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Full text of "Mitteilungen des Deutschen Archaeologischen Instituts, Romische Abteilung. Bullettino dell'Istituto archeologico germanico, Sezione romana"

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THE  J.  PAUL  GETTY  MUSEUM  LIBRARY 


MITTHEILUNGEN 

DES    KAISERLICH     DEUTSCHEN 

AßCHAEOLOGISCHEN   INSTITUTS 

ROEMISCHE    ABTIIEILUNG 
Band   IL 


BULLETTINO 

DELL'    IMPERIALE 

ISTITÜTO  AKCHEOLOGICO  GERMANICO 

SEZIONE   ROMANA 

Vol.  IL 


ROM 
VERLAG  VON  LOESCHER  &  C.° 

1887 


SOPIU  UN  KITKATTO  DI  LIVIA 

(Tav.  I,  II) 


II  medesimo  amico  che  mi  fece  conoscere  la  testa  di  Gneo 
Pompeo  pubblicata  nel  nostro  BuUettiuo  doU'auno  1886  tav.  II 
(p.  37-41),  mi  ha  maudato  lütimamente  da  Parigi  il  gesso  d'im'altra 
testa  marmorea,  la  quäle,  trovata  iiello  stesso  liiogo  cou  quella  di 
Pompeo,  merita  egiiale  attenzione  si  per  il  pregio  artistico  che  per 
riraportanza  storica.  Essa  e  riprodotta  di  profilo  e  di  diie  terzi 
suUa  nostra  tav.  I.  Vi  sono  ristam-ati  il  dorso  del  naso  aquilino 
daH'incm-vatm'a  ingiü  ed  alcimi  pezzi  della  chioma.  La  testa  an- 
ticamente  era  dipinta,  giacche  suUe  pupille  accennate  quasi  im- 
percettibilmente  con  lo  scalpello  si  osservano  avanzi  d'un  colore  che 
ora  apparisce  brimo-grigiastro,  mentre  i  capelli  mostrauo  qua  e  lä 
resti  d'una  tinta  rosso-bruuastra.  11  carattere  dell'  esecuzione  e  l'ac- 
conciatura  dei  capelli  provano  che  la  testa  rappresenta  una  ma- 
troua  roraana  dell'epoca  degl'  imperatori  di  casa  Giidia.  Se  poi  si 
tieue  conto  dei  raffinamenti  coi  qiiali  le  signore  a  quell' epoca  sa- 
pevano  nascondere  le  iugiurie  degli  anni,  e  si  pensa  alla  probabilitä 
che  l'artista  dal  canto  suo  abbia  fatto  il  possibile  per  ringiovauire 
la  persona  che  ritraeva,  risulta  esservi  rappreseutata  una  donna 
matura,  che  forse  giä  ha  sorpassato  i  cinquanta.  La  carne  alquanto 
floscia  mostra  leggere  rughe  sopra  il  naso,  sotto  gli  occhi  ed  ac- 
canto  alle  narici.  Infossamenti,  accennati  piuttosto  che  espressi 
chiaramente  sotto  le  mandibole  superiori,  sembrano  indicare  che  vi 
mancano  i  denti  molari.  E  possibile  ed  anche  probabile  che  i  ca- 
pelli arricciati  i  quali  attorniano  la  parte  superiore  del  volto  siano 
propri  della  donna.  Ma  chiaramente  si  riconosce  che  la  massa  di 
capelli  ondulati   che    cuopre  il  cranio  e  una  parrucca ;  giacclie  la 


4  SOPRA    UN    RITRATTO    DI    LIVIA 

diöcriminatiu-a  non  arriya  fino  alla  pelle,  come  dovrebbe  essere  se 
fosse  praticata  in  capelli  propri  della  testa.  Quando  per  la  prima  volta 
esaminai  il  profilo  di  questa  testa ,  mi  colpi  la  grande  rassomi- 
glianza  che  esso  oifre  con  qiiello  di  Tiberio,  e  subito  mi  proposi 
la  domanda,  se  la  testa  non  fosse  un  ritratto  della  madre  di  lui, 
cioe  di  Livia.  Fatti  i  necessari  confronti,  risiiltö  che  la  prima  im- 
pressione  aveva  colpito  nel  segno.  La  testa  pnbblicata  suUa  nostra 
tav.  I  rappresenta  infatti  Livia  e  tra  i  ritratti  di  essa  a  noi  con- 
servati  e  l'unico  che  in  maniera  artisticamente  chiara  ci  riveli  le 
qiialitä  morali  ed  intellettuali    di    quell'  interessante   personaggio. 

Come  giustamente  osserva  il  Bernoulli  ('),  il  materiale  che 
deve  servire  di  base  ad  una  ricerca  iconogralica  sopra  Livia  lascia 
a  desiderare.  Tutti  i  ritratti  cioe  che  per  ragioni  estrinseche  pos- 
sono  attribuirsi  a  quest'  imperatrice  sono  di  dimensioni  ristrette  o 
di  esecuzione  mediocre  e  perciö  c'  informano  sopra  il  tipo  fisono- 
mico  di  essa  soltanto  in  maniera  incompleta. 

Tra  i  monumenti  di  provenienza  italica  primeggia  un  gran 
cameo  esposto  nel  museo  di  Vienna  (^).  Vi  si  vede  una  matrona 
cinta  di  Corona  turrita ;  nella  mano  sinistra  tieue  un  mazzo  di 
spighe  e  di  papaveri  e  con  essa  si  appoggia  sopra  un  globo,  men- 
tre  con  la  destra  alzata  sorregge  un  busto  del  divus  Augustus,  ca- 
ratterizzato  come  tale  dalla  Corona  radiata.  Tutti  gli  archeologhi 
vanno  d'accordo,  riconoscendovi  Livia  rappresentata  come  sacer- 
dos  Aitgusti.  Se  essa  ha  gli  attributi  della  Mater  magna^  questa 
e  un'adulazione  non  soltanto  per  lei  ma  anche  per  Tiberio,  il 
quäle  in  tal  modo  vien  designato  come  fratello  di  Giove.  Chi  con- 
fronta  il  tipo  di  questa  donna  con  quello  della  testa  di  marmo 
riprodotta  sulla  nostra  tav.  I,  a  prima  vista  si  convincerä  che  vi 
e  rappresentata  la  stessa  persona.  I  lineamenti  del  profilo  sono 
i  medesimi ;  corrispondono  le  proporzioni  delle  singole  parti  del 
volto ;  qua  come  lä  spicca  la  rassomiglianza  con  Tiberio.  Se  il  volto 
sul  cameo  non  mostra  la  caratteristica  individuale  che  ammiriamo 
nella  testa  di  marmo,  tale  diversitä  nel  trattamento  si  spicga 
sufücientemente  considerando,  che  1'  incisore,  rapprescntando  Livia 


CJ  Römische  Jkonorjraphle  II  1  p.  97. 

(2)  Denkmäler   d.  alten   Kunst  I  t.  69  n.  379.  Bernoulli  1.  c.  t.  XXVII 
2  p.  50  cc,  \).  94  h,  dov'  c  raccolta  Taltra  letteratura  relativa. 


SOPRA    UN    RITRATTO    DI    LIVIA  5 

come  dea,  doveva  essere  disposto  a  darle  im  tipo  piiittosto  ideale 
che  iudividiiale.  Oltre  a  ciö  s'  intende  che  la  glittica,  con  lo  spazio 
ristretto  al  quäle  elimitata,  e  per  il  materiale  duro  nel  quäle  la- 
vora,  non  puö  mai  raggiungero  la  uiedesinia  morbidezza  della  scul- 
tiu-a  in  marmo.  Finalmente  l'incisore  di  quel  cameo  non  era  nem- 
meuo  un  artista  di  prim'ordine ,  come  risulta  specialmente  dalla 
maniera  poco  orgauica  con  la  quäle  ha  espresso  le  mani  dell'impe- 
ratrice,  e  dalle  dimensioni  sproporzionate  date  ad  esse. 

Le  medesime  circostanze  debbono  ponderarsi  innanzi  ad  un 
cameo  conservato  nel  museo  di  Firenze,  il  quäle  riunisce  la  testa 
di  Tiberio  con  quella  d'una  donna  che  gli  rassomiglia  stranamente 
e  non  puö  essere  altra  che  Livia  (').  L'incisione  e  piuttosto  secca. 
Anche  qui  Timperatrice  mediante  una  Corona  di  papaveri  e  carat- 
terizzata  come  dea,  sia  come  Mater  magna,  sia  come  Cerere.  A 
nessuno  sfuggirä  la  stretta  parentela  che  esiste  tra  il  profilo  di 
essa  e  quello  della  testa  di  marmo.  Vi  si  osserva  una  sola  diffe- 
renza,  ed  e  quella  che  11  ponticello  del  naso  sul  cameo  e  diretto 
alquanto  piii  insu  che  nella  testa  di  marmo.  La  quäle  differenza 
forse  ha  da  spiegarsi  da  ciö,  che  l'incisore  si  studiava  di  far  risaltare 
vieppiii  la  rassomiglianza  di  Livia  con  Tiberio,  il  cui  naso  in  tutti  i 
ritratti  mostra  quella  particolaritä  in  maniera  piii  o  meno  accentuata. 

Oltre  a  ciö  Livia  con  certezza  si  e  riconosciuta  sopra  pa- 
recchie  gemme  (-)  in  un  ritratto  femminile  posto  accanto  alla 
testa  d'Augusto,  il  quäle  ritratto  mostra  il  medesimo  profilo  della 
testa  di  marmo. 

Vi  si  aggiunge  un  celebre  cameo  parigiuo  (3),  sul  quäle  la 
matrona  munita  degli  attributi  di  Cerere,  che  siede  accanto  a  Ti- 
berio mentre  riceve  Germanico  vincitore,  non  puö  essere  altra  che 
Livia.  La  testa  di  lei  e  espressa  in  maniera  molto  imperfetta,  ma 
non  disdice  alla  supposizione  che  la  nostra  testa  di  marmo  rappre- 
senti  la  medesima  persona. 

(1)  BernouUi  1.  c.  t.  XXVII  8  p.  95  d. 

(^)  Ne  conosco  diie  esemplari,  un  intaf,'lio  fiorentino  pubblicato  dal  Gori 
Museum  Florentinum  I  t.  V  5  (cf.  Bernoulli  1.  c.  p.  47  T)  od  una  pasta  dello 
Stosch  pubblicata  dal  Bernoulli  1.  c.  t.  XXVII  1  p.  50  y.  Altri  esemplari  sono 
registrati  dal  Bernoulli  1.  c.  p  46  r,  p.  81  not.  1. 

P)  Denhn.  d.  alten  Kunst  1 1.  69  n.  .378.  Bernoulli  1.  c.  t.  XXX  p.  275  ss. 
il  quäle  ha  raccolto  la  letteratura  relativa  p.  275  not.  1. 


6  SOPRA   UN   RITRATTO    DI   LIVIA 

Lo  stesso  deve  dirsi  dei  ritratti  di  Livia  che ,  determiuati 
mediante  epigrafi  aggiimte,  si  vedono  sopra  monete  coniate  fiiori 
di  Roma  (").  I  quali  conii  tutti  qiianti  sono  molto  mediocri  ed 
adatti  ad  informarci  sopra  cose  accessorie,  come  sarebbe  p.  e.  l'ac- 
conciatura  dei  capelli,  non  sopra  il  tipo  fisouomico  delVimperatrice. 
Invece  e  imporfcaute  per  la  nostra  ricerca  iina  bella  moueta  di 
bronzo  coniata  a  Roma  qiiando  Tiberio  aveva  per  la  vigesima  qiiarta 
Tolta  la  tribunicia  potestä,  ossia  neiranuo  22  d.  Cr.  Sopra  la  parte 
nobile  di  essa  si  vede  im  ritratto  femminile  coli' epigrafe  SALVS 
AVGVSTA.  Sembra  indiibitabile  che  qiiesto  ritratto  sia  di  Livia, 
la  qmile  appimto  nell'aimo  22  sotfri  ima  grave  malattia  (-),  e  che 
r  epigrafe  con  galante  adnlazione  desigui  la  madre  di  Tiberio  re- 
centemente  guarita  come  dea  della  salute  della  casa  imperiale.  Ho 
fatto  riprodurre  im  esemplare  di  qiiella  moneta  sopra  la  nostra 
tay.  I  secondo  im'  impronta  in  zolfo  favoritami  gentilmente  dal 
sig.  Martinetti  (•^).  II  ritratto  che  si  vede  sopra  di  essa  oflfre  la 
raassima  rassomiglianza  con  la  testa  di  marmo,  non  soltanto  nel  pro- 
filo  ma  anche  nella  conformazione  molto  caratteristica  dei  cranio, 
il  quäle  qua  come  la  mostra  la  medesima  fronte  bassa  ed  ima 
grande  estensione  verso  l'occipite.  Riassumendo  i  risultati  di  tutti 
questi  confronti  dobbiamo  ricouoscere  nella  nostra  testa  marmorea 
un  ritratto  di  Livia. 

II  fatto  che  Livia  nei  singoli  ritratti  si  presenta  con  diverse 
acconciature  di  capelli,  non  reca  difficolta  alcima.  Se  essa  siil  ca- 
meo  viennese  ha  i  capelli  semplicemente  pettiuati  indietro  ed  in 
ogni  lato  un  lungo  riccio,  che  dietro  l'orecchio  le  scende  sul  collo, 
tale  circostanza  si  spiega  dall'essere  Livia  ivi  raffigurata  come  dea. 
L'  iücisore  giustamente  riconosceva  che  im'acconciatura  usata  nella 
vita  reale  avrebbe  offerto  ima  dissonanza  troppo  sentita  di  fronte 
alle  vesti  ed  agli  attributi  ideali,  e  perciö  diede  a  Livia  quella 
capellatura  con  la  quäle  l'arte  greca  generalmente  rappresentava 
le  divinitü  matronali.  Ne  reca  meraviglia  la  diversitä  delle  capella- 
tiire  sopra  i  monumenti  nei  quali  Livia  e  raffigurata  da  semplice 


(•)  La  lista  presso  Cohen  Jlledailles  imp.  2.  ed.  I  p.  172-175. 

{-)  Tucit.  Ami.  m  Gl. 

(3)  Un  altro  esemplare  ben  conservato  presso   BernouUi   1.  c.  t.  XXXII 

12  ]..  SC. 


SOPRA    UN    RITRATTO    DI    LIVIA  / 

mortale.  Siccome  cioe  essa  ragghinse  1'  etä  di  8G  anni,  cosi  si  ca- 
pisce  che  in  un  tempo  tanto  limgo  la  moda  di  acconciare  i  capelli 
necessariamente  dovette  cambiare. 

I  raouiimenti  ci  rischiarano  sopra  quelle  variazioni  in  maniera 
cosi  precisa,  che  possiamo  dirci  a  tal  rigiiardo  quasi  tanto  hene 
informati,  qiianto  lo  erano  le  caraeriere  che  giornalmente  s'  oceu- 
pavano  della  toeletta  dell'  imperatrice. 

Le  sopra  (^)  menzionate  gemme  che  riuniscono  il  ritratto  di 
Livia  con  qiiello  d'Aiigiisto,  natiiralmente  rappresentano  la  capella- 
tiu'a  iisata  dall' imperatrice  mentre  il  marito  era  ancora  in  vita. 
Caratteristica  per  qiiesta  capellatm-a  e  una  treccia ,  la  quäle  in 
mezzo  alla  testa  dall'occipite  si  stende  fino  alla  fronte,  dove  fiuisce 
in  un  piccolo  nodo,  acconciatura  abbastanza  complicata  e  che  ha 
qualche  cosa  d'arcaico.  Credo  di  poter  aggiungere  ai  monumeuti 
che  rappresentano  Livia  con  cosiffatta  capellatura  un  nuovo  esem- 
plare,  cioe  un  bei  cameo  (corniola)  montato  in  un  anello  d'oro, 
rinvenuto  presso  Pedescia  in  Sabina  (2).  Disgraziatamente  non  posso 
pubblicarlo,  perche  il  diseguo  che  feci  eseguirne  e  troppo  mal 
riuscito.  Chi  ha  occasione  di  esaminare  l'origiuale ,  facilmeute  ri- 
conoscerä  la  grande  rassomigliauza  che  il  ritratto  scolpito  in  quel 
cameo  offre  con  la  testa  marmorea  e  con  quella  sopra  le  monete' 
coniate  nell'anno  22  d.  Cr. 

Siccome  la  medesima  acconciatura  dei  capelli  si  osserva  nel 
ritratto  di  Fulvia,  prima  moglie  di  M.  Antonio  (3),  ed  in  quelli 
di  Ottavia,  sorella  di  Ottaviano  e  seconda  moglie  d' Antonio  (■•), 
cosi  risulta  che  essa  si  usava  giä  all'epoca  del  passaggio  dalla  re- 
pubblica  all' impero.  Possiamo  duuque  supporla  anclie  per  Livia 
quando  Augusto  neirauno  38  a.  Cr.  s'  innamorö  della  giovane  ven- 
tenne  e  la  sposö,  forzando  il  marito  di  essa,  M.  Livio  Druso  Clau- 
diano,  a  separarsene.  Ma  anche  durante  la  maggior  parte  dell'im- 
pero  d'Augusto  tale  acconciatm-a  spesso  si  usava  dalle  signore 
romane,   giacche   non   la  troviamo   soltanto   nei  ritratti   di   Livia 


(1)  Pag.  5  not.  2. 

(2)  Ora  si  trova  nel  Musco  di  Berlino. 

(3;  Bernoulli  römische  Ikonographie  I  Münztafel  IV  20  p.  211-212. 
(4)  Bernoulli  II  1  p.  118-121. 


8  SOPRA    UN    RITRATTO    DI    LIVIA 

apparteneuti  a  quell'  epoca,  ma  anche  in  qnei  di  Giulia,  figlia  d'Au- 
gusto  (').  Vi  si  aggiimge  im  passo  nelYars  amandi  d'Ovidio  (-) : 

exujimm  summa  noclam  sibi  fronte  relinqui^ 
ut  pateant  aitres,,  ora  rotimda  voliuit. 

Siccome  e  manifesto  che  tale  distico  si  riferisce  airacconciatura  in 
discorso ,  cosi  risulta  che  essa  era  alla  moda  ancora  uell'anno  2 
a.  Cr.,  uel  quäle  fu  pubblicata  quella  famosa  poesia  (3). 

Ma  sotto  il  regno  di  Tiberio  Livia  si  presentava  con  un'acconcia- 
tura  diversa,  la  quäle,  com'e  provato  dalle  anzidette  monete  coll'epi- 
grafe  SALVS  AVGVSTA(ta7. 1),  fu  adottata  da  lei  prima  deH'anno  22 
d.  Cr.  II  ritratto  espresso  in  quelle  monete  uon  mostra  piü  la  treccia 
imposta  in  mezzo  al  capo.  Invece  due  scarse  strisce  di  capelli  stretta- 
meute  attaccate  si  stendono  dalla  fronte  indietro  e  suU'occipite  sono 
riunite  in  una  piccola  treccia  coi  capelli  che  scendouo  dalla  parte 
superiore  della  testa.  La  quäle  acconciatura  era  molto  adatta  all'im- 
peratrice  invecchiata,  giacche  richiedeva  una  minore  quantita  di 
capelli  di  quella  usata  nel  tempo  anteriore. 

ün  terzo  stadio  e  rappresentato  dalla  testa  marmorea.  La  cal- 
vizie  della  povera  imperatrice  aveva  fatto  tali  progressi  che  i  capelli 
superstiti  nemmeno  bastavano  per  le  anzidette  strisce.  Perciö  Livia 
si  decise  ad  un  cambiamento  radicale.  Faceva  cioe  pettinare  avanti  i 
pochi  capelli  che  le  erano  rastati  ed  arricciarne  le  punte,  ed  imponeva 
sopra  i  capelli  natm-ali,  acconciati  in  tale  maniera,  una  parrucca  di 
capelli  ondulati,  raccolti  sopra  la  nuca  in  una  coda.  I  mouumenti  c'  in- 
formano  sopra  l'origine  anche  di  questa  moda.  Essa  cioe  si  svolge 
da  un'  acconciatura  che  incontriamo  per  la  prima  voltä  nei  ritratti 
d'Antonia  moglie  di  Druso  maggiore.  I  capelli  ondulati  vi  sono 
pettinati  indietro,  divisi  nel  mezzo  e  sopra  la  nuca  riuniti  in  ima 
coda.  Nella  generazione  susseguente  diventö  moda  d'arricciare  i 
capelli  contigui  alla  fronte,  i  quali  cosi  formavano  una  specie  di 
toupet  circondante  la  parte  superiore  del  volto  -  acconciatura  che 

(1)  Bernoulli  11  1  p.  127-131. 

(2)  m  139. 

(^)  E  possibilo  ma  non  certo  che  anche  1'  incisore  del  cameo  fiorentino, 
sopra  il  quäle  sono  riuniti  i  ritratti  di  Tiberio  e  di  Livia  (sopra  p.  5  not.  1), 
abbia  voluto  esprimere  il  nodo  frontale.  Se  fosse  cos'i,  Livia  avrebbe  conf-cr- 
vato  queiracconciatura  ancora  qualcho  tempo  dojin  la  morto  d'Augusto, 


SOPRA    UN    RITRATTO    DI    LIVIA  9 

si  osserva  per  la  prima  volta  nei  ritratti  di  Agrippina,  moglie  di 
Germanico.  La  testa  di  marmo  prova  che  questa  moda  fii  adottata 
anche  da  Livia,  la  quäle  perö,  noii  bastaiido  i  propri  capelli,  vi 
suppli  con  iina  parmcca. 

La  uostra  testa  marraorea  peraltro  non  e  l'unico  esemplare 
clie  ci  mostra  rimperatrice  con  tale  capellatiira.  Mentre  cloe  quest'ar- 
ticolo  si  trovava  gia  sotto  torchio,  il  sig.  Torquato  Castellani  gentil- 
mente  mi  fece  osservare  un  bustino  di  bronzo  recentemente  da  lui 
acquistato,  bustiuo  che  ho  fatto  riprodurre  sulla  nostra  tavola  II  ('). 
Che  questo  bustino  sia  di  Livia,  mi  pare  indubitabile.  Esso  occupa 
per  cosi  dire  un  posto  di  mezzo  tra  il  tipo  espresso  sopra  le  mo- 
nete  coniate  nell'anno  22  d.  C.  e  quello  rappresentato  dalla  testa 
marmorea.  II  volto  apparisce  piü  analogo  al  primo,  giacche  e  rin- 
giovanito  e  vi  manca  la  caratteristica  individuale  propria  alla  testa 
di  marmo.  Dali'  altro  canto  il  bustiuo  posseduto  dal  sig.  Castellani 
corrisponde  con  quest'  ultima  in  quanto  mostra  la  medesima  ca- 
pellatm'a. 

Con  intenzione  finora  ho  escluso  dal  mio  ragionamento  un  ri- 
tratto  di  Livia  che  occupa  im  posto  da  se,  cioe  un  bustino  di  bronzo 
trovato  presso  Neuilly-le-Keal  nella  Gallia  lugdunense  insieme  con 
un  bustino  d'Augusto  che  fa  riscontro  a  quello  delV  imperatrice  (-). 
Ambedue  i  bustini  secondo  iscrizioni  incise  suUe  basi  erano  dedi- 
cati  da  un  certo  Atespato  figlio  di  Criio,  dunque  da  un  Gallo  ro- 
manizzato.  L'epigrafe  aggiunta  al  bustino  di  Livia  dice:  Liviae 
Augustae  Atesimtus  Crixi  fll.  v.  s.  l.  m.,  dove  riesce  strano  11  titolo 
d'Augusta.  Livia  ricevette  questo  titolo  soltanto  quando  fu  adot- 
tata nella  gens  htlia ,  vale  a  dire  in  conseguenza  del  testameuto 
e  depo  la  morte  d'Augusto,  e  perciö  nei  documenti  italici  essa  non 
e  mai  chiamata   Liina  Äugiista,  ma  dm-ante    la    vita   del  marito 


(1)  Secondo  la  particolare  qualita  delFossido  questo  bustino  sembra  tro- 
vato nei  Tevere.  I  tentativi  di  riprodurre  roriginale  colla  fototipia  non  riu- 
scirono  per  cagione  delle  macchie  d'ossido  ehe  lo  cuoprono.  La  nostra  tav.  II 
riproduce  un  disegno  eseguito  dal  sig.  Eichler  secondo  Toriginale. 

(2)  Il  bustino  d'Augusto  e  pubblicato  da  Fröhner  Musöes  de  France  pl.  I, 
Rayet  Monuments  de  Vart  antique  II  livr.  VI  pl.  II,  Duruy  Histoire  de  Borne 
IV  p.  20,  21,  BernouUi  römische  Ikonofjraphie  II  1  p.  38  fig.  7,  quello  di 
Livia  da  Fröhner  1.  c.  pl.  II ,  Rayet  1.  c.  II  livr.  VI  pl.  II,  Bernoulli  1.  c. 
p.  89  fig.  10. 


10  SOPRA    UN   RITRATTO   DI    LIVIA 

Livia  Aiujusti,  cioe  iixor,  e  dopo  la  morie  di  esso  lalla  Äugusla  ('). 
Sbaglierebbe  perö  chi  volesse  per  tal  motivo  sospettare  dell'aiiteu- 
ticita  del  bustino  e  delV  epigrafe ;  giacche  le  circostanze  esattamente 
conosciute  del  ritrovameuto,  il  carattere  deireseciizione  e  la  patina 
escludono  ogni  dubbio  (-).  Invece  qiiölla  straua  deuomiuazione  deve 
spiegarsi  dal  carattere  private  e  provinciale  del  monumentino.  Sic- 
come  il  ritratto  d'Aiigiisto  trovato  iiisieme  non  mostra  alcim  attri- 
buto  relative  airapoteosi,  e  l'imperatore  nell'  epigrafe  e  chiamato 
Caesar  Augustus  Don  diviis  Äugustus,  cosi  pare  che  qiiesto  ritratto, 
e  per  consegiienza  anche  quelle  corrispoudente  di  Livia,  fosse  de- 
dicato  prima  della  morte  deH'imperatore,  con  la  quäle  siipposizione 
combina  il  fatto  che  la  capellatura  dell'  imperatrice  mostra  iin'ac- 
conciatm-a  simile  a  qiiella  che  si  iisava  all'epoca  augustea  (•^).  Ora 
sappiamo  che  Livia  in  diverse  province,  contrariamente  alle  dispo- 
sizioni  vigenti  nell'  Italia,  giä  mentre  visse  riceveva  onori  divini  (^). 
Perciö  non  sembrerä  strano  che  un  Gallo,  dedicando  uel  sno  larario 
im  bustino  di  Aiigusto  e  della  sposa  di  lui,  abbia  dato  anticipata- 
menfce  a  qnest'ultima  il  titolo  d'Augusta.  Siccome  dunque  anche  il 
bustino  scoperto  presso  Neuilly-le-Eeal  deve  contarsi  fra  i  ritratti 
che  con  certezza  possono  riferirsi  a  Livia,  cosi  sorge  la  quistioue, 
quäle  relazione  esista  tra  esso  e  gli  esemplari  sopra  i  quali  mi 
sono  fondato  attribuendo  a  Livia  la  testa  di  marmo.  Confrontan- 
dolo  con  questi  esemplari  troviamo  una  rassomiglianza  generale, 
ma  anche  parecchie  divergenze,  e  specialmente  queste,  che  uel  bu- 
stino il  profilo  apparisce  meuo  fino  e  meno  marcato  e  la  fronte  piii 
erfca,  e  che  vi  manca  la  rassomiglianza  a  Tiberio.  Credo  che  nessuno 
perciö  sosterrä  che  la  mia  ricerca  sia  stata  fondata  sopra  una  base 
falsa  e  che  avrei  dovuto  servirmi  come  punto  di  parteuza  del  bustino 
di  Neuilly.  I  ritratti  espressi  sopra  il  cameo  viennese,  sopra  quelle 
di  Firenze  e  sopra  la  moneta  coniata  nell' anno  22  d.  Cr.  possono 
attribuirsi  col  medesimo  diritto  a  Livia  che  il  bustino,  e  molto  me- 

(1)  Liviae  Aug.  ser.  nelle  Inscr.  regni  neapol.  G851  (Orclli  41,  2437) 
nni  significa,  come  suppone  il  Fröhner  1.  c.  p.  8,  Liviae  Augustae  servae, 
ma  piuttosto  Liviae  Augusti  servae. 

(-)  I  (locuinenti  relativ!  alla  scoperta  sono  pubblicaü  <la  Fi-nhiior  1.  c. 
p.  2-3,  p.  11-12. 

(3)  Cf.  sopra  pag.  7-8 

(')  Eckhel  Doctrina  num.  VI  p.  156  ss. 


SOPRA    UN    RITRATTO    DI    LIVIA  11 

glio  corrispondono  con  1'  idea  che  secoudo  la  tradizione  storica  dob- 
biamo  formarci  di  Livia;  giacche  il  bustino  mostra  im  tipo  insignifi- 
cante  e  nel  quäle  non  si  trova  traccia  della  bellezza,  dell'alta  intelli- 
genza  e  dell"  energia  che  distiuguevano  la  raoglie  d'Augusto.  Per 
essere  breve,  la  divergenza  fra  il  bustino  e  gli  altri  esemplari  si 
spiega  da  ciö,  che  il  primo  e  lavorato  da  un  artista  mediocre  residente 
probabilmente  nella  Gallia  lugduneiise,  il  quäle  non  aveva  un'  idea 
uetta  ne  delle  forme  ne  delle  qualitä  morali  ed  iutellettuali  della 
persona  da  raflfigurarsi  e  perciö  si  limitö  a  produrre  un  tipo  che 
presentasse  una  rassoraiglianza  generale.  Tale  giudizio  vien  con- 
fermato  dal  bustino  d'Augusto  trovato  insieme.  II  quäle,  non  meno 
di  quello  di  Livia,  diversifica  dai  ritratti  del  medesimo  personaggio 
lavorati  nell'Italia.  Come  questa  diversitä  non  giustificherebbe  la 
supposizioue  che  la  statua  trovata  nella  villa  ad  Gallinas  rappre- 
senti  un'altra  persona  diversa  da  Augusto,  cosi  nemmeno  il  bustino 
di  Livia  distrugge  i  criterii  mediante  i  quali  il  ritratto  della  me- 
desima  imperatrice  si  e  riconosciuto  sopra  le  anticaglie  che  ci  hanno 
servito  per  attribuire  ad  essa  la  testa  di  marmo. 

Siccome  lo  scopo  di  quest'  articolo  non  e  di  scrivere  un'icono- 
grafia  completa  di  Livia,  ma  soltanto  di  provare  che  la  testa  di 
marmo  pubblicata  suUa  nostra  tav.  I  rappresenti  questa  impe- 
peratrice,  cosi  lascio  ad  altri  il  ricercare  quali  statue  e  teste  finora 
attribuite  a  Livia,  depo  il  risultato  da  me  ottenuto,  debbano  ancora 
conservare  questo  nome. 

Mi  resta  di  esaminare,  in  quanto  la  testa  di  marmo  combini 
con  la  tradizione  storica.  In  primo  luogo  essa  ci  fa  capire  la  pas- 
sione  che  Livia  ventenne  inspirö  ad  Augusto.  Se  c'  immaginiamo 
questo  volto  fornito  di  splendida  freschezza  giovanile,  risulta  un 
tipo  non  soltanto  hello  ma  anche  alquanto  piccante,  il  quäle  do- 
veva  prodm-re  una  grande  impressione  sopra  gli  uomini.  II  cranio 
profondo  poi,  la  fronte  ben  conformata,  i  grandi  occhi  osservatori 
rivelano  quell'  alta  intelligenza  che  fece  si,  che  Livia  esercitasse 
molta  influenza  sopra  Augusto  e  negli  ultimi  anni  della  vita  di 
Uli  decisamente  lo  dominasse.  Dal  profllo  marcato  spicca  un' ener- 
gia piii  che  femminile.  Questa  donna  certamente  sapeva  ciö  che 
voleva  0  con  una  tenacitä  incomparabile ,  senza  troppo  badare  ai 
mezzi,  cercava  di  raggiiingere  gli  scopi  che  si  era  prefissi.  Tale 
energia  perö  non  era  impetuosa,  ma  eqiiilibrata  dal  calcolo.  L'espres- 


12  SOPRA   ÜN   RITRATTO    DI    LIVIA 

sione  degli  occhi  e  fredda.  Come  il  volto  generalmente  rassomiglia 
a  quello  di  Tiberio,  cosi  Livia  ha  coinuni  col  figlio  anche  le  lab- 
Itra  fine,  socchiiise  ed  al  lato  destro  tirate  alquanto  ingiü  -  confor- 
mazione  che  accenna  ad  \m  indole  capace  di  dominare  le  passioni 
e  di  nascondere  i  pensieri. 

Tacito  (9  caratterizza  Livia  colle  parole  segiienti :  «  Sanctitate 
domus  priscum  ad  morem,  comis  ultra  quam  aiitlquis  feminis  pro- 
hatum,  uxor  facilis  (-)  et  cum  artibus  mariti,  simiUatione  filii 
bene  composita  " . 

La  testa  di  marmo  puhblicata  suUa  nostra  tav.  I  non  soltanto 
combina  magniflcamente  con  taie  caratteristica,  ma  anche  supplisce 
ad  essa,  palesandoci  la  base  fisica  suUa  quäle  si  svolse  il  carattere  di 
Livia.  E  se  teniamo  conto  di  qiiesta  base,  parecchie  qiialitä  rilevate  da 
Tacito  si  preseutano  sotto  iina  liice  particolare.  Se  cioe  lo  storico  le 
attribuisce  una  condotta  illibata  corrispondente  coi  costmni  antichi, 
qiiesta  qualitä  infatti  suscita  maraviglia  in  una  societä  leggiera  come 
era  quella  dell'  epoca  augustea.  Ma  forma  uno  strano  contrasto  con 
essa  la  facilitä  con  la  quäle  Livia  si  separö  dal  primo  marito,  e  l'in- 
dilferenza  in  cui  si  teneva  dirimpetto  alle  infedeltä  d'Augusto  (^). 
La  quäle  contraddizione  trova  sufficiente  spiegazione  nel  ritratto. 
La  freddezza  di  cuore  e  di  temperamento  ch'esso  palesa  fa  sup- 
porre  ch'era  molto  facile  per  Livia  di  resistere  alle  teutazioni  e  di 
concentrare  tutte  le  forze  sopra  i  suoi  progetti  ambiziosi,  cioe  di 
dominare  Augusto  e  di  assicurare  al  proprio  figlio  la  successione 
all'  impero.  Esaminata  da  questo  punto  di  vista  anche  la  troppa 
affabilitä  attribuitale  da  Tacito  dovrä  derivarsi  non  tanto  dall' in- 
dole naturale  quauto  dalla  ritlessione.  Le  maniere  austere  e  riser- 
vate,  che  l'antica  tradizione  prescriveva  alle  matrone  delle  grandi 
famiglie  romane  ,  rovesciato  il  regime  aristocratico  e  fondata  la 
monarchia,  non  avevano    piü   ragione    d'esistere  e  sarebbero  state 


(1)  Ann.  V  1. 

(*)  Uxor  facilis  si  spiega  da  Cassio  Dione  LVIII  2 :  nvOo^irov  rirog 
avtrjg  nwg  y.ul  ri  dQwacc  ovrw  tov  Avyovatox^  x(CT6XQciT7]a6y.  untxQii'uro  ort 
(ivx'i  TS  (cxotßojg  aiücfQoi'oi'au  xul  nüuxa  ric  Soxovi'TU  «vtio  tjiHiog  noiovacc  xal 
fxrjiE  u'/ih)  TL  Tojy  ixelyov  nolimQuyuovovaa  xul  tu  MfQod'latu  uvtov  ulhQuuiu 
^tjre  diiöxovau  uijts  uia!h(<vta(i^ai  TiQognoioi'utt')].  In  Toscana  ancor  oggi  "  mo- 
glie  facile  »  si  usa  nel  medesimo  senso. 

(^)  Cf.  la  nota  Drecedente. 


SOPRA    UN    RITRATTO    DI    LIVIA  13 

stranissime  nella  moglie  (VxVii,i,nisto ,  il  quäle  appunto  segiiiva  il 
principio  di  non  far  apparire  socialmente  il  potere  acquistato.  Si 
vede  dimque  che  Livia,  atfettando  modi  aifabili,  sapeva  adattarsi 
alle  coudizioni  impostele  dalla  situazione,  e  che  auche  sotto  questo 
rigiiardo  giiistiflcava  il  nome,  spiritosamente  datole  dal  suo  proni- 
pote  Caligula,  d'un  ülisse  nella  stola  (•). 

W.  Helbig 


(')  Svotuu.  Caligula  23:  Liviam  Aufjustam  proaviam,  Viixem  stolatum 
iicntidem  appellans. 


ISCRIZIONE 
TROVATA  PRESSO  LA  GALLERIA  DEL  FURLO 


Fra  le  iscrizioni  pubblicate  di  recente  nelle  Notisle  degli  scavi 
del  senatore  Fiorelli  occupa  im  posto  primario  una  lapide  di 
calcare  ritrovata  siüla  Flamiuia  sul  piano  della  via  antica  presse 
la  galleria  del  Fiiiio ,  ora  esposta  nel  museo  di  Pesaro.  Essa  e 
cosi  coucepita : 

VICTORIAEöSACRVMc« 
PRO  SALVTEM  öIMPö 
MC6IVLIO-PHILIPPO  FELICIC5 
AVGöPONTöMAXöTRIBöPOTIII 
5         COS  P  PETc6M^I//I/0///LIPP0 

NOBILISSIMO  CAEScsPRINCIPI 
IVVENTVTISöET  MOTACILIAESE 

VERE  AVG0MATRI  CASTRORVM 

MAIESTATIQVE  EORVM 

AV»R  E  L  I V  S  •  MVNATIANVS  EVO 
CATVS-EX  COHORTE  •  VI  •  PRETO 
RIA  PVciPHILIPPIANA- AGENS- AT 

LATRVNCVLVM  •    CVM  MILITI 
BVS-N-XX-CLASSIS  -PPR-R-RAVE 
NATIS-PV-FILIPPORVM  DEVOT/^^fW 
^MAIESTATIQVE  •  EORVM 
IDICATAMPRESENTE 


10 


15 


20 


25 


SIC 


albi 
V 


NO  COS-VMDVS 

Ir  IVATVS-OPTIO  •  AVR  ■  DO>| 
V  ANVS  •   IVLEN  •  MARCr, 
"^  IVS-TES-VIBIVS-PAV 

>  SICP  •  ASIN  ■  Y  (l^  "  ^ 

\es-ivli  •I^/ 
•,clemen\ 

Zw  R  ETA 

/KRM-CO/ 

y 
/VR-B/i 


ISCRIZIONE  TROVATA  PRESSO  LA  GALLERIA  DEL  FüRLO  15 

Dedicata  sotto  il  consolato  di  Presente  ed  Albino,  ossia  nel- 
l'anno  246,  alla  dea  Vittoria  per  la  saliite  dell' Imperator  M.  Giiilio 
Filippo,  del  figlio  M.  Giiüio  Filippo,  Cesare  e  principe  della  Gio- 
ventü,  e  della  mogiie  Marcia  Otacilia  Severa,  da  im  Anrelio  Mii- 
naziano  evocato  dalla  sesta  coorte  pretoria  pia  vindice  Filippiaua, 
e  da  venti  soidati  della  iiotta  raveunate,  posti  sotto  gli  ordiui  siioi 
per  sopprimere  il  brigantaggio  vigente,  come  pare,  in  qiiella  parte 
deirApennino,  essa  lapide  e  di  qiialche  Interesse  tanto  per  le  an- 
tichita  militari,  qiianto  per  la  storia  di  qiiei  tempi. 

Ed  in  primo  luogo  si  uotiV eüocatus,  che  dedicailmoniimento. 

Degli  evocati,  dope  lo  Schmidt  (Hermes  1879  p.  321  segg.)  ha 
ampiamente  trattato  il  Mommsen  {Fph.  epigr.  5  p.  142  segg.), 
rilevando  la  diäerenza  ovvia  fra  gli  evocati  della  repiibblica  e  qiiei 
militi  che  nel  tempo  dell'impero  veugono  qualificati  come  evocati 
Augusli.  I  primi,  soidati,  per  lo  piii  dimessi ,  ripresero  le  armi 
invitati  da  qiialche  capo  politico  nou  per  causa  pnbblica  ,  ma  in 
nome  proprio.  Di  essi  consistevano  quasi  interamente  gli  eserciti 
di  tutti  i  partiti  nelle  guerre  civili  alla  fine  della  repubblica. 
Dopo  r  istituzione  del  principato  non  se  ne  trovano  che  al- 
cuni  esempi  tanto  nella  guerra  pannonica  di  Tiberio,  che  fra  le 
truppe  sue  avea  dieci  mila  veterani,  quanto  nella  spedizione  britan- 
nica  di  Claudio,  il  quäle  chiamö  a  quella  guerra  un  tribuno  mi- 
litara,  la  cui  memoria  ci  ha  conservata  una  lapide  aventicense  (^). 
Non  prendono  adunque  le  armi  che  per  una  guerra  certa  e  definita, 
terminata  la  quäle  vengono  sciolti.  AI  contrario  quei  dell'  impero 
sono  una  milizia  ordinaria  e  formano  un  corpo  stabile.  Per  entrare 
in  esso  un  milite  deve  aver  compiuto  gli  stipendii  legittimi  in  un 
corpo  urbano  o  suburl)ano,  vuo'  dire  nelle  coorti  pretorie,  meno  di 
frequente  nelle  urbane,  rare  volte  fra  i  classiarii  accampati  in  Roma 
0  nella  legione  seconda  partica,  dopoche  Settimio  Severo  le  avea 
assegnato  il  campo  d'Albano.  Ne  restano  esclusi  i  vigili  come  mi- 
liti meno  onorati  e  gli  equiti  siugolari  (-),  nonche  tutte  le  milizie 


(•)  Mommsen  Inscr.  Ilelvet.  179.  Si  confrontino  inoltre  gli  eserapi  dal 
medesirao  riportati  nell'  Epli.  epigr.  1.  c.  p.  143,  2. 

(2)  Cf.  Schmidt  1.  c.  p.  335.  836,  e  dopo  di  lui  Mommsen  Eph.  epigr. 
1.  c.  p.  144  segg. 


16  ISCRIZIONE  TROVATA  PRESSO  LA  GALLERIA  DEL  FüRLO 

provinciali,  i  soldati  legionarii  non  meno  che  quei  delle  ale  e  coorti 
ausiliari.  I  pretoriani  ed  urbaniciani,  terminato  il  legittimo  niimero 
di  stipendii,  o  fiirouo  dimessi  conie  veterani,  oppiire,  invitati  dal- 
rimperatore,  restarono  nel  servizio,  entrando  nel  corpo  degli  evo- 
cati  August L  S'intende,  se  si  presceglievano  quei  che  s'  erano  di- 
stinti  fra  i  gregali  ed  aveano  otteniito  im  posto  fra  i  hottiifficiali  {pia- 
cipales);  ed  infatti  spesso  rinveniamo  evocati  che  prima  erano 
stati  beneficiarii  de*  prefetti  del  pretorio,  oppure  signiferi.  Di  rango 
qiiindi  Tevocato  era  superiore  al  milite  gregale,  ma  inferiore  al 
centiirione,  benche  prossimo  a  liii.  Ne  reca  la  prova  uua  lapide 
dedicata  a  M.  Aurelio  Cesare  da  quelle  truppe  dell'esercito  urbano 
che  godevano  del  diritto  di  cittadinanza  romana  {G.  I.  L.  6,  1009): 
dopo  i  prefetti  del  pretorio  ed  i  tribuni  delle  coorti  pretorie  ed 
urbano  vi  si  nominano  i  centurioni  delle  medesime  e  degli  statori, 
poi  gli  evocati,  e  finalmente  le  stesse  coorti  summentovate  e  le 
centurie  degli  statori.  Gli  evocati  erano  posti  sotto  gli  ordini  dei 
prefetti  del  pretorio,  ma  non  aveano  ne  un  comaudante  loro  proprio, 
neppm-e  altri  ufficiali  particolari  (i).  Spesso  venivano  promossi  al 
centurionato,  l'insegna  del  quäle,  ossia  la  vite,  competeva  puranche 
a  loro.  Non  era  peraltro  il  loro  corpo  un  seminario  del  centurio- 
nato, come  altra  volta  si  e  creduto;  al  contrario,  il  confronto  isti- 
tuito  dal  Mommsen  (1.  c.  p.  149  segg.)  delle  lapidi  che  sole  pos- 
sono  darci  qualche  luce  relativa ,  li  mostra  sempre  caricati  d'  im- 
pieghi  civili:  abbiamo  evocati  ab  actis  fori  {C.  L  L.  9,5839.  5840) 
0  in  foro  ab  actis  (10,  3733) ;  a  commentariis  cuslodiarum  (11, 19); 
a  quaestiotiibus  iwaefectorum irractoHo  (6,  2755),  o  semplicemente 
a  quaestionibus  (Or.  3503);  arcitectus  annamentarii  imiwratoris 
(6, 2725);  un  evocatiis  Palatinus  (7, 257);  un  {arjri)  memor  (3, 586) ; 
un  maioriarius  memorum  (6,  3445),  altri  impiegati  nell'  ammini- 
strazione  degli  affari  delle  legioni. 

L'evocato  che  dedica  la  nostra  lapide  chiamasi  agem  ad  la- 
truMulum. 


(')  La  sola  eccezione  d'un  salariorum  curator  ab  indicibus  (C  I.  L.  11, 
Id)  oppure  evocatus  Aug.  ab  indicibus  (1.  c.  G,  3411)  vicn  dal  Moinmsen 
{Eph.  5  p.  148)  paragonata  al  fiscÄ  curator  e  spicgata  come  riferibile  ad  un 
cvocato  eletto  per  pagar  il  salario  a'colleglü. 


ISCRIZIONE  TROVATA  PRESSO  LA  GALLERIA  DEL  FURLO  17 

Siil  brigantaggio  nell'Italiaauticanon  ci  maiicano  notizie.  Crebbe 
dopo  le  giieiTö  civili  (').  Cercö  di  reprimeiio  Cesare  Augiisto,  col- 
locando  stazioni  militari  in  siti  opportuni  (Siiet.  Aug.  32),  ed  auche 
Tiberio  (Siiet.  37)  i/i  prlmis  tuenclae  pacis  a  grassaturis  ac  la- 
trociiiiis....  curam  habiät;  statloms  militum  per  Italiam  solito 
frequentiores  dlsjjosmf.  A  stazioni  simili  riferisce  il  Mommsen 
(Slaalsr.  2^  p.  1027,  1)  i  militi  africaui  in  Alba  Fucente  {C.  I.  L. 
1,  1172)  e  gli  auxsiliariei  lUspaiiel  negli  Abruzzi  (1.  c.  1295), 
ambedue  d'epoca  aiigiistea,  e  con  probabilitä  riconosce  uel  prefetto 
Sabino,  da  qiiesti  nltimi  onorato ,  qnello  stesäo  personaggio  che 
Cesare  AugusLo  aJoprö  per  ristabilir  l'ordine  in  Italia  (App.  b.  c. 

5,  132).  Ma  anche  ne'tempi  piü  tranquilli  non  vi  erano  sempre 
sicure  le  strade.  Ne  parlano  i  due  Plinii,  Giovenale.,  Frontone  (-). 
Era  famoso  al  tempo  di  Commodo  Materno  (^),  sotto  Settimio  Se- 
vero  Bulla  (^),  del  quäle  im  tribnno  della  guardia,  mandato  contro 
di  liii  con  im  forte  distaccamento  di  cavalleria,  s'  impadi'oui  per  tra- 
dimento.  Uno  stato  simile  di  cose  non  poteva  migliorare  nel  terzo 
secolo,  qiiando  le  rivoluzioni  militari  si  seguirono  a  brevi  intervalli. 
A  quel  tempo  incirca  o  ad  epoca  anche  piü  recente  credo  potersi 
riferii-e  iiua  lapide  ritrovata  ne'  nostri  scayi  del  luco  arvalico, 
posta  ad  im  Giulio  Timoteo  decepto  a  latronibios  cum  alumnis 
n.    VII  {C.  I.  L.  6,  20307). 

Peggiori  ancora  erano  le  condizioni  delle  province,  in  ispecie 
su'  confini  dcll'impero.  Le  menzioni  di  persone  iiccise  da  briganti 
sono  freqiienti  nelle  lapidi  tanto  dell'  Africa  qiianto  della  Dacia  , 
della  Dalmazia ,  della  Germania ,  e  fino  della  Spagna.  Commodo 
fortiflcö  per  mezzo  di  castelli  e  presidii  le  rive  del  Dauubio  con- 
tro le  loro  clandestine  trasgressioni  [C.  I.  L.  3,  3385).  Circa  l'anno 
200,  secondo  nota  TertuUiano  {Apol.  2),  trovavansi  in  tiitte  le  pro- 
vince posti  militari  per  investigare  i  briganti.  Riguardo  all'ltalia 
non  diibito  che  anche  la  stazioue  ^\i  peregrim  ossia  fnmentarii 
mentovata  siüla  via  Appia  in  p.ossimitä  della  stessa  capitale  (C.  /.  L. 

6,  230. 3329)  non  sia  stata    istituita    per   tutelarne    la    sicurezza 


(M  App.  b.  c.  5,  132.  Propert.  3, 16. 

(2)  Pliii.  cp.Q,2h;  n.  h.  8,144;  luven.  3,305.  Fronto  ad  M.  Cacs  2,13. 

(3)  Herod.  1,10. 

(•*)  Dio  76,  10;  cf.  74,  2. 


18  ISCRIZIONE  TROVATA  PRESSO  LA  GALLERIA  DEL  FURLO 

(cf.  Bull.  1884  p.  25).  Se  poi  rinveniamo  a  Porto  Ostiense  im 
monumento  eretto  al  genio  delle  caslra  'ßeregrimriim  {C.  T.L.  14, 
7)  ed  altro  a  Severo  Alessandro  dalla  statio  mimeri  friimentario- 
rum  (1.  c.  125),  credo  poterne  couchiiidere  che  anclie  in  Ostia  la 
polizia  sia  stata  aifidata  a  quello  stesso  corpo  che  almeno  in  parte 
ne  avea  cura  uella  cittä  di  Roma.  Ma  non  bastavano  sempre  le 
stazioni  stabili :  contro  bände  numerose,  come  quelle  di  Materno , 
Bulla,  Proculo,  abbisognavano  distaccamenti  piü  forti  ed  ufficiali 
piü  alti,  come  quel  tribuno  della  guardia  inviato  contro  Bulla.  E 
vuol  ricordarsi  il  monumento  rinvenuto  vicino  all'arco  di  Severo, 
eretto  genio  exercitus,  qui  extitiguendls  saevissimis  lalroiübus 
fldeli  devotione  Romanae  expeclatloni  et  votis  omnüim  satls  fecü 
{C.  /.  Z.  6,  234);  la  quäle  iscrizione  non  sembra  poter  riferirsi  ad 
una  spedizioue  contro  nazione  estera,  sebbene  forse  le  invasioni  di 
tribü  barbare  nel  territorio  dell'impero  potrebbero  auch' esse  desi- 
gnarsi  come  scorrerie  di  briganti. 

Tornando  alla  nuova  lapide,  abbiamo  veduto  trovarvisi  men- 
zionato  un  evocato  designato  come  agens  ad  latrimculiim.  E  noto 
abbastanza  che  nell'indicare  i  yari  impieghi  in  luogo  della  prepo- 
sizione  a  non  di  rado  s'adopri  la  particola  ad:  prescindendo  dai 
procuratores  ad  alimenla,  ad  amionam^  ad  bona  damnatonim , 
ad  capitidarla  ludaeorum,  cito  Xadmtor  ad  census^  il  dispeti- 
sator  ad  frumentuni  ^  altri  detti  semplicomente  ad  auctoritatem 
(sc.  Caesaris),  ad  census,  ad  valetiiduiarium.  Non  presenterebbe 
quindi  difficoltä  nemmeno  un  ad  latruiiciditm  detto  invece  di  latrim- 
culator  {Big.  5,  1,  61,  1),  sebbene  vi  si  asputterebbe  piuttosto 
ad  latrunctdos,  se  si  tratti  veramente  di  un  posto  stabile,  e  non 
d'  incarico  istituito  contro  un  brigante  speciale.  Nuova  peraltro 
riesce  la  qualifica  di  agens  aggiuntavi.  Potremmo  credere  trattarsi 
d'un  semplice  participio,  interpretando  «  evocato  che  agisce  contro 
il  brigante  »  ;  raa  sembra  piii  probabile  di  veder  noW^ agens  un  vero 
titolo  d'ufficio.  Occorre  appena  ricordare  gli  agentes  in  rebus  dei 
tempi  piü  receuti  dell'  impero,  tante  volte  mentovati  nella  Noütia 
e  ne'  libri  giuridici,  anch'essi  agenti  governativi,  a  cui  si  danno  i 
piii  variati  incarichi  amministrativi,  ed  i  quali,  desunti  dalla  schola 
comune,  si  rinvengono  negli  uflilci  di  moltissimi  magistrati.  Sarcbba. 
mai  possibile  che  la  nuova  lapide  ci  fornisse  un  primo  vestigio 
di  quella  classe  posteriormente    tauto  numcrosa  d'  impiegati  ?  che 


ISCRIZIONE  TROVATA  PRESSO  LA  GALLERIA  DEL  FURLO  10 

cioe  Vagem  ad  latnmculum  sia  im  agcnte  di  polizia  equivalente 
ad  im  dipresöo  allo  stesso  latnmcidator  ?  In  tal  caso  egli  sarebbe 
lo  stationär  ins  [Cod.  Imt.  9,  2,  8),  os&ia  comandanto  d'uua  sta- 
zione  di  polizia  coUocata  presso  il  passo  del  Fiuio,  dove  sappiamo 
essere  stato  ima  volta  il  fortilizio  di  Petra  Pertasa  ricordato  nelle 
giierre  gotiche  (Procop.  b.  Cr.  4,  28). 

I  soldati  posti  sotto  gli  ordini  siioi  sono  im  distaccamento 
della  flotta  ravennate  comaudato  da  im  tenente  (optlo).  Se  non 
sembra  molto  probabile  che  militi  classiarii  abbiano  occiipato  im 
posto  stabile  nelle  montague  apennine,  dall'altro  lato  puö  ben  im- 
magiuarsi  che  per  dar  la  caccia  ad  im  brigante  si  siano  inviati 
soldati  della  flotta  stanziante  nella  non  lontana  Ravenna.  Ma  bi- 
sogna  ricordarsi  puranche  che  nei  primi  secoli  dell'  impero  1'  Italia 
non  avea  per  giiarnigione  che  le  giiardie  imperiali  ed  iirbane,  il 
corpo  politico  de'  vigili  e  le  flotte  misenate  e  ravennate;  ed  ancora 
quando  Severe  vi  stabili  la  legione  seconda  partica,  qiiesta  avea 
i  siioi  qnartieri  nelle  castra  d'Albauo  nella  vicinanza  della  capi- 
tale.  II  Piceno  e  la  Flamin ia  non  aveano  certamente  altri  presidii 
fiiorche  le  triippe  classiarie  di  Ravenna,  che  possono  ben  credersi 
aver  occupato  posti  stabili  per  tutelare  il  paese,  ma  non  meno  bene 
possono  supporsi  inviate  in  nna  data  occasione  per  rinforzare  l'nf- 
ficiale  che  d'ordinario  vi  invigilava.  Che  esse  in  parte  servissero 
anche  a  terra,  ce  lo  provano  non  solo  le  castra  Misenatium  e  Ra- 
vemiatium  nella  cittä  di  Roma,  ma  l'attesta  anche  Igino  {de  nmn. 
castr.  §  30),  assegnando  nel  campo  imperiale  posti  a  500  classici 
Misenates  ed  800  Ravennates. 

In  memoria  della  spedizione  in  discorso  Mnnaziano  ed  i  siioi 
soldati  eressero  alla  dea  Vittoria  il  monumento  di  ciii  trattiamo, 
facendo  voti  per  la  saliite  dell'imperatore  regnante  e  della  sua  fami- 
glia.  Si  potrebbe  creder  la  lapide  riferirsi  pinttos'o  allaguerra  carpica, 
ch'  ebbe  liiogo  nello  stesso  anno  246,  ma  di  tal  fatto  parmi  non 
potrebbe  mancar  im  iuüizio  piü  preciso. 

S'osservi  Y  abrasione  de'  nomi  cosi  dell'imperatore  come  del 
figlio  Cesare  e  dell'imperatrice  Otacilia  Severa,  segno  di  dannata 
memoria  che  rade  volte  si  rinviene  nelle  epigrafi  de'  Filippi,  una 
sola  volta ,  per  quanto  mi  sappia ,  in  quelle  della  sua  cousorte 
{C.  L  L.  8,  8809).  Ne  so,  se  sia  per  mero  caso  che,  oltre  in  poche 
lapidi  africane,  l'abrasione  apparisca  in  iscrizioni    della  Dalmazia 


20  ISCRIZIONE  TROVATA  PRESSO  LA  GALLERIA  DEL  FURLO 

e  della  Mesia  inferiore  (1.  c.  3,  2706.  3161.  6172),  mentre  nella 
Pannonia  e  nella  stessa  Mesia  scoppiö  la  rivolta  di  Carvilio  Ma- 
rino che  condusse  alla  caduta  de'  Filippi.  In  ogni  modo  pare  che 
non  abbia  avuto  hiogo  iina  pubblica  condauna  della  loro  niemoiia, 
se  e  vero  quel  che  nana  Eiitropio  (9,  3),  che  cioe  ambediie  i  Filippi 
furono  ricevuti  nel  niimero  de'Divi. 

G.  Henzen 


DELLE  ANTICHITA  FALLSCHE  VENUTE  ALLA  LÜCE 

IN  CIVITA  CASTELLANA  E  IN  CORCHIANO 

E  DELLA  ÜBICAZIONE  DL  FESCENNIA. 

(Tav.  III) 

Letter a  di  A.  Biiglione  coute  di  Monale  a   W.  Ilelbig. 


Tiitto  ciö  che  tocca  le  vicende  di  Faleria,  l'antica  e  potente 
cittä,  che  osö  piii  volte  e  con  varia  forfciina  sfidare  la  potenza  ro- 
mana,  ha  iina  grande  importanza  per  la  storia. 

Ne  meno  importanti  sodo  i  mouumenti  di  qualsivoglia  na- 
tura che  riflettono  le  origiui  del  popolo  falisco  e  possono  portare 
anche  un  barlume  di  luce  neU'antica  controversia,  ancora  insoluta, 
se  cioe  i  Falisci  apparienessero  alla  nazione  etrasca,  ovvero  se,  pur 
facendo  parte  della  federaziona,  costituissero  un  popolo  a  parte , 
con  leggi,  costumi  e  fa^ella  diversi. 

Accenuerö  soltanto  che  dalle  prirae  indagini  praticate  nel 
territorio  falisco  da  me  visitato  palmo  a  palmo  e  daH'esame  delle 
suppellettili  che  vi  si  rinvengono ,  come  dalle  osservazioni  antro- 
pologiche,  fisiologiche  e  lingaistiche  sonibrami  che  ancora  al  pre- 
sente  ne  venga  corroborata  la  opiuione  di  Dionigi  d'Alicarnasso  (') 
e  di  Catone  (-),  i  quali  propeudono  per  questa  secouda  ipotesi.  — 
Dionigi  particolarmente  accettava  1'  antica  tradizione  che  faceva 
derivare  i  Falisci  dai  Pelasghi  o  Argivi,  e  affermava  che  ancora  ai 
suoi  tempi  essi  conservavano  tracce  della  loro  discendenza.  Ovidio 
medesimo  conferma  dubbiosamente  la  origine  argiva  quando  scrive : 

Venerat  Atridae    fatis  agitatus  Ilalaesus, 
A  quo    se  dlctam  terra  Fallsca  putat  (■^). 

(1)  Dionys.  1,  21;  Solin.  2  §  7. 

(2)  Cato  ap.  Plin.    HI  51. 

(3)  Ovicl.  Fast.  IV  73. 


22  DELLE    ANTICHITA    FALISCHE 

lo  oserei  soggiungere  che  tali  tracce  dopo  si  lunglii  secoli 
non  sono  aucora  del  tiitto  scomparse,  e  che  in  generale  il  tipo 
sabiuo  presenta  una  sufficiente  differenza  con  qiiello  degli  abitanti 
del  territorio  giä  falisco,  escliisa  perö  qnella  parte  che  coufiua  col 
Soratte.  E  anzi  questa  eccezione  ,  iionche  combattere  la  mia  tesi, 
confermerebbe  la  indicazione  fovnitaci  da  Strabone  (V  p.  226)  di  una 
invasioue  dei  Sabin!  uei  dintorni  del  Soratte,  e  del  loro  mischiarsi 
alle  famiglie  falisehe  del  liiogo. 

E  sijfatta  indagine  acqiiista  eziandio  maggior  Interesse,  qiiando 
si  consideri  che  essa  si  coUega  con  la  disputa  tuttora  ardente  e 
sopra  ogni  altra  rilevante  intorno  alle  origini  italiche  e  del  primo 
incivilimento  iimano,  e  alla  quäle  Ella,  signor  professore,  ha  tanta 
luce  portato  con  le  Sue  dotte  investigazioni. 

Non  essendomi  conseutito  di  esaminare  tale  grave  questione 
nel  breve  spazio  di  una  lettera  ,  mi  limito  per  ora  a  richiamare 
la  sua  atteuzione  e  qnella  degli  studiosi  delle  antiche  memorie, 
come  giä  ho  richiamato  quella  del  governo  che  dei  patrii  monu- 
menti  e  vindice  e  tutore  ,  sopra  le  importanti  scoperte  fatte  nel- 
Tagro  falisco  ed  in  ispecial  modo  nelle  adiacenze  di  Civita  Ca- 
stellana  in  un  terreno  di  proprietä  del  sig.  Gemma  e  in  altra  vi- 
cina  localitä. 

E  infatti,  fiuo  dallo  scorso  anno,  recatomi  al  Ministero  della 
pubblica  istruzione,  ebbi  a  segnalare  alla  solerte  Direzione  gene- 
rale delle  Antichitä  e  belle  arti  l'importanza  di  ritrovamenti  che 
accennavano  alla  esistenza  di  un  notevole  ediiicio  o  tempio  falisco. 

E  invero  della  esistenza  di  una  stipe  sacra  facevano  testi- 
monianza  i  numerosi  e  ben  conservati  doni  votivi  in  argilla,  come 
teste^  mani,  piedi,  mammelle,  gambe,  torsi,  falli  etc.,  e  della  pre- 
senza  di  un  vasto  tempio  belli  e  variati  antefissi  e  scorniciature 
e  pezzi  di  statue  fittili  colorate,  e  vaghi  cornicioni,  e  rivestimeuti 
di  pilastri  in  terra  cotta  e  finalmente  le  vaste  fondazioni  di  paral- 
lelepipedi  tufacei  senza  cemento  vc::ute  alla  luce. 

Non  pose  tempo  in  mezzo  la  solerte  Direzione  delle  antichitä,  e 
acquistato  dal  signor  Gemma,  proprietario,  il  terreno  da  me  indicato, 
ove  quei  preziosi  resti  erano  apparsi,  si  diede  tosto  principio  sotto 
la  sorveglianza  del  conte  Cozza  e  del  comm.  Gamurrini  alle  esca- 
vazioni  che  hanno  portato  alla  luce  la  intiera  pianta  di  un  tempio 
che  rimonta  indubbiamente  all'  epoca  falisca ,  e  si  ha  tntta  la  ra- 


VENÜTE    ALLA    LUCE    IN    CIVITA    CASTELLANA    ECC.  23 

gione  di  siipporre  sia  quello  istesso  di  Giunone  Ciirite,  al  quäle, 
anche  dopo  la  dtstruzione  della  cittä  e  la  fondazione  della  Faleria 
romana  {Coloma  Jimonia  Falisconun)  i  Falisci  seguitavano  a  recarsi 
in  processione  a  portarvi,  a  detta  di  Ovidio,  i  loro  doni  votivi  ('). 

II  tempio  siiddetto  dista  circa  mille  passi  dalle  mura  del- 
Vautica  Faleria  ed  e  situato  al  nord  della  citta  iu  una  valle  lam- 
bita  dal  torrente  Eio-maggiore,  che  i  nativi  chiamano  ßemajou  e 
in  im  terreno  in  vocabolo   Celle. 

La  fronte  del  tempio  e  esposta  a  sud-est,  e,  se  debbo  gindi- 
care  dalle  sostruzioni  vennte  alla  luce,  doveva  essere  ornata  da 
otto  colonne  di  fronte  e  quattro  di  fianco. 

Senonche  io  non  mi  dilimgo  piü  o'.tre  a  descrivere  le  impor- 
tanti  scoperte  sopra  accennate ,  essendo  a  ir.ia  ccgnizione  che  as- 
sieme  al  rilevaraento  dell'antica  Faleria  con  ''e  sue  rnmerose  abita- 
zioni  incavate  nella  roccia,  sarä  di  questi  preziosi  avanzi,  per  cm'a  del 
governo,  data  piü  competente  e  dettagliata  spiegazione  e  descrizione. 

Mi  limitero  a  olt'rire  im  cenno  delle  cose  piü  notevoli  che  ho 
potuto  rilevare  dopo  ripetuti  accessi  sul  luogo. 

Quando  mi  recai  a  visitare  i  primi  oggetti  raccolti  dal  signor 
Gemma,  innanzi  che  questi  li  vendesse  al  R.  Governo  ,  ebbi  a 
rimarcare  alcimi  frammenti  di  terra  cotta  dipinta  bianca  e  rossa, 
e  riconobbi  che  si  trattava  del  rivestimento  delle  colonne  di  nn 
tempio,  e  giudicai  che  dette  colonne  dovessero  essere  state  in  legno, 
non  essendosi  rinvenuta  veruna  traccia  di  colonne  in  pietra  o  tufo. 

Oltre  a  ciö  ammirai  alcuni  bellissimi  residui  di  statue  pari- 
menti  in  terra  cotta,  che  dovevano  probabilmente  decorare  il  fasti- 
gio  del  tempio,  e  cosi  pure  molti  ornati  di  stupendo  lavoro  e  di 
egual  materia. 

Esaminati  detti  avanzi  conobbi  che  erano  fatti  a  stampa, 
ma  corretti  e  ritoccati  con  la  stecca. 

Non  e  agevole  stabilire  il  tipo  del  tempio,  o  dei  templi ; 
perche  le  escavazioni  hanno  rivelato  la  esistenza  di  mura  appar- 
teneuti  a  piü  editizi.  Io  credo  perö  non  andar  errato  constataudo 
la  esistenza  di  tre  distinte  costruzioni  cioe : 

1.  Di  un  tempictto  o  edicola  posto  al  nord  delle  sostruzioni, 
il  piü  antico  di  tutti. 

(•)  Ovid.  Amor.  HI  13.  31. 


24  DELLE    ANTICHITA    FALLSCHE 

2.  Di  im  tempio  dedicato  ad  Oreste,  e  ciö  per  i  bassorilievi 
i-invonuti,  che  accennano  alle  gesta  di  quell' eroe. 

3.  Di  im  edificio  di  stile  meno  corretto,  che  rapprcsenta  forse 
la  ricostnizioue  del  tempio  primitivo. 

In  ogni  modo,  sia  che  si  tratti  di  imo  o  piü  templi,  e  certo 
che  fra  le  sostmzioni  veuute  in  luce  si  presenta  visibilissimo  l'al- 
tare,  delV  altezza  di  m.  1,  30,  nella  parte  posteriore  del  quäle  si 
pu5  osservare  la  stipe  sacra  perfettamente  rieonoscihile  e  ben  cou- 
servata. 

Due  cunicoli  di  cost;uzione  antichissima,  a  soffitto,  con  paral- 
lelepipedi  di  tiifo  raccoglio^auo  le  acque  di  due  uon  lontane  pu- 
rissime  sorgenti  e  le  immeti^evano  in  im  caiiale  che  ancora  si  vede, 
il  quäle  alla  sua  volta,  penetrando  nella  parte  postica  del  tempio, 
shoccava  nel  baciuo  della  stipe  e  ne  usciva  per  raggiimgere  il 
letio  del  Kio-maggiore. 

La  rovina  del  tempio  ha  fatto  probabilmente  deviare  il  corso 
deir  acqua  che  zampilla  ora  fresca  e  purissima  poco  lungi  dallo 
antiche  sostruzioni  sotto  ad  un  grande  masso  caduto  dall'alto. 

AU'esfcremo  limite  (sud)  dell'altare  si  scorgono  1  residui  della 
base  suUa  quäle  doveva  posare  il  simulacro  della  divinitä.  Seppi 
dal  sig.  Gemma  istesso,  che  durante  gli  scavi  ulteriori  si  era  rin- 
venuto  accanto  all"  altare  una  testa  molto  piü  grande  del  vero, 
arcaica,  di  neufro,  con  forme  fenicie,  avente  la  cliioma  a  guisa  di 
lunghi  ricci  attorcigliati  e  simmetrici  che  fanno  Corona  al  capo. 
Mi  si  soggiimse  clie  detta  testa  era  tutta  traforata  e  presentava 
tracce  di  un  serto  di  bronzo  con  foglie  di  alloro.  II  luogo  del 
rinvenimento,  cioe  l'altare,  la  materia  di  cui  e  composta,  la  Corona 
che  r  adorna ,  la  figura  arcaica ,  tutto  insomma  induce  a  credere 
che  si  tratti  precisamente  della  testa  dell'idolo.  Nella  guisa  istessa 
viene  assodato  dalla  stratificazione  storica  e  dal  rinvenimento  di 
alcuni  Sileni  di  arte  antichissima,  che  il  tempio  ha  esistito  fia 
dalla  piii  remota  autichita  e  che,  per  le  testimonianze  storiche 
giä  accennate,  esso  ha  durato  fino  alla  completa  prevalenza  della 
religione  cristiana. 

E  infatti  accanto  al  descritto  tempio  esistono  le  rovino  di  altuo 
ediücio  antico  ma  molto  piü  piccolo,  che  presenta  pure  le  tracce 
di  una  stipe,  convercita  forse  dai  primi  cristiani  in  im  lavacro  bat- 
tesimale. 


VENÜTE    ALLA    LUCE    IN    CIVITA    CASTELLANA    ECC.  25 

Qiiesta  localita  era  posta  in  cliretta  comunicazione  tanto  coü 
la  strada  latina-falisca  corretta  dal  console  Flaminio,  quanto  con 
qiiella  che  conduce  a  Santa  Maria  di  Falleri  non  meno  che  con 
la  Flaminia.  lo  ho  anzi  visitato  una  strada  parallela  alla  Flaminia 
istessa  e  vi  ho  scorto  per  lungo  tratto  i  caratteri  delle  strade 
etrusche  antiche,  e  lo  stesso  dicasi  di  qiiella  che  mette  a  S.  Agata, 
liiugo  la  quäle  sono  venuti  alla  hice  in  qiiesti  giorni  niimerosi  se- 
polcri  con  preziosi  ed  importanti  vasi  greci. 

Se  deir  antica  capitale  dei  Falisci  andö  talmente  perduta  la 
memoria,  che  alla  cittä  di  Civ.ita  Castellana,  sorta  nel  medio  ovo 
siüle  rovine  della  prisca  Faleria,  si  attribui  il  nome  di  Veio  ,  e 
tale  fu  dai  dotti  uuiversalmente  creduta,  non  sarä  a  meravi- 
gliare,  se  anche  venisse  spostata  e  completamente  ignorata  la  ubi- 
cazione  di  Fescennia..  che  si  crede  abbia  aviito  comuni  con  Faleria 
le  sorti  e  di  cui  ima  particolar  forma  di  latina  poesia  ha  unica- 
mente  tramandato  al  mondo  la  fama. 

Attirato  dal  desiderio  di  stabilire  con  certezza  il  luoofo  ove 
sorger  potesse  l'antica  famosa  cittä,  io  mi  diedi  a  investigare  tutto 
il  territorio  falisco,  e  dopo  Innghe,  costose,  pazienti  indagini  parmi 
per  avventura  essere  riiiscito  ad  identificarne  il  sito  preciso  con 
quella  maggior  certezza  che  in  ricerche  di  tale  natura  si  puö  con- 
seguire  la  dove  manchi  l'attestazione  specifica  di  una  iscrizione  o 
di  un  locale  monumento. 

il  Cluverio  ('),  seguendo  le  tracce  del  Massa ,  che  ebbe  i 
natali  in  Gallese  ,  poneva  in  quella  terra ,  che  dista  un'  ora  di 
cammino  da  Corchiano,  l'antica  Fescennia:  indotti  l'uno  e  1'  altro 
in  errore  dal  rinvenimeuto  di  alcuni  avanzi  etruschi. 

II  Dennis  (-),  non  accecato  da  amore  di  campauile,  si  accostö 
maggiormeute  alla  veritä ,  additando  la  localita  di  S.  Silvestro 
assai  piü  vicina  a  Corchiano,  ove,  accanto  agli  avanzi  della  diruta 
chiesa,  si  scorgono  non  dubbie  vestigia  di  mura  falische. 

Io  ho  visitato  quei  luoghi,  ma  non  posso  accettare  l'opiniono 
degli  autori  sopra  citati,  avendo  prove  piü  che  sufficienti  psr  sta- 
bilire che  nel  territorio  di  Corchiano,  e  precisamente  nello  alti- 
piano  che  viene  in  catasto  designato  col  nome   di  Vallone,   abbia 

(1)  Ital.  pag.  551. 

{-)  Etruria  Yol.  I  pag.  152. 


26  DELLE    ANTICHITA    FALISCHE 

esistito  iina  grande  cittä,  e  che  questa  citta,  sita  quasi  in  identica 
postura  di  Faleria  e  al  par  di  essa  munita  da  natiirali  difese  che 
la  rendevano  inespugnabile,  non  possa  essere  stata  che  Fescennia. 

E  par  veritä  io  ho  rintracciato  la  grande  strada  di  circon- 
vallazioue  che  faceva  il  giro  delle  rupi  altissime  ed  a  picco,  le 
qiiali  formavano  i  saldi  propugnacoli  della  cittä.  Io  ho  coutati  e 
misurati  i  niimerosi  cimicoli  o  fogne  per  le  acque,  disposti  a  rego- 
lari  intervalli  e  che  scaricavano  le  immondezze  della  cittä  in  diversi 
collettori,  alcuno  dei  qnali  tuttora  esiste,  e  che  alla  loro  volta 
dovevano  sfogare  la  massa  delle  acque  nella  sottoposta  fossa.  Ho 
esaminato  le  strade  di  accesso  numerose  e  ancora  visibili,  ho  visi- 
tato  le  rovine  dei  ponti  che  collegavano  la  cittä,  ed  in  special  modo 
il  maestoso  avanzo  di  un  acquedotto  viadotto  gittato  a  traverso  la 
valle  detta  dei  Pontone,  ho  insomma  potuto  acquistare  la  certezza 
che  lä  e  non  altrove  potesse  sorgere  Fescennia. 

Di  Fescennia  assai  di  rado  fa  menzione  la  storia.  Dionigi  di 
Alicarnasso  (^)  scrive  che  i  Falisci  avevano  due  cittä,  Faleria  e  Fe- 
scennia, e  che  quest'ultima  era  posta  di  fronte  a  Faleria.  Strabone 
afferma  che  le  due  cittä  avevano  origine  argiva  pelasgica.  Yirgilio 
nel  passare  in  rassegna  le  schiere  dei  re  Turno  nomina  congiuuta 
mente  i  Fescenniui,  i  Falisci  e  i  Sorattini 


Fescenninas  acies^  aeqiiosqiie  Faliscos 
Ili  Soractis  liaheni  arces  (-). 

Ma  entrambi  questi  importanti  argomenti  della  ubicazione  di 
Fescennia  e  delle  origini  falische  forniranno  argomento  ad  un'altra 
mia  relazione,  che  sarä  corredata  da  una  esatta  pianta  topografica 
della  localitä,  e  che  procui'erö  riesca  quauto  piü  e  possibile  com- 
pleta  sotto  l'aspetto  storico,  etnografico  e  topografico. 

Mi  limitero  ora  ad  offrirle  una  succinta  descrizione  delle 
importanti  scoperte  fatte  a  Corchiano,  che  di  per  se  sole  prove- 
rebbero  l'esisteuza  di  un  grande  centro  abitato  e  la  yicinanza  di  una 
cittä  importante.  La  piautina,  disegnata  da  me  e  pubblicata  sulla 
tavola  III,  renderä  vieppiu  chiara  la  mia  descrizione. 

Corchiano,  giä  feudo  dei  Farnesi,  siede   quasi  a  cavaliere  di 

C)  I  21. 

(2)  Virg.  Aen.  VIT   095. 


VENUTE    ALLA    LUCE    IN    CIVITA    C ASTELLANA    ECC. 


27 


un  torrente  che  preude  il  nome  di  Rio  della  Fratta  ed  anche  di  lUo 
Ritello,  ed  e  sitiiata  in  una  posizione  assai  forte,  alla  quäle  si  ha 
imicamente  accesso  mediaute  parecchie  cave  scavate  uel  masso  fiiio 
dalla  piii  reuiota  antichitä,  una  delle  quali  lunga  ben  trecento  passi. 
E  fondata  sopra  una  roccia  di  tufo  vulcauico  e  presenta  numerose 
tracce  di  costruzioni  falische  con  grandi  massi  tufacei  senza  ceinento. 

Essa  dovette  con  tutta  probabilitk  essere  Yara^  o  rocca  della 
vicina  Fescennia,  e  invero  Tedificio  che  servi  nel  medio  evo  di 
castello  e  che  conserva  tracce  della  sua  origine  etrusco-falisca,  ha 
tutti  i  caratteri  deH'rtni',  sia  per  la  posizione  in  cui  e  situato,  sia 
pol  modo  con  il  quäle  e  costrutto. 

Ho  detto  che  le  cave  che  conducouo  a  Corchiano  sono  anti- 
chissime,  e  la  mia  asserzione  viene  provata  dalla  seguente  iscri- 
zione,  che  fedelmeute  riproduco  e  che  trovasi  graffita  in  una  delle 
pareti  al  principiare  di  una  di  dette  cave  e  precisamente  sulla 
strada  detta  Cannara  alla  distanza  di  1013  metri  da   Corchiano  : 

La  suddetta  iscrizione('),  di  notevoli  dimensioni  (-)  e  di  ottima 
conservazione,  ricorre  in  una  tazza  italica  che  io  ebbi  l'onore   di 


(1)  (Pubblicata  dal  Dennis  Cities  and  cemetieres  of  Etruria,  2.  ed.  1878, 
I  p.  119.  La  Direzione). 

('-)  L'altezza  delle  lottere  in  media  arriva  a  m.  0,42. 


28  DELLE    ANTICHITA    FALISCHE 

presentare  airistituto  germanico,  proveuiente  da  recentissimi  scavi 
di  Civita  Castellana.  La  singulare  coincidenza  non  e  priva  di  impor- 
tanza,  poiche  serve  a  stabilire  il  nesso  che  esisteva  fra  le  diie  loca- 
litä  falische  nella  persona  di  \m  medesimo  Lart. 

Altre  due  iscrizioni  vennero  da  me  rinvenute,  e  cioe  l'una  a 
diie  chilometri  da  Corchiano  alla  sinistra  del  Rio  Meiiese  nella 
regione  Pontone  del  Ponte,  e  l'alfci-a  alla  sinistra  del  Rio  Ruzzi 
nella  proprietä  Sciardiglia,  che  dista  circa  3  chilometri  dal  paese. 
La  prima  (')  dice : 

llilXXYON-:!>IR>l3)-3KR'1 

La  lontananza,  la  disagevolezza  del  liiogo,  ma  sopratiitto  l'ecce- 
zionale  inclemenza  della  stagione  mi  hanno  impedito  di  trasmet- 
terle,  come  desideravo,  il  calco  dell'altra  iscrizione,  che  spero  ella 
poträ  illiistrare  nel  prossimo  Bullettino. 

I  dintorni  di  Corchiano  presentano  in  ogni  luogo  evidentissime 
tracce  di  ricchi  e  importanti  sepolcri  e  di  bellissime  abitazioni 
scavate  nel  tiifo.  Sonvene  anche  a  due  piani  con  colonnette  di 
sostegno,  che  mi  riservo  di  riprodurre  con  fedele  disegno  e  con  le 
necessarie  illiistrazioni.  Le  abitazioni  alle  quali  ho  accennato  sono 
tutte  orientate  a  perfetto  mezzodi,  e  in  ciascuna  di  esse  nell'angolo 
di  fondo  ho  riscontrato  la  esistenza  di  im  piccolo  foro  perpendico- 
lare  del  diametro  di  8  cent.  circa,  che  metteva  evidentemente  in 
comunicazione  le  camere  con  l'aria  esterna  e  fimzionava  probabil- 
meute  come  cappa  da  Camino.  La  maggior  parte  di  siffatte  abita- 
zioni vennero  in  tempi  recenti  guastate  e  ridotte  ad  iiso  di  stalla, 
ma  e  facile,  seguendo  le  tracce  del  piccone  moderno  e  del  martello 
falisco,  riconoscere  quanto  piii  pörfetta  riuscisse  l'opera  dei  primi 
escavatori,  e  stabilire  quäle  parte  di  esse  sia  antica  e  quäle  mo- 
derna.  Le  volte  sono  piuttosto  basse  e  a  sofiitto.  lo  ne  ho  misu- 
rate  alcune  nei  punti  che  presentavano  chiare  tracce  della  loro 
antichitä,  e  ho  potuto  constatare  che  l'altezza  massima  e  di  m.  1,80. 

Quanto  ai  sepolcri  corchianesi,  per  il  modo  con  cui  sono 
disposti,  nella  parte  piü  prossima  al  paese,  e  dei  quali  verrö  tosto 
ragionando,  sono  al  tutto  simili  a  quelli  scoperti  un  tempo  a 
Castel  d'Asso.  Essi  fianchcggiauo  da  ambo  i  lati  una  strada  della 

(1)  L'altezza  media  dcllc  letterc  o  di  m.  0,22. 


VENUTE    ALLA    LUCE    IN    CIVITA    CASTELLANA    ECC.  29 

largliezza  di  metri  14  a  15  scavata  ncl  tufo  dalla  mano  deiruomo 
0  che  serviva  probabilmente  di  controfossa  alla  cittä  nel  piinto 
dove,  venendo  meno  le  natm-ali  difese,  o  essendo  esse  meno  for- 
midabili,  si  sentiva  ü  bisogno  di  sopperire  con  l'arte.  Sopra  la 
detta  controfossa  doveva  probabilmente  sorgere  im  miiro  o  aggere, 
del  quäle  fa  ancora  testimonianza  la  copia  di  grossi  massi  squa- 
drati  sparsi  in  qiiei  dintorni,  evidentemente  tolti  in  tempi  a  noi 
vicini  per  farli  servire  di  muri  divisori,  di  sostegno  ecc. 

La  somiglianza  del  piano  di  Yallone  con  quelli  di  Faleria  e 
grandissima.  Infatti  a  Fescennia  come  a  Faleria  le  mura  dove- 
vano  correre,  se  pur  di  mura  v'era  d'uopo,  ciö  che  io  non  credo, 
tutto  attorno  sulla  cresta  di  altissimi  inaccessibili  burroni  tagliati 
a  picco,  in  fondo  ai  quali  spumeggiano  a  Faleria  le  acque  della 
Treja,  del  Rio  Filetto  e  del  Rio  Maggiore,  e  a  Fescennia  quelle 
del  Rio  della  Fratta  o  Ritello.  Entrambe  le  cittä  erano  soltanto 
u-nite  alla  circostante  campagna  da  alcuni  pouti  colossali,  di  cui 
nell'una  e  nell'altra  si  scorgono  ancora  le  vestigia. 

Vengo  ora  senz'altro  agli  scavi  intrapresi  nella  vicina  necropoli. 

A  pochi  passi  dal  paese  un  mio  ottimo  amico,  il  sig.  Feli- 
ciano  Crescenzi,  nel  mentre  era  iutento  a  far  scavare  una  grotta 
in  un  terreno  di  sua  spettanza,  ebbe  avviso  che  il  piccone  risuo- 
nava  nel  masso  come  se  dietro  di  esso  esistesse  il  vuoto.  Prose- 
guito  con  maggior  lena  lo  scavo  egli  pote  finalminte  introdursi 
in  una  prima  camera  sepoicrale.  Tutto  attorno  chiuse  da  tre 
grandi  tegoloni  erano  le  bauchine  o  letti  funerari  sui  quali  dove- 
vano  riposare  i  cadaveri.  L'ambiente  constava  di  una  piccola  came- 
retta,  specie  di  vestibolo,  e  di  una  camera  sepoicrale.  L'ingresso 
era  otturato  ermeticamente  da  alcuni  massi  di  tufo. 

Sul  davanti,  sostenuti  da  chiodi  di  bronzo,  pendevano  i  se- 
guenti  oggetti : 

1,  2)  Due  vasi  (tipo:  Furtwängler  Berliner  Vaseiisammlimg 
tav.  XI  215),  sopra  ognuno  dei  quali  e  dipiuta  una  civetta  circon- 
data  da  due  rami  di  ulivo  in  colore  bianco  imposto  a  fondo  nero 
con  i  contorni  grafRti.  I  quali  vasi  fuor  di  dubbio  sono  imitazioni 
italiche  di  corrispondenti  vasi  attici. 

3)  Patera  del  diameti-o  di  m.  0,28,  di  üibbrica  locale,  avente 
ueir  interno  una  quadriga  con  guerriero  elniato  e  sotto  i  cavalli  un 
cane  che  corre,  e  neH'esterno,  in  ogni  lato,  un  giovane  ignudo  con 


30  DELLE    ANTICHITA    FALISCHE 

giovanetta  ammantata ;  figure  color  argilla  sopra  foudo  nero :  roz- 
zissima  fabbrica  italica.  Di  tecnica  simile  e : 

4)  Patera  :  diametro  m.  0,32;  neirinterno  e  siii  diie  lati  esterni 
im  giovane  ignudo  dirimpetto  ad  una  giovane  ammantata. 

5)  Detta :  piü  piccola ,  simile  per  tecnica  e  rappresentanza 
al  n.  4. 

6)  Detta:  diametro  0,27,  simile  per  tecnica  ai  n.  1,  2.  Nel- 
Tinterno  e  effigiato  im  giovane  che  procede  tenendo  nella  destra 
im  ramo  e  nella  sinistra  una  Corona. 

7)  Detta:  diametro  0,26,  tecnica  come  ai  n.  1,  2.  Interno  ed 
esterno :  diie  donne  ammantate  che  discorrono. 

8)  Detta:  diametro  0,28,  tecnica  come  sopra.  Interno:  im  gio- 
vane ignudo,  con  la  strigile  nella  destra,  davanti  ad  ima  giovane  am- 
mantata. Esterno:  giovane  ignudo  fra  diie  giovani  ammantate. 

9)  Detta:  diametro  0,27,  tecnica  come  sopra.  Interno:  un 
giovane  ignudo,  che  impugna  con  la  sinistra  una  tazza,  davanti  ad 
una  giovane  ammantata  che  tiene  nella  destra  una  Corona.  Esterno  : 
due  figiire  ammantate  l'una  dirimpetto  all'  altra. 

10)  Detta :  diametro  e  tecnica  come  sopra.  Eappresentanze 
sconosciute  per  essere  state  distrutte  dall'umiditä. 

Oltre  alle  patere  erano  pure  appese  due  brocche  di  bronzo 
ossidato,  a  becco  limgo,  con  entro  piccoli  bicchieri  di  bronzo  (cou 
manico)  e  in  mezzo   alle    suddette  una  catiuella  liscia  di  bronzo. 

Sul  pavimento  erano  disposti  alcuni  vasi  di  terra  di  svariate 
forme  e  dimensioni  e,  fra  gli  altri,  due  in  forma  di  campana. 
L'uno  dell'altezza  di  m.  0,26  (simile  a  FurtAvängler  tav.  IV  n.  48) 
a  figure  nere  dipinte  trasciuatamente  in  fondo  rosso,  ha  da  una 
parte  tre  giovani  clamidati  che  discorrono ,  dall'  altra  due  giovani 
clamidati  ed  una  giovane  ammantata  parimenti  in  atto  di  discor- 
rere.  Questo  vaso  e  un  cattivo  prodotto  di  fabbrica  italica,  il  quäle 
prova  che  l'imitazione  delle  stoviglie  attiche  a  figure  nere,  in  certe 
parti  deU'Italia,  ha  durato  piii  lungo  tempo  che  generabuente  si 
suppone.  L'altro  esemplare,  dell'  altezza  di  m.  0,28,  ha  una  forma 
simile,  ma  consiste  di  argilla  grezza  rossastra.  Entrambi  questi 
vasi  erano  pieni  di  minute  ossa,  parte  bianche  e  parte  nere,  come 
se  fossero  state  carbonizzate. 

Tolte  le  tegole  che  erano  incassate  nellc  quattro  banchine,  non 
apparve  traccia  di  scheletri,  mentre  vi  si  rinvennero  parecchi  vasi. 


VENUTE    ALLA    IJJCE    IN    CIVITA    CASTELLANA    ECC.  31 

Nel  loculo  0  banchina  a  sinistra  esisteva  im  vaso  alto  m.  0,295 
(simile  a  Fiu'twängler,  tav.  IV  n.  40,  ma  col  coUo  piü  stretto  c 
snello)  a  diie  maniclii  orizzontali  obbliqiii,  di  tecnica  simile  ai 
u.  1,  2.  Qiiesto  iittile  ha  da  im  lato  ima  figiira  ignuda  coii  la 
strigile  nella  destra  e  ima  lekythos  nella  sinistra,  dall'  altro  ima 
figura  ammantata. 

Eravi  eziandio  im'  anfora  in  forma  di  campana  ( simile  a 
Fiirtwängler  tav.  IV  n,  48  ma  priva  di  piedistallo);  tecnica  come 
ai  n.  1,  2,  con  due  tigm-e  raggruppate  attorno  ad  im  bacino.  La 
figura  a  mauca  sostiene  con  la  destra  ima  corona  e  con  la  sinistra 
alzata  iino  specchio.  La  rappresentanza  nella  parte  opposta  non  e 
i'iconoscibile. 

In  mezzo  alla  banchina  esisteva  un  pezzo  rozzamente  tagliato 
di  j)ietra  viücanica,  e  due  cosi  detti  pesi  da  telaio,  larghezza  mas- 
sima  m.  0,11,  altezza  0,15,  profonditä  0,07,  del  peso  di  chilo- 
grammi  due. 

Nella  banchina  a  destra  si  rinvennero  molti  vasi,  fra  i  quali 
i  seguenti:  Una  brocca  con  becco  limgo,  alta  m.  0,20  (simile  a 
Fm-twängler  tav.  IV  n.  63)  con  pittura  rossa  imposta  a  fondo 
nero:  figura  ammantata  tra  foglie  di  iilivo.  Un  vaso  con  civetta 
identico  ai  giä  descritti  n.  1,  2.  Diverse  stoviglie  e  una  coppa,  alta 
m.  0,20,  con  una  figura  ammantata  di  profilo  circondata  da  rabeschi. 
Le  figure  sono  in  colore  argilla  sopra  fondo  nero  ;  fabbrica  italica. 

Incoraggiato  dal  felice  risultato,  il  proprietario  sig.  Crescenzi 
fece  praticare  dei  tasti  nelle  pareti  della  cella  mortuaria,  mediante 
una  sonda  da  minatore,  e,  alla  profonditä  di  due  metri  circa,  la 
sonda  stessa  penet:ö  in  cavitä.  Atterrato  il  muro  divisorio,  ossia 
praticata  una  galleria  di  comunicazione,  si  penetrö  in  altro  sepolcro 
in  tutto  simile  al  primo,  cioe  con  la  volta  piatta  e  con  nove  ban- 
chine  perfettamente  intatte,  delle  quali  cinque  esposte  a  mezzodi 
e  tre  perpendicolari  alle  prime,  oltre  im  piccolo  loculetto  in  un 
angolo. 

In  questo  secondo  sepolcro,  oltre  a  numerosi  vasi  trovati  nelle 
banchine,  simili  per  tecnica  e  rappresentanza  ai  giä  descritti,  si 
rinvennero  per  terra  due  cottabi  di  bronzo,  l'uno  dei  quali  munito 
di  Manes  ed  accompagnato  dalla  nXcianyi^,  sopra  i  quali  monu- 
menti  non  entrerö  in  discorso,  giacche  la  S.  V.  li  pubblicherä  in 
una  tavola  aggiunta  a  questo  Bullettino. 


32  DELLE    ANTICHITA   FALISCHE 

Appese  alla  volta  davanti  ai  tegoloni  si  rinvennero  pure  iina 
brocca  di  bronzo  con  venire  ampio,  bocca  tonda  e  manico  inchio- 
dato,  e  im  vaso  forma  kcmtharos^  con  ornati  neri  sn  fondo  giallo,  e, 
piantata  nella  parete,  una  patera  di  bronzo  con  due  manichi  di 
brocca  infilati  nel  suo  manico  istesso. 

Nel  lociüetto  del  quäle  ho  parlato,  si  rinvenne  una  piccola 
coppa  di  argilla,  fatta  col  tornio,  se  non  con  un  surrogato  primi- 
tive del  tornio  istesso,  di  colore  uero  alla  superficie,  con  un  X 
graffito  dopo  la  cottm'a  su  la  parete  esterna,  con  entrovi  alcune 
sfoglie  di  metallo  ossidato  e  un  piccolo  cippo  di  silice  rozzamente 
lavorato. 

Le  camere  sepolcrali  messe  in  luce  dal  sig.  Crescenzi  sono 
nove  e  pressoclie  tutte  della  stessa  forma  e  dimensione  ed  egualmente 
inviolate.  In  alcune  di  esse  si  rinvennero  perö  degli  scheletri  assieme 
a  residui  di  casse  di  legno  foderate  di  lamine  di  bronzo,  ma  il  legno  era 
talmente  consunto,  e  le  lamine  per  modo  ossidate,  che  riducevansi 
poco  meno  che  in  polvere  al  solo  contatto.  La  maggior  parte  delle 
tombe  era  invasa  da  una  fitta  melma  penetrata  nel  sepolcreto, 
per  filtrazione,  dal  terreno  di  trasporto  soprastante  alle  apertm^e. 
Avendo  esportato  un  piccolo  blocco  di  quella  melma  essiccata  al 
sole,  vi  ho  potuto  scorgere  gli  strati  delle  filtrazioni  e  dei  succes- 
sivi  disseccamenti,  essendo  probabile  che  l'acqua  melmosa  entrasse 
nel  sepolcro  durante  l'autunno  all'epoca  delle  piogge  e  poscia  len- 
tamente  si  evaporasse  nella  stagione  estiva. 

Evidentemente  gli  oggetti  rinvenuti,  dei  quali  do,  in  fine,  par- 
ticolareggiata  descrizione,  appartengono  a  diverse  epoche.  I  vasi 
di  terra  cotta  ripieui  di  miuute  ossa  rinvenuti  nei  loculi  accanto 
agli  scheletri,  provano  che  quei  sepolcri  accolsero  i  cadaveri  di 
parecchie  generazioni. 

Molti  oggetti  di  bronzo,  molti  fittili,  alcune  selci,  parecchi  pezzi 
di  aes  rüde,  paste  vitree,  pietre  dure,  oro,  argento,  si  rinvennero 
nella  necropoli  corchianese,  ma  pochissimi  oggetti  di  ferro,  nessuna 
moneta  stampata,  non  un  lume,  ne  fittile  ne  in  metallo  e  nessuna 
traccia  di  candelabri ,  cosi  frequenti  nelle  necropoli  latine  ed 
etrusche. 

Non  si  rinvennero  neppure  iscrizioni,  ma  soltanto  alcuni  segni 
graffiti  nelle  stoviglie. 

Dappoiche  le    monete    coniate    cominciarono    ad    aver   corso 


VENUTE    ALLA    LUCE    IN    CIVITA    CASTELLANA    ECC.  33 

in  Italia  all'epoca  dei  Decemviri  a  Koma,  siccome  l'illustre  Momm- 
seu  {Gesch.  d.  röm.  Münsiüesens  p.  174  ss.)  ha  luminosamente 
dimostrato,  sarebbe  natiu-ale  la  siipposizione  che  le  tombe  cor- 
chianesi,  nelle  qiiali  nou  si  rinvengono  monete  stampate  e  si  trovano 
invece  molti  aes  rüde,  dovessero  rimontare  ad  im'epoca  anteriore, 
se  il  fatto  giä  accertato  che  gli  aes  rüde  continuarono  a  deposi- 
tarsi  nelle  tombe  anche  qualche  tempo  depo  la  generalizzazione 
dal  conio,  e  se  il  carattere  dei  vasi  rinveniiti  non  tendessero  a 
mettere  in  diibbio  la  maggiore  antichitä  delle  tombe  istesse. 

Eccole  intanto  l'elenco  degli  oggetti  rinveniiti  con  le  princi- 
pali  osservazioni  ad  essi  relative ,  divisi  in  categorie  secondo  la 
materia  della  quäle  sono  composti : 

Oro  ed  argento. 

1.  Un  paio  d'orecchini  d'  oro  con  fascia  centrale  ornata  nella 
parte  siiperiore  da  sette  piccoli  rosoni  contomati  alla  loro  volta 
da  im  triplice  giro  di  palline,  e  nella  parte  inferiore  da  sette  glo- 
betti  in  rilievo  con  tre  palline  sottoposte  per  ciasciino.  II  tipo  e 
simile  a  quello  pubblicato  p.  e.  nel  3Iiiseo  gregoriam  1. 1.  LXXIII  b. 
Questi  orecchini  vennero  rinveniiti  fra  la  melma  estratta  dai  se- 
polcri. 

II  sindaco  di  Corchiano  sig.  Foglia,  che  esplorö  esso  pure 
alcuni  sepolcri  sitiiati  in  contiuuazione  della  proprietä  Crescenzi, 
trovö  un'altro  paio  di  pendenti,  perö  di  stnittiira  alquanto  di- 
versa. 

2.  Anello  semplice  d'oro  in  forma  di  staifa. 

3.  Anello  rozzo  d' argento,  cilindiico,  simile  ad  im  anello  da 
tenda. 

4.  Piccolo  cerchietto  d'oro  a  tortiglioue. 

5.  Anello  di  argento  coperto  di  ima  foglia  d'oro. 

Pietre  dure. 

6.  Scarabeo  di  onice  nera,  con  vena  e  cerchi  bianchi,  liingo 
0,015  alla  base,  rappresentante  im  giovine  ignudo  intento  a  ripii- 
lirsi  con  uno  strigile  la  hinga  chioma  sopra  un  bacino. 

7.  Altro  scarabeo  di  onice  rossa,  limgo    0,013.  Vi  e  rappre- 

3 


34  DELLE    ANTICHITÄ    FALISCHE 

sentato  a  globolo  tondo  un  quadrupede  (coniglio  o  capriiiolo)  nel- 
l'atto  di  alzar  la  gamba  sinistra  davanti  verso  il  muso. 

8.  Altro  piccolo  scarabeo  di  onice  color  rosso,  limgo  0,01,  con 
rappresentanza  di  un  giieniero  ignndo  con  celata,  che  impiigna 
uno  sciido. 

9.  Altro  scarabeo  di  onice  color  rosso,  lungo  0,01,  nel  qnale  e 
effigiato  un  cavallo  rovesciato  in  atto  di  distendeusi  e  tirar  calci. 

Rame  e  bronso. 

10.  Trentacinque  pezzi  di  aes  rüde. 

11.  Due  pezzi  di  sandali  tirrenici  con  doppie  lamine  in  bronzo 
sorrette  da  perni   inchiodati,  che  racchiudono  uno  strato  di  legno 

alto  0,029. 

12.  Tre  fibiüe  di  bronzo:  una  ad  arco  serpeggiante,  le  altre  ad 

arco  semplice. 

13.  Due  aste  e  due  piedi  in  forma  di  zampa  leonina,  che  ap- 
partenevano  probabilmente  ad  un  cottabo,  e  due  manichi  di  brocca. 

14.  Due  anelli  di  bronzo  e  un  chiodo  di  bronzo  con  testa  piatta 
forata. 

15.  Kottabos.  V.  p.  31. 

16.  Altro  Kottabos  come  sopra. 

17.  Due  brocche  di  bronzo;  V.  p.  30. 

18.  Piccola  brocca  e  catino,  entrambe  profondamente  ossidate. 

19.  Patera  di  bronzo,  con  manico  liscio  avente  all'  estremitä 
un  occhio,  con  semplici  ornati. 

Seid. 

20.  Sette  piccoli  cippi  mortuari  di  diverse  dimensioni,  rinve- 
nuti  nei  loculi  assieme  ad  altri   quattro    cippi  di  terra  cotta   giä 

descritti. 

Vetri,  smcdti  e  collane. 

21.  Quarantacinque  chicchi  da  collana,  d'argilla  nera  e  naturale, 
in  parte  scannellati :  trovati  fra  la  terra  e  la  melma. 

22.  Cinque  diverse  qualitä  di  chicchi  da  collana,  di  smalto, 
alcuno  dei  quali  a  fondo  turchino  con  ornato  serpeggiante  bianco. 


VENUTE    ALLA    LUCE    IN    CIVITA    CASTELLANA   ECC.  35 

23.  Tre  dischetti  di  collana  in  smalto  bianco  con  palle  tiir- 
chiüe. 

Fittili. 

Oltre  ai  vasi  giä  descritti  ne  vennero  in  liice  molti  altri,  che 
io,  per  cliiarezza,  dividerö  in  tre  categorie,  cioe :  la  prima  di  stoviglie 
greche ,  la  seconda  di  stoviglie  italiche ,  e  la  terza  di  stoviglie 
campane. 

Stoviglie  greche. 

1.  Orcioletto  snello,  dell'altezza  di  m.  0,145,  attico,  a  figure 
nere,  di  stile  scomposto,  rappresentanti  Bacco  a  cavallo  tra  diie 
Satiri  che  ballano.  Qiiesto  vaso  venne  trovato  in  im  piccolo  loculo 
assieme  ad  ima  coppa  con  manico  verticale  di  terra  bigia  e  di 
microscopiche  proporzioni. 

2.  Balsamario  snello  dell'  altezza  di  m.  0,12  con  ornati  neri 
ad  intreccio,  probabilmente  di  fabbrica  greca. 


Stoviglie  italiche. 

3.  Sei  vasi  grezzi  di  diversa  altezza,  in  forma  di  m'na  e  con 
coperchio.  Nel  piü  alto  di  essi,  che  misnra  m.  0,24,  si  rinven- 
nero  ossa  conibuste. 

4.  Cinerario  dell'altezza  di  0,40,  in  forma  di  anfora  con  largo 
coUo  e  base  piatta.  E  verniciato  color  rossastro  e  va  mimito  di 
due  manichi.  Anche  questo  vaso  conteneva  residui  di  ossa. 

5.  Tre  vasi  con  manico ,  contenenti  ossa  umane  ,  con  decora- 
zione  identica  a  quella  del  vaso  giä  descritto  a  pag.  31.  In  uno 
di  essi  perö  la  figm-a  apparisce  vestita  di  una  toga  di  particolare 
foggia. 

6.  Bicchiere  a  diie  manichi  con  vernice  nera-verdastra.  La 
parte  superiore  del  recipiente  e  decorata  con  fogliami  e  con  iina 
piccola  figura  ammantata  posta  tra  gli  ornati. 

7.  Diversi  vasi  di  variate  forme  e  diraensioni,  con  riprodu- 
zione  della  suddetta  figiira. 

8.  Guttus  in  forma  di  cerchio ,  del  diametro  di  0,28,  con 
falle  eretto   e    tesiicoli  e    due  buchi   per  infondere  il  liquido.    II 


36  DELLE    ANTICHITA    FALLSCHE    ECC. 

cerchio  e  decorato  con  una  ghirlanda  di  edera  riportata  in  bianco 
SU  fondo  nei'O  (^). 

9.  CFn  filtro  di  terra  grezza. 

10.  Molti  gittti   parte   d'argilla  grezza  e  parte  verniciati  in 
nero. 

11.  Vaso  a  diie  manichi  orizzontali  (Fui'twänglertav.  VI  n.  213) 
con  figure  ammantate  in  colori  sovrapposti  al  nero,  che  sono  spariti. 

12.  Piccola  anfora  simile,  con  diie  figure  ammantate  dipinte 
con  colore  rosso  sovrapposto. 

13.  Diverse  piccole  patere,  ognuna  con  una  testa  di  donua 
(di  profllo)  rossa  in  fondo  nero,  di  cattiva  fabbrica  italica. 

14.  Tazza,  sopra  la  quäle  e  rozzaraente  dipinto  un  Tritone  di 
colore  rosso-chiaro  e  bianco  sovrapposto  al  nero. 

Stoviglie  camiiane. 

Due  orciuoli  a  bocca  tonda  e  con  fondo  nero  ornato  di  ra- 
bescM  bianchi. 

Le  ho  accennati,  chiarissimo  signor  professore,  i  principali 
fittili  rinvenuti ,  che  ammontano  a  parecchie  centinaia,  ne  mi  di- 
lungo  a  parlare  degli  altri  molti,  perche  mi  offriranno  abbon- 
dante  materia  di  descrizione  le  preziosissime  antichitä  venute  alla 
luce  in  altri  sepolcri  corchianesi,  e  tali  da  superare  per  la  raritä 
e  il  pregio  quelli  che  ho  teste  con  le  mie  deboli  forze   illustrati. 

(1)  Questo  vaso  appartionc  ad  una  simile  categoria  con  quelle  pubblicato 
Phüologus  XVII  (18G1)  p.  5G5. 


SOPEA  UNA  FIBULA  D'ORO 
TROVATA  PRESSO  PALESTRINA 


Un  mio  amico  mi  moströ  recentemente  una  fibiila  d'oro  acqui- 
stata  da  liii  neiranno  1871  a  Palestrina  e  mimita  siil  canale  d'una 
iscrizione  latina  grafflta.  Tale  fibiüa,  riprodotta  in  zincografia,  siiUa 
pag.  40  e  inserita  nel  nostro  testo.  Essa  appartiene  alla  classe  gene- 
ralmente  chiamata  «  ad  arco  serpeggiante  « .  L'arco  ha  in  ogni  lato 
tre  corti  bastoncini  trasversali.  Le  due  coppie  di  bastonciui  che  si 
trovano  piü  vicine  al  canale  sono  solide,  mentre  la  terza,  qiiella  cioe 
piü  discosta  dal  canale,  consiste  di  bastoncini  perforati.  Non  ardisco 
decidere,  se  le  aperture  di  qiiest' Ultimi  anticamente  siano  state  chiiise 
con  qualche  ornato  in  ambra  o  in  ismalto,  o  se  il  foro  abbia  servito 
per  passarvi  im  filo  che  fissava  la  fibiüa  sulla  veste. 

Benche  non  si  sappia,  in  quäle  tomba  sia  stata  rinvenuta  questa 
fibula,  uondimeno  possiamo  stabilire  lo  strato  donde  proviene.  Si- 
mili  fibule  d'oro  finora  si  sono  trovate  soltanto  in  sepolcri,  il  con- 
tenuto  dei  quali  si  raffronta  con  quello  della  tomba  ceretana  sco- 
perta  dai  signori  Regulini  e  Galassi  ('),  sepolcri  che  con  perfetta 
sicm-ezza  possono  attribiiirsi  al  VI  secolo  a.  Cr.  (-).  Mi  limiterö  a 
citare  soltanto  alcuni  esemplari,  la  cui  provenienza  dall'anzidetto 
strato  e  testificata  in  maniera  indubitabile. 

Nell'anno  1855  il  sig.  Principe  Barberini  fece  scavare  sotto 
Palestrina  un  gruppo  di  tombe  appartenenti  al  medesimo  strato  {^). 

(0  Grifi  Monimenti  di  Cere  antica,  Roma  1841 ;  Museo  gregoriano  I 
t.  XI,  XV-XX,  LXII-LXVII,  LXXV-LXXVII,  LXXXII-LXXXV. 

(2)  Heibig  das  homerische  Epos  aus  den  Denkmälern  erläutert  2.  ed. 
p.  91-93.  * 

(3)  Mon.  Ann.  Bull.  delVInst.  1885  p.  XLV-XLVII.  Archaeologia  41  I 
(London  1867)  pl.  V  1,  2 ;  pl.  VI  1 ;  pl.  VII-XIII  p.  199-206.  Mon.  deivkst.  VIII 
t.  XXVI,  Ann.  1866  tav.  d'agg.  G  H  p.  186-189. 


38  SOPRA    UNA    FIBULA    d'oRO 

Gli  oggetti  rinveniiti  iu  questo  scavo  ora  sono  esposti  nella  biblio- 
teca  Barberiniana.  Notai  tra  essi  tre  fibule  d'oro,  le  quali  mostrano 
il  medesimo  tipo  deH'eseinplare  trovato  nell'anno  1871  e  ne  diver- 
sificano  soltanto  in  cose  accessorie.  In  una  cioe  mancano  i  bastou- 
cini  trasversali  e  la  parte  davanti  all'arco  e  ornata  di  qnattro  figurine 
di  piccioni  imposte,  mentre  nelle  altre  due  i  bastoucini  appariscono 
incurvati  ed  all'estremitä  mnniti  di  bottoni. 

Fra  i  sepolcri  appartenenti  allo  strato  in  discorso  si  distingiie 
per  la  ricchezza  del  contemito  una  grande  tomba  preuestina  sco- 
perta  uell'anno  1876  dai  signori  Bernardini  (').  Essa  ci  diede  una 
fibula  d'oro  di  tipo  quasi  identico  all'esemplare  riprodotto  nella 
nostra  zincografia  (-). 

Lo  stesso  deve  dirsi  d'una  fibula  d'oro  pallido  rinvenuta  in 
una  delle  piii  anticlie  tombe  a  camera  cliiusine  che  ?onosciamo  (3), 
il  quäle  esemplare  diversifica  dal  nostro  soltanto  in  ciö,  che  l'arco 
ed  il  canale  sono  decorati  con  un  ricco  ornato  a  grauaglia. 

Alla  fine  faccio  ancora  menzione  d'una  fibula  analoga  d'oro 
trovata  anche  essa  presso  Chiusi  ('^).  E  vero  che  le  circostanze  del 
ritrovamento  sono  sconosciute,  ma  gli  ornati  a  granaglia  che  cuoprono 
l'arco  ed  il  canale  corrispondono  tanto  esattamente  coUa  decora- 
zione  d'oggetti  d'oreficeria  riuvenuti  nella  tomba  ceretana  Kegulini- 
Galassi  ed  in  sepolcri  di  contenuto  simile,  che  questa  fibula  deve 
attribuirsi  al  medesimo  stadio.  Si  raffronta  coli' esemplare  da  noi 
pubblicato  in  ciö,  che  il  canale  e  munito  di  un'epigrafe  riferibile 
al  possessore,  epigrafe  la  quäle,  in  corrispondenza  con  la  regione 
donde  proviene  la  fibula,  non  e  latina  ma  etrusca. 

Dall'altro  canto  non  si  e  mai  verificato  il  caso  che  un  simile 
esemplare  sia  stato  trovato  in  una  tomba  la  quäle  contenesse  vasi  at- 
tici  a  figm-e  nere  o  rosse  o  altri  oggetti  accenuanti  alla  fine  del  VI  o 
al  V  secolo  a.  Cr.  Essendo  cosi  sembra  certo  che  la  fibula  preue- 
stina risalga  al  VI  secolo  a.  Cr.  e  che  1' epigrafe  latina  graßita  sopra 
di  essa  sia  la  piü  antica  tra  tutte  quelle  a  noi  note.  Tale  fatto 
e  importante  per  diversi  riguardi. 

(1)  Jfon.  deirinst.  X  t.  XXXI-XXXIH,  Ann.  187G  p.  248-254;  3fon.  XI 
t.  II,  Ann.  1879  tav.  d'agg.  C  p.  5-18. 

(2)  Mon.  cleirinst.  X  t.  XXXI^  7. 

(3)  Mon.  deWInst.X  t.  XXXIX»  7.  Gl  Ann.  1877  p.  405. 
(*)  Mon.  Ann.  dclVInst.  1855  t.  X  p.  52. 


TROVATA    PRESSO    PALESTRINA  39 

Fra  gli  oggetti  di  metallo  trovati  in  tombe  etrusche  ed  ita- 
liclie  di  epoca  cosi  antica  e  molto  difficile  distingiiere,  quali  siano 
importati,  qiiali  lavorati  iieU'Italia.  Come  si  vedi'ä  nellarticolo  sus- 
segueute,  riscrizione  graffita  sopra  la  fibula  prenestina  nomina  \m 
fabbricaute  latino.  ßisulta  diinqiie  che  quest'esemplare  e  lavorato 
uel  Lazio. 

Oltre  a  ciö  deve  tenersi  conto  di  tale  fibula  nella  questione, 
se  il  trattato  commerciale  tra  Romani  e  Cartasfinesi  attribiiito  da  Po- 
libio  airanno  509  a.  Cr.  appartenga  infatti  a  quest'anno  o  ad  epoca 
posteriore.  Parecclii  dotti  hanno  dubitato  della  data  indicata  dallo 
storico  greco,  e  tra  altre  ragioni  hanno  fatto  valere  anche  questa, 
essere  impossibile  di  siipporre  che  la  scrittiira  in  quell' epoca  sia 
stata  abbastanza  conosciiita  ai  Eomani  per  poter  stendere  un  con- 
tratto  tauto  circostanziato.  Qiiest'obbiezione  e  confiitata  dalla  fibula 
prenestina,  la  cui  iscrizione  prova  che  durante  il  VI  secolo  la  scrit- 
tura  era  giä  usata  nella  vita  priyata  dei  Prenestini.  E  non  sembra 
casuale  che  nelle  tombe  etrusche  ed  italiche,  le  quali  contengono 
fibule  del  tipo  in  discorso,  abbondano  prodotti  fabbricati  da  Fenicii 
Orientali  od  occidentali  {^). 

Ma  r  Interesse  maggiore  e  offerto  dalle  particolaritä  linguistiche 
ed  alfabetiche  di  quell" iscrizione,  sopra  la  quäle  lascio  la  parola 
al  sig.  Dümmler  che  la  lesse  e  l'interpetrö  giustamente. 

W.  Helbig 


(1)  Helbig  1.  c.  p.  30-31,  p.  91-93. 


ISCRIZIONE    DELLA  FIBULA  PRENESTINA 


L'iscrizione  dice:  Manios:  med:  fhe-  fhaked:  Nmiasioi. 

Cioe :  «  Manios  mi  lia  fatto  per  Numasios  « .  Nella  parola  Fhe  : 

Fhaked  tra  1'  h  e  \a  era  ancora  incisa  im'asta  verticale,  che  in  grau 

parte  e  stata    cancellata    dallo    scrittore  stesso.    Se    confrontiamo 

auzitutto  r  alfabeto  della  nostra  iscrizione  con  quella  del  vaso  di 

Diienos,  la  piü  antica  che  fin  qiii  si  conoscesse,  scoperta  ed  illustrata 

dal  Dressel  {Ann.  d.  List.  1880   p.  158  segg.  tav.  d'agg.  L)  ('), 

la  nostra  ci  mostra  un  carattere   considerevolinente   piü   arcaico. 

Veramente  la  forma   delle   lettere  e  appena    diversa,    perö  ci  si 

scorgono  ancora  certe  differenze  nel  modo  come  i  segni  s'adoperano 

per  esprimere  i  suoni ,  le  quali   gettano  nuova  luce   siüla    storia 

degli  alfabeti  italici  in  generale.    L'  opinione  sinora   accettata ,  e 

di  cui  il  Mommsen  {^)  e  l'autore,  e  compendiata  da  A.  Kirchhoff 

Studien  zur  Geschichte  des  griechischeii  Alphabets  ^  p.  115:  «  Gli 

«  alfabeti   italici  si  diyidono  in  diie  griippi ,  che  chiaramente  si 

«  distinguono  fra  loro ,  e  di  cui  il  primo,  al  quäle  apparteugono 

«  l'etrusco,  l'umhro  e  l'osco,  e  caratterizzato  dal  segno  8,  comune 

«  a  tutti  questi  alfabeti,  inventato  espressamente,  rigettando  il  greco 


(1)  La  letteratura  sopra  questa  iscrizione   si  trova  presso  Pauli  Altit. 
Stud.  I  p.  3  segg. 

(2)  UiiteriKd.  Dialekte  p.  3.  segg. 


ISCRIZIONE   DELLA   FIBULA   PRENESTINA  41 

«  0  per  indicare  il  suono  dell'/",  ed  aggiimto  ai  segni  accettati 
«  dell'alfabeto  gi-eco.  L'  altro  gruppo,  composto  del  latino  e  del 
«  falisco  non  conosce  questo  segno,  ma,  rigettando  egiialmente  il 
«  greco  0,  adopera  per  indicare  il  suono  /,  il  segno  del  vcm^  ed 
«  in  seguito  a  ciö  ha  perduto  la  possibilitä,  rimasta  agli  alfabeti 
«  del  primo  gruppo ,  di  distinguere  u  consonante  ed  ii  vocale ;  il 
«  segno  della  vocale  v  deve  servire  ad  indicare  ambediie  •» . 

Quest'opinione  viene  modificata  dalla  nostra  iscrizione.  Usando 
essa  il  segno  composto  FB  per  indicare  il  semplice  suono  /",  dob- 
biamo  supporre,  che  nel  latino  antichissimo  il  semplice  segno  F 
conservasse  il  valore  del  greco  vaa.  Ammettendo  F  B  come  la 
forma  originaria  italica,  si  spiega  anche  il  nuovo  segno  dell' altro 
gruppo,  8  S,  come  differenziato  dalla  seconda  parte  del  segno  com- 
posto, come  aveva  gia  sospettato  Deecke  (^).  Si  puö  fare  ancora 
la  domanda,  se  il  falisco  il  piü  arcaico,  nel  segnare  1'  /  ed  il  vau 
non  abbia  coinciso  con  l'alfabeto  euganeo  (-) ,  giacche  e  difficile 
l'immaginare  perche  ^  venisse  differenziato  da  F,  se  F  non  era 
rimasto  in  uso.  Grli  alfabeti  italici  verrebbero  perciö  divisi  in  tre 
gruppi,  secondo  il  modo  come  rimpiazzarono  non  giä  il  rifiutato  segno 
calcidico  (t),  ma  il  segno  composto  F  B  per  f.  Quäle  sia  stato  il 
motivo  per  non  accettare  il  segno  (t),  e  difficile  il  dirlo;  si  potrebbe 
spiegare  con  ciö,  che  nelle  lingue  italiche  foueticamente  nessun 
suono  esattamente  gli  corrispondeva.  Ma  non  e  neanche  impossi- 
bile  che  l'alfabeto  calcidese,  quando  venne  assunto  dagli  Italici , 
non  conoscesse  ancora  il  segno  (J),  ma  similmente,  come  le  piu  an- 
tiche  iscrizioni  di  Greta ,  Melo  e  Tera  usasse  per  il  suono  /  un 
segno  composto;  F  B  starebbe  allora  a  P  B  come  B  $  dell'alfabeto 
di  Nasso  a  K  M  del  cretese. 

La  forma  del  W  a  cinque  aste  non  deve  far  meraviglia,  come 
neanche  1'  uso  ancora  conservato  del  K.  Tanto  1'  uno  che  1'  altro 
appariscono  ancora  sull'  iscrizione  di  Buenos,  il  cui  carattere  per- 
fettamente  latino  a  torto  fu  messo  in  dubbio  dal  Jordan  nell'  Hermes 
XVI  (1881)  p.  225.  Ne  viene  di  conseguenza  che  C  aveva  allora 
il  valore  del  suono  g. 


{})  Baumeister  Denkmäler  des  Mass.  Altertums  I  p.  54. 
(2)  Cf.  Moninisen   Mitheil,   der   antiquar.  Gesellschaft   in  Zürich  "VII 
199  scgg.  Doecke  1.  c.  p.  5.3  e  54. 


42  ISCRIZIONE    DELLA   FIBULA    PRENESTINA 

Altrettanto  antica  qiianto  la  scrittura  e  anclie  la  lingua  del- 
riscrizione.  La  rediiplicazione  del  perfetto  di  facio  era  nota  sinora 
solo  nell'osco  per  la  tayola  bantina  10,  11  e  17.  II  triplice  piinto 
tra  la  rediiplicazione  e  la  radice  indica  che  non  s'era  ancora  per- 
diito  del  tiitto  il  seutimento  dell'  essere  qiiella  in  origine  un  ele- 
mento  separato.  L'  allungamento  della  sillaba  radicale  subentrö 
soltanto  dopo  che  era  perduta  la  reduplicazione  e  precisamente  nel 
tempo  trascorso  tra  la  nostra  iscrizione  e  quella  di  Diieuos.  —  L'am- 
mollimento  del  suono  t  finale  la  nostra  iscrizione  1'  ha  comune  con 
quella  di  Diienos,  con  la  cista  Ficoroni  e  con  l'osco  (cf.  Bücheier 
Rhein.  Museum  XXXVI  (1881)  p.  242).  —  L'  i  del  dativo  sin- 
golare  della  declinazione  in  o  era  nota  finora  solo  da  Mario  Vit- 
torino  p.  2458,  il  quäle  si  riferisce  ad  antichi  documenti  di  trat- 
tati  e  leggi.  —  La  5  nel  mezzo  del  nome  non  deve  sorprenderci, 
essendo  un  fatto  bene  accertato  la  sanzione  data  in  epoca  relati- 
vamente  tarda  dal  censore  Appio  Claudio  al  rotacismo  che  sorgeva 
in  Roma  (Cic.  ad  familiäres  IX  21,  Pomponio  Big.  l,  2,  2,  36). 
E  vero  che  Jordan,  Kritische  Beiträge  zur  Geschichte  der  La- 
teinschen  Sprache  p.  104  segg.  cerca  di  toglier  di  mezzo  queste 
testimonianze  per  il  mutamento  dei  suoni  in  Roma;  ma  ciö  dipende 
dalla  sua  tendenza  di  stabilire  una  certa  diversitä  tra  il  latiuo  il 
piü  arcaico  ed  i  dialetti  affini,  tendenza  alla  quäle  non  possiamo 
associarci.  Le  prove  per  la  forma  del  nome  Numisius  v.  in  Jordan 
1.  c.  p.  III.  Da  Nwmeriiis  non  si  puö  separare  Nitmasios. 

Se  in  Festo  p.  170  (cf.  de  praenomirie  c.  6.)  e  detto,  che  il 
nome  Nmnerius  non  s'incontrava  in  alcima  famiglia  patrizia  prima 
che  Q.  Fabio  sposando  la  figlia  di  un  ricco  Maleventano  N.  Ota- 
cilio,  si  obbligasse  a  dare  al  suo  figlio  il  nome  del  nonno  matemo, 
non  posso  da  ciö  trarre  col  Mommseu  (')  la  conclusione  generale, 
che  questo  sia  venuto  a  Roma  dagli  Irpini.  Plebei  romani  pote- 
vano  servirsene  anche  prima  ;  e  quanto  a  quel  racconto  della  sua 
introduzione  nella  famiglia  dei  Fabii,  non  posso  sopprimere  il  so- 
spetto  che  esso  dipenda  da  una  falsa  o  maligna  etimologia ,  la 
quäle  lo  riferiva  ai  niimmi^  che  Q.  Fabio  acquistö  col  matrimonio. 
Festo  non  dice  punto,  che  gl' Irpini  Otacilii  fossero  una  famiglia 
nobile;  anzi  le  sue  parole  indiictus  magnitudine  divitiariirii  fanno 

(1)  Römische  Forschungen  I  p.  10. 


ISCRIZIONE    DELLA   FIBULA   PRENESTINA  43 

piiittosto  siipporre  il  contrario.  A  Roma  certo  gli  Otacilii  erano 
plebei. 

Uu  ricco  plebeo  sarä  stato  anche  quel  Namasios,  ciii  appar- 
teneva  la  uostra  fibiila.  II  costiime  di  servirsi  di  im  solo  nome  — 
almeno  nei  documenti  privati  —  lo  riscontriamo  qiii  per  la  prima 
volta.  A  ragione  il  Mommseu  1.  c.  p.  5  rigetta  alle  ■  concliisioui , 
che  Varrone  {de  praeii.  in.)  trae  dai  nomi  della  leggenda  di  Ro- 
molo.  Dall'iscrizione  della  fibula  natm-almente  non  consegue  ,  che 
all'epoca  istessa  non  fossero  usati  in  documenti  iifficiali  diie  nomi 
nelle  famiglie  nobili,  o  pertino  fra  i  plebei,  e  nemmeuo  che  allora 
venissero  scritti  per  intero  tutti  i  prenomi.  üsandosi  im  solo  pre- 
nome,  e  natm-ale,  che  non  viene  abbreviato. 

La  nostra  iscrizione  e  difficilmente  nn  atto  di  donazione,  ma 
insieme  ima  raccomaudazione  dell'abile  orefice  ed  ima  assicurazione 
del  possessore  contro  i  ladri. 

GIUNTA 

Ho  dato  qui  sopra  press'  a  poco  ciö  che  pronunciai  neH'adu- 
nanza  del  7  genuaio.  Finita  la  stampa  venni  a  conoscere  le  relative 
osservazioni  del  Deecke  Wochemchr.  f.  klass.  Philol.  16  febr.  1887 
col.  220.  L'estratto  del  mio  discorso  ibid.  col.  121  (del  resto  non 
fatto  da  me)  a  bella  posta  ommette  ogni  citazione  di  letteratiira. 
non  volendo  altro  che  rendere  accessibile  1'  iscrizione  stessa.  Ora 
ognimo  Yede  che  io  conoscendo  l'ipotesi  del  Deecke,  era  ben  lon- 
tauo  dal  volermela  appropriare. 
Roma,  2  febbraio  1887. 

Ferdinand  Dümmler 


LE  FKECCE  AMOROSE  DI  EROS 


L'amore  considerato  come  una  freccia  scagliata  dalla  divinitä 
sugli  uomini,  si  trova  nella  poesia  greca,  per  quanto  si  puö  rico- 
noscere,  la  prima  volta  iu  Euripide  (i),  ed  e  sempre  Eros  che  ma- 
neggia  e  scaglia  le  frecce  d'amore  :  Cupido  senijjer  ardentis  acuens 
sagitias  cote  crueuta  1  Solo  una  volta  si  attribuisce  quel  fatto  ad 
Afrodite  nella  Medea  (Ol.  87, 1  =  432),  dove  il  coro  prega  (629) : 

liriTioT\  (o  däöTioiv'  in'  ijiol 

Per  lo  contrario  nel  secondo  IppoUto  (Ol.  87,  4  =  429)  Eros  (-) 
e  quello  che  scaglia  «  il  dardo  di  Afrodite «  (534  seg.),  ed  egual- 
mente  nell'  Ifigeriia  in  Aulide  (543  seg.) : 

t6^  '  svTSivsTai  Y^aQizMV , 

t6  S  '  inl  oTy/t'CTf/  ßioxctq  (3). 

Nessnna  meraviglia,  che  l'epoca  ellenistica  abbia  esteso  qiiest'im- 
magine!  Mosco  (II  18  seg.)  scherzaudo  descrive  il  piccolo  arco  e 
la  piccola  faretra  dalle  amare  frecce,  con  cui  cosi  spesso  ferisce; 

(1)  In  Eschilo  Prom.  649  Imero  non   e   ancora  personificato  :  lev?  yuQ 
iuEQOv  ßiXsi  yiQog  aov  riO^aXnrca  xiX. 

(2)  Eurip.  Medea  528  devesi  leggere:  "Epw?  a'i^t^dyxnae  növwv  ncpvxriav 
(vulg.  rö'^oig  u(pvxrotg)  roi\udf  ixacSaac  de /nag ;  dunque  qui  non  c'entra. 

(3)  Per  errore  Ateneo  p.  562  F  attribuisce  qucsti  versi  al  tragico  Che- 
rcmone. 


LE    FRECCE    AMOROSE    DI    EROS  45 

Apollonio  Kodio  (III  26  seg. ;  cf.  anclie  Uracont.  X  49  seg.),  pro- 
babilmente  imitando  un  modello  di  Callimaco  (0  ,  descrive  molto 
minutamente,  come  Afrodita  spinta  da  Hera  e  Atena  cerca  ed  ec- 
cita  il  figliiiolo  a  ferire  Giasone  e  Medea  con  frecce  amorose 
(v.  156  seg.),  come  Eros  poi  senz'esser  yediito  entra  in  fretta  nel 
palazzo  nella  Colchide  e  scaglia  la  siia  freccia  efficace  (v.  375  seg.). 
Bione  poi  da  al  dio  alato  l'epiteto  di  "ExaßoXog,  ricordando  l'ome- 
rico  Apollo,  che  colpisce  lontano  (e  cosi  pure  Nonno  Bion.  XVI  8). 

Ancor  piü  spesso  e  piü  generalmente  l'epoca  greco-romana  usa 
r  immagine  di  Eros  che  manda  con  la  freccia  l'amore  nel  euere 
deir  uomo.  Piii  caratteristico  di  tutti  e  il  passo  di  Ovidio  nelle 
Metamorfosi  I  466  seg. :  ad  Apollo  ispira  Eros  l'amore  per  Dafne 
con  un' acuta  ed  aurea  freccia,  la  giovane  invece  viene  colpita  da 
un  dardo  ottuso  di  piombo,  che  in  certo  modo  ne  discaccia  l'amore : 
fugat  hoc,  faeit  üliul  amorem.  Numerosi  epigrammi  infine  del- 
l'Antologia  greca  (p.  es.  Pal.  V  58.  86.  179.  180.  2lh\  Plan.  199. 
204.  213  ecc),  le  cosidette  poesie  anacreontiche  (p.  es.  Rose  13. 
25.  33  ecc.)  ed  altri  scrittori  (cf.  p.  es.  ancora  Ovidio  Met.  V  383 ; 
Apul.  Met.  IV  31  e  V  30  -ecc.)  (-)  formano  il  passaggio  tanto  ai 
poeti  quanto  agli  artisti  della  rinascenza  e  dell'  epoca  nostra. 

Di  fronte  a  questa  quantitä  di  menzioni  e  descrizioni  e  re- 
lativamente  molto  piccolo  il  num.ero  di  immagini  nell'arte,  che 
espressamente  (3)  mostrino  la  freccia  amorosa,  scagliata  dal  piccolo 
ed  onnipotente  dio  nei  cuori  degli  dei  e  degli  uomini  —  xarvu  Je 
xal  fiE  TVTtTsi  i^isaov  fjTtccQ,  MüneQ  oiatQoq\ 

Le  piü  antiche  rappresentazioni  di  questo  genere  sono  alcune 
immagini  di  vasi  dalle  figure  rosse  di  epoca  ellenistica,  di  cui  uno 
e  giä  stato  pubblicato  da  Tischbein:  Vases  Hamilton  III  39.  Di- 
nanzi  ad  una  donna,  che  commossa  alza  ambedue  le  mani,  sta 
appoggiato  ad  im  bastone  un  giovane  con  benda  al  capo  e  man- 
tello :  nel  discorso  stende  la  mano  destra.  Dietro  a  lui  quäle  indi- 
cazione  della  casa  o  del  suo   ingresso  vedesi  una   colonna  ionica, 

(1)  Cf.  Dilthey  Callim.  Cyd.  p.  44  VI.  VII  e  Aristen.  I  10. 

(2)  Pill  V.  in  Eohde  Gricch.  Rom.  p.  149,  4. 

(3)  Perciu  di  rappresentazioni  di  gemme  come  Müller- Wieseler  11  51, 
633.  634  ecc,  o  di  rilievi  come  Clarac  181,  158  non  si  tiene  conto,  qiian- 
tunque  benissimo  possano  essere  spiegati  in  questo  senso,  e  anche  lo  debbauo. 
Cf.  ancora  Müller-Wieseler  II  53,  668. 


46  LE  FRECCE  AMOROSE  DI  EROS 

alla  cui  base  sta  inginoccliiato  un  piccolo  Eros  che  scocca  una 
freccia  ('),  cioe  le  ispira  Tamore  pel  giovane  —  appunto  come  vien 
narrato  in  Apollonio  Eodio  nella  descrizione  giä  citata  (III  278): 

(oxa  J'  vno  (fXir<v  TTQoööfUo  sri  ro^a  ravvöüag 

iodoxrjg  dßXijrcc  ttoXvCtovov  e^s'Xst'   iov. 

8x  ö'  oys  xaQTtaXifioKTi  Xud-Mv  TToalv  ovdov  aiieixpsv 

o^ea  dsvSiXXbn' '  avTM  6' vno  ßaiog  iXvffO-eig 

AidoviSii  yXv(f(daq  [i,e(t<Srj  srixarS^sro  vsvQr^ , 

Id-vg  6'  aiKfOTeqriai  di<xcixöfi€Vog  naXäiirjaiv 

rjx'  sTil  Mrid^iiß'  TrjV  6'  dficpaüirj  Xäßs  ^Vfxov. 

(xvTog  S'  vi^ioquifoio  naXiiinsrig  ix  iifyäqoio 

xayyaXbMV  rji^s  .  ßs'Xog  d'  ivsSaiero  xovqrj 

vs'qO'SV  v7t6  xQadiij  (fXoyl  si'xfXov  '  xrX. 

Una  simile  immagine  (-)  descrive  Stephan!  sulla  parte  ante- 
riore d'im  cratere  dell' Ermitage  di  Pietroburgo  n.  1181,  anzi  tanto 
simile  (3),  che  non  esito  a  riconoscervi  l'originale  del  disegno  di 
Tischbein:  se  Tischbein,  relativamente  Italinsky,  riferiscono  nel 
teste,  che  qiiesta  scena  d'amore  si  trovi  insieme  all'  immagine  di 
Bellerofonte  Vases  Eamüton  III  38  (^)  sii  imo  stesso  vaso,  ciö 
non  devesi  ascrivere  che  ad  im  errore:  la  parte  postica  del  vaso 
di  Pietroburgo  mostra  semplicemente  tre  giovani  in  mantello.  Se 
la  mia  opinione,  come  io  non  dubito,  e'  esatta  (•''),  non  abbiamo  una 


(1)  Cf.  Friederichs  Philostr.  Bilder  p.  245,  1. 

(2)  Cf.  anche  Furtwängler  Fros  p.  37. 

(3)  La  diiferenza  principalc  si  h,  che  la  donna  nella  destra  tiene  un  pic- 
colo pomo.  Se  questo  frutto,  che  del  resto  converrebbe  moltissimo  alla  scena 
erotica,  non  e  un'  aggiunta  moderna,  al  tempo  di  Tischbein  il  suo  color  bianco 
s'era  appunto  staccato,  come  dall'  ornamento  della  donna  (alla  testa,  al  collo 
ed  alle  braccia)  e  di  Eros  (alla  testa,  al  petto  ed  ai  piedi),  che  perciu  e  om- 
messo  nella  pubblicazione. 

(4)  Copiato  anche  in  Miliin  Gal  myth.  97,  392  e  Thorlacius  Prot.  Opp. 
IV  tav.  n.  5 ;  cf.  anche  Böttiger  Kl.  Sehr.  H  p.  256 ;  Welcker  neWIIandb.  di 
Müller  §  414,  1,  p.  701,  1  e  702,  5;  Fischer  Bellerophon  p.  64  sg.;  Engel- 
mann Ännali  dclVInst.  1874  p.  12,  18. 

(•''j  Kiescritzky,  cui  comunicai  il  mio  sospetto  ,  ebbe  la  bonta  di  esa- 
minare  il  vaso  di  Pietroburgo  e  mi  scrivc  :  "  anche  a  nie  parc  il  vaso  di 
Tischbein  III  39  identico  al  nostro  n.  1181.  Senonche  il  nostro  vaso  proviene 
dalla  raccülta  Laval,  e  come  la  maggior  parte  dei  vasi    di    questa  collczione 


LE  FRECCE  AMOROSE  DI  EROS 


47 


sitiiazione  mitologica  (Bellerofonte  e  Stenebea),  raa  solo  ima  sem- 
plice  scena  di  genere,  iu  ciii  Eros  ispira  nel  euere  ad  ima  faiiciiilla 
amore  pel  giovane  che  le  sta  inuanzi;  potrebbe  darsi  anche  che 
una  sola  freccia  dovesse  valere  per  tiitti  e  due  insieme,  come  e  il 
caso  in  Miiseo  (17  seg.)  e  Longo  (I  7).  Egualmente  ima  scena  di 
genere  ci  öftre  la  seconda  di  tali  immagiui,  che  si  trova  sii  im 
piccolo  vaso  della  bella  raccolta  latta  in  ßuvo  e  che  qiii  appresso 
viene  piibblicata  per  la  prima  volta  (•) ;  il  disegno  e  siciiro  e  fatto 


con  abilitä,  ma  siiperficialmente.  Eros  lancia  la  freccia  contro  una 
gioyane  che  in  fretta  fiigge  innanzi  a  lui  e  spaventata  alza  la 
destra  per  difendersi.  II  dio  s'  inginocchia  nell'  inseguirla  per  col- 
pire  piü  sicuramente ;  nella  sinistra  essa  tiene  lo  specchio  ,  dim- 
que  Eros  l'ha  sorpresa  alla  loilette.  Un  terzo  esempio  finalmente 
ci  viene  offerto  dal  famoso  e  grande  vaso  d'Ebe  del  miiseo  di  Ber- 
lino  n.  3257  (Gerhard  Apul.  Vasenb.  tav.  D).  Qiiivi  sotto  ambe- 
due  le  anse  e  raffigurato  quäle  centro  di  im  bell'arabesco  im  me- 


e  tanto  fortemente  ritoccato,  che  della  figura  originaria  nulla  si  puu  vedero. 
Forse  la  stessa  immagine  sta  nascosta  sotto  il  ritocco ;  ma  non  o  impossibile 
che  si  abbia  coperto  un'  immagine  meno  interessante  con  quella  graziosa  di 
Tischbein.  Anche  la  parte  posteriore  sembra  alterata  ».  Comunque  sia,  ab- 
biamo  ad  ogni  modo  una  sula  immagine  ,  non  due  ripetizioni  affatto  simili 
di  un  istesso  modello. 

(1)  Catal.  latta  n.  1417;    forma    del  vaso    tav.  III  33  =  Jahn  Mänc'K 
Vas:ns.  II  68  ==  Heydemann  Ncap.  Vas.  III  130;  altczza  0,11;  diam.  0,12. 


48  LE  FRECCE  AMOROSE  DI  EROS 

daglione  in  cui  Eros  sta  accoYolato  e  scocca  ima  freccia  (i),  dall'una 
parte  volto  verso  rimmagine  nuziale  d'Ebe,  dall'altra  verso  la  scena 
della  parte  posteriore  per  la  massima  parte  perduta,  che  si  con- 
gettiirö  ora  alliidere  a  Amimone  (Gerhard)  ora  a  Ippolito  (Kalk- 
mann Arch.  Ztg.  1883  p.  47  segg.)  ovvero  a  Cefalo  (Furtwängler). 
In  qiialsivoglia  modo  si  sia,  ambediie  le  volte  Eros  scaglia  la  freccia 
d'amore,  qiii  contro  ad  Ebe  ed  Ercole,  lä  ad  im  dio  (Poseidone) 
0  ad  una  dea  (Eos),  che  soggiacciono  alla  sua  potenza.  Certamente 
meno  o  anzi  punto  converrebbe  qiiesto  scoccar  della  freccia  da  parte 
del  dio  dirimpetto  ad  Ippolito,  poiche  la  sua  potenza  di  fronte  a 
qiiesto  Teseide  diviene  nulla,  ed  Eros  difficilmente  avrebbe  potiito 
essere  cosi  rappresentato ;  senonche  (voglio  osservarlo  chiaramente) 
questo  a  parer  mio  non  varrebbe  a  decidere  diffinitamente  in  senso 
sfavorevole  all'  ipotesi  di  Kalkmann ,  dappoiche  il  pittore  puö  aver 
ripetuto  la  figiira  del  dio  in  tale  siio  atto  o  per  distrazione  o  per 
pedante  simmetria. 

Finalmente  va  pure  qui  riferito  il  vaso  di  Meleagro  della  rac- 
colta  Santangelo  (n,  11),  la  cui  retta  interpretazione  dobbiamo  a 
Forchhammer  e  Kekule.  Ma  avendo  il  dardo  di  Eros  un  triste 
eTetto  presso  Meleagro  ed  Atalanta ,  cagionando  infine  la  morte 
dell'eroe  -  per  la  quäl  cosa  il  pittore  da  ad  Eros  nelV  iscrizione 
esplicativa  l'epiteto  di  «  invidioso  »  {^^öroo)  -  Afrodite  quasi  per 
biasimo  e  per  castigo  ha  tolto  al  figliuolo  arco  e  frecce,  siccome  il 
comico  Aristofon  narrava  che  per  un  psephisma  dei  dodici  dei  ad 
Eros  vennero  tagliate  le  ali: 

Iva  (lij  TTSTYjTai  nqog  tov  ovqavov  näXiv  xrA  (-). 

A  questi  vasi  dell'  epoca  ellenistica  tengono  dietro  anzitutto 
due  rilievi,  che,  lavorati  bensi  in  tempo  posteriore,  cioe  all'epoca 
imperiale  romana,  pure  hanno  completamente  le  loro  radici  nell'arte 

(1)  Presso  il  signor  Augusto  Castellani  mi  notai  nel  1877  una  cosidetta 
pelike  (alt.  0;335)  di  epoca  tarda,  che  su  una  vernice  nera  con  colore  bianco, 
giallo  c  violetto  niostrava  un  Eros,  con  pettinatura  femminile,  seduto  sulla 
sua  clainide  e  scoccando  una  freccia;  innanzi  al  dio  una  Stella;  in  ogni  latu 
un  arbusto  di  fiori  ed  arabesclii ;  la  linca  del  piede  puntata. 

(2)  Appena  fa  d'uopo  di  osservare,  come  sia  modcrna  la  gemma  di  Vi- 
venzio,  che  a  questo  scherzo  di  Aristofon  si  riferiscc  ed  ö  copiata  in  Müller- 
Wieseler  II  55,  699. 


LE  FRECCE  AMOROSE  DI  EEOS  49 

ellenistica.  Sur  una  corniola  Martinetti  {Impr.  gemm.  delVImt.  VII 
44)  siede  sopra  una  nipc  pensoso  e  concentrato  im  giovane,  col  man- 
tello,  clie  gli  sta  intorno  e  sopra  alle  cosce ;  innanzi  a  Im  sta  in 
piedi  accanto  ad  im  lauro  iin  piccolo  Eros  e  contro  lui  scocca  la 
freccia.  Chi  sia  o  debba  essere  quell'  nemo,  oggidi  non  si  puö  dire ; 
l'Helbig,  Olli  non  isfiiggi  la  somiglianza  della  siia  posizione  col- 
l'Ares  Liidovisi,  pensa  al  dio  della  guerra,  mentre  all'  incontro  la 
totale  mancanza  delle  armi  parmi  vi  si  opponga ;  meglio  quindi  e 
piü  sicuramente  quell'  iiomo ,  contro  ciii  scaglia  Eros  la  freccia, 
resta  innominato.  Per  lo  contrario  siil  rilievo  di  im  sarcofago  di 
Salonicco  {Arch.  Ztg.  1857  tav.  100  cf.  1871  p.  157)  e  Fedra  la 
vittima  della  sua  freccia.  Sur  un'alta  ara  sta  inginocchiato  il  pic- 
colo Eros  e  scocca  la  freccia ;  dietro  a  lui  Afrodite  in  piedi  indica 
coUa  sinistra  quäle  meta  del  tiro  Fedra,  che  le  siede  di  contro; 
la  regina  colpita,  circondata  da  due  ancelle,  alza  le  mani  lamen- 
tandosi  e  gemendo 

ovTs  yccQ  TiVQog  ovt' 
adTQwv  imsQTeQov  ßsXog 
oiov  10  rctq  ^AcfQoSirag 
l'ri(Siv  ex  %sQ(ov 
"Eqo)c,  0  Jioq  nmg  (Eur.  Ilqipol.   532). 

Se  la  piccolezza  (')  di  Eros,  che  scocca  la  freccia,  involonta- 
riamente  ci  rammenta  le  Anacreontica,  al  loro  tempo  apparteneva 
un  quadro  oggi  perduto,  che  egualmente  rapp:esentava  l'amore  di 
Fedra  per  Ippolito,  amore  pur  qui  indicato  con  le  frecce  amorose 
di  Eros.  Per  quanto  confusa  ed  esagerata  dalla  rettorica  sia  la 
descrizione  che  il  sofista  Coricio  —  rjxttaas  ö't  er  roTg  'lovartnarov 
XQÖvoig  (527-565  d.  Cr.:  Phot.  Bibl.  160)  —  fa  di  questo  quadro, 
allora  esistente  a  Gaza  (-)  pure  non  si  avrä  a  dubitare  della  reale 
esistenza  di  questo  quadro,  il  cui  pittore  o  copista  aveva  t(o  Traidi 
Tov  Korwvog  rrjv  avrrjv  nQogijyoQtav,  cioe  cra  stato  un  certo  Timo- 
teo ,  per  altra  parte  non  noto.  Ne  piü  ragione  avremmo  di  sospet- 

(1)  Afrodite  tiene  forse  fermo  con  la  sua  destra  il  fanciiülo  per  un'ala, 
affinche  non  cada  dall'altare  ? 

(2)  Mai  Spicil.  rom.  V  p.  428  scg.  =  Boissonade  Chor.  orat.  p.  156 
seg.  Cf.  inoltre  Brunn  Bull.  delV  Inst.  1849  p.  61  seg. ;  Matz  de  Philostr. 
fide  p.  17;  Herclier  Hermes  V  p.  290  scg. 

4 


50  LE  FRECCE  AMOROSE  DI  EROS 

tare  che  le  parole  di  Coricio:  ovtoi  St  ('EQMTsg)  xal  xcad  Om'- 
Sgav,  doc  oQag,  dvixeivavro  tu  lo^eviiiaTa ,  non  siano  che  ü  pro- 
dotto  d'im  adornamento  rettorico,  e  in  realtä  non  siano  stati  rap- 
presentati  nell'una  parte  del  qiiadro :  mentre  un  Eros  tiene  a  Fedra 
calamaio  e  calamo,  altri  Eroti  sono  piue  presenti,  di  cui  forse  uno 
appunto  ha  mirato  la  freccia  contro  Fedra,  un  altro  appimto  scocca 
e  cosi  via. 

Fra  le  pittiire  pompeiane  (i)  ci  entra  il  quadro  descritto  dal 
Sogliano  n.  110,  dove  mirasi  im  eroe  (Ciparisso?),  sul  cui  petto  un 
Amore  sta  tiraudo  la  freccia  amorosa.  A  questo  dipinto  aggiungo 
ancora  un'altra  tavola  parietale,  su  cui  Eros  non  e  veramente  dipinto 
nell'atto  di  scoccar  la  freccia,  ma  pure  queste  frecce  amorose  sono 
chiaramente  indicate.  Anzitutto  l'attraente  immagine  del  ciclo  di 
Artemide  (-'),  conservata  a  Pompei  in  parecchie  ripetizioni,  e  che 
ora  si  spiega  come  Atteone  (Heibig),  ora  come  Orione  (Dilthej^  e 
Maass),  ora  come  Ippolito  (Kalkmann).  Nessuna  di  queste  spiega- 
zioni  e  ottenuta  senza  sforzo  ed  e  affatto  soddisfacente.  Solo  questo 
e  certo,  che  mentre  cacciatore  e  cacciatrice  stanno  immersi  in  un 
vivo  discorso,  quel  briccone  di  Eros,  che  con  contidenza  ed  impu- 
denza  s'appoggia  alla  coscia  della  donua  seduta,  con  ambedue 
le  maui  mira  contro  il  suo  cuore  un'  acuta  freccia.  La  situazione 
parmi  chiara :  il  discorso  verte  suU'  amore ;  ancor  piü :  la  fan- 
ciulla  e  sdegnosetta  e  rifiuta  di  corrispondere  all'amore  del  gio- 
vane,  sieche  questi  si  vuo'  allontanare ;  ma  Eros  ha  giä  afferrato 
una  freccia  —  de  mille  sagittis  Uiiam  reposuit,  sed  qua  nee 
aciUior  ulla,  Nee  minus  incerta  est  (Ovid.  Met.  V  380)  —  e 
cambierä  a  lei  il  sentimento.  A  me  non  pare  la  rappresentazione 
ne  mitologica,  ne  eroica,  bensi  soltanto  una  scena  di  genere,  appunto 
come  il  ritrovamento  di  un  nido  di  Eroti  per  opera  di  una  fan- 
ciuUa  e  d'un  giovane,  dipinto  tre  volte  (3)  come  i)emlant  di  quello, 
non  e  che  una  scena  di  genere  {^) :  all' immagine  d'un  amore  sde- 

(^)  A  bello  stiuliu  hisciu  da  banda  i  dipiidi  So£,diano  n.  252  e  376. 

(2)  Hclbig  n.  253-255  o  Sogliano  ii.  119.  Cf.  DiUlioy  Bull  cldVInst.  1868 
p.  151  ;  Maass  ibid.  1882  p.  156  sejyg. ;  Kalkmann  Arrh.  Ztg.  1883  p.  132  se;?p.). 

(3)  Heibig  n.  253  c  823;  254  e  821;  255  c  Trondelenburg  Arch.  Zfu. 
1870  p.  5  i. 

(■*)  La  s])iegazionc  di  l)iH]ic'y  per  Afrodite  ed  Adone  non  culpisco  il 
giusto,  a  quanto  rai  senibra  {Bull.  delVInst.  1869  p.  152  n.  821). 


LE  FRECCE  AMOROSE  DI  EROS  51 

gnoso  ancor  da  superare  sta  qui  di  fronte  quella  dell'amore  nella 
siia  pieuezza  ;  conie  terza  iinmagine  due  volte  venne  scelta  Arianna 
abbandouata  ('),  iina  volta  Admeto  ed  Alceste  che  ascoltano  la  dura 
sentenza  dell'  oracolo  relative  alla  malattia  ed  alla  morte  d' Admeto, 
adunqiie  rappresentazioni  mitologiclie  di  un  amore  pel  momento 
infelice  (-).  Un  altro  quadro  parietale  dei  dintorni  di  Roma,  c  cui 
qui  devesi  accennare,  venne  pubblicato  e  trattato  da  Winckelmann  (^), 
dietro  un  disegno  di  Bartoli.  Paride  ed  Elena  eccitano  a  vicenda 
il  piccolo  Eros ,  che  sta  in  piedi  tra  loro ,  a  mettere  in  opera  le 
sue  armi  —  arco  e  freccia  —  contro  l'altro,  mentre  Afrodite  (cosi 
a  ragione  l'Overbeck)  assiste  allo  scherzevole  giuoco. 

Le  figure  fin  qui  trattate  mostravano  sempre  eroi  ed  uomini 
contro  cui  Eros  dirige  i  suoi  dardi ;  alcuni  altri  all'  incontro  si 
limitano  ad  Afrodite  ed  a  suo  figlio  ,  che  per  comando  della  ma- 
dre,  come  spesso  viene  narrato  dai  poeti  (''),  scaglia  qui  e  lä  la  sna 
freccia,  per  destare  amore.  Cosi  lo  vedemmo  giä  rappresentato 
sul  sarcofago  di  Eedra  di  Salonicco;  cosi  lo  troviamo  ancora  su 
due  altre  immagini  che  a  lor  vantaggio  si  distinguono  merce  par- 
ticolari  bellezze.  L'una  d'esse.  che  adornava  la  pietra  d'un  sigillo 
e  assomiglia  molto  alla  figura  di  Salonicco,  e  conservata  in  parecchie 
copie  tra  quella  quantitä  d'impronte  di  sigilli,  che,  trovate  nelle 
vicinanze  del  tempio  C  di  Selinunte,  ora  si  conservano  nel  museo 
di  Palermo  (copiate  e  trattate  da  Salinas  nelle  Noüzie  degli  scavi 
1883  tav.  VII  402  e  IX  80  p.  288  seg.;  cf.  Ztschr.  für  bild. 
Kunst  XII  p.  176  seg.) :  accanto  ad  Afrodite  seduta  sta  su  un 
tavolo,  a  quanto  sembra ,  il  piccolo  Eros  ,  in  procinto  di  scoccare 
la  freccia  ;  egli  la  dirige  verso  l'alto,  adunque  forse  contro  uno 
degli  Olimpii ;  la  destra  di  Afrodite  tocca  la  spalla  destra  del  dio, 
non  per  altro,  credo,  che  per  insegnargli  la  direzione  della  freccia  (^). 

(1)  Anche  a  questa  rappresentanza  sui  quadri  di  Pompei  non  di  rado  h  ag- 
giunto  im  Eros  con  arco  e  freccia  in  mano:  Heibig  1224.  1228.  1231;  cf.  an- 
che 1223;  Sogliano  535.  536  ecc. 

(2)  Heibig  n.  1231.  1218.  1161. 

(3)  Winckelmann  Mon.  ined.  114  p.  157  (due  figure  adoperate  sul  fron- 
tispizio  di  Mai  Iliad.  pict.  Eomae  1835);  cf.  Overbeck  Sagenkr.  p.  271,  11. 

(4)  Cf.  p.  e.  Apoll.  Kodio  III  26  segg. ;  Ovid.  iMet.  V  365  segg. ;  Nonno 
Dion.  XXXIII  143  seg.;  Ach.  Tat.  YIII  12;  ecc. 

(5)  Cf.  tutta  la  rappresentanza  sopra  un  sardonice  pubblicata  da  King 
Ant.  gems  und  rings  tav.  V  4. 


52  LE  FRECCE  AMOROSE  DI  EROS 

L'  immagine  e  disegnata  in  modo  attraente  e  graziöse.  AU'istessa 
epoca  dei  veri  Diadochi,  in  cui  fu  fatto  qnesto  sigillo,  appartiene 
anclie  l'altra  rappresentazione,  non  meno  bella  nella  composizione, 
ed  ancor  piü   bella    nel    lavoro.  E  \m   rilievo  piano  in  bronzo  di 
Corneto,  ora  nel  Museo    del   LouYre,   purtroppo  danneggiato  nelle 
teste,  destinato  a  venir  posto  come  ornamento  su  qualclie  oggetto 
rotondo,  come  sm-  ima  teca  per  lo  specchio,  o  su  una  pi/a^ls  (pub- 
blicato  e  trattato  da  Bnmn   3Ion.   clelV  List.  VI   e  VII   47,  6  e 
Annali  1860  p.  490  segg.).  Sopra  una  riipe  siede  la  dea  dell'amore; 
accanto  dal   lato  destro  le  sta  suo  figlio ,  senz' ali ,  e  adiilto  ('); 
qnesti  ha  appunto  scagliato  la  freccia,  la  cui  corsa  certo  ambedue 
gli  dei  seguiyano  coi  loro  occhi.  Con  famigliaritä  la  madre  tiene  la 
destra  suUa  nuca  del  figlio,  mentre  con  la  sinistra  solleva  un  po' 
con  grazia   e   leggiadria  il  mantello  suUa  spalla.  All'opinione  di 
Brunn,  che  originariamente  alla  sinistra  della  dea  sia  stata  pure 
quella  persona  contro   cui  era  stata  diretta  la  freccia,  contradice 
anzitutto  il  fatto,  che  le  due  figure  esistenti  empiono  completamente 
una  superficie  circolare  di  0,18  di  diametro,  e  nou  lasciano  pimto 
posto  per  una  terza  persona.  Certamente  con  ciö  resta  in  dubbio 
e  lasciato    a   nostra  fantasia,   chi  sia  l'uomo  o  relativamente  la 
donna  colpita  dalla  freccia  d'Eros ;  ma  l'artista  voleva  in  generale 
solo    mostrare   la  forza  d'amore:  Afrodite   comanda   di  ferire   ed 
Eros  obbediente  tira. 

Ad  ambedue  queste  immagini  si  aggiungerebbe  un  rilievo  in 
marmo  del  museo  di  Napoli  (-),  che  vuolsi  trovato  a  Napoli,  ed  e  di 
layoro  molto  mediocre  ;  ma  e  a  mio  parere  moderno,  o  almeno  molto 
dubbio,  cosi  che  mi  posso  accontentare  di  accennarvi  semplicemente. 
Altre  rappresentanze  artistiche  di  Eros  che  scaglia  le  sue  frecce 
nel  cuore  degli  dei  e  degli  uomini,  non  mi  sono  adesso  uote. 

H.  Heydemann 


(1)  Si  potrobbo  pcrciu  aiiclic  pensare  ad  Apollo  e  Leto  contro  i  Niobidi; 
iria  ad  Afrodite  accenna  docisamente,  cosi  credo,  il  petto  ignudo  della  donna. 

(2)  Cf.  Gerhard  Neap.  ant.  Bild.  p.  133,  501 ;  Finati  Regal  Mus.  Borh. 
(altra  ediz.  1816)  I  p.  256,  68. 


SITZÜNGSPROTOCOLLE 


Festsitzung  am  lOten  December  zur  Geburtsfcier  Wiuckel- 
manns :  Helbig  :  über  einen  Portraitkopf  der  Livia  (s.  Mittheiluu- 
gen  II  S.  3-13).  —  Studniczka  :  über  Stil  und  Ursprung  der  Gie- 
belsculpturen  des  Zeustempels  in  Olympia.  —  Henzen  :  Ueber  eine 
beim  Furlopass  gefundene  Inschrift  (s.  Mittheilungen  11  S.  14-20). 

Studniczka  :  air  indicazione  di  Pausania,  essere  i  frontoni  del  tempio 
di  Giove  in  Olimpia  opere  di  Peonio  e  di  Alcamene,  contradicono  i  monu- 
menti  ritrovati.  Non  solo  tutte  le  figure  del  tempio  sono  fatte  in  uno  stilo 
ancora  arcaico,  non  piü  concepibile  dopo  terminato  il  Partenone,  ma  h  anclie 
dimostrato  da  argomenti  tecnici  cd  epigrafici,  che  il  tempio  poco  tempo  dopo 
il  460  era  compiuto.  Ed  a  proposito  sopravvenne  la  dimostrazione  di  Löschcke, 
che  anche  il  Giove  di  Fidia  dehba  essere  stato  creato  prima  che  s'  iniziasse  il 
Partenone.  Dall'altro  canto  l'unica  data  sicura  della  vita  di  Alcamene  esclude 
affalto  ch'  egli  abbia  potuto  irrender  parte  al  lavoro  delle  scultiire  di  Olimpia; 
e  quanto  a  Peonio,  la  su.a  Nike  lo  fa  apparire,  se  non  scolare,  almeno  certa- 
mente  successore  di  Fidia.  Per  quella  tradizione  non  aveva  nemmeno  l'anti- 
chitä  alcuna  testimonianza  autentica:  frontoni  di  templi  non  portavano  iscri- 
zioni  d'artisti ;  al  bisogno  di  un'  epoca  posteriore  i  ciceroni  hanno  soddisfatto 
con  una  congettura  fondata  sopra  un  malinteso  dell'  iscrizione  della  Nike  di 
Peonio  (cf.  in  generale  Wolters  nella  2^  ediz.  dei  Bausteine  del  Friederichs 
p.  134  sg.).  Se  percio  T  indicazione  di  Pausania  con  tutte  le  ipotesi  che  ne 
furono  derivate  deve  abbandonarsi,  ei  troviamo  liberati  da  una  grande  anomalia 
storica.  AU'  epoca  quando  il  tempio  venne  costrutto,  al  bisogno  dell'  arte  in 
Olimpia  provvedeva  precipuamente  la  scuola  di  Sicione  cd  Argo,  poi  quella 
di  Egina.  E  se  si  puo  intendere,  che  per  fare  la  flgura  di  Giove  venisse  chia- 
inato  un  Ateniese,  giä  allora  considerato  come  il  piü  grande  scultore  del  suo 
tempo,  pure  non  si  potra  concepire,  che  si  sia  affidata  la  decorazione  figurale 
del  tempio,  costruito  da  Libone,  architetto  del  paese,  a  giovani  stranieri  e 
poco  conosciuti,  non  alla  grande  scuola  patria.  A  questa  tra  altri  Giorgio  Treu 
e  Corrado  Lange  {Mitth.  d.  arch.  Inst.  Athen.  VII  p.  206  sg.)  attribuiscono 
le  nostre  sculture ;  auch'  io  sono  venuto  a  simile  convinciraento,  ed  in  altro 
luogo  ne  esporrö  piü  estesamente  le  ragioni. 

Con  una  sola  eccezione,  di  cui  parlerö  piü  tardi,  lo  stile  di  tutto  il  mo- 
numento  anche  a  me  pare  identico,  cii^  che  naturalmente    non    esclude   certe 


54  SITZÜNGSPROTOCOLLE 

diversitä  speciali,  che  si  spiegano    con  la  partecipazione    di    scultori  divorsi, 
iiiolto  diversi  nella  loro  capacitä   artistica.  Incominccremo  V  analisi  delle  sin- 
gole  parti   dalla  fog-gia  del  vestire.   II   naturalismo  del  semplice   panneggia- 
iiiento  degli  uomini,  considerato  dal  Brunn  come    un  eminente  criterio  della 
sua  arte  greca  settentrionale,  a  me  non  sembra  che  un  criterio  di  queH'epoca 
che  comincia  ad  imitare  in  ogni  cosa  strettamente  la  veritä.  Un  po'  di  questo 
naturalismo  ce  lo  mostra  pure  rahhigliamcnto  muliebre,  che  mi  convinse  an- 
zitutto,  provenire  le  iiostre  sculture  da  artisti  peloponnesiaci.  In  origine  tutte 
le  Greche  portavano  il  peplo,  che  noi  siamo  soliti  a  chiamare  chitone  dorico 
(cf.  Studniczka  Beiträge  zur    Gesch.    d.  altgr.  Tracht,   p.  VI  sgg.;    6  sgg. ; 
92  sgg.).  A  questo  s'aggiunge,  anzitutto  presse  grioni,  il  chitone  di  lino,  tolto 
dai  Semiti  [Beiträge  p.  13  segg.)>  che  durante  il  settimo  e  sesto  secolo  si  dif- 
fonde  non  solo  sulle  coste  asiatiche  e  sulle  isole,  ma  pure  nella  Magna  Gre- 
cia,  in  Atene,  ed  in  parte  anche  nel  Peloponneso.  Predomina  nei  monumenti 
della  scultura  arcaica,  e  cpi  facilmente  si  riconosce  per  le  pieghette  spesse  e 
per  lo  piü  ondulate.  L'antico  peplo  non  cade  affatto  in  disuso,  ma  viene  por- 
tato  sopra  il  chitone,  benche   rappresentato    anch'  esso   in  pieghe  convenzio- 
nali.  Esempi  notissimi  di  questo  abbigliamento   ionico    sono    provenuti  dagli 
scavi  di  Delos  e  di  Atene.    Bentosto  pero  depo  le  guerre  persiane  ritorna  in 
uso  il  peplo  nell'originaria  sua  foggia,  ora  detto  anche  chitone   dorico  o  pe- 
loponnesiaco,  da  quella  stirpe  che  lo  mantenne  piii  saldamente.  Ma  il  vestito 
ionico  non  sparisce  del  tutto  ;  continua  a  venir  usato  accanto  al  dorico  in  una 
forma  piü  libera.  Questo  stadio  e  rappresentato  dall'arte  di  Fidia,  cui  anche 
qui  avrä  preceduto  Polignoto.  AIP  incontro  nello  stile  piü  antico  della  pittura 
di  vasi  a  figure  rosse,  il  cui   fiorire    cade    circa  tra  il  510  ed  il  460,  predo- 
mina  ancora   l'arcaico    abbigliamento  ionico  (cf.  Bühlau    Quaest.  de  re  vest. 
Graecor.  p.  35  segg.) ,  il   vestito    dorico    essendo    ancora    quasi    sconosciuto. 
Percio  e  stranissima  l'asserzione  sostenuta  da  Curtius  e  Furtwängler,  che  cioe 
la  foggia  del  vestire  rappresentata  nelle  sculture    di    Olimpia  sia  prossima  a 
quella  delle  pitture  sopramentovate  :  qui  tra  undici  figure  di  donne  vestite  una 
soltanto  mostra  il  chitone  ionico  colle  fine  pieghe  ondulanti,  le  altre  sono  tutte 
vestite  alla  dorica.  Ed  anche  queireccezione  ha  il  suo  motivo  speciale:  nella  sposa 
di  Piritoo  il  chitone  di  lino  deve  evidentemente  ritenersi  come  un  solenne  ve- 
stito di  nozze.  Non  posso  parlare  di  tutti  i  singoli  vestiti  delle  altre  donne; 
osservo  soltanto  che  le  giovani,  Ippodamia  nel  frontone  Orientale  {Arch.  Ztg. 
1884  p.  281  sgg.;  Winter  die  jüngeren  att.  Vasen  p.  28  sg.)  e  l'Esperide  nella 
metopa  di  Atlante,  portano  il  vestito  primitive  delle  ragazze  doriche.  —  Dallc 
osservazioni  fatte  prima  risulta    chiaramente,    come   l'uso  quasi  esclusivo  del 
costume  dorico  in  quel  tempo  sia  prova  dell'  origine  peloponnesiaca  del  mo- 
nuinento.  E  ciö  basta,  a  parer  mio,  per  escludere  con  le  altre  opinioni  anche 
quella  di  Kekuld  e  Wolters  ,  appartenere    cioö  le  nostre   sculture  alla   stessa 
scuola  delle  piü  rccenti    metopi    di    Selinunte.    Da])poiche  ivi  pure  il  vestito 
ionico  e  usato  accanto  al  dorico  ed  in  generale  vi  si  osservano    molte  tracce 
d'  influenza  ionica.  A  que.st'  incrociamento  di  carattere  ionico  e  dorico  polrebbc 
corrispondere   il   nome   di    Clearco   di   Reggio,   Saniiu   d'^riginc   e   scolare  di 


SITZUNGSPROTOCOLLE  55 

Eucheiros  Corinzio.  Con  ci6  pero  s'esclude  soltanto  Ticlentitä,  non  la  prossima 
afSnitä  dell'  arte  degli  uni  e  degli  altri  monumenti.  In  fatti  la  maggior  parte 
delle  figure  muliebri  che  nella  prima  meta  del  V  secolo  mostrano  il  costumc 
dorico  nello  stilo  semplice  c  naturalistico  delle  statuc  d'Olimpia,  provengono 
dal  Peloponneso.  Cito  comc  escmpi  l'Era  scduta  dell'Ereo  di  Argos  c  le  Sta- 
tuette in  bronzo  provenienti  da  Calavrita  e  da  Tegea  in  Arcadia;  inoltre  una 
Serie  di  Statuette  di  Afrodite    usate    conio    sostegni  di  specclii,  in  parte  tro- 
vate  in  Corinto,  luogo  originario  della  loro  fabbricazione.  Di  opere   statuaric 
eminenti  di  tale  tipo ,  nia  di  originc  sconosciuta,  non   nomino    che  le  danza- 
trici  d'Ercolano,  alquanto  piii  recenti,  e  Toriginale  della  cosidetta  Vesta  Giu- 
stiniani.  Specialmente  quest'  ultima  statua  h  affine  alla    Sterope  (detta  prima 
Ippodamia).  II  carattere  peloponnesiaco  della  Sterope  riconobbe  anche  il  Brunn, 
prima,  h  vero,  di  sapere  che  appartenesse  al  frontone    supposto  da  lui  d'arte 
greca  settentrionale.  Lo  stesso  egii  disse  per  l'Atena  e  per  l'Esperide  di  due 
metopi  orientali.  Ma  ambedue  queste  figure  hanno  di  comune  con  Tlppodamia 
dello  stesso  frontone  e,  per  quanto  si  puö  esaminare,  anche  con    la    maggior 
parte  delle  figure  dell'  altro  frontone    una    singolaritä   poco   appariscente,  ma 
appunto  perciö  molto  significante  per  l'unitä  di  tutto  il  monumento.  II  vestito 
dorico  si  chiude  di  solito  sulle  spalle  in  maniera  che  il  lembo  di  dietro  venga 
sovrapposto  sulFanteriore  ed  allacciato  con  questo  (esempi  v.  Studniczka  Bei- 
träge p.  98  sg.) ;  naturalmente  e  possibile  anche  Topposto,  che  cioe  il  lembo 
anteriore  sia  posto  sopra  il  posteriore.  Senonchfe  qui  sull'una   spalla  si  trova 
r  uno,  suir  altra  V  altro   (lo  stesso  si  osserva  nella    statua   descritta  Beschr. 
Roms   ni   3  p.   254   n.    14,    che    e    di    uno    stile    quasi    identico    a    quello 
delle    nostre    figure).    Anche    nella    formazione  delle  pieghe  non  posso   rico- 
noscere  diversitä  essenziali,    mentre    Brunn   contrappone    anche  in  questo  ri- 
guardo  le  metope   orientali    come  peloponnesiache    alle    occidentali   supposte 
dell'arte  greca  del  nord,  fondandosi  sul  confronto  di  due  cose,  che  non  si  pos- 
sono  confrontare,  cioe  delFEsperide  in  piedi  con  TAtena  seduta.  Anche  in  que- 
sto rispetto  lo  stile  delle  nostre  figure  parla  chiaramente  di  origine  pelopon- 
nesiaca.  Come  hanno  osservato  colleghi    che  senza   preconcetti   studiarono  la 
questione,  le  pieghe  sono  come  battute  di  lamina,  adunque    ideate   nella  tec- 
nica  del  acpvQi'jXaxoi',   che   i  Dedalidi    del   Peloponneso    hanno    praticato  per 
secoli,  prima  che  si  introducesse  l'arte  di  fondere  il  bronzo.  Tracce  di  questa 
tecnica  si  riconoscono  anche  nel  modo  di  rappresentare    i   capelli,  i  quali  in 
parte  non  sono  che  sbozzati  in  superfici  affatto  inarticolate,  quasi  battuti  di 
lamina  auch'  essi,  in  parte   rappresentati  come  ricci  di  bronzo   lavorati  sepa- 
ratamente  e  saldati  alla  testa:  tecnica  di  cui  l'esempio  notissimo  e  una  testa 
arcaica  di  Ercolano.  Certamente  non  puo  negarsi  che  vi  si  trovino  anche  ca- 
pelli di  lavoro  piü  naturalistico  in  marmo.  —  In  quanto  alla  rappresentazione 
delle  forme  del  corpo  stesso  il  Brunn  osserva  nelle  figure  ignude  dei  frontoni 
la  mancanza  di  conoscenza  esatta  deirorganismo  e  della  tensione  elastica  dei 
muscoli,  che  p.  e.  ammiriarao    nelle    figure  di  Egina.    Ma  se  si  prescinde  da 
lavori  molto  imperfetti,  come    quello  del  giovanetto   seduto,  o  da  una  voluta 
imitazione  delle  forme  rilasciatc  della  vecchiaia,  c  si  prendono  ]u'r  norma  le 


56  SITZUNGSPROTOCOLLE 

figure  quiete,  come  Giove,  Pelope,  Enomao   ed  il  cosidetto    Apollo,    a   parer 
mio  non  negheremo  agli  artisti  la  certa  intelligenza  delle  forme  principali  e 
della  loro  connessione.  E  vero   che  le  forme    nelle    statue    dei   frontoni  sono 
sbozzate   piü    sommariamente    che   nelle    metopi ,   ed   ancora  molto   piü    che 
nelle  figure  di  Egina.  Ma  anche  nello  stile  quadrato  del  Doriforo    policleteo 
manca  qucsta  cura  dei  particolari,  che  la  scuola   di    Sicione  ed  Argos  anche 
nella  generazione  precedente  non  avrä  ricercata,  come  infatfo  deve  essere  stata 
estranea   allo   acfVQi]haot'.  Pero  in  statue  di  frontoni,   esposti   in   luogo  alto 
alla  piena  luce,  quel  lavoro  per  cosi  dire   abbozzato,  che  sopprimendo  i  par- 
iicolari  fa  risalire  piü  chiaramente  le  forme  principali,  h  anche   piü    vantag- 
gioso  della  y.uxdryfiig,  della  troppa  raffinatezza  degli  Egineti.  —  Delle  teste  finora 
non  si  e  nerameiio  principiato  :i  separare  i  tipi  diversi.  Anche  qui  si  e  voluto 
trovare  la  piü  stretta  affiaitä  con  le  figure  dei  vasi  attici  di  stile   severe,  ed 
infatti  non  si  possono  negare  certe  somiglianze.  Ma  non  si  deve  dimenticare  che 
l'arte  attica  prima  di  Polignoto  e  Fidia  fu  influenzata  anche  dal  Peloponneso, 
p.  es.  da  Cimone  Cleoneo  e  da  Agelada,  maestro  di  Mirone.  Ed  e  appunto  il 
Peloponneso,  cui  accennano  le  teste  piü  distinte  del  tempio  di  Giove.  Quella  di 
uua  Lapita  con  fazzoletto  annodato  intorno  alla  testa,  ha  in  generale  il  tipo  della 
vergine  vincitrice  del  Vaticano  ;  quella  dell'Esperide  e  quasi  identica  ad  una 
testa  di  Madrid   molto   somigliante  ai  tipi  policletei  di  Giunone  ;    anche  con 
l'Amazone    policletea   l'Esperide    ha    grande    affinitä.    La   testa  del  cosidetto 
Apollo  del  frontone  occidentale,  che  C.  Lange  ha   detto  precursore  del  Dori- 
foro, mostra  grandissima  somiglianza  con  la  testa  del  Museo    britannico  che 
0.  Müller  non  senza  qualche    probabilitä  considero  come  copiata  dair  Apollo 
di  Canaco  Sicionio ;  almeno  in  tutta  Tarchitettura  del  viso  e  nelF  espressione 
di  severitä  maestosa  l'analogia  ö  manifesta.  Anche  la  statua  d'Olimpia,  a  causa 
del  suo  tipo,  vien  chiamata  generalmente  Apollo ;  ma  come  e  divenuto  Apollo 
protettore  dei  Greci  nella  lotta  dei  Centauri  nel  frontone  del  tempio  di  Giove? 
A  me  come  ad  altri   pare  piü  probabile  che  questa    figura,  corrispondente  al 
Giove  della   parte    anteriore,  sia  piuttosto  Ercole,    Teroe  nazionale  del  Pelo- 
ponneso, che  specialmente  in  Olirapia  veneravasi  come  fondatore  dei  giuochi, 
L'azioiie  di  qucsta  forte  divinita,  che  con  la  destra    stesa   protegge  i  Lapiti, 
non  puo  deflnirsi  meglio  che  con  Tepiteto  (VAs'iiyMy.og.  Ora  un  Ercole  Alessicaco 
venne  fatto   da   Agelada,  che  inoltre    nella   vicina  Achaia   rappresentö  Teroe 
imberbe.  Ed  h  appunto  Agelada  che  allora  con  la  sua  scuola  dominava  Parte 
del  Peloponneso.  Cito  p.  es.  gli  artisti  che  riunisce  la  nota  base  del  donario 
di  Prassitele,  e  tengo  per  probabile  che  essi,  o  artisti  di  simil  classe,  abbiano 
eseguito   le  sculture  del  tempio  di  Giove,  sotto  la    guida    di    Agelada  ovvero 
almeno  della  tradizione  della  sua  scuola.  —  Soltanto  un  piccolo  gruppo  di  figure 
si  distingue  dalla  massa,  come  in  parte  hanno  riconosciuto  Curtius,  Petersen 
c  Furtwänglcr  {Athen.  Mltth.  V  p.  41  sg.).  Sono  le  quattro  ultime  figure  nei 
due  angoli  del  frontone  occidentale,  le  due    ninfe  giacenti  e  due  vecchie   ca- 
dute.  Piü  evidente  e  la  diflferenza  nella   bella   testa  di  una   delle  ninfe,  pre- 
cursore immediato  della  Partenos   di  Fidia.   Per   V  arte   piü  progredita  e  in 
ispccic  significante  la  formazione  delPangolo  estcrim  dciroccliio.  Mentre  quo- 


SITZUNGSPROTOCOLLE  57 

st'angolo  in  tutte  le  altre  teste  e  chiuso  nella  maniera  arcaica,  le  teste  della 
ninfa  e  dcUe  due  voccliie  haiino  Torlo  della  palpebra  superiore  continuato  un 
po'  all'  infuori  delF  inferiore.  La  stessa  piu  sottile  osservazione  della  natura 
mostrano  anche  nel  resto  le  toste  delle  vecchie  col  loro  orribile  verismo,  cd 
i  vestiti  di  queste  figure,  i  quali,  per  quanto  si  puo  vedere,  anche  nella  ma- 
niera di  allacciare  sulle  spalle  il  costume  dorico  differiscono  dalle  altre  c  mo- 
strano lo  Schema  ordinario.  Tutto  cio  accenna  a  quel  grado  di  sviluppo 
dell'arte  attica  che  Polignoto  inizio  e  Fidia  portö  alla  perfezione.  La  quäle 
opinione  vien  confermata  ''anche  dal  materiale  di  quelle  quattro  figure ; 
mentre  cioö  tutto  il  resto  e  fatto  di  marmo  pario  ,  queste  sono  di  pentelico. 
Ora  sappiamo  che  Fidia  con  Colote  e  Paneno  venne  in  Olimpia,  per  fare  l'im- 
magine  da  venerarsi  nel  tempio  quasi  finito.  Essendo  stato  il  frontone  Orien- 
tale finito  senza  dubbio  prima  dell'occidentale,  e  in  ciascun  frontone  dovendosi 
cominciare  il  lavoro  nel  mezzo,  le  figure  e  gli  angoli  del  frontone  occidentalc 
furono  evidentemente  gli  ultimi  lavori  fra  gli  ornamenti  dell'edifizio;  per  essi 
almcno  i  maestri  attici  hanno  prestato  11  loro  aiuto. 

Bei  Gelegenheit  der  Winckelmannsfeier  wurden  zu  Correspon- 
denten  ernannt: 

Herr  Alfonso  Buglione  conte  di  Monale  in  Korn 
»      Ernst  Eicliler  in  Rom 
»       Dr.  Isidoro  Falchi  in  Montopoli  Valdaruo 
»      Angelo  Lupattelli  in  Perugia 
»      Ludwig  Otto  in  Dresden 
»      Pietro  Stettiner  in  Rom 

Sitzung  am  17ten  December:  Di  Monale:  Entdeckungen  falis- 
kischer  Altertliümer  bei  Corchiano  (s.  Mittheiluugen  II  p.  21-36).  — 
Helbig  :  lieber  bei  Corcliiano  gefundene  Kottabosgeräthe  (s.  Mit- 
theilungen II  unten). 

Sitzung  am  7ten  Januar :  Le  Blant  :  Zwei  Bronzeagraffen 
aus  dem  6.  oder  7.  Jahrhundert.  —  Stettiner  :  Bei  Tivoli  ge- 
fundenes  römisches  Tripondium.  Bei  Mantua  gefundenes  aes  signa- 
tum.  —  Gatti  und  De  Rossi  :  Fragment  einer  Inschrift  des  Königs 
Ariobarzanes  I,  gefunden  auf  Piazza  della  Consolazione.  Grabinschrift 
von  der  Via  Portueusis.  —  Helbig  und  Dümmler:  Goldene  Fi- 
bula mit  altlateinischer  Inschrift  aus  Palestrina  (s.  Mittheilun- 
gen II  p.  37-43). 

Le  Blant:  Les  deux  bijoux  de  bronze  que  jai  Thonneur  de  prdsenter 
ä  la  compagnie  ont  ete,  me  dit  on,  trouves  ä  Rome,  sans  que  Ton  puisso  nie 
ddsigner  exactement  le  lieu  d'nü  ils  provicniiont.  Ce  sunt  dcnx  agrafes  autrc- 


58  SITZÜNGSPROTOCOLLE 

fois  fixe'es  sur  des  ceintures  de  cuir.  Leur  forme,  peu  commune  ä  Rome,  ne 
se  rapproclie  en  rien  de  Celle  des  fibules  antiques;  eile  se  rapproclie  du  type 
com-ant  aux  temps  merovingiens  et  byzantins.  Toutes  deux  sont  de  l'e'poque 
chretieune.  Sur  la  plaque  de  la  premi^re  est  grossierement  trace  un  oiseau  pose 
sur  unc  brauche  charge'e  de  fruits  et  devant  lequel  se  trouve  une  palme.  Le 
Corps  de  cet  oiseau  est  moucliete  de  points  indiquant  les  couleurs  variees  de 
son  plumage.  —  La  seconde  agrafe,  qui  a  ete  lortemeut  doree,  montrc  sur  sa 
plaque  uue  croix  dont  chaque  bras  porte  ä  son  extremite  une  lettre  : 


H- 


-N 


Le  nora    propre    que    representent   ces    lettres  est-il  grec  ou  latin  ?  S'agit-il 
pour  les  deux   preraieres    d'un  C  ou  d'un    sigma-  lunaire,  d'un  H  romain  ou 
d'un   ijTcc  ?  je   ne    saurais  le  dire,    bien    que    Tobjet  paraisse  plutot  etre  by- 
zantin.  La  disposition  particuliere  du  monogramme  et  la  forme  des  caracteres 
permettent  de  classer  les  deux  agrafes  au  VP  ou  au  VIP  siöcle.  —  La  croix 
grav^e  sur  la  seconde  d'entre  elles  la  faisait  peut-etre  considerer  par  son  pos- 
sesseur  comme  un  phylactere.  Se  croire,  se  faire  garder  de  tout  malheur  par 
les  objets  que  Ton  portait  sur  soi,  parait  avoir  ete  souvent  dans  l'esprit  des 
anciens.  II  en  est,  entre  plusieurs  autres,  une  preuve  dans  Tagrafe  d'or  d'un 
baudrier  trouve  en  Grece  que  possede  maintenant  notre  beau  musee  d'ai-tillerie 
de  Paris.  Au  milieu  de  Tagrafe  est  enchässee  une  monnaie  d' Alexandre,  et  je 
n'ai  pas  besoin  de  dire  ici  qu'on  attribuait  autrefois  ä  cette  medaille  une  haute 
vertu  preservatrice.  Comme  les  pai'eus,  les  fideles  partageaient  une  teile  cro- 
yance  que  leur  reprochent  les  Peres,  et  je  signalerai  ä  ce  propos  une  autre 
figure  incessamment  reproduite    sur  les  agrafes  d'un  peuple  guerrier,  les  Bur- 
gondes,  au  sixiöme  et  au  septii^me  siecle.  C'est  l'image  de  Tun  des  emblemes 
les  plus  clairs  de  la  preservation    dans    un   torrible    danger,    celle  de  Daniel 
debout  entre  les  lions    rendus    inoffensifs    par   la  puissance   de  Dieu.  Placke 
comme  la  mödaille    d' Alexandre    sur  un  objet    de    meme  nature,  la  scene  de 
Daniel,  ä  peu  pres  exclusivement  choisie  pour  figurer  en  cet  endroit  par  les 
Burgondes  de  la  Gaule,    peut    avoir    eu    dans  leur  pensee  le  meme  role  que 
cclui  des  monnaies  dont  je  parle,  je  veux  dire  le  role  de  phylactere. 

Stettiner:  II  tripondio,  trovato  a  Tivoli  nel  settembre  1886,  pesa 
grammi  285  ed  appartiene  percit)  alla  riduzione  dell'  asse  a  4  once.  Vaes 
signatum,  rinvenuto  presso  Mantova,  e  simile  a  quelli  rinvenuti  a  Marzabotto, 
Parma,  Peggio  Emilia,  Teramo,  Fiesole,  Orvieto  e  Cerveteri  e  descritti  dal 
P.  Garrucci  nella  ultima  sua  opera  (tavv.  VII,  Vm,  IX  e  LXVII).  Porta  sulle 
due  facce  un  tronco  bracciato  della  gramigna,  pesa  grammi  2240,  equiva- 
lente  a  circa  sette  libbre,  per  cui  pu^  supporsi  che  -il  pezzo  intero  pesasse 
12  libbre. 


SITZUNGSPROTOCOLLE  50 

Gatti  :  Nei  lavori  di  foudazionc  di  uii  uuovo  fabbricato  sulla  piazza 
della  Consolazione  si  c  rinvenuto  im  frammento  di  grande  blocco  rettango- 
lare  di  travertino,  il  quäle  coiiserva  questo  avanzo  di  antica  iscrizione: 


Nello  stesso  luogo  fu  trovato,  nello  scorso  mese,  un  simile  parallclepipedo  di 
travertino,  su  cui  rimaiie  un  notevole  frammento  epigrafico,  greco  e  latino, 
che  sarä  pubblicato  e  dichiarato  dal  Mommsen  (s.  Mittlieilungen  II  untenj. 
L'uno  e  l'altro  masso,  identici  nella  forma  e  nella  struttura  architettonica, 
appartenevano  certamente  alla  costruzione  di  un  vetusto  edificio,  che  dovea 
trovarsi  sull' altura  del  Capitolium;  donde  poi  rovinarono  nel  piano  sottopo- 
sto,  che  e  appuuto  Todierna  piazza  della  Consolazione.  Le  epigrafi  che  vi 
sono  incise,  appartengoiio  alla  serie  di  quelle  che  il  Mommsen  ha  dimo- 
strato  essere  state  dedicate  al  popolo  romano,  dopo  la  prima  guerra  mitrida- 
tica,  da  re  e  popoli  diversi  dell'Asia ;  e  si  trovano  tutte  scritte  sopra  massi 
rettangolari  di  travertino,  aventi  fra  loro  una  medesima  diraensione.  II  fram- 
mento sopra  riferito  puu  attribuirsi  probabilmente  al  re  Ariobarzaue,  primo 
di  questo  nome,  al  quäle  da  Silla  fu  restituito  il  regno  di  Cappadocia  usur- 
pato  da  Mitridate.  L'  iscrizione  era  dedicata  Junonjei  Regina[e ;  e  puö  con- 
frontarsi  con  altre  due  della  medesima  serie,  le  quali  nominano  Giove  Capi- 
tolino.  Laonde  se  queste  ultime,  secondo  la  opinione  del  Mommsen,  erano 
poste  nel  tempio  di  Giove  Ottimo  Massimo,  il  frammento  teste  rinvenuto  pur. 
benissimo  spettare  al  medesimo  santuario,  nel  quäle  anche  Giunone  regina 
aveva  pubblico  culto. 

De  Eossi  :  r  enunciata  scoperta  giova  a  confermare  la  sentenza,  ac- 
cettata  oramai  da  tutti  i  topografi  di  Eoma,  che  cioe  il  Capitolium  e  il 
tempio  di  Giove  sorgessero  sull'altura  meridionale  del  colle  capitolino,  e  non 
su  quella  opposta  ov'  e  ora  la  chiesa  d'Aracoeli. 

Gatti  :  un'  iscrizione  in  marmo  ,  trovata  circa  il  primo  miglio  della 
via  Portuense,  in  una  vigna  della  collina  di  Monte  Verde,  dice  cosi: 

D  M 

AVRELIVS • NICE 
TA  •  AVRELIAE  •  AELI 
A-NETI-FILI-AE-BENE 
MERENTI    •    FECIT    • 
FOS  •  SOR  •  VIDE  •  NE 
FODIAS  •  DEVS  •  MA 
GNVOCLV  •  ABET  •  VI     sie 
DE-ETTV-FILIOABES 


60  SITZUNGSPROTOCOLLE 

La  formola :  Fossor ,  vide  ne  fodias,  puo  confrontarsi  con  altre  simili  che 
s'  incoutrano  neH'epigi'afia  sepolcrale,  e  che  qualificano  come  sacrilegium  lo 
scavare  in  terreno  religioso.  Perciö  Tistitutore  del  sepolcro  ammonisce  chiun- 
que  tentasse  violarlo,  che  il  nume  supremo  ha  gli  occhi  aperti,  vede  ogni 
cosa,  e  potrebbe  punire  l'offesa  recata  alLa  religione  del  sepolcro  della  pro- 
pria  figlia,  nella  persona  dei  figli  di  lui. 

De  KosSI  '.  la  formola  fino  ad  ora  unica  nei  monumenti  cpigrafici 
Deus  magnu{s)  oclu  {h)ahet  dee  essere  confrontata  con  la  dottrina  dal  rif. 
esposta  nel  Bull,  crist.  1863  p.  59,  60,  circa  la  diffusione  divenuta,  raassime 
nel  secolo  terzo,  ogni  di  maggiorc  tra  i  pagani  nel  mondo  romano,  della  cre- 
denza  nell' unitä  del  sommo  Dio,  e  delle  formole  ad  essa  alludenii;  le  quali 
sono  talvolta  uno  dei  problemi  piü  difScili  nel  discernere  le  iscrizioni  pagane 
dalle  cristiane.  Sono  notissinie  le  conlroversie  circa  la  cristianitä.  pretesa  dal 
Maffei,  di  un'ara  veronese  dedicata  Deo  magno  aeterno  (v.  Orelli  n.  2140.  21-41). 
La  medesima  formola  e  teste  apparsa  in  ini'  ara  africana  {Epliem.  epigr.  V 
p.  414  n.  787);  ed  in  un'  epigrafe  votiva  bilingue  di  Miseno  si  legge  congiun- 
tamente :  Deo  magno  et  fato  hono  {C.  I.  L.  X  n.  3336).  Lo  scongiuro  per 
r  inviolabilitä  del  sepolcro,  appellando  alla  Vendetta  di  Dio  grande  insiemo 
a  quella  dei  Manes,  appellati  öcdfxofsg  xccrce/O^öyiot  h  formolato  in  un'epigrafe 
greca  della  Frigia  nelle  parole  seguenti :  'Eroqxi^öusSa  6e  xo  /nsysi^os  rov 
d^eov  xcd  Tovg  xarci^d^oriovs  (^iduovcig  fjij&s't'cc  ddiy.i-aat  to  ^ri]ueTov  x.  r.  '/.. 
[Bull,  de  corresp.  hellen.  1882  p.  516).  Lioltre  la  formola  Deus  magnus  oclu 
habet  e  illustrata  da  esplicita  testimonianza  di  Cipriano  ;  il  quäle  nel  secolo 
terzo  parlando  dei  pagani  scrisse  :  «  dici  frequenter  audimus  «  Deus  »  et  «  Deus 
videt  '»  {}).  Finalmente  il  rif.  ricordö  un'  iscrizione  pagana  sepolcrale  da  lui 
medesimo  collocata  nel  grande  corridore  lapidario  vaticano,  la  quäle  tennina 
con  la  singolare  formola  chiedeute  una  preghiera  pel  defonto  :  Tu  qui  leges 
et  non  horaberis  (sie)  erit  tibi  Deus  testimonio. 

Sitzung  am  14teii  Januar:  Tommasi-Crudeli :  Bemerkungen 
über  das  Klima  von  Kom.  Antike  Entv/ässerungsanlagen  in  der 
römischen  Campagna  (s.  Mittlre ilungen  II  unten).  —  Conze  :  Aus- 
grabungen von  Pergamon. 

Conze  :  Lesse  un  breve  rapporto  intorno  i  scavi  di  Pergamo  eseguiti 
per  ordine  del  E.  governo  prussiano  (-).  Disse  che,  se  nel  cominciare  quegli 
scavi  davano  resultati  principalmente  per  la  storia  delle  belle  arti,  ultima- 
mente  appartenevano  piü  gencralmente  alla  storia  della  coltura  greca,  essen- 
dosi  sostituito,  come  oggetto  delle  ricerche,  ad  un  singolo  monumeuto  piut- 
tosto  l'intiera  cittä  di  Pergamo.  —  Essendosene  messa  a  luce  la  parte  la  piü 
importante,  si  e  compiuta  una  rivoluzione  totale  nella  topogratia  di  Pergamo. 

(1)  Quod  idola  dii  non  sM  cap.  9 ;  Opp.  ed.  Hartel  I  p.  26. 

(•)  Cf.  Die  Ergehiiisse  der  Ausgrabiaif/en  su  Pergamoiij  vorläufiger  Bericht  von  Conze^ 
Humann,  Bohn,  Stiller,  LoUing  und  RaschdorfF.  Burlin  1880.  Die  Ergebnisse  der  Ausgrabungen  su 
I'ergamon  1880-1881,   Vorläufiger   Bericht  von  Conze,  Ilumann,  Bohn.  Berlin  1882. 


SITZUNGSPROTOCOLLE  61 

Prima  degli  scavi  si  riteneva  che  la  capitale  degli  Attalicli  si  stendcsse  dalla 
montagna  fin  nella  pianura  al  di  lä  del  fiumc  Selinus;  adesso  si  sa  clie  occu- 
pava  solamcnte  il  montc  e  die  quasi  tutti  gli  avanzi  di  costruzioni  situati 
faori  del  recinto  di  Eumene  11  non  appartengono  che  all'  epoca  romana.  Fu 
compiuto  cotale  cambiamcnto  delle  idee  intorno  la  topografia,  quando  quasi 
in  cima  alla  montagna  si  scopri  il  foro  cd  il  teatro  del  tempi  dei  re  (').  — 
Fatte  c  terminate  queste  due  scoperte ,  i  lavori  furono  diretti  verso  la 
sommitä  della  montagaa,  che  formava  il  germe  e  nucleo  di  tutta  la  citta. 
Come  risultato  degli  scavi  condotti  ivi  al  fine  si  pu6  stahilire  che  questa 
parte  antichissima  della  cittä  nei  tempi  dei  successori  di  Filetero  era  dive- 
nuta  la  reggia,  come  per  esempio  l'acropoli  dell'antica  Bisanzio  sotto  gli  Otto- 
mani  divenne  il  serraglio,  recinto  fortificato,  nel  quäle  stavano  non  un  solo  pa- 
lazzo,  ma  diverse  abitazioni  dei  sovrani  e  delle  loro  famiglie.La  reggia  aPerganio 
conteneva,  oltre  l'antichissimo  santuario  di  Minerva  con  la  bibliotcca  fondata 
nei  tempi  dei  re  (-),  altri  cinque  complessi  di  edifizi,  dei  quali  e  conservata 
almeno  la  configurazione  della  pianta  nei  fondamenti.  Non  mancano  alcuni 
trovamcnti  di  singoli  oggetti,  che  aiuteranno  la  spiegazione  di  siffatti  avanzi.  — 
Dove  nel  nord ,  a  ponente  di  quei  palazzi  reali ,  si  stendeva  una  terrazza 
con  un'  esedra  edificata  da  Attalo  11,  il  terreno  fu  nei  tempi  imperiali  romani 
considerevolmente  ampliato  mediante  una  serie  di  fondazioni  a  volta  e  vi  fu  eretto 
sopra  un  tempio  grandiose  di  stile  corinzio  con  un'area  circondata  da  colon- 
nati.  Questo  santuario  prima  fu  dichiarato  per  1'  Augusteo,  ma  adesso  si  sa, 
principalmente  da  una  iscrizione  bilingue,  che  era  il  tempio  dedicato  a  Giove 
amicale  e  Traiano.  Concorrono  altri  indizi  che  l'insieme  non  fu  terminato 
che  sotto  Adriane  e  probabilmente  destinato  allora  al  culto  di  ambedue  quegli 
imperatori.  —  II  rif.  menzionfj  in  fine  la  scoperta  di  un  acquedotto  dai  tempi  dei 
re,  il  quäle  conduceva  l'acqua  di  sorgente  quasi  fino  al  puuto  piu  alto  della  cittä. 
Era  un  acquedotto  sotterraneo  co.struito  con  tubi  di  piombo;  l'acqua  vi  saliva 
mediante  la  pressione,  passando  dal  livello  piü  basso  della  valle,  che  traver- 
sava,  fino  al  punto  piü  alto  non  meno  di  150  metri  di  altezza.  Questa  ricerca 
e  scoperta  fu  fatta  dal  signor  Graeber,  architetto,  incaricatone  dall'accademia 
delle  scienze  di  Berlino. 

Sitzung  am  21ten  Januar:  Gamurrini:  Schale  mit  faliskischer 
Inschrift  aus  Civitacastellana.  Lateinische  Inschrift  bei  Corchiano. 
Strzygowski  ,  G.  B.  Eossi  und  Gatti:  Ansicht  Roms  in  einem 
Gemälde  Cimabue's  in  der  Oberkirche  von  S.  Francesco  in  Assisi 
(s.  Mittheilungen  II  unten).  Dümmler  :  lieber  Vasen  von  Naukratis. 

GamURRINI:  Present6  una  tazza  arcaica  di  bucchero  nero  trovata  nella 
necropoli  che  si  esplora  a  sud    di    Civita    Castellana ;   era  in  una  tomba  da 

(1)  Cf.  Conze^^?«'  Topographievon Pergamon^  Sitsungsber.  d.  K.Ak.  d.  W.su  Berlin  1884  p.  7. 

(2)  Tutto  ciö  che  conceme  il  santuario  di  Minerva  e  la  biblioteca  fu  pubblicato  nel  II  vo- 
lume  degli  Alterthiimer  von  rergamon:  Der  Tempel  der  Athena  Polias  Nikephoros  von  R.  Boliu 
mit  einem  Beitrage  von  II.  Droysen.  Atlas  in  folio,  Text  in  4.  Berlin  1885. 


62  SITZÜXGSPROTOCOLLE 

ciü  si  cstrassero  vasi  italici  graffiti  a  flgure  aiiimalesche,  che  rimontano  ad 
un'  etä  non  inferiore  al  sesto  secolo  av.  Cr.  Nella  tazza  si  vcggono  (lue  epi- 
grafi  graffite  esternamente  :  nell'una,  che  e  accomiiagnata  dal  segno  di  una 
testina  uraana,  si  legge  : 

I  O  t  q  A  >i  O  >l  0  =  ^Äo  lartos. 

uciraltra,  scritta  a  rovescio  rispetto  alla  prima : 

O  I  I  <3>  I  I  I  A  >l  O  >l  3  =^A-o  kaisidsio. 

Fece  rilevare  che  questa  forma  di  lettere  deriva  dall'alfaheto  greco  calcidico, 
che  s'  introdusse  nella  regione  falisca  dalla  ])arte  del  Lazio,  e  paragonö  Tepi- 
grafe  a  quella  di  Ardea,  che  reca :  ^OOKANAIO^.  non  solo  mostrando 
la  confurmazione  alfabetica,  come  la  eko  falisca  risponda  alla  echo  od  ego 
ardcatina,  sostenendo  che  la  parola  ha  la  significazione  di  ego,  e  ricordando 
a  tal  proposito  VEgo  G.  Antonios  del  puticolo  dell'  Esquilino.  Dalle  iscri- 
zioni  trovate  fln  qui  nel  territorio  falisco  si  puö  legittimamente  distinguere 
la  scrittura  falisca  in  tre  periodi :  nel  primo  i  Falisci  ricevettero  Talfabeto 
greco  calcidico  diffuso  nel  Lazio ;  nel  secondo  accolsero  le  forme  (ma  sembra 
non  tutte)  dell'etrusco  ;  nel  terzo  sotto  il  romano  dominio  modificarono  alcune 
lettere,  da  renderle  reculiari  alla  loro  regione.  Queste  fasi  vengono  sempre 
piü  comprovate  da  nuove  epigrafi,  che  nello  scorso  mese  di  gennaio  suno  av- 
venute  a  Civita  Castellana.  —  Ad  un  miglio  dal  paese  di  Corchiano,  presse 
Tantica  via  che  conduce  a  Falleri,  sta  incisa  in  rupe  a  gi'andi  e  profonde  let- 
tere l'epigrafc  seguente  dal  rif.  copiata  sul  luogo 

C-nONATIVS-S///F-PRATA 
FACIVNDACOIRAVIT 

Si  appalesa  del  secondo  secolo  av.  Cr.  e  ricorda  un'  opera  pubblica  eseguita  da 
C  Ponatio  in  quel  territorio,  la  quäle  non  ci  era  ancora  trasmossa  nella  latina 
epigrafia.  Consistette  quella  nel  prosciugare  gli  acquastrini,  nel  raccogliere  le 
acque,  e  nell'  inigazione  dei  prati :  i  quali  lavori  si  potrebbero  forse  studiare 
ancora  quali  furono  nella  contrada  stessa,  che  serba  tante  vestigia  delle  opere 
antiche. 

StRZYGOWSKI  :  ha  disegnato  sulla  tavola  una  vcduta  di  Roma,  la  qualc 
trovo  fra  gli  afifreschi  nella  chiesa  superiorc  di  s.  Francesco  in  Assisi.  Tale 
pittura  h  d'importanza  per  la  storia  del  rinascimento  dell'arte  in  Italia,  comc 
])er  la  topografia  di  Roma,  perchö  h  stata  eseguita  circa  nclF  anno  1275  dal 
Cimabue  neH'angolo  accanto  all' evangelista  s.  Marco  che  si  vede  nella  volta 
sopra  l'altar  maggiore.  Vediamo  una  cittä  circondata  di  mura  e  nella  parte 
anteriore  una  porta  con  due  torri  al  fianco.  Entrati  abbiamo  a  d.  il  castel 
8.  Angelo,  il  quäle  contro  l'opinione  del  Bunsen  giä  in  quel  tempo  era  senza 
la  parte  superiore  e  portava  una  torre  medioevale,  eretta  forse  da  Innocenzo  III. 
A  sin.  evvi  una  basilica,  la  identificazione  della  quäle  h  incerta.  In  dietro  si 
vedc  una  delle  torri  costruite  da  Innocenzo  III :  la  cos'i  detta  t^rre  di  Nerone 


SITZUNGSPROTOCOLLE  (jo 

0  la  sua  coinpagna,  la  torre  dci  Conti.  Passando  fra  qucsti  monumcnti  stiaiiKj 
avanti  il  Pantheon,  che  si  riconosce  indubitabihnente  dal  portico  e  dalla  ou- 
pola  aperta.  Rivolsrendoci  a  d.  vedianio  la  piramide  di  Gestio.  Nel  fondo 
vi  sono  due  basiliche,  quella  a  sin.  con  un  frontone  gradinato,  al  quäle  .si 
vedono  armi.  A  d.  sorge  la  basilica  di  s.  Giovanni  in  Tiaterano,  come  l'aveva 
fabbricata  Sergio  III  c  come  fu  bruciata  nel  1308.  Tale  denominazione  e  fuor 
di  dubbio,  riconoscendosi  il  musaico  della  facciata  (Cristo  con  la  Madonna  e 
s.  Giov.  Battista)  ed  il  noto  campanilo.  Neil'  angolo  destro  si  vede  un  altro 
campanile.  H  dott.  Strzygowski  crcde,  stanto  la  fedeltä  con  la  quäle  sono 
riprodotti  questi  moiuimenti,  di  poter  conchiudere  che  l'autore  di  questa  ve- 
duta,  il  Cimabue,  debba  essere  stato  a  Roma  ed  aver  studiato  i  monumenti 
stessi. 

De  Rossi  :  contradice  a  tale  opiniono,  riferendosi  alla  scrie  di  vcdutc 
di  Eoraa,  della  quäle  finora  era  la  piü  antica  quella  della  bolla  delFimperatore 
Ludovico  di  Baviera  dell'anno  1328.  Tutte  queste  vedute  mostrano  lo  stesso 
Schema :  il  Pantheon ,  il  palazzo  del  Campidoglio  ed  il  Colosseo  nclla  linea 
di  mezzo,  la  Porta  del  pop(do  nella  parte  anteriore.  kWa,  ä.]a  moles  Ilculriana^ 
meta  Romuli  e  s.  Pieti-o.  Alla  sin.  s.  Lorenzo  in  Lucina,  la  colonna  Traiana. 
una  torre  d'Innocenzo  III  e  s.  Giovanni  in  Laterano.  La  pianta  in  discorso  appar- 
tiene  a  questa  serie,  la  quäle  aramonta  tin  alle  piante  autiche,  la  forma  Urhis 
capitolina,  ed  alla  vespasiana  cd  agrippiana-augustea.  Peru  la  pianta  in  di- 
scorso h  d' un' importanza  singolare,  perclie  h  adesso  11  piü  antico  esempio 
del  medioevo  con  una  data  certa.  La  chiesa  alla  sinistra  e  s.  Lorenzo  in  Lu- 
cina, la  piramide  a  destra  la  meta  Romuli,  dietro  alla  quäle  sorge  un  cam- 
panile di  s.  Pietro.  La  chiesa  nel  fondo  a  sinistra  h  Aracoeli. 

StrzyGOW.SKI:  risponde  che  la  chiesa  a  sin.  non  puö  essere  s.  Lo- 
renzo in  Lucina  avendo  questa  basilica  la  torre  a  d.  mentre  quella  della  pit- 
tura  l'ha  a  sin.  Poi  insiste  sulla  piramide  di  Gestio  contro  quella  cosi  detta 
di  Eomolo,  distrutta  nel  1499,  perchö  Gimabue  conosceva  benissimo  la  forma 
strana  della  meta  Romuli,  come  si  vede  nel  suo  aflfresco  che  lappresenta  il 
martirio  di  s.  Pietro  ,  dove  si  ha  a  sin.  la  piramide  di  Gestio,  a  d.  la  meta 
Romuli.  II  rif.  ammette  il  campanile  di  s.  Pietro  e  riconosce  nella  facciata 
d'Aracoeli  le  armi  dei  Savelli. 

Gatti  :  cerca  di  dar  la  soluzione,  ma  le  opinioni  contrario  restano  in 
questione. 

De  Rossi  :  annunzia  un  discorso  sopra  questa  serie  di  piante  topo- 
grafiche  di  Eoma. 

Strzygowski:  dice  che  sta  lavorando  alla  pubblicazionc  di  questa 
pianta  del  Gimabue. 

DümmlER:  presenta  due  vasi  trovati  nclla  medesima  parte  della  ne- 
cropoli  ceretana.  L'uno,  di  fabbrica  ateniese  della  metä  del  VI  secolo,  serve  a 
determinar  V  etä  dell'altro,  di  un  gencrc  del  quäle  il  piü  celebre  csempiu  e 
il  vaso  di  Busiri  a  Vienna.  Dimostr5  che  la  tecnica  e  lo  stile  dell'idria  con 
questi  altri  vasi  concordano,  mentreche  la  rappresentazione  ö  comunissima : 
"pliti    combattenti  e  giovani  a  cavallo.  —  Essendo   impossibile   di   sostenerc 


64 


SITZÜNGSPROTOCOLLE 


per  questo  gruppo  di  vasi  uu'  origine  etrusca,  ciu  che  proibisce  aiiclie  la  sola 
cronologia,  egli  accernio  che  la  intiraa  domestichezza  coi  tipi  nazionali  afri- 
cani  e  col  vestiario  egizio,  ne  ineno  TaiBnitä  della  decorazione  coi  vasi  di  Eodi, 
rcndono  assai  probabile  la  provenienza  da  una  fabbrica  ionica  sitiiata  in  Africa. 
Prima  di  esternare  un'  opinione  precisa  bisognerobbe  peru  aspettar  la  conti- 
iiuazioiie  dell'opera  di  Flinders-Petrie  sugli  scavi  di  Naucrati,  esseiido  incom- 
pleta  la  priraa  parte  principalmente  riguardo  agli  avanzi  di  ceramica. 


Den  schmerzlichen  Veiinst,  welchen  das  Institut  durch  den 
nach  kurzer  Krankheit  am  27ten  Januar  erfolgten  Tod  seines 
hochverdienten  ersten  Secretars ,  Professor  Willieliu  Heiizen, 
erlitten  hat,  bringen  wii'  hierdurch  zur  Keuntniss  der  Leser  der 
Mittheilungen.  Die  bei  der  Erinuerungsfeier  zu  Ehren  des  Verstor- 
benen am  Uten  Februar  gehaltenen  Reden  erscheinen  im  nächsten 
Hefte. 


ADÜNANZA  SOLENNE 
IN  COMMEMOKAZIONE  DI  GUGLIELMO  HENZEN. 

DISCORSO  DI  G.  B.  DE  ROSSI 


CoE  ciiore  trafltfco  da  spina  aciitissiina,  animo  desolato,  voce 
tremante  m'accingo  a  compiere  il  Uigubre  ufficio,  al  qiiale  gli 
onorandi  coUeghi  della  dii-ezione  di  cotesto  Istitiito  haniio  voliito 
prascegliermi ;  ne  alla  loro  cortese  insistenza  potei  fermamente 
opporre  ostiuato  diniego.  Perche  mi  sia  meno  difficile  il  frenare 
rimpeto  degli  affetti,  che  prorompeudo  soffoclierebbe  la  dolente 
parola,  comincerö  dal  dire  in  modo  breve,  pacato  e  quasi  didat- 
tico  della  vita  scientifica  del  graude  maestro,  il  cui  iiome  in 
quest'aiüa,  in  qiicsto  liiogo  medesimo,  ove  egli  sedeva,  non  so 
come  avrö  cuore  di  pronimciare.  Poi  preso  abito  al  discorrere  di 
lodi  si  care,  mi  farö  animo  a  toccare  le  corde  piü  delicate  del 
nostro  compianto. 

Nel  1841  veniva  da  Brema  a  Roma,  e  poi  visitata  coll'illustre 
Welcker  la  Grecia  fermava  stabile  dimora  fra  noi  sii  qiiesto  clas- 
sico  colle  il  dotto,  modesto,  a  tutti  accettissimo  iiweiüs  Ccqnlo- 
tliiits  (^).  che  doveva  per  quarantacinque  anni  essere  ornamento 
e  colonna  del  nostro  Istituto.  Fece  le  prime  prove  nella  palestra 
archeologica  trattaudo  soggetti  assai  diversi  anche  di  iconogratia 
c  di  arte  eUenica  e  romana ;  ed  ebbe  dall'  accademia  pontificia  di 
archeologia  la  medaglia  d'oro  di  premio  a  concorso  per  Tillustra- 
zione  del  musaico  borghesiano  ritraente  scene  gladiatorie  (-).  Ma 

(')  luvenes  CapitoUni  con  appellazione  classica  sogliono  essere  fami- 
gliariiiente  detti  i  giovani  Tedeschi,  che  attendono  agli  studii  neiristitutu 
arclieologico  Germanico  sulla  rupe  Tarpea. 

(2)  KcpUcatio  musivi  in  villa  Burghesiam  asservati,  quo  certamina 
amphitheatri  rejiraesentata  extant,  auctore  G.  Ilenzenio  Bremano,  n.'llo 
Dissertazioni  della  pont.  accad.  roniana  di  archeologia,  tomo   XII  p.  73-158. 


ßC)  COMMEMORAZIONE 

alla  futura  grandezza  di  lui  il  piü  saldo  foudamciito  fii  g:t!;aio 
r  anno  1844  nel  viaggio  a  San  Marino  e  nella  ccnsultaziono 
dell'oracolo,  Bartolomeo  Borghesi,  che  da  quella  vetta  dava  i 
responsi  ad  ogni  quesito  circa  le  monete  e  le  iscrizioni  concer- 
nenti  cronologia,  genealogia,  storia,  diritto  pubblico,  istituti  poli- 
tici  e  privati  della  repiibblica  e  dell'impero  romano.  II  provetto 
Italiauo  dittatore  della  scienza  epigrafica  ed  il  giovane  archco- 
logo  Tedesco  tosto  si  conobbero  fatti  l'uno  per  l'altro:  ed  il 
Borghesi,  che  piangeva  la  perdita  dell'esimio  discepolo  Danese 
Olao  Kellermann,  adottö  nel  luogo  di  Ini  Giiglielmo  Henzen.  II 
quäle  con  savio  consiglio  non  volle  piii  lasciarsi  allettare  dalla 
varieta  degli  argomenti,  che  la  molteplice  e  feconda  siia  cnltura 
iilologica  ed  antiquaria  gli  dava  facolta  di  delibare;  ma  tutta 
ristrinse  la  scientifica  operositä  entro  il  campo  dell"  epigralia 
greco-latina.  Del  modesto  e  costante  proposito  colse  il  frutto  di 
quella  soliditä  di  dottrina  e  sicurezza  di  giudizi,  che  in  lui  tutti 
ammirammo  ;  ed  il  cui  lento  ne  mai  interrotto  progresso  mi  sara 
troppo  difficile  descrivere  in  succinto  e  nella  commozione  del 
funebre  elogio. 

La  dottrina  epigrafica  dei  monumenti  antichi  greci  e  latini 
del  mondo  romano  era  venuta  alle  mani  del  Borgliesi  quäle 
l'aveva  poco  meno  che  creata  il  concittadino  di  lui  Gaetano  Marini. 
II  quäle  sulla  salda  base  di  grande  nuraero  di  testi  esattamente 
trascritti  dalle  lapidi  originali  fondö  il  sistema  critico  di  ampli 
confronti  dei  dati  raccolti  da  quelli  testi  editi  ed  inediti  con  i 
simili  dati  tratti  da  ogni  altro  genere  di  antichi  d)cumenti  e 
dalla  storia.  Indi  o  scaturiscono  spontanee  o  con  industre  razio- 
cinio  si  vengono  scoprendo  e  formolando  nozioni  certe  e  fonda- 
mentali  circa  le  magistrature  maggiori  e  minori,  gli  ordini  poli- 
tici  ed  amministrativi,  le  cose  pubbliche  e  private  dello  stato, 
dei  municipii,  delle  colonie  di  Eoma  repubblicana  ed  imperiale ;  e  si 
ritesse  la  tela  scompigliata  ed  in  gran  parte  distrutta  dei  suoi 
fasti  civili  e  militari,  urbani  o  provinciali.  Questa  e  vera  scienza 
di  storia  politica  e  di  precisione  cronologica:  alla  quäle  non  dee 
bastare  il  racconto  della  perpetua  vicenda  di  guerre  e  paci, 
delle  piü  notc  succe^ioni  di  imperanti,  e  dei  precipui  mutaraenti 
djUo  stato,  senza  la  conoscenza  intima  delle  istituzioni,  del  loro 
continuo   c  quasi  inosservato  svolgimcnto  e  trasformazione,   senza 


1)1    U.    IIEXZEN  ()7 

il  quadro  csatto  doUa  cronologia,  nel  qnalo  disporre  e  fissare  la 
Serie  degli  avvenimeiiti.  II  Mariiii  perö  iicl  raccogliere,  registrarc 
e  darc  in  Ince  il  frutto  di  silTatti  stiidii  non  volle  adottare  foniio 
metodiche.  Nel  voliime  dellc  lapidi  del  miiseo  Albani  e  special- 
meute  nell'opera  immortale  iutorno  ai  fi-ammenti  degli  atti  dei 
fi-at^lli  Arvali  die'  fondo  a  quanto  aveva  segnato  in  miscellanee 
di  osservazioni  {adversaria)  {^);  e  riversö  nei  coraraenti  ai  testi 
lapidari  da  liü  piibblicati  ed  in  prolisse  note  ai  commenti,  senz'or- 
dine  veruuo,  il  vario  raccolto  e  spicilegio  fatto  nel  campo  del- 
l'antica  epigraüa. 

Non  cosi  procedette  il  Borghesi;  i  cui  passi  furono  gigantesclii 
uella  via  aperta  e  tracciata  dal  Marini.  Egli  si  propose  comc 
lavoro  principale,  metodico,  costante  di  tiitta  la  vita  il  rifarc  od 
ordinäre  i  fasti  e  la  cronologia  dei  consoli,  dei  magistrati  mag- 
giori,  dei  governatori  delle  province,  dal  consolato  di  Briito  e 
Collatino  all'  impero  di  Giiistiniano.  I  singoli  capi  dell'  immen- 
surabile  dottrina  acqiüstata  nel  grande  apparecchio  di  si  ardua 
impresa  egli  venne  a  quando  a  quando  esponeudo  e  svolgendo 
nel  rispondere  ai  qiiesiti,  e  nell'  illustrare  ora  l'iina  ora  l'altra 
delle  piü  insigni  iscrizioni,  che  tornavano  alla  luce.  Talche  ogniina 
delle  dissertazioni  del  Borghesi  e  sovente  anche  le  sue  dottissime 
epistole  erano  quasi  trattati  sintatici,  che  raccoglievano  tiitti  i 
dati,  definivano  lo  stato  della  scienza  e  ne  formolavano  i  canoni 
per  ciascuno  dei  capi  od  argomenti,  che  al  sommo  maestro  occor- 
reva  dichiarare;  senza  mai  divagamento  dal  pimto  pretisso,  ne 
sfoggio  d'erudizione  e  di  inedite  novitä,  se  queste  non  servivano 
direttamente  al  tema  ei  al  raziocinio.  II  Borghesi  disseminando 
cosi  senza  preconcetto  disegno  l'altissimo  insegnamento,  secondo 
che  le  opportimitä  ed  i  quesiti  lo  richiedevano,  non  s'accinse  ne 
forse  credette  matiu'o  il  tempo  alla  sintesi  generale  ed  ordinata 
della  dottriia  epigratica  e  dei  siioi  canoni. 

Fedele  al  metodo  del  maestro  e  continuandone  la  tradizioue, 
THenzen  dapprima  imprese  ad  illustrare  i  piü  insigni  monumenti 

(1)  Düi  zibald  )ni  epis^rafici  del  Mariiii  da  lui  medesimo  iiititolati  Adi'cr- 
saria  maiora  e  miuora  \\o  dato  notiziaairaccadeinia  romana  pontiticia  di  arcliou- 
lugia  iiclla  sossione  del  28  a])rile  1881 :  si  veggano  gli  Atti  dell'accadeinia 
sutto  la  jiredetta  data  nel  toino  II  della  iiuova  serie  delle  sue  Disserta- 
zioni, che  e  stanipato  e  fra  poco  vedrä  la  luce. 


68 


COMMEMORAZIONE 


epigrafici,  che  la  terra  d'anno  in  anno  rendeva;  SYolgendo  con 
esame  complessivo  ed  intera  e  sicura  cognizione  della  materia 
l'analisi  di  tutti  i  dati,  e  facendo  che  quasi  da  se  indi  scaturisse  la 
sintesi  di  ciascun  argomento.  Cosi  cominciö  fiuo  dal  1844  trat- 
tando  a  pleno  della  grande  istituzione  alimentaria  di  Traiano  e 
dei  successori,  per  porre  riparo  allo  spopolamento  dell'  Italia  (0- 
E  poi  continuö  dichiarando  l'editto  di  Aiigusto  per  Tacquedotto 
di  Venafro  (-);  le  antichissime  magistratiil'e  dei  municipii  ser- 
banti  traccia  e  memoria  della  loro  costituzione  primitiva  (3); 
il  collegio  e  sacerdozio  degli  Augustali  C);  la  milizia  degli 
equües  siiigulares  (•^);  dei  pcregHiü  e  frumentarü  (guardie  di 
polizia  urhana)  C^') ;  i  citratores  delle  cittä  sotto  gli  imperatori  {^) ; 
i  tribuni  militari  coniandanti  le  coorti  ausiliari  (^);  le  leggi  ed 
i  magistrati  municipali  delVetä  dell' impero  (");  i  diplomi  impe- 
riali  di  congedo  dalla  milizia  C*^);  i  doni  militari  ('");  i  monu- 
menti  dei  pretoriani  (i^);  la  coorte  settima  dei  vigili  (^s);  la  le- 
gione  partica  stanziata  negli  alloggiamenti  di  Albano  (>');  le  so- 


(1)  De  tabula  alimentaria  Baehianorum  negli  Annali  dell' Istitutu 
1844  p.  5  e  segg.  Cfr.  Bull.  1845  p.  88,  233  e  seg.;  1847  p.  8  e  scg. ;  1863 
p.  140,  221 ;  Ann.  1840  p.  220  e  seg. 

(2)  Bull.  1848  p.  95;  Rheinisches  Museum  IX  (1854)  p.  530  e  segg. 
Ann.  deirist.  1854  p.  5  e  segg. 

(3)  Ann.  1846  p.  253  e  segg.;  Bull.  1851  p.  186  e  segg.;  id.  1865 
p.  217  c  seg. 

(I)  Ueber  die  Augustalen  in  Zeitschr.  f.  d.  Alterthumsw.  VI  (1818)  n.  25, 
26,  27,  37,  38,  39,  40  :  Bull,  arcli.  napol.  1858  p.  90  e  segg. 

(•^)  Ann.  1850  p.  5  e  segg.,  367  ;  1885  p.  235  e  segg. 

(«)  Bull.  1851  p.  113  e  segg.;  1884  p.  21  e  seg. 

(^)  Ann.  1851  p.  186  e  segg. 

(«)  Ann.  1858  p.  17  e  segg. 

(■')  Ann.  1859  p.  193  e  segg.;    Bull.  1855  p.  37    c    sgg ;  Bull.  1856  p. 

31  e  segg. 

(1")  Bull.  1848  p.  24  e  segg.;  Jahrb.  d.  Vereins  v.  Alterthumsfr.  im 
Rheinl.  XIII  (1848)  p.  26  e  segg.;  Ann.  1855  p.  22  e  segg.  Bull.  1859  p.  117  e 
seg.;  1871  p.  45  e  seg.;  1872  p.  48  e  seg.;  1881   p.  97  e  seg. ;  1883  p.   133 

c  seg. 

(II)  Ann.  1860  p.  205  e  segg. 
(12)  Ann.  1861  p.  5  e  segg. 

(i:')  Bull.  1867  p.  8  e  segg.:  Ann.  1874  p.  111  e  segg. 
(11)  Ann.  1867  p.  73  e  segg. 


DI   G.    HENZEN  69 

cietä  degli  utenti  di  colombarii  e  sepolcreti  communi  (');edaltri 
svariatissimi  temi,  sia  di  monografie  sia  di  pimti  speciali  storici, 
fastografici,  topografici  {-).  In  cotanti  scritti  niuna  pompa  di  parole, 
niuno  studio  di  porre  iu  rilievo  la  novitä  o  Timportauza  dei  dati 
analitici  e  dei  canoni  sintetici,  clie  l'autore  veniva  esponendo.  II 
siio  dettato  correva  sempre  dimesso,  semplice ,  caiito,  preciso ; 
come  l'indole  dell'ingegno  e  deH'animo  di  lui  scliietta  ed  aliena 
da  qualsivoglia  modo  non  dico  di  ostentazione,  ma  eziandio  di 
mostra  dei  pregi  peregrini  di  tanto  sustanziosa  dottrina.  Talclie 
dei  merito  e  dei  progressi  grandi  e  siciiri  di  silfatto  magistero 
egli  sembrava  quasi  inconsciente :  e  noi,  che  di  quel  magistero 
sperimentavamo  e  sperimentiamo  il  beneficio,  non  sapremmo  forse 
perö  a  prima  giunta  coucepirne  idea  bene  concreta  e  definita.  Della 
dottrina  epigrafica  tuttodi  coltivata  e  perfezionata  dall'Henzen, 
come  giä  lo  era  stata  dal  Borghesi,  parmi  che  si  potesse  dire: 
crescit  occidto  veliit  arbor  aevo. 

Ma  di  ciö  egli  non  fu  contento,  ne  misurö  i  suoi  passi  a 
quelli  dei  Borghesi  e  degli  esempi  lasciati  da  lui.  Benche  la 
scienza  non  fosse  pienamente  matura  alla  sintesi  generale  ed  alla 
definizione  della  dottrina  epigrafica  dei  monumenti  dell'etä  e  domi- 
nazioue  romana ,  pure  l'Henzen  per  quanto  si  poteva  quasi  sod- 
disfece  a  cotesto  postulato  dei  novizi  e  dei  provetti;  e  meglio 
l'avrebbe  fatto,  se  non  ne  piangessimo  la  fine  ahi  troppo  innanzi 
tempo  accelerata.  Nel  1828  fu  pubblicata  daH'Orelli  in  Zurigo  la 
Collectio  iMcriptionum  Latiiiarum  selectarum  ad  ülustrandam 
Romanae  aiitlqiiüatis  doctrinam  accommodafa,  alla  quäle  ricorre- 
vano  quanti  volevano  essere  iniziati  nella  cognizione  della  latina 
epigrafia  o  conoscerne  senza  lunghe  ricerche  lo  stato  nei  sin- 
goli  punti.  L'iraperfezione  della  quäle  raccolta,  tenuta  come  ma- 
nuale  unico  nel  genere  suo,  indusse  l'Henzen  a  pubblicarne  nel  1856 
in  un  terzo  volume  le  Supplementa^  emendationes^  iiidices.  Sotto 
titolo  cotanto  modesto  egli  fece  opera  dall'unanime  consenso  dei 
dotti   proclamata    importantissima   e   di   uso   didattico    necessario 

(1)  Ann.  1856  p.  8  e  segg.;  Bull.  arch.  com.  1885  p.  51  e  segg. 

(2)  V.  Gatti  nel  Bull.  arch.  com.  1887  p.  70-72  ;  la  bibliografia  soggiunta 
alla  Commemorazione  di  Guglielmo  Henzen  fatta  da  G.  Fiorelli  nella  R. 
accad.  dei  Lincei,  seduta  dei  20  febb.  1887  (Gl.  di  scienze  morali,  storiche  e 
filologiche);  Michaelis  nel  Jahrbuch  d.  k.  deutsch,  arch.  lastituts  1887  p.  1-12. 


70  COMMEMORAZIONE 

ad  ogui  ceto  di  cultori  e  professori  degli  stiidii  filologici  e  storici. 
Ne  per  la  luiova  simile  raccolta  fatta  poi  dal  Wilmanns  scemö 
di  pregio  e  di  uso  qiiotidiano  quella  dell'  Henzen.  II  quäle  pero 
iieo-li  Ultimi  auni,  e  mentre  gli  sovrastava  inaspettalo  il  terraine 
delle  dotte  faticlie,  veniva  compiendo  mia  al  tutto  nuova  e  fon- 
damentale  raccolta  da  sostituire  nel  luogo  di  quelle  dell'  Orelli 
coi  suoi  supplementi  e  del  Wilmauus,  e  piii  riccamente  delle 
precedenti  annotata.  Talche  in  essa  noi  avremmo  avuto  l'ultima 
parola  deiresimio  maestro  intorno  al  presente  stato  della  scienza 
tanto  da  lui  coltivata  ,  promossa  ed  amata.  Spero  che  il  lavoro, 
benche  non  compiuto,  potiä  essere  dato  alle  stampe  e  vedere  la 
Ince  in  postuma  edizione. 

1  meriti  del  nostro  Henzen  verso  la  scienza  sua  prediletta  fin 
(iui  da  me  leggermente  toccati  ne  sono  tutti  ne  certamente  i  mag- 
giori.  Voi  gia  precorrete  col  pensiero  alla  impresa  gloriosa  dell'ac- 
cademia  di  Berlino,  al  Corj)iis  idscriptiomtm  Latimrum:  ma  prima 
che  di  questo  io  parli,  debbo  ricordare  im  altro  lavoro  eccellente, 
campione  nel  genere  suo  veramente  perfetto,  da  proporsi  ad  esempio 
ed  imitazione.  Dico  del  Tolume  intitolato :  Acta  fratnnn  Ärvalium 
quae  supersudt,   edito  nel  1874.   Nel    1868  avea  l'Henzen   pub- 
blicato    l'accurata  e  splendida    ^  Relazione    degli    scavi  nel  bosco 
Facro  dei  fratelli  Arvali  «   fatti  da  cotesto  Istituto  per  larghezza 
<l3lle   Loro    Maestä    Re  e  Regina  di  Prussia,  oggi  Imperatore  ed 
Imperatrice  di  Germania.   Quivi  il  relatore    die   in  luce  e  piena- 
raeute    dichiarö    il    prodotto  di  quelle  iusignissime    scoperte.  Ma 
poscia  raccolse  nel  volume  latino  quanto  dalle  ultime  escavazioni 
e  dalle  precedenti  scoperte  si  potcva  nel   1874  ricuperare  e  ricom- 
porre    delle    tavole    marmoree  contenenti  gli  atti  del    celeberrimo 
sodalizio  dei  sacerdoti  Arvali.  L'Henzen  in   cotesta  impresa  corse 
un  arringo  pericolosissimo  al  buon  nome  di  qualsivoglia  maestro ; 
doveudo   rifondere  ed  in  gran    parte    rlfare  il  capolavoro  del  Ma- 
rini,    piü    e    meglio    del    quäle    non    sembrava  si  potesse   aspet- 
tare.  II  novello    cditore    degli    atti    arvalici,  non   solo  li  arricclü 
dei    recenti    trovamenti,    ma  del    vecchio    e    del    nuovo   fece  una 
sintesi  cosi  armonica,  piena,  perfetta,   che  ogni  frammento  venuto 
in  luce  dopo  il  volume  dell' Henzen    trova   quivi    il  suo  posto,  le 
Ibrmole  richicste  dai  supplementi  alle  parti  mancanti,    1' indirizzo 
e<l  i  canoni    della    interprttazion:.    Gli    atti    d.'gii  Arvali  furono 


DI    G.    IIEXZEN  71 

dair  Henzen  ricomposti  ed  esibiti  in  modo,  che  costituiscono  im 
teste  quasi  continiio  da  leggere  e  consiütare  ,  come  quelli  degli 
storici  e  dei  dociimenti  originali  ser1)ati  negli  arcliivi.  II  com- 
mentario  premesso,  sottoposto  e  soggiunto  agli  atti  aplende  di 
liicidita,  ordine,  dottriua  taiito  compiute,  che  il  solo  confronto 
degli  Arvali  del  Marini  con  quelli  dell' Henzen  basta  a  dimostrare 
quäle  progresso  per  l'ingegno,  giudizio  e  paziente  iudustria  di  lui 
ahbia  fatto  la  scienza  nostra,  seguatamente  uella  critica  delle  fonti, 
diligenza  minuta  d'esame  analitico,  precisione  di  raetodo  espositivo. 

Altrettanto  dovrei  dire  dei  fasti  consolari  e  trionfali  capitolini 
riordinati,  suppliti,  dichiarati  dall' Henzen  nel  tomo  I  del  Corpits. 
Ma  questi  non  sono  opera  separata  e  consistente  da  se :  fanno  parte 
della  piii  erculea  tra  le  letterarie  fatiche  dal  coUega  desideratis- 
simo;  ed  e  tempo  che  ne  diciamo  alquanto  e  poi  conchiudiamo. 

II  difetto  sostanziale,  che  pativa  la  scienza  della  latina  epi- 
graüa,  e  toglieva  anche  al  Borghesi  il  possesso  pleno  e  sicuro  del 
materiale  da  adoperare,  era  quello  della  universale  raccolta  dei 
testi  lapidari  in  un  corpo  completo,  criticamente  vagliato,  restituito 
all' ordine  naturale  geografico.  Sotto  la  direzione  del  Borghesi  aveva 
assunto  l'ingente  impresa  un  uomo  solo,  il  Kellermann;  che  im- 
maturamente  mori ,  cominciati  appena  gli  apparecchi  dell'  opera. 
Succedettero  i  tentativi  del  ministero  Villemain  in  Francia  ad 
istanza  del  des  Vergers,  consigliato  a  ciö  dal  Borghesi.  Caduto 
quel  ministero,  Taccademia  reale  di  Berliuo  occupö  il  posto  dere- 
litto  dalla  Francia  e  lo  affidö  alle  Zumpt.  Ma  1' impresa  non  era 
proporzionata  alle  forze  d'un  uomo  solo,  II  quäle  avrebbe  potuto 
fondere  in  un  corpo,  come  cominciö  lo  Zumpt,  le  raccolte  giä  esi- 
stenti  e  stampate,  aggiungendo  quella  maggiore  copia  di  testi  ine- 
diti,  che  a  lui  ed  ai  suoi  corrispondenti  fosse  dato  aduuare;  ma 
con  ciö  sarebbero  rimasti  in  gran  parte  quali  erano  intiniti  errori, 
confusione  inestricabile  delle  fonti,  incertezza  di  giudizio  nel  di- 
scernere  i  testi  veri  dai  falsi,  le  lezioni  genuine  ed  antiche  dalle 
intei-polate  e  supplite.  In  somma  agli  studiosi  sarebbe  stato  fornito 
un  istromento  piü  commodo  e  maneggevole,  che  non  fosse  la  tanta 
varietä  di  libri,  nei  quali  era  allora  disperse  il  materiale  epigra- 
iico :  ai  giusti  postulati  perö  della  critica  sarebbe  sempre  mancata 
la  materia  prima  esattamente  pesata,  purilicata,  foraita  delle  testi- 
monianze  au'centiche  deirorigine  e  della  genuinita. 


72  COMMEMORAZIONE 

Tiitto  ciö  sagacemente  vide  e  fino  dal  1847  espose  aH'accademia 
di  Beiiino  il  uostro  Moinmsen,  allora  occupato  nella  raccolta  delle 
Iiiscriptiojies  regni  NeapolUaiii  Latinae  (^).  Ma  dovette  eziandio 
accennare  le  somme  difficoltä  dell'  impresa ,  in  specie  per  la 
intera  esplorazioue  delle  fonti  manoscritte  della  epigrafia.  Delle 
qiiali  ragionando  io  coH'Henzeu,  dolce  amico  e  compaguo  degli 
studii  epigratici  nei  giovani  aiini,  un  di  gli  esposi  i  miei  disegni 
intorno  all'  esame  storico  e  critico  di  quelle  fonti,  base  fondamen- 
tale  della  compilazione  scientifica  e  definitiva  del  grande  Corpus. 
Erano  le  ore  di  sera,  nelle  quali  spesso  solevo  conferire  famigliar- 
mente  con  M :  il  di  seguente  egli  mi  disse  non  aver  potuto  cliiu- 
dere  gli  occM  al  sonno  tutta  la  notte,  pensando  e  ripensando  al 
nostro  colloquio.  Allora  fu  tra  noi  fermato  il  patto,  stretta  la  lega 
che  e  durata  intima  e  serena,  senza  mai  una  nubecola,  per  quaranta 
e  piü  anni. 

Non  debbo  qui  dilungarmi  in  ricordare,  come  l'Henzen  unito  col 
Mommsen  indusse  Taccademia  di  Berliuo  alla  grave  deliberazione 
di  costituire  il  triumvirato,  nel  quäle  io  ebbi  i'onore  di  rappresen- 
tare  Koma  e  Y  Italia,  per  la  formazione  al  tutto  nuova  dalle  fon- 
damenta  del  Corpus  mscripiionum  LatUiarum.  La  collaborazione 
dellHenzen,  attivissima  in  ogni  parte  della  gigantesca  impresa,  pri- 
meggia  nei  monumenti  della  cittä  nostra,  metropoli  e  centro  del 
mondo  romano.  Come  potrei  in  brevi  parole  discorrere  partitamente 
del  merito  principalissimo  e  della  gloria,  che  l'Henzen  divide  sopra 
tutti  col  Mommsen,  nell'opera  magna,  al  cui  compimento  fu  d'uopo 
chiamare  molti  altri  esimii  colleghi?  Parlauo  da  se  la  restituzione 
dei  fasti  capitolini ;  la  prefazione  al  tomo  VI ;  tutta  la  mole  dei 
volumi  giä  pubblicati  e  di  quelli,  che  sono  in  corso  di  stampa, 
delle  Liscriptiones  Urbis  .Romae;  X  Epliemeris  epigraphlca. 

II  cuore  mi  si  stringe,  la  lingua  diviene  muta  ripensando  al 
nodo  tenace,  indissolubile  della  nostra  alleauza  di  studii,  sempre 
imperfcurbata,  fedele,  affettuosissima,  reciso  inaspettatamente  dal 
ferro  inesorato  della  morte.  Mi  sia  lecito  il  ripetere,  beuche  giä 
da  altri  applicati  all'  araato  collega  (-),  i  versi  dell'  Alighieri,  coi 

(')  Veher  Plan  und  Ausführung  eines  Corpus  inscriptionum  Latinaruni. 
Berlin  1847.  y 

(2)  Luigi  Cantarolli,  Nolla  inorto  di  (i.  Heiizeii  (Libertü  Dom.  G  fcbb. 
1887  p.  7,  8j. 


DI    G.    IIENZEN  73 

quali  avevo  auch'  io  divisato  chiiidere  la  dolorosa  commemorazioue : 

«  E  se  il  mnndo  saposse  il  euer  cir  ogli  ebbe 
Assai  lo  loda  e  piü  lo  loderebbe  ». 

II  consiglio  comiinale  delV  alma  Roma  unanime  ha  applaiidito  alla 
proposta  di  porre  e  dedicare  il  busto  dell'  Henzen  nella  sala  dei 
fasti  in  Campidoglio.  Ma  gli  starii  di  fronte  quello  del  Borgliesi. 
Si  nobile  coppia  di  immagini  in  aiila  tanto  solenne  sarä  siml)olo 
eloquente  della  fratellauza  nelle  investigazioni  scientifiche,  che  nou 
conosce  diversitä  di  nazioni,  ed  aborre  da  gare  meschine :  di  quella 
fraternitii,  di  che  1" Henzen  fu  esemplare  compito  e  viva  personifi- 
cazione,  non  verbo  et  liiigua^  sed  opere  et  veritate. 


DISCORSO  DI  W.  HELBIG 


Dopo  che  r illustre  coUega  de  Rossi,  il  personaggio  piü  compe- 
tente  nella  scienza  epigrafica,  ha  stabilito  il  posto  che  Guglielmo 
Henzen  occupava  nella  scienza  stessa,  aggiungerö  poche  parole  sopra 
Tattivitä  beneflca  che  il  defunto  esercitö,  dirigendo  l'Istituto. 

Debbo  incominciare  col  ricordare  una  circostanza  generalnieute 
dimenticata.  La  maggioranza  di  Voi  conoscerä  Henzen  soltanto  come 
rappresentante  deirepigc^atia  latina,  suUa  .quäle  scienza  egli  dal- 
l'anno  1844  concentiö  di  piü  in  piü  i  suoi  studii.  Ma  nei  primi 
anni  del  suo  soggiorno  in  Italia  egli  invece  si  occupava  special- 
mente  dell'antichitä  figurata.  Negli  Annali  dell' anno  1842  illuströ 
un  dipinto  vascolare  attico  rappresentante  la  nascita  di  Minerva,  ed 
un  rilievo  del  Palazzo  Torlonia  con  combattimenti  tra  gladiatori  e 
fiere;  nel  volume  seguente  alcuui  vasi  attici  con  soggetti  funebri. 
Nel  medesimo  tempo  pubblicö  la  bella  memoria  sopra  il  musaico 
borghesiano,  la  quäle  riusci  un  trattato  completo  sopra  i  gladiatori 
in  genere,  e  fruttö  al  giovane  dotto  il  premio  stabilito  dall'Acca- 
demia  romana  d'Archeologia.  II  viaggio  intrapreso  col  Welcker  nella 


74  COMMEMORAZIOXE 

Grecia  suscitö  in  lui  l'interesse  per  l'epigrafia  e  la  topografia  greca, 
alle  qiiali  dedicö  parecchi  articöli  negli  Annali  e  nel  BuUettino 
clegli  anni  1843,  44  e  45.  Lo  Henzen  piü  tardi  —  e,  secondo  la  mia 
opinione,  a  torto  —  faceva  poco  caso  di  questi  siioi  lavori  e  spesso 
sopra  di  essi  scherzava.  Ma  e  chiara  la  grande  iitilitä  che  ne  ri- 
siütava  per  il  siio  progresso  scientifico.  Egli  cioe,  studiando  pro- 
blemi  archeolcgici  ed  antiquarii  d'indole  diversissima,  allargö  il 
proprio  orizzonte  e,  dopo  che  si  era  concentrato  suirepigrafla  la- 
tina,  non  restava  perfettamente  estraneo  agli  altri  rami  dell'  archeo- 
logia.  Per  ristituto  questa  qualita  diveutö  quasi  si  puö  dire  pro- 
videnziale.  Imperocche  dall'  anno  1849  al  51,  nei  quali  il  Braun 
poco  si  occupava  delVIstituto,  lo  Henzen  sosteneva  quasi  da  solo 
la  redazione  delle  pubblicazioni  e  la  direzione  delle  adunanze.  Se 
vi  riusci,  lo  dovette  appuuto  alla  cultura  scientifica  generale,  ch'aveva 
acquistata  nei  primi  anni  del  suo  soggioruo  in  Italia. 

Ma  d'importanza  ancora  maggiore  per  lo  svolgimento  del- 
ristituto  erano  le  qualita  personali  del  suo  dirigente.  Chi  non  ha 
partecipato  con  lui  aU'amministrazione  dell'Isfcituto,  diflicilmente 
puö  farsi  un'idea  dell'accuratezza,  pazieuza  e  prontezza,  con  le  quali 
sapeva  dishrigare  gli  affari.  Vi  s'aggiungeva  la  sua  bontä  naturale, 
la  quäle  fece  si  che  guadagnava  le  simpatie  di  tutte  le  persone, 
con  cui  entrava  in  relazioue.  Con  un"  amabilitä  incomparabile 
egli  soddisfaceva  alle  questioni  scientifiche  tanto  dei  suoi  amici 
quanto  generalmente  dei  dotti  che  s'  indirizzavano  al  suo  sapere. 
E  senz'esagerazione  si  puö  sostenere ,  che  nell'  Europa  vi  saranno 
pochi  archeologi,  ai  quali  non  abbia  reso  qualche  servigio.  La  sua 
indole  non  era  punto  battagliera,  ed  ha  avuto  poche  polemiche 
scientifiche,  le  quali  furouo  condotte  da  lui  soltanto  nell'interesse 
della  veritä  e  senz'irritazione  personale.  Generalmente  si  mostrava 
tollerantissimo  delle  opinioni  e  delle  tendenze  altrui ;  e  perciö  con- 
servava  buone  relazioni  ed  anche  amicizia  con  persone  d'indole 
diversissima  dalla  sua.  Difficilmente  possono  immaginarsi  due  indivi- 
dualitä  piü  opposte,  lo  Henzen,  ed  il  Mommsen.  Malgrado  ciö,  dal- 
l'anno  1844  la  loro  intima  e  cordiale  amicizia  ha  durato  sempre 
inalterata.  A  tale  complesso  di  qualita  del  suo  dirigente,  l'lstituto 
deve  l'esser  diventato  un  centro  neutrale,  nel  quäle  uomini  diversi 
per  nazionalitil,  per  opinioni  politiche  e  per  direzioni  scientifiche, 
pacificameul;e  si  riuniscono  al  solo  scopo  di  for  avanzaro  gli  studii 


DI    O.    IIKXZEK 


archcologici.  Ma  il  modo  di  peiisare  e  di  agiro  dello  Henzcu  era 
ppccialmente  attraente  per  gritaliani;  perche  s'iiicontrava  con  ima 
qualitä  propria  ad  essi  medesimi.  Chi  ha  studiato  esattameute  il 
carattere  i'aliano,  riconoscerä  che  imo  degli  elementi  predominauti 
in  esso  e  appiinto  quella  mitezza  tollerante,  che  si  studia  di  miii- 
gare  i  contrasti,  di  evitare  gli  attriti   e   le   collisioni.  Siccome  lo 
Henzen  possedeva  tale  qualitä  in  sommo  grado,  cosi  gli  Italiani  lo 
riguardavano  quasi  come  loro  compatriota.  E  la  sua  morte  ha  su- 
scitato  uu  egual  dolore  tanto  nell'Italia  che  nella  Germania.  II  signor 
Ministro  dell'Istruzioue  pubblica,  appena  riceviita  la  triste  notizia, 
ci  ha  diretto  una  lettera,  nella  qnale  con  nobili  parole  esprime  la 
parte  che  prende  alla  perdita  toccata  aUlstituto.  Altrettali  segni 
d'affetto  ci  sono  pervenuti  da  corporazioni  scientitiche  e  da  siugoli 
dotti  stabiliti  in  parti  diversissime  ddUa  panisola.  II  mio  illustre 
amico  Fiorelli  nella  prossima  seduta  dell'Accademia  dei  Lincei  ce- 
lebrera  la  memoria  dol  defunto  con  apposito  disco:so  (')•  Riugrazio  i;i 
nome  deU'Istituto  tntti  coloro  i  quali  in  quest'occasione    dolorosa 
si  sono  ricordati  deiristituto  e  gli  hanno  espresso  la  loro  simpatia. 
Una  speciale  soddisfazione  pero  e  per  noi  il  modo  signiticativo  con 
cui  la  memoria  di  Henzen  sarä    onorata    dalla  citta  di  Roma.    II 
giorno  dopo  la  sua  morte,  dietro  propos  a  di  G.  B.  de  Rossi,  il  con- 
fciglio  comunale  decretö   che  siil  Campidoglio  nella  sala  dei  Fasti 
venisse  posto  nn  busto  marmoreo  di  Henzen.  A  tale  decreto  e  stata 
ora  aggiunta  la  deliberazione,  che  imitamente  al  busto  di  Henzen  vi 
sarä  collocato  quello  di  Borghesi.  Cosi  quella  classica  sala  conterrä 
il  ritratto  dell'Italiano,  che  ha  fondata  la  moderna  scienza  epigrafica, 
e  quello  ddl  Tedesco,  suo  scolare,  che  forse  piü  d'ogni  altro  ha  con- 
servato  e  svolto  il  metodo  particolare  dei  maestro.  Nel  luogo  piü 
memorando  della  citta  eterna  i  due  busti  saranno  un  monumento 
eloquente,  che  attesterä  le  relazioni  civili,  onde  durante  quasi  un 
mezzo  secolo  sono  stati  riuniti  i  due  popoli,  e  nello  stesso  terapo 
servirä  di  stimolo  ai  posteri  per  mantenere  inalterata  tale  benefica 
tradizione. 


(')  Ora  e  pubblicato  nei  Rendiconti  della  r.  Acc.  dei  Lincei,  classe  di 
acienze  morali  vol.  III,  seduta  dei  20  febbraio  1887  p.  17.S  .<!s.,  accompagnato 
da  Uli  elenco  d(41e  pubblicazioni  dellu  Henzen. 


ALCUNE  KIFLESSIONI 
SÜL  CLIMA  DELL'ANTICA   ROMA. 

D/iicorso  promiiiciato  dal  'prof.  Corrado  Tommasi-Crudeli 
ndV  adananza  dcl  11  (jcaaaio. 


L'editore  Loescher  ha  pubblicato  lütimamente  le  conferenze 
da  me  fatte  sul  clima  di  Roma  nel  1885,  per  iüaugiirare  il  uuovo 
Istituto  d'igiene  della  Universitä  romana  (').  In  quelle  conferenze 
io  ebbi  occasione  di  toccare  alcuni  pimti  stonci,  relativ!  alla  pro- 
duzione  della  malaria  nell'antico  territorio  romauo ;  ed  oggi  mi  per- 
nietto  di  ricliiamare  la  vostra  atteuzione  su  di  essi,  nella  speranza 
che,  se  li  giudicherete  di  qualche  Interesse,  qualcuno  di  voi,  ono- 
revoli  Colleghi,  illustri  ciö  che  io,  uella  mia  incompetenza,  ho  ap- 
pena  potiito  accennare. 

Fra  i  tanti  errori  che  han  corso ,  a  proposito  della  malaria 
romana,  uno  dei  piii  divulgati  si  e  quello  che  le  attribuisce  una 
origine  relativamente  moderna  ,  nel  concetto  che  il  territorio  ro- 
mano  fosse  in  antico  salubre.  Si  e  giunti  perfino  a  dire ,  siilla 
scorta  del  Pelletan  e  di  altri  scrittori  partigiani,  che  la  malaria 
romana  era  stata  prodotta  dalla  mala  ammiuistrazione  dei  Papi,  i 
quali  avevano  fatta  e  mantenuta  a  bella  posta  la  desolazione  in- 
torno  a  Roma,  oude  gli  spleudori  artistici  della  cittä  facessero  mag- 
gior  impressione  sui  visitatori  di  essa,  e  specialmente  sui  pellegrini. 
Tali  idee,  per  quanto  strampalate  ed  assm-de,  han  tiovato  credito, 
e  si  sono  fatte  strada  persino  in  alcuni  documenti  officiali. 

Io  invece  ho  aüermato  che  qui  la  malaria  esisteva  sin  dai 
primordi  di  Roma  ;  desumendolo ,  non  tanto  da  alcune  vaghe  tra- 
dizioni  (come  p.  es.  quella  raccolta  da  Cicerone   sulla    fondazione 

(')  //  clima  di  Roma.  Con  cinque  tavole  ed  una  carta  topografica  c 
geologica  deira,c?ro  roinano.  Roma  18SG. 


ALCUNE    RIFLESSIONI    ECC.  77 

della  Eoma  quadrata  sul  Palatino,  a  ciö  prescelto  ,  perche  luogo 
salitbre  in  mez:;o  ad  ima  regloiie  'pestileiuiale),  quauto  daH'aiiti- 
cliitä  del  culto  reso  dai  Romani  alla  dea  Febbre.  Tiitti  i  popoli 
deU'antichitä  classica  ebbero  a  ravvisare  nella  malaria  il  priuci- 
pale  nemico  delle  loro  colonie  ,  e  ne  fecero  im  mito,  che  variö  a 
s3Conda  del  genio  variamente  immaginoso  della  razza  colonizzatrice. 
La  malaria  e  l'idra  Leniea  dei  popoli  pelasgici;  e  il  demone  ,  od 
il  mostro,  divoratore  di  iiomini,  che  difende  il  territorio  di  molte 
parti  d'Italia  colonizzate  dai  Clroci.  I  Romani  primitivi  non  si  p'er- 
sero  a  fantasticare  siilla  natura  della  causa;  pensarouo  a  scongiurare 
gli  eifetti  nocivi  di  essa.  Crearono  il  mlto  della  dea  Febbre  ;  poi 
le  dedicarono  ddi  templi ,  e  le  offersero  un  culto  speciale ,  nella 
sparanza  di  rendere  meno  funesto  il  flagello  che  minacciava  la  loro 
colonia. 

Ne  vale  V  obiezioue  fatta  da  taluno  ,  non  essere  ammissibile 
che  per  lo  stabilimento  di  una  colonia  si  andasse  a  scigliere  uu 
luogo  malarico,  e  si  persistesse  a  rimanervi,  una  volta  riconosciutolo 
tale.  A  questa  stregua,  ne  i  Greci  avrebbero  colonizzato  i  territo- 
torii  pestiferi  di  Posidonia ,  di  Sibari  e  di  Salinunte  ;  ne  Cortez 
avrebbe  fondata  la  sua  Villa  Rica  di  Vera  Cruz  nel  cuore  della 
regione  piü  devastata  dalla  febbre  gialla ;  ne  gli  Inglesi  si  sareb- 
bero  fissati  in  Calcutta,  proprio  nel  bei  mezzo  della  unica  regione 
del  globo  dove  il  colera  e  endemico  da  tempo  antichissimo,  e  donde 
non  usci  per  la  prima  volta  che  nel  1817.  Quando  delle  razze 
umane  vigorose  ed  intraprendenti  sono  spinte  da  ragioni  militari, 
0  commerciali ,  a  fissarsi  in  una  data  localitä,  vi  rimangono,  sti- 
dando  i  pericoli  che  la  insalubrita  del  luogo  puo  loro  far  correre. 
E  questi  pericoli  scemano  col  tempo,  ogniqualvolta  la  razza  colo- 
nizzatrice possiede  sin  dal  bei  principio  un  fondo  di  resistenza  or- 
ganica  specifica;  cioe  quando ,  sin  dalla  fondazione  della  colonia, 
molti  dei  componenti  di  essa  sono  capaci  di  resistere  alle  aggres- 
sioni  dell'agente  specifico,  il  quäle  determina  la  malattia  dominante 
nel  territorio  occupato.  Se  la  medicina,  popolare  od  ieratica  che  sia, 
non  possiede  alcun  rimedio  capace  di  combattere  vittoriosamente 
quella  malattia ,  la  colonia  finisce  coli'  acclimatarsi,  grazie  ad  un 
processo  di  cernita,  o  selezione,  naturale.  Ogni  generazione  succes- 
siva  vien  vagliata,  per  cosi  dire,  dal  morbo  stesso;  che  porta  via 
senza  ostacolo  tutti  quelli  i  quali  non  possono  opporre  all'  azione 


78  ALCUNE    RIFLESSIOXI 

della  causa  che  lo  produce,  se  non  una  piccola  somma  di  resistenze 
orgaaiche.  Kestano  i  forti,  cioö  qiielli  che  possono  invece  oppoiTe 
a  questa  aggressione  una  resistenza  orgauica  cospicua.  La  propor- 
zione  di  questi  forti  cresce  in  ogni  successiva  generazione,  perche 
tali  resistenze  organiche  sono  ereditarie ;  cosicche,  dopo  una  serie 
di  generazioni,  la  razza  umana  dalla  quäle  i  deboli  sono  stati  via 
via  eliminati,  vince  questa  siia  lotta  per  l'esistenza,  e  rimane  pa- 
drona,  piü  o  meno  assoluta,  del  campo. 

Noi  non  possiamo  ormai  esser  piü  testimoni  di  tali  avveni- 
menti,  rispetto  all'azione  della  malaria,  uelle  razze  umane  civiliz- 
zate  dei  tempi  nostri.  La  scoperta  della  china,  e  poi  del  chinino, 
permette  ora  di  salvare  iina  quantitä  infiuita  di  vite  che  in  antico 
sarebhero  state  irremissibilmente  perdute;  e  i  deboli  cosi  salvati, 
resi  piü  deboli  ancora  dalla  infezione  malarica  sofferta,  generano 
iigU  i  quali  hanno  nna  resistenza  organica  specifica  minore  di  quella 
che  avevano  oiiginariamente  i  padii  loro.  Cosi  avviene  che  adesto,  nei 
paesi  di  malaria,  si  yerifica  per  lo  piü  ima  degradazione  progres- 
siva delle  razze  umane ,  invece  di  quella  cernita,  socialmeute  sa- 
lutare ,  che  avveniva  in  passato.  Di  questa  cernita  che  in  antico 
ebbe  luogo  in  Italia,  si  conserva  la  memoria,  non  solo  nella  leg- 
genda  delle  vittime  umane  che  il  mostro ,  od  il  demone ,  signore 
assoluto  del  territorio  ove  sorsero  alcun3  cittä  greco-italiche,  con- 
tinuava  a  divorare,  fino  a  qnan  lo  il  suo  furore  contro  gli  invasori 
non  fosse  placato  ;  ma  piü  ancora  nell'insigne  sviluppo  acquistato 
da  alcune  di  queste  cittä ,  sebbene  situate  in  regioni  che  furcno 
semp:e  malariche,  come  quelle  di  Posidonia,  di  Sibari  e  di  Seli- 
nunte.  Ma  gli  effetti  di  questa  cernita  si  veggono  ancora,  in  quelle 
razze  umane  che  prosperano  e  si  moltiplicano  in  alcune  regioni 
deir  Africa  centrale,  nelle  quali  i  piü  robusti  fra  gli  europei,  seb- 
bene armati  di  tutti  gli  efficacissimi  mezzi  della  mediciua  moderna, 
non  arrivano  a  salvarsi  dagli  attacchi  della  malaria,  e  spesso  vi 
soccombono.  E  della  sua  esistenza  abbiamo  nna  prova,  che  si  puö 
dire  sperimentale,  nei  fatti  che  riguardano  alcune  specie  di  animali 
domestici.  E  un  errore  il  credere  che  tutti  gli  animali,  ad  eccezionc 
dell'uomo,  siano  immuni  dagli  attacchi  della  malaria.  Vi  sono  al- 
cune specie  animali,  nelle  quali  questa  immunitä  non  e  che  il  ri- 
sultato  di  una  cerniti  naturale,  operata  dalla  malaria  stessa,  sopni 
alcune  razze  le  quali,  da  lunghissimo  tempo,  abitano  paesi  di  ma- 


SUL    CLIMA    DKLL"  ANTICA    ROMA  79 

laria.  Cito  ad  esempio  la  spacie  bovina.  Nessuno  potrebbe  credere 
alla  prima,  vedeudo  i  nostri  bovi  vivere,  prosperare  e  moltiplicarsi, 
in  pastiire  cosi  iufeste  come  quelle,  p.  es.,  delle  Paludi  Poutine,  che 
il  bove  possa  andar  soggßtto  agli  attacchi  della  malaria.  Eppure 
vi  va  facilmente  soggetto,  quando  proviene  da  razze  che  hanno  sempre 
vissuto  in  regioni  non  malariche  ;  e  vi  va  sojgetto  in  guisa  ,  d:i 
esporre  talvolta  gli  allevatori  a  perdita  improvvise  e  rovinose.  Ciö 
avevano  riconosciuto,  venti  anni  fa,  alcuni  allevatori  siciliani;  seb- 
bane ,  par  riempire  i  vuoti  lasciati  da  una  gravissima  epizoozia 
bovina,  avessero  fatto  venire  in  Sicilia  bovi  di  razze  italiano.  Ma 
il  fatto  riesce  ancor  piü  evidente  ,  quando  si  importano  nei  paesi 
di  malaria  grave  delle  vacche  da  latte,  svizzere  od  olandesi.  Anche 
rjcentemente  ne  abbiamo  avuta  la  riprova,  in  alcuni  allevamenti 
tentati  a  Castel  Porziano  ed  in  altri  luoghi  della  campagna  di 
Eoma ;  ed  e  singolare  il  contrasto  fra  la  immunitü,  della  quäle 
godouo  le  vacche  da  latte  di  razza  romana,  e  la  facilitä  coUa  quäle 
la  malaria  aggredisce  negii  stessi  luoghi  le  vacche  di  origine  esotica, 
quando  sono  poste  neue  medesime  condizioni  di  vita  delle  prime. 
Tuttö  le  analogie  di  fatto  concorrono  dunqiie  a  far  ritenere , 
che  le  anticha  popolazioni  del  territorio  romano  acquistassero,  per 
mezzo  djUa  cernita  naturale,  una  resistenza  cospicua  di  fronte  agli 
attacchi  della  malaria.  Non  e  a  credere  perö  che  non  li  risentis- 
sero  punto.  Molti  dati  storici,  alcuni  dei  quali  sono  stati  da  me  citati 
nella  quarta  conferenza  dal  mio  libro,  mostrano  invece  che  quelle 
popolazioni  ebbero  spesso  a  preoccuparsi  degli  eTetti  nocivi  della 
malaria.  Non  v'  ha  dubbio  che  la  produzione  di  questo  ageute  ma- 
lelico  fu  qui,  nella  successione  dei  secoli,  attenuata  dalle  moditicazioui 
che  l'arte  umana  indusse  nelle  condizioni  del  suolo.  Sappiamo  ormai 
come  la  produzione  della  nialaria  sia  autoctona,  e  chsla  malaria  non 
puö  esser  importata,  in  massa  oiensiva,  uelle  localitä  salubri,  se  non 
da  brevi  distanze.  Quindi  e  a  supporre  che  deitro  la  cittädi  Eoma,  il 
suolo  della  quäle  era  stato  quasi  tuUo  coperto  dalle  case,  dai  templi, 
dalle  basiliche,  dai  selciati  delle  strade  e  dei  fori,  la  malaria  fosse  ridotta 
a  minime  proporzioui.  Ciö  che  e  avvenuto  in  Roma  negli  ultimi  anni 
avvalora  questa  supposizione.  Ecco  qui  due  carte  ('),  una  delle  quali 
rappresenta  le  regioni  di  Roma  che  erano  malariche  nel  1870,  meu- 

(')  Clhna  di  Roma  tavulc  IV  e  V. 


80  ALCUNE    RIFLESSIONI 

tre  Taltra  ci  mostra  quelle  che  continuavano  ad  esserlo  nel  1884. 
Vedrete  come  ,  in  quattordici  anni,  noi  avessimo  giä  conquistato 
sulla  malaria  vaste  estensioni  del  suolo  urbano  ,  semplicemente 
perche  siamo  andati  ricoprendolo  con  nuove  costmzioni  e  niiovi 
piani  stradali.  Osserverete  infatti  che  nella  carta  del  1870  sono 
seo'nati  come  malarici,  ad  eccezione  del  Viminale  ,  tiitti  i  terreni 
urbani  che  erano  deserti,  o  quasi :  mentre  nella  carta  del  1884  molti 
di  questi  terreni  non  figurano  piu  come  malarici,  dopo  cssere  stati 
occupati  dal  nuovi  quartieri;  o  dopo  che  alcuni  dei  terreni  stessi, 
non  ricoperti  da  nuove  costruzioni ,  sono  stati  sistemati  in  guisa 
da  sottrarli  in  altra  maniera  al  contatto  immediato  dell'aria,  come 
p.  es.  e  avveuuto  nelVantico  Orto  Botanico  della  Lungara,  ora  an- 
uesso  al  Collegio  militare  del  palazzo  Salviati.  Ne  e  a  credere  che 
questo  guadagno  si  sia  fatto,  grazie  ai  lavori  di  boniüca  dell'Agro 
romano.  Essi  venuero  iniziati  soltanto  nel  1885  ,  in  piccolissima 
proporzione  ,  e  sono  tutti  talmente  lontani  dal  loro  compimento, 
che  ci  vorranno  degli  anui  prima  di  poterne  apprezzare  gli  effetti. 
E  dunque  un  guadagno  dovuto  ad  una  boniflca  puramente  urbana, 
la  quäle  va  gradatamente  estendendosi ,  e  finirä  col  restituire  al 
suolo  della  cittä  le  coudizioni  igieniche  che  esso  possedeva  nella 
Koma  antica. 

Quanto  al  suolo  dell'Agro  romano,  egli  e  certo  che  la  produ- 
zione  della  malaria  doveva  esservi  stata  in  antico  notevolmente 
diminuita  dalle  opere  idrauliche  destiuate  a  mantenere  in  buono 
stato  le  culture,  piü  o  meno  intensive,  che  vi  si  praticavano.  Ne  qui 
intendo  parlare  soltanto  delle  opere  dirette  ad  assicurare  il  deflusso 
delle  acque  superficiali,  delle  quali  trattano  ampiamente  alcuni  degli 
antichi  agronomi  romani.  Intendo  parlare  altresi  di  quella  imponente 
fognatura,  di  antichissima  origiue,  che  si  trova  in  quasi  tutte  le  col- 
line  tufacee  dell'Agro  romano  (nei  Volsci,  nel  Lazio,  nell'  Etruria  ed 
in  Roma  stessa),  e  che  era  destinata  a  raccogliere  ed  a  convogliare 
altrove,  le  acque  che  intiltrano  abbondautemente  tutto  il  sottosuolo 
di  questa  regione.  Qui  noi  abbiamo,  a  destra  e  a  sinistra  del  Tevere, 
sulle  alture  dei  monti  Sabatini  e  Laziali,  una  quantitä  di  bacini 
chiusi,  foiTaati  da  antichi  crateri  vulcanici;  ognuno  dei  quali  rac- 
coglie  i  displuvi  di  uua  estesa  regione  ,  e  che  in  passato  furono 
tutti  dei  laghi.  Le  acque  che  si  raccolgono  in  questi  bacini  non 
hanno  uscita;  e  quello  che  di  esse  non  si  perde  per  evaporazione, 


SÜL    CLIMA    DELL'  ANTICA    ROMA  81 

0  per  mezzo  degli  emissari  snperficiali  dei  laghi  tuttavia  persistent!, 
penetra  nella  campagna  sottostante,  seguendo  le  niimerose  vie  sot- 
terrauee  tracciate  loro  dagli  strati  piü  permeabili  degli  svariatissimi 
terreni  geologici  di  questo  territorio.  Qiiesta  infiltrazione  e  abbon- 
dautissima ;  tauto  piü  che ,  da  im  lato  e  dall'altro,  abbiamo  nei 
laghi  di  Albano,  di  Nerni,  di  Martignano ,  e  sopratiitto  in  qiiello 
di  Bracciano,  dei  vastl  serbatoi  d'acqua,  1  quali  iniettano  a  forte 
pressione  il  sottosuolo  ]'omano.  Da  ciö  la  perennitä  dei  fiumi  che 
traversano  l'Agro,  anche  uelle  stagioui  piü  asciutte;  da  ciö  le  nu- 
merose  scaturigini  perenni ,  ed  i  corsi  d'acqua  sotterranei ,  che  si 
trovano  anche  nell'estremo  lembo  delle  due  masse  Laziali  e  Saba- 
tine,  lungo  il  Tevere,  in  Roma  stessa  {^),  e  che  aumentano  di  nu- 
mero  e  di  importanza,  a  misura  che  ci  si  avvicina  a  qiiei  due  gruppi 
di  monti.  Ma  una  gran  parte  di  queste  acque  resta  incarcerata  nel 
sottosuolo;  ed  e  probabile  che  una  quantitä  anche  maggiore  ve  ne 
rimanesse  in  antico,  quaudo  i  bacini  di  Stracciacappe,  di  Baccano 
di  Castiglione,  dell'Ariccia,  erano  ancora  dei  laghi. 

Per  liberare  il  sottosuolo  romano  da  queste  acque  incarcerate, 
gli  antichi  adoperarono  il  grandioso  sistema  di  drenaggio  cunico- 
lare,  che  venne  per  la  prima  volta  rettamente  interpretato  da  Di 
Tucci  nel  1878,  e  che  io,  dopo  quel  terapo,  ho  cercato  di  illustrare 
completamente.  La  funzione  di  drenaggio  che  queste  reti  di  gal- 
lerie  sotterranee  esercitavano,  era  giä  stata  piü  Yolte  comprovata 
dal  vedere  questi  cunicoli  riprenderla  talvolta,  dopo  essere  stati 
espm-gati;  e  riprenderla  sino  al  punto  da  potere,  per  mezzo  di  essi, 
alimentäre  degli  abbeveratoi  per  gli  animali  della  Campagna.  Essa 
e  stata  posta  fuor  di  dubbio  ormai,  in  seguito  all'espm-go  dei  di-e- 
naggio  cunicolare  trovato  nella  coUina  ove  sorge  adesso  il  forte 
Bravetta  (dapprima  chiamato  forte  Trojani),  fra  la  via  Aurelia  e 
la  Portuense  (-).  Di  questo  drenaggio,  che  io  feci  espurgare  nel 
1881  ,  vi  presento  qui  un  modello  plastico ,  facile  a  decomporsi , 
onde  possiate  meglio  apprezzarne  la  disposizione.  Esso  ha  tre  piani 
di  gallerie.  Quelle  dei  piano  superiore,  sono  inclinate  in  guisa  da 
versare  le  acque  drenate  da  esse  nel  piano  medio;  e  le  gallerie  di 
questo  hanno  una  inclinazione  che  faceva  convogliare  tutte  le  acque, 

(*)  Clima  di  Roma  tavola  II. 
p)  Clima  di^Roma  tavola  III. 


82  ALCÜNE    RIFLESSIONI 

drenate  da  esse  e  dal  piano  siiperiore,  sino  ad  im  filtro  di  piombo, 
a  traverso  del  quäle  penetravano  nel  piano  inferiore.  Le  ampie 
gallerie  di  qiiest'  ultimo  sono  orizzontali ,  e  senza  sbocco  alcuno  ; 
esse  comunicano  colla  superficie  del  snolo  per  mezzo  di  due  pozzi. 
Immaginai  subito  depo  1'  espurgo,  che  non  si  trattasse  di  uno 
del  soliti  drenaggi ,  destinati  a  scaricare  le  acque  sotterranee  a 
valle;  ma  di  un  drenaggio  speciale,  destinato  a  raccogliere  queste 
acque,  onde  farle  servire  ad  usi  domestici  od  agricoli :  tanto  piii 
che,  11  vicino,  v'  era  la  villa  rustica  attribuita  da  alcuni  a  Fabio 
Pollione,  e  la  coUina,  nella  quäle  non  si  trovarono  condotture  d'acqua 
di  sorta,  e  assai  distante  dalla  sorgente  che  scaturisce  nella  sot- 
toposta  valle  della  Pisana.  II  fatto  mi  diede  ragione,  perche  quei 
cunicoli,  appena  espurgati,  ricorainciarono  a  drenare;  e  pochi  mesi 
dopo,  sebbene  la  stagione  non  fosse  piovosa,  aveYano  procurata  una 
raccolta  d'acqua  che  riempiva  tutto  il  piano  inferiore  ove  pescano 
i  due  pozzi,  e  gran  parte  del  medio. 

Questa  estesissima  fognatura  del  sottosuolo  romano,  probabil- 
mente  praticata  per  raggiungere  intenti  puraraente  agricoli ,  non 
pote  mancare  di  influire  beneficamente  nella  produzione  autoctona 
della  malaria.  Perche  la  malaria  si  produca  non  v'  ha  bisogno  di 
molta  acqua:  basta  che  il  suolo  che  ne  contiene  il  fermento 
sia  mautenuto  umido  nella  stagione  calda,  e  si  trovd  in  contatto 
coll'aria.  Non  importa  nemmeno  che  ne  sia  mantenuta  umida  la 
superficie :  essa  puö  essere  disseccata  dal  sole,  ed  il  terreno  continuare 
a  produr  malaria,  perche  vien  mantenuto  umido  dall' acqua  che  in- 
tiltra  il  sottosuolo,  e  monta  per  1'  azione  della  capillaritä  fin 
presso  alla  superficie.  Se  il  sottosuolo  e  ben  drenato,  si  elimina  un 
fattore  indispensabile  della  produzione  infesta,  ed  essa  viene  so- 
spesa.  Quelle  fognature,  sottraendo  1' acqua  dagli  strati  superiori  del 
sottosuolo,  dovevano  dunque  atteuuare  o  sospendere  la  produzione 
della  malaria ,  ancorche  non  fossero  state  fatte  per  questo  scopo. 
Una    riprova    di    ciö  1'  abbiamo  nel  Viminale. 

Questa  collina,  come  vi  ho  detto,  era  notoriamente  salubre,  anche 
quando  non  v'erano  che  pochissime  case  ,  ed  il  resto  era  a  vigna 
od  a  prati.  Essa  era  perfettamente  drenata  da  grossi  banchi  di  poz- 
zolana ;  e,  dove  questi  mancavano,  da  due  piani  di  antiche  reti  cu- 
nicolari,  che  nel  corso  dei  laiori  stradali  e  di  costruzione  recente- 
mente  fatti,  abbiamo  trovate  non  ostriüte  da  depositi.  Queste  con- 


SÜL  CLIMA  DELL'  ANTICA  ROMA  83 

dizioni  hanno  mantenuto  il  livello  delle  acqiie  sotterranee  fiel  Vi- 
minale,  ad  mia  tale  distanza  della  superficie  del  suolo  della  col- 
lina,  quäle  non  e  stata  riscontrata  in  alcim'altra  parte  di  Roma  (^); 
e  ciö  forse  spiega  la  salubritä  eccezionale  di  questo  colle,  sebbene 
esso  sia  posto  in  mezzo  aH'Esqnilino  e  al  Quirinale,  i  di  ciii  ter- 
reni  erano  insalubri,  linche  rimasero  allo  scoperto. 

Perö  ,  fra  1'  ammettere  che  i  nostri  autenati  erano  giunti  a 
ristringere  la  produzione  della  malaria  nel  territorio  romano,  e 
Taffermare  che  essi  erano  riusciti  a  spegnere,  od  almeno  a  sospen- 
dere  totalmente,  qnesta  produzione  maletica ,  corre  un  bei  divario. 
Nessun  documento  fa  fede  di  questa  sospensione  totale ;  ne  la  in- 
differenza  colla  quäle  i  romani  villeggiavano  nell'  Agro,  basta  a 
provarla.  Acclimatati  com' erano,  essi  non  avevano  delle  febbri  or- 
dinarie  quel  timore  che  ne  hanno  i  moderni;  sopratutto  quelli  che 
essendo  venuti  a  stabilirsi  in  Roma  dopo  il  1870  avendo  addosso 
una  grande  paura  delle  febbri  romane,  sono  convinti  di  averla 
fatta  da  eroi.  E  quanto  alle  febbri  gravi,  di  una  delle  quali  mori 
nell'anno  81  dell' era  nostra  1' imperatore  Tito,  e  assai  probabile 
che  non  sempre  i  medici  sapessero  ricondurle  alla  loro  vera  causa; 
poiche,  in  tempi  prossimi  a  noi,  e  talvolta  anche  ai  di  nostri,  esse 
sono  State  non  di  rado  scambiate  con  malattie  di  tutt'altra  natiu-a. 
Non  e  inverosimile  anzi,  che  alcuni  degli  avvelenamenti  ed  assas- 
sinii  segreti ,  registrati  come  tali  nelle  storie  romane  senza  prove 
di  fatto,  fossero  catastrofi  dovute  a  questa  insidiosissima  causa  di 
morte,  piuttostoche  ad  un  delitto. 

Quando  dei  personaggi  altolocati,  intorno  ai  quali  si  agitano 
potenti  passioni  di  ambizione,  di  odio,  o  di  invidia,  spariscono  dalla 
scena  del  mondo  in  modo  improvviso  ed  inaspettato ,  le  immagi- 
nazioni  popolari  corrono  subito  all'idea  di  un  delitto.  A  soddisfare 
questo  istintivo  bisoguo  della  immaginazione  popolare,  si  prestano, 
meglio  di  ogni  altra  causa  di  morte ,  gli  effetti  della  malaria  , 
quando  essa  produce  una  infezione  dell'organismo  umano  in  forma 
perniciosa;  come  non  dirado  avviene  ancora  in  molte  parti  d'Italia,  e 
come,  piü  spesso  di  oggidi,  avveniva  in  passato.  In  poche  ore,  un  uomo 
sano  e  robusto  vien  tolto  di  vita  da  una  malattia  improvvisa,  che 
non  somiglia  alle  ordinarie  febbri  da  malaria ,  e  non  infrequente- 

(')  Clima  di  Roma  tavola  I. 


84  ALCÜNE    RIFLESSIONI 

mente  assume  le  laiTe  di  uno  degli  avvelenamenti  piü  noti.  Da 
poco  tempo  la  scienza  medica  ha  progredito  sino  al  pimto,  da  potei* 
diagüosticare  quasi  con  siciirezza  queste  strane  forme  di  malattia. 
In  passato  i  medici  iion  sapevano  proimnciare  un  giiidizio  si- 
cui-o,  quaudo  questi  singolari  eventi  sopravvenivano.  Quindi  non  e 
da  meravigliare  se  i  laici,  fondaudosi  siüla  massima  ille  fecit 
cui  prodesl,  freqiieiitemente  attribuivano  queste  improvvise  dispa- 
rizioni  di  alti  personaggi  ad  avvelenamenti  proditorii,  qiiando  l'esi- 
stenza  della  malattia  era  stata  divulgata ;  o  ad  assassiuii  segreti 
quando  era  stata  tenuta  nascosta. 

La  storia  d'Italia  offre  di  ciö  numerosi  esempi,  anche  dopo  il 
rinascimento  delle  arti  e  delle  lettere  che  rese  tanto  glorioso  il 
XV  secolo.  lo  ne  ho  scelti  tre,  i  quali  valgono  da  soli  a  mostrarci 
con  quanta  prudenza  debbano  essere  accettate  le  tradizioni  storiche 
di  simili  delitti ,  quando  gli  avvenimenti  che  hanno  cosi  profou- 
damente  colpita  la  fervida  immaginazione  dei  popoli,  si  svolgono 
in  paesi  di  malaria.  E  sono:  la  catastrofe  finale  dei  Borgia  nel 
1503,  quella  che  afflisse  la  famiglia  di  Cosimo  I  di  Toscana  nel 
1562,  e  quella  che  condusse  al  sepolcro  nel  1587  Francesco  I  di 
Toscana  e  la  sua  moglie  Bianca  Capello. 

Si  e  detto  e  ripetuto,  specialmente  sulla  fede  di  una  lettera 
di  Pietro  Martii-e  Vermigli ,  scritta  da  Segovia  tre  mesi  dopo  la 
morte  di  Alessandro  VI  e  la  grave  malattia  di  Cesare  Borgia,  che  am- 
bedue  erano  stati  avvelenati,  ed  il  primo  di  essi  ucciso,  da  un  veleno 
che  essi  intendevano  propinare  al  cardinale  di  Corneto  con  un  vino  da 
tavola,  e  che  invece  fu  propinato  a  loro ,  per  uno  sbaglio  dei  cop- 
piere.  Invece  le  cose  stanno  cosi:  nell'  estate  dei  1503  vi  fu  in 
Koma  un  calore  eccessivo,  accompagnato  da  uno  scoppio  di  febbri 
gravi  nella  cittä,  delle  quali  molti  personaggi  noti  furono  vittime, 
e  fra  gli  altri  un  Borgia,  arcivescovo  di  Ferrara,  che  ne  mori  il 
1"  agosto  di  quell'anno.  II  5  agosto  il  Papa  Alessandro  VI,  e  suo 
figlio  Cesare,  cenarono  alla  vigna  dei  cardinale  di  Corneto.  Ambe- 
due  caddero  ammalati  di  febbre  cinque  giorni  dopo,  cioe  il  10  agosto; 
ne  si  puö  asserire  se  prendessero  la  infezione  alla  vigna  dei  cardinale,  o 
non  piuttosto  dentro  Eoraa,  piü  tardi.  II  Papamoriil  18  agosto:  tredici 
giorni  dopo  la  famosa  cena.  Cesare,  giovane,  robusto  tanto  da  far  mera- 
vigliare i  suoi  contemporanei  per  la  facilitä  colla  quäle  spezzava  ferri 
di  cavallo  e  canapi,  e  pote  con  un  solo  colpo  di  spadone  tagliare  la 


SUL    CLIMA    DELL'  ANTICA    ROMA  85 

testa  ad  im  toro  nel  combattimeiito  di  tori  dato  in  piazza  S.  Pietro 
nel  1500  (i),  guari.  Colla  sua  indomita  euergia  si  sottopose  ad  una 
disgustosa  cura  di  bagni  aniraali,  e  vinse  cosi  una  infezione  per  la 
quäle  allora  non  si  conosceva  alcun  rimedio  specitico  ;  come  piii 
tardi,  con  una  cura  analoga,  e  stata  vinta  talvolta  la  infezione 
tifica,  per  la  quäle  la  scienza  non  ha  ancora  trovato  un  rimedio 
speciöco  sicuro.  NuUa  prova  che  i  due  Borgia  avessero  interesse 
ad  uccidere  il  cardinale  di  Corneto  ;  ed  e  un  far  torto  alla  loro 
conosciuta  intelligeuza,  il  supporre  che,  volendolo  uccidere,  andassero 
a  portargli  il  vino  avvelenato  in  casa,  per  somrainistrarglielo  du- 
rante  una  cena  data  da  lui,  e  servita  dalla  sua  gente :  del  resto, 
i  fatti  e  le  date,  mostrauo  come  qui  non  si  trattasse  in  alcun  modo 
di  un  veneficio.  Ma  1'  atroce  riputazione  dei  due,  la  contemporaneitä 
della  loro  malattia  improvvisa,  la  morte  del  papa  avvenuta  per 
r  appunto  tredici  giorni  (numero  fatale !)  dopo  la  cena  alla  vigna 
del  Corneto,  e  1'  aspetto  informe  del  cadavere  di  Alessandro  VI, 
esposto  a  S.  Pietro  pel  bacio  del  piede,  accesero  le  fantasie  popo- 
lari.  La  favola  delV  avvelenamento  fu  composta  da  esse  in  Roma, 
si  sparse  al  di  fuori,  Pietro  Martire  la  riferi  come  cosa  di  fatto, 
e  Guicciardiui  le  die  diritto  di  domicilio  nella  storia  italiana. 

Lo  stesso  e  a  dire  del  caso  di  Pisa,  nel  1562.  Si  e  scritto, 
ed  Alfieri  ha  consacrata  questa  leggenda  nella  sua  tragedia  -  Don 
Garcia  -,  che  uno  dei  figli  di  Cosimo  1°,  il  cardinale  Giovanni, 
fosse  ucciso  in  Pisa  dal  proprio  fratello  Garcia;  che  il  padre,  in- 
feroeito  coutro  il  fratricida,  lo  ammazzasse  colle  proprie  mani;  e 
che  la  madre,  Eleonora  di  Toledo,  morisse  di  orrore,  dopo  questa 
sanguinosa  tragedia.  La  veritä  e  tutt'  altra.  La  famiglia  Medici 
usava  fare  delle  cacce  autunnali  nella  Maremma  pisana,  e  volle 
farvele  anche  nel  1562,  sebbene  in  quell'  anno  lo  sviluppo  della 
malaria  fosse  eccezionalmente  grave  in  varie  parti  d'  Italia,  e  spe- 
cialmente  in  Lombardia,  nei  bassi  fondi  del  corso  inferiore  del  Po, 
ed  in  Toscana.  II  Cardinale  Giovanni  si  ammalö  di  febbre  il  giorno 
16  novembre  a  Rosignano,  presso  la  Val  di  Cecina ;  valle  spesso 
infesta  anche  ai  di  nostri.  Mori,  sei  giorni  dopo,  a  Livorno.  Dalla 
stessa  febbre  furono  colpiti  i  suoi  due  fratelli,  Ferdinande  e  Garcia. 


(')  Dispaccio  di  Paolo    Capello    del  25  settembre  1500   alla    Repubblica 
Veiieta. 


86  ALCUNE    RIFLESSIONI 

II  primo,  che  divenne  cardinale  e  poi  granduca  di  Toscana,  guari  : 
Garcia  lottö  venti  iuteri  giorni  colla  febbre  e  soccombette  in  Pisa. 
Su  questa  catastrofe  di  una  famiglia  odiata  da  moltissimi  in  Fi- 
renze,  le  male  lingue  fiorentine  architettarono  piü  tardi  la  leggenda 
della  quäle  Alfieri  si  e  fatto  propagatore.  Ma  una  critica  storica 
accurata  l'ha  dispersa.  Della  tragedia  d' Alfieri  rimane  soltanto  di 
verosimile  la  morte  della  madre.  Essa  era  da  lungo  tempo  grave- 
mente  inferma,  e  mori  in  Pisa  ill8  dicembre.  Non  e  improbabile  che 
la  morte  inopinata  di  due  giovani  e  diletti  figli  ne  affrettasse  la  fine. 
II  25  settembre  1587  si  riunivano  alla  villa  di  Poggio  a 
Cajano,  Francesco  I  dei  Medici  granduca  di  Toscana ,  sua  moglie 
Bianca  Capello ,  ed  il  cardinale  Ferdinando  dei  Medici ,  fratello 
del  Granduca.  Questa  riunione  di  famiglia  avvenne,  dopo  che  ma- 
rito  e  moglie  avevano  dovuto  rinunciare  ad  ogni  speranza  di  pro- 
genie,  e  Ferdinando  era  divenuto  erede  incontestato  della  Corona. 
Bianca,  probabilmente  timorosa  che  il  marito,  giä  gravemente 
malato  di  dissenteria,  potesse  mancargli,  aveva  voluto  acqui- 
stare  la  benevolenza  del  cognato  ,  adoperandosi  ad  ottenere  una 
riconciliazione  dei  due  fratelli,  i  quali  da  lungo  tempo  si  trovavano 
fra  loro  in  uno  stato  di  sorda  ostilitä.  Le  pratiche  di  questa  ricon- 
ciliazione, desiderata  anche  da  Sisto  V,  erano  state  da  lei  condotte 
a  termine  sin  dalla  primavera  del  1587,  con  tale  abilitä  e  destrezza 
da  destare  l'ammirazione  del  Papa ;  uomo,  come  tutti  sanno,  non  facile 
ad  esser  sedotto  da  vane  apparenze.  Si  volle  cousacrare  agli  occhi 
del  pubblico  questa  pace  domestica,  e  lo  si  fece  con  pompa,  aprendo 
una  stagione  di  cacce  autunuali  al  Poggio  a  Cajano.  I  tre  passavano 
le  giornate  in  feste,  in  cacce  che  spesso  avevano  luogo  nei  bassi 
fondi  palustri  dell'Ombrone,  e  non  di  rado  cenavano  all'aria  aperta 
la  sera,  sebbene  quella  regione  fosse  allora  tutt'altro  che  salubre. 
Dopo  una  caccia  fatta  il  6  ottobre,  durante  una  giornata  eccessi- 
vamente  calda,  il  granduca  Francesco  fu  preso  da  brividi  di  freddo, 
e  poi  da  una  febbre  inteusa.  Mori  il  19  ottobre.  Bianca  fu  attac- 
cata  dalla  febbre,  quasi  contemporaneamente  al  marito.  Speravauo 
salvarla,  perche  la  sua  febbre  non  era  cosi  grave;  ma  essa  era  da 
lungo  tempo  infermiccia  ('),  e  mori  il  20  ottobre. 

(')  L'autopsia  di  Bianca  dimostro  clie  essa  aveva  un  tiimore  lipomatoso 
addominale,  il  quäle  probabilmente  fu  causa  della  ultima  illusioiie  avuta  da 
Francesco  I  suUa  possibilitä  di  una  gravidanza  della  moglie. 


SUL    CLIMA    DELL'  ANTICA    ROMA  87 

Iii  Fireuze,  dove  questa  aiidace  avventiiriera  era  odiatissima, 
corse  subito  la  voce  di  un  avvelenamento  del  cognato,  tentato  da 
lei  e  non  riuscito.  Si  creö  la  storiella  di  una  focaccia  avvelenata 
che  Biaaca  voleva  far  mangiare  al  cognato,  mentre  sedeva  con  essa 
e  col  grandiica  a  mensa;  ma  che  iavece  era  stata  incominciata  a 
mangiare  dal  grauduca,  ignaro  del  tradimento.  Cosicche  Bianca, 
atterrita  all'  idea  di  rimanere  a  discrezione  del  nuovo  granduca 
dopo  un  colpo  di  tal  sorta,  ne  aveva  mangiato  anch'essa,  per  morire 
insieme  al  marito. 

In  Venezia,  al  contrario,  dove  la  repubblica  non  poteva  certo 
veder  di  buon'occhio  che,  uel  reggimento  della  Toscana,  ad  un  uomo 
debole  e  dominato  da  una  figlia  di  S.  Marco,  succedeshc  un  prin- 
cipe dotato  della  fiera  indipendenza  di  carattere  e  della  abilitä 
politica  che  resero  eminente  fra  i  contemporanei  il  cardinale  dei 
Medici ,  divenuto  poi  Ferdinande  I,  lo  si  incolpö  della  catastrofe 
avvenuta  al  Poggio.  Si  disse  che,  per  arrivare  piii  presto  al  trono, 
aveva  ripagata  la  splendida  ospitalitä  del  fratello  e  della  cognata, 
avvelenandoli  tutti  e  due. 

E  un  curioso  esempio  delle  varie  applicazioni  che  puö  avere 
in  casi  simili,  a  seconda  degli  interessi  e  delle  passioni  della  gente, 
la  massima  iUe  feclt  cid  prodeü,  il  quäle  si  e  riprodotto  anche 
ai  tempi  nostri.  Dopo  la  morte  del  cardinale  Franchi,  segretario 
di  stato  di  S.  S.  Leone  XIII,  che  fu  ucciso  da  una  perniciosa, 
in  una  stagione  nella  quäle  parecchi  altri  casi  di  febbre  malarica 
si  ebbero  sul  Vaticano  ,  si  sparse  in  vari  gioruali  di  Europa  la 
notizia  che  egli  era  stato  avvelenato.  Questa  favola  trovö  credito 
fuori  d'Italia ;  e  tre  anni  fa,  in  una  compagnia  di  persone  istruite, 
la  udii  ripetere  come  se  si  trattasse  di  cosa  sulla  quäle  non  si 
poteva  muover  dubbio.  Si  era  in  dubbio  perö  sugli  autori  del  delitto. 
Alcuni  ne  accusavano  il  governo  italiano,  al  quäle  non  piaceva  di 
vedere  gli  affari  della  Santa  Sede  in  mani  cosi  abili ;  altri  ne  ac- 
cusavano i  Gesuiti,  che  temevano  di  avere  nel  cardinale  Franchi 
un  avversario. 

Se  tali  aberrazioni  di  giudizio,  rispetto  agli  effetti  della  ma- 
laria,  furono  possibili  in  tempi  tanto  vicini  a  noi,  e  lo  sono  ancora 
ai  di  nostri,  non  parmi  fuor  di  proposito  il  richiamare  Vattenzione 
vostra  sulla  probabilitä  che  esse  si  siano  verificate  anche  in  tempi 
piü  remoti ;  e  che  alcuni   degli  avvelenamenti ,  o  degli    assassinii 


88  ALCÜNE    RIFLESSIONI 

segreti,  affermati  da  scrittori  aristocratici,  sisteinaticameute  avversi 
all'  Impero  che  preparö  il  trionfo  della  democrazia  cristiana,  ovvero 
da  cronisti  i  qiiali  raccoglievano  senza  esame  le  dicerie  degli  oziosi 
di  Roma,  possauo  essere  ricondotti  alla  medesima  origiue. 

Sarebbe  poi  molto  interessante  il  determinare,  meglio  di  qiiello 
che  si  sia  potuto  fare  sinora ,  se  gli  antichi  Komani  adoperarono 
degli  espedienti  per  impedire  la  iutroduzione  della  malaria  nei 
luoghi  abitati.  Non  intendo  parlare  dei  filtri  boschivi  siii  qiiali 
tanto  fantasticö  il  Lancisi  nel  secolo  scorso ,  improvvisando  iina 
teoria  la  quäle  non  ha  altro  fondamento  che  im  madornale  spro- 
posito  di  fisica,  ed  una  falsa  interpretazione  del  significato  dei  boschi 
sacri  nell'antichitä  classica.  lo  ho  spesa  ima  intera  conferenza  (') 
per  confutare  questa  dottrina,  che  ha  procurato  danni  non  lievi 
alla  provincia  di  Roma,  ma  verameute  non  ne  valeva  la  pena;  perche 
ormai  essa  e  stata  talmente  demolita  dai  fatti,  da  dover  ritenere 
che  fra  non  molto  se  ue  perderä  persino  la  memoria.  Intendo  par- 
lare invece  delle  applicazioni  pratiche  di  una  legge,  che  regola  la 
distribuzione  della  malaria  uell'  atmosfera  dei  luoghi  da  essa  in- 
fetti.  La  malaria  puö  salire  in  massa  offensiva  a  notevoli  altezze, 
quando  vi  puö  pervenire  portata  da  lente  correnti  atmosferiche, 
per  mezzo  di  piani  inclinati;  come  e  il  caso  della  povera  cittä  di 
Sermoneta,  situata  su  un  coUe  che  scende  al  piano  delle  Paludi 
Pontine  con  dolce  pendio,  e  distrutta  quasi  interamente  dalla  ma- 
laria; la  quäle,  in  conseguenza  di  un  grave  errore  commesso  durante 
la  bonifica  di  Pio  VI,  si  produce  ora  nel  piano  'sottostante  alla 
cittä  in  maggior  abbondanza  di  prima.  Ma,  nel  senso  verticale,  la 
malaria  non  si  soUeva  che  a  piccola  altezza,  ed  a  pochi  metri  dal 
suolo  essa  non  e  piü  offensiva.  L'esperienza  popolare  lo  ha  ricono- 
sciuto  in  moltissimi  paesi  malarici,  e  ne  ha  saputo  trar  profitto. 
Nelle  Paludi  Pontine,  in  Grecia,  nelle  Indie  orientali,  la  gente  che 
deve  pernottare  all'  aperto  durante  la  stagione  delle  febbri ,  usa 
preservarsi  stando  su  delle  piattaforme  di  legno,  sostenute  da  lunghi 
pali;  gli  ludiani  dell' America  centrale  e  meridionale  si  preservano, 
attaccando  le  loro  amache  assai  in  alto  agli  alberi;  ed  e  cosa  nota 
che,  in  una  casa  posta  su  di  un  terreno  malarico,  i  piani  superiori 
sono  salubri,  mentre  non  lo  sono  gli  inferiori.  Nel  1873  Augusto 

(^)  Clima  di  Roma,  sesta  Conferenza:  1  boschi  e  la  malaria  romana. 


SUL    CLIMA    DELL'aNTICA    ROMA  89 

Castellani  mandö  alla  esposiziono  universale  di  Vienna  il  raodello 
di  iina  antica  casa  rustica  della  Campagua  di  Roma,  illustrata  da 
Efisio  Tocco,  le  mura  esterne  della  quäle  non  avevano  altra  aper- 
tura  che  la  porta.  Le  finestre  di  tutti  gli  ambienti  della  casa  da- 
vano  sopra  un  cortile  interuo;  cosicche,  uua  volta  chiusa  la  porta, 
l'aria  del  cortile  e  delle  stanze  della  casa  non  poteva  essere  rin- 
novata,  che  per  mezzo  degli  strati  atraosferici  superiori  al  livello 
del  tetto.  In  paesi  di  malaria,  uua  disposizione  simile  e  eccel- 
lente  per  preservare  dall'inquinamento  l'aria  di  una  casa,  duraute 
la  notte;  e  ciö  ha  fatto  supporre  che  quelle  siugolarita  di  costru- 
zione  avessero  questo  scopo.  Se  nuovi  trovati  arrivassero  a  pro- 
varlo,  le  epoche  presumibili  delle  costruzioni  di  tal  genere  potreb- 
bero  fornire  utili  elementi,  per  rendere  meno  incerta  la  storia  della 
malaria  romana  uell'antichita. 

Do  termine  a  questi  brevi  cenni,  ringraziandovi  della  vostra 
benevola  attenzione,  e  colgo  nello  stesso  tempo  l'occasione  di  espri- 
mere  pubblicamente  ai  colleghi  dell'Istituto  la  mia  ricouoscenza 
per  r  onore  immeritato  che  voUero  farmi,  iscrivendomi  fra  i  Soci 
corrispondenti  di  questo  iusigne  sodalizio. 


90  ARCHAISCHE    BRONZESTATÜE 


ARCHAISCHE  BEONZESTATUE  DES  FÜRSTEN  SCIARRA 

(Tavv.  IV,  IV%  V) 


Es  ist  wahr,  die  grössten  Fortschritte  welche  unsere  Erkennt- 
niss  der  griechischen  Kunstentwickelung,  besonders  der  älteren, 
in  den  letzten  Jahrzehnten  gemacht  hat,  verdanken  wir  den  gross- 
artigen Entdeckungen  auf  dem  Boden  von  Griechenland.  Aber  das 
darf  uns  nicht  zur  Vernachlässigung  der  älteren,  kaum  minder  wich- 
tigen und  fruchtbaren  Aufgabe  verleiten,  den  in  Italien  und  besonders 
in  der  ewigen  Stadt  aufgehäuften  Schatz  von  Bildwerken  immer  von 
Neuem  zu  durchforschen,  um  mit  Hilfe  der  durch  jene  neuen  Funde 
gewonnenen  Erkenntnisse  aus  dieser  ungleichartigen  Masse  die  älte- 
ren Werke  griechischer  Hand  oder  Nachbildungen  von  solchen  aus- 
zuscheiden und  in  den  Zusammenhang  der  griechischen  Kunstent- 
wickelung einzureihen. 

Wie  Bedeutendes  von  dieser  Art  noch  der  Veröftentlichung 
und  Verwertung  harrt,  das  haben  erst  kürzlich  wieder  die  Beiträge 
gezeigt,  welche  Koepp  zu  dem  vorigen  Bande  der  Mittheilungen 
beigesteuert  hat.  Ein  anderes  Beispiel  gibt  das  merkwürdige,  ja 
einzig  dastehende  Werk,  welches  auf  den  Tafeln  IV,  IV  a  und  V 
zum  ersten  Male  veröffentlicht  wird,  obwohl  seine  kunstgeschicht- 
liche Bedeutung  längst  erkannt  und  ausgesprochen  worden  ist  (•). 
Es  ist  die  unterlebensgrosse  archaische  Bronzestatue  eines  halber- 
wachsenen Knaben,  welche  nach  einer  Notiz  von  Sante-Bartoli 
gefunden  wurde  "  nel  farsi  il  nuovo  recinto  di  mura  in  iempo  di 
Urbano  VIII  in  Trastevere  nel  monte  Gianicolu  "  (^),  und  in 
den  Besitz  der  Familie   dieses   Papstes   (Maifeo  Barberini)   kam. 

(')  Die  Litteratur  siehe  bei  Matz  iiiid  v.  Duhii,  Antike  Bildwerke  in 
Rom  I  S.  278  n.  978. 

(^)  Fea  Miücellanea  p.  CCLVI  n.  117.  —  Damit  stinnnt  die  von  Mi- 
chaelis (s.  ujiten  Anm.  8)  mitgeteilte  Angabe  der  Galleriediener,  die  Statue 
sei  vor  Porta  S.  Pancrazio  gefunden. 


DES    FÜRSTEN    SCI  AKRA  ^*1 

Unter  den  Kunstschätzen  des  Palazzo  Barborini  wird  die  Bronze 
als  u)i  idolo  eirmco  in  einem  Inventar  vom  J.  1738  i^)  aufgezählt. 
Ebenda  sah  sie  Winckelmann,  der  sie  im  Trattato  'preliminare  als 
la  figura  piü  antica  che  abbiamo  di  broiizo  bezeichnet  (^)  und  in 
der  Geschichte  der  Kunst  sie  zu  den  sicher  etrurischen  Werken  (■>) 
und  zwar,  zusammen  mit  der  «  Leukothea  Albani » ,  zu  den  Reprä- 
sentanten des  «  ersten  etrurischen  Stiles  "  zählt  (").  Das  Verdienst, 
den  griechischen  Ursprung  der  Statue  zuerst  erkannt  zu  haben 
gebührt  den  Herausgebern  von  Winckelmann' s  Kunstgeschichte, 
Meyer  und  Schulze  (in  der  Anmerkung  zu  der  ersteren  Stelle). 

In  den  dreissiger  Jahren  gieng  sie  bei  der  Teilung  der  Bar- 
berinischen  Schätze  in  den  Besitz  der  Fürsten  Sciarra  über,  in  deren 
Palaste  am  Corso  sie  sich  seitdem  befindet  (').  Im  J.  1863  ver- 
öffentlichte Adolf  Michaelis  eine  Beschreibung  und  Wüi-digung 
des  Werkes,  welche  in  allem  Wesentlichen  auch  heute  noch  ihi'e 
Geltung  beliauptet  (8).  Als  archaisch  griechische  Arbeit  hat  es 
dann  Heibig  mehrfach  besprochen  (^')  und  zuletzt  von  Duhn  sich, 
unter  Beistimmung  Conze's,  gegenüber  dem  unbegründeten  Zweifel 
von  Matz,  für  dieselbe  kunstgeschichtliche  Bestimmung  entschie- 
den (if").  Sonst  hatte  in  neuester  Zeit  die  Statue,  meines  Wissens, 

(3)  Docum.  ined.  per  serv.  alla  stör,  dei  musei  dVtalia  IV  p.  41:  iina 
statuetta  alta  pal  4^  di  hronzo  con  cornu  copio  inmano  rappresentante  un 
idolo  etrusco,  con  pieduccio  di  porfido  verde.  —  Diese  Notiz  verdanke  icli 
der  Güte  von  Adolf  Michaelis. 

(■*)  Monum.  ined.  p.  LV  c.  4  §  62. 

(5)  m  c.  2  §  10. 

(ö)  m  c.  3  §  5. 

C)  Dort  zuerst  erwähnt  von  Nibby  Roma  moderna  nel  1838  p.  823  als 
Arpocrate.  Vergl.  über  die  Teilung  p.  820  und  Beschreibung  der  Stadt  Eoni 
III  3  S.  185. 

(8)  Archäol.  Anzeiger  1863  S.  122  f. 

(9)  In  einer  Adunanz  des  Instituts  legte  er  eine  Zeichnung  der  Statue 
vor:  Bull.  d.  Inst.  1871  p.  19.  Vergl.  Untersuchungen  über  die  canipan.  Wand- 
malerei S.  17  und  « Ueber  die  Darstellung  des  Athnmngsprocesses  in  der 
griech.  Sculptur  m  in  der  Zeitschrift  Grenzboten  IV  1870  S.  417. 

(10)  S.  Anm.  1.  —  Nach  der  Angabe  des  Fürsten  Sciarra  hätten  sich 
neuerdings  wieder  bekannte  englische  Gelehrte  für  ctruskischen  Ursprung 
ausgesprochen.  Auch  einer  der  hervorragendsten  Kenner  etruskischer  Kunst 
in  Italien,  L.  A.  Milani,  neigt  zu  der  gleichen  Ansicht,  von  der  ich  nur  ein- 
fach gestehen  niuss,  dass  sie  für  niicli  unverständlich  ist. 


92  ARCHAISCHE    BRONZESTATUE 

keine  Beacütimg  gefunden,  ohne  Zweifel  deshalb,  weil  die  Samm- 
lung Sciarra  gegenwärtig  nur  schwer  zugänglich  ist.  Erst  in  der 
Ausstellung  von  Bronzen,  welche  im  vorigen  Jahre  im  Palaz^o  di 
helle  arti  statt  fand,  Avurde  sie  allgemeiner  zugänglich  imd  die 
Redaction  dieser  Zeitschrift  beschloss  bei  dieser  Gelegenheit  die 
längst  geplante  Veröffentlichung  durchzuführen.  Dort  wurden  auch 
die  den  Tafeln  IV  und  IV  a  zu  Grunde  liegenden  Photographien, 
leider  nicht  bei  ganz  günstiger  Beleuchtung,  aufgenommen.  Da  den 
Fachgenossen,  welcher  die  Herausgabe  übernommen  hatte,  äussere 
Umstände  verhinderten,  die  Tafeln  mit  den  nötigen  Bemerkungen 
zu  begleiten,  wurde  diese  Aufgabe  mir  übertragen.  Seine  Durch- 
laucht der  Fürst  Maffeo  Sciarra  erteilte  mir  mit  grösster  Bereit- 
willigkeit die  Erlaubniss,  die  gegenwärtig  wieder  im  ersten  Stock- 
werke seines  Palastes  —  in  demselben  Gemache  mit  dem  berühmten 
Geigenspieler  —  aufgestellte  Statue  öfter  zu  sehen  und  zu  ver- 
öffentlichen, auch  die  auf  Tafel  V  wiedergegebenen  Photographien 
des  Kopfes  aufnehmen  zu  lassen,  eine  Liberalität,  für  die  ihm  alle 
Fachgenossen  lebhaften  Dank  wissen  werden  (i^).  Es  steht  zu 
hoffen,  dass  der  Fürst  auch  zm-  Verbreitung  der  merkwürdigen 
Statue  in  Gipsabgüssen  die  Erlaubniss  erteilt.  Erst  dann  wird  es 
möglich  sein,  ihre  eigentümliche  Formensprache  durch  allseitige 
Vergleichung  hinreichend  zu  würdigen,  wozu  ich  mich  um  so  weniger 
befähigt  fühle,  als  die  Umstände  mir  nicht  gestatteten,  ihrem 
Studium  die  notwendige  zusammenhängende  Zeit  zu  widmen. 

Der  Erhaltimgszustand  der  gegenwärtig  1,11  M.  hohen  Figur 
ist  ein  ziemlich  günstiger.  In  der  Bestimmung  der  Ergänzungen  hat 
mich  Herr  Martinetti  auf  das  bereitwilligste  mit  seinem  sach- 
kundigen Urteil  unterstützt.  Die  antiken  Teile,  im  Ganzen  von 
dunkelgrüner  Farbe  mit  braunen  und  grünlichweissen  Flecken, 
zeigen  wenig  von  der  ursprünglichen  Patina,  sondern  sind  glatt 
geputzt  und  gefeilt,  wodurch  die  Oberfläche  leicht  zerkratzt  wurde, 
ohne  dass  dadurch  die  Wirkung  der  Modellierung  sonderlich  beein- 
trächtigt wäre.  Nur  an  wenigen  Stellen  ist  sie  durch  stärkere  Ein- 
drücke merklich  aus  der  Form   gebracht;   auch   das   Gesicht  ist 


(11)  Für  die  Vermittehin £j  des  Pcnncsses  bin  ich  dem  k.  und  k.  üsterv. 
Lcgationsratli,  Herrn  von  Eperjesy,  welcher  an  diesen  Studien  selbst  lebliaften 
Anteil  nimmt,  zu  grossem  Danke  verpflichtet. 


DES    FÜRSTEN    SCI  AKRA 


93 


etwas  verbogen.  Ergänzt  ist  natürlich  die  steinerne  Basis,  offenbar 
dieselbe,  welche  schon  das  Inventar  A^on  1738  angibt  (oben  Anm.3);  die 
beiden  Füsse  oberhalb  der  Knöchel,  wie  Michaelis  erkannt  hat,  aber 
in  ihrer  Stellung  wohl  ziemlich  richtig ;  die  rechte  Hand  mit  einem 
Drittel  des  Unterarms,  der  etwas  zu  lang  geraten  zu  sein  scheint ; 
der  linke  Arm  vom  Schultermuskel  abwärts  mitsammt  dem  Füll- 
horn. Alle  diese  Ergänzungen  sind  kenntlich  an  ihrer  künstlichen 
Patina  von  glanzlosem  Grün  und  —  wenn  man  vom  1.  Oberarm, 
dessen  Bruch  mit  gefärbtem  Gips  verschmiert  ist,  absieht  —  an 
den  Köpfen  der  zur  Befestigung  dienenden  dicken  Nieten  oder 
Schrauben,  welche  erkennbar  sind,  obwohl  sorgfältig  mit  der  Feile 
geglättet  ('-).  Am  deutlichsten  ist  dieses  Verfahren  an  dem  Kopfe, 
dessen  moderne  Ergänzung  ebenfalls  Michaelis  erkannt,  v.  Duhn 
mit  Unrecht  bestritten  hat.  Sie  wird  durch  die  beistehenden  vier 
Skizzen  verdeutlicht,  in  denen  die  Fugen  durch  punktierte  Linien 


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bezeichnet  sind.  Dass  das  von  ihnen  umgrenzte  Stück  modern  sei, 
beweist  nicht  nm-  die  Patina,  sondern  auch  die  rohe  Art,   in  der 

(12)  Ich  sehe  nachträglich,  dass  aucli  im  Neapelcr  Museum  die  Bronzen 
in  derselben  Weise  zusammengefügt  oder  restaurirt  sind  ;  insbesondere  sind 
alle  Büsten  in  dieser  Weise  an  die  Eisengerüste  festgemacht,  auf  denen  sie 
stehen. 


94  ARCHAISCHE    BRONZESTATUE 

hier  die  Haare  angedeutet  sind.  Während  sie  an  dem  antiken  Teile, 
besonders  deutlich  hinter  dem  linken  Ohr  auf  Tafel  V,  durch  die 
feinste,  streng  stilisierte  Graffitozeichnung  —  sie  scheint  mit  einem 
weissen  Pigment  ausgefüllt  —  ausgedrückt  sind,  wurden  sie  auf 
dem  modernen  Stück  mit  weit  weniger  regelmässigen,  stumpfen 
Strichen  augegeben,  welche  nicht  in  die  Bronze,  sondern  schon  in 
das  weiche  Gussmodell  eingeritzt  worden  sein  dürften.  Auch  den 
Hauptumriss  des  Schädels  gibt  die  Ergänzung  offenbar  nicht  ganz 
richtig  wieder ;  die  Wölbung  war  wahrscheinlich  nach  oben  und 
nach  hinten,  ganz  sicher  über  dem  rechten  Ohr,  beträchtlich  stärker. 
Befestigt  ist  das  moderne  Stück  an  den  drei  mit  Ä  bezeichneten 
Stellen  des  antiken  Teiles  auf  der  Stirne  und  hinter  den  Ohren, 
wo  6-7  mm.  breite  runde  Schraubeuköpfe  kenntlich  sind.  Wie  man 
durch  das  grosse  Loch  auf  der  Rückseite  sehen  kann,  greifen  diese 
Schrauben  innen  in  ungefähr  halbkreisförmige  Fortsätze  des  er- 
gänzten Stückes  ein.  An  der  Innenseite  der  Stirne  glaubte  ich  an 
dem  Ende  der  Niete  deutlich  Schraubenwindungen  zu  erkennen. 
Die  drei  in  unseren  Skizzen  mit  B  bezeichneten  Stellen  zeigen 
offene  runde  Löcher,  von  denen  das  mittlere  7  mm.,  die  beiden  vor 
den  Ohren  befindlichen  4  mm.  breit  sind.  Mit  Sicherheit  weiss  ich 
sie  nicht  zu  erklären,  aber  zur  Befestigung  eines  Kranzes,  wie 
Heibig  wollte  ('•'),  können  sie  schwerlich  gedient  haben.  Ueber- 
haupt  ist  es  mir  wahrscheinlicher,  dass  das  einzige  auf  antiker 
Stelle  befindliche,  vor  dem  linken  Ohre,  erst  bei  der  Ergänzung 
gemacht  ist,  als  dass  es  die  Anbringung  der  beiden  anderen  an  dem 
modernen  Stück  veranlasst  habe. 

Gleichfalls  zweifelhaft  ist  die  Bedeutung  jenes  grossen,  auf 
der  Rückseite  in  den  Schädel  eingeschnittenen  Loches,  welches  auch 
in  den  Profilansichten  Tafel  IV  a  und  V  an  der  Abplattung  des 
hinteren  Schädelconturs  kenntlich  ist.  Sein  Durchmesser  beträgt 
35  bis  37  mm.  Von  seiner  Umgebung  ist  kaum  ein  Viertel  antik 
und  bei  dem  abgeschabten  Zustande  des  Randes  möchte  ich  nicht 
einmal  dafür  haften,  dass  dieser  Teil  von  Alters  her  so  gestaltet 
war.  Aber  es  ist  von  vorn  herein  das  wahrscheinlichste,  dass  ein 
unzweideutiger  Rest  eines  antiken  Ausschnitts  Anlass  gab,  diesen 
in  der  Ergänzung  fortzusetzen.    Gegenwärtig  wird  das  Loch  dazu 

('^)  Unters,  über  die  campaii.  Wandmalerei  S.  17. 


DES    FÜRSTEN    SCIÄRRA  95 

vei'Avendet,  um  durch  eine  in  dem  Inneren  befestigte  Kerze  die 
leeren  Augenhöhlen  zu  erleuchten.  Demselben  Zwecke  dient  auch 
eine  auf  dem  Scheitel  angebrachte  Bohrung  von  c.  7  mm.  Breite, 
deren  Umgebung  an  der  Innenseite  mit  einer  starken  Schichte  von 
Russ  behaftet  war;  das  Loch  fungiert  also  als  Rauch  fang.  Eine 
ganz  ähnliche  Art  der  Illumination  wird  demnächst,  wie  er  mir 
freundlich  mitteilt,  L.  A.  Milam  für  das  italische  Altertum  nach- 
weisen (1^).  In  die  Bronzeperrücke  einer  archaischen,  wahrscheinlich 
griechischen  Statue,  von  der  mir  durch  Milani's  Güte  eine  Photo- 
graphie vorlag,  wurde  nachträglich,  wie  er  meint  bei  ihrer  Ver- 
wendung im  etruskischen  Cultus,  ein  kleines  viereckiges  Fenster- 
chen eingearbeitet,  welches  keinen  anderen  Zweck  gehabt  haben 
kann,  als  die  ohne  Zweifel  aus  durchsichtigem  Materiale  einge- 
setzten Augen  zu  erleuchten,  gewiss  ein  wirksames  Mittel,  um  das 
Götterbild  mit  dem  Nimbus  des  Wunders  zu  umgeben.  Ob  freilich 
auch  bei  unserer  Statue  ein  ähnlicher  Sachverhalt  anzunehmen  ist, 
scheint  mir  sehr  zweifelhaft ;  der  Ausschnitt  wäre  zu  diesem  Zwecke 
beträchtlich  breiter  gemacht  worden,  etwa  handbreit,  wie  an  der 
Milani'schen  Bronze.  Das  Loch  wird  nichts  anderes  sein,  als  ein 
uuausgefüllt  gebliebenes  Gussloch,  wie  es  fast  genau  gleich  der 
kürzlich  auf  der  Akropolis  in  Athen  gefundene  aiginetische  Bronze^ 
köpf  zeigt  {^^). 

Was  die  Technik  anlangt  bemerke  ich  noch,  dass  der  Bronze- 
guss,  entsprechend  seiner  Altertümlichkeit,  noch  beträchtliche  Dicke 
hat,  an  dem  Loche  im  Hinterhaupt  5  bis  6  mm.,  und  dass  demnach 
die  Statue  schwerer  ist,  als  sie  bei  gleichen  Dimensionen  in  späterer 
Zeit  wäre  (•'').  Dennoch  vermag  sie  sammt  ihrer  Steinbasis  ein 
Mann  mit  einiger  Anstrengung  zu  heben.  Spuren  von  Zusammen- 
fügung aus  verschiedenen  für  sich  gegossenen  Teilen,  wie  sie  — 
ähnlich  dem  entsprechenden  Verfahren  in  der  Marmortechaik  — 
auch  bei  antiken   Bronzen   gewöhnlich   war,   vermochte   ich  nicht 

(!'*)  In  den  Notizie  degli  scavi. 

C^)  Erwähnt  von  Kavvadias  'EtprjiLi.  cIqx.  1886  p.  136;  Mitth.  d.  arcli. 
Inst.  Athen  1886  p.  336  e.  Eine  Abbildung  ercheint  demntächst  in  Rhomaidis' 
Musees  d'Athenes  II  Heft. 

(^'^)  Dieselbe  Dicke  hat  der  schöne  archaische  Kopf  von  Herculaneum 
(s.  unten  Anm.  45).  Noch  viel  dicker,  fast  1  cm.,  ist  der  Guss  des  in  der 
vorigen  Anmerkung  erwähnten  altertümlichen  Kopfes. 


96  ARCHAISCHE    BRONZESTATÜE 

walirziinelimen.  Eingesetzt  waren  nur,  wie  bemerkt,  die  ganzen 
Augen,  wie  z.  B.  auch  bei  dem  altertümlichen  Zeusköpfchen  aus 
Olympia,  dem  Dornauszieher  im  Conservatorenpalast,  dem  Münchener 
Epheben  (^');  aus  welchem  Materiale,  darüber  gibt  nicht  die  ge- 
ringste Spur  Auskunft.  —  Dass  die  Brustwarzen,  welche  ein  ein- 
geritzter Kreis  imigibt,  aus  anderer  Bronze  eingesetzt  seien,  glaubte 
Herr  Martinetti  zu  erkennen.  Dasselbe  k(5nnte  dann  für  die 
Augenbrauen  gelten  ;  jedoch  wage  ich  keines  von  beidem  bestimmt 
zu  behaupten. 

Wir  haben  hier  gewiss  keine  Idealbildung  vor  uns,  sondern 
eine  als  Porträt  beabsichtigte  Darstellung,  welche  zwar  noch  viel- 
fach in  den  Fesseln  archaischer  Typik  befangen  ist,  aber  sich 
doch  auch  schon  bestrebt,  die  Eigenthümlichkeiten  der  dargestellten 
Person  zu  erfassen  und  mit  Deutlichkeit,  vielleicht  mit  übertrie- 
bener, zum  Ausdruck  zu  bringen.  Wie  frühzeitig  sich  die  archaische 
Kunst  auch  in  dieser  liichtuug  versuchte,  dafür  vermehren  sich 
immerwährend  die  Beispiele.  Unsere  Bronze  stellt  in  ruhiger 
Haltung  einen  halberwachsenen  Knaben  dar  —  seine  Scham  zeigt 
noch  nicht  das  Zeichen  der  Reife  —  von  jugendlichen,  aber, 
besonders  an  Schultern,  Rücken  und  Oberschenkeln,  sehr  kräftig 
entwickelten  Köi-performen.  Der  von  starkem  Halse  getragene 
Kopf,  nach  Art  munterer  Knaben  etwas  zurückgelegt,  zeigt  einen 
stark  entwickelten,  von  athletisch  kurz  geschorenem  Haar  bedeckten 
Schädel;  das  derbe,  geistig  wenig  bedeutende  Gesicht  mit  dem 
offenen  Munde  vervollständigt  das  Bild  eines  durch  athletische 
Uebung  nur  körperlich  stark  entwickelten  Burschen. 

Fast  die  einzige  Gelegenheit  zur  Aufstellung  derartiger  Por- 
trätstatuen von  Knaben,  welche  wir  für  archaische  Zeit  annehmen 
können,  sind  Siege  in  den  grossen  Festspielen.  Schon  Michaelis 
und  Helbisr  haben  bemerkt,  dass  aller  Wahrscheinlichkeit  nach 
auch  in  unserer  Bronze,  wie  in  dem  « Idolino  «  und  dem  «  betenden 
Knaben '- ,  eine  solche  Siegerstatue  zu  erkennen  sei,  welche  von 
Olympia  oder  einem  anderen  Festort  entführt  die  Wohnung  irgend 
eines  römischen  Herren  geschmückt  haben  wird,  an  denen  es  in 
der  Umgebung  ihres  Fundorts  nicht  gefehlt  haben  kann.  Mustern 


(1")  Friederichs- Wolters,  Bausteine  n.   311;  215;  216.  Vergl.  Wiesclcr, 
Nachrichten  der  Gütting.  Gesellschaft  der  Wiss.  1886  S.  56  f. 


DES    FÜRSTEN'    SCIARRA  97 

wir  nun  das  Verzeicliniss  der  von  Pausanias  im  sechsten  Buche 
aufgeführten  siegreichen  Knahen,  deren  Statuen  in.  Olympia  auf- 
gestellt waren,  so  finden  wir,  dass  die  grosse  Mehrzahl,  hesonders 
in  der  älteren  Zeit,  in  welcher  unsere  Bronze  entstanden  sein  muss, 
und  unter  den  Faustkämpfern  imd  Eingern,  die  hier  in  erster  Reihe 
in  Betracht  kämen,  dem  Peloponnes,  besonders  Elis  und  Arkadien 
angehörten  C^).  Niemand  wird  läugnen,  dass  auch  unser  Knabe 
seinem  soeben  gekennzeichneten,  etwas  bäurischen  Wesen  nach  am 
besten  in  diese  Gegenden  passt.  Daraus  ergibt  sich  aber  auch  für 
die  kuustgeschichtliche  Bestimmung  der  Bronze  ein  gewisses  Vor- 
urteil ;  denn  die  meisten  Siegerstatuen,  deren  Meister  wir  kennen, 
gehören  der  peloponnesischen  Schule  an,  deren  Mittelpunkt  Sikvon 
war,  erst  in  zweiter  Linie  der  mit  ihr-  eng  verbundenen  aigine- 
tischen.  Ob  eine  von  diesen  beiden  Schulen,  imd  welche,  bestimmten 
Anspruch  auf  dieses  Werk  erheben  kann,  soll  eine  Analyse  seiner 
Composition  und  seines  Stiles  zeigen. 

Die  Bildung  der  stehenden  nackten  Männergestalt  hat  die 
griechische  Kunst  in  der  Wiederholung  des  bekannten  Schemas  er- 
lernt, welches  uns  durch  eine  Keihe  hochaltertümlicher,  meist 
unter  dem  Namen  Apollon  bekannter  Statuen  wohl  vertraut  ist  C^). 
Die  reifste  Ausgestaltung  dieses  archaischen  Typus  kennen  wir  aus 
dem  Strangfordschen  Jüngling,  welchen  Brunn  mit  hoher  Wahr- 
scheinlichkeit der  aiginetischen  Schule  zugewiesen  hat  (-'|),  ferner 
aus  der  Bronze  von  Piombino  (-')  nnd  der  Payne-Knight" sehen 
Statuette  (-),  welche  mit  Kecht  als  Keplik  des  um  die  70.  Olym- 
piade errichteten   {~'^)  didymäischen  Apollon    des   Kanachos  gilt, 

('^)  Ich  zähle  69  Knabensieger,  darunter  23  aus  Elis  und  Triphylien, 
12  Arkader,  7  sonstige  Pcloponnesier.  Unter  den  54  Faustkämpfern  und  Rin- 
gern dieser  Liste  stehen  19  Eleer,  11  Arkader,  6  andere  Peluponnesier. 

(1^)  Friederichs-Wolters,  Bausteine  zu  n.  14.  Furtwängler  in  Eoschers 
Lexik,  der  Mythol.  S.  450  if. 

(20)  Brunn,  Sitzungsber.  der  bair.  Akademie  1872  S.  529  flF.  Vergl.  Frie- 
derichs-Wolters n.  89.  Overbeck,  gr.  Plastik  P.  S.  181;  am  besten  abgebildet 
bei  Eayet  et  Thomas,  Milet  et  le  golfe  Latmique  pl.  28,  1. 

(2')  Overbeck  a.  a.  0.  P  S.  78  ff.  Rayet  a.  a.  0.  pl.  29. 

(22)  Rayet  a.  a.  0.  pl.  28,  2.  Vgl.  Friederichs-Wolters  n.  51.  Jlüller- 
Wieseler,  Penkm.  Tf.  4  n.  21. 

(2^)  Brunn,  Gesch.  der  gr.  Künstler  I  S.  77  ff.  Klein,  Arch.-epigr.  Milth. 
aus  Oesterr.  V  S.  100. 

7 


98  ARCHAISCHE   BRONZESTATÜE 

endlich  aus  mehreren  Statuen  vom  Tempel  des  ApoUon  Ptoieiis, 
welche  zu  seinem  Doppelgänger,  dem  ebenfalls  dem  Ivanachos  — 
ungewiss  mit  welchem  Rechte  (-^)  —  zugeschriebenen  Apollon  Isme- 
nios  in  Theben,  in  ähnlichem  Verhältniss  zu  stehen  scheinen  C^-^). 
Alle  diese  Figuren  ruhen  noch  fest  auf  beiden  Füssen,  indem  der 
linke  in  massigem  Ausschritt  vorgesetzt  ist,  ohne  dass  dadurch  der 
Oberkörper  aus  seiner  senkrechten  Haltung  gebracht  würde;  die 
Hände,  welche  ursprünglich  am  Körper  herabhingen,  sind  mit 
Attributen  vorgestreckt ;  das  Gesicht  blickt  gerade  vor  sich  hin. 
Dieses  altertümliche  Compositionsschema  wird  abgelöst  durch 
dasjenige,  welches  durch  die  Statue  des  Stephanos  in  Villa  Albani 
und  durch  den  Apollon  aus  dem  Dionysostheater  in  Athen  mit 
ihren  Verwandten  {-''')  am  besten  bekannt  ist.  Die  Last  des  Körpers 
ist  nicht  mehr  gleichmässig  auf  beide  Beine  verteilt,  sondern  das 
eine  ist,  wenn  auch  noch  wenig  bestimmt,  als  Standbein  gekenn- 
zeichnet, das  andere  tritt  leicht  gebogen  etwas  zur  Seite  und  zu- 
rück, obzwar  es  noch  mit  der  ganzen  Sohle  den  Boden  berührt. 
Dem  entsprechend  ist  auch  der  Oberkörper  in  leise  Bewegung 
geraten,  die  dem  Standbein  entsprechende  Hüfte  tritt  etwas  her- 
aus, auch  die  Schultern  stehen  nicht  mehr  ganz  wagerecht,  der 
Kopf  erhält  eine  leichte  Wendung  oder  Senkung.  Der  eine  Unter- 
arm ist  auch  hier  vorgehalten.  —  In  diesem  Schema  wird  heute, 
besonders  nach  der  Untersuchung  von  Flasch,  wohl  Niemand  mehr 
die  Schöpfung  einer  späten  eklektischen  Schule  erkennen,  sondern 
die  Uebergangsform  zu  der  freien  rhythmischen  Ponderation  phi- 
diassischer  und  polykletischer  Gestalten.  Auch  welcher  Schule  das 
Verdienst  gebührt,  diesen  Fortschritt  durchgeführt  zu  haben,  ist 
kaum  zweifelhaft.  Das  Vorbild  des  Stephanos  war  schwerlich  etwas 
anderes,  als  eine  peloponnesische  Siegerstatue,  und  die  kurz  nach 
460  ausgeführten  Sculpturen  vom  Zeustempel  in  Olympia,  welche 


(2*)  Robert,  Archäol.  Märchen  S.  96.  Freilich  beweisen  die  Worte  des 
Tansanias  auch  das  nicht,  Avas  Robert  behauptet,  dass  die  Zuteilung  an  Ka- 
nachos  auf  blosser  Conjectur  beruhte.  Neben  der  stilistischen  Uebereinstim- 
mung  kann  ganz  wohl  auch  eine  Künstlerinschrift  bestanden  haben. 

(25)  Bull,  de  corr.  hell.  1886  pl.  9  p.  190  ff.  besonders  jd.  6  p.  265  ff. 
Vgl.  1887  pl.  13;  14  p.  275  ff.  (Holleaux). 

(2ö)  Kekul(^,  die  Gruppe  des  Künstlers  Menelaos  S.  23  ff.  Conze,  Bei- 
träge z.  Gesch.  der  gr.  Plastik  S.  13  ff.  Friederichs-Wolters  n.  217-226. 


DES    PURSTEN    SCI  AKRA  99 

dasselbe  Standmotiv  durchgeführt  zeigen,  sind,  wie  zuletzt  oben 
S.  53  if.  dai-zutim  versucht  wurde,  ein  Werk  derselben  Schule.  Der 
Meister  aber,  von  welchem  diese  Schule  damals  {-')  am  stärksten 
beeiuflusst  war,  scheint  Ageladas  gewesen  zu  sein,  der  jüngere  und 
wahrscheinlich  bedeutendere  Genosse  des  Kanachos,  welchem  die 
Anfertigung  mehrerer  Siegerstatuen  Gelegenheit  gab,  sich  mit  jenem 
Problem  zu  beschäftigen.  Jedesfalls  gehört  die  Einführung  des 
neuen  Standmotivs  der  Zeit  zwischen  dem  didymäischen  Apollon  des 
Kanachos  und  der  Ausführung  der  Giebelsculpturen  in  Olympia  an. 
In  den  Anfang  dieses  Zeitraums  und  wohl  auch  in  denselben 
Schulzusammenhang  muss  unsere  Bronze  gehören,  so  viel  ich  weiss 
das  älteste  Beispiel  der  neuen  Compositionsweise,  welche  sie  aber 
noch,  nicht  ganz  durchgeführt  zeigt,  wie  wenn  es  einer  der  ersten, 
noch  schüchternen  und  befangenen  Versuche  in  jener  Kichtung 
wäre,  den  man  keinem  Meister  ersten  Ranges  zuschreiben  möchte. 
Die  Stellung  der  Beine  ist,  wie  auch  Heibig  hervorgehoben  hat, 
schon  ziemlich  dieselbe,  wie  bei  der  Statue  des  Stephanos,  nur 
noch  viel  gebundener  und  im  Gegensinn,  wie  auch  bei  der  treffli- 
chen Copie  einer  ähnlichen  Statue  in  Villa  Albani  ('^).  Wie  bei 
diesen  Statuen  ist  die  eine  Hand,  hier  die  rechte,  vorgestreckt ; 
wahrscheinlich  hielt   sie   ein   Attribut,  wie   das   auch  für  Sieger- 


(")  Robert,  Arch.  Mcärcheii  S.  39  ff.  (vergl.  93  ff.),  scheint  mir  mit  Un- 
recht in  Abrede  zu  stellen,  dass  Ageladas  noch  nach  den  Perserkriegen  tätig 
war.  Er  denkt  sich  nämlich  seinen  Herakles  Alexikakos,  welchen  unsere  Ueber- 
lieferung  nach  der  grossen  Pest  zu  Beginn  des  pelojjonnesischen  Krieges 
aufgestellt  sein  lässt,  nach  der  durch  C  I.  A.  n.  475  für  Athen  bezeugten 
Pest  gestiftet,  welche  er  um  500  ansetzt.  Aber  die  Inschrift  muss,  wenn  ich 
nicht  sehr  irre,  mindestens  30  Jahre  älter  sein.  Und  dann  hätte  ein  grosses 
Bronzewerk  schwerlich  die  Perserkatastrophe  von  480  überdauert.  Man  muss 
also  entweder  mit  Klein  (Arch.  epigr.  Mitth.  aus  Oesterr.  YII  S.  62  ff.)  zu  der 
Annahme  eines  jüngeren  Ageladas  zurückkehren,  oder,  was  ich  vorziehen 
möchte,  die  Verbindung  des  Herakles  mit  der  Pest  als  eine  sjjätere,  durch 
seinen  Beinamen  hervorgerufene  Erfindung  ansehen.  Den  waliren  Anlass  der 
Weihung  möchte  ich  in  nichts  anderem  erkennen,  als  in  der  Befreiung  von 
der  Persernot,  und  sie  in  der  Zeit  ansetzen,  da  der  Bund  mit  den  Herakliden 
noch  bestand,  also  kurz  nach  I'lataiai,  etwa  gleichzeitig  mit  dem  gemein- 
samen Weihgeschenk  in  Deljihi. 

(28)  Nr.  44  im  Porticus  des  Palastes  vor  dem  linken  Seitenflügel ;  meines 
Wissens  noch  unpubliciert. 


100  ARCHAISCHE    BROXZESTATUE 

statuen  in  Oh'mpia  bezeugt  ist  (-^).  Auch  die  linke  Hüfte  tritt 
etwas  heraus,  aber  die  Bewegung  teilt  sich  noch  nicht  dem  ganzen 
0])erkörper  mit  (^'^)  und  die  starre  Kopfhaltung  entspricht  noch 
ganz  dem  älteren  Typus. 

An  das  Werk  des  Stephanos  und  den  Apoll  aus  dem  Dion3^sos- 
theater  erinnert  ferner  die  Breite  der  Schultern,  welche  die  der 
Hüften  noch  sehr  überwiegt  (^i).  Daneben  sind  freilich  auch  in 
der  Körperbildung  tiefgehende  Verschiedenheiten  nicht  zu  verken- 
nen, welche  teilweise  von  der  grösseren  Altertümlichkeit  unserer 
Bronze  herrühren.  Der  Kopf  ist  keineswegs  so  klein,  wie  bei  jenen 
Statuen  ;  die  Höhe  beträgt  nicht  mehr  als  etwa  0,8  Kopflängen. 
Die  Brust  ist  zwar  an  sich  und  durch  den  auch  hier,  wie  gewöhn- 
lich in  der  archaischen  Kunst,  dargestellten  Act  des  Einatmens  {^'^) 
stark  vorgewölbt,  aber  die  Brustmuskel  sind,  der  Jugendlichkeit 
dieses  Körpers  entsprechend,  schwach  entwickelt.  Besonders  ist  ihre 
vertikale  Ausdehnung  im  Verhältniss  zur  Torsolänge  viel  zu  ge- 
ring (3'^).  auch  sitzen  die  Brustwarzen  nicht  weit  genug  aus- 
einander (3'').  Aehnliche  Fehler  finden  sich  auch  an  einigen  von 
den  angeführten  archaischen  Figuren,  dem  Strangfordschen  Jüng- 
ling, -dem  Apollo  Payne-Knight,  besonders  aber  an  der  Bronze 
von  Piombino,  worauf  schon  von  Duhn  hingewiesen  hat. 

Wie  sehr  in  anderen  Punkten  unsere  Statue  diesen  altertümli- 
cheren Werken  überlegen  ist,  zeigen  schon  die  Abbildungen.  Ich 
hebe  nur   einige   Einzelheiten    hervor,  für   welche   sie  nicht  aus- 


(2^)  Z.  B.  Pausan.  6,  0,  1  die  Statue  des  Theognetos  von  Aigina,  von 
dem  Aigineten  Ptolichos,  welche  Pinienapfel  und  Granate  in  den  Händen 
hielt,  oder  6,  1,  7  die  des  Polykles,  mit  einer  Tänie  auf  der  Rechten. 

(30)  Zwar  ist  der  Abstand  der  Brustwarzen  vom  Nabel  ungleich,  links  0,1  ß2, 
rechts  0,150,  aber  gerade  in  umgekehrtem  Sinne,  als  es  bei  einer  der  Figur 
des  Stephanos  analogen  Bewegung  des  Torso  der  Fall  sein  müsste.  Vgl.  Flasch, 
Arch.  Zeitg.  1878  p.  124. 

pi)  Schultcrbreite  0,34,  nicht  viel  weniger  als  ein  Drittel  der  ganzen 
Höhe  der  Figur  (1,11).  Hüftenbreite  0,214. 

(32j  Heibig,  Grenzbuten  IV  1870  p.  417. 

(33)  Vom  Handgriff  des  Brustbeins  bis  zum  unteren  Rande  der  Brust- 
muskcl  (vertikale  Dimension)  0,10;  bis  zum  Isabel  c.  0,25;  bis  zum  Schani- 
glied c.  0,34. 

(3*)  0,133.  —  Auf  diese  Fehler  haben  schon  Meyer  und  Schulze  zu 
Winckeluiitnn's  Kunstgcsch.  III  c.  2  §  10  aufmerksam  gemacht. 


DES    FÜRSTEN    SCIARRA  101 

reichen.  Die  Sägemuskel  sind  leise  und  fein,  aber  doch  fühlbar 
angedeutet.  Unter  dem  Nabel,  welcher  an  sich  eine  ziemlich  leb- 
lose kreisrunde  Scheibe  ist,  ähnlich  wie  bei  den  Tyrannenmördern, 
wölbt  sich  der  Bauch  in  weicher  Modellierung  ein  wenig  vor,  wie 
auch  an  der  Statue  des  Stephanos.  Der  Ansatz  des  Schamgliedes  zeigt 
eine  weiche  Hautfalte,  welche  auch  schon  die  Piombinosche  Bronze 
andeutet.  Sie  ist  nicht  zu  verwechseln  mit  der  Querfurche,  mittelst 
derer  in  entwickelterer  Kunst  ein  besonderer  Schamhügel  von  dem 
unteren  Bauchende  abgegrenzt  wird  {^^).  Die  Inguinalfalten  sind 
etwas  stärker  betont  als  die  Al)bildung  erkennen  lässt.  Auch  der 
Rücken  ist  fein  ausmodelliert  und  voll  echt  griechischen  Lebens- 
gefühls (Michaelis  a.  a.  0.  S.  123),  welches  überhaupt  die  ganze  Figur 
durchdringt  und  meines  Et-achtens  allein  ausreicht,  um  bei  einem 
so  einheitlich  altertümlichen  Werke  den  Gedanken  an  etruskischen 
Ursprung  zurückzudrängen  C'). 

Bei  allen  diesen  Vorzügen  ist  freilich  eine  gewisse  Flachheit 
der  Modellierung  nicht  abzuleugnen,  welche  schon  Winckelmann, 
etwas  übertreibend,  mit  den  Worten  gekennzeichnet  hat :  «  Die 
Zeichnung  des  Genius  im  Palaste  Barberini  ist  sehr  platt  und  ohne 
besondere  Andeutung  der  Teile.  "  (^ß).  Diese  Flachheit  lässt  sich 
nur  zum  Teil  aus  der  Rücksicht  auf  die  noch  nicht  voll  entwickelten 
Formen  des  Knabenkörpers  erklären,  welcher  doch  sonst  athleti- 
sche Kraft  zur  Schau  trägt.  Man  vergleiche  nur  z.  B.  den  Strang- 
fordschen  Jüngling,  welcher  gar  nicht  oder  nur  wenig  älter  gedacht 
und  eher  minder  kräftig  gebildet  ist.  Und  doch  möchte  man  ge- 
rade bei  einem  Bronzewerke  dieselbe  Bestimmtheit  und  Schärfe 
der  Durchbildung  erwarten,  welche  wir  bei  den  Aigineten  mit  Recht 
als  Eigentümlichkeiten  des  auf  Marmor  übertragenen  Bronzestils 
zu  betrachten  pflegen,  jene  Art  der  Stilisierung,  welche  die  opti- 
sche Beschaifenheit  der  gegossenen  Bronze  zu  erfordern  scheint 
und  die  Arbeit  in  dem  weichen  Gussmodell  sehr  erleichtert.  Das. 
was  unsere  Statue  von  dem  entfernt,  worin  wir  den  eigentlichen 
Stil  des  Bronzegusses  zu  erkennen  pflegen,  das  nähert  sie  der- 
jenigen Kunstweise,  deren  Hauptvertreter  für  uns  jetzt  die  Sculp- 
turen  vom  Zeustempel  in  Olympia  sind.  Ich  habe  schon  oben  S.  53 


(35)  Vergl.  darüber  auch  Flascli,  Arch.  Zoitg.  1878  S.  122  roclits. 
(3ö)  Kunstgcsch.  III  c.  3  §  5. 


102  ARCHAISCHE    BRONZESTATÜE 

ff.  ausgeführt,  dass  für  mich  der  peloponuesische  Ursprung  dieser 
"Werke  nicht  zweifelhaft  ist,  und  augedeutet,  dass  sich  ihre  Eigen- 
tümlichkeiten und  Mängel  aus  dem  partiellen  Festhalten  an  der 
Kunstweise  erklären  dürften,  welche  sich  in  der  alten  daidalidischen 
Technik  des  Spln-relatons  ausgebildet  hatte  (3").  Bei  den  langbe- 
kleideten Frauengestalten  kann  daran  kein  Zweifel  sein.  Die  Vesta 
Giustiniani  —  um  eines  der  meisterhaftesten  AVerke  dieser  Gruppe 
zum  Beispiel  zu  wählen  —  Hesse  sich  wohl  Zug  um  Zug  in  ge- 
hämmertem Blech  nachbilden,  womit  durchaus  nicht  gesagt  sein 
soll,  dass  sie  wirklich  die  spätere  Nachbildung  eines  in  jener  Technik 
liergestellten  Originals  ist,  nicht  selbst  ein  ursprüngliches,  nur  etwas 
überarbeitetes  Werk  aus  jener  Zeit,  woran  ich  mit  Wolters  (•^^)  um 
so  lieber  glaube,  als  auch  der  Marmor  der  bei  der  Mehrzahl  der 
olympischen  Giebelsculpturen  verwandte  *.  parische  "  ist.  —  Aber 
auch  in  der  Bildung  des  Nackten  mit  ihren  grossen  Flächen  und, 
besonders  an  den  Knabenkörperu  der  Giebel,  wenig  scharfen  Con- 
turen  glaube  ich  den  Einfluss  des  Sphyrelatons  zu  spüren,  welches 
scharfe  Kanten  nur  bei  den  einfachen  Formen  der  Gewandung  ge- 
stattete, bei  der  complicierten  Oberfläche  des  menschlichen  Leibes 
aber  darauf  angewiesen  war,  weichere  Uebergänge  zu  suchen  und 
allzu  viele  markierte  Einzelheiten  zu  vermeiden.  Die  Spuren  dieser 
Beschränkung  der  älteren  Bronzetechnik  meine  ich  auch  in  dem 
Stil  unserer  gegossenen  Bronzestatue  zu  erkennen,  ähnlich,  um  einen 
recht  elementaren  Fall  zu  vergleichen,  wie  die  kleinen  gegossenen 
Bronzevotive  aus  Olympia  in  ihren  Formen  deutlich  daran  erinnern, 
dass  ihre  Vorbilder,  als  Sphyrelata  einfachster  Art,  aus  zurecht- 
geschnittenen  Stücken  Blech  zusammengebogen  wurden  {^^).  Selbst 
nocli  eines  der  reifsten  Meisterwerke  dieser  Schule,  den  Dornaus- 
zieher  des  Conservatorenpalastes  ("^),  —  wahrscheinlich  auch  eine 

(3'')  Auf  diese  Spuren  der  Sphyrelatontechnik  in  den  olympischen  Giebel- 
sculpturen hat  auch  Löwy  in  einem  1883  im  österreichischen  Museum  für 
Kunst  und  Industrie  gehaltenen  Vortrage  nachdrücklich  hingewiesen. 

(38)  Friederichs-Wolters,  Bausteine  n.  212. 

(39)  Vergl.  darüber  die  treffliche  Darlegung  von  Purgold  Annali  deWInst. 
1885  p.  177  ff. 

(1')  Seine  nahe  Verwandtschaft  mit  den  olympischen  Giebeln  hat  Kekule. 
Arch.  Zeitg.  1883  S.  229  ff.  dargetan.  Vergl.  Friederichs-Wolters  n.  215.  Nur 
bekenne  ich,  dass  das  Ueberzeugende  für  mich  nicht  die  Zusammenstellung 
des  Kopfes  mit  dem  des  «  Apollo  »  aus  dem  Westgiebel  gewesen  ist. 


DES    FÜRSTEN    SCIARRA  103 

Siegerstatue  (")  —  kann  mau  seiner  etwas  stumpfen  Formen  wegen 
in  gewissem  Sinne  hier  anführen.  Um  so  weniger  wird  die  An- 
nahme eines  Einflusses  der  älteren  Technik  an  einem  Werke  be- 
denklich erscheinen,  welches,  wie  unsere  Bronze,  der  Einführung  des 
statuarischen  Bronzegusses  in  die  peloponnesische  Kunstiibung  noch 
sehr  nahe  steht.  Davon  soll  unten  noch  die  Rede  sein. 

Eine  deutliche  Spur  jener  Technik  scheint  mir  noch  das  Haar 
zu  bieten,  welches  durchaus  einer  aus  Blech  getriebenen  und  an- 
gelöteten glatten  Kappe  gleicht.  Auch  hier  stimmen  wieder  zahl- 
reiche olympische  Köpfe  überein,  besonders  aus  den  Metopen, 
worauf  schon  Michaelis  verwies.  Freilich  ist  nicht  in  Abrede  zu 
stellen,  dass  diese  Art  der  Haarbehandlung  aus  Bequemlichkeit 
auch  dort  Aufnahme  fand,  wo  von  dem  Einfluss  einer  anderen 
Technik  keine  Rede  sein  kann.  —  Wie  in  manchen  Fällen  an 
Marmorsculpturen  das  Detail  des  Haares  in  Farbe  ausgeführt 
war  {^'),  so  wurde  es  an  Bronzeköpfen  durch  feine  Gravierung  wieder- 
gegeben. So  auch  an  dem  unserigen,  aber  in  einer  ganz  eigentüm- 
lichen Stilisierung,  genau  so,  wie  wenn  der  Kopf  mit  kleinen, 
concentrisch  um  den  Wirbel  angeordneten  Federn  bedeckt  wäre. 
Am  besten  kenntlich  ist  diese  Zeichnung  in  der  Profilansicht  des 
Kopfes  auf  Tafel  V  (vergl.  oben  S.  94).  Eine  genaue  Parallele  hierfür 
weiss  ich  ebenso  wenig  beizubringen,  wie  früher  Michaelis  (^). 
Dieser  verglich  als  einigermaassen  analoges  Schema  das  eingeritzte 
Netz  von  Rhomben,  welches  das  kurze  Haupthaar  des  sogenannten 
Pherekydes  überzieht  {^'i).  Mit  demselben  Rechte  mag  man  etwa 
auch  den  Kopf  eines  von  einem  olympischen  Dreifuss  herrührenden 
Bronzefigürchens  (-")  heranziehen,  welches  umstehend  nach  meiner 
Skizze  wiedergegeben  ist.    Eine  genauere  Analogie  bieten   die  oft 


(■*!)  Diese  Deutung  schon  bei  Piranesi  Statue  tav.  29  in  der  Subscriptinn 
Vergl.  Zielinski,  Elioin.  Museum  XXXIX  p.  116.  Etwas  anders  Kekuld  a.a.O. 
S.  244  if. 

(•*"-)  Z.  B.  an  dem  Kopfe  der  iu  den  Mitth.  d.  arch.  Inst.  Athen  1880 
Tf.  I  abgebildeten  Statue  S.  24  (Furtwängler).  (Vergl.  Mitth.  1886  S.  360  n.  6). 

(«)  Friederichs-Wolters,  Bausteine  n.  231.  Overbeck,  gr.  Plastik  P 
S.  185. 

(^*)  Friederichs-Wolters  n.  361;  abgeb.  Ausgr.  von  Olympia  V  Tf.  27,  1; 
Annali  delVInst.  1885  tav.  B  2.  Ebenda  p.  168  ß".  hat  Purgold  die  richtige 
Bestimmung  dieser  früher  für  einen  Diskobol  gehaltenen  Fio-ur  «■eo'eben. 


104  ARCHAISCHE    BRONZESTATÜE 

federförmig  gestalteten   Scliuppeu,   welche   die   Aigis   der   Athena 
überdecken,  Avenn  sie  diese,  wie  ich  glaube,  ursprünglich  als  Fell, 


als  die  cdy\q  cq((fidc'eaeicc  charakterisieren,  wie  sie  sich  nicht  allein 
Homer  gedacht  hat. 

Der  Kopftypus  unserer  Statue  stimmt  ganz  mit  dem  überein, 
was  wir  bisher  über  ihre  kunstgeschichtliche  Stellung  ermitteln  zu 
können  glaubten  {^•').  Das  breite  Oval  mit  dem  hochgewölbteu  — 
wie  oben  bemerkt  bei  der  Ergänzung  etwas  zu  kurz  gekommenen  — 
Schädel,  mit  starkem  Untergesicht  und  starken  Backenknochen ; 
die  vorliegenden  Augen,  deren  gleichmässig  gewölbte  Brauen  sich 
noch  steil  nach  der  Nasenwurzel  senken  ;  das  ziemlich  schräge 
Profil  und  die  hochsitzendeu  Ohren  —  das  Alles  stimmt  mit  dem 
Kopftypus  des  reifen  Archaismus  überein,  wie  wir  ihn  am  besten 
etwa  durch  die  Aigineten  kennen  (^'^).  Die  Augen  haben  freilich 
nicht  mehr  die  «  chinesische »  Stellung,  und  in  diesem  Punkte 
steht  unser  Kopf  auf  derselben  Eutwickelungsstufe,  wie  der  ge- 
wöhnlich Apollo  genannte,  sicher  echt  archaische  Bronzekopf  aus 

('•■')  Die  Maasse  des  Kopfes  sind  folgende: 

Höhe  in  der  Achse 0,168 

Höhe  des  Gesichts 0,110 

V.iii  Ohr  zu  Ohr 0,103 

Von  einem  äusseren  Augenwinkel  zum  anderen  .  .  .  0,074 

\'on  einem  inneren  Augenwinkel  zum  anderen    .  .  .  0,027 

Länge  der  Nase  an  der  Basis  genommen 0,041 

Breite  des  Mundes 0,031 

Höhe  des  Untergesichts 0,046 

Länge  des  1.  Ohrs    . ,  .  .  .  0,042 

Länge  des  r.  Ohrs 0,040 

(toj  Vergl.  die  Beschreibung  von  Martin  Wagner,  Bericht  über  die  äginet. 
Bildwerke  S.  93.  Brunn,  Sitzungsber.  der  Bair.  Akademie  1807  S.  12  f. 


DES    FÜRSTEN    SCIARRA  105 

Herculaiieiim  (^'),  welchen  ich  am  liebsten  mit  K.  Lange  {'^^)  für 
ein  jüngeres  Werk  der  aiginetischen  Schule,  etwa  auf  der  Kunst- 
stufe des  Onatas,  halten  möchte.  Während  dieses  ausgezeichnete 
AVerk  in  der  Modellierung  dem  Kopfe  unserer  Bronze  unstreitig 
überlegen  ist,  hat  dieser  noch  in  einem  Zuge  mehr  die  archaische 
Gebundenheit  überwunden,  welchen  jener  noch  bewahrt,  ich  meine 
das  stereotype  Lächeln.  Beides  stimmt  zu  dem  vermuteten  Ur- 
sprung der  beiden  Werke.  Dass  die  Aigineten  den  Peloponnesiern 
an  Feinheit  der  Modellierung  überlegen  waren,  haben  wir  schon 
gesehen.  Dass  sie  in  der  Darstellung  des  Gesichts  weit  länger,  als 
ihre  meisterhafte  Belierrschung  der  Körperformen  erwarten  Hesse, 
in  den  Fesseln  des  Archaismus  befangen  blieben,  ist  eine  bekannte 
Tatsache.  Andererseits  hat  K.  Lange  richtig  beobachtet,  dass  be- 
sonders die  peloponnesische  Kunst,  entsprechend  der  Strenge  des 
dorischen  Charakters,  am  frühesten  das  heitere,  ohne  Zweifel  vor- 
wiegend im  ionischen  Osten  ausgebildete  Lächeln  mit  einem  ern- 
sten, ja  mürrischen   Ausdruck    des   Mundes  vertauscht  (^")-  ^^^^■^^ 

(■*')  Rayet  Monum.  de  Vart  ant.  I  pl.  26.  Comparetti  e  de  Petra  La 
Villa  Ercolanese  tv.  7,1.  Frieclerichs-Wolters,  Bausteine  n.  229.  Das  einzige, 
was  sich  etwa  gegen  den  echten  Archaismus  dieses  Werkes  einwenden  liesse, 
wären  die  glatten  Augäpfel,  aber  diese  sind,  wenn  ich  nicht  irre,  später  einge- 
lötet. —  Wohl  der  nächste  Verwandte  dieses  Kopfes  ist,  wie  schon  Schreiber, 
Arch.  Zeit.  1876  S.  120  links  bemerkte,  ein  colossaler  Marmorkopf  des  Museo 
Torlonia  n.  -501  tv.  128  des  Prachtwerkes  von  C.  L.  Visconti  (vergl.  auch 
Arch.  Zeitg.  1879  S.  67  n.  405);  über  die  Ergänzungen  auch  Benndorf,  Mittheil. 
1886  S.  120,  wo  nur  zu  berichtigen,  dass  auch  ein  Stück  der  Tänie  mit  dem 
Haare  darüber  alt  ist.  Durch  alle  Modernisierung  hindurch,  welche  ilim  die 
Copistenhand  angedeihen  Hess,  verraten  die  lächelnd  hinaufgezogenen  Mund- 
winkel und  die  noch  etwas  schrägen  Augen  ein  Original  von  altertümlicherem 
Stil  oder  wenigstens  anderer  Kunstschule,  als  der  Kopf  des  "  Apoll  -i  aus  dem 
olympischen  Westgiebel,  welchen  Benndorf  vergleicht.  Wenn  die  oben  ge- 
billigte Ansicht  von  K.  Lange  richtig  ist,  könnte  man  hier  eine  Copie  von 
dem  ApoUiikoloss  des  Onatas  in  Pergamon  vermuten  (Paus.  8,  42,  7). 

{^]  IMitth.  d.  arch.  Inst.  Athen  1882  S.  203.  Lange's  Meinung  wird,  wie 
ich  nachträglich  sehe,  durch  den  Vergleich  dieses  Kopfes  mit  dem  älteren 
aiginetischen  Bronzekopfe  von  der  Akropolis  (s.  oben  Anm.  15)  bestätigt. 

(49)  Mitth.  a.  a.  0.  S.  206  ff.  Freilich  ist  der  eniste  Gesichtsausdi-uck  niclit 
auf  den  Peloponnes  beschränkt ;  auch  die  kürzlich  auf  der  Akropolis  gefundene 
samische  Marmorstatue  zeigt  iini.  (Sie  wird  demnächst  verüffentliclit  in  Rlio- 
maidis  Jlusees  d"Athi-nes,  IL  Heft;  erwähnt  'Ecfiju.  (Iq-/.  1886  p.  77.  W.  Miller, 
Amerncan  Journal  of  archaeol.  1886  p.  64  n.  14). 


106  ARCHAISCHE    BRONZESTATUE 

hierin  wieder  sind  die  olympischen  Sciilptiu-en  als  hervorragendstes 
Beispiel  der  peloponnesischen  Art  zu  nennen.  Unsere  Bronze  aber 
hat  zwar  das  Lächeln  aufgegeben,  an  seine  Stelle  aber  das  lebens- 
volle, für  den  bäuerlichen  Burschen  so  passende  Motiv  des  offenen 
Mundes  gesetzt.  Auch  dafür  gibt  es  Analogien  aus  dem  Kreise 
der  Giebelgruppeu  des  Zeustempels  ;  man  vergleiche  z.  B.  zwei  der 
trefflichsten  in  Rom  vorhandenen  Copien  archaischer  Werke,  eine 
Herme  der  Villa  Ludovisi  {^'^)  und  den  im  vorigen  Bande  dieser 
Mittheilungen  von  Koepp  veröffentlichten  Kopf  der  Gallerla  Geogra- 
fica  {^^),  welche  beide  in  verschiedener  Weise  dem  Kladeos  nahe 
stehen.  Nur  ist  bei  diesen  Köpfen  der  weniger  offene  Mund  wieder 
zu  einem  leisen  Lächeln  gekräuselt,  wovon  bei  unserer  Statue  kaum 
ein  Anflug  zu  merken  ist.  Mit  diesem  Zuge  aber  kündigt  sie  doch 
dieselbe  naturalistische  Richtung  an,  welche  wir  in  den  Giebel- 
sculpturen  voll  ausgebildet  sehen.  Auch  im  Kopftypus  selbst  er- 
scheint sie  als  Vorstufe  zu  gewissen  Köpfen  jener  Sculpturen.  Man 
vergleiche  den  in  der  Nähe  der  linken  J]cke  des  Westgiebels  hin- 
gesunkenen Lapithen  (''-)  und  besonders  den  jugendlichen  Herakles 
aus  der  Metope  mit  dem  Nemeischen  Löwen  (^^).  Ich  hebe  auch 
nochmals  die  nahe  Uebereinstimmung  der  Haarbehandlung  hervor 
und  mache  auf  die  charakteristische  Einziehung  etwas  oberhalb 
der  Haargrenze  im  Nacken  aufmerksam,  welche  unter  anderen 
auch  die  soeben  verglichenen  Werke  in  Rom  aufweisen. 

Das  Ergebniss  dieser  Erwägungen  ist  also  etwa  folgendes. 
Die  Bronzestatue  des  Fürsten  Sciarra  ist  eine  griechische  Sieger- 
statue eines  wahrscheinlich  dem  Peloponnes  entstammenden  Kna- 
ben, etwa  in  der  Zeit  der  Perserkriege  gearbeitet  von  einem    pe- 

(•-'0)  Schreiber,  Ant.  Bildvv.  der  VilLa  Ludovisi  ii.  8;  Monum.  delVInst. 
X  tv.  57,  1. 

(^1)  Mittheil.  1886  Tf.  4  S.  79  ff.  Dass  der  Kopf  kein  archaisches  Original 
sei,  beweist  der  Marmor,  welchen  ich,  gegen  Koepp,  für  ungriechisch,  am  ehe- 
sten mit  E.  Q.  Visconti  für  lunensisch  halten  niuss.  Damit  stimmt  es,  dass 
sich  am  äusseren  Augenwinkel  der  untere  Rand  des  oberen  Lides  etwas  über 
das  untere  liinaus  fortsetzt,  was  bei  einem  sonst  so  allertümlichen  Werke  sehr 
auffallend  wäre.  Vorgl.  oben  S.  57.  Nur  an  ein  l'ar  archaischen  Grabreliefs, 
dem  der  Alxenorstele  verwandten  in  Neapel  und  dem  einen  im  Conservatoren- 
palaste,  kenne  ich  diese  fortgeschrittenere  Augenbehandlung. 

(52)  Ausgr.  V.  Olympia  II  Tf.  16. 

(53)  Ausgr.  V  'J'f.  IG. 


DES    FÜRSTEN    SCIARRA  107 

lopounesisclien,  dem  engeren  oder  weiteren  Kreise  der  sikyonischen 
Scliule  angehörigen  Künstler.  Also  —  können  wir  hinzufügen  — 
eine  der  ältesten  gegossenen  Bronzestatuen  dieser  Schule.  Denn 
sehe  ich  recht,  so  wurde  der  statuarische  Hohlguss,  welcher  allein 
für  umfangreichere  Werke  in  Betracht  kommt,  erst  um  die  70. 
Olympiade  im  Peloponnes  eingeführt. 

Vor  und  neben  der  Sculptur  iu  Stein  und  Marmor,  deren 
frühzeitige  Einführung  in  den  Peloponnes  nicht  zu  bezweifeln  ist, 
waren  die  Holzschnitzerei  und  das  Sphyrelaton,  so  wie  die  aus 
beiden  combinierte  Arbeit  iu  Gold  und  Elfenbein  die  eigentlichen 
Kunstweisen  der  Daidaliden  im  Peloponnes.  Ein  Sphyrelaton  war 
noch  der  Zeuskoloss,  welchen  Klearchos,  der  als  Schüler  des  Eu- 
cheiros  von  Korinth  i;'^)  eben  diesen  Daidaliden  angehört,  offenbar 


(^i)  Ich  glaube  mich  keiner  Willkür  schuldig  zu  machen,  wenn  ich  dieser 
Angabe  seines  Lehrers  (Paus.  6,  4,  4)  ohne  Weiteres  den  Vorzug  gebe  vor 
der  anderen,  welche  Paus.  3,  17,  6  eben  bei  Gelegenheit  des  Zeus  anführt : 
Klearchos  sei  einer  von  den  Schülern  des  Dipoinos  und  Skyllis  gewesen.  Für 
eine  ältere  Zeit,  welche  den  Zusammenhang  der  Kunstgeschichte  mit  gerin- 
gerem Materiale  construierte,  lag  es  nahe,  den  Künstler  der  angeblich  ältesten 
Bronzestatue  im  Peloponnes  zum  Schüler  der  Begründer  statuarischer  Plastik 
in  diesem  Lande  zu  machen.  Es  lag  aber  keineswegs  nahe,  ihm  in  Eucheiros 
von  Korinth  einen  Mann  zum  Lehrer  zu  dichten,  der  durch  kein  bedeutendes 
Werk  bekannt  war,  und  diesem  wiederum  in  Syagras  (vergl.  meine  Vermutungen 
zur  gr.  Kunstgesch.  p.  44)  und  Chartas  (welcher  vielleicht  in  der  Inschrift  Boss 
Inscr.  gr.  ined.  n.  7,  /.  Gr.  A.  n.  94  genannt  war)  ebenso  unbekannte  Meister  zu 
Lehrern  zu  geben.  Ich  stelle  mich  hiemit  in  Gegensatz  zu  der  von  Robert,  Arch. 
Märchen  S.  8  if.  ausgeführten  Ansicht,  dass  alle  uns  überlieferten  Schülerreihen 
auf  blosser  Combination  beruhen  und  an  sich  keinen  urkundlichen  Wert  ha- 
ben. Unser  Fall  scheint  mir  ein  deutliches  Beispiel  vom  Gegenteil,  und  deren 
lassen  sich  noch  eine  Menge  anführen.  Ich  nenne  nur  noch  Paus.  10,  19,  4, 
wo,  vermutlich  auf  Grund  einer  Bauinschrift  des  delphischen  Tempels,  die 
•  sonst  unbekannten  Bildhauer  Eukadmos  und  Androsthenes  als  Lehrer  und 
Schüler  verbunden  werden,  und  Praxias  —  vielleicht  nur  eine  Koseform  zu 
Praxiteles,  wie  Zeuxis  zu  Zeuxippos,  Kleiton  zu  Polykleitos  —  als  Schüler 
des  Kaiamis  erscheint.  Wenn  man  andererseits  für  den  letzteren  hochbe- 
rühmten Meister,  und  für  manchen  anderen,  keinen  Lehrer  zu  nennen 
wusste,  so  beweist  das,  wie  sparsam  die  bessere  Ueberlieferung  mit  Combina- 
tionen  ist.  Ich  bin  also  fest  überzeugt,  dass  viele  von  den  überlieferten  Dia- 
dochien  der  urkundlichen  Grundlage  nicht  entbehrten,  sei  es  dass  grosse 
Kunstschulen,  wie  die  sikyonische,  wirklich  Ziinftbücher  besassen,  sei  es,  dass 
auchdie  antiken  Künstler,  wie  so  oft  die  der  Eenaissance,  zu  Beginn    ihrer 


108  ARCHAISCHE    BRONZESTATUE 

als  solcher  für  den  Tempel  der  Atliena  Chalkioikos  iu  Sparta  gegen 
Ende  des  sechsten  Jahrhunderts  —  dahin  weist  die  Zeit  seines 
Schülers  Pythagoras  —  anfertigte.  Das  älteste  statuarische  Werk 
der  peloponnesischen  Schule  in  Bronzeguss,  von  dem  wir  Kunde 
erhalten,  ist  der  Apollon  Philesios  des  Kanachos,  welcher  um  die 
70.  Olympiade  errichtet  wurde,  und  mit  ihm  dürfte  die  wahr- 
scheinlich auch  pelopounesische  Statuette  von  Piombino  ungefähr 
gleichzeitig  sein  {^■').  Es  ist  nun  schwerlich  ein  Zufall,  wenn  ge- 
rade dieses  Werk  Aeginetica  aeris  temper atum  gegossen  war  {}'% 
Der  Künstler  wird  sich  der  fremden  Gusstechnik  nur  desshalb  be- 
dient haben,  weil  sie  in  seiner  eigenen  Schule  noch  nicht  ausge- 
bildet war.  Ebendaher  wird  der  Hohlguss  auch  nach  Athen  ge- 
kommen sein.  Das  älteste  bedeutende  Bronzewerk,  welches  in 
Athen  gefunden  wurda,  ist  der  oben  erwähnte  Bronzekopf  ('^), 
dessen  Stil  nach  allgemeinem  Urteil  dem  der  aiginetischen  Giebel 
ganz  nahe  steht.  Noch  einige  Jahrzehnte  später  arbeitet  Myron  in 
aiginetischem  Erz  {;'').  So  wird  wohl  auch  das  älteste  überlieferte 
Erzwerk  eines  athenischen  Künstlers,  die  Tyrannenmörder  des  An- 
tenor,  seine  Technik  ebendaher  entlehnt  haben. 

Natürlich  war  der  Erzguss  auch  iu  Aigina  nicht  einheimisch ; 
dazu  fehlte  es  der  Insel  schon  an  den  nötigen  Erzlagern.  Als  das 
Standbild  für  den  Aigineten  Praxidamas,  einen  Olympioniken  der 

Tätigkeit  ihre  Lehrer  nannten.  Wenn  Robert  behauptet,  dass  die  Angabe  des 
Lehrers  in  keiner  alten  Künstlerinschrift  vorkommt,  so  lässt  er  die  des  Stc- 
})hanos  und  Menelaos  ausser  Acht,  oflfenbar  mit  Absicht,  aber  nicht  mit  Eecht, 
da  es  wenigstens  sehr  erwägenswert  ist,  ob  diese  Künstler  nicht  auch  hierin 
dem  Beispiel  Aelterer  gefolgt  sind.  Dass  wir  aus  älterer  Zeit  noch  keine 
Beispiele  besitzen,  darüber  mag  man  sich  verwundern,  aber  es  dürfte  sich 
das  zum  »grossen  Teil  daraus  erklären,   dass   der  Lehrer  oft   mit   dorn   "i'ater 

identisch  war. 

(s"^)  Der  pelopounesische  Ursprung  einiger  älteren  Bronzen  scheint  mir 
mindestens  zweifelhaft,  so  der  des  hoch  in  das  sechste  Jahrhundert  hinauf- 
reichenden Zeusköpfchens  Ausgr.  von  Olympia  UI  Tf.  22  (Friederichs-Wolters, 
Bausteine  n.  311),  welchen  besonders  Brunn,  Mitth.  d.  arch.  Inst.  Athen  1882 
S.  118,  dem  Peloponnes  zugeschrieben  hat,  und  des  Kopfes  von  Kythera,  Arch. 
Z.ätg.'l876  Tf.  3 ;  4  S.  28  f.  (Brunn,  vergl.  Mitth.  a.  a.  0.  S.  117  f.;  dagegen 
Lange  ebenda  S.  202).  Uebrigens  ist  wenigstens  der  erstere  noch  kein  aus- 
gebildeter Hohlguss. 

(■'G)  Plinius  34,  75. 

(•-)  Plin.  34,  10. 


DES    FÜRSTEN    SCIARRA  109 

59.  Ol.  {^^),  ans  Cypressenliolz  geschnitzt  wurde,  da  war  in  seiner 
Heimat  der  statuarische  Erzguss  gewiss  noch  nicht  so  üblich,  wie 
zur  Zeit  der  erhaltenen  Giebelsculpturen.  Auch  er  kam  ohne 
Zweifel  von  Osten,  man  möchte  vermuten  von  Saraos.  Diese  Insel 
mit  ihren  reichen,  von  Mandrobulos  entdeckten  Erzlagern  galt  be- 
kanntlich den  Alten  als  Stätte  der  Erfindung  des  Erzgusses ;  die 
Nyx  des  Rhoikos  war  das  älteste  Werk  in  dieser  Technik,  welches 
man  kannte  {"^).  Mit  Rhoikos  und  Theodoros  aber  steht  der  älteste 
Künstler  in  enger  Verbindung,  welchen  die  üeberlieferung  einen 
Aigineten  nennt,  Smilis,  welcher  das  Cultbild  des  Heraions  auf 
Samos  anfertigte  und  von  Plinius  mit  den  beiden  Samiern  zu- 
sammen als  Erbauer  des  «  Labyrinths  in  Lemnos  "  das  heisst,  so 
unglaublich  das  klingen  mag,  nach  Klein's  evidenter  Darlegung  ('^'^), 
eben  wieder  des  Heraion  auf  Samos,  genannt  wird.  Nun  ist  die 
aiginetische  Abkunft  dieses  Künstlers  vielleicht  ebenso  denkbar, 
wie  die  megarische  des  Eupalinos,  wahrscheinlich  aber  ist  sie  nicht 
im  mindesten.  Vielleicht  war  der  nachmals  in  Aigina  sesshaft 
gewordene  Künstler  ein  geborener  Samier  C"!),  vielleicht  war  seine 
eigentliche  Heimat  ein  dritter  Ort,  etwa  Kreta,  worauf  die  an 
Dipoinos  und  Skyllis  und  Endoios  erinnernde  Angabe  hinweisen 
könnte,  Smilis  sei  ein  Schüler  des  Daidalos  gewesen.  Den  Erzguss 
aber  dürfte  er  von  Samos  nach  Aigina  gebracht  haben. 
Rom,  Ende  April  1887. 

Franz  Studniczka. 


(58)  Paus.  6,  18,  5. 

(59)  Paus.  10,  38,  6.  Yergl.  zuletzt  Klein,  Arcli.-epigr.  Mittli.  aus  Oesterr. 
IX  S.  182  f.  —  Die  Statue  des  Ehoikos  wird  man  sich  ähnlich  wie  die  Sta- 
tuette Ausgr.  von  Olympia  III  Tf.  24  B,  5  (Friederichs-Wolters,  Bausteine 
n.  356)  vorstellen  dürfen,  deren  vollendete  Uehereinstiramung  mit  den  samischeu 
Marmorstatuen  Bull,  de  corr.  hell.  1880  pl.  13;  M  und  der  oben  Anm.  49 
erwähnten  nicht  zu  verkennen  ist. 

(«")  Klein  a.  a.  0.  S.  184  f. 

(61)  So  Kuhnert,  Jahrbücher  für  Philol.  XV  Suppl.  S.  218  n.  93. 


110 


SCAVI  DI  POMPE!  1885-86. 
Reg.  8.  i/is.  2  n.  38.  30:  casa  dl  GiauiYpe  IL 

(Tav.  VI) 


Negli  auni  1885  e  1886  gli  scavi  sul  margine  siid  di  Pompei 
rasreriunsero  restremitä  Orientale  dell'  iusula  seconda  della  resfione 
ottava,  ridando  alla  luce  la  casa  detta  « di  Giuseppe  II  ■' ,  scavata  giä 
negli  anni  1767-1769  e  descritta  dal  Mazois  (vol.  II  pag.  73.  74, 
tav.  32-34)  in  modo  assai  breve  ed  incompleto,  e  non  senza  qualche 
inesattezza.  E  perciö  non  sarä  inutile  che  qui  se  ne  paiii.  Couie 
le  case  precedenti ,  cosi  anche  questa  ha  1'  ingresso  dalla  strada 
che  rasenta  il  lato  nord  dell'insula,  e  le  siie  parti  posteriori  scendono 
verso  siid  oltre  il  muro  di  cinta  qui  totalmente  distrutto;  verso 
0  coufina  con  la  casa  n.  37,  descritta  Bull.  1886  p.  203  e  segg. 
mentre  verso  E  e  fiancheggiata  dal  foro  triangolare.  Ne  diamo  la 
pianta  sulla  tavola  VI :  flg.  1  e  il  piano  che  sta  al  livello  della 
strada,  fig.  2  e  4  quello  medio  e  l'infimo,  e  flg.  3  una  specie  di 
aminezzato  di  cui  alcune  localitä  del  piano  medio  sono  sormontate. 

La  casa,  di  grandezza  considerevole,  era  senza  dubbio  fra  le 
piü  cospicue  di  Pompei.  La  pianta  e  quasi  perfettamente  rettan- 
golare  e  molto  chiara.  La  parte  anteriore,  l'atrio  cioe  e  le  camere 
adiacenti,  esisteva  essenzialmente  nella  stessa  forma  fin  dai  tempi 
del  primo  stile  decorativo.  A  quell'  epoca  rimonta  la  parte  della 
facciata  a  sin.  dell' ingresso;  essa  ha  all"  estremitä  E  un'anta,  ed 
una  simile  dobbiamo  supporla  anche  all'altra  estremitä  ed  ai  due 
lati  della  porta.  Della  stessa  antichitä  e  anche  1'  angolo  sin.  fra 
fauce  ed  atrio  e  1"  angolo  anteriore  a  sin.  dell'  atrio  stesso.  Pochi 
sono  gli  avanzi  della  decorazione  nel  primo  stile:  parte  d'imo  zoccolo 
giallo  sul  muro  d.  della  fauce;  quattro  quarti  di  colonne  corinzie  di  tufo, 
rivestite  di  stucco  bianco  e  sorrette  da  basi  quadrangolari  rosse,  alte 
circa  m.  0,85,  negli  angoli  dell'atrio:  un  capitello  e  conservato  nell'an- 


sc  AVI    DI    PDMPEI 


111 


golo  posteriore  a  sin. ;  mezze  colonne  simüi  fianclieggiano  gli  ingressi 
delle  alae.  Si  riconosce  poi  siil  pavimeiito,  che  (senz'  alcuii  dubbio 
in  qiiella  stessa  epoca)  due  pilastri  stavano  ai  due  lati  della  finestra 
che  congiimge  il  tablino  con  Fatrio.  Ciö  prova  che  il  tablino  fin 
da  quel  tempo  aveva  dalla  parte  delV  atrio  soltanto  ima  finestra , 
nessun  ingresso;  giacche  sarebbe  senza  esempio  che  l'ingresso  fosse 
stato  tanto  stretto,  invece  di  corrisp andere  all'intera  larghezza  del 
tablino  stesso.  Alla  medesima  epoca  rimontano  i  pavimenti  di  Si- 
gninum  nell'atrio  (con  frammenti  di  pietre  blanche,  verdi  e  nere), 
della  fauce  (massa  simile  di  colore  sciiro)  ,  dell'  antico  vestibolo 
(biancastro,  con  molti  frammenti  di  travertino)  e  di  c  r/  h  k  l  (con 
ornameuti  lineari  bianchi).  Invece  i  pavimenti  simili  in  (  fj  dob- 
bono  ascriversi  aU'ultima  epoca;  sono  di  lavoro  meno  buono  e  gli 
ornaraenti  eseguiti  con  pietre  piü  piccole.  Fra  le  parti  antiche  deve 
annoverarsi  anche  1'  impluvio  di  tufo  con  la  bocca  di  cisterna  a 
sin.,  mentre  quella  sul  lato  posteriore  ha  1'  aspetto  di  essere  piü 
recente. 

L'identitä  dell'antica  disposizione  dell'atrio  con  quella  attuale 
vien  provata  dalle  soglie  delle  porte,  che  fin  da  quell'  epoca  sono 
rimaste  al  posto;  giacche  non  solamente  le  soglie  di  lava,  ma  anche 
quelle  di  travertino  in  k  l  q  t,  sono  antiche ,  essende  indubitabile 
in  /  e  Ma  loro  anterioritä  in  relazione  col  paviraento.  Soltanto  le 
porte  si  restrinsero  in  tempi  posteriori :  l'antica  larghezza  era,  come 
pare,  di  m.  1,35,  mentre  quelle  di  e  f  k  l  ([  t,  in  origine  senza 
dubbio  uguali,  variano  adesso  fra  1,28  e  1,32.  Tutte  queste  porte 
e  quella  di  d,  che  forse  fin  da  principio  era  larga  2,30,  erano  alte 
ra.  3,40,  e  cosi  anche  le  alae;  quelle  della  scala  n  (la  quäle  non 
si  puö  dire  se  abbia  esistito  fin  da  quel  tempo)  e  della  cucina  o 
sono  piü  piccole. 

■  A  d.  dell'ingresso  di  c  il  muro,  avanzo  di  quella  prima  epoca, 
e  grosso  m.  0,43.  L'anta  a  sin.  di  chi  dall'atrio  entra  nelle  fauces 
e  grossa  0,38,  e  cosi  anche  il  muro  a  sin.  dell'ingresso  di  d. 

Venne  poi  una  prima  ricostruzione,  la  quäle  perö  non  si  estese 
suir atrio  ,  ma  si  limitö  a  quelle  parti  che  gli  son  dietroposte;  e 
riiuontano  a  questa  ricostruzione  i  piani  medio  ed  infimo:  i  muri 
furono  fatti  a  preferenza  di  lava ,  gli  stipiti  ed  angoli  di  pietre 
tagliate  in  forma  di  mattoni,  parte  di  tufo  parte  di  pietra  calcare; 
ove  si  trattava    di  sostenere  un  gran  peso  (nol  piano  medio)    fu- 


112  SCAVI    DI    POMPEI 

rono  adoperati  mattoni.  Le  pareti  ricevettero  decorazioni  iiel  se- 
condo  Stile,  conservate  nel  piano  superiore  in  d,  sul  miiro  sin.  di 
q,  in  s,  a;  e  forse  in  w,  nella  maggior  parte  delle  stanze  del  piano 
medio  (meno  t)  e  nel  tepidario  (o  apoditerio,  6)  del  piccolo  bagno 
nel  piano  iufimo,  ove  la  decorazione  ci  da  la  prova  che  giä  ai 
tempi  del  secondo  stile  fu  oltrepassato  il  muro  di  cinta.  I  pavi- 
menti  fiirono  fatti  di  musaico  bianco  e  nero  in  tiitte  le  localitä 
dietroposte  all"  atrio,  meno  /  a ;  qiii  sono  di  iina  massa  composta 
specialmente  di  lava  frantiimata;  e  della  stessa  massa  son  fatti  tutti 
i  pavimenti  del  piano  medio,  qiü  con  semplici  ornamenti  di  pie- 
triizze  blanche.  Un  aA^anzo  d'un  pavimento  di  musaico  si  trova 
nel  gia  menzionato  bagno.  I  muri  di  queste  costruzioni  son  grossi 
m.  0,37  fra  n  e  s\  0,44  fra  s  e  ;•  e  fra  ^j  e  v;  0,43  fra  w  e  x\ 
0,45  fra  v  e  w;  nel  piano  medio  0,53  fra  a  q  ß  y  6]  0,60  fra  *;  e 
X  /  ;  0,72  fra  /i  e  0-  ?;. 

Pill  tardi  soltanto  fu  ricostruito  anche  1"  atrio,  e  al  tempo  stesso 
rimonta  il  muro  fra  p  e  q.  Questa  seconda  ricostruzione  e  carat- 
terizzata  dagli  stipiti  ne'  quali  mattoni  s'alternano  regolarmente 
con  pietre  di  forma  analoga.  Le  pareti  fm-ono  dipinte  nelV ultimo 
stile,  la  quäle  decorazione  e  piü  o  meno  conservata  in  c  f  g  h  p 
r  V  (w  ?)  p;  sul  muro  d.  di  q  fu  imitata  la  decorazione  nel  secondo 
stile,  conservata  sul  muro  sin.  I  mmi  sono  grossi  0,44  sul  lato 
anteriore  e  a  d.  dell'atrio;  0,42-43  a  sin.  e  0,435  sul  lato  posteriore. 

L'ingresso  della  casa  (n.  39)  sta  al  livello  del  marciapiede, 
il  quäle  non  s'inalza  piü  del  solito  sopra  il  selciato,  mentre  avanti 
alla  casa  adiacente  (n.  36.  37)  e  molto  piü  alto.  La  porta  stava 
immediatamente  alla  strada ;  la  fauce  e  larga  m.  2,47  ,  mentre 
l'ingresso  dalla  strada  mism-a  soltanto  1,53,  quello  nell' atrio  1,83: 
a  spiegarne  la  forma  irregolare  (cf.  la  piantaj  ci  aiuta  l'osservazione 
che  una  parte  del  pavimento,  la  quäle  dalla  porta  d'ingresso,  e  nella 
larghezza  di  essa,  s'  inoltra  nella  fauce  per  m.  1,50,  e  differente  da 
quello  della  parte  piü  interna,  e  che  fra  ambedue  i  pavimenti  evvi 
una  lacuna,  risiütata  dall'esser  tolta  la  soglia,  e  nel  mm-o  sin. 
l'avanzo  d'un  pilastro,  l'antico  stipite  della  porta.  Senza  alcun 
dubbio  cioe  vi  era  nell'  epoca  del  primo  stile  un  piccolo  vestibolo, 
largo  quanto  l'attuale  porta  di  strada,  profondo  circa  m.  1,50  e 
che  aveva  in  fondo  la  porta  d'ingresso,  a  d.  una  porticina  per  la 
quäle  si  poteva   entrare,  senza    aprir  la  grande   porta,  nell'angolo 


sc  AVI    DI   POMPEI  113 

rimasto  accauto  al  vestibolo  :  disposizione  che  parecchie  volte  a'os- 
serva  in  case  di  qiiei  tempi  ('). 

L'atrio  toscanico  b  e  grande  m.  14,82  X  9,60  (9,62  sul  lato 
posteriore).  Fu  giä  menzionato  Timpluvio  di  tiifo  con  le  diie  bocche 
di  cisterna  iu  lava,  e  gli  avanzi  della  decorazione  nel  primo  stile, 
la  quäle  con  i  qiiarti  di  colonne  negli  angoli  e  le  mezze  colonne 
agli  ingressi  delle  ale  era  forse  piü  splendida  che  in  qiialunqiie 
altro  atrio  di  Pompei,  eccettiiato  qiiello  della  casa  di  Epidio  Eufo 
(IX  1,2)  (^). 

Pare  certo  che  depo  la  ricostriizione  le  pareti  siano  rimaste 
senza  decorazione,  mentre  fiirono  dipinte  le  ale.  I  ritrovameuti  fatti 
nell'atrio  sono  riferiti  Noi.  d.  sc.  1885  pag.  536:  "  Una  statiietta 
«  marmorea  d'  im  putto  nudo  della  grandezza  del  vero  ,  alquanto 
K  inchinato  in  avanti  per  aver  preso  da  terra  im  cagnolino  mal- 
"  tese,  che  egli  stringe  sul  petto  fra  le  braccia:  non  porta  alcuu 
n  indizio,  che  possa  farlo  credere  ornamento  d'impluvio  o  di  fon- 
"  tana.  II  corpo,  specialmente  nel  dorso,  e  assai  ben  modellato  ; 
«  mancano  le  gambe  ,  e  sulla  base  circolare  esistono  i  piedi.  II 
"  cagnolino  ha  rotte  il  muso,  l'orecchio  dr.,  la  zampa  anteriore  dr.  e  le 
n  due  zampe  posteriori.  Altezza  massima  della  parte  conservata 
c  m,  0,49.  "  Di  piii  vi  si  raccolsero  due  anfore  con  epigrafi  (una 
col  nome  iiaqxov)  e  quattro  cilindri  forati  (cerniere?)  di    osso. 

Delle  camere  adiacenti  c  era  probabilmente  in  origine  un 
cubicolo.  Piü  tardi  pare  che  servisse  da  larario ;  e  ome  tale  fu 
dipinto  u  eil 'ultimo  stile^  la  quäle  pittura  perö  sembra  che  sia  an- 
teriore alla  ricostruzione ,  giacche  qui  ed  anche  in  m  manca  su 
quei  muri  che  ad  essa  rimontano ,  e  che  in  c  non  hanno  stucco 
alcuno,  in  m  intonaco  bianco  e  uno  zoccolo  giallastro  con  aggiunta 
di  polvere  di  mattoni.  Vi  s'aggiunge  che  la  pittura  stessa  in  ambedue 
le  camere  ha  im  carattere  differente  da  quella  delle  altre :  vi 
e  meno  precisione,  meno  cura  nel  modellare  gli  ornamenti  e  farli 
risaltare  come  plastici;  e  ciö  vale  specialmente  per  le  architetture 
fantastiche;  tutta  l'esecuzione  in  fine  e  inferiore.  Nondimeno  m  (in 
c  la  decorazione  non  e  conservata  fino  a  quell'  altezza)  ha  fra  la 
parte  media  e  superiore  della  parete  la  nota  cornicetta  di  stucco 

(1)  Ovcrbeck-Mau  Pompeji  *  pag.  254.  298.  Dali.  iL  List.  1877    p.  101. 
('-)  Overbeck-Mau  Pompeji  *  p.  297  sgg. 


114  SCAVI   DI   POMPEI 

con  ornati  in  rilievo  colorati  in  rosso  tui-chino  e  bianco ,  mentre 
altre  camere,  dipiute  del  resto  con  molto  maggiore  diligenza,  ne 
son  prive^  cio  che  sarebbe  incomprensibile  ,  se  le  decorazioni  fos- 
sero  contemporanee.  Qui  dunque  probabilmente  abbiamo  im  esempio 
di  pittnre  neirultimo  stile  anterior!  al  terremoto  dell'a,  63  d.  C.  ('). 

Che  c  servisse  da  larario,  lo  deduco  da  una  nicchia  a  volta 
nella  parete  d.,  a.  e  1.  0,38,  profouda  0,26,  discosta  dal  pavimento 
1,60  ,    che  ha  le  pareti    rosse    e  nel  fondo 

1,  la  pittura  lararia  (disegno  presse  ristituto);  altezza  delle  figure 
ni.  0,21.  Nell'angolo  inferiore  a  sin.  si  riconosce  appena  im  piccolo  al- 
tare,  a  d.  del  quäle  sta  libando  colla  d.  da  ima  patera  il  Genio  fami- 
liare,vestito  ditunica  bianca  e  toga  biauca  con  stretta  striscia  rossa  vi- 
cino  al  margine  (pare  che  non  sia  il  margine  stesso),  tirata  siilla  testa; 
anche  le  scarpe  son  bianche;  nel  braccio  sin.  regge  la  corniicopia. 
Pill  a  d.  sta  ima  tigiira  femmiuile  in  lungo  chitone  azziirrognolo 
con  maniche,  come  pare,  liuo  ai  gomiti;  porta  un  mantello  giallo 
che  passa  orizzontalmente  avanti  al  corpo  e  cade  dalla  spalla  sin. 
in  avanti,  lasciando  libero  il  petto  e  la  spalla  d. ;  le  scarpe  son 
gialle.  ^^gg^  nella  sin.  iino  scettro  che  poggiato  a  terra  le  arri- 
verebbe  fino  alla  spalla.  Sulla  testa  -  molto  distrutta-si  Yede  qualche 
avanzo  di  color  giallo,  forse  im  diadema.  Anch'essa  stende  la  d., 
che  regge  una  patera,  verso  1' altare.  Gli  attribiiti  convengono  a 
Giunone;  e  siccome  sappiamo  che  il  Genm  delle  donne  fu  chia- 
mato  Jiim,  cosi  la  spiegazione  la  piü  semplice  della  nostra  pittura 
sarä  questa,  di  ravvisarvi  il  Genio  del  padrone  di  casa  e  la  Juno 
della  sua  consorte. 

Sotto  la  pittura  descritta  sonvi  nel  muro  avanzi  di  chiodi  di 
ferro.  Verso  sin.  ne  contai  sei;  a  d.  1'  intouaco  e  caduto,  ma  vicino 
alla  nicchia  se  ne  vedono  due  ,  uoo  sotto  l'altro,  e  un  terzo  piü 
in  basso,  che  tutt'e  tre  corrlspondono  a  altrettanti  del  lato  sin.  ; 
soltanto,  perche  a  d.  e  vicino  l'angolo,  Tasse  della  simmetria  non 
passa  per  il  centro  del  quadro,  ma  un  poco  piü  verso  sin.  ^  pro- 
babile  che  questi  chiodi  servissero  per  sospendervi  tenie  e  ghirlaiide. 

Nell'angolo  a  d.  dell'ingresso  stanno  gli  avanzi  d'un  poggiuolo 
di  fabbrica,  grande  0,55  X  circa  0,38;  l'altezza  non  puö  deiinirsi. 
Forse   era   un  altare.    Un  piccolo  altare    di  tufo  fu  trovato   nella 

(')  Cf.  Mau  Ge!^c.h.    d.  deror.   Wandmalerei  in  Pompeji  pag.  448. 


SCAVI    DI    POMPEI  1  15 

steösa  camera,  ovo  iuoltre  si  raccolse  «  una  coppa  (di  terracotta) 
"  con  patiua  verde  invetriata ,  esteriianiente  decorata  delle  rap- 
«  preseiitanze  a  rilievo  di  Mercurio  che  condiice  im  cavallo  cor- 
«  rente,  e  di  Ercole  in  lotta  con  1'  idra ;  rappresentanze  ripetute 
«  due  volte  »  alt.  m.  0,11,  diam.  0,15.  Di  piii  un  iirceolo  ed  un 
piatto  di  terracotta;  di  bronzo  :  im  candelabro ,  im  paniere ,  ima 
fibula  per  cavallo  ed  una  fibula  piccola;  di  marmo:  im  piede  de- 
stro  limgo  m.  0,07  ;  di  pasta  vitrea  28  globetti ;  finalmento  una 
conchiglia  {Not.  d.  sc.  1885  pag.  536  seg.). 

La  decorazione  delle  pareti  -  perduta  sul  muro  di  strada,  non 
mai  esistita  sulla  parte  sin.  di  quello  d'ingresso  —  ha  i  grandi 
scompartimenti  verdi,  tre  sopra  ognuna  delle  pareti  piü  lunghe, 
alternati  con  stretti  scompartimenti  bianchi  contenenti  un  semplice 
candelabro ;  sotto  ognuno  di  quelli  e  dipinta  siillo  zoccolo  rosso  una 
pianta,  sotto  questi  un  animale;  la  parte  superiore  non  e  conser- 
vata.  Vi  sono  i  quadri  seguenti: 

2.  nel  centro  del  muro  d.;  a.  0,52,  1.  0,49  col  margine ;  dise- 
gno  presso  l'Istituto :  Nereide  sopra  pantera  marina  che  corre  a  d. 
volgendo  indietro  la  testa.  Ella  sta  colle  gambe  a  sin.,  con  la  parte 
superiore  del  corpo  rivolta  allo  spettatore ;  appoggia  il  braccio  sin. 
sul  collo  della  bestia,  e  con  la  d.  alzata  sopra  la  propria  testa  tira 
insu  im  lembo  della  A^este  gialla  che  cuopre  le  cosce  e  le  ginocchia. 
Ha  un  nastro  chiaro  nei  capelli  d'un  color  biondo  scm'o  e  guarda, 
attentamente  come  pare,  verso  d.  II  fondo  e  azzurro ,  di  sopra 
paonazzo. 

3.  Nel  centro  del  muro  d.;  a.  0,54,  1.  0,49 ;  disegno  presso  l'In- 
stituto:  Europa  col  toro  nel  mare.  II  toro,  di  color  bruno,  corre 
verso  d.,  rivolgendo  la  testa;  Europa  pende  al  suo  fianco,  reggen- 
dosi  colla  d.  al  suo  orecchio  sin.,  mentre  la  sin.,  stesa  indietro,  tiene 
un  lembo  d'una  veste  trasparente  svolazzante  a  guisa  di  sciallo,  che 
passa  avanti  al  petto  ed  il  cui  altro  lembo  riposa  sul  braccio  d. 
E  chiaro  che  ella  bacia  il  toro  sul  muso.  II  fondo  e  turchino,  di 
sopra  paonazzo. 

L'esecuzione  in  ambedue  i  quadri  e  trascurata  ed  anche  il  di- 
segno tutt' altro  che  hello. 

4.  Negli  scompartimenti  laterali  son  rappresentati  Eroti  volanti. 
E  conservato  sul  muro  d.  quello  a  sin.  (con  peclum  nella  d.  e  un 
piatto,  come  pare,  nella  sin.;  un  nastro  attraversa  il  petto;  a.  0,23) 


116  sc  AVI   DI   POMPEI 

e  quello  a  d.  deiringresso,  a.  0,30,  che  sulla  d.  alzata  porta  un 
piatto  0  basso  canestro  con  frutta  gialle;  sul  muro  sin.  quello 
a  sin,  e  affatto  irriconoscibile. 

d,  ]o  dimostra  giä  la  forma,  era  un  triclinio  e  come  tale  fu 
dipinto  semplicemenfce  nel  secondo  stile  (imitazione  d'incrostazione 
di  marmo).  Piü  tardi  servi  ad  altri  usi:  alla  parete  d'ingresso  fu 
addossafco  un  piccolo  focolare  a  due  fornelli,  alto  con  questi  m.  0,46, 
senza  essi  0,23,  granda  0,95  X  0,46.  Apple'  del  muro  E  fu  fatto  un 
fitsorliim,  dal  quäle  l'acqua  scolava  nel  canale  che  passa  fra  il  muro 
E  della  casa  e  quello  che  fiancheggia  il  lato  0  del  foro  triangolare. 

^  e  un  passaggio  alla  scala  delle  camere  superiori,  e  nello 
stesso  tempo  poteva  servire  da  dormitorio  servile ;  le  pareti  ed  il 
pavimento  sono  rozzi.  E  probabile  che  in  un  tempo  piü  antico  fosse 
una  camera  abitata,  e  pare  che  ciö  sia  indicato  anche  dalla  buona 
öoglia  di  travertino. 

f  cubicolo,  con  porta  nell'ala.  Nel  muro  d'ingresso  a  sin.  di 
Chi  entra  e  praticata  una  nicchia,  a.  m.  0,26, 1.  0,23,  profonda  0,135, 
discosta  dal  pavimento  1,67.  Sul  fondo  e  dipinto 

5,  un  pappagallo  verde,  che  ha  alzato  il  coperchio  d'una  cista 
per  levarne  qualche  cosa. 

Gli  scompartimenti  medii  delle  pareti,  rossi  e  foggiati  a  guisa 
di  padiglione,  sono  divisi  da  que'  laterali  (gialli)  per  mezzo  di 
stretti  scompartimenti  neri,  i  quali  contengono  ciascuno  un  cande- 
labro  con  figure  ornamentali  di  uomini  ed  animali  e  sotto  di  esso, 
in  un  rettangolo  sormontato  da  cornice  gialla,  una  testa  o  un  busto. 
—  Vi  sono  le  seguenti  rappresentanze : 

6,  nello  scompartimento  medio  della  parete  d.;  a.  m.  0,40, 
1.  0,235 :  paesaggio  quasi  monocromo.  Vi  si  vedono  (cominciando 
da  sin.)  adoranti  avanti  ad  un  sacello,  nello  sfondo  alberi;  quindi 
un  portico  e  dietro  (sopra)  di  esso  un  grande  edifizio  a  piü  piani 
sorretti  da  colonne.  —  11  quadro  corrispondente  del  muro  opposto 
e  totalmente  distrutto. 

7,  sul  muro  d'  ingresso  a  sin.  di  chi  entra,  senza  cornice  su 
fondo  giallo,  a.  0,10.  1.0,24:  carro  a  due  ruote  tirato  da  due  pa- 
voni  (v.  sin.);  le  niote  sono  lijmj^cüia,  senza  raggi  (').  Non  si  ri- 
conosce  se  sul  carro  vi  siano  degli  oggetti :  possiamo  supporvi  gli 
attributi  di  Giunone. 

('j  Marquardt  Privatleben  der  Römer '^  p.  732. 


sc  AVI    DI    POMPEI  117 

8,  sul  medesimo  muro,  nel  rettangolo  inferiore  dello  scompar- 
timento  nero;  a.  0,20;  1.  0,14;  mal  conservato;  disegno  presso  l'Isti- 
tuto :  testa  femminile  coperta  d'una  calotta  dorata  che  finisce  siil- 
l'occipite  in  una  piinta  sormontata  da  nna  palla.  Di  quest'ultimo 
particolare  mi  sono  convinto  dopo  un  esatto  esame;  non  e  molto 
chiaro,  e  al  primo  sguardo  potrebbe  sembrare  un  diadema. 

9,  sul  miu-o  d'ingr.  a  d.  per  chi  entra,  nello  sconipartimento 
giallo;  mal  conservato;  a.  0,13,  1.  0,35:  carro  simile  al  n.  7,  verso 
d.,  tirato  da  animali  o  uccelli  affatto  irriconoscibili,  guidati  da  un 
Amore,  in  piedi  avanti  ad  essi :  possiamo  suppon-e  che  fossero  co- 
lombi  e  che  11  carro  portasse  gli  attributi  di  Veuere,  anch'essi  ora 
irriconoscibili. 

10,  sul  mm-o  di  fondo,  uel  rettangolo  inferiore  dello  sconipar- 
timento nero  a  sin.;  a.  0,20;  1.  0,15;  disegno  presso  l'lstituto: 
busto  di  Minerva  con  elmo  e  scudo.  E  veduta  di  faccia  'e  guarda 
insu  verso  sin.  —  L'elmo  e  una  semplice  calotta  dorata  cou  una 
sola  cresta  rossa;  lo  scudo  tondo  e  dorato  pende  sulla  spalla  sin. 

Le  pitture  dello  sconipartimento  nero  a  d.  e  degli  scomparti- 
menti  gialli  di  questa  parete  non  sono  conservato. 

11,  nello  sconipartimento  giallo  a  sin.  della  parete  sin.;  a,  0,15, 
1.  0,25 :  Pegaso  verso  d. 

12,  13,  ne'  rettangoli  inferiori  degli  scompartimenti  neri  a  sin. 
della  parete  d.,  e  a  d.  della  parete  sin.:  teste  di  Medusa,  a.  e  1.  0,12. 
Senza  dubbio  in  tutt'e  quattro  gli  scompartimenti  neri  delle  pareti 
laterali  eranvi  teste  di  Medusa. 

Pare  certo  che  passasse  qualche  relazione  fra  le  rappresen- 
tauze  negli  scompartimenti  gialli  ed  i  busti  e  teste  di  quelli  neri. 
E  chiara  la  relazione  fra  Pegaso  e  Medusa.  E  sarebbe  diflicile  il 
non  credere  che  sulle  pareti  d'ingresso  e  di  fondo  non  si  volesse 
riunire  sempre  il  busto  e  gli  attributi  di  una  stessa  divinitk.  Tale 
concetto  non  e  chiaro,  sia  a  causa  della  distruzionc  di  una  parte  delle 
pitture,  sia  per  la  strettezza  del  pezzo  di  muro  a  d.  dell'  ingresso, 
ove  manca  lo  sconipartimento  nero,  sia  forse  per  qualche  inav- 
vertenza  del  pittore:  giacche  e  diflicile  di  riconoscere  Giuuone  nel 
busto  n,  8. 

g  ala  siuistra.  Sopra  uno  zoccolo  giallo  coi  soliti  concetti  i 
grandi  scompartimenti  medii ,  neri  con  largo  margine  rosso ,  sono 
divisi  da  quelli  laterali  rossi  per  mczzo  di  scompartimenti    gialli 


118  SCAVI    DI   POMPEI 

piü  stretti  ma  relativamente  larghi,  con  semplici  e  meschine  archi- 
tettiire:  la  parte  siiperiore  non  e  conservata.  La  decorazione  e 
brutta,  perche  con  tutto  questo  giallo  sotto  e  fra  i  grandi  scom- 
partiraenti  di  colori  piii  scim  questi  lütimi  non  hanno  una  base  e 
sembrano  librati  in  aria.  Vi  sono  i  quadri  seguenti : 

14,  nel  centro  della  parete  sin.,  a.  la  parte  conservata  0,35, 
1.  la  p.  cons.  0,37.  Narcisso,  seduto,  si  vede  di  faccia,  colle  gambe 
a  d.;  piü  sopra  a  d.  avanzi  d'un'altra  figiira,  forse  im  braccio. 

15,  nel  centro  della  parete  d.,  a.  la  p.  cons.  0,21,  1.  la  p.  cons. 
0,20.  Arianna  dormente ;  sta  sdraiata  sulla  schiena.  la  testa  a  sin., 
sopra  un  letto  rosso.  Le  gambe  sono  coperte  d'ima  veste  gialla,  il 
resto  e  nudo:  e  conservata  questa  figm-a  sola. 

II  n.  15  e  dipinto  sul  fondo  nero  della  parete;  per  fare  14  fu 
tagliata  la  parte  relativa  dell'  intonaco  e  la  lacuna  rierapita  di 
stucco  fresco. 

It  ala  d.La  nicchia  /  couteneva  im  armadio,  grandem.  1,58X0,84, 
alto  3.0 ;  vi  si  vedono  nello  stucco  le  impronte  di  tre  scansie,  del 
coperchio  e  degli  stipiti  della  porta.  II  pavimeuto  dell'ala  contiene 
nel  centro  una  Stella  in  musaico;  intorno  ad  essa  e  formato  nel 
Signiiium  con  pietruzze  blanche  un  cerchio  riempito  di  scaglie  (che 
dal  centro  si  dirigono  verso  la  periferia)  e  rinchiuso  in  una  greca ; 
le  lunette  degli  angoli  son  riempite  da  palmette.  La  decorazione 
delle  pareti  mostra  sopra  uno  zoccolo  nero  scompartimenti  rossi  con 
margine  giallo;  la  sola  parete  d.  ha  uno  scompartimento  medio: 
esso  e  giallo  con  margine  rosso  e  foggiato  a  guisa  di  padiglione.  Ac- 
canto  a  questo,  e  uu'altra  volta  sul  muro  di  fondo,  si  trova  uno 
stretto  scompartimento  nero  contenente  un  candelabro  o  qualche  cou- 
cetto  simile.  Tutto  ciö  arriva  fino  all'altezza  di  m.  2,42;  segue  una 
striscia  a  fondo  verde  con  i  soliti  concetti  architettonici  della  parte 
superiore,  poi  fondo  giallo,  sul  quäle  ricorrono  un'altra  volta  con- 
cetti simili:  disposizione  non  troppo  di  buon  gusto. 

La  finestra  (a.  m.  1,54,  1.1,52)  nel  muro  sin.  dava  luce  a  p, 
che  anche  dall'altro  lato  ha  una  finestra  che  non  du,  nell'aperto  ma 
in  una  camera. 

K).  Dirimpetto  alla  finestra,  nel  centro  del  mui-o  d.  troviamo 
una  pittura  assai  svanita,  eseguita  senza  cornice  sul  fondo  giallo, 
nel  quäle,  prima  di  mettere  i  colori,  furono  graffiti  i  contorni;  ca- 
duti  in  gran  parte  i  colori,  questi  contorni  sono  ridiventati  vi.sibili ; 


SCAV[    DI    PÜMl'KI  IVJ 

a.  m.  0,48,  1.0,66;  disegno  presso  ristitiito.  Sopra  una  base  qua- 
drangolare,  veduta  dall'angolo  anteriore  a  d.,  sta  im  tempietto,  ac- 
cessibile  per  una  scala  sul  lato  anteriore,  piü  stretta  del  tempio 
stesso.  Qiiest'ultirao  e  ornato  di  acroterio  e  grondaie  in  forma  di 
animali  alati  (rimangono  soltanto  i  contorni  graffiti) ;  del  resto  i 
particolari  sono  irriconoscibili ;  mi  e  sembrato  che  fosse  un  tempio 
i/t  antis  con  diie  colonne.  xVvanti  al  tempio,  sopra  la  base,  si  ve- 
dono  le  figui-e  seguenti  (v.  sin.).  A  sin.  (per  chi  giiarda)  una  figura 
seduta  con  veste  lunga,  che  nella  d.  leggermente  alzata  e  protesa 
regge  vicino  al  ginocchio  d.  un  oggetto  irriconoscil)ile.  La  sin.  puö 
sembrare  appoggiata  sulla  spalliera  del  sedile  o  suUa  coscia  sin.; 
sopra  la  fronte  si  vede  una  traccia  come  una  palmetta :  non  puö 
esservi  dubbio  che  qui  non  si  abbia  a  riconoscere  il  liore  di  lotos 
delle  divinitä  egiziane.  E  con  ciö  s'accorda  bene  la  posa  un  po'  ri- 
gida:  i  piedi  stanno  uuo  accanto  all'altro,  mentre  perö  le  ginoc- 
chia  sono  scostate  fra  loro.  Le  sta  a  sin.  (a  d.  per  chi  guarda)  una 
figura  in  piedi,  femminile  come  pare  e  in  veste  lunga  (a.  0,17),  e 
fra  ambedue  sopra  una  base  una  statuetta,  di  cui  sono  rimasti  sol- 
tanto i  contorni  graffiti;  a.  con  la  base  0,13:  si  riconosce  una  figura 
virile  che,  poggiata  sulla  gamba  d.,  piega  leggermente  la  sin.;  piega 
nel  tempo  stesso  la  parte  superiore  del  corpo  indietro  e  verso  sin.,, 
in  modo  da  far  sporgere  fortemente  l'anca  d.;  la  mano  sin.  regge  al 
fianco  un  oggetto  appoggiato  alla  spalla,  mentre  la  d.  e  alzata  verso 
il  mento  o  la  bocca.  Senz'alcun  dubbio  qui  si  deve  riconoscere  Arpo- 
crate.  E  non  e  certo  casuale  che  nella  stessa  casa ,  in  qualcuna 
delle  camere  posteriori  di  questo  stesso  piano,  fm-ono  raccolte  due 
Statuette,  una  di  Giove  e  una  di  Arpocrate,  la  quäle  ultima  cor- 
risponde  esattamente  a  quella  qui  rappresentata.  Leggiamo  cioe  nella 
Pom2').  üiit.  Imt.  I  1  p.  233,  sotto  la  data  del  15  luglio  1769: 

t  Si  e  continuato  a  levare  della  terra  da  sopra  le  volte  di  alcune 
"  stanze  (quelle  del  piano  medio)  nella  masseria  d'Irace,  che  mi- 
«  nacciavano  rovina,  e  vi  si  e  trovato  in  tale  sito.  Dronso.  Due  sta- 
«  tuette  ima  di  Giove  assiso  ,  che  tiene  con  la  sinistra  uu'asta  e 
«  con  la  destra  il  fulmine,  avanti  gli  resta  un'aquila :  e  alta  questa 
'<  statuetta,  di  mediocre  maniera,  assieme  con  la  basetta  on.  5  \/o. 
«  Altra  di  Arpocrate  alato,  che  tiene  l'iudice  della  destra  appros- 
"  simato  alla  bocca ,  e  con  la  sin.  una  cornucopia ,  appoggian- 
«  dosi  con  lo  stesso  braccio  sinistro  ad  un  bastone  formato  a  guisa 


120  SCAVI    DI    POMPEI 

K  di  una  forcina;  la  testa  e  coronata  di  fronde  ,  e  nella  sommitä 
«  e  un  fiore ;  questa  statuetta  e  alta  oii.  4,  e  la  sua  basetta  che  gli 
n  resta  disiinita  e  alta  ou.  1  ". 

Tornaudo  alla  nostra  pittura  osseiTiamo  che  a  d.  della  figura 
in  piedi,  presso  l'angolo  del  tempio,  si  distingue  una  testa  di  cane. 
La  figiira  ciii  appartenne  uon  e  conservata,  esseudo  caduta  in  qnel 
punto  una  parte  dell'intonaco;  arrivava  all'altezza  del  petto  dell'al- 
tra  figura.  Appie'  del  tempio,  avanti  alla  scala  (a  sin.  per  chi  guai'da) 
stanno  tre  donne  adoranti.  La  prima  sta  ferma  in  piedi,  con  am- 
bedue  le  mani  protese,  reggendo  nella  sin.,  come  pare,  un  piccolo 
thijmiaterioit,  nella  d.  leggermente  alzata  un  oggetto  irriconoscibile 
{sistrum  ?).  Dietro  di  lei  sta  un  altare  quadraugolare.  e  quindi  una 
donna,  che  con  la  d.  vi  mette  sopra  qualche  cosa,  mentre  con  la  sin. 
tiene  un  piatto  o  basso  canestro  ;  mauca  la  testa.  Dell'ultima  donna 
rimane  soltanto  la  parte  inferiore  :  pare  che  accompagnasse,  mini- 
strando,  la  seconda. 

17.  Sotto  questa  pittm-a  se  ne  vede  un'altra,  piü  abbozzata 
che  eseguita  seuza  cornice  sul  fondo  rosso  del  margine  inferiore 
del  medesimo  scompartimento ;  a.  0,14,  1.0,36;  disegno  presso 
ristituto.  E  rappresentato  un  giardino  rinchiuso  in  un  cancello  giallo 
composto  da  bastoni  o  caune  che  s'incrociano ;  si  vede  dalVangolo 
anteriore  a  sin.,  ed  e  visibile  il  cancello  davanti.  di  dietro  e  a  sin. 
Vi  sono  plante  tanto  dentro  il  giardino  quanto  di  fuori.  vicino  al- 
l'angolo  posteriore  a  d.  un  albero  con  pochi  rami.  Nel  mezzo  sta 
un'erma  di  Silvano,  v.  sin.,  che  perö  dalle  anche  in  sii  ha  le  forme 
del  corpo  umano.  Tiene  nella  sin.  la  falce,  nella  d.  il  jK-diim, 
e  regofe  con  ambedue  le  mani  la  veste  in  modo  da  formare  un  seno. 
A  sin.,  voltandogli  le  spalle,  una  persona  con  lunga  veste  cinta  e 
manicata  lavora  con  un  ronciglio  a  tre  rebbi  (bianco) ;  a  d.  un'al- 
tra persona  inginocchiata,  poco  riconoscibile.  anch"essa  in  veste  lunga, 
si  occupa  delle  plante. 

Nello  scompartimento  sin.  del  mm-o  d.,  e  nei  due  scomparti- 
menti  del  muro  di  fondo,  piccoli  quadri  sono  stati  tolti  ai  tempi 
dei  primi  scavi. 

Sopra  ognuuo  degli  angoli  superiori  degli  scompartimenti  rossi 
rinchiusi  in  margine  giallo  sta  coricato  un  leone  alato  e  cornuto, 
eseguito  in  pittura  monocroma  giallastra. 

/•   /  sono  aiiolhecac ;  hanno  le  pareti  blanche  e  sopra  ognuna 


SCAVI    DI    POMFEI  121 

delle  tre  interne  le  tracce  di  tre  scansie.  Servivano  senza  dubl)io 
da  cubicoli,  quando  fiu-ono  fatti  i  pavimenti  di  buono  ed  antico 
opus  Sifjiiiiium,  i  quali  perö  non  danuo  alcim  indizio  dell'  antica 
destinazioue.  In  /;  un  piccolo  e  seniplice  anello  d'  oro  stava  attac- 
cato  ad  im  chiodo  infisso  nel  muro. 

Auche  m  era  in  origine  un  cubicolo  spazioso.  A  qiiel  tempo 
rinionta  la  pittiira,  neiriiltimo  stile,  della  parete  sinistra  :  diie  scom- 
partimenti  gialli  con  largo  margine  paonazzo  e  fra  essi  im  prospetto 
architettonico  piuttosto  largo  a  fondo  bianco  :  vi  si  vede  im  can- 
delabro  giallo  fra  architetture  gialle,  verdi  e  paonazze,  tutto  que- 
sto  molto  semplice.  Segne  una  cornicetta  di  stucco  con  palmette  m 
rilievo,  colorata  in  bianco,  turcliino,  rosso  scui'o  e  rosso  chiaro;  al 
disopra  di  questa  e  conservata  soltanto  una  piccola  parte  del  tondo 
giallo.  I  quadretti  degli  scompartimenti  gialli  sono  irriconosci- 
bili.Cf.  SU  questa  pittura  sopra  pag.  113.  Lo  zoccolo  e  giallastro 
(stucco  di  mattone)  e  posteriore  alle  pitture  descritte,  identico  allo 
zoccolo  delle  altre  pareti  (a.  m.  1,62),  che  del  resto  son  coperte 
d'intonaco  grezzo.  Nelle  pareti  sin.  e  di  fondo  osservansi  parecchi 
chiodi  di  ferro.  Quella  d'  ingresso  pare  che  non  fosse  piü  alta,  negli 
Ultimi  tempi,  che  m.  0,75.  II  pavimento,  d'una  rozza  massa  grigia- 
stra,  e  dell'  ultima  epoca.  Non  saprei  precisare  l'uso  della  camera. 

it  scala.  Si  ascendeva  prima  sette  gradini  verso  0,  quindi. 
sull'altro  lato  del  muro  che  divide  ii  dalla  bottega  n.  38,  sette  gra- 
dini verso  E  ;  qui  s'eutrava  nel  locale  che  all'altezza  di  m.  3,95 
sovrastava  alla  bottega.  La  scala  perö  seguitava,  di  nuovo  verso  0 
e  sul  lato  di  a,  e  condiiceva  alle  camer e  sovrapposte,  all'  altezza 
di  almeno  m.  4,50,  alle  camere  a  d.  dell'  atrio. 

0  cucina ;  a  d.  il  focolare  e  la  latrina,  verso  la  quäle  e  in- 
clinato  il  pavimento  di  tegoloni,  a  sin.  una  bocca  di  cisterna,  ac- 
cessibile  anche  dal  piano  di  sopra  per  mezzo  d'un  condotto  verti- 
cale  praticato  nel  muro.  Nella  medesima  parete,  a  poca  distanza 
dal  miu'O  di  strada,  si  vede  incastrato  verticalmente  un  tubo  di 
creta,  per  mezzo  del  quäle  senza  dubbio  un  cesso  del  piano  di 
sopra  era  messo  in  comunicazione  con  una  fogna.  Nella  cucina  fu 
trovato  una  lucerna  di  terracotta  ad  un  lume ,  due  carafinette  di 
vetro  e  un  ago  saccale,di  bronzo  {Not.  d.  sc.  1886  pag.  536). 

L' atrio  con  le  camere  che  lo  circondano  conferma  nuovamente 
il  fatto  giä  piü  volte  osservato,  che  la  vita  delle  famiglie  si  riti- 


122  SCAVI    DI    POMPEI 

rava  sempre  piü  nelle  parti  posteriori  della  casa.  In  origine  eranvi 
intoruo  airatrio  cinque  o  sei  belli  e  spaziosi  cubicoli  ed  un  tri- 
clinio;  e  come  tale  potevano  servire  anche  il  tablino  e  le  alae;\z, 
cucina  occupava  o  il  posto  attuale,  o  stava  nelle  parti  posteriori. 
Pill  tardi  diie  e  forse  tre  cubicoli  furono  trasformati  in  dispense, 
uno  serviva  da  larario,  imo  come  passaggio  per  una  scala;  il  tri- 
clinio  fu  pure  adoperato  per  usi  domestici  (pag.  116),  come  tutte 
le  camere  intorno  l'atrio,  meno  un  cubicolo  (/),  che  conservö  l'an- 
tica  destinazione.  Invece  nella  parte  posteriore  si  fecero  nell'occa- 
sione  della  prima  ricostruzione,  cioe  lin  dai  tempi  repubblicani,  oltre 
il  tablino,  due  grandi  triclinii,  un  cubicolo  grande,  trasformato  poi, 
come  pare,  in  triclinio,  e  uno  pitcolo,  in  oltre  due  triclinii  e  tre  cu- 
bicoli nel  piano  inferiore. 

Le  parti  poste  dietro  all'  atrio,  costruite,  dipinte  e  ornate  di 
pavimenti  a  musaico  in  epoca  repubblicana ,  sono  accessibili  dal 
corridoio  q  con  decorazione  delle  pareti  nel  secondo  stile;  perö 
quella  del  muro  d,  ed  anche  lo  zoccolo  del  muro  sin.  sono  imita- 
zioni  d' epoca  piü  tarda.  Questo  zoccolo  e  uero,  terminato  da  una 
fascia  verde  fra  due  linee  blanche,  invece  della  quäle  la  decora- 
zione originaria  aveva  senza  dubbio  una  cornice  dipinta.  AI  di  sopra 
rettangoli  paonazzi  s'alternano  con  stretti  rettangoli  verticali  cele- 
sti,  che  contengono  ognuno  una  striscia  d'ornamenti :  tutti  questi 
rettangoli  sono  rinchiusi  in  una  stretta  striscia  rossa-chiara.  Seguono 
i  soliti  concetti :  cornice,  rettangoli  orizzontali  verdi,  epistilio  tur- 
chino,  fregio  nero  con  rabeschi,  cornicione  giallo,  al  disopra  del 
quäle  nulla  e  conservato.  II  pavimento  e  di  musaico  bianco  con  file 
di  pietruzze  nere. 

r  tablino,  con  largo  ingresso  dalla  parte  di  dietro,  mentre  sul- 
l'atrio  ha  una  tinestra  a.  m.  2,45,  1.  3,87,  con  soglia  di  legno.  II 
pavimento  e  di  musaico  bianco  con  doppia  striscia  nera  tutt'intorno. 
La  decorazione  e  fatta  nell'ultimo  stile;  perö  nello  zoccolo  la  cor- 
nice e  le  sporgenze,  a  guisa  di  piedistalli,  fm-ono  fatte  certo  sotto 
l'impressione  di  decorazioni  nel  secondo  stile  esistenti  in  altre  parti 
della  casa.  Lo  scompartimento  medio  di  ciascuua  parete  e  nero  e 
foggiato  a  guisa  di  padiglione;  quelli  laterali  sono  rossi;  manca 
la  parte  superiore.  Vi  sono  le  rappresentanze  seguenti. 

18,  senza  cornice  sul  fondo  nero  dello  scompartimento  medio 
della  parete  sin.;  a.  m.  0,71 , 1.  0,58 ;  disegno  presse  l'Istituto.  Sopra 


SCAVI    DI    POMPEI  123 

una  base,  posta  in  un  rialzo  imconoscibile,  sfca  un  altissimo  tripodo 
(con  la  base  m.  0,50);  siil  suo  margine  si  vedono  alcimi  vasetti  e 
un'ermetta,  che  nella  sin.  (supposto  che  si  veda  di  faccia)  regge  im 
oggetto  a  guisa  di  bastone,  che  piiö  essere  una  tiaccola.  Appie'  del 
tripode  sta  a  sin.  siil  medesimo  rialzo  una  statua  d' Apolline  (v.  sin.; 
a.  con  la  base  m.  0,20) ;  regge  la  lira  obliquamente  sotto  il  braccio 
sin.;  del  resto  i  particolari  sono  irriconoscibili.  A  d.  sta  Vomphalos 
e  sopra  di  esso  il  corvo.  Accanto  al  tripode  si  ricouoscono  qua  e 
lä  frondi,  e  pare  che  vi  fosse  dipinto  un  albero.  Appie'  del  rialzo 
sta  a  sin.  una  donna  (v.  d.)  in  veste  lunga,  che  alza  le  mani  (o  al- 
meno  la  d.)  in  atto  di  adorare,  stendendo  l'indice  ed  il  mignolo. 
Dietro  di  essa  si  distingue  appena  una  figura  di  fanciulla,  con  veste 
lunga,  che  regge  avanti  al  petto  un  oggetto  irriconoscibile ,  forse 
una  cesta.  Ambedue  son  coronate  di  foglie,  A  d.  del  rialzo  sta  in 
piedi  un  uomo  (v.  sin.)  vestito  e  armato,  corae  pare,  di  una  lancia. 
Le  figure,  per  quanto  la  cattiva  conservazione  permette  di  giudi- 
carne,  sono  ben  disegnate.  Quasi  sotto  il  tripode  sta  appoggiato  al 
rialzo  un  oggetto  simile  ad  una  tavola  bendata. 

19,  sul  posto  corrispondente  della  parete  d.;  diseguo  presso 
ristituto.  Rappresentanza  assai  distrutta.  Si  riconosce  nel  mezzo  il 
noto  oggetto  conico  (cf.  p.  es.  Ajül  1875  tav.  d'agg.  KL)  a.  con  la 
base,  a  cui  sta  appoggiata  una  tavola,  m.  0,60,  posto  qui  pm-e  sopra 
un  rialzo  e  sormontato  da  un'ermetta  di  cui  non  si  distiuguono  i  par- 
ticolari.  Vi  e  attaccato  a  Vs  dell'  altezza  un  lungo  bastone.  Un  al- 
bero, con  pochissime  fronde,  lo  circouda  dei  suoi  rami,  ad  uno  dei 
quali  e  appeso,  per  mezzo  d'una  benda,  un  oggetto  che  ha  la  forma 
d'una  lunga  tavola.  A  d.  sta  sul  medesimo  rialzo  e  sopra  una  base 
non  riconoscibile  una  statua  temminile  (v.  d.),  che  colle  mani  al- 
zate  fino  al  gomito  regge  qualche  oggetto.  A  sin.  appie'  del  rialzo 
si  avvicina  im  uomo  preceduto  da  un  cane. 

20.  Identica  rappresentazione  nello  scompartimento  interno  di 
ambedue  le  pareti  laterali;    poco    conservata;  a.  (con  la  cornice) 

jn.  0,67,  l.  0,45;  disegno  presso  l'Istituto.  Sopra  im  ornamento  che 
di  sopra  e  di  sotto  si  apre  a  guisa  d'un  calice  di  fiore,  sta  ritto 
in  piedi  un  uomo  di  forme  robuste,  barbato  come  pare,  con  veste 
intorno  ai  lombi  (Sileno  ?),  che  sulla  parete  sin.  tiene  nella  sin.  ab- 
bassata  un  tirso  e  con  la  d.  sorreggo  sulla  testa  un  canestro,  mentre 
sulla  parete  d.  le  funzioni  delle  mani  sono  scambiate.  Dalla  parte 


124  SCAVI    DI    POMPEI 

inferiore  deiroraamento  suddetto  si  sviluppano  rabeschi  che  s'incro- 
ciano  dietro  le  cosce  delViiomo  e  im'altra  volta  all'  altezza  del  cane- 
stro,  per  riimirsi  poi  piü  sopra  e  incontrarsi  forse  (eiö  non  e  chiaro) 
con  altri  rabeschi  che  dal  cauestro  stesso  s'inalzano.  II  fondo  e  iiero. 

21.  Sappreseiitanze  simili  erano  negli  scompartimenti  anteriori 
delle  medesime  pareti.  Sono  molto  svanite;  le  figure  son  femminili; 
a  sin.  si  riconosce  che  con  la  d.  regge  sulla  testa  uu  alto  canestro  che 
s'  allarga  nella  pancia,  nella  sin.  abbassata  qualche  oggetto  bianco, 
quasi  come  iina  borsa. 

22.  23  siil  fondo  giallo  dello  zoccolo,  senza  cornice. 

22,  negli  scompartimenti  laterali:  rappresentanze  di  Pigmei, 
in  parte  oscene,  in  parte  insignificanti. 

23,  negli  scompartimenti  medii:  bestie  che  si  combattono  e 
s'inseguono,  poco  riconoscibili  a  causa  della  cattiva  conservazione 
e  dell'esecuzione  trascurata. 

j>,  quando  fu  fatto  il  pavimento  a  musaico,  aveva  nel  lato  0 
una  nicchia  (2,32  X  1,15),  destinata,  secondo  la  siia  forma,  senz'al- 
cun  dubbio  a  contenere  un  letto.  L'angolo  SO  era  riempito  di  ma- 
teriale,  mentre  in  quello  NO,  a  d.  della  nicchia,  eravi  forse  un  ar- 
madio :  almeno  il  margine  E  di  quel  rettangolo  e  formato  da  una 
pietra  che  sembra  una  soglia.  In  quell' epoca  dimque  la  camera  era 
uno  spaziosissimo  cubicolo ;  e  con  ciö  va  bene  d'accordo  che  essa  non 
riceveva  luce  da  uno  spazio  aperto,  ma  da  due  altre  camere,  h  e  v. 
Prima  perö  della  decorazione  nell' ultimo  stile  gli  angoli  furono  sgom- 
brati  e  la  camera  trasformata  in  un  triclinio  ovvero  oeciis.  La  decora- 
zione delle  pareti  (ultimo  stile)  vale  poco.  Sopra  uno  zoccolo  giallo 
coi  soliti  concetti  seguono  scompartimenti  rossi  con  largo  margine 
nero,  alternati  con  prospetti  architettonici,  molto  semplici,  dipinti 
in  giallo  e  verde  su  fondo  giallo ;  uno  scompartimento  un  po'  piü 
grande  degli  altri  forma  suUe  pareti  0  ed  E  il  centro.  Nei  centri 
degli  scompartimenti  rossi  eranvi  in  parte  quadi-etti  -  totalmente 
distrutti  -  in  parte  animali,  di  cui  rimaue  qualche  contorno.  Segue 
all" altezza  di  m.  2,5()  un  fregio  giallo  alto  0,60,  con  concetti  soliti 
ad  incontrarsi  nella  pa:te  superiore  della  parete;  quindi  fondo  bianco 
con  concetti  simili  in  proporzioni  piü  grandi.  Qui  si  vede  nel  centro 

del  mm"0  0 

24,  un  Arpia  volante,  (a.  0,22  circa),  cioe  una  figm-a  femmi- 
uile  con  coda  e  garabe   d'uccello.  Non  si  distingue  se  ella  regga 


SCAVI    DI    POMPEI  125 

qualche  oggetto  nella  siu,  alzata  fino  al  gomito ;  ma  nella  d.  abl)assata 
porta  im  vaso  dal  collo  liiugo  e  ad  im  manico. 

La  distribiizione  dei  colori  rammenta  Tala  sin.,  i  concetti  della 
parte  superiore  ripetute  due  volte  quella  d. 

Nel  cubicolo  5  e  conservata,  benche  molto  logora,  la  decora- 
zione  delle  pareti  fatta  uel  secondo  stile.  II  pavimento  di  musaico 
e  tutto  bianco;  ma  vi  e  in  ogni  lato  ima  striscia  larga  m.  0,14  pa- 
rallela  alle  pareti  laterali,  nella  quäle  le  tessellae  sono  messe  in 
maniera  che  i  lati  siauo  paralleli  alle  pareti  della  stanza,  mentre 
del  resto  stanno  in  direzione  diagonale.  Tali  strisce  perö  mancano 
nella  parte  piü  interna ;  e  distrutta  la  linea  che  formava  il  cou- 
fine  fra  le  due  parti,  ma  e  certo  che  nel  pavimento  era  caratteriz- 
zato  in  tal  modo  il  posto  del  letto  appie'  del  muro  di  fondo.  Ed 
e  chiaro  che  era  caratterizzato  anche  nella  decorazione  delle  pareti, 
benche  non  si  riconoscano  piü  i  particolari.  Nella  parte  interna  i 
rettangoli  della  parte  media  (verticalmente)  erano  rossi-cinabro ;  il 
centro  del  miu'o  di  fondo  era  formato  da  un  quadro,  rinchiuso  fra 
due  pilastri  ed  uu'archivolta  e  sormontato  da  una  specie  di  padi- 
glione :  si  riconosce  ancora  che  era  rappresentato  Talbero  sacro  col 
solito  corredo.  —  Oltre  il  largo  ingresso  da  w  il  cubicolo  aveva  una 
stretta  porta  in   11. 

u  non  era  altro  che  im  vano  di  passaggio.  Nella  parte  setten- 
trionale  evvi  addossata  al  muro  E  la  scala  del  piano  di  sopra :  2  gra- 
diui  verso  E,  uno,  un  piano  obliquo,  altri  2  gradini  verso  N ;  quindi 
e  probabile  che  una  scala  di  legno  proseguisse  verso  0.  Apple'  del 
miu'o  N  sta  ancora  un  semplice  puteale  quadrangolare  di  tiifo, 
grande  0,69  X  0,79,  diametro  interno  0,44.  A  sin.  di  esso  una  rozza 
pietra  calcare  serviva  forse  da  sedile ;  vi  giace  sopra  un  frammento 
di  una  colonna  di  tufo  con  scanalature  ioniche.  —  Nella  parte 
meridionale  di  u  e  la  scala  del  piano  di  sotto :  5  gradini  verso  E, 
uno  verso  S,  7  verso  0.  Nel  secondo  gradino,  a  contar  da  sopra, 
presse  il  margine  S,  si  osserva  uii  buco  quadrangolare,  ed  im  altro 
uguale  presso  il  margine  0  delV  unico  gradino  diretto  verso  S : 
evidentemente  vi  erano  infisse  due  travi  di  legno  che  sorreg- 
gevano  un  parapetto  lungo  il  margine  S  della  l)ranca  superiore 
della  scala. 

w  h  \2i  grande  sala  centrale  di  questo  piano.  Che  fosse  coperta, 
lo  deduco  dal  musaico  bianco  con  doppia  striscia  nera  al  margine 


120  sc  AVI    DI    POMPEI 

e  soglia  ornameutale  verso  ij.  E  poi  appena  si  puö  diibitare  che  y 
non  fosse  im  portico ;  e  im  portico  non  starebbe  bene  avanti  ad  im 
vano  scoperto. 

La  Vega  presso  Mazois  1.  c.  disegna  colonne  iu  iv,  e  Mazois 
percio  ritiene  che  fosse  ima  specie  di  oeciis  coriiithnis.  Sulla  siia 
pianta  neU'ingresso  dalla  parte  di  ij  stanno  diie  pilastri,  ad  ognimo 
dei  qiiali  e  addossata,  dal  lato  interno,  im'anta ;  le  quali  ante  cor- 
rispoiidono  a  due  altre  che  realmente  esistono  siil  lato  N  di  lo :  uua 
in  prolungamento  del  iniiro  0  del  tabliuo ,  l'altra  im  poco  ad 
orieute  del  miu'o  E;  e  fra  due  ante  corrispoudenti  il  La  Vega  vi 
mette  ogni  volta  una  fila  di  tre  colonne,  che  sarebbero  distanti  dai 
miu'i  laterali  m.  2,04.  Non  siamo  in  grado  di  decidere  se  ciö  si 
fondi  SU  qualche  traccia  da  liii  osservata,  ovvero  se  fosse  mera  con- 
ghiettura.  Negli  scavi  recenti  le  parti  relative  del  pavimento  ap- 
parvero  totalmente  distrutte. 

In  favore  delle  colonne  potrebbero  addiu'si  le  summentovate 
ante  sul  lato  N,  le  quali  probabilmente  avevano  un  termiue  a  guisa 
di  base,  giacche  ciö  puö  essere  constatato  sul  lato  rivolto  a  w  di 
quelle  ante  che  restringono  1'  ingresso  al  tabliuo.  Ed  e  probabile 
anche  che  non  si  esteudesse  su  queste  ante  la  decorazione  delle 
pareti  di  to,  ma  che  fossero  blanche,  giacche  lo  sono  le  menzionate 
ante  del  tablino  (anche  sul  lato  interno) :  e  ciö  si  spiegherebbe  per 
la  corrispondenza  con  le  colonne.  —  Non  vorrei  addurre  nel  mede- 
simo  senso  il  giä  menziouato  frammento  di  colonna  in  ii,  che  e  im 
sommoscapo  dal  diametro  superiore  di  0,28,  ne  im  frammento  si- 
mile  infisso  nel  siiolo  nella  bottega  n.  38,  ove  si  trova  anche  un 
frammento  liscio,  che  io  perö  credo  ridotto  da  ima  colonna  del  me- 
desimo  ordine.  Tutti  questi  frammenti  possono  benissimo  provenire 
0  dal  portico  y,  se  questo  era  croUato  nell'a.  63,  o  da  qualche 
portico  preesistente  alla  ricostruzione.  —  Un'altra  circostanza  poi 
deve  renderci  molto  cauti  quanto  alla  pianta  del  La  Vega.  I  due 
triclinii  finestrati  v  a  x  hanno  dalla  parte  di  w  ognuno  una  stretta 
porta  e  due  larghe  finestre,  come  mostra  la  pianta  nostra.  Invece 
La  Vega  da  ad  ognuno  tre  larghi  ingressi :  ai  pilastri  fra  questi  in- 
gressi  fa  corrispondere  le  colonne,  meno  le  due  ultime  verso  S,  che 
corrispondono  agli  stipiti  S  degli  ultimi  ingressi.  Si  vede  dunque  che 
la  sua  pianta  non  e  del  tiitto  esatta,  ma  fu  accommodata  con  l'inten- 
zione  di  mettere  in  armonia  le  parti  superstiti  con  le  supposte  colonne. 


SCAVI    DI    POMPEI  127 

Tn  eiascim  lato  di  lo  stava  im  triclinio  finestrato  molto  aiioso, 
X  e  (\  de'  qiiali  ,x  e  ud  poco  piii  piccolo,  perche  su  quel  lato  si 
discende  per  la  scala  in  u  al  piano  di  sotto;  v  aveva  finestre  su 
tre  lati,  dovendo  dar  liice  ^  p.  —  x  era  riccamente  dipinto  nul 
secondo  stile,  ma  poco  ne  e  conservato :  si  riconosce  che  lo  zoccolo 
era  di  forma  architettouica  e  che  sopra  di  esso  il  fondo  era  rosso-ci- 
nabro.  La  decorazione  di  z;  e  im'imitazione  del  secondo  stile  fatta 
neirepoca  deU'ultimo  stile;  gli  scompartimenti  grandi  sono  rossi. 
Di  rappresentanze  tigm-ate  e  conservato  pochissimo: 

25,  sul  mm-o  0,  nel  primo  scompartimento  a  d. :  due  Amori 
volanti  che  reggono  fra  loro,  in  direzione  verticale,  im  oggetto  non 
riconoscibile. 

26,  siil  miu'O  N,  nel  primo  scompartimento  a  sin.:  Amore  che 
vola  verso  d.  e  porta  sopra  nn  piatto  o  basso  cauestro  qiialche  cosa  che 
non  si  riconosce.  Ambedue  le  pitture  (a.  0,25)  sono  mal  conservate. 

Mi  pare  fiior  di  diibbio  che  ij  era  im  portico.  Ne  fanno  fede 
le  due  ante  addossate  ai  mmi  E  ed  0  (e  conservata  soltanto  qiiella 
ad  0),  le  quali  non  possono  aver  altro  significato  che  di  seguare 
le  estremitä  della  fila  di  colonne.  II  pavimento  era  di  musaico 
bianco,  di  pietre  iin  poco  piii  grandi  che  nelle  camere.  Avanti  al 
portico  si  stendeva  la  terrazza  j,  il  cni  pavimento  era  d'ima  massa 
fatta  con  lava  frantumata. 

Di  im  piano  siiperiore  (all'altezza  di  m.  4,50  circa)  fanno  te- 
stimonianza  le  tre  scale  in  n,  e,  u.  Delle  quali  n  conduceva  alle 
camere  sovrapposte  a  quelle  a  d.  dell'atrio  e  alla  camera  (situata 
in  livello  piü  basso)  che  sovrastava  alla  bottega  n.  38.  Non  sap- 
piamo  se  da  questa  fossero  accessibili  le  camere  sopra  o,  «,  c,  d, 
ovvero  se  anche  a  queste,  come  certamente  a  quelle  a  sin.  dell'a- 
trio, si  accedesse  per  la  scala  in  c.  Quella  in  u  conduceva  senza 
dubbio  sopra  le  stanze  dietroposte  all'atrio.  Quanto  poi  questo  piano 
di  sopra  si  estendesse  suUe  parti  posteriori,  e  impossibile  detor- 
minaiio.  Forse  w  era  piü  alta  delle  altre  stanze,  e  mancava  sopra 
essa  la  camera  superiore.  Forse  il  piano  di  sopra  non  si  estendeva 
oltre  p^  'Z^  '%  ^  i  öd  iii  t^l  ^^^^o  poteva  esser  preceduto  verso  S  da 
una  terrazza  sorretta  da  v^  iv,  x. 

Passiamo  ora  al  piano  di  sotto,  accessibile  per  la  giä  men- 
zionata  scala  in  u,  appie'  della  quäle  si  entra  nel  corridoio  «,  co- 


128  sc  AVI    DI    POMPEI 

perto  di  volta  a  botta.  A  d.  s'entra  neiraltro  corridoio  /?,  che  in 
due  pimti,  dietro  i  cubicoli  i  e  A,  si  allarga ;  e  qui,  all'altezza  di 
m.  3,25,  vi  sono  delle  porte,  per  le  quali,  appoggiandovi  scale  por- 
tatili,  si  accedeva  alle  camere  II  e  III  (dormitorii  servili  ?)  sovrappo- 
ste  ai  due  cubicoli  suddetti.  Dirimpetto  poi  alla  porta  sopra  i,  a 
un'altezza  di  poco  superiore,  evvi  Tingresso  ad  un  vano  (I  nella  fig.  3 
della  nostra  tavola)  il  quäle  non  si  compreude  a  che  uso  abbia  po- 
tuto  seiTire :  una  camera,  o  conidoio  stretto,  coperto  a  volta,  tra- 
versato  a  poca  distanza  dairestremitä  sin.,  nel  nascimento  della 
volta,  da  luia  trave  di  pietra ;  le  pareti  rivestite  di  stucco  di  ma*:- 
tone.  Verso  d.  il  locale  in  origine  si  allargava,  ma  poi  quella  parte 
fu  riempita  di  materiale;  e  pare  che  qui  vi  fosse  pure  un"apertui-a 
nel  soffitto  (o  volta),  chiusa  anch"  essa  posteriormente.  Mi  pare  il 
piü  probabile  che  fosse  una  cisterna,  abolita  quando  la  casa  fu  ri- 
costruita  ed  allargata,  e  che  poi  se  ne  servissero  forse  per  conser- 
vare  altre  cose. 

Ove  il  corridoio  ß  si  allarga  dietro  /,  e  stata  fatta  assai  roz- 
zamente  nell'angolo  SO  una  specie  di  vasca  composta  di  pietre  cal- 
caree,  di  forma  poco  regolare,  grande  di  fuori  0,(38  X  0,85,  di  den- 
tro  0,22  X  0,67.  II  blocco  che  ne  forma  la  parete  N  lascia  fra  se 
ed  il  muro  un  iuterstizio  di  m.  0,035.  Non  so  indovinarne  la  de- 
stinazione. 

Sembra  che  ß  sia  stato  fatto  senza  altro  scopo  apparente  che 
dare  accesso  alle  camere  sopra  /  e  /.  Ma  forse  il  vero  scopo  era 
di  allontanare  le  camere  del  piano  medio  dal  terrapieno  e  custo- 
dirle  dall'  umiditä. 

Seguitando  per  il  corridoio  «  troviamo  a  sin.  due  camerette 
a  volta,  di  cui  y  ha  una  linestrina  al  disopra  della  porta,  S  una 
tinestra  un  po"  piii  grande  sul  vano  della  scala  f.  Ambedue  in  ori- 
gine avevano  le  pareti  coperte  d'intonaco  grezzo  ;  piü  tardi  S  ri- 
cevette  una  semplice  decorazione  nell'ultimo  stile.  In  ambedue  le 
pareti  mostrano  tracce  di  parecchi  chiodi.  Non  so  decidere  se  ser- 
vissero da  raagazzeni  o  dispense  ovvero  da  dormitorii  servili. 

All'estremitä  di  a  abbiamo  a  sin.  la  scala  f,  che  conduce  al 
piano  infimo,  a  d.  l'ingresso  a  *^,  e  prima  ancora  una  porticina  del 
cubicolo  A.  Similmente  il  cubicolo  corrispondente  /.  oltre  la  grande 
porta,  ha  una  porticina  laterale  dal  triclivio  x.  E  lo  stesso  trovamrao 
nel  cubicolo  s  del  piano  di  sopra.  Camere  simili  non  mancano  in 


SCAVI    DI    POMPEI  120 

altre  case  :  rammento  quella  a  d.  delYoecus  corinthius  della  casa 
«  del  Laberinto  - ,  caratterizzata  come  cubicolo  per  la  nicchia  del 
letto  (40  sulla  piauta  presso  Overbeck-Mau  Pompeji,^  p.  342);  quelle 
che  stanno  accanto  a  triclinii  si  e  creduto  qualche  volta  che  ser- 
vissero  per  apparecchiar  ciö  che  si  doveva  portare  in  tavola,  e  cose 
siraili  (Overbeck-Mau  op.  c.  p.  327).  Non  voglio  pretendere  che  le 
camere  di  tal  geuere  servissero  tutte  ad  un  medesimo  uso ;  in  ge- 
nerale perö  mi  pare  che  la  spiegazioue  la  piü  naturale  sia  questa, 
che  nella  stagione  calda  la  porta  grande  rimanesse  aperta,  per  dor- 
mire  in  un  ambiente  piü  arioso  ;  invece  neH'inYerno  la  porta  grande 
s'apriva  una  volta  al  giorno,  per  far  la  pulizia  e  dare  aria  alla  Ca- 
mera, mentre  del  resto  s'  entrava  ed  usciva  per  la  porticina  late- 
rale. —  In  A  la  volta  (a  poco  sesto)  e  piü  bassa  nella  parte  in- 
terna, ed  e  caratterizzato  in  tal  modo  il  posto  del  letto.  In  i  ciö 
non  e  riconoscibile. 

1],  ove  all'estremitä  di  «  s'entra  volgendo  a  d.,  e  il  compreso 
centrale  di  questo  piano  e,  come  iv  per  la  parte  posteriore  del  piano 
di  sopra,  fa  quasi  le  veci  dell'atrio ;  da  esso  tutte  le  altre  camere 
hanno  il  loro  ingresso  ;  riceveva  luce  daUa  terrazza  n  per  una  porta 
e  due  larghe  finestre  :  disposizione  assai  rara  nelle  case  pompeiane, 
le  cui  camere  sono  quasi  sempre  aggruppate  lungo  portici  e  in- 
tomo  a  cortili  scoperti,  Si  puö  paragonare  im  complesso  nella  parte 
SE  della  casa  «  del  Citarista  ".  (I  4,  5;  n.  21  sulla  pianta  presso 
Overbeck-Mau''  pag.  360). 

Negli  angoli  SO  e  NO  di  ?;  sono.  rimasti  pochi  avanzi  della 
decorazione  delle  pareti :  si  riconosce  uno  zoccolo  rosso ;  e  proba- 
bile  che  la  pittura  fosse  fatta  nel  secondo  stile.  La  porta  della  ter- 
razza, larga  2,95,  s'apriva  verso  di  fuori,  come  si  rileva  dalla  forma 
della  soglia,  nella  quäle  si  vedono  le  tracce  dei  cardini.  Le  fine- 
stre (larghe  1,51  e  1,53)  hanno  soglie  di  lava  con  cardini,  ma  senza 
traccia  di  catenacci.  Nell'angolo  SO  evvi  un  rialzo  di  fabbrica  (po- 
steriore alla  pittura  delle  pareti),  grande  m.  1,10X0,56,  alto  0,54, 
nella  parte  S  del  quäle  e  incastrato  un  vaso  di  creta  del  diam.  di 
m.  0,29  ;  non  so  se  fosse  un  focolare  :  di  fornelli  non  v'e  traccia. 

Intorno  a  questo  vauo  centrale  stanno  due  triclinii  e  tre  cu- 
bicoli.  Dei  triclinii  l'uno,  ^,  e  grande,  l'altro,  x,  di  grandezza  me- 
dia; ambedue  avevano  la  volta  a  tutto  sesto  e  conservano  avanzi 
della  decorazione  nel  secondo  stile,  in  ^  a  fondo  nero,  in  x  cogli 

9 


130  sc  AVI    DI    PO.MPEI    . 

scompartimenti  grandi  rossi.  «>  ha  sulla  terrazza  iina  finestra  grande 
(a.  m.  2,42  ;  1.  2,20  ;  soglia  di  lava  con  cardini.  senza  catenacci), 
e  SU  ciasciiii  lato  di  questa  (con  la  soglia  all'altezza  delFarehitrave) 
iin'altra  piii  piccola  (a.  0,43  ;  1.  0,32)  per  ventilare  la  stanza  qiiando 
quella  grande  rimaneva  chiiisa.  ün  rialzo  di  fabbrica  (0,63  X  0,76; 
a.  0,35  ;  posteriore  alla  decorazione  delle  pareti)  poteva  essere  iina 
tavola  e  servir  per  apparecchiar  le  pietanze. 

Dei  ciibicoli  i  e  l  erano  dipinti  nel  secondo  stile  a  foudo  bianco, 
C  neir ultimo  stile  a  fondo  uero ;  tutti  e  tre  sono  coperti  con  volta 
a  poco  sesto.  ^  ha  una  finestra  sulla  terrazza,  il  cui  stipite  sin.  e 
obliquo,  in  corrispondenza  con  la  direzione  di  quel  lato  della  ter- 
razza ;  la  lunghezza  della  cainera  fu  diminuita  di  m.  0,33  per  mezzo 
d'uu  miu'o  sottile  (0,16)  parallele  all'originario  muro  E.  Senza  dub- 
bio  quest'  ultimo,  che  sostiene  il  terrapieno  del  foro  triangolare, 
soffriva  dell'umiditä ;  e  che  fu  questo  il  motivo  di  quel  provvedi- 
mento,  lo  confermano  due  buchi  nei  muri  N  e  S,  corrispondenti 
allo  spazio  rinchiuso  fra  il  vecchio  ed  il  nuovo  muro  E  e  desti- 
nati  senz'alcuu  dubbio  a  ventilaiio  ed  asciugarlo.  L'antico  muro  E 
conserva  avanzi  della  decorazione  :  possiamo  supporre  che  fosse  del 
secondo  stile ;  ma  ciö  non  e  riconoscibile. 

II  triclinio  minore  x  non  ha  traccia  alcuna  d'una  porta.  Anche 
gli  altri  ingressi  delle  camere  son  privi  di  soglie,  ma  all'angolo 
esterno  di  ciascuno  stipite  sta  incastrata  nel  pavimento  una  pietra 


di  lava  di  questa  forma :  \Iir\-  In  oguuna  di  queste  pietre  sono  due 

buchi,  uno  piü  dentro,  l'altro,  minore,  piü  fuori.  In  uuo  di  quei 
buchi  piü  interni  (porte  E  di  A)  si  osservano  tracce  di  metallo: 
pare  dunque  che  qui  girassero  i  cardini.  L'altro  buco  serviva  per 
fissare  le  antepagmenta,  che  qui,  come  in  molti  altd  casi,  rivesti- 
vano  soltanto  gli  spigoli  esterni  degli  stipiti. 

Ho  riunito  nella  figura  3  della  nostra  tavola  quei  locali  che 
stanno  al  disopra  di  alcune  camere  piü  hasse  del  piano  fin  qui  de- 
scritto  e  formano  quasi  un  ammezzato.  Qualcuno  di  tali  locali  (I, 
II.  III)  fu  giä  menzionato  (pag.  128);  II  e  III  (cubicoli  servili  ?) 
non  erano  piü  alti  di  circa  m.  1,80;  e  probabile  che  avessero 
ognuno  una  finestra  verso  S.  Le  pareti  in  II  erano  rivestite  di 
stucco  di  mattoni,  in  III  di  stucco  bianco;  dei  pavimenti  nuUa  e 
conservato. 


SCAVI    DI    POMPEI  131 

Due  camere  stanno  sul  lato  E  di  a.  Sotto  IV  non  sta  im'altra 
Camera,  ma  terrapieno,  V  sta  sopra  y  q  d.  Ambedue  sono  coperte 
a  volta  e  congiunte  fra  loro  mediante  ima  porta,  che  una  volta  fu 
miirata  e  poi  riaperta,  ma  non  completamento.  Le  pareti  hanno  sfciicco 
bianco :  ricevevano  luce  ognima  per  una  tinestra,  IV  da  «  e  V  da  i-.  E 
sul  medesimo  lato  V  ha  una  porta,  che  ora  da  nel  vuoto,  sopra  la 
scala  f ;  ma  si  vede  che  il  vano  della  scala  /•  era  traversato  da  un 
ponte,  al  di  lä  del  quäle  si  ascendeva  per  due  gradini  in  VI,  che 
e  sovrapposta  al  cubicolo  t-  L'angolo  SE  di  VI  e  occupato  da  una 
vasca  murata,  il  cui  fondo  e  coperto  di  Sigitiimm.  Nella  vasca  evvi 
sul  lato  N  un  gradino,  come  per  montarvi  dentro.  Pare  dunque  che 
VI  fosse  un  lavatoio ;  si  potreb])e  anche  pensare  ad  un  bagno  per 
i  servi.  —  Mentre  la  porta  fra  IV  e  V  era  chiusa,  tanto  V  quanto  VI 
non  potevano  essere  accessibili  che  per  una  scala  appoggiata  al 
ponte  summentovato. 

Da  /;  si  scendeva  -  senza  dubl)io  sopra  qualche  gradino,  che  non 
e  conservato  -  snlla  terrazza  // ;  la  differenza  del  livello  e  di  m.  0,75. 
La  porta  e  fi-ancheggiata  sul  lato  di  fuori  da  due  pilastri  grossi 
0,60X0,65  e  posti  sopra  basi  grosse  circa  1,0X0,90.  La  terrazza 
stessa,  di  forma  non  del  tutto  regolare,  e  coperta  soltanto  in  parte 
(Sed  E)  con  una  specie  di  pavimento.  A  poca  distanza  dall'angolo  SE 
si  alza  un  cilindro  murato  contenente  un  tubo  per  dare  aria  al  pi- 
strino  3  del  piano  infimo;  piü  verso  0  simili  sfogatoi  del  calda- 
rio  7  e  del  frigidario  8  sono  rinchiusi  in  coni.  Vicino  al  margine  E 
giace  una  meta  d'un  mulino  a  mano.  La  terrazza  era  cinta  da  un 
muro,  il  quäle,  com'e  visibile  presso  l'angolo  NE,  era  alto  m.  3,10, 
grosso  0,38,  e  neUa  parte  piii  bassa  (tino  a  m.  0,50  di  altezza) 
m.  0,50.  Contiene  blocchi  di  tufo,  provenienti  senza  dubbio  dal 
muro  della  cittä  -  del  quäle  paraltro  nella  casa  stessa  non  e  rima- 
sto  alcun  avanzo  -  e  sormontato  da  blocchi  del  medesimo  materiale 
tagliati  a  schiena. 

Ci  rimane  a  parlare  del  piano  infimo,  di  cui  diamo  la  pianta 
nella  flg.  4  della  nostra  tavola. 

La  scala  in  f  ha  5  gradini  verso  E,  uno  verso  S,  sei  verso  0; 
simili  buchi  come  in  quella  del  piano  medio  (pag.  125)  fanno 
testimonianza  d'un  parapetto.  Quindi  s'entra  nel  corridoio  incliuato 
1,  interrotto  in  due  punti  da  uiio,  in  un  terzo  puuto  da  tre  gradini 
e  rischiarato  da  una  finestra  praticata  in  una  specie  di  lunetta  e 


132  sc  AVI    DI    POMPEI 

che  s'apre  sotto  t  in  quel  miiro  della  casa  ehe  spetta  la  terrazza  /(. 
Lasciamo  a  sin.  uno  strettissimo  vano  a  volta,  2,  chiuso  antica- 
mente  da  iina  porta  e  rischiarato  da  una  finestra  che  verso  E  guarda 
fuori  della  cittä,  ed  entriamo  di  fronte  nel  pistrino  3,  coperto  di 
Yolte  a  botta,  con  due  tinestre,  che  verso  fuori  si  restringono,  nel 
raiiro  S,  un'  altra  piii  grande  verso  E  e  un  buco  tondo  nella  volta, 
ciistodito  da  uu  cilindro  murato  sulla  terrazza  /<.  Una  stretta  porta 
conduce  verso  E  fuori  della  cittä :  fatto  singolare,  non  avendo 
alcuna  delle  case  adiacenti  un'  uscita  simile:  dovrebb'essere  questo 
un  privilegio  speciale  accordato  al  proprietario.  La  porta  non  vi  fu 
da  principio,  ma  e  stata  rotta  posteriormente ;  ha  la  sogiia  di  lava 
con  l'incavo  del  cardine  a  d.  (era  a  un  solo  battente),  senza  trac- 
cia  di  catenaccio. 

II  pavimento  e  di  opus  spicatum  grossolano.  Nell'angolo  NE 
eravi  il  forno,  del  quäle  perö  non  rimaue  altro  che  la  sostruzione 
e  tracce  della  volta ;  siccome  il  Mazois  (1.  c.  pl.  33)  lo  disegna  piü 
conservato,  cosi  possiamo  crederlo  distrutto  ai  tempi  dei  primi  scavi. 
Quasi  nel  centro  del  locale  troviamo  un  rialzo  di  fabbrica  rotondo, 
a.  0,35,  diam.  1,05,  il  quäle  sorreggeva  un  bacile  per  acqua  di  poca 
profonditä,  di  cui  si  vede  l'impronta  (0-  Neil'  angolo  SE  sta  una 
vasca  murata,  larga  internamente  0,75X0,77,  alta  0,70,  con  un 
foro  quadrangolare  (0,25  X  0,13)  vicino  al  pavimento  presso  1' an- 
golo NO.  A  questa  vasca  ne  era  addossato  dal  lato  0  un' altro, 
che  Mazois  disegna  intera.  mentre  ora  non  ve  ne  sono  che  pochi 
avanzi.  Tanto  le  vasche  quanto  il  forno  sono  posteriori  allo  zoccolo 
(a.  1,64)  di  stucco  giallastro  (con  polvere  di  mattoni)  onde  son  ri- 
vestite  le  pareti.  Nel  muro  d.  e  praticata  l'apertura  della  suspen- 
sura  dell'adiacente  caldario  (a.  0,51,  1.  0,58). 


(•)  Nelle  Notizie  1886  p.  167  vi  si  riconosce  la  base  d'un  molino ;  iiia 
HC  vi  sta  intorno  il  solito  selciato,  ne  cosi  si  spiega  la  suporficie  concava.  Di 
piü  h  certo  che  nei  primi  scavi  quel  bacile  fu  trovato  al  posto  e  che  ad  esso 
si  riferiscono  le  parole  P.  A.  II.  I,  1  pag.  208  (20  giugno  1767):  «  Si  e  levata 
«  della  terra  da  alcune  stanze  a  volta  contigue  al  (Quartiere.  In  una  di  queste 
«  si  e  scoperto  un  pozzo  con  vicino  un  lavatoio,  dentro  del  quäle  vi  e  un  vaso 
"  di  creta  con  calce,  un  forno,  c  nol  mezzo  della  stanza  una  gran 
"tina  di  creta,  e  uno  sclieletru  di  UDino  tutto  intero,  che  resta  rannic- 
«  chiato  a  terra,  cnsa  molto  curiosa  a  vedersi  •'.  Cf.  la  tavola  84  del  Mazois. 
II  pozz'j  Cül  lavatoio  dovrebbe  esserc  la  d()ppia  vasca  ncU'angolo  SE. 


SCAVr    DI    POMPRI  133 

II  vano  adiacente  a  N  (4),  coperto  di  volta  a  botta,  con  pareti 
rivestite  d'  intonaco  grezzo  e  finestra  che  verso  E  da  fiiori  della 
cittä,  contiene  i  sostegni  della  tavola  sulla  quäle  si  formavano  i  pani. 

Sul  lato  estenio  del  muro  E,  a  sin.  per  chi  esce  dalla  porta, 
e  dipinto  su  fondo  bianco  im  gran  serpente  che  verso  d.  si  avTicina 
all'altare,  sul  quäle  si  distingue  uiia  pigna,  uiia  mela  granata  (cosi 
pare)  ed  un  uovo.  La  pittura  (a.  0,(35,  1.  2,2.'))  sta  in  direzione  obli- 
qua,  seguendo  la  peudeuza  della  roccia  di  lava,  che  qui  e  visibile. 

5.  Passaggio  al  bagno,  accessibile  sopra  due  gradiui,  coperto 
da  volta  a  botta  (E  ad  0).  Le  pareti  son  dipinte  semplicemente  nel 
secondo  stile:  rettangoli  a  base  stretta,  che  sembrano  mouocromi 
d'un  colore  grigiastro;  ma  forse  i  colori  furouo  distrutti  dall'unüditä. 

6.  Apoditerio  o  tepidario;  vi  si  entra  per  una  bassa  porta  a 
volta.  E  coperto  con  volta  a  botta  di  poco  sesto,  alto  fino  al  na- 
scimento  della  volta  m.  2,33,  fino  alla  sommitä  2,82,  con  piccola 
finestra  nel  muro  S.  II  pavimento  e  di  musaico  bianco  con  mar- 
gin e  nero ;  le  pareti  hanno  una  dipintura  monocroma  in  giallo,  che 
imita  un'  incrostazione  di  marmo :  abbiamo  insomma  qui  la  deco- 
razione  della  prima  ricostruzione  (vd.  sopra  pag.  112).  Le  pareti 
non  sono  vuote ;  se  il  pavimento  sia  sospeso,  non  si  puö  constatarlo, 
causa  la  sua  perfetta  conservazione. 

A  sin.  si  passa  per  una  stretta  porta  a  volta  nel  caldario  7, 
in  ampiezza  ed  altezza  press'a  poco  uguale  all' apoditerio.  II  pavi- 
mento sospeso  e  stato  distrutto,  lo  spazio  riempito  di  terra  e  questa 
coperta  -  come  pare  nel  secolo  passato,  al  tempo  dei  primi  scavi  - 
d'un  pavimento  molto  ordinario('),  mentre  dell'antico  pavimento  di 
musaico  non  rimangouo  che  pochi  avanzi  al  margine.  Anche  le  te- 
fßdae  mammatae  furono  tolte  dai  muri  e  si  riconoscono  soltanto  dalle 
tracce  dei  chiodi  coi  quali  erano  fissate  sopra  uno  stucco  giallastro. 
Con  esse  fu  perduta  la  pittura  delle  pareti ,  che   rimane  soltanto 


(})  Confesso  di  aver  preso  quel  pavimento  per  antico.  E  dichiarato  mudenio 
Not.  d.  sc.  1886  pag.  168,  e  mi  assicura  Famico  prof.  Sogliano,  che  resanie 
della  composizione  di  quella  inassa,  la  quäle  contiene  lapillo,  mattone  pesto, 
pozzolana  e  calce,  ne  confernia  Torigine  moderna.  Con  ciö  non  e  escluso  che 
fossero  tolte  le  tegulae  mammatae,  distrutta  la  suspensura  e  per  conseguenza 
abolito  il  bagno  fin  dalFantichitä ;  anzi  difticilraente  si  spiegherebbe  la  totale 
distruzione  della  suspensura  e  del  rivestimento  dei  muri ,  se  tutto  ciö  fosse 
stato  trovato  intatto.  Mazois  vide  il  caldario  nello  stato  attuale. 


134  SCAVI    DI    POMPEI 

nella  nicchia  semicii'colare  del  lato  S,  ove  la  parete  non  fii  mai 
Yuota:  il  fondo  della  nicchia  e  rosso,  nel  cielo  (interrotto  da  una 
finestra  rotonda)  e  rappresentata  iina  conchiglia  in  bianco,  rosso  e 
turchino;  la  pittura  e  deirultimo  stile.  Una  nicchia  rettaugolare 
nel  mm-o  N  (1,73X0,67)  doveva  contenere  una  vasca. 

Merita  di  essere  rilevato  il  seguente  particolare.  Anche  la  volta 
aveva  il  rivestimento  di  tegole  mammate  (o  qiialche  cosa  di  simile) ; 
e  qui,  nell'asse,  a  poca  distanza  dal  muro  S  evvi  un  buco  tondo, 
che  poi  si  proliinga  verticalmente  sopra  la  terrazza  sovrapposta  in 
forma  d'iin  tubo  rinchiuso  in  un  cono  murato;  il  diametro  inferiore 
e  di  m.  U,12,  quello  superiore  di  m.  0,07.  In  fatto  una  tale  apertiu'a 
era  necessaria  per  dare  aria  al  fuoco  rinchiuso  sotto  il  paviiuento 
e  dietro  il  rivestimento  delle  pareti  e  della  volta.  Nel  muro  E,  poco 
sotto  il  nasciraento  della  volta,  s'aprono  due  buchi  orizzontali  ('), 
press'a  poco  della  stessa  arapiezza,  che  s'inoltrano  nel  muro,  e  in 
uno  de'  quali  potei  infilare  un  bastone  fino  a  m.  1,45.  La  loro  forma 
esclude  che  vi  fossero  incastrate  delle  travi,  e  appena  si  puö  du- 
bitare  che  non  servissero  a  quel  medesimo  scopo,  di  dare  aria  al 
fuoco.  Una  perfetta  analogia  ce  la  öftre  il  piccolo  caldario  della 
casa  «  del  Fauno  -,  ove  sul  lato  N  all'altezza  di  ra.  1,30  due  tubi 
circolari  sono  collocati  obliquamente  nel  muro  e  riescono  ,  in  un 
punto  alquanto  piü  alto,  nella  cucina  adiacente :  lo  scopo  suindi- 
cato  qui  e  evidente.  Nel  caso  nostro  pero  vi  e  la  difticoltä  che  quei 
buchi  non  hanno  un'uscita:  la  terrazza  sovraposta  e  coperta  di  la- 
strico  senz'apertura  alcuna.  Credo  pereiö  che  qui  siano  successi  dei 
cambiamenti.  Sappiamo  che  gli  apparecchi  di  tali  stufe  si  anda- 
vano  sempre  perfezionando  e  che  si  mirava  ad  ottenere  un  grado 
di  temperatura  sempre  piii  alto  (-).  E  si  puö  constatare  nelle  terme 
*.  stabiane  -  di  Pompei ,  che  prima  le  sole  pareti  furono  rivestite 
di  teyidae  niammafae  o  tubi,  mentre  piü  tardi  il  rivestimento  fu 
esteso  anche  sulle  volte  e  le  luuette  (■').  Ora  mi  pare  assai  probabile 
che  cosi  sia  avvenuto  anche  nel  caldario  della  casa  -  di  Giuseppe  II » . 
Li  fatto  il  posto  che  occupano  quei  buchi,  sotto  il  uascimento  della 

{})  Mazois  nel  suo  spaccato  tav.  33  li  trasporta  sul  inuro  N  per  reiulerli 
visibili. 

(-j  Nisson  pompejan.  Sludiea  p.  153.  Mau  pompejan.  Beiträge  p.  125  segg. 
1  lU  segg. 

(3j  Mau  1.  c.  p.  127. 


sc  AVI    DI    POMPEI  135 

volta,  accenna  ad  un  tempo  nel  quäle  fino  a  quel  punto  soltanto 
arrivava  il  rivestimento  del  miiro.  Quaudo  poi  fu  esteso  sulla  volta, 
e  fatta  la  sopra  descritta  apertura  nell'asse  di  essa,  allora  quei 
biichi  anterior!  si  riputarono  siiperflui,  e  forse  si  chiiisero  quando 
la  parte  sovrapposta  della  terrazza  /t  fii  coperta  di  lastrico. 

Dall'apoditerio  s'entra  a  dr.  uel  frigidario  8,  che  e  tondo 
(diam.  3,20)  ed  ha  quattro  nicchie  semicircolari  con  sedili  di  legno 
all'altezza  di  m.  0,38  (visibili  nello  spaccato  del  Mazois).  II  fondo 
sta  m.  0,50  sotto  il  pavimento  dell'apoditerio;  uel  mezzo  evvi  ima 
parte  piü  profonda  ancora  di  m.  0,15,  del  diametro  di  m.  0,60,  dal 
fondo  concavo,  e  proprio  nel  centro  iin  piccolo  buco :  possiamo  im- 
maginare  che  qui  s'alzasse  im  getto  d'acqua.  Ual  lato  deH'iugresso 
evvi  un  gradino  per  discendere.  La  cupola  e  fatta  a  cono  e  rive- 
stita  d'  intonaco  bianco ;  nel  punto  piü  alto  e  perforata ,  e  questo 
foro  s'inalza  sopra  la  terrazza  /i  in  forma  d'un  cono  murato :  l'aper- 
tura  superiore  ha  il  diametro  di  m.  0,14.  Una  finestrina  s'apre 
verso  S.  Sotto  il  nascimento  della  cupola  gira  un  fregio  tm-chino 
con  figm-e  blanche,  di  animali  come  pare ;  ma  appena  se  ne  rico- 
nosce  qualche  cosa.  E  affatto  impossibile  che  questo  sia  un  laco- 
nicmn,  come  credeva  Mazois. 

Bisogna  aggiimgere  alla  descrizione  di  questa  casa,  che  essa 
non  si  estende  fino  al  ^  foro  triangolare ,  "  non  essendo  il  suo  muro 
Orientale  identico  a  quello  (in  gran  parte  distrutto)  che  ne  chiu- 
deva  il  lato  0,  ma  rimanendo  fra  l'uno  e  l'altro  uno  spazio  largo 
m.  0,55  —  0,80  che  coutiene  un  canaletto,  nel  quäle  si  versavano 
le  acque  piovane  del  vico  che  rasenta  il  lato  N  dell'  isola  fin  qui 
descritta,  per  esser  portate  fuori  della  cittä,  passando  sotto  la  va- 
sca  in  VI  (fig.  3  della  pianta;  cf.  pag.  131). 

Giä  dissi  sopra,  che  la  casa  fin  qui  descritta  fu  scavata  negli 
auni  1767-69.  Si  cominciö  allora  dal  piano  infimo;  e  la  prima  men- 
zione  (')  e  il  passo  citato  sopra  pag.  132,  uella  nota  (20  giugno  1767). 
Fin  dal  11  luglio  poi  {P.  A.  II.l  1  pag.  208  segg.)  i  rapporti  par- 
lano  del  piano  medio.  Vi  si  trova,  in  >,  come  pare,  una  statuetta 
femminile  in  creta,  a.  circa  m.  0,66 ,  un'  anfora  ed  una  lucerna 
di  terracotta,  una  grondaia  con  la  parte  anteriore  d'un  leone,  una 

(1)  P.  A.  II.  I,  1  pag.  201  (11  aprile)  si  parla  di'llr  vicinaiize  del  tcuipiu 
dlside;  of.  pag.  192  segg. 


136  SCAVI    DI    POMPEI 

lama  di  coltello  di  ferro,  im  chiodo  di  bronzo,  due  fusi  di  osso, 
fra  ciii  uno  col  fiisaiuolo.  E  appena  si  puö  diibitare  che  non  si  rife- 
risca  ad  »y  anche  il  rapporto  del  1  agosto  («  parte  dell'altra  stanza, 
contigua  alla  descritta  nel  passato  rapporto ,  »  cioe  a  ^) ;  ne  risulta 
che  vi  era  conservata  a  qiiel  tempo  ima  piccola  parte  della  deco- 
razione  delle  pareti  a  fondo  nero  con  una  figura  femminile  alta 
m.  0,175,  che  con  ambedue  le  mani  teneva  un  volume;  e  che  vi 
si  trovarono  ancora  quattro  vasi,  \m  piccolo  anello  e  due  chiavi- 
stelli  di  bronzo,  uno  scudetto  di  serratura,  una  tazza  di  creta  ed 
una  moneta  in  bronzo  di  Claudio. 

Quindi  si  parla  (11  e  25  luglio)  di  ^,  riconoscibile  dagli  esa- 
goni  del  paviraento  e  dal  fondo  nero  delle  pitture ;  si  descrive  una 
parte  ancora  superstite  ed  alcuni  frammenti  della  decorazione  delle 
pareti :  un  Amore,  un  Pegaso,  maschere  e  altre  cose  di  nessun'  im- 
portanza.  Vi  si  raccolse  inoltre  una  patera  «  di  metallo,  che  noQ 
si  conosce  ^  con  manico  a  forma  di  piastra,  ornato  con  un  Amo- 
rino  e  qualche  arabesco ;  di  bronzo :  un  piede  di  mobile  in  forma 
di  ermetta  con  testa  «  di  uomo  vecchio  "  ;  tre  gangheri  doppi ;  due 
monete;  inoltre  una  carafiina  di  vetro. 

Nel  corridoio  «  poi  fu  trovato  «  un  catino  di  bronzo  ovato 
con  due  maniglie  »  ;  diam.  m.  0,29  e  0,20. 

Sotto  il  22  agosto  si  descrivono  le  pitture  a  fondo  bianco  (fra 
cui  Heibig  1478.  1894.  1895)  di  una  stanza  che  molto  pro- 
babilmente  e  / ;  e  pare  che  ne  facesse  parte  anche  il  frammento 
descritto  il  14  agosto,  essendoche  uno  dei  concetti  (maschera  com- 
presa  da  una  rosa)  vi  si  ripete,  e  pare  che  il  fondo  ivi  pure  fosse 
bianco.  E  sembra  che  in  X  (e  forse  nella  parte  attigua  di  /^)  si  tro- 
vasse  una  testa  di  leone  in  marmo  ,  che  aveva  servita  ad  un  getto 
.  d'acqua ;  di  piü  «  un  vasetto  di  creta  con  dentro  come  un  unguento  »  ; 
due  altri  vasi  di  creta,  fra  cui  uno  aretino  con  bollo,  e  un  co- 
perchio;  due  mortai  di  marmo  coi  loro  macinetti;  un  cardine,  un 
ganghero  doppio,  un  ago,  un  chiodo  ed  un  anello  di  bronzo;  un 
pezzetto  di  pietra  serpentina. 

Non  e  possibile  di  precisarc  in  quäle  puuto  del  piano  medio 
siano  stati  fatti  i  ritrovamenti  enumerati  sotto  il  29  agosto:  due 
scheletri,  fra  cui  uno  con  due  anelli,  uno  de'  quali  non  chiuso  e 
che  tei-mina  in  due  teste  di  serpente;  im  orologio  solare;  un  ret- 
tangolo   di  marmo   con  una  lucerua   in   bassorilievo ;   un  capitello 


SCAVI    DI    POMPEI  137 

di  marmo  di  forma  bizzarra  (diam.  m.  0,13,  alt.  0,178);  un  gaii- 
ghero  doppio  e  due  mezzi  gangheri  piccoli;  due  caratfe  di  vetro; 
«  im  osso  lavoi-ato  per  uso  di  Hauto  »  ;  finalmente  altri  frammeiiti 
d'  intonaco. 

Poi  non  si  parla  di  questi  scavi  fino  al  4  aprile  1769:  allora 
si  scuoprono,  uon  si  puö  precisare  dove,  le  pitture  Heibig  147  (Leda) 
e  1509  (atleti),  ed  in  im' altra  camera  im  Amore  con  ima  clava 
ed  una  donna  che  con  la  sin.  tiene  un  disco.  Forsö  qiii  si  tratta 
del  piano  di  sopra,  giacche  se  ne  distingue  cio  che  segne  :  «  unito 
u  ad  alcimi  sotterranei  si  e  scoperto  im  gabinetto  dipinto  all'in- 
"  torno  in  campo  bianco  ecc.  « .  Questo  gabinetto  potrebb'  essere  i. 
Segne  (7  aprile)  lo  scavo  fatto  in  presenza  d,el  re  e  dell'  imperatore 
Giuseppe  II  in  quattro  stanze;  siccome  si  enumerano  prima  i 
ritrovamenti  fatti  in  due  stanze,  e  poi  quelli  delle  due  rimanenti, 
cosi  possiamo  sospettare  che  si  tratfci  di  due  camere  del  piano  di 
sopra  e  due  di  quello  medio.  Ne  saprei  indicare  11  sito  delle  rap- 
presentanze  di  Muse  su  fondo  nero,  che  non  furono  mostrate  ai 
sovrani  (pag.  231). 

Finalmente  i  rapporti  dei  15  e  22  luglio  1769  parlauo  di 
scavi  "  sopra  le  volte  " ,  cioe  nel  piano  superiore.  Oltre  le  due  Sta- 
tuette di  Giove  ed  Arpocrate  (sopra  pag.  119)  vi  si  trovö  una  pa- 
tera  ed  un  boccaletto  di  terracotta  invetriata  (probabilmente  vasi 
aretini)  e  la  pittm-a  di  Masinissa  e  Sofoniba,  quest'  ultima  per  terra, 
non  so  in  quäle  camera. 

Oltre  la  casa  «  di  Giuseppe  II  «  fu  scavata  in  parte  la  casa 
n.  28  della  medesima  iusida,  che  sta  ad  occideute  di  quella  n.  29-31, 
descritta  Didl.  1884  p.  210  sgg.  1885  p.  85  sgg.  Ne  parleremo, 
quando  sarä  completamente  sterrata. 

Convieue  menziouar  brevemente  i  ritrovamenti  di  alcuni  fram_ 
menti  architettonici  appie'  del  mm-o  di  sostegno  che  verso  SO  sor- 
regge  ü  foro  triangblare,  nell'angolo  che  esso  muro  forma  col  piano 
inümo  della  casa  descritta.  In  parte  appartengono  evidentemente 
al  portico  del  foro  triangolare :  una  colonna,  im'  anta  cui  e  addos- 
sata  una  mezza  colonna,  e  parti  della  trabeazione.  Ma  altrettanto 
e  evidente  la  loro  diversita  dalle  parti  anteriormente  conosciute, 
che  con  la  massima  probabilitä  si  ascrivono  ai  tempi  preromani : 
erano  senz'  alcun  dubbio  nuovi,  e  in  parte  neanche  terminati  quando 


138  SCAVI    DI    POMPEI 

sopravenne  la  catastrofe,  e  dimostrano  -  come  giustamente  osserva 
il  prof.  Sogliano  {Mt.  cL  sc.  1886  p.  168)  -,  che  a  quel  tempo  qui 
si  lavorava  per  restaiirare  il  portico.  Esso  si  stendeva  fino  al  mar- 
gine  della  collina,  ed  all'  ultima  colonua  corrispondeva  un'  anta 
che  finiva  a  mezza  colonna  dorica  addossata  al  mm-o;  tracce  d'im 
parapetto  fdi  metallo  ?)  si  vedono  nelle  pietre  di  tufo  che  formano 
il  margine.  Altri  frammenti  di  colonne  hanno  la  scanalatm-a  ionica : 
non  si  puö  dire  dove  questi  appartenessero. 

Nel  medesimo  pmito  fii  trovato  il  torso,  a  m.  0,41,  di  ima 
statuetta  iu  marmo,  la  quäle  pare  che  rappresentasse  un  ApoUo 
che  insistendo  sul  piede'  d.  ed  appoggiandosi  con  la  sin.  ad  un  tronco 
d'albero,  faceva  riposare  il  braccio  d.  sul  capo  {Avt.  d.  sc.  1886 

pag.   58). 

A.  Mau. 


189 


SOPRA  L'ISCRIZIONE 
DELLA  FIBULA  PRENKSTINA 

(cf.  sopra  pag-.  37-43) 
Lettern  di  G.  Lignana  a   W.  JklltUj. 


Vi  niando  alcime  brevi  osservazioni  grammaticali  sopra  riscri- 
zione  della  tibula  prenestina  pubblicata  in  questo  Bull.  p.  40  senza 
punto  entrare  nelle  deduzioni  archeologiclie. 

A  primo  aspetto  non  avendo  sotto  gli  occlii  Toriginale  della 
fibula,  ma  solamente  la  iscrizioue,  com'e  pubblicata,  sorge  invo- 
lontario  un  dubbio  sulla  autenticitä  del  documento,  ed  appare  in 
certo  modo  come  una  qualunque  combinazione  fatta  secondo  i  risul- 
tati  degli  Ultimi  studii  della  grammatica  storica  del  Latino. 

Del  dativo  sing,  in  oi  lOISAWVH  non  era  occorso  finora,  che 
un  solo  esempio,  onde  si  deduce  la  solita  teoria,  che  si  fa  uei  com- 
pendii  di  grammatica  comparata.  Q3>IAB^:3B^,  tralasciando  per  ora 
la  questione  della  interpunzione,  e  deU'aggiuugimento  del  segno  B 
al  precedente  \  occorre  per  la  prima  volta  in  questa  iscrizioue  nel 
caso  che  essa  debba  essere  accettata  come  una  genuina  forma  di 
latino  arcaico;  finora  non  conoscevamo  che  la  forma  FEKED,  come 
nel  vasetto  del  Quirinale.  Non  vi  ha  dubbio  tuttavia,  che  la  forma 
reduplicata  ha  dovufco  precedere  alla  forma  senza  reduplicazione,  e 
quindi  e  giustissimo  il  supporre  secondo  i  risultati  della  gramma- 
tica storica  una  primitiva  forma  di  perfetto  fefaked. 

L'incontrare  poi  tauto  l'artefice,  quanto  colui,  cui  e  dedicata 
la  fibula,  indicati  ciascuno  non  giä  con  due,  ma  con  un  solo  nome, 
ricorda  il  passo  di  Yarrone  su  quest'argomento  criticato  giustamente 
dal  Mommsen.  Ma  la  cosa  non  e  impossibile. 

Questa  iscrizioue  adunque  potrebbe  essere  benissimo  una  dotta, 
mä  recente,  molto  recente  combinazione. 


140  SOPRA    L  ISCRIZIONE    DELLA    FIBULA    PRENESTINA 

Si  potrebbe  tiittavia  fare  una  ipotesi,  che  cioe  la  libiila  con  la 
sua  iscrizione  fosse  una  manifattura  osca  destinata  al  mercato  ro- 
mano  e  cittä  finitime.  In  questa  ipotesi  11  datlvo  In  o/,  che  occorre 
appunto  nella  decl.  osca  in  o,  sarebbe  regolarisslmo ,  colncldendo, 
11  che  ml  pare  plü  probabile,  o  non  colncldendo  coH'antico  dativo 
latino  cltato  uel  passo  molto  controverso  di  Mario  Vlttoiino ;  fefaked 
troverebbe  pure  la  sua  splegazlone  nelle  forme  03che  della  tavola 
Bantlna,  mentre  quando  si  dlchiara  esserere  latlna,  la  cosa  e  assal 
dubbla.  La  breve  di  facio  che  al  perfetto  dovrebbe  essere  lunga, 
ha  Invece  nel  latino  per  un  processo,  che  non  ci  e  ancora  intie- 
ramente  chiaro,  Xahlaut  e,  e  qulndl  supponendo  di  questo  verbo 
un  perfetto  latino  reduplicato,  che  non  abbiamo,  si  dovrebbe  avere, 
se  non  erro,  non  giä  fefaked  ma  fefeked ,  onde  pol  l'arcaico  fcked. 
L'allungameuto  della  sillaba  radicale  non  subentrö  solamente  dopo 
che  era  perduta  la  reduplicazione,  ma  esisteva  giä  nelle  forme 
reduplicate,  e  si  mantenne  col  perdersi  della  reduplicazione,  quando 
nel  Latino  si  e  mutata  la  legge  della  accentuazione. 

L'artefice  Osco  poi,  che  era  solito  a  scrivere  S,  si  e  imbrogliato 
usando  dell'alfabeto  latino,  ed  ha  aggiunto  al  vcm  ^,  che  per  lui  era 
insiifficiente,  il  segno  B ,  11  quäle  in  questo  caso  e  lo  stesso  che  il 
segno  S  dell'alfabeto  osco.  Confesso  perö,  che  io  non  trovo  modo  di 
spiegare  i  tre  punti  col  quali  e  separata  la  sillaba  di  reduplicazone. 


141 


MISCELLANEA  EPIGRAFICA 


I. 
FBAMMENTO  DEGLI  ATTI  DE'FRATELLI  ARVALI 


/vdixervn\ 

a6  MVTANDV/^ 
S-INTETRASTVLO^ 
^\A  •  VNQ  •  CONTEC;  •  Eir 
/kRlOKWN\  DIVIS  At'. 
MAT  •  CALLICAT  •     COROi 
ARCAR  •  CIRC  •  ADSCEND 
10         -SvIS  DESVLTORIBVS 


II  frammeutiiio  sopm  proposto,  di  caratteri  piccoli  poco  buoni, 
del  secolo  terzo,  conie  pare,  fu  da  me  ritrovato  nelVestate  deiranno 
1885  ne'  magazzeni  delle  terme  Diocleziane,  quaudo  gli  esaminai  per 
rintracciare  alcimi  braiii  de'  fasti  consolari  ivi  conservati.  Fu  dietro 
mio  avviso  trasferito  al  museo  Kii-cheriano  per  esser  riiiuito  agli 
altri  avauzi  degli  atti  medesinii.  Öftre  airillustrazione  non  poche 
diflicoltä;  giacche  preseiitaci  varietä  tutte  nuove,  o  che  malamente 
sembrano  combinarsi  co'  luoghi,  in  cui  si  trovauo. 

Mentre  le  iiltime  tre  righe  indiil)itatameiite  apparteugouo  al 
processo  verbale  del  secondo  giorno  dellä  grande  fe-sta  arvalica,  so- 
lito  a  celebrarsi  nel  sacro  bosco  della  via  campana  e  facibnente 
si  ristam-auo  in  questa  guisa: 

[jiosi  e2)iäas  r/^/Jniat(us)  gallicat(iis)  coi-o[/miHS  ille  mogisler 
summoto  supra  (?Jarcar(es)  circ(i)  adscend(it)  [et  Signum  misit 
quadngis  ^/Jgis  desultoribiis, 


142  MISCELLANEA    EPIGRAFICA 

la  divisione  al  contrario  delle  bellarm  nella   riga  precedente: 

mensa  seciMtla  //(?//Jariorum  divisa  es[^ 

(cf.  acta  a.  218)  fiuora  uoii  si  era  notata  se  non  a  cagione  deirepulo 
che  nel  primo  gioruo  d'essa  gli  Arvali  facevano  nella  cittä.  Nondi- 
nieno  risulta  dalla  meuzione  del  tetrastitlo  nel  v.  5,  il  quäle  non 
si  puö  ricordare  che  nella  descrizione  della  festa  del  bosco,  che 
anche  l'anzimentovata  cerimonia  deve  essersi  ivi  ripetuta:  ciö  che 
perö  appena  puö  recar  maraviglia,  Aästo  che  gli  Arvali  suolevano 
banchettare  anche  nel  gioruo  secondo.  e  precisamente  nel  tetrastilo. 
Suppliamo  adunque  il  v.  5  cosi: 

discumbeiite\^  in  tetrastulo  [cqxid  ilUiia  ruaglslram 

Seguono  le  lettere  M  •  VNG  ,  le  quali  potrebbero  cou  proba- 
bilita  restituii'si :  c/<?«] //i  uiig{iteiitaveriüit)\  e  sebbene  questa  ceri- 
monia in  modo  identico  sia  menzionata  solamente  nella  giornata 
prima  della  festa  arvalica,  diconsi  perö  gli  Arvali  aver  unte  le  dee 
{deas  niigve,it  aver  Ulli)  anche  nel  secondo  gioruo  d'essa. 

Nondimeuo  uon  oso  proporre  siffatto  supplemeuto,  atteso  che  il 
verbo  cojiteg{enint)  che  segue,  sembra  piuttosto  uiiirsi  con  la  parola 
ajig{f(,enfa).YeYO  e  che  uegli  atti  conservatici,  in  cui  spesso  si  parla  del 
CO  nt  lagere  aras,  frag  es,  pul  t  es,  le  uiigueiita  sogliono  cougiuugersi 
col  verbo  acci'pere  {acta  Arn.  a.  218,  241),  e  che  questa  cerimonia 
vi  si  nota  solo  nel  gioruo  primo  della  festa;  ma  souo  tali  le  difte- 
renze  ovvie  nel  nuovo  frammento  che  pare  non  doversi  perciö  esclu- 
dere  quella  spiegazione. 

Intierameute  uuovo  negli  atti  arvalici  si  e  poi  quel  che  pre- 
cede:  ad  mufandum;  ciö  che  non  saprei  spiegare  se  non  rifereudolo 
a'  cambiamenti  delle  vesti  ricordati  negli  atti  di  ambedue  le  gior- 
uate  festive,  mentre  i  sacerdoti  vestono  ora  la  praetexia,  ora  la  com- 
iorla  (ilh/i.  Si  dovrebbe  quindi  supplire  ad  miUaiidam  [vestitum]. 

In  quanto  a'  primi  tre  versi,  confesso  di  non  indovinarne  cou 
certezza  il  seuso;  imperocclie  V i  \/idiu'eruji\ t,  che  al  primo  aspetto 
sembra  riconoscersi  nel  v.  3,  riteneudone  il  principio  per  un  nesso 
di  N  e  D  ,  uon  sembra  poter  riferirsi  fuorche  all'  htdictio  della 
festa  arvalica  che  dall'a.  (58  in  poi  soleva  farsi  nel  tempio  della 
Concordia  ue'  primi  giorni  di  Gennaio,  ue  puö  quindi  in  alcun  modo 
combinarsi  cou  la  descrizione  della  festa  medesima.  II  perche  pre- 
ferirei  di  prendere  l'avanzo    di    lettera    superstite  al  principio  di 


MISCELLANEA    EPIGRAFICA  143 

quella  riga  non  per  N  ,  ma  piuttosto  per  A  ,  e  di  supplire  felici\a 
dixerun\t.  Ciö  corrisponderebbe  anche  meglio  al  v.  2,  nel  quäle  po- 
trebbe  immaginarsi  il  siipplemento  in\  a)iii{iim)  prloximmn,  peu- 
sando  alla  iiomina  del  maestro  annuo,  benche  la  formola  solenne  per 
quell'elezione  sia  euJ  SalKr/iallbics  primis  in  Salitnialia  secimda. 
In  ultimo  e  di  qualche  importanza  la  Variante  che  presenta  il 
V.  8,  nel  quäle  in  luogo  del  solito  soleatus  leggiamo  gallicat{m) ;  raa 
ne  da  la  spiegazioue  questo  passo  di  Gellio  (18,  22):  T.  Castri- 
cius  .  .  .  cum  ....  discipidos  guosdmn  suos  seiiatores  vidisset  die 
feriato  timicis  et  lacernis  indiUos  et  gallicis  calciatos,  ' equidem', 
inquit,  ''  maliiissem  vos  togatos  esse;  si  pigitum  est^  cinctos  saltem 
esse  et  paemdatos.  Sed  si  hie  vester  haiusmodi  vestitus  de  midto 
iam  usu  igmscihilis  est,  soleatos  tarnen  vos,  populi  Romani  se- 
iiatores, per  urbis  vias  ingredi  rieqicaquam  decorimi  est'  .  .  .  Ple- 
rique  autem  ex  Jus,  qui  audierant,  requirebant,  cur  '  soleatos  ' 
dixisset,  qui  gcdlicas,  non  soleas,  haberent.  Sed  Castricius  pro- 
fecto  Seite  atque  incorrupte  locutus  est :  omnia  enim  ferme  id 
genus,  quibus  plantarum  calces  tantmn  infimae  teguntur,  cetera 
iwope  nuda  et  teretibus  habenis  vincta  sunt,  'soleas'  dixerunt, 
nonnumquam  voce  graeca  "  crepidulas ' ,  "  Gallicas  '  autem  verbum, 
esse  opinor  novum,  non  diu  ante  aetatem  M.  Ciceronis  ?csurpari 

coeptum  cet. 

W.  Henzen. 

IL 

DE  TITVLO  CA8TELLI  AQVAE  CLAVDIAE 

In  Corporis  inscriptionum  Latinarum  vol.  VI  n.  3166  edidi 
eniptum  a  marmorario  urbano  titulum  liunc,  qui  cessione  instituti 
archaeologici  imperii  Germanici  nunc  est  apud  curatores  monu- 
mentorum  antiquoruni  a  municipio  urbano  institutos: 

CaSTELLVM   AQVAE    CLAVDIAE    REGIONI    ?Kiiuae 
DISPOSITIO    DEDIT    ET    VSVI    TRADIDIT    IVSS\.^ 
RATIONIS    AVGVSTAE   •  DD  •   NN   •  VALENTIN /«/«^' 
ET    VALENTIS    VICTORVM  • 
5    GAI  CAEIONI  RVFl  •  VOLVSIANI  VC  •  EX  VKkef.])rael 
PRAEF   VRBI    IVDICIS    ITER   •    SACRAR   COGNi tionum 
CVRAIvTE  EVSTOCHIO  VC  •  CONSVI  ARE  AQVAR  um  sie 


144  MISCELLANEA   EPIGRAFICA 

Ad  eum  adnotavit  Mommseuus  haec:  'mihi  videtur  dispositio 
sensu  eminenti  accipieuda  esse,  ut  significentur  ita  imperatores, 
quasi  scriptum  esset:  castellum  aquae  imperatores  faciendum  dispo- 
suerunt  usuique  tradiderunt:  id  quod  effectum  est  iussu  rationis 
Augustae  et  praefecti  urbi,  curaute  cousulare  aquarum.  Simile  vo- 
cabuli  exemplum  quod  citem  nou  habeo,  sed  fuit  fortasse  ia  v,  1 
extremo  saeni\  Quae,  cum  a.  d.  VI  uonas  Martias  aimi  1877  in 
Institute  archaeologico  titulum  proponerem,  nee  mihi  nee  Rossio 
nostro  satis  placebant,  cum  videretur  nobis  coniungeudum  esse  ver- 
bum  dispos/'tlo  cum  genetivo  Gal  Caeioiil  Ru.fi  VoUmaiü.  Hanc 
autem  veram  esse  tituli  explicationem  iam  contirmat  inscriptio  Con- 
cordiensis  haec  {Bull.  dell'List.  1877  p.  107  =  C.  L  L.  V  8987): 

AB     INSIGNEM-SINGVLA  s^c 

REM  Q_V  E  •  ERGA  •  REM  •  PVBLICAM 

SVAM •    FABOREM- 
D-N-IVLIANVS-INVICTISSIMVS-PRIN 

5    CEPS  •  REMOTA  •  PROVINCI ALIBVS  •  CVRA 

CVRSVM  •  FISCALEM  •  BREVIATIS  •  MVTATIONVM-SPA 
TIIS  •  FIERI  •  IVSSIT 

DISPONENTE  •  CLAVDIO  •  MAMERTINO   VC-  PER  •  ITA 
LIAM  •  ET  •  IN  •  LYRICVM  •  PRAEFECTO  •  PRAETORIO     ^>c 
10    CVRANTE  •  VETVLENIO  •  PRAENESTIO  •  V  •  P  •  CORR 
VENET  •  ET    •    HIST  • 

In  .qua  ut  distinguitur  actio  triplex,  cum  iuheat  imperator,  disimiat 
praelectus  praetorio,  ciirel  corrector,  ita  in  titulo  urbano  castellum 
dicitur  datum  esse  iassii  rationis  Augustae  dd.  nti.  ValeiUimaiii 
et  Valeiitis  victorum,  dispositione  praefecti  urbi,  cura  consularis 
aquarum.  Id  quod  egregie  respondet  iis,  quae  de  urbana  aquarum 
administratione  tradita  accepimus.  De  ea  cum  pluribus  nuper  egerint 
tam  Mommsenus  {Staatsrecht  11-  p.  1007  seq.)  quam  Hirschfeldius 
{Verwaltwifjsgesch.  I  p.  161  seqq.),  hie  sufficiat  monuisse  distri- 
butionem  aquarum  fuisse  penes  imperatorem  ita.  ut  qui  aquam  in 
usus  privatos  deducere  vellet,  impetrare  eam  deberet  et  a  prin- 
cipe epistulam  ad  curatorem  adferre,  curator  deinde  heneßcio 
Caesaris  praestare  maturitatem  et  [ad  ?  Hirschf.]  procuratorem 
eiusdem  o/fieiilibertum  Caesaris protinus  scribere  (Froniimis  105); 
cf.  Mommsen  1.  c.  p.  1007  et  Hirschfeld  p.  165,  qui  adfert  etiam 
verba  ülpiani  Big.  43,  20,  1  §  42:  idque  a  principe  conceditur; 


MISCELLANEA    EPIGRAFICA  145 

miUi  alil  competit  las  aqiiae  duceiidae.  Ea  igitur  aetate  iubebat 
Imperator,  disjmnebat  curator,  curabat  procurator.  —  Curatores  au- 
tem  aquariim  iustituti  a  Caesare  Augiisto,  quibus  procuratorem 
primiis  videtiir  addidisse  Ti.  Claudius  (Frontin.  905 ;  cf.  Hirschfeld 
p.  164.  166  seqq.),  manserunt  ad  aetatem  fere  Diocletiani  aut  Con- 
stantini  Magni:  postea  reformata  imperii  administratione  cessarunt 
ita,  ut  aquae  ductumn  cm-a  esset  penes  comitem  formarum,  procu- 
ratoris  locum  teneret  consularis  aquarum  {Staatsrecht  1.  c.  p.  1002; 
Hirschfeld  p.  173),  uterque  autem  sub  dispositione  esset  praefecti 
urbi  (cf.  Notit.  diga.  occ.  IV,  11).  Quae  cum  ita  sint,  in  titulo 
urbano  quae  aetate  Frontini  curatori  et  procuratori  agenda  erant, 
ea  imperantibus  Valentiniano  et  Valente  recte  referuntur  ad  prae- 
fectum  urbi  et  consularem. 

Datur  castellum  aquae  Claudiae  regioni  primae :  in  quam  cum 
adhuc  ignoraverimus  ramum  Claudiae  deductum  esse,  novus  titulus 
maxime  dolendum  quod  nesciatur  ubi  repertus  sit.  Ab  aqua  quidem 
Claudia  in  loco  dicto  ad  Spem  veterem,  quem  putant  fuisse  ad  ru- 
dera  appellata  di  Minerva  medica,  discedebant  arcus  Neroniani,  qui- 
bus  per  montem  Caelium  ad  templum  divi  Claudii  ducebatur  aqua ; 
qui  ad  aedem  quae  dicitur  della  Navicella  in  duos  ramos  divisi 
tarn  in  Palatinum  quam  in  Aventinum  aquam  ferebant.  Igitur  cum 
extra  portam  Capenam  sita  fuerit  regio  prima,  ramus  Claudiae  in 
eam  deductus  Aventinensis  fuerit  necesse  est.  Ceterum  de  arcubus 
his  Caelemontanis  accm-ate  nuper  disputavit  Lancianius  in  libro  qui 
inscriptus  est  /  commentarii  di  Frontino  intorno  le  acqiie  e  gli 
acquedotti^  Roma  1880,  4''  (estratto  dagli  Atti  della  R.  Accademia 
dei  Lincei,  serie  3^,  memorie,  vol.  IV  p.  152  segg.).  Usui  traditum 
est  castellum  anno  365,  quo  praefectus  mbi  fuit  C.  Caeionius  Ru- 
fius  Volusianus  (cf.   C.  L  L.  VI  512.  1170-1174). 

W.  Henzen 


146  MISCELLANEA    EPIGRAFICA 

IIL 

EETTIFICA 

Nel  primo  fascicolo  del  corrente  anno  (p.  59)  e  stato  pubbli- 
cato  mi  frammento  epigratico  riuvenuto  in  piazza  della  Consola- 
zione,  siü  quäle  si  leggs  il  nome :  {r)ej:  Äriob{ar3anes).  Trasportata 
la  pietra  in  sito  piü  comodo,  e  lavata  diligentemente,  ho  veri- 
ficato  che  nella  seconda  linea  non  si  ha  EI,  ma  ET ;  o;ide  cade  la 
supposizione  che  quivi  possa  restituirsi  la  lezioue  {Iiiiioii)el.  II 
frammento  dice  cosi: 


f  FTX  •  A  R I  O^ 


e  non  e  improbahile  il  supplemento  ei  regiiia  {Atheiiais);  potendo 
essere  stata  fatta  la  dedicazione  a  nome  di  Ariobarzane  Philoro- 
maeiis  e  della  sua  moglie  Atenaide  Philostorgos  (Cf.  C.  L  Attic. 
III  541-543). 

G.  Gatti 


SPECCHIO   ETRÜSCO  147 


SPECCHIO    ETRUSCO 


Vidi  presse  un  antiqiiario  romano  uno  specchio  etrusco  di  pro- 
veüieuza  .sconosciuta,  la  cui  rappresentanza  graffita  riesce  miova 
in  tal  geuere  di  moniimeuti.  Disgraziatamente  il  bronzo  e  molto 
corroso  dall'ossido  e  pereiö  molte  particolarita  non  si  ricouoscoiio 
con  sufficiente  chiarezza.  Vi  vediamo  due  opliti  (pri^i  perö  di 
cuemidi)  seduti,  che  reggono  sulle  giuoccliia  nii  tavoliere  obluugo 
diviso  in  otto  strisce,  siü  quäle  sono  poste  due  pedine.  L'  oplita 
a  d,  di  Chi  guarda,  e  imberbe ;  egli  proteude  la  d.  iu  atto 
di  giuocare,  mentre  la  s.,  a  quel  che  pare,  e  appoggiata  ad 
un'asta.  L'altro,  che  sembra  barbato,  osserva  attentameute  la  mossa 
del  compagno,  toccando  con  la  s.  il  tavoliere  e  gesticolando  coUe 
dita  della  d,  leggermente  protesa.  Tra  i  due  giuocatori  e  in  piedi 
una  donna  completamente  vestita  ed  ornata  di  Stefane  e  collana. 
la  quäle  rivolge  la  testa  verso  l'oplita  ch'e  neH'atto  di  giuocare  ; 
il  gesto  della  d.  alzata  sino  alla  clavicola,  con  le  dita  incurvate, 
sembra  esprimere  la  massima  attenzione.  Accanto  aH'oplita  imberbe 
si  leggono  le  due  ultime  lettere  d'un'epigrafe  3>l.,,  le  quali  senza 
dubbio  hanno  da  supplirsi  Ächle. 

L'altro  oplita,  secoudo  l'analogia  che  otfrono  pittm-e  vascolari 
attiche  rappreseutanti  il  medesimo  soggetto,  non  puö  essere  altro 
che  Aiace  Telamonio  (').  Se  la  mia  memoria  non  m'inganna,  e  la 
prima  volta  che  uno  specchio  etrusco  öftre  una  rappresentanza  ado- 
prata  giä  dai  pittori  vascolari  attici.  Nel  segmento  sotto  la  rap- 
presentanza figurativa  e  graffito  un  cavallo  marino. 

AV.  Helbig 


(>)  V.  p.  e.  l'anfura  d'Exekias  .Von.  delVInst.  H  t.  22. 


148 


SITZUNGSPßOTOCOLLE 


Sitzung  am  18ten  Februar:  Erinnerungsfeier  für  den  verstor- 
benen ersten  Sekretär  Prof.  Henzen  (s.  oben  S.  65-75). 

Sitzung  am  25ten  Februar:  Strzygowski:  Bemerkungen  über 
die  Orientirung  der  Pläne  von  Eom  (s.  Mittheilungen,  unten).  — 
Li(>NANA  :  Faliskische  Inschriften  auf  Thonschalen  aus  Civita  Ca- 
stellana  (s.  Mittheilungen,  unten).  —  Hartwig  :  Rothfigurige  atti- 
sche Schalen  mit  Künstlerinschriften  (s.  Mittheilungen,  uten).  — 
Helbig  :  Marmorkopf  aus  Corneto. 

Helbig  :  proporie  uiia  testa  di  marmo  grechetto,  trovata  sull'alto  piano 
di  Tarquinia  sotto  un  pavimeiito  di  musaico  dell'  epoca  imperiale.  La  testa  rende 
il  ritratto  d'una  vecchia  che  ha  una  benda  attorno  ai  capelli  e  nelle  oreglie 
buchi  per  inserirvi  orecchini.  La  caratteristica  ricorda  quella  della  vecchia 
ubbriaca  esposta  nel  museo  di  Monaco.  L'esecuzione  e  piena  di  vita  e  fre- 
schezza.  II  rif.  esprime  il  suo  dubbio,  se  quella  testa  fosse  lavorata  aH'epoca 
imperiale  o  piuttosto  nelFultimo  secolo  della  repubblica  da  un  artista  greco 
stabilito  in  Tarquinia. 

Sitzung  am  4ten  März :  Tomassetti  und  Helbig  :  Ausgrabun- 
gen in  Nemi.  —  Ostini:  Bronzener  Deckel  und  knöcherner  Messer- 
griff, beide  vor  Porta  Pia  gefunden.  —  Maschke:  über  die  Schlacht 
am  trasimenischen  See.  —  Helbig  :  im  Tiber  gefundenes  archaisch 
ornamentirtes  Bronzeblech. 

G.  Tomassetti:  narra  le  scoperte  recentemente  avvenute  nelle  scava- 
zioni  del  tempio  di  Diana  Nemorense,  per  conto  del  sig.  Boccanera  (Luigij. 
Si  tratta  di  un  angolo  äelVarea  sacra  verso  sud-est,  ove  si  trova  un'immensa 
congerie  di  bronzi,  sotto  una  specie  di  lastricato,  sulla  cui  origine  non  si  poträ 
decidere  che  dopo  terminato  lo  scavo.  Crede  il  riferente  che  non  possa  pen- 
sarsi  ad  una  stipe  votiva,  ma  piuttosto  ad  un  deposito  d'indole  commerciale, 
in  causa  della  identitä  relativa  di  tipo  degli  oggetti.  Questi  consistono  in  nu- 
merose  monete  (assi  e  spezzati)  del  tipo  romano-campano,  in  iduletti  di  rozza 
fattura  rappresentanti  in  genere  Diana,  in  parecchi  tridenti,  ed  in  alcune  sta- 
tuine  piü  eleganti.  Fra  queste  primeggiano  una  statua  di  Diana  cacciatrice 
alta  m.  0,26,  non  iscevra  di  difetti  di  proporzioni,  che  con  leggero  movimento 
arieggia  il  tipo  ellenico  della  seconda  etä;  un'altra  di  minor  grandezza  rap- 
presentante  la  Dea  in  atto  di  riposo,  ed  h  di  squisito  lavoro,  e  finahnente  una 
figurina  in  forma  di  erma,  lunga  m.  0,50,  che  ha  la  testa  di  Giunone,  oniata 
di  ütefiuie,  e  il  resto  del  cor])o  affatto  liscio  e  rastremato  a  guisa  di  un  fusto 


SITZUNGSPROTOCOLLE  149 

piatto,  con  solo  accenno  alle  mammelle,  alle  ginocchia  ed  alle  prominenze 
posteriori.  Arguisce  il  riferente  che  possa  rappresentare  la  Giunone  Lanuvina 
dalla  singolaritä  dei  calcei  colle  puiite  curve  all'insü,  come  quelli  proprii  di  essa 
divinitä.  La  vicinanza  del  santuario  di  essa  al  Nemorense  fa  pensare  che  in  questo 
luogo  si  tenessero  a  disposizione  dei  divoti  anche  imraagini  di  altri  culti  laziali. 
Due  difiBcilissirae  e  pregevolissime  iscrizioni  hanno  veduto  la  luce  in  questi  scavi, 
e  sono :  una  incisa  neirorlo  di  un  poculum  di  bronzo,  di  tipo  sacro  ed  etrusco, 
che  dice  cn.  q.  et.  med  diana;  e  l'altra  dianä  —  m.  livio  m.  f.  —  praitor  — 
dedit,  incisa  in  una  base  di  tufo.  La  illustrazione  di  queste  iscrizioni  sarä 
data  dal  riferente  in  separato  lavoro.  Dal  complesso  delle  scoperte  propone  di 
poter  finora  attribuirne  l'etä  al  sesto  o  tutt'al  piü  al  settimo  secolo  di  Roma. 
La  presenza  di  alcuni  oggetti  di  oro  e  lo  stato  degli  oggetti  in  genere  fanno 
tenere  che  questo  luogo  uon  sia  stato  frugato.  II  rinvenimento  di  un  turcasso 
di  bronzo  lungo  m.  0,35,  e  di  un  dito  di  bronzo  di  naturale  grandezza,  lasciano 
sperare  che  si  rinvenga  una  statua  al  vero  della  Dea  nemorense. 

Helbig  :  aggiunge  alcune  osservazioni  sopra  le  antichitä  scoperte  sotto 
Nemi,  e  specialmente  sopra  i  tridenti  di  bronzo.  Mostra  i  disegni  di  alcune 
antefisse  fittili  ceretane,  che  in  cima  hanno  impiantato  un  simile  tridente.  Dal- 
l'altro  canto  credette  di  poter  ricordarsi  d'un  passo  di  Libanio,  secondo  il 
quäle  tridenti  dorati  erano  infissi  nelle  akroteria  d'un  palazzo  di  Erode  At- 
tico,  per  impedire  che  gli  uccelli  vi  si  ponessero  sopra  e  sporcassero  l'edificio. 
Secondo  tali  analogie  sembra  che  i  tridenti  nemorensi  abbiano  servito  al 
medesimo  scopo. 

Ostini  :  presenta  due  oggetti  antichi,  dell'uso  domestico,  rinvenuti  fuori 
di  Porta  Pia:  1°  un  coperchio  di  bronzo,  forse  d'un  calamaio,  piu  probabil- 
niente  di  lampada,  il  quäle  ha  cio  di  notevole,  che  nella  parte  inferiore  eravi 
un  piccolo  congegno,  con  stanghetta  scorrevole,  destinato  a  impedire  ch'esso 
cadesse  fuori  dall'orificio  cui  era  destinato  a  chiudere,  particolare  questo 
finora  non  stato  trovato  applicato  in  altri  esemplari.  2"  Un  manichetto  d'osso, 
di  coltello  da  tasca  coi  seguenti  graffiti:  da  una  parte  la  parola  Ludo,  una 
testa  di  cavallo  e  una  palma ;  dall'altra  il  nome  proprio  Futrepes,  una  frusta 
e  il  noto  berretto  o  ehnetto  degli  aurighi  circensi. 

Helbig  :  propone  un  frammento  di  lastra  di  bronzo  trovato  nel  Tevere 
(lungo  —  in  quanto  e  conservato  —  0,20;  largo  0,08.5),  il  quäle  secondo  i  buchi, 
ond'e  munito  lungo  gli  orli ,  sembra  aver  incrostato  qualche  oggetto  sia  di 
legno,  sia  di  cuoio.  E  ornato  con  una  decorazione  graffita,  lungo  gli  orli  cioe 
con  un  motivo  di  palmetta  e  nello  spazio  che  si  trova  tra  questi  motivi  con 
due  rappresentanze  figurative  simili  tra  loro  e  separate  da  un  motivo  a  strisce. 
Ambedue  le  rappresentanze  mostrano  due  efebi  ignudi  nell'atto  di  discorrere 
tra  loro.  Nella  rappresentanza  inferiore,  ch'e  meglio  conservata,  l'uno  degli  efebi 
tiene  con  la  d.  abbassata  una  tenia.  Lo  stile  arcaico  ricorda  quello  delle  piii 
antiche  pitture  vascolari  etrusche. 

Sitzimg  am  Uten  März:  De  Rossi:  Fresko  des  Sodoma  in 
Monte  Oliveto  Maggiore  bei  Siena,  mit  Darstellung  des  römischen 
Formn.  —  Pigorini  und  Helbig  :  über  die  in  Italien  gefundenen 
vorrömischen  Rasiermesser  (Helbig  s.  Mitth.  unten). 


150  SITZUNGSPROTOCOLLE 

De  ßosSI :  presenta  la  copia,  grande  al  vero,  di  un  affresco  del  Sodo- 
ma nel  chiostro  di  Monte  Oliveto  Maggiore,  provincia  di  Siena.  Dimostra 
che  rappresenta  una  prospettiva  del  Foro  romano,  faiitastioa  nella  parte  an- 
teriore, ove  e  l'arco  di  Settiraio  Severo  sgombrato  dalle  costruzioni  del  medio 
evo,  che  in  quel  tempo  gli  erano  addossate ;  ritratta  dal  vero  nello  sfondo  com- 
prendente  il  tratto  che  dal  tempio  di  Antonino  e  Faustina  si  ästende  alla 
chiesa  di  s.  Maria  Nova,  ed  aH'arco  di  Tito  e  torre  cartularia.  Ne  dichiara 
soramariamente  il  valore,  essendo  l'affresco  dei  primi  anni  del  secolo  XVI,  cer- 
tamente  anteriore  alle  grandi  demolizioni  fatte  per  la  venuta  di  Carlo  V  nel- 
l'anno  1543.  Depo  il  quäle  anno  furono  delineate  le  prime  prospettive  del  Foro 
fino  ad  ora  conosciute ;  cioe  quella  di  Antonio  Dosi  pubblicata  dal  De  Cava- 
leriis  uell'anno  1569,  e  quella  del  Du  Perac,  pubblicata  nel  1575.  Accenna 
inoltre  con  le  notizie  precise  della  vita  del  Bazzi,  appellato  il  Sodonia,  accu- 
ratamente  raccolte  e  discusse  dal  p.  Bruzza  di  oh.  niem.  e  dal  Milanesi,  che 
queir affresco  fu  da  lui  eseguito  prima  della  sua  venuta  a  Roma  sotto  Giulio  II; 
e  che  perciu  dee  essere  stato  fatto,  avendo  dinanzi  agli  occhi  prospettive  dei 
monumenti  della  cittä  eterna,  che  correvano  per  l'Italia  alla  fine  del  secolo  XV 
e  negli  inizi  del  XVI.  AI  quäl  uopo  cita  il  raro  libro  della  fine  del  secolo  XV 
intitolato :  «  Antiquarie  prospettiche  Romane  »  ristampato  ed  illustrato  dal  eh. 
prof.  Govi ;  ed  altri  documenti. 

PiGORINI :  parla  sui  creduti  rasoi  preromani.  di  bronzo,  dell'Italia,  pre- 
sentandone  la  serie  posseduta  dal  Museo  preistorico  di  Roma.  Ve  ne  hanno  a 
due  tagli  e  ad  un  taglio  solo.  I  primi  escono  da  strati  archeologici  deH'etä  del 
bronzo,  gli  altri'da  strati  della  prima  etä  del  ferro.  Unica  eccezione  si  e  la  ne- 
cropoli  di  Vadena  (Tirolo),  in  cui,  sebbene  sia  della  seconda  etä,  ne  apparvero 
dell'uno  e  dell'altro  tipo.  —  I  piü  antichi  di  tali  strumenti  scoperti  nell'Italia 
provengono  dalle  stazioni  con  palafitte  della  valle  del  Po  ,  quali  quelle  del 
lago  di  Garda  e  le  terremare  deirEmilia.  Mancano  a  sud  delFApennino,  non 
che  ad  Oriente  e  ad  occidente  del  Veronese.  Esistono  simili  invece  nell'  Un- 
gheria,  nelFAustria,  nella  Boemia,  nella  Baviera,  nel  Würtemberg,  nella  Sviz- 
zera  e  nella  Francia,  cui  devonsi  aggiungere  le  isole  Britanniche.  Quelli  ita- 
liani  stringonsi  di  preferenza  agli  ungheresi ,  ed  e  certo  che  si  fabbricarono 
sia  neirUngheria,  sia  nella  valle  del  Po,  poiche  nelle  due  contrade  si  riuven- 
nero  le  forme  per  fonderli.  Lo  studio  comparativo  di  tali  strumenti  awalora, 
secondo  il  rif.,  l'opinione  da  lui  espressa ,  che  le  gcuti  cui  spettano,  vissute 
neiritalia  superiore  sulle  palafitte  durante  l'etä  del  bronzo,  appartenevano  ad 
una  immigrazione  veniita  nell'  Europa  centrale  dalla  valle  del  Danubio.  — 
I  supposti  rasoi  italiani  ad  un  solo  taglio  derivano  da  quelli  menzionati  supe- 
riormente,  e  si  trovano  in  necropoli  e  ripostigli  non  dell'etä  del  bronzo,  ma 
bensi  della  prima  etä  del  ferro.  Appariscono  nella  penisola  piü  diffusi  dei  pre- 
cedenti.  Sono  pur  comuni  negli  altri  paesi  dell'Europa  centrale,  ma  al  di  qua 
e  al  di  lä  delle  Alpi  non  mostrano  gli  stessi  caratteri,  e  attestano  speciale  e 
locale  sviluppo.  Quanto  all'Italia,  se  ne  conoscono  delFEmilia.  delFEtruria,  del- 
rUmbria,  del  Piceno  e  di  Roma  stessa.  Neil'  Oltrepo ,  ove  si  eccettui  il  caso 
notato  di  Vadena,  compariscono  rarissime  volte  nelle  necropoli  atestine  della 
prima  etä  del  ferro,  e  non  s'incontrano  mai  nei  sepolcreti  contemporanei,  sia 
del  grup])o  illirico  (Trie.stino  ,  Istria ,  Carinzia',  Stiria)  sia  del  gruppo  ligure 


SITZUNGSPROTOCOLLE  151 

(Comasco,  Milanese,  Novarese).  Inferiormente  poi  al  Piceuo  e  aH'Etruria  ma- 
rittima  non  si  ha  notizia  certa  che  alcuno  se  nc  sia  rinvenuto,  non  potendosi 
prestare  iiitera  fede  a  quello  dell'Apulia  citato  dal  Garrucci.  Per  cio  che  con- 
cerne  le  provincie  meridionali  perij ,  il  rif.  chiama  Tattenzione  degli  adunati 
SU  taluni  simboli  del  supposto  rasoio  ,  raccolti  a  Suessula  e  ad  Alfudena  in 
necropoli  del  finire  della  prima  etä  del  ferro.  Secondo  il  riferente  si  deve  am- 
mettere,  in  quanto  risguarda  l'Italia,  che  il  descritto  strumento  nacque  nell'Emi- 
lia  al  principio  della  prima  etä  del  ferro,  si  diffuse  verso  il  sud  cogF  Italici 
usciti  dal  popolo  delle  palafitte,  e  scomparve  piü  tardi  nel  Sannio  e  nella  Campa- 
nia,  ove  se  ne  ha  soltanto  il  ricordo  in  un  oggetto  puramente  simholico  e  rituale. 

Sitzimsf  am  18ten  März:  Gamurrini:  zwei  bei  Civita  Castel- 
lana  gefundene  rothtigiirige  Schalen  italisciier  Fabrik  mit  identischer 
Darstellung  imd  der  ebenfalls  identischen  faliskischen  Inschrift: 
foied  .  vinu  .  jnpafo  .  kra  .  karefo  (s.  Mittheilungen,  unten ).  — 
LiGNANA  (s.  Mittheilungen,  unten)  und  Helbig  :  Bemerkungen  über 
diese  Schalen.  —  Gamurrini  und  Lignana  :  eingekratzte  faliskische 
Inschriften  auf  Sepulcralziegeln  von  Corchiano;  —  Gamurrini:  Tel- 
ler aus  rothem  Thon,  gefunden  in  einem  Grabe  des  3.  Jahrh.  vor  Chr. 
bei  Civita  Castellana ;  in  denselben  ist  eingekratzt  ein  mit  Beinen 
versehener  nach  1.  laufender  Phallus  und  die  altlateinische  Inschrift 
tidori  bonu  es  (s.  Mittheilung,  unten). 

Helbig  :  La  rappresentanza  dipinta  sulle  due  tazze  —  Bacco  che  abbrac- 
cia  una  Baccante  posta  davanti  a  lui,  iuchinando  la  testa  verso  il  volto  di 
essa  —  si  riferisce  al  medesimo  originale  del  gruppo  graffito  sul  celebre  specchio 
di  Bacco  e  Seniele. 

Sitzung  am  Iten  April :  Le  Blant  :  christlicher  Sarkophag  in 
Kern.  —  Lignana  :  faliskische  Inschriften  (s.  Mittheilungen,  unten). — 
Gamurrini:  faliskische  Inschriften  (s.  Mittheilungen,  unten).  — 
Bormann:  über  die  etruskischen  Zwölfstädte,  anknüpfend  an  ein 
Relief  im  Lateran  (s.  Mitth. ,  unten).  —  Hirschfeld  :  über  eine 
vielleicht  auf  den  Vater  des  älteren  Plinius  bezügliche  Inschrift. 

Le  Blant  :  Je  mettrai  sous  les  yeux  de  la  Compagnie  la  Photographie 
malheureusement  tres  imparfaite  d'un  sarcophage  chretien  inedit  que  j'ai  vu 
ä  Eome  chez  un  marbrier  de  la  rue  Margutta  et  qui  me  parait  digne  d'atten 
tion.  Trois  sujets,  se'pares  par  des  strigiles,  en  occupent  la  face.  Au  milieu  est 
la  figure  si  fre'quente  d'une  femme  en  priere,  les  bras  en  croix,  et  debout  entro 
deux  arbres,  sur  chacun  des  quels  est  une  colombe.  A  droite,  le  Bon  Pasteur 
portant  la  brebis  sur  ses  epaules ;  une  autre,  ä  ses  pieds  leve  la  tete  vers  lui.  Le 
sujet  du  compartiment  de  gauche,  le  plus  interessant  de  tous,  est  par  malheur 
fort  mutile.  Le  sarcophage  ayant  servi  de  vasque  äune  fontaine,  on  a  pratique, 
dans  ce  point  meme,  une  large  rigole  perpendiculaire  pour  Tecoulement  du 
trop  pleia  des  eaux.  La  figure  qui  occupe  cette  place,  a  'dte  coupöe  ainsi  par 


152  SITZUNGSPROTOCOLLE 

le  milieu,  dans  toute  sa  hauteur.  Ce  qui  en  reste  permet  toutefois,  d'y  reconnaüre 
un  pasteur  debout,  ä  tunique  courte  serre'e  par  une  ceinture ;  il  leve  sa  main 
gauche  sur  une  corbeille  contenant  des  objets  ronds  qui  semblent  des  pains; 
de  la  main  droite,  il  tient  une  baguette  et  en  touche  un  petit  sarcophage  pose 
ä  terre.  Ainsi  est  repre'sente  le  Christ  lorsqu'il  multiplie  les  pains  et  ressuscite 
le  fils  de  la  veuve.  S'il  s'agit  bien  de  ces  deux  miracles,  nous  les  verrions  des 
lors  ici  accomplis  par  Je'sus  sous  la  forme  d'un  Pasteur.  Le  fait  n'aurait  rien 
d'inattendu  pour  nous,  car  un  sarcophage  de  Velletri  nous  montre  precisement 
le  Pasteur,  c'est-ä-dire  Je'sus-Christ  multipliant  les  pains.  J'ajoute  que  l'iden- 
tification  du  Christ  et  du  Pasteur  se  peut  tirer  d'un  vieux  texte  chretien,  le 
re'cit  d'une  vision  d'Hermas.  Le  fidele,  qui  vient  de  prier,  se  repose  sur  son 
lit,  ses  pensöes  se  reportent  vers  le  doux  Maitre.  Devant  lui  apparait  un  per- 
sonnage vene'rable,  en  habit  de  berger,  portant  la  besace  et  le  bäton,  tel  enfin 
que  nous  le  montre  si  souvent  l'antique  iniagerie  chretienne.  II  entretient 
Hermas  des  choses  de  la  foi,  et  pendant  qu'il  parle,  sa  figure  se  transforme 
tout  d'un  coup ;  un  etre  divin  est  devant  Hermas,  un  guide  Celeste,  peut-etre 
le  fils  de  Dieu  lui-meme  {Mandata,  Proemium).  Sur  la  face  laterale  de  droite 
se  de'tachent  huit  brebis,  eparses  dans  un  champ  et  sans  gardien.  A  gauche, 
est  sculpte  un  sujet  frequent  sur  les  tonibes  de  la  Gaule,  mais  rare  en  d'autres 
contrees,  le  bapteme  du  Christ.  Le  Seigneur,  figure  d'une  taille  enfantine,  est 
nu,  debout  dans  le  Jourdain,  d'oii  e'merge  un  roseau;  ä  cötd  du  Christest  Saint 
Jean,  tenant  de  la  main  gauche  un  voIumen.  Je  n'ai  pu  savoir  exactement  d'oü 
est  sorti  ce  sarcophage ;  il  vient,  m'a-t-on-dit,  d'etre  achetd  par  Monseigneur 
De  Waal,  pour  le  musee  chretien  du  Campo  Santo  dei  Tedeschi. 

Hirschfeld  :  L'  iscrizione  di  Bulgaria  pubblicata  Archaeol.  epigr. 
Mittheil,  aus  Oesterreich  X,  204  fu  posta  avanti  l'anno  6  d.  C,  nel  quäle  la 
legione  XX  ricevette  i  cognomi  Valeria  Victrix.  L'indicazione  della  patria, 
domo  Trumplia,  dimostra  che  giä  ai  tempi  di  Cesare  Augusto  esisteva  un 
comune  dei  Trumplini,  probabilmente  di  diritto  latino.  Non  e  impossibile  che 
il  qui  nominato  liberto  (Plinio)  Secundo  sia  il  padre  dell'autore  della  Storia 
naturale.  Potrebbe  far  difficoltä  soltanto  il  modo  sprezzante  nel  quäle  Plinio 
nella  sua  opera  parla  dei  liberti.  In  ultimo  il  rif.  parla  della  carriera  di  Plinio 
seniore,  opponendosi  al  tentativo  dei  Mommsen  di  mettere  in  relazione  con 
esso  un'iscrizione  di  Arados  {Hermes  XIX  ]).  644). 

Festsitzung  am  15ten  April  zum  Gedächtniss  der  Gründung 
Roms  :  Strzygowski  :  Ueber  die  Barberini'sche  Copie  des  Calenda- 
riums  des  Chronogi'aplien  vom  Jahre  854.  —  Gamurrini:  Ueber  eine 
bei  Civita  Castellana  gefundene  rothfigurige  Amphora  italischer 
Fabrik  mit  lateinischen  Inschriften  (s.  Mitth.,  unten).  —  Mau:  Das 
erste  Jahresheft  der  vom  Institut  herausgegebenen  Antiken  Denk- 
mäler. —  Barnabei:  An  der  Via  Ostiensis  gefundene  Inschrift 
(s.  Mitth.,  unten).  —  Helbig  :  Ueber  die  Siculer  (s.  Mitth.,  unten). 


SCAVI  DI  CORNETO 


Gli  scavi  iiitrapresi  dal  Municipio  di   Corneto-Tarquinia  qii8- 
st'anno  furono  incominciati   soltanto  il  12  febbraio,  e  dieci  giorni 
avevano  luogo  vicino  a  S.  Spirito,  per  scoprire  gli  avanzi  deU'aiitica 
chiesa  di  S.  Nicolö  ivi  situata  ;  impresa  che  non  ha  da  fare  cogli 
scopi,  a  cui  mira  il  nostro  BuUettino.  II  22  febbraio  furono  ripresi 
gli  scavi  nalla  necropoli  tarqiiiniese,  incominciaiido  vicino  alle  Arca- 
telle  sotto  la  tomba  dol  citaredo  (')  e  prosegiiendo  in  basso  verso 
la  strada    comunale.  I   sepolcri   ivi   scoperti    erano    generalmente 
tombe  a  fossa  (^).  Ma  frammiste  ad  esse  furono  trovate  anche  al- 
cune  tombe  a  corridoio  (-O-  Essendo  cosi,  quella  parte  della  necro- 
poli appartiene    all'epoca.  nalla    quäle    predominava  ancora  il  co- 
s turne  di  deporre  i  morti  in  tombe  a  fossa,  ma  giä  cominciava  a 
propagarsi  il  tipo  della  tomba  a  corridoio.  Che  le  tombe  a   fossa 
e  quelle  a  corridoio    recentemente    scavate    siano    contemporanee, 
chiaramente  risulta  dalla  stretta  parentela  che  si  osserva  tra  i  ma- 
nufatti  conteijuti  neue  tombe  delle  due  specie.  Del    resto    le   re- 
centi  scoperte  non  ci  somministrano   fatti   nuovi,    ma    confermano 
ciö  che  si  cra  verificato  finora. 

La  prima  tomba  scoperta  (22  fe])braio)  in  qucgli  scavi  era 
una  tomba  a  corridoio  situata  pochi  metri  sotto  il  sepolcro  dctto 
del  citaredo.  L'entrata  guarda  il  mezzogiorno.  Lo  scheletro  trovato 
in  questa  tomba  era  accompagnato  da  un  paio  delle  note  spirali 
di  bronzo,  coperte  di  lastra  d'oro  (a  4  giri,  alte  0,01 ;  diam.  0,025), 
le  quali  come  al  solito  si  rinvennero  ai  due  lati  del  cranio.  Oltre 
a  ciö  questa  tomba  conteneva  una  tazza  di  bucchero  nero,  che  sembra 
lavorata  col  tornio  ed  una  lekythos  grcca  (forma:  Ämi.  dcU'TiisL  1877 

(1)  Mon.  deWIiist.  VI,  VII  tav.  79,  Ann.  1863  tav.  d'agg.  M  p.  336  ss. 

(2)  Cf.  Ann.  delVlnst.  1884  p.  113-116,  Bull.   1885  p.  115  ss. 
(;')  Cf.  Bull,  dcirinst.  1885  p.  115. 

10 


154  SCAVI    DI    CORNETO 

tav.  d'agg.  A  B  15)  decorata  con  zone  brune.  La  tazza  e  mimita 
di  manico  verticale;  il  recipiente  mostra  una  decorazione  di  pal- 
mette  eseguite  a  piintini. 

A  settentrione  di  questa  tomba  a  corridoio  ed  alla  distauza 
di  6  metri  da  essa  fii  trovata  (23  febbraio)  una  toinba  a  fos?a 
coperta  con  lastre.  Lo  scheletro  aveva  ai  due  lati  del  cranio  una 
Spirale  di  bronzo  (a  tre  giri,  alta  0,01 ;  diam.  0,028)  ed  attorno 
agli  avambracei  iin  grosso  braccialetto  di  bronzo  (diametro  in- 
terne:  0,07),  ambedne  a  due  giri,  scannellati,  ed  in  ogni  estre- 
mitä  miiniti  d'una  pallina.  Sopra  l'uno  dei  braccialetti  e  infilato 
un  paio  d'anelli  di  bronzo.  Attorno  al  torace  erano  sparse  quattro 
fibule,  due  a  navicella  con  ornati  lineari  incisi,  una  a  sanguisuga, 
una  quarta  di  tipo  simile,  ma  con  un  gonfiore  puntuto  in  ogni 
lato  dell'arco  (^).  Delle  stoviglie  trovate  nella  medesima  tomba 
due  sono  lavorate  a  mano,  cioe  una  piccola  tazza  con  manico  ver- 
ticale, che  rassomiglia  ad  esemplari  provenienti  da  tombe  a  pozzo  {-), 
ed  un  guttits  rozzamente  formato  in  argilla  grezza  rossa.  Oltre  a 
ciö  vi  erano  tre  orcii  coUa  bocca  in  forma  di  foglia  d'ellera  ed 
un  katitharos  di  bucchero  nero;  tutti  e  quattro  questi  vasi  lavo- 
rati  col  tornio.  Di  vasi  greci  notai  tre  delle  note  lekythol  (forma : 
Ami.  delVImt.  1877  tav.  d'agg.  CD  2),  con  zone  nero-brunastre, 
ed  un  orcio  con  bocca  tonda,  il  quäle  ha  attorno  al  recipiente  zone 
brune  distinte  con  ornati  graffiti  a  squame. 

Faceva  seguito,  alla  distanza  di  20  m.  (a  mezzogiorno),  una 
tomba  a  fossa  munita  con  lastre  (scoperta  il  22  febbraio)  antica- 
mente  rovistata.  Essa  couteneva  i  seguenti  oggetti: 

1)  una  colossale  punta  di  laucia  in  ferro,  lunga  0,48  com- 
preso  il  nooxrjg  (3)  che  consiste  d'uua  spirale  di  bronzo;  ha  la 
forma  di  foglia;  ne  manca  la  punta. 

2)  una  coppa  liscia  di  bronzo,  simile  agli  esemplari  rac- 
colti  negli  Ann.  1884  p.  121  not.  9. 

3)  uno  scarabeo  di  pastiglia  Celeste  con  due  quadrupedi 
incisi  siillo  scudo. 

('j  Cf.  p.  e.  Tesemplare  Jfon.  deWInst.  XI  tav.  LX  11  (da  una  tomba 
a  pozzo). 

{-)  Ho  raccolto  parecchi  esemplari  di  questo  tipo  provenienti  da  tombe 
tarquiniesi  a  pozzo  ed  a  fossa  negli  Ann.  1884  p.  118-119  not.  4  n.  2. 

(3)  Cf.  Heibig  das  homerische  Epos  2  ed.  p.  340. 


sc  AVI    DI    CORNETO  155 

Di  stoviglie  locali  si  trovö: 

4)  una  tazza  con  manico  verticale,  lavorata  a  mano,  simile 
alla  ceramica  dalle  tomba  a  pozzo  ('). 

Stoviglie  greche: 

5)  Lekythos  (forma:  A/in.  1877  Tav.  d'agg.  CD  2)  con 
ijiiati'O  quadrupedi  correnti  dipinti  col  pennello  largo. 

G)  Lekythos  simile,  ma  coUa  base  plana;  e  dipinta  con  zone 
brune  e  rosse  e  tre  quadmpedi  correnti. 

7)  Alabastron  (forma:  Ami.  1862  Tav.  d'agg.  A)  con  zone 
nere  e  rosse. 

8)  Lekythos  (forma:  Ajm.  1877  Tav.  CD  2).  Un  griffone 
ed  una  sflnge  alata  sono  raggriippati  attorno  ad  una  rosetta.  Lo 
Stile  e  simile  a  quello  deH'orcio  pubblicato  nei  nostri  Momcmenli 
Villi  Tav.  V  n.  2. 

9)  Lekythos  (forma:  Ann.  1877  Tav.  CD  2).  Due  sfingi 
raggruppate  attorno  ad  una  rosetta.  Lo  stile  si  ravvicina  al  co- 
rinzio. 

10,  11)  Due  alabastri  corinzii  (forma  come  n.  7),  l'uno 
con  quattro  oche,  l'altro  con  un  gallo  ed  una  rosetta. 

12,  13)  Due  piattini  umbilicati  dipinti  nell'interno  con 
zone  rosse. 

14)  Piatto  che  ha  neH'interno  cinque  oche  dipinte  trascu- 
ratamente  col  pennello  largo. 

15)  Saliera  dipinta  con  buona  vernice  nera. 

Alla  distanza  di  8  metri  verso  tramontana  fu  scoperta  (28  feb- 
braio)  un'altra  tomba  a  fossa,  contenente  una  cassa  di  nenfro.  Siccome 
il  coperchio  della  cassa  era  rotto,  cosi  si  vede  che  questa  tomba  giä 
anticamenfce  era  stata  visitata.  Entro  il  recipiente  della  cassa  si  ri- 
trovarono,  oltre  le  ossa  d'un  cadavere  incombusto,  i  segiienti  oggetti: 
1-5)  Cinque  braccialetti  lisci  di  bronzo,  a  due  giri;  sopra 
due  esemplari  e  inserita  una  fibula  del  tipo  detto  a  sanguisuga 
con  una  sporgenza  puntuta  in  ogni  lato  dell'arco  (-). 

6)  Una  fibula  simile. 

7-9)  Tre  piccole  fibule  ad  arco  semplice. 

10-12)  Tre  tubetti,  luughi  0,11,  gonfi  nel   mezzo,   formati 

(^)  Ha  il  tipo  ricordato  sopra  pag.  151  not.  2. 
(')   V.  soi)ra  pag.  151  not.  1. 


156  SCAVI    DI    CORNETO 

da  im  filo  ritorto  cli  bronzo,  simili  aH'esemplare  pubblicato  nelle 
Notiüe  clecjli  scavi  1882  tav.  XII  9. 

13)  Uno  strano  pendaglio  di  bronzo,  lungo  0,005  ;  la  parte 
centrale  gonfia  e  forata  da  buchi  bishmglii. 

14)  Tre  pezzi  di  catenelle  formate  di  filo  di  bronzo. 

A  mezzogiorno  di  qiiesta  tomba  ed  alla  distanza  di  24  metri 
da  essa  fii  scoperto  (4  marzo)  iin  sepolcro  a  corridoio  (lungo  me- 
tri 1,97,  largo  1,83;  massima  altezza  1,80),  giä  anticamente  vi- 
sitato.  Esso  conteneva  ima  pimta  di  lancia  in  forma  di  foglia,  lavorata 
in  ferro,  e  cinqiie  lekyihoi  (forma:  Ann.  1877  Tav.  d'agg.  CD  2), 
cioe  due  con  zone  rosso-brunastre  e  puntini,  una  con  zone  nere  e 
rosse  e  tre  neri  qnadrupedi  correnti,  e  due  corinzie  che  si  distin- 
guono  per  la  loro  grandezza.  L'una,  alta  0,15,  e  decorata  con  un 
cigno  che  ha  le  ali  di&tese  e  con  rosette;  Taltra,  alta  0,18,  mo- 
stra  una  sfinge  alata,  munita  con  alto  kalathos^  un  cigno  e  rosette. 

Alla  distanza  di  ot;;o  metri  verso  tramontana  si  rinvenne 
(4  marzo)  una  tomba  a  fossa,  munita  con  lastre,  anticamente  vi- 
sitata.  Conteneva:  Un  braccialetto  liscio  di  bronzo,  a  due  giri; 
diam.  interno  0,04.  Un  anello  liscio  di  bronzo.  Un  orcio  d'argilla 
nera,  lavorato  a  mano,  egualmente  primitivo,  come  gli  esemplari 
provenienti  dalle  tombe  a  pozzo.  Due  caldaje  lavorate  col  tornio 
in  argilla  rossa;  il  piede  di  ambedue  gli  esemplari  porta  buchi 
triangulari.  Due  orcii,  alti  0,21  e  0,215,  con  bocca  in  forma  di 
foglia  d'ellera,  ambedue  con  zone  brunastre  attorno  il  recipiente 
ed  un  ornato  di  triangoli  sotto  il  collo. 

Sei  metri  a  mezzogiorno  da  questa  tomba  fu  scoperta  (7  marzo) 
una  tomba  a  fossa  che  conteneva  una  cassa  di  nenfro  intatta.  Lo 
scheletro  aveva  in  ogni  lato  del  cranio  una  delle  solite  spirali  di 
bronzo  (alte  0,04;  diam  0,04;  a  0  giri)  e  sotto  il  cranio  uno  spil- 
lone  di  bronzo,  circondato  con  anelli  d'osso,  lungo  —  in  quanto  e 
conservato  —  m.  0,185.  Attorno  al  torace:  14  vaghi  di  collana,  parte 
di  bianco  vetro  opaco,  parte  di  vetro  Celeste  con  anelli  gialli;  due 
fibule  ad  arco  semplice ;  4  a  sanguisuga ;  due  anelli  lisci  di  bronzo. 
La  vita  era  circondata  da  uno  dei  noti  cinturoni  di  bronzo  (massima 
altezza  0,12),  muniti  con  dieci  rialzi  circolari  a  sbalzo  (').  Accanto 

(1)  E  un  lipo  coiiuuic  alle  tombe  a  ]iuzzo  cd  a  fussa:  Ann.  1884  p.  121 
not.  5.  Di  simili  cinturoni  ultimamente  ha  trattato  in  nuinicra  circostanziaia 
il  eh.  Orsi,  mi  centuroni   italici   clella  1  etä  del  ferro,  parte  I  negli   Atli 


SCAVI    DI    CORNETO  157 

alla  mano  d.  im  orcio  rozzamente  lavorato  a  maiio,  decorato  con 
omati  liiieari  gtaftiti  (bocca  in  forma  di  foglia  d'ellera).  Accanto 
alla  s.  una  tazzetta  di  t»3ciiica  similo,  coq  manico  verticale  e  con 
im  Ox'nato  a  spago  attorno  aU'onficio  (').  Qiieste  duö  stoviglie  per 
niilla  diversificano  da  quelle  provenienti  dalle  tombe  a  pozzo. 

Facevano  seguito  diie  tombe  a  fossa,  coperte  di  lastre  ,  giä 
anticameute  visitate.  L'una  scoperta  TS  marzo  conteneva  quattro  vasi 
di  bucchoro,  cioe  im  orcio  colla  bocca  tonda,  una  tazza  bassa  con 
due  manichi  orizzontali,  iin'altra  piii  alta,  priva  di  manichi,  ed 
una  saliera;  oltre  a  ciö  due  delle  sollte  lekijthoi  dipinte  con  zone, 
un  alabastron  corinzio  decorato  con  una  testa  umana  e  con  ro- 
sette,  due  orcii  (bocca  in  forma  di  foglia  d'ellera),  l'uno  con  zone 
nere,  l'altro  con  zone  brime  distiute  di  squame  graffite,  finalmente 
una  saliera  di  fina  argilla  gjezza.  Nell'altra  scoperta  il  9  marzo 
fiirono  trovati  due  orcii  ed  una  coppa  di  bucchero,  due  lekijthoi 
con  zone,  una  con  zone  e  quadrupedi  correnti,  una  con  zone  brune 
distinte  di  squame  graffite,  ed  im  piatto  d' argilla  grezza  rossastra, 
lavorato  a  mano. 

In  un  saggio  finalmente  fatto  a  mezzodi  ed  alla  distanza  di 
pressoclie  300  metri  dalle  Arcatelle,  fu  scoperta  il  15  marzo  una 
tomba  a  camera,  lunga  m.  6,  larga  4,  alta  1,95,  coll'entrata  di- 
retta  verso  settentrione.  La  volta  era  franata  ed  i  rottami  caduti 
in  giii  avevano  sconvolti  gli  oggetti  deposti  nella  camera.  Eccone 
la  lista: 

Oggetti  di  bronzo: 

1)  Specchio  tondo  (diam.  0,16)  con  coperchio  (diam,  0,145). 
I  rilievi  che  adornano  il  coperchio  rappresentano  una  composizione 
conosciuta  giä,  in  parecchi  esemplari  (2),  Neottolemo  cioe,  con  una 
palma  nella  s.,  inginocchiato  suH'altare,  ed  Oreste  che  si  slancia 
contro  di  lui,  mentre  dall'altra  parte  procede  una  Furia,  vibrando 
la  bipenne  contro  Neottolemo. 

2)  Specchio  tondo  (diam.  0,12)  con  coperchio  (diam.  0,10). 
I  rilievi  del  coperchio  sono  molto  danneggiati  dall'ossido.  Si  rico- 
nosce  perö,  che  vi  e  rappresentato  Bacco  di  faccia  in  piedi,  ignudo, 
salvo  il  mantello  ch'avvolge  le  gambe.  Una  giovane  ignuda,  veduta 

della    r.   deputazione   dl   storia  patria  per  le  prov.  di  Iloinagna  3.  scric, 
vol.  III,  fasc.  1-2,  Modena  1885. 

(')  V.  sopra  pag.  154  not.  2. 

(•-)  Cf.  Gerhard,  etruskische  Spiegel  I  t.  XXI  1. 


158  sc AVI    DI    CORNETO 

di  dietro,  che  si  trova  accanto   al  dio,  colla   s.  avvicina  la    testa 
di  esso  alla  sua.  Ai  piedi  di  Bacco  saltella  la  pantera. 

3)  Una  cista  cilindrica,  alta  —  senza  il  coperchio  —  in- 
circa  0,12,  simile  alle  note  prenestiue.  I  tre  piedi  hanno  la  forma 
di  zampe  di  lione.  Sopra  ogniina  delle  tre  zampe  e  posto  im  Amo- 
rino  che  sta  in  piedi,  incrociando  le  gambe ;  appoggia  la  d.  srl 
fiaaco  ed  alza  il  braccio  s.  avvolto  nalla  clamide.  II  coperchio  e 
ornato  con  palmette  incise.  Gli  serve  da  mauubrio  una  figurina 
di  donna  seduta,  la  quäle  per  le  proporzioni  alquanto  tozze  e 
per  lo  stile  ricorda  le  figure  poste  sopra  i  coperchi  di  urne  etrusche. 
La  donna  e  vestita  d'una  tuuica  cinta  ed  ornata  con  doppii  brac- 
cialetti,  il  mautello  le  cade  sopra  le  gambe. 

4)  Orciuolo,  alto  —  corapreso  il  mauico  —  0,165,  con  bocca 
in  forma  di  foglia  d'ellera,  11  recipiente  ha  la  forma  d'una  testa 
di  donna  ehe  raostra  un'espressione  particolarmente  desiosa;  l3 
pupille  souo  incise;  gli  orecchini  hanno  la  forma  di  dischi. 

5)  Tlujmiaterion,  alto  0,41,  con  tre  piedi  in  forma  di  zampe 
di  lione  che  sporgono  da  teste  di  pantere. 

6-7)  Due  thijmiateria  in  forma  di  piattini,  simili  a  quelli 
che  nelVEtruria  interna  spesso  si  trovano  muuiti  coH'iscrizione 
sutiiia. 

8)   Guttiis,  alto  0,13,  con  manico  barocco  in  forma  di  fogliamj. 

9-11)  Tre  tazze  liscie,  prive  di  manichi. 

12-14)  Tre  sgomarelli  lisci. 

15)  I  frammenti  di  una  strigile. 

16)  ün  manichetto  che  sembra  avere  ap])artenuto  ad  un  Ital- 
samario. 

Stoviglie: 

17)  Orcio  campano  o  etrusco-campano  colla  bocca  snella  o 
stretta.  alto  0,20.  Serve  da  manico  una  figura  umana  che  sorreggc 
con  ambedue  le  mani  la  t:mica  accanto  ai  femori;  i  piedi  sono 
appoggiati  sopra  una  maschera  femiuile  di  fronte. 

18,  19)  Due  tazze  campan<i  o  etrusco-campane  con  mani- 
chi orizzontali ;  nel  centro  di  am))edue  e  impressa  una  palmetta. 
Vi  s'aggiungono  varie  altre  stoviglie,  che  palesano  una  tec- 
nica  simile  a  quella  dei  n.  17-19,  ma  la  cui  vernice  nera  e  meno 
fina.  Oltre  a  ciö  notai  un  orcio  tozzo,  dipinto  con  vernice  rosso- 
brunastra,  cd  i;n  unguentario  snello  d'argilla  grezza  gialli. 

AV.  Hef.rig. 


TESTA  DI  HELIOS. 

Dlscorso  letto  neW  adimama  del  1  Aprile  1887 
dal  sig.  P.  Hartwig. 

(Tav.  VII  e  VII'') 


La  testa  di  marmo  pario.  pubblicata  siüle  tavole  VII  e  VIl^", 
venne  scavata  nel  1857  in  Trianta  presso  Rodi  siiH'isola  dello  stesso 
nome,  e  aeqiüstata  dal  signor  generale  E.  Hang  a  Roma,  che  era 
allora  console  americano  colä.  II  signor  generale  ne  fece  fare,  er 
sono  alcuni  anni,  una  copia  in  gesso,  di  cni  si  trovano  esemplari, 
per  quanto  io  so,  nei  miisei  di  Vienna  e  di  Londra.  Nondimeno  la 
testa,  che  ne  e  in  sommo  grado  degna,  non  e  stata  pubblicata  finora  in 
verun  periodico  scientifico;  e  ringrazio  perciö  il  signor  generale,  ehe 
gentilmente  me  ne  diede  il  peimesso. 

La  testa  ha  circa  la  metä  della  grandezza  naturale.  La  lun- 
ghezza  del  viso,  dal  sommo  della  fronte  fino  al  mento,  importa 
metri  0,10,  la  maggior  larghezza  alle  tempie  0,07,  la  periferia  del 
cranio  0,355.  Mancano  la  punta  del  naso,  un  pezzo  del  lato  destro 
del  labbro  inferiore  e  del  mento,  ed  un  pezzo  dell'orecchia  sini- 
stra.  Nulla  e  ristam-ato.  Quanto  concerne  il  carattere  del  lavoro, 
e  essenziale  questo  che  in  parte  la  testa  non  e  che  abbozzata  (tutta 
la  parte  posteriore,  il  sommo  della  fronte,  le  orecchie),  mentre 
carte  linee  caratteristiche  sono  marcate  molto  decisamente.  II  tutto 
e  fatto  colla  vivacitä  della  scultura  greca.  Purtroppo,  a  quanto 
pare,  la  superficie  ha  perduto  molto  della  sua  freschezza  originaria. 

La  forma  del  cranio  e  stretta  e  lunga  piuttosto  che  larga.  I 
capelli  sono  corti,  scendono  in  anelli  dalla  fronte  e  dalle  tempie, 
si  diiidono  poscia  in  singoli  ricci  sul  cranio,  e  vanno  giii  suUa 
nuca.  La  fronte  e  in  forma  triangolare.  Essendo  la  parte  superiore 
delle  occhiaje  molto  sviluppata,  in  modo  da  formare  protuberanze, 
la  fronte  ne  riesce    divisa  in  due.  AI   massimo  sporgenti  sono    le 


160  TESTA    DI    HELIOS 

protuberanze  prossime  alla  radice  del  naso.  Alle  tempie  si  scorge  im 
restriugimeuto  spiccato.  Gli  ocelii  giiardano  airinsü  verso  siuistra. 
Non  sono  molto  grandi,  ne  aperti  in  modo  particolare.  La  palpe- 
bra  inferiore  h    un  po'  alzata.  L'  occhio    stesso  e  posto    profonda- 
mente  sotto  le  eiglia,  il  cid  orlo  e    disegnato  in  modo  molto   ca- 
ratteristico.  Salendo  A^erso  la  radice  del  naso,  improvvisamente  li- 
discende.  Yerso  la  parte  esteriore  il   mnscolo    che  copre  la   parte 
superiore  delle  occhiaje  e  di  nuovo  ingrossato,  ma  uon    pende  al- 
l'ingiii.  II  naso,  a  quanto  pare,  mos'ra  presso  alla  fronte  una  leg- 
glera    incavatura.  II    dorso  del  naso,    specialmeute  in  mszzo    agU 
occhi,  cd  il  naso  stesso  sono  stretti.  La  bocca  e  molto  sporgellt^, 
piceola  e,  per  cosi  dire.  quadi-angolare.  Le  liuee  delle  guance  for- 
mano  un  ovale  delicato.  II  mento  e    sviluppato  modestamenta   ed 
im  po'  piano.  La  testa  e  volta  energicamente  all'  insu  verso  sini- 
stra,  dove,  come  dissi,  guardano  pure    gli  occhi.  Mentre  la    parte 
destra  del  coUo  e    forfcemente  tesa,  nella    sinistra  il  muscolo    dtd 
collo  sporge  di  molto.  Inüne  richiamo  l'attenzione  sui  satte  biichi. 
che  si  trovano  nella  testa,  tre  per    parte  ed  uno  nel  mezzo   della 
fjonte.  E  poco  probabile,  che  questi   fori  al)biano  servito  per   fe;- 
mare  una  coro*ia  od  uiia  tenia,  attesa  la  loro  grandezza  e  profon- 
ditä.  Ne  scorgesi   nella  capigliatura  im  ineavo,  dove  possa  essersi 
posata  la  Corona,    presso  a    poco  come  nella  testa  dell'  Ermete  di 
Prassitele.  Piuttosto  in  quei  fori  non  possono  essere  stati  che  dei 
raggl  di  metalh,  come  siamo  soliti  a  scorgere  siiUe  teste  di  an- 
tiche  divinitä  della  liice  e  specialmeute  su  quella  di  Helios.  Con- 
siderando  che  la  nostra  testa  proviene  da  quell'  isola,  la  quäle  dai 
tempi  piü  remoti  fu  una  delle  piü  iraportanti  sedi  del  culto   del 
die  del    sole,  e  possedeva  le  famose  statue  di  questa  divinitä,    si 
sarä  propensi  a  credere  che  in  fatto  abbiamo  innanzi  un  tipo  rodio 
del  dio  del  sole. 

Non  posso  pero  tralasciare  di  osservare  che  senza  il  segno  este- 
riore della  Corona  di  raggi  ditlicilmente  la  nostra  testina  si  sarebbe 
giudicata  di  Helios,  badaudo  solo  al  suo  tipo.  Con  occhi  vivaci  e 
aperti,  con  capegli  ondeggianti,  che  si  alzano  simili  ai  raggi,  la  nostra 
fantasia  si  rappresenta  il  tipo  del  dio  del  sole  ;  ed  i  monumenti 
fmora  conosciuti  sono  realmeute  adatti  a  confermare  quella  idea.  Qui 
incontriamo  invece  una  creazione  essenzialmente  diversa :  la  testa 
di  Uli  giovane  con  corti  capegli,  quali  sogliono  portare  cfebi  e  spe- 


TESTA    DI    HELIOS 


Kl] 


cialmeute  tigurc  atletiche;  intorno  alla  bocca  iiiia  traccia  di  forza 
giovanile  quasi  altiera;  il  diseguo  doi  lineameuti  sevcro  e  nol)ile, 
ma  senza  tensione,  senza  eccitazione  !  Forse  al  primo  momento  si 
potrebbe  trovare  im  altro  ostacolo  nella  troppo  grande  giovinezza 
del  tipo.  Le  figure  di  Helios,  che  siamo  abitiiati  a  vedere,  sam- 
brano  in  generale  di  un'etä  piii  matura.  Ma  dall'  ima  parte  e  im 
iaito  che  testa  molta  impiccolite  appaiono  sempre  piii  giovani,  che 
iion  siano  in  realtä;  e  dall'altra  parte,  se  si  osservano  la  fronte  e  le 
guance,  nulla  si  troverä  di  lineamenti  uon  ancora  formati.  Credo  aduu- 
que,  che  parteudo  dal  fatto  della  Corona  di  raggi,  dovremo,  fondan- 
doci  SU  questo  monumento,  liberare  da  preconcetti  la  nostra  ima- 
ginazione  del  tipo  di  Helios  di  un'epoca  dell'arte  greca,  che  subito 
avremo  a  stabilire :  cosa,  che  del  resto  spesso  accade  nella  nostra 
scienza  di  fronte  a  uuovi  mooumenti. 

Non  e  scricta  ancora  la  parte  della  mitologia  dell'  arte,  che 
dovrebbe  riferirsi  ad  Helios.  Serie  di  tipi,  quali  possediamo  di 
altre  diviuitä,  non  sono  state  ancora  presentate.  L'  esame  delle 
imagini  del  dio,  che  cercai  di  procurarmi,  mi  ha  couvinto  clie 
il  nostro  tipo  di  Helios  coi  capelli  corti  e  un  tipo  quasi  iso- 
lato.  Proveniente  dalla  stessa  isola  di  Rodi  ed  egualmente  pos- 
Eeduta  dal  generale  Haug  a  Roma,  e  ima  piccola  testina  di  terraeotta 
di  lavoro  mediocre ;  ma  come  tipo  di  Helios  rarissimo  in  terracotta 
ci  mostra,  come  mi  pare,  nelle  linee  del  viso  e  nella  direzione 
della  testa  una  certa  affinitä  col    nostro  marmo  (Fig.  1).  Oltre  di 


^  -  mit 


YVi.  1 


162  TESTA   DI   HELIOS 

cid.  trattandosi  di  un'  imagine  di  Helios  provenient«  da  Bx)di,  cer- 
cai  analogie  neue  monete  dellisola,  che  mostrano,  come  e  noto  a 
tutti  spessissimo  una  testa  di  Helios.  H  signor  dott.  Inihoof-Blu- 
mer  di  TVinterthnr  mi  aiutö  nel  modo  piü  cortese,  mettendo  a  mia 
disposizione  ima  serie  di  copie  in  zolfo.  Perö  snlle  monete  di  Eodi 
si  scoige  sempre  nn  tip<:».  ch'e  affatto  direrso  dal  nostro.  All'  in- 
contPD  una  moneta  deU"  isola  di  Megiste  presso  ßodi  riprodotta  per 
la  nostra  Fig.  2  (Gardner,  types  X  16)  ed  uno  statere  d'oro  di 
Lampsaco  riprodotto  Fig.  3  (cf.  Head.  Imtoria  man.  pag.  456 
Fig.  287),  che,  secondo  ü  gindizio  del  sig.  Blmner,  appartiene  alla 


Fig.  2  Fig.  3 

seconda  meta  del  quarto  secolo  aTanü  Cristo,  ci  mostrano  certe 
analogie  coUa  testa  di  BodL  Certo  io  non  sono  in  grado  di 
dimostrare,  come  sia  renuto  sulle  monete  di  Lampsaco  nn  tipo 
del  dio  del  sole  proprio  di  Eodi,  qualunqne  sia  1"  artista,  cui 
appartenga.  Gli  esempi  del  passaggio  di  tipi  di  statue  aUe  mo- 
nete sono,  come  e  noto,  numerosi,  ma  soltanto  in  pochissimi 
casi  Spiegati  completamente.  L"  affinita  della  testa  di  Helios . 
che  trovasi  snlle  monete  di  Lampsaco  e  di  Megiste,  si  estende 
p3rd  a  tutte  le  parti  essenziali.  Analoga  e  la  forma  del  cranio 
e  del  tIso.  L'  angolo,  che  la  linea  del  collo  forma  col  mento, 
permette  dinferire.  che.  come  la  testa  di  marmo.  anche  qnesta  do- 
vera  essere  rivolta  aUinsü.  Le  parti  del  viso,  e  specialmente  la 
boeca,  sono  piccole:  la  fronte  mostra  chiaramente  la  dirisione  in 
due  parti  tanto  caratteristica  per  la  nostra  testa  marmorea.  Se  i 
capegli  sulla  moneta  di  Lampsaco  sono  nn  po"  piü  limghi  e  se,  invece 
di  portale  la  corona  a  sette  denti,  la  testa  si  projetta  sulla  sfera 
del  sole  circondata  da  raggi,  la  quäle  megUo  riempie  il  rotondo 
deUa  moneta,  queste  söno  variazioni.  che  Don  hanno  troppo  peso  per 
stabiUre  una  differenza  essenziale  dei  tipi  in  questione.  Se  ci  at- 
itniamo  a  ciö.  che  le  monete  di  Lampsaco  e  di  Megiste  contengono 


TESTA    DI    HELIOS  163 

reminisceiize  del  tipo  di  Rodi,  otteniamo  per  la  nostra  testa  anzitutto 
dal  lato  storico  un  termine  ante  quem,  cioe  la  fine  del  quarto  secolo. 

Ho  giä  forse  troppo  indiigiato  a  prominciare  il  nome  di  im  ar- 
tista,  il  quäle,  secondo  la  tradizione  scritta,  e  stato  a  quell' epoca 
il  Creatore  d'un  ideale  iiuovo  di  Helios,  e  verameute  in  modo  spe- 
ciale di  uu  Helios  dei  Rodii :  Lisippo.  Alle  sue  opere  piii  cele- 
brate,  come  ci  narra  Plinio  XXXIV  63,  apparteneva  una  «  quadriga 
cum  Sole  Rhodiorum  r> ,  che  si  trovava,  a  quanto  pare,  sul  davanti 
del  tempio  di  Helios  in  Rodi,  e  piii  tardi,  probabilmente  sotto 
Nerone,  fu  trasportata  a  Roma.  Forse  solo  poche  olimpiadi,  dopoche 
Lisippo  ebbe  c^eato  il  suo  Helios,  Carete,  imo  degli  Scolari  di  lui, 
fece  nella  sua  isola  natale  il  colosso  del  dio  del  sole.  Per  mezzo 
di  lui  l'arte  di  Sicione  divenne  comuue  in  Rodi  e  nell'  epoca  se- 
guente  sorgeva  ad  una  nuova  e  fiorente  vita.  E  quasi  da  presup- 
porre,  che  in  quella  scuola  di  Rodi  1'  ideale  delF  antico  dio  patrlo 
siasi  ulteriormente  sviluppato.  Almeuo  Dione  Crisostomo  nei  suoi 
discorsi  di  Rodi  {Rhod.  I  570  R.)  ci  narra  che  al  suo  tempo  il 
dio  aveva  delle  statue  su  tutfca  l'isola.  Ma  chi  potrebbe  dire  quanto 
sia  passato  dall'ideale  di  Lisippo  nella  grande  opera  di  Carete,  e 
da  questo  nei  suoi  successori  ?  Una  cosa  perö  parmi  certa.  L'  arta 
di  Lisippo  e  ancora  pm-amente  ellenica,  sebbene  porti  in  se  i  germi 
di  quello  sviluppo,  ch3  sogliamo  chiamare  col  nome  universale  di 
arte  ellenistica.  In  quest'ultima  epoca  passo  passo  con  una  mag- 
giore  nervositä  proseie  l'aumeato  dai  mezzi  di  espressione,  il  quäle 
appuuto  gluuse  al  colmo  nella  scuola  di  Rodi :  si  pen&i  al  gmppo  di 
Laocoonte!  A  quella  scuola  appartiene  secondo  la  mia  opinione  1' ideale 
di  Helios  con  ricci  a  forma  di  raggi  e  con  un'  agitazione  quasi  da 
ammalato,  quäle  si  trova  per  esempio  su  mouete  posteriori  di  Rodi, 
e  che,  a  quanto  mi  sembra,  non  ha  poco  intiuito  suUe  imagiui 
romane  del  Sole.  S'  aggiimge  1'  idea  religiosa  di  Helios  in  quel- 
r  epoca,  in  cui  cominciava  il  sincretismo  religioso.  L'  Helios,  ch3 
viene  dalV  Oriente,  e  che  ora  si  confoude  con  Mitra,  ora  con  Attis, 
e  tutt'altro,  che  quel  giovane  vigoroso,  il  quäle,  come  canta  Mimnermo, 
S3nza  stancarsi  adempie  all'  ufficio  di  reggere  il  carro,  e  che  nei 
frontone  Orientale  del  Partenone,  creato  dalla  mauo  di  Fidia,  con 
braccia  poderose  sorge  dai  flutti  del  mare. 

Se  rivolgiamo  ora  nuovamente  la  nostra  attenzione  sulla  testa 
di  Helios  di  Rodi.  sotto  ogni  rapporto  ci  si  appalesa  come  un'opera 


164  TESTA    DI    HELIOS 

del  qiiarto  secolo,  con  qiiella  semplicita  e  severitii,  che,  a  dift'c- 
renza  delle  opere  puramente  ellenisticlie,  ancor  serapre  ci  occorre 
iu  qnest'epoca.  Ancor  piü  :  sotto  ogni  rapporto  l'aualisi  delle  sue 
forme  ci  couduce  al  carattere  dell'arte  di  Lisippo.  La  testa  stretta 
(e  si  potrebbe  credere  anche  piccola  per  ima  statua),  le  protube- 
ranze  della  fronte,  il  disegno  delle  ciglia,  la  sottile  radice  del  naso, 
la  forma  della  bocca  piccola  e  sporgente  !  II  coufronto  con  teste 
attiche,  come  quella  dell'  Ermete  di  Prassitele  o  del  discobolo  nella 
sala  della  biga  del  Vaticano,  nou  ci  porta  che  a  differenze  sempre 
maggiori,  mentre  il  confronto  con  teste  ricouosciute  di  Lisippo, 
come  quella  dell'  ApoxAomenos,  dell'  Ares  della  villa  Ludovisi  e 
uon  meno  dell'efebo,  che  prega,  di  Berlino  ci  öftre  sempre  nuove 
analogie.  E  un  fatto  certo  adunque  che  la  tssta  del  generale  Hang 
mostra  un  tipo  di  Helios  di  ßodi  con  caratteri  artistici  di  Lisippo; 
ma  si  domanda  se  non  potremo  fare  forse  un  passo  piü  avanti. 

Non  si  puö  dimostrare  con  sicm'ezza  matematica  che  la  te- 
stina  sia  un  pezzo  di  uua  statua.  Si  trova  soltanto  suUa  super- 
ficie  della  rottura  del  collo,  che  era  anticamente  lisciata,  un  buco 
per  una  punta  di  bronzo,  che  serviva  a  riunire  la  testa  o  con  un 
busto  0  con  una  statua.  La  testa  poi  ci  si  presenta  in  modo 
da  farci  dubitare  se  sia  copia  di  un  originale  in  bronzo ,  sic- 
come  noi  dovremmo  suppor.-e  di  una  statua  di  Lisippo.  Per  l'ul- 
tima  questione  potrebbe  infine  servire  di  scusa  la  piccolezza 
dell'opera,  ma  anzitutto  sembra  piü  che  ardito  se  non  imprudente 
il  porre  in  diretta  relazione  la  nostra  testina  con  quell'  Helios  sulla 
qiiadriga  di  Eodi,  opera  di  Lisippo.  Pure  Yorrei  tentare  di  far  va- 
lere  a  favore  di  quest'idea  un'  osservazione,  cioe  la  direzione  ener- 
gica  della  testa  all'insü  verso  sinistra,  caratteristica  per  il  nostro 
Helios  come  per  un'intera  serie  di  altre  teste  della  stessa  divinitä 
e  pure  per  la  testa  giudicata  come  quella  di  Alessandro  il  Grande 
col  diaderoa  del  dio  del  sole  uel  museo  Capitolino.  Kipetute  volte 
si  e  osservato  ed  all'occasionepure  espresso  [cf.  Dütschke,  Ani.  Bildic. 
V  pag.  40  n.  98],  che  il  rivolgere  lo  sguardo  verso  il  cielo  non 
e  verameute  adatto  per  Helios  e  propriamente  e  un  controsenso 
per  qiiel  dio,  che  gira  pel  cielo.  Ammetto  che  questo  movimento, 
come  crede  il  Dütschke,  divenne  un  motivo  generale  artistico  in 
modo  speciale  preferito  dall'arte  ellenistica,  ma  senza  dubbio  avrä 
avuto  orisfine  da  una  raeione   intima.  Helios  non  guarda  verso  il 


TESTA    ])I    HELIOS  165 

cielo,  ma  guai'da  verso  la  sua  quadriga,  che  dohbiamo  immagi- 
nare  asceiidere  in  fretta  per  iina  ripida  via,  11  tipo  di  Helios  che 
sale  colla  quadriga,  come  mi  si  concederä,  e  stato  sempre  man- 
teniito  neir  arte  antica  anche  qiiando  non  forma  il  contrapposto 
ad  una  Selene,  che  si  dirige  verso  il  basso.  Se  ammettiamo  final- 
mente  che  im  uomo,  che  sta  su  di  un  carro  in  corsa  deve  cercare 
con  im  piede  un  punto  stabile  e  deve  porre  1'  altro  piede  del  lato 
piü  innanzi  o  piü  indietro  per  avere  l'equilibrio,  nasce  da  se  stesso 
nel  corpo  im  giro  che  spiega  la  posizione  della  testa  volta  sia  a 
destra,  sia  a  sinistra. 

L'Overbeck,  a  mio  avviso,  ha  giustamente  espresso  nella  sua 
Geschichte  der  Plastik  IV'  117  quello,  che  si  puö  supporre  del  ca- 
rattere  dell'Helios  di  Lisippo  in  piedi  siü  carro  :  Helios  appena 
separato  dal  suo  obbietto  naturale  non  ollriva  alcuna  occasione  per 
rappresentare  im'elevatezza  divina  e  spirituale,  ma  conformemente 
alla  sua  natura  ed  alla  sua  funzione  non  poteva  venir  espresso  che 
nella  magnifica  figura  corporea.  Se  la  mia  ipotesi  ha  qualche  fon- 
damento,  nella  nostra  testa  non  si  troverä  che  la  conferma  di  quel 
presupposto.  Per  quanto  l'originale  di  Lisippo  abbia  potuto  avere 
im'animazione  im  po'  piü  energica  di  quella  che  ci  mostra  la  piccola 
copia,  pure  si  scorge  chiaramente  che  l'ideale  di  Helios  di  Lisippo 
raostrava  un  carattere  piuttosto  serio  e  virile,  che  spirituale  ed 
esaltato.  Finalmente  se  anche  i  capegli,  che  Lisippo,  secondo  il 
giudiüio  degli  antichi,  seppe  fare  meglio  dei  suoi  predecessori, 
sono  stati  un  po'  piü  ricchi  e  piü  uaturalistici  di  quello  che  li 
riproduca  la  copia,  considerando  tutti  i  tipi  riferibili  a  Lisippo, 
dubito  che  quest'  artista  abbia  tentato  appunto  nei  capegli  una , 
per  cosi  dire ,  pittura  naturalistica.  L'attri1)uto  della  Corona  di 
raggi  ha  parlato  qui  in  modo  piü  iramediato  e  piü  chiaro ;  ed 
osservo  espressamente  che  la  testa  con  quel  complemento  öftre 
ancora  im  aspetto  essenzialmente  diverso.  Similmente  come  il  tipo 
piü  semplice  dell'  Apollo  Steinhäuser  va  innanzi  alla  testa  del- 
l'Apollo  del  Belvedere,  alla  grande  quantitä  di  immagini  di  Helios 
deir  epoca  ellenistica,  piene  di  eftetto,  va  innanzi  quest'ideale  piü 
severo  e  piü  semplice,  che  abbiamo  innanzi  a  noi.  Se  ha  lasciato 
poche  tracce,  si  spiega  da  ciö  che  poco  tempo  dopo  nacque  una 
nuova  maniera  artistica,  e  lo  sviluppo  posteriore  ha  molto  piü  preise 
da  questo  nuovo  indirizzo  artistico  che  dalle  epoche  antecedenti. 


166  TESTA    DI    HELIOS 

Cos],  degna  di  particolare  osservazione  mi  sembra  la  testa  di 
Helios  del  sig.  generale  Hang,  giä  come  copia  greca,  che  si  fece 
forse  in  epoca  non  molto  lontana  da  qnella  dell' originale.  Lo  scopo 
principale  e  l'utilitä  della  sua  pnbblicazione  sarä  anche  in  questo 
caso,  come  spero,  quello  di  richiamare  1'  attenzione  di  altri  su  di 
essa  e  far  conoscere  nuove  analogie.  Non  e  escliisa  nemmeno  la 
possibilitä  che  col  teiiipo  in  Rodi  stessa  si  scoprano  altri  esenir 
plari  dello  stesso  tipo.  Allora  risiiltera  se  la  testina  manterra 
0  meno  qnel  posto,  che  io   volli  asseguarle  nella  storia   delV  arte 


greca. 


P.  Hartwig. 


lUPPORTO 

SU  UNA  SEHIE  DI  TAZZE  ATTICHE  A  FIGüKE  ROSSE 

CON  NOMI  DI  ARTISTI  E  DI  FAVOKITI, 

RACCOLTA  A  ROMA. 


I.  Tazza  di  Epikteios.  Diametro  0,328.  Altezza  0,135.  Pro- 
venienza  incerta, 

Neirinterno:  im  Sileno  barbato  si  piega  per  alzare  suUe  spalle 
im'anfora  a  pimta;  sopra  esse  porta  im  cuscino.  Dietro  di  liii  sta 
ima  stanga.  La  coda  di  cavallo  del  Sileno  e  dipinta  tiitta  in  rosso. 
L' iscrizione  da  ambediie  le  parti  della  figura  dice:  EPIKTeTOS 
EAPA05sr 

II.  Tazza  coi  nomi  di  favoriti  Leagros  ed  Epidromos  D.  0,30. 
A.  0,11.  Provenienza  incerta. 

L'imagine  interna  di  qiiesta  tazza  e  piibblicata  hqW Ärchaeolo- 
fj Ische  Zeitung  1885  tav.  19,  2.  Se  ne  trova  la  descrizione  1.  c. 
pag.  255  e  presso  Klein,  Meiüerügnaturen  ~  pag.  132  n.  10. 

Le  figure  esterne  della  tazza  in  parte  sono  di  ristauro.  L'asta 
che  tiene  il  ragazzo  ignudo  nella  immagine  interna  mostra  im  laccio. 
Le  iscrizioni  si  leggono  cosi: 

UEAAR05  SAUOS  e  [EPjlAROMOi    hAUOS. 

Dair  altro  lato  fra  i  piedi  delle  figure  e  ripetuto  KALOS. 

III.  Tazza  col  uome  di  favorito  Paiiaitlos,  probabilmente  di 
Eufronio.  D.  0,20.  A.  0,08.  Provenienza:  Chiusi. 

L'immagine  di  questo  vaso  e  piibblicata  nel  Miiseo  Chiitslao 
I  tav.  48  e  dal  Klein,  Eitphromos  -  p.  278  cf.  MeistersigncUurea  - 
p.  144.  Si  vede  nelPinterno  un  vecchio  Sileno  barbato  con  una  tenia 
dipinta  in  rosso,  che  siede  sii  un'otre  ed  alza  con  occhi  agitati  le 
mani  in  atto  di  commozione.  L'iscrizione  attorno  alla  figura  porta : 
PANAITIOS  KA=OS,  sull'otre  e  ripetuto  K  =  uO£:. 


1(J8  RAIM^OKTO    SU    UNA    SERIE    DI    TAZ/>E    ATTICHE    GCC. 

IV.  Tazza  colla  stessa  segnatiira.  D.  0,22.  A.  0,09.  Pro- 
venieüza  :  Cervetri. 

Neirinteruo  :  im  Sileno  barbato  porta  e  otre  e  coruo  e  ramo 
di  vite.  Manca  al  Sileno  la  parte  snperiore  della  testa.  Del  nome 
di  favorito,  che  sta  attorno  alla  figura,  eono  conservate  le  lettere 
=  Af^AlT,  del  adiettivo  xaXoc  =OS  .  Süll' otre,  che  porta  il  Sileno, 
e  ripetuto  KAUOS .  AH'esterno  si  vedono  da  ambedue  le  parti  due 
Sileui  barbati,  i  qiiali  si  miiovono  in  fretta  verso  una  donna,  come 
pare,  coinpletamente  igniida ,  giacente  a  terra  sir  un  cuscino.  Le 
tigiire  delle  donne  sono  quasi  del  tiitto  perdiite. 

V.  Tazza  col  nome  di  favorito  Chairestratos.  D.  0,23.  A.  0,09. 
Provenienza :  Chiusi. 

Si  scorgono  nelFinterno  due  giovani  amazzoni,  che  corrono  alla 
lotta  verso  sinistra,  l'una  vestita  come  un'oplita,  1' altra  come  un 
arciere  scitico.  L'iscrizione  attorno  alle  figure  dice : 

-f-AIRE^TRATOs  KAUO^.  II  nome  di  favorito  e  lo  stile 
del  disegno,  che  mostra  una  freschezza  straordinaria,  attribuiscono 
questa  tazza  con  sicurezza  a  Duride. 

VI.  Tazza  con  scene  di  palest ra.  Maniera  di  Duride. 
D.  0,24.  A.  0,09.  Provenienza :  Cervetri. 

Neirinterno  :  un  efebo  avvolto  nel  mantello.  Dinanzi  lui  al  di 
sopra  sono  sospesi  utensili  della  palestra.  Da  ambedue  le  parti  della 
figura  si  legge:  HO  PAIS  kAUO=. 

NeH'esterno  si  vede  dall'una  parte  un  giudice  della  palestra 
in  mantello,  che  tiene  nella  sinistra  un  bastone  e  protende  nella 
destra  un'asta  per  ordinäre  una  pausa.  Del  gruppo  di  due  giovani 
lottatori  ignudi,  1"  uno  e  quasi  del  tutto  perduto,  dell' altro,  che 
sta  aspettando  1'  avversario,  come  pare,  manca  la  testa  e  1'  avam- 
braccio  sinistro.  L'altra  parte,  tra  un  giudice  con  un'asta  a  destra 
ed  un  giovane  spettatore  coperto  a  sinistra,  ci  mostra  due  altri  lot- 
tatori completamente  ignudi,  giacenti  a  terra.  II  vincitore  ha  spinto 
al  suolo  il  soccombe  ite  in  modo  che  le  gambe  si  alzino  verso  il 
cielo,  e  gli  tiene  colla  sinistra  la  bocca  chiusa,  per  impedirgli  di 
respirare,  mentre  la  destra  e  alzata  per  dare  1' ultimo  colpo  deci- 
sivo.  Sopra  si  vedono  utensili  della  palestra. 

VII.  Tazza  con  un  tiaso  di  Dioniso  D.  0,30.  A.  0,13. 
Provenienza  :  Cervetri. 

La  tazza,  il  cui  disegno  disgraziatamente  e  guatto  in  parte, 


RAPPORTO    SU    UNA    SERIE    DI    TAZZE    ATTICHE    eCC.  160 

manca  di  qiialsiasi  iscrizione,  ma  secondo  lo  stile  non  si  puö  es- 
sere  in  diibbio,  che  1'  autore  sia  lerone.  II  piede,  che  ha  portato 
forse  il  nome  del  raaestro,  e  aiidato  perduto. 

L'immagine  di  mezzo  rappresenta  diie  Menadi,  che  recaiio  tirsi, 
senza  espressione  particolare.  Di  fuori  si  trova  iin  tiaso  di  Dioniso  con 
quattordici  ligure.  Dall'una  parte  nel  centro  sta  il  dio  stesso  con 
cantaro  alzato  nella  destra  e  con  iin  grande  tralcio  nella  sinistra. 
Attoruo  a  lui  si  miiovono  cinque  menadi,  che  siionano  su  diversi 
istrumenti.  L'  altra  parte  ci  mostra  quattro  bellissimi  grnppi  di 
Satiri  e  Menadi,  che  salgono  a  sempre  maggior  vivacitä.  Su  una 
delle  anse  si  vede  una  capra,  sull' altra  delle  palmette.  II  disegno 
e  delicato  per  non  dire  minnzioso. 

VIII.  Tazza  di  Filtlas  col  nome  di  favorito  Chairias.  D.  0,18. 
A.  0,0(5.  Provenienza :  Chiusi. 

Neirinterno:  im  giovane  inghirlandato,  in  mantello,  cui  il  primo 
pelo  copre  le  guancie,  appoggiato  ad  un  bastone,  colla  borsa  nella 
sinistra  sta  innanzi  alla  bottega  di  un  vasajo.  Vi  si  conservano 
diverse  merci  in  argilla,  mi  cratere,  nn'anfora  ed  una  tazza  dabere- 
Lo  stile  del  disegno  e  esatto  e  severo  ;  il  tipo  della  testa  ricorda 
Eufronio.  Attorno  alla  figm-a  si  trovano  le  iscrizioni :  Qllii^AS 
EAPA(D-Er  e  -f-AIPIAS  KAUOS. 

IX.  Tazza,  che  rappresenta  il  giuoco  di  paleo.  D.  0,22. 
A.  0,10.  Provenienza :  Chiusi. 

Neiriuterno  si  scorge  un  uomo  barbato  con  cappello  e  man- 
tello, che  agita  una  frusta  per  porre  in  moto  un  paleo.  Un  gio- 
vane in  mantello  sta  a  guardare  il  giuoco  stendendo  la  mano  de- 
stra in  atto  di  ammirazione.  SuUe  figure  si  trovano  due  fiori  evi- 
dentemente  messi  per  riempire  lo  spazio.  Di  un  nome  di  favorito 
sono  conservate  le  lettere  -H  e  H  col  solito  KAU05. 

X.  Framniento  di  una  tazza,  che  mostra  nell'  interno  un  gio- 
vane nudo  correndo  a  sinistra,  che  protende  nella  destra  un'  otre 
e  porta  nella  sinistra  un  bastone  messo  in  ispalla,  donde  pende 
un  vestito.  II  disegno  e  molto  guastato. 

L'iscrizione  alla  parte  sinistra  della  figura  e  completa,  e  porta 
sololaparola  :  EPOIESEiNJ  [cf.  Klein,  Melstersign.- ^^Rg.  111  sq.]. 

XI.  Frammento  di  una  tazza  col  nome  di  favorito  L?/sis,  nel 
po-sesso  del  signor  prof.  Kopf  a  Koma. 

II  lato  esterno  del  fiammento  ci  mostra  una  scena  della  pa- 

11 


170  RAPPORTO    SU    UNA    SERIE    Dl    TAZZE    ATTICIIE    CCC. 

lestra.  A  destra,  dinanzi  ad  un  pilastro,  che  iudica  la  palestra,  si 
scorgc  im  efebo  tutto  ignudo,  con  halteres  nelle  mani  stese,  ed 
inclinato  verso  la  parte  sinistra,  Dirimpetto  a  liü  sta  im  altro  gio- 
vane  con  mantello  e  scarpe,  che  si  appoggia  sii  im  bastone.  Di- 
nanzi al  siio  mantello  si  vedono  tre  dita  della  mano  di  ima  terza 
persona.  AI  di  sopra  si  legge:  HO  SA  15. 

Neil' interno  si  trova  ima  parte"  della  testa  e  del  lato  sinistro 
di  ima  figiira  con  mantello  e  bastone,  che  si  vedeva  dal  tergo. 
Alla  parte  sinistra  si  legge :  U  V  S I S  .  cf.  Berlin  nr.  2303,  Mün- 
chen 403.  II  disegno  e  piiifctosto  marcato  che  delicato.  La  maniera  ar- 
tistica  ricorda  Diiride. 

P.  Hartwig. 


UEBER  EINE  CLASSE  GRIECHISCHER  VASEN 
MIT  SCHWARZEN  FIGUREN. 

(Tafel  VIII,  IX) 


Die  Yasenclasse,  von  welcher  auf  Tafel  VIII  u.  IX  drei  in  Rom 
befindliche  Exemplare  nach  Ernst  Eichlers  stilgetreuer  Zeichnung 
mechanisch  wiedergegeben  werden,  ist  in  einzelnen  Exemplaren 
längst  bekannt ;  dass  dieselbe  so  gut  wie  gar  nicht  beachtet  worden 
ist,  rührt  wol  daher,  dass  man  sie  für  etruskisches  Fabrikat  hielt, 
über  welches  man  zur  Tagesordnung  übergieng.  Das  ist  aber  ganz 
unmöglich  aufrecht  zu  erhalten  und  wir  sind  schon  desshalb  genö- 
tigt, uns  mit  diesen  Vasen  näher  zu  befassen.  Ganz  abgesehn  von 
den  stilistischen  Gründen,  welche  die  Annahme  etruskischen  Ur- 
sprungs verbieten,  sprechen  die  Fundumstände  auf  das  entschie- 
denste gegen  dieselbe.  Die  als  Vignette  abgebildete  Vase  befindet 
sich  jetzt  in  Orvieto  im  Museo  municipale ;  sie  wurde  in  dem  bis 


172  UEBER    EINE    CLASSE    GRIECHISCHER    VASEN 

jetzt  ältesten  Theile  der  Nekropole  von  Orvieto  ausgegraben,  deren 
Gräber  den  jüngeren  tombe  a  cassa  entsprechen  und  den  ältesten 
griechischen  Import  enthalten.  Sie  reichen  mindestens  in  den  An- 
fand des  sechsten  Jahrhunderts  hinauf.  In  demselben  Grab  mit 
unserer  Vase  wurde  eine  recht  altertümliche  korinthische  Schale  mit 
niederem  Fuss  imd  Thierstreifen  gefunden,  ausserdem  ein  Bernstein- 
amulet  in  Form  eines  spitzen  Blattes  mit  durchbohrtem  Ansatz. 
Wer  die  gleichzeitige  etruskische  Manufactur  kennt,  kann  unmög- 
lich unsere  Vase  für  etruskisch  halten,  mid  damit  fällt  auch  die 
Möglichkeit  etruskischeu  Ursprungs  für  diejenigen  Vasen,  über 
deren  Fmidumstände  nichts  bekannt  ist,  welche  aber  aus  techni- 
schen und  stilistischen  Gründen  sich  von  dem  orvietaner  Gefäss 
nicht  trennen  lassen.  Bevor  ich  zur  Analyse  der  Gruppe  übergehe, 
gebe  ich  ein  Verzeichuiss  der  mir  bekannten  Exemplare,  zu  wel- 
chem ich  nach  Löschckes  freundlicher  Mittheilung  auch  die  in 
Paris  und  London  befindlichen  hinzufüge. 

I.  Amphora  in  Kom,  Conservatorenpalast,  aus  Cervetri.  Am 
Halse  Palmette  zwischen  zwei  Hähnen.  Auf  den  SchulterflächeH 
nach  links  schreitend  je  fünf  Männer,  welche  die  rechte  Hand  er- 
heben, in  der  linken  kerykeionartige  Stäbe  halten.  Neun  von  ihnen 
tragen  langen  Bart,  alle  langes  Haupthaar  mit  einer  Binde  darin. 
Darunter  Thierstreif  nach  links  :  Panther  (schreitend).  Greif,  Löwe, 
Acheloos,  Hirsch  (weidend),  Eber  (weidend),  Panther  (sitzend),  Sphinx. 
Darunter  eine  Kante  aus  rundlichen  am  Eande  gezackten  gegen- 
ständigen Blättern  (etwa  glechoma  hederaceum) ;  am  Fuss  Strahlen. 
Zuerst  abgebildet  auf  imsrer  Tafel  VIII  N°  1. 

II.  Amphora  ebenda,  gleichfalls  aus  Cervetri.  Am  Halse  Stab- 
ornament. Auf  dem  einen  Schulterfeld  drei  Tritonen,  welchen  auf 
dem  anderen  vier  Nereiden  entgegeneilen.  Darunter  Thierstreif:  Löwe 
nach  r.  Panther  mit  gehobener  Tatze  nach  r.  Ornament  aus  Pal- 
mette und  Lotos  zwischen  zwei  Hähnen.  Löwe  nach  r.  Panther 
nach  1.  Ornament  zwischen  zwei  Hähnen.  Darunter  Streifen  mit 
Punktnetz ;  am  Fuss  Strahlen.  Abgebildet  auf  Tafel  VIII  N»  2. 

III.  Amphora  in  Rom,  Museo  Gregoriano,  aus  Vulci.  Auf  den 
beiden  Halsfeldern  je  zwei  sich  gegenüberstehende  Panther  mit 
gemeinsamem  Kopfe.  Auf  dem  einen  Schulterfelde  drei  Heiter  mit 
spitzen  Mützen,  welche  sich  umwenden,  um  einen  Pfeil  abzu- 
schiessen,  auf  dem  anderen  drei  verfolgende  Hopliten  zu  Pferde  mit 


MIT   SCHWARZEN   FIGUREN.  173 

geschwungenem  Speer.  Unter  den  Beinen  der  Pferde  vier  Hunde 
und  zwei  Hasen.  Darunter  Mäanderband  mit  Sternrosetten,  darunter 
Tliierstreifen  :  Greif  nach  1.  Hirsch  mit  gesenktem  Kopf  nach  1., 
Löwe  mit  gehobener  Tatze  nach  r.,  ein  gleicher  nach  1.,  Sphinx, 
Panther,  beide  mit  gehobener  Tatze  nach  1.  Am  Fuss  Strahlen. 
Ganz  ungenügend  publiciert  Museum  etruscum  II  29,  2,  genau  auf 
unserer  Tafel  IX. 

IV.  Amphora  aus  Orvieto,  Museo  municipale  daselbst  (').  Am 
Halse  Blätterkante,  auf  dem  einen  Schulterfelde  vier  unbärtige 
Jünglinge  ausgelassen  tanzen  1,  unter  dem  erhobenen  Beine  eines 
jeden  ein  Gefäss,  auf  dorn  anderen  Schulterfelde  stehend  vier  kahl- 
köpfige bärtige  Männer ,  ithyphallisch ,  vor  jedem  ein  Gefä:?s. 
(Formen :  Tiefe  kurzfiissige  Schale  mit  zwei  Henkeln  und  Ein- 
schnitt unter  dem  Eande,  korinthische  Amphora  und  Kantharos). 
Die  acht  Figuren  sind  mit  weisser  Nebris  bekleidet.  Darunter 
Maeanderband  mit  Sternrosetten,  dann  Lotos  und  Palmetteu  gegen- 
ständig;  am  Fusse  Strahlen.  Vignette  auf  Seite  171. 

V.  Amphora  in  München.  Am  Hals  Lotos  und  Palmetten 
gegenständig.  Auf  dem  einen  Schulterfelde  die  Hydra,  welcher  ein 
knieender  Jüngling  in  kurzem  Chiton  ein  hundeälmliches  Thier 
vorhält,  während  er  ein  zweites  hinter  dem  Rücken  hält ;  auf  dem 
anderen  Schulterfelde  zwei  Kentauren  mit  Jagdbeute.  Darunter 
Palmettenband,  dann  Thierstreifen,  Sphingen,  Löwen,  Panther, 
Greif,  Bock  und  Reh,  dann  eine  Kante  aus  quastenähnlichen  Blü- 
then.  Klein  abgebildet  bei  Micali  Sloria  99,  7.  Beschrieben  Jahn 
N''  155.  Ein  Stück  des  Ornaments  Lau  Tafel  VIII  9. 

VI.  Amphora  im  Cabinet  des  medailles,  Paris.  Am  Halse 
zwei  sitzende  Sphingen  den  Kopf  umwendend.  Auf  dem  einen  (-) 
Schulterfelde  Herakles  auf  dem  rechten  Bein  kuieend,  das  1.  vor- 
gesetzt, den  Bogen  haltend,  ihm  gegenüber  ein  pferdebeiniger  Ken- 
taur, der  sich  mit  der  rechten  Hand  eine  Wunde  auf  der  Brust 
zuhält,  aus  welcher  Blut  strömt ;  in  der  linken  hält  er  einen  Baum- 

(1)  Ein  ziemlich  grosses  Fragment  einer  Amphora  mit  demselben  Mae- 
andermotiv  befindet  sich  gleichfalls  in  Orvieto  in  der  Sammlung  Faina. 
Wegen  hoher  befestigter  Aufstellung  konnte  ich  leider  von  der  Darstellung 
nichts  sehn. 

(2)  Die  Rückseite  der  im  Cabinet  des  mJdailles  befindlichen  Vasen  hat 
Löschcke  niclit  gcschn. 


174  ÜEBER    EINE    CLASSE    GRlECHISClIEIl   VASEN 

ast.  Darunter  Eplieukante,  die  Blätter  abwechselnd  rotli  und  schwarz. 
Dann  Greifen  nach  r.,  einen  Flügel  vorgestreckt,  darunter  Maeander ; 
am  Euss  Strahlen. 

YII.  Amphora,  Paris,  Cabinet  des  medailles.  Am  Mündungs- 
rand  Netzornament,  am  Hals  drei  Feldhühner.  Schulterbild  :  den 
behaarten  Minotauros  hat  Theseus  am  Hörn  gefasst  und  bedroht 
ihn  mit  dem  Schwert,  in  der  linken  Hand  hält  er  die  Scheide ; 
zwischen  Theseus  und  dem  Minotam'os  steht  ein  Panzer,  hinter 
Theseus  ein  Kessel  mit  Schlangenprotomen,  ein  Mann  mit  Scepter, 
dann  ein  weissbärtiger  Manu.  Darunter  liegender  Palmettenstreif, 
dann  springende  und  weidende  Hirsche,  zwischen  den  Beinen  Vö- 
gel ;  darunter  geometrische  Streifen  :  schräge  Kreuze  zwischen  je 
drei  Vertikalen,  die  Dreiecke  welche  die  Kreuze  bilden  zum  Theil 
dunkel  ausgefüllt,  darunter  Zickzack,  die  unteren  Dreiecke  dunkel, 
in  den  oberen  Hakenkreuze  mit  Punkten. 

VIII.  Amphora  aus  Vulci  in  München.  Am  Halse  Maeander 
mit  Sternrosetten.  Auf  dem  einen  Schulterfelde  steht  Paris  bei 
seiner  Heerde,  auf  dem  anderen  Averden  die  drei  Göttinnen  von 
Hermes  imd  einem  Greis  mit  Kerykeiou  geführt.  Darunter  Mae- 
anderband  mit  Sternrosetten,  dann  Thierstreif  nach  1. :  Löwe,  Pan- 
ther, Greifen,  Sirene ;  am  Fuss  Strahlen.  Abgebildet  Gerhard  A.  V. 
II  170,  Panofka,  Parodieen  Tafel  2,  (J,  7.  Jahn  N"  123. 

IX.  Amphora,  Paris.  Auf  einem  Schulterfelde  :  Apollo  auf 
einem  geflügelten  Zweigespann  von  einem  Greif  begleitet  erlegt 
den  Tityos.  Auf  dem  anderen  Schulterfelde  werden  ein  Mann  und 
eine  Frau  von  zwei  Jünglingen  mit  vier  Flügeln  an  den  Hüften 
auf  Apollo  und  Artemis  zugeführt.  Thierstreif  nach  1. :  sitzender 
Panther,  Sphinx,  Greif,  Steinbock,  Sphinx,  Eber,  Löwe.  Abgebildet 
Monumenti  d.  Inst.  II 18.  Luynes,  Vases,  (3,  7.  Welcker  A.  D.  5,  85. 

X.  Amphora  in  London,  British  Museum,  aus  Vulci.  An  der 
Mündung  Blattranke,  am  Halse  zweimal  die  Panthergruppe  wie 
bei  III.  Schulterbild :  Herakles  mit  geschwungener  Keule  und 
Athena  mit  gezückter  Lanze  einander  gegenüber.  Zwischen  beiden 
ein  Kessel  mit  Schlangenprotomen,  hinter  Athena  ein  zweiter. 
Athena  wird  von  Poseidon  zurückgehalten,  hinter  Herakles  eine  Frau. 
Auf  der  anderen  Seite  Zweikampf  zweier  Hopliten,  hinter  dem  einen 
eine  Frau,  hinter  dem  anderen  ein  Strauch.  Darunter  Streifen  von 
Feldhühnern  nach  1.,  dann  Thierstreif:  zwei  Schweine  einauderge- 


MIT    SCHWARZEN    FTiUREN.  175 

genüber  um  einen  Strauch,  Panther,  Greif  ungeflügelt  mit  Kamm, 
geflügelter  Greif  mit  erhobener  Tatze,  Sphinx  mit  erhobener  Tatze. 
Am  Fuss  Strahlen,  dazwischen  Kreuze.  Abgebildet  Gerhard  A.  V. 
II  127. 

XL  Amphora  aus  Vulci.  Um  den  Hals  vier  nackte  tanzende 
Jünglinge.  Auf  dem  Bauche  fünf  männliche  Figuren,  lebhaft  ge- 
sticulierend,  und  eine  weibliche  mit  hoher  Haube  und  Schleiertuch 
auf  dem  Kopfe.  Eine  der  männlichen  Figuren  ist  an  den  Hüften 
mit  einem  doppelten  Flügelpaar  und  an  den  Füssen  mit  einfachen 
Flügeln  ausgestattet.  Darunter  Thierstreifen :  Panther,  Sphinx, 
Seepferd.  Micali,  Mon.  ined.  36,  1, 

XII  u.  XIII.  Zwei  fast  vollkommen  gleiche  Oinochoen  in 
Florenz.  Die  Beschreibung  des  einen  Exemplars  mag  hier  genügen. 
Inv.  N°  2097.  Form:  die  gewöhnliche  korinthische;  zu  beiden 
Seiten  des  einfachen  Henkels  runde  Scheiben  weiss  bemalt,  darauf 
mit  brauner  Farbe  der  Umriss  eines  Auges.  Am  Hals  Palmetten 
nach  unten  und  Lotos  nach  oben  abwechselnd,  braim  und  weiss.  Schul- 
terdarstellungen, vom  Henkel  nach  r. :  Myrtenstrauch,  Sphinx  nach 
r.,  darunter  tiügelreckender  Schwan,  dann  Herakles  nach  r.  schrei- 
tend, in  der  R.  das  Schwert,  packt  mit  der  L.  einen  ihm  mit  offenen 
Rachen  entgegenschreitenden  Löwen  am  Unterkiefer,  dann  Löwe 
nach  1.,  darunter  Palmettenranke,  hinter  ihr  Myrte.  Unter  dem 
Schulterstreif  Maeander,  darunter  Thierstreif  nach  1. :  Löwe,  Pan- 
ther, Greif,  Löwe,  Sphinx,  Panther,  Greif,  Panther,  Sphinx,  dann 
Band  aus  gegenständigen  Palmetten. 

XIV.  a.  Oinochoe  in  München.  Am  Halse  zwei  Sphingen,  ein 
Greif,  eine  Henne,  dann  Maeanderstreif  mit  Schwänen,  darunter 
Palmettenband,  dann  fünf  Reiter,  welchen  eine  Flügelgestalt  folgt. 
Jahn  n.  173;  ein  Stück  des  Ornaments  ist  abgebildet  Lau,  Tafel  21 
unten  in  der  Mitte  ;  h.  Amphora  im  Museo  Grogoriano  mit  Mae- 
ander und  Schwänen. 

XV.  Oinochoe  aus  Vulci  in  London.  Am  dreigetheilten  Henkel 
oben  Scheibchen  mit  einem  Kreuzornament ;  am  Halse  statt  des 
Stabornaments  zwei  Reihen  entgegengesetzter  gestreckter  und  run- 
der  Bogen,  welche  in  einander  übergreifen.  Schulterdarstellung:  ein 
bärtiger  und  ein  unbärtiger  Mann,  nur  mit  Schurz  bekleidet,  beugen 
sich  mit  grotesken  Geberden  über  eine  grosse  Schale,  über  welcher 
ein  Kranz  hängt;  hinter  dem  unbärtigen  ehi  kleiner  Mann  im  Chi- 


176  UEBER   EINE    CLASSE    GRIECHISCHER   VASEN 

ton  sich  umschauend,  die  Arme  ausbreitend  wie  erschreckt  vor  dem 
Löwen  hinter  ihm.  Hinte;  dem  bärtigen  Mann  eine  kleine  Figur 
mit  Flügeln  an  den  Hüften  und  den  Schuhen.  Hinter  diesem  gleich- 
falls ein  Löwe.  Darunter  Epheukante,  dann  Thierstreif  nach  1. : 
Sphinx  mit  gehobener  Tatze,  Greif,  Panther,  Sphinx  sitzend,  Löwe, 
Panther.  Darunter  einfacher  Maeander  mit  schrägen  Kreuzen  und 
Punkten;  am  Fusse  Strahlen.  Abgebildet  Museum  Disneianum  III 
Tafel  101,  102. 

XVI.  Oiiiochoe  in  London.  Oben  an  dem  einfachen  Henkel 
Scheibchen  mit  dem  Umriss  von  Augen.  Der  Thongrund  ist  für 
Hals  und  Schulterfeld  ausgespart;  das  ausgesparte  Feld  ist  oben 
durch  eine  erhöhte  Leiste  bsgränzt.  Darunter  Lotos  und  Palmetten 
abwechselnd.  Dann  einander  gegenüber  einerseits  drei  Männer,  auf 
der  anderen  Seite  eine  Frau,  welche  einen  Granatapfel  hält,  und 
zwei  Männer,  der  letzte  mit  einem  Zweig.  Auch  aus  dem  Boden 
wachsen  Zweige.  Darunter  zwei  schwarze  Streifen,  dann  wieder 
Band  aus  Palmetten  und  Lotos  und  Strahlen.  Abgebildet  Museum 
Disneianum  III  10.3,  104. 

XVII.  Oinochoe  im  Cabinet  des  medailles  in  Paris.  Dreista- 
biger Henkel,  Scheibchen  an  der  Seite.  Statt  Stabornament  an  der 
Schulter  senkrechte  Pfeile  (4')  unten  von  Bogen  überwölbt.  Schulte;- 
bild :  Mann  sich  umblickend  zwischen  ZAvei  Greifen,  Frau,  zu  deren 
Füssen  sich  ein  Löwe  zum  Sprunge  schmiegt.  Mann  im  Gespräch 
mit  einer  Frau  die  das  Gewand  emporhält,  Thier  (Stier?)  das 
sich  am  Boden  schmiegt.  Dann  Zickzack  mit  kleinen  Blättchen  in 
den  Winkeln.  Darunter  nach  1.  Greifen  und  ein  fischschwänziger 
Mann  mit  langem  Haar,  darunter  Epheukante ;  am  Fusse  Strahlen. 

XVIII.  Oinochoe  in  London,  British  Museum.  Grund  röthlich 
gelb,  Firniss  ziemlich  dunkel.  Dreistabiger  Henkel  mit  Unterlage» 
an  der  Seite  die  Scheibchen,  plastischer  Ring  in  der  Mitte  des 
Halses.  Am  Halse  Maeander  mit  weiss  und  rothen  Sternrosetten. 
Schulter :  Thiere  nach  1. :  schreitender  Greif,  ein  Flügel  vorge- 
streckt, beide  oben  abgerundet,  schreitender  Panther,  unter  der 
gehobenen  Tatze  ein  Vogel,  ebenso  zwischen  den  Beinen,  Löwe  mit 
o.Tenem  Rachen,  darunter  Vogel,  schreitende  Sphinx,  Vögel,  Panther 
mit  gehobensr  Tatze.  Darunter  Maeander  mit  Sternrosetten.  Dann 
zweiter  Thierstreif  nach  1. :  Sphinx,  Thier  mit  langem  Schwanz 
(Hiindy)  den  Kopf  umwendend,  weidender  Hirsch,  brüllender  Löwe, 


MIT   SCHWARZEN    FIGUREN.  177 

weidander  Steinbock,  schreitender  Pantlier,  Greif,  Löwe.  Darunter 
Maeander  mit  Stemrosetten,  dann  Granatapielfries ;  am  Fusse 
Strahlen. 

XIX.  Oinochoe  in  London,  British  Museum.  Dreistabiger 
Henkel  mit  Unterlage,  auf  den  seitlichen  Scheiben  ein  Stern.  In 
der  Mitte  des  Halses  und  zwischen  Hals  und  Schulter  plastischer 
Hing.  Das  Schwarz  ist  etwas  grau  und  njatt,  weiss  auf  Thon- 
grund  gesetzt.  Auf  der  Schulter  Streifen  von  eigentümlich  stili- 
sierten Blumen  und  Knospen  abwärts  gerichtet,  darunter  Vogel  ein 
Bein  hebend,  dann  Löwe;  ein  Mann  mit  rothem  Haar  und  weissem 
kurzen  Chiton  läuft  nach  r.  sich  umblickend  und  im  Begriff"  das 
Schwert  zuziehn;  Panther,  Vogel  mit  Frauenkopf.  Darunter  Strei- 
fen aus  Voluten  ( rj  on)  doppelt,  so  dass  herzförmige  Motive  gebildet 
werden;  dann  Thierstreif:  Eber,  Widder,  Hund  (oder  Wolf?), 
Panther,  Steinbock  ;  am  Fusse  Strahlen. 

XX.  Oinochoe  in  London,  British  Museum,  Vasenkatalog  423. 
Henkel  einstabig,  brauner  dünn  aufgetragener  Firniss.  Auf  der 
Schulter :  Sphinx,  Panther,  Löwe,  kleiner  langbeiniger  Vogel  der 
den  Kopf  zurückwendet  sich  putzend.  Zwischen  den  Thieren  Sträii- 
cher.  Maeanderband  aus  einzelnen  Haken,  darunter  Band  aus  ver- 
tikalen Strichen,  welche  oben  in  einen  runden  Knopf  endigen ; 
darunter  ein  Streifen,  aus  dessen  beiden  Rändern  primitive  Pal- 
metten, wie  sie  sonst  als  Füllornament  dienen,  einander  entgegen- 
Avachsen ;  dann  Maeanderhaken ;  am  Fusse  Strahlen. 

Ich  bleibe  vorläufig  bei  diesen  gesicherten  Beispielen  stehu, 
um  aus  ihnen  die  Merkmale  für  die  Classe  abzuleiten  (')•  In  Or- 
nament und  Darstellung  haben  diese  Vasen  bei  ursprünglich  grosser 
Originalität  frühzeitig  fremden  Einfluss  erlitten,  von  welchem  man 
absehn  muss,  wenn  man  sich  den  ursprünglichen  Typus  reconstruie- 
ren  will.  Zunächst  sondern  sich  schon  durch  die  Form  die  Exem- 


Q)  Mancherlei  Berührungen  mit  N°  5  und  11  hat  die  Amphiaraosam- 
phora  in  München:  Micali  Storia  tav.  95.  Jahn  151.  Wenn  das  Gefäss  indessen 
zu  unsrer  Classe  gehört,  so  hat  es  so  weitgehenden  fremden  Einfluss  erfaliren, 
dass  es  vorläufig  besser  aus  dem  Spiele  bleibt.  Dass  dies  Gefäss  Annali  1874 
S.  101  korinthisch  genannt  wird,  würde  man  geneigt  sein,  für  einen  Druck- 
fehler zu  halten,  wenn  nicht  ebenda  S.  105  die  frühattische  Vase  in  Florenz. 
(Inghirami  Vasi  fittili  III  101  n.  103-107)  für  etruskische  Nachahmung  nach 
korinthischem  Vurbild  erklärt  würde. 


178  UEBER    eine    CLAS?E    griechischer    VASEN 

plare  12-20  als  entschieden  korinthisch  beeinflusst  aus,  womit  überein- 
stimmt, dass  die  Technik  im  wesentlichen  die  der  jüngeren  korin- 
thischen Gefässe  ist.  Dies  hindert  jedoch  nicht,  dass  auch  auf  diesen 
Gefässen  in  Darstellungen  und  Ornamenten  zum  Theil  sehr  ur- 
sprüngliches bewahrt  worden  ist.  Die  Grundform  unserer  Vasenclasse 
ist  die  Amphora  mit  scharfabgesetztem  Hals  und  echinusartig  pro- 
filiertem Fuss  und  Rande.  Bei  einigen  Exemplaren  glaubte  ich  zu 
bemerken,  dass  die  Oberfläche  zur  Aufnahme  der  Malerei  durch 
einen  dünnen  Ueberzug  feineren  Thones  praepariert  gewesen  sei, 
doch  waren  dieselben  leider  arg  verputzt.  Die  Farben  sind  zum 
Theil,  vielleicht  wegen  geringeren  Brennens  dieses  Ueberzugs,  stumpf. 
Verwandt  wird  neben  Braun  sehr  viel  Weiss,  Roth,  Violett,  so  dass 
ein  sehr  bunter  Eindruck  erzielt  wird.  Auf  unseren  Tafeln  ist 
Schwarz  =  Dunkelbraun,  Weiss  =Weiss,  Grau  =  Roth.  Das  übliche 
Raumeintheilungsprincip  der  Amphoren  ist  folgendes  :  Mündung  und 
Fuss  sind  dunkel  gefärbt;  von  der  Mündung  aus  gehn  zwei  diuikle 
Farbstreifen  über  Henkel,  Hals  und  Schulter,  welche  ein  wenig 
unterhalb  der  Henkel  durch  eine  horizontale  Linie  begrenzt  werden. 
Hierdurch  werden  zwei  fast  quadratische  Halsfelder  und  zwei  tra- 
pezförmige Schulterfelder  gewonnen. 

Für  die  Decoration  des  Halsfeldes  fehlt  ein  eigenes  Princip. 
Wo  Palmetten  und  Lotos  erscheinen,  liegt  wahrscheinlich  schon 
fremder  Einfluss  vor,  ebenso  vielleicht  für  die  wappenartigen  Grup- 
pen von  Hähnen  (N°  1)  und  Sphingen  (N°  6).  Theilweise  wird  die 
Bemalung  des  Halses  aus  dem  Thierstreifen  entnommen  (N°  3,  7 
u.  10) ;  einmal  erscheint  auch  hier  der  Maeander  (N°  8),  einmal  eine 
naturalistische  Blätterkante  (N"  8) ;  auf  N°  9  erscheinen  tanzende 
Figuren  und  auf  N°  2  das  wenig  hierher  passende  Stabornament, 
zum  Beweise,  dass  eine  feste  Tradition  nicht  existierte. 

Die  Schulterfelder  sind  entweder  mit  einer  Reihe  gleicher 
Figuren  bemalt  (N''  1-4),  welche  aber,  wenn  sie,  wie  auf  N°  2  imd  3, 
auf  beiden  Schulterfeldern  verschieden  sind,  eine  Art  Handlung 
vorstellen.  Diese  Decorationsweise,  welche  sich  an  alte  Metall- 
stempeltechnik  anschliesst  ist  die  älteste.  Dass  sie  zum  Beispiel 
der  Schlachtbeschreibung  der  hesiodeischen  dam'c  zu  Grunde  liegt, 
hat  Löschcke  Arch.  Zeitung  1881  S.  44  erwiesen.  Sehr  verwandt 
ist  die  nächste  Art  der  Scenenbildung,  welche  in  der  Gegenüber- 
stellung e'n-.elno'r  gjläu;iger  Typen  zu  einer  Art  Handlung  besteht. 


MIT    SCHWARZEN    FIGUREN 


179 


So  ist  auf  N''  12  und  13  durch  das  Einschieben  eines  schrei- 
tenden Mannes  mit  Löwenhaut  und  Schwert  in  den  Thierstreifen 
eine  Heraklesthat  dargestellt ; 
man  würde  sehr  irren,  wenn 
man  annähme,  dass  der  Vasen- 
maler eine  andere  als  die  ge- 
wöhnliche Version  des  Kampfes 
habe  darstellen  wollen.  Er 
wollte  den  Kampf  durch  blosse 
Parataxe  zweier  geläufigen  Fi- 
guren schildern  und  war  daher 
genöthigt,  Herakles  schon  pro- 
leptisch  durch  die  Löwenhaut 
zu  kennzeichnen.  Aehnlich  ist 
die  münchener  Hydravase  N"  5 
zu  beurtheilen ;  auch  der  knie- 
ende Bogenschütz  und  der  Ken- 
taur auf  N**  6  gehören  zu  den 
allerältesten  Scenen  (Löschcke 
a.  a.  0.  p.  42).  In  NM? 
und  19  ist  der  Versuch  ge- 
macht, menschliche  Figuren  in 
den  Thierstreif  zu  verflechten, 
ohne  dass  eine  klar  fassbare 
Handlung  ausgedrückt  ist.  Die- 
selben Anfänge  der  Scenenbil- 
dung  wie  auf  unseren  Vasen 
finden  sich  auf  den  von  Lösch, 
cke  herangezogenen  Gefässen 
aus  rothem  Thon  mit  eingfe- 
presster  Verzierung.  Ein  Teller 
aus  Caere  in  Parma  z.  B.  zeigl: 
den  beistehenden  Thierstreif: 
nach  1. :  kauernde  Sphinx  mit 
gehobener  Tatze,  Eber,  Raul)- 
thier  mit  gehobener  Tatze , 
weidendes  Thier ;  dem  Eber 
gegenüber  ein   nackter   Manu 


180  UEBER   EINE    CLASSE    GRIECHISCHER   VASEN 

mit  eingelegter  Lanze.  Diese  Verwandtschaft  allein  verbürgt  für 
die  Anfänge  unserer  Vasenclasse  ein  hohes  Alter,  denn  die  rothen 
Reliefgefässe  reichen  wahrscheinlich  bis  in  das  siebente  Jahrhundert 
zurück. 

Die  freier  bewegten  Darstellungen  auf  unseren  Yasen  werden 
dann  w^ol  auf  fremden  Einfluss  zurückgehn,  von  welchem  später 
zu  handeln  ist. 

unter  der  Hauptdarstellung  des  Schulterfeldes,  welche  auf  den 
Oinochoen  sich  häufig  im  Charakter  den  ori:amentalen  Streifen 
nihert ,  finden  sich  in  der  Kegel  noch  zwei  Streifen.  Sehr 
selten  (so  bei  N°  4)  fehlt  ein  Thierstreifen.  Dieser  pflegt  so  cha- 
rakteristisch zu  sein,  dass  er  allein  unsere  Vasenclasse  von  allen 
anderen  entschieden  genug  sondern  würde.  Die  Thiere  sind  mil; 
A  iel  Naturgefühl  oft  in  bezeichnenden  Bewegungen  gezeichnet,  ^i- 
gleich  aber  streng  stilisiert.  Anders  wie  auf  korinthischen  und  von 
diesen  abhängigen  Vasen  haben  sie  meist  einen  gedrungenen 
Körperbau  und  die  Köpfe  steil  emporgerichtet  oder  herabgebeugt, 
so  dass  viele  zur  Füllung  eines  Streifens  nöthig  sind.  Trotzdem 
sind  Wiederholungen  verhältnissmässig  sehr  selten.  Zum  Beispiel 
auf  N"  1  wiederholt  sich  unter  acht  Thieren  nur  der  Panther,  und 
der  in  ganz  veränderter  Stellung.  Die  Kichtung  der  Thierstreifi  n 
ist  entweder  von  rechts  nach  links  oder  von  zwei  Seiten  nach  einer 
symmetrischen  Gruppe  convergierend :  doch  kommen  solche  Grup- 
pen auch  innerhalb  einheitlich  gerichteter  Streifen  vor  (N°  3). 
Meist  finden  sich  diese  Gruppen  an  einer  für  die  Eintheilung  des 
Gefässes  wichtigen  Stelle,  so  bei  2  und  3  unter  den  Henkeln. 

Zu  trennen  von  den  strengen  stilisierten  Streifen  sind  die 
naturalistischen  Feldhuhnstreifen  auf  10  (vgl.  7).  Die  nächste 
Analogie  bietet  die  kyrenäische  Vase  Arch.  Zeit.  1881  Tafel  10,  2, 
entferntere  eine  Vase  unbekannter  (ionischer)  Fabrik  (Gerhard 
A.  V.  III  185)  und  die  monotonen  aber  sorgfältigen  Thierstreifen 
rliodischer  Vasen. 

Die  gewöhnlichen  Thierstreifen  unserer  Vasenclasse  stehn  in 
dar  allgemeinen  Anordnung  jenen  der  korinthisclien  und  der  von 
diesen  abhängigen  attischen  Vasen  am  nächsten.  Wie  diese  zeigen 
sie  lieihen  schreitender,  seltener  sitzender  Thiere,  welche  mitunter 
durch  eine  wappenartige  Gruppe  in  zwei  Kichtungen  getrennt  wer- 
den.   Die  G/uppen  kämpfende:  Thiere,   welche    den  chalkidi^:chtn 


MIT    SCHWARZEN    FIGUREN.  181 

und  ältesten  attischen  Vasen  eigen  sind  ('),  sind  unseren  Vasen 
fremd.  An  wappenartigen  Gruppen  kommen  vor :  die  Panther  wel- 
che in  einen  gemeinsamen  Kopf  endigen  (N"  3  und  N°  10),  die 
Hähne  zu  beiden  Seiten  eines  Ornaments  (N°  1  und  2),  die  Sphingen 
mit  umgewendetem  Kopfe  (N°  6).  Für  die  Panthergruppe  findet 
sich  eine  Analogie  auf  einem  in  Khodos  gefundenen  Aryballos  ko- 
rinthischer Art,  auf  welchem  zwei  Vögel  dargestellt  sind,  welche  in 
einen  gemeinsamen  Pantherkopf  endigen  (Salzmann,  Necropole  de 
Camirus  pl.  41).  Die  beiden  anderen  Gruppen  finden  sich  sowohl 
auf  korinthischen  wie  auf  chalkidischen  Gefässen  häufig.  Letzterem 
eigenthümlich  ist  die  Darstellung  der  Thiere  mit  umgewendetem 
Kopfe.  Da  auch  diese  Gruppen  jedenfalls  aus  dem  Osten  stammen  {-), 
so  lässt  sich  aus  dem  gemeinsamen  Vorkommen  auf  verschiedenen 
Vasenclassen  auf  eine  Abhängigkeit  derselben  unter  einander  nicht 
schliessen. 

Wenn  nun  auch  die  allgemeine  Anordnung  der  Thierstreifen 
auf  unseren  Vasen  mit  jener  der  korinthischen  Vasen  übereinstimmt, 
so  unterscheiden  sie  sich  doch  wesentlich  in  der  Auswahl  und  sehr 
vortheilhaft  in  der  Ausführung.  Von  den  Lieblingsgestalten  der  ko- 
rinthischen Vasen  sind  der  Steinbock  und  die  kauernde  Sphinx  seiter, 
von  denen  der  attischen  Vasen  der  Widder  und  die  Sirene.  Wich- 
tiger sind  die  im  Vergleich    zu   jenen  Vasen  bevorzugten  Typen. 

(1)  Dass  diese  Gruppen  ursprünglich  im  Osten  zu  Hause  sind,  zeigt  der 
Arcliitrav  von  Assos ;  dass  sie  von  tieferer  Bedeutsamkeit  zum  Ornament  her- 
abgesunken sind,  hat  Usener,  de  Iliadis  carmine  quodam  Phocaico  p.  8  p.  44, 
erwiesen.  Auf  attischen  Vasen  sind  sie  sehr  früh  durch  korinthischen  Einflus 
verdrängt  worden ;  ausser  der  Franfoisvase  zeigt  sie  die  Oinochoe  des  Kolchos 
Gerhard  A.  V.  11  122.  123  und  die  Vase  Mus.  Greg.  II  28,  2,  deren  Xevfci-- 
tiger  aus  Opposition  gegen  den  korinthischen  Einfluss  sogar  auf  die  Dipylon- 
decoration  zurückgreift.  Dazu  würde  noch  die  Dreifussvase  aus  Tanagra  Arch. 
Zeit.  1881  Taf.  3  kommen,  wenn  deren  attischer  Ursprung  sicher  wäre.  Vor- 
läufig scheint  es  mir  gerathener,  die  Möglichkeit  tanagräischer  Fabrikaiion 
im  Auge  zu  behalten.  Während  die  caeretaner  Hydrien  die  Thierstreifen 
so  sehr  meiden,  dass  mitunter  an  ihrer  Stelle  ein  leerer  Streifen  erscheint, 
findet  sich  einmal  als  selbständiges  Schulterbild  ein  hundeartig  gebildeter 
Löwe  der  einen  Stier  von  vorn  in  den  Nacken  beisst,  ganz  ähnlich  wie  auf 
der  Franfüisvase,  auf  einem  Gefäss  der  Sammlung  Falcioni  in  Viterbo. 

(2)  Vergleiche  das  Löwenthor  mit  seinen  phrygischen  Parallelen  und  die 
kyprischen  Silberschalen.  Auch  der  dem  rhodischen  verwandte  Stil,  welcher  die 
auf  die  Dipylonvasen  folgenden  attischen  Gefässe  beeinflusst  hat,  kannte  jene 
Gruppen  (vgl.  Jahrbuch  II  Taf.  3),  während  sie  dem  rhodischen  fremd   sind. 


182  UEBER    EINE    CLASSE    GRIECHISCHER    VASEN 

Ganz  alleinstehend  ist  auf  N°  1  der  Acheloos ;  der  Hirsch,  welcher 
schon  auf  alten  korinthischen  Vasen  selten  ist,  erscheint  wieder- 
holt in  naturgetreuer  Bildung,  am  charakteristischsten  jedoch  ist 
der  schön  stilisierte  Greif.  Der  Greif  ist  stets  schreitend  gebildet, 
hat  grosse  Ohren  und  den  Schnabel  geöffnet,  aber  keinen  Aufsatz 
darauf.  Es  ist  dies  der  Typus  der  roththonigen  Reliefgefässe  (ver- 
gleiche Löschcke,  Arch.  Zeit.  1881  S.  41  Anra.  36).  Auf  N°  10 
erscheint  ausser  dem  gewöhnlichen  Tj^pus  noch  ein  ungeflügelter 
Greif  mit  kurzen  Ohren  und  Nackeukamm,  welcher  abgesehn  von 
den  fehlenden  Flügeln  dem  Typus  der  Inselsteine  nahekommt. 
Auffällig  ist,  dass  der  thierische  Körper  der  Sphinx  auf  N°  3  deut- 
lich als  männlich  charakterisiert  ist,  während  der  Kopf  weiblich 
ist.  Die  Bildung  der  Flügel  bei  diesen  Phantasiegeschöpfen  schwankt 
noch.  Während  zum  Beispiel  auf  N"  3  die  schöne  Abrundung  der 
Spitzen  schon  durchgeführt  ist,  hat  auf  N**  1  die  Sphinx  alter- 
tümlich gestreckte  Flügel  neben  den  gerundeten  des  Greifen;  auf 
NM 5  haben  Sphingen  wie  Greifen  gestreckte  Flügel.  Die  jüngste 
Form  scheint  der  geknickte  Flügel  zu  sein. 

Der  Thierstreifen  pflegt  sich  unmittelbar  unter  der  Schulter- 
darstellung zu  befinden,  wenn  der  zweite  Ornamentstreifen  erheb- 
lich untergeordnet  ist,  wie  auf  N°  1  die  Blätterkante,  auf  N°  2 
das  Punktnetz.  Meist  ist  der  Thierstreifen  aber  mit  einem  anderen 
Ornamenstreifen  verbunden,  welcher  dann  die  oberste  Stelle  ein- 
nimmt. Es  ist  dies  das  zweite  sichere  Kennzeichen  unserer  Vasen, 
das  reiche  Maeandermuster  mit  Sternrosetten.  Ein  einfacheres 
Maeandcrband  erscheint  nur  auf  späteren  flüchtigeren  Exemplaren 
wie  N"  12  und  13;  gewöhnlich  ist  es,  wie  bei  N"  3  und  8,  ein 
Muster  aus  einzelnen  Maeandermotiven,  welche  sich  durch  zwei 
Zonen  erstrecken,  deren  Zwischenräume  durch  Sternrosetten  gefüllt 
sind.  Häufig  sind  bei  diesem  Muster  drei  Farben  verwendet.  Das- 
selbe hat  mit  dem  Maeanderband  geometrischer  und  rhodischer 
Vasen  sowie  orientalischen  Goldschmucks  des  Typus  Regulini-Ga- 
lassi  nichts  zu  thun ;  es  ist  von  äg^'ptischen  Vorbildern  zunächst 
in  die  griechische  Architektur  (z.  B.  Benndorf,  Metopen  v.  Seli- 
nunt  Tafel  2)  und  Gewandverzierung  eingedrungen.  Vom  Fuss  nach 
den  untersten  Streifen  pflegt  sich  das  Kelchoiuameut  aus  spitzen 
Blättern  zu  erheben,  welches  allen  Vasenstilen  mit  schwarzen  Fi- 
guren gemeinsam  ist. 


MIT    srUWAIl'.KN    FIGUREN.  183 

Diese  Analyse  der  Haiiptforraen  der  Decoration  hat  hoffentlich 
die  Berechtigung  ergeben,  unsere  Vasen  zusammenzufassen  und  den 
anderen  früharchaischen  Classen  zu  coordinieren.  Im  einzelnen 
zeigen  aber  dieselben  soviel  eigentümliches,  dass  eine  umfassendere 
Publication  als  ein  dringendes  Bedürfniss  bezeichnet  werden  muss. 
Ich  habe  die  Oinochoen  nur  nebensächlich  berücksichtigen  binnen, 
da  zu  wenige  in  Abbildungen  zugänglich  sind. 

Ehe  wir  zur  Analj^se  der  Darstellungen  schreiten,  wird  es 
zweckmässig  sein,  in  der  Decoration  die  Berührungen  mit  anderen 
Yasenclassen  zusammenzustellen,  soweit  dies  noch  nicht  geschehn  ist. 

Nur  zweimal,  bei  N°  4  und  5,  erscheint  das  auf  korinthischen, 
chalkidischen  und  attischen  Vasen  gewöhnlichste  Ornament,  Pal- 
mette und  Lotos  gegenständig.  Es  leuchet  ein,  dass  bei  N°  4  das 
Ornament  an  dieser  Stelle  nicht  ursprünglich  ist,  sondern  den  Thier- 
streif  verdrängt  hat.  Wo  sonst  Palmetten-  und  Lotosmotive  er- 
scheinen, sind  sie  abwechselnd  zu  einem  einfachen  Bande  ange- 
ordnet; es  ist  dies  die  ständige  Decoration  der  caeretaner  Hydrien. 

Weitere  Berührimgen  mit  dieser  Vasenclasse  sind  die  natura- 
listischen Blattkanten  (welche  sich  allerdings  auch  auf  jüngeren 
rhodischen  Vasen  finden),  das  Kreuzornament  auf  den  Henkel- 
scheibchen  von  N°  15,  die  Vorliebe  für  Buntheit  und,  um  dies 
vorwegzunehmen,  für  Beflügelung  an  den  Hüften,  sowie  die  unter- 
schiedslose Zeichnung  des  Auges  bei  Männern  und  Frauen.  Von 
Korinth  entlehnt  ist  wahrscheinlich  das  Punktnetz  auf  N°  2.  An 
die  kyrenaeischen  Vasen  erinnert  die  Zubereitung  des  Grmides,  der 
Granatapfelfries  auf  N"  18,  die  gedrungene  Palraette  unter  dem 
Henkel  von  N°  2,  die  Palmettenranken  welche  aus  dem  Haupt  der 
Sphinx  herauswachsen  auf  N°  1.  Auch  dieses  Motiv  erklärt  sich, 
wie  die  anderen  Uebereinstimmungen,  zum  Theil  aus  dem  engen 
Anschluss  an  Metallvorbilder  (Vgl.  Petersen,  Ath.  Mittheilimgeu 
XI  S.  376). 

Des  Vogelfrieses  ward  schon  gedacht.  Unter  den  Darstellungen 
hatten  wir  die  rein  parataktisch  componierten  als  die  ursprüngli- 
chen erkannt,  und  demgemäss  vorangestellt.  Aber  selbst  unter 
diesen  sondert  sich  schon  N°  4  als  korinthisch  beeinflusst  aus. 

Abgesehn  von  dem  Ornament  sind  die  ausgelassenen  Gesellen, 
welche  auch  auf  N°  15  wiederkehren,  von  korinthischen  Vasen  gut 
bekannt.  Es  ist  bemerkenswerth,  dass  dieselben  auf  N"  4  mit  der 


184  UEBER    EINE    CLASSE    GRIECHISCHER   VASEN 

Nebris  bekleidet  sind.  Sie  vertreten  auf  korinthischen  Vasen  die 
Stelle  der  Satyrn  und  sind  von  diesen  auch  auf  die  kyrenaeischen 
Vasen  übergegangen  ('). 

Man  könnte  ja  auch  an  eine  geraeinsame  Quelle  dieser  Dar- 
stellung: für  die  korinthischen  und  die  anderen  Vasen  denken.  Da- 
gegen  spricht  aber  wenigstens  bei  N°  4  die  Form  der  mitabgebil- 
deten Gefässe,  welche  korinthisch  ist. 

Für  andere  Darstellungen  lassen  sich  attische  Vorbilder  nach- 
weisen. Die  Vorlage  für  das  Parisurtheil  auf  N°  8  ist  vielleicht 
erhalten  in  der  frühattischen  Vase,  welche  bei  Lau  Tafel  VIII  1 
zur  Hälfte  abgebildet  ist.  Der  Greif  mit  dem  Kervkeion  ist  sinnlos 
hinzugefügt,  ein  Ueberrest  des  alten  parataktischen  Verfahrens. 
Die  Tötung  des  Tityos  auf  N"  9  dürfte  gleichfalls  auf  attische 
Vorbilder  ziirückgehn,  wenn  solche  auch  nicht  nachweisbar  sind. 
Für  hohes  Alter  spricht  das  geflügelte  Gespann.  Abhängig  von 
einem  Vorbild  wie  unsere  Vase  ist  das  sehr  ähnliche  Bucchero- 
relief  bei  Micali,  Mon.  ined.  34,  2.  Für  die  merkwürdige  Daemonen- 
versammhmg  endlich  auf  N"  9,  11  und  15  gibt  es  Vorbilder  auf 
attischen  Schalen,  welche  in  Boeotien  vielfach  gefunden  werden; 
verwandt  sind  auch  gewisse  Amphoren  aus  der  Manieristenschule, 
welche  sich  an  Exekias  anschliesst  z.  B.  Gerhard  A.  V.  II  117, 
118,  3.  Unbenennbare  Flügelwesen  spielen  auch  hier  eine  grosse 
KoUe.  Vergleiche  auch  die  ältere  attische  Vase  Mus.  Greg.  II  31,  2. 

Keine  sichere  Deutung  habe  ich  für  den  Zweikampf  zwischen 
Athena  und  Herakles  auf  N°  10;  der  Kessel  mit  Schlangenprotomen 
kehrt  auf  N°  7  beim  Kampfe  des  Theseus  mit  dem  Minotauros 
wieder,  wo  er  gleichfalls  schwer  verständlich  ist. 

Die  übrigen  Darstellungen  mit  ihrer  parataktischen  Composi- 
tion  darf  man  nicht  zu  scharf  interpretieren.  Man  würde  vielleicht 
schon  zu  weit  gehn,  wenn  man  die  schreitenden  und  disputierenden 
]\Iänner  mit  Stäben  auf  N°  1  für  Buleuten  oder  Kichter  erklärte. 
Der  merkwürdige  Stab  kehrt  nicht  nur  auf  N*^  8,  sondern  auch  in 


(•)  Auf  den  attischen  Vasen  haben  diese  korinthischen  Vorbilder  die  Si- 
Icne  um  ihren  l'ferdefuss  gebracht.  Derselbe  erscheint  nach  der  Fran^oisvase 
nur  noch  sporadisch,  z.  B.  Gerhard  A.  V.  I  52.  Schon  Ergotimos  ist  stark  ko- 
rinthisch beeinflusst.  Auf  der  Tasse  bei  Gerhard  A.  V.  ITI  238  erscheint  neben 
einer  korinthischen  Zechcrscene  der  Silcn  inenschenfüssig. 


MIT    SCHWARZEN    FIGUREN.  18 


■>.) 


der  Hand  des  sogenannten  Agamemnon  der  Dodwellvase  wieder. 
Offenbar  in  mythisches  Gebiet  versetzt  uns  die  Darstellung  auf 
N°  2.  Drei  Männer,  aus  deren  Gesäss  ein  gewaltiger  Fischleib 
wächst,  eilen  erfreut  vier  ebenso  freudig  erregten  Frauen  entgegen. 
Es  sind  offenbar  Tiitonen  und  Nereiden,  welche  hier  etwa  die 
Stelle  von  Silenen  und  Nymphen  vertreten.  Neu  ist  die  Bildung 
der  Tritonen,  neben  welcher  auf  N"  17  ein  Triton  der  gewöhnli- 
chen Bildung  vorkommt.  Man  könnte  den  menschenbeinigen  Triton 
für  eine  griechische  Neubildung  halten,  analog  dem  menschen- 
beinigen Kentauren  (');  möglich  ist  aber  auch,  dass  diese  Bildung 
ebenso  wie  die  andere  auf  assyrische  Vorbilder  zurückgeht,  näm- 
lich den  Mann,  welcher  eine  Fischhaut  wie  einen  Mantel  trägt. 
Assyrische  Beispiele  für  beide  Bildungen  bei  Layard,  Nineveh  und 
Babvlon  übers,  von  Zenker,  Tafel  VI  C.  G.  H.  J. 

Wie  hier  so  kann  auch  bei  dem  Mannstier  auf  N°  1  directer 
babylonischer  Einfluss  vorliegen.  Man  könnte  sonst  versucht  sein, 
aus  dieser  Figur  eine  locale  Bestimmung  abzuleiten,  da  die:e  Bil- 
dung des  Flussgottes  in  Unteritalien  und  Sicilien  besonders  ver- 
breitet ist.  Im  allgemeinen  sind  mir  selbständige  archaische  Vasen- 
classen  mit  Figuren  in  Sicilien  und  Unteritalien  wenig  wahr- 
scheinlich. Zwei  Stile  in  der  Hauptsache  brachten  die  italischen 
Griechen  mit:  einen  geometrischen  (der  im  Typus  älter  ist  als 
der  entwickelte  Dipylonstil)  und  den  sogenannten  protokorinthi- 
schen.  Diese  Stile  behielten  sie  bei,  ohne  dem  Import  vom  Mutter- 
lande selbständige  Concurrenz  zu  machen,  bis  unter  attischem 
Einüuss  im  vierten  Jahrhundert  die  apulischo  Vasenmalerei  ent- 
stand. Für  diesen  Sachverhalt  spricht  das  Vorkommen  ganz  junger 
Motive,  wie  des  Kymations,  auf  italisch  geometrischen  Vasen. 

Manche  Absonderlichkeiten  zeigt  die  im  allgemeinen  ionische 
Tracht ;  aber  auch  aus  diesen  ist  eine  locale  Bestimmung  nicht 
herzuleiten.  Gegen  den  griechischen  Ursprung  unserer  Vasen  spricht 
in  der  Tracht  nichts.  Namentlich  ist  die  spitze  Haube  der  Frauen 
keineswegs  ausschliesslich  etruskisch.  Sie  ist  einfach  eine  Form 
des  Pilos,  welcher,  wie  schon  aus  dem  Namen  hervorgeht,  ebenso 
zur  indogermanischen  Urtracht  gehört,  wie  eine  ähnliche  Kopfbe- 

(')  Eine  Vermcnschlichuiig  der  SireneiibiMung  findet  sich  auf  N°  11, 
ein  Vogelleib  mit  menschlichem  Oberkörper  und  Armen. 

12 


186  UEBER    EINE    CLASSE    GRIECHISCHER    VASEN 

deckiing  bei  den  Semiten  uralt  sein  mag  (i).  Für  das  Alter  unserer 
Vasenclasse  spricht  es  wieder,  dass  nur  erst  auf  einigen  Exempla- 
ren primitive  Versuche  die  Falten  anzugeben  gemacht  werden 
(z.  B.  auf  N°  9  u.  10). 

Eine  Vermuthung  über  den  Entstehungsort  unserer  Vasen  lässt 
sich  am  ehesten  an  N°  3  anknüpfen,  wenn  man  bedenkt,  dass  trotz 
der  parataktischen  Composition  hier  eine  Art  realistischer  Schilde- 
rung aus  dem  Leben  vorliegt,  ein  Kampf  zwischen  Griechen  und 
Barbaren  (-).  Das  Barbarenvolk  erscheint  als  eines,  welches  mit 
seinen  Pferden  so  verwachsen  ist,  dass  es  der  Zügel  nicht  bedarf. 
Das  Fliehen  ist  hier  nicht  Folge  einer  Niederlage,  sondern  gefähr- 
liche Taktik,  den  Gegner  zu  zerstreun;  auf  die  vereinzelten  Ver- 
folger werden  die  verderblichen  Pfeile  abgesandt.  Auch  die  Helle- 
nen scheinen  auf  diese  Kampfesart  besonders  gerüstet.  Zum  Zweck 
grösserer  Beweglichkeit  tragen  sie  weder  Panzer  noch  Schwert;  nur 
Kopf  und  Beine  sind  gegen  die  Pfeile  der  Barbaren  mit  Erz  ge- 
schirmt; die  einzige  Watte  ist  ein  leichter  Wurfspeer.  Nach  der 
Tracht  könnte  man  zunächst  geneigt  sein,  die  dargestellten  Bar- 
baren in  Kleinasien  zu  suchen,  doch  wird  man  bald  finden,  dass 
sich  hier  genau  entsprechendes  nicht  findet.  Die  Hettiter,  welche 
gleichfalls  spitze  Mützen  tragen,  sind  um  diese  Zeit  längst  von 
anderen  Völkerbildungen  aufgesogen,  bei  den  Persern  durfte  nur 
der  König  die  Tiara  steif  tragen,  die  Lj-der  werden  von  Mimnermos 
zwar  IrrTTÖiiaxor  genannt,  sind  aber  in  dem  sechsten  Jahrhundert 
in  der  Bewaffnung  bereits  hellenisiert  (vgl.  Herodot  VII  74). 
Ueb:rhaupt  findet  sich  im  Heergefolge  des  Xerxes  keine  asiatische 

(')  Der  Pilos  erscheint  nicht  nur  in  Cj'pern  und  an  einer  tiryniher 
Bronze,  sondern  überall  an  den  ältesten  figürlichen  Darstellungen  in  Griechen- 
land. Wie  die  olympischen  Wagenlenker  aus  Bronze  trägt  ihn  ein  Wagen- 
lenker aus  Terracotta  aus  «inem  Dipylongrah  in  Wien  und  die  ältesten  Terra- 
cotten  aus  Tanagra.  Bei  Polyaen  Strat.  4,  14  gehört  zur  zurückgebliebenen 
peloponnesischen  Tracht  der  7ithji  'jQxaö^xös.  Auch  in  Italien  wird  daher  der 
pileus  wol  die  ursprüngliche,  für  den  Cultus  beibehaltene  Tracht  sein,  sonst 
würde  dafür  wohl  ein  Fremdwort  erscheinen.  Als  Heibig  über  den  pileus 
schrieb  (Münchener  Sitzungsberichte  1880  S.  527  ff.),  waren  die  ältesten  grie- 
chischen Funde  noch  nicht  bekannt. 

(2)  Der  Gedanke  an  Amazonen  ist  ausgeschlossen,  da  sich  an  den  nackten 
Körpcrtheilen  keine  Spur  von  Weiss  findet  und  das  Weiss  auf  dieser  Vase 
sonst  gut  erhalten  ist. 


MIT    SCHWARZEN    FiaUREN.  187 

Völkerschaft,  deren  Tracht  der  unserer  Vasen  entspräche.  Um  so 
genauer  entspricht  die  Tracht  der  Skythen.  Herodot  VII  64: 
JScixai  öi  Ol  ^xvOai  tt^qI  fitv  ri^ai  xi-ifiaXr^ai  xvQßacJiag  eg 
o^v  aTriytitrag  ogO^clg  fi^or  rceni^yvictg,  civa^VQi'Sug  ^i 
h'dadvxeüar,  rö^cc  dt  iiri'/^u'iQia  xal  ty^^fiofSia,  ngog  dt  xal  d^tvag 
auyäqtg  ei'xor.  Ob  die  Barbaren  unserer  Vase  enganliegende  Hosen 
tragen  oder  nicht,  lässt  sich  nicht  entscheiden.  Auch  wenn  letzteres 
anzunehmen  wäre,  so  würde  die  Kopftracht  doch  entschieden  als 
skythische  anzusprechen  sein.  Sie  erschien  den  Persern  so  charakte- 
ristisch, dass  ein  Theil  der  Skythen  auf  den  Inschriften  des  Da- 
reios  die  spitzmützigen  heiszt  (vgl.  Eduard  Meyer,  Gesch.  d. 
Alterth.  I  S.  515).  Dass  die  Barbaren  auf  dem  Vasenbild  sich  nur 
der  Hauptwafte  bedienen,  kann  nicht  Wunder  nehmen.  Auch  die 
Aehnlichkeit  mit  Amazonen  findet  jetzt  ihre  volle  Erklärung,  da 
die  Amazonen  schon  früh  in  Athen  als  skythisches  Volk  darge- 
stellt wurden  (vergleiche  den  Anhang).  Vollkommen  skythisch  ist 
die  Kampfweise.  Aus  Herodot  ist  bekannt,  in  welche  Gefahr  Da- 
reios  durch  die  beständige  Flucht  der  Skythen  gerieth  (').  Dass 
der  Pfeil  ihre  Hauptwaife  ist,  geht  aus  den  Geschenken  hervor, 
welche  sie  an  Dareios  schicken  (Herodot  IV  131)  (-).  Auch  die 
Form  des  Bogens  ist  skythisch,  obwohl  sie  in  alter  Zeit  auch  bei 
griechischen  Bogenschützen  vorkommt.  Es  sind  zwei  elastische 
Krümmungen,  welche  in  der  Mitte  durch  einen  geraden  Steg  ver- 
bunden sind  (3).  Speciell  skythisch  ist  die  Art  des  Schiessens,  wie 
sie  auf  unsrer  Vase  dargestellt  ist;  dass  die  Skythen  beim  Schiessen 
dem  Gegner  die  Seite  und  nicht  die  Brust  boten,  bezeugt  schol. 
II.  0  323  rorg  /itr  Kgi^iug  tr^r  vtvgciv  tXxtiv  trri  lor  fiacfTor.  . 
(wie  alle  Griechen  auf  archaischen  Kunstwerken)  to)i  2xv[hon' 
ovx  tiTi   tov  {xaOtov  all'  eirl  rov  ohiov  tXxömor. 

Dass  sich  unsere  Vasen  bis  jetzt  nur  in  Italien  gefunden  ha- 
ben, ist  nicht  wunderbarer  als  der  gleiche  Umstand  bei  den  chal- 
kidischen  und  bis  vor  Kurzem  bei  den    kvrenaeischen.    Natürlich 


(1)  Vgl.  auch  Plato  Laches  p.  191  :  "ilaneg  nov  xid  Ixv9(a  Xsyovxca  ovx 
r'jTTOi'  (pevyouTeg  ?']  Jiojy.oiTS';  itcc^eafiai. 

(■^)  Vgl.  auch  Xenoi)hon  mein.  III  9,  3. 

(3)  Von  Ammian  XXII  8,  37  wird  diese  Form  ausschliesslich  Parihern 
und  Skyihen  zugeschrieben. 


188  UEBER    EINE    CLASSE    GRIECHISCHER    VASEN 

liat  irgend  ein  grösseres  Handelscentruni,  wie  Korinth  oder  Phokaea, 
den  Export  vermittelt. 

Dass  unsere  Vasen  im  ganzen  den  korinthischen  Vasen  näher 
stehn  als  den  uns  bekannten  ionischen  Gruppen,  würde  kaum 
gegen  eine  pontische  Fabrik  sprechen,  wenn  eine  solche  aus  anderen 
Gründen  anzunehmen  wäre.  Manche  Eigentümlichkeiten  würden 
weniger  befremden  bei  einer  Fabrik  an  der  Peripherie  des  Grie- 
chentums. So  könnte  z.  B.  die  Kopfbedeckung  der  Frauen  theils 
durch  die  Kälte  theils  durch  die  Nachbarschaft  der  Barbaren 
mitveranlasst  sein ;  denn  obwohl  sie  urgriechisch  ist,  so  ist  sie 
doch  im  eigentlichen  Hellas  früh  abgekommen. 

Dio  Chrjsostomos  beschreibt  die  Tracht  des  BoiTstheniten 
Kallistratos  als  skythisch  (or.  36  p.  77  R.).  In  diesem  Falle  liegt 
offenbar  Anbequemung  an  das  Klima  vor.  nicht  Barbarisierung ; 
denn  die  BoiTstheniten  lebten  mit  den  Skythen  in  bitterster  Feind- 
schaft. Noch  zu  Dions  Zeit  trugen  sie  Bart  und  Haar  lang,  nach 
homerischer  Sitte,  wie  Dion  hinzufügt  (p.  81  R.). 

Wem  es  indess  misslich  scheint,  aus  der  Deutung  einer  Vase 
auf  die  Herkunft  einer  ganzen  Classe  zu  schliessen,  dem  gestehe 
ich  die  Unsicherheit  dieses  Verfahrens  gern  zu ;  es  könnte  auch 
später  nöthig  werden,  mehrere  verwandte  Gruppen  zu  scheiden, 
vorläufig  aber  schien  mir  die  Zusammenfassung  einer  Anzahl  wenig 
beachteter  Gefässe  mit  vielen  gemeinsamen  Eigentümlichkeiten 
r"chtiger,  als  die  Scheidung  nach  einem  speciellen  Motiv,  z.  B.  dem 
Maeanderornament  oder  rein  parataktischer  Composition,  da  die 
Grenzen  der  einzelnen  Gruppen  doch  fliessende  gewesen  sein 
Avürden. 

Für  die  italische  Handelsgeschichte  würde  die  Frage  aufzu- 
werfen  sein,  ob  in  unseren  Vasen  endlich  ein  Symptom  des  wohl- 
bezeugten phokaeischen  Handels  vorliegt.  Die  Frage  ist  noch  nicht 
spruchreif.  Ich  neige  mehr  zu  der  Ansicht,  dass  der  phokaeische 
Handel  vertreten  wird  durch  eine  Typik,  welche  theils  als  etrus- 
kisch  theils  als  phönikisch  angesehn  zu  werden  pflegt,  etwa  die 
Vorbilder  der  Bucchero-Gefässe  oder  den  Stil  des  Goldrchmucks 
Kegulini-Galassi.  Definitiven  Aufschluss  hierüber  können  nur  lydi- 
sche  und  marseiller  Funde  geben.  Die  archaisch  griechischen  Ge- 
fässclassen,  das  heisst  die  korinthischen  Vasen,  die  caeretaner 
Hydrien  und  unsere  Gruppe,  werden  wol  die  Syrakusaner  importiert 


MIT    SCHWARZEN    FIGUREN.  189 

haben,  während  Athen  den  Handel  von  Anfang  an  selbst    in    die 
Hand  nahm. 

ANHANG. 

Skythen  und  Perser  auf  altattischen   Vasen. 

In  der  attischen  Kunst  wurde  die  sk3thische  Tracht  typisch 
für  alle  Bogenschützen,  Griechen  wie  Barbaren.  Jedenfalls  geht 
den  attischen  Ansiedlungen  in  Sigeion  und  Thrakien  ein  längerer 
Verkehr  mit  dem  Norden  voraus.  Wenn  schon  auf  der  Franyoisvase 
neben  den  ersten  griechischen  Heroen  die  Bogenschützen  Toxaniis 
imd  Kimmerios  erscheinen,  so  genügt  die  Annalime  frühen  Haii- 
djlsverkehrs  (')  zur  Erklärung  dieser  aulfälligen  Erscheinung  niclit. 
Kimmerios  ist  die  griechische  Bezeichnung  für  einen  Sklaven 
aus  jener  Gegend,  Toxamis  klingt  echt  skjthisch,  die  Darstellung 
der  Tracht  zeugt  von  Autopsie.  Die  Franfoisvase  setzt  die  Existenz 
der  skythischen  Scharwache  schon  voraus,  es  ist  ein  Scherz,  wenn 
Klitias  zwei  seiner  barbarischen  Freunde  dem  Meleager  und  Pe- 
leus  an  die  Seite  stellt.  Da  der  Kerameikos  ein  etwas  unsolides 
Stadtviertel  war,  so  waren  gewiss  Töpfer  und  Polizisten  mit  einan- 
der wol  bekannt ;  vielleicht  vertauschte  der  Vasen  maier  Skythes 
erst  spät  den  Bogen  mit  der  Töpferscheibe. 

Bei  Gerhard  A.  V.  III  192  kämpfen  Hektor  und  Diomedes 
über  dem  verwundeten  Skythes,  eine  naive  Uebertragung  attischer 
Verhältnisse  auf  troische,  wenn  nicht,  wie  Jahn  a.  a.  0.  S.  CXIX 
Anm.  865  will,  der  Volksname  die  Waffengattung  bezeichnet. 

Wenn  auf  den  Vasenbildern  um  die  Mitte  des  VI.  Jahrhunderts 
in  den  Amazonendarstellungen  die  Hoplitenrüstung  skythischer 
weicht,  so  beweist  dies,  dass  die  pontische  Pragmatisierung  der 
Sage,  wie  sie  Herodot  IV  111  if.  erzählt,  schon  damals  in  Athen 
Glauben  fand. 

Leider  lässt  sich  ein  sicheres  chronologisches  Kriterion  hier- 
aus nicht  gewinnen,  da  die  ältere  Tracht  neben  der  jüngeren  fort- 
besteht. Bei  i^erhard  A.  V.  III  166  sind  wol..  eher  Perser  als 
Skythen  dargestellt,  wenigstens  passt  zu  diesen  besser  der  lange 
Bart  und  die  gebogene  Nase;  auch  die  Form  d..s  Bogens  ist  un- 
skythisch. 


(')  Jcilm,  Va3e:isi:n:aVanj  König  Ludsvlga  S.  CTJV. 


190  UEBER    EINE    CLASSE    GRIECHISCHER   VASEN 

Merkwürdig  sind  die  Linneupanzer  mit  Fransen  und  die  an- 
scheinend aus  Pantherfellen  gefertigten  Kopfbedeckungen.  Diese 
Eigentümlichkeiten  geben  kein  treues  Bild  persischer  Tracht,  son- 
dern führen  vielmehr  auf  den  Verfertiger  der  Vase.  Für  die  Vasen 
des  VI.  Jahrhunderts  hat  Studniczka  (')  überzeugend  nachgewiesen, 
dass  das  Vorkommen  von  Fransen  stets  auf  afrikanische  Bezie- 
liungen  der  Verfertiger  schliessen  lässt.  Vergleichen  wir  mm  den 
Barbarenkampf  unserer  Schale  mit  der  fragmentierten  Amazono- 
machie  bei  Duo  de  Luynes,  Vases  pl.  44,  so  lässt  sich  aus  stili- 
stischen Gründen  schwer  die  Vermuthung  abweisen,  dass  beide 
Schalen  von  derselben  Hand  herrühren,  da  selbst  so  auffallende 
Einzelheiten  wie  der  Pantherhelm  wiederkehren.  Nun  ist  aber  der 
Amazonenkampf  von  dem  jüngeren  Amasis  gemalt,  der  wol  eher 
der  Sohn  als  der  Enkel  des  älteren  ist.  Dieser  hätte  dann  einige 
p]igentümlichkeiten  der  Tracht  von  seinem  Vater  angenommen  (-) 
oder  selbst  noch  in  Afrika  kennen  gelernt.  Für  letztere  Annahme 
spricht  die  Pantherkappe.  Nach  Herodot  VII  66  waren  die 
Aethiopen  in  Panther-  und  Löwenfelle  gekleidet.  Zeitlich  mag 
die  Vase  den  Perserkriegen  nahestehn,  wie  denn  die  Vasenbilder 
mit  historischen  Darstellungen  überhaupt  eine  eng  geschlossene 
Gruppe  bilden.  Die  schöne  Vase  des  Museo  Gregoriano  II  4,  2 
zeigt  den  Grosskönig  in  vornehmer  Friedenstracht  Abschied  neh- 
mend. Die  Stimmung  ist  dieselbe  wie  in  Aischvlos  Persern, 
auch  die  Entstehungszeit  muss  nahe  liegen.  Jünger  ist  die  Vase 
des  Xenophantos  im  Compte  rendu  1866  pl.  139.  Sie  ist  entschieden 
die  beste  Quelle  für  persische  Tracht.  Dass  Xenophantos  am  Pontos 


(1)  'Ecptifi.  uQxaiol.  188G  Sp.  127. 

(-)  Auf  der  Vulcenter  Schale  Duc  de  Luynes,  Vases  jil.  1  tragen  zwei 
skytliische  Krieger  einen  gefransten  Chiton.  Dem  Stile  nach  könnte  auch  diese 
Schale  vom  älteren  Araasis  gemacht  sein.  Doch  werden  die  Fransen  wol  auch 
von  anderen  Malern  zur  Charakterisierung  fremder  Tracht  verwandt.  So  trägt 
der  Hippalektryonreiter  Annali  d.  Inst.  1874  tav.  F  einen  thrakischen  Mantel 
mit  Fransen,  auch  die  Chlaina  des  Hipparch  Arch.  Zeit.  1883  Tafel  12  soll  wol 
einen  fremdartigen  Eindruck  machen.  Vielleicht  ist  ein  linnenes  Pharos  ge- 
meint (vgl.  Studniczka,  Beitr.  z.  Gesch.  d.  altgr.  Tracht  S.  87  ff.).  Dass  das 
Vasenhild  Mus.  Greg.  II  3  (unten)  dem  älteren  Amasis  gehört,  würde  auch 
ohne  den  Fransenmantel  der  Vergleich  mit  den  bezeichneten  Amasis  bei  Luynes, 
Vases  2  u.  3  (andere  Publicationen  bei  Klein,  Meistorsignaturen  S.  ■'13)  lehren. 


MIT    SCHWARZEN    FIGUREN.  191 

selbst  gearbeitet  habe,  möchte  ich  aus  dem  Greifen  mit  gehörntem 
Löwenkopf  schliessen,  welcher  auf  den  Münzen  von  Pantikapaion 
wiederkehrt.  Deshalb  setzt  er  seinem  Namen  auch  'AO^ip^atog  hinzu. 
Auf  späteren  Vasen  dringen  auch  in  die  Amazonentracht  persische 
Elemente. 


Giessen  26.  Juni  1887. 


Ferdinand  Düemmler. 


Nachtrag  ::ii  Seile  171  ff. 

Durch  Böhlaus  Freundlichkeit  bin  ich  in  der  Lage,  den  auf 
S.  171  ff.  behandelten  Gefässen  fünf  weitere  Exemplare  aus  Würzburg 
hinzuzufügen. 

I.  N'^  84.  (Verzeichniss  der  Antikensammlung  der  Universität 
Würzburg,  3.  Heft,  Wagner-Programm  von  L.  Urlichs).  Amphora. 
Mündun«:  vielleicht  modern.  Am  Halse  drei  nach  1.  schreitendj 
nackte  Jünijlinore,  die  r.  Hand  erhoben  ;  zwischen  ihnen  Wasser- 
Vögel  nach  1.  Auf  den  Schulterfeldern  je  zwei  Kentauren  nach  1. 
schreitend  und  das  Vordertheil  eines  dritten.  Sie  haben  Pferdebeine 
und  sind  bärtig  bis  auf  einen ;  über  der  Schulter  tragen  sie  Aeste  ; 
rothes  Haar  mit  weisser  Binde,  nur  der  mittelste  auf  einer  Seite 
waisshaarig.  Zwischen  ihren  Beinen  Wasservögel  nach  rechts.  Darun- 
ter Thierstreif.  Unter  den  Henkeln  je  zwei  Löwen  mit  erhobener 
Tatze  und  umgewandtem  Kopfe  um  ein  Palmettenornament,  da- 
zwischen Sphinx  und  Löwe  nach  links  schreitend.  Dann  Netz  aus 
weissen  Punkten,  in  den  Maschen  rothe  Kreuze ;  am  Fuss  Strahlen. 

IL  N"  80.  Amphora.  Am  Ausguss  Punktnetz.  Am  Halse  Fries 
aus  Voluten  und  Palmetten  nach  beiden  Seiten  ;  darunter  nach 
oben  gerichtete  herzförmige  Blätter ;  dazwischen  Kreuze.  Auf  den 
S3hulterfelderu  je  vier  laugbärfcige  Silene  mit  Pferdehufen  und 
-schwänzen,  zum  Theil  mit  Nebris  bekleidet,  sehr  ausgelassen.  Dann 
Ornamentstreif:  Voluten  mit  Palmetten  nach  unten  gerichtet,  Vo- 
luten mit  Palmetfcen  und  herzförmigen  Blättern  nach  oben  und 
Lotosblüten  nach  unten.  Darunter  Thierstreif  nach  1. :  Stier,  um- 
schauender auf  einem  Beine  stehender  Vogel  nach  r.,  nach  1.  Si- 
rene mit  ausgebreiteten  Flügeln,  weidender  Steinbock,  Panther  mit 
erhobDner  Tatze,  weidender  Hirsch.  Am  Fuss  Strahlen. 


192  UEBER    EINE    CLASSE    GRIECHISCHER   VASEN    eCC. 

IIL  N"  79.  Amphora.  Am  Halse  beiderseits  zwei  ithyphallische 
Tänzer,  drei  davon  mit  einem  merkwürdigen  Schurz  bekleidet ;  am 
Boden  wachsen  Banken.  Schulterbild:  Frau  mit  hoher  Haube  nach  r., 
mit  der  L.  hebt  sie  den  Chiton  mit  gesticktem  Mittelstreif;  Jüngling 
mit  vier  Flügeln  an  den  Hüften  nach  r. ,  je  zwei  Flügel  an  den 
Füssen  ;  bärtiger  Mann  nach  r.  in  kurzem,  weissem  Chiton  und 
kurzem  Himation,  die  r.  Hand  in  die  Hüfte  gestemmt,  in  der  L. 
Blume  haltend.  Hinter  ihm  Schwan,  vor  ihm  nach  1.  Hahn  mit 
Menschenkopf  und  Armen.  Kückseite  :  drei  Jünglinge,  einer  lau- 
fend, einer  mit  Stab  und  Kranz ;  auf  dem  Boden  Ranken.  Darunter 
Thierstreif  nach  1. :  Seepferd,  Sphinx  mit  ausgebreiteten  Flügeln, 
Panther,  Greif  mit  erhobenen  Flügeln,  Löwe,  Panther,  Sphinx, 
Panther,  Greif.  Darunter  Lotos  und  Palmetten  einseitig  abwech- 
selnd nach  oben;  am  Fusse  Strahlen. 

IV.  N'  36.  Oinochoe  mit  einfachem  Henkel  ohne  Scheiben. 
Auf  der  Schulter  vorn:  Weibliclier  Kopf  im  Profil  nach  1.,  Schwan 
über  einer  Ranke  nach  1.  fliegend,  Schwan  nach  r.  fliegend  dar- 
unter Maeander  mit  schrägen  Kreuzen;  am  Fuss  Strahlen  mit 
Kreuzen  in  den  Zwischenräumen. 

V.  N°  40.  Oinochoe  mit  zweistabigem  Henkel  ohne  Scheiben. 
Auf  der  Schulter  abwärts  gerichtete  Strahlen  mit  Kreuzen  in  dea 
Zwischenräumen,  dann  brauner  Streifen,  darunter  Maeander  mit 
Sternrosetten;  am  Fuss  einfache  Strahlen. 

Das  wichtigste,  das  diese  Vasen  zu  den  bisher  behandelten 
hinzubringen,  ist  die  ionische  Gestalt  der  Silene,  welche  hier  wol 
ebenso  wie  in  der  attischen  Kunst  die  ursprüngliche  ist.  Auch 
hier  ist  die  Syntax  der  Ornamente  wieder  eine  so  mannichfaltige 
und    eigentümliche,    dass    nur    Abbildung    eine    genügende    Vor- 


stellung zu  geben  vermag. 


F.  D. 


CONSIDERAZIONl  S\]LL' AFS  GRA  VE  ETßüSCO. 


Fino  a  pochi  aiini  fa  era  opiuione  accreditata  fra  i  •numisina- 
tici  che  gli  Etruschi  fossero  stati  gli  ultimi  fra  i  popoli  deU'Italia 
centrale  ad  adottare  per  moneta  il  sistema  dell'  aes  grave  fiiso  e 
che  l'avessero  copiato  dai  vicini  Umbri  o  dai  Latini,  opinione  che 
si  basava  imicamente  suirinferioritä  del  peso  degli  assi  etruschi 
iu  coüfronto  di  quelli  umbri,  latini  e  romani. 

Confesso    il  vero  che  io  non  ero  rimasto  mai  convintD    dalla 
sola  ragione  del  peso.    Gli  assi  etruschi  hanno    uu    carattere    piii 
semplice    e  primitivo    degli  altri :  essi  non    ci  rappresentano    che 
dögli  oggetti  simbolici,  a  diit'erenza   specialmente  di  quelli  latini, 
SU  cui   vediamo    figurate  delle    divinitä  in  forme    umane ,  oppure 
degli  animali  eseguiti  con  un'  arte  che  si  accosta  alla   perfezione. 
Inoltre  la  mancanza  d'iscrizione  sulle  monete  etrusche,  eccettuaue 
quelle  di  Volterra,  e  un'altra   prova  döiranzianitä  del  loro  tipo  su 
quello  delle  altre.  Non  si  puö  dunque  a  meno  di  ammettere   che 
nelle  romane,    nelle  latine  e  nelle  umbre  vi  sia  un  notevole  pro- 
gresso,  vuoi  nell'  arte,  vuoi  nello  sviluppo   delle  idee,  poiche  e  ca- 
ratteristica   delle  etä  primitive  di  rappresentare    con    un    oggetto, 
con  un  simbolo  l'immagine  di  una  divinitä  o  di  un  fatto  complesso 
od  astratto.  Infatti  nelle  monete  fuse  primitive  di  Luceria  nel  quin- 
cunce  e  rappresentata  una  ruota  in  ambedue  i  lati,  nel  quadrunee 
abbiamo  una  clava  nel  diritto  ed  un  fulmine   nel  rovescio,  e  nel 
triunce   un   delfino   ed   un   astro;  mentre  nei  pezzi  corrispondenti 
coniati,  nel  quincunce  la  ruota  fa  riscoutro  con  la  testa  di  Minerva, 
nel  quadrunee  la  clava  coU'Ercole  e  nel  triunce  il  dellino  col  Net- 
tuno. E  una  prova  che  progredendo  si  e  voluto  sviluppare  meglio 
quei  simboli,  accompagnandoli  coUa  immagine   personificata  della 
dlviniti  che  prima   stavano  a  rappresentare  da  soll. 


194  CONSIDERAZIONI    SÜLL  AES   GRAVE  ETRÜSCO 

Mi  pareva  pertanto  inainmissibile  che  gli  Etruschi,  i  quali 
erano  fra  gli  Italici  il  popolo  piü,  avanzato  nella  civiltä,  avessero 
dato  una  forma  cosi  semplice,  primitiva  e  seuza  iscrizione  alle  loro 
monete,  quando  ne  avessero  preso  il  modello  da  altre  serie  piü 
perfette. 

II  rinvenimento  fatto  a  Corneto  nel  1875  dell'asse  coll'astro 
ripetuto  nelle  due  facce,  del  peso  di  grammi  368,  di  tipo  e  stile 
indubbiaineute  areaici  etruschi  ('),  e  della  intera  serie  appartenente 
a  quella  cittä,  coü  a  capo  Tasse  portantd  nel  diritto  la  parte  an- 
teriore di  cinghiale  e  nel  rovescio  il  ferro  di  lancia  (-),  sciolse  in 
parte  la  questione ;  poiche  non  si  puö  piü  ora  dubitare  che  1'  Etruria 
meridionale  non  abbia  avuto  le  sue  serie  particolari  di  aes  grave, 
ed  importante  si  e  che  queste  sono  di  im  peso  superiore  a  quelle 
latine,  umbre  e  romane. 

Rimaneva  perö  il  fatto  del  peso  in-^eriore  degli  assi  dell'Etrurla 
centrale,  i  quali  stanno  suUe  sei  oncie,  e  che  non  si  poteva  spie- 
gare se  non  con  due  ipotesi:  o  che  le  cittä  di  tale  regione  aves- 
sero una  libbra  assai  inferiore  a  quella  degli  altri  popoli,  o  ch.v 
le  serie  conosciute  non  fossero  se  non  una  riduzione  di  altre  pri- 
mitive piü  pesanti,  di  cui  non  fossero  arrivate  tracce  fino  a  noi. 
Quest' ultima  mi  sembrava  la  piü  probabile,  ma  nessun  esemplare 
era  venuto  a  mia  conoscenza  per  confermarla. 

II  caso  mi  ha  fatto  venire  ora  in  possesso  di  due  pezzi  rin- 
veuuti  insieme  a  Chiusi,  che  a  mio  parere  risolvono  anche  questa 
qiiestione.  Uno  e  un  triente  coi  soliti  tipi  della  ruota  da  un  lato 
e  del  cantaro  dall'altro  coi  quattro  globetti,  ed  il  secondo  e  un'oncla 
cogli  identici  tipi  senza  alcun  globetto. 

L'  importanza  di  questi  pezzi  sta  nel  loro  peso  e  modulo  , 
poicha  il  triente  pesa  grammi  104  e  corrisponde  al  modulo  15,  e 


(1)  Vt'di  Garrucci,  Ic  monete  deWItalia  antica  Tav.  XL  VI  e  LXX. 

(2j  A  proposilo  della  serie  di  Corneto  mi  pare  utile  notare  che  i  pezzi 
che  la  compongono  hanno  ciaseuno  un  significato  speciale  che  serve  a  colle- 
garli  niirabihnente  fra  loro  e  che  sembra  sfuggito  anche  al  P.  Garrucci.  L'asse 
coi  cingliiale  e  la  lancia  parnii  voglia  indicare  la  caccia;  il  semisse  coH'ariete 
e  il  bastone  da  pastore  rappresenta  la  pastorizia;  il  triente  colFastro,  la  luna 
e  la  ruota  rappresenterebbe  il  firinaniento ;  il  quadrante  coi  dclfino  e  l'ancora 
non  pu6  aver  rapporto  che  coi  niare;  ed  il  sestante  lia  i  siniboli  propri  del- 
ragricoltiira,  cioe  il  giogo  e  l'aratro. 


CONSIDERAZIONI    SÜLL  A ES   GHÄVE   ETRUSCO  195 

l'oncia  di  moiulo  10  pesa  grammi  37  e  stauno  pertanto  iu  rela- 
zione  ad  im  asse  libbrale  di  iindici  once  almeno. 

Nell'insieme  lianno  ambedue  iiii  carattere  piü  rozzo  di  quell i 
finora  couosciiiti,  e  qiiiudi  io  non  esito  ad  afferraare  che  essi  ap- 
partengono  ad  ima  serie  primitiva  etrusca  veramente  libbrale  finora 
sconosciiita,  della  quäle  la  serie  di  sei  oncie  non  e  che  una  ridu- 
zione. 

Un'altra  questioue  perö  si  affaccia  ora  spontanea.  Come  mal 
r  Etruria  nieridiouale  non  ci  ha  dato  che  quei  pochi  esemplari 
delle  serie  piü  pesanti  primitive  e  non  ce  ne  ha  forniti  mai  delle 
serie  ridotte,  mentre  al  contrario  1' Etruria  centrale  ci  da  spesso 
pezzi  delle  serie  ridotte  e  solo  ora  questi  due  di  una  serie  vera- 
mente libbrale?  Mi  pare  che  anche  a  cio  si  possa  dare  una  plausi- 
bile  spiegazione. 

Koma  durante  il  quarto  secolo  av.  C.  estese  il  suo  domiuio 
SU  quella  parte  dell' Etruria  che  era  a  lei  piü  prossima,  e  Veio  , 
Capena ,  Cere  ,  Tarquinia  ecc.  furono  occupate  dai  Romani  o  ne 
riconobbero  la  supremazia  e  quindi  dovettero  cessare  dall'emettere 
moneta  autonoma  ed  accettare  quella  del  vincitore  ;  da  ciö  la  ra- 
ritä  delle  loro  serie  e  la  maucanza  di  riduzioni,  le  quali  non 
poterono  aver  luogo.  Le  citcä  invece  situate  piü  neU'interno,  come 
Volterra,  Chiusi,  Arezzo  ecc.  non  caddero  che  assai  piü  tardi  sotto 
il  dominio  di  Koma  ed  ebbero  pertanto  campo  di  apportare  mo- 
dificazioni  alle  loro  monete  e  di  ridm-ne  il  peso  per  ragioni  na- 
turalmente  economiche.  E  che  le  serie  in  tal  modo  ridotte  si 
manteuessero  iu  uso  per  un  lungo  periodo  di  tempo,  ce  ne  fa  fede 
la  quantita  abbastanza  discreta  se  non  abbondante  dei  nummi  ad 
esse  appartenenti. 

Del  resto  sulle  serie  di  aes  grace  che  potrebbero  assegnarsi 
con  qualche  fondamento  all' Etruria  meridionale  e  mariltima,  non 
e  stata  detta  1' ultima  parola;  ma  uno  studio  per  esamiuare  quali 
delle  serie  finora  attribuite  ai  popoli  latini  si  potrebbero  inveca 
assegnare  all'  Etruria,  mi  porterebbe  ora  troppo  in  lungo. 

P.  Stettiner. 


ISCRIZIONI  FALISCHE 


Le  segu3nfci  ischzioni  Falische  per  la  loro  iiidole,  e  la  loro 
provenienza  possono  essere  classificate  in  tre  gnippi,  e  seguendo 
r  ordine,  secoiido  il  quäle  fiirouo  dieliiaratö  in  successwe  conferenze 
air  Istitiito,  e  che  io  riiengo  in  queste  brevi  note,  aggiungo,  che  le 
prime  mi  furono  consegnate  dal  Gamimini,  le  seconde  dall'  Heibig, 
e  le  ultinie  dal  Fiorelli,  direttore  degli  scavi  e  mnsei  del  Regno. 

Le  prime,  cioe  diie,  sono  dipinte  suU'  orlo  di  due  patere,  nel- 
r  iiua  delle  quali  si  vede  riprodotta  con  minore  elegauza  niia 
rappresentazione  simile  a  qiiella  che  si  ammira  nello  specehio 
etrasco  giä  pubblicato  da  Gerhard  I,  83,  e  che  dai  uomi  etruschi 
aggiunti  alle  rappresentazioni  e  conosciuto  col  titolo  di  specehio  di 
Bacco  e  Semele.  Qnesto  specehio  di  raanifattura  etrusca  per  la  dell- 
catezza  e  la  grazia  colla  quäle  sono  graffite  le  rappresentazioni  e 
senza  dubbio  il  piii  hello  e  il  piu  elegante  degli  specchi  etruschi, 
che  ci  furono  conservati,  e  quindi  doveva  essere  molto  conosciuto 
nella  antichitä,  e  frequentemente  riprodotto.  Non  essendo  persuaho 
dclla  spiegazione  del  Gerhard,  ne  della  deduzione  stilistica  del 
Friederichs  {Berlim  antike  Bildwerke  II  47)  mi  riservo  di  ragio- 
nare  in  altra  occasione  di  questo  specehio,  e  per  ora  trascrivo  la 
iscrizione  della  patera  Falisca,  che  ne  riproduce,  come  dico,  con 
molto  minore  eleganza  la  rappresentazione: 

Ot5qfl>l.fl^>I.Otfl^i'1  .OHIV.<    lOt 

Nella  prima  copia  di  questa  itcrizione,  che  avevo  avuta  dal 
Gamurrini,  la  prima  lettera  della  prima  parola  era  iudicata  col  >l, 
e  quindi  avevo  ravvisato  nel  IO>l  il  nom.  sing,  del  pronome  co> 
rispondeute  al  IO?  del  A^asetto  del  Quiriuale,  mancando  Talfabeto 
Falisco  del  segno  della  gutturale  Velare,  e  neir<3  T  altro  pronome 
cioe  hoc  p3r  hod-c  che  si  riscontra,  se  non  erro,  in  uii  frammento  di 


ISCRIZIONI    FALISCIIE  197 

im'  altra  iscrizione  Falisca  di  cui  ragioiieremo  altra  volfca.  Ma  nella 
riimione  del  18  marzo  essendo  state  presentate  aU'Istituto  le  pa- 
tere  non  e  piii  stato  possi1)ile  alcnn  dubbio  siiUa  prima  lettera  che  e  1^. 

Ricordando  la  tradizione,  che  attiibuisce  ai  Falischi  origine 
Sabina,  e  il  passo  di  Varrone  {de  lüujua  lali.ia  V,  97)  ircm  quod 
Saviiii  Flrciis;  quod  illic  Fedus,  in  Latio  ricre  Edus,  e  b 
scambio  che  in  principio  di  parola  avviene  uella  stessa  lingua  la- 
tina,  di  cui  il  Falisco  e  im  dialetto,  p.  e.  hostis,  foüh,  holm,  folm, 
hordiis,  fordus,  si  poteva  essere  inclinati  a  vedere  in  foied  il  latino 
hodie,  come  di  fatti  mi  era  stato  suggerito  da  im  amico,  cui  avevo 
comunicata  assieme  coUa  mia  interpretazione  la  iscrizione  quando 
aasora  io  leggevo  koied  secondo  la  copia  del  Gamurriui,  e  non  foied 
come  di  fatti  e  scritto  nella  patera ;  pareva  anzi  che  dovendo  ret- 
titicare  secondo  1'  originale  il  >l  in  1^  la  congettura  diventasse  ancora 
piü  probabile. 

Ma  secondo  il  passo  di  Ter.  Scaur.  p.  2252  i  Falischi  pronun- 
ciavano  habam  per  fabam,  il  che  sarebbe  precisamente  contrario 
a  quello  che  nota  Varrone ;  e  Seryio  al  verso  della  Eneide : 

Ili  Fescenniiias  acies,  ccquosque  Faiiscos 

e  di  questa  stessa  opinione,  cioe  che  i  Falischi  pronunziassero  h 
per  /",  e  quindi  Halesm  per  Falesns;  inolfcre  quando  occorre  nelle 
iscrizioni  Falische  qualche  forma  del  pronome  dimostrativo  e 
Lempre  h  e  non  mai /",  come  p.  e.  he  ciqmt  (Garrucci,  Sill.  1,197) 
h3i  ciqmt  (id.  1,  197)  hin  cupat  (id.  1,  198)  ecit  per  he  ciipat 
(id.  1,  198),  dove  si  perde  ogni  traccia  di  aspii-azione ;  il  che 
esclude  ogni  possibilitä  di  confondere  foied  col  latino  hodic. 

Solamente  nel  caso  della  prima  lezione  cioe  koied  si  sarebbe 
potuto  supporre  un'  ekoied  come  p.  e.  nell'  osco  ekass  viass-has 
vias  spiegando  pol  il  cadere  del  d  nella  composizione,  cioe  koied 
per  ko-died  colla  forma  latina  horno  che  sta  senzadubbio  per 
ho-iomo.  Ma  koied  dev'  essere  elimiaato,  imperocche  suUa  patera 
fcta  scritto  chiaramente  foied. 

Non  va  pure  dimenticata  un' altra  difficoltä,  che  cioe  i  temi 
in  e  non  hanno  mai  in  latino  1' ablativo  in  d,  e  l'ablativo  rected 
che  si  legge  nella  lamina  Falisca  del  Kircheriano  non  deriva  da  un 
tema  in  e.  Per  tutte  queste  osservazioni  a  me  pare  tolto  ogni  mezzo 
di  identiticare  foied  coli'  hodie  latino. 


198  ISCRIZIONI    FAL  ISCHE 

In  questa  parola  dobbiamo  cercare,  se  io  non  erro,  non  giä 
Tina  forma  nominale,  ma  verbale,  siccome  quella  con  ciii  termina  la 
prima  linea  del  vasetto  del  Quirinale:  QaUO^qiV^IM^ODOQUB, 
nel  quäle  ultimo  sied  abbiamo  una  3^  pers.  singolare  colla  termina- 
zione  söcondaria.  In  foied  si  potrebbe  scorgere  a  prima  vista  una 
forma  simile  al  fiat  o  al  fist  latino,  che  suppongono  un  fiäat,  o  un 
faiet,  congiuutivo,  o  futuro,  il  che  fa  lo  stesso,  avendo  le  due  form 3, 
con  diversa  funzione,  la  stessa  origine  etimologica,  ma  rimarrebbe 
oscura  la  vocale  o.  In  latino  abbiamo  fore  che  sta  per  fase,  ma 
Y  0  h  determlnato  dal  r  che  segue;  il  foied  Falisco  non  dovrebbi 
adunque  coincidere  col  fttied  o  fiiiet,  che  nel  latino  seriore  e  di- 
ventato  fiel. 

Esclusa  anche  questa  comblnazione,  si  potrebbe  pensare  a  faveo, 
0  foveo  latini,  che  non  doyrebbero  pol  essere  ecimologicamente  di- 
versi.  Egli  e  vero,  che  in  latino  questi  due  verbi  hanno  il  futuro 
in  bo^  ma  quando  si  consideri,  che  lo  scambio  della  coniugazione 
avviene  spesso  in  latino,  come  e  dimostrato  dai  numerosi  esempi 
citati  dal  Neue  nella  sua  grammatica,  e  che  in  questa  stessa  bre- 
vissima  iscrizione  conyerrä  pure  ammettere  un  altro  esempio  di 
scambio  della  coniugazione,  non  dovrebbe  essere  difficile  il  vedere 
nel  foied  Falisco  un  fo{o)ied  da  foveo,  oppure  da  faveo,  onde 
foied,  come  nell'  Umbro  foiis,  fos  per  faveiis. 

II  Gamurrini  propenderebbe  a  vedere  nel  foied  Y  avverbio  la- 
tino foede;  io  non  posso  accettare  questa  spiegazione,  sebbene  eti- 
mologicamente  idenlica  alla  mia.  La  parola  focdiis  ha  nel  latino 
una  significazione  che  non  puö  essere  applicata  alla  nostra  iscri- 
zione, ma  foedas  da  foidm  puö  benissimo  derivare  da  fo{v)idm, 
come  giä  ha  proposto  il  Corssen,  e  in  questo  caso  siccome  la  radice 
fov  latina  corrisponderebbe  esattamente  alla  sanskrita  dhil,  dh(u\ 
onde  dh>}Mas-fitmus  si  potrebbe  pensare  al  proverbio  italiano  «  il 
troppo  vino  da  alla  testa  » ,  e  attribuire  al  foied- foede  una  signi- 
ficazione,  che  e  perduta  nel  latino.  Malgrado  queste  induzioni,  che 
si  potrebbero  fare,  io  ritengo  tuttavia,  che  foied  sia  una  3^^  pers. 
sing,  e  non  giä  un  ablativo  avverbiale. 

La  seconda  e  la  quarta  parola  della  iscrizione  sono  chiare,  e 
non  hanno  certo  bisogno  di  spiegazione;  la  terza  e  la  quinta  sono 
due  futuri  in  ho ,  dei  quali  1'  uno  karefo  coincide  colla  stessa 
coniugazione,  che  e  in  latino,  e  1'  altro  'pi'pafo  la  cambia.  Ciö  che 


ISCllIZIOXI    KALISCHE  199 

importa  uotare  si  e,  che  la  labiale  aspirafca  Indo-eiiropea,  che 
in  mezzo  di  parola  abbiamo  nel  sanskrito,  p.  e.  tu-hhj-am,  in  latino 
si  fissa  in  h,  p.  e.  ii-hU  mentre  nell'  Osco  e  nell'  Umbro  p.  e.  f{i)-fei, 
te-fe  si  riflette  in  /,  il  quäle  riflesso  si  mantiene  pure  come  si  vede 
nei  due  predetti  futuri  del  dialetto  Falisco.  Questo  fatto  occorreva 
giä  nella  iscrizione  Falisca  pubblicata  dal  Garrucci  {S}jlL  197)  in 
cui  flKJI3tO>l  corrispoude  evideutemente  al  latino  loiberta,  loheria, 
Uberta;  ma  il  caso  esseudo  isolato,  la  spiegazione  era  difficile,  e  il 
Garrucci  altro  non  sapeva  dire,  che  F  j^ro  b  poüto,  more  osco, 
msntre  ora  lo  stesso  fenomeno  confermato  da  due  altri  esempi  di- 
mostra,  che  per  questo  riguardo  il  dialetto  Falisco  non  oltrepassa 
la  fas8  che  e  comiine  all' Osco,  all' Umbro,  e  ad  altri  dialetti  Italici. 
La  seconda  iscrizione : 

Ot3qfl>l.flJl>|.Otfl'1.0l/IIV.<13IOt 

ciduta  la  reduplicazione  tematica  in  pafo,  e  identica  alla  prima:  la 
ti-iduzione  quindi  che  io  propongo  di  entrambe,  se  autentiche,  sarebbe 
questa  : 

Favebit .  viimm  .  bibam  .  cras  .  carebo. 

Ls  seguenti  iserizioni  graffite  su  tre  tegoli  rotti,  che  furono 
trovati  presso  Corchiano  nel  fondo  Marcucci,  furono  copiate  dal 
prof.  Heibig  in  una  sua  escursione  nel  territorio  di  Faleri  assieme 
C)l  conte  Monale  di  Buglione.  Io  mi  proponevo  di  studiarle,  quando. 
il  Gamurrini,  che  pure  le  aveva  raccolte,  ne  ha  ragionato  nella  riu- 
nione  del  18  marzo.  Incominciamo  dal  primo  tegolo,  cioe  secondo 
l'ordine  che  e  nella  copia  dell' Heibig: 

53l/13KNfl):fln01 
53IS3>  :   C  +  H051fl 
510XV  :  OltJIflvl 

II  Gamurrini  cosi  esperto  nel  raccogliere  i  documenti  della 
epigrafia  Italica  interpreta  nel  seguente  modo :  Popia  (o  Poplia)  di 
Calitene  moglie  di  Arunzio  Cesio  figlio  di  Larth ;  per  lui  Ärouto, 
e  Lartio  sono  due  genitivi  sing,  perduto  1'  /,  e  cita  a  questo  pro- 


200  ISCRIZIONI    FALISCIIE 

posito  il  gen.  sing,  zenatuo  della  lamina  Falisea  del  Kircheriano. 
Non  voglio  negare  in  modo  assoluto  la  possibilita  di  questa  inter- 
pretazione,  ma  prima  di  tutto  conviene  awertire  che  1'  esempio  ci- 
tato  dal  Gamurrini  non  prova :  imperocche  il  gen.  zenatno  non  derivi 
da  un  tema  in  o,  ma  da  im  tema  in  u,  e  sia  per  senatms ;  quando 
questa  parola  si  confoude,  come  p.  e.  nelle  iscrizioni  latine  dv.d 
sccolo  VII,  coi  temi  in  o  abbiamo  il  gen.  seiiati.  In  tutte  le  iscri- 
zioni Falische  poi  pubblicate  dal  Garrucci  T  o  e  sempre  nominativo 
sing.,  e  i  geniiivi  dei  temi  in  o  terminano  sempre  in  i,  come  p.  e. 
{Sijll.  197)  Marci  Acarcelini  ?a'0.  Inoltre  preziosissimo  e  il  gen. 
sing.  Falisco  Zecctoi  {Bull.  dell'LisL  1881,  51. 

Egli  e  vero  che  si  ammettono  come  genitivi  singolari  di  temi 
in  a  molti  eserapi  senza  L  come  p.  e.  coira  pocdo  (Garrucci,  SijlL 
1,  143),  e  catia  catirio  della  lucerna  fittile  troyata  nel  sepolcreto 
dell'  Esquilino ;  ma  potrebbe  pure  essere  che  invece  di  genitivi  fos- 
S3ro  dativi.  Le  ultime  scoperte  epigi-afiche  di  Nemi  dimostrerebbero 
appunto  questa  tesi.  Ad  ogni  modo  i  genitivi  in  a  senza  i  meri- 
terebbero  di  essere  studiati  un"  altra  volta  sistematicamente. 

Egli  e  pure  vero  che  nel  dativo  latiuo  seriore  i  temi  in  o 
perdono  1'  /  ed  abbiamo  populo  per  populoi,  ma  non  per  questo  e 
dimostrato  che  ciö  sia  pure  accaduto  al  genitivo;  i  due  casi  pei 
temi  in  o  in  latino  non  si  confondono. 

Per  tutte  queste  considerazioni  grammaticali  non  sarei  disposto 
ad  accogliere  la  interpretazione  del  Gamurrini,  e  prima  di  ammet- 
tere  un  genit.  sing.  Falisco  in  o,  sarei  quasi  tentato  a  ricercare 
un'  altra  spiegazione  del  tegolo  di  Corchiano.  Molti  tegoli  Falischi 
accennano  nelle  loro  iscrizioni  a  piii  di  un  defunto,  come  si  puö 
vedere  nella  silloge  del  Garrucci;  dopo  un  certo  tempo  si  racco- 
glievano  a  parte  le  ossa  del  defunto,  e  assieme  con  esse  si  depo- 
ncva  un  altro  defunto  nello  stesso  loculo,  e  cosi  di  seguito  secondo 
la  capacitä  del  s.to.  Potrebbe  quindi  essere,  che  nella  nostra  iscri- 
zione  si  accennasse  a  piü  di  un  defunto.  lo  non  voglio  cerfco  imi- 
tare  1'  esempio  di  Cicikoif,  il  ricercatore  delle  anime  morte  nel 
romanzo  di  Gogol,  ma  mi  ricordo  di  alcune  deduzioni  di  Deecke 
{die  etrusläschen  Vor,iameii  III,  377)  che  mi  tornano  molto  oppor- 
tune in  questo  caso,  e  sarei  disposto  a  vedere  in  Aronto  e  Lartio 
dei  diminutivi  Etruschi  vocalizzati  alla  Falisea.  II  tegolo  avrebbc 
chiuso  una  sepoltura  di  liberti  e  liberte,  e  le  formole  della  nostra 


ISCRIZIONI   FALISCIIE  201 

iscrizione  sarebbero  analoghe  a  quelle  citate  dal  Deecke  (Bezzenber- 
ger,  111)  nella  sua  dissertazione  über  das  etriisk.  Wort  lautni,  cioe: 


'pupli  I  petiiiates  :  lautiii 
auliii:  camariiies  \  lautni 
arnzim  lai  Beslatiii 

In  qiiesta  ultima  ibc  izione  dell'  ossuario  Perugiiio  si  legge  pure 
unita  questa : 

Oanct'-  arsias  puia 

cioj  della  uioglie  di  im  liberto. 

La  mancanza  delle  parole  lofcrto  e  loferta  che  corrispondono 
alle  etmsche  lautni  e  lautiiita  non  deve  sorprendere,  imperocche 
mancbino  pure  in  molti  casi  nella  epigrafia  Etmsca.  ßimarrebbe 
a  spiegarsi  la  parola  uxor  cosi  staccata  e  sola,  come  apparirebbe 
se3oudo  la  nostra  combinazione.  Ma  dopo  Lartio  non  era  piü  me- 
stieri  soggiungere  il  genitivo  per  far  capire  che  si  trattava  della 
moglie  di  Larzio.  Del  resto  uxor  anche  senza  il  nome  del  marito 
appare  nelle  iscrizioni  funebri  di  Cere,  e  nelle  olle  di  s.  Cesareo. 
Noi  avremmo  adimque  invece  di  un  solo  quattro  morti,  cioe  Poplia 
di  Caliteue,  Arunzio  di  Cesio,  Lartio  e  la  moglie.  Calitenes  e 
Cesies  sarebbero  genitivi  alla  maniera  etrusca,  e  formerebbero  per 
cosi  dire  la  caratteristica  del  dialetto  Falisco  di  Corchiano,  che 
congiungerebbe  nel  suo  uso  forme  Etrusche  colle  proprie  Falische. 

AUo  stesso  modo  spiegherei  le  iscrizioni  delV  altro  tegolo : 

RI/i:i3T.5IVt>l3V 
OTVJlfl 

La  prima  linea  evidentemente  e  etrusca,  Veltur.  Tetlnias,  e  la  sc- 
couda  di  uuovo  schiettamente  Falisca,  e  indicherebbe  uu  liberto 
Arunzio. 

L'  ultima  di  questo  gruppo  e 

flsv>ia> 

di  nuovo  etrusca,  e  con  nn  nuovo  segno,  che  il  Gamurrini  iden- 
tifica  con  e. 

Gli  apografi  delle  seguenti  iscrizioni  Falische  mi  furono  con- 

13 


202  ISCRIZIONI   FALISCHE 

segnati  dal  FiorelU;  fiirono  poi  riveduti  accuratamente  sul  sito, 
e  qiiesta  e  la  lezione  che  comunico.  Furono  trovate  in  ima  tomba 
iiella  necropoli  della  Pelina  presso  Civita  Castellana  ;  la  tomba  era 
stata  deiastata,  e  rotte  le  tegole  che  coprivano  i  loculi.  Tuttavolta 
alla  perdita  di  queste  tegole  scritte  sopperiscouo  in  qiialche  modo 
le  graudi  iscrizioni  dipinte  di  ocre  rossa  immediatamente  sul  tufo, 
sopra  alcimi  loculi. 

La  iscriz.  a)  e  sotto  la  prima  fila  dei  loculi  nella  parete  destra: 

"i^i//////i.7////i^(><) 

p]videntemeute  non  e  che  il  residuo  della  prima  parte  della  iscri- 
zione.  La  prima  lettera  e  cosi  guasta,  che  non  ne  e  possibile  la 
restituzione.  La  parola  con  cui  termina  non  puö  essere  che  filio. 

b)  nella  parete  di  fronte  sotto  il  primo  loculo  a  destra: 

flNIOn.ONItVO.MNVI 

La  quarta  lettera  della  prima  parola  e  guasta,  e  non  si  ripro- 
duce  che  approssimativamente  nella  nostra  copia,  ma  le  tre  prime 
sono  chiare.  e  quindi  si  puö  restituire:  luiiio  o  Iiuieo,  come  giä 
occorre  in  un'altra  iscrizione  Falisca  (Garrucci  Sijlloge  V,  I  pag.  197); 
dunque  luiiio  .  Od  .  filio  .  Poiüia. 

c)  sotto  il  secondo  loculo  a  destra: 

flN^O'I.ONi.  Vfl''lVfl> 

La  interpretazione,  se  non  erro,  e  facil'ssima:  Cavlo .  Au.  fdio . 
Po]}Ua. 

d)  sotto  il  primo  loculo  a  sinistra: 

>llV)fll/lM.ONltVfllOIVfl> 

Literpreto :   Cavlo  .  Lau  .  fdio  .  Danacvil. 
(?)  nel  secondo  loculo  a  sinistra: 

OI^/////////51lt.OI10^V'1 

cioe  Pompomo .  fdio '.  il  resto  difficilmente  si  puö  restituire. 

GlACOMO    LiGNANA. 


DEL  LIßELLO  DI   GEMINIO  EÜTICHETE 

Dlscorso  clel  iwof.  P.  Barnabei, 
letto  nella  solenne  adunmua  clel  15  aj)rile  1S87. 


Signori, 


Dirö  poche  parole  intorno  ad  im  monnmento  nuovo  ('),  di  cui 
per  gentilezza  del  Direttore  Generale  delle  Antichitä  del  Kegno 
posso  paiiarvi ;  e  che,  se  nell'  angiistia  del  tempo  e  nella  povertä 
del  mio  sapere  non  potrö  illiistrare  pienamente,  e  degno  di  esservi 
presentato  in  qiiesto  giorno  solenne  dello  nostre  riiinioni. 

II  monnmento  consiste  in  una  lastra  marmorea,  che  il  signor 
conte  T3'Szliiewicz  ha  donata  al  Ministero  per  le  raccolte  pnbbliche 
di  Koma. 

Proviene  dalla  via  ostiense,  come  si  rileva  dall'  cpigrafe  che 
vi  e  incisa.  Ma  non  si  conosce  con  esattczza  il  luogo  in  cni  fii 
rinvennta ;  e  ciö  costituisce  senza  dubbio  un  danno,  che  vieta  trarre 
dall'importante  scoperta  la  maggior  luce,  che  pel  profitto  dell'antica 
topografia  avrebbo  potuto  produrre. 


(')  Di  questo  discorso  trovasi  mi  breve  riassunto  nellc  Notizie  dcgli 
Scavi  (1887  p.  115),  dove  fu  riprodotta  a  zincotipia  la  lapido,  di  cui  qui  si 
Iraita  (tav.  III,  flg.  3).  II  tcsto,  in  seguito  a  nuovi  studi,  va  in  alcune  parti 
modificato,  come  in  queste  pagine  sarä  esposto. 


204  DEL    LKiKLLO    DI    GE.MIXIO    EUTICIIETE 

Perocche  e  certo  che  il  marmo  fii  rimesso  all'  aperto  iiel  siio 
sito  originale,  non  scorgendovisi  indizio  alcuno  che  lasciasse  siip- 
porre  essere  stato  esso  adoperato  in  fabbriche  di  etä  posteriore,  come 
materiale  di  costruzione ;  non  avendo  so.Terto  detrimento  di  sorta ; 
essendo  intatto  in  ogni  siia  parte. 

E  se  la  cosa  e  cosi,  e  iigiialmente  certo  che  doveva  esso 
trovarsi  presso  un  sepolcro,  sotto  una  delle  piccole  colliue  che  fian- 
cheggiauo  la  via  ostiense;  e  non  siil  confiue  della  strada  stessa, 
ma  ad  iina  certa  distanza,  qiianta  era  necessaria  per  lasciare  spazio 
sufficiente  per  ort!  {hortl  olitorii),  de'  quali  la  lapide  parla,  e  la 
cui  ubicazione,  nell'  Interesse  della  topografia  del  subiu'bio,  sarebbe 
stato  utile  di  determinare. 

Forse,  pensando  che  la  consiietudine  di  tutti  i  tempi  fu  quella 
di  coltivare  gli  orti  ad  erbaggi  non  molto  distante  dall'  abitato, 
ei  in  sito  ove  p3tesse  aversi  il  beneficio  di  acque  correnti,  e  de- 
rivarne  con  facilita  i  rivoli  per  le  adacquature,  si  potrebbe  mettere 
innanzi  il  sospetto  che  il  rinvenimento  fosse  avvenuto  nella  parte 
della  via,  prossima  all"  area  dell'  emporio.  Se  non  clie,  ogni  lüteriore 
congettura  a  tale  rignardo,  in  mancanza  di  altri  dati,  potrebbe  riii- 
scire  infrnttuosa. 

Tuttavolta  la  lapide,  acqiüstata  dal  conte  Tyskiewicz,  e  da 
Uli  donata  al  Governo,  non  ha  soltanto  importauza  per  questa  ra- 
gione  di  topografia.  Anzi  e  importantissima  per  altri  motivi ;  e  ne 
accennerö  alcnni  sommariamente. 

E  alta  m.  0,57,  larga  m.  0,86,  ed  ha  lo  spessore  di  m.  0,08. 
Vi  ricorre  intorno  una  cornice,  ricavata  dal  marmo  stesso,  della  lar- 
ghezza  uniforme  di  m.  0,10.  Nulla  manca  all'epigrafe;  e  benche  le 
incrostazioni  di  calcare  ne  reudano  in  qualche  piinto  difficile  la  let- 
tura,  pure  eccettuate  due  sole  parti,  tale  difficolta  pel  resto  non 
merita  di  essere  considerata.  Vi  si  legge: 


DEL   LinELLO   DI   GEMlNIO   EÜTICIIETE 


205 


i-O 


206  DEL    LIBELLO   DI   GEMINIO   EUTICHETE 

Cum  sim  colomts  hortoriim  olitorioriim,  qui  sunt  via  ostiensi, 
iuris  I  collefji  magni  arkarum  divariim  Fauslinarum  Matris  et 
Piae^  colens  in  \  asse  (uinids  sestertiis  viginii  sex  {millibus) 
et  qiiod  excurrit,  i^er  aliquot  annos,  in  hodiermim  i^ariator, 
deprecor  tuam  quoq{ue)  iustitiam,  domine  Salvi,  sie  \  ut  Kti- 
phrata  v{ir)  o{ptimus)  collega  tiius,  q{uin)q{itennalis)  Faust inae 
Matris,  aditus  a  me  permis{it),  \  consent ias  extruere  me  sub 
monte  m[f\moriolam  per  ped{cs)  viginti  in  quadra\to,  acturus 
Genio  vestro  gratias,  si  memoria  mea  in  perpetuo  const{abit)  \ 
[item']  habitii\_ra\s  itum  ambitiim.  Dat{um)  a  Geminio  Eutychete 
colono. 

Eaphrata  et  Salvius  Chrysopedi  Pudentiano  Yacintho  Sj- 
phronio  \  et  Basilio  et  ILjpitrgo  scribiis)  salutem.  Exemplum  li- 
belli  dati  nobis  a  Geminio  \  Eutychete  colono  litteris  nostris  ad- 
plicuimus,  et  cum  adliget  aliis  quoq{ue)  \  colonis  permissum^  cu- 
rabitis  observare  ne  ampliorem  lociim  memoriae  \  extruat  quam 
quod  libello  suoprofessus  est.  Dat(um)  viii  Kal{endas)  Aug{usti)  \ 
Albino  et  Maximo  cofn)s(ulibus). 

Trattasi  adiinqiie  di  un  decreto,  che  porta  la  data  del  25  lii- 
glio  delV  anno  227  dell"  era  nostra,  quando  cioe  tennero  i  fasci 
M.  Niimmio  Senecione  Albino,  e  M.  Lelio  Massimo  (Klein,  Fasti 
cons.  p.  98).  Ed  a  questa  etä,  che  cade  sotto  il  regno  di  Alessandro 
Severo,  corrisponde  pure  la  forma  della  scrittura. 

Se  non  che,  il  decreto  accennato,  il  cui  comiuciamento  e  di- 
stinto  nel  marmo  con  im  segno  tra  il  verso  settimo  e  1'  ottavo, 
segne  posto  ad  indicare  le  due  parti,  nelle  quali  il  titolo  marmoreo 
si  divide,  e  in  rapporto  ad  im  documento  che  nella  parte  prima 
del  marmo  e  trascritto.  Ed  il  documento  consiste  in  una  dimanda, 
che  un  tale  Geminio  Eutichete,  colono  di  alcimi  orfci  olitorii  sulla 
via  ostiense,  che  erano  proprietä  di  un  collegio,  faceva  ai  magi- 
strati  del  collegio  medesimo. 

Comincia  il  colono  dicendo,  aver  egli  preso  1'  affitto  intiero  di 
quegli  orti  [colens  in  asse)  (^),  pel  quäle  deve  pagare  annualmente 


(')  Corrisponde,  come  genülmente  mi  fa  notare  il  prof.  Mommsen  al 
colonus  qui  nummis  colit  {Dig.  XL VII,  2,  26,  1),  qui  ad  pecuniam  numeratam 
condicr.it  {Dig.  XIX,  2,  25,  6),  a  cui  si  oppone  il  colonus  partiarius,  che  fa 
r  allilto  a  niezzadria. 


DEL    LIBELLO    DI    GEMINIO    EUTICHETE  207 

ventisei  mila  sestcrzii  c  piü ;  e  soggiunge  che  per  alcuni  anni  ha  giä 
pagato  senza  ritardo,  e  si  trova  tino  ad  oggi  in  regola  col  suo  dare 
{lii  liodiermim  i)ariaior)\  per  la  qiial  cosa,  essendo  qiiesto  im  motivo 
per  essere  trattato  benignamente,  prega  il  quinquenuale  Salvio,  di 
concedergli  per  giustizia.  ciö  che  Eiifrate,  altro  quiuquennale  del 
collegio,  avevagli  concediito ;  vale  a  dirc  che  potesse  egli  costruirsi 
in  qiiegli  orti,  sotto  il  colle,  im  piccolo  moniimentino  {memoriolam), 
che  occupasse  imo  spazio  di  venti  piedi  in  qiiadrato,  cioe  venti  piedi 
in  fronte,  e  venti  piedi  in  agro ;  aggiungendo  i  maggiori  attestati 
della  sua  gratitudiue,  se  1'  area  per  questo  moniimentino  gli  fosse 
stata  concessa  in  perpetiio,  col  relativo  accesso  {ititm),  e  con  lo  spazio 
intorno  riserbato  al  sepolcro  {ambitum). 

Dove  uondimeno  e  da  notare  che  imo  dei  due  luoghi  in  cui, 
sia  per  le  incrostazioni  di  calcare,  sia  per  pentimenti  o  correzioni 
fatte  in  antico,  oltremodo  difficile  riesce  la  lettiira,  e  appimto  poco 
dopo  il  priucipio  del  terzo  verso,  ove  e  indicato  il  prezzo  di  questo 
affitto.  Parendomi  da  principio  non  diibbia  la  lezione :  colens  in  asse 
annuis  SS  XXV  PIE;  qiiod  ea:currit  jjer  aliquot  annos  in  hodiernum 
pariator-,  e  riconoscendo  in  jj/ö  il  significato  di  «  prezzo  giiisto  " , 
analogamente  al  irlus  quaestus  di  Catone  (de  H.  R.  in  praef.),  avevo 
accettato  il  concetto  che  Geminio  Eiitichete,  avendo  conchiiiso  l'affitto 
per  25  mila  sesterzii,  ed  essendogli  stata  imposta  poi  ima  certa 
somma  di  piü  {qitod  excurrit),  al  di  sopra  di  qiiesta  legalmente 
pattiiita,  e  non  avendo  egli  voliito  pagarla  per  alcuni  anni,  si  fosse 
finalmente  risoluto  a  pagarla,  e  si  fosse  posto  in  regola,  a  condi- 
zione  di  ottenere  un  compenso  con  1'  area  che  gli  fosse  ceduta  pel 
suo  sepolcro. 

Ma  i  dubbi  che  il  prof.  Mommsen  con  la  molta  sua  bontä 
ebbe  la  cortesia  di  manifestarmi  contro  questa  spiegazione,  mi  fecero 
ritornare  allo  studio  del  marmo  originale,  su  cui,  fatte  nuove  ripu- 
litiu-e  per  togliere  le  incrostazioni,  mi  apparisce  ora  evidente: 
SS  •  XXVI  •  ET  •  QVOD  •  EXCVRRIT ;  ossia  ventisei  mila  sesterzii 
e  qiianto  vi  ha  di  piii;  il  che  mostra  che  il  prezzo  reale  dello  affitto, 
accettato  pienamente  dal  colouo,  non  era  soltanto  questa  somma 
rotonda,  ma  anche  qualche  cosa  al  di  sopra  di  essa.  II  P  che  prima 
sembrava  doversi  indubitabilmente  ammettere  tra  il  numero  dei 
sesterzii  e  1'  et  quod  excurrit,  mi  risulta  ora  altro  non  essere  che 
l'ultimo  segno  del  numero  XXVI  col  puu'o  diacritico  che  vi  fa  seguito; 


208  DEL    LIBELLO   Dl   GEMlNiO   EUTICllETE 

essendo  avvenuto  che  o  negli  lütimi  colpi  per  finire  siiperiormente 
qiiesto  seguo  I,  o  iiei  colpi  pel  pnnto  sussegiieute,  siasi  scheggiato 
il  marmo  in  maniera  da  formare  la  curva  che  ingannava.  Del  reslo 
il  coufronto  con  gli  altri  P  deila  lapide  couferma  la  veritä  di  cio 
che  ora  mi  si  rivela ;  e  quel  che  piü  monta,  serve  di  riprova  il  fatto 
che  noii  vi  e  pimto  divisorio  dopo  il  V,  come  avrebbe  doviito  esservl, 
se  il  segno  consecutivo  non  avesse  forraato  parte  integrale  del  numero; 
fiualmente  merita  di  essere  considerato  che  la  linea  soprapposta 
al  numero  giunge  fino  a  questo  segno,  ad  indicare  che  il  seguo  stesso 
col  numero  va  compreso. 

ün'  altra  diflicoltä,  incontrasi  nel  principio  delV  ottavo  verso, 
ove  pare  che  qualche  parte  uella  incisione  del  marmo  sia  stata 
omessa,  oltre  la  sillaba  che  certo  va  supplita,  nella  prima  parola 
che  quivi  ci  si  presenta. 

Alla  dimauda  del  colono  segne  il  decreto  che  ho  citato  di 
sopra.  Consiste  nella  coucessione  di  ciö  che  fu  dimandato;  la  quäle 
concessione  e  fatta  dall'autoritä  suprema,  o  dai  magislrl  del  coUeglo 
proprietario  degli  orti,  cioe  dai  quinqiiennales  Eufrata  e  Salvio,  per 
mezzo  di  una  lettera  indirizzata  ai  minisiri  od  agli  scribae.  Con 
questa  lettera  si  trasmette  copia  della  domanda  del  colono;  e  si  sog- 
giunge  che,  allegandosi  come  ad  altri  coloni  uguale  pemiesso  sia  stato 
conceduto,  dovranno  gli  scribae  stare  attcnti,  acciö  Entichete,  nel 
costruire  il  monumentiuo,  non  occupi  uno  spazio  maggiore  di  quelle 
che  uella  sua  lettera  aveva  richiesto. 

Questo  prezioso  e  nuovo  marmo  fa  subito  pcnsare  ad  alcuni 
titoli,  che  hanno  con  esso  un  certo  rapporto. 

II  primo  e  il  cippo  marmoreo  dell'anno  193  dell'e.  v.,  conte- 
nente  il  libellm  Adrastl,  scoperto  nella  seconda  metä  dello  scorso 
secolo  in  piazza  di  Montecitorio,  e  conservato  ora  nel  Mnseo  vati- 
cano  (C.  /.  L.  VI,  1585).  Essende  kilY^^io  procurator  coliminae  divi 
Marci,  cioe  della  colonna  centenaria  di  M.  Aurelio  e  Faustina,  si 
rivolgeva  all'imperatore  Settimio  Severe,  chiedendo  gli  si  concedesse 
di  fabbricarsi  una  casa  in  suolo  pubblico  ed  a  spese  sue,  dietro 
la  colonna;  e  ciö  per  poter  meglio  compiere  l'ufficio  suo. 

II  secondo  e  il  marmo  che  reca  il  llbellus  Vesbini,  scoperto 
in  Caere  nel  1548,  e  dal  palazzo  Farnese  passato  poi  nel  Museo 
nazionale  di  Napoli  (Orelli  3787).  Questo  Vesbino  aveva  domandato 
che  gli  fosse  conceduta  dal  municipio  un'arca  pubblica  hotto  il  por- 


1)KL    Lir.ELLO    Dl    GEMINIO    EUTICIIETK  209 

ticQ  della  basilica  Sulpiciana,  affinche  avesse  potuto  costruirvi  im 
phGlriiim  per  le  riunioni  degli  Aiigustali  di  Caere,  a  tutte  sue  spese. 

Neiruno  e  ueiraltro  caso  la  domanda  e  indirizzata  alla  rela- 
tiva  autoritä  siiperiore ;  cioe  aH'imporatore,  per  l'area  di  proprietä 
del  fisco  in  Roma;  al  dittatore  ed  agli  edili,  per  l'area  di  proprietä 
municipale  iiel  mmücipio  di  Caere. 

Nel  primo  esempio  l'asseutimento  deH'aiitoritä  competente,  e 
quindi  l'accöttazioue  della  domanda,  e  espressa  per  mezzo  di  let- 
tere  dei  rationalem  Auguül,  indirizzata  ad  im  exaclor  operiim  ]m- 
hlicoriim,  ad  im  iwocurator  oiperum  publicorum^  finalmente  ai  cit- 
ratores  operum  et  locoriim  imhlicorum,. 

Nel  secondo  caso  il  decurionato  municipale  e  invitato  a  dara 
il  siio  avviso  iutorno  alla  domanda ;  il  quäle  avviso,  essendo  favo- 
reycle,  nou  puo  per  alfcro  avere  eftetto  seuza  l'approvazione  di  im 
curator  civitatis,  che  nel  tempo  di  cui  e  parola,  trovavasi  qnal 
magistrato  straordiuario  nominato  pel  mimicipio  di  Caere  (Henzen, 
Aiinali  1851  p.  25;  Nibby,  Analisi  I,  343). 

Avevamo  adunque  esem^pi  del  procedimento  che  si  seguiva,  cosi 
quando  trattavasi  di  costriiire  in  area  di  proprietä  del  fisco,  come 
in  area  di  proprietä  municipale.  Ma  per  nessuno  esempio  ci  era 
noto  in  quäl  modo  si  procedesse,  quando  si  fosse  trattato  di  fab- 
bricare  in  area  di  proprietä  di  associazione  privata;  la  quäl  cosa 
dal  nostro  marmo  ci  viene  ora  dimostrato  luminosamente,  provan- 
doci  esso  che  si  procedeva  nol  modo  medesimo,  salvo  quelle  modi- 
litä  che  dall'indole  stessa  di  chi  possedeva  erano  imposte.  Le  quali 
modalitä  erano,  come  e  naturale,  assai  piü  semplici,  non  dovendoti 
ricorrere  a  tanti  intermediari,  quanti  necessariamente  si  dovevano 
incontrare  nell'alta  amministrazione  del  fisco,  ed  in  quella.  soveute 
abbastanza  complicata,  dei  municipi. 

Per  otteuere  quindi  il  diritto  di  fabbricare  e  di  possedere  un 
edificio  in  un'area  di  proprietä  di  un  collegio  o  sodalizio,  occorreva  che 
fosse  rivolta  la  domanda  all'autoritä  supe.iore  del  sodalizio  stesso, 
che  comunicava  poi  le  sue  decisioui  per  lo  adempimento  degli  or- 
dini,  ai  ministri,  od  alle  autoritä  minori,  cioe  agli  scribae,  senza 
bisogno  di  consultare  il  parere  di  altri ;  mentre  per  le  aree  munici- 
pali  richiedevasi  l'assentimento  dei  decuriones,  e  la  sanzione  delle 
magistratiire  straordinarie  superiori,  quante  volte  queste  si  trovas- 
sero  istltulte. 


210  DEL    LIBELLO    DI    GEMINIO    EUTICHETE 

Bastava  pei  collegi  che  risultasse  la  ragione  della  giustizia,  che 
avesse  consigliato  di  accousentire;  e  che  il  magister  o  i  magistri 
conie  nel  caso  nostro,  uon  corressero  pericolo  di  essere  tacciati  di 
arbitrio  o  di  favore;  pericolo  che  non  poteva  certamente  esistere 
nel  fatto  di  ciii  ci  occiipiamo,  dove  si  vede  che  Tapprorazione  e 
subordinata  al  documento  che  comprova  come  ad  altri  coloni,  nelle 
condizioiii  stesse  di  Eutichete,  im  simile  permesso  era  stato  accordato. 

Le  ragioni  stesse  poi,  le  quali  consigliarono  ad  Adrasto  di  col- 
locare  nel  siio  edificio,  presso  la  colonna  centenaria  di  Marco  Au- 
relio,  incisa  in  pietra  la  copia  del  documento  che  gli  assiciirava  il 
diritto  di  possesso  dell'edificio  medesimo  in  area  pubblica;  ed  a  Ve- 
sbino  di  far  incidere  snlla  lapide  la  risolnzione  dei  magistrati  di 
Caere,  donde  risultava  la  legalitä  dell'opera  da  liii  fatta,  le  ragioni 
medesime  imposero  al  nostro  Geminio  Eutichete  di  coUocare  nel 
suo  sepolcro  la  copia  dell'atto  che  gli  assicurava  negli  orti  da  lui 
coltivati  il  riposo  pcrpetuo,  per  quanto  valore  possa  avere  questa 
perpetuitä  nel  corso  dei  secoli  e  nel  succedersi  delle  generazioni 
umane.  E  le  ragioni  erano  che  nel  cambiamento  delle  persone  e 
nelle  innovazioni  degli  ufficii,  non  si  mettesse  mai  in  dubbio  il 
pieno  diritto  legalmente  acquisito. 

Kiferendosi  il  nostro  marmo  ad  un  colleglwm^  non  so  dove  an- 
drei  col  mio  dire,  se  volessi  prenderne  motivo  ad  accennare,  anche 
per  sommi  capi,  il  vastissimo  argomeuto,  sopra  le  private  associa- 
zioni  romane;  argomento  che  nell'etä  nostra  prima  di  qualunque 
altro  richiamö  le  cm-e  del  prof.  Mommsen  {De  collegüs  et  sodaliciis 
Romanoriim,  Kiliae  1843),  e  fu  poi  nuovamente  svolto  dal  com- 
pianto  nostro  prof.  Henzen  due  anni  or  sono,  in  questo  medesimo 
Istituto,  nel  discorso  da  lui  letto  per  celebrare  questa  odierna  fe- 
stivitä  delle  Palilie  {Ball.  List.  1885,  p.  137  sg.). 

E  poiche  uon  devo  abusare  della  cortesia  vostra,  mi  asterrö 
dal  riassumere  ciö  che  dagli  accennati  maestri  fu  svolto,  e  dal 
ricordare  pei  collegi  funeraticii  quanto  sapientemente  pubblicö 
pochi  anni  or  sono  il  dottissimo  comm.  de  Eossi  {Bull.  Com.  1882, 
p.  144  sg.). 

Mi  basterä  quindi  il  dire,  che  stände  alle  parole  del  testo, 
dovremmo  riconoscere  nel  nostro  marmo  un  collegium  magnum, 
associazione  composta  di  servi  e  liberti  della  casa  imperiale ;  simile 
a  quella  che  si  chiamö:  Lariun  et  imaginiim  domini  n{ostn)  Cae- 


DEL    LIBELLO    DI   GEMINIO    EUTICIIETE  211 

saris  (C.  I.  L.  III,  4038),  ed  all'altra  dcnominata  parimenti :  La- 
r{um)  et  imag(lrmm)  Dom{iiii)  n{ostri)  itivicli  Äntoniiii  PH  fe- 
licis  Äug{iisti)  2){atris)  p{atrLae)  {C.  I.  L.  VI,  G71). 

Perö  alla  siia  denominazione  piena  bisogna  aggiiingere  una  pa- 
rola,  che  nel  marmo  precede  il  nome  delle  diie  imperatrici,  parola 
che  lasciava  gravi  dubbi,  cadendo  in  uno  dei  diie  luoghi  della  lapide 
difficili  a  leggere  pei  segni  varii  di  pcDtimenti  e  di  correzioin  che 
vi  si  osservano. 

Avevo  da  principio  creduto  che  si  trattassö  di  im  collegimn 
magii{ario)rum ;  ma  le  seconde  eure  sul  marmo  mi  fecero  escludere 
una  lezione  simile,  ed  escludere  la  possibilitä  di  riconoscervi  la 
formula  che  sembrerebbe  piü  naturale,  cioe:  collegimn  magmim 
duarum  cUvarum  Faustiaarum  matris  et  Piae.  E  poiche  parevami 
sicurissimo  che  nella  pietra  fosse  scolpito  ARI-ARVM,  accettai  la 
proposta  di  leggere  ariarum  nel  significato  di  arearum  (Mariui 
her.  All),  p.  119),  ricouoscendo  in  area  il  valore  di  area  sacra 
{C.  I.  L.  71,  541). 

Ma  anche  qui  i  dubbi  e  le  osservazioni  del  prof.  Mommsen 
mi  spinsero  a  ritornare  allo  studio  della  lapide,  dove,  in  seguito 
alle  nuove  ripuliture,  credo  aver  raccolti  gli  elementi  per  togliere 
di  mezzo  ogni  equivoco.  Non  mi  pare  necessario  che  in  alcuni  dei 
segni,  che  compongono  questo  gruppo  difficile,  sia  da  ammettere  un 
nesso  di  sorta.  Non  si  incontra  esempio  di  nesso  in  tutto  il  resto 
della  pietra ;  ne  se  ne  spiegherebbe  facilmente  1'  uso  in  uno  dei  punti 
capitali  dello  scritto,  quello  cioe  che  riguardava  la  intitolazione 
del  sodalizio. 

Ne  anche  sembra  necessario  il  riconoscere  la  parola  divisa  in 
due  parti,  per  mezzo  del  punto  diacritico ;  e  ravvisare  nel  terzo  segno 
un  1  lungo,  contro  ogni  ragione ;  mentre  mai  in  tutto  il  resto  del 
dettato  fu  incisa  la  lettera  I  in  quella  forma. 

II  confronto  invece  col  K  del  penultimo  verso,  ove  solamente 
appariva  prima  questa  lettera  in  \'P^\Sendi8)^  eseguita  con  asta  lunga, 
e  con  piccolo  taglio  angolare  sul  cent:o,  mi  condusse  a  riconoscere 
nel  disputato  segno  una  vera  e  propria  Y  ,  per  cui  tutte  le  difficolti\ 
di  lettura  vengono  sciolte ;  rimaneudo  nitida  la  lezione  ARKarvm, 
e  risultando  quindi  che  il  nostro  istituto  si  intitoiava:  collegium 
mag  mim  arearum  divarum  Faustinarum  Matris  et  Piae. 

liesta  solo  la  difficoltä  intorno  al  valore  che  a  tale  denomina- 


212  DEL    LIBELLO    Dl   GEMlNlO   EÜTICHETE 

zione  si  debba  attribuire.  Se  per  arca  devesi  intendere  Xarca  eol- 
legii,  che  era  coinune  alle  corporazioni,  avremmo  11  priino  caso 
in  ciii,  contro  la  regola  generale,  si  troverebbe  usata  questa  parola 
come  soggettö  del  sodalizio. 

Nondimeno  in  qiiesta  stessa  irregolarita,  pare  al  prof.  Mommsen 
che  si  nasconda  im  fatto  iniportante.  Nella  capitale,  secondo  che 
corteseraente  egli  mi  avverte,  in  massima  non  si  ammettevano  cor- 
porazioni; e  qnella  citata  dalla  nostra  lapide,  deve  considerarsi  piü 
come  opera  pia,  che  come  collegimn  nel  senso  vero  e  proprio  della 
parola ;  opera  che  doveva  trovarsi  in  rapporto  con  le  puellae  Faii- 
stinianae  istituite  dall'  imperatore  Pio  (vita  c.  8 ;  Eckhel  7,40)  e 
con  le  imellae  Faiistinianae  novac  agginnte  da  Marco  Am-elio 
(vita  c.  26). 

«  Coteste  istitiizioni,  egli  prosegiie,  non  vanno  attribiiite  ai 
mimicipii  italiani,  come  siiol  dirsi,  e  come  crede  lo  stesso  Henzen 
{Ann.  1844  p.  19),  ne  debbono  confondersi  con  la  grande  istitn- 
zione  di  Traiauo,  ma  appartengono  alla  plehs  urbana.  Si  aumentava 
il  niimero  delle  ragazze,  che  avevano  dritto  al  frumentum  imhli- 
ciim-,  secondo  che  vien  provato  e  dal  passo  della  vita  di  Marco 
(c.  8),  ove  si  dice  che  per  lo  sposalizio  di  Lucilla  gl'  imperatori 
pueros  et  puellas  novoriim  nominiim  (cioe  p^ueri  Aureliani,  puellae 
Liicülianae)  fnimentariae  perceptioni  adseribi  praeceperimt ;  e 
dair  iscrizione  (C.  /.  L.  VI,  10222)  di  una  ragazza  urbana  di  anni 
sei  mc{üd)  fr{umento)  publ{ic6)  div{ae)  Faust{iiiae)  iunioris.  Non 
abbiarao  adunque  una  corporazione  vera  e  propria,  ma  piuttosto 
uno  stabilimento  pio,  presieduto  dai  due  quinquennali,  creato  per 
amministrare  i  bendi  fondi  donati  per  pio  scopo  » . 

Forse  non  e  da  escludere  la  probabilita  che  il  nostro  collegio 
dalla  riunione  di  due  distiuti  collegi  fosse  stato  composto.  Lo  fa  sup- 
porre  il  fatto  che  i  due  magistri  si  appellano  diversamente ;  essendo 
Eufrata  indicato  nel  marmo  come  q{uia)q{uennalis)  Faustbiae  Ma- 
tris  (0;  il  che  porta  la  necessitii   di  ammettere   che   Salvio  fosse 

(1)  La  squisita  cortesia  delFamico  prof.  Hirschfeld  richiama  la  mia  ai- 
tonzione  suUa  Icitera  doiriniperaiorc  Alessandro  Severo  scrilta  ad  un  Eufrata: 
Irnj).  Alexander  Aug.  Ewphratae.  Etiumsi  is  divisioni  arbitram  dedit,  cui 
dundi  ius  non  fuit ;  tarnen  si  socil  quondam  divisioni  consensum  dederint: 
quod  quisqiie  eorum  secundum  placita  possidet,  pro  parte  socii  dominium 
naclus  eü.  XVI  kd.  D:cemhr.  Alexandro  Au;/.  III  cl  Dionecoss.  {Cod.  Ju>>t. 


DKL    LiliKLLO    DI    GKMIXIO    EUTICIIETE  213 

stato  q{u,ui)ii{tte}i}ialis)  Faustiiiae  Piae ;  e  che  qiündi  1'  istituto 
fosse  stato  iiiternamente  spartito  in  due  sezioni  bcn  distinte,  con 
le  quali  si  pcrpetuavano  i  ricordi  della  doppia  origine. 

Ma  lascio  ad  altri  risolvere  questo  ed  altri  quesiti;  e  poDgo 
termine  al  mio  dire  ringraziando  il  cli.  prof.  Heibig  dell'onore  che 
mi  ha  fatto,  nel  volermi  associato  agli  altri  in  questo  giorno  so- 
lenne destinato  alla  celebrazione  del  natale  di  Eoma,  lietissimo  di 
aver  potuto  dare  al  caro  amico  un  piccolo  segno  di  grande  stima 
e  di  sincero  afietto. 

F.  Barnabei 


lib.  III  <it.  38,  2).  Portando  questa  lettera  la  data  del  16  novenibre  del  220, 
ed  essendo  i)osteriore  di  soli  due  anni  al  ]H)stro  marmo  ;  non  essendo  cosi 
conume  il  iiome  di  Eufrata,  si  deve  concludere  che  l'individuo,  a  cui  era  direKa 
la  lettera  imperiale  fosse  stato  lo  stesso  quinquennale  del  collegio  magno, 
menzionato  nel  marmo  ostiense. 


SÜL  SIGNIFICATO  DELLA  PAROLA  PERGULA 
NELL'ARCHITETTUßA  ANTICA 


Sappiamo  da  vari  passi  degli  anticlii  autori  che  oggetti  i 
quali  si  voleva  mostrare  al  piibblico,  e  specialmente  che  si  voleva 
vendere,  furono  esposti  in  ima  pergula.  Cosi  Apelle  perfecta  opera 
iwoimiehat  in  pergula  transeiintibus  (^),  e  piü  volte  si  menzio- 
nano  appimto  le  perrjulae  dei  pittori  i^).  Ma  se  ne  servivano  anche 
altri  negozianti  ed  artisti,  p.  es.  gli  argentarii  i^).  In  essa  il 
leiio  espone  le  siie  donne :  deportare  in  pergulam  e  sinonimo  a 
populo  proüituere  {^).  Naturalmente  tali  pergulae  doyevano  esser 
rivolte  alla  strada  ed  esposte  agli  sgiiardi  dei  passanti.  Appren- 
diamo  poi  da  un  passo  giä  citato  di  Ulpiano  {^),  che  stavano  ad 
una  certa  altezza,  dimodoche  iin  oggetto  cadiito  dalla  pergola  po- 
teva  recar  danno  a  chi  passava.  Che  fossero  congiunte  colle  ta- 
bernae,  ce  lo  insegna  espressamente  iin'iscrizione  dipinta  di  Pom- 
pei  (^),  la  quäle  anuunzia  che  nella  insulaA  rrlana  Pollicaia  Cn. 

(1)  Plin.  n.  h.  35,  84. 

(■-)  Lucilio  presso  Lattanzio  1,  22,  lo:  pergula  pictorum.  \]liiia.no  Big. 
9,  3,  5  §  12:  cum  pictor  in  pergula  clipcum  veltabulam  expositam  hahuis- 
set  eaque  excidisset  et  trmiseuntl  damni  quid  dedisset.  Cod.  Thcod.  13,  4,  4: 
(picturae  professoresj  pergulas  et  oßcinas  in  locis  puhlicis  sine  pensione 
obtineant. 

(3)  Plin.  n.  h.  21,  8:  L.  Fuloius  argcntarius  hello  Punico  socundo  cum 
Corona  rosacea  interdiu  e  pergula  sua  in  forum  prospexisse  dictus.  Fronto 
ad  M.  Caes.  4,  12  (p.  74  Naber):  Scis  ut  in  omnihus  argentariis  mensulis, 
perguleis,  taberneis —  imagines  vestrae  sint  volgo  propositae. 

(4)  Plaut.  Pseud.  178.  214.  229. 

(5)  Dig.  9,  3,  5  §  12  (sopra  not.  1). 

(6)  C.'l.  L.  IV  138. 


SUL    SUJ.NIFKLVTO    DKLLA    l'ARoLA    VEliGVLA  ECC.  215 

Allel  Niyidi  Mal  si  affittano  vari  locali  e  fra  essi  tabernae  cum 
pergulis  suis,  e  lo  conferma  un'altra  iscrizione  di  Pompei  Q)  e 
passi  degli  antichi  autori  (2),  ue'  qiiali  le  pergulae  son  menzionate 
iusieme  a  taberne  ed  officine.  Si  rileva  finalmente  da  Plauto  (^) 
che  la  pergola  poteva  essere  abbastanza  spaziosa  per  collocarvi 
im  letto. 

Ora  qiiesta  pergula  credo  di  averla  riconoaciuta  negli  ediüzi 
di  Pompei. 

Chiunque  osservi  attentamente  le  botteghe  di  Pompei,  e  spe- 
cialmente  quelle  dell'epoca  sannitica,  costruite  in  gran  parte  con 
lacciate  di  lastroui  di  tufo,  si  meraviglierä  della  loro  straordinaria 
altezza:  i  loro  ingressi  sono  di  consueto  piii  alti  di  qiiello  che 
condiice  all'atrio  e  che  pm-e  deve  considerarsi  come  il  principale. 
Tu  pochi  casi  gli  ingressi  sono  conservati  nell'intera  loro  altezza: 
lo  sono  p.  es.  nella  casa  del  banchiere  L.  Cecilio  Giocondo  e  in 
una  casa  vicina  C),  ove  hanno  1' enorme  altezza  di  m.  4,50  e  5  ; 
e  queste  due  case  non  sono  certamente  delle  piü  grandiose.  Tale 
straordinaria  altezza  trova  la  sua  spiegazione  osservando  nelle 
pareti  delle  botteghe  stesse  i  buchi  ne'  quali  erano  inca&trate  le 
travi  che  ad  un'altezza  fra  m.  2,50  e  8,50  all'iücirca,  press'a  poco 
a  Ys  dell'intera  altezza,  sorreggevano  un  ammezzato  accessibile  per 
una  scala,  che  piü  o  meno  conservata  sempre  si  trova. 

Do  qui  appresso  l'elenco  delle  botteghe  uelle  quali  ho  osser- 
vato  un  tale  ammezzato,  ordinato  secondo  le  regioui,  iiisulae  ed  i 
numeri  degli  ingressi;  il  numero  in  parentesi  indica  l'altezza  (in 
metri)  alla  quäle  stava  l'ammezzato. 

Eeg.  5  ins.  1  n.  5  (2,70).  6.  8  (2,90);  n.  17  (2,75).  19 
(2,70):  in  17  e  19  l'intero  ingresso  e  alto  m.  5;  n.  25.  27  (3): 
altezza  dell'intero  ingresso  m.  4,50. 

Keg.  6  ins.  1  n.  18  (2,80).  —  ins.  6  (t  casa  di  Pansa  O  n.  4 
(3,28).  23  (3,22). —  ins.  8  n.  15  (3,45).  16  (3,40).  17  (3,15).  18 
(2,90).  19  (2,85).  — ins.  10  n.  10  (3,45):  e  probabile  che  fosse 
anche  nelle  altre  botteghe  della  stessa  casa  («  del  naviglio  "):  n.  12. 

(1)  L.  c.  1136. 

(2)  Fronto  aä  M.  Caes.  4,  12  (sopra  not.  3).  Ulp.  Dig.  5,  1,  19  §  2. 
Cod.  Theod.  13,  4,  4. 

(3)  Pseud.  215. 

(4)  Reg.  5  ins.  1  n.  17.  19.  25.  27. 


216  SUL   SICtNIFICATO  della   pakola   pi-rgila 

-[3_  15.  —  ins.  12  (iicasa  del  Fauno  0  ^■'^-  (3,05).  2  (non  troppo 
chiaro).  4  (3,05).  6  (3,38).  —  ins.  13  n.  1,  3  (2,65).  7  (2,55); 
era  senza  diibbio  anche  nel  n.  5,  apparteneute  alla  stessa  casa, 
ma  non  e  piü.  riconoscibile. 

lieg.  7  ins.  1  u.  1-12.  I  pilastri  fra  le  botteghe  sul  lato  me- 
ridionale  delle  terme  Stabiane  sono  conservate  in  parte  fino  a  5  m.; 
in  quasi  tiitte  e  visibile  la  scala  addossata  al  muro  di  fondo  (nel 
solo  n.  6  non  e  accertata).  Ciö  vale  non  soltanto  per  la  parte  piü 
antica  (lastroni  di  tufo),  ma  anche  per  le  piü  recenti  verso  l'angolo 
sud-ovest  (mattoni  alternati  regolarmente  con  pietre  di  forma  ana- 
loga);  ed  in  queste  lütime  e  ben  riconoscibile,  a  m.  2,90  d'al- 
tezza,  l'ammezzato,  che  natiiralmente  deve  supporsi  anche  nelle 
botteghe  piü  antiche.  —  ins.  4  n.  45.  46  (2,70).  47  (2,88).  49 
(2,78).  n.  50  (2,96):  da  supporsi  anche  nel  u.  52,  che  fa  parte 
della  stessa  casa  («dei  capitelli  colorati»).  —  ins.  13  u.  1(3,20: 
scala  nel  locale  adiacente  u.  25)  2.  3  (2,95). 

Reg.  8  ins.  3  n.  2  (2,95):  da  supporsi  anche  nel  n.  :>; 
n.  11  (3.20):  l'ingresso  intero  era  alto  almeno  m.  5,30;  l'ammez- 
zato  era  accessibile  dai  locali  posti  dietro  di  esso,  ai  quali  si  asceu- 
deva  dal  n.  10,  congiunto  con  11  per  uua  porta.  —  ins.  4  n.  25 
(3,70);  deve  supporsi  per  tutta  la  lila  di  botteghe  tino  all'angolo 
della  via  «  delVAbbondanza  «.  —  ins.  5.  6  n.  27  (poco  chiaro). 
n.  29  (2,95). 

Reg.  9    ins.  1  n.  21.    23.  24,   domits    Epidi    Sahüil   (1,55 

nel  n.  21). 

In  tutti  questi  casi  dunque  —  e  senza  dubbio  in  molti  altri  — 
vi  era  sopra  la  bottega  un  locale  spazioso  quanto  la  bottega  stessa, 
c  come  questa  aperto  suUa  strada  in  quasi  l'intera  sua  larghezza. 
Possiamo  supporre  che  qnesto  soffitto  del  locale  inferiore,  ed  in- 
sieme  pavimento  del  superiore,  era  niuuito,  sul  suo  margine  rivolto 
alla  strada,  d'un  parapetfco  probabilraente  di  legno,  non  massiccio  e 
chiuso,  ma  fatto  a  guisa  d'un  cancello.  Questo  dunque  era  un  posto 
adattatissimo  per  esporre  oggetti  da  vendere;  e  senza  dubbio  ser- 
viva  a  questo  scopo.  Insorama  ritroviamo  qui  tutti  i  contrassegni 
della  pergida :  un  luogo  annesso  alla  taber/ia,  abbastanza  spazioso, 
rivolto  alla  strada,  che  sta  ad  una  certa  altczza. 

Perö  la  pergola  cosi  da  noi  ritrovata  non  corrisponde  affatto 
all'etimologia  e,  per  conseguenza,  al   significato    originario    della 


nell'  architettura  antica  217 

parola;  la  quäle,  derivata  da  jisrgere,  dovrebbe  indicare  un  pas- 
öaggio  da  im  punto  ad  uu  altro  piii  o  racno  distante.  In  questo 
questo  senso  meritano  il  loro  uome  le  pcrgalae  delle  viti  ('):  lo 
coufermera  clihmque  abbia  osservato  tale  sistema  di  colti^ar  l'nva, 
geaeralmeute  nsato  p.  es.  nel  Tirolo  meridionale.  Neil' architettura 
dimque,  tenendo  conto  e  dell'etimologia  e  del  fatto  che  la  parola 
indica  per  lo  piii  uu  membro  visibile  dal  di  fuori,  e  probabile  che 
'jrjryala  fosse  in  origine  una  galleria  esterna,  suUa  quäle  si  potesse 
passar  da  uua  parte  della  casa  all'altra,  auche  quando  le  localita  in- 
terne fossero  divise  e  senza  porte  di  comunicazione  fra  loro.  Non  man- 
cano  esempi  di  tali  gallerie  nogli  edifizi  autichi.  Cosi  nella  caserma 
dei  gladiatori  a  Pompei  le  celle  del  piano  superiore  erano  accessibili 
soltanto  per  una  galleria  esterna,  che  vi  si  stendeva  avanti  (-). 
Lo  stesso  vale  per  la  tila  superiore  di  botteghe  nel  macello  (co- 
sidetto  Pantheon),  anche  a  Pompei  ('^).  Ed  a  Stabia  in  un  editizio 
di  destinazione  incerta  ad  una  üla  di  15  camere  ca  sovrapposto' 
uu  piano  superiore  di  altrettaute,  senza  scale  ('^);  il  La  Vega  vi  ha 
Sbguato  .avanti  una  linea  puuteggiata  couleparole:  -  mignano  che 
da  ingresso  alle  stanzedel  2"  appartamento  « ,  E  dovunque  nelle 
case  il  peristilio  avesse  un  ambulacro  superiore,  che  dava  accesso 
a  camere  retroposte,  a  questo  pure  s'  adattava  il  nome  di  'pergula. 
Ma  non  esiste  alcuna  testimouianza  esplicita  che  tali  gallerie  ed 
ambulacri  avessero  quel  nome.  Forse  perö  potremo  renderlo  vero- 
simile  indirettameute,  col  ragiouamento  seguente. 

Torniamo  cioe  alle  "perfjulac  delle  boLteghe,  da  noi  ritrovate 
a  Pompei.  Esse,  come  abbiamo  veduto,  portavano  un  nome  che  eti- 
mobgicamente  loro  non  couviene  e  che  non  possono  aver  ricevuto 
se  non  per  qualche  somiglianza  che  dovevano  presentare  con  altre 
pergulae^  alle  quali  in  origine  e  con  piü  ragione  fu  applicato. 
Ora  se  queste  erano  appunto  le  suddette  gallerie  esterne,  allora 
il  trasferimeuto  del  nome  si  compreude  banissimo,  perche  qui 
esiste  quella  somiglianza  che  poteva  giustificarlo.  Per  render  cio 
chiaro  raffiguiiamoci  la  lila  di  botteghe  a  due  piani  del  macello 
pompeiano,  che  forma  quasi  im  membro  di  transizione.  Infatti  qui 
non  abbiamo  altro  che  una  fila  di  botteghe  altissime  col  solito 
ammezzato,  ijergida,  il  quäle  perö  qui  non  ha  soltanto  l'estensione 
della  botLega,  ma  sporge  fuori  deH'ingresso,  e  queste  parti  spor- 
genti  dei  singoli  ammezzati  son  congiunte  fra  loro :  l'aspetto  dal 
di  fuori  era  quello  di  una  fila  di  alte  botteghe  traversata  a  una 
certa  altezza  dal  parapetto  della   galleria,  i^ergida.    Ora  e  chiaro 

(1)  Colum.  4,  21,  2;  11,  2,  32.  Plin.  n.  h.  14,  11.  vitls  pergulana  Co- 
lum.  3,  2,  28. 

("')  Mazois  Euines  de  Pompei  III  tav.  3-5.  Overbeck-Mau  Pompeji  p.  95. 
(■')  Mazois  op.  c.  III  pai?.  6'i  tav.  44.  45.  Overbeck-Mau  op.  c.  p.  124. 
(■*j  Ruggiero  Degli  scaoi  dl  Stabia  tav.  7. 

U 


& 


218  SUL    SIGNIFICATO    DELLA    PAROLA    PE.lßri.-l 

che  questo  aspetto  uon  diJeriva  molto  da  qiiello  d'iina  fila  di 
botteghe  con  pergole  non  congiimte ;  soltauto  ivi  il  parapetto 
stava  piü  indeutro,  in  ima  linea  coi  pilastri  che  separano  gli  in- 
gressi,  ed  era  iuterrotto  da  questi  medesimi  pilastri.  C001  il  trasferi- 
meiito  del  nome  non  e  certo  incompreusibile,  e  la  facilitä  di 
spiegare  in  tal  modo  il  nome  di  jj(?r^^^/«  dato  al  locale  siiperiore 
della  bottega  faA'orisce  la  supposizione  che  col  msdesimo  nome 
fossero  indicate  quelle  gallerie. 

L'ammezzato  delle  botteghe  dell'epoca  sannitica  non  puö  in 
alcun  modo  rifcenersi  im'aggiimfca  posteriore,  sia  perche  senza  di 
esso  non  si  spiegherebbe  l'altezza  delle  botteghe  stesse,  sia  perchj 
Taspetio  dei  biichi  ov'erano  incastrate  le  travi  escliide  una  tale 
ipotesi  (').  Che  auche  in  epoea  piü  tarda  non  si  rinunciasse  a  questo 
modo  di  costruire,  ne  abbiamo  un  esempio  certissimo  nelle  botte- 
ghe delle  terme  Sfcabiane,  che  sono  in  parte  deU'ultima  epoea  di 
Pompei,  ma  avevano  ognuna  la  sua  pergola.  Auche  le  botteghe 
della  casa  -  del  naviglio  ^  (reg.  6  ins,  10  n.  10  e  segg.)  furono 
costruifce  cosi  nei  tempi  dei  primi  imperatori.  E  qui  si  deve  meu- 
zlonare  la  graude  bottega  reg.  8  ins.  4  n.  7,  alla  quäle  era  so- 
vrapposto  un  locale,  con  apertura  sulla  strada  di  m.  0,45  piü 
larga  che  quella  della  bottega  stessa,  accessibile  da  camere  dietro 
poste,  che  da  parte  loro  erauo  congiunte  con  la  bottega  per  una 
bcala ;  senza  dubbio  anche  ad  esso  si  applicava  il  nome  di  pergida  ; 
la  costruzione  non  e  anteriore  ai  tempi  romani.  Similmente  sopra 
ognuna  delle  due  botteghe  reg.  7  ins.  lln.  13e  15  stava  un 
locale  che  aveva  sulla  strada  un'apertm'a  piü  larga  ancora  dell'in- 
gresso  della  bottega  sottoposta,  perö  senza  comunicazioni  colle 
botteghe.  Anche  la  bottega  reg.  7  ins.  12  n.  15  era  sormontata 
da  una  stanza  simile,  accessibile  per  una  scala  da  locali  esistenti 
dietro  la  ])ottega. 

In  generale  perö  pare  che  piü  tardi  a  Pompei  si  preferisse 
di  dare  alla  bottega.  un  ingresso  piü  basso,  e  di  far  sopra  di  essa 
una  Camera  chiusa  verso  la  st.'ada,  che  spesse  A'Olte  non  era  ne  anche 
annessa  alla  bottega,  ma  aveva  1" ingresso  separate,  accanto  a 
quelle  della  bottega:  erano  dunque  tali  camere  affittate  separata- 
mente,  senza  dubbio  a  persone  che  potevano  spendere  poco  per  la 
loro  abitazione.  AI  nome  di  pergala  non  avevano  piii  alcun  diritto, 
ma  daltra  parte    non    dovrebbe    farci    meraviglia    che    col   posjo 

(1)  In  alcuni  casi  questi  buchi,  di  forma  rettaiigolare,  son  ])raticati  nei 
lastroni  di  tufo,  cd  allora  nelle  varie  case  si  rasscimigliam)  tanto  per  la  forma 
e  per  il  lavoro,  che  mm  possono  non  ascrivei'si  ad  un  medesimo  tempo,  che 
naturalmente  e  quello  della  costruzione.  Essi  sono  analoj^hi  a  quei  buchi  cho 
nei  peribolo  del  tcmpio  di  Apollo  conteuevano  le  travi  deirambulacro  superiore. 
8i  trovanonelle  botteghe  reg.  5  ins.  1  n.  G.  8.  —  reg.  0  ins.  1  n.  18;  ins.  6 
n.  4.  2.3.  —  reg.  7  ins.  13  n.  1  (ctm.  29  X  1.6).  —  reg.  8  ius.  3  n.  11  (ctm.  34  Xl6). 


nell'  architettüra  antica  219 

aves3ero  ereditato  dalla  poi'gola  anche  il  nonie.  0/a  presso  Pe- 
troQio  (74)  iULli(,8  iii  'pergiila  sigiiidca:  nato  in  condizioni  povere  ; 
ed  essendo  le  persona  di  Petronio  abitanti  della  Oampania,  proba- 
bilmente  di  Curaa  (\),  si  potrebbe  esser  disposti  a  cercar  la  spie- 
gazione  delle  loro  parole  nogli  edifizi  di  Pompei  e  ammettere  che 
qui  si  alluda  appimto  a  quelle  caiiure  sovrapposte  alle  botteghe, 
0  che  almeno  tale  sia  Torigine  dell'uso  di  chiamar  j^ergida  una 
povera  abitazione.  Ciö  e  possibile,  ma  non  e  certo.  Perche  sarebbe 
aiiche  possibile  che  siii  tetti  delle  case  prima  si  facesse  qualche  cos.i 
rassomigliaiite  alle  pergole  delle  vigne,  e  che  piütardi  vi  si  sostituis- 
sero  sohitfce,  alle  quali,  abitate  da  povera  gente,  rimauesse  qiiel  nouic'. 
Anche  presso  Properzio  (-)  pergiUa  e  una  povera  abitazione,  ma 
il  sito  non  e  abbastanza  chiaro  per  poter  dire  se  possa  pensarsi  ad 
una  öoffifcta  ovvero  se  si  tratti  di  un' abitazione  piü  direttamentv3 
accessibile  dalla  strada.  Presso  Ausonio  (^)  una  capanna  dal  tetto 
di  paglia  si  chiama  pergula :  forse  la  parola  signilica  qui  sem- 
plicemeut-e  una  povera  abitazione.  Quando  in  epoca  molto  piü  tarda 
TerfcuUiano  (^)  eon  la  parola  in  discorso  indica,  ma  in  modo  non 
troppo  chiaro  ,  le  parti  superiori  di  una  casa  alta ,  allora  e  piii 
probabile  che  l'origiue  di  tale  uso  sia  quello  in  ultimo  luogo  ac- 
cennato.  Perö  qui  pure  non  vorrei  escludere  come  impossibile  l'altra 
ipotesi:  giacche  se  veramenti  pergida  chiamavasi  una  certa  specie 
di  camere  superiori,  quelle  cioe  sovrapposte  alle  botteghe,  allora  il 
nome  poteva  col  tempo  prendere  il  significato  di  locali  superiori 
in  genere. 

E  noto  che  qualche  volta  i  locali  delle  scuole  si  chiamano 
■pergvlae  (^).  D'altra  parte  Livio  (6,  44,  6)  ci  dice  che  ai  tempi 
dei  decemviri  Virginia  fu  portata  a  scuola  al  foro,  perche  ivi  ia 
taberais  erano  le  scuole.  E  racconta  pm-e  (6,  25,  9)  che  Camillo, 
entrando  in  Tuscolo,  vide  iabernis  apertis  gli  artigiani  lavoranti 
ed  i  fanciulli  che  imparavauo  a  leggere.  Qui  dunque  si  parla  ora 
di  tabeniac\  ora  di  pergulae^  ciö  che  si  spiega  in  modo  assai  na- 
turale supponendo  cioe  che  le  scuole  si  tenessero  appunto  in  lo- 
cali come  quelli  che  trovammo  a  Pompei.  E  diflicile  il  credere 
che  le  tabjrne  stesse  del  foro  fossero  disponibili  per  un  uso  cosi 
poco  lucrativo,  mentre  e  possibilissimo  che  qualche  commerciaute, 
non  avendo  bisogno  del  loeale  superiore,  lo  cedesse  ad  un  maestro 
di  scuola. 

Per  esser  completo  non  voglio  passar    sotto    sileuzio,    che  il 


(')  Mommsen  Hermes  XIII  pasf.  106  segg. 

('■^)  5,  5,  68:  horruit  algenti  j)e}-</ula  curia  foco. 

(^j  Epht.  4,  6:  vilis  harundineis  cohihet  quem  pergida  tectis. 

(M  Adv.   Valent.  7. 

(•'')  tSuet.  De  gramm.  18.  Vopisc.  Saturnin.  10.  Cf.  G'ioven.  11,  13G  sg. 


220  SÜL    SIGNIPICATO    DELLA    PAROLA    PERGULA    ECC. 

noto  lupanare  di  Pompei  (reg.  7  ins.  12  n.  18-20)  ha  nel  suo 
piano  superiore  ima  galleria  esterna,  che  si  stende  lungo  ambedue 
i  lati  rivolti  siiUa  strada.  Questo  piano  superiore  non  ha  celle, 
ma  e  oecupato  quasi  tutto  da  un'ampia  sala,  che  per  le  sue  pit- 
tiu'e  murali  apparisce  molto  piü  elegante  dei  locali  inferiori.  Ha 
il  suo  ingresso  separato  dalla  strada,  e  pare  che  i  due  piani  non 
fossero  in  comunicazione  fra  loro.  Anche  nella  casa  adiacente 
(n.  17)  al  di  sopra  dello  stabilimento  indiistriale  dichiarato  dal 
Fiorelli  (')  per  una  fullonica  era  un  grande  locale  con  annessa 
galleria  esterna  suUa  strada.  Stava  sopra  i  locali  a,  b,  c,  della 
pianta  del  Fiorelli,  era  accessibile  per  una  scala  situata  nel  cor- 
tile  p  (per  il  quäle  dalla  casa  n.  21  si  passava  alle  stabilimento 
suddetto)  e  dava  accesso  a  tre  celle  o  cubicoli,  situati  sopra 
quelli  che  stanno  sul  lato  d  dell'atrio  n.  21  (c,  d,  e,  sulla  pianta 
citata).  E  possibilissimo  che  qui  pure  si  tratti  di  uu  lupanare. 
che  doveva  comprendero  anche  l'atrio  n,  21  con  le  camere  adia- 
centi,  giacche  i  locali  descritfci  non  hanno  ingresso  separato.  In 
ambedue  quesui  casi  la  galleria,  e  fors'anche  la  sala  dietroposta, 
poteva  chiamarsi  'pcrgiita  ed  e  analoga  a  quella  del  lenone  di 
Plauto,  benche  la  corrispondenza  non  sia  perfetta. 

La  casa  «  del  Laocoonte  »  (reg.  6  ins.  14  n.  28-31)  ha  una 
galleria  esterna  lungo  tutta  la  sua  facciata.  Sta  ad  un  livello  al- 
quanto  piü  basso  avanti  al  locale  sovrapposto  alla  grande  taberna 
(senza  dubbio  una  caupona)  n.  28,  e  s'abbassa  ancora  piü  all'estre- 
mita  S,  ove  da  accesso  alla  iatrina.  Non  si  riconosce  da  dove  fosse 
accessibile;  il  locale  sopra  la  caupona  (che  doveva  essere  accessi- 
bile da  questa  stessa,  giacche  non  v'ha  altro  ingresso)  s'apre  sulla 
galleria  con  una  finestra  che  ha  l'intera  larghezza  del  locale  o) 
con  due  finestre,  alle  due  estremitä,  ciö  che  pero  e  meno  proba- 
bile).  Tanto  questo  locale  quanto  la  galleria    potevano    chiamarsi 

pergula. 

A.  Mau. 


(1)  Dcscr.  p.  285;  GU  scavl  dal  1801  al  1872  \^.  19,  c;ll:i  piaiit.i  tav.  7. 


DELL'ARTE  ANTICHISSIMA  IN  ROMA 

Discorso  letto  da  G.  F.  Gamurrini 
nell' adiinansa  solenne  del  15  aiwlle  1887. 


Niuuo  certo  oserä  di  affermare,  che  Roma  dai  siioi  primordi 
alla  seconda  guerra  pimica  non  abbia  aviito  i  suoi  artefici.  Che  se 
lo  splendore  delle  opere  greche  trasportate  in  Roma  fece  evauire 
e  dimenticare  la  modesta  luce  primitiva,  lo  stesso  amore  di  pos- 
sederle,  e  la  siiscitata  meraviglia  nel  popolo  ci  confermano  dello 
spirito  pubblico  omai  educato  a  comprenderne  e  vahitarne  il  hello. 
Laonde  quando  Orazio  nella  riauovata  Roma  si  espresse:  Graecia 
ccqHa  fentm  vlctorem  cepit,  et  artes  intulit  agresti  Latio,  cadde 
nell'eiTore  comiine,  se  cou  ciö  volle  asserire,  che  Roma  ed  il  Lazio 
erauo  del  tutto  inciilti  prima  della  conquista  della  Grecia,  dalla 
quäle  quiiidi  avrebbero  tratto  gentilezza  di  lettere  e  d'arti.  Qiiella 
sentenza  tolta  per  vera  ha  servito  di  fallace  norma,  ed  ha  impe- 
dito  Uli  libero  esame  sui  prodotti  dell'arte  latina.  Essendo  omai 
cosa  nota,  che  nelle  principali  cittä  quindi  dominate  o  distrutte 
da  Roma  fiorivano  le  arti  per  guisa,  che  nelle  grandi  e  minute 
opere  dovevano  rispondere  al  buon  gusto  ovunque  diffuso,  come  si 
poträ  concedere  che  Roma,  posta  in  mezzo  a  loro,  e  ddtata  di  una 
virtü  potentemente  comprensiva  ed  esplicativa,  non  si  nutrisse  dei 
sentimenti  stessi,  e  si  mostrasse  tanto  inferiore  in  coltm'a?  D'al- 
tro  lato  le  diflicili  vie  di  comunicazione  ed  uno  stato  piü  di  guerra 
che  di  pace  l'avranno  ben  presto  costretta  a  provvedere  e  produrre 
nell'iudustria  e  nell'arte  per  proprio  conto,  e  nel  dispiegare  la  sua 
potenza  e  l'orgoglio  avrä  ben  saputo  pure  in  questo  liberarsi  di 
ricon-ere  altrove.  Importa  adunque  indagare  alquanto,  e  vi  e  certo 
il  pregio  dell'opera,  quäle  genere  e  periodo  di  arte  abbia  ingen- 
tilito  Roma  inuanzi  che  armata   veleggiasse   verso    la   Grecia:  e 

15 


222  dell'arte  antichissima  in  roma 

quanto  di  greco  giä  vi  si  sentisse,  al  pimto  che  il  popolo  giä 
grandemente  compiacevasi  delle  commedie  di  Menandro  nei  versi 
dei  suoi  piimi  poeti. 

La  circostanza  solenne  e  l'indole  del  discorso  mi  costringe  a 
tracciare  le  linee  dell'argomento  piü  o  meno  decise,  come  di  un 
quadro  veduto  da  limge,  secondo  alcune  mie  osservazioni  desunte 
dai  moniimenti.  Che  quanto  ci  hanno  lasciato  gli  scrittori  sull' an- 
tichissima arte  romana  molto  eruditamente  ha  raccolto  e  distinto 
il  prof.  Detlefsen  (^).  Deboli  invero  sono  i  ricordi,  che  dell'arte 
abbiarao  ricevuto  nell'albore  della  storia  di  Koma.  Plinio  non  pe- 
•rita  di  affermare,  che  a  siio  tempo  vedevansi  in  Laniivio  e  in 
Ardea  del  Lazio  e  in  Cere  di  Etrmia  pittm*e  anüquiores  urbe  {}). 
Noi  per  le  sicm'e  cognizioni,  che  abbiamo  conseguito  siille  pittm-e 
etrusche  di  Veio  e  di  Cere,  mentre  consentiremo  alla  sussistenza 
del  fatto,  riterremo  quelle  di  un'etä  piü  tarda,  e  dedm-remo  legit- 
timamente,  che  la  pittura  forse  nel  settimo  secolo  av.  Cr.  simil- 
mente  si  esercitava  tanto  nell'Etrm-ia  come  nel  Lazio. 

La  tradizione  romana,  che  neue  persone  dei  primi  re  ha  rac- 
colto le  istituzioni  civili,  militari  e  religiöse,  ascriveva  a  Numa  i 
collegi  delle  arti,  fra  le  quali  quello  dei  fabbri:  tanto  equivale 
ad  indicare  che  questa  industria  venne  in  tempo  molto  vetusto 
a  stabilirsi  in  Roma.  Per  lo  innanzi  i  metalli  manufatti  si  rice- 
vevano  dall'Etruria,  e  naturalmente  da  quella  contrada,  dove  si 
estraevano  e  tuttora  si  estraggono  il  rame,  il  ferro,  ed  il  piombo. 
La  lloridissima  cittä  di  Volci,  o  Vulci,  ne  chiudeva  appnnto  il  li- 
mite  sud  presso  le  foci  del  fiume  Armina  oggi  Fiora:  per  cui 
specialmente  di  lä  si  dovevano  dipartii'e  tali  manufatti  per  la  re- 
gione  tiberina  ed  il  Lazio.  Che  la  cosa  sia  avvenuta  cosi,  oltre  a 
questa  condizione  topogratica,  comprovasi  coUo  stesso  nome  di  Vol- 
kanus^  il  quäle  fu  come  dire  l'uomo  di  Volci,  o  proveniente  da  Volci- 
Come  da  noi  si  chiamano  dal  popolo  Bresciani  e  Tirolesi  coloro 
che  si  recano  a  vendere  coltelli  e  forbici,  cosi  per  Roma  e  per  il 
Lazio  erano  i  Volkani  quelli  che  esercitavano  1' industria  metal- 
lurgica,  donde  la  divinitä  ne  desunse  il  nome,  invece  di  chiamarsi 
coll'etrusco  di  Sethlaiis-  o  col  greco  di  "Hifcuatog.  Per   tali  con- 

(1)  Detlefsen  De  arte  antiquissima  Romanorum  particulae  tres.  Glück- 
stadt  1867,  1868,  1880. 

(2)  Eist.  Nat  XXXV,  17. 


DELL  ARTE    ANTICHISSIMA    IN    ROMA  223 

dizioni  divenne  iina  necessita  ristituire  in  Koma  un  collegio  delle 
arti  fabrili,  e  provvedersi  del  metallo  in  pani  e  lavoraiio;  molto 
piü  quando  sorsero  le  aspre  contese  colle  vicine  cittä  etrusche, 
che  ne  impedivano  il  traffico.  Si  segnö  cosi  im  atfrancamento  ed 
un  progresso,  in  qiianto  che  Koma  stessa  avrä  qiiindi  innanzi  prov- 
veduto  nelle  opere  di  metallo  le  minori  cittä  latine.  Ci  comparisce 
allora  Mamurio  Veturio,  come  caelator  assai  abile  negli  ancili  dei 
Salii:  e  la  tradizionale  meraviglia  ed  il  carme  saliare  ci  fanno 
inten dere,  che  si  era  conseguita  in  Roma  nell'arte  fabrile  la  desi- 
derata  perizia.  Se  vogliamo  credere  a  Plutarco  (in  Nmna\  fra  le 
corporazioni  dei  mestieri  fu  la  prima  qiiella  degli  orefici.  Della 
quäle  sottile  industria  ci  e  pervenuto  uno  splendido  saggio  di  eta 
remotissima.  Consiste  in  una  fibula  d'oro  trovata  a  Palestrina  {}) 
di  tecnica  assai  fine  ed  ingegnosa  derivata  dalla  fenicia:  l'epigrafe 
in  lettere  di  oro  lungo  il  canaletto  la  palesa  di  fattura  latina : 

loUAI41Vl/l:a3>IAB=':3B^:a3W:^oll/lAI^ 

A  quäle  alto  grado  fosse  quivi  pervenuta  la  toreutica,  da  tale 
gioiello  si  argomenta:  che  se  si  volesse  supporre,  che  in  altra 
citta  del  Lazio,  o  dove  tale  dialetto  latino  estendevasi,  fosse  stato 
prodotto,  non  si  potrebbe  disconoscere,  che  similmente  in  Koma, 
ed  anche  meglio  per  la  importanza    della    cittä  si  sarebbe   fatto. 

Ora  s'intende  bene  la  causa,  onde  si  ascriveva  a  Numa  anche 
il  collegio  dei  figuli,  cioe  dei  lavoranti  in  argilla.  Veramente  in 
quanto  alla  ceramica,  non  pare  che  in  Roma  si  facesse  molto  pro- 
gresso, come  invece  avvenne  uelle  cittä  etrusche:  ma  per  molto 
tempo  si  ritenne  la  tecnica  e  la  forma  del  vaso  laziale  e  degli 
italici,  accolta  in  tutta  la  regione  del  basso  Tevere  e  dei  suoi 
confluenti.  Della  quäle  industria  e  di  altre  attenenti  all'uso  par- 
ticolare  della  vita,  ne  sapremmo  assai  di  piü,  se  non  si  trascura- 
vano  le  propizie  occasioni  ueirodierno  ampliamento  di  Koma,  spe- 
cialmente  nella  regione  Esquilina.  Un  gran  tesoro  di  oggetti  e  di 
osservazioni  si  e  fatalmente  perduto,  e  quanto  fu  raccolto  alla 
rinfusa  non  preseuta  che  un  misero  avanzo  dell'antica  e  nuoYa  di- 

(1)  Heibig  0  Duomiiüer  Sulla  fihula  prenestina.  Bull.  d.  Inst.  1887 
pag.  37  e  segg. 


224  dell'arte  antichissima  in  roma 

struzione.  Forse  labitudine  qua  formata  alle  cose  grandi  fece  di- 
spregiare  le  piccole,  che  nella  storia  dell'arte  dl  Roma  valevano 
qimnto  le  grandi.  In  tale  peniiria  hanno  ben  meritato  della  scienza 
le  pertinaci  indagini  del  prof.  Dressel  ('),  e  le  sue  ingegnose  de- 
duzioni.  Da  lui  e  da  quanto  hanno  riferito  il  comm.  Lanciani  {-) 
ed  il  cav.  M.  Stefano  de  Rossi,  e  da  quanto  e  pervenuto  al 
museo  capitolino,  ed  ha  raccolto  l'amore  del  sig.  L.  Nardoni,  si  poträ 
rischiarare  alquanto  questo  periodo  crepuscolare  di  Roma.  Poiche 
dalla  necropoli  dell'Esquilino  ne  sono  apparsi  indizi  di  sepolcri, 
che  datano  dalla  cessazione  dell'epoca  della  pietra :  vasetti  e  bronzi 
che  risalgono  al  settimo  ed  ottavo  secolo:  e  si  manifesta  quindi 
la  importazione  degli  unguentari  fenici,  e  dei  fittili  di  stile  co- 
rinzio,  prodotto  questo  del  commercio  delle  colonie  doriche  e  focesi. 

Ma  la  plastica  in  terra  cotta,  la  quäle  coUe  sue  sculture,  ri- 
lievi  ed  antefisse  decorava  i  tempi  urbani,  era  trattata  dagli  etru- 
schi  artefici.  Cosi  da  Veio  a  tempo  di  Tarquinio  superbo  venne  a 
Roma  uno  chiamato  Volca,  che  ornö  il  tempio  di  Giove  Capitolino, 
e  la  statua  compose  del  nume.  A  tanto  non  osava  e  non  si  spin- 
geva  l'umile  industria  romana. 

Ben  diverso  concetto  dovremo  farci  dell'architettura,  la  quäle 
tiuo  dall'epoca  regia,  se  non  nella  parte  decorativa,  certo  nella  tec- 
nica,  raggiunse  la  sua  italica  perfezione,  come  tuttora  la  palesano 
le  mm-a,  l'aggere,  il  carcere  mamertino  e  le  cloache.  Dalle  quali 
opere  si  argomenterä  che  un  simile  sistema  di  muratura  fu  teuuto 
negli  altri  edifizi:  il  quäle  sebbene  per  gli  attestati  storici  lo  si 
debba  considerare  come  etrusco,  pure  in  soliditä  ed  in  bellezza 
supera  quegli  avanzi,  che  ci  sono  rimasti  di  Cerveteri,  di  Veio  e 
di  Faleria. 

Ma  considerata  l'arte  di  Roma  prima  che  le  dette  cittä  fos- 
sero  prese,  e  Veio  distrutto,  e  assai  probabile,  che  fosse  un  ri- 
üesso  di  quella  di  Cerveteri,  dalla  quäle  cittä  sembra  che  fosse 
presa  anche  la  forma  esterna  del  culto.  Un  tale  fare  tuscanico,  a 
cui  non  si  poteva  assoggettare  per  quelle  forme  orientali  ed  iera- 
tiche  il  realismo  del  genio  latino,  veniva  a  poco  a  poco  moditicato 
dairellenismo,  che  s'introdusse  in  Roma  per  il  commercio   marit- 

0)  Annali  delVInst.  1879  p.  253  e  segg.;  1880  p.  265  e  segg.;  1882  p.  5 
e  segg. 

(2)  Lanciani  Bull.  arch.  com.  1875  p.  41  c  segg.  c  tav.  VI,  VII  c  VIII. 


DELL' ARTE    ANTICIILSSIMA    IN    ROMA  225 

timo  di  Marsiglia  e  delle  cittä  greche  dell'Italia  meridionale.  Ciö 
si  manifesta  primaraente  per  le  forme  deU'alfabeto  calcidico,  di 
ciii  im  largo  esempio  vediamo  in  im  vaso  italico  trovato  in  Roma  ('), 
qiiindi  per  Tammissione  di  alcuue  divinitä,  greche,  e  per  ayere 
infine  corretto  ed  ordinato  il  dritto  italico  a  seconda  delle  greche 
leggi  nella  redazione  delle  dodici  tavole. 

Di  questa  felice  transizione  abbiamo  imo  storico  ricordo,  al- 
lorche  due  artefici  in  plastica  ed  iusieme  pittori,  Damoülo  e  Gor- 
gaso,  furono  nel  498  av.  Cr.  in  Eoma,  ed  eseguirono  opere  loda- 
tissime  uel  tempio  di  Cerere  (-),  la  cui  iibicazione  fu  assai 
prossima  al  circo  massimo.  Fin  d'allora  si  sentiva  il  bisogno  di 
ricorrere  alle  esperte  mani  dei  Greci,  invece  che  degli  Etruschi.  A 
■  quel  tempo  ed  allo  stile  greco-arcaico  ben  risponde  il  fregio  tittile, 
che  rappresenta  iina  corsa  o  una  pompa  fimebre,  e  che  fu  trovato 
fra  i  disfatti  sepolcri  deU'Esqiiilino:  forse  decorava  la  fronte  siipe- 
riore  di  ima  tomba  a  camera  (3), 

II  distacco  dell'arte  romana  dairetriisca  si  rese  per  le  con- 
dizioni  politiche  ognora  piü  forte  (sebbene  questa  pure  si  modifi- 
casse),  allorche  estinta  in  tutto  od  in  parte  la  vita  delle  cittä  ri- 
vali,  Roma  divenne  assoluta  padrona  dai  monti  Cimini  fino  al 
Tevere,  coll'avere  qiiindi  dedotto  una  colonia  in  Tarquinia.  Nou 
v'ha  dubbio,  che  costituitasi  un  potente  centro  politico  si  trasfor- 
mava  in  emporio  artistico  fra  quelle  popolazioni  all'arte  educate. 
Ma  questa  non  vi  avrebbe  assunto  la  vita  ed  il  moto,  senza  che 
vi  si  fosse  immesso  direttamente  uu  raggio  ellenico.  La  occiipa- 
zione  della  Campania  avveniita  nel  340  av.  Cr.  fu  quella  che  apri 
a  Roma  le  fonti  della  greca  gentilezza. 

Esteso  e  lusinghiero  tema  sarebbe  il  dichiarare,  che  cosa  fosse 
in  quell' epoca  l'arte  campana.  Sebbene  a  contatto  delle  colonie 
doriche  e  siciüe,  vi  predominö  infine  l'atticismo,  il  quäle  piegava 
a  certa  mollezza  in  quella  contrada,  dove,  secondo  il  proverbio 
degli  antichi,  gareggiavano  fra  loro  Cerere  e  Bacco,  tanto  vi  erano 
l'aere  ed  il  siiolo  dilettosi  e  fecondi.  La  vita  di  tutto  quel  popolo 

(')  Dressel  Dl  im' antichissima  iscrisione  latlna  sopra  un  vaso  trovato 
in  Roma.  Ann.  d.  Inst.  1880  p.  158  coii  tav.  L. 

(2)  Plin.  H.  Nat.  XXXV,  154:  «Ante  haue  aedeni  Tuscaiiica  omiiia  in 
aedibus  fuisse,  auctor  est  Varro  ». 

(3)  Lanciani,  nel  Bnll.  cit.  alla  tav.  VI  n.  1. 


226  dell'arte  antichissima  in  roma 

si  agitava  nell'arte,  la  quäle  studiavasi  di  raggiungere  il  sommo 
nel  delicato:  ma  col  fare  iin  altro  passo  cadde  nel  manierato  e 
nel  nauseante. 

Quando  dal  conquistato  trausito  dei  Latini,   degli  Ernici  e  dei 
Volsci,  le  legioni  romane  penetrarono  nella  Campania,  l'arte  soste- 
nevasi    uella    mirabile    vemistä  di  im  disegno  molto    corretto.  Le 
cittä  piü  impoitanti,  come  Capiia  e  Cuma,  fui'ono  ridotte  ben  presto 
a  mimicipi  dipendenti,  ed  inoltre  iina  biiona  parte    dei    contadini 
romani  venne  traslocata  nei  terreni  della  Campania  confinanti  col 
Sannio,  e  tra  Capua  e  Teano  si  stabili  il  propugnacolo  di   Cales, 
ora  Calvi,  nel  334.  Nuove  colonie  poi  si  condussero  per  romaniz- 
zare  la  contrada,  e  nel  312  fu  tracciata  la  gi-ande  via  Appia  per 
congiimgere  in  modo  facile  e  diretto  la  Campania  con  Roma.  Su- 
perata  la  seconda  giierra  sannitica,  ed  assicurato  il  dominio  sopra 
i  Volsci,  si  svolsero  nella  cittä  le    arti  della  pace:  e  fu  natm-ale 
conseguenza  che  le  Industrie  campane  inondassero  Koma  ed  il  Lazio. 
II  terreno  si  trovava  giä  disposto,  ed  una  certa  piacevolezza  elle- 
nica  veniva  a  trasfondersi  nel  popolo,  il  quäle  perö  uon  aveva  per- 
duto  per  questo  di  sua  ruviditä  e  dei  suo  senso  pratico.  Un  grande 
impulso  civile  fu  promosso  dal  censore  Appio  Claudio,  familiäre  alla 
cultura  greca,  e  che  sebbene  patrizio  iucontrava  per  le  sue  popo- 
lari  riforme  la  simpatia  della  plebe:  per  lui  fu  aperta  la  via  Ap- 
pia, e  costruiti  i  primi  acquidotti.  Quindi  si  ediflcarono  tempi,  si 
eressero  statue,  che  consacravano  le  leggende  della   fondazione   di 
Roma,  dei  suoi  re,  e  dei  fatti  piü  memorabili.  Si  pose  dagli  Ogul- 
nii  la  lupa  con  i  gemelli  presso  il  fico  ruminale  a  capo  dei  foro; 
e  probabilmente  un'altra  simile  fu  situata  allora  nel  Campidoglio. 
Se  fossimo  certi  essere  una  delle  due  la  lupa,  che  si  ammira  nel 
palazzo  dei  Conservatori,  vi  scorgeremmo  un  artefice,    che    non  si 
era  ancora  liberato  dalla  rigida  etrusca    Influenza.    Imperocche    il 
passaggio  verso  il  moUe  stile  della  Campania    non    si    fece    d'un 
tratto  ne  pienamente,  ma  venne  ad   avere  il  suo   libero    sfogo    in 
Roma  nei  primi  decenni  dei  secolo  terzo.  Le  serie  delV  aes  librale 
romano  e  latino  ed  alcune  monete  coniate  ci  addimostrano    abba- 
stanza  bene  il  predominio  ognora  crescente  della  scuola  greca.  In 
quanto  che  con  abbondanza  si  fusero  ed  in  parte  si  coniarono    in 
Roma  e  nelle  cittä  dei  Lazio  tutte  quelle  che  servivano    di    rao- 


DELL'ARTE    ANTICHISSIMA    in    ROMA  227 

neta  corrente  nel  paese  (la  quäle  pure  si  estese  nei  Falisci  e  nel- 
rUmbria),  e  molte  che  recano  la  leggenda  ROMA:  quelle  altre 
poi,  che  tengono  a  base  la  dramrna  o  l'obolo,  possono  essere  una 
produzione  della  Campania,  ma  non  vi  e  ragione'di  negarle  asso- 
lutameute  alla  zecca  di  Koma,  che  poteva  coniaiie  per  il  commercio 
delle  regioni  del  mezzogiorno,  come  nello  stesso  modo  qiiindi  si 
fece  col  vittoriato. 

Augusto  e  i  suoi  successori  con  abbellire  Roma  travestirono 
di  splendid!  marmi  e  di  bronzi  dorati  le  decorazioni  dei  tempi  e 
degli  altri  pubblici  editizi,  molti  dei  quali  presentavano  le  loro 
fronti  coUe  antiche  scultiu'e  in  terracotta  ed  in  brouzo.  AI  tempo 
di  Plinio  ne  restavauo  ancora  con  qualche  frequenza:  e  sono  d'opi- 
nione  che,  sebbene  da  principio  fossero  opere  tuscaniche,  pure  dope 
l'incendio  gallico  si  sarä  presso  che  tutto  rinnovato,  specialmente 
nel  ricco  e  fecondo  periodo  del  secolo  terzo,  improntando  i  sog- 
getti  nello  stile  della  Campania.  Ed  e  questo  cosi  vero,  che  se  in 
Roma  non  sono  apparsi  che  scarsi  avanzi  di  questo  genere,  la  sua 
campagna  ed  il  Lazio  ne  han  prodotti  alla  luce  in  abbondanza  da 
fare  facili  confronti  colle  terrecotte  delle  citta  campane.  Con  essi 
si  e  formata  la  celebre  raccolta  del  marchese  Campana,  e  quella 
dello  scultore  Saulini,  ricordando  che  bellissimi  esemplari  ne  pos- 
sediamo  nel  Kircheriano  e  nel  Capitolino,  senza  dire  che  infinite 
di  tali  terrecotte  sono  disperse  neile  private  e  pubbliche  collezioni. 
Si  rileva  da  queste  opere  fittili,  piü  che  da  altro  qualsiasi  monu- 
mento,  quäle  veramente  fosse  l'arte  romana,  distinta  per  varietä  eu- 
ritmica  e  rigida  bellezza.  Ma  posso  aggiungere,  che  stabilitosi  un 
tal  genere  decorativo  in  Roma,  non  solo  si  estese  nelle  cittä  mi- 
nori,  ma  diviene  assai  probabile,  che  si  propagasse  nelle  vallate 
superiori  del  Tevere  e  nella  bassa  Etruria,  dove  Roma  dominava. 
Le  terrecotte  rinvenute  nei  due  distrutti  tempi  di  Faleria,  l'uno 
dei  quali  sembra  che  fosse  quelle  dedicato  a  Giunone  Curite,  come 
quelle  trovate  in  Orvieto,  dispiegano  chiaramente  lo  stile  della 
Campania  della  prima  metä  del  secolo  terzo,  e  ben  poterono  essere 
eseguite  per  mano  di  artefici  romani,  o  residenti  in  Roma,  che  eser- 
citavano  tale  industria:  come  mille  e  piü  anni  depo  similmente 
avvenne  nelle  stesse  contrade,  le  cui  chiese  si  decoravano  dai 
comacini  di  Roma,  sia  nelle  opere  di  marmo  che  di  mosaico. 


228  dell'arte  antichissima  in  roma 

Questo  novello  vanto  di  Koma  esce  ognora  piü  dal  vago  e  dal 
probabile,  e  viene  acqiiistando  il  suo  vero  aspetto,  allorche  ve- 
diamo  che  vi  fioriva  in  quel  tempo  iiua  sciiola  di  disegno  veramente 
ammirabile.  Quäle  moniimento  si  puö  citare  piü  perfetto  in  figiire 
graffite  su  di  lamina  di  bronzo,  di  qiiello  che  osserviamo  nella  cele- 
bre  cista  ficoroniana  ?  II  disegno  si  presenta  con  giustezza  di  linee; 
ogni  difficoltä  degli  studiati  scorci  e  vinta  mantenendo  la  leggia- 
dria;  il  complicato  soggetto  si  svolge  nei  liberi  gruppi,  fra  i  qiiali 
l'intento  sguardo  discopre  Veffetto  e  la  legge  della  simmetria:  vi 
spira  ancora  d'attorno  l'aiira  e  la  fragranza  della  bellezza  antica. 
II  monumento  stesso  ci  dichiara  essere  opera  romana: 

NOVIOS  •  PLAVTIOS  •  MED  •  ROMAI  •  FECID 

Non  evvi  per  me  esitanza  alciina  nello  stabilire  due  cose: 
che  quella  e  piira  arte  greco-campana  fiorente  in  Roma;  e  che 
il  disegno  della  cista  fu  condotto  nella  prima  metä  del  terzo 
secolo  av.  Cr.  Perocche  questo  tempo  si  puö  desumere  dal  con- 
fronto  con  i  vasi  dipiuti  prima  che  volgessero  alla  loro  decadenza. 
ed  ancora  dalle  monete  coniate,  le  quali  coll'epigrafe  ROMA  so- 
stengono  la  venustä  del  greco  stile  prima  dell'emissione.  del  de- 
naro:  ed  aggiungerö  per  nota  cronologica,  che  in  quella  epigrafe 
la  lettera  O  non  e  chiusa,  la  quäl  cosa  si  riscontra  in  alcune  mo- 
nete romano-campane,  cioe  di  Cales,  di  Suessa  e  di  Caiazia,  le 
quali  fiu'ono  emesse  dalle  colonie,  cioe  nella  prima  metä  del  secolo 
terzo.  Riscontrasi  pure  tale  forma  di  lettera  nelle  epigrafi  graffite 
in  piccoli  monumenti  della  necropoli  esquilina,  i  quali  bene  ri- 
spondono  a  quella  etä. 

Tutte  le  eiste  di  minore  grandezza  e  bellezza  trovate  a  Pa- 
lestrina  spettano  allo  stesso  periodo :  resta  solo  di  deflnire,  se  pure 
esse  debbansi  ascrivere  ad  officine  romaue.  lo  vi  propendo  per  al- 
cuni  soggetti  che  riguardano  la  cittä  di  Roma,  e  per  le  iscri- 
zioni,  una  delle  quali  reca  il  nome  dell'incisore  :  VIBIS  PILIPVS 
CAILAVIT.  S'  intende  che  quando  diciamo  delle  eiste,  vi  com- 
prendiamo  ancora  gli  specchi,  alcuni  dei  quali  recano  delle  iscri- 
zioni  latine. 

A  coufermare  il  fatto,  che  da  Roma  si  propagava  il  prodotto 


DELL' ARTE    ANTICHISSIMA    IN    ROMA  229 

di  tale  indiistria  anche  neH'Etruria  al  di  lä  del  Cimino,  giova  il 
trovamento  avvenuto  presso  Bolsena  di  uno  specchio,  che  tiene  la 
speciale  forma  di  quelli  di  Palestrina,  ed  ha  per  soggetto  la  pri- 
mitiva  leggenda  di  Eoma  colla  lupa,  che  si  raffronta  colle  monete 
romaüo-campaue  (•):  e  l'altro  specchio  con  leggenda  latina,  pro- 
veniente  da  Orbetello,  che  occupa  il  sito  della  colonia  romaua  di 
Cosa  in  Etruria  (-). 

Non  e  ancora  giimto  il  tempo  per  definitamente  stabilire,  come 
e  quanto  l'arte  della  Campania  nelle  opere  del  bronzo  oltre  alla 
suppellettile  muliebre  s'irradiasse  in  quelle  provincie,  che  Koma 
andava  assoggettando  neU'Italia  centrale.  Una  volta  perö  che  sia 
riconosciiito  il  principio,  la  via  sarä  aperta  a  nuove  osservazioni 
e  scoperte.  Quando  nella  stipe  votiva  di  Ancarano  veggo  che  gli 
idoli  rozzissimi  di  una  tecnica  tradizionale  sono  commisti  ad  al- 
cuni  di  buona  arte  greco-romana,  ed  dllaes  rüde  locale  succedono 
le  monete  romano-campane,  deduco  non  esser  questo  l'effetto  di  un 
progresso  avvenuto  fra  quei  monti,  ma  di  una  importazione  nuova 
promossa  in  quel  tempo.  E  quando  lo  stesso  fatto  si  rivela  nelle 
stipi  votive  di  Cagli  e  di  Fossombrone  lungo  la  via  Flaminia,  nelle 
quali  non  sussiste  il  passaggio  dell'infanzia  dell'arte  allo  stile  cor- 
rettamente  sviluppato,  anzi  improntasi  questo  al  ben  cognito  della 
Campania,  sarä  concesso  di  affermare,  che  la  causa  di  quel  mu- 
tamento,  il  quäle  quindi  modificherä  le  italiche  stirpi,  dipende 
dall'ammissione  e  predominio  della  civiltä  e  potenza  latina,  che 
schiudevano  tali  commerci,  e  si  costituivano  fin  d'allora  fattori 
dell'unitä  nazionale. 

Ora  vengo  ad  un'altra  geniale  industria,  che  Koma  potenfcemente 
produsse  ed  estese  nelle  sue  province :  voglio  dire  di  quelle  leggia- 
dre  stoviglie  a  vernice  nera  lucente,  decorate  spesso  di  figurette  ed 
Ornate  a  rilievo.  A  questo  genere  di  ceramica,  da  me  piü  volte 
descritto,  imposi  il  nome  ora  ricevuto  di  etrusco-campano,  per  la 
ragione,  che  origiuario  della  Campania  e  specialmente  di  Cales, 
di  Cuma  e  di  Capua,  si  imitö  nel  secolo  terzo    pure  in    Etruria. 


{')  Kluegmann    Ann.  d.  Inst.  1879   p.  38   e   segg.   e   specialmente   alle 
p.  42  e  46. 

{-)  Ann.  delVInst.  1858  pag.  383. 


230  DELL'aRTE    ANTICHISSIMA    IN    ROMA 

Per  la  pratica  e  la  conoscenza  che  ne  andiamo  acqiüstando,  con- 
viene  trattare  il  tema  sotto  l'aspetto,  che  i  Roraani,  resisi  padroni 
di  quelle  fabbriche  campane,  abbiano  poi  avuto  l'interesse  dl  dif- 
fonderne  il  commercio  nelle  regioni  loro  soggette,  ed  abbiano  sta- 
bilito  le  nuove  fabbriche  neU'Etriiria,  cioe  nei  luoghi  dove  l'ar- 
gilla  si  trovava  piü  idonea,  e  piü  facile  ne  poteva  essere  lo  smercio. 
Che  nella  occupazione  della  Campania  i  Romani  volgessero  subito 
il  cupido  sguardo  sulla  produzione  dei  vasi,  la  cosa  resulta  chiara 
da  quanto  accadde  in  Cales,  che  divenne  una  fra  le  prime  ad 
avere  i  coloni,  e  dove  la  ceramica  giä  tioriva  molto  attiva  e  lu- 
crosa.  Si  cambiano  le  nazionali  impronte  figulinarie  segnate  a  ca- 
ratteri  greci:  vi  succedono  le  latine,  vale  a  dii-e  si  cambia  pa- 
drone,  il  quäle  probabilmente  si  servi  delle  stampe  vecchie  per  i 
rilievi,  e  solo  ne  rinnovö  alcune  cogli  artefici  locali.  Come  eser- 
centi  la  fabbrica  compariscono  un  Lucio  Canoleio,  il  quäle  pro- 
babilmente e  di  Roma,  ed  un  Reto  (labinio.  Spinsero  essi,  special- 
mente  il  primo,  il  commercio  dei  loro  vasi  nel  Lazio,  in  Etruria, 
nella  Sabina  e  neirUmbria,  dove  si  trovano  con  qualche  frequenza. 
E  naturale  che  quanto  si  fece  in  Cales,  non  si  sarä  risparmiato  di 
fare  neH'altre  cittä  campane,  dove  vigeva  siffatta  industria,  che 
produceva  stoviglie  da  tavola,  e  che  si  protrasse  fino  ai  tempi  di 
Augusto  col  nome  di  vüis  Campana  mpellex.  Assicurato  il  do- 
minio  fino  a  Pisa,  gli  stessi  Romani  istituirono  di  questo  genere  di 
ceramica  altre  fabbriche  in  Volterra,  che  potevano  provvedere  la 
regione  fino  ai  prossimi  Liguri  dell'Italia  superiore;  e  ciö  avvenne, 
come  lo  mostrano  gli  scavi  volterrani,  nella  prima  metä  dei  se- 
colo  terzo.  allorche  Yaed,  grave  di  quella  cittä  era  in  uso.  Altret- 
tanto  si  fece  in  Arezzo,  ma  in  proporzioni  minori :  e  cosi  avranno 
scelto  altre  localitä,  che  meglio  si  scopriranno  e  si  determineranno 
col  tempo,  fra  le  quali  e  da  notare  quella  di  Lucio  Popilio  in 
Otricoli.  Da  quel  che  si  e  scoperto  nella  necropoli  esquilina,  donde 
molte  lucerne  di  questo  genere  emersero  con  iscrizioni  graffite  di 
tempo  arcaico,  ed  alcuni  piattelli  col  bollo  figulinario,  dobbiamo 
credere,  che  si  esercitasse  in  Roma  l'industria  dei  vasi  campani : 
inoltre  resta  difficile  negarlo  coll'osservare  quel  che  altrove  si  ope- 
rava :  e  pare  infine,  che  Properzio,  quantunque  autore  tardo,  simil- 
mente  con  noi  lo  affermi,   quando  pone  in  bocca   alla  statua  di 


DELL'aRTE    ANTICHISSIMA   in    ROMA  231 

Vertunno,  che  ad  im  abile  sciiltore   non    si   addice  di  consumarsi 
le  raani  nel  trattare  la  terra  della  Campania(0: 

«  At  tibi,  Mamuri,  formae  caelator  ahenae 
-  Tellus  artifices  ne  terat  osca  manus  » . 

Ma  certo  non  si  poteva  credere  ne  supporre,  che  i  Romani  in 
quanto  avevano  agito  a  proprio  profitto  nelle  indiistrie  fittili  della 
Campania,  sia  che  servissero  a  decorazione  degli  edifizi,  sia  per  uso 
domestico  e  anche  sepolcrale,  si  fossero  tolti  la  briga  di  operare 
altrettanto  sopra  i  vasi  dipinti.  Credo  che  questa  loro  immissione,  ten- 
dente  solo  a  sfruttare  la  contrada  in  tutti  i  suoi  prodotti,  facesse 
precipitare  la  decadenza  dello  stile,  e  qiiindi  la  completa  cessazione 
della  pittura  nei  vasi.  Se  in  questa  dotta  adunanza  ho  oggi  l'onore 
di  far  sorgere  l'ardua  e  rilevante  qiiestione,  non  oso  giä  di  risol- 
verla.  Me  ne  porge  fausta  ed  inopinata  occasione  un  vaso,  i  ciü  pre- 
cipiii  frammenti  sono  qui  esposti  (vedi  p.  234  e  tav.  X).  E  un'an- 
fora  trovata  di  recente  a  Civita  Castellana,  cittä  posta  nel  sito  della 
vetusta  Faleria  presa  da  Camillo,  e  quindi  distrutta  dai  Romani 
nel  243  av.  Cr.  La  vasta  necropoli,  che  la  circonda,  arriva  natm-al- 
mente  colle  sue  antichitä  fino  a  questo  tempo.  Qiiest'anfora  e  dipinta 
a  colore  rosso  pallido  nelle  figiire  sul  fondo  nero  :  cotal  colore  giä 
accenna  ad  una  certa  decadenza  nell'arte  ceramica,  quantimque  il 
disegno  vi  si  conservi  abbastanza  giusto  e  leggiadro.  Di  quattro 
figm-e  si  compone  il  soggetto,  che  indicheremo  procedendo  da 
sinistra  a  destra.  La  prima  e  im  giovane  nudo  stante  dietro  il  trono 
di  Giove:  chiamasi  Ganimede,  ed  ai  suoi  piedi  vedesi  im  cigno 
in  segno  di  voluttä,  e  non  e  nuovo  tal  simbolo  in  lui.  Succede 
Giove  seduto  collo  scettro    nella    sinistra    ed    il   triplice    fiilmine 


(1)  Non  ignoro  che  questo  distico  e  stato  generalmente  inteso,  che  al 
sepolcro  di  Mamurio  la  terra  osca  sia  lieve,  supponendo  che  egli  tumulato 
fosse  nella  terra  degli  Osci :  la  quäle  interpretazione  e  senza  dubbio  strana. 
Mi  pare,  che  tra  i  commentatori,  abbia  il  solo  Turnebo  bene  scorto:  Optat, 
egli  scrive  riguardo  a  quelle  parole  di  Vertunno,  ne  umquam  Mamurius  e 
luto  fictilia  signa  faciat,  sed  semper  nohiles  ex  aere  statuas.  Sara  perö  piü 
chiaro  se  invece  di  fictilia  signa  s'intenderä  di  vascula  campanica,  che  si 
facevano  in  Roma. 


232  dell'arte  antichissima  in  roma 

nella  destra:  presse  il  siio  trono  im  ariete,  il  quäle  consacrato 
a  Giove,  ha  qiii  uno  speciale  significato  erotico.  Inverso  di  Giove 
vola  iin  genio,  che  tiene  l'amoroso  cinto:  e  Cupido,  lo  stesso 
desio  dell'amore  e  del  diletto,  che  promuovere  vorrebbe  nel  re  dei 
numi.  Ma  dinanzi  a  Uli  sta  Minerva  tiitta  armata,  bene  qui  espressa 
in  atto  di  parlare  e  di  consigliare.  Le  quattro  figm-e  hanno  i  loro 
nomi  scritti  in  latino  siüla  linea  superiore,  e  coll'ordine,  in  ciii 
sono  quelle  dipinte: 

CANViWEDE     ....SPATER     CVPICO     iWENERVA 

II  nome  di  Giove  si  reintegra  in  Diespater,  che  e  la  forma 
originaria  modificata  in  Diespiter,  in  quanto  che  si  avvicina  molto 
al  Divasjjati  degli  inni  vedici.  Anche  in  Gellio  ed  in  s.  Agostino, 
i  quali  probabilmente  lo  desimsero  da  Varrone,  leggiamo  ricordato 
il  Diespater  per  lupiter.  Suppongo  che  Cupico  non  stia  per  Cu- 
pldo^  ma  ciö  provenga  da  errore  di  scrittura. 

E  la  prima  volta  che  vediamo  nomi  prettamente  latini  sopra 
i  vasi  dipinti:  anche  il  soggetto  si  distacca  dal  comune  modo 
greco,  elevando  la  rappresentanza  ad  un  senso  pratico  e  morale. 
Si  vuol  mostrare,  che  aucora  Giove  in  tutta  quanta  la  sua  maestä 
viene  allettato  alla  moUezza  per  Ganimede,  ed  ai  sensuali  appe- 
titi  per  Cupido :  ma  sempre  sta  dinanzi  a  liii  la  sua  Mens,  la  sua 
figlia  Minerva,  che  lo  ammonisce  e  consiglia.  Festo  ci  dice  che 
Minerva  deriva  da  moneo,  e  che  la  gente  rustica  credeva  che 
fosse  la  stessa  sapienza.  Dalle  iscrizioni  pertanto  e  dai  nomi,  come 
Diespater  e  Cvpico,  e  dal  modo  con  cui  il  soggetto  e  trattato, 
argomentasi,  che  il  vaso,  sebbene  presenti  un  pretto  stile  campano, 
puö  bene  appartenere  ad  una  fabbrica  stabilita  in  Koma.  Perocche 
SB  quello  fosse  stato  prodotto  nella  Campania,  e  di  lä  inviato  a 
Roma,  e  di  qui  a  Faleria  (tale  essendo  la  via),  non  lo  avrebbero 
al  certo  cosi  scritto  e  concepito.  Questi  concetti  morali  sono  pure 
tradotti  sovente  nelle  eiste  e  negli  specchi  prenestini.  Inoltre  si 
osservi,  che  niun  vaso  dipinto  fra  mille  e  mille  si  e  ritrovato  in 
Campania  con  nomi  latini. 

Nella  medesima  tomba,  ove  fu  trovata  l'anfora  descritta,  una 
altra    similissima    se  ne  rinvenue.    ma    senza   che  recasse  i  nomi 


DELL  ARTE    ANTICHISSIMA   IN    ROMA  233 

scritti.  Quindi  confrontando  la  maniera,  la  tecnica  ed  il  disegno 
con  altri  prodotti  usciti  fiiori  in  anfore  ed  in  tazze,  uno  si  accorge 
facilmente  essere  il  prodotto  della  stessa  officina.  Con  che  si  tende  a 
confermaiia  ognora  piü  siccome  romana,  ammesso  pure  con  arte- 
lici  della  Campania,  che  in  Roma  esercitavano  la  loro  arte. 

Nel  sottoporre  ad  esame  iina  tale  questione  gravissima,  e  che 
risoluta  darebbe  ima  grande  luce  sulle  produzioni  artistiche  del 
secolo  terzo,  per  dove  il  dominio  romano  si  andava  ad  espandersi, 
non  si  dovranno  dimenticare  le  arule  ed  altri  oggetti  in  plastica 
con  figure  a  rilievo,  ne  quei  piatti  e  boccaletti,  alcuni  dei  quali 
destinati  ad  iiso  sacro  hanno  delle  dipinture  in  stile  molto  trascu- 
rato  e  decadente,  e  talvolta  recano  la  dedicazione  coU'aggiunta  di 
iwcolom,  come  Menervai  e  Saeturni  pocolovii  e  simili.  Questi 
provenivano  sicnramente  da  Eoma  (due  in  fatti  ne  sono  vennti  fuori 
dall'Esquilino),  e  furono  emessi  nella  seconda  metä  del  secolo  terzo, 
e  si  diitbndevano  nel  Lazio  e  neirEtniria. 

Da  qnanto  abbiamo  esposto,  Roma,  avanti  che  tutte  le  siie  forze 
fossero  quasi  esanrite  nella  seconda  guerra  pimica,  procurava  di 
divenire  la  sede,  e  la  fönte  di  uu  commercio  artistico.  Perö  se 
anche  avesse  sorriso  la  pace,  non  so  quanto  le  arti  avrebbero  attec- 
chito  in  un  popolo  che  non  le  gustava,  e  che  a  sua  insaputa  si 
educava  e  si  ingentiliva.  Cicerone  opinava,  che  se  si  fosse  lodata 
la  pittm'a  in  Roma,  avrebbe  essa  prodotto  i  siioi  grandi  artefici. 
«  An  censemus,  si  Fabio  mbilissimo  homini  (*)  laudatiim  esset^ 
quod  pingeret^  non  midtos  etiam  apiicl  nos  futuros  Polycletos  et 
Parrhasios  fiiisse? -^  Ma  pm-  troppo  quell' arte  era  in  riso  ed  in 
contmnelia,  come  attesta  Plinio,  e  ben  presto  caddero  in  dispregio 
pure  le  belle  opere  flttili,  che  ornavano  i  tempi  di  Roma,  avendo 
attratto  la  meraviglia  ed  il  favore  quelle,  che  i  trionfatori  traspor- 
tavano  dalla  Grecia.  «  lam  nimis  multos  audio,  dice  Livio  (-),  Co- 


(1)  Una  pittura,  che  oriiava  la  payete  di  una  tomba  delUEsquilino,  rap- 
presenta  le  gesta  della  fauiiglia  dei  Fabi,  e  per  lo  stile  e  la  paleografia  spetta 
al  secolo  terzo:  probabilmente  h  opera  di  quel  Fabio  che  nel  450  di  Roma 
dipinse  il  tempio  della  Salute  (Plin.  Ilist.  nat.  XXXV,  19).  Questi  ricorda  la 
tavola  parietaria  della  Curia  Ostilia,  dove  nel  490  di  Roma  M.  Messalla  fece 
dipingere  la  sua  vittoria  sopra  Gerone  e  i  Cartaginesi. 

(2)  Liv.  1.  XXXIV,  in  principio. 


234 


DELL  ARTE    ANTICHISSIMA    IN    ROMA 


rinthi  et  Athenarum  ornamenta  iaiidantes  mirantesque,  et  ante- 
fixa  fictüia  deorum  romanorum  ridentesyi.  Le  vittorie  e  la  bar- 
bara  e  lunga  dimora  di  Annibale  in  Italia  compiva  di  distruggere 
le  gentili  Industrie  italo-greche :  ma  dalle  ammirande  rovine  sor- 
geva  omai  ben  educata  e  nutrita  la  pianta  veneranda  ed  immor- 
tale  dell'arte  e  della  letteratura  latina. 


LA  NECROPOLI  DI  SUESSÜLA. 

fvedi  Bull.  deWInst.  1878,  145-165;  1879,  141-158). 
(Tav.  XI,  XH). 


I. 


DaU'anuo  1879  al  1886  D.  Marcello  Spinelli  ha  sempre  con- 
ti nuato  lo  scavo  della  necropoli  di  Siiessula,  che  riiisci  tanto  friit- 
tuoso  per  Tarcheologia  e  per  la  storia  preromana  della  Campania 
ma  per  varie  ragioni  non  ha  potuto  estenderlo,  secondo  il  sno 
desiderio,  in  modo  da  comprendere  non  solamente  altre  parti, 
tin  ora  sconosciute,  della  necropoli  —  dico  quelle  situate  verso 
Calatia  e  Capiia,  verso  Benevento  e  verso  Nola  —  ma  puranche 
la  stessa  cittä  antica,  di  cui  il  recinto  non  sta  nascosto  che  sotto 
im  leggiero  strato  di  terreno,  nel  cui  centro  si  erge  tuttora  il 
.  torrione  longobardo  del  medievale  castello  di  «  Sessulu  « ,  che 
occupava  il  posto  dell'  odierno  casino  della  Pagliara.  Nondimeno 
perö  quest'ultimo  di  anno  in  anno  viene  trasforraandosi  in  un  vero 
museo  suessulano;  poicho  gli  scavi  regolari,  praticati  ogni  anno 
nella  stagione  propizia  dalla  parte  di  Napoli  e  di  Cuma,  benche 
tuttavia  sopra  il  medesimo  terreno  abbastanza  ristretto,  non  hanno 
cessato  di  fornire  nuovi  tesori,  che  il  possessore  religiosamente  con- 
serva.  Ne  la  scienza  deve  lagnarsi  di  questo  modo  di  scavare :  an- 
dando  avanti  a  lenti  passi,  frugando  ogni  zoUa  di  terreno,  si  ha  la 
certezza  di  non  tralasciar  nulla ;  infatti  vi  sono  tratti  considerevoli 
in  questo  terreno,  vergine  prima  del  1878,  i  quali  mi  vennero  ad- 
ditati  da  D.  Marcello  coUe  parole:  «  qui  non  c'e  piü  nulla«  :  cer- 
tezza altrettanto  felice  quanto  rara  nella  scienza  nostra !  Continuan- 
dosi  lo  scavo  col  medesimo  sistema  tutt'attorno  l'antica  cittä,  sarä 
questo  il  caso  —  unico  piuttosto  che  raro  —  di  poter  tirare  conclusioni 
stringenti  anche  ex  süentio.  Debbo  confessare  che  troppo  presto  ne 
ho  tirato  alcune  ne'  miei  lavori  antecedenti. 


236  LA   NECROPOLI   DI   SUESSULA 

Scrissi  nel  mio  secondo  rapporto:  (i).  «  Ancora  rimane  sempre 
B  un  intervallo  da  riempiersi  nella  nostra  conoscenza  storica  di 
«  Suessula,  perche  mancano  tiittora  quasi  aifatto  i  vasi  a  figure  nere 
-  dello  Stile  piii  severo,  mentre  che  abbiamo  ora  ima  quantitä  giä 
«  abbastanza  grande  di  vasi  neri  dello  stile  piü.  negligente,  un  vaso 
ü  a  figure  rosse  dello  stile  severo  ed  altri  del  piü  libero,  da  poter  dire, 
n  che  se  mai  Suessula  aveva  cessato  di  essere  abitata  depo  la  prima 
«  invasione  de'  Sauniti  verso  la  fine  del  sesto  secolo,  senza  dubbio  avea 
"  giä  ricominciata  una  vita  agiata  nel  secolo  seguente " .  E  alla  p.  153 
sospettai  che  fosse  casuale  il  trovarvisi,  isolato,  il  cratere  fabbri- 
cato  da  Hieron  e  Makron  nella  prima  metä  del  quinto  secolo  av.  Cr. 

Ora,  per  anticipare  il  piü  importante  risultato  di  questi  Ultimi 
anni :  si  sono  trovati  sepolcri  «  a  cubo  di  tufo  » ,  rari  finora,  e  vero, 
ma  documenti  indiscutibili  di  cremazione  ad  uso  greco,  operata 
a  Suessula  in  pleno  secolo  quinto.  Siccome  D.  Marcello  Spinelli 
ha  avuto  la  cautela  di  far  collocare  nel  suo  museo  le  tombe 
intere,  come  fiurono  cavate  dal  suolo,  con  ciascun  oggetto  al  suo 
posto,  cosi  posso  presentarne  ai  coUeghi  disegni  esatti,  dovuti  alla 
abile  mano  del  nostro  sig.  Eichler.  E  ciö  mi  riesce  tanto  piü  gra- 
dito,  inquantocche  di  questo  tipo  di  tombe  —  comune  alla  cerchia  del- 

l'arte  calcidese  e  paleo-io- 


--=^'  ^'^y^^^^-:=^  nica,  non  esclusa  ne  l'Eolide,  - 

.., .  ^, -^  ne    le    isole  ,   ne   1'  Attica 

, T- I  stessa   —  molto    se    ne    e 

\  \  scritto    e    parlato    flu   dai 

^- ---^  tempi    del    Jorio,   ma  non 

=^7^-- =■""■        ■  H  se  ne  fece  mai  ne  una  pub- 

'v.                   ,,.; •  |)  blicazione  ne  un  disegno  (-). 

/,                  X       r  I            i'io-  1  presenta  chiuso 

__L  X. ../  -^ ''••'  j  il  maggiore  de'  due  cubi  di 

j  I  tufo,  trovato  intatto  e  tra- 

j  4  sportato  nel  museo  come  e. 

'— - =*--^-^= — -==s-=^^ ^^s^  j^g    misure    sono    le     se- 

Fig.  1  guenti: 

(1)  Bull,  deirinst.  1879,  1 17. 

(2)  Bull.  delVJnst.  1876,  172, 1 ;  1878,  2%.  Ann.  delVhst.  1879,  130, 151 ; 
1880i,  347;  Heidelberger  Festschrift  zur  Karlsruher  rhilologcnvcrsammlung 
(1882),  116;  Ann.  delVInst.  1883,  187. 


LA  NECROPOLI  DI  SUESSÜLA  237 

.     .     .     .     =  2     braccia  osche 

=   1^/4       n  n         (misura  inten- 

==  2  "  "  zionata) 

=    i  n  v 

=     1  n  » 

=   1    /i       "  "        (misura  inteii- 

=   In»  zionata) 

profonditä  del  vuoto     ,     0,205  =      '/^  "         "    (") 

All'incavo  della  cassa   ne  corrisponde  un  altro  nel  coperchio, 
formato  a  padiglione.  Le  pareti  interne,  specialmente  del  coperchio, 


lunghezza    0,82 

larghezza    0,68-72     .     .     .     . 

altezza   .     0,82 

alt.  della  cassa  recipieute  0,41 
alt.  del  coperchio  (i)  0,41  .  . 
lunghezza  del  Yuoto  .  0,50 
larghezza    del   vuoto     .     0,41 


Fig.  2 


Fig. 


(1)  Secondo  il  disegno  il  taglio  non  dividerebbe  il  cubo  in  due  metä  uguali. 
I  miei  appunti  perö  furono  confermati  da  D.  Marcello  Spinelli,  il  quäle  di 
nuovo  dietro  istanza  mia  ne  prese  le  misure. 

(2)  Ognuno  vede  che  non  pu5  essere  casuale  la  perfetta  coincidenza  di 
queste  dimensioni  con  la  misura  osca,  giä  tante  volte  da  me  costatata  sia  in 
tombe  che  in  fabbriche  della  Campania.  Chi  brama  decidere  la  quistione  se 
sia  italica  quella  misura  oppure  importata  anch'essa  dalla  Grecia,  deve  apprez- 
zar  bene  il  fatto  comunicato  dal  Mommsen  (Hermes  XXI,  421,  2)  che  di  giä 
le  mura  greche  di  Cuma  mostrano  tale  misura,  ora  ritrovata  dal  Eichter  anche 
nelle  mura  di  parecchie  fra  le  piü  antiche  cittä  del  Lazio  e  forse  a  Eoma 
stessa  (Hermes  XXII,  22  seg.). 


16 


238 


LA   NECROPOLI    DI    .SUESSüLA 


portano  tuttora  il  loro  vivace  color  rosso,  colore  costante  per  rinterno 
di  qiiesti  cubi  (0-  Altri  piccoli  incavi  nel  fondo  del  viioto  rendono 
piü  stabile  ü  posto  de'  cinque  vasi,  l'uno  piü  graude  di  bronzo,  gli 

altri  di  terra  cotta. 

Fig.  2  rappresenta  il  cubo  aperto,  veduto  da  sopra,  cogli  og- 
getti  ancora  siil  posto  precisamente  come  fiirono  trovati. 

L'urna  di  bronzo  fig.  3  si  trovö  alquanto  danneggiata,  essendo 
ridotti  a  pezzi  il  fondo  ed  il  copercliio:  conseguenza  questa  del- 
l'azione  del  tempo  sopra  la  sottilissima  lamina  di  metallo.  L'interno 
deirurna  conteneva  le  ceneri  del  cadavere  bruciato,  ed  il  vasetto 
nero  fig.  4.  Di  figure  del  copercliio  non  se  ne  trovarono  che  diie  cavalli 
(fig.  5)  e  la  figiira  centrale,  clie  faceva  le  veci  del  bottone  di  co- 
percbio  (fig.  6).  Questa  (alt.  0,14)  rappresenta  im  giovane  ignudo, 


Fig.  4 


Fig.  5 


Fig.  6 


che  sta  ritto  coi  piedi  fermi  siil  suolo,  con  Ic  gambe  scostate  l'una 
dall'altra  soltanto  alle  cosce  ed  alle  ginocchia;  le  mani  sono  al- 
zate  in  atto  di  preghiera,  i  capelli  cinti  da  una  benda.  II  lavoro 
e  andante  raa  non  cattivo.  In  fatto,  per  un'urna  di  bronzo,  di  cui 
la  piii  solenne  destinaziouc  nella  vita  quotidiana  era  appunto  questa 


(1)  vtl.  p.  236  not.  2. 


LA    NECROPOLI    DI    SUESSULA 


239 


di  servire  da  premio  nelle  gare  atletiche  ('),  un  vincitore  ricono- 
scente  e  im  ornamento  noii  meno  adatto  che  un  dio  Mercurio  pa- 
trono  dolle  gare  giovanili  o  che  giovani  che  si  accingono  a  cor- 
rere  o  a  lanciare  il  disco.  Digiä  nel  mio  primo  elenco  potei  dare 
im  esempio  d'un  adorante  che  funzionava  da  bottone  di  coperchio  ("-). 
Ora  posso  aggiimgere,  oltre  il  suessulano,  altri  diie,  che  feci  dise- 
gnare  nel  1884  a  Norimberga,  ove  furono  esposti  nel  Miiseo  indu- 
striale  di  Baviera  dal  sig.  Hambiu-ger,  antiquario  di  Francoforte: 


Fig.  7 


Fig.  8^ 


Fig.  8"^ 


fig.  7  e  S^^  (3).  Non  occoiTe  piü  ch'io  entri  in  iilteriori  particolari 
sopra  il  significato  di  tale  tipo  dopo  le  recenti  osservazioni  del  Conze 

0)  Ann.  delVInst.  1879,  141 ;  Inscript.  graecae  antiquiss.  ed.  ßoehl  525. 
La  ragione,  perchö  con  preferenza  tali  urne  servivano  allo  scopo  suddetto,  ora 
veune  messa  in  chiaro  puranche  da  testimonianze  epigrafiche  che  ei  fanno 
fede  del  fatto  assai  interessante,  che  nell'isola  di  Greta  ancora  in  tempi  molto 
storici  «lebetes"  correvano  come  danaro:  Museo  ital.  di  antich.  class.  II, 
189  segg. 

(2)  Ann.  delVInst.  1879,  133,  6. 

(3)  I  disegni  sono  stati  eseguiti  dal  sig.  Haeberle,  architetto  assistente  a 
quel  Museo  industriale.  Fig.  7  (alt.  0,10)  sta  ancora  al  suo  posto  sul  coperchio 
d'un'urna  di  bronzo  (alt.  0,30)  della  forma  solita;  sembra  che  porti  una  collana. 
Fig.  8=^''  (alt.  0,095),  di  proporzioni  alquanto  piü  snelle,  lascia  scorgere  un 
po'piü  di  movimento  nella  figura;  esso  pure  sta  ancora  sopra  la  sua  urna 
(alt.  0,26).  Le  suddetto  urne  si  ritenevano  provenienti  da  S.  Maria  di  Capua. 


240  LA  NECROPOLI  DI  SÜESSULA 

e  del  Fiirtwaengler  {^).1\  bronzo  suessiüano  e  il  piü  recente  fra  i 
tre  ora  pubblicati;  essi  ci  presentano  im  tipo  adottato  dall'arte  cal- 
cidese,  il  quäle,  se  da  iina  parte  siegue  strettamente  le  piü  ar- 
caiche  tradizioni  dell'arte  plastica,  segua  daH'altra  parte  il  primo 
passo  verso  quella  vaghissima  invenzione  dell'arte  libera  che  e 
l'adorante  di  Berlino. 

Gli  altri  vasi  ritrovati  nel  medesimo  ciibo  di  tufo  coirmna, 
sono  i  seguenti: 

1)  Anfora  (flg.  9),  alta  0,255.  E  attica,  dello  stile  rosso  severo. 
A :  Giove  insegne  im  giovanetto  che  giiioca 
al  cerchiello;  non  mi  oppongo  a  chi  avesse 
piacere  di  chiamarlo  Ganimede  (-).  Giove, 
mimito  dello  seettro,  ha  ima  ghirlanda  rossa- 

j  stra  in  capo ;  i  ricci  gli  cadono  sopra  la 
I  spalla  e  la  nuca,  e  cosi  pure  al  ragazzo. 
B :  Giovane,  vestito  nello  stesso  modo  dell'altro 
della  parte  opposta;  corre  verso  d.,  guardando 
indietro;  la  destra  accorhpagna  lo  sguardo,  la 
sinistra  afferra  iin  pezzo  di  panno  qualun- 
que.  —  Disegno  nitidissimo,  tutto  preparato  a 
Fig.  9  graffito. 

2)  Vaso  (fig.  10),  alto  0,152,  in  forma  di  testa  doppia:  quella 
virile  barbata,  con  accenno  della  veste  al  collo,  la  femminile  con 


Fig.  10 


Eiff.  11 


Fig.  12 


ricciolini  arcaici  sopra  la  fronte.  La  bocca  del  vaso  non  porta  di- 
segno veruno.  Tipo  rosso,  ma  severo,  ancora  arcaico.Fattura  eccellente. 

3)  Coppa  (fig.  11),  alta  0, 14,  a  vernice  nera  lucida,  senza 
disegno. 

4)  Vasetto  (fig.  12),  alto  0,08,  tutto  annerito  come  dal  futno, 

(1)  Jahrbuch  des  archaeol.  Instituts  I  (1886)  11  e  218. 

(2)  Koerte  Ann.  deWInst.  1876,  48  segg. 


LA   NECROPOLI   DI   SUESSULA 


241 


senza  ornamento  o  disegno.  Siccome  l'epoca  de'  vasi  fig.  9  e  10  e  la 
prima  metä  del  quinto  secolo,  ne  contradice  a  quel  tempo  il  ca- 
rattere  de'  vasi  4,  11  e  12,  cosi  possiamo  presumere  in  circa  la 
stessa  eta  anche  per  l'uriia  dl  bronzo   e  per  il  cubo  intiero. 

All'istesso   risultato  ci  condurrä  un  esame  del  secondo  cubo, 


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Fig.  13  Fig.  14 

riprodotto  da  sopra  nella  fig.  13.  Ne  sono  piii  piccole  le  dimension 
(manca  il  coperchio): 

limghezza  0,64  )  0,625  sarebbero  precisamente  V/2  braccia 

larghezza   0,60  S       osche  ; 

profonditä  del  vuoto  0,205  =  72  braccio  osco. 
La  iirna  di  bronzo  non  sta  nel  centro ;  ha  perö  il  siio  incavo 
(prof.  0,07)  appositamente  fatto,  come  piu:e  l'anfora  dipinta.  Deiriirna 
di  bronzo  (fig.  14)  e  consumato  il  fondo ;  il  rimanente  e  alto  0,27  fino 
all'orlo,  0,32  fino  alla  punta  del  bottone.  E  una  sitiüa  di  forma  svelta 
ed  elegante,  senza  il  solito  ornamento  di  figiire  plastiche,  ma  con  ma- 
nico  doppio,  fissato  mediante  una  cerniera  attaccata  alle  spalle  ed 
all'orlo  del  vaso. 

Ne  conosco  tre  simili,  di  cui  due  provenienti  da  Eretria,  l'ima 
in  possesso  del  sig.  von  Kadowitz,  ambasciatore  tedesco  in  Costan- 
tinopoli  (Furtwaengler  Samml.  Sabouroff  nel  testo  alla  tav.  CXLIX), 
l'altra  nel  Museo  della  societä  archeologica  greca  in  Atene  {'E^rjf^i. 
ccQx-    1886,    36);   la   terza,   trovata  a  Kul  Oba  pubblicata  fra  le 


242 


LA   NECROPOLI   DI   SUESSULA 


Äntiqu.  du  Bosph.  Cimm.  tav.  XLIV,  7;  diversa  da  qiieste  ul- 
tinie,  piii  affine  ancora  al  solito  tipo  delle  iirne  capuane,  e  lui'idria^ 
piu-e  di  Eretria,  che  pubblicai  negli  Aiinali  delVIust.  1883  tav.  N. 
(cf.  Samml.  Sabouroff'  ioN.  CXLIX).  — Interessante  si  e  il  fatto^ 
che  a  Suessiüa  fiirono  trovati  vasi  di  terra  cotta,  i  qiiali  corrispondono 
perfettissimamente  a  qiiest'm-na  di  brouzo  tanto  nella  foggia,  quanto 
nella  grandezza:  perfino  le  cerniere  perforate  sono  riprodotte,  aggiii- 
state  per  lasciarvi  entrare  de'  perni  che  servivano  a  fissare  il  coper- 
chio ;  il  colore  e  qiiello  della  creta  con  strisce  bianche  intorno.  Sono  la- 
vori  indigeni  suessulaui  o  campani ,  eseguiti  secondo  il  niodello  delle 
suddette  iirne  di  bronzo.  Puö  servire  questo  fatto  da  iilteriore  con- 
ferraa  alle  osservazioni  di  Pigorini  Bull,  dl  palelii.  ilal.  XIII,  81-92. 
Nello  stesso  cubo  si  trovarono  i  segueuti  tre  vasi: 

1)  Anfora,    collocata  in  lui 
incavo  profoudo  0,14  (fig.  15), 

!alta  0,34.  A :  Efesto,  vestito  da 
\  operaio,  sta  lustraudo  lo  scudo 
/  di  Achille.  Gli  sta  dinanzi  Te- 
tide che  stende  verso  di  lui  la 
mano,  accompagnando  con  tal 
gesto  le  proprio  parole.  L'opifi- 
\  cio  e  indicato  per  mezzo  di  armi 
\  giä  terminate,  cioe  dne  cnemidi 
congiunte  mediante  im  uastro 
rosso  ed  im  elmo,  e  di  alcuni 
stromenti :  ima  tanaglia,  im  mar- 
telletto  ed  una  sega.  La  lingua 
del  Gorgoneion  e  rossa,  neri  i 
ricciolini  intorno  alla  fronte.  Efe- 
sto ha  la  barba  arruffata.  Tetide 
porta  im  braccialetto  al  braccio 
destro;  la  cuffia  lascia  comparire 
all'occipite  im  ciuffo  di  capelli. 
Nel  campo  presso  le  figiire  vi  sono 
alcime  lettere  senza  senso  (*). 

(1)  La  rappresentanza  sulla  cassa  di  Cipselo  rende  probabile  che   digiä 
dairarte  ionica  (cf.  Loescheke,  progr.  di  Dorpat  188G)  fu  introdotta  la  visita 


#^iü 


LA   NECROPOLI   DI   SUESSULA 


243 


Fiff.  1(3 


B:  Nike,  che  corre  da  sin.  a  d.,  in  veste  limga,  coi  capelli 
raccolti  iu  iina  cuffietta,  con  braccialetti  ai  polsi ;  ella  guarda  in- 
dietro :  la  destra,  che  tiene  una  brocca,  rimane  indietro  anch'essa ;  la 
sinistra  con  ima  patera  e  stesa  innanzi.  —  Disegno  molto  fino  e  severo. 

2)  Tazza  (fig.  16),  alta  0,08,  con  un  manico  posto  vertical- 

mente,  l'altro  orizzontalmente.  A : 
Uomo  barbato  ammantato  che  cam- 
mina  verso  d.  B:  Donna,  con  vestc 
e  manto  che  le  cuopre  Toccipite, 
verso  sin.  Dietro  di  lei  ima  colonna 
sopra  uno  zoccolo.  —  Disegno  se- 
vere. 

3)  Coppa  (fig.  17),  diam.  0,19,  a  vernice  nera  hicida. 

Anche  qiiesti  vasi  as- 

segnano  al  sepolcro  in  di- 

scorso  im'epoca  non  troppo 

distante    dalla    metä    del 

Ficr.  17  qiiinto  secolo. 

L'esistenza  di  altri  sepolcri  simili,  distrutti  probabilmente  digiä 

ne'  tempi  antichi  per  dar  luogo  ad  altre   tombe,  vien   dimostrata 

dai  frammenti  di  due  iirne  come  quelle  sopra  descritte  raccolti  iu 

terreno  sciolto  durante  lo  scavo. 

1)  Orlo  superiore  con  principio  del  coUo  e  della  spalla  di  un'urna 
simile  (diara.  esterno  0,262).  I  dentelli  e  la  sima  intorno  alla  bocca, 
ed  anche  Tornamento  deUe  spalle  sono  i  soliti.  Sulla  superficie  del- 
l'orlo  (larga  0,023)  si  scorgono  le  vestigia  di  qiiattro  figiire  pla- 
stiche  che  vi  erano  saldate  sopra  e  furono  trovate  anch'esse.  Sono 
Amazzoni  che  stanno  a  cavallo  come  vi  stanno  gli  iiomini,  due  fra 


di  Tetide  presso  Efesto  nel  ciclo  delle  rappresentanze  Iroiche.  Ecsta  strano 
il  fatto  che  questo  incontro,  soggetto  piü  tardi  tanto  prediletto  dall'arte  elle- 
nistica  e  romana,  non  si  era  trovato  finora  —  almeno  per  quanto  io  sappia  — 
sopra  un  monumento  della  buona  epoca  greca  che  una  volta  sola :  nel  fondo 
cioö  della  tazza  volcente  di  Berlino  2294,  pubhlicata  dal  Gerhard,  Coupes 
grecques  et  ötrusques  pl.  IX.  L'epoca  dell'anfora  nostra  sarebbe  presso  a  puco 
identica  a  quella  della  tazza  berlinese,  dalla  quäle  pero  si  distingue  mcdiante 
la  sua  composizione  piü  vivace  e  spiritosa. 


244 


LA    NECROPOLI   DI   SUESSULA 


esse  voltate  indietro,  in  atto  di  tirar  saette  (flg.  18  cf.  le  figure 
simili  sul  vaso  tav.  IX  di  questo  BuUettino,  spiegate  in  im  senso 
che  mi  pare  poco  accettabile).  E  questa  la  qiiarta  volta  che  tro- 
viaino  Amazzoni  a  cavallo  adoperate  quäle  ornaraento  deU'oiio,  ogni 


Fi?.  18 


volta  perö  fiise  da  forme  differenti.  Le  altre  tre  sono  l'urna  Barone 
ora  a  Londra:  Ann.  1879,  132,  3;  im'altra  anche  a  Londra: 
Ann.  1879,  136,  12;  cf.  1880,  346;  un'iirna  a  Vienna:  Ann.  1883, 
187,  4.  Da  qiiest'ultima  si  deve  arguii-e,  che  anche  siüVm-na 
nostra  quella  catena,  onde  pendono  piccole  piastre  qiiadrilatere, 
non  rappresenta  le  redini,  hensi  un  ornamento  del  collo.  Le  Amaz- 
zoni dell'm'na  nostra  sono  di  un  lavoro  piü.  goifo  e  superficiale  delle 
altre,  pleno  perö  di  reminiscenze  arcaiche:  vogliansi  osservare  p.  es. 
gli  occhi  sporgenti,  l'arco  superciliare  pialto  e  molto  arcuato.  — 
Neppm'e  manca  la  figura  centrale:  un  discobolo  ignudo  (alto  0,16) 
saldato  anch'esso  sul  coperchio.  La  testa  e  un  poco  voltata  a  d.; 
il  disco  sta  nella  d.  abbassata;  la  sinistra  e  alzata,  un  poco  all'in- 
dietro,  ed  aperta  verso  il  davanti ;  i  capelli  sono  liscj,  alzati  un  poco 
sopra  la  fronte ;  gli  occhi  sporgono,  la  pupilla  e  graffita ;  grande  e 
il  mento,  il  naso  goffo  e  molto  prominente ;  graffite  sono  pure  le 
mammelle;  sul  ventre  sono  indicati  de'  peli  mediante  piccoli  cer- 
chietti.  II  dorso  e  molto  uegletto.  In  genere  e  giusta  l'indicazione 


LA  NECROPOLI  DI  SUESSULA  245 

delle  forme ;  tutto  1'  insieme  spira  ancora  il  carattere    rigido  del- 
l'epoca  arcaica  (^). 

2)  Piu'e  in  terra  sciolta  si  e  trovata  la  figura  d'un  uomo  ignudo 
che  corre,  a  gara  senza  dubbio  (alta  0,068).  Serviva  da  bottone 
del  coperchio  in  un'urna  simile,  sulla  quäle  doveva  essere  saldata : 
osservansi  ancora  le  tracce  della  saldatura  sulla  piastrella  qua- 
drilatera  su  cui  sta  attualmente  la  figura. 

E  un  nuovo  periodo  nella  storia  di  Suessula,  che  i  felici  scavi 
di  D.  Marcello  Spinelli  ci  hanno  fatto  conoscere,  un  periodo  susse- 
gueute  a  quello  rappresentato  dalle  tombe  a  pietre  calcaree  col  loro 
corredo  metallico,  ricco  si  ma  barbarico,  parallelo  a  quello  giä  co- 
nosciuto  da  Capua.  L'antica  e  genuina  arte  calcidese,  sia  figlia  sia 
sorella  della  paleoionica,  quäle  ce  la  rappresentano  molti  vasi  di- 
pinti  arcaici  —  i  quali  fra  poco  potranno  essere  studiati  con  ogni 
agio  in  una  pubblicazione  complessiva  che  ne  sta  preparando  per 
ristituto  archeologico  il  Loeschcke  —  avea  cessato  di  vivere  dopo 
le  guerre  persiane  e  dopo  il  prevalere,  in  conseguenza  di  esse, 
dell'influsso  ateniese  in  Eubea,  influsso  che  divenne  vero  do- 
minio  poco  dopo  la  metä  del  quinto  secolo  (^).  Non  sono  che 
un  eco  di  quella  vera  arte  calcidese  le  urne  di  bronzo  ed  altri  oggetti 
metallici  di  carattere  affine,  i  quali  anche  nel  quinto  secolo  gli 
Italici  continuavano  a  comprare  con  preferenza  da'  Cumani,  rinomati 
senza  dubbio  sino  ab  antiquo  per  la  buona  qualitä  e  la  esecuzione 
diligente  de'  loro  lavori  metallici ,  mirabilmente  adattati  al  gusto 
italico.  I  primi  modelli  di  tali  lavori  saranno  venuti  da  Chalkis  — 
non  voglio  metterlo  in  dubbio  per  ora  —  ne'  tempi  d'un  commercio 
piü  vivo  fra  la  cittä  madre  e  la  figlia  cumana;  1' esecuzione  perö 
di  que'  lavori  tanto  numerosi  che  si  a  Cuma  stessa  che  in  tutta  la 
sfera  del  commercio  cumano  vennero  e  vengono  alla  luce  ogni  giorno, 
credo  adesso  che  sia  interamente  dovuta  all'industria  cumana.  Lo 


(1)  Discoboli  che  funzionano  da  mauubrii  sono  frequenti  su  queste  urne : 
vd.  Ann.  delVlnst.  1879,  133,  4.  5  (urna  acquistata  dal  Museo  industriale 
bavarese  a  Norimberga,  dove  nel  1884  potei  esaminarla;  ha  ancora  il  suo 
pieduccio  consistente  d'un  cerchio  sollevato  da  tre  zampe  leonine);  137,  21; 
1880,  346;  347,  1.2;  1883,  188,  1-3. 

(2)  Mittheil,  des  archaeol.  Instit.  in  Athen  I,  184;  Corp.  inscr.  Att. 
IV,  27a;  Dittenberger  Sylloge  inscr.  graec.  10. 


246  LA    NECROPOLI    DI    SUESSULA 

credo  dopo  im  esame,  che  ho  potuto  istitiüre  nell'ottobre  dell'anno 
passato  in  Atene,  degli  oggetti  trovati  uegli  scavi  fatti  nella  necro- 
poli  di  Eretria  tanto  da  privati  quanto  dalla  societä  archeologica 
greca  (*).  E  vero  che  quelle  tombe  sono  quasi  tutte  piü  recenti 
de'  nostri  oggetti  cumaui ;  e  vero  pure,  che  vi  furono  trovati  alcuni 
oggetti  somiglianti  ad  essi  {-) ;  ma  i  lavori  in  metallo  trovati  in 
Eretria  sono  lungi  dall'essere  tanto  numerosi,  ne  hanno  quel  carat- 
tere  arcaizzaute  proprio  a  quelli  di  Cuma,  imitati  da  tipi  piü  ar- 
caici,  escogitati  in  Eubea  anteriormente  al  quinto  secolo,  Sono  at- 
tici  del  quinto  secolo,  ad  eccezione  di  quei  dovuti  alla  manifattura 
locale,  tutti  i  vasi  che  fanno  compagnia  alle  urne  di  bronzo 
tanto  a  Capua  {^)  quanto  ora  a  Suessula:  fu  riconosciuto  dun- 
que  da'  Cumaui  il  monopolio  ateniese  fin  dalla  prima  metä  del 
quinto  secolo.  Neanche  colpirebbe  nel  segno  chi  volesse  ammettere 
la  conghiettiira  che  spontaneamente  si  offre,  che  cioe  almeno  prima 
della  guerra  persiana  i  Cumaui  avessero  portato  esclusivamente  o 
almeno  a  preferenza  dalla  loro  cittä  madre  i  vasi  dipinti  di  cui 
faceano  commercio  si  vivo  cogli  Italici :  anzi  piuttosto  rari  fra  gli 
arcaici  sono  i  vasi  calcidesi  ritrovati  sia  a  Cuma  sia  in  altre  parti 
della  Campania ;  se  ne  trovano  si,  ma  piü  frequenti  sono  i  vasi  di 
carattere  ionico,  piü  frequenti  ancora  i  «  corinzii " ,  principalmente 
nelle  tombe  arcaiche  di  Cuma,  che  da  poco  vanno  discoprendosi. 
Quando  duuque  i  Napoletani  nel  quinto  secolo  occuparono  il  posto 
commerciale  di  Cuma  ed  importarono  esclusivamente  manifatture 
e  prodotti  ateniesi,  seguirono  cosi  facendo  l'esempio  della  loro  cittä 
madre,  la  quäle  avea  preparato  l'accesso  nella  Campania  all'arte  ed 
alla  civiltä  ateniese,  in  modo  che  queste  vi  avessero  libero  corso  anche 
dopo  i  cambiati  costumi  verso  la  fine  del  quinto  secolo  in  seguito 
della  invasione  sannitica.  E  vero  che  dopo  questo  avvenimento  non 
si  cremavano  piü  i  morti  secondo  il  costurae  greco ,  che  sulle  pareti 
delle  tombe  si  dipingevano  non  piü  guerrieri  greci  ma  sacerdoti, 
magistrati,  guerrieri  oschi  e  deitä  apparteuenti  sia  all'Olimpo  sia 
all'inferno  sannitico;  ma  le  migliaia  di  terrecotte  di  Capua,  Calvi, 


(1)  "Ecp7]fi.  (iQxaioX.  18SG,  31. 

(2)  vd.  p.  241. 

P)  Conosciamo  in  ispecic  i  vasi  trovati  insicnic  aH'urna  Barone :  Ann. 
1879,  132,  3. 


LA   NECROPOLI   DI   SUESSULA  ^  247 

Teano  ecc,  i  disegni  de'  vasi  locali  imitati  da  disegni  ed  improntati 
di  idee  ateniesi  ed  ellenistiche,  fanno  testinionianza  di  iina  sotto- 
corrente  greca  forfcissima,  la  qiiale  nou  si  nasconde  che  superficial- 
meute  sotto  Telemeuto  uazionale  impadrouitosi  del  dominio  politico. 

IL 

I  fatti  sopra  esposti  ci  danno  indizii  sicuri  dell'esistenza  anclie 
a  Suessiüa  di  im  periodo,  quando  rellenismo  ciimano  avea  vinto  su 
tutta  la  linea,  di  giiisa  che  perlino  Tuso  ionico  di  bniciare  i  morti, 
e  di  deporre  le  ceneri  nelle  urne  di  bronzo  e  di  rinchiudere  questi 
insieme  con  alciini  vasi  di  terra  cotta  ne'  cubi  di  tiifo,  vi  era  adot- 
tato.  Fiuora  in  questo  strato  non  fu  raccolto  alciin' oggetto  la  cui 
importazione  non  potrebbe  essere  anteriore  all' anno  funesto  420,  nel 
quäle,  otto  anni  dopo  la  espugnazione  di  Capua,  la  reazione  nazio- 
nale  si  impadroni  della  stessa  cittä  di  Cuma.  Mentre  dalla  prima 
irruzione  sannitica,  cento  anni  innanzi,  di  cui  le  onde  s'infransero 
contro  le  mura  di  Cuma,  la  coltura  ellenica  pare  che  nou  abbia 
ricevuto  una  scossa  considerevole,  questa  seconda  volta  puö  darsi 
che  essa,  per  un  certo  spazio  di  tempo  almeno,  fosse  quasi  total- 
mente  interrotta.  Da  ciö  forse  si  spiega  la  estrema  raritä  a  Sues- 
sula  de'  vasi  dipinti  dello  stile  rosso  meno  rigido  che  non  ancora 
si  e  carabiato  nella  maniera  piü  libera  del  quarto  secolo  (^) ;  visto 
perö  il  numero  non  affatto  scarso  di  tali  vasi  provenienti  da  Capua 
e  Nola,  sarä  meglio  non  trarre  conclusioni  precoci. 

Abbiamo  duuque  a  Suessula,  secondo  i  fatti  comunicati  ne'  tre 
rapporti  auteriori,  tre  periodi  distiuti,  corrispondenti  a  periodi  so- 
miglianti  in  Capua. 

I.  Cosi  dette  « tombe  a  pietra » .  Sistema  indigeno  di  inu- 
mare  i  morti,  sia  nel  nudo  terreno  sia  in  casse  di  legno,  circondati 
da  un  ricco  corredo  ornamentale  di  bronzi  e  di  vasi  cretacei  a 
graffito,  a  rilievo  ornamentale,  geometrici,  protocorinzii,  «  corinzii " , 
tanto  importati  per  la  via  di  Cuma  quanto  imitati  (-),  mai  de'  so- 
liti  a  figure  nere,  neppure,  finora  almeno,  dello  stile  miceneo.   La 


(1)  Winter  die  jüngeren  attischen  Vasen,  Berlin-Stuttgart  1885. 

(2)  Per  dare  una  idea  soddisfacente  delle  diverse  classi  indigene  impor- 
tate,  Imitate  de' vasi  arcaici  ci  vorrebbero  alcune  tavole  speciali. 


248  LA   NECROPOLI   DI    SUESSULA 

toniba  viene  marcata  mediante  un  miicchio  di  pietre  calcaree  blanche, 
sopra  ed  aH'intorno  delle  quali  spesse  volte  si  ritrovano  oggetti  cor- 
rispondenti  al  vero  corredo  inortiiario.  Quest'epoca  comprende  i  due 
secol-i  in  circa  fra  il  720  ed  il  520  {Bull.  dell'Iast.  1878,  146-147. 
152-160;  1879,  142-147). 

II.  Tombe  a  cubo  di  tufo.  Sistema  greco-ionico.  Le  ceneri 
del  morto  cremato  sono  rinchiuse  in  un'urna  di  bronzo,  intorno  alla 
quäle  stanno  alcuni  vasi  dipinti  o  neri.  Non  oso  decidere,  se  l'as- 
soluta  mancanza  della  fibiila,  tanto  freqiiente  nel  periodo  antece- 
dente,  abbia  a  spiegarsi  dalla  cremazione  adoperata  invece  dell'inu- 
mazione,  oppure  da  un  cambiamento  nel  modo  di  vestire,  che  nel 
frattempo  ebbe  luogo  in  favore  del  chitone  ionico  (certamente  adot- 
tato  a  Cuma :  Hyperochos  presso  Ateneo  528).  L'epoca  degli  oggetti 
finora  ritrovati  e  il  quinto  secolo  (sopra  p.  241  segg.). 

III.  Tombe  a  tufo  o  a  mattoni.  Sistema  indigeno  di  inuma- 
zione,  evidentemente  una  continiiazione  piü  o  meno  diretta  del  si- 
stema I.  E  ciö  e  tanto  piü  chiaro,  inquantocche  rimaneva  anche 
l'uso  —  cosi  pare  almeno  —  di  deporre  certi  oggetti,  anche  di  valore, 
fuori  e  accanto  delle  tombe,  come  p.  es.  il  cratere  oramai  divenuto 
celebre  di  Hieron  e  Maki'on  {Bull  1879,  149).  Anche  queste  tombe 
hanno  dato  molte  prove  dell'uso  costatato  specialmente  nella  necro- 
poli  osca  di  Cuma,  ma  anche  altrove  {Bull.  1878,  1ö9  iVerhandl. 
d.  Philol.  vers.  in  Trier  155),  di  deporre  de'  comestibili  insieme 
col  morto;  cosi  p.  es.  in  presenza  mia  accanto  alla  spaUa  d'uno 
scheletro  si  trovö  un  orciuolo  di  creta  ordinaria  annerita,  la  ciii 
metä  incirca  era  riempita  di  un  grasso  fino  bianchissimo,  deposto 
in  stato  liquido,  giacche  la  sua  stratiflcazione  corrispondeva  esat- 
tamente  all'asse  orizzontale  del  suolo.  Ho  stabilito  giä  ne'  rapporti 
antecedenti,  che  le  tombe  a  tufo  non  rappresentano  che  una  forma 
piü  povera  delle  tombe  a  mattoni  {Bull.  1878,  151 ;  1879,  149). 
Come  epoca  approssimativa  di  tutte  e  due  indicai  nel  1878  gli  anni 
400-250 :  limiti  troppo  stretti,  che  giä  nel  1879  dovettero  essere  allar- 
gati  un  poco  tanto  in  giü  quanto  in  sü.  —  Un'altra  varietä,  la  tomba 
a  Camera,  colle  pareti  spesse  volte  dipinte,  ovvia  a  Capua,  a  Nola 
ed  in  Alife  nel  quinto  e  quarto  secolo  {Bull.  1876,  173;  Am.  del- 
rinst.  1878,  107;  Notü.  degli  scavi  1880,  83)  manca  finora  a 
Suessula    {Bull.  1878,  147-151;  1879,  147-150.  157). 

Coü  queste  tombe  III  fino  adegso  per  noi  si  chiude  la  storia 


LA  NECROPOLI  DI  SUESSÜLA  249 

della  neci'opoli  suessiilana ,  giacche  di  oggetti  certamente  romani 
non  se  ne  trovarono  che  dispersi  e  casualmente  {Bull.  1878, 160. 163). 
Puö  darsi  benissimo,  che  le  tombe  a  tufo  piü  tarde,  col  loro  po- 
vero  conteniito  di  vasetti  a  dipintiira  semplice  e  cattiva,  a  vernice 
nera  non  lucida  o  di  creta  grezza,  di  vasellini  di  vetro  comiine  ecc. 
appartengano  in  gran  parte  all'epoca  del  perfetto  dominio  romano; 
ma  ünora  in  nessuna  di  tali  tombe,  per  qiianto  io  sappia,  fu  tro- 
vata  una  moneta  romana  di  quell'epoca. 

Mi  accingo  ora  a  completare  la  conoscenza  de'  gruppi  I  e  III 
comunicando  alcimi  fatti  nuovi  e  pubblicando  disegni  di  alcimi 
oggetti  giä  anteriormente  mentovati. 

II  conteniito  della  tomba  I  negli  scavi  dal  1879  in  poi  ma- 
terialmente  e  rimasto  quasi  ugiiale.  Ho  potuto  assistere  neU'aprile 
dell'anno  scorso  all'escavazione  di  una  tomba  siffatta  per  veriflcare 
una  volta  dippiü  tutte  quelle  circostanze  esteriori  che  da  D.  Mar- 
cello  Spinelli  anteriormente  mi  furono  riferite.  In  una  profonditä 
di  circa  metri  due  s'incontrö  lo  scheletro,  schiacciato  dal  peso  delle 
pietre  calcaree  ammucchiatevi  sopra  con  intenzione,  ed  iutorno  una 
larga  messe  de'  soliti  oggetti  di  bronzo  (fibule,  pendagli  ecc),  pezzi 
di  ambra  perforati  per  ornare  le  fibule,  un  ciondolo  d'argento,  uu 
anello  d'argento,  e  parecchi  vasi  dello  stile  geometrico  fino,  tanto 
del  geniüno  greco  —  a  pareti  sottili,  fondo  giallo,  strisce  brune, 
co'  caratteristici  sistemi  ornamentali  a  guisa  di  metope  e  triglifi 
(Furtwaengler-Loeschcke  Myken.  Vasen  p.  12),  quanto  dell'italico 
imitato.  Pm-  troppo  la  pressione  del  terreno  aveva  talmente  spostato 
tutti  gli  oggetti  da  rendere  irriconoscibile  l'antica  loro  coUocazione. 
Qualche  giorno  appresso,  il  23  aprile,  in  un'altra  tomba  simile 
giusto  sopra  la  bocca  del  morto  si  trovö  un  grosso  anello  (diam.  0,06) 
di  oro  pallido,  di  forma  ellittica  (cf.  Perrot,  Eist,  de  l'art.  III  p.  643 
ma  senza  l'incavo  del  cerchio  grande)  con  uno  scarabeo  d'osso  in- 
tagliato  e  montato  in  argento  (cf.  BidL  1878,  153  seg.).  Conosco 
anelli  molto  somiglianti  provenienti  da  Cuma,  ove  se  ne  raccolsero 
p.  es.  otto  0  dieci,  di  argento,  in  alcune  tombe  arcaiche. 

Sono  lieto  di  poter  ora  presentare  (fig.  19-21)  ai  lettori  di  questo 
Bullettino  i  disegni  coi  quali  il  sig.  Eichler  ha  riprodotto  alcune 
delle  forme  piii  cospicue  e  caratteristiche  fra  le  fibule  di  Suessula, 
provenienti  tutte  quante  da  queste  tombe  a  pietra  e  perciö  ante- 
riori  all'anno  520  in   circa.  Sarebbe   stato   facile   l'aumentarne  il 


250 


LA   NECROPOLI   DI    SÜESSULA 


numero  con  Taggiiinta  di  esemplari  o  di  misura  o  di  foggia  piü  o 
meno  differenti;  ma  di  varietä  importanti  non  fu  omessa  alcuna. 
Solo  rispetto  alla  flbula  n.  4,  composta  di  qiiattro  cerchi  di  spirali, 
bisogna  osservare  che  gli  esemplari  di  modiilo  piccolo  sono  piuttosto 


Fig.  19  c.  Vs  grand.  nat. 

rari,  che  anzi  la  grandezza  considerevole  e  per  essa  caratteristica 
cd  essenziale.  Sc  ne  trovarouo  p.  es.  due,  l'una  del  diametro  di 
m.  0,22,  l'altra  di  0,195,  composte  da  fino  a  otto  di  tali  cerchi  di 


LA    NECROPOLI   DI   SÜESSULA 


251 


spirali,  del  diam.  di  0,045  ciascimo,  e  da  iina  quantitä  di  cate- 
nelle,  pendagli  ecc,  il  tiitto  saldato  sopra  ima  piastra  di  bronzo 
dal  margine  ondulato,  la  quäle  portava  lo  spillone,  a  ciii  serviva 


Fig. 


20  c.  V,.  grand.  nat. 


252 


LA    NECROPOLI    DI    SUESSÜLA 


di  rnanico  nella  piü  grande  delle  fibiile  un  uccellino  con  iina  cate- 
nella  nel  becco,  nell'altra  un  bastoncino  con  quattro  teste  d'uccello 
pure  con  catenelle  nel  becco.  Questi  mostri  pesanti  avranno  for- 
mato  Tornamento  solenne  del  petto,  come  delle  spalle  le  altre  piü 
piccole  a  quattro  giri  {Bull.  1878,  154).  Del  resto  i  disegni  del 
sig.  Eichler  bastano  ad  illustrare  le  descrizioni  datene  nel  Bitll.  1878, 
154-156 ;  1879,  143-145.  Non  aggiungo  altre  osservazioni :  uno  studio 
comparativo  delle  tibule  suessulane,  e  delle  campane  in  genere,  si 
farä  meglio  quando  sarä  uscita  l'opera  sulle  tibule  che  aspettiamo 
dal  Montelius. 

Fig.  19, n.  18 e  pubblicato  l'oggetto  descritto  nel Bidl.lSld,  145; 
fig.  21  la  borchia  grande  descritta  Bidl.  1878,  164  (cf.  1879,  145); 
fig.  22  finalmente  si  vede  disegnato  uno  di  quei  grandi  braccialetti, 


moi3 


Fig.  21  c.  Vs  Fig.  22 

il  cui  peso  straordinario  (da  500  a  750  gi-ammi)  insieme  con  la 
qualitä  del  bronzo  attirava  tanto  l'attenzione  generale. 

E  qui  mi  sembra  opportuno  di  aggiungere  poche  parole  intomo 
al  „metallo  Spinelli",  quella  lega  singolare  che  descrissi,  secondo 
l'analisi  fattane  a  Napoli  dal  saggiatore  degli  orefici,  nel  Bull.  1878, 
152  e  1879,  142. 

Sappiamo  dall'articolo  del  Dressel  sopra  la  necropoli  d'Alife, 
che  ivi  pure  si  trovarono  almeno  alcuni  utensili  consistenti,  secondo 
l'analisi  comunicata  al  Dressel  stesso,  di  una  lega  contenente  ar- 
gento,  oro  e  rame.  II  eh.  Dressel  perö  (0  uega  che  quella  analisi, 


(«)  Ann.  deWInst.  1884,  248. 


LA  NECROPOLI  DI  SÜESSULA  253 

e  cosi  anche  qiiella  del  bronzo  di  Siiessula,  possa  essere  esatta.  Ciö 
mi  diede  impulso  ad  approfittare  dell'occasione  che  mi  si  offerse  di 
prendere  de'  saggi  di  quel  bronzo  da  alcuui  oggetti  pregevoli  che 
D.  Marcello  Spinelli  gentilmente  offerse  in  douo  a  S.  A.  E.  il  gi-an- 
duca  di  Baden,  e  a  farne  esegiüre  im'analisi  nel  laboratorio  del- 
rimiversitä  di  Heidelberg,  sotto  gli  occhi  del  mio  illustre  collega 
il  prof.  Bimsen,  dal  dott.  Roessler,  primo  assistente  del  medesimo, 
ed  ecco  il  risultato  ottenuto  da  im  braccialetto  di  forma  corrispon- 
dente  al  nostro  n.  22,  il  quäle  tanto  pel  suo  lustro  quanto  pel  peso 
e  per  l'elasticitä  si  mauifestö  come  composto  del  «  bronzo  Spinelli ", 
risultato  che  conferraa  pienamente  l'opinione  del  Dressel: 

rame 89,09 

stagno 8,85 

piombo 1,99 

ferro 0,07 

100,00. 
E  da  una  fibula  della  forma  uiim.  13: 

rame 90,54 

stagno 6,98 

piombo 1,97 

ferro .     .       0,51 


100,00. 


Dimque  ne  oro  ne  argento ;  invece  ima  composizione  somigliau- 
tissima  al  nostro  metallo  da  cannoni,  relativamente  ricca  di  rame, 
povera  di  stagno,  piü  povera  di  piombo,  affatto  sprovvista  dello 
zinco,  conforme  insomma  alle  leghe  piü  arcaiche  in  genere  del  solito 
bronzo  greco  (^).  Come  combinare  con  questo  risultato  qiiello  delle 
analisi  napoletane,  sopra  le  quali  doveva  fondarsi  il  mio  giu- 
dizio  anteriore,  non  lo  so ;  lascio  ai  tecnici  il  decidere  come  abbia 
a  spiegarsi  la  strana  differenza  che  esiste  positivamente  fra  l'aspetto 
e  la  qualitä  del  bronzo  ordinario  e  gli  oggetti  fatti  del  « metallo 
Spinelli » . 


(1)  Veggasi  l'utile  tavola  del  Blueinncr,  Technologie  und  Terminologie 
der  Gewerbe  und  Künste  IV  (Lipsia  188G)  p.  188. 

17 


254  '  I'A    NECROPOLI   DI   SUESSULA 

Prima  di  lasciare  il  gmppo  I  voglio  dare  notizia  di  alcimi 
oggetti  in  parte  niiovi,  in  parte  meglio  da  me  ora  intesi  e  spiegati. 

Alcune  strisce  piatte  di  bronzo,  limghe  fino  a  0,20,  larghe  0,01 
in  circa,  di  ciii  le  estremitä  sono  ripiegate  in  sü,  ma  poi  ripren- 
dono  l'antica  direzione,  portano  come  ornamento  uccelli  del  genere 
solito.  Qiieste  strisce,  il  cui  siguificato  mi  era  rimasto  oscuro, 
sono  elementi  di  fibiüe,  e  ne  formavano  un  membro  ornamentale 
forse  mobile,  parallelo  all' arco.  A  Siiessula  non  se  ne  trovarono 
esemplari  congiimti  con  la  fibula  stessa,  ma  la  spiegazione  mi  venne 
data  da  ima  übnla  p]-oveuiente  da  Piövaco  presso  Monteprimo, 
prov.  di  Macerata,  ora  nel  Museo  preistorico  di  Koma  n.  25298 

Mi  si  presentava  poi  ima  quantitä  di  aghi  crinali  con  la  som- 
mitä  fatta  a  rotella,  del  diam.  da  m.  0,06  a  0,13.  Tale  destiua- 
zioue  non  puö'  piii  esser  messa  in  dubbio  dopo  la  pubblicazione 
dell'ossuario  chiusino  del  E.  Museo  archeologico  di  Firenze  {Mus. 
ital.  di  aiitich.  class.  1  tav.  VHP  14, 14^}  colle  egregie  osserva- 
zioni  del  Milani  ivi  p.  311. 

Fra  i  molti  pendagli  di  bronzo  ne  voglio  menzionare  imo,  di 
Olli  parecchi  esemplari  e  varietä  esistono,  perche  differeute  dagli 
altri  giä  descritti  e  piü  complicato  del  solito.  Da  im  anello  comuue 
sono  sospesi  mediante  altri  anelli  cinque  puntali,  lunghi  0,042  cia- 
scuno,  i  quali  finiscono  pure  in  anelli;  a  questi  sono  inseriti  altri  anelli, 
ad  ognuno  dei  quali  e  appeso  un  globetto  massiccio  ed  un  paio  di 
spirali  di  fil  di  bronzo,  queste  lütime  ornate,  al  di  sopra  della  Spi- 
rale stessa,  ciascuna  con  due  perle  di  vetro  tm-chino. 

Furono  aumentati  considerevolmente  gli  oggetti  di  smalto,  di 
vetro,  cristallo  di  rocca,  alabastro,  tanto  vasetti  e  scarabei,  qiianto 
perle  e  iigurine,  uccellini  ecc;  oggetti  di  osso,  conchiglie  dell'Oceano 
indico  e  del  mare  rosso,  che  funzionavano  sia  da  elementi  di  col- 
lane  sia  forse  da  ornamento  del  vestito.  Fra  gli  oggetti  di  pasta 
vitrea  sono  specialmente  rimarchevoli  una  figurina  egizia  virile  con 
Corona  di  loto  in  testa,  alta  0,085,  di  color  turchiuo,  liscia  dalla 
parte  posteriore;  ed  una  testa  barbata  con  orecchini,  alta  0,031, 
dipinta  a  piü  colori.  Tutti  e  due  gli  oggetti  sono  traforati  per  es- 
sere  sospesi.  ün  iiitiero  pozzo  pleno  di  «  porcellana  egizia  "  fu  ri- 
trovato  da'  lavoratori,  i  quali,  assente  il  proprietario,  ne  spezzarono 
e  dissiparono  la  maggioi*  parte.  La  ricca  messe  di  scarabei  ed  altri 
oggetti  di  carattere  egizio  meriterebbe  clio  un  egittologo  competente 


LA   NECROPOLl   DI   SÜESSULA  255 

ne  precisasse  il  significato,  l'epoca  e  la  provenienza ;  intanto  credo 
che  possa  stare,  in  generale  almeno,  ciö  che  ne  scrissi  nel  Bull. 
1879,  146(1). 

Arcaici  pure  saranno  tre  coperchi  di  piccole  bulle  d'oro  del 
diametro  fra  0,031  e  0,048,  decorati  con  un  sistema  di  cerchi  con- 
centrici  e  punti,  frequente  ne'  lavori  metallici  a  lamina  sottile  nella 
prima  etä  del  ferro  {-).  Un  altro  pendaglio  arcaico,  un  piccolo  lepre 
di  terra  giallo-bianca,  vuoto  di  dentro,  lungo  0,074,  con  un  foro 
dietro  le  orecchia  per  essere  appeso,  trova  il  suo  stretto  riscontro 
in  un  lepre  che  diresti  fatto  dalla  stessa  mano  nella  raccolta  cu- 
mana  del  sig.  Stevens.  Della  stessa  creta  giallastra  consiste  ima 
testa  muliebre,  alta  0,094,  col  diadema  e  col  manto  tirato  da  dietro 
sull'occipite,  vuota,  di  un  tipo  arcaico  corrispondente  a  certi  tipi 
di  Pesto,  Eboli  ecc.  Un'altra  testa  somigliante,  alta  0,085,  e  di 
una  creta  piü  cotta ;  e  cosi  pure  la  parte  superiore  di  una  donna, 
alta  0,15,  ciü  il  manto  cuopre  testa,  spalle  e  braccia,  coi  ricci  ca- 
denti  sul  petto,  ornata  di  orecchini  a  foggia  di  tondi  semplici.  II 
tipo  rassomiglia  a  certi  tipi  attici  della  prima  metä  del  quinto 
secolo,  frequenti  specialmente  sull'  isola  di  Rodi,  p.  es.  nella  col- 
lezione  di  terrecotte  di  Kameiros  nel  Museo  Britannico.  Queste  terre- 
cotte  furono  trovate  nella  terra  nuda  «  miste  a  molti  rottami  di  vasi 
assai  rozzi  "  (Spinelli) :  erano  dunque  stati  deposti ,  secondo  ogni 
probabilitä,  ne'  sarcofaghi  di  legno,  ed  in  tempi  posteriori  buttati 
li  insieme  col  rimanente  contenuto  de'  medesimi  e  di  altri  piü  re- 
centi  (cf.  Bull.  1878,  146). 


(1)  La  storia  e  Tepoca  di  questo  coiumercio,  fiorente  giusto  nel  sesto  se- 
colo, recenteniente  lianno  ricevuto  niaggior  luce  clagli  scavi  di  Capodimonte, 
l'antica  Visentium,  descritti  dallo  Heibig  Bull.  1886,  18-36.  Che  anche  i  Greci 
si  dedicassero  alla  fabbricazione  di  quell'articolo  alla  moda  nel  secolo  sesto, 
lo  sappiamo  ora  dall'intiera  fabbrica  di  scarabei  scoperta  a  Naukratis. 

(2)  Se  queste  bulle  erano  utili  contro  la  iettatura  ed  ogni  Influenza  ne- 
mica,  perclie  servivano  da  sonagli  {Bull.  1878,  156,  1),  il  loro  effetto  doveva 
rinforzarsi  qualora  rinchiudevano  un  altro  oggetto  metallico  riraborabante.  In 
fatto  da  una  tomba  "  greca  "  di  S.  Maria  di  Capua,  che  conteneva  vasi  a  vernice 
nera  lucida  cd  uno  striato  (seconda  metä  del  secolo  quarto),  provienc  una  buUa 
di  bronzo  ancora  provvista  della  sua  cerniera  e  delFaneUo,  ora  in  possesso  del 
sig.  Bourguignon,  che  rincliiudeva  una  monetina  d'argento  d'Alife  {Gatnl.  of 
the  greck  coins  m  the  Brlt.  Mus.  Itahj  73,  1-1)). 


256  LA   NECROPOLI   DI   SUESSULA 

Nel  1878  —  e  l'istesso  valeva  nel  1879  —  notai  {Ball.  1.  c.  158) 
la  strana  mancanza  di  armi  di  bronzo  corrispondenti  all'epoca  ar- 
caica.  Anche  oggi  vale  qiiesta  osseiTazione,  essendocche  sono  quattro 
in  tiitto  le  cuspidi  di  bronzo  dissotterrate  nel  frattempo.  Anche 
nell'epoca  piü  recente  le  armi  sono  sempre  tutt'altro  che  frequenti 
si  a  Siiessiüa  che  in  altri  siti  della  Campania ;  mancano  p.  es.  quasi 
assolutamente  nelle  tombe  a  mattoni  della  necropoli  d'Alife  —  se- 
condo  che  mi  fii  affermato  dal  diligente  scopritore  della  medesima, 
sig.  Giacomo  Egg  —  ed  a  Siiessiila  egli  era  im  caso  assai  raro,  che 
da  una  tomba  di  tufo  del  secolo  terzo  nsci  dinanzi  a'  miei  occhi 
una  spada  di  ferro,  ancora  nascosta  nella  sua  giiaina  di  legno  ri- 
vestita  di  ferro. 

Passo  ora  al  gruppo  III,  cioe  alle  tombe  a  tufo  ed  a  mat- 
toni. Per  le  ultimo  almeno  bisogna  portare  considerevolmente  in 
sü  il  terminus  a  quo,  molto  piü  che  nel  1878  (cf.  Bull.  1878, 150) 
non  Tayrei  creduto  ammissibile  per  la  Campania.  Abbiamo  adesso 
aumentato  il  numero  dei  vasi  a  figure  nere,  la  maggior  parte  dello 
Stile  giä  un  poco  rilassato,  ma  che  tuttavia  non  puö  dirsi  scomposto, 
la  cronologia  de'  quali  ha  principio  poco  dopo  la  metä  del  secolo 
sesto,  beuche  sarä  lecito  estenderne  la  fabbricazione  fino  al  primo 
fiorire  della  pittura  a  figure  rosse,  ora  che  per  gli  scavi  felici  sul- 
l'acropoli  di  Ateno  sappiamo,  che  giä  prima  dell'irruzione  persiana 
ivi  si  dipingeva  anche  a  tigure  rosse,  che  dagli  scavi  di  Nauki-atis 
conosciamo  fatti  epigrafici,  che  forse  ci  costringeranno  di  stabilire 
un'epoca  molto  piü  antica  che  non  si  presumeva  prima  per  i  vasi 
attici  a  figure  nere  della  maniera  severa,  maniera  rara  finora  in 
Campania.  E  tutti  questi  vasi  secondo  la  testimonianza  di  D.  Mar- 
cello  Spinelli  si  ritrovarono  quasi  sempre  in  tombe  a  mattoni,  quasi 
mai  in  quelle  di  tufo ;  rare  volte  stavano  nella  terra  uuda,  erano 
cioe  depositati  in  sarcofaghi  di  legno,  come  quelle  figurine 
di  terra  cotta  sopra  descritte.  Consunte  le  casse  di  legno  rima- 
sero  spesse  volte  i  chiodi   di  ferro  (0   e  ne'  tempi  piü  avanzati 

(1)  A  Cuma  questo  era  il  piü  aiitico  uso  di  seppellire  i  morti.  Ivi  le 
tavole  di  legno  erano  dipinte  di  color  rosso,  del  quäle  talvolta  si  son  conser- 
vatc  le  tracce  nel  terreno  circostantc,  le  qnali  insienie  coi  chiodi  di  ferro 
fanno  testimonianza  del  sarcofago  consunto.  In  Atene  nel  Museo  della  societä 
arclieologica  tuttora  esistono  tali  tavole  rosse  di  simili  sarcofaghi  attici.  La 
stessa  forma  .si  adottava  anche  per  le  cas.se  che  di  pietra  si  costruivano.  l'iii 


LA   NECROPOLI   DI   SUESSULA  257 

(quarto  secolo)  que'  piccoli  ornamenti  di  terra  cotta  a  rilievo  bas- 
sissimo,  lisci  di  dietro,  un  giorno  dorati  o  alraeno  coloriti,  che 
stavano  attaccati  alla  cassa :  rappresentano  teste  sia  di  Medusa,  sia 
di  Sileno  {Ann.  1883,  185  seg.;  cf.  Furtwaengler  Samml.  Sabouroff 
alla  tav.  CXLIX),  sia  di  «  Acheloo  «,  o  palmette  di  varie  forme, 
tutte  qiiante  di  carattere  arcaizzante  o  conchiglie  imitate,  o  ca- 
valli  (cioe  soltanto  la  parte  anteriore)  vediiti  di  faccia  (alti  c,0,08, 
elevazione  del  rilievo  fino  a  0,015)  (^).  Sono  frequentissimi  questi 
ornamenti  specialmente  a  Capua  (Museo  Campano,  coli.  Bom'giü- 
gnon,  Museo  nazionale)  ma  anche  in  Sicilia  ed  in  Atene.  Con 
mio  rammarico  ne  nella  primavera  ne  nell'autunno  dell'  anno 
passato  ebbi  occasione  di  assistere  all'  escavazione  d'una  tomba 
siffatta  contenente  vasi  a  figm-e  nere.  Nel  maggio  perö  se  ne  trovö 
una  di  proporzioni  straordinarie  (lunga  in  circa  metri  2  V2,  larga 
m.  1,80,  con  due  cadaveri  seppelliti  insieme)  a  7:i  di  chilom.  in  circa 
verso  ESE  dal  casino,  della  quäle  nell' ottobre  vidi  ancora  riuniti 
insieme  tutti  i  vasi  esattamente  notati  da  D.  Marcello  Spinelli: 


tardi,  nel  secolo  sesto  probabilinente,  la  combustione  principiava  anche  a  Cuma 
come  in  Atene  ed  altrove.  Ma  nou  vi  era  tanto  potente  questa  manifestazione 
della  coltura  ionica  da  estirpare  del  tutto  l'inumazione :  cubi  di  tufo  «  cacatoi  " 
e  sarcofaghi  »■li  uni  accanto  agli  altri,  sono  la  caratteristica  del  quinto  secolo, 
Tultinio  della  libertä  greca  a  Cuma.  S'intende  che  depo  il  120  il  sarcofago  di  legno, 
e  piii  ancora  la  tomba  "  greca  »  (a  tufo)  e  quella  a  mattoni  riacquistö  su  tutta 
la  linea  la  posizione  quasi  perduta,  e  la  ritenne  fino  alla  seconda  epoca  delFel- 
lenismo  vittorioso,  cioe  fino  agli  ultinii  tempi  della  repubblica  romana. 

{})  Che  anche  questi  davanti  di  cavallo  erano  ornamenti  di  sepolcri,  lo 
altesta,  credo,  un  Notamento  degll  antichi  oggetti  rinvenuti  dal  sig.  Gins. 
Vetta  nel  suo  fondo  denominato  S.  Erasmo  (presso  S.  Maria  di  Capua),  dalla 
mano  del  Sideri,  in  data  del  21  niarzo  1855  {Atti  del  Mus.  nas.,  scavi  di- 
versi  1850-61),  ove  fra  altre  cose  si  trovano :  «  76  figuline  incirca,  ornamento 
"  di  un  sepolcro,  cio5  teste  di  Gorgoni,  altre  teste  barbate  con  corna,  mezzi 
"  busti,  cavalli,  fogliolini,  rosoncini  ed  altre  decorazioni ".  Un  tipo  singolare 
dVirnamento  simile  mi  h  noto  da  un  solo  esemplare  presso  il  sig.  Bourguignon. 
E  un'antefissa,  tondeggiata  di  sopra,  alta  0,078,  che  mostra  in  rilievo  un  guer- 
riero  ritto  in  piedi  colle  gambe  chiuse,  visibile  dalle  ginocchia  in  su,  vestito  di 
Chitone  corto  ed  elmo  con  guanciali,  i  quali  nascondono  quasi  la  faccia,  si- 
milmente  come  in  ceiii  vasetti  a  forma  di  testa  provenienti  da  Corinto,  da 
Rodi  e  dalla  Fenicia.  Un  altra  esemplare  ne  possiede  la  collezione  delllsti- 
tuto  archeologico  di  Heidelberg. 


258 


LA   NECROPOLI   DI    SUESSULA 


Fig.  23 


1)  Anfora  (fig.  23):  forma  Furtwaengler ,  Berliner  Vasen- 
sammluiig  45),  alta  0,33.  Disegno  nero  con  sovrapposti  colori  bianchi 
e  violacei  (tav.  XI,  XII  n.  2  e  3). 

A.  Eui-opa  sul  toro  verso  d.;  il  toro 
cammina  a  lenti  passi ;  Europa  vestita  di  Chi- 
tone ionico  e  manto,  con  benda  violacea  ne"  ca- 
pelli,  alza  con  la  sin.  una  ghirlauda  a  rosoni 
bianchi.  Per  il  tipo  veggasi  0 verbeck  Kimst- 
mijthol.  II,  423. 

B.  Ercole  combatte  con  Acheloo  mezzo 
toro  mezzo  uomo.  L'eroe,  vestito  soltanto  d'im 
grembiale ,  con  la  spada  alla  coscia  sin. , 
portaudo  addosso  il  tm'casso  col  coperchio  aperto 
e  l'arco,  fa  im  assalto  verso  d.  contro  il  nemico; 
gli  vibra  col  pugno  destro  im  colpo  siü  petto  (^), 
meutre  con  la  sin.  cerca  di  rompergli  il  corno. 

Acheloo,  che  gli  va  incontro  da  d.,  invano  si  difende  con  due  pietre 
blanche,  che  sta  per  scagliare  coUe  maul;  dietro  l'eroe  si  scorge 
la  clava  cadente.  Per  il  tipo  confrontisi  la  memoria  di  Lehnerdt, 
Arcli.  Zeit.  1885,  105  segg. 

2)  Orciuolo  (forma  Furtw.  181)  alto  0,21.  Maniera  a  figm-e 
nere  rilassata.  L'esteriore  corrisponde  alla  descrizione  del  Furtwaeng- 
1er  Berliner  Vasensammlimg  I  p.  399  griippo  secondo.  Nel  campo 
non  si  vede  che  la  parte  esteriore  di  ima  quadriga  da  sin.,  le 
teste  de'  due  cavalli  posteriori  souo  ugualmente  alzate,  abbassate 
le  anteriori. 

3)  Orciuolo  come  il  precedente,  alto  0,215.  Disegno  nero  ri- 
lassato.  Nel  campo  Dioniso  vestito  e  barbato,  veduto  di  faccia, 
guardante  verso  sin.,  da  dove  procede  un  Satiro  barbato  che  gli 
sta  parlando. 

4)  Orciuolo  simile  con  orificio  a  trifoglio  (tipo  Furtw.  I  p.  405). 
alto  0,16.  Disegno  nero  rilassato.  Nel  campo  stanno  assisi  su  delle 
sedie  dirimpetto  l'uno  all'altro  a  sin.  Dioniso  vestito  e  barbato, 
nella  sin.  il  cautaro,  a  d.  una  doniia  che  alza  la  sin.  sotto  il  manto. 
Nel  mezzo  tralci  d'edera. 


(')  Neirarchetipo    gli    avrä    afferrato  la  barba,  come   .sul  vaso  vulcente 
Ar  dl.  Zeit.  1885  tav.  G. 


I,A    NECROPOLI    DI    SUESSULA  259 

5)  Orciiiolo  di  forma  e  stile  simile  al  precedente,  alto  0,25. 
Nel  campo  uu  guerriero  verso  d.,  che  porta  sulle  spalle  im  altro, 
di  ciü  lo  scudo  grando  si  scorge  sopra  il  dorso. 

6)  OUa  a  vernice  nera  (forma  Fm-tw.  222). 

7)  Vase  di  creta  grezza  (forma  Fiirtw.  98),  ornato  a  stecco 
con  disegni  geometrici. 

8)  Vaso  in  forma  di  testa  miüiebre  (forma  Furtw.  288) 
alto  0,14,  di  esecuzione  piuttosto  severa,  affatto  corrispondente  al 
vaso  nolano  presso  Gerhard  Antike  Bildw.  tav.  Gl,  3  ed  alla  de- 
scrizione  che  di  questo  tipo  ha  dato  il  Furtwaengler  1.  c.  p.  512  ß. 
Una  Corona  d'edera  dipinta  in  bianco  cinge  la  testa.  Siccome  im 
vaso  di  carattere  identico  fu  trovato  a  Corneto  insieme  con  una 
tazza  a  figm-e  rosse  di  mauiera  arcaica  {Bull.  1879,  88-90),  a  Vulci 
mi  altro  simile  fra  una  quantitä  di  vasi  a  figure  nere  del  carattere 
de'  nostri  suessulani  ed  uno,  un'idria,  a  figure  rosse  severe  [Bull. 
1883,  164-167),  cosi  questo  vaso  determina  l'epoca  della  tomba  in 
discorso  al  piii  tardi  nel  primo  terzo  del  quinto  secolo. 

Avendo  talmente  trovato  un  punto  fisso  aggiungo  qui  appresso 
l'elenco  degli  altri  vasi  a  figure  nere  finora  trovati,  prescindendo 
da  quei  che  descrissi  nel  Bull.  1879, 153.  Dell'orciuolo  ivi  descritto 
sotto  il  n.  2  ora  si  vede  la  forma  fig.  24  ed  il  di- 
segno  tav.  XI,  XII.  n.  4.  Eappresenta  il  congedo  d'im 
guerriero :  molto  volentieri  vi  si  riconoscerebbe  AchiUe, 
dietro  di  lui  il  vecchio  Peleo,  dinanzi  all'eroe  Te- 
tide, mentre  pel  compagno  che  a  cavallo  sta  aspet- 
tando,  s'offrirebbe  il  nome  di  Patroclo.  In  fatto  l'imico 
vaso,  che  finora  ci  presenta  questo  momento,  un  can- 
taro  vulcente  aBerlino  1737,  da  al  compagno  d'Achille 
il  nome  di  Patroclo.  E  si  potrebbe  addurre,  in  favore 

.     ^,        dell'interpretazione  suddetta,  la  perfetta  congruenza 
Flg.  24  . 

del  Peleo  uostro  con  quello  del  noto  piatto  atemese 

(Gollignon  231).  Ma  appunto  quel  piatto,  con  la  sua  composizione 

del  tutto  impossibile  di  figm-e  mitiche,  ci  dimostra  egregiamente, 

come  i  pittori  vascolari  di  quell' epoca,  ben  lontani  dal  voler  illu- 

strare  le  parole  epiche,  si  contentavano  di  esprimere  con  veritä  una 

situazione  corrispondente  in  generale  allo  spirito  di  quella  poesia. 

Gli  altri  vasi  a  figure  nere  trovati  finora  a  Suessula,  per  lo 

piü  in  tombe  a  tegole,  sono  i  segnen ti: 


260  LA   NECROPOLI   DI   SUESSULA 

1)  Orciuolo  (forma  Furtw.  181  ma  senza  il  bottone  in  cima 
al  manico).  Bella  vernice  nera  lucida,  disegno  molto  accurato  a 
contorni  graffiti.  Nel  campo  Ercole,  vestito  come  al  sollte,  fugge 
verso  sin.  portando  il  tripode  e  Tolgendo  in  dietro  lo  sguardo.  Kega- 
lato  da  D.  Marcello  Spinelli  a  S.  M.  la  regina.  Descritto  secondo 
le  notizie  favoritemi  dal  medesimo.  Anticamente  con  qiiesto  or- 
ciuolo avrä  fatto  pariglia  un  altro  con  Apolline  vindice. 

2)  Orciuolo  corae  il  precedente,  alto  0,24.  Nel  campo :  Po- 
seidon procede  da  sin.  a  grandi  passi,  clamidato,  con  barba  lunga 
rossastra,  benda  rossastra  ne'  capelli,  spada  alla  coscia,  nella  d.  la 
lancia,  sulla  spalla  sin.  l'isola  di  Nisyi'os,  dipinta  semplicemente 
in  bianco,  che  egli  sta  per  scagliare  sopra  il  Gigante.  Questi,  ve- 
duto  da  dietro,  fugge,  volgendo  in  dietro  lo  sguardo;  al  braccio 
sin.,  messe  innanzi,  tiene  il  grosso  scudo,  nella  d.  alzata  un'asta, 
la  spada  alla  coscia. 

3)  Anfora  di  forma  piuttosto  larga,  alta  0,135.  11  collo  e 
ornato  di  palmette.  Disegno  non  ancora  rilassato.  Ä :  Peleo  da  sin. 
lotta  con  Tetide,  che  cerca  di  fuggire  verso  d.,  alzando  ambedue 
le  mani,  neUa  sin.  una  benda  violacea.  Verso  d.  fugge  una  giovane 
che  alza  la  mano  e  volge  in  dietro  lo  sguardo ;  da  sin.  procede  un 
uomo  barbato  di  etä  avanzata,  col  mauto  attorno  alle  cosce  ed  al 
braccio  sin.,  che  porta  in  ogni  mano  una  fiaccola.  Questa  variazione, 
senz'alcun  indizio  delle  trasformazioni,  con  una  delle  figlie  di  Nereo 
ed  un  uomo  con  fiaccole,  e  affatto  nuoya;  vd.  paragonandola  l'elenco 
di  Graef,    Jahrbuch  d.  archaeol.  IitstitiUs  I,  202. 

B.  Due  Nereidi  corrono  in  fretta  verso  d.,  alzando  una  mano 
ognuna,  con  lo  sguardo  rivolto  verso  un  vecchio  barbato  vestito  di 
lungo  Chitone  bianco  e  manto,  che  sta  ritto  in  piedi  verso  d.,  nella 
(1.  uno  scettro,  ne'  capelli  una  benda  violacea. 

4)  Anfora  (f.  30  Furtw.),  alta  0,405;  sul  collo  palmette, 
suUe  spalle  baccelli  alternati  di  color  nero  e  violaceo;  i  manichi 
sono  come  composti  di  cinque  corde.  A.  Ercole  verso  d.,  con  chitone  e 
pelle  leonina,  aggredisce  con  la  spada  sguainata  un'Amazzone,  che 
fugge  quasi  ginocchioni,  afferrandola  alla  cresta  deU'elmo.  Da  d. 
viene  in  aiuto  un'altra  Amazzone  veduta  da  dietro,  che  nella  d.  tiene 
orizzontalmeute  l'asta,  lo  scudo  al  braccio  sin.  D.  Due  guerrieri  in 
piena  armatura  fanno  un  assalto  all'asta  contro  uq' Amazzone  ar- 
mata,  che  corre  verso  d.  e  guarda  in  dietro. 


LA   NECROPOLI   DI   SUESSULA  261 

5)  Tazza  (f.  171  Furtw.)  del  tipo  corrispondente  a  Furtw.  I 
p.  297  griippo  secondo.  Alta  0,097;  diam.  0,15.  Ä.  Cervo.  B.  Cerva, 
ambedue  al  pascolo. 

6)  Anfora  come  num.  4,  alta  0,257.  Manichi  tripartiti.  Di- 
segQO  rilassato.  A.  Ercole  barbato  igniido,  venendo  da  sin.,  vince 
il  toro,  che  correva  verso  d.,  afferrandogli  con  la  sin.  il  corno, 
con  la  d.  l'ungliia  anteriore.  Turcasso  ed  armi  dell'eroe  sono  appesi; 
dinanzi  al  toro  la  clava;  tutt'iutorno  alberi.  j3.  Due  Satin  barbati, 
con  grandi  code  di  cavallo,  stanno  ballando  innanzi  ad  una  donna 
vestita,  la  quäle,  assisa  verso  d.  sopra  un  oxhidiag,  alza  la  mano 
e  volge  lo  sgiiardo  in  dietro. 

7)  Anfora  come  la  precedente.  Disegno  molto  rilassato.  A.  Bac- 
cante  verso  sin.  fra  due  Satiri  barbati  ma  senza  coda.  Dappertutto 
tralci  di  vite.  B.  Identica  rappresentanza;  la  Baccante  verso  d. 

8)  Orciuolo  con  orificio  a  trifoglio  (forma  181  Furtw.),  alto  0,17. 
Disegno  molto  rilassato.  Nel  campo  un  albero  con  frutti  dipinti 
in  giallo  e  bianco;  in  ogni  lato  una  donna  che  corre  verso  d. 

9)  Orciuolo ;  forma  e  stile  come  il  precedente ;  alto  0,20.  Nel 
campo  una  palma ;  appresso  un  cavallo  verso  d.  guidato  da  un' Amaz- 
zone  vestita  di  corto  chitone  cinto  e  cuffia  aguzza,  munita  di  due 
aste  e  turcasso,  che  guarda  in  dietro. 

10)  Coppa  (f.  145  Fm-tw.,  ma  con  due  manichi),  alta  0,085. 
Era  anticamente  ristaurata.  Disegno  rilassato.  A  e  B  hanno  rappre- 
sentanza uguale,  cioe  in  mezzo  fra  tralci  di  vite  un  cavriolo,  a  d. 
ed  a  sin.  una  donna  vestita,  assisa  sopra  un  oxladiuc ;  l'una  alza 
una  ghirlanda,  l'altra  un  oggetto  bislungo. 

11)  Lekythos  (f  176  Furtw.)  corrispondente  al  tipo  descritto 
da  Furtw.  p.  416,  alta  0,20.  Disegno  molto  rilassato:  Dioniso  verso 
d.  assiso  ^wiYoxXudiag,  vestito  e  barbato,  con  ghirlanda  di  vite  at- 
tomo  alla  testa,  nella  sin.  il  corno  potorio.  Dinanzi  e  dietro  di 
lui  tralci  di  vite,  poi  un  Satiro  barbato  a  coda  di  cavallo,  che  corre 
verso  d. 

12)  Lekythos  alta  0,187.  Disegno  nero  su  fondo  bianco ;  forma 
e  tipo  corrispondenti  al  vaso  ateniese  presso  Furtwaengler  Berl. 
Vasens.  2023.  Atena,  vestita  e  munita  come  al  solito,  collo  scudo  al 
braccio  sin.,  vibrante  l'asta  nella  d.  alzata,  si  lancia  da  sin.  sopra 
im  Grigante  armato,  il  quäle,  corrente  <*  ginocchioni  n  verso  d.  si  volge 
in  dietro  per  vibrare  un  colpo  di  lancia  contro  la  dea.  Nel  mezzo 


262  LA    NECROPOLI   DI    SUESSULA 

fra  i  due  avversari  uu  uccello  (im'aqiüla  siiiranfora  caprese  a  Ber- 
lino  2127). 

13)  Lekythos,  come  la  precedente.  Piede  e  collo  sono  rotti; 
l'altezza  del  campo  bianco  e  di  0,125.  Atena  sta  montando  sopra 
una  quadriga  rossa  verso  d.,  dinanzi  Hermes  in  chitone  corto  e 
clamide  con  ornati  yiolacei ;  la  testa  col  petaso  e  rivolta  in  dietro, 
la  sin.  alzata,  la  d.  munita  del  caduceo,  a'  piedi  gli  stivali  soliti. 
Dietro  la  quadriga  Ercole,  volgendo  in  dietro  lo  sguardo,  nella  sin. 
protesa  il  tripode. 

Di  vasi  della  maniera  a  figiire  rosse  severa  finora  non  ve 
n'e  alcuno,  ad  eccezione  di  qiie'  pubblicati  sopra,  provenienti 
da'  cubi  di  tufo  e  del  eratere  di  Hieron  e  Makron. 
Invece  sono  lieto  di  poter  ora  pubblicare  nella  flg.  25 
e  siilla  tavolaXI,  XII  n.  5,  dietro  disegno  del  sig.  Eichler, 
la  bella  lekythos  policroma  a  fondo  bianco  descritta 
Bull.  1879,  148  seg.  (•),  alla  quäle  descrizione  e  spie- 
gazione  nuUa  ho  da  aggiungere.  Perö,  grazie  special- 
mente  alle  osservazioni  del  Furtwaengler,  siamo  oggi 
in  grado  di  fissarne  con  maggior  precisione  la  famiglia 
e  l'epoca.  Niente  ci  impedisce  di  stabilire  che  il  bei 
vaso  fosse  fabbricato  in  Atene  nel  primo  terzo  della 
guerra  peloponnesiaca ,  fors'anche  prima,  sempre  perö 
Fig.  25  prima  della  presa  di  Cuma  nel  420.  Tecnicamente  cor- 
risponde  al  primo  gruppo  fra  le  leciti  a  fondo  bianco 
dello  Stile  hello  e  specialmente  alla  lecito  berlinese  2443,  anch'essa 
insignita  di  iscrizioni,  aggiunta  altrettanto  frequente  ne'  primi  tempi 
di  questa  pittura  quanto  e  rara,  anzi  rarissima,  dal  secondo  periodo 
dello  Stile  hello  in  poi.  E  noto  oramai  pure,  che  le  scene  domestiche 
sono  piü  frequenti  ne'  primi  tempi  di  questa  pittura,  mentre  piü  tardi 
essa  abbracciö  esclusivamente  soggetti  sepolcrali.  Egregiamente  perö 
un  tipo  come  il  nostro  ci  addita  la  strada,  che  condusse  gli  artisti  ate- 
niesi  ad  ideare  quelle  composizioni  de'  rilievi,  come  p.  es.  di  quello 
per  Hegeso  {Arch.  Zeil.  1871  tav.  42),  nelle  quali  la  somma  sem- 
plicitil,  che  sembra  tanto  ingenua,  non  e  che  il  risultato  dello  studio 
comune  degli  scultori  e  pittori  de'  decennii  antecedenti. 


(')  Per  le  circostanze  del  ritrovamento   si   confrontino   anche   le  csatte 
osservazioni  di  D.  Marcello  Spinelli  stcsso  nelle  Notizie  degli  scavi  1879  p.  188. 


II  primo  posto  fra 
dovnto    ad    im'  idria, 


LA  NECROPOLI  DI  SUESSÜLA  263 

Questo  vaso  ed  il  seguente,  ognuno  lo  vede,  sono  divisi  da  iino 
spazio  di  tempo  considerevole ;  gli  scavi  fiitiiri  c'insegneranno,  se 
ciö  dipenda  dal  caso,  OYvcro  sia  conseguenza  degli  avvenimenti 
politici. 

i  vasi  a  figure  rosse  della  maniera  libera 
che  rappresenta  il  giudizio  di  Paride, 
n.  1  della  tav.  XI,  XII.  E  un  vaso 
interessante  sotto  vari  aspetti.  Fii  tro- 
vato  in  terra  sciolta  presso  iina  tomba 
di  tiifo.  La  forma  dell'idria  (tig.  2(3), 
alta  0,385,  corrisponde  a  Furtw.  41, 
il  tipo  al  primo  gruppo  fra  le  idrie 
della  seconda  metä  dello  stile  bello, 
cioe  del  tempo  poco  posteriore  all'a.  420 
incirca:  Furtw.  II  p  741  num.  2633. 
2634.  II  disegno  del  gruppo  principale 
e  libero  si,  ma  ancora  molto  accurato ; 
dappertutto  si  scorge  lo  scMzzo  del- 
l'ignudo  eseguito  a  linee  leggermente 
graflite.  Piü  trascurato  e  il  disegno 
delle  quattro  figure  secondarie.  Le  tracce  di  lottere  —  se  veramente 
sono  lettere  —  non  danno  senso  veruno.  La  rappresentanza  e  diyisa 
in  due  piani.  Paride,  munito  di  due  aste,  nel  ricco  costume  frigio, 
sta  seduto  piü.  in  alto  verso  d.,  discorrendo  con  Hermes,  che  gli 
sta  dinanzi  con  la  gamba  d.  sollevata;  della  vita  pastorizia  non 
e  rimasto  altro  indizio  che  un  bue,  di  cui  la  sola  parte  anteriore 
e  visibile.  Nel  mezzo  del  quadro,  ma  nel  piano  inferiore,  fra  due 
raraoscelli  d'ulivo,  sta  Atena,  ritta  in  piedi,  veduta  di  faccia,  nel 
Chitone  dorico  (di  cui  gli  orli  sono  distinti  da  una  larga  striscia 
scura),  con  egide,  scudo,  elmo  ed  un'asta  a  doppia  puuta.  La  dea 
aspetta  in  tranquilla  maestä ;  soltanto  la  faccia  e  rivolta  verso  Pa- 
ride, al  cui  giudizio  sembra  che  ella  non  dia  grande  importanza. 
II  pittore  ateniese  ha  trattato  con  una  certa  fiera  predilezione  la 
sua  dea  patria.  Dietro  Atena,  suUo  stesso  livello  con  Paride,  si 
•vede  Afrodite,  che  si  mostra  molto  interessata  alla  gara:  con  mano 
alzata  esprime  l'emozione  che  le  cagiona  la  vittoria  indicatale  dal- 
r  Brote,  che  le  si  avvicina  con  ghirlanda  in  mani;  la  colomba  al  di- 
sotto  della  dea  non  e  troppo  ben  riuscita.  Fin  qui  la  composizione 


Fig. 


26 


264  LA   NECROPOLI   DI   SUESSULA 

e  soddisfacente.  Ma  assai  strano  sembra  il  posto  assegnato  ad  Hera, 
dietro  Paride  e  rivolta  verso  sin.,  quasi  nulla  avesse  a  che  fare 
con  la  scena  principale.  I  fiori  sopra  la  fronte  e  lo  scettro  indicano 
la  sua  alta  dignitä,  che  per  altro  nel  suo  costiime  non  si  palesa 
affatto.  E  qiiesta  Hera  e  aggriippata  con  im  giovane  frigio,  sia  che 
ella  gli  discorra  sia  che  lo  ascolti ;  egli  le  sta  dinanzi  ed  alza  la 
mano  d.  giiardandola  fissamente :  sembra  riüuti  una  qualche  offerfca 
fattagli  dalla  dea  im  momento  prima.  Ne  si  puö  separare  da  qiiesto 
Frigio  iina  donna  semplice  a  sin.,  la  quäle  con  una  mossa  impe- 
riosa  della  mano  d.,  come  se  avesse  un  diritto  sopra  quel  giovane, 
lo  chiama  a  se.  Vedendo  separate  dal  gruppo  principale  queste  tre 
figure,  ben  si  potrebbe  pensare  ad  un  momento  di  indecisione  in 
Paride,  quando  il  suo  antico  amore  per  Oinone  non  era  ancora  vinto 
dalla  offerta  seduceute  di  Afrodite.  Spiegando  in  tal  senso  l'arche- 
tipo  di  questo  gruppo,  non  farebbe  piü  difficolta  di  riconoscere 
l'antica  Afrodite  nella  figura  di  apparenza  modesta  dietro  1' Afro- 
dite attuale,  adesso  senza  significato,  la  quäle  con  la  d.  alzata  tira 
il  Chitone  sopra  l'omero  destro  in  modo  siraile  al  ben  noto  tipo  della 
"  Venere  genitrice  ".  II  vecchio  barbuto  nell'ampio  manto,  con  una 
larga  benda  intorno  al  capo,  lo  scettro  grande  nella  mano  destra, 
era  Giove  nella  composizione  originale.  Non  so,  se  avrö  il  plauso  dei 
colleghi  spiegando  la  strana  composizione  in  questa  maniera,  che  io 
stesso  riconosco  per  abbastanza  singolare;  ma  non  saprei  trovarne 
interpretazione  alcuua  senza  ammettere  una  coufusione  di  due  scene 
divise  originariamente  fra  loro. 

E  un  fatto  rimarchevole,  che  la  rappresentanza  del  giudizio  di 
Paride  ricorre  tre  volte  in  quella  famiglia  non  tanto  grande  di  idrie 
di  questo  stile  hello  libero,  che  nella  forma  e  tecnica  del  vaso,  nello 
Stile  del  disegno,  neU'aggruppamento,  nelle  mosse  delle  figure,  nel 
trattamento  delle  cose  secondarie  ecc,  mostrano  una  tale  aflfinitä 
fra  loro,  da  formare  veramente  una  famiglia,  appartenente  non  sol- 
tanto  alla  comune  patria  ateniese  ed  alla  stessa  epoca,  ma  proba- 
bilmente  eziandio  alla  stessa  fabbrica.  Parlo  dell'idria  vulcente  a 
Berlino  2633  e  della  chiusina  a  Palermo  (Overbeck  ITeroetigalle- 
rie  p.  226,  8).  Su  quei  due  vasi  pure  vi  sono  certe  figure  secon- 
darie che  lianno  fatto  agli  interpreti  delle  diflficoltii  serie.  Senza 
volere  entrare  qui  in  una  discussione,  raccomando  di  coufrontarli 
con  l'idria  suessulana.  Quel  pittore  non  sapeva  vincere  la  difficolta 


LA  NECROPOLI  DI  SUESSÜLA  265 

di  ornare  tutto  il  venire  d'un'idria  di  circonferenza  considerevole 
con  ima  composizione  adatta  soltanto  a  riempir  lo  spazio  raolto 
piü  ristretto  di  im  lato  d'un'aufora. 

Degli  altri  vasi  assai  niimerosi  a  figure  rosse,  per  lo  piü  tro- 
vati  in  tombe  di  tiifo,  non  posso  in  questo  liiogo  tessere  il  catalogo. 
Fra  i  piii  belli  e  un'anfora  del  secolo  qiiarto,  alta  0,50,  la  quäle 
mostra  sulla  parte  nobile  im  convegno  di  donne  del  mondOj  ima  delle 
sollte  «  conversazioni  "  allegre:  IPPOAAMN-,  lA^n,  A^TEPIA, 
EYPYNOM-  sono  i  loro  nomi  dipinti  a  color  bianco;  airiiltima 
P030i.  mette  la  scarpa,  mentre  EPill,  colle  ali  grandi,  un  basso 
canestro  sulla  mano,  fa  da  cavaliere  ad  Hippodamna.  II  disegno  della 
parte  posteriore,  che  mostra  im  « ratto  di  donna  " ,  e  molto  meno  ac- 
curato. — Un  piccolo  orciuolo  della  stessa  epoca,  alto  0,11,  fa  ve- 
dere  ima  ragazza  vestita,  assisa  sopra  una  roccia  dirimpetto  ad  im 
albero  ;  siiona  la  cetra  col  plettro  nella  d.  —  Sopra  una  lecito,  pure 
a  figure  rosse,  si  vede  la  sflnge  seduta  in  posizione  pensierosa 
dinanzi  ad  una  colonna.  —  Sara  qui  il  iuogo  per  osservare  che  del  bei 
vaso  in  forma  d'una  testa  di  moro,  menzionato  Bull.  1878,  150, 
esiste  im  altro  esemplare,  proveniente  da  Tanagra,  nella  coUezione 
della  societä  archeologica  greca  in  Ateno  (n.  1978),  il  quäle  corri- 
sponde  a  quello  suessiilano  perfettissimamente ;  ml  pare  molto  pro- 
babile  che  tutti  e  due  provengano  dalla  stessa  fabbrica  ateniese. 
Un  terzo  simile,  trovato  in  una  tomba  capuana,  e  a  Berlino:  Va- 
seiisamml.  2757. 

Assai  grande  si  e  adesso  il  numero  de'  vasi  di  fabbrica  cam- 
paua;  anzi  si  puö  oramai  dire,  che  non  esiste  veruna  collezione  ('), 
che  ci  offra  im  cospetto  piü  istruttivo  della  ceramica  campana  dal 
quarto  al  secondo  secolo.  Di  imitazioni  di  vasi  a  figure  nere,  fre- 
quenti  a  Cuma  nel  quarto  e  terzo  secolo,  ho  veduto  a  Suessula  una 
solamente,  una  lekythos  col  Pegaso  imbrigliato  verso  d.  in  mezzo 
a   due   uomini  correnti   nella  stessa  direzione,  d'im  disegno  assai 


-'s' 


(')  Esclusa  forse  la  cumana  del  sig.  Stevens.  Faccio  voti  anche  in  questa 
occasione,  perche  quel  nostro  socio  tanto  baue  merito  della  couoscenza  del 
territorio  ciimano,  alla  fine  riesca  a  superare  le  difficoltä  che  finora  lo  irape- 
dirono  di  ordinäre  ed  esporre  i  suoi  tesori  importanti,  di  guisa  che  anche  nui 
altri  possiamo  studiarli,  impararne  a  nostro  agio  ed  a  pro  della  scienza  co- 
mune,  ed  apprezzare  degnamente  il  valore  delle  ricerche  istituite  per  nove 
anni  da  quel  coscienzoso  osservatore. 


266  LA    NECROPOLI   DI   SUESSDLA 

scomposto.  Bene  si  confronta  con  qiiesta  lecito  una  tazza  (diam.  0,23, 
maniera  del  terzo  secolo),  nel  cid  centro  si  scorgono  dipinti  in  rosso 
SU  fondo  nero  diie  uomini  coricati  sopra  \m  lettuccio;  dinanzi  a 
loro  una  tavola  con  ramoscelli  e  cibi  dipinti  in  bianco  e  giallo; 
le  pareti  sono  ornate  esternamente  d'un  si.stema  di  linee  e  ghir- 
lande  nere,  e  sotto  i  manici  si  scorge  un  Satiro  dipinto  in  nero.  — 
Stragraude  e  il  numero  di  yasi  a  figure  rosse,  i  quali  anclie  per  il 
peso  e  per  la  cottura  si  palesano  come  prodotti  indigsni.  Tazze, 
coppe,  orciuoli  a  bocca  di  trifoglio  ed  anfore  sono  le  forme  predilette. 

Neanche  mancano  le  imitazioni  di  quei  vasi  a  vernice  nera 
lucida  che  delle  volte  sono  striati  e  ornati  di  ghirlande  dorate,  fra 
idiie,  anfore  ed  orcinoli:  perö  inyece  dell'oro  vi  e  adoperato  uno 
Strato  sottilissimo  di  creta  gialla.  In  tal  modo,  profittando  del  color 
naturale  della  creta  gialla  ed  aggiuDgendovi  la  creta  bianca,  il 
tutto  sopra  fondo  nero  anche  nou  verniciato,  riuscivano  a  produrre 
effetti  artistici  assai  graziosi,  non  conoseiuti  a'  pignattari  ateniesi. 
Ho  osservato  in  Ateno  piatti,  tazze,  coppe,  con  tali  tralci  d'edera  ecc, 
somiglianti  per  forma  ed  invenzione  alle  numerose  suessulane:  i  mo- 
delli  di  queste  ultimo  saranuo  state  imporiate,  e  puö  darsi  che 
qualcuna  di  importate  nella  raccolta  suessulana  si  trovi;  la  gran 
massa  perö  fuor  di  dubbio  e  indigena. 

S'intende  da  se  che  assai  considerevole  e  anche  il  numero 
de'  vasi  neri  con  ornamenti  a  stampo  —  fra  i  quali  noto  alcuni  con 
teste  di  Sileno  arcaizzanti  d'un  tipo  nuovo  per  me,  forse  antico  cal- 
cidese  —  nonche  di  quei  vasi  ornati  d'una  specie  di  rete  e  ramo- 
scelli dipinti  in  bianco  e  rossastro  su  fondo  nero  non  verniciato,  che 
furono  trovati  a  Pompei  nelle  stesse  tombe  con  alcuni  de'  prece- 
denti  (i),  e  cosi  anche  a  Cuma,  Capua,  Alife.  Anche  questi  due  tipi 
sono  d'origine  ateniese,  benche  la  fabbrica  di  questi  esemplari  sia 
campana. 

Nel  BiilL  1878,  150  e  1879,  157  comunicai  alcune  iscrizioni 
cosi  dette  campano-etrusche,  delle  quali  una,  la  piü  antica  appa- 
rentemente,  fu  trovata  sopra  una  tazza  dipinta  del  quarto  o  terzo  se- 
colo, le  altre  su  vasi  neri  piii  receiiti  ancora,  di  un'  epoca  dunque, 
quando  non  si  puö  parlare  attatto  di  Etruschi  in  Campania.  Fu 
accresciuto  il  numero  di  tali  iscrizioni  per  le  seguenti: 

(i)  L'uU.  de ir List.  1874,  165  scg. 


LA   NECROPOLI   DI   SUESSULA  267 

1)  Iscrizione  graffita  sul  lato  esteriore  d'una  tazza  a  vernice 
nera  trovata  neu'  estate  passata  in  una  tomba  di  tufo,  piena  di 
vasi  a  ornamenti  graffiti  del  genere  proprio  al  terzo  secolo.  Ne 
debbo  il  liicido  alla  cortesia  di  D.  Marcello  Spinelli: 


'i^Msorm^ii^'U'^immymmwmmim 


2)  Tazza  a  vernice  nera  liicida,  accommodata  con  cliiodi  an- 
ticamente.  Sulla  parte  esterna  si  legge  questa  iscrizione  graffita: 

I  m  ^  ^  I N  t  A I  ^  ^  m  V  H 

e  8otto  il  manico:  IHK  AH  (forse  inverso) 

3)  Tazza  a  vernice  nera ;  graffita  nella  parte  esterna  : 

I  m /<i  >j  V  txi  V  a /<)  s 

4)  Sopra  im  vaso  di  bucchero  nero : 

ivn 

Siecome  p.  es.  in  quest'ultimo  semestre  lo  stesso  Deecke  quasi 
contemporaneamente  cita  queste  iscrizioni,  pur  troppo  enimmaticlie, 
fra  le  etrusche,  dicendole  "  scritte  in  un  dialetto  misto,  mezzo 
etrusco  mezzo  osco  «  (presso  Groeber  Grimdriss  der  roman.  Philol, 
Strassbm-g  1886,  pag.  346)  e  nega  il  loro  carattere  etrusco  dichia- 
randole  italiclie  {Wochenschrift  für  klass.  Philol.  1887,  100);  cosi 
Uli  sarä  lecito  di  continuare  a  chiamarle  « epicoriche  « ,  senza  attri- 
buir  loro  una  denominazioue  etnologica  qualsiasi.  La  loro  cerchia 
geografica  sino  dal  1878  {Bull.  1878,  150  not.)  ha  avuto  l'aumento 
di  Marcianise  {Nolisie  degli  scavi  1885,  322). 

Finalmente  due  marcbe  di  fabbrica: 

1)  ^A  graffita  nel  foudo  d'una  coppa  nera. 

2)  y\  sotto  il  manico  d'una  tazza  verniciata  a  nero  plumbeo. 
Un  esatto  elenco  delle  numerose  monete  trovate  fino   adesso 

a  Suessula  (cf.  Bitll.  1879,  158),  spero  di  poter  darlo  un'altra  volta, 
quando  le  avrö  esamiuate  coll'aiuto  de'  libri  necessari.  Qui  basta 
dire,  che  delle  molte  imperiali,  tutte  di  bronzo,  nessuna  si  trovö 
neH'interno  delle  tombe,  le  quali  al  contrario  ci  fornirono  esclu- 
sivameute  monete  greche  campane,  quasi  tutte  di  bronzo,  dal  quarto 


268  LA   NECROPOLI   DI   SÜESSULA 

secolo  in  poi  (^),  denarii  e  vittoriati  romani,  tre  pezzi  di  aez  grave 
e  due  pezzi  di  aes  rüde ;  per  qiiesti  Ultimi  sono  inclinato  a  cercare 
la  spiegazione  siilla  via  iudicata  da'  fatti  osservati  (-')  nella  necropoli 
d'Alife,  somigliaute  sotto  tanti  rispetti  al  periodo  piü  recente  di 
Suessula. 

Assai  curioso  si  e  il  ritrovamento  d'uu  piccolo  pezzo  tondo  d'ar- 
gento,  diam.  0,015,  rinchiuso  in  im  globetto  di  creta  che  ne  rice- 
vette  l'impronta:  A.  Testa  muliebre  vediita  di  faccia,  con  indizio 
della  veste  che  cuopre  il  petto.  B.  Sistema  di  raggi  graffiti,  ton- 
deggianti  e  paralleli,  simili  alla  parte  esterna  delle  ordinarie  con- 
chiglie  blanche;  neauche  l'amico  Tmhoof-Bhimer,  al  quäle  ne  mo- 
strai  una  impronta,  seppe  darne  una  spiegazione. 

Eimarchevole  per  simile  circostanza  di  ritrovamento  si  e  una 
piccola  cornalina  lavorata,  che  usci  da  un  pezzo  di  pietra  quarzite 
bianco  e  nero,  dopo  che  questo  fu  spezzato. 

Finalmente  non  voglio  passar  sotto  silenzio  una  figurina  di 
bronzo,  che  fu  trovata  casualmente  in  terra  nuda  fuori  della  necropoli 
e  rappresenta  un  cretino  in  atto  di  masturbarsi :  lavoretto  di  somma 
maestria  d'invenzione  ed  esecuzione,  di  cui  perö  il  soggetto  vieta 
la  pubblicazione. 

Non  avendo  altro  per  ora  da  comunicare,  mi  resta  il  gradito 
dovere,  di  ringraziare  pubblicamente  il  barone  D.  Marcello  Spinelli, 
per  la  sqiüsita  cortesia  con  la  quäle  anche  questa  volta  ha  voluto 
agevolarmi  lo  studio  degli  scavi  e  de'  tesori  suessulani,  e  di  augu- 
rargli  molti  e  fecondi  scavi  futuri  in  questo  sito  vergine  ed  ancora 
tanto  promettente. 


(1)  E  interessante  la  relativa  frequenza  delle  monete  greche  di  Velia, 
testimonianza  di  una  forte  corrente  commerciale  che  legö  Velia  alle  cittä  del 
golfo  di  Napoli,  confcrmata  da  altri  indizi  simili.  Cosi  p.  es.  nel  ripostiglio 
capuano  trovato  nel  1855  [Ann.  dclVInst.  1878,  113)  dopo  le  monete  di  Napoli 
quelle  di  Velia  e  di  Taranto  erano  le  piü  numerose ;  cosi  in  una  raccolta  di 
oggetti  anticlii  per  lo  piü  provenieuti  dal  circondario  di  Literno  (Patria)  ed 
Aversa,  che  potei  esaminare  Tanne  passato  presso  il  gentilissimo  proprietario 
sig.  barone  Eicciardi  in  Aversa,  fra  le  monete  preromane  erano  di  gran  lunga 
le  piü  frequenti  quelle  di  Velia,  colle  quali  neanche  in  paragone  potevano 
mettersi  quelle  di  Napoli,  di  Nola,  Pesto  e  le  osche. 

(2)  Uressel   Ilistor.  und  philol    Aufsaetze,  Ernst   Curtius  gewidmet 
p.248;  Ann.  deWInst.  1884,  254. 


LA  NECROPOLI  DI  SÜESSÜLA  269 


APPENDICE 


I.  La  comime  iwovenienza  da  Cmna  delle  urae  dl  hrotuo 
e  delle  eiste  a  cordoni. 

La  mia  supposizione,  che  tanto  gli  oggetti,  in  ispecie  le  urne 
di  bronzo,  che  formano  il  corredo  delle  tombe  a  cubo  di  tiifo,  quanto 
tutta  questa  maniera  di  sotterrare  gli  avanzi  braciati,  affatto  eso- 
tica  alla  Campania  osca,  siano  doviiti  al  commercio  cumano  ('),  ha 
trovato  ima  solenne  conferma.  11  sig.  Stevens,  scavando  in  Cuma, 
parecchie  volte  uegli  Ultimi  anni  incontro  tombe  di  quel  genere, 
comnnemente  chiamate  dagli  scavatori  con  ima  parola  piü  espres- 
siva  che  poetica  «  cacatoi  •'  sia  anticamente  violati  (-),  sia  col 
loro  contenuto  corrispondente  a  quello  delle  tombe  capuane;  con 
questa  diversitä  perö,  che  a  Cuma  non  si  trovano  che  rarissime 
volte  le  urne  di  bronzo  con  quelle  flgure  plastiche  sul  coperchio  come 
a  Capua  ed  ora  a  Suessula.  Ordinariamente  vi  si  trovano  le  urne 
di  bronzo  senza  ornamento  veruno  e  sono  accompagnate  da  un  cor- 
redo di  vasi  cretacei  piuttosto  semplice.  Da  certi  altri  fatti  di  scavo 
perö  si  rileva  con  certezza,  che  pure  quella  gente  cumana  era  agiata 
ed  avvezza  al  lusso.  Anche  una  cista  a  cordoni  (posseduta  dal 
sig.  Stevens)  fu  trovata  in  una  tomba  simile ;  l'istesso  mi  fu  assi- 
curato  delle  due  eiste  a  cordoni  nella  Raccolta  cumana  (3),  nonche 
di  tutte  le  urne  di  bronzo  semplici  di  quella  collezione.  Piü  nel- 
l'interno  perö  della  penisola  quest'uso  di  deporre  le  ceneri  in  cubi 
di  tufo  rimase  sconosciuto.  P.  es.  a  Piedimonte  d'Alife,  secondo  che 
mi  fu  affermato  dal  sig.  Egg  dinanzi  agli  oggetti  stessi,  una  cista 
a  cordoni  di  lavoro  finissimo  (alta  0,205)  con  due  manichi  imi- 
tanti  il  disegno  di  filato  di  corda,  attaccati  al  ventre  mediante  due 

(•)  Ann.  delVInst.  1879,  129;  Grundzüge  einer  Geschichte  Campaniens 
in    Verhandl.  d.  Philol.-Vers.  in  Trier,  150. 

(2)  Cf.  Ann.  deWList.  1879,  130;  Barnabei  Bull.  deWInst.  1885,  8. 

(3)  L'origine  cumana  delle  eiste  a  cordoni  in  genere  fu  resa  digiä  assai 
verisimile  dallo  Heibig  Ann.  deWInst.  1880,  252;  cf.  Pigorini  Bull,  di  pa- 
letn.  Xm,  83-88. 

18 


270 


LA    NECROPOLI   DI    SUESSULA 


elegantissime  cerniere,  fu  disseppelliia  insieme  ad  im  niimero  con- 
siderevole  di  orciuoli,  ima  patera  ed  altri  arnesi  di  bronzo  del  quarto 
secolo  tt  nel  nudo  terreno  »,  cioe  in  iina  tomba  ad  umazione  e 
sarcofago  di  legno,  del  quäle,  come  al  solito,  non  rimase  altro 
che  alcimi  chiodi  di  ferro. 

IL  Due  figure  centrali  di  urne  dl  hronso. 

Alle  due  figure  di  adoranti  (v.  sopra  p.  239  fig.  7  e  8^^)  ag- 
o-iungo  due  altre  (fig.  27  e  28)  di  destinazione  simile,  che  pure  a 
Norimberga  ho  fatto  disegnare  daü'architetto  Haeberle. 


Fig.  27 


Fig.  28 


rig.  27  (alta  0,113)  stava  ancora  saldata  sul  coperchio  del- 
l'uraa  (alta  0,247)  (').  E  un  giovine  ignudo  che  si  prepara  al  salto; 
il  piede  sinistro  sta  fisso  sul  suolo,  il  destro  in  dietro ;  nel  prossirao 
momento  il  destro  prendera  le  veci  del  sinistro  e  tutta  la  figui-a 
si  slancerä  innanzi  coU'aiuto  delle  braccia  munite  come  pare  di 
manubrii:    nella    mano    sinistra  ho  potuto  scorgere  un   avanzo  al- 


(1)  E  capuana  quest'urna  e  fu  esposta  come  tale  nella  mostra  archeolo- 
gica  di  Caserta  nel  1879:  Minervini  Guida  illustrativa  dclla  mosLra  archcol. 
Campana.  Napoli  1879  p.  Gl,  1585  (cf.  Ann.  dn-WImt.  1879,  157). 


•     LA    NECROPOLI   DI   SUESSULA  271 

meno  di  im  oggetto  che  non  so  spiegare  altrimenti.   E  questo  uii 
nuoYO  tipo  atletico  fra  qiielli  adoperati  per  ornare  tali  iirne. 

E  se  talimo  potesse  essere  inclinato  a  scorgere  in  tali  figiire 
atletiche  dell'arte  caleidese  rinflusso  del  Peloponneso,  ogni  sospetto 
suiroriginalitä  ionica  dovrä  svanire  dinanzi  al  Sileuo  danzante  cbe 
si  ammira  flg.  28.  Non  ho  visto  a  Norimberga  delFurna  relativa 
altro  che  il  coperchio  con  questa  ligiira  fissatavi  sopra  (alta  0,10) ; 
l'intiera  iirua,  di  origine  capuana,  ancora  nel  1879  si  trovava  a  Ca- 
serta(^).  E  im  Sileno  barbato  con  piedi  eqiüni  ed  orecchie  di  maiale, 
oggetto  prediletto,  come  ora  tiitti  sanno,  dell'arte  ionica  (-),  la  qiiale 
ne  forniva  l'esempio  tanto  a'  pittori  vascolari  di  Corinto  e  di  Atene 
quanto  a'  cesellatori  etriischi.  E  la  seconda  volta  soltanto,  che  tro- 
viamo  im  Sileno  ionico  nella  Campania;  il  primo  esempio  pure  ce  lo 
form  una  simile  oUa  capuana  {^).  Non  ostante  la  esecuzione  rozza 
e  difettosa,  qnella  goffaggine  umoristica  propria  ai  Sileni  dei  bassi- 
rilievi,  delle  pitture,  delle  monete ,  dei  poeti  stessi  della  Grecia 
ionica  e  riprodotta  con  spirito  e  non  senza  una  certa  maestria. 

III.   L'epoca  delle  urne  di  bron:o, 

Piü  arcaiche  del  quinto  secolo  finora  non  se  ne  sono  trovate. 
Fino  a  poco  fa  fui  persuaso  che  piü  tardi  del  420  non  fossero  fab- 
bricate  (^).  Avrei  fatto  meglio  di  restare  fedele  all'antica  mia  tesi  (•'") 
fondata  sopra  il  vaso  Bonichi  (ß),  che  cioe  la  loro  fabbricazione  du- 
rasse  certo  sino  al  terzo  secolo  innanzi  Cristo.  Ne  fanno  fede  alcune 
seoperte  recenti,  comunicatemi  gentilmente  dal  sig.  Bom-guignon. 

1)  ürna  di  brouzo  trovata  presso  l'antica  Capua  in  una  tomba 
di  tufo  ( « tomba  greca  "  )  ("),  dove  era  collocata  in  un  piccolo  in- 
cavo  fatto  appositamente  nel  suolo  della  tomba.  Fu  veduta  e  de- 


(')  Minervini  1.  c.  p.  76,  1777. 

(2)  Heidelberger  Festschrift  zur  Karlsruher  PJiilologenver Sammlung  1 16 

C^)  Ann.  delVInst.  1879,  135,  9. 

(4)  Ann.  delVlmt.  1879,  153. 

(5)  Espressa  nel  Bull.  delVInst.  1876,  172. 

{^)Ann.  delVInst.  1879,  139,  28.  Infelicemente  quel  vaso  importantissimo 
resta  nascosto  non  si  sa  dove. 

(")  Per  questo  genere  di  tombe  vedi  Bull.  delVInst.  1876,  174;  1878,  32. 
U7;  1879,  147. 


272  LA  NECROPOLT  DI  SÜESSULA  • 

scritta  da  me  neH'aprile  dell'anno  scorso  presse  il  sig.  avv.  Ber- 
,nardo  Califano  di  S.  Maria.  Altezza  deirurna  (seuza  coperchio)  0,265. 
A  chi  Yoglia  coufrontarla  colle  urue  piü  aiitiche,  sembrerä  il  co- 
perchio formato  piü  a  cupola  che  a  piattello,  tutta  la  forma  perö 
dell'iu-na  piii  allargata  ed  appiattata.  L'ornamento  delle  spalle  e 
il  solito,  al  di  sotto  del  qiiale  si  vedono  spirali  iinite  a  due  a  due 
in  direzione  verticale  a  foggia  di  palmette;  l'orlo  e  dentellato;  sopra 
il  niargine  ti  scorgono  piccoli  cuscinetti  tondi,  che  se:vivano  a  man- 
tenere  il  coperchio  al  suo  posto.  Da  bottone  del  coperchio  serve  iina 
ligiirina  virile  ignuda  ed  imberbe  (alta  0,116)  in  atto  di  cammi- 
uare,  avanzandosi  col  piede  sinistro.  Dal  braccio  sinistro  pende  iiua 
pelle  leonina,  la  destra  alzata  vibraya  un'arma,  la  quäle  secondo 
il  traforo  della  mano  chiiisa  ben  piiö  essere  stata  una  clava.  I  ca- 
pelli  sono  soltanto  abbozzati.  II  lavoro  e  grossolano  fei,  ma  fa  vedere 
chiari  segni  della  maniera  realistica,  propria  a'  lavori  di  origine 
nazionale  italica.  Forse  per  la  storia  di  qiiesto  tipo  d'Ercole  non  sarä 
senza  Interesse  l'osservazione,  che  D.  Ferdinando  Colonna-Stigliano 
a  Napoli  possiede  parecchie  figiirine  somigliantissime  alla  nostra,  che 
provengono  da  Pontecagnano,  vicino  a  Salerno,  dove  fu  trovata  pure, 
insieme  con  altri  oggetti  feuicii,  presso  la  casina  di  campagna 
de'  signori  de  Veiro,  la  coppa  fenicia  pubblicata  dal  Lignana  ne'  Mon. 
dell'Inst.  IX  tav.  XLIV. 

Non  oserei  attribuire  alla  figurina  e  all'urna  nostra  un'etä  mag- 
giore  dol  terzo  secolo  av.  Cr.;  e  ciö  vien  confermato  dallo  stile  di 
alcuni  vasi  dipinti,  estratti  dalla  medesima  tomba  di  tufo  ed  esa- 
niinati  da  me  presso  lo  stesso  proprietario.  Sono  tutti  e  tre  dell'epoca 
ellenistica,  prodotti  dell'arte  campana  dal  quarto  al  terzo  secolo : 

1)  Anfora  (forma:  fra  il  49  ed  il  52  dello  Heydemann), 
alta  0,57.  Nel  mezzo  si  erge  una  stele  sepolcrale,  coiracroterio  a  fog- 
gia di  palmetta,  tutta  dipinta  in  bianco.  A  sin.  sta  assisa  verso  sin.  una 
donna,  riccamente  vestita  ed  omata,  i  capelli  raccolti  in  una  cuffia,  con 
la  sin.  appoggiata  sopra  un  canestro  bianco,  la  testa  rivolta  verso 
il  sepolcro,  nella  d.  alzata  uno  specchio.  AI  di  sotto  del  canestro  si 
osserva  una  cassetta.  Dinanzi  a  questa  donna  sta  una  ragazza,  col  Chi- 
tone senza  maniche,  nella  d.  una  Corona,  la  sin.-  stesa  inuanzi;  al 
di  sopra  di  lei  un  uccello  della  famiglia  delle  aquile.  Piü  a  sin. 
accorre  un'altra  ragazza,  anch'essa  col  chitone  dorico;  ha  sulla  d. 
un  canestro,  nella  sin.  un  bastoae  che  finisce  a  gui«a  di  cipresso, 


LA   NECROPOLI   DI    SÜESSÜLA  273 

ricordando  cosi  im  poco  la  forma  del  tirso.  Da  destra  si  avvicinano 
al  sepolcro  una  donna  vestita  con  mi  canestro  sulla  sin.  ed  una 
Corona,  dipinta  in  bianco  e  giallo,  nella  d.;  quindi,  a  grandi  passi 
e  guardando  indietro,  una  ragazza  col  chitone  senza  maniche  e  con 
la  ciiffia;  ha  sulla  sin.  un  canestrino,  nella  d.  ima  Corona.  —  La 
parte  posteriore  viene  tutta  occupata  da  palraette.  —  Sülle  spalle 
una  pantera,  un  toro  che  si  difende,  tutti  e  due  verso  d.,  ed  un 
lione  verso  sin. 

2)  Anfora  (forma  somigliantö  a  Heydemann  82,  ma  con  ma- 
nichi  semplici  come  p.  es.  al  n.  62),  alta  0,63.  A :  Nel  mezzo  una 
stele  sepolcrale  coU'acroterio  a  foglia  di  loto,  dipinta  in  bianco  ad 
eccezione  dello  zoccolo,  che  mostra  color  di  creta.  A  sin.  del  se- 
polcro un  giovane  ignudo  verso  d.,  appoggiato  sul  bastone  coperto 
dal  panneggio  in  guisa  che  il  peso  del  corpo  e  sorretto  dalla  gamba 
destra ;  ha  la  testa  cinta  da  una  benda,  il  nastro  della  quäle,  anno- 
dato  sopra  la  fi-onte,  si  alza  pressoche  verticalmente.  Gli  corrisponde 
a  destra  del  sepolcro  una  fanciuUa  che  arriva,  col  chitone  dorico, 
ornata  come  al  solito,  nella  d.  un  timpano,  una  cassetta  nella  sin. 
AI  di  sotto  due  figure  coricate :  a  d.  un  giovane  verso  d.  che  guarda 
in  dietro  appoggiandosi  sul  gomito  d.,  mentre  la  sin.,  che  posa  sul 
ginocchio  sin.,  tiene  un  lungo  bastone;  a  sin.  uu'altra  ragazza,  si- 
milmente  vestita  ed  ornata,  con  un  basso  canestro  sulla  d.  —  Sul 
collo  del  vaso  un  Satiro  dalla  coda  lunga,  che  corre  verso  sin.,  im 
basso  canestro  sulla  sin.,  nella  d.  una  Corona.  Le  spalle  del  vaso  sono 
einte  da  una  Corona  d'ulivo,  la  bocca  da  ramoscelli  d'edera  dipinti 
in  bianco.  —■  B.  Da  destra  viene  un  Satiro,  da  sin,  una  giovi- 
netta ;  fra  loro  sta  un  altare,  sul  quäle  si  scorgono  tre  frutti, 
dipinti  in  bianco  e  giallo.  II  Satiro  sta  per  aggiungervi  una  Corona 
dipinta  cogli  stessi  colori;  egli  e  munito  d'un  tirso  a  foggia  di  ci- 
presso  nella  sin.;  una  catena  di  perle  gli  cinge  il  petto  a  guisa  di 
sciarpa;  bende  blanche  si  scorgono  nei  capelli;  la  donna  ha  sulla 
sin.  un  canestro  bianco  e  giallo,  nella  d.  un  timpano,  sulla  testa 
un  panno.  —  Sul  collo  una  giovane  donna  verso  sin.,  nella  d.  uu 
tirso  della  forma  descritta,  sulla  sin.  un  canestro. 

3)  Vaso  (forma  128  Hey  dem.),  alto  0,37.  A.  Un  Satii'O  dalla 
coda  lunga  verso  sin.,  col  piede  destro  posato  sopra  un  basso  ca- 
nestro ;  ha  nella  d.  un  tirso;  la  sin.  e  alzata  come  per  accompagnare 
un  discorso;  una  benda  bianca  gli  cinge   il   petto,  altra   simile  i 


274  LA   NECROPOLI   DI   SUESSULA 

capelli.  B.  Giovane  ammantato  verso  sin.,  nella  mano  una  Corona 
gialla  e  bianca.  —  Ornamenti  e  palmette  stanno  ai  lati  delle  figure. 
Si  noti  come  ciiriositä,  che  lo  scheletro  di  qiiesto  sepolcro  avea 
l'una  delle  gambe  artificiale,  molto  ben  fatta  di  legno  rivestito  di 
bronzo  con  sostegni  di  ferro,  che  avranno  servito  da  cerniere.  Questa 
gamba  e  passata  in  possesso  della  societä  chirurgica  d'Inghilterra 

a  Londi-a(0- 

2)  Urna  di  bronzo,  ritrovata  come  la  precedente  in  una 
« tomba  greca  "  presso  l'antica  Capua,  anch'essa  da  me  veduta  e  de- 
scritta  presso  il  sig.  avv.Bernardo  Califano,  alta  0,32  (senza  la  tigura). 
L'intiera  iirna  ha  la  forma  quasi  del  tutto  rotonda;  il  coperchio  si 
avviciua  molto  all'emisfero.  In  cima  al  coperchio  si  erge  una  figu- 
rina  femminile,  alta  0,272,  vestita  del  chitone  con  maniche  fino  al 
gomito  6  di  un  mauto  che  cuopre  il  corpo  fino  alla  metä  delle  cosce 
ad  eccezione  del  petto,  della  spalla  e  del  braccio  destro.  Sta  libando 
con  la  mano  destra  da  ima  patera;  la  sinistra,  pure  protesa,  te- 
neva  un  oggetto  sacro  ora  sparito,  afferrandolo  come  si  afferra  un 
bastoncello.  11  capo  e  cinto  da  una  stetane,  i  capelli  raccolti  sul- 
loccipite  cadono  giü  dal  medesimo.  II  movimento  della  figm-a  e 
quello  de'  primi  tempi  ellenistici;  alla  stessa  epoca  conviene  la  ma- 
niera  del  lavoro  un  po"  secco  ma  diligente,  anche  dalla  parte  poste- 
riore. II  trattamento  delle  pieghe  e  quello  caratteristico  ancora  per 
la  scultura  romana. 

Di  vasi  di  terra  cotta   —  me  lo  assicurö  il  sig.  Califano  — 
niuno  fu  trovato  in  questa  tomba. 

3)  Urna  di  bronzo  di  foggia  tonda  simile  alla  precedente, 
caratteristica  per  quest' epoca  piii  tarda,  con  un  bottone  dentellato 
invece  della  solita  figurina.  Coli.  Bourguignon ;  proviene  da  S.  Maria 
di  Capua. 

4)  Figura  staccata  che  serviva  da  bottone  al  coperchio  di 
un'm-na  simile  trovata  tutta  rotta  in  una  tomba  di  tufo  a  S.  Maria, 
acquistata  l'anno  scorso  dal  sig.  Bourguignon,  presso  il  quäle  ho 
potuto  esaminarla  uell'ottobre  passato;  alt.  0,072.  E  un  Ercole  di 
tipo  e  Stile  affatto  corrispondente  a  quello  deH'urna  Califano  n.  1. 

.'))  Figura  staccata,  come  la  precedente,  trovata  a  S.  Maria, 

(1)  I/Lstituto  ne  ebbe  una  prima  iioiizia  dal  sig.  Bourguignon  :  Bull,  del- 
Vlnst.  1885,  169. 


LA    NECROPOLI    DI    SUESSULA  275 

acquistata  dal  sig.  Boiirgiügnon  eil  esaminata  da  me;  alt.  0,074. 
Donna  vestita  di  chitone  abbottonato  sulle  spalle  e  manto  che  lascia 
scoperto  il  petto  e  la  spalla  d.  Riposa  «iilla  gamba  d.;  la  testa  e 
iiYolta  im  poco  verso  sin.,  i  capelli  raccolti  suiroccipite.  Nella  destra 
tiene  ima  patera  in  atto  di  libare,  con  la  sin.  alza  il  lembo  del 
manto.  Lavoro  mediocre  di  carattere  italico  del  quarto  o  terzo 
secolo  in  circa. 

Furono  trovati  nella  stessa  tomba  due  vasetti  di  bucchero  nero 
e  due  vasi  a  figure  nere  di  lavoro  locale  e  di  stile  molto  negletto, 
ciö  che  mi  fu  comnnicato  dairamico  Bourguignon,  che  vide  gli  og- 
getti  stessi;  ed  egli  mi  assicnrö  pnre,  essere  im  fatto  uoto  agli 
scavatori  giä  da  un  pezzo,  che  nelle  « tombe  greche  "  tali  urne  e 
figurine  corrispondenti  di  pretto  carattere  «  romano  «  (come  dicono) 
qualche  volta  si  raccolgono.  Si  ;atte  iirne  d'epoca  tarda  sono  do- 
ciimenti  importanti  per  provare  la  continiüta  deU'autica  manifattura 
metallica  anche  dopo  cessato  il  costume  di  deporre  in  esse  le  ce- 
neri  dei  morti.  Accennai  (')  tempo  fa,  come  la  forma  delle  eiste  di . 
Palestrina  e  di  Viilci  deve  considerarsi  corae  la  continuazione  di 
tali  urne  calcidesi-campane.  Ora  con  questi  fatti  nuovi,  dovuti  al 
suolo  della  Campauia  stessa,  ci  troviamo  suUa  strada  che  ci  con- 
duce  a  capire,  perche  ancora  gli  artefici  che  lavoravano  per  i  cit- 
tadini  agiati  di  Ercolano  e  Pompei,  perche  in  tine  questi  stessi 
mostravano  tanta  predilezione  per  queste  e  simili  forme  di  reci- 
pienti  mefcallici,  ornati  pure  essi  con  figure  plastiche  sul  coperchio 
e  talvolta  suU'orlo  o  sul  corpa  del  recipiente  stesso,  come  p.  es.  la 
grande  idria  73144  o  la  stufa  portatile  nella  sala  de'  bronzi  del 
Museo  di  Napoli. 

Aprile  1887.  F.  von  Duhn. 

(1)  Arm.  delVInst.  1879,  153  seg. 


INSCRIPTIONES  CLüSINAE  INEDITAE. 


Die  17  mensis  Octobris  anni  1885  prope  Clusium  sepulcrum 
etruscum  detectum  est,  cuius  inscriptiones  mensis  sequentis  die 
trigesimo  in  museo  Clusino  Brogio  illustrissimo  duce  ipse  descri- 
psi.  Praeterea  Danielssonius  Upsaliensis,  comes  et  adintor  mens 
in  itinere  italico,  pliirimos  horiim  titulorum  aut  Charta  humida 
expressit  (n.  1.  2.  4.  6.  8.  10.  11.  12.)  aut  Charta  liicida  delinea- 
vit  (n.  5.  7.).  Titiili  aut  tegulis  sepulcralibus  (semel  n.  11.  oper- 
culo)  graphio  inscripti  sunt  ut  n.  1.  2.  4.  6.  8.  10.  12.  15-17.  19. 
21.  22.,  aut  ossuario  colore  nigro  ut  n.  3.  5.  7.  9.  18.  rubro 
n.  20.  23. 

1  tegula  ^  +  ^fll^E-0>l 

2  tegula  A\Y[(\\^l-OA 

>lflV;P>l0       ^ic\ 

3  ossuarium       l  +  flUm  V/^^>I  ^0  :  ^  +  ////i  ^2  :0>l 


Inter  hels  et  umnatial  non  lacuna  intercedit  sed  galeatae  figu- 
rae  caput  eminet.  De  media  nominis  alterius  parte  dubitari  potest, 
cum  lineae  litterarum  paene  evanuerint.  Danielssonius  3  +  1132 
legere  sibi  visus  est,  ipse  3  +  fl  I  3  2  scriptum  esse  putavi,  quarum 
formarum  utraque  aequabiliter  ex  seiante  oriri  potest  (v.  infra). 

4  tei^ula  l  +  l1fll^2:flO 


■'o 


i) 


ossuarium  D  ^M  :  NlflMflm  + ^2  :fl2  m)fl2^  ^rl  +  Mfll  ^2  :  flUflO 
0  tegula  flKIflO 

^HI  +  ^  + 
2l1flD2 


INSCRIPTIONES    CLUSINAE    INEDITAE  277 

Inter  na  et  l  quarti  versus  nihil  desideratur.  InteiTallum  corro- 
sione  lateris  effectum  est,  quam  jam  ante  titulum  inscriptum 
extitisse  ipsa  litterarum  dispositio  docet. 

7  ossuarium       ///t Y\Pi\^^l:\(\Y\\\(\\:9iY\(\0 

Inter  s  et  eiant  non  tertii  nominis  litterae  fueruut ;  intervallum  eo  ef- 
fectum est,  quod  particula  marginis  superioris  ollae,  quae  est  fictilis, 
abrupta  est;  quod  iam,  antequam  titulus  inscriberetur,  factum 
esse,  ipsa  litterarum  dispositio  docet.  Nomen  tertium  in  fine  mu- 
tilum  in  seiantes'  vel  seianlesa  supplendum  esse  infra  demonstra- 
bitur.  Quod  ad  praenomen  attinet,  ego  Oaiia  descripsi,  Danielssonii 
delineatio  0-aiiia  exhibet.  Me  verum  vidisse  credo,  cum  quod  Da- 
nielssonius  sibi  ipse  difiidit,  tum  quod  tegula  n.  6,  ad  eandem  perso- 
nam  pertinens,  praenomen  O^ana  tuetur.  Praenomina  Ocmia  et  O^ana, 
quamquam  sunt  unius  stirpis,  et  hypocorisraa  videtur  utrumque  prae- 
nominis  ^anxoil,  tamen  semper  inter  se  ita  distinguuutur,  ut  num- 
quam  fere  eidem  personae  et  O-auia  et  0-aiia  praenomen  sit.  Uniiis 
tantum  exempli  memini,  quo  liaec  lex  non  observata  esse  videatur. 

8  tegula  M^A^^:0 

Mjafl>ii 

Puncta  inter  i  et  larcn  evanuerunt.  Post  al  tertii  versus  litterarum 
isa  vestigia  quaedam  supersunt. 

0  ossuarium         //iN=ni1)afl>l-l  V2 -4  ^0 -flMfl  O 

In  fine  litteras  sa  evanuisse,  ita  ut  larcrialisa  legendum  sit,  ma- 
nifestimi  est. 

10  tegula  H2V)2ltflKlflO 


1 1  operculum  ossuarii         ^  M  ^  V !)  2 1 1 

Nihil    amplius    legitm-,  praenomina  et  mortuae   ipsius    et   patris 
absunt. 

12  tegula  ^A^^^U-^A^ 

fl  Kl  fl  O 
flIV'l 


278  INSCRIPTIONES    CLUSINAE    INEDITAE 

Inter  8e  et  ver'pe  linea  fortuita,  quae  tegiüam  totam  a  superiore 
ad  inferiorem  partem  persulcat,  interest. 

Verba  i>a)ia  piäa  non  eadem  manu  sculpta  sunt,  qua  duo 
versus  priores. 

Ex  inscriptione  sincera  n.  5  altera,  quae  est  in  eadem  musei 
Clusini  appendice,  recentissime  confecta  sed  nondiim  edita,  legitur 
in  operculo  ossuarii,  sie 

omisso  nomine  gentilicio  feminae  sepultae,  quod  ab  Etruscorum 
nomenclatura  prorsus  abhorret,  et  sinceri  tituli  clausula  )5/A  s'ec 
n  filia  ",  falsarii  inscitia  in  23111  mes  mutata. 

Inter  schedas  a  Danielssonio  ex  Italia  mihi  allatas  schedula 
est  Mignonii  ipsius  manu  scripta,  in  qua  legitur 

Urna  cli  travertino  ^'iq^^^2:^^ 

fllV'lflh^O 
Tegola  :ltKlflM2:fll1flO 

flm  +  ^2:fl2m)fl2^=1 
:  2  ^  m  :  >l  fl  Kl 

Sunt  mei  n.  12  et  5,  et  dubitari  nequit,  quin  Mignonius  urnam 
et  tegulam  inter  se  confuderit  et  ipse  quoque  in  altero  titulo 
2  3  m  pro  :)  3  /^  scripserit.  Fortasse  igitur  falsario  haec  Mignonii 
descriptio  nota  erat. 

Pauca  addam  de  nominibus,  de  quibus  unis  linguae  etruscae 
nunc  quidem  certi  quid  dicere  possimus. 

Sepulcrum  videtur  fuisse  gentis  Seiantiae,  quae  gens  est  omnium 
fere  etruscarum  notissima  in  multas  stii-pes  divisa,  quarum  com- 
memoro  se  lernte  aciUi  (Fabr.  n.  570),  Sentim  Galliis  (Fabr. 
Suppl.  I,  n.  251  ter  d),  seiaiUe  cencii  (Fabr.  n.  705  bis  a),  seimte 
cuiüa  (Fabr.  n.  707.  701  bis),  mante  cumeru  (Fabr.  n.  706.  et 
saepius),  seUuiie  vilia  (Fabr.  n.  1011.  et  saepius),  seiante  hami 
(Fabr.  n.  562  ter  k.  et  saepius),  seiante  sltiu  (Fabr.  n.  908.  et 
saepius),  seiante  trepu  (Fabr.  n.  1754.  et  saepius).  Nomen  seiante 
etiam,  nasali  littera  omissa,  seiate  scribitur,  ut  in  Fabr.  n.  707  bis. 
601,  et  in   senle,  lat    Sentius   contrahitm-,  id  quod  e.  g.  factum 


INSCRIPTIONES    CLUSINAE    INEDITAE  279 

est  in  titiilis  Fabr.  n.  558.  210.  1011  bis  k.  979.  975,  qua  de 
causa  supra  iu  titulo  n.  3.  et  Danielssonii  soite  et  meum  seiate 
rectum  esse  potcst. 

Mortui,  suam  quisque  ut  vulgo  urnam  cum  tegula  habentes, 
in  eo  de  quo  refero  sepulcro  conditi  erant  octo  hi : 

I  larO-  seiaiite  (teg.  n.  1)  «■  Lars  Sentius  » 

II  larO-  seiante  h{s)Lual  sive  hehumnatial  (teg.  n.  2,  et  oss.  n.  3). 

"  Lars  Sentius,  Faltoniae  (natus)  »; 

Forma  h{e)Uual  est  genetivus  nominativi  hehui  vel  heUui 
(j  et  s  in  vocabulis  etruscis  saepissime  inter  se  mutantur),  quod 
est  feminiuum  uominis  hsUu.  A  quo  non  differt  derivatum  ab  eodem 
heUumiiaie,  cuius  genetivus  feminini  legitur  helsitmnatial  in  os- 
suario  n.  3.  Ad  qnod  cum  aperte  pertineat  tegula  n.  2,  dubitari 
nullo  modo  potest,  quin  nomen  hehumnate  a  nomine  hehu  nisi 
terminationibus  suffixis  non  diversum  sit.  Nomen  helsmmate  inve- 
nitur  etiam  in  titulis  bis: 

lari)i:  fehumnati:   aniem.  —  Clusium,  Gam.  n.  180.  «  Lartbia 

Felziimnatia,  Annii  (uxor)  " 
arnza:  anie:  lieizmmiat\ial.  —  Clusium,  Fabr.  Suppl.  I,  n.  170  e. 
"  Aruutulus  Aunius,  Heizumnatiae  (tilius)  " . 

Sunt  igitur  mater  et  filius  qui  commemorantur. 

Forma  fehumiiale  autiquissima  est,  quae,  /'  mutata  in  Ä,  ut 
saepissime  in  lingua  etrusca  (cf.  e.  g.  fastia  et  hasiia)  transiit 
in  heUiimdate,  quod  ipsum  in  heüumnate  mutatum  est,  ut  ba- 
beraus  veisl  (Fabr.  n.  1762)  et  velsi  (saepissime),  veua  (Fabr. 
n.  230.  757)  et  veUa  (Deecke  in  Bezzenbergerii  Beitr.  I,  102 
n.  VII).  Quod  nomina  breviiis  {hehit)  et  longius  {helsumiiate)  ean- 
dem  persouam  significant,  etiam  alias  band  raro  in  gentiliciis  etru- 
scis invenitur.  Paene  omnia  nomina  in  -iia  aut  -nl  desinentia  nullo 
notionis  discrimine  in  brevioris  formae  locum  substitui  posse,  iam 
dudum  {Etr.  Forsch,  u.  Stud.  I,  8  sq.)  demonstravi.  Ita  etiam  in 
titulo  bilino^ui 


■"o' 


C.  Vensius.  C.  f.  Cam      )       ,-,,    .        _  ,  „^„ 

,  .,        ,.     ,:  ,      \  —  Clusium,  Fabr.  n.  793 

vel:   venule:  aifaahsle    ) 


280'  INSCRIPTIONES    CLUSINAE   INEDITAE 

idem  nomen  et  forma  breviore    Vensiiis  et   longiore   venzile  i.  e. 
Vensüius  expressum;  nee  non  in  altero  bilingui: 

.'.  -7        i  —  Clusium,  Fabr.  Siippl.  II,  n.  81 

a<>.  anitm.  umranal        ) 

ubi  Arrius  et  arntni  i.  e.  Anmtmius  idem  nomen  est.  Sed  ut 
alia  praetermittam,  exemplum,  quod  est  simillimiim  nostro  hehu  - 
helmmnate^  habemus  in  nomine  ipsius  gentis,  cuiiis  est  hoc  se- 
pulcrum,  seiante,  ex  quo  sine  ullo  significationis  discrimine  deri- 
vatm*  forma  longior  sentiiiate.  Utramque  nominis  formam  eandem 
familiam  signiticare,  praesertim  iis  titulis  probatur,  qiiae  praeter 
gentilicium  etiam  cognomina  singularum  stirpium  supra  comme- 
morata  continent.  Eiusmodi  sunt: 

la:  seiate:  cuisla:  marciia.  —  Clusium,  Fabr.  n.  891  bis.   «  Lars 

Seia(n)tius  Cuisla,  Marciae  (natus)  «. 
■Oania:  seiitiaatl:  cuülania.  —  Clusium,  Gam.  u.  127.   «  Thauia 

Sentinatia  Cuislania  «. 
i>ana:  seianti:  cumerimia  latmialisa.  —  Clusium,  Fabr.  n.  706. 

«  Thana  Seiantia  Cumeronia,  Latiuiae  (uata)  ». 

1.  velia :  seianti :  a^  :  unatn  \  cumenmia  ra^um  \  nasa.  —  Clusium, 

Fabr.  n.  491.  Velia  Seiantia,  Aruntis  (filia)  ünatiae   (nata), 
Cumeronia,  Kathiunsii  (uxor). 

2.  velia  se\nti  aO-  uii\atnal  rai)-um\s)iasa  cumera\ma.  —  Clusium, 

Fabr.  n.  486.   «  Velia  Sentia,  Aruntis  (filia)   Unatiae  (nata), 

Rathumsii  (uxor)  ». 
1.  Urna.  2.  Tegula  ad  eandem  personam  pertinentes. 
Semtinati:   ciimer[imia\  .  .  .  or.  ine.  —   Fabr.   n.   2570   quater. 

«  Sentinatia  Cumeronia  ". 

Ergo  nomina  seiante^  sente^  sentinate  eandem  gentem  signi- 
ficant.  Quod  eum  ita  sit,  dubitari  nullo  modo  potest,  quin  eodem 
modo  etiam  nomina  helzit  et  helsimiiiate  eiusdem  gentis  sint,  et 
id  tantum  quaeritur,  quae  forma  latina  respondeat  nomini  etrusco 
hehu.  Alio  loco  demonstrabo  nomina  etrusea  in  ii  desinentia  sem- 
per  fere  ex  formis  autiquioribus  in  ia  orta  esse.  De  h  pro  /  iam 
dictum  est,  et  cum  praeterea  in  lingua  etrusea  ti  haud  raro  in  si 


INSCRIPTIONES    CLUSINAE    INEDITAE  281 

et  reiecta  /  vocali  in  ^  transeat,  vocalis  autem  a  sequente  i  in  e 
miitari  possit  (cf.  cle/is'l  a  clan),  nominis  heLii  forma  primitiva 
est  faltiu,  quam  formam  fere  integram,  /  tantum  vocali  reiecta, 
id  quod  saepissime  fit  in  nominibiis  etruscis,  habemus  in  formis 
fcdtiis'  (Fabr.  n.  1818,  Gam.  n.  26)  et  feminina  faltui  (Gam.  617. 
618)  et,  /  in  h  mutato,  haltii  (Fabr.  n.  125)  et  formis  ex  hac 
derivatis  haltuni  (Fabr.  n.  597  bis),  fem,  haltimei  (Fabr.  n.  877. 
878).  Quae  cum  ita  sint,  formae  heim  latinam  Faltonius  respon- 
dere  manifestmn  est. 

III  0-aiia  seiantl  oesacima  setmanal  s'ec  (teg.  u.  4  et  oss.  n.  5). 
«  Thana  Sentia,  Vesconii  (uxor),  Septimiae  nata. 

Forma  vesaciüsa  u.  5  est  genetiviis  mascnlini  nominis  vesaciii, 
quod  invenitur  in  titulo  Fabr.  Suppl.  III,  n.  244,  cuius  femiui- 
num  vesaciiei  extat  ibidem  III,  n.  241. 

Sed  cum  iam  dudum  constet,  in  vocabulis  etruscis  saepissime 
a  yocalem  inter  consonantes  intercalatam  esse,  idem  nomeu  habe- 
mus in  feminine  vesoiel  (Fabr.  u.  770)  cum  geuetivo  vescnal 
(Fabr.  n.  1155).  Sed  praeterea  constat  linguam  etruscam  vocales 
inter  consonantes  saepissime  elidere.  Quam  ob  rem  vescnei  est  pro 
vescunei,  et  idem  nomen  habemus  in  formis  vescimia  (Fabr. 
Suppl.  III  n.  245)  cum  genetivo  vescitnias  (Fabr.  n.  909  bis). 
Sed  cum  formae  in  -nl  et  -na  (fem.  -nei)  semper,  ut  iam  supra  dixi, 
derivatae  sint  a  brevioribus,  etiam  huic  nomini  brevior  forma  vescit 
(Fabr.  Suppl.  III  n.  240)  subest.  Formas  vesacni,  fem.  vesamei, 
vescimia,  y^scE^reveraesse  eiusdem  nominis,  non  solum  sonorum  etru- 
scorum  regulis  efficitur,  sed  etiam  re  ipsa  probatur,  cum  formae  illae 
quattuor  ex  eodem  sepulcro  familiari  allatae  sint.  Sed  ne  ipsa  quidem 
vescit  forma  est  antiquissima,  cum  secundum  leges  linguae  etruscae  ex 
vehcii  (Fabr.  n.  768.  1054)  orta  sit  ut  vesi  ex  velsi  et  aliae  si- 
militer,  de  qua  litterae  /  ante  consonantes  elisione  egi  Etr.  Sticd.  III, 
134  sg.  Cum  etruscae  syllabae  ve  latina  vo  respondeat,  formae 
etruscae  ve{l)scii  cum  derivatis  suis  latina    Volsconlus  respondet. 

In  eodem  titulo  n.  5  extat  setmaiial,  qui  est  genetivus  femi- 
nini  nominis  setmanei  quod  intercalata  a  vocali  post  elisam  u  sicut 
in  alio  nomini  vesacni,  factum  ex  setmnnei  (Fabr.  Suppl.  I  n.  150), 
cuius  genetivum  setwnnal  habes  apud  Fabr.  n.  819. 


282  INSCRIPTIONES    CLUSINAE    INEDITAE 

Forma  setumnei  aiitera  ex  lege  de  qua  supra  dixi  derivata 
est  de  breviore  setume  (Fabr.  n.  534  ter  ö'),  fem.  setumi  (Fabr. 
n.  1777),  praeter  quas  etiam  occurrunt  setime,  gen.  setimesa  (Garn, 
n.  212)  et  setme  (Gam.  n.  111). 

Antiquiorem  formam  legimiis  sehtiimicil  (Fabr.  Suppl.  II  n.  91), 
cuiiis  ht  per  ft  ex  'pt  ortum  est,  ut  in  umbrico  screilito^  screhto  = 
lat.  "  screiptum  ".  Integram  formam  Septitmia  habemiis  in  titulo 
latino-etrusco  C.  I.  L.  n.  1362. 

IV  Oana  ietinel  seiantes'  scansiial  (teg.  n.  6  et  oss.  n.  7)  "  Thaua 
Tettia,  Senti  (uxor),  Scandiae  (nata)  ». 

Hniiis  nomen  erat  S^ana  tetiiiei.  Pro  tetiiiei,  in  tegiüa  legitm- 
tetine  (cf.  tiscusne  oss.  n.  11),  in  ossiiario  tatinai.  Terminatio  fe- 
minina  vulgo  -ei  scribitur,  sed  saepius  etiam  -e  et  -ai  inveaiuntnr, 
cuiiis  rei  exempla  sint  per  -e  scripta  ataiiie  (Fabr.  u.  2554  quater), 
ad  eandem  pertinens  atque  atainei  (Fabr.  n.  597  bis  k);  alufne 
(Fabr.  n.  994)  et  alfnei  (Fabr.  n.  998  bis  d.  Gam.  n.  476); 
caine  (Fabr.  Sappl  II,  n.  42)  pro  caiMi  (saepissirae) ;  per  -ai 
scripta  vehai  (Fabr.  Suppl.  I  n.  415.  II  n.  124);  caiiiai  {¥d,\)Y. 
n.  320  bis  c);  anainai  (Fabr.  n.  827.  Gam.  404). 

Etiam  quod  tat  pro  tet  scriptum  est,  aliis  exemplis  similibus 
illustratur.  Habemus  j;a/n«/i/  (Fabr.  n.  1251.  1711)  -pvo petnmi; 
maiulna,  fem.  matuUiei  (Fabr.  n.  2340)  et  meteli  (saepius) ;  quin 
etiam  tatnei  (Fabr.  n.  1788)  invenitur  pro  tetaei,  quod  idem  est 
atque  nostrum  tetinei. 

Diversum  nomen  adiunctum  habet  Oa,m  tetinei  in  ossuario 
et  in  tegula.  In  illo  est  seia)it\_es'']  «  Sentii  uxor  ",  in  hac  scaiisnal 
«  Scandiae  nata  " .  Quae  discrepantia  ossuarii  et  tegulae  adiunctae 
cum  non  ita  rara  sit  ut  exemplis  egeat,  id  tantum  restat,  ut  formae 
scansnal  origo  demonstretur.  Est  genetivus  feminini  scansriei,  cuius 
masculinum  est  scansna,  derivatum  et  ipsum  ex  breviore  nomine, 
quod  indagari  non  nequit.  In  lingua  etrusca  littera  dentalis,  quam 
sequitur  n,  in  s  vel  z  mutari  potest.  Cuius  rei  exempla  sunt  ales- 
nas  (Fabr.  Suppl.  III,  n.  323)  pro  alethias  (saepe),  armi  (Fabr. 
n.  1306.  Suppl.  I,  n.  272),  fem.  arznei  (Fabr.  n.  1487.  1247. 
1914.  1228)  pro  arntni,  fem.  arntnei  (saepissime),  sive  drtm 
Fabr.  Suppl.  III,  n.  76.  75),  fem.  artnei  (Fabr.  n.  520.  595.  873), 


INSCRIPTIONES    CLUSINAE    INEDITAE  283 

ex  quibus  arzni,  arznei  extitit.  Gentilicium  ale^nas  est  latinum 
Älediits  {C  I.  L.  I  n.  1477),  a7'iitm  latinum  A{r)runtius.  Eadem 
ratione  scansiia  respondet  latino  Scamlim  aiit  Scantms.  Quam  rem 
ita  se  habere,  tres  tituli  in  agro  Clusino  eodem  loco  reperti  probant, 
latina  litteratura  scripti,   hi: 

La.  Scansa.\  Vet.  —  Fabr.  Suppl.  I  n.  251  ter  w, 

A.  Seandilio\A.  f.  Cae8ia\naüis'  —  Ibid.  n.  251  ter.  y; 

Tanusa\Muiiatia\Luccüia\nata.  —  Ibid.  n.  251  ter  m. 

Tormam  scaiisa  scriptam  esse  pro  scansiia,  demonstrat  titidus 
sepulcralis  fratris  illius: 

[ay)-.  sccmsna  |  vetimiasa.  —  Garn.  n.  298. 

Quibus  titulis  addas  quartum  musei  clusini,  quem  nondum 
publicatum  exhibeo  ex  Danielssonii  schedis: 

A.  Scandio.  Mimatiae  \  n[ßtus~\. 

Ex  bis  quattuor  titulis  sequitur,  nomina  scansna,  Scandüius, 
Scandüis  eandem  gentem  significare,  et  formam  Seandilio  ex  altera 
Scandio  auctam  esse  ut  supra  venzile  cognovimus  ex  Vensius 
ortam.  Nee  non  Scantium  (e.  g.  Wilmanns,  Exempl.  II  n.  2380), 
eiusdem  gentis  esse  conicias  cum  in  formis  latino-etruscis  haud 
raro  d  scriptum  sit  pro  /,  ut  in  Tidf  (Fabr.  n.  282)  pro  etr.  titl 
(saepissime),  in  Sadiial  (Fabr.  n.  285.  958)  pro  etr.  satnal  (Gam. 
n.  465).  Bis  etiara  reperitur  lat.-etr.  Pedro  pro  etr.  petru  (saepis- 
sime) in  titulis  nondum  editis  clusinis,  quorum  alter  ex  schedis 
Danielssonii  et  Mignonii  editus  sequitur: 

13  CASIA  •  PEDROS 

LAVTNIDA 

quod  est  etruscum  casi{a)  .petrus' .  lautni^a.  Alterum,  qui  formam 
Pedro  praebet  pro  etr.  petrui,  vide  infra. 

V  d^ana  hekid  vel  helsul  larcnalisa  (teg.  8  et  oss.  n.  9)  «  Thana 
Faltonia,  Larciae  (nata)  »; 

De  hehiii  (helsiii)  nomine  supra  dictum  est.   Restat  nomen   lar- 
cnalisa. Est  lougior  forma  genetivi  feminini,  cuius  brevior   forma 


284  INSCRIPTIONES    CLUSINAE    INEDITAE 

est  larcnal  (e.  g.  Fabr.  n.  530.  454.  1763),  nominativi  larcnel 
(e.  g.  Fabr.  n.  641.  Garn.  n.  120.  121).  Nominis  eiusdem  forma 
masculina  est  lar^cni  (e.  g.  Fabr.  n.  501  bis  c.  642.  Garn.  n.  124). 
Etiam  hoc  gentilicium  derivatum  est  a  breviore  forma  larce  (e.  g. 
Fabr.  n.  643  bis  b,c.  Garn.  n.  252),  fem.  larci  (e.  g.  Fabr.  n.  504. 
601  bis  c).  Respondet  igitm-  forma  latina  Larciiis  (saepissime). 

VI  ^aria  tisciisnei  (teg.  n.  10  et  oss.  n.  11)  «  Thana  Tisciisia  " ; 
Seeundum  nomen  in  ossuario  legitm*  tisciisne^  ut  alias  feminina 
in  -e  solam,  non  -ei  exire  exemplis  supra  allatis  probavi. 

Nomen  tiscimiei  etiam  in  aliis  titiilis  (Fabr.  n.  791  ter  c. 
2573  ter  b.  Suppl.  I  n.  177)  invenitm'  cum  genetivis  tiscusiialisa 
(Fabr.  Suppl.  I  n.  233)  et  tiscimml  (Fabr.  n.  912).  Masculinum 
est  tiscusrii  (Fabr.  n,  913.  =  Suppl.  III  n.  77;  n.  919  bis)  cum 
genetivo  tiscusiiisa  (Fabr.  n.  565.  881).  Cum  -m  et  -na,  fem.  -nei 
in  nominibus  etruscis  semper  sint  derivata  a  nomine  breviore,  sim- 
plicior  huius  nominis  forma  est  tiscusi{es),  fem.  tiscusi{a).  Quae 
forma  quamquam  in  titulis  etruscis  ipsis  non  invenitur,  tarnen  si 
latinam  nominis  formam  quaeras  supponenda  est.  Formam  latinam 
fuisse  necesse  est  Tiscusius  sive  Discusius  (cf.  Volusim)  aut,  si  s 
in  tiscusni  ortum  est  ex  t  (cf.  supra),  Tisattiiis  sive  Discutim 
(cf.  Aebutius),  sed  eiusmodi  nomen  in  titulis  latinis  nusquam  inveni. 

VII  vel  severpe   lari>al  (teg.  n.  12).   ^  Vel  Severius  (?),  Lartis 
(filius)  ». 

Nomen  severpe  alias  non  extat  neque  in  etruscis  ueque  in 
latinis  titulis.  Praeterea  forma  huius  nominis  ea  est,  ut  errorem 
suspiceris.  Linea  enim  transversa  sextae  litterae  parva  et  non  satis 
distincte  expressa  est,  ut  casui  deberi  possit  et  legatur  potius  se- 
verie.  Nominativi  masculini  in  -ie  desinentia  in  titulis  etruscis  non 
sunt  rari,  ut  ante  (Fabr.  n.  573  bis.  Suppl.  I  n.  170  c),  cale  (Fabr. 
n.  485  bis  c.  618  bis  a),  Vls/üe  (Fabr.  n.  960),  laucinie  (Fabr. 
n.  647),  tetie  (Fabr.  Suppl.  III  n.  72),  tiiie  (Fabr.  n.  224).  Se- 
verius gentilicium  etiam  in  latinis  titulis  (cf.  Wilmanns,  Exempl.  I 
n.  1299)  invenitur.  Revera  severie  legendum,  eo  magis  veiisimile, 
quod  latine  nomen  Sentiiis  Severus  invenitur  (Grut.  1087,  n.  1), 
quod  etrusce  esset  seiante  severie,  cum  in  titulis  etruscis  altorum 
nomen  plerumque  gentilicii  non  cognominis  formam  praebeat.  Quae 

I 


INSCRIPTIONES    CLUSINAE    INEDITAE  285 

coniectura  si  vera  est,  is,  qui  hoc  titiilo  commemoratur,  eiusdem 
gentis  Sentiae  est,  cuius  est  sepulcmm  totum,  de  quo  agitiir.  Eius- 
dem originis,  ac  severie,  est  nomen  etruscura  seu7m,  quod  extat  in 
titulo  Garn.  n.  520,  qui  in    ectypo    meo  cliartaceo  sie  legitur: 


lard-i 

rici  . 

seuru 

sa 

Est  vir  cum  coniuge.  Illius  qui  nomin a  coutiuuit  versus  pri- 
mus  evanuit  praeter  ultimam  litteram  gentilicii,  quod  seuru  fuisse 
nomenclatura  apparet,  cum  seurusa  sit  «  Seuronis  uxor  « .  Nomen 
seuru  autem  ex  legibus  etruscis  pro  sev{e)ru  esse  verisimile  est, 
ut  habemus  e.  g.  crieuna  (Fabr.  n.  328,  328  bis,  329)  pro  cneviia 
(Fabr.  n.  327  bis),  quod  ipsum  est  pro  ciievina.  Kespondet  igitiu- 
etnisco  seuru  latinum  Severo.  Gentilicia  etrusca  in  -u  plurima  de- 
rivata  sunt  ab  iisdem  stirpibus,  a  quibus  etiam  gentilicia  in  -ie 
deducuutur.  Itaque  uon  mirum,  quod  praeter  gentilicium  seuru 
etiam  severie  formatum  est. 

Quae  litterae  patris  praenominis  notam  10-.  =  lar^al  seqiiun- 
tur,  t.  si  non  nomina  sunt  sed  notae  magistratus  quo  mortuus  functus 
erat.  Quid  signiflcent,  facile  est  ad  explicandum :  zi  est  pro  zilat 
quod  e.  g.  habemus  in : 

arnd-:  seante:  cuis'la:  süat  —  Fabr.  n.  701  bis,  qui  seate 
eiusdem  gentis  est  ac  Sentii  huius  sepulcri ;  nota  /.  autem  solvenda 
est  in  tenu  (Fabr.  Suppl.  III  n.  329)  sive  tenve  (Fabr.  n.  2033  bis  ^a) 
sive  teiii>as  (Fabr.  Suppl.  III  n.  318).  Notae  /.  sl,  ut  in  hoc  titulo, 
coniunctae  leguntur  etiam  Fabr.  Suppl.  I  n.  434.  Qui  magistratus 
fuerint  ignoratur. 

VIII  ^ana  |  .  .  .  .  [velus  severies']  imia  (teg.   n.  12)   «  Thana, 
[Veli  Sentii  Severii]  uxor  ». 

Qua  de  gente  haec  Severii  uxor  oriunda  fuerit,  ex  titulo  non  apparet. 

Eorum  igitur  qui  in  hoc  sepulcro  conditi   sunt,   tres   Sentiae 

gentis  fuerunt,  (n.  I.  II.  III),  Ü^ana  iellmi  (u.  IV)  uxor  unius  Sentii, 

19 


286  INSCRIPTIONES    CLUS[NAE    INEDITAE 

d-ana  liehid  (n.  V)  mater  Lartis  qiii  dicitiir  in  n.  IL  Nee  non  eam 
quae  in  n.  VI.  iyana  tisciisnei  nominatm-  genti  Sentiae  affinem  fiiisse, 
sequitur  ex  Ms  titulis: 

hasti .  titl .  svenia .  tiscusnalisa.  —  Gam.  n.  313  ==  Fabr.  Suppl.  I 

n.  233. 
titi:  svema:  tisciisnal:  s'[_ec}'.  s'inusa.  —  Fabr.  n.  912. 

Sunt  diiae  sorores,  filiae  Tiscusniae,  quarum  altera  est  uxor 
Sinonis ;  s'imi  aiitem  Sentiorum  cognomen  est  (cf.  siipra).  Denique 
vel  severie  (n.  VII)  eiiisdem  Sentiae  gentis  esse  potuisse  siipra 
diximus. 

Alterum  sepulcrum  detectum  est  a  Miguonio  initio  anni  sii- 
perioris  (1886),  ut  videtur.  Operam  dedi,  ut  de  tempore  et  loco, 
quo  detectmn  esset,  certior  fierem,  sed,  id  quod  valde  doleo,  frustra. 

Ex  hoc  sepiücro  in  liicem  prodierunt  tituli  novem,  qnoriim 
imagines  a  Brogio  delineatas  mihi  misit  Helbigius.  Praeterea  Da- 
nielssonins  ex  itinere  italico  reversus  mihi  compkires  eorum  (n.  16. 
19.  21.  22)  in  Charta  humida  expressos  attulit.  Quibus  subsidiis 
usus  iam  titulos  edo : 

14  ossuarium  >lflOqfl>l;  ^Miq®:  Oqfl>l 

Sic  in  Brogii  schedis,  quod  in  Danielssonii  non  invenio.  Cum 
etiam  alias  (cf.  hlial  Fabr.  n.  718  pro  helial)  vocalis  primae  syl- 
lal)ae  omittatur,  etiam  hie  lunne  in  lapide  esse  potest. 

15  tegula  >J=J-miq^0-^fl) 

16  tegula  q^OlVimV^flO 

Inter  pump  et  ui  punctum  fortuitum  cernitur. 

17  tegula  LPETINATE 


VELOS 


Litteratura  est  latina. 


18  ossuarium    >lflMq  + ^2:2  V>l  ^=J:  ^  +  fll1l  + ^^:fl>J 

19  tegula  ^tMqfl®   OA 

>JflN12   m   V  M 

20  ossuarium  >lflHm^=1-^  +  l  +  qfl0Ofl 


INSCRIPTIONES    CLUSINAE    INEDITAE  287 

cuius  tituli  unus  Brogius  testis.  Pro  harlUe  legendum  esse  harpite 
certum  est.  Etiani  de  vemaal  valde  diibito;  cum  verisimile  sit, 
ossiiarium  et  tegulam  praecedentem  ad  eimdem  pertinere,  pro  vemnal 
expectandiim  erat  imm^inal.  Delineationem  Charta  liicida  confectam 
impetrare  frustra  conatiis  sum.  Itaque  disqiiisitio,  quae  vera  sit 
huius  tituli  lectio,  in  futurum  differenda  est.  Hie  eura  exliibuisse, 
ut  est  in  schedis,  satis  esse  debet. 

21  tegula  l/IMI1fl)flM2fl0 


■'o 


M 


Legendum  est  liastia  canjunel,  quamquani  praenomen  et  in 
ectypo  chartaceo,  et  in  Brogii  Danielssoniique  schedis  fere  for- 
mam  hasna  praebere  videtnr.  At  tale  praenomen  est  nullum.  Sed 
cum  in  titulis  etruscis  haud  raro  n  et  ti,  quarum  formae  sunt  si- 
millimae,  inter  so  confundantur,  dubitari  nullo  modo  potest,  quin 
hastia  sit.  Idem  fere  error  legendi  accidit  in  titulo  Fabr.  n.  508, 
ubi  Lanzius  praenomen  ^asna  legere  sibi  visus  est,  pro  eo  quod 
hastia  legendum  esse  iam  Deeckius  {Et7\  Forsch.  III,  163  sq). 
recte  exposuit. 

22  tegula  VOI2 

Ex  eodem  sepulcro  band  dubie  oriundus  est  etiam  titulus,  quem 
exhibet  et  Mignonii  schedula,  quam  supra  commemoravi,  et  Daniels- 
sonii  schedae,  in  ossuario  rubro  colore  pictus: 

Homines  in  hoc  sepulcro  conditi  sunt  Septem,  cum,  ut  in  altero 
sepulcro,  aliquotiens  tegula  et  ossuarium  ad  eundem  pertineat. 
Fuerunt  M: 

IX  lard^  herine  lard-al  (oss.  n.  14)  «  Lars  Herius,  Lartis  (filius). 

X  cae  herini  veliis'  (teg.  n.  15).   «  Gaius  Herius,  Veli  (filius). 

XI  vel   herini   veliis  pumpual   (oss.  n.  23).   «  Yel  Herius,  Veli 

(filius),  Pomponiae  (natus)  ». 

Et  herine  et  herini  nominativus  masculini  generis  est,  qui  in 
titulis  etruscis  saepissime  in  eodem  nomine  promiscue  in  -e  et  -i 
desinit,  quae  formae  ex  antiquiore  -ie{s).,  quod  non  raro  etiam  nunc 


288  INSCRIPTIONES    CLUSINAE    INEDITAE 

extat,  ortae  sunt.  Herine  nomen  saepissime  legitur  in  inscriptio- 
nibus,  ita  ut  exemplis  non  opus  sit.  Forma  breyior  est  heri{es), 
quam  habemus  in  formis  femininis  heria  (Fabr.  Suppl.  II  n.  33) 
et  herinl  (Fabr.  n.  670  bis  a)  et  quae  respoudet  latino  Ilerim. 
lu  compliuibus  titulis  etrusco-latinis  hoc  nomen  litteris  ae  pro  e 
scriptum  est,  ita  ut  sit  Haeruia  (Fabr.  Suppl.  I,  n.  251  ter  b 
et  g)  et  Haeriniia  (ibid  n.  251  ter  /et  d).  Ut  in  lingua  latina  ai 
transit  in  ae,  ita  in  etrusca  semper  fere  debilitatum  est  in  ei. 
Formae  latinae  Haerina  respondet  igitur  etrusca  heiriiia  et  heinni, 
cuius  Ultimi  feminiuum  heiriiii.,  existere  yidetur  in  titulo  Fabr.  881. 
Sequitur,  ut  uominis  forma  primitiva  sit  Haerlus.  Etiam  latinum 
gentilicium  Ileremüits  originem  ducere  ab  hoc  etrusco  probatur 
titulo  (Fabr.  Suppl.  In.  251  ter  c)  L.  IJere)i[_a~\  Capito,  cum  Capilo 
coguomen  Herenniorum  sit  usitatum. 

XII  Oana  pumpui  heri/ies'  (teg.  n.  16)  «  Thanna  Pompouia,  Herii 
(uxor)  « . 

Nomen  pmnpui  femininum  est  gentilicii  pumpu  frequentissimi. 
Huius  feminin!  pwnpui  genetivus  est  pumpual,  qui  legitur  in  n.  23, 
foi-ma  et  ipsa  frequentissima.  Non  minus  frequens  est  forma  deri- 
vata  pampimi,  cui  respondet  latinum  Pompomu%.  Nomina  etrusca 
in  -a  desinentia,  quorum  numerus  haud  parvus,  in  titulis  latinis  et 
latino-etruscis  fere  semper  formam  in  -onius  exeuntem  praebent. 
Praesertim  forma  feminina  in  -ui  fere  numquam  nisi  in  -onia  exiens 
legitur.  Duo,  quantum  scio,  exempla  existunt  formae  brevioris  iu 
titulis  latino-etruscis,  haec: 

Thaiiiüa.  Trebo  \  Sex.  f.  —  Clusium,  Fabr.  Suppl.  II  n.  22. 

et 

{^Lyirlia.  Pedro.  Casprla.  hart.  Panatla.  rjnala.  —  Pcrusia,  Fabr. 
n.  2019. 

ütrumque  titulum,  quorum  alter  adhuc  satis  falso  legebatur, 
exhibeo  ex  Danielssonii  schedis.  Nomina  Trebo  et  Pedro  non  ab- 
breviata  sunt  ex  Treboala  et  Peiroaia,  sed  respondent  etruscis 
ireiml  et  pelrui.  Etiam  in  titulis  mere  etruscis  interdum,  raro  qui- 
dem,  femininum  -ui  contrahitur  in  -u.  Sic  habeo  in  Danielssonii 
schedis  titulum  clusinum  nondum  publicatum,  qui  praebet  lariia. 


INSCRIPTIONES    CLUSINAE    INEDITAE  289 

tumu.  (faiixaiiia  {(f  littera  non  certa  et,  iit  ego  piito,   falsa   est, 
pro  qua  /  siispicari  potueris). 

XIII  lar^  peänate  velus  setrnal  (teg.  d.  17  et  oss.  n.  18).   «  Lars 
Petinatiiis,  Veli  (filius)  Serfcuriae  (uatiis)  »; 

Nomen  lieiinate  etiam  in  aliis  titulis  legitur,  ut  in  Garn, 
n.  452.  453;  Fabr.  Siippl.  II  n.  52.  53,  III  n.  208  aliis.  Nomina 
etriisca  in  -ate  desineutia  speciem  praebent  ethnicormn,  i.  e.  ab 
m-bimn  nominibus  derivatormn,  remqiie  ita  se  habere  eo  verisimi- 
lius  est,  qiiod  extant  gentilicia  ethnica  apud  Romanos,  ut  Norha- 
nm,  Pomptimis  (C.  L  L.  VI,  1  n.  200,  VIII),  Feidems  (Eph. 
epigr.  I  n.  65),  Fulgims  {C.  I.  L.  I  n.  1467),  quibus  formis  in 
-a8  pro  -ath  desinentibus  etruscae  in  -ate  respondere  possint.  Sed 
urbs  Petimtm  sive  Petitia  nulla  fuisse  videtur,  et  cum  supra  vi- 
derimus,  nomen  seatinate,  quamquam  Sentiimm  Umbrorum  urbs 
nota  est,  tamen  non  ab  hac  urbe,  sed  a  breviore  nomine  seiaate, 
sente  derivatum  esse,  facere  non  possumus,  quin  concludamus,  etiam 
lietlmte  nomen  a  breviore  -peti  derivatum  esse,  cui  latinum  Pettius 
(saepius)  respondeat.  Forma  setrnal  est  genetivus  formae  setriiei, 
quod  est  femininum  nominis  setrni  (Fabr.  Suppl.  I,  n.  176), 
quod  etiam  dentali  aspirata  seOrna  (Fabr.  n.  560  bis  h.  2111. 
703.  2569  bis.  462  ter.  795.  Suppl.  I  n.  196)  scribitm-.  Cum  et 
-iii  et  -na  syllabis  nomina  terminentur  (cf.  supra),  etiam  hoc  nomen  ex 
breviore  forma  ductum  est,  quae  modo  setri  (e.  g.  Fabr.  n.  1758), 
modo  se^re  (e.  g.  Fabr.  u.  702  bis)  scripta  est.  Formam  latino- 
etruscam  habemus  Sctorio  (Gam.  u.  828).  In  his  omnibus  formis 
litteram  /-  ante  t  elisam  esse,  formis  laOi,  laS-al  pro  lari>i,  lar- 
if-al  (Deecke,  Etr.  Forsch.  III  206  sqq) ;  macia,  macani  pro  mar- 
cia,  marcaiü  (Pauli,  Altit.  Stiid.  III  31  sq)  probatur.  Habemus 
in  titulis  etruscis  etiam  pleniores  formas  serturies  (Gam.  n.  684), 
s'erturi  (e.  g.  Fabr.  n.  1197),  serturnial  (Fabr.  n.  1979),  sertitr- 
nal  (Fabr.  Suppl.  III  n.  192),  lioc  non  diversum  ab  setrnal.  Re- 
spondent  igitur   hae    formae  genetivo  latino  Sertoriae. 

XIV  arnO-  harpite  nmnslnal  (teg.  n.  19  et   foi-tasse  oss.  ii.  20). 
«  Aruns  Harpitius,  Numisiae  (natus)  r, . 

Nomen  harpite  semel  adhuc  repertum  est  genetivo  feminini 
harpüial   (Gam.  n.  220)    in    tegula    clusina.  Quod    olim    {Altit. 


290  INSCRIPTIONES    CLUSINAE   INEDITAE 

Stucl.  IV,  127  sq.)  hanc  formam  falso  lectam  esse  conieci,  nunc 
his  titulis  Dovis  elusinis  refutatur.  Quae  forma  latina  huic  nomini 
etrusco  respondeat,  non  liquet.  —  Nmnünal  est  genetiviis  feminini 
nmnsiiiei  (Fabr.  Suppl.  I  n.  251  ter  n),  qiii  eadem  forma  7mm- 
siml  extat  etiam  in  titulo  Fabr.  n.  981.  Masculinum  nomen  est 
numsiiii  (Fabr.  n.  1033).  Formae  et  aumsini  et  numünH  deriva- 
tae  sunt  a  breviore  nmnü  (Fabr.  n.  901),  quae  ex  Etruscorum 
ratione  est  pro  numisies  vel  numesies.  Forma  numisies  extat  in 
titulo  Garn.  n.  934,  feminina  numesia  in  Fabr.  n.  2094  ter. 
De  vemnal  ossuaiü,  cum  lectio  incerta  sit,  nihil  dico. 

XV  hastia  canpinei  (teg.  n.  21)   «  Faustia  Campia  ". 

Nomen  canpinei  est  femininum  nominis  campina,  cum  niß 
pro  mp  etiam  alias  scriptum  sit,  ut  in  punpu  (Fabr.  n.  687  bis  l)\ 
p^unpma  (Fabr.  n.  688),  pwipana  (Fabr.  Suppl.  III  n.  90),  pun- 
pna^  (Fabr.  Suppl.  III  n.  92).  Forma  masculina  huius  nominis 
legitur  in  titulo  Fabr.  n.  2335  cornetano,  ubi  Fabrettius  ipse  qui- 
dem  camnas  exhibet,  Corssenius  autem  canpnas.  Ectypum  char- 
taceum  et  Danielssonii  delineatio  p  litteram  prorsus  certam  red- 
dunt,  et  id  tautum  dubitationem  movere  potest,  utrum  canpnas 
an  campnas  legendum  sit.  Cum  in  uominibus  etruscis  semper  syl- 
laba  na  postea  sit  adiecta,  nomini  camjuna  respondet  latinum 
Campius  (e.  g.  Wilmanns,  Ex.  n.  336,  1968). 

Forma  sii>u  tegulae  n.  22  extat  etiam  in  titulo  Fabr.  n.  2297 
ubi  est  ei>  si^u,  sed  quid  significet  ignoramus :  id  tantum  constat, 
nomen  non  esse.  Speciem  grammaticam  praebet  eandem,  atque  ei)- 
fanu  (Fabr.  n.  1915)  sive  eiO-  fanii  (Fabr.  n.  2279),  quos  loca- 
tivos  esse  conieci  FAr.  Forsch,  u.  Stud.  III  67. 

Non  nunquam  complures  mortui  diversarum  gentium  una  se- 
pulti  sunt,  sed  rem  in  hoc  sepulcro  non  ita  se  habere,  demon- 
strari  potest.  Nam  quicumque  titulis  commemorantur  inter  se  aut 
coo-nati  aut  afiines  sunt.  Primum  habemus  tres  Herennios  (n.  IX. 
X.  XI)  quorum  duo  Veli  ülii  sunt,  ut  fratres  esse  videantur.  Alter 
eorum  Pomponia  natus  est,  quae  ipsa  mater  in  titulo  n.  23  com- 
memoratur.  Pettios  (petinale)  autem  et  Sertorios  {setrna)  Herenniis 
affines  fuisse,  titulis  probatur  bis: 


INSCRIPTIONES    CLUSINAE   INEDITAE  291 

caia.  hereni.  petinatial  —  Florentia,  Fabr.  n.  128.    -  Gaia  Heria 

(Hereunia),  Pettiae  (nata)  »; 
(i!>:  herim  \  seOrml  —  Clusiuin,  Fabr.  ii.  795.    ^  AruDS  Heriiis 

(Hereuuius),  Sertoriae  (natus)  «. 

Praeterea  observandum  est  in  tegulis  etrusco-latinis  ad  Ceto- 
nam  inventis  praeter  octo  gentiles  Herennios  (Fabr.  Siippl.  I, 
n.  251  ter  b-l)  commemorari  hosce  duos  : 

IIa.  Numsiiiei.  —  Fabr.  Siippl.  I  n.  251  ter  a  «  Faustia  Niimisia 
(Numeria)  «; 

L.  Cammis  \  Titiae.  natus.  —  Fabr.  Suppl.  I  n.  251  ter  k.  ^  Lu- 
cius (sive  Lars)  Campius,  Titiae  natus  « . 

Camnius  pro  Campnius  esse  existimo,  ita  ut  idem  nomen  sit 
ut  campinei  huius  sepulcri.  Verisimile  igitur  est  hos  quoque  affi- 
nes gentis  Herenniae  fuisse.  Etiam  harjute,  Numeriae  filius  prop- 
ter  hanc  Herenniorum  affinitatem  eodem  sepulcro  conditus  est. 
Sepulcrum  igitur  Herenniae  gentis  fuisse  videtur,  quod  liuic  cete- 
rae  omnes  gentes  affines  fuerunt. 

C.  Pauli. 
Lipsiae. 


UN  AMICO  DI  CICERONE 
EICORDATO  DA  UN  BOLLO  DI  MATTONE  DI  PRENESTE 


Le  rovine  dell'  antica  Preneste  hanno,  fra  le  altre  particolaritä, 
anche  quella,  che  i  loro  mattoni  mostrano  raramente  i  bolli  gene- 
ralmente  conosciuti  dalle  rovine  di  Roma  e  delle  altre  cittä  del 
Lazio;  mentre  in  vece  offrono  un  uumero  considerevole  di  altri 
bolli,  i  quali  —  prescindendo  da  pochi  esemplari  dispersi  nelle  vici- 
nanze,  specialmente  a  Tuscolo  e  Labico  —  non  s'  incontrano  altrove. 
Servendomi  del  materiale  (quasi  del  tutto  inedito)  raccolto  anni  sono 
da  Pietro  Cicerchia,  e  recentemente  dai  miei  amici  Dressel  e 
Stevenson,  sono  riuscito  a  radunare  quasi  90  di  tali  bolli  escUisi- 
varaente  prenestini  (i). 

In  generale  essi  sono  piü  antichi  della  gran  massa  dei  bolli 
romani;  quelli  scritti  in  linea  retta  prevalgono  decisamente  sopra 
i  circolari.  Ne  sono  rimarclievoli  alcuni  per  la  menzione  di  magi- 
strati,  senza  dubbio  della  colonia  Preneste,  cioe  di  duoviri,  edili, 
ed  anche  di  un  curator  aedium  sacrarum,  Si  sarebbe  tentati  di 
riferire  a  magistrati  municipali  anche  alcuni  bolli  con  nomi  di 
questori.  Perö,  per  uuo  fra  essi,  pare  probabile  piuttosto  che  sia 
da  riferii-e  ad  un  questore  romano,  del  quäle  sappiamo  che,  durante 
la  magistratura,  el)be  relazioni,  benche  non  di  natura  durevole,  con 
Preneste.  In  fatto  sarebbe  un  caso  strano,  se  M  •  LATER  •  Q^ —  cosi 
abbiamo  letto  Cicerchia  ed  io,  sopra  uno  di  quei  bolli  prenestini 
—  fosse  diverso  da  Marco  Laterense,  che,  al  dii-e  di  Cice- 
rone^ro  Planeio  26,  63,  come  questore  diede  deigiuochi  a  Pre- 
neste (2). 

(')  C.  1.  L.  XIV,  n.  4091. 

H  Praeneste  fecisse  ludos,  quid?  alii  quaestores  nonne  fecerunt? 


UN  AMICO  DI  CICERONE  RICORDATO  DA  UN  BOLLO  ECC.        293 

M,  luveniius  Laterensis,  amico  personale  e  politico  di  Ci- 
cerone consolare,  piü  giovane  di  lui,  aspirante  all'  edilitü,  ciirule  del- 
l'anno  54  a.  C.  e  poi  accusatore  del  suo  piü  felice  competitore  Cn.  Plan- 
cio, e  probabile  clie  sia  stato  questore  nell'  anno  62  o  Gl,  essendo  che 
egli  giä  nel  59  aspirö  al  tribunato  della  plebe  (Cic.  ad  AU.  2,  18,  2; 
pro  Plane.  22,  52)  e  prima  di  quell'  anno  era  stato  in  qiialitä  di 
magistrato  nelle  provincie  di  Greta  e  di  Cirene  (Cic.  ^^rö  Plane. 
5,  13.  26,  63.  34,  85).  Si  rifletta  che  sono  assai  pochi,  e  per  la 
maggior  parte  rarissimi,  i  nomi  romani  che  cominciano  dalle  lot- 
tere LATER.  L'  omissione  del  nome  gentile,  quasi  regolare  a  quel- 
r  epoca  in  persone  di  distinzione  —  come  Cicerone  chiama  appuuto 
la  persona  in  discorso  o  semplicemente  Laterensis  o  M.  Laterensis 
—  non  deve  recar  meraviglia  ne  anche  sopra  un  boUo  (come  nem- 
meno  su  monete  e  ghiande  missili),  mentre  sarebbe  molto  sor- 
prendente  in  un'  iscrizione  sepolcrale  o  votiva.  I  caratteii  del  no- 
stro  boUo  almeno  non  ci  vietano  di  ascriverlo  all'  anno  61  o  62: 
sono  decisamente  piü  arcaici  che  quelli  della  maggior  parte  degli 
altri  bolli  trovati  in  Preneste ;  ma  per  questo  riguardo  nulla  si  puö 
affermare  con  certezza,  stante  il  nuuiero  tanto  ristretto  di  bolli  la 
cui  pertineuza  a  quell'  epoca  sia  assicurata. 

Che  perö  Laterense  abbia  fatto  far  costruzioni  in  Preneste, 
non  lo  dice  quella  notizia  di  Cicerone,  ne  si  puö  dedurlo  da  essa. 
E  bisogna  anche  ammettere  che  i  giuochi,  senza  alcun  dubbio  gla- 
diatorii,  che  Laterense  ed  altri  questori  davano  in  quegli  anni  in 
Preneste  —  non  esseie  stato  il  solo  Laterense,  lo  dice  espressamente 
Cicerone  1.  c.  (')  —  non  erano  destinati  esclusivamente  e  ne  anche 
di  preferenza  per  gli  abitanti  di  Preneste,  ma  per  tutta  la  vicinauza 
(p.  es.  senza  dubbio  per  Tuscolo,  onde  era  oriunda  la  famiglia  di 
Laterense)  e  sopra  tutto  per  il  publico,  avido  di  spettacoli,  della 
vicina  capitale.  I  giovani  magistrati  volevano  in  tal  modo  raccomau- 
darsi,  per  le  future  occasioni,  agli  elettori ;  e  se  costoro  non  davano 
spettacoli  in  Roma  stessa,  forse  se  ne  avrä  a  cercare  il  motivo  in 
qualche  disposizione  della  lex  Tullla  de  ambita^  promulgata  poco 
prima,  nel  63  (-). 


(1)  Vedi  pag.  292,  nota  2. 

(2)  Che  quella  legge  contenessc  restrizioni  per  gli  spettacoli  gladiatorii 
da  darsi  nella  capitale,  lo  sappiamo  dallo  Schol.  Bob.  ai  Sest.  p.  309,  Or. 


194         UN  AMICO  DI  CICERONE  RICORDATO  DA  UN  BOLLO  ECC 

Ma  quand'  anche  quei  giiiochi  non  fossero  destinati  esclusiva- 
mente  per  Preneste,  pure  i  nobili  ed  ambiziosi  autori  di  essi  nou 
avranuo  tralasciato  di  mostrarsi  larghi  di  munificenze,  ogni  volta 
che  se  ne  offriva  l'occasione,  anche  verso  gli  abitanti  di  quella 
cittä  — colonizzata  fin  dall'  a.  81  da  veterani  Sillani —  che  nelle 
elezioni  erano  di  non  poca  importauza  (0-  Che  Laterense  in  occa- 
sione  dei  giuochi  dati  da  liü  in  Preneste  abbia  fatto  fare  qualche 
costriizione  o  qnalche  cambiamento  in  quel  foro  —  il  foro,  quando 
mancava  un  anfiteatro,  era  il  luogo  ordinariamente  destinato  agli 
spettacoli  gladiatorii  (2)  —  e  che  abbia  fatto  segnare  i  mattoni 
adoprativi,  non  e  in  se  stesso  in  alcnn  modo  inverosimile :  si  po- 
trebbe  p.  es.  pensare  a  maeiiiam,  che  non  erano  aftatto  sempre 
di  legno  (cf.  Jordan  TopograiMe  d.  St.  Rom  I  2,  p.  383)  e  che 
dovevano  esser  graditi  a  quelli  che  dalla  capitale  vi  andavano  a 
vedere  i  giuochi.  Fu  trovato  1'  esemplare  finora  unico  di  questa  te- 
gola  uelle  rovine  della  «  Tenuta  delle  Quadrelle  " ,  situata  un 
miglio  e  mezzo  sotto  Preneste,  d'onde  provieue  la  massa  principale 
dei  resti  conservati  del  calendario  Verriano ;  come  questi  vi  erano 
stati  portati  dal  foro,  cosi  dal  foro  stesso  potrebbe  esservi  venuta 
anche  la  tegola.  Se  poi  anche  le  altre  tegole  prenestine  con  nomi 
di  questori  —  ve  ne  sono  altre  due,  L  •  MG  •  M  •  F  •  Q_  e  M  • 
NAVT  •  Q_(qui  la  terza  lettera  del  gentile  non  e  del  tutto  sicura)  — 
appartengano  a  questori  romani  ed  alla  stessa  epoca  di  quella  di 
Laterense,  non  puö  decidersi. 


(1)  I  loro  suffragi  probabilmente  erano  decisivi  nella  tribü  Menenia, 
della  quäle  facevano  parte. 

(2)  Pompel,  colonia  sorella  di  Preneste,  giä  da  alcuni  anni  per  la  munifi- 
cenza  di  iiiio  dei  suoi  coloni,  antico  partigiano  di  Silla,  possedeva  un  anfi- 
teatro (C.  /.  L.  X  852;  cf.  le  niie  osservazioni  Hermes  18,  620).  Quando  Pre- 
neste abbia  ricevuto  un  anfiteatro,  non  lo  sappiamo;  nelF  epoca  imperiale  la 
troviamo  provvista  di  tutto  roccorrente  per  gli  spettacoli  dei  gladiatori.  Che 
questori  roniani  abbiano  costruito  per  i  Prenestiui  uu  anfiteatro  stabile,  non 
ö  irapossibile,  ma  ne  anche  molto  probabile. 


H.  Dessau. 


SITZÜNGSPROTOCOLLE 


Festsitzung  am  9.  Deceniber,  dem  Geburtstage  Winckelmanns : 
Petersen  :  Nymphaeen  und  Septizonien.  —  Barnabei  :  Inschriften 
von  Hatria  Piceni  (s.  Mittheilungen  1888).  —  Mau:  die  Basi- 
lica  von  Pompei  (s.  ebenda). 

Petersen  :  un  edifizio  di  Side  in  Pamfilia  riconosciuto  come  '  chä- 
teau  d'eau  '  da  G.  Hirschfeld  (una  pianta  in  gran  parte  corretta  fu  pub- 
blicata  in  un'opera  rimasta  incompleta  del  Tre'maux,  ripetuta  nel  Kunst- 
historischer Bilderatlas  di  Th.  Sclireiber  tav.  LVIII  1  e  2)  con  nove  sbocchi 
di  acqiia  e  un  gran  lago,  decorato  nella  fronte  di  vasi  e  di  bassirilievi  e 
chiamato  ninfeo  in  ^iscrizione  appartenentevi,  dimostra  per  la  grandissima 
rassomiglianza  della  pianta  che  anche  il  Settizonio  di  Settimio  Severo  era 
un  ninfeo  splendidissimo.  Tanto  piü  poiche  anche  gli  altri  settizonii  cono- 
sciuti,  quello  di  Lambese  e  un  altro  romano  mentovato  da  Svetonio  e  Am- 
miano,  erano  congiunti  con  ninfei,  di  maniera  che  i  nomi  settizonio  e  ninfeo, 
se  non  significano  la  stessa  cosa,  sono  almeno  di  nozione  correlativa.  La 
due  parti  principali  di  questi  edifizi,  cioe  la  facciata  da  palazzo  con  le  acque 
sgorganti  ed  il  lago,  si  riconoscono  puranche  nei  cosi  detti  trofei  di  Mario, 
il  quäle  rudero  fu  giustamente  identificato  col  Nymphaeum  Alexandri.  Di 
tali  costruzioni  grandiose  di  lusso  e  di  mostra  Torigine  non  si  attribuirä 
che  0  a  Roma  capitale  del  raondo  o  forse  ad  una  delle  capitali  ellenistiche; 
ma  nemmeno  le  fontane  delF  antica  Grecia  libera  mancano  di  tratti  somi- 
glianti ;  anzi  se  ne  riconoscono  i  tratti  fondamentali  giä  nei  santuarii  delle 
Ninfe  presso  Omero.  E  fontane  con  colonnate  ampie  le  ebbe  la  Grecia  fin 
dal  secolo  sesto  .  Ma  lo  sviluppo  di  ninfei  piü  magnifici  s'immaginerä  fa- 
cilmente  essersi  fatto  nella  sede  di  lusso,  ricchissinia  di  acque,  cio^  An- 
tiochia  residenza  dei  Seleucidi,  e  pare  lo  provino  al  menomo  tre  ninfei  di 
questa  cittä  descritti  da  Malala  e  Libanio. 


296  SITZUNGSPROTOCOLLE 

Bei  Gelegenheit   der  Winckelmannsfeier   wurden  ernannt  zu 
ordentlichen  Mitgliedern : 

Herr  Paul  Wolters  in  Athen ; 
fl     Franz  Stüdniczka  in  Berlin  ; 
zum  Correspondenten : 

Herr  Gillieron  in  Athen. 

Sitzung  am  16.  December:  Huelsen  :  unedierter  Bericht  Fr. 
Bianchinis  über  Ausgrabungen  bei  Monte  Citorio  im  J.  1705 
(s.  Mittheilungeu  1888).—  Mau:  die  Basilica  von  Pompei  IL  — 
Petersen  legt  Tafeln  des  II.  Heftes  der  Antiken  Denkmäler 
herausgegeben  vom  K.  Deutschen  Archaeologischen  Institut,  sowie 
A.  Bötticher  Die  Akropolis  von  Athen  vor. 

Sitzung  am  23.  December:  Barnabei:  Weihinschriften  aus 
dem  Heiligtum  des  Juppiter  Poeuinus.  —  Huelsen  :  über  die  Ar- 
chitektur des  Kapitolinischen  Juppitertempels  ( s.  Mittheilun- 
o-en  1888).  —  Ficker:  die  Ergänzungen  des  Mosaiks  von  S.  Gio- 
vanni in  fönte  zu  Ravenna  und  ein  altchristliches  Sarkophagrelief 
daselbst. 

Barnabei  :  park  di  akune  iscrizioni  votive,  clelle  quali  ebbe  a  di- 
scorrere  neirultima  seduta  della  R.  Accademia  dei  Liiicei.  Sono  incise  a 
laminette  di  bronzn,  scoperte  non  ha  guari  sul  gran  San  Bernardo,  nelFarea 
del  tempio  di  Giove  Penino,  e  si  riferiscono  al  culto  di  Giove  eccettuatane 
una  che  e  dedicata  alle  Matrone  (v.  Rendiconti  della  R.  Accademia  dei  Lincei, 
V.  III,  fasc.  13,  p.  363  sg.). 

Ficker  :  Nel  centro  della  volta  di  s.  Giovanni  in  Fönte  conforme  alla 
destinazione  del  Battistero  si  vede  rappresentato  il  battesimo  di  Cristo.  Que- 
sto  musaico  h  di  una  importanza  speciale  come  la  prima  opera  monumentale 
della  storia  sacra  in  Ravenna,  ed  e  di  un'interesse    speciale  per  riconografia 
cristiana,  la  quäle  possiede  in  questa  composizione  la  prima    rappresentanza 
monumentale  del  battesimo  di  Cristo.  Nello  stato  presente  il  musaico  sta  in 
contradizione  in  alcuni  punti  principali  con  tutte  le  rappresentazioni  anteriori. 
Mai  si  vede,  ne  nelle    catacombe,   ne    sui    sarcofaghi,  il    Battista    effondente 
acqua  sulla  testa  del  Redentore,  mai    i;    rappresentata   Tinfusione.    Anche  la 
barba  ed  il  nimbo  del  Battista  non  sono  ancora  usate  in   questi  monumenti. 
Fatta  astrazione  da  tre  esempi  dei  primi  secoli  del  medio  evo,  dove  si  trova  il 
miiiistro  del  battesimo  o  la  colomba  tenendo  un  urceolo  e  volgendolo  per  span- 
derc  l'acqua  sul  capo,  cio  che  sembra  una  particolaritä  locale  di  Milano,  Tin- 
fusione  e  ignota  sui  monumenti  fin  al  Trecento.  In  occasione  di  restauri  della 
architettura  interiore  ho  avuto  la  fortuna  di  poter  vcdere    il    musaico  da  vi- 
cino.  Un  esamc  csatto  puo  insegnarci  che  tutti  quei   particolari  sorprendenti 
uon  sono  origiiiali.  I  ristauri,  giä  in  parte  indovinati    dal   Crowe  c  Cavalca- 


SITZUNGSPROTOCOLLE  297 

seile,  dal  Strzygowski,  sono  i  seguenti.  Dal  margine  superiore  del  musaico 
comincia  la  linea  del  ristauro,  passando  la  colomba,  il  petto  di  S.  Giovanni, 
fino  al  collo  di  Cristo;  c  poi  ritorna  al  margine.  La  colomba,  nimbo,  testa, 
petto,  braccio  destro  del  Battista  con  la  scodelletta,  la  parte  superiore  della 
croce,  poi  nimbo,  testa,  collo,  spalla  sinistra  di  Cristo,  il  braccio  destro 
dalla  spalla  fino  alla  mano  sono  opere  di  tardo  ristauro  fatto  secondo  lo  stile 
dei  volti  di  S.  Giovanni  e  di  Gesü  nel  Seicento,  ma  prima  della  pubblicazione 
di  Ciampini  (Vetera  Monimenta,  ed.  1690).  Nella  parte  inferiore  sono  ristau- 
rati  quasi  tutta  la  gaiuba  destra  ed  il  ginocchio  sinistro  con  la  parte  corri- 
spondente  della  croce,  qualche  fiore  a  destra  ed  a  sinistra  sul  fondo,  princi- 
palmente  i  lumi  di  oro,  qualche  parte  stralucente  dell'acqua  ed  una  parte 
della  canna  del  Giordano.  Non  e  difficile  di  restituire  la  coraposizione  origi- 
nale, nonostante  la  ditferenza  da  altre  composizioni  in  qualche  particolare. 
Gli  elementi  essenziali  anche  in  questa  scena  iconografica  sono  gli  stessi.  Con- 
frontando  il  nostro  musaico  coi  monumenti  lavorati  sotto  la  sua  diretta  In- 
fluenza e  quella  di  Ravenna  in  genere,  paragonandolo  in  primo  luogo  col  mu- 
saico aifatto  simile  nel  Battistero  degli  Ariani,  S.  Maria  in  Cosmedin,  edifi- 
cato  pochi  anni  depo  Fentrata  di  Teoderico  Magno,  del  quäle  anche  la  strut- 
tura  architettonica  congruisce  perfettamente  con  quello  degli  Orthodossi,  il 
nostro  musaico  dev'  essere  restituito  in  qiiesto  modo :  Cristo,  cinto  di  nimbo, 
adulto,  ma  piü  giovane  di  quanto  sembra  adesso,  ed  imberbe.  E  noto  che  il 
tipo  barbato  regolarmente  non  e  usato  in  occidente  prima  del  secolo  dodicesimo. 
Earissime  sono  le  cccezioni,  ed  anche  sotto  una  forte  Influenza  di  Bisanzio  si 
conserva  il  tipo  imberbe,  per  esempio  in  Ravenna  sulla  cattedra  di  Massi- 
miano,  ivorio,  che,  quasi  tutto  bizantino,  rappresenta  pero  il  nostro  Redentore 
imberbe ;  e  nei  musaici  di  s.  Apollinare  Nuovo,  dove  Cristo  e  imberbe  eccet- 
tuate  le  scene  di  passione.  La  scodelletta  di  s.  Giovanni  deve  cancellarsi.  II 
Battista  impone  la  destra  mano  sopra  la  testa  di  Gesü  Cristo,  rito  spesso  de- 
scritto  dai  SS.  Padri.  AI  luogo  della  scodelletta  e  dell'acqua  vi  erano,  diffusi  dal 
becco  della  colomba,  raggi  di  luce,  onde  di  luce  in  forma  di  un  ventaglio,  che 
esprimono  l'unzione  spirituale  secondo  le  parole  di  Giovenco  nella  sua  Evan- 
gelica  historia :  Et  sancto  ßatu  corpus  perfudit  Jesu,  e  Ahlutumque  undis 
Christum  flatuque  perunctum,  e  secondo  la  narrazione  degli  evangeli  apo- 
crifi,  per  esempio  del  Pseudo-Evangelo  di  Matteo,  ove  nell'atto  del  battesimo 
comparisce  un  grande  lurae.  Quasi  tutte  le  posteriori  rappresentazioni  espri- 
mono queste  onde  di  luce.  In  flne  mi  pare  che  deve  rimoversi  anche  il  nimbo 
del  Battista,  che  e  sorp rendeute  qui  dove  manca  agli  Apostoli,  e  sorprendentc 
anche  in  confronto  dei  monumenti  del  secolo  seguente,  i  quali  non  lo  cono- 
scono.  In  luogo  della  croce  gemmata  gli  artisti  dependenti  da  questo  musaico 
danno  al  Battista  un  pedum ;  credo  pero  che  la  croce  in  questo  santuario 
dedicato  a  S.  Giovanni  sia  un  attributo  antico,  benche  probabilmente  fatta 
daH'autore  piü  piccola,  meno  ricca  h  piü  abilraente  disposta,  cioe  non  co- 
perta  dalla  colomba.  Cosi  restituito  si  inserisce  bene  il  musaico  nello  svi- 
luppo  iconografico. 

Nella  chiesa  di  s.  Giovanni  Battista  in  Ravenna  presse  l'entrata  si  trova 


298  SITZUNGSPROTOCOLLE 

murato  uii  rilievo  di  marmo,  della  grandezza  di  48  X  17  centimetri  (Ricci 
fotogr.  495).  Eappresenta  l'adorazione  dei  tre  Magi.  Maria  iu  lungo  pallio 
con  la  testa  velata  siede  in  cattedra  di  sparto,  appoggiando  i  piedi  sullo  sca- 
bellum.  Ha  il  bambino  sulle  ginocchia,  il  quäle  prende  il  dono  del  primo 
Mago,  alcuni  pezzi  in  forma  cubica,  offerti  sopra  un  bacino.  II  secondo  porta 
una  Corona,  il  terzo  altri  pezzi  piü  grandi  del  primo.  Tutti  tre  lianno  i  ca- 
pelli  lunglii  ed  ondeggianti,  il  primo  e  barbato,  i  seguenti  imberbi.  Sono  nel 
costume  proprio  degli  orientali:  scarpe,  anassiridi,  tunica  succinta  con  ma- 
niclie,  clamide  affibbiata  sul  petto,  pileo  ricurvo.  L'impetuoso  movimento  dei 
Magi,  la  maniera,  come  e  rigettata  la  clamide,  poi  come  siede  il  Bambino 
sulle  ginocchia  della  Madre  ed  b  tenuto  da  lei,  lo  stile  della  scultura  ci  con- 
ducono  al  tempo  del  sarcofago  deiresarca  Isaac,  morto  641,  sulla  parte  an- 
teriore del  quäle  si  vede  la  stessa  scena.  Cosi  questo  rilievo  acquista  un 
certo  Interesse,  come  appartenente  ai  monuraenti  della  transizione  dalFarte 
antica  alla  medioevale,  e  come  fabbricato  sotto  l'influenza  dei  rari  monumenti 
di  scultura  bizantina. 


INHALT 


F.  Barnabei,  Del  Ubello  di  Geminio  Eutichete  p.  203-213. 
H.  Dessau,   Uii  amico    di    Cicerone  ricordato   da   im   bollo  dl 

mattone  dl  Preneste  p.  243-244. 
F.  DuEMMLER,  Iscrülone  della  ßbida  prenesäiia  p.  40-43. 
Id.  Ueber  eine  Classe  griechischer   Vasen  mit  schwarten  Figuren 

(Tafel  VIII  lind  IX)  p.  171-192. 

F.  V.  DüHN,  La  necropoll  di  Suessida  (tav.  XI,  XII)  p.  235-268. 
Id.  La  comicne  provenlenm  da    Ciima   delle   urne  dl  bronso  e 

delle  eiste  a  cordoni  269-270. 
Id.  Due  figiire  centrali  di  urne  di  bronso  p.  270-271. 
Id.  L'eiwca  delle  urne  dl  bronzo  p.  271-275. 

G.  F.  Gamürrini,  Dell'arte   antichlsslma   dl   Roma  (tavola  X) 

p.  221-234. 
P.  HARTWia,   Testa  dl  Helios  (tav.  VII  e  Nlla)  p.  159-166. 
Id.  Rafporto  sii  una  serle  dl  lasse    attlche  a  ßgure   rosse  con 

nomi  dl  artlstl  e  di  favorltl,  raccolta  a  Roma  p.  167-170. 
"VV.  Helbig,  Sopra  un  rltratto  dl  Livla  (tav.  I,  II)  p.  3-13. 
Id.  Sopra  una  fibula  d'oro  trovata  presso  Palestrina  p.  37-39. 
Id.  Commemoraslone  dl  G.  Henzen  p.  73-75. 
Id.  Specchlo  etrusco  p.  147. 
Id.  Scavl  di  Corneto  p.  153-158. 
W.  Henzen,  Iscrlzlone   trovata  presso    la  galleria  del  Furlo 

p.  14-20. 
Id.  Mlscellanea  eplgrafica  p.  141-146. 
H.  Heydemann,  Le  frecce  amorose  dl  Eros  p.  44-52. 
G.  Lignana,  Sopra  V Iscrlzlone  della  fibula prenestlna^.  139-140. 
Id.  Iscrlzlonl  fallsehe  p.  196-202. 


300  INHALT 

A.  Mau,  Scavi  cli  Pom])ei  1885-1886  (tav.  VI)  p.  110-138. 
Id.  Sul   signißeato    clella  parola  2)  e  r  g  itl  a   nelV  architettitra 

antica  p.  214-220. 
CoNTE  DI  MoNALE,  Delle  antichila  falische  venute  alla  luce  in 

Civita  Castellana  e  in  Corchiano   e  clella   iMcazione  cli 

Fescennia  (tav.  III)  p.  21-36. 
C.  Pauli,  Inscriptiones   Clitsinae  ineditae  p.  276-291. 
G.  B.  DE  Rossi,  Commemorazione  cli  G.  Henzen  p.  65-73. 
P.  Stettiner,  Consiclerasioni  sidl'aes-grave  ^^n^sco  p.192-196. 
Fr.  Studniczka,  Archaische  Bromeüatue  des  Fürsten  Sciarra 

(tav.  IV,  IV«,  V)  p.  90-109. 
C.  ToMMAsi  Crudeli,  Alcune  rißessioni   sul   clima   clelV  antica 

Roma  p.  76-89. 
SiTzuNGSPROTOCOLLE  p.  53-64  ;  148-152  ;  295-298. 


'■o 


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S(radci  perSortfUetio 


(RyfV)  fSi'7 


adaptrCiritA 
coii^  due  eure. 


Straäa  per  Fa/lfn 
e    7/epi- 


Partt  anttcht 
a  Tambe  sctfyatereceiiifmente 

-^  Tamhe  ita  scararsi 


Strada-pcrVt^ruxrcllio 

e  Campino 


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