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THE EISENHOWER LIBRARY
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EX LIBRIS
CAROLI WALDSTEIN.
A^ MS LIBRARY
d, /^0-JT 0F THE
JOHNS HOPKINS UNIVERSITY
PRESENTED BY
Lady Vifalston
MITTHEILUNGEN
DES KAISEELICH DEUTSCHEN
ARCHAEOLOGISCHEN INSTITUTS
ROEMISCHE ABTHEILUNG
Band III.
BULLETTINO
DELL' IMPERIALE
ISTITÜTO ARCHEOLOGICO MlANICO
SEZIONE ROMANA
Vol. III.
ROM
VERLAG VON LOESCHER & C.°
1888
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DI ALGUNE ISCRIZIONI
DEL TERRITORIO DI HADRIA NEL PICENO
SCOPERTE IN MONTE GIOVE, NEL GOMUNE DI CERMIGNANO.
Discorso del prof. F. Barnabei
letto nella solenne adunanza del 9 dicembre 1887.
Signori,
Se modestissimo e il tributo che io posso apportare alla cele-
brazione della festa odierna, confido che per la solita bontä vostra
non vorrete rifiutarlo; tanto piü che sapete oramai per lunga
prova, come talvolta inaspettata luce si diffonda anche nella discus-
sione di argomenti minori, nel quäl numero e da ascrivere il tema,
intorno a cui mi e ora concesso di intrattenervi.
Esso ci riconduce al territorio di ffadria, nella parte ineri-
dionale ed ultima del Piceno, e ad una cittä che ha comune con
poche il vanto di antichissimi ricordi nella storia della penisola.
Sopra i quali per altro non e mio proposito di fermarmi, quantunque
un certo amore del natio loco mi spinga a profittare della indul-
genza vostra, per discutere sugli argomenti che farebbero forse
restituire a questa del Piceno alcune delle tradizioni che all'omo-
nima cittä veneta si vollero assegnare.
Ma lascio da parte il campo delle controversie ; e mi limito
solo a ricordare come ffadria fosse divenuta colonia latina nell'etä
stessa in cui furono dedotte le colonie di Castrum Novum e di
Sena Gallica, cioe nel tempo in cui i Romani incominciarono ad
estendere la potenza loro sull'Adriatico, tra il 464 ed il 468 di
Roma (Liv. ffp. 11);' e fosse stata poi nel numero delle cittä che
4 DI ALCUNE ISCRIZIONI
si mantennero fedeli a Koma durante la guerra annibalica (Liv.
27, 10, 7), nel quäle periodo ebbe Iladria la monetazione propria
(C. /. L. I, 6; cfr. Mommsen Rom. Münzw. p. 183, 195, 247, 291,
314; Garrucci Mon. d It. 1, p. 32, tav. LXI).
Ricorderö pure che in seguito, probabilmente al tempo della
guerra sociale, ottenne la cittadinanza romana, e divenne poi colonia
civium romanorum (Plin. h. n. 3, 13, 110), colonia che, stando
alle fonti epigrafiche (C. I. L. IX, n. 5020) sarebbesi denominata
Veneria, senza che siasi potuto finora determinare in quäle anno
preciso e da chi fosse stata dedotta, quantunqne e la testimonianza
di Plinio ed il nome desunto dalla divinitä inducano a respingere
la credenza che la deduzione fosse avvenuta dopo Augusto {CLL.
IX, p. 480 ; cfr. dello stesso Mommsen Die italischen Bitrgerco-
lonien von Sulla bis Vespasian in Hermes XVIII, p. 194).
Lascio pure da banda le molte controversie intorno alla esten-
sione del territorio degli Hadriani, controversie originate princi-
palmente dal modo vario e confuso, secondo cui nelle denomi-
nazioni attuali dei fiumi, si vollero riconoscere i nomi coi quali
i fiumi stessi vennero indicati negli autori e negli itinerarii (l).
E mi basti qui accennare che questo territorio fu delimitato
a sud dal fiume Saline, e dal corso del Fino, che perde nel Sa-
(') Fu ritenuto, c giustamente che il conflne meridionale dell'agro adriano,
fosse determinato dal Saline ; e che questo fiume fosse il Matrinus di Strabone
(C. I. L. IX, p. 480); mentre nella carta topografica annessa al citato volume
del Corpus (tav. IV), il nome di Matrinus fu attribuito al Piomba. Fu pure
ritenuto che il Matrinus di Strabone (5, 4, 2, p. 241) avesse indicato anche
l'emporio degli Hadriani {iniveiov rijg 'J&Qiag), emporio che per facile muta-
zione sarebbe stato chiamato Macrinus nella carta Peutingeriana (C. I. L. ib.) ;
mentre poi nella stessa topografia, annessa al vol. IX del Corpus, questo nome
di Macrinus e dato al piecolo fiume Gallo, che sbocca presso Silvi.
Se il Vomano ebbe in antico il nome odierno, come dovrebbe ritenersi
sulla testimonianza di Silio Italico (8, 439), il quäle per altro usö troppo ardita
fräse dicendo humeetata Vomano ffadria, mentre il Vomano e ad aleuni chilo-
metri in linea retta a nord della citta, dovremmo ricercare il Macrinus o
Matrinus nei fiumi tra il Vomano e TAterno ; e se il nome Salinis dell' Iti-
nerario Eavennate ci deve far ritenere che anche il fiume Saline avesse
avuto in antico il nome odierno, allora attribuendo il nome di Matrinus al
Piomba, od al corso inferiore del Piomba non ci troveremmo con la indica-
zione delle distanze segnate negli itinerarii.
ÜEL TERRIT0R10 DI HADRIA NEL PICENO 5
line le acque ed il nome (*); a sud-ovest dal riparo insormonta-
bile degli Appennini; a nord dal corso del Vomano, verso le terre
degli Interamnati.
i \ \
Nel quäle vasto tratto di paese, messe da parte le lapidi che
restitui il suolo della cittä di Iladria, scarsissime furono le raemorie
epigrafiche finora scoperte, e scarsa quindi e la notizia che ne pos-
siarao desumere intorno ai vici, ai pagi ed ai centri minori della
colonia.
0) II corso del Saline e formato dal Fino e dal Tavo; il primo sorge
sotto la montagna di Siella alta 2033 metri nella catena del Gran Sasso, e
scendendo verso il nord si volge sotto Bisenti, ripiegando poi a sud-ovest per
riunirsi al Tavo sotto il paese di Cappelle, e formare col Tavo il fiume Saline.
II Tavo alla sua volta scendendo dal Monte s. Vito, passa sotto Farindola,
e quindi al di sotto di Penne, attraversando la parte piü settentrionale del
territorio dei Vestini nel versante adriatico.
6 DI ALCÜNE ISCRIZIONI
Parrebbe, stando all'esame del materiale raccolto nel vol. IX
del Corpus (p. 480), che i luoghi di questi centri minori si doves-
sero riconoscere nei paesi s. Giacomo e Pianella (sie) per la parte
prossima ad Atri ; ed in Castelli, Ornano, e Basciano per la parte
interna del territorio. Ma se le lapidi che furono attribuite a
s. Giacomo (n. 5023, 5036) possono darci qualche indizio che quivi
fosse stato un pago od un vico dell'agro adriano, nessun rapporto
coll'agro stesso puö avere la lapide scoperta in contrada s. Desi-
derio nel tenimento di Pianella (n. 5033 ; cfr. Minervini Bull. nap.
N. S. 6 p. 96), essendo manifesto che il territorio di Pianella, che
si stende a mezzogiorno del fiume Tavo, e quindi molto piü al
di sotto di Pinna Vestinorum, appartiene ai Vestini nella Regione IV,
e non alle terre degli Hadriani nella Regione V, come erronea-
mente fu stabilito.
Per la parte interna poi, sei lapidi soltanto finora si conoscono.
Una fu da me ritrovata presso la mia patria Castelli, tra le macerie
di una casa colonica (C. I. L. IX, n. 5046, cfr. p. 698) ; un'altra esiste
in Ornano, a poca distanza da Tossicia (n. 5048) ; tre altre furono
attribuite al paese di Basciano (n. 5047, 5050, 5051); una final-
mente fu edita dal Garrucci (n. 5049, cfr. Sylloge n. 2008) con
la vaga indieazione che fu rinvenuta inier Pinnam et Inleramnam
Praetuttiorum. E se la lapide di Castelli e piü ancora quella di
Ornano ci indicano i siti di due pagi o vici, niun lume di topo-
grafia ci darebbe la lapide del Garrucci, ignorandosi perfino se alla
Regione V, od alla IV si debba essa attribuire ; perocebe il tratto
di paese tra Penne e Teramo, in cui ci si dice che fu scoperta,
comprende non solo le terre degli Interamnati e degli Hadriani,
nella zona piü meridionale del Piceno, ma anche le terre dei Vestini
assegnate alla Regione del Sannio e della Sabina.
Per le lapidi di Basciano poi, la prima di esse (n. 5047) vi
fu ricercata indarno dal Dressel; e le altre due bi sa che erano
conservate nella casa del medico Lombardi, che raccoglieva le
antichitä da vari luoghi della provincia; per cui nessuna guida
sicura per la topogratia se ne potrebbe desumere ; quantunque non
sia senza importanza il ricordare, che secondo aleuni provengono
queste due ultime dalla contrada s. Giacomo, al di sotto dell'abi-
tato stesso di Basciano, non lungi dal Vomano, e dal sito denomi-
nato piani della Saiara per l'antica strada, della quäle poi diremo ;
DEL TERRITORIO DI HADRIA NEL PICENO 7
la quäle indicazione accennerebbe senza dubbio ad un pago, che in
quella vicinanza sia da ricercare.
In mezzo a tanta scarsitä di notizie, ed in tanta incertezza
di cose, acquistano pregio non lieve per l'antica topografia alcune
nuove lapidi che non lungi da Basciano, nel comune di Cermi-
gnano ebbi la fortnna di seoprire, e che ora per la prima volta
sono presentate ai dotti.
Provengono da Monte Giove, colle che sorge sopra Cermignano
a 748 metri sul livello del mare, e donde si domina grandissimo
tratto di paese, dalla catena del Gran Sasso al mare, e da Atri
alle roccie di Civitella ed alle colline che dominano la sponda
destra del Tronto. Ai piedi di questa altura, che vince tutte le
altre colline fra le montagne e l'Adriatico, nasce il fiume Piomba,
di cui puö seguirsi coll'occhio tutto il corso, come nell'altra valle
si puö seguire con lo sguardo il corso del Vomano.
II primo di questi nuovi titoli fu da me letto in una delle
case coloniche denominate Sapatelli di sopra, presso Monte Giove.
E.a adoperato come stipite in un focolare, ma sapevano i contadini
che era stato tolto dalla prossima altura. E inciso in un rettangolo
di calcare compatto, un poco guasto per l'uso a cui fu destinato, e
maggiormente offeso per l'azione del fuoco a cui lungamente fu espo-
sto. E lungo m. 0,66, alto m. 0,30 ; ha lo spessore di m. 0,22, e reca :
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Trattasi di un voto che due o piü Antistie, figliuole di Spurio,
e due Cedatii figli di Publio, della tribü Mecia, a cui Hadria era
ascritta, sciolsero ad una divinitä che sul culmine di Monte Giove
era adorata, nell'etä che precedette la deduzione della colonia di
cittadini romani; chiaro essendo che la lapide per le sue forme
arcaiche non sia posteriore all' ultimo periodo della repubblica. Non
mi fermo ad enumerare i pregi linguistici ed epigrafici del titolo,
il quäle senza dubbio sarebbe stato assai piü prezioso, se ci avesse
conservato il yerso del principio, ove era certamente indicata la
divinitä a cui il luogo era sacro. Tuttavolta questa divinitä non e
difficile conoscere ; parendo anzi che ci sia essa rivelata dal nome
8 DI ALCUNE ISCRIZIONI
stesso di Monte Giove conservato al luogo, nome che manifesta-
mente ci riporta al padre degli uomini e degli dei.
Abbiamo adunque un voto sciolto a Giove sull'alto del colle
nell'etä dei liberi municipi; ove e da aggiungere non essere pro-
babile che una semplica edicola fosse stata eretta per richiamare
la sola pietä dei pochi abitanti di un pago o di pochi villaggi
vicini fra la popolazione rustica del territorio.
Perocche i pezzi dei musaici, di lavoro anche ordinario dei
bassi tempi, che qua e lä si veggono, travolti nei lavori di colti-
vazione sul culraine del colle, indicano che le fabbriche ebbero
quivi non piccola estensione, e vi durö il concorso del popolo fino
all'etä inoltrata dell'impero. Senza dire dei simulacri d'animali e
delle Statuette flttili che, secondo mi fu aifermato in Cermignano,
i contadini di quando in quando vi scoprirono, Statuette che ap-
partengono alla stipe votiva del sacro luogo.
Non un'edicola dunque, ma u:i grande santuario doveva sor-
gere nella cima di Monte Giove, santuario che dominando tutto il
territorio adriano, e visibile cosi dalla cittä di Hadria come dagli
altri paesi, doveva essere il centro comune di culto, nel modo me-
desimo con cui pei Latini era centro comune di culto e di unitä
politica il santuario di Giove Laziale sul monte Albano.
E che la cosa fosse stata veramente cosi viene confermato da
un documento epigrafico pregevolissimo, rimasto anch'esso ignoto
agli studiosi, e che pure a me toccö la sorte di scoprire. Consiste
in una grande lastra di travertino, alta m. 1,70, larga m. 0,70, e
dello spessore di m. 0,10, usata giä come materiale di fabbrica
nella diruta chiesetta rurale di s. Salvatore ai piedi di Monte
Giove, verso il villaggio di Poggio delle rose, nel versante opposto
della collina, lastra che proviene essa pure dalle antiche reliquie
del sommo del colle, donde in una zona assolutamente povera di
materiale edilizio, furono tolte tutte le pietre per le nuove fab-
briche della contrada dal medio evo in poi. Vi si legge:
PAVLLO • FABIO-MAXf \
COS • PONTIF • PATRON
COLONIAE
DKL TERRITORIO DI HADRIA NEL PICENO 0
Paolo Fabio Massimo o Q. Fahim Maximus Paulus, come
in modo piü proprio e pieno fu chiamato (Borghesi Oeuvr. I, 250,
cfr. IV, 71) fratello di Q. Fabius Q. f. Maximus Africanus, e
figlio di quel Q. Fabius Maximus, che nel 695, con Q. Caelius
Rufus si fece accusatore di C. Antonius Hibrida per le sue estor-
sioni durante il proconsolato della Macedonia (Cic. in Vatin., 11),
e un personaggio assai noto, cosi per ricordi lapidari, come per
memorie classiche (cfr. De Vit, Onom. ad v.).
Fu legato di Cesare nella Spagna avanti l'anno 727 (C. I.
L. II, 2581), ed ottenne il consolato con Q. Aelio Tuberone l'anno
743 della cittä (cfr. Klein Fast. cons. p. 11). Proconsole ammi-
niströ l'Asia nel 748 e 749 {Ann. Inst. 1861, p. 149 sq.; Wad-
dington Fast. Asiat, p. 98), secondo altri nel biennio precedente
(Usener Bull. Inst. 1874, p. 79 sq.); e fece parte del collegio
degli Arvali, come risulta dagli atti relativi all'anno 767, 14dell'e. v.
(cfr. C. I. L. VI, 1, n. 2023), anno in cui mori Augusto, e che
segnö pure la morte dell'uomo ricordato nella nuova lapide.
Ad Augusto era stato egli legato per amicizia strettissima ed
anche per parentela, marito di Marcia, nata da L. Marcio Filippo
fondatore del tempo di Ercole e delle Muse, e da Atia vedova di
C. Octavius padre di. Augusto. Ma del favore di cui Fabio gode
nella corte, fu alla fine privato per le arti di Livia; forse perclie
aveva egli troppo propugnata la causa del poeta Oridio, di cui fu
amicissimo, e che dal suo esilio, conosciuta la morte del suo pro-
tettore, scriveva piü contristato che mai, riconoscendo che egli
stesso l'aveva cagionata {Pont. 4, 6. 11).
Ho detto che questa epigrafe ci conferma nel modo piü certo che
il luogo sacro sul culmine di Monte Giove, indicatoci dalla lapide
dei Saputelli, non fosse stata una semplice edicola, innalzata dalla
pietä dei soli abitanti di qualche pago vicino, ma un grande san-
tuario, e tra i piü frequentati del paese. Contenendo infatti un
attestato di onore e di riconoscenza a colui del cui patrocinio la
colonia godeva {patrono coloniae), e chiaro che non sarebbe stato
collocato quel monumento in sito ove con la maggiore pubblicitä
non avesse potuto avere la solennitä maggiore. E poiche il monu-
mento medesimo non in nome di vicani o pagani, ma in nome
dell'intiera colonia fu posto, ne deriva che il luogo dove fu innal-
zato fosse stato il vero centro religioso e politico della colonia stessa,
4
10 DI ALCÜNE ISCRIZIONI
cosi per la popolazione urbana come per la rustica; e quindi che
sull'altura di Monte Giove avesse ayuto sede il santuario princi-
pale dell'agro adriano.
Ma per altre considerazioni maggiore importanza acquista la
nuova epigrafe. Ho detto in principio che il difetto di documenti
abbia impedito finora di sapere, da chi ed in che tempo preciso la
colonia di cittadini romani nell'agro adriano fosse stata dedotta;
e che, stando alle fonti epigrafiche ed alla testimonianza di Plinio,
si possa concludere soltanto che tale deduzione non fosse avvenuta
dopo Augusto. Devo aggiungere che le riserve fatte sulla esattezza
del catalogo di Plinio ed altri studi recenti attenuarono anche di
piü il valore di questa vaga conclusione, mancando ragioni valide
in forza delle quali debbasi Iladria collocare nell'elenco delle
colonie augustee (cfr. Pais Le colonie militari dedotte in Italia
dai Triumviri e da Augusto in Mus. di ant. class., 1884, p. 33 sq.).
Ora ogni difficoltä a questo proposito della nostra lapide e
tolta. Che anzi non solo per mezzo di essa ci e dimostrato che la
colonia adriana fu dedotta al tempo di Augusto, ma ci e indicato
pure da chi e quando questa deduzione fu fatta.
Dimoströ il Mommsen nel commento alla Lex coloniae Ge-
netivae esser provato da questa legge, che colui che avesse dedotta
una colonia e date ed assegnate terre ai coloni, di diritto, per
questo fatto solo, diventava patrono della colonia stessa; patronato
che continuava nei figli di lui e nei loro discendenti, e che diffe-
risce dal patronato conceduto poi dalle colonie per decreto dei de-
curioni nell'etä dell'impero, quando, cessata la potenza delle fa-
miglie dei patroni originari, le genti staccate dalla madre patria
cercarono patrocinio nuovo nelle persone, che pel favore di cui
godevano in Eoma facevano sperare maggiore aiuto (*). Cosi P.
Sulla fu patrono della colonia che aveva egli dedotta in Pompei,
come sappiamo per testimonianza di Cicerone {pro Sulla 21).
0) Patronos adhuc credebamus nullos fieri potuisse nisi ex decurionum
decreto ; iam vero addiscimus colonias qui deduxissent, quive colonis agros
dedissent adsignavissent ipsos liberos posterosque eorum ipso iure eins colo-
niae patronos fuisse. Ita quod Cicero scribit (De Ofic. 1, 11, 35) « qui ci-
vitates aut nationes devictas bello in fidem recepissent, earum patronos fuisse
more maiorum», similiter interpretabimur, qui populum devictum in fidem
DEL TERRITORIO DI HADRIA NEL PICENO 11
Ora essendo stata la nostra lapide posta dai coloni adriani
al console Q. Fabio Massimo, che tenne i fasci nell' anno 743
(11 av. Cr.), venti anni dopo la vittoria actiaca, ed essendo in
questa lapide indicato quel console come patrono della colonia, na-
turale e la conseguenza che dal console medesimo la nostra co-
lonia nell'anno 743 fosse stata dedotta, cioe nel bei mezzo del-
l'etä augustea; della quäl cosa, prima della nostra scoperta man-
cavano prove sicure.
Non sono questi soltanto i lumi che dallo studio delle epi-
grafi di Monte Giove si diffondono sulla storia e sull'antica topo-
grafia della contrada.
Ho accennato superiormente che se le lapidi di Basciano non
possono farci fede che quivi fosse stato un pago od un vico, non
resti escluso il fatto che le vicinanze dell'attuale paese, alle falde
di Monte Giove, fossero state frequentate in antico. Si scoprirono
quivi alcuni tratti di un' antica strada, la quäle si dirigeva alla
sommitä del monte, e quindi al santuario, strada che saliva lungo
le pendici di Penna s. Andrea, venendo dalla sponda destra del
Vomano, e che, stando al nome rimasto ai luoghi, sarebbesi chia-
mata Salaria. In fatti Piani della Salaria o Salara si deno-
minano alcune terre al di sotto di Basciano sulla destra del
Vomano, non lungi dalla contrada s. Giacomo, ove due delle la-
pidi Bascianesi diconsi scoperte (cfr. C. I. L. IX, n. 5050, 5051).
Ora ne tale strada ne tale nome si accorderebbero con le indi-
cazioni delle antiche vie, che in questa parte del Piceno si hanno,
cosi dai documenti epigrafici, come dalle notizie degli itinerari.
Stando a queste indicazioni, le vie principali nel territorio di
cui ci occupiamo erano due, diramazioni entrambe della via Sa-
laria, ed appellate ugualmente con lo stesso nome; il ramo supe-
riore, che staccandosi da Interocreum e risalendo il Velino, sca-
valcava gli Appennini sopra le scaturigini del Tronto, e seguiva
poi il corso di questo fiunie fino ad Asculum Picenum, e quindi
receperit, non ob id beneficium patronum creari, sed eo ipso, quod in fidem
eum recepit, patronum ejfectum esse. Et vere sie redimus ad patronatus ge-
nuina primordia ; nam ut in iure privato manumissio patronum facit, ita
in iure publico aliquando fecit deduetio vel in fidem reeeptio. Eph. Epigr.
2. p. 147.
12 DI ALCÜNE ISCRIZIONI
a Castrum Truentinum; il ramo inferiore, che scavalcati gli Ap-
pennini poco al di sopra di Amiteruum, scendeva per le gole del
Voraano, seguendo questo fiume fino a Poggio Umbricchio, ove e
il milliario col n. CIIII (C. L L. IX, 5938), e poi fino all'at-
tuale Montorio, donde lasciata la valle del Vomano, piegando a
sinistra nella valle del Tordino giungeva ad Interamnia per finire
a Castrum Novum. Non parlo della via littoranea, dalle foci della
Pescara ad Ancona, ne delle diramazioni di essa, che non hanno
che fare col nostro tema (cfr. C. I. L. IX, p. 479).
Una via diretta da Eoma per Hadria, secondo le principali
indicazioni che finora avevamo non ci sarebbe stata ; perocche, stando
all'itinerario Antoniniano (306, 309), si accedeva ad Hadria o pel
ramo principale della Salaria toccando Asculum e Castrum Truen-
tinum, e quindi scendendo lungo la via marittima per Castrum
novum, cioe percorrendo 156 miglia; ovvero vi si andava per la
via Valeria, toccando Alba Fucense, Corfinio e Teate dei Marru-
cini, per una linea di 148 miglia. Vero e che secondo altri vi
sarebbe stata una comunicazione meno lunga, e piü diretta, per
mezzo di una strada che costeggiando le colline fin presso Cer-
mignano, sarebbe poi discesa nella valle del Vomano, e passato il
fiume avrebbe toccato Interamnia, ove si sarebbe riunita alla Sa-
laria per Montorio e Poggio Umbricchio e quindi Amiterno e
Reate, come si e detto. Ma con questa linea, segnata nella carta
del Kiepert, annessa al vol. IX del Corpus (tav. III e IV), ri-
mane assolutamente inesplicabile come mai gli Adriani per venire
sotto Poggio Umbricchio, ove era necessario il passaggio per an-
dare a Roma, avessero dovuto percorrere inutilmente un grande
angolo fioo ad Interamnia, mentre potevano tendervi senza difficoltä
in linea retta, incontrando presso l'attuale Montorio la diramaz.one
della via per Interamnia e Castronovo.
E che veramente vi fosse stata questa linea di comunicazione
diretta fra Hadria e Roma per la Salaria lungo il Vomano, senza
passare per Interamnia, e dimostrato dai resti dell'antica via sco-
perti sotto Monte Giove e presso ßasciano, via che non puö con-
siderarsi come secondaria, ma come propria e vera continuazione
della strada principale, che manteneva la sua denominazione di Sa-
laria fino ad Hadria ed al fiume Salinae, nome che forse non e
senza significato pel tema di cui ci occupiamo.
DEL TERRITORIO Dl HADRIA NEL PICENO 13
Ciö e maggiormente provato da una terza "lapide di Monte
Giove, che unitamente alle altre ebbi la fortuna di scoprire. Con-
siste in un masso di calcare di m. 0,90 X 0,50 X 0,20, rotto infe-
riormente ed a destra, usato ora come gradino in una delle case
coloniche denominate dei Saputelli di sotto, alle falde del colle,
e tolto dalla sommitä del colle medesimo, come mi fu detto dal
contadino che disotterrö quella pietra, e se ne servi nella fabbrica
moderna. Vi si legge:
pCxxv
E questo un cippo milliario, forse della piü antica numera-
zione della strada; ed il numero delle miglia 125 ([m~](üia)
p(assuum) CXXV) corrispondendo alla distanza da Roma, per la
linea piii breve lungo il Vomano, senza il giro per Interamnia, e
in armonia col numero CIIII del milliario di Poggio Umbricchio.
LA BASILICA DI POMPEI
La basilica di Pompei e la piü antica fra tutte quelle di cui
ci restano avanzi. E anteriore, e forse di non poco, all' anno 80
a. C. (1), ed anche per lo stile, sia dell'architettura che della deco-
razione delle pareti, mostra di appartenere all'epoca anteriore alla
colonia romana, qnando Pompei nella coltura generale e nelle arti
sottostava all'influenza non di Roma, ma delle colonie greche. Ed erano
senza dubbio le basiliche di queste ultime, non quelle di Roma,
che le servirono di modello. Che i Greci, nell'epoca precedente alla
costruzione della prima basilica di Roma, avessero basiliche, lo di-
mostra lo stesso nome greco dato al nuovo edifizio ; ma pur troppo
non ce n' e rimasto ne un' avanzo qualunque, ne una qualsiasi notizia
nella letteratura (2). Siccome dunque la basilica di Pompei, pro-
dotto d'una coltura dipendente da quella greca dell'epoca elleni-
stica, puö fino ad un certo grado render meno sensibile una grave
lacuna nella nostra conoscenza, cosi essa merita che con ogni studio
si cerchi di stabilire quäle ne sia stata la forma ; ciö che finora non
fu fatto in modo sufticiente.
* s.
E.
mriTiYi-t-H-P-
LA BASILICA DI POMPEI 15
Poco ci giovano i piü antichi tentativi di restituziono, quelli
del Mazois (3) e del Canina (4) , non tenendo essi alcun conto dei
frammenti superstiti di colonne e membri simili delle parti supe-
riori, che neanche nelle Pompe janische Studien del Nissen (p. 156
segg.) furono utilizzati. Servendomi di essi cercai fin dall'anno 1879
di stabilire Vantica fonna dell'edifizio (5), ed il mio risultato fu
il seguente. Le pareti esterne al disopra delle mezze colonne (vd. la
pianta pag. 14) avevano un secondo ordine con colonne, mezze co-
lonne e trequarti di colonne, con aperture sufficienti per rischia-
rare i'interno dell'edifizio, e questo secondo ordine raggiungeva
un'altezza superiore a quella delle colonne interne con la loro
trabeazione ; perciö il tetto dei portici era inclinato verso l'interno,
ove le colonne sorreggevano la mediana tetiudo, che copriva sol-
tanto la parte media. II tribunale e le camere adiacenti avevano
il loro tetto separate. Proposi come possibile questa forma del tetto,
ammettendo come possibile anch'essa l'ipotesi del Mazois, che cioe
l'intero edifizio fosse coperto d'un grande tetto a schiena.
La questione poi fu nuovamente trattata, sulla base dell'in-
tero materiale, da K. Lange (6). Egli si era proposto di seguire, per
l'intera storia dell'architettura antica, quel tipo di edifizio la cui
forma piü nota e la basilica cristiana, e che ha la parte media
piü alta dei portici circondanti, con finestre nelle pareti (sorrette
da colonne o pilastri) di questa parte piü alta. Siffatto tipo egli
lo ritrova nella basilica di Pompei. E questa, secondo lui, non e
un'ipotesi, ma crede di poterlo provare. Gli risulta cioe, che i giä
menzionati frammenti di colonne non potevano tutti appartenere
ad un solo ordine, ma a due, dei quali allora infatto sarebbe ine-
vitabile di collocare uno nella parte piü alta dello spazio medio,
in una parete sorretta dalle colonne.
Della ricostruzione del Lange non si pud giudicare che dopo
un accurato esame sul luogo stesso (7). II risultato di un tale esame,
e di un nuovo studio dell'intera questione, sarä proposto nelle pagine
seguenti.
Vitruvio vuole che, quando lo spazio medio della basilica e
largo p. es. 48 piedi (come press' a poco nella basilica pompeiana),
le colonne siano alte 16 piedi, e che questa sia anche la larghezza
dei portici. La parte media secondo lui dev'essere piü alta, essendo
sovraposto alle colonne (con la trabeazione) un muro (pluteus) alto
IG LA BASILICA Dl POMPEI
9 piedi, sormontato da colonne alte 12 piedi, che sorreggono il
tetto; i portici hanno invece del tetto una terrazza che serve da
ambulacro (8). Qui dunque il rapporto fra larghezza e altezza
(aggiungendosi a quest' ultima le trabeazioni) sarebbe press' a poco
di 8:7. Vitruvio stesso nella sua basilica a Fano non si attenne
ai propri precetti : fece lo spazio medio largo 60 piedi e raggiunse
l'intera altezza con un solo ordine di colonne, alte 50 piedi, ed il
loro architrave; due portici larghi 20 piedi, uno sovraposto all'altro,
erano sorretti da pilastri addossati alle colonne, alti 20 e 18 piedi.
Cosi al di sopra del tetto del secondo portico i sommiscapi delle
colonne (circa 10 piedi) rimasero liberi, e fra essi la luce entrava
nell'edifizio. II rapporto fra larghezza ed altezza della parte media
poteva essere di 10: 9 all'incirca; dei portici s'intende che soltanto
1' inferiore aveva 1' altezza uguale alla larghezza (9).
Ora a Pompei abbiamo la parte media larga m. 12,28, i portici
larghi 4,70 ; le colonne, dal diametro di m. 1,10 (compreso lo stucco),
difficilmente potevano avere un'altezza minore di m. 10. Ora queste
colonne, sono esse quelle della basilica normale di Vitruvio, sulle
quali s'inalzano le pareti della parte media al disopra dei tetti
dei portici, ovvero quelle della basilica di Fano, che s'elevano fino
al tetto? Mi pare fuor di dubbio che siano queste ultime. L'architetto
si e scostato dallo Schema solito per ottenere una maggiore altezza
dei portici, uguale a quella che spetterebbe soltanto alla parte me-
dia. Per conseguenza, questa e la conclusione piü naturale, la parte
media non s'inalzava piü al disopra dei portici, e non poteva piü
aver flnestre, le quali dunque dovevano farsi nelle pareti dei portici.
E in questo modo si otteneva una luce piü uguale in tutte le parti
dell'edifizio, anche nei portici. Qui non s'incontra difficoltä alcuna,
giacche una tale forma non era ne piü difficile, ne piü costosa della
consueta.
Invece l'opinione del Lange, che al disopra di questi portici,
alti il doppio del consueto, s'inalzasse ancora la parte media, e in
se stessa assai improbabile. Manca affatto uno scopo pratico. Era
facilissimo di introdurre luce abbondante per aperture nelle pareti
dei portici : la maggiore altezza di questi e quella della parte media
ragionevolmente si escludono a vicenda, perche servono ad un me-
desimo scopo, di introdurre cioe la luce (10), e bastano ognuna da se
a raggiungerlo. E a quali proporzioni si giunge in quanto alla parte
LA BASILICA DI POMPEI 17
media, che Vitruvio vuole piü larga che alta ! Nella ricostruzione
del Lange (n) l'altezza supera la larghezza quasi della metä, e sa-
rebbe maggiore ancora, se egli non si fosse permesso, ciö che non
doveva permettersi, di dare alle colonne un altezza minore di quella
delle pareti.
E tutto ciö doveva essere raggiunto con sforzi straordinari,
con mezzi tecnici che per quell' epoca difficilmente possono am-
mettersi. Siccome l'architrave delle grandi colonne, i cui centri
distano fino a 4 jnetri, non puö essere stato che di legno, cosi il
Lange e costretto di inserire nel muro sovrapostovi un sistema di
archi di scarico, mentre nulla di simile s'incontra neH'architettura
pompeiana di quel tempo, che ha una tecnica pocosviluppata e
p. es. nei portici mette i massi degli architravi di tufo semplice-
mente uno accanto all'altro sopra panconi di legno (,2).
Risulta, e vero, dalle parole di Vitruvio (13), che lo schema
consueto era quello con la parte media piü alta. Perö con quanta
libertä si trattasse questo schema, basta a dimostrarlo la basilica
costruita da Vitruvio stesso a Fano, ne havvi motivo alcuno per
credere che appunto la maggiore altezza della parte media sia stata
mantenuta invariabilmente. Facendo riposare il tetto direttamente
sulle grandi colonne, si poteva ottenere una maggiore stabilitä;
e. facendo cosi era data un' altezza uguale in tutte le parti, a meno
che non si fosse voluto commettere delle mostruositä quali commise
Vitruvio nella sua basilica in Fano. Poco importava ai Pompeiani,
se allora l'edifizio meritasse ancora il nome di basilica - Lange
(p. 232) lo negherä -; ma senza dubbio lo chiamavano con quel
nome che era usato per edifizi simili e di analoga destinazione.
L'opinione dunque del Lange e per se stessa tutt'altro che
probabile (14); e vedremo che anche i frammenti non ci costringono
affatto, com' egli crede, ad accettarla.
Che lo spazio medio fosse coperto (J5), non se ne sarebbe dovuto
dubitare (16), dopo che dai frammenti fu dimostrato in modo indu-
bitabile, che vi erano finestre. E voglio aggiungere in questo ri-
guardo, che secondo tutte le apparenze in origine un pavimento
eguale si stendeva per i portici e per la parte media. Degli avanzi
e delle traccie dell'egregio opus signinum che formava il pavi-
mento della parte media all' altezza dei plinti di lava sotto le
grandi colonne, ne fu parlato abbastanza (,7). Ora il medesimo
2
18 LA BASILICA DI POMPEI
signinum alla medesima altezza cuopre il gradino sul quäle stanno
le mezze colonne; la faccia verticale interna delle soglie di tutti
gli ingressi non e lavorata ; ciö indica che essa doveva star nascosta
sotto un pavimento dei portici appunto di quella stessa altezza.
E vero che il gradino suddetto e interrotto avanti all'ingresso nord, e
ciö era inutile quando il pavimento fosse stato a quell'altezza, come
era inutile anche il lavoro accurato e rettilineo del gradino stesso;
ma nulla ci iinpedisce di credere che mentre si costruiva si avessero,
quanto al pavimento, altre intenzioni. Contradice ad una tale altezza
del pavimento lo stucco bianco sulla faccia verticale del gradino;
ma sono persuaso che esso e di origine posteriore. I portici cioe
non potevano essere fin da principio, come sono adesso, privi di
pavimento, il quäle necessariamente avrebbe dovuto coprire, almeno
in gran parte, quello strato di stucco. Quest' ultimo ne pud essere
stato fatto prima del pavimento, del quäle in tal caso si vedreb-
bero sopra di esso gli avanzi, ne mentre il pavimento vi stava,
perche allora non potrebbe estendersi tanto in basso (m. 0,25 sotto
lo spigolo del gradino) , ma soltanto dopo che il pavimento era stato
tolto. — Del signinum poi della superficie del gradino non e conser-
vato in alcun punto lo spigolo ; finisce dapertutto con una rottura,
la quäle a sin. dell'ingresso sud sta verticalmente sopra lo stucco
della faccia verticale, e forse s'avanza perfino un poco al di lä di esso.
E siccome difficilmente poteva esservi nel signinum uno spigolo
vivo, ma doveva avere una certa rotonditä, cosi ancor questa cir-
costanza pare che provi che il signinum seguitasse oltre il gradino
e probabilmente per l'intero edifizio.
Anche questo e stato stabilito giä prima, che un portico supe-
riore non vi era (18). Ed in tal riguardo merita di essere menzionato,
che di quel piccolo vano a sin. del vestibolo (calcidico), il quäle
si era sospettato che contenesse una scala (,9), fu chiarito il signifi-
cato dallo sgombro fattone dietro mia preghiera nell'estate 1884 (20).
Si e visto che e diviso in due parti, di cui quella occidentale
(vd. la pianta) e un pozzo (largo 1,63X1,34, non scavato fino al
fondo), l'altro, maggiore, un bacino di poca profonditä (circa m. 0,90
sopra il pavimento del calcidico, largo 2,43 X 1,27). Dal fondo di
quest' ultimo un tubo di creta porta per la parete divisoria nel pozzo,
con inclinazione verso questo; dal pozzo im canaletto alto e largo
circa 8 ctm. porta nella basilica, passando sotto la colonna angolare.
LA BASILICA DI POMPEI 19
Pj inclinato verso l'interno dell'edifizio: serviva dunque per por-
tarvi dell'acqua; trayersa il gradino ad un liyello tanto basso da
rimanere sotto il pavimento da noisupposto (pag. 17 sg.). Tutti questi
apparecchi, siüla cui destinazione non saprei dire nulla di soddisfa-
cente, sono indubitabilmente contemporanei alla basilica stessa.
Nel bacino, e specialmente nell'angolo nord-est, son yisibili sedi-
menti di calce, come di acqua di condotto.
Volendo ricostrmre l'antica forma dell'edifizio, si tratta di
disporre e metter d'accordo fra loro tre elementi:
1. La parete con le mezze colonne addossatevi, dal diametro
di m. 0,84, conservate fino all'altezza di m. 5,36.
2. Le colonne, dal diametro senza lo stucco di m. 1,04, con
esso almeno 1,10, clje separano lo spazio medio dai portici.
3. I numerosi avanzi di colonne, mezze colonne, trequarti
di colonne e membri simili in tufo, dal diametro di m. 0,53 alla
base, di 0,48 alla sommitä del fusto, dei quali alcuni possono
appartenere al tribunale, le cui colonne hanno quel medesimo dia-
metro, mentre la maggior parte deve provenire dalle parti supe-
riori dell'edifizio.
Ora Lange ed io siamo d'accordo che le colonne erano piü
alte che le mezze colonne; nulla ho da aggiungere a quanto fu
detto in questo riguardo (21). E allora e inevitabile di supporre al
disopra delle mezze colonne un secondo ordine di colonne (o membri
simili) minori ; rimane soltanto a sapere, se tutti i frammenti su-
perstiti possano ivi trovar posto. Prima perö di occuparci di questo,
bisogna vedere quäle possa essere stata l'altezza delle colonne,
quäle quella della parete con i suoi due ordini.
Lange suppone, ed anch'io tempo fa lo credetti verisimile (22),
che la relazione fra altezza e diametro fosse una medesima nelle
colonne e nelle mezze colonne, e ciö ci condusse ad un risultato
assai incomodo, che cioe la parete fosse piü alta delle colonne.
Perö quella supposizione non ha fondamento. Mancano le analogie ;
ma in se stesso e possibilissimo che colonne corrispondenti a due
ordini posti uno sopra l'altro, avessero proporzioni piü svelte che
ognuno di questi. Negli edifizi preromani di Pompei (« epoca del
tufo ■ ) non havvi regola costante per le proporzioni delle colonne ;
vi sono colonne ioniche col fusto di ctto (casa di Pansa) e di nove
(propilei del foro triangolare) diametri, ma anche di cinque e mezzo
20 LA BASILICA DI POMPEI
(portico del tempio d' Apolline); colonne corinzie di sei diametri
(atrio della casa del Fauno, tempio d' Apolline) e altre di otto e
mezzo (sala del gran musaico nella casa del Fauno). D'altra parte
UDa differenza d'altezza fra la parete e le colonne e piü che im-
probabile. Essa nella ricostruzione del Lange porta la conseguenza,
che il soffitto dei portici da un lato riposa sulla trabeazione del-
l'ordine superiore della parete, dall'altro non su quella delle co-
lonne, ma e incastrato, circa m. 0,80 piü in alto, nel muro sovra-
postovi. Cosi la trabeazione delle colonne non ha alcun significato
nella disposizione delle altezze, ne per la parte media, che neces-
sariamente, secondo il Lange, s'inalza al disopra di essa, ne per
i portici. Perö siffatto gravissimo inconveniente e inerente alla
ricostruzione del Lange e ne dimostra la poca probabilitä: dando
alle colonne la stessa altezza della parete, egli, con quel sistema
di archi di scarico che e costretto di fraporre fra l'architrave e
le flnestre della parte media, porterebbe quest'ultima ad un'al-
tezza sopra i portici che anche a lui sembrerebbe insopportabile (23).
In altro modo io aveva cercato di spiegare la maggiore
altezza della parete (24), supponendo cioe, che il tetto dei por-
tici si abbassasse dalla parete sulla trabeazione delle colonne:
supposizione anche questa tutt' altro che soddisfacente. Posto anche
che non vi fosse un soffitto nei portici, nondimeno e nel carattere
dell'architettura di quest'epoca — ce lo insegnano gli atrii ed i peri-
stilii delle case decorate nel primo stile — di dare ai pilastri, alle
mezze colonne ecc. della parete la stessa altezza delle colonne.
D'altronde la conformazione del tetto che in tal modo mi risul-
tava, non sarebbe di certo impossibile, ma sorprendente seinpre
e senza analogia, e perciö, offrendosi una soluzione piü semplice,
questa sarä preferibile.
Riterremo perciö, finche con questa supposizione non incontre-
remo difficoltä, che la parete con i suoi due ordini da una parte,
e dall'altra le colonne con la loro trabeazione raggiungessero una
stessa altezza.
Una delle mezze colonne sporgenti dal muro, l'undecima del
lato d., e conservata fino all'altezza di m. 5,36 sopra il gradino,
cioe sopra l'antico pavimento dell'intero edificio. E a quest' altezza
ha il diametro di m. 0,72. La dodicesima del medesimo lato e
conservata fino ad un' altezza poco minore, e qui ha il diametro di
LA BASILICA. DI POMPEI 21
almeno m. 0,73. D'altra parte anche dai capitelli ionici di tufo (2r)
risulta un diarnetro superiore press'a poco (non puö stabilirsi con
esattezza) di m. 0,72. Dunque a m. 5,36 siamo vicini alla sommitä
del fusto, e siccome il capitello e alto m. 0,40, cosi possiamo ri-
tenere che la mezza colonna fosse alta, col capitello, poco piü di
m. 5,76. La decorazione poi delle pareti (26) ci conduce ad un ri-
sultato ancora piü precisc. Essa nella parte superiore consiste in file
di rettangoli (lastre di marmo imitate in istucco) di altezza uguale,
fra m.0,58 e 0,59, delle quali quattro son conservate, e una quinta
fu vista e disegnata dal Mazois (III tav. 18). Con sei file arri-
viamo a m. 5,90, e tenendo conto dell'altezza attestata da quelle
due mezze colonne, appena puö rimanere un dubbio che questa non
fosse l'altezza esatta fino all'architrave. Siccome la base e alta
m. 0,20, cosi restano per il fusto m. 5,30, cioe sei diametri e quasi
un terzo.
Prima di andar piü innanzi bisogna rivolgere uno sguardo al
tribunale. La sostruzione e alta m. 1,65 sopra il pavimento da
noi supposto. Essa porta nella fronte sei colonne, di cuile due
ultimo sono congiunte coi muri laterali : il loro diarnetro e uguale a
quello dei summentovati frammenti d'un ordine superiore; mezze
colonne sono addossate ai muri. Le pareti hanno una decorazione
analoga a quella dei porüci, che imita in istucco un'incrostazione
con lastre di marmi colorati : sopra lo zoccolo ciascun intercolunnio
contiene un grande rettangolo; sopra questo eravi la nota cornice
a dentelli di questo stile (che perö non e conservata), e quindi se-
guono altre file di rettangoli, che secondo le regole di questo stile
dovevano essere di altezza uguale, e sono alte m. 0,58 : ne e con-
servata una, che arriva all'altezza di m. 2,71, e un'altra a metä (27).
La mezza colonna del muro d. e conservata fino a m. 2,74, e a
quest' altezza ha il diarnetro di m. 0,57, mentre i capitelli (alti 0,56)
dimostrano un diarnetro superiore di m. 0,48, con lo stucco tutt'al
piü di m. 0,50. Ora con tre file de'rettangoli suddetti s'arriverebbe
a m. 3,87, e la sommitä del fusto starebbe a m. 3,31. II diarnetro
dunque dovrebbe diminuire di almeno m. 0,07 sopra un'altezza di
m. 0,57 ; e siccome questa sarebbe una diminuzione troppo rapida,
cosi bisogna supporre che vi fossero almeno quattro file, colle quali
arriviamo all'altezza, molto probabile, di m. 4,45 fino all'architrave.
E aggiungendo i m. 1,65 della sostruzione abbiamo m. 6,10, vale
22 LA BASILICA DI POMPEI
a dire oltrepassiamo di m. 0,20 l'altezza delle mezze colonne dei
portici. Siccome poi per queste ultime dobbiamo naturalmente sup-
porre una trabeazione piü alta di quella del tribunale, cosi ci ri-
sulta quasi con evidenza, che la differenza di m. 0,20 era com-
pensata appunto nelle trabeazioni, che cioe quella delle mezze
colonne era di m. 0,20 piü alta che quella del tribunale, e giun-
gevano ambedue ad una medesima altezza.
Ora della trabeazione del tribunale i massi dell'architrave col
,«. ■-« fregio sono in parte conservati: ne do qui ap-
mmmm presso il profilo ; la larghezza inferiore di m. 0,49
■ corrisponde benissimo al diametro superiore delle
\ colonne (28). Torneremo su questi frammenti
1 quando avremo a parlare del tribunale. L'archi-
trave dunque ed il fregio sono alti m. 0,69.
Prendendo per base, a mo' d'esempio, le proporzioni dei propilei
del foro triangolare (29), possiamo dare alla cornice m. 0,23, all'in-
tera trabeazione 0,92, e a quella delle mezze colonne dei portici
m. 1,12.
Lange, p. 361, riconosce la cornice della trabeazione dei por-
tici in 10 massi dal profilo riprodotto a pag. 361 del suo libro,
che stanno nel 1°, 2° e 4° intercolunnio del portico sin. Uno di essi
pero, nel quäle la cornice finisce a d. nella nota maniera del primo
stile decorativo (Mau Wandmal. p. 113), lasciando liscia accanto
a se una parte della faccia anteriore, non puö essere collocato nel-
l'interno, ove le colonne angolari fanno fede che anche la trabea-
zione si stendeva negli angoli. Lange perciö suppone che vi fosse
anche esternamente l'identica cornice ; ed infatto, siccome ivi diffi-
cilmente poteva estendersi sul calcidico, cosi il frammento in que-
stione potrebbe allora stare all'estremitä est del muro sud. Ma tutti
questi massi hanno uguale profonditä (m. 0,60 la superficie infe-
riore) e per conseguenza tutti appartengono ad una stessa serie,
cioe, se quella congettura e giusta, al lato esterno del muro; che
la cornice interna avesse la stessa forma, o la stessa altezza, sa-
rebbe possibile ma non necessario (30). Fa difficoltä in questa sup-
posizione la grande quantitä che dovrebb'esser perduta: di m. 110
sarebbero conservati 5,20 soltanto. Ma non saprei fare un'altra
proposta (31).
Le colonne dell'ordine superiore non erano lavorate tanto esat-
LA BASILICA DI POMPEI 23
tamenta da poter riconoscerne l'altezza dai frammenti superstiti.
La base delle mezze colonne e alta 0,20, i capitelli 0,56; cal-
colando il fusto a sei diametri (0,53) ed un terzo avremo 4,12.
La trabeazione, se era completa, poteva essere alta m. 0,80 ; se poi
i portici avevano un soflitto, e questo, com' e probabile, riposava
immediatamente sull' epistilio , allora questo poteva essere alto
m. 0,30. Cos! dunque avremmo
mezze colonne
trabeazione . .
colonne superiori
trabeazione . .
altezza della parete
m. 5,90
> 1,12
■ 4,12
» 0,80 ovvero 0,30
m. 11,94 ovvero 11,44
Per le grandi colonne bisogna supporre, come il piü naturale,
che avessero i capitelli analoghi a quelli dell'ordine superiore della
parete, vale a dire corinzii ; e allora dovevano essere di tufo, alti
circa m. 1,10 (32). La base e alta 0,27; alla trabeazione possiamo
dare fino am. 2; e cosi, per arrivare a m. 11,94, ci vuole un
fusto di 8,57, cioe di meno di 8 diametri, mentre nella basilica
di Vitruvio in Fano le colonne analoghe erano alte 10 diametri.
E se il soffitto dei portici riposava sugli epistilii, e se quello delle
colonne grandi era alto m. 0,80, allora il fusto doveva misurare
m. 9,27, cioe meno di otto diametri e mezzo. Se finalmente il sof-
fitto dal lato della parete era sorretto da una trabeazione completa
di m. 0,80, sopra le colonne dal solo epistilio anch'esso alto m. 0,80,
allora il fusto era alto m. 9,77, cioe meno di nove diametri; e
neppur questo e impossibile.
Siccome dunque la distribuzione delle altezze non presenta
difficoltä di sorta, cosi ora ci rivolgiamo a considerare, quäle possa
essere stata la disposizione dell'ordine superiore delle pareti, e se
in esso possano trovar posto tutti i membri attestati dai frammenti,
ovvero se ne rimanga un resto, il quäle potrebbe costringerci a
ricorrere ad altre ipotesi.
I frammenti dunque ci attestano i membri seguenti, il cui
diametro inferiore e di m. 0,53 incirca, il superiore di m. 0,48.
14 colonne libere, attestate da altrettanti capitelli. Veramente
di questi ve ne sono 18, ma ne possono appartenere quattro ad
24 LA BASILICA DI POMPEI
altrettante colonne nella fronte del tribunale, che hanno il mede-
simo diametro.
3 mezze colonne, attestate da altrettante basi, che non pos-
sono appartenere al tribunale, ove le basi stanno al posto. Di capi-
telli son conservati cinque, ma sei ve ne dovevano essere nel tri-
bunale. Una quarta base, frammentata, puö essere o di una mezza
colonna o di un quarto di colonna posto in un angolo (33).
4 pilastri congiunti ognuno con una colonna, press' a poco della
forma che qui appresso si vede, attestati da
due capitelli, che ambedue, veduti dal lato
della colonna, avevano a sin. un muro (indi-
cato nel disegno), grosso circa m. 0,50, di
cui formavano l'estremitä. Manca dunque ad
ognuno il suo riscontro, e ve ne erano almeno
due paia (34). Diametro maggiore alla som-
mitä circa m. 1,0.
6 trequarti di colonne della forma qui riprodotta; formavano
ognuno l'estremitä di un muro, del quäle
una faccia si congiunge con la periferia della
colonna a guisa di tangente, mentre sull'altro
lato la colonna rientra e si presenta come
mezza colonna : non isbaglieremo chiamando
questo lato l'interno. Son conservati tre sommiscapi, che tutt' e tre,
veduti dal lato interno, hanno il muro ad., e tre capitelli, di cui
due Vhanno a d., uno a sin. (35). Siccome senza dubbio in numero
uguale l'avevano a d. e a sin., cosi possiamo dire che ne sono
attestate tre paia. Con un muro di m. 0,50, quäle ce l'hanno fatto
conoscere i pilastri summentovati, non potevano esser congiunti che
nel modo indicato dal nostro disegno (36).
II Lange p. 369 nega che tutti questi membri abbiano potuto
appartenere ad un medesimo ordine di colonne, perche secondo lui
i trequarti di colonne in ultimo luogo menzionati presuppongono
un muro non piü grosso di m. 0,28-0,30, le mezze colonne uno di
m. 0,38 (37). Potrebbe adesso aggiungere che i suddetti pilastri lo
dimostrano di circa m. 0,50. Egli crede cioe, e cosi un tempo cre-
deva anch'io (38), che i trequarti di colonne dovessero dal lato
interno sporgere a guisa di mezze colonne avanti a quel muro di
cui formavano l'estremitä. Ma se con essi il muro era congiunto
LA BASILICA DI PÖMPEI 25
nel modo come io suppongo, e come si puö supporre senza difficoltä
alcuna, allora questa difficoltä sparisce del tutto. E che realmento
fosse cosi, lo confermano le osservazioni seguenti.
Nei trequarti di colonne il breve principio della faccia interna
del muro non e parallelo a quella esterna, ma forma con essa un
angolo di circa 45° (39). Che non si trattasse, come crede Lange
p. 367, di un piccolo incavo soltanto, lo si dovrebbe inferire anche
da cid, che in nessun caso la faccia interna fu formata nel tufo, come
quella esterna: non se ne fece che un piccolissimo principio, la-
sciando tutto il resto alla muratura. — La parte inferiore della
colonna si staccava dal muro meno di quella superiore, e meno
di tutto il capitello, cid che, come ognuno vede, s'accorda egregia-
mente con la supposizione nostra. Lo si osserva bene in uno dei som-
miscapi (11 intercol. a d.), ove il lato rivolto al muro e trattato
in modo da dover combaciare con un'altra pietra di tufo, e perciö
puö essere misurato con esattezza: e grosso di sopra m. 0,27, di
sotto (a una distanza di 0,60) m. 0,28. E che cid fosse fatto con
intenzione, lo dimostra l'allargarsi uguale delT ultima regola, fra
il principio del muro e l'ultima scanalatura. E similmente si spiega
che in un rocchio medio, con un principio di muro grosso m. 0,30,
la sedicesima scanalatura non e che accennata, e la quindicesima
sparisce verso l'estremitä inferiore di questo rocchio. Nei capitelli
poi il principio del muro era grosso circa 0,34 (1. intercol. a d.),
0,35-0,38 (4. interc. a d.), 0,36 (8. interc. a sin.).
Che agli stipiti delle aperture nelTordine superiore si sia vo-
luto dar questa forma, e non quella piü semplice di una mezza
colonna rivolta all'apertura stessa, lo si comprende con facilitä,
se essi stavano a piombo ognuno sopra una delle mezze colonne
dell'ordine inferiore : allora cioe, per corrispondere a queste, dove-
vano presentarsi a chi stava nell'interno nella larghezza dell'intero
diametro; e la stessa forma degli stipiti ci fa fede che cosi fossero
collocati, non sopra gli intercolunnii.
Da questo lato dnnque non incontriamo difficoltä alcuna nell'at-
tribuire tutti i frammenti di colonne ecc. di tufo, per quanto non
appartengono al tribunale, aH'ordine superiore sovraposto alle mezze
colonne dei portici. All'incontro chi volesse col Lange collocare i
trequarti di colonne e le colonne libere nel muro sorretto dalle grandi
colonne, come stipiti e divisioni di finestre, non troverebbe piü un
26 LA BASILICA DI POMPEI
motivo soddisfacente per spiegare, perche l'architetto abbia dato
agli stipiti questa forma insolita; e farebbe meraviglia perfino che
abbia voluto ornare con colonne le aperture di un muro che dava
cosi poco negli occhi (40).
Ora, per ricostruire l'ordine superiore dei portici, bisogna tener
conto delle probabilitä che risultano dal nuraero nel quäle i sin-
goli membri ci sono attestati dai frammenti. Cosi p. es. la restitu-
zione del Lange e assai improbabile anche per questo, che secondo
lui di 24 colonne libere sarebbero conservati 18 capitelli (41), di
almeno 30 mezze colonne (42) soli 5, di 28 trequarti di colonne (43)
soli 3 (4f). Bisogna invece cercare una disposizione, in cui preval-
gano di gran lunga le colonne libere.
I centri delle mezze colonne distano fra loro nella parte media
delle pareti m. 3,80-3,83. In ciascuna estremitä l'ultimo interco-
lunnio (corrispondente ai portici corti) misura 5,19-5,24, il penul-
timo 4,68, il terzo 3,97. Evidentemente tali distanze furono sta-
bilite per le grandi colonne ; per le mezze colonne sono sopportabili,
per l'ordine superiore sarebbero addirittura soverchie: anche nei
piü piccoli intercolunnii 7 diametri, e poco meno che l'altezza delle
colonne. Fra tutti gli edifizi dell'epoca « del tufo « tutt' al piü po-
trebbe paragonarsi la cosi detta curia Isiac^mo, solo la distanza
in relazione col diametro, non con l'altezza : le colonne grosse 0,39,
alte 3,15 distano fra loro di m. 2,70. Ma ivi si tratta di un sem-
plice portico senza ordine superiore, nel quäle anche le proporzioni
delle colonne (altezza di 8 diametri) son calcolate per far l'effetto
della massima leggerezza. Kiflettendo poi che, essendo conservati
18 capitelli, probabilmente di colonne libere ve n'erano fra 30 e 40,
e quasi inevitabile l'ammettere che fossero poste non solo sopra
le mezze colonne dell' ordine di sotto, ma anche sopra gli interco-
lunnii. Che una tale disposizione non fosse insolita a quell' epoca, lo
prova il peristilio della casa * della parete nera ■ (VII, 4, 59), ove
la parete est al di sopra di ognuna delle mezze colonne e di ogni
intercolunnio e ornata d'un pilastro. Cid ammesso la distanza sa-
rebbe nel caso nostro di m. 1,90 almeno, mentre le colonne del
tribunale, di uguale diametro ma forse un poco piü alte, distano fra
m. 1,76 e 1,81.
I sopra mentovati capitelli di pilastri congiunti con colonne
LA BASILICA DI POMPEI 27
(pag. 24) dimostrano un diametro superiore di circa m. 1,0; quello
inferiore appena sarä stato minore di m. 1,05 (il pilastro stesso
forse non aveva rastreraazione). Per essi dunque non v' e altro posto
che nelle pareti lunghe, ove alla grossezza del muro (nord 0,685,
sud 0,625) s'aggiungeva la superficie della trabeazione delle mezze
colonne (45). — f] chiaro poi che questi erano gli stipiti di aper-
ture non grandi, in modo che le colonne sporgenti potessero esser
congiunte da un architrave anch'esso sporgente, di aperture dunque
che non oltrepassavano un intercolunnio deli'ordine inferiore e nelle
quali per conseguenza non vi era posto per tante colonne libere. Per
queste ci volevano aperture grandi, le quali molto meglio potevano
essere fiancheggiate dai trequarti di colonne. Delle une e delle altre
aperture dobbiamo ammettere il minor numero possibile ; quelle con i
pilastri preceduti da colonne dovevano occupare un posto centrale,
e perciö appena si puö dubitare che non ne fosse posta una sopra
ognuno degli ingressi laterali, e che su ciascun lato di queste aper-
ture centrali non ve ne fosse, nelle pareti lunghe, una grande con gli
stipiti formati a trequarti di colonna, divisa per mezzo di colonne
libere in numero considerevole.
Credo poi assai poco probabile che ad una parete interrotta
da queste ultime aperture fossero addossate mezze Colonne. Su queste
cioe doveva poggiare un architrave d'una sporgenza di circa m. 0,25 (46),
mentre quello dei trequarti di colonne e delle coJonne libere, che
non sono addossate al muro ma per un certo tratto lo rimpiazzano,
non poteva sporgere che pochissimo. Inoltre l'architrave piü spor-
gente non poteva neanche estendersi fino aH'apertura, ma doveva
tinire sull' ultima mezza colonna, nel modo disegnato qui appresso.
Una tale conformazione mi sembra
incredibile. Senz'alcun dubbio, se
vi fossero state mezze colonne, si
sarebbe procurato di poter condurre il loro architrave fino all'aper-
tura, mettendo cioe una mezza colonna accanto allo stipite. Ma
ognuno vede che in tal caso non lo stipite ma la mezza colonna
doveva stare a piombo sopra quella deli'ordine di sotto, di modo
che non vi era piü motivo alcuno per dare agli stipiti l'insolita
forma attestata dai frammenti (47) : nulla impediva di farli sia a
guisa di pilastri sia di mezze colonne, nel modo come qui appresso
28 LA BASILICA DI POMPEI
si vede. E cosi la stessa forma degli stipiti esclude, se non m'in-
ganno, l'esistenza di mezze colonne addossate alla medesima parete.
Perciö ritengo che le mezze colonne stassero
tutte nell'ordine superiore dei lati corti ; e ve-
dremo in appresso che ivi trovano bene il loro
posto.
E se a qualcuno facesse difficoltä l'ammettere in tal modo
nei lati corti una trabeazione con una sporgenza alquanto maggiore
che nei lati lunghi, risponderemo che cosi era anche nell'ordine
inferiore, con la sola differenza che ivi la trabeazione piü sporgente
era sorretta dalle mezze colonne dei lati lunghi, mentre, come
ognuno vede, sulle colonne dei lato dell'ingresso, di un diametro
poco maggiore della grossezza dei muro, non poteva poggiare che
un architrave di poca sporgenza. E mi par certo, che da siffatta
diiferenza degli architravi abbia a spiegarsi l'insolita forma delle
colonne angolari nord-est e sud-est. Sem-
brava brutto aH'archiletto che sopra un sem-
plice quarto di colonna s'incontrassero due
architravi di sporgenze differenti, mentre
cosi com'egli ha fatto la mezza colonna por-
tava quello piü sporgente, e l'altro, di spor-
genza minore, poggiava su quel piccolo seg-
mento che le e aggiunto nell'angolo stesso. Era diversamente sul lato
posteriore. Ivi cioe i trequarti di colonne accanto al tribunale s'avan-
zano a guisa di mezze colonne avanti al muro che li congiunge col
tribunale stesso ; e la faccia di questo muro, prolungata a traverso
degli ingressi alle camere laterali, passerebbe per i centri delle mezze
colonne che ne formano l'altro stipite, in modo che di queste ultime
una metä deve considerarsi come rimpiazzante il muro a guisa di
stipite, l'altra come sporgente avanti ad esso e
facente parte dei membro angolare, il quäle dun-
que, esaminandolo bene, e composto di due quarti
di colonne. In tal modo la differenza fra le co-
lonne angolari anteriori e posteriori e pienamente
giustificata: lä sono composte di due membri
inuguali, il piü grande su quel lato ove l'ar-
chitrave sporgeva maggiormente, qui di due membri uguali, perche
uguale era su ambedue i lati la sporgenza dell'architrave.
V
LA BASILICA DI TOMPEI
29
Potrebbe sembrare un inconveniente che, non essendovi mezze
colonne nell'ordine superiore dei muri lunghi, gli intercolunnii chiusi,
che pure dovevano esservi, avessero in larghezza il doppio della
distanza fra le colonne libere poste nelle aperture. Ma d'altra parte
le mezze colonne, posto che vi fossero, non potevano essere membri
omogenei ed equipollenti di una stessa serie cogli stipiti delle aper-
ture in forma di trequarti di colonne, e con le colonne libere poste
nelle aperture stesse. Non stavano in una stessa linea: sporgevano
dal muro, mentre quelle lo rimpiazzavano, e tutto l'insieme doveva
aver con esse qualche cosa d'inuguale, d'irrequieto, che era meglio
evitare. Credo perciö che l'ordine superiore fosse trattato nei muri
lunghi come un muro rimpiazzato per certi tratti da colonne, senza
complicar tale concetto per l'aggiunta delle mezze colonne spor-
genti, in modo perö che ad ogni mezza colonna dell'ordine infe-
riore corrispondesse o uno stipite o una divisione (colonna) di qualche
apertura. Quelle distanze maggiori potevano esser mascherate per
mezzo di finestre; e poi una tale distanza maggiore la dobbiamo
supporre in ogni modo nelle aperture fiancheggiate dai pilastri pre-
ceduti da colonne. Giacche e incredibile che anche queste, che non
potevano esser minori di un intercolunnio dell'ordine inferiore, fos-
sero divise ognuna per mezzo di una colonna: in primo luogo sa-
rebbe stato brutto, perche essa avrebbe formato triangolo con le
due colonne sporgenti ; e poi sarebbe venuta a stare sopra l'ingresso,
mentre e probabile che la grande apertura sopra la porta si facesse
appunto per alleggerirla.
Propongo dunque qui appresso la metä, compresa la parte cen-
trale, della pianta dell'ordine superiore e del prospetto dell'intera
HBf-+~li-r-HLf~H-4"t
30 LA BASILICA DI POMPEI
parete. Ho supposto che le parti corrispondenti ai portici corti fos-
sero chiuse, mentre alla fila delle colonne grandi corrispondesse una
tila di colonne libere, interrotta nel centro da due intercolunnii
chiusi fiancheggianti la grande apertura centrale cogli stipiti in
forma di pilastri preceduti da colonne.
Di questi Ultimi quello di cui si puö calcolare ad im dipresso
il diametro, doveva averlo alla base non minore di m. 1,05. Ora
il muro nord e grosso 0,685; le mezze colonne dell'ordine infe-
riore, oltre le quali non e presumibile che s'avanzassero le co-
lonne superiori, potevano sporgere alla sommitä circa m. 0,40.
Dunque per il pilastro con la colonna vi era appena il posto, e
non vi era affatto, se la- faccia esterna del muro nell'ordine supe-
riore non stava a piombo sopra quella di sotto; e impariamo
cosi, che il muro si ristringeva soltanto intern amente, non dal
lato di fuori. Ne viene di conseguenza che i trequarti di colonne,
e le colonne libere che con esse stavano in una linea, non ave-
vano basi; giacche e chiaro dalla pianta dei trequarti di colonne
(pag. 24), che il loro fusto toccava la faccia esterna del muro,
e che per una base non vi era piü posto. Infatto non fu trovata
alcuna base sia di esse sia delle colonne libere (48), e di queste
ultime vi sono due imiscapi senza base, mentre quelle del tri-
bunale le hanno fatte da un pezzo coll'imoscapo. Le basi furono
omesse, perche dal lato interno non sarebbero state visibili, e perche
non sarebbe stato possibile di farle senza far sporgere esternamente
la parte inferiore del muro avanti a quella superiore. Invece le
mezze colonne dei lati corti avevano basi, che sono in parte con-
servate; ivi cioe erano visibili e potevano farsi senza difficoltä.
Eimane indeciso, se le avessero le colonne addossate ai pilastri
delle aperture centrali nei lati lunghi. I pilastri stessi, come i tre-
quarti di colonne, e per i medesimi motivi, non potevano averle.
Non sappiamo esattamente, essendo conservato il solo capitello, in
quäl modo la colonna fosse congiunta col pilastro : forse si era tro-
vato il modo di dare a questa la base benche mancasse a quello.
Allora avevano basi i membri sporgenti dal muro, ne erano privi
quelli che lo rimpiazzavano. Non possiamo pretendere di aver cer-
tezza su tutti questi particolari; basta constatare che dillerenze
simili non escludono affatto una disposizione soddisfacente.
Nei due summentovati imiscapi delle colonne libere merita di
LA BASIMCA Dl POMPEI 31
essere rilevato il seguente particolare. In esse cioe non tutte le
scanalature sono trattate secondo la regola, in modo da finire poco
al di sopra del piede, ma alcune son condotte fino all'estremitä. Ed in
uno dei due esemplari son trattate regolarmente alcune scanalature
in due punti che stanno l'uno dirimpetto all'altro ; e cosi pare che
sia stato anche nell'altro, ove non ci si vede tanto chiaro. Senza
dubbio i due lati regolarmente lavorati dovevano essere rivolti alla
strada e all'interno della basilica. E vero che da quest'ultima parte
il piede della colonna non era visibile; ma ciö poteva non esser
presente a chi ne dirigeva la lavorazione, mentre e affatto incre-
dibile che a cose simili si fosse pensato, se le colonne erano desti-
nate, come crede il Lange, per le aperture d'un muro sorretto dalle
grandi colonne : a niuno poteva venire in mente, che ad una tale
altezza simili particolari potessero essere visibili.
L'epistilio (e l'altra trabeazione, se vi era) delle due colonne
sporgenti nel centro di ogni lato lungo doveva avanzarsi di m. 0,50
avanti a quello del resto della parete. Ed e chiaro che una tale
differenza era un inconveniente qualora sopra i portici stava, visibile
da dentro, un tetto obliquo, mentre non lo era affatto, quando erano
coperti orizzontalmente. Qui dunque abbiamo, non certo una prova
stringente, ma un indizio, una probabilitä, che quest* ultimo fosse
il caso.
ßivolgendoci ora ai lati corti, se a ragione abbiamo escluso
le mezze colonne dai lati lunghi, e chiaro che qui debbono trovare
il loro posto. Del resto i frammenti non aiutano (49); credo perö
che le seguenti considerazioni siano stringenti.
Non e credibile che ai tre intercolunnii dell'ingresso principale
abbia corrisposto un'apertura uguale, divisa per mezzo di due co-
lonne, nell'ordine superiore. Qui vale ciö che fu detto sopra (pag. 26)
intorno ai lati lunghi, e che fra questi e que' corti vi sia stata una
tale differenza, non e in alcun modo probabile. Altrettanto poi e
incredibile che una tale apertura sia stata divisa per mezzo di
5 colonne, di cui 3 avrebbero dovuto stare sull'architrave. Per con-
seguenza non vi era apertura affatto, ma muro, diviso naturalmente
da mezze colonne poste a piombo sopra le colonne inferiori. Ne credo
che, per aver le distanze meno grandi, vi fossero mezze colonne anche
sopra gli intercolunnii, cioe sopra l'architrave. Allora perö e ine-
vitabile che in ciascun intercolunnio una finestra servisse al doppio
32 LA BASILICA DI POMPEI
scopo di alleggerire l'architrave e di mascherare la soverchia lar-
ghezza. E suppongo che cosi fossero trattati anche i due interco-
lunnii estremi, giacche, se non era forse impossibile una mezza co-
lonna sopra ognuna di quelle porte secondarie, che non arrivavano fino
aU'epistilio, e in ogni modo piü probabile che ciö sia stato evitato.
Do qui appresso la pianta dell'ordine superiore, che cosi ri-
sulta ; il prospetto del lato d'ingresso dalla parte di dentro si rileva
con sufficiente chiarezza dallo spaccato che sarä dato a pag. 40.
— ( f t r r f r r r r r"
Eiflessioni analoghe fanno supporre che sul lato posteriore, al
disopra degli ingressi alle camere laterali, vi fosse un muro inter-
rotto da una finestra : altrimenti o si dovrebbe ammettere un inter-
colunnio della stessa larghezza dell'ordine inferiore, o un tale interco-
lunnio diviso per mezzo d'una colonna posta sull'architrave, o un
muro con mezza colonna posta anch'essa sull'architrave: tutte sup-
posizioni non probabili (50).
La parte media del lato posteriore era occupata dal tribunale,
il quäle, con le camere adiacenti, ora ci rimane a considerare.
Fu giä detto sopra, che la sostruzione e alta, dal pavimento
da noi supposto, m. 1,65, che il piano inferiore, fino aU'epistilio,
probabilmente era alto m. 4,45. L'epistilio col fregio e conservato,
ed e alto 0,69 ; l'intera trabeazione poteva misurare 0,92. Ed abbiamo
visto sopra, che in tal modo il piano inferiore con la sua trabea-
zione arrivava alla stessa altezza dell'ordine inferiore dei portici.
Prima di occuparci del piano superiore bisogna aggiungere alcune
parole intorno alla parte conservata della trabeazione, l'epistilio cioe
col fregio. Ne abbiamo riprodotto a pag. 22 il profilo, coll'epistilio
da un lato piü alto che dall'altro. Ora il Lange (p. 359) suppone,
come cosa che s'intenda da se, che l'epistilio minore fosse rivolto
al vano piü piccolo, cioe all'interno del tribunale. Ma egli sbaglia.
In casi simili il profilo piü alto era rivolto verso quel lato, ove
un sofiitto poggiava immediatamente sull'epistilio e perciö non si ve-
devano altre parti della trabeazione. Ciö si osserva bene nel portico
e ne'propilei del foro triangolare : in ambedue i luoghi sul lato
LA BASILICA DI POMPEI 33
dell'epistilio piü alto son visibili sopra di esso, a distanze piut-
tosto grandi, i buchi nei quali erano immesse le travi che sorrög-
gevano un leggiero soffitto. Le parti che dal soffitto stesso erano
nascoste, niostrano un lavoro meno liscio. II lato esterno e carat-
terizzato in modo indubitable nel portico dal fregio con triglifl, nei
propilei dall'incavo destinato a contenere una tavoletta con un' iscri-
zione, che naturalmente doveva esser esposta di fuori (51).
Che cosi fosse anche nel caso nostro, lo conferma il fatto che
sul lato dell'epistilio maggiore, immediatamente sopra la cornicetta
dell'epistilio, una striscia di circa m. 0,04 e lavorata in un modo
diverso dal rimanente. Ed evidentemente ciö che rimane al disopra
di quella striscia, fu lavorato con colpi yerticali, dall'alto in basso,
mentre la striscia stessa era in qualche modo coperta. A che scopo
avesse luogo quella lavorazione, non so dirlo: ma quella striscia
mi pare difficile che possa essere stata coperta con altro che con
un soffitto sorretto dalla cornicetta stessa. E siccome dei massi con-
servati due possono esser collocati soltanto quando si suppone che
il profilo maggiore stasse dal lato interno,. cosi appena si puö du-
bitare che il soffitto non vi fosse.
Nel piü grande cioe dei massi (avanti al tribunale) sul lato del-
l'epistilio maggiore all'estremitä sin. una parte non lavorata sporge
dalla faccia lavorata ; la
•*__ *j* , sporgenza e fra 0,03 e 0,06.
T \ Ciö non ammette che una
sola spiegazione, che cioe
wKMMzMmammzmMlim. j qui fosse un angolo rien-
*'" ltii • tränte, e che sulla parete
adiacente la trabeazione non
ji fosse piü formata di tufo,
ma di muratura rivestita di
. >
\ stucco. Per conseguenza que-
[ , . tt, __: sto era l'architrave dell' ul-
timo intercolunnio a d. , il
quäle doveva esser lungo 2,04, lavorato esternamente sull'intera
lunghezza, internamente per m. 1,50, e sul lato sin. (per chi stava
fuori) doveva esser lavorato in modo da combaciar con un altro masso.
II masso in discorso e lavorato esternamente sull'intera lunghezza
di m. 1,70, internamente p. m. 1,50; e sul lato sin. lavorato per
3
34 LA BASILICA DI POMPEI
combaciar col masso seguente, mentre il lato d. e tagliato rozza-
mente. E dunque l'ultimo architrave a d., del quäle perö, per farne
im altro uso, e stato tolto a d. im pezzo lungo 0,34 (vd. la figura 1).
Nel 12. intercolunnio a sin. giace la parte angolare dell'ul-
timo architrave a sin. Ha sul lato anteriore (conservato m. 0,60)
e sul lato sin. l'epistilio minore; sul lato sin. perö giä a m. 0,32
sporge una parte non lavorata: qui cioe il masso dell' architrave
si perdeva nel muro laterale, che stava piü a sin. II lato poste-
riore (interno) non e lavorato (52): qui la parte lavorata doveva
cominciare soltanto a m. 0,54 dall'estremitä, al di lä cioe della
parte conservata (vd. la figura 2).
Una parete lunga de! piano superiore fu dal Lange felicemente
ricostruita dai frammenti conservati negli Ultimi intercolunnii a sin.,
e ne da a pag. 327 la pianta, di cui qui appresso si riproduce la
metä, compresa la parte cen-
trale, con una modificazione
all'estremitä , della quäle si
, t ^ parlerä in appresso. Era inter-
' ' ' ' rotta da 5 finestre; quella in
mezzo (meno probabilmente due delle altre) arrivava, in guisa
di porta, giü fino al piede delle quattro mezze colonne corinzie
(diam. 0,40) le quali, fiancheggiate da stretti pilastri (che mancano
accanto alla finestra a guisa di porta) stavano fra le finestre (53).
Questa parete il Lange vuole che sia quella posteriore. Ma cid
non e senza difficoltä. Se a ragione dalle traccie sopra esposte ab-
biamo concluso che fra i due piani vi fosse im soffitto, allora la
parete posteriore del piano di sopra era invisibile ed e affatto incre-
dibile che si sia voluto svilupparla cosi riccamente. Ma posto anche
che non vi fosse divisione fra i due piani, come altra volta credetti
di dover concludere dall'assenza di una scala per montare a quello
superiore (54) : nondimeno in quel punto la finestra a guisa di porta,
rivolta sulla strada dietroposta, sarebbe almeno strana. Vi s'ag-
giunge un altra osservazione.
Anche il lato posteriore delle lastre del parapetto sotto le finestre
era rivestito di stucco fino e bianco. Ma immediatamente accanto
a quella finestra a guisa di porta vedesi
una striscia verticale larga 0,50, che sporge
circa m. 0,02, ed e lavorata evidentemente
LA BASILICA DI POMPEI 35
per combaciare con un'altra lastra aggiuntavi ad angolo retto, la
quäle doveva far parte di un muro o parapetto. Ora, come si spiega
questo, se al di lä di questa parete ci troviamo fuori dell'edifizio ?
Di piü, il muro posteriore del piauo di sotto e grosso nel mezzo
circa m. 0,60, con la trabeazione delle mezze colonne circa 0,90.
Che a questo nel piano superiore ne avesse corrisposto uno di soli
m. 0,257, o di m. 0,57 comprese le mezze colonne, non e molto
credibile; se cioe, come e probabile, la faccia esterna del muro
s'alzava verticalmente, allora le mezze colonne del piano di sotto
si sarebbero avanzate troppo avanti a quelle superiori. E come spie-
gare che qui si sia voluto fare il muro tutto di massi di tufo, mentre
nel piano di sotto e nei portici e di opera incerta?
Finalmente dovrebbe far meraviglia il non veder conservato
nulla del lato anteriore, mentre quello posteriore ci sarebbe in
gran parte. Credo cioe che Lange a torto ascrive al piano supe-
riore del tribunale una piccola base di colonna in tufo, che sta
neH'll. intercolunnio a sin., alta coll'imoscapo m. 0,38, dal dia-
metro di m. 0,38-0,40 alla base. Essa porta avanzi di un grosso
strato di stucco d'epoca tarda, mentre non v' e traccia alcuna che
il tribunale abbia mai ricevuto uno stucco posteriore. Kitengo perciö
che non proviene ne dal tribunale ne dalla basilica. Che non tutti
i frammenti conservati nella basilica le appartengono, e certo: vi
sono p. es. anche parti del portico superiore del foro (55).
Considerato tutto questo, mi pare piü che probabile che la
parete restituita dal Lange sia quella anteriore, la facciata del piano
di sopra. Siccome le colonne del piano inferiore hanno un diametro
di m. 0,48 alla sommitä, cosi la grossezza delle lastre non fa diffi-
coltä: i massi del piano di sopra potevano bene dal lato interno
sporgere di circa m. 0,10 sopra la trabeazione sottoposta, special-
mente se la parte sporgente poggiava sopra un pavimento, che secondo
le osservazioni sopra esposte deve supporsi. — L'apertura a guisa
di porta puö ammettersi in una facciata rivolta nell'interno della ba-
silica, e non sono neanche impossibili i muri o parapetti che da essa
si stendevano nell'interno, se cioe vi era un pavimento. Sarebbe pre-
tendere troppo se volessimo indovinar lo scopo di tutto questo.
Nelle estremitä la pianta del Lange deve modificarsi nel modo
come nella nostra figura si vede.
Cosi anche da questo lato vien confermata l'esistenza di un
36
LA BASILICA DI POMPEI
pavimento fra i due piani del tribunale. S'intende da se che non
era identico al soffitto sopra constatato, il quäle poggiava sulla cor-
nicetta dell'epistilio; era probabilmente sorretto da travi iramesse
in buchi praticati nei massi del cornicione, giacche in quelli del
fregio non ve ne sono. Questo risultato e abbastanza incomodo, stante
l'assenza di una scala; ma non vedo il modo di evitarlo. II piano
superiore poteva essere accessibile con scale portatili o dal portico
che precede il tribunale, o montando . dai pianerottoli che danno
accesso al piano di sotto a simili pianerottoli del piano superiore;
era dunque poco servibile, fatto probabilmente piü per riempir lo
spazio e completare la decorazione che per qualche scopo pratico.
Non conosciamo l'altezza del piano di sopra. Lange calcola le
mezze colonne a m. 2,42, col capitello ma senza la base, e quest'ul-
tima egli la riconosce, a torto credo, nella base menzionata sopra
pag. 35, alta 0,38. Perö la parte mancante a piedi poteva aver press'a
poco quest'altezza, e allora il parapetto delle finestre era alto m. 1,10.
Ma gli avanzi non bastano per provare che l'altezza, fino alla sommitä
del fu?to, fosse raggiunta con 4, e non con 5 rocchi. Se erano cinque,
allora non fa difficoltä alcuna di supporre che la trabeazione arrivasse
fino al soffitto del portico: bastava che le mezze colonne fossero
alte m. 3,60 e la trabeazione 0,82. E cosi ho supposto nel pro-
spetto ristaurato di questo lato, che insieme con la pianta del piano
superiore qui appresso si propone. Ognuno vede che in tal modo
LA BASILICA DI POMPEI 37
le proporzioni dei due piani sono giustissime, e che sarebbero meno
buone se quello superiore fosse piü basso. E poi, lasciando im inter-
vallo fra il tribunale ed il soffitto, nascerebbe la difficoltä di riem-
pirlo: poteva senza dubbio alzarsi sopra il cornicione, fino al soffitto,
im muro renza caratteristica ; era possibile anche che fra la fac-
ciata del tribunale ed il soffitto del portico rimanesse im vuoto,
mentre i muri anteriori dei compresi laterali fossero congiunti in
linea retta al disopra del tribunale mediante un muro sorretto per
circa 9 m. da una grossa trave; ma ne l'una ne l'altra ipotesi e
molto soddisfacente. Vi s'aggiunge che, supponendo il tribunale piü
basso del portico, e non lo poteva essere di molto, s'incontrano diffi-
coltä nella ricostruzione del tetto. Non credo neanche che fra la
trabeazione del tribunale ed il soffitto del portico seguitasse l'epi-
stilio di quest' ultimo ; giacche nella facciata del tribunale eravi
prima l'architrave delle finestre in forma di epi&tilio, fregio e cor-
nicione ; quindi gli stessi membri nella trabeazione sorretta dalle
mezze colonne: aggiungendovisi ancora l'epistilio del portico s'avreb-
bero tre trabeazioni ; e mi pare che ciö sarebbe troppo. Di piü l'epi-
stilio dovrebbe formare sopra le estremitä della facciata certi angoli
che non ammetterei volenti eri nell'architettura di quest'epoca.
Che le stanze accanto al tribunale avessero la medesima al-
tezza dal tribunale stesso, sembra a prima vista incredibile, stante
la loro piccola estensione. Perö qui si trattava di riempir gli an-
goli ; e perciö, se a ragione abbiamo supposto che il tribunale fosse
in altezza press'a poco uguale ai portici, allora e almeno possibile
che anche alle camere adiacenti sia stata data la stessa altezza,
invece di fare in questa sola parte un tetto piü basso. Le propor-
zioni della decorazione delle pareti non contradicono : lo zoccolo
con la fascia rossa e alto m. 1,75, i rettangoli bianchi, che occu-
pano il resto della parete, m. 0,65 ogni fila. Ma ciö si potrebbe
decidere soltanto se avessimo certezza sulla forma del tetto.
Rivolgendoci ora a quest' ultimo problema, credo si possa esclu-
dere fin da principio che un gran tetto a schiena abbia coperto la
parte media ed i portici, non perö il tribunale e le stanze adiacenti :
in tal caso cioe le parti comprese e quelle non comprese sotto il
tetto dovrebbero esser divise nella pianta da una linea retta, ed il
tribunale non s'avanzerebbe nel portico che lo precede (56). Esclusa
dunque questa, rimangono, per quanto io vedo, tre ipotesi possibili.
38 LA BASILICA DI POMPEI
1. L'intero edifizio, escluso soltanto il calcidico, poteva essere
coperto da un grande tetto a schiena. La forma del muro d'in-
gresso, la cui parte superiore era chiusa e interrotta soltanto da
finestre, non contradirebbe. Non vi sarebbe stata dalla parte del
foro una facciata monumentale, anche perche l'ordine inferiore rima-
neva nascosto dietro la facciata del calcidico, il quäle non aveva
nemmeno la larghezza identica a quella della basilica stessa, ma
si stendeva piü verso sin., avanti al serbatoio d'acqua ; ma l'aspetto
non sarebbe neanche stato impossibile.
fi chiaro che allora le due file di colonne ai lati corti rima-
nevano senza funzione tettonica ; ma non credo che ciö sia un osta-
colo assoluto. II portico tutt'intorno allo spazio medio della basilica
era tradizionale e, oltre la funzione tettonica delle colonne, ser-
viva per regolare la circolazione, e perciö poteva essere mantenuto
anche quando le colonne dei lati corti non erano tettonicamente
necessarie; esse potevano sorreggere il sofiitto del portico e pre-
stare un appoggio, benche non necessario, al tetto. Ognuno vede che
la difficoltä era minore, se anche la parte media ayeva un soffitto.
Pur tuttavia, caeteris paribuSj sarebbe piü probabile un'ipotesi con
la quäle tutte le colonne avessero la loro funzione tettonica ; e tale
sarebbe la seguente.
2. Le grandi colonne portavano la mediana tetiudo, cioe un
tetto a schiena che copriva la sola parte media, mentre i portici
avevano il loro tetto separate, inclinato verso l'esterno. Potrebbe
sembrare poco chiaro e men bello che in tal modo soltanto sui lati
corti, sotto i frontoni, il tetto dei portici comparisse separato, mentre
sui lati lunghi non fosse che una continuazione della mediana testudo.
Ma era facile, mediante un bassissimo muro, iar rimanere il margine
superiore del tetto dei portici un poco al disotto del margine infe-
riore della mediana testudo,, accennando cosi almeno nella conforma-
zione del tetto lo schema consueto delle basiliche. E ciö era piü
facile, se la parte media aveva un soffitto. Lo schema consueto
poteva essere accennato anche internamente con un'altezza un poco
maggiore della parte media, dando alle grandi colonne da quel lato
una trabeazione completa con fregio e cornicione, mentre nei por-
tici il soffitto poggiava sulla cornicetta dell'epistilio. E ciö vale
anche per la prima ipotesi.
LA HASIL1CA Dl POMPEI 39
Solo sul lato posteriore s'incontra qualche dißicoltä : noa e fa-
cile, e non so se sia possibile, di disporre le altezze in modo che
il tetto del portico coprisse con la stessa pendenza anche il tri-
bunale (57) , mentre ogni altra soluzione vien contradetta dall'inol-
trarsi del tribunale nel portico.
3. Questa difficoltä sarebbe eyitata con l'ipotesi seguente.
Di piü ambedue le ipotesi fin qui esposte non tengono conto di un
particolare, che pure vuole esser considerato: dico il serbatoio
d'acqua posto all'angolo sud-est deH'edifizio, a sin. del calcidico (58).
E difficile pensare che esso non sia stato fatto per raccogliere le
acque cadute sul tetto (5<J). mentre con ambedue le ipotesi or
ora esposte ognuno rede che ciö non era possibile. E vero che
presso l'angolo nord-est del bacino piü largo vi sono sedimenti
di calce, ciö che sembra provare che in questo punto vi imboc-
cava un tubo dell'acquedotto. Ma que' sedimenti sono in pochissima
quantitä, e dovrebbero essere in molto maggiore se fin da princi-
pio questi serbatoi avessero servito per l'acqua del condotto; ne
abbiamo finora traccia alcuna di un acquedotto preromano a Pompei.
D'altra parte, se l'acqua serviva per qualche uso, e credibilissimo
che, distrutto nel 63 il tetto della basilica, vi sia stato portato un
tubo dell'acquedotto.
• Ora, se le acque dovevano esser dirette verso quel punto e
verdate nel pozzo, bisogna modificare l'ipotesi precedente in ma-
niera che intorno alla mediana testudo non vi fosse un tetto, ma
i portici fossero coperti orizzontalmente da una terrazza, che po-
teva benissimo estendersi anche sopra il tribunale e le camere adia-
centi, con leggera pendenza verso l'angolo sud-est. E cosi si con-
ferma nuovamente la probabilitä che tribunale e portico fossero di
altezza uguale.
Una terrazza sopra i portici la prescrive anche Vitruvio (60).
E vero che nella sua basilica normale tale terrazza deve servire
da ambulacro, ciö che qui e escluso per l'assenza di una scala
p3i" montarvi; e perciö le sue parole sono meno applicabili al caso
nostro. Ma non e per nulla improbabile che parte Tesempio di
basiliche dallo Schema consueto e descritto da Vitruvio, parte lo
scopo pratico di raccogliere le acque, abbiano indotto l'architetto
a fare in quel modo. E, tutto considerato, mi pare che questa sia
40
LA BASILICA DI POMPEI
l'ipotesi la piü probabile. Essa e rappresentata nelle sezioni lon-
gitudinale e trasversale che qui appresso si propongono.
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i» ik <t ii i?
£-
Non abbiamo fin qui parlato del calcidico. Bitengo per certo
ciö che il dott. Wolters, in base ad im accuratissimo esame degli
avanzi, ha esposto nella memoria che qui appresso si pubblica,
che cioe la facciata era composta di 8 tile di parallelepipedi di
tufo, alta fino ai capitelli dei pilastri di cui era ornata circa m. 5,
e che sopra questi pilastri una qualche trabeazione doveva es-
LA BASILICA Dl POMPEI 41
servi (61). Abbiamo poi trovato che l'ordine inferiore dei portici
era alto probabilmente m. 7,12; perö un tetto che copriva il cal-
cidico poteva benissimo attaccare immediatamente sopra l'epistilio
delle colonne dell'ingresso, vale a dire ad un'altezza di circa m. 6,50,
alJa quäle s'aggiungono m. 0,65, la differenza cioe di livello fra il
calcidico e l'interno della basilica stessa. E chiaro dunque che con
una trabeazione anche di meno d'un metro in altezza sopra i pi-
lastri della facciata del calcidico, il tetto di questo poteva avere
un'inclinazione molto conveniente. E perciö credo probabile che
fosse cosi.
Aggiungo ancora le osservazioni seguenti.
L'adito alla porta meridionale (62) e adesso meglio riconosci-
bile, essendo sgombrata la strada, che sta di m. 1,65 sotto la soglia
della porta. II piano inclinato per il quäle da ovest vi si ascende
non era destinato, come crede Lange (p. 356) per carri: al suo
principio, ove non e piü largo di m. 0,94, sta un gradino alto 0,28;
di piü l'accesso e reso piü difficile per lo zoccolo sporgente (Lange
p. 354), che al luogo del piano inclinato stesso e stato tolto. —
La porta fin da principio era accessibile soltanto da ovest ; piü tardi
al lato verticale est del pianerottolo che precede la porta, fu addos-
sata una scala incomoda e stretta (m. 0,27) ; perche qui non si die-
dero la pena di levar prima la parte relativa dello zoccolo sporgente.
Anche il lato posteriore della basilica e ora scavato. La strada
che lo fiancheggia e traversata, fra l'angolo nord-ovest ed il pila-
stro dell'acquedotto, da due muricciuoli, fatti evidentemente per
proteggere il tubo dell'acquedotto. Che ciö abbia dato motivo alle
parole degli Atti (63) riferibili ad una scala, non mi pare credibile.
Che il sotterraneo sotto il tribunale non fosse un carcere, lo
dimostrano anche le finestre, che evidentemente non potevano chiu-
dersi e sono grandi abbastanza per-lasciar passare un uomo. —
L'antichitä delle due aperture che congiungono il sotterraneo col
tribunale stesso, non pud, dice il Lange, essere provata. E vero che
l'originaria forma rotonda e alquanto danneggiata; ma la posizione
perfettamente simmetrica non lascia dubbio sull'origine antica.
A. Mau
42 LA BASILICA DI POMPEI
NOTE
(!) G. I. L. IV 1842.
(2) Sappiarao troppo poco della arou ßaaiXeiog di Atene, per decidere, so
cssa sia stata un edifizio simile, come ha cercato di dimostrare K. Lange
Haus und Halle pag. 60 segg., e se dal nome di essa possa credersi derivaio
quello delle basiliche. Che essa stessa non fu mai chiamata cosi, e che anche
nel noto passo di Piatone {Charmid. 1, 153«) prohahilmente deve leggersi
flaaikeias invece di ßaaihxijs, lo ha mostrato Loeschcke Vermutungen zur
griech. Kunstgesch. und zur Topogr. Athens, Dorpat 1884, p. 16.
(3) Mazois Les ruines de Pompe" i III pl. 17. 18.
(4) Canina, Architettura antica III tav. 93.
(5J Mau Pompe janische Beiträge p. 156 segg.
(ö) Haus und Halle, Leipzig 1885, p. 162 segg. e specialmente p. 351 segg.
(7) Sara lecito perciö di dare poca importanza al giudizio alquanto iper-
holico del Nissen Deutsche Lit. ztg. 1885 p. 530.
(8) Vitruvio^, 1, 4, frainteso da me (Beitr. p. 168) e da Lange p. 196 seg.
il quäle crede che Vitruvio col pluteus e le colonne di 12 piedi prescriva un
arabulacro superiore nell'interno, al disopra del quäle dovrebbe seguire il muro
contenente le finestre della parte media. Di quest'ultimo perö si aspetterebbe
di vederc indicata l'altezza; di piü un ambulacro interno nascosto dietro un
pluteo di 9 piedi e affatto incredibile; e supra basilicae contignationem,
senza far forza alle parole, non puo indicare che il terrazzo sovraposto ai por-
tici. Nella descrizione äeWoecus egizio (Vitr. 6, 5, 9), che rassomiglia, come
Vitruvio stesso rileva, alla basilica, il circuiius corrispondente espressamente
si dice sub diu.
(9) Lascio da parte la basilica Giulia: sorretta da pilastri e aperta da
tutte le parti essa era troppo diversa da quella di Pompei. Se, come crede
Lange (Haus u. Halle p. 184 seg.), sopra il portico interno ve ne era uno su-
periore, e lo spazio medio piü alto di quest'ultimo, allora l'altezza superava
di non poco quella voluta da Vitruvio. Ma ciö non puö in alcun modo essere
provato. II passo di Plinio Ep. 6, 33, 6 si spiega anche con una terrazza che
si stendeva sopra ambedue i portici, con un pluteo tanto basso da poter sopra
di esso guardar nell'interno. Lange da importanza alla differenza del livello
(2 gradini) fra il portico interno e quello esterno: ma ciö si verifica soltanto
sul lato N, ed ivi dipende dall'abbassamento del terreno.
(10) Non credo affatto che il tipo comune della basilica, con la parte media
piü alta, sia stato creato per far entrare la luce piuttosto da sopra che late-
ralmente. Piü probabile mi pare che l'intenzione sia stata di tenere i portici
al coperto contro una pioggia che dal vento poteva essere portata nell'interno
LA BASILICA DI POMPEI 43
dell'edifizio. AI quäle inconveniente con la ricostruzione del Lange portici e
parte media erano esposti egualmente.
(u) Haus und Halle tav. 2.
(12) Overbeck-Mau Pompeji * p. 65. 505.
(13) Vd. specialmente 6, 5, 9.
(u) Non sono entrato nei particolari della ricostruzione del Lang« per
discutere ciö che vi e di improbabile, p. es. le proporzioni delle colonne mi-
nori. Voglio supporre che tutto questo possa essere evitato, e mi sono atte-
nuto perciö soltanto alle difficoltä ed inverisimiglianze inerenti alla sua idea
fondamentale.
(15) Mau Pompe j. Beitr. p. 165 segg. Lange Haus und Halle p. 361 segg.
(16) AI Von Rohden, Terracotten von Pompeji p. 8, basta la grondaia
riprodotta presso Gell e Ga,ndy Pompeiana 3 tav. 50, che si dice trovata
nella basilica, per provare che la parte media era scoperta. Ma, fondandomi
suH'esame degli esemplari simili superstiti (von Rohden tav. 7, 1), non posso
ammettere che essa per il suo stile convenga, come crede anche Lange p. 361,
alla basilica, cioe all'epoca preromana.
(n) Mau Pompej. Beitr. p. 187 seg.; 189 seg. Lange Haus und Halle
p. 354.
0») Mau 1. c. p. 168 segg. Lange 1. c. p. 363.
('») Mau 1. c. p. 175. Lange I.e. p.363.
(20) Not. d. seavi 1884 p. 244. 280.
(21) Mau 1. c p. 169. Lange 1. c. p. 363.
(22) Mau 1. c. p. 182. Lange 1. c. p.363. 372.
(23) Lange (p. 370) esprime il medesimo ragionamento, quando dice che
i tetti dei portici debbono attaccare immediatamente sotto Je finestre della
navata media. Perö dovevano essere piü decisive le proporzioni deirinterno.
(24) Pomp. Beitr. p. 184.
(25) Mazois III tav. 20 fig. 2. Overbeck-Mau Pompeji 4 p. 517 fig. 271 c.
(26) Mazois III tav. 18. 21. Overbeck-Mau Pompeji 4 p. 142 flg. 81 ; pag. 144
fig. 83.
(") Mazois III tav. 18. Overbeck-Mau Pompeji 4 p. 144 fig. 83. Mau Gesch.
d. decorat. Wandmalerei in Pompeji p. 14; cf. p. 21. 111 segg. tav. II.
(28) II Lange p. 359, che erroneamente crede anche la larghezza in-
feriore di soli m. 0,44, li attribuisce al piano superiore del tribunale. Ma
e evidente che egli sbaglia. Se vi erano, come egli crede, colonne libere,
queste, dal diametro di circa m. 0,35, non potevano sorreggere un architrave
tanto grosso. Se invece la parete ricostruita dal Lange p. 356 segg., che egli
crede la parete posteriore, era, com'io credo, la facciata, allora sopra questa
un epistilio profilato da ambedue i lati non poteva avere una larghezza mi-
nore di m. 0,57; vd. pag. . . .
(29) Mazois III tav. 9. Overbeck-Mau Pompeji 4 p. 517 fig. 271 a.
(30) Non e neanche necessario che fosse, come crede Lange, di legno (?)
o di stueco : qui come nei peristilii delle case private poteva essere fatta di
mattoni o altra muratura, e riyestita di stueco.
44 LA BASILICA DI POMPEI
(31) Non si puö neanche pensare alla facciata rivolta al foro (E), essendo
quel muro non piü grosso di m. 0,58 senza lo stucco.
(32) Le obiezioni del Lange (p. 360) sono di poco peso. Se dei 34 capi-
telli dell'ordine inferiore 26 son perduti, potevano perdersi anche questi 28,
tanto piü che massi tanto grandi erano molto adatti a servire in altre co-
slruzioni. — Ci volevano, per farli, massi grandi, di im metro cubo e mezzo :
ma ci volevano grandi anche per i capitelli dell'ordine inferiore (1,10x0,51X0,86
e 1,10X1,10X0,47), e nulla ci autorizza a porre il limite del possibile e cre-
dibile fra questi e quelli. E quanto al pericolo di scheggiarsi le parti promi-
nenti, sono molto piü fragili le volute dei capitelli ionici dell'ordine inferiore.
(33) lo stesso, Pompej. Beitr. p. 179, la presi per una mezza colonna,
Lange p. 366 per un quarto.
(34) Di uno dei caritelli, nel 6. intercolunnio a sin., rimane il solo pi-
lastro. Questo non poteva essere riconosciuto dal Lange (p. 369 fine), perche
egli fp. 366) nell'altro (avanti al tribunale a d.) ha preso il pilastro per un terzo
di colonna.
(35) I capitelli non furono riconosciuti dal Lange, benche ne stia uno, nel
primo intercolunnio a d., sopra un sommoscapo, e la corrispondenza sia evi-
dente. Questo egli lo ritiene (p. 367) per il riscontro del capitello d'un pilastro
congiunto con una colonna (vd. la nöta precedente). Gli altri due (4. intercol.
a d. e 8. a sin.) egli li crede (p. 366) trequarti di colonne uniti ognuno ad un
terzo di colonna, dalla pianta qui appresso disegnata, che egli pone negli angoli
del lato O, ciö che e affatto impossibile, e non corrisponderebbe
neanche all'ordine inferiore. La pianta in tutti e quella sopra di-
segnata, solo con una leggera curva in dentro al punto ove attacca
la tangente. Del resto Lange sbaglia quando crede di avermi in-
segnato egli che questi trequarti di colonna erano gli stipiti delle
aperture nell'ordine superiore : vd. Pompej. Beitr. p. 180 segg.
(36) Nessuno vorrä qui domandare esempi: non ve ne sono neanche di
siffatti trequarti di colonne. Che perö una forma simile non e in se stessa
incredibile, lo provano le finestre nei lati corti della chiesa di S. M. degli An-
geli, ove gli stipiti sono fatti in questa stessa maniera.
(37) Fra le basi di mezze colonne due hanno intatta la superficie poste-
riore, che e piana e dista da quella anteriore del muro 0,29 ; nella terza e
lavorata irregolarmente : il punto piü prominente dista m. 0,38. Pare che questo
masso era troppo grosso e perciö fu ridotto posteriormente.
(38) Pomp. Beitr. p. 178; Overbeck-Mau Pompeji* p. 147.
(39) Per isbaglio nel disegno del Lange p. 367 sembra che vi sia un prin-
cipio d'una superficie parallela all'esterna.
(40) La ricostruzione del Lange diventa piü incredibile ancora per il modo
come egli congiunge gli stipiti col muro: la forza di resistenza di quest'ul-
timo (di 0,30 al piü) consisterebbe specialmente nelle aperture con le Joro
colonne.
(41) Lange dice (p. 369) che di 16 colonne sarebbero conservati 8 capi-
telli. Ma egli distribuisce le aperture su pareti dell'intera lunghezza dei por-
LA BASILICA DI POMPEI 45
tici, mentre le pareti sorrette dalle grandi colonne avrebbero 2 intercolunnii
di meno: ve ne sarebbero 14, non 16. Di piü egli suppone che delle 4 colonne
del tribunale, delle 4 da lui supposte sopra gli ingressi delle camere laterali,
delle 2 supposte sopra l'ingresso principale, non sia perduto alcun capitello,
e cosi ottiene di poter dire che delle 14 (non 16) colonne poste nelle finestre
siano conservati soli otto capitelli. In veritä, levando le sei supposte certa-
mente a torto, di 18 colonne sarebbero conservati 18 capitelli.
(42) Meglio 34, perche il muro d'ingresso ne aveva, come vedremo, quattro.
(43) Non 32, come crede Lange: vd. nota 41.
(44) E cib vale anche, benche in grado minore, di quanto aveva proposto
io, Overbeek-Mau Pompeji 4 p. 147 seg.
(4&) Con ciö e esclusa l'opinione del Lange p. 366, che cioe stassero sopra
que' trequarti di colonne che dal lato del tribunale fiancheggiano gli ingressi
alle camere laterali : il diametro superiore di queste era di m. 0,72, come ri-
sulta dal capitello conservato. Di piü ivi non si puö collocare che un paio
mentre ne abbiamo due.
(46) Lange (tav. 2) gli da una sporgenza minima, di circa in. 0,10, quasi
poggiasse su pilastri.
(«) Cf. sopra p. 25.
(48) II frammento menzionato da me Pomp. Beitr. p. 190, allora visibile
presso il piedistallo avanti al tribunale, fu scavato dietro mia preghiera nel-
l'agosto 1886: e parte d'un imoscapo con la base, ma non si puO decidere se
sia di una colonna libera ovvero di una mezza colonna.
(49) II frammento (tre quarti di colonna) che io Beitr. p. 179 posi qui,
fu a ragione dal Lange (p. 366) attribuito ad uno degli angoli anteriori del tribu-
nale. A torto invece egli crede di aver trovato i membri dell'ordine superiore
corrispondenti alle colonne angolari del lato 0 ed ai trequarti di colonne
che dal lato del tribunale formano gli stipiti delle stanze laterali: vd.
not. 35 e 45.
(50) II Lange suppone un'apertura uguale all'ingresso sottoposto, perche
erroneamente crede di aver trovato la doppia colonna che l'abbia fiancheg-
giata (vd. not. 45 ; cf. not. 34) ; e questa apertura, troppo larga per le dimen-
sioni delle colonne superiori, egli la divide per mezzo di due colonne, che
suppone di legno per non aggravar troppo Tarchitrave: ripiego che potrebbe
essere ammesso soltanto in un caso di estrema necessitä.
(51) Cf. Overbeck-Mau Pompeji4' p. 643 not. 119.
(52) Lange sbaglia quando dice a p.359, che vi sia, benche roszamente
lavorato, il profilo dell'epistilio.
(53) II primo dei due profili disegnati dal Lange p. 358 e quello del
parapetto delle finestre, non, come egli crede, il capitello dei pilastri. Ivi
stesso egli da il profilo deH'architrave delle finestre.
(54) Overbeck-Mau Pompeji 4 p. 144 ; Lange p. 360 consente.
(55) Lange p. 361 nota 2.
(56) Cf. anche Lange p. 370. Del resto non e esatta la pianta del Lange,
quando mette i trequarti di colonne accanto al tribunale piü indietro delle mezze
46 LA BASILICA DI POMPEI
colonne cui fanno riscontro come stipiti degli ingressi alle camere laterali.
Quello a sin. sta di soli m. 0,03 piü indietro della mezza colonna, e di altri
m. 0,03 retrocedono ambedue gli stipiti della camera a d.
(57) Ciö e ottenuto dal Lange con proporzioni impossibili del tribunale.
(58) Vd. sopra pag. 18.
(59) Pozzi simili si trovano presso ambedue le terme piü antiche di
Pompei: Overbeck-Mau Pompeji 4 p. 212. 233. Un terzo e descritto Mau
Pompe 'j. Beitr. p. 42 segg.
(60) Vd. sopra pag. 16 con la nota 8.
(61) Credo perfettamente assicurati anche gli altri risultati del sig. Wol-
ters, ed in ispecie ciö che riguarda le porte, che cioe erano alte m. 5, tra-
versate perö all'altezza di m. 3,60 da una trave di legno, nel centro della
quäle, e nel buco quadrangolare che s'osserva nel centro d'ognuna delle soglie,
era infisso uno stipite verticale di legno, e che contro questo battevano le
porte leggere, affidate a telai di legno immessi negli incavi degli stipiti. Che
questi non potevano contener cateratte, come crede il Lange p. 352, lo dimostra
anche il fatto che non si estendono al disopra della suddetta traversa di legno.
(62) Fatta posteriormente : vd. Mau Pompej. Beiträge p. 163 segg.
(63) 27 Febr. 1814. Le parole « dalla parte di ponente » indicano, se-
condo l'uso costante di queste relazioni, il lato NNO. La questione totalmente
accademica fu di nuovo estesamente discussa dal Lange p. 355 seg.
DAS CHALCIDICÜM DER POMPEJANISCHEN BAS1LICA.
Bei der Reconstruction der Basilica von Pompei war das
Augenmerk der Forscher bis jetzt so ausschliesslich auf den Haupt-
bau und die Rätsel welche er zu lösen giebt gerichtet, dass der
Vorraum, welcher sich an der dem Forum zugewendeten Schmal-
seite des Gebäudes befindet, und den wir mit Vitruv als Chalci-
dicum bezeichnen dürfen, eine Herstellung eigentlich nirgends
erfahren hat.
Nur Mazois (III Taf. 18) hat ihn wenigstens im Längsschnitt
gezeichnet, aber offenbar ohne den erhaltenen Resten besondere
Aufmerksamkeit zu schenken, und Canina (Archilettura antica
III Taf. 93) hat diese Reconstruction unverändert beibehalten.
Sie entspricht so wenig den erhaltenen Resten, dass eine Wider-
legung nicht nöthig erscheint. Eine Untersuchung, welche ich im
September dieses Jahres unter der fördernden Beihülfe A. Mau's
vornehmen konnte, hat mich gelehrt, dass wir über den Aufbau
dieses Teiles der Basilica bis zu einem gewissen Punkte völlige
Sicherheit erhalten können, und so gering auch dies Resultat im
Vergleich zu der schweren Aufgabe der Herstellung des ganzen
Baues ist, habe ich es doch nicht zurückhalten wollen.
Die Vorderwand des Chalcidicum ist von fünf Thüren durch-
brochen, welche zwischen sich sechs pfeilerartige, aus Tuffquadern
hergestellte Mauerstücke von verschiedener Breite übrig lassen.
Die beiden mittelsten sind die schmälsten : sie sind aussen nur
mit einem 0,52 m. breiten, 0,03 vorspringenden Pilaster dekorirt,
die anderen, auch die äusseren ('), mit je zweien. Wenigstens ist
0) Lange's Plan (Haus und Halle, Taf. 1) ist in diesem Punkt nicht
genau. Vgl. die unten S. 51, I-VI gegebenen Grundrisse.
48 DAS CHALCIDICÜM DER POMPEJAN ISCHEN BASILICA
das von dem zweiten, fünften und sechsten (von links her gezählt)
sicher; bei dem ersten ist es nicht ohne weiteres klar, da er im
Alterthum umgebaut worden ist, ein Punkt der sogleich zu be-
sprechen sein wird. Auf der Innenseite tragen alle diese Mauer-
stücke je einen durchschnittlich 0,56 m. breiten, 0,04 dicken,
nicht verjüngten pilasterartigen Vorsprung, welcher bei den vier
mittleren ziemlich genau in der Mitte liegt, bei dem ersten (von
links her) in die innere Ecke stösst und nur zum Teil sichtbar,
zum Teil von der Wand des Wasserbehälters (l) verdeckt ist,
während er beim sechsten 0,22 von der inneren Ecke, 0,52 von
der äusseren Kante entfernt liegt. Die verschiedene Arbeit de:
äusseren und inneren Seite dieser Wandstücke springt in die Augen.
Die äussere, dem Forum zugekehrte Seite ist verhältnissmässig
glatt und sorgfältig gearbeitet, die innere offenbar absichtlich rauh
gelassen : sie sollte, wie die drei anderen Wände des Vorraums
verputzt werden, und war es auch, wie zahlreiche Stuckreste
beweisen.
Die Thüren sind verschieden breit ; sie messen (von links her
gezählt) 3,41. 3,10. 3,15. 3,03, 3,56. In der Mitte einer jeden
der von Lava gebildeten Schwellen befindet sich ein 0,11 langes,
0,07 breites, 0,06 tiefes rechteckiges Loch ; an den beiden Enden
derselben, durchschnittlich 0,06 von der Mauer entfernt je zwei
etwa 0,11 lange, 0,03 breite, 0,04 tiefe Einarbeitungen, die so
angeordnet sind, dass der zwischen ihnen frei bleibende Kaum etwa
dem genannten Loch in der Mitte entspricht. In die den Thüren
zugewendeten Seiten der Mauern sind endlich senkrechte tiefe
Kinnen (durchschnittlich 0,08 breit und 0,17 tief) nicht sehr
sorgfältig und mitunter nicht ganz parallel zur Vorderfläche ein-
gearbeitet (2). An der dieser Vorderfläche nächstliegenden Kante
der Rinnen ziehen sich in kurzem Abstand von dieser und damit
parallel Aufschnürungen hin (3), welche in Folge der wechselnden
Dicke der Mauerstücke in verschiedenen Abständen von der Vorder-
fläche erscheinen, unter sich aber in einer graden Linie zu liegen
scheinen. Dass diese Rinnen der Befestigung von Holzwerk dienten
(!) Vgl. über diesen Notizie degli scavi 1884 S. 244, 280.
(2) Vgl. besonders unten S. 51, II und IH.
(3) In der Skizze b auf S. 56 ist diese Linie pnnktirt angegeben.
DAS CHALCIDICUM DER POMPEJANISCHEN BASILICA 49
ist einleuchtend und schon längst angenommen ; einzelne in grösseren
Abständen in der Tiefe der Einnen befindliche wagerechte Löcher,
die zum Teil noch Eisenspuren zeigen, mögen zur besonderen Be-
festigung der in die Rinnen eingelassenen senkrechten Balken ge-
dient haben (1).
Auch diese Innenseiten der Thüren sind rauh gelassen, und
müssen also irgendwie mit anderem Material bedeckt gewesen sein.
Bei den Privatbauten der Tuffperiode, welche in der Regel eine
entsprechende Bearbeitung aufweisen bestand diese Verkleidung,
wie sich an einer überwiegenden Zahl von Fällen sicher beob-
achten lässt, etwa von der Mitte der Innenseite der Thüre an, wo
die Befestigungsspuren eines stärkeren Pfostens kenntlich zu sein
pflegen, bis zur Vorderkante hin aus einer Holzverschalung, welche
dann noch mit einem mehr oder minder breiten Rande auf die
Vorderseite übergriff. Der an die innere Seite der Wand anstossende
Teil wurde dagegen mit dieser zusammen verputzt. Bei der Ba-
silica ist jedoch auch an Stelle der sonst üblichen Verschalung
Stuck getreten ; seine Spuren finden sich überall an den Innen-
seiten der Thüren (besonders an den gleich zu besprechenden
Stücken b und c) und greifen sogar einmal (bei c) auf die vordere
Fläche über.
Die Mauerstücke der Vorderwand sind mehr oder minder hoch
erhalten, ausserdem liegen fünf lose Quadern da, welche an ihrer
Vorderseite den oberen Teil von Pilastern mit den Kapitellen
zeigen, also den oberen Abschluss der genannten Pilaster gebildet
haben müssen. Die Mauern sind in ihrem heutigen Zustand zum
Teil erst modern aufgebaut, allerdings aus dem antiken Material.
Zunächst ist deshalb eine Sichtung des Vorhandenen notwendig (2).
(!) Auch dieser Umstand wie die ganze Arbeit spricht gegen die Annahme
eines Fallgitters ; vgl. oben S. 30.
(2) Ich bezeichne die Mauerstücke mit den Zahlen I-VI, indem ich mit
dem für einen aussen stehenden Beschauer links befindlichen anfange; die
Schichten zähle ich von unten nach oben. In den beiden schematischen Auf-
rissen von I und VI sind die Grenzen der Steine durch doppelte Striche an-
gegeben, die der Pilaster durch einfache, und ist dabei zugleich durch kurze
schräge Striche angedeutet, welcher Teil der Quadern tiefer liegt. Modernes
Flickwerk ist schraffirt, stärkere Verletzungen sind durch kurze Striche ange-
deutet. Die Skizzen sind im Verhältniss 1 : 40 gezeichnet.
4
50
DAS CHALCIDICUM DER POMPEJANISCHEN BASILICA
Allerdings, der Teil der Mauer, welcher am ehesten den
Eindruck modernen Flickwerkes machen könnte, I, ist in seinem
wesentlichen Bestände antik, wenn auch nicht ursprünglich.
Wie die vorstehende Skizze zeigt, liegt in der obersten,
vierten, Schicht links oben antikes Ziegelmauerwerk, aus älteren,
gröberen Ziegeln vermischt mit den jüngeren, feineren bestehend ;
es beweist, dass die daneben liegende Quader ebenso gut an ihrer
Stelle liegt, wie die beiden darunter liegenden. Damit ist aber
auch zugleich die Unmöglichkeit bewiesen, dass irgend ein Stein
dieser Mauer modern hingelegt sei. Offenbar liegt hier ein nach-
lässiger Umbau vor, der Statt fand, als die links an diese Ecke
der Basilica anstossende schlechte Treppe zu der Forumsporticus
schon bestand, aber beschädigt war. Denn das Ziegelwerk, das nur
äusserlich gut aussieht, innen aber aus allerhand Ziegelbrocken
aufgeführt ist (i), geht ohne scharfe Grenze in das ebenfalls
(*) Ueber dem Gezeichneten steht dieser schlechte Kern noch etwa
0,70 m. hoch. Schöne (bei Nissen, Pompejanische Studien S. 196) glaubt, dass
die Vorhalle nach dem Erdbeben von 63 ohne grosse Aufmerksamkeit wieder
DAS CHALCIDICUM DER POMPEJANISCHEN BASILICA
51
schlechte Mauerwerk über, mit dem dieser Teil der Treppe einmal
erneuert worden ist. Von der ursprünglichen Form dieses Mauer-
stücks wird später noch zu reden sein.
■i .. - - j"
Das folgende Stück der Vorderwand, II, welches ebenso wie
die übrigen vorstehend im Durchschnitt (1 : 40) gezeichnet ist,
steht noch drei Schichten hoch, und ist unzweifelhaft ganz antik.
Das dritte (III) steht jetzt zwei Schichten hoch ; die Vorderseite
ist von einer gemauerten Basis bedeckt. Der untere Stein ist alt ;
der obere besteht aus zwei nicht zusammengehörigen Stücken. Das
nach aussen hin gewendete ist sicher modern angesetzt, es befand
sich ursprünglich an der inneren Seite dieser Wand, wie die Bil-
dung seines Pilasters zeigt ; aber auch das andere, grössere Stück
aufgebaut worden sei. Das kann bei diesem Stück Mauer richtig sein, aber
nur bei diesem, während die Erneuerungen der anderen, namentlich die Aus-
besserungen mit Mörtel und kleinen Bruchsteinen modernen Ursprungs sind.
52
DAS CHALCIDICÜM DER POMPEJANISCHEN BASILICA
könnte modern aufgesetzt erscheinen, besonders wegen der ver-
schiedenen Bildung des inneren Pilasters, welche die
\J [^ beistehende Skizze im Vergleich mit III oben ver-
anschaulicht. Dass dieser Stein aber richtig liegt,
sich nur ein wenig verschoben hat, zeigt die ganz
unregelmässige und fast zufällige Linie der tiefen
\ 0 I seitlichen Einne, welche bei beiden Steinen, besonders
an der Seite rechts, sich so genau entspricht, dass
ein Irrtum ausgeschlossen ist.
Das folgende Mauerstück, IV, steht zwei Schichten hoch. Der
zweite Stein ist nicht hierher gehörig, wie schon seine Lage zeigt :
er ist mit der Innenseite nach aussen gewendet. Ich bezeichne
diese Quader, von der unten noch zu reden sein wird, mit a. Das
fünfte Stück (V) ist drei Lagen hoch erhalten und ganz antik.
Das letzte Mauerstück (VI) ist, wie die beistehende Skizze
zeigt, stark geflickt. Die
unterste Schicht ist alt ,
aber links beschädigt und
modern mit einem durch
zwei Schichten hindurch
reichenden schmalen Stein
ergänzt. Bei der zweiten
Schicht ist die Beschädi-
gung links stärker, auch
rechts zeigt sie Verletzun-
gen. Doch ist sie an ihrem
ursprünglichen Platze, wie
sich deutlich im Inneren
zeigt, wo antiker Stuckver-
putz beide Steine mit den
darunter liegenden verbin-
det. Dass in der dritten
Schicht der mit c bezeichnete Stein hier nicht hingehört zeigt sich
zunächst schon in der Unmöglichkeit, ihn ohne Hülfe des schmalen,
langen, sicher modern untergesetzten Steines fest zu legen. Dazu
kommt dann noch der nicht innegehaltene Fugenwechsel, der man-
gelnde Anschluss des inneren Pilasters, und der Umstand, dass der
Stein auf dem Kopfe liegt. Es ergiebt sich das aus einer eigentüm-
DAS CHALCIDICÜM DER POMPEJANISCHEN BASILICA 53
liehen Einarbeittrag, die er an seiner rechten Anschlnssfläche zeigt.
Bei den Bauten der Tuffperiode sind nämlich nicht selten zwei
aneinander stossende Quadern in der Weise verbunden, dass an der
Stelle der Fuge in sie von oben her ein keilförmiges, sich nach
unten verengerndes Loch eingearbeitet ist, dessen eine Hälfte in
dem einen Steine liegt während die andere dem zweiten angehört ;
diese Oeffnung wurde dann mit grobem, festem Stuck ausgefüllt.
Die Hälfte einer solchen Einarbeitung zeigt sich nun an diesem
Steine c ; bei der jetzigen Lage beginnt sie auf der unteren Fläche
und verjüngt sich nach obenhin, eine dem Zweck widersprechende
Anordnung (l). Auch der Stein d liegt nicht an seiner Stelle ; auf
der jetzt nach innen gekehrten Seite steht, obendrein auf dem
Kopf (2), die Inschrift C. I. L. IV 80. Diese Seite befand sich
also ehemals aussen ; übrigens ist der Stein modern derartig zu-
gehauen, dass er für die Eeconstruction keine Kolle spielt. Der
letzte Stein dieser Schicht, e, ist vorne modern verschmiert und
geflickt, er liegt aber an alter Stelle, wie kleine Verputzreste be-
weisen, welche sich an der rechten Längswand der Basilica, auf
die er übergreift, an seiner rechten und unteren Fuge erhalten
haben. Auch ohne dieses Kriterium würden wir den Stein hierhin
legen müssen : an diese Ecke zunächst wegen der sonst nicht vor-
kommenden Seitenante und des roten Verputzrestes in der Ecke
dieser Ante, der mit dem jungen Verputz der äusseren Längswand
der Basilica stimmt. Sodann hat der Stein genau die für diese
Schicht passende Höhe. Wollten wir ihn in einer anderen Schicht
unterbringen, so könnte das der Schichthöhe und des notwendigen
Fugenwechsels wegen nur um vier Schichten höher sein, und damit
würde er zu hoch kommen als dass die müssigen Hände, die
auch ihn bekritzelt haben, ihn hätten erreichen können. Es war
nöthig all diese Gründe anzuführen, da ein Umstand gegen sie
zu sprechen scheint ; dieser Stein zeigt an seinem Ende eben jenes
keilförmige Stuckloch, von dem soeben (3) die Rede war, ohne dass
(x) Ich verdanke die Kenntniss dieser Befestigungsweise A. Mau; vgl.
auch Lange, Haus und Halle S. 357, 1.
(2) Hierauf macht Schöne aufmerksam (Nissen, Pompejanische Stu-
dien S. 196).
(3) Vgl. zu Anmerkung 1.
54
DAS CHALCIDICUM DER POMPEJANISCHEN BASILICA
demselben im angrenzenden Stein ein zweites entspräche. Wie
sich das erklären lässt, etwa auch durch Umbau, wage ich nicht
zu sagen.
Die übrigen Teile dieser Längsmauer der Basilica stehen eben-
falls antik bis zu fünf Schichten hoch, geben aber für unsere
Frage nichts aus.
Der Grundriss sämmtlicher Pfeiler, bis auf den von I, steht
also fest. Wir werden hoffen dürfen, die nicht mehr an ihrer alten
Stelle befindlichen Steine auf die verschiedenen Pfeiler verteilen
zu können. Wir beginnen mit denjenigen (vgl. oben S. oi), welche
die Pilasterkapitelle tragen. Es sind deren fünf, die im Inneren
des Chalcidicum hinter den Pfeilern I-V liegen ; wir bezeichnen
sie in derselben Reihenfolge mit A-E.
,. j
C D.
Vorstehende Skizze (1 : 40) zeigt die fraglichen Stücke in
der Oberansicht ; auch hier ist die Aussenseite des Steines in der
Abbildung nach unten gewendet. Anschlussflächen sind durch eine
kleine Verlängerung der die vordere und hintere Begrenzung dar-
stellende Linie angedeutet. Nur wenige erläuternde Bemerkungen
werden genügen. Bei A zeigt sich oben an der Hinterseite ein
etwa 0,13 breiter Streifen besonders glatt gearbeitet; seine Be-
grenzung ist durch eine punktirte Linie angedeutet. Der Vorsprung
des Pilasterkapitells ist von dem eigentlichen Stein durch eine
vertiefte Linie (ebenfalls punktirt) geschieden, die sich ebenso bei
C-E findet. B ist durch seine besondere Dicke bemerkenswerth
(Wandstärke 0,49 gegenüber dem sonst üblichen Mass von 0,45),
sowie durch den vollständigen Mangel eines inneren Pilasters.
DAS CHALCIDICÜM DER POMPEJANISCHEN BASILICA 55
C zeigt den bei A schon erwähnten glatten Streifen an der Hinter-
seite ebenfalls, 0,16 breit ; der besondere Charakter desselben wird
vor allem noch klar durch eine 0,39 von der rechten Anschluss-
fläche entfernte, mit dieser parallele Aufschnürung (in der Skizze
punktirt), welche nicht über die ganze Breite des Steines, sondern
nur über die des glatteren Streifens sich hinzieht.
Die Verteilung dieser Quadern auf die verschiedenen Mauer-
stücke wird ermöglicht durch eine Beobachtung der Anschluss-
flächen und der verschiedenen Stellung der inneren und äusseren
Pilaster zu einander.
Wie ein Blick auf unsere oben S. 51 mitgeteilten Grundrisse
lehrt kann A nur auf II oder V rechts gehören. Eine Wahl zwi-
schen beiden Möglichkeiten kann man kaum treffen, wenn nicht
das als ausschlaggebend angesehn werden darf, dass bei II der
rechte Pilaster der Aussenseite die aussergewöhnliche Breite von
0,55 (gegen 0,52 sonst) hat, während der Pilaster auf A wie
üblich 0,48 breit ist, (wobei sich der Unterschied gegen die ge-
nannten 0,52 durch die Verjüngung erklärt).
B muss auf I gehören. Nur an dieser Stelle, wo die innere
Seite von dem Wasserbehältniss verdeckt wurde, erklärt sich der
Mangel eines inneren Pilasters, und damit die Dicke.
C könnte auf II oder V links, allenfalls auch auf VI links
gehören, doch wird dies letztere durch den Abstand des inneren
Pilasters von der Thüre (G: 0,565. II : 0,575. V : 0,555. VI : 0,54)
wol ausgeschlossen. Dagegen dass A-\- C. auf V gelegen hätten
schien mir nichts zu sprechen.
Endlich müssen D und E zu den einzigen schmalen Pfei-
lern III und IV gehört haben ; zu einer genaueren Zuweisung
fehlt der Anhalt.
Diese Verteilung, die für die übrigen Pfeiler vorläufig nichts
wesentlich Neues lehrt, gibt uns wenigstens einen gewissen An-
halt, die Eeconstruction des Grundrisses von I zu versuchen.
B hat auf beiden Seiten Anschlussfläche, lag also mitten in
einem Mauerstück, und da folglich sein Pilasterkapitell nicht zu
dem Pilaster rechts auf I gehören kann, muss es von einem zweiten,
mehr in der Mitte gelegenen herrühren. Zu demselben Pilaster
dürfen wir jetzt auch die mittlere Quader in der zweiten Schicht
von I und die in der vierten rechnen.
56
DAS CHALCIDICUM DER POMPEJANISCHEN BASILICA
Eine Entsprechung zu VI war also hier in Betreff des Abschlusses
der Mauer durch einen Pilaster an der Ecke schwerlich erreicht, man
hätte sonst dieses Mauerstück mit drei Pilastern dekoriren müssen.
Das wahrscheinlichste ist, dass die beiden Pilaster in dem-
selben Abstände wie bei VI hier wiederkehrten, und links von dem
letzten Pilaster ein unverziertes Mauerstück von 0,685 Breite
stand. Der zweite Stein in der dritten Schicht kann nicht ur-
sprünglich zugehören; rechts vom Pilaster ist er noch lang 0,86
erhalten, ein Mass, das weder links von den Pilastern möglich
ist, noch zwischen denselben, wenn sie nicht ganz sinnloser Weise
weiter von einander entfernt gewesen sein sollten wie die auf VI.
Den anderen Steinen dieses Pfeilers bestimmte Stellen anzuweisen
ist bei dem geringen Umfang des Erhaltenen unthunlich (!).
Es bleiben noch die oben S. 52 f. besprochenen, nicht an richtiger
Stelle liegenden Quadern a — c unterzubringen. Der erste dieser
Steine, a, muss wie sein vorstehend abgebildeter Querschnitt anschau-
lich macht von dem Mauerstück III oder IV stammen. Er zeigt,
gegenüber den bisher besprochenen eine Besonderheit, die sich auch
bei b und c findet, dass nämlich die senkrechte Rinne der inneren
Thürlaibung (vgl. S. 48) sich oben zu einer unregelmässigen, würfel-
förmigen Vertiefung erweitert (auf unseren Skizzen punktirt).
Die nebenstehend mitgeteilte Seitenansicht von b
veranschaulicht die Sache ; offenbar ruhten in diesen Ver-
tiefungen horizontale Balken. Die Masse derselben sind
durchschnittlich : Breite 0,22, nach oben abnehmend ;
Höhe 0,25 ; Tiefe 0,20.
Wir haben nun noch die Stellen für b und c zu
C1) Die ersten Steine in der untersten und in der dritten Schicht zeigen
oben und unten je ein 0,04 breites vertieftes Band. Sie brauchen deshalb
nicht von einem anderen Bau zu stammen ; auch bei dem zweiten Stein der
zweiten Schicht von VI zeigt sich ein solches, ohne sich auf dem ersten
Stein fortzusetzen.
DAS CHALCIDICÜM DER POMPEJANISCHEN BASILICA 57
suchen. Zunächst könnte b zu VI links gerechnet werden ; da aber
der Abstand des Pilasters von der Thüre dort nur 0,54 beträgt gegen-
über 0,59 bei b, so bleiben für dieses nur II und V links übrig (!).
Beide Mauerstücke sind drei Schichten hoch erhalten, und man
ist versucht so b als vierte Schicht auf einem von beiden zu
denken, wozu wir nach dem Fugenwechsel berechtigt wären. Nun
zeigt aber die Oberfläche beider Pfeiler, II und V, eine Auf-
schnürung (in der Skizze oben S. 51 punktirt) die ein in der Mitte
befindliches Dübelloch schneidet, während sich in der Mitte der
beiden, durch die Aufschnürung getrennten Teile je ein weiteres,
nicht gezeichnetes, Dübelloch findet.
Offenbar bezeichnet diese Aufschnürung die Fuge der beiden
die vierte Schicht bildenden Steine. Hätte also b auf II oder V
unmittelbar gelegen, so müsste eine der Aufschnürungen seinen
Massen entsprechen. Nun ist aber die Aufschnürung von der
Unken Ecke des inneren Pilasters entfernt bei
II 0,285
V 0,355
b 0,26 ;
b kann also weder auf II noch auf V direkt in vierter Schicht
gefolgt sein.
Ebenso könnte c von vorn herein auf II oder V rechts passen
(während I durch die Bildung der Rückseite ausgeschlossen ist).
Messen wir aber hier die betreffenden Abstände von der Auf-
schnürungslinie bis zur rechten Ecke des inneren Pilasters, so
finden wir bei
II 0,275
V 0,205
c 0,295,
was das gewonnene Resultat lediglich bestätigt.
Da uns nun der regelmässige Fugenwechsel hindert, diese
beiden Steine b und c, welche durch ihre seitlichen würfelförmigen
Einarbeitungen als derselben Schicht mit a angehörig gekonn-
te Es ist daran zu erinnern, dass sich die inneren Pilaster nicht ver-
jüngen, diese Masse also stimmen müssten.
58 DAS CHALCIDICÜM DER POMPEJANISCHEN BASILICA
zeichnet sind, wozu die Höhe (a : 0,635. b : 0,642. c : 0,645) hin-
reichend stimmt, statt in der vierten in der fünften Schicht anzu-
setzen, so erhalten wir als Minimum ihrer ehemaligen Entfernung
vom Fussboden die sechste Schicht.
Noch über dieser, durch die würfelförmigen Einarbeitungen
gekennzeichneten, Schicht muss diejenige gefolgt sein, welche die
äusseren Pilaster oben in Kapitelle endigen lässt (oben S. 54
A — E) und welche, unserer Annahme vom 2 weck der verschie-
denen seitlichen Einarbeitungen entsprechend, dieselben nicht mehr
aufweisen : über die grossen horizontalen Querbalken hat man den
inneren hölzernen Thürrahmen natürlich nicht hinübergeführt. Es
fragt sich weiter, ob diese Schicht mit den Kapitellen unmittelbar
auf die eben ermittelte sechste gefolgt ist. Auch hierauf geben
uns die Steine Antwort. Die Quader a lag auf einem der beiden
Pfeiler III oder IV ; zu diesen gehören aber die Kapitellstücke D
und E. Eines derselben müsste also sofort genau auf a passen,
wenn jene Frage zu bejahen wäre. Nun beträgt aber die Breite
des vorderen Pilasters bei
a (oben) 0,52
JD (unten) 0,49
E (unten) 0,505,
wobei zu bemerken ist, dass sich die Masse besonders genau, und
eben an der Stelle, wo die fraglichen Quadern zusammenstossen
würden, nehmen lassen.
Die Kapitellstücke folgten also frühestens in der achten
Schicht von unten. Dies Kesultat ist um so sicherer, als es sich
noch durch eine zweite Ueberlegung erreichen lässt. Liessen wir
auf den breiteren Pfeilern II und V gleich auf die sechste Schicht,
deren Fugenschnitt wir ja kennen, die Quadern mit den Kapitellen
folgen, so würden zwei Schichten mit mittlerer Fuge übereinander
erscheinen. Wir müssen also, um den regelmässigen Fugenwechsel
zu erhalten, mindestens eine Schicht mehr, im ganzen also acht,
annehmen.
Dieses erschlossene Minimum der Pfeilerhöhe wird wol zu-
gleich das wirkliche Mass derselben darstellen. Die notwendige
Verjüngung der Pilaster von 0,520 (in der sechsten Schicht) bis
auf 0,505 (in der obersten) ist im Laufe einer Schicht möglich :
DAS CHALCIDICÜM DER POMPEJANISCHEN BASILICA 59
bei dem rechten Pilaster auf II beträgt die Verjüngung in der
zweiten Schicht sogar 21 mm. Dagegen wird man eine noch
grössere Höhe der Pfeiler kaum wahrscheinlich finden, da die
Verhältnisse der Pilaster zwar dem Geschmack der Tuffperiode
entsprechend schlank sein dürfen, bei einer Annahme grösserer
Höhe (') jedoch unnatürlich lang erscheinen würden. Bei unserem
jetzigen Minimum verhält sich ihre Breite zur Höhe schon etwa
wie 1 : 10.
So erhalten wir für die ehemalige Höhe der Pfeiler fol-
gende durchschnittliche Zahlen :
1. Schicht 0,66
2. » 0,63
3. ■ 0,63
4. 5. ■ — (nicht erhalten)
6. ■ 0,64
7. ■ — (nicht erhalten)
8. » 0,54
3,10
Rechnen wir dazu für die drei fehlenden Schichten 4, 5 und 7
je 0,64 = 1,92 so erhalten wir für die ehemalige Gesammthöhe
der Pfeiler etwa 5 m. Ueber diesen Pfeilern würde ein ent-
sprechendes Gebälk zu denken sein. Die Breite der Thüren konnte
ein T äff block natürlich nicht überdecken ; auch hier wird also
die nöthige Spannung durch eine starke flach gelegte und eine
an der inneren Seite hochkantig danebengesetzte starke Holzbohle
erreicht worden sein, wie bei der Forumsporticus. Für diese beiden
Bohlen zeugen auch die verschiedenen Bearbeitungen, die wir an
der Oberfläche von A und D fanden. Dass sich dieselben bei der
sonst gut erhaltenen Oberfläche von B nicht zeigen, wird daher
rühren, dass dieser Teil des Pfeilers I eben kein Holz mehr zu
tragen hatte. Bei J), E mag die Zerstörung diese Spuren verwischt
haben. Wenn sich über diesem Gebälk die Aussenmauer noch
höher erhob, und man wird sich es kaum anders vorstellen können,
(*) Es ist zu beachten, dass des Fugen wechseis wegen wir jedesmal um
je zwei Schichten höher gehen müssten.
60 DAS CHALCIDICUM DER POMPEJANISCHEN BASILICA
so würden grosse fensterartige Oeffnungen zur Entlastung der
Thürstürze unumgänglich nöthig sein. Genaueres darüber lässt sich
aber nicht erschliessen, und auch zu Vermuthungen darüber, wie
etwa die Architektur des Chalcidicum mit derjenigen der eigent-
lichen Basilica in Verbindung gesetzt war, geben die erschlossenen
Masse keinen genügenden Anhalt.
Auch der Anschluss der späteren Forumsporticus an diese
Vordermauer des Chalcidicum ist unklar, nur das eine ergiebt
sich aus dem Vergleich der Höhe der besprochenen Pfeiler und
der Porticus, dass es ein unorganischer gewesen sein muss, indem
der obere Fussboden der Porticus tiefer lag als der obere Rand
der Thüren des Chalcidicum.
Zum Schluss noch eine Bemerkung über den Verschluss der
fünf auf das Forum geöffneten Thüren. Da in den Schwellen
Pfannen nicht vorhanden sind, müssen die Thürflügel leicht ge-
wesen sein, wie schon lange bemerkt ist. Die viereckigen Ver-
tiefungen in der Mitte der Schwellen müssen zur Befestigung
senkrechter, vermutlich gleich breiter Holzpfosten gedient haben,
da sie für Riegellöcher, zumal bei leichteren Thüren viel zu gross
sind. Dann erklärt sich auch der Mangel eines Anschlages auf
der Schwelle selbst : der Pfosten ersetzte denselben. Wir müssen
uns wol vorstellen, dass dieser schmale Pfosten oben bis zu dem
starken Querbalken lief, und dort seinen nötigen Halt fand. Die
Thüren, welche ziemlich breit gewesen sein müssen, bestanden
demnach für jede Thüröffnung aus zwei Flügeln, die sich nach
innen öffneten. Auf besondere Sicherheit des Verschlusses war
offenbar kein Gewicht gelegt.
Athen, November 1887.
Paul Wolters.
TELLER DES SIKANOS.
Taf. I.
Der auf Tafel I abgebildete rothfigurige Teller strengen Stils,
das einzige Werk, durch welches wir den Meister Sikanos kennen,
ist seit längerer Zeit verschollen (1). Er wurde im Anfang der
vierziger Jahre in Vulci gefunden und befand sich im Besitz des
Fürsten von Canino, von dem er nach Siena und dann nach Rom
gelangte. Braun legte ihn 1844 in einer Sitzung des Institutes
vor, las aber in der Inschrift irrthümlich Silanion für Sikanos
{Bullettino dell' Instituto 1844 S. 44). Richtig wurde der Name
zuerst von Welcker gelesen (Rheinisches Museum N.F. VI S. 390).
Seitdem ist jede Spur von dem Original verschwunden. Doch war
von demselben eine Zeichnung angefertigt worden, nach welcher
Brunn eine Beschreibung gab und Welckers Lesung bestätigte
(Geschichte der griechischen Künstler II S. 733) (2). Diese Zeichnung
offenbar ist es, welche ich 1885 im Apparat des Instituts wieder
auffand. Sie scheint den Stil des Originals annähernd treu wieder-
zugeben. Auch ist nicht zu befürchten, dass der Zeichner durch
geschickte Restaurationen sich hat täuschen lassen, da Braun die
vortreffliche Erhaltung der Vase ausdrücklich hervorhebt.
Der Teller steht auf einem hohen, zierlich profilirten Fusse.
Die Tellerplatte hat die Eigenthümlichkeit, dass ihr Rand nicht,
wie es meist sonst der Fall ist, umgebogen ist und dass sie sich
(!) W. Klein, Die griechischen Vasen mit Meistersignaturen *, S. 116.
(*) Ein Zweifel an der Identität des Tellers, welchen Braun und Welcker
sahen, und desjenigen, von dem die Zeichnung genommen wurde, ist un-
möglich, da die Beschreibungen von Brunn und Braun bis auf den Künstler-
namen völlig übereinstimmen. Auch Welcker beschreibt die Form des Ge-
fässes vollkommen zutreffend als eine runde Platte mit einem ziemlich
hohen Fuss.
62 TELLER DES SIKANOS
nach oben zu ziemlich stark verjüngt. Ihre Oberfläche trägt das
Bild, welches von einem einfachen Blattornament umrahmt ist,
ähnlich dem auf dem Teller im Berliner Antiquarium, welcher früher
mit Unrecht dem Duris zugeschrieben wurde.
Zur Füllung von Eunden hat bekanntlich die archaisch-grie-
chische Kunst mit Vorliebe laufende, knieende und sich beugende
Gestalten verwendet. Namentlich die rothfigurigen Schalen und
Teller, aber auch die Spiegel, Münzen und Gemmen liefern Bei-
spiele hierfür. Auch Sikanos ist von dem alten Brauche nicht
abgewichen. Er hat als Gegenstand seiner Darstellung eine in
raschem Laufe von links nach rechts dahineilende Artemis ge-
wählt. Alle Bewegungen derselben sind durch das Princip der
Kaumfüllung bedingt. Das archaische Laufschema ist allerdings
schon etwas gemildert; das Knie des nach rückwärts ausgestreckten
r. Beines steht zwar nicht mehr in gleicher Höhe mit der Fuss-
sohle des vorgestreckten L, aber der r. Fuss reicht noch knapp an
die eine Seite des unteren Eandes heran und auch der 1. ist nicht
weit von der anderen Seite entfernt. So wird das bis auf die Knöchel
herabreichende feingefältelte Untergewand, welches die Formen des
dem Beschauer näheren r. Beines deutlich durchscheinen lässt, in
seiner ganzen Weite ausgespannt und auch an dieser Stelle eine
vollkommene Ausfüllung des Baumes erreicht. Aehnlich sind die
oberen Extremitäten behandelt. Im Gegensatz zu der Wirklichkeit,
welche bekanntlich Arme und Beine in eine Wechselwirkung zu
einander treten lässt, ist auch der r. Arm nach hinten ausge-
streckt (1). Zwischen Daumen und Zeigefinger hält er eine glocken-
förmige Blume (2). Noch entschiedener ist die Bewegung des 1.
(!) Dieselbe mangelhafte Naturbeobachtung findet sich öfters auf ar-
chaischen Werken. So streckt z. B. auch der Eros mit der Lyra und Blume
auf dem bekannten Spiegel des British Museum den 1. Arm und das 1. Bein
nach hinten aus, den r. Arm und das r. Bein nach vorn (Gerhard, Etrusk.
Spiegel I 120 =■ Koscher, Ausführliches Lexikon der Mythologie S. 1350).
(2) Braun hielt die Blume als Attribut der Artemis noch für etwas
auffälliges. Jetzt liegen zwei sichere Beispiele vor : Mittheilungen des athe-
nischen Instituts V 1880 Taf. 10 (vgl. Kekule" ebenda S. 257 und 294)
Gerhard, Trinkschalen und Gefässe II 19. Auf anderen Vasengemälden ist
es nicht zu entscheiden, ob die Apollo gegenüberstehende weibliche Gestalt,
welche die Blumen oder Banken hält, Artemis oder Leto ist (Lenormant et
de Witte, Elite c^ramographique LT 32—34).
TELLER DES SIKANOS 63
Armes. Er ist fast in horizontaler Richtung vorgestreckt und hält
das die Göttin kennzeichnende Attribut, ihren Bogen, welcher einen
grossen Theil des freien Raumes auf der r. Seite ausfüllt. Es muss
auffallen, dass das untere Hörn desselben an seinem oberen Ende
weniger stark gebogen ist als das obere. Die Arme zeichnen sich
durch elegante und zart gerundete Formen aus, während die Beine
und Füsse noch etwas hartes und eckiges haben. Oberhalb der
Handgelenke sind sie mit spiralförmigen Armbändern geschmückt.
Der Kopf zeigt ein noch völlig archaisches, spitzes Profil mit
Augen in Vorderansicht. Die Brauen stehn hoch und sind nur
wenig geschwungen, eine Angabe der Wimpern fehlt. Der Mund
ist klein, die Lippen schmal, das Kinn dagegen voll und rund.
Das offenbar noch von einer Ritzlinie umgebene Haar ist ent-
sprechend der raschen Bewegung am Hinterkopf aufgebunden und
fällt auf Stirn und Schläfen in zierlichem Löckchen herab. Es
wird zusammengehalten durch einen Kranz mit runden (l) Blät-
tern und eine wohl metallene, am oberen Rande mit einer punk-
tirten Linie verzierte Stephane. Auffällig ist die Bildung des Ohres.
Dafür dass die Ohrmuschel als eine Spirale gebildet ist, finden
sich allerdings Analogien, aber der scheinbar untere Theil zeigt
in der Mitte einen sonst nie vorkommenden schwarzen Fleck, ist
zu gross und hängt zu weit herab, als dass man annehmen dürfte,
der Künstler habe sich verzeichnet. Es ist hier vielmehr ein Ohr-
ring zu erkennen in der Gestalt einer das Ohrläppchen deckenden
(x) Vielleicht waren diese Blätter im Original wie so oft leicht erhöht.
Ein gleiches wäre dann für den Knopf auf dem r. Aermel, den Ohrring und
die Armbänder, die wohl auch vergoldet waren, anzunehmen.
(2) Weniger deutlich findet man diese Art Ohrringe auch auf Vasen,
aber wie es scheint, nur auf schwarzfigurigen und streng rothflgurigen (s. z. B.
Gerhard, Auserlesene Vasenbilder I 23, II 83, IV 295 96, 7 ; Lenormant et
de Witte, Elite ce'ramographique II 117. Heibig (Das homerische Epos aus
den Denkmälern erläutert * S. 271 Anm. 3) nimmt für diese Form den Namen
äv&ejja, welcher in dem kürzeren homerischen Hymnos auf Aphrodite (VI 8 fg.)
überliefert ist, in Anspruch, doch leuchtet ein, dass mit demselben jedes
blumenförmige Ohrgehänge bezeichnet werden kann. Eine spätere Weiter-
bildung dieser sehr einfachen Form ist es, wenn an die Bundung Bommeln,
bisweilen in Gestalt von menschlichen und thierischen Figuren, angehängt
werden. Diese Form ist uns öfters in Metall erhalten ; s. Compte-rendu
1880, Taf. HI 4 und 5, Antike Denkmäler I 12 Fig. 13 und 18. Auch die
64 TELLER DES SIKANOS
Platte oder Eosette, wie ihn am deutlichsten die neuerdings auf
der Akropolis zu Tage getretenen Frauen-Statuen und Köpfe zeigen
('EyrjfieQig dgxaioXoyixrj 1883 Taf. 5 und 6; Khomaides, Musees
d'Athenes Taf. 2-5, 7 = 'EyrjfisQig aQxccioXoyixrj 1886 Taf. 5 ;
Antike Denkmäler I Taf. 19 ; Arch. Jahrbuch II (1887) Taf. 13
vgl. das gleichzeitige Kelief *E<f. dgx. 1886 Taf. 9).
Aber nicht nur der Kopfschmuck unseres Vasenbildes stimmt
mit den plastischen Denkmälern überein. Jene tragen nämlich
ausser demselben Ohrgehänge öfters auch ein gleich oder ähnlich
geformtes Diadem. Die Uebereinstimmung erstreckt sich auch auf
die Gewänder. Es ist dasselbe faltenreiche, aber trotzdem eng den
Formen sich anschliessende Untergewand, welches Artemis ebenso
wie jene Marmorstatuen trägt. Nur ist es entsprechend der raschen
Bewegung der Göttin unten in seiner ganzen Weite ausgespannt,
während es an den Statuen wegen ihrer ruhigen Haltung und des
typischen Heraufziehns mit der 1. Hand enger zu sein scheint.
Auch die Aermel sind gleich kurz und werden in derselben Weise
durch Knöpfe zusammengehalten. Noch auffälliger ist die Ueber-
einstimmung in dem kurzen, schmalen Ueberwurf. Sowohl an den
Statuen wie auf unserem Teller ist er unter der 1. Brust, welche
sich unter dem Untergewande deutlich abhebt, um den Körper
herumgeschlagen und über der r. Schulter befestigt, so dass bei
ruhigem Stehn die beidtn Enden mit ihren feinen Zickzackfalten
vorn und zur Seite herabfallen und dem r. Arm völlig freien Spiel-
raum gewähren, während sie bei der in schneller Bewegung be-
griffenen Artemis hinter dem Rücken herflattern und so den ßaum
zwischen dem r. Arm und dem r. Bein in geeigneter Weise füllen.
Durch die Statuen wissen wir nun, dass dies Gewandstück na-
mentlich an den Säumen mit zierlichen buntfarbigen Ornament-
streifen geschmückt war. Und wenn auch der Vasenmaler diese
nicht in ihrer ganzen Ausdehnung nachgebildet hat, so sehn wir
doch wenigstens am oberen Saum eine Mäanderverzierung, welche
mehreren der in den Antiken Denkmälern I Taf. 19 abgebildeten
Athena Parthenos des Pheidias trägt dieselben auf dem Petersburger Me-
daillon (Mittheilungen des athenischen Instituts 1888 Taf. 15), aber nur
mit einer unten spitz zulaufenden Spirale als Anhängsel.
TELLER DES SIKANOS 65
farbigen Muster ausserordentlich ähnlich ist. Den Ornamentstreifen
auf der Vase für ein Köcherband zu halten ist aus verschiedenen
Gründen unmöglich. Zunächst würde der obere Rand des Ueber-
wurfes grade unter dem Köcherriemen liegen, während er sonst in
allen sicheren Fällen und schon aus praktischen Rücksichten das
Gewand schneidet. Ferner sieht man von dem Köcher selbst nicht
das geringste, was sonst immer der Fall ist. Schon um ihn leichter
handhaben zu können, muss wenigstens die Oeffnung mit der
Klappe über die Schulter hinausragen. Ausserdem wäre das Köcher-
band breiter als gewöhnlich, nicht straff genug angespannt und
mit einem für einen ledernen Riemen ungewöhnlichen Ornament
verziert. Mit dem Bogen und ohne den Köcher kommt Artemis
bekanntlich häufig genug vor. Die Zipfel des Ueberwurfes laufen
in deutliche Quasten aus, welche für diesen immer zerstörten Theil
füglich auch an den Statuen anzunehmen sein werden.
Diese sich bis auf Einzelheiten erstreckende Uebereinstimmung
der Tracht und des Schmuckes ergiebt zugleich auch die Zeit des
Gefässes (1). Die Herstellung desselben fällt demnach wie die
Statuen, welche in einer Schuttschicht aus der Zeit des Kimon
gefunden sind (Antike Denkmäler I S. 8), vor die Perserkriege.
Dieser Datirung entsprechen die Buchstabenformen der K ü n s 1 1 e r-
inschrift, welche, da die Darstellung näher an den 1. Rand
(x) Eines Schlusses auf die Deutung der Statuen enthalte ich mich hei
dem Mangel jeglicher Attribute an denselben. Es ist eben die typische at-
tische Tracht der betreffenden Zeit, welche von den vornehmen Athenerinnen
auf die Göttinnen übertragen wurde und in welcher, wie die Vase zeigt, man
sich auch Artemis vorstellte. Die Stephane tragen sterbliche Weiber schon bei
Homer (I 597). — Noch auffälliger ist die Uebereinstimmung der Statuen mit
den als Griffe und Stützen griechischer Spiegel dienenden archaischen Frauen-
gestalten, welche bekanntlich dasselbe Gewandmotiv zeigen. Eine dem Stil
nach ältere und noch ähnlichere als die bis jetzt abgebildeten befindet sich
unter den von E. G. Schaubert gesammelten Antiken des archäologischen
Museums zu Breslau. In ihrer Rechten hält sie eine Knospe. Von der aus
ihrem Kopf herauswachsenden Palmette gehn als Stützen des Spiegels zwei
umgekehrte Flügelrosse aus. Ueber die Deutung dieser Gestalten vgl. C. Frie-
derichs, Kleinere Kunst und Industrie S. 19 und 24 fg. und E. Curtius in der
Arch. Zeitung XXXIX (1881) S. 24 fg. Wenn Heliodor Aethiop. III 4 Charikleia
als Priesterin der Artemis mit den Attributen derselben auftreten lässt, so
beweist das natürlich nichts für die viel älteren Darstellungen.
5
66 TELLER DES SIKANOS
herangerückt ist als an den r., auch den Zweck hat, den leeren
Eaum vor und unterhalb der Figur zu füllen. Das 2 ist noch
dreistrichig, das A hat noch die ältere Form mit zweiter längerer
Hasta und schrägem Querstrich, der verticale Strich des dritten
E in ertoucsv überragt oben und unten die Querstriche, endlich
hat das letzte JV noch die ungeschickte ältere Gestalt. Die sonder-
bare, unten geschwänzte Form des zweiten O ist vielleicht nur
durch Zufälligkeiten bedingt und dadurch wohl noch auffälliger
geworden, dass in der Zeichnung die im Original sicher breiteren
Züge der Buchstaben durch einfache Linien wiedergegeben sind.
Doch zeigt auch der zweite senkrechte Stich des 77 ein ähnliches
Anhängsel, welches sich auf dem fälschlich dem Duris zugeschrie-
benen Berliner Teller wiederfindet. Ein ähnlich geschwänztes 0
findet sich in der allerdings eingeritzten Inschrift einer bildlosen
Pelike der Sammlung Sabouroff (Furtwängler, Sammlung Sabou-
roff I Taf. 68, 4).
Dass Sikanos ein attischer Töpfer und doch wohl auch Maler
war, beweist die streng attische Tracht, die er seiner Artemis
gegeben hat. Zugleich giebt sein Name über seine Persönlichkeit
einigen Aufschluss. Eine Durchsicht der Listen der Vasenmaler
ergiebt, dass dieselben in schroffem Gegensatz zu den auf ihnen
angebrachten Namen von schönen Knaben stehn (!). Während
diese fast durchweg aristokratische, ritterliche Namen führen, haben
die der bescheidenen Meister mit geringen Ausnahmen einen we-
niger vollen, bürgerlicheren Klang. Ja es sondert sich aus ihnen
eine kleine Eeihe aus, die als ursprüngliche Völkernamen das
Kennzeichen der nicht griechischen, vielleicht sogar unfreien Ab-
kunft ihrer Träger auf der Stirn tragen. Es sind dies die Namen :
Kolchos, 6 Avdog , Skythes (6 Sxv&qg), Sikelos und Sikanos.
Namentlich wegen des Artikels, welcher zweien von ihnen vor-
gesetzt ist, könnte man vermuthen, dass diese Künstler nur un-
freie Arbeiter eines grossen Fabrikanten im Kerameikos gewesen
seien und wegen ihrer besonderen Geschicklichkeit mit ihren ei-
genen Namen signiren durften. Dieser Annahme scheint jedoch ein
(l) Den schönen Bemerkungen von Studniczka (Archäol. Jahrbuch II
S. 159 fg.) über das Verhältniss der Vasenmaler zu den Knaben stimme
ich vollkommen bei.
TELLER DES SIKANOS 67
anderer Umstand zu widersprechen. Bekanntlich ist kürzlich grade
einer der mit dem Artikel versehenen Namen, der des Skythes,
als Patronyrnikon eines Kriton, vielleicht auch des Vasenmalers,
auf der Marmorbasis eines Weihgeschenkes an die Athena auf der
Akropolis wiedergefunden worden ('Ey^i. do^. 1883 S. 36 nr. 6 ;
Löwy, Inschriften griechischer Bildhauer n. 17 ; Studniczka a. e.
0. S. 143) (1). Für die Identität mit dem Vasenmaler sprechen
(*) Leider ist diese Basis und die zwei ähnlichen des Euphronios und
des Nesiades und Andokides, die sich seihst als Töpfer bezeichnen, so ver-
stümmelt, dass man nicht mehr erkennen kann, was sie trugen. Aber wenn
ein Künstler etwas weiht, ist es natürlich ein Werk seiner eigenen Hände.
Trotzdem ist nicht nöthig an von ihnen verfertigte Gefässe oder gar Pinakes
zu denken, wie Studniczka will (S. 142 fg.). Schon die Masse der Basen
sprechen dagegen und das eine (S. 143 Anm. 22) noch nicht veröffentlichte
Beispiel, dass ein Pfeiler mit der Künsteinschrift des Onatas nur einen ganz
kleinen Bronzereiter getragen habe, ist doch nur eine Ausnahme. Aber war
denn die Arbeitstheilung im Kerameikos schon so weit fortgeschritten, dass
die Töpfer nur Gefässe oder Pinakes arbeiteten ? Sicher bildeten diese Mei-
ster, ebenso wie dies für Italien bestimmt bezeugt ist, auch grosse Thon-
figuren. Eine wenn auch erst aus späterer Zeit stammende ist uns ja in der
grossen Terracottafigur der Sammlung Sabouroff erhalten. Doch besitzen wir,
wie ich glaube, ausser der Annali 1880 tav. d'agg. K abgebildeten Vase noch
ein weiteres Zeugniss für die Anfertigung derartiger Statuen auch in früherer
Zeit. Die schöne rothfigurige Schale des Berliner Museums, welche die Her-
stellung der Gruppe eines Kämpfers und eines um Gnade bittenden Besiegten
zeigt, wird seit Braun noch immer für die Darstellung einer Erzgiesserwerkstatt
gehalten (Gerhard, Griech. und etrusk. Trinkschalen Taf. 12, 13 = Bau-
meister, Denkmäler I S. 506 Fig. 547 ; Furtwängler, Berliner Vasensammlung
nr. 2294). Aber der Ofen gleicht vielmehr einem Töpfer- oder Schmiedeofen
und auf ihm steht ein Gefäss, in welchem schon aus technischen Gründen die
Bronze kaum flüssig gemacht werden kann. Ferner hängen an den Wänden
Pinakes, von deren Herstellung aus Erz man nichts weiss, und deren Deutung
als Modelle oder Weihgeschenke immer etwas gezwungenes hat. Auch fehlen
die bei der Metallarbeit unentbehrlichen Werkzeuge : Feile, Meissel und Zange.
Die benützten Instrumente können ebenso für Thon wie für Erz verwendet
werden : Hammer und Schabeisen bei der Glättung der Oberfläche und Besei-
tigung von in der Form entstandenen Unregelmässigkeiten und die Säge zur
Herstellung des Gerüstes und von Holzzapfen bei der Befestigung der, wie wir
sehen, besonders gearbeiten Köpfe, Füsse und Hände. Welchen Grund hatte
endlich ein Töpfer die Vertreter eines anderen Handwerkes zu feiern ? Für
diese überlebensgrossen Gruppen und Statuen reichen aber die Marmorbasen
mindestens aus.
68 TELLER DES SIKANOS
ausser der Seltenheit des Namens auch paläographische Indicien.
Es ist unglaublich, dass der vielleicht noch selbst unfreie Sohn
eines Sclaven ein Weihgeschenk an die Stadtgöttin auf der Burg
aufstellen durfte. Wenn er aber eben erst Bürger oder Metöke
geworden war, würde er den Namen seines unfreien Vaters kaum
genannt haben. Daher liegt wohl die Annahme näher, dass alle
jene Meister Neubürger oder Metöken niedriger Herkunft, aber
selbständige Künstler waren.
Die kunstgeschichtliche Stellung des Sikanos
im Kreise seiner Genossen genau zu bestimmen ist auf Grund
des einen nicht einmal im Original vorliegenden Gefässes kaum
möglich. Die vorhin erwähnten Meister stehn mit Sikanos aber
nur in einem äusserlichen Zusammenhang, da sie, soweit wir es
beurtheilen können — von Lydos ist fast nur die Inschrift er-
halten — , alle der schwarzfigurigen Technik angehören und somit
nicht genügende Vergleichsmomente darbieten. Trotzdem brauchen
sie zeitlich nicht weit von Sikanos getrennt zu sein. Denn z. B.
die Pinakes des Skythes (Benndorf, Griechische und sicilische
Vasen Taf. 4, 1 ; 'Eyrjii. äQ%etioX. 1885, 3, 1) zeigen schon die
völlig ausgebildete schwarzfigurige Technik, und es ist bekannt,
dass manche Künstler Gefässe beider Stile verfertigten. Auch
schreiben sowohl Skythes wie Sikanos E und 5. Jedenfalls gehört
unser Teller noch den Anfängen der rothfigurigen Technik an, was
ausser manchen Härten in der Formgebung und dem starken
Hervortreten archaischer Eigenthümlichkeiten auch die Kitzlinie
beweist, welche die Haare umgiebt. Demnach wird wohl Klein das
richtige getroffen haben, wenn er Sikanos als einen Tellermaler
bald nach Epiktet setzt, von dem uns zehn Teller erhalten sind.
Ausserdem hat der Stil des Sikanos mit der schon erwähnten
Pseudo-Durisschale grosse Aehnlichkeit. Die sicheren Werke dieses
Meisters sind jedoch schon bedeutend mehr entwickelt, wenDgleich
Sikanos mit ihm die durch die Gewänder durchscheinenden Formen
gemein hat.
Breslau.
Otto Kossbach.
NEREIDE IM VATICAN (*)
(Taf. II)
Wenn man aus der Sala degli animali des Vatican in den
Cortile del Belvedere hinaustritt, so erblickt man links von der
Thüre auf einem Sarkophage mit Nereiden, welche die Waffen des
Achilles tragen, den Torso einer auf einem Seethiere reitenden
weiblichen Figur. Der Marmor, dessen Oberfläche von einer licht-
gelben Sinterschicht fast vollständig bedeckt wird, ist pentelisch.
In Folge seines stark fragmentirten Zustandes ist das kleine Werk
bisher wenig beachtet und bisweilen, wo man eine Erwähnung des-
selben hätte erwarten können, gänzlich übersehen worden.
Erwähnt wird der Torso in der Beschreibung Roms II 2, 144
als ■ das Untertheil von der Bildsäule einer Nereide auf einem Meer-
wunder von vorzüglicher Arbeit ■ , eine Angabe, die Urlichs im
4 Skopas ', Seite 140, wiederholt. Irrthümlicherweise fügt er hinzu,
0) Die hauptsächlichsten statuarischen Werke, welche Nereiden auf
Seethieren reitend darstellen, sind folgende : 1) im Museo archeol. zu Venedig,
Dütschke, Ant. Bildw. V nr. 113 — Zanetti, stat. ant. II 38, Clarac 746,
1802. 2) in den Uffizien zu Florenz, Dütschke, Ant. Bildw. HI nr. 248 —
Montfaucon, ant. expl. I 24 — Clarac 746, 1804. 3. 4) Zwei als Gegenstücke
gedachte Nereiden von decorativer Arbeit und stark restaurirt im Braccio
nuovo des Vatican, Pistolesi, il Vaticano IV 12, Clarac 747, 1805. 5) Frag-
ment einer Nereide im Lateran-Museum. Benndorf-Schöne nr. 398. 6. 7. 8)
Drei decorative Statuetten von Nereiden, zwei auf Seelöwen, eine auf einem
Seestiere in Villa Albani. Beschr. Eoms III 2 pag. 527. 9) Statue im Museo
Nazionale zu Neapel. Mem. deWAccad. Ercolanese V, 5. 10) Torso ebenda,
im Hofe der Museo Naz. Erwähnt von Urlichs ' Skopas ', pag. 140. 11) Torso
in Ince Blundell Hall. Michaelis, ancient marbles. Ince nr. 83 — Der Torso
im Cortile del Belvedere ist ohne Nummer ; der Sarkophag, auf welchem er
steht, zeigt die Nummer 360.
70 NEREIDE IM VATICAN
das Monument sei bei Clarac 147, 1805 abgebildet. Es ist dieses
jedoch eine der beiden Nereiden im Braccio nuovo des Vatican.
Unsere Tafel II veröffentlicht den Torso im Cortile del Belvedere
zum ersten Male, denn eine wirkliche Abbildung kann die kleine
Wiedergabe des Werkes, die sich bei Pistolesi (ü Vaticano IV,
tav. CXV) auf der Gesammtansicht des Cortile ganz im Hinter-
grunde befindet, nicht genannt werden. Sie dürfte wohl auch den
Meisten ganz entgangen sein.
Die Gruppe ist einschliesslich der Basis 0,66 M. lang und
0,54 M. hoch. Die Aveibliche Figur hat 2/3 Lebensgrösse. Es fehlt
der ganze Oberkörper bis zum Nabel, Theile der Kniee, besonders
des linken, mit dem sie bedeckenden Gewände, die grosse Zehe
des rechten und die Spitze des linken Fusses. An dem Gewände
sind die Höhen der Falten vielfach bestossen oder abgeschlagen.
Von dem Seethiere, auf welchem die Figur sitzt, ist der Kopf
mit der Hälfte des Halses und Theile des Schweifes verloren. Von
der Basis fehlt auf der rechten Seite etwa ein Viertel. Moderne
Stücke zeigt der Torso nicht. Gebrochen und wiederangesetzt
ist das Schwänzende, jedoch, wie ich glaube, nicht an richtiger
Stelle. Ein zusammenhangloses Stück hinten auf der Basis, welches
denselben Schuppenkamm zeigt wie das Schwanzende, weist dar-
auf hin dass der Schweif, der jetzt kurz und dürftig erscheint,
ursprünglich eine, und zwar grössere, Windung mehr hatte. Hier-
durch wird das Gleichgewicht zu dem Vorderkörper des Thieres
besser als bei der gegenwärtigen Kestauration hergestellt und die
störende Lücke zwischen dem aufwärts gekrümmten Schwanzende
und der Basis ausgefüllt. Ein Bronzezapfen in der Brachfläche
des Schweifes rührt von antiker Anstückung her. Die Ausarbeitung
der Statue ist auf beiden Seiten gleich sorgfältig.
Die weibliche Figur sitzt in leichter, anmuthiger Haltung
nach rechts hin auf ihrem Keitthiere. Ihre Füsse, die auf unserer,
nach einer Photographie hergestellten Abbildung leider unverhältniss-
mässig stark und gross erscheinen, was in Wirklichkeit nicht der
Fall ist, sind übereinander geschlagen. Die Wendung des Kumpfes
lässt darauf schliessen, dass der Oberkörper nach links gedreht
war, so dass er sich in der Ansicht, die unsere Aufnahme wieder-
giebt, etwa zu 3/4 von vorn gezeigt haben wird. Das Gewand
bekleidet die Figur nicht eigentlich; es ist vielmehr nur um die
NEREIDE IM VATICAN 71
Schenkel geschlungen. Aehnlich wie auf der Vorderseite hängt das
Ende des Gewands auf der Kückseite über den Leib des Thieres
herab. Vorn, wo das Gewand auf dem Nacken des Thieres aufliegt, ge-
wahrt man die Reste von zwei kleinen nackten Füssen, welche der
weiblichen Figur zugewendet waren. Zweifellos gehören sie einem
Eroten an, der leicht, oder fast stofflos, nicht einmal die Falten
des Gewandes niederdrückt, auf welchem er steht. An dem Thiere
deuten eine Art von Schuppen beziehentlich Flossen, vorn zwischen
den Beinen, am Halse und am Vorderbug, die amphibische Natur
an. Ein Pferdehuf, der des rechten Fusses, ist vorn auf der Basis
erhalten. Es kann demnach kein Zweifel sein, dass wir uns das
Thier als einen Hippokampen zu denken haben. Die Basis ist im
Grund- und Aufriss von unregelmässiger Form und durchaus stoff-
lich, das heisst hier als Wasser und Welle behandelt. Unter den
Beinen des Hippokampen schiesst ein Delphin aus den Wellen
hervor, die noch einen Theil des Thieres überfluthen. Er ist im
Begriffe einen Polypen zu verschlingen. Nach rechts hin schwimmt
ein anderer Fisch, der ebenfalls eine Beute, einen nicht deutlich
erkennbaren Gegenstand oder ein Thier, verschlingt. Die Thiere
sind ausserordentlich frisch und lebendig; Augen, Schuppen und
Zähne sind sorgfältig wiedergegeben (!). Besonders hervorzuheben
ist endlich die Mannigfaltigkeit der Bewegungsaxen, welche unsere
kleine Gruppe auszeichnet. Der Hippokamp steht nicht in der
Längenaxe der Basis, sondern durchschneidet sie diagonal von
rechts hinten nach links vorn. Hals und Kopf des Thieres waren
dagegen seitlich nach hinten gewendet. Das Bewegungsmotiv der
Reiterin ist etwa das umgekehrte : sie sitzt schräg von links nach
rechts vorn, und ihr Oberkörper wendete sich seitlich vorwärts. In
der feinen Abwägung der Art, wie diese Axen sich schneiden, verräth
sich eine hohe Meisterschaft, und es beruht wesentlich hierauf der
schöne Linienfluss, den die Gruppe fast von allen Seiten dargeboten
haben muss.
(*) Eine gleiche Freude daran, das Meer durch allerlei Seethiere zu heieben,
zeigt die Europadarstellung auf einer Panathen. Amphora Brit. Museum 1261.
Millingen Vases Grecs pl. XXV. Lenormant et de Witte, Mon. Ctram. I, pl. 27,
und eine Berliner Amphora nr. 3241 (ebenfalls Europadarstellung). Gerhard,
Apul. Vasengem. Taf. VII. Overbeck, Atlas zur Kunstmythologie I Taf. VI. 18.
72 NEREIDE IM VATICAN
Die Deutung unserer Gruppe als einer auf einem Hippokampen
reitenden Nereide, der ein Eros zugesellt ist,
scheint sich von vorn herein zu empfehlen. An
Analogien für die Darstellung fehlt es nicht, aber
k" gerade die schlagendste auf einer Münze von Brut-
tium (!) scheint die Deutung auf andere Bahnen
zu führen.
Die Elemente der Darstellung sind hier dieselben wie bei der
Marmorgruppe. Eine auf einem Hippokampen sitzende jugendliche
Frauengestalt legt einem bogenschiessenden Eroten, der mit dem
r. Fusse auf ihrem Schosse, mit dem linken auf dem Schweife des
Hippokampen steht, die r. Hand auf die Schulter, offenbar um
ihm die Bichtung seines Schusses anzugeben. Hier kann nur Aphro-
dite gemeint sein, in deren Auftrage Eros seine Pfeile entsendet:
weder für Thetis noch für eine der übrigen Nereiden wäre diese
Situation passend. Seinem Gedanken nach ordnet sich das Münzbild
zwanglos in einen Kreis von Aphroditedarstellungen ein, die erst
kürzlich von Kalkmann (Arch. Jahrbuch 1886 p. 231 ff.) einer ein-
gehenderen Betrachtung unterzogen worden sind: wie sonst der
Schwan, eine Muschel, ein Delphin oder ein Tritonengespann die
Neugeborne, von Eros und Himeros begleitet, über das Meer ihren
Cultstätten zuführen, so hier der Hippokamp. Es ist eine neue
Ausdrucksform für eine bekannte Vorstellung. Auf die Marmor-
gruppe im Vatican könnte diese Deutung jedoch nur dann eine An-
wendung erfahren, wenn uns der Erhaltungszustand des Werkes ein
Urtheil darüber gestattete, in wie enger Verbindung der Eros mit
der weiblichen Figur stand und in welcher Situation die Beiden
dargestellt waren. Alter und Bekleidung der Frauengestalt sprechen
nicht geradezu gegen Aphrodite, doch muss, meines Erachtens,
die Entscheidung dieser Fragen einer Zeit vorbehalten bleiben, wo
neue, schlagende Momente die Gruppe aus dem Kreise verwandter
Nereidendarstellungen herauszuheben zwingen.
Der Name des Skopas ist bei unserer dürftigen Ueberlieferung
vielleicht zu einseitig mit den Bildungen von Nereiden und son-
stigen Meerwesen verbunden. So wurde denn auch unser Nereiden-
(!) vgl. Head, coins and medals pl. 45, 20. Period 280-190, pag. 83 —
Miliin, Gall. myth. XL VIII 176, wo die Figur' Venus marina' genannt wird.
NEREIDE IM VATICAN 73
torso an der einzigen Stelle, wo etwas näher auf ihn eingegangen
wird, von Urlichs (Skopas, S. 147) als die Copie einer Nereide
der grossen Skopasisehen Gruppe im Tempel des Cn. Domitius zu
Rom betrachtet. Zunächst ist es jedoch gewiss, dass unser Torso
eine römische Copistenarbeit nicht ist ; aber selbst an eine griechi-
sche Copie zu denken verbietet die Zartheit der Ausführung, die
über dem Ganzen liegt, die frische, momentane Belebung der
Wasserthiere und die empfundene und dezente Wiedergabe der
Natur des nassen Elementes. Die Frage könnte sich demnach nur
so stellen : ist es möglich, dass sich in unserem Torso ein Rest der
figurenreichen Gruppe des Skopas selbst erhalten hat ? Im Hinblick
auf die Qualität der Arbeit würde ich kein Bedenken tragen diese
Frage zu bejahen, besonders da es sich um kein selbständiges
Kunstwerk, sondern um einen Theil eines grösseren Ganzen han-
delt. Jedoch spricht zunächst ganz äusseiiich die Anwesenheit des
kleinen Eroten dagegen. Die Skopasische Gruppe stellte, wie man
aus Plinius XXXVI. 26 zu schliessen berechtigt ist, die Uebergabe
der Waffen an Achilles dar. Bei diesem Vorgang ist die Gegenwart
von Eroten, wenigstens in einer sinnvoll schaffenden Kunst, geradezu
ausgeschlossen. Wo Eroten als Begleiter der Nereiden auftreten, schei-
nen sie vielmehr auf eine Composition wie die Hochzeit des Poseidon
und der Amphitrite in der Glyptothek zu München hinzuweisen oder
etwa auf einen Triumphzug der Aphrodite über das Meer, wovon uns,
wenn auch keine plastische, so doch malerische Darstellungen auf
Vasen und pompejanischen Wandbildern überkommen sind (1). Be-
stimmter noch als dieses im Gegenstande beruhende Hinderniss
spricht die künstlerische Durchbildung der Basis unserer Gruppe
gegen Skopas. Das Bestreben die die Handlung umgebende Natur
in eingehender Weise zu vergegenwärtigen gehört zu den we-
sentlichen Merkmalen hellenistischer Sculptur. Es genügt an die
Basen der Tyche von Antiochia, des farnesischen Stieres und der
Statue des Nil im Vatican zu erinnern. Man beachte an unserer
Gruppe, wie eingehend die Natur des Wassers wiedergegeben ist,
das vor der Brust des vorwärtsdrängenden Thieres schäumend
0) vgl. die Cumaner Hydria, Berlin nr. 2636. Gerhard, ant. Bildw
Taf. 44, und die Wandgemälde Mus. Borb. VIII 10. XII 32. vgl. Heibig,
Wandgemälde p. 79 f. « Aphrodite auf dem Meere ».
74 NEREIDE IM VAT1CAN
sich aufstaut, während es unter seinem Leibe rasch dahin zu
fluthen scheint! Ja, bis zur Virtuosität steigert sich dieses natu-
ralistische Bestreben des Künstlers, indem er den Körper des
Delphins vorn auf der Basis, der zum Theil von den Wellen über-
fluthet wird, durch diese hindurch sichtbar zu machen bestrebt
war. Vielleicht in Hinblick auf eine malerische Darstellung sind
hier die Grenzen der Plastik überschritten. Mit liebevollster Beob-
achtung der Natur sind ferner die Wasserthiere wiedergegeben und
ihr fortwährender Kampf ums Dasein geschildert: das sind nicht
mehr blose Attribute, wie die ältere Kunst typisch einen Delphin
hinzuzufügen pflegt, wo sie das Element des Wassers, und einen
Vogel, wo sie das Element der Luft bezeichnen wollte. Reliefs
der hellenistischen Epoche bieten hierzu mancherlei Analogien : auf
dem sog. Amalthearelief im Lateran (Benndorf-Schöne nr. 24)
erblickt man eine Schlange, die ein Vogelnest bedroht und einen
Adler, der einen Hasen zerfleischt, und ähnliche Motive kehren
auf einem fragmentirten Relief derselben Gattung in der Sala degli
animali des Vatican nr. 214 wieder.
Andrerseits verbietet uns die gesammte Auffassung unseres
Werkes in seiner Datirung zu weit herabzugehen. Die Art, wie
die Nereide sitzt, ist, soweit es sich nach dem Vorhandenen beur-
theilen lässt, durchaus natürlich und ungesucht. Das Gewand, das
allerdings complicirter zurechtgelegt ist, als aus der Abbildung
hervorgeht, wirkt doch schliesslich einfach und ruhig. Auf Effecte
der Gewandbehandlung, welche dem Künstler durch die Elemente,
in welchen sich die Nereiden bewegen, Wasser und Wind, nahe-
gelegt wurden, hat er verzichtet. Man vergleiche dagegen die
Gewänder der Nereiden von Xanthos und die Neapler Statue Mem.
dell'Accad. Ercol. V 5). Die Art der Bekleidung selbst kann für
die genauere Datirung unserer Gruppe nicht in Betracht kommen.
Ist auch die halbe Bekleidung, wie sie unsere Nereide zeigt, mit
Vorliebe von der hellenistischen Kunst angewendet worden, so lässt
sich doch nicht beweisen, dass nicht schon Skopas die vollere
Bekleidung der Nereiden in einzelnen Fällen aufgegeben hat.
Alles in Allem sind wir demnach geneigt unsere Gruppe
einem griechischen Künstler jener Epoche zuzuschreiben, in welcher
sich die Trennung zwischen hellenischer und hellenistischer Kunst
bereits vollzogen hat.
NEREIDE IM VATICAN 75
Mit sonst erhaltenen statuarischen Darstellungen von Nereiden
auf Seethieren (s. S. 69,1) zeigt unsere Gruppe keine so directe
Verwandtschaft, dass eine eingehendere Vergleichung irgendwelches
Resultat verspräche. Am nächsten kommt ihr, abgesehen von dem
oben besprochenen auf Aphrodite gedeuteten Münzbilde, eine Ne-
reide auf einem pompejanischen Terracottarelief (v. ßohden, Ter-
racotten Pompejis Taf. XXI 2.). Es ist nicht unwahrscheinlich,
dass das Bewegungsmotiv der Nereide unserer Gruppe ein ähn-
liches war, wie das des Reliefs, nämlich dass die Nereide mit der
Rechten den Hals des Hippokampen umschlang, während die Linke,
vielleicht mit irgend welchem Attribute, worauf die Brüche hinzu-
deuten scheinen, auf dem linken Knie aufruhte. Da die Füsschen
des kleinen Eroten der Nereide zugewendet sind mag er irgendwie
mit ihr beschäftigt gewesen sein.
Die Frage endlich, ob wir in unserer Nereide ein selbständiges
Werk oder einen Theil einer grösseren Gruppencomposition zu
erkennen haben, ist mit Sicherheit nicht zu entscheiden (1). Für
das Letztere spricht von vorn herein der Umstand, dass Nereiden
überhaupt gesellige Wesen sind. Selbst bei den wenigen Nereiden-
statuen, die uns erhalten sind, ordnen sich zwei, im Braccio nuovo
des Vatican, und drei, in Villa Albani, zusammen, von Reliefs
und bildlichen Darstellungen auf Vasen und Wandgemälden nicht
zu reden.
Rom, Juni 87.
P. Hartwig.
(l) Für ein Fragment einer Giebelgruppe kann ich die Figur desshalb
nicht halten, weil dann die Basis nicht in dieser Weise ausgeführt sein
würde. Als Brunnenfigur erscheint die Gruppe passend, doch fehlt der Canal
für ein Ausflussrohr. Das kleine Loch vorn an des Basis unter den Füssen
des Hippokampen, in welchem sich Beste von Bleiverguss finden, erscheint mir,
ebenso wie ein kleiner eiserner Dübel zwischen den Füssen der Nereide, von
moderner Hand herzurühren.
TRE ISCRIZIONI PUTEOLANE
II nostro socio sig. Giuseppe de Criscio, benemerito come e
della nostra raccolta epigrafica, ha voluto continuarmi i suoi favori
anche dopo la pubblicazione del decimo volume di questa mandan-
domi le lapidi scoperte negli anni 1887 e 1888 nell'agro Misenate
e Puteolano. Riserbando le altre di poca importanza alla pubbli-
cazione quandochessia di un supplemento, parmi utile di sceglierne
tre pel nostro Bullettino, trovate a Pozzuoli su di tre grandi cippi
di marmo, degne esse piü o meno di vedere tosto la luce con
qualche illustrazione.
Queste tre basi, come me lo scrive il Hülsen dopo essere an-
dato sul luogo, si rinvennero nelle fondamenta di una casa, che
sta costruendo il sig. Filippo Palmerini, direttore della banca di
Pozzuoli, a sinistra della strada dell'Anfiteatro, in distanza di
circa 30 passi dall'ingresso moderno agli scavi dell'Anfiteatro. Tutte
e tre furono trovate insieme, una ancora drizzata, le due altre ro-
vesciate una sul lato, l'altra sulla parte di dietro, tutte evidente-
mente sul luogo antico. Siccome la prima fu collocata secondo per-
messo del senato della colonia, la seconda pure da questo istesso,
la terza da un corpo pubblico evidentemente col consenso de'me-
desimi decurioni, ci siamo imbattuti in un si o attiguo all'Anfi-
teatro, dove si collocavano le statue de'benemeriti del comune e
particolarmente degli editori delle munera. Sarebbe importante
di contiauare a bella posta uno scavo cosi felicemente iniziato. —
II testo delle epigrafi fu riscontrato da me sopra i calchi favori-
timi dal sullodato sig. de Criscio.
TRE ISCRIZIONI PUTEOLANE 77
La prima, che dice cosi :
A N N I A E •
AGRIPPINAE •
VXORI-
c- ivli -apollo >}•
5 decvr- ro mae«
trib- Item- aedil •
urceus accens • velato patera
CVR • MVN • GL AD
TRIDVl • HERED-
10 L . D . D . D .
Anniae Agrippinae uxori C. Iuli Apolloni decur{ialis) Romae
trib(unici), item aedil(ici), accens{o) velato (dovrebbe essere
accensi velati), citr{atoris) mun(eris) glad(iatori) triduij
hered(es). L(ocus) d(atus) d{ecreto) d{ecurionum)
veramente non ha altro merito che di accrescere il numero non
molto grande de'monumenti degli accensi velati e di confermare,
che questi furono persone di basso rango e di vistose sostanze.
Dello sbaglio, che i predicati dati al marito vengono portati nel
terzo caso, mentre che il nome di lui precede nel secondo, non man-
cano altri esempj.
Di maggior importanza e la seconda :
C- AELIO • P« FIL -CL« Q_VlRIN
DOMIT IANO • GAVRO-
AB-lMP-M-AVREL- ANTONINO 'AVG*
PIO • EQ_VO- PVBLICO • O RN • PRAEF •
5 FABRVM • PRAEF COHORT III • AVG •
CYRENAlCAE • TRIB • LEG • X!T • FVL •
CERTAE • CONSTANTIS • SCRIBAE •
AEDILIVM CVRVLIVM SCRIBAE •
LIBRARIO • QVAESTORIO • TRIVM •
10 DECVRIAR • SACERDOTI • APVT •
LAVRENTES-LAVI NATES-CALATOR1
MARCIANO • ANTONINIANO «ADLE
CTO -iN'ORDIN-DECRET-D'REMISSlS-
OMNIBVS-MVNERIBVS-
78 TRE ISCRIZIONI PÜTEOLANE
C. Aelio P. fil. Cl(audia) Quirin(a) Domitiano Gauro. L'ultima
parola combinata coll'alfcra che precede Claudia deve indicare
la patria. Se e comune trovare la patria binomine in parte col-
locata parte fra il padre ed il cognome facendo le veci della
tribü, di cotale indicazione della patria assai raramente unita
alla tribü un altro esempio reca l'iscrizione di Ancyra C. III,
260 : M. Aebutius M. f. Ulp. Papir. Troiana Victorinus Poe-
tovio(ne). La patria istessa Cl. Gauro, in questa forma non la
conosco ; ma pare si tratti di Gaulo, oggi 1' isola di Gozzo, ap-
partenente infatti alla tribü Quirina e forse fatto mtinicipio
dall' imperatore Claudio.
ab imp. M. Aurel(io) Antonino Aug. pio equo publieo orn{ato).
Marco non mai vivente lui fu chiamato Pius; perö siccome
vedremo essere scritta questa base dopo la morte di lui, ben
si capisce che il concipiente vi abbia inserito il Pio attribuito
regolarmente all'estinto.
praef(ecto) fabrum.
praef(ecto) coh{ortis) III Aug(ustae) Cyrenaicae. La cohors III
Cyrenaica, per quanto mi Consta, e nota dalla sola pietra di
Philippi C. III, 647 ; il cognome Augusta, se non erro, e nuovo.
trib(uno) leg{ionis) XII ful(minatae) certae constantis. Pochi anni
fa venne fuori ad Ancyra la lapide di un C. Iulius Quir. Pudens
Q. fil. domo Caesa. Maur., che fu trib. leg. XII ful. c. c.
(Eph. epigr. V p. 32 n. 61). Allora io la paragonai colla
legio VIII Augusta constans Commoda (Orell. 3714); ora la
Puteolana ci scioglie le sigle.
seribae aedüium curulium.
scribae librario quaestorio trium deeuriar(um).
sacerdoti aput Laurentes Lavinates. Questa Variante delle frasi
sollte per indicare il noto sacerdozio, raccolte dal nostro Dessau
C. vol. XIV p. 188 mostra vieppiü, che male egli si appose
cambiando i Laurentes Lavinates in collegio sacerdotale. Eviden-
temente Laurentum era municipio e lo rimase, avendosi incor-
porato il Lavinium distrutto, come Eoma si incorporö la distrutta
Alba, e cosi i sacerdozj giä Laviniesi furono amministrati apud
Laurentes Lavinates.
calatori Marciano Antoniniano. Sono noti abbastanza i sodales
Antoniniani creati ad occasione della consecrazione di Anto-
TRE ISCRIZIONI PUTEOLANE 79
nino Pio e cambiati in sodales Mareiani Antoniniani dopo
la morte di Marco (Marquardt Handb. 6, 472). Noti pure sono
i calatori de' grandi collegj sacerdotali (Marquardt 1. c. p. 226).
Mancava perö finora un esempio di calatore della sodalitä Anto-
niniana. Sorprende in un uffiziante di questa sorta il rango
equestre; eccettuato il giovanetto C. VI, 2188 tutti gli altri
calatori che conosco io sono libertini, e chi ricorda i loro ufficj
ammetterä che richiedono una posizione sociale assai bassa.
adlecto in ordin{em) decret{o) d(ecurionum) remissis omnibus mune-
ribus. Forse questo non vuol dire altro che il solito adlectus
gratis, perche la somma da pagare alla cassa della cittä pel
decurionato, ossia ciö che ne faceva le veci, poteva essere rimessa,
ma chi diventö decurione non poteva per decreto del consiglio
municipale essere liberato da quegli oneri, che lo stato impose
ai decurioni.
Ecco la terza :
L • AVRELIO • AVG • LlB •
P Y L A D I •
PANTOMIMO • TEMPORIS • SVI • PRIMO ■
HIERONICAE CORONATO ÜII-PATRONO
5 PARASITORVM • APOLLINIS • SACERDOTI
SYNHODI • HONORA.TO PVTEOLIS-D-D
urceus ornaiwentis-decvrionalib- et« patera
dvvmviralib avgvri • ob • amorem.
erga patriam • et • eximia1w • libera
10 litatem-In-edendo mvner-gladI
ato rvm • venatione • passiva • ex • in •
dvlgentia- sacratissimi • princip •
|CQMM0DI • Pll • FELICIS • AVG -|
CENTVRIA- CORNELIA-
Questo pantomimo lo conosciamo da un pezzo, e ne raccolsi
io le memorie ristampando la Genovese C. V, 7753 : P. Aelius Aug.
Hb. Pylades pantomimus hieronica instituit; L. Aurelius Augg.
lib. Pylades hieronica discipulus consummavit. Nella nostra pure
80 TRE ISCRIZIONI PUTEOLANE
o Aug. e errore dell'incisore o piuttosto si avrä da sciogliere
Aug(ustorum), non essendo indispensabile all'epoca Commodiana la
geminazione per indicare il plurale. Dissi allora essere i patroni
di cotesto Pylade Marco e Vero, e nominarlo tanto Frontone in una
lettera scritta a questo, quanto Galeno, appartenergli forse anche
1' insigne monumento Milanese C. V, 5889, dedicato a Theocritus
Augg. I. PyladeSj che fa menzione di alcune tragedie Euripidee.
pantomimo temporis sui primo, colla solita fräse in cotali monu-
menti.
hieronicae coronato IUI. Non starö a ripetere cose note. De' due
pantomimi coevi, di cui parleremo or ora, Septentrio neila base
sna posteriore vien detto hieronicae solo (= soli) in urbe coro-
nato dia panton ab impp. dominis Severo et Antonino Augg.,
mentre che nella dedicazione anteriore Laurentina questo onore
manca ; Apolausto Memphio nell' iscrizione urbana vien predi-
cato hieronicae coronato et ton dia panton, nella Canosina
hieronicae temporis sui primo, nella Capuana hieronico bis
coronato et dia panton, nella Tivolese ultima di tutte hiero-
nicae ter temporis sui primo.
patrono parasitorum Apollinis sacerdoti synhodi. I parasiti Apol-
linis, secondo ciö che c'insegna Festo p. 326, trassero il loro
nome dal ruolo de' parasiti dato comunemente agli attori di
secondo rango. Narra egli un aneddoto che avvicinandosi Anni-
bale alle porte di Korna mentre che si celebravano i ludi Apol-
linari, tutti gli attori e spettatori desertarono il teatro per ribut-
tare gli aggressori, meno un vecchio, detto sia C. Pomponio
sia C. Volumnio, solito a rappresentare come deuteragonista
i parasiti; continuando questo a ballare finche tornarono vit-
tori i Komani, questi con gioja trovando non interrotta la sagra
cerimonia esclamavano: salva res est, dum cantat senex. In
ricordo di questo fatto pare che si formava fra gli attori un
ceto, che nella scena istessa spesso adoperava cotale fräse e
chiamavasi parasiti Apollinis. Comunque poca fede si abbia
da attribuire a questa storiella, nientedimeno modifica alquanto
la spiegazione proposta da molti, che i parasiti Apollinis si
abbiano da comporre cogli antichi naqdaixoi sagri de' Greci
accompagnati non di rado ai sacerdoti, come Polemone narra
presso Athenaeo 6, p. 234 : naqct . . roTg äQ%aioi<; svQiditonsv
TRE ISCRIZIONI PUTEOLANE 81
xov naqädixov Isqov ti %(>rj[ia xal tw tivv&oivoj nctqöfxoiov.
Non si nega, che i parasiti Apollinis sconosciuti affatto ai Greci
sieno stati ordinati secondo questo modello ; ma se fossero sorti
unicamente dal culto Apollinare, non troppo si capirebbe, perche
quei che occorrono sono esclusivamente attori, mentre che ciö
conviene egregiamente col ragguaglio di Festo. Ecco i pochi
esempi de' semplici parasiti Apollinis che ho potuto trovare :
Latinus, di cui dice Marziale 9, 28 : vos me laurigeri parasitum
dicite Phoebi.
M. Iunius M. f. Maior archimimus, Apollinis parasü{us). Prae-
neste C. XIV, 2988.
lib. Threptus .... imus rectorum mi . . . [parasitus]
Apollinis, adlectus \_scaenae~\. Tibure C. XIV, 3683.
L. Acilius L. f. Pompt. Eutyches nobilis archimimus, communis)
mimor{um) adlectus, diurnus parasitus Apoll{inis), tragicus
comicus et omnibus corporibus ad scaenam honorat(us). Statua
posta dagli adlecti scaenicorum nell'a. 169. Bovillis C. XIV,
2408.
\_adl~\ectus scaenaeJ parasitus Apollinis. Romae C. VI,
10118.
Abbiamo poi due titoli quasi identici posti l'uno a Lanuvio sotto
Commodo (C. XIV, 2113), l'altro sotto Severo a Preneste (C.
XIV, 2977) M. Aurelio Augg. (cioe di Marco e di Commodo)
lib. Agilio Septentrioni, alumno Faustinae Aug., il quäle si
qualifica in entrambi da pantomimo sui temporis primo e,
come di sopra si disse, nella sola Prenestina da hieronica.
Egli nella Lanuvina vien detto sacerdoti synhodi Apollinis
parasito, nella Prenestina piü recente parasito Apollinis ar-
chieri synodi. Con questi documenti del pantomimo Septentrio
si dovranno comporre quei che riguardano il Memfio, pantomimo
famosissimo dell'epoca Commodiana, di cui le notizie serbate
presso gli scrittori e nei monumenti furono raccolte da me alla
Canusina C. IX, 344, a cui ora accede il bei monumento re-
centemente scoperto a Tivoli C. XIV, 4254. Anch'egli non mai
vien detto parasitus Apollinis semplicemente, ma o si contenta
di chiamarsi pantomima e hieronica (cosi nella Canusina ci-
tata) o gli attribuiscono le frasi parasito et sacerdoti Apollinis
(Capua C. X, 3716) — vitlato Augg. sacerdoti Apollinis (Ti-
6
82 TRE ISCRIZIONI PÜTEOLANB
voli 1. c.) — Apollinis sacerdoti soli vittato archieri synhodi
et Augg. (Roma C. VI, 10117). Chiaramente si vede, che i
parasiti Apollinis, quasi al pari degli archimimi, erano attori
distinti, perö di rango inferiore al sacerdos Apollinis ossia
YäQXffQ*l'$ tivvodov unico portatore della vitta sagra. E questo
pure si richiede, prendendo il collegio le mosse dal ruolo del
parasito nella commedia, formandosi perö sul modello deW-
QctüiToi antichi de'Greci aggiunti tlX^teqevg. Cosi pure si spiega
il patronus parasilorum Apollinis sacerdos synhodi della
nuova lapide; evidentemente l'istesso uffizio di rango superiore,
che occuparono Septentrio e Memphius, qui si annunzia in
guisa di patronato. Ben cid conviene all'alto rango che vedemmo
avere avuto il nostro Pylades nella gerarchia drammatica.
honorato Puteolis d(ecreto) d(ecurionutn) ornamentis decuriona-
lib{us) et duumviralib{us).
auguri. Per quanto sappia io, finora non mai si e visto un liber-
tino ammesso ai grandi sacerdozj municipali, come lo fu il
Pylades a Puteoli.
ob amorem erga patriam et eximiam liberalitatem in edendo
muner(e) gladiatorum venatione passiva ex indulgentia sacra-
tissimi princip(is) Commodi (nome eraso e poi restituto al solito)
pii felicis Aug{usti). Se fosse certo, che la patria, cioe Poz-
zuoli, si riferisca a Pylade, la lapide sarebbe importante per
lo scioglimento della questione difficile assai, a quäle municipio
sieno stati attribuiti gli affraneati degli imperatori. Ma si ha
da riflettere, che la patria puö essere quella de' dedicanti, tanto
piü che la base Prenestina dedicata al pantomimo Septentrio
(C. XIV, 2977) ha la medesima fräse. — Ciö che segue sui
ludi circensi scioglie un vecchio enimma, dico il passo della
nota lapide Napoletana C. X, 3704 : diem felicissim{um) III
id. Ian. natalis dei patri n(ostri) venatione pass. denis bestis
et IUI feris dent(atis) et IUI paribus ferro dimicantib(us)
ceteroq{ue) honestissim{o) apparatu largiter exhibuit. II
Lipsio propose di leggere passerum, intendendo gli struzzi, e
1' ho seguito io in mancanza di spiegazione piü soddisfacente ;
ora e facile vedere, che si tratta di una venalio passiva. Ne
molto si cercherä la spiegazione di questo termine, mostrando
dall'una parte i commentatori e lessici, che nella latinitä sca-
TRE ISCRIZIONI PUTEOLANE 83
dente fin dal secondo secolo passivus si adopera spesso nel
senso di promiscuus (J), e dall'altra parte trovandosi nella nota
lapide Pompeiana C. X, 1074, dopo l'enumerazione de' gladia-
tori e delle bestie {tauri, taurocentae, apriJ ursi) la fräse:
cetera venatione varia.
centuria Cornelia. Questa centuria ricorre nella lapide C. X, 1874,
e sarä stata parte degli Augustali Puteolani al pari della cen-
turia Petronia.
T. MOMMSEN.
(J) Cosi il chiosatore di Giovenale 8, 182 spiega il cerdo per popularis,
passivus. Dice Tertulliano, apol. 9 : suppeditante materias passivitate luxuriae.
Lo stesso adv . Marc. 1 , 7 chiama il nomen dei passivum et in alios quoque per-
missum e scrive de Corona 8: passivitas fallit obumbrans corruptelam. Molti
altri eserapi di questa voce vengono somministrati dagli annotatori di Appu-
leio, Tertulliano, Augustino e nei lessici anche del du Cange.
MISCELLANEA EPIGRAFICA
I. Iscrizione di L. Minicio Natale.
Sul principio del mese di febbraio furono trovati nel cimitero
di Priscilla, insieme con le insigni iscrizioni degli Acilii Glabriones,
numerosi frantumi di paleografia bellissima, i quali dal eh. de Rossi
furono riconosciuti come appartenenti ad una iscrizione monumen-
tale dell'epoca di Traiano. II de Rossi, il quäle propose i fram-
menti nell'adunanza dei eultori di archeologia cristiana il giorno
25 febbraio senza avere avuto il tempo di oecuparsene particolar-
mente, con somma cortesia mi permise di esaminare i calchi, e
cosi mi diede occasione di ricomporre quasi interamente il testo
dell'epigrafe. Sebbene mutila in principio, coll'aiuto di altre iscri-
zioni, delle quali ragioneremo appresso, si supplisce nel modo se-
guente :
L • f • g a l • j*a t Ali • iifi • vil^ uiar
Qua est ORI • PRO V I N C)
-TN leg. pr.pr. prouip^C • Afjricae
leg. imp. caes. neruae traiani aug. le G-L
donis donato ab imp. traiano aug. ^ERM • DACij co
corona uallari murali aurea KASTIS-PVI/U* iii
uexillis iii legato aug. prO-?K-LEGiii aug
consuli curaiori aluei tiberis et ri ?-A^rum
et cloacarum urbis
L' iscrizione fu scritta in una grandissima lastra di marmo,
le cui dimensioni non erano minori di m. 2 per lunghezza ed altret-
tanto di larghezza : le lettere sono alte c. 9 ^ nella prima riga,
c. 8 nella seconda e terza e diminuiscono sino a c. 6 nelle ultime
quattro linee.
MISCELLANEA EPIGRAFICA
85
Per giustificare i nostri supplementi, basta di apporre una
iscrizione riferibile allo stesso personaggio, quella di Barcelona
pubblicata nel C. I. L. II n. 4509 :
l . mini cius .1 . fil . g al . na
prouinc . africae. sodalis augus
n i . parthici . et i mp . traiani. ha
noniae . i n fer ioris . cur ator .
cloacarum urbis . leg. divi tra
ui . traiani .parthici leg doni
prima . ab . eodem . imper ator e
H Aski s.puris.iii.uexillis.iii l
trib • PL • Qj *Y ° u iiii ui
l • minicivs • L • P * natalis . quadro inivs-vervs • f • avgvr • trib • plebis
desig-QjAVG- et \eodem tempore, leg. Wr-pr-patris-provinc- africae -tr
miL'LEG-T-adi vt-p-f-l\^. xi cl.p. f. leg. xüi ma
BALINEVM • C"<u m . p o r t
DVJctUS ?
TALIS • COS • PROCOS
TALIS • LEG • AVG ' PR- PR • Divi • TRAIA
DRIANI • AVG • PROVINC ' PAN
LVEI • TIBERIS ■ ET ■ RlPARVM • ET
IANI • PARTHICI • LEG • TU • AVG • LEG • Dl
S • DONATVS • EXPEDITIONE ■ DACIC0
CORONA • VALLARI • MVRALI ■ AVREa
EG * PR • PR • PROVINC • AFRICAE • PR
R'VIARVM-CVRANDARVM"ET-
L
RT-VIC • III VIR- MONETALIS • A-A-A-F-F-
ICIB VS • SOLO • SVOET
FECERVNT
I frammenti scoperti nel eimitero di Priscilla parlano dunque
di un personaggio giä conosciuto da rieco matferiale epigrafico (l);
(l) A Minicio Natale seniore si riferiscono le iscrizioiü seguenti:
C. Vni, 2478.2479 (Oasis Nigrensium Maiorum).
VHI, 4676 (Madaura).
"VTLI, 10962 (bollo di mattone nel museo di Palermo).
Di Minicio Natale Quadronio Vero abbiarao non meno di otto iscri
zioni latine:
C. n, 4510.4511 (Barcelona).
C. VUI, 4643 (Thagora).
XIV, 3599 = Henzen 6498 (Tivoli).
XIV, 3600 (secondo esemplare della precedente).
Annali delVInst. 1849, p. 223 (Viterbo).
XIV, 3554 — Orelli 1551 (Tivoli).
Cardinali dipl. p. 125, n. 239 (Canino).
Eph. epigr. IV, 768 (Roma);
e due greche:
C. I. Gr. 5977 (Tivoli).
Eph. epigr. I, p. 251 (Megara).
86 M1SCELLANEA EPIGRAFICA
ne puö recare maraviglia che pochi siano i fatti nuovi che essi
c'insegnino intorno alla sua vita. Ci danno il prenome del padre
di Minicio Natale finora sconosciuto ; ma nulla ci dicono di nuovo
sulla sua carriera, essendo per combinazione mancanti il nome della
provincia, della quäle egli fu questore, come della legione che stette
sotto il suo comando nella guerra Dacica. Siccome perö dopo la
sagace esposizione del Borghesi {Sagglatore 1846 n. VI, p. 270-301
= oeuv. VIII, p. 46-69) e dell' Henzen (Ann. dell' Inst. 1849, p. 223)
il materiale epigrafico e considerevolmente aumentato, ne le note dei
recentissimi editori vanno esenti di qualche errore, gioverä riassu-
mere brevemente la cronologia delle cariche di Minicio Natale e
suo figlio.
Tre sono le cariche di Natale, che si possono assegnare ad
anni certi: la sua legazione Numidica p. C. 104. 105 (C. VIII, 2478.
2479), il consolato che ebbe nel secondo nundinio del 106 (Fast.
Feriar. Latinar. C. VI, 2016), e la legazione Pannonica, 117 d. C.
Oltracciö, il proconsolato Africano del figlio viene assegnato all' anno
d. C. J.39 per mezzo dell'iscrizione di Thagora VIII, 4643. Te-
nendo conto delle leggi annali dell'epoca imperatoria, e degli inter-
valli usuali tra le singole cariche, arriviamo a stabilire nel modo
seguente la storia dei due personaggi illustri.
Nacque L. Minicio Natale seniore circa l'anno 65 d. C. da
una nobile famiglia della Spagna. La sua carriera pubblica cominciö
sotto Domiziano col quattuorvirato delle vie : dal quäle passö, verso
l'anno 90 probabilmente, alla questura di una provincia, il di cui
nome non e serbato. Si ammogliö, e gli fu nato a Barcelona, nel
gennaio o febbraio di un anno che certo non e lontano dal 90 (')
un figlio L. Minucio Quadronio Vero. Nel decennio seguente, Natale-
ebbe le cariche di tribuno della plebe, pretore e legato della pro
vincia di Africa: ivi egli possedette latifondi nell'estremo sud della
Numidia, nell'oasi dei Nigreases Maiores, dove esercitava anche
una officina figulina. La legazione Africana puö credersi che l'avesse
nell'anno 100 incirca: nei seguenti Minicio Natale prese parte alla
{l) C. II, 4511 in un passo del testamento di Minicio Vero: (do legö) co-
lonis Barcinonensibus ex Hispania \_cit]er(iore) [apud qjuos natus sum HS c ita
si cav[e]ant [se pro ea s]umma {ex} quincunci(bus) omn[ib(us) d]nn{is) [a. d Q
Februar(ias), die natali meo sportula[s. . . . ] daturos.
MISCELLANEA EPIGRAFICA 87
prima spedizione Dacica (!) di Traiano (101. 102), come legato
di una legione (2) e fu decorato dall'imperatore con i munera usuali
per ufficiali di quel grado. Ritornato in Africa, negli anni 104 e 105
incirca fu legato della Numidia e comandante della legione terza
Augusta. Come era usuale nel secolo secondo (C. VIII p. 1065),
egli fu promosso al consolato immediatamente dopo, forse anche
durante questa legazione : e resse i fasci nel secondo nundinio del 106
(Fast. fer. Lat. C. VI, 2016). Dopo il consolato, gli fu affidata
la cura dell'alveo del Tevere: puö darsi che Minicio fosse succes-
sore immediato di Plinio, il quäle ebbe la cura dal 105 al 107,
ma e piü probabile che la ottenesse alcuni anni dopo, verso il 110
(Mommsen Hermes 3, 95), Nello stesso tempo cominciö la sua
carriera il figlio, L. Minicio Natale Quadronio Vero, allora ven-
tenne. E gli fu prima Illvir monetalis, poi ebbe il tribunato mili-
tare nelle legioni XIIII Gemina Martia Victrix, XI Claudia e I
adiutrix (3). II nome di quest' ultima ci mette in grado di ossäre un
nuovo punto cronologico. Siccome cioe la I adiutrix nel principio
del secolo secondo stazionö nella Pannonia inferiore, cosi e molto
(*) La congettura del Borghesi accettata dall' Huebner e dal Wilmanns,
combattuta dal Benier (nelle note al Borghesi 1. c. p. 53) che cioe Natale par-
tecipasse a tutte le due spedizioni e fosse donato due volte, non si puö piü
accettare dopo che sappiamo con certezza la data della legazione Numidica:
quindi ho mutato alcuni supplementi proposti dall'Huebner nel vol. II.
(2) Del numero di essa rimane nella nuova epigrafe un piccolissimo
avanzo, che si adatta ad una V o ad una X: sarebbe ardito di volere inda-
garlo per mezzo di congetture ; sebbene si puö dire rifiutato il supplimento
proposto dal Benier per la riga 5 dell'epigrafe di Barcelona di[vi Traiani par-
thici leg. ii. adiutrici]s. Ne dalle cariche militari del figlio si puö argo-
mentare che per es. fosse la legione XI Claudia - la cui partecipazione alla
guerra Dacica, a torto negata dal Dierauer (presso Büdinger, Untersuchungen
zur röm. Kaisergeschichte I p. 78) viene accertata dall' iscrizione del Foro
Traiano VI, 3493 -, non soltanto perchö Minicio Vero a tempo della prima
guerra Dacica secondo il nostro calcolo deve essere stato fanciullo, ma anche
perche non si puö credere che fra il suo primo ed ultimo tribunato siano
trascorsi quindici anni.
(3) Mentre spesso si trova il tribunato amministrato in due corpi di-
versi, della terza ripetizione non conosco altro esempio fuori quello di M.
Statio Frisco , C. VI, 1523. V. Mommsen Staatsrecht III, 1, p. 547 not. 1,
ove per isbaglio le citazioni Orelli 5450. 6498, correttamente date nel vol. I,
p. 44, not. 1, si trovano cambiate in « C. IX, 1835. 1836 », invece di LT, 4509,
XIV, 3599.
88 MISCELLANEA EPIGRAFICA
probabile che il giovane ufficiale militasse sotto il comando di suo
padre. Ora, nella iscrizione di Barcelona, Minicio Natale seniore
e chiamato leg. Aug. pr. pr. divi Traiani Parthici et Imp. Cae-
saris Hadriani Augusti: quindi e certo che la sua legazione Pan-
nonica coincida coll'epoca della morte di Traiano. — Dopo l'am-
ministrazione della Pannonia, Minicio fu cooptato nel collegio dei
Sodales Augustales, e poi ebbe il proconsolato dell'Africa, dove il
figlio, nello stesso tempo quaestor candidalus Imp. Hadriani l'ac-
compagnö come legato della diocesi Carthaginiense. Possiamo sup-
porre che questo avvenisse nel 120: poiche tra il consolato ed una
delle grandi amministrazioni provinciali in quest'epoca e usuale
un intervallo di 12-15 anni. E ben si addatta a ciö il cursus
honorum del figlio, il quäle secondo il nostro calcolo, allora si av-
vicinava al suo trentesimo anno.
Col proconsolato delTAfrica per noi finisce la carriera di Mi-
nicio Natale seniore: ignoriamo l'epoca della sua morte.
II figlio ebbe in seguito le cariche seguenti:
tr. pl. eandidatus
praetor
leg. Aug. leg. VI victr. in, Britannia.
cur. viae Flaminiae, praefectus alimentorum.
cos.
cur. operum publ. et aed. sacr. (1).
leg. Aug. pr. pr. prov. Moesiae infer.
• augur.
procos. prov. Africae
II consolato dall' Henzen (Ann. 1849 p. 226) viene attribuito
al 127 a causa dell'intervallo ottenne incirca che doveva correre
tra la questura ed il consolato: e con ciö ben si accorda l'epoca
del proconsolato dell'Africa, che dal titolo VIII, 4643 ritrovato dopo
la dissertazione dell' Henzen, si fissa al 139. Quanto alla lega-
zione della Mesia, e certo che essa fu amministrata dopo il con-
solato, ma ne nel 129. 130, quando la provincia fu retta da C. Julio
Severo (III, 2830 c. auct. add.) ne nel 134, quando vi fu preside
Julius Maior (dipl. XXXIV).
{}) Non e certo se questa cura fosse amministrata prima o dopo il con
solato. V. Mommsen, Staatsrecht II, p. 1049.
MISCELLANEA EPIÖRAFICA 89
Ora resta a stabilirsi l'epoca nella quäle fu incisa l'epigrafe
teste ritrovata. Sul primo aspetto, dalla circostanza che nella riga
quinta viene nominato [Imp. Caes. Traianus Aug.'] Germ{anicus)
Baci\_cus, e non Divus Traianus Parthicus, fui indotto a cre-
dere che l'epigrafe fosse incisa vivente Traiano, e che in seguito il
titolo appartenesse a qualche monumento eretto in onore di Mi-
nicio Natale allorquando era fra i vivi. Ma siccome si tratta di
doni militari attribuiti in epoca anteriore, il concipiente dell'epi-
grafe aveva la scelta di dare aH'imperatore quei titoli che gli con-
venivano all' epoca dell' attribuzione, ovvero all' epoca della inci-
sione del titolo ; e con giusta ragione il eh. De Rossi osservö che
la sopradetta supposizione rimanga esclusa dalle dimensioni del-
l'epigrafe, non essendo tra tutti i monumenti onoraii Romani del-
1' epoca imperiale eretti ad uomini privati, nessun altro che possa
supporsi di dimensioni simili. E quindi molto probabile, che il
titolo appartenesse al sepolcro di Minicio Natale e che questo si
possa credere situato accanto la via Salaria.
II. La creduta iscrisione della statua equestre di Domiziano
sul Foro Romano.
Nel 1872 fu trovato, incastrato in un muro del medio evo non
lontano dal tempio di Faustina, un frammento di lastra marmorea
grandissima, la cui iscrizione mostra di riferirsi ad un imperatore
del primo secolo. Essa fu supplita, secondo un apografo del Brizio,
dall'Henzen {Bull. 1872 p. 235) nel modo seguente:
IMP • (\ aes. domitiano
A V G)germanico pont. max.
T R I BJpot. iii imp. ui cos. x.p.p
PLEPS/ urbana xxxu tribuum
Poi, inserendo l'iscrizione nelle additamenta del Corpus (VI, 3747),
lo Henzen la restitui in questo modo:
IMP- \Saesari diui f
A V GCusto .cos
T R I B pot. . .pont. max.
PLEPS urbana xxxu tribuum
90 MISCELLANEA EPIGRAFICA
annotando : ad Caesarem Augustum rettulimus maxime propter
verbum pieps v. 4 littera p scriptum : potest pertinuisse etiam ad
Vespaslanum vel Domitianum. Lo Jordan nell' Ephemeris epigra-
phica (III p. 258) come nella Topographie (I, 2 p. 188) combatte
questa seconda restituzione, ritenendo a cagione dello spazio per
piu verosimile la prima proposta dallo Henzen. Nello stesso tempo
perö egli con ragione rifiutö la congettura che la base tuttora esi-
stente sul lastrico di travertino sia quella äelYequus Domitiani,
e che il titolo vi sia stato originariamente affisso.
Esaminando con attenzione l'originale, mi accorsi di una par-
ticolaritä trascurata nelle copie anteriori; nella fine cioe della riga se-
condo vi e un avanzo scarso si, ma certissimo della lettera y\ Quindi
fu scritto con tutte le lettere il nome AVGVSTO: ed in seguito
per ragioni di spazio non si puö supplire il nome di Domiziano (').
Ma anche la restituzione proposta nel C. I. L. non mi sembra am-
missibile. Secondo l'uso delle altre iscrizioni monumentali di Augusto
trovate a Roma (C. VI, 457. 701. 702. 875. 876), l'ordine dei titoli
imperiali dovrebbe essere pont. max., imp., cos., trib. pot. (2). Ora,
la restituzione
IMP • (
AESARI -DIVI • F
AVGVSTO • PONT • MAX • IMP ■ ■■ COS ••
TRIB [« POT • - PAT • PATRIAE
da alla seconda riga una smisurata lunghezza, mentre sulla prima e
la terza rimangono grandi spazi vuoti.
L'unico nome imperiale del primo secolo - ne puö esservi dubbio
che a questo si debba attribuire l'iscrizione - che si presta senza
difficoltä e quello di Vespasiano. Mi pare di dover supplire nel
modo seguente:
IMP ^AESARI • VESPASIANO
AVGySTO • PONTIFICI • MAXIMO
TRIB i POT • .. IMP • . . . P ■ P • COS . . .
PLEPS )• VRBANA • XXXV • TRIBVVM
(!) In un monumento tanto insigrne sarebbe anche difficile l'amraettere,
che vi fosse chiamato imp • Caesar domitianvs, senza divi • vespasiani-f-
(2) Dev' essere una mera svista che nel Corpus 1. c. il titolo di pont. max.
e posto in ultimo, ciö che sarebbe senza esempio in iscrizione correttamente
scritte. Mommsen Staatsrecht II, 2 p. 783.
MISCELLANEA EPIGRAFICA 91
Appartenne dunque Viscrizione ad un monumento dedicato a
Vespasiano dalla popolazione urbana: e sebbene manchino affatto
testimonianze sopra un tale monumento esistente sul foro, niente
di meno e certo che le molteplici eure avute dall'imperatore per
la capitale - basta ricordarsi che egli fece eseguire la grande opera
della misurazione della cittä ; che a spese sue rifece le strade (C. VI,
931); regolö i terreni di dubbia proprietä inter privatum et pu-
blicum (ib. 933); restitui molti tempj (ib. 934) - facilmente gli
fecero meritare dai cittadini un monumento insigne nel splendi-
dissimo luogo di Eoma.
III. Tessera gladiaioria.
Dal sig. comm. Heibig mi fu gentilmente comunicata la se-
guente tessera gladiatoria, ritrovata presso S. Giovanni in Laterano,
ed ora posseduta dal sig. marchese Campanari.
SCVRRA
FVLVI
SP • K • OCT
C- I\L-PSER a. u. 706.
Essa mostra la solita forma di bastoncino con un foro nella
parte tonda superiore. L'iscrizione viene ad aumentare. il numero di
quelle con la data delle kaiende e conferma l'opinione del Mommsen
{Hermes XXI p. 270), che cioe le date delle tessere non possano
riferirsi ai giorni di munera publica : opinione a torto combattuta
recentemente da P. J. Meier (Gladiatorentesseren p. 8) Insieme
colla tessera gladiatoria tornarono alla luce due altre di quelle
che il Wilmanns (Ex. epigr. n. 2825) chiama - senza fondamento
secondo il mio avviso - tesserae cenatoriae. I due esemplari por-
tano le iscrizioni
EBRIOSE )( IUI
AMATOR )( XXX
92 MISCELLANEA EPIGRAFICA
delle quali la prima trova un riscontro nella tessera Pompeiana
(C. X 8069, 2), la seconda in quella Perugina teste pubblicata
nelle notizie degli scavi 1887 p. 396. E da notarsi finalmente,
che il luogo del ritrovamento sembra escluder l'opinione che siano
trovate in un sepolcro, piuttosto che in una casa privata (cf. Mommsen
1. c. p. 270, not.).
Ch. Hüelsen.
SITZ [JNGSPßOTOCOLLE
13. Januar: Le Blant: altchristlicher Sarkophag. — Pe-
tersen bespricht neue Publicationen von v. Sybel , Puchstein,
Overbeck, Heydemann, Loeschcke. — Graef : ein Typus des He-
rakleskopfes. — Wernicke : Darstellungen der Magier auf alt-
christlichen Sarkophagen; dazu Picker.
Le BläNT : Pres de Böziers, dans les fondations d'une ancienne
chapelle ruine'e, on a trouve" un grand fragment de la partie droite d'une
tombe chre'tienne orne'e de sculptures. Des cinq compartiments söpare's par
des colonnes qui en occupaient la fa9ade, deux seulement subsistent en
entier. Dans le dernier ä droite est figurd le Seigneur arnene' devant Pilate.
Un appariteur arme" le pousse vers le Procurateur, accomplissant ainsi cet
acte de ses fonctions que les textes antiques ddsignent par des expres-
sions diverses : inducere, introducere, exhibere, ojferre, praesentare , sistere.
C'est la repre'sentation en raccourci de l'une des phases des proces criminels
que de'roulent sous nos yeux les Actes des Martyrs. Le cadre qui pröcede
contient cinq personnages. A chaque extre'mite' est un Apötre et au milieu
le Christ posant la main sur la tete de Taveugle qui se guide avec un
bäton ; derriere le Seigneur, Th^moroisse, ä genoux, touche de sa main 1c
bord de son manteau. Earement les sculpteurs nous montrent ainsi deux
miracles du Christ reunis dans un rneme groupe. Le peu qui reste du sujet
central donne lieu de croire qu'on y voyait une orante debout entre deux
bienheureux. Pai'ens et chre'tiens , les sculpteurs des sarcophages, prdoccu-
pe's de la syme"trie, avaient coutume de terminer leurs bas-reliefs par des
sujets se faisant pendant. Lorsqu'ä l'extre'mite' d'un niarbre se trouvait un
personnage assis , on aimait ä en placer, au cöte" oppose", un autre sem-
blable lui faisant face. Bien qu'il ne s'agisse pas, sur ce point, d'une loi
constante, il est permis de penser que notre marbre, termine' ä droite par
la figure de Pilate sur la sedia, devait l'etre, ä la gauche, par un personnage
assis; probablement, comme nous le voyons sur des torabes d'Arles et de
Nimes, Saint Pierre dont le Christ lave les pieds.
Le fragment dont je parle est un ouvrage du IVe siecle; on y remar-
que, comme dans les autres bas-reliefs de cette dpoque, Tabus des effets
94 SITZUNGSPROTOCOLLE
cherche"s ä l'aide des coups de tre'pan. Je ne doute pas qu'il provienne des
ateliers d'Arles, ainsi que la plus grande partie, si ce n'est la totalite des
sarcophages de ce temps conservds dans la Provence.
WERNICKE : L'adorazione~dei Magi i quali portano doni al bam-
bino tenuto in grembo dalla Madonna, questa rappresentanza tanto frequente
e un esempio piü istruttivo di altri come l'arte cristiana primitiva appro-
fittossi di tipi antichi. Quasi tutti gli elementi di quella scena derivansi
da tipi pagani. La madre col bambino si trova nella prima delle tre o
quattro scene di sarcofaghi da fanciullo (Arch. Zeitung. 1885, S. 209, T. 14
e E. Eochette Mon. inöd. pl. LXXVII, 2) alle quali in un sarcofago parigino
{Arch. Zeit. T. 14, 2) si aggiunge il banchetto del morto. In questo il servo
che porta un piatto colmo di volatili presentandolo al giovane signore e il pro-
totipo dei magi, i quali di fatto non sogliono mostrare nessuna adorazione
come neanche quel servo. II numero dei magi pare da principio non sia
fissato, come piü tardi dopo il numero dei doni nominati da Matteo. Se
talvolta sopra le spalle dei magi appaiono le teste dei loro cammelli, questo
ci richiama alla memoria la testa di cavallo dei cosidetti banchetti funebri.
E di questi banchetti si avvicina assai il fanciullo nel presepe con dissopra
bue ed asino, ed un altro elemento preso da quei sarcofaghi di fanciulli sa-
rebbe S. Giuseppe guardando il bambino mentre si appoggia sulla spalliera
della seggiola di Maria.
FlCKER : devonsi discernere due tipi di questa scena: l'uno, i Magi
davanti Maria e Gesü, come dimostrano le pitture delle catacombe (alcune
fin'ora sconosciute pubblicate da Liell, Die Darstellungen Maria, Freib. 1887)
giä fissato nei primi tre secoli ; l'altro, dove siede la madre accanto al
presepio, appartenente ai coperchi dei sarcofaghi. Ne per l'uno ne per l'altro
esiste un modello diretto nell' arte pagana. In qualche particolare perö si
vede l'influenza forte dei sarcofaghi pagani — sui quali del resto sono raris-
sime le rappresentanze del servo portante il dono — per esempio nelle figure
di Maria, di s. Giuseppe, nemmeno nei doni offerti dai Magi, mentreche gli
altri elementi si dichiarano piü naturalmente e piü chiaramente dalle rela-
zioni degli evangeli, autentici ed apocrifi.
20. Januar : Barnabei : Ehreninschriffc des L. Julius Vehilius
Gratus Julianus. v. Notüie degli scavi 1887, S. 536. Dazu Hülsen:
Bemerkungen über die Chronologie der Aemter des Julianus, na-
mentlich die Epoche seiner Präfectur, und seine Teilnahme an den
Kriegen des M. Aurel und Commodus.
27. Januar: De Rossi: topographischer Gewinn aus einer
Zeichnung des Escurial und einem Frescobilde des Sodoma; dazu
Hülsen und Nichols.
De RoSSI presenta la fotografia di un disegno appartenente ad una
raccolta di vedute di Koma antica, che si conserva nella biblioteca dell'Escu-
riale (vedi E. Müntz, Kendiconti dell'Acc. dei Lincei 1888, p. 71). II pregio
SITZÜNGSPROTOCOLLE 95
speciale della raccolta e che il disegnatore si sia proposto di rappresentare
soltanto gli edifizi antichi, lasciando da parte le aggiunte medioevali. Sul
disegno proposto, che rappresenta il Foro Romano veduto dalla parte del
Campidoglio, e interessante un avanzo segnato dinanzi al tempio di Faustina,
che si compone di un grosso muraglione di massi quadrati, inchiudenti un
arco. A quäle arco antico possa corrispondere questo, e difficile a dirsi : ven-
gono in quistione particolarmente l'arco Fabiano e l'arco di Augusto, senza
che si possa arrivare a risultati certi. Esibisce anche la copia d'un afFresco
del Sodoma, del quäle ha giä altra volta parlato nelle nostre adunanze, e lo
confronta colla prospettiva del foro nel disegno dell'Escuriale.
HÜLSEN : l'edifizio che sul disegno Escorialense si vede attraverso la
porta laterale dell'arco di Settimio Severo, sebbene sia disegnato in scala pic-
cola, perö mostra una particolaritä caratteristica : si vedono cioe pilastri ac-
coppiati sui cantoni, che reggono un fregio dorico. L'unico edifizio di questo
aspetto vicino al Foro e quello del quäle il rif. trattö negli Annali del 1884,
ricostruendone l'architettura, senza perö stabilire , a cagione della mancanza
d'indicazioni esatte sul sito del monumento, il nome dell'edifizio. Essendo
supplito tal difetto mediante il disegno Escorialense, non esita piü di rico-
noscervi l'angolo occidentale della basilica Emilia. Presentö il disegno di un
enorme triglifo con bucranio tuttora esistente sul Foro Romano, il quäle se-
condo le sue dimensioni sembra essere rimasto dallo stesso edifizio, distrutto
nel principio del secolo XVI.
NlCHOLS : osserva che le recenti ricerche sull'andamento della Sacra
via fra il tempio di Cesare e la Regia ci mettono in grado, se non di scio-
gliere il problema intorno al sito dell'arco Fabiano, almeno di escludere al-
cuni punti proposti per la sua ubicazione. Non resta che quel posto al canto
ovest del tempio di Faustina, dove il terreno non e ancora stato esplorato :
ne pare impossibile che qualche avanzo dell'arco Fabiano esistesse sino al
fine del secolo XV sopra terra, e fosse raffigurato sul disegno Escorialense.
3. Februar: Lanciani : mittelalterliche Verwendung von Säulen
der Basilica Aemilia; dazu De Rossi und Hülsen.
LaNCIANI : difende a lungo la tesi giä propugnata dal Nibby R. A.
II, 125 e dal Fea Varieta p. 81 ec, contro il Nicolai ed il Piale, circa l'ori-
gine delle 24 colonne di pavonazzettp , perite nell' incendio della basilica
Ostiense dell'anno 1823 : sostenendo, con nuovi argomenti, la loro provenienza
dalla basilica Paulli della regione IV.
De ROSSI : oppone le lettere ivlia Sabina scritte a pennello sul piano
dei rocchi d'alcune di quelle colonne, come riferisce il Piale, nome che fu
letto anche su lastre di marmo frigio appartenenti ai restauri antichi del
Panteon ; ed il riferente lo attribuisce alla moglie di Adriano. Oppone anche
lo stato dei monumenti del foro nel secolo IV.
HÜLSEN: non puö aderire alla congettura del chmo Lanciani, che la
basilica Aemilia fosse giä distrutta verso la fine del secolo quarto, essendo
96 SITZUNGSPROTOCOLLE
mentovata come esistente nel latercolo di Polemio Silvio, che fu redatto nel
448 d. C. Kilevö pure il dubbio, se le dimensioni delle colonne di pavonazzetto
della basilica Ostiense fossero adatte ad un edifizio della grandezza che dob-
biamo supporre per la basilica Emilia.
17. Februar: G-atti: Lauf der Aqua Virgo innerhalb der Stadt.
(s. Bullett. d. Commiss. arch. comun. 1888 , S. 61). — Eeisch
legt eine von ihm in Corneto gefundene Schale des Duris vor,
deren mittlere Stellung unter den übrigen Durisvasen er begründet. —
Petersen legt neue Publicationen über Pergamon und die dortige
Wasserleitung vor, mit welcher er diejenigen von Alatri und Aspendos
vergleicht.
24. Februar : De Rossi : Inschriften der Acilii Glabriones aus
den Katakomben der Priscilla (s. Notüie degli scavi 1888 p. 140). —
Schimberg : Funde an der Via Appia. — Mau weist des näheren
nach, dass und wie die Forumsporticus in Pompeji in Herstellung
der im J. 63 erlittenen Schäden begriffen war, als die Katastrophe
von 79 hereinbrach (s. Mittheil, unten).
SCHIMBERG : riferi di alcune antichitä trovate nella vigna Vagnolini,
ora Colonna, sulla via Appia, laddove vi e il colombaio detto dei liberti di
Augusto (Canina Via Appia I, p. 65). Fra esse (l) meritano attenzione tre
coperchi di sarcofaghi con iscrizioni, appartenenti, come si puö conchiudere
dalla fattura degli ornamenti e dalla paleografia dei titoli, alla seconda metä
del secondo o alla prima dei terzo secolo d. C.
II primo coperchio, lungo m 1.42 frammezzo di un vaso e di una mensa
tripes con sopra una scatola e focaccia e ventaglio, ha la tavola sostenuta da
due geni coH'iscrizione :
es D es M es
osET-MEMORos
L-HgSTILI-HA
agli angoli maschere.
(*) Sull'istesso luogo furono trovate parecchie iscrizioni sepolcrali, delle
quali il sig. Schimberg presentö i calchi, un mattone coll'impronta ex figlinis
Caecil QViNTae | sulpiciani (Marini Iscr. dol. n. 661), una statuetta di pietra
calcarea, senza testa , alta m 0.41, rappresentante Ercole appoggiato sulla
clava, di maniera assai rozza, e numerosi frantumi di figure in rilievo, sarco-
faghi baccellati ecc.
SITZUNGSPROTOCOLLE
97
Sul secondo coperchio (m. 1.48X0.24) sono due geni in ginocchioni che
lengono l'iscrizione
«
D ö M c5
ET
1 MEMO
"* I A E G A I
s\\LVIDOMI
TI
R V F I N I
C^N P «
A destra stanno dai due lati d'un altare due gen!, l'uno dei quali tiene nelle
raani una scatola d'incenso, l'altro colla destra abbrucia alla fiamma una
farfalla, mentre la sinistra ha una torcia (V. Arch. Zeitung 1872 S. 17, 40).
Vicino a questo ultimo sta un terzo genio colle gambe incrociate e mentre
suona la siringa, tiene un bastone nella sinistra. Ai di lui piedi vi e un capro.
A sinistra dell'iscrizione si vede una maschera, circondata da due geni.
II quarto coperchio (m.l. 63X0.24) contiene due scene della favola Melea-
grea, a sinistra cioe il convito dopo la caccia: Atalante, Meleagro e tre altri
cacciatori, giacciono sur un letto intorno alla testa d'un cignale (Cf. il
frammento di via Laurina 26 (Matz-Duhn 3259) ed un disegno del Codice
Pighiano presso Beger, Meleagrides p. 22). A destra si vede il tipo notissimo
della pompa funebre di Meleagro (cf. A. Surber, Die Meleagersage p. 109). Nel
mezzo delle due scene si legge sur una tavola elittica la seguente iscrizione :
^ D p M f
ET • MEMORIAE • TITI
SVLPICI • SERA
NI • C • V
2. März : Hülsen : Inschrift zu Ehren des Minicius Natalis
(s, S. 84) ; dazu De Eossi. — Petersen : Büste des Commodus
und zwei Tritonen des Neuen Capitolinischen Museums zu einer
Gruppe verbunden.
De ROSSI fa osservare che le dimensioni dell'epigrafe, che si possono
calcolare a due metri di lunghezza, ed uno almeno di altezza, sembrano esclu-
dere la supposizione che si tratti di un monumento onorario, non essendo in
epoca imperiale ammissibile p. es. la dedica di una quadriga ad un uomo pri-
vato. Quindi la ritiene per il titolo sepolcrale di Minicio Natale il cui se-
polcro deve essere stato accanto la via Salaria. Non crede probabile, che esi-
stesse una relazione fra gli Acilii Glabriones e quei Minicii ai quali appar-
tenne Natale.
9. und 16. März fallen die Sitzungen wegen des Todes und
der Todtenfeier Kaiser Wilhelms aus.
08 SITZÜNGSPROTOCOLLE
23. März : Petersen giebt der Trauer des deutschen Volkes
über den Tod Kaiser "Wilhelms sowie den Hoffnungen und Wün-
schen für Kaiser Friedrichs Majestät Ausdruck. — v. Urlichs : Me-
deasarkophag; das Templum Solis in Eom. — Nichols : zur Zeich-
nung aus dem Escurial.
V. ÜRLICHS : presenta la fotografia d'un sarcofago scoperto nel 1887,
raffigurante la favola di Medea ma superiore a quei giä conosciuti rappresen-
tanti del medesimo tipo si per la grandezza che per il lavoro e lo stato di
conservazione. Qualche dettaglio pure non e senza interesse come la colonna
al di sotto dell'uno dei fanciulli o il braccio destro della figura nel mezzo,
sia Giasone o satellite del re.
Poi richiama Fattenzione a certi frammenti di colonne ed altri orna-
raenti architettonici conservati nel Ministero dei lavori pubblici, accanto
il nuovo palazzo della posta, che provengono da scavi fatti nel ristaurare
quest'ultimo. Nella chiesa attigua di s. Silvestro in Capite tuttora si vede in
piedi un pilastro, forse di cantone di un portico ; nel vestibulo della chiesa tre
colonne antiche di granito : ivi pure in epoca anteriore fu constatata l'esi-
stenza di grandi mura di travertino. Tutto ciö suggerisce l'idea che ivi fosse
qualche edifizio monumentale. Ora, una iscrizione ritrovata nel 1765 sulla
stessa piazza di s. Silvestro (G. I. L. VI, 1785), parla del trasporto dei vini
de ciconiis ad templum ; e siccome secondo il biografo di Aureliano (c. 48)
in porticibus templi Solis fiscalia vina ponuntur, il riferente non esita di
stabilire in quel posto il sito del tempio di Sole. E ben si accorda con questo
tanto Tindicazione del cronografo di 354 : Templum Solis et castra in campo
Agrippae dedicavit, quanto quella del Curiosum e della cosidetta Notitia,
ove il tempio viene menzionato nella regione settima, cioe nella pianura a
destra della via Flaminia, ma no sull'altura del Quirinale, nel giardino Co-
lonna, dove fu collocato dai topografi dei secoli passati.
NlCHOLS: fece osservare che in quel passo delle Mirabilia Urbis Romae
(c. 24), dove si descrive il lato settentrionale del Foro, coli' attiguo foro di
Cesare vien detto : « Est ibi templum Palladis ; et forum Caesaris et tem-
plum Iani, quod praevidet annum in principio et in fine, sicut dicit Ovidius
in fastis: nunc autem dicitur turris Cencii Frajapanis. Templum Minervae
cum arcum coniunctum est ei, nunc autem vocatur sanctus Laurentius de Mi-
randi ». Eitiene probabile che la torre posta al canto ovest del tempio di
Faustina e l'arco massiccio appresso, che si vedono sui disegni del quattro-
cento, fossero appunto questi menzionati dallo scrittore medioevale.
6. April : Lignana : grammatische Bedeutung einer Grabin-
schrift. — Six : Vaseninschriften. — Hülsen : Inschrift des corpus
piscatorum et urinatorum alvei Tiberis (s. Notizie degli scavi 1888,
maggio).
13. April: Nichols: die Phocassäule; dazu Hülsen und Lan-
ciani. — Richter : Ausgrabung auf dem Forum. — Schneider :
SITZUNGSPROTOCOLLE 99
Vase des Glaukytes. — Petersen : Kleinasiatische Orakelin-
schriften.
NlCHOLS : mentre gli autori anteriori generalmente sono d'accordo nel
chiamare la colonna di Foca un'opera della estrema decadenza, testimonio
dell'abbandono e della impotenza artistica di Roma nel secolo settimo, un esame
piü attento ci induce a credere che il monumento originariaraente non fu
eretto ad onore di quell' imperatore. L'iscrizione mostra esser incisa sopra una
faccia di raarmo dalla quäle e stata levata un'epigrafe anteriore : sirailmente
la statua risplendente di oro che una volta sorse in cima della colonna, avrä
appartenato in origine ad un personaggio di epoca piü antica. II rif. presentando
i disegni da lui rilevati e misurati, fece osservare come il lavoro meschino
e rozzo della piramide a gradini che forma il basamento del monumento,
contrasta col disegno eccellente della cornice sporgente dal piedistallo della
colonna stessa. Le dimensioni della colonna a cagione del suo stato isolato,
appariscono molto piü piccole che non sono in veritä : di modo che un chmo
collega ha congetturato, che la colonna fosse presa da quelle del tempio ro-
tondo della Bocca della Veritä. Queste perö non hanno piü di 35 piedi di al-
tezza, mentre quella di Foca essendo alta 48 piedi poco si discosta dalle co-
lonne del tempio di Faustina. Dalla costruzione da lui dimostrata conchiude,
che la colonna sia stata in relazione colla decorazione architettonica del lato
sud del Foro Eomano, dove sorgevano, sopra i ben conosciuti basamenti di
opera laterizia, colonne di marmo e granito portanti statue onorarie. Secondo
lui, la colonna consacrata poi alla memoria di Foca, faceva parte di una simile
decorazione del lato ovest del Foro, eseguita nel quarto secolo dopo C, e se
fosse lecito in tal argomento dar volo aH'immaginazione, facilmente la crede-
rebbe consacrata originariamente alla memoria del grande Teodosio.
RICHTER : facendo uno scavo, che il senatore Fiorelli mi aveva ac-
cordato per esaminare le fondamenta del tempio di Giulio Cesare e dei ro-
stri Giulii, trovai accanto al lato meridionale del tempio un bellissimo fon-
damento di grandi massi di travertino dell'altezza di m 0.70. II fondamento
stesso e lungo m 4.50 e largo m 1.37 ; riposano i travertini sopra uno strato
di calcestruzzo. Siccome queste fondamenta non possono appartenere al tempio
stesso, e siccome era impossibile , che al lato del tempio fosse addossato un
altro ediflzio, se non un arco trionfale, cosi io, pensando che questo dovesse
essere Tarco di Augusto, continuai lo scavo fino al tempio di Castore, ed ecco
che in fatto si trovano le fondamenta dei quattro piloni, che sostenevano Tarco,
due grandi ai lati del passaggio principale, larghi metri 3, lunghi piü di me-
tri 5, ed ai fianchi due piü piccoli, fra i quali ed i piloni maggiori eranvi
due passaggi laterali larghi m. 2,50.
Del pilone a destra finora non furono trovati i travertini, ma lo strato
del calcestruzzo nella stessa larghezza e nello stesso livello come sull'altro
lato. Non vi e dubbio che qui non siano ritrovati gli avanzi dell'arco eretto
ad Augusto dal senato e popolo Romano in memoria delle insegne militari,
riprese dai Parti, situato, come dicono i scholii Veronesi di Vergilio, iuxta
100 SITZÜNGSPROTOCOLLE
aedem Divi Julii. E sicuro cioe, che l'arco ha la stessa orientazione del tempio
di Cesare, ben diversa da quella del tempio di Castore, anche gli avanzi del
selciato seguono la stessa orientazione dell'arco.
L'arco e posto col fianco destro dietro il tempio di Castore, e ciö con-
ferma l'opinione del Jordan, che cioe Tiberio, facendo il nuovo tempio lo
promosse verso il Foro. Ho osservato inoltre, che quel tondo che si chiamava
finora il puteal Libonis, e stato fatto in tempi bassi : i travertini riposano
senza alcun fondamento sul terreno ; potrebbe darsi che le pietre apparte-
nessero all' arco del quäle facevano parte senza dubbio alcuni fra i pezzi
di architettura che si trovano presso il tempio di Castore. Eiservo gli altri
particolari per la pubblicazione del monumento, contentandomi per ora di ac-
cennare alla scoperta stessa.
20 April : Festsitzung der Palilien : Hülsen : Auffindung-
Anordnung und Abfassungszeit der kapitolinischen Consular- und
Triumphalfasten. — Gatti : Auf dem Esquilin gefundenes Com-
pitalsacellum mit Weihinschrift des Augustus und Eesten älterer
Anlage. — Petersen : römische Repliken Polykletischer Statuen.
Zu ordentlichen Mitgliedern wurden ernannt
Herr Professor Hugo Blümner in Zürich
» Glavinic in Zara
■ Director Bulic in Triest
■ Dr. Robert v. Schneider in Wien
■ Dr. Emanuel Loewy in Wien;
desgleichen zu Correspondenten
Herr Dr. Johannes Boehlau
n ■ Karl Schuchhardt
■ ■ Walther Judeich
■ ■ Franz Winter
■ » Emil Reisch
» * Jan Six
■ A. Stschoukareff
» Cav. Pacifico Di Tucci in Rom
■ Canonicus De Persiis in Alatri
» Ludwig Zdekauer in Florenz
n Puschi, Director des Museo civico in Triest
* Prof. Vollgraf in Brüssel
a I. Mistral-Bernard in St. Remy (Provence).
OSSEßVAZIONI SULLA MORTE DI PRIAMO
E DI ASTIANATTE.
(Tarola III)
1. Nella cittä di Firenze, ove oggi specialmente si viene accre-
scendo la copia di oggetti antichi d'arte romana ed etrusca, la mia
attenzione fu attratta per il soggetto e lo stile da una piccola Ja$t?a,
in rilievo relativamente ben conservata, che rappresenta la'.aidrte tli'
Priamo, e che, venuta giä anticamente dalla Grecia, si smarri sulle
sponde dell'Arno. Benche nota giä da piü d'un secolo, l'opera non
ha trovato finora quella considerazione di cui e degna : tanto
maggior piacere quindi mi fa, di essere venuto a possederne una
fotografia per la gentilezza del sig. dott. Giulio Klinghardt ; secondo
questa e pubblicata per la prima volta sulla tavola III.
La prima menzione stampata di questa rappresentanza la tro-
viamo nel Gori Inscr. ant. III (1744) p. 138, 148, il quäle vide
il bassorilievo presso la famiglia Panciatichi, dove si trova anche
oggi ; piü tardi e accennata dal Tischbein {Aus meinem Leben
ed. da Schiller, II p. 173) a proposito dell'Iliupersis sul vaso di
Vivenzio. L'immagine e poi descritta a lungo da Dütschke nelle
sue Zerstreute antike Bildwerke in Florenz p. 242 seg. n. 519
(cf. Drittes Hallisches Winckelmannsprogramm p. 104, 519),
ma non con tutta esattezza. Piü spesso e stata copiata e stampata
Viscrizione che si trova sulla lastra: cf. ora C. I. Lat. XI n. 1645.
Questa tavola marmorea, alta m. 0,36, larga m. 0,47, e greca per
marmo, lavoro e disegno; futrovata « sotto Fiesole verso Firenze »
secondo l'indicazione di Carlo Strozzi, che vissuto nel 1587-
1670 preparö un'opera sulle iscrizioni fiorentine, conservata mano-
scritta[; quest'indicazione il Gori la tolse dal manoscritto e merita
7
102 OSSERVAZIONI SULLA MORTE DI PRIAMO
piena fede : 'cf. sulla raccolta dello Strozzi, Bormann nel C. I. Lat.
XI p. 302 eci. Non sappiamo donde e per quäle ragione il bas-
sorilievo sia venuto nell'antica Faesulae ; l'iscrizione perö con
sicurezza dimostra che verso la fine del secondo secolo della nostra
era o al pr.ncipio del terzo vi si trovava di giä, e fu usato per
una lapide sepolcrale. Sull'altare cioe, sul quäle viene ucciso il
vecchio Priamo, e incisa la seguente iscrizione :
AVRELIA SECVNDA | SE VIVA FECIT SIBI ET SV|IS
Non posso addurre un altro esempio convincente, che un bassori-
lievo greco con una qualsiasi rappresentanza sia stato usato come
bassorilievo sepolcrale in epoca romana. Ma il Romano usava
adornare sarcolaji ed urne di rappresentazioni tanto varie tolte dai
miti degli del e degli eroi, che non gli poteva sembrare disdice-
vole per un sepolcro una singolare e terribile scena deH'Iliupersis,
;CÖm3;la morte di Priamo. Nel bassorilievo Panciatichi s'aggiunge
•pbi; che* il lato largo dell'altare, su cui Priamo m viene ucciso,
pare proprio destinato all'iscrizione e corrisponde al titolo dei cippi
sepolcrali.
La rappresentazione eroica della lastra difficilmente e un
disegno originale, ma piuttosto copia d'un modello buono e celebre, il
cui artista possiamo forse ancora indovinare. II vecchio re in Chi-
tone (!), mantello e berretto, s'e rifuggiato sull'altare di Zeus
Herkeios e colle mani e coi piedi si difende contro Neottolemo,
che precipitandosi su di lui lo prende pel capo colla sinistra ar-
mata di scudo, e fermato il piede sinistro sull'orlo dell'altare (sie),
tenta strappare la sua vittima dal luogo sacro ; nella destra tiene
snudata la spada pronta al colpo mortale. II giovane figlio di
Achille e disegnato ignudo, munito solo di elmo e di un mantello
che gli scende dalle spalle. Ad onta di tutte le differenze nelle
particolaritä, che vi sono evidenti, pure il gruppo e simile a quello di
Neottolemo e Priamo tanto sull'elmo pompeiano del gladiatore in
Napoli (riprodotto in Niccolini Case e pitture, Caserma dei glad.
II 8, e III 11/21 ; Heydemann, Iliupersis des Brygos, III 1 ;
Donaldson Pomp., I p. 41, tavola), quanto sulla tabula iliaca
(!) L'evidente orlo al polso destro fa supporre il chitone a maniche
lunghe.
E DI ASTIANATTE 103
del Campidoglio (Jahn, Griech. Bilderchr., tav. I*) : sieche, a
mio avriso, a tutte le opere servi un modello comune, che nel
bassorilievo greco e riprodotto piü esattamente di quello che non
lo sia nelle figure troppo piccole della tavola o sull'elmo romano
di bronzo, in cui Neottolemo e divenuto un soldato romano. Dietro
a Priamo e inginocchiata sull'altare Ecabe, in chitone e mantello
che le copre la nuca, in atto di alzare, inorridita, ambedue le
braccia ; la bella figura ha purtroppo molto sofferto per l'ammac-
catura di tutto il naso, mentre le altre due figure non sono che
in minima parte guastate sulla punta del naso.
II concetto e la composizione della rappresentanza fa subito
ricorrere alla mente il fregio di Figalia, ed il modello originale
dovrä assegnarsi al finire del quinto secolo, anche perche in una
scena tanto piena di agitazione il pathos vi appare appena. In quel-
l'epoca (Ol. 89: 423) sorsero, com'e noto, le metope (l) dell'Ereo
con scene della guerra conlro Troia e della presa di Ilio ; non sa-
rebbe impossibile, che il gruppo di Neottolemo e di Priamo, che
ricorre piü volte, fosse tolto da una di queste metope, e la figura
di Ecabe fosse stata aggiunta alla copia Panciatichi secondo un'altra
metopa, perche la rappresentazione del rilievo riuscisse piü grande e
completa. Con cid naturalmente resterebbe indeciso e dubbio, se
1' Ecabe del bassorilievo fiorentino abbia rappresentato la regina di
Troia anche nella serie delle metope, ovvero un'altra abitatrice di
Troia rifugiatasi all'altare : nel primo caso l'artista argivo avrebbe
diviso, secondo famosi modelli, una scena in due metope, l'una
appresso ali'altra ; nell'altro caso si potrebbe p. es. pensare ad
Elena (cf. l'anfora apula, Bull. Arch. Napol. N. S. VI, 9 ; Iliu-
persis des Brygos, II, 2). Ma comunque cid sia, il bassorilievo
qui pubblicato, di cui Aurelia Secunda si servi come lastra sepol-
crale, e il frammento di un ciclo iliaco della fine del quinto o del
quarto secolo av. l'era volgare, e come tale specialmente degno del
nostro studio.
2. Laddove di solito le opere artistiche rappresentano Priamo
il vecchio, mentre, seduto sull'altare di Zeus Herkeios, viene ucciso
da Neottolemo, l'immagine di un vaso ad un'ansa trovato in Si-
(!) Cf. Paus. II 17, 3, ed 0 verbeck Kmstmyth. II p. 322 segg. n. 1,
p. 584 not. n. 149. 150.
104
OSSERVAZIONI SULLA MORTE DI PRIAMO
cilia (forma: Catal. di Napoli, tav. III, 137) rappresenta la
fuga del re verso l'altare : cf. la figura seguente, tolta da im dise-
gno esistente nell'apparato dell'Istituto archeologico. La bella rappre-
sentazione del vaso a figure rosse oggi nel Museo di Siracusa, e
stata gia da molto tempo descritta da E. Braun Bull. dell'Inst. 1845
p. 35 (Ärch. Ztg. 1845 p. 143 ; Bull. Aren. Napol. IV, p. 110),
il quäle fa notarne la semplicitä e la bellezza del disegno.
E lo Schema delle scene di perseeuzione : Neottolemo in corto
chitone, che lascia scoperta la parte destra del petto, ed in lungo
mantello, che pende sul braccio sinistro, insegue con spada sguai-
nata il vecchio e fuggente Priamo, cui afferra con la sinistra per
la spalla : questi con lungo chitone e lungo mantello, si guarda
attorno, e in atto supplichevole volge indietro la destra ; nella
sinistra tiene il lungo scettro adorno d'un fiore. Che nel vecchio
signore fuggente si debba indubitatamente riconoscere il re di
Troia, lo mostra l'altare, verso il quäle egli fugge, e che tosto
raggiunge : quest'e l'altare di Zeus Herkeios, sul quäle nell'altra
rappresentazione, quando cioe Neottolemo s'avvicina, trovasi di giä
seduto. E possibile, che secondo 1' intenzione del pittore, Priamo
col piede sinistro molto teso all'innanzi e molto alzato cerchi salire
suH'ara: in tal caso il vaso siciliano per il soggetto s'avvici-
nerebbe alle due immagini di questa scena sui vasi apuli, le
quali mostrano Priamo fuggente giä arrivato all'altare e con una
gamba giä inginocchiato su di esso (Bull. Arch. Napol. N. S
E DI ASTIANATTE 105
VI 9 ; Iliup. des Brygos, II 2b ; Zwölftes Hall. Progr. p. 42, 5) :
cf. inoltre il piccolo recipiente con bassorilievo trovato in Crimea
(Petersb. Ermitage, n. 2226). fi certo che il vaso qui pubblicato
appartiene alle piü antiche rappresentazioni a figure rosse della
morte di Priamo. Tale sarä sorta circa il 500 (Ol. 70) come tenta-
tivo di opporre un nuovo concetto all'antico Schema della morte del
re dei Troiani, manteimto ancora da Euphronios, Brygos ed altri ;
sembra pero che la composizione da principio non avesse successo,
perche ancora in rappresentazioni piü recenti a figure rosse, sul
vaso di Vivenzio (Napoli n. 2422) (') e in una Iliupersis di Bo-
logna (Mon. dell'Inst. XI, 14) e ripetuto l'antico schema, che ap-
pena dai piü recenti pittori apuli fu a quanto pare definitivamente
messo da parte.
3. II disegno qui sopra espresso fornisce una prova delle inavver-
tenze prodotte dal lavoro di fabbrica e che s'insinuarono qua e lä per
la grande ricerca di vasi dipinti. L'immagine a figure nere, disegno
trascurato, adorna una piccola lekythos (0,20) che vidi e potei
lucidare nella collezione di Aless. Castellani, e che giä descrissi
nel Bull. dell'Inst. 1869 p. 28 n. 3 ; non so, dove sia andata, e ne
(') Osservo qui di passaggio, che questo vaso venne trovato giä nel 1794
(cosi: non appena nel 1797), secondo nna lettera di I. H. W. Tischbein e
propriamente « alcune settimane » prima del 16 dicerabre di quell'anno, adun-
que in autunno : Alten, Aus T. Leben und Briefio. p. 60 seg.
106
OSSERVAZIONI SULLA MORTE DI PRIAMO
ignoro anche il luogo di ritrovamento : non trovasi, come cortese-
mente mi vien confermato, nel British Museum, dove la si potrebbe
supporre. Neottolemo, barbato secondo l'antico concetto, con elmo
e mantello, con guaina e spada, si precipita su Priamo, che, rifu-
giatosi sull'altare, aspetta l'assassino senza far resistenza. II re,
quasi del tutto calvo, e rappresentato — spensieratezza dell'artista
che non manca di un effetto comico — seduto su d'una sedia pieghe-
vole, collocata sull'altare ; e chiuso nel mantello e tiene in mano
un grande bastone a gruccia. Kami con frutta riempiono gli spazi
vuoti della scena, nella cui composizione l'isocefalismo ha procu-
rato a Neottolemo proporzioni yeramente gigantesche in confronto
di Priamo seduto sull'altare e sulla sedia.
4. Alla morte di Astianatte si riferisce la rappresentazione
di un'anfora di stile severo a figure rosse, il cui disegno qui unito
tolgo all'apparato archeologico dell'Istituto (forma = Münch. Katal.
tav. I n. 40 ; altezza delle figure 0,18) ; non posso indicar il luogo
di ritrovamento — ad ogni modo in Italia — ne dove ora esista. Da
ambe le parti e rappresentata una tigura. Un giovane guerriero,
vestito di chitone e corazza, armato di elmo corinzio, di lunga
lancia (aavQwrrjQ) e grande scudo rotondo (insegna: grifone),
E DI ASTIANATTE 107
procede, portando con la destra abbassata un fanciullo, che tiene
fermo per la lunga capigliatura : pien di dolore questi chiude gli
occhi ; le sopracciglia sono molto alzate, braccia e gambe pendono
senza vita aH'ingiü. Dall'altra parte dell'anfora si avanza in fretta —
o rispettivaraente li insegue — un altro, baitato, in abito militare
armato d'elmo e, a quanto pare, provvisto d'un piccolo e rigido
grembiale ai fianchi('), con una lancia ed un grande scudo rotondo
nelle mani ; lo scudo come insegna porta un guerriero che corre, e
disotto e allungato da un pezzo di stoifa con frangia destinato a pro-
teggere le garabo (su questo trovasi come apotropaion im occhio) (-).
Ambedue i guerrieri voltano la testa e guardano in dietro, verso il
luogo donde il ragazzo e stato rapito. Non e dubbio che questo
debba dirsi Astianatte, tolto dalle mani della madre : incerto e
invece chi sia il G-reco che lo rapisce. Giacche contro Neottolemo
(Piccola llias : Kinkel fr. 18) parla il fatto che non ha preso
Astianatte nodos Terccywv, come finora mostrano senza eccezione
tutte le rappresentazioni artistiche conservate ; contro Ulisse (Iliade
di Arktinos ; Eur. Troad. 711 seg.) la giovcntü e l'a&senza della
barba (3). Pure, tenendo co.nto dello stiie e dell'epoca del disegno,
quest'ultimo motivo mi sembra piü difficile e piü importante del
primo, e perciö mi parrebbe anche qui rappresentato Neottolemo,
che ha afferrato il figliuolo d'Ettore, per darlo alla morte :
naXSa eT eXwv ex xöXnov evTrXoxä^ioio xiii^vr-fi
Qiips nodog reraycov ano rrvQyov ' xov 6t ntGÖvrct
i'XXaßs 7ioQ(pvQtog üävaxog xal [ioTqcc xgcctccirj.
AI pari del pittore del vaso di Sicilia (n. 2) anche questi cercö
di battere una propria via, indipendeniemente dall'antica tradizione
storica e rappresentare artisticamente in altro modo la morte di
Astianatte (4).
(!) Cf. Panofka BaL. VIII 1 ; Benndorf Gr. Sic. Vasenb. 46, 1 ; Mus.
Greg. II 8G (89), 2 — Ann. delVInst. 1S75 tav. FG ; München n. 382 (Lützow,
Ant. tav. 5) ecc.
(2) Egualmente p. es. Inghirami V. T. 168 {Brit. Mus. 873); 169 {Coli.
Lecuyer, 379) ecc.
(3) Cf. Arch. Jahrb. I, p. 229, nota 223.
(4) Resta dubbio per Tindeterrainatezza della descrizione, se appartenga
a questa serie pure Taufura a figure rosse, Cataloghi Campana IV, 151.
108
OSSERVAZIONI SULLA MORTE DI PRIAMO
5. II numero delle rappresentazioni della morte di Priamo
proprie dei vasi a figure nere e aumentato di due vasi vulcenti,
passati a Würzburg insieme con tutta la raccolta Feoli ; non offrono
qualcosa di assolutamente nuovo, ma eccifcano a trattare un'altra
volta la questione dei tipi dell'antica rappresentanza di questo
fatto. Perciö non e superfluo di ripubblicarli secondo lucidi esistenti
nell'apparato dell'Istituto.
A. Immagine sul ventre d' un' idria : Urlichs Würzburger
Antiken III n. 137 ; Brunn Bull, dell' Inst. 1865, p. 52. La-
voro dozzinale con molto dettaglio. Sul collo il cosidetto oracolo
dei dadi in presenza di Atena. — Su di un altare con una voluta
siede Priamo canuto e rugoso, che ferito dal colpo di lancia di
Neottolemo ricade supino. II re porta un lungo e stretto chitone
senza pieghe; il Greco e completamente armato. Ad ogni lato
di questo gruppo havvi una Troiana, in chitone e apoptygma, che
per l'orrore agita le mani : dietro ad ognuna di esse vedesi la parte
anteriore d'una quadriga, che, senza alcun signiücato, non serve che
a riernpire lo spazio sulla larga superficie dell'idria; dappoiche
Neottolemo nella lliupersis difficilmente poteva avere a fianco il suo
carro, e ciö e poi affatto impossibile per Priamo in questa scena. So-
pra quest' ultimo sta il nome dei favorito Leagros, ond' e fissato il
tempo dei vaso a figure nere all'epoca di Euphronios (cf. Klein Euphr.
E DI ASTIANATTE
109
p. 130 segg.). Prescindendo dai cavalli la rappresentazione di
Würzburg assomiglia raolto all' immagine dell'anfora trovata pure
a Vulci, ora nel Drit. Mus. n. 522 (eccetto che qui Neottolemo,
secondo la descrizione fattane, spinge in dietro con la sinistra non
coperta dallo scudo la Troiana che gli sta innanzi ; inoltre c'e near
the altar a tree) : ambedue le figure risalgono ad un modello solo.
Cf. inoltre l'anfora di Corneto che e descritta nel Bull. dell'Inst.
1866 p. 234 n. 5.
B. Anfora ad anse scanalate : Urlichs 1. c. n. 330 ; Brunn
1. c. 1865 p. 52. L'abbondanza del bruno rossiccio rende 1' immagine
molto variopinta, il disegno mostra il solito lavoro di fabbrica ; sulla
parte posteriore vedonsi tre figure che s'avanzano : un vecchio, un
guerriero ed un arciere frigio. — Priamo in lungo ed aderente chitone
senza pieghe e caduto morente all'indietro sull'altare ; stende an-
cora la destra in atto supplichevole yerso Neottolemo, il quäle sta
innanzi a lui completamente armato e vibra la lancia pel colpo
mortale. Accanto e sopra il re stanno due donne troiane, di cui una
supplichevolmente alza ambedue le mani verso Neottolemo, mentre
l'altra piangendo e commiserando il vecchio signore si piega su di
lui : egualmente sull' anfora di Egina in Berlino n. 3996 (Furt-
wängler, Samml. Sab. 48, 3) : guardando tranquillamente sta piü
in dietro un Greco, in completa armatura (insegna dello scudo :
110 OSSERVAZIONI SULLA MORTE DI PRIAMO
parte anteriore d'un leone). Ma dietro a Neottolemo siede inoltre
quäle spettatore troiano, sopra una pietra tagliata, un vecchio, col
capo piegato in atto di dolore, con le braccia e le mani avvolte nel
vestito. Questa figura e ripetuta egualmente nell'anfora di Egina
teste citata, sieche probabilmente ambedue le rappresentazioni ri-
salgono ad un modello comune, che perö sul vaso di Berlino ha
avuto aleune aggiunte (')• Questo vecchio seduto che assiste alla
scena si presentö pure senza dubbio alla mcnte del pittore Macrone
quando fece il suo « Priamo • nella fuga di Elena innanzi a Me-
nelao {Gas. archeol. VI 7 ; Ar eh. Ztg. 1882 p. 6).
Ambedue i vasi arcaici di Würzburg e le loro copie rappre-
sentano adunque in due diversi tipi (1) la morte di Priamo per mano
di Neottolemo sull'altare di Zeus Herkeios secondo Arktinos (2):
A. Priamo seduto sull'altare (ornato di voluta da una parte sola)
viene assalito e ferito da Neottolemo : due Troiane (forse l'una
Ecabe, l'altra una delle figlie) sono aggiunte per chiudere la
rappresentazione e per rendere piü manifesto l'orrore della scena.
B. Priamo morente giace supino sull'altare semplice e ad angoli
retti, e Neottolemo gli da il colpo di grazia ; nello spazio vuoto al
di lä di Priamo sono andate le due Troiane : Greci e Troiani, uomini
e donne, sono aggiunti in numero diverso secondo lo spazio vuoto
della superficie.
Contrapposte a loro sono (II) le piü numerose rappresentanze di
vasi che uniscono la morte di Priamo con quella di Astianatte
e si dividono pure in due tipi, secondo la posizione di Priamo, la
quäle, come sopra, dipeude dalla forma dell'altare : A *. Priamo
siede sull'altare ad una voluta e supplica Neottolemo che gli
sta innanzi ; questi scaglia contro di lui Astianalie che si di-
mena ; assistono piangenti aleune Troiane, con altre aggiunte
secondo il Capriccio del pittore. Cf. l'anfora Fontana n. 31 (Aroh.
epigr. Mitth. a. Oestr. II p. 28 riprodotta in Gerhard A. F. 214;
Overbeck XXV, 22) ; Berlin. Vasens. 1685 (riprodotto in Gerhard
(*) La piecola fanciulla che corre sotto alle- seudo di Neottolemo e un'ag-
giunta tolta da una rappresentazione di Cassandra.
(2) Lo Schneider, 7'roisch. Sagenkr. p. 169 seg., non avendo preso in
considerazione le osservazioni relative al suo vaso A fatte nelle Arch. epigr.
Mitth. a. Oestr. LT, p 28, non e riuscito a distinguere bene i tipi.
E DI ASTIANATTE 111
Mr. Camp. Vas. 21 ; Berl. Wlnckelmannspr. 1853, tav. n. 2 ;
Overbeck XXVI, 1 ; Baumeister Denkt*. I n. 797), dove perö
la forma dell'altare e tolta dal tipo seguente. Questo modello ar-
caico e stato conservato pure da Euphronios (Berlino n. 2281 :
Ar eh. Ztg. 1882, tav. 3 p. 39), da Brygos (Iliupersis tav. 1) e da
altri pittori di figure rosse (cf. Berlino n. 2175). — B *. Priamo
morente o giä morto giace supino sull'altare privo di volute e
murato ; Neottolemo scaglia contro di lui Astianatte che si di-
mena ; si aggiungono una o piü donne, guerrieri ed altro. Cf. la
immagine del vaso di Tanagra, Berlino n. 5988 (riprod. in Furt-
wängler Samml. Sab. 49, 3) ; vaso Fontana n. 32 (ripr. Gerhard
A. V. 213 ; (kerb. XXV, 22 ; qui Neottolemo non iscaglia che
la testa d'Astianatte ; cf. Arch. epigr. Mitth. Oesir. II, p. 28);
Brit. Mus. Vas. n. 607 ; De Witte, Descr. Canino, 1837, n. 149 (»).
Io dico : « Neottolemo scaglia Astianatte contro Priamo » ,
sebbene recentemente l'abbian negato tanto lo Schneider (Troisch.
Sagen/er. p. 172), come il Furtwängler (Samml. Sab., alle ta-
vole 48, 49), ritornando alla antica spiegazione del Gerhard (Aus.
Vasenb. III p. 127), che cioe Neottolemo scagli Astianatte sia con-
tro l'altare, sia nella profonditä dai merli della fortezza. A me pare
solo esatta la spiegazione dell' Overbeck ( Theo. Troisch. Hel-
denkr. p. 622) (2). Imperocche sulla rappresentazione d Tanagra
Neottolemo con la parte superiore del corpo piegata all'innanzi mo-
stra chiaramente, lanciando Astianatte, di volere colpire Priamo
per una seconda volta. Anche le mani di Priamo, tese verso Neot-
tolemo, mostrano oltre il suo supplicare che il vecchio vuole te-
nere lontano Astianatte scagliato contro di lui. Finalmente sul vaso
Fontana la sola testa di Astianatte in mano di Neottolemo non
ha senso, se non nel caso che venga gettata come un sasso contro
il nonno e lo ueeida. Cosi a mio parere resta stabilito che un ar-
tista immaginö le morti di Priamo e di Astianatte terribilmente con-
giunte, unendo cioe in una sola rappresentazione gli orrori della Iliu-
persis, quali furono descritti partitamente in Arktinos e nel cosi-
(1) Nella mia lista (Iliup. p. 14, 3), A e M, come Hei sono identici,
Ciö deve quindi mutarsi pure in Schneider 1. c.
(2) Cosi pure Michaelis Ann. delllnst. 1880 p. 41; Robert Bild und Lied
p. 74; ecc.
112 OSSERVAZIONI SULLA MORTE DI PRIAMO E DI ASTIANATTE
detto Lesche, e facendo perire il nonno per mezzo di Astianatte ed
insieme a Priamo il • nipote — composizione orribilmente sublime,
il cui successo ci e attestato dalle numerose ripelizioni e varia-
zioni, che ci giunsero conservate.
Cosi adunque neH'arte piü antica noi dobbiamo constatare due
rappresentazioni della morte di Priamo : l'una (I) senza Astia-
natte, l'altra (II) con lui; in ambedue si scorgono imitati due di-
versi modelli: quello (I A — IIA*), in cui Priamo ancora siede
e vive (altare a volute), e quello (I B — II B*) in cui morto o
morente giace supino sull' altare. Accanto ad esse si hanno singole
rappresentanze , che son pubblicate e trattate piü sopra sotto i
num. 2, 3 e 4; loro si unisce la rappresentazione sul vaso di
Vivenzio (Raccolta di Napoli n. 2422), finora egualmente sola,
nella quäle l'ucciso Astianatte si vede giacente in grembo a Priamo.
Halle a./S.
H. Heydemann.
BEITRAEGE ZUR GRIECHISCHEN IKONOGRAPHIE (»).
(Taf. IV)
ARCHIDAMOS.
Unter den Kunstschätzen der grossen Herkulanischen Villa,
welche Comparetti und De Petra in ihrem trefflichen Werke {La
villa Ercolanese) bequem und übersichtlich zusammengestellt ha-
ben, nehmen einen besonders breiten Raum die Porträts aus Marmor
und Erz ein. Keiner, der die unvergleichlichen Gallerien des Nea-
peler Museums mit einiger Aufmerksamkeit durchmustert, wird
sich dem Eindruck verschliessen können, dass der Anhänger des
Epikur, welcher sich gegen Ende der römischen Republik (2) diese
Villa einrichtete, eine erlauchte Gesellschaft von Schriftstellern,
Heerführern und Königen in diesen Bildnissen um sich vereinigt
hatte. Aber die berechtigte Neugier nach den Namen der Dar-
gestellten wird nur in wenigen Fällen gestillt ; nur die kleinen
Broncebüsten des Epikur, Hermarch, Zenon, Demosthenes sind
inschriftlich bezeichnet. Das ist auffällig genug. Man sollte doch
meinen, dass eine solche Porträtsammlung ohne erläuternde Un-
terschriften wenig Interesse geboten, und dass der Besitzer selbst
sich schwerlich auf sein gutes Gedächtniss allein verlassen habe.
Dass die Broncebüsten heute keine Inschriften mehr tragen
(*) Vgl. Arch. Ztg. XLH, 1884, S. 149 ff. Eine Replik des dort be-
sprochenen Porträts des Anakreon befindet sich, worauf mich Studniczi.a hin-
wies, im Palazzo Riccardi in Florenz (im Hofe, zweite Büste links vom Ein-
gang ; wie mir L. Milani freundlich bestätigt ist es die von Dütschke II
S. 91, 200 beschriebene); für verwandt erklärt Benndorf einen Kopf im Mu-
seum Torlonia (oben I S. 114).
(*) Villa Ercolanese, S. 279.
114 BEITRAEGE ZUR GRIECHISCHEN IKONOGRAPHIE
lässt sich leicht begreifen, auch wenn wir dieselben nicht an
den Postamenten, sondern an den Büsten selbst voraussetzen,
da die Bruststücke fast ausnahmslos moderne Ergänzung sind;
schwieriger scheint es bei den Marmorbüsten , da bei diesen
der Theil, welcher die Inschrift getragen haben müsste, durch-
gängig gut erhalten ist. Die Vermuthung, zu welcher wir so ge-
drängt werden, diese vorausgesetzten Inschriften seien nicht ein-
gegraben, sondern nur mit Farbe aufgemalt gewesen, und so für
uns verloren gegangen, ist glücklicher Weise mehr als Vermu-
thung (!). Winckelmann (Sendschreiben von den Herculanischen
Entdeckungen S. 35 = Werke, Dresdener Ausgabe II S. 53)
berichtet: « Die merkwürdigsten (Brustbilder) sind ein Archimedes,
mit einem krausen kurzen Barte, welcher den Namen schon vor
alters mit schwarzer Farbe oder Dinte angeschrieben hatte : vor
fünf Jahren las man noch die ersten fünf Buchstaben APXIM,
itzo aber sind dieselben durch das öftere Begreifen fast gänzlich
verloschen. Ein anderes männliches Brustbild hatte auch den
Namen angeschrieben ; es waren aber kaum noch drey Buchstaben
A0H sichtbar, die es itzo auch nicht mehr sind. ■ Dieses letzt-
genannte Porträt habe ich im Neapeler Museum vergeblich ge-
sucht; die geringen Reste, welche wohl zu 'A&^vaiog geholt
haben, scheinen in der That heute völlig verschwunden. Dagegen
ist die erste Inschrift, welcher die auf Taf. IV neu abgebildete
Büste ihre Benennung verdankt (2), durchaus nicht so unkenntlich
geworden, als man nach Winckelmann' s Worten annehmen sollte ;
vgl. Villa Ercolanese S. 276, 77.
Es scheint Camillo Paderni gewesen zu sein, der zuerst die
Deutung der Büste als Archimedes aussprach ( Villa Ercolanese
S. 250), wenngleich er sie bei seiner berüchtigten Ignoranz, die
(') An dem kleinen Zwischenstück, welches Fuss und Brust der Londoner
Büste Ancient marbles X Taf. 16 {Roman gallery, 22) verbindet, hefinden
sich Beste einer aufgemalten Inschrift, von der ich nur forma ivvenem
lesen konnte ; dieselhe wird modern sein, da die Büste Anfangs für ein Bild-
niss des Marcellus galt, und die erhaltenen Worte offenbar dem Vers Ver-
gil's (VI, 861) : Egregium forma iuvenem et fulgentibus armis angehören.
(2) Dies ist zweifellos der Kopf des Archimedes, den D'Hancarville in
Portici sah, und über den Visconti keine genauere Kunde hatte erlangen
können (Iconografia Greca I S. 287).
BEITRAEGE ZUR GRIECHISCHEN IKONOGRAPHIE 115
Justi (Winckelmann II, 1 S. 181) so ergötzlich schildert, schwer-
lich selbst gefunden hat. Winckelmann, wie schon erwähnt, schloss
sich derselben an, und seitdem blieb sie in Geltung, obschon
vereinzelt Widerspruch dagegen erhoben wurde, so von Gerhard
(Neapels antike Bildwerke S. 104, 362) und von Finati (Museo
Borbomco VI Taf. 26). Beide betonen mit Recht, dass Harnisch
und Schwertgehenk die hergebrachte Benennung unmöglich machen,
sie berühren aber mit keinem Wort weder die Inschrift noch deren
Bedeutung. So hatten die neuesten Herausgeber durchaus Recht,
wenn sie für die Deutung der Büste auf diese Inschrift zurück-
griffen, welche sie erst der langen und unverdienten Nichtachtung
entrissen haben. Aber lässt dieselbe sich mit dem Charakter des
Porträts in Einklang bringen ?
Winckelmann hatte APXIM zu erkennen geglaubt, und fast
ebenso (APXIMI) lesen die neuesten Herausgeber {Villa Ercola-
nese S. 276, 77); wenn Paderni (dort S. 250) APXIAA6A gelesen
haben will, so zeigt er damit nur seine Unkenntniss des Grie-
chischen. Wir dürfen also behaupten, dass wesentliche Theile der
Inschrift seit ihrer Entdeckung nicht verschwunden sind. Dieselbe
sieht nun heute so aus :
\JS K
bietet also abgesehn von dem letzten halbrunden Zeichen nur die
Elemente, welche die Herausgeber bereits erkannt haben. Nur
über die Deutung dieser Elemente kann man streiten ; mir scheint
die bisherige Deutung nicht haltbar.
Die zweite Hälfte des angeblichen M steht so weit von der
ersten entfernt, dass beide sich nicht berühren können, und sie
hat nicht die einfache gleichschenkelige Form, die man erwarten
sollte, sondern der linke Schenkel nähert sich mehr der senk-
rechten als der andere ; dieser ist ein wenig gekrümmt nach rechts
herübergezogen, ganz wie bei dem ersten A. Und ein solches wird
der Buchstabe gewesen sein, höchstens könnte man an A oder A
denken. Bei dem Zeichen unmittelbar davor, das sich zunächst
116J BE1TRAEGE ZUR GRIECHISCHEN IKONOGRAPHIE
als gleichschenkligen Winkel darstellt, bemerkt man unten links
einen stärkeren Ansatz eines wagerechten Striches, der darin ein
A mit Wahrscheinlichkeit erkennen läset. Das alles ebenso wie
der halbrunde Buchstabe ganz rechts, der sich der Ergänzung
APXIAAHAHC in keiner Weise fügt, zwingt uns, eine neue Deu-
tung zu suchen. Es ist meines Erachtens, alle Möglichkeiten er-
wogen, keine andere Ergänzung denkbar als APXIAAMoC (').
Damit ist die Benennung des Porträts gegeben.
Die Kriegertracht, welche schon in Verbindung mit der Haar-
binde (2) Finati auf die Vermuthung brachte, es sei ein Herrscher
dargestellt, erklärt sich ungezwungen nur, wenn wir in dem Dar-
gestellten einen der Träger dieses Namens aus dem Hause der
Eurypontiden erkennen.
Darauf führt auch noch ein anderer äusserlicher Umstand,
die Tracht von Haar und Bart. Es ist genügend bekannt, dass
die Lakedämonier im Gegensatz zu den meisten übrigen Griechen
das Haar als Kinder kurz trugen, später lang wachsen Hessen
(vgl. Blümner in Hermann's Lehrbuch der Antiquitäten 3 IV
S. 206. Iwan Müllers Handbuch IV, 1 S. 429), und wie oft
diese Sitte von den Athenern verspottet worden ist (Plutarch,
Nikias 19) ; besonders die Komiker witzeln gern über die vnrjvrj
der Lakonen (Aristophanes, Wespen 476. Lysistrate 1073 : tcq6-
aßsig elxovrag vnrjvag. Piaton Fr. 124 Kock). Bei unserer Herme
scheint das lange, aber wenig gepflegte Haar und der ungeordnete,
wirre Bart recht geflissentlich hervorgehoben zu sein, wie wir es
sonst nur bei einem Philosophen erwarten würden, und es lässt
sich wörtlich auf sie die Schilderung anwenden, welche Plutarch
zu Anfang der Lebensbeschreibung des Lysander von der Bildsäule
(!) Es ist vielleicht nicht fiherflüssig zu hemerken, dass eine Kopie der
Inschrift, die Studniczka auf meine Bitte unabhängig anfertigte, in allem
wesentlichen mit der meinigen übeleinstimmte, ja meiner Lesung vielleicht
noch günstiger war. Ich habe absichtlich auf eine Wiedergabe aller der Reste
verzichtet, bei denen eine Selbsttäuschung nicht völlig ausgeschlossen schien.
Auch Mau, der die Freundlichkeit hatte, die Inschrift mit mir nachzuprüfen,
hielt meine Lesung für gesichert.
(2) Es ist dies allerdings kein Diadem und deshalb kaum als Abzeichen
königlicher Würde aufzufassen.
BEITRAEGE ZUR GRIECHISCHEN IKONOGRAPHIE 117
desselben macht : (ardgiäg) fixonxog sv {lüXct xo/nwvxog e&€i xf[t
nctXaup xcü Ttwycova xa&sifitvov yevrccTor.
Aber welchen von den vier spartanischen Königen des Na-
mens Archidamos sollen wir in unserer Herme erkennen ? Dass
der Erste nicht in Frage kommt, wird Jeder zugeben, und auch
den Vierten, den Sohn des Eudamidas (Plutarch, Agis 3) und
Gegner des Poliorketes wird man weder nach seiner nicht eben
hervorragenden Bedeutung, noch nach dem Stil des Bildwerkes
hier vermuthen. Es bleiben meines Erachtens nur der Zweite und
der Dritte übrig. Manches könnte für ersteren zu sprechen schei-
nen. Der traurige Ruhm, der seinen Namen mit dem Beginn des
peloponneeischen Krieges verknüpft, sichert ihm wenigstens eine
geschichtliche Bedeutung, welche die Aufstellung seines Bildes in
den Räumen eines Privathauses erklären könnte. Aber auch gegen
ihn spricht der Stil des Porträts. Als er im Anfang des pelopon-
nesischen Krieges starb, hatte er eine Regierung von 42 Jahren
hinter sich (Diodor XI, 48. XII, 35), er ist also ein nicht unbe-
deutend älterer Zeitgenosse des Perikles. "Wir dürfen deshalb er-
warten, dass ein Bild, welches ihn in der Fülle der Kraft zeigt,
sich stilistisch nicht wesentlich von dem des Perikles unter-
scheidet, ja eher noch ein wenig altertümlicher erscheint. Aber
ein Blick auf die Bildnisse des Perikles genügt, um unsere Herme
als die nicht unbedeutend jüngere zu erweisen. Es bleibt also nur
Archidamos III übrig, der Sohn des Agesilaos, der kriegerisch
zum ersten Mal nach der Schlacht bei Leuktra thätig war und
endlich, nach dreiundzwanzigjähriger, wechselvoller Regierung im
Dienst von Tarent bei Mandyrion in Kalabrien fiel, angeblich an
demselben Tage, an dem die griechische Freiheit bei Chäronea
verloren ging (Diodor XVI, 88. Plutarch, Camillus 19).
Pausanias (VI, 4, 9) berichtet nun bei der Aufzählung der
Denkmäler in Olympia : Ilctoct 6k 2a)dcciiav 'jQ%t'da[j,og Iffxrjxev
6 ^AyrfiiXüov, siaxedaiiioviuyv ßcttiiXtvg. JIqu dt xov 'AQXidäfXov
xovxov ßctöiXtwg rixövcc ovdt-rog $v ye xft vnsQogici AaxeSaifio-
riovg dvads'vxag ev QMS xov. 'AQ%iddi.iov de ccXXwv re xcci xfjg xe-
Xevxrjg, e\uoi doxelv. el'vexcc dvÖQiävxa ig 'OXv/HTiiav ccTtiateiXav,
ixi €V ßaQßaQro xs eTtsXaßev ccvxbv xo yQtwv, xcci ßaöiXewv
jiiövog xwv ev 271CCQTTJ drjXog itfxiv dfictQxoh' xüyov. Dies Stand-
8
118 BE1TRAEGE ZUR GRIECHISCHEN IKONOGRAPHIE
bild war also von den Lakedämoniern selbst geweiht ; wer das
zweite, ebenfalls in Olympia befindliche gestiftet (VI, 15, 7), wird
nicht überliefert. Man könnte vermuthen, dass die Tarentiner
dadurch den Zoll der Dankbarkeit abgetragen hätten, nachdem ihr
Versuch, wenigstens den Leichnam des gefallenen Heerführers aus-
zulösen, fehlgeschlagen war (Athenäus XII S. 536 D). Einer dieser
beiden Statuen wird unsere Herme nachgebildet sein.
Aber wenn wir uns des neuen Besitzes freuen, und uns
gerne in die ansprechenden Züge dieses antiken Condottiere ver-
senken, die trotz der martialischen äusseren Tracht einen nach-
denklichen, schwermütigen, lebhaft an die Bilder des Euripides
erinnernden Eindruck machen, und uns ahnen lassen, dass Archi-
damos wohl das Nahen der Zeit gespürt habe, in der aller Mannes-
muth nicht im Stande sein werde, Sparta zu retten (vgl. Plu-
tarch, 'AnotpÜ. ßaaili'cov, S. 191 D.) so drängt sich uns noch eine
quälende Frage auf, die wir zu beantworten leider nicht im Stande
sind. Welches besondere Interesse hatte der Besitzer der Herku-
lanischen Villa grade für Archidamos III ?
Die Lösung, welche die Bemerkung des Pausanias zu bieten
scheint, dass diesen König zuerst die Lakedämonier, durch eine
Statue ausserhalb ihres Gebietes geehrt hätten, befriedigt nicht.
Der beschränkende Zusatz ev ys rfj imsQoqia scheint allerdings
zunächst nur durch die Statue des Polydoros (III, 11, 10) veran-
lasst, da die Bilder des Königs Pausanias (III, 1 7, 7) ja einen ganz
anderen Sinn haben ; aber wenn auch offizielle Ehrenstatuen sparta-
nischer Könige vielleicht selten waren, Bildnisse derselben haben
eiistirt. Wenigstens motivirt Plutarch (Agesilaos 2) den Mangel
eines Bildnisses des Vaters des Archidamos mit dessen ausdrück-
lichem Verbot (*) : \ii(ie nXaördv (xr^te fiifirjkäv tira Ttoirficc-
a&ai xqv cewfiarog dxöva. Immerhin waren vielleicht die olym-
pischen Statuen des Archidamos die leichtest zugänglichen Bild-
nisse spartanischer Könige, und auf sie griff man deshalb bei der
(l) Vgl. Plutarch, 'Jnocp^iyfi.axa ßaoite'wv S. 191 E. 'Jnotpd: Aaxco-
vixtl S. 215 B, und die Anmerkung Wyttenbach's zu ersterer Stelle. 0. Müller
(Dorier* II S. 95) bezieht dies irrig auf die s'idwXa, welche heim Begräbniss
der im Felde gefallenen Könige den Leichnam vertraten.
BEITRAEGE ZUR GRIECHISCHEN IKONOGRAPHIE 119
Ausstattung der Villa zurück, um unter anderen Herrschern die
von Sparta nicht ganz fehlen zu lassen. Ich gestehe, dass diese
Lösung der Schwierigkeit etwas Unbefriedigendes hat ; die Mög-
lichkeit eine andere zu versuchen würde uns aber nur erwachsen,
wenn wir über die Mehrzahl der Porträts der Villa im Klaren
wären. Doch von diesem Ziele sind wir noch weit entfernt.
Athen, April 1888.
Paul Wolters.
SCAVI DI POMPEI
SEPOLCRI DELLA VIA NüCERINA.
Fin dall'agosto dell'a. 1886 nel fondo della signora Angioliua
Contieri vedova Paciflco, ad E dell'antiteatro, furono incontrate, a
poca profonditä, costruzioni antiche. Lo scavo, intrapreso prima dalla
stessa signora Paciflco, poi assunto dalla R. Direzione degli Scavi,
fece presto conoscere trattarsi di sepolcri disposti ai due lati d'una
strada (1). Doveva questa uscire dalla porta a SO dell'anfiteatro
e poi volgere subito a sin. per condurre a Nocera. Essa e priva
del suo selciato : quel che si vede non e altro che la sostruzione,
nella quäle perö vi sono certi solchi che sembrano prodotti dalle
ruote di carri. I margini, sui quali si alzano i sepolcri, sono rampe
di terra soltanto, non sorrette da pietre, non adatte a camminarvi
sopra : non e affatto credibile che fossero in questo stato mentre la
strada era praticata, e fanno tutta l'impressione che ne siano state
tolte, come il selciato, cosi anche le pietre marginali.
Tutto ciö induce a credere, che questo tratto di strada fosse
abbandonato. Ne contradicono le iscrizioni dipinte, che vi si tro-
vano in numero considerevole. Fra i programmi elettorali quelli di
L. Munazio Cesernino possono forse, stando alla paleogralia, ap-
partenere ad un tempo non molto lontano dalla distruzione di Pompei ;
ma nulla impedisce di farli rimontare all'epoca neroniana, mentre
(i) H prof. Sogliano riferl su questi scavi nelle Not. d. sc. 1886
p. 334 sgg. 452 sgg. Una breve notizia con alcuni piccoli disegni fu data
dal sig. H. Maier, Centralblatt der Bauverwaltung 1887 p. 451 sg.
SCAVI DI POMPEI. SEPOLCRI DELLA VIA NÜCERINA 121
tutti gli altri sono decisamente piü antichi. Cotesta strada do-
veva passare il Sarno presso l'odierna Scafati. Forse il tracciato
era stato cambiato in modo che, uscendo dalla porta Stabiana, pas-
sasse il fiume sul ponte Stabiano, menzionato nella nota iscrizione
osca, e poi proseguisse sulla riva sinistra: lo scopo di tale cam-
biamento poteva essere di congiungere Nocera direttaraente col
porto di Pompei. Potrebbe anche darsi che ambedue i tratti
esistessero giä prima, e che questo qui fosse abbandonato in seguito
alla distruzione del ponte per il terremoto dell'anno 63 d. C.
Fra le monete trovate nelle urne, per quanto sono ricono-
scibili, nessuna e posteriore a Tiberio. Anche la semplicitä dei mo-
numenti, che pure per la loro mole non possono essere stati eretti
che da persone agiate, li dimostra anteriori a quelli rivestiti di
marmo sul lato S della via Ercolanese. Possono raffrontarsi al se-
polcro rotondo, a quello di Mamia e a quelli situati sull'altura nel
bivio, coi quali Ultimi anche nella forma ed in alcune particola-
ritä hanno, in parte almeno, le maggiori analogie. Tanto il sepolcro
di Mamia quanto il gruppo del bivio per il modo di costruire e per
la paleografia, possono ascriversi ai tempi di Augusto. Dobbiamo
dunque ritener per certo di avere incontrato sulla via Nucerina
sepolcri dei primi tempi imperiali.
Le masse dell'eruzione mostrano gli strati seguenti: lapilli
m. 2,10 ; cenere 0,06 ; lapillo nero e pesante 0,03 ; cenere m. 0,50
in circa ; mentre si formava questo strato, soprayvenne una forte scossa
di terremoto, giacche in esso si trovano gli avanzi delle parti su-
periori dei monumenti del lato N, caduti verso SE ; e appunto
perciö e difficile precisare l'altezza dello strato; seguono due strati
di lapillo nero, e fra essi un tenue strato (0,01) di cenere : tutti e
tre alti m. 0,10; finalmente cenere m. 0,75 in circa.
Cid premesso do qui appresso la pianta dello scavo e passo a
descrivere i singoli monumenti.
1. {Not. d. sc. 1886 p. 334). Monumento ad arco. Sopra
una sostruzione (visibile sul lato anteriore m. 0,45) sorge un
corpo di fabbrica press'a poco quadrato (3,10 X 3,05, alto fino a
tutto il cornicione 3,10), con un passaggio a volta a tutto sesto
(a. 1,74, 1. 1,30), sormontato da una parte tonda posta sopra un
gradino quadrangolare a. 0,30, di circonferenza poco minore del
corpo sottoposto. II tamburo della parte tonda, conservato fino a
122
SCAVI DI POMPEI
m. 0 40, mostra avanzi di semplici ornati in stucco bianco, i quali
per le piccole proporzioni e la poca sporgenza del rilievo non ac-
cennano ad una grande altezza. Sotto una lacuna quasi circolare
(0,36) nel pavimento del passaggio (opus signinum) fu trovata a
poca profonditä un'urna di terracotta con coperchio, contenente ossa
bruciate e una moneta di bronzo non riconoscibile ; un'altra moneta
simile fu raccolta fra le terre.
II monumento e costruito in opera incerta, con angoli di mattoni
älternati non molto regolarmente con pietre tagliate in forma si-
mile, ed e decorato di stucco bianco. Agli angoli stanno pilastri (0,32)
con scanalature doriche di poca profonditä; i capitelli (poco con-
servati) erano lavorati nello stesso stucco in basso rilievo. II cor-
nicione (a. 0,30; il termine e alto 0,15) porta un ornato di pal-
mette rivolte alternativamente in su e in giü, di forme diverse che
SEPOLCRI DELLA VIA NUCERINA 123
non s'alternano regolarmente, congiunte fra loro con linee curve. Sul
lato anteriore (N) la superficie fino all'altezza di 2,02 sopra il
termine e caratterizzata come una sola lastra dal margine affon-
dato, e vi e a ciascun lato del passaggio effigiata in rilievo una fiac-
cola accesa, inghirlandata e ornata di corde di lana (? sono file
di piccoli tondi). Piü sopra era incastrata nella superficie liscia
la tavola dell'iscrizione (m. 2,20 X 0,35), che perö manca. Sülle
facce laterali le pareti son lisce fino a m. 0,60 sopra il termine;
seguono quindi tre rettangoli a base stretta, a. m. 1,44, e sopra
essi due file (0,28 ognuna) di rettangoli giacenti, tutti dal mar-
gine affondato. II lato posteriore e liscio ; i pilastri ivi non hanno
scanalature e invece dei capitelli una fascia sporgente a. 0,06.
Una punta, press'a poco in forma d'una pigna, alta 0,70, col
buco per un perno, fu trovata li vicino e potrebb'essere stata col-
locata in cima alla parte tonda, che io suppongo fosse un basso
cono sovraposto ad un breve tamburo, non essendo stata trovata
alcuna parte di costruzioni piü alte. Ne credo che ne facesse parte
un masso curvo di tufo, che sta per terra fra le tombe : esso pro-
viene da un monumento circolare di diametro alquanto maggiore.
Dietro questo monumento e quelli adiacenti estendesi un muro
a. circa m. 2,70. Un altro muro ne congiunge l'angolo SE col
monumento vicino: e alto circa m. 1,50, terminato a schiena,
senza stucco, e posteriore allo stucco di ambedue i monumenti. Un
terzo muro congiunge l'angolo SO con quel primo muro: e alto
m. 1,35, rivestito di stucco, ha la superficie piana ed e posteriore
allo stucco del monumento. Finalmente un muro a. 1,20, termi-
nato a schiena e rivestito di stucco, si stende dall'angolo NO
verso 0. Fu trovata fra le terre circostanti una lastra di marmo
con l'iscrizione:
ALFIAE NL-
SERVILLAE
2. {Not. d. sc. 1886 p. 335). Sepolcro a nicchia, vale a
dire un edifizio quadrangolare piü largo che profondo (3,40 X 2,55,
alto fino all'epistilio 3,25), che contiene una nicchia, o cella aperta
sul davanti, senza porfca, con soffitto piano, larga 0,945-0,965,
profonda 1,45, alta 2,27. Agli angoli anteriori del monumento
stanno tre quarti di colonne con 12 scanalature doriche, del diametro
124 SCAVI DI POMPEI
di 0,45 ; agli angoli posteriori mezze colonne sporgenti dalle facce
laterali, senza rastremazione sensibile. I capitelli di tufo (foglie
d'acanto, quindi il filo di perle, l'echino ornato di ovoli e final-
mente le quattro volute che sorreggono l'abaco centinato) sodo
troppo piccoli, non essendosi tenuto conto dello stucco che riveste
il fusto. L'epistilio e alto 0,26 e sporge 0,15; il fregio, con qualche
avanzo di ornati in rilievo di stucco, 0,34 ; del cornicione poco si e
conservato ; manca il tetto ed e sfondato anche il soffitto. La mura-
tura e di opera incerta con angoli e fasce di mattoni; il tutto e
rivestito di stucco bianco, nel quäle intorno all'ingresso della
nicchia sono imitate le antepagmenta e sulle pareti laterali di essa
i due battenti d'una porta aperta, ognuno a due specchi, piü grande
quello inferiore, e fra essi una borchia coll'anello (diara. 0,075).
Del resto tutto e liscio; soltanto sul lato anteriore due mensole
di tufo rivestite di stucco, ornate inferiormente d'una foglia, di-
stanti fra loro 1,68, sorreggono un membro sporgente, poco con-
servato, di mattoni; esso sta a m. 0,70 sopra l'ingresso.
Alla facciata del monumento e addossato a d. dell'ingresso
un gradino di materiale che si estende fino alla terza scanalatura
della colonna angolare e sporge un po' piü di questa stessa (a. 0,35,
1. 0,28). Un gradino simile (a. 0,38, 1. 0,28) si stende lungo tutto
il lato sin.; un terzo, a. e 1. 0,40, appie di quella parte del lato sin.
del n. 1 che sporge avanti al n. 2 ; a sin. dell' ingresso al n. 2
evvi soltanto un rialzo di terra.
AI monumento e annessa un'area, circoscritta verso S dal
muro dietroposto, verso E da un basso muro (0,90), verso 0 dal
n. 1 e da un muro che congiunge l'angolo SO del n. 2 col muro
dietroposto, verso N da un parapetto a piccoli archi terminato
superiormente a schiena, simile a quello del sepolcro di Mamia e
adun altro nel bivio della via Ercolanese(1); altezza esternam. 1,25,
interna 0,90; larghezza degli archi 0,12, dei pilastrini 0,26.
Esso non tocca il n. 1, ma ne rimane discosto m. 0,19 ; ed era
questo l'unico ingresso nell'area : il gradino addossato in quel
punto al n. 1 e posteriore tanto allo stucco del n. 1 quanto al
parapetto.
Nella cella stavano infissi nella terra, l'uno rivolto all'ingresso,
(x) Overbeck-Mau Pompeji * p. 402. Mazois I tav. 8. 10.
SEPOLCRI DELLA VIA NÜCERINA 125
l'altro a sin., due cippi marmorei ad erma, senza iscrizioni, e pos-
siamo supporre che le persone qui sepolte fossero nominate in
un'iscrizione posta nella parte ora distrutta del monumento. Sotto
il primo, piü grande dell'altro, fu trovata un'olla coperchiata di
terracotta, contenente ossa bruciate e due monete di bronzo, cioe
un dupondio d'Augusto (Cohen I2 p. 114, n. 369), l'altra irrico-
noscibile, e rinchiusa in un'olla di piombo, coperchiata anch'essa.
Per i centri dei due coperchi, divisi fra loro mediante uno strato
di calce alto m. 0,02, passava un tubo di piombo (diam. 0,065)
diretto quindi verso la superficie, ove non si e potuto verificare in
quäl modo terminasse. Sotto l'altro cippo stava un'olla di terracotta
contenente, oltre le ossa, un dupondio di Tiberio coniato nell'a. 10
d. C. in Cartagine (Cohen I2 p. 208, n. 210). Un terzo cippo mar-
moreo ad erma, di dimensioni minori (largo 0,23) stava rivolto
ad E fuori della cella, a d. dell'ingresso, addossato al lato corto (E)
del gradino summentovato, diviso da esso per mezzo d'uno strato di
terra (0,10). Porta al disotto del collo l'iscrizione
FESTAE • APVLEl • F
VIX • ANN • XVII
II cippo (com'anche il minore di quelli posti nella cella) e per-
forato nella parte infissa nel terreno, presso il margine inferiore
da un buco rotondo (*). Avanti al cippo era coliocata in terra una
piccola lastra di marmo ; alzandola si guardava in un tubo rettan-
golare di terracotta (0,12 X 0,045 X 0,39), infisso verticalmente nel
terreno; esteriormente il tubo e segnato con alcune linee che s'in-
crociano, graffite nell'argilla ancora molle. Vi stava sotto l'olla
di terracotta contenente con le ossa bruciate un triens non rico-
noscibile.
Una tavola marmorea (a. la p. cons. 0.31, 1. 0,21) - non sap-
piamo se fosse un cippo ad erma, mancando la parte superiore -
0) Mi avverte il dott. Hülsen che probabilmente tali buchi, che spesso
si trovano in simili cippi, servivano a farvi passare un bastone di legno per
tener fermo il cippo nel terreno. Nei casi presenti il bastone difficilmente
poteva esservi, a cagioni delle costruzioni dietroposte, ma ciö non impedisce
che il buco fosse fatto a quello scopo.
126 SCAVI DI POMPEI
stava appoggiata al rialzo di terra appie della parte sin. della
facciata, rivolta a N, e porta l'iscrizione
eONVIVA
VEIAES
VIX • AN • XX
L' ultima riga dista poco dal margine inferiore, e ciö prova che la
tavola non era infissa nel terreno. Nell'urna sottostante si trovö
un asse repubblicano. Forse i coniugi Apuleio e Veia erano se-
polti nella cella.
Nello stretto spazio fra le due tombe n. 1 e 2 fu trovata una
quantitä considerevole d'una massa biancastra e fra essa frammenti
di ossa e tre piccoli balsamari di vetro, avanzi forse della cena
novendiale.
Non possiamo inferire dalla moneta suddetta, che il monu-
mento sia posteriore all'a. 10 d. C, essendo possibile che p. e.
sia stato eretto dal superstite di due coniugi, il quäle vi sarebbe
stato deposto piü tardi. In ogni modo l'ortogratia EIDVS, ovvia in
un programma gladiatorio dipinto sulla parete in fondo alla nicchia,
accenna ad un tempo non molto posteriore.
I nn. 1 e 2 hanno questo di comune, che non contengono nel
loro interno le spoglie del defunto, ma a guisa di monumenti sono
eretti lä dove egli e sepolto nella nuda terra, e che si e avuto
cura di lasciare il luogo, ove riposavano le ceneri, accessibile alle
libazioni ; giacche ad altro non puö mirare il pavimento interrotto
nel n. 1 ed i tubi di terracotta e di piombo nel n. 2; con que-
st' ultimo si e procurato perfino di poter introdurre le libazioni
nelTolla stessa. II n. 1 non trova esatto riscontro in alcuno dei
monumenti della via d'Ercolano, mentre qui, sulla via Nucerina,
ne troveremo altri simili (n. 4 e 5). II n. 2 e in grande ciö che
e in piccolo il monumento di N. Velasio Grato e l'altro anonimo
che gli sta accanto (*): una nicchia costruita nel sito stesso, ove
le ceneri sono sepolte sotto un cippo ad erma. E degno di nota,
ciö che finora, per quanto io sappia, non fu osservato da alcuno,
che anche in quei due sepolcri nel bivio della via Ercolanese si
(i) Overbeck-Mau Pompeji4' p. 408. Mazois I tav. 4.
SEPOLCRI DELLA VIA NUCERINA 127
trovano apparecchi per versarvi le libazioni. Quello di N. Velasio
Grato ha nel pavimento della nicchia (alta 1,10) avanti al cippo
ad erma infissovi, un buco rotondo (diam. 0,04) profondo almeno
m. 0,56. Nella nicchia (a. 0,70) del sepolcro adiacente non vi fu
mai un cippo ; ma nella parte piü interna e un poco rialzata del
pavimento evvi presso il margine anteriore, poco a sin. del centro,
un simile buco rotondo, dal diametro di m. 0,03 ; potei esplorarlo
fino a m. 0,15, ma e senza dubbio piü profondo ('). Per la forma
del monumento si puö anche paragonare la nicchia di M. Cerrinio
Restituto presso la porta d'Ercolano (2), ove perö di simili appa-
recchi non v'era traccia.
3. Incontro al n. 2 {Not. d. sc. 1887, p. 453). Sepolcro a
camera. Sopra un basaraento di grandi massi di lava, quasi tutto
nascosto nel terreno, ed im termine di tufo (che manca snl lato
posteriore) sorge l'edifizio, conservato fino all'altezza massima di
m. 3,40 (compreso il termine), di pianta quadrata (m. 3,10) con
pilastri (1. 0,35) agli angoli, costruito in opera incerta con angoli
di mattoni. La decorazione e di stucco bianco : uno zoccolo a. 0,92,
terminato da una linea impressa; quindi rettangoli con margine
affondato, a base stretta, alti 1,47: il medio ha la doppia larghezza
(1,24) dei laterali (0,64 a sin., 0,55 a d.), rappresentati come in-
completi, vale a dire senza il margine sul lato esterno, mentre quello
superiore e 1' inferiore si estendono fino al pilastro angolare. Se-
guono piccoli rettangoli giacenti : ne e conservata una fila e parte
della seconda. II lato N e liscio ; dei capitelli e della trabeazione
nulla e conservato. Sulla fronte sono incavate nello zoccolo sud-
detto, immediatamente sopra il termine di tufo, tre nicchie a volta,
alte m. 0,85, profonde 0,50, larghe 0,57, quella a d. 0,55, rive-
stite di stucco bianco, anche sul piano, che soltanto nella nicchia
a d. era distrutto. In ognuna stava addossato al muro di fondo
un cippo ad erma di lava, larghi il medio e quello a sin. m. 0,29,
quello a d. 0,25; quest' ultimo e femminile, caratterizzato come
tale dal nodo dei capelli, e sul lato anteriore ornato con un cer-
(*) Questa seconda tomba e posteriore a quella di Velasio Grato, per il
quäle questo sito fu preparato : la sua iscrizione fu immessa nella sostruzione
del terreno fin da quando essa fu fatta.
(2) Overbeck-Mau Pompeji4 p. 400.
128 SCAVI DI POMPEI
chio rosso presso il margine, un altro poco piü in dentro e qualche
linea poco chiara. Avanti al cippo a sin. vedesi nel piano un buco
rotondo, del diametro di m. 0,015, che conduce verticalmente in
giü. Nella nicchia a d., ove manca lo stucco del piano, constatai questa
cannella a poca profonditä; non la vidi nella cella media, il cui piano
fu rotto prima, che lo esaminassi, ma non v'ha dubbio che quivi pure
esistesse. Kiescono queste cannelle nelle volte di tre nicchie prati-
cate nella parete S della cella sottoposta al monumento e contenenti
ognuna un'olla di terracotta con ossa bruciate, coperchiata nella
nicchia 0, senza coperchio (cosi mi fu riferito) in quella E ; quella
media, ricercata da sopra, cadde nella cella suddetta. La cella non
fu da me visitata, essendo stata aperta e richiusa mentre io non
stava a Pompei. Essa e senza rivestimento di stucco. Rilevo dalle
Not. d. sc. che e grande m. 1,75 in ogni lato, alta fino al nascimento
della volta cilindrica 2,65, ed era accessibile dal lato N per mezzo
d'un'apertura larga m. 0,60, alta 0,80 e profonda 0,85, praticata
nella grossezza del muro di fondazione e chiusa esternamente da
una lastra di lava (m. 0,50 in ogni lato) curva superiormente in
armonia con l'andamento della volta, messa in calce ed interrata.
il vuoto anche il monumento stesso, e fu osservata nell'interno
(1,67 in ogni lato; non del tutto sgombrato) una piccola rampa di
fabbrica addossata ai lati N ed E (Not. d. sc. 1. c). Quest' ultima
suppongo che fosse fatta per comoditä dei muratori mentre il
monumento si stava facendo; giacche e chiaro che questo vano non
era accessibile da alcuna parte e non aveva altro scopo che il ri-
sparmio del materiale. Anche qui le pareti son prive d'intonaco.
Abbiamo dunque qui una cella sepolcrale, la quäle per le sue
dimensioni sia di ampiezza che di profonditä non sta in propor-
zione con lo scopo cui era destinata, di contenere cioe poche olle
con ossa bruciate. Era necessaria una scala portatile per discen-
dervi, e di nuovo per arrivare dal piano della cella alle nicchie delle
olle, il probabile che sepolcri simili fossero immaginati in origine
per contenere cadaveri interi e che, introdottosi Vuso della crema-
zione, il tipo fosse mantenuto, adattandolo alla deposizione delle
ceneri con l'aggiunta delle nicchie e di quel singulare apparec-
chio delle cannelle. L'intera forma di questo sepolcro rammenta
tre monumenti della via d'Ercolano, tutti e tre situati sull'altura
nel bivio, quello cioe di Ceio Labeone (Overbeck-Mau Pompeiji
SEPOLCRI DELLA VIA NÜCERINA 129
p. 408 sg.), quello che io credo di Arria (1. c. p. 408, hc), e un
terzo che rassomiglia a quest' ultimo (1. c. p. 409, hb).
Del sepolcro di L. Ceio Labeone (5 sulla pianta Overbeck-
Mau 4 p. 399) e distrutta la parte superiore ; si crede che vi fos-
sero collocate alcune statue in tufo trovate li vicino e rassomi-
glianti a quelle provenienti dallo scavo Pacifico. La parte super-
stite ha la forma d'un edifizio rettangolare (4,20X3,72) con pila-
stri agli angoli; e eretto sopra un basamento (5,18X4,50, alto sul
lato 0 2,15: vedi la figura 1. c. p. 409), ü quäle perö in costru-
zione e soltanto un rinforzo addossato esternamente all' edifizio
innalzato prima fin dal suolo neue dimensioni della parte superiore.
Ed eravi nel centro del lato 0 un'apertura a volta, come una finestra,
a. 0,95, 1. 0,46, chiusa poi mediante quel rinforzo iu modo da
lasciar libera soltanto una piccola parte, alta m. 0,15 in circa,
alla sommitä della volta, formando in tal modo una nicchia interna
che per quella piccola apertura comunicava col di fuori. Ora ognuno
s'accorge dell'analogia che passa fra questa nicchia e quelle con-
tenenti le urae del nostro sepolcro n. 3 ; pare abbastanza probabile
che qui pure fosse collocata un'urna (jineraria, o due, e che 1' aper-
tura servisse per le libazioni. Internamente si vedono nella parete
opposta, al livello del suolo esterno, due nicchie a semicerchio
(a. circa 0,50), riempite perö anticamente con opera incerta di lava.
L'interno del monumento e tutto unito, tanto sopra che sotto terra ;
non e del tutto sgombrato, ma certo s'abbassa di alcuni metri sotto
il suolo. Tutto questo merita di essere esplorato meglio.
AI tutto simile e la forma del monumento adiacente verso NO,
l'interno del quäle, almeno nella parte superiore, non fu mai sgom-
brato. Sul lato 0 evvi immediatamente sopra il basamento un'aper-
tura quadrangolare, a. 0,44, 1. 0,45 ; ma mi sembrö evidente che
qui pure un'apertura piü grande nel muro interno fosse chiusa dal
basamento addossatovi, in maniera da lasciar libera soltanto la parte
superiore. Inoltre evvi sul lato N, al livello del suolo, un'apertura
murata (anticamente?) con architrave di pietra calcare, a. 0,80,
1. 0,70. — II monumento di Arria ha nel centro del muro E, a
m. 0,08 sopra il basamento, un'apertura a. 0,25, 1. 0,25, e, mentre
del resto il muro e grosso m. 0,75, sotto quest' apertura non mi-
sura piü di m. 0,15 ; piü in dentro non v'e altro che rottami che
possono togliersi con la mano nuda; cid fu esaminato da me fino
130 SCAVI DI POMPEI
alla profonditä di m. 0.20. Pare adunque che qui pure si tratti
d'una nicchia interna con apertura nella parte superiore. A piombo
sotto quest'apertura ve n'e un'altra al livello del suolo, a. 0,62,
1. 0,48, con architrave di pietra di Sarno, murata, se non isbaglio,
in tempi moderni.
4. (Not. d. sc. 1887 p. 454). Monumento ad arco piano,
piü recente del n. 3, sulla faccia E del quäle e dipinto un pro-
gramma elettorale che dopo costruito il n. 4 non era piü leggibile.
E eretto sopra im basamento a. 0,35, che sporge di m. 0,30 avanti
il monumento stesso; rassomiglia moltissimo al n. 2: soltanto la
cella, prolungata per l'intero monumento, e diventata un passaggio
largo 0,96, alto 2,01-2,06. Ha su ciascuno degli angoli anteriori
tre quarti di colonna (15 scanalature, diam. 0,40), alta fino al
capitello (corinzio, di tufo, non bello) 2,87, fino all'architraYe 3,25,
di forma piü snella ed elegante che nel n. 2. Gli angoli posteriori
qui pure hanno mezze colonne addossate alle facce laterali. Due
mensole di tufo (0,63 X 0,20), distanti fra loro m. 1,72, sorreg-
gono un membro sporgente in guisa d'epistilio a m. 0,85 sopra
l'ingresso. L'architrave sorretto dalle colonne angolari e alto, con la
sua cornicetta, 0,22, il fregio e conservato fino all'altezza di circa
m. 0,20. La larghezza dell'intero monumento, comprese le colonne
angolari, e di m. 3,60, la profonditä di m. 2,60. E tutto rivestito
di stucco bianco. Nella parete sin. del passaggio son praticate due
nicchie a volta, distanti dall'ingresso m. 0,70 e 1,57, alte 0,70,
larghe 0,38. In ambedue e rotto il piano, e nella prima puö sem-
brare che vi sia stata tolta, o almeno cercata, un'urna. Nella se-
conda la rottura e poco profonda, ed e certo che nulla fu tolto.
La parte fin qui descritta aveva anticamente un piano supe-
riore, i cui avanzi furono trovati, un poco piü a d., in mezzo alla
cenere che copriva la strada. Vi erano avanzi di colonne laterizie
rivestite di stucco bianco ; due capitelli corinzii di colonne e due
(uno dei quali poco riconoscibile nei particolari) di ante: sono
alti 0,39-0,42 e dimostrano un diametro superiore di m. 0,33.
Inoltre vi si trovö parte d'una volta (a botte, come pare) rivestita
di stucco rosso ; un frammento di muro grosso m. 0,50, rivestito
di stucco bianco con strisce rosse; sette antefisse di terracotta
in forma di palmette, a. 0,24, 1. 0,12; cinque massi di tufo,
a. 0,60, 1. 0,33, senza modanatura, ma che evidentemente formavano
SEPOLCRI DELLA VIA NUCERINA 131
un architrave: in uno di essi e conservato lo stucco del lato rivolto
in giü, e sono perfettamente riconoscibili quelle parti, libere di
stucco, che poggiavano sui capitelli. Ve ne sono quattro con un lato
obliquo, in modo da formare due angoli, ed uno con ambedue i
lati ad angolo retto, vale a dire una fila composta di tre massi,
lunga 2,95, e ad ogni estremitä di essa, ad angolo retto, un masso
lungo esternameote m. 1,00-1,10. Pare che uno di questi ultimi
fosse quello summentovato con lo stucco conservato : la distanza fra
il capitello della colonna angolare e quello dell'ante era allora di
m. 0,65. Pur troppo gli avanzi della volta e dei muri dovettero
spezzarsi per essere trasportati ; nondimeno appena puo esservi un
dubbio sulla forma architettonica da essi attestata : era una celletta
o nicchia a volta che occupava la parte posteriore (quasi z/z) del-
l'edifizio, preceduta da quattro colonne poste sul margine anteriore
e sormontate dall' architrave ora menzionato. Infine vi si raccolsero
quattro statue di tufo rivestite di stucco bianco, alte 1,85-2,10:
un uomo vecchio, un uomo di media etä, un uomo giovane, una
donna ; nei due ultimi e conservato il color paonazzo di cui son dipinti
i capelli e gli occhi; giacevano al di sopra degli altri ruderi, con
le teste verso il monumento, e sono poco danneggiate; e necessario
quindi supporre che fossero collocate in cima all'intero monu-
mento. Gli uomini sono vestiti di toga e tunica nel solito Schema:
afferrano con la d. quella parte della toga che attraversa il petto
e reggono un rotolo nella sin. protesa, ornata dell'anello. La donna
ha i capelli spartiti sulla fronte ; regge con la d. avanti al petto
il margine della veste che cuopre ambedue le spalle e la testa.
Nel passaggio che attraversa il monumento, appie del muro sin.,
sotto la prima nicchia, stava rivolto ad E un cippo ad erma di
marmo con l'iscrizione :
TITO-L- VESBINA
e dirimpetto, appie del muro d., un altro con l'iscrizione :
TITIA » > <*L * OPTATA
Un terzo piü grande stava poco piü in dentro, piü vicino al muro
sinistro che al destro, rivolto verso l'ingresso ; la sua iscrizione dice :
L
CAESIO LL-
LOGO
132 SC AVI DI POMPEI
Gli stava avanti per terra una lastra quadrata (0,25) di marmo,
ornata d'un cerchio e in ogni angolo d'una foglia. Sotto tutti e tre
trovaronsi, alla profonditä di meno d'iin metro, urne di terracotta
cod ossa bruciate. I coperchi erano fermati sul margine con calce ;
sopra quelli delle iirne di Optata e di Logo giaceva uno strato
alto 0,01-0,02 di calce mista con arena. Sotto l'urna di Logo, piü
grande di quelle delle due donne, ve ne stava un'altra piü piccola
anche di quelle altre due, e sotto questa una massa simile a quella
osservata sui coperchi, con pochi avanzi di ossa. Sotto quella di
Optata furono trovati tre piccoli balsamari di vetro. In tutt'e quattro
le urne giaceva sopra le ossa un tessuto flno piegato in modo da
formareun quadrato di circa m. 0,12; toccato si ridusse in polvere.
Contenevano ognuna una moneta, ad eccezione di quella sottoposta
all'urna di Logo: una irriconoscibile, una di Augusto (Cohen I2
p. 120, n. 413-415) ed una poco riconoscibile di Tiberio.
Piü in dentro ancora, sotto la seconda nicchia, stanno rivolti
verso l'ingresso due cippi ad erma di lava, dei quali il piü grande,
a sin., e caratterizzato dal nodo dei capelli come femminile. Avanti
a loro, piü corrispondente a quest' ultimo, sta per terra una pietra
di lava, m. 0,48 X 0,35, di forma non dei tutto regolare, che ha
sul lato rivolto ai cippi un incavo di forma quasi rettangolare
(0,04 X 0,06) : pare che in tal modo si sia voluto segnare il posto
ove dovevano versarsi le libazioni. Forse qui furono sepolti L. Cesio
e Tizia, dei quali abbiamo incontrati i liberti, sia che fossero con-
iugi, siano madre e figlio; i loro nomi dovevano essere ricordati
in un'iscrizione nella parte superiore dei monumento. Finalmente
un piccolo cippo di tufo sta dietro il monumento addossato al ba-
samento dei n. 3, rivolto ad E. Non mi Consta che sotto questi
tre cippi siano state fatte delle ricerche.
5. (Not. d. sc. 1887 p. 455). Monumento ad arco, piü an-
tico dei n. 4: quella parte dei lato E di quest' ultimo che corri-
sponde al n. 5, con parte della colonna angolare, e priva d'into^
naco ; e la stessa colonna angolare e scanalata soltanto fino all'al-
tezza dei cornicione dei n. 5, ed ivi ha un incavo per lasciar posto
al cornicione stesso. Anche il basamento dei n. 4 e evidentemente
addossato al lato posteriore dei n. 5. Questo e largo 3,25, profondo
1,40, alto fino a tutto il cornicione 2,90 sul lato anteriore, 3,15
di dietro, ove il terreno s'abbassa; non ha basamento. II cornicione,
SEPOLCRI DELLA VIA NUCERINA 133
di forma semplicissima, ha m. 0,22 di altezza e altrettanto di spor-
geDza, e sotto di esso stendesi una fascia sporgente, a. 0,17, che
manca sul lato di dietro. Nel mezzo evvi un passaggio a volta a
tutto sesto, senza pavimento, alto (all'estremitä posteriore) 1,65,
largo 1,14. Tutto questo e rivestito di stucco bianco, e sulla fronte,
sopra il passaggio, e incastrata una lastra di marmo (0,40 X 0,71)
con l'iscrizione:
P • MANCI6 P • L • DIOGENI
EX • TESTAMENTO • ARBITRATV
MANCIAE • P • L • DORINIS
La parte fin qui descritta e sormontata da tre nicchie di pianta
rettangolare, aperte verso il davanti, precedute da un gradino a. 0,22,
1. 0,12, conservate fino all' altezza di m. 1,0, larghe 0,58 e 0,59
quelle laterali, 0,90 la media ; quest' ultima ha appie del muro di
fondo un gradino a. 0,35, 1. 0,45, il cui lato anteriore e rosso con
margine giallo di sotto ed ai due lati. Sono rosse anche le pareti
della nicchia media, meno una striscia larga 0,28 lungo i margini
anteriori delle pareti laterali, divisa dal resto per mezzo d'una
linea graffita, la quäle si osserva anche nelle altre due nicchie, ove
perö le pareti sono bianche. Senz'alcun dubbio le nicchie dovevano
contenere statue; e credo probabile che qui fossero colloeate due
statue di travertino, delle quali l'una di donna, priva della testa,
fu trovata anteriormente nel sito dello scavo in discorso ed ora sta
nel giardino dell'albergo del Sole, mentre l'altra, anche di donna,
di cui e conservata la sola parte superiore del tronco, fu incontrata
in questi scavi e si conserva dalla signora Pacifico. Esse sole tra
le statue qui trovate potrebbero, per la loro poca larghezza, entrare
nelle nicchie, e le stesse loro proporzioni soverchiamente allungate
si spiegano bene, supponendo che a questo luogo fossero destinate.
Quella piü conservata e alta, senza la testa e senza il piedistallo,
m. 1,60 larga 0,44, il piedistallo e largo circa m. 0,56. fi evidente
che appartengono ad un solo monumento. e che nulla hanno di
comune con le altre statue di travertino incontrate nello scavo e
provenienti dal monumento n. 6.
9
134 SCAVI DI POMPEI
Nell'area posta dietro il monumento stanno due cippi ad erma
di lava: uno, piuttosto grande, di faccia al passaggio, presso l'an-
golo sin., rivolto a S; l'altro, piccolo, sta rivolto ad 0 nell'angolo
fra il monumento ed il muro (a. 1,70) che lo divide da quello adia-
cente ad E. Avanti äl monumento, sul margine della strada, stanno
quattro cippi informi di lava.
6. (Not. d. sc. 1887 p. 456). E il piü grande fra tutti questi
monumenti. Eretto sopra un basamento di travertino (m. 4,75 in
ogni lato, a. 0,60) ha agli angoli tre quarti di colonna con scana-
lature doriche, e due mezze colonne addossate ad ogni lato, con
distanza un po' piü grande sul lato anteriore, per dar posto alla
porta; sono alte fino ai capitelli (che mancano) m. 3,40-45. L'intero
monumento e rivestito di stucco bianco; un basso zoccolo e termi-
nal» all'altezza di m. 0,60 da una linea; linee simili formano da
m. 2,60 in su tre file di rettangoli a base larga. La porta (0,61 X 1,50),
gli stipiti, l'architrave, che sporge in ogni lato, e la soglia (a. 0,24)
sono di ■ travertino ■ con superficie ruvida ; la porta e a un sol
battente, ma ne imita due, ognuno a due specchi ; su quello a sin.
l'anello di ferro (diam. 0,07) sta intorno ad una sporgenza emisfe-
rica; sull'altro e imitato nella pietra. Presso il margine inferiore
dello specchio superiore a sin. evvi il buco della toppa, sotto il
quäle internamente scorreva il chiavistello sorretto da due rampini
di ferro (a. 0,07) di cui sono conservate le estremitä fermate con
piombo; nello stipite osservasi il buco corrispondente (0,07X0,035).
t, conservato il cardine inferiore nel suo cilindretto di bronzo
(diam. 0,13), mentre di quello superiore non e rimasto che il piombo
con cui era fissato. Per questa porta, che e rimasta chiusa, si
entrava in un piccolo vano lungo m. 1,15, largo 072, alto 2,27
coperto a volta, che da accesso alla scala, larga 0,60, la quäle con-
duceva alla parte superiore del monumento. Sopra un gradino
verso 0, cinque verso N , quattro (conservati) verso E si ragginge
l'altezza del sommoscapo delle colonne: manca dunque un'ultima
rampa rivolta verso S, corrispondente all'altezza dei capitelli e della
trabeazione. Incontro all'ingresso evvi un buco fatto posteriormente,
e un altro piü piccolo nel primo angolo a sin.; ambedue potevano
servire per collocarvi un lume.
Nella parte superiore del monumento dovevano essere collo-
cate tre statue di travertino raccolte avanti ad esso nella cenere
SEPOLCRI DELLA VIA NÜCERINA 135
(cf. sopra p. 121) alla distanza di m. 1. Una, che e intera, rappre-
senta un uomo (m. 1,96 con la base) con la cista ai piedi, im rotolo
nella d., l'anello nell'anulare sin.; un'altra e figura di donna; della
terza, che e virile, non rimane altro che il tronco. Provengono dalla
parte superiore cinque capitelli di tufo alti 0,40 e che denotano
un diametro superiore di m. 0,33. Se ne faceva parte il masso
curvo menzionato sopra (p. 123) e al quäle non saprei per ora asse-
gnare altro posto, allora la parte conservata era sormontata da
un tempietto rotondo, sotto il quäle stavano le statue, precisamente
come nel monumento dei Griulii a St. Remy (Denkm. d. Inst. I,
tav. 13, 14). Forse altri avanzi si tro verebben) allargando lo scavo
verso E , com'anche quelli del n. 4 furono incontrati a d. del mo-
numento stesso.
II monumento non fu trovato intatto. Parte della volta che
copriva la scala era rotta, e vi si trovö terreno giä smosso, e mi-
schiati fra questo tre teschi umani e vari teschi ed altre ossa di
animali di diverse specie, un vaso di terracotta rotto (che non vidi),
due monete di Domiziano ed uno dei soliti piccoli balsamari di vetro.
La parte conservata non mostra il posto destinato alle ceneri:
la celletta summentovata non e altro che il passaggio per arrivare
alla scala. E siccome non e credibile che le ceneri fossero conser-
vate nella parte superiore, cosi bisogna supporle rinchiuse in una
cella contenuta nel basamento, non accessibile e non visibile dal
di fuori. Esempi simili non mancano neppure sulla via d'Ercolano:
nel monumento delle ghirlande, nei sepolcri di M. Arrio Diomede,
degli Allei e di Calvenzio Quieto (Overbeck-Mau Pompeji 4 p. 405.
407. 410. 416) non si vede traccia alcuna della cella sepolcrale;
e pure vi debbono in qualche modo esser contenute le ceneri.
Qui pure avanti al monumento, sul margin e della strada, son
visibili tre cippi informi di lava, maggiori di quelli avanti al n. 5,
ne puö dubitarsi che il quarto stia nascosto ancora sotto i lapilli.
Un piano superiore, quäle ci risultö per questo monumento e
per il n. 4, pare che non vi fosse in alcuno degli altri, neanche
nel n. 2, tanto somigliante del resto al n. 4; almeno non ne fu
trovato alcun avanzo. Invece e certo che il sepolcro di Mamia
(Overbeck-Mau Pompeji 4 p. 402) , simile per la sua forma esterna
(non per il modo di seppellire) al n. 6, aveva un secondo ordine,
rotondo, sorretto da colonne ed ornato di statue, del quäle tuttora
136 SCA.VI Dl POMPEI
si conservano gli avanzi appie del monumento stesso (1). Del resto
pare che il gusto dei monumenti a piü piani fosse di poca durata
a Pompei: probabilmente appartengono tutti al regno di Tiberio.
II tipo prediletto dei terapi posteriori e quello dell'altare, che prima
si fece grande — cosi il primo monumento uscendo dalla porta
d'Ercolano e quello degli Allei (il padre duumviro 26 d. C.) — poi
piccolo e sovrapposto ad un alto basamento contenente la cella sepol-
crale. In altre parti dell'orbe romano simili monumenti a piü piani
furono eretti fin da tempi piü antichi ; cosi quello giä menzionato
di St. Kemy.
Aggiungo ancora che avanti al n. 3, piü verso 0 , son visibili
fra la cenere ruderi che debbono provenire dalla parte superiore
di un sepolcro adiacente verso 0 al n. 3, e sul quäle probabil-
mente erano collocate anche due statue di tufo, una di donna, l'al-
tra d'uomo giovane (simile alle altre, ma con la toga sopra am-
bedue le spalle) , trovate nel medesimo sito. "E, probabile che di lä
provenga anche una testa d'uomo giovane, ma non posso assicurarlo.
Ad E del n. 1 sono apparse due colonne angolari e parti dei
muri d'una tomba assai distrutta, che non fu interamente scavata.
Questi sono i monumenti finora scavati sulla via Nucerina.
Quanto all'architettura, essi si dividono in due classi, una piü sem-
plice (n. 1, 3, 5), con pilastri agli angoli o anche senza questi,
l'altra piü ricca (n 2, 4, 6) , con colonne angolari e mezze colonne,
in parte anche con ordini superiori. Giä per ragioni intrinseche
la classe piü semplice dovrebbe ritenersi la piü antica; ma ab-
biamo visto (p. 130. 132) che non mancano anche argomenti incon-
trastabili per provare la posterioritä del n. 4 relativamente ai
nn. 3 e 5. E nella seconda classe non isbaglieremo di certo, asse-
gnando gli Ultimi posti ai monumenti piü ricchi ed eleganti, rite-
nendo cioe posteriore il n. 4 al n. 2, ed il n. 6 al n. 4. Perö anche
il n. 5, che fa parte del gruppo piü antico, non pud, per la paleo-
(!) Ciö fu avvertito al tempo dello scavo dal Lavega, il quäle scriveva
il 6 giugno 1770 (Pomp. ant. hist. I 2, p. 117): « Le statue trovate in questo
« contorno dovevano restare nella sommitä della cella del sepolcro, dove face-
« vano ornato piü colonne di piperno rivestite di stucco d'ordine corintio, che
« reggevano una cornice circolare della stessa materia, come apparisce da piü
« avanzi che si sono trovati di tali parti, quali si conservano vicino allo
« stesso sito ».
SEPOLCRI DELLA VIA NÜCERINA 137
grafia della iscrizione di L. Mancio Diogene, rimontare all'epoca
republicana.
Quanto al modo di seppellire, ne abbiamo trovato uno tutto
speciale nel n. 3, forse il piü antico di tutti questi sepolcri. Vanno
d'accordo fra loro, con piccole differenze, 1, 2, 4, 5, mentre dif-
ferisce di nuovo 6, probabilmente il piü recente. Tutti quanti ap-
partengono ai tempi della cremazione e contengono ossa combuste.
E naturale perö che, introdottosi il costume della cremazione, il
modo di deporre le ceneri fosse per qualche tempo influenzato
dagli antichi costumi, formatisi all'epoca dell'inumazione di cada-
veri non combusti, e che a mano a mano soltanto si formasse
un tipo di sepolcri adattato al nuovo costume (1). Per cadaveri
non combusti il piü naturale era o di inumarli entro una cassa
nella nuda terra, o di deporli in camere non accessibili e senza
contatto con Varia. Invece gli avanzi del rogo potevano restare ac-
cessibili; poteva svilupparsi l'uso di versare le libazioni sulle ce-
neri stesse. II tipo perfettamente adatto a questi nuovi costumi
era la cella accessibile con loculi per collocarvi le olle con coper-
chio amoYibile, le quali, per maggiore sicurezza, potevano anche es-
sere incastrate nel muro (2), come nei colombarii delle grandi ca-
mere sepolcrali di Koma.
Questo tipo perfettamente sviluppato della tömba a cremazione
non s'incontra fra i monumenti della via Nucerina ; e sulla via
Ercolanese soltanto nei piü recenti. Fra quelli press'a poco contem-
poranei ai nostri, l'unico esempio e la tomba di Mamia, che visse
ai tempi di Augusto (C. I. L. X, 816), ma pud benissimo esser
morta alquanto piü tardi. Pompei dunque in questo riguardo non
andava di pari passo con Roma, ma era rimasta alquanto in dietro.
Troviamo qui l'inumazione delle ceneri nella terra col monumento
costruitovi sopra, in modo da lasciarne accessibile il posto, e la
(l) Tale influenza dei costumi dipendenti dall'inumazione sul modo di
conservare le ceneri si fece viva nuovamente in epoca posteriore, quando fu
ripresa l'inumazione : allora qualche volta i vasi cinerarii, e specialmente quelli
di materiali preziosi si misero entro sarcofaghi. Piranesi Ant. d. Roma II
33. 35 D. Ficoroni Bolla tforo p. 7. 34.
(*) Di questo l'unico esempio pompeiano e il sepolcro rotondo: Mazois
I tav. 28. Overbeck-Mau Pompeji 4 p. 419. Pomp. ant. hist. I, 3, 92 sg.
(29 ag. 1812).
138 SCAVI DI POMPEI
deposizione in una cella non accessibile, quei modi cioe che possono
credersi in uso fin dai tempi dell'inumazione dei cadaveri non
combusti.
Anche i sopradescritti apparecchi per le libazioni possono in
parte derivare dai tempi dell'inumazione. Che cioe fin d'allora
avanti ad un cippo sepolcrale una piccola superficie destinata a
riceverle fosse custodita con una lastra di pietra, come avanti al
cippo di Cesio Logo, e che sotto di essa un tubo discendesse fino
ad una certa profonditä, che perfino vi fosse modo di versarle entro
una cella sepolcrale, tutto questo e possibile. Invece che fin da
quel tempo si sia voluto raggiungere il morto stesso, se ne puö
almeno dubitare (*); tanto piü che tale desiderio, che poi produsse
le camere accessibili, non era neanche generale al tempo delle
nostre tombe e si manifesta soltanto nel tubo di piombo del n. 2,
e forse nell'olla senza coperchio del n. 3; del resto si contenta-
vano di versare nella terra o sul coperchio dell'olla.
Non e questa la prima volta che si scuoprono simili appa-
recchi per le libazioni. Furono ricordate sopra (p. 127) le tombe
di N. Velasio Grato e l'altra adiacente, nelle quali non sappiamo
se la cannella conduca fin sopra le ceneri stesse ovvero sopra
un'olla coperta. E certo invece che un tubo di creta, chiuso
superiormente con un coperchio, conduceva fin sulle ceneri di
Fortunato (C. I. L. X 1012) riposte presso la tomba di Mamia
fra due tegole (P. a. h. I, 1 p. 238, 21 apr. 1770). A Roma
l'uso di lasciare accessibili le ceneri era generale nell'epoca dei
colombarii, e si mantenne per molto tempo. Nelle nicchie dei
colombarii le olle avevano il coperchio amovibile. Quando perö
erano immesse nel pavimento, o in un gradino che girava
appie delle pareti, allora erano coperte con lastre di marmo
contenenti l'iscrizione e munite d'una piccola concavitä, spesso
(*) Bartoli Sepolcri 46: «... nel pavimento sopra dette casse vi era
« il suo chiusino al quäle erano sottoposti canali di terra cotta corrispondenti
u sopra la testa del defonto per versarvi sopra liquori di vino e latte ne' loro
« anniversari ». La tavola rappresenta un sarcofago corrispondente con la su-
perficie mediante un tubo rettangolare chiuso da una lastra. Senza dubbio
qui si tratta del tempo nel quäle si era di nuovo incominciato ad inumare i
cadaveri incombusti, ed i costumi erano influenzati dall'uso fin allora prevalso
della cremazione.
SEPOLCRI DELLA VIA NUCERINA 139
foggiata a guisa di patera, che ha nel fondo uno o piü piccoli
fori (1). Fra i numerosi esempi di tal genere sono molti Iulii
e Claudii, non pochi Flavii, e noa mancano neppure gli Ulpii (2);
gli Aelii ed Aurelii (3) non possono con certezza riferirsi ai tempi
di Adriano e degli Antonini. Perö anche queste olle s'incontrano
chiuse con un piccolo coperchio o tappo (4). Anche alcune urne di
pietra, quali spesso si deponevano nelle camere dei colombarii, mo-
btrano fori destinati evidentemente al medesimo uso (5). Ne mancano
cippi contenenti le ceneri, fatti in modo da lasciar queste ultimo
accessibili ; cosi in un sepolcreto recentemente scoperto a Cartagine
in ognuno dei cippi murati erano rinchiuse piü olle, ognuna delle
quali mediante un tubo di terracotta stava in comunicazione con
l'aria (6). Nel cippo della Galleria lapidaria dei Vaticano che porta
l'iscrizione C. I. L. VI 21433 {Liviae Seruandae Ti. Claudius
Epaphroditus ecc.) e scolpita sulla superficie una patera che ha
nel centro un foro circolare di cui non ho potuto constatare la
profonditä (almeno m. 0,06). Siccome il cippo, a quel che pare,
e massiccio, cosi bisogna supporre che il foro, passando per l'intero
cippo, lasciasse passare i liquidi nella terra sottostante, ove erano
sepolte le ceneri. Similmente un altro cippo trovato nel sepolcreto
di vigna Amendola (VI 7524 Caecüiae Speratae ecc.) ha nel fondo
della patera tre fori, due piccoli ed uno piü grande, che interior-
mente s'allarga : pare dunque che vi sia un vuoto nel cippo stesso,
cid che potrebb'essere verificato soltanto rimovendolo dal luogo ove e
0) Fabretti [nscr. c. 2. Bartoli Sepolcri 12. Campana Due sepolcri II
p. 72 seg.; cf. Piranesi Ant. d. Borna II 7, 14. Molti esempi se ne trovano
nel vol. VI dei C. L L.
(2) Ulpii Aug. lib. C. I. L. VI 8581; ined. nel Museo di Palermo: M.
Ulpius Aug. lib. Demetrius (cf. C. I. L. X 1088*) Cf. anche (oltre Fabretti
n 65) ined. Gall. lap. Ulpia Calliste. Murat, 1230, 10 (Mus. Capit.). Debbo
questi esempi al dott. Hülsen.
(3) C. I. L. VI 10633. 10912. 13098. 13211.
(4) Bartoli Sepolcri 14.
(5) Fabretti 1. c. Gatti Bull, comun. 1886 p. 397. L'urna C. I. L. VI
13573 {T. Bettuedio Vestali, Mus. Chiaram.) ha, come mi comunica il dott.
Hülsen, nel coperchio un incavo circolare (diam. 0,05) con quattro piccoli
fori irregolari.
(6) Delattre De Vutilite' d'une mission arche'ologique permanente ä
Carthage, Alger 1881 e Eph. epigr. V p. 106.
140 SC AVI DI POMPEI
murato. Un simile foro che s'allarga interiormente, lo osservai nel
centro della patera scolpita sulla superficie del cippo C. I. L. VI
24656 (Pomponiae Chiae ecc). Vi si aggiunge il piccolo cippo
G. I. L. VI 16349 (Cornelia Amethyste secura) la cui conoscenza
debbo aU'amico dott. Hülsen. Esso dev'essere stato appoggiato ad
un muro : ha nel lato posteriore un incavo largo e profondo circa
m. 0,06, che discende fino in basso ma non si estende fino alla
superficie, con la quäle comunica per mezzo d'un piccolo foro
corrispondente nel centro d'un incavo circolare scolpito ivi presso
il margine posteriore. II cippo C. I. L. VI 15479 (Claudiae
siadi ecc.) ha nella superficie, che doveva essere coperta, tre piccoli
buchi per fermare probabilmente il coperchio, e nel centro un foro
grande, circolare (diam. circa 7 cm.), di cui non potei esplorare la
profonditä (!).
Dacche ho parlato dei varii modi di seppellire usati a Pompei,
sarä utile che qui si inserisca una breve notizia intorno ad una
tomba la quäle, scoperta fin da lungo tempo, fu nell'estate pas-
sata dietro mia preghiera aperta ed esplorata (cf. Not. d. sc. 1887
p. 412 sg.). E dessa la prima a d. per chi esce dalla porta d'Er-
colano. Sopra un basamento (a. 0,90) si alza un corpo rettangolare
di fabbrica, rivestito di parallelepipedi di tufo, con termine di tra-
vertino. La sua forma era senza dubbio quella d'un grande altare,
del quäle si pud credere che facessero parte i pulvinari in tufo che
tuttora si conservano appie del monumento stesso. II basamento e
rivestito di due strati di massi di lava, di cui il superiore ha in
altezza piü del doppio dell'altro sottostante. Pero nel mezzo del
lato rivolto al muro della cittä evvi una sola pietra, larga 0,68,
che corrisponde allo strato superiore ed alla metä incirca di quello
inferiore; ciö che manca di sotto, e riempito di opera incerta.
Osservando inoltre che le facce laterali di questa pietra convergono
0) E istruttiva per simili apparecchi ana notizia del Bianchini (comu-
nicatami dal dott. Hülsen) relativa al cippo C. L L. VI 8421 : sub hoc marmore
in arae rnodum praesecto repertus est lapis Tiburtinus basis loco substratus
et ferro duplici adnexus ajfuso plumbo. in lapide substrato foramen erat ad
suppositos cineres pervium. ibidem repertum fuit numisma Hadriani. La lapide
esiste nel Museo capitolino, non per5 il cippo dal quäle fu tagliata. Lo stesso
dott. Hülsen mi avverte che apparecchi simili a quelli sopra descritti si tro-
vano ancora nei cippi C. I. L. VI 12429 (Mus. Chiar.). 12843 (M. Chiar.). 20865.
23731; X 6597; Passionei 110, 78 (M. Valerio Trophimo, Mus. Chiar.).
SEPOLCRI DELLA VIA NUCERINA 141
verso l'intemo, sospettai che qui fosse l'ingresso alla camera se-
polcrale, e ne parlai all'amico prof. Sogliano, il quäle dispose che
quella pietra fosse rimossa. Apparve allora un tenue strato di opera
incerta, e rimosso anche questo, un passaggio stretto e basso, in
modo da non potervi passare che curvandosi, coperto presso l'ingresso
da una volta in tufo. Esso imbocca nell'estremitä N del lato stretto E
d'una cella quadrilunga, situata a livello alquanto piü. basso, di
modo che per arrivarvi bisognava scendere due gradini, di cui l'ultimo
e molto alto. La cella coperta di volta a botte (0 a E) ha le pareti ri-
vestite di stucco bianco, e cosi anche il passaggio. In ognuno degli an-
goli SO e SE stava un mucchio di terra e in que3to, appena visibile,
un'urna di piombo (l'una a. 0,36, diam. 0,33, l'altra a. 0,26, diam.
0,28) contenente un'olla di terracotta col coperchio capovolto e fer-
mato da uno strato di calce. Nell'angolo SO il vaso di terracotta,
piü piccolo di quello di piombo, era involto in un panno, del
quäle perö non si fcrovarono che tracce, e lo spazio fra ambedue
i vasi era riempito della stessa terra con avanzi del rogo che co-
priva esternamente le urne di piombo. Erano cioe frammisti a
questa terra carboni di legno, avanzi d'un vaso, o cassetta, di
avorio (fra cui una testina muliebre a rilievo abbastanza ben con-
servata, cinta di diadema, con occhi di altra materia, e qualche
ornato a rilievo), pezzetti di osso lavorati, avanzi di vasi di ter-
racotta (circa 5 colli di piccoli balsamari), un frammento d'un
vaso di vetro e molti chiodi di ferro, serviti probabilmente per
la costruzione del rogo.
In ognuna delle olle fu trovato un asse di Augusto : il sepolcro
dunque pud credersi press'a poco contemporaneo a quelli della via
Nucerina, e conferma come in uno stesso tempo si avessero, quanto
al modo di seppellire, idee molto diverse. Questi qui credevano ancora
di dover coprire di terra anche le ceneri, mentre quelli che costrui-
rono il sepolcro n. 3 della via Nucerina, probabilmente piü antico,
ne fecero a meno. Non ritenevano inveee necessario che le liba-
zioni potessero giungere alle ceneri stesse, o spargersi nella terra
circostante, mentre ciö e stato procurato in tutti i sepolcri della
via Nucerina, meno che nel n. 6.
Mentre pochissime sono le iscrizioni graffite e dipinte trovate
sui sepolcri fuori la porta d'Ercolano, qui inveee abbondano. Furono
pubblicate dal prof. Sogliano Not. d. sc. 1. c.
142 SC AVI DI POMPEI
Fra le dipinte prevalgono qui come entro Pompei i programmi
elettorali. Vi sono poi due programmi gladiatorii, un avviso rela-
tivo ad una cavalla smarrita e ritrovata, finalmente alcune che non
hanno il carattere di programmi. I programmi di L. Munazio Ceser-
nino e qualche acclamazione e cose simili potrebbero, per la loro pa-
leografia, appartenere agli Ultimi tempi di Pompei. Tutti gli altri
programmi, sia elettorali che gladiatorii, e senza dubbio anche l'an-
nunzio relativo alla cavalla, sono piü antichi, ed interessanti perciö
anche dal lato paleografico. I programmi poi non si riferiscono a
Pompei, ma a Nuceria : in uno dei programmi elettorali, ripe-
tuto quattro volte, e in uno dei programmi gladiatorii ciö e detto
espressamente, e dobbiamo supporlo anche per gli altri, i cui nomi
sono estranei ai programmi, tanto numerosi, di Pompei. E ciö e
tanto piü interessante, essendo scarsissime le iscrizioni di Nuceria.
Uno dei programmi gladiatorii pare che si riferisca a Nola.
Fra i programmi elettorali uno e anteriore al monumento n. 4 ;
si trova due volte sul n. 3, una volta sulla facciata, l'altra sul lato
destro, ove dopo l'erezione dei n. 4 divenne iuvisibile:
1. L • LVSfVM SATVRN • PP • VB oT
Le lettere sono evanescenti, ma dopo un esame spesso ripetuto le
due P mi sembrano certe nel secondo esemplare, mentre le tracce
dei primo non contradicono. L. Lusio Saturnino dunque sarebbe
stato primipilare : la menzione di una carica tenuta in antecedenza
e estranea ai programmi di Pompei, mentre qui forse se ne ha
un secondo esempio. VB nel secondo esemplare sono scritte in nesso.
Non saprei paragonare la paleografia di questo programma con
quella di alcuno fra gli altri o fra quelli conosciuti prima.
AI disopra dei passaggio dei n. 5 sta scritto con grandi lettere,
in modo da occupar l'intera fronte:
2. C-TAMPIVM SABEINVm
TRIPLE-V-BO
V • V • FACIA
II carattere specialmente della prima riga ricorda molto quello dei
programmi antichissimi (C. I. L. IV tav. I, 1). Nondimeno crederei
SEPOLCRI DELLA VIA NÜCERINA 143
questo programma posteriore al precedente, parte per la conser-
vazione molto migliore, parte per la considerazione che chi scrisse
due volte il programma di Saturnino sul n. 3 probabilmente non
avrebbe risparmiato il n. 5, se in quel tempo giä avesse esistito.
E chiaro che l'ortografia Sabeinum e doyuta all'influenza osca. A
ragione, credo, il prof. Sogliano {Not. d. sc. 1887 p. 38) rico-
nosce nel tri. ple. la magistratura urbaaa, aggiunta al nome del
candidato per meglio raccomandarlo : in appoggio della sua opi-
nione si püö addurre il primus pilus della iscrizione precedente (!).
Sopra questo programma, a d., e un'altra volta sul monumento
n. 6 a d. della porta si legge :
3. C • MAGIVM
CELEREM-4t\B
Sul n. 6 la terza E e piü piccola delle altre lettere, e dopo Ma-
gium evvi un punto a guisa di virgola. E nuovo il segno che qui
indica la carica del duumviro. I due esemplari differiscono fra loro
quanto alla paleografia: sul n. 5 le lettere sono grosse ed irre-
golari, sul n. 6 piü fine e di forme piü regolari. Credo questo pro-
gramma posteriore al precedente : mi par certo cioe che sul n. 5 fu
posto tanto in alto perche la parte piü bassa era occupata appunto
dal programma di Tampio Sabino. D'altra parte la paleografia
molto differente da quella dei programmi piü recenti, ed il color
rosso-scuro, che ha comune col precedente, gli assegnano una certa
antichitä.
A d. della porta del monumento n. 6 si legge in lettere eva-
nescenti :
4. P • VITEUe'VM
AN
CONSTAN
CONSTANTl
(!) Quest'ultimo non era noto al Momrasen, Staatsr. III p. 801 nota 3,
il quäle perciö cerca di spiegare in altro modo il tri. ple. della nostra iscrizione.
144 SCAVI DI POMPEI
fi anteriore al programma seguente che gli e sovrapposto:
5. L-MVNATIVM
CAESERNlNVM
NVCERIAEII-VIR
QVINQiVB OT
L'identico programma e ripetuto sul lato Orientale dello stesso
monumento, e la medesima candidatura e raccomandata in tre altri
programmi: uno sulla fronte del n. 4, su ambedue i lati del pas-
saggio (Not. d. sc. 1887 p. 35, 4. 36, 12) e due sul n. 1, cioe
sul lato E e sulla fronte a d. del passaggio (1. c. 1886 p. 335 a. d);
quest' ultimo dice:
L • MVNATIVM
QVINQJ D VB Cf
N VCER
Finalmente sulla fronte del n. 2, a sin. del passaggio, si legge in
lettere evanescenti:
6. NIGRVM ked
II P, che nelle Not. d. sc. 1887 p. 35,7 vi si premette, non fa
parte della stessa iscrizione.
Fra i programmi gladiatorii e senza dubbio il piü antico quello
scritto sulla fronte del monumento n. 3:
7. GLADPAR-XX CuMONNI
RVFI-PVG-NOIA-K-MAIS-VI
V-NONAS-MAIAS-ET
VENATIO
ERIT
Nella seconda riga e difßcile non credere che sia indicata Nola
come luogo dello spettacolo ; pare certo perö che la linea orizzon-
tale della L non vi fosse (cf. il frammento C. I. L. 1187, trovato
tuori la porta d'Ercolano, com'e riprodotto Diss. isag. ad Hercul.
vol. expl. I tav. IX, 1). Senz'alcun dubbio questo programma ri-
sale almeno ai primi tempi di Augusto. La paleografia, con molti
nessi, e affatto differente da quella dei tituli picli recentiores e
molto piü s'accosta a quella dei programmi antichissimi.
SEPOLCRI DELLA VIA NUCERINA 145
L'altro programma gladiatorio sta scritto sulla parete in fondo
alla cella del monumento n. 2, ed e del tenore seguente:
8NVMINI
AVGVSTI
GLAD • PAR • XX • ET • VENATIO • DAPOMPEI ■ FLAMINIS • AVGVSTALIS
PVGNAB-CONSTANT-NVCER- III • PR« NON
NONIS • VIII • EIDVS • MAIAS
NVCERINI • OFFICIA ' MEA • CERTO • INDIIX
Gli Ultimi segni sono poco chiari. Nella 3a riga non posso
leggere che DA POMPEI (la D come C. I. L. tav. I, II 3). Per
sapere chi fosse l'Augusto in onore del quäle fu dato questo spet-
tacolo, non abbiamo altro indizio che l'ortografla eidus, la quäle
consiglia di non ritenere il programma posteriore a Tiberio (1).
La paleografia non aiuta : essa ne ci autorizza, ne ci vieta di cre-
derlo sia anteriore sia posteriore a quelli p. es. di Cn. Alleio Nigidio
Maio(C. /. L. IV, 1177-1180. Not. d. sc. 1879 p. 281), dei quali
del resto non si e ancora potuto precisare l'epoca. II nome di
Comtantia Nuceria, ovvio qui e nel n. 4, finora non si conosceva,
che da testimonianze d'epoca posteriore.
II summentovato avviso relativo ad una cavalla e scritto sulla
fronte del n. 3, appena sopra le tre nicchie, con color rosso scuro,
in lettere sottili e poco regolari con qualche forma corsiva fram-
mistavi. Lo copiai nel modo seguente:
9- DECEMBRES
EQVA'SIQVEI ' ABERAVIT • CVM • SEJWVNCIS'HONERATA A D-VII-KöL «//////EMBRES
CONVENITO-Q_DECIV-Q^L-HILARVJVl,///////////////VM'LI/////HIONEM-CITRA PONTEM-
SARNI •
FVNDO •
mamian'
(l) La parola ricorre spesso nelle iscrizioni parietarie di Pompei; ma
eidus si legge soltanto G. I. L. IV 2437 (37 a. Cr.), e edus 1553 (21 d. Cr.)
e 2354 (d'epoca ignota ma con menzione del mese Augustus). Gli Arvali scri-
vono eidus 14 d. Cr., idus 37 (?) d. Cr.
146 SCAVI DI POMPEI
Nella prima riga fu imperfettamente cancellato SEPTEMBRES.
Nella seconda erano menzionati due liberti dimoranti nel fondo
Mamiano : aut L VM • L • L • . . . e HIONEM : del gentile pare che
manchino quattro lettere, e tre del cognome. DÄla famiglia dei
Mamii, che aveva dato nome a quel fondo, conosciamo la sacerdo-
tessa Mamia P. f. che eresse il tempio del genio d' Augusto e fu
sepolta fuori la porta d'Ercolano (C. I. L. X, 816. 998); il nome
A. Mamius era dipinto nella porta di Ercolano (1. c. IV, 1222 add.).
La parola semunciae (piccolo busto) s'incontra qui per la prima
volta come plurale tantum.
Pra le iscrizioni che non hanno il carattere di programmi
sarebbe di gran lunga la piü interessante quella dipinta in nero a
sin. della porta del n. 6, se fosse meglio conservata. La copia che
do qui appresso e il risultato di lunghi e ripetuti studi, e pure
pochissimo aggiunge a quella del prof. Sogliano pubblicata nelle
Not. d. sc. 1887 p. 39 n. 27.
10. BAfNEVS AGRIPP Ag VgEAT* 2! T SO V
~ No TiiQl
Qi OICVP|^Ar'TIAVC LENVS AV
PLVRA • SCRIP gSBlfl
RO^ • CAfR VOSg
h
>
i— c
z
Delle altre di questo genere tre sono acclamazioni a persone
del teatro.
Sul n. 4 a d. del passaggio:
11- Paris • vnio • scaenae
e a sin. del passaggio :
12. PAR/////
Ca/////
SEPOLCRI DELLA VIA NÜCERINA 147
Sul n. 6. a d. della porta:
13. SCAENae DOMINE
VaLE
Inoltre sul principio della parete d. del passaggio del n. 4
leggesi:
14. MVSICVS
e sotto questa:
15. C VLIVS
ET PIVS
Quanto alle iscrizioni graffite, fra cui comprendo quelle trac-
ciate con qualche pietra anche colorata, e curioso che ne abbonda
il n. 4, mentre mancano quasi del tutto sugli altri monumenti.
Qui pure troviamo alcune acclamazioni teatrali. Incontriamo prima
di tutto il giä noto pantomimo Actius Anicetus (ad C. I. L. IV 2155 ;
Bull. d. Inst. 1865 p. 179 sg., 1874 p. 202) il quäle pare che per
qualche tempo avesse lasciato Pompei. Leggiamo cioe a sin. del-
l'ingresso al n. 4:
1. ACTI • IHM H
POPVLI CITO
REDI W
e a d. dell'ingresso, in parte sulla colonna angolare:
2. ACTI DOMINVS
SCAENICORVM
Senza dubbio anche nella iscrizione dipinta riferita qui sopra
(n. 13) manca il nome di Actius. Non so come spiegare l'epigrafe
scritta a d. dell'ingresso:
3. ARS PVRRHICE • VA
148 SC AVI DI POMPEI
ma appena si puö dubitare che non si tratti di C. Cominius Pyr-
richus, membro appunto della compagnia di Actius (C. I. L. L c).
Forse anche le iscrizioni seguenti si riferiscono ad artisti del teatro.
A sin. dell'ingresso :
4 PHRASTE VA
POLE VA
Nel passaggio a sin., sul principio:
5. AMERINI VA
Di queste cinque iscrizioni le quattro prime sono scritte con
pietre colorate, 1'ultima, come pare, con una pietra semplice, o con
carbone.
Sulla parete sin. del passaggio si legge graffito:
6.
AGILIS
MENSOR
e scritto col carbone:
7.
AGILIS
e graffito:
8.
PRIMVS
MEN(sor?)
Sulla stessa parete sinistra e graffito:
9. INCLINABILITIIR
CIIVIINTINABILITIIR
Avverbi simili {amabiliter, festinabüiterJ fratrabüiter, irruma-
biliter: C. I. L. IV 659. 1928. 2032. 2374; Ephem. I p. 177,
n. 271 ; cf. C. I. L. IV 2138) pare che fossero prediletti a Pompei.
Questi senz'alcun dubbio hanno ambedue un significato osceno ; il
SEPOLCRI PELLA VIA NüCERINA 149
primo deve egualmente leggersi, e non incurabüüer, nel graffito
C. I. L. IV 1322 = 1332 a = 3034 c.
Lascio da parte le rimanenti iscrizioni graffite, essendo esse
di nessun interesse. Furono pubblicate nelle Not. d. sc. dal pro-
fessore Sogliano, alle cui copie nulla potrei aggiungere che valga
la pena.
Le scoperte fatte nel fondo Pacifico hanno arricchito di par-
ticolari interessantissimi le nostre conoscenze sul modo di seppellire
e suU'architettura dei monumenti sepolcrali, hanno dato ricca messe
di quelle iscrizioni dipinte e grafiite che ci aiutano tanto a render
piü vivo e presente quel quadro della vita antica che coi nostri studi
andiamo formando e completando serapre maggiormente. Sarebbe
sommamente desiderabile che uno scavo si interessante fosse con-
tinuato e condotto, se e possibile, fino alla porta della cittä. E giova
sperare che ciö sarä fatto in un avvenire non troppo lontano.
A. Mau
10
0SSERVAZ10NI SULL'ARCHITETTURA
DEL TEMPIO DI GIOVE CAPITOLINO
II tempio di Giove Capitolino, fra tutti i santuarii di Roma
antica il piü splendido ed il piü celebre, ha sofferto, come tutti sanno,
una distruzione piü completa di quasi tutti gli altri tempi prin-
cipali della cittä. Trent'anni or sono non poteva neppure stabilirsi con
certezza il luogo dove sorgesse ; mentre il problema topografico ora
si puö dire risoluto in modo definitivo per le ricerche fatte dal
eh. Jordan {Ann. dell'Ist. 1876 p. 145 sgg. colla relazione del-
l'architetto Schupmann, p. 147-153; Topographie I, 2 p. 67 sgg.)
e dal comm. Lanciani {Bull. arch. com. 1875, p. 165 sgg.), ma poco
si sapeva ünora della sua decorazione architettonica. Le descrizioni
degli autori antichi, le piecole immagini dei rilievi in marmo come
delle monete (Jordan, Topogr. I, 2 p. 87 sgg.) non danno che una
idea generale dello stile : e di pezzi originali anche negli seavi mo-
derni non e tornato in luce altro che un rocchio di colonna di marmo
pentelico ora incastrato nel muro di divisione fra il palazzo Caffa-
relli ed il nuovo Museo Capitolino, nonche un frammento di base
attica, ora posseduto dal nostro Istituto. Furono attribuite inoltre
per congettura del eh. dott. E. Dressel {Bull. dell'Ist. 1882, p. 228)
allo stesso tempio quei pezzi di trabeazione trovati alla salita
delle tre pile, vicino al cancello del palazzo Caffarelli ed ora gia-
centi lungo detta strada.
Scarse sono anche le memorie sopra ritrovamenti ivi fatti ante-
riormente. La piü importante fra le medesime e quella di Fla-
minio Vacca (n. 65 Sehr.) : ■ Me ricordo sopra il monte Tarpeo
al pallazzo dei Conservatori, verso le Carceri Tulliane, esservisi
cavati molti pilastri di marmo statuale, con aleuni capitelli tanto
grandi, che in uno d'essi io vi feci il leone che mi fece fare Ferdi-
OSSERVAZIONI SÜLL'ARCHITETTURA ECC. 151
nando Granduca di Toscana nel suo giardino alla Trinitä del Monte
Pincio; e delli suddetti pilastri il cardinale Federico Cesis ne
fece fare da Vincenzo de Rossi tutte le statue et profeti che al
presente si trovano in Santa Maria della Pace alla sua capella.
Si diceva essere il tempio di Giove Statore. Non si trovö ne corni-
cioni, ne altri segni di detto tempio : io fo giudicio che per essere
tanto accosto alla rippa del detto monte si siano diruppati da
loro stessi, overo dal furore de Goti precipitati: puot' essere ancora,
per qualche accidente non fusse finito ».
II comm. Lanciani, aiutato dalla perizia del eh. padre Bruzza,
ha riconosciuto che le scolture mentovate del Vacca sono infatti
di marmo pentelico, locche accerta che il materiale proviene dal
tempio di Giove Capitolino. Lo stesso Lanciani aggiungendo un'altra
notizia del secolo passato, probabilmente anch'essa da attribuirsi
al medesimo santuario (l), non pote far di meno di lamentare la
barbarie colla quäle furono distrutti si nobili avanzi senza nem-
meno trarne im ricordo in disegno.
Vista tale scarsezza di notizie non credo inutile di richia-
mare l'attenzione dei topografi ed architetti sopra due disegni antichi
esistenti nella ricchissima collezione degli Uffizi a Pirenze. II
primo di mano di Antonio da Sangallo il Giovane (sched. 1215)
non e che un semplice bozzetto di due linee e perciö non ho rite-
nuto necessario di pubblicarlo in facsimile. Esso rappresenta in
grandezza naturale una baccellatura di colonna con attiguo listello.
Importante perö e la postilla autografa del Sangallo che dice cos! :
« Questa fu la colonna del tempio di Giove Olimpico, ehe
* Silla arrecö dalla Grecia, e mise in Campidoglio, trovata da
« Ms. Gio. Pietro Caferello nel giardino de' Conservatori il 1°
* Gennaio 1545 » .
(l) Montagnani-Mirabili, II Museo Capitolino (1820) vol. I p. 6 not. :
« Nell'anno circa 1780, nel fabbricarsi la casa in via Montanara n. 13 allora
appartenente alla casa Lante, vi furono ritrovati gran pezzi di cornicioni di
marmo lavorati perfettamente, e nel fregio erano ornati di festoni avvinti a
teschi di bue ; questi gran cornicioni neppure furono disegnati . e si servirono
per altro uso di questi gran raarrai che forse avranno appartenuto allo stesso
edificio citato dal Vacca ». La certezza dell'attribuzione e un poco minore in
questo caso ; essendo il luogo del ritrovamento alquanto distante dall'area
Capitolina, ne avendo noi mezzo di constatare la qualitä del marmo.
152 osservazioni süll'architettüra
Sul disegno stesso e notato : « sono canali 24 larghi dita . . . ,
10 regolo largo dita . . . ■ . II numero e rimasto in bianco : ma
dal disegno stesso si deduce con facilitä che la larghezza della
scanalatura intera fosse di cent. 24 : locche si discosta pochissimo
dalle misure dello Schupmann (Ann. Inst. 1. c. p. 151) che sta-
bil! per quel pezzo appartenente al sommo scapo una scanalatura
di mm. 235 (*), e che ha supposto essere 24 il numero delle scana-
lature. Possiamo dunque ritenere per certo, che le colonne trovate
nel giardino Caffarelli nella metä del Cinquecento fossero dello
stesso ordine come questa che oggi si vede nel cortile annesso al
nuovo museo, e perciö appartenenti al tempio di Giove Capitolino.
Non credo inutile aggiungere un'altra notizia spettante alle
colonne del tempio Capitolino, giä citata dal Winckelmann (Osser-
vazioni sopra l'architettura degli antichi § 36), ma dai topografi
moderni trascurata, forse a cagione della fönte troppo sospetta dalla
quäle fu attinta. Pirro Ligorio cioe nel volume XVIII della raccolta
di Torino (s. v. Tempio) comincia la sua descrizione del tempio
Capitolino con queste parole : ' II tempio di Joue Capitolino fu
sopra al sasso Tarpeio, sopra una alta crepidine di colonne del
marmo pentellesio di nove piedi di diametro nell' Hymoscapo ' (2).
11 Fea (nota al Winckelmann 1. c.) ritiene come esagerata e falsa
quella misura del Ligorio : ed e vero che essa supera ancora i due
metri stabiliti dallo Schupmann per il diametro inferiore. Perö non
mi pare incredibile, che la notizia del Ligorio provenga dalla cono-
scenza degli scavi fatti all'epoca del Vacca.
La surriferita circostanza viene ad accrescere il pregio del se-
condo disegno (scheda 1614) attribuito dal Ferri (Indice topog. ana-
litico p. 195) per congettura, ad Antonio da Sangallo il vecchio
(f 1534). II disegno giä in se stesso piü interessante per l'oggetto e
per il modo piü esatto dell'esecuzione, e riprodotto sulla tavola V.
Vi e rappresentata la prospettiva di un cornicione di ordine corinzio,
(*) E strano perö, che il disegno del Sangallo dia al listello quasi la
meta della larghezza della baccellatura, proporzione irapossibile in un fusto
di colonna di ordine Corinzio. Se la ragione si debba cercare nel modo fug-
gitivo col quäle e eseguito il bozzetto, non lo so.
(2) II Winckelmann prende questo passo dall'apografo dell'opera Ligo-
riana esistente nel cod. Ottoboniano 3374: io debbo la trascrizione dell'origi-
nale alla cortesia del sig. Comm. V. Promis.
DEL TEMPIO DI GIOVE OAPITOLINO 153
ricco d'ornati, ma non avente quella ricchezza soverchia ch'e pro-
pria agli edifizi del secondo e terzo secolo dell'impero.
Da una prima mano vi e notato : ■ Questa chornice futtro-
i vatta drietto a champidolglio nella uignja [di janpietro: nome
abraso] chaferelglj » . Dopo e aggiunta, da mano come mi sembra
di Antonio da Sangallo il giovane, una postilla quasi identica a quella
del n. 1215 : « Questa d la chornice del tempio di Giove Olimpo che
« Ulla arechö ditto tempio di grecia e lo misse in capitolio ».
Sulla misura adoprata nel disegno non puö esservi dubbio.
Appartiene cioe ad una serie (1612-1626) di disegni, eseguiti tutti
con molta cura nella stessa maniera, cioe con penna ed inchiostro.
Nella scheda 1617 si trova segnato in grandezza naturale ilpalmo
col quäle sono misurate queste cose : ed e un palmo uguale a
mm. 223 diviso in 12 oncie a 5 minuti ognuna. Nello stesso di-
segno l'autore aggiunge di aver ridotte sulla scala 1 : 6 le misure,
asserzione che si riconosce esatta dall'esame dei disegni originali (*).
Possiamo dunque calcolare le dimensioni principali del cornicione
nel modo seguente :
Altezza totale p. 4 m. 36 2/3 m. 1,027
■ da capo al primo ovolo » 1 » 7 2/3 » 0,249
■ primo ovolo »29 » 0,107
» gocciolatoio ■ 48 1/2 »0,176
» secondo ovolo » 37 V» "0,139
dentelli » 34»/, » 8,102
Sporto del gocciolatoio ... p. 1 m. 14 » 0,275
totale » 3 » 30 » 0,78
» dal gocciolatoio al fregio » 1 » 42 » 0,378
La trabeazione intera alla quäle appartenne questo cornicione,
secondo le proporzioni usuali nello stile corinzio-romano, deve
avere avuta un'altezza di metri tre incirca.
Se il cornicione disegnato dal Sangallo, secondo ogni proba-
bilitä si puö credere aver appartenuto al gran tempio Capitolino (2) ,
(!) La nostra fototipia per ragioni dello spazio non ha potuto essere
riprodotta alla grandezza dell'originale.
(*) Che fra i sacrarii Capitolini vicini al gran tempio non possa ragione-
volmente ammettersene uno con dimensioni superiori p. es. al tempio di Anto-
nino e Faustina, oppure al Neptunio di Piazza di Pietra, credo verrä appro-
vato da chiunque si ricorda del numero stragrande di tali sacrarii esistenti
154 osservazioni süll'architettura
sorge la questione, quäle posto gli si debba attribuire neH'archi-
tettura intera del monumento. II Sangallo credette che fosse il
cornicione del frontispizio : supposizione che oggi difficilmente puö
ammettersi. ]E ormai incontestabile, che il tempio di Giove fosse
esastilo, con colonne del diametro inferiore di due metri incirca,
distanti fra loro da centro a centro m. 9,20, di modo che la lun-
ghezza dell'architrave fra le colonne doveva eccedere i 7 metri.
Seeondo le proporzioni usuali, la trabeazione non poteva avere
meno di metri cinque : misura che troppo si discosta da quelle
del frammento disegnato dal Sangallo. Quindi bisognerä supporre
che questo cornicione abbia servito per ornamento di un altro
membro architettonico del tempio. Se p. es. l'interno delle celle
era ornato come i tempi della Concordia e di Vespasiano, voglio
dire con file di colonne apposte al muro, una trabeazione del genere
e delle dimensioni come questa vi si adatterebbe benissimo.
II disegno Fiorentino viene quindi a confermare l'opinione
emessa dal eh. Jordan (Top. 1. c. p. 86) che cioe il tempio Ca-
pitolino, anche dopo l'ultimo ristauro di Domiziano, non avesse
una trabeazione di marmo. fi noto che la pianta dell'antico tempio,
tracciata seeondo le leggi dell'architettura etrusca, fu religiosa-
sull'area Capitolina. Di aleuni, p. es. il santuario di Giove Feretrio e di Giove
Tonante, espressamente ci viene attestata la piecola estensione : altri, come
l'edicola di Marte Ultore, rimangono esclusi per la lor forma. Vi e un tempio
soltanto sull'area Capitolina, il quäle generalmente e creduto di gran mole,
ed e il tempio di Giove Custode eretto da Domiziano. Confesso per6 che
intorno a questo non posso esprimere un'opinione certa. Chi avesse sott'occhio
soltanto le parole di Tacito (Hist. 3,74) : Domitianus prima inruptione apud
aedituum oecultatus . . . . apud Cornelium Primum paternum clientem iuxta
Velabrum delituit. Ac potiente verum patre disiecto aeditui contubernia
modicum sacellum lovi Gonservatori aramque posuit casus suos in marmore
expressam, mox imperium adeptus lovi Gustodi templum ingens seque in
sinu dei sacravit, facilmente supporrebbe che quel templum ingens fosse in
un luogo diverso del modicum sacellum (quest'e pure l'opinione del Becker
p. 407, il quäle perb erra ponendo il sacello nel Velabro) ; ed allora il tempio
si dovrebbe credere situato nella pianura sotto il Campidoglio. Ma vi si oppone
l'espressione ben chiara di Suetonio (Domit. 5) : novam aedem excitavit in
Gapitolio Gustodi lovi. Non mi riesce a risolvere questi dubbi : ne vorrei dilun-
garmi ad annoverare altri edifizi Capitolini di cui poco o nulla sappiamo, essendo
per me decisiva la circostanza, che il cornicione fu trovato, se non nello stesso
anno, almeno nel medesimo luogo con quella colonna del tempio di Giove.
DEL TEMPIO DI GIOVE CAPITOLINO 155
mente conservata in tutti i ristauri posteriori, i quali si dovevano
contentare di aumentarne l'altezza {altitudinem aedibus adicere) e
corredarlo di materiali ed ornati piü ricchi. Quindi i colonnati della
fronte conservavano i loro intercolunni fatti per essere coperti di
legno e per conseguenza di soverchia larghezza. Che il tempio
ristaurato da Catulo (69 a. C.) avesse un'intavolatura di legno,
ci viene attestato espressamente da Vitruvio: e sebbene non si
possa negare che la tecnica fra l'epoca sillana e quella dei Flavii
abbia fatto grandi progressi, le dimensioni della intavolatura sono
cosi enormi che l'esecuzione in marmo secondo il parere di molti
intendenti sembri impossibile ([). Ora, abbiamo veduto che giä
Flaminio Vacca riferi, non senza maraviglia, che a' tempi suoi
fossero ritrovati moltissimi frammenti di colonne, capitelli, ecc,
ma che mancassero affatto i cornicioni : circostanza strana, ne suffi-
cienteinente spiegata dal eh. Lanciani (2). II disegno Fiorentino
ci fa credere che nemmeno nella metä del XV, quando fu seavato
il terreno per sottofondare il palazzo Caffarelli, fosse trovata la
menoma traccia di cosi grandiosa architettura. Quindi non sembrerä
improbabile, che anche nell'ultimo ristauro dell'epoca imperiale,
il tempio di Giove Capitolino conservasse la sua intavolatura di
legno more tuscanico, corredata perö di piü splendidi ornamenti,
forse di bronzo dorato, i quali insieme colle tegole coperte d'oro
facevano risplendere anche da lungi Taugusto sacrario dell'aureum
Capitolium.
Ch. Huelsen.
(') II eh. prof. Durni nella sua pregevole opera die Baukunst der Römer
(p. 44. 45) ha ben rilevato l'enormitä dei restauri proposti dal Canina e dai
suoi seguaci. All'opinione perö da lui emessa noi non possiamo aderire, avendo
egli trascurato affatto i risultati delle scoperte moderne tanto importanti per
la ricostruzione della pianta del tempio.
(2) II Lanciani crede che i frammenti del cornicione siano caduti nella
sottoposta pianura, « stante la grandezza del loro raggio di rotazione al mo-
mento della rovina ». Se questo si puö ammettere per una parte, sarebbe
sempre un caso stranissimo che sull'altura del colle non fosse rimasto il me-
nomo pezzo di questi smisurati blocchi. Dei frammenti trovati nel 1780 in
via Montanara, anche ammesso che apparteuessero al tempio di Giove, non
si puö sostenere per certo che superassero le dimensioni del disegno Fio-
rentino oppure di quelli ritrovati nel 1878.
SCAVI DI GKOSSETO
(Estratto di lettere del nostro socio sig. Agostino Barbini).
Nel Maggio e Giugno dell'anno 1886 in un podere dei sigg. Ponticelli,
poco lontano da Grosseto, furono praticati degli scavi dai quali tornarono in
luce quattro sepolcri. Due di essi erano giä devastati ab antico, e non erano
omai che uno scomposto ammasso delle solite pietre fra le quali si rinvennero
avanzi di ossa umane incombuste e pocbi frammenti di vasi di argilla di
epoca etrusca.
La terza sepoltura pure era stata devastata e non conteneva che una quan-
titä delle stesse pietre, fra cui si raccolse un pezzetto d'ambra, di forma quasi
rettangolare, lungo 3 cent. e largo 2 ; un pendaglio per acconciature in vetro
verde chiaro, rotto in due pezzi ; un frammento di vasetto di bronzo ; ed infine
pochi avanzi del piede di un grande vaso dipinto ed il piede intero di altro
simile vaso di piü piccole dimensioni.
Finalmente la tomba che fu scoperta per la quarta aveva la forma di
un pozzo rotondo che, restringendosi alla sommitä, veniva ad assumere l'appa-
renza di un mezzo elissoide di rivoluzione. Essa era formata di pietre irrego-
lari, naturalmente piü o meno piane, ed anche queste non collegate da cemento
ma semplicemente sovrapposte l'una all'altra. Le prime pietre che s'incon-
trarono e che formavano il culmine esteriore della volta, erano ad una profon-
ditä di cent. 30 dalla superficie del suolo, mentre dalla sommitä interna al
piano del sepolcro si riscontrö esistere una profonditä di m. 4,70; e cosi in
totale dalla superficie del suolo m. 5,70. Le pareti del sepolcro avevano, ove
piü ove meno, uno spessore di cent. 70 ed il vuoto del medesimo un diametro
di m. 1,05.
Nel piano della sepoltura si rinvennero i resti di un gran vaso di terra
rozzo, lavorato a tornio, la cui gola, all' interno, ha un diametro di cent. 48
ed all'esterno di 74. Idem di un altro ancor piü grande vaso, la gola del quäle,
all' interno, misura cent. 59 di diametro e 85 all'esterno. Le pareti del corpo
di cotesti vasi, de' quali si pote raccogliere solo pochi frammenti, misurate in
SCAVI DI GROSSETO 157
diversi punti, hanno uno spessore che varia da due a quattro centimetri. Si
trovarono nello stesso piano le ossa di un uomo, di un bue adulto, di un cavallo
e di due montoni.
Per gentile concessione dei proprietari del terreno, i surriferiti oggetti
vennero depositati nel Museo Comunale di Grosseto.
n.
Nella primavera dell'anno corrente i signori Antonio ed Angiolo Guidi,
proprietari di vasti tenimenti presso il Castello della Colonna, il quäle per
recente decreto Keale ha nuovamente assunto l'antico e storico suo nome di
Vetulonia, intrapresero per proprio conto degli scavi, che si spera verranno
continuati. Ecco una descrizione sommaria degli antichi oggetti ivi trovati.
Terra cotta: 26 grandi vasi ossuari d'epoca primitiva, molti dei quali
tipici e graffiti, altri di forma semi-rotonda, lisci. Alcuni di essi contengono
tuttavia ossa comhuste. — 16 ciottole di varie grandezze, di cui alcune lavo-
rate a mano. — 25 vasetti diversi, alcuni dei quali lavorati a mano e fra questi
uno con raanico foggiato a testa di cavallo e 3 beccucci. — 21 vasetti d'epoca
etrusca, rozzi. — 15 vasetti etrusco-romani (Campani) uno dei quali a ciam-
bella e manico ad arco ; altro a scatola, collo al centro con heccuccio ad orec-
chie e manico. — 28 tazzette, piattelli e ciottole della stessa epoca. —
2 lucerne. — Frammento di grosso vaso romano su cui e graffito il nu-
mero CHX. — 8 frammenti di cornicioni laterizi lavorati a figure e disegni
architettonici. — 127 fusarole ed altri simili utensili. — Piccolo medaglione
su cui e impressa una testa muliehre. — Frammenti di circa 15 o 20 vasi
delle epoche, forme e grandezze sopra enunciate, alcuni dei quali potranno
essere ricommessi.
Pietra : 2 palle in pietra arenaria di forma elittica. — 20 pietruzze ovali
levigatissime (forse amuleti per fanciulli).
Bronzo : 148 fibule ad arco semplice di dimensioni diverse. — 29 simili
a mignatta. — 11 simili a serpe ed altre forme. — 17 simili a nastro e scu-
detto, delle quali una dorata ed incisa a hulino. — 6 armille grandi di foggie
diverse, alcune rosse. — 26 simili piü piccole. — 20 rasoi lunati, pochi di
essi completi. — Easoio di forma semi-rettangolare. — Specchio con incisioni
e frammenti di altri specchi lisci. — Kesti di varie collane a piccole campa-
nelle, e fuselli foggiati a spirale, ecc. — 3 pendagli a due pallottole traforate
appese, con hreve catenella, ad una targhetta con piccoli dischi a impres-
sione. — 10 altri pendagli a campanella, a piccoli hatacchi ecc. — 6 anelli
alcuni dei quali rotti. — 2 teste d'aghi crinali a rotella e tubetto, una delle
quali ornata da tre pendagli. — Manico di striglia, su due punti del quäle
e impresso a stampo un cane che afferra altri animali in corsa ed in altro punto
punto vari uccelli. — 4 lancie, una di cui ha tuttora una parte dell'asta di
legno. — 2 ascie, una di cui grande a lama sottile ed altra piü piccola con
impressioni a dischetti. — Una spada corta (cent. 35 tutto compreso) tuttora
entro la propria guaina pur di bronzo ed ornata di graffiti. — Parte di una
fibbia o fermaglio per bandoliera militare. — Un idoletto. — Omiciattolo
158 SCAVI DI GROSSETO
(cent. 6) con elmo crestato ed in atto di sguainare la spada. — Vari altri
pezzi in bronzo incompleti e d'uso incerto. — Frammento di piccolo vasetto. —
Altro piü grande foggiato a secchietto. — Due piccole mollette. — Un ago
da lavoro. — Alcuni manichi di vasi diversi, uno dei quali assai grande lavo-
rato a bulino rappresentante due teste d'uccello ingoianti ciascuna una biscia.
Esso e tuttora attaccato ad una parte della bocca dell'orciolo o secchietto.
Ferro : Avanzi di due diversi tripodi ; di 7 lancie ; di 3 zappe o ascie.
Osso, ambra, vetro: Residui di collane a piccoli acini d'ambra; altri con
globuli grandi e di media grandezza ; altri di osso ; altri in parte di vetro a
colori diversi.
Gli oggetti sopra annoverati furono dai si gg. proprietari offerti al Muni-
cipio di Grosseto, perche sieno depositati con riserva di proprieta, nel rauseo
cittadino.
VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS.
(Taf. VI.)
Die auf Tafel VI abgebildeten Vasenscherben wurden im
Deceinber 1880 von Mr. Lawson aus Smyrna an der Stätte des
alten Kyme ausgegraben und befinden sich noch in seinem Privat-
besitz zu Smvrna, wo 1882 Mrs. A. M. Ramsay ein farbiges
Aquarell nach dem Originale anfertigte. Dies Aquarell hat uns
Mr. W. M. Ramsay gütigst zur Veröffentlichung überlassen ; es
wurde zum Zweck der Vervielfältigung photographiert, und die
Photographie dann von Herrn Sehenck in den Farben schwarz,
weiss, grau copiert, da der gelbe Grund für phototypische Wieder-
gabe zu ungleichmässig und dunkel gewesen sein würde ; nach
dieser mechanischen Umzeichnung des Herrn Sehenck ist die Tafel
hergestellt etwa in drei Fünftel der Originalgrösse.
Die Scherben gehören einem grossen bauchigen Mischgefäss
an von der Form, welche hauptsächlich von korinthischen Vasen
bekannt und auch auf dem Hauptbruchstück unsres Gefässes selbst
dargestellt ist. Der Thongrund ist ziemlich lebhaft rothgelb, der
Firniss meist tiefschwarz, nur an einigen Stellen der Horizontal-
bänder, wo er wässriger aufgetragen ist, zeigt er eine grünlich-
11
160 VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS
braune Färbung. Das Weiss, mit welchem Arme und Beine der
Maenade wiedergegeben sind, scheint auf den Thongrund unmit-
telbar aufgesetzt zu sein ; ausserdem sind weiss die Tupfen auf
dem Chiton derselben Figur, und die Beeren an der Epheuranke.
Die Umrisse der Figuren sind nirgends eingeritzt, doch ist
für die Innenzeichnung die Gravierung sehr stark verwendet.
Die Hauptdarstellung, welche am vollständigsten erhalten ist,
veranschaulicht den Zweck des Gefässes. Von rechts eilt in ge-
waltigem Sprunge ein Silen auf ein Mischgefäss zu, auf dessen
Bande eine kleine Oinochoe steht. Der Satyr hat einen zottigen
Pferdeschwanz, aber menschliche Füsse und Ohren. Auf dem Scheitel
trägt er eine Binde, am Hinterkopfe einen grossen Krobylos, wel-
cher keine Schlinge nach unten bildet, sondern gleich steil vom
Kopfe absteht. Er trägt den archaischen Vollbart mit rasierter
Oberlippe. Der rechte Arm ist hinter dem Kücken nach abwärts
gekrümmt, der linke nach vorn gestreckt, am linken Vorderarm
hängt an mehreren Bändern ein allerdings sehr kurz gerathenes
Flötenfutteral, wenn man nicht vorzieht an ein schlauchförmiges
Gefäss zu denken. Gegenüber diesem Silen auf der andern Seite
des Kraters befand sich ein zweiter. Erhalten ist nur das gebogne
linke Knie und der Unterschenkel, hinter welchem die rechte
Hand mit einer Oinochoe sichtbar wird und der linke Arm, wel-
cher dem ankommenden eine tiefe fusslose Schale entgegenstreckt.
Dem erstbeschriebenen Silen folgt gleichfalls in eiligem Schritt
eine Maenade oder Nymphe. Sie ist mit einem schwarzen, weiss
getüpfelten Chiton bekleidet, welcher vorn in einem weiten Kolpos
über den Gürtel gezogen ist. Die beiden Oberarme stehn nach
archaischer Art wagrecht vom Körpe: ab, der rechte nach vorn,
der linke nach rückwärts ; der rechte Oberarm ist erhoben, der
linke gesenkt, beide Hände tragen einen Myrthenkranz. Unmittel-
bar über den Köpfen beginnt der Ansatz des niedrigen Halses.
Derselbe war mit einer Epheuranke mit Blättern und Früchten
bemalt. Die Figuren stehn auf einem dünnen schwarzen Streifen;
unter diesem folgt ein dickerer, welcher oben den Thierstreif be-
gränzt. Erhalten ist von diesem ein nach rechts schreitender Löwe,
ihm gegenüber sind Nacken und Gehörn eines weidenden Hirsches
sichtbar. Hinter dem Löwen kniet nach rechts ein nackter Jüng-
ling, den Oberkörper en face, den Kopf zurückgewandt, die Arme
VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS 161
nach beiden Seiten ausgestreckt. Links von dieser Figur ist ein
Stück vom Schwanz eines zweiten Löwen erhalten.
Von der Darstellung der Kückseite ist der grösste Theil eines,
nach rechts springenden, wie es scheint unbekleideten, Reiters
erhalten. Die Brust des Pferdes ist geschmückt mit geknotetem
Riemenwerk und Quasten, ein Schmuck, welcher durch weissaus-
gefüllte Ritzlinien wiedergegeben ist. Unter dem Pferde spriesst
aus dem schwarzen Streifen, welcher den Boden vertritt, eine Ranke
mit einer stilisierten Blüthe, welche ich im Hinblick auf die
Aehnlichkeit mit den rhodischen Münzwappen am ersten als Rose
bezeichnen möchte.
Dem Pferde gegenüber, dessen Vorderhufe kreuzend, erblickt
man die Vorderbeine eines zweiten Pferdes ; hinter dem Reiter
in der Luft zwei Gegenstände, von welchen der erste die Form
eines Flügels hat, während der andre das Ende eines Krobylos zu
sein scheint.
Obwohl die Darstellungen unsrer Scherben sich vollständig
innerhalb des archaischen Typenvorrats halten, und die Technik
zum Theil sogar hocharchaisch zu sein scheint (weiss auf Thon-
grund), dürfen wir ihnen doch kein zu hohes Alter zuschreiben
und können vielleicht bis in die Zeit der Perserkriege hinab-
gehn. Es ist nämlich ersichtlich dass der Vasenmaler bereits viel
freiere Darstellungen kennt, als er selbst hervorzubringen vermag.
Eine halbe Rückansicht, wie die des springenden Silen, würde für
einen streng archaischen Stil ein unerhörtes Wagniss sein. Aller-
dings ist der Uebergang vom Rücken zu dem wieder in Seiten-
ansicht dargestellten Bauche nicht gelungen, obwohl der Vasen-
maler eine Menge Querfalten verschwendet hat, ihn deutlich zu
machen ; dagehen sind die Beine nahezu mit naturalistischer Rich-
tigkeit gezeichnet, nur die Zehen des linken Fusses sind gänzlich
missrathen, wenn durch diese Verzeichnung nicht etwa ein Klump-
fuss angedeutet werden soll. Die ganze Zeichnung ist mit geringer
Sorgfalt ausgeführt, und auch dies spricht für späte Entstehung
oder wenigstens für eine bereits überlebte Kunstübung, deren es
allerdings auch im sechsten Jahrhundert manche gab. Die Hände
sind durchweg wie einfache Klumpen gezeichnet ohne jede Angabe
der Finger ; am liederlichsten gezeichnet ist der Körper des Reiters.
Die Gefässform legt zunächst den Vergleich mit korinthischen
162 VASENSGHERBEN AUS KYME IN AE0L1S
Vasen nahe. Ausser der Form scheint auch die Decorationsart
entlehnt zu sein, der einfache Thierstreif unter der figürlichen
Darstellung (vgl. z. B. Annali, 1885, tav. E 2, Archaeologisches
Jahrbuch 1886 Taf. 10, la), ja auch für den Gegenstand der
Hauptdarstellung selbst könnte man korinthischen Einfluss ver-
muthen, da die Zecherscenen auf den korinthischen Vasen beson-
ders beliebt sind, wenn auch niemals dabei Satyrn mit thierischen
Merkmalen erscheinen.
Im übrigen aber hat die Vase namentlich stilistisch mit ko-
rinthischen Vorbildern gar nichts zu thun, reiht sich vielmehr, wie
zu erwarten ist, auf das beste in die uns bekannten Monumente
altionischer (*) Kunst ein ; die Berührungen mit korinthischer
Kunstübung dürften sich daher weniger aus unmittelbarer Ab-
hängigkeit als aus gemeinsamer Quelle erklären, welche natürlich
in Kleinasien zu suchen sein würde. Ebenso finden sich mit ver-
schiedenen andern Denkmälerclassen einzelne überraschende Ueber-
einstimmungen, welche aber so sehr nach verschiedenen Seiten
gehn und sich im Ganzen wieder so einheitlich zusammenfügen,
dass weder von einer bestimmten Abhängigkeit, noch etwa von
einem eklektischen Stile gesprochen werden kann ; vielmehr ist
dies Zusammentreffen nur eine Bestätigung dafür, dass stilistische
Eigenheiten, welche wir nur in weiter geographischer Trennung
kennen, ihren ursprünglichen Sitz nahe bei einander hatten, und
dass wir von kleinasiatischem Boden namentlich für die Vasen-
kunde noch viele fehlende Mittelglieder zu erwarten haben. Es ist
deshalb nur natürlich, wenn die Vergleichung mehrfach über die
Gränzen der kleinasiatischen Funde wird hinausgreifen müssen.
Die nächstliegende Denkmälergruppe, welche sich zur Ver-
gleichung bietet, sind die klazomenischen Sarkophage, Mon. d. I.
XI, 53, 54.
Diese stellen eine Entwicklung dar, welche im Ganzen jener
der rhodischen Keramik parallel ist und erst in ihrem letzten
Stadium den kymaeischen Scherben zeitlich nahe kommt.
(*) Ich gebrauche diesen Ausdruck nur der Kürze halber a potiori, da
es keine Stammeskünste gibt, sondern nur Bereiche verschiedener Cultur-
centren, welche sich mit den Stammesgränzen nicht decken. In diesem Sinne
sind die von dorischen Ehodiern gefertigten Schalen, Journal of hellenic
studies, 1884, T. 4043, ebenso gut ionisch als die chalkidischen Vasen.
VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS 163
Der älteste, nicht publicierte dieser Sarkophage im Tschinili-
Kjösk-Museum zeigt unten einen Thierfries in der strengen schönen
Stilisierung der rhodischen Vasen mit rhodischen Füllornamenten,
an den Langseiten ein breites reichverziertes Flechtband, dessen
Schlingen auseinander herauswachsen, und dessen Zwickel mit
Blättchen gefüllt sind. Der zweite Sarkophag (a. a. 0. T. 53) zeigt
an den Langseiten ein einfaches Flechtband, unten einen korin-
thischen Thierstreif; auch die im Umriss gezeichneten behelmten
Köpfe sind korinthisch. Endlich der dritte Sarkophag (a. a. 0.
T. 54) zeigt an Stelle des Thierstreifs ein Wagenrennen, statt
des Flechtbandes eine Kante aus Lotos und Palmetten. Puchstein
(Annali 1883 S. 182) erinnert hier an die Caeretaner Hydrien
zu deren ständigem Formenvorrath dies Ornament gehöre. Das ist
richtig, aber die Stilisierung des Ornaments ist bei jenen Vasen
grundverschieden. Die Lotosblüthe ist hier der Palmette vollständig
coordiniert, oft durch so weiten Zwischenraum getrennt, dass sie
die Palmette nicht überwölbt, sondern selbständig neben ihr steht.
Dagegen dient auf dem klazomenischen Sarkophage die Lotosblüthe
lediglich als Einfassung der Palmette. Dies ist aber die Stilisie-
rung der schwarzfigurigen attischen Vasen, wo die Palmette so
sehr im Vordergrund steht, dass der Lotos schliesslich im schwarz-
figurigen und strengrothfigurigen Stil zur einfassenden Curve zu-
sammenschrumpft (vgl. z. B. Koulez, Choix de peintures, pl. 1
und 13) (!). Auch im übrigen zeigt namentlich der jüngste Sar-
kophag ebensoviel Berührungen mit dem Stil der schwarzfigurigen
attischen Vasen als Abweichungen von jenem der korinthischen.
Hierher gehört nicht nur das feine Maeandernetz, sondern na-
mentlich auch der knappe und scharfe Stil der Zeichnung. Na-
mentlich die Zeichnung der Pferde uud der Sirenen stimmt mit
attischen Vasenbildern überein, ebenso die Art wie im Kampfge-
0) Die Stilisierung der Caeretaner Vasen kommt allerdings vor auf
einem etwas älteren Thonsarkophag im Berliner Antiquarium, welcher den
klazomenischen nächstverwandt ist. Hier tragen die Längsseiten noch das
einfache Flechtband. Am unteren Ende derselben findet sich nach oben ge-
richtet an beiden Seiten ein kurzes Stück eines kräftigen Lotos- und Pal-
mettenbandes mit grossen Voluten. Ueber der Hauptdarstellung zeigt dieser
Sarkophag ein andres speciell attisches Ornament einen Fries aus horizontal-
liegenden Palmetten, welche durch Ranken verbunden sind.
164 VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS
tümmel sich verschiedene Gestalten überschneiden ; endlich der
Typus des knieenden sich umschauenden Kriegers. Dass wir es hier
mit einer Vorstufe, nicht etwa mit attischem Einfluss zu thun
haben, geht allein aus dem Fehlen der Ritzlinie zur Genüge hervor.
Die Notwendigkeit, die Vorbilder der attischen Malerei nicht
nur in Korinth, sondern auch in Kleinasien zu suchen, wird durch
die kymaeischen Scherben aufs neue bestätigt, welche gewisser-
massen ein Mittelglied zwischen den Sarkophagen und den attischen
Vasen bilden. Zunächst stimmt auf den kymaeischen Scherben die
männliche Haartracht genau mit der auf dem jüngsten Sarkophag
überein : die Form des Krobylos ist völlig die gleiche. Dann
wiederholt sich abgesehn von der Gangart des Pferdes der Typus
des Reiters genau bis auf die Haltung der Arme, so dass mir
durch die Analogie des Sarkophags die Deutung des hinter dem
Reiter auf der Scherbe sichtbaren Gegenstandes als Vogelflügel
gesichert verscheint. Auch der Schmuck an der Brust des Pferdes
kehrt wieder auf einem klazomenischen Sarkophagfragment {Jour-
nal of hellenic siudies, IV, S. 19). Dagegen ist der Thierstreif
von der strengen Stilisierung der rhodischen Vasen, wie von der
zerfliessenden Gedehntheit der korinthischen gleich weit entfernt
und scheint auf kleinasiatischem Boden keine Analogie zu finden
Er hat dagegen stilistisch die nächste Analogie mit den Thier-
streif en der sogenannten tyrrhenischen Vasen und findet hier sogar
stofflich ein genaues Gegenstück auf der bekannten Troilosvase bei
Gerhard, A. V. III, 223. Ursprünglich hat der zwischen zwei
wilden Thieren knieende Mann sein Vorbild in dem assyrischen
knieenden Daemon, welcher zwei Löwen an den Schwänzen hält,
doch ist die Nacktheit des Mannes, sowie die vollständige Auf-
lösung des Zusammenhanges eine griechische Umformung des un-
verstandenen Vorbildes, welche nur in Vorderasien erfolgt sein
kann. Die kymaeische Scherbe nun zeigt uns eine Station auf dem
Wege, welchen dies Schema nach Athen gemacht hat. Mit dem
bekleideten und geflügelten Manne, welcher auf korinthischen
Vasen innerhalb des Thierstreifens vorkommt, hat dasselbe nichts
zu thun.
Eine weitere Umformung begegnet auf einer in Etrurien ge-
fundenen Bronze, dem Wagenbeschlag aus Perugia (z. B. bei Mi-
cali, Storia, 28) ; hier kniet der Mann mit gezogenem Schwert
VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS 165
zwischen zwei gefesselten Löwen. Letztere zeigen mit unsrer
Scherbe noch die auffällige Uebereinstimmung, dass sie natur-
widrig zwischen Kreuz und Schwanzansatz mit einer Art Mähne
versehen sind (!).
Verwandte Erscheinungen fanden sich auch auf der von mir
im vorigen Bande dieser Zeitschrift zusammengestellten Vasen-
gruppe, doch ist die Verwandtschaft zwischen den kymaeischen
Bruchstücken und den tyrrhenischen Vasen weitaus am engsten.
Ein Motiv, welches in der ionischen Kunst sehr verbreitet
ist, ist die Blüthenranke unter dem Keiter ; glockenförmige Blü-
then, welche von oben in die Darstellung hereinwachsen, finden
sich auf dem Wagenrennen des erwähnten klazomenischen Sarko-
phags. Für chalkidische Vasen gehört die Kanke mit einer lotos-
ähnlichen Blüthe geradezu mit zu den Erkennungszeichen z. B.
Inghirami, Pitture dei vasi etruschi, III, 278; eine ähnliche findet
sich auf einer schwarzfigurigen, den attischen sehr verwandten Vase
mit Inschriften in asiatischer las bei Gerhard A. V. III, 205.
Auch die jüngeren rhodischen Schalen (Journal of hellenic
studies, 1884, T. 40-43), die wahrscheinlich aus Naukratis stam-
mende Hydria Micali, Mon. ined. tav. 4, sowie die gleichfalls
ionische Phineusschale zeigen ähnliche Banken. Mit dem Palmet-
tengewächs der melischen, korinthischen, altattischen und boeoti-
schen Vasen hat diese Kanke nichts zu thun, ebenso wenig mit
den riesigen ganz anders stilisierten Lotosstauden kyprischer Vasen
mit figürlichen Darstellungen.
Im Stil der Darstellung weicht unser kymaeisches Bruchstück
sehr ab von der knappen Schärfe und Magerkeit der klazomeni-
schen Sarkophage sowie der chalkidischen und attischen Vasen.
Sorgfältige Berücksichtigung der Innenzeichnung verbindet sich
mit grosser Sorglosigkeit gegen den äussern Umriss, so dass die
Formen leicht übervoll und massig werden, ja in einzelnen Fällen
wie bei dem Keiter absolut fehlerhaft.
Diese allgemeine Richtung verbunden mit einigen einzelnen
(J) Genau wie auf unsrer Vasenscherbe kehrt diese Borstenmähne wieder
bei einem Löwen eines zweiten in Berlin befindlichen Terracottasarkophages,
welcher im Stil noch nichts korinthisches, viel rhodisches und viel ei-
genes hat.
166 VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS
Eigenheiten lassen unsre Scherbe als nahe verwandt erscheinen
mit einer Vasenklasse, deren ionischer Ursprung jetzt wol von
unbefangenen Beurtheilern allgemein angenommen wird, welche
aber seit ihrem Verdict durch Heibig, Annali, 1865, S. 210 ff.,
und Brunn, Probleme, § 13 und 15, zwar vereinzelte Rettungen (!),
aber keine eingehende Würdigung gefunden haben und erst neuer-
dings wieder mit völlig heterogenen Vasen zu einer Gruppe ver-
einigt werden konnten (2), obwohl schon Otto Jahn vor dieser
Vermischung gewarnt hatte (3). Es dürfte daher nicht überflüssig
sein, die Eigenheiten dieser Klasse kurz zu erörtern und nament-
lich die Gründe für ihren griechischen Ursprung zusammenzu-
fassen. Die letzte Zusammenstellung hat Puchstein, Annali, 1883,
S. 183 gegeben.
Ich wiederhole dieselbe mit einigen Ergänzungen, aber mit
dem Bewusstsein, auch von annähernder Vollständigkeit noch weit
entfernt zu sein.
I) Auf der Schulter : Naturalistischer Myrthenzweig und Eber-
jagd. Hauptbild : Herakles würgt Busiris und seine Schergen,
Bull. 1865, S. 139, Mon. d. I. VIII, 16, 17 jetzt in Wien im
Kunstgewerbemuseum.
II) Herakles mit dem Kerberos, Eurystheus im Fasse, Cam-
pana II, 9, Mon. d. L, VI, 36.
III) Am Mündungsrand Mäander , wechselnd schwarz und
roth ; ebenso am Hals vorn Mäanderkreuz ; jederseits ein Kreuz,
dessen Arme in Doppelspiralen ausgehen. Ueber und unter dem
(1) Vor allen Dingen hat Heibig selbst seine frühere Ansicht zurück-
genommen, Bullettino 1883, S. '4, das homerische Epos S. 298 (vgl. Bullet-
tino 1881 S. 161 ff.). Für griechischen Ursprung und Verwandtschaft mit den
chalkidiscben Vasen spricht sich mehrfach Furtwängler aus, z. B. Arch.
Zeit. 1882, S. 350, Anm. 61, ebenso Klein Euphronios2, S. 93 (« früh-
archaisch »). Aehnlich scheint Puchstein zu denken Annali, 1883, S. 182
von Eohden in seiner gründlichen Uebersicht über die Vasenkunde in Bau-
meisters Denkmälern S. 1970 äussert sich: «Wo die Fabrik zu suchen ist,
wissen wir noch nicht. Für wahrscheinlich halte auch ich, dass sie in einer
ionischen Colonie in Süditalien entstanden sind. »
(2) Arndt, Studien zur Va3enkunde, S. 11 ff.
(3) Entführung der Europa (Abhandl. der Wiener Akademie, 1870),
S. 22, Anm. 2.
VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOI.IS 167
Figurenstreif Epheugeflecht, Blätter und Beeren (weiss) r. ge-
richtet. Unten Strahlen, je zwei roth, einer weiss ; auf dem Fuss
und um die Henkelansätze Stabornament. Hauptdarstellung wie II,
abweichend : Schlangen nur auf den zwei Vorderpfoten und den
drei Schnauzen des Hundes, dessen Bauch unten weiss war. Nur
seinen schwarzen Hals umschlang das von Herakles gehaltene
Band. Vor dessen Brust sind die Löwenbeine deutlich mit einer
Schnur verknüpft. Auch die Conturen sind theilweise graviert. Rev.
zwei geflügelte Pferde, Bull. d. I. 1869, S. 249. Sammlung Ca-
stellani an der Fontana Trevi.
IV) Am Mündungsrande Flechtband, am Halse Bukranien
und Wollbinden, auf der Schulter naturalistisches Epheugeflecht,
Hauptdarstellung : Herakles greift in Begleitung des Hermes den
Alkyoneus an. Rev. Zwei Paar Kämpfer (Ringer und Pankratia-
sten), darunter das, soviel ich weiss, dieser ganzen Gruppe ausser
N° III VI XIV gemeinsame Band von grossen nach oben gerichteten
Palmetten und Lotosblüthen. Museo Gregoriano II, 16, 2a danach
Jahn, Leipziger Berichte, 1853, Taf. VIII, 2.
V) Auf der Schulter Eberjagd. Hauptbild : Europa auf dem
Stier im Meere, Mon. d. I. VII, 77.
VI) Gleich III ungebrochen, gleicher Grösse, etwas schlankerer
Form ; das Weiss besser erhalten. Am Mündungsrand Flecht-
muster r. s. ; am Hals vorn Spiralenkreuz reicher als auf II ; jeder-
seits ein Mäanderkreuz; die zwei Epheuborten wie auf I, aber die
untere mit nach 1. gerichteten Blättern und Beeren ; Hauptbild
Europa auf dem Stier im Meere von Nike bekränzt, am Vogel
Hals, Kopf und Schwungfedern der Flügel schwarz,, der Rest
weiss, ähnlich die Flügel der Nike. Weiss auch die kleinen Fi-
sche, die Delphine schwarz. Sorgfältig graviert der Stier, bei Eu-
ropa auch sämmtliche, bei Nike die meisten Umrisse. Rev. zwei
Pferde ungeflügelt, von edler Form mit langer Mähne, in elegan-
tem Galopp vorn hoch sich hebend. Bull d. I. 1865, S. 139 f.
abgebildet Jahn, Entführung der Europa, Taf. Na. Jetzt in der
Sammlung Castellani. Diese Hydria hat ebenso wie N° II noch
einen Deckel mit spitzem Knopf.
VII) Hephaistos, am verkrüppelten Fusse kenntlich, sprengt
auf einem Maulthiere nach 1. auf den ruhig stehenden Dionysos
zu, dahinter obscoene Gruppen von Silenen und Nymphen, wie auf
168 VASENSCHERBEN AUS ICYME IN AEOLIS
der gleichen Scene der Francoisvase, Bull. d. I. 1865, S. 139 ff.
Wien, Kunstgewerbemuseum.
VIII) Am Halse Maeander-Hakeukreuz und Volutenkreuz
abwechselnd. Schulter : reicher Epheukranz. Von der Hauptdarstel-
lung ist jetzt zu erkennen Dionysos mit Kantharos nach r. ste-
hend, auf ihn zu springt ein grosser Hund, hierauf folgt ein nach
1. springendes Maulthier, welches eine weibliche (?) Gestalt, die
nach 1. eilt zum Theil verdeckt ; hinter dem Maulthier folgt ein
flötenblasender Silen. Kev. zwei Pferde. Ich zweifle nicht, dass
die Hauptdarstellung mit jener der vorigen Vase nahezu identisch
war, da gerade die Mitte des Maulthiers und Theile der dahinter
sichtbaren Figur entweder auf einem modern ergänzten Grund
sitzen oder wenigstens in der Malerei ganz modern sind. Kom,
Conservatorenpalast.
IX) Hermes nach dem Kinderraub (?). Eos und Kephalos.
Campana II, 28, Mem. d. I. II, 15.
X) Kampf zwischen Hopliten und Kentauren. Campana, II, 5
Annali. d. I. 1863, taf. E, F.
XI) Zweikämpfe von Hopliten. Heibig, Bullettino d. I.
1881, S. 161.
XII) Am Halse grosse Kosetten. Schulter-Bauch : von jeder
Seite drei Hopliten gegeneinander anstürmend, Schildzeichen: Eber-
protome, Fransenchitone. Die Farben weiss, roth, schwarz sind
abwechselnd für Chiton, Panzer und nackten Körper verwandt.
Rev. Reiter mit Peitschen. Haartracht : Krobylos. Bull. d. I.
1886, S. 63. Karlsruhe.
XIII) Jagd auf einen Bock. ßev. Jüngling zwischen zwei
Pferden. Zeichnung im Archaeologischen Apparat des Berliner Mu-
seums. M. M. 349, Annali, 1883, S. 183.
XIV) Am Halse weibliche Gestalt mit vier Flügeln nach r.
schreitend. Schulter : ein Stier ist nach 1. in die Kniee gesunken ;
von links ist ihm ein (kleiner hundeähnlich gebildeter) Löwe auf
den Nacken gesprungen und zerfleischt ihn ; Bauch : vier Epheben
nach r. stehend in halber Bückansicht, r. H. bis zur Mundhöhe
erhoben 1. hinten gesenkt. Kleidung : nur Chlamys über dem
Kreuz, auf den Unterarmen ruhend. Haartracht grosser stark ab-
stehender Krobylos. Viterbo, Sammlung Falcioni.
Diese Vasen sind sämmtlich Hydrien und stammen aus Cae-
VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS 169
retaner Gräbern (l). Die aufgezählten Gefässe sind stilistisch so
eng verbunden, dass sie jedenfalls aus einer Fabrik stammen. Die
Zeit dieser Vasen ist durch XI' XII bestimmt, welche beide mit
sogenannten tyrrhenischen Vasen zusammen gefunden wurden, welche
wir jetzt wol kaum später als die Mitte des sechsten Jahrhun-
derts ansetzen können. Damit ist, wie Helbig sah, der etruskische
Ursprung endgültig ausgeschlossen. Aber auch die Unterschiede
von den bestimmbaren griechischen Vasenclassen sind beträcht-
lich. Wenn sich manche zunächst an die chal kidischen Vasen ge-
mahnt fühlen, so liegt dies mehr am allgemeinen Eindruck, an
dem ausgesprochen ionischen Charakter, welchen beide Vasenclassen
zeigen, als am Stil im einzelnen ; alle für die chalkidischen Va-
sen charakteristischen Ornamente fehlen völlig.
Die Technik dieser grossen, exact gearbeiteten Gefässe zeugt
von sehr fortgeschrittnem Können. Die Figuren sind mitunter nach-
lässig hingeworfen und neigen zum massigen, stets aber ist die
häufig angewandte Gravierung sicher und schwungvoll. Das Weiss
i st auf Firniss aufgesetzt ; die Falten in den Kleidern sind bereits
angegeben. Namentlich die ältesten dieser Hydrien, wie es scheint,
neigen sehr zur Buntheit, so dass sogar der männliche Körper
nach Belieben schwarz, weiss oder roth gemalt wird (cf. N° I,
IX, X, XI, XII).
Für ionischen Ursprung der Classe spricht die durchweg io-
nische Tracht, der Krobylos auf XII, XIV, die ionische Bildung
der Silene, das ionischer Architektur entlehnte Ornament am Halse
von N° IV, stofflich der Lapithenkampf auf X, welcher sich bereits
auf der Francoisvase findet, und welchem auf dorischem Gebiete
der Kampf des Herakles gegen die Kentauren entspricht. Wir
werden deshalb trotz fortgeschrittner Technik unsre Vasen nicht
zu jung ansetzen dürfen, da die ionische Kunst entschieden am
frühesten entwickelt war ; wir werden auch den freien oft über-
trieben lebhaften Vortrag, sowie die Neigung zur Ueppigkeit nicht
mehr als misrathenen Archaismus, sondern als Aeusserungen des
Stammescharakters ansehn. Manche Einzelheit, welche man früher
für späten Ursprung geltend machte, lässt sich jetzt umgekehrt
(') Von IV ist der Fundort unbekannt, doch mit Sicherheit Caere vor-
auszusetzen.
170 VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS
für verhältnissmässig hohes Alter verwerten. So ist ganz eigen-
artig die Bildung der Kentauren auf N° X. Die Vorderfüsse sind
menschlich, laufen aber in Pferdehufen aus. Dies ist nicht, wie
man gemeint hat, eine Vermischung der beiden üblichen Typen,
sondern nur ein Beweis, dass der Kentaurentypus in dieser Fabrik
aus dem des Silen herausgebildet worden ist, was um so weniger
zu verwundern ist, als über die ursprüngliche Wesensgleichheit
dieser Fabelwesen wol kein Zweifel besteht. Aller Zweifel an der
Berechtigung dieser Kentaurenbildung für alte Zeit muss schwin-
den, seit dieselbe sich auf einer attischen Vase des siebenten
Jahrhunderts gefunden hat : Archaeol. Jahrbuch II, Tafel 4.
Ebenso wenig darf es uns bedenklich machen, wenn auf unsrer
Vasenclasse, wie auf später zu besprechenden verwandten Denk-
mälern Herakles abweichend vom üblichen archaischen Schema mit
der Keule bewaffnet erscheint, denn diese Waffe ist jedenfalls die
älteste, und Peisandros hat sie sicherlich nicht erst erfunden son-
dern nur aus der Sage aufgenommen.
Die bisherige Betrachtung hat uns nur gelehrt, dass die Hei-
math unserer Hydrien in einer ionischen Stadt zu suchen ist, und
dass dieselben völlig selbständig neben den andern reifarchaischen
Vasenclassen stehn. Etwas weiter führt uns die Analyse der Or-
namente und der Darstellungen. Erstere lehrt, dass rhodischer Ein-
fluss, und, soweit wir bis jetzt sehen können, nur dieser, auf die
Verfertiger unsrer Vasen eingewirkt hat. Unzweifelhaft rhodisch
ist zunächst das öfter wiederkehrende Halsornament, das Maeander-
hakenkreuz verbunden mit dem Kreuz, dessen Enden in zwei Voluten
auslaufen. Da von korinthischem Einfluss die ganze Vasenclasse
keine Spur zeigt, so wird man auch das Flechtband auf N° IV
von Khodos herleiten müssen ; ebenso hat die grossblättrige natu-
ralistische Epheukante nur in Khodos ihre Vorbilder. Endlich
dürften die grossen Lotosblüthen auf rhodischen Einfluss zurück-
zuführen sein, und ebenso die noch nicht an feste Eegel gebundne
Verwendung des Stabornaments.
Auf rhodischen Schalen wird dieses noch zur fächerartigen
Ausfüllung von Kreissegmenten verwendet, daneben schon am Fusse
von Schalen nach aufwärts gerichtet (Archaeol. Jahrbuch, I,
S. 143), und, wenn auch in flüchtiger Zeichnung, an der später
allein üblichen Stelle, dem Halsansatz (ebenda S. 1 40) von einem
VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS 171
Streifen aus fächerförmig nach unten hängend findet es sich mit
grossen Lotosblüthen abwechselnd auf unpublicierten rhodischen
Vasen in Berlin N° 1648, ganz ähnlich den Palmetten der Bu-
sirisvase. Bei den Caeretaner Vasen findet es sich innerhalb des
Halses, am Halsansatz, rosettenförmig die Hänkelansätze umgebend
und am Fuss.
Aehnlich freie Verwendung findet sich bei den gleichfalls
rhodisch beeinflussten kyrenäischen Vasen und bei einer wahr-
scheinlich aus Naukratis stammenden sehr alten Hydria aus Vulci.
Micali, Mon. ined. tav. 4.
Dieser rhodische Einfluss würde an sich nicht gegen eine
griechische Fabrik in Italien sprechen, denn derselbe Einfluss ist
ganz augenfällig in etruskischer Manufactur, obwohl bis jetzt nur
sehr wenig rhodischer Import nachgewiesen ist. Dagegen ist ent-
scheidend gegen Fabrikation auf italischem Boden die genaue
Vertrautheit mit Aegypten, welche die Vasenmaler verrathen.
Auf der Busirisvase (I) ist der Kopftypus der Aegypter und
Neger, sowie die Tracht Kalasiris und Schurz mit einer Richtig-
keit wiedergegeben, welche sich nur aus Autopsie erklären lässt.
Aber sogar in die griechische Tracht sind aegyptische Motive ein-
gedrungen. Der Schluss der Chlamys auf der Brust der Jäger auf
N° I in Form von zwei spitzen Zipfeln ist der aegyptischen Tracht
nachgebildet ; auf N° XII tragen griechische Hopliten einen ae-
gyptischen Linnenpanzer mit Fransen.
Auch der naturgetreu gebildete Affe auf N° V spricht für
Kenntniss Afrikas, obwohl auf attischen und chalkidischen Vasen (*),
sowie auf etruskischen Malereien Affen vorkommen. Endlich könnte
man sogar geneigt sein, die Gleichgültigkeit gegen rechts und
links am menschlichen Körper auf die bekannte aegyptische Ge-
wohnheit zurückzuführen, nach links gerichtete Figuren nur un-
vollkommen von den nach rechts gerichteten umzuzeichnen (vgl.
Ermann, Aegypten, S. 533). Aehnlich wie der dort abgebildete
Prinz (nach Lepsius D. II, 20, 21) das kurze Scepter in unmög-
licher Weise mit der linken Hand horizontal hinter dem rechten
Oberschenkel hält, schwingen auf der Eberjagd von I einzelne
(*) Auf der chalkidischen Amphora in Florenz, Journal of hellenic Stu-
die», VII, S. 197, am Fuss der Kline, auf der Abbildung kaum zu erkennen.
172 VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS
Jäger ihre Lanze mit der linken Hand hinter dem rechten, be-
ziehungsweise mit der rechten hinter dem linken Ohr vorbei, um
völlige Symmetrie zu wahren. Gut verständlich würde bei der
Bekanntschaft mit Afrika auch sein, dass die Nike auf N° VI
genaue Analogien auf kyrenaeischen Schalen hat.
Wegen dieser afrikanischen Beziehungen schien mir um die
Mitte des sechsten Jahrhunderts eine Fabrik auf italischem Boden
ausgeschlossen zu sein; am liebsten hätte ich, wie ich dies Bul-
lettino, 1886, S. 64, ausgesprochen habe, eine ionische Fabrik
auf aegyptischem Boden angenommen, etwa das phokaeische oder
milesische Quartier in Naukratis. Es ist indess zuzugeben, dass
die erwähnten Eigenheiten sich auch in einer ionischen Stadt mit
lebhaften Handelsbeziehungen zu Aegypten, wie Samos, entstanden
denken liessen ; am östlichen Mittelmeerbecken ist indess mit Ent-
schiedenheit festzuhalten.
Ich glaube nun, dass diese Erwägungen durch den kymaei-
schen Fund nicht unwesentlich unterstützt werden. Die stilistische
Verwandtschaft dieser Scherben mit unsrer Vasengruppe ist augen-
fällig. Uebereinstimmend ist stilistisch die grosse Lebhaftigkeit
der Darstellung, die laxe Breite der Zeichnung verbunden mit
scharfer Gravierung; von Ornamenten kehrt auf beiden Seiten die
Epheukante wieder, die Tracht stimmt bis ins einzelnste überein;
der Krobylos fand sich auf den Vasen XII und XIV, der ionische
Chiton der Nymphe kehrt mit genau derselben Musterung auf
der Vase N° V zwei mal wieder. Der Eeiter als Bild der Rück-
seite fand sich auf der Vase N° XII. Der freilich misslungene
Versuch einer Rückansicht kehrt auf den Vasen N° I und XIV
wieder. Dass der Silen auf den kymaeischen Scherben seine Pferde-
hufen eingebüsst hat, ist Zufall, wie dieselben ja auch auf den
jüngeren chalkidischen Vasen zum Theil fehlen.
Merkmale grösserer Altertümlichkeit sind auf der kymaeischen
Scherbe das auf Thongrund aufgesetzte Weiss und das völlige
Fehlen der Falten im Chiton der Nymphe, natürlich braucht deshalb
diese nicht älter zu sein als die Masse der Caere tan er Gefässe.
Vollständig abweichend ist der Thierstreif ; diesen vermeiden
die Caeretaner Vasen so sehr, dass z. B. bei N° XLI zwischen
dem Lotos- und Palmettenband und der Darstellung lieber ein
breiter thongrundiger Streifen leer gelassen ist. Anders zu beur-
VASENSCIIERBEN AUS KYME IN AEOLIS 173
theilen ist die selbständige Darstellung des Thierkampfes auf
N° XIV (')•
Die bisher ermittelten Bestimmungspunkte für die Caeretaner
Vasen waren folgende : Export nach Caere, ionischer Stil, rhodi-
sche Beeinflussung, Bekanntschaft mit Aegyptan, Vorkommen eines
verwandten Stiles in Kyme. Hinzu kommt ein sechster Punkt,
auf welchen sogleich näher einzugehn sein wird. Die Caeretaner
Hydrien sind nicht nur nach Etrurien importiert worden, sondern
sie haben auf die Kunst in Italien den weitgehendsten Einfluss
geübt und werden fast unmittelbar fortgesetzt durch eine ausge-
dehnte, allerdings wenig erquickliche Vasengattung, deren bessere
Exemplare noch aus dem Mutterlande importiert sein können,
deren grosse Masse aber in einer der Griechenstädte Unteritaliens
entstanden sein wird.
Die Zusammengehörigkeit dieser Vasen mit den Caeretaner
Hydrien ist stilistisch wie stofflich deutlich, nur dass sich in beiden
Beziehungen eine fortschreitende Verrohung verräth.
Mythisch interessante Stoffe kommen, abgesehen von der Gi-
gantomachie, nicht mehr vor ; einen sehr grossen Raum nimmt
dagegen der bakchische Thiasos ein ; die Darstellungen sind immer
üppig, häufig obscoen. Die Silene haben fast ausnahmslos den
ionischen Typus. Der beliebte Revers der Caeretaner Hydrien, ein
Jüngling zwischen zwei, häufig geflügelten, Pferden wird auch hier
beibehalten. Die Decoration ist arg heruntergekommen. Selten be-
gegnet das Stabornament, das Bedürfniss wird fast ausschliesslich
bestritten durch verschiedene Combinationen einzelner herzförmiger
Blätter. Sehr beliebt sind einzelne aus dem Boden spriessende
spitze Knospen und tellerförmige Blumen, welche bei einer jungen
Untergruppe durch die attisch stilisierte Weinrebe mit runden
0) Auch die korinthische Form der Vase ist abweichend, aber nicht
ohne Analogie. Dieselbe Form hat ein wahrscheinlich grossgriechisches Ge-
fäss im Berliner Antiquarium N° 2137 (Furtwängler S. 471), welches im Stil
den Caeretaner Hydrien sehr nahe steht. An die Caeretaner Gefässe erinnert
namentlich die lebhafte und stilvolle Gravierung, speciell an die kymaeischen
Scherben, dass nur die Innenzeichnung graviert ist. Auch die Darstellung
reiht sich den Caeretaner Vasen I-IV an: A. Herakles nach r. bekämpft m it
der Keule den mächtigen ins Knie gesunkenen Stier; i?. Jüngling mit Speer
nach r. hinter Flügelross. Dieselbe Form und denselben wä9srigen röthlichen
Firniss zeigt das spätgeometrische Gefäss aus Corneto, Berlin 1262. Unmöglich
ist es nicht, dass diese Gefässe griechisch sind; dagegen sind die schmuck-
und werthlosen Berliner Vasen N. 2138 und 2142-45, welche dieselbe Form
zeigen, wol sicherlich nicht importiert.
174
VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS
Blättern ersetzt werden. Vereinzelt kommt die einfachste Form
des Maeanders uid die Palmette vor. Auch diese sind wol auf
fremden Einfluss zurückzuführen. Die Bewegungen der Figuren
sind noch übertriebener lebhaft als auf den Caeretaner Gefässen.
Während dort das Haar meist in schwerer Masse herabhieng flat-
tert es hier im Winde lang nach, die Spitzen sind meist etwas
aufwärts gekrümmt. Die Musculatur ist scharf graviert, sogar
durch die weiblichen Gewänder hindurch. Der Firniss ist glänzend
schwarz, andre Farben ausser Weiss sind nicht verwandt. Die
Tracht ist durchweg ionisch. Die nachlässigsten, wahrscheinlich
jüngsten Exemplare, haben soviel fremde Anregungen aufgenom-
men, dass sie von schlechten Exemplaren andrer Vasenclassen
kaum zu unterschieden sind.
Um den Zusammenhang dieser Classe mit den Caeretaner
Hydrien zu veranschaulichen, bilde ich im Folgenden einige hier-
hergehörige Neapler Vasen, deren Kenntniss und Abbildung ich
Studniczka verdanke, ab, einige unpublicierte Vasen beschreibe ich,
auf die publicierten verweise ich kurz.
1) Hydria mit zweistabigem Haupthenkel (Fig. 1) Neapel
Inv. 2665, Canino 369, Heydemann 2757. Am Mundrand lie-
gende Kante aus Herzblättern. Auf der Schulter : zwei nach aussen
schreitende Sphingen zwischen den Henkeln Pflanzenornamente,
über der Darstellung Punktreihe zwischen gegenständigen Herz-
blättern (Fig. 2) (1). Hauptdarstellung am Bauch von links be-
-u
F;*
(!) Von den doppelten Contouren bedeutet der stärkere die Ritzlinie,
der schwächere die Grenze des Firniss.
VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS
175
ginnend : Geflügeltes Pferd nach rechts springend, nackter Jüng-
ling im archaischen Laufschema nach r., Flügelpferd nach 1. sprin-
gend, zwei nach 1. laufende nackte
Jünglinge (Fig. 3). Am Fuss Stabor-
nament nach unten.
2) Amphora (Fig. 4) Neapel Inv.
2626, Canino 369, Heydemann 2717.
Am Mündungsrande aussen gegenstän-
dige Herzblätter. Auf der Schulter bei-
derseitig zwei nach links galoppierende
geflügelte Pferde, dahinter Sirene, da-
rüber breites Stabornament mit Kuge-
lornament vor den Zwickeln (Fig. 5).
Am Bauch umlaufend fünf nach links
galoppirende Rinder. Zwei davon gibt
Fig. 6.
12
176 VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS
3) Oinochoe plumper Form (Fig. 7). Schulterbild : Stier zwi-
schen zwei Panthern (Fig. 8). Am Bauch auf ausgespartem Felde
vier tanzende Silene, dazwischen Weinreben (Kopfvignette). Dass
diese Vase sehr jung ist, beweist das Schulterbild, welches seine
stilistischen Analogieen auf apulischen Vasen und etruskischen
Spiegeln findet sowie die richtige In-
nenzeichnung bei den Silenen. Nächst
verwandt ist :
4) Hydria. Inghirami, Pitture del
vasi elrmchi, II, 109, 110. Auf der
Schulter tanzende Silene. Auf dem Bau-
che Götterversammlung.
5) Amphora. Micali, Mon. ined.
tav. 37, 1. Auf der Schulter nur Blätter
und Palmetten, Hauptdarstellung am
Bauch Gigantomachie (sechs Giganten
gegen sieben Götter, die Giganten mit
Thierfellen und Steinen, die Götter als Hopliten. Hermes mit
hohem Hut auf Viergespann) ('). Verwandt ist die
C1) Hierher gehört denn auch eine Anzahl in Italien gefundener Bronze-
beschläge. Der beste derselben ist Denkmäler I, 21 neu publiciert. Obwolil
er stofflich mit unserer Vasenclasse sich am nächsten berührt, steht er sti-
listisch den Caeretaner Vasen noch nicht nahe. So ist mir Hermes mit dem
langen Chiton nur hier (') und auf Hydria N. IV vorgekommen, der aegyp-
VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS 177
6) Amphora Würzburg 81 ('). Am Halse beiderseits hüp-
fende bärtige Silene, dazwischen bartlosen (erotisch?). Auf dem
Bauch Zweikämpfe von vollgerüsteten Hopliten. Dass die Giganto-
machie gemeint ist, sieht man aus der Anwesenheit des Herakles.
Er kämpft mit geschwungener Keule nach r. ; der linke Arm ist
mit dem Löwenfell umwickelt und weit vorgestreckt. Der Held
ist unbärtig und trägt einen Panzer, aber keine Beinschienen.
7) Hydria. Micali, Mon. ined. tav. 37, 2. Schulterbild : Zwei
Götter als einfache Hopliten gebildet, der eine mit Krobylos, be-
kämpfen Typhoeus. Bauch : Jüngling zwischen zwei geflügelten
Pferden.
8) Unsichre Form (Hydria?). Micali, Mon. ined. tav. 39.
Erste Darstellung (Bauch ?) von links beginnend : Vogel nach
rechts, Jüngling mit Flügeln an Hüften und Fersen nach links
springend. Vogel nach 1. Pferd mit Flügeln an Schultern und
Hufen nach 1., menschenfüssiger Kentaur nach 1. springend. Vogel
nach 1. Dazwischen Knospen, Lorbeerzweige und Weinreben. Zweite
Darstellung (Schulter?): Prothesis : auf einer Kline liegt der ver-
hüllte Tote, vier Leidtragende nach 1. ; dahinter Vogel.
9) Amphora. Micali, Mon. ined. tav, 43, 3. Schulter : zwei
Sphingen nach 1. ; Bauch : Sirenen mit Menschenarmen. Viel Blätter
und Knospen. Sehr verwandt Berlin 2152.
10) Amphora Würzburg 82. Auf der Schulter Löwe mit
Mähne und männlichem Gliede, aber mit strotzenden Zitzen nach
links schreitend ; vor ihm Vogel nach 1. sich umblickend. Am
Körper : Umlaufender Fries von pferdefüssigen ithyphallischen Si-
lenen und nackten Mänaden. Aus dem Boden wachsen spitze
Knospen und Phalloi. In der Luft grosse Vögel. Aehnlich Berlin
4024. Beschreibimg biehe Furtwängler.
11) Hydria. Rom, Museo Gregoriano. Schulter: Eine grosse
säugende Häsin wird von einem grossen Hunde und zwei ganz
kleinen Mänaern mit Lagobolon verfolgt, von welchen nur der
tisirende Chlamysschluss nur hier (2) und auf Hydria N. I. Dagegen kehrt
der Pferdeschmuck der Bronze auf Vase 1 und 2 unsrer Classe wieder. Streng
und gut sind die Ornamente der Bronze, sie wird grossgriechischen Ur-
sprungs sein.
(*) Notizen und Skizzen aus Würzburg verdanke ich Böhlau.
178 VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS
vordere mit einem Chiton bekleidet ist, am Boden Blumen unter
dem Hunde ein kurzbeiniges kleines Thier mit einem Kamm auf
dem Rücken, am ehesten ein Igel. Am Körper drei Mädchen mit
lanofflatterndem Haar im archaischen Schema nach rechts laufend,
mit ionischem Aermelchiton bekleidet. Die Falten und die Mus-
culatur namentlich am Knie sind sorgfältig graviert. Verwandt ist
12) Hydria abgebildet bei Micali, Storia, tav. 82, 3. An
der Schulter nur Ornamente, gewelltes Band und Palmetten, dar-
unter Kante aus horizontalen Herzblättern nach rechts. Am Körper
nach 1. laufende männliche Figuren, in der Hand eine Art Pfeil-
stab, die Chlamys schurzartig um die Hüften geschlungen, da-
zwischen Weinreben.
Endlich wies mir Wolters in der Sammlung Fontana drei
hierhergehörige Vasen nach.
13) Eine kleine Amphora kommt nach Bonn. Auf der Schulter
Augen und Blätter. Am Körper umlaufend vier nach 1. schreitende
Sphingen. Nach Göttingen kommt eine unbedeutende Oinochoe,
welche nur mit Augen, Eanken und Silenmasken mit ausge-
streckter Zunge decoriert ist, genauere Bekanntschaft verdient
indes der Becher,
14) welcher nach Breslau kommt. Die Form sowohl des
Gefässes, wie des hohen Henkels ist bereits im Dipylonstil vor-
gebildet ; indessen weisen die zahnartigen Ansätze am Henkelfuss,
die schienenartige Verstärkung oben am Henkel, der plastische
Ring am Boden des Bechers und in der Mitte des Fusses auf
Metallvorbilder (Fig. 9). Ornamente und Darstellungen sind sehr
altertümlich. Auf der Innenseite des Henkels ist ein zweigartiges
Ornament gemalt, am Rande ein einfacher Mäander, mit kleinen
Quadraten ausgefüllt. Auf dem Körper ist ein Kampf zwischen
drei unbärtigen Kentauren dargestellt. Alle drei sind mit mensch-
lichen Vorderbeinen gebildet, und schwingen als Waffe einen
hirschgeweihartig stilisierten Zweig wie jene auf der altattischen
Vase, Jahrbuch, II, 4, und der Chiusiner Elfenbeinsitula, Mon.
d. I. X, 39 a. Der isoliert nach rechts kämpfende Kentaur hat
ganz kurzes punktiertes Haar und menschliche Ohren, seine beiden
Gegner haben einen langflatternden Schopf und Pferdeohren. Zu
beiden Seiten des äusseren Henkelansatzes eine Volutenblüthe.
Auch diese findet ihre Analogie auf der erwähnten Chiusiner Si-
VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS 179
tula und den verwandten Strausseneiern, sowie auf den altatti-
schen und den sehr alten melischen und korinthischen Vasen.
Zwischen den Kämpfenden wächst aus dem Boden ein herzförmiges
Blatt (Fig. 10).
Ich schliesse hier die Uebersicht über diese Vasenclasse,
deren Gränze weder nach oben noch nach unten genau zu be-
stimmen ist, und zu deren richtiger Beurtheilung erst durch Aus-
scheidung der fremden Einflüsse (l) der reine Typus hergestellt
werden müsste, wozu umfassendere sorgfältige Publicationen nö-
thig wären.
Unzweifelhaft ist der Zusammenhang mit den Caeretaner
Vasen, für welche ich unbedenklich ostgriechischen Ursprung in
Anspruch nehme.
Andrerseits zeigen die gleichfalls verwandten Kymaeer Scher-
ben, dass Nachlässigkeit der Ausführung kein Grund gegen grie-
chischen Ursprung ist. Wären dieselben in Caere gefunden, so
würde man sie wol für etrurisch halten.
Nun sind ja Vasen der letztbesprochenen Classe zu be-
stimmter Zeit ohne Zweifel an mehreren Punkten Italiens, nur
nicht in Etrurien gefertigt worden, und werden sich danach später
noch Unterabtheilungen bilden lassen.
Wichtiger aber als die Ausläufer dieses Stiles ist die Frage,
welche griechische Stadt ihn in Italien eingeführt hat. Eine si-
chere Antwort lässt sich hierauf noch nicht geben, doch gebietet
der ausgesprochen ionische Stil eine gewisse Beschränkung. Fol-
gende Hypothesen werden allen bis jetzt ermittelten Thatsachen
gerecht, einen weiteren Anspruch erheben sie nicht :
1) Die Caeretaner Vasen stammen aus Phokaea. Hieraus
würden sich sowohl die rhodischen Elemente als auch die Vertraut-
heit mit Aegypten durch die Theilname an der Colonisation von
Naukratis erklären. Dann würden die kymaeischen Scherben eine
locale Differenzierung dieses Stiles darstellen, die besprochene ita-
lische Gruppe den Verfall desselben Stiles, dessen Uebertragung
wahrscheinlich durch die Phokaeer in Elea erfolgt sein würde.
(') Ausser attischen Vasen hat namentlich die von mir im vorigen
Bande dieser Zeitschrift zusammengestellte Vasenclasse Einfluss geübt (Sphinx,
Sirene, Fussflügel, Zweige).
180 VASENSCHERBEN AUS KYME IN AEOLIS
2) Die kyinaeischen Scherben sind aus Phokaea importiert.
Dann würden die Caeretaner Hydrien einen Aufschwung desselben
Stiles in der naukratischen Colonie darstellen ; die italischen Vasen
würden wie im vorigen Falle zu beurtheilen sein.
Zwei schwierige Aufgaben sind für das italische Kunsthand-
werk noch zum grössten Theil zu erledigen : erstlich die genaue
Sonderung des griechischen Imports und der italischen Nachbil-
dungen, zweitens die stilistische Analyse der letzteren. Wenn nun
die italischen Funde sowohl die sicher einheimischen wie die noch
nicht bestimmbaren griechischen ausgesprochen ionischen Charakter
zeigen, welcher sich durch den von Cumae ausgehenden chalkidi-
schen Einfluss doch nur zum Theil erklärt, so ist jedes authentisch
kleinasiatische Denkmal für die italische Handelsgeschichte von
grosser Wichtigkeit, und dieser Umstand möge die ausführliche
Besprechung der kymaeischen Scherben entschuldigen, wenn sie zu
endgültigen Resultaten auch nicht geführt hat.
Berlin 3. September 1888.
Ferdinand Düemmler.
SCAV1 DI POMPEI 1886-88
Insüla viii, 2.
(Tav. VII).
Gli scavi di Pompei negli anni suindicati furono rivolti a due
punti : a quella fila di case che sul margine meridionale della cittä
si stende dal foro triangolaie verso la basilica e le case dette « di
Championnet ■ (is. VIII, 2) e all' isola XI, 7 che sta ad Oriente
della casa detta « del Centenario ■ (ins. IX, 6). Parlerö prima del-
l'isola VIII, 2.
Cogli scavi descritti Bull. 1884 p. 210 sgg. si era arrivati fino
a quel punto ove la strada che dal foro triangolare conduce verso 0,
s'incontra con quella che dirimpetto all' ingresso laterale dell* edi-
fizio d'Eumachia si dirama dalla via ■ dell' Abbondanza ■ . Ora ci
rimane a parlare del tratto fra questo punto e 1' angolo che la strada
suddetta forma con quella ■ delle scuole ■ , ovvero col prolungamento
meridionale del foro. Ne diamo sulla tav. VII la pianta.
Anche queste case hanno un piano inferiore che scende sul
margine della citta e sul posto dell'antico muro di cinta, del quäle
su questo tratto non comparisce alcuna traccia ; ma siccome la
distanza fra la strada ed il margine qui e minore, cosi i piani infe-
riori sono di poca estensione, ed e stato possibile indicarli (sgraf-
fiati) sulla pianta stessa delle case. Anche queste case furono ster-
rate, incompletamente perö, ai tempi dei primi scavi, e poi ricoperte.
N. 28.
La casa, meno forse il piano inferiore, esisteva, essenzialmente
nella forma attuale, fin dai tempi sannitici ( ■ epoca del tufo ■ ). Ne
fanno fede alcuni avanzi di quelle costruzioni antiche. Lo stipite d.
182 SC AVI DI POMPEI
dell'ingresso e la parte d. della facciata ; le colonne di tufo intorno
l'impluvio ; un avanzo di decorazione del primo stile sul muro d. del
tablino ; i pavimenti della fauce (b), delle ale e del tablino. La casa
fu poi ricostruita con stipiti ed angoli di mattoni alteruati regolar-
mente con pietre di forma analoga ; le parti inferiori li hanno esclu-
sivamente di tali pietre. Le decorazioni conservate mostrano tutte
rultimo stile, ne havvi motivo alcuno che ci costringa a tar risalire
la ricostruzione, compreso il piano inferiore, oltre i tempi di que-
sto stile.
In generale fin da quando si aggiunsero alle case i peristilii,
la vita domestica si ritirö nelle parti posteriori ; V atrio, che una
volta ne era il centro, divenne una sala d'ingresso, le camere cir-
coniacenti erano locali trascurati: dispense, dormitorii, servili ecc. ([).
Qui pero, ove mancano parti posteriori di qualche rilievo, 1' atrio
rimase il centro della casa. Lo troviamo circondato dai triclinii s g o,
dai cubicoli i l p, dalla dispensa r, dalla cucina e. E siccome 1' atrio
stesso non poteva servire, come al solito, da anticamera, cosi questa
fu fatta accanto al vestibolo. La riconosciamo con certezza in ö, che
ha appie del muro N ed E un sedile di fabbrica, coperto antica-
mente d'una tavola sia di legno sia di marmo. Per essa si poteva
passare nell'atrio senza apriro il portone. Servivano senza dubbio
ad uno scopo analogo i sedili murati nel vestibolo della casa n. 34
{Bull. 1886 p. 149) mentre nella casa « di Giuseppe II » {Ball. 1887
p. 121) e chiaro che Y atrio serviva da anticamera.
Sopra una soglia di lava senza porta s'entra nel piccolo vesti-
bolo a con pavimento di Signinum nel quäle sono irregolarmente
disposti pezzetti di marmo ; le pareti sono rivestite di stucco grezzo.
A sinistra si passa nella giä mentovata anticamera c. La porta delle
fauces (1,86 X 3,15) b era fiancheggiata da anlepagmenta in forma
di grossi pilastri di legno, larghi almeno m. 0,36, sporgenti avanti
allo stucco del vestibolo m. 0,15 almeno. Era a due battenti ; sol-
tanto il catenaccio, a d. ha lasciato la sua traccia sulla soglia ;
l'altro battente e probabile che per lo piü rimanesse chiuso, e qui
il solito catenaccio, che scorreva nella grossezza della porta, era
raforzato da un altro applicato sul lato interno e del quäle pure
si vede il buco nella soglia. Le pareti son dipinte nell' ultimo stile
(') Cf. Nissen Pompe}. Studien p. 632 seg.
INSVLA VIII, 2 183
a fondo rosso. Agli angoli verso l'atrio non vi erano antepagmenta,
ma sono indicate dalla pittura mediante una striscia verticale nera
inclusa fra due strisce verdi, che sullo spigolo stesso (0,16 su
ciascun lato) interrompe il disegno dell'angolo, fatto a guisa di pi-
lastro ornato di rettangoli concentrici. II pavimento, che verso l'in-
temo s'inalza di m. 0,50, e di Signinum con ornati (squame e greca)
di pietruzze bianche. Fu rotto ove passa il condotto che dall'im-
pluvio porta l'acqua sulla strada e rimpiazzato su questo tratto da
Signinum senza ornati, uguale, come pare, a quello dell'atrio. Presso
quest' ultimo evvi, piü a d., un buco per appoggiarvi la trave obli-
qua con la quäle si fermava la porta.
L' atrio, grande m. 8,76 (di dietro 8,79) X 12,78 (a sin.
12,73) e tetrastilo. Soltanto in epoca posteriore il piede delle co-
lonne dalle scanalature ioniche fu circondato da una base rivestita
di marmo, e furono fino am. 1,50 sop:a questa base intonacate
senza scanalature e dipinte di color giallo con strisce bruDastre
che s'incrociano. Le ale q h non si trovano al posto solito ma nel
centro di ciascun lato, comep. es. nella casa di Epidio Rufo (IX, 1, 20)
ed in quasi tutte le case dell'isola IX, 4 (vd. Bull. 1879 p. 23).
Quella a sin. , q, e meno profonda a causa della forma irregolare
della casa ; in larghezza erano in origine uguali : lo dimostra il
pavimento ; nella ricostruzione perö quella a d. fu fatta un po' piü
larga e furono tolte le ante che ne restringevano 1' ingresso, in
modo che ora una linea in prolungamento delle par.ti laterali ver-
rebbe a rasentare dal lato interno le colonne dell'impluvio. E per
marcar meglio tale corrispondenza gli stipiti di quest' ala, accanto alle
antepagmenta che ne rivestivano l'angolo, furono dipinti, tanto dalla
parte dell' atrio che dell'ala, nel modo stesso, almeno nella parte in-
feriore, come le colonne. In tal modo le due ale non sono piü due
membri equipollenti, ma la sin., piü stretta e piü profonda, con le ante
d'ingresso, e caratterizzata come luogo da trattenervisi, l'altra come
prospotto, quasi un secondo tablino. Giova ricordare la casa IX,
5, 6 ('), ove delle due ale, situate come qui in mezzo ai due lati
dell'atrio, una (la sin.) e molto piü alta dell'altra ed in tal modo
prende quasi il carattere d'un tablino. La decorazione in ambedue
le ale e semplice a fondo bianco, non conservata in alcun punto
(') Bull. d. Inst. 1879 p. 91 sgg. Overbeck-Mau Pompeji 4 pag. 289.
184 SCAVI DI POMPEI
fino all'altezza dei quadri ; il pavimento di Signinum con ornati
(greca , soglia di squame) rimonta senza dubbio all'epoca del
primo stile decorativo ed e evidentemente anteriore a quello del-
l'atrio.
II tablino n aveva la porta a quattro battenti, come si vede
dagli incavi della soglia di travertino ; essa si apriva dalla parte
dell'atrio. Negli stipiti gli spigoli rivolti al tablino erano riveatiti
di antepagmenta. Essendo distrutte le parti posteriori dei muri
laterali, non si puo decidere se fosse, come ho supposto nella pianta,
in comunicazione con le stanze adiacenti. Della decorazione delle
pareti e conservato soltanto lo zoccolo (fondo nero); il pavimento
e composto di pezzetti di travertino messi in istucco, di quel ge-
nere che si trova anche nella casa del Fauno, ma meno ben lavo-
rato. La soglia posteriore non e conservata.
II pavimento dell'atrio e Signinum con stellette composte di
pietruzze bianche e nere. Intorno all'impluvio e piü recente e di
qualitä inferiore : fu tolto cioe l'antico impluvio di tufo per farne
uno di marmo, e siccome questo ricevette un margine meno largo,
cosi rimase una lacuna che fu riempita con quella massa meno
buona. II marmo poi e stato portato via negli scavi anteriori : ne
e rimasto un piccolo avanzo all' angolo NO e le lastre che cuo-
prono le bocche della cisterna. Dali' impluvio il solito canaletto
portava le acque sulla strada ; ha nella fauce uno sfogatoio chiuso
con una lastra tonda di tufo. Nell'ala ,d., appie delle pareti late-
rali e a poca distanza dagli angoli dell'ingresso, due tubi di piombo
(diam. interno 0,07) passano verticalmente per il pavimento, e da
questi due punti due canaletti coperti, posteriori al pavimento
deH'atrio, che s'uniscono presso lo stipite d. dell' ala, con due sfo-
gatoi arrivano fino all'impluvio (vedi la pianta).
Senza alcun dubbio questi tubi provenivano dal piano di so-
pra ; quasi nascosti dietro le antepagmenta davano paco negli oc-
chi. Ma non saprei indicar lo scopo cui un simile apparecchio po-
teva servire. Quand' anche si volesse supporre che quella parte della
casa invece del tetto inclinato verso l'interno fosse coperta da una
terrazza, rimarrebbe sempre incomprensibile, perche le acque ca-
dute su tale terrazza non fossero condotte sul tetto dell' atrio e
quindi nell' impluvio.
Un altro canaletto dalT angolo SE dell' impluvio si dirige verso
INSVLA VIII, 2 185
SE e quindi ad E. In k una scala conduce in un locale sotterra-
neo, ed ivi nel lato 0 del vano della scala si vede Timpronta di
un tubo d'acquedotto che vi discendeva e forse era collocato nel canale
suddetto, il quäle anch' esso e posteriore al pavimento dell'atrio.
Tutte le porte intorno all'atrio avevano antepagmenta fermate
con rampini di ferro; solo in op non n'e rimasta traccia, mancan-
dovi lo stucco e le soglie. Kivestivano nelle ale gli angoli, 0,17-0,19
verso l'atrio, 0,15-017 verso l'ala, nelle altre camere l'intera pro-
fonditä della porta e una stnscia di in. 0,17 dalla parte dell'atrio.
Nell'angolo NO dell'atrio stava il larario, posteriore alla de-
corazione delle pareti. 11 basamento, alto con la lastra di marmo
sovrappostavi 1,16, grande 1,25 X 0,85, e dipinto ad imitazione
di marmi. L'edicola non e conservata; la sua facciata rivolta a S
era sorretta da due colonnine. Tre gradini rivestiti di marmo, per
collocarvi gli idoletti, sono addossati al muro N, ove anche si
vedono pochi avanzi della pittura lararia.
e (m. 4,94 X 3,51) e la cucina ; a d., e dirisa da essa per
un muro sottile, evvi la scala del piano superiore. Siccome vi e
questa sola scala, ne si puö credere che sul lato opposto non vi
fossero camere superiori, ne che per arrivare a que^te si dovesse
passare per tutte le camere intermedie, cosi e probabile che fos-
sero accessibili mediante una galleria di legno situata sotto il tetto
dell'atrio. Accanto alla scala evvi il focolare, con muricciuolo sul
suo margine sin., ed il cesso /; tanto questo quanto la cucina
avevano una finestrina sulla strada, ma quella della cucina fu mu-
rata anticamente.
s e g sono triclinii, dipinti ambedue neu' ultimo stile, s a
fondo nero, g a fondo rosso. Le pitture sono senza valore ; in s
(3,29 [4,0] X 4,90) si vedono animali (grifoni, una pantera) nei cen-
tri degli scompartimenti, e qualche sacello nello scompartimento
medio del muro di fondo. In g (3,81 X 4,43) pare che simili fi-
gure non vi fossero ; invece evvi nel pavimento, che del resto e della
medesima massa ordinaria come in s, un rettangolo (1,35 X 1,48)
composto di lastre quadrate e triangolari di marmo, non nel cen-
tro, ne dirimpetto alla porta, ma in un posto che io non so perche
sia stato scelto. Un terzo triclinio era o (3,77 X 6,35) ; qui tutto
il pavimento era composto di lastre quadrate e triangolari di marmo,
delle quali perö poco e conservato.
186 SCAVI DI POMPEI
Fra i cubicoli i (2,84 [3,27] X 4,10) conserva qualche avanzo
della decorazione nell' ultimo stile, p ha le pareti rozze e perciö
ed anche per le piccole dimensioni (1,90 X 3,80) puö credersi un
dormitorio servile. — l (3,70 X 2,62) mostra qualche avanzo d' un
pavimento in musaico bianco e nero ; le pareti erano dipinte nel-
1' ultimo stile. I migliori pavimenti in / e o dimostrano anche
qui la solita predilezion3 per i locali posteriori.
A sin. del tablino il corridoio m porta sulla terrazza t ; era
chiuso con una porta a due battenti che s'apriva verso 1' interno.
A sin. di m evvi ancora la cameretta k (2,78 [2,96J X 2,37) dalla
quäle una scala stretta ed incomoda (2 gradini verso N, 10 verso 0)
di opera incerta rivestita di stucco rossastro per l'aggiunta di pol-
vere di mattoni, conduce nel sotterraneo. Poteva essere chiusa
con una specie di coperchio, del quäle si vede l'incastro.
Questa perö era una discesa abolita dagli antichi stessi, i quali
discendevano nei locali sotterranei, sottoposti alla terrazza t e sgraf-
fiati nella nostra pianta, per la scala u. Quei locali sono, oltre i
vani di comunicazione, una specie di grotta, che poträ chiamarsi
ninfeo, e un cubicolo col proeoeton.
Dalla scala u s'entra prima in una specie di anticamera v, di
forma irregolare, le cui due parti sono coperte ognuna con una volta
cilindrica. Le pareti son dipinte neu' ultimo stile, a fondo giallo
con zoccolo rosso, la volta con stelle gialle, verdi e rossastre su
fondo bianco. Nel muro S, grosso m. 1,20, evvi una grande fine-
stra che arriva fino al pavimento (1,35X2,22). Neil' angolo NO
sta incastrato nel suolo un recipiente cilindrico di lava (diametro
esterno 1,0, interno 0,41) con incastro per un coperchio; e ancora
pieno di cenere.
Sopra due gradini poi si scende nella grotta x, grande m. 5,40
X 3,60, alta fino al nascimento della volta a botte 2,55, fino alla
sommitä 4,0, con una grande finestra (larga 1,93), per la quäle si
godeva la vista di Stabia, Sorrento, Capri, l'isola di Kevigliano ed
il monte Santangelo. II pavimento e formato di lastre di tufo presso
a poco quadrate (0,60-0,70) con strisce di marmo frappostevi.
Le pareti son rivestite fino a m. 0,13 di lastre di tufo, quindi di
marmo bianco, del quäle rimangono pochi avanzi ; soltanto accanto
alla finestra son rivestite di stucco bianco, ed hanno alla distanza
di 0,7 dagli angoli un rettangolo nero largo m. 0,1 rinchiuso in
INSVLA VIII, 2 187
linee iinpressa nello stucco ancora molle. La volta era coperta di
pezzetti di pietra di Sarno con impronte di piante. Nel lato N una
nicchia dal fondo semicircolare, larga 0,95, profonda circa m. 1,0,
alta fino al nascimento della volta 1,23, fino alla soramitä 1,78,
contiene una scaletta larga 0,325, rivestita di marmo, destinata evi-
dentemente per farvi scorrere l'acqua ; ad ogni lato di essa rimane
un piano ioclinato largo 0,30-0,33, rivestito, com'anche le pareti
della nicchia, di pezzetti di pietra di Sarno con impronte di piante.
La superficie verticale che rimane al disopra della scala (a. 0,30)
e rivestita di stucco rossastro con strisce irregolari gialle e paonazze,
che senza dubbio debbono indicare l'acqua che vi discende, e si tro-
vano anche, con esecuzione piü rozza, al di sotto della scala, sul
muro posteriore della vasca che la precede. Nel cielo della nicchia
(la cui decorazione non e conservata) osservasi al di sopra della scala
il buco per il quäle doveva entrare il tubo dell'acquedotto, e due
piccolissime aperture a guisa di finestre al disopra dei piani incli-
nati. L'apertura della nicchia e accompagnata, sul muro di fondo
della grotta, da una striscia di musaico a guisa delle note fontane,
composta di pietre, smalti e poche conchiglie. Avanti a questa nic-
chia stendesi per l'intera larghezza della grotta una vasca formata
mediante un podio parallelo al muro di fondo; e larga 0,45, ma
in tre punti viene ristretta fino a m. 0,22 da sporgenze arcuate del
podio, alle quali sul lato esterno del medesimo corrispondono incavi
rettangolari (0,26 X 0,23). II fondo della vasca sta a m. 0,25 sopra
il pavimento della grotta. Sul lato esterno del podio eravi la nota
rappresentanza dell'inondazione del Nilo ; ne e conservato poco, ma
si riconosce un serpente ureo, un'anitra e qualche edifizio. La su-
perficie pare che fosse coperta di marmo.
L' acqua che scendeva per la scaletta fu in parte assorbita,
alla metä dell'altezza, da un tubo di piombo che la conduceva in
giü e la portava, passando sotto la vasca, in un canaletto coperto
dal pavimento della grotta, che la versava fuori della cittä : sotto
la vasca, prima che fosse restaurata, si vedeva in parte il tubo
stesso, in parte la sua impronta. II rimanente dell' acqua cadeva
nella vasca e di lä fu portato per un altro tubo (di cui a d. del
centro vidi 1' impronta) nel medesimo canaletto.
Da v un corridoio stretto (0,58-0,70), coperto a volta, w,
conduce, passando dietro x, a y e f, Sopra tre gradini si discende
188 SCAVI DI POMPEI
nelprocoetonij (1,17 [1,75] X 2,80), con decorazione semplicissima:
zoccolo grigio a. 1,50, striscia gialla a. 0,03, quindi intonaeo bianco;
pare che non avesse finestra. II cubicolo g (2,24 X 2, 15) era di-
pinto nell' ultimo stile a fondo azzurro con zoccolo rosso, aveva un
pavimento di marmo e riceveva luce da una finestra nel muro S,
larga 0,95, discosta dal pavimento 1,56.
In w, e precisamente dietro la nicchia di or, imboccava una
volta il corridoio sotterraneo al quäle si discendeva in k. Ma l'im-
boccatura fu chiusa anticamente con un muro rivestito di stucco
dal lato di k, senza stucco dall'altro. Fu giä menzionata la fistola
di piombo che una volta discendeva nel vano della scala in k. E
perfettamente chiaro che essa discendeva sul lato N della scala,
poi passava sotto la scala stessa e si dirigeva verso w. In w la
distruzione del pavimento dimostra che vi passava sotto per salire
poi al foro summentovato nel cielo della nicchia.
Un altro ramo del corridoio accessibile da k si dirige a NO,
verso l'atrio, ma finisce dopo 2 m.: proseguendo s'incontrerebbe con
la cisterna. Sul principio s'inalza dal pavimento, in direzione obliqua
verso SE, un tubo di piombo, non rotto ma tagliato. Pare adunque
che fin da principio finisse in questo modo; forse si tratta di un
apparecchio per condurre l'acqua nella cisterna quando non doveva
scorrere in x.
Nel muro S della casa, in mezzo fra la finestra di v e l'an-
golo SO, evvi esternamente una nicchia press'a poco quadrata (0,80),
che probabilmente dovea contenere la statuetta di qualche divinitä;
a ciascun lato di essa una piccola parte del muro e dipinta nel-
l'ultimo stile a fondo verde.
II muro posteriore della casa sta probabilmente sul posto del
lato esterno del muro di cinta, sul pendio della roccia naturale,
che sotto di essa in parte e rivestita di muratura senza stucco, in
parte, ove sporge di piü, e rimasta scoperta.
Gli oggetti raccolti in questa casa, giä ricercata in altri tempi,
furono del tutto insignificanti. Senonche in due locali diversi furono
trovate parti d'una statua di bronzo, piü piccola del naturale. In
k cioe i piedi posti sopra una base rettangolare (0,48 X 0,32) di
marmo, ed in r (cosi pare) una mano leggermente contratta con
parte del braccio che nella sua estremitä ha due piccoli fori dia-
metralmente opposti. Insieme coi piedi trovaronsi frammenti di
INSVLA VIII, 2 189
avorio appartenuti a qualche mobile, fra essi nove borchie (diam.
0,03 - 0,08) e dodici pezzi cilindrici finienti a campana (alt. 0,04-0,08);
79| globetti di ambra ; im filo di bronzo, sul quäle sei globetti di
cristallo di rocca in forma di pera e sei globetti rotondi di corniola.
(Not. d. Sc. 1886 p. 169; 1887 p. 242).
N. 26, 27.
La casa seguente ha due ingressi, di cui uno conduce nella
cucina e nel sotterraneo, 1' altro nell' atrio, il cui pavimento sta
m. 0,50 sopra quello del n. 28, m. 1,20 sopra il selciato della
strada, che s'inalza ancora fino all'angolo della via delle scuole.
L' atrio con le camere adiacenti aveva essenzialmente la stessa
disposizione fin dall'epoca sannitica, alla quäle rimonta lo stipite
sin. dell'ingresso, gli angoli iDterni della fauce, l'altro stipite di e,
uno stipite d'ognuna delle porte dipq, ambedue di o, e quello d.
di m. Di piü le soglie di travertino di tutte le porte intorno al-
l'atrio (meno r) ed anche quelle degli ingressi meridionali di m n.
La casa perö fu ricostruita, conservando gli avanzi suddetti, in
epoca posteriore : intorno all' atrio gli stipiti furono fatti di mattoni
alternati regolarmente con pietre di forma simile, in fghi (cucina
e locali adiacenti) di queste ultime pietre soltanto, congiunte con
l'opera incerta in linea irregolare, nel piano inferiore (1-6) di si-
mili pietre che in parte s'alternano in modo non regolare con mat-
toni, e con l'opera incerta si congiungono mediante sporgenze rettan-
golari. Pare perö che tutto questo abbia ad ascriversi ad uno stesso
tempo ; almeno il muro N di / non pud essere posteriore alla scala
addossatavi, che per il modo di costruire va d'accordo con fghi
e della quäle anche nella disposizione di questi locali e stato tenuto
conto. Se ciö e giusto, la ricostruzione non e posteriore all' epoca
del terzo stile decorativo, nel quäle son dipinti 4, 5, 6, vale a dire
press' a poco all' anno 50 d. C.
Le fauces son precedute dal piccolo vestibolo «, il cui pavi-
mento, Signinum con ornati di pietruzze bianche, rimonta ai tempi
sannitici. Era chiuso verso la strada con una porta a tre battenti
preceduta da strettissime antepagmenta (0,15), che non si esten-
devano fino agli angoli. Gli stava a sin. la cameretta c, che serviva
da armadio, con due scansie alle pareti sin. e di fondo. Di fronte,
190 SCAVI DI POMPEI
sopra un'altra soglia di travertino, che forma un gradino, s' entra
nella fauce, chiusa da una seconda porta a due battenti fra due
ante che esteriormente e dal lato della porta erano rivestite di
antepagmenta. II pavimento di musaico mostra su fondo bianco un
cinghiale accovacciato rinchiuso in una greca nera. Gli angoli verso
1' atrio erano muniti di antepagmenta sorrette da un basamento
rivestito di marmo bianco. In a e b le pareti conservano avanzi di
pitture nell' ultimo stile.
L'atrio tuscanico d ha il pavimento di musaico nero con file
di pezzetti di travertino e doppio margine bianco, e sulle pareti
avanzi della decorazione nell' ultimo stile a fondo rosso. II gran-
dissimo impluvio (3,55 X 5,65), spogliato del suo rivestimento di
marmo, aveva nel centro un getto d'acqua: ciö risulta dalle tracce
della ßstula, la quäle , proveniente senza dubbio dal castello al-
l'angolo SO dell'isola VIII, 5. 6, entrava nella casa a d. della porta
n. 27, ove se ne vede l'impronta, e passando sotto l'angolo ante-
riore a sin. delT atrio si dirigeva verso l'angolo corrispondente del-
1' impluvio, come si rileva dalla rottura del pavimento. L'impluvio
e contorniato da un ornato in musaico raffigurante un intreccio, che
sul lato posteriore comprende, con sporgenza rettangolare, una bocca
di cisterna, sul lato anteriore probabilmente un chiusino del cana-
letto che portava l'acqua sulla strada.
Delle camere che circondano l'atrio, r mn sono triclinii, tutti
con decorazione piü o meno conservata nell' ultimo stile. II pavi-
mento di r e una specie di Signinum con ornati di pietruzze bianche
e di pezzi irregolari di marmo ; m e n l'hanno di musaico bianco
con margine nero. La soglia di r non e di quelle antiche: e di
marmo, non e divisa in una parte piü alta ed una piü bassa ; ha
soltanto due incavi rettangolari per i cardini, ma ne quelli dei
catenacci ne quelli delle antepagmenta. La porta dunque poteva
chiudersi soltanto unendo fra loro i due battenti. Nello stesso modo
son fatte le soglie delle porte che dall'atrio conducono in m e n;
perö queste sono di travertino e possono essere dell'epoca sannitica.
Invece n (quella di m manca) ha dalla parte della terrazza s una
soglia della forma solita, che perö s'apriva verso di fuori : la porta era
in origine larga piü di 2 metri, ma nella ricostruzione fu ristretta
a m. 1,70. La forma suddetta delle soglie si comprende quando si
riflette che le porte dei triclinii non era mai il caso di chiuderle
insvla vnr, 2 101
dalla parte interna, ma si chiudevano soltanto, e precisamente da
quella esterna, mentre il locale non si adoperava.
dop sono cubicoli, con pitture di nessun interesse nell'ul-
timo stile. In o eravi sul muro sin. un quadro, ora aifatto irrico-
noscibile (1. 0,37) ; in p sul muro sin. un quadro poco conservato
che sembra rapprasentare la nota Venere pescatrice Heibig 346
segg. (a d. verso sin.); e largo 0,32, alta la p. cons. 0,21. In e il
posto del letto, appie del muro d. , e marcato per l'assenza del
disegno in pietruzze Manche nel pavimento di Signinum, anteriore
senza dubbio alla ricostruzione, com'anche quello di p. Invece / ha
Signinum piü recente, o musaico bianco con margine nero. In e manca
la soglia : probabilmente era di marmo come in r ed e stata tolta.
In modo insolito e formato l'angolo NOdi l. Qui nella rico-
struzione furono fatti cambiamenti. Prima il muro N di l siava
m. 1,75 piü verso S, e in questa parte vi era un altro cubicolo;
invece mancava l'attuale muro E e la camera si stendeva fino al
muro E dell'intera casa. Nella ricostruzione quell'altro cubicolo
fu abolito e lo spazio in parte fu occupato dalla scala k, in parte ne
fu ingrandito l. Perö dal lato dell'atrio la ricostruzione si attenne
all'antica disposizione : furono lasciate le antiche porte con le loro
soglie di travertino, di maniera che i muri 0 e N di l non si toccarono
e rimase nell'angolo una lacuna che fu chiusa mediante lo stucco
che rivestiva le pareti di l.
I cubicoli / ed o si chiudevano non soltanto coi soliti due
battenti che s'aprivano in dentro, ma avevano un'altra chiusura
esterna. Nelle soglie cioe si osservano, poco piü in dentro degli
angoli anteriori delle antepagmenia e distanti da essi circa m. 0,10,
due incavi grandi 0,06X0,015, profondi circa 0,02, di una forma
tale cioe che difficilmente poteva entrarvi altro che un perno di
metallo. E in mezzo fra questi, circa 0,02 piü in dentro, evvi un
altro piccolo incavo della stessa profonditä, grande circa 0,015 in
ogni lato ; in l avanti a quest'ultimo incavo un altro simile e stato
riempito di stucco. Mi pare evidente che qui si tratta di una porta
esterna, i cui stipiti erano fermati in que'primi incavi, mentre quello
in mezzo era destinato ad un catenaccio; cf. Bull. cl. Inst. 1886, p. 152.
q era una dispensa o apotheca: in tutte le pareti, rivestite
di stucco bianco, vedonsi i buchi per due scansie. II pavimento e
opus Signinum antico con ornati di pietruzze bianche.
13
J92 SCAVI DI POMPEI
La cucina ed i locali adiacenti avevano il loro ingresso sepa-
rate n. 27. Dal quäle s'entrava di fronte in g, nel passaggio cioe, che
sopra un gradino, poi con piano inclinato conduce nel sotterraneo.
Pin da un metro dal suo principio era coperto con un sofiitto di legno,
di cui si vede l'impronta nel muro E, a m. 0,65 sopra il pavimento
della cucina. A questa, /", si accede inontando due gradini ; ha una
finestra (1. 0,75) sulla strada. Appie del muro 0 evvi il grande
focolare, il quäle presso la sua estremitä N ha un incavo (0,57X0,60,
profondo 0,40) che puö credersi destinato per sedervi ; il margine
S del focolare e sormontato da un muricciuolo.
h non e che un vano di passaggio; i crederei piuttosto un
dormitorio servile che una dispensa : le pareti, rivestite di stucco
di mattoni (poco conservato) non mostrano tracce di scansie. La
scala k, con 10 gradini verso E, quindi dietro l, conduce al piano
superiore.
n d m erano preceduti sulla terrazza s da un portico largo
m. 5. A tale distanza cioe il pavimento di s finisce in linea
retta, e al margine e un poco inalzato. Che questa linea segni il
margine dello stilobate, lo deduco dal fatto seguente. AI muro
posteriore di n d m vedonsi addossate alcune sporgenze rettango-
lari rivestite di marmo ; ve ne sono cinque : negli angoli, accanto
agli ingressi di m n sul lato dell'atrio, accanto agli ingressi del-
l'atrio dal lato del centro. Sono larghe 0,50, negli angoli m. 0,35,
e sporgono m. 0,38; non sono conservate in alcun punto oltre
l'altezza di m. 0,06, ma si vede dalla loro forma che non erano
pilastri ; dovevano essere basi o qualche cosa simile. Ad esse cor-
rispondono incavi di grandezza uguale nel pavimento, che con un
lato toccano la linea suindicata : e chiaro che esse segnano il posto
delle pietre maggiori inserite nello stilobate per sorreggere le co-
loane. Non e improbabile che questo portico fosse coperto invece
del tetto da una terrazza, la quäle poteva mettere in comunica-
zione fra loro le camere superiori dei due lati dell'atrio.
Quasi un'intera piccola abitazione trovasi nel piano inferiore,
sottoposto alla terrazza s. Discendendo per la scala, divisa in due
capi, s'entra nel corridoio 1, con grandi finestre che danno sul
pendio fuori della cittä. Abbiamo a sin. prima la cucina 2, con
piccola finestra accanto alla porta, alla quäle corrisponde nel corridoio
una finestra larga m. 0,88, alta piü di 1,50, discosta dal pavimento
INSVLA VIII, 2 193
0,60; nella soglia di marmo bianco vedonsi i buchi dei due car-
dini. Addosso al muro di fondo evvi il focolare, a sin. due vani
coperti a volta sotto la scala, dei quali il primo contiene il cesso.
Avanti al secondo passa un fusorium, che poi mediante un foro nel
muro conduce nel cesso.
Segue la piccola esedra 3, dipinta nell' ultimo stile a fondo
rosso e nero. Avanti ad essa evvi una finestra larga 2,40, alta
piü. di 2,05, discosta dal pavimento 0,50. Gli stipiti sono obliqui
verso 0, e maggiormente quello ad E, per aver piü libera la vista
su Stabia e la costa di Sorrento. Soltanto la metä interiore dei
piano della finestra aveva la soglia di marmo con incavi per i car-
dini. II pavimento e Signinum di epoca tarda con ornati di pie-
truzze bianche.
Dietro 3 sta il piccolo cubicolo 4, con decorazione poco con-
servata nell'ultimo stile. E lo stesso vale per il cubicolo 5, dal
pavimento di musaico bianco con margine nero; manca la soglia.
La finestra incontro a 5 e larga m. 1,48.
All'estremitä dei corridoio 1 s'entra di fronte nel piü grande
compreso di questo piano, il triclinio 6, dipinto nel terzo stile a
fondo nero, con ornamenti scarsamente distribuiti ma graziosi e
bene eseguiti ; non vi e conservato alcun quadro. La volta a botte
e dipinta su fondo nero con un disegno che somiglia alle moderne
carte da parati composto da linee gialle, rosse e bianche che formano
piccoli campi contenenti ognuno un ornamento giallo. II pavimento
e di una massa simile al Slg/ü/ium, nella quäle file di pietruzze
bianche formano esagoni e lozanghe, quelli contenenti ognuno un
pezzo irregolare di marmo, queste una stelletta composta di pietruzze
bianche e nere. Gira tutto intorno, a m. 0,30 dalle pareti, un mar-
gine di musaico bianco e nero; nel mezzo evvi un quadrato (1,40)
composto di musaico e di lastre di marmi colorati. Nelle pareti
laterali sonvi gli incavi per i letti dei triclinio, lunghi 2,75, quello
a d. discosto dall'angolo m. 0,98, quello a sin. 1,46. Ambedue do-
vevano avere un rialzo sul margine dal lato dell'ingresso.
In tutti questi compresi gli angoli rivolti al corridoio 1 sono
rivestiti di antepagmenta. Sono coperti di volte a botte (non perö
a tutto sesto), e alti m. 3,65 fino al nascimento della volta, circa
m. 5 fino alla sommitä. Sotto le finestre il pendio, rivestito di stucco,
e scavato per m. 4,75.
194 SC AVI DI POMPEI
La summentovata cantina, accessibile presso l'ingresso n. 27
per g, si estende soltanto sotto fhi. fi un vano spazioso, coperto
da volta a botte (N a S), del quäle l'estremitä S e divisa dal
resto per un muro e accessibile per una porta dirimpetto a g. II
locale principale ha nel mezzo una bocca di cisterna praticata in
una pietra quadrata di trayertino; ad 0 presso la strada uno stretto
vano oscuro che si stende verso il vestibolo a; dirimpetto, sotto
l'ingresso n. 27, un cesso, che sta sopra una fossa profonda piü di
17 metri, e accanto, sotto g, un piccolo vano oscuro. Nell'angolo N 0
scende dall'alto un condotto di terracotta (mentre nella cucina
sovrapposta nulla si vede che gli corrisponda) e da quel punto un
condotto coperto, scorrendo appie del muro di strada, va ad imboc-
care nel cesso suddetto.
N. 22-24 (x)
La casa seguente e un piccolo stabilimento di bagni, composto
della palestra f con locali annessi g qr st, dell'apoditerio o, fri-
gidario p, tepidario n, caldario m, praefurnium l, cesso k, e
finalmente d'una piccola osteria c de.
L'editizio fu costruito, certo non prima dei tempi imperiali,
in opera incerta con stipiti ed angoli parte di mattoni, parte di
pietre tagliate in forma simile, parte degli uni e degli altri alter-
nati regolarmente ; non v'e alcun avanzo di costruzioni piü antiche.
Le camere p qr s furono tolte alla casa adiacente (21) : furono chiuse
le porte su quell' atrio ed aperte quelle che ora congiungono q r
con f e s con r. Questi Ultimi ingressi non hanno stipiti regolar-
mente fatti, ed e chiaro che furono rotti nel muro E del n. 21,
preesistente alla costruzione del bagno, come si vede nel' punto
ove i due edifizi s'incontrano. Non crederei che l'aunessione delle
camere suddette al bagno fosse posteriore alla costruzione del me-
desimo, giacche gli ingressi di q r sono marcati dalla decorazione
di f (ultimo stile) ne havvi indizio alcuno che questa sia stata pre-
ceduta da un' altra. Se cid e vero, il bagno fu costruito nell'epoca
dell' ultimo stile (dopo 50 d. C.) e posteriormente, come vedremo
in appresso, ad una ricostruzione del n. 21, la quäle da parte sua
(J) II n. 23 fu dato all'altare noto da raolto tempo e riprodotto p. es.
Mazois II pl. 6; Overbeck-Mau Pompeji*' p. 213 fig. 133.
INSVLA VIII, 2 195
non puö rimontare ai tempi republicani. Ma tutto ciö non e certo,
essendo sernpre possibile che nel n. 22-24 una decorazione piü
antica sia stata tolta dai muri senza lasciar traccia di se.
Addossati al muro di strada vedonsi a sin. del n. 24 e a d.
del 22 sedili murati, sui quali i servitori aspettavano i loro padroni
bagnanti (l). A ciascun lato dell'ingresso principale evvi una pic-
cola base di mattoni, alta anticamente m. 0,80, conservata finoa
m. 0,53. La facciata era rivestita di stucco nero, i sedili e le basi
di stucco rosso.
Era singulare la chiusura della porta. Essa e larga m. 2,06,
ed era a due battenti. Perö a m. 1,15 dallo stipite d. vedesi il
buco per un grosso catenaccio di circa m. 0,06 in ogni lato. Dun-
que il battente d. arrivava almeno fino a m. 1,21, ed era molto
piü grande dell'altro, dei cui catenacci (ne aveva due) vedonsi i
buchi a m. 0,58 e 0,64 dallo stipite sin., il primo immediata-
mente sotto la parte piü alta della soglia, l'altro alla distanza di
m. 0,02 da essa : eravi dunque un catenaccio nella grossezza della
porta, l'altro applicato al lato interno di essa. Un terzo buco, a
0,02 dalla parte piü alta ed a 0,49 dallo stipite sin., e meno pro-
fondo. E probabile che soleva aprirsi il solo battente sin., e che
l'altro restava chiuso.
La fauce b, larga 2,59, ha il pavimento di musaico bianco con
inargine nero, e vi sono rappresentati in nero due lottatori in pro-
cinto di afferrarsi (a. m. 1,00), che illustrano egregiamente i celebri
lottatori, detti anche cursori, di Ercolano, e toglierebbero ogni dubbio,
se mai ve ne fosse, sul loro significato.
S'entra poi nella palestra /", di forma non regolare. Consisteva in
origine in una piccola area scoperta, circondata da 0 e N e su d'una
parte del lato E da un portico, il cui stilobate di travertino sta
ancora al posto sui lati 0 e N ed e indicato nella nostra pianta. Vi
erano 5 colonne : 2 sul lato 0 e 4 sul lato N, compresa l'angolare,
di piü un pilastro addossato al muro S e probabilmente un'altro al-
l'estremitä del muro E. Tutto questo esisteva quando fu fatta l'at-
tuale decorazione delle pareti e l'attuale pavimento del portico.
Piü tardi perö si tolsero le colonne ed i pilastri, e fu messo nell' an-
tica area scoperta un pavimento a musaico bianco con margine nero,
(l) Cf. Overbeck-Mau Pompeji* p. 201. 214. 224.
196 SC AVI DI POMPEI
uguale a quello del portico, diventato area scoperta anch'esso. Fu
lasciato al posto lo stilobate dei lati 0 e N, ed anche la base di
una delle colonne, quella a sin. di chi entra dalla fauce. Invece
nel breve tratto fra l'estremitä N del muro E della palestra e
l'angolo N E dell'antica area scoperta le pietre dello stilobate, che
prima seguiva la direzione del muro E — lo si rileva dalle distanze
fra le colonne del lato N — furono messe parallele al lato opposto.
AI luogo della colonna angolare NE e del pilastro corrispondente
furono eretti due pilastrini di mattoni di circa m. 0,38 in ogni lato,
non piü alti di 0,50, rivestiti di marmo grigio, che formavano quasi
un ingresso dall'antica area scoperta in g. Dopo questi cambia-
menti fu fatto il pavimento (bianco con margine nero) di g, e, se
non m'inganno, anche quelli di btrq, che tutti sono dello stesso
genere e tutti hanno un aspetto un po'differente da quello dell'antico
portico, simile a quello dell'antica area scoperta. Piü tardi ancora
e contemporaneamente, cosi pare, all' attuale decorazione di g, fu
fatto il podio (a. 1,05 senza il marmo che ne copriva la superficie),
fra g ed f.
La base (ionica) rimasta al posto c'insegna che le colonne
erano di marmo bianco. A ciascun lato d'ogni colonna, e cosi anche
appie del pilastro S 0, immediatamente accanto alla base, vedesi nello
stilobate un incavo rettangolare di circa m. 0,11X0,07, profondo
circa 0,01 ; e di simili incavi ve ne sono altri due nell'interco-
lunnio incontro alla fauce, e cosi anche nel primo del lato d. Uno nel
secondo del lato d. non appartiene qui : e di forma differente, e l'in-
cavo per le antepagmenta, che gli sta accantov dimostra che quella
pietra aveva servito prima come soglia d'una porta. Questi incavi
pare che non abbiano potuto servire ad altro che a reggere un
cancello ; confesso perö di non comprendere, come questo potesse
essere fermato in buchi di cosi poca profonditä.
Prima dei cambiamenti suesposti l'acqua senza dubbio si rac-
coglieva in un canaletto appie delle colonne. Dopo di essi nel centro
dello spazio che prima era stato scoperto fu fatto un foro verticale
praticato in una lastra di marmo immessa nel pavimento, che con-
duce in giü fino a m. 1,20 ed imbocca in un condotto sotterraneo.
Senza dubbio nel medesimo condotto corrisponde un chiusino in g,
ove la profonditä e di m. 1,61 ; forse l'acqua fu condotta nel
cesso in k, che non e ancora sgombrato, forse nella cisterna del n. 26;
INSVLA VIII, 2 197
e quest' ultima ipotesi e piü favorita dalla direzione quäle risulta
dai due chiusini ed anche dalla grande profonditä. Pare perö che gia
prima corresse sotto il portico 0 un condotto con due chiusini di
marmo, indicato nella pianta, profondo 0,65, il cui sbocco si vede
sotto il marciapiede della strada; lo stato del pavimento intorno
ai chiusini parmi che escluda un'origine posteriore di questi.
Nell'angolo SO dell'atrio un rettangolo grande 1,12 XI, 20 e
rinchiuso da un muricciuolo a. 0,30 ; ivi cioe viene alla superficie
il tubo dell'acquedotto che attraversando diagonalmente la palestra
portava l'acqua al frigidario p.
Nell'angolo NO dell'antica area scoperta sporge dal pavimento
un grosso tubo di piombo (diam. circa 0,07).
Dei locali che circondano la palestra q e r, dipinti neu' ultimo
stile, sono esedre per quelli che si trattenevano a guardare i giuochi
ginnastici ; s non ebbe mai, mentre faceva parte di questo sta-
bilimento, decorazione alcuna, e che non vi fosse neanche il pavi-
mento, lo provano gli avanzi ivi visibili di pavimenti (fra cui uno
di musaico bianco con strisce nere che s'incrociano) appartenenti
ad un'epoca quando al posto della palestra e della casa n. 21 vi
erano tutt'altre costruzioni. Possiamo supporre che servisse per
conservare attrezzi e forse per farvi dormire qualche servo.
Invece in g e t si spogliavano per gli esercizi. Cid si rileva
con evidenza dalle scansie che vi erano applicate alle pareti : in g
ve n'erano tre sulla parete d. e di fondo, in t una sola, all'altezza
di 1,75, in tutt'e tre le pareti. Giä furono menzionati i chiusini
di condotti owii in ambedue i locali.
Sui pavimenti della palestra e dei locali adiacenti osservansi
tracce di ferro ; g e traversata da 5 strisce (0 ad E), una presso il
muro sin., una corrispondente all'ingresso e tre dietro il podio.
Deboli tracce di simili strisce si osservano in r, ove perö in un punto
appie del muro d. si vede che quella traccia fu prodotta da un
arnese pesante : vi e nel pavimento un'impressione larga 0,09. Presso
il muro E della palestra si vedono 4 paia di macchie disposte con
molta regolaritä: tutt'e quattro formano angolo retto col muro; il
primo (distanza 0,17) e discosto dal secondo (dist. 0,18) m. 0,75,
e cosi anche il terzo (0,19) dal quarto (0,17); il secondo dal terzo
m. 0,45. Di simili paia di macchie se ne vedono 8 in t, con la
distanza che varia fra 0,15 e 0,23. — Nell'antico portico vedonsi
198 SCAVI DI POMPEI
3 raacchie (fra cui una sopra un pezzo di piombo aderente al musaico)
in una fila lunga 0,21, ed una quarta alla distanza di m. 0,35 in
modo che una linea tirata ad angolo retto su quella fila l'incon-
trerebbe in mezzo fra due di quelle tre macchie.
Tutti gli ingressi intorno alla palestra avevano antepagmenta
di legno, che in qrt rivestivano gli interi stipiti e poggiavano
sopra basamenti rivestiti di marmo a. 0,10, mentre in bc e proba-
bilmente anche in hg rivestivano i soli angoli rivolti alla palestra.
L'ingresso di o pare che fosse tutto rivestito di marmo. — qrtg
non avevano porte.
Le pitture delle pareti dei locali che circondano la palestra
(tutte nell' ultimo stile) nulla offrono di rimarchevole. E degno di
nota perö che in g e t si e tenuto conto della destinazione delle
camere e delle scansie applicate alle pareti : in ambedue lo zoccolo
(nero) e molto basso (0,35 e 0,30), ed al margine superiore degli
scompartimenti grandi che seguono sopra di esso, all'altezza di
m. 1,90, sta in t l'unica scansia, in g la piü alta delle tre. In
ambedue i locali la parte superiore delle pareti e divisa in due
zone, ambedue dal fondo bianco coi soliti concetti (cf. Bull. 1887
p. 118. 124).
Piü importanti sono le pitture della palestra, anch'esse del-
l'ultimo stile. L'antico portico ha una decorazione semplice, poco
conservata, a fondo nero sopra zoccolo rosso; sul lato esterno del
podio di g son dipinte piante su fondo rosso, delle quali pure pochis-
simo e conservato. Invece sulle due pareti dell'antica area scoperta /
e abbastanza ben conservata una decorazione ricca ed interessante.
Le intere pareti sono occupate dalla rappresentanza di architetture
fantastiche corredate di figure d'atleti. Si vedono snelle colonne
ornate in vario modo, che formano leggieri padiglioni ed altre
architetture che non si possono definire essendo distrutta la parte
superiore. In quelle parti che debbono sembrar vicine allo spettatore,
prevalgono i colori giallo, verde e rosso; e Celeste ciö che sta piü
in dietro, com'anche lo sfondo. Le colonne son congiunte da para-
petti che sembrano di legno, in parte perö sono coronate da cornici.
Sopra tali muricciuoli sta presso ogni estremitä del muro S una
maschera tragica; perö soltanto quella a sin., coronata di edera e
dal viso variopinto, e riconoscibile. Tutto questo e sorretto da uno
zoccolo di forma architettonica, di color bianco, con parti sporgenti
INSVLA VIII, 2 199
e rientranti in corrispondenza con le architetture soprastanti, de-
corato di ornamenti — patere, bucrani, mostri marini — che sem-
brano dorati, e preceduto da figure che imitano Statuette di bronzo.
Le figure che compariscono fra le architetture sono le seguenti :
1-3 sul muro E.
1, a. 0,92; disegno presso
l'Istituto. In un padiglione sta
la bella figura di un uomo ignudo
che con lo strigile si pulisce la
fronte; gli occhi sono rivolti a
sin. Gli sta accanto un giovinetto
con panno bianco sulla spalla
sin., che nella d. regge un va-
setto sospeso ad un anello (vd.
fig- 1).
Nel centro del muro E la
rappresentanza architettonica e
interrotta. Qui cioe evvi una fine-
stra (a. e 1. 0,70) che da luce a /.
A d. e a sin. di essa e dipinta
una colonna, ed esse erano con-
giunte senza dubbio superior-
mente in modo da formare un
padiglione , del quäle perö le
parti interne, a causa appunto
della finestra, non poterono es-
sere eseguite. Sopra la finestra
non e visibile altro che fondo
rosso; di sotto evvi il quadro seguente, rinchiuso in una stri-
scia rossa:
2, a. 0,70, 1. 1,07; disegno presso l'Istituto. Vittoria del
lottatore. Un uomo barbato, di forme robustissime, ha steso l'av-
versario bocconi per terra e gli sta sopra, reggendolo con la sin.
nella nuca e ritirando la d. per percuoterlo. Tiene le cosce del-
l'avversario strette fra le sue e mette i propri piedi su quelli di
lui ; rivolge la testa e guarda a sin., indirizzandosi, cosi pare, agli
spettatori. Arriva da d. il giudice della lotta (?), involto in un
panno bianco, e chinandosi un poco innanzi gli porge con la d.
Tis. i.
200
SCAVI DI POMPEI
im ramo di palma (verde) spoglio delle foglie, di cui rimangono
soltanto in cima pochissime.
3. a d. di 2; a. 0,85; disegno presso l'Istituto. In un pa-
diglione sta ritto v. sin. un atleta vincitore (o sarebbe il giudice
delle lotte ?). Ha avvolta la parte inferiore del corpo in un panno
bianco, che passa sopra l'avambraccio sin., lasciando libero il petto,
le spalle ed il braccio d. La testa e cinta di foglie (di edera,
come pare); regge nella sin. una tenia
rossa, nella d. un ramo di palma, come
quello descritto al n. 2.
4-5 sul muro S.
4, a sin. ; a. 0,95 ; disegno presso
l'Istituto. Altro apoxyomenos, che si de-
stringe il fianco d. (vd. la fig. 2). Sta in
un padiglione preceduto da una scaletta
di cinque gradini.
5, nel centro ; altezza delle figure
m. 1,0; disegno presso l'Istituto. E rap-
presentato un gran padiglione con quattro
colonne nella fronte. Gl'intercolunni a d.
ed a sin. son chiusi da un parapetto di
legno, alto fino al petto delle figure, quello
medio, piü largo, da una porta di uguale
altezza a quattro partite, di cui due sono
aperte. Ed in quest'apertura, preceduta da
cinque gradini, comparisce un atleta vin-
citore, accompagnato dalla Vittoria. Egli
sta ritto nel centro, con la testa alzata,
il piede sin. messo innanzi in posizione
altiera. Regge al braccio sin. lo scudo
tondo rosso-scuro con margine turchino,
e nella mano due lancie con la punta
rivolta in giü. Nella d., allontanata un poco dalla coscia, tiene
un ramo, che appoggiato alla terra gli e uguale in altezza; non
e di palma, ne saprei dire che pianta sia: e una verga diritta,
dalla quäle a distanze uguali foglie lunghe e puntute si stendono
quasi orizzontalmente da un sol punto in tutte le direzioni. Ha in
testa una grossissima benda bianca con strisce rosse che s'incro-
PiflT. 2.
INSVLA VIII, 2 201
ciano, e pare che gliel'abbia messa or ora la Vittoria, che gli sta
al fianco sin. (a d. per chi guarda), alata, vestita di lungo chitono
giailo con margine paonazzo, una veste di color chiaro, di cui
non si vede che la parte av^olta al braccio sin., e scarpe gialle.
11 suo braccio d. e visibile sopra la spalla sin. dell'atleta, ed e
chiaro che la mano deve toccargli la testa. Nella sin. abbassata
accanto alla coscia tiene un ramo di palma come quelli descritti
ai nn. 2 e 3, ma piu corto e dipinto di un colore indeciso. Avanti
all'atleta sta per terra un piccolo scudo tondo, giailo con margine
paonazzo e striscia traversa che e al suo margine paonazza, interna-
mente gialla, e a d. del suo piede sin. un'arma di color giailo che
rassomiglia ad un gladio, ma sembra piuttosto di legno, ed e pro-
babile che vi si abbia a riconoscere la rudis; sotto il manico evvi
una custodia in forma d'un disco ro tondo. Nell'intercolunnio a sin.
e visibile sopra il parapetto la parte superiore d'un uomo imberbe,
pienamente vestito con ampio manto bianco, che ha in testa una
benda simile a quella del vincitore. Suona una lunga tromba, che
regge con ambedue le mani, diretta verso il gruppo principale.
Senza dubbio eravi una figura simile nell'intercolunnio a d., ma
quella parte dell'intonaco non e conservata.
Piü a d. sono conservate le gambe soltanto di una figura
corrispondente e simile al n. 4; esse permettono di crederla un
terzo apoccyomeiios, simile forse a quello del Braccio nuovo.
Delle pitture fin qui descritte 1, 3, e 4 son belle, 4 la migliore
di tutte, 5 mediocre, 2 volgare e senza valore artistico.
Le figure seguenti sono rappresentate come Statuette di bronzo
poste avanti allo zoccolo.
6-7, sotto 1 e 3 ; a. 0,48 e 0,46. Due ninfe, vale a dire figure
femminili vedute di faccia, che avanti al grembo reggono im reci-
piente d'acqua dipinto in modo da non potersene definire la forma.
Di sotto sono vestite, di sopra nude.
8, sotto 2 ; a. 0,48 ; disegno presso l'Istituto. Mercurio, il dio
della palestra, veduto di faccia, un poco da d. E vestito d'una
clamide affibbiata sulla spalla d. e raccolta sul braccio sin., in
modo da lasciar nudo il fiaaco e la parte anteriore del corpo. Ha
in testa il petaso alato ed alza nella d. leggermente protesa il
caduceo.
9, all'estremitä sin. del muro S; a. 0,60; disegno presso l'Isti-
202
SC AVI DI POMPE I
tuto. Discobolo (vd. fig. 3) rappresentato in un momento inter-
medio fra quello del discobolo vaticano, che ha il disco ancora
nella sin., e quella del discobolo Massimi, che sta lanciandolo.
10-11, a sin. e a d. di 5; a. 0,60. Due Amori (putti alati),
che reggono, l'uno al fianco d. l'altro al sin., un'oca che cerca
di fuggire. Ad ambedue una clamide pende sul dorso.
12, sotto 5; a. 0,53; disegno presso l'Istituto. Uomo barbato
seduto sopra una sedia con larga spalliera curvata in avanti. Ap-
—7>>
Fig. 3.
Figr. 4.
poggia il gomito d. sulla coscia d. incrociata sopra la sin., e mette
la mano al rnento. L'altro braccio sta sotto la veste che cuopre
la spalla sin. e le cosce. Certo abbiamo a riconoscere qui un di-
rigente o sorvegliante degli esercizi palestrici. Cf. Heibig 1468.
13, aU'estremitä d. del muroS; a. 0,57; disegno presso l'Isti-
tuto. Atleta imbarbe, che fa degli esercizi con un corto ^cilindro
in ogni mano; vd. fig. 4.
Passiamo ora a considerare i locali destinati ai bagni, acces-
sibili unicamente per la porta presso l'angolo SO della palestra.
o, non completamente sgombrato, e l'apoditerio; del marmo
che rivestiva le pareti nulla e conservato. Un grosso masso della
volta a botte (N a S), con avanzi di ornati in rilievo, giace nel
locale stesso. Pare che vi fosse una finestra verso S. A d. evvi il
INSVLA VIII, 2 203
frigidario p; nell'angolo NE, all'altezza del gradino (largo 0,41)
che circonda la vasca (profonda 1,35) imbocca il summentovato
tubo che vi portava l'acqua (p. 197), la quäle nell'angolo stesso,
al fondo della vasca, fu portata via per mezzo d'un altro tubo di
piombo, anch' esso nella direzione della diagonale della palestra.
Egli per la profonditä potrebbe unirsi al canale che dal centro
dell'area scoperta si dirige sotto g, ma la direzione non e quella.
La vasca stessa era rivestita di stucco, di marmo i tre gradini
per i quali vi si discende da o, la superficie del gradino che la
circonda e le pareti al disopra di questo.
n, tepidario. Nulla e rimasto del pavimento sospeso e avanzi
soltanto dei pilastrini quadrati (0,21), poggiati su tegole, che lo
sostenevano. Presso l'angolo NE evvi nel muro l'apertura per la
quäle il calore entrava non come di solito dal caldario adiacente,
ma direttamente dalla fornace. Nei muri son conservati alcuni dei
chiodi coi quali erano fermate le tegulae mammatae. In ognuno
dei muri E ed 0 evvi una nicchia (lunga ora 2,10, ma piü corta
mentre il muro aveva il suo rivestimento) che poteva contenere
una vasca.
m caldario. ß evidente che nella parte piü stretta del locale,
presso il muro N, stava la vasca. Nello stesso muro N, presso
l'angolo N 0, evvi la comunicazione con la fornace, non solamente
sotto il pavimento, ma anche con un'apertura a volta corrispondente
nella vasca, per formare una specie di speco, entrando nel quäle
l'acqua rimaneva in contatto immediato col fuoco, essendone divisa
soltanto per una lastra di metallo, conservata nel bagno delle donne
nelle terme stabiane (*). AI disopra della vasca eravi nel muro N
una nicchia semicircolare, larga 0,70, e nel muro E una nicchia
rettangolare larga 0,65. Qui pure del pavimento sospeso nulla e
conservato, e dei pilastrini soltanto le tracce al muro: mancano
anche quasi tutte le tegole sulle quali erano collocati. Nelle pareti
evvi qualche chiodo come in n. La grande nicchia circolare sul
lato E era la schola labri. Del muro S nulla e conservato, come
anche nel tepidario non ve ne rimane abbastanza per decidere se
vi fossero finestre, ciö che del resto e assai probabile.
Tutto ciö che stava fra nop da una parte ed efgh del n. 21
(») Overbeck-Mau Pompeji*' p. 230; cf. Bull. d. Inst. 1877 p. 220.
204 SCAVI DI POMPEI
(poste in livello piü basso) dall'altra, e talmente distrutto, e tolto
a bella posta, cosi pare, dagli antichi stessi, da non potersene fare
un'idea. Sotto p pare che vi fosse un piano inclinato rivestito di
Signinum e qualche canaletto per portar via acqua, forse quella
dei tetti.
/ e il praefurnium, coperto di volta a botte (NaS). Nell'angolo
S 0 eravi la fornace. Essa, come si vede sulla pianta, aveva sul suolo
quattro aperture : una da / per accendere il fuoco, una di faccia (S,
larga 0,73) per farlo passare sotto il caldario m, una terza piü stretta
(0,47) a d. (0) per comunicare il calore, in grado minore, al tepi-
dario n, una quarta a sin. (E) sotto il grande recipiente cilindrico
deH'acqua tiepida, del quäle si vede l'impronta nella muratura ove
era incastrato : aveva il diametro di m. 1,20, l'altezza non minore
di 1,60, ed era cinto presso la base da due cerchi fermati con
chiodi. II recipiente deli'acqua bollente deve immaginarsi sopra la
fornace stessa, ove perö la muratura, che doveva contenerlo, non
e conservata.
Sopra un breve piano inclinato ed una stretta scala di almeno
7 gradini (E ad 0) si ascendeva al recipiente deli'acqua calda, e
dal terzo gradino al bacino deli'acqua fredda situato nell'angolo S E
(1,42X1,20, profondo 1,40).
I tubi dell'acquedotto entravano nella casa presso l'altare n. 25.
Uno, attraversando la palestra, portava 1' acqua al frigidario p. Un
altro passando per k ed i entrava in l ed imboccava nel giä men-
zionato bacino d' acqua fredda per un buco nel muro che lo pro-
tegge dal lato di l. Dal fondo poi del recipiente d'acqua tiepida
un tubo che passa sotto la scala suddetta raggiungeva quel medesimo
buco, e passando sopra il bacino, e quindi per il muro fra lern
si dirigeva verso il labrum : se il recipiente era pieno, la pressione
era abbastanza forte per farvi salire l'acqua a guisa di fontana. II
tubo sul principio, ove scende, ha il diametro maggiore di m. 0,07,
ma ove comincia a salire era continuato da un altro di m. 0,03.
Un altro tubo piü grande, del quäle nulla e conservato, ma se
ne vede l'impronta, doveva uscire dal fondo del recipiente d'acqua
bollente, per imboccare in un canale che sotto la scala sopradetta
raggiunge il muro E, poi, piegando ad angolo retto, prende la dire-
zione del cesso in k ; questo tubo e chiaro che serviva per vuotare
il recipiente. Quanto a quello delT acqua tiepida, e probabile che
ixsvla vin, 2 205
la stessa fistula del labro, aprendo un'altra cannella, potesse anche
servire a vuotarlo.
Le pareti di / sono senza stueco; soltanto il bacino d'acqua
fredda e anche esternamente rivestito di stueco di mattoni.
In /, appie della scala, furono trovati, il 20 sett. 1887, gli
oggetti di rnetalli preziosi ed i libelli (tavolette cerate) sui quali
il prof. De Petra ha riferito nelle Not. d. Sc. 1887, p. 415 sgg.
e che poi hanno dato luogo a varie discussioni.
/ era rischiarato per mezzo d'una finestra dalla palestra /", ed
aveva l'ingresso, sopra un piano inclinato, da t, che era, cosi pare
un cortiletto scoperto, e per una finestra, larga 0,90, dava luce
a g. Addosso al muro E di i una scala (tre gradini di pietra, il resto
di legno) dava accesso ad un locale, forse una terrazza soltanto,
sovrapposto a l e forse anche a m n o. — II cortiletto i era acces-
sibile dalla palestra per il corridoio h ed aveva a N il cesso k.
Le pareti in i e k hanno stueco bianco, il cesso stesso e rivestito con
stueco di mattoni. II corridoio h) dalla parte della palestra aveva
due porte, una interna (verso h sulla parte piü bassa della soglia,
con due catenacci, l'altra, esterna, senza catenacci.
La porta n. 22, a due battenti ma senza catenacci, dava accesso
ad una scala di legno che conduceva al piano superiore, sia che
esso fosse abitato dal proprietario dello stabilimento (che non abbiamo
aleun motivo a credere pubblico), sia affittato ad altri. II sottoscala,
senza porta, era accessibile da t ed aveva una finestrina sulla
palestra.
11 n. 24 era un piecolo termopolio, per l'uso specialmente dei
bagnanti, ma con apertura anche sulla strada. Aveva una porticina
nella palestra ed una finestra (a. 0,94, 1. 1,05) sulla fauce b. Ha
nell'ingresso il solito podio, e su di esso a sin. cinque piecoli
gradini per collocarvi vasi ed altri utensili ; ali'altra estremitä del
podio evvi un ineavo a guisa di bacino (0,65 X 0,30, profondo 0,35).
A sin. del locale principale sta la piecola eucina d col focolare e
(cosi pare) una bocca di cisterna, con finestrina sulla strada, ed
il cubicolo e con pareti coperte di stueco bianco.
N. 21.
Della casa seguente si parlerä meglio quando sarä completa-
mente seavata. Per ora non si puö dire, quäle sia il significato
200 SCAVI DI POMPEI
della disposizione singolare delle parti anteriori. Giä fu detto sopra
(p. 194) che le fu tolto ed aggiunto al n. 22-24 tutto ciö che stava
a sin. delTatrio. Del resto la forma attuale della casa, comprese
le parti unite al n. 22-24, rimonta ad ima ricostmzione, la quäle
e anteriore alla costruzione del bagno or ora descritto. Si riconosce
la forma della casa antica, che verso E pare che avesse la stessa esten-
sione: l'antica soglia del portone (piü ad E dell' attuale), la camera
a sin. della fauce, e la prima e seconda a sin. dell'atrio, in parte
con musaici pregevoli (in bianco e nero) sono ancora riconoscibiü.
Nell'atrio pure comparisce l'antico pavimento di musaico nero. II
basso muro che dal lato N s'attacca a quello anteriore dell'atrio,
pare che formasse una vasca, che comunica con l'atrio mediante
una bassa apertura a volta nel muro stesso.
La decorazione della casa e del tutto sparita. Appena evvi
qualche traccia del pavimento dell'atrio, sovrapposto a quello antico,
dello stucco del muro d. dell'atrio, del marmo onde erano rivestite
le pareti (almeno lo zoccolo), la soglia e probabilmente il pavimento
del tablino. Nell'atrio giaciono frammenti di colonne e di trabea-
zioni di marmo. Manca il rivestimento dell'impluvio. Probabilmente
la casa ebbe a soffrir gravi danni nell'anno 63, e tutta la decora-
zione doveva essere rinnovata.
Anche il piano inferiore (sgraffiato nella pianta) non e com-
pletamente scavato : non si vede neppure, come fosse accessibile.
abcdefgh sono locali rustici, fra cui h e situato in livello piü
alto, ne si vede come vi si accedesse ; era in comunicazione con una
camera sovrapposta a g.
Invece ik erano camere abitate. con pavimenti a musaico
(bianco con margine nero in i ; nero, cosi pare, in k) e le pareti
dipinte nell'ultimo stile a fondo bianco. Ambedue hanno una grande
finestra verso S. Quella di i, larga 1,90, discosta dal pavimento
0,67, ha la metä interiore del piano coperta di marmo bianco, cogli
incavi di due cardini, e lo stipite d. tagliato obliquamente per
poter meglio guardare verso Stabia e la costa di Sorrento. Quella
di k, meno larga (1,45) arriva quasi al pavimento (circa 0,30).
La pittura delle pareti e semplicissima in k (zoccolo rosso), piü ricca
in i. Vi sono in i le rappresentanze seguenti:
1-4 sullo zoccolo, fondo bianco.
1, sotto la finestra; a. 0,18, 1. 0,64. Amore armato di due
INSVLA. VIII, 2 207
giavellotti, di cui alza uno per lanciarlo, preceduto da un cane,
fa la caccia a due lepri.
2, sul muro 0 ; a. 0,08, 1. 0,24. Cane che insegue im cin-
ghiale, v. d.
3, sul muro N; a. 0,14, 1. 0,40. Due galli si stanno dirim-
petto in procinto di combattere.
4, sul muro E, a. 0,08, 1. 0,30. Due uccelli poco ricono-
scibili in posizione simile al n. 3.
5, nel centro dello scompartimento grande a. d. del muro
0; medaglione; diam. 0,225; disegno presso l'Istituto. Due busti :
a sin. una giovane donna veduta di faccia, che con espressione pen-
sierosa guarda verso lo spettatore. E vestita di una veste pao-
nazza chiara ed alza la d. verso la spalla sin., per afferrare, credo,
un lembo della veste. Le si appressa da d. un uomo, giovane an-
ch'egli, veduto di profilo. Ha la veste verde ; la testa e cinta da
una Corona di foglie gialle oblonghe (alloro?); sopra la spalla d.
comparisce il turcasso. Sembra dunque che egli sia Apollo. Guarda
negli occhi della donna e pare che le parli con insistenza.
6, nella parte superiore.
6, sul muro 0 ad.; a. 0,37. Donna nuda in piedi, veduta
di faccia; porta al braccio d., cosi pare, un cerchio, e nella mano
un bastone ; dal braccio sin. pende una veste : non si distingue,
se regga qualche oggetto nella mano.
7, nel centro del muro N ; a. 0,30. Bacco (cosi pare) seduto
in trono, ignudo, veduto di faccia. Si appoggia sull'avambraccio sin.,
mentre nella d., allontanata dal corpo, regge il tirso.
8, 9, a d. e a sin. di 7 ; a. 0,25. Due figure femminili in
veste corta (danzatrici?) che stanno ritte ognuna sopra un ornamento
a guisa di calice di fiore. Quella a sin. suona i cembali presso il
fianco d. L'altra regge nella d. appoggiata al fianco un oggetto
a guisa di bastone, nella sin., se non m'inganno, un corno potorio.
10, a d. di 9; a. 0,25. Donna volante verso sin., con veste
svolazzante di color chiaro, che cuopre soltanto le gambe e di cui
regge un lembo con la d. alzata sopra la spalla.
A. Mau,
14
IL SITO E LE ISCRIZIONI
DELLA SCHOLA XANTHA SUL FORO ROMANO
fi stabilito dagli autori antichi come pure da testimonianze
epigrafiche - se mai im fatto tanto verosimile per se stesso ayesse
bisogno di conferma - che i sommi magistrati della Roma repub-
blicana, ai quali spettava la cura delle finanze e degli archivi, eb-
bero per la loro amministrazione locali appositi presso al Foro
Romano. Invano perö fra le rovine tuttora esistenti cerchiamo le ve-
stigia di cotali edifizi: degli uffizi dei questori, che si dovevano trovare
presso l'erario ed il tempio di Saturno, nulla v' e rimasto ; l'ar-
chivio dei Censori, che fu Yatrium Libertatum e scomparso in modo
che siamo in dubbio perfino sulla sua posizione (1). Di un solo edi-
fizio di questo genere avremmo potuto avere notizia piü esatta,
cioe della schola scribarum librariorum et praeconum aedilium
curulium, se agli avanzi scoperti durante il periodo dei rinasci-
mento non fosse toccata la sorte di tanti altri allora tornati alla
luce.
Nella metä cioe dei secolo XVI, uno scavo fatto presso il
tempio di Saturno mise al giorno un edifizio piccolo ma suntuoso,
costruito tutto di marmo e di conservazione perfettissima. Un epi-
stilio scritto da ambedue i lati accerto ch' esso fosse la schola
dei detti impiegati, e che diversi membri dei collegio lo restituis-
sero con maggior splendore corredandolo di sedili di bronzo, di sta-
(x) La dissertazione recentissiraa dei ch. Mommsen (Hermes XXLT, p.
631-633) scioglie egregiamente la quistione, che cosa s'intendesse per Yatrium
liberlatis ai tempi di Cassiodoro ed Ennodio : cioe una parte dell'edifizio de-
stinato al senato, una sala appartenente alla Curia.
IL SITO E LE ISCRIZIONI DELLA SCHOLA XANTHA ECC. 209
tuette d'argento e di altri ornamenti (1). Perö gli stessi topografi
contemporanei a siffatta interessante scoperta aggiungono che gli
avanzi ritrovati furono subito distrutti e convertiti in altri usi.
Gli scrittori moderni quindi si vedono limitati alle indicazioni
date da quei pochi testimoni oculari: e che queste per molti ri-
guardi siano insufficienti, risulta dal modo col quäle ne parlano i
piü recenti autori. II Bunsen (2) ed il Canina (3) furono i primi
a formarsi una idea del sito della schola: essi la riconobbero in
quella fila di stanze sottoposte al portico dei Dei consentes e sco-
perte negli scavi del 1832 e segg., con la fronte rivolta verso il
tempio di Vespasiano ; e questa opinione prevalse presso quasi tutti
a loro posteriori (4). II primo che vi si oppose fu il Nibby la cui
testimonianza, pregevole perche lo scavo del 1832 fu fatto sotto
(!) Siccome piü sotto tratteremo a lungo delle epigrafi della schola, ba-
sterä qui apporre il testo delle tre principali, secondo la restituzione data
dall'Henzen G. I. L. VI, 103.
Da un lato dell'epistilio :
C • AVILLIVS • LICINIVS • TROSIVS • CVRATOR
SCHOLAM • DE • SVO • FECIT
Bebryx Aug. I. Drusianus A. Fabius Xanthus cur. scribis librariis et prae-
conibus aedil. cur. scholam | ab inchoato refecerunt, marmoribus ornaverunt,
victoriam Augustam et sedes aeneas et cetera ornamenta de sua pecunia fa-
ciunda curaverunt.
Dall'altro:
Bebryx Aug. I. Drusianus, A. Fabius Xanthus cur. imagines argenteas deo-
rum septem post dedicationem scholae | et mutulos cum tabella aenea de sua
pecunia dederunt.
Una quarta iscrizione ripete il testo della seconda con poche varianti
di cui la piü importante e questa che non il nome di Bebryx, ma quello di
Fabius Xanthus occupa il primo posto.
(2) Bull. delVInst. 1835 p. 76; Annali 1836 p. 19; Beschr. Roms
m, 2 p. 9.
(3) Indicazione p. 288 ed. V.
(4) Cosi Becker Top. p. 318; Montiroli foro Romano p. 22; Beber Ruinen
Roms p. 87 ; Nichols Forum p. 33 ; Marucchi il Foro n. 104 ; Middleton An-
cient Rone p. 216 ; Dutert Forum p. 12. II Tocco (Ripristinazione del Foro,
tavola) mette la schola sul lato ovest del tempio di Saturno, senza perü darno
argomenti nel testo : non occorre occuparsi di questa congettura resa insussi-
stente dopo lo sgombero completo della Basilica Giulia.
210 IL SITO E LE ISCRIZIONI
la sua direzione, pare sia stata dimenticata da quasi tutti coloro
che dopo lui hanno trattato dello stesso argomento (1).
Mentre poi l'Henzen, pubblicando nel Corpus VI, 103 le
isciizioni, si limitö a dire : num schola de qua agitur adhuc in-
vestigari possit inter rudera quae imum clivum Capitolinum
oecupant, videant topograplü, lo Jordan espose a lungo i suoi
dubbi {Sylloge inscriptionum Fori R., Eph. epigr. III, p. 268,
270 ; Topogr. I, 2 p. 367 sgg.) , ed osservö giustamente come ne
il numero delle camere, che sono sette (2), ne lo stato dei rü-
den, i quali mostrano di non aver mai avuto un epistilio scritto
da ambedue i lati, siano d'accordo con le notizie del Cinquecento:
e come oltracciö le taberne fossero poco adatte a servire da locale
di scrittoria, essendo affatto prive di luce, sopratutto dopo l'edi-
ficazione del tempio di Vespasiano. Conchiude perö lo Jordan col
chiamar confuse le notizie e difficilissima la distribuzione delle
epigrafi, ne crede si possa andare avanti a schiarire un problema
a lui affatto oscuro, se non siano esaminati con piü. esattezza i rap-
porti dei contemporanei della scoperta.
Ed infatti crediamo che mediante un esame attento di questi
rapporti si possa riuscire a risolvere tanto le questioni topografiche
come le epigrafiche. Cinque sono gli autori citati nel Corpus, delle
cui notizie si valse pure lo Jordan ; siccome perö Grio. Metello (cod.
Vat. 6040 f. 8) da il suo apografo, importante per la ricostruzione
del testo, senza indicazione del luogo, cosi per la parte topografica
ne rimangono i seguenti:
1. Marliani, topogr aphia 1. III c. X p. 29 (ed. 1544):
Sub Concordiae autem tempio (cosi egli nomina la ro-
vina delle otto colonne, che oggi sappiamo essere il tempio di
Saturno) in capite fori} dum fossores altius terram
(!) • Queste taberne *, dice il Nibby (R. A. I p. 546), ' da me furono trovate
chiuse da muri informi de' tempi bassi, e piene di macerie fino a due terzi
del pavimento, e spogliate affatto di ogni rivestimento ; neH'ultimo tratto poi
piü aderente al suolo erano state rierapiute di corpi umani misti a calce viva,
indizio che avevano servito di sepoltura in qualche circostanza straordinaria
e forse di peste '.
(2) E vero che, quando il Bunsen scrisse la sua prima relazione, n'erano
scoperte soltanto tre, onde egli fu tratto di piü in inganno.
DELLA SCHOLA XANTHA SUL FORO ROMANO 211
moliuntur, invenere locum t cuius antae cum epi-
styliis marmoreae efficiebani veluti porticum
vel apothecas treis: in quibus consisterentj qui
publica acta notarent ac publicarent, ut ex titulis
conicimus (1).
2. Ligorio, ms. Napol. lib. XXXV, p. 134: Poco di-
scosto dall'arco di Severo, nella testa del Foro di
Cesare (2) da quel lato che confina la via Sacra con
il clivo Capitolino, et esso foro, furono trovati molti
architravi, la piü parte dei quali era scritta d'amen-
due i lati, nella maniera qui dimostrata, per la
quäl cosa si conosce esser sta(ta) parte et ornamento
della schola chiamata Xanta , della quäle Sesto
Eufo fa mentione nella ottava regione. Hoggi non si
trovano piü per esser stati rotti et convertiti in
altro uso (3).
3. Ligorio, ms. Parigino, Fonds St. Germain n. 86 == Italic,
n. 1129, f. 31 (4): Essendosi trovate accanto al Foro di
(*) Dal Marliani dipendono molti altri astigrafi del sec. XVI e XVII,
come il L. Fauno (Ant. di Roma II c. 10, f. 49 ed. 1548), il quäle per aver
asserito che ' sul capitello di marmo, ch' era nell' entrata di questo luogo
si leggevano dalla parte di dentro queste parole ', incontrö il biasimo del
Ligorio; il Fabricio, Roma 1550, p. 137; il Mauro, Antichitä di Roma p. 20
ed. 1562 (ristampata nelle ' Memorie dell'Aldrovandi ' presso Fea Miscellanea
I p. 206), ed altri. — Nella ristampa della topografia del Marliani in Graevii
Thesaurus tom. III p. 157, sono aggiunte delle note di un erudito del Cinque-
cento, creduto, ma con qualche dubbio, Fulvio Orsini (che l'autore sia Ste-
fano V. Pighio mi pare piü verosimile). Ivi e detto : in summa via sacra
(vuol dire sulla pendice Capitolina presso l'arco di Severo) haec inventa sunt
meis temporibus; e queste parole diedero occasione, a causa di uno strano
malinteso, al Reber di scrivere : aus diesen Inschriften, welche jedoch bald
nach dem Funde weggenommen und später bei dem Triumphbogen des Titus
wiedergefunden wurden, geht hervor, etc.
(2) Secondo il Ligorio, il foro di Cesare si stendeva dall'arco di Settimio
all'arco di Tito, mentre egli assegna al Foro Romano la vallata tra il Cam-
pidoglio ed il Palatino.
(3) Questo passo sembra sia scritto nell' anno 1546; vedipiü sotto p. 214.
(4) Debbo l'esatta trascrizione di questo passo alla cortesia del prof. 0.
Hirschfeld. Che la notizia fosse scritta dopo la pubblicazione del libro del Fauno,
212 IL SITO E LE ISCRIZIONI
Cesare poco discosto all'arco di Severo et alla Via
Sacra alcuni fragmenti d'una schola con l'archi-
travi scritti, hanno detto che erano capitelli e non
epistilii, questi furono scayati dalle ruine sotto il
magistrato delle strade di Messer Jeronimo Maf(e)o
et di Messer Raimondo Capo di Ferro.
4. Manüzio cod. Vat. 5241, p. 303, riferisce le iscrizioni
colla semplice indicazione : ' f u ritrovato presso all'arco di
Settimio', e dice esistere il primo titolo ' fuori dell'archi-
trave verso la Consolazione '.
Gli autori moderni, dal Canina e Bimsen in poi, pare che
abbiano riguardato unicamente quel passo del Marliani che dice :
dum fossores altius terram moliuntur; per conseguenza hanno
cercato la schola da quel lato del tempio di Saturno dove fu mag-
giore accumulazione di terra, cioe quello rivolto al Campidoglio.
Questa supposizione perö poco si accorda coH'andamento generale
degli scavi nella metä del sec. XVI. Kisulta dai fasti effossionum
composti dallo Jordan (Fph. epigr. 1. c.p. 242, 243), ai quali si deb-
bono aggiungere le pregevoli notizie raccolte dal eh. Lanciani
{Notizie degli scavi 1882 p. 216 sgg.), che le ricerche fatte in
quell'epoca si limitarono a due zone del Foro : l'una tra S. Maria
Liberatrice e S. Lorenzo in Miranda, l'altra vicina all'arco di Severo
e la colonna di Foca. Le stampe del Kock, del Duperac ed altri
ci mostrano che l'arco di Severo era ingombro da ruderi quasi fino
alle imposte delle v61te minori, e quindi il piano stradale era su-
periore al lastricato del Foro antico presso i Kostri di 6 a 8 me-
tri incirca : altezza bastante per giustificare l'espressione altius.
II rialzamento del suolo dalla parte del tabulario capitolino era
tanto enorme da ricoprire fin quasi alla metä le colonne del tem-
pio di Vespasiano e da impedire nell'epoca del rinaseimento gli
scavi per ricerca di materiali antichi. Cosi venne risparmiato non
soltanto l'edicola coli' ara dedicata a Faustina (C. VI, 1019), ma
cioe dopo il 1548, risulta dal prineipio del capitolo ove alle parole : ' Deh quanta
ignoranza e stata anchora di quelli scrittori dell'antiquitä, che hanno voluto
scrivere essendo senza cognitione aleuna di architettura ' , sul margine si trova
notato: Contro al Fauno.
DELLA SCHOLA XANTHA SUL FORO ROMANO 213
perfino le colonne della porticus deorum Consentium sovrapposta
alla fila delle taberne la terizie : soltanto gli scavi del secolo nostro
li portarono alla luce, mentre difficilmente avrebbero potuto sfug-
gire alle ricerche di chi avesse scoperto la cosidetta schola. Queste
considerazioni dunque ci portano a credere, che il luogo della schola
si debba cercare non al lato ovest del tempio di Saturno, ma sul
lato est, quello cioe rivolto alla basilica Giulia ed al Foro Komano.
Infatti questa congettura viene pienamente confermata me-
diante un' osservazione sfuggita agli autori piü recenti (l) che
hanno trattato intorno a quesf argomento. II Marliani cioe dopo
aver riferite le iscrizioni della Schola Xantha — ci serviamo di
questo nome per semplice riguardo alla brevitä — prosegue cosi :
Ibidem autem effossus est cippus super quo Stiliconis statuam
fuisse innuit sequens inscriptio:
FL • STILICHONI • V • C
FLAVIO • STILICHONI • INLVSTRISSIMO VIRO
cet.
(C.LL.YI, 1730, ora nel palazzo Capranica).
Di questa base conosciamo con esattezza l'antica collocazione.
E riferita nel Corpus la pregevole notizia dell'Accursio, il quäle la
dice (cod. Ambr. D. 420, XVI) eruta nobis praesentibus anno 1539
mense Augusto ad latus arcus Septimii ante aedem SS. Sergii
et Baechi. A questo si deve aggiungere il passo seguente del Li-
gorio (Neap. 1. 34, p. 145) del quäle nel Corpus non si e tenuto
conto : 'Questa base fu trovata non son molti
anni sotto il Campidoglio vicino l'arco di
Settimio, verso il Poro Komano, ove anchora
fü scoperta gran parte d'un tempietto di
marmo tutto di forma circulare, che non fü
gua s t o ma ricop e r t o et lassato stare di quella
sorte che fü trovato; essen do stato nibito da
(]) La notizia intorno al ritrovamento della base di Stilicone e citata
per es. dal Bunsen il quäle perö, non conoscendo l'importante passo di Ac-
cursio, non pote trarne le conseguenze. Dall'altra parte, mancando nel Corpus
(al n. 1730) la citazione del Marliani, si spiega facilmente come il vero stato
delle cose sia rimasto sconosciuto allo Jordan e ad altri.
214 IL SITO E LE ISCRIZIONI
M. Ramondo Capodiferro et da M. Camillo di
Crapania (sie) che allora furon Conservadori' (1).
II tempietto rotondo mentovato da Ligorio non puö essere altro
che la base del milliario aureo, scoperto di nuovo nel secolo pre-
presente (2).
(*) L'anno nel quäle furono scritte queste parole, e proprio il 1546
come risulta dalla nota, pure inedita, che segue immediatamente. 'Non sarä
in tutto fuor di proposito a dire, che dui anni fa nel gettar
i fondamenti nuovi di Sanpietro ne la parte v'erso mezzo-
giorno, in quel luogo che si dice la Cappella del Ee di Fran-
cia, che fa la parte destra della croce de la chiesa, dico
dal lato dell1 ohelisco: fu scoperto un pilo grande di marmo
senza lavori, il maggior lato era di dieci piedi, et il menore
di quattro, di huona misura, nel quäle era sepolta Maria
figlia del detto Stilichone, et moglie di Honorio imperadore,
con la quäle erano sepolte molte gioie, et altri thesori, che
si son detti nel libro de sepolchri, nel capo che tratta delle
delitie che si seppellivano con i morti'. Questo ritrovamento ebbe
luogo nel febbraio del 1544 (Cancellieri De secretariis p. 996).
(2) So il Ligorio si mostra come testimonio esatto in questa circostanza,
non mi pare lo stesso intorno alla seconda base di Stilicone (VI, 1731) ora
esistente in villa Medici. Di essa egli narra (Neap. XXXIV, 1. c, immediata-
mente dopo la notizia riferita nella nota 1 ; manca nel Corpus 1. c): ' f ü
trovata vivente Clemente papa (1523-1534), la quäl e stata lo-
cata nella casa del cardinal della Valle, ed il luogo appunto
dove ella fü scavata e davanti la porta di Santa Maria delle
Gratie in testa l'hospidal della Consol atione : dove secondo
si puö giudicare erano li rostri nuövi del popolo Komano,
et chiaramente per tanto ancora si puö comprendere dove
fusse il Foro Eomano, il quäle dalli falsi scrittori e
posto tra 1' arco di Severo et quel di Tito Vespasiano
controvvenendo a tutte le autoritä delli buoni e an-
tichi scrittori, ma per la Dio gratia questa dedica-
tionechiarisce dove era il detto foro, et s'afferraa la
veritä contra il Marliale'. Ho creduto utile di apporre il passo
intero, che nell'originale si conosce dalla diversitä della scrittura e dell' in-
chiostro come aggiunto posteriormente, per far comprendere quali ragioni
consigliassero al falsario di cambiare il vero luogo di questo ritrovamento.
Non mi par dubbio che a ragione tanto lo Henzen {Corpus 1. c.) quanto lo
Jordan (Eph. epigr. III p. 292), abbiano creduto non doversi separare questa
base dall'altra n. 1730 , essendo decisiva l'osservazione dello Jordan, hanc
ipsam basim stetisse in rostris.
DELLA SCHOLA XANTHA SüL FORO ROMANO 215
Ora basta dare un'occhiata alla pianta aggiunta (tav. VIII),
che comprende la zona tra il tempio di Saturno (J), il milliario
aureo e l'arco di Severo, per capire che vi e un solo posto dispo-
nible per la schola : ed e quello al fianco sud dei Rostri, fra essi
e la Sacra Via, con la fronte rivolta verso quest' ultima (2). Se tale
spazio potrebbe sembrare un poco ristretto, limitandosi a metri 18
di lunghezza ed 8 di larghezza incirca, ricordiamo che p. es. le
scholae destinate ad uso di diversi corpi navali ecc. che circondano
il Foro di Ostia (Lanciani, Not. degli scavi 1881, p. 10, 11, tav.I)
in generale sono di una superficie di m. 4 X 5. Le iscrizioni stesse
della schola Xantha ci danno l'idea che l'edifizio fosse piccolo si,
ma suntuoso; il sito vicino all'erario ed alla basilica Giulia si
adatta benissimo per l'uffizio degli edili curuli : e la direzione della
fronte verso la Via Sacra si accorda perfettamente coli' espres-
sione usata del Manuzio, che chiama la parte di fuori quella rivolta
verso la Consolasione.
Se la quistione topografica mi pare si possa sciogliere con
abbastanza certezza, siamo meno sicuri della parte epigrafica, dico
la disposizione dei titoli sui pezzi di architettura (3) e la ricosti-
(*) Per tracciare l'andamento della strada fra l'arco di Severo e la Con-
solazione manca una pianta contemporanea, non essendo quella del Bufalini di
esattezza geometrica. La piü antica a me conosciuta e una inedita disegnata
dal geometra Giuseppe Leoncini sotto Alessandro VII, che si conserva nella
Biblioteca Chigiana (cod. P. VI, 10 f. 94). Essa rende verosimile che l'anda-
rnento della strada non sia stato cambiato essenzialmente dal secolo XVI
fino al XVIII: e lo stesso risulta dal confronto delle vedute deH'Heemskerk,
dell'Overbeke e di quella anonima dell'a. 1650 riprodotta da Parker (Arch. I.
Forum tav. 1). Quindi non abbiamo dubitato di tracciare i limiti stradali se-
condo la pianta di G. B. Nolli (1748). Intorno al sito della chiesa di S. Sergio
e Bacco rimandiamo alla nostra esposizione Bull, comun. 1888 p. 153 sg. con la
tavola X.
(2) Proprio in questo luogo si riconosce sulla pianta accurata del Mid-
dleton uno spazio privo affatto di ruderi antichi; non vorrei perö cercarne la
ragione negli scavi del sec. XVI, avendo servito lo stesso luogo per la sotto-
fondazione di un pilone del ponte costruito nel 1851, ed essendo noto che allora
gli avanzi antichi, p. es. l'arco di Tiberio, furono distrutti sino ai fondamenti
(Ravioli e Montiroli II Foro Romano, p. 11 sg.),
(3) II Ligorio nel codice Napoletano disegna le iscrizioni sopra le fa-
sce di due architravi: che perö ai dettagli si possa prestare poca fede, ri-
sulta giä dal semplice fatto, che egli rappresenta i titoli b e d, stanti secondo
216 IL SITO E LE ISCRIZIONI
tuzione dei testi. Abbiamo non meno di quattro autori tutti indi-
pendenti l'uno dall'altro, e tre di essi, cioe il Marliani, Ligorio e
Metello sono contemporanei alla scoperta (!) ; sembra perö che
vedessero i pezzi dell'epistilio soltanto rotti e giacenti sul suolo (2).
Per conseguenza aessuno di loro da il testo intero di tutte le
epigrafi, ne puö essere convincente la distinzione che essi fanno tra
il ' lato di dentro ' e ' di fuori \
Sarebbe difficilissimo il conciliare in modo plausibile le no-
tizie dei diversi autori, se non ci venisse in aiuto un altro argo-
mento, preso da una osservazione cronologica, che a prima vista
poträ sembrare strana. Kitengo cioe l'iscrizione che parla della
riediflcazione fatta da Bebryce e Xantho non posteriore, ma invece
piü antica dell' altra , che dice la sehola costrutta per cura di
Avillio Trosio. E ne traggo argomento dalla forma dei nomi.
Gli editori finora non hanno messo in dubbio che la prima
edificazione della sehola spettasse all'etä di Caracalla, essendo noto
dalla iscrizione VI, 1068 (vedi nota 1) che lo stesso C. Avillio
lui l'uno a rovescio dell'altro, quasi fossero ambedue interi dalla parte sinistra
e mutili dalla parte destra, ciö che non e possibile (una copia dei frammento
c tratto dal codice Napoletano, non citato nel Corpus, si trova nel cod. Vat.
3439, f. 116'). II testo dei codice Parigino conferma che la redazione sia po-
steriore al Napoletano : mentre nell' ultimo il frammento . . . is • librari . .
| . . pecvnia . . . si trova isolato e posto accanto il titolo a, nel Parigino
esso e aggiunto al titolo c, ma sopprimendo le lacune esistentevi (v. p. 220).
(*) II quarto, Aldo Manuzio, essendo nato nel 1547, avrä tratto il suo apo-
grafo da un autore piü antico. Che questo perö abbia copiato esattamente il
titolo, risulta p. es. da ciö che egli solo da la vera lezione dei nome dei cu-
ratore Licinius Trosius accertata dal titolo VI, 1068 scoperto sull'Aventino
circa il 1735: ivi si trova Avillius come nell'esemplare dei Manuzio, e non
Avilius come negli altri autori dei sec. XVI. — Che Manuzio abbia tratto
questa parte dalle collettanee di Gentile Delfino, non e certo. Precedono iscri-
zioni copiate nel palazzo Capodiferro : e forse non per caso Tepigrafe che se-
gue immediatamente e la nostra, ritrovata in uno seavo fatto durante il magi-
strato di un Capodiferro.
(2) 'Integros vidisse titulos Mos Marlianium Metellumve equidem non
crediderim '. Jordan, Eph. III, p. 270. II Marliani ha omesso il titolo gemello
a qoello che dice Bebryx Aug. I. Drusianus . . . A. Fabius Xanthus . . .
scholam ab inchoato refecerunt, perche il testo e quasi identico, come fu os-
servato piü sopra (p. 209 not. 1).
DELLA SCHOLA XANTHA SÜL FORO ROMANO 217
Licinio Trosio dedicasse nel 214 di C. una statua in onore di
quell' imperatore. Quindi il ristauro eseguito dai due altri merabri
del collegio non potrebbe assegnarsi che alla inatä incirca del
terzo secolo. ' Neque cognomen Drusiani, dice l'Henzen, quo Be-
bryx Augusti libertus appellatur_, ad Drusos saeculi primi re-
ferri polest'.
Ora tale conclusione si oppone a tutto ciö che sappiamo
della nominum ratio del secolo terzo. Proverö nella nota aggiunta
a questo articolo, che i nomi doppi dei servi e liberti della casa
Augusta spariscono dopo Traiano, che non ce n'e esempio sicuro
che ci conduca alla metä del secondo secolo d. C. Quindi per me
rimane esclusa la supposizione che il ristauro fatto da Bebryce
Drusiano ed A. Fabio Xantho appartenga alla metä del secolo
terzo. C. Avillius Licinius Trosius, la cui polionimia del resto si
adatta benissimo all'epoca di Caracalla, non istitui dunque per il
prirao, ma rifece(1) gli uffizi degli scribae librarii; la sua iscri-
zione deve aver occupato il posto di un'altra piü antica e poi can-
cellata. Ne mi pare impossibile 1' indovinare quäle sia stata Tiscri-
zione originaria.
E ben noto come in monumenti pubblici dedicati da due
magistrati soleasi comunemente ripetere due volte l'iscrizione
dedicatoria. Soltanto i nomi cambiavano posto, e quello ch'era primo
in una iscrizione, diveniva secondo nell'altra. Mentre questa regola
si trova osservata in una delle coppie d'iscrizioni della schola
Xantha, quella cioe che parla della ricostruzione dell'edifizio, manca
invece l'iscrizione gemella di quella che si riferisce agli ornamenti
aggiunti post dedicationem : strana mancanza di simmetria, giä
rilevata dallo Jordan {Eph. epigr. III, 1. c). Mi sembra quindi
molto probabile, che la fascia dell'epistilio occupata poi dall'epi-
grafe di Avillio Licinio Trosio, originariamente portasse quel titolo
gemello; e l'ordine delle epigrafl, per semplice congettura, si ri-
costituirebbe cosi :
(l) E da notarsi che l'apografo accurato del Manuzio nella seconda riga
infatti legge refecit, non fecit, ch'e la lezione comune di Marliani, Ligorio
e Metello.
218 IL SITO E LE ISCRTZIONI
da un lato:
fascia superiore:
A • FABIVS • XANTHVS . BEBRYX • AVG • L DRVSIANVS
ET MVTVLOS CVM TABVLA AENEA etc.
fascia inferiore:
b) BEBRYX • AVG • L • DRVSIANVS • A • FABIVS • XANTHVS
AB • INCHOATO REFECERVNT etc.
dall'altro lato:
fascia superiore:
c) A • FABIVS • XANTHVS • BEBRYX • AVG • L • DRVSIANVS
AB • INCHOATO REFECERVNT etc.
fascia inferiore:
d) BEBRYX • AVG • L • DRVSIANVS • A • FABIVS • XANTHVS
ET MVTVLOS CVM TABVLA AENEA etc.
Rimettiamo ora al posto del titolo primo da noi ideato quello
di Avillio Trosio (a) letto dagli autori del Cinquecento, e parago-
niamo l'ordine allora risultante con le principali testimonianze,
cioe quelle chiare ed intelligibili (x) e prive del sospetto d'inter-
(!) L'apografo del Metello, ch'e per la maggior parte in lettere corsive,
contiene delle indicazioni che saranno state chiare all' autore stesso, il quäle
copio sul luogo, ma che per ogni altro non si prestano ad un'interpretazione
certa. Non posso dispensarmi di apporlo intero osservando scrupolosamente
anche la divisione dei versi quäle si trova nel cod. Vat. 6040 f. 8' e mettendo
tra C] le parole cancellate dallo scrittore stesso.
LICINIVS
c • avilivs [trosivs] trosivs cvra
SCHOLAiW DE SVO FECIT
BEBRYX • A • L • DRVSIANVS • A • FABIVS • XANTHVS
CVR
«»ueUata Iwagines argenteas deo[r vn] a tergo epistylii
Hlecjihi[e.' , RVM • SEPTEM POST DEDICATIONEM SCHOLAE
forse dötro]t
ET MVTVLOS CVM TABVLA AENEA SVA PE
CVNIA DEDERVNT
[/'ultima parola poi nuitata in fecervnt]
extra A. Fabius Xanthus Bebryx Aug. 1. Drusianus
in eodem _ *
cur. scribis übraris [fj^^ et Pre?on
DELLA SCH0LA XANTHA NEL FORO ROMANO 219
polazione (l). Di esse propongo il quadro seguente :
Marliani : uno epistylio, parte interiore j j1
extra yero in eodem epistylio d
Ligorio (Neap.): [architrave segnato M] a
lato di dentro dell'architrave segnato M c
parte di fuori dell'architrave segnato D, b
lato di dentro dell'architrave segnato fl d
Manüzio: fuori dell'architrave verso la Consolazione b
nel medesimo di dentro d
di sopra a
(senza prescrizione) c
Quindi possiamo supporre come certi due punti essenziali:
1° che l'iscrizione di Avillio Licinio Trosio occupasse la
fascia superiore;
2° che i due titoli comincianti col nome di Bebryce stas-
sero da due lati diversi della medesima fascia dell'epistilio,
e questi due punti si accordano benissimo con la riordinazione da
noi stabilita per semplice congettura.
Propongo in fine il testo delle iscrizioni, con l'aggiunta del-
l'apparato critico. come risulta dalle sopra esposte ricerche.
in alio latere
ibus aedil cur scholam ab inchoato re
fecerunt marmoribus ornaverunt victoriä
augustä et sedes aenoas et cetera or
namenta de
derunt
in alio Bebryx Aug. L. Drusian1 A. Fabius Xanthus
ab inchoato refecerunt marmoribus ornaver
uictoriä au.
(!) Questo sospetto cade specialmente sul ms. Parigino del Ligorio, il
quäle certamente e posteriore al Napoletano, e mostra di esser stato alterato
nel modo usuale a quel falsario. Ecco le sue indicazioni:
queste erano in una parte deH'epistilio C
ed in altra parte queste b
in un altro fragmento del medesimo epistilio cosi d
il medesimo di dentro con quest'altra dichiarazione a
Mi pare piü prudente di non fare gran conto delle varianti fornite da questa
seconda redazione Ligoriana.
220
IL SITO E LE ISCRIZIONI
in epu
a) C • AVILLIVS • LICIJ
SCHOLAM ■
b) BEBRYX • AVG • L • DRVS1ANVS • A • FABIVS • X ANTH VS/- C tR
r —
AB . INCHOATO.REFECERVNT . MARMORIBVS . ORNAVERVNT . VICTORIAM . AVG VSTAM ET.SEDES.AlB
in episfi
c) A ■ FABIVS • XANjHVS • BEBRYX • AVG • L • DRVSIANVS
AB. INCHOATO . hEFEc/ERVNT MARMORIBVS . ORNAVERVNT . VICTORIAM . AVGVSTAM . ET . SEDES . AENEA
d) BEBRYX • AVG • L • DRVSIANVS • A • FABIVS • XANTHVS • CVR • IMAGES
ET MVTVLOS . CVM . TABELLA . AENEA . DE SVA PECVNIA . DEDERVNT .
a) Integram Marliani Manutius, fractam Metellus Ligorius. — 1 avillivs solus Man., aB
Marl. Lig. Met. — ex. cvra . . . Met. — Interpolavit Ligorius (Neap.) cvrator • so ...
propter frustulum b, 2 hoc loco perperam adiunctum; cvrator • SCRIB • libr. m|
(Paris). — 2 refecit Man.
b) Integram Marliani Manutius, qui variant in his: 1 aed • Marl. — 2 mÖnvment pro
ORNAMENTA Man. — ex. FECERVNT Marl., FACIVNDA CVRAVERVNT Mail., Ujfl
fortasse ex supplemento. — Fragmentum 1, quod linea distinxi, viderunt Mete I (
Ligorius, qui cum in versu 2 non plura quam Metellus habeat, versui prini'ddi
CVrat • (cvr • Paris) scrib . . ., ex interpolatione omnino. — Frustulum 2 sv\yMv-
solus exhibet Lig. (Neap.), positum iuxta titulum a: idem in Paris, adglutinat iati
celato (scribit v. 1 librariIs, v. 2 avgvstam • pecvnia////) ad fragmentum prj.ffl(
1 a • ante fabivs om. Man.
mtenore
SIVS • CVRATOR
• FECIT
.
2
, I B [IJ5 • LIBR A R I I\S • ET • PRAECONIBVS • AEDIL • CVR • SCHOLAM
A . ORNAMENTA DE SVa\ PECUXlA^dederUllt
exteriore
IIBIS • LIBRARIIS • ET • PRAECONJIBVS • AEDIL • CVR • SCHOLAM
iKNAMENTA . DEDERVNT /
ENTEAS • DEOIRVM • SEPTEM • POST • DEDICATIONEM • SCHOLAE
itegram Ligorius Metellus, fragmenta 1. 2 quae lineis distinximus Manutius, totum
titulum om. Marliani. — 1 fab • Lig. (Neap.). — libraris Met. — post praecon . . .
inserit ' in alio latere ' , fracturam opinor significans Met. — 2 inchoata refecit Man. —
Ornament pro ornavervnt Lig. (Neap.), om. id. (Paris). — dedit Ligor.
\ itegram Marliani Metellus, mutilam a dextra Ligorius (Neap. Paris.) Manutius. —
1 avg • Li A • L • Met. — deo |rvm , interponens verba ' a tergo epistylii ' Met., deo . . .
Lig. (Neap.), deo • d • d id. (Paris), deorvjw • s Manutius, cuius auctor in fine potest
litterarum dimidiatarum quaedam vestigia dispexisse a ceteris praetermissa. — 2 in •
F-T pro et Man. — javtalos id. — tabvla Met. Ligor. — de] ex Man., om. Met. Lig. —
dedervnt postea in fecervnt mutavit Met.
uum divisionem servant in titulis omnibus Marl. Lig. (Neap.), in a Met., in b c Man.
omnino neglegit Lig. (Paris).
222 IL SITO E LE ISCRIZIONI
Nota a p. 217 sopra i nomi doppl di servi e liberti
della casa imperiale.
Trattando dei servi publici e la loro nomenclatura, il Mommsen (St. R.
I3 p. 323) osserva, che essi portano ordinariamente due nomi, l'uno servile,
ch'e proprio individuale ; l'altro, un cognome in — anus, accenna al padrone
anteriore ed e derivato usualmente da nomi di famiglie nobili. Tale nomen-
clatura doppia, aggiunge il Mommsen, si trova pure spesso negli servi della
casa imperiale, raramente in quelli dei municipi e delle famiglie piü nobili
di Eoma : sembra che essa indichi una posizione media tra liberi e schiavi
effettivi (i).
Mentre i servi publici ebbero i cognomi derivati sempre da gentilizi
nobili, gli schiavi della casa imperiale li assnnsero non soltanto da nomi di
questo genere, ma molte volte anche da nomi servili. Siffatti cognomi deri-
vavano dagli nutritores per gli alumni, dai servi possedenti un peculium
per i loro vicarii ecc.
II seguente elenco degli esempi a me noti delle due categorie si limita
alla sola famiglia imperiale (2) senza separare gli schiavi dai liberti, la cui
nomenclatura e regolata secondo le medesime norme. L'elenco e composto per
mezzo di uno spoglio fatto apposta dei volume VI dei Corpus Inscriptionum
Latinarum, il quäle naturalmente contiene la maggior parte degli esempi, e
coll'aiuto degli indici dei volumi III. V. IX. XII. XIII. XIV della medesima
opera (3). Tale lavoro senza dubbio sarä corretto ed aumentato per la com-
pilazione definitiva degli indici dei volume sesto ; credo perö di potergli pre-
(1) Meno corretta e l'espressione usata dal Marquardt Privatleben 12 p. 21: 'Kommt ein
Sclave durch Kauf oder Erbschaft an einen neuen Gewalthaber, so wird ihm das cognomen seines
früheren Herren mit dem Suffix - anus beigegeben, s. B. Secundus Caesaris nostri verna Crescen-
tianus; Anna Liviae Maecenatiana '. Questa regola non e mai stata generale per la nomenclatura :
altrimenti ne dovrebbero abbondare gli esempi.
(2) Gli esempi di simili nomi sono assai scarsi anche nelle famiglie piü nobili di Roma:
l'unica che ne fornisca un maggior numero, sono gli Statilii (C. I. VI, 6228. 6356 con le note degli
editori) : il che forse e un'altra prova, che gli Statilii si arrogassero istituzioni usate soltanto
dalla famiglia imperiale (Mommsen St. K. 113 p. 824 not. 6). Di altri esempi noto: M. Vipsanius
Agrippae l. Antiochus Sittianus, M. Vipsanius Agrippae l. Troilus Sittianus VI, 18269; Eros
C. Sallusti Crispi ser. Metellianus VI, 5882; Spendo Torquatianus VI, 7303, Primus Q. n. act.
Rhodismianus VI, 7367 (mon. Volus.) : tutti pure dei principio dell'iinpero.
(3) I volumi II e IV dei Corpus non contengono nessun esempio sicuro di tali nomi : dei
volume XI non posso assicurare lo spoglio completo a cagione della mancanza degli indici. I vo-
lumi I-VI dell'Ephemeris epigraphica non aggiungono verun esempio a quei da noi raccolti.
DELLA SCHOLA XANTHA SUL FORO ROMANO 223
metterc le parole del Morarasen nella sua dissertazione de militum provin-
cialium patriis (Eph. epigr. V, 159): Ut dubium non est, quaedam omissa
esse quae addi potucrunt et debuerunt, ita non multa confido desiderari
eorum quae hodie nota sunt. — Non molti sono i nomi, che ci lasciano du-
bitare, se il cognome, dal quäle sono derivati, accenni ad un padrone nobile, op-
pure libertino, como p. es. i Festiani, Hilariani, Montaniani : li ho rimessi
tutti nella seconda categoria. E da osservare, che in questa, gruppi molto
estesi non ve ne sono affatto, ed invece della maggior parte non se ne ha
che un solo eserapio.
I. Cognomi derivati da membri della famiglia imperiale, o
da famiglie nobili (*).
Aemiliani : Diadumenus Aug. ser. A. VI, 5355.
C. Iulius Bassus A. VI, 8688.
Agrippiniani: Anthus Imp. T. Caesaris Aug. et Augustae ser. A. VI, 15616.
Phoebus Caesaris n. Agrippinianus VI, 24164.
Agrippiani (di M. Agrippa) :
Acastus Caesaris Aug. 1. ostiarius A. VI, 5849.
Atticus A. Caesaris disp. VI, 8820.
Castor TL Caesa(ris) et Aug. 1. A. VI, 5223 (Codin. III).
C. Iulius Divi Aug. 1. Cozmus speclariar. A. VI, 5202. 5203.
Philagrus Divi Aug. 1. A. VI, 8012.
Philotimus A. VI, 4808.
Princeps Caesaris ser. A. VI, 5299 (Codin. III).
Amyntiani (forse di Amynta, re di Galazia, morto nel 729 a. u.):
Alexander A. VI, 8738 (a. u. c. 753).
Apollonius A. VI, 10395 (a. u. c. 753).
Damocrates A. VI, 10395 (a. u. c. 754).
Epinicus Caesaris ser. A. VI, 8894.
Gaa A. VI, 10395 (a. u. c. 753).
M. Livius Aug. 1. Anteros A. VI, 4035 (mon. Liv.).
Antoniani (2) : Antigonus Liviae 1. A. VI, 4018, cf. 4100 (mon. Liv.).
Eros A. VI, 10395 (a. u. c. 754).
Lucrio A. VI, 10395 (a. u. c. 752).
Diadumenus Aug. I. proc. Antonianus Hermes XVDH, p. 158 (iscr.
del Posilipo, scritta nel 65 d. C).
Ti. Claudius Victor A. Divi Claudi lib. VI, 15314.
T. Flavius Aug. 1. Sedatus A. VI, 18203.
Ti. Claudius Aug. 1. Phoebus A. XIV, 2835.
(1) Le sigle Codin. I e III indicano i monumenti scoperti nella vigna Codini nel 1840 (C. I.
VI, p. 926 sgg.) e nel 1852 (ib. p. 939), le cui iscrizioni appartengono *utte alla prima raetä del
primo secolo d. C.
(2) I primi tre appartennero giä ad Antonia moglie di Druso: degli altri e incerto, se aasun-
sero il cognome dalla medesima, o di qualche merabro della famiglia Antonia.
15
224 IL SITO E LE ISCRIZIONI
Ateiani: Ateian. . . ? VI, 4246 (raon. Liv.).
Auyustiani (cf. il collegium Concordiae Augustianorum familiac castrensis
VI, 8532).
Iucundus Aug. 1. A. VI, 19746.
Narcissus A. VI, 5206 (forse passato poi nella famiglia di Agrip-
pina seniore).
M. ülpius Aug. lib. Paris Augustanus VI, 8772 (dubbio).
Aureliani : Hymnus A. VI, 4431 (raon. Marcell).
Burriani : (forse dal noto prefetto Afranio Burro).
T. Flavius Aug. lib. Crescens tabularius B. VI, 9059.
Caianus : Anicetus Caesaris Aug. C. VI, 11631 (1).
Cascelliani (forse della famiglia del giureconsulto A. Cascellio morto sotto
Augusto ' :
Asia Liviae C. VI, 3952 (mon. Liv.).
Censoriniani (forse da un Marcius Censorinus):
Argaeus gyber(nator) C. X, 6638 (fast. Ant.).
Claudiani : Clemens Caesaris C. Fabretti 310, 334 (piü corretto die Reines.
9, 102, da cui C. I. L. VI, 18816).
Corneliani : Hilarus Liviae 1. C. VI, 4062 (mon. Liv.)
Cornißciani : Ti. Iulius Aug. 1. Fuscus C. VI, 5245 (Codin. III).
Crispiani: M. Ulpius Aug. lib. Felix Cr. Marini Vat, 9126 f. 359.
Domitianiani : Encolphius D. VI, 8532.
Dolabelliani: Athictus D. VI, 5218 (Codin. III).
Drusilliani (di Drusilla sorella di Gaio imperatore) :
Cinnamus Ti. Claudi Caesaris Aug. Gerraanici disp. Dr. VI, 8822-8824.
Drusiani: Bebryx Aug. 1. D. VI, 103.
Amphion Ti. Caesaris Aug. D. V, 1067.
Chryseros Ti. Caesaris D. XIV, 2420=- XI, 2916.
Philomusus Liviae 1. D. VI, 4180 (mon. Liv.).
Sinnio Caesaris corpore custos 1). VI, 4437 (raon. Marc).
Fabiani : Felix Ti. Claudii Caesaris Augusti dispens. F. XIV, 3920.
Frontoniani : Faustus Augusti et Augustae F. VI 5181 (Codin. III.).
Fulviani : Attalus F. X, 6638 (fast. Antiat).
Galbiani (dell'imperatore Galba) :
Aepolus irap. T. Aug. disp. G. VI, 8819.
T. Flavius Encolpius Aug. 1. G. VI, 18048.
Galeriani: Titurus G. VI 8738 (a. u. c. 753).
Germaniciani (di Gerraanico Cesare; tutti dal raonumento dei figli di Druso):
Hermeros Agrippinae G. VI, 4387.
Macer Germanicianus Ti. Caesaris Germanus VI, 4339.
Nereus nat. German. Peucennus Germanicianus Neronis Caesaris
VI, 4341.
(1) Iscrizione perduta nell'originale e serbata soltanto dagli apografi di Ligorio e di Cas-
siano del Pozzo.
DELLA SGHOLA XANTHA SUL FORO ROMANO 225
Nestor C. Caesaris ser. G. VI, 4357.
Philonicus Ti. Caesaris G. VI, 4353.
Valens Germanus G. VI, 4341.
Xystus Ti. Caesaris ser. G. VI, 4400.
Iuliani : Antiocus I. VI, 5857.
Faustus Augusti ser. Iulianus VI, 22670.
Hermes I. VI, 10305 (a. u. c. 751).
Himerus Caesaris ministrator I. VI, 5751.
Montanus I. VI, 4435 (mon. Marcellae).
Phosporus Aug. ser. I. VI, 5837.
Lentuliani : Elenchus Iuliae Aug. ser. Lentlianus VI, 4273 (mon. Liv.),
Fronto Ti. Claudi Caesaris Aug. Germanici dispesator Lent[l]ia-
nus V, 2386.
Liciniani : Hospes L. VI, 4305 (mon. lib. Drusi).
Hospes Ti. Caesaris Aug. L. VI, 244 (p. C. 18).
Natalis Aug(ustae) disp. L. VI, 3068 (mon. Liviae).
Liviani : Anthus Caesaris trierarchus L. XII, 257 (insieme con un C. Iulius).
Maecenatiani : Agrypnus Caesar. Aug. M. VI, 4032 (mon. Liv.).
Anna Liviae M. VI, 4005 (mon. Liv.).
Buzyges Augusti ser. M. VI, 22070.
Cissus Caesaris M. VI, 4016 (mon. Liv.).
Parmeno Liviae a purpur. M. VI, 4016 (mon. Liv.).
C. Iulius Divi Aug. 1. Delphus M. VI, 10026.
Maeciani: Euchrus Caes. ser. M. VI, 11782.
Maeciliani: Eros Augustae lib. M. VI, 4124. 4125 (mon. Liv.).
Marcelliani: Valeria Nama Messallaes 1. M. VI, 4501 (mon. Marcell.) (J).
Alexander M. VI, 8532 (insieme con un Domitianianus).
Maroniani (di Virgilio Marone, cf. vita Donat. 37 : heredem fecit . . . ex parte
quarta Augustum):
Mima l(ibertus) M. VI, 4173 (mon. Liv.).
Timotheus Aug(ustae) 1. M. VI, 4173.
Mettiani : Corinthus Caesaris n. M. VI, 252 (dedicata al genio di Traiano).
Neroniani: Eutychus Aug. lib. N. VI, 10172. 10173 (2).
Blastus Caesaris ser. N. VI, 15347.
Octaviani (di Octavia moglie di Nerone) :
Successus imp. Vespasiani Caesaris ser. 0. VI, 15557.
Othoniani (di Othone imperatore):
T. Flavius Aug. lib. Phoebus 0. XIV, 2060.
Papiriani: Classicus P. VI, 8576.
Polliani: Apaes Iuliae Aug. structor P. VI, 8011.
(1) Questa appartenne prima alla famiglia di Marcella minore, e fu poi manumessa dal se-
condo suo marito, M. Valerio Messalla Barbato, cos. 742. Cf. Mommsen C. VI, p. 909.
(2) Puö darsi che il medesimo sia nominato MUT iscrizione frammentata di Terracina
X, 6406 . . . ycus Auf/. . . | . . . oniamts et . . etc.
226 IL SITO E LE ISCRIZIONI
Pompeiani: Diogenes P. lectic. VI, 5865 ) ... . i . . _. . ,
1 , . °_ . -TT K„„K > titolo serbato da Ligono solo.
Iole P. tostr. VI, 5865 ) b
Poppaeani (di Poppaea moglie di Nerone) :
T. Flavius Aug. 1. Parthenopaeus P. VI, 8954.
Gemellus Aug. 1. P. VI, 99.
Quinctiliani : C. Iulius Aug. 1. Lochus Q. VI, 20112.
Rusticiani: Hermes Caesaris ser. R. VI, 25997 — Fabr. 308, 311.
Sallustiani: Hagius Caesaris Aug. ser. S. VI, 5863.
Scapliani o Scapulani (x) : Ti. Claudius Aug. 1. Felix Scapulanus VI, 10302.
Felix Ti. Caesaris Sc. VI, 9061a (identico col precedente).
Pelops Scaplianus Ti. Caesaris tabularius et Augustae VI, 4358
(mon. lib. Drusi).
Philadelpus Ti. Caesaris Aug. et Iuliae Aug. ser. Scaplianus
VI, 9066.
Stymphalus Ti. Caesaris Augusti et Iuliae Aug. ser. Sc. VI, 5226
(Codin. III).
Thethis Antoniae Drusi 1. Scapliana VI, 4402 (mon. lib. Drusi).
Sulleiani : Cissus Caesaris Aug. tab. S. VI, 8781.
Tadiani : Ti. Claudius Augusti lib. Felix T. VI, 15062.
Tertulliani : Ti. Claudius Pardalas T. VI, 8534.
Titiani: . . . iu]lius Aug. 1. [Is]marus Titianus VI, 5194 (Codin. III).
Tulliani : Daphnus Aug. [1.] T. 8701 (insieme con un Ulpius Aug. 1.).
Turraniani: Amarantus Augusti ministrator T. VI, 5873.
Vedianii: (di Vedio Pollione, che mori nel 739 a. u., t<o AvyoiatM rol xXr^ov
av%vdv fisqos YMxakintäv ; Dio 54, 23).
Anteros marmorarius V. VI, 8893.
Erastus V. VI, 5858.
C. Iulius divi Aug. 1. Niceros V. VI, 5180 (Codin. HI).
Lucrio V. VI, 10377.
Mellax Veidianius. Not. degli scavi 1886, p. 275.
Pses V. VI, 10395 (a. u. c. 754).
Viniciani: Ti. Claudius Aug. 1. Thaies V. VI, 8938.
Volusiani : Hymnus Caesaris Aug. V. VI, 10267.
II. Derivati da nomi servili.
Acteanus : Ti. Claudius Aug. lib. Epictetus A. VT, 15027.
Claudia Aug. 1. Pyihias Acteniana X, 7980 (*).
(1) Non so da qnale personaggio nobile col cognome di Scapula questi servi si potrebbero
credere appellati. Quel T. Qninctio Scapula, che mosse la guerra in Spagna contro Cesare, sembra
escluso per ragioni eronologiche : nemmeno si adatta M. Ostorio Scapula cos. nel 59 d. C.
(2) Iscrizione trovata a Terranova in Sardegna: il cognoraa giustamente viene riferito dal
Slommsen all» liberta e ' quasi uxor ' di Nerone, la qnale aveva dei latifundj in qnesta isola.
DELLA SCHOLA XANTHA SUL FORO ROMANO 227
Actianus : Hermes Aug. lib. A. VI, 15357 (x).
Aegestianus : Successus Caesar, n. ser. Ae. XIV, 3396.
Agathoclianus : Gamus Caesaris A. VI, 10245 (2).
Agnianus : Epaphroditus Caesaris ser. A. VI, 15615 (raarito di Claudia Thelge).
Alcimianus: T. Flavius Paederos Aug. lib. A. VI, 8504.
Alexandrianus: Clarus [Ti. Cae]saris Augusti e[t Iuljiae Augustae [se]rvus
A. VI, 5316.
Alypianus : Crescens A. Imp. Caesaris Nervae Traiani Aug. Germ. Dacici disp.
VI, 544. 634.
Diognetus Ti. Aug. ser. A. Not, degli scavi 1886 p. 378 n. 165.
Amarantianus : Polybius Aug. 1. A. X, 2857.
Amomianus : Artema Caesaris A. VI, 12486.
Amorianus : M. Ulpius Aug. lib. Aphrodisius A. Mur. 1016, 8 (Roma).
Amphioni[a]nus (?): Auctus Caesaris Aug. 1. A. VI, 12792.
Anterotianus : Atimetus Pamphili Ti. Caesaris Aug. 1. 1. Anterotianus VI
12652.
Princeps Caesaris ser. A. VI, 25033 (v. Pamfili).
Antiochianus : Ascanius Caesaris ser. A. VI, 8633.
Aphetianus : Modestus Caesaris ser. A. X, 4225.
Apollonianus : T. Fl. Aug. lib. Eutychus A. VI, 8920.
Apsyrtianus : Aesopus Caesaris Augusti disp. A. XIV, 2259.
Arc(h)elaianus : Dardanus Ti. Caesaris Aug. et Augustae ser. A. VI, 4776.
Atimetianus : Abascantus ser. A. XIV, 2657 (sotto Domiziano).
Abascantus Aug. lib. A. VI, 656 (forse identico col precedente).
Attalianus : Linus Augusti tabularius A. VI, 853* (3).
Atticiani (4): Abascantus Aug. a rat(ionibus) A. VI, 8408.
Fructus Imp. Caesaris Domitiani Aug. Germanic. A. VI, 8410.
Alexander Caesaris ser. A. VI, 11390.
Epaphra Aug. 1. A. VI, 8451 (etä di Claudio).
T. Flavius Aug. 1. Epaenus A. VI, 18049.
Auctianus: Eros A. Iuliae Aug. pedisseq. VI, 4245 (mon. Liv.).
Caenidianus: (5) Ti. Claudius Aug. lib. Hermes C. VI, 15110.
Fl. Aug. lib. Helpis C. VI, 18358.
Candidianus : Epitynchanus Caes. n. ser. C. X, 6977.
Celadianus: Ti[t]yr[us] Ti. Caesaris Aug. ser. C. VI, 8909 (6).
(1) Insieme con nna Claudia Afrodisia.
(2) Nello stesso titolo si trova Prisais Aug. I. Gamianus, probabilmente alunno di questo.
(3) Non posso convincermi che questo titolo, il quäle fu dichiarato dall'Henzen, raa con
riserva, come moderno, sia una falsificazione Ligoriana: anzi la nomenclatura mi sembra conformi
la sua autenticitä.
(4) I primi due sono liberti di Atlicus Aug. lib. a rationibus mentovato nel titolo VI, 8410.
(5) Nome derivato, come osservö l'Henzen (Bull. dell'Inst. 1864 p. 25) da Caenis, liberta di
Antonia Augusta, e poi concubina di Vespasiano imperatore.
(6) II Dessau C. XIV, 3524 giustamente osserva: Celadus Augustae libertus fortasse non
dirersus est a Celado, quem libertum Augustus in honore et usu maximo habuit teste Suetonio
Aug. c. 67; ad familiam eins videtur pertinuisse Ti. Caesaris servus C, huius Corp. vol. VI n. 8909.
228 IL SITO E LE ISCRIZIONI
Chrestianus : Epaphroditus Ch. X, 6638 (fast. Antiat).
Iucundus Ch. VI, 24944 = Or. 4426 (con un servo di Antonia Drusi).
Cosmianus: Pylades Imp. Caes. Nervae Traiani Aug. Germanici Dacici ser.
C. VI, 9090.
Crescentianus : Secundus Caesaris nostri ser. Cr. VI, 8475 (insieme con un
T. Flavio).
Damoclianus : Gamus Caesaris D. VI, 4154 (mon. Liviae).
Delphianus ? : Nymphius Del . . ianus X, 6638 (fast. Antiat.).
Hy]mnus pedis(se)q(uus) Delp(hianus) X, 6638 (fast. Antiat.).
Demosthenianus : Merops Ti. et Augustae 1. D. VI, 4173 (mon. Liv.).
Diogenianus : Myrtilus Caesaris D. VI, 3942 (mon. Liv.).
Dionysianus : Dama Caesaris D. VI, 4558 (mon. Marcell.).
Drosianus : T. Flavius Aug. 1. Verecundus D. VI, 18242.
Entellianus : M. Ulpius Aug. lib. Cladus E. Fabretti 318, XXXX.
Epagathianus : Charito Caes. ser. Ep. III. 4894 (insieme con Flava).
Epaphroditianus : Demetrius Caesaris n. ser. E. VI, 239.
Euporianus: Secundus E. X, 6638 (fast. Antiat.).
Eutactianus: Blastus E. XIV, 4057 (»).
Faustiani: Chryseros Caesaris ser. F. XII, 117.
Cinnamus Ti. Caesaris Aug. F. VI, 14828.
Onesimus Caesaris n. ser. F. VI, 74 (traditur Faustinus).
Festianus : C. Asinius Aug. lib. Paramythius F. VI, 12533 (2).
Ephebianus : T. Flavius Aug. lib. Hyginus E. = T. 4>Xaovios 'Yyeivög VI, 732.
Gamianus : Priscus Aug. 1. G. VI, 10245 (insieme con Gamus Agathoclianus,
di cui probabilmente fu vicarius).
Actius Aug. Gamianus VI, 15350 (insieme con una Claudia).
Gratianus : Ti. Claudius Ianuarius Gr. VI, 8933 = Ianuarius Gr. VI, 8934.
Gugetianus : Hilarus Liviae G. VI, 3941 (mon. Liv.).
Hag ianus : Callistus Aug. ser. H. VI, 8723.
Herodianus: Coetus H. VI, 9005 (dell'anno 22 d. C).
Hilarianus : Primus H. X, 6638 (fast. Antiat).
Ilyginianus : Epaph[ro]ditus Imp. Caesaris. Nervae Troiani Aug. Germ. Dacici
ser. Yginian(us) VI, 8865.
Callistus Aug. lib. Hyginianus VI, 18358 (insieme con una Caeni-
diana).
Ianuar ianus : T. Flavius Aug. lib. Myrtilus I. VI, 10252.
Ingenuinianus : Felix Cae(saris) ser. I. VI, 4022 (mon. Liv.).
Ismarianus : Amemptus Aug. I. X, 8059,33.
Isochrysianus : Onesimus I. VI, 10395 (a. u. 754).
Iubatianus : Chius Aug. I. VI, 9046.
lucundianus : Porphyrio Caesar Aug. ser. I. VI, 15570.
(1) Nel medesimo titolo vi 6 un liberto di Giulio Quadrato, console nel 105 d. C.
(2) L'originale di questo cippo e stato ritrovato dal ch. Stevenson, il quäle ce ne favori una
copia esatta, confirmando la lezione del nome di Paramythio. Cf. Momrasen Eph. epigr. IV, p. 109 not. 7.
DELLA SCHOLA XANTHA SUL FORO ROMANO 229
Iuvencianus : Primigenius Imp. Caesaris Vespasiani Aug. I. VI, 301.
Laconianus : Anteros Caesaris L. Fabr. 343,530 (Roma).
Laetianus : Thras . . . Caes. n. ser. L. Bruzza Ann. 1870 p. 135 n. 200-201
(dell'a. 101-104 d. C).
Leonidianus : Hospes Divi Claudi libertas tabularius L. V, 9060.
Lesbianus : T. Flavius Aug. lib. Chrysogonus L. VI, 8438.
Lucconianus : Antiochus Aug. n. L. VI, 8575.
Lurnesianus : T. F. Diadumenus L. praegustator Augusti VI, 602.
Lysenianus: Seleucus Iuliae Aug. 1. L. VI, 8727.
Montanianus : Eutychus Imp. Domitiani Caesaris. Aug. Germanici ser. dispen-
sator M. VI, 8831.
Narcissianus 0) : T. Flavius Aug. lib. Firmus N. VI, 9035. 9035a.
Nicandrianus : Amianthus N. VI, 10395 (a. u. c. 754).
Nicomachianus : Fortunatus Caesaris ser. A. VI, 18553.
On[esi]m(ianus) : Agathopus O. X, 6638 (fast. Ant.).
Pallantianus : Carpus Aug. lib. P. VI, 143. 8170 (2).
Pamphilianus : Calamus Ti. Claudi Caesaris Augusti Germanici 1. P. VI,
4226. 4226a.
Panerotianus : Heliodorus Aug. 1. tabula[rius] P. VI, 4037 (mon. Liv.).
Peplianus : Epaphroditus Aug. lib. P. VI, 8439 (insieme con Flavii).
Phaedimianus : Valens Aug. lib. Ph. VI, 1884 (dell'epoca di Traiano).
Philote...: Amphio Ph. VI, 10395 (a. u. c. 753).
Salvius Ph. VI, 8738.
Phoebianus : Onesimus Imp. Caesaris Nervae Traiani Aug. Germ. ser. Phoe-
bianus VI, 18456.
Potitianus : Philadelpus P. VI, 4012 (mon. Liv.).
Primig enianus : Gemellus Neronis Claudi Caesaris Aug. Germanici P. IX, 4977.
Pylaemenianus : Alexander C. Caesaris Aug. Germanici P. VI, 5188.
Romanianus : Secundus Caesaris ser. E. (?) XI, 3762.
Scurranus : Musicns Ti. Caesaris Augusti Sc. VI, 5197.
Sebosianus : Anthus Caesar. Aug. ser. S. VI, 4903 (Codin. I).
Secundianus : Chresimus Aug. lib. S. VI, 594.
Semnianus : Zethus Caesaris ser. S. VI, 20433 (insieme con Iulia Elate).
Sigerianus : EncccpQÖtfiTog Kc.laccgog ZtytjQiuvog = 'EnacfoöJiTos öovXog 2'eiytj-
Qia*>6g C. I. Gr. 4717 (a. 100 d. C).
Sdvanianus : Martialis disp. Aug. S. VI, 8836.
Spendontianus : Florus Sp. VI, 10395 (a. u. c. 753).
Sponsianus (3) : Nicodemus Sp. VI, 3959 (mon. Liv.).
Sp. ? VI, 4188 (mon. Liv.).
Ingenuus Augustae Sp. VI, 5263.
(1) Gli stessi titoli fanno menzione di un T. Flavius Aug. lib. Narcissus.
(2) II padrone si puö credere M. Antonius Pallas, liberto di Claudio ed Antonia, cf. Mommsen
Ind. Plin. p, 401. Che la dedica del titolo VI, 143 draconibus convenga bane all'epoca di Nerone
e notato nel Corpus 1. c.
(3) Cf. Sponsa Liviue VI, 4189. 4190. '
230 IL SITO E LE ISCRIZIONI
Stabilianus : Ti. Claudius Aug. lib. Limen St. VI, 8705.
Ti. Iulius Aug. lib. Diocles St. VI, 19933.
Stephanianus : Philargu(rus) lecticar(i)us Octaviae St. Not. degli scavi 188G
p. 285 n. 682.
Terpnianwt : Hierax Caesaris Aug. ser. T. VI, 19456.
Tertianus: Epaphroditus T. X, 6638 (fast. Antiat.).
Thamyrianus : Hymenaeus Caesaris ser. Th. VI, 8486 (x).
Hymenaeus Caes. ser. Th. III, 563 (insierae con una Claudia Aug. 1.).
Thyamidianus : Hermeros Ti. Claudii Caisaris Aug. Germanici ser. T. XI, 3199.
Tryphonianus : Eutyches Caes. n. ser. Tr. XIV, 2431 (insieme con Claudia
Prisca).
Vitalianus : Secundus Secundi Aug. 1. V. X, 1732 (insieme con liberti di Claudio).
Xanthianus : Thalamus Caesaris Aug. X. VI, 1 3850.
Zmaragdianus : . . . i]mp. Caesaris Nervae T[raiani Augusti G]erm. Dacici
ser. Z. VI, 542 (a. 112 d. C.) («).
L'elenco seguente composto secondo l'ordine cronologico serve
per indicare quali siano gli imperatori alla cui famiglia si pos-
sano attribuire i rispettivi nomi servili.
Avgvstvs : Agrippiani — Amyntiani — Archelaiani — Attaliani — Damo-
cliani — Diogeniani — Frontoniani — Ingenuiniani — Maecena-
tiani — Maroniani — Potitiani — Vediani.
(1) II eh. p. Bruzza ha osservato che il nome di questo servo a lapicidim's Carystiis si trova
in molti massi di cipollino seavati nell'antico emporio lungo il Tevere (Ann. dell'Inst. 1870 p. 174
175 n. 17-24) ' II nome ', - dice egli 1. c. p. 142 - ' e seinpre abbreviato ed in nesso, ma ora usa
quel d'Hymenaeus ed ova quello di Thamyrianns '. Questa opinione, alla quäle aderisce pure il
Mommsen (St. R. I p. 323 not.) mi pare insussistente, e crederei pinttosto trattarsi di due servi
diversi succedutisi nella cura delle lapieidine Caristie, d'un Tamiro (perche Thamyrus e non
Thamyrianus si debbono sciogliere le sigle delle iscrizioni 1. c. n. 25-38) ed un Imeneo. II titolo
VI, 8486 che nomina il Tamiro nutricius optimus di Imeneo. ci spiega la loro successione crono--
logica, come l'origine del cognome. Quanto all'epoca, il Bruzza credette di leggere in un masso
(n. 14) il nome del console Atiliano del 135, ma confessa egli stesso che il cattivo stato della
pietra rende la lezione poco sicura. Non mi pare ammissibile la spiegazione eh'egli da delle sigle
del masso 22: llyme(naeus) Cae(saris) | A{ugus(i) Il(adriani); le due lettere della seconda riga
saranno piuttosto note numerali greche.
(2) Non ho voluto ricevere in questo elenco nomi di lezione o spiegazione troppo dubbia,
come il Germanins] Serran[dianus .... J\r]eron[is Drusi ff]erm{anici) Cla[udi Caesa]ris del titolo
II, 665, il . . . us Favon Titer. e parecchi altri degli Fasti Antiatini (X 6638), ne di persone che
appartennero probabilmente si, ma non con certezza alla famiglia imperiale (come il C. Julius Felix
Hilarianus XiV, 1149; C. Iulius C. Philemonis Hortensiani lib. Botrus XIV, 1138; C. Iulius
Chresti Antoniani l. Secundus X, 4760). Ho escluso pure i cognotni materialmente appartenenti alla
stessa categoria, ma non tenninanti in - atius come paternus e maternus, che del resto anch'essi
appartengo:io tutti ai primi tempi dell*impero.
DELLA SCHOLA XANTHA SUL FORO ROMANO 231
Livia : Agrippiani — Alexandriani — Amyntiani — Antoniani — Archela-
iani — Ateiani — Auctiani — Augustiani — Cascelliani — Cor-
neliani — Demostheniani — Drusiani — Frontoniani — Gugetiani
— Lentuliani — Liciniani — Lyseniani — Maecenatiani — Maeci-
liani — Maroniani — Panerotiani — Polliani — Scapliani —
Sponsiani.
Tiberivs : Agrippiani — Alexandriani — Alypiani — Anterotiani — Arche-
laiani — Celadiani — Cornificiani — Demostheniani — Drusiani —
Faustiani — Frontoniani — Gerraaniciani — Liciniani — Sca-
pliani — Scurrani — Stabiliani.
Agrippina: Germaniciani.
Nero germanici : Germaniciani.
Antonia drvsi : Scapliani.
Marcella minor : Aureliani — Marcelliani.
Gaivs : Germaniciani — Pylaemeniani — Quinctiliani.
Clavdivs : Acteani — Antoniani — Caenidiani — Censoriniani — Chre-
stiani — Del[ph]iani — Drusilliani — Euporiani — Fabiani —
Fulviani — Hilariani — Lentliani — Onesimiani — Pamphiliani —
Scapliani — Tadiani — Thyamidiani — Viniciani.
Nero: Rrimigeniani.
Octavia: Stephaniani.
Vespasianvs : Iuvenciani — Octaviani.
Titvs : Agrippiniani — Galbiani.
Domitianvs: Atimetiani — Atticiani — Montaniani.
Fla vn : Alcimiani — Antoniani — Apolloniani — Atticiani — Burriani —
Caenidiani — Drosiani — Ephebiani — Galbiani — Ianuariani —
Lesbiani — Lurnesiani — Narcissiani — Othoniani — Poppaeani.
Nerva : —
Traianvs : Alypiani — Amoriani — Augustani — Cosmiani — Crispiani —
Entelliani — Hyginiani — Laetiani — Mettiani — Phaedimiani —
Phoebiani — Sigeriani — Zmaragdiani.
Che manchino esempi di tale nomenclatura sotto l'impero di Nerva non
pu6 recare maraviglia. stante la grande raritä di iscrizioni ricordanti liberti
di questo imperatore: non per5 si poträ attribuire al caso l'assoluta mancanza
di tali nomi dopo il regno di Traiano. Non ho trovato che tre esempi, che
sembrano contradire a questa regola: essi perö in veritä non appartengono
alla categoria di cui ci occupiamo. E sono:
1) l'iscrizione VI, 9031, che nel Corpus viene spiegata M. Aurelius
Cocceius Minie ianus rationalis etc.... Eiscontrando la lapide ho trovato che
nella prima riga chiaramente si legge M. Aurelio, come hanno pure copiato
Manuzio Marini ed altri. Non e esatta poi l'indicazione che di sotto vi siano
quattro linee cancellate : dopo la terza riga vi e uno spazio liscio ; ma quando
la lapide. che ha l'apparenza di essere frammento di una iscrizione a righe
lunghe, nell'etä di mezzo fu adoperata quäle sostegno di qualche colonna o
232 IL SITO E LE ISCRIZIONI ECC.
pilastro, come prova il canale per l'impiombatura tuttora visibile, fu distrutto
con lo scalpello la cornice che originariamente la cinse alla parte inferiore. II
testo doveva darsi cosi :
COCCEIVS-MINIC
RAT I O N ALIS • ET
cornice cancellata
2) II Wilmanns Ex. Inscr. ind. p. 404 annovera in questa categoria
pure il M. Aurelius Augg. üb. Euhodus Sabinianus dell'iscrizione Anagnina
X, 5917. Peru giä l'ordine col quäle sono collocati i nomi
E v H o D i
M • AVREL • SABINIANO
AVGG • LIB etC.
contradice a questa opinione. II personaggio mentovato si puo ritenere con
molta probabilitä per il padre della celebre Marcia, concubina di Commodo.
Egli e pervenuto all'onore del patronato di un municipio non mai ottenuto
da altri libertini, e quindi ha formato pure il suo noine in un modo altrimenti
riservato ad uomini di posizione elevata.
3) Resta l'iscrizione VI, 9055:
dis m|
p • aeli • avg-lib'ep
POLYBIANI ■ TAB j
che si potrebbe leggere P. Aeli Aug. üb. Bp[agathi] Polybiani: siccome
perö essa e nota soltanto dall'apografo del Doni (Vat. 7113 f. 110), non sem-
bra escluso che il decrittore copiasse male la fine della seconda riga, ov'era
scritto liber[to] , con tutte le lettere come in altri titoli della medesima epoca.
Possiamo dunque ritenere come certo, che Tuso dei cognomi doppi spa-
risce nella servitü della casa imperiale dopo il regno di Traiano. E ciö viene
confermato dal fatto, che i due sepolcri dei servi della famiglia augusta
teste scoperti a Cartagine, i quali appartengono al principio ed alla metä del
II secolo, non ci forniscono nessun esempio di tale nomenclatura.
Finalmente non sarä superfluo il notare come il numero delle femine
con nomi doppi sia scarsissimo in confronto degli uominL Fu giä notato dal
Mommsen 1. c. che non esiste un solo esempio di una serva publica del po-
polo Romano, e pochissime si trovano nei municipi. Sara dunque vero che
questa nomenclatura che assimilava il nome servile a quello dei liberi citta-
dini, anche nella famiglia imperiale fosse prerogativo degli uomini soli.
Ch. Huelsen.
MISCELLEN
KLEOPHRADES SOHN DES AMASIS.
Bei einem Aufenthalt von wenigen Tagen in Paris hatte ich Gelegen-
heit einige Vasen und Vasenscherhen aus der Sammlung des Herzogs de
Luynes näher anzusehen und dabei die folgenden Bemerkungen zu machen.
Die Inschrift mit dem Namen des Kleophrades ist von Luynes in dem
Text der Vases peints S. 24 ganz richtig wiedergegeben : das £ vor dem Namen
des Töpfers ist unverkennbar ; die Umrisse der oberen und unteren Hasta und
die Begrenzung der zweiten von unten rechts sind da und lassen keine an-
dere Reconstruction zu. Zwischen £ und dem Dreipunkt ist kein Raum für
einen anderen Buchstaben, so dass die Lesung AMA$£l$ : syQCcgfjt^e,
wie auch Brunn KG. DI. S. 657 erkennt, unzulässig ist, also Amasis II aus
dem Künstlerverzeichniss bei Klein, Meistersignaturen EL 149 fortfällt.
Aus einer genauen Messung des am Vasenfuss fehlenden Stückes und
der Vergleichung mit den Abständen der anderen Buchstaben ergiebt sich,
dass sieben Zeichen fehlen, weshalb ich
KUEo(J)KAAES { EPOIESEA' • AMAS[IOS i HVV]S :
ergänzen möchte. Denn, wenn auch die älteren Töpfer den Namen des Vaters
in anderer Weise anzugeben pflegen, so wird doch das Beispiel des Eu-
cheiros bei Klein, Meistersig. S. 72 genügen, da die Lesung Studniczka's im
Jahrbuch II S. 144: KqLxwv inoirjoev: Asinovg i'g, wegen des fehlenden 11
von vg, zu unsicher ist, um als Beleg zu dienen. Dagegen freue ich mich
auf Dümmlers Aeusserung in diesen Mittheilungen 1887 S. 190: dass der
angebliche Amasis II der Sohn des bekannten Amasis sein müsste, verweisen
zu können, um das vorausgesetzte Verhältniss zwischen Amasis und Kleo-
phrades zu empfehlen.
Meinerseits darf ich aber auch darauf hinweisen, dass Amasis selbst der
erste gewesen zu sein scheint, welcher in gewissem Sinne rothfigurig gemalt
hat. Die eine Seite nämlich der Amphora Luynes, die mit Dionysos und den
Bakchen ist, wie man schon der Tafel III und der Beschreibung von Luynes
S. 2 hätte entnehmen können, ganz ungewöhnlicher Technik, obgleich die
andere Seite in gewohnter Weise bemalt ist.
234 MISCELLEN
Dionysos allerdings ist ganz schwarz gehalten, und auch die Kleider
der Bakchen unterscheiden sich in nichts von denen anderer Figuren, aher
die nackten Körpertheile, Gesicht, Arme und Füsse sind in Urariss auf den
hell-thonfarbigen Grund gezeichnet, eine Verbindung von dunkler Farbe und
Umrisszeichnung, welche sonst, so viel ich sehe, nur aus den älteren Vasen-
gattungen bekannt ist, und bei dieser, wir dürfen sagen, ersten rothfigurigen
Malerei wie ein Zurückgreifen erscheint.
Freilich nähert sich diese Technik ungemein derjenigen der Francois-
Vase, unterscheidet sich aber darin, dass die Innenzeichnung dort auf weisse
Unterlage gesetzt ist, mit welcher sie beinah ganz verschwand, hier dagegen
von Weiss nichts zu sehen ist.
Es ist auch zu bemerken, dass der Kopftypus der Bakchen von den
gewöhnlichen schwarzen Figuren und denen der Francois-Vase abweicht und
sich demjenigen der anderen Kunstübung nähert. Ein besonders schlagendes
Beispiel zur Vergleichung bietet die im Journal of Hellenic studies 1887
pl. LXXIX von E. A. Gardener veröffentlichte Scherbe aus Naukratis.
Es dürfte kaum mehr verwegen sein, bei Amasis, dessen Name nach
Aegypten weist, und der in der Londoner Amphora (Klein N. 2) so trefflich
den Negertypus wiedergiebt, irgend welche Beziehung zu Naukratis, wo die
ältere Kunstübung lange gepflegt zu sein scheint, anzunehmen und somit die
Entstehung der attischen rothfigurigen Malerei als ein durch fremden Ein-
fluss veranlasstes Zurückgreifen auf ältere Gewohnheit zu erklären. Es knüpft
dann Andokides direkt an Amasis an, und die neue Technik bildet sich an
der Amphora aus, bevor sie den neuen Schalenschmuck erfindet, worin sie ihr
Höchstes leisten wird.
J. SIX.
DAS THEATER VON TAUROMENION.
Die in Serradifalcos Antichitä della Sicilia V Taf. XXI ff. und S. 38 f.
enthaltenen Aufnahmen und Beschreibungen sind im Wesentlichen wieder-
holt in Wieselers Theatergebäude Taf. II, 6 und S. 11, HI, 15 S. 25. In den
Notizie degli scavi 1880 S. 35 ist ein Fund in der Cavea gemeldet, welcher
indessen die Gesammtauffassung kaum beeinflusst. Die folgenden an einem
Vormittage dieses Sommers gemachten Beobachtungen wollen nur zeigen,
dass das Theater genauerer Untersuchung bedarf.
Nach Serradifalco (Cavallari, vgl. auch desselben leider kurze Notiz in
den Annali e Bulle ttino 1854 S. 56) S. 39 wäre die an den Fels gelehnte
Cavea, die Orchestra und der Quaderunterbau der Skene griechisch, die Ar-
kaden der Gallerie um die Cavea sowie der Ziegelbau der Skene römisch.
Dann wäre von dem griechischen Bau so gut wie nichts übrig. Schon Houel,
Voyage pittoresque II S. 42 fand Haustein nur in geringem Masse verwandt;
ich erinnere mich nicht, ihn ausser unter den nördlichen Paraskenien aussen
MISCELLEN 235
gesehen zu haben. Dagegen unterscheidet Houel richtig griechischen und rö-
mischen Ziegelbau am Theater, wenn auch nur im Allgemeinen, ohne Nach-
weis im Einzelnen.
Von den wenigen 83 bis 88 mm. dicken Ziegeln mit griechischem
Stempel, die ich in dem kleinen Museo beim Theater sah, stammt nach Aus-
sage des Custoden einer mit aionyeioy • & in oblongem Stempel aus dem
Theater. Am Bau selbst habe ich vergebens nach einem Ziegel mit freilie-
gendem Stempel gesucht.
Deutlich sind nun aber an dem Ziegel- und Mörtelbau des Theaters
mehrere Bauzeiten und Umgestaltungen zu unterscheiden.
1. Der gedeckte Umgang oben um die Cavea ist entsprechend der
wundervollen Doppelaussicht ein doppelter, der eine nach innen gegen die
Skene und den Aetna in Säulen sich öffnend, der andere nach aussen durch
Pfeiler auf Calabrien blickend. Die beide Hallen trennende Zwischenmauer
ist jeder der einstigen 10 Theatertreppen gegenüber von einer Thür durch-
brochen, jede Thür von zwei flachen und darüber noch einem runden Ent-
lastungsbogen überspannt, deren unterster auf Marmorcapitellen aufsetzte, von
denen allerdings nur eines nach aussen noch am Platze ist. Die Mauer selbst
ist aus dicken Ziegeln von ungleichem Mass, auf der Theaterseite oben mit
drei vorkragenden, abgeschrägten Ziegellagen, über denen die Ansätze des
Kreuzgewölbes aus Gusswerk erhalten sind. Obgleich die Ziegel in den Wand-
lünetten von geringerer Dicke zu sein schienen, glaubte ich doch nicht, dass
hier einst eine flache Decke dem Gewölbe vorangegangen wäre, wie Canina
im Bullettino 1842 S. 191 wohl nur vermuthungsweise äussert.
Auffallend ist, wie die Säulen mit vergrösserter Spannung des Gewölbes
auf die Aussenkante des Sockels gestellt sind, so dass nach innen ein Kaum
von c. 0.75 Breite frei bleibt, breit genug um hier unmittelbar hinter den
Säulen stehen oder herumgehen und besser in die Cavea hinabsehen zu
können. Dass dies wirklich die Bestimmung der Verbreiterung des Sockels
war, zeigen die schmalen, innen an den Sockel angelegten Treppen mit Auf-
stieg von beiden Seiten her, von denen im nördlichen Theil der Halle Reste
erhalten sind, im Grundriss bei Serradifalco Taf. XXI fehlend, aber sichtbar
im Querschnitt auf Taf. XXII, doch irrigerweise die ganze Breite der Halle
einnehmend, was sehr zum Nachtheil der hier Wandelnden gewesen wäre.
Hier im westlichen Theil sind aber auch die Spuren einer späteren
Aenderung deutlicher als im östlichen, nämlich die Reste eines niedrigen,
ein bis zwei Meter über den Säulensockel sich erhebenden, Gewölbes aus
Gusswerk ; sei es dass dadurch die Säulenhalle in zwei Gänge, einer über dem
anderen liegend, getheilt werden sollte, sei es wahrscheinlicher, dass man
damit die eingestürzte Säulenhalle ersetzen wollte.
Gewiss ist, dass die noch vorhandenen Säulenbasen der Halle zum Theil
in den Resten dieser Mörtelgusswerks stecken, das auch der gegenüberlie-
genden Wand noch an manchen Stellen anklebt.
Die so entstellte Halle wird in ihrer ursprünglichen Anlage gewiss mit
Recht in römische Kaiserzeit gesetzt. Ihr musste das kleine Heiligthum wei-
236 MISCELLEN
chen, dessen Beste, im Jahre 1880 gefunden, leider zu dürftig sind zu ge-
nauerer Bestimmung. Vermuthlich hatte es eine Beziehung zu dem Theater
beschränkteren Umfangs.
2. Die Skene. Der Ziegelbau der Skenenwand mit Säulen, den dann
Cavallari nach Serradifalco a. a. 0. S. 40 und 42 theilweise restauriert, dessen
Grundzüge aber auch Houel schon aufgenommen hat, ist augenscheinlich
später als der darunterliegende Theil. Dieser letztere weist Ziegel grösserer
Dicke auf, deren gleichmässige Lagen durch den Mittelbau und die in rech-
tem Winkel abspringenden Paraskenien durchgehen. Von den drei Durch-
gängen scheint der mittlere auch in dem unteren Theil von Anfang an recht-
winklig die grade Frontlinie, so wie heute durchschnitten zu haben. Dagegen
ist bei den beiden jetzigen Nebeneingängen trotz des späteren Auf- und Ein-
baus der Säulenstellung völlig deutlich die halbkreisförmige Einziehung der
Wand zu einer grossen Nische. Die Curve (l) der Nische rechts v. B. (d. i.
westlich) ist an zwei Stellen durch die Ecken des späteren Säulenpodiums
durchschnitten und vielleicht deshalb weder von Houel noch von Cavallari
bei Serradifalco bemerkt. Die Oeffnung im Hintergrund dieser Nischen habe
ich in ihrer gegenwärtigen Gestalt nicht für ursprünglich gehalten.
In der Uebersicht über die Theater mit grader und mit abweichender
Skenenfront bei A. Müller im Philologus XXII S. 290 wird den griechischen
Theatern die grade Front vindiciert, und bei Schönborn, die Skene der Hel-
lenen S. 65, diesen auch das Theater von Tauromenion beigezählt, dessen
Skene ja lange als eine der besterhaltenen gegolten hat. Dieselbe bietet nun
aber grade in ihrer älteren, ich stehe nicht an zu sagen ältesten nachweis-
baren Gestalt ein Beispiel jener reicheren Gliederung. Wie alt diese Skenen-
anlage, ob die Ziegel des älteren Theils griechischen Stempel tragen, ob nur
einer, oder mehrere Umbauten stattgefunden haben, ob, wie wahrscheinlich,
die Säulenstellung der Skene mit den Hallen um die Cavea gleichzeitig ist,
das sind Fragen, auf welche nur eine eingehende technische Untersuchung,
welche diese Zeilen anregen wollten, zu finden vermag. Ich füge nur das
Eine hinzu, dass auch die zweite Langmauer des Skenengebäudes, die mitt-
lere im Grundriss bei Serradifalco, in den unteren Theilen mir jenen älteren
Stücken der Skenenfront gleichzeitig zu sein schien.
E. Petersen.
(1) Dieselbe ist wohl zu unterscheiden von der sowohl bei Houel Taf. XCIV als auch bei
Serradifalco Taf. XXI sichtbaren Curve am linken und rechten Ende des späteren Ausbaus der
Skene nach vorne.
MISCELLEX 237
RAPPRESENTAZIONE DI UN DOLMEN IN PITTURA DI POMPEI (*)
In tutta la letteratura classica, almeno per quanto io sappia, non vi e
traccia che i Greci od i Komani avessero mai fatto attenzione a quegli strani
monunienti megalitici ora conosciuti sotto i nomi celtici di dolmen o di menhir.
E questo un fatto tanto piü rimarchevole in quanto che non pochi di quei
monunienti semhrano fatti proprio per attirare la curiosita, non dico de' dotti,
ma di tutti (1). Ma neppure di Stonehenge o delle alttes di Carnac fa men-
zione alcun autore antico. Ed e perciö che credo non inutile l'osservare che
esiste almeno una imitazione di un dolmen in pittura antica.
Nel Museo Nazionale di Napoli (XXXVI, n. 9042) si conserva la ben
nota pittura pompeiana rappresentante il castigo di Dirce. Fra le varie pub-
blicazioni basta citare: Museo Borbonico, vol. XIV, tav. 4 (2). Lo Heibig,
Wandgemälde der vom Vesuv verschütteten Städte Campaniens, l'ha descritto
sotto il n. 1151, ma del paesaggio che serve di sfondo al triste spettacolo
non dice altro che « im Hintergrunde Fels und Wald » . Ora la parte destra
di questo « Fels » fa vedere un manifesto dolmen di quella forma frequen-
tissima che si compone di due grandi pietre talmente coperte da una terza
che il totale si presenta come una porta. Sarebbe troppo ardito il congettu-
rare, che Tartista abbia voluto precisamente rappresentare un dolmen, ma
senza dubbio avrä veduto tal monumento, e si riconosce almeno che quei biz-
zarri avanzi dei tempi preistorici non hanno mancato di dare nell'occhio anche
agli antichi. Si sa che i dolmen si trovano non solamente nei paesi celtici,
ma, come in molte altre parti del mondo, puranche nella Grecia e neiritalia ;
(*) (Mio dotto amico mi permetterä di aggiungere due parole. E vero che nella pittura citata
la pietra sovrimposta non ha l'apparenza di essere in posizione naturale. Perö confrontandosi altre
rappresentanze simili deve nascere il duhbio, che in tutte queste gli artisti abbiano pensato piuttosto
a formazioni di natura selvaggia ed incu'.ta che a quelle opere umane di semplicita priinitiva ma
grandiosa. Giacche tale o simile formazione la trovo ove si e voluto rappresentare una scena solitaria,
inculta, orrida, mansione di flere bestie, non di uomini; come p. e. nel musaico Marefoschi col com-
battimento di centauro e tigri (Mon. ined. d. Inst. IV, L), nella pittura pompeiana di Diana sorpresa
da Atteone (Zahn III, 50), in un'altra con caccia di leoni ed altre flere (Zahn III, 5). Ne da esse
si scosta la scena della punizione di Dirce. Se in quest'ultima la parte superiore di quella riunione
di sassi, anche piü che nelle altre pitture anzimentovate, si presta assai all' idea d'un vero dolmen,
.gli scogli ripidi od aspri disotto se ne discostano molto; e quei sasso piü piccolo appoggiato contro
l'altro fa nascere piuttosto l'idea di giuoco della natura, la quäl idea viene secondata dalla posizione
sbitca non orizzontale della lastra sovraposta nella prima delle pitture citate, e dall'acqua sottoposta
nella seconda e dalla ripetizione irregolare della medesima formazione nella terza. Anzi io mi sento
disposto a credere che anche una formazione alquanto differente come e quella grandiosa porta
dell'inferno nella pittura dell'Esquilino (Woermann, Odysseelandschaf len Taf VI) appartenga allo
stesso genere di paesaggio sassoso. E. P.).
(1) Gli autori dei libri sagri degli Ebrei fanno spesse volte inenzione di tali pietre (v. Lub-
bock Prehistoric times p. 115 sg. della terza edizione), ma si sa, che gli Ebrei avevauo l'uso di eri-
gerne ancora nei tempi dei loro re.
(2) La fotografia che il Sig. Sommer a Napoli vende di questa pittura, non la fa vedere
intiera. mancandone la parte superiore, appunto quella che contiene il dolmen.
238 MISCELLEN
benche nell'Italia non se ne siano ancora trovati che nelle isole di Sardegna
e di Corsica e nella terra di Otranto (l). Basti, in quanto aH'ultima, di ac-
cennare al monumento megalitico di Minervino, di cui un bei modello si vede
esposto nel Museo Kircheriano. E pero un fatto not:ssimo, che malgrado lo
zelo patriotico ed intelligente col quäle gli archeologi ed i dilettanti di quelle
provincie studiano da parecchi anni i monumenti dei loro antenati, la parte
meridionale dell'Italia e ancora quasi terra vergine in quanto all'archeologia
preistorica; si puö sperare dunque di vödere scoperti ed esplorati in quelle
parti molti altri monumenti megalitici finora sconosciuti o negletti. In ogni
caso il numero di essi deve essere stato molto piü grande nei tempi antichi
che non e oggi, poiche gli Italiani non meno che i Francesi per varii generi
di costruzioni profane in tanti secoli avranno fatto uso di quelle grandi pietre
di cui sono composti i dolmen. Anche oggidi non mancano mani vandaliche,
che lavorano a distruggere questi interessantissimi monumenti della vita degli
antichi popoli italiani (2).
Mi sia permesso di proferire in questa occasione una etimologia del nome
truddhu o truddu, finora non ancora spiegato, che mi e stata favorita da un
mio amico. Secondo lui truddhu sarebbe la voce greca igovXct ossia tqov'/.os
e crederei essere favorevoli a questa congettura si le leggi delle lingue che
la forma stessa di quegli edifizi primitivi.
F. Röhl.
(1) Cf. Bollettino di Paletnologia italiana, V, p. 142 sg.
(2) V. Bollettino di Paletnologia italiana, V, p. 143.
LA GARA DI TAMIKI CON LE MUSE *.
(Tav. IX).
Questo bei vaso dipinto della Collezione Jatta fu pubblicato
per la prima volta nel 1865 dall' illustre archeologo tedesco A. Mi-
chaelis che ne aveva trovato un disegno, non del tutto esatto,
nell'apparato del Museo di Berlino, senza notizia per altro ne del
(*) Qucst' articolo era stato giä niandato a Roma, quando il prof. Furt-
wängler, rendendo conto egli stesso della sua visita alla Collezione Jatta ha
riparlato del nostro vaso nella Berliner Philologische Wochenschrift (n. 46,
17 nov. pag. 1450). Debbo questa notizia alla gentilezza del eh. dott. Petersen,
perche non ancora ho potuto leggere originalmente il discorso del signor Furt-
wängler.
Sono lieto innanzi tutto di aver prevenuto il desiderio del eh. profes-
sore di Berlino con questa novella e piü esatta pubblicazione del vaso. E poi
verissimo ciö che egli nota intorno alle linee indicanti il suolo, le quali sono
leggerissimamente graffite, come e vero altresi che il vaso sia molto frammen-
tato ed anche mancante in qualche punto, ove si e dovuto con pezzi nuovi
colmare le lacune : ma queste circostanze sono ben messe in chiaro dal no-
stro disegno. (Su quelle linee v. la postilla in fine deH'articolo).
L'autore persiste nella spiegazione da lui giä proposta per il nostro di-
pinto ed ora da me accettata, e segue a non tenere nessun conto dell'epigrafe
IAO. Sembra che egli riconosca che la fönte da cui il pittore del vaso attinse
la propria ispirazione sia stata il dramma di Sofocle, e pensa che il vaso di
Ruvo per lo meno c' insegni che l'amore di Tamiri per le Muse non sia che
un motivo riveniente da Sofocle. II pittore senza dubbio coneepr la scena sotto
1' impressione del dramma e quando la tragedia Sofoclea doveva esercitare la
sua potenza sopra la fantasia degli artisti: anzi oso credere che, se il dramma
non si fosse giä impossessato dell' argomento che egli prese a trattare, noi
forse non avremmo avuto il nostro bei vaso. II gruppo afrodisiaco stesso, a
IG
240 LA GARA DI TAMIRI CON LE MUSE
possessore, ne della patria del monumento (I). II chiarissimo elle-
nista italiano Domenico Comparetti nel 1886 riuni tutti gli antichi
dipinti relativi a Saffo, e fra gli altri fece la ripubblicazione del
nostro vaso, riproducendo perö lo stesso disegno del Michaelis e con-
tinuando ad ignorare il luogo ove oggi il vaso si trova(2).
Anche recentemente ed anche come smarritö o perduto e riapparso
il nostro dipinto nei Monumenti dell'antichitä del Baumeister, ma
in proporzioni diminuite sopra il disegno e la spiegazione del
Michaelis (3). Ultimamente infine il eh. E. Pottier nel quinto fasci-
colo delle Ceramiques de la Grece, teste venuto in luce a com-
pimento del primo volume della detta opera, a proposito dell'idria
mio credere, probabilmente deriva da personaggi, in parte almeno, giä intro-
dotti nel dramma.
Mi rincresce perö di dover contradire all'autore in ci6 ch' egli afferma
riguardo alle epigrafi del vaso, le quali crede completamente moderne,
lasciando nel dubbio se il restauratore avesse seguito tracce antiche, ovvero
inventato di pianta. Quest'ultima ipotesi e inammessibile, perche il vaso non
viene dal commercio, ma fu trovato da persone di famiglia, che non ne avreb-
bero mai permessa la menoma adulterazione. Resta la prima, la quäle e pos-
sibile, ma limitatamente, perche bisogna ammettere che le tracce antiche do-
vevano essere a bastanza visibili ne' due nomi di Apollo e di Tamiri, se il
restauratore ha potuto riprodurli senza sbagliare, e che forse il maggior guasto
si avverava soltanto nella terza epigrafe.
Non nego che la breve prova, tentata con l'alcool dall'autore stesso,
debba riputarsi insufficiente : anzi bench' io l'avessi ripetuta con maggiore in-
sistenza, come ho dichiarato (annotaz. 20), tuttavia sono convinto che questi
esperimenti non possano ancora considerarsi completi e tali da permettere un
giudizio sicuro. Le condizioni in cui si trova il vaso non consentirono di eser-
citarvi sopra un forte e continuato soffregamento, quanto sarebbe stato neces-
sario a voler scancellare, o attenuare le impronte del nuovo colore, se mai vi
fu sovrapposto. La prova di questa veritä risulta poi dal fatto istesso; giac-
che, per toccare con l'alcool il I di 2AO, si e dovuto fregare su quel pezzo
che chiude la lacuna ivi esistentc e che, essendo nuovo, e certamente rivestito
di nuovo colore, senza che questo siasi menomamente alterato. Bisognerebbe,
per essere del tutto certi della cosa, scomporre il vaso e ricomporlo dopo
averlo lasciato per parecchi giorni in un bagno di acqua : ma per ora non mi
e possibile ricorrere a quest'ultimo e decisivo esperimento.
G. J.
(x) Michaelis Thamyris und Sappho, Leipzig 1865.
(2) Museo italiano di antichitä classica, vol. II, tav. III a VI, p. 41-80.
(3) Baumeister Denkm. des klass. Alterthums p. 1727, n. 1809.
LA GARA DI TAMIRI CON LE MUSE 241
a figure rosse del Museo della Societä archeologica di Atene, pas-
sando in rassegna il lavoro del Comparetti, menziona anche il vaso
della Collezione Jatta, dont ort a perdu actaellement les traces (1).
Eppure queste tracce esistono, e si potevano trovare in piü d'un
luogo! (2).
Or mi e parso necessario il fare una novella pubblicazione
del bei vaso che ha lasciato parlar tanto di se, primieramente
per rivendicarne il possesso alla Collezione Jatta ed in secondo
luogo per darne un piü esatto ed aceurato disegno con indica-
zione dei ristauri e fedele riproduzione dello stile. In effetto la
figura della Musa stante con cetra e plettro nelle mani presenta
nel disegno del Michaelis la linea del naso e della fronte brutta-
mente rilevata nel suo mezzo ad angolo ottuso, mentre nell' origi-
nale e quasi grecamente diritta. La stessa irregolaritä notasi nel
profilo della donna in piedi con il vezzo di perle fra le mani, che
sul vaso invece e bellissimo. Sul chitone della donna di mezzo al
gruppo furono tralasciate le piccole rosette o stellucce, ricamate
sopra lo stesso, come anche le corone di fronde sul capo di parecchie
figure: ed altre inesattezze potrei notare, ma ciascuno le rileverä
meglio da se nel confronto dei due disegni. A proposito del nostro
avverto poi che in esso sono indicate con semplici linee le ricon-
giunzioni dei frammenti del vaso e con tratteggio i pezzi mancanti
e suppliti di nuovo.
I.
L' illustre Michaelis considera come staccato dalle rimanenti
figure il gruppo delle tre donne con gli Amorini, e fermandosi su
questa circostanza ravvisa in esse Saffo, Afrodite e Peitho. Senza
dubbio alcuno il pittore ebbe una intenzione neli'aggruppare insieme
le tre donne e nel distinguerle in qualche modo dalle altre, ma
(!) Dumont et Chaplain Les ce"ramiques de la Grlce propre, pl. VI,
p. 359 sgg.
(2) Jatta Catalogo del Museo Jatta (Napoli 1869), n. 1538, p. 848-67,
e Supplem. p. 1127; Bull. dell'Ist. 1871 p. 224; Ann. dell'Ist. 1874 p. 201 ss. ;
Furtwängler Eros p. 33.
242 LA GARA DI TAMIRI CON LE MUSE
non mi sembra possibile che egli per mezzo di una tale segrega-
zione avesse Toluto introdurre nel quadro persone estranee al mito
che si proponeva di rappresentare. L'argomento inoltre con cui
l'archeologo tedesco spiega l'unione di Saffo con Tamiri sopra uno
stesso dipinto non e fondato che sull'analogia. Perche, dice, Saffo
talora e messa dalla tradizione artistica e letteraria in relazione,
ed anche in relazione di amore, con altri poeti, senza tener conto
alcuno della cronologia, per cid stesso ella nel nostro dipinto po-
tette essere rappresentata accanto a Tamiri. Passa quindi ad enu-
merare le pretese relazioni di Saffo con Alceo, Anacreonte, Archiloco
ed Ipponatte, e benche soggiunga di dubitare se il pittore del vaso
avesse poi voluto fare allnsione a rapporti di erotica natura, merce
il gesto dell' Eros sedente sull'omero della poetessa di Lesbo, non
pertanto attribuisce quel gesto ad analoghi concetti (!).
Con la riverenza dovuta tuttavia mi permetto osservare che
questa riunione s'intenderebbe forse, quando almeno fosse espressa
in un campo isolato, come per esempio accade nel vaso su cui
appariscono Alceo e Saffo in colloquio fra loro e forniti entrambi
della lira (2). Ma non si giunge a comprendere la introduzione di
un personaggio storico, quäle e Saffo, in una scena mitologica e
tra un numero non piccolo di figure, destinate tutte ad esplicare
il medesimo mito. Oltre a cid, neppure puö concepirsi facilmente
la congiunzione ideale d'un personaggio appartenente al ciclo favo-
loso, o quasi, con un altro del periodo puramente storico. Tamiri
puö essere riunito con Orfeo, Marsia, Olimpo e simili, ma non con
Saffo, Alceo, Anacreonte ed altri tali. Infatti nella pittura di Po-
lignoto alla Lesche di Delfo il poeta di Tracia non vedevasi che
in quella compagnia, come lo stesso Michaelis riconosce (3), mentre
sopra il teste ricordato vaso di Alceo e Saffo il poeta e la poetessa
appartengono allo stesso periodo storico.
Preoccupato forse dalla serietä di queste obbiezioni Michaelis
tentö anche mettere in dubbio che le rimanenti donne del dipinto
rappresentassero le Muse, ed ammise la possibilitä di vedere in
esse o suonatrici e cantatrici o poetesse raccolte intorno a Tamiri
(i) Op. c. p. ll.
(2) Comparetti op. c. tav. IV.
(3) Op. c. p. 15.
LA GARA DI TAMIRI CON LE MUSE 243
e Saffo. Yinto nondimeno dalla correttezza del proprio giudizio,
iinisce per accogliere come piii accettabile la presenza delle Muse,
caratterizzata da quella di Apollo ('). Dimostra in seguito esser
per altro impossibile conciliare con la gara delle Muse la presenza
della poetessa di Lesbo, la quäle, a suo dire, neppure potrebbe
far parte della rappresentazione di Tarniri che tra le Muse intorno
a lui raccolte canta in Delfo il peane in onore di Apollo, secondo
la spiegazione data da PanofKa ad un vaso vulcente (2). Questa
affermazione intanto, non meno giusta che autorevole (3), favorisce
indirettamente il inio modo d'iutendere, secondo il quäle Saffo dev'es-
sere esclusa dalla scena rappresentata sul vaso Jatta.
Ciö che l'autore discorre con uiolta erudizione intorno alle
relazioni dei poeti con le Muse, ed il confronto da lui addotto
delle Muse sul vaso di Napoli (4), le quali assistono ad un con-
certo musicale di Marsia ed Olimpo, sono cose ben proprio a spie-
garne l'assistenza al canto di Tamiri, malgrado che poscia, in altro
tempo ed in altra occasione, gli fossero divenute nemiche, ma
niente provano a favore della supposta riunione del poeta trace
con la poetessa di Lesbo. Secondo Michaelis, a rendersi ragione
di questa riunione bisogna prescindere da ogni tradizione storica,
o pseudo-storica, e riconoscere soltanto che il pittore volle svilup-
pare con libera fantasia artistica un concetto che nel campo pura-
mente ideale riunisce Tamiri da una parte, e Saffo, Peitho, Afro-
dite e gli Amorini dall' altra, con Apollo e le Muse. Ma da questa
conchiusione e facile avvedersi che l'unico e vero argomento su
cui fondasi la spiegazione del dottissimo archeologo e la epigrafe
IAO, in cui non puö vedere altro che IA<£>, e che, se queste tre
lettere non fossero esistite, egli per fermo non avrebbe mai pro-
posto una spiegazione. di cui conosce tutte le difficoltä e che segue
come costretto dalla necessitä d'un nome.
(!) Op. c. p. 12: " ohne Zweifel ist es c/erathener in ihnen die Musen
zu erkennen , denen ja auch die Anwesenheit Apollons besonders gut
ansteht ->.
(2) Mon. delllnst. II, 23; Ann. 1835 p. 235.
(3) Op. c. p. 17.
(4) Mon. ined. dell'Inst. II, 37.
244 LA GARA DI TAMIRI CON LE MUSE
IL
II eh. Comparetti (l) enuncia il sospetto che la epigrafe ZAO
potesse appartenere alla donna stante presso il gruppo con cetra
e plettro nelle mani, ma poi subito lo depone, ritenendo che la
pretesa Saffo sia da ravvisare in una delle tre donne aggruppate.
Tuttavia non segue l'archeologo tedesco nel riconoscerla in eima
al gruppo e quindi nella figura piü vicina all' epigrafe, come e di
regola, ma crede Afrodite la Saffo e Saffo la Peitho del Michae-
lis. Non mancano di valore le considerazioni dell'autore, in forza
delle quali egli nega il posto di onore alla poetessa di Lesbo (2) :
ma nondimeno e da rigettare l'attribuzione dell' epigrafe alla figura
di mezzo, perche la detta epigrafe dev'essere assegnata senza alcnn
dubbio alla figura di eima, tanto piü che le lettere rimaste erano
probabilmente precedute da altre, ora mancanti a cagione d'una
lacuna nel vaso, e mostrano ad ogni modo la intenzione del pit-
tore di scrivere quella parola, quäle sia stata, proprio sulla testa
della donna che domina il gruppo.
Dice il eh. Comparetti : ■ il canto di Tamiri fra le Muse ed
Apollo non puö avere altro rapporto con Saffo, che un rapporto
simbolico e di significato generico : e chi guardi alla posizione di
Saffo vede bene che Afrodite col resto di quel gruppo ci e per
Saffo e non per altro. Percio a spiegare questa rappresentazione
conviene, come ho accennato, partire dalla idea di Saffo e spiegare
il resto come a questa subordinato ed esplicativo di
questa, senza troppo premere mitograficamente la rappresen-
tanza ch'e di ragione tutta ideale (3) ». Ma quand'anche potesse
ammettersi la ipotesi dell'autore, come poi, senza rovesciare i ca-
noni e le tradizioni dell'arte antica, rendersi, secondo la stessa,
ragione del posto assegnato nella scena a Tamiri, posto che da
solo basta a designarlo quäl protagonista ?
L'autore, chiamando in confronto la pittura di Polignoto, tenta
0) Op. c. tav. V, pag. 59 ss.
(2) Op. c. pag. 60.
(3) Op. c. pag. 63.
LA GARA DI TAMIRI CON LE MUSE 245
stabilire un contrapposto che avrebbe concepito l'artista fra Tamiri
audace, sfidante le Muse e prossimo a ricevere la condegna pena,
come varrebbe a significare la postura di Apollo che gli volge le
spalle, e Saffo che placidamente gode i favori di Afrodite e
di Eros. Ma nella pittura di Polignoto il contrapposto ci era ef-
fettivamente, mentre qui mancherebbe del tutto. Tamiri era rap-
presentato vinto, cieco, abbattuto, con la cetra infranta ai piedi,
e quindi naturalmente sorgeva nella mente dello spettatore la idea
del contrapposto, vedendo ivi stesso Orfeo in atteggiamento lieto
e sereno: l'unitä di luogo inoltre riuniva bene i due dispajati con-
cetti, perche luogo comune dell'azione erano i giardini di Perse-
phone (1). In quäl guisa d'altronde il contrapposto immaginato
dal eh. Comparetti potrebb'essere inteso dall'osservatore del vaso?
Supponendo per poco mancanti quelle lettere in cui si vuol leg-
gere il nome di Saffo, lo spettatore non potrebbe veder altro nel
quadro, che persone tutte cospiranti a raggiungere un fine unico
voluto dall'artista, o per meglio dire esplicanti sotto varie forme
ed atteggiamenti particolari un solo generale concetto.
II simbolismo inoltre di natura non pure astratta ed ideale,
ma anche indipendente dalla tradizione storica o mitologica, che si
pretende attribuire a questi modesti prodotti dell'antica arte rigu-
rativa, resterebbe un fatto isolato, per quanto almeno insegna l'e-
sperienza. Ordinariamente i pittori ceramografici non ricorrevano
alla propria fantasia per trovare i personaggi delle loro rappresen-
tazioni mitologiche, ed in queste non suole comparire una persona
che prima non fosse stata introdotta nel mito dall' originär ia leg-
genda, o dalla tradizione popolare, o dai poeti drammatici in cui
s'ispiravano. E noto poi che i soggetti storici furono da essi rara-
mente trattati (2), e ciö deve per lo meno renderci cauti per non
ammettere facilmente rappresentazioni miste di personaggi appar-
tenenti a eieli diversi.
Debbo notare in ultimo che in tutti i dipinti relativi a Saffo,
raecolti e pubblicati dal eh. Comparetti, la poetessa di Lesbo, oltre
il nome proprio, ha sempre qualche simbolo valevole per se stesso
a caratterizzare un'alunna delle Muse. Cosi sul vaso Dzialinsky
0) Paus. X, 30.
(2) Pottier, op. c. pag. 361, n. 3.
246 LA GARA DI TAMIRI CON LE MUSE
Saffo suona la cetra, e su quello di Middleton ella ha in mano
un volume arrotolato : sul vaso di Monaco Alceo e Saffo sono for-
niti entrambi di cetre, e si mostrano in atto di accordarle, come
per un concerto, e finalmente sul vaso ateniese Saffo legge nel
volume scritto, mentre probabilmente Erinna le porge la lira per
farla cantare. Or la pretesa Saffo del vaso Jatta sarebbe la sola
in quella raccolta a non recare alcun distintivo dell'arte sua : nel
che poi, se e vero che i giudizi meno fallaci sono quelli che ri-
posano sui criteri di comparazione, noi abbiamo una ragione di
piü per escludere la celebre poetessa dalla scena dipinta sul vaso
di Kuvo.
III.
Da quanto si e detto e chiaro che la epigrafe del vaso Jatta
deve innanzi tutto richiamare la nostra attenzione. Avvertii giä
nel Catalogo che le lettere IAO potettero essere precedute da
altre, attesa la mancanza di un pezzo innanzi al 2, ed anche forse
seguite da una lettera finale (1). II eh. Heydemann pensö ad un
O finale, invece che ad un 2, ed attestö l'esistenza della traccia
d'un' ultima lettera in modo assai piü esplicito, che io non aveva
osato (2). Finalmente il eh. Furtwängler, aecusato a torto di leg-
gerezza da Comparetti, ritenne anch'egli che le tre lettere IAO
potettero essere precedute e seguite da altre, lasciando la possibi-
litä di parecchi compimenti, e non seppe appagarsi della spiega-
zione del Michaelis, fondata soltanto sulla arbitraria intelligenza
di una iscrizione (3).
(*) Jatta, op. c. pag. 849 e 853. II pezzo mancante comincia immedia-
tamente dal 2 e si estende a tutta la testa di Eros.
(2) Bull. dell'Inst. 1871, pag. 224.
(3) Furtwängler, Eros pag. 33. Questo dotto in una sua visita, onde ha
recentemente onorata la collezione Jatta, mi espresse oralmente il sospetto
che l'epigrafe non fosse genuina; ma avendogli io permesso di tentare la
prova deH'alcool, la impronta delle lettere non ne fu punto attenuata, e anche
quando, dopo la sua visita, la prova fu ripetuta da me e con insistenza mag-
giore, l'epigrafe rimase qual'era. Una sola certezza io acquistai dopo l'espe-
rimento, ed e che non esiste veruna traccia d'altra lettera dopo le tre che
rimangono.
LA GARA DI TAM1RI CON LE MUSE 247
La spiegazione intanto proposta dal Furtwängler per la scena
dipinta sul vaso Jatta e la piü plausibile fra le cercate finora.
Essa in generale non discorda da quella del Catalogo, perche Vau-
tore vi riconosce la gara di Tamiri con le Muse, e nell'atteggia-
mento di queste non trova niente di amichevole verso il cantore,
come anche nella postura di Apollo vede espresso, non il favore,
ma la freddezza e l'antipatia. Tali considerazioni sono giuste, ma
certamente giustissimo, a mio parere, e quello che l'autore osserva
a proposito della Musa che contempla la propria collana (').
La differenza della spiegazione del professore di Berlino da
quella del Catalogo si appalesa nella diversa intelligenza del gruppo
con la triade degli Amorini. Questo dotto infatti vede nelle tre
donne aggruppate con gli Eroti persone estranee al coro delle Muse,
cioe Afrodite, Peitho, Paregoros con Eros, Pothos, Himeros, da
cui Tamiri trae la sua ispirazione di amore (2). La quäle conget-
turä non solo e probabilissima per se stessa, perche trova il suo
fondamento nel mito e spiega in modo conveniente le condizioni
della gara, o per meglio dire le aspirazioni del poeta trace al pos-
sesso corporale delle belle abitatrici dell'Elicona, ma anche per
un'altra causa mi attira a se tanto, che vi aderisco pienamente (3).
Avrei anche prima adottata questa interpretazione della nostra
pittura, se non mi avesse rattenuto alquanto il fatto delle corone
che circondano la testa di due donne del gruppo, le cui fronde
sembrano di alloro e simili in tutto a quelle del serto della donna
stante con cetra e plettro nelle mani, certamente una Musa. Tut-
(!) Cfr. Jatta, op. c. pag. 864 s. a proposito di Polirmia, ove poteva
aggiungersi il confronto della Musa in atto di leggere forse per espressione
del medesimo concetto : Elite II, pl. LXXXVI, A.
(2) L'autore da anche un significato nuziale alla Corona che egli non
crede ricamata sulla veste di Tamiri, ma reale nella cintura di lui. In quanto
al senso della Corona, ne riparlerö appresso: in quanto poi all'essere rica-
mata e non reale, mi semhra messo fuori duhbio dal fatto della mancanza
totale delle dorature le quali, se fosse reale, non avrebbero fatto difetto,
come non lo fanno, per esempio, sul serto che circonda la testa dello stesso
Tamiri.
(3) La riapparizione di Paregoros in compagnia di Afrodite, Peitho ed i
tre amori sopra un vaso Euvestino potrebbe infatti offrire un valido sostegno
alla spiegazione da me data ad alcune figure di difficilissima intelligenza sopra
un'altra pittura vasaria della Collezione Jatta : op. c. n. 1498, pag. 779.
248 LA GARA DI TAMIRI CON LE MUSE
tavia chi non sa le difficoltä che s'incontrano nel voler distinguere
le varie piante sopra i vasi dipinti? D'altronde per sostenere la
opinione manifestata nel Catalogo avrei potuto addurre in confronto
parecchi monumenti che provano la riunione o l'aggruppamento
delle Muse con gli Amorini (1). Malgrado cid, ora sono tanto piü
lieto di rinunziare al primo mio modo d'intendere il gruppo e di
uniformarmi a quello del Furtwängler, in quanto che cosi la rap-
presentazione del mito viene ad essere intera in ogni sua parte,
e se le Muse sono assistite da Apollo, a Tamiri non manca l'as-
sistenza di Afrodite, ne resta piü solo nella scena, mentre il con-
cetto mitologico raggiunge la sua piena esplicazione con l'aggiunta
di personaggi, che per fermo non escono dalla cerchia del mito, se
esprimono appunto il movente psicologico, sotto l'impulso del quäle
si compie l'azione.
II solo inconveniente di questa spiegazione, come anche del-
l'altra da me seguita precedentemente, e quello di non rendersi
ragione dell'epigrafe IAO, che resta come un enimma insoluto in
cerca del suo Edipo, e ciö forse la renderä meno gradita a chi vuol
conto di tutto. Ma tutto ciö che l'antichitä figurata o scritta pre-
senta al nostro sguardo puö essere sempre e bene spiegato? Se ci
fosse pervenuto il Thamyras di Sofocle e la commedia di Anti-
fane, se ci fosse rimasta qualche notizia particolareggiata del quadro
di Teone, o se almeno fossimo sicuri che quelle e non altre sono
le lettere che volle scrivere il pittore del vaso, cioe che le mede-
sime costituiscono una parola intera e non un frammento di parola
dimezzata, allora forse potremmo tentare con qualche speranza di
(*) Le Muse sono aggruppate o riunite con gli Eroti piü o meno sicu-
ramente: 1) Ann. dell'Inst. 1874, tav. d'agg. S, pag. 201 : 2) Bull, dell'Inst. 1865,
pag. 54 : 3) Elite II, pl. LXXX, pag. 257 : per Furtwängler sono donne mor-
tali, Eros pag. 59: 4) Heuzey Les figur. de terre cuite pl. XLI, 1, pag. 24:
secondo l'autore Aphrodite au livre: 5) Tölcken Verz. V. 196 = Winckelmann
Descript. II, 773, ap. Gerhard Acad. Abhandl. tav. LVI, 9 : 6) Winckelmann
Descript. de pierres gravis du Bar. Stosch cl., II. n. 1268 : 7) Stephani CR 1868
(vignetta pag. 79) pag. 93: 8) Mon. delllnst. III, 31, Wieseler Theatergeb. VI,
2; Schreiber Kulturhistor . Bilderatlas 111,1: 9) Overbeck Atlas der griech.
Kunstmyth. XXIV, 26 ; cfr. Furtwängler Beschr. der Vasensamml. zu Berlin
n. 2638: 10) Heydemann Die Vasensamml. des Museo Nazionale zu Neapel
n. 3224; cfr. Furtwängler Eros pag. 36.
LA GARA DI TAMIRI CON LE MUSE 249
successo di cogliere il senso dell'epigrafe: ma nello stato presente
delle cose val meglio non tenerne alcun conto, che lasciarsi andare
a divinazioni impossibili. E non e infine da passare inosservato
che l'E finale del nome ©AMYPIE, trovandosi sopra la linea che
ricongiunge du 3 pezzi frammentati del vaso, come si vede nel di-
segno, deve attribuirsi ad uno sbaglio del restauratore che, seguendo
delle tracce mal sicure rimaste sui due frammenti, converti ma-
lamente in E l'originario I finale. Or se egli ha qui sbagliato, come
avvertii sin dalla pubblicazione del Catalogo, chi ci sarä malle-
vadore che qualche altro sbaglio non abbia potuto commettere,
ritoccando forse qualche lettera svanita della leggenda IAO?
IV.
A confermare sul vaso dipinto della Collezione Jatta la rap-
presentazione mitologica della gara di Tamiri con le Muse e im-
portante vedere se il contegno dei personaggi che compongono la
scena contradica o non contradica a questa spiegazione. II eh. Furt-
wängler, come si e accennato, notö giä in generale che il con-
tegno di Apollo e delle Muse si mostra ostile al cantore; ma io
farö un esame particolare e piü minuto di ogni persona, e quäle
sia per essere il valore dei miei giudizi, non mancherä certamente
ad essi ne il proposito di cercare schiettamente il vero, ne al po-
stutto il merito di esser nati in presenza, non di un disegno piü
o meno esatto, ma dell'originale. Benche raramente sia dato di
poter leggere sui tratti del volto delle figure dei vasi la espres-
sione dei sentimenti dell'animo, questi nondimeno con maggior fa-
cilitä possono esser raecolti dai loro gesti ed atteggiamenti.
Alla destra di Tamiri sono tre Muse ed Apollo. La prima ha
lo sguardo rivolto al dio che evidentemente dirige a lei la parola,
dando le spalle al cantore. Or mi sembra fuori dubbio che il con-
tegno di queste due figure debba giudicarsi pari a quello di per-
sone che, indifferenti o sprezzanti, assistono ad una scena di cui
l'animo loro poco si cura. La seconda in piedi e interamente as-
sorta nella considerazione del vezzo di perle, che ha tra le mani ;
laonde, se la conversazione tra la prima ed Apollo non fu che un
mezzo per esprimere lo sprezzo o l'indifferenza, l'uno o l'altro di
250 LA GARA DI TAMIRI CON LE MUSE
questi sentimenti deve anche avere voluto esprimere ilpittore con
l'atteggiamento dato a quest'altra Musa. La terza, sedente come
la prima, e visibilmente occupata ad udire con attenzione, ma il
suo sguardo non e rivolto a Tamiri, e dal suo viso non traspare al-
cun sentimento sicuro.
Alla sinistra del poeta, oltre il gruppo, sodo altre due Muse.
L'una stante, con cetra e plettro nelle mani, fa un gesto con la
destra armata di plettro, che io credo di sprezzo o di minaccia, ed
anche lo sguardo di lei sembrami severamente fisso sopra Tamiri.
L'altra sedente con un volume arrotolato nella mano mostrasi at-
tenta ad udire, e lascia anch'ella meglio indovinare, che scorgere
il sentimento dal quäle e agitata.
Delle donne del gruppo, Afrodite, sedente fra i due Eroti dei
quali tiene a se abbracciato quello che e privo delle ali, ascolta
ed ha lo sguardo rivolto a Tamiri. Delle due sue compagne quella
che occupa il mezzo del gruppo (Peitho?) sembra non curarsi di
ciö che accade iutorno a lei, perche mostrasi in'colloquio con Eros
dalle cui mani e in atto di prendere un uccellino (!). II viso della
donna che sta in cima al guppo (Paregoros ?) e rivolto ad Eros che
le siede sull'omero, alle cui parole evidentemente ella presta at-
tenzione, e pare certo che il loro colloquio si riferisca al canto od
alla cetra di Tamiri, verso la quäle accenna la destra abbassata
di Eros.
Circa la figura di Tamiri, alle cose giä notate nel Catalogo
debbo solo aggiungere che gli occhi di lui non sono diretti verso
alcun punto della scena, ne verso alcuna delle circostanti persone,
ma sembrano smarriti e quasi cercanti qualche cosa nel vuoto.
L'indeterminazione del suo sguardo intanto ci costringe a rimanere
nel dubbio (2), non potendo ravvisare con certezza se sta d'innanzi
a noi lo sfidatore audace delle Muse e delle Sirene (3), cioe della
(1) La piccolezza del corpo impedisce crederlo una colomba, ma, per
mio giudizio, e da vedere in esso un rossignuolo, e non deve escludersi la
possibilita che il pittore abbia voluto alludere alla tradizione, secondo la quäle
Taniraa di Tamiri visse la vita di questo uccellino dal canto melanconico e
soave: cfr. Plat. Rep. X, pag. 620, A.
(2) Cfr. Jatta op. c. pag. 853.
(3) Schol. in Aristoph. Ran. arg. IV, pag. 274.
LA GARA DI TAMIRI CON LE MUSE 251
piü alta espressione poetica e musicale, in atto di cantare, inconscio
del proprio destino, anzi pieno di entusiasmo e tiducioso della vit-
toria, ovvero lo sgarato poeta che giä comincia a sentire in se gli
effetti della punizione divina, e mentre cerca trarre i suoni dalla
sua lira e schiudere la bocca al canto non trova piü la solita arte,
ne la solita voce. Lo sguardo incerto e come smarrito di Tamiri
potrebbe significare tanto la ispirazione, quanto lo sgaramento, ed
il contegno delle Muse non si oppone ne all'una ne all'altra di
queste due intelligenze, mentre il gesto di Eros sedente suH'omero
della compagna di Afrodite sembra piuttosto favorire la seconda.
Ma dev'essere forse imputato a merito del pittore, se la cosa resta
appuoto indecisa. Egli infatti ha potuto voler per tal guisa ottenere
un effetto analogo a quello che a ragione il eh. Heydemann attri-
buisce ad un solito artifleio di Sofocle, mediante il quäle questo sommo
tragico, prima che avvenisse la catastrofe, lascia in qualche scena
sperare per poco tempo un esito felice, nel fine di aecrescere nel-
l'animo degli spettatori la simpatia per la vittima (l).
Per conchiudere ricorderö brevemente qualch'altra pittura va-
saria in cui si e creduto scorgere la gara di Tamiri con le Muse, o
che presenta queste ultime in compagnia del poeta trace. Ma innanzi
tutto il vaso su cui Schulz credette ravvisare Tamiri con quattro
Muse (2) dev'essere, a mio parere, lasciato da parte, perche quella
pittura rappresenta piü probabilmente Orfeo tra le donne traci. E
lo stesso puö dirsi d'un altro vaso su cui vedesi un citaredo cir-
condato da quattro donne, il quäle e fornito di barba e di mitra
frigia, mentre le donne non hanno aleun distintivo (3).
In quanto al vaso di Vulci illustrato da Panofka (4), tengo
(!) Mon. d. Inst. VIII, 43; Ann. 1867, pag. 368. II mio dotto amico nella
citata pittura vasaria volle ravvisare la gara di Tamiri con le Muse, la quäle
spiegazione per altro io non accetto : ad ogni modo, la sua giusta osservazione
va molto meglio applicata al nostro, che ä quel dipinto.
(2) Bull. dell'Inst. 1840, pag. 54.
(3) Arch. Zeitg. 1846, pag. 286.
(4) Mon. dell'Inst. H, 23; Ann. 1835, pag. 231 ss.
252 LA GARA DI TAMIRI CON LE MUSE
che sia pienamente accettabile la proposta di questo archeologo,
secondo la quäle il dipinto rappresenterebbe, non la gara con le Muse,
ma la vittoria che riportö Tamiri per il suo inno in
onore di Apollo nelle feste musicali di Delfo. Tutta-
via la donna vecchia, per mio giudizio, e da credere piuttosto la Pizia
che Corona o premia il vincitore, non la madre delle Muse; come la
chiamo Panofka. Ottimamente poi questo dotto osservö che non poteva
avere un significato diverso il dipinto vasario del Museo di Napoli,
pubblicato dopo quasi trent'anni da Heydemann (1). La donna vec-
chia che ritorna in questa pittura, e che ci costringe a riconoscere
senza alcun dubbio la medesima persona in ambedue le figure, dal
eh. illustratore del vaso napolitano e creduta Argiope , madre di
Tamiri. Ma l'anziana anche qui, per mio credere, non e Mnemo-
sine, non Argiope e molto meno J6%a (2), ma la Pizia : e le due
Muse possono bene alzar le mani, non per sdegno ne per sorpresa,
come vuole Heydemann, ma per consenso ed acclamazione. La Pizia
simboleggia non meno il luogo, che il nome dei ludi, e caratterizza
la scena in cui ella entra benissimo quäle ministra e rappresen-
tante di Apollo, mentre la madre del poeta vi starebbe a disagio,
ed una Mnemosine con i capelli bianchi torna dura al pensiero.
Allo stesso argomento sembra che debba riportarsi un vaso
quasi simile ai due di Napoli e di Vulci giä ricordati, il quäle fa
parte del Museo deH'Eremitaggio in Pietroburgo (3). Ne mi sov-
viene d'altri vasi con soggetti analoghi, e mancami per ora il tempo
d'intraprendere qualche ricerca. Ad ogni modo, il dipinto della Col-
lezione Jatta, quand' anche finora non fosse il solo a rappresentare
la gara di Tamiri con le Muse, sarebbe sempre il solo su cui questo
soggetto e trattato in un modo squisitamente artistico, tanto per
la forma quanto per il concetto. II concetto inoltre si esplica con
chiarezza, cosi nel complesso come ne' tratti particolari della scena,
in guisa che questa mal si presterebbe ad essere diversamente
intesa, quando si tenesse il dovuto conto d'ogni mezzo adoperato
per caratterizzarla.
(!) Mon. dell'Inst. Vm, 43; Ann. 1867, pag. 263 ss.
(3) Bull. dell'Inst. 1872, pag. 70.
(3) Stephani Vas. der Kais. Ermitage n. 1685 ; CR 1875 (vignetta pag. 95),
pag. 121. La vignetta per altro non riproduce che la sola figura del poeta.
LA. GARA DI TAMIRI CON LE MUSE 253
II giudizioso pittore infatti, ad escludere la possibilitä che lo
spettatore non ravvisasse il soggetto ch'ei volle rappresentare, e
pensasse invece alla vittoria di Tamiri in Delfo, la quäle, come
sufficientemente dimostrano i dipinti di cui si e discorso, dovette
anche non rare volte esser presa a tema delle pitture vasarie, si
valse massimamente di due mezzi. Primieramente introdusse nella
scena il gruppo di Afrodite con due compagne e tre amorini, il
quäle quasi la caratterizza, significando il movente psicologico di
Tamiri nella gara ed in pari tempo la bellezza delle Muse, ca-
gione di quell' impulso ; mentre nella rappresentazione della vittoria
di Delfo il gruppo afrodisiaco non sarebbe stato da considerare
altrimenti, che come un ozioso o riempitivo lusso di figure, non
racchiudente in se la espressione diretta o indiretta di verun con-
concetto collimante a quello dell'azione principale ('). In secondo
luogo il diligente pittore non trascurö tra i ricami che adornano il
chitone di Tamiri d'inserire la corona di alloro che il poeta avea gua-
dagnato ne' ludi pizj, ed un tal mezzo gli servi efficacemente a
dinotare che l'azione presente si compie in un tempo posteriore a
quello della vittoria di Delfo ed in circostanze di diversa natura.
ßuvo di Puglia, novembre 1888.
Giov. Jatta.
(*) E degno di ammirazione il ritrovato artistico di segregare il gruppo
afrodisiaco dalla scena e di non frammischiare indifferentemente Afrodite e
le sue compagne agli altri personaggi. Serabra infatti che il pittore con questo
aggruppamento isolato venga a render visibile, non meno agli occhi che allo
spirito dell'osservatore, la segreta fönte da cui Tamiri attinge la sua ispira-
zione, e nel tempo stesso determini e caratterizzi evidentemente l'azione che
si e proposto di rappresentare.
Postilla (cf. p. 239 ann.). Le linee quasi invisibili e leggerissimamente
graffite rappresentano piü che un suolo propriamente detto, dei tralci e ce-
spugli di edera con corimbi dipinti di bianco. II pittore ha disegnato con un
pungolo sulla creta del vaso ancor tenera questi tralci e da ciö e dipeso che
se ne veda l'impronta superficialissima e coperta dal nero del fondo ; ma deve
assolutamente escludersi l'intenzione nel pittore di fare un ornato qualsiasi
graffito.
LE ANTICHITA DELLA CITTA DI ROMA
DESCRITTE DA NICOLAO MUFFEL
Nel 1452 Nicoiao Muffel, patrizio norimberghese, visito Roma
nella scorta dell'imperatore Federigo III, per la cui incoronazione
(19 marzo) egli apportava i gioielli dell'impero, in quei tempi de-
positati nella libera cittä di Norimberga (*). Egli stesso nella sua
succinta autobiografia ci racconta l'onorevole accoglienza della quäle
fu degnato dalla parte del sommo pontefice Nicoiao V (**). Es-
sendo egli un uomo oltreraodo divoto, s'intende che volse i suoi
interessi di preferenza sulle cose sagre, di cui reca chiara testi-
monianza il rapporto del suo viaggio scritto da lui stesso. Questa
« descrizione della cittä di Roma », serbata nel codice germ. n. 1279
della biblioteca di Monaco, e stata pubblicata nel 1876 da W. Vogt
nel volume CXXVIII della Bibliothek des litterarischen Vereins
in Stuttgart (***): pubblicazione privata e poco accessibile. In-
fatti quel volume ha trovato poca attenzione: ne trovo fatta men-
zione soltanto dal fu barone di Reumont ne\Y Anzeiger für die Kunde
der deutschen Vorzeit 1877. p. 302, dall'eruditissimo sig. Müntz {Les
arts ä la cour des papes I p. 106. 109), e dal Jordan (Topogr. I, 1
p. 76 not. 1). Epperö il rapporto e degno di interesse tanto a cagione
della descrizione molto dettagliata delle sette chiese principali (parte
da me lasciata da banda), qnanto per le notizie intorno i piü rimar-
chevoli avanzi di antichitä, composte massimamente alla fine dell'opu-
(*) V. Hegel nelle Chroniken der deutschen Städte XI, p. 737 e segg.
(**) L. c. p. 748.
(***) Nikolaus Muffels Beschreibung der Stadt Rom, herausgegeben von
Wilhelm Vogt. Tübingen 1876.
LE ANTICHITÄ DELLA CITTÄ Dl ROMA ECO. 255
scolo. L'autore stesso comincia dal dichiarare che egli racconti ■ in-
tomo alcuni edifizi antichi, miracoli e storie quello che con ogni dili-
genza abbia esplorato informandosi presso squisita gente, e che di poi
abbia dimensurato certi pezzi », senza perö voler pretendere di
aver veduto ogni cosa degna di esser veduta (*). Riguardo alle
antichitä e interessantissimo il confronto del trattato del patrizio
oltremontano con quello scritto due anni prima, ad occasione del
giubileo, dal nobile Fiorentino Giovanni Rucellai. L'interesse per
le chiese e per le indulgenze accordate nei diversi luoghi sagri e
lo stesso in ambedue questi rappresentanti di due cittä fiorenti,
ma, quanto alle antichitä, il Fiorentino, quasi totalmente svinco-
latosi dalle tradizioni medievali, si mostra attinto del nuovo spi-
rito dell'epoca, mirando coll'occhio educato sotto l'influenza di un
grande rinascimento artistico le meraviglie antiche dell'eterna cittä,
laddove il senatore di Norimberga e forse 1' ultimo semplice rap-
presentante delle tradizioni « mirabiliane ■ (per servirmi d'una fe-
lice espressione proposta dal sommo de Rossi), le quali evidente-
mente, fino nelle piü sciocche versioni, erano affatto confacenti alle
di lui tendenze prettamente medievali. Nientedimeno anch'egli non
pote restare pienamente intatto da influenze occasionali di quelle
dotte ricerche le quali appunto in quegli anni cominciavano a dis-
sipare le nebbie che coprivano gli avanzi dell'antichitä e ne fa-
cevano rinascere il significato originale. E vero che l'autore stesso
si astiene da ogni ricerca indipendente, ne conobbe la Roma in-
staurata di Flavio Biondo, ma mi sembra indubitabile che egli
abbia consultato il dialogo del Poggio de varietate fortunae scritto
pochi anni prima (subito dopo 1'avvenimento di Nicoiao V, nel 1447),
e segnatamente la descrizione delle rovine di Roma esposta nel
primo libro. Imperocche, come ognuno se ne puö convincere pel
confronto agevolato dalle mie annotazioni, non di rado le parole
del Muffel sono di perfetto, anzi quasi letterale accordo colle
espressioni del Poggio. La prova piü concludente viene oiferta dal
(*) P. 5 : Do hernach stet . . . etlich alt gepew mirackl und geschieht,
die ick . . . mit allem vteis von trefflichen leuten ivesucht (?) erforst und darnach
etlich stuck abgemessen und darnach anschreiben wye hernach stet wyewol
an zweifei gar vil sach und stet noch do sind, do ich nye hin kam, davon
ich dan nichts hau geschriben.
17
256 LE ANTICHITA DELLA CITTA DI ROMA
paragrafo 16, nel quäle il nostro autore, dopo avere sulla scorta
del Poggio parlato dei tre archi della basilica costantiniana, ag-
giunge una descrizione di quattro archi ed una colonna, eviden-
temente fondata sopra autopsia, senza avvedersi della contraddizione.
Lo stilo del Muffel e rozzo a tal segno che talvolta diffi-
cilmente si presta ad un intendimento preciso. La versione da me
aggiunta, per quanto era possibile letterale, se ne risentirä. Arroge
che il solo manoscritto conservatoci non e lo scritto originale del
Muffel ma dall'Hegel (1. cit. p. 739) viene qualificato da ■ copia
originale ■ ( Originalreinschrift), probabilmente fatta per la fa-
miglia Muffel ; e sebbene egli sia scritto « nitidissimamente, senza
chiose o correzioni ■ (Vogt p. 4) , pure qua e lä il copista pare
abbia sbagliato ovvero fatto una confusione (v. le note 4.6. 17. 46. 49).
Le annotazioni del primo editore, scritte senza autopsia dell'eterna
cittä, e quasi esclusivamente cavate dai libri del Jordan e del Grego-
rovius, sono di poco conto ; le notole del Reumont danno soltanto
i risultati piü ovvii d'una rivista passeggiera. Nelle mie annota-
zioni, fuori delle Mirdbilia, del dialngo del Poggio e della rela-
zione di Giov. Rucellai intorno il giubileo del 1450 (Archivio d.
soc. romana di storia patria IV, 1881, p. 563 segg.), ho avuto
riguardo speciale alle antiche piante di Roma edite dal de Rossi,
ed ai libri deirAlbertini (1515), del Fulvio (1527), e del Mar-
liani (1534 e 1544), come quei piü prossimi all'epoca del Muffel;
non ignorando peraltro che le note e le parificazioni potranno sen-
z'altro facilmente essere supplite o corrette in diversi punti da chi
dello stato medievale delle antichitä di Roma ha fatto l'oggetto di
studi speciali.
Strassburg.
A. Michaelis.
DESCRITTE DA NICOLAO MUFFEL
257
P. 14 . . . unten auf der er-
den (!) do stet gar ein gross eren
ross und ein paiur darauf gar
meysterlichen gössen von aller
glidmass, ist hol innen und ver-
gult gewest: hat man denselben
pawren zu eren gemacht, hat
geheyssen Septimosephero . der
Born behalten und den konig,
der davor lag, erschlagen gen
Rom pr 'acht hat (2); und nit fern
davon do stet ein gross ern haupt
von einem aptgot,das ist grosser
dan ein saltzscheib und dopey
die hant desselben aptgotz, hat
ein maiestat apfel in yr begriffen,
gar icercklich gemacht (3). —
P. 19 Item darnach stet in
der mit vor dem münster ein
erer knöpf, geformt als ein
tantzepff, ist wol V klafter weyt
und ist mit künsten von den
posen geisten von Troye gen
1. [Vicino a S. Giovanni in
Laterano] giü sul suolo (l) stä
un grandissimo cavallo di bronzo
montato da un villano, fuso mae-
strevolmente di tutti i suoi mem-
bri ; e vuoto di dentro, ed e stato
dorato. Egli fu fatto in onore di
quel villano, chiamato Septimo-
severo, il quäle salvö Koma ed,
ucciso il re che l'assediava, lo
portö a Koma (2). Non molto lon-
tano havvi una gran testa di
bronzo, d'un idolo, piü grande
di im lastrone di sale, e vicino la
mano dello stesso idolo tenente
un globo imperiale, fatta molto
artificiosamente (3). —
2. Item appresso nel mezzo
della facciata della cattedrale
[di S. Pietro] vi stä un pomo di
bronzo, foggiato come una pigna,
largo ben 5 tese; e con artifizi
fu portato dai demonj da Troia a
(1) Flara. Vacca Notizie n°. 18: « stando in terra molt'anni » ecc. Fulvius
Antiq. (1527) f. 79: quae statua cum non satis digno loco constituta esset,
a Sixto IUI base marmorea honestatur (negli anni 1473 e 1474, cf. Müntz
les arts III, 1 p. 176. Stevenson Bull, comun. 1888 p. 280 nota 1). Le an-
tiche piante di Roma per5, pubblicate dal eh. de Rossi, sogliono mostrare il
caballus Constantini sopra bassa base, e Giov. Rucellai p. 571 dice : « in sulla
piazza della detta chiesa rilevato da terra braccia quattro vel circa uno huomo
armato a cavallo r> ecc.
(2) Mirabilia c. 17 ed. Jordan (15 ed. Urlichs).
(3) Cf. la redazione piü recente delle Mirabilia presso Jordan Topogr. II
p. 638 (Urlichs cod. topogr. p. 136). Rucellai p. 572: «Item in sulla piaza
in sur un pezo di colonna una testa di giogante di bronzo e uno braccio con
una palla di bronzo ». Cf. Stevenson Ann. 1877 p. 381. De Rossi Piante p. 85.
Nel 1471 questi bronzi furono trasportati da Sisto IV nel Museo capitolino,
ove sono mentovati giä dal « Prospettivo Milanese » st. 65 e 66 e dall'Al-
bertini Opusc. f. 61.
258
LE ANTICHITA DELLA CITTA DI ROMA
Constanlinopel und von Con-
stanlinopel gen Rom auf Maria
rotunda auf VI merblein seu-
len (4), das die zeit ein teufel
[tempelf] aller abtgotter und da-
rinnen Diana die obirst ablgottin,
die was gesetzt worden auf das
loch, das in dieselben kirehen
get, und ist darnach aber durch
gebot eins heiligen pabsts den
posen g eisten gescheen an die stat
gefurt und auf die VI merblein
seul gesetzt worden und ist sunst
mancherlei/ zir darumb gesetzt
von eren pfaben und tyeren da-
rein gössen gar kostlichen. —
P. 28 . . . sand Peter ward
wyder in kerker gefürt und
on einem andern tag gekreutzigt
auf einem perg zwischen den
zweyen nodellen (5), dye do sten
eine in der maur, do sand Paulus
thor hinauf get (6) und Rumulus
und Remus auf begraben ligen
Costantinopoli, e da Costantino-
poli a Roma sopra Maria rotonda
su sei colonne di marmo (^), che
era allora un diavolo [tempio?]
di tutti gli idoli, e fra essi di
Diana quäl capo degli idoli, che
era posta sul buco che si apre
nella chiesa ; e dopo, per ordine
d'un santo papa fatto ai demonj,
[il pomo] fu per la seconda volta
condotto su quel posto e messo
sulle sei colonne di marmo, e
tutto intornovi sono posti varj
altri ornamenti, di pavoni di
bronzo e di animali fusivi molto
eccellentemente. —
3. . . . San Pietro fu ricon-
dotto nel carcere e crocifisso un
altro giorno sopra un monte si-
tuato fra le due guglie (5) che
stanno l'una nel muro ove sale (?)
la porta di San Paolo (6), sopra
la quäle Romolo e Remo sono
sepolti per impedire che alcun
(4) Cf. Mirab. c. 20, 2 (19). Le sei colonne sono quelle che portavano
il tetto di bronzo, ornato di pavoni e delfini, che copriva la pigna (cf. Ru-
cellai p. 567; v. il disegno pr. Andr. d. Vaccaria Ornamenti di fabriche, 1600,
tav. 18). II « santo papa » sarä Innocenzo, cf. l'anonimo Magliabecchiano
p. 162 Url. (Jordan II p. 628 annot). Cf. ann. 16. — Intorno ai « demonj »
cf. Fulvio f. 94: Ne credant sobrii anicularum fabellam quae vulgo circum-
fertur de hoc tempio, quod a Cacodaemone fuerit conditum ecc. — Potrebbe
darsi, come m'avverte il dott. Hülsen, che le parole auf VI merblein seulen
non fossero che una dittografia delle simili parole che ricorrono piü giü.
(5) E la tradizione medievale che San Pietro sia stato crocifisso intet
duas metas. Infatti San Pietro in Montorio e situato esattamente nel bei mezzo
fra le due localitä indicate.
(6) E noto che la piramide di Cestio nel medio evo fu chiamato sepolcro
di Remo, tradizione seguita ancora dal « Prospettivo Milanese » st. 72. La
ridicola cagione addotta dal nostro autore per spiegare la forma insolita del
DESCRITTE DA NICOLAO MUFFEL
259
in der maynung, das kein hunt
auf yr grab kummen (P. 29)
soll (*) ; aber etlich mein,, Gajus
Zesar lig darauf, als die puch-
staben im stein gehauen bedeut-
ten, die mit gras verwachsen
sind (7) ; und zwischen der an-
dern nodelen, die do steht zwi-
schen der Tyber prucken und
sand Peter (8), do der keyser
innen lag (9), der sy von des
doners wegen gemacht het und
cane metta i piedi sul loro se-
polcro (*) (alcuni perö credono
Gaio Cesare esservi sepolto, corue
indicano le lettere scolpite nella
pietra che sono coperte di er-
ba) ("), e fra l'altra guglia che
sta fra San Pietro ed il ponte
del Tevere (8) nel quäle giacque
l'imperatore (9) che l'avea fatto
fare a cagione delle tempeste,
e, benche vi giacesse, pure fu
percosso col fulmine ; laonde an-
(*) P. 49: und ist wol dreyer (*) ed ha l'altezza di tre piani
gaden hoch von stein als ein perck incirca, essendo murata di pietre a
gemaurt. guisa d'una montagna.
monumento mi riesce nuova; del resto anche riguardo la meto, Romuli (an-
not. 8) prevalse l'opinione che Romolo fosse sepolto in cima di esso, v. Ru-
cellai p. 572 : « Item la meta di Eomolo ... in su che si dice essere le ce-
nere dell'ossa del detto Romulo ». Cf. la nota 22. — Invece di hinauf sarä
meglio di scrivere col dott. Hülsen hinaus («esce»).
(7) Confusione di Gaio Cestio con Gaio Cesare. Poggio: miror integro
adhuc epigrammate doctissimum virum Fr. Petrarcam in quadarn epistola
sua scribere id esse sepulchrum Remi; credo secutum vulgi opinionem non
magni fecisse epigramma perquirere fruticetis contectum. Anche Fulvio f. 72
parla di aliae litterae versus testaceum montem, quae propter frutices et
putrem situm legi nequeunt. Cf. C. I. L. VI, 1374.
(8) La cosidetta meta Romuli o sia sepolcro di Scipione, fra la chiesa
di S. Pietro ed il Castello S. Angelo, piramide tolta da Alessandro VI, la
cui immagine si vede nelle antiche piante di Roma. Cf. Mirab. 20, 3. Ru-
cellai p. 572. « Prospettivo Milanese » st. 53. Albertini f. 68. Fulvio f. 72.
Jordan Topogr. II p. 405.
(9) Confusione colla guglia di San Pietro che fu chiamata sepulcrum
Iulii Caesaris ''Jordan II p. 182. Mirab. 20, 1), ovvero col sepolcro di Adriano ?
Mi riesce nuovo tanto il noine del ponte quanto la tradizione veramente mi-
rabiliana connessa con esso, la quäle pare sia originata da un qualsiasi
foro praticato nel ponte. Oppure potrebbe pensarsi agli avanzi del pons trium-
phalis (tonerpruck ?) il cui stato ruinoso poteva porgere occasione ad una
tale leggenda.
260
LE ANTICHITA DELLA CITTA DI ROMA
darijn lag doch von weter er-
schlagen ward, die heizt noch
die doner pruck (*). —
P. 42 . . . sand Peter ad
vincula, do ligt gar ein grosser
gegosner steiner trog und ein
aptgot dapey (**)■ (10). —
P. 42 . . . sancta Sabina . . .
do unten herab ist gewest ein
kostlich pallacium Antonini, do
man isund kostlich merbelstein
ausgrebt (n). —
P. 44 . . . Item am herein-
reitten (12), do ist die kirch,
(*) P. 49 : Die ander nodel stet
pey der Tyber prucken, die toner
prucken genannt, die ein keyser für
das wetter machen Hess, dem geweis-
sagt was, das er von weter erschla-
gen solt werden, und die hat ein loch
oder spelunck ; do ging er eins tags,
do es ser heytter und schon am hy-
mel was, unter das loch; von stund
an erschlug in das weter.
(**) P. 50 . . . und stet ein gro-
sser kostenlicher trock vor der kirchen
von merbelstein gehawen und gen
dareyn pey Villi fuder wassers.
cora vien chiamato ponte del
fulmine (*). —
4. . . . San Pietro ad vin-
cula : vi stä un grandissimo lab-
bro fuso di pietra, ed accanto
un simulacro (**). (I0). —
5. . . . AI dissotto di Santa
Sabina e stato un magnifico
palazzo di Antonino, ove adesso
tti scavano marmi preziosi (n). —
6. . . . Item entrando a ca-
vallo (l2), vi e la chiesa ove
(*) L' altra guglia sta presso il
ponte del Tevere chiamato il ponte
del fulmine, il quäle un imperatore
fece costruire contro le tempeste, es-
sendogli stato predetto che sarä per-
cosso col fulmine; ed ha un foro o
sia spelunca. Un giorno che il cielo
era molto chiaro e sereno, egli entrö
in quel foro, e subito lo percosse il
fulmine.
(**) . . . dinnanzi alla chiesa vi sta
unlabbro grande e suntuoso,scolpito di
marmo, in cui entrano circa nove mi-
sure (« carrate ») di acqua.
(10) Eucellai p. 574: « La chiesa di sancto Piero in Vincola, dove e di
fuori allato alla porta della chiesa nno vaso di granito di lungheza di
braccia 10 et largho braccia quattro il vano et alto braccia quattro, con una
figura allato di porfido sanza testo ». II labbro ricorre presso Pulvio f. 99,
della statua non trovo altra menzione.
(n) Sembra parlare della Marmorata, ove tanto nella pianta rediana
(de Rossi Piante tav. 4) quanto in quella del Bufalini sono indicati consi-
derevoli avanzi. Cf. Biondo Roma instaur. I, 20 ubi nunc vetustissimos arcus
marmoreos ut in calcem decoquer entur dolentes vidimus a fundamentis excidi.
Fulvio f. 84.
(12) Questo passo si spiega dalla p. 17, ove l'autore fa menzione
della « via santa » {der heilig weg, via sancta, cf. Jordan II p. 352), ov-
DESCR1TTE DA NICOLAO MUFFEL
261
do sand Cosmas und Damianus
ligen und ist mit kupfren ereyn
treuen gemacht, do ist ein pa-
last gewest des keysers, do sieht
man noch ein alte maurJ das
ist an dem tempel gewest Ru-
moli (13), darnach ist der tempel
Antonini gestanden des Heusers
und Faustina und die seulen
des tempels sten noch eins teyls
do (N) und ein schwipogen stet
dopeys. Lorentzn,heist Tripolis,
do man die drei stet gewanJ do
wurd er gemacht, do sind vil
schöner merbelpild (15). —
P. 46. Item Maria rotunda,
die kirch ist simbel und ganz
unversert als die heiden gepaut
haben und hat XVI eck und
ein loch oben hinein und ist als
giaciono santi Cosma e Damiano,
fatta con travi di rame [e] bron-
zo : vi e stato un palazzo deli'im-
peratore ; ancora vi si vede un'an-
tica muraglia che ha fatto parte
del tempio di Romolo (13). Piü
avanti vi e stato il tempio di
Antonino imperatore e di Fau-
stina, e delle colonne del tempio
si e conservata una parte (N). Ed
havvi un arco presso San Lo-
renzo, chiamato Tripolis, perche
fu eretto quando le tre cittä fu-
rono conquistate; vi sono motte
belle figure di marmo (15). —
7. Item la chiesa di Maria
rotonda e tonda e pienamente
intatta quäle l'hanno eretta i pa-
gani ; ed ha sedici nicchie ed un
bueo di sopra, e quasi posa sopra
vero « via de1 somari » (der eselweg, « perche nei tri onfi vi si conducevano
ogni sorte di somari muli ed altre bestie »), ovvero « via della vittoria »
(weg des sigs); « e eiaseun imperatore, quando ha riportato una vittoria op-
pure e stato coronato, deve cavalcar per questa strada, siecome fece anche
l'imperatore Pederigo ». La via saneta conduceva dal Laterano al Coliseo, e
di lä passava pel foro (Urlichs cod. topogr. p. 79).
(i3j Poggio: Romuli templum, cuius pars muri vetustissima quadrato
lapide nunc quoque mirandam speciem sui praebet, hodie Cosmae et Damiano
martyribus consecratum.
(u) Poggio : . . . cuius porticus plurimae marmoreae columnae ruinam
effugerunt.
(15) Poggio: . . . eum (arcum) qui est prope Laurentium in Lucina, ubi
plura signa marmorea insunt, vulgo ob victoriam trium civitatum, prout
antiquum epigramma seniores se legisse referebant, Triopolim hodie quoque
arcum appellant. La stessa interpretazione del nome ricorre presso Fulvio
f. 49 e presso Marliani (1534) f. 143. Lo strano posto dal nostro autore as-
segnato all'arco di Portogallo forse si spiega da una confusione delle sue no-
tizie spettanti a S. Lorenzo in Lucina cd a S. Lorenzo in Miranda, cioe il
tempio di Faustina; cf. la nota 33.
262
LE ANTICHITÄ DELLA CITTÄ DI ROMA
auf Beulen, und hat darzu vor
der thur kostlicher (P. 47) seul
XVI gar gross mit küpffren
palken und zwu thur von erein,
ist gar fast von gold als man
maint wol halb gold und haben
wol vierhundert Zentner und auf
den XVI seulen sind eren trem,
auch mit gold vermuscht als
man meint, und in ydem eck
ist ein apgot gestanden, das ist
von allen landen und zumittelst
auf dem loch ist Pantheon der
aptgot des mers und die apt-
göttin Diana, die ein aptgöttin
des gaydes gewest ist, gestanden,
das ein teufflin aller abtgolter
gewest ist (16), und ivelchs lant
sich wyder die Romer setzen hat
wollen, so hat sich desselben
landts abtgot von derselben abt-
gottin gekert und der oberst
teufet gewest aller abtgötter (17)
und mit plei gedeckt; und das
ern oder küpffern dinck als
colonne, e di piü dinnanzi alla
porta ha sedici colonne magni-
fiche e grandissime, con travi di
rame e con due porte (battenti)
di bronzo: sono quasi tutte di
oro, come si crede, circa la metä
d'oro, e pesano circa 400 quin-
tali; e sulle sedici colonne vi
sono travi di bronzo, anch'esso
mescolato di oro come si crede.
Ed in ciascuna nicchia vi e stato
un idolo, cioe uno di ogni paese,
e nel mezzo sul buco vi sono stati
Pantheon, dio del mare, e la dea
Diana, dea della caccia, che e
stata uno diavolessa di tutti i
dei (I6); e quando un paese volle
opporsi ai Romani, l'idolo di
questo paese si e stornato da
quella dea, ed e stato il sommo
diavolo di tutti gli idoli (17). Ed
e coperta [la chiesa] di piom-
bo; e quell'oggetto di rame o
bronzo a guisa di pigna che sta
dinnanzi a San Pietro^ si trovö
(16) Mirab. c. 16: (Agrippa) fecit hoc templum et dedicari fecit ad
honorem Cibelis matris deorum et Neptuni dei marini et omnium demoniorum
et posuit hoc templo nomen Pantheon . ad honorem cuius Cibeles fecit sta-
tuam deauratam, quam posuit in fastigio templi super foramen et copruit
eam mirifico tegimine ereo deaurato. Cf. annot. 4.
(n) Altra Variante della storia narrata nelle Mirab. c. 18 (16): unius
cuiusque regni totius orbis erat statua in Capiwlio cum tintinnabulo ad
collum . statim ut eonabat tintinnabulum, cognoscebant illud regnum esse
rebelle, ecc. Le parole und der oberst — abtgötter • appartengono piüttosto piü
sopra al Pantheon der aptgot des mers. Forse quelle parole erano nna nota
marginale del manoscritto originale, inserendo la quäle in falso luogo il copista
trasandö la menzione della chiesa o sia cupola che si dice coperta di piombo.
DESCRITTE DA NICOLAO MUFFEL
263
tanzepfen so vor sand Peter stet,
das ist auf dem loch gestan-
den (18) und der abtgöttin ligt
noch ein stuck vor der thur (19),
ist ein fraw g 210 est Diana ge-
heissen und ob dem eingang
gestanden, stet nu ein creutz . . .
P. 48. Item hinter dersel-
ben kirchen do sind die heid-
nischen briester gewessen, do
sind vier gross seul, die hat
eine LXI span lanck und Villi
span preilj die der babst Ni-
colaus von dannen zu sand Peter
füren Hess und gab XVI hun-
dert dukaten davon zu füren,
die er in sand Peters kor setzen
Hess, do ich do wass (20). —
al dissopra del buco (18). Un fram-
inento della dea giace dinnanzi
alla porta (19) ; e stata una fem-
mina, chiamata Diana, e posta
aldissopra della porta, ove adesso
stä una croce . . .
8. Item dietro la medesima
chiesa sono stati i preti pagani ;
ivi sono quattro grandi colonne,
ciascuna delle quali e lunga 61
palmi e larga nove palmi, che
furono fatte trasportare dal papa
Nicoiao a san Pietro, il trasporto
costando 1600 ducati, e furono
poste nel coro di san Pietro al-
lorquando io vi stetti (20). —
(18) Cf. paragr. 2.
(19) Non ne trovo menzione altrove. [La testa dell'idolo si trova men-
zionata da G. Fabricio, Roma p. 95 ed. 1567 : cuius deae (Cybeles) caput
antiqui operis et ruri cum duobus piscibus muro templi inclusum adhuc
cernitur e dal Fanucci, opere pie di Roma (1601) c. 36 : ' non e gran tempo
che la testa di detta statua era in appresso alla cappella maggiore gettata
per terra, et mi ricordo quando era giovinetto di haverla vista '. Cf. Lanciani
not. degli scavi 1881 p. 267. Ch. H.].
(20) Paria degli avanzi delle Terme di Agrippa nella via della Palom-
bella. Fulvio f. 94 : eius templi (boni Eventus) quadrata atque oblonga adhuc
integra forma inter ruinas occurrit, magistris viarum excitantibus novam
illic viam a platea nunc S. Eustachii usque in plateam Minervae peragen-
dam inter proximum Pantheon et amplissimas quas nunc a fundamentis
excitat aedes et palatium magnificus vir ac praedives D. Marius Peruschus,
fisci procurator (Accademia ecclesiastica ?) . . . Apparent adhuc illic laquea-
rium signa quos stucchos vocant, sicut in Pantheo, et hyperstylia columna-
rum, quae iussu nuper Nicolai V in Vaticanum delatae sunt. (La pianta del
Bufalini indica il posto delle quattro colonne.) Un estratto dai conti della
camera per l'anno 1452 presso Müntz Les arts I p. 108 porta : « M° Aristo-
tile di Fioravante da Bologna de dare duc. 125 d. c. cont. allui fino adi 27
d'Aprile per tanti n'ebi da N. S.... sono per parte di d(enari) debe avere per
condurre la cholonna da la Minerva a palazo » ; una seconda colonna viene
264
LE ANTICHITA DELLA CITTA DI ROMA
P. 51. Item zu unser frawen
Minerfa . . . des alten tempels
stet nur noch ein stuck (2l). —
P. 52. ... vor derselben
/drehen [ara cell] pey dem Ca-
pitolium, do stet ein nodel da-
rauf ist ein gulder knöpf,, do
liegt Octavianus in begraben..^22).
. . . und es sind in dem
Capilolio in die zurstortten maur
zwif eltig pogen in das neu gepey
gemacht, izunt leckt man das
gemein saltz hin und in den
geschriben ist mit sehr gar alten
puchstaben und die das saltz
nahet aussgessen hat; noch ein
grab darein Gaius Publius und
sein erben darein gelegt werden,
das do dy rattherrn und das
9. Item alla nostra Signora
Minerva . . . dell'antico tempio
non si e conservato che un avan-
zo (21). —
10. . . . Dinnanzi a questa
chiesa [ara celi] al Campidoglio
stassi una guglia con di sopra
una palla dorata, nella quäle e
sepolto Ottaviano . . . (22).
11. ... E nel Campidoglio
nelle mura distrutte vi sono arcate
doppie incastrate nel nuovo edi-
fizio (ora vi si depone il sale del
comune), in cui havvi una iscri-
zione con lettere oltremodo an-
tiche e quasi consumate dal sale.
Ancora vi e una tomba nella
quäle si sepeliscono Gaio Publio
ed i suoi eredi, i'atta in quei tempi
dai senatori e dal popolo in con-
mentovata 1451, 23 dec, e le due altre 1452, 17 giugno. Le colonne dove-
vano servire per la tribuna di S. Pietro che il papa allora stava rinnovando.
(21) [Cf. Lanciani not. degli seavi 1882 p. 348 Ch. H.]. Poggio: Aedis
Minervae portio conspicitur ubi nunc est domus praedicatorum, unde et
loco Minervae est inditum nomen. Iucsta eam porticus ingens ruderibus op-
pressa . . . Una descrizione piü dettagliata si trova presso Fulvio f. 93.
(22) Vedi il disegno di Martine- Heemskerk pubblicato dal ch. Hülsen
nel Bull, comun. 1888, tav. 9, colle di lui spiegazioni a p. 157. Oltre dal
Poggio, l'ohelisco si mentova anche daU'Anonimo Magliabecchiano p. 159 Url.,
dal Fulvio f. 71 (in Capitolio in hortis arae coeli) e dal Marliani (1544)
p. 27 ; il suo trasporto dall' « orto de' frati d'Araceli « alla villa Mattei viene
mentovato sotto il rame pubblicatone negli « Ornamenti di fabriche » ecc. di
Andrea della Vaccaria (1600). — L'opinione che Ottaviano sia sepolto nella
palla dorata, ricorre riguardo al sepulcrum Caesaris, cioe la guglia di S. Pietro,
cf. Mirab. c. 20, 1 (18): superius vero ad malum ubi requiescit; ed in un'altra
versione (Jordan p. 629 annot.): in agulia S. Petri una cum eo voluit reponi
eadem palla superius, et ibi ambo iacent. Rucellai p. 572. « Prospettivo Mi-
lanese » st. 49 : « e v'una pall' in eima e cesar dentro, Che vi fu posto finito
lui so guerra ». Gamucci Antich. di Roma, 1565, p. 195.
DESCRITTE DA
volk schuffen von ir ere und
lügend wegen (23).
Item hinter dem Capitolium
gegen den marck ist noch ein
schöner ganck des tempels Con-
cor dia ein gottin des frids (24).
P. 53. Item dagegen ist
gewesen templum telluris, das
ist der got des er t Iridis, des
man nichts sieht, nu heist mans
zu sand Salvator in tellumine
und für tellure sprechen sy
tellumine (25).
Item mer stet ein edel
gepeu noch eins tempels Mer-
curio ein got der redung oder
potschaft, den man nun sand
NICOLAO MUFFEL 265
siderazione dell' onore e della
virtü loro (23).
12. Item dietro il Campi-
doglio verso il foro vi e ancora
un bei portico del tempio di
Concordia dea della pace (24).
13. Item dirimpetto e stato
templum Telluris, cioe del dio
della terra, di cui non si vede
niente; ora viene chiamato di
San Salvatore in tellumine, per-
che invece di tellure dicono tel-
lumine (25).
14. Item havvi ancora un no-
bile editizio di un tempio di Mer-
curio, dio della parola ovvero del
messaggio, il quäle adesso e dedi-
(23) poggio: Extant in Capitolio fornices duplici ordine novis inserti
aedifieiis, publici nunc salis reeeptaculum, in quibus sculptum est litteris
vetustissimis atque adeo humore salis exesis Q. Lutatium ecc. (C I L. I,
592 ■■=■ VI, 1314. Cf. Fulvio f. 19). Sepulchrum quoque Capitolium iuxta C.
Poblicio, quo ipse posterique eius inferrentur, virtutis honorisque causa se-
natus consulto iussuque populi datum. (C. I. L. I, 635 = VI, 1319).
(24) Porticus octo columnarum (Fulvio f. 18. 69). Poggio vide mettere
a calce il tempio stesso ed aleune colonne.
(25) Poggio : Ex adverso (aedis Concordiae) aedes erat Telluris, cuius
nulla extant vestigia; Salvatorem in Tellumine (Urlichs: Tellume) hodie
vocant, pro tellure Tellumen corrupto vocabulo dicentes. (Cf. Albertini f. 46
« in tellude »). Le Mirabilia c. 10 (9) conoscono la stessa localitä in Tel-
lure id est in canapara, cioe sotto il monte Tarpeo, vicino a S. Maria della
Consolazione (v. la pianta del Bufalini), laddove Marliani (1534) f. 54 dice:
ubi nunc ecclesia S. Salvator is in Tellude, e regione divi Pelri in vineulis
(S. Salvatore ai Monti). Cf. Jordan Topogr. II p. 491. [Crederei che il Poggio
abbia sbagliato neü'attribuire il nome in Tellumine a quella Chiesa di S. Sal-
vatore situata presso il tempio di Saturno. La chiesa di S. Martina, situata
proprio dirimpetto ad esso, dall'Anonimo Magliabecchiano viene dichiarato
identica col templum Cereris et Telluris: ed ivi presso esisteva pure una chie-
setta dedicata al Salvatore ma col vocabolo de statera, oppure de aeraria*
Ch. H.]
266
LE ANTICHITA DELLA CITTA DI ROMA
Michel geweicht hat,, do man
izunt die fisch verkauft (26). —
P. 54. Item daselbst [bei
der Capelle des heil. Julianus,
■ nach der /drehen sand Cri-
stofls als man zu sand Anthoni
get pey Maria maior » ] sind
die zwen abtgotter die man den
gensen gemacht hat die Rom
behielten, do man eingrub unter
dem Capitolium (27). —
P. 55. Item in der /drehen
zu unser frawen Maria nova ...
ligt eine heilige Römerin heist
beata Franisca, die hat grosse
bunderzeiehen gethan und ire
kind leben noch und ist erst im
tausendten vierhundert 40 jar
tot [P. 56] und ist der tempel
gewest Castoris und Pollucis,
cato a San Michele; ivi attual-
mente si vendono i pesci (26). —
15. Item nell'istesso luogo
[presso la cappella di San Giu-
liano, « dopo la chiesa di San
Cristoforo ove si va a Santo An-
tonio presso S. Maria Maggiore ■ ]
vi sono due simulacri eretti alle
oche che salvarono ßoma quando
si seavavano le mine (?) sotto il
Campidoglio (-7). —
16. Item nella chiesa di
nostra Madonna Maria Nova . . .
giace una santa Romana, chia-
mata beata Francesca, che ha
fatto grandi miracoli ; vivono an-
cora i suoi figli, non essendo essa
morta che nel 1440; ed e stato
il tempio di Castore e di Pol-
luce, dei della forza, nel quäle
(26) Portico di Ottavia. Poggio: Stat ad hanc diem nobilis porticus
aedis Mercurii — eam religio nostra ad Angelum Michaelem transtulit —
ubi nunc est piscatorium forum. « S. Agiiolo dove si vende il pesce » dice
la pianta rediana (de Rossi Piante tav. 4). Albertini f. 54 ritiene il nome di
Mercurio, Marliani (1534) f. 130 = (1544) p. 99 dubita, Fulvio f. 68 si astiene
di assegnare all'avanzo un nome antico. AI tempo del Muffel il numero delle
colonne era assai piü grande; sette colonne furono tolte per servire alla co-
struzione della gran loggia da Pio II eretta dinnanzi alla facciata di S. Pietro
(de Rossi Piante p. 107). ^
(27) La vicinanza di S. Giuliano mostra che sotto questa denominazione
ridicola si nascondono i cosidetti trofei di Mario. Fulvio f. 25 : ante templum
S. Iuliani duo marmorea trophaea . . . quae fuisse dieuntur C. Marii. Mar-
liani (1544) f. 82 : Trophoea Marii . . . prope D. Iuliani aedem extant. L'ori-
gine dell'equivoco del Muffel si spiega da un passo del Rucellai p. 576:
« L'archo trionfale di Mario, dove sono due flgure di marmo che si chiamano
l'oche armate ». Infatti nella copia urbinate di una pianta di Roma contem-
poranea al nostro autore (de Rossi Piante tav. 3) e nella pianta del codice
rediano (ivi tav. 4) i trofei hanno assunto la forma d'uccelli.
DESCRITTE DA NICOLAO MUFFEL
267
das sind götter der sterck, do
man den ratt sammet vor seil-
ten (28). —
P. 56. ... ob derselben
/drehen [Maria novo] stet der
tempel der ewikeit, den Vespa-
sianus pauet, des sten nur drey
pogen und ein seid noch do (29),
und daran gesehriben stann:
das ist der tempel der ewikeyt ;
dann in was geweyssagt, das
der so lang besten soll, piss ein
junckfraw ein kint het, also vil
der tempel nyder an der crist-
nacht und noch elwan davon
vellet an derselben nacht (30)
und sind so grosse stuck, die
noch an einander hangen dye
zweihundert wegen nit zihen
anticamente si radunava il se-
nato (28). —
17. ... Aldissopra della me-
desima chiesa [S. Maria nuova]
stassi il tempio deH'Eternitä eret-
to da Vespasiano, di cui restano
soli tre archi ed una colonna (29),
e vi stava scritto: questo e il
tempio dell' Eternitä ; giacche
loro era stato predetto che egli
durerä finche una vergine farä
un bambino. Cosi il tempio crollö
nella notte in cui nacque il Si-
gnore, ed ancora ne suole cadere
qualche pezzo nella stessa not-
te (30); e sono tanto grandi i pezzi
ancora coerenti fra loro, che du-
cento carri non basterebbero per
(28) Poggio : Castoris et Pollucis aedes contiguae loco edito in via sacra,
altera occidentem altera orientem versus {hodie Mariam novam appellant),
inclytus quondam cogendi senatus locus, maiori ex parte collapsae parvis
vestigiis haerent. E chiaro che parla del tempio doppio di Venere e di Roma,
da altri attribuito ad Iside e Serapide, ovvero al Sole ed alla Lima.
(29) Poggio: Tempil Pacis. conspicui quondam a divo Vespasiano con-
structi tres tantum arcus super ingentem reliquorum, qui sex erant, ruinam
eminent ferme integri ; ex pluribus vero mirae magnitudinis unam tantum
stare vides marmoream columnam.
(30) Nelle Mirabilia c. 8 (7) la stessa leggenda si narra del palatium
Romulianum, altro nome del tempio della Pace cf. Urlichs p. 128. 137. 166.
Essa ricorre anche presso il Rucellai p. 578. Forse vi si riferiscono eziandio
le stanze 36 e 37 del « Prospettico Milanese » : « Et ancho qui veder poi rui-
nato Templum pace, di grande architectura, Geometrical per terra fracassato.
Natal' e (?) quel che (chel ?) gett' alla pianura ; Onde ho compassion' e gran
dolore Vedendo ruinar tant'ample mura». Conf. Fulvio f. 86: explodenda est
vana illa opinio imperitae multitudinis quae de tempio Pacis circumfertur ,
singulis annis nocte natalis domini divinitus particulam aliquam vel frag-
mentum ruere, et qua nocte natus est maximam ruisse partem, quod absur-
dissimum satis esse constat cum templum ipsum Pacis annis prope LXXX
post natalem Christi ab Vespasiano Imp. conditum fuerit.
268
LE ANTICHITA DELLA CITTA DI ROMA
möchten und hat vier swipögen
und ein köstliche seul, der kunt
ich mit vier kloffteren nit umb-
klofftern (3l), der sind vil gewesi
und ist oben gespigelt und mit
kostlichen steinen versetzt ge-
west. —
P. 57. Item darnach ist
sand Peters kerker ... davor ligt
ein grosser gehauer abgot (32),
des köpf grosser dan ein sah-
scheib ist, und hat zbu schusseln
von merbelsteih vor im wol VII
klafteren weit, und dozwischen
und doneben auch davor pey
Maria nova do sind gar kostlich
schwipogen gemacht und ge-
hauen, der einer ob dreyssick
tausend gülden kost hat (33) und
etlich köstlich seul die ein ganck
trasportarli. Bd ha quattro archi
ed una colonna stupenda, che con
quattro tese io non potevo ab-
bracciare (3l), quali ne sono state
molte; e coperto a cassettoni, e
fu ornato di pietre preziose. —
18. Item dopo viene il car-
cere di San Pietro . . . dinnanzi
al quäle giace un gran simulacro
scolpito (32), la cui testa e piü
grande di un lastrone di sale, ed
ha dinnanzi a se due conche di
marmo larghe incirca sette tese ;
e fra esse, ed accanto, nonche
piü avanti presso Maria nuova,
vi sono fatti e scolpiti sontuosis-
simi archi, ciascuno dei quali ha
costato piü di trenta mila fio-
reni (33), e varie coloune magni-
(31) Invece dei tre archi mentovati dal Poggio, qui l'autore parla di
quattro archi, comprendendo senz'altro nel numero l'abside della basilica.
E evidente che quest'ultima parte e basata sopra autopsia. Cf. Marliani (1534)
f. 54: columnis, quarum una ibidem adhuc est erecta tantae crassitudinis,
ut tribus ulnis vix amplectatur.
(32) Eucellai p. 579 : « Una figura grande di marmo quasi a giacere che
si chiama Marfuori, con uno vaso o vero concha appresso». Non mi ricordo
di aver trovata altra menzione dell'una o delle due conche, che nemmeno si
vedono negli antichi disegni dei Marforio.
(33) pare parii di tre archi, quello di Settimio Severo (fra esse), quello di
Tito (pr. Maria nuova), ed un terzo (accanto). Questo difficilmente puö essere
diverso da quell'arco murato nella torre Frangipani o sia Pallara (Fulvio f. 80),
che e visibile sul disegno deH'Heemskerk (Bull, comun. 1888 tav. 7), e di cui
parlarono Jordan (TI p. 506), de Eossi (Bull. d. Inst. 1888 p. 95), Hülsen (Bull,
com. 1888 p. 154). Forse questo arco diede occasione aH'equivoco dei quäle
si parlö sopra nella nota 15. E vero che Marliani (1544) p. 42 mentova questi
* avanzi dell'arco Fabiano » come dissotterrati proximis annis , cioe dopo
il 1534, perche nell'edizione di questo anno non ne fece conto. Considerando
queste difficoltä il dott. Hülsen preferirebbe di cancellare le parole und
DESCRITTE DA NICOLAO MUFFEL
269
tragen haben, der ist ob vier-
hundert gewest aus dem pallast
der wunderpruck [purck?~\ pis-
sin das Capitolium (34) und vor
dem eussersten schwipogen, der
Tijtus und Vespasianus zu eren
gemacht ist darynn die Über-
windung Jerusalem stet,, do ist
der stein gemauert von sigeln,
darauf des keysers pull stund
und all Romer mussten von ir
holen, dan ein saubrer alle fewr
erlescht hei und kein stein kraft
het feur zu geben (35).
Item darnach ist die simbel
spiegelpurck , darin man alle
hubscheit und spil gelriben hat
liehe, delle quali vi sono state
piü di quattrocento, hanno portato
un portico che dal palazzo della
rocca miraculosa conduceva lino
al Campidoglio (34). B dinnanzi
all'arco estremo eretto in onore
di Tito e di Vespasiano, nel quäle
e effigiata la conquista di Geru-
salemme, vi e la pietra murata
di mattoni, sulla quäle stava
la ganza dell' imperatore ; tutti i
Romani dovevano andare a pren-
derne , perche un mago aveva
spento tutti i fuochi e nessuna
selce era capace di dar fuoco (35).
19. Item dopo vi e la ro-
tonda rocca degli specchi, in cui
si esibivano ogni sorte di va-
dozwischen, dimodocche non restassero che gli archi di Severo e di Tito, con-
gettura assai probabile.
(34) ii u palazzo della rocca miraculosa » e il palatiurn maius del medio
evo ovvero il Palatino, sul quäle allora esistevano considerevoli avanzi dello
stadio chiamati Pallara (Biondo Rom. instaur. I, 76. Cf. le piante edite dal
de Rossi). Le tre colonne del tempio di Castore (v. la tela mantuana presso
de Rossi Piante tav. 9) e le tre altre del tempio di Vespasiano si credevano
avanzi del ponte di Caligola, v. Poggio. Albertini f. 12. Marliani (1534)
f. 50. 61, laddove Fulvio (f. 69) parla delle colonne senza allusione alla tra-
dizione volgare.
(35) La meta Sudans si credeva avere portato in eima una statua di Giove
(Albertini f. 25. Fulvio f. 49. Marliani, 1534, f. 106), che qui ha ceduto il
posto alla famosa donna conosciuta dalla leggenda di Virgilio (v. Comparetti,
Virg. nel medio evo II p. 110. 119). La giusta spiegazione del passo mi e stata
suggerita dal dott. Hülsen. [La favola si trova riferita alla medesima localitä
dal Boissard, Topographia Urbis Romae I p. 29 : prope hunc arcum (Titi)
sub Palatino ad dextrum turris erigitur quadrata (e indicata la cosidetta
Torre Cartularia), quam vulgus vocat Studiolo di Vergilio: fabulanturque
ridicule ex ea fuisse poetam appensum in corte a quadam meretricula, ac
tota die speetaculo fuisse populo: quod ut ulcisceretur Vergilius, qui ma-
gicam callebat artem, e/fecit ut ignis tota urbe extingueretur, cet. Ch. H.].
270
LE ANTICHITA DELLA CITTA Dl ROMA
und auf den dechern zugesehen
und ist drivach obeinander gar
köstlichen und ein spigel da
gelegen darin man gesehen alle
ding in der werlt das Vespa-
sianus gemacht und Coliseus
genant ist, das nu ser zuprochen
und zu kalk geprent ist (36).
Item darnach ist ein swi-
pogen gemacht Conslantinus ,
do er überwunden het die
Etschtz, Kernten,, Oesterreich
und Kreyn (37) ; ist auch jar
kostlich.
Item darnach ... [P. 58] . .
do ist auch das Studium, darynn
die siben kunst gefunden sind,
und sind siben gaden von seulen
und sust gezirt und auf einander
gesetzt gar köstlich (38) und ist
ein tempel gewest der göttin
Vesta . . . Item darnach ist Gre-
gorius /drehen ... —
ghezze e di giuochi, e si spetta-
vano dai tetti, ed e di tre ordini
l'uno sopra l'altro, di squisita
bellezza, e vi era messo uno
specchio in cui si vedevano tutte
le cose del mondo; costruito da
Vespasiano e chiamato Coliseo,
[l'edifizio] adesso e molto rovina-
to e distrutto per farne calce (36).
20. Item dopo vi e un arco
eretto in onore di Costantino al-
lorquando aveva conquistato l'A-
dige, la Carinzia, TAustria e la
Carniola (37) ; anch'esso e molto
magnifico.
21. Item dopo ... vi e anche
lo studio in cui furono scoperte
le sette arti, e sono sette piani
decorati di colonne ed altrimenti,
e posti l'uno sopra l'altro magDi-
ficamente (38) , ed e stato un
tempio della dea Vesta . . . Poi
viene la chiesa di S. Gregorio . . .
(36) Poggio : . . Coliseum vulgo appellatum atque ob stultitiam Roma-
norum maiori ex parte ad calcem deletum. Si possono confrontare le parole
del Rucellai p. 577 : « II culiseo . . . dove si dice si festeggiava et dove il popolo
stava a vedere datorno su gradi a modo di scaglioni, cosa molto notabile et
dentro et di fuori». —II nome e la storia dello specchio rammentano l'espres-
sione usata nelle Mirabilia c. 23 nella descrizione delle bellezze del Campi-
doglio, ut esset speculum Omnibus gentibus. Sarebbe mai lo specchio una remi-
niscenza di quella cupola di bronzo dorato di cui il medio evo fingeva coperto
il Coliseo (Urlichs cod. topogr. p. 136. de Rossi Piante tav. 1. 2, 2)?
(37) Invenzione caratteristica per Tautore tedesco.
(38) II Septizonium. Anon. Magliab. p. 167 IM. : ad Septem solia fuit
sedes omnium Septem scientiarum. « Prospettivo Milanese » st. 96 segg. :
u. Erano septe scole all'alto soma, De fin colonne alla circumferentia, Et hör
ve ne son tre che aqua cola. Ciaschuna havea per se la so scientia ecc. ».
Cf. Jordan Forma p. 37 segg. Hülsen Das Septizonium, Berlino 1886. Ste-
venson Bull, comun. 1888 p. 269 segg.
DESCRITTE DA NICOLAO MUFFEL
271
P. 60. Item so stet vor sant
Ales// purck das steine pild das
den frawen die fing er abpissen
hat, dy yr eer \ee ?] geprochen
helten und sein haubt ist als
gross als ein iveiuvasspoden und
geen locher durch nasen und
locher durch äugen (39).
Item auf dem rossperg sten
zioey hübsche grosse sleynne
ross und zwen Junggesellen da-
rauf^) als die rysen, auch von
stein, und darumb sten vier
seiden die sind von merbelstein
gehawen als [P. 61] menschen,
und send abtgotter gebest und
auf iren haubten stet das gantz
zymmer und dach, daryn man
zu gericht gesessen ist (4l).
Item döpey ligen ziven gar
gross alt rysen gehauen von stein
noch grosser dan vor sand Pe-
ters gefenclmus (42), also das der
pildimg von den grossen leiden
22. Item dinnanzi alla rocca
di S. Alessio vi stä 1' immagine
di pietra che soleva mordere i
diti alle feramine adultere; la
sua testa e grande come il fondo
d'una botte da vino, e sono per-
forati tanto il naso quanto gli
occhi (3()).
23. Item a Monte Cavallo
stanno due belli grandi cavalli
di pietra, e sopra (40) di essi due
giovani grandi come giganti, an-
ch' essi di pietra; e tutto intorno
vi stanno quattro colonDe di mar-
mo scolpite a guisa di uomini,
che sono stati degli idoli, e sulle
teste loro posa tutfca la sala col
tetto, nella quäle hanno seduto
a scranna (41).
24. Item accanto giaciono
due grandissimi giganti antichi,
scolpiti di pietra, piü grandi di
quello che sta dinnanzi al car-
cere di San Pietro (42); dimo-
(39) La « bocca della veritä n allora era appoggiata contro il muro este-
riore della chiesa di S. Maria ad Scholam graecam (in Cosmedin), dal quäle
posto fu trasportata nel portico della chiesa nel 1632, v. Beschr. d. St. Rom
HI, 1 p. 381.
(40) Slrano equivoco. AI pari del Poggio, Muffel non dice niente delle quat-
Irö (Biondo Rom. instaur. II, 19) o Ire « statue di Costantino » che allora erano
posti negli angoli del gran basamento (cf. Fulvio f. 23 bis. Marliani, 1534, f. 119).
(41) Fulvio f. 69: Extant hodie huiuscemodi duo senum marmorea simu-
lacra tectum logiae sustinentia in antiquis aedibus D. Columnensium sub
monte nunc Gaballo. Cf. C. I. L. VI, 1148-1150.
(42) Le statue del Nilo e del Tevere, che sotto il norae di Saturno e Bacco
appaiono nelle Mirab. c. 27 (30), cf. Biondo Rom. instaur. I, 98. Rucellai
p. 577. « Prospettivo Milanese » st. 117-119. Marliani (1534) f. 120. — Fulvio
f. 21 e Marliani (1544) p. 26. 88 ne fanno menzione qome trasportate sulla
piazza del Campidoglio.
18
272
LE ANTICHITA DELLA CITTA DI ROMA
nur vier davon der zuslorung
wegen uberpliben sind und das
fünft vor sand Peters ; und
unter allen messen oder metal-
len pilden ist nur eins vor sand
Johanns, das auf dem pfert
reyt ; also das alle güldene päd
erene und messene und steine
nur VI von der grossen zal der
Romer, die namhaft sind gebest,
der man ydem eins zu gedech-
nuss gemacht hat , aber die
gülden und silbren haben s?j
zuschmeltz und die steinen all
zuschlahen und vermaurt und
zu kalk geprent (43).
Item es sind auch drey
weinkeler der ein ligt zwischen
sand Johanns und sand Peter
in vincida, der hat neun gewelb
und ydes gewelb So vil thür;
wan man darunter stet so sieht
man neun thür auf al ort als
hernach stet (44) und man mag
noch über das eingevallen ist
ivol XII hundert pfert stellen,
darauf wechst guter wein . . .
docche dei siraulacri di quella
gran gente sono restati soli quat-
tro, a cagione della destruzione,
ed il quinto dinnanzi a San Pie-
tro ; e di tntte le immagini di
ottone o metallo non esiste che
uno dinnanzi a San Giovanni,
che sta a cavallo; dimodocche di
tutti i simulacri di oro, bronzo,
ottone e di pietra non esistono
che sei, dal gran numero di quei
Roniani che sono stati famosi, ed
in memoria di eiaseuno dei quali
ne fu fatto nno, ma le immagini
di oro e di argento le hanno
liquefatte, e quelle di pietre spez-
zate e murate e messe a calce (43).
25. Item vi sono anche tre
cantine da vino. L'una si trova
fra San Giovanni e San Pietro in
vineula, e comprende nove ma-
gazzini a volta, e eiaseun magaz-
zino ha altrettante porte. Stando
laggiu si vedono nove porte in
eiaseuna direzione, in quella parte
che resta ('4), ed aldissopra di
quel che e caduto possono porsi
circa dodici centinaia di cavalli ;
vi ciesce un buon vino . . .
(43) Poggio : ex innumeris ferme colossis statuisque tum marmoreis tum
aeneis {nam argenteas et aureas minime miror fuisse conflatas) viris illu-
stribus ob virtulem positis . . . marmoreas quinque tanturn, quatuor in Con-
stantini Thermis (duas stantes pone equos, Phidiae et Praxitelis opus, duas
reeubantes), quintam in foro Marti» statuam quae hodie Martis fori nomen
tenet, atque aentam solam equestrem deauratam quae est ad basilicam Late-
ranensem Septimio Severo dicatam, tanturn videmus superesse.
(u) Le « sette sale », v. la pianta presso Marliani (1544) p. 81, il quäle
aggiunge: cum thermarum Titi castelli concamerationes sint novem, nescio
qua ratione vulgus septenario numero eas appellet.
DESCRITTE DA NICOLAO MUFFEL 273
Item so ist ein vass oder 26. Item c'e stata una botte
heier von wein gewest ist pey o sia cantina da vino, larga circa
hundert schritten toeit und hat cento passi, ed ha dodici colonne;
XII seulen da von man arme ne hanno dispensato alla povera
leut gespeist hat, ist im ein gente; vi e (?) una cappella di San
cappellen sand Michels, und ist Michele ; ed e anche nella vigna
auch in dem Weingarten swi- fra Santa Croce e San Lorenzo(45).
sehen dem heiligen creutz und
sant Lorentzen (45).
Item darnach ist enenthal- 27. Item dopo vi e [una
hen sand Maria maior und den botte ?] al di lä di Santa Maria
Termanus (46), das ist ein gross Maggiore ed il Termano ( '6), cioe
(45) Non e affatto chiaro se questo paragrafo si riferisca ad una sola « can-
tina», o se l'ultima parte («anche») indichi la terza delle tre cantine men-
tovate nel precedente paragrafo. In quest'ultimo caso la cantina descritta in
primo luogo potrebbe essere quella conserva d'aeque la quäle la pianta del Bu-
falini mostra sul monte Celio fra il Coliseo e SS. Giovanni e Paolo (vedi la
pianta presso Marliani, 1544, p. 71, e cf. Rucellai p. 579 « una altra vigna
appresso al Coliseo . . . dove si mostra esservi stato una terme »); i cui dodici
compartimenti potrebbero indurci a congetturare che l'autore, invece di « XII
seulenri (12 colonne), volle parlare di « XII saelen » (12 sale). Dall'altra parte
la u vigna fra S. Croce e [la porta di] S. Lorenzo » fa pensare alle « Galluzze »,
colle quali nella pianta del Bufalini e connesso un edifizio di grande esten-
sione ed ornato di molte colonne, il giä palazzo liciniano. lo crederei che tutto
il paragrafo tratta di questo solo edifizio, e che la terza cantina si nasconde nel
paragrafo seguente. La questione poträ essere sciolta da chi saprä rintracciare
la cappella di San Michele, che non mi e riuscito ritrovare in aleuno di quei
siti. [Mi pare indicata la piscina giä esistente nella villa Conti tra S. Croce
e Porta Maggiore, Lanciani Acquedotti tav. VIII flg. 5a : ma non trovo veruna
notizia di una cappella di S. Michele ivi eretta « se non si puö credere la
chiesaruinata in una vigna vicinaa S. Croce del catalogo delle
chiese di Roma fatto sotto Pio V, presso Armellini eh. d. R. p. 83 », ne
saprei spiegare il passo relativo al nutrimento dei poveri. Ch. H.J
(46) Fräse corrotta ; forse dopo ist era scritto ein vas (una botte). Sembra
voler parlare della terza cantina, la cosidetta « Botte » (Rucellai p. 579) o « Botte
di Terme » (Marliani, 1544, p. 81 ; « Botte de Termine » nella tela mantuana
presso de Rossi Piante tav. 9 e presso il « Prospettivo Milanese » st. 42) o ver/es
(cioe veggia) thermarum (Fulvio f. 37), vuol dire la conserva delle Terme Diocle-
ziane giä situata dalla parte della stazione della strada ferrata, cioe incirca
verso S. Maria Maggiore, ed ora scomparsa per far posto alla stazione. V. la
pianta del Bufalini (« apotecae aquarum quae vocantur dolia»), e quella
presso Marliani p. 87. II resto del paragrafo spetta alle terme stesse.
274
LE ANTICHITA DELLA CITTA DI ROMA
palast, hat fünf sinibel thuren
umbsich und ist wol als weit
umfangen, als sweitausent schrit
und gemaurt; auf dem dach
toass ich do ist ein flissender
prun und hat noch kostlicher
seulen acht , der ist ob XL
gewest und yde wol drey klaf-
teren gross und XII klafteren
hoch ist, und in dem gewöhn
sind auf al ort wasser roren, die
das wilpad das darauf gewest
ist , herabgetragen haben die
man noch sieht (47) und ist fast
köstlich, daran die cristen ge-
paut haben, nemlich altag hun-
dert und XL tausent cristen, als
ym marlilogio stet (48), des sy
keyser Dioclecianus [ P. 62 ]
notet darzu und sol in XI mene-
ten gepaut sein worden und
man vertröstet sy des lebens ;
und do sy den paw verprachten,
do thöt man sy al zumal.
Item es sten auch gar köst-
lich seulen do, die tool II klafter
weit sind und pey LXX klaf-
teren hoch und inne hol, daran
un gran palazzo, che ha tutto
intorno cinque torri [porte ?] ro-
tonde, ed ha una circonferenza
di 2000 passi, ed e murato. Io
sono stato sul tetto; vi e una
fontana di acqua viva ; e re-
stano otto colonne magnifiche,
delle quali vi sono state piü
di quaranta , ciascuna essendo
larga circa tre tese ed alta do-
dici tese ; e nelle volte da ogni
canto vi sono delle grondaie che
hanno portato giü le acque calde
che erano aldissopra (47) ; ed e
una cosa veramente stupenda. Alla
quäle hanno lavorato i cristiani,
che erano ogni giorno al numero
di cento quaranta mila, come sta
scritto nel martirologio (48); l'im-
peratore Diocleziano li costrinse
a cotal lavoro (si dice che fosse
compiuto fra undici mesi) ed essi
furono accertati della loro vita,
ma finita la costruzione furono
ammazzati tutti quanti.
28. Item ci stanno [duej
colonne oltremodo magnifiche ,
larghe d,ue tese incirca, ed alte
circa settanta tese, vuote di
(47) Biondo Rom. imtaur. II, 2: Erant vero in thermis ad lavandi usus
balnea . . . etiam pensilia, quod facile adhuc poterit intelligere qui fuli-
r/lnosos fornicum canales quibus cmissa dcfluebat aqxia in Dioditianis ther-
mis inspexerit.
(48) Poggio: Legisse memini in martyrum libris, quum Diocletianae
(thermae) fabricarentur, qui fuit fidei nostrae hostis acerrimus, centum et
quadraginta Christianorum millia ad id opus pluribus annis in modum ser-
vitutis addicta. Cf. Benndorf presso Büdinger, Untersuchungen zur Rom.
Kaiser gesch. III p. 355.
DESCRITTE DA NICOLAO MUFFEL
275
sind gehauen die streit und
Überwindung der Romer und
Troyer (4<J).
Item pey dem pallast den
Herodes paut hat ist ein keler
hat hundert und LXXV schrit
an der leng und LXXXX schrit
nach der zwirch, do mag man
drey hundert pferd stellen, ist
auch ein weingart an mauren
und ein vass gewest darein man
wein gethun hat (50).
Item so ist ein grab vor
dem Capitolium, do Nero ein-
gegraben soll sein worden, stet
sein Überschrift darin (51), wo
er sich nit selbs ertöt het, dan
er ist in dem Weingarten be-
graben worden, do nu der altar
Maria populi stet . . . (52).
dentro; vi sono scolpite le lotte
e conquiste dei Romani e dei
Troiani (49).
29. Item presso il palazzo
edificato da Erode vi e una can-
tina che ha 175 passi di lun-
ghezza e 90 passi di larghezza ;
vi si possono dispovre trecento
cavalli. Vi e pure una vigna alle
mura, e vi e stata una botte per
mettervi il vino (50).
30. Item dinnanzi al Cam-
pidoglio havvi un sepolcro, nel
quäle dicesi essere stato sepolto
Nerone (in esso stä scritto il suo
nome) (51), ove perö (?) non si ha
dato la morte, stantecche e stato
sepolto nella vigna ove adesso stä
l'altare di Maria populi . . . (52).
(49) Le due colonne di Traiano e di Antonino. I « Troiani » debbono la
loro origine alla pronunzia volgare « colonna troiana». — Pare sia accaduto
un equivoco nelle misure. II testo originale parla di tese, con errore manifesto.
Probabilmente si tratta di braccia, ed invece di II dovrä leggersi YII, laonde
risulterebbero misure non giuste ma di tolerabile inesattezza.
(50) II u palazzo di Erode » sembra a ragione essere riconosciuto dal
bar. de Reumont (Anseiger für die Kunde der deutschen Vorzeit 1877 p. 303)
nel Mausoleo d'Augusto , a cagione della « vigna alle mura ». Cf. Poggio :
Mausoleum a divo Augusto, in quo et conditus fuit, inter Flaminiam viam
et Tiberis ripam constructum . . . disiectum vineis occupatur.
(51) Albertini f. 65: Ante aedes Conservatorum in lapide marmoreo :
Ossa Neronis Caes. Germanici Caesaris f. ecc. (Marliani, 1534, f. 34. C.I.L.
VI, 887). Si tralta non dell'imperatore ma di Nerone figlio di Gennanico, le
cui ceneri furono portate a Roma dal suo fratello Caligula.
(52) Ubi altare maius sanctae Mariae de Populo dice Martinelli Roma
e.i- ethn. sacra p. 387; nella pianta dei Bufalini sta ascritto alla detta chiesa:
hie fuit sepulcrum Neronis. La tradizione medievale cercö il sepolcro di Ne-
rone in una torrc vicina alla porta dei popolo, il cosidetto Trullo, v. de Eossi
Piante p. 88 e tav. 2-4. 12 (« Torre dove stette gran teinpo il spirito di Nerone »).
Albertini f. 65 : Apud ecclesiam S. Mariae populi est moles quadrata dispo-
27«
LE ANTICH1TA DELLA CITTA DI ROMA ECC.
Item bei dem Ritter-t huren
do ist ein grosser kostlicher
alter pau, das die alten ritter
inne gehabt haben, die nymer
streiten mochten ; do ist ein
kostlich grebnuss und pfar ge-
pauet worden, do vil cristen pey
ligen und vil cappellen oben und
unten, ist nu als zustort und
verwust und im wer noch wol
m helfen; und sten pu/fel und
esel darin die holtz und ander
nottdorft hineintragen (53).
81. Item presso la Torre
delle Milizie havvi un grande e
sontuoso edifizio antico, giä pos-
seduto dai vecchi cavalieri che
non valevano piü combattere. Ivi
e stato costruito un sontuoso se-
polcro e presbiterio, presso al
quäle giaciono molti cristiani, e
vi sono molte cappelle al disso-
pra ed al dissotto ; adesso e tutto
gnasto e rovinato, ma potrebbe
bene essere ristorato; vi stanno
dentro dei bufali e somari che
importano legna ed altri ge-
neri (53).
liataque marmoribus non lange ab Augusta, vulgo sepulchrum matris Nero-
nis . . . Non longe ab ipsa mole erat sepulchrum Neronis. Cf. Fulvio f. 5.
C. L. Visconti Bull, comun. 1877, 195. - Fulvio f. 24 ter e Marliani, 1534,
f. 114(1544, p. 91) giustamente cercarono il sepolcro di Nerone sul nionte Pincio,
credendo di riconoscerlo in certi avanzi antichi vicino alla chiesa distruita
di S. Feiice in Pinciis.
(r<3) Le cosid. balnea Pauli (Gamucci Antich. di Roma, 1565, p. 125), nel
medio evo chiamate le Milizie; P. famiüae Comitum presso Bufalini, cf.
Biondo Rom. instaur. III, 52. Rucellai p. 579 (« dove sono sur un canto due
buone figure di marmo »). Fulvio f. 22 ter. Marliani, 1534, f. 119 Turris Mi-
litiarum, cui milites Traiani ibi stationem olim habentes nomen fecere. quo
in loco, inferius tarnen, extant triplici concameratione fornices et in hemi-
cycli forma cryptoporticus, a fronte caveam theatralem reddentes ... Haud
ita multo post eodem clivo Balinea Pauli stetisse ferunt ; l'edizione del 1544
aggiunge: ubi nunc monialium est habitaculum, il monastero cioe delle Do-
minicane di SS. Domenico e Sisto, perche quello di S. Caterina da Siena non
esisteite ancora in quel tempo.
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE
AUS POMPEII (')•
Die grosse Bereicherung unseres Vorrats an archaischen Denk-
mälern, welche wir in erster Reihe den Ausgrabungen auf der
Akropolis verdanken, wird nicht verfehlen, auch die Lösung einer
wichtigen alten Aufgabe der Kunstgeschichte zu fördern, die, wie
mich dünkt, bisher mehr als nötig vernachlässigt blieb. Es ist
dies die genauere Classification der sehr verschiedenartigen Denk-
mäler, welche unsere Handbücher, auch die wissenschaftlich höchst
stehenden, unter der einen Rubrik der « archaistischen, nur
scheinbar altertümlichen Kunst ■ vereinigen. Bei dem gegenwär-
tigen Stande der Forschung wird es der ganzen Aufgabe wichtig-
ster Teil sein, solche Werke auszusondern und an die richtige
Stelle zu rücken, welche nichts anderes sein wollen, als möglichst
genaue Nachbildungen bestimmter archaischer Individuen. Vieles
und Wertvolles ist ja auf diesem Gebiete schon geschehen, vieles
aber wird sich noch leisten lassen, besonders wenn man, wie es
in anderen Abschnitten der Kunstgeschichte öfter geschieht, den
Begriff der Copie etwas weiter fasst und darunter nicht allein
solche Nachbildungen versteht, welchen es gelingt fast bis in alle
Einzelheiten den Stilcharakter der Originale festzuhalten, wie wir
deren nicht mehr ganz wenige besitzen, z.B. die Tyrannenmörder
in Neapel oder die Frauenstatue im Garten von S. Alessio auf dem
Aventin (2), die sich nur in geringfügigen Zügen als Nichtoriginal
(0 Der Hauptinhalt dieses Aufsatzes wurde in der Februarsitzung der
Berliner archaeologischen Gesellschaft vorgetragen, Deutsehe Litteraturzeitg.
1888 S. 285, Wochenschr. f. klass. Philol. 1888 S. 345 f.
(s) Bull, della comrn. munic. 1881 IX Tf. 5, 1 ; 2 Ghirardini S. 106 ff.
hält sie für ein echt archaisches Werk. Meine abweichende Ansicht gedenke
ich später genauer zu begründen.
278 DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII
verrät. Wenn wir mit Recht die sehr massigen Copien der Par-
thenos, der Niobiden, des Leochareischen Ganymedas, der Antiochia
Ton Eutychides dort einfügen, wo von den Urbildern die Rede ist,
dann sind auch mangelhaftere Nachbildungen archaischer Werke,
als die eben genannten, wie etwa die Wiener Amazone, die Dres-
dener Athena, die Athena und der Dionysos Albani, unter An-
wendung der nötigen und möglichen Kritik für den Aufbau der
ältesten Kunstgeschichte zu verwerten.
Einen noch ungenutzten Baustein dieser Art glaube ich in
dem anmutigen Cultbilde der jagenden Artemis (Tafel X) nach-
weisen zu können, welches im Jahre 1760 in dem viersäuligen
Tempelchen eines Hauses zu Pompeii, vor der rechteckigen mit
buntem Marmor verkleideten Basis liegend zu Tage kam (3) und
schon durch seine vortreffliche Erhaltung, besonders auch des Far-
benschmuckes, von Anbeginn die grösste Aufmerksamkeit erregte (4).
Die Figur ist 1,078 M. hoch, aus weissem Marmor, welchen
Finati (5) als lunensischen bezeichnet, während er mir körniger
griechischer zu sein schien. Abgesehen von dem Attribut der
Linken und einigen Splittern des Diadems fehlt gegenwärtig der
obere und untere Abschluss des Köchers. Beide Stücke waren an
wohlgearbeiteten Ansatzflächen angefügt. Am unteren Ende des
Köchers ist überdiess ein Stückchen schräg abgesprengt. Angestückt
war ferner die Spitze des Gewandzipfels unter dem rechten Knie,
und zwar mit zwei dünnen Stiften, von denen der eine aufwärts in
das gegenwärtig ausgesprengte Loch der wagrecht abgeschnittenen
Ansatzfläche, der andere rückwärts in die Chitonfläche eingriff.
Auch hier also finden wir Belege dafür, dass der XCdav tQyän^
und tQ/ioykvqevc zugleich ein CvyaQfxoaT^g sein musste (c). —
Ergänzt ist nur ein Stück der stark vorspringenden Falte, die von
der rechten Brust abwärts geht, und Weniges an den Fingern,
welche grössten Teils aus mitgefundenen Bruchstücken zusammen-
(3) Fiorelli, Pomp, antiq. hist. I S. 114. Winckelmann, Sendschreiben
von den herculan. Entdeck. § 46.
(4) Die Litteratur bei Friederichs-Wolters, Berl. Gipsabg. Nr. 442.
Hinzuzufügen finde ich Julius in Baumeisters Denkm. d. kl. Alterth. I S. 349,
Schreiber in Roschers Lex. d. Mythol. I S. 598 f., Collignon Mythol fig. S. 104.
(5) Mus. Borb. II zu Tf. 8.
(6) Lukian kvvnv. 1, 2.
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII 279
gesetzt werden konnten. Die in alter Weise rauh bearbeitete und
ziemlich dicht um die Füsse ungefähr oval abgeschnittene Plinthe
ist mit Gips zu ihrer jetzigen rechteckigen Form erweitert.
Die Trefflichkeit und Anmut dieses Werkes hat fast aus-
nahmlos die grösste Anerkennung gefunden, aber fast ebenso ein-
stimmig ist man neuerdings in dem Urteile, dass in ihm Ele-
mente verschiedener Kunstweisen zu einem « archaistischen ■ Gan-
zen verbunden sind (7). Dagegen scheint mir heute kein Zweifel
daran bestehen zu können, dass die Statue in Composition und
Stil die getreue Nachbildung eines um die Zeit der Perserkriege
entstandenen Werkes ist, welche nur in geringen Mängeln der
Ausführuug die Hand eines der ersten Kaiserzeit angehörenden
Copisten verrät.
Schon die Kleinheit der Figur, nur wenig über halbe Lebens-
grösse, passt zu einem Cultbilde jener alten Zeit, in deren Streben
und Können sich ihre Auslassung und Anlage ungezwungen hin-
einfügt.
Lebhaft und maasvoll zugleich schreitet die schlanke, kräftige
Jägerin vorwärts, zur Erleichterung der Bewegimg mit de: Rechten
den langen Chiton aufhebend. Der heite; und aufmerksam in die
Ferne gerichtete Blick späht nach dem Wilde, zu dessen Erlegung
sie mit auf dem Rücken hängendem cylindrischen Köcher und mit
dem, wie sich zeigen wird, in der gesenkten Linken zu ergän-
zenden Bogen ausgerüstet ist. In ihrem Gesammtmotiv schliesst
sich diese Gestalt der neuerdings besonders durch Petersens er-
gebnissreiche Untersuchung bekannt gewordenen Keine von Nike-
bildern des chiotisch-attischen Archaismus an, welche in alimählig
gemilderter Gewaltsamkeit der Bewegung durch die Lüfte schrei-
ten, meist auch ähnlich mit einer Hand das Gewand aufnehmend (8).
Am nächsten steht unserer Artemis die schöne Marmornike von
der Akropolis (9), ebenfalls, wie ja der Gegenstand erfordert, weit
lebhafter bewegt, aber stilistisch nur wenig altertümlicher. Zur
Vergleichung bieten sich ferner die anstürmenden Göttinnen der
(7) Winckelmann freilich hielt sie für « hetrurisch », Braun, Vorschule
d. Kunstmyth. S. 35 u. A. für ein echt altgriechisches Werk.
(8) Mitth. d. arch. Inst. Athen 1886 XI Tf. 11 S. 372 ff.
(9) A. a. 0. Fig. C. S. 380 ff.
280
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII
Gigantenkämpfe, besonders die zweier jüngeren selinuntischen Me-
topen, auch sie freilich noch etwas archaischer als die Artemis.
Doch auch kunsimythologisch steht sie in der Zeit, der wir
sie zuweisen, nicht ohne Zusammenhang da. Die herrliche Gestalt
der Artemis Colonna und ihrer Repliken lehrt uns die Weiter-
entwickelung des Typus im vierten Jahrhundert kennen (10), wo
er sich neben der seit Strongylion (n)
üblich gewordenen kurzgeschürzten
Amazonengestalt der Göttin als ein
Erbteil älterer Tradition zu erkennen
gibt. Andererseits beweisen zwei seit
Kurzem dem Berliner Antiquarium
angehörende kleine Denkmäler, ein
korinthischer Aryballos aus Rhodos
mit nachlässiger Malerei (12) und
die hier abgebildete Kleinbronze aus
Thesprotien, wahrscheinl;ch aus Do-
dona(13), dass bereits hoch im sechs-
ten Jahrhundert der starren ostgrie-
chischen Cultgestalt der thierhalten-
den Ttorvia &tjQwv die freie Darstellung der fröhlich durch ihr Revier
dahinschreitenden Jägerin, wie sie die Odyssee schildert, zur Seite
getreten war. Die Bronzestatuette, welche hier für uns wichtiger ist,
gibt den Gegenstand in derb altertümlichem Stil und doch mit gros-
ser Lebendigkeit wieder. In einem nicht sehr langen altdorischen
Peplos, an dem vorne das kurze Apoplygma kenntlich ist, schreitet
sie mit straffen Knien weit aus und schiesst mit vorgehaltenen Händen
den — jetzt sammt dem Bogen fehlenden — Pfeil ab. Das Haupt
zeigt eine ähnliche Haartracht sowie in Haltung und Ausdruck
bereits dieselbe heitere Aufmerksamkeit, wie an der Marmorstatue,
welche ja sonst in ihrer Zierlichkeit und <fa<pQo<rvvrj von diesem
(l0) Desshalb mag sie Braun, Vorschule der Kunstmythologie Tf. 53
und 54, zusammengestellt haben.
(' l) Imhoof-Blumer und Percy Gardner, Num. comm. on Paus,. S. 4 ;
8, Journ. of hell stud. 1885 VI S. 53; 57.
(12) Inv. 2955, abgeb. Jahrb. d. Inst. 1886 I S. 145 f. Furtwängler.
(13) Inv. 7971, abgeb. Jahrb. d. Inst. 1887 II S. 204 Furtwängler. Die
Abbildung durfte mit Bewilligung der Redaction oben wiederholt werden.
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII 281
urwüchsigen Erzeugnisse weit entfernt ist. Der Hauptunterschied
des Schemas liegt in der Haltung der Hände. Der fortgeschrittene
Künstler wählte für sein Cultbild nicht das momentane Motiv
des Losschiessens, sondern das stätigere und ruhigere des schuss-
bereiten Wandeins, welches ihm gestattete, die Brust mit dem
anmutigen Faltenspiel des Obergewandes frei zu lassen und den
zierlichen, im reifen Archaismus — auch in den bekannten Statuen
von Delos, welche Homolle und Andere mit zweifelhaftem Hechte
zu den Dlanae antiquissimis simidacris rechnen — so beliebten
Zug der gewandaufhebenden Hand anzubringen. Nicht ganz unähn-
lich sieht man auf den noch etwas altertümlicheren Polykrates-
Münzen von Abdera die ruhig schreitende Göttin in der Linken den
Bogen erheben, mit der Rechten aber dem sie begleitenden Reh
einen Zweig oder Kranz vorhalten (I3a). Dass neben solchen Um-
gestaltungen jener alte Typus weiterbestand , versteht sich von
selbst und wird z. B. durch zwei Lekythen aus der Mitte des fünften
Jahrhunderts, eine attische und eine sicilische, bezeugt (14).
Auch im Detail der Haltung kann ich an der Statue nichts
finden, was der Kunststufe widerspräche, welcher die Composition
angehört. Wohl ist ■ die Stellung der Füsse eine fortgeschrit-
tene » (,5), besonders die des rechten auswärts gedrehten und mit
der Ferse elastisch gehobenen. Aber Aehnliches findet sich schon
an den Aigineten und Tyrannenmördern, an gleichartig bewegten
Frauengestalten in Vasengemälden gleicher Zeit, wie bei Duris
und Brygos (,f') ; auch die Artemis auf den erwähnten etwas jün-
geren Vasen (N) und in der unerfreulichen Darstellung der Athena-
geburt mit roten Figuren mag man vergleichen (,7).
(13a) Cat. Brit. Mus. Thrflce S. 231, Gardner Types of gr. coins Tf. 3, 31
S. 110, Beschr. d. ant. Münzen in Berlin I Tf. 4, 34 S. 105, 03.
(14) Benndorf, Griech. u. sicil. Vasenb. Tf. 30, 8 (Collignon, Fla». (FA-
thtnes Nr. 621) ; ebenda Tf. 49, 4.
(15) Julius in Baumeisters Denkm. S. 349. Vgl. Braun, Vorschule der
Kunstmyth. S. 33 : « Die Füsse schreiten kräftig auf und würden, für sich
allein betrachtet, kaum auf ein Werk so altertümlicher Vortragsweise
schliessen lassen. »
(16) Wiener Vorlegebl. Ser. 6 Tf. 7, wo auch der langbekleidete Apoll
hierhergehört; Ser. 8 Tf. 3.
(n) Gerhard, Auserl. Vasenb. I Tf. 4. Vgl. etwa auch noch die schreitenden
Niken, Benndorf, Griech. u. sicil. Vasenb. Tf. 19, 3; 36, 9 und Aehnliches.
282
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII
Aber « in der Steifheit der Haltung und Bewegung, in dem
Starren, welches in der Linie liegt, die vom Kopfe bis zum zurück-
stehenden Fusse geht, empfinden wir — nach Overbeck — etwas,
das mit der fliessenden und zierlichen Schönheit, mit der das
Nackte behandelt ist, nicht recht stimmen will und das den Ein-
druck des Absichtlichen hervorbringt » (18), und für Friederichs
und Wolters ■ ergibt sich aus der runden Bildung des Nackten,
dass die Figur nicht echt-altertümlich sei ». Diese Beobach-
tungen könnten jedoch nur beweisen, dass der Copist die Formen
ein wenig erweicht hat, und beweisen auch das kaum, wenn man
sich die wunderbare Naturwahrheit und Lebensfrische vor Augen
hält, welche z. B. die jüngeren Aigineten in der Wiedergabe der
einzelnen Körperteile erreichen. Auch unter den Meisterwerken des
Archaismus auf der Akropolis sind Hände, Füsse und Arme zu sehen,
(18) Gesch. d. gr. Plast. I3 S. 194.
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII 283
»
welche die der Artemis eher übertreffen (19). Dem gegenüber zeugt
auch bei ihr die Wiedergabe des ganzen Körpers, in den breiten
Schultern und der unbetonten Hüfte, von noch mangelhafter Beob-
achtung des charakteristisch Weiblichen.
Die trefflich gearbeiteten Ohren, Wangen und Mund, das
Kinn mit dem leichten Grübchen, welches schon Friederichs als
echt altertümlichen Zug hervorhob, die Proflllinie von Stirn und
Nase, alles ist im Wesen echt archaisch, nur in der Ausführung
hie und da etwas flau geraten. Die naturgemässere Bildung des
Brauenbogens tritt ähnlich schon am Harmodios und anderen
Werken des ausgehenden Archaismus auf (20) ; das Auge liegt noch
wenig tief, und sein Schnitt im Ganzen ist nicht viel verschieden
von dem im aiginetischen Ostgiebel herrschenden. Nur in der
Bildung des äusseren Augenwinkels, wo der Rand des oberen Lides
richtig über das untere hinausgeführt ist, vermochte auch dieser,
wie andere sonst höchst gewissenhafte Nachahmer archaischer
Werke (-'), sein besseres Wissen nicht zu verläugnen.
Es darf als willkommene Bestätigung dieses Urteils gelten, dass
nach Franz Winters freundlich zur Verfügung gestellten Messun-
gen (-) « auch die Proportionen dazu beitragen, der Figur zu
(10) Zu Verweisungen im Einzelnen reichen die vorhandenen Abbildungen
kaum aus; unsere Abbildung des Kopfes wird winter verdankt.
(20) Vgl. Winter, Jahrb. d. Inst. 1887 II S. 225 f.
(21) Vgl. z. ß. die vaticanische Wettläuferin und den Kopf in diesen
Mitth. 1886 I Tf. 4 vgl. 1887 II S. 106 A. 51. Was dort über die Augen-
bildung der einen archaischen Grabstele im Conservatorenpalast gesagt ist,
beruht auf einem Versehen.
(22) Man vergleiche Winters Darlegung Jahrb. d. Inst. 1887 II S. 223 ff.
Nach der Tabelle S. 238 f. sind im Ganzen auch die folgenden Maasse ge-
ordnet. Auf die zahlreichen Gleichungen, die sich darunter finden, sei nur
im Allgemeinen hingewiesen :
Scheitel bis Kinn ri= 0,135
Nasenwurzel bis Hinterkopf ±0,135
Stirn 0,027
Stirn bis oberen Augenhöhlenrand .... 0,019
Nase 0,034
Nase bis oberen Augenhöhlenrand 0,041
Untergesicht 0,041
Oberer Band der Unterlippe bis Kinn . . . 0,028
Innerer Augenwinkel bis unteren Nasenansatz 0,028
284 DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII
ihrem alten Kechte zu verhelfen. Es sind zum Teile dieselben,
wie sie bei älteren attischen Köpfen vorkommen, aber die cha-
rakteristischen Merkmale für das Attische fehlen » (-'3).
Gut archaisch ist ferner die Haartracht. Im Nacken hängt
ein Schopf herab, dessen Ende krobylosähnlich aufgebogen und
zusammengebunden ist, ähnlich wie etwa an dem Bronzekopfe aus
Kythera im Berliner Antiquarium (24). Von ihm lösen sich beider-
seits hinter den Ohren die obligaten zur Brust herabfallenden
Locken, der geringen Länge des Haarbeutels im Nacken entspre-
chend kürzer, als sonst bei altertümlichen Frauengestalten, und
Innerer Augenwinkel bis Scheitel 0,067
Innerer Augenwinkel bis Kinn 0,067
Innerer Augenwinkel bis Haaransatz .... 0,034
Innerer Augenwinkel bis Mundmitte .... 0,041
Haaransatz bis Scheitel 0,033
Haaransatz bis unteren Nasenansatz .... 0,060
Nasenwurzel bis Ohrläppchen 0,084
Unterer Nasenansatz bis Ohrläppchen . . . 0,072
Kinn bis Ohrläppchen 0,076
Mundbreite 0,029
Innere Augenweite 0,020
Aeussere Augenweitc ....;.... 0,061
Augenlänge 0,020
Lichte Augenhöhe 0,008
Unterer Augenrand bis Augenbrauen . . . 0,019
Backenknochenabstand 0,084
Von Ohr zu Ohr 0,091
Ohrlänge links 0,036
Ohrlänge rechts 0,037
Halsbreite 0,076
Kinn bis Gewandansatz (Halsgrube) .... 0,073
Kinn bis Höhe der Brustwarzen 0,135
Brustwarzenabstand 0,135
Brustmitte bis Schulter . =fc 0,135
Oberarm 0,195
Unterarm bis Handwurzel 0,165 - 0,170
Fusslänge 0,167
Höhe der ganzen Figur (genau 8 Kopf höhen) 1,078
(") Vgl. Winter a. a. 0. S. 225 f. ; 228.
(2*) Arch. Zeitg. 1876 XXXV Tf. 3, 2 Brunn. Vgl. v. Sallet, Zeitschr.
f. Numism. 1882 IX S. 141 ff.
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII 285
nur zwei statt der üblichen drei oder vier ; doch fehlt es auch
hierfür nicht an archaischen Beispielen (25). Die nicht mehr streng
schematischen, freieren Wellenlinien dieser Haarsträhne finden sicli
ähnlich an dem Torso eines Kitharoden aus der Sammlung Mazarin
in Paris, welcher ungefähr dem Apollon des thasischen Nymphen-
reliefs zu vergleichen ist (25a). Auch sie brauchen also nicht, wie
Wolters meinte, als Ausnahme von der Treue, zu gelten mit welcher
der Copist sonst die archaische Stilisierung des Haares wieder gab,
wobei nur eine gewisse Unsicherheit der Linienführung erkennen
lässt, dass er ängstlich nachzeichnet, was ihm nicht vertraut ist.
Sehr treu nachgebildet hat er die Umrahmung des Gesichts. Zu-
nächst geht von Ohr zu Ohr eine Wellenlinie durch ; an beiden
Schläfen liegen senkrecht herabgestrichene ebenso gewellte Scheitel,
wie sie an archaischen Köpfen nicht selten sind (2fi), nur dass sie
sich dort meist deutlicher von der quergewellten Haarpartie über
der Stirn absondern, während diese hier, ähnlich wie an einer
Statuette von der Akropolis (2~) herabhangende Löekchen über-
decken, welche den Strähnen jener Schläfenscheitel parallel sind.
Für die Sorgfalt der Haarbehandluag ist es bezeichnend, dass der
ganze Schopf auf dem Kücken der Länge nach, und der von dem
Diadem verdeckte Abschnitt des Kopfes in concentrischen Wellen-
linien ebenso durchgesträhnt ist, wie das Uebrige.
Der breite Haarring gleicht nicht vollständig der ähnlichen
Binde, welche die grosse Masse archaischer Frauenstatuen trägt —
denn diese pflegt seitlich und hinten viel tiefer zu sitzen und
scheint durch ihre Ausbiegung über den Ohren oder Schläfen als
biegsames Band gekennzeichnet zu sein — , sie reiht sich vielmehr
(25) Zwei Locken an dem beschildeten Torso v. Sybel, Katal. Nr. 5070,
wohl einer Amazone ; von ähnlicher Kürze ebenda Nr. 4567, Ghirardini Bull,
della comm. munic. 1881 IX S. 127.
(25a) Ich kenne das merkwürdige Werk aus dem Abguss in der Sammlung
der Wiener Universität ; in der Litteratur ist mir nicht ein Mal eine Erwäh-
nung bekannt.
(2ü) Vgl. z. B. den Kopf aus Eleusis 'Ecprüu. «p/. 1883 Tf. 5, den atheni-
schen ebenda Tf. 6, Jahrb. d. Inst. 1887 II Tf. 13, Khomaidis-Sophulis,
Museen Athens Tf. 13.
(«) 'E(pruu. dgx- 1883 Tf. 8 links Vgl. auch den Kopf aus Eleusis.
Anni. 26.
286 DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATÜETTE AUS POMPEII
den steifen kalathosartigen Kopfzierden an, welche auch an alten
Artemisidolen nicht selten sind (28), meistens freilich viel höher
und nach oben erbreitert. Als Uebergangsform zu der hier vor-
liegenden Gestaltung sei die sogenannte Aphrodite von Marseille
angeführt (29), deren Krone auch den rundlichen Wulst am un-
teren Rande hat. Noch näher verwandt sind die Kopfaufsätze des
kolossalen Herakopfes aus Mergelkalk in Olympia, der Sphinx
von Spata und des kleinen archaischen Köpfchens vom Erech-
theion (29a) am nächsten meines Wissens das Diadem an einem
noch nicht abgebildeten Statuenbruchstück aus den neuesten Funden
auf der Akropolis (3fl) und das der Artemis in der selinuntischen
Aktaionmetope. — Die Sphinx von Spata bietet auch die älteste
griechische Analogie zu den zehn Rosetten an dem Reifen der
Artemis ; sie hatte deren drei, gleichfalls achtblättrige, an der
Vorderseite aufgemalt und, wie selbst auf der Photographie kennt-
lich, vorgeritzt; nur wechselten sie, wie neulich Winter festgestellt
hat, mit Lotoskreuzen ab (31). Plastisch ausgeführte Rosettenreihen
finden sich an ähnlichen Diademen kvprischer Köpfe (31a) und an
der stärker ausladenden Stephane einer den bekannten korinthischen
Spiegelstützen verwandten , also der Zeit kurz vor Mitte des
fünften Jahrhunderts zuzuweisenden Kleinbronze (32). Als Bei-
spiele eines gleichartigen plastischen Schmuckes sind die sieben
bronzenen Lotosknospen anzuführen, welche das Haarband der
Statue von Antenor zierten (32a); auch das der Archermosnike hatte
(28) Vgl. R. v. Schneider, Jahrbuch der kunsthistor. Samml. des Kaiser-
hauses, Wien 1887 V S. 8.
(29) Gas. arch. 1876 Tf. 31. Bazin, V Aphrodite Marseillaise, Paris 1880.
(29a) Mitth. d. Inst. Athen 1879 IV Tf. 6, 1.
(30) Mitth. d. Inst. Athen 1887 XII S. 264 f. vergleicht ihn Wolters
mit der Statue des Antenor, während er mir eher einer etwas jüngeren Stufe
derselben festländischen Kunst anzugehören schien, deren Hauptvertreter das
eben erwähnte phokaeische Werk aus Marseille ist.
(3i) Mitth. d. Inst. Athen 1879 IV Tf. 5 S. 68 f. Milchhöfer. 1888
XIII S. 131 Winter.
(3i«) Z. B. Palma di Cesnola Cyprus S. 350, Antiq. of Cypr. 1878 Tf. 28 r.
(32) Fröhner Coli. Grtau Nr. 935 Tf. 27. [Rayet Etüde* d'archiol. S. 353].
(32fl) Rhomaidis-Kavvadias, Museen Athens Tf. 6. Jahrb. d. Inst. 1887
II Tf. 10 S. 139. Die ohne jede Begründung hingeworfene Ableugnung der
Zusammengehörigkeit von Statue und Basis hat Wolters, Mitth. d. Inst.
Athen. 1888 XIII S. 226 genügend zurückgewiesen.
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII 287
derartige Metallornamente (33). Vielleicht darf man auch hier, wie
vor den antheraionbemalten Kopfbinden, der fiii-Qai noXväv^e^ioi
bei Anakreon gedenken (34).
Auf die archaische Einfachheit der Sandalen und ihres Rie-
menwerks sei nur mit einem Worte hingewiesen.
Gekleidet ist die Artemis erstens in den langen ionischen
Leinenchiton, welcher, wie von Alters her üblich, längs den Ober-
armen mit je sieben Knöpfchen zu scheinbaren Aermeln zusam-
mengenestelt ist. An der rechten Seite wird zwischen den Falten
des Obergewandes die Gürtung um die Hüften sichtbar, die Gürtel-
schnur selbst verdeckt der Bausch. Die Stilisierung dieser Partien,
besonders der von den Knöpfchen ausstrahlenden Faltengruppen,
erhebt sich bereits zu einer ähnlichen Stufe der Naturwahrheit, wie
sie die wohl nur wenig jüngere ■ Penelope ■ erreicht hat. Altertüm-
licher sieht der die Beine umhüllende Teil des Kleides aus, wie denn
überhaupt die Bildung frei fallender Gewandteile schwerer und später
der archaischen Formeln zu entraten vermochte, als die Darstellung
von dicht umhüllten Körperteilen. Die Falten, welche diese Partie
zeigt, sind von zweierlei Art: die grösseren, von der Haltung des um-
hüllten Körpers bedingten Gewandfalten, und die bleibenden Wel-
lenfältchen des Stoffes. Die archaische Kunst pflegt nur eine von
diesen Gattungen auszudrücken und beide auf verschiedene Teile
desselben Kleides zu verteilen ; (34a) so z. B. haben Frauenfiguren
mit gegürtetem Chiton oberhalb der Gürtung nur die Stofffalten,
unterhalb nur die Gewandfalten (35). Beiderlei zu vereinigen be-
müht sich erst die Uebergangszeit, wie unter anderen die bis vor
(33) Bull, de corr. hell. 1879 III Tf. 6 S. 394 Homolle. Arch. Ztg.
1882 XL S. 324 Furtwängler. Jahrb. d. Inst. a. a. 0. Die von*Brunn und
mir geäusserten Zweifel an der Zugehörigkeit der Nike zur Archermoshasis
hat Petersen Mitth. d. Inst. Athen 1886 XI S. 385 ff. beseitigt.
(34) Fr. 65 Bgk. Mitth. d. Inst. Athen 1886 XI S. 356.
(34a) vgl. zuletzt Petersen a. a. 0. (s. Anm. 33) S. 379.
(35) Gute Beispiele sind die Athena des Endoios, die Statuen 'EcpTj/*.
uqX- 1883 I Tf. 8, Rhomaidis-Kavvadias, Museen Athens Tf. 5. An letzterer
schliesst die Wiederkehr desselben gemalten Musters (eines der üblichen
Sternblümchen) ober- und unterhalb der Gürtung den sehr gewöhnlichen Irr-
tum aus, dass der gewellte Oberteil eine besondere Jacke sei. Vgl. Böhlau,
Quaest. de re vestiar. S. 35 ff. Von Vasenfiguren führe ich nur die Hetaere
in der Eurystheusschale des Euphronios dagegen an.
19
288 DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII '
Kurzem Hippodameia genannte Gestalt des olympischen West-
giebels zeigt (36). An ihr ist auch zu beobachten, wie man gleich-
zeitig die schematische Regelmässigkeit in der Wiedergabe jener
Stofffältchen, welche der Archaismus durch streng parallele Wellen-
furchen ausdrückte, zu lockern (37), und sich der wahren Form
dieses krausen Gefälteis zu näher begann, die heute noch an orien-
talischen Leinen- und Baumwollstoffen zu beobachten und in Wer-
ken der Diadochenzeit, z. B. den Friesen von Pergamon und den
Giebelstatuen von Samothrake, vollendet nachgebildet ist. Dieses
Bestreben macht sich auch schon an dem unteren Teile des Chi-
tons der Artemis fühlbar. Für die Anordnung der Gewandfalten
an dieser Partie sind die sieben nach dem Schosse zu convergie-
renden Falten zwischen den Beinen charakteristisch, ein bei ähn-
lich bewegten archaischen Figuren gewöhnliches Motiv (38). Minder
gewöhnlich ist die Linienführung des Saumes an dieser Stelle,
welcher sonst häufiger — wie auch an der Rückseite unserer Sta-
tuette — in doppelter Treppenlinie zu einer breiteren Mittelfalte
emporzusteigen pflegt. Doch ist auch jenes Schema im Wesentli-
chen zu belegen ; man vergleiche etwa die Seitenpartien des Chi-
tons an der kürzlich von Löwy bekannt gemachten Sitzfigur in
Paros (39).
Das Obergewand, ein viereckiger Mantel, welcher etwa mit
einem Fünftel seiner Breite übergeschlagen, also grossen Teils ge-
doppelt und auf beiden Schultern mit grossen Knöpfen zugeheftet
ist, gleicht im Ganzen jener Diplax oder Diplois, die an der Statue
von Gabii in Paris und ihren Wiederholungen als Tracht der
Jagdgöttin und aus einer mit homerischen Schilderungen anhe-
benden Reihe von anderen Beispielen als Kleidung solcher Per-
(36) Ausgr. zu Olymp. II Tf. 25; III Tf. 11.
(37) Ansätze hiezu schon z. B. an der Athena des Eeliefs Schöne, Gr.
Rel. Tf. 19, 83, Friederichs-Wolters Nr. 117, auf den Grabstelen Brückner,
Ornam. u. Form d. att. Grabsteine Tf. 2, 1 und Bull della comm. comun.
1881 IX Tf. 14.
(38) Vgl. besonders die selinuntischen Metopen Tf. 5 und 6 Benndorf,
die kleinen Bronzeniken Mitth. d. Inst. Athen 1886 XI Tf. 11 a, b, den Unter-
rock der Promachos 'Erpt]/*. dgx- 1887 V Tf. 7 und die Artemis der Münzen
von Abdera Anm. 13a.
(39) Arch.-epigr. Mitth. aus Oesterr. 1888 XI S. 157, 7.
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII 289
sonen bekannt ist, deren Beschäftigung freie Beweglichkeit beider
Arme erheischt (40). Ganz genau genommen ist die hier vorlie-
gende Abwandlung des Motivs ein Unicum ; aber in seiner Stili-
sierung, auf die es hier ankommt, in der überaus zierlichen An-
ordnung der Zickzacksäume mit ihren — ohne Zweifel aus deco-
rativen Rücksichten — übertrieben spitzwinkeligen Einschnitten,
schliesst sie sich ganz der Gewandbehandlung der alten Spes-
figuren in ionisiertem Peplos mit dem langzipfeligen Ucberschlag
an, unter denen hier besonders die wenigen zu vergleichen sind,
an welchen dieses Gewand nicht die eine Brust frei lässt, sondern
auf beiden Schultern zugeheftet ist (41).
Der Fortschritt in der Gewandbehandlung offenbart sich frei-
lich auch an diesem Kleidungsstück, so in der Art, wie sich die
Falten vom Halse lösen, und wie sie die Körperformen zum Aus-
drucke bringen. Diess hat aber nichts gemein mit der archaisti-
schen lnconsequenz, welche etwa die Peitho des Dodwell'schen
Puteais zur Schau trägt (42), sondern es ist die organische Weiter-
bildung aus solchen Leistungen, wie die oben erwähnte (9) Marmor-
nike von der Akropolis, die unmittelbare Vorstufe von noch natu-
ralistischeren Versuchen , wie die « Penelope ■ . Ganz unbillig
ist das Urteil, dass « alle Falten viel schematischer und steifer
geordnet » sind und dass ■ die Gewandung der Zierlichkeit und
Sauberkeit der wirklich archaischen Kunst entbehrt ■ (43). Viel-
mehr ist auch sie ■ durchaus mit dem Fleisse behandelt, der
an echt altertümlichen Werken so wohl tut » (44). Nur an we-
nigen, kaum sichtbaren Stellen hat sich der Copist von dieser
Treue dispensiert. Die dem Rücken anliegende Seite des Kö-
chers ist nicht ganz klar gestaltet, das Wehrgehenke dort, wo
es von dem jetzt fehlenden unteren Abschlüsse des Köchers ver-
deckt war, nicht angegeben, die Innenseite des Mantels hinter dem
rechten Arme etwas vernachlässigt. Als technischer Notbehelf dient
(40) Vgl. meine Beitr. zur Gesch. d. gr. Tracht S. 74 ff. bes. 78—81.
(41) Z. B. Ehomaidis-Kavvadias, Museen Athens Tf. 7 und 8 ; zwei klei-
nere ohne Kopf unter den Funden von 1882 und 1885 ; die Bruchstücke einer
grossen sah ich 1885 auf Delos.
(42) Journ. of hell. stud. 1885 Tf. 56 S. 48 Michaelis.
(43) Julius in Baumeisters Denkm. d. kl. Altert. I S. 349.
(«) Overbeck, Gesch. d. gr. Plast. P S. 194.
290 DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII
der kümmerliche gekrümmte Baumstumpf, welcher hinten Chiton-
saum und Plinthe verbindet (45), vorne nur als rauhe Stütze
erscheint.
Mit dem bisher gewonnenen Urteile stimmen die Reste der
Bemalung, welche vor fünfzig Jahren Raoul-Rochette in der be-
kannten Abbildung nicht ganz vollständig, jedoch im Wesentlichen
richtig, reconstruiert hat (m). Ihr System ist durchaus das der
archaischen Plastik, nur in der Ausführung gibt sich die Nach-
ahmung zu erkennen, besonders in den Farbstoffen, welche von
den sonst in der pompeianischen Plastik üblichen nicht verschieden
sind (47) : ein wenig angenehmes, violettliches Rosa, Okergelb,
Deckweiss, Hellblau, Rotbraun und Schwarz. Die nackten Teile
sind nur geglättet, während das Gewand meist die Raspelstriche
erkennen lässt. Das Haar zeigt einige Spuren von Oker, be-
sonders in der Einarbeitung am Halse ; worauf die oft wie-
derholte Behauptung beruht , dass es vergoldet war , ist mir
unklar. In der archaischen Kunst herrscht rote Haarfarbe vor,
gelbe ist mir nur in vier Fällen erinnerlich (48). Die Augensterne
sind rotbraun, die Pupille, welche nicht genau in der Mitte sitzt,
sowie die Wimpern und Brauen schwarz. Am Diadem hat der
rundliche untere Rand Spuren von Rosa ; das Gelb der Rosetten
ist am besten an derjenigen hinter dem linken Ohre erhalten. Der
Chiton zeigt geringe Reste von rosa Streifen mit gelben Kanten
an den Armlöchern und am unteren Saume. Reste eines breiten
(45) Er ist in der Abbildung der Eückseite Mus. Borb. II Tf. 8
weggelassen.
(«) Peint. antiq. inöd. Tf. 7 S. 412 ff. Danach bei Walz, Polychr. d.
ant. Sculpt. Tf. I, 1. Vgl. die ältesten Angaben in dem spanischen Fund-
bericht (oben Anm. 4) und bei Winckelmann, Kunstgesch. 1, 2, 14 ; 3, 2, 11.
(47) Vgl. Overbeck-Mau, Pompeii* S. 535 f.
(«) An dem Kopfe der Statuette Mitth. d. Inst. Athen 1886 XI Tf. 9, 2
S. 356 ; an den Schulterlocken einer der grössten und fortgeschrittensten
Frauenfiguren der Akropolis aus den Grabungen 1882-3, welche in dem Berichte
von Mylonas 'Eqp^u. ttQX- 1883 zu fehlen scheint; an den Schulterlocken einer
kleinen kopflosen Statuette, wohl desselben Fundes, mit beide Schultern be-
deckendem Peplos Cvgl. Anm. 41) ; an dem kürzlich gefundenen Jünglingskopfe,
der dem Apollo des olympischen Westgiebels so nahe verwandt ist, Mitth. d
Inst. Athen 1887 XII S. 266 ; 276 Wolters ; S. 372 ; abgeb. Journ. of hell,
stud. 1888 XI S. 123 Harrison.
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII 291
Streifens in Rosa trägt auch die Halskante des Mantels. Am reich-
sten verziert waren seine im Zickzack verlaufenden beiden Säume,
wie besonders an der Rückseite kenntlich ist. Neben 5 mm. breiter
gelber Kante eine 2 cm. breite rosa Borte, darauf in weisser
Deckfarbe die Spuren eines — wohl nie mit besonderer Sorgfalt
ausgeführten — Ornaments von Ranken und palmettenartigen
Gliedern, dessen S}rstem ich nicht genau zu erkennen vermochte,
das sich aber wahrscheinlich in der Längsrichtung entwickelte.
An den Gewändern der archaischen Marmorstatuen sind vegetabi-
lische Ornamente weit seltener als textile, aber auch von jenen
bietet die Akropolis schöne Beispiele, meist Reihen von Palmetten
und Lotosblumen, wie sie aus der' gleichzeitigen Vasenmalerei
bekannt sind (4<J). Bezeichnend für die Copistenarbeit — aber
auch für den echten Archaismus des Vorbildes — ist der Auftrag
des Ornaments mit weisser Deckfarbe auf das Rosa des Grund-
streifens, während die archaischen Verzierungen, mit weit schwie-
rigerer und vornehmerer Technik, in der Farbe des Marmors aus-
gespart oder unmittelbar auf diesen aufgemalt sind. — Am Kö-
cherbande sah ich nur schwache Spuren von Rosa, nicht von dem
weissen Buckelbeschlag, welchen Raoul-Rochette angibt (45). Die
Sohlen waren an den Schnittkanten gelb, an der Oberfläche rosa,
letzteres besonders deutlich am linken Fusse hinten zu erkennen;
die Schuhriemen nach Winters Beobachtung hellblau. Endlich
sind an der gerauhten Oberfläche der Plinthe, an der Stütze
unter der linken Ferse und an dem kleinen Tronk hinten Reste
von schwärzlicher Färbung erhalten.
Das beste Zeugniss für die Genauigkeit, mit der unsere Ar-
temis ihr altertümliches Urbild wiedergibt, ist noch unerwähnt
geblieben : die Replik in Venedig (50), welche in ihren antiken
Teilen — ergänzt ist der Kopf sammt Hals, der rechte Arm, der
linke Fuss und einiges Geringere — mit der pompeianischen
(49) Vgl. an Denkm. d. Inst. 1887 I 2 Tf. 19, 2 CE(FW- "i>X- 1887 Tf. 9)
den Saum des Apoptygma, an 'Ecpr^. iioX. 1883 Tf. 8 (S. 181 ff. Mylonas)
den ähnlichen Bund des Chitons am Halsausschnitt und längs den Armen.
Ein gleichartiges Ornament auch an der Anm. 47 an zweiter Stelle er-
wähnten Statue.
(50) Dütschke, Ant. Bildw. in Oberital. V Nr 309. Friederichs-Wolters
Nr. 443 ; die beste Abbildung bei Clarac, Mus. de sculpt. IV Tf. 561, 1196.
292
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII
Statue in Maassen und Motiven völlig übereinstimmt und, soweit
der Abguss ein Urteil gestattet,
Einzelheiten kaum nennenswerte
auch in feineren stilistischen
Unterschiede aufweist, so dass
man fast geneigt sein könnte,
beide Exemplare derselben
Werkstatt zuzuweisen. Das
venezianische stammt aus
der Sammlung des Patriar-
chen Grimani von Aquileia,
welche sich aus Funden seiner
Kesidenz und aus stadtrömi-
schen zusammensetzte (51); es
wird ohne Zweifel der letzte-
ren, nicht der provinziellen
Gruppe zuzuschreiben sein,
somit Zeugniss dafür ablegen,
dass ihr Original auch in Rom
bekannt und beliebt war.
Durch andere Nachbildungen
wird diese Vermutung zur
Gewissheit.
Unter dem reichem
Schatz an Wandgemälden ,
welchen die Ausgrabung eines
Hauses wahrscheinlich augu-
steischer Zeit im Garten der
Farnesina ergeben hat, befin-
det sich auch die folgende
Darstellung (52). In einem
nicht näher kenntlichen Ge-
mache, links neben einem in lässiger Haltung linkshin sitzenden
Jüngling, welcher durch den neben ihm lehnenden Schild, vielleicht
auch durch ein in der Rechten erhobenes Schwert, als ausruhender
Krieger gekennzeichnet ist, steht eine würdevolle Frau in voller
Gewandung, im Begriffe mit erhobenen Händen das auf niedriger
(«) Dütschke a. a. 0. zu Nr. 65.
(52) Mon. delVInst. XII Tf. 29, 1.
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII 293
viereckiger Basis ruhende Cultbild zu bekränzen, welches bei-
stehender Zinkdruck wiedergibt. Böhlau hat mich zuerst darauf
aufmerksam gemacht, dass es in Allem, was noch zu erkennen
ist, unseren statuarischen Typus wiedergibt, im Wesentlichen auch
der Grösse nach, welche in Wirklichkeit etwas mehr, im Bilde
etwas weniger als halbe Lebensgrösse beträgt. Vielleicht wird eine
Eevision des Originals noch genauere Uebereinstimmungen im De-
tail der Tracht ergeben. [Das Bild isl grün wie Bronze.]
Einen wichtigen, schon oben S. 279 verwerteten Beitrag zur
Reconstruction des Typus bietet der Bogen in der Linken der ge-
malten Replik. Auch das von einem Tempelchen umschlossene
Artemisbild auf einem Relief des Palazzo Spada (53), welches, wie
Schreiber bemerkt hat (54), trotz abweichender Gewandanordnung
im Wesentlichen dasselbe Vorbild wiedergibt, bestätigt diese Er-
gänzung. Es war also ein Irrtum, der Statue eine Fackel in die
Linke geben zu wollen (55). Friederichs berief sich dafür auf eine
Glaspaste des Berliner Antiquariums, welche ihm das Rundwerk
nachzubilden schien. Nach Furtwänglers freundlicher Mitteilung
ist aber eine solche dort nicht aufzufinden (56).
Dem Gemälde verdanken wir auch die Bestimmung der
Zeit, da das Original in Rom Aufmerksamkeit erregte. Ihr dürfen
wir nun auch unbedenklich die beiden Marmorcopien zuweisen
(53) Braun, Zwölf ant. Basreliefs Tf. 3, danach u. A. in Koscher's Lex. d.
Myth. I S. 311. Matz-Duhn, Bildw. in Rom III Nr. 3565, wo jedoch die An-
gabe von der Ergänzung des Oberteils auf Irrtum beruht, vgl. Benndorf bei
Schneider, Jahrb. d. kunsthist. Samml. d. Kaiserhauses Wien 1887 V S. 8
A. 3. — Vgl. auch die von Schneider angeführte Gemme Stephani, Compte-
rendu 1865 Tf. 3, 23a.
(54) Eoscher's Lex. d. Myth. I S. 599.
(55) Friederichs, Bausteine Nr. 56, auch in der Bearbeitung von Wol-
ters Nr. 442 ; Julius in Baumeisters Denkm. d. kl. Altert. I S. 349. Schrei-
ber a. a. 0.
(56) Er fügt noch folgendes hinzu : « Nur einen Carneol (Tölken, Kat.
ITI Nr. 823) finde ich, (der aber sicher nicht gemeint ist), welcher eine etwas
archaisierende, langbekleidete Artemis nach rechts schreitend zeigt, in der
R. Fackel, in der L. Bogen. Ob Fr. vielleicht eine moderne Paste im Auge
gehabt hat, vermag ich augenblicklich nicht zu constatieren. Dass er sie
gar nicht näher beschreibt ist bedauerlich ; vielleicht citierte er nur nach
dem Gedächtnisse und ungenau».
294 DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII
und aus ihnen entnehmen, in welchem Maasse die Augusteische
Kunst archaische Werke nachzuahmen verstand. Der oben be-
schriebene Zusammenhang, in welchem die Darstellung das Arte-
misbild zeigt, dürfte auch darauf hinweisen, dass der Typus mit
irgend einem kriegerischen Ereigniss, mit einem Siege in Bezieh-
ung gebracht wurde. Auch hierüber glaube ich Genaueres fest-
stellen zu können.
Auf Aurei und Silberdenaren des Augustus mit den Daten
imp. viii 21 v. Chr., imp. ix 19 v. Chr., imp. xii 10 v. Chr. (57)
und auf dem, fast gleichzeitig mit der pompeianischen Statue
gefundenen, goldenen Quaternio aus Herculaneum (58), einem Uni-
cum der Sammlung in Neapel, mit imp. xv 5 n. Chr. (s. die
Tafel X unten), wiederholt sich dieselbe jagende Artemis von aus-
gesprochen archaischem Stil — auch in der Gesichtsbildung, wie
besonders das Medaillon erkennen lässt — , in der ich schon früher
gelegentlich eine Nachbildung jenes statuarischen Typus erkannt
habe (59). Entscheidend dafür ist die Zag um Zug wiederkehrende,
oben, besonders S. 288, ausführlich nach ihrer zum Teil ganz sin-
gulären Eigenart erörterte Gewandanordnung. Auch das Diadem
fehlt nicht und sogar seine Rosetten sind kenntlich, wesshalb es
von den Numismatikern öfter als Turmkrone aufgefasst wurde.
Abweichend ist nur die Haltung der Arme. Dem Linken mit dem
Bogen etwas mehr zu heben gebot die Uebertragung auf die Flä-
che. Eine wesentliche Aenderung ist also nur, dass die rechte
Hand in den Köcher greift, statt gesenkt den Chiton aufzuheben.
Das Motiv ist herübergenommen aus dem damals meistverbreiteten
Typus der dahinstürmenden, hochgeschürzten Jägerin — seinem
Einflüsse ist auch die grössere Lebhaftigkeit des Ausschreitens
zuzuschreiben — vielleicht mit der Absicht, der mit dem Bogen
(") Eckhel, Doctr. num. VI S. 93 f. ; S. 101, S. 110. Cohen, M4d.
imp. P S. 87, 171 ff.
(58) Eckhel, Doctr. num. VI S. 116; Fröhner, Med. imp. S. 5; Cohen
a.a.O. I2 S.77, 177; Mommsen, Hist. de la monn.rom. III2 S. 19; Kenner,
Wiener num. Zeitschr. 1887 XIX S. 14. Das Gewicht beträgt nach Winters
Angabe 30,85 Gr. Unsere Abbildungen nach Abdrücken, die ich der Güte der
Herren Dressel und Imhoof-Blumer verdanke.
(59) Beitr. z. Gesch. d. gr. Tracht S. 80 A. 33. Ich hielt damals die
Statuen noch für «archaistisch».
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII 295
vorgestreckten Linken auch auf der anderen Seite eine Fül-
lung des Münzfeldes entgegenzusetzen. Doch was auch der Grund
der Abweichung gewesen sein mag, sie kann nichts an der Tatsache
der Abhängigkeit des Münztypus von dem Vorbilde der Marmor-
statuen unl d:s Wandgemäldes ändern.
Unter der Artemis steht auf sämmtlichen Exemplaren die
Inschrift Sieil. Ihre Bedeutung hat schon Eckhel klar erkannt (60).
Er beobachtete, dass den Artemismünzen solche genau parallel
gehen — bezeichnet mit imp. viii, x, xii — , welche den Kitha-
roden Apollon mit der Unterschrift Act. darstellen (6I) ; ihren
Sinn verdeutlicht am besten ein Denar der Gens Antistia aus des
Augustus neuntem Imperium mit der gleichen Darstellung und
der Umschrift Apollini Actio (62). Iß Dianae Siculae et Apol-
linis Actü Ujpi non sine causa per plures etiam annos sunt re-
petiti ; nam utrique numini suam Augustus fortunam debuit,
victo nimirum apud Artemisium Siciliae prope Mylas Sex.
Pompeio et apud Actium Apollini sacrum M. Antonio. Sie sind
also der bildliche Ausdruck des Gebetes Phoebe silvarumque po-
tens Diana, mit welchem das 17 v. Chr., also mitten zwischen
den Daten der verschiedenen Münzen, gedichtete Carmen Saecu-
lare anhebt.
Es ist vielleicht nicht Zufall, dass der an den sicilischen
Seesieg erinnernde Artemistypus zum ersten Male in einem Jahre
auftritt, in dem sich der Kaiser in Sicilien aufhielt {imp. viii
21 v. Chr.). Um so näher scheint die Vermutung zu liegen, dass
er ein sicilisches Cultbild wiedergibt, welches mit dem Schlachtort
in Beziehung stand (f>3). Man hat sogar geglaubt den Kopf der
Statue in dem polosgekrönten Haupte einer Münze von Syrakus
(60) Doctr. num. VI S. 93. — Sicher auf falschem Wege war Fröhner
(s. Anm. 57) wenn er, durch die vermeintliche Mauerkrone bestimmt, die
Figur für eine Localpersonification der Sicil{ia) in Artemisgestalt erklärte.
(61) Eckhel a. a. 0. Cohen, M4d. imp. I» S. 86, 162 ff. Overbeck, Ber.
d. sächs. Ges. d. Wiss. 1886 XXXVIII Tf. 1, 3; 4 Kunstmythol. IV Tf. 5, 43; 44.
(62) 'Eckhel VI S. 107. Babelon, Monn. de la rtp. Rom. I S. 15?, 22.
Cohen, Med. imp. I2 S. 110, 343. Overbeck, Ber. a. a. 0. Tf. 1, 1. Kunst-
mythol. IV Tf. 5, 42.
(G3) So auch [Müllcr-]Wieseler, Denkm. d. a. Kunst II Nr. 157 c.
296 DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII
wiedererkennen zu dürfen (64), gewiss mit Unrecht, schon weil
dieses keine Spur von Archaismus aufweist. Und die ganze beste-
chende Vermutung wird durch eine andere Münzenreihe mit dem
Datum imp. x (12 v. Chr.) erschüttert, welche, obwohl sie, wie
die Unterschrift Sicil. zeigt, an dasselbe Ereigniss erinnert, den-
noch einen grundverschiedenen Artemistypus trägt : die hochge-
schürzte Jägerin späterer Zeit, ruhig stehend, in der gesenkten
Linken den Bogen, die Rechte hoch an die Lanze gestützt, daneben
meist der Hund stehend oder sitzend (65).
Gegen einen engeren Zusammenhang zwischen diesen Artemis-
typen und dem sicilischen Schlachtorte ist auch die Analogie der
Münzen mit dem Kitharoden und Act. anzuführen, wenn man mit
Eecht anzunehmen pflegt, dass sie die im palatinischen Tempel
geweihte Statue des Skopas wiedergeben, welche höchst wahr-
scheinlich aus dem Nemesistempel zu Rhamnus entführt war, also
mit der Oertlichkeit von Actium nichts zu schaffen hatte (66). Es
würde zu weit führen, hier auf eine genaue Prüfung dieser Hypo-
these einzugehen, und ich muss mich mit der Erklärung begnügen,
dass sie mir, auch nach Overbecks gründlichem Widerlegungs-
versuche (67), noch immer haltbar scheint, wenn man nur, wie
billig, allein die Münzen des Augustus zum Ausgangspunkte nimmt,
welche sich — die Freiheit des Stempelschneiders und die ver-
schiedenen Erfordernisse der Darstellung in Vorder- und Seiten-
ansicht gehörig in Anschlag gebracht — doch auf einen und den-
selben statuarischen Typus zurückführen lassen dürften. Und diesen
möchte ich in der « Barberinischen Muse » der Glyptothek wieder-
erkennen, deren Profilansicht mit dem weitaus sorgfältigsten unter
den Münzbildern (G8) auch in allen Details der Tracht genau
übereinstimmt. — Ueberdiess gab es auch für den aktischen Gott
keinen feststehenden Typus. Auf akarnanischen Münzen glaubt
(64) Ch. Lenormant, Tresor de num. et de glypt. Iconogr. des emp. Rom.
Tf. 7, 12 S. 13.
(«*) Eckhel VI S. 108 ; Cohen 12 S. 84, 145 ; Ch. Lenormant a. a. 0.
Tf. 7, 11.
(6«) Vgl. Urlichs, Skopas S. 67 f.
(67) Ber. d. sächs. Ges. 1886 XXXVHI S. 1 ff. Kunstmythol. IV S. 90 f.
(68) Z. B. Cohen I* S. 86, 162. Overbeck Ber. a. a. 0. Tf. 1, 3. Kunst-
mythol. IV Tf. 5.
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII 297
man ihn nackt und thronend dargestellt (69), auf alexandrinischen
des Nero erscheint sein lockiges Haupt mit dem Köcher in der
Umschrift AnöXXojv 'Axriog (70).
Demnach ist es zum mindesten unwahrscheinlich, den Apollo-
typus jener Augusteischen Münzen von dem Orte der Entschei-
dungsschlacht herzuleiten, welche der Gott zu Gunsten des Kaisers
wandte, und ebensowenig Berechtigung können wir der Annahme
zugestehen, dass unser Artemistypus in der Nähe von Mylai zu
Hause war. Es sind Bilder dieser Götter überhaupt, durch deren
Anbringung auf den Münzen der Kaiser seine beiden Schutzpatrone
und die ihrem Beistande verdankten reichbegründenden Siege
feierte. Für die Wahl der verschiedenen Typen konnten andere
Bücksichten maassgebend sein, z.B. die persönlichen Beziehungen
des Münzherrn zu hervorragenden Kunstwerken, wie die erwähnte
zu dem Apoll des Skopas. Ein ähnliches Verhältniss des Augustus
zu einem alten Cultbild seiner Schutzgöttin ist von vornherein
wohl denkbar — bei der Vorliebe für archaische Werke, welche
jener Zeit überhaupt und auch dem Kaiser selbst eigen war, der
ja bekanntlich seine Bauten mit Werken des Bupalos und Athenis
schmückte und die tegeatische Athena des Endoios am Eingange
seines Forums aufstellte — und sie ist auch nachweisbar.
Pausanias 7, 18, 9 berichtet folgendes. Jlaxqsiaiv dh 6 Av-
yovüxog aXXa xs xcov €x KaXvdwvog Xatfvqoov xai drj xai xvfi
Aaqtqiag s6(x>xe xo dyaX/.ia, o (TjJ xai 8Q eijis sxu iv xrj dxqoTtöXsi
xfj üaxqt'wv ei%e xifläg. To fihv 0%rj[jia xov dyceX/iaxog xhr^-
qsvovöcc eGxiv, sXeipavxog 6h xai %qvGov rcsnoirjxai, NavTiäxrioi
J* Mt-vaiftfiog xai 2öi'6ag slqydöavxo' xexf,iaiqovxai 6t (Hpäg Ka-
vd%ov xov 2ixvu>viov xai xov Alyivijxov KdXXcovog ov tioXXoi ye-
ve'a&ai xivl fjXixiav vaxsqovg. Die Verfasser des trefflichen nu-
mismatischen Commentars zu der Periegese glauben dieses Werk
in der Artemisgestalt nachweisen zu können , welche mit ge-
ringen Abweichungen auf Münzen der Colonie Patrae von Nero
(69) Imhoof-Blumer, Wiener num. Zeitschr. X S. 31 f. R. Weil, Zeitschr.
für Num. 1880 VII S. 126. Cat. Brit. Mus. Thessaly to Aetolia Tf. 18, 3
S. 95, Tf. 27, 2 ; 3 S. 168 ff. Tf. 30, 1, S. 193. Freilich kommt auch der
Kitharode auf akarnanischen Münzen vor vgl. Overbeck a. a. 0.
(™) Z. B. Mionnet, Descr. VI S. 65, 171, S. 69, 211.
298 DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII
bis Septimius Severus erscheint und inschriftlich als Diana La-
phria bezeichnet ist (71): ein Beispiel gibt Tafel X unten 1. Trotz des
überraschenden Zusammentreffens muss aber die Kunstgeschichte
diese Vermutung unbedingt verwerfen. Denn das auf den Münzen
wiedergegebene Werk kann schlechterdings nicht Künstlern ange-
hören, welche die Quelle des Pausanias, offenbar nur auf Grund
ihrer Kunstweise, in der « Härtescala » gleich nach Kanachos und
Kalon, also in der Zeit der Perserkriege ansetzte. Mag man auch
auf Grund des rohen Reliefs aus Asopos, welches nach seiner
spartanischen Inschrift in die erste Hälfte des fünften Jahrhun-
derts gesetzt wird (72), einräumen, dass die Göttin so frühzeitig
in Amazonengestalt dargestellt wurde, die entblöste rechte Brust,
die Stiefel und das freie Standmotiv der Figur auf den Münzen
wehrt uns gebieterisch so frühen Ansatz. Den Ausweg, dass, die
Stempelschneider eine so starke Modernisierung des Urbildes vor-
genommen haben könnten, schneidet nicht allein die Ueberein-
stimmung aller Münzen ab. Wolters hat mir nachgewiesen, dass
wir den Typus auch in mehreren statuarischen Wiederholungen
besitzen, von denen eine sich bei Clarac abgebildet findet (73).
Die Tracht in fast allen Einzelheiten, auch die des Haares, die
Haltung bis auf den (grössten Teils ergänzten) rechten Arm, wel-
cher auf den Münzen in die Hüfte gestemmt ist, der aufblickende
Hund neben dem rechten Fusse, alles stimmt so genau, als man
bei so verschiedenartigen Kunstwerken nur erwarten kann. Und
dass diese Statue nicht auf Künstler der siebziger Olympiaden
zurückgehen kann bedarf wohl keines Wortes mehr. Der Fall liegt
also ähnlich, wie bei dem Dionysos auf Münzen von Tanagra,
welchen Imhoof und Curtius, auf Grund einer bestechenden, aber
von Wolters als irrig erwiesenen Combination, als Nachbildung
des bei Pausanias erwähnten Werkes von Kaiamis in Anspruch
genommen haben, während ihn seine stilistische Beschaffenheit
(71) Imhoof-Blumer und Percy Gardner, Num. comm. on Paus. S. 76 f.
Tf. Q 6—10. Journ. of hell. stud. 1886 VII S. 80 f. Vgl. Daremberg und
Saglio, Biet, des antiq. 3 S. 148.
(") Arch. Zeitg. 1882 XI Tf. 6, 1 S. 145 ff. Treu.
(73) Mus. de sculpt. IV Tf. 576, 1241, gut lebensgross. Vgl. den etwas
kleineren Torso Mus. Chiar. Nr. 651 A. Friederichs-Wolters, Bausteine
Nr. 1532, auch Matz-Duhn, Köm. Bildw. I Nr. 677.
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII 299
einer späteren Zeit zuweist (u). Die Diana Laphria auf den
Münzen wird das Cultbild sein, welches der Tempel in Patrai vor
der Schenkung des Augustus besessen haben muss.
Trefflich dagegen vertragen sich alle Angaben des Pausanias
mit dem Meisterwerke des ausgehenden Archaismus, dessen ver-
schiedenartige Nachbildungen uns beschäftigt haben. Aus der ver-
gleichenden Analyse der pompeianischen Statue ergab sich für das
Original dieselbe Zeitbestimmung, welche für Menaichmos und
Soidas überliefert ist (75). Wenn, wie mir scheint, ihr^evorar^
7Tao?xoiitvrj GxWa sachlich viel wahrscheinlicher von dem Bewe-
gungsmotiv, als — wie Imhoof und Gardner, sprachlich gleichfalls
möglich, erklären müssen — von der Tracht der Jägerin ver-
standen wird, dann ist das Werk der Naupaktier die älteste Dar-
stellung dieses Gegenstandes, von der die Schriftquellen melden.
Das Urbild unserer Statue aber ist, wenigstens in der grossen Kunst,
das älteste monumental überlieferte Beispiel dafür. Trotz ihres be-
wegten Schemas war die Artemis zu Kalydon ein Cultusbild und
blieb es in Patrai. Als Cultusbild aber fand man auch die Statuette
zu Pompeii in ihrem Tempelchen, und auch auf dem römischen
Wandgemälde erscheint sie als Gegenstand einer religiösen
Handlung.
Dass eine solche Schöpfung gerade in einer von den Land-
schaften des hellenischen Festlandes entstand, wo, der allgemeinen
Culturstufe entsprechend, die Verehrung der Jagdgöttin eine grosse
Kolle spielte, ist um so glaublicher, als die beiden ältesten Dar-
stellungen derselben, welche wir besitzen (S. 280), gleichfalls dem
Westen angehören, das Vasenbild wahrscheinlisch korinthischer
Fabrik, die Bronzestatuette aus Thesprotien wohl einer mittelgriechi-
schen oder peloponnesischen. Und unter peloponnesischem Einflüsse
muss die Heimat der Künstler zunächst gestanden haben. Stili-
stisch freilich fanden wir an der Statue weit mehr Beziehungen
(74) "Vgl. Imhoof-Gardner, Num. comm. on Paus. S. 114, Journ. of hell,
stud. 1887 Viri S. 10, wo die frühere Litteratur angeführt und die oben er-
wähnte Vermutung zurückgenommen ist. — Der Dionysos von Kaiamis wird
eher der Statuette Mon. del Museo Torlonia Tf. 124, 484 ähnlich ge-
wesen sein.
(75) So auch Schreiber in Roscher's Lex. d. Mylh. I S. 598 f., nur dass
er von dem Vorbilde der « archaistischen » Figur spricht,
300 DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII
zur nesiotischen Plastik ; aber diese dürfen ebensowenig befrem-
den, als das mächtige Auftreten derselben Kunstschule in Boeo-
tien — dem Lande, mit welchem Lokris seit den Zeiten des
Naupaktischen Epos in engem Culturzusammenhange stand — wo,
wie auch die Funde am ptoischen Tempel wieder deutlich erkennen
lassen (76), der Naxier Alxenor keine vereinzelte Erscheinung war.
Auch in dem dazwischenliegenden Phokis verrät u. A. das Weih-
geschenk der Söhne des Pariers Charopinos nesiotische Einflüsse (76a).
Auch der negativen Bestimmung, welche S. 283 Winter aus den
Proportionen des Kopfes herleitet, dass es kein attisches Werk
sei, wird unsere Zuteilung gerecht.
Die kleinen Verhältnisse der statuarischen und malerischen
Nachbildungen würden zu dem Cultbild in dem entlegenen, un-
bedeutenden Kalydon um so besser passen, als schon das kostbare
Material einen beträchtlichen Aufwand mit sich brachte. Spuren
der Goldelfenbeintechnik könnte man vielleicht noch an den beiden
plastischen Copien zu erkennen versucht sein. Die Modellierung
des Gewandes, besonders der tief ausgearbeiteten Falten am Halse
und zwischen den Beinen, möchte an den Metalltreibestil, die der
ungewöhnlich feinen Wellen fältchen am unteren Teile des Chitons
an Cisellierung, das in der Bemalung der Pompeianischen Statue
reichlich angewandte Goldgelb (S. 290) — besonders an dem Kopfe
mit gelbem Haar und gelben Eosetten am Diadem — an die
Goldbestandteile des Originals erinnern.
Dies Alles schliesst sich also wohl zusammen, um die Iden-
tification der litterarisch und der monumental überlieferten Arte-
misfigur annehmbar zu machen. Und die überlieferte Beziehung
des Augustus zu dem kalydonischen Cultbilde dürfte in jedem
Falle ausreichen, um das Auftreten von Nachbildungen desselben
in Rom und besonders auf den Münzen zu erklären. Doch möchte
ich mir gestatten, die Vermutung zu begründen, dass diese Be-
ziehung noch enger gewesen sein kann, als die Nachricht des
Pausanias erkennen lässt.
Die Zeit der Einnahme von Kalydon, welche der Ausdruck
(76) Ebenso urtheilt Winter, Jahrb. d. Inst. 1387 II S. 224. Man ver-
gleiche besonders den Frauenkopf Bull, de corr. hell. 1887 XI Tf. 7, wohl
auch den Jüngling ebenda Tf. 13; 14 (1886 X Tf. 6).
(76a) Vgl. zuletzt Winter, Mitth. d. Inst. Athen 1888 XIII S. 128 f.
DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII 301
XäqvQcc voraussetzt, ist nicht überliefert, aber Niemand kann daran
zweifeln, dass auch dieses zu den Städten gehörte, welche Agrippa
vor dem Siege bei Actium dem Gegner entriss (77) oder nach
diesem züchtigte. Die Einwohnerschaft von Kalydon sowie die der
meisten aetolischen und akarnanischen Städte wurde mitsammt
der Mehrzahl ihrer Cultbilder in dem zur Erinnerung an die Ent-
scheidungsschlacht nächst ihrem Schauplatze begründeten Niko-
polis vereinigt (78), Anderes, wie eben die Laphria, gieng nach
Patrai. Aus dem Berichte des Pausanias erhält man allerdings
den Eindruck, dass sich diese Ereignisse unmittelbar nach Actium
vollzogen, aber es ist kaum glaublich, dass Augustus schon während
der schweren kriegerischen und politischen Arbeit dieser Zeit
Müsse fand, jene Verhältnisse zu ordnen. In Patrai scheint zwar
gleich nach dem Siege ein Teil des entlassenen Heeres angesie-
delt worden zu sein (79), aber die Constituierung der Stadt als
Colonia Augusta Aroe Patrae geschah erst beträchtlich später,
nach Eusebius 738 der Stadt, 16 v. Chr. Ist nun dieser Act un-
streitig der denkbar passendste Anlass für die neue l'Sqvaic des ka-
lydonischen Cultbildes auf der Akropolis von Patrai, dann ergibt
sich wenigstens die Möglichkeit, dass die Statue vorher, gleich
der in demselben Kriege erbeuteten Athena des Endoios (80), von
dem Kaiser als Prunkstück für den Triumph mit nach Rom ge-
nommen sein könnte. Als er später die von ihm mit Wohltaten
überhäufte Stadt zur Colonie erhob und ihr das Gebiet von Ka-
lydon unterstellte (81), lag es nicht eben fern, ihr mit anderem
einstigen Besitze dieses Ortes auch sein hervorragendstes Götter-
bild zum Geschenke zu machen. Dass ein solcher Hergang zur
Zeit unseres Berichterstatters in Vergessenheit geraten wäre, hätte
nichts Auffallendes.
Eine Bestätigung dieser Vermutung wäre es, wenn sich die
Annahme Mommsens (78) erweisen liesse, das Gründungsdatum
bei Eusebius beruhe auf Irrtum, und die Colonie sei vielmehr in
den Jahren 733-735 constituiert, als der Kaiser sich zu Samos
f») Vgl. Schiller, Gesch. d. röra. Kaiserz. I S. 128.
(78) Pausan. 7, 18, 8 ; Mommsen, Rom. Gesch. V S. 270 f.
(70) Strabon 8, 387 ; Mommsen, G. I. L. III S. 95 f.
(80) Pausan. 8, 46, 1.
(81) Mommsen, Rom. Gesch. V S. 238.
302 DIE ARCHAISCHE ARTEMISSTATUETTE AUS POMPEII
aufhielt. Im Jahre 733 der Stadt, 21 v. Chr., tritt nämlich unsere
Artemis zum ersten Male auf den Münzen auf. Wenn Augustus in
dem Augenblicke, als es sich seines Besitzes entäusserte, das anmutige
Werk der alten Meister zum Preise seiner Schutzgöttin auf seinem
Gepräge nachbilden liess, dann begreift man auch die auffallende
Tatsache, dass die Colonie Patrae ihre Münzen nicht mit diesem
kostbarsten und denkwürdigsten, sondern mit einem jüngeren und
geringeren Bilde ihrer Laphria schmückte (70), welches sie vorher
besessen haben musz. Denn bei dem eigenartigen rqÖTioq emxwqioc,
üvai'ac, mit welchem zu Patrai das Fest der Laphrien begangen
wurde (82), ist es nicht glaublich, dass dieser ganze Ciiltus erst
mit dem Werke des Menaichmos und Soidas aus Kalydon herüber-
kam. Die enge Verbindung der Landschaften dies- und jenseits
der Meerenge macht eine in ältere Zeit zurückreichende Cultge-
meinschaft wahrscheinlicher. Hatten doch auch die Messenier die
Laphria aus Naupaktos in ihre alte Heimat übertragen (83).
Die Möglichkeit also und vielleicht auch einige Wahrschein-
lichkeit wird man der Vermutung zugestehen, das- das Werk des
Menaichmos und Soidas sich vor seinem Uebergange nach Patrai
vorübergehend in Kom befunden hatte. Ich habe sie aufgestellt,
weil sich so die verschiedenartigen Nachbildungen desselben, be-
sonders auch jene auf dem stadtrömischen Wandgemälde, am be-
friedigendsten erklären würden. Ausreichen würde aber auch die
Annahme, dass die kalydonische Artemis in ihrer Heimat die Auf-
merksamkeit des Augustus oder seiner Umgebung erregte und in
hiedurch veranlassten Copien in Italien bekannt wurde. Wie dem
auch sein mag, den engen Zusammenhang zwischen dem in Au-
gusteischer Zeit plötzlich in' so vielen Nachahmungen auftauchenden
spätarchaischen Artemistypus und zwischen dem gleichzeitig aus
dem obscuren aetolischen Flecken ans Licht gezogenen Werke
spätarchaischer Meister abweisen zu wollen, hiesse dem Zufall ein
gar zu tückisches Spiel aufbürden.
Gerasdorf bei Wiener Neustadt.
September 1888.
Franz Studniczka.
(82) Pausan. 7, 18, 11 f.
(83) Pausan. 4, 31, 7 ; vgl. Preller-ßobert, Gr. Mythol. 1* S. 310.
tr/"
Uo^ß. I
COMMODO E TKITONI (')•
Nel nuovo Museo Capitolino si vedono riuniti in un comparti-
menfco l'elegantissimo busto di Commodo e le parti umane di due
Tritoiii ossiano giovani Centauri marini, quasi per indicare che
originarianiente fossero connessi col detto busto. Perö nel Bullettino
della Comm. mun. sono stati pubblicati separatamente, il Commodo
nel vol. III tav. I, i Tritoni tav. XIV XV, e sulla p. 142 il
eh. P. E. Visconti suppone che fra questi Ultimi un Nettuno abbia
formato il centro del gruppo. Ma di Nettuno in quello seavo non vi
fu traccia, e fra le sculture venute alla luce nella villa Palombara
nell'istesso luogo (v. Bullettino della Comm. mun. III p. 17), con
i Tritoni certo non si combinano bene ne le Muse ne il Bacco gio-
vane ne la nota Venere esquilina (2) (Bullettino della Comm. mun.
III t. III IV). Resta il Commodo, e tutto ci persuade ch'egli fosse
la parte mancante del gruppo originale.
0) Vedi queste Mittheilungen vol. III (1888) p. 97.
(2) Sopra una moneta di M. Aureiio presso Cohen Mödailles impe'r. III
p. 159, 272 si dice rapppresentata una Venere in piedi fra due Tritoni.
20
304 COMMODO E TRITONI
II materiale, e vero, differisce : poiche i Tritoni sono di marmo
lunense, quello del Commodo lo dicono pentelico, a torto secondo il
parere mio; ma sia greco o no, questo da nel lividastro, mentre
quelli sono di un bianco piuttosto giallastro. E differente anche
la tecnica, piü raffinata nel Commodo, la cui pulitura e portata
all'ultimo grado, mentre i Tritoni sono lisci si ma senza lucentezza.
Nondimeno perö per il loro lavoro somigliano al Commodo come
non vi somiglia alcun altro pezzo del nuovo Museo Capitolino (1).
Anche la capigliatura, per le tracce manifeste del trapano,
rivela la medesima epoca, non ostante che chioma e barba del
Commodo siano ripassate con lavoro sottilissimo della raspa, pre-
ferenza dovuta alla figura centrale dell'imperatore deificato e accom-
pagnato da quei semidei. E evidente cioe -che i due Tritoni con
la mossa simmetrica delle braccia (2) e delle teste fanno presup-
porre qualche cosa nel mezzo di loro. Dall'altra parte anche il
busto di Commodo pare debba l'insolita sua forma, notata giu-
stamente dall'editore nella pag. 6 dell'articolo citato, allo scopo
di dargli un'altezza maggiore. Pereid, oltre che il busto va quasi
fino aH'umbilico, gli sono sottbposte le figure di donne amazzoniche
con seudo, corni d'abbondanza e globo, decorazione che, oltre
questo scopo esteriore, doveva avere, come si vedrä in appresso,
anche un significato nell'intiera composizione.
Ora appena fa d'uopo ch'io • richiami alla memoria i sarco-
faghi sui quali si trovano riuniti in una sola composizione quasi
i medesimi elementi che separati si scoprirono nella villa Palom-
bara, Tritoni cioe o Centauri marini col ritratto (talvolta ve ne
(!) Piü grande forse della differenza fra eiaseuno dei Tritoni ed il Com-
modo si e la differenza fra i Tritoni stessi. Quello a destra (di chi guarda)
cioe, che rassomiglia assai da vicino ai belli Giganti giovani dell'ara perga-
mena, mostra in quasi tutte le forme, p. e. della fronte, degli occhi, della bocca
e persino nelle pinnette lussureggianti, un lavoro molto superiore e mVesecu-
zione piü risentita. I Tritoni perö come figure ideali hanno gli occhi senza
indieazione delle pupille, mentre al ritratto di Commodo queste non mancano.
(2) II braccio alzato nell'uno e nell'altro era stato lavorato separatamente
e attaccato con un grosso perno, mentre il braccio abbassato, tenuto accanto-
al corpo, vi si commetteva mediante un forte puntello, il quäle, benche sia rotta
la mano, ancora si vede nel Tritone a destra ; l'altro anticamente ha sofferto
un ristauro : dopo cioe che era rotta la mano, fu tolto il puntello e la mano
stessa rimessa con un chiodo.
COM MODO E TRITONI 305
sono due) del defunto, non a guisa di busto, ma per l'ordinario
di mezza figura inclusa in tm tondo, sia una conca sia im clipeo,
con altre piceole figure sottoposte (]). Siffatto tondo viene soste-
nuto dai Tritoni o con ambedue le raani o con una sola, e allora
l'altra reca qualche altro simbolo marino: ancora, remo ecc, affatto
come si e dovuto supporre per i Tritoni capitolini.
II clipeo puö derivare dal trasporto delle armi di Achille
fatto dalle Nereidi, ma simbolo piü conveniente agli esseri ma-
rini pare la conca, e tale veicolo, come bene osservö lo Stephani,
fu immaginato in origine per Venere, raffigurata poi sopra alcuni
sarcofaghi come rappresentante di donna defunta; da Venere fu
trasferito a donne mortali, e da donne raramente anche ad uomini (2).
Da questi sarcofaghi perö non possono separarsi quegli altri
ove il ritratto del defunto si vede nelle mani di altri esseri mi-
tici o simbolici. Giacche tutte siffatte rappresentanze, benche d'ori-
gine diversa, nell'uso sepolcrale sembrano variazioni d'un medesimo
{l) Agli esempi con ritratto di donna nolla conca citati dallo Stephani
Compte-rendu 1870-71 p. 134, 1 sg. possono aggiungersi, massimamente dai ca-
taloghi di Matz-Duhn , di Dütschke , di Benndorf e Schoene, dal Bullettino
Comunale, otto altri, poi otto con clipeo o con tavola d'iscrizione, non com-
]>resi quelli, il cui centro vien occupato da maschera d'Oceano o da tridente
o altro simbolo.
(2) Che Tritoni in posizione simmetrica fossero in certo modo impiegati
a sostenere il trono di Apolline amicleo, lo riferisce Pausania 3, 18, 10, e
da Tritoni vediamo sostenuti i bracciaiuoli d'un trono sul monumento xan-
tiaco delle Arpie. Nella grande opera di Scopa (Plinius h. n. 36, 26) non pare
che i Tritoni facessero parte del gruppo centrale. Sulla stele sepolcrale pubblicata
nelle Athenische Mittheilungen XIII t. IV i due Tritoni suonanti la ncnia
invece delle Sirene, benche in posizione simmetrica mancano del centro co-
mune, come anche Tritone e Tritonessa d'un vaso giä Castellani (coli. AI. Ca-
stellani n 117). Nella pittura pompeiana (1067 Heibig) tengono la conca si,
ma senza Venere o altra figura dentro; sul monumento degli Iulii di S. Remy.
(Antike Denkmäler herausgeg. vom K. D. Archaeol. Inst. I, t. 15, 3) un clipeo
vuoto. Che 1'incompleta descrizione che ci da Pausania, 2, 1, 8 della base di
Nettuno Istmio : ex voto di Erode Attico, possa riferirsi con la Stephani (1., 1.
p. 143) a una composizione simile a quei sarcofaghi marini, lo fa credere un
tratto che in essi non di rado s'incontra: la ®üXuaau «W/ottr« 'JtpQo-
öit^v ntäöa, dallo Stephani poco bene spiegata, ci rammenta quelle figure di
Amorino o di Tritone o di Scilla che sui sarcofaghi vediamo sostenere la
conca (Matz-Duhn n. 3194, 3198 sgg. Clarac pl. 206, 194 e 196, pl. 224, 82,
Gori Inscr. III t. XIII.
306 COMMODO E TRITON1
concetto: e siccome, anche ammessa la riunione del Commodo
con i Tritoni, resta pure a cercarsi in quäl modo le tre figure
fossero collegate fra loro, cosi non sarä inutile dare un'occhiata
a quelle variazioni, per avere piü larga e piü sicura la scelta del
supplemento.
Invece di Tritoni dunque s'incontrano Satiri o Menadi o Cen-
tauri (•) che reggono il ritratto, tutti appartenenti al tiaso bac-
chico, come Tritoni e Nereidi possono dirsi formare un tiaso ma-
rino. Due figure con scettro (Clarac pl. 127) e due donne ignude
(Matz-Duhn n. 2543) portatrici del ritratto mancanod'individuazione,
mentre le due fiaccole fra le quali si dice sospeso il clipeo presso
Matz-Duhn n. 2405, alludono alle orgie bacchiche. Le dette va-
riazioni perö sono rare, come sono eccezionali pure i Dioscuri
(S. Bartoli Sep. ant. 44) accanto alla tavola ansata d'un altro sar-
cofago, e la memoria del defunto vi e inserita nell'unica forma di
clipeo o tavola. All'incontro sono spesso ripetuti come reggitori
del ritratto, anche in tempi cristiani (2), Amorini o Genii e Vit-
torie, queste come quegli o volanti o ritti in piedi. Siffatte com-
posizioni, originate in certo modo dallo stile araldico antichissimo
e poi sviluppate in modo diverso (3), tornano ad essere neH'ultimo
(i) Satiri : Mon. ined. d. Inst. VI, VII t. 80, 2 ; Clarac pl. 124, 346. —
Menadi (invece del clipeo tengono un velo) Clarac pl. 127, 421. — Centauri :
Michaelis Ancient marbles, Richmond 73 ; Dütschke Antike Bildwerke in Ober-
italien I, 168 ; Benndorf-Schoene die antiken Bildw d. Later. Mus. 510 ; Fi-
nati Museo Borb. I. 154. 163.
(2) Nei cataloghi di Matz-Duhn, di Dütschke e nei Musei di Roma,di Napoli,
d'Inghilterra e del Louvre.non compresi i monumenti cristiani, fra 130 tali sarco-
faghi ne ho contato 98 con Amoriui, 32 con Vittorie, e di quei con Amorini 40 con
clipeo effigiato, 19 con clipeo iscritto o vuoto, 11 con tavola, 11 con Corona
o clipeo cinto di Corona, 10 con velo, 5 con uno scudo portato da due Amo-
rini fra altri simili ugualmente occupati a fabbricare o a portare armi, 1 con
conca, 1 con farfalla bruciata da due Amorini; nei 32 con Vittorie queste
su 12 tenevano un clipeo con ritratto, su 13 clipeo o tavola con o senza iscri-
zione, su 3 una Corona, su 2 un velo. Fra i sarcofaghi cristiani editi nei vol. V
dell'Arte cristiana di Garrucci sono molti esempi di Genii, alcuni di Vittorie,
uno o due anche di esseri marini.
(3) Ecco pochi cenni deH'istoria di questi tipi. Vittorie piü d'una
e in posizione simmetrica, da riferirsi alla figura centrale del dio, si trovavano
sul trono di Giove Fidiaco, piü d'una e portanti tra altre armi anche degli
tcudi sulla balaustrata cti Nike apteros. Peru nelle Athenische Mittheilungen
COMMODO E TRITONI 307
stadio tipi purameute araldici. II clipeo con ritratto o con iscri-
zione (se non e rimasto vuoto), e cosi pure la tavola ansata, e data
egualmente come ai Tritoni cosi anche agli Amorini ed alle Vit-
torie; ma nelle mani di essi incontriamo pure qualche volta una
corona che circonda sia il clipeo sia semplicemente il ritratto.
La conca, forma comune e forse la piü originale per gli esseri
marini, non s'incontra quasi mai nelle mani degli aligeri; manca
invece a questi il velo o parapetasma che quelli non di rado ten-
gono steso dietro il busto o la mezza figura del defuuto.
Ora ritlettendo sul modo di ristabilire il contatto fra i Tri-
toni ed il Commodo, il pensiero si volge in primo luogo a quelle
rappresentanze marine; bisogna confessare perö che ne una conca
ne un clipeo si presterebbe bene alla composizione. Abbiamo il
busto e le piccole figure sottopostegli come nei sarcofaghi, ma
congiunte in modo da non poter frapporvisi il clipeo ; e quando
anche si volesse immaginare inserita l'alta base in un taglio fatto
XI p. 395 ho congetturato che tale erezione simmetrica di Vittorie si fosse
fatta giä in tempi molto piü antichi per donazioni successive p. e. nel san-
tuario di Atene Poliade, il cui simulacro su quantitä di vasi panatenaici del
secolo IV (v. Mon. ined. d. Inst. XI t. 47 d sgg.) si vede fra due colonne
sormontate da Vittorie che porgono corone. H quäle insieme ci ricorda le
due aquile su colonne poste accanto si deirumbilico delfico (Pindaro P. 4, 4
schol.) che dell'altare di Giove Liceo (Pausan. 8, 38, 7) e piü tardi si e imi-
tato nell'ara Lugdunense sotto Tiberio (Donaldson Architectura numismatica 44,
Cohen M6d. imp6r. I p. 193, 28 sgg. 35), mentre accanto al Bacco tanagreo
sulla moneta pubblicata neWArchaeol Zeitung 1883 p. 255 similmente si ve-
dono due Amorini sopra colonne. Due Vittorie con vari attributi e volanti
verso un centro comune havvi sopra vasi del secolo V, p. e. Zannoni Certosa
tav. XXVI (cf. Mus. Greg. II t. LX 3 a) e LIII e XI, 4 (cf. Mus. Greg. II t. XXII 2 a)
poi del secolo IV p.e. Stephani, Vasi d. Ermit. 1811, ove pure tali Amorini,
0 1813. Delle Nactu tqotkuocpöqoi che stavano agli angoli della camera sepol-
crale di Alessandro Magno (Diod. 18, 26) si trovano imitazioni nei monumenti
sepolcrali posteriori, ma piü frequenti vi sono Vittorie (ed Amorini) portanti
festoni. Altre, come quelle immolanti untoro, o danzanti accanto al Palladio o
quelle a guisa di Cariatidi della casa trasteverina nei Mon. ined. d. Inst. XII,
28, s'allontanano di piü dal nostro tipo. Molto analogo invece si e il frontone d
Titane (descritto da Pausania 2, 11,8, mal inteso dal Welcker^4^e Denkm.I
p. 4, 2) con Ercole nel mezzo e due Vittorie agli angoli, monumento che po-
trebbe restaurarsi combinando V Ercole del piccolo frontone tiburtino presso
Visconti Mus. Pio-Clem. IV, 43 con le Vittorie accanto alle archivolte principali
308 COMMODO E TRIRONI
nel clipeo, sempre ne risulterebbe un assieme poco soddisfacente.
Inoltre un tal collegamento, se mai vi fosse stato, avrebbe lasciato
qualche traccia di perni o cosa simile. La medesima difficoltä
esclude anche la. Corona, benche questa forse sia un po' meno im-
possibile; ma essa e aliena ai Tritoni dei sarcofaghi, come e alieno
anche il parapetasma.
D'altra parte perö quest' ultimo non solamente poteva bene
tenersi steso dietro il busto nelle raani alzate dei Tritoni, ma tro-
verebbe anche una certa analogia in altre scene marine.
I pittori e scultori antichi rappresentando veli e panneggia-
menti, sul principio non facevano che imitarli dal vero. Tali
imitazioni sono i manti gonfiati di figure correnti o volanti (cf.
le aurae velificantes) ed i veli sospesi nel fondo per indicare
Tinterno d'una casa, espediente assai commodo e molto usato
nei rilievi e nella pittura paretaria. Ma ciö che prima era stato
una parte dei vero imitato, a poco a poco divenne un mezzo
degli archi trionfali (cf. il frontone dei cenotafio di C. Calvenzio presso Niccolini
case di Pompei II, 1 ed il coperchio di sarcofago in forma di frontone presso
Gori Jnscr. III tav. XL VI). Queste ultime e poi quelle tenenti una tavola sul-
l'ingresso della colonna Traiana (Froehner pl. 3, 5, 6) mostrano giä in perfe-
zione il tipo dei sarcofaghi, al quäle somigliano anche quelle che s'incontrano
sulle monete imperiali da M. Aurelio in poi.
Per gli A m o r i n i basta richiamare alla memoria la figura di Venere con
due Amorini circumvolanti la testa, adoperata come manubrio di specchio
(Archaeol. Zeitung 1879 tav. 12, e p. 100 e collezione Aless. Castellani n. 265);
poi la medesima dea con quattro Amorini nel vaso di Hieron (Klein Vas. mit
Meistersign. Hieron n. 14): con due in un vaso dei secolo IV pubblicato dallo
Stephani C-R. 1861 tav. V, 1 e altri esempi presso Furtwängler Eros in d.
Vasenmal. p. 28 ; qaindi il bei vaso pubblicato dal Froehner les Musees de France
pl. 21, la quäle composizione, sia che si voglia spiegarla col Froehner Annali
1884 p. 214 sia col Robert Archaeolog. Märchen p. 179 e 198) giä molto s'av-
vicina al monumento Lateranense descritto p. 309.
Vi sono poi altre fantasie poetiche e rappresentanze artistiche non poche
affini in certo modo ai tipi in questione, come le ancelle di Efesto (S 417),
Ipno e Tanato portatori di Sarpedone ucciso, le Nuvole, se non sono Furie
assistenti alla punizione d'Issione Annali 1873 IK ed altre ; e se questi sono a
cosi dire rami laterali dei tipo nascente, non sono poche neanche le variazioni
dei tipo perfetto, come l'Europa e l'Asia della tavola Chigiana (Jahn Bilder-
chroniken p. 65 tav. VI) e molti rilievi di terracotta (Campana Op. in plast.
4, 20, 42, 50 sg).
COMMODO E TR1TONI 309
artistico non tanto per indicare la raossa o il locale, quanto per
dar un miglior rilievo alle figure. Nelle pitture poi un nuovo
effetto si ottenne mediante la parziale apertura del velo, in modo
che il contrasto della parte aperta e dell'altra velata caratteriz-
zasse le persone primarie e le secoudarie. Ed ove per qualche cir-
costaDza erano esclusi i veli sospesi, tal fondo si procurava ad
una figura facendo tenere steso sia ad essa sia ad una compagna
una parte del proprio vestimento ('). E di quest' ultimo genere di
velißcare e facile raccogliere gli esempi appunto nelle scene ma-
rine sia scolpite sia dipinte, ove le Nereidi assistite dagli Amo-
rini circonvolanti fanno gonfiare le loro vesti dietro la propria fi-
gura. Mancando perö al Commodo un vestimento a ciö adatto, e
siccome questo non si trova mai nelle mani dei Tritoni, cosi bisogna
rinunziare all'idea, che prima mi arrise non poco, di supplire cioe
il gruppo con un velo di bronzo dorato tenuto come fondo del
busto dai Tritoni.
Escluso dunque clipeo, conca, Corona, velo, altro non resta
che essere stato il busto afferrato direttamente dai Tritoni : compo-
sizione prescelta forse per il motivo che le esuvie del leone, di cui
va adorno X Hercules Commodianus, sembravano circondarne la testa
in modo da escludere qualunque altra incorniciatura. Ne mancano le
analogie. II Fellows ha disegnato il rilievo d'una porta sepolcrale,
ove due Vittorie volanti portano nelle mani un busto non incluso in
qualsiasi tondo (2). Nel museo del Laterano evvi un rilievo del
secolo I cristiano (Benndorf und Schoene n. 3), nel cui bei mezzo
si vede una grande testa di donna: gli omeri son toccati con
una mano da due Amorini volanti ai lati. Finalmente, per citare
anche un esempio del ciclo marino, su d'un sarcofago parigino
(Clarac pl. 224, 83) la figura di Venere senza l'accessorio della
conca viene portata da due Tritoni.
(!) Come il fondo parte velato parte aperto faccia risaltare il contrasto delle
figure, lo prova il quadro dellTfigenia Mon. ined. d. I. VIII t. 22 ; delle Peliadi
Arch. Zeitung 1874 1. 13; poi quelli della casa trasteverina Mon. ined. d. I. XII
t. 30 e 31, 2. Come esempi di veli che la figura fa dietro di se o dietro
quella d'un compagno cito, in scultura, una Nereide portata da Tritone nella
collezione A. Castellani n. 334, e la graziosa terracotta 669; fra le pitture
pompeiane Perseo ed Andromeda, un Satiro con Menade, Venere su Tritone alla
quäle gli Amorini rendono il medesimo servigio come alla figurina Castellani.
(2) An account of (Hscoveries in Lycia p. 224.
310 COMMODO E TRITONI
Dal disegno di F. Winter riprodotto in fronte a questo articolo si
vede che il gruppo talmente restituito (') entrerebbe benissimo in un
frontone. Fu restituito senza Nereidi, perche di queste nulla fu tro-
vato e perche, se fossero state aggiunte, i loro portatori come al
solito avrebbero rivolte le teste verso di esse. Ornamento di fron-
tone erano pure quel rilievo lateranense or ora descritto con testa
di donna e con due Amorini, l'Ercole fra le due Vittorie nel tempio
di Titane (y. l'annotazione 9), ed i due Tritoni tenenti un clipeo
con testa di Medusa in un sepolcro {Reisen in Lykien und Ku-
rien II p. 143). Finalmente il monumento della villa Torlonia
descritto da (Matz-) Duhn nel vol. III n. 3857 e per il globo
rappresentatovi con zodiaco e corni d'abbondanza paragonato dal
von Duhn al Cornmodo capitolino era anche esso un frontone di
edicola, ove il globo Celeste, coi simboli della fertilitä e con remo
da un lato e ruota (si ricordi il modo solito di rappresentare le
vie) dali'altro, sembra indicare l'universo.
Dimostrato cosi che i Tritoni e il Cornmodo uniti in un
gruppo trovano e l'uno e gli altri il supplemento di cui hanno
bisogno e danno un insieme analogo alle rappresen tanze summen-
tovate, non isfuggirä al lettore che siffatto insieme si raccomanda
non meno per l'idea che per la composizione, essendo cosi riunite
le tre parti dell'universo : il cielo indicato dal globo, il mare dai
Tritoni, e la terra dalle due figure amazzoniche. Imperocche per
spiegare queste ultime non basta ciö che ci racconta Lampridio
di Cornmodo chiamato Amazonius e del suo amore coneubinae sitae
Marciae, quam pictam in Amazone diligebat. In numero di due,
e genuflesse come sono con le loro bipenni, le credo personifica-
zioni di provincie (2), quali quelle di alcune monete imperiali o
C1) La grossezza del busto, di m. 0,40, supera un poco quella dei Tritoni,
e manifesto indizio dell'essere posto il busto innanzi a qualsiasi fondo mi pare
la clava molto corta e tagliata immediatamente dietro le spalle. I Tritoni
darebbero un raigliore effetto, se la loro parte umana si piegasse un poco indie-
tro. Siccome Centauri marini in tali composizioni sono piü comuni dei Tritoni
cosi per il ristauro si prescelse questa forma, piü adatta ancbe per lo spazio.
(2) V. P. Gardner Journal of hellen, studies IX p. 47 sgg. p. 66 parla
del carattere amazzonico di tali personificazioni d'origine asiatica. I rilievi
di piazza di Pietra v. Canina Eiruria marittima tav. III, Bull. d. com. com.
1878 p. 13 tav. II; cf. Matz Duhn III n. 3623 sgg.
COMMODO E TRITON! 311
quelle poste una volta al cosi detto teuipio di Nettuno, ora nel
palazzo dei Conservatori. Con i corni d'abbondanza, simboli della
ricchezza terrestre, tenuti con una mano, sono rappresentanti della
terra. Un tale insieme di terra, mare e cielo richiama alla me-
moria un altro genere di raffigurazione dell'universo : al disotto
cioe delle Vittorie e degli Amorini che nei sarcofaghi anzi mentovati
portano per l'aria — all'etere o al cielo secondo l'opinione vul-
gare espressa in tanti epigrammi sepolcrali — l'effigie del defunto,
non di rado si vedono recubanti le figure della Tellure e dell'O-
ceano (l). Perö queste ultime rappresentanze esprimono, o accennano
almeno, un' idea in certo modo poetica, l'idea del trasporto e dell'e-
levazione dell'anima dalla scena terrestre alle sfere celesti, mentre
per l'effigie di Commodo deiticato e trasportato dai demoni marini
l'aggiunta del globo Celeste e delle rappresentanti deWorbis tcr-
rarum non e che un ornamento puramente simbolico.
E. Petersen.
(i) P. e. Matz-Duhn I n. 2458 sgg., 2477, 2481, 2488 sg. 2491 sgg.
MISCELLANEA EPIGRAFICA
(da lettera di T. Mommsen a C. Hülsen ; cfr. Bull. p. 222).
La bella ed utile dimosfcrazione, che i servi ed i liberti im-
periali hanno cessato di essere binomi all'epoca di Traiano, trova
conferma anche nella letteratura antica. Scrive cioe il biografo
di Adriano c. 21: libertos suos nee sciri voluit in publico ;
vediamo ora, che a tale scopo egli proibi il secondo cognome,
che fin sotto Traiano distinse gli uomini appartenenti alla casa
imperiale dai servitori dei privati. Questa misura faceva parte senza
dubbio deirordinamento generale degli uffizi del palazzo, di cui ci
ragguaglia la cosi detta Epitome di Vittore c. 14 : officio, publica
et palatina . . . in eam formam statuit, quae paucis per Conslan-
tinum immutatis hodie perseverant.
Permettete ch'io aggiunga un'altra osservazione, pure epigrafica.
E venuta fuori ultimamente dal eimitero di Concordia la lapide
greca di un tal Aurelio Marciano, Siriano anch'egli come gli
altri Greci trovati costi : xoö/j,rjg Q>igüqov oq{wv) ^Avxioieoa\\ con la
data ETOYC B fl Y , vale a dire dell'anno 482. II mio ottimo
amico, ed anni fa guida e maestro fra quelle paludi piene delle
memorie dell'epoca Attilana, stampandola nelle Notizie degli seavi
1887 p. 305, ben si avvide, che 1'era a cui appartiene non puö
essere quella degli altri marmi di que' Siriani, cioe la seleucidiana,
di cui l'anno 482 corrisponde al 170 dell'era nostra. Perciö ha voluto
risuscitare un computo proposto anni fa daH'Usener, perö basato sopra
una lezione oggi riconosciuta erronea dalla lapide C. I. L. V, 8731,
e cosi e arrivato a collocare la pietra nuova nell'anno 482 del-
l'era siriaca cesariana, ossia dopo Cristo 434: perö confessa egli stesso
ingenuamente, che quella epoca e troppo bassa, poiehe tutte le altre
MISCELLANEA EPIGRAFICA 313
memorie non oltrepassano il principio del secolo quinto. La soluzione
peraltro e semplice. Le cittä della Siria e specialmente Apamea
si servivano dell'era de' Seleucidi; ma questo Marciano essendo An-
tiocheno (non rnilite giä come pensa il Bertolini, ma senza meno
negoziante) bisogna attenersi all'era antiochena usata in que' tempi.
Ora Euagrio scrittore del secolo sesto 2, 12 adopera per la data
del famoso tremuoto antiocheno l'era pompeiana principiante dal 64
prima di Cristo; avremo cosi l'anno 418 ben adatto alle altre me-
morie concordiesi.
T. MOMMSEN.
SITZUNGSPROTOCOLLE
Pestsitzung am 7. December zur Geburtstagsfeier Winckel-
manns : nachdem der Vorsitzende in einleitenden Worten den durch
so rasch erfolgten abermaligen Regierungswechsel im Deutschen
Reiche erweckten Empfindungen und besonders auch der Freude
über die Reise S. Majestät Kaiser Wilhelms II nach Italien Aus-
druck gegeben, sprach G. B. de Rossi über die porticus trium-
phales. — Petersen : über verschiedene Arten der Polychromie an
römischen Sculpturen (Mitth. später.).
De ROSSI : II tema del discorso fu la mutila epigrafe in belli caratteri
del secolo primo imperiale, edita dal prof. de Petra nelle Notizie degli scavi
ecc. (Giugno 1887 p. 241) trovata in Baia. La quäle dal disserente fu confron-
tata con la simile iscrizione romana d'un porticus triumphi (qui) itu et reditu
octies semis ejjßcit passus oo , (Orelli-Henzen 6600) ; con l'aiuto di si luminoso
confronto fu supplita cosi:
PORTICVS • TRlumphi
LONG • EFFIC • ?Ed. dlvi
ITVM-ET-RED-PEd. oo cxn
PASS • CCXXII • semis
QV I N QV I E S • ITum. et. red.
E F F I C I T • Vkssus
00 CXII
Dopo allegati gli esempi delle siraili assai rare iscrizioni e graffiti com-
putanti i passi e la lunghezza di viali e passeggi itu et reditu una e piü volte,
dimoströ che il porticus triumphi di Baia fu imitazione o reminiscenza d'uno
del medesimo nome in Roma, fino ad ora ignoto ai topografi. Ne determinö
il sito presso la porta trionfale circa il campo Flaminio e la Villa pubblica;
cd opino, che quel portico divenuto prototipo di sontuosi passeggi di ville
pubbliche o private fuori di Roma fino dal secolo primo deH'impero, sia stato
parte delle magnifiche fabbriche erette da Agrippa nelle Saepta e nel Campo
Marzio, a compimento dei disegni di Cesare, dei quali Cicerone scrisse : rem
gloriosissimam faciemus in Campo Martio ; saepta . . . marmorea sumus et
SITZUNGSPROTOCOLLE 315
tecta facturi, eaque cingemus excelsa porticu, ut mille passuum conficiatur
(Ad Att. IV, 16, 14).
Zum Winckelmannstage wurde ernannt:
a zum Ehrenmitgliede'
Herr Marco Freiherr von Morpurgo in Triest,
b zum Correspondenten
Herr Enrique Claudio Girbal zu Gerona (Spanien.).
Sitzung am 14. December : Mau : über pompeianische Wahl-
programme. — Hülsen über ein Kelief von Terracina.
HüELSEN : Neirandrone del palazzo Antonelli a Terracina e raurato im
piccolo bassorilievo, che pochi anni fa dall'illustre possessore Sig. conte Ago-
stino Antonelli fu ricuperato in una casa privata della citta, ove serviva per
316 SITZUNGSPROTOCOLLE
materiale da costruzione. II rilievo alto m. 0,18 e lato 0,19, scoipito in pietra
calcarea locale, con figure di poco risalto e di esecuzione molto mediocre, e
diviso in due strisce : sul quadro principale si vedono in alto tre teste, quella
a destra ed a sinistra con una Corona di raggi, la media con una mezza luna
al collo. Sotto esse, nel mezzo, sopra un tavolino a tre piedi, sta un idolo poco
riconoscibile, ai cui lati si vedono due giovinotti a cavallo vestiti di clamide
svolazzante, con la beretta frigia in testa. Sotto i piedi dei cavalli vi sono
due uomini sdraiati per terra; due grandi serpenti si ergono dietro le spalle
dei due cavalieri. Nella striscia inferiore e rappresertata un'ara, alla quäle
s'avvicinano una pecora ed un gallo.
ßappresentanze simili si trovano nelle collezioni glittiche. Quelle pub-
blicate generalmente si nascondono sotto l'immensa farragine degli Abraxas;
somiglianti sono p. es. una pietra giä dei gabinetto Praun (King ancient Geras
aud rings tav. 9 n. 5), un'altra pubblicata dal Macario (Abraxas tav. XV n. 62),
una terza dei Museo Odescalchi (M. 0. II tav. 31). Una quarta trovata ad
Aleppo e giä posseduta da Mr. Rousseau mostra sul rovescio un leone con la
parola mistica :hayat (Lajard recherches sur le culte de Venus tav. XIV G
n. 3). A questi aggiungo un cammeo inedito gentilmente indicatomi dall'amico
dott. Dressel, che lo possiede. Esso da un lato mostra una scena simile alla
nostra (senonche i due cavalieri hanno dietro di loro due uomini in piedi, e
che i simboli sulla striscia inferiore sono poco riconoscibili), dall'altro lato
un animale di bruttissima fattura con la leggenda aggiunta AetWN. Un'im-
pronta della collezione Cades (vol. 22) mostra pure i due cavalieri con stelle
sopra le teste, ma fra essi, invece deiridolo, un enorme serpente coronato da
una luna, e nella striscia inferiore fra altri simboli un arco ed un uccello. Che
sifatti monumenti appartengano a qualche culto mistico, pare fuori di dubbio :
alcuni particolari ricordano i misteri di Mitra, p. es. sul rilievo di Terracina
le divinitä solare e lunare che appariscono in alto, il gallo, animale sacro al Dio
Persiano, e la pecora, vittima nel sacrificio dei criobolium. II lione sul rovescio
della gemma Dresseliana potrebbe bene alludere al grado quarto degli iniziati
dei misteri Mitriaci. Cosi pure un cammeo dei museo di Firenze (Lajard culte
de Mithra tav. CII n. 7) mostra, da un lato, il leone fra le sette stelle, e dal-
l'altro il solito tipo dei sacrificio Mitriaco. E giova ricordare Topinione dei
Lajard (culte de Mithra p. 197) che in questi misteri ad ogni grado, l'iniziato
invece di un diploma scritto , ricevesse un piccolo monumento portatile con
rappresentazione alludente al grado ottenuto. Un costume simile perö poteva
ben osservarsi anche in altri culti mistici delFepoca Romana: ed il rilievo di
Terracina si discosta troppo dal consueto tipo dei Mitriaci. Vi manca tutto
ciö che si riferisce al sacrifizio dei toro, e sono invece le figure principali quei
due giovani cavalcanti sopra uomini sdraiati per terra. Figure simili si tro-
vano in un'impronta antica di vetro dei museo di Berlino (}). II Gerhard che
(*) L'impronta pubblicata dal Gerhard e passata nelia collezione di Ber-
lino dal museo Stoschiano. Ora, una corniola con rapprentazione identica, pos-
seduta nel secolo XVI dall'arciduca Leopoldo Guglielmo e pubblicata dal Ma-
SITZUXGSPROTOCOLLE 317
l'ha pubblicato neWArchaeol. Zeitung (VII p. 60 tav. VI, 9), lo riferisce al
culto dei Cabiri: congettura degnissima di attenzione. In ogni caso avremo
a fare con un culto di origine provinciale, di cui flnora in Italia non abbiamo
altro monumento scultorio che il rilievo di Terracina (*).
Sitzung am 21. December: Ficker legt Photographien nach
Zeichnungen eines codex Escorialensis vor.
Dei disegni del codice Escorialense — — II — 7 sui quali il eh. Iusti
e
richiamo l'attenzione, dando le sue notizie relative a Eugene Muntz (Anti-
quite's de la ville de Rome au XIV, XV et XVI siecles, p. 157-161, Revue
arche'ol. 1887 T. I p. 175-179), due si videro a Roma l'anno passato in ri-
produzioni fotografiche. Furono cioe presentate dal eh. Muntz airAccademia
dei Lincei una veduta di Roma ed una del Foro romano (Atti della R. A. dei
Lincei, Rendiconti 1888, vol. IV, 1° sem., p. 71-73), e di questa ultima ra-
gionö anche il comm. de Rossi in un'adunanza di questo Instituto (Bull. 1888
p. 94 seg.). L'illustre francese osservando che uno dei disegni (39 v.) contiene,
inscritta in uno seudo, fra decorazioni grottesche, la nota
Roma
Mcccclxxx
XI
e che nella veduta f VII v. e f. VIII si vede conservata la Meta Romuli o
Sepulchrum Scipionum presso il Castel S. Angelo, monumento distrutto
nel 1499, flssa l'origine dei disegni nell'ultimo decennio del quattrocento.
Ma oltre che di molti disegni, p. es, di quelli detti di fra Giocondo, e
incerta l'attribuzione e che altri come piante prospettiche riprodueono un tipo
cario (Abraxas tav. XI n. 45), si trova nel museo imperiale di Vienna (Sacken
e Kenner n. 167). Una impronta favoritami dal eh. dott. R. v. Schneider mostra
che ambedue siano uguali fino alle lesioni della parte sinistra, di modo che
forse l'impronta di Berlino potrebbe essere un'imitazione moderna.
(!) Alla gentilezza del eh. dott. Robert v. Schneider di Vienna, il quäle
teste (Archaeologisck-epigraphiscke Mittheilungen aus OesterreichXI p. 14. 15)
ha pubblicato due rilievi trovati a Carnuntum, con rappresentazioni analoghe,
debbo la communieazione di una lunga serie di monumenti dello stesso genere.
.Essi sono conservati nei musei di Pest, di Bucarest ed in parecchie collezioni
private delle provincie Danubiane. Di quattro che furono ritrovati a Thorda, l'an-
tica Potaissa. si ha una succinta descrizione nel libro del Neigebaur (Dacien
p. 208 n. 44-57): una laminetta di bronzo trovata a Virunum e pubblicata dal
Pichler (Virunum. Atlante tav. 2a). La loro origine locale ci accerta che il
culto al quäle si riferiscono sia di origine Dacica. Non mancano elementi
simili in monumenti di altre collezioni ; si veda il rilievo di Berlino pubbli-
cato dal Gerhard, Archaeol. Zeitung 1859 tav. 65, a cui rassomiglia di molto
un'altro conservato in Inghilterra a Deepdene, come osserva il eh. Michaelis
(Ancient Marlies in Great Britain p. 292 n. 42). Siccome possiamo sperare
che questi monumenti vengano raecolti e commentati in qualche pubblicazione
speciale, cosi per ora mi astengo da ulteriori ricerche.
318 SITZÜNGSPROTOCOLLE
tradizionale, essi la maggior parte son fatti piuttosto in modo significativo
sono studi ossia vedute delineate con piü o meno di fantasia artistica. Piü
numerosi poi delle vedute sono i dettagli misurati e le ricostruzioni architet-
toniche. L'anonimo escorialense con le sue vedute prese dal vero, con la sua
maniera un poco secca ma esatta piü che ad altri rassomiglia a Martino
Heemskerk, il quäle perö disegnava a Koma non prima dcl 1520, in parte
contemporaneamente col pittore Francesco d'Olanda. Non sembra abbastanza
noto, che quest'ultimo, oltre a statue ed allegorie, ha lasciato nel suo libro
di disegni, conservato nella Biblioteca dell'Escoriale, anche schizzi di monu-
menti antichi, dei quali son degni di attenzione i seguenti : (cf. D. Francisco
Maria Tubino, El renacimento pictörico en Portugal ä propösito del libro
de dibujos del pintor Lusitano Francisco de Holanda que se conserva ine-
dito en la biblioteca del monasterio de S. Lorenzo del Escorial, Museo
espanol de antig üedades, T. VI, 1876, p. 493 segg., p. 515 segg.):
f. 13 d. e 14 Affreschi del palazzo di Nerone;
f. 19 d. Circo romano ;
f. 23 Rovine di S. Gregorio, Settizonio, Sepulcro dell'imperatore Severo;
f. 24 d. Rovine del Foro;
f. 41 d. Tempio romano;
f. 48 Tetto della casa aurea di Nerone.
L'anonimo escorialense, piü di 40 anni prima, disegnö la Roma di Ales-
sandro VI e dei primi tempi di Bramante, con edifizi siraili al palazzo di
Venezia. In vedute, prese da punti diversi, ci si presenta quasi un panorama
della cittä. 1 (f. VII v. VLTI: «palazzo papale »): da un punto dietro la
porta di S. Angelo; comprende la parte da S. Agostino fino al palazzo Vati-
cano; 2 (f. 44 B v. : « ueduta di monte auentino »): dalla torre del Campi-
doglio fino al campanile di S. Agostino ; vi si vede M. Caprino, il palazzo di
Venezia, le terme di Costantino, il Pantheon, i ruderi del ponte Sublicio;
rassomiglia allo schizzo del Sangallo nel cod. Barberin. XLIX 33 ; 3 (f. 34 v.:
«ponte giudeo »): ponte Quattrocapi, l'isola tiberina col palazzo Caetani (giä
della contessa Matilda), in fondo S. Maria in Cosmedin ; 4 (f. 29 v. u ueduta
dora celi »): foro di Nerva con la Torre de1 Conti, accanto grandi ruderi delle
Terme di Tito, Colosseo.
Fra i disegni spettanti alle rovine antiche fu giä trattata la veduta del
Foro; (f. 9 sopra l'arco di Settimio si legge: lutjo settjmeo seuero); mostra
con maggiore esattezza gli stessi monumenti delle stampe del Cinquecento, e
specialmente queiredifizio con avanzo di un arco presso il tempio di Faustina,
ancora esistente sull'incisione dello Scamozzi (Antichitä tav. II). A quel mo-
numento che si vede sotto l'arco di Settimio sembra riferirsi anche il disegno
f. 14 v. « achanto a santo Adrjano » : intercolunnio con porta, fiancheggiato
da due colonne doriche-romane, architrave, fregio con triglifi, bucrani e pa-
tere, cornicione sormontato dal basamento di un altro piano: edifizio dise-
gnato tante volte da pittori ed architetti (Monum. dell'Inst. XI tav. XI, XII)
il nostro artista che ne vide ancora in piedi gli avanzi, va d'accordo con
Francesco di Giorgio. Ne risulta, cosi pare, che il disegno del Sangallo giä
SITZÜNGSPROTOCOLLE 319
presenta una ricostruzione deiredifizio. Nulla dunque ci obbliga di ricostrnirlo
con tre sole porte anziehe con cinque o piü,ne si puö, per conseguenza, obiet-
tare le dimensioni troppo piecole a chi vuol riconoscervi la Basilica Emilia-
F. 18 v. « antonino e faustina » mostra il lato E del tempio, la cui
parte posteriore, ove nel 1602 si edificö la chiesa di S. Lorenzo in Miranda,
e vuota, mentre nella parte anteriore si vedono le fabbriche distinte nei pre-
parativi per l'entrata di Carlo V. Nel fondo son visibili i ruderi del Foro di
Nerva, con una chiesa oggi svanita, tutto circondato da boschi, come lo de.
scrive anche il Martinelli (Roma ricercata p. 93 : essendovi ancora molti horti)-
e ciö dimostra anche il dettaglio dello stesso Foro (f. 45 v.), preso dalla parte
meridionale. Del tempio di Minerva com'anche del muro di recinto era con-
servato ai tempi dell'anonimo piü che ai tempi di Kock. Come qui i ruderi
rimasero fino a Gregorio XIII, cosi fino a questo stesso papa si vedevano le
antiche decorazioni anche nel castel S. Angelo rappresentato sul f. 19 (« Cha-
stello santagniolo » : cf. f. 15 veduta di fiume e i dettagli f. 14 e 27, e uno
schizzo simile nel cod. di Sangallo Barb. XLIX, 33 f. 35), Tantico recinto
quadrato « un avanzo dell'antica parete di marmo, nella quäle un gran pezzo
di fregio con le teste di bue et festoni col suo architrave » (Gamucci, Anti-
chitä p. 180), tutto ciö si vede nel disegno preso dalla parte del Borgo. Piü
in fondo la Porta Petri, accanto una parete con l'arme di Nicoiao V. Rappre-
senta l'artista la fortezza prima delle fortifieazioni di Paolo III, quäle era
sotto Alessandro VI, il quäle la circondö di fosse e costrui un altro adito al
ponte. All'epoca stessa di queste costruzioni pare appartenga il disegno in
cui si vede innanzi uno sterramento; allo stesso tempo spettano anche l'adito
alla mole rotonda e il corridoio. Fra i dettagli architettonici e rimarchevole
il sepolcro di Bibulo (f. 37 : « sepultura apresso a sanmarcho du consolo ro-
mano »), col fregio piü esatto che nel libro del Bramantino. Evvi inoltre
parte della decorazione di una parete, fiancheggiata da un pilastro e divisa
da altri piü piecoli, al di sopra dei quali stendesi una stretta striscia con
l'indicazione : di pietre di pocho rilieuo; quindi un fregio ornamentato, e
sopra questo un altro vuoto, ma con la nota: Lettere. In eima comincia un
arco con una ghirlanda di fiori e frutta, e appie della tavola e disegnato un
assaggio di un'altra ghirlanda simile: « di musaico in fönte ». L'indicazione
principale deH'oggetto si vede a sinistra: « di musaico nella turpea». Ne
della indieazione topograflea « turpea » che si ripete nel t". 27 sopra un sar-
cofago, ne della architettura rappresentata nulla per ora puö dirsi di sicuro.
INHALT
A. Barbini, Scavi di Grosseto p. 156-158.
F. Barnabei, Di alcune iscrizioni del territorio di Hairia nel
Piceno scoperte in monte Giove nel eomune di Cermi-
gnano p. 3-13.
F. Düemmler, Vasenscherben aus Kyme in Aeolis (tav. VI)
p. 160-180.
P. Hartwig, Nereide im Valican (tav. II) p. 69-75.
H. Heydemann, Osservazioni sulla morte di Priarno e di Astia-
natte(tav. III) p. 101-112.
Ch. Huelsen, Miscellanea epigraßca p. 84-92.
» » Osservasioni sull'architettura del tempio di Giove capitolino
(tav. V) p. 150-155.
» •» II sito e le iscrizioni della Schola Xantha sul Foro
romano (tav. VIII) p. 208-232.
G. Jatta, La gara di Tamiri con le Muse (tav. IX) p. 239-253.
A. Mau, Scavi di Pompei (tav. VII) p. 120-149 e p. 181-207.
■ ■ La basilica di Pompei p. 14-46.
A. Michaelis, Le antichitä della cittä di Roma descritte da
Nicoiao Muffel p. 254-276.
T. Mommsen, Tre iscrizioni puteolane p. 76-83.
" » Miscellanea epigraßca p. 312.
E. Petersen, Das Theater von Tauromenion p. 234-236.
» " Commodo e Tritoni p. 303-311.
0. Rossbach, Teller des Sikanos (tav. I) p. 61-67.
F. Rüehl, Rappresentazione di un dolmen in pittura di Pompei
p. 237-238.
J. Six, Kleophrades Sohn des Amasis p. 233-234.
F. Stüdniczka, Die archaische Artemisstatuette aus Pompeii
(tav. X) p. 277-302.
P. Wolters, Das Chalcidicum der pompe janischen Basilica
p. 47-60.
» ■ Beiträge zur griechischen Ikonographie (tav. IV) p. 113-119.
Sitzüngsprotocolle, p. 93-100; 314-319.
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