche dicerie . Colto io tra quelli due feo-
gli, o di commettere inciviità con lei, le non ri-
fpondo , o di tirarmi addoffo una tempefta di rim-
proveri, fe alla concupifeenza rapifeo sì guflofo ri-
ftoro, mi Infingo d’avere feoperta via di mezzo,
per cui evitare tutti e due gli eftremi. Horìfoluto
adunque di non veltire in quella calila la divifa nè
di benigno Probabililla, nè di fevero Teologo, ma
foltanto quella di Storico. Quindi ho proccurato di
raccorre tutte le ragioni che dall’ una, e daU’altra
parte fono Hate fin ora inventate ; le quali unite
infieme ralfegno a V. S, Illufltiffima., eReverendif-
fima , Quelle potranno fervir di MEMORIE alla
Storia Teologica della bevanda del cioccolate in
A ij
tena-
h
tempo di digiuno. Ma prima dì tutto conviene che
alla domanda fattami dia rifpofta. Sappia pertanto V.
S. Illuftriffima, e Reverendiflima, che io fui pre-
lente a tutte e due le mentovate prediche, e nella
mia memoria fono vivamente impreffe le cofe tut-
te che in tal propofito il Predicatore recitò. Nella
feconda parte della prima predica detta nel giorno
delle ceneri fopra il comandamento del quarefima-
le digiuno inculcò le feguenti verità.
IL „ Riveriti Afcoltatori, fino al tredicefimo fe-
„ colo il digiuno della Romana Chiefa fu fempre
5, mai ofiervato con una fola refezione il giorno ,
„ fatta prima verfo il vefpero, poi intorno a nona,
,, e finalmente circa ij mezzo giorno . Dopo tanti fé-
„ coli fu introdotta la Cole7:iom della fera, cosi
„ chiamata, perchè fatta dopo le conferenze fpirituali
5, dette Colla':^om, Confifteva quefta in una mera
5, bibita d’acqua. Si aggiunfero poi o un po’ di frutte,
35 o un po’ di pane . Al tempo di S. Carlo Borromeo
5, era riftretta ad una fola oncia di pane, e a due
„ bicchieri di vino. I pofteriori Cafifti, più benigni,
3, e più dolci di S. Carlo, l’hanno accrefciuta chi a
5, quattro, chi a fei, chi a otto, e chi per fine,
„ colla corameffione di una fola venia! colpa, fino a
3, dieci oncie di ogni forra di cibi quarefimali. Da
55
V
alquanti anni è fiata introdotta un’altra colezione
5, la mattina confiftente in una faporofa bevanda ma-
5, nìpolata colle droghe del novello mondo. Sicché il
„ digiuno del Secol nofxro dotto ed erudito , egli è
un digiuno il più vago, ìi più benigno, il più pia-
„ cevole del mondo. Egli ammette un faporito, elo-
,, fianziale rifioro la mattina; un lauto pranfoamez-
„ zo dì: una colezione la fera di otto onde, che
5, ben diftribuite formano ad uomo di ordinario vitto
,5 una buona cenetta. Se in un digiuno di quella fatta
5, vi fi ravvifi la vera immagine di quella penitenza,
„ e mortificazione, che forma lo fpirito, e la vera
„ eflenza del digiuno ecclefiaftico , lafcio a voi,
„ fiimatiffimi Signori, la decifione.^^
III. Con quefte caute maniere menzione fece il
Predicatore della cioccolata. I Fautori della Moral
dolce andarono diffeminando per la Dominante au-
gufta Città, fpezia! mente nelle cafe delle Dame,
e delle Principeffe , dove è famigliare P ufo della
deliziofa bevanda , che il P. Predicatore avea detto
dal Pulpito , che chi beve una chicchera di ciocco-
lata, pecca mortalmente. E per conciliar più nu-
merofo concorfo al P. Predicatore , foggiunfero:
Ecco, o Signore, le fevere dottrine di certi Zelan-
ti de’ nofiri tempi. Opprimono % poveri Crifiiani
A iij
con
vi
con gioghi crudeli, efuperiori alle umane forze, con-
tra lo fpirito della divina legge loave , e dolce , e
contro la intenzione della benigniflima madre fanta
Chiefa. Riempiono le anguftiate anime difcrupoli,
e lacerano le vifcere della cofcienza. Voi però, Si-
gnore, per non intorbidare la tranquilla calma del
cuor voftro, e per non difturbare le voftre eofcien-
ze, non date retta a fimili Predicatori, da’ quali fe
ilarete lontane, ferete aflai bene. Sappiate che non
folo una chicchera di cioccalata il giorno in tempo
di Qiiarefima , ma due , quattro, e quante volte
voi volete, potete lecitamente bere: perchè quella
è una pura bevanda; e per altro lìquida ?ion fran-
gunt. Quindi liccome il vino, così la cioccolata po-
tete bere fecondo che v’aggrada.
IV. Quelli difcorfi furono fatti alla prefenzadiper-
fone e fecolari , e Religiofe gravi , dotte , e probe ,
fuperiori ad ogni eccezione , le quali puntualmente
gli riferirono ai Padre Predicatore . Quelli afficura-
to da più tefiimonj graviffimi della verità del fat-
to, giudicò fpediente , anzi neceffario di rintuzzare
dal pulpito la civolgata perniciofa impollura. Però
la feconda Domenica di Quarefima , dopo che reci-
tata ebbe la predica del Paradifo , ad un popolo così
tiumcrofo, che riempiva tutto il vafto Tempio [ ep-
pur
pur altrove fi andava dicendo, che banchettava] fece
quefta feconda parte.
V. „ Io fo di certo , miei dilettiffimi afcoltanti,
„ efl'erfi fparfa voce per la Città , eh’ io infegnato
„ v’abbia nella mia prima predica , che chi beve
35 una chicchera di cioccolata, pecchi mortalmente *
55 Voi fiete di quefta patentiffima falfità teftinionj
, irrefragabili . Io in quella prima predica del di*
35 giuno , altro non vi ho detto che le feguenti
,5 verità . e recitò le parole che qui addietro fi
fono narrate : e poi ripigliò di quefta guifa il fuo
difeorfo.
VI. 55 Con quefta occafione giovami bene di afii-
,5 curarvi , che io rinunzio , maffimamente in pul-
3, pito , a qualunque partito di fcuole . Elercito
55 qui 5 avvegnaché indegnamente , il miniftero ap-
55 poftolico di efplicarvi la parola fanta , fecondo le
35 interpretazioni de’ Padri , de’ Concilj , e di que.
55 fta Romana Chiefa . Sappiate , che fe io vi rap-
55 prefento la Morale evangelica di Gesù Grillo
55 più fevera di quello che veramente ella è in sè
35 ftefta 5 pecco ; fe io ve la raddolcifco più del giu-
55 fio 5 pecco . In dubbio o di fevcrità , o di con-
,5 difccndenza , mi appiglio alla clemenza , dipendo
chQ Deus dives ejì in miferìcordìa : Ephef. 11.4.
A iiij Cai
33
VHl
35 Chi ihfegna foverchio rigore, pecca , c pecca da
5, matto 5 perchè fa due mali ; Tuno perchè infegna
3, la falfità ; l’altro perchè infegna una falfità tor-
5, rnentofa , e che al mondo rende odiofa la cri-
fìiana morale. Chi infegna foverchio benignilmo,
55 pecca 5 perchè infegna il falfo ; ma almeno fe fa
55 un male , fi procaccia un tal qual bene , perchè
55 infegna una falfità che piace , che incontra , e
55 che fi acquifta il feguito numerofo di due terzi
55 del mondo , del mondo ricco , e nobile. 11 ri- i
35 ferito fatto della cioccolata, quefla verità grande-
55 mente conferma. Quelli che fpacciano poterfi le-
55 citamente bere toùes quoties ciafcun vuole la cioc-
55 colata in tempo di digiuno , il genio incomra-
55 no 5 il plaufo 5 e le acclamazioni della maggior
55 parte del mondo delicato , e avido di dottrine ^
53 che agli appetiti proprj fieno accomodanti. Ora '
55 per voftra iflruzione fappiate , che ficcome io non j
55 ho giammai da quefio pulpito pronunziata la mem
53 tovata opinione , che la bibita di una fola chic-
53 chera di cioccolata contenga un peccato morta-
^ le 5 così non giudico fpediente di decidere fe j
55 quella dottrina fia vera . Sappiate , che io non
55 mai dal pulpito adopero la diftinzione di peccato
35 mortale , e di peccato veniale , fe non nelle cofe
evi-
ix
„ evidenti . Lafcio il famigliare ufo di quella di-
„ ftinzione a certi Cafifli , i quali nelle loro Som-
55 me veggonfi con in mano le bilance della mali-
55 zia 5 di continuo intercalando : Wrum fit peccai
55 tum mortale , vel veniale . Frobabilìm effe
55 peccatum veniale . Se io voleffi palefare a voi
55 ciò che fento intorno all’ ufo della cioccolata ,
55 vi direi 5 che quefta bevanda ripugna al precetto
5, del digiuno ; direi 5 che fi dà parvità di materia ,
5, e che dal pulpito non vo’ decidere quale materia
55 fia grave 5 e qual leggera . Ma lafciando da banda
35 per ora la fentenza che io foftengo in quefta ma
55 teria 5 mifo,a prefervarvi dall’errore gravifiìmo ,
55 fparfo dagli avverfarj per quefta voftra augufta
^5 Città . Dico per tanto francamente 5 che la dottri-
55 na colla quale s’infegna, che in tempo di digiu-
55 no fi può lecitamente bere toties quoties Uno ^\xo\q
55 il cioccolate, è una dottrina falfa , erronea, ican*
5, dalofa : che gi’iafegnatori di tale dottrina fono
55 in ciò perniciofi alla Romana Chiefa , che difere-
55 ditano la noftra fanta Religione , che rendono
55 fpregevole la fanta difciplina*^ de’ noftri digiuni
3, prelio gli ftelTi Eretici 5 i quali appunto per fimi-
35 li dottrine fi burlano de’ digiuni noftri , dicendo
35 c con !a voce , e colle ftampe , che tra i Papifti
55 quelli
X
quelli digiunano i quali non hanno di che man-
„^giare : e che perciò grinfegnatori di così fcan-
5, dalofe dottrine meriterebbono d’ effere gaftigati
5, come perniciofi al ben pubblico della noftra fan-
„ ta Cattolica Religione.
VII. „ Ecco, miei riveriti afcoltanti , dove va a
5, parare il Benigm/mo moderno , che Tempre gri-
,, da .* Al Rigori/mo , al Rtgorifmo . Io detefto tut-
,, te quelle dottrine foverchiamente auftere , inven-
3, tate di là da’ monti , e dannate dalla Chiefa ; e
3, parlo unicamente di quel morale pratico Rigo-
5, rifmo contrario alle laffe opinioni di tanti Cafi-
5, fli . Dico , che fe un Foreftiere Orientale non
3, pratico de’ cofiumi noftri capitaffe qua in Italia ,
„ in udendo da per tutto a rifuonare : Al Rigori-
„ , al Rigorijla : guardatevi da certi RigorilU
5, imponenti : il gran male , i gravi turbamenti che
„ nelle buone cofeienze cagionano quelli Rigorifti ;
„ quello Forelliere , fe ad occhi chiafi tali voci
3, afcoltaffe , a credere fi darebbe , che i Cattolici
3, fodero una Setta fiera , difumanata di Circonci-
,, lioni , di Flagellanti , di Mifantropi maciati ,
„ fcarnificati da difcipline fanguinofe , ellenuati da
„ feverillimi digiuni . Non è così ? Ma fe poi que-
„ Ito Forelliere fchiudeffe gli occhi , ed a confide-
rare
xi
rare fi faceffe le lautezze delle menfe quarefimali ,
„ le carni che per ogni minimo pretefio nel tempo
5, fagro fi mangiano , le gozzoviglie , i banchetti ,
3, le fquifitezze maggiori , o minori fecondo che le
„ borie il permettono ; qual idea , qual concetto
55 ne formerebbe egli della Cattolica Religione? Non
55 griderebbe, che il Rìgorifmo fpacciato da’Benigni-
35 fii è una chimera , che in pratica nell’ Italia non
33 fi trova : una larva inventata dal Demonio per
53 dare il guafto univerfale alla Morali di Gesù Cri-
33 Ilo ? Non griderebbe , che il Lajftfmo è il vizio
33 vero 3 e reale : il vizio dominante , che aggui-
35 fa d’impetuòfo torrente innonda da per tutto , e
55 da per tutto trionfa e ne’ digiuni , e nelle fre-
55 quenti Comunioni [ che qui ci farebbe da fcrive*
33 re un Tomo ] e nelle impudicizie , e nelle com-
35 medie , e ne’ giuochi . Voi dunque , o Cattoli-
35 ci 3 guardatevi da coloro i quali vi dicono che-
55 potete foddisfare l’appetito in bevendo toùes quo
35 tm 3 quante volte a voi piace , la faporofa bevan-
3, da del cioccolate,
Vili. Tutte quelle cofe recitò dal pulpito il Pa-
dre Predicatore con voce così chiara , e così rifuo-
nante , che fi fece fentire per ogni angolo di quel-
la vafia Chiefa asche dai mezzo fordi . Che ne dice
ora
Xll
oraV.S.IlluftriflìmajeRcverendiflimaPUnadeclaniaiiio-
ne sì forte e contra T abufo della bevanda, e cen-
tra la enormità deila impoftura viene fpacciata per
una difdetta, perlina ritrattazione ^Quello è il Seco-
lo delle RhratPazioni . Si raddoppiano a gruppi le
falfità.Si divulga, per rendere odiofo il Predicatore,
che condannaffe di mortale colpa la bibita di una
fola chicchera di cioccolata , quando neppur men-
zione di ciò vi fece. Riprovata quefta calunnia, fe
ne inventa una peggiore , in dicendo , che dopo
aver condannato V ufo della cioccolata in tempo di
digiuno, fiafi pubblicamente ritrattato. Sono incrc.
dibili le cofe per altro certillime , che in varie Cit-
tà d’Italia fi vanno fpargendo . Quando certi Signo-
ri , e certe Signore criftiane timorate di Dio du-
bitano di contravvenire al precetto in bevendo il
guftofo riftoro , immantinente loro vien detto
y, S, non ft lafcì dominare da fmili fcrupoli ma-
line onici . Acciocché con maggiore tranquillità di
cojcienxp pojfa bere il fuo cioccolate la mattina ,
ed il giorno , e quando njuole , fappia , che il Pre-
dicatore N» N. per aver condaìmato r ufo di quejìa
bevanda è flato da Suprema Autorità obbligato a
disdir ft in pulpito pubblicamente . Quefio è il bal-
famo d’ invenzione novella che fi va ora adoperan-
do
ào 5 per guarire le piaghe delle difcipline , e de-
cilicj , per ritìorare dalle lunghiffime inedie K%i^i-
diffimi Criftiani , e le maciate Dame de’ tempi no-
i\r\ . Prima dei due Brevi Pontificj centra la cena
dei dilpenfati a mangiar carne , fi diceva ai Cri-
fliani dubbiofi di peccare in cenando .* Mangi V. S.
la iera lulla mia cofeienza un quarto di cappone :
ora che tale opinione è difapprovata , fi dice .* Be-
va V. S. il cioccolate , perchè chi il predicava in-
compatibile col digiuno 5 fi è difdetto . Che ne di-
re 5 Monfignore , di quella premura , di quello im-
pegno univerfale per la Morale , diciamola , non
larga, ma indulgente ? Ogni uno può impegnarfi in
una qualche falfa opinione . Ma quella deliberata
prontezza di animo di fpalleggiare , di proteggere
tutte le opinioni accomodanti , e confacevoli alla
carne, ed al fangue, parmi che Ha una cofa affai fi-
gnifìcante. Sì difputa , fe'ila cena Ila lecita : Signor
sì . Si difputa , fe il cioccolate fia lecito .* Signor
sì. Si difputa, fe quelle ceremonie fiano lecite .-Si-
gnor sì. Si difputa , fe i Canonici poffano fare la
foia figura di fiatue mute in coro , fenza cantare :
Signor sì. Si difputa...'. Ma capperi, Monfignore,
la cofa va troppo , e tanto innanzi , che io fulla
fine di quella lettera vi accennerò le confeguenze
che
xiv
che da tal opinare Tempre indulgente , e Tempre
impegnato per le fentenze favorevoli alla umanità
deliziofa, neceffariamente derivano .Alcuni fi lamen-
tano, , e gridano , Ali" impo flora , al caìumììiatore ,
quando fentonfi accufati di Laffifmo , di Benigni f-
mo 5 quando veggono fotto il bel punto di giuda
veduta efpofte certe Arane opinioni .• e poi non fi
accorgono , che con la pratica cotidiana vifibile di
propugnare con impegno le accennate opinioni, ven-
gono a confeffare per verità incontraftabili quelle
che per non faper altro che dire , chiamano impo-
fture . !\la ripigliamo per ora il ragionamento no-
ftro. Dalla difdetta promulgata per Italia inferifco-
no , che anche fecondo il Padre Predicatore Ri-
gorifta li può lecitamente nella Quarefima la mat-
tina affaporare , e bere allegramente il dolce rW
fioro.
IX. Voi quinci comprendete , Monfignore , che
quefta impofiura non tanto è diretta a difcreditare
il P. Predicatore, quanto a rendere trionfante la cor-
ruttela della bevanda ^ e deridevole la fagra difciplr
na del quarefimale digiuno . Se lo fielfo P. Predica-
tor fevero ha dovuto pubblicamente difdirfi della con
danna;z;ione pronunziata contra l’ufo della cioccolata
nella Quarefima, chi potrà in avvenire a tale coftu-
man-
XV
manza opporfi? Se un Rigorida cosi auftero ha do-
vuto finalmente approvarla, chi ardirà di contraddi-
re ? Quelle fono le argomentazioni colle quali fi fludia-
no di canonizzare la corruttela, di accomodare alla
gola il digiuno, e di mettere in pacifico poffeffouno
fcandalofo Lajjìfmo.
X. Ed eccovi, Monfignore, la forte ragione che
m’ha obbligato a raccogliere con quella occafione di
rifpondere alla domanda voflra, le MEMORIE STO*
RIGHE fpettanti all’ ufo della cioccolata in tempo
di digiuno. Se la falfa voce fparfa aveffe rifiagnato
nel digredito folo della perfona del P. Predicatore,
non avrei fatta della impoftura parola alcuna, benfa-
pendo ch’egli fi è già renduto fuperiore alle maldi-
cenze de’fuoi avverfarj. Ma il debito flretto di difen-
dere, per quanto la fiacchezzaj'mia il permette, la
Criftiana Morale, e il zelo di mantenere nel fuo vi-
gore la fagra difciplina del quarefimale digiuno ,
|.anto combattuto ai tempi noftri, non folo colla fre.
quenza delle trafgreflioni , ma molto peggio colla
pravità delle opinioni , i veri , e foli motivi fono
fiati che a pubblicare in quefta Lettera le dottrine
de’ Teologi fu quefio controverfo punto mi hanno co-
firetto. Dicami chiunque è di buon fenno fornito, fe
fenza colpa potevafi lafciar correre la riferita falfità
f^ar-
xvi
fparfa per tante Città d’Italia con si grave pregiudl-»
zio della quarefimale offervanza .
XI. E’ dottrina comune dei Padri, che non (olo
coloro la verità tradifcono i quali invece della veri-
tà fpacciano le bugie , ma eziandio quelli che per
una larva di fciocca politica, o per un vano mondano
timore di foggiacere ad impofture, ed a calunnie,
non palefano la verità, o tralafciano di difenderla,
quando uopo è di manifeftarla , e di coraggiofamen-
te propugnarla, come infegna S. Giovanni Grifofto-
mo, o chiunque fia l’Autore dell’Opera imperfetta.
NoH folum ille proditor eji verìtath qui tranfgv^-
diens 'veritatem^ paìam prò meritate mendacìum lo^
quitur ; [ed etiam ille qui non Ubere verhatem
pronunttat ^ qucim libere pronuntiare cportet , aut:
non Ubere veritatem de fenditi quam Ubere defe?i- '
dere convenite proditor eJi ^eritatis {a)* Oppongo-
no i prudentoni del mondo, che le coftu manze fo-
no talmente avanzate, ed hanno gittate radici sì pro-
fonde, che è una manifefta imprudenza ,* per non
dire una pazzia, il volerfi opporre alla corrente uni-
verfale: ed approvano quello lor perniciofo errore
coll’oracolo dello Spirito Santo: Ubi auditm non
e/l
(a) Homt XXV t in
xvii
ejì^ non effundas femonem: Eccli.xxxii. Il fenfo
legittimo di quello divino oracolo è , che quando pru-
dentemente fi prevede che quello, o quel privato c
ollinato nella malvagità, allora lì debba fofpendere
la correzione privata. All’ incontro per la fcandalofa
contumacia de’ privati , non fi dee giammai ommet-
tcre di fpiegare al pubblico la verità: perchè effendo
tra la moltitudine de’ reprobi ollinati anche gli elet-
ti, vi ha Tempre allora fperanza di frutto. Quella è
la dottrina certa e de’ Teologi, e de’Padpì. Il gran
Teologo, e Dottor efimio, il P. Suarez (/?) efpref-
(amente infegna , che quando fi tratta de pubUca
correttone ^ & dotrìna^non eji omìttcnda^ etiamfi
ynulti fmt illa male nfuri: quìa in illa femper e fi
fpes frutus. E che? argomenta Agollino. (Chieg-
go venia , le fui bel principio mi dilungo un po’po’in una
digreffione per altro importantiffima , e nec^ffaria. j
Si dovrà per avventura tralafciare di porgere la me-
dicina a quelli che fe ne approfittano , per la ollina-
tezza di coloro che le piaghe incancherite avendo,
la rigettano? Numquìd ideo negligenda ejì medici-
na , quìa nonnullorum e fi ìnjanabilis peflilentìa ? Tu
non attendis nifi eos qui ha duri funt^ ut nec h
r B Jìam
(a) Tcm,lViip' iii. />. difp, xxxii, fec, 4,». 5.
XVlll
Jìam recipiant dtjàpììnam ,.w feà debes ettam tanì
ìmìtos attendere^ de quorum Jalute gaudemus* {a)
La medicina della parola fanta non lolo è iftituita
per rifanare i malati, ma del pari per cuftodire,
e prefervare i fani. Duo fum [ fegue Agoftino ]
officia medicina : umm quo fanatur infirmitas\ aU
tenm quo fanitas cufloditur {b) 4 Della fementa fpar-
fa dairagricoltore evangelico altra tra le fpine ca-
deva, altra tra le pietre, ed altra fuori di firada;
ma altra ancora ne cadeva fulla terra fruttifera, ed
ubertofa. Se noi tralafciaffimo di fpargCj.e il feme
delle verità crifiiane pel timore che gran parte del
grano debba tra le fpine cadere^ e tra le pietre;
noi non coltiveremmo mai il terreno fecondo- Si \
trepidar et mittere [emina ^ ne aìiud cader et in via.^
aliud inter fpinas^ aìiud in loca petrofai mtmquam
femen pojfet etiamadterram optimam pervenire {c) , ^
Trafando per ora le divine dottrine di S. Tomma-
fo a quefio propofito . Si acquietino pertanto i Si-
gnori Prudentoniy e Faciloni del mondo, che a lo-
ro non è diretta quefia mia fcrittura , ma ai foli
Crifiiani, che veramente credono , e che lìncera-
mente bramano di falvarfi. Seie invincibili ragioni
che
(a) Tr.de Epic. & Stole. cap.i, fb) 1 1. (c) In rf.yii.conc.z.
thè fono pei raccontare contro la coftumanza moderna i
foffero tante feroci legioni dì Ujari , e di Licanty
che colla fciabla alla mano andaffero ad invedire i Sir
gnori bevitori , per rapir loro di mano le chicchere * giu-
ftamente avrebborio diritto di reclamare contro di me , e
di chiedermi: E chi mai ha conferito a te la poteftà
d’erigere tribunale, e di renderti legislatore di noi
altri, in foggettaridoci colla fpàdà alla mano ad un
capricciofo Rigorifmo , ad un’aftinenza arbitraria?
Qual temerità è mai coteda? Un privato uomó ardi-
fce di dar legge a tutto il mondo cridiano ? Tut-
to ciò potrebbono giudamente opporre j anzi diritto
avrebborio di sbafattare cotede legioni , di malme-
narle , e dì facrificare la loro pazza temerità alla
feverità di un giudo gadigo . Ma queda fcrittura
modeda, e vereconda fe ne giace rinchiufa in cafa:
non va in traccia d’ alcuno j nè fi lafcià vedere fe
non a chi la ricerca; e veduta nort fi lanlenta, av-
vegnaché con difprezzo,e confado venga rigettata.
Che può efigere d; vantaggio la libertà del penfar
giudo? Pretenderà per avventura il pulito fecol no-
dro di levare a’ Teologi la facoltà d’efplicare con
piena chiarezza quella fanta Morale che fi reputa
al Vangelo piò conforme ? Pretenderà il fecol no-
dro d’impedire' che a’ Cridiani fi perfuada la peni"
B i j ten-
XX
tema? Con piacere fi afcoltano, fi acclamano tanti
e tanti , che privi affatto della neceffaria fcienza,
divulgano, quando colla voce ne’ privati colloquj ,
quando in ifcritto colle pubbliche ftampe opinioni
le più ripugnanti alla fublime e puriflima Morale
evangelica: ed all’ oppofto di fdegno fi accendono
contro a quelli che propongono le fante maffime
di quella mortificazione che Gesù Crifto e coll’
efempio, e con la legge ha prefcritta a’fuoi fegua-
ci? Sappiano però cotefti novelli eruditi del penfar
libero, che fe Gesù Crifto ha Tempre avuto contro
di sè un numerofo partito contrario alla fua Mora-
le, ha Tempre mai avuti, e Tempre avrà feguaci, !
che con invitta coftanza difenderanno la purità im-
macolata della Tua divina dottrina,
5. I I.
Sì premeìtopo alcune avvertente ^ per far capire
con chiaretK^ la ìmportanta , ^ lo flato
precifo della quijlione ,
I. “p Rima di tutto giovami bene di rendere perfua-
fa Voftra Signoria Illuftriflìma e Reverendif-
fima, che la caufa cui fono per trattare, nonè, come
alca-
xxi
alcuni per avventura fi danno a credere, di poca
confeguenza, ma bensì di grave importanza, come
quella che fommamente infiuifce nel grande affare
della noftra eterna falvezza. Due fono i peccati,
per cui i Criftiani comunemente piombano all’ in-
ferno, cioè fenfo, ed intereffe. Tutti gli altri pec-
cati fono ordinariamente come compagni di quefti
due. Datemi un Griftiano virtuofamentc difinteref-
fato, e cafto; che ve lo do fubito umile, fincero,
caritativo, difpregiatore di grandezze terrene. Ora
fappiate , dice Agoftino, che tra la luffuria, una
delle due univerfali cagioni per cui tanti Cattolici
fi dannano , e tra la gola vi è fempre mai una re-
ciproca flrettiffima confederazione. L’una nutrica T
altra, e fcambievolmente fi difendono. Sempsrenim
jwìEla ejì faturitati lafctvia . Vicina fibi funp veri-
ter ^ & genitalia^ & prò membrorum ordine or do
vitiorum intelligitur . Ejecit ergo nos de paradifo
cibus? Reducat efuries^ reducar jejunium [^]. La
gola, vedete, è uno de’ vizj capitali, per lo cui
mezzo il primo peccato entrò infenfibilmente nel
mondo. Tutti i Santi criftiani, vale a dire tutti
quelli de’ quali fappiam di certo che fono falvi ,
B iij pp-
(a) Serm, i ijntrim, Dcm.
pofero un fommo ftudio nella mortificazione della
rnedefima; La penitenza corporale nel digiuno prin-
cipalmente confiftente ella è comandata dalla legge
naturale, divina, ed ecclefiaftica, come è manife-
fto a tutti quelli che i primi elementi fanno di Teo-
logia criftiana. Le quali cofe alla sfuggita fi fonp
accennate, acciocché fi rifletta non efler sì lieve,
bensì di grave importanza caufa che abbiamo ^
trattare,
II. Per difporvi poi a ben capire la controversa
la cui Storia io fono per abbozzarvi, neceffario giu-?
dico di ben efporvi lo flato netto della contefa. Spe-
ro che quella femplice, e fincera dichiarazione debba
per metà guadagnare la mente voftra . Prefupporr?
adunque conviene in primo luogo, che non fi dilpu-
ta ora, fe chi per elercitare la carica , l’impegno, il
miniftero ha bifogno di qualche rifloro, poffa bere
quel tanto di cioccolate che giudica neceffario a rin-
forzare la fua debolezza, e renderli abile all’eferci-
zio puntuale de’fuoi doveri. Altri fono vecchi, altri
acciaccofi, altri di flomaco debole. Sono obbligati
a fludiare, ad intervenire a congregazioni , a con-
greffi, a confulti . Altri debbono maneggiare af-
fari di grave importanza, che ricercano pronta, e for-
fè applicazione. Se la debolezza, o gl’incomodi di
que-
xxin
quefti fono tali che al miniftero loro gli renda inabi-
li, poffono prendere riftoro al bifogno loro convene-
vole. Infecondo luogo convien riflettere, che que-
fto riftoro necelTario a rinforzare la corporale fiacchez-
za non è talmente attaccato alla cioccolata, che non
ammetta qualunque altra cofa non vietata dalla leg-
ge quarcfimale per cagione della qualità . Altra-
mente guai a coloro che deboli eflendo, ed acciac-
cofi , non poffono mezzo paolo fpendere in una
chicchera di bevanda. Quelli ugualmente poITono
riftorarfi con un bichier di vino, con una ciambel-
la, o altra cofa opportuna, nel fuppofto che vero
reai bifogno tengano di riftoro per adempiere i pro-
prj doveri. In terzo luogo fuppongo, che ciafcuno
immediatamente dopo il pranfo pofla la guftofa
bevanda prendere per facilitare la digeftione. E per
fine è certo che ficcorne in altre materie , così
anche in quella fi dà parvità di materia.
III. Lo flato dunque precifo della controverfia è
quello. Se affblutamente fia lecito Tufo della cioc-
colata in tempo di digiuno, precifo qualuhque par-
ticolare bifogno, in quella guifa che è lecita la
bevanda del vino, del rofolio, dell’acqua, e d’altri
fimili licori : ovvero fe la parvità della materia pof-
fa la odierna coftumanza di tal mattutina bevanda
B iiij giu
XXIV
giuftificare. Poco avveduto io farei ^ fe mi facefE
a combattere a fronte aperta una sì dolce confue-
tudine. Provocherei contro di me, come fui prin-
cipio ho accennato, lo fdegno, e la fatira più af-
filata non lolo dei ghiottoni , e dei laffi Cafifti ,
ma di coloro ancora che vantando dottrine rigide
pegli altri, fogliono con tal licore le fauci proprie
nella Quarefima fanta innaffiare . Per evitar frat-
tanto ogni odiofità , e per rendere i miei cortefi
leggitori vie piu difpofii a capire la verità, ho ri-
foluto di riferire unicamente i fentimenti , e le
dottrine de’Teologi delPuna, e dell’altra parte ,
affinchè fatti giudici i lettori medefimi , polfano
a quella fentenza appigliarfi , che o vera , o più
vicina al vero giudicheranno. Titolo di MEMO-
RIE per la Storia Teologica ho dato a quello pic-
colo fcritto, perchè in effetto altro io non farò fc
non le dottrine, e maffime narrarvi che i Teologi
dell’ una, e dell’altra parte hanno ftampate. Se o-
gni minima Storia delle più triviali coftumanzè
religiofe de’ pagani tanto diletta ; quanto più dee
piacere la Storia vertente fopra un punto che ap-
partiene alla difciplina della noftra Religione? La
curiofità di fapere le più ridicole cerimonie de’
gentili , la naufea di ben conofeere la forza dei
pre-
XXV
precetti della propria Religione non fono contraf-
fegni di una troppo cicca frenefia? E’ vero che que-
Ita non farà unaStoria compita, e perfetta: sì per-
chè dove ferivo, i libri di non pochi Autori mi
mancano, sì perchè il mio feopo non è tanto di
riempiere la mente de’ miei leggitori di pellegrine
notizie, e de’ piu minuti fatti, quanto di rendergli
ben iiìruiti nello fpirito della Modale criftiana fpet-
tantcaquefto punto. Nulla però ommetterò di ciò
che i Teologi di amendue i partiti hanno fin ora
faputo inventare per l’una, e per l’altra parte. Mi
è paruto più fpediente di rendervi ben ammae-
fìrati in quella ’caufa fotte la figura di Storico col
racconto di ciò che infegnano gli altri Teologi ,
- che fotte quella di Teologo col decidere da giu-
dice fopra l’una delle due parti. Però fe le ragio-
ni che accoppiano l’ufo deljcioccolate col digiuno >
vi fembreranno tutte inette, vane, e nella maggior
parte ridìcole, che ferlfcono il fenfo comune; non
porrete in conto alcuno fdegnarvi contro di me ,
ma loltanto ammirerete fin dove, ed a quai difeorfi
vani fa condurre le menti eziandio de’ Teologi la
premura di fecondare con buona intenzione gli ap-
pettiti umani. Ed affinchè niuno ardifea di cenfu-
rarmi o di troppo parziale, o di meno fmeero, ri-
fe-
xxvi
ferirò le parole fteffe de’ principali Teologi • Con-
ciofTiachè alcuni Probabiiifti ogni qual volta veggo-
no in giuda veduta efpofte le laffe, e fcandalofe o-
pinioni dei loro Cafifti, torto ricantano all’ orecchio
de’ lor divoti terziàri la folita rancidiffima canzo-
na, che alterati fono i partì de’ loro Autori , e che
violata è la carità fanta , Se i parti fodero alterati,
farebbe violata la giuftizia > la carità , la verità , e
qualunque regola di oncftà. Avverto dunque i leg-
gitori cortefì , e gli artìcuro , che con pienirtìma
fincerità farà fcritta quefta breve Storia teologica
di quanto infegnano i Dottori Moralifti dell’uno ,
c dell’altro partito. Perciò qualunque cofa in con-
trario vi diranno fu quefto punto alcuni Signori Pro-
babiiifti, tenetela per falfità ficura, fimile alle altre
fu quefto punto di alterati tefti fpacciate , La quale
verità fempre farà loro rimproverata, fin tanto che
durano i libri de’ Cafifti loro , Ma tempo è ornai
che ci avviciniamo alla narrazione della caufa . E
per introdurvi nella medefima con qualche piacere ,
vo’ darvi da leggere il feguente poetico componi-
mento, parto di gran Teologo , ed opportuno per
animarvi alla lettura della ftorica contefa.
^xvii
SONETTO,
nel quale parla la cioccolata.
Oìei fon io che per r antica ejfeni^a
Ebbi già col digìun sì fiere liti :
Che t maggiori Teologi fmarritì
Non fanno a chi di noi dar la fentenx^^
Studian del pari il gufloj e raftinen^^
Nella Scuola ambedue de i ,
E dice f un ^ che i lìquidi afforbiti
Frangono y quando v'è P incontincn:(a ^
Per fedar P altra i f crup oli, con figlia^
Che fia rito civil delP amici'gia ,
Se fi prende talor fen^z^ vainiglia,
Quefta tra P innocenza ^ P maàiziit
Dottrina media accorda a maraviglia
Il digiuno^ la gola, e P avarizia ^
ìxxviii
§. HI.
Origini della cioccolata nell" Indie , Sua
inttodu'^ione in Europa .
I. *XTEir Indie Occidentali fu inventata la fapo_
rofa bevanda. Agoftino Padilla Arcivefco-
vo de la E(panola nel fecondo Libro della Storia
delie Provincie del Meffico al capitolo Ixxxiv.
ferivo, che la gloria di così guftofo ritrovato deefl
alla Provincia della Chiapa : ed in quello fatto
comunemente gli Scrittori fi accordano . Quello
Storico però non ci manifefta l’anno della inven-
zione jT ma per quanto ho potuto da varj Autori
raccogliere, ciò avvenne verfo la metà del fecolo
decimo fedo . Per circa mezzo fecolo non ufcì ,
per quanto a me fembra , dal novello mondo .
Lodovico Lopez, che viveva nella Spagna fua Pa-
tria l’anno 1592. nel fuo Tomo intitolato Inflru-
Eorium &c. ftampato in Salamanca Panno 1585.
fcrive nel Capitolo cxii. che nell’Indie in ufo era
tale bevanda ; ma che folfe per ancora nella Spa-
gna introdotta, non ne fa parola. Per quanto li
può prudentemente conghietturare, verfo il MDC.
dall’
XXIX
dair Indie la coftumanza del licore pafsò nelle Spa-
gne, e qui per qualche tempo fermoffi,innanzìchè
in altri paefi dell’ Europa fi avanzaffe.
II. Il P. Tommafo Tamburino, il quale nel trat-
tare le cafiftiche quiftioni agli altri Cafifti la pal-
ma prende, e non v’ha, per cosi dire, chi lo u-
guagli, non che chi lo fuperi, fcrive nel Lib. IV.
lovra il Decalogo cap. v. §. 2. n. 9. che da molto
tempo la cioccolata fi ufava e nell’ Indie , e ^nelle
Spagne : e che folaraente di frefco cominciofli ad
introdurre nell’Italia ; Cocholata IncUs ^ Hifpan'tf
que jam diu\ Italis vero dudum valde. Il P. Tam-
burino lafciò di vivere in quello mondo l’anno
1(575. Sicché verfo la metà folamente del ^ffato
fecolo cominciò a introdurli il novello coftume nell’
Italia nollra. Tra i primi Teologi, che a difputa-
re fi fecero fopra il lecito, o illecito ufo di que-
lla bevanda, fu Antonio di Lion , che con erudi-
to ragionamento dimollra non poterli infieme uni-
re cioccolata, e digiuno, e riporta 1’ autorità del
lamofo medico Cardano , cui lì unirono Trullen-
co, e Diana.
III. Tra i primi Teologi Probabilifti che a fcri-
vere imprendeffero interi Trattati, ed a raccoglie-
re tutte le poffibiii ragioni, onde accordare infie-
me l’indiana bevanda col digiuno europeo , uno
fu il P. Tommafo Hurtado dell* Ordine de’Cheri-
ci Minori. Quefti impiega tutto intero il Tratta-
to decimo del fecondo Tomo delle fue Morali Ri-
foluzioni ftampato V anno MOGLI, e vi aggiu-
gne in fupplemento un’Appendice di più capitoli .
Avvifa nel proemio del Trattato, che pochi Dot-
tori aveano fin allora degnamente quella còntrover-
lia difcuffaj quantunque grandemente neceffaria fof-
fe la decifione della medefima , così per placare le
cofcienze, come per levare dal mondo i peccati •
Fauci DoBoreSj qui fua fcrìptd predo mandarunt ,
Controverftam hanc nttigetunt^ lìcet bis temporibus
plurimum necéjfaria ftt ejus decifió ^ turri AD FA-
CANDAS CONSCIENTIAS , TVM AD MUL-
TA PECCATA VITANDA . Quefle fignificantr
parole ci pernlettono , fenza violare le buone rego-
le della Stòria ^ di fare al leggitore una qualche
breve offervazione . Non fi può con chiarezza mag-
giore efprimere, che lo feopo di quella Probabili-
ftica Teologia fià di addormentare le cofcienze, e
di levar dal mondo i peccati coll’efentar dall’ of-
fervanza delle leggi i Crilliani. Il P. Diana,' tut-
toché folfe dal fuo Caramuele appellato Agnello
che dal mondo toglie i peccati, non feppe [ còme
XXXI
fi è indicato, e fi dirà più abbaffo ] trovar ragione
che acquetafle le cofcienze di coloro che in tempo
di digiuno beveffero il cioccolate. Quefto uno è di
quei peccati che il beiìigniffimo Diana non feppe to-
glier dal mondo#
IV. Sicché il noftro P. Hurtado più coraggiofo in»
fieme, e più benigno del Diana, non dice di fcrive-
re il fuo Trattato per indagare fe la legge ^ e la na-
tura del digiuno amnietta la bevanda fuori di patto;
ma afferma, che lo fcopó dello fcrivere fuo è di cal-
mare le cofcienze , e di levare i peccati . Adunque
le cofcienze fono, fenza Tajuto de’Cafifti , da sè
ftelfe agitate , ed anguftiate , quando in Quarefima
vuotan le chicchere. Soggiugne di voler confutare un
dotto Moderno , che troppo fcrupolofamente ha
fcritto in quefta caufa, le colcienze aggravando , e
moltiplicando nel mondo tanti peccati quante chic-
chere di cioccolate bevonfi in tempo di digiuno, fen-
za particolare bifogno . Quare opera pretìum duxi
eam adamujfm enucleare ^impugna^is quemdam Mo-
dernum [ath do6ìum , qui^ quajìione hac de re e-
à\ta^ nimis fcrupulofe 'uìdetur locutus . 1 Criftiani,
regolati da que’ lumi che Iddio ha {parfi fu i loro
volti , veggono la ripugnanza che c’è tra il digiuno
e coletta guttofa bevanda . Ma fpinti per una parte
dai
xxxii
dai pugnenti ftimoli della gola ad umettare Is fau-
ci, rimproverati per l’altra dal lume di violare il
digiuno, fperimentano gravi rimorfidicofcienza; e,
con quefte cofcienze agitate e lacerate , il dolce li-
core bevendo, peccano. Ma ficcome l’infermo affe-
tato bramofo di bere, cerca medico' condifcendente;
così quelli Criftiani in cerca (e ne vanno di que’
Teologi, i quali ftudiano, configliano, e ftampano,
tum ad pacandas Confcientias ^ tum ad multa evi-
randa peccata : c fotto la (corta di quelli valenti
Teologi, rintuzzati i rimorfi fufcitati dal naturale,
e divino lume, i Crilliani bevono allegramente; ed
uniti co’ loro Teologi, di fcrupolofi , e di rigorilli
condannan coloro che altramente fentono.
V. Premeffo il breve proemio, entra il P. Hurfado
nella caufa. Avvifa nel primo capitolo , come tutti
concedono, che la infermità, o parvità della mate-
ria fcufano dalla violazione del precetto . Vuole pe-
rò , che una, ovver due once di cioccolata non ol-
trappaffi i confini di quella parvità di materia. Est-
filmo tamen unam^ vel DUAS uncias parvam ef-
fe materiam . Ed allega l’autorità de’ piu frefchi, e
detti Moderni. Sic doóìi Recentiores, In quella gui-
fa, continua egli, che chi è invitato dagli amici ne-
gli onelli, e amabili crocchi, può per titolo di ci-
vil-
XXXUÌ
viltà mangiare una, o due once di comcftibili, o di
cioccolata . Sicup ille qui urbanitaùs caufsa invita*
tus ab amiche unam vel duas tmcias alicujus' co*
mejìibilts^ am potiofìis de qua loquimur^ furnit ,
VL Stabilito quefxo principio , ne pianta un al-
tro opportuno per la fua caufa , ed è , che febbe^
ne gli antichi Criftiani diretti da que’ Teologi che
dai Santi Apporteli , e dai Padri Santi a quelli
fucceduti , furono amnaaertrati , rt afieneffero nei
..loro digiuni dal vino , V ufo però di querto è di-
. venuto ue’ pofteriori tempi lecito . Concede pe*
rò anche querto benigno Probabilifta , che que’
Crirtiani i quali non folo per ertinguere la fete, nta
per nutricare il corpo, e ioddisfar T appetito frequen-
temente beveffero fuor di parto la Quarefima , pec-
cherebbono non folo contra la virtù della tempe-
ranza , ma eziandio eontra il precetto del digiuno
[rf] . E quella fentenza è certamente , come afferma
il medefimo P.Hurtado, foftenuta da S. Tomrnafo,
C dall’
(m) In tradatu typis edito... lacilTitne prqbavi , quod fi
vinum iumatur ea intentione ut nutriat ,rtangit jejLinitirri , quia
alVumitur in fraudem legis , & fraus nulli debet patrocinari .
Haec tamen dodrina omnium Antiquorum aliquibos Moderni?
nimis dura vifa eli; mihi vero veriflìma apparet ; ad quod fut-
ficit quod eam tradat D. Thomas, quem fcqimti fune duod:?-
cim Audo.res graviflimi quorum nomina dedi loco ciuco, qui-
bus addo Archidiaconum, Ludovicum Lopez, Azorium, .Aleti!-*
fem, Sai;auelein Liibliaum, Letiìum. TruH.
xxxiv
dairAlenfe, da S. Antonino, dal Medina j dal Pa-'
lazio,daI Gabriele, dal Tabiena, da Natale Afef-
fandro, da Enrico di S, Ignazio : e lo fteffo Diana
probabile la chiama. Il P. Tommafo Tamburino ,
avvegnaché condannine! calo noftro Pufo della cioc-
colata, foftiene però che fi può bere in Quarefima
vino, rofolj , ed ogni forta di licori più fpiritofi, e
delicati per mera, e ptira voluttà, anzi in fraude
della legge fteffa» Sed licct bibere vìnum^ mujìum^
cervi fiam^ aquas ex berbis, veì eodem modo difiìl-
latas, ettam de mane oh SOL AM DELECT ATiO-
NEM^eftam multotws in die ^etiam in FRAUDEM
jejunVt . Ita Layman , SancbeZj, Diana , y
FagundeT:^ [/^J.Quefta è dottrina dannata dalla Ghie-
fa : il che detto fia per la vera carità di avvifare i
leggitori di tal errore , acciocché poffano sfuggirlo
eiiendo una bugiarda carità quella che per foffenere
una chimerica riputazione del Cafifta, che con buo-
na intenzione ha errato y non vuole che fi avvifino i
Crifiiani, i Confeffori a guardarfi da fimili fcandalo-
fe dottrine .
VII. Ma ripigliamo la Storia . II punto adunque
della controverfia verte y fegue il P. Hurtado , fe la
cioc-
(a) Vih^ IV. in JOecalog. $.2.»- 4.
?:xxV
cioccolata , come fi manipola in oggi tra noi ^ IÌ4
bevanda vera , e per modo di bevanda fi prenda . I r-
perciocché fe vera bevanda è, certamente al digiu ^
non C oppone é Per ló che convengono tutti , can^
^enìunt omnssj che violerebbe il digiuno chiunque
mangialfe in bocconi quella porzione di cioccolata
che diftemperata,e ben frullata nell’acqua a caler di
carboni accefi ^ non pregiudica punto alf offervanza
del digiuno^ Quello è un prefuppofto aliai maravi-
gHofo. Chi mangia tjuattro once di fquifito (lorio-^
ne arrollito guafta il digiuno r fe lo fa (quagliare, e
preparare in un ellratto di brodo foftanziofo , non
pecca punto. Finalmente conchiude i fuoi prefuppo-
(H il P. Hurtado in dicendo , che fe la cioccolata
non nelfacqua^ ma nel latte fi fquagfiaffe, e che i
torli d’ova dentro fi mefcolaffero , allora certameii-
te guaderebbe il digiuno, perchè (ebbene il latte è
tra i liquidi , non è però ufato per bevanda co*r
munex^
XXXVl
5. I V.
Documenti de" Teologi peopug^natorì deli" ufo del
cioccolate in tempo di digiuno .
\
I. ^ Piegati nel primo capitolo i riferiti prefuppo- j
^ fìi principi, come certi prefifo tutti, ftabili-
fee nel fecondo capo la feguente proporzione. Seri-
ito igìtUT valde probabile effe , & tmum in praxi
potionem ijìam de chocolate non frangere jejunium i
Ecckfice ; fed bujus' ejfcntìam falvam confi fiere , etiar»
fi bujufmodi potio ali quotici fumaturìn magna quarta
tifate. La fentenza è efpofta chiaramente col bene-
fizio deila Probabilità novella . E’ molto probabi- j
le, e ficuro nella pratica che fi pofia bere la cioc-
colata non una, ma piu volte , e in grande quan- i
tità. Qui il leggitore comincia^ fentire del ribrez-
zo alla confiderazione di fentenza cotanto laffa, e ,
forma poco buon concetto di così fatti Teologi .
Ma il P. Hurtado fapendo che uno de’ principi del-
la Probabilità è i’ autorità eftrinfeca , la fentenza |
appoggia ali’ autorità de’ più gravi Theologi , di S*
'Tomniafo, di S. Antonino, di Paludano , di Du-
rando^, d: Silvefiro, di Giovanni da Tabia, drMe-
V d 1^
XX XVII
dina, e di altri antichi, i quali fcriffero pià fecolì
avanti che in Europa compariffe la cioccolata. Ai-
tempi di S. Tommafo dopo la cena [la unica re-
fezione ancora riteneva il nomedi cena, perchè fat-
ta circa tre ore dopo mezzo dì] fi coftumavadi pi»
gliare un po’ di sìettuarìo ^ o fa conferva unica-
mente per facilitare la digefHone del cibo , e con-
fortare lo ftomacoa ben concuocerlo . Tutti e quan--
ti coteilì antichi efpreffanaerite dicono , che quelle
conferve fi prendevano dopo la cena come medici*
ne facilitanti la digeftione : ed i moderni juniori
con probabiliflica fmcerità vogliono dar ad inten-
dere, che anche fecondo la dottrina di S. Tomma-
fo, e degli altri gravi Teologi la mattina per tem-
po fi poffa prendere la cioccolata. Confeffa però il
raedefimo P. Hurtado al n. 48. che tutti gli anti-
chi Teologi da lui addotti parlano delle conferve
prefe in luogo di medicine , ed aggiungono, che
chiunque le pigliava per eflinguer la fame , e per
nutrire il corpo, violava il digiuno, e io fiefib di-
rebbono della cioccolata . Omnes quos adduxi , di-
cunt ekfluaria ( & id^m àtcercnt de cbocolato ) fra?K
gere ]ejuniim^ fi aìimo nutrtendì fumanPur in frati-
dcm hgh. Sicché per due fini fi può il cioccolate
bere : o per ePsingner la feto , e come medicina
G iij ri-
XXXViil
rHanante; o come bevanda nutritiva . Chi coti h
prima intenzione !a beve, non viola la legge; ma
chi con la feconda intenzione alle labbra la chicche-
ra accoda, indubitatamente trafgredifce il comanda-
mento, e pecca ^ Potio (iìii^ua& efì inedicinaìis y&*
cjì dulcìs , & apta ad nutrìendpim ; & propter utrumqit^
finem potejì fumi^& ut janct^& ut mtriat.Sì quìs eo fine
fumat ut mtrtat , quìs dubitar frangere je'junmm }
E ne affegna la ragione, perchè allora forbe la be^
vanda per nutricarli, e mangia per mangiare, non
per rifanare • Cum fumat rem prout ejì nutritiva ,
& manducete ut manducete non ut fanetur , Chiun-f
Cjue dunque fi rifolve di bere la cioccolata in Quare*.
fima, fi armi di buone intenzioni, e intenda di pren-
der medicina per rifanare, non nutrimento per ifiar
meglio. Troppo per avventura fcfievoli e gioconda
vi parranno, Monfignore, cotefle ragioni dalla Teo^
logia Probabiliftica inventate , Ma quando cattiva
è la caufa,non poffono le ragioni effer migliori,
IL Deboli fono parate al medefimo P. Hurtado
le accennate fpecolazioni diffufamente da lui efpli^
cate, e perciò nel terzo capitolo del fuo Trattatp
ne avanza delle altre , le quali vuole che vagliano
fe non come teflamento , almeno come codiciìlof
'Quefioè un Probabiiiftafpiritofo. Ricorda, che quan-
dp
xxxix
do i Cattolici fono grandemente inclinati ad una qual-
che coftumanza che pare contraria alla legge , come
in effetto lo fono a quella di bere il cioccolate, che ri-
pugnante appunto fembra al digiuno , e dalla quale
inclinazione difficilmente aftengonfi ; allora debito è
de’Dottori Teologi, che reggono il Tribunale delle
cofcienze, d’interpretare quella legge , per quan-
to mai fi può , in favore , e quiete delle co-
fcienze , per evitare in quella guifa molti peccati
mortali. Concioffiachè per efimere gli uomini dalla
legge umana , balla una ragione probabile; anzi non
fi richiede che fia probabile, ma bada che per proba-
bile fu .apprefa dagli uomini dotti, e timorati. Pro-
duciamo le parole dell’Autore. Sedut hujus fenten-
ùàs maxima probabiììtas pratica ojlendapur ^ duabus
aliis vìis incedendum ejì ^ ut vale at , fi non ut tc-
flamentum, faltemuc codicillum. Quando enim fide-
les maxime indinantur ad aliqtùd operandum quod
videtur ejfe cantra legem aliquam pofiittvam huma-
nam, a qua inclinatione difficile avertuntur ; Do^o-
yibus, prcecipue Theologis qui forum conficientide refipi*
eiunt , incumhit Uhm declarare , ejus obìtgationern
flperirey quantum fieri pot e fi y in con fetenti de favor sm ^
& quittem , ut fic peccata mortali a evitentur . Eunim
tu ali qua lex human a non oh ferve tur , fat e fi ratto
C i i i i prit-
probabUìs\ & non folum probabìih ^ fed quod proba*
hilfs apprebendatUT a viris do6lis , & ùmoratis .
III. Qiiefto è un pezzo di Teologia Probabiliftica
della più raffinata, e della più recondita. Ella man-
da in aria tutte le leggi ed ecclefiaftiche , e civili.
Difficilmente gli uomini pagano i tributi, le gabelle,
i debiti ai creditori. Sono inclinatiffimi a defraudar-
gli. Dunque, dice il P. Hurtado, ed acconfente il
F. Tamburino, i Dottori Teologi debbono tutto Io
Audio loro impiegare, c tutte le induftrie per efime-
rc gli uomini dalla oflervanza di così fatte leggi dif-
fìcili da praticarfi. Eccovi fvclati gli arcani delPro-
babilifmo . Quando i Dottori Teologi difendono
ouefìo Probabilifmo in aAratto, lo cingono con nu-
jiierofo prefidio di diAinzionisì fpeAe che nafeondono
il fuo orrore. Ma quando poi ufo pratico ne fanno
del medefimo, allora fi fa conofccre per moAruofo,
come appare nella riferita dottrina, ed in cento al-
tre dannate dalla Chiefa. Cosi noi la difeorriamo;
ma il P. Hurtado ripiglia il fuo difeorfo, e feriva,
che dobbiamo sforzarci a tutta poffa per produrre
ragioni probabili , almeno di una probabilità eArin-
feca appoggiata all’ autorità dei Dottori , le quali
perfuadano ? che la cioccolata non è al digiu-
no oppoAa . Quare CONANDUM ejìj rattones
adr
xli
f.dducere auH’oy'ttat^ Dotìorum nìtentes , qués cuh
*vis cordato probabtks apparebunt , ad ofienden-
dwn potionem de cbocoìato jejunìum non frangere .
IV. La prima ragione da qucfti fuoi laboriofi , e
forzati ftudj inventata è, che la cioccolata è per fe
bevanda, è ordinata per fe ad effer bevuta, e non è
per fe cibo, avvegnaché per accidens poffa nutrire.
Gli rimorde però la cofcienza per aver detto che
la cioccolata per accidens nutrifea, convenendole di
natura fua una tale proprietà; per il che. Ho detto,
fegueegli, per accidens^ comparando quella pozio-
ne alla intenzione di chi i’ha iftituita, dalla quale
intenzione regola prendono quelli che la forbono . Per
altro fo che di natura iua ella è nutritiva . Dhi per
accidens^ non quia per accidens conveniat hujufmo-
di pononì nutrire : hoc enìm es natura fua habet ,
cum ftt mixtum convertibile in fubjìantiam itlud /«-
mentis ... Sed dìpcì per accidens^ comparando hanc
potionem ad tntemionem infiituentis ^ a qua regu-
lantur Jmnentes. Injìituens enìm bujufmodì pQtiones ^
primario no7i intendh nutrimentum , quod per fe
\ fid aut delePiationem qu<ie acquiritur^ aut
refrigerimi naturce , Ognuno è perfualo, che a tutt’
altro penfino i bevitori della cioccolata, che alPin-
tenzione di chi rhv^i ifiituita. Prbduce ilnoflroHuf-
ta-
xlii
tado il fapìentiffimo P. Macftro Lopez per approva-
tore di quella fua dottrina; ma il P. Lopez efpref-
famente afferma il contrario. Aggiugne T autorità dì
fapientiffimi Maeflri di Salamanca , e del Sommo
Pontefice Gregorio XIII. e di molti Maeflri Gefui-
ti, Francefcani, e di Medici celebri, e rigetta le ri-
fpofie del Pinelli. Sul fine del capitolo fi oppone,
che la cioccolata , accendendo la libidine , ripugna
alla mortificazione , e macerazione della carne, che è
il fine del digiuno. Ma rifponde, che il fine della
legge non cade fotto la legge, fenza diftinguere dall’
intrinfeco reflrìnfeco fine. Ncque objìap quod cbo-
colatum cum bis ingredientibus inchct ad lumrìam , ■
& foìic’ttet ad coitum , & carni s mornfìcatìom^
quam mtend 'tt jejunìum^ opponatur, Etf entm finis
intentus ab Ecclefia fit carnis maceratio , & morti-
ficano pajfionum carnalium ; hic tamen finis nonca-
dit fub legCy ut commune axìoma J unfperitorum te-
net. Io vo llendendo fotto gli occhi de’ miei leggito-
ri alcuni fquarci di Probabiliftica Teologia, affinchè
Tempre più perfuafi rellino, quanto perniziofo, e fa-
tale fia alla crifiiana Morale quel Probabilifmo che
a giorni noftri tutti c quanti i Sapienti d’Europa,
così Cattolici , come Luterani , e Calvinifti detefta-
noy che tutta la gran Chiefa di Francia ha condan-
na-
xJiii
rato, qual velenofo fonte di tutti i mali : eppure in
un l'ecolo così ilJuminato, e in mezzo a tanta luce
ancora gente fi ritrova , la quale non arroffifce di
ofientare la difefa di tal chimera con metodo geome-
trico. Ma l’errore ha fempre avuti ì fuoì feguaci
numerofi, e bifogna lafciargli deliziare in fimili di-
molirazioni geometriche . Trattante riflettafi alla
bizzarria di cotefio benigno Probabilifta , Che la
cioccolata folleciti, provochi alla luffuria, non im-
porta: fi può bere, perchè il fine della legge non
cade lotto la legge. Non fa mefliere di molte pa-
role centra tale dottrina, che di natura fua rendefi
deteflabile,
V.
Le rcjgicni più rolufìe allegate in favore della
lecita Levanda in Oudrefima fuori di pafo.
I. T A ragione più robulìa onde pretende il P.
Hurtado di accoppiare col digiuno la cioc-
colata, ce la porge nel capitolo quarto di quello
lue Trattato. (Quella è fondata folla confoetudine,
la quale ha riabilito che quella cioccolata fia po-
dionQ per fe^ come il vino. E ficcome il vino più
Yol-
xliv
volte bevuto non frange il precetto, cosi neppur k
cioccolata . Ef ficut potus vini pluries repeùtm non
frangiti ita neque chocolatus. La difficoltà riducefi
a dimoftrare fe quefta confuetudine fia rettamente
introdotta, e bene ftabilita. Due forte di confuetu.
dini egli diftingue: T una che deroga alla legge già
introdotta; l’altra che nuova obbligazione da sè
impone. Affinchè l’una e l’altra vigore abbiano o
di legge che nuovo debito imponga, odileggenuo*
va che l’antica legge abolifca, fi richiede che gl’
introduttori delle medefime intenzione abbiano di
obbligare fotto colpa. A quello fine il confenfo è
neceffario del legislatore, e lo fpazlo di tempo con-
gruo. Vi fi richiede ancora un qualche giuflo tito-
lo. La confuetudine di bere la cioccolata ella è di
tutte quelle prerogative fornita . Dunque ha vigore
di derogare alla legge del digiuno, e di dichiara-
re che cotcfla palla fquagliata nell’acqua, fia effen-
zial mente, q per fe pozione. E primamente quella
cofiumanza fu introdotta con la credulità della mol-
titudine, che foffe di fua illituzione bevanda, la
fecondo luogo v’intervenne l’efprelfo confenfo di
Gregorio XII L Vi fono feorfi dairintroducimento
fino all’ora prefente piu di quarant’anni. Ed ancor-
ché quello Pontificio confenfo non vi foffe, bada
pel
pel valore della confuitudine , che da cinquant’an-
ni in qua nella Spagna vi fia fiato quefio errore
comune, che tale confenfo il Papa T abbia dato ri-
fpetto airindie. E quefia confuetudine non folo nell’
Indie, ma ancora nella Spagna dee fupporfi intro-
dotta; febbene qui con qualche timore : ma quefio ti-
more merita d’eiTere cacciato, bafiando il tefiimo-
nio deir lllufirifTimo Arcivefcovo Padilla , che il
Sommo Pontefice abbia dichiarato, che il ciaccola-
te non rompa il digiuno. quidem confuetudo
hnroduBa ejì non folum in regionibus Indiamm ,
fed ctiam m ?ìoJìra Hifpanìaj licet hic cum aliqua
formidine^ qucé abtgi debet , Per placar le cofcien-
ze, e per cacciare dal mondo i peccati, e per ri*
pulfare il demonio, non ci vuol paura, ma corag-
gio . E quando nella cofcienza qualche timore di
colpa forge, convien fubito cacciarlo: perchè que-
fio timor di peccare turba le cofeienze, affligge lo
fpirito, non lafcia con piacere aflaporare la dolce
bevanda. Abtgi debet , Ojaefio è il linguaggio del
noi.ro Probabilifta, che ad ogni buon Criftiano ca-
giona orrore.
IL Appena il Padre Kujtado avea dettate al fuo
manuenle le deferitte ragioni , che alle mani, gli
capitò, ccm’effo narra neirimmediato capitolo quin^
to,
xlvi
to , un certo fcritto del faplentiflimo Padre Rode-'
rico Manrique molto dotto , ed erudito fopra que,^
fta quiftione : il quale fcritto glielo prefentò il rc-
ligiofiffimo Padre Fra Gafpare de los Reyes una vol-
ta Provinciale offervantiffimo , e per letteratura e
per fantità illuftre, della Regai. Famiglia di Santa
Maria della Mercede dei Padri Scalzi * nel quale
molti pcfi d* autorità ha ritrovato per confermazio^
ne , e per iftabilimento di quefta ragione appoggiata
alla confuetudine . Qui fi legge , che il Padre Se-
baftiano di Oviedo Domenicano della Provincia di
Guatimala dimandò al Dottor Martin Navarro efi-
ftente in Roma il fuo configlio {opra quefta con-
troverfia . L’ originale dello fcritto di Navarro fi
conferva nella Città della Chiappa y dal quale ne è
fiata trafcritta copia, come atteflano il R. P. Fran-
cefco deirOlmo Superiore del Convento di San Do-
menico d’eflfa Città a’ 2.2. d’Aprile Tanno 1577.
Gabriel de Morales , Idelfonfo de Nurena , e Fra
Francefco Salzedo Guardiano del Convento di San
Francefco Atitoenfe della Provincia di Guatimala .
Ed il Padre Raffaello de Luxan Provinciale della
Provincia di San Vincenzo delTÓrdine de’ Predica-
tori con giuramento afferma , che il Padre Fra Gi-
rolamo di San Vincenzo della medefiraa Provincia
Pro-
Provinciale j uomo religiofo ec. di virtù (ingoiare
0li ha detto , che ritrovandoli in Roma , moffo da
un appoftolico zelo^ confultò fopra quefto cafo San
Pio V., e r informò della maniera onde nell’ Indie
quella bevanda manipolavafi ; e che ricevette quella
rifpolla : Votus non frangit jejumumt e ch’egli te-
neva quella dichiarazione qual oracolo di viva vo-
ce , come fe colà folle fiato mandato da un Eminen-
ti ffimo Cardinale ^ mentre il predetto Fra Girolamo
di San Vincenzo fu uomo di autorità maffiraa , e
di fantità efimia • Tutto ciò fommariamente ha di-
chiarato'il Padre Luxan a di 23. Marzo i6ig.
III. Quindi così argumenta il Padre Hurtado .
Quando il Pontefice è interrogato fopra un dubbio
de’ Fedeli circa ia offervanza di un qualche coraan"
damento, e legge ecclefiaftica 5 la Pontificia rifpofta
fa dichiarazione giuridica ^ come infegna il Panor-
mitano , ed il Cardinale Paleoto. Nè offa la rifpo-
fta del Covarruvias , di Melchior Cano , del San-
chez 5 del Suarez , i quali, dicono che la rifpofta
del Principe data in occafione di alcuna interroga,
zione 5 fatta da privati , fui dubbio che concerne
la legge univerfale, non ha forza d’interpretazione
giuridica , quando il Principe non vuole che la fua
interpretazione fia univerfale . Imperciocché que-
fla
xlviii
fta dottrina è vera^ ripiglia l’Hurtado noflro , quan*
do la interpretazione del Principe è obbligatoria *
non quando difobbliga dall’offervanza della legge .
Nel noftro cafo il Papa dichiara , che il cioccolate
non viola il digiuno : la quale dichiarazione vaie ,
ancorché foffe del Papa come Dottor privato. Pon^
tsfex deccrnìt chocolatum non frangere : decla.
ratio j etiamft ejjet ut Do6loris particularis , fujficiens
ejfet ad Jtojirum interi tum , Quello acuto Probabili-
fla tiene in pronto certe inafpettate rifpofte , colle
quali fi libera con dcftrezza mirabile da ogni più
flretta argumentazione*
IV. Air oracolo di viva voce di San Pio V. ne
aggiugne il Padre Hurtado un altro del Pontefice
Paolo V. riferito dal Padre Manrique, il quale nar-
ra , che il Padre Diego di Sofà Vifitator della fua
Compagnia nel Mexico gli diffe , come il Padre
Niccola di Anaya Proccuratpr di quella Provincia
prefentò quella difficoltà nel i<5i4. al S. P. Paolo V.
il quale comandò che in prefenza lua fi manipo*
laffe il cioccolate , fe ne preparale per una bibita ,
e dopo diffe Sua Santità .* Hoc non frangit jejti*
nìum. Ed il Padre Anaya mandò quella dichiarazìc-^
ne al fuo Provinciale del 'Mexico , ed i Padri gra-
vi la -raccontarono al Padre Diego de Sgfa loro Vi-
:■ , fila-
Xii::
fitatore qual cola certa ^ e indubitata . Quella di-
chiarazione fola bafta , acciocché tutti poffano leci-
tamente praticar detta bevanda, ancorché quelli non
fappiano nulla di tal dichiarazione .* imperciocché
hanno (ufficiente faenza per operar bene , quando
fi p'prefume che ognun fappia le cofe notorie , e
pubbliche , fecondo cl^p infegnano il Mafeardo , il
Sordo, il Menochio , il Barbofa.
V. Confermano quella nOitra fentenza, foggiugne
il Padre Hurtado , molti altri Padri della Compa-
gnia di Gesù , i quali ai di Giugno dell’ anno
1(530. fottoferiffero il narrato Trattato , e fono il
Padre Lodovico Ramirez, il Padre Criftoforo Ruyz,
il Padre Marco del Caftillo, il P. Ferdinando de
los Rios , il P. Didaco Tello , ed il P. Ildeforifo
Fernandez de Cordova , tutti uomini dotti e molto
eruditi , come la faau canta in quello noflro teatro
di Siviglit.
VI. Da tutte quelle cofe gran rinforzo riceve la
fentenza noflra a doppi© motivo appoggiata . Printa
perchè dal tempo di San Pio V. e di Gregorio XIII.
è cominciato Tufo della probabilità di quella opi-
nione .* e quella probabilità alla giornata forze
riceve , ed accrefeimento / Cujus, probabilità^ in dks
vsres refumit , & incv e me ntam : perchè gli uomini
T)
fempre più guftano quefta bevanda . Che fe alcuno
troppo fcrupolofo non fi fidaffe di appoggiare la
fua cofcienza al fondamento della probabilità , che
giuftifica la pozione , fi ferva , fe vuole , della di-
chiarazione Papale . Quod fi quh mulo ufus opimo-
nis probabilis , non velif hac pottone uti , utatur , [t
njelit j mulo declaratìonis Fontificia . E fe finalmen-
te nè l’uno, nè l’altro di quefti due titoli baftaffe
per indurvi, o Crifiiani , a bere con tranquillità di
cofcienza quefta cioccolata , fervitevi alla buon’ ora
del titolo della confaetudine derogatoria della leg-
ge del digiuno . Quod ft hoc contentus non fit , uta-
tur mulo confuetudìnis deroganth • Al noftro Pro-
babilifta preme che i Criftiani nella Quarefima , o
in virtù della probabilità , o in vigore della Papale
dichiarazione , o finalmente in virtù della confuetu-
dine , fenza fcrupolo, e con tranquilla cofcienza più
volte il giorno fi ricreino coll’ufo della faporita po.
zione : perchè in quefta guifa la probabilità di gior-
no in giorno robuftezza acquifta , ed incremento .
Cujus probabiìitas in dies vires refumit , & incre-
mcntim . Se qualche fcrupolo inforge , o qualche
larva di timore lo fpirito ingombra , dee rintuz-
zarfi . Ahigi debet . Conchiude il fuo quinto Capi-
tolo il P. Hurtado con un dubbio che manda in aria
l’al-
f allegata confuetudiae ; attefocbè i prodotti Ora-^
coli Pontifici furon pronunziati fopra la cioccolata
che fi beve nell’Indie, la quale può effere vera bevan*^.
da , come è la limonea tra noi . E però la confueta-
dine può valere nell’ Indie , e può effere corruttela
in Ifpagna . Hac [ confuetudo ] poter at ejfe m Iif
dia 5 & non Hifpania i Perciò fi rimette a produrre
ne’ feguenti capitoli più robufte ragioni.
§. V I.
Raccolta di tutte le altre ragioni prodotte dal
Padre Hurtado in difefa del cioccolate .
I. T N tutti i paefi del mondo v*' è introdotta una
qualche bevanda fpremuta da alcuni comefii*^
bili y dice il P. Hurtado fui bel principio del fuo
fedo capitolo . Nella Spagna l’ aloxa ^ predo i Ro-
mani il vino melato , preffo i Fiaminghi la cervifa 5
e preffo i Cantabri la zidra era in ufo . Ed avve-
gnaché quelle pozioni dai Pagani fieno fiate inven-
tate , non perciò ne feguc che noi altri Cattolici
non poffiam praticarle : perchè fecundum principia
thsoìogìca dicimus , potum , et fi Gentilium ^ non
frangere jcjunium . Nè dee fgomentarci che i Sa:er-
D i I doti
Ili
doti idolatri fi attengano dal cioccolate in tempo
de’lor digiuni : perchè eglino ufano tal attinenza per
digiunare con piu di rigore , il qual rigore non ap.
partiene alla fottanza del precetto di noi altri Cri-
ftiani . Quod Sacerdotes genriles in fuis jejuniis ab-
Jììneant a chocolato , non obejl : quia e ti am abjìi-
nebant a vino , quod fackbant ad rigoroftus jejunan^
dum : qui rigor non ejì de fubjìantta pY<jeceptì nojìri .
La penitenza di noi altri Criftiani è dolce , e foave,
nella cui fottanza non ci entra il Rigorìfmo , fecon-
do la probabilità dello Storico nottro.
IL Una feconda ragione la fonda egli fopra la Glofa
Civile \x^\Q,vQxh.Sponfum\ C, de raptu Virginis , e
fulla Giofa del Decreto Ad caput denique , dove fi
ha \ ~EtQ quo unum conce di tur , omnia fmiHia in felli-
guntur effe conce Jfa , Dal qual principio, dice il P.
Hurtado, molte cofe raccoglie , come è fuo coftu*
me , il P. Tommafo Sanchez . Effendo dunque nel |
rimembrato capitolo permeffo il vino , ne viene per
legittima confeguenza , che del pari le altre pozioni
al vino fimili fieno concedute . La pozione del cioc-
colate è Amile al vino. Dunque s’ intende ugualmen-
te che il vino approvata.
III. La terza ragione egli la forma con quefta pa-
rità. Il zucchero duro , ed il mele folo fe mangianfi
in
in gran quantità, fciolgono il digiuno ; e pure li-
quefatti nel vino non rompono il precetto , perchè
veramente fono bevanda , e per modo di bevanda li
prendono . Adunque lo fteffo dobbiam conchiudere
lifpetto alla cioccolata, la quale peT fe è bevanda ,
ed a maniera di bevanda fi piglia.
IV. Sul fine del Trattato allega il noftro Proba^
bilifta un coafiglio di Navarro , nel quale due pun-
ti fi affermano. 11 primo è che nellTndie fi cofiuma
quella pozione , colia, quale i lavoratori fi alimeni^
tano tutto il giorno* Nel fecondo fi rifolve che que-
llo alimento non fi oppone al digitino . In tutte le
Opere di Navarro un tale coafiglio non fi ritrova.
E quando anche fi trovaffe , qual, fuffragio rechereb-
be all’ ulo della cioccolata Europea, fe favella del-,
la Indiana ?
V. Il P. Leandro da Marcia Cappuccino confutò
valorofamente la dottrina del P. Hurtado , cenfu-
randola di falla , e di contraria alla pietà crifliana
L’ Hurtado lunga Appendice al fuo Trattato aggiun-
fe , nella quale in parte difende la fua fentenza , e
in parte la ritratta * Nel primo capo di quell’ Ap-
pendice , o fia Apologia , fi accende contra il Padre
Leandro , per aver quelli fcritto , che alla pietà cri-
ftiana la benigna fentenza fi oppóne ; e fcrive che
D i i j
« •
ì\v
in hoc R, P. ninjtum e)^cejjtf :ptrchh il fine del pre-
cetto non cade fotto il precetto . Reca egli il tc
guente efempio . Il fine prefiffo dalla Chiefa nel
precetto di recitare le ore canoniche , e di afcolta-
re la lanta Meffa , egli è la devozione de’ fedeli ,
ed il culto di Dio ; e pure, perchè quefto fine non
cade fotto il precetto , non pecca contra il medéfi-
mó il Cherico che con volontarie diftrazioni recita
il divino Officio . E lo fteffo diciamo di chi volon^
tariamente diftràtto in giorno di fella al Sagrificio
della Meffa alfiffe, come infegnano il Cardinale de
Lugo, il Leffìo, il Laimano, e tanti altri. Or chi
dirà j che cotefti Dottori deroghino alla criftiana
pietà ? Chi dunque infegna offervarfi la foftanza del
precetto , benché il modo ommetta, ed il merito
perda dell’offervanza , nè confeguifea il fine della
legge ; exwdc derogat pìetati chrìfliam con-
tra ipfam dùcendo . Dio fole può fapere qual idea
vi fofse nella mente del P, Hurtado della pietà cri^
lliana , Da ciò che ne’ feguenti capitoli di fua Ap-
pendice fcrrve , raccogliefi che ogni opinione , o
che fia probabile , o che fi apprenda per probabile ,
è conforme alla criftiana pietà , Affegna nel terzo
capitolo i fondamenti della probabilità di fua fen-
tenza • Un folo Dottore per dottrina , c per pietà
illuftre bada per rendere una fentenza probabile .
Ora non uno , ma più Dottori la fentenza noflra
difendono . Chi può dunque la probabilità contra-
flarle ? E fe è probabile , ella è benigna ; fe beni-
gna , dunque pia.
VI. Riproduce nel quarto capitolo il principale
argomento di fua fentenza , che la cioccolata è ve-
ra bevanda . E per mettere in migliore veduta que-
flo grave argumento , fi fa a fpiegare le definizio-
ni del cibo , e della pozione , allegando le autori-
tà di Bercorio, di Celfo, di Plinio , e di rinoma-
ti Medici. Diftingue tre forte di bevanda, natura-
le, artificiale, è medicinale. Ripone la cioccolata
nel novero delle bevande mille artificiali . Copia le
parole del Medico Ramirez, il quale dice .* Potus hic
dupHcem habet naturam , cibi , & potus . Felici i
viaggiatori , e gli uomini tutti , fe la dottrina di
quefto Medico valelfe. Ognuno con poco incomodo
potrebbe maogiare , e bere , e menar fua vita fen-
za tanti aggravj , con la fola provifione di alquan-
ta cioccolata. E’ vero che le Indie non potrebbo-
no fomminiftrar tanto caccao * ma la umana indu-
ftria cercherebbe di trapiantar anche altrove fimili
piante.
VII. Dì bel nuovo mette fotto gli occhi i Pa-
D iiij pali
ivi
pali oràcoli , cd a quelli di S. Pio V. di Gregorio
Xlllé e di Paolo V. ve ne aggiugne un altro di
Gregorio XV. e fi accende centra il Padre Leandro
Cappuccino , che francamente fpaccia per favolofe
cotefte Pontificie dichiarazioni . Ed il P. Hurtado
rifponde , che le rifpofie del P. Leandro Cappuccino
tmnia fupiìia funt : perchè febbene non fono au-
tentiche le Papali dichiarazioni nel foro elìerno ,
fono tuttavia nel foro della cofcienza legittime, ba»
flando un folo accreditato tefìimonio per rendere
nel foro della cofcienza probabile una opinione , c
la relazione di un fatto , come infegnano il Dia-
na , il Zambrana , il Granado , il Salas , Probabi-
lifti autorevoli.
Vili. Corrobora nel lefto capo la ragione della
conluetudine , in virtù della quale rimane dichiara-
to , che la cioccolata fia bevanda , e non cibo. Ci'
ta molti autori a fuo favore , maffimamente il Dia-
na, il quale prova che nel Regno di Sicilia è lecito
Tufo della mantecca di porco y o fia llrutto di lardo.,
onde fi condifcono le vivande eziandio quarefimali.
Se la confuetudine rende lecita quella , perchè non
quefta ? Moltiffime altre cofe fcrive intorno alla
confuetudine, che fenza pregiudizio della Storia le
traiando come inutili al punto controverfo .
IX. Fa
Ivii
IX. Fa rifaltare di naovo in campo nel lettimo
capitolo la parità degli elettuarj , o fieno conferve
praticate ne’ fecoli paffati 5 dopo la refezione fatta
in giorno di digiuno per facilitare, come s’è detto >
la digelVione . Il P. Hurtado oppone un Tefto di
S. Tommafo , del quale enormemente fe ne abufa ,
come dimoftrano i Teologi delia contraria fenten-
za . Rifponde nell’ ottavo capitolo agli argumenti
del P. Leandro con tutta brevità .
X. Il P. Zaccaria Pafqualigo , avvegnaché piu di
qualfifia altro Probabilifta abbia talmente allargata
la legge dei digiuno, che il fuo Tomo fopra quefta
materia è llato dalla Chiefa dannato , non ha po-
tuto evitare le acri cenfure del P. Hurtado nofiro,
il quale nel nono capitolo della fua Appendice lo
confuta , perchè ha negato lecito l’ufo del ciocco-
late |in tempo di digiuno. Gran che I efclama il
Plurtado . Appena v’ ha fiato di perfone che il P.
Zaccaria Pafqualigo non efenti dal digiuno : e poi è
fiato capace di fcrivere , che quefta bevanda guafti
il digiuno a frivoli fondamenti appoggiato ? Ep Jn
primis mirar Zacbariam , qui cum in Tomo pr(S-
grandi jam citato , njix! fit flatus hominum in Ec-
clefm qiicm ab obìigatiojie jejunii non excludat ,
dicat , qmd.potus ifle jcjmium frangat . Numera
cir-
circa cinquanta flati di perlone che il P. Pafqualigo
difpenfa dal digiuno .* e novamentc ripieno di am-
mirazione non può capire , come un sì acuto Pro-
babilifta , che ha faputo ritrovar ragioni per efime-
re dal digiuno i poveri , i fervi , i viaggiatori , i
maritati deboli , le donne che perdono in digiunan-
do il colore , col quale gradevoli rendonfi al mari-
to , le vergini fpofe , quando v’ è pericolo di ofFu-
fear la venuflà , tutti quelli che efercitano arti la»
boriofe , i facchini , i calzolai , i cocchi , i forna-
ri , i teftori , i mugnaj , i conciatori di pelli , gli
argentierf , gli orefici , i venditori di merci per le
vie, le donne lavandaje , i pittori, gli Scultori, le
ferve che faticano , gli ftampatori , i maripari , i
foldati valorofi , i conciatori di Chiefe , quelli che
viaggiano a piedi, quelli che corrono a cavallo ful-
le mule (FAlquiler , i giuocatorì di balla , o dì
qualche altro giuoco laboriofo , coloro che dall’in-
temperaate libidine fono divenuti fiacchi, i Predi-
catori di tre giorni per fettimana , i Lettori , i
Cattedratici , i Confeffori che faticano affai , quel-
li che ftudiano di continuo, gli Avvocati, i Proc-
curatori , i Giudici che travagliano , i Nota) che
fcrivono per k maggior parte del giorno , i Secre-
tar] de’ Principi ne’ giorni che faticano, di molto ,
lix
grinfermieri , i Vefcovi ne’ giorni delle Ordinazio-
ni numerofe , i Flagellanti della fettimana Tanta , i
pellegrini che vanno a’ luoghi fanti, quelli che ab-
bondano di calore diftomaco, cd altri che ommetto.
XK Terminata la lunga ferie, conchiude ilP.Hur-
tado. /lu^orem iftum mìratus fum^ qui cum ratio*
77CS pYobabiles invenhet ad omms relatos excufan*
dos , non [ibi occurriffe ad dicendum , quod choco*
late non frangtt\ nifi forfan hoc dìcat prò Italia^
& aliis regionibus^ in quibus confuetudo ìpfum bi-
bendi non ìnvaluity ficut invaluit in Indiis, & in
Hifpania. Non ha confiderato il P. Hurtado , che fe
il Pafqualigo ritrovava la probabilità anche per la
pozione coccolatica, non rimaneva piu alcuno che
davvero digiunafle . Per altro è d’ uopo confeffare
che non lenza ragione il P* Hurtado fi lamenta, che
quello fuo collega non abbia nel vallo arfenale del
Probabilifmo fapnto ritrovare perii cioccolatanti ra-
gion probabile, che gli metta al coperto del precet-
to, quando ha faputo ritrovare probabilità per cin-
quanta fiati di perfone, affine di efentarle dal digiu^
no . Ma ficcome il Probabilifmo aUro fondo non ha,
fecondo me, che il capriccio degli uomini ; così non
è maraviglia, fe fecondo la varietà de’genj fi multi-
plicano le probabiiiflicke opinioni ,
Xll
h
XII. Finimento métte al fuo Trattato il P. Hur-*
tado con ritrattare in fuftanza quanto ha detto. Egli
conchiude, thè chiunque la cioccolata beve, come
pure il vino, con intenzione di nutrirfi, viola il pre-
cettò del digiuno. La intenzione degli uomini nè
dà, nè toglie al preziofo licore virtù , o forza : e
pure il noftro P. Hurtado vuole che da quella fola
intenzione dipenda la offervanza, o la trafgreffione
del precetto. Già veggo che qui i leggitori' fi com-
muovono forfè contro di/ me, non potendo darli a
credere che un Teologo alla intenzione degli uomini
riduca o la violazione, o T adempimento della leg-
ge. Perciò conviene trafcrivere le di lui parole. In
tramata typh dato ... ìaùjftms probavi^ quodftvi-
num, & chocolate fumnntuY e a intentions ut nu-
triamo frangunt jejunìum ... Hdsc tamen do^rinay
quds omnium àntìquòrum efì^^ aliquibm moder-
nìs nìmìs dura njt fa e fi* Mihi vero vertjfima appa*
ret : ad quod fuffcit quod e am tradat S. Thomas ^
'quem fecutì fimt duodecim AuBores gravifftmi ^ quo-
rum nomina dedì loco citato, Quìbus addo Arcbtdia-
conum^ SUvejìrumo Abulenfemo Lopez^ o Medinamo
AzpTtiumj Compìutenfemo Alenfenio LublinunìoLef
fmmr '
XIII. Il fondamento- primiero di quella fentenza
è, che
Ixt
è, che e la cioccolata, e il vino veramente nutrifco-
no . E chi ardirà di negarlo? efclamail P. Hurtado .
Non ce Io dimofira la fperienza, avvegnaché di pri-
maria ifiituzione fieno faevande?Chi dunque le pren-
de con la intenzione di eftinguer la fame, e di nu-
tricar il corpo luo, prevaricatore fi rende della legge.
pYtmimì fu7ìdamentum ejì^ quia tam vinum, qmm
potus de chocoìate vere ììutriunt. Et quìs t hoc ne-
gra ì £um experientia id doceat^ quamvìs ex pri-
maria fui iìijìituùone [int potus , Ergo fi quis ea
fumat e a int emione ^ ut nutrì ant ^ & famem extin-
giiaìit , peccat coìitra praceptum jejunii , & r cip fa
ipfum frangit. Certe verità di lor natura lampanti
efiorcono fovente dagli fieffi avverfarj almeno im-
brogliati confcntimenti . Si concede qual verità in-
contraftata alla cioccolata il nutrimento; ma nello
fieffo tempo fi ricorre alla chimerica iftituzione pri-
maria, colla quale fu riporta nel novero de’ liquidi .
Se la primaria irtituzione la produce in parta foda,
opportuna per eiTere marticata, e mangiata^ come
può diri] , che di primaria irtituzione fia collo-
cata tra i liquidi ?
XIV. L’altro fondamento è, che allora frauda fi
commette contra la legge, quando, fai ve le parole
della legge, fi clrccnviene la fentenza, e lo fpirito
del
Ixii
della legge: ficcome quando un Regolare non di-
mette l’abito religiofo, ma fopra Tabito religiolo
la divifa vette di laico, circonviene la legge; c fe
fuori de’Chiottri cosi vettito va camminando, fecon-
do tutti , le cenfure incorre contra gli Apottati ka-^
gliateé Sendo per tanto verità certa che la ciocco-
lata nutrimento reca al corpo, quantunque chi la
beve , materialmente non mangi ( e per quetta par-
te fuflittono le parole della legge ) in realtà però
li delude la fentenza, e lo fpirito della legge, per-
chè contro di quetta più di una volta il giorno il
corpo fi nutrica. Tunc fit aìiqmd in fraudem legts^
cum quisjfahis ìllius verbìs^ fententiam ejus circum-
venit , ut con fìat in Religiofo. , qui non dimit-
tens habitum regularem , fupra ipfum ìnduitur habitu
/oculari : ifte enim , et fi non dimittat habitum occuU
te^ fi tamen dìwgetur extra clouflra^ omnes con^
veniunt ipfum taìem ejfe Apofìatam^ incurrere cen-
furas contra Apofiatas ìatàs^ quia fententiam legit
circumvenit , fervatts verbìs Ergo fi quis bibat
n)inum , aut cbocolate animo fe fuflentandi , &
nutriendi^ cum ifidc potiones vere nutriant, quam-
•vis ad hoc non fimt hiJhtutcCj et fi ore non come^
dat fed bibat ^ & fic falvet vcrba legti\ tamen
ejus fententiam circumvenit^ & vere ex imentioney
& ex
& fx opere operato plurìes cibatur , & jejunium
frangtt . Quefto fquarcio di dottrina fa ftrage del
Probabilifmo: condanna per ifcomunicati tutti qu*e^
Regolari che mafcherati girano per la Città, ancor-
ché fotto le vefti laicali portaffero o il facro fcapula-
re, o tonaca, o zimarra: condanna per trafgreffori
del fagro digiuno tutti i bevitori di cioccolata, per-
chè niun la beve per eftinguere la fete, ma per rin-
forzar il ventricolo contra i pungoli della fame.
XV. Sin qui abbiam fuccintamente narrato tutto
ciò che di più ingegnofo , ed abbagliante abbia fapu-
to inventare il Probabilifla Hurtado con tutti gli al-
tri Probabilifti del tempo fuo, per accoppiare in fa-
migliare amiflà cioccolata, e digiuno criftiano. Ac-
corda anche il buon Probabilifta , che il digiuno de’
Sacerdoti idolatri non comporti così deliziofe bevan-
de ; ma ricorda che un tale rigore di aftinenza non
ha che fare con la foftanza del digiuno criftiano.
Dobbiam però grazie rendere a quefto Teologo per
due capi. Primo perchè avendo con tutta fincerità
cfpofti i principi del pratico Probabilifmo, ha fatto
conofcere quanto fieno e deboli, e ridicoli: ci ha
fatto toccar con mani, che per quanto in una fpe-
culativa aftrazione fi proccuri con folta fiepe di di-
ftinzioni di propugnarlo, quando poi fe ne viene
a fa-
Ixiv
a fare pratico ufo, fi comprende fubito quanto per-
niciofo fia alla Morale crifiiana. In fecondo jluogo
il P. Hurtado, a differenza di tanti altri Probabi-
lifti troppo coftanti nella diiefa del loro fiflema,
e delle loro opinioni, le non ritratta pienamente
la fua fentenza, la circoferive però di tal maniera,
che niun uomo faggio ritroveraffi giammai che in
Quarefima beva la cioccolata fu i fondamenti ap-
poggiato ch’egli produce. Di tutti quelli che in
Quarefima bevono la cioccólata, non v’ha uno che
badi alla intenzione, onde la prende. E ciò che
rileva fi è, che di tanti cìoeColatanti che la pigliano,
non v’ha alcuno che la beva con intenzione di bere,
e d’eftinguer lafete; ma tutti finceramcnte confef-
fano che la bevono per corroborare lo ftomaco, e ri-
ftaurare le forze. Sicché il P. Hurtado avendo due,
anzi tre lunghi Trattati impiegati per dimofirar le-
cita la mattutina colf amanza del guftofo rifioro, e
non avendo potuto av'anzare nemmeno una fola ra-
gione fufliftente, e valevole a perfuadere una men-
te fuperiore alle preftigie delia gola, ne fegue per
legittima confeguenza che improbabile fia la fen-
tenza favorevole alla bibita del cioccolate, in vir-
tù di quanto ha faputo teologizzare il P* Hur-
tado.
ixv
§. VII.
Due Card'wali^ Brano acci ^ o Co^^a proptignam
r ufo del cioccolate infieme col digiuno»
I. T^Opo il P. Hurtado due Cardinali hanno
fcritto in difefa dell’ ufo della cioccolata,
e fono l’Eminentiffimo Brancacci, erEminentiffimo
Cozza, i quali diffufamente fu quella controverfia
hanno fcritto. Il primo una intera Differtazione ha
pubblicata. Il fecondo ciò che ha fcritto il primo,
con alcune fue rifleffioni ce lo porge diffufamente
nel fuo Tomo fovra il digiuno III. P. ar. i. dub. 9.
ri. 109. e feg. . Amendue nuli* dicono di piu di
quello che ha fcritto il P. Hurtado. Soltanto 1’
Eminentiffimo Cozza pretende di fondar la fua
fentenza full’ autorità della Scrittura Tanta, col fe-
guente ragionamento. Quella bevanda fi chiama fi-
cera da Giovanni a Colla. Or quella ficera^ ripi-
glia il Porporato Teologo, non è cibo, ma bevan-
da. Adunque non gualla il digiuno. Che cibo non
fia, ma bevanda, egli lo prova con un Tello del-
la Scrittura Tanta , la quale della lleffa maniera
parla del e della ficera» Q^uelle fono le pa-
E role
Ixvi
role regiftrate nel Deuteronomio a cap. xxix.
nem non cmiediftis : vinum , Ù* ftceram non bibt-
fiis. Lo fteffo afFermafi nel Libro de’ Giudici a cap.
XIII. Cave ergo 7ie bibas vinum, &ficeram. Una
dunque delle due: o l’ufo del vino al digiuno fi
oppone.* o fe col digiuno il vino è lecito, del pari
lecita dee dirli la cioccolata. Ella è ben gioconda
e feftevole quella argumentazione . I Cafifti non
fanno ordinariamente ufo della divina Scrittura, nè
de’ Padri per confermare le dottrine del Decalogo,
c le verità piìi rilevanti della Morale evangelica:
ed ora colP autorità della divina Scrittura fi preten-
de di rendere plaufibile una coftumanza la più ri-
pugnante a que’ digiuni feveri che la Scrittura fan-
ta comanda? Ma feguitiamo la Storia.
IL L’Eminentiflimo Cozza ^ prima di farfi ad
cfporre le ragioni del Brancaccio fepara le cofe cer-
te dalle controverfc^ Stabilifce per principio certo
preflb tutti, che la cioccolata di lua natura è un
cibo, fendo compofta di puri comellibili*^ Afcoltig-
mo lui fteffo. Ad exaffam Jbu/us rei difcujfwnem
fecernenda funt certa ab incertis, ut cìarius proceda-^
tur. Et primo in hoc concordane omnes quod choco-
ìates in fe , & ex natura fua habet rationem cibi *
nam componitur ex materia comeftibili: componitur
emm
ixvii
ièniYn (TX cacao , cinnamomo , face baro , & vagìnuìa ;
quóè omnia in fe habent ratioriem cibi nutritivi . Or
chi può negare che un compofto di tali ingredien-
ti non fià un vero, e fuftanzialé cibo? Perciò tutti
accordano, ch6 chi quefta cioccolata rriàngia in pa-
ftaj e nella fua primaria natura j rompa il precet-
to del digiuno.' La controverfia verte, fe (quagliata
nell’ acqua, e beri frullata al fuoco,' al digiuno fi
ópporiga. Stabilifce un altro principio l’erudito Car-
dinale Cozzai ed è quefto. (Qualunque bevanda fpre-
Wuta da cibi quafefimali non è al digiunò contra"
ria ; ma fòlò quella pozione' diliillata da cibi vis*
tati nella Quarefìrrìa j come fono i brodi eftratti
dalle Carni . Potus in omnium Jententta noti adver^
fatur integritàti jejUnii^ nifi fit extraftus ex mate^
ria iti diebus efufialibus prohibita j ut jufcuìa ex
tarnibus , & ftmilia . Quindi i brodi eflratti da
fìtaridorle,' da ftorióni,' da trote, gamberi, e fané,
èd altri pefei piu (celti in virtù di quefto principio
riori (arino guerra al criftianò digiuno. Se quefto
principiò fofle, come dice il Sig. Cardinale,' certo
preffo tutti,’ la quiftiòne farebbe decifa.
III. Il dotto Cardinale Brancacci, difenforé per
altro delle fané dottrine, propugna quefta opinio-
ne, ma con varie limitazioni: e conofeendò anch’
E ij egli
Ixviii
egli là debolezza de’fuoi argumenti, alla parvità
della materia la fentenza fua riftrigne. Il celebre
P. Maedro Giovan-Lorenzo Berti Agoftiniano, chia-
ro per dottrina, per erudizione, per probità, ed al
prefente Bibliotecario della infigne Biblioteca An-
gelica per opera del P. Reverendifìimo Maeftro Gioja
fuo Generale, che fi fa gloria di efaltare ai pedi
gliori deir Ordine ifuoi piu dotti e piu probi Religiofi,
nel quarto Tomo della fua Teologia al Lib. XXIV.
e capitolo ultimo alla propofizione iii. riporta con
elegante brevità, e chiarezza tutti gli argumenti
dei Brancacci con le fue rifpofte.
IV. Prima di tutto io vo’ riferire una fincera
confeffione di quefio infigne Cardinale, il quale
nella Differtazione fua avverte di non appoggiare
in conto alcuno la fua fentenza agli Oracoli Pon-
tificj, allegati dal P. Hurtado, come fondamenti
della confuetudine, fulla quale poi fonda la dot-
.trina fua favorevole alla cioccolata. Non afeifeam
m 'ihi hac ajfertione prcofidium ex ajfertts Summonim
Fcntìficum Pii P. Gregorii XIIL Fauli V, Gregorii
XV* dcclaratìonibus relatis pojl ceteros ab Hurtado^
tìUt ex Bulla ^ felicis memorice Urbani Vili, cujus
meminit Henricus Stubeus^ & prius Pellìcer ab
Hurtado relatus negativ.am nojìram jententiam con-
fr-
Ixix
firrnamibus. De bis enim rnibì leghime non con-
fìat, Ncque illas vidi^ ncque id a viris , quorum
certe cogyùùonem fugere non poterat ^ audhi, Immo
cum plcrumque cor am Pontifice in Epifeoporum exa-
mine^ me prefmte ^ heec controverfia fuerit propo-
fìta^ nulla de ajjertis Bullis mentio fa^a efì, Pd
Ibli Domenicani deila Chiappa, ed ai Gefuiti del
Mexico fono flati palefi gli Oracoli pronunziati
da’ Sommi Pontefici Rema#
V. 11 primo argomento di quefto Cardinale è il
folito prodotto cemunemente dagli altri, che la cioc-
colata è bevanda, non cibo. E quefla pozione è fa-
migliare e comune agli Americani, agli Spagnuoli.
Ciò che dì natura fua è bevanda, non può aver ra-
gion di cibo in qual fi fia paefe del mondo # E ciò
che di cibo natura non ha , ma di liquido , al di-
giuno non fi oppone, perchè liquida non frangunt.
Quefio difeorfo induffe il celebre Medico Caldera
Spagnuolo a ritrattare la fua fentenza,che nel Trat-
tato intitolato Tribunal Medico^Magìcum avea in-
legnata. Bifogna che quefto Medico Caldera foffe di
mente aliai pieghevole, quando da sì fatti argumen-
ti reflava perfuafa . Riferifce il mentovato P. Mae-
Aro Berti che il Medico Inglefe Srube con ifperi-
mento fatto ha dirnoflrato che da un’oncia di caccao
E i i j fpre-
fpremcfi più di untuofo, c di umore nutritivo ,
da una libbra di carne bovina. Tommafo Gage rac»
conta d’aver intefo dagli Arnericani mcd^fimi , che
quelli i quali tra di loro fono foliti a bere il cipccor
)ate, fogliono edere quadrati, torofi , e graffi : e
ne affegna la ragione . Imperciocché febbene nel
,caccao ci fieno molte parti frigide, ve ne fono per
rò affai più di butirrofe, e nutritive . E gli altri |
ingredienti calidi fono, come la cannella* per rolli-
la dire della vainiglia, che non ferapre ci entra .
Il Sig. Cardinale Brancacci afferìfee d’ aver fatto I
fperienza più di una volta , che una folita chic-
chera di cioccolata non gli corroborava Io ftoma-
co , nè gli riftaurava le forze più di fette ore ^ |
Donde inferifee, effer falfo che due onde di cio^- ,
colata porgano più nutritnentp che tre onde di
carne. Io poffo affermare che fojaniente per tre in
quattro ore quella bevanda , quando per qualche
congiuntura la prendo, mi eftingue la fanne , ini
corrobora lo ftomaco ^ ed il capo ; e paffate le
quattro ore grave fame (perimento • JVJa fe da ciò
yoleffi inferire , che quella fquifita pozione non
nutrica, non conforta, direi una fallità patentiffì-
ma, contraria alla fenfibile fperienza. Che poi magr
gipr nutrimento rechino due pneie di cioccolate
eh?
Ixxi
che tre o qitattro di carne, quella è una quiftione
ch’io la reputo quanto difficile da deciderfi, altret-
tanto vana ed inutile. Il punto batte che fecondo
la comune fentenza de’ Medici la cioccolata fom-
miniftra un ottimo nutrimento , come dimoftra
Giacomo Mangetti nella fua Biblioteca Farinaccio
ficO’Mcdica, Ma di ciò fi parlerà quando narrere-
mo le dottrine de’ Teologi che ripugnante al di-
giuno affermano la cioccolata,
VI, Il fecondo argumento del Brancacci è , che
il vino, e la cervifa non guadano il digiuno, av-
vegnaché licori fieno nutritivi; di maniera che al-
cuni vini fecondo Galeno egualmente nutrichino
che la carne porcina : per lo che una volta prima
de’ combattimenti, agli Atleti vini generofi porge-
vanfu Gumaro Huygens bravo Teologo Lovanien-
fe con forti argumenti , e con vada erudizione ncr
ga che il vino, e la cervifa fuori di pado non fi
oppongano al digiuno, Cofa fenta il benigno Pro-
babilida Hurtado fu quedo punto, fi è riferito di
lopra. Ma fi accordi col comune fentimento de’
Teologi, che il vino ufuale, che fuole nelle menfe
praticarfi, non violi il digiuno : chi perciò accop-
pierà col digiuno l’ufo di quel vino pretto , e ge-
nerofo, di cui fa menzione Galeno , e che davali
E iiij ' agli
jxxii
agli Atleti, o di un vino che per via di comefìi-
bili fquagliatì fi rendeffe ipeffo, e fiffo a maniera
dei cioccolate?
Vii. La parvità della materia è il terzo fonda-
mento della fentenza del Brancacci . Ma quello
argumento dimoftra evidentemente difperata la cau-
la. Ninno nega darli parvità di materia anche in
quella bevanda . Ma fe è vero ciò che i Medici
più infigni Mangcto, Pafquio, Zacchia , Stubeo ,
ed altri infegnano, che in un’oncia fola di cioc-
colata vi è tanta virtù nutritiva che fupera il nu-
trimento recato dai migliori cibi; malagevole cofa
farà il difegnare i confini di quella parvità , per
accoppiarla con un digiuno che crediamo figurato
in Mosè, ed in Elia, e confagrato coll’efempio
di Gesù Grillo Signor nollro , e dairappollolica ed
antica Tradizione avvalorato.
Vili. L’ultimo argumento del Cardinale Bran-
cacci ci propone la cioccolata fotto figura ^di me-
dicamento, che rinforza il caler naturale, che ge-
nera un iangue più puro, che vivifica la follanza
del cuore, che i fiati rompe, e fgombera , ed al-
io flomaco reca giovamento « Le parole latine del
Cardinale fpiegheranno con più di vivezza quelle
belle proprietà della fpiritofa bevanda • Roborat
na-
Jxxiii
^aturaìem calorem^ genevat pufior^m fanguinem ^
cordis fubjìnmiam vivificata dijfipat fiatus^ & prod^
eft ad flomachum robot andum. Io aggiugncrei che
rallegra il cuore, che rifveglia gli fpiriti, e gli
mette in dolce moto , che conforta il capo , ch«
feconda la mente di acuti concetti, e rende elo-
quente la lingua, non già per mormorare, ma per
rendere più amene, e piu brillanti le convcrfazio-
ni di que’ crocchi, dove fuole beverli allegramen-
te . Quello medicamento è ornato di tante prero-
gative, che è ottimo e pegl’ infermi, e per li fa-
ni. La voce chele gli attribuifce di medicamento,
può fervire di tale qual mafchera preffo gl’ idioti ^
perchè poffa in tempo di digiuno camminar impu-
nemente. Nel rimanente fi afferma chiaramente ,
che quella pozione rinforzi il calor naturale , che
vivifichi la fullanza del cuore, che fangue più pu-
ro generi, e più dilicato, che corrobori lo ftoma-
co ; e poi nello lleffo tempo fi ha tanto coraggio
di negare che nutrichi il corpo, che gualli il di-
giuno? Ma quali migliori effetti producono nel
corpo umano i brodi di capponi , i dillillati de’
piccioni , delle pernici ?
IX. Quelli fono tutti gli argumenti,cui il Car-
dinale Brancacci la fua fentenza appoggia : argu-
men-
Ixxiv
menti, conchiude il mentovato P. Maeftro Berti
che non foddisfaranno giammai alcun faggio Teo-^
logo. Ed acciocché lo fplendore del Porporato non
ferva di abbaglio, ed il fapere di cosi dotto Car-
dinale non fi polla allegare per autorità , che dia
grado di probabilità a quella opinione rifpetto a
coloro' che per probabile ricevono tutto ciò che da
qualche Scrittore fi (lampa y giova bene il ricorda-
re ciò che di foprafi è accennato, vale a dire, che
elfo Cardinale , alla parvità della materia la fua
fentenza riduce , e che quella parvità la rellrigne
ad un’ oncia fola di cioccolata , chiaramente infe-
gnando, che quando la cioccolata non è diluta, ma
fpeffa, rompa il precetto del digiuno. La qual cofa
maffimamente s’inculca a coloro che fcnza aver let-
ti i libri , vanno (pacciando per affolute le limi-
tate, e circofcritte opinioni degli Autori,
X. L’ Eminentiilimo Cozza agli argumenti che di
Hurtado, e di Brancacci produce, vi aggiugne que-
lla rifledìone da altri Autori altresì avanzata. Quan-»
do la quantità delPacqua formonta la quantità della
materia comeltibile che dentro vi li mette , allora
il mifto ha ragione di bevanda, e non di cibo • Al
contrario quando la quantità dell’acqua, nella quale
mefcolafi, è minore , allora il miflo ha ragione di
ci*
i:ibo, non di bevanda. Quella medefima dottrina fi
produce dal P. Leandro, e dal P. Geribaldi amendue
Cafifti affai benigni. Il P, Leandro tuttoché beni-
gniffimo tra i Probabilifti , affolutamente nel fuo
Trattato V, Dif. v. q. 5. afferma che la cioccolata
guafta il digiuno ; e poi infegna che noi guafta ,
quando la quantità dell’acqua fupera quella del cioc-
colate, Uopo è il dire, che quello Padre ignoraffe la
maniera onde quella pozione in Europa fi manipola .
Jn ogni bevanda di cioccolata che comunemente u-
fafij la quantità deir acqua fupera la quantità della
palla che dentrp vi fi mette , La ragione avanzata
dal ]Leandro, e adottata dal Geribaldi, e dal Coz-
za, è una manifella illufione. h?Lpolenfa^ cibo fami-
gliare alla gente di campagna, dovrà collocarli tra i
liquidi, e denominarli acqua, perchè in quello nii-
fto ad ogni libbra di farina vi corrilpondonq tre di
acqua. La minellra di rifa tanto comune nelle men-
fe, fi dovrà chiamar acqua , perchè ad ogni oncia di
rifo vi corrifpondono circa fei d’acqua. Se vera fof-
fe la fentenza di Leandro, di Geribaldi, di Cozza,
che quando }a quantità dell’ acqua 'fupera il comelli-
bile, allora U miito fi denomina bevanda, e che
ognuno può forbirne in magna quamuate^& quotìes
ìibuerip ; ne feguirebbe che ognuno poteffe bere u-
xxvi
na j e due libbre di cioccolata il giorno lìempsrata la
tre libbre d’acqua.
VII I.
Tre altri Dottori fcrivouo in -difefà della be-
vanda del cioccolate in Quare/ima * -
I. '"T^RE altri Scrittori hanno in queflì ultimi
tempi trattata quefia caufa . Il P. Domeni*
co Viva , tra gli altri , ce la porge di una manie-
ra fua particolare . Io traferiverò tutte le fue^ paro-
le 5 acciocché la lolita canzona non fi ricanti di
poca fincerità nel riferire la fua dottrina . Cosi dun
que egli fcrive nel fuo Tomo primo, parte fecon-
da , alla quiftione decima , nell’ articolo primo al
num. vili. ( /7 )
il. „ In-
{a) Circa chocolatam num frangat jejunium , Varii varia .
Complures affirmant apud Dian. Pare. IV. tra£i. iv. refol. 194. &
Pare. V. traél. v. refol. ii. Aliqui negant apud Tambur. proptér
inateriae parvicatem . Alii vero apud eumdem negane , quia eft
pocus ufualis in Mexico, non fecus ac cervifia apud Germanos ^
& vinum apud noftrates .
Idem Tambur. Se Dian. propfei* au^ìoritatem extrinfecam
jnultorum Theologorum , Se propter ufum timoratorum putanc
probabiliter jejunium non frangere . Machad. eriirn Tom. I. Lib. II.
part. IV. trad. 3. dicit in Hifpania ufque adco effe ufualem , uc
xeie nemo fit qu.i religioni habeat illam furaere die jejunii. Ve-
Ixxvii
IL „ Intorno aila cioccolata fe rompa il digiu-
„ no , varj Autori varie cofe dicono . Molti afier-
55 mano preffo il Diana . Alcuni negano preffo Tarn.
5, burino per la parvità della materia . Altri ne-
5, gano preffo il medefimo , perchè nel Mexico
pozione ufuale , non altramente che la cervifa
55 prdlo i Tedefchi , ed il vino predo di noi .
IIL
rum , pr^Ecifa audoritate cxtrinfeca , arridet milii opinio Emi-
Kentìiììaii Brancatii cum Efcob. quod fcilicet fi ea utamur eo
modo quo in Mexico eft potus ufualis ( ita videlicet ut feptem
vei odo unciis aquce addatur una lincia chocolate, & media iac»
chari )jcjunium non frangat; lecus vero, fi magna quantitas cho-
colatac intermifceatur aqus, ita ut inducat rationem pulmenti ,
ut diximus de forbetta . Ratio non efì: , quia uncia eft maceria
parva : nam fic non polle^ iliam pluries fumere fine mortali , nec
iemcl fine veniali ; led qhia in tanta quantitate efi potus ufualis
apud illas nationes j & fic ubilibec tamquam potus ufualis fumi
poteft .
Ncque dicas primo , quod quamvis talls potus fit ufualis apud
Indos , non eft apud noftrates ufualis . Nam fi alicubi eft po-
tus ufualiS , iam natura fua habet fumi ad vehiculum cibi , &
ad fedandam fitim ; quod autem natura fua eft tale, ubilibet eft
Cale : & hac de caufa apud noftrates cervifia non frangit jeju-
niuin, quamvis non fit hic ulualis.
Ncque dicas fecundo, quod vere nutriat. Nam idem dici pof-
lec de vino , Se cervifia , quse tamen jeiunium non frangunt :
quia , ut notat Laym. Se Lefs. nutrìunt per accidens : lu-
ndciir cnim vinum magis ad alteratlonem corporis , Se digeftio-
nem cibi, quain ad nutritionem , ut ioquitur Div. Thom. quseft.
147- arr. 6. ad 2. licet aliquo modo nutriat ; Sc ideo jejiinium
non frangit . Ceterum , ut adverti in Trutina exponendo the-
fim 29. ab Alexandro VII. proferiptam , in praxi non facile hi-
fee opinionibus laxandas funt habeiicC, pr^fertim a timoratis , qui
Cbriftum Dominum imftari 3 iiftque > non abdomini , infervir^
fatagunt.
<i'
ixxvlii I
in. ,, i medefimi Tamburino, cDiana p^r Tatì-
5, torità eftrinfeca di molti Teologi, c per Tufo dei
timorati pehfano probabilmente ^ che fiori rompa
5, ii digiuno. Imperciocché Machadó nel Torri. I.
5, Lib. II. p. iVi traft. 3. dice , che nella Spagna è
5, così ufuale che quafi fiiuno fi fa fcrupolo il preri-
5, derla in giorno di digiunò ^ Verartìente , levata
via r autorità ejìrinfeca , a me piace la opinio*
3^ ne deirEmirìentiflimo Bfancacci cori Efcóbario ,
3, che appuntò fe ci fervìarrio della cioccolata nella
3, maniera che nel Mexico è bevarida ufuale [ cioè
3j fe a fette ò otto oncie di acqua fe rie aggiunga |
3j Una di ciòccòlata, e mejtza di zuccaro] non gua-
3, fta il digiuno * ma fe sì rnefchii colf acqUa grani
quantità di cioccolata , per guHa che abbia foriria
„• di minelira , allora guada il digiuno , corrie ab-
„ biam detto della forbetta . La ragione non è ^ !
3, perche un^ oncia è parvità di materia : impercióc^
„ chh in qUeJla guifa tu noti potrai prenderla piu
3, volte fenga mortai colpa , nè uria fola volta feriga
iy peccato veniale : ma perchè preffo quelle Nazioni
5, è bevanda ufuale, e così in qualunque luogòcóme'
3, bevanda ufuale fi può prendere .
IV, „ Nè vogli primamente opporre , che , av-
„ vegnachè tal bevanda ufuale Ila preffo gl’ Indiani,
Ixxi)c
3^'iion la fia prcffo di noi . Concioffiachè y fe irt
5, qualche luogo è bevanda ufuale , già di natura
5, fua è deftinata a prendcrfì qual veicolo del cibo,
„ e ad eftinguer la fetc : Quod autem natura fua
5, ejl tak^ ubiìihet e fi tale : c per quefta ragione
5, preffo i noftri la cctvifa non rompe il digiuno ,
„ avvegnaché non fia qui ufuale.
V. „ Nè vogli opporre in fecondo luogo , che
„ veramente nutrica ^ Imperciocché lo fteffo fi può
5^ dire del vino , della cervifa j e non perciò rom*
„ pono il digiuno .‘perché, come notano Laimano ,
„ e Leffio , nutricano per accidente : imperciocché
„ il vino fi beve più per alterare il corpo, e dige-
„ rire il cibo , che per nutrimento , come parla S.
„ Tommafo nella quifl.147.an0. adì. benché in qual-
„ che maniera nuteifeaj e perciò il digiuno nonvio-
„ la . Nel rimanente, cóme ho avvertito nella Tru-
,, tina , efponendo la tefi 29. da Aleflàndro VII*
„ dannata , nella pratica non fi dee facilmente in
,3i quefle opinioni allargar le redini , fpeeiaìmente
„ dai timorati , che Criflo Signor noflro voglio-
,3ì no imitare , e a lui , non al ventre , ed alla
„ gola, fervire.
V”. Ognun qui domanderà al Padre Viva , per-
chè abbia fcritto del cioccolate degl’ Indiani , e non
del
hxx
del cioccolate degl’ Italiani . Se la cioccolata è faN
ta a maniera di quella dei Mcxicani , non guada il
digiuno ? Si dovrà dunque andare al Mexico per
fapere , fe la cioccolata di quel paefe è firaile alla
noftra ? Nò , perchè allora la noftra è fimile a quel-
la degl’ Indiani , quando in fette o otto oncie d^
acqua vi fi mefcola un’oncia di cioccolata , e rae^
za di zucchero . Ma perchè fi mette il zucchero fe-
paratamente , fe quefto zucchero è uno degl’ingre-
dienti del cioccolate ? Si fepara la mezza oncia del
zucchero, fapete perchè? Perchè , fe dite un’oncia
e mezza di cioccolate in un fiato , pare che ecce-
da la parvità della materia • Per altro in Italia la
cioccolata s’impafta col zucchero. Sicché, fecondo
il P. Viva, un’oncia e mezza di cioccolata in fet-
te oncie di acqua è all’ufo degli Americani. Ma
della cioccolata che bevefi comunemente in Italia > |
ed in Europa tutta , che ne rifolvete ? La voflra
Teologia è ella indirizzata ad iftruire gli Ameri-
cani , o gl’italiani ? Io ho voluto informarmi coi
più periti di quefta bevanda ; e tutti dicono , che
un’oncia e mezza è quella dofe che comunemente
adoperali , quando anche fi vuol bere una buona
chicchera di cioccolata . Le due oncie fono per la
ottima, e quafi firaordinaria.
VII.
Ixxxi
VII. Ora il R. P. Viva infegna , che quefte chic-
chere di un’oncia c mezza di cioccolata diftempera-
ta in fette oncie di acqua ben bollita , concotta
e da mano delira frullata fi poffan vuotare nella
Quarefima toties quottes a uno piacerà , fenza violar
il precetto del digiuno . Perchè , dice egli , la ra-
gione che giuftifica quella bevanda non è giJ la
parvità della materia . Concioffiachè fe la parvità
della materia folle la ragione che lecita rende co-
teda bevanda , fi peccherebbe mortalmente in be-
vendola due o tre volte ; e chi la bevclTe una fola
volta, un peccato veniale non isfuggirebbe. Ora que-
llo peccato veniale renderebbe amara , e difguPtofa
una tal bevanda alle anime fpezialmente timorate.
Dottrina dunque bifogna rinvenire la quale e ci
faccia bere la faporofa pozione con tranquillità di
cofeienza, fenza che v’intervenga neppur venial col-
pa ; e ce la faccia bere non una , ma quante volte
noi vogliamo , come beviamo l’ acqua , ed il vino
uluale. Ratio mnejì^ quia micia eji parva materia*
E pure quella è una delle principali ragioni dell’
Eminentiifimo Brancacci . Ma comunque fia , que-
lla ragione non comoda le cofcicaze delicate , co-
m‘e s’ è detto . Nam [ic non pojfes illam pluries fu^-
mere fine mortali^ nec femel fine veniali* Si dica
F duri-
Jxxxii
dunque , che in tanta quantitate ejl potus u/ualk
apud illas Natìones ^ & fic ubilibet tamquam potm
ufualis fimi potè fi : vale a dire , quante volte voi
volete , fenza peccare neppur venialmente contra
il precetto del digiuno; che che fia della virtù del-
la temperanza ^ della quale di prefente , per parlare
con precifione , e con nettezza , non fi difcorre .
Nè vogliate fcrupolizzando oppormi , che febbene
preflb gli Americani quefta cioccolata fia ufual be-
vanda , tale però non è ne’^ paefi noftri . Impercioc^
chè quefti fono fcrupoli eccitati dal mal umor ip-
pocondriaco. Ammeflb una volta che quefta fia be-
vanda ufuale in qualche paefe , tale di fua natura
è in ogni altro luogo del mondo . TSÌam fi alicubi
efl potus ufualis j jam natura fua ubilibet e fi talis
Non voglio neppure che fcrupolo alcuno la cofcien-
za voftra turbi , perchè quefta bevanda nutrimento
reca ; mentre anche il vino nutrifee , e la cervifa ,
e non perciò a fcrupolo vi recate di violar il pre-
cetto j ancorché più volte ne beviate • Nel rima-
nente , conchiude il fuo difeorfo il P. Viva , non
bifogna nella pratica, come s’è avvifato nella Tru-
tina , allargar facilmente le redini a quefte opinio-
ni . Non facile hifee opinìonìbus la^candae funt ha*
benne . Maffimamente dai timorati imitatori di Cri-
fto
Ixxxiii
fio Signore , prefertim d timoratis , qui Chrìflund
Domimm imttari , ed a quefto , non al ventre , ler-
virc vogliono, tUiquSi noti abdominì^ fervire fata-
gunt , Ma quelli che non fono timorati ^ e che non
fono di (porti ad imitar Crifto , iri macerando con
veri digiuni la gola j é la concupifcenza / anzi al
contrariò vogliono realmente fervire al ventre , e
alla gola / cofa debbono fare querti ghiottoni di più
che bere di quefta cioccolata tante chicchere il gior*
ho , quante' ne vogliono ^ come accorda il P. Viva ?
Querti infegna che i Criftiani in tempo di digiunò
polfonò fuori di parto noii folo per ertirigùere la fe-
te , ma ancora: per rifiofare le forze bere quanto
loro aggrada del vinò , e di ogni altra bevanda ufua-
le . Tarn in merifa , quam extra men farri licttum e fi
bibere j & vino vires reficere , ficut etiarri quolibei
alio potu ufualì . loc. cit. num. vi. La cioccolata y
quando fe ne metta un’oncia é mezza in fette oacie
di acqua , è una bevanda ufuale , Iri tanta quanti-
tate e fi potus ufualis apud illas Nationes\ & fic ubi-
libet tamquam potui ufuaìii fumi potè fi Nè vògli
tu opporre , che chi beve fuor di menta , non per
ertinguer la fete , ma per faziar la fame , beve in
fraude del digiunò , e della legge Ncque dicaL,...,
Qiii extra rnenfam bibit ad reficiendas viresf bibit
F i j irt
Ixxxiv
in fraudem jejunìi , & in fraudem legis . Ergo
cat . Quefto è un opponimento vano , fuggerito da
tetro umore fcrupolofo . Ma quefto fcrupolo io lo
fgombro col P, Reginaldo . Imperciocché non opera
in fraude della legge chi fi ferve del fuo diritto .
Ciafeuno in virtù di confuetudine ha jus di bere per
eftinguer la fete • Adunque ancorché beva per rifto-
rare le forze , fi ferve del fuo jus . 'Refpondeo tamen
cum Regi fJ ah negando minor em • ISÌon enim in frau-
dem le^is operatur qui utitur jure fuo , Quilibet
autem ey: confuetudine bnbet jus bibendi ad fedan-
dnm fttim . Ergo f bibat etiam ad reficiendas vi^
res j utitur jure fuo . Che fe quefto ragionamento
con pienezza non vi rendeffe perfuafi , afcoltate la
ragione radicale , che fi aftegna dall’ Abulenfe ap-
pretto Monfignor Marti A Bonacina • Non opera in'
fraude della legge chi opera contra il fine della leg-
ge , ma foltanto chi opera contra la efprejfa inten-
zione della legge , Et ratio radicalis ajfignatur ab
Abulenfi apud Bonacinam punfl, 2. quia fcilìcet non
operatur in fraudem legis qui facit contra finem
kgis 5 fed qui facit contra intentionem legis eyprìf
fam . Intenzione efpreffa di legge , e fine di legge
fono due cofe tanto diverfe , che rendono lecita la
bevanda toties quotiesj dice il P. Viva . Fra poco
vedre-
IxxxV
vedremo come i Teologi contrari fe n.e fanno gi-
uoco di fimile diAinzione .• perchè il fine intrinfecp
della legge forma l’anima , e la effenza della leg.
ge , che che fia del fine eArinfeco .
Vili. Un celebre Predicatore non in latino , co?
me vorrebbono alcuni che queAe morali QuìAioni A
fcriveffero, ma in italiana favella pervia di dialo-
go tra Silvio, Lucrezio, e il Predicatore, nella ter-
za parte, ch’egli chiama famigliare, e da camera,
della prima Predica del fuo quarcfiraale , riferifce le
varie fentenze degli Autori fu queAo punto, e poi
ne forma la fua. Mi Infingo che non riefcerà al leg-
gitore difaggradevole la intera lettura di tutto e quan-
to il Ragionamento di queAo Padre. Scrive per tanto,
egli cosi,
IX. „ Silvio. Ditemi; Se voglio digiunare, potrò
„ io prendere liberamente il cioccolate.?
,, Lucr. Oh! da queAo fcrupolo vi poffo liberar
„ ancor io. Ho letto tutto il lungo Trattato che ne
„ fa il Padre Bonapace^ e al fuo difcorfo mi fonda-
„ to convinto, mentre prima di leggerlo io era di
„ opinione contraria. Effo fuppone ciò che è certo:
„ da cofa che nonfia nutritiva, non guafiarfi il digiu-
,, no ecclefiaAico . Ciò fuppoAo , difcorre così . Noa
„ può eAere nutritivo quel compoAo di cui iieffuna
F iij „ par-
ixxxvi
5, parte è nutritiva: quefla propofizion mi par
„ ta. Mette la minore, c dice: Neffuna parte del
,5 cioccolate è nutritiva: e lo prova. Il zucchero è
„ un fai dolce , e fecondo ì Medici non nutrifce-:
non nutrifcon gli aromi : refta il cacao ; ma que-
„ (lo, dice, è di natura frigidiffimaj,* e per dottrina
„ de’ Medici, cji’egli cita, le pofe di natura frigidi^
5, fima, fono indigeftibili , non nutritive.
„ Vred. Quello Teologo va per una ftrada difihci-
5, lilTima, e piena di fcrupolofità. Il cacao abbando-?
„ nato nella fua frigidezza fia ìndigeftibile ; non
5, per quello fi può provare che non abbia in sè prin-
„ dpi nutritivi, abiliffimi a nutrire, quando fienp,
5, liberati dalla ecceflìva frigidezza ; e colla fua ma-
„ nipolazione, collo sfumare dell’umido foprabbon-
„ dante nella fua abbroftitura, e macinatura, coir
aggiunta del zucchero, e droghe palide fi riduce
„ a un temperamento, dopo il quale non può prò?
5, varfi ch’ei non fia nutritivo.
„ Silvio. V’è almeno Tempre a che ricorrere ^
„ la parvità della materia.
3, Fred. Neppur quefta ftrada mi piace, i. Perchè
„ la parvità della materia prefa fenza giufto motivo
,, che la coonefli , non libera da colpa veniale ; e
„ non voglio, caro il mio Signor Silvio, che de’
V pec-
Ixxxvii
5, peccati veniali facciam poco conto. 2. Perchè in
„ realtà non è sì facile a ridurla a parvità di mate-
ria. Bollito il cioccolate, e incorporato coll’ ac-
„ qua, forma una terza fpecic, che produce diverfi
„ effetti, e in iftima morale fi giudica una terza fo-
„ danza, come poco rifo, opoco pane fatto bollire,
„ e incorporato a qualche liquore»
„ Lucr. Quando il cioccolate fia incorporato coll’
„ acqua, è cofa liquida; e liquida non frangunt .
,, Prd’rf. Neppure ammetto quefta dottrina: e col
„ Cardinale Toledo, e altri Teologi diftinguo due
„ claffi di liquidi. Una è ordinata a toglier la fete;
„ e ancorché fia nutritiva, non rompe il digiuno ec-
„ clefiaftico. Il vino, l’acqua vita, la birra fi dige-
„ rifcono dallo ftomaco umano; dunque fon liquori
„ che nutrilcono ; ma per sè fteffi non fono ordinati
„ a nutrire, nè a toglier la fame, ma folo ad eftin-
„ guer la fete: così le ordinarie lattate, quali fo-
„ glion farfi da’ forbettieri , ancorché contengano
5, mandole pelle, o altri femi nutritivi, non rom-
„ pono il digiuno ecclefiaftico, perchè fono mera-
„ mente ordinate per sè a eftinguer la fete. Percon-
5, trario il latte, il brodo di rane, o d’altri pelei
„ pingui; anzi le orzate ftelfe, o lattate, fe vi fi
aggiungano torli d’ova, oppure la mano in effe fia
F ii ij „ più
ixxxviii
„ più liberale di femi, o mandole, per renderle mu
5, tritivc, guaflano il digiuno: perchè fono liquidi
5, di un’altra claffe, ordinati non ad cftinguer lafc-
„ tc, ma a toglier la fame, e a nutrire: nè vedo che il
„ cioccolate fi beva comunemente per eftinguerlafete,
„ Silv. Dunque voi, o Padre, giudicate che il
5, cioccolate fia contrario al digiuno?
3, Pred. Non, mio Signore ; ma mi fervo d’altri
„ principi. Parlando fpeculativamente dico. Talbe-
5, vanda non è ordinata ad eftinguer La fete, non a
„ toglier la fame ■ ma a confortare il capo, e lo flo-
,, maco : dunque non è propriamente nè cibo , nè t
„ bevanda ufuale; ma medicamento prefo in bevan-
5, da: e le medicine , benché per accidente poffan nu- I
„ trire, come foglio di mandole dolci, e altri tali
,5 liquori , però non fi oppongono al digiuno eccle-
„ fiadico. La bevanda del cioccolate è una bevanda
„ medicinale per sè medefìma ordinata alla fanitàdel I
,, capo , e dello ftomaco • Che fe alcuno fen vale |
„ per pura delizia, e pecchi contro la temperanza,
„ non per foltanto vien a peccare contro il digiu-
„ no ordinato da fanta Chiefa. Così molti bevono
„ per pura delizia i forbetti di melangolo.* commet-
,, teranno altro peccato, ma non peccano contro que-
,, fio precetto.
„ Z.I/-
Ixxxix
55 Lmy* Qutfto dilcorfo mi appaga molto.
5, ^red> Più vi appagherà il difcorfo pratico , che
y, con piena certezza conclude . Il digiuno ecclefia-
5, ftico, dice il citato Cardinal Toledo , eft /ibjìì-
y, nentta volunfaria cibi jmta ritum Eccìefu^ : dun-
,5 que ciò che non è contrario al rito , c volontà del-
5, laChiefa, non è contrario al precetto di lei. Mi
55 fpiego. La collazione che fi piglia la fera, certa-
55 mente è cibo, e nutrifce, ed è feparatocon molte
55 ore di tempo dal pranfo; nè abbiamo canone po-
55 fulvo che la permetta . NuIIadimeno è certo che
55 non guada il digiuno ecclefiadico poiché laChie-
55 (a vede tal collazione edere praticata da’ fedeli, nè
55 mai l’ha proibita. Difcorrete nel modo delTo del-
,5 la bevanda del cioccolate. Chiamatela bevanda,
,5 o cibo, o medicamento, come volete; nutrifca, o
55 non nutrifca, come volete / al dì d’oggi non è
55 cofa nuova: da gran tempo cda fi ufa in Roma, e
55 fuor di Roma, da uomini dotti, e pii, nelle con-
„ verfazioni pubbliche, in pubblici rinfrefchi, in vi-
„ da de’ Prelati, e de’ Pontefici; nè quedi, nè le
„ Congregazioni hanno mai reclamato; ed effendo
,5 cofa appartenente al jus politi vo, mai di pubblica
,5 ecclefiadica autorità non fi è fpiccato contro tal
$5 bevanda alamo editto. Dunque lidi lei ufo non è
5, con.
xc
5, contrario al rito ccclefiaftico : dunque non rompe
,p il digiuno.
„ Lucr. Sicché potrà ufarfi ancor ne’ digiuni del
„ Giubileo, e d’altre Indulgenze ?
„ Pred. Quando il Pontefice pel Giubileo, o per
5, altra Indulgenza preferive qualche digiuno , non
„ pretende digiuno di natura diverfa da quel che
„ preferive la Chiefa negli altri digiuni da sè co^.
„ mandati; negli altri non preferive Taftinenza da
„ quella bevanda: dunque il Pontefice non preten»*
„ de tal attinenza he’ digiuni del Giubileo, o d’altre
,, Indulgenze.
X. Noi non ci poflìam difpenfare di fare alcune
brevi annotazioni fopra un difcorlo cotanto concetto^
fo, nel quale li ravvi fa la fecondità dell’ umano in-
telletto nell’inventar ragioni che fecondino le premu-
re del fuo amico corpo . Il Padre Bonapace fuperio-.^
re a tutti i rimproveri della fperienza , non li fgo,
menta di avanzare al pubblico, che la cioccolata non
nutrifea. Con ragione dice jl P. Calino che quejìo
Teologo va per una ftrada difficili Jfma , e piena
di jtrupulofità . Per vero dire non ci è poco fcrupolo
l’opporfi al fentimento univerfale del genere umano,
ed all’intimo lenfo che fperimenta quegli tteflb che
così parlai
XI.
xci
XI. Approvo altresì il fentimento dei P. Predica,
tore nel rigettare l’altro principio della parvità del-
la materia. Prima per la ragione già accennata dal
P. Viva, che quella dalla venia! colpa non
ci libera ; e non voglio^ caro il mio Signor Silvio^
che de"* peccati veniali ne facciam poco conto .
Feliciflimo Silvio/ Tu hai quella volta trovata una
Teologia per tanti fecoli occultiffima : ed è di por
ter lenza colpa neppur veniale con una cofcienza de-
licatiflima praticare ne’medefimi giorni fanti di pe-
nitenza le più fquilite , e difpendiofe delizie . Se
non che in fecondo luogo è malagevole di ridurre la
odierna collumanza della cioccolata parvità di ma-
teria. Bollito il cioccolate^ e incorporato coll'’ acqua
forma una ter^a fpecie ^ che produce diverft effetti ,
e in ijlima morale ft giudica una tev'za fofìanTa .
Quello è un difcorfo lodo, al cui confronto vano, e
ridicolo riefce l’ opponimento di Lucrezio, che li-
quida non frangunt. Il P. Calino egregiamente di-
llingue due claffi di liquidi : gli uni per ellinguerla
icte / gli altri dellinati a toglier la fame , e a nu-
trire : nè vedo , che il cioccolate fi beva per ejiinguer
la fete. Rifleflb, che la fperienza univerfale il lug-
gerifce a chiunque non ha alla ragione naturale chiu-
fa la porta •
XIL
xai
XIL Silvio di fdegno accefo per vedere riprovate
tutte le principali ragioni, che i Teologi pretefi be-
nigni producono a favor della lecita pozione , gridar
Dunque Voi^ Padre giudicate che il cìoecolate fta
contrario al digiuno}
XIII. A/i, mio Signore ; ma ?m fervo di altri
principi , Parlando fpeculativamente dico . Tal be-
vanda non è ordinata ad eftinguer la [ete ^ non a
toglier la fame ; ma a confortare il capoy e lo Jìo-^
maco , Dunque non è propriamente nè ciboy nè be^^
vanda ufuale y ma medicamento prefo in bevanda .
Se io non temefli di far montar in collera certi Si-
gnori, i quali fi fono fitta in capo una maffima affai
malagevole d’impedire ai Teologi che chiamino le
cofe col loro proprio nome, cioè che le cofe ferie le
dicano ferie, e che le cofe burlevoli le fpaccino per
burlevoli; io certamente direi, che quefto fquarcio
di Teologia, che il P. Predicatore chiama da came-
ra , fia daj teatro. Ma per evitare la coftoro indi-
gnazione, lafcierò che i leggitori, i quali fanno che
il cioccolate non fi beve fpeculativamente y ma prati-
chiflìmamente , non fi poffa dire propriamente nè
cibo , nè bevanda ufuale , ma medicamento prèfo in
bevanda y facciano gli ovvj, e naturali rifleffi fopra
tale ameniffima dottrina . Eglino meglio di me fa-
pran
xdii
j^ran interrogare il P. Predicatore , fe quella medici-
na prefa in bocconi guaiti il digiuno . E tutti dico-
no di sì» Molti, o per non aver comodo , o perchè
l'ono in viaggio, o perchè lor piace così, in bocconi
tolti prendono tal medicina, e non in bevanda. Re-
plicheranno a quel periodo ; La bevanda del cioc-
colate è una bevanda medicinale per se medefma or-
dinata alla fanìtà del capo^ e dello Jìomaco : il di-
Itillato di un cappone, di un piccione , di uno fio"
rione, non è anch’elfo ordinato alla fanità del capa,
e dello jÌQmacoì
XIV. Molti poi fi accenderanno di giulìo e Tanto
Idegno contro di quella ragione nella quale fi rappre-
Tenta la Tanta Sede , come approvatrrce di tale co-
fìumanza. Si ufa in Roma^ ?ìelle conver] alcioni pub-
bliche ^ in pubblici rinfrejt'hi^ in vifta de' Prelati ,
e de^ Pontefici ; nè quejii , nè le /agre Congregazio-
ni hanno mai riclamnto. Quello argomento più ab-
bado , col più profondo riipetto verTo gli .Autori
che lo propongono , e col più giulto zelo in difeTa
della Santa Romana Sede , fi dirà che è un TofiTma
inlidioTo, per non dire un’impoftura, che diTcredita
la fìeiìa Tanta Romana Sede preflo gli Eretici , ai
quali fi rappreTentano per ridicoli ,e per cofe da giuo-
co i fanti digiuni noltri . Gli Eretici appunto Tono
co-
xciv
coloro che disi fatto fo filma fervonfi per infamar^
la fanta Sede . Se tutto ciò che nelle pubbliche con-
verfazisnì^ e ne' pubblici rinfrefchi fi ufa in Roma,-
e fuor di Roma j doveffe dirfi lecito ed approvato
dalla fanta Sede, perchè R.i.ria non fulmina fcoihu-
niche, perchè non pubblica editti^ che ne feguireb-
be? In Roma tanti pubblicarriente’ giuocano , che
per la profefllone loroi non poffono giuocare ; tanti
tengono aperti banchi giri , che noti poflbriò tener-
gli/ tanti appunto nelle pubbliche corìverfaxionì ^ e
ne^ pubblici rinfrefchi fanno molti (fi me cofe che non
poffono fare : epure mai non [t è /piccato cantra
tali cofe alcun editto i Dunque fono lecite ? Dun-
que Roma le approva ? Si dimioftrerà in appreffo y
che quelli i quali di così fcandalofo argunìento fi fer-
vono, ignorano cofà fia la Chiefa di Gesù Crifìo, il
quale ci aftefta, che in quefta fua Chiefa ci farà fino'
alla fine: il grano, e la zizzania; anzi dice : Sinite
utraque ere fiere ufque ad meffem . Gran che 1 Se Ro-
ma /picca editti , fi deludono con interpretazioni
capricciofe : fi va dicendo , che in fimili quiltioni
non c’è infallibilità : fi va divulgando ,' che i Papi
pentiti di aver pubblicate le coffituzioni , gli editti,
hanno con un vivoe njoci§ oraculó dichiarato il con-
trario. Ed in quefta guifa fi rapprefenta che Roma
co-
xcv
Cogli editti j coi brevi , e colle coftitutioni ftara-
paté j e promulgate infegna una cofa, e coll’ oraco-
lo di viva voce ne infegna un’altra. Niuno qui gri-
derà, che fi laceri la carità: perchè non effendo no-
minato alcuno niuno vorrà confeffarfi reo di un
tanto male. Per altro fi pretenderà forfè di flampa-
re le opinioni laffe, e ingiuriofe alla fanta Sede per
fino nelle Prediche quarefimali in volgar favella, e
infieme fi avrà coraggio di pretendere , che niuno
ardifca di confutarle ? Se molte cofe fi faceffero , e
che infieme fi tàceffe, fi potrebbono alle volte lafciar
correre per vatj riguardi : ma farle , e poi ftampar-
le? praticarle, e poi giuftificarle con le pubbliche
fiampe? Quefto è un compleflb di cofe , che non fi
può lafciar correre fenzà confutazione. Anzi fecondo
la dottrina e de’ Padri, e de’ Teologi , peccherebbe
chi potendo non confutalfe le indicate laffezze : e
Iddio ha promeffo , che fe nella fua Ghiefa fempre
vi faranno i coltivatori della zizzania, fempre altre-
sì vi faranno gli agricoltori , che dalla zizzania il
grano prefervino . Ma rientriamo nell’ ^rgumerito’ .
Se dall’ altra banda Roma non ifptcca gli editti , al-
lora tutto è lecito, allora Roma approva tutto col
fuofilenzio. Ed ecco verificato T oracolo di Crifto ,
che v’è il grano, e la zizzania. infieme. So che que-
fte
xcvi
ftc argumentazionì faranno da alcuni con le rifa ri-^
cevute ; ma fappiano coftoro , che ficcome Gesù
Crifto ha predetto , che non vi mancheranno mai
di quelli che nella fua Chiefa coltivino la zizzania
con la buona intenzione 5 e credenza di coltivare il
grano; così non vi mancheranno giammai degli altri
che con petto invincibile^ e con fanto zelo realmen-
te coltivino il grano della celefte dottrina prefervan-
dola dal fufifocamento della zizzania.
XV. L’ultimo dubbio che il Signor LucreT^io muo-
ve, è veramente degno di chi vuole falire in Paradi-
fo per una via onninamente contraria alla via di quel-
la penitenza corporale che crocifigge la carne, e mor-
tifica la gola. Si è ftabilita lecita , dice il Sig* Sil-
vio , la piacevole pozione nella Quarefima , nelle
quattro tempora, nelle vigilie ; reftava a decidere,
fe anche ne’ digiuni del fagro Giubileo, nel cui tem-
po la umiliazione , la mortificazione , la penitenza
fogliono effer più vifibili , permeflb fia Tufo della
deliziofa bevanda . Suppofta favorevole la rifoluzio-
ne, anche di quefto punto fono afficurati i Criftiani,
che per tutto quello loro pellegrinàggio non rimar-
ranno neppur un giorno fenza la medicina conforta-
trlce del capo, e dello flomaco, purché la borfa non
manchi . Nè fi dee tralafciare di fpendere in si pia-
ce-
XCVK
cevole riftoro, nemmeno per far limofma in tempo
di Giubileo. Privi fe ne refterannodi quefia pozione
que’foli Criftiani che deftituti di peculio, non po-
tranno provvederfi di così difpendiofo conforto , af-
fine di prenderlo cotidianamente per fino in quel
tempo di Giubileo, nel quale pareva che dai facri
digiuni sbandite elfer doveffero tutte le delizie ripu-
gnanti alla vera penitenza, ed umiliazione. !VIa bi-
fogna confefi’are, che la ragione cui affegna il P. Pre-
dicatore, non è, fuppofti i Tuoi principj , tanto dif-
prezzabile . Il digiuno che il Papa Tanto nel Giu-
bileo impone , non è di natura diverfa da quel
che preferive la ' Chiefa negli altri digiuni da sè
comandati t Negli altri non preferive /’ ajìinenx^
da quefla bevanda. Dunque il Pontefice non pre-
tende tal ajiinenxa né" digiuni del Giubileo ^ o d
altre Indulgerne . Quello è un lìllogifmo che nei
principj del Signor Lucregio non ammette replica *
La prima propofizione è certa . La feconda è vera-
mente falfa in sè ftefla; ma egli la lappone per ve-
ra in virtù di ciò che ha definito di fopra . Quindi
conchiude , non effervi giorno in cui non fi polla
confortare lo fiomaco , ed il capo colla deliziofa
medicina. Un altro folo dubbio pare che redi da
deciderfi, ed è, fe nella ipotefi che il ConfeJore
G im-
xcviii
ìmponelTe un digiuno in pane, ed acqua [ benché h
ipotefi è rariffima a’ tempi noftri , che un Confcffo-
re di que’' penitenti che bevono cioccolata imponga
per penitenza di fornicaziohi ^ di adulterj , di mol-
lezze, digiuni in pane ed acqua ] fi poteffe ufar il
chccokite , Ma già fecondo quelli che dicono effere
bevanda ufuale, non c’è quilìione / perchè è bevan-
da non di vino, ma d’acqua, in cui è manipolata •
In fentenza poi del P. Predicatore , la cofa è fuori
di controverfia / perchè quello cioccolate , fecondo
lui, non è nè cibo, nè bevanda, ma medicamento,
che conforta il ventre, ed il capo. Or chi dirà, che
la medicina ripugni al digiuno in pane , ed acqua ?
Bada aver efpofto fotto il punto di fua giuda veduta
quello ragionamento da camera , perchè i Crilìiani
timorati di Dio veggano quanto conforme lia a quel-
la penitenza che Gesù Grillo, c la Chicfa comandano
a’ loro fedeli. Quelli poi che tanto declamano centra j
chi llampa in volgar favella le morali quiflioni, rof- Il
{ore proveranno, e dolore nel vedere dentro un Qua-
refimale di Prediche llampate efaminati non punti '
morali, che edifichino, ma dubbj [ fiami permeffo
di dirlo] ridicoli , che offendono il buon fenfo .
Nelle medefime Prediche {lampare fi difputa , le fi-
no nel Giubileo, non che in Quarefima, fi polla la
mat-
xcix
ftiattina per tempo confortar il capò, e lo ftomaco?
Quelle fono le maflime, quelle le Prediche , quelle
le opinióni che fi acquiltano numerofo Icguito.
XVI. Sin ora abbiamo narrate le ragioni de’ Pro-
babililli favorevoli al cioccolate : e quelle degli An^
tiprobabililli , dove le lafciamo ? Ci renderei noi
rei di parzialità verfó di quelli ? Ceffi Iddio da noi
ùn tanto male.; Eccovi pertanto un Antiprobabiliila,
qual è il M. R. P. Tommafo Pio Millante , il
quale ha voluto ridurre anche egli al vaglio della
Teologia, nori Cafiftica , nià purgata e nobile, nel-^
la fua Efercitazione XXIIL fopra le proporzioni dan-
nate da Aleffandro VIÌ^ la celebre contefa ^ Comin-
cia il fuo difcorfó cori le maraviglie fopra le diver-
fe maniere di opinare de’ Cafifti . Mirimi ejì quam
varia fif Cafuijìarum vefponfioy.& fenmiti a « I Pa-
droni della difciplina più molle , lecita la difendo*
no nori irieno che la bevanda dell’acqua, e del vi-
no . Quidam enim moìUoris difciplina Patroni abfo^
Iute eoe h al at arri in die jejunìi permìttunv , non [e cui
ac •vinum , & aquam , eò quod fumatur per modum
potus . Dall’ altra parte i Rigorijìi la sbandifeono af-
fatto dai giorni di digiuno ; e tra quelli Rigorijìi ci
fono' il Diana, il Sarichez , il Trullénch , TAzor-
re, il Macado, il Cafiropalao, il Leandro, il Pa-
G i j, fqua-
c
fqualigo j c tanti altri della più molle difciplina «
Altri riducono la controverfia alla parvità di mate-
ria confiftente in un’oncia e mezza. Altri finalmente
allegano privilegj Pontifici infinti.
XVII. Riprova il P. Millante tutte quefte opinio-
ni . In primis afferò nuìlum prcefatis dicendi mo-
dis fub filiere poffe , addendamque effe moderationem
quamdam^ qua PROBABILIUS diffinitiva profera^
tur fententia. Qui ftiamo meglio che mai : fentcn-
za diffinitiva , ed anche più probabile afficura tut-
ti c quanti i partiti . Nell’ammettere , dice egli ,
la prima fentenza altro non fi fa che facrofanHam
jejunii ìcgem fraude elidere , & dolo fa inventione
peffumdare . Quelli cheaU’afilo della parvità di ma-
teria fi rifugiano , diminuifcono , è vero , la colpa,
ma non la levano . Commetterebbono Tempre i be-
vitori innumerabili colpe veniali.* e chi una fola col-
pa veniale difendeffe per lecita , una erefia diffe-
minarebbe.
XVIII. Per altro il diffinire , che quella bevanda
famofa fia in dì di digiuno peccaminofa , è un feri-
re la riputazione di uomini per dottrina , per pro-
bità infigni , i quali in oggi fenza fcrupolo la pren-
dono , e come lecita agli altri la perfuadono , non
che la permettono , Ma ciò che maffimamente im-
por
d
porta, fi è che innumerabili di quefti bevitori, del
ceto fono di coloro che fudano , e traffudano per
coltivare la più nobile , e più purgata Teologia ^
Adfstcre omntno adverfam éfmiaìibus dkbus pra^
fatam cocbolata potionem j eji carpere viros ^ qua
doBrina , qua probit ate infignes , qui badie illa fine
fcrupulo utuntUY , aliifque ut licitam fuadent ; pr<e«
fertim cum innumeri ex ih f nt de coetu eorum qui
7ìobilioTÌ , purgatiorique Tbeologìce aperam navant .
I Signori Probabilifti qui giuftamente fi rifcaidano,
e non poffono comprendere T indole di quefta Teo-
logia nobilioris , & purgatioris . Più nobile , e più
purgata ? Quefta Teologia del P* Millante concede
più che tutti i più rinomati Probabilifti infieme #
La Teologia de’ Probabilifti fi chiama Cafiftica , e
rilaffata ; e quefta dell’ Antiprobabilifta fi chiama
mbilior ^ & purgatior. Che poi il P* Millante con-^
ceda più in quefta materia del digiuno che non i più
rinomati Probabilifti , è evidente • Si traferivano con
fincerità , e fenza parzialità le fue dottrine ; e fi ve-
drà , fe diciamo il vero ^
XIX. Ubbidire conviene ai Signori Probabilifti ,
che è ben giufto* Traferiviam dunque la diffinitiva
fentenza di quefta più nobile, e più purgata Teo^
logia . Dico i^nuY , ideino in pr^fentìarum
G i i j abfa^
cu
flb folate ìicitam cocbolatdt potìonem \n moderate^
fefqmuncia quanthate , quia parvitas materica
joonfuctudìne introduca , & toìerata ab Ecclefta
omntno eiscufat a culpa ; lìcet ex fey abfque tali
pernii jfiùne^ nulìatenus excufaret. Sin ora non ha
nulla di diffinitivo, fingolarc, e dipinto ^ Soggiugne
che quella conluetudine trionfa ubique^ prafertim in
Alma Urbcy feiente Romano PomificCy potente im^
pedire y & ?2ullatenus impediente ^ Ciò che feguc
ha qualche prerogativa di fingolarità • In virtù di
quello fuo principio conchiude, che fe ne può bere
in giorno quarcfimale nna chicchera di un’uncia e
mezza fenza veruna colpa, neppur veniale, Chi poi
ne bevelfe una feconda chicchera di altra oncia e
mezza, con venial colpa il candore macchierebbe di
fua cofeienza, per la parvità della materia. Perchè
la prima fefquiuncia è approvata dalla confuetudine ;
ì’altra uncia e mezza è parvità di materia non ap-
provata, e perciò la colpa veniale non fi potrebbe
sfuggire. Ma chi troppo ghiotto ne beveffe la terza
volta, collui poi peccherebbe mortalmente, Ex quo
principio fequitur , quod qui eodem efuriali dw P^fl
epotam cocbolatee fefquiunciam , ft aliam quoque
propinare foellet , peccaret n)emaìiter ob parvitatem
fnateriae^ nm permijfam tolerantia Eccleftce ^ Sed
fi
cm
fi infuper quls tertio id faceret , peccaret mortalher .
Quefti hanno le loro bilance pronte , onde diffinire
anche più probabilmente: Quefto è mortale: quejìo
è veniale^ Se chiedete, perchè un’oncia e mezza di
cioccolata debba rcftrignerfi dentro i confini di par-
vità di materia * rifpondono; Perchè così decidono i
Teologi che la bevono. Ma è parvità di materia
un’oncia e mezza di carne? un’oncia e mezza di ca-
feio? un’oncia e mezza di llorione? Ma lafciamo da
banda fimili interrogazioni, alle quali forfè più pro-
babilmente rifponderebbe di sì.
XX. Le lamentanze de’ Probabilifti padroni della
difciplina molle, per una parte pajonmi giuftiffime.
Ecco, gridano, dove vanno a parare i rigori di tanti
Teologi Antiprobabilifti J Quelle cofe che eglino
praticano, fono le più probabili. Bevono la ciocco-’
lata; e quella è la opinione più probabile. Tengono
groflo peculio; c quefta è la opinione più proba-
bile . Voglion vivere lautamente ; e quella è la
opinione più probabile. Certi ncllri Antiprobabilifti,
certi nollri Rigorifti gridano : Al Lajftfmo , al Pro-
babilifmo del ftcol nojìrol Ma frattanto eglino fan
diventar più probabile ciò che loro aggrada. Afcol-
tiamo le declamazioni ferventiffime del medeanio
P. Minante nella citata Efercitazione alla pag. 257.
G ili] SeJ
civ
Sed proh dcpìorabilem Jaculi la^itatem , & chrìjlia^
ethiC(S conupte\am\ Fudet quidem htc vel 4L
gito rnonjìrare-, quoda laxonibus cantra fas jas
docetur ^ quod pejus ejì ^ non fine fcandalo ad
prasim reducitur * E pure quello aulleriffimo Anti-
probabilifta nella medefima pagina dopo aver conce-
duta la coleiione mattutina ai Criftiani nella Quarc-
fima, ed un buon pranfo al mezzo dì, concede la ie-
ra una colezione di otto onde . Eccovi le j-ue parole.
Ut igitur cxnula ifla innoxia fit , debet effe modi-
ca ^ ita nimirum ut o6io unciarum pondus ordina-
vie haud escedat quantitas illa qua prò refezione
fumitur: ita quidem univerftm viri^ qua pietate ^
qua dcEirina pollentes, docente & ad pra^m re-
ducunt . Quelli uomini che di qua, e di là di dot-
trina fplendono, e ip pietà, fe folfero di buon ap-
petito potrebbono eglino eccedere la taffa delle ot-
to onde? Chi ne dubita? rifponde quivi V Autor no-
firo 5 (piegando la refcriita parola ordinarie , la qua-
le non è a cafo inferita. Di^i , ordinarie^ quia ju-
Jìa ex caufa poterit effe majoris ponderisi quando
videlicet aliquis majori eget nutrimento . Paffiamo
avanti, e troverem di meglio. Che i p^fcctti fala-
ti poffano elTere materia di quella cenetta , noi
mette in dubbio. Si avanza a chiedere, num parvi
pifei^
})tfcìcuìi , iiqu& reccntes , & mìnime faU conditi
pojfmt indulgevi. Rifponde , che ciò è si certamen-
te lecito che nec fcrupuìofus quidem Theologus in-
fidavi audet ^ prafertìm quia & viri prudentes^ ac
do£li^ immo RegulariumCommunitates eifdem vefci
edam in antipafcbali’jejuni'o confueverunt . E quali
fono mai quelle Comunità Regolari, che in Quare-
fima nella colezione vefpertina imbandifcono pefcì
piccoli frefchi Z’ Rifponde il P. Millantc, che que-
lle Comunità Regolari non fono veramente le ri-
formate, che afpirano ai migliori doni celefli, ma
le non riformate. In Reìigionibus atitem vefovmcah^
& quije nemulaniur charifmata meìtova ... non nifi
seropbagia in\ ferotina collatione fervatur . Verum
non e^i Monajiica rigidiori obfervantia fas ejì in-
ferve praceptum commune cetevos haud obfiridos
Regulds Monafiicte adflvìngens. E’ vero che la offer-
vanza monadica non debba inferir precetto obbli-
gante ai Criftiani; nè dirò per ora, che la legge
della Quarefima obbliga ugualmente tutti e Rego-
lari, e fecolari . Ciò che mi forprende li è, come
il P. Millante affermi lecito l’ufo de’pefcicoli fre-
fchi nelle Regolari Comunità non riformate, quan-
do nelle riformate non è lecito. Comunemente le
Comunità Regolari e riformate , e non riformate
evi
’profeffano la medefima Regola, le ftefliffirac Co-
ftituzìoni: nè altra differenza c’è, fe non che nel-
le riformate fi olfervano le leggi, e nelle non ri-
formate non fi olfervano. Ignorantemente alcuni per
rapprefentare una Comunità di regolare offervanza la
chiamano rigidioris obfervantice y quafiche nelle altre
Comunità la continuata oppofia irregolare trafgreffione
delle leggi profeflata , foffe una non rìgidior , ma
rigida, o efatta offervanza regolare. Ciò detto fia
di paffaggio, e per difinganno degl’idioti, perchè
fimili frafi fono ed ingannevoli, e perniciofe, men-
tre confondono una Ugrimevole corruttela con una
offervanza mitigata. Per altro fono perfuafo che [il
P. Millantc innocentemente creda , che dentro una
Religione nella quale la profellìone è la medefima ,
fi polla in alcune cale mangiare pefcicoli frefehi nel-
la colezionc vefpertina della Quarefima, c nelle al-
tre cale non fi polla. Ciò che quefto Teologo fog-
giugne immediatamente, piu di tutto mi forprende.
Infegna dunque di vantaggio , che non folo i pefeet-
ti frefehi, ma ancora i pefei della maggior grandez-
za, e per levare ogni Icrupolo, tutti que’ pefei che
fi poffono mangiare a. pranfo , fi polfono mangiare
anche acolezione, purché fi oflervi ordinariamente
!a taffa delle otto once. Ut ingenue meam hac in
CVll
re pYoferam fententiam ^ attenta prafentì fiìfcipìi-
na , fme ullo fcrupulo pojfe etiam magnos pifces in
eadem quantitate permitti e^iftimo linde ficut
hodie in prandio licet grandes pifces comedere , li-
cet pariter in ccenuìa cum debito moderamine man-
ducare. Ora sì che io credo ciò che fcrive il P.
Niccolò Ghezzi in uno de’fuoi Dialogi , cioè che un
Rigorifta di quelli qua doblrina , qua probitate poi-
lentium invitato in villa una fera di digiuno fi
mangiò una buona porzione di fiorione. Il P, Minan-
te ne concede a buoni patti mezza libbra con due
onde di pane. Che fe vi foffe maggior appetito,
fi può crefcer la dofe; Pw, ordinarie j quia jujìa
ex caufa poterit effe majoris ponderisi
XXI. Reo di fcandalo mi riputerei , fe tali dot-
trine aveffi riferite fenza confutarle. Il P. D. An-
tonino Diana, il P. Leandro Principi de’Benignifii
alla tefia di numerofa fquadra de’piii dolci Probabi-
Jifti fi accendono di giudo zelo centra così feandar
lofa dottrina , e condannano di peccato mortale
chiunque in pratica la riduce. Afferò^ indiala col-
ìatione fub onere peccati mortalis quantitatem lici-
taci non poffe fumi in pifeibus , Diana Tom* IV.
Refi cxvi. n. 4.. Più firetto rifolve il P. Leandro.
An faìtem liceat in follatione uti pifeibus fumo fic-
ea-
cviii
CAth^ faìeifue còndìth Uf mibi certum fefpònde9
non pojfe: quia nec ratio ^ ncc ufus vìrorum pruden*
rum , & timorata confcìentìa ad contrarium tuendum
urgente ut conflati cum ft omnino contrarim . Trafl.
V. dif. IV. q. 42. Il celebre Collegio Salmanticenfe
de’PP. Scalzi non folo i pefci frefchi piccioli, e
grandi afferma proibiti per comune confenfo de’
Dottori 5 ma eziandio i pefci fecchi , ed affamati .
Communìs Do^ìorum fsntentia docet non effe mate^
riam coìlationis pifciculos parvulos j five recente sfmt ^
ftve fumo ficcati, Traft. xxii i.cap» 2. punft.
n. 80. ed i Probabiliftì , che in confermazione di
tale fentenza citano, fono Azorio, Reginaldo, Fi*
liuccio, Laimano , Fagundez , Sanchex, Angles ,
Vivaldo , Berarduccio , Grafio , Molfefio , Villalo-
bos, Caftropalao, Trullenco, ed altri. Ciò detto
fia di paffaggio, e per una tal quale digreffionc /
che prima di terminarla, rifpondo ai Probabilifti,
che giuftiffìmamente eglino gridano centra alcuni
Antiprobabilifti i quali bruttamente abufanfi dei
migliori fiftemi, e con una cattiva pratica difere*
ditano una fanta teorica. Ma quindi anfa non pof*
fono prendere i Signori Probabilifti di declamare
contra le dottrine fané , e le fentenze più vicine
al vero, per T abufo di alcuni privati. Più tofto
do-
dovrcbbono riflettere ed i Giornalifti Trivolziani, c
quelli che hanno ftampato negli Svizzeri, alle pc-
ricolofe confeguenze che poflbno derivare dagli en-
comj tributati alla dottrina falfa pubblicata dal
fuddetto Autore in favore del peculio monaftico.
I PP, Lechi, e Sanvitale hanno flampati panegiri-
ci in lode de’due Libri 5 Vita Claujìralis^ e Vinài-
ci(S Regtàarìum . E poi fi lamentano, fe fono di-
moftrati per approvatori di dottrine fcandalofe ?
Leggano il Libro intitolato Defenfw Decretorum
CoììciL &c, e troveranno il loro difinganno, e il
debito di ritrattare gli encomj fatti ali’ errore. Ma
terminiamo la digreflìone, dalla quale pofiono ad
evidenza comprendere, che noi fcriviamo per ifpi»
rito di verità, non per impegno di partito, non
per affetto ad un Ordine più che ad un altro. Ri-
petiam dunque le parole del P. Millante: Sedproh
deplorab'ilem /acuii Uv/itatcm & ebrijiiana et bica
.covruptelaml Pudet quidem bic vel digito demon-
jìrare quod a laxonibus cantra fas , & jm docetur^
Ò", quod pejus e/ì ^ non fine fcàndalo ad prasim
reducitur, Sovra cui vadano a rovefciarfi quefie fo-
cofe efclamazioni, lafcio che i leggitori fe lo giu-
dichino.
XXIL In ultimo luogo vo’ riferire la maniera con
la
Cx
la quale il P. Claudio La-Croix commentatóre del
P. Buflembau iftruifce i fuoi Confeffori fu quella con-
troverfiaé Trafori verò tutte le (ue parole fu quello
punto pei* prevenire la folita fola di poca fincerità .
Scrive dunque cosi.,, Dechocolata docent Th.HurPé
,5 Lop, 8c alii noli frangere jejunium • Idem tenet
5, Henrìq. v. jejmtum , referens Urbaniim Vili. ,
3, oblath tngred'tenuts i & in ejui confpeElu confe^
33 £lo cbocoìate 3 de ilio guflato dixilfe , ejfe , &
33 manere potumé Idem refpònfum efl'e a Gregorio
33 XlIL S. Pio V. Paulo V. tejìantur plures DD,
33 inquit Ills, T. IV» d. t. n. 39. Idem defendit Gar-’
33 diti. Brancatim in Differc, de chocolate • Et hanc
,3 fententiam Diana p. n. t. vi. Ref. 84. & Tarn-
,3 buTé n, 7. dicunt elfe abfolute probabilem^ E con-
33 tra frangere jejunium docent plurimi alii curri
3, Cajlr. fupra3 probantque fufe Tambur. fupra
33 & P» IL q.xviì.confideratis ingredientìis,'
33 & vi nutritiva illius. Nihilorriinus putant Leand,'
33 & Dìan. fi non mifceatur muItUm illius materise,'
,3 fed bibatur tenue, non fràngere jejanium ; fecus
33 fi multum mifceatur 3 Se coquatur inftar denfse pul-
33 tis. Addunt faltem numquam graviter frangere- ,
33 nifi mifceatur ultra duas uncias
XXIII. Tutti i Saggi efaltano Io Itudio della Cri-
tica j ehe nel fecol noftro fiorifce . Una delle princi«
pali incumbenze di quefta è di pronunciare giudizio
fulle opere degli Autori, recandone al leggitore un
fincero, e naturale ritratto. E per ciò fare animo fi
richiede fcevero da palTioni, da partiti, da impegni,
il paiTo trakritto del P. La-Croix è una immagine
di tutta la fua opera. Se nel traferitto fquarcio voi,
Moniignore,ci feoprite un mero e pretto Pirronif-
mo figliuolo legittimo del Pròbabilifmo , lo fleffo
giudicate quafi di tutta P opera . Raccoglie quefto
Autore le opinioni delPuno, e dell’ altro partito, an-
corché ripiene di manifefte favole, e le rimette fot-
to l’arbitrio de’, fuoi leggitori , acciocché in virtìb
del Probabilifmo fcelgano quell’opinione che più lo-
ro aggrada. Se quella (ia la maniera di efplicare la
Morale di Gesù Crifto, altri il giudichino. Può ef-
fere più folenne la favola di rapprefentare Urbano
Vili, fpettatore della manipolazione del cioccolate,
e che affaggiatala , abbia pronunziato effere , e re-
flar bevanda ? Per non produrre in pubblico fimi-
li dance, non l>afia egli una piccola fcintilla di
lume naturale ? Io per me non cefferò d’ incul-
care agli ftudenti della Morale criftiana che fi
aftengano da fimili libri, e leggano invece loro i
due celebri Gefuici il P, Gabriello Antoine , edi
il
CXll
il P. Paolo Gomitolo, il Pontas, Natale Aleffan-^
dro, Befombes, Abert, Paolo da Lione.
Ritrovandomi ormai fui fine dello ftorico rac-
conto, veggomi in neceflità di fciorre una oppofi-
zione la quale da un fecole e mezzo fi va efage-
rando; ed è, che io abbia efpofte fotto comparfa
deridevole le ragioni favorevoli alla bevanda . Da
un fecolo e mezzo, quando alcuni veggono certe
Cafiftiche opinioni al vivo dipinte , con maniere
affai induftriofe lamentanfi che fieno porte in deri-
fione le opinioni de’Moralifti , con violazione del-
la fanta carità. Ma quelli tali con fimiglianti la-
mentanze danno a divedere, che eglino non fanno
cofa fia nè carità, nè giuftizia. Le opinioni confutate
fono pubblicamente ftampate . Dunque o pecca
contra la giuftizia chi le confuta , mancando di
fincerità nell’ aggravarle ; o fe le rapprefenta fince-
ramente, non mai può peccare contra la carità ,
quando per altro proccura di giuftificarc gli Autori
di tali opinioni con la pia intenzione di averle
credute, ed infegnate per vere. Peccherebbe bensì
lo Storico e contra la giuftizia, e contra la carità
verfo il genere umano, quando o tralalciaffe , po-
tendo, di confutare le dette opinioni perniciofe al-
la falute, o fi rendeffe fofpetto di bugia nel de-
ferì-
cxm
fcriverle. Ed allora lo Storico certamente cade in
fofpetto di mendace , quando le cofe non rappre-
fenta tali quali fono in sè medefime, cioè le gra-
vi come gravi, e le ridicole come ridicole . Le
parole fono iftituite per fignificare le cofe, delie
quali fi debbono efprimere le giufte nozioni . Tan-
to è mendace chi rapprefenta per ridicola una co-
fa grave, quanto chi dipigne con lineamenti di gra-
vità una cofa vana, e frivola. Lamentanfi, che le
opinioni larghe fono melTe in derifione? Adunque è
evidente che iono deridevoli in sè medefime . Imper-
ciocché chi tentalTe di fpacciare per ridicola una ft-a-
tenza grave, e da valide ragioni foftenuta , rende-
rebbe ridicolo sè medefimo. Lo Storico adunque per
non mancar di linccrità dee rapprefenta^re le opinio^
ni vane ed inette con parole a tali opinioni corrif-
pondenti per non accreditarle con gravità di iiile ,
giufta lo infegnamento di Tertulliano tante volte
ridetto . Si rìddbitm alicubi , materiis ipfis fatis-
fiet • Multa fmt fic digna revinci , ne gravitate
adornentur . Vanitati proprie feftivttas cedit, Coft-
grutt & veritati ridere^ quia latans, & de dcmU-
lis Juh ludere^ quìa fecura efl. Ma gli Autori di
tali opinioni tono in iftima, ed in credito . Tanto
peggio . Adunque tanto più capaci ad imporre , ed n.
H
cxiv
rendere con la loro autorità probabili le (tefle falfe ,
e fcan«daIofe opinioni . Quando GESÙ’ Crifto dice
in S. Matteo a cap. xxiv. ha ut inducantur m
enorem [fi fieri poteft] eùam ehólij non parla per-
avventura di Dottoridotti, accreditati, ed autore- ^
voli? Gli eletti non fono in pericolo d’eflere ingan-
nati da Teologi dozzinali, e di niun ereditò . La *
fola autorità di Teologi rinomati , accreditati , ed
applauditi può fervir ai buoni Cattolici di pericola
di cader nell’ errore. Adunque fe le opinioni laffe , |
c perniciofe al coftume fono inlegnate da Teologi j
dotti e (limati , con più di diligenza fi debbono efpor- '
re ( fuppofio Tempre che fieno tali, altramente fi
peccherebbe centra la giuftizia ) fotto il loro deri-
devolc e mofiruofo afpetto, acciocché la eftimazio-
ne degli Autori non le renda probabili . E’una illu-
fione fatale, ed una fpccie di (educimento lagrime-
vole quello da cui tanti fono prevenuti, i quali van-
no fpacciando die redi violata la carità , quando i
veggono le opinioni falfe e fcandalofe dipinte co’ loro i
naturali colori , (ull’ erroneo pretefio che reftino I
pregiudicati gli Autori ,i quali altra difefa non am-
mettono che la pia intenzione , e la buona fede di
averle credute vere. Gli Autori di quefte opinioni
fono già nel loro termine , fuperiori alle vicende del
mon-
cxv
mondo. Quando noi abbiamo giuftificata la loro pia
intenzione di credere per vere le opinioni fcoperte,
e riputate falfe dagli altri, è foddisfatto a tutto il
debito verfo di loro. Ma la verità fi è che lotto
il manto di una carità fantaftica verfo gli Autori
fi vorrebbono mantenere in credito le opinioni laf-
fe. Se lulfiftelfe quello erroneo pretcfto di carità,
non fi potrebbe neppur dire, che nel tale Libro vi
fi^no opinioni dannate. In poche parole quelle il-
lufioni, e v^riffìme feduzioni mantengono in voga
un Pirronifmo fanello , che rovefeia i fondamenti
della criftiana Teologia . Cento volte fi fono fven-
tate fimili illufioni, che da un fecolo e mezzo re-
gnano nel mondo; e quella farà cento e una . E
con ciò metto fine al racconto ftorico delle dot-
trine teologiche avanzate da alquanti Cafifti per
accoppiare col digiuno della Romana Chiefa la
pozione del cioccolate.
<XVl
I X.
/ Teologi Antìprohahìlifli ^ C Pvoh abili fit
. infieme riprovano comunemente la bevanda
• del cioccolate in tempo di digitino . Preten^
, dono che le ragioni loro fieno ad ogni replica
fu peri ori .
I. 1^’ Ornai ora, Monfignore , eh’ entriamo net
racconto della contraria fentenza propugna-
ta non folamcnte da tutti i fagri Teologi, ina e-
ziandio dalla maggior parte di que’ benigni Proba-
bilifti , che fono in iftima di accomodare piucchè
poffono alla mifera umanità la offervanza della Leg-
ge fanta • Quella feconda parte della mia Lettera
farà fcritta con ifìile del tutto contrario a quello
col quale ho fcritta la prima . Quella differenza di
ftile è un parto neceffario della diverfità delle cofe
narrate. Le dottrine che hanno inventate que’ Teo-
logi , i quali favorifeono i bevitori del cioccolate in
tempo di digiuno , fono come V* S. ha rilevato ’
vane, inette, puerili. Per efporre con fincerità la
viva immagine delle medefime doveva io forfè traf-
naturarle, inalzandole a grado più alto , con gravità
cxvu
é\ flile? Doveva lo,, per avviatura illuftrarle con e?*
leganzadi orazione? Nò, dice Tertulliano^ m gra^-
vitate iìhijìrentur . Doveva io neppure fenza con-
travvenire ai doveri di fincerp Storico le loro inette,
fottigliezze coprire? Nò certamente , che che ne àU
ca.no alcuni dotti Moderni^ i quali vanno divolgan^
doj che fi lacera la carità , quando fotto il punto
convenevole di giufta villa le ridicolofe opinioni di-,
pingonC. Ma fi violano le leggi della verità , della
carità, della giuftizia , quando le monete falfe per
vere fi fpacciano, quando le cofe deridevoli , e gio-
cote fi rapprefentano in aria di gravità, e di maeftà,
che loro approvazione guadagni, e {eguaci . Ma già
di ciò fi è detto abbaftanza di fopra. Entriamo,
IL I primi fondamenti della fentenza cui fono
per deferivere , fono ftabiliti fulla natura fteffa del
digiuno che Chiefa fama comanda. La indole , la
efienza dì quefto digiuno è di mortificare la gola ,
di macerare la carne, di frenare il fenfo , di foggeN
tare gli appetiti rubelli alla volontà, di umiliare V
uomo avanti il trono della divina Maeftà . NeU’ an-^
tico Teftamento, quando gli uomini erano più roz-
zi, per rendere fenfibili quelle verità, i diglunatori
veftivano facco, ecilicj, e coperti di cenere fi. pa^
kfavanoper veri penitenti , Le loro aftinenze erano
H i i j
cxviii
lunghiflTimc . I Crlftiani noftri antenati per lunga
ferie di fecoli hanno a un di preflb offervata T aufte-
rità di quefti digiuni. Le vivande delicate , i pefci
fcclti, i condimenti ricercati , i vini, i licori d’ogtii
lorta erano sbanditi dalle menfe loro. Negli ultimi
fecoii la difciplina fi è alquanto mitigata . Ignoran-
do ed i moderni Cafifti, ed i Criftiani comunemen-
te la qualità di quella mitigazione, cadono in gravi
errori , e abolifcono dalla Chiefe il vero digiuno .
Fa di meftiere adunque con tutti i Padri , e con
Teologi conofeitori della criftiana Morale due gra-
vi importanti cofe dillinguere : lo fpirito , T ani-
ma, la effenza del digiuno dalla efteriore cortec-
cia del digiuno : fpirito della legge, e lettera del-
la legge. Lo fpirito del digiuno egli è uno fpirito
di penitenza corporale, che ha per ifeopo in pri-
mo luogo di foddisfare alla divina giuftizia pir le
commeffe colpe : ed in fecondo luogo , per evitar
in avvenire i peccati, macera la carne, affligge i
fenfi , che fono gli oftinati nemici i quali Tempre
nuovi tradimenti macchinano, e nuove infidie, per
fedurre le anime, e precipitarle eternamente. Tanto
è aU’uomo neceffario un digiuno di tal natura che
mortifichi la carne , che freni la concupifeenza ,
che affligga la gola, vizio capitale , quanto è ne-
Cxi.'C
celiarlo un forte freno per reggere a dovere uno
sfrenato cavallo.
III. La difciplina può variarfi , ed in effetto è va-
riata falla lettera della legge , fulla corteccia efterio-
re del digiuno ; ma lo fpirito del digiuno è inva-
riabile, nè v’ha poteftà nel mondo , che poffa dal
medefimo difpenfare. Le aufterità fteffe efteriori fot-
to due rapporti poffono confiderarfi : e rifpetto alla
legge pofitiva della Ghiefa che le prefcrive ; e lot-
to quella confiderazione certamente a diverlità , ad
alterazione , ed a mitig^izione fono foggette : e ri-
fpetto alla legge naturale che le comanda a mifii-
ra del maggior , o minor bifogno di macerare la
carne , e di foggettare allo [pirico il fenfo . Ora in
rapporto a quella legge non fi può llabilire nè pre-
fcrizione, nè derogazione contraria. Ma ficcome chi
è dominato da maggior lete corporale, ha indifpen-
fabilmente bifogno di bevanda più abbondante; così
que’ Criftiani che tiranneggiati fono da più ardente
concupifcenza, da ribellioni più contumaci, bifogno
hanno di digiuni, di allinenze, di mortificazioni più
Tevere; e (otto quella confiderazione non hanno luo-
go nè difpenfe , nè difcipline mitigate. Se la infer-
mità del fenfo , della gola , della concupifcenza in
voi è leggera; fe i peccati vollri fono pochi , e pic-
H iiìj doli;
cxx
cioli ; pochi fieno , e initiflimi i digiuni voftri non
comandati . Ma fe gagliarde in voi fono le paffio-
ni , ricalcitrante la carne , sfrenata la concupifcen-
za ; potete vantare quante difcipline mitigate voi
volete 5 che fenza mortificazioni , aftincnze , digiu-
ni 5 e penalità voi precipiterete eternamente . Que-
lla è dottrina di tutti i Padri, c S. Tommafo in po-
che parole ce la conferma , Unufquifque autcm es
natuvalt raùone tenetur tantum jcjunVn utt , quan-
tum [ibi necejfarium ejì ad pvcedibìa . Et ideo jeju-
mum in communi cadit fub prcecepto LEGIS NA-
TURA ; fed detsrmìnatio tempom , & modi /V-
junandì fub pr^ecepto juris pofaivi , quod efl a Fra-
ìatis Ecclefa: injìitutum ; & hoc efi jejunium Ec^
cìefice: aliud vero ejì natura, 2. 2. q. 147. a. 3.
IV. Al confronto di quefta incontraftata criftia-
na Morale voi immantinente comprendete la falfità
di quella diftinzione , che il fine della legge non
cade fono la legge . 1 CaClli , come abbiamo di fo-
pra veduto , ne fanno un perpetuo abufo di tale di-
fìinzione, colla quale abolifcono dal mondo i veri
digiuni . Tutti i Teologi diflinguono due fini della
legge .* Tuno eflrinfeco , che non Peperà, ma Pope-
rante rifguarda : l’altro intrinfeco , eh’ è l’oggetto ,
€ forma la fieffa effenza della legge . La natura del
digit:-
cxxi
drgiuno è di mortificar la carr>e , e di tormentar la
gola , e di debilitare moderatamente la concupifcen-
aa . QL^eflo è il fine , quella la effenza del digiuno.
Per lo che conchiude S. Tcmmafo: Starutum ejì ut
/etnei in die a jejunantibus comedatur : 2. 2. q. 147.
a. 6, Può accader che vi fieno temperamenti sì robu-
fti , che da quella unica refezione non ifperimenti-
no gli effetti mentovati ; ma ciò è un accidente : ba-
ila che il digiuno fia di fua natura abile a produrgli^
quando fi offervi giuda le regole dalla Chiefa pre-
fcritte . AU’oppodo quando nel digiuno fi ufano tan-
te refezioni , tanti rifiori , che il digiuno diviene
inetto a mortificar la carne , a diminuir la concupi-
fcenza ; quefio digiuno è ridicolo , non è digiuno ,
ma larva di digiuno , perchè privo del fuo intrinfe-
co effenzial fine , per colpa di chi multiplica le re-
fezioni. Quando dicefi, che il fine del digiuno è
di mortificare la gola, di frenare la concupifcenza,
rifpondono i benigni Probabilifii che finis ìegis non
cadit fub ìege . Per efporre in opportuna comparfa
r applicazione di queda dottrina : qual è il fine del-
la briglia del cavallo ? La direzione , e regolamen-
to del cavallo. L’artefice forma la briglia di fot-
tiliffimo nadro , per non affliggere troppo il povero
dedriero . Quedo burlandofi di quel galante nadro
furi-
cxxii
furibondo corre a fuo genio , e torto precipita il ca-
valcante, il quale fi lamenta coir artefice .* e quelli
rifpondej che il fine della legge non cade fiotto la
legge : che il fine di frenare il cavallo non è ifpc-
zione deirarte fua^ Non farebbe coftui condannato
di pazzo ? Il digiuno è il freno del corpo , e delle
paflTioni umane . Se le fottigliezze della gola , e le
fpeculazioni di alcuni Cafifti di tal maniera raddol-
cifeoao quello digiuno, e di tante delicatezze l’ ador-
nano , che in vece di freno per fommettere , ferve
di fiuzzicamento per rivoltare contra lo fpirito la
concupifeenza ; non è quello un digiuno ridicolo, un
digiuno da feena , da giuoco , da burla ?
V. Quelli dunque che il digiuno talmente efte-
nuano , raddolcifcono , mitigano, che gli levano la
virtù di affliggere il corpo , di crocifiggere la car-
ne , di frenare la concupilcenza , dalla Chiefa i ve-
ri digiuni abolifcono . Il dire che quelli accennati
effetti fono il fine del digiuno , e che il fine del
digiuno fotto il precetto del digiuno non cade , è
un farli giuoco delle leggi , degli uomini , e di Dio
fleflb . Quello è un infamare la difciplina della no-
llra Chiefa : quello è un rendere i nollri fanti digiu-
ni oggetti di beffe , di derifioni agli fleflì Eretici .
Da quelle moftruofe laffezze anfa hanno prefo Dal-
leo ,
CXXIU
Ico , Chemnizio , Calvino , e tanti altri di calun-
niare di fuperftiziofi i digiuni noftri, e di fpacciar-
li per larve , colle quali ci burliamo di Dio . A
confufione di coloro che le fcandalofe opinioni di-
fendono , e praticano, voglio riferire i rimproveri
che TErefiarca Calvino kaglia centra le mafehere
di tanti digiuni che tra noi fi offervano . Ineptijjì-^
mo abjìinentios pmtextu cum Deo ìudere experunp.
Nam in exquifttijftmts quibufque delie tis ìaus jeju-
7ìii quperitUY . Niella tunc lauthiee Jufficiunp . Num-
quam major ciborum vel copia , vel varietas , vel
Juavitas . In tali ac tam fplendido apparatu putant
fe vite feìvire Deo. In fumma bis Jummus ejì Dei
cultm a carnibm abjìinere , & , illis exceptìs , af-
fiuere omni genere lautitiartm Hodie njulgare
eft inter omnes divites , ut fcilicet non alio fine je-
junent , nifi ut lautius , nitidiufque e pulentur .
Sed nolo multum •verborum profimdere in re non
adeo dubia . Hoc tantum dico ^cum in jejuntis ^ tum
in omnibus aliis difciplinee partibus , adeo nihil re-
Ri , nihil finceri , nibil bene compofiti , ac ordinati
habere Fapijìas ^ ut fuperbiendi occafionem ullam
babeant, Lib. IV. Inft.cap. xi i. ftc. 1 5. & 2 1. Mala,
feiamo da parte Calvino , che con troppa sfaccia-
taggme le diffolutezze , e gozzoviglie di tanti feo^
ftuma-
ftumati Cattolici nella Romana Chiefa rifonde. Sanf^
Agoflino mcdefimo affila le invettive fue centra sì
fatti digiimi ^ e deride coloro che aftenendofi dalle
carni , altre vivande e di maggior prezzo , e con più
fquifiti condimenti preparate irnbandifeono . Peroc-
ché quello non è digiunare , ma bensì cambiare lit
luffuria di una vivanda nella luffuria di un’altra i
IlU qui ftc a carnibus temperant , ut alias efeas diffi-
ciìiorts praparationis , & majoris pretii mquìrant j
nmìtum errtint . Hoc enim non cjì fufeìpere abfti-
neniuim ^ fed mutare luxurìamé Ser. z.in Quadrag.
VI. Quelli lono i princip) generali , che i fagri
Teologi premettono 5 per quindi inferire, che quei
digiuni ne’ quali fi beve, li^ mattina per tempo una
chicchera di cioccolata fecondo gli uni, ed anche due
fecondo gli altri * a nvezzo dì un lauto pranfo , più
o meno lauto, fecondo che più o meno la borfa ab-
bonda ; la fera una colezione di otto oncie di fqui-
lìti cibi , fieno digiuni da commedia , fieno peni-
tenze da giuoco , più valevoli a provocare che a pla-
care la divina vendetta. Non v’ha erefia , non v’ha
letta che i fuoi digiuni non pratichi . In ninna di
quelle fette , lia di Turchi , fia di Ebrei , fia di
Protellanti , ritroveraffi che i digiuni praticati per
umiliarfi avanti a Dio , per placare la divina ven
detta
CXXV
dettà 5 ammettano tre refezioni il giorno, e le de-
lizie più fquìfite . I foli digiuni confacrati da tanti
Profeti, da fanti Apposoli, e da Gesù Grillo me-
de fimo ; i foli digiuni della Cattolica Chiefa, che
profeffa una penitenza la più perfetta , fono con tan-
te refezioni , e con tante delicatezze profanati . Ma
è ornai tempo di entrare nel racconto delle ragioni
più proffime al punto che avanzano i Teologi ri-
provatori del cioccolate in tempo di digiuno.
VII. L’autorità comune de’ Teologi che hanno
fcritto centra il cioccolate , è il primo argumento
onde la rea coftumanza condannafi . Io ne riferirò
alquanti de’ principali Probabilifli , e de’ più benigni.
Il P. D. Antonino Diana, il P. Zaccaria Pa-
iqualigo , [c] il P. Ferdinando de Caftropalao, [d]
il Trullenco, [^] il Villalobos, [/] Francefeo Sii-
5 [<§■] P.Gìovanni Azorio , [^] il P. Giovan-
ni da S.Tommafo, [i]il P. Tomniafo Sanchez,[k[
Antonio di Leon , [ / ] il Solarzana , [ w ] il Pinello ,
[»] il Leandro di Marcia [o]ìì Lezana,[/?] il Tur-
riano
fa) Tffm.lV.CoouLTraSi.Vl,reJ.^i.{h)Trfi^,de Je^un.ref.
n.'i. ( c ) Tom. VII, Traci. i . dìfp.^.punc. 2. §. 2. mm. 2. ( d ) Lìb. HI. tn
JDecal.cap. 2. dub. 2. ( e ) InSum. 7. P.traSl.TiWW i.dìffìculf. 8.( f) 2. 2,
1 47. 6, ( g ) Tom. 2. Uh. VJJ. cap. x. 7. ( h ) Doelr. Chrijl. prac. iv,
(i) 7nCon/il.TraB.V.n. De chccol.tp.iH {\) In Polir,
dnd, Llb.U. cAf>.x. (w.) de chccol.{r\^ q» aJI. ’^.v. in Reg.S. Prone.
(o) Sum.Verb.]Q]\xxì.à'
114. conci, é’ 7.
cxxvi
riano j [a ] i\ Corella, [ ^ ] il Laymano j [ c] il
Tamburino , [ ] il Leandro del SS. Sagramento ,
[^] il Fagundez , [/] il Geribaldi , [ ^] l’Efcoba-
rio, \_b1 il Cardano . Quelli fono Probabilifti, ed
i capi di tal partito . Vero è che alcuni dei rimem-
brati, pregiudicati dal loro Probabilifmo , giudica-
no probabile anche la oppofta. Quello indifferentif-
mo si frequente tra i Probabilifti dovrebbe pur una
volta far conofcere che quello Probabilifmo fatale è
un pretto Pirronifmo che rovefcia da’ fondamenti
il fiftema della criftiana Morale . Gli Antiprobabi-
lifti poi comunemente tutti d’accordo riprovano la
coftumanza novella . Lorenzo Berti , Pietro Balle-
rini, Enrico da Sant’ Ignazio , Giovanni Pontas ,
Martino l^vigandt , Natale ab Alexandro , Onorato
Tournely , ed il Collegio Salmanticenfe , i quali quat-
tro ultimi rinomati Teologi ottimamente più volte
ftampati nella infigne ftamperia dell’ illuftre Signor
Pezzana , hanno ora quello fpaccio che una volta
aveano gli Efcobarj, i Diana, i Caftropalai, i Tam-
burini, e limili. Sicché è fuor di dubbio che l’auto-
rità
(a) In PraEÌ.Conf.TraSi.iii.p. 3. n. 30. (b) Lth. V. c. i. (c) Lìh, lY,
$Hp, V. 2. ». 9. ( d ) TraB. V. difp, K. 5. ( c ) Lih, /. c. iv. n. Z4-. de 4.
prdcept,EccL ( f ) TraB.VlU, (g)
j. (h) Ùe poTtchiCt
CXXVll
riià maggiore de’ Teologi e Probabilifti , ed Anti-
probabiiilli , e de’ Medici condanna Tufo della be-
vanda in tempo di digiuno • Anche il P. Viva ha
confeflata quefta verità per lo che , come abbiam
veduto, feri ve .* Verum pracifa au^ovitatc extrirife-
ca^ arrìdet mìhi opimo 8cc, Il Sapientiffirtio Regnan-
te Pontefice BENEDETTO XIV. che con tante
fue immortali opere ha ornai efaurita tutta la ec-
clefiaflica erudizione, nel cui Audio è talmente per
tutto il tempo di vita fua affuefatto , che in mez-
zo alle immenfe follecitudini del fupremo governo
della Chiefa univerfale , voluminofi Tomi va pub-
blicando a vantaggio univerfale de’ fedeli , di dottif-
fime Paftorali, Coftituzioni , Bolle, e Differtazio-
ni ; nella NOTIFICAZIONE XV. del luo primo
volume , che da Arcivekovo di Bologna diede in
luce l’anno 1733. al num.7. oiTerva , che akum fo-
lamente difendono l’ufo del cioccolate. Ecco le fue
parole. Si va dìfputando{ fra’ Teologi) fe la nuova
bevanda del cioccolate prefa fuori deir erra della re*
fei^ione guajìi il digiuno ; foflenendo ALCUNI la
fenten'ga negativa . Donde evidentemente rifulta ,
che fe alcuni difendono la negativa , comunemente
gli altri Teologi foftengono la contraria affermati-
va. Al num, IO. poi ricorda , che chi voglia fervirfi
della
cxxviii
della opinione più benigna, là quale per motivo del-
la parvità della materia giuftifica Tufo di una ordi-
naria chicchera, non debba quefta mifura eccedere.
Si cammini pure ( fegue il dottiffimo Cardinale )
coìr opinione piu benigna , che il bere il cioccolate
non guafii il digiuno : ma chi potrà feufare dalla
colpa d^ intemperan^za ^ e forfè anche dalla trafgref-
fione del digiuno^ chi ne prendere una taz^ affai
piu grande dei folìto , deferitta da S Girolamo nel-
la lettera a ,* Sorbitlunculas delicatas, &
contrita olera , baccarumque fuccum non calice Ibr-
bere , fed concha : ; o chi piu volte né" giorni di di-
giuno lo prendeffe ? fe gli Autori piu gravi , che
hanno in f e guato non guaflarfi il digiuno dal ciocco-
late , ?ie hanno pe^ li fopr addetti motivi riprovate le
replicate bevande ne^ giorni di digiuno ^ come puh ve,
derft nella citata Differì, del Cardinal Brancacci »
e nel Trattato de jejunio del Cardinal Cogja .Il
dottiffimo Cardinale, Superiore ricrovandofi di vada
Diocefi,giufta le confuete regole della fua incompa-
rabile prudenza, non giudicò fpediente dì portar pa- •
rere , e di decidere lopra quefta concroverfia / ma ?
con raffinato giudizio , ed avvedutezza fa fapere a’
fuoi Diocefani, che alcuni folamente difendono que- -■
fla fentsnza . Dipoi avvifa che i piu dotti tra quelli
CXXiX.
4Ìvum riducono la controverfia alla parvità della
materia. Un Arcivefcovo che per giufti motivi non
vuole pronunziare fua diffinitiva fentenza ^ non po-
teva nè con maggiore prudenza , nè con maggiore
dottrina avvifare i luoi fedeli a ftarfene lontani dal
pericolo di peccar mortalmente per la difficultà di
faperfi contenere tra ì cormai di quefta parvità
materia.
§. X.
Efam^ delle ragioni narrate a favore della po-
T^ìone Indiana . I [agri Teologi pretendono di
dinjofirare che quejie non Jieno ragioni^ ma
illudonì^ e cavilla^ioni ripugnanti y e che f e-
rijcono il fenfo comune , non che la difciplì-
na della Chic fa Romana .
I. Air autorità eftrinfeca dc^ Teologi , e de’ Me-
dici pafliam ora a raccontare le ragioni
che i mentovati Teologi avanzano contra la oppofta
opinione . E perchè la Storia noftra s’avanzi con la
neceffaria chiarezza, giovami bene di richiamar a
memoria le due fentenze teftè indicate dal NoUro
Regnante Gran Papa BENEDETTO XIV. La pr.-
I nia^
cxx.t
ma, che affolutamente àiknàt totles qm-
tìes quante volte a voi aggrada la bevanda del cioc-
colate: lii feconda, che ad una fola, e piccola chic-
chera Tufo lecito riftrigne per cagione di parvità di
materia. In primo luogo io apporterò le ragioni che
condannano affolutamente la prima fentenza. Do-
po narrerò ciò che comunemente dicono della fe-
conda .
II. La prima ed unica ragione de’ Teologi, che
affolutamente la bevanda del cioccolate condanna-
no, è fondata fui nutrimento che la cioccolata di
fua natura porge. Quelli che difendono la opinio-
ne larga, ch’eglino chiaman benigna, negano alla
cioccolata diftemperata nell’acqua [il nutrimento ,
benché glielo concedano , fe in bocconi torti fi man-
gi . Or contro sì ridicolofo fofìfma formano la fe-
guente evidentiffima dimortrazione i fagri Teolo-
gi. La cioccolata guafta il digiuno prefa in bocco-
ni. Dunque più gravemente il guarta prefa in be-
vanda. Mangiata in bocconi al digiuno ripugna ,
perchè effa è fortanziofa, e nutritiva. Or diftempe-
rata nell’ acqua, concotta al fuoco, e ben frullata
non folo la fua foftanza neri perde, ma l’acquifta,
e più guftofa , e più piacevole al palato fi rende .
La prima propofizione è degli Avverfarj . La fecon-
da
cxxxx
da è raffermata da tutti e quanti quelli che bevono
cioccolate . La confeguenza è neceffaria . II pine
mafticato in bocconi rompe il digiuno : e tritato ^
e diftemperato nell’acqua, mefcolato con zucchero,
con cannella, con vainiglia , e ben preparato, e
cotto al fuoco, e poi forbito, non guafterà il di-
giuno ? Da uomini ^ da Cafilli di ragion forniti
cofe sì moftruofe dovremo udire ?
III. Il P. Tommafo Tamburino, che nella eie--
ganza dello fcrivere , nell’ordine , nella chiarezza
tutti i Cafifti fupera, d’ordinario con qualche le-
pido racconto fuole i fuoi ragionamenti ornare. Or
io vo’ recarvi in' volgare il fucceffo che a quello
propofito narra, (a),. Una mattina affai per tempo
„ me n’andai a vifitare uomo nobile mio famiglia-
„ re , per conferire feco lui alcuni negozj : ed
3, avendo nel primo ingreffo offervato il di lui vol-
„ to d’infolito pallore afperfo, macilento, e fimilif-
5, fimo ad un cadavero, dimandai, fecondo che co-
„ ftùmafi, come fteffe di fanità. Quefti con voce
li) w qiia-
(a) Semel ego vifum nobilem mlhl famìliarìrite conjnn-
dam conveni mane diiuculo, CLim eo quseJam negotia collatu-
rus. Ctimque primo ingrclTu obfer'/aflem ejus vultum infoienti
pallore fuffufum , macilentum , cadaverique perfimilem, inter-
rogavi, ut tìt, de ejus valetudine. Is, inllrme fatis fe habere
CXXXll
quafi tremante, rifponde ritrovarfene affai male,
yj ed amorofiffimamente pregommi di ritornarmene
y, dopo mezz’ora. Ubbidii, me n’ andai, ritorno i">
9, ci. Maravigliofa cofa! Ravvifai la di lui faccia
5, al primiero colore reffituita, occhi allegri, voce
„ forte; di modo che a ragione l’avrefti creduto ri-
,, tornato da morte a vita. Per il che trattenere non
„ mi potei d’efclamare: A Dio Signore, ed ai San-
5, ti grazie fieno rendute. Io mi rallegro di vedere
„ Vuffìgnoria, non folamente in buona, ma in otti-
„ ma fanità. E donde mai così imnaantinente, etan-
5, ta riftaurazione di forze? Con forrifo T amico ri-
5, fpofe: Non vi maravigliate, o amantiffimo Padre*
„ Imperciocché in quello punto ho prefa la pozione
„ del cioccolate , la quale a guifa di miracolo, qua-
„ fi in un iftante fuole reftituirmi il colore, le for-
„ ze, la vita. Dio immortale! Tu chiamerai que-
fubtremula voce refpondit, meque peramanter rogavit ut poli
mediam horam reverterer . Parui , ivi, redivi. Mirum! Adver-
ti eius faciem priftino colori reOitutam, oculos hiUres, vocem
validam: ex morte in vitara jam rediiffe non gratis dixilfes .
Quare me cohibere non potui quominus exclamarem: Deo, iu-
^rifque fine gratis. Bene, immo optime valere gratulor do-
minationem veftram. Undenam tam fubita , ac tanta virium re-
fedio? Subridens refpondit amicus: Ne mirere P. amantiflìme.
Modo enim chocolatae potionem rumpfi, qus miraculi inftar,
colorem , vires, vitam fere in infialici noihi parere confuevit .
Deus immortalisi Hanc meram potionem, non vero validam
eoraellionem iejunii fini ex diametro oppoficam appellaveris ?
9)
CXXXlll
fìa uaa pura bevanda , e non una (oftanziofa rife-
35 zione al fine del digiuno diametralmente op-
„ porta P
IV. Ho inferito qui il racconto graziofo del P*
Tamburino per un tal quale divertimento del leggi^
tore, non già perchè il credeffi bifognevole a com-
provare il foftanziofo nutrimento del cioccolate. Que-
fio abbondante nutrimento della pozione cicccolatica
ce lo affermano tutti i piu celebri Medici . Giacomo
Sponio celebre Medico Lionefe fece pubblicare tre
Trattati comporti da eccellenti Medici fopra le po-
zioni del Caffè j del del Cioccolate. Nel terzo
Trattato fta fcritto al cap. 2. pag. 174. Ceterum noìì
foìum nutrit optìme , fed etiam impinguai chocola-
ta. Si produce Tattertato di tutti coloro che tal po-
zione forbono . Cbocolatam quicumque bibunt , eam
muìtum nutrimenti corporì fuppeditare fatentur^ ita
ut jufculum eyi carne nectam diu^ nec tam fortitet
nutriate vìrefque fujìentet ... Amicm quidam mem
vuìgaria alimenta ob morbum ferre non valens 3
Partftis Lugdunum rb ed a veRus per undecim dìes^
tres dumta^at ciatbos quotidie baurìebat ^ ac bene
fe hahehnt . pag. \6c). Produce la fperienza di tutti i
Predicatori, i quali per corroborare il petto, e ren-
dere più fonora la voce, più nerborute le forze ,
I i i j que-
cxxxiv
quefta pozione pigliano. Omties ferme ccncionatorei
ah ejus ( chocolata^ ) ufu ^ five ante^ five pofl concio^
7ìem^ opttme fe babent . Ante concìonem pe^oris^ &
neocìs vires dìutius quam jufculum fufiinet * pofl vero
exbaujìas corporis vires reparat. Produce altresì la
fperienza dei viaggiatori . Qonvemt & iter facien^
tibus. Quella pozione a molti che viaggiano ferve
di pranfo. Io per me fono così certo del nutrimen-
to di quella bevanda, che quando ben mancaffero
tutti quelli attesati delPuman genere, non perciò
dubiterei punto: ed ognuno per intimo fenfo que-
lla verità conofee nel tempo che quella bevanda
pratica .
V. Chi ora non ammirerà, non fo fe debba dir-
mi o il coraggio, o la fimplicità di que’Cafilli ,
tra’ quali è il P. Buonapace , i quali a fronte di tut-
to, dirò così, il genere umano, che beve ciocco-
lata, alla medefima negano il nutrimento? La lo-
ro rilpolla, che (ebbene prefa in bocconi gualìa il
digiuno, non però dillemperata nell’acqua, non fe-
rifee ella il fenfo comune? Chi è che nonconfeffi,
che manipolata la palla del cioccolate coll’acqua,
c cotta, e travagliata al fuoco, paflà in un miiio
che forma quafi una terza follanza incomparabil-
mente più efficace a efpeller la fame, a dilettare
il
cxxxv
il palato, a placare il ventricolo, a corroborare lo
fìomaco, a foddisfare T odorato, a confortare il ca.
p^, che mangiata afciutta afciutta in bocconi?
VI. Quefta fola addotta ragione bafta per deci-
àre la controverfia, dicono i Teologi propugnato-
à di quella fentenza . Imperciocché certe verità di
or natura manifefte , e palefi perdono, non acqui-
ìano lume dalla moitiplicità delle parole. OrnmefTa
perciò ogni altra ragione, fi fanno a ribattere le
ragioni della parte contraria, e pretendono di far»
le apparire fofifmi così grofli che ferifcano il fen-
fo comune.
VII. E’ vero , dicono i benigni Cafirti , che il
cioccolate nutrifce, ma di fecondarla, non di pri-
maria fua intenzione . Ed eccovene in pronto la
ragione . La cioccolata diftemperata nell' acqua è
bevanda ufuale nellTndie occidentali . Adunque è
bevanda ufuale anche in Europa, ed in ogni luogo
del mondo, dice cogli altri il P. Domenico Viva.
S/ alicubi eft potus ufualis^ ubilibet ejì talis . Che
neir America fia bevanda comune , lo fuppongono
per cofa certa . E queflo fatto ammeffo , la con-
fe^uenza è legittima. Imperciocché febbenc le be-
var.de ufuali, come acqua, vino, birra, nutrifcano;
tuttivia perchè di lor natura non fono deftiiiate a
I i i i j
nu-
cxxxvi
nutrir Tuomo, ma a diftribuire il cibo, a facili-
tars la digeftione, ad elìinguere la fete , perciò al
digiuno non ripugnano.
Vili. Di zelo qui accendonfi i fagli Teologi
centra i Cafifti, e gridano mancarvi in quella ct-
villofa argumentazione la fincerità, la buonafede;
mentre con quefta voce bevanda s’ incanta Torco
chio di un popolo propenfo a contentare i fua
appetiti • Come ? La cioccolata è bevanda ufual<
in Italia? Ed in qual menfa fi è mai veduta bere
ft maniera del vino , o delTacqua ? E chi T ha
giammai bevuta per eftinguer la fete nè in menfa,
nè fuor di menfa? E ciò che rende più moftruo-
fa 5 ed intollerabile la fofiftica illuGone , fi è il
fatto feguente. Non è egli vero che comunemen-
te infieme con la cioccolata fi porge un groilo bic'
chier d’acqua, la quale altri prima la bevono, al-
tri alla metà, altri dopo aver vuotata la chicche-
ra, per temperare il calore, e perchè ferva di vei-
colo a diflribuir per le vene Io fpeffo , e denfc
miflo del. cioccolate ? Quefto è un fatto palefe a
tutti. Ed a fronte di verità così evidenti , fi na
coraggio dì fpacciare che il cioccolate è bevanda
ufuale? Ma nell’ Indie occidentali è pozione comu-
ne . Dunque ella è tale ubiìibep ? O è vero , o
fai-
cxxxvri
falfo r antecedente. Se vero, la cioccolata Ameri-
cana è del tutto diveifa dalla nollra : perchè le a
maniera della noftra, e come la noftra bevefi, tanto
è ripugnante che bevanda fia ufuale, quanto è ripu-
gnante che come bevefi tra noi , lìa opportuna ad e-
Itinguer la fete. Se poi T antecedente è falfo, l’argu-
mentazione è un’impoftura. Bevanda ufuale può dir.
fi nell’ Indie in due maniere : o perchè qualche gra-
no di cioccolate infondefi nell’ acqua , come anche
tra noi un grano di cannella , alquante gocce di ro-
folio nell’acqua infondefi per levarle la crudezza, e
darle fapore ; e così adoperali per eftinguer la lete
ed in menfa , e fiior di menfa * e che in quella guifa
non rompa il digiuno, fi concede : oppure uiuale
dicefi, perchè, attefa l’abbondanza che colà v’è, ed
il buon prezzo, più comune, e più frequente è l’u-
fo : come anche in Europa più ufuale è il cioccola-
te in Ifpagna che in Italia , più a Roma, a Napo-
li , a Milano che in Venezia , che in Padova, che
in Verona : così il latte è piu ufuale in Germania
che in Italia. Ma non per quello capo alcun uomo
faggio inferirà, che bevanda ufuale compatibile col
digiuno fia o il latte, o il cioccolate . E per recare
le molte parole in poche, fe il cioccolate neli’Ame.
lica fi manipola, e fi beve come in Europa ‘ tanto
là,
I
cxxxviii
là, quanto qua il digiuno guafta . Se è diverfo il
cioccolate, il fofifma da sè cade . Non mancava al-
tro alla Teologia cafiftica, che andar nell’ America
a ripefeare tra que’ Pagani una golofa coftumanza,per
quinci trarne ragione , onde lìabilire un punto di
criftiana Morale. Così pieni di zelo i Teologi pro-
pugnatori della fana Morale riprovano quefto vaniffi-
mo cavillo. Il vino, l’acqua nutrifeono piu e meno;
ma perchè quelli liquidi di lor natura iftituiti fono
ad eftinguer la feto, a facilitare la digeftionc , ed a
dillribuire per le parti del corpo il cibo, per quello
lono col digiuno compatibili. Non fi è ancora mai
veduto a pigliar da chi fi fia il cioccolate o fuor d\
menfa per ellinguer la fete, o nella menfa in mez-
zo al cibo, come o il vino bevefi, o l’acqua : e poi
uomini fi trovano di tal tempera che coraggio abbia-
no di difendere pubblicamente , che non meno del
vino lecito fia in Qiiarefima l’ufo del cioccolate? E
qaefti lamenteranfi, ripigliano i mentovati Teologi ,
fe diciamo che l’ufo pratico del Probabdifmo rende
lecito l’ufo di cofe le piu oppofte alla Legge fanta
di Dio?
IX. Ripigliano figto, ed alzano un’altra volta la
voce i propugnatori della bevanda mittutina . Non
è egli vero che la birra, o fia cervifa, fpremefi dall’
or-
CXXXJ5C
orzo, e dal frumento? L’orzo, ed il frumento fono
comeflibili grandemente nutritivi* e non quindi s’
inferifce che la birra da quelli grani eftratta fia al
digiuno contraria, quantunque anche quella cervifa
nutrifca. E perchè quella birra nei paeli fettentrio*
nali è bevanda ufuale, in ogni paefe del mondo in
tempo di digiuno può beverlì . Adunque ancorché
la cioccolata in sè lleffa fia un comellibile nutriti-
vo; quando però agguifa del grano , dell’orzo di-
fliilafi neir acqua , rendefi bevanda . Così le uve
mangiate rompono il digiuno, il vinodalleuve [pre-
muto non lo gualla,
X. Quello è un dlfcorlo peggiore del primo, per-
chè evidentemente inganna la credulità de’ bevitori
con una parità la più difparata, la più inetta . Ac-
ciocché la parità avefTe luogo , dovrebbe di quella
guifa formarfi, 11 vino [premuto dalle uve comelli-
biii, la birra dillillata dal grano non guallano il di-
giuno. Adunque il licore [premuto dal grano del cac-
cao al digiuno non fi oppone ; ed in quella ipotefi
accorderemo la confeguenza • Si prendano adunque
i grani del caccao , e dai medefimi grani fi [prema
un liquore, come dai grani del frumento, o dell’or-
zo , o dell’uva fi dillillano la birra, il vino ; e cef-
[erà ogni coniefa. A-ltro è che da materie [ode , e
co-
comeftibili fi poffano fpremere licori che fervano di
bevanda; ed altro totalmente diverfo è che quefte
fteffe materie comeftibili fi congiungano con un liqui-
do o di acqua, o di latte, e che da quefti due in-
gredienti manipolati, e col benefizio del fuoco, e
dell’arte preparati, le ne formi un mifto, una terza
foftanza ornata di tutti i requifiti più delicati a far
godere il palato, il ventre, l’ odorato . Ma per chiu-
dere fenza replica la bocca agli avverfarj , dimando.
Se i grani dell’orzo, del frumento fi bruftoliffero ,
come il caccao, e poi mefcolaticon zuccaro,con vai-
niglia, e con cannella, fi formalfe per via dell’ arte
una pafta [ e lo fteffo dite delle uve infecchite , e
preparate] e poi di quefta pafta unita coll’acqua , o
con altro liquido, fi formafle un mifto faporofo, e
nutritivo ; farebbe egli compatibile col digiuno ?
Sicché i grani dell’orzo, del frumento , delle cafta-
gne ridotti in farina, e poi in pafta, ancorché fi di-
fìemperino dentro l’acqua nella detta maniera, certa-
mente forbiti guaftano il digiuno. I grani del caccao
riduconfi in farina meicolata con zuccaro , cannella ,
e vainiglia. Con ciò foda ed ottima pafta fi forma,
che poi fi fparte in tanti panetti, come in panetti fi
divide la pafta della farina del grano . Ed i panetti
del grano, e dell’orzo avvegnaché diftemperati nel
mo-
cxit
modo detto dentro 1’ acqua , al digiuno forbiti op-
pongonfì .* e poi i panetti del cioccolate manipolati
coir acqua compatibili col digiuno fi dicono ? Qual
uomo che vanti fenfo comune, non fi vergognerà da
quinci innanzi di produrre la parità del vino, o del*
la birra, per dimoftrare lecito l’ufo del cioccolate?
XI. Fin verfo il fecolo duodecimo e feguenti era
lecito l’ufo degli elettuarj, o fieno conlerve . Perchè
dunque non può a’ tempi nofiri efler lecita la ciocco-
lata? Le mode de’cibi, e delle vivande , come le
mode del veftire, fi cambiano. Se perciò ne’ tempi
in cui la difciplina del digiuno era più leverà, l’ufo
delle conferve nón ripugnava al digiuno ; perchè P
ufo del cioccolate farà in tempo di digiuno vietato?
XII. Bifogna confeffare, che l’arte di foddisfar la
gola fia piena d’ aftuzie 5 e d’inganni. Chi narra 1’
ufo di quefti elettuarj ? Chi ? S. Tonimafo, S. Bo-
naventura, e ruttigli Scrittori di que’iecoli . Fa
durque mefiiere di ammettere gli elettuarj nella for-
ma fiefla nella quale ci vengono dai rimembrati Dot-
tori rapprefenrati . Ora quefii Dottori ci atteflano
che quelle conferve dette elettuarj fi prendevano do-
po la cena per facilitare la digefiione del cibo . In
quc’fecoli non fi rompeva il digiuno che tre ore do-
po mezzo giorno, cioè a nona .* nè vi era la cole-
ZJO-
a:\ii
zione di roba comefliblle^ come attempi nofirl, ma
foltanto bevevafi . Tutti gli Scrittori atteftano che
quelle conferve prendeanfi come medicine facilitanti
la digeftione del cibo. In oppofto chi le aveffe prefe
fraudolentemente per eftinguer la fame ^ e per nu-
trirfi, avrebbe trafgredito il precetto, come elpref-
famente tra gli altri infegna S. Tommafo. Le cioc-
colate de’ tempi noftri prendonfi per avventura quale
medicina dopo la cena per ajutare la digeftlone in
chi ne ha bifogno? Non è egli vero che la mattina
per tempo piglianfi per placare, e fpuntare i pungo-
li del ventricolo, per rifcaldare lo ftomaco, e per de-
liziare le fauci? Al prefente fi fcioglie il digiuno a
mezzo giorno ; la fera una colezione prendefi di pa-
ne, di frutte, e da alcuni anche di pefcì / fi beve
del buon vino da chi ne ha : e poi fi ha ardimento
di pubblicare colle ftampe , che anche la mattina
prendere fi pofia un più foftanziofo, e faporofo ri fio-
ro? E perchè? Perchè quando era in vigore la leve-
rà difciplina del digiuno , il quale non fi fcioglieva
che a nona, dopo la cena fi pigliava la medicina dell’
elettuario affine di facilitare la digefiione . Polfono
piu Arane cofe udirfi? Se quefii cavilli folfero inven-
tati da un popolo tiranneggiato dalla gola , farebbe
oggetto di commiferazione . Ma che fimili paralo-
gif-
cxliii
gifmi ii\ventIno que’ medefimi che fcelti fono da Dio
per difenfori delle fue leggi , e per promotori della
offervanza degli ecclefiaftici comandamenti , non tan-
to eccita la commiferazione , quanto il zelo a rim-
proverargli con le parole di Ezechiello : Va Pro^
phcth mftpienùbus , qm fequuntur fpiritum fuum ’
& nìbil vtdent . Quafi •vulpès in defertìs Pro-
pbeta fui. Vident vana^ & divinant mcndactum.
cap. XII I.
XIIL L’ancora cui in oggi fi attaccano pih forte-
mente i propugnatori della bevanda , è la confuetu-
dine ormai pi;evalente, e dilatata da per tutto . La
confuetudine gìufiifica la colezione della fera : dun-
que dei pari onefta, e lecita può rendere la colezio-
ne mattutina. La cofturnanza del cioccolate in Qua-
refima è fornita di tutte le prerogative di una vera
confuetudine. Effa ha a fuo favore la pratica della
moltitudine, il fine onefto di refocillare il povero
corpo, il confenfo del legislatore . In Roma Sede
Tanta della Religione noltra, d’onde efcono le leg-
gi, i precetti, le coftituzioni, quella cioccolata fi
beve, fi vende nelle botteghe, fotto gli occhi de’
Prelati, de’Cardinali , de’Papi, fenza che niuno vi
reclami. Anzi Gregorio XIIL S. Pio V. Paolo V.
Urbano Vili, hanno pofitivamente lodata con ora-
co-
cxliv
coli di viva voce tale cofiumanza . Adunque k
confuetudine è legittima, e la pratica è lecita.
XIV. I fagri Teologi chieggono a cotefli argumen-
tatori, fe poffibil fia d’introdurre nella Cattolica Ro-
mana Chiefa una confuetudine, che rende ridicoli^
e oggetti di beffe , di derifioni , e di fcandalo i fuoi
fagri digiuni, confagrati da Gesù Crifto col fuoefem-
pio, avvalorati da fanti Appoftoli con feveraoffervan-
za, autorizzati da tanti Concilj, e dalla Chiefa uni-
verfale con efpreffi comandamenti. Sin ora fi è di-
moftrato ad evidenza , che la cioccolata è un gufto-
fiffimo alimento che ingrafla il corpo, una faporo-
fa bevanda che compiace il palato . Si è fatto vede*
re, che un digiuno il quale ammetta tre refezioni il
giorno: cioè una buona chicchera di cioccolata la
mattina , anzi fecondo la comune di quelìi Cafifti e
due, e tre tazze, e quante ognun vuole, perchè //-
quida non frangunP ; un lauto pranfo a mezzo dì
una colezione la fera di otto once, fecondo gli uni
di pane e frutte, fecondo gli altri di pefeetti piccoli,
e fecondo gli altri di trote, di ftorione, di linguat-
tole: fi è fatto, dico, vedere, che quefto è una lar’
va di digiuno, una mafehera di digiuno, un digiuno
da fccna , che infama la difciplina della Romana
Chiefa > diferedita la noftra fanta Religione. E pure
tuf
cxiv
tutte le riferite cofe fi c^inonizzano dai Cafifti noftri
coir autorità della confuetudine. Confuetudine perla
colezione affolutamente; confuetudine per le otto on-
ciey confuetudine per li pefcetti fumati, e falati;
confuetudine per li pefcetti frefehi, ma piccoli ; con-
fuetudine per lì pefci frefchi grandi, grofiì, e delica-
ti ; confuetudine finalmente per la colezione mattu-
tina della cioccolata. E Dottori che capaci fono d’
avanzare sì belle dottrine, dovran fervire di regola
per afficurare le cofcienze cri diane?
XV. Qiicfto è il proemio che i fagri Teologi pre-
mettono allo fcioglimento precifo, onde dirittamen-
te ribattono T oppodo fofifma. E primamente bra-
man eglino faperc, fe qued’ allegata confuetudine fa-
vorifea foltanto la cioccolata , oppure ogni e qualun-
que equivalente cibo quarefìmale . SÌ vuol fapsre, fe
il folo cioccolate fia un cibo celede privilegiato tra
tutti gli altri cibi quarefimali dalia confuetudine. Che
fi rifponde ? Ì1 cioccolate nutrica, ingraffa, diletta
■pili di una ciambella, e d’una tazza di vino : pia di un’
oncia di calcio, e d’un’ oncia di pane. Orperchè non
potranno i Crifiianl, che comanemente fpenderc non
poffono un mezzo paolo in una chicchera, nè un pao-
lo intero in due chì^;hertf di cioccolate, prendere
un’oncia di pane, ed un’oncia di mandorle la mat-
K ria I ?
cxlvi
tina ? Perchè fono cibi folidi ? Ma fi pcfteranno
mandorle , fi fquaglieranno in latte , fi farà dentro
un pentolino bollire con pane tritato con zucchero,
e cannella ^ e caldo caldo in una tazza fi prenderà
il cordiale a foggia del cioccolate. Che fi rifpoude?
V’ha egli diverfità tra l’una e l’altra bevanda in quan-
to alla foftanza ? Che fe diverfità foftanziale non v’
ha, perche anche i poveri Criftiani non potranno re-
fiziarfi? V’ha forfè un Vangelo per li ricchi, e per li
Nobili; un altro per li mercanti, artieri, e plebei?
V’ha forfè una confuetudine perii Br^^gmanr^ l’al-
tra per li Pareasì La confuetudine della colezionevc-
fpertina è univerfale per tutti i Criftiani. Adunque
la confuetudine della colezione mattutina p deve fa-
vorir tutti i Cattolici , o niuno. Adagio, che qui
fiamo incappati nel laccio. Rifponderanno beniflimo i
noftri Cafifti avverfarj, che la confuetudine favori-
fca tutti, e che tutti la mattina prender pollano la
merenduzza loro.
XVi. Ma qui a’fagri Teologi fi unifcono i Cri-
ftiani, e cóme eredi de’fagri digiuni offervati dai lor
maggiori dichiarano, e proteftano pubblicamente, che
la decantata confuetudine è un manifefto abufo, una
patentiffima corruttela ‘ingiuriofa alla fanta difcipli-
na della Romana Chiefa . Tutti i fagri Dottori e
Teo-
cxlvii
iTeologi, e Canonifti, e Giurifli infegnano, che per
una confuetudine vera fi richiede la pratica delia mag' ^
gior parte del popolo. Ora non folo de’Crifiiani al
l'agro digiuno obbligati la maggior parte non prende
la cioccolata^ ma dei Criftiani di tutta Italia non ve
ne fono ficuramente otto ( e dico troppo ) per cento.
Perchè j eccettuati i ricchi, ed i nobili doviziofi y
ed alquanti Religiofi timorati qua àoEirìna^ qua prò-
bitatti fulgentes^ dice il P. Millante^ tutta la gran
moltitudine de’Criftìani non fa, per così dire, cofa
fia cioccolate. Nè quelli Criftiani lecito fi fanno,
precifo particolare bifogno, di prendere alfun riftoro
la mattina. Che più? I Teologi e Probabilifti, ed
Antiprobabilifti nel numero certamente maggiore
gridano, che quella noti è confuetudine, ma corrut-
tela. Ed a fronte del maggior numero de’ Teologi,
de’ Medici più ragguardevoli per dottrina, per fama,
fi ardirà di battezzare per confuetudine un abufo
fcàndalofo? Sicché è evidente che la prima, e princi-
pale condizione neceffaria vi manca. Dunque la mil-
lantata confuetudine è una manifella corruttela.
XVII. Altra prerogativa per una vera confuetu»
dine derogatoria della legge è, che fia ragiònevole,
che promuova il ben comune, o che per lo meno
al medefimo non ripugni.' La origine della cde-
K i j zìo\
I
cxlviìi
zione vefpertina non può* effere più ragionevole •
Cominciò ne’ digiuni monadici, che fi fcioglievano
aU’ora di nona; ed era riftretta a una determina-
ta mifura d’acqua, che i Monaci per laboriofe fa-
tiche affetati beveano. Ne! nono fecolo pafsò ne’
digiuni quarefimali, che fcioglievanfi al vefpero .
In mezzo alle conferenze, e lezioni fpirituali, dette
Colla'zjoniy bevevafi un po’ d’acqua. Per più fecoli
fu quefta colezione riilretta alla fola bevanda di
acqua, e poi di vino.Toftato fu tra i primi a dif-
putare • fe poteafi prendere o un pezzetto di pa-
ne , o qualche frutto, acciocché il bere non pre-
giudicane. L’anticipazione del pranfo dal vefpero a
nona, da nona al mezzo dì aprì la porta a piglia- ^
re pane, e frutta la fera per conciliare il Tonno, ed
ajutare colla bevanda la digeftione. Al tempo di
S. Carlo Borromeo quefta era di tal colezione la
taffa. Semel tantum in dìe fojì meridìem ctbum
capiant • Quod ft aìiquid aìicui amplìus opus fuerit ^
^cfperì panis unctam cum dìmìdia^ & vini poculum
tantum capere lìce at . Qui fi vede l’ innocenza e dell’
origine , e del progreffo di quefta colezione dalla
coniuetudine approvato qual rimedio a conciliar il
Tonno 5 attefa l’anticipazione del pranfo, e ad ajutar
la natura. Non cadelie però mai in penfiero che le
cxlit
lafle, e fcandalofe opinioni ituìicate di alcuni Ca-
fifti fieno dalla Chiefa approvate . Sicché in quefta
colezione vefpertina abbiamo e la pràtica univer-
fale de’Criftiani , e la convenienza della medefima
col fine principale del digiuno, che è bensì di mor-
tificare, non di difiruggere il corpo: abbiamo fi-
nalmente un tacito confenfo della Chiefa. Tutte
quelle condizioni mancano nella colezione mattuti-
na, anzi tutte le fono contrarie. La pratica univer-
fole de’Criftiani condanna quella colezione: la na-,
tura del criftiano digiuno deteflà così deliziofa, e
difpendiofa bevanda . L’ unica ragione per cui la
comune confuetudine ha riabilito di differire il
pranfo al mezzo dì, effa è per affliggere la carne
colla fame, che in tale dilazione fi foffre. Ora fe
la mattina fi piglia un foftanziófo rifloro, non èun
burlarli della legge? So che i Cafifti Filiiuccio, Vi-
va, ed altri anche quella lalfezza hanno flampata,
che polfafi a talento anticipare il pranfo con una
fola colpa veniale. Quelli Cafifti 'ergono tribuna-
le fopra la confuetudine della Chiefa, o a genio
decidono. Ma contra tale laffa opinione altrove fi
parlerà. Finalmente perchè fi vegga quanto crafla fia
r ignoranza di coloro che dalla colezione della fera
pretendono d’ inferire lecita h colezione mattutina
K i i j del
cl
del cioccolate, dimando: in quai (ccolo fi fono op^
podi i Teologi contra la colazione della fera? Han-
no bensì difputato, e difputano tuttavia intorno al-
la quantità, e qualità della medefirnaj ma, come ha
offervato T Autore dell’ Opera intitolata Difciplma
antica e moderna intorno al digiuno della Romana
Cbiefa^ non mai difputarono, o fi oppofero aU’in-
troducimento, o alla continuazione di tale colezio-
ne aifolutamente confiderata . Dovechè all’ oppofto
i Teologi Probabilifti più benigni, cioè dire i Tam-
burini, i Sanchez, i Caftropalai , i Diana, i Paf-
qualighi , i Leandri, gli Azorj, i Villalobi, e tanti
altri Cafifti uniti ai Teologi di maggior autorità fi
fono oppofti alla coftumanza del cioccolate in giorno
di digiuno, eia condannano qual corruttela ripugnan-
te al precetto della Chiefa . Ed un abufo condanna-
to dai più benigni Probabilifti, e dai più rinomati
Teologi, fi ardirà di fpacciare per confuetudine? Io
non veglio mettere in maggior veduta quefto vano
foSfma, per non confondere maggiormente chi non
fi arroffifee di opporlo. Soltanto aggiungo, che tra
le molte ragioni che m’ hanno indotto a pubbli-
care quefte Memorie Storiche^ una fi è di (venta-
re quella larva di fantaftica confuetudine con av-
vifare gl’imperiti , che quefta non è altramente con-
fu e-
cii
fuetudine, ma abufo colpevole, e corruttela perni,
dofa.
XVIII. Gli oracoli Papali di viva voce, che fi
vantano dai Frati, e dai Padri Americani di fopra
citati, fono più che favolofi. Nulla più famigliare
ad alcuni Cafifti che infingere a capriccio oracoli
di viva voce. Si legga la celebre Bolla Omnium fo*
licimdinwn 8cCf Q ìq TìQ vedranno gli efempj . Ma quel-
li che fono capaci di produrre ragioni che ferifconoil
fenfo comune a favore dell* accennata opinione, ben
poffono fpacciare in Europa oracoli Pontifici pubbli-
cati per la prima volta nella Chiappa , e nel Mexi-
co. Abbiamo già di fopra accennato Tattefiato del
medefimo Cardinale Brancacci contra la menzogna
di quefti oracoli ingiuriofi alla S, Sede. Sarebbe dar
credito alle favole più patenti, quando tempo fi pcr-
deffe nel confutare la chimera di sì fatti ora-
coli.
XIX. Ma perciocché i benigni Dottori con ifiu-
diata eloquenza mettono in veduta la pratica di Ro-
ma, uopo è di difendere la Capitale della noftra fan-
ta Religione. In Roma^ dicono! Signori Probabili-
fti, fi difpenfa il cioccolate in Quarefima nelle con-
ver J anioni pubbliche^ né' pubblici rinfrefchi^ in *vì-
fla de Prelati j e de' Pontefici': jiè quejìi ^ nè le fa-
K iiij ere
dii
ere Càngrega'zlom hanno mai reclamato ; ed ejfeì>
do cofa appartenente aljus pofjti'uo^ inai da pubblica
cecie [ìajìtca autorità non fi è jptccato contro tal
bevanda alcun EDITTO, Dunque d di lei ufio non
è contrario al rito ecclefitajìico , Per comprendere
quanto (imili argumentazioni fieno alla fanta Sede,
fecondo il mio deboi parere, pregiudicievoli, convien
riflettere, che queftl i quali cos^ argumentano, vo-
gliono compatibile col precetto del digiuno la be-
vanda dei cioccolate per tutto il giorno, e nelle
pubbliche converfiaTtoni , e ne^ pubblici rìnfirejchi : ,e
quefia cofiu manza fi vuole approvata dalla fanta
Sede, perchè praticata in vtjìa de' Prelati^ e de
Po77tefici^ e perchè non fii è fipiccato contra tal be-
vanda alcun Editto, I Protefianti che tanto han-
no fcritto contra i fagri digiuni della noftra Ro-
mana Chiefa, in leggendo sì fatte cofe, con deri-
fione, e con difprezzo vanno declamando : Ecco co-
me molte delle cole che hanno fcritto Chemnizio,
Calvino, Dalleo contra i digiuni de’Papifti, fono
vere per fentimento degli fleffi Predicatori della
Ghiefa Romana. Dagli fieflì pulpiti d’Italia, dagli
fiefli Qiiarefimali flampati per edificazione de’ fedeli,
fi confeffa, anzi fi vanta, che le deliziofe cioccolate,
che ne’ giorni fanti di Quarefima, giorni di umilia-
zio-
cliii
zioae, e di penitenza, fi dilpsnfano tizWs pubbliche
conver^a'xioni ^ e né* pubblici rinfrefcbi^ fono dalla
loro Chiefa, dai loro Pontefici approvate. E poi
non vogliono che noi diciamo , che i lor digiuni
fono digiuni da burla, da leena, da commedia ?
Dov’è in fimili digiuni il patimento, la mortifi-
cazione, la umiliazione? Dove vi trafpira aria di
(incera contrizione, di penitenza evangelica? Non
fa di meftiere eh’ io più a lungo rapprefenti le
declamazioni de’ Protefianti . La dottrina riferita
parla da sè.
XX. Ora per difinganno e de’Proteftanti, e degl’
idioti Cattolici 5, rifletter in primo luogo conviene ,
come in Roma, e fuor di Roma tanti Cardinali ,
Prelati, Religiofi , e Crifliani di ogni condizione
da tale bevanda in giorno di digiuno fi aftengono :
e di quelli i noftri Benignijìi nulla dicono . E pure
r efempio di quelli dovrebbe per ogni riguardo pre-
valere alla collumanza di coloro che la bevono e
nelle pubbliche connjerfa’gtonì ^ e ne^ pubblici rinfte-
/chi. In fecondo luogo bifogna confiderare , che la
vecchiezza cagionevole , che occupazioni e fatiche
gravi, che debolezze, e incomodi perfonali poffono
rcnaere lecita una chicchera di cioccolata a molti
Criftiarà . Ora in Roma fpezialmente tanti Cardi-
na-
cliv
nali, Prelati, c Miniftri, altri avanzati in età , al-
tri oppreffi da occupazioni neceffarie, debbono inter-
venire a Congregazioni, a Congreflì , dove fi maneg-
giano affari graviffimi. Or chi negherà lecito a que-
lli il riftoro del cioccolate per renderli abili ad efer-
citare il loro rninifteto , il loro impiego ? Dunque
quefto cioccolate è lecito nelle pubblìcbs convdrfa-
Trioni j ne^ pubblici rinfrefchì ai Damerini, alle Da-
mcrine? E tal coftumanza è approvata dalla fanta
Romana Sede ? Quelle fono confeguenze che recano
orrore, e fpremono dagli occhi le lagrime. I Sommi
Pontefici prudentemente non formano EDITTI cen-
tra tale bevanda, perchè a molti eifendo pegli accen-
nati motivi lecita , non vogliono promulgare una
proibizione univerfale per tutti. Stravaganza inaudi-
ta, efiupenda! Quelli benigni Dottori altro non fan-
no che efagerare in un fenfo falfiffimo la foavìtà dell’
evangelico giogo / jugum meum fuave ejì : e nello
fteffo tempo che foave vantano il giogo evangelico,
il vorrebbono gravofo di più precetti , ed anatemi ,
che non era il giogo Mofaico . Un EDITTO dal
Vaticano fi vuole centra il cioccolate : altrimente è
lecito. Un EDITTO centra le otto onde di Ilo-
rione, di trota, o di linguatole : altramente fono
lecite . Un EDITTO contra V anticipazione del
pran^
civ
pranfo più ore avanti il meriggio : altrimenti è le?
cito pranfare a terza, e quando aggrada . Tre editti
per li difpenfati dalle carni , acciocché fi aftengano
dal cenare . Che fe tanti editti ci vogliono per la fo-
la offervanza del digiuno ; quante migliaja di mi-
gliaja d’editti ci vorranno per la offervanza di tutti
gli altri comandamenti ? Secondo queffi Signori la
ianta Sede altro far non dovrebbe che ogni giorno
promulgare editti, ed anatemi centra le laffe opinio-
ni de’Cafifti. Ma quando bene promulgaffe tutti que-
ffi EDITTI e centra gli abufi di ammettere alla
facrofanta Comunione le Damerine, i Damerini, gli
fpettatori de’ Teatri, delle Commedie, i feguaci del
lufio, del fallo ; contra tanti giuochi perniciofi al
pubblico, ed al privato ; contra tanta immodeftia
fcandalofa di veftire; contra tanti mercimonj, ed u-
fure ; contra tanta libertà di converfare : quan-
do bene, ripiglio, la fanta Sede promulgaffe tutti que-
ffi EDITTI, fi ubbidirebbe poi fubito elattamente
fenza inventare diftinzioni, interpretazioni , futterr
fucj ? Si piegherebbe poi fubito con piena raffegna-
tezza l’umile capo?
XXI. Quelli che non vogliono praticare la peni-
tenza criffiana, nè adempiere la divina legge, nè
abbandonare le delizie, le morbidezze , le pompe ,
le
k coftumanze di un fecoio corrotto 5 fe non a forza
di Editti^ di Anatemi^ di Decreti , di Cojiitwzio^
niy di Brevi^ di Bolle ^ fono fugli ultimi eftremi
del precipizio, fono falla via dell’ inferno. Iddio c’
impone comandamenti diffìcili , ci affegna i mezzi
opportuni per offervargli ; ma per non opprimerci
con moltitudine di precetti, quefti mezzi opportuni
ad offervar la legge non ce gl’ impone fotto partico-
lare comandamento . I noftrì Cafifli moderni , per-
chè L mezzi accennati non fono con particolar pre-
cetto importi, gli feparano dalla legge. Che ne fe-
gueP Che la offervanza della legge diviene impra-
ticabile, Querti che giurtificano le cofiumanze qua-
fi univerfali, perchè con particolari editti non ven-
gono proferitte, ignorano, come fi accennò di fo-
pra, cofa fia la Chiela di Gesù Crirto . Ecclefia
Dei (dice Agortino [a]) inter multam paleam ,
multaque ‘zi':?:ania confìituta^ multa tale rat. La Chie-
la di Dio è circondata quindi da molta paglia, e
quinci da molto loglio.* ed il noftro divin Reden-
tore ha difpofto che infieme col frumento crefeano
le malvagie erbe . Ed i noftri benigni Dottori
vorrebbono che i Vicarj di Gesù Crirto rteffero di
con-
(a) £/»//. ex IX,
cJvii
continuo cola falce alla mano per tagliare tutto il
loglio, e tutta la paglia. Ma non veggono che in
quello calo bifognerebbe confegnar alle fiamme in-
riumerabìli volumi ripieni di Icandalofe opinioni ?
Sin tanto che durerà quella Chiela militante, vi fa-
ranno fempre e buoni e cattivi , e vere e falfe
dottrine, veri e faifi Profeti, veri e falfi Dottori,
dice iddiomedefimo nelPEcckfiaftico al cap.xxxiii..
Cantra bonum malum ejì , & cantra mortem vita :
fic <& cantra vlrum fujium peccator. Et [ic Intue*
re la omnia opera Altljfmi» Duo^ tX duo j & u-
7ium cantra U7ìum , Ci avvila, che quelle fieife co-
ftu manze che ci paiono rette e giufie , ci conducono
alla morte : Ejì via quce videtur homlnl jufta /
mvijfma autem ejus dsducunt ad mortem [z?], Sap-
piate, che fe la Chiefa di Dio [ legue Agoflino]
tollera le falle dottrine , non mai le approva- . la
quella Chiefa vi faranno fempre mai uomini di Dio ,
eh? non foio non fegulranno l’errore, nè faranno il
male/ ma di più non taceranno, e grideranno non
comra i Dottori, ma centra le falfe dottrine . Quae
Junt cantra fidem non approbat , nec tacci , nec
facit .
(a) l'rov, cap, xiVt :W. u.
XXII.
civili
XXII; Vogliono di bel nuovo pai*lare i difendi^
tori della pozione y e ad alta voce novamente dage*
rano l’autorità di Religiofi , di Regolari qua do5lri-
na , qua pYobitate inftgntum , innumerabili de’ quali
nobilioriy purgatiorique Tbeologics op&ram navanf y
dice il Pi Minante; Quella autorità di uomini pii,
di Regolari probi ^ che forbono quella dolce bevan-
da, fa grandiiTima imprelTione non folo nelle menti
degl’idioti, ma per fino nelle nienti più rifvegliate*
Il P. Tomnialb Tamburino dopo che ha con tutta
forza confutata la falfa opinione, attefta che la ra-*
\
gione il convince della oppofizione tra il cioccolate
ed il digiuno ; ma V autorità degli uomini pii y re-
ligiofi ,e dotti non gli permette diefcludcre dai con-
fini della probabilità la negativa contraria fentenza .
[a] Qua baSienus de cbocoìata dì/putavi , vera mìhi
vìdentur propter rationes intrinfecas : ceterum quìa
video viros piosy religiofoSy ac doHos putare earrìy
prout in Hi/pania , & Romcé ejt nunc in ufu , ejfe
ufualem potionemy 7ìec violare jeju7%iunìy nolo [ id~
que propter au^oritatem eTctrinfecam'] kaìK fenten-
tiam a probabilitatisy fecuritatifque finibus esclude-
re, Ecco di bel nuovo come il fermento fatale del
Pro-
(a) Lìh,lY. V. §. 2, n, 1 3»
cJix
t^robabilifmo fi diffonde da per tutta la Teologia, t
da per tutto le migliori dottrine guafta. Le ragioni
dimofirano al P. Tamburino la verità, ma l’autorità
di Religiofi pii, edotti gli rende probabile quefta.
fieffa opinione, che giudica faifa ili virtù e di auto-
rità, e di ragione . Ma afcoltiamo un’ altra vòlta il
P. Tamburino che fegue così, „ Enarravit mihi Vir
„ noftrae Societatis omni fide dignus, Eminentiffi-
„ mum Joannem de Lugo ^ antequam ad facram
„ Purpuram effet afcitus, dum fcilicet Theologiam
„ in Romano Collegio profiteretur j ita facete re-
„ fpondifle cuidam Sacerdoti ab eo fcifcitanti , an
3, chocolata jejunium frangeret é Qui eam ufurpantj
„ nequaquarri frangere afferunt : frangere conten-
,, dunt qui ab e a Je continent. Ego vero cum in-
ter ufuypantes firn ^ neutìquam jejunium violare
„ pronuntio, Hsec ille. Si ergo vir adeo doftus , ad-
3, eo pius, tantaque auftoritatc prseftans , fic di-
i,, fertis verbis cdifferit; qua ratione eum non prò-
,j babiliter loquij & agere ^ vaìet quifpiam fufpi-
3, cariì
XXIIL Per dir il vero, io fono uno di coloro
che non folo fofpetto, ma francamente giudico che
quello Teologo parli appunto probabiiizzando prò-
babiliter lo qui ; ma foggiungo che quefta fua pro-
ba-
clx
babile parlata non folo non dee fervire di autorr-
tà che renda lecita l’azione, ma di motivo per ab-
borrirla. Come? Un Teologo Religiofo interrogato
fopra nn punto dì Morale criftiana,in cui trattafidi
peccare, o non peccare mortalmente , rifponde con
una facezia? Facete refpondit? E quell’ uomo face-
tofo renderà probabile quellafentenza che ilP.Tam-
burino fleffo giudica falfa.^ Iddio Tempre ci guardi da
quello probabilizzare . Parlando noi feriamente , fe
doveflìmo chiamar all’efame rautorìtà di quello Teo-
logo nella Morale evangelica, diremmo fecondo ilno-
flro debole giudizio , cke, attefe le tante fentenze
laffe da lui llampate, non debba fervir dì regola ad
alcuno, lo ho letto un fuo MSS. fulla dillribuzione
de’ beni ecclefiallici, che mi ha forpreib : egli opu- '
fcoli morali llampati con le altre opere morali bada-
no per non arrenderfi alla fola di luì autorità fepara-
ta dalla ragione, come fi arrende il P. Tamburino.
Ma ora non è tempo di efercitare giuda, e riverente
critica fulle opere morali del Cardinale de Lugo,ma
bensì di rifpondere all’argumento .
XXIV. Non folo in queda materia, ma in ogni,
per così dire, controverlia morale, viene oppoda que-
lla autorità di uomini pii-^ e dotti j di Religiofi, di
Kegolàri , qua doélrina ^ qua probikite tnftgwim^ i
qua-
quali purgatìori Theologi^ optvnm navant ."E
perchè quello è un argumento che di continuo ,*ed in
ogni cbntroverfia oppongono anche i Criftiaai del fe-
cole, Tempre intercalando: Pojftbik che qué^Religio-
fi vogliali dannarfi dopo aver abbandonati e comodi^
e libertà? Il P. Sporer alle volte per rendere una o*
pinione plaufibile fuol dire ; Sic ego praticavi in
Confejftonaìi > Ed ora fi dice: Bevono la cioccolata
in Quarefima gli fteffi Religiofi clauftrali gravi, pii ^
c dotti, E poi fi dirà, che lecita non fia?
XXV. lo per ora non rifponderò fecondo quella
tremenda e formidabile dottrina di Autori veramen-
te celebri, che in ogni Religione maggiore , o gran-
de fia il numero de’ reprobi / ma voglio narrare i dif-
corfi , onde i fagri Teologi llringono cotefti avver-
farj, che tanto oppongono la probità, la dottrina de’
Religiofi clauftrali. Difeorrono dunque cosi. Prima-
mente le centinaje di propofizioni falfe , erronee, e
fcandalofe già condannate, non fono forfè Hate inven-
tate, infegnate, e difefe acremente da uomini pii ,
e dotti? Quante erefie non fono fiate inventate da
uomini dottiffimi, e che agli occhi del mondo appa-
rivano pii, edotti? Secondariamente non è egli ve-
ro che un uomo per fare autorità in un’arte debb’ef-
fer pratico , e perito in cotal arte ? Per decider un
L pun-
clxii
punto di nautica fi citerà forfè un pittore dotto, e
probo ? E per lentenziare fopra una pittura fi citerà
per avventura un pio, e probo nocchiero? Sicchèper
decidere fopra un punto di penitenza corporali cri-
fliana, "bifogna citare i periti in cotefia arte , quali j
fono grilarioni, i Pacomj , i Francefchi d’ AflTifi, i 1 1
Pietri d’ Alcantara, i Carli Borromei , e tanti altri ||i
eccellenti Dottori, e luminofi efemplari della peni- j
tenza criftiana. Se quefli, o i fintili a quefti bevef- i
fero in Quarefima la cioccolata , confeflb che la loro ^
pratica mi farebbe grande autorità . All’ oppofto io ^
non riconofco per efemplari di penitenza corporale
criftiana, nè per Dottori da far autorità in tal ma-
teria, que’Religiofi i quali ne’ giorni fanti di peni-
tenza ogni mattina fenza particolare bifogno bagnano
col cioccolate le loro fauci. Quefti renderanno pro-
babile, e lecita tal coftumanza? Ma non dicono e-
glino fteffi : Qui ecim ufurpant ^ neqmquam fran*
gere afferunt : fra??gere contendunt qui ab e a fe
coììtìnent} Ed è veriffimo. Chi fono quelli che vo-
glian pubblicamente praticare un’ azione che giudi-
cano colpevole? Quefti Religiofi qua doElrina^ qua
probitate infignes prendono inQuarefima il cioccola* '
te? Adunque fono inabili ed incapaci di far autorità
in materia di penitenza corporale. E perchè ? Perchè
m
clxiM
in queft’arte fono imperiti, fono ignoranti* Se egli-
no non praticano la penitenza corporale , non fanno
che quella è neceffaria, o in voto, o in effetto , po-
tendo, pel Paradifo. E ciò ignorando, fono incapa-
ci di far autorità in quello genere . Molti Religioli
oppreffi da gravi fatiche , ripieni di acciacchi , lecita-
mente poffono con tale bevanda , o con altra cola ri-
fìorarll anche in tempo di digiuno : e quelli poffono
fare autorità, perchè fono penitenti in voto,fe non
in effetto per la loro debolezza .
XXVI. Nel rimanente fi chiede a cetefìi milanta-
tori della probità, della gravità , della dottrina di
cotelli Religioli , cofa intendano per probità , per
gravità, per dottrina* Saranno per avventura probi,
gravi, e pii, perchè lontani vivono da que’ peccati
che gli difonorano preffo il mondo ? Ma di quella
pietà , e probità fe ne trova da per tutto più e me-
no, anche nelle Sette dei Pagani, degli Eretici, de-
gli Ebrei. Forfè perchè offervano il Decalogo ? Ma
per non perdere tempo in interrogazioni fuperflue ,
riferiamo il ragionamento de’ fagri Teologi . Reli-
giofi, dicono, che profeffano perfezione evangelica,
che debbono effere efemplari di allinenza ai Crillia-
ni, fenza particolare necelfità, nella Quarefiraa fan-
ta cotidianamente così deliziofa bevanda forbono ì
L ij Quan-
clxiv
Quanto qucftaconfiderazionc debba conchiudere, noi
noi fappiamo . L’ abbiamo foltanto accennata per
decidere irrefragabilmcrìte,che quefti decantati Teo-
logi dotti , probi , c pii , i quali fenza particolare
bifogno bevono il cioccolate dentro la Quarefima ,
nella quale dovrebbono con la pratica di vera peni-
tenza edificare il mondo, non fono in tal fituazione
di probità, nè di pietà, nè di autorità, che debbano
acquiftare alcun grado di probabilità all’ ufo della
bevanda in tempo di digiuno ; fe per confelTione
del benignìflimo P. Tamburino le ragioni convinco-
no ripugnante al digiuno un tale riftoro,
XXVII, I facri Teologi dall’altra banda rintuzza-
no il perniciofiflìmo fofifma, che tanta gente inganna
c feduce . Voi opponete, ripigliano, la probità, la !
pietà di tanti Clauftrali, i quali in tempo di digiu- j
no bevono il cioccolate , e che purgatiori Tbeologìas
operam navant : e la probità, e la dottrina di quel-
li che hentgnmì TJ^eologia de/udanf^ dove lalafcia-
tc? L’autorità, la dottrina, la probità, la pietà
dì Cajlropalao , di Diana , di Tamburi-
no ^ di Avorio y di ViììaìoboSy di Trullenco, di Le-
zanay di Leandro y dove, dove la lafciate f E la
pietà, la probità, la dottrina degli Antiprobabilifti
in qual grado di fiima Pavere ? Non è egli eviden-
te
cIxV
teche i Teologi e Probabilifti,e Antiprobabilifti più
comunemente condannano il cioccolate irt giorno di
digiuno ? Con qual coràggio adunque opponefi la
probità j la dottrina , T autorità dei Religiofi bevi-
tori? Quelli fcandalo piuttofto che credito cagionano
ne’ faggi Criftianié Ma per chiudere ad ogni {cappa-
ta il paflbé Concediamo per ridondanza che la con-
tefa abbia dall* una, e dall* altra parte ugual proba-
bilità ed cftrinfeca d’ Autori , ed intrinfeca di ra-
gioni. Neppur in quella ipotefi , per altro falfilTi-
ma, fi può allegar confuetudine , che deroghi alla
legge, fecondo iprincipj de’ Probabililli .Impercioc-
ché in quella ipoteli la caufa farebbe dubbia : e la
legge del digiuno è certa, e in poffeflb. Or una con-
fuetudine dubbia , e contradata , non può ad una
legge certa , e collituita in polTelTo per tanti fecoli
derogare/ effendo comune raflioma: Meìior ejì con-
ditto pofftdentìs . Da tutte le ragioni addotte non
rifulta evidentemente che la decantata confuetudine è
un manifello peccaminofo abufo, una fcandalofa cor-
ruttela?
§. XL
L ii j
clxvi
5. XI.
Se la parvità della materia renda lecita la
moderna cofiumani^a del cioccolate in
tempo di digiuno.
I, In ora io v’ho fedelmente narrate le ragioni
deir una, e dell’altra parte. Tutte le ra-
ion! che col digiuno uftikono affolutamente il cioc-
colate, fono. I. Il cioccolate non è foftanziofo, non
nutrifee . 2. Il cioccolate è bevanda nell’ Ame-
rica.* adunque febbene nutrifea accidem^ può pi-
gliarfi anche in Europa. 3. La birra, benché fpre-
mutadal grano, può beverfi. 4. La confuetudine fa-
vorire. 5. Religiofi pii, e dotti la praticano. 6. La
cioccolata non è nè cibo, nè bevanda, ma medicina
prefa in bevanda. I fagri Teologi con pieniffima evi-
denza dimoftrano che quefte non fono ragioni, ma
illufioni; non difcorfi , ma cavilli , e fofifmi cosi
groffolani, e ridicoli , che ripugnano alla retta ra-
gione, che ferifeono io fieffo fenfo comune, che fono’
riprovate dagli ftefli loro Autori, i qualinon conven-
gono tra di loroj ma quella ragione che a quelli lem-
bra probabile , agli altri riefee ridicola , ed improbabile .
Il
clxvii
IL Rimane ora che in ultimo luogo raccontiamo
la varietà delle opinioni intorno alla parvità di ma-
teria. E’cofa certiffima preho tutti darfi parvità di
materia nel precetto del digiuno. La difficultà tutta
fi riduce a difegnare i confini angufti di quella parvi-
tà. Io continuo a farla da Storico. L’Erninentiffimo
Cardinale Brancacci nella fua Differtazione ftabilifce,
che un’ oncia di cioccolate fia parvità di materia.
Hcec valde inibì arrìdep conclufio , quod fcilìcst ebo^
colatis patio unius uncids non excedens quantìtatem
cum quìnque imciis fmpìkis , aut dijiìllatcc a qua , non
inferat jejunìo injunam .
III. Il P. Domenico Viva fcrive, come s’è vedu-
to , di feguire la fentenza dei Cardinal Brancacci .
Fracifa auHorìtate extrinfeca^ mtbi arrìdet opimo
Eminentijfimi Brancacci . Ed egli vi aggiagne due
oncie d’acqua, e mezza di zuccaro, che impafiato
col cioccolate fa un’oncia e mezza di parta. A que-
lla mezza oncia di parta giuftamente ne accrefee due
di acqua .* e quindi conchiude, che tu la polli bere
pili volte il giorno , amiche fenza peccato veniale.
Ratìo\non eft ^ quia uncìa ejì materia parva : nam
fic non pojfes tllam PLURIES fumere [me mortali ,
nec femel [me veniali : fed quia in tanta quantitate
e fi potus ufuaìis apud illas Nationes , & fic ubilibet .
L i i i j Sic-
clxviii ^
Sicché, fecondo il P. Domenico Viva, come già fu
offervato di fopra, potrai pigliare anche una libbra
di cioccolata il giorno, purché ad ogni oncia e mez-
za di palla ce ne aggiunghi fette di acqua. La cola
che grandemente difpiace nel P. Viva , fi é che di-
vulghi sì lalTa opinione come fentenza deU’Eminen-
tiflimo Brancacci. Imperciocché ai leggitori idioti
che non poffono leggere gli Autori in fonte , fa gran-
de imprelEone Tautorità di un tanto Cardinale. E
poi quelli fono quelli che gridano contra la fmcerità
di riferire le fentenze altrui . Ma feguitiamo la Storia^
IV, Il P. Efcobar anch’ egli rillrigne la parvità
della materia ad un'oncia: il Cardinale Cozza ad
un’oncia, e al fommo a due . Il P. Zaccaria Pafqua-
ligo, benignilfimo neU'allargar la legge del digiu-
no, rillrigne quella parvità alPottava, o al piu alla
Iella parte di un’oncia. Antonio di Leon a mezza
oncia. Traferivo le parole del Pafqualigo , dccif.
141. Solum parvitas materia: pojjfet e xcuf are a mor-
tali. Seti difficultas ejì quanam cenfenda fit parva
.materia. Cum enim talis patio adeo nutriat , &
corroboret^ diverfa ejì ratio de ipfa ac de ceterh
cibis . Antonhis de Leon loc. cit. putat , dimidium
ancia chocolatis\poJfe in potìone mi/ceri tamquam par-’
vam materiam . Sed hoc ego nimium esijìimo : quia
prò*
cJxix
pYopovuonaìUev ìoquendo umia dìmìdia chocolath pìu$
nutrìt , & corroborata quam fot uncìa alterius cibi
'ualde nutritivi . Unde cum ad hoc fit attendenda
quantitas formaìis , riempe virtus nutritiva^ utpote
quia in jcjunio prcccìpitur abjlinentìa a cibo^ tam*
quam a nutritivo ; illa habenda ejl prò parva mate-
ria qua parum nutrire poteji : unde puto non pojfe
eccedere oiiavam partem uncia^ aut ad fummum feta-
tam partem * alioqmn femper affert notabilem nutrì-
tionem . Bifogna dire che il cioccolate cui pigliava
il P. Pafqualigo , foffe d’ una fquifitezza lingola-
re, € pili foflanziofo di quello che comunemente fi
prende *
V. II P. Tommafo Tamburino anch’^ egli giudica
^he mezz’ oncia fia materia grave , c che ripugni al
digiuno . Cosi egli fcrive loc. cit- Ad dignofeendum
an res fit modica in aliqua materia , femper e fi re^
currendum ad finem prohibitionìs At certe media
uncia chocolata valde nocet fini intento ab Ecclefia
in jejunio: fiquidem media ejufmodì potìonis uncia
rmltum ac valde nutrir ^ ^ ut audio ^ pluf quam fere
uncia alterìus cibi valde nutrientis . Ergo minus re&e
bac in re parvitatem demetiris . Fojfes ad eumdem
modum un am vel al ter am uncìam eec vjtellis ovorum
cum modicijfimo faCcari frujìulo aqua ebullientì im-
mt-
clxx
mtfcevc [ nam ftc pultem noù ingratam palato confla^
bis ] ìllamque fme man ali abfumere interdiu^ cum
jejunas^ quia Bulla Ciruciatcs gaudes Apage bcec.
VI. Il P. Millanta come coltivatore della Teolo-
gia più purgata di quella del P. Tamburino, ne con-
cede fefquiunciam un’oncia e mezza : e quelV oncia e
mezza pretende che giuftificata fia dalla confuetudi-
ne, già dimoftrata una perniciofa corruttela. Aggiu-
gne che un’altra oncia e mezza tu la polli bere con
un peccato veniale . Pojì epotam chocolatcs fefquiun-
ciamy ft aliam quoque propinare vellet , peccaret
venialiter oh parvitatem materiae. Se finalmente la
gola ti fpigneffe a berla per la terza volta, tu allora
peccherefti mortalmente. Sed fi infupev quis tertìo
id faceret peccaret mortaliper. Qui terminano le
Memorie fpettanti alia Storia del cioccolate.
5. XII.
Conciti fione della Lettera con poche , ma
importanti conJìdera:(^ionì .
I. 'T^Erminato il racconto, alcune brevi confide-
razioni aggiungo. E per cominciare da ciò
che in ultimo fi è accennato, chi non rimane forpre-
fo,
clxxi
fo, c di orrore ricolmo, nel vedere uomini di quel
fapereche i loro difcorfi fin qui narrati palefano, col-
le bìlancealla mano a pefare i peccati mortali *, ed i
veniali con tanta facilità, con quanta numerano le
'chicchere del cioccolate? Se tu ne bevi due oncie, di-
ce quegli, non pecchi che venialmente. Anzi fe tu
ne pigli una fola mezz’ oncia, tu lei dannato; gri-
da T altro. Nò, dice quelli, un’oncia e mezza è
libera da ogni colpa: un’altra oncia e mezza una fo-
la venial colpa feco porta: la terza fefquiuncia con-
tiene il peccato che ti manda all’ inferno eterna-
mente.
II. Se tu chiedi chi ha loro date in mano quelle
bilance per pefare con tanta facilità i gradi della ma-
lizia , e di mandar quello con una chicchera e mezza
aU’inferno; e l’altro con due, con quattro, con ot-
to inParadifoy ammutiranno come pefci . So, e 1’
accordo, che i Teologi pofiono con la dovuta cau-
tela difiinguere la materia grave dalla piccola, ed il
mortale dal veniale peccato . Tutto ciò ammetto.
Riprovo, e detefto foltanto e la troppa facilità, e
la troppa franchezza di allargare, di crefcere, difmi-
nuire a capriccio quella materia, fecondo che a cia-
fchedun in capo gli viene. S. Tommafo dice , che
omnis in qua de peccato mortali agitur ,
clxxii
periculofe deteYmìnatuY , nifi verìtas e^^prejfa ha^
beatUY.
IIL Due cofe par che noi polfiam con morale
certezza da tutta quefla Storia ricavare. La prima,
che r ufo del cioccolate ripugna al precetto del digiuno ^
La feconda , che febbene diali parvità di materia,
malagevole però è il diiinire di quefta i precifi con-
fini. Se un Pafqualigo, un Tamburino aH’ottava,
alla fella parte di un’oncia la riftringono; che dovre-
mo noi dire? Dovrem noi per una mezza chicchera
più e meno giudicar dannata , o beata eternamente
un’anima? Ma per contrario farai tu, olCrilliano,
così vigliacco, così cieco, di voler arrifehiare la tua
eterna falute peggio che Efau, per una chicchera di
cioccolate? Se imprudente io farei a diffinire quelli
confini, per lo pericolo di errare ; non farai tu mil-
^e volte più imprudente neiravventurare la tua eter-
na falute ad una tale incertezza per cofa così leggera?
Se tra i Medici vi foffero tanti difpareri, fe vi fia o
nò il veleno mortale nella chicchera che devi bere,
quanti ve ne fono fra i Teologi , fe lia o nò in quel-
la il peccato mortale ; ardirelli tu di accollarvi le
labbra ? Se comunemente i Medici più accreditati
lleffero per la efillenza del veleno, come per la efi-
ftenza del peccato mortale Hanno i Teologi e per nu-
me-
clxxiiì
mero , e per benignità , c per dottrina fuperiori ; chi
non s’afterrebbe da tal bevanda?
IV. Io per me non fìfferò giammai i limiti a que*
Ila materia. So che il precetto non obbliga quelli che
ne hanno vero bifogno ; e fo del pari coi certezza
che tutti quelli che fenza bifogno la bevono, pecca-
no . Quali poi fieno i gradi della malizia di quello
peccato, io gl’ ignoro . So altresì che il motivo di ila-
re meglio non fonda titolo di particolari bifogno ,
come è certo , che fenza patimento non è comune-
niente poffibile il vero digiuno. La fperienza di tutti
i Criiliani che prima di un fecole fenza cioccolate
digiunavano , la fperieaza prefente delle cinque parti
de’ Criiliani che fenza cioccolata vivono e in rem- >
po di digiuno , e fuor di digiuno , fono giuili rim“
proveri a tanti ed a tanti, i quali affateinati o dalle il-
lufioni della gola , o da un amore fmoderato di agia-
tezze, di comodità , credono di non poter ofle,rvare
la fanta Quarefima fenza coteila bevanda. Sono ficuro
che, eccettuati alquanti infermicci, e precifi alcuni ac-
cidenti particolari o di fatica grave , o di debolezza
ftraordinaria , comunemente quelli che la bevono ,
con un poco d’incomodo , e di patimento , offerve-
rebbono il fanto digiuno. Baderebbe un impegno, un
puntiglio, un accidente per rendergli adinentiflìmi .
Io
clxxiv
Io ho offervato che la occafione di ufta carica 5 di tin
impiego ha rendati vigilanti , forti , aftinenti quelli
che per tanti anni a tutto fi dichiara vano impotenti. Se
io poteffi ottenere da qualche leggitore di quefto fcrit*
to, che volefe, fe non per altro , almeno per un tal
quale impegno metterfi al pnntc di fperiraentare una
fettimana di Quarefima fenza bere cioccolate; io fa-
rei certo di ottenere il bramato fine , che è di rende-
re almeno uno de’ miei leggitori aftlnente dalla pecr
caminofa bevanda .
V. La opinione dunque di poter bere la cioccolata,
per cagione della parvità della materia , io per m^
non l’ammetto. Percliè primamente non fi evitai! pec-
cato veniale , che dalla confuetudine non refta aboli-
to 5 come faJfamente fuppone il Millante, pretenden-
do che la parvità della materia fia paffata in prefcri-
zione : il cui capricciofo concetto già ad evidenza è (la-
to rigettato come chimerico . In fecondo luogo perchè è
difficiliflTimo raffegnare i confini precifi di quella par-
vità, come appare dalla varietà di que’medefimi che
la difendono . Terzo perchè nella pratica è malage-
vqliflìmo che quelli che la bevono ne pollano fare un
ufo così precilo . Quarto perchè ammelfo l’ufo della
parvità della materia , i’ abufo è irreparabile , come
in elfetto fi vede . Tanti di quelli che fi producono
m
clxxv
k efcmpio. per autorizzare !a fcandalofa corruttela ,
€) la prendono per bifogno , o la pigliano in quantità
piccola . Ma il Pubblico vede , che il cioccolate fi
piglia, e da Religiofi di credito, di probità :non va
più oltre a difaminare , fe per infermità , o per fiac-
chezza d’ età , o per qualche particolare bifogno , o
finalmente per goloferia, e per ghiottoneria tale be-
vanda fi prenda . Tutte le corruttele cominciano a
poco a poco ; e guai a coloro che ne aprono la por-
ta : ma non perciò meno colpevoli fono coloro che le
fomentano, che le mantengono, che le promuovono.
VI. La confiderazione poi importantiflima è que-
fta, che fe iCriftiani, Religiofi fieno, o laici, non
praticano un po’di vera penitenza corporale la Quare*
lima, quando la efeguiran eglino? O quelli nulla cu-
rano la eterna falute , o ignorano affatto la legge
evangelica . S. Paolo ci fa fapere , che fe vogliamo
cffere a parte della gloria«^del Redentore , dobbiam ef-
fere partecipi delle fue pene. Si compatimm ^ & con-
glori ficabtmur {a). Non è poffibile che lo vegga in
cielo gloriofo chi non proccura di raffomigliarfi a lui
crocififfo in terra . Aprite gli occhi , efclama TAppo-
ftolo , e fiffategli in quefto luminofiflimo efemplare
Gesù
(a) Ad Rom» vili.
clxxvi
Gesù. Grillo, per li cui meriti Iddio v’ha prcfcelti ,
c predellinati , acciocché mortificati , ed umiliati ,
rinunziando alle opere della carne , e del peccato ,
conformi a lui vi rendiate . Quos j>rafcìvìt , &
deftinavif conformes fieri imagini filii fui . Il fanto
Davide con un tuono di voce propria di un Sovrano
grida : Domini indurati, e contumaci, e fin a quan-
do farete voi idolatri della vanità , della bugia , e
dell’errore ? 'Filii bominum ufquequo gravi corde? W
quid diligitis vanir apenty & quarith mendacium?{a)
La penitenza così interna , come efterna , ella è tal-
mente neceffaria per tutti quelli che hanno peccato ,
che fenza di efla è impoffibile la falute • 'Nifi poenU
tentiam egeritìs ^ omnes fimul perìbìtis: dice Gesù in
S. Luca ( b ) . Quella penitenza ella è qual pianta la
quale fc non produce frutta efteriorì di digiuni , dì
limoline , di preghiere , ella è Iterile , infruttifera ,
dellinata all’ eterno fuoco. Nifi pxniten$iam egerifisy
omnes fimul peribitis.
, VII. Io ben preveggo che le ragioni fin ora addot-
te quanto fono efficaci per convincere l’intelletto, al-
trettanto languide faranno per diftornare i bevitori
dalla peccaminofa collumanza • Le ragioni prodotte
per
( a ) Ffiìlm. I V . (b) Ca^, x 1 1 1 .
clxxvii
per difendere la coftumanza della bevanda fi fono di-
moftrate falfe , vane , ridicole , ripugnanti alla retta
ragione, al fenfo comune, alla fperienza univerfale.
Adunque una delle due / o bifogna palefarfi talmente
idolatri del ventre , e della gola , che non fi voglia
più afcoltare la voce della verità ; o bifogna rinun-
ziare alla corruttela : o bifogna entrare nel novero di
quelli che centra ogni ragione vogliono foddisfare ai
proprj appetiti ; o bifogna arrenderli alla verità . Io
fpero almeno che ragioni sì forti , che autorità sì ve-
nerabili ferviranno a rendere perfeveranti i buoni , a
rinforzare i vacillanti, a prelervare gl’ innocenti, per-
chè non cadano nel viziofo coftume . Quefti vo’io
animare, non con le mie parole , ma con quelle de’
Padri fanti.
Vili. In tutti i tempi vi fono fìat! i viziofi , i go-
lofi, i ghiotti , che hanno tentato di deludere i veri
digiuni, rimedj efficaci contra i vizj e della gola , e
della luffuria. Anche al tempo di Sant’Agoftino mol-
ti alla privazione delle carni ,^e de’ vini foflituivano
altre deliziofe vivande, ed ifquifiti liquori . Cambia-
no [ dice il Santo Padre ] non, ifminuifeono i piaceri.
In vece del vino fpremono dalle frutte inufitati lico-
ri. Non erano però giunti all’ecceffo di bevergli fuo-
n di palio . Recitiamo le parole del Santo . Caven-
M dum
clxxviii
(km e fi ne muteSy non minuas voluptam, Vtdemenhn
quofdam prò ufttath vino inufttatos lìqmres esqutre^^
re , Ó* \aliorum esprejfione pomorum , quod ex uva [u
hi denegante multo fuavm compenfare : cibos extra
carnes muìtipìicivarietate ^ ac jucunditate conquirere :
& fuavitates , quai alio tempore confe^arl pudet ,
huic tempori quaft opportune coìligere : ut videlr
cct obfervatio Quadragefm<t non fit veterum con-
cupifcentiarum vepre Jfw , Jed novarum d elici arum
occafjo . H^Cy Fratte s , ne vobis perfuafa fubre-
pant y quanta potejìis vigiìantia providete . Far-
ftmonia jejuniis conjungatur . Sicut ventris cajìì*
ganda faturitas , ita gulne irritamenta cavenda
funt. [/;]
IX. In un altro ragionamento il fanto Padre ci
rapprefenta la vaniloquenza di certi Dottorini , i qua-
li anche a quel temp# feducevano con larve di con-
luetudini, e con fofifmi inventati nella fcuola della
concùpifcenza i femplici Criftiani . Sono certi [ dice
egli joffervatori della Quarefima più deliziofi, chere^
ligiofi, i quali vanno Tempre in bufca di novelle de-
lizie , Fropter bominum errore^ , qui per vaniloquas
fedu-
( 4 ) Sir, ccvii. alins Ixxi. de diverf, iii.
clxxix
feduSliones , & pravai confustudines nobis molejìam prò
vobis caram in ferve non ceffant , tacere non pofsum.
Smt quidam obfervatores Quadragefmce delkio fi po^
tim quam religiofi^ epcquirentes nomasi fmvitates ma-
gìs quam veteres concupifcentiat caftigantes Va-
fa in quibm cobt<e funt carnes tanqtiam immunda for-
midant, & in fiua carne vemris j & gutturis luxu-
ri arri non formidant . . é » . ^ Sunt etìam qui ^ . alios
ìiquores non falutis caitfa , fed jucunditatis ey^quì-
rant, tamquam non fit Quadragefima ptee himUita-'
tìs obfervatìo , fed nòvae voluptatis oc c a fio *
Quid auteiìi abfurdiut ^ quam tempore , quo caro
arblius efl caflìganda^j tantas carni fuavitates pro^
curare} [//]
X. Anche San Girolamo altamente dedama contra
le delicatezze che alcuni praticavano al tempo fuo *
E pure tanto fono inferiori a quelle de’noftri tempi,
quanto i loro digiuni erano dei noftri più Teveri . La
declamazione fteffa del Santo ci palefa , quali erano
le delizie che accendevano il zelo de’ Padri fanti •
Quid prodefl oìeo non vefci^ & moìeftias quafdam 5
difficultatefque ciborum qucerere y caricas, pi per y nu-
' M i j CCS y
(a ) Ser, ccx. IxxiV*
l
clxxx
cc% , pahnarum frdìus , fmtlam [ ecco le delizie di
que’ tempi ]we/, pijlaccia? Audi» praterea ^uof-
dam cantra renm , homtnumque naiuram , aqmm non
hibere , non vefci pane , fed forbitiunculas delicatas y
& contrita olera , haccarmnque fuccum , non ca. i
lice forbere , fed concha . ¥roh pudor ! Non erube-
fcimus cjufmodi ineptiis , nec tasdet fuperfiitionis ?
[rt] E pure quefte bevande non le praticavano che
nella fola unica refezione , e non mai fuori di
XI. Ma palTiamo dagli antichi al noftro Santiffimo
Padre BENEDETTO XIV. il quale , ficcome in
ogni fua o Bolla , oCoftituzione , o Paftorale porge
al cattolico fuo Gregge infegnamenti divini per la ri-
forma de’ coftumi , e per riftaurare la ecclefiafiica di-
fciplina; così nel BREVE col quale ultimamente ha
efaltato fu i.fagri altari alla pubblica adorazione de’
Fedeli il B. GIROLAMO EMILIANO Fondatore
della illuRre Congregazione Somafca, e luminofo or-
namento della immortale Veneta Repubblica, di cui
ne lu inclito Patrizio , ci lomminiftra due graviffimi
infegnamenti al nollro intento opportuniffimi. Ci ri-
cor-
( « ) £?:/. di mn-
clxXxt
corda in primo luogo , che la penitenza veramente
criftiana, valevole a placare lo fdegno della provoca-
ta divina giuftizia , ed a riformare gli {corretti co-
ftumijè una penitenza mortificante ,laboriofa, fecon-
da di amari pianti, e di Teveri digiuni . Ci fa fapere
fecondariamente, che noi viviamo in un fecolo, non
rigori fta, come taluni cercanodi dar ad intendere, ma
INDULGENTISSIMO, nel quale la penitenza cri-
fiiana , praticata dai veri fervi di Dio, e fpeciaU
mente dal B.GIROLAMO EMILIANO , viene con
imbellettamenti di parole , e con tai lenqcinj di opi-
nioni raddolcita , e ammorbidita , che larva può
dirli di penitenza . In hoc INDULGENTISSIMO
Saculo tot verborum knocinlis delinltam . Ma tra-
fcriviamo intero il Pontificio ammaeftramento con
eleganza di parole , non meno che con fublimirà
di fentìmenti efprefib . Lapft porro , qutbus incum-
bit ìmprobam vìtéc confuetudìnem ^ corruptofque mo*
res emendare^ non .jUaìemcumque potnitcnùam in
hoc IN DU LGE NT I S S I MO fdcculo tot 'verbo^
rum lenocinih delinitam , ftbì fatis effe confidant ;
fed hujus fervi Dei moneantur esemplo , ad gra-
fia expianda delizia , /2d fiellendam Omnipotentis
tram ^ & ad inflaurandam fpiripus novitatem , quam
BEATUS HIERONTMUS TEMILI ANUS
M i i j ajfe-
clxxxii
.^Ifecumejì^ & qu(;5 ipft tantam pcperìt gloriarne
fme magnis noflris flctibus , & laboribus , divina
id esigente jujiitia , pervenire nequaquam pojje .
XII. Io ho voluto riferire quefti pochi partì ,
ommeflì innumerabili altri , perchè coloro i quali
forfè diranno, che io poteva tralafciare di fcrivere
fu quella materia , con loro confufione veggano che
i noftri Padri fanti contro tali , anzi minori , abufi
occupavano le loro penne, e vibravano i dardi del
loro celefte zelo . Se a’ tempi noftri peggiori abufi ,
c più fcandalofe corruttele trionfano , e innondano*
non dovrem noi efercitare le noftre penne , ed op-
porci airimpetuofo torrente delle feoftumatezze ?
Saremo noi meritevoli di riprenfione , perchè [in
qualche cofa almeno c’induftriamo , affine di calca-
re le veftigia di que’ fanti Dottori , che la Chiefa
ci propone per noftri Maeftri ? Ma la verità fi è che
altri non vorrebbono vedere rimproverato il proprio
vergegnofo ozio , la vita infingarda , ed il peflìmo
colpevole fcialacquo de’ proprj talenti in curiofità
vane : altri golofi non vorrebbono fentire difgufta-
ta, e combattuta la loro gola ; altri per fine rifpon-
deranno, che la difciplrna è cambiata, che la leg-
ge del digiuno , effendo pofitiva , è fottopofta a
cambiamenti , a mitigazione , Lo accordo , Ma è
per
clxxxiii
per avventura foggetta a mitigazione quella legge:
Nifi pxnitentiam egerttis , omnes fimul peribif is ?
E’ foggetta forfè a prefcrizione quell’ altra : Pache
ergo fruii US dignos pxnhentia ... Omnìs arbor qu(;e non
faeìp fruUum bonum , excidetur , in ignem
mhteturf (/?)£’ forfè più facile la via del Para-
difo a’ tempi nollri , che ai tempi di Girolamo , e
di Agoftino? Era forfè più leverò Iddio a quel tem-
po che di prefcnte ? Quello è tutto ciò che di più
importante ho potuto raccorre, Monfignore Illullrif-
fimo , e Reverendiffimo intorno alla bevanda del
cioccolate in tempo di digiuno • Serviranno quelle
Memorie che io con tutto l’oflequiofo rifletto le
raffegno, almeno perchè non pollano quidam deli-
ciofi potius quam religiofi , per fervirmi delle pa
role di Agoftino, vantare confuetudine autenticata
col tacito confenfo : perchè nella Chiefa fanta
fempre vi farà chi non approbat , non tacer , 7ìon
facit.
XIII. Prima di por fine alla Lettera , apporto
una dottrina di Sant’Agoftino . Quello fanto Padre
tra gli altri ha prevenuti in gran parte i cavilli di
M i i i j cer-
( a v.B. 0* io.
cJxxxiv
certe moderne Teologie . Le opinioni inventate nel-
la fcuola della concupifcenza fono a un di preflb
fiate Tempre le medefime . La differenza loltanto è
che al tempo di Sant’Agoftino le opinioni laffe fi
fermavano nelle menti de’Criftiani trafgreffori del-
la ecclefiaftica difciplina , dove che da alquanto
tempo fono paffate ne’ libri di molti Cafifti , ed
autenticate con la loro autorità . AI tempo di
Sant’Agoftino i Criftiani golofi , e voluttuofi per
coprire la loro ripugnanza ai digiuni , alla peniten-
za andavan ripetendo 1’ oracolo evangelico: Jugum
nteitm fuave eji , & onus meum leve . Al prefente
non folo i Criftiani ignoranti , ma molti Cafifti fi
abufano di quefto divino oracolo. /ed evvegnachè i
libri di quelli fieno affatto di Scritture fante vuo-
ti, tutti però dell’ accennato oracolo pompa ne fan-
no : ed alla foavità del cioccolate accoppiano la foa-
vità del giogo.
XIV. Ora il gran Tanto Padre in cento luoghi
delle fue opere fpiega e la foavità del giogo, c la
leggerezza del pefo della evangelica legge con una
dottrina direttamente oppofta alla moderna cafifti-
ca interpretazione . Certi moderni , quando odono
alcuna dottrina che promuove la offervanza fincera
della penitenza , della caftità ^ rifpondono : Jugum
’
}.
meum
clxxxv
^.ìieum - Pretendono quelli effer foave il
giogo , perchè fia conforme alla carne , al lenfo ,
alle delicatezze* Sant* Agoflino con tutti e quanti
gli altri Padri infegna ^ che amariflimo è il gio-
go , fe fi confiderà la graviffima contrarietà tra ef-
fo e la umana natura : graviffinio è il pefo della
legge i fe le forze fi rifguardino dell’ uomo. Ma Id-
dio con inneffabile fapìeriza ha provveduto Tuomo
di mezzi opportuniffimi a portar quello giogo ^ ed
a follener quello pefo. Offervatej dice il fanto Pa-
dre : i corpi degli uccelli di lor natura gfavi fono
e pefanti ; ma per rendergli al volo abili Iddio gU
ha provveduti di ale ^ Il cullode degli uccelli iiì
veggendo nel bollore della (late che tante piume
gli rìfcaldano j recide ad elfi le ale , fedotto da
urta falfa benignità di rendere piii leggero il pefo
del loro corpo : ed i poveri uccelli nell’atto di
metterfi al volo, in terra fen giacciono. Iddio per
rendere all’uomo il fuo giogo foave , e leggero ,
gli ha donate tante ale , quante fono le fue divi-
ne virtù i La temperanza, l’aftinenza , il digiuno,
la caftità j la giùftizia , la fede , la fperanza , la
carità fono le ale che con voli fubiimi a Iddio
r uomo portano * Non pochi moderni Cafifìi per
una lagrimevole illufione , credendo che le ale di
M i i i i j que-
clxxxvi
quelle virtù aggravino il giogo della legge , o re-'
cidono affatto parte di quefte ale , come le Teo-
logali, dicendo, che non obbligano (e non per
cidensj ed in rari cafi; o talmente quefte ale tar-
pano, che non folo non fervono al volo , ma tan^
to più aggravano il giogo , quanto più ingraffano
il corpo . Il giogo è foave , dicono tanti Proba-
bilifti . Adunque la cioccolata foave fi può bere /
adunque nella colezione vefpertina può mangiarli
mezza libbra di ftorione. Il giogo è foave : adun-
que non bifogna aggravarlo con proibire ai Cri-
fiiani commedie , teatri , giuochi , converfazioni
promifcue * II linguaggio della Scrittura divina è
direttamente oppofto , Cajììgo corpus meum , & in
fervitutem redigo , dice San Paolo [a'\ : t lo Spi-
lo Santo avvifa : Virginem ne confpicias , ne for^
te fcandaìii^ris in decoro iìlius [b) . La penitenza
vera , la cuftodia de’ fenfi , la vigilanza fono le
ale che rendono agile il giogo . Afcoltiamo
Sant’Agoftino . Vide quia oneratus non evis , fi ip-
fum audicris . Jugum enim meum leve efl: . Quid
leve e fi ? Quid fi habet ponduf , Jed mtnus ? ....
Hcec
(a) Cmnth, lyi.zj, (b) EccU. ix. 5.
clxxxvii
ììse farcirla non efl pondm onerati , fed aloe vo-
laturì . Habent & aves pennarum fuarum farci-
nas . Et quid fi dìcamm : Portant alas , Ù* por-
tantur . Portant iìlas in terra , & portantur ab
illis in calo , Tu fi mifericordiam -velis prabere
avi , prafcrtim aflate , & dicas : Miferam iflam
aviculam onerant penna : & detrabas onus hoc :
in terra remanebit^ cui fubvenire voluifìi . Porta
ergo permas pacis . Alas accipe carltatìs. Hac efl
jarcina : fic implebi tur le>i C bri fli . [a)
XV. V. S, Illuftriflìma e Reverendiflima fa che
tutti gli vromini di Dio fi lamentano, e reftano for-
prefi nel vedere che i coflumi fieno rilaffati nel fe^
colo noftro airefiremo: che le fcelleratezze innon^
dino da per tutto. Ma io rifpondo non effer ciò og-
getto di ammirazione , fe in un fecolo fiamo nel
j! quale non pochi de’ Teologi medefimi infegnano ,
Il approvano, fpingono : dove F al peccato? Dirò. Niu-
no infegna effere lecite le fornicazioni, gli adulte.
I rj, le mollezze; ma infegnano, e difendono per
lecite quelle pratiche che a si fafti peccati con
una fpecie di morale neceffità inducono. Concedo-
no
■li
:|i (a) XXIV,
clxxxviii
no airuomó le piìi laute vivande, le pià fquKite
delizie nella fteffa Quarefima: rendono inzuccherati
i digiuni, ed incipriata la penitenza , accoppiando
nella fteffa Quarefima comunioni , e converfazioni ^
cferciz) di pietà , ed efercizj di galanteria . É fi pre.
tenderà che quefti corpi deftituti di digiuni, di pe-
nitenza, anzi ripieni, ingraffati, torofi, in amiche-
vole converfazione collocati, fieno puri, catti, pu-
dichi ? Non farebbono quefte pretenfioni ftolte, e
chimeriche? Ecco dunque. Quefti tali norì infegna-
no direttamente leciti gli adulterj, le fornicazioni ;
ma infegnano effer lecite quelle coftumanze che alle
fornicazioni , agli adulterj con moral certezza porta-
no. Non infegnano effer lecito il furto ^ ma al la-
dro fpalancano la porta, aprono lo fcrigno t dico-
no effer lecito toccar le doble, baciarle, vagheg-
giarle.* e poi pretenderanno che il ladro non rubi?
Air affamato imbandifcono lauta U menfa; all’af-
fetato mettono in mano le tazze; e poi pretende-
ranno che non mangi, che non beva? Eh che chi
concede l’antecedente, conceder debbe anche il con^
feguente.
XVL Ma di grazia, Monfignor llluftriflimo, e
Reverendiffimo, facciamo un’altra pratica importane
tiffima confiderazione. Non Colamente in quefto no-
ftro
clxxxix
firo fecole il coflume è guado al fommo; mane veg-
liamo r ultimo portentofo moftro di quella corruzio-
ne, che è la incredulità, la miferedenza, la empie-
tà . Per formare una giuda idea della maniera onde
fi genera quedo pratico ateifmo , richiamate a me-
moria la maffima del Probabilida P. Hurtado rife-
rita di fopra al §. iii. al num. ni. Queda infegna
d’inventare opinioni che plachino le cofeienze, e che
levino dal mondo le colpe: tum ad pìacandas con-
feientias^ tum ad multa peccata njìtanda. La qual
dottrina con più di chiarezza s’ inculca nel §. iv.
al num. in. E’ verità incontradata che le dottrine
laffe, non meno che i vizj, fono la vera forgente
della incredulità . Queda incredulità ha per fuo pa-
dre il cuore marcito nel vizio , e per fua madre la
mente fconcertata nel penfare . Il falfo opinare in
materia di fede è un parto legittimo del falfo opi-
nare in materia di codume. Si pecca prima dal po-
polo con rimorfo, e con notizia della colpa. Que-
llo lume della colpa vibra dardi acuti che fquar-
ciano la cofeienza . Per godere con pienezza il pia-
cere della colpa, fi va in cerca di opinioni tum. ad
placandas confeientias , tum ad multa peccata vi-
tanda, Si va in traccia di Teologi che travedano
i vizj con colori di onedà, che tramutino le colpe
in
cxc
in virtù. Cambiate le colpe in virtù, eccovi cam-
biata la fede in incredulità, la Religione nell’ em-
pietà. Non è egli vero, Monfignor Illuftriffimo e
Reverendiflimo, che tutti veggono, e confeffano 9
che la incredulità, la irreligione ferpeggiano con
funeftiffima ftragep Ma poi, aon foper quale fatai
deftino, pochi fono quelli che vogliano aprire gli
occhi per ravvifare i veri fonti del velenofo con*
tagio . Il fumo fi vede , anzi è cosi denfo che da-
gli occhi le lagrime fpreme. Ma ninno, o pochifli-
hii hanno il Coraggio di rovefeiar l’acqua, onde
eftinguer il fuoco che il fumo produce. Anzi per
ultimo gaftigo dei peccati noftri, altri prevenuti da
una falfa Morale , altri agitati o da vile invidia ,
o da altre occultiffime paflìoni, fi oppongono a co-
loro che con intrepidezza la fana dottrina propu-
gnano. Ma rifirigniamorargumento . La incredulità
dal libertinaggio , il libertinaggio dalla libertà di
penfare in materia di coftume, e la libertà di pen-
fare in materia di coftume procede dalla libertà di
probabilizzare che fi fa da que’Cafifti che inven-
tano le opinioni ad placandas conjcìmùas y & ad
'uitanda peccata* Sin tanto che non fi applichi la
feure alle radici venefiche di quelle opinioni no-
velle le quali approvano quelle cofe che fpingono
con
t con morale neceffità ai vizj più moflmofi, e fìnal-
' mente alla incredulità, non fi vedrà giammai rifor-
ma alcuna. Si va dicendo, che il Probabilifmo è
una pura quiftione di voci, fovra cui non fi dee
più litigare, nè rompere la pace fanta, quando e
l’autorità de’fagri Teologi, e la fperienza lenfibi-
I liflima ci fa toccar con mano che quefto Probabi-
1 lifmoèla forgente univerfale di tutte le rilaffatez-
ze fijìematkbe ^ Perocché in virtù di quello Pro-
babiìifmo fopra ogni, per così dire, materia mora-
le fi opina per l’una, e per l’altra parte. E quan-
tunque da una parte la malizia fia quafi evidente,
fe però pochillimi Cafifti, di tanto fapere, quanto
ne palefano i libri loro, difendono la parte con-
traria, fubito fi argomenta; Quella opinione è di*
fefa da alquanti Teologi: dunque è probabile. Se
probabile, dunque lecita. Rendiamo evidente quella
verità coll’ applicarla al cafo nollro. Le autorità, c
le ragioni che dimoftrano peccaminofa, prccife Iccir^
coftanze di bifogno particolare, la bevanda del cioc-
colate in tempo di digiuno, fono evidenti; o, per
abbondare di generofa cortefia, diciamo che fono in-
comparabilmente più forti delle ragioni addotte dalfa
contraria parte; e ciò dovrebbe bafiare, ed in effet-
to, prima del Probabilifmo, baftava per coachiudere
col-
cxcii
colpevole la bevanda. Ma di prcfcnte fi difcorre così ^
Quantunque fia più probabile la opinion contraria,
non perciò lafcia d’eflere anche k noftra probabile,
benché meno dell’ altra. Adunque lecita, e ficura ^
In effetto , quanti fono quei Cattolici che bevano in
Quarefima il cioccolate perfuafi di peccare ? Pochif-
fimi. Comunemente in onta di quanto fi è detto, i
Damerini, eie Damerine la mattina eziandio prima
di alzarfi da letto rifcalderanno il loro flomaco colla
foave bevanda.* ed infieme fi comunicheranno più vol-
te nella Tanta Quarefima , ragionando di quella gui-
fa. I noftri ConfeiTori ci afficurano che quella be-
vanda è lecita. I Confeffori foggiungono: E’ vero,
perchè molti dotti Teologi ciò probabilmente infe-
gnano. E ficcome fiotto la fcorca della probabilità fi
continua la colpevole collumanza della bevanda; co-
sì l'otto la medefima ficorta .fi continuano i giuochi,
le converfiazioni, le cene, quando c’è dilpenfa dalle
carni , le commedie , i teatri , gl’ innamoramenti .
Adunque è più che evidente che il Probabilifmo è la
velenofa forgente delle rilaffatezze ftjìematiche . Di-
co fifìematicbe , perchè è vero che fenza Probabi-
lifmo vi può effer abufo delle migliori dottrine; e
fenza Probabililmo vi fono (lati, vi fono, e vi fa-
ranno peccati in ogni genere: ma quelli fono almeno
co-
cxciii
conofciuti per peccati, e per moftruofi parti della
umana debolezza. Dovechè le indicate, c cento al-
tre colpevoli coflumanze fono dal Probabilifmo giu-
fìificate. E perchè le deferitte coflumanze con morale
necefiltà fpingono, come s’è detto, ai peccati piu
gravi , e più enormi, e quefli precipitano a vacilla-
re fulle verità della fede fleffa; perciò ne rifulta ad
evidenza che i’ opinare probabiliflico fia la infetta
fonte di tutte le rilaflàtezze fiftemntìche ^ e per ccn-
feguenza della flefla incredulità. Gli uomini provve-
duti di acuto difeernimento, e di buon giudicio na-
turale, ma per altro (chiavi de’ piaceri mondani, veg-
gono da una parte la evidente ripugnanza tra i fanti
comandamenti della fubiime eriftiana Religione, e
la vita fcofìumata di tanti Signori Crifliani , e Signo-
re Crifìiane . Dall’ altra banda veggono che quefta
vita feoflumata , che quefta condotta è approvata da
non pochi e Teologi, e Confefiori, che la prima fi-
gura fanno nel mondo cattolico. Adunque inferifeo-
no.- Cola debbiamo noi credere? Tanto vai dunque
a continuare la carriera noflra. Adunque chi fa come
r affare andrà a finire. Adunque .... Quefto razio-
cinio fi renderà piu chiaro in altra Opera, in cui
di propofito fi parlerà della incredulità pratica moder-
na . Ecco, Mcnftgnor Illuflriffimo, e Reverendiffi-
mo,
CXCdV
mo, le MEMORIE STORICHE, che io , colla
occafione di rifpondere alla (ua Lettera , ho rac-
colte intorno all’ ufo del cioccolate . Se quelle in-
contreranno l’autorevole fua approvazione, non an-
drà gran tempo che le raffegnerò un^altra Lettera
fuinNDIFFERENTISMO, ofia indolenzadi tan-
ti Cattolici in materia e di Religione, e di coftu-
me, fedotti da una fpecie iiFataìifmo^ e di Poli-
tìcifmo di accomodarli alla corrente é Le dipignerò
con giulle pennellate i ritratti di tanti miferi politi-
chetti, i quali, avvegnaché perfuali che molti cer-
cano e di adulterare la fana dottrina, e di promuo-
vere un perniciofo Indulgentìfmo , nondimeno ricu-
fano di palefarli per manifefti feguaci della verità,
e ftudianli di camminare con un piè in terra, coir
altro in mare, a maniera dell’ Angiolo dell’ Apoca-
liffe. L’intereffato vililTimo timor mondano ó di
rovefciare, o di ritardare iproprj avanzamenti, chiu-
de loro in bocca la lingua, e gli rende negl’in-
contri, in cui v’è il precetto di palefare la veri-
tà’, mutoli come ftatue. Altri , o per acquiftarli
fama di faggi, di prudenti, o per certe altre fe-
crete paffioni , ed occuItilTime pieghe dell’ uman
cuore, oftentano un certo Savifmo^ un certo /«-
differentifmo , da cui derivano le piit perniciofe
con-
cxcv
confeguenze. Tutte quefte immagini io le delinec»
rò , Monfignore , co’ tratti i più naturali • Per
ora le umilio la mia fervitù , e le bacio la fagra
vefte.
Di V. S Iliuflriffima e Reverendi fTima
Vmiltjf. D^vo^fìJJ, Qèblipatiffmo Servidore
N. N.
CXCVl
NOI RIFORMATORI
Dello Studio di Padova .
Vendo veduto per la Fede di Revifìone, ed approva^
xione del P, F. Paolo Tommafo Manuelli InquifttoYs
nel Libro intitolato Memorie Storiche [opra P ufo della cioc-
colata^ efpojìe in una Lettera non v’eUcr cofa alcuna con-
tro la Santa Fede Cattolica, e parimente per atteflato del
Segretario noflro niente contro Principi, e buoni coflumi ,
concediamo licenza a Simone Occhi Stampatore di Venezia,
che pofìTi elTere Campato joffervando gli ordini in materia di
fìampe, e prefentando le folite copie alle Pubbliche Libre-
rie di Venezia, e di Padova.
Data li 2. Gennaro I747» V.
( Daniel Bragadin Kav» Proc, Riff.
( Barbon Morofini Kav. Proc, Rijf,
(
Rcgiflrato in Libro a Carte i<5. al N. 122.
Michel Angelo Marino Segretario,