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Full text of "Mitteilungen des Kaiserlich Deutschen Archaeologischen Instituts, Roemische Abtheilung = Bullettino dell'Imperiale instituto archeologico germanico, sezione romana"

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THE  EISENHOWER  LIBRARY 


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EX  LIBRIS 


CAROLI  WALDSTEIN. 


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JOHNS    HOPKINS    UNIVERSITY 


PRESENTED  BY 


Lady  Vifalston 


MITTHEILUNGEN 

DES     KAISEELICH     DEUTSCHEN 

ARCHAEOLOGISCHEN  INSTITUTS 

ROEMISCHE    ABTHEILUNG 
Band    III. 


BULLETTINO 

DELL' IMPERIALE 

ISTITÜTO  ARCHEOLOGICO  MlANICO 

SEZIONE   ROMANA 
Vol.  III. 


ROM 
VERLAG  VON  LOESCHER  &  C.° 

1888 


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DI  ALGUNE  ISCRIZIONI 
DEL  TERRITORIO  DI  HADRIA  NEL  PICENO 

SCOPERTE   IN   MONTE   GIOVE,   NEL   GOMUNE   DI   CERMIGNANO. 

Discorso  del  prof.  F.  Barnabei 
letto  nella  solenne  adunanza  del  9  dicembre  1887. 


Signori, 

Se  modestissimo  e  il  tributo  che  io  posso  apportare  alla  cele- 
brazione  della  festa  odierna,  confido  che  per  la  solita  bontä  vostra 
non  vorrete  rifiutarlo;  tanto  piü  che  sapete  oramai  per  lunga 
prova,  come  talvolta  inaspettata  luce  si  diffonda  anche  nella  discus- 
sione  di  argomenti  minori,  nel  quäl  numero  e  da  ascrivere  il  tema, 
intorno  a  cui  mi  e  ora  concesso  di  intrattenervi. 

Esso  ci  riconduce  al  territorio  di  ffadria,  nella  parte  ineri- 
dionale  ed  ultima  del  Piceno,  e  ad  una  cittä  che  ha  comune  con 
poche  il  vanto  di  antichissimi  ricordi  nella  storia  della  penisola. 
Sopra  i  quali  per  altro  non  e  mio  proposito  di  fermarmi,  quantunque 
un  certo  amore  del  natio  loco  mi  spinga  a  profittare  della  indul- 
genza  vostra,  per  discutere  sugli  argomenti  che  farebbero  forse 
restituire  a  questa  del  Piceno  alcune  delle  tradizioni  che  all'omo- 
nima  cittä  veneta  si  vollero  assegnare. 

Ma  lascio  da  parte  il  campo  delle  controversie ;  e  mi  limito 
solo  a  ricordare  come  ffadria  fosse  divenuta  colonia  latina  nell'etä 
stessa  in  cui  furono  dedotte  le  colonie  di  Castrum  Novum  e  di 
Sena  Gallica,  cioe  nel  tempo  in  cui  i  Romani  incominciarono  ad 
estendere  la  potenza  loro  sull'Adriatico,  tra  il  464  ed  il  468  di 
Roma  (Liv.  ffp.  11);'  e  fosse  stata  poi  nel  numero  delle  cittä  che 


4  DI   ALCUNE   ISCRIZIONI 

si  mantennero  fedeli  a  Koma  durante  la  guerra  annibalica  (Liv. 
27,  10,  7),  nel  quäle  periodo  ebbe  Iladria  la  monetazione  propria 
(C.  /.  L.  I,  6;  cfr.  Mommsen  Rom.  Münzw.  p.  183,  195,  247,  291, 
314;  Garrucci  Mon.  d  It.  1,  p.  32,  tav.  LXI). 

Ricorderö  pure  che  in  seguito,  probabilmente  al  tempo  della 
guerra  sociale,  ottenne  la  cittadinanza  romana,  e  divenne  poi  colonia 
civium  romanorum  (Plin.  h.  n.  3,  13,  110),  colonia  che,  stando 
alle  fonti  epigrafiche  (C.  I.  L.  IX,  n.  5020)  sarebbesi  denominata 
Veneria,  senza  che  siasi  potuto  finora  determinare  in  quäle  anno 
preciso  e  da  chi  fosse  stata  dedotta,  quantunqne  e  la  testimonianza 
di  Plinio  ed  il  nome  desunto  dalla  divinitä  inducano  a  respingere 
la  credenza  che  la  deduzione  fosse  avvenuta  dopo  Augusto  {CLL. 
IX,  p.  480 ;  cfr.  dello  stesso  Mommsen  Die  italischen  Bitrgerco- 
lonien  von  Sulla  bis  Vespasian  in  Hermes  XVIII,  p.  194). 

Lascio  pure  da  banda  le  molte  controversie  intorno  alla  esten- 
sione  del  territorio  degli  Hadriani,  controversie  originate  princi- 
palmente  dal  modo  vario  e  confuso,  secondo  cui  nelle  denomi- 
nazioni  attuali  dei  fiumi,  si  vollero  riconoscere  i  nomi  coi  quali 
i  fiumi  stessi  vennero  indicati  negli  autori   e  negli   itinerarii  (l). 

E  mi  basti  qui  accennare  che  questo  territorio  fu  delimitato 
a  sud  dal  fiume  Saline,  e  dal  corso  del  Fino,  che  perde  nel  Sa- 


(')  Fu  ritenuto,  c  giustamente  che  il  conflne  meridionale  dell'agro  adriano, 
fosse  determinato  dal  Saline ;  e  che  questo  fiume  fosse  il  Matrinus  di  Strabone 
(C.  I.  L.  IX,  p.  480);  mentre  nella  carta  topografica  annessa  al  citato  volume 
del  Corpus  (tav.  IV),  il  nome  di  Matrinus  fu  attribuito  al  Piomba.  Fu  pure 
ritenuto  che  il  Matrinus  di  Strabone  (5,  4,  2,  p.  241)  avesse  indicato  anche 
l'emporio  degli  Hadriani  {iniveiov  rijg  'J&Qiag),  emporio  che  per  facile  muta- 
zione  sarebbe  stato  chiamato  Macrinus  nella  carta  Peutingeriana  (C.  I.  L.  ib.) ; 
mentre  poi  nella  stessa  topografia,  annessa  al  vol.  IX  del  Corpus,  questo  nome 
di  Macrinus  e  dato  al  piecolo  fiume  Gallo,  che  sbocca  presso  Silvi. 

Se  il  Vomano  ebbe  in  antico  il  nome  odierno,  come  dovrebbe  ritenersi 
sulla  testimonianza  di  Silio  Italico  (8,  439),  il  quäle  per  altro  usö  troppo  ardita 
fräse  dicendo  humeetata  Vomano  ffadria,  mentre  il  Vomano  e  ad  aleuni  chilo- 
metri  in  linea  retta  a  nord  della  citta,  dovremmo  ricercare  il  Macrinus  o 
Matrinus  nei  fiumi  tra  il  Vomano  e  TAterno  ;  e  se  il  nome  Salinis  dell'  Iti- 
nerario  Eavennate  ci  deve  far  ritenere  che  anche  il  fiume  Saline  avesse 
avuto  in  antico  il  nome  odierno,  allora  attribuendo  il  nome  di  Matrinus  al 
Piomba,  od  al  corso  inferiore  del  Piomba  non  ci  troveremmo  con  la  indica- 
zione   delle  distanze  segnate  negli  itinerarii. 


ÜEL    TERRIT0R10    DI    HADRIA   NEL    PICENO  5 

line  le  acque  ed  il  nome  (*);  a  sud-ovest  dal  riparo  insormonta- 
bile  degli  Appennini;  a  nord  dal  corso  del  Vomano,  verso  le  terre 
degli  Interamnati. 


i  \  \ 


Nel  quäle  vasto  tratto  di  paese,  messe  da  parte  le  lapidi  che 
restitui  il  suolo  della  cittä  di  Iladria,  scarsissime  furono  le  raemorie 
epigrafiche  finora  scoperte,  e  scarsa  quindi  e  la  notizia  che  ne  pos- 
siarao  desumere  intorno  ai  vici,  ai  pagi  ed  ai  centri  minori  della 
colonia. 


0)  II  corso  del  Saline  e  formato  dal  Fino  e  dal  Tavo;  il  primo  sorge 
sotto  la  montagna  di  Siella  alta  2033  metri  nella  catena  del  Gran  Sasso,  e 
scendendo  verso  il  nord  si  volge  sotto  Bisenti,  ripiegando  poi  a  sud-ovest  per 
riunirsi  al  Tavo  sotto  il  paese  di  Cappelle,  e  formare  col  Tavo  il  fiume  Saline. 
II  Tavo  alla  sua  volta  scendendo  dal  Monte  s.  Vito,  passa  sotto  Farindola, 
e  quindi  al  di  sotto  di  Penne,  attraversando  la  parte  piü  settentrionale  del 
territorio  dei  Vestini  nel  versante  adriatico. 


6  DI    ALCÜNE    ISCRIZIONI 

Parrebbe,  stando  all'esame  del  materiale  raccolto  nel  vol.  IX 
del  Corpus  (p.  480),  che  i  luoghi  di  questi  centri  minori  si  doves- 
sero  riconoscere  nei  paesi  s.  Giacomo  e  Pianella  (sie)  per  la  parte 
prossima  ad  Atri ;  ed  in  Castelli,  Ornano,  e  Basciano  per  la  parte 
interna  del  territorio.  Ma  se  le  lapidi  che  furono  attribuite  a 
s.  Giacomo  (n.  5023,  5036)  possono  darci  qualche  indizio  che  quivi 
fosse  stato  un  pago  od  un  vico  dell'agro  adriano,  nessun  rapporto 
coll'agro  stesso  puö  avere  la  lapide  scoperta  in  contrada  s.  Desi- 
derio  nel  tenimento  di  Pianella  (n.  5033 ;  cfr.  Minervini  Bull.  nap. 
N.  S.  6  p.  96),  essendo  manifesto  che  il  territorio  di  Pianella,  che 
si  stende  a  mezzogiorno  del  fiume  Tavo,  e  quindi  molto  piü  al 
di  sotto  di  Pinna  Vestinorum,  appartiene  ai  Vestini  nella  Regione  IV, 
e  non  alle  terre  degli  Hadriani  nella  Regione  V,  come  erronea- 
mente  fu  stabilito. 

Per  la  parte  interna  poi,  sei  lapidi  soltanto  finora  si  conoscono. 
Una  fu  da  me  ritrovata  presso  la  mia  patria  Castelli,  tra  le  macerie 
di  una  casa  colonica  (C.  I.  L.  IX,  n.  5046,  cfr.  p.  698) ;  un'altra  esiste 
in  Ornano,  a  poca  distanza  da  Tossicia  (n.  5048) ;  tre  altre  furono 
attribuite  al  paese  di  Basciano  (n.  5047,  5050,  5051);  una  final- 
mente  fu  edita  dal  Garrucci  (n.  5049,  cfr.  Sylloge  n.  2008)  con 
la  vaga  indieazione  che  fu  rinvenuta  inier  Pinnam  et  Inleramnam 
Praetuttiorum.  E  se  la  lapide  di  Castelli  e  piü  ancora  quella  di 
Ornano  ci  indicano  i  siti  di  due  pagi  o  vici,  niun  lume  di  topo- 
grafia  ci  darebbe  la  lapide  del  Garrucci,  ignorandosi  perfino  se  alla 
Regione  V,  od  alla  IV  si  debba  essa  attribuire ;  perocebe  il  tratto 
di  paese  tra  Penne  e  Teramo,  in  cui  ci  si  dice  che  fu  scoperta, 
comprende  non  solo  le  terre  degli  Interamnati  e  degli  Hadriani, 
nella  zona  piü  meridionale  del  Piceno,  ma  anche  le  terre  dei  Vestini 
assegnate  alla  Regione  del  Sannio  e  della  Sabina. 

Per  le  lapidi  di  Basciano  poi,  la  prima  di  esse  (n.  5047)  vi 
fu  ricercata  indarno  dal  Dressel;  e  le  altre  due  bi  sa  che  erano 
conservate  nella  casa  del  medico  Lombardi,  che  raccoglieva  le 
antichitä  da  vari  luoghi  della  provincia;  per  cui  nessuna  guida 
sicura  per  la  topogratia  se  ne  potrebbe  desumere ;  quantunque  non 
sia  senza  importanza  il  ricordare,  che  secondo  aleuni  provengono 
queste  due  ultime  dalla  contrada  s.  Giacomo,  al  di  sotto  dell'abi- 
tato  stesso  di  Basciano,  non  lungi  dal  Vomano,  e  dal  sito  denomi- 
nato  piani  della  Saiara  per  l'antica  strada,  della  quäle  poi  diremo ; 


DEL    TERRITORIO    DI    HADRIA    NEL    PICENO  7 

la  quäle  indicazione  accennerebbe  senza  dubbio  ad  un  pago,  che  in 
quella  vicinanza  sia  da  ricercare. 

In  mezzo  a  tanta  scarsitä  di  notizie,  ed  in  tanta  incertezza 
di  cose,  acquistano  pregio  non  lieve  per  l'antica  topografia  alcune 
nuove  lapidi  che  non  lungi  da  Basciano,  nel  comune  di  Cermi- 
gnano  ebbi  la  fortnna  di  seoprire,  e  che  ora  per  la  prima  volta 
sono  presentate  ai  dotti. 

Provengono  da  Monte  Giove,  colle  che  sorge  sopra  Cermignano 
a  748  metri  sul  livello  del  mare,  e  donde  si  domina  grandissimo 
tratto  di  paese,  dalla  catena  del  Gran  Sasso  al  mare,  e  da  Atri 
alle  roccie  di  Civitella  ed  alle  colline  che  dominano  la  sponda 
destra  del  Tronto.  Ai  piedi  di  questa  altura,  che  vince  tutte  le 
altre  colline  fra  le  montagne  e  l'Adriatico,  nasce  il  fiume  Piomba, 
di  cui  puö  seguirsi  coll'occhio  tutto  il  corso,  come  nell'altra  valle 
si  puö  seguire  con  lo  sguardo  il  corso  del  Vomano. 

II  primo  di  questi  nuovi  titoli  fu  da  me  letto  in  una  delle 
case  coloniche  denominate  Sapatelli  di  sopra,  presso  Monte  Giove. 
E.a  adoperato  come  stipite  in  un  focolare,  ma  sapevano  i  contadini 
che  era  stato  tolto  dalla  prossima  altura.  E  inciso  in  un  rettangolo 
di  calcare  compatto,  un  poco  guasto  per  l'uso  a  cui  fu  destinato,  e 
maggiormente  offeso  per  l'azione  del  fuoco  a  cui  lungamente  fu  espo- 
sto.  E  lungo  m.  0,66,  alto  m.  0,30 ;  ha  lo  spessore  di  m.  0,22,  e  reca : 


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jCEDÄTItV  P'-F-MAI 
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Trattasi  di  un  voto  che  due  o  piü  Antistie,  figliuole  di  Spurio, 
e  due  Cedatii  figli  di  Publio,  della  tribü  Mecia,  a  cui  Hadria  era 
ascritta,  sciolsero  ad  una  divinitä  che  sul  culmine  di  Monte  Giove 
era  adorata,  nell'etä  che  precedette  la  deduzione  della  colonia  di 
cittadini  romani;  chiaro  essendo  che  la  lapide  per  le  sue  forme 
arcaiche  non  sia  posteriore  all' ultimo  periodo  della  repubblica.  Non 
mi  fermo  ad  enumerare  i  pregi  linguistici  ed  epigrafici  del  titolo, 
il  quäle  senza  dubbio  sarebbe  stato  assai  piü  prezioso,  se  ci  avesse 
conservato  il  yerso  del  principio,  ove  era  certamente  indicata  la 
divinitä  a  cui  il  luogo  era  sacro.  Tuttavolta  questa  divinitä  non  e 
difficile  conoscere ;  parendo  anzi  che  ci  sia  essa  rivelata  dal  nome 


8  DI    ALCUNE    ISCRIZIONI 

stesso  di  Monte  Giove  conservato  al  luogo,  nome  che   manifesta- 
mente  ci  riporta  al  padre  degli  uomini  e  degli  dei. 

Abbiamo  adunque  un  voto  sciolto  a  Giove  sull'alto  del  colle 
nell'etä  dei  liberi  municipi;  ove  e  da  aggiungere  non  essere  pro- 
babile  che  una  semplica  edicola  fosse  stata  eretta  per  richiamare 
la  sola  pietä  dei  pochi  abitanti  di  un  pago  o  di  pochi  villaggi 
vicini  fra  la  popolazione  rustica  del   territorio. 

Perocche  i  pezzi  dei  musaici,  di  lavoro  anche  ordinario  dei 
bassi  tempi,  che  qua  e  lä  si  veggono,  travolti  nei  lavori  di  colti- 
vazione  sul  culraine  del  colle,  indicano  che  le  fabbriche  ebbero 
quivi  non  piccola  estensione,  e  vi  durö  il  concorso  del  popolo  fino 
all'etä  inoltrata  dell'impero.  Senza  dire  dei  simulacri  d'animali  e 
delle  Statuette  flttili  che,  secondo  mi  fu  aifermato  in  Cermignano, 
i  contadini  di  quando  in  quando  vi  scoprirono,  Statuette  che  ap- 
partengono  alla  stipe  votiva  del  sacro  luogo. 

Non  un'edicola  dunque,  ma  u:i  grande  santuario  doveva  sor- 
gere  nella  cima  di  Monte  Giove,  santuario  che  dominando  tutto  il 
territorio  adriano,  e  visibile  cosi  dalla  cittä  di  Hadria  come  dagli 
altri  paesi,  doveva  essere  il  centro  comune  di  culto,  nel  modo  me- 
desimo  con  cui  pei  Latini  era  centro  comune  di  culto  e  di  unitä 
politica  il  santuario  di  Giove  Laziale  sul  monte  Albano. 

E  che  la  cosa  fosse  stata  veramente  cosi  viene  confermato  da 
un  documento  epigrafico  pregevolissimo,  rimasto  anch'esso  ignoto 
agli  studiosi,  e  che  pure  a  me  toccö  la  sorte  di  scoprire.  Consiste 
in  una  grande  lastra  di  travertino,  alta  m.  1,70,  larga  m.  0,70,  e 
dello  spessore  di  m.  0,10,  usata  giä  come  materiale  di  fabbrica 
nella  diruta  chiesetta  rurale  di  s.  Salvatore  ai  piedi  di  Monte 
Giove,  verso  il  villaggio  di  Poggio  delle  rose,  nel  versante  opposto 
della  collina,  lastra  che  proviene  essa  pure  dalle  antiche  reliquie 
del  sommo  del  colle,  donde  in  una  zona  assolutamente  povera  di 
materiale  edilizio,  furono  tolte  tutte  le  pietre  per  le  nuove  fab- 
briche della  contrada  dal  medio  evo  in  poi.  Vi  si  legge: 


PAVLLO  •  FABIO-MAXf \ 
COS  •  PONTIF  •  PATRON 
COLONIAE 


DKL    TERRITORIO    DI    HADRIA    NEL    PICENO  0 

Paolo  Fabio  Massimo  o  Q.  Fahim  Maximus  Paulus,  come 
in  modo  piü  proprio  e  pieno  fu  chiamato  (Borghesi  Oeuvr.  I,  250, 
cfr.  IV,  71)  fratello  di  Q.  Fabius  Q.  f.  Maximus  Africanus,  e 
figlio  di  quel  Q.  Fabius  Maximus,  che  nel  695,  con  Q.  Caelius 
Rufus  si  fece  accusatore  di  C.  Antonius  Hibrida  per  le  sue  estor- 
sioni  durante  il  proconsolato  della  Macedonia  (Cic.  in  Vatin.,  11), 
e  un  personaggio  assai  noto,  cosi  per  ricordi  lapidari,  come  per 
memorie  classiche  (cfr.  De  Vit,  Onom.  ad  v.). 

Fu  legato  di  Cesare  nella  Spagna  avanti  l'anno  727  (C.  I. 
L.  II,  2581),  ed  ottenne  il  consolato  con  Q.  Aelio  Tuberone  l'anno 
743  della  cittä  (cfr.  Klein  Fast.  cons.  p.  11).  Proconsole  ammi- 
niströ  l'Asia  nel  748  e  749  {Ann.  Inst.  1861,  p.  149  sq.;  Wad- 
dington Fast.  Asiat,  p.  98),  secondo  altri  nel  biennio  precedente 
(Usener  Bull.  Inst.  1874,  p.  79  sq.);  e  fece  parte  del  collegio 
degli  Arvali,  come  risulta  dagli  atti  relativi  all'anno  767, 14dell'e.  v. 
(cfr.  C.  I.  L.  VI,  1,  n.  2023),  anno  in  cui  mori  Augusto,  e  che 
segnö  pure  la  morte  dell'uomo  ricordato  nella  nuova  lapide. 

Ad  Augusto  era  stato  egli  legato  per  amicizia  strettissima  ed 
anche  per  parentela,  marito  di  Marcia,  nata  da  L.  Marcio  Filippo 
fondatore  del  tempo  di  Ercole  e  delle  Muse,  e  da  Atia  vedova  di 
C.  Octavius  padre  di.  Augusto.  Ma  del  favore  di  cui  Fabio  gode 
nella  corte,  fu  alla  fine  privato  per  le  arti  di  Livia;  forse  perclie 
aveva  egli  troppo  propugnata  la  causa  del  poeta  Oridio,  di  cui  fu 
amicissimo,  e  che  dal  suo  esilio,  conosciuta  la  morte  del  suo  pro- 
tettore,  scriveva  piü  contristato  che  mai,  riconoscendo  che  egli 
stesso  l'aveva  cagionata  {Pont.  4,  6.  11). 

Ho  detto  che  questa  epigrafe  ci  conferma  nel  modo  piü  certo  che 
il  luogo  sacro  sul  culmine  di  Monte  Giove,  indicatoci  dalla  lapide 
dei  Saputelli,  non  fosse  stata  una  semplice  edicola,  innalzata  dalla 
pietä  dei  soli  abitanti  di  qualche  pago  vicino,  ma  un  grande  san- 
tuario,  e  tra  i  piü  frequentati  del  paese.  Contenendo  infatti  un 
attestato  di  onore  e  di  riconoscenza  a  colui  del  cui  patrocinio  la 
colonia  godeva  {patrono  coloniae),  e  chiaro  che  non  sarebbe  stato 
collocato  quel  monumento  in  sito  ove  con  la  maggiore  pubblicitä 
non  avesse  potuto  avere  la  solennitä  maggiore.  E  poiche  il  monu- 
mento medesimo  non  in  nome  di  vicani  o  pagani,  ma  in  nome 
dell'intiera  colonia  fu  posto,  ne  deriva  che  il  luogo  dove  fu  innal- 
zato  fosse  stato  il  vero  centro  religioso  e  politico  della  colonia  stessa, 

4 


10  DI    ALCÜNE    ISCRIZIONI 

cosi  per  la  popolazione  urbana  come  per  la  rustica;  e  quindi  che 
sull'altura  di  Monte  Giove  avesse  ayuto  sede  il  santuario  princi- 
pale  dell'agro  adriano. 

Ma  per  altre  considerazioni  maggiore  importanza  acquista  la 
nuova  epigrafe.  Ho  detto  in  principio  che  il  difetto  di  documenti 
abbia  impedito  finora  di  sapere,  da  chi  ed  in  che  tempo  preciso  la 
colonia  di  cittadini  romani  nell'agro  adriano  fosse  stata  dedotta; 
e  che,  stando  alle  fonti  epigrafiche  ed  alla  testimonianza  di  Plinio, 
si  possa  concludere  soltanto  che  tale  deduzione  non  fosse  avvenuta 
dopo  Augusto.  Devo  aggiungere  che  le  riserve  fatte  sulla  esattezza 
del  catalogo  di  Plinio  ed  altri  studi  recenti  attenuarono  anche  di 
piü  il  valore  di  questa  vaga  conclusione,  mancando  ragioni  valide 
in  forza  delle  quali  debbasi  Iladria  collocare  nell'elenco  delle 
colonie  augustee  (cfr.  Pais  Le  colonie  militari  dedotte  in  Italia 
dai  Triumviri  e  da  Augusto  in  Mus.  di  ant.  class.,  1884,  p.  33  sq.). 

Ora  ogni  difficoltä  a  questo  proposito  della  nostra  lapide  e 
tolta.  Che  anzi  non  solo  per  mezzo  di  essa  ci  e  dimostrato  che  la 
colonia  adriana  fu  dedotta  al  tempo  di  Augusto,  ma  ci  e  indicato 
pure  da  chi  e  quando  questa  deduzione  fu  fatta. 

Dimoströ  il  Mommsen  nel  commento  alla  Lex  coloniae  Ge- 
netivae  esser  provato  da  questa  legge,  che  colui  che  avesse  dedotta 
una  colonia  e  date  ed  assegnate  terre  ai  coloni,  di  diritto,  per 
questo  fatto  solo,  diventava  patrono  della  colonia  stessa;  patronato 
che  continuava  nei  figli  di  lui  e  nei  loro  discendenti,  e  che  diffe- 
risce  dal  patronato  conceduto  poi  dalle  colonie  per  decreto  dei  de- 
curioni  nell'etä  dell'impero,  quando,  cessata  la  potenza  delle  fa- 
miglie  dei  patroni  originari,  le  genti  staccate  dalla  madre  patria 
cercarono  patrocinio  nuovo  nelle  persone,  che  pel  favore  di  cui 
godevano  in  Eoma  facevano  sperare  maggiore  aiuto  (*).  Cosi  P. 
Sulla  fu  patrono  della  colonia  che  aveva  egli  dedotta  in  Pompei, 
come  sappiamo  per  testimonianza  di   Cicerone    {pro  Sulla  21). 


0)  Patronos  adhuc  credebamus  nullos  fieri  potuisse  nisi  ex  decurionum 
decreto ;  iam  vero  addiscimus  colonias  qui  deduxissent,  quive  colonis  agros 
dedissent  adsignavissent  ipsos  liberos  posterosque  eorum  ipso  iure  eins  colo- 
niae patronos  fuisse.  Ita  quod  Cicero  scribit  (De  Ofic.  1,  11,  35)  «  qui  ci- 
vitates  aut  nationes  devictas  bello  in  fidem  recepissent,  earum  patronos  fuisse 
more  maiorum»,  similiter  interpretabimur,  qui  populum  devictum  in  fidem 


DEL    TERRITORIO    DI    HADRIA    NEL    PICENO  11 

Ora  essendo  stata  la  nostra  lapide  posta  dai  coloni  adriani 
al  console  Q.  Fabio  Massimo,  che  tenne  i  fasci  nell' anno  743 
(11  av.  Cr.),  venti  anni  dopo  la  vittoria  actiaca,  ed  essendo  in 
questa  lapide  indicato  quel  console  come  patrono  della  colonia,  na- 
turale e  la  conseguenza  che  dal  console  medesimo  la  nostra  co- 
lonia nell'anno  743  fosse  stata  dedotta,  cioe  nel  bei  mezzo  del- 
l'etä  augustea;  della  quäl  cosa,  prima  della  nostra  scoperta  man- 
cavano  prove  sicure. 

Non  sono  questi  soltanto  i  lumi  che  dallo  studio  delle  epi- 
grafi  di  Monte  Giove  si  diffondono  sulla  storia  e  sull'antica  topo- 
grafia  della  contrada. 

Ho  accennato  superiormente  che  se  le  lapidi  di  Basciano  non 
possono  farci  fede  che  quivi  fosse  stato  un  pago  od  un  vico,  non 
resti  escluso  il  fatto  che  le  vicinanze  dell'attuale  paese,  alle  falde 
di  Monte  Giove,  fossero  state  frequentate  in  antico.  Si  scoprirono 
quivi  alcuni  tratti  di  un'  antica  strada,  la  quäle  si  dirigeva  alla 
sommitä  del  monte,  e  quindi  al  santuario,  strada  che  saliva  lungo 
le  pendici  di  Penna  s.  Andrea,  venendo  dalla  sponda  destra  del 
Vomano,  e  che,  stando  al  nome  rimasto  ai  luoghi,  sarebbesi  chia- 
mata  Salaria.  In  fatti  Piani  della  Salaria  o  Salara  si  deno- 
minano  alcune  terre  al  di  sotto  di  Basciano  sulla  destra  del 
Vomano,  non  lungi  dalla  contrada  s.  Giacomo,  ove  due  delle  la- 
pidi Bascianesi  diconsi  scoperte  (cfr.  C.  I.  L.  IX,  n.  5050,  5051). 

Ora  ne  tale  strada  ne  tale  nome  si  accorderebbero  con  le  indi- 
cazioni  delle  antiche  vie,  che  in  questa  parte  del  Piceno  si  hanno, 
cosi  dai  documenti  epigrafici,  come  dalle  notizie  degli  itinerari. 

Stando  a  queste  indicazioni,  le  vie  principali  nel  territorio  di 
cui  ci  occupiamo  erano  due,  diramazioni  entrambe  della  via  Sa- 
laria, ed  appellate  ugualmente  con  lo  stesso  nome;  il  ramo  supe- 
riore,  che  staccandosi  da  Interocreum  e  risalendo  il  Velino,  sca- 
valcava  gli  Appennini  sopra  le  scaturigini  del  Tronto,  e  seguiva 
poi  il  corso  di  questo  fiunie  fino  ad  Asculum  Picenum,  e  quindi 


receperit,  non  ob  id  beneficium  patronum  creari,  sed  eo  ipso,  quod  in  fidem 
eum  recepit,  patronum  ejfectum  esse.  Et  vere  sie  redimus  ad  patronatus  ge- 
nuina  primordia ;  nam  ut  in  iure  privato  manumissio  patronum  facit,  ita 
in  iure  publico  aliquando  fecit  deduetio  vel  in  fidem  reeeptio.  Eph.  Epigr. 
2.  p.  147. 


12  DI    ALCÜNE    ISCRIZIONI 

a  Castrum  Truentinum;  il  ramo  inferiore,  che  scavalcati  gli  Ap- 
pennini  poco  al  di  sopra  di  Amiteruum,  scendeva  per  le  gole  del 
Voraano,  seguendo  questo  fiume  fino  a  Poggio  Umbricchio,  ove  e 
il  milliario  col  n.  CIIII  (C.  L  L.  IX,  5938),  e  poi  fino  all'at- 
tuale  Montorio,  donde  lasciata  la  valle  del  Vomano,  piegando  a 
sinistra  nella  valle  del  Tordino  giungeva  ad  Interamnia  per  finire 
a  Castrum  Novum.  Non  parlo  della  via  littoranea,  dalle  foci  della 
Pescara  ad  Ancona,  ne  delle  diramazioni  di  essa,  che  non  hanno 
che  fare  col  nostro  tema  (cfr.  C.  I.  L.  IX,  p.  479). 

Una  via  diretta  da  Eoma  per  Hadria,  secondo  le  principali 
indicazioni  che  finora  avevamo  non  ci  sarebbe  stata ;  perocche,  stando 
all'itinerario  Antoniniano  (306,  309),  si  accedeva  ad  Hadria  o  pel 
ramo  principale  della  Salaria  toccando  Asculum  e  Castrum  Truen- 
tinum,  e  quindi  scendendo  lungo  la  via  marittima  per  Castrum 
novum,  cioe  percorrendo  156  miglia;  ovvero  vi  si  andava  per  la 
via  Valeria,  toccando  Alba  Fucense,  Corfinio  e  Teate  dei  Marru- 
cini,  per  una  linea  di  148  miglia.  Vero  e  che  secondo  altri  vi 
sarebbe  stata  una  comunicazione  meno  lunga,  e  piü  diretta,  per 
mezzo  di  una  strada  che  costeggiando  le  colline  fin  presso  Cer- 
mignano,  sarebbe  poi  discesa  nella  valle  del  Vomano,  e  passato  il 
fiume  avrebbe  toccato  Interamnia,  ove  si  sarebbe  riunita  alla  Sa- 
laria per  Montorio  e  Poggio  Umbricchio  e  quindi  Amiterno  e 
Reate,  come  si  e  detto.  Ma  con  questa  linea,  segnata  nella  carta 
del  Kiepert,  annessa  al  vol.  IX  del  Corpus  (tav.  III  e  IV),  ri- 
mane  assolutamente  inesplicabile  come  mai  gli  Adriani  per  venire 
sotto  Poggio  Umbricchio,  ove  era  necessario  il  passaggio  per  an- 
dare  a  Roma,  avessero  dovuto  percorrere  inutilmente  un  grande 
angolo  fioo  ad  Interamnia,  mentre  potevano  tendervi  senza  difficoltä 
in  linea  retta,  incontrando  presso  l'attuale  Montorio  la  diramaz.one 
della  via  per  Interamnia  e  Castronovo. 

E  che  veramente  vi  fosse  stata  questa  linea  di  comunicazione 
diretta  fra  Hadria  e  Roma  per  la  Salaria  lungo  il  Vomano,  senza 
passare  per  Interamnia,  e  dimostrato  dai  resti  dell'antica  via  sco- 
perti  sotto  Monte  Giove  e  presso  ßasciano,  via  che  non  puö  con- 
siderarsi  come  secondaria,  ma  come  propria  e  vera  continuazione 
della  strada  principale,  che  manteneva  la  sua  denominazione  di  Sa- 
laria fino  ad  Hadria  ed  al  fiume  Salinae,  nome  che  forse  non  e 
senza  significato  pel  tema  di  cui  ci  occupiamo. 


DEL    TERRITORIO    Dl    HADRIA    NEL    PICENO  13 

Ciö  e  maggiormente  provato  da  una  terza  "lapide  di  Monte 
Giove,  che  unitamente  alle  altre  ebbi  la  fortuna  di  scoprire.  Con- 
siste  in  un  masso  di  calcare  di  m.  0,90  X  0,50  X  0,20,  rotto  infe- 
riormente  ed  a  destra,  usato  ora  come  gradino  in  una  delle  case 
coloniche  denominate  dei  Saputelli  di  sotto,  alle  falde  del  colle, 
e  tolto  dalla  sommitä  del  colle  medesimo,  come  mi  fu  detto  dal 
contadino  che  disotterrö  quella  pietra,  e  se  ne  servi  nella  fabbrica 
moderna.  Vi  si  legge: 


pCxxv 


E  questo  un  cippo  milliario,  forse  della  piü  antica  numera- 
zione  della  strada;  ed  il  numero  delle  miglia  125  ([m~](üia) 
p(assuum)  CXXV)  corrispondendo  alla  distanza  da  Roma,  per  la 
linea  piii  breve  lungo  il  Vomano,  senza  il  giro  per  Interamnia,  e 
in  armonia  col  numero  CIIII  del  milliario  di  Poggio  Umbricchio. 


LA  BASILICA  DI  POMPEI 


La  basilica  di  Pompei  e  la  piü  antica  fra  tutte  quelle  di  cui 
ci  restano  avanzi.  E  anteriore,  e  forse  di  non  poco,  all' anno  80 
a.  C.  (1),  ed  anche  per  lo  stile,  sia  dell'architettura  che  della  deco- 
razione  delle  pareti,  mostra  di  appartenere  all'epoca  anteriore  alla 
colonia  romana,  qnando  Pompei  nella  coltura  generale  e  nelle  arti 
sottostava  all'influenza  non  di  Roma,  ma  delle  colonie  greche.  Ed  erano 
senza  dubbio  le  basiliche  di  queste  ultime,  non  quelle  di  Roma, 
che  le  servirono  di  modello.  Che  i  Greci,  nell'epoca  precedente  alla 
costruzione  della  prima  basilica  di  Roma,  avessero  basiliche,  lo  di- 
mostra  lo  stesso  nome  greco  dato  al  nuovo  edifizio ;  ma  pur  troppo 
non  ce  n'  e  rimasto  ne  un'  avanzo  qualunque,  ne  una  qualsiasi  notizia 
nella  letteratura  (2).  Siccome  dunque  la  basilica  di  Pompei,  pro- 
dotto  d'una  coltura  dipendente  da  quella  greca  dell'epoca  elleni- 
stica,  puö  fino  ad  un  certo  grado  render  meno  sensibile  una  grave 
lacuna  nella  nostra  conoscenza,  cosi  essa  merita  che  con  ogni  studio 
si  cerchi  di  stabilire  quäle  ne  sia  stata  la  forma ;  ciö  che  finora  non 
fu  fatto  in  modo  sufticiente. 

*  s. 


E. 


mriTiYi-t-H-P- 


LA    BASILICA    DI    POMPEI  15 

Poco  ci  giovano  i  piü  antichi  tentativi  di  restituziono,  quelli 
del  Mazois  (3)  e  del  Canina  (4) ,  non  tenendo  essi  alcun  conto  dei 
frammenti  superstiti  di  colonne  e  membri  simili  delle  parti  supe- 
riori,  che  neanche  nelle  Pompe  janische  Studien  del  Nissen  (p.  156 
segg.)  furono  utilizzati.  Servendomi  di  essi  cercai  fin  dall'anno  1879 
di  stabilire  Vantica  fonna  dell'edifizio  (5),  ed  il  mio  risultato  fu 
il  seguente.  Le  pareti  esterne  al  disopra  delle  mezze  colonne  (vd.  la 
pianta  pag.  14)  avevano  un  secondo  ordine  con  colonne,  mezze  co- 
lonne e  trequarti  di  colonne,  con  aperture  sufficienti  per  rischia- 
rare  i'interno  dell'edifizio,  e  questo  secondo  ordine  raggiungeva 
un'altezza  superiore  a  quella  delle  colonne  interne  con  la  loro 
trabeazione ;  perciö  il  tetto  dei  portici  era  inclinato  verso  l'interno, 
ove  le  colonne  sorreggevano  la  mediana  tetiudo,  che  copriva  sol- 
tanto  la  parte  media.  II  tribunale  e  le  camere  adiacenti  avevano 
il  loro  tetto  separate.  Proposi  come  possibile  questa  forma  del  tetto, 
ammettendo  come  possibile  anch'essa  l'ipotesi  del  Mazois,  che  cioe 
l'intero  edifizio  fosse  coperto  d'un  grande  tetto  a  schiena. 

La  questione  poi  fu  nuovamente  trattata,  sulla  base  dell'in- 
tero  materiale,  da  K.  Lange  (6).  Egli  si  era  proposto  di  seguire,  per 
l'intera  storia  dell'architettura  antica,  quel  tipo  di  edifizio  la  cui 
forma  piü  nota  e  la  basilica  cristiana,  e  che  ha  la  parte  media 
piü  alta  dei  portici  circondanti,  con  finestre  nelle  pareti  (sorrette 
da  colonne  o  pilastri)  di  questa  parte  piü  alta.  Siffatto  tipo  egli 
lo  ritrova  nella  basilica  di  Pompei.  E  questa,  secondo  lui,  non  e 
un'ipotesi,  ma  crede  di  poterlo  provare.  Gli  risulta  cioe,  che  i  giä 
menzionati  frammenti  di  colonne  non  potevano  tutti  appartenere 
ad  un  solo  ordine,  ma  a  due,  dei  quali  allora  infatto  sarebbe  ine- 
vitabile  di  collocare  uno  nella  parte  piü  alta  dello  spazio  medio, 
in  una  parete  sorretta  dalle  colonne. 

Della  ricostruzione  del  Lange  non  si  pud  giudicare  che  dopo 
un  accurato  esame  sul  luogo  stesso  (7).  II  risultato  di  un  tale  esame, 
e  di  un  nuovo  studio  dell'intera  questione,  sarä  proposto  nelle  pagine 
seguenti. 

Vitruvio  vuole  che,  quando  lo  spazio  medio  della  basilica  e 
largo  p.  es.  48  piedi  (come  press'  a  poco  nella  basilica  pompeiana), 
le  colonne  siano  alte  16  piedi,  e  che  questa  sia  anche  la  larghezza 
dei  portici.  La  parte  media  secondo  lui  dev'essere  piü  alta,  essendo 
sovraposto  alle  colonne  (con  la  trabeazione)  un  muro  (pluteus)  alto 


IG  LA    BASILICA    Dl    POMPEI 

9  piedi,  sormontato  da  colonne  alte  12  piedi,  che  sorreggono  il 
tetto;  i  portici  hanno  invece  del  tetto  una  terrazza  che  serve  da 
ambulacro  (8).  Qui  dunque  il  rapporto  fra  larghezza  e  altezza 
(aggiungendosi  a  quest' ultima  le  trabeazioni)  sarebbe  press'  a  poco 
di  8:7.  Vitruvio  stesso  nella  sua  basilica  a  Fano  non  si  attenne 
ai  propri  precetti :  fece  lo  spazio  medio  largo  60  piedi  e  raggiunse 
l'intera  altezza  con  un  solo  ordine  di  colonne,  alte  50  piedi,  ed  il 
loro  architrave;  due  portici  larghi  20  piedi,  uno  sovraposto  all'altro, 
erano  sorretti  da  pilastri  addossati  alle  colonne,  alti  20  e  18  piedi. 
Cosi  al  di  sopra  del  tetto  del  secondo  portico  i  sommiscapi  delle 
colonne  (circa  10  piedi)  rimasero  liberi,  e  fra  essi  la  luce  entrava 
nell'edifizio.  II  rapporto  fra  larghezza  ed  altezza  della  parte  media 
poteva  essere  di  10:  9  all'incirca;  dei  portici  s'intende  che  soltanto 
1' inferiore  aveva  1' altezza  uguale  alla  larghezza  (9). 

Ora  a  Pompei  abbiamo  la  parte  media  larga  m.  12,28,  i  portici 
larghi  4,70 ;  le  colonne,  dal  diametro  di  m.  1,10  (compreso  lo  stucco), 
difficilmente  potevano  avere  un'altezza  minore  di  m.  10.  Ora  queste 
colonne,  sono  esse  quelle  della  basilica  normale  di  Vitruvio,  sulle 
quali  s'inalzano  le  pareti  della  parte  media  al  disopra  dei  tetti 
dei  portici,  ovvero  quelle  della  basilica  di  Fano,  che  s'elevano  fino 
al  tetto?  Mi  pare  fuor  di  dubbio  che  siano  queste  ultime.  L'architetto 
si  e  scostato  dallo  Schema  solito  per  ottenere  una  maggiore  altezza 
dei  portici,  uguale  a  quella  che  spetterebbe  soltanto  alla  parte  me- 
dia. Per  conseguenza,  questa  e  la  conclusione  piü  naturale,  la  parte 
media  non  s'inalzava  piü  al  disopra  dei  portici,  e  non  poteva  piü 
aver  flnestre,  le  quali  dunque  dovevano  farsi  nelle  pareti  dei  portici. 
E  in  questo  modo  si  otteneva  una  luce  piü  uguale  in  tutte  le  parti 
dell'edifizio,  anche  nei  portici.  Qui  non  s'incontra  difficoltä  alcuna, 
giacche  una  tale  forma  non  era  ne  piü  difficile,  ne  piü  costosa  della 
consueta. 

Invece  l'opinione  del  Lange,  che  al  disopra  di  questi  portici, 
alti  il  doppio  del  consueto,  s'inalzasse  ancora  la  parte  media,  e  in 
se  stessa  assai  improbabile.  Manca  affatto  uno  scopo  pratico.  Era 
facilissimo  di  introdurre  luce  abbondante  per  aperture  nelle  pareti 
dei  portici :  la  maggiore  altezza  di  questi  e  quella  della  parte  media 
ragionevolmente  si  escludono  a  vicenda,  perche  servono  ad  un  me- 
desimo  scopo,  di  introdurre  cioe  la  luce  (10),  e  bastano  ognuna  da  se 
a  raggiungerlo.  E  a  quali  proporzioni  si  giunge  in  quanto  alla  parte 


LA    BASILICA    DI    POMPEI  17 

media,  che  Vitruvio  vuole  piü  larga  che  alta !  Nella  ricostruzione 
del  Lange  (n)  l'altezza  supera  la  larghezza  quasi  della  metä,  e  sa- 
rebbe maggiore  ancora,  se  egli  non  si  fosse  permesso,  ciö  che  non 
doveva  permettersi,  di  dare  alle  colonne  un  altezza  minore  di  quella 
delle  pareti. 

E  tutto  ciö  doveva  essere  raggiunto  con  sforzi  straordinari, 
con  mezzi  tecnici  che  per  quell' epoca  difficilmente  possono  am- 
mettersi.  Siccome  l'architrave  delle  grandi  colonne,  i  cui  centri 
distano  fino  a  4  jnetri,  non  puö  essere  stato  che  di  legno,  cosi  il 
Lange  e  costretto  di  inserire  nel  muro  sovrapostovi  un  sistema  di 
archi  di  scarico,  mentre  nulla  di  simile  s'incontra  neH'architettura 
pompeiana  di  quel  tempo,  che  ha  una  tecnica  pocosviluppata  e 
p.  es.  nei  portici  mette  i  massi  degli  architravi  di  tufo  semplice- 
mente  uno  accanto  all'altro  sopra  panconi  di  legno  (,2). 

Risulta,  e  vero,  dalle  parole  di  Vitruvio  (13),  che  lo  schema 
consueto  era  quello  con  la  parte  media  piü  alta.  Perö  con  quanta 
libertä  si  trattasse  questo  schema,  basta  a  dimostrarlo  la  basilica 
costruita  da  Vitruvio  stesso  a  Fano,  ne  havvi  motivo  alcuno  per 
credere  che  appunto  la  maggiore  altezza  della  parte  media  sia  stata 
mantenuta  invariabilmente.  Facendo  riposare  il  tetto  direttamente 
sulle  grandi  colonne,  si  poteva  ottenere  una  maggiore  stabilitä; 
e.  facendo  cosi  era  data  un' altezza  uguale  in  tutte  le  parti,  a  meno 
che  non  si  fosse  voluto  commettere  delle  mostruositä  quali  commise 
Vitruvio  nella  sua  basilica  in  Fano.  Poco  importava  ai  Pompeiani, 
se  allora  l'edifizio  meritasse  ancora  il  nome  di  basilica  -  Lange 
(p.  232)  lo  negherä  -;  ma  senza  dubbio  lo  chiamavano  con  quel 
nome  che  era  usato  per  edifizi  simili  e  di  analoga  destinazione. 

L'opinione  dunque  del  Lange  e  per  se  stessa  tutt'altro  che 
probabile  (14);  e  vedremo  che  anche  i  frammenti  non  ci  costringono 
affatto,  com' egli  crede,  ad  accettarla. 

Che  lo  spazio  medio  fosse  coperto  (J5),  non  se  ne  sarebbe  dovuto 
dubitare  (16),  dopo  che  dai  frammenti  fu  dimostrato  in  modo  indu- 
bitabile,  che  vi  erano  finestre.  E  voglio  aggiungere  in  questo  ri- 
guardo,  che  secondo  tutte  le  apparenze  in  origine  un  pavimento 
eguale  si  stendeva  per  i  portici  e  per  la  parte  media.  Degli  avanzi 
e  delle  traccie  dell'egregio  opus  signinum  che  formava  il  pavi- 
mento della  parte  media  all' altezza  dei  plinti  di  lava  sotto  le 
grandi   colonne,  ne  fu  parlato   abbastanza  (,7).  Ora  il  medesimo 

2 


18  LA    BASILICA    DI    POMPEI 

signinum  alla  medesima  altezza  cuopre  il  gradino  sul  quäle  stanno 
le  mezze  colonne;  la  faccia  verticale  interna  delle  soglie  di  tutti 
gli  ingressi  non  e  lavorata ;  ciö  indica  che  essa  doveva  star  nascosta 
sotto  un  pavimento  dei  portici  appunto  di  quella  stessa  altezza. 
E  vero  che  il  gradino  suddetto  e  interrotto  avanti  all'ingresso  nord,  e 
ciö  era  inutile  quando  il  pavimento  fosse  stato  a  quell'altezza,  come 
era  inutile  anche  il  lavoro  accurato  e  rettilineo  del  gradino  stesso; 
ma  nulla  ci  iinpedisce  di  credere  che  mentre  si  costruiva  si  avessero, 
quanto  al  pavimento,  altre  intenzioni.  Contradice  ad  una  tale  altezza 
del  pavimento  lo  stucco  bianco  sulla  faccia  verticale  del  gradino; 
ma  sono  persuaso  che  esso  e  di  origine  posteriore.  I  portici  cioe 
non  potevano  essere  fin  da  principio,  come  sono  adesso,  privi  di 
pavimento,  il  quäle  necessariamente  avrebbe  dovuto  coprire,  almeno 
in  gran  parte,  quello  strato  di  stucco.  Quest' ultimo  ne  pud  essere 
stato  fatto  prima  del  pavimento,  del  quäle  in  tal  caso  si  vedreb- 
bero  sopra  di  esso  gli  avanzi,  ne  mentre  il  pavimento  vi  stava, 
perche  allora  non  potrebbe  estendersi  tanto  in  basso  (m.  0,25  sotto 
lo  spigolo  del  gradino) ,  ma  soltanto  dopo  che  il  pavimento  era  stato 
tolto.  —  Del  signinum  poi  della  superficie  del  gradino  non  e  conser- 
vato  in  alcun  punto  lo  spigolo ;  finisce  dapertutto  con  una  rottura, 
la  quäle  a  sin.  dell'ingresso  sud  sta  verticalmente  sopra  lo  stucco 
della  faccia  verticale,  e  forse  s'avanza  perfino  un  poco  al  di  lä  di  esso. 
E  siccome  difficilmente  poteva  esservi  nel  signinum  uno  spigolo 
vivo,  ma  doveva  avere  una  certa  rotonditä,  cosi  ancor  questa  cir- 
costanza  pare  che  provi  che  il  signinum  seguitasse  oltre  il  gradino 
e  probabilmente  per  l'intero  edifizio. 

Anche  questo  e  stato  stabilito  giä  prima,  che  un  portico  supe- 
riore  non  vi  era  (18).  Ed  in  tal  riguardo  merita  di  essere  menzionato, 
che  di  quel  piccolo  vano  a  sin.  del  vestibolo  (calcidico),  il  quäle 
si  era  sospettato  che  contenesse  una  scala  (,9),  fu  chiarito  il  signifi- 
cato  dallo  sgombro  fattone  dietro  mia  preghiera  nell'estate  1884  (20). 
Si  e  visto  che  e  diviso  in  due  parti,  di  cui  quella  occidentale 
(vd.  la  pianta)  e  un  pozzo  (largo  1,63X1,34,  non  scavato  fino  al 
fondo),  l'altro,  maggiore,  un  bacino  di  poca  profonditä  (circa  m.  0,90 
sopra  il  pavimento  del  calcidico,  largo  2,43  X  1,27).  Dal  fondo  di 
quest' ultimo  un  tubo  di  creta  porta  per  la  parete  divisoria  nel  pozzo, 
con  inclinazione  verso  questo;  dal  pozzo  im  canaletto  alto  e  largo 
circa  8  ctm.  porta  nella  basilica,  passando  sotto  la  colonna  angolare. 


LA   BASILICA   DI   POMPEI  19 

Pj  inclinato  verso  l'interno  dell'edifizio:  serviva  dunque  per  por- 
tarvi  dell'acqua;  trayersa  il  gradino  ad  un  liyello  tanto  basso  da 
rimanere  sotto  il  pavimento  da  noisupposto  (pag.  17  sg.).  Tutti  questi 
apparecchi,  siüla  cui  destinazione  non  saprei  dire  nulla  di  soddisfa- 
cente,  sono  indubitabilmente  contemporanei  alla  basilica  stessa. 
Nel  bacino,  e  specialmente  nell'angolo  nord-est,  son  yisibili  sedi- 
menti  di  calce,  come  di  acqua  di  condotto. 

Volendo  ricostrmre  l'antica  forma  dell'edifizio,  si  tratta  di 
disporre  e  metter  d'accordo  fra  loro  tre  elementi: 

1.  La  parete  con  le  mezze  colonne  addossatevi,  dal  diametro 
di  m.  0,84,  conservate  fino  all'altezza  di  m.  5,36. 

2.  Le  colonne,  dal  diametro  senza  lo  stucco  di  m.  1,04,  con 
esso  almeno  1,10,  clje  separano  lo  spazio  medio  dai  portici. 

3.  I  numerosi  avanzi  di  colonne,  mezze  colonne,  trequarti 
di  colonne  e  membri  simili  in  tufo,  dal  diametro  di  m.  0,53  alla 
base,  di  0,48  alla  sommitä  del  fusto,  dei  quali  alcuni  possono 
appartenere  al  tribunale,  le  cui  colonne  hanno  quel  medesimo  dia- 
metro, mentre  la  maggior  parte  deve  provenire  dalle  parti  supe- 
riori  dell'edifizio. 

Ora  Lange  ed  io  siamo  d'accordo  che  le  colonne  erano  piü 
alte  che  le  mezze  colonne;  nulla  ho  da  aggiungere  a  quanto  fu 
detto  in  questo  riguardo  (21).  E  allora  e  inevitabile  di  supporre  al 
disopra  delle  mezze  colonne  un  secondo  ordine  di  colonne  (o  membri 
simili)  minori ;  rimane  soltanto  a  sapere,  se  tutti  i  frammenti  su- 
perstiti  possano  ivi  trovar  posto.  Prima  perö  di  occuparci  di  questo, 
bisogna  vedere  quäle  possa  essere  stata  l'altezza  delle  colonne, 
quäle  quella  della  parete  con  i  suoi  due  ordini. 

Lange  suppone,  ed  anch'io  tempo  fa  lo  credetti  verisimile  (22), 
che  la  relazione  fra  altezza  e  diametro  fosse  una  medesima  nelle 
colonne  e  nelle  mezze  colonne,  e  ciö  ci  condusse  ad  un  risultato 
assai  incomodo,  che  cioe  la  parete  fosse  piü  alta  delle  colonne. 
Perö  quella  supposizione  non  ha  fondamento.  Mancano  le  analogie ; 
ma  in  se  stesso  e  possibilissimo  che  colonne  corrispondenti  a  due 
ordini  posti  uno  sopra  l'altro,  avessero  proporzioni  piü  svelte  che 
ognuno  di  questi.  Negli  edifizi  preromani  di  Pompei  («  epoca  del 
tufo  ■ )  non  havvi  regola  costante  per  le  proporzioni  delle  colonne ; 
vi  sono  colonne  ioniche  col  fusto  di  ctto  (casa  di  Pansa)  e  di  nove 
(propilei  del  foro  triangolare)  diametri,  ma  anche  di  cinque  e  mezzo 


20  LA    BASILICA    DI    POMPEI 

(portico  del  tempio  d' Apolline);  colonne  corinzie  di  sei  diametri 
(atrio  della  casa  del  Fauno,  tempio  d' Apolline)  e  altre  di  otto  e 
mezzo  (sala  del  gran  musaico  nella  casa  del  Fauno).  D'altra  parte 
UDa  differenza  d'altezza  fra  la  parete  e  le  colonne  e  piü  che  im- 
probabile.  Essa  nella  ricostruzione  del  Lange  porta  la  conseguenza, 
che  il  soffitto  dei  portici  da  un  lato  riposa  sulla  trabeazione  del- 
l'ordine  superiore  della  parete,  dall'altro  non  su  quella  delle  co- 
lonne, ma  e  incastrato,  circa  m.  0,80  piü  in  alto,  nel  muro  sovra- 
postovi.  Cosi  la  trabeazione  delle  colonne  non  ha  alcun  significato 
nella  disposizione  delle  altezze,  ne  per  la  parte  media,  che  neces- 
sariamente,  secondo  il  Lange,  s'inalza  al  disopra  di  essa,  ne  per 
i  portici.  Perö  siffatto  gravissimo  inconveniente  e  inerente  alla 
ricostruzione  del  Lange  e  ne  dimostra  la  poca  probabilitä:  dando 
alle  colonne  la  stessa  altezza  della  parete,  egli,  con  quel  sistema 
di  archi  di  scarico  che  e  costretto  di  fraporre  fra  l'architrave  e 
le  flnestre  della  parte  media,  porterebbe  quest'ultima  ad  un'al- 
tezza  sopra  i  portici  che  anche  a  lui  sembrerebbe  insopportabile  (23). 

In  altro  modo  io  aveva  cercato  di  spiegare  la  maggiore 
altezza  della  parete  (24),  supponendo  cioe,  che  il  tetto  dei  por- 
tici si  abbassasse  dalla  parete  sulla  trabeazione  delle  colonne: 
supposizione  anche  questa  tutt' altro  che  soddisfacente.  Posto  anche 
che  non  vi  fosse  un  soffitto  nei  portici,  nondimeno  e  nel  carattere 
dell'architettura  di  quest'epoca  —  ce  lo  insegnano  gli  atrii  ed  i  peri- 
stilii  delle  case  decorate  nel  primo  stile  —  di  dare  ai  pilastri,  alle 
mezze  colonne  ecc.  della  parete  la  stessa  altezza  delle  colonne. 
D'altronde  la  conformazione  del  tetto  che  in  tal  modo  mi  risul- 
tava,  non  sarebbe  di  certo  impossibile,  ma  sorprendente  seinpre 
e  senza  analogia,  e  perciö,  offrendosi  una  soluzione  piü  semplice, 
questa  sarä  preferibile. 

Riterremo  perciö,  finche  con  questa  supposizione  non  incontre- 
remo  difficoltä,  che  la  parete  con  i  suoi  due  ordini  da  una  parte, 
e  dall'altra  le  colonne  con  la  loro  trabeazione  raggiungessero  una 
stessa  altezza. 

Una  delle  mezze  colonne  sporgenti  dal  muro,  l'undecima  del 
lato  d.,  e  conservata  fino  all'altezza  di  m.  5,36  sopra  il  gradino, 
cioe  sopra  l'antico  pavimento  dell'intero  edificio.  E  a  quest' altezza 
ha  il  diametro  di  m.  0,72.  La  dodicesima  del  medesimo  lato  e 
conservata  fino  ad  un' altezza  poco  minore,  e  qui  ha  il  diametro  di 


LA    BASILICA.    DI    POMPEI  21 

almeno  m.  0,73.  D'altra  parte  anche  dai  capitelli  ionici  di  tufo  (2r) 
risulta  un  diarnetro  superiore  press'a  poco  (non  puö  stabilirsi  con 
esattezza)  di  m.  0,72.  Dunque  a  m.  5,36  siamo  vicini  alla  sommitä 
del  fusto,  e  siccome  il  capitello  e  alto  m.  0,40,  cosi  possiamo  ri- 
tenere  che  la  mezza  colonna  fosse  alta,  col  capitello,  poco  piü  di 
m.  5,76.  La  decorazione  poi  delle  pareti  (26)  ci  conduce  ad  un  ri- 
sultato  ancora  piü  precisc.  Essa  nella  parte  superiore  consiste  in  file 
di  rettangoli  (lastre  di  marmo  imitate  in  istucco)  di  altezza  uguale, 
fra  m.0,58  e  0,59,  delle  quali  quattro  son  conservate,  e  una  quinta 
fu  vista  e  disegnata  dal  Mazois  (III  tav.  18).  Con  sei  file  arri- 
viamo  a  m.  5,90,  e  tenendo  conto  dell'altezza  attestata  da  quelle 
due  mezze  colonne,  appena  puö  rimanere  un  dubbio  che  questa  non 
fosse  l'altezza  esatta  fino  all'architrave.  Siccome  la  base  e  alta 
m.  0,20,  cosi  restano  per  il  fusto  m.  5,30,  cioe  sei  diametri  e  quasi 
un  terzo. 

Prima  di  andar  piü  innanzi  bisogna  rivolgere  uno  sguardo  al 
tribunale.  La  sostruzione  e  alta  m.  1,65  sopra  il  pavimento  da 
noi  supposto.  Essa  porta  nella  fronte  sei  colonne,  di  cuile  due 
ultimo  sono  congiunte  coi  muri  laterali :  il  loro  diarnetro  e  uguale  a 
quello  dei  summentovati  frammenti  d'un  ordine  superiore;  mezze 
colonne  sono  addossate  ai  muri.  Le  pareti  hanno  una  decorazione 
analoga  a  quella  dei  porüci,  che  imita  in  istucco  un'incrostazione 
con  lastre  di  marmi  colorati :  sopra  lo  zoccolo  ciascun  intercolunnio 
contiene  un  grande  rettangolo;  sopra  questo  eravi  la  nota  cornice 
a  dentelli  di  questo  stile  (che  perö  non  e  conservata),  e  quindi  se- 
guono  altre  file  di  rettangoli,  che  secondo  le  regole  di  questo  stile 
dovevano  essere  di  altezza  uguale,  e  sono  alte  m.  0,58 :  ne  e  con- 
servata una,  che  arriva  all'altezza  di  m.  2,71,  e  un'altra  a  metä  (27). 
La  mezza  colonna  del  muro  d.  e  conservata  fino  a  m.  2,74,  e  a 
quest' altezza  ha  il  diarnetro  di  m.  0,57,  mentre  i  capitelli  (alti  0,56) 
dimostrano  un  diarnetro  superiore  di  m.  0,48,  con  lo  stucco  tutt'al 
piü  di  m.  0,50.  Ora  con  tre  file  de'rettangoli  suddetti  s'arriverebbe 
a  m.  3,87,  e  la  sommitä  del  fusto  starebbe  a  m.  3,31.  II  diarnetro 
dunque  dovrebbe  diminuire  di  almeno  m.  0,07  sopra  un'altezza  di 
m.  0,57 ;  e  siccome  questa  sarebbe  una  diminuzione  troppo  rapida, 
cosi  bisogna  supporre  che  vi  fossero  almeno  quattro  file,  colle  quali 
arriviamo  all'altezza,  molto  probabile,  di  m.  4,45  fino  all'architrave. 
E  aggiungendo  i  m.  1,65  della  sostruzione  abbiamo  m.  6,10,  vale 


22  LA   BASILICA   DI   POMPEI 

a  dire  oltrepassiamo  di  m.  0,20  l'altezza  delle  mezze  colonne  dei 
portici.  Siccome  poi  per  queste  ultime  dobbiamo  naturalmente  sup- 
porre  una  trabeazione  piü  alta  di  quella  del  tribunale,  cosi  ci  ri- 
sulta  quasi  con  evidenza,  che  la  differenza  di  m.  0,20  era  com- 
pensata  appunto  nelle  trabeazioni,  che  cioe  quella  delle  mezze 
colonne  era  di  m.  0,20  piü  alta  che  quella  del  tribunale,  e  giun- 
gevano  ambedue  ad  una  medesima  altezza. 

Ora  della  trabeazione  del  tribunale  i  massi  dell'architrave  col 

,«.  ■-«  fregio  sono  in  parte  conservati:  ne  do  qui  ap- 

mmmm  presso  il  profilo ;  la  larghezza  inferiore  di  m.  0,49 

■  corrisponde  benissimo  al  diametro  superiore  delle 
\  colonne  (28).  Torneremo  su  questi  frammenti 
1  quando  avremo  a  parlare  del  tribunale.  L'archi- 
trave  dunque  ed  il  fregio  sono  alti  m.  0,69. 
Prendendo  per  base,  a  mo'  d'esempio,  le  proporzioni  dei  propilei 
del  foro  triangolare  (29),  possiamo  dare  alla  cornice  m.  0,23,  all'in- 
tera  trabeazione  0,92,  e  a  quella  delle  mezze  colonne  dei  portici 
m.  1,12. 

Lange,  p.  361,  riconosce  la  cornice  della  trabeazione  dei  por- 
tici in  10  massi  dal  profilo  riprodotto  a  pag.  361  del  suo  libro, 
che  stanno  nel  1°,  2°  e  4°  intercolunnio  del  portico  sin.  Uno  di  essi 
pero,  nel  quäle  la  cornice  finisce  a  d.  nella  nota  maniera  del  primo 
stile  decorativo  (Mau  Wandmal.  p.  113),  lasciando  liscia  accanto 
a  se  una  parte  della  faccia  anteriore,  non  puö  essere  collocato  nel- 
l'interno,  ove  le  colonne  angolari  fanno  fede  che  anche  la  trabea- 
zione si  stendeva  negli  angoli.  Lange  perciö  suppone  che  vi  fosse 
anche  esternamente  l'identica  cornice ;  ed  infatto,  siccome  ivi  diffi- 
cilmente  poteva  estendersi  sul  calcidico,  cosi  il  frammento  in  que- 
stione  potrebbe  allora  stare  all'estremitä  est  del  muro  sud.  Ma  tutti 
questi  massi  hanno  uguale  profonditä  (m.  0,60  la  superficie  infe- 
riore) e  per  conseguenza  tutti  appartengono  ad  una  stessa  serie, 
cioe,  se  quella  congettura  e  giusta,  al  lato  esterno  del  muro;  che 
la  cornice  interna  avesse  la  stessa  forma,  o  la  stessa  altezza,  sa- 
rebbe possibile  ma  non  necessario  (30).  Fa  difficoltä  in  questa  sup- 
posizione  la  grande  quantitä  che  dovrebb'esser  perduta:  di  m.  110 
sarebbero  conservati  5,20  soltanto.  Ma  non  saprei  fare  un'altra 
proposta  (31). 

Le  colonne  dell'ordine  superiore  non  erano  lavorate  tanto  esat- 


LA   BASILICA   DI   POMPEI  23 

tamenta  da  poter  riconoscerne  l'altezza  dai  frammenti  superstiti. 
La  base  delle  mezze  colonne  e  alta  0,20,  i  capitelli  0,56;  cal- 
colando  il  fusto  a  sei  diametri  (0,53)  ed  un  terzo  avremo  4,12. 
La  trabeazione,  se  era  completa,  poteva  essere  alta  m.  0,80 ;  se  poi 
i  portici  avevano  un  soflitto,  e  questo,  com'  e  probabile,  riposava 
immediatamente  sull'  epistilio ,  allora  questo  poteva  essere  alto 
m.  0,30.  Cos!  dunque  avremmo 


mezze  colonne 
trabeazione    .     . 
colonne  superiori 
trabeazione    .     . 


altezza  della  parete 


m.  5,90 

>  1,12 

■  4,12 

»  0,80  ovvero     0,30 

m.  11,94  ovvero  11,44 


Per  le  grandi  colonne  bisogna  supporre,  come  il  piü  naturale, 
che  avessero  i  capitelli  analoghi  a  quelli  dell'ordine  superiore  della 
parete,  vale  a  dire  corinzii ;  e  allora  dovevano  essere  di  tufo,  alti 
circa  m.  1,10  (32).  La  base  e  alta  0,27;  alla  trabeazione  possiamo 
dare  fino  am.  2;  e  cosi,  per  arrivare  a  m.  11,94,  ci  vuole  un 
fusto  di  8,57,  cioe  di  meno  di  8  diametri,  mentre  nella  basilica 
di  Vitruvio  in  Fano  le  colonne  analoghe  erano  alte  10  diametri. 
E  se  il  soffitto  dei  portici  riposava  sugli  epistilii,  e  se  quello  delle 
colonne  grandi  era  alto  m.  0,80,  allora  il  fusto  doveva  misurare 
m.  9,27,  cioe  meno  di  otto  diametri  e  mezzo.  Se  finalmente  il  sof- 
fitto dal  lato  della  parete  era  sorretto  da  una  trabeazione  completa 
di  m.  0,80,  sopra  le  colonne  dal  solo  epistilio  anch'esso  alto  m.  0,80, 
allora  il  fusto  era  alto  m.  9,77,  cioe  meno  di  nove  diametri;  e 
neppur  questo  e  impossibile. 

Siccome  dunque  la  distribuzione  delle  altezze  non  presenta 
difficoltä  di  sorta,  cosi  ora  ci  rivolgiamo  a  considerare,  quäle  possa 
essere  stata  la  disposizione  dell'ordine  superiore  delle  pareti,  e  se 
in  esso  possano  trovar  posto  tutti  i  membri  attestati  dai  frammenti, 
ovvero  se  ne  rimanga  un  resto,  il  quäle  potrebbe  costringerci  a 
ricorrere  ad  altre  ipotesi. 

I  frammenti  dunque  ci  attestano  i  membri  seguenti,  il  cui 
diametro  inferiore   e  di  m.  0,53  incirca,   il  superiore  di  m.  0,48. 

14  colonne  libere,  attestate  da  altrettanti  capitelli.  Veramente 
di  questi  ve  ne  sono  18,  ma  ne  possono   appartenere   quattro  ad 


24  LA   BASILICA   DI   POMPEI 

altrettante  colonne  nella  fronte  del  tribunale,  che  hanno  il  mede- 
simo  diametro. 

3  mezze  colonne,  attestate  da  altrettante  basi,  che  non  pos- 
sono  appartenere  al  tribunale,  ove  le  basi  stanno  al  posto.  Di  capi- 
telli  son  conservati  cinque,  ma  sei  ve  ne  dovevano  essere  nel  tri- 
bunale. Una  quarta  base,  frammentata,  puö  essere  o  di  una  mezza 
colonna  o  di  un  quarto  di  colonna  posto  in  un  angolo  (33). 

4  pilastri  congiunti  ognuno  con  una  colonna,  press'  a  poco  della 

forma  che  qui  appresso  si  vede,  attestati  da 
due  capitelli,  che  ambedue,  veduti  dal  lato 
della  colonna,  avevano  a  sin.  un  muro  (indi- 
cato  nel  disegno),  grosso  circa  m.  0,50,  di 
cui  formavano  l'estremitä.  Manca  dunque  ad 
ognuno  il  suo  riscontro,  e  ve  ne  erano  almeno 
due  paia  (34).  Diametro  maggiore  alla  som- 
mitä  circa  m.  1,0. 
6  trequarti  di  colonne  della  forma  qui  riprodotta;  formavano 
ognuno  l'estremitä  di  un  muro,  del  quäle 
una  faccia  si  congiunge  con  la  periferia  della 
colonna  a  guisa  di  tangente,  mentre  sull'altro 
lato  la  colonna  rientra  e  si  presenta  come 
mezza  colonna :  non  isbaglieremo  chiamando 
questo  lato  l'interno.  Son  conservati  tre  sommiscapi,  che  tutt'  e  tre, 
veduti  dal  lato  interno,  hanno  il  muro  ad.,  e  tre  capitelli,  di  cui 
due  Vhanno  a  d.,  uno  a  sin.  (35).  Siccome  senza  dubbio  in  numero 
uguale  l'avevano  a  d.  e  a  sin.,  cosi  possiamo  dire  che  ne  sono 
attestate  tre  paia.  Con  un  muro  di  m.  0,50,  quäle  ce  l'hanno  fatto 
conoscere  i  pilastri  summentovati,  non  potevano  esser  congiunti  che 
nel  modo  indicato  dal  nostro  disegno  (36). 

II  Lange  p.  369  nega  che  tutti  questi  membri  abbiano  potuto 
appartenere  ad  un  medesimo  ordine  di  colonne,  perche  secondo  lui 
i  trequarti  di  colonne  in  ultimo  luogo  menzionati  presuppongono 
un  muro  non  piü  grosso  di  m.  0,28-0,30,  le  mezze  colonne  uno  di 
m.  0,38  (37).  Potrebbe  adesso  aggiungere  che  i  suddetti  pilastri  lo 
dimostrano  di  circa  m.  0,50.  Egli  crede  cioe,  e  cosi  un  tempo  cre- 
deva  anch'io  (38),  che  i  trequarti  di  colonne  dovessero  dal  lato 
interno  sporgere  a  guisa  di  mezze  colonne  avanti  a  quel  muro  di 
cui  formavano  l'estremitä.  Ma  se  con  essi  il  muro  era  congiunto 


LA    BASILICA    DI   PÖMPEI  25 

nel  modo  come  io  suppongo,  e  come  si  puö  supporre  senza  difficoltä 
alcuna,  allora  questa  difficoltä  sparisce  del  tutto.  E  che  realmento 
fosse  cosi,  lo  confermano  le  osservazioni  seguenti. 

Nei  trequarti  di  colonne  il  breve  principio  della  faccia  interna 
del  muro  non  e  parallelo  a  quella  esterna,  ma  forma  con  essa  un 
angolo  di  circa  45°  (39).  Che  non  si  trattasse,  come  crede  Lange 
p.  367,  di  un  piccolo  incavo  soltanto,  lo  si  dovrebbe  inferire  anche 
da  cid,  che  in  nessun  caso  la  faccia  interna  fu  formata  nel  tufo,  come 
quella  esterna:  non  se  ne  fece  che  un  piccolissimo  principio,  la- 
sciando  tutto  il  resto  alla  muratura.  —  La  parte  inferiore  della 
colonna  si  staccava  dal  muro  meno  di  quella  superiore,  e  meno 
di  tutto  il  capitello,  cid  che,  come  ognuno  vede,  s'accorda  egregia- 
mente  con  la  supposizione  nostra.  Lo  si  osserva  bene  in  uno  dei  som- 
miscapi  (11  intercol.  a  d.),  ove  il  lato  rivolto  al  muro  e  trattato 
in  modo  da  dover  combaciare  con  un'altra  pietra  di  tufo,  e  perciö 
puö  essere  misurato  con  esattezza:  e  grosso  di  sopra  m.  0,27,  di 
sotto  (a  una  distanza  di  0,60)  m.  0,28.  E  che  cid  fosse  fatto  con 
intenzione,  lo  dimostra  l'allargarsi  uguale  delT ultima  regola,  fra 
il  principio  del  muro  e  l'ultima  scanalatura.  E  similmente  si  spiega 
che  in  un  rocchio  medio,  con  un  principio  di  muro  grosso  m.  0,30, 
la  sedicesima  scanalatura  non  e  che  accennata,  e  la  quindicesima 
sparisce  verso  l'estremitä  inferiore  di  questo  rocchio.  Nei  capitelli 
poi  il  principio  del  muro  era  grosso  circa  0,34  (1.  intercol.  a  d.), 
0,35-0,38  (4.  interc.  a  d.),  0,36  (8.  interc.  a  sin.). 

Che  agli  stipiti  delle  aperture  nelTordine  superiore  si  sia  vo- 
luto  dar  questa  forma,  e  non  quella  piü  semplice  di  una  mezza 
colonna  rivolta  all'apertura  stessa,  lo  si  comprende  con  facilitä, 
se  essi  stavano  a  piombo  ognuno  sopra  una  delle  mezze  colonne 
dell'ordine  inferiore :  allora  cioe,  per  corrispondere  a  queste,  dove- 
vano  presentarsi  a  chi  stava  nell'interno  nella  larghezza  dell'intero 
diametro;  e  la  stessa  forma  degli  stipiti  ci  fa  fede  che  cosi  fossero 
collocati,  non  sopra  gli  intercolunnii. 

Da  questo  lato  dnnque  non  incontriamo  difficoltä  alcuna  nell'at- 
tribuire  tutti  i  frammenti  di  colonne  ecc.  di  tufo,  per  quanto  non 
appartengono  al  tribunale,  aH'ordine  superiore  sovraposto  alle  mezze 
colonne  dei  portici.  All'incontro  chi  volesse  col  Lange  collocare  i 
trequarti  di  colonne  e  le  colonne  libere  nel  muro  sorretto  dalle  grandi 
colonne,  come  stipiti  e  divisioni  di  finestre,  non  troverebbe  piü  un 


26  LA   BASILICA   DI   POMPEI 

motivo  soddisfacente  per  spiegare,  perche  l'architetto  abbia  dato 
agli  stipiti  questa  forma  insolita;  e  farebbe  meraviglia  perfino  che 
abbia  voluto  ornare  con  colonne  le  aperture  di  un  muro  che  dava 
cosi  poco  negli  occhi  (40). 

Ora,  per  ricostruire  l'ordine  superiore  dei  portici,  bisogna  tener 
conto  delle  probabilitä  che  risultano  dal  nuraero  nel  quäle  i  sin- 
goli  membri  ci  sono  attestati  dai  frammenti.  Cosi  p.  es.  la  restitu- 
zione  del  Lange  e  assai  improbabile  anche  per  questo,  che  secondo 
lui  di  24  colonne  libere  sarebbero  conservati  18  capitelli  (41),  di 
almeno  30  mezze  colonne  (42)  soli  5,  di  28  trequarti  di  colonne  (43) 
soli  3  (4f).  Bisogna  invece  cercare  una  disposizione,  in  cui  preval- 
gano  di  gran  lunga  le  colonne  libere. 

I  centri  delle  mezze  colonne  distano  fra  loro  nella  parte  media 
delle  pareti  m.  3,80-3,83.  In  ciascuna  estremitä  l'ultimo  interco- 
lunnio  (corrispondente  ai  portici  corti)  misura  5,19-5,24,  il  penul- 
timo  4,68,  il  terzo  3,97.  Evidentemente  tali  distanze  furono  sta- 
bilite  per  le  grandi  colonne ;  per  le  mezze  colonne  sono  sopportabili, 
per  l'ordine  superiore  sarebbero  addirittura  soverchie:  anche  nei 
piü  piccoli  intercolunnii  7  diametri,  e  poco  meno  che  l'altezza  delle 
colonne.  Fra  tutti  gli  edifizi  dell'epoca  «  del  tufo  «  tutt'  al  piü  po- 
trebbe  paragonarsi  la  cosi  detta  curia  Isiac^mo,  solo  la  distanza 
in  relazione  col  diametro,  non  con  l'altezza :  le  colonne  grosse  0,39, 
alte  3,15  distano  fra  loro  di  m.  2,70.  Ma  ivi  si  tratta  di  un  sem- 
plice  portico  senza  ordine  superiore,  nel  quäle  anche  le  proporzioni 
delle  colonne  (altezza  di  8  diametri)  son  calcolate  per  far  l'effetto 
della  massima  leggerezza.  Kiflettendo  poi  che,  essendo  conservati 
18  capitelli,  probabilmente  di  colonne  libere  ve  n'erano  fra  30  e  40, 
e  quasi  inevitabile  l'ammettere  che  fossero  poste  non  solo  sopra 
le  mezze  colonne  dell' ordine  di  sotto,  ma  anche  sopra  gli  interco- 
lunnii. Che  una  tale  disposizione  non  fosse  insolita  a  quell' epoca,  lo 
prova  il  peristilio  della  casa  *  della  parete  nera  ■  (VII,  4,  59),  ove 
la  parete  est  al  di  sopra  di  ognuna  delle  mezze  colonne  e  di  ogni 
intercolunnio  e  ornata  d'un  pilastro.  Cid  ammesso  la  distanza  sa- 
rebbe nel  caso  nostro  di  m.  1,90  almeno,  mentre  le  colonne  del 
tribunale,  di  uguale  diametro  ma  forse  un  poco  piü  alte,  distano  fra 
m.  1,76  e  1,81. 

I  sopra  mentovati  capitelli  di  pilastri  congiunti  con  colonne 


LA    BASILICA    DI    POMPEI  27 

(pag.  24)  dimostrano  un  diametro  superiore  di  circa  m.  1,0;  quello 
inferiore  appena  sarä  stato  minore  di  m.  1,05  (il  pilastro  stesso 
forse  non  aveva  rastreraazione).  Per  essi  dunque  non  v'  e  altro  posto 
che  nelle  pareti  lunghe,  ove  alla  grossezza  del  muro  (nord  0,685, 
sud  0,625)  s'aggiungeva  la  superficie  della  trabeazione  delle  mezze 
colonne  (45). —  f]  chiaro  poi  che  questi  erano  gli  stipiti  di  aper- 
ture  non  grandi,  in  modo  che  le  colonne  sporgenti  potessero  esser 
congiunte  da  un  architrave  anch'esso  sporgente,  di  aperture  dunque 
che  non  oltrepassavano  un  intercolunnio  deli'ordine  inferiore  e  nelle 
quali  per  conseguenza  non  vi  era  posto  per  tante  colonne  libere.  Per 
queste  ci  volevano  aperture  grandi,  le  quali  molto  meglio  potevano 
essere  fiancheggiate  dai  trequarti  di  colonne.  Delle  une  e  delle  altre 
aperture  dobbiamo  ammettere  il  minor  numero  possibile ;  quelle  con  i 
pilastri  preceduti  da  colonne  dovevano  occupare  un  posto  centrale, 
e  perciö  appena  si  puö  dubitare  che  non  ne  fosse  posta  una  sopra 
ognuno  degli  ingressi  laterali,  e  che  su  ciascun  lato  di  queste  aper- 
ture centrali  non  ve  ne  fosse,  nelle  pareti  lunghe,  una  grande  con  gli 
stipiti  formati  a  trequarti  di  colonna,  divisa  per  mezzo  di  colonne 
libere  in  numero  considerevole. 

Credo  poi  assai  poco  probabile  che  ad  una  parete  interrotta 
da  queste  ultime  aperture  fossero  addossate  mezze  Colonne.  Su  queste 
cioe  doveva  poggiare  un  architrave  d'una  sporgenza  di  circa  m.  0,25  (46), 
mentre  quello  dei  trequarti  di  colonne  e  delle  coJonne  libere,  che 
non  sono  addossate  al  muro  ma  per  un  certo  tratto  lo  rimpiazzano, 
non  poteva  sporgere  che  pochissimo.  Inoltre  l'architrave  piü  spor- 
gente non  poteva  neanche  estendersi  fino  aH'apertura,  ma  doveva 
tinire  sull' ultima  mezza  colonna,  nel  modo  disegnato  qui  appresso. 

Una  tale  conformazione  mi  sembra 
incredibile.  Senz'alcun  dubbio,  se 
vi  fossero  state  mezze  colonne,  si 
sarebbe  procurato  di  poter  condurre  il  loro  architrave  fino  all'aper- 
tura,  mettendo  cioe  una  mezza  colonna  accanto  allo  stipite.  Ma 
ognuno  vede  che  in  tal  caso  non  lo  stipite  ma  la  mezza  colonna 
doveva  stare  a  piombo  sopra  quella  deli'ordine  di  sotto,  di  modo 
che  non  vi  era  piü  motivo  alcuno  per  dare  agli  stipiti  l'insolita 
forma  attestata  dai  frammenti  (47) :  nulla  impediva  di  farli  sia  a 
guisa  di  pilastri  sia  di  mezze  colonne,  nel  modo  come  qui  appresso 


28  LA   BASILICA   DI   POMPEI 

si  vede.  E  cosi  la  stessa  forma  degli  stipiti  esclude,  se  non  m'in- 
ganno,  l'esistenza  di  mezze  colonne  addossate  alla  medesima  parete. 
Perciö  ritengo  che  le  mezze  colonne  stassero 
tutte   nell'ordine  superiore  dei  lati  corti ;  e  ve- 
dremo  in  appresso  che  ivi  trovano  bene  il  loro 
posto. 
E  se  a  qualcuno  facesse   difficoltä  l'ammettere  in  tal  modo 
nei  lati  corti  una  trabeazione  con  una  sporgenza  alquanto  maggiore 
che  nei  lati  lunghi,  risponderemo   che   cosi   era  anche  nell'ordine 
inferiore,  con  la  sola  differenza  che  ivi  la  trabeazione  piü  sporgente 
era  sorretta  dalle  mezze  colonne   dei  lati  lunghi,  mentre,  come 
ognuno  vede,  sulle  colonne  dei  lato  dell'ingresso,  di  un  diametro 
poco  maggiore  della  grossezza  dei  muro,  non  poteva  poggiare  che 
un  architrave  di  poca  sporgenza.  E  mi  par  certo,  che  da  siffatta 
diiferenza  degli  architravi  abbia  a  spiegarsi  l'insolita  forma  delle 
colonne  angolari  nord-est  e  sud-est.    Sem- 
brava  brutto  aH'archiletto  che  sopra  un  sem- 
plice  quarto  di  colonna  s'incontrassero  due 
architravi  di  sporgenze  differenti,   mentre 
cosi  com'egli  ha  fatto  la  mezza  colonna  por- 
tava  quello  piü  sporgente,  e  l'altro,  di  spor- 
genza minore,  poggiava  su  quel  piccolo  seg- 
mento  che  le  e  aggiunto  nell'angolo  stesso.  Era  diversamente  sul  lato 
posteriore.  Ivi  cioe  i  trequarti  di  colonne  accanto  al  tribunale  s'avan- 
zano  a  guisa  di  mezze  colonne  avanti  al  muro  che  li  congiunge  col 
tribunale  stesso ;  e  la  faccia  di  questo  muro,  prolungata  a  traverso 
degli  ingressi  alle  camere  laterali,  passerebbe  per  i  centri  delle  mezze 
colonne  che  ne  formano  l'altro  stipite,  in  modo  che  di  queste  ultime 
una  metä  deve  considerarsi  come  rimpiazzante  il  muro  a  guisa  di 
stipite,  l'altra   come  sporgente  avanti  ad  esso  e 
facente  parte  dei  membro  angolare,  il  quäle  dun- 
que,  esaminandolo  bene,  e  composto  di  due  quarti 
di  colonne.  In  tal  modo  la  differenza  fra  le  co- 
lonne angolari  anteriori  e  posteriori  e  pienamente 
giustificata:  lä  sono  composte   di   due  membri 
inuguali,  il  piü  grande  su  quel  lato  ove  l'ar- 
chitrave  sporgeva  maggiormente,  qui  di  due  membri  uguali,  perche 
uguale  era  su  ambedue  i  lati  la  sporgenza  dell'architrave. 


V 


LA    BASILICA    DI    TOMPEI 


29 


Potrebbe  sembrare  un  inconveniente  che,  non  essendovi  mezze 
colonne  nell'ordine  superiore  dei  muri  lunghi,  gli  intercolunnii  chiusi, 
che  pure  dovevano  esservi,  avessero  in  larghezza  il  doppio  della 
distanza  fra  le  colonne  libere  poste  nelle  aperture.  Ma  d'altra  parte 
le  mezze  colonne,  posto  che  vi  fossero,  non  potevano  essere  membri 
omogenei  ed  equipollenti  di  una  stessa  serie  cogli  stipiti  delle  aper- 
ture in  forma  di  trequarti  di  colonne,  e  con  le  colonne  libere  poste 
nelle  aperture  stesse.  Non  stavano  in  una  stessa  linea:  sporgevano 
dal  muro,  mentre  quelle  lo  rimpiazzavano,  e  tutto  l'insieme  doveva 
aver  con  esse  qualche  cosa  d'inuguale,  d'irrequieto,  che  era  meglio 
evitare.  Credo  perciö  che  l'ordine  superiore  fosse  trattato  nei  muri 
lunghi  come  un  muro  rimpiazzato  per  certi  tratti  da  colonne,  senza 
complicar  tale  concetto  per  l'aggiunta  delle  mezze  colonne  spor- 
genti,  in  modo  perö  che  ad  ogni  mezza  colonna  dell'ordine  infe- 
riore corrispondesse  o  uno  stipite  o  una  divisione  (colonna)  di  qualche 
apertura.  Quelle  distanze  maggiori  potevano  esser  mascherate  per 
mezzo  di  finestre;  e  poi  una  tale  distanza  maggiore  la  dobbiamo 
supporre  in  ogni  modo  nelle  aperture  fiancheggiate  dai  pilastri  pre- 
ceduti  da  colonne.  Giacche  e  incredibile  che  anche  queste,  che  non 
potevano  esser  minori  di  un  intercolunnio  dell'ordine  inferiore,  fos- 
sero divise  ognuna  per  mezzo  di  una  colonna:  in  primo  luogo  sa- 
rebbe stato  brutto,  perche  essa  avrebbe  formato  triangolo  con  le 
due  colonne  sporgenti ;  e  poi  sarebbe  venuta  a  stare  sopra  l'ingresso, 
mentre  e  probabile  che  la  grande  apertura  sopra  la  porta  si  facesse 
appunto  per  alleggerirla. 

Propongo  dunque  qui  appresso  la  metä,  compresa  la  parte  cen- 
trale, della  pianta  dell'ordine  superiore  e  del  prospetto  dell'intera 


HBf-+~li-r-HLf~H-4"t 


30  LA   BASILICA   DI   POMPEI 

parete.  Ho  supposto  che  le  parti  corrispondenti  ai  portici  corti  fos- 
sero  chiuse,  mentre  alla  fila  delle  colonne  grandi  corrispondesse  una 
tila  di  colonne  libere,  interrotta  nel  centro  da  due  intercolunnii 
chiusi  fiancheggianti  la  grande  apertura  centrale  cogli  stipiti  in 
forma  di  pilastri  preceduti  da  colonne. 

Di  questi  Ultimi  quello  di  cui  si  puö  calcolare  ad  im  dipresso 
il  diametro,  doveva  averlo  alla  base  non  minore  di  m.  1,05.  Ora 
il  muro  nord  e  grosso  0,685;  le  mezze  colonne  dell'ordine  infe- 
riore, oltre  le  quali  non  e  presumibile  che  s'avanzassero  le  co- 
lonne superiori,  potevano  sporgere  alla  sommitä  circa  m.  0,40. 
Dunque  per  il  pilastro  con  la  colonna  vi  era  appena  il  posto,  e 
non  vi  era  affatto,  se  la-  faccia  esterna  del  muro  nell'ordine  supe- 
riore  non  stava  a  piombo  sopra  quella  di  sotto;  e  impariamo 
cosi,  che  il  muro  si  ristringeva  soltanto  intern amente,  non  dal 
lato  di  fuori.  Ne  viene  di  conseguenza  che  i  trequarti  di  colonne, 
e  le  colonne  libere  che  con  esse  stavano  in  una  linea,  non  ave- 
vano  basi;  giacche  e  chiaro  dalla  pianta  dei  trequarti  di  colonne 
(pag.  24),  che  il  loro  fusto  toccava  la  faccia  esterna  del  muro, 
e  che  per  una  base  non  vi  era  piü  posto.  Infatto  non  fu  trovata 
alcuna  base  sia  di  esse  sia  delle  colonne  libere  (48),  e  di  queste 
ultime  vi  sono  due  imiscapi  senza  base,  mentre  quelle  del  tri- 
bunale  le  hanno  fatte  da  un  pezzo  coll'imoscapo.  Le  basi  furono 
omesse,  perche  dal  lato  interno  non  sarebbero  state  visibili,  e  perche 
non  sarebbe  stato  possibile  di  farle  senza  far  sporgere  esternamente 
la  parte  inferiore  del  muro  avanti  a  quella  superiore.  Invece  le 
mezze  colonne  dei  lati  corti  avevano  basi,  che  sono  in  parte  con- 
servate;  ivi  cioe  erano  visibili  e  potevano  farsi  senza  difficoltä. 
Eimane  indeciso,  se  le  avessero  le  colonne  addossate  ai  pilastri 
delle  aperture  centrali  nei  lati  lunghi.  I  pilastri  stessi,  come  i  tre- 
quarti di  colonne,  e  per  i  medesimi  motivi,  non  potevano  averle. 
Non  sappiamo  esattamente,  essendo  conservato  il  solo  capitello,  in 
quäl  modo  la  colonna  fosse  congiunta  col  pilastro :  forse  si  era  tro- 
vato  il  modo  di  dare  a  questa  la  base  benche  mancasse  a  quello. 
Allora  avevano  basi  i  membri  sporgenti  dal  muro,  ne  erano  privi 
quelli  che  lo  rimpiazzavano.  Non  possiamo  pretendere  di  aver  cer- 
tezza  su  tutti  questi  particolari;  basta  constatare  che  dillerenze 
simili  non  escludono  affatto  una  disposizione  soddisfacente. 

Nei  due  summentovati  imiscapi  delle  colonne  libere  merita  di 


LA    BASIMCA    Dl   POMPEI  31 

essere  rilevato  il  seguente  particolare.  In  esse  cioe  non  tutte  le 
scanalature  sono  trattate  secondo  la  regola,  in  modo  da  finire  poco 
al  di  sopra  del  piede,  ma  alcune  son  condotte  fino  all'estremitä.  Ed  in 
uno  dei  due  esemplari  son  trattate  regolarmente  alcune  scanalature 
in  due  punti  che  stanno  l'uno  dirimpetto  all'altro ;  e  cosi  pare  che 
sia  stato  anche  nell'altro,  ove  non  ci  si  vede  tanto  chiaro.  Senza 
dubbio  i  due  lati  regolarmente  lavorati  dovevano  essere  rivolti  alla 
strada  e  all'interno  della  basilica.  E  vero  che  da  quest'ultima  parte 
il  piede  della  colonna  non  era  visibile;  ma  ciö  poteva  non  esser 
presente  a  chi  ne  dirigeva  la  lavorazione,  mentre  e  affatto  incre- 
dibile  che  a  cose  simili  si  fosse  pensato,  se  le  colonne  erano  desti- 
nate,  come  crede  il  Lange,  per  le  aperture  d'un  muro  sorretto  dalle 
grandi  colonne :  a  niuno  poteva  venire  in  mente,  che  ad  una  tale 
altezza  simili  particolari  potessero  essere  visibili. 

L'epistilio  (e  l'altra  trabeazione,  se  vi  era)  delle  due  colonne 
sporgenti  nel  centro  di  ogni  lato  lungo  doveva  avanzarsi  di  m.  0,50 
avanti  a  quello  del  resto  della  parete.  Ed  e  chiaro  che  una  tale 
differenza  era  un  inconveniente  qualora  sopra  i  portici  stava,  visibile 
da  dentro,  un  tetto  obliquo,  mentre  non  lo  era  affatto,  quando  erano 
coperti  orizzontalmente.  Qui  dunque  abbiamo,  non  certo  una  prova 
stringente,  ma  un  indizio,  una  probabilitä,  che  quest* ultimo  fosse 
il  caso. 

ßivolgendoci  ora  ai  lati  corti,  se  a  ragione  abbiamo  escluso 
le  mezze  colonne  dai  lati  lunghi,  e  chiaro  che  qui  debbono  trovare 
il  loro  posto.  Del  resto  i  frammenti  non  aiutano  (49);  credo  perö 
che  le  seguenti  considerazioni  siano  stringenti. 

Non  e  credibile  che  ai  tre  intercolunnii  dell'ingresso  principale 
abbia  corrisposto  un'apertura  uguale,  divisa  per  mezzo  di  due  co- 
lonne, nell'ordine  superiore.  Qui  vale  ciö  che  fu  detto  sopra  (pag.  26) 
intorno  ai  lati  lunghi,  e  che  fra  questi  e  que'  corti  vi  sia  stata  una 
tale  differenza,  non  e  in  alcun  modo  probabile.  Altrettanto  poi  e 
incredibile  che  una  tale  apertura  sia  stata  divisa  per  mezzo  di 
5  colonne,  di  cui  3  avrebbero  dovuto  stare  sull'architrave.  Per  con- 
seguenza  non  vi  era  apertura  affatto,  ma  muro,  diviso  naturalmente 
da  mezze  colonne  poste  a  piombo  sopra  le  colonne  inferiori.  Ne  credo 
che,  per  aver  le  distanze  meno  grandi,  vi  fossero  mezze  colonne  anche 
sopra  gli  intercolunnii,  cioe  sopra  l'architrave.  Allora  perö  e  ine- 
vitabile  che  in  ciascun  intercolunnio  una  finestra  servisse  al  doppio 


32  LA    BASILICA   DI   POMPEI 

scopo  di  alleggerire  l'architrave  e  di  mascherare  la  soverchia  lar- 
ghezza.  E  suppongo  che  cosi  fossero  trattati  anche  i  due  interco- 
lunnii  estremi,  giacche,  se  non  era  forse  impossibile  una  mezza  co- 
lonna  sopra  ognuna  di  quelle  porte  secondarie,  che  non  arrivavano  fino 
aU'epistilio,  e  in  ogni  modo  piü  probabile  che  ciö  sia  stato  evitato. 
Do  qui  appresso  la  pianta  dell'ordine  superiore,  che  cosi  ri- 
sulta ;  il  prospetto  del  lato  d'ingresso  dalla  parte  di  dentro  si  rileva 
con  sufficiente  chiarezza   dallo  spaccato  che  sarä  dato  a  pag.  40. 


— (  f  t  r  r  f  r  r  r  r  r" 

Eiflessioni  analoghe  fanno  supporre  che  sul  lato  posteriore,  al 
disopra  degli  ingressi  alle  camere  laterali,  vi  fosse  un  muro  inter- 
rotto  da  una  finestra :  altrimenti  o  si  dovrebbe  ammettere  un  inter- 
colunnio  della  stessa  larghezza  dell'ordine  inferiore,  o  un  tale  interco- 
lunnio  diviso  per  mezzo  d'una  colonna  posta  sull'architrave,  o  un 
muro  con  mezza  colonna  posta  anch'essa  sull'architrave:  tutte  sup- 
posizioni  non  probabili  (50). 

La  parte  media  del  lato  posteriore  era  occupata  dal  tribunale, 
il  quäle,  con  le  camere  adiacenti,  ora  ci  rimane  a  considerare. 

Fu  giä  detto  sopra,  che  la  sostruzione  e  alta,  dal  pavimento 
da  noi  supposto,  m.  1,65,  che  il  piano  inferiore,  fino  aU'epistilio, 
probabilmente  era  alto  m.  4,45.  L'epistilio  col  fregio  e  conservato, 
ed  e  alto  0,69 ;  l'intera  trabeazione  poteva  misurare  0,92.  Ed  abbiamo 
visto  sopra,  che  in  tal  modo  il  piano  inferiore  con  la  sua  trabea- 
zione arrivava  alla  stessa  altezza  dell'ordine  inferiore  dei  portici. 

Prima  di  occuparci  del  piano  superiore  bisogna  aggiungere  alcune 
parole  intorno  alla  parte  conservata  della  trabeazione,  l'epistilio  cioe 
col  fregio.  Ne  abbiamo  riprodotto  a  pag.  22  il  profilo,  coll'epistilio 
da  un  lato  piü  alto  che  dall'altro.  Ora  il  Lange  (p.  359)  suppone, 
come  cosa  che  s'intenda  da  se,  che  l'epistilio  minore  fosse  rivolto 
al  vano  piü  piccolo,  cioe  all'interno  del  tribunale.  Ma  egli  sbaglia. 
In  casi  simili  il  profilo  piü  alto  era  rivolto  verso  quel  lato,  ove 
un  sofiitto  poggiava  immediatamente  sull'epistilio  e  perciö  non  si  ve- 
devano  altre  parti  della  trabeazione.  Ciö  si  osserva  bene  nel  portico 
e  ne'propilei  del  foro   triangolare :  in  ambedue  i  luoghi  sul  lato 


LA    BASILICA   DI    POMPEI  33 

dell'epistilio  piü  alto  son  visibili  sopra  di  esso,  a  distanze  piut- 
tosto  grandi,  i  buchi  nei  quali  erano  immesse  le  travi  che  sorrög- 
gevano  un  leggiero  soffitto.  Le  parti  che  dal  soffitto  stesso  erano 
nascoste,  niostrano  un  lavoro  meno  liscio.  II  lato  esterno  e  carat- 
terizzato  in  modo  indubitable  nel  portico  dal  fregio  con  triglifl,  nei 
propilei  dall'incavo  destinato  a  contenere  una  tavoletta  con  un'  iscri- 
zione,  che  naturalmente  doveva  esser  esposta  di  fuori  (51). 

Che  cosi  fosse  anche  nel  caso  nostro,  lo  conferma  il  fatto  che 
sul  lato  dell'epistilio  maggiore,  immediatamente  sopra  la  cornicetta 
dell'epistilio,  una  striscia  di  circa  m.  0,04  e  lavorata  in  un  modo 
diverso  dal  rimanente.  Ed  evidentemente  ciö  che  rimane  al  disopra 
di  quella  striscia,  fu  lavorato  con  colpi  yerticali,  dall'alto  in  basso, 
mentre  la  striscia  stessa  era  in  qualche  modo  coperta.  A  che  scopo 
avesse  luogo  quella  lavorazione,  non  so  dirlo:  ma  quella  striscia 
mi  pare  difficile  che  possa  essere  stata  coperta  con  altro  che  con 
un  soffitto  sorretto  dalla  cornicetta  stessa.  E  siccome  dei  massi  con- 
servati  due  possono  esser  collocati  soltanto  quando  si  suppone  che 
il  profilo  maggiore  stasse  dal  lato  interno,.  cosi  appena  si  puö  du- 
bitare  che  il  soffitto  non  vi  fosse. 

Nel  piü  grande  cioe  dei  massi  (avanti  al  tribunale)  sul  lato  del- 
l'epistilio maggiore  all'estremitä  sin.  una  parte  non  lavorata  sporge 

dalla    faccia    lavorata ;    la 

•*__  *j*         ,  sporgenza  e  fra  0,03  e  0,06. 

T  \     Ciö  non  ammette  che  una 

sola  spiegazione,    che   cioe 


wKMMzMmammzmMlim. j     qui  fosse  un   angolo  rien- 

*'"  ltii  •  tränte,  e  che  sulla  parete 

adiacente  la  trabeazione  non 

ji    fosse  piü  formata  di  tufo, 

ma  di  muratura  rivestita  di 


.   > 


\     stucco.  Per  conseguenza  que- 
[  , .  tt,  __:  sto  era  l'architrave  dell' ul- 

timo intercolunnio  a  d. ,  il 
quäle  doveva  esser  lungo  2,04,  lavorato  esternamente  sull'intera 
lunghezza,  internamente  per  m.  1,50,  e  sul  lato  sin.  (per  chi  stava 
fuori)  doveva  esser  lavorato  in  modo  da  combaciar  con  un  altro  masso. 
II  masso  in  discorso  e  lavorato  esternamente  sull'intera  lunghezza 
di  m.  1,70,  internamente  p.  m.  1,50;  e  sul  lato  sin.  lavorato  per 

3 


34  LA    BASILICA    DI    POMPEI 

combaciar  col  masso  seguente,  mentre  il  lato  d.  e  tagliato  rozza- 
mente.  E  dunque  l'ultimo  architrave  a  d.,  del  quäle  perö,  per  farne 
im  altro  uso,  e  stato  tolto  a  d.  im  pezzo  lungo  0,34  (vd.  la  figura  1). 
Nel  12.  intercolunnio  a  sin.  giace  la  parte  angolare  dell'ul- 
timo  architrave  a  sin.  Ha  sul  lato  anteriore  (conservato  m.  0,60) 
e  sul  lato  sin.  l'epistilio  minore;  sul  lato  sin.  perö  giä  a  m.  0,32 
sporge  una  parte  non  lavorata:  qui  cioe  il  masso  dell' architrave 
si  perdeva  nel  muro  laterale,  che  stava  piü  a  sin.  II  lato  poste- 
riore (interno)  non  e  lavorato  (52):  qui  la  parte  lavorata  doveva 
cominciare  soltanto  a  m.  0,54  dall'estremitä,  al  di  lä  cioe  della 
parte  conservata  (vd.  la  figura  2). 

Una  parete  lunga  de!  piano  superiore  fu  dal  Lange  felicemente 
ricostruita  dai  frammenti  conservati  negli  Ultimi  intercolunnii  a  sin., 
e  ne  da  a  pag.  327  la  pianta,  di  cui  qui  appresso  si  riproduce  la 

metä,  compresa  la  parte  cen- 
trale,   con    una    modificazione 
all'estremitä ,    della  quäle   si 
,  t  ^      parlerä  in  appresso.  Era  inter- 

'  '        '        '  rotta  da  5  finestre;  quella  in 

mezzo  (meno  probabilmente  due  delle  altre)  arrivava,  in  guisa 
di  porta,  giü  fino  al  piede  delle  quattro  mezze  colonne  corinzie 
(diam.  0,40)  le  quali,  fiancheggiate  da  stretti  pilastri  (che  mancano 
accanto  alla  finestra  a  guisa  di  porta)  stavano  fra  le  finestre  (53). 
Questa  parete  il  Lange  vuole  che  sia  quella  posteriore.  Ma  cid 
non  e  senza  difficoltä.  Se  a  ragione  dalle  traccie  sopra  esposte  ab- 
biamo  concluso  che  fra  i  due  piani  vi  fosse  im  soffitto,  allora  la 
parete  posteriore  del  piano  di  sopra  era  invisibile  ed  e  affatto  incre- 
dibile  che  si  sia  voluto  svilupparla  cosi  riccamente.  Ma  posto  anche 
che  non  vi  fosse  divisione  fra  i  due  piani,  come  altra  volta  credetti 
di  dover  concludere  dall'assenza  di  una  scala  per  montare  a  quello 
superiore  (54) :  nondimeno  in  quel  punto  la  finestra  a  guisa  di  porta, 
rivolta  sulla  strada  dietroposta,  sarebbe  almeno  strana.  Vi  s'ag- 
giunge  un  altra  osservazione. 

Anche  il  lato  posteriore  delle  lastre  del  parapetto  sotto  le  finestre 
era  rivestito  di  stucco  fino  e  bianco.  Ma  immediatamente  accanto 

a  quella  finestra  a  guisa  di  porta  vedesi 
una  striscia  verticale  larga  0,50,  che  sporge 
circa  m.  0,02,  ed  e  lavorata  evidentemente 


LA   BASILICA   DI    POMPEI  35 

per  combaciare  con  un'altra  lastra  aggiuntavi  ad  angolo  retto,  la 
quäle  doveva  far  parte  di  un  muro  o  parapetto.  Ora,  come  si  spiega 
questo,  se  al  di  lä  di  questa  parete  ci  troviamo  fuori  dell'edifizio  ? 

Di  piü,  il  muro  posteriore  del  piauo  di  sotto  e  grosso  nel  mezzo 
circa  m.  0,60,  con  la  trabeazione  delle  mezze  colonne  circa  0,90. 
Che  a  questo  nel  piano  superiore  ne  avesse  corrisposto  uno  di  soli 
m.  0,257,  o  di  m.  0,57  comprese  le  mezze  colonne,  non  e  molto 
credibile;  se  cioe,  come  e  probabile,  la  faccia  esterna  del  muro 
s'alzava  verticalmente,  allora  le  mezze  colonne  del  piano  di  sotto 
si  sarebbero  avanzate  troppo  avanti  a  quelle  superiori.  E  come  spie- 
gare che  qui  si  sia  voluto  fare  il  muro  tutto  di  massi  di  tufo,  mentre 
nel  piano  di  sotto  e  nei  portici  e  di  opera  incerta? 

Finalmente  dovrebbe  far  meraviglia  il  non  veder  conservato 
nulla  del  lato  anteriore,  mentre  quello  posteriore  ci  sarebbe  in 
gran  parte.  Credo  cioe  che  Lange  a  torto  ascrive  al  piano  supe- 
riore del  tribunale  una  piccola  base  di  colonna  in  tufo,  che  sta 
neH'll.  intercolunnio  a  sin.,  alta  coll'imoscapo  m.  0,38,  dal  dia- 
metro  di  m.  0,38-0,40  alla  base.  Essa  porta  avanzi  di  un  grosso 
strato  di  stucco  d'epoca  tarda,  mentre  non  v'  e  traccia  alcuna  che 
il  tribunale  abbia  mai  ricevuto  uno  stucco  posteriore.  Kitengo  perciö 
che  non  proviene  ne  dal  tribunale  ne  dalla  basilica.  Che  non  tutti 
i  frammenti  conservati  nella  basilica  le  appartengono,  e  certo:  vi 
sono  p.  es.  anche  parti  del  portico  superiore  del  foro  (55). 

Considerato  tutto  questo,  mi  pare  piü  che  probabile  che  la 
parete  restituita  dal  Lange  sia  quella  anteriore,  la  facciata  del  piano 
di  sopra.  Siccome  le  colonne  del  piano  inferiore  hanno  un  diametro 
di  m.  0,48  alla  sommitä,  cosi  la  grossezza  delle  lastre  non  fa  diffi- 
coltä:  i  massi  del  piano  di  sopra  potevano  bene  dal  lato  interno 
sporgere  di  circa  m.  0,10  sopra  la  trabeazione  sottoposta,  special- 
mente  se  la  parte  sporgente  poggiava  sopra  un  pavimento,  che  secondo 
le  osservazioni  sopra  esposte  deve  supporsi.  —  L'apertura  a  guisa 
di  porta  puö  ammettersi  in  una  facciata  rivolta  nell'interno  della  ba- 
silica, e  non  sono  neanche  impossibili  i  muri  o  parapetti  che  da  essa 
si  stendevano  nell'interno,  se  cioe  vi  era  un  pavimento.  Sarebbe  pre- 
tendere  troppo  se  volessimo  indovinar  lo  scopo  di  tutto  questo. 
Nelle  estremitä  la  pianta  del  Lange  deve  modificarsi  nel  modo 
come  nella  nostra  figura  si  vede. 

Cosi  anche   da  questo  lato  vien  confermata  l'esistenza  di  un 


36 


LA    BASILICA    DI    POMPEI 


pavimento  fra  i  due  piani  del  tribunale.  S'intende  da  se  che  non 
era  identico  al  soffitto  sopra  constatato,  il  quäle  poggiava  sulla  cor- 
nicetta  dell'epistilio;  era  probabilmente  sorretto  da  travi  iramesse 
in  buchi  praticati  nei  massi  del  cornicione,  giacche  in  quelli  del 
fregio  non  ve  ne  sono.  Questo  risultato  e  abbastanza  incomodo,  stante 
l'assenza  di  una  scala;  ma  non  vedo  il  modo  di  evitarlo.  II  piano 
superiore  poteva  essere  accessibile  con  scale  portatili  o  dal  portico 
che  precede  il  tribunale,  o  montando .  dai  pianerottoli  che  danno 
accesso  al  piano  di  sotto  a  simili  pianerottoli  del  piano  superiore; 
era  dunque  poco  servibile,  fatto  probabilmente  piü  per  riempir  lo 
spazio  e  completare  la  decorazione  che  per  qualche  scopo  pratico. 
Non  conosciamo  l'altezza  del  piano  di  sopra.  Lange  calcola  le 
mezze  colonne  a  m.  2,42,  col  capitello  ma  senza  la  base,  e  quest'ul- 
tima  egli  la  riconosce,  a  torto  credo,  nella  base  menzionata  sopra 
pag.  35,  alta  0,38.  Perö  la  parte  mancante  a  piedi  poteva  aver  press'a 
poco  quest'altezza,  e  allora  il  parapetto  delle  finestre  era  alto  m.  1,10. 
Ma  gli  avanzi  non  bastano  per  provare  che  l'altezza,  fino  alla  sommitä 
del  fu?to,  fosse  raggiunta  con  4,  e  non  con  5  rocchi.  Se  erano  cinque, 
allora  non  fa  difficoltä  alcuna  di  supporre  che  la  trabeazione  arrivasse 
fino  al  soffitto  del  portico:  bastava  che  le  mezze  colonne  fossero 
alte  m.  3,60  e  la  trabeazione  0,82.  E  cosi  ho  supposto  nel  pro- 
spetto  ristaurato  di  questo  lato,  che  insieme  con  la  pianta  del  piano 
superiore  qui  appresso   si  propone.  Ognuno  vede   che  in  tal  modo 


LA    BASILICA    DI   POMPEI  37 

le  proporzioni  dei  due  piani  sono  giustissime,  e  che  sarebbero  meno 
buone  se  quello  superiore  fosse  piü  basso.  E  poi,  lasciando  im  inter- 
vallo  fra  il  tribunale  ed  il  soffitto,  nascerebbe  la  difficoltä  di  riem- 
pirlo:  poteva  senza  dubbio  alzarsi  sopra  il  cornicione,  fino  al  soffitto, 
im  muro  renza  caratteristica ;  era  possibile  anche  che  fra  la  fac- 
ciata  del  tribunale  ed  il  soffitto  del  portico  rimanesse  im  vuoto, 
mentre  i  muri  anteriori  dei  compresi  laterali  fossero  congiunti  in 
linea  retta  al  disopra  del  tribunale  mediante  un  muro  sorretto  per 
circa  9  m.  da  una  grossa  trave;  ma  ne  l'una  ne  l'altra  ipotesi  e 
molto  soddisfacente.  Vi  s'aggiunge  che,  supponendo  il  tribunale  piü 
basso  del  portico,  e  non  lo  poteva  essere  di  molto,  s'incontrano  diffi- 
coltä nella  ricostruzione  del  tetto.  Non  credo  neanche  che  fra  la 
trabeazione  del  tribunale  ed  il  soffitto  del  portico  seguitasse  l'epi- 
stilio  di  quest' ultimo ;  giacche  nella  facciata  del  tribunale  eravi 
prima  l'architrave  delle  finestre  in  forma  di  epi&tilio,  fregio  e  cor- 
nicione ;  quindi  gli  stessi  membri  nella  trabeazione  sorretta  dalle 
mezze  colonne:  aggiungendovisi  ancora  l'epistilio  del  portico  s'avreb- 
bero  tre  trabeazioni ;  e  mi  pare  che  ciö  sarebbe  troppo.  Di  piü  l'epi- 
stilio dovrebbe  formare  sopra  le  estremitä  della  facciata  certi  angoli 
che  non  ammetterei  volenti eri  nell'architettura  di  quest'epoca. 

Che  le  stanze  accanto  al  tribunale  avessero  la  medesima  al- 
tezza  dal  tribunale  stesso,  sembra  a  prima  vista  incredibile,  stante 
la  loro  piccola  estensione.  Perö  qui  si  trattava  di  riempir  gli  an- 
goli ;  e  perciö,  se  a  ragione  abbiamo  supposto  che  il  tribunale  fosse 
in  altezza  press'a  poco  uguale  ai  portici,  allora  e  almeno  possibile 
che  anche  alle  camere  adiacenti  sia  stata  data  la  stessa  altezza, 
invece  di  fare  in  questa  sola  parte  un  tetto  piü  basso.  Le  propor- 
zioni della  decorazione  delle  pareti  non  contradicono :  lo  zoccolo 
con  la  fascia  rossa  e  alto  m.  1,75,  i  rettangoli  bianchi,  che  occu- 
pano  il  resto  della  parete,  m.  0,65  ogni  fila.  Ma  ciö  si  potrebbe 
decidere  soltanto  se  avessimo  certezza  sulla  forma  del  tetto. 

Rivolgendoci  ora  a  quest' ultimo  problema,  credo  si  possa  esclu- 
dere  fin  da  principio  che  un  gran  tetto  a  schiena  abbia  coperto  la 
parte  media  ed  i  portici,  non  perö  il  tribunale  e  le  stanze  adiacenti : 
in  tal  caso  cioe  le  parti  comprese  e  quelle  non  comprese  sotto  il 
tetto  dovrebbero  esser  divise  nella  pianta  da  una  linea  retta,  ed  il 
tribunale  non  s'avanzerebbe  nel  portico  che  lo  precede  (56).  Esclusa 
dunque  questa,  rimangono,  per  quanto  io  vedo,  tre  ipotesi  possibili. 


38  LA   BASILICA    DI   POMPEI 

1.  L'intero  edifizio,  escluso  soltanto  il  calcidico,  poteva  essere 
coperto  da  un  grande  tetto  a  schiena.  La  forma  del  muro  d'in- 
gresso,  la  cui  parte  superiore  era  chiusa  e  interrotta  soltanto  da 
finestre,  non  contradirebbe.  Non  vi  sarebbe  stata  dalla  parte  del 
foro  una  facciata  monumentale,  anche  perche  l'ordine  inferiore  rima- 
neva  nascosto  dietro  la  facciata  del  calcidico,  il  quäle  non  aveva 
nemmeno  la  larghezza  identica  a  quella  della  basilica  stessa,  ma 
si  stendeva  piü  verso  sin.,  avanti  al  serbatoio  d'acqua ;  ma  l'aspetto 
non  sarebbe  neanche  stato  impossibile. 

fi  chiaro  che  allora  le  due  file  di  colonne  ai  lati  corti  rima- 
nevano  senza  funzione  tettonica ;  ma  non  credo  che  ciö  sia  un  osta- 
colo  assoluto.  II  portico  tutt'intorno  allo  spazio  medio  della  basilica 
era  tradizionale  e,  oltre  la  funzione  tettonica  delle  colonne,  ser- 
viva  per  regolare  la  circolazione,  e  perciö  poteva  essere  mantenuto 
anche  quando  le  colonne  dei  lati  corti  non  erano  tettonicamente 
necessarie;  esse  potevano  sorreggere  il  sofiitto  del  portico  e  pre- 
stare  un  appoggio,  benche  non  necessario,  al  tetto.  Ognuno  vede  che 
la  difficoltä  era  minore,  se  anche  la  parte  media  ayeva  un  soffitto. 
Pur  tuttavia,  caeteris  paribuSj  sarebbe  piü  probabile  un'ipotesi  con 
la  quäle  tutte  le  colonne  avessero  la  loro  funzione  tettonica ;  e  tale 
sarebbe  la  seguente. 

2.  Le  grandi  colonne  portavano  la  mediana  tetiudo,  cioe  un 
tetto  a  schiena  che  copriva  la  sola  parte  media,  mentre  i  portici 
avevano  il  loro  tetto  separate,  inclinato  verso  l'esterno.  Potrebbe 
sembrare  poco  chiaro  e  men  bello  che  in  tal  modo  soltanto  sui  lati 
corti,  sotto  i  frontoni,  il  tetto  dei  portici  comparisse  separato,  mentre 
sui  lati  lunghi  non  fosse  che  una  continuazione  della  mediana  testudo. 
Ma  era  facile,  mediante  un  bassissimo  muro,  iar  rimanere  il  margine 
superiore  del  tetto  dei  portici  un  poco  al  disotto  del  margine  infe- 
riore della  mediana  testudo,,  accennando  cosi  almeno  nella  conforma- 
zione  del  tetto  lo  schema  consueto  delle  basiliche.  E  ciö  era  piü 
facile,  se  la  parte  media  aveva  un  soffitto.  Lo  schema  consueto 
poteva  essere  accennato  anche  internamente  con  un'altezza  un  poco 
maggiore  della  parte  media,  dando  alle  grandi  colonne  da  quel  lato 
una  trabeazione  completa  con  fregio  e  cornicione,  mentre  nei  por- 
tici il  soffitto  poggiava  sulla  cornicetta  dell'epistilio.  E  ciö  vale 
anche  per  la  prima  ipotesi. 


LA    HASIL1CA    Dl    POMPEI  39 

Solo  sul  lato  posteriore  s'incontra  qualche  dißicoltä :  noa  e  fa- 
cile,  e  non  so  se  sia  possibile,  di  disporre  le  altezze  in  modo  che 
il  tetto  del  portico  coprisse  con  la  stessa  pendenza  anche  il  tri- 
bunale (57) ,  mentre  ogni  altra  soluzione  vien  contradetta  dall'inol- 
trarsi  del  tribunale  nel  portico. 

3.  Questa  difficoltä  sarebbe  eyitata  con  l'ipotesi  seguente. 
Di  piü  ambedue  le  ipotesi  fin  qui  esposte  non  tengono  conto  di  un 
particolare,  che  pure  vuole  esser  considerato:  dico  il  serbatoio 
d'acqua  posto  all'angolo  sud-est  deH'edifizio,  a  sin.  del  calcidico  (58). 
E  difficile  pensare  che  esso  non  sia  stato  fatto  per  raccogliere  le 
acque  cadute  sul  tetto  (5<J).  mentre  con  ambedue  le  ipotesi  or 
ora  esposte  ognuno  rede  che  ciö  non  era  possibile.  E  vero  che 
presso  l'angolo  nord-est  del  bacino  piü  largo  vi  sono  sedimenti 
di  calce,  ciö  che  sembra  provare  che  in  questo  punto  vi  imboc- 
cava  un  tubo  dell'acquedotto.  Ma  que'  sedimenti  sono  in  pochissima 
quantitä,  e  dovrebbero  essere  in  molto  maggiore  se  fin  da  princi- 
pio  questi  serbatoi  avessero  servito  per  l'acqua  del  condotto;  ne 
abbiamo  finora  traccia  alcuna  di  un  acquedotto  preromano  a  Pompei. 
D'altra  parte,  se  l'acqua  serviva  per  qualche  uso,  e  credibilissimo 
che,  distrutto  nel  63  il  tetto  della  basilica,  vi  sia  stato  portato  un 
tubo  dell'acquedotto. 

•  Ora,  se  le  acque  dovevano  esser  dirette  verso  quel  punto  e 
verdate  nel  pozzo,  bisogna  modificare  l'ipotesi  precedente  in  ma- 
niera  che  intorno  alla  mediana  testudo  non  vi  fosse  un  tetto,  ma 
i  portici  fossero  coperti  orizzontalmente  da  una  terrazza,  che  po- 
teva  benissimo  estendersi  anche  sopra  il  tribunale  e  le  camere  adia- 
centi,  con  leggera  pendenza  verso  l'angolo  sud-est.  E  cosi  si  con- 
ferma  nuovamente  la  probabilitä  che  tribunale  e  portico  fossero  di 
altezza  uguale. 

Una  terrazza  sopra  i  portici  la  prescrive  anche  Vitruvio  (60). 
E  vero  che  nella  sua  basilica  normale  tale  terrazza  deve  servire 
da  ambulacro,  ciö  che  qui  e  escluso  per  l'assenza  di  una  scala 
p3i"  montarvi;  e  perciö  le  sue  parole  sono  meno  applicabili  al  caso 
nostro.  Ma  non  e  per  nulla  improbabile  che  parte  Tesempio  di 
basiliche  dallo  Schema  consueto  e  descritto  da  Vitruvio,  parte  lo 
scopo  pratico  di  raccogliere  le  acque,  abbiano  indotto  l'architetto 
a  fare  in  quel  modo.  E,  tutto  considerato,  mi  pare  che  questa  sia 


40 


LA   BASILICA    DI   POMPEI 


l'ipotesi  la  piü  probabile.   Essa  e  rappresentata  nelle  sezioni  lon- 
gitudinale  e  trasversale  che  qui  appresso  si  propongono. 


r  r  r  r  r  r  r  r  r 


i»  ik  <t  ii  i? 


£- 


Non  abbiamo  fin  qui  parlato  del  calcidico.  Bitengo  per  certo 
ciö  che  il  dott.  Wolters,  in  base  ad  im  accuratissimo  esame  degli 
avanzi,  ha  esposto  nella  memoria  che  qui  appresso  si  pubblica, 
che  cioe  la  facciata  era  composta  di  8  tile  di  parallelepipedi  di 
tufo,  alta  fino  ai  capitelli  dei  pilastri  di  cui  era  ornata  circa  m.  5, 
e  che  sopra  questi  pilastri  una  qualche  trabeazione  doveva  es- 


LA    BASILICA    Dl    POMPEI  41 

servi  (61).  Abbiamo  poi  trovato  che  l'ordine  inferiore  dei  portici 
era  alto  probabilmente  m.  7,12;  perö  un  tetto  che  copriva  il  cal- 
cidico  poteva  benissimo  attaccare  immediatamente  sopra  l'epistilio 
delle  colonne  dell'ingresso,  vale  a  dire  ad  un'altezza  di  circa  m.  6,50, 
alJa  quäle  s'aggiungono  m.  0,65,  la  differenza  cioe  di  livello  fra  il 
calcidico  e  l'interno  della  basilica  stessa.  E  chiaro  dunque  che  con 
una  trabeazione  anche  di  meno  d'un  metro  in  altezza  sopra  i  pi- 
lastri  della  facciata  del  calcidico,  il  tetto  di  questo  poteva  avere 
un'inclinazione  molto  conveniente.  E  perciö  credo  probabile  che 
fosse  cosi. 

Aggiungo  ancora  le  osservazioni  seguenti. 

L'adito  alla  porta  meridionale  (62)  e  adesso  meglio  riconosci- 
bile,  essendo  sgombrata  la  strada,  che  sta  di  m.  1,65  sotto  la  soglia 
della  porta.  II  piano  inclinato  per  il  quäle  da  ovest  vi  si  ascende 
non  era  destinato,  come  crede  Lange  (p.  356)  per  carri:  al  suo 
principio,  ove  non  e  piü  largo  di  m.  0,94,  sta  un  gradino  alto  0,28; 
di  piü  l'accesso  e  reso  piü  difficile  per  lo  zoccolo  sporgente  (Lange 
p.  354),  che  al  luogo  del  piano  inclinato  stesso  e  stato  tolto.  — 
La  porta  fin  da  principio  era  accessibile  soltanto  da  ovest ;  piü  tardi 
al  lato  verticale  est  del  pianerottolo  che  precede  la  porta,  fu  addos- 
sata  una  scala  incomoda  e  stretta  (m.  0,27) ;  perche  qui  non  si  die- 
dero  la  pena  di  levar  prima  la  parte  relativa  dello  zoccolo  sporgente. 

Anche  il  lato  posteriore  della  basilica  e  ora  scavato.  La  strada 
che  lo  fiancheggia  e  traversata,  fra  l'angolo  nord-ovest  ed  il  pila- 
stro  dell'acquedotto,  da  due  muricciuoli,  fatti  evidentemente  per 
proteggere  il  tubo  dell'acquedotto.  Che  ciö  abbia  dato  motivo  alle 
parole  degli  Atti  (63)  riferibili  ad  una  scala,  non  mi  pare  credibile. 

Che  il  sotterraneo  sotto  il  tribunale  non  fosse  un  carcere,  lo 
dimostrano  anche  le  finestre,  che  evidentemente  non  potevano  chiu- 
dersi  e  sono  grandi  abbastanza  per-lasciar  passare  un  uomo.  — 
L'antichitä  delle  due  aperture  che  congiungono  il  sotterraneo  col 
tribunale  stesso,  non  pud,  dice  il  Lange,  essere  provata.  E  vero  che 
l'originaria  forma  rotonda  e  alquanto  danneggiata;  ma  la  posizione 
perfettamente  simmetrica  non  lascia  dubbio  sull'origine  antica. 

A.  Mau 


42  LA   BASILICA   DI   POMPEI 


NOTE 


(!)  G.  I.  L.  IV  1842. 

(2)  Sappiarao  troppo  poco  della  arou  ßaaiXeiog  di  Atene,  per  decidere,  so 
cssa  sia  stata  un  edifizio  simile,  come  ha  cercato  di  dimostrare  K.  Lange 
Haus  und  Halle  pag.  60  segg.,  e  se  dal  nome  di  essa  possa  credersi  derivaio 
quello  delle  basiliche.  Che  essa  stessa  non  fu  mai  chiamata  cosi,  e  che  anche 
nel  noto  passo  di  Piatone  {Charmid.  1,  153«)  prohahilmente  deve  leggersi 
flaaikeias  invece  di  ßaaihxijs,  lo  ha  mostrato  Loeschcke  Vermutungen  zur 
griech.  Kunstgesch.  und  zur  Topogr.  Athens,  Dorpat  1884,  p.  16. 

(3)  Mazois  Les  ruines  de  Pompe" i  III  pl.  17.  18. 

(4)  Canina,  Architettura  antica  III  tav.  93. 

(5J  Mau  Pompe  janische  Beiträge  p.  156  segg. 

(ö)  Haus  und  Halle,  Leipzig  1885,  p.  162  segg.  e  specialmente  p.  351  segg. 

(7)  Sara  lecito  perciö  di  dare  poca  importanza  al  giudizio  alquanto  iper- 
holico  del  Nissen  Deutsche  Lit.  ztg.  1885  p.  530. 

(8)  Vitruvio^,  1,  4,  frainteso  da  me  (Beitr.  p.  168)  e  da  Lange  p.  196  seg. 
il  quäle  crede  che  Vitruvio  col  pluteus  e  le  colonne  di  12  piedi  prescriva  un 
arabulacro  superiore  nell'interno,  al  disopra  del  quäle  dovrebbe  seguire  il  muro 
contenente  le  finestre  della  parte  media.  Di  quest'ultimo  perö  si  aspetterebbe 
di  vederc  indicata  l'altezza;  di  piü  un  ambulacro  interno  nascosto  dietro  un 
pluteo  di  9  piedi  e  affatto  incredibile;  e  supra  basilicae  contignationem, 
senza  far  forza  alle  parole,  non  puo  indicare  che  il  terrazzo  sovraposto  ai  por- 
tici.  Nella  descrizione  äeWoecus  egizio  (Vitr.  6,  5,  9),  che  rassomiglia,  come 
Vitruvio  stesso  rileva,  alla  basilica,  il  circuiius  corrispondente  espressamente 
si  dice  sub  diu. 

(9)  Lascio  da  parte  la  basilica  Giulia:  sorretta  da  pilastri  e  aperta  da 
tutte  le  parti  essa  era  troppo  diversa  da  quella  di  Pompei.  Se,  come  crede 
Lange  (Haus  u.  Halle  p.  184  seg.),  sopra  il  portico  interno  ve  ne  era  uno  su- 
periore, e  lo  spazio  medio  piü  alto  di  quest'ultimo,  allora  l'altezza  superava 
di  non  poco  quella  voluta  da  Vitruvio.  Ma  ciö  non  puö  in  alcun  modo  essere 
provato.  II  passo  di  Plinio  Ep.  6,  33,  6  si  spiega  anche  con  una  terrazza  che 
si  stendeva  sopra  ambedue  i  portici,  con  un  pluteo  tanto  basso  da  poter  sopra 
di  esso  guardar  nell'interno.  Lange  da  importanza  alla  differenza  del  livello 
(2  gradini)  fra  il  portico  interno  e  quello  esterno:  ma  ciö  si  verifica  soltanto 
sul  lato  N,  ed  ivi  dipende  dall'abbassamento  del  terreno. 

(10)  Non  credo  affatto  che  il  tipo  comune  della  basilica,  con  la  parte  media 
piü  alta,  sia  stato  creato  per  far  entrare  la  luce  piuttosto  da  sopra  che  late- 
ralmente.  Piü  probabile  mi  pare  che  l'intenzione  sia  stata  di  tenere  i  portici 
al  coperto  contro  una  pioggia  che  dal  vento  poteva  essere  portata  nell'interno 


LA    BASILICA    DI    POMPEI  43 

dell'edifizio.  AI  quäle  inconveniente  con  la  ricostruzione  del  Lange  portici  e 
parte  media  erano  esposti  egualmente. 
(u)  Haus  und  Halle  tav.  2. 

(12)  Overbeck-Mau  Pompeji  *  p.  65.  505. 

(13)  Vd.  specialmente  6,  5,  9. 

(u)  Non  sono  entrato  nei  particolari  della  ricostruzione  del  Lang«  per 
discutere  ciö  che  vi  e  di  improbabile,  p.  es.  le  proporzioni  delle  colonne  mi- 
nori.  Voglio  supporre  che  tutto  questo  possa  essere  evitato,  e  mi  sono  atte- 
nuto  perciö  soltanto  alle  difficoltä  ed  inverisimiglianze  inerenti  alla  sua  idea 
fondamentale. 

(15)  Mau  Pompe j.  Beitr.  p.  165  segg.  Lange  Haus  und  Halle  p.  361  segg. 

(16)  AI  Von  Rohden,  Terracotten  von  Pompeji  p.  8,  basta  la  grondaia 
riprodotta  presso  Gell  e  Ga,ndy  Pompeiana 3  tav.  50,  che  si  dice  trovata 
nella  basilica,  per  provare  che  la  parte  media  era  scoperta.  Ma,  fondandomi 
suH'esame  degli  esemplari  simili  superstiti  (von  Rohden  tav.  7,  1),  non  posso 
ammettere  che  essa  per  il  suo  stile  convenga,  come  crede  anche  Lange  p.  361, 
alla  basilica,  cioe  all'epoca  preromana. 

(n)  Mau  Pompej.  Beitr.  p.  187  seg.;  189  seg.  Lange  Haus  und  Halle 
p.  354. 

0»)  Mau  1.  c.  p.  168  segg.  Lange  1.  c.  p.  363. 
('»)  Mau  1.  c.  p.  175.  Lange  I.e.  p.363. 

(20)  Not.  d.  seavi  1884  p.  244.  280. 

(21)  Mau  1.  c  p.  169.  Lange  1.  c.  p.  363. 

(22)  Mau  1.  c.  p.  182.  Lange  1.  c.  p.363.  372. 

(23)  Lange  (p.  370)  esprime  il  medesimo  ragionamento,  quando  dice  che 
i  tetti  dei  portici  debbono  attaccare  immediatamente  sotto  Je  finestre  della 
navata  media.  Perö  dovevano  essere  piü  decisive  le  proporzioni  deirinterno. 

(24)  Pomp.  Beitr.  p.  184. 

(25)  Mazois  III  tav.  20  fig.  2.  Overbeck-Mau  Pompeji 4  p.  517  fig.  271  c. 

(26)  Mazois  III  tav.  18.  21.  Overbeck-Mau  Pompeji  4  p.  142  flg.  81 ;  pag.  144 
fig.  83. 

(")  Mazois  III  tav.  18.  Overbeck-Mau  Pompeji  4  p.  144  fig.  83.  Mau  Gesch. 
d.  decorat.   Wandmalerei  in  Pompeji  p.  14;  cf.  p.  21.  111  segg.  tav.  II. 

(28)  II  Lange  p.  359,  che  erroneamente  crede  anche  la  larghezza  in- 
feriore di  soli  m.  0,44,  li  attribuisce  al  piano  superiore  del  tribunale.  Ma 
e  evidente  che  egli  sbaglia.  Se  vi  erano,  come  egli  crede,  colonne  libere, 
queste,  dal  diametro  di  circa  m.  0,35,  non  potevano  sorreggere  un  architrave 
tanto  grosso.  Se  invece  la  parete  ricostruita  dal  Lange  p.  356  segg.,  che  egli 
crede  la  parete  posteriore,  era,  com'io  credo,  la  facciata,  allora  sopra  questa 
un  epistilio  profilato  da  ambedue  i  lati  non  poteva  avere  una  larghezza  mi- 
nore di  m.  0,57;  vd.  pag.     .     .     . 

(29)  Mazois  III  tav.  9.  Overbeck-Mau  Pompeji 4  p.  517  fig.  271  a. 

(30)  Non  e  neanche  necessario  che  fosse,  come  crede  Lange,  di  legno  (?) 
o  di  stueco :  qui  come  nei  peristilii  delle  case  private  poteva  essere  fatta  di 
mattoni  o  altra  muratura,  e  riyestita  di  stueco. 


44  LA   BASILICA   DI   POMPEI 

(31)  Non  si  puö  neanche  pensare  alla  facciata  rivolta  al  foro  (E),  essendo 
quel  muro  non  piü  grosso  di  m.  0,58  senza  lo  stucco. 

(32)  Le  obiezioni  del  Lange  (p.  360)  sono  di  poco  peso.  Se  dei  34  capi- 
telli  dell'ordine  inferiore  26  son  perduti,  potevano  perdersi  anche  questi  28, 
tanto  piü  che  massi  tanto  grandi  erano  molto  adatti  a  servire  in  altre  co- 
slruzioni.  —  Ci  volevano,  per  farli,  massi  grandi,  di  im  metro  cubo  e  mezzo : 
ma  ci  volevano  grandi  anche  per  i  capitelli  dell'ordine  inferiore (1,10x0,51X0,86 
e  1,10X1,10X0,47),  e  nulla  ci  autorizza  a  porre  il  limite  del  possibile  e  cre- 
dibile  fra  questi  e  quelli.  E  quanto  al  pericolo  di  scheggiarsi  le  parti  promi- 
nenti,  sono  molto  piü  fragili  le  volute  dei  capitelli  ionici  dell'ordine  inferiore. 

(33)  lo  stesso,  Pompej.  Beitr.  p.  179,  la  presi  per  una  mezza  colonna, 
Lange  p.  366  per  un  quarto. 

(34)  Di  uno  dei  caritelli,  nel  6.  intercolunnio  a  sin.,  rimane  il  solo  pi- 
lastro.  Questo  non  poteva  essere  riconosciuto  dal  Lange  (p.  369  fine),  perche 
egli  fp.  366)  nell'altro  (avanti  al  tribunale  a  d.)  ha  preso  il  pilastro  per  un  terzo 
di  colonna. 

(35)  I  capitelli  non  furono  riconosciuti  dal  Lange,  benche  ne  stia  uno,  nel 
primo  intercolunnio  a  d.,  sopra  un  sommoscapo,  e  la  corrispondenza  sia  evi- 
dente. Questo  egli  lo  ritiene  (p.  367)  per  il  riscontro  del  capitello  d'un  pilastro 
congiunto  con  una  colonna  (vd.  la  nöta  precedente).  Gli  altri  due  (4.  intercol. 
a  d.  e  8.  a  sin.)  egli  li  crede  (p.  366)  trequarti  di  colonne  uniti  ognuno  ad  un 
terzo  di  colonna,  dalla  pianta  qui  appresso  disegnata,  che  egli  pone  negli  angoli 

del  lato  O,  ciö  che  e  affatto  impossibile,  e  non  corrisponderebbe 
neanche  all'ordine  inferiore.  La  pianta  in  tutti  e  quella  sopra  di- 
segnata, solo  con  una  leggera  curva  in  dentro  al  punto  ove  attacca 
la  tangente.  Del  resto  Lange  sbaglia  quando  crede  di  avermi  in- 
segnato  egli  che  questi  trequarti  di  colonna  erano  gli  stipiti  delle 
aperture  nell'ordine  superiore :  vd.  Pompej.  Beitr.  p.  180  segg. 

(36)  Nessuno  vorrä  qui  domandare  esempi:  non  ve  ne  sono  neanche  di 
siffatti  trequarti  di  colonne.  Che  perö  una  forma  simile  non  e  in  se  stessa 
incredibile,  lo  provano  le  finestre  nei  lati  corti  della  chiesa  di  S.  M.  degli  An- 
geli,  ove  gli  stipiti  sono  fatti  in  questa  stessa  maniera. 

(37)  Fra  le  basi  di  mezze  colonne  due  hanno  intatta  la  superficie  poste- 
riore, che  e  piana  e  dista  da  quella  anteriore  del  muro  0,29 ;  nella  terza  e 
lavorata  irregolarmente :  il  punto  piü  prominente  dista  m.  0,38.  Pare  che  questo 
masso  era  troppo  grosso  e  perciö  fu  ridotto  posteriormente. 

(38)  Pomp.  Beitr.  p.  178;  Overbeck-Mau  Pompeji*  p.  147. 

(39)  Per  isbaglio  nel  disegno  del  Lange  p.  367  sembra  che  vi  sia  un  prin- 
cipio  d'una  superficie  parallela  all'esterna. 

(40)  La  ricostruzione  del  Lange  diventa  piü  incredibile  ancora  per  il  modo 
come  egli  congiunge  gli  stipiti  col  muro:  la  forza  di  resistenza  di  quest'ul- 
timo  (di  0,30  al  piü)  consisterebbe  specialmente  nelle  aperture  con  le  Joro 
colonne. 

(41)  Lange  dice  (p.  369)  che  di  16  colonne  sarebbero  conservati  8  capi- 
telli. Ma  egli  distribuisce  le  aperture  su  pareti  dell'intera  lunghezza  dei  por- 


LA    BASILICA    DI   POMPEI  45 

tici,  mentre  le  pareti  sorrette  dalle  grandi  colonne  avrebbero  2  intercolunnii 
di  meno:  ve  ne  sarebbero  14,  non  16.  Di  piü  egli  suppone  che  delle  4  colonne 
del  tribunale,  delle  4  da  lui  supposte  sopra  gli  ingressi  delle  camere  laterali, 
delle  2  supposte  sopra  l'ingresso  principale,  non  sia  perduto  alcun  capitello, 
e  cosi  ottiene  di  poter  dire  che  delle  14  (non  16)  colonne  poste  nelle  finestre 
siano  conservati  soli  otto  capitelli.  In  veritä,  levando  le  sei  supposte  certa- 
mente  a  torto,  di  18  colonne  sarebbero  conservati  18  capitelli. 

(42)  Meglio  34,  perche  il  muro  d'ingresso  ne  aveva,  come  vedremo,  quattro. 

(43)  Non  32,  come  crede  Lange:  vd.  nota  41. 

(44)  E  cib  vale  anche,  benche  in  grado  minore,  di  quanto  aveva  proposto 
io,  Overbeek-Mau  Pompeji 4  p.  147  seg. 

(4&)  Con  ciö  e  esclusa  l'opinione  del  Lange  p.  366,  che  cioe  stassero  sopra 
que'  trequarti  di  colonne  che  dal  lato  del  tribunale  fiancheggiano  gli  ingressi 
alle  camere  laterali :  il  diametro  superiore  di  queste  era  di  m.  0,72,  come  ri- 
sulta  dal  capitello  conservato.  Di  piü  ivi  non  si  puö  collocare  che  un  paio 
mentre  ne  abbiamo  due. 

(46)  Lange  (tav.  2)  gli  da  una  sporgenza  minima,  di  circa  in.  0,10,  quasi 
poggiasse  su  pilastri. 

(«)  Cf.  sopra  p.  25. 

(48)  II  frammento  menzionato  da  me  Pomp.  Beitr.  p.  190,  allora  visibile 
presso  il  piedistallo  avanti  al  tribunale,  fu  scavato  dietro  mia  preghiera  nel- 
l'agosto  1886:  e  parte  d'un  imoscapo  con  la  base,  ma  non  si  puO  decidere  se 
sia  di  una  colonna  libera  ovvero  di  una  mezza  colonna. 

(49)  II  frammento  (tre  quarti  di  colonna)  che  io  Beitr.  p.  179  posi  qui, 
fu  a  ragione  dal  Lange  (p.  366)  attribuito  ad  uno  degli  angoli  anteriori  del  tribu- 
nale. A  torto  invece  egli  crede  di  aver  trovato  i  membri  dell'ordine  superiore 
corrispondenti  alle  colonne  angolari  del  lato  0  ed  ai  trequarti  di  colonne 
che  dal  lato  del  tribunale  formano  gli  stipiti  delle  stanze  laterali:  vd. 
not.  35  e  45. 

(50)  II  Lange  suppone  un'apertura  uguale  all'ingresso  sottoposto,  perche 
erroneamente  crede  di  aver  trovato  la  doppia  colonna  che  l'abbia  fiancheg- 
giata  (vd.  not.  45 ;  cf.  not.  34) ;  e  questa  apertura,  troppo  larga  per  le  dimen- 
sioni  delle  colonne  superiori,  egli  la  divide  per  mezzo  di  due  colonne,  che 
suppone  di  legno  per  non  aggravar  troppo  Tarchitrave:  ripiego  che  potrebbe 
essere  ammesso  soltanto  in  un  caso  di  estrema  necessitä. 

(51)  Cf.  Overbeck-Mau  Pompeji4'  p.  643  not.  119. 

(52)  Lange  sbaglia  quando  dice  a  p.359,  che  vi  sia,  benche  roszamente 
lavorato,  il  profilo  dell'epistilio. 

(53)  II  primo  dei  due  profili  disegnati  dal  Lange  p.  358  e  quello  del 
parapetto  delle  finestre,  non,  come  egli  crede,  il  capitello  dei  pilastri.  Ivi 
stesso  egli  da  il  profilo  deH'architrave  delle  finestre. 

(54)  Overbeck-Mau  Pompeji  4  p.  144 ;  Lange  p.  360  consente. 

(55)  Lange  p.  361  nota  2. 

(56)  Cf.  anche  Lange  p.  370.  Del  resto  non  e  esatta  la  pianta  del  Lange, 
quando  mette  i  trequarti  di  colonne  accanto  al  tribunale  piü  indietro  delle  mezze 


46  LA    BASILICA   DI    POMPEI 

colonne  cui  fanno  riscontro  come  stipiti  degli  ingressi  alle  camere  laterali. 
Quello  a  sin.  sta  di  soli  m.  0,03  piü  indietro  della  mezza  colonna,  e  di  altri 
m.  0,03  retrocedono  ambedue  gli  stipiti  della  camera  a  d. 

(57)  Ciö  e  ottenuto  dal  Lange  con  proporzioni  impossibili  del  tribunale. 

(58)  Vd.  sopra  pag.  18. 

(59)  Pozzi  simili  si  trovano  presso  ambedue  le  terme  piü  antiche  di 
Pompei:  Overbeck-Mau  Pompeji 4  p.  212.  233.  Un  terzo  e  descritto  Mau 
Pompe 'j.  Beitr.  p.  42  segg. 

(60)  Vd.  sopra  pag.  16  con  la  nota  8. 

(61)  Credo  perfettamente  assicurati  anche  gli  altri  risultati  del  sig.  Wol- 
ters, ed  in  ispecie  ciö  che  riguarda  le  porte,  che  cioe  erano  alte  m.  5,  tra- 
versate  perö  all'altezza  di  m.  3,60  da  una  trave  di  legno,  nel  centro  della 
quäle,  e  nel  buco  quadrangolare  che  s'osserva  nel  centro  d'ognuna  delle  soglie, 
era  infisso  uno  stipite  verticale  di  legno,  e  che  contro  questo  battevano  le 
porte  leggere,  affidate  a  telai  di  legno  immessi  negli  incavi  degli  stipiti.  Che 
questi  non  potevano  contener  cateratte,  come  crede  il  Lange  p.  352,  lo  dimostra 
anche  il  fatto  che  non  si  estendono  al  disopra  della  suddetta  traversa  di  legno. 

(62)  Fatta  posteriormente :  vd.  Mau  Pompej.  Beiträge  p.  163  segg. 

(63)  27  Febr.  1814.  Le  parole  «  dalla  parte  di  ponente  »  indicano,  se- 
condo  l'uso  costante  di  queste  relazioni,  il  lato  NNO.  La  questione  totalmente 
accademica  fu  di  nuovo  estesamente  discussa  dal  Lange  p.  355  seg. 


DAS  CHALCIDICÜM  DER  POMPEJANISCHEN  BAS1LICA. 


Bei  der  Reconstruction  der  Basilica  von  Pompei  war  das 
Augenmerk  der  Forscher  bis  jetzt  so  ausschliesslich  auf  den  Haupt- 
bau und  die  Rätsel  welche  er  zu  lösen  giebt  gerichtet,  dass  der 
Vorraum,  welcher  sich  an  der  dem  Forum  zugewendeten  Schmal- 
seite des  Gebäudes  befindet,  und  den  wir  mit  Vitruv  als  Chalci- 
dicum  bezeichnen  dürfen,  eine  Herstellung  eigentlich  nirgends 
erfahren  hat. 

Nur  Mazois  (III  Taf.  18)  hat  ihn  wenigstens  im  Längsschnitt 
gezeichnet,  aber  offenbar  ohne  den  erhaltenen  Resten  besondere 
Aufmerksamkeit  zu  schenken,  und  Canina  (Archilettura  antica 
III  Taf.  93)  hat  diese  Reconstruction  unverändert  beibehalten. 
Sie  entspricht  so  wenig  den  erhaltenen  Resten,  dass  eine  Wider- 
legung nicht  nöthig  erscheint.  Eine  Untersuchung,  welche  ich  im 
September  dieses  Jahres  unter  der  fördernden  Beihülfe  A.  Mau's 
vornehmen  konnte,  hat  mich  gelehrt,  dass  wir  über  den  Aufbau 
dieses  Teiles  der  Basilica  bis  zu  einem  gewissen  Punkte  völlige 
Sicherheit  erhalten  können,  und  so  gering  auch  dies  Resultat  im 
Vergleich  zu  der  schweren  Aufgabe  der  Herstellung  des  ganzen 
Baues  ist,  habe  ich  es  doch  nicht  zurückhalten  wollen. 

Die  Vorderwand  des  Chalcidicum  ist  von  fünf  Thüren  durch- 
brochen, welche  zwischen  sich  sechs  pfeilerartige,  aus  Tuffquadern 
hergestellte  Mauerstücke  von  verschiedener  Breite  übrig  lassen. 
Die  beiden  mittelsten  sind  die  schmälsten :  sie  sind  aussen  nur 
mit  einem  0,52  m.  breiten,  0,03  vorspringenden  Pilaster  dekorirt, 
die  anderen,  auch  die  äusseren  ('),  mit  je  zweien.  Wenigstens  ist 

0)  Lange's  Plan  (Haus  und  Halle,  Taf.  1)  ist  in  diesem  Punkt  nicht 
genau.  Vgl.  die  unten  S.  51,  I-VI  gegebenen  Grundrisse. 


48  DAS    CHALCIDICÜM    DER    POMPEJAN ISCHEN    BASILICA 

das  von  dem  zweiten,  fünften  und  sechsten  (von  links  her  gezählt) 
sicher;  bei  dem  ersten  ist  es  nicht  ohne  weiteres  klar,  da  er  im 
Alterthum  umgebaut  worden  ist,  ein  Punkt  der  sogleich  zu  be- 
sprechen sein  wird.  Auf  der  Innenseite  tragen  alle  diese  Mauer- 
stücke je  einen  durchschnittlich  0,56  m.  breiten,  0,04  dicken, 
nicht  verjüngten  pilasterartigen  Vorsprung,  welcher  bei  den  vier 
mittleren  ziemlich  genau  in  der  Mitte  liegt,  bei  dem  ersten  (von 
links  her)  in  die  innere  Ecke  stösst  und  nur  zum  Teil  sichtbar, 
zum  Teil  von  der  Wand  des  Wasserbehälters  (l)  verdeckt  ist, 
während  er  beim  sechsten  0,22  von  der  inneren  Ecke,  0,52  von 
der  äusseren  Kante  entfernt  liegt.  Die  verschiedene  Arbeit  de: 
äusseren  und  inneren  Seite  dieser  Wandstücke  springt  in  die  Augen. 
Die  äussere,  dem  Forum  zugekehrte  Seite  ist  verhältnissmässig 
glatt  und  sorgfältig  gearbeitet,  die  innere  offenbar  absichtlich  rauh 
gelassen :  sie  sollte,  wie  die  drei  anderen  Wände  des  Vorraums 
verputzt  werden,  und  war  es  auch,  wie  zahlreiche  Stuckreste 
beweisen. 

Die  Thüren  sind  verschieden  breit ;  sie  messen  (von  links  her 
gezählt)  3,41.  3,10.  3,15.  3,03,  3,56.  In  der  Mitte  einer  jeden 
der  von  Lava  gebildeten  Schwellen  befindet  sich  ein  0,11  langes, 
0,07  breites,  0,06  tiefes  rechteckiges  Loch ;  an  den  beiden  Enden 
derselben,  durchschnittlich  0,06  von  der  Mauer  entfernt  je  zwei 
etwa  0,11  lange,  0,03  breite,  0,04  tiefe  Einarbeitungen,  die  so 
angeordnet  sind,  dass  der  zwischen  ihnen  frei  bleibende  Kaum  etwa 
dem  genannten  Loch  in  der  Mitte  entspricht.  In  die  den  Thüren 
zugewendeten  Seiten  der  Mauern  sind  endlich  senkrechte  tiefe 
Kinnen  (durchschnittlich  0,08  breit  und  0,17  tief)  nicht  sehr 
sorgfältig  und  mitunter  nicht  ganz  parallel  zur  Vorderfläche  ein- 
gearbeitet (2).  An  der  dieser  Vorderfläche  nächstliegenden  Kante 
der  Rinnen  ziehen  sich  in  kurzem  Abstand  von  dieser  und  damit 
parallel  Aufschnürungen  hin  (3),  welche  in  Folge  der  wechselnden 
Dicke  der  Mauerstücke  in  verschiedenen  Abständen  von  der  Vorder- 
fläche erscheinen,  unter  sich  aber  in  einer  graden  Linie  zu  liegen 
scheinen.  Dass  diese  Rinnen  der  Befestigung  von  Holzwerk  dienten 


(!)  Vgl.  über  diesen  Notizie  degli  scavi  1884  S.  244,  280. 

(2)  Vgl.  besonders  unten  S.  51,  II  und  IH. 

(3)  In  der  Skizze  b  auf  S.  56  ist  diese  Linie  pnnktirt  angegeben. 


DAS   CHALCIDICUM   DER   POMPEJANISCHEN    BASILICA  49 

ist  einleuchtend  und  schon  längst  angenommen  ;  einzelne  in  grösseren 
Abständen  in  der  Tiefe  der  Einnen  befindliche  wagerechte  Löcher, 
die  zum  Teil  noch  Eisenspuren  zeigen,  mögen  zur  besonderen  Be- 
festigung der  in  die  Rinnen  eingelassenen  senkrechten  Balken  ge- 
dient haben  (1). 

Auch  diese  Innenseiten  der  Thüren  sind  rauh  gelassen,  und 
müssen  also  irgendwie  mit  anderem  Material  bedeckt  gewesen  sein. 
Bei  den  Privatbauten  der  Tuffperiode,  welche  in  der  Regel  eine 
entsprechende  Bearbeitung  aufweisen  bestand  diese  Verkleidung, 
wie  sich  an  einer  überwiegenden  Zahl  von  Fällen  sicher  beob- 
achten lässt,  etwa  von  der  Mitte  der  Innenseite  der  Thüre  an,  wo 
die  Befestigungsspuren  eines  stärkeren  Pfostens  kenntlich  zu  sein 
pflegen,  bis  zur  Vorderkante  hin  aus  einer  Holzverschalung,  welche 
dann  noch  mit  einem  mehr  oder  minder  breiten  Rande  auf  die 
Vorderseite  übergriff.  Der  an  die  innere  Seite  der  Wand  anstossende 
Teil  wurde  dagegen  mit  dieser  zusammen  verputzt.  Bei  der  Ba- 
silica  ist  jedoch  auch  an  Stelle  der  sonst  üblichen  Verschalung 
Stuck  getreten ;  seine  Spuren  finden  sich  überall  an  den  Innen- 
seiten der  Thüren  (besonders  an  den  gleich  zu  besprechenden 
Stücken  b  und  c)  und  greifen  sogar  einmal  (bei  c)  auf  die  vordere 
Fläche  über. 

Die  Mauerstücke  der  Vorderwand  sind  mehr  oder  minder  hoch 
erhalten,  ausserdem  liegen  fünf  lose  Quadern  da,  welche  an  ihrer 
Vorderseite  den  oberen  Teil  von  Pilastern  mit  den  Kapitellen 
zeigen,  also  den  oberen  Abschluss  der  genannten  Pilaster  gebildet 
haben  müssen.  Die  Mauern  sind  in  ihrem  heutigen  Zustand  zum 
Teil  erst  modern  aufgebaut,  allerdings  aus  dem  antiken  Material. 
Zunächst  ist  deshalb  eine  Sichtung  des  Vorhandenen  notwendig  (2). 


(!)  Auch  dieser  Umstand  wie  die  ganze  Arbeit  spricht  gegen  die  Annahme 
eines  Fallgitters ;  vgl.  oben  S.  30. 

(2)  Ich  bezeichne  die  Mauerstücke  mit  den  Zahlen  I-VI,  indem  ich  mit 
dem  für  einen  aussen  stehenden  Beschauer  links  befindlichen  anfange;  die 
Schichten  zähle  ich  von  unten  nach  oben.  In  den  beiden  schematischen  Auf- 
rissen von  I  und  VI  sind  die  Grenzen  der  Steine  durch  doppelte  Striche  an- 
gegeben, die  der  Pilaster  durch  einfache,  und  ist  dabei  zugleich  durch  kurze 
schräge  Striche  angedeutet,  welcher  Teil  der  Quadern  tiefer  liegt.  Modernes 
Flickwerk  ist  schraffirt,  stärkere  Verletzungen  sind  durch  kurze  Striche  ange- 
deutet. Die  Skizzen  sind  im  Verhältniss  1 :  40  gezeichnet. 

4 


50 


DAS    CHALCIDICUM    DER   POMPEJANISCHEN    BASILICA 


Allerdings,  der  Teil  der  Mauer,  welcher  am  ehesten  den 
Eindruck  modernen  Flickwerkes  machen  könnte,  I,  ist  in  seinem 
wesentlichen  Bestände  antik,  wenn  auch  nicht  ursprünglich. 


Wie  die  vorstehende  Skizze  zeigt,  liegt  in  der  obersten, 
vierten,  Schicht  links  oben  antikes  Ziegelmauerwerk,  aus  älteren, 
gröberen  Ziegeln  vermischt  mit  den  jüngeren,  feineren  bestehend ; 
es  beweist,  dass  die  daneben  liegende  Quader  ebenso  gut  an  ihrer 
Stelle  liegt,  wie  die  beiden  darunter  liegenden.  Damit  ist  aber 
auch  zugleich  die  Unmöglichkeit  bewiesen,  dass  irgend  ein  Stein 
dieser  Mauer  modern  hingelegt  sei.  Offenbar  liegt  hier  ein  nach- 
lässiger Umbau  vor,  der  Statt  fand,  als  die  links  an  diese  Ecke 
der  Basilica  anstossende  schlechte  Treppe  zu  der  Forumsporticus 
schon  bestand,  aber  beschädigt  war.  Denn  das  Ziegelwerk,  das  nur 
äusserlich  gut  aussieht,  innen  aber  aus  allerhand  Ziegelbrocken 
aufgeführt  ist  (i),   geht   ohne   scharfe   Grenze    in    das    ebenfalls 


(*)  Ueber  dem  Gezeichneten  steht  dieser  schlechte  Kern  noch  etwa 
0,70  m.  hoch.  Schöne  (bei  Nissen,  Pompejanische  Studien  S.  196)  glaubt,  dass 
die  Vorhalle  nach  dem  Erdbeben  von  63  ohne  grosse  Aufmerksamkeit  wieder 


DAS    CHALCIDICUM    DER    POMPEJANISCHEN    BASILICA 


51 


schlechte  Mauerwerk  über,  mit  dem  dieser  Teil  der  Treppe  einmal 
erneuert  worden  ist.  Von  der  ursprünglichen  Form  dieses  Mauer- 
stücks wird  später  noch  zu  reden  sein. 


■i ..  -  -  j" 


Das  folgende  Stück  der  Vorderwand,  II,  welches  ebenso  wie 
die  übrigen  vorstehend  im  Durchschnitt  (1  :  40)  gezeichnet  ist, 
steht  noch  drei  Schichten  hoch,  und  ist  unzweifelhaft  ganz  antik. 
Das  dritte  (III)  steht  jetzt  zwei  Schichten  hoch ;  die  Vorderseite 
ist  von  einer  gemauerten  Basis  bedeckt.  Der  untere  Stein  ist  alt ; 
der  obere  besteht  aus  zwei  nicht  zusammengehörigen  Stücken.  Das 
nach  aussen  hin  gewendete  ist  sicher  modern  angesetzt,  es  befand 
sich  ursprünglich  an  der  inneren  Seite  dieser  Wand,  wie  die  Bil- 
dung seines  Pilasters  zeigt ;  aber  auch  das  andere,  grössere  Stück 


aufgebaut  worden  sei.  Das  kann  bei  diesem  Stück  Mauer  richtig  sein,  aber 
nur  bei  diesem,  während  die  Erneuerungen  der  anderen,  namentlich  die  Aus- 
besserungen mit  Mörtel  und  kleinen  Bruchsteinen  modernen  Ursprungs  sind. 


52 


DAS    CHALCIDICÜM   DER   POMPEJANISCHEN   BASILICA 


könnte  modern  aufgesetzt   erscheinen,   besonders   wegen   der  ver- 
schiedenen Bildung  des  inneren  Pilasters,  welche  die 
\J    [^     beistehende  Skizze  im  Vergleich  mit  III   oben  ver- 
anschaulicht.   Dass    dieser    Stein  aber  richtig   liegt, 
sich   nur   ein   wenig  verschoben  hat,    zeigt  die  ganz 
unregelmässige   und   fast  zufällige    Linie   der  tiefen 
\    0     I      seitlichen  Einne,  welche  bei  beiden  Steinen,  besonders 
an  der  Seite  rechts,  sich  so  genau   entspricht,   dass 
ein  Irrtum  ausgeschlossen  ist. 

Das  folgende  Mauerstück,  IV,  steht  zwei  Schichten  hoch.  Der 
zweite  Stein  ist  nicht  hierher  gehörig,  wie  schon  seine  Lage  zeigt : 
er  ist  mit  der  Innenseite  nach  aussen  gewendet.  Ich  bezeichne 
diese  Quader,  von  der  unten  noch  zu  reden  sein  wird,  mit  a.  Das 
fünfte  Stück  (V)  ist  drei  Lagen  hoch  erhalten  und  ganz  antik. 
Das  letzte  Mauerstück  (VI)  ist,   wie  die  beistehende  Skizze 

zeigt,  stark  geflickt.  Die 
unterste  Schicht  ist  alt , 
aber  links  beschädigt  und 
modern  mit  einem  durch 
zwei  Schichten  hindurch 
reichenden  schmalen  Stein 
ergänzt.  Bei  der  zweiten 
Schicht  ist  die  Beschädi- 
gung links  stärker,  auch 
rechts  zeigt  sie  Verletzun- 
gen. Doch  ist  sie  an  ihrem 
ursprünglichen  Platze,  wie 
sich  deutlich  im  Inneren 
zeigt,  wo  antiker  Stuckver- 
putz beide  Steine  mit  den 
darunter  liegenden  verbin- 
det. Dass  in  der  dritten 
Schicht  der  mit  c  bezeichnete  Stein  hier  nicht  hingehört  zeigt  sich 
zunächst  schon  in  der  Unmöglichkeit,  ihn  ohne  Hülfe  des  schmalen, 
langen,  sicher  modern  untergesetzten  Steines  fest  zu  legen.  Dazu 
kommt  dann  noch  der  nicht  innegehaltene  Fugenwechsel,  der  man- 
gelnde Anschluss  des  inneren  Pilasters,  und  der  Umstand,  dass  der 
Stein  auf  dem  Kopfe  liegt.  Es  ergiebt  sich  das  aus  einer  eigentüm- 


DAS   CHALCIDICÜM   DER   POMPEJANISCHEN   BASILICA  53 

liehen  Einarbeittrag,  die  er  an  seiner  rechten  Anschlnssfläche  zeigt. 
Bei  den  Bauten  der  Tuffperiode  sind  nämlich  nicht  selten  zwei 
aneinander  stossende  Quadern  in  der  Weise  verbunden,  dass  an  der 
Stelle  der  Fuge  in  sie  von  oben  her  ein  keilförmiges,  sich  nach 
unten  verengerndes  Loch  eingearbeitet  ist,  dessen  eine  Hälfte  in 
dem  einen  Steine  liegt  während  die  andere  dem  zweiten  angehört ; 
diese  Oeffnung  wurde  dann  mit  grobem,  festem  Stuck  ausgefüllt. 
Die  Hälfte  einer  solchen  Einarbeitung  zeigt  sich  nun  an  diesem 
Steine  c  ;  bei  der  jetzigen  Lage  beginnt  sie  auf  der  unteren  Fläche 
und  verjüngt  sich  nach  obenhin,  eine  dem  Zweck  widersprechende 
Anordnung  (l).  Auch  der  Stein  d  liegt  nicht  an  seiner  Stelle ;  auf 
der  jetzt  nach  innen  gekehrten  Seite  steht,  obendrein  auf  dem 
Kopf  (2),  die  Inschrift  C.  I.  L.  IV  80.  Diese  Seite  befand  sich 
also  ehemals  aussen ;  übrigens  ist  der  Stein  modern  derartig  zu- 
gehauen, dass  er  für  die  Eeconstruction  keine  Kolle  spielt.  Der 
letzte  Stein  dieser  Schicht,  e,  ist  vorne  modern  verschmiert  und 
geflickt,  er  liegt  aber  an  alter  Stelle,  wie  kleine  Verputzreste  be- 
weisen, welche  sich  an  der  rechten  Längswand  der  Basilica,  auf 
die  er  übergreift,  an  seiner  rechten  und  unteren  Fuge  erhalten 
haben.  Auch  ohne  dieses  Kriterium  würden  wir  den  Stein  hierhin 
legen  müssen :  an  diese  Ecke  zunächst  wegen  der  sonst  nicht  vor- 
kommenden Seitenante  und  des  roten  Verputzrestes  in  der  Ecke 
dieser  Ante,  der  mit  dem  jungen  Verputz  der  äusseren  Längswand 
der  Basilica  stimmt.  Sodann  hat  der  Stein  genau  die  für  diese 
Schicht  passende  Höhe.  Wollten  wir  ihn  in  einer  anderen  Schicht 
unterbringen,  so  könnte  das  der  Schichthöhe  und  des  notwendigen 
Fugenwechsels  wegen  nur  um  vier  Schichten  höher  sein,  und  damit 
würde  er  zu  hoch  kommen  als  dass  die  müssigen  Hände,  die 
auch  ihn  bekritzelt  haben,  ihn  hätten  erreichen  können.  Es  war 
nöthig  all  diese  Gründe  anzuführen,  da  ein  Umstand  gegen  sie 
zu  sprechen  scheint ;  dieser  Stein  zeigt  an  seinem  Ende  eben  jenes 
keilförmige  Stuckloch,  von  dem  soeben  (3)  die  Rede  war,  ohne  dass 


(x)  Ich  verdanke  die  Kenntniss  dieser  Befestigungsweise  A.  Mau;  vgl. 
auch  Lange,  Haus  und  Halle  S.  357,  1. 

(2)  Hierauf  macht   Schöne   aufmerksam   (Nissen,   Pompejanische   Stu- 
dien S.  196). 

(3)  Vgl.  zu  Anmerkung  1. 


54 


DAS   CHALCIDICUM   DER   POMPEJANISCHEN   BASILICA 


demselben  im  angrenzenden  Stein  ein  zweites  entspräche.  Wie 
sich  das  erklären  lässt,  etwa  auch  durch  Umbau,  wage  ich  nicht 
zu  sagen. 

Die  übrigen  Teile  dieser  Längsmauer  der  Basilica  stehen  eben- 
falls antik  bis  zu  fünf  Schichten  hoch,  geben  aber  für  unsere 
Frage  nichts  aus. 

Der  Grundriss  sämmtlicher  Pfeiler,  bis  auf  den  von  I,  steht 
also  fest.  Wir  werden  hoffen  dürfen,  die  nicht  mehr  an  ihrer  alten 
Stelle  befindlichen  Steine  auf  die  verschiedenen  Pfeiler  verteilen 
zu  können.  Wir  beginnen  mit  denjenigen  (vgl.  oben  S.  oi),  welche 
die  Pilasterkapitelle  tragen.  Es  sind  deren  fünf,  die  im  Inneren 
des  Chalcidicum  hinter  den  Pfeilern  I-V  liegen ;  wir  bezeichnen 
sie  in  derselben  Reihenfolge  mit  A-E. 


,.  j 


C  D. 

Vorstehende  Skizze  (1  :  40)  zeigt  die  fraglichen  Stücke  in 
der  Oberansicht ;  auch  hier  ist  die  Aussenseite  des  Steines  in  der 
Abbildung  nach  unten  gewendet.  Anschlussflächen  sind  durch  eine 
kleine  Verlängerung  der  die  vordere  und  hintere  Begrenzung  dar- 
stellende Linie  angedeutet.  Nur  wenige  erläuternde  Bemerkungen 
werden  genügen.  Bei  A  zeigt  sich  oben  an  der  Hinterseite  ein 
etwa  0,13  breiter  Streifen  besonders  glatt  gearbeitet;  seine  Be- 
grenzung ist  durch  eine  punktirte  Linie  angedeutet.  Der  Vorsprung 
des  Pilasterkapitells  ist  von  dem  eigentlichen  Stein  durch  eine 
vertiefte  Linie  (ebenfalls  punktirt)  geschieden,  die  sich  ebenso  bei 
C-E  findet.  B  ist  durch  seine  besondere  Dicke  bemerkenswerth 
(Wandstärke  0,49  gegenüber  dem  sonst  üblichen  Mass  von  0,45), 
sowie  durch    den   vollständigen  Mangel   eines    inneren   Pilasters. 


DAS    CHALCIDICÜM   DER   POMPEJANISCHEN    BASILICA  55 

C  zeigt  den  bei  A  schon  erwähnten  glatten  Streifen  an  der  Hinter- 
seite ebenfalls,  0,16  breit ;  der  besondere  Charakter  desselben  wird 
vor  allem  noch  klar  durch  eine  0,39  von  der  rechten  Anschluss- 
fläche entfernte,  mit  dieser  parallele  Aufschnürung  (in  der  Skizze 
punktirt),  welche  nicht  über  die  ganze  Breite  des  Steines,  sondern 
nur  über  die  des  glatteren  Streifens  sich  hinzieht. 

Die  Verteilung  dieser  Quadern  auf  die  verschiedenen  Mauer- 
stücke wird  ermöglicht  durch  eine  Beobachtung  der  Anschluss- 
flächen und  der  verschiedenen  Stellung  der  inneren  und  äusseren 
Pilaster  zu  einander. 

Wie  ein  Blick  auf  unsere  oben  S.  51  mitgeteilten  Grundrisse 
lehrt  kann  A  nur  auf  II  oder  V  rechts  gehören.  Eine  Wahl  zwi- 
schen beiden  Möglichkeiten  kann  man  kaum  treffen,  wenn  nicht 
das  als  ausschlaggebend  angesehn  werden  darf,  dass  bei  II  der 
rechte  Pilaster  der  Aussenseite  die  aussergewöhnliche  Breite  von 
0,55  (gegen  0,52  sonst)  hat,  während  der  Pilaster  auf  A  wie 
üblich  0,48  breit  ist,  (wobei  sich  der  Unterschied  gegen  die  ge- 
nannten 0,52  durch  die  Verjüngung  erklärt). 

B  muss  auf  I  gehören.  Nur  an  dieser  Stelle,  wo  die  innere 
Seite  von  dem  Wasserbehältniss  verdeckt  wurde,  erklärt  sich  der 
Mangel  eines  inneren  Pilasters,  und  damit  die  Dicke. 

C  könnte  auf  II  oder  V  links,  allenfalls  auch  auf  VI  links 
gehören,  doch  wird  dies  letztere  durch  den  Abstand  des  inneren 
Pilasters  von  der  Thüre  (G:  0,565.  II :  0,575.  V  :  0,555.  VI :  0,54) 
wol  ausgeschlossen.  Dagegen  dass  A-\-  C.  auf  V  gelegen  hätten 
schien  mir  nichts  zu  sprechen. 

Endlich  müssen  D  und  E  zu  den  einzigen  schmalen  Pfei- 
lern III  und  IV  gehört  haben ;  zu  einer  genaueren  Zuweisung 
fehlt  der  Anhalt. 

Diese  Verteilung,  die  für  die  übrigen  Pfeiler  vorläufig  nichts 
wesentlich  Neues  lehrt,  gibt  uns  wenigstens  einen  gewissen  An- 
halt, die  Eeconstruction  des  Grundrisses  von  I  zu  versuchen. 

B  hat  auf  beiden  Seiten  Anschlussfläche,  lag  also  mitten  in 
einem  Mauerstück,  und  da  folglich  sein  Pilasterkapitell  nicht  zu 
dem  Pilaster  rechts  auf  I  gehören  kann,  muss  es  von  einem  zweiten, 
mehr  in  der  Mitte  gelegenen  herrühren.  Zu  demselben  Pilaster 
dürfen  wir  jetzt  auch  die  mittlere  Quader  in  der  zweiten  Schicht 
von  I  und  die  in  der  vierten  rechnen. 


56 


DAS   CHALCIDICUM   DER   POMPEJANISCHEN   BASILICA 


Eine  Entsprechung  zu  VI  war  also  hier  in  Betreff  des  Abschlusses 
der  Mauer  durch  einen  Pilaster  an  der  Ecke  schwerlich  erreicht,  man 
hätte  sonst  dieses  Mauerstück  mit  drei  Pilastern  dekoriren  müssen. 

Das  wahrscheinlichste  ist,  dass  die  beiden  Pilaster  in  dem- 
selben Abstände  wie  bei  VI  hier  wiederkehrten,  und  links  von  dem 
letzten  Pilaster  ein  unverziertes  Mauerstück  von  0,685  Breite 
stand.  Der  zweite  Stein  in  der  dritten  Schicht  kann  nicht  ur- 
sprünglich zugehören;  rechts  vom  Pilaster  ist  er  noch  lang  0,86 
erhalten,  ein  Mass,  das  weder  links  von  den  Pilastern  möglich 
ist,  noch  zwischen  denselben,  wenn  sie  nicht  ganz  sinnloser  Weise 
weiter  von  einander  entfernt  gewesen  sein  sollten  wie  die  auf  VI. 
Den  anderen  Steinen  dieses  Pfeilers  bestimmte  Stellen  anzuweisen 
ist  bei  dem  geringen  Umfang  des  Erhaltenen  unthunlich  (!). 

Es  bleiben  noch  die  oben  S.  52  f.  besprochenen,  nicht  an  richtiger 
Stelle  liegenden   Quadern  a — c  unterzubringen.   Der  erste  dieser 


Steine,  a,  muss  wie  sein  vorstehend  abgebildeter  Querschnitt  anschau- 
lich macht  von  dem  Mauerstück  III  oder  IV  stammen.  Er  zeigt, 
gegenüber  den  bisher  besprochenen  eine  Besonderheit,  die  sich  auch 
bei  b  und  c  findet,  dass  nämlich  die  senkrechte  Rinne  der  inneren 
Thürlaibung  (vgl.  S.  48)  sich  oben  zu  einer  unregelmässigen,  würfel- 
förmigen Vertiefung  erweitert  (auf  unseren  Skizzen  punktirt). 

Die  nebenstehend  mitgeteilte  Seitenansicht  von  b 
veranschaulicht  die  Sache ;  offenbar  ruhten  in  diesen  Ver- 
tiefungen horizontale  Balken.  Die  Masse  derselben  sind 
durchschnittlich :  Breite  0,22,  nach  oben  abnehmend ; 
Höhe  0,25  ;  Tiefe  0,20. 

Wir  haben  nun  noch  die  Stellen  für  b  und  c  zu 


C1)  Die  ersten  Steine  in  der  untersten  und  in  der  dritten  Schicht  zeigen 
oben  und  unten  je  ein  0,04  breites  vertieftes  Band.  Sie  brauchen  deshalb 
nicht  von  einem  anderen  Bau  zu  stammen ;  auch  bei  dem  zweiten  Stein  der 
zweiten  Schicht  von  VI  zeigt  sich  ein  solches,  ohne  sich  auf  dem  ersten 
Stein  fortzusetzen. 


DAS    CHALCIDICÜM    DER   POMPEJANISCHEN    BASILICA  57 

suchen.  Zunächst  könnte  b  zu  VI  links  gerechnet  werden ;  da  aber 
der  Abstand  des  Pilasters  von  der  Thüre  dort  nur  0,54  beträgt  gegen- 
über 0,59  bei  b,  so  bleiben  für  dieses  nur  II  und  V  links  übrig  (!). 
Beide  Mauerstücke  sind  drei  Schichten  hoch  erhalten,  und  man 
ist  versucht  so  b  als  vierte  Schicht  auf  einem  von  beiden  zu 
denken,  wozu  wir  nach  dem  Fugenwechsel  berechtigt  wären.  Nun 
zeigt  aber  die  Oberfläche  beider  Pfeiler,  II  und  V,  eine  Auf- 
schnürung (in  der  Skizze  oben  S.  51  punktirt)  die  ein  in  der  Mitte 
befindliches  Dübelloch  schneidet,  während  sich  in  der  Mitte  der 
beiden,  durch  die  Aufschnürung  getrennten  Teile  je  ein  weiteres, 
nicht  gezeichnetes,  Dübelloch  findet. 

Offenbar  bezeichnet  diese  Aufschnürung  die  Fuge  der  beiden 
die  vierte  Schicht  bildenden  Steine.  Hätte  also  b  auf  II  oder  V 
unmittelbar  gelegen,  so  müsste  eine  der  Aufschnürungen  seinen 
Massen  entsprechen.  Nun  ist  aber  die  Aufschnürung  von  der 
Unken  Ecke  des  inneren  Pilasters  entfernt  bei 

II    0,285 

V  0,355 
b     0,26 ; 

b  kann  also  weder  auf  II  noch  auf  V  direkt  in  vierter  Schicht 
gefolgt  sein. 

Ebenso  könnte  c  von  vorn  herein  auf  II  oder  V  rechts  passen 
(während  I  durch  die  Bildung  der  Rückseite  ausgeschlossen  ist). 
Messen  wir  aber  hier  die  betreffenden  Abstände  von  der  Auf- 
schnürungslinie  bis  zur  rechten  Ecke  des  inneren  Pilasters,  so 
finden  wir  bei 

II     0,275 

V  0,205 
c    0,295, 

was  das  gewonnene  Resultat  lediglich  bestätigt. 

Da  uns  nun   der   regelmässige  Fugenwechsel  hindert,   diese 
beiden  Steine  b  und  c,  welche  durch  ihre  seitlichen  würfelförmigen 
Einarbeitungen  als  derselben    Schicht   mit   a   angehörig    gekonn- 
te Es  ist  daran  zu  erinnern,  dass  sich  die  inneren  Pilaster  nicht  ver- 
jüngen, diese  Masse  also  stimmen  müssten. 


58  DAS   CHALCIDICÜM   DER   POMPEJANISCHEN    BASILICA 

zeichnet  sind,  wozu  die  Höhe  (a  :  0,635.  b  :  0,642.  c  :  0,645)  hin- 
reichend stimmt,  statt  in  der  vierten  in  der  fünften  Schicht  anzu- 
setzen, so  erhalten  wir  als  Minimum  ihrer  ehemaligen  Entfernung 
vom  Fussboden  die  sechste  Schicht. 

Noch  über  dieser,  durch  die  würfelförmigen  Einarbeitungen 
gekennzeichneten,  Schicht  muss  diejenige  gefolgt  sein,  welche  die 
äusseren  Pilaster  oben  in  Kapitelle  endigen  lässt  (oben  S.  54 
A — E)  und  welche,  unserer  Annahme  vom  2  weck  der  verschie- 
denen seitlichen  Einarbeitungen  entsprechend,  dieselben  nicht  mehr 
aufweisen :  über  die  grossen  horizontalen  Querbalken  hat  man  den 
inneren  hölzernen  Thürrahmen  natürlich  nicht  hinübergeführt.  Es 
fragt  sich  weiter,  ob  diese  Schicht  mit  den  Kapitellen  unmittelbar 
auf  die  eben  ermittelte  sechste  gefolgt  ist.  Auch  hierauf  geben 
uns  die  Steine  Antwort.  Die  Quader  a  lag  auf  einem  der  beiden 
Pfeiler  III  oder  IV ;  zu  diesen  gehören  aber  die  Kapitellstücke  D 
und  E.  Eines  derselben  müsste  also  sofort  genau  auf  a  passen, 
wenn  jene  Frage  zu  bejahen  wäre.  Nun  beträgt  aber  die  Breite 
des  vorderen  Pilasters  bei 

a  (oben)  0,52 
JD  (unten)  0,49 
E  (unten)  0,505, 

wobei  zu  bemerken  ist,  dass  sich  die  Masse  besonders  genau,  und 
eben  an  der  Stelle,  wo  die  fraglichen  Quadern  zusammenstossen 
würden,  nehmen  lassen. 

Die  Kapitellstücke  folgten  also  frühestens  in  der  achten 
Schicht  von  unten.  Dies  Kesultat  ist  um  so  sicherer,  als  es  sich 
noch  durch  eine  zweite  Ueberlegung  erreichen  lässt.  Liessen  wir 
auf  den  breiteren  Pfeilern  II  und  V  gleich  auf  die  sechste  Schicht, 
deren  Fugenschnitt  wir  ja  kennen,  die  Quadern  mit  den  Kapitellen 
folgen,  so  würden  zwei  Schichten  mit  mittlerer  Fuge  übereinander 
erscheinen.  Wir  müssen  also,  um  den  regelmässigen  Fugenwechsel 
zu  erhalten,  mindestens  eine  Schicht  mehr,  im  ganzen  also  acht, 
annehmen. 

Dieses  erschlossene  Minimum  der  Pfeilerhöhe  wird  wol  zu- 
gleich das  wirkliche  Mass  derselben  darstellen.  Die  notwendige 
Verjüngung  der  Pilaster  von  0,520  (in  der  sechsten  Schicht)  bis 
auf  0,505  (in  der  obersten)  ist  im  Laufe  einer  Schicht  möglich  : 


DAS   CHALCIDICÜM   DER   POMPEJANISCHEN   BASILICA  59 

bei  dem  rechten  Pilaster  auf  II  beträgt  die  Verjüngung  in  der 
zweiten  Schicht  sogar  21  mm.  Dagegen  wird  man  eine  noch 
grössere  Höhe  der  Pfeiler  kaum  wahrscheinlich  finden,  da  die 
Verhältnisse  der  Pilaster  zwar  dem  Geschmack  der  Tuffperiode 
entsprechend  schlank  sein  dürfen,  bei  einer  Annahme  grösserer 
Höhe  (')  jedoch  unnatürlich  lang  erscheinen  würden.  Bei  unserem 
jetzigen  Minimum  verhält  sich  ihre  Breite  zur  Höhe  schon  etwa 
wie  1 :  10. 

So  erhalten  wir   für   die    ehemalige  Höhe   der   Pfeiler   fol- 
gende durchschnittliche  Zahlen  : 

1.  Schicht      0,66 

2.  »  0,63 

3.  ■  0,63 

4. 5.  ■  —    (nicht  erhalten) 

6.  ■  0,64 

7.  ■  —    (nicht  erhalten) 

8.  »  0,54 


3,10 


Rechnen  wir  dazu  für  die  drei  fehlenden  Schichten  4,  5  und  7 
je  0,64  =  1,92  so  erhalten  wir  für  die  ehemalige  Gesammthöhe 
der  Pfeiler  etwa  5  m.  Ueber  diesen  Pfeilern  würde  ein  ent- 
sprechendes Gebälk  zu  denken  sein.  Die  Breite  der  Thüren  konnte 
ein  T  äff  block  natürlich  nicht  überdecken ;  auch  hier  wird  also 
die  nöthige  Spannung  durch  eine  starke  flach  gelegte  und  eine 
an  der  inneren  Seite  hochkantig  danebengesetzte  starke  Holzbohle 
erreicht  worden  sein,  wie  bei  der  Forumsporticus.  Für  diese  beiden 
Bohlen  zeugen  auch  die  verschiedenen  Bearbeitungen,  die  wir  an 
der  Oberfläche  von  A  und  D  fanden.  Dass  sich  dieselben  bei  der 
sonst  gut  erhaltenen  Oberfläche  von  B  nicht  zeigen,  wird  daher 
rühren,  dass  dieser  Teil  des  Pfeilers  I  eben  kein  Holz  mehr  zu 
tragen  hatte.  Bei  J),  E  mag  die  Zerstörung  diese  Spuren  verwischt 
haben.  Wenn  sich  über  diesem  Gebälk  die  Aussenmauer  noch 
höher  erhob,  und  man  wird  sich  es  kaum  anders  vorstellen  können, 

(*)  Es  ist  zu  beachten,  dass  des  Fugen  wechseis  wegen  wir  jedesmal  um 
je  zwei  Schichten  höher  gehen  müssten. 


60  DAS    CHALCIDICUM   DER   POMPEJANISCHEN    BASILICA 

so  würden  grosse  fensterartige  Oeffnungen  zur  Entlastung  der 
Thürstürze  unumgänglich  nöthig  sein.  Genaueres  darüber  lässt  sich 
aber  nicht  erschliessen,  und  auch  zu  Vermuthungen  darüber,  wie 
etwa  die  Architektur  des  Chalcidicum  mit  derjenigen  der  eigent- 
lichen Basilica  in  Verbindung  gesetzt  war,  geben  die  erschlossenen 
Masse  keinen  genügenden  Anhalt. 

Auch  der  Anschluss  der  späteren  Forumsporticus  an  diese 
Vordermauer  des  Chalcidicum  ist  unklar,  nur  das  eine  ergiebt 
sich  aus  dem  Vergleich  der  Höhe  der  besprochenen  Pfeiler  und 
der  Porticus,  dass  es  ein  unorganischer  gewesen  sein  muss,  indem 
der  obere  Fussboden  der  Porticus  tiefer  lag  als  der  obere  Rand 
der  Thüren  des  Chalcidicum. 

Zum  Schluss  noch  eine  Bemerkung  über  den  Verschluss  der 
fünf  auf  das  Forum  geöffneten  Thüren.  Da  in  den  Schwellen 
Pfannen  nicht  vorhanden  sind,  müssen  die  Thürflügel  leicht  ge- 
wesen sein,  wie  schon  lange  bemerkt  ist.  Die  viereckigen  Ver- 
tiefungen in  der  Mitte  der  Schwellen  müssen  zur  Befestigung 
senkrechter,  vermutlich  gleich  breiter  Holzpfosten  gedient  haben, 
da  sie  für  Riegellöcher,  zumal  bei  leichteren  Thüren  viel  zu  gross 
sind.  Dann  erklärt  sich  auch  der  Mangel  eines  Anschlages  auf 
der  Schwelle  selbst :  der  Pfosten  ersetzte  denselben.  Wir  müssen 
uns  wol  vorstellen,  dass  dieser  schmale  Pfosten  oben  bis  zu  dem 
starken  Querbalken  lief,  und  dort  seinen  nötigen  Halt  fand.  Die 
Thüren,  welche  ziemlich  breit  gewesen  sein  müssen,  bestanden 
demnach  für  jede  Thüröffnung  aus  zwei  Flügeln,  die  sich  nach 
innen  öffneten.  Auf  besondere  Sicherheit  des  Verschlusses  war 
offenbar  kein  Gewicht  gelegt. 

Athen,  November  1887. 

Paul  Wolters. 


TELLER  DES  SIKANOS. 
Taf.  I. 


Der  auf  Tafel  I  abgebildete  rothfigurige  Teller  strengen  Stils, 
das  einzige  Werk,  durch  welches  wir  den  Meister  Sikanos  kennen, 
ist  seit  längerer  Zeit  verschollen  (1).  Er  wurde  im  Anfang  der 
vierziger  Jahre  in  Vulci  gefunden  und  befand  sich  im  Besitz  des 
Fürsten  von  Canino,  von  dem  er  nach  Siena  und  dann  nach  Rom 
gelangte.  Braun  legte  ihn  1844  in  einer  Sitzung  des  Institutes 
vor,  las  aber  in  der  Inschrift  irrthümlich  Silanion  für  Sikanos 
{Bullettino  dell' Instituto  1844  S.  44).  Richtig  wurde  der  Name 
zuerst  von  Welcker  gelesen  (Rheinisches  Museum  N.F.  VI  S.  390). 
Seitdem  ist  jede  Spur  von  dem  Original  verschwunden.  Doch  war 
von  demselben  eine  Zeichnung  angefertigt  worden,  nach  welcher 
Brunn  eine  Beschreibung  gab  und  Welckers  Lesung  bestätigte 
(Geschichte  der  griechischen  Künstler  II  S.  733)  (2).  Diese  Zeichnung 
offenbar  ist  es,  welche  ich  1885  im  Apparat  des  Instituts  wieder 
auffand.  Sie  scheint  den  Stil  des  Originals  annähernd  treu  wieder- 
zugeben. Auch  ist  nicht  zu  befürchten,  dass  der  Zeichner  durch 
geschickte  Restaurationen  sich  hat  täuschen  lassen,  da  Braun  die 
vortreffliche  Erhaltung  der  Vase  ausdrücklich  hervorhebt. 

Der  Teller  steht  auf  einem  hohen,  zierlich  profilirten  Fusse. 
Die  Tellerplatte  hat  die  Eigenthümlichkeit,  dass  ihr  Rand  nicht, 
wie  es  meist  sonst  der  Fall  ist,  umgebogen  ist  und  dass  sie  sich 

(!)  W.  Klein,  Die  griechischen  Vasen  mit  Meistersignaturen  *,  S.  116. 

(*)  Ein  Zweifel  an  der  Identität  des  Tellers,  welchen  Braun  und  Welcker 
sahen,  und  desjenigen,  von  dem  die  Zeichnung  genommen  wurde,  ist  un- 
möglich, da  die  Beschreibungen  von  Brunn  und  Braun  bis  auf  den  Künstler- 
namen völlig  übereinstimmen.  Auch  Welcker  beschreibt  die  Form  des  Ge- 
fässes  vollkommen  zutreffend  als  eine  runde  Platte  mit  einem  ziemlich 
hohen  Fuss. 


62  TELLER   DES    SIKANOS 

nach  oben  zu  ziemlich  stark  verjüngt.  Ihre  Oberfläche  trägt  das 
Bild,  welches  von  einem  einfachen  Blattornament  umrahmt  ist, 
ähnlich  dem  auf  dem  Teller  im  Berliner  Antiquarium,  welcher  früher 
mit  Unrecht  dem  Duris  zugeschrieben  wurde. 

Zur  Füllung  von  Eunden  hat  bekanntlich  die  archaisch-grie- 
chische Kunst  mit  Vorliebe  laufende,  knieende  und  sich  beugende 
Gestalten  verwendet.  Namentlich  die  rothfigurigen  Schalen  und 
Teller,  aber  auch  die  Spiegel,  Münzen  und  Gemmen  liefern  Bei- 
spiele hierfür.  Auch  Sikanos  ist  von  dem  alten  Brauche  nicht 
abgewichen.  Er  hat  als  Gegenstand  seiner  Darstellung  eine  in 
raschem  Laufe  von  links  nach  rechts  dahineilende  Artemis  ge- 
wählt. Alle  Bewegungen  derselben  sind  durch  das  Princip  der 
Kaumfüllung  bedingt.  Das  archaische  Laufschema  ist  allerdings 
schon  etwas  gemildert;  das  Knie  des  nach  rückwärts  ausgestreckten 
r.  Beines  steht  zwar  nicht  mehr  in  gleicher  Höhe  mit  der  Fuss- 
sohle  des  vorgestreckten  L,  aber  der  r.  Fuss  reicht  noch  knapp  an 
die  eine  Seite  des  unteren  Eandes  heran  und  auch  der  1.  ist  nicht 
weit  von  der  anderen  Seite  entfernt.  So  wird  das  bis  auf  die  Knöchel 
herabreichende  feingefältelte  Untergewand,  welches  die  Formen  des 
dem  Beschauer  näheren  r.  Beines  deutlich  durchscheinen  lässt,  in 
seiner  ganzen  Weite  ausgespannt  und  auch  an  dieser  Stelle  eine 
vollkommene  Ausfüllung  des  Baumes  erreicht.  Aehnlich  sind  die 
oberen  Extremitäten  behandelt.  Im  Gegensatz  zu  der  Wirklichkeit, 
welche  bekanntlich  Arme  und  Beine  in  eine  Wechselwirkung  zu 
einander  treten  lässt,  ist  auch  der  r.  Arm  nach  hinten  ausge- 
streckt (1).  Zwischen  Daumen  und  Zeigefinger  hält  er  eine  glocken- 
förmige Blume  (2).    Noch   entschiedener   ist  die  Bewegung  des  1. 

(!)  Dieselbe  mangelhafte  Naturbeobachtung  findet  sich  öfters  auf  ar- 
chaischen Werken.  So  streckt  z.  B.  auch  der  Eros  mit  der  Lyra  und  Blume 
auf  dem  bekannten  Spiegel  des  British  Museum  den  1.  Arm  und  das  1.  Bein 
nach  hinten  aus,  den  r.  Arm  und  das  r.  Bein  nach  vorn  (Gerhard,  Etrusk. 
Spiegel  I  120  =■  Koscher,  Ausführliches  Lexikon  der  Mythologie   S.   1350). 

(2)  Braun  hielt  die  Blume  als  Attribut  der  Artemis  noch  für  etwas 
auffälliges.  Jetzt  liegen  zwei  sichere  Beispiele  vor :  Mittheilungen  des  athe- 
nischen Instituts  V  1880  Taf.  10  (vgl.  Kekule"  ebenda  S.  257  und  294) 
Gerhard,  Trinkschalen  und  Gefässe  II  19.  Auf  anderen  Vasengemälden  ist 
es  nicht  zu  entscheiden,  ob  die  Apollo  gegenüberstehende  weibliche  Gestalt, 
welche  die  Blumen  oder  Banken  hält,  Artemis  oder  Leto  ist  (Lenormant  et 
de  Witte,  Elite  c^ramographique  LT  32—34). 


TELLER   DES    SIKANOS  63 

Armes.  Er  ist  fast  in  horizontaler  Richtung  vorgestreckt  und  hält 
das  die  Göttin  kennzeichnende  Attribut,  ihren  Bogen,  welcher  einen 
grossen  Theil  des  freien  Raumes  auf  der  r.  Seite  ausfüllt.  Es  muss 
auffallen,  dass  das  untere  Hörn  desselben  an  seinem  oberen  Ende 
weniger  stark  gebogen  ist  als  das  obere.  Die  Arme  zeichnen  sich 
durch  elegante  und  zart  gerundete  Formen  aus,  während  die  Beine 
und  Füsse  noch  etwas  hartes  und  eckiges  haben.  Oberhalb  der 
Handgelenke  sind  sie  mit  spiralförmigen  Armbändern  geschmückt. 
Der  Kopf  zeigt  ein  noch  völlig  archaisches,  spitzes  Profil  mit 
Augen  in  Vorderansicht.  Die  Brauen  stehn  hoch  und  sind  nur 
wenig  geschwungen,  eine  Angabe  der  Wimpern  fehlt.  Der  Mund 
ist  klein,  die  Lippen  schmal,  das  Kinn  dagegen  voll  und  rund. 
Das  offenbar  noch  von  einer  Ritzlinie  umgebene  Haar  ist  ent- 
sprechend der  raschen  Bewegung  am  Hinterkopf  aufgebunden  und 
fällt  auf  Stirn  und  Schläfen  in  zierlichem  Löckchen  herab.  Es 
wird  zusammengehalten  durch  einen  Kranz  mit  runden  (l)  Blät- 
tern und  eine  wohl  metallene,  am  oberen  Rande  mit  einer  punk- 
tirten  Linie  verzierte  Stephane.  Auffällig  ist  die  Bildung  des  Ohres. 
Dafür  dass  die  Ohrmuschel  als  eine  Spirale  gebildet  ist,  finden 
sich  allerdings  Analogien,  aber  der  scheinbar  untere  Theil  zeigt 
in  der  Mitte  einen  sonst  nie  vorkommenden  schwarzen  Fleck,  ist 
zu  gross  und  hängt  zu  weit  herab,  als  dass  man  annehmen  dürfte, 
der  Künstler  habe  sich  verzeichnet.  Es  ist  hier  vielmehr  ein  Ohr- 
ring zu  erkennen  in  der  Gestalt  einer  das  Ohrläppchen  deckenden 


(x)  Vielleicht  waren  diese  Blätter  im  Original  wie  so  oft  leicht  erhöht. 
Ein  gleiches  wäre  dann  für  den  Knopf  auf  dem  r.  Aermel,  den  Ohrring  und 
die  Armbänder,  die  wohl  auch  vergoldet  waren,  anzunehmen. 

(2)  Weniger  deutlich  findet  man  diese  Art  Ohrringe  auch  auf  Vasen, 
aber  wie  es  scheint,  nur  auf  schwarzfigurigen  und  streng  rothflgurigen  (s.  z.  B. 
Gerhard,  Auserlesene  Vasenbilder  I  23,  II  83,  IV  295  96,  7 ;  Lenormant  et 
de  Witte,  Elite  ce'ramographique  II  117.  Heibig  (Das  homerische  Epos  aus 
den  Denkmälern  erläutert  *  S.  271  Anm.  3)  nimmt  für  diese  Form  den  Namen 
äv&ejja,  welcher  in  dem  kürzeren  homerischen  Hymnos  auf  Aphrodite  (VI  8  fg.) 
überliefert  ist,  in  Anspruch,  doch  leuchtet  ein,  dass  mit  demselben  jedes 
blumenförmige  Ohrgehänge  bezeichnet  werden  kann.  Eine  spätere  Weiter- 
bildung dieser  sehr  einfachen  Form  ist  es,  wenn  an  die  Bundung  Bommeln, 
bisweilen  in  Gestalt  von  menschlichen  und  thierischen  Figuren,  angehängt 
werden.  Diese  Form  ist  uns  öfters  in  Metall  erhalten ;  s.  Compte-rendu 
1880,  Taf.  HI  4  und  5,  Antike  Denkmäler  I  12  Fig.  13  und   18.    Auch  die 


64  TELLER   DES   SIKANOS 

Platte  oder  Eosette,  wie  ihn  am  deutlichsten  die  neuerdings  auf 
der  Akropolis  zu  Tage  getretenen  Frauen-Statuen  und  Köpfe  zeigen 
('EyrjfieQig  dgxaioXoyixrj  1883  Taf.  5  und  6;  Khomaides,  Musees 
d'Athenes  Taf.  2-5,  7  =  'EyrjfisQig  aQxccioXoyixrj  1886  Taf.  5  ; 
Antike  Denkmäler  I  Taf.  19 ;  Arch.  Jahrbuch  II  (1887)  Taf.  13 
vgl.  das  gleichzeitige  Kelief  *E<f.  dgx.  1886  Taf.  9). 

Aber  nicht  nur  der  Kopfschmuck  unseres  Vasenbildes  stimmt 
mit  den  plastischen  Denkmälern  überein.  Jene  tragen  nämlich 
ausser  demselben  Ohrgehänge  öfters  auch  ein  gleich  oder  ähnlich 
geformtes  Diadem.  Die  Uebereinstimmung  erstreckt  sich  auch  auf 
die  Gewänder.  Es  ist  dasselbe  faltenreiche,  aber  trotzdem  eng  den 
Formen  sich  anschliessende  Untergewand,  welches  Artemis  ebenso 
wie  jene  Marmorstatuen  trägt.  Nur  ist  es  entsprechend  der  raschen 
Bewegung  der  Göttin  unten  in  seiner  ganzen  Weite  ausgespannt, 
während  es  an  den  Statuen  wegen  ihrer  ruhigen  Haltung  und  des 
typischen  Heraufziehns  mit  der  1.  Hand  enger  zu  sein  scheint. 
Auch  die  Aermel  sind  gleich  kurz  und  werden  in  derselben  Weise 
durch  Knöpfe  zusammengehalten.  Noch  auffälliger  ist  die  Ueber- 
einstimmung in  dem  kurzen,  schmalen  Ueberwurf.  Sowohl  an  den 
Statuen  wie  auf  unserem  Teller  ist  er  unter  der  1.  Brust,  welche 
sich  unter  dem  Untergewande  deutlich  abhebt,  um  den  Körper 
herumgeschlagen  und  über  der  r.  Schulter  befestigt,  so  dass  bei 
ruhigem  Stehn  die  beidtn  Enden  mit  ihren  feinen  Zickzackfalten 
vorn  und  zur  Seite  herabfallen  und  dem  r.  Arm  völlig  freien  Spiel- 
raum gewähren,  während  sie  bei  der  in  schneller  Bewegung  be- 
griffenen Artemis  hinter  dem  Rücken  herflattern  und  so  den  ßaum 
zwischen  dem  r.  Arm  und  dem  r.  Bein  in  geeigneter  Weise  füllen. 
Durch  die  Statuen  wissen  wir  nun,  dass  dies  Gewandstück  na- 
mentlich an  den  Säumen  mit  zierlichen  buntfarbigen  Ornament- 
streifen geschmückt  war.  Und  wenn  auch  der  Vasenmaler  diese 
nicht  in  ihrer  ganzen  Ausdehnung  nachgebildet  hat,  so  sehn  wir 
doch  wenigstens  am  oberen  Saum  eine  Mäanderverzierung,  welche 
mehreren  der  in  den  Antiken  Denkmälern  I  Taf.  19  abgebildeten 


Athena  Parthenos  des  Pheidias  trägt  dieselben  auf  dem  Petersburger  Me- 
daillon (Mittheilungen  des  athenischen  Instituts  1888  Taf.  15),  aber  nur 
mit  einer  unten  spitz  zulaufenden  Spirale  als  Anhängsel. 


TELLER   DES    SIKANOS  65 

farbigen  Muster  ausserordentlich  ähnlich  ist.  Den  Ornamentstreifen 
auf  der  Vase  für  ein  Köcherband  zu  halten  ist  aus  verschiedenen 
Gründen  unmöglich.  Zunächst  würde  der  obere  Rand  des  Ueber- 
wurfes  grade  unter  dem  Köcherriemen  liegen,  während  er  sonst  in 
allen  sicheren  Fällen  und  schon  aus  praktischen  Rücksichten  das 
Gewand  schneidet.  Ferner  sieht  man  von  dem  Köcher  selbst  nicht 
das  geringste,  was  sonst  immer  der  Fall  ist.  Schon  um  ihn  leichter 
handhaben  zu  können,  muss  wenigstens  die  Oeffnung  mit  der 
Klappe  über  die  Schulter  hinausragen.  Ausserdem  wäre  das  Köcher- 
band breiter  als  gewöhnlich,  nicht  straff  genug  angespannt  und 
mit  einem  für  einen  ledernen  Riemen  ungewöhnlichen  Ornament 
verziert.  Mit  dem  Bogen  und  ohne  den  Köcher  kommt  Artemis 
bekanntlich  häufig  genug  vor.  Die  Zipfel  des  Ueberwurfes  laufen 
in  deutliche  Quasten  aus,  welche  für  diesen  immer  zerstörten  Theil 
füglich  auch  an  den  Statuen  anzunehmen  sein  werden. 

Diese  sich  bis  auf  Einzelheiten  erstreckende  Uebereinstimmung 
der  Tracht  und  des  Schmuckes  ergiebt  zugleich  auch  die  Zeit  des 
Gefässes  (1).  Die  Herstellung  desselben  fällt  demnach  wie  die 
Statuen,  welche  in  einer  Schuttschicht  aus  der  Zeit  des  Kimon 
gefunden  sind  (Antike  Denkmäler  I  S.  8),  vor  die  Perserkriege. 
Dieser  Datirung  entsprechen  die  Buchstabenformen  der  K  ü  n  s  1 1  e  r- 
inschrift,  welche,   da  die  Darstellung  näher  an  den  1.  Rand 


(x)  Eines  Schlusses  auf  die  Deutung  der  Statuen  enthalte  ich  mich  hei 
dem  Mangel  jeglicher  Attribute  an  denselben.  Es  ist  eben  die  typische  at- 
tische Tracht  der  betreffenden  Zeit,  welche  von  den  vornehmen  Athenerinnen 
auf  die  Göttinnen  übertragen  wurde  und  in  welcher,  wie  die  Vase  zeigt,  man 
sich  auch  Artemis  vorstellte.  Die  Stephane  tragen  sterbliche  Weiber  schon  bei 
Homer  (I  597).  —  Noch  auffälliger  ist  die  Uebereinstimmung  der  Statuen  mit 
den  als  Griffe  und  Stützen  griechischer  Spiegel  dienenden  archaischen  Frauen- 
gestalten, welche  bekanntlich  dasselbe  Gewandmotiv  zeigen.  Eine  dem  Stil 
nach  ältere  und  noch  ähnlichere  als  die  bis  jetzt  abgebildeten  befindet  sich 
unter  den  von  E.  G.  Schaubert  gesammelten  Antiken  des  archäologischen 
Museums  zu  Breslau.  In  ihrer  Rechten  hält  sie  eine  Knospe.  Von  der  aus 
ihrem  Kopf  herauswachsenden  Palmette  gehn  als  Stützen  des  Spiegels  zwei 
umgekehrte  Flügelrosse  aus.  Ueber  die  Deutung  dieser  Gestalten  vgl.  C.  Frie- 
derichs, Kleinere  Kunst  und  Industrie  S.  19  und  24  fg.  und  E.  Curtius  in  der 
Arch.  Zeitung  XXXIX  (1881)  S.  24  fg.  Wenn  Heliodor  Aethiop.  III  4  Charikleia 
als  Priesterin  der  Artemis  mit  den  Attributen  derselben  auftreten  lässt,  so 
beweist  das  natürlich  nichts  für  die  viel  älteren  Darstellungen. 

5 


66  TELLER   DES    SIKANOS 

herangerückt  ist  als  an  den  r.,  auch  den  Zweck  hat,  den  leeren 
Eaum  vor  und  unterhalb  der  Figur  zu  füllen.  Das  2  ist  noch 
dreistrichig,  das  A  hat  noch  die  ältere  Form  mit  zweiter  längerer 
Hasta  und  schrägem  Querstrich,  der  verticale  Strich  des  dritten 
E  in  ertoucsv  überragt  oben  und  unten  die  Querstriche,  endlich 
hat  das  letzte  JV  noch  die  ungeschickte  ältere  Gestalt.  Die  sonder- 
bare, unten  geschwänzte  Form  des  zweiten  O  ist  vielleicht  nur 
durch  Zufälligkeiten  bedingt  und  dadurch  wohl  noch  auffälliger 
geworden,  dass  in  der  Zeichnung  die  im  Original  sicher  breiteren 
Züge  der  Buchstaben  durch  einfache  Linien  wiedergegeben  sind. 
Doch  zeigt  auch  der  zweite  senkrechte  Stich  des  77  ein  ähnliches 
Anhängsel,  welches  sich  auf  dem  fälschlich  dem  Duris  zugeschrie- 
benen Berliner  Teller  wiederfindet.  Ein  ähnlich  geschwänztes  0 
findet  sich  in  der  allerdings  eingeritzten  Inschrift  einer  bildlosen 
Pelike  der  Sammlung  Sabouroff  (Furtwängler,  Sammlung  Sabou- 
roff  I  Taf.  68,  4). 

Dass  Sikanos  ein  attischer  Töpfer  und  doch  wohl  auch  Maler 
war,  beweist  die  streng  attische  Tracht,  die  er  seiner  Artemis 
gegeben  hat.  Zugleich  giebt  sein  Name  über  seine  Persönlichkeit 
einigen  Aufschluss.  Eine  Durchsicht  der  Listen  der  Vasenmaler 
ergiebt,  dass  dieselben  in  schroffem  Gegensatz  zu  den  auf  ihnen 
angebrachten  Namen  von  schönen  Knaben  stehn  (!).  Während 
diese  fast  durchweg  aristokratische,  ritterliche  Namen  führen,  haben 
die  der  bescheidenen  Meister  mit  geringen  Ausnahmen  einen  we- 
niger vollen,  bürgerlicheren  Klang.  Ja  es  sondert  sich  aus  ihnen 
eine  kleine  Eeihe  aus,  die  als  ursprüngliche  Völkernamen  das 
Kennzeichen  der  nicht  griechischen,  vielleicht  sogar  unfreien  Ab- 
kunft ihrer  Träger  auf  der  Stirn  tragen.  Es  sind  dies  die  Namen : 
Kolchos,  6  Avdog ,  Skythes  (6  Sxv&qg),  Sikelos  und  Sikanos. 
Namentlich  wegen  des  Artikels,  welcher  zweien  von  ihnen  vor- 
gesetzt ist,  könnte  man  vermuthen,  dass  diese  Künstler  nur  un- 
freie Arbeiter  eines  grossen  Fabrikanten  im  Kerameikos  gewesen 
seien  und  wegen  ihrer  besonderen  Geschicklichkeit  mit  ihren  ei- 
genen Namen  signiren  durften.  Dieser  Annahme  scheint  jedoch  ein 


(l)  Den  schönen  Bemerkungen  von  Studniczka  (Archäol.  Jahrbuch  II 
S.  159  fg.)  über  das  Verhältniss  der  Vasenmaler  zu  den  Knaben  stimme 
ich  vollkommen  bei. 


TELLER   DES    SIKANOS  67 

anderer  Umstand  zu  widersprechen.  Bekanntlich  ist  kürzlich  grade 
einer  der  mit  dem  Artikel  versehenen  Namen,  der  des  Skythes, 
als  Patronyrnikon  eines  Kriton,  vielleicht  auch  des  Vasenmalers, 
auf  der  Marmorbasis  eines  Weihgeschenkes  an  die  Athena  auf  der 
Akropolis  wiedergefunden  worden  ('Ey^i.  do^.  1883  S.  36  nr.  6  ; 
Löwy,  Inschriften  griechischer  Bildhauer  n.  17  ;  Studniczka  a.  e. 
0.  S.  143)  (1).  Für  die  Identität  mit  dem  Vasenmaler  sprechen 


(*)  Leider  ist  diese  Basis  und  die  zwei  ähnlichen  des  Euphronios  und 
des  Nesiades  und  Andokides,  die  sich  seihst  als  Töpfer  bezeichnen,  so  ver- 
stümmelt, dass  man  nicht  mehr  erkennen  kann,  was  sie  trugen.  Aber  wenn 
ein  Künstler  etwas  weiht,  ist  es  natürlich  ein  Werk  seiner  eigenen  Hände. 
Trotzdem  ist  nicht  nöthig  an  von  ihnen  verfertigte  Gefässe  oder  gar  Pinakes 
zu  denken,  wie  Studniczka  will  (S.  142  fg.).  Schon  die  Masse  der  Basen 
sprechen  dagegen  und  das  eine  (S.  143  Anm.  22)  noch  nicht  veröffentlichte 
Beispiel,  dass  ein  Pfeiler  mit  der  Künsteinschrift  des  Onatas  nur  einen  ganz 
kleinen  Bronzereiter  getragen  habe,  ist  doch  nur  eine  Ausnahme.  Aber  war 
denn  die  Arbeitstheilung  im  Kerameikos  schon  so  weit  fortgeschritten,  dass 
die  Töpfer  nur  Gefässe  oder  Pinakes  arbeiteten  ?  Sicher  bildeten  diese  Mei- 
ster, ebenso  wie  dies  für  Italien  bestimmt  bezeugt  ist,  auch  grosse  Thon- 
figuren.  Eine  wenn  auch  erst  aus  späterer  Zeit  stammende  ist  uns  ja  in  der 
grossen  Terracottafigur  der  Sammlung  Sabouroff  erhalten.  Doch  besitzen  wir, 
wie  ich  glaube,  ausser  der  Annali  1880  tav.  d'agg.  K  abgebildeten  Vase  noch 
ein  weiteres  Zeugniss  für  die  Anfertigung  derartiger  Statuen  auch  in  früherer 
Zeit.  Die  schöne  rothfigurige  Schale  des  Berliner  Museums,  welche  die  Her- 
stellung der  Gruppe  eines  Kämpfers  und  eines  um  Gnade  bittenden  Besiegten 
zeigt,  wird  seit  Braun  noch  immer  für  die  Darstellung  einer  Erzgiesserwerkstatt 
gehalten  (Gerhard,  Griech.  und  etrusk.  Trinkschalen  Taf.  12,  13  =  Bau- 
meister, Denkmäler  I  S.  506  Fig.  547  ;  Furtwängler,  Berliner  Vasensammlung 
nr.  2294).  Aber  der  Ofen  gleicht  vielmehr  einem  Töpfer-  oder  Schmiedeofen 
und  auf  ihm  steht  ein  Gefäss,  in  welchem  schon  aus  technischen  Gründen  die 
Bronze  kaum  flüssig  gemacht  werden  kann.  Ferner  hängen  an  den  Wänden 
Pinakes,  von  deren  Herstellung  aus  Erz  man  nichts  weiss,  und  deren  Deutung 
als  Modelle  oder  Weihgeschenke  immer  etwas  gezwungenes  hat.  Auch  fehlen 
die  bei  der  Metallarbeit  unentbehrlichen  Werkzeuge :  Feile,  Meissel  und  Zange. 
Die  benützten  Instrumente  können  ebenso  für  Thon  wie  für  Erz  verwendet 
werden :  Hammer  und  Schabeisen  bei  der  Glättung  der  Oberfläche  und  Besei- 
tigung von  in  der  Form  entstandenen  Unregelmässigkeiten  und  die  Säge  zur 
Herstellung  des  Gerüstes  und  von  Holzzapfen  bei  der  Befestigung  der,  wie  wir 
sehen,  besonders  gearbeiten  Köpfe,  Füsse  und  Hände.  Welchen  Grund  hatte 
endlich  ein  Töpfer  die  Vertreter  eines  anderen  Handwerkes  zu  feiern  ?  Für 
diese  überlebensgrossen  Gruppen  und  Statuen  reichen  aber  die  Marmorbasen 
mindestens  aus. 


68  TELLER   DES    SIKANOS 

ausser  der  Seltenheit  des  Namens  auch  paläographische  Indicien. 
Es  ist  unglaublich,  dass  der  vielleicht  noch  selbst  unfreie  Sohn 
eines  Sclaven  ein  Weihgeschenk  an  die  Stadtgöttin  auf  der  Burg 
aufstellen  durfte.  Wenn  er  aber  eben  erst  Bürger  oder  Metöke 
geworden  war,  würde  er  den  Namen  seines  unfreien  Vaters  kaum 
genannt  haben.  Daher  liegt  wohl  die  Annahme  näher,  dass  alle 
jene  Meister  Neubürger  oder  Metöken  niedriger  Herkunft,  aber 
selbständige  Künstler  waren. 

Die  kunstgeschichtliche  Stellung  des  Sikanos 
im  Kreise  seiner  Genossen  genau  zu  bestimmen  ist  auf  Grund 
des  einen  nicht  einmal  im  Original  vorliegenden  Gefässes  kaum 
möglich.  Die  vorhin  erwähnten  Meister  stehn  mit  Sikanos  aber 
nur  in  einem  äusserlichen  Zusammenhang,  da  sie,  soweit  wir  es 
beurtheilen  können  —  von  Lydos  ist  fast  nur  die  Inschrift  er- 
halten — ,  alle  der  schwarzfigurigen  Technik  angehören  und  somit 
nicht  genügende  Vergleichsmomente  darbieten.  Trotzdem  brauchen 
sie  zeitlich  nicht  weit  von  Sikanos  getrennt  zu  sein.  Denn  z.  B. 
die  Pinakes  des  Skythes  (Benndorf,  Griechische  und  sicilische 
Vasen  Taf.  4,  1 ;  'Eyrjii.  äQ%etioX.  1885,  3,  1)  zeigen  schon  die 
völlig  ausgebildete  schwarzfigurige  Technik,  und  es  ist  bekannt, 
dass  manche  Künstler  Gefässe  beider  Stile  verfertigten.  Auch 
schreiben  sowohl  Skythes  wie  Sikanos  E  und  5.  Jedenfalls  gehört 
unser  Teller  noch  den  Anfängen  der  rothfigurigen  Technik  an,  was 
ausser  manchen  Härten  in  der  Formgebung  und  dem  starken 
Hervortreten  archaischer  Eigenthümlichkeiten  auch  die  Kitzlinie 
beweist,  welche  die  Haare  umgiebt.  Demnach  wird  wohl  Klein  das 
richtige  getroffen  haben,  wenn  er  Sikanos  als  einen  Tellermaler 
bald  nach  Epiktet  setzt,  von  dem  uns  zehn  Teller  erhalten  sind. 
Ausserdem  hat  der  Stil  des  Sikanos  mit  der  schon  erwähnten 
Pseudo-Durisschale  grosse  Aehnlichkeit.  Die  sicheren  Werke  dieses 
Meisters  sind  jedoch  schon  bedeutend  mehr  entwickelt,  wenDgleich 
Sikanos  mit  ihm  die  durch  die  Gewänder  durchscheinenden  Formen 
gemein  hat. 

Breslau. 

Otto  Kossbach. 


NEREIDE  IM  VATICAN  (*) 

(Taf.  II) 


Wenn  man  aus  der  Sala  degli  animali  des  Vatican  in  den 
Cortile  del  Belvedere  hinaustritt,  so  erblickt  man  links  von  der 
Thüre  auf  einem  Sarkophage  mit  Nereiden,  welche  die  Waffen  des 
Achilles  tragen,  den  Torso  einer  auf  einem  Seethiere  reitenden 
weiblichen  Figur.  Der  Marmor,  dessen  Oberfläche  von  einer  licht- 
gelben Sinterschicht  fast  vollständig  bedeckt  wird,  ist  pentelisch. 
In  Folge  seines  stark  fragmentirten  Zustandes  ist  das  kleine  Werk 
bisher  wenig  beachtet  und  bisweilen,  wo  man  eine  Erwähnung  des- 
selben hätte  erwarten  können,  gänzlich  übersehen  worden. 

Erwähnt  wird  der  Torso  in  der  Beschreibung  Roms  II  2,  144 
als  ■  das  Untertheil  von  der  Bildsäule  einer  Nereide  auf  einem  Meer- 
wunder von  vorzüglicher  Arbeit  ■ ,  eine  Angabe,  die  Urlichs  im 
4  Skopas ',  Seite  140,  wiederholt.  Irrthümlicherweise  fügt  er  hinzu, 


0)  Die  hauptsächlichsten  statuarischen  Werke,  welche  Nereiden  auf 
Seethieren  reitend  darstellen,  sind  folgende :  1)  im  Museo  archeol.  zu  Venedig, 
Dütschke,  Ant.  Bildw.  V  nr.  113  —  Zanetti,  stat.  ant.  II  38,  Clarac  746, 
1802.  2)  in  den  Uffizien  zu  Florenz,  Dütschke,  Ant.  Bildw.  HI  nr.  248  — 
Montfaucon,  ant.  expl.  I  24  —  Clarac  746,  1804.  3.  4)  Zwei  als  Gegenstücke 
gedachte  Nereiden  von  decorativer  Arbeit  und  stark  restaurirt  im  Braccio 
nuovo  des  Vatican,  Pistolesi,  il  Vaticano  IV  12,  Clarac  747,  1805.  5)  Frag- 
ment einer  Nereide  im  Lateran-Museum.  Benndorf-Schöne  nr.  398.  6.  7.  8) 
Drei  decorative  Statuetten  von  Nereiden,  zwei  auf  Seelöwen,  eine  auf  einem 
Seestiere  in  Villa  Albani.  Beschr.  Eoms  III  2  pag.  527.  9)  Statue  im  Museo 
Nazionale  zu  Neapel.  Mem.  deWAccad.  Ercolanese  V,  5.  10)  Torso  ebenda, 
im  Hofe  der  Museo  Naz.  Erwähnt  von  Urlichs  '  Skopas ',  pag.  140.  11)  Torso 
in  Ince  Blundell  Hall.  Michaelis,  ancient  marbles.  Ince  nr.  83  —  Der  Torso 
im  Cortile  del  Belvedere  ist  ohne  Nummer ;  der  Sarkophag,  auf  welchem  er 
steht,  zeigt  die  Nummer  360. 


70  NEREIDE   IM   VATICAN 

das  Monument  sei  bei  Clarac  147,  1805  abgebildet.  Es  ist  dieses 
jedoch  eine  der  beiden  Nereiden  im  Braccio  nuovo  des  Vatican. 
Unsere  Tafel  II  veröffentlicht  den  Torso  im  Cortile  del  Belvedere 
zum  ersten  Male,  denn  eine  wirkliche  Abbildung  kann  die  kleine 
Wiedergabe  des  Werkes,  die  sich  bei  Pistolesi  (ü  Vaticano  IV, 
tav.  CXV)  auf  der  Gesammtansicht  des  Cortile  ganz  im  Hinter- 
grunde befindet,  nicht  genannt  werden.  Sie  dürfte  wohl  auch  den 
Meisten  ganz  entgangen  sein. 

Die  Gruppe  ist  einschliesslich  der  Basis  0,66  M.  lang  und 
0,54  M.  hoch.  Die  Aveibliche  Figur  hat  2/3  Lebensgrösse.  Es  fehlt 
der  ganze  Oberkörper  bis  zum  Nabel,  Theile  der  Kniee,  besonders 
des  linken,  mit  dem  sie  bedeckenden  Gewände,  die  grosse  Zehe 
des  rechten  und  die  Spitze  des  linken  Fusses.  An  dem  Gewände 
sind  die  Höhen  der  Falten  vielfach  bestossen  oder  abgeschlagen. 
Von  dem  Seethiere,  auf  welchem  die  Figur  sitzt,  ist  der  Kopf 
mit  der  Hälfte  des  Halses  und  Theile  des  Schweifes  verloren.  Von 
der  Basis  fehlt  auf  der  rechten  Seite  etwa  ein  Viertel.  Moderne 
Stücke  zeigt  der  Torso  nicht.  Gebrochen  und  wiederangesetzt 
ist  das  Schwänzende,  jedoch,  wie  ich  glaube,  nicht  an  richtiger 
Stelle.  Ein  zusammenhangloses  Stück  hinten  auf  der  Basis,  welches 
denselben  Schuppenkamm  zeigt  wie  das  Schwanzende,  weist  dar- 
auf hin  dass  der  Schweif,  der  jetzt  kurz  und  dürftig  erscheint, 
ursprünglich  eine,  und  zwar  grössere,  Windung  mehr  hatte.  Hier- 
durch wird  das  Gleichgewicht  zu  dem  Vorderkörper  des  Thieres 
besser  als  bei  der  gegenwärtigen  Kestauration  hergestellt  und  die 
störende  Lücke  zwischen  dem  aufwärts  gekrümmten  Schwanzende 
und  der  Basis  ausgefüllt.  Ein  Bronzezapfen  in  der  Brachfläche 
des  Schweifes  rührt  von  antiker  Anstückung  her.  Die  Ausarbeitung 
der  Statue  ist  auf  beiden  Seiten  gleich  sorgfältig. 

Die  weibliche  Figur  sitzt  in  leichter,  anmuthiger  Haltung 
nach  rechts  hin  auf  ihrem  Keitthiere.  Ihre  Füsse,  die  auf  unserer, 
nach  einer  Photographie  hergestellten  Abbildung  leider  unverhältniss- 
mässig  stark  und  gross  erscheinen,  was  in  Wirklichkeit  nicht  der 
Fall  ist,  sind  übereinander  geschlagen.  Die  Wendung  des  Kumpfes 
lässt  darauf  schliessen,  dass  der  Oberkörper  nach  links  gedreht 
war,  so  dass  er  sich  in  der  Ansicht,  die  unsere  Aufnahme  wieder- 
giebt,  etwa  zu  3/4  von  vorn  gezeigt  haben  wird.  Das  Gewand 
bekleidet  die  Figur  nicht  eigentlich;  es  ist  vielmehr  nur  um  die 


NEREIDE   IM   VATICAN  71 

Schenkel  geschlungen.  Aehnlich  wie  auf  der  Vorderseite  hängt  das 
Ende  des  Gewands  auf  der  Kückseite  über  den  Leib  des  Thieres 
herab.  Vorn,  wo  das  Gewand  auf  dem  Nacken  des  Thieres  aufliegt,  ge- 
wahrt man  die  Reste  von  zwei  kleinen  nackten  Füssen,  welche  der 
weiblichen  Figur  zugewendet  waren.  Zweifellos  gehören  sie  einem 
Eroten  an,  der  leicht,  oder  fast  stofflos,  nicht  einmal  die  Falten 
des  Gewandes  niederdrückt,  auf  welchem  er  steht.  An  dem  Thiere 
deuten  eine  Art  von  Schuppen  beziehentlich  Flossen,  vorn  zwischen 
den  Beinen,  am  Halse  und  am  Vorderbug,  die  amphibische  Natur 
an.  Ein  Pferdehuf,  der  des  rechten  Fusses,  ist  vorn  auf  der  Basis 
erhalten.  Es  kann  demnach  kein  Zweifel  sein,  dass  wir  uns  das 
Thier  als  einen  Hippokampen  zu  denken  haben.  Die  Basis  ist  im 
Grund-  und  Aufriss  von  unregelmässiger  Form  und  durchaus  stoff- 
lich, das  heisst  hier  als  Wasser  und  Welle  behandelt.  Unter  den 
Beinen  des  Hippokampen  schiesst  ein  Delphin  aus  den  Wellen 
hervor,  die  noch  einen  Theil  des  Thieres  überfluthen.  Er  ist  im 
Begriffe  einen  Polypen  zu  verschlingen.  Nach  rechts  hin  schwimmt 
ein  anderer  Fisch,  der  ebenfalls  eine  Beute,  einen  nicht  deutlich 
erkennbaren  Gegenstand  oder  ein  Thier,  verschlingt.  Die  Thiere 
sind  ausserordentlich  frisch  und  lebendig;  Augen,  Schuppen  und 
Zähne  sind  sorgfältig  wiedergegeben  (!).  Besonders  hervorzuheben 
ist  endlich  die  Mannigfaltigkeit  der  Bewegungsaxen,  welche  unsere 
kleine  Gruppe  auszeichnet.  Der  Hippokamp  steht  nicht  in  der 
Längenaxe  der  Basis,  sondern  durchschneidet  sie  diagonal  von 
rechts  hinten  nach  links  vorn.  Hals  und  Kopf  des  Thieres  waren 
dagegen  seitlich  nach  hinten  gewendet.  Das  Bewegungsmotiv  der 
Reiterin  ist  etwa  das  umgekehrte :  sie  sitzt  schräg  von  links  nach 
rechts  vorn,  und  ihr  Oberkörper  wendete  sich  seitlich  vorwärts.  In 
der  feinen  Abwägung  der  Art,  wie  diese  Axen  sich  schneiden,  verräth 
sich  eine  hohe  Meisterschaft,  und  es  beruht  wesentlich  hierauf  der 
schöne  Linienfluss,  den  die  Gruppe  fast  von  allen  Seiten  dargeboten 
haben  muss. 


(*)  Eine  gleiche  Freude  daran,  das  Meer  durch  allerlei  Seethiere  zu  heieben, 
zeigt  die  Europadarstellung  auf  einer  Panathen.  Amphora  Brit.  Museum  1261. 
Millingen  Vases  Grecs  pl.  XXV.  Lenormant  et  de  Witte,  Mon.  Ctram.  I,  pl.  27, 
und  eine  Berliner  Amphora  nr.  3241  (ebenfalls  Europadarstellung).  Gerhard, 
Apul.  Vasengem.  Taf.  VII.  Overbeck,  Atlas  zur  Kunstmythologie  I  Taf.  VI.  18. 


72  NEREIDE   IM   VATICAN 

Die  Deutung  unserer  Gruppe  als  einer  auf  einem  Hippokampen 
reitenden  Nereide,  der  ein  Eros  zugesellt  ist, 
scheint  sich  von  vorn  herein  zu  empfehlen.  An 
Analogien  für  die  Darstellung  fehlt  es  nicht,  aber 
k"  gerade  die  schlagendste  auf  einer  Münze  von  Brut- 
tium  (!)  scheint  die  Deutung  auf  andere  Bahnen 
zu  führen. 
Die  Elemente  der  Darstellung  sind  hier  dieselben  wie  bei  der 
Marmorgruppe.  Eine  auf  einem  Hippokampen  sitzende  jugendliche 
Frauengestalt  legt  einem  bogenschiessenden  Eroten,  der  mit  dem 
r.  Fusse  auf  ihrem  Schosse,  mit  dem  linken  auf  dem  Schweife  des 
Hippokampen  steht,  die  r.  Hand  auf  die  Schulter,  offenbar  um 
ihm  die  Bichtung  seines  Schusses  anzugeben.  Hier  kann  nur  Aphro- 
dite gemeint  sein,  in  deren  Auftrage  Eros  seine  Pfeile  entsendet: 
weder  für  Thetis  noch  für  eine  der  übrigen  Nereiden  wäre  diese 
Situation  passend.  Seinem  Gedanken  nach  ordnet  sich  das  Münzbild 
zwanglos  in  einen  Kreis  von  Aphroditedarstellungen  ein,  die  erst 
kürzlich  von  Kalkmann  (Arch.  Jahrbuch  1886  p.  231  ff.)  einer  ein- 
gehenderen Betrachtung  unterzogen  worden  sind:  wie  sonst  der 
Schwan,  eine  Muschel,  ein  Delphin  oder  ein  Tritonengespann  die 
Neugeborne,  von  Eros  und  Himeros  begleitet,  über  das  Meer  ihren 
Cultstätten  zuführen,  so  hier  der  Hippokamp.  Es  ist  eine  neue 
Ausdrucksform  für  eine  bekannte  Vorstellung.  Auf  die  Marmor- 
gruppe im  Vatican  könnte  diese  Deutung  jedoch  nur  dann  eine  An- 
wendung erfahren,  wenn  uns  der  Erhaltungszustand  des  Werkes  ein 
Urtheil  darüber  gestattete,  in  wie  enger  Verbindung  der  Eros  mit 
der  weiblichen  Figur  stand  und  in  welcher  Situation  die  Beiden 
dargestellt  waren.  Alter  und  Bekleidung  der  Frauengestalt  sprechen 
nicht  geradezu  gegen  Aphrodite,  doch  muss,  meines  Erachtens, 
die  Entscheidung  dieser  Fragen  einer  Zeit  vorbehalten  bleiben,  wo 
neue,  schlagende  Momente  die  Gruppe  aus  dem  Kreise  verwandter 
Nereidendarstellungen  herauszuheben  zwingen. 

Der  Name  des  Skopas  ist  bei  unserer  dürftigen  Ueberlieferung 
vielleicht  zu  einseitig  mit  den  Bildungen  von  Nereiden  und  son- 
stigen Meerwesen  verbunden.  So  wurde  denn  auch  unser  Nereiden- 

(!)  vgl.  Head,  coins  and  medals  pl.  45,  20.  Period  280-190,  pag.  83  — 
Miliin,  Gall.  myth.  XL VIII  176,  wo  die  Figur'  Venus  marina'  genannt  wird. 


NEREIDE   IM   VATICAN  73 

torso  an  der  einzigen  Stelle,  wo  etwas  näher  auf  ihn  eingegangen 
wird,  von  Urlichs  (Skopas,  S.  147)  als  die  Copie  einer  Nereide 
der  grossen  Skopasisehen  Gruppe  im  Tempel  des  Cn.  Domitius  zu 
Rom  betrachtet.  Zunächst  ist  es  jedoch  gewiss,  dass  unser  Torso 
eine  römische  Copistenarbeit  nicht  ist ;  aber  selbst  an  eine  griechi- 
sche Copie  zu  denken  verbietet  die  Zartheit  der  Ausführung,  die 
über  dem  Ganzen  liegt,  die  frische,  momentane  Belebung  der 
Wasserthiere  und  die  empfundene  und  dezente  Wiedergabe  der 
Natur  des  nassen  Elementes.  Die  Frage  könnte  sich  demnach  nur 
so  stellen :  ist  es  möglich,  dass  sich  in  unserem  Torso  ein  Rest  der 
figurenreichen  Gruppe  des  Skopas  selbst  erhalten  hat  ?  Im  Hinblick 
auf  die  Qualität  der  Arbeit  würde  ich  kein  Bedenken  tragen  diese 
Frage  zu  bejahen,  besonders  da  es  sich  um  kein  selbständiges 
Kunstwerk,  sondern  um  einen  Theil  eines  grösseren  Ganzen  han- 
delt. Jedoch  spricht  zunächst  ganz  äusseiiich  die  Anwesenheit  des 
kleinen  Eroten  dagegen.  Die  Skopasische  Gruppe  stellte,  wie  man 
aus  Plinius  XXXVI.  26  zu  schliessen  berechtigt  ist,  die  Uebergabe 
der  Waffen  an  Achilles  dar.  Bei  diesem  Vorgang  ist  die  Gegenwart 
von  Eroten,  wenigstens  in  einer  sinnvoll  schaffenden  Kunst,  geradezu 
ausgeschlossen.  Wo  Eroten  als  Begleiter  der  Nereiden  auftreten,  schei- 
nen sie  vielmehr  auf  eine  Composition  wie  die  Hochzeit  des  Poseidon 
und  der  Amphitrite  in  der  Glyptothek  zu  München  hinzuweisen  oder 
etwa  auf  einen  Triumphzug  der  Aphrodite  über  das  Meer,  wovon  uns, 
wenn  auch  keine  plastische,  so  doch  malerische  Darstellungen  auf 
Vasen  und  pompejanischen  Wandbildern  überkommen  sind  (1).  Be- 
stimmter noch  als  dieses  im  Gegenstande  beruhende  Hinderniss 
spricht  die  künstlerische  Durchbildung  der  Basis  unserer  Gruppe 
gegen  Skopas.  Das  Bestreben  die  die  Handlung  umgebende  Natur 
in  eingehender  Weise  zu  vergegenwärtigen  gehört  zu  den  we- 
sentlichen Merkmalen  hellenistischer  Sculptur.  Es  genügt  an  die 
Basen  der  Tyche  von  Antiochia,  des  farnesischen  Stieres  und  der 
Statue  des  Nil  im  Vatican  zu  erinnern.  Man  beachte  an  unserer 
Gruppe,  wie  eingehend  die  Natur  des  Wassers  wiedergegeben  ist, 
das   vor   der   Brust   des   vorwärtsdrängenden   Thieres  schäumend 


0)  vgl.  die  Cumaner  Hydria,  Berlin  nr.  2636.  Gerhard,  ant.  Bildw 
Taf.  44,  und  die  Wandgemälde  Mus.  Borb.  VIII  10.  XII  32.  vgl.  Heibig, 
Wandgemälde  p.  79  f.  «  Aphrodite  auf  dem  Meere  ». 


74  NEREIDE   IM  VAT1CAN 

sich  aufstaut,  während  es  unter  seinem  Leibe  rasch  dahin  zu 
fluthen  scheint!  Ja,  bis  zur  Virtuosität  steigert  sich  dieses  natu- 
ralistische Bestreben  des  Künstlers,  indem  er  den  Körper  des 
Delphins  vorn  auf  der  Basis,  der  zum  Theil  von  den  Wellen  über- 
fluthet  wird,  durch  diese  hindurch  sichtbar  zu  machen  bestrebt 
war.  Vielleicht  in  Hinblick  auf  eine  malerische  Darstellung  sind 
hier  die  Grenzen  der  Plastik  überschritten.  Mit  liebevollster  Beob- 
achtung der  Natur  sind  ferner  die  Wasserthiere  wiedergegeben  und 
ihr  fortwährender  Kampf  ums  Dasein  geschildert:  das  sind  nicht 
mehr  blose  Attribute,  wie  die  ältere  Kunst  typisch  einen  Delphin 
hinzuzufügen  pflegt,  wo  sie  das  Element  des  Wassers,  und  einen 
Vogel,  wo  sie  das  Element  der  Luft  bezeichnen  wollte.  Reliefs 
der  hellenistischen  Epoche  bieten  hierzu  mancherlei  Analogien :  auf 
dem  sog.  Amalthearelief  im  Lateran  (Benndorf-Schöne  nr.  24) 
erblickt  man  eine  Schlange,  die  ein  Vogelnest  bedroht  und  einen 
Adler,  der  einen  Hasen  zerfleischt,  und  ähnliche  Motive  kehren 
auf  einem  fragmentirten  Relief  derselben  Gattung  in  der  Sala  degli 
animali  des  Vatican  nr.  214  wieder. 

Andrerseits  verbietet  uns  die  gesammte  Auffassung  unseres 
Werkes  in  seiner  Datirung  zu  weit  herabzugehen.  Die  Art,  wie 
die  Nereide  sitzt,  ist,  soweit  es  sich  nach  dem  Vorhandenen  beur- 
theilen  lässt,  durchaus  natürlich  und  ungesucht.  Das  Gewand,  das 
allerdings  complicirter  zurechtgelegt  ist,  als  aus  der  Abbildung 
hervorgeht,  wirkt  doch  schliesslich  einfach  und  ruhig.  Auf  Effecte 
der  Gewandbehandlung,  welche  dem  Künstler  durch  die  Elemente, 
in  welchen  sich  die  Nereiden  bewegen,  Wasser  und  Wind,  nahe- 
gelegt wurden,  hat  er  verzichtet.  Man  vergleiche  dagegen  die 
Gewänder  der  Nereiden  von  Xanthos  und  die  Neapler  Statue  Mem. 
dell'Accad.  Ercol.  V  5).  Die  Art  der  Bekleidung  selbst  kann  für 
die  genauere  Datirung  unserer  Gruppe  nicht  in  Betracht  kommen. 
Ist  auch  die  halbe  Bekleidung,  wie  sie  unsere  Nereide  zeigt,  mit 
Vorliebe  von  der  hellenistischen  Kunst  angewendet  worden,  so  lässt 
sich  doch  nicht  beweisen,  dass  nicht  schon  Skopas  die  vollere 
Bekleidung  der  Nereiden  in  einzelnen  Fällen  aufgegeben  hat. 

Alles  in  Allem  sind  wir  demnach  geneigt  unsere  Gruppe 
einem  griechischen  Künstler  jener  Epoche  zuzuschreiben,  in  welcher 
sich  die  Trennung  zwischen  hellenischer  und  hellenistischer  Kunst 
bereits  vollzogen  hat. 


NEREIDE    IM   VATICAN  75 

Mit  sonst  erhaltenen  statuarischen  Darstellungen  von  Nereiden 
auf  Seethieren  (s.  S.  69,1)  zeigt  unsere  Gruppe  keine  so  directe 
Verwandtschaft,  dass  eine  eingehendere  Vergleichung  irgendwelches 
Resultat  verspräche.  Am  nächsten  kommt  ihr,  abgesehen  von  dem 
oben  besprochenen  auf  Aphrodite  gedeuteten  Münzbilde,  eine  Ne- 
reide auf  einem  pompejanischen  Terracottarelief  (v.  ßohden,  Ter- 
racotten  Pompejis  Taf.  XXI  2.).  Es  ist  nicht  unwahrscheinlich, 
dass  das  Bewegungsmotiv  der  Nereide  unserer  Gruppe  ein  ähn- 
liches war,  wie  das  des  Reliefs,  nämlich  dass  die  Nereide  mit  der 
Rechten  den  Hals  des  Hippokampen  umschlang,  während  die  Linke, 
vielleicht  mit  irgend  welchem  Attribute,  worauf  die  Brüche  hinzu- 
deuten scheinen,  auf  dem  linken  Knie  aufruhte.  Da  die  Füsschen 
des  kleinen  Eroten  der  Nereide  zugewendet  sind  mag  er  irgendwie 
mit  ihr  beschäftigt  gewesen  sein. 

Die  Frage  endlich,  ob  wir  in  unserer  Nereide  ein  selbständiges 
Werk  oder  einen  Theil  einer  grösseren  Gruppencomposition  zu 
erkennen  haben,  ist  mit  Sicherheit  nicht  zu  entscheiden  (1).  Für 
das  Letztere  spricht  von  vorn  herein  der  Umstand,  dass  Nereiden 
überhaupt  gesellige  Wesen  sind.  Selbst  bei  den  wenigen  Nereiden- 
statuen, die  uns  erhalten  sind,  ordnen  sich  zwei,  im  Braccio  nuovo 
des  Vatican,  und  drei,  in  Villa  Albani,  zusammen,  von  Reliefs 
und  bildlichen  Darstellungen  auf  Vasen  und  Wandgemälden  nicht 
zu  reden. 

Rom,  Juni  87. 

P.  Hartwig. 


(l)  Für  ein  Fragment  einer  Giebelgruppe  kann  ich  die  Figur  desshalb 
nicht  halten,  weil  dann  die  Basis  nicht  in  dieser  Weise  ausgeführt  sein 
würde.  Als  Brunnenfigur  erscheint  die  Gruppe  passend,  doch  fehlt  der  Canal 
für  ein  Ausflussrohr.  Das  kleine  Loch  vorn  an  des  Basis  unter  den  Füssen 
des  Hippokampen,  in  welchem  sich  Beste  von  Bleiverguss  finden,  erscheint  mir, 
ebenso  wie  ein  kleiner  eiserner  Dübel  zwischen  den  Füssen  der  Nereide,  von 
moderner  Hand  herzurühren. 


TRE  ISCRIZIONI  PUTEOLANE 


II  nostro  socio  sig.  Giuseppe  de  Criscio,  benemerito  come  e 
della  nostra  raccolta  epigrafica,  ha  voluto  continuarmi  i  suoi  favori 
anche  dopo  la  pubblicazione  del  decimo  volume  di  questa  mandan- 
domi  le  lapidi  scoperte  negli  anni  1887  e  1888  nell'agro  Misenate 
e  Puteolano.  Riserbando  le  altre  di  poca  importanza  alla  pubbli- 
cazione quandochessia  di  un  supplemento,  parmi  utile  di  sceglierne 
tre  pel  nostro  Bullettino,  trovate  a  Pozzuoli  su  di  tre  grandi  cippi 
di  marmo,  degne  esse  piü  o  meno  di  vedere  tosto  la  luce  con 
qualche  illustrazione. 

Queste  tre  basi,  come  me  lo  scrive  il  Hülsen  dopo  essere  an- 
dato  sul  luogo,  si  rinvennero  nelle  fondamenta  di  una  casa,  che 
sta  costruendo  il  sig.  Filippo  Palmerini,  direttore  della  banca  di 
Pozzuoli,  a  sinistra  della  strada  dell'Anfiteatro,  in  distanza  di 
circa  30  passi  dall'ingresso  moderno  agli  scavi  dell'Anfiteatro.  Tutte 
e  tre  furono  trovate  insieme,  una  ancora  drizzata,  le  due  altre  ro- 
vesciate  una  sul  lato,  l'altra  sulla  parte  di  dietro,  tutte  evidente- 
mente  sul  luogo  antico.  Siccome  la  prima  fu  collocata  secondo  per- 
messo  del  senato  della  colonia,  la  seconda  pure  da  questo  istesso, 
la  terza  da  un  corpo  pubblico  evidentemente  col  consenso  de'me- 
desimi  decurioni,  ci  siamo  imbattuti  in  un  si  o  attiguo  all'Anfi- 
teatro,  dove  si  collocavano  le  statue  de'benemeriti  del  comune  e 
particolarmente  degli  editori  delle  munera.  Sarebbe  importante 
di  contiauare  a  bella  posta  uno  scavo  cosi  felicemente  iniziato.  — 
II  testo  delle  epigrafi  fu  riscontrato  da  me  sopra  i  calchi  favori- 
timi  dal  sullodato  sig.  de  Criscio. 


TRE   ISCRIZIONI   PUTEOLANE  77 

La  prima,  che  dice  cosi : 

A  N  N  I  A  E   • 
AGRIPPINAE  • 
VXORI- 

c-  ivli  -apollo  >}• 
5      decvr-  ro  mae« 
trib-  Item-  aedil  • 
urceus      accens  •  velato       patera 

CVR • MVN • GL AD 
TRIDVl • HERED- 

10  L  .  D  .  D  .  D  . 

Anniae  Agrippinae  uxori  C.  Iuli  Apolloni  decur{ialis)  Romae 

trib(unici),  item  aedil(ici),  accens{o)  velato  (dovrebbe  essere 

accensi  velati),    citr{atoris)   mun(eris)  glad(iatori)  triduij 

hered(es).  L(ocus)  d(atus)  d{ecreto)  d{ecurionum) 

veramente  non  ha  altro  merito   che  di  accrescere  il  numero  non 

molto  grande  de'monumenti  degli  accensi  velati  e  di  confermare, 

che  questi  furono  persone  di  basso  rango  e  di  vistose  sostanze. 

Dello  sbaglio,  che  i  predicati  dati  al  marito  vengono  portati  nel 

terzo  caso,  mentre  che  il  nome  di  lui  precede  nel  secondo,  non  man- 

cano  altri  esempj. 


Di  maggior  importanza  e  la  seconda : 

C- AELIO  •  P«  FIL  -CL«  Q_VlRIN 

DOMIT  IANO  •  GAVRO- 
AB-lMP-M-AVREL-  ANTONINO  'AVG* 
PIO  •  EQ_VO-  PVBLICO  •  O  RN  •  PRAEF  • 
5         FABRVM  •  PRAEF  COHORT  III  •  AVG  • 
CYRENAlCAE  •  TRIB  •  LEG  •  X!T  •  FVL  • 
CERTAE  •  CONSTANTIS    •  SCRIBAE  • 
AEDILIVM     CVRVLIVM     SCRIBAE  • 
LIBRARIO  •   QVAESTORIO  •  TRIVM  • 
10         DECVRIAR  •  SACERDOTI   •  APVT  • 
LAVRENTES-LAVI NATES-CALATOR1 
MARCIANO  •  ANTONINIANO  «ADLE 
CTO  -iN'ORDIN-DECRET-D'REMISSlS- 
OMNIBVS-MVNERIBVS- 


78  TRE   ISCRIZIONI   PÜTEOLANE 

C.  Aelio  P.  fil.  Cl(audia)  Quirin(a)  Domitiano  Gauro.  L'ultima 
parola  combinata  coll'alfcra  che  precede  Claudia  deve  indicare 
la  patria.  Se  e  comune  trovare  la  patria  binomine  in  parte  col- 
locata  parte  fra  il  padre  ed  il  cognome  facendo  le  veci  della 
tribü,  di  cotale  indicazione  della  patria  assai  raramente  unita 
alla  tribü  un  altro  esempio  reca  l'iscrizione  di  Ancyra  C.  III, 
260 :  M.  Aebutius  M.  f.  Ulp.  Papir.  Troiana  Victorinus  Poe- 
tovio(ne).  La  patria  istessa  Cl.  Gauro,  in  questa  forma  non  la 
conosco ;  ma  pare  si  tratti  di  Gaulo,  oggi  1'  isola  di  Gozzo,  ap- 
partenente  infatti  alla  tribü  Quirina  e  forse  fatto  mtinicipio 
dall'  imperatore  Claudio. 

ab  imp.  M.  Aurel(io)  Antonino  Aug.  pio  equo  publieo  orn{ato). 
Marco  non  mai  vivente  lui  fu  chiamato  Pius;  perö  siccome 
vedremo  essere  scritta  questa  base  dopo  la  morte  di  lui,  ben 
si  capisce  che  il  concipiente  vi  abbia  inserito  il  Pio  attribuito 
regolarmente  all'estinto. 

praef(ecto)  fabrum. 

praef(ecto)  coh{ortis)  III  Aug(ustae)  Cyrenaicae.  La  cohors  III 
Cyrenaica,  per  quanto  mi  Consta,  e  nota  dalla  sola  pietra  di 
Philippi  C.  III,  647 ;  il  cognome  Augusta,  se  non  erro,  e  nuovo. 

trib(uno)  leg{ionis)  XII  ful(minatae)  certae  constantis.  Pochi  anni 
fa  venne  fuori  ad  Ancyra  la  lapide  di  un  C.  Iulius  Quir.  Pudens 
Q.  fil.  domo  Caesa.  Maur.,  che  fu  trib.  leg.  XII  ful.  c.  c. 
(Eph.  epigr.  V  p.  32  n.  61).  Allora  io  la  paragonai  colla 
legio  VIII  Augusta  constans  Commoda  (Orell.  3714);  ora  la 
Puteolana  ci  scioglie  le  sigle. 

seribae  aedüium  curulium. 

scribae  librario  quaestorio  trium  deeuriar(um). 

sacerdoti  aput  Laurentes  Lavinates.  Questa  Variante  delle  frasi 
sollte  per  indicare  il  noto  sacerdozio,  raccolte  dal  nostro  Dessau 
C.  vol.  XIV  p.  188  mostra  vieppiü,  che  male  egli  si  appose 
cambiando  i  Laurentes  Lavinates  in  collegio  sacerdotale.  Eviden- 
temente  Laurentum  era  municipio  e  lo  rimase,  avendosi  incor- 
porato  il  Lavinium  distrutto,  come  Eoma  si  incorporö  la  distrutta 
Alba,  e  cosi  i  sacerdozj  giä  Laviniesi  furono  amministrati  apud 
Laurentes  Lavinates. 

calatori  Marciano  Antoniniano.  Sono  noti  abbastanza  i  sodales 
Antoniniani  creati  ad  occasione  della  consecrazione  di  Anto- 


TRE    ISCRIZIONI    PUTEOLANE  79 

nino  Pio  e  cambiati  in  sodales  Mareiani  Antoniniani  dopo 
la  morte  di  Marco  (Marquardt  Handb.  6,  472).  Noti  pure  sono 
i  calatori  de'  grandi  collegj  sacerdotali  (Marquardt  1.  c.  p.  226). 
Mancava  perö  finora  un  esempio  di  calatore  della  sodalitä  Anto- 
niniana. Sorprende  in  un  uffiziante  di  questa  sorta  il  rango 
equestre;  eccettuato  il  giovanetto  C.  VI,  2188  tutti  gli  altri 
calatori  che  conosco  io  sono  libertini,  e  chi  ricorda  i  loro  ufficj 
ammetterä  che  richiedono  una  posizione  sociale  assai  bassa. 
adlecto  in  ordin{em)  decret{o)  d(ecurionum)  remissis  omnibus  mune- 
ribus.  Forse  questo  non  vuol  dire  altro  che  il  solito  adlectus 
gratis,  perche  la  somma  da  pagare  alla  cassa  della  cittä  pel 
decurionato,  ossia  ciö  che  ne  faceva  le  veci,  poteva  essere  rimessa, 
ma  chi  diventö  decurione  non  poteva  per  decreto  del  consiglio 
municipale  essere  liberato  da  quegli  oneri,  che  lo  stato  impose 
ai  decurioni. 


Ecco  la  terza : 

L  •  AVRELIO  •  AVG  •  LlB  • 
P     Y     L     A     D     I     • 

PANTOMIMO   •   TEMPORIS  •  SVI    •    PRIMO  ■ 
HIERONICAE    CORONATO   ÜII-PATRONO 
5        PARASITORVM  •  APOLLINIS  •  SACERDOTI 
SYNHODI  •  HONORA.TO    PVTEOLIS-D-D 

urceus      ornaiwentis-decvrionalib-  et«      patera 
dvvmviralib  avgvri  •  ob  •  amorem. 
erga  patriam  •  et  •  eximia1w  •  libera 
10      litatem-In-edendo   mvner-gladI 
ato  rvm  •  venatione  •  passiva  •  ex  •  in  • 
dvlgentia-  sacratissimi  •  princip  • 


|CQMM0DI    •    Pll    •    FELICIS    •        AVG   -| 

CENTVRIA- CORNELIA- 

Questo  pantomimo  lo  conosciamo  da  un  pezzo,  e  ne  raccolsi 
io  le  memorie  ristampando  la  Genovese  C.  V,  7753 :  P.  Aelius  Aug. 
Hb.  Pylades  pantomimus  hieronica  instituit;  L.  Aurelius  Augg. 
lib.  Pylades  hieronica  discipulus  consummavit.  Nella  nostra  pure 


80  TRE   ISCRIZIONI   PUTEOLANE 

o  Aug.  e  errore  dell'incisore  o  piuttosto  si  avrä  da  sciogliere 
Aug(ustorum),  non  essendo  indispensabile  all'epoca  Commodiana  la 
geminazione  per  indicare  il  plurale.  Dissi  allora  essere  i  patroni 
di  cotesto  Pylade  Marco  e  Vero,  e  nominarlo  tanto  Frontone  in  una 
lettera  scritta  a  questo,  quanto  Galeno,  appartenergli  forse  anche 
1'  insigne  monumento  Milanese  C.  V,  5889,  dedicato  a  Theocritus 
Augg.  I.  PyladeSj  che  fa  menzione  di  alcune  tragedie  Euripidee. 
pantomimo  temporis  sui  primo,  colla  solita  fräse  in  cotali  monu- 

menti. 
hieronicae  coronato  IUI.  Non  starö  a  ripetere  cose  note.  De'  due 
pantomimi  coevi,  di  cui  parleremo  or  ora,  Septentrio  neila  base 
sna  posteriore  vien  detto  hieronicae  solo  (=  soli)  in  urbe  coro- 
nato dia  panton  ab  impp.  dominis  Severo  et  Antonino  Augg., 
mentre  che  nella  dedicazione  anteriore  Laurentina  questo  onore 
manca ;  Apolausto  Memphio  nell'  iscrizione  urbana  vien  predi- 
cato  hieronicae  coronato  et  ton  dia  panton,  nella  Canosina 
hieronicae  temporis  sui  primo,  nella  Capuana  hieronico  bis 
coronato  et  dia  panton,  nella  Tivolese  ultima  di  tutte  hiero- 
nicae ter  temporis  sui  primo. 
patrono  parasitorum  Apollinis  sacerdoti  synhodi.  I  parasiti  Apol- 
linis, secondo  ciö  che  c'insegna  Festo  p.  326,  trassero  il  loro 
nome  dal  ruolo  de'  parasiti  dato  comunemente  agli  attori  di 
secondo  rango.  Narra  egli  un  aneddoto  che  avvicinandosi  Anni- 
bale  alle  porte  di  Korna  mentre  che  si  celebravano  i  ludi  Apol- 
linari,  tutti  gli  attori  e  spettatori  desertarono  il  teatro  per  ribut- 
tare  gli  aggressori,  meno  un  vecchio,  detto  sia  C.  Pomponio 
sia  C.  Volumnio,  solito  a  rappresentare  come  deuteragonista 
i  parasiti;  continuando  questo  a  ballare  finche  tornarono  vit- 
tori  i  Komani,  questi  con  gioja  trovando  non  interrotta  la  sagra 
cerimonia  esclamavano:  salva  res  est,  dum  cantat  senex.  In 
ricordo  di  questo  fatto  pare  che  si  formava  fra  gli  attori  un 
ceto,  che  nella  scena  istessa  spesso  adoperava  cotale  fräse  e 
chiamavasi  parasiti  Apollinis.  Comunque  poca  fede  si  abbia 
da  attribuire  a  questa  storiella,  nientedimeno  modifica  alquanto 
la  spiegazione  proposta  da  molti,  che  i  parasiti  Apollinis  si 
abbiano  da  comporre  cogli  antichi  naqdaixoi  sagri  de'  Greci 
accompagnati  non  di  rado  ai  sacerdoti,  come  Polemone  narra 
presso  Athenaeo  6,  p.  234 :  naqct  . .  roTg  äQ%aioi<;  svQiditonsv 


TRE   ISCRIZIONI   PUTEOLANE  81 

xov  naqädixov  Isqov  ti  %(>rj[ia  xal  tw  tivv&oivoj  nctqöfxoiov. 
Non  si  nega,  che  i  parasiti  Apollinis  sconosciuti  affatto  ai  Greci 
sieno  stati  ordinati  secondo  questo  modello ;  ma  se  fossero  sorti 
unicamente  dal  culto  Apollinare,  non  troppo  si  capirebbe,  perche 
quei  che  occorrono  sono  esclusivamente  attori,  mentre  che  ciö 
conviene  egregiamente  col  ragguaglio  di  Festo.  Ecco  i  pochi 
esempi  de'  semplici  parasiti  Apollinis  che  ho  potuto  trovare : 

Latinus,  di  cui  dice  Marziale  9,  28 :  vos  me  laurigeri  parasitum 
dicite  Phoebi. 

M.  Iunius  M.  f.  Maior  archimimus,  Apollinis  parasü{us).  Prae- 
neste  C.  XIV,  2988. 

lib.  Threptus   ....  imus  rectorum  mi . . .  [parasitus] 

Apollinis,  adlectus  \_scaenae~\.  Tibure  C.  XIV,  3683. 

L.  Acilius  L.  f.  Pompt.  Eutyches  nobilis  archimimus,  communis) 
mimor{um)  adlectus,  diurnus  parasitus  Apoll{inis),  tragicus 
comicus  et  omnibus  corporibus  ad  scaenam  honorat(us).  Statua 
posta  dagli  adlecti  scaenicorum  nell'a.  169.  Bovillis  C.  XIV, 
2408. 

\_adl~\ectus  scaenaeJ  parasitus  Apollinis.  Romae  C.  VI, 

10118. 
Abbiamo  poi  due  titoli  quasi  identici  posti  l'uno  a  Lanuvio  sotto 
Commodo  (C.  XIV,  2113),  l'altro  sotto  Severo  a  Preneste  (C. 
XIV,  2977)  M.  Aurelio  Augg.  (cioe  di  Marco  e  di  Commodo) 
lib.  Agilio  Septentrioni,  alumno  Faustinae  Aug.,  il  quäle  si 
qualifica  in  entrambi  da  pantomimo  sui  temporis  primo  e, 
come  di  sopra  si  disse,  nella  sola  Prenestina  da  hieronica. 
Egli  nella  Lanuvina  vien  detto  sacerdoti  synhodi  Apollinis 
parasito,  nella  Prenestina  piü  recente  parasito  Apollinis  ar- 
chieri  synodi.  Con  questi  documenti  del  pantomimo  Septentrio 
si  dovranno  comporre  quei  che  riguardano  il  Memfio,  pantomimo 
famosissimo  dell'epoca  Commodiana,  di  cui  le  notizie  serbate 
presso  gli  scrittori  e  nei  monumenti  furono  raccolte  da  me  alla 
Canusina  C.  IX,  344,  a  cui  ora  accede  il  bei  monumento  re- 
centemente  scoperto  a  Tivoli  C.  XIV,  4254.  Anch'egli  non  mai 
vien  detto  parasitus  Apollinis  semplicemente,  ma  o  si  contenta 
di  chiamarsi  pantomima  e  hieronica  (cosi  nella  Canusina  ci- 
tata)  o  gli  attribuiscono  le  frasi  parasito  et  sacerdoti  Apollinis 
(Capua  C.  X,  3716) —  vitlato  Augg.  sacerdoti  Apollinis  (Ti- 

6 


82  TRE    ISCRIZIONI   PÜTEOLANB 

voli  1.  c.)  —  Apollinis  sacerdoti  soli  vittato  archieri  synhodi 
et  Augg.  (Roma  C.  VI,  10117).  Chiaramente  si  vede,  che  i 
parasiti  Apollinis,  quasi  al  pari  degli  archimimi,  erano  attori 
distinti,  perö  di  rango  inferiore  al  sacerdos  Apollinis  ossia 
YäQXffQ*l'$  tivvodov  unico  portatore  della  vitta  sagra.  E  questo 
pure  si  richiede,  prendendo  il  collegio  le  mosse  dal  ruolo  del 
parasito  nella  commedia,  formandosi  perö  sul  modello  deW- 
QctüiToi  antichi  de'Greci  aggiunti  tlX^teqevg.  Cosi  pure  si  spiega 
il  patronus  parasilorum  Apollinis  sacerdos  synhodi  della 
nuova  lapide;  evidentemente  l'istesso  uffizio  di  rango  superiore, 
che  occuparono  Septentrio  e  Memphius,  qui  si  annunzia  in 
guisa  di  patronato.  Ben  cid  conviene  all'alto  rango  che  vedemmo 
avere  avuto  il  nostro  Pylades  nella  gerarchia  drammatica. 

honorato  Puteolis  d(ecreto)  d(ecurionutn)  ornamentis  decuriona- 
lib{us)  et  duumviralib{us). 

auguri.  Per  quanto  sappia  io,  finora  non  mai  si  e  visto  un  liber- 
tino  ammesso  ai  grandi  sacerdozj  municipali,  come  lo  fu  il 
Pylades  a  Puteoli. 

ob  amorem  erga  patriam  et  eximiam  liberalitatem  in  edendo 
muner(e)  gladiatorum  venatione  passiva  ex  indulgentia  sacra- 
tissimi princip(is)  Commodi  (nome  eraso  e  poi  restituto  al  solito) 
pii  felicis  Aug{usti).  Se  fosse  certo,  che  la  patria,  cioe  Poz- 
zuoli,  si  riferisca  a  Pylade,  la  lapide  sarebbe  importante  per 
lo  scioglimento  della  questione  difficile  assai,  a  quäle  municipio 
sieno  stati  attribuiti  gli  affraneati  degli  imperatori.  Ma  si  ha 
da  riflettere,  che  la  patria  puö  essere  quella  de'  dedicanti,  tanto 
piü  che  la  base  Prenestina  dedicata  al  pantomimo  Septentrio 
(C.  XIV,  2977)  ha  la  medesima  fräse.  —  Ciö  che  segue  sui 
ludi  circensi  scioglie  un  vecchio  enimma,  dico  il  passo  della 
nota  lapide  Napoletana  C.  X,  3704 :  diem  felicissim{um)  III 
id.  Ian.  natalis  dei  patri  n(ostri)  venatione  pass.  denis  bestis 
et  IUI  feris  dent(atis)  et  IUI paribus  ferro  dimicantib(us) 
ceteroq{ue)  honestissim{o)  apparatu  largiter  exhibuit.  II 
Lipsio  propose  di  leggere  passerum,  intendendo  gli  struzzi,  e 
1'  ho  seguito  io  in  mancanza  di  spiegazione  piü  soddisfacente ; 
ora  e  facile  vedere,  che  si  tratta  di  una  venalio  passiva.  Ne 
molto  si  cercherä  la  spiegazione  di  questo  termine,  mostrando 
dall'una  parte  i  commentatori  e  lessici,  che  nella  latinitä  sca- 


TRE    ISCRIZIONI   PUTEOLANE  83 

dente  fin  dal  secondo  secolo  passivus  si  adopera  spesso  nel 
senso  di  promiscuus  (J),  e  dall'altra  parte  trovandosi  nella  nota 
lapide  Pompeiana  C.  X,  1074,  dopo  l'enumerazione  de'  gladia- 
tori  e  delle  bestie  {tauri,  taurocentae,  apriJ  ursi)  la  fräse: 
cetera  venatione  varia. 
centuria  Cornelia.  Questa  centuria  ricorre  nella  lapide  C.  X,  1874, 
e  sarä  stata  parte  degli  Augustali  Puteolani  al  pari  della  cen- 
turia Petronia. 

T.    MOMMSEN. 


(J)  Cosi  il  chiosatore  di  Giovenale  8,  182  spiega  il  cerdo  per  popularis, 
passivus.  Dice  Tertulliano,  apol.  9 :  suppeditante  materias  passivitate  luxuriae. 
Lo  stesso  adv .  Marc.  1 ,  7  chiama  il  nomen  dei  passivum  et  in  alios  quoque  per- 
missum  e  scrive  de  Corona  8:  passivitas  fallit  obumbrans  corruptelam.  Molti 
altri  eserapi  di  questa  voce  vengono  somministrati  dagli  annotatori  di  Appu- 
leio,  Tertulliano,  Augustino  e  nei  lessici  anche  del  du  Cange. 


MISCELLANEA  EPIGRAFICA 


I.  Iscrizione  di  L.  Minicio  Natale. 

Sul  principio  del  mese  di  febbraio  furono  trovati  nel  cimitero 
di  Priscilla,  insieme  con  le  insigni  iscrizioni  degli  Acilii  Glabriones, 
numerosi  frantumi  di  paleografia  bellissima,  i  quali  dal  eh.  de  Rossi 
furono  riconosciuti  come  appartenenti  ad  una  iscrizione  monumen- 
tale dell'epoca  di  Traiano.  II  de  Rossi,  il  quäle  propose  i  fram- 
menti  nell'adunanza  dei  eultori  di  archeologia  cristiana  il  giorno 
25  febbraio  senza  avere  avuto  il  tempo  di  oecuparsene  particolar- 
mente,  con  somma  cortesia  mi  permise  di  esaminare  i  calchi,  e 
cosi  mi  diede  occasione  di  ricomporre  quasi  interamente  il  testo 
dell'epigrafe.  Sebbene  mutila  in  principio,  coll'aiuto  di  altre  iscri- 
zioni, delle  quali  ragioneremo  appresso,  si  supplisce  nel  modo  se- 
guente : 

L  •  f  •  g  a  l  •  j*a  t Ali  •  iifi  •  vil^  uiar 


Qua  est  ORI  •  PRO  V I N  C) 

-TN leg. pr.pr.  prouip^C  •  Afjricae 
leg.  imp.  caes.  neruae  traiani  aug.  le  G-L 
donis  donato  ab  imp.  traiano  aug.  ^ERM  •  DACij  co 
corona  uallari  murali     aurea    KASTIS-PVI/U*  iii 

uexillis  iii  legato aug.  prO-?K-LEGiii  aug 

consuli   curaiori   aluei   tiberis  et  ri  ?-A^rum 
et  cloacarum  urbis 

L' iscrizione  fu  scritta  in  una  grandissima  lastra  di  marmo, 
le  cui  dimensioni  non  erano  minori  di  m.  2  per  lunghezza  ed  altret- 
tanto  di  larghezza :  le  lettere  sono  alte  c.  9  ^  nella  prima  riga, 
c.  8  nella  seconda  e  terza  e  diminuiscono  sino  a  c.  6  nelle  ultime 
quattro  linee. 


MISCELLANEA    EPIGRAFICA 


85 


Per  giustificare  i  nostri  supplementi,  basta  di  apporre  una 
iscrizione  riferibile  allo  stesso  personaggio,  quella  di  Barcelona 
pubblicata  nel  C.  I.  L.  II  n.  4509 : 


l .  mini  cius  .1 .  fil .    g  al  .    na 
prouinc .   africae.   sodalis    augus 
n  i  .  parthici  .   et   i  mp  .    traiani.    ha 
noniae .    i n fer ioris  .    cur  ator  . 
cloacarum    urbis .    leg.    divi    tra 

ui .  traiani  .parthici  leg doni 

prima  .    ab  .  eodem    .   imper ator e 
H Aski s.puris.iii.uexillis.iii   l 

trib  •  PL  •  Qj  *Y  °  u iiii   ui 

l  •  minicivs  •  L  •  P  *   natalis  .    quadro  inivs-vervs  •  f  •  avgvr  •  trib  •  plebis 

desig-QjAVG- et \eodem  tempore,  leg.  Wr-pr-patris-provinc- africae -tr 
miL'LEG-T-adi  vt-p-f-l\^.  xi  cl.p.  f.  leg.  xüi  ma 

BALINEVM  •  C"<u  m  .    p  o  r  t 

DVJctUS  ? 


TALIS  •  COS  •  PROCOS 

TALIS  •  LEG  •  AVG '  PR-  PR  •  Divi  •  TRAIA 
DRIANI   •  AVG  •   PROVINC   '   PAN 
LVEI  •  TIBERIS  ■  ET  ■  RlPARVM  •  ET 
IANI  •  PARTHICI  •  LEG  •  TU  •  AVG  •  LEG  •  Dl 
S  •  DONATVS  •  EXPEDITIONE  ■   DACIC0 
CORONA  •  VALLARI  •  MVRALI   ■   AVREa 
EG  *  PR  •  PR  •  PROVINC  •  AFRICAE  •  PR 
R'VIARVM-CVRANDARVM"ET- 

L 


RT-VIC  •  III  VIR-  MONETALIS  •  A-A-A-F-F- 

ICIB VS • SOLO • SVOET 

FECERVNT 


I  frammenti  scoperti  nel  eimitero  di  Priscilla  parlano  dunque 
di  un  personaggio  giä  conosciuto  da  rieco  matferiale  epigrafico  (l); 

(l)  A  Minicio  Natale  seniore  si  riferiscono  le  iscrizioiü  seguenti: 
C.  Vni,  2478.2479  (Oasis  Nigrensium  Maiorum). 

VHI,  4676  (Madaura). 

"VTLI,  10962  (bollo  di  mattone  nel  museo  di  Palermo). 
Di  Minicio  Natale  Quadronio  Vero  abbiarao  non  meno  di  otto  iscri 
zioni  latine: 

C.  n,  4510.4511  (Barcelona). 
C.  VUI,  4643  (Thagora). 

XIV,  3599  =  Henzen  6498  (Tivoli). 

XIV,  3600  (secondo  esemplare  della  precedente). 
Annali  delVInst.  1849,  p.  223  (Viterbo). 

XIV,  3554  —  Orelli  1551  (Tivoli). 
Cardinali  dipl.  p.  125,  n.  239  (Canino). 
Eph.  epigr.  IV,  768  (Roma); 
e  due  greche: 

C.  I.  Gr.  5977  (Tivoli). 

Eph.  epigr.  I,  p.  251  (Megara). 


86  M1SCELLANEA   EPIGRAFICA 

ne  puö  recare  maraviglia  che  pochi  siano  i  fatti  nuovi  che  essi 
c'insegnino  intorno  alla  sua  vita.  Ci  danno  il  prenome  del  padre 
di  Minicio  Natale  finora  sconosciuto ;  ma  nulla  ci  dicono  di  nuovo 
sulla  sua  carriera,  essendo  per  combinazione  mancanti  il  nome  della 
provincia,  della  quäle  egli  fu  questore,  come  della  legione  che  stette 
sotto  il  suo  comando  nella  guerra  Dacica.  Siccome  perö  dopo  la 
sagace  esposizione  del  Borghesi  {Sagglatore  1846  n.  VI,  p.  270-301 
=  oeuv.  VIII,  p.  46-69)  e  dell'  Henzen  (Ann.  dell'  Inst.  1849,  p.  223) 
il  materiale  epigrafico  e  considerevolmente  aumentato,  ne  le  note  dei 
recentissimi  editori  vanno  esenti  di  qualche  errore,  gioverä  riassu- 
mere  brevemente  la  cronologia  delle  cariche  di  Minicio  Natale  e 
suo  figlio. 

Tre  sono  le  cariche  di  Natale,  che  si  possono  assegnare  ad 
anni  certi:  la  sua  legazione  Numidica  p.  C.  104.  105  (C.  VIII,  2478. 
2479),  il  consolato  che  ebbe  nel  secondo  nundinio  del  106  (Fast. 
Feriar.  Latinar.  C.  VI,  2016),  e  la  legazione  Pannonica,  117  d.  C. 
Oltracciö,  il  proconsolato  Africano  del  figlio  viene  assegnato  all' anno 
d.  C.  J.39  per  mezzo  dell'iscrizione  di  Thagora  VIII,  4643.  Te- 
nendo  conto  delle  leggi  annali  dell'epoca  imperatoria,  e  degli  inter- 
valli  usuali  tra  le  singole  cariche,  arriviamo  a  stabilire  nel  modo 
seguente  la  storia  dei  due  personaggi  illustri. 

Nacque  L.  Minicio  Natale  seniore  circa  l'anno  65  d.  C.  da 
una  nobile  famiglia  della  Spagna.  La  sua  carriera  pubblica  cominciö 
sotto  Domiziano  col  quattuorvirato  delle  vie :  dal  quäle  passö,  verso 
l'anno  90  probabilmente,  alla  questura  di  una  provincia,  il  di  cui 
nome  non  e  serbato.  Si  ammogliö,  e  gli  fu  nato  a  Barcelona,  nel 
gennaio  o  febbraio  di  un  anno  che  certo  non  e  lontano  dal  90  (') 
un  figlio  L.  Minucio  Quadronio  Vero.  Nel  decennio  seguente,  Natale- 
ebbe  le  cariche  di  tribuno  della  plebe,  pretore  e  legato  della  pro 
vincia  di  Africa:  ivi  egli  possedette  latifondi  nell'estremo  sud  della 
Numidia,  nell'oasi  dei  Nigreases  Maiores,  dove  esercitava  anche 
una  officina  figulina.  La  legazione  Africana  puö  credersi  che  l'avesse 
nell'anno  100  incirca:  nei  seguenti  Minicio  Natale  prese  parte  alla 


{l)  C.  II,  4511  in  un  passo  del  testamento  di  Minicio  Vero:  (do  legö)  co- 
lonis  Barcinonensibus  ex  Hispania  \_cit]er(iore)  [apud  qjuos  natus  sum  HS  c  ita 

si  cav[e]ant  [se  pro  ea  s]umma  {ex}  quincunci(bus)  omn[ib(us)  d]nn{is)  [a.  d Q 

Februar(ias),  die  natali  meo  sportula[s. .  .  .  ]  daturos. 


MISCELLANEA   EPIGRAFICA  87 

prima  spedizione  Dacica  (!)  di  Traiano  (101.  102),  come  legato 
di  una  legione  (2)  e  fu  decorato  dall'imperatore  con  i  munera  usuali 
per  ufficiali  di  quel  grado.  Ritornato  in  Africa,  negli  anni  104  e  105 
incirca  fu  legato  della  Numidia  e  comandante  della  legione  terza 
Augusta.  Come  era  usuale  nel  secolo  secondo  (C.  VIII  p.  1065), 
egli  fu  promosso  al  consolato  immediatamente  dopo,  forse  anche 
durante  questa  legazione :  e  resse  i  fasci  nel  secondo  nundinio  del  106 
(Fast.  fer.  Lat.  C.  VI,  2016).  Dopo  il  consolato,  gli  fu  affidata 
la  cura  dell'alveo  del  Tevere:  puö  darsi  che  Minicio  fosse  succes- 
sore  immediato  di  Plinio,  il  quäle  ebbe  la  cura  dal  105  al  107, 
ma  e  piü  probabile  che  la  ottenesse  alcuni  anni  dopo,  verso  il  110 
(Mommsen  Hermes  3,  95),  Nello  stesso  tempo  cominciö  la  sua 
carriera  il  figlio,  L.  Minicio  Natale  Quadronio  Vero,  allora  ven- 
tenne.  E  gli  fu  prima  Illvir  monetalis,  poi  ebbe  il  tribunato  mili- 
tare  nelle  legioni  XIIII  Gemina  Martia  Victrix,  XI  Claudia  e  I 
adiutrix  (3).  II  nome  di  quest' ultima  ci  mette  in  grado  di  ossäre  un 
nuovo  punto  cronologico.  Siccome  cioe  la  I  adiutrix  nel  principio 
del  secolo  secondo  stazionö  nella  Pannonia  inferiore,  cosi  e  molto 

(*)  La  congettura  del  Borghesi  accettata  dall'  Huebner  e  dal  Wilmanns, 
combattuta  dal  Benier  (nelle  note  al  Borghesi  1.  c.  p.  53)  che  cioe  Natale  par- 
tecipasse  a  tutte  le  due  spedizioni  e  fosse  donato  due  volte,  non  si  puö  piü 
accettare  dopo  che  sappiamo  con  certezza  la  data  della  legazione  Numidica: 
quindi  ho  mutato  alcuni  supplementi  proposti  dall'Huebner  nel  vol.  II. 

(2)  Del  numero  di  essa  rimane  nella  nuova  epigrafe  un  piccolissimo 
avanzo,  che  si  adatta  ad  una  V  o  ad  una  X:  sarebbe  ardito  di  volere  inda- 
garlo  per  mezzo  di  congetture  ;  sebbene  si  puö  dire  rifiutato  il  supplimento 
proposto  dal  Benier  per  la  riga  5  dell'epigrafe  di  Barcelona  di[vi  Traiani  par- 
thici  leg.  ii.  adiutrici]s.  Ne  dalle  cariche  militari  del  figlio  si  puö  argo- 
mentare  che  per  es.  fosse  la  legione  XI  Claudia  -  la  cui  partecipazione  alla 
guerra  Dacica,  a  torto  negata  dal  Dierauer  (presso  Büdinger,  Untersuchungen 
zur  röm.  Kaisergeschichte  I  p.  78)  viene  accertata  dall' iscrizione  del  Foro 
Traiano  VI,  3493  -,  non  soltanto  perchö  Minicio  Vero  a  tempo  della  prima 
guerra  Dacica  secondo  il  nostro  calcolo  deve  essere  stato  fanciullo,  ma  anche 
perche  non  si  puö  credere  che  fra  il  suo  primo  ed  ultimo  tribunato  siano 
trascorsi  quindici  anni. 

(3)  Mentre  spesso  si  trova  il  tribunato  amministrato  in  due  corpi  di- 
versi,  della  terza  ripetizione  non  conosco  altro  esempio  fuori  quello  di  M. 
Statio  Frisco ,  C.  VI,  1523.  V.  Mommsen  Staatsrecht  III,  1,  p.  547  not.  1, 
ove  per  isbaglio  le  citazioni  Orelli  5450.  6498,  correttamente  date  nel  vol.  I, 
p.  44,  not.  1,  si  trovano  cambiate  in  «  C.  IX,  1835.  1836  »,  invece  di  LT,  4509, 
XIV,  3599. 


88  MISCELLANEA   EPIGRAFICA 

probabile  che  il  giovane  ufficiale  militasse  sotto  il  comando  di  suo 
padre.  Ora,  nella  iscrizione  di  Barcelona,  Minicio  Natale  seniore 
e  chiamato  leg.  Aug.  pr.  pr.  divi  Traiani  Parthici  et  Imp.  Cae- 
saris  Hadriani  Augusti:  quindi  e  certo  che  la  sua  legazione  Pan- 
nonica  coincida  coll'epoca  della  morte  di  Traiano.  —  Dopo  l'am- 
ministrazione  della  Pannonia,  Minicio  fu  cooptato  nel  collegio  dei 
Sodales  Augustales,  e  poi  ebbe  il  proconsolato  dell'Africa,  dove  il 
figlio,  nello  stesso  tempo  quaestor  candidalus  Imp.  Hadriani  l'ac- 
compagnö  come  legato  della  diocesi  Carthaginiense.  Possiamo  sup- 
porre  che  questo  avvenisse  nel  120:  poiche  tra  il  consolato  ed  una 
delle  grandi  amministrazioni  provinciali  in  quest'epoca  e  usuale 
un  intervallo  di  12-15  anni.  E  ben  si  addatta  a  ciö  il  cursus 
honorum  del  figlio,  il  quäle  secondo  il  nostro  calcolo,  allora  si  av- 
vicinava  al  suo  trentesimo  anno. 

Col  proconsolato  delTAfrica  per  noi  finisce  la  carriera  di  Mi- 
nicio Natale  seniore:  ignoriamo  l'epoca  della  sua  morte. 

II  figlio  ebbe  in  seguito  le  cariche  seguenti: 

tr.  pl.  eandidatus 
praetor 

leg.  Aug.  leg.   VI  victr.  in,  Britannia. 
cur.  viae  Flaminiae,  praefectus  alimentorum. 
cos. 

cur.  operum  publ.  et  aed.  sacr.  (1). 
leg.  Aug.  pr.  pr.  prov.  Moesiae  infer. 
•    augur. 

procos.  prov.  Africae 

II  consolato  dall'  Henzen  (Ann.  1849  p.  226)  viene  attribuito 
al  127  a  causa  dell'intervallo  ottenne  incirca  che  doveva  correre 
tra  la  questura  ed  il  consolato:  e  con  ciö  ben  si  accorda  l'epoca 
del  proconsolato  dell'Africa,  che  dal  titolo  VIII,  4643  ritrovato  dopo 
la  dissertazione  dell'  Henzen,  si  fissa  al  139.  Quanto  alla  lega- 
zione della  Mesia,  e  certo  che  essa  fu  amministrata  dopo  il  con- 
solato, ma  ne  nel  129.  130,  quando  la  provincia  fu  retta  da  C.  Julio 
Severo  (III,  2830  c.  auct.  add.)  ne  nel  134,  quando  vi  fu  preside 
Julius  Maior  (dipl.  XXXIV). 

{})  Non  e  certo  se  questa  cura  fosse  amministrata  prima  o  dopo  il  con 
solato.  V.  Mommsen,  Staatsrecht  II,  p.  1049. 


MISCELLANEA    EPIÖRAFICA  89 

Ora  resta  a  stabilirsi  l'epoca  nella  quäle  fu  incisa  l'epigrafe 
teste  ritrovata.  Sul  primo  aspetto,  dalla  circostanza  che  nella  riga 
quinta  viene  nominato  [Imp.  Caes.  Traianus  Aug.']  Germ{anicus) 
Baci\_cus,  e  non  Divus  Traianus  Parthicus,  fui  indotto  a  cre- 
dere  che  l'epigrafe  fosse  incisa  vivente  Traiano,  e  che  in  seguito  il 
titolo  appartenesse  a  qualche  monumento  eretto  in  onore  di  Mi- 
nicio Natale  allorquando  era  fra  i  vivi.  Ma  siccome  si  tratta  di 
doni  militari  attribuiti  in  epoca  anteriore,  il  concipiente  dell'epi- 
grafe  aveva  la  scelta  di  dare  aH'imperatore  quei  titoli  che  gli  con- 
venivano  all'  epoca  dell'  attribuzione,  ovvero  all'  epoca  della  inci- 
sione  del  titolo ;  e  con  giusta  ragione  il  eh.  De  Rossi  osservö  che 
la  sopradetta  supposizione  rimanga  esclusa  dalle  dimensioni  del- 
l'epigrafe,  non  essendo  tra  tutti  i  monumenti  onoraii  Romani  del- 
1' epoca  imperiale  eretti  ad  uomini  privati,  nessun  altro  che  possa 
supporsi  di  dimensioni  simili.  E  quindi  molto  probabile,  che  il 
titolo  appartenesse  al  sepolcro  di  Minicio  Natale  e  che  questo  si 
possa  credere  situato  accanto  la  via  Salaria. 

II.  La  creduta  iscrisione  della  statua  equestre  di  Domiziano 
sul  Foro  Romano. 

Nel  1872  fu  trovato,  incastrato  in  un  muro  del  medio  evo  non 
lontano  dal  tempio  di  Faustina,  un  frammento  di  lastra  marmorea 
grandissima,  la  cui  iscrizione  mostra  di  riferirsi  ad  un  imperatore 
del  primo  secolo.  Essa  fu  supplita,  secondo  un  apografo  del  Brizio, 
dall'Henzen  {Bull.  1872  p.  235)  nel  modo  seguente: 

IMP  •  (\  aes.  domitiano 
A  V G)germanico  pont.  max. 
T  R I  BJpot.  iii  imp.  ui  cos.  x.p.p 
PLEPS/ urbana  xxxu  tribuum 

Poi,  inserendo  l'iscrizione  nelle  additamenta  del  Corpus  (VI,  3747), 
lo  Henzen  la  restitui  in  questo  modo: 

IMP-    \Saesari  diui  f 

A  V  GCusto  .cos 

T  R I B  pot. .  .pont.  max. 
PLEPS  urbana  xxxu  tribuum 


90  MISCELLANEA    EPIGRAFICA 

annotando :  ad  Caesarem  Augustum  rettulimus  maxime  propter 
verbum  pieps  v.  4  littera  p  scriptum :  potest  pertinuisse  etiam  ad 
Vespaslanum  vel  Domitianum.  Lo  Jordan  nell'  Ephemeris  epigra- 
phica  (III  p.  258)  come  nella  Topographie  (I,  2  p.  188)  combatte 
questa  seconda  restituzione,  ritenendo  a  cagione  dello  spazio  per 
piu  verosimile  la  prima  proposta  dallo  Henzen.  Nello  stesso  tempo 
perö  egli  con  ragione  rifiutö  la  congettura  che  la  base  tuttora  esi- 
stente  sul  lastrico  di  travertino  sia  quella  äelYequus  Domitiani, 
e  che  il  titolo  vi  sia  stato  originariamente  affisso. 

Esaminando  con  attenzione  l'originale,  mi  accorsi  di  una  par- 
ticolaritä  trascurata  nelle  copie  anteriori;  nella  fine  cioe  della  riga  se- 
condo  vi  e  un  avanzo  scarso  si,  ma  certissimo  della  lettera  y\  Quindi 
fu  scritto  con  tutte  le  lettere  il  nome  AVGVSTO:  ed  in  seguito 
per  ragioni  di  spazio  non  si  puö  supplire  il  nome  di  Domiziano  ('). 
Ma  anche  la  restituzione  proposta  nel  C.  I.  L.  non  mi  sembra  am- 
missibile.  Secondo  l'uso  delle  altre  iscrizioni  monumentali  di  Augusto 
trovate  a  Roma  (C.  VI,  457.  701.  702.  875.  876),  l'ordine  dei  titoli 
imperiali  dovrebbe  essere  pont.  max.,  imp.,  cos.,  trib.  pot.  (2).  Ora, 
la  restituzione 


IMP  •  ( 


AESARI  -DIVI  •  F 


AVGVSTO  •  PONT  •  MAX  •  IMP  ■  ■■  COS  •• 
TRIB  [«  POT  •  -  PAT  •  PATRIAE 

da  alla  seconda  riga  una  smisurata  lunghezza,  mentre  sulla  prima  e 
la  terza  rimangono  grandi  spazi  vuoti. 

L'unico  nome  imperiale  del  primo  secolo  -  ne  puö  esservi  dubbio 
che  a  questo  si  debba  attribuire  l'iscrizione  -  che  si  presta  senza 
difficoltä  e  quello  di  Vespasiano.  Mi  pare  di  dover  supplire  nel 
modo  seguente: 

IMP  ^AESARI    •  VESPASIANO 

AVGySTO  •   PONTIFICI  •  MAXIMO 

TRIB  i  POT  •  ..  IMP  •  .  .  .  P  ■  P  •  COS .  .  . 

PLEPS  )•  VRBANA  •  XXXV  •  TRIBVVM 

(!)  In  un  monumento  tanto  insigrne  sarebbe  anche  difficile  l'amraettere, 
che  vi  fosse  chiamato  imp  •  Caesar  domitianvs,  senza  divi  •  vespasiani-f- 

(2)  Dev'  essere  una  mera  svista  che  nel  Corpus  1.  c.  il  titolo  di  pont.  max. 
e  posto  in  ultimo,  ciö  che  sarebbe  senza  esempio  in  iscrizione  correttamente 
scritte.  Mommsen  Staatsrecht  II,  2  p.  783. 


MISCELLANEA    EPIGRAFICA  91 

Appartenne  dunque  Viscrizione  ad  un  monumento  dedicato  a 
Vespasiano  dalla  popolazione  urbana:  e  sebbene  manchino  affatto 
testimonianze  sopra  un  tale  monumento  esistente  sul  foro,  niente 
di  meno  e  certo  che  le  molteplici  eure  avute  dall'imperatore  per 
la  capitale  -  basta  ricordarsi  che  egli  fece  eseguire  la  grande  opera 
della  misurazione  della  cittä ;  che  a  spese  sue  rifece  le  strade  (C.  VI, 
931);  regolö  i  terreni  di  dubbia  proprietä  inter  privatum  et  pu- 
blicum (ib.  933);  restitui  molti  tempj  (ib.  934)  -  facilmente  gli 
fecero  meritare  dai  cittadini  un  monumento  insigne  nel  splendi- 
dissimo  luogo  di  Eoma. 


III.   Tessera  gladiaioria. 

Dal  sig.  comm.  Heibig  mi  fu  gentilmente  comunicata  la  se- 
guente  tessera  gladiatoria,  ritrovata  presso  S.  Giovanni  in  Laterano, 
ed  ora  posseduta  dal  sig.  marchese  Campanari. 

SCVRRA 

FVLVI 

SP  •  K  •  OCT 

C-  I\L-PSER  a.  u.  706. 

Essa  mostra  la  solita  forma  di  bastoncino  con  un  foro  nella 
parte  tonda  superiore.  L'iscrizione  viene  ad  aumentare.  il  numero  di 
quelle  con  la  data  delle  kaiende  e  conferma  l'opinione  del  Mommsen 
{Hermes  XXI  p.  270),  che  cioe  le  date  delle  tessere  non  possano 
riferirsi  ai  giorni  di  munera  publica :  opinione  a  torto  combattuta 
recentemente  da  P.  J.  Meier  (Gladiatorentesseren  p.  8)  Insieme 
colla  tessera  gladiatoria  tornarono  alla  luce  due  altre  di  quelle 
che  il  Wilmanns  (Ex.  epigr.  n.  2825)  chiama  -  senza  fondamento 
secondo  il  mio  avviso  -  tesserae  cenatoriae.  I  due  esemplari  por- 
tano  le  iscrizioni 


EBRIOSE     )(     IUI 


AMATOR    )(    XXX 


92  MISCELLANEA   EPIGRAFICA 

delle  quali  la  prima  trova  un  riscontro  nella  tessera  Pompeiana 
(C.  X  8069,  2),  la  seconda  in  quella  Perugina  teste  pubblicata 
nelle  notizie  degli  scavi  1887  p.  396.  E  da  notarsi  finalmente, 
che  il  luogo  del  ritrovamento  sembra  escluder  l'opinione  che  siano 
trovate  in  un  sepolcro,  piuttosto  che  in  una  casa  privata  (cf.  Mommsen 
1.  c.  p.  270,  not.). 

Ch.  Hüelsen. 


SITZ  [JNGSPßOTOCOLLE 


13.  Januar:  Le  Blant:  altchristlicher  Sarkophag.  —  Pe- 
tersen bespricht  neue  Publicationen  von  v.  Sybel ,  Puchstein, 
Overbeck,  Heydemann,  Loeschcke.  —  Graef  :  ein  Typus  des  He- 
rakleskopfes. —  Wernicke  :  Darstellungen  der  Magier  auf  alt- 
christlichen Sarkophagen;  dazu  Picker. 

Le  BläNT  :  Pres  de  Böziers,  dans  les  fondations  d'une  ancienne 
chapelle  ruine'e,  on  a  trouve"  un  grand  fragment  de  la  partie  droite  d'une 
tombe  chre'tienne  orne'e  de  sculptures.  Des  cinq  compartiments  söpare's  par 
des  colonnes  qui  en  occupaient  la  fa9ade,  deux  seulement  subsistent  en 
entier.  Dans  le  dernier  ä  droite  est  figurd  le  Seigneur  arnene'  devant  Pilate. 
Un  appariteur  arme"  le  pousse  vers  le  Procurateur,  accomplissant  ainsi  cet 
acte  de  ses  fonctions  que  les  textes  antiques  ddsignent  par  des  expres- 
sions  diverses :  inducere,  introducere,  exhibere,  ojferre,  praesentare ,  sistere. 
C'est  la  repre'sentation  en  raccourci  de  l'une  des  phases  des  proces  criminels 
que  de'roulent  sous  nos  yeux  les  Actes  des  Martyrs.  Le  cadre  qui  pröcede 
contient  cinq  personnages.  A  chaque  extre'mite'  est  un  Apötre  et  au  milieu 
le  Christ  posant  la  main  sur  la  tete  de  Taveugle  qui  se  guide  avec  un 
bäton ;  derriere  le  Seigneur,  Th^moroisse,  ä  genoux,  touche  de  sa  main  1c 
bord  de  son  manteau.  Earement  les  sculpteurs  nous  montrent  ainsi  deux 
miracles  du  Christ  reunis  dans  un  rneme  groupe.  Le  peu  qui  reste  du  sujet 
central  donne  lieu  de  croire  qu'on  y  voyait  une  orante  debout  entre  deux 
bienheureux.  Pai'ens  et  chre'tiens ,  les  sculpteurs  des  sarcophages,  prdoccu- 
pe's  de  la  syme"trie,  avaient  coutume  de  terminer  leurs  bas-reliefs  par  des 
sujets  se  faisant  pendant.  Lorsqu'ä  l'extre'mite'  d'un  niarbre  se  trouvait  un 
personnage  assis ,  on  aimait  ä  en  placer,  au  cöte"  oppose",  un  autre  sem- 
blable  lui  faisant  face.  Bien  qu'il  ne  s'agisse  pas,  sur  ce  point,  d'une  loi 
constante,  il  est  permis  de  penser  que  notre  marbre,  termine'  ä  droite  par 
la  figure  de  Pilate  sur  la  sedia,  devait  l'etre,  ä  la  gauche,  par  un  personnage 
assis;  probablement,  comme  nous  le  voyons  sur  des  torabes  d'Arles  et  de 
Nimes,  Saint  Pierre  dont  le  Christ  lave  les  pieds. 

Le  fragment  dont  je  parle  est  un  ouvrage  du  IVe  siecle;  on  y  remar- 
que,  comme  dans    les   autres   bas-reliefs   de   cette   dpoque,   Tabus  des  effets 


94  SITZUNGSPROTOCOLLE 

cherche"s  ä  l'aide  des  coups  de  tre'pan.  Je  ne  doute  pas  qu'il  provienne  des 
ateliers  d'Arles,  ainsi  que  la  plus  grande  partie,  si  ce  n'est  la  totalite  des 
sarcophages  de  ce  temps  conservds  dans  la  Provence. 

WERNICKE  :  L'adorazione~dei  Magi  i  quali  portano  doni  al  bam- 
bino  tenuto  in  grembo  dalla  Madonna,  questa  rappresentanza  tanto  frequente 
e  un  esempio  piü  istruttivo  di  altri  come  l'arte  cristiana  primitiva  appro- 
fittossi  di  tipi  antichi.  Quasi  tutti  gli  elementi  di  quella  scena  derivansi 
da  tipi  pagani.  La  madre  col  bambino  si  trova  nella  prima  delle  tre  o 
quattro  scene  di  sarcofaghi  da  fanciullo  (Arch.  Zeitung.  1885,  S.  209,  T.  14 
e  E.  Eochette  Mon.  inöd.  pl.  LXXVII,  2)  alle  quali  in  un  sarcofago  parigino 
{Arch.  Zeit.  T.  14,  2)  si  aggiunge  il  banchetto  del  morto.  In  questo  il  servo 
che  porta  un  piatto  colmo  di  volatili  presentandolo  al  giovane  signore  e  il  pro- 
totipo  dei  magi,  i  quali  di  fatto  non  sogliono  mostrare  nessuna  adorazione 
come  neanche  quel  servo.  II  numero  dei  magi  pare  da  principio  non  sia 
fissato,  come  piü  tardi  dopo  il  numero  dei  doni  nominati  da  Matteo.  Se 
talvolta  sopra  le  spalle  dei  magi  appaiono  le  teste  dei  loro  cammelli,  questo 
ci  richiama  alla  memoria  la  testa  di  cavallo  dei  cosidetti  banchetti  funebri. 
E  di  questi  banchetti  si  avvicina  assai  il  fanciullo  nel  presepe  con  dissopra 
bue  ed  asino,  ed  un  altro  elemento  preso  da  quei  sarcofaghi  di  fanciulli  sa- 
rebbe S.  Giuseppe  guardando  il  bambino  mentre  si  appoggia  sulla  spalliera 
della  seggiola  di  Maria. 

FlCKER  :  devonsi  discernere  due  tipi  di  questa  scena:  l'uno,  i  Magi 
davanti  Maria  e  Gesü,  come  dimostrano  le  pitture  delle  catacombe  (alcune 
fin'ora  sconosciute  pubblicate  da  Liell,  Die  Darstellungen  Maria,  Freib.  1887) 
giä  fissato  nei  primi  tre  secoli ;  l'altro,  dove  siede  la  madre  accanto  al 
presepio,  appartenente  ai  coperchi  dei  sarcofaghi.  Ne  per  l'uno  ne  per  l'altro 
esiste  un  modello  diretto  nell'  arte  pagana.  In  qualche  particolare  perö  si 
vede  l'influenza  forte  dei  sarcofaghi  pagani  —  sui  quali  del  resto  sono  raris- 
sime  le  rappresentanze  del  servo  portante  il  dono  —  per  esempio  nelle  figure 
di  Maria,  di  s.  Giuseppe,  nemmeno  nei  doni  offerti  dai  Magi,  mentreche  gli 
altri  elementi  si  dichiarano  piü  naturalmente  e  piü  chiaramente  dalle  rela- 
zioni  degli  evangeli,  autentici  ed  apocrifi. 

20.  Januar :  Barnabei  :  Ehreninschriffc  des  L.  Julius  Vehilius 
Gratus  Julianus.  v.  Notüie  degli  scavi  1887,  S.  536.  Dazu  Hülsen: 
Bemerkungen  über  die  Chronologie  der  Aemter  des  Julianus,  na- 
mentlich die  Epoche  seiner  Präfectur,  und  seine  Teilnahme  an  den 
Kriegen  des  M.  Aurel  und  Commodus. 

27.  Januar:  De  Rossi:  topographischer  Gewinn  aus  einer 
Zeichnung  des  Escurial  und  einem  Frescobilde  des  Sodoma;  dazu 
Hülsen  und  Nichols. 

De  RoSSI  presenta  la  fotografia  di  un  disegno  appartenente  ad  una 
raccolta  di  vedute  di  Koma  antica,  che  si  conserva  nella  biblioteca  dell'Escu- 
riale  (vedi  E.  Müntz,  Kendiconti  dell'Acc.  dei  Lincei  1888,  p.  71).  II  pregio 


SITZÜNGSPROTOCOLLE  95 

speciale  della  raccolta  e  che  il  disegnatore  si  sia  proposto  di  rappresentare 
soltanto  gli  edifizi  antichi,  lasciando  da  parte  le  aggiunte  medioevali.  Sul 
disegno  proposto,  che  rappresenta  il  Foro  Romano  veduto  dalla  parte  del 
Campidoglio,  e  interessante  un  avanzo  segnato  dinanzi  al  tempio  di  Faustina, 
che  si  compone  di  un  grosso  muraglione  di  massi  quadrati,  inchiudenti  un 
arco.  A  quäle  arco  antico  possa  corrispondere  questo,  e  difficile  a  dirsi :  ven- 
gono  in  quistione  particolarmente  l'arco  Fabiano  e  l'arco  di  Augusto,  senza 
che  si  possa  arrivare  a  risultati  certi.  Esibisce  anche  la  copia  d'un  afFresco 
del  Sodoma,  del  quäle  ha  giä  altra  volta  parlato  nelle  nostre  adunanze,  e  lo 
confronta  colla  prospettiva  del  foro  nel  disegno  dell'Escuriale. 

HÜLSEN  :  l'edifizio  che  sul  disegno  Escorialense  si  vede  attraverso  la 
porta  laterale  dell'arco  di  Settimio  Severo,  sebbene  sia  disegnato  in  scala  pic- 
cola,  perö  mostra  una  particolaritä  caratteristica :  si  vedono  cioe  pilastri  ac- 
coppiati  sui  cantoni,  che  reggono  un  fregio  dorico.  L'unico  edifizio  di  questo 
aspetto  vicino  al  Foro  e  quello  del  quäle  il  rif.  trattö  negli  Annali  del  1884, 
ricostruendone  l'architettura,  senza  perö  stabilire  ,  a  cagione  della  mancanza 
d'indicazioni  esatte  sul  sito  del  monumento,  il  nome  dell'edifizio.  Essendo 
supplito  tal  difetto  mediante  il  disegno  Escorialense,  non  esita  piü  di  rico- 
noscervi  l'angolo  occidentale  della  basilica  Emilia.  Presentö  il  disegno  di  un 
enorme  triglifo  con  bucranio  tuttora  esistente  sul  Foro  Romano,  il  quäle  se- 
condo  le  sue  dimensioni  sembra  essere  rimasto  dallo  stesso  edifizio,  distrutto 
nel  principio  del  secolo  XVI. 

NlCHOLS :  osserva  che  le  recenti  ricerche  sull'andamento  della  Sacra 
via  fra  il  tempio  di  Cesare  e  la  Regia  ci  mettono  in  grado,  se  non  di  scio- 
gliere  il  problema  intorno  al  sito  dell'arco  Fabiano,  almeno  di  escludere  al- 
cuni  punti  proposti  per  la  sua  ubicazione.  Non  resta  che  quel  posto  al  canto 
ovest  del  tempio  di  Faustina,  dove  il  terreno  non  e  ancora  stato  esplorato  : 
ne  pare  impossibile  che  qualche  avanzo  dell'arco  Fabiano  esistesse  sino  al 
fine  del  secolo  XV  sopra  terra,  e  fosse  raffigurato  sul  disegno  Escorialense. 

3.  Februar:  Lanciani  :  mittelalterliche  Verwendung  von  Säulen 
der  Basilica  Aemilia;  dazu  De  Rossi  und  Hülsen. 

LaNCIANI  :  difende  a  lungo  la  tesi  giä  propugnata  dal  Nibby  R.  A. 
II,  125  e  dal  Fea  Varieta  p.  81  ec,  contro  il  Nicolai  ed  il  Piale,  circa  l'ori- 
gine  delle  24  colonne  di  pavonazzettp ,  perite  nell'  incendio  della  basilica 
Ostiense  dell'anno  1823 :  sostenendo,  con  nuovi  argomenti,  la  loro  provenienza 
dalla  basilica  Paulli  della  regione  IV. 

De  ROSSI :  oppone  le  lettere  ivlia  Sabina  scritte  a  pennello  sul  piano 
dei  rocchi  d'alcune  di  quelle  colonne,  come  riferisce  il  Piale,  nome  che  fu 
letto  anche  su  lastre  di  marmo  frigio  appartenenti  ai  restauri  antichi  del 
Panteon ;  ed  il  riferente  lo  attribuisce  alla  moglie  di  Adriano.  Oppone  anche 
lo  stato  dei  monumenti  del  foro  nel  secolo  IV. 

HÜLSEN:  non  puö  aderire  alla  congettura  del  chmo  Lanciani,  che  la 
basilica  Aemilia  fosse  giä  distrutta  verso    la  fine  del  secolo    quarto,  essendo 


96  SITZUNGSPROTOCOLLE 

mentovata  come  esistente  nel  latercolo  di  Polemio  Silvio,  che  fu  redatto  nel 
448  d.  C.  Kilevö  pure  il  dubbio,  se  le  dimensioni  delle  colonne  di  pavonazzetto 
della  basilica  Ostiense  fossero  adatte  ad  un  edifizio  della  grandezza  che  dob- 
biamo  supporre  per  la  basilica  Emilia. 

17.  Februar:  G-atti:  Lauf  der  Aqua  Virgo  innerhalb  der  Stadt. 
(s.  Bullett.  d.  Commiss.  arch.  comun.  1888  ,  S.  61).  —  Eeisch 
legt  eine  von  ihm  in  Corneto  gefundene  Schale  des  Duris  vor, 
deren  mittlere  Stellung  unter  den  übrigen  Durisvasen  er  begründet. — 
Petersen  legt  neue  Publicationen  über  Pergamon  und  die  dortige 
Wasserleitung  vor,  mit  welcher  er  diejenigen  von  Alatri  und  Aspendos 
vergleicht. 

24.  Februar :  De  Rossi  :  Inschriften  der  Acilii  Glabriones  aus 
den  Katakomben  der  Priscilla  (s.  Notüie  degli  scavi  1888  p.  140). — 
Schimberg  :  Funde  an  der  Via  Appia.  —  Mau  weist  des  näheren 
nach,  dass  und  wie  die  Forumsporticus  in  Pompeji  in  Herstellung 
der  im  J.  63  erlittenen  Schäden  begriffen  war,  als  die  Katastrophe 
von  79  hereinbrach  (s.  Mittheil,  unten). 

SCHIMBERG  :  riferi  di  alcune  antichitä  trovate  nella  vigna  Vagnolini, 
ora  Colonna,  sulla  via  Appia,  laddove  vi  e  il  colombaio  detto  dei  liberti  di 
Augusto  (Canina  Via  Appia  I,  p.  65).  Fra  esse  (l)  meritano  attenzione  tre 
coperchi  di  sarcofaghi  con  iscrizioni,  appartenenti,  come  si  puö  conchiudere 
dalla  fattura  degli  ornamenti  e  dalla  paleografia  dei  titoli,  alla  seconda  metä 
del  secondo  o  alla  prima  dei  terzo  secolo  d.  C. 

II  primo  coperchio,  lungo  m  1.42  frammezzo  di  un  vaso  e  di  una  mensa 
tripes  con  sopra  una  scatola  e  focaccia  e  ventaglio,  ha  la  tavola  sostenuta  da 
due  geni  coH'iscrizione : 


es  D  es  M  es 
osET-MEMORos 
L-HgSTILI-HA 


agli  angoli  maschere. 


(*)  Sull'istesso  luogo  furono  trovate  parecchie  iscrizioni  sepolcrali,  delle 
quali  il  sig.  Schimberg  presentö  i  calchi,  un  mattone  coll'impronta  ex  figlinis 
Caecil  QViNTae  |  sulpiciani  (Marini  Iscr.  dol.  n.  661),  una  statuetta  di  pietra 
calcarea,  senza  testa ,  alta  m  0.41,  rappresentante  Ercole  appoggiato  sulla 
clava,  di  maniera  assai  rozza,  e  numerosi  frantumi  di  figure  in  rilievo,  sarco- 
faghi baccellati  ecc. 


SITZUNGSPROTOCOLLE 


97 


Sul  secondo  coperchio  (m.  1.48X0.24)  sono  due  geni  in  ginocchioni  che 
lengono  l'iscrizione 


« 

D    ö    M  c5 

ET 

1    MEMO 

"*  I  A  E     G  A  I 
s\\LVIDOMI 

TI 

R  V  F  I  N  I 

C^N     P     « 

A  destra  stanno  dai  due  lati  d'un  altare  due  gen!,  l'uno  dei  quali  tiene  nelle 
raani  una  scatola  d'incenso,  l'altro  colla  destra  abbrucia  alla  fiamma  una 
farfalla,  mentre  la  sinistra  ha  una  torcia  (V.  Arch.  Zeitung  1872  S.  17,  40). 
Vicino  a  questo  ultimo  sta  un  terzo  genio  colle  gambe  incrociate  e  mentre 
suona  la  siringa,  tiene  un  bastone  nella  sinistra.  Ai  di  lui  piedi  vi  e  un  capro. 
A  sinistra  dell'iscrizione  si  vede  una  maschera,  circondata  da  due  geni. 

II  quarto  coperchio  (m.l. 63X0.24)  contiene  due  scene  della  favola  Melea- 
grea,  a  sinistra  cioe  il  convito  dopo  la  caccia:  Atalante,  Meleagro  e  tre  altri 
cacciatori,  giacciono  sur  un  letto  intorno  alla  testa  d'un  cignale  (Cf.  il 
frammento  di  via  Laurina  26  (Matz-Duhn  3259)  ed  un  disegno  del  Codice 
Pighiano  presso  Beger,  Meleagrides  p.  22).  A  destra  si  vede  il  tipo  notissimo 
della  pompa  funebre  di  Meleagro  (cf.  A.  Surber,  Die  Meleagersage  p.  109).  Nel 
mezzo  delle  due  scene  si  legge  sur  una  tavola  elittica  la  seguente  iscrizione : 

^  D  p  M  f 

ET  •  MEMORIAE  •  TITI 
SVLPICI  •  SERA 

NI  •  C  •  V 

2.  März  :  Hülsen  :  Inschrift  zu  Ehren  des  Minicius  Natalis 
(s,  S.  84) ;  dazu  De  Eossi.  —  Petersen  :  Büste  des  Commodus 
und  zwei  Tritonen  des  Neuen  Capitolinischen  Museums  zu  einer 
Gruppe  verbunden. 

De  ROSSI  fa  osservare  che  le  dimensioni  dell'epigrafe,  che  si  possono 
calcolare  a  due  metri  di  lunghezza,  ed  uno  almeno  di  altezza,  sembrano  esclu- 
dere  la  supposizione  che  si  tratti  di  un  monumento  onorario,  non  essendo  in 
epoca  imperiale  ammissibile  p.  es.  la  dedica  di  una  quadriga  ad  un  uomo  pri- 
vato.  Quindi  la  ritiene  per  il  titolo  sepolcrale  di  Minicio  Natale  il  cui  se- 
polcro  deve  essere  stato  accanto  la  via  Salaria.  Non  crede  probabile,  che  esi- 
stesse  una  relazione  fra  gli  Acilii  Glabriones  e  quei  Minicii  ai  quali  appar- 
tenne  Natale. 

9.  und  16.  März  fallen  die  Sitzungen  wegen  des  Todes  und 
der  Todtenfeier   Kaiser  Wilhelms  aus. 


08  SITZÜNGSPROTOCOLLE 

23.  März :  Petersen  giebt  der  Trauer  des  deutschen  Volkes 
über  den  Tod  Kaiser  "Wilhelms  sowie  den  Hoffnungen  und  Wün- 
schen für  Kaiser  Friedrichs  Majestät  Ausdruck.  —  v.  Urlichs  :  Me- 
deasarkophag;  das  Templum  Solis  in  Eom.  —  Nichols  :  zur  Zeich- 
nung aus  dem  Escurial. 

V.  ÜRLICHS :  presenta  la  fotografia  d'un  sarcofago  scoperto  nel  1887, 
raffigurante  la  favola  di  Medea  ma  superiore  a  quei  giä  conosciuti  rappresen- 
tanti  del  medesimo  tipo  si  per  la  grandezza  che  per  il  lavoro  e  lo  stato  di 
conservazione.  Qualche  dettaglio  pure  non  e  senza  interesse  come  la  colonna 
al  di  sotto  dell'uno  dei  fanciulli  o  il  braccio  destro  della  figura  nel  mezzo, 
sia  Giasone  o  satellite  del  re. 

Poi  richiama  Fattenzione  a  certi  frammenti  di  colonne  ed  altri  orna- 
raenti  architettonici  conservati  nel  Ministero  dei  lavori  pubblici,  accanto 
il  nuovo  palazzo  della  posta,  che  provengono  da  scavi  fatti  nel  ristaurare 
quest'ultimo.  Nella  chiesa  attigua  di  s.  Silvestro  in  Capite  tuttora  si  vede  in 
piedi  un  pilastro,  forse  di  cantone  di  un  portico ;  nel  vestibulo  della  chiesa  tre 
colonne  antiche  di  granito  :  ivi  pure  in  epoca  anteriore  fu  constatata  l'esi- 
stenza  di  grandi  mura  di  travertino.  Tutto  ciö  suggerisce  l'idea  che  ivi  fosse 
qualche  edifizio  monumentale.  Ora,  una  iscrizione  ritrovata  nel  1765  sulla 
stessa  piazza  di  s.  Silvestro  (G.  I.  L.  VI,  1785),  parla  del  trasporto  dei  vini 
de  ciconiis  ad  templum ;  e  siccome  secondo  il  biografo  di  Aureliano  (c.  48) 
in  porticibus  templi  Solis  fiscalia  vina  ponuntur,  il  riferente  non  esita  di 
stabilire  in  quel  posto  il  sito  del  tempio  di  Sole.  E  ben  si  accorda  con  questo 
tanto  Tindicazione  del  cronografo  di  354 :  Templum  Solis  et  castra  in  campo 
Agrippae  dedicavit,  quanto  quella  del  Curiosum  e  della  cosidetta  Notitia, 
ove  il  tempio  viene  menzionato  nella  regione  settima,  cioe  nella  pianura  a 
destra  della  via  Flaminia,  ma  no  sull'altura  del  Quirinale,  nel  giardino  Co- 
lonna, dove  fu  collocato  dai  topografi  dei  secoli  passati. 

NlCHOLS:  fece  osservare  che  in  quel  passo  delle  Mirabilia  Urbis  Romae 
(c.  24),  dove  si  descrive  il  lato  settentrionale  del  Foro,  coli'  attiguo  foro  di 
Cesare  vien  detto :  «  Est  ibi  templum  Palladis ;  et  forum  Caesaris  et  tem- 
plum Iani,  quod  praevidet  annum  in  principio  et  in  fine,  sicut  dicit  Ovidius 
in  fastis:  nunc  autem  dicitur  turris  Cencii  Frajapanis.  Templum  Minervae 
cum  arcum  coniunctum  est  ei,  nunc  autem  vocatur  sanctus  Laurentius  de  Mi- 
randi  ».  Eitiene  probabile  che  la  torre  posta  al  canto  ovest  del  tempio  di 
Faustina  e  l'arco  massiccio  appresso,  che  si  vedono  sui  disegni  del  quattro- 
cento,  fossero  appunto  questi  menzionati  dallo  scrittore  medioevale. 

6.  April :  Lignana  :  grammatische  Bedeutung  einer  Grabin- 
schrift. —  Six  :  Vaseninschriften.  —  Hülsen  :  Inschrift  des  corpus 
piscatorum  et  urinatorum  alvei  Tiberis  (s.  Notizie  degli  scavi  1888, 
maggio). 

13.  April:  Nichols:  die  Phocassäule;  dazu  Hülsen  und  Lan- 
ciani.  —  Richter  :  Ausgrabung  auf  dem  Forum.  —  Schneider  : 


SITZUNGSPROTOCOLLE  99 

Vase    des   Glaukytes.   —   Petersen  :    Kleinasiatische   Orakelin- 
schriften. 

NlCHOLS :  mentre  gli  autori  anteriori  generalmente  sono  d'accordo  nel 
chiamare  la  colonna  di  Foca  un'opera  della  estrema  decadenza,  testimonio 
dell'abbandono  e  della  impotenza  artistica  di  Roma  nel  secolo  settimo,  un  esame 
piü  attento  ci  induce  a  credere  che  il  monumento  originariaraente  non  fu 
eretto  ad  onore  di  quell'  imperatore.  L'iscrizione  mostra  esser  incisa  sopra  una 
faccia  di  raarmo  dalla  quäle  e  stata  levata  un'epigrafe  anteriore  :  sirailmente 
la  statua  risplendente  di  oro  che  una  volta  sorse  in  cima  della  colonna,  avrä 
appartenato  in  origine  ad  un  personaggio  di  epoca  piü  antica.  II  rif.  presentando 
i  disegni  da  lui  rilevati  e  misurati,  fece  osservare  come  il  lavoro  meschino 
e  rozzo  della  piramide  a  gradini  che  forma  il  basamento  del  monumento, 
contrasta  col  disegno  eccellente  della  cornice  sporgente  dal  piedistallo  della 
colonna  stessa.  Le  dimensioni  della  colonna  a  cagione  del  suo  stato  isolato, 
appariscono  molto  piü  piccole  che  non  sono  in  veritä :  di  modo  che  un  chmo 
collega  ha  congetturato,  che  la  colonna  fosse  presa  da  quelle  del  tempio  ro- 
tondo  della  Bocca  della  Veritä.  Queste  perö  non  hanno  piü  di  35  piedi  di  al- 
tezza,  mentre  quella  di  Foca  essendo  alta  48  piedi  poco  si  discosta  dalle  co- 
lonne  del  tempio  di  Faustina.  Dalla  costruzione  da  lui  dimostrata  conchiude, 
che  la  colonna  sia  stata  in  relazione  colla  decorazione  architettonica  del  lato 
sud  del  Foro  Eomano,  dove  sorgevano,  sopra  i  ben  conosciuti  basamenti  di 
opera  laterizia,  colonne  di  marmo  e  granito  portanti  statue  onorarie.  Secondo 
lui,  la  colonna  consacrata  poi  alla  memoria  di  Foca,  faceva  parte  di  una  simile 
decorazione  del  lato  ovest  del  Foro,  eseguita  nel  quarto  secolo  dopo  C,  e  se 
fosse  lecito  in  tal  argomento  dar  volo  aH'immaginazione,  facilmente  la  crede- 
rebbe  consacrata  originariamente  alla  memoria  del  grande  Teodosio. 

RICHTER :  facendo  uno  scavo,  che  il  senatore  Fiorelli  mi  aveva  ac- 
cordato  per  esaminare  le  fondamenta  del  tempio  di  Giulio  Cesare  e  dei  ro- 
stri  Giulii,  trovai  accanto  al  lato  meridionale  del  tempio  un  bellissimo  fon- 
damento  di  grandi  massi  di  travertino  dell'altezza  di  m  0.70.  II  fondamento 
stesso  e  lungo  m  4.50  e  largo  m  1.37 ;  riposano  i  travertini  sopra  uno  strato 
di  calcestruzzo.  Siccome  queste  fondamenta  non  possono  appartenere  al  tempio 
stesso,  e  siccome  era  impossibile ,  che  al  lato  del  tempio  fosse  addossato  un 
altro  ediflzio,  se  non  un  arco  trionfale,  cosi  io,  pensando  che  questo  dovesse 
essere  Tarco  di  Augusto,  continuai  lo  scavo  fino  al  tempio  di  Castore,  ed  ecco 
che  in  fatto  si  trovano  le  fondamenta  dei  quattro  piloni,  che  sostenevano  Tarco, 
due  grandi  ai  lati  del  passaggio  principale,  larghi  metri  3,  lunghi  piü  di  me- 
tri  5,  ed  ai  fianchi  due  piü  piccoli,  fra  i  quali  ed  i  piloni  maggiori  eranvi 
due  passaggi  laterali  larghi  m.  2,50. 

Del  pilone  a  destra  finora  non  furono  trovati  i  travertini,  ma  lo  strato 
del  calcestruzzo  nella  stessa  larghezza  e  nello  stesso  livello  come  sull'altro 
lato.  Non  vi  e  dubbio  che  qui  non  siano  ritrovati  gli  avanzi  dell'arco  eretto 
ad  Augusto  dal  senato  e  popolo  Romano  in  memoria  delle  insegne  militari, 
riprese  dai  Parti,  situato,  come    dicono  i  scholii  Veronesi  di  Vergilio,  iuxta 


100  SITZÜNGSPROTOCOLLE 

aedem  Divi  Julii.  E  sicuro  cioe,  che  l'arco  ha  la  stessa  orientazione  del  tempio 
di  Cesare,  ben  diversa  da  quella  del  tempio  di  Castore,  anche  gli  avanzi  del 
selciato  seguono  la  stessa  orientazione  dell'arco. 

L'arco  e  posto  col  fianco  destro  dietro  il  tempio  di  Castore,  e  ciö  con- 
ferma  l'opinione  del  Jordan,  che  cioe  Tiberio,  facendo  il  nuovo  tempio  lo 
promosse  verso  il  Foro.  Ho  osservato  inoltre,  che  quel  tondo  che  si  chiamava 
finora  il  puteal  Libonis,  e  stato  fatto  in  tempi  bassi :  i  travertini  riposano 
senza  alcun  fondamento  sul  terreno ;  potrebbe  darsi  che  le  pietre  apparte- 
nessero  all'  arco  del  quäle  facevano  parte  senza  dubbio  alcuni  fra  i  pezzi 
di  architettura  che  si  trovano  presso  il  tempio  di  Castore.  Eiservo  gli  altri 
particolari  per  la  pubblicazione  del  monumento,  contentandomi  per  ora  di  ac- 
cennare  alla  scoperta  stessa. 

20  April :  Festsitzung  der  Palilien :  Hülsen  :  Auffindung- 
Anordnung  und  Abfassungszeit  der  kapitolinischen  Consular-  und 
Triumphalfasten.  —  Gatti  :  Auf  dem  Esquilin  gefundenes  Com- 
pitalsacellum  mit  Weihinschrift  des  Augustus  und  Eesten  älterer 
Anlage.  —  Petersen  :  römische  Repliken  Polykletischer  Statuen. 

Zu  ordentlichen  Mitgliedern  wurden  ernannt 
Herr  Professor  Hugo  Blümner  in  Zürich 
»     Glavinic  in  Zara 

■  Director  Bulic  in  Triest 

■  Dr.  Robert  v.  Schneider  in  Wien 

■  Dr.  Emanuel  Loewy  in  Wien; 
desgleichen  zu  Correspondenten 

Herr  Dr.  Johannes  Boehlau 
n       ■    Karl  Schuchhardt 

■  ■    Walther  Judeich 

■  ■     Franz  Winter 

■  »     Emil  Reisch 
»       *    Jan  Six 

■  A.  Stschoukareff 

»     Cav.  Pacifico  Di  Tucci  in  Rom 

■  Canonicus  De  Persiis  in  Alatri 
»     Ludwig  Zdekauer  in  Florenz 

n     Puschi,  Director  des  Museo  civico  in  Triest 

*     Prof.  Vollgraf  in  Brüssel 

a     I.  Mistral-Bernard  in  St.  Remy  (Provence). 


OSSEßVAZIONI  SULLA  MORTE  DI  PRIAMO 
E  DI  ASTIANATTE. 


(Tarola  III) 


1.  Nella  cittä  di  Firenze,  ove  oggi  specialmente  si  viene  accre- 
scendo  la  copia  di  oggetti  antichi  d'arte  romana  ed  etrusca,  la  mia 
attenzione  fu  attratta  per  il  soggetto  e  lo  stile  da  una  piccola  Ja$t?a, 
in  rilievo  relativamente  ben  conservata,  che  rappresenta  la'.aidrte  tli' 
Priamo,  e  che,  venuta  giä  anticamente  dalla  Grecia,  si  smarri  sulle 
sponde  dell'Arno.  Benche  nota  giä  da  piü  d'un  secolo,  l'opera  non 
ha  trovato  finora  quella  considerazione  di  cui  e  degna :  tanto 
maggior  piacere  quindi  mi  fa,  di  essere  venuto  a  possederne  una 
fotografia  per  la  gentilezza  del  sig.  dott.  Giulio  Klinghardt ;  secondo 
questa  e  pubblicata  per  la  prima  volta  sulla  tavola  III. 

La  prima  menzione  stampata  di  questa  rappresentanza  la  tro- 
viamo  nel  Gori  Inscr.  ant.  III  (1744)  p.  138,  148,  il  quäle  vide 
il  bassorilievo  presso  la  famiglia  Panciatichi,  dove  si  trova  anche 
oggi ;  piü  tardi  e  accennata  dal  Tischbein  {Aus  meinem  Leben 
ed.  da  Schiller,  II  p.  173)  a  proposito  dell'Iliupersis  sul  vaso  di 
Vivenzio.  L'immagine  e  poi  descritta  a  lungo  da  Dütschke  nelle 
sue  Zerstreute  antike  Bildwerke  in  Florenz  p.  242  seg.  n.  519 
(cf.  Drittes  Hallisches  Winckelmannsprogramm  p.  104,  519), 
ma  non  con  tutta  esattezza.  Piü  spesso  e  stata  copiata  e  stampata 
Viscrizione  che  si  trova  sulla  lastra:  cf.  ora  C.  I.  Lat.  XI  n.  1645. 

Questa  tavola  marmorea,  alta  m.  0,36,  larga  m.  0,47,  e  greca  per 
marmo,  lavoro  e  disegno;  futrovata  «  sotto  Fiesole  verso  Firenze  » 
secondo  l'indicazione  di  Carlo  Strozzi,  che  vissuto  nel  1587- 
1670  preparö  un'opera  sulle  iscrizioni  fiorentine,  conservata  mano- 
scritta[;  quest'indicazione  il  Gori  la  tolse  dal  manoscritto  e  merita 

7 


102  OSSERVAZIONI   SULLA   MORTE   DI  PRIAMO 

piena  fede  :  'cf.  sulla  raccolta  dello  Strozzi,  Bormann  nel  C.  I.  Lat. 
XI  p.  302  eci.  Non  sappiamo  donde  e  per  quäle  ragione  il  bas- 
sorilievo sia  venuto  nell'antica  Faesulae ;  l'iscrizione  perö  con 
sicurezza  dimostra  che  verso  la  fine  del  secondo  secolo  della  nostra 
era  o  al  pr.ncipio  del  terzo  vi  si  trovava  di  giä,  e  fu  usato  per 
una  lapide  sepolcrale.  Sull'altare  cioe,  sul  quäle  viene  ucciso  il 
vecchio  Priamo,  e  incisa  la  seguente  iscrizione : 

AVRELIA  SECVNDA    |    SE  VIVA  FECIT  SIBI  ET  SV|IS 

Non  posso  addurre  un  altro  esempio  convincente,  che  un  bassori- 
lievo  greco  con  una  qualsiasi  rappresentanza  sia  stato  usato  come 
bassorilievo  sepolcrale  in  epoca  romana.  Ma  il  Romano  usava 
adornare  sarcolaji  ed  urne  di  rappresentazioni  tanto  varie  tolte  dai 
miti  degli  del  e  degli  eroi,  che  non  gli  poteva  sembrare  disdice- 
vole  per  un  sepolcro  una  singolare  e  terribile  scena  deH'Iliupersis, 
;CÖm3;la  morte  di  Priamo.  Nel  bassorilievo  Panciatichi  s'aggiunge 
•pbi;  che*  il  lato  largo  dell'altare,  su  cui  Priamo  m  viene  ucciso, 
pare  proprio  destinato  all'iscrizione  e  corrisponde  al  titolo  dei  cippi 
sepolcrali. 

La  rappresentazione  eroica  della  lastra  difficilmente  e  un 
disegno  originale,  ma  piuttosto  copia  d'un  modello  buono  e  celebre,  il 
cui  artista  possiamo  forse  ancora  indovinare.  II  vecchio  re  in  Chi- 
tone (!),  mantello  e  berretto,  s'e  rifuggiato  sull'altare  di  Zeus 
Herkeios  e  colle  mani  e  coi  piedi  si  difende  contro  Neottolemo, 
che  precipitandosi  su  di  lui  lo  prende  pel  capo  colla  sinistra  ar- 
mata  di  scudo,  e  fermato  il  piede  sinistro  sull'orlo  dell'altare  (sie), 
tenta  strappare  la  sua  vittima  dal  luogo  sacro ;  nella  destra  tiene 
snudata  la  spada  pronta  al  colpo  mortale.  II  giovane  figlio  di 
Achille  e  disegnato  ignudo,  munito  solo  di  elmo  e  di  un  mantello 
che  gli  scende  dalle  spalle.  Ad  onta  di  tutte  le  differenze  nelle 
particolaritä,  che  vi  sono  evidenti,  pure  il  gruppo  e  simile  a  quello  di 
Neottolemo  e  Priamo  tanto  sull'elmo  pompeiano  del  gladiatore  in 
Napoli  (riprodotto  in  Niccolini  Case  e  pitture,  Caserma  dei  glad. 
II  8,  e  III  11/21  ;  Heydemann,  Iliupersis  des  Brygos,  III  1 ; 
Donaldson  Pomp.,  I  p.  41,    tavola),    quanto   sulla   tabula    iliaca 


(!)  L'evidente  orlo  al  polso  destro  fa   supporre   il   chitone   a   maniche 
lunghe. 


E   DI    ASTIANATTE  103 

del  Campidoglio  (Jahn,  Griech.  Bilderchr.,  tav.  I*) :  sieche,  a 
mio  avriso,  a  tutte  le  opere  servi  un  modello  comune,  che  nel 
bassorilievo  greco  e  riprodotto  piü  esattamente  di  quello  che  non 
lo  sia  nelle  figure  troppo  piccole  della  tavola  o  sull'elmo  romano 
di  bronzo,  in  cui  Neottolemo  e  divenuto  un  soldato  romano.  Dietro 
a  Priamo  e  inginocchiata  sull'altare  Ecabe,  in  chitone  e  mantello 
che  le  copre  la  nuca,  in  atto  di  alzare,  inorridita,  ambedue  le 
braccia ;  la  bella  figura  ha  purtroppo  molto  sofferto  per  l'ammac- 
catura  di  tutto  il  naso,  mentre  le  altre  due  figure  non  sono  che 
in  minima  parte  guastate  sulla  punta  del  naso. 

II  concetto  e  la  composizione  della  rappresentanza  fa  subito 
ricorrere  alla  mente  il  fregio  di  Figalia,  ed  il  modello  originale 
dovrä  assegnarsi  al  finire  del  quinto  secolo,  anche  perche  in  una 
scena  tanto  piena  di  agitazione  il  pathos  vi  appare  appena.  In  quel- 
l'epoca  (Ol.  89:  423)  sorsero,  com'e  noto,  le  metope  (l)  dell'Ereo 
con  scene  della  guerra  conlro  Troia  e  della  presa  di  Ilio ;  non  sa- 
rebbe impossibile,  che  il  gruppo  di  Neottolemo  e  di  Priamo,  che 
ricorre  piü  volte,  fosse  tolto  da  una  di  queste  metope,  e  la  figura 
di  Ecabe  fosse  stata  aggiunta  alla  copia  Panciatichi  secondo  un'altra 
metopa,  perche  la  rappresentazione  del  rilievo  riuscisse  piü  grande  e 
completa.  Con  cid  naturalmente  resterebbe  indeciso  e  dubbio,  se 
1' Ecabe  del  bassorilievo  fiorentino  abbia  rappresentato  la  regina  di 
Troia  anche  nella  serie  delle  metope,  ovvero  un'altra  abitatrice  di 
Troia  rifugiatasi  all'altare :  nel  primo  caso  l'artista  argivo  avrebbe 
diviso,  secondo  famosi  modelli,  una  scena  in  due  metope,  l'una 
appresso  ali'altra ;  nell'altro  caso  si  potrebbe  p.  es.  pensare  ad 
Elena  (cf.  l'anfora  apula,  Bull.  Arch.  Napol.  N.  S.  VI,  9 ;  Iliu- 
persis  des  Brygos,  II,  2).  Ma  comunque  cid  sia,  il  bassorilievo 
qui  pubblicato,  di  cui  Aurelia  Secunda  si  servi  come  lastra  sepol- 
crale,  e  il  frammento  di  un  ciclo  iliaco  della  fine  del  quinto  o  del 
quarto  secolo  av.  l'era  volgare,  e  come  tale  specialmente  degno  del 
nostro  studio. 

2.  Laddove  di  solito  le  opere  artistiche  rappresentano  Priamo 
il  vecchio,  mentre,  seduto  sull'altare  di  Zeus  Herkeios,  viene  ucciso 
da  Neottolemo,  l'immagine  di  un  vaso  ad  un'ansa   trovato  in  Si- 

(!)  Cf.  Paus.  II  17,  3,  ed  0 verbeck  Kmstmyth.  II  p.  322  segg.  n.  1, 
p.  584  not.  n.  149.  150. 


104 


OSSERVAZIONI   SULLA   MORTE   DI   PRIAMO 


cilia  (forma:  Catal.  di  Napoli,  tav.  III,  137)  rappresenta  la 
fuga  del  re  verso  l'altare :  cf.  la  figura  seguente,  tolta  da  im  dise- 
gno  esistente  nell'apparato  dell'Istituto  archeologico.  La  bella  rappre- 
sentazione  del  vaso  a  figure  rosse  oggi  nel  Museo  di  Siracusa,  e 
stata  gia  da  molto  tempo  descritta  da  E.  Braun  Bull.  dell'Inst.  1845 
p.  35  (Ärch.  Ztg.  1845  p.  143  ;  Bull.  Aren.  Napol.  IV,  p.  110), 
il  quäle  fa  notarne  la  semplicitä  e  la  bellezza  del  disegno. 
E  lo  Schema  delle  scene  di  perseeuzione :  Neottolemo  in  corto 
chitone,  che  lascia  scoperta  la  parte  destra  del  petto,  ed  in  lungo 
mantello,  che  pende  sul  braccio  sinistro,  insegue  con  spada  sguai- 
nata  il  vecchio  e  fuggente  Priamo,  cui  afferra  con  la  sinistra  per 


la  spalla :  questi  con  lungo  chitone  e  lungo  mantello,  si  guarda 
attorno,  e  in  atto  supplichevole  volge  indietro  la  destra ;  nella 
sinistra  tiene  il  lungo  scettro  adorno  d'un  fiore.  Che  nel  vecchio 
signore  fuggente  si  debba  indubitatamente  riconoscere  il  re  di 
Troia,  lo  mostra  l'altare,  verso  il  quäle  egli  fugge,  e  che  tosto 
raggiunge :  quest'e  l'altare  di  Zeus  Herkeios,  sul  quäle  nell'altra 
rappresentazione,  quando  cioe  Neottolemo  s'avvicina,  trovasi  di  giä 
seduto.  E  possibile,  che  secondo  1'  intenzione  del  pittore,  Priamo 
col  piede  sinistro  molto  teso  all'innanzi  e  molto  alzato  cerchi  salire 
suH'ara:  in  tal  caso  il  vaso  siciliano  per  il  soggetto  s'avvici- 
nerebbe  alle  due  immagini  di  questa  scena  sui  vasi  apuli,  le 
quali  mostrano  Priamo  fuggente  giä  arrivato  all'altare  e  con  una 
gamba  giä   inginocchiato    su   di    esso   (Bull.  Arch.  Napol.  N.  S 


E    DI   ASTIANATTE  105 

VI  9 ;  Iliup.  des  Brygos,  II  2b ;  Zwölftes  Hall.  Progr.  p.  42,  5) : 
cf.  inoltre  il  piccolo  recipiente  con  bassorilievo  trovato  in  Crimea 
(Petersb.  Ermitage,  n.  2226).  fi  certo  che  il  vaso  qui  pubblicato 
appartiene  alle  piü  antiche  rappresentazioni  a  figure  rosse  della 
morte  di  Priamo.  Tale  sarä  sorta  circa  il  500  (Ol.  70)  come  tenta- 
tivo  di  opporre  un  nuovo  concetto  all'antico  Schema  della  morte  del 
re  dei  Troiani,  manteimto  ancora  da  Euphronios,  Brygos  ed  altri ; 
sembra  pero  che  la  composizione  da  principio  non  avesse  successo, 
perche  ancora  in  rappresentazioni  piü  recenti  a  figure  rosse,  sul 
vaso  di  Vivenzio  (Napoli  n.  2422)  (')  e  in  una  Iliupersis  di  Bo- 
logna (Mon.  dell'Inst.  XI,  14)  e  ripetuto  l'antico  schema,  che  ap- 
pena  dai  piü  recenti  pittori  apuli  fu  a  quanto  pare  definitivamente 
messo  da  parte. 


3.  II  disegno  qui  sopra  espresso  fornisce  una  prova  delle  inavver- 
tenze  prodotte  dal  lavoro  di  fabbrica  e  che  s'insinuarono  qua  e  lä  per 
la  grande  ricerca  di  vasi  dipinti.  L'immagine  a  figure  nere,  disegno 
trascurato,  adorna  una  piccola  lekythos  (0,20)  che  vidi  e  potei 
lucidare  nella  collezione  di  Aless.  Castellani,  e  che  giä  descrissi 
nel  Bull.  dell'Inst.  1869  p.  28  n.  3 ;  non  so,  dove  sia  andata,  e  ne 


(')  Osservo  qui  di  passaggio,  che  questo  vaso  venne  trovato  giä  nel  1794 
(cosi:  non  appena  nel  1797),  secondo  nna  lettera  di  I.  H.  W.  Tischbein  e 
propriamente  «  alcune  settimane  »  prima  del  16  dicerabre  di  quell'anno,  adun- 
que  in  autunno  :  Alten,  Aus  T.  Leben  und  Briefio.  p.  60  seg. 


106 


OSSERVAZIONI   SULLA   MORTE   DI   PRIAMO 


ignoro  anche  il  luogo  di  ritrovamento :  non  trovasi,  come  cortese- 
mente  mi  vien  confermato,  nel  British  Museum,  dove  la  si  potrebbe 
supporre.  Neottolemo,  barbato  secondo  l'antico  concetto,  con  elmo 
e  mantello,  con  guaina  e  spada,  si  precipita  su  Priamo,  che,  rifu- 
giatosi  sull'altare,  aspetta  l'assassino  senza  far  resistenza.  II  re, 
quasi  del  tutto  calvo,  e  rappresentato  —  spensieratezza  dell'artista 
che  non  manca  di  un  effetto  comico  —  seduto  su  d'una  sedia  pieghe- 
vole,  collocata  sull'altare ;  e  chiuso  nel  mantello  e  tiene  in  mano 
un  grande  bastone  a  gruccia.  Kami  con  frutta  riempiono  gli  spazi 
vuoti  della  scena,  nella  cui  composizione  l'isocefalismo  ha  procu- 
rato  a  Neottolemo  proporzioni  yeramente  gigantesche  in  confronto 
di  Priamo  seduto  sull'altare  e  sulla  sedia. 


4.  Alla  morte  di  Astianatte  si  riferisce  la  rappresentazione 
di  un'anfora  di  stile  severo  a  figure  rosse,  il  cui  disegno  qui  unito 
tolgo  all'apparato  archeologico  dell'Istituto  (forma  =  Münch.  Katal. 
tav.  I  n.  40  ;  altezza  delle  figure  0,18) ;  non  posso  indicar  il  luogo 
di  ritrovamento  —  ad  ogni  modo  in  Italia  —  ne  dove  ora  esista.  Da 
ambe  le  parti  e  rappresentata  una  tigura.  Un  giovane  guerriero, 
vestito  di  chitone  e  corazza,  armato  di  elmo  corinzio,  di  lunga 
lancia  (aavQwrrjQ)    e  grande  scudo  rotondo   (insegna:  grifone), 


E   DI   ASTIANATTE  107 

procede,  portando  con  la  destra  abbassata  un  fanciullo,  che  tiene 
fermo  per  la  lunga  capigliatura :  pien  di  dolore  questi  chiude  gli 
occhi ;  le  sopracciglia  sono  molto  alzate,  braccia  e  gambe  pendono 
senza  vita  aH'ingiü.  Dall'altra  parte  dell'anfora  si  avanza  in  fretta — 
o  rispettivaraente  li  insegue  —  un  altro,  baitato,  in  abito  militare 
armato  d'elmo  e,  a  quanto  pare,  provvisto  d'un  piccolo  e  rigido 
grembiale  ai  fianchi('),  con  una  lancia  ed  un  grande  scudo  rotondo 
nelle  mani ;  lo  scudo  come  insegna  porta  un  guerriero  che  corre,  e 
disotto  e  allungato  da  un  pezzo  di  stoifa  con  frangia  destinato  a  pro- 
teggere  le  garabo  (su  questo  trovasi  come  apotropaion  im  occhio)  (-). 
Ambedue  i  guerrieri  voltano  la  testa  e  guardano  in  dietro,  verso  il 
luogo  donde  il  ragazzo  e  stato  rapito.  Non  e  dubbio  che  questo 
debba  dirsi  Astianatte,  tolto  dalle  mani  della  madre :  incerto  e 
invece  chi  sia  il  G-reco  che  lo  rapisce.  Giacche  contro  Neottolemo 
(Piccola  llias :  Kinkel  fr.  18)  parla  il  fatto  che  non  ha  preso 
Astianatte  nodos  Terccywv,  come  finora  mostrano  senza  eccezione 
tutte  le  rappresentazioni  artistiche  conservate  ;  contro  Ulisse  (Iliade 
di  Arktinos ;  Eur.  Troad.  711  seg.)  la  giovcntü  e  l'a&senza  della 
barba  (3).  Pure,  tenendo  co.nto  dello  stiie  e  dell'epoca  del  disegno, 
quest'ultimo  motivo  mi  sembra  piü  difficile  e  piü  importante  del 
primo,  e  perciö  mi  parrebbe  anche  qui  rappresentato  Neottolemo, 
che  ha  afferrato  il  figliuolo  d'Ettore,  per  darlo  alla  morte : 

naXSa  eT  eXwv  ex  xöXnov  evTrXoxä^ioio  xiii^vr-fi 
Qiips  nodog  reraycov  ano  rrvQyov  '  xov  6t  ntGÖvrct 
i'XXaßs  7ioQ(pvQtog  üävaxog  xal  [ioTqcc  xgcctccirj. 

AI  pari  del  pittore  del  vaso  di  Sicilia  (n.  2)  anche  questi  cercö 
di  battere  una  propria  via,  indipendeniemente  dall'antica  tradizione 
storica  e  rappresentare  artisticamente  in  altro  modo  la  morte  di 
Astianatte  (4). 

(!)  Cf.  Panofka  BaL.  VIII  1  ;  Benndorf  Gr.  Sic.  Vasenb.  46,  1 ;  Mus. 
Greg.  II  8G  (89),  2  —  Ann.  delVInst.  1S75  tav.  FG  ;  München  n.  382  (Lützow, 
Ant.  tav.  5)  ecc. 

(2)  Egualmente  p.  es.  Inghirami  V.  T.  168  {Brit.  Mus.  873);  169  {Coli. 
Lecuyer,  379)  ecc. 

(3)  Cf.  Arch.  Jahrb.  I,  p.  229,  nota  223. 

(4)  Resta  dubbio  per  Tindeterrainatezza  della  descrizione,  se  appartenga 
a  questa  serie  pure  Taufura  a  figure  rosse,  Cataloghi  Campana  IV,  151. 


108 


OSSERVAZIONI   SULLA   MORTE   DI   PRIAMO 


5.  II  numero  delle  rappresentazioni  della  morte  di  Priamo 
proprie  dei  vasi  a  figure  nere  e  aumentato  di  due  vasi  vulcenti, 
passati  a  Würzburg  insieme  con  tutta  la  raccolta  Feoli ;  non  offrono 
qualcosa  di  assolutamente  nuovo,  ma  eccifcano  a  trattare  un'altra 
volta  la  questione  dei  tipi  dell'antica  rappresentanza  di  questo 
fatto.  Perciö  non  e  superfluo  di  ripubblicarli  secondo  lucidi  esistenti 
nell'apparato  dell'Istituto. 

A.  Immagine  sul  ventre  d'  un'  idria :  Urlichs  Würzburger 
Antiken  III  n.  137  ;  Brunn  Bull,  dell'  Inst.  1865,  p.  52.  La- 
voro  dozzinale  con  molto  dettaglio.  Sul  collo  il  cosidetto  oracolo 
dei  dadi  in  presenza  di  Atena.  —  Su  di  un  altare  con  una  voluta 
siede  Priamo   canuto  e  rugoso,  che  ferito  dal  colpo  di  lancia  di 


Neottolemo  ricade  supino.  II  re  porta  un  lungo  e  stretto  chitone 
senza  pieghe;  il  Greco  e  completamente  armato.  Ad  ogni  lato 
di  questo  gruppo  havvi  una  Troiana,  in  chitone  e  apoptygma,  che 
per  l'orrore  agita  le  mani :  dietro  ad  ognuna  di  esse  vedesi  la  parte 
anteriore  d'una  quadriga,  che,  senza  alcun  signiücato,  non  serve  che 
a  riernpire  lo  spazio  sulla  larga  superficie  dell'idria;  dappoiche 
Neottolemo  nella  lliupersis  difficilmente  poteva  avere  a  fianco  il  suo 
carro,  e  ciö  e  poi  affatto  impossibile  per  Priamo  in  questa  scena.  So- 
pra  quest' ultimo  sta  il  nome  dei  favorito  Leagros,  ond'  e  fissato  il 
tempo  dei  vaso  a  figure  nere  all'epoca  di  Euphronios  (cf.  Klein  Euphr. 


E    DI    ASTIANATTE 


109 


p.  130  segg.).  Prescindendo  dai  cavalli  la  rappresentazione  di 
Würzburg  assomiglia  raolto  all'  immagine  dell'anfora  trovata  pure 
a  Vulci,  ora  nel  Drit.  Mus.  n.  522  (eccetto  che  qui  Neottolemo, 
secondo  la  descrizione  fattane,  spinge  in  dietro  con  la  sinistra  non 
coperta  dallo  scudo  la  Troiana  che  gli  sta  innanzi ;  inoltre  c'e  near 
the  altar  a  tree) :  ambedue  le  figure  risalgono  ad  un  modello  solo. 
Cf.  inoltre  l'anfora  di  Corneto  che  e  descritta  nel  Bull.  dell'Inst. 
1866  p.  234  n.  5. 

B.  Anfora  ad  anse  scanalate :  Urlichs  1.  c.  n.  330 ;  Brunn 
1.  c.  1865  p.  52.  L'abbondanza  del  bruno  rossiccio  rende  1' immagine 
molto  variopinta,  il  disegno  mostra  il  solito  lavoro  di  fabbrica ;  sulla 


parte  posteriore  vedonsi  tre  figure  che  s'avanzano :  un  vecchio,  un 
guerriero  ed  un  arciere  frigio.  —  Priamo  in  lungo  ed  aderente  chitone 
senza  pieghe  e  caduto  morente  all'indietro  sull'altare ;  stende  an- 
cora  la  destra  in  atto  supplichevole  yerso  Neottolemo,  il  quäle  sta 
innanzi  a  lui  completamente  armato  e  vibra  la  lancia  pel  colpo 
mortale.  Accanto  e  sopra  il  re  stanno  due  donne  troiane,  di  cui  una 
supplichevolmente  alza  ambedue  le  mani  verso  Neottolemo,  mentre 
l'altra  piangendo  e  commiserando  il  vecchio  signore  si  piega  su  di 
lui :  egualmente  sull'  anfora  di  Egina  in  Berlino  n.  3996  (Furt- 
wängler,  Samml.  Sab.  48,  3) :  guardando  tranquillamente  sta  piü 
in  dietro  un  Greco,  in  completa  armatura  (insegna    dello    scudo : 


110  OSSERVAZIONI   SULLA   MORTE   DI  PRIAMO 

parte  anteriore  d'un  leone).  Ma  dietro  a  Neottolemo  siede  inoltre 
quäle  spettatore  troiano,  sopra  una  pietra  tagliata,  un  vecchio,  col 
capo  piegato  in  atto  di  dolore,  con  le  braccia  e  le  mani  avvolte  nel 
vestito.  Questa  figura  e  ripetuta  egualmente  nell'anfora  di  Egina 
teste  citata,  sieche  probabilmente  ambedue  le  rappresentazioni  ri- 
salgono  ad  un  modello  comune,  che  perö  sul  vaso  di  Berlino  ha 
avuto  aleune  aggiunte  (')•  Questo  vecchio  seduto  che  assiste  alla 
scena  si  presentö  pure  senza  dubbio  alla  mcnte  del  pittore  Macrone 
quando  fece  il  suo  «  Priamo  •  nella  fuga  di  Elena  innanzi  a  Me- 
nelao  {Gas.  archeol.  VI  7  ;  Ar  eh.  Ztg.  1882  p.  6). 

Ambedue  i  vasi  arcaici  di  Würzburg  e  le  loro  copie  rappre- 
sentano  adunque  in  due  diversi  tipi  (1)  la  morte  di  Priamo  per  mano 
di  Neottolemo  sull'altare  di  Zeus   Herkeios    secondo  Arktinos  (2): 

A.  Priamo  seduto  sull'altare  (ornato  di  voluta  da  una  parte  sola) 
viene  assalito  e  ferito  da  Neottolemo :  due  Troiane  (forse  l'una 
Ecabe,  l'altra  una  delle  figlie)  sono  aggiunte  per  chiudere  la 
rappresentazione  e  per  rendere  piü  manifesto  l'orrore  della  scena. 

B.  Priamo  morente  giace  supino  sull'altare  semplice  e  ad  angoli 
retti,  e  Neottolemo  gli  da  il  colpo  di  grazia ;  nello  spazio  vuoto  al 
di  lä  di  Priamo  sono  andate  le  due  Troiane :  Greci  e  Troiani,  uomini 
e  donne,  sono  aggiunti  in  numero  diverso  secondo  lo  spazio  vuoto 
della  superficie. 

Contrapposte  a  loro  sono  (II)  le  piü  numerose  rappresentanze  di 
vasi  che  uniscono  la  morte  di  Priamo  con  quella  di  Astianatte 
e  si  dividono  pure  in  due  tipi,  secondo  la  posizione  di  Priamo,  la 
quäle,  come  sopra,  dipeude  dalla  forma  dell'altare :  A  *.  Priamo 
siede  sull'altare  ad  una  voluta  e  supplica  Neottolemo  che  gli 
sta  innanzi ;  questi  scaglia  contro  di  lui  Astianalie  che  si  di- 
mena ;  assistono  piangenti  aleune  Troiane,  con  altre  aggiunte 
secondo  il  Capriccio  del  pittore.  Cf.  l'anfora  Fontana  n.  31  (Aroh. 
epigr.  Mitth.  a.  Oestr.  II  p.  28  riprodotta  in  Gerhard  A.  F.  214; 
Overbeck  XXV,  22) ;  Berlin.   Vasens.  1685  (riprodotto  in  Gerhard 


(*)  La  piecola  fanciulla  che  corre  sotto  alle-  seudo  di  Neottolemo  e  un'ag- 
giunta  tolta  da  una  rappresentazione  di  Cassandra. 

(2)  Lo  Schneider,  7'roisch.  Sagenkr.  p.  169  seg.,  non  avendo  preso  in 
considerazione  le  osservazioni  relative  al  suo  vaso  A  fatte  nelle  Arch.  epigr. 
Mitth.  a.  Oestr.  LT,  p   28,  non  e  riuscito  a  distinguere  bene  i  tipi. 


E    DI   ASTIANATTE  111 

Mr.  Camp.  Vas.  21 ;  Berl.  Wlnckelmannspr.  1853,  tav.  n.  2 ; 
Overbeck  XXVI,  1  ;  Baumeister  Denkt*.  I  n.  797),  dove  perö 
la  forma  dell'altare  e  tolta  dal  tipo  seguente.  Questo  modello  ar- 
caico  e  stato  conservato  pure  da  Euphronios  (Berlino  n.  2281  : 
Ar  eh.  Ztg.  1882,  tav.  3  p.  39),  da  Brygos  (Iliupersis  tav.  1)  e  da 
altri  pittori  di  figure  rosse  (cf.  Berlino  n.  2175).  —  B  *.  Priamo 
morente  o  giä  morto  giace  supino  sull'altare  privo  di  volute  e 
murato ;  Neottolemo  scaglia  contro  di  lui  Astianatte  che  si  di- 
mena ;  si  aggiungono  una  o  piü  donne,  guerrieri  ed  altro.  Cf.  la 
immagine  del  vaso  di  Tanagra,  Berlino  n.  5988  (riprod.  in  Furt- 
wängler  Samml.  Sab.  49,  3) ;  vaso  Fontana  n.  32  (ripr.  Gerhard 
A.  V.  213 ;  (kerb.  XXV,  22  ;  qui  Neottolemo  non  iscaglia  che 
la  testa  d'Astianatte ;  cf.  Arch.  epigr.  Mitth.  Oesir.  II,  p.  28); 
Brit.  Mus.  Vas.  n.  607  ;  De  Witte,  Descr.  Canino,  1837,  n.  149  (»). 
Io  dico :  «  Neottolemo  scaglia  Astianatte  contro  Priamo  » , 
sebbene  recentemente  l'abbian  negato  tanto  lo  Schneider  (Troisch. 
Sagen/er.  p.  172),  come  il  Furtwängler  (Samml.  Sab.,  alle  ta- 
vole  48,  49),  ritornando  alla  antica  spiegazione  del  Gerhard  (Aus. 
Vasenb.  III  p.  127),  che  cioe  Neottolemo  scagli  Astianatte  sia  con- 
tro l'altare,  sia  nella  profonditä  dai  merli  della  fortezza.  A  me  pare 
solo  esatta  la  spiegazione  dell'  Overbeck  ( Theo.  Troisch.  Hel- 
denkr.  p.  622)  (2).  Imperocche  sulla  rappresentazione  d  Tanagra 
Neottolemo  con  la  parte  superiore  del  corpo  piegata  all'innanzi  mo- 
stra  chiaramente,  lanciando  Astianatte,  di  volere  colpire  Priamo 
per  una  seconda  volta.  Anche  le  mani  di  Priamo,  tese  verso  Neot- 
tolemo, mostrano  oltre  il  suo  supplicare  che  il  vecchio  vuole  te- 
nere  lontano  Astianatte  scagliato  contro  di  lui.  Finalmente  sul  vaso 
Fontana  la  sola  testa  di  Astianatte  in  mano  di  Neottolemo  non 
ha  senso,  se  non  nel  caso  che  venga  gettata  come  un  sasso  contro 
il  nonno  e  lo  ueeida.  Cosi  a  mio  parere  resta  stabilito  che  un  ar- 
tista  immaginö  le  morti  di  Priamo  e  di  Astianatte  terribilmente  con- 
giunte,  unendo  cioe  in  una  sola  rappresentazione  gli  orrori  della  Iliu- 
persis,  quali  furono  descritti  partitamente  in  Arktinos  e  nel  cosi- 


(1)  Nella  mia  lista  (Iliup.  p.  14,  3),  A  e  M,  come  Hei  sono  identici, 
Ciö  deve  quindi  mutarsi  pure  in  Schneider  1.  c. 

(2)  Cosi  pure  Michaelis  Ann.  delllnst.  1880  p.  41;  Robert  Bild  und  Lied 
p.  74;  ecc. 


112    OSSERVAZIONI  SULLA  MORTE  DI  PRIAMO  E  DI  ASTIANATTE 

detto  Lesche,  e  facendo  perire  il  nonno  per  mezzo  di  Astianatte  ed 
insieme  a  Priamo  il  •  nipote  —  composizione  orribilmente  sublime, 
il  cui  successo  ci  e  attestato  dalle  numerose  ripelizioni  e  varia- 
zioni,  che  ci  giunsero  conservate. 

Cosi  adunque  neH'arte  piü  antica  noi  dobbiamo  constatare  due 
rappresentazioni  della  morte  di  Priamo :  l'una  (I)  senza  Astia- 
natte, l'altra  (II)  con  lui;  in  ambedue  si  scorgono  imitati  due  di- 
versi  modelli:  quello  (I  A  —  IIA*),  in  cui  Priamo  ancora  siede 
e  vive  (altare  a  volute),  e  quello  (I  B  —  II  B*)  in  cui  morto  o 
morente  giace  supino  sull' altare.  Accanto  ad  esse  si  hanno  singole 
rappresentanze ,  che  son  pubblicate  e  trattate  piü  sopra  sotto  i 
num.  2,  3  e  4;  loro  si  unisce  la  rappresentazione  sul  vaso  di 
Vivenzio  (Raccolta  di  Napoli  n.  2422),  finora  egualmente  sola, 
nella  quäle  l'ucciso  Astianatte  si  vede  giacente  in  grembo  a  Priamo. 

Halle  a./S. 

H.  Heydemann. 


BEITRAEGE  ZUR  GRIECHISCHEN  IKONOGRAPHIE  (»). 


(Taf.  IV) 


ARCHIDAMOS. 

Unter  den  Kunstschätzen  der  grossen  Herkulanischen  Villa, 
welche  Comparetti  und  De  Petra  in  ihrem  trefflichen  Werke  {La 
villa  Ercolanese)  bequem  und  übersichtlich  zusammengestellt  ha- 
ben, nehmen  einen  besonders  breiten  Raum  die  Porträts  aus  Marmor 
und  Erz  ein.  Keiner,  der  die  unvergleichlichen  Gallerien  des  Nea- 
peler Museums  mit  einiger  Aufmerksamkeit  durchmustert,  wird 
sich  dem  Eindruck  verschliessen  können,  dass  der  Anhänger  des 
Epikur,  welcher  sich  gegen  Ende  der  römischen  Republik  (2)  diese 
Villa  einrichtete,  eine  erlauchte  Gesellschaft  von  Schriftstellern, 
Heerführern  und  Königen  in  diesen  Bildnissen  um  sich  vereinigt 
hatte.  Aber  die  berechtigte  Neugier  nach  den  Namen  der  Dar- 
gestellten wird  nur  in  wenigen  Fällen  gestillt ;  nur  die  kleinen 
Broncebüsten  des  Epikur,  Hermarch,  Zenon,  Demosthenes  sind 
inschriftlich  bezeichnet.  Das  ist  auffällig  genug.  Man  sollte  doch 
meinen,  dass  eine  solche  Porträtsammlung  ohne  erläuternde  Un- 
terschriften wenig  Interesse  geboten,  und  dass  der  Besitzer  selbst 
sich  schwerlich  auf  sein  gutes  Gedächtniss  allein  verlassen  habe. 
Dass    die    Broncebüsten    heute    keine    Inschriften    mehr    tragen 

(*)  Vgl.  Arch.  Ztg.  XLH,  1884,  S.  149  ff.  Eine  Replik  des  dort  be- 
sprochenen Porträts  des  Anakreon  befindet  sich,  worauf  mich  Studniczi.a  hin- 
wies, im  Palazzo  Riccardi  in  Florenz  (im  Hofe,  zweite  Büste  links  vom  Ein- 
gang ;  wie  mir  L.  Milani  freundlich  bestätigt  ist  es  die  von  Dütschke  II 
S.  91,  200  beschriebene);  für  verwandt  erklärt  Benndorf  einen  Kopf  im  Mu- 
seum Torlonia  (oben  I  S.  114). 

(*)  Villa  Ercolanese,  S.  279. 


114  BEITRAEGE   ZUR   GRIECHISCHEN    IKONOGRAPHIE 

lässt  sich  leicht  begreifen,  auch  wenn  wir  dieselben  nicht  an 
den  Postamenten,  sondern  an  den  Büsten  selbst  voraussetzen, 
da  die  Bruststücke  fast  ausnahmslos  moderne  Ergänzung  sind; 
schwieriger  scheint  es  bei  den  Marmorbüsten  ,  da  bei  diesen 
der  Theil,  welcher  die  Inschrift  getragen  haben  müsste,  durch- 
gängig gut  erhalten  ist.  Die  Vermuthung,  zu  welcher  wir  so  ge- 
drängt werden,  diese  vorausgesetzten  Inschriften  seien  nicht  ein- 
gegraben, sondern  nur  mit  Farbe  aufgemalt  gewesen,  und  so  für 
uns  verloren  gegangen,  ist  glücklicher  Weise  mehr  als  Vermu- 
thung (!).  Winckelmann  (Sendschreiben  von  den  Herculanischen 
Entdeckungen  S.  35  =  Werke,  Dresdener  Ausgabe  II  S.  53) 
berichtet:  «  Die  merkwürdigsten  (Brustbilder)  sind  ein  Archimedes, 
mit  einem  krausen  kurzen  Barte,  welcher  den  Namen  schon  vor 
alters  mit  schwarzer  Farbe  oder  Dinte  angeschrieben  hatte :  vor 
fünf  Jahren  las  man  noch  die  ersten  fünf  Buchstaben  APXIM, 
itzo  aber  sind  dieselben  durch  das  öftere  Begreifen  fast  gänzlich 
verloschen.  Ein  anderes  männliches  Brustbild  hatte  auch  den 
Namen  angeschrieben ;  es  waren  aber  kaum  noch  drey  Buchstaben 
A0H  sichtbar,  die  es  itzo  auch  nicht  mehr  sind.  ■  Dieses  letzt- 
genannte Porträt  habe  ich  im  Neapeler  Museum  vergeblich  ge- 
sucht;  die  geringen  Reste,  welche  wohl  zu  'A&^vaiog  geholt 
haben,  scheinen  in  der  That  heute  völlig  verschwunden.  Dagegen 
ist  die  erste  Inschrift,  welcher  die  auf  Taf.  IV  neu  abgebildete 
Büste  ihre  Benennung  verdankt  (2),  durchaus  nicht  so  unkenntlich 
geworden,  als  man  nach  Winckelmann' s  Worten  annehmen  sollte  ; 
vgl.    Villa  Ercolanese  S.  276,  77. 

Es  scheint  Camillo  Paderni  gewesen  zu  sein,  der  zuerst  die 
Deutung  der  Büste  als  Archimedes  aussprach  ( Villa  Ercolanese 
S.  250),  wenngleich  er  sie  bei  seiner   berüchtigten   Ignoranz,  die 


(')  An  dem  kleinen  Zwischenstück,  welches  Fuss  und  Brust  der  Londoner 
Büste  Ancient  marbles  X  Taf.  16  {Roman  gallery,  22)  verbindet,  hefinden 
sich  Beste  einer  aufgemalten  Inschrift,  von  der  ich  nur  forma  ivvenem 
lesen  konnte ;  dieselhe  wird  modern  sein,  da  die  Büste  Anfangs  für  ein  Bild- 
niss  des  Marcellus  galt,  und  die  erhaltenen  Worte  offenbar  dem  Vers  Ver- 
gil's  (VI,  861) :  Egregium  forma  iuvenem  et  fulgentibus  armis  angehören. 

(2)  Dies  ist  zweifellos  der  Kopf  des  Archimedes,  den  D'Hancarville  in 
Portici  sah,  und  über  den  Visconti  keine  genauere  Kunde  hatte  erlangen 
können  (Iconografia  Greca  I  S.  287). 


BEITRAEGE   ZUR   GRIECHISCHEN    IKONOGRAPHIE  115 

Justi  (Winckelmann  II,  1  S.  181)  so  ergötzlich  schildert,  schwer- 
lich selbst  gefunden  hat.  Winckelmann,  wie  schon  erwähnt,  schloss 
sich  derselben  an,  und  seitdem  blieb  sie  in  Geltung,  obschon 
vereinzelt  Widerspruch  dagegen  erhoben  wurde,  so  von  Gerhard 
(Neapels  antike  Bildwerke  S.  104,  362)  und  von  Finati  (Museo 
Borbomco  VI  Taf.  26).  Beide  betonen  mit  Recht,  dass  Harnisch 
und  Schwertgehenk  die  hergebrachte  Benennung  unmöglich  machen, 
sie  berühren  aber  mit  keinem  Wort  weder  die  Inschrift  noch  deren 
Bedeutung.  So  hatten  die  neuesten  Herausgeber  durchaus  Recht, 
wenn  sie  für  die  Deutung  der  Büste  auf  diese  Inschrift  zurück- 
griffen,  welche  sie  erst  der  langen  und  unverdienten  Nichtachtung 
entrissen  haben.  Aber  lässt  dieselbe  sich  mit  dem  Charakter  des 
Porträts  in  Einklang  bringen  ? 

Winckelmann  hatte  APXIM  zu  erkennen  geglaubt,  und  fast 
ebenso  (APXIMI)  lesen  die  neuesten  Herausgeber  {Villa  Ercola- 
nese  S.  276,  77);  wenn  Paderni  (dort  S.  250)  APXIAA6A  gelesen 
haben  will,  so  zeigt  er  damit  nur  seine  Unkenntniss  des  Grie- 
chischen. Wir  dürfen  also  behaupten,  dass  wesentliche  Theile  der 
Inschrift  seit  ihrer  Entdeckung  nicht  verschwunden  sind.  Dieselbe 
sieht  nun  heute  so  aus : 


\JS  K 


bietet  also  abgesehn  von  dem  letzten  halbrunden  Zeichen  nur  die 
Elemente,  welche  die  Herausgeber  bereits  erkannt  haben.  Nur 
über  die  Deutung  dieser  Elemente  kann  man  streiten ;  mir  scheint 
die  bisherige  Deutung  nicht  haltbar. 

Die  zweite  Hälfte  des  angeblichen  M  steht  so  weit  von  der 
ersten  entfernt,  dass  beide  sich  nicht  berühren  können,  und  sie 
hat  nicht  die  einfache  gleichschenkelige  Form,  die  man  erwarten 
sollte,  sondern  der  linke  Schenkel  nähert  sich  mehr  der  senk- 
rechten als  der  andere  ;  dieser  ist  ein  wenig  gekrümmt  nach  rechts 
herübergezogen,  ganz  wie  bei  dem  ersten  A.  Und  ein  solches  wird 
der  Buchstabe  gewesen  sein,  höchstens  könnte  man  an  A  oder  A 
denken.   Bei  dem  Zeichen  unmittelbar  davor,   das  sich  zunächst 


116J  BE1TRAEGE   ZUR   GRIECHISCHEN   IKONOGRAPHIE 

als  gleichschenkligen  Winkel  darstellt,  bemerkt  man  unten  links 
einen  stärkeren  Ansatz  eines  wagerechten  Striches,  der  darin  ein 
A  mit  Wahrscheinlichkeit  erkennen  läset.  Das  alles  ebenso  wie 
der  halbrunde  Buchstabe  ganz  rechts,  der  sich  der  Ergänzung 
APXIAAHAHC  in  keiner  Weise  fügt,  zwingt  uns,  eine  neue  Deu- 
tung zu  suchen.  Es  ist  meines  Erachtens,  alle  Möglichkeiten  er- 
wogen, keine  andere  Ergänzung  denkbar  als  APXIAAMoC  ('). 

Damit  ist  die  Benennung  des  Porträts  gegeben. 

Die  Kriegertracht,  welche  schon  in  Verbindung  mit  der  Haar- 
binde (2)  Finati  auf  die  Vermuthung  brachte,  es  sei  ein  Herrscher 
dargestellt,  erklärt  sich  ungezwungen  nur,  wenn  wir  in  dem  Dar- 
gestellten einen  der  Träger  dieses  Namens  aus  dem  Hause  der 
Eurypontiden  erkennen. 

Darauf  führt  auch  noch  ein  anderer  äusserlicher  Umstand, 
die  Tracht  von  Haar  und  Bart.  Es  ist  genügend  bekannt,  dass 
die  Lakedämonier  im  Gegensatz  zu  den  meisten  übrigen  Griechen 
das  Haar  als  Kinder  kurz  trugen,  später  lang  wachsen  Hessen 
(vgl.  Blümner  in  Hermann's  Lehrbuch  der  Antiquitäten  3  IV 
S.  206.  Iwan  Müllers  Handbuch  IV,  1  S.  429),  und  wie  oft 
diese  Sitte  von  den  Athenern  verspottet  worden  ist  (Plutarch, 
Nikias  19) ;  besonders  die  Komiker  witzeln  gern  über  die  vnrjvrj 
der  Lakonen  (Aristophanes,  Wespen  476.  Lysistrate  1073  :  tcq6- 
aßsig  elxovrag  vnrjvag.  Piaton  Fr.  124  Kock).  Bei  unserer  Herme 
scheint  das  lange,  aber  wenig  gepflegte  Haar  und  der  ungeordnete, 
wirre  Bart  recht  geflissentlich  hervorgehoben  zu  sein,  wie  wir  es 
sonst  nur  bei  einem  Philosophen  erwarten  würden,  und  es  lässt 
sich  wörtlich  auf  sie  die  Schilderung  anwenden,  welche  Plutarch 
zu  Anfang  der  Lebensbeschreibung  des  Lysander  von  der  Bildsäule 


(!)  Es  ist  vielleicht  nicht  fiherflüssig  zu  hemerken,  dass  eine  Kopie  der 
Inschrift,  die  Studniczka  auf  meine  Bitte  unabhängig  anfertigte,  in  allem 
wesentlichen  mit  der  meinigen  übeleinstimmte,  ja  meiner  Lesung  vielleicht 
noch  günstiger  war.  Ich  habe  absichtlich  auf  eine  Wiedergabe  aller  der  Reste 
verzichtet,  bei  denen  eine  Selbsttäuschung  nicht  völlig  ausgeschlossen  schien. 
Auch  Mau,  der  die  Freundlichkeit  hatte,  die  Inschrift  mit  mir  nachzuprüfen, 
hielt  meine  Lesung  für  gesichert. 

(2)  Es  ist  dies  allerdings  kein  Diadem  und  deshalb  kaum  als  Abzeichen 
königlicher  Würde  aufzufassen. 


BEITRAEGE    ZUR   GRIECHISCHEN    IKONOGRAPHIE  117 

desselben  macht :  (ardgiäg)  fixonxog  sv  {lüXct  xo/nwvxog  e&€i  xf[t 
nctXaup  xcü  Ttwycova  xa&sifitvov  yevrccTor. 

Aber  welchen  von  den  vier  spartanischen  Königen  des  Na- 
mens Archidamos  sollen  wir  in  unserer  Herme  erkennen  ?  Dass 
der  Erste  nicht  in  Frage  kommt,  wird  Jeder  zugeben,  und  auch 
den  Vierten,  den  Sohn  des  Eudamidas  (Plutarch,  Agis  3)  und 
Gegner  des  Poliorketes  wird  man  weder  nach  seiner  nicht  eben 
hervorragenden  Bedeutung,  noch  nach  dem  Stil  des  Bildwerkes 
hier  vermuthen.  Es  bleiben  meines  Erachtens  nur  der  Zweite  und 
der  Dritte  übrig.  Manches  könnte  für  ersteren  zu  sprechen  schei- 
nen. Der  traurige  Ruhm,  der  seinen  Namen  mit  dem  Beginn  des 
peloponneeischen  Krieges  verknüpft,  sichert  ihm  wenigstens  eine 
geschichtliche  Bedeutung,  welche  die  Aufstellung  seines  Bildes  in 
den  Räumen  eines  Privathauses  erklären  könnte.  Aber  auch  gegen 
ihn  spricht  der  Stil  des  Porträts.  Als  er  im  Anfang  des  pelopon- 
nesischen  Krieges  starb,  hatte  er  eine  Regierung  von  42  Jahren 
hinter  sich  (Diodor  XI,  48.  XII,  35),  er  ist  also  ein  nicht  unbe- 
deutend älterer  Zeitgenosse  des  Perikles.  "Wir  dürfen  deshalb  er- 
warten, dass  ein  Bild,  welches  ihn  in  der  Fülle  der  Kraft  zeigt, 
sich  stilistisch  nicht  wesentlich  von  dem  des  Perikles  unter- 
scheidet, ja  eher  noch  ein  wenig  altertümlicher  erscheint.  Aber 
ein  Blick  auf  die  Bildnisse  des  Perikles  genügt,  um  unsere  Herme 
als  die  nicht  unbedeutend  jüngere  zu  erweisen.  Es  bleibt  also  nur 
Archidamos  III  übrig,  der  Sohn  des  Agesilaos,  der  kriegerisch 
zum  ersten  Mal  nach  der  Schlacht  bei  Leuktra  thätig  war  und 
endlich,  nach  dreiundzwanzigjähriger,  wechselvoller  Regierung  im 
Dienst  von  Tarent  bei  Mandyrion  in  Kalabrien  fiel,  angeblich  an 
demselben  Tage,  an  dem  die  griechische  Freiheit  bei  Chäronea 
verloren  ging  (Diodor  XVI,  88.  Plutarch,  Camillus  19). 

Pausanias  (VI,  4,  9)  berichtet  nun  bei  der  Aufzählung  der 
Denkmäler  in  Olympia :  Ilctoct  6k  2a)dcciiav  'jQ%t'da[j,og  Iffxrjxev 
6  ^AyrfiiXüov,  siaxedaiiioviuyv  ßcttiiXtvg.  JIqu  dt  xov  'AQXidäfXov 
xovxov  ßctöiXtwg  rixövcc  ovdt-rog  $v  ye  xft  vnsQogici  AaxeSaifio- 
riovg  dvads'vxag  ev  QMS  xov.  'AQ%iddi.iov  de  ccXXwv  re  xcci  xfjg  xe- 
Xevxrjg,  e\uoi  doxelv.  el'vexcc  dvÖQiävxa  ig  'OXv/HTiiav  ccTtiateiXav, 
ixi  €V  ßaQßaQro  xs  eTtsXaßev  ccvxbv  xo  yQtwv,  xcci  ßaöiXewv 
jiiövog  xwv  ev  271CCQTTJ  drjXog  itfxiv  dfictQxoh'  xüyov.  Dies  Stand- 

8 


118  BE1TRAEGE   ZUR   GRIECHISCHEN   IKONOGRAPHIE 

bild  war  also  von  den  Lakedämoniern  selbst  geweiht ;  wer  das 
zweite,  ebenfalls  in  Olympia  befindliche  gestiftet  (VI,  15,  7),  wird 
nicht  überliefert.  Man  könnte  vermuthen,  dass  die  Tarentiner 
dadurch  den  Zoll  der  Dankbarkeit  abgetragen  hätten,  nachdem  ihr 
Versuch,  wenigstens  den  Leichnam  des  gefallenen  Heerführers  aus- 
zulösen, fehlgeschlagen  war  (Athenäus  XII  S.  536  D).  Einer  dieser 
beiden  Statuen  wird  unsere  Herme  nachgebildet  sein. 

Aber  wenn  wir  uns  des  neuen  Besitzes  freuen,  und  uns 
gerne  in  die  ansprechenden  Züge  dieses  antiken  Condottiere  ver- 
senken, die  trotz  der  martialischen  äusseren  Tracht  einen  nach- 
denklichen, schwermütigen,  lebhaft  an  die  Bilder  des  Euripides 
erinnernden  Eindruck  machen,  und  uns  ahnen  lassen,  dass  Archi- 
damos  wohl  das  Nahen  der  Zeit  gespürt  habe,  in  der  aller  Mannes- 
muth  nicht  im  Stande  sein  werde,  Sparta  zu  retten  (vgl.  Plu- 
tarch,  'AnotpÜ.  ßaaili'cov,  S.  191  D.)  so  drängt  sich  uns  noch  eine 
quälende  Frage  auf,  die  wir  zu  beantworten  leider  nicht  im  Stande 
sind.  Welches  besondere  Interesse  hatte  der  Besitzer  der  Herku- 
lanischen Villa  grade  für  Archidamos  III  ? 

Die  Lösung,  welche  die  Bemerkung  des  Pausanias  zu  bieten 
scheint,  dass  diesen  König  zuerst  die  Lakedämonier,  durch  eine 
Statue  ausserhalb  ihres  Gebietes  geehrt  hätten,  befriedigt  nicht. 
Der  beschränkende  Zusatz  ev  ys  rfj  imsQoqia  scheint  allerdings 
zunächst  nur  durch  die  Statue  des  Polydoros  (III,  11,  10)  veran- 
lasst, da  die  Bilder  des  Königs  Pausanias  (III,  1  7,  7)  ja  einen  ganz 
anderen  Sinn  haben  ;  aber  wenn  auch  offizielle  Ehrenstatuen  sparta- 
nischer Könige  vielleicht  selten  waren,  Bildnisse  derselben  haben 
eiistirt.  Wenigstens  motivirt  Plutarch  (Agesilaos  2)  den  Mangel 
eines  Bildnisses  des  Vaters  des  Archidamos  mit  dessen  ausdrück- 
lichem Verbot  (*) :  \ii(ie  nXaördv  (xr^te  fiifirjkäv  tira  Ttoirficc- 
a&ai  xqv  cewfiarog  dxöva.  Immerhin  waren  vielleicht  die  olym- 
pischen Statuen  des  Archidamos  die  leichtest  zugänglichen  Bild- 
nisse spartanischer  Könige,  und  auf  sie  griff  man  deshalb  bei  der 


(l)  Vgl.  Plutarch,  'Jnocp^iyfi.axa  ßaoite'wv  S.  191  E.  'Jnotpd:  Aaxco- 
vixtl  S.  215  B,  und  die  Anmerkung  Wyttenbach's  zu  ersterer  Stelle.  0.  Müller 
(Dorier*  II  S.  95)  bezieht  dies  irrig  auf  die  s'idwXa,  welche  heim  Begräbniss 
der  im  Felde  gefallenen  Könige  den  Leichnam  vertraten. 


BEITRAEGE   ZUR   GRIECHISCHEN    IKONOGRAPHIE  119 

Ausstattung  der  Villa  zurück,  um  unter  anderen  Herrschern  die 
von  Sparta  nicht  ganz  fehlen  zu  lassen.  Ich  gestehe,  dass  diese 
Lösung  der  Schwierigkeit  etwas  Unbefriedigendes  hat ;  die  Mög- 
lichkeit eine  andere  zu  versuchen  würde  uns  aber  nur  erwachsen, 
wenn  wir  über  die  Mehrzahl  der  Porträts  der  Villa  im  Klaren 
wären.  Doch  von  diesem  Ziele  sind  wir  noch  weit  entfernt. 

Athen,  April  1888. 

Paul  Wolters. 


SCAVI  DI  POMPEI 


SEPOLCRI  DELLA  VIA  NüCERINA. 

Fin  dall'agosto  dell'a.  1886  nel  fondo  della  signora  Angioliua 
Contieri  vedova  Paciflco,  ad  E  dell'antiteatro,  furono  incontrate,  a 
poca  profonditä,  costruzioni  antiche.  Lo  scavo,  intrapreso  prima  dalla 
stessa  signora  Paciflco,  poi  assunto  dalla  R.  Direzione  degli  Scavi, 
fece  presto  conoscere  trattarsi  di  sepolcri  disposti  ai  due  lati  d'una 
strada  (1).  Doveva  questa  uscire  dalla  porta  a  SO  dell'anfiteatro 
e  poi  volgere  subito  a  sin.  per  condurre  a  Nocera.  Essa  e  priva 
del  suo  selciato :  quel  che  si  vede  non  e  altro  che  la  sostruzione, 
nella  quäle  perö  vi  sono  certi  solchi  che  sembrano  prodotti  dalle 
ruote  di  carri.  I  margini,  sui  quali  si  alzano  i  sepolcri,  sono  rampe 
di  terra  soltanto,  non  sorrette  da  pietre,  non  adatte  a  camminarvi 
sopra :  non  e  affatto  credibile  che  fossero  in  questo  stato  mentre  la 
strada  era  praticata,  e  fanno  tutta  l'impressione  che  ne  siano  state 
tolte,  come  il  selciato,  cosi  anche  le  pietre  marginali. 

Tutto  ciö  induce  a  credere,  che  questo  tratto  di  strada  fosse 
abbandonato.  Ne  contradicono  le  iscrizioni  dipinte,  che  vi  si  tro- 
vano  in  numero  considerevole.  Fra  i  programmi  elettorali  quelli  di 
L.  Munazio  Cesernino  possono  forse,  stando  alla  paleogralia,  ap- 
partenere  ad  un  tempo  non  molto  lontano  dalla  distruzione  di  Pompei ; 
ma  nulla  impedisce  di  farli  rimontare  all'epoca  neroniana,  mentre 

(i)  H  prof.  Sogliano  riferl  su  questi  scavi  nelle  Not.  d.  sc.  1886 
p.  334  sgg.  452  sgg.  Una  breve  notizia  con  alcuni  piccoli  disegni  fu  data 
dal  sig.  H.  Maier,  Centralblatt  der  Bauverwaltung  1887  p.  451  sg. 


SCAVI   DI   POMPEI.    SEPOLCRI  DELLA  VIA  NÜCERINA  121 

tutti  gli  altri  sono  decisamente  piü  antichi.  Cotesta  strada  do- 
veva  passare  il  Sarno  presso  l'odierna  Scafati.  Forse  il  tracciato 
era  stato  cambiato  in  modo  che,  uscendo  dalla  porta  Stabiana,  pas- 
sasse  il  fiume  sul  ponte  Stabiano,  menzionato  nella  nota  iscrizione 
osca,  e  poi  proseguisse  sulla  riva  sinistra:  lo  scopo  di  tale  cam- 
biamento  poteva  essere  di  congiungere  Nocera  direttaraente  col 
porto  di  Pompei.  Potrebbe  anche  darsi  che  ambedue  i  tratti 
esistessero  giä  prima,  e  che  questo  qui  fosse  abbandonato  in  seguito 
alla  distruzione  del  ponte  per  il  terremoto  dell'anno  63  d.  C. 

Fra  le  monete  trovate  nelle  urne,  per  quanto  sono  ricono- 
scibili,  nessuna  e  posteriore  a  Tiberio.  Anche  la  semplicitä  dei  mo- 
numenti,  che  pure  per  la  loro  mole  non  possono  essere  stati  eretti 
che  da  persone  agiate,  li  dimostra  anteriori  a  quelli  rivestiti  di 
marmo  sul  lato  S  della  via  Ercolanese.  Possono  raffrontarsi  al  se- 
polcro  rotondo,  a  quello  di  Mamia  e  a  quelli  situati  sull'altura  nel 
bivio,  coi  quali  Ultimi  anche  nella  forma  ed  in  alcune  particola- 
ritä  hanno,  in  parte  almeno,  le  maggiori  analogie.  Tanto  il  sepolcro 
di  Mamia  quanto  il  gruppo  del  bivio  per  il  modo  di  costruire  e  per 
la  paleografia,  possono  ascriversi  ai  tempi  di  Augusto.  Dobbiamo 
dunque  ritener  per  certo  di  avere  incontrato  sulla  via  Nucerina 
sepolcri  dei  primi  tempi  imperiali. 

Le  masse  dell'eruzione  mostrano  gli  strati  seguenti:  lapilli 
m.  2,10 ;  cenere  0,06 ;  lapillo  nero  e  pesante  0,03 ;  cenere  m.  0,50 
in  circa ;  mentre  si  formava  questo  strato,  soprayvenne  una  forte  scossa 
di  terremoto,  giacche  in  esso  si  trovano  gli  avanzi  delle  parti  su- 
periori  dei  monumenti  del  lato  N,  caduti  verso  SE ;  e  appunto 
perciö  e  difficile  precisare  l'altezza  dello  strato;  seguono  due  strati 
di  lapillo  nero,  e  fra  essi  un  tenue  strato  (0,01)  di  cenere :  tutti  e 
tre  alti  m.  0,10;  finalmente  cenere  m.  0,75  in  circa. 

Cid  premesso  do  qui  appresso  la  pianta  dello  scavo  e  passo  a 
descrivere  i  singoli  monumenti. 

1.  {Not.  d.  sc.  1886  p.  334).  Monumento  ad  arco.  Sopra 
una  sostruzione  (visibile  sul  lato  anteriore  m.  0,45)  sorge  un 
corpo  di  fabbrica  press'a  poco  quadrato  (3,10  X  3,05,  alto  fino  a 
tutto  il  cornicione  3,10),  con  un  passaggio  a  volta  a  tutto  sesto 
(a.  1,74,  1.  1,30),  sormontato  da  una  parte  tonda  posta  sopra  un 
gradino  quadrangolare  a.  0,30,  di  circonferenza  poco  minore  del 
corpo  sottoposto.  II  tamburo  della  parte   tonda,  conservato   fino  a 


122 


SCAVI   DI   POMPEI 


m.  0  40,  mostra  avanzi  di  semplici  ornati  in  stucco  bianco,  i  quali 
per  le  piccole  proporzioni  e  la  poca  sporgenza  del  rilievo  non  ac- 
cennano  ad  una  grande  altezza.  Sotto  una  lacuna  quasi  circolare 
(0,36)  nel  pavimento  del  passaggio  (opus  signinum)  fu  trovata  a 
poca  profonditä  un'urna  di  terracotta  con  coperchio,  contenente  ossa 
bruciate  e  una  moneta  di  bronzo  non  riconoscibile ;  un'altra  moneta 
simile  fu  raccolta  fra  le  terre. 


II  monumento  e  costruito  in  opera  incerta,  con  angoli  di  mattoni 
älternati  non  molto  regolarmente  con  pietre  tagliate  in  forma  si- 
mile, ed  e  decorato  di  stucco  bianco.  Agli  angoli  stanno  pilastri  (0,32) 
con  scanalature  doriche  di  poca  profonditä;  i  capitelli  (poco  con- 
servati)  erano  lavorati  nello  stesso  stucco  in  basso  rilievo.  II  cor- 
nicione  (a.  0,30;  il  termine  e  alto  0,15)  porta  un  ornato  di  pal- 
mette  rivolte  alternativamente  in  su  e  in  giü,  di  forme  diverse  che 


SEPOLCRI   DELLA    VIA   NUCERINA  123 

non  s'alternano  regolarmente,  congiunte  fra  loro  con  linee  curve.  Sul 
lato  anteriore  (N)  la  superficie  fino  all'altezza  di  2,02  sopra  il 
termine  e  caratterizzata  come  una  sola  lastra  dal  margine  affon- 
dato,  e  vi  e  a  ciascun  lato  del  passaggio  effigiata  in  rilievo  una  fiac- 
cola  accesa,  inghirlandata  e  ornata  di  corde  di  lana  (?  sono  file 
di  piccoli  tondi).  Piü  sopra  era  incastrata  nella  superficie  liscia 
la  tavola  dell'iscrizione  (m.  2,20  X  0,35),  che  perö  manca.  Sülle 
facce  laterali  le  pareti  son  lisce  fino  a  m.  0,60  sopra  il  termine; 
seguono  quindi  tre  rettangoli  a  base  stretta,  a.  m.  1,44,  e  sopra 
essi  due  file  (0,28  ognuna)  di  rettangoli  giacenti,  tutti  dal  mar- 
gine affondato.  II  lato  posteriore  e  liscio ;  i  pilastri  ivi  non  hanno 
scanalature  e  invece  dei  capitelli  una  fascia  sporgente  a.  0,06. 

Una  punta,  press'a  poco  in  forma  d'una  pigna,  alta  0,70,  col 
buco  per  un  perno,  fu  trovata  li  vicino  e  potrebb'essere  stata  col- 
locata  in  cima  alla  parte  tonda,  che  io  suppongo  fosse  un  basso 
cono  sovraposto  ad  un  breve  tamburo,  non  essendo  stata  trovata 
alcuna  parte  di  costruzioni  piü  alte.  Ne  credo  che  ne  facesse  parte 
un  masso  curvo  di  tufo,  che  sta  per  terra  fra  le  tombe :  esso  pro- 
viene  da  un  monumento  circolare  di  diametro  alquanto  maggiore. 

Dietro  questo  monumento  e  quelli  adiacenti  estendesi  un  muro 
a.  circa  m.  2,70.  Un  altro  muro  ne  congiunge  l'angolo  SE  col 
monumento  vicino:  e  alto  circa  m.  1,50,  terminato  a  schiena, 
senza  stucco,  e  posteriore  allo  stucco  di  ambedue  i  monumenti.  Un 
terzo  muro  congiunge  l'angolo  SO  con  quel  primo  muro:  e  alto 
m.  1,35,  rivestito  di  stucco,  ha  la  superficie  piana  ed  e  posteriore 
allo  stucco  del  monumento.  Finalmente  un  muro  a.  1,20,  termi- 
nato a  schiena  e  rivestito  di  stucco,  si  stende  dall'angolo  NO 
verso  0.  Fu  trovata  fra  le  terre  circostanti  una  lastra  di  marmo 
con  l'iscrizione: 

ALFIAE  NL- 
SERVILLAE 

2.  {Not.  d.  sc.  1886  p.  335).  Sepolcro  a  nicchia,  vale  a 
dire  un  edifizio  quadrangolare  piü  largo  che  profondo  (3,40  X  2,55, 
alto  fino  all'epistilio  3,25),  che  contiene  una  nicchia,  o  cella  aperta 
sul  davanti,  senza  porfca,  con  soffitto  piano,  larga  0,945-0,965, 
profonda  1,45,  alta  2,27.  Agli  angoli  anteriori  del  monumento 
stanno  tre  quarti  di  colonne  con  12  scanalature  doriche,  del  diametro 


124  SCAVI   DI   POMPEI 

di  0,45 ;  agli  angoli  posteriori  mezze  colonne  sporgenti  dalle  facce 
laterali,  senza  rastremazione  sensibile.  I  capitelli  di  tufo  (foglie 
d'acanto,  quindi  il  filo  di  perle,  l'echino  ornato  di  ovoli  e  final- 
mente  le  quattro  volute  che  sorreggono  l'abaco  centinato)  sodo 
troppo  piccoli,  non  essendosi  tenuto  conto  dello  stucco  che  riveste 
il  fusto.  L'epistilio  e  alto  0,26  e  sporge  0,15;  il  fregio,  con  qualche 
avanzo  di  ornati  in  rilievo  di  stucco,  0,34 ;  del  cornicione  poco  si  e 
conservato ;  manca  il  tetto  ed  e  sfondato  anche  il  soffitto.  La  mura- 
tura  e  di  opera  incerta  con  angoli  e  fasce  di  mattoni;  il  tutto  e 
rivestito  di  stucco  bianco,  nel  quäle  intorno  all'ingresso  della 
nicchia  sono  imitate  le  antepagmenta  e  sulle  pareti  laterali  di  essa 
i  due  battenti  d'una  porta  aperta,  ognuno  a  due  specchi,  piü  grande 
quello  inferiore,  e  fra  essi  una  borchia  coll'anello  (diara.  0,075). 
Del  resto  tutto  e  liscio;  soltanto  sul  lato  anteriore  due  mensole 
di  tufo  rivestite  di  stucco,  ornate  inferiormente  d'una  foglia,  di- 
stanti  fra  loro  1,68,  sorreggono  un  membro  sporgente,  poco  con- 
servato, di  mattoni;  esso  sta  a  m.  0,70  sopra  l'ingresso. 

Alla  facciata  del  monumento  e  addossato  a  d.  dell'ingresso 
un  gradino  di  materiale  che  si  estende  fino  alla  terza  scanalatura 
della  colonna  angolare  e  sporge  un  po'  piü  di  questa  stessa  (a.  0,35, 
1.  0,28).  Un  gradino  simile  (a.  0,38, 1.  0,28)  si  stende  lungo  tutto 
il  lato  sin.;  un  terzo,  a.  e  1.  0,40,  appie  di  quella  parte  del  lato  sin. 
del  n.  1  che  sporge  avanti  al  n.  2 ;  a  sin.  dell'  ingresso  al  n.  2 
evvi  soltanto  un  rialzo  di  terra. 

AI  monumento  e  annessa  un'area,  circoscritta  verso  S  dal 
muro  dietroposto,  verso  E  da  un  basso  muro  (0,90),  verso  0  dal 
n.  1  e  da  un  muro  che  congiunge  l'angolo  SO  del  n.  2  col  muro 
dietroposto,  verso  N  da  un  parapetto  a  piccoli  archi  terminato 
superiormente  a  schiena,  simile  a  quello  del  sepolcro  di  Mamia  e 
adun  altro  nel  bivio  della  via  Ercolanese(1);  altezza  esternam.  1,25, 
interna  0,90;  larghezza  degli  archi  0,12,  dei  pilastrini  0,26. 
Esso  non  tocca  il  n.  1,  ma  ne  rimane  discosto  m.  0,19  ;  ed  era 
questo  l'unico  ingresso  nell'area :  il  gradino  addossato  in  quel 
punto  al  n.  1  e  posteriore  tanto  allo  stucco  del  n.  1  quanto  al 
parapetto. 

Nella  cella  stavano  infissi  nella  terra,  l'uno  rivolto  all'ingresso, 

(x)  Overbeck-Mau  Pompeji  *  p.  402.  Mazois  I  tav.  8.  10. 


SEPOLCRI    DELLA    VIA    NÜCERINA  125 

l'altro  a  sin.,  due  cippi  marmorei  ad  erma,  senza  iscrizioni,  e  pos- 
siamo  supporre  che  le  persone  qui  sepolte  fossero  nominate  in 
un'iscrizione  posta  nella  parte  ora  distrutta  del  monumento.  Sotto 
il  primo,  piü  grande  dell'altro,  fu  trovata  un'olla  coperchiata  di 
terracotta,  contenente  ossa  bruciate  e  due  monete  di  bronzo,  cioe 
un  dupondio  d'Augusto  (Cohen  I2  p.  114,  n.  369),  l'altra  irrico- 
noscibile,  e  rinchiusa  in  un'olla  di  piombo,  coperchiata  anch'essa. 
Per  i  centri  dei  due  coperchi,  divisi  fra  loro  mediante  uno  strato 
di  calce  alto  m.  0,02,  passava  un  tubo  di  piombo  (diam.  0,065) 
diretto  quindi  verso  la  superficie,  ove  non  si  e  potuto  verificare  in 
quäl  modo  terminasse.  Sotto  l'altro  cippo  stava  un'olla  di  terracotta 
contenente,  oltre  le  ossa,  un  dupondio  di  Tiberio  coniato  nell'a.  10 
d.  C.  in  Cartagine  (Cohen  I2  p.  208,  n.  210).  Un  terzo  cippo  mar- 
moreo  ad  erma,  di  dimensioni  minori  (largo  0,23)  stava  rivolto 
ad  E  fuori  della  cella,  a  d.  dell'ingresso,  addossato  al  lato  corto  (E) 
del  gradino  summentovato,  diviso  da  esso  per  mezzo  d'uno  strato  di 
terra  (0,10).  Porta  al  disotto  del  collo  l'iscrizione 

FESTAE  •  APVLEl  •  F 
VIX  •  ANN  •  XVII 

II  cippo  (com'anche  il  minore  di  quelli  posti  nella  cella)  e  per- 
forato  nella  parte  infissa  nel  terreno,  presso  il  margine  inferiore 
da  un  buco  rotondo  (*).  Avanti  al  cippo  era  coliocata  in  terra  una 
piccola  lastra  di  marmo ;  alzandola  si  guardava  in  un  tubo  rettan- 
golare  di  terracotta  (0,12  X  0,045  X  0,39),  infisso  verticalmente  nel 
terreno;  esteriormente  il  tubo  e  segnato  con  alcune  linee  che  s'in- 
crociano,  graffite  nell'argilla  ancora  molle.  Vi  stava  sotto  l'olla 
di  terracotta  contenente  con  le  ossa  bruciate  un  triens  non  rico- 
noscibile. 

Una  tavola  marmorea  (a.  la  p.  cons.  0.31, 1.  0,21)  -  non  sap- 
piamo  se  fosse  un  cippo  ad  erma,  mancando  la  parte  superiore  - 


0)  Mi  avverte  il  dott.  Hülsen  che  probabilmente  tali  buchi,  che  spesso 
si  trovano  in  simili  cippi,  servivano  a  farvi  passare  un  bastone  di  legno  per 
tener  fermo  il  cippo  nel  terreno.  Nei  casi  presenti  il  bastone  difficilmente 
poteva  esservi,  a  cagioni  delle  costruzioni  dietroposte,  ma  ciö  non  impedisce 
che  il  buco  fosse  fatto  a  quello  scopo. 


126  SCAVI   DI  POMPEI 

stava  appoggiata  al  rialzo  di  terra  appie  della  parte  sin.  della 
facciata,  rivolta  a  N,  e  porta  l'iscrizione 

eONVIVA 
VEIAES 
VIX  • AN • XX 

L' ultima  riga  dista  poco  dal  margine  inferiore,  e  ciö  prova  che  la 
tavola  non  era  infissa  nel  terreno.  Nell'urna  sottostante  si  trovö 
un  asse  repubblicano.  Forse  i  coniugi  Apuleio  e  Veia  erano  se- 
polti  nella  cella. 

Nello  stretto  spazio  fra  le  due  tombe  n.  1  e  2  fu  trovata  una 
quantitä  considerevole  d'una  massa  biancastra  e  fra  essa  frammenti 
di  ossa  e  tre  piccoli  balsamari  di  vetro,  avanzi  forse  della  cena 
novendiale. 

Non  possiamo  inferire  dalla  moneta  suddetta,  che  il  monu- 
mento  sia  posteriore  all'a.  10  d.  C,  essendo  possibile  che  p.  e. 
sia  stato  eretto  dal  superstite  di  due  coniugi,  il  quäle  vi  sarebbe 
stato  deposto  piü  tardi.  In  ogni  modo  l'ortogratia  EIDVS,  ovvia  in 
un  programma  gladiatorio  dipinto  sulla  parete  in  fondo  alla  nicchia, 
accenna  ad  un  tempo  non  molto  posteriore. 

I  nn.  1  e  2  hanno  questo  di  comune,  che  non  contengono  nel 
loro  interno  le  spoglie  del  defunto,  ma  a  guisa  di  monumenti  sono 
eretti  lä  dove  egli  e  sepolto  nella  nuda  terra,  e  che  si  e  avuto 
cura  di  lasciare  il  luogo,  ove  riposavano  le  ceneri,  accessibile  alle 
libazioni ;  giacche  ad  altro  non  puö  mirare  il  pavimento  interrotto 
nel  n.  1  ed  i  tubi  di  terracotta  e  di  piombo  nel  n.  2;  con  que- 
st' ultimo  si  e  procurato  perfino  di  poter  introdurre  le  libazioni 
nelTolla  stessa.  II  n.  1  non  trova  esatto  riscontro  in  alcuno  dei 
monumenti  della  via  d'Ercolano,  mentre  qui,  sulla  via  Nucerina, 
ne  troveremo  altri  simili  (n.  4  e  5).  II  n.  2  e  in  grande  ciö  che 
e  in  piccolo  il  monumento  di  N.  Velasio  Grato  e  l'altro  anonimo 
che  gli  sta  accanto  (*):  una  nicchia  costruita  nel  sito  stesso,  ove 
le  ceneri  sono  sepolte  sotto  un  cippo  ad  erma.  E  degno  di  nota, 
ciö  che  finora,  per  quanto  io  sappia,  non  fu  osservato  da  alcuno, 
che  anche  in  quei  due  sepolcri  nel  bivio  della  via  Ercolanese   si 

(i)  Overbeck-Mau  Pompeji4'  p.  408.  Mazois  I  tav.  4. 


SEPOLCRI   DELLA   VIA   NUCERINA  127 

trovano  apparecchi  per  versarvi  le  libazioni.  Quello  di  N.  Velasio 
Grato  ha  nel  pavimento  della  nicchia  (alta  1,10)  avanti  al  cippo 
ad  erma  infissovi,  un  buco  rotondo  (diam.  0,04)  profondo  almeno 
m.  0,56.  Nella  nicchia  (a.  0,70)  del  sepolcro  adiacente  non  vi  fu 
mai  un  cippo ;  ma  nella  parte  piü  interna  e  un  poco  rialzata  del 
pavimento  evvi  presso  il  margine  anteriore,  poco  a  sin.  del  centro, 
un  simile  buco  rotondo,  dal  diametro  di  m.  0,03 ;  potei  esplorarlo 
fino  a  m.  0,15,  ma  e  senza  dubbio  piü  profondo  (').  Per  la  forma 
del  monumento  si  puö  anche  paragonare  la  nicchia  di  M.  Cerrinio 
Restituto  presso  la  porta  d'Ercolano  (2),  ove  perö  di  simili  appa- 
recchi non  v'era  traccia. 

3.  Incontro  al  n.  2  {Not.  d.  sc.  1887,  p.  453).  Sepolcro  a 
camera.  Sopra  un  basaraento  di  grandi  massi  di  lava,  quasi  tutto 
nascosto  nel  terreno,  ed  im  termine  di  tufo  (che  manca  snl  lato 
posteriore)  sorge  l'edifizio,  conservato  fino  all'altezza  massima  di 
m.  3,40  (compreso  il  termine),  di  pianta  quadrata  (m.  3,10)  con 
pilastri  (1.  0,35)  agli  angoli,  costruito  in  opera  incerta  con  angoli 
di  mattoni.  La  decorazione  e  di  stucco  bianco :  uno  zoccolo  a.  0,92, 
terminato  da  una  linea  impressa;  quindi  rettangoli  con  margine 
affondato,  a  base  stretta,  alti  1,47:  il  medio  ha  la  doppia  larghezza 
(1,24)  dei  laterali  (0,64  a  sin.,  0,55  a  d.),  rappresentati  come  in- 
completi,  vale  a  dire  senza  il  margine  sul  lato  esterno,  mentre  quello 
superiore  e  1' inferiore  si  estendono  fino  al  pilastro  angolare.  Se- 
guono  piccoli  rettangoli  giacenti :  ne  e  conservata  una  fila  e  parte 
della  seconda.  II  lato  N  e  liscio ;  dei  capitelli  e  della  trabeazione 
nulla  e  conservato.  Sulla  fronte  sono  incavate  nello  zoccolo  sud- 
detto,  immediatamente  sopra  il  termine  di  tufo,  tre  nicchie  a  volta, 
alte  m.  0,85,  profonde  0,50,  larghe  0,57,  quella  a  d.  0,55,  rive- 
stite  di  stucco  bianco,  anche  sul  piano,  che  soltanto  nella  nicchia 
a  d.  era  distrutto.  In  ognuna  stava  addossato  al  muro  di  fondo 
un  cippo  ad  erma  di  lava,  larghi  il  medio  e  quello  a  sin.  m.  0,29, 
quello  a  d.  0,25;  quest' ultimo  e  femminile,  caratterizzato  come 
tale  dal  nodo  dei  capelli,  e  sul  lato  anteriore  ornato  con  un  cer- 


(*)  Questa  seconda  tomba  e  posteriore  a  quella  di  Velasio  Grato,  per  il 
quäle  questo  sito  fu  preparato :  la  sua  iscrizione  fu  immessa  nella  sostruzione 
del  terreno  fin  da  quando  essa  fu  fatta. 

(2)  Overbeck-Mau  Pompeji4  p.  400. 


128  SCAVI   DI   POMPEI 

chio  rosso  presso  il  margine,  un  altro  poco  piü  in  dentro  e  qualche 
linea  poco  chiara.  Avanti  al  cippo  a  sin.  vedesi  nel  piano  un  buco 
rotondo,  del  diametro  di  m.  0,015,  che  conduce  verticalmente  in 
giü.  Nella  nicchia  a  d.,  ove  manca  lo  stucco  del  piano,  constatai  questa 
cannella  a  poca  profonditä;  non  la  vidi  nella  cella  media,  il  cui  piano 
fu  rotto  prima,  che  lo  esaminassi,  ma  non  v'ha  dubbio  che  quivi  pure 
esistesse.  Kiescono  queste  cannelle  nelle  volte  di  tre  nicchie  prati- 
cate  nella  parete  S  della  cella  sottoposta  al  monumento  e  contenenti 
ognuna  un'olla  di  terracotta  con  ossa  bruciate,  coperchiata  nella 
nicchia  0,  senza  coperchio  (cosi  mi  fu  riferito)  in  quella  E ;  quella 
media,  ricercata  da  sopra,  cadde  nella  cella  suddetta.  La  cella  non 
fu  da  me  visitata,  essendo  stata  aperta  e  richiusa  mentre  io  non 
stava  a  Pompei.  Essa  e  senza  rivestimento  di  stucco.  Rilevo  dalle 
Not.  d.  sc.  che  e  grande  m.  1,75  in  ogni  lato,  alta  fino  al  nascimento 
della  volta  cilindrica  2,65,  ed  era  accessibile  dal  lato  N  per  mezzo 
d'un'apertura  larga  m.  0,60,  alta  0,80  e  profonda  0,85,  praticata 
nella  grossezza  del  muro  di  fondazione  e  chiusa  esternamente  da 
una  lastra  di  lava  (m.  0,50  in  ogni  lato)  curva  superiormente  in 
armonia  con  l'andamento  della  volta,  messa  in  calce  ed  interrata. 
il  vuoto  anche  il  monumento  stesso,  e  fu  osservata  nell'interno 
(1,67  in  ogni  lato;  non  del  tutto  sgombrato)  una  piccola  rampa  di 
fabbrica  addossata  ai  lati  N  ed  E  (Not.  d.  sc.  1.  c).  Quest' ultima 
suppongo  che  fosse  fatta  per  comoditä  dei  muratori  mentre  il 
monumento  si  stava  facendo;  giacche  e  chiaro  che  questo  vano  non 
era  accessibile  da  alcuna  parte  e  non  aveva  altro  scopo  che  il  ri- 
sparmio  del  materiale.  Anche  qui  le  pareti  son  prive  d'intonaco. 
Abbiamo  dunque  qui  una  cella  sepolcrale,  la  quäle  per  le  sue 
dimensioni  sia  di  ampiezza  che  di  profonditä  non  sta  in  propor- 
zione  con  lo  scopo  cui  era  destinata,  di  contenere  cioe  poche  olle 
con  ossa  bruciate.  Era  necessaria  una  scala  portatile  per  discen- 
dervi,  e  di  nuovo  per  arrivare  dal  piano  della  cella  alle  nicchie  delle 
olle,  il  probabile  che  sepolcri  simili  fossero  immaginati  in  origine 
per  contenere  cadaveri  interi  e  che,  introdottosi  Vuso  della  crema- 
zione,  il  tipo  fosse  mantenuto,  adattandolo  alla  deposizione  delle 
ceneri  con  l'aggiunta  delle  nicchie  e  di  quel  singulare  apparec- 
chio  delle  cannelle.  L'intera  forma  di  questo  sepolcro  rammenta 
tre  monumenti  della  via  d'Ercolano,  tutti  e  tre  situati  sull'altura 
nel  bivio,  quello  cioe  di  Ceio  Labeone    (Overbeck-Mau   Pompeiji 


SEPOLCRI   DELLA   VIA   NÜCERINA  129 

p.  408  sg.),  quello  che  io  credo  di  Arria  (1.  c.  p.  408,  hc),  e  un 
terzo  che  rassomiglia  a  quest' ultimo  (1.  c.  p.  409,  hb). 

Del  sepolcro  di  L.  Ceio  Labeone  (5  sulla  pianta  Overbeck- 
Mau 4  p.  399)  e  distrutta  la  parte  superiore ;  si  crede  che  vi  fos- 
sero  collocate  alcune  statue  in  tufo  trovate  li  vicino  e  rassomi- 
glianti  a  quelle  provenienti  dallo  scavo  Pacifico.  La  parte  super- 
stite  ha  la  forma  d'un  edifizio  rettangolare  (4,20X3,72)  con  pila- 
stri  agli  angoli;  e  eretto  sopra  un  basamento  (5,18X4,50,  alto  sul 
lato  0  2,15:  vedi  la  figura  1.  c.  p.  409),  ü  quäle  perö  in  costru- 
zione  e  soltanto  un  rinforzo  addossato  esternamente  all' edifizio 
innalzato  prima  fin  dal  suolo  neue  dimensioni  della  parte  superiore. 
Ed  eravi  nel  centro  del  lato  0  un'apertura  a  volta,  come  una  finestra, 
a.  0,95,  1.  0,46,  chiusa  poi  mediante  quel  rinforzo  iu  modo  da 
lasciar  libera  soltanto  una  piccola  parte,  alta  m.  0,15  in  circa, 
alla  sommitä  della  volta,  formando  in  tal  modo  una  nicchia  interna 
che  per  quella  piccola  apertura  comunicava  col  di  fuori.  Ora  ognuno 
s'accorge  dell'analogia  che  passa  fra  questa  nicchia  e  quelle  con- 
tenenti  le  urae  del  nostro  sepolcro  n.  3 ;  pare  abbastanza  probabile 
che  qui  pure  fosse  collocata  un'urna  (jineraria,  o  due,  e  che  1' aper- 
tura servisse  per  le  libazioni.  Internamente  si  vedono  nella  parete 
opposta,  al  livello  del  suolo  esterno,  due  nicchie  a  semicerchio 
(a.  circa  0,50),  riempite  perö  anticamente  con  opera  incerta  di  lava. 
L'interno  del  monumento  e  tutto  unito,  tanto  sopra  che  sotto  terra ; 
non  e  del  tutto  sgombrato,  ma  certo  s'abbassa  di  alcuni  metri  sotto 
il  suolo.  Tutto  questo  merita  di  essere  esplorato  meglio. 

AI  tutto  simile  e  la  forma  del  monumento  adiacente  verso  NO, 
l'interno  del  quäle,  almeno  nella  parte  superiore,  non  fu  mai  sgom- 
brato. Sul  lato  0  evvi  immediatamente  sopra  il  basamento  un'aper- 
tura quadrangolare,  a.  0,44,  1.  0,45 ;  ma  mi  sembrö  evidente  che 
qui  pure  un'apertura  piü  grande  nel  muro  interno  fosse  chiusa  dal 
basamento  addossatovi,  in  maniera  da  lasciar  libera  soltanto  la  parte 
superiore.  Inoltre  evvi  sul  lato  N,  al  livello  del  suolo,  un'apertura 
murata  (anticamente?)  con  architrave  di  pietra  calcare,  a.  0,80, 
1.  0,70.  —  II  monumento  di  Arria  ha  nel  centro  del  muro  E,  a 
m.  0,08  sopra  il  basamento,  un'apertura  a.  0,25,  1.  0,25,  e,  mentre 
del  resto  il  muro  e  grosso  m.  0,75,  sotto  quest' apertura  non  mi- 
sura  piü  di  m.  0,15 ;  piü  in  dentro  non  v'e  altro  che  rottami  che 
possono  togliersi  con  la  mano  nuda;  cid  fu  esaminato  da  me  fino 


130  SCAVI   DI   POMPEI 

alla  profonditä  di  m.  0.20.  Pare  adunque  che  qui  pure  si  tratti 
d'una  nicchia  interna  con  apertura  nella  parte  superiore.  A  piombo 
sotto  quest'apertura  ve  n'e  un'altra  al  livello  del  suolo,  a.  0,62, 
1.  0,48,  con  architrave  di  pietra  di  Sarno,  murata,  se  non  isbaglio, 
in  tempi  moderni. 

4.  (Not.  d.  sc.  1887  p.  454).  Monumento  ad  arco  piano, 
piü  recente  del  n.  3,  sulla  faccia  E  del  quäle  e  dipinto  un  pro- 
gramma  elettorale  che  dopo  costruito  il  n.  4  non  era  piü  leggibile. 
E  eretto  sopra  im  basamento  a.  0,35,  che  sporge  di  m.  0,30  avanti 
il  monumento  stesso;  rassomiglia  moltissimo  al  n.  2:  soltanto  la 
cella,  prolungata  per  l'intero  monumento,  e  diventata  un  passaggio 
largo  0,96,  alto  2,01-2,06.  Ha  su  ciascuno  degli  angoli  anteriori 
tre  quarti  di  colonna  (15  scanalature,  diam.  0,40),  alta  fino  al 
capitello  (corinzio,  di  tufo,  non  bello)  2,87,  fino  all'architraYe  3,25, 
di  forma  piü  snella  ed  elegante  che  nel  n.  2.  Gli  angoli  posteriori 
qui  pure  hanno  mezze  colonne  addossate  alle  facce  laterali.  Due 
mensole  di  tufo  (0,63  X  0,20),  distanti  fra  loro  m.  1,72,  sorreg- 
gono  un  membro  sporgente  in  guisa  d'epistilio  a  m.  0,85  sopra 
l'ingresso.  L'architrave  sorretto  dalle  colonne  angolari  e  alto,  con  la 
sua  cornicetta,  0,22,  il  fregio  e  conservato  fino  all'altezza  di  circa 
m.  0,20.  La  larghezza  dell'intero  monumento,  comprese  le  colonne 
angolari,  e  di  m.  3,60,  la  profonditä  di  m.  2,60.  E  tutto  rivestito 
di  stucco  bianco.  Nella  parete  sin.  del  passaggio  son  praticate  due 
nicchie  a  volta,  distanti  dall'ingresso  m.  0,70  e  1,57,  alte  0,70, 
larghe  0,38.  In  ambedue  e  rotto  il  piano,  e  nella  prima  puö  sem- 
brare  che  vi  sia  stata  tolta,  o  almeno  cercata,  un'urna.  Nella  se- 
conda  la  rottura  e  poco  profonda,  ed  e  certo  che  nulla  fu  tolto. 

La  parte  fin  qui  descritta  aveva  anticamente  un  piano  supe- 
riore, i  cui  avanzi  furono  trovati,  un  poco  piü  a  d.,  in  mezzo  alla 
cenere  che  copriva  la  strada.  Vi  erano  avanzi  di  colonne  laterizie 
rivestite  di  stucco  bianco ;  due  capitelli  corinzii  di  colonne  e  due 
(uno  dei  quali  poco  riconoscibile  nei  particolari)  di  ante:  sono 
alti  0,39-0,42  e  dimostrano  un  diametro  superiore  di  m.  0,33. 
Inoltre  vi  si  trovö  parte  d'una  volta  (a  botte,  come  pare)  rivestita 
di  stucco  rosso ;  un  frammento  di  muro  grosso  m.  0,50,  rivestito 
di  stucco  bianco  con  strisce  rosse;  sette  antefisse  di  terracotta 
in  forma  di  palmette,  a.  0,24,  1.  0,12;  cinque  massi  di  tufo, 
a.  0,60, 1.  0,33,  senza  modanatura,  ma  che  evidentemente  formavano 


SEPOLCRI   DELLA   VIA   NUCERINA  131 

un  architrave:  in  uno  di  essi  e  conservato  lo  stucco  del  lato  rivolto 
in  giü,  e  sono  perfettamente  riconoscibili  quelle  parti,  libere  di 
stucco,  che  poggiavano  sui  capitelli.  Ve  ne  sono  quattro  con  un  lato 
obliquo,  in  modo  da  formare  due  angoli,  ed  uno  con  ambedue  i 
lati  ad  angolo  retto,  vale  a  dire  una  fila  composta  di  tre  massi, 
lunga  2,95,  e  ad  ogni  estremitä  di  essa,  ad  angolo  retto,  un  masso 
lungo  esternameote  m.  1,00-1,10.  Pare  che  uno  di  questi  ultimi 
fosse  quello  summentovato  con  lo  stucco  conservato :  la  distanza  fra 
il  capitello  della  colonna  angolare  e  quello  dell'ante  era  allora  di 
m.  0,65.  Pur  troppo  gli  avanzi  della  volta  e  dei  muri  dovettero 
spezzarsi  per  essere  trasportati ;  nondimeno  appena  puo  esservi  un 
dubbio  sulla  forma  architettonica  da  essi  attestata :  era  una  celletta 
o  nicchia  a  volta  che  occupava  la  parte  posteriore  (quasi  z/z)  del- 
l'edifizio,  preceduta  da  quattro  colonne  poste  sul  margine  anteriore 
e  sormontate  dall' architrave  ora  menzionato.  Infine  vi  si  raccolsero 
quattro  statue  di  tufo  rivestite  di  stucco  bianco,  alte  1,85-2,10: 
un  uomo  vecchio,  un  uomo  di  media  etä,  un  uomo  giovane,  una 
donna ;  nei  due  ultimi  e  conservato  il  color  paonazzo  di  cui  son  dipinti 
i  capelli  e  gli  occhi;  giacevano  al  di  sopra  degli  altri  ruderi,  con 
le  teste  verso  il  monumento,  e  sono  poco  danneggiate;  e  necessario 
quindi  supporre  che  fossero  collocate  in  cima  all'intero  monu- 
mento. Gli  uomini  sono  vestiti  di  toga  e  tunica  nel  solito  Schema: 
afferrano  con  la  d.  quella  parte  della  toga  che  attraversa  il  petto 
e  reggono  un  rotolo  nella  sin.  protesa,  ornata  dell'anello.  La  donna 
ha  i  capelli  spartiti  sulla  fronte ;  regge  con  la  d.  avanti  al  petto 
il  margine  della  veste  che  cuopre  ambedue  le  spalle  e  la  testa. 

Nel  passaggio  che  attraversa  il  monumento,  appie  del  muro  sin., 
sotto  la  prima  nicchia,  stava  rivolto  ad  E  un  cippo  ad  erma  di 
marmo  con  l'iscrizione : 

TITO-L-  VESBINA 
e  dirimpetto,  appie  del  muro  d.,  un  altro  con  l'iscrizione : 

TITIA  »  >  <*L  *  OPTATA 
Un  terzo  piü  grande  stava  poco  piü  in  dentro,  piü  vicino  al  muro 
sinistro  che  al  destro,  rivolto  verso  l'ingresso ;  la  sua  iscrizione  dice : 

L 
CAESIO  LL- 
LOGO 


132  SC  AVI   DI   POMPEI 

Gli  stava  avanti  per  terra  una  lastra  quadrata  (0,25)  di  marmo, 
ornata  d'un  cerchio  e  in  ogni  angolo  d'una  foglia.  Sotto  tutti  e  tre 
trovaronsi,  alla  profonditä  di  meno  d'iin  metro,  urne  di  terracotta 
cod  ossa  bruciate.  I  coperchi  erano  fermati  sul  margine  con  calce  ; 
sopra  quelli  delle  iirne  di  Optata  e  di  Logo  giaceva  uno  strato 
alto  0,01-0,02  di  calce  mista  con  arena.  Sotto  l'urna  di  Logo,  piü 
grande  di  quelle  delle  due  donne,  ve  ne  stava  un'altra  piü  piccola 
anche  di  quelle  altre  due,  e  sotto  questa  una  massa  simile  a  quella 
osservata  sui  coperchi,  con  pochi  avanzi  di  ossa.  Sotto  quella  di 
Optata  furono  trovati  tre  piccoli  balsamari  di  vetro.  In  tutt'e  quattro 
le  urne  giaceva  sopra  le  ossa  un  tessuto  flno  piegato  in  modo  da 
formareun  quadrato  di  circa  m.  0,12;  toccato  si  ridusse  in  polvere. 
Contenevano  ognuna  una  moneta,  ad  eccezione  di  quella  sottoposta 
all'urna  di  Logo:  una  irriconoscibile,  una  di  Augusto  (Cohen  I2 
p.  120,  n.  413-415)  ed  una  poco  riconoscibile  di  Tiberio. 

Piü  in  dentro  ancora,  sotto  la  seconda  nicchia,  stanno  rivolti 
verso  l'ingresso  due  cippi  ad  erma  di  lava,  dei  quali  il  piü  grande, 
a  sin.,  e  caratterizzato  dal  nodo  dei  capelli  come  femminile.  Avanti 
a  loro,  piü  corrispondente  a  quest' ultimo,  sta  per  terra  una  pietra 
di  lava,  m.  0,48  X  0,35,  di  forma  non  dei  tutto  regolare,  che  ha 
sul  lato  rivolto  ai  cippi  un  incavo  di  forma  quasi  rettangolare 
(0,04  X  0,06) :  pare  che  in  tal  modo  si  sia  voluto  segnare  il  posto 
ove  dovevano  versarsi  le  libazioni.  Forse  qui  furono  sepolti  L.  Cesio 
e  Tizia,  dei  quali  abbiamo  incontrati  i  liberti,  sia  che  fossero  con- 
iugi,  siano  madre  e  figlio;  i  loro  nomi  dovevano  essere  ricordati 
in  un'iscrizione  nella  parte  superiore  dei  monumento.  Finalmente 
un  piccolo  cippo  di  tufo  sta  dietro  il  monumento  addossato  al  ba- 
samento  dei  n.  3,  rivolto  ad  E.  Non  mi  Consta  che  sotto  questi 
tre  cippi  siano  state  fatte  delle  ricerche. 

5.  (Not.  d.  sc.  1887  p.  455).  Monumento  ad  arco,  piü  an- 
tico  dei  n.  4:  quella  parte  dei  lato  E  di  quest' ultimo  che  corri- 
sponde  al  n.  5,  con  parte  della  colonna  angolare,  e  priva  d'into^ 
naco ;  e  la  stessa  colonna  angolare  e  scanalata  soltanto  fino  all'al- 
tezza  dei  cornicione  dei  n.  5,  ed  ivi  ha  un  incavo  per  lasciar  posto 
al  cornicione  stesso.  Anche  il  basamento  dei  n.  4  e  evidentemente 
addossato  al  lato  posteriore  dei  n.  5.  Questo  e  largo  3,25,  profondo 
1,40,  alto  fino  a  tutto  il  cornicione  2,90  sul  lato  anteriore,  3,15 
di  dietro,  ove  il  terreno  s'abbassa;  non  ha  basamento.  II  cornicione, 


SEPOLCRI    DELLA    VIA    NUCERINA  133 

di  forma  semplicissima,  ha  m.  0,22  di  altezza  e  altrettanto  di  spor- 
geDza,  e  sotto  di  esso  stendesi  una  fascia  sporgente,  a.  0,17,  che 
manca  sul  lato  di  dietro.  Nel  mezzo  evvi  un  passaggio  a  volta  a 
tutto  sesto,  senza  pavimento,  alto  (all'estremitä  posteriore)  1,65, 
largo  1,14.  Tutto  questo  e  rivestito  di  stucco  bianco,  e  sulla  fronte, 
sopra  il  passaggio,  e  incastrata  una  lastra  di  marmo  (0,40  X  0,71) 
con  l'iscrizione: 


P  •  MANCI6  P  •  L  •  DIOGENI 

EX  •  TESTAMENTO  •  ARBITRATV 
MANCIAE  •  P  •  L  •  DORINIS 


La  parte  fin  qui  descritta  e  sormontata  da  tre  nicchie  di  pianta 
rettangolare,  aperte  verso  il  davanti,  precedute  da  un  gradino  a.  0,22, 
1.  0,12,  conservate  fino  all' altezza  di  m.  1,0,  larghe  0,58  e  0,59 
quelle  laterali,  0,90  la  media ;  quest' ultima  ha  appie  del  muro  di 
fondo  un  gradino  a.  0,35,  1.  0,45,  il  cui  lato  anteriore  e  rosso  con 
margine  giallo  di  sotto  ed  ai  due  lati.  Sono  rosse  anche  le  pareti 
della  nicchia  media,  meno  una  striscia  larga  0,28  lungo  i  margini 
anteriori  delle  pareti  laterali,  divisa  dal  resto  per  mezzo  d'una 
linea  graffita,  la  quäle  si  osserva  anche  nelle  altre  due  nicchie,  ove 
perö  le  pareti  sono  bianche.  Senz'alcun  dubbio  le  nicchie  dovevano 
contenere  statue;  e  credo  probabile  che  qui  fossero  colloeate  due 
statue  di  travertino,  delle  quali  l'una  di  donna,  priva  della  testa, 
fu  trovata  anteriormente  nel  sito  dello  scavo  in  discorso  ed  ora  sta 
nel  giardino  dell'albergo  del  Sole,  mentre  l'altra,  anche  di  donna, 
di  cui  e  conservata  la  sola  parte  superiore  del  tronco,  fu  incontrata 
in  questi  scavi  e  si  conserva  dalla  signora  Pacifico.  Esse  sole  tra 
le  statue  qui  trovate  potrebbero,  per  la  loro  poca  larghezza,  entrare 
nelle  nicchie,  e  le  stesse  loro  proporzioni  soverchiamente  allungate 
si  spiegano  bene,  supponendo  che  a  questo  luogo  fossero  destinate. 
Quella  piü  conservata  e  alta,  senza  la  testa  e  senza  il  piedistallo, 
m.  1,60  larga  0,44,  il  piedistallo  e  largo  circa  m.  0,56.  fi  evidente 
che  appartengono  ad  un  solo  monumento.  e  che  nulla  hanno  di 
comune  con  le  altre  statue  di  travertino  incontrate  nello  scavo  e 
provenienti  dal  monumento  n.  6. 

9 


134  SCAVI   DI   POMPEI 

Nell'area  posta  dietro  il  monumento  stanno  due  cippi  ad  erma 
di  lava:  uno,  piuttosto  grande,  di  faccia  al  passaggio,  presso  l'an- 
golo  sin.,  rivolto  a  S;  l'altro,  piccolo,  sta  rivolto  ad  0  nell'angolo 
fra  il  monumento  ed  il  muro  (a.  1,70)  che  lo  divide  da  quello  adia- 
cente  ad  E.  Avanti  äl  monumento,  sul  margine  della  strada,  stanno 
quattro  cippi  informi  di  lava. 

6.  (Not.  d.  sc.  1887  p.  456).  E  il  piü  grande  fra  tutti  questi 
monumenti.  Eretto  sopra  un  basamento  di  travertino  (m.  4,75  in 
ogni  lato,  a.  0,60)  ha  agli  angoli  tre  quarti  di  colonna  con  scana- 
lature  doriche,  e  due  mezze  colonne  addossate  ad  ogni  lato,  con 
distanza  un  po'  piü  grande  sul  lato  anteriore,  per  dar  posto  alla 
porta;  sono  alte  fino  ai  capitelli  (che  mancano)  m.  3,40-45.  L'intero 
monumento  e  rivestito  di  stucco  bianco;  un  basso  zoccolo  e  termi- 
nal» all'altezza  di  m.  0,60  da  una  linea;  linee  simili  formano  da 
m.  2,60  in  su  tre  file  di  rettangoli  a  base  larga.  La  porta  (0,61  X  1,50), 
gli  stipiti,  l'architrave,  che  sporge  in  ogni  lato,  e  la  soglia  (a.  0,24) 
sono  di  ■  travertino  ■  con  superficie  ruvida ;  la  porta  e  a  un  sol 
battente,  ma  ne  imita  due,  ognuno  a  due  specchi ;  su  quello  a  sin. 
l'anello  di  ferro  (diam.  0,07)  sta  intorno  ad  una  sporgenza  emisfe- 
rica;  sull'altro  e  imitato  nella  pietra.  Presso  il  margine  inferiore 
dello  specchio  superiore  a  sin.  evvi  il  buco  della  toppa,  sotto  il 
quäle  internamente  scorreva  il  chiavistello  sorretto  da  due  rampini 
di  ferro  (a.  0,07)  di  cui  sono  conservate  le  estremitä  fermate  con 
piombo;  nello  stipite  osservasi  il  buco  corrispondente  (0,07X0,035). 
t,  conservato  il  cardine  inferiore  nel  suo  cilindretto  di  bronzo 
(diam.  0,13),  mentre  di  quello  superiore  non  e  rimasto  che  il  piombo 
con  cui  era  fissato.  Per  questa  porta,  che  e  rimasta  chiusa,  si 
entrava  in  un  piccolo  vano  lungo  m.  1,15,  largo  072,  alto  2,27 
coperto  a  volta,  che  da  accesso  alla  scala,  larga  0,60,  la  quäle  con- 
duceva  alla  parte  superiore  del  monumento.  Sopra  un  gradino 
verso  0,  cinque  verso  N ,  quattro  (conservati)  verso  E  si  ragginge 
l'altezza  del  sommoscapo  delle  colonne:  manca  dunque  un'ultima 
rampa  rivolta  verso  S,  corrispondente  all'altezza  dei  capitelli  e  della 
trabeazione.  Incontro  all'ingresso  evvi  un  buco  fatto  posteriormente, 
e  un  altro  piü  piccolo  nel  primo  angolo  a  sin.;  ambedue  potevano 
servire  per  collocarvi  un  lume. 

Nella  parte  superiore  del  monumento  dovevano  essere  collo- 
cate  tre  statue  di  travertino  raccolte  avanti  ad  esso  nella  cenere 


SEPOLCRI   DELLA   VIA   NÜCERINA  135 

(cf.  sopra  p.  121)  alla  distanza  di  m.  1.  Una,  che  e  intera,  rappre- 
senta  un  uomo  (m.  1,96  con  la  base)  con  la  cista  ai  piedi,  im  rotolo 
nella  d.,  l'anello  nell'anulare  sin.;  un'altra  e  figura  di  donna;  della 
terza,  che  e  virile,  non  rimane  altro  che  il  tronco.  Provengono  dalla 
parte  superiore  cinque  capitelli  di  tufo  alti  0,40  e  che  denotano 
un  diametro  superiore  di  m.  0,33.  Se  ne  faceva  parte  il  masso 
curvo  menzionato  sopra  (p.  123)  e  al  quäle  non  saprei  per  ora  asse- 
gnare  altro  posto,  allora  la  parte  conservata  era  sormontata  da 
un  tempietto  rotondo,  sotto  il  quäle  stavano  le  statue,  precisamente 
come  nel  monumento  dei  Griulii  a  St.  Remy  (Denkm.  d.  Inst.  I, 
tav.  13,  14).  Forse  altri  avanzi  si  tro verebben)  allargando  lo  scavo 
verso  E ,  com'anche  quelli  del  n.  4  furono  incontrati  a  d.  del  mo- 
numento stesso. 

II  monumento  non  fu  trovato  intatto.  Parte  della  volta  che 
copriva  la  scala  era  rotta,  e  vi  si  trovö  terreno  giä  smosso,  e  mi- 
schiati  fra  questo  tre  teschi  umani  e  vari  teschi  ed  altre  ossa  di 
animali  di  diverse  specie,  un  vaso  di  terracotta  rotto  (che  non  vidi), 
due  monete  di  Domiziano  ed  uno  dei  soliti  piccoli  balsamari  di  vetro. 

La  parte  conservata  non  mostra  il  posto  destinato  alle  ceneri: 
la  celletta  summentovata  non  e  altro  che  il  passaggio  per  arrivare 
alla  scala.  E  siccome  non  e  credibile  che  le  ceneri  fossero  conser- 
vate  nella  parte  superiore,  cosi  bisogna  supporle  rinchiuse  in  una 
cella  contenuta  nel  basamento,  non  accessibile  e  non  visibile  dal 
di  fuori.  Esempi  simili  non  mancano  neppure  sulla  via  d'Ercolano: 
nel  monumento  delle  ghirlande,  nei  sepolcri  di  M.  Arrio  Diomede, 
degli  Allei  e  di  Calvenzio  Quieto  (Overbeck-Mau  Pompeji 4  p.  405. 
407.  410.  416)  non  si  vede  traccia  alcuna  della  cella  sepolcrale; 
e  pure  vi  debbono  in  qualche  modo  esser  contenute  le  ceneri. 

Qui  pure  avanti  al  monumento,  sul  margin  e  della  strada,  son 
visibili  tre  cippi  informi  di  lava,  maggiori  di  quelli  avanti  al  n.  5, 
ne  puö  dubitarsi  che  il  quarto  stia  nascosto  ancora  sotto  i  lapilli. 

Un  piano  superiore,  quäle  ci  risultö  per  questo  monumento  e 
per  il  n.  4,  pare  che  non  vi  fosse  in  alcuno  degli  altri,  neanche 
nel  n.  2,  tanto  somigliante  del  resto  al  n.  4;  almeno  non  ne  fu 
trovato  alcun  avanzo.  Invece  e  certo  che  il  sepolcro  di  Mamia 
(Overbeck-Mau  Pompeji  4  p.  402) ,  simile  per  la  sua  forma  esterna 
(non  per  il  modo  di  seppellire)  al  n.  6,  aveva  un  secondo  ordine, 
rotondo,  sorretto  da  colonne  ed  ornato  di  statue,  del  quäle  tuttora 


136  SCA.VI   Dl   POMPEI 

si  conservano  gli  avanzi  appie  del  monumento  stesso  (1).  Del  resto 
pare  che  il  gusto  dei  monumenti  a  piü  piani  fosse  di  poca  durata 
a  Pompei:  probabilmente  appartengono  tutti  al  regno  di  Tiberio. 
II  tipo  prediletto  dei  terapi  posteriori  e  quello  dell'altare,  che  prima 
si  fece  grande  —  cosi  il  primo  monumento  uscendo  dalla  porta 
d'Ercolano  e  quello  degli  Allei  (il  padre  duumviro  26  d.  C.)  —  poi 
piccolo  e  sovrapposto  ad  un  alto  basamento  contenente  la  cella  sepol- 
crale.  In  altre  parti  dell'orbe  romano  simili  monumenti  a  piü  piani 
furono  eretti  fin  da  tempi  piü  antichi ;  cosi  quello  giä  menzionato 
di  St.  Kemy. 

Aggiungo  ancora  che  avanti  al  n.  3,  piü  verso  0 ,  son  visibili 
fra  la  cenere  ruderi  che  debbono  provenire  dalla  parte  superiore 
di  un  sepolcro  adiacente  verso  0  al  n.  3,  e  sul  quäle  probabil- 
mente erano  collocate  anche  due  statue  di  tufo,  una  di  donna,  l'al- 
tra  d'uomo  giovane  (simile  alle  altre,  ma  con  la  toga  sopra  am- 
bedue  le  spalle) ,  trovate  nel  medesimo  sito.  "E,  probabile  che  di  lä 
provenga  anche  una  testa  d'uomo  giovane,  ma  non  posso  assicurarlo. 

Ad  E  del  n.  1  sono  apparse  due  colonne  angolari  e  parti  dei 
muri  d'una  tomba  assai  distrutta,  che  non  fu  interamente  scavata. 

Questi  sono  i  monumenti  finora  scavati  sulla  via  Nucerina. 
Quanto  all'architettura,  essi  si  dividono  in  due  classi,  una  piü  sem- 
plice  (n.  1,  3,  5),  con  pilastri  agli  angoli  o  anche  senza  questi, 
l'altra  piü  ricca  (n  2,  4,  6) ,  con  colonne  angolari  e  mezze  colonne, 
in  parte  anche  con  ordini  superiori.  Giä  per  ragioni  intrinseche 
la  classe  piü  semplice  dovrebbe  ritenersi  la  piü  antica;  ma  ab- 
biamo  visto  (p.  130.  132)  che  non  mancano  anche  argomenti  incon- 
trastabili  per  provare  la  posterioritä  del  n.  4  relativamente  ai 
nn.  3  e  5.  E  nella  seconda  classe  non  isbaglieremo  di  certo,  asse- 
gnando  gli  Ultimi  posti  ai  monumenti  piü  ricchi  ed  eleganti,  rite- 
nendo  cioe  posteriore  il  n.  4  al  n.  2,  ed  il  n.  6  al  n.  4.  Perö  anche 
il  n.  5,  che  fa  parte  del  gruppo  piü  antico,  non  pud,  per  la  paleo- 

(!)  Ciö  fu  avvertito  al  tempo  dello  scavo  dal  Lavega,  il  quäle  scriveva 
il  6  giugno  1770  (Pomp.  ant.  hist.  I  2,  p.  117):  «  Le  statue  trovate  in  questo 
«  contorno  dovevano  restare  nella  sommitä  della  cella  del  sepolcro,  dove  face- 
«  vano  ornato  piü  colonne  di  piperno  rivestite  di  stucco  d'ordine  corintio,  che 
«  reggevano  una  cornice  circolare  della  stessa  materia,  come  apparisce  da  piü 
«  avanzi  che  si  sono  trovati  di  tali  parti,  quali  si  conservano  vicino  allo 
«  stesso  sito  ». 


SEPOLCRI    DELLA   VIA   NÜCERINA  137 

grafia  della  iscrizione  di  L.  Mancio  Diogene,  rimontare  all'epoca 
republicana. 

Quanto  al  modo  di  seppellire,  ne  abbiamo  trovato  uno  tutto 
speciale  nel  n.  3,  forse  il  piü  antico  di  tutti  questi  sepolcri.  Vanno 
d'accordo  fra  loro,  con  piccole  differenze,  1,  2,  4,  5,  mentre  dif- 
ferisce  di  nuovo  6,  probabilmente  il  piü  recente.  Tutti  quanti  ap- 
partengono  ai  tempi  della  cremazione  e  contengono  ossa  combuste. 
E  naturale  perö  che,  introdottosi  il  costume  della  cremazione,  il 
modo  di  deporre  le  ceneri  fosse  per  qualche  tempo  influenzato 
dagli  antichi  costumi,  formatisi  all'epoca  dell'inumazione  di  cada- 
veri  non  combusti,  e  che  a  mano  a  mano  soltanto  si  formasse 
un  tipo  di  sepolcri  adattato  al  nuovo  costume  (1).  Per  cadaveri 
non  combusti  il  piü  naturale  era  o  di  inumarli  entro  una  cassa 
nella  nuda  terra,  o  di  deporli  in  camere  non  accessibili  e  senza 
contatto  con  Varia.  Invece  gli  avanzi  del  rogo  potevano  restare  ac- 
cessibili; poteva  svilupparsi  l'uso  di  versare  le  libazioni  sulle  ce- 
neri stesse.  II  tipo  perfettamente  adatto  a  questi  nuovi  costumi 
era  la  cella  accessibile  con  loculi  per  collocarvi  le  olle  con  coper- 
chio  amoYibile,  le  quali,  per  maggiore  sicurezza,  potevano  anche  es- 
sere  incastrate  nel  muro  (2),  come  nei  colombarii  delle  grandi  ca- 
mere sepolcrali  di  Koma. 

Questo  tipo  perfettamente  sviluppato  della  tömba  a  cremazione 
non  s'incontra  fra  i  monumenti  della  via  Nucerina ;  e  sulla  via 
Ercolanese  soltanto  nei  piü  recenti.  Fra  quelli  press'a  poco  contem- 
poranei  ai  nostri,  l'unico  esempio  e  la  tomba  di  Mamia,  che  visse 
ai  tempi  di  Augusto  (C.  I.  L.  X,  816),  ma  pud  benissimo  esser 
morta  alquanto  piü  tardi.  Pompei  dunque  in  questo  riguardo  non 
andava  di  pari  passo  con  Roma,  ma  era  rimasta  alquanto  in  dietro. 
Troviamo  qui  l'inumazione  delle  ceneri  nella  terra  col  monumento 
costruitovi  sopra,  in  modo  da  lasciarne  accessibile  il  posto,  e  la 


(l)  Tale  influenza  dei  costumi  dipendenti  dall'inumazione  sul  modo  di 
conservare  le  ceneri  si  fece  viva  nuovamente  in  epoca  posteriore,  quando  fu 
ripresa  l'inumazione :  allora  qualche  volta  i  vasi  cinerarii,  e  specialmente  quelli 
di  materiali  preziosi  si  misero  entro  sarcofaghi.  Piranesi  Ant.  d.  Roma  II 
33.  35  D.  Ficoroni  Bolla  tforo  p.  7.  34. 

(*)  Di  questo  l'unico  esempio  pompeiano  e  il  sepolcro  rotondo:  Mazois 
I  tav.  28.  Overbeck-Mau  Pompeji 4  p.  419.  Pomp.  ant.  hist.  I,  3,  92  sg. 
(29  ag.  1812). 


138  SCAVI  DI   POMPEI 

deposizione  in  una  cella  non  accessibile,  quei  modi  cioe  che  possono 
credersi  in  uso  fin  dai  tempi  dell'inumazione  dei  cadaveri  non 
combusti. 

Anche  i  sopradescritti  apparecchi  per  le  libazioni  possono  in 
parte  derivare  dai  tempi  dell'inumazione.  Che  cioe  fin  d'allora 
avanti  ad  un  cippo  sepolcrale  una  piccola  superficie  destinata  a 
riceverle  fosse  custodita  con  una  lastra  di  pietra,  come  avanti  al 
cippo  di  Cesio  Logo,  e  che  sotto  di  essa  un  tubo  discendesse  fino 
ad  una  certa  profonditä,  che  perfino  vi  fosse  modo  di  versarle  entro 
una  cella  sepolcrale,  tutto  questo  e  possibile.  Invece  che  fin  da 
quel  tempo  si  sia  voluto  raggiungere  il  morto  stesso,  se  ne  puö 
almeno  dubitare  (*);  tanto  piü  che  tale  desiderio,  che  poi  produsse 
le  camere  accessibili,  non  era  neanche  generale  al  tempo  delle 
nostre  tombe  e  si  manifesta  soltanto  nel  tubo  di  piombo  del  n.  2, 
e  forse  nell'olla  senza  coperchio  del  n.  3;  del  resto  si  contenta- 
vano  di  versare  nella  terra  o  sul  coperchio  dell'olla. 

Non  e  questa  la  prima  volta  che  si  scuoprono  simili  appa- 
recchi per  le  libazioni.  Furono  ricordate  sopra  (p.  127)  le  tombe 
di  N.  Velasio  Grato  e  l'altra  adiacente,  nelle  quali  non  sappiamo 
se  la  cannella  conduca  fin  sopra  le  ceneri  stesse  ovvero  sopra 
un'olla  coperta.  E  certo  invece  che  un  tubo  di  creta,  chiuso 
superiormente  con  un  coperchio,  conduceva  fin  sulle  ceneri  di 
Fortunato  (C.  I.  L.  X  1012)  riposte  presso  la  tomba  di  Mamia 
fra  due  tegole  (P.  a.  h.  I,  1  p.  238,  21  apr.  1770).  A  Roma 
l'uso  di  lasciare  accessibili  le  ceneri  era  generale  nell'epoca  dei 
colombarii,  e  si  mantenne  per  molto  tempo.  Nelle  nicchie  dei 
colombarii  le  olle  avevano  il  coperchio  amovibile.  Quando  perö 
erano  immesse  nel  pavimento,  o  in  un  gradino  che  girava 
appie  delle  pareti,  allora  erano  coperte  con  lastre  di  marmo 
contenenti   l'iscrizione  e  munite   d'una   piccola    concavitä,  spesso 

(*)  Bartoli  Sepolcri  46:  «...  nel  pavimento  sopra  dette  casse  vi  era 
«  il  suo  chiusino  al  quäle  erano  sottoposti  canali  di  terra  cotta  corrispondenti 
u  sopra  la  testa  del  defonto  per  versarvi  sopra  liquori  di  vino  e  latte  ne'  loro 
«  anniversari  ».  La  tavola  rappresenta  un  sarcofago  corrispondente  con  la  su- 
perficie mediante  un  tubo  rettangolare  chiuso  da  una  lastra.  Senza  dubbio 
qui  si  tratta  del  tempo  nel  quäle  si  era  di  nuovo  incominciato  ad  inumare  i 
cadaveri  incombusti,  ed  i  costumi  erano  influenzati  dall'uso  fin  allora  prevalso 
della  cremazione. 


SEPOLCRI   DELLA   VIA   NUCERINA  139 

foggiata  a  guisa  di  patera,  che  ha  nel  fondo  uno  o  piü  piccoli 
fori  (1).  Fra  i  numerosi  esempi  di  tal  genere  sono  molti  Iulii 
e  Claudii,  non  pochi  Flavii,  e  noa  mancano  neppure  gli  Ulpii  (2); 
gli  Aelii  ed  Aurelii  (3)  non  possono  con  certezza  riferirsi  ai  tempi 
di  Adriano  e  degli  Antonini.  Perö  anche  queste  olle  s'incontrano 
chiuse  con  un  piccolo  coperchio  o  tappo  (4).  Anche  alcune  urne  di 
pietra,  quali  spesso  si  deponevano  nelle  camere  dei  colombarii,  mo- 
btrano  fori  destinati  evidentemente  al  medesimo  uso  (5).  Ne  mancano 
cippi  contenenti  le  ceneri,  fatti  in  modo  da  lasciar  queste  ultimo 
accessibili ;  cosi  in  un  sepolcreto  recentemente  scoperto  a  Cartagine 
in  ognuno  dei  cippi  murati  erano  rinchiuse  piü  olle,  ognuna  delle 
quali  mediante  un  tubo  di  terracotta  stava  in  comunicazione  con 
l'aria  (6).  Nel  cippo  della  Galleria  lapidaria  dei  Vaticano  che  porta 
l'iscrizione  C.  I.  L.  VI  21433  {Liviae  Seruandae  Ti.  Claudius 
Epaphroditus  ecc.)  e  scolpita  sulla  superficie  una  patera  che  ha 
nel  centro  un  foro  circolare  di  cui  non  ho  potuto  constatare  la 
profonditä  (almeno  m.  0,06).  Siccome  il  cippo,  a  quel  che  pare, 
e  massiccio,  cosi  bisogna  supporre  che  il  foro,  passando  per  l'intero 
cippo,  lasciasse  passare  i  liquidi  nella  terra  sottostante,  ove  erano 
sepolte  le  ceneri.  Similmente  un  altro  cippo  trovato  nel  sepolcreto 
di  vigna  Amendola  (VI  7524  Caecüiae  Speratae  ecc.)  ha  nel  fondo 
della  patera  tre  fori,  due  piccoli  ed  uno  piü  grande,  che  interior- 
mente  s'allarga :  pare  dunque  che  vi  sia  un  vuoto  nel  cippo  stesso, 
cid  che  potrebb'essere  verificato  soltanto  rimovendolo  dal  luogo  ove  e 


0)  Fabretti  [nscr.  c.  2.  Bartoli  Sepolcri  12.  Campana  Due  sepolcri  II 
p.  72  seg.;  cf.  Piranesi  Ant.  d.  Borna  II  7,  14.  Molti  esempi  se  ne  trovano 
nel  vol.  VI  dei  C.  L  L. 

(2)  Ulpii  Aug.  lib.  C.  I.  L.  VI  8581;  ined.  nel  Museo  di  Palermo:  M. 
Ulpius  Aug.  lib.  Demetrius  (cf.  C.  I.  L.  X  1088*)  Cf.  anche  (oltre  Fabretti 
n  65)  ined.  Gall.  lap.  Ulpia  Calliste.  Murat,  1230,  10  (Mus.  Capit.).  Debbo 
questi  esempi  al  dott.  Hülsen. 

(3)  C.  I.  L.  VI  10633.  10912.  13098.  13211. 

(4)  Bartoli  Sepolcri  14. 

(5)  Fabretti  1.  c.  Gatti  Bull,  comun.  1886  p.  397.  L'urna  C.  I.  L.  VI 
13573  {T.  Bettuedio  Vestali,  Mus.  Chiaram.)  ha,  come  mi  comunica  il  dott. 
Hülsen,  nel  coperchio  un  incavo  circolare  (diam.  0,05)  con  quattro  piccoli 
fori  irregolari. 

(6)  Delattre  De  Vutilite'  d'une  mission  arche'ologique  permanente  ä 
Carthage,  Alger  1881  e  Eph.  epigr.  V  p.  106. 


140  SC  AVI  DI   POMPEI 

murato.  Un  simile  foro  che  s'allarga  interiormente,  lo  osservai  nel 
centro  della  patera  scolpita  sulla  superficie  del  cippo  C.  I.  L.  VI 
24656  (Pomponiae  Chiae  ecc).  Vi  si  aggiunge  il  piccolo  cippo 
G.  I.  L.  VI  16349  (Cornelia  Amethyste  secura)  la  cui  conoscenza 
debbo  aU'amico  dott.  Hülsen.  Esso  dev'essere  stato  appoggiato  ad 
un  muro :  ha  nel  lato  posteriore  un  incavo  largo  e  profondo  circa 
m.  0,06,  che  discende  fino  in  basso  ma  non  si  estende  fino  alla 
superficie,  con  la  quäle  comunica  per  mezzo  d'un  piccolo  foro 
corrispondente  nel  centro  d'un  incavo  circolare  scolpito  ivi  presso 
il  margine  posteriore.  II  cippo  C.  I.  L.  VI  15479  (Claudiae 
siadi  ecc.)  ha  nella  superficie,  che  doveva  essere  coperta,  tre  piccoli 
buchi  per  fermare  probabilmente  il  coperchio,  e  nel  centro  un  foro 
grande,  circolare  (diam.  circa  7  cm.),  di  cui  non  potei  esplorare  la 
profonditä  (!). 

Dacche  ho  parlato  dei  varii  modi  di  seppellire  usati  a  Pompei, 
sarä  utile  che  qui  si  inserisca  una  breve  notizia  intorno  ad  una 
tomba  la  quäle,  scoperta  fin  da  lungo  tempo,  fu  nell'estate  pas- 
sata  dietro  mia  preghiera  aperta  ed  esplorata  (cf.  Not.  d.  sc.  1887 
p.  412  sg.).  E  dessa  la  prima  a  d.  per  chi  esce  dalla  porta  d'Er- 
colano.  Sopra  un  basamento  (a.  0,90)  si  alza  un  corpo  rettangolare 
di  fabbrica,  rivestito  di  parallelepipedi  di  tufo,  con  termine  di  tra- 
vertino.  La  sua  forma  era  senza  dubbio  quella  d'un  grande  altare, 
del  quäle  si  pud  credere  che  facessero  parte  i  pulvinari  in  tufo  che 
tuttora  si  conservano  appie  del  monumento  stesso.  II  basamento  e 
rivestito  di  due  strati  di  massi  di  lava,  di  cui  il  superiore  ha  in 
altezza  piü  del  doppio  dell'altro  sottostante.  Pero  nel  mezzo  del 
lato  rivolto  al  muro  della  cittä  evvi  una  sola  pietra,  larga  0,68, 
che  corrisponde  allo  strato  superiore  ed  alla  metä  incirca  di  quello 
inferiore;  ciö  che  manca  di  sotto,  e  riempito  di  opera  incerta. 
Osservando  inoltre  che  le  facce  laterali  di  questa  pietra  convergono 

0)  E  istruttiva  per  simili  apparecchi  ana  notizia  del  Bianchini  (comu- 
nicatami  dal  dott.  Hülsen)  relativa  al  cippo  C.  L  L.  VI  8421 :  sub  hoc  marmore 
in  arae  rnodum  praesecto  repertus  est  lapis  Tiburtinus  basis  loco  substratus 
et  ferro  duplici  adnexus  ajfuso  plumbo.  in  lapide  substrato  foramen  erat  ad 
suppositos  cineres  pervium.  ibidem  repertum  fuit  numisma  Hadriani.  La  lapide 
esiste  nel  Museo  capitolino,  non  per5  il  cippo  dal  quäle  fu  tagliata.  Lo  stesso 
dott.  Hülsen  mi  avverte  che  apparecchi  simili  a  quelli  sopra  descritti  si  tro- 
vano  ancora  nei  cippi  C.  I.  L.  VI  12429  (Mus.  Chiar.).  12843  (M.  Chiar.).  20865. 
23731;  X  6597;  Passionei  110,  78  (M.   Valerio  Trophimo,  Mus.  Chiar.). 


SEPOLCRI    DELLA    VIA    NUCERINA  141 

verso  l'intemo,  sospettai  che  qui  fosse  l'ingresso  alla  camera  se- 
polcrale,  e  ne  parlai  all'amico  prof.  Sogliano,  il  quäle  dispose  che 
quella  pietra  fosse  rimossa.  Apparve  allora  un  tenue  strato  di  opera 
incerta,  e  rimosso  anche  questo,  un  passaggio  stretto  e  basso,  in 
modo  da  non  potervi  passare  che  curvandosi,  coperto  presso  l'ingresso 
da  una  volta  in  tufo.  Esso  imbocca  nell'estremitä  N  del  lato  stretto  E 
d'una  cella  quadrilunga,  situata  a  livello  alquanto  piü.  basso,  di 
modo  che  per  arrivarvi  bisognava  scendere  due  gradini,  di  cui  l'ultimo 
e  molto  alto.  La  cella  coperta  di  volta  a  botte  (0  a  E)  ha  le  pareti  ri- 
vestite  di  stucco  bianco,  e  cosi  anche  il  passaggio.  In  ognuno  degli  an- 
goli  SO  e  SE  stava  un  mucchio  di  terra  e  in  que3to,  appena  visibile, 
un'urna  di  piombo  (l'una  a.  0,36,  diam.  0,33,  l'altra  a.  0,26,  diam. 
0,28)  contenente  un'olla  di  terracotta  col  coperchio  capovolto  e  fer- 
mato  da  uno  strato  di  calce.  Nell'angolo  SO  il  vaso  di  terracotta, 
piü  piccolo  di  quello  di  piombo,  era  involto  in  un  panno,  del 
quäle  perö  non  si  fcrovarono  che  tracce,  e  lo  spazio  fra  ambedue 
i  vasi  era  riempito  della  stessa  terra  con  avanzi  del  rogo  che  co- 
priva  esternamente  le  urne  di  piombo.  Erano  cioe  frammisti  a 
questa  terra  carboni  di  legno,  avanzi  d'un  vaso,  o  cassetta,  di 
avorio  (fra  cui  una  testina  muliebre  a  rilievo  abbastanza  ben  con- 
servata,  cinta  di  diadema,  con  occhi  di  altra  materia,  e  qualche 
ornato  a  rilievo),  pezzetti  di  osso  lavorati,  avanzi  di  vasi  di  ter- 
racotta (circa  5  colli  di  piccoli  balsamari),  un  frammento  d'un 
vaso  di  vetro  e  molti  chiodi  di  ferro,  serviti  probabilmente  per 
la  costruzione  del  rogo. 

In  ognuna  delle  olle  fu  trovato  un  asse  di  Augusto :  il  sepolcro 
dunque  pud  credersi  press'a  poco  contemporaneo  a  quelli  della  via 
Nucerina,  e  conferma  come  in  uno  stesso  tempo  si  avessero,  quanto 
al  modo  di  seppellire,  idee  molto  diverse.  Questi  qui  credevano  ancora 
di  dover  coprire  di  terra  anche  le  ceneri,  mentre  quelli  che  costrui- 
rono  il  sepolcro  n.  3  della  via  Nucerina,  probabilmente  piü  antico, 
ne  fecero  a  meno.  Non  ritenevano  inveee  necessario  che  le  liba- 
zioni  potessero  giungere  alle  ceneri  stesse,  o  spargersi  nella  terra 
circostante,  mentre  ciö  e  stato  procurato  in  tutti  i  sepolcri  della 
via  Nucerina,  meno  che  nel  n.  6. 

Mentre  pochissime  sono  le  iscrizioni  graffite  e  dipinte  trovate 
sui  sepolcri  fuori  la  porta  d'Ercolano,  qui  inveee  abbondano.  Furono 
pubblicate  dal  prof.  Sogliano  Not.  d.  sc.  1.  c. 


142  SC  AVI   DI   POMPEI 

Fra  le  dipinte  prevalgono  qui  come  entro  Pompei  i  programmi 
elettorali.  Vi  sono  poi  due  programmi  gladiatorii,  un  avviso  rela- 
tivo  ad  una  cavalla  smarrita  e  ritrovata,  finalmente  alcune  che  non 
hanno  il  carattere  di  programmi.  I  programmi  di  L.  Munazio  Ceser- 
nino  e  qualche  acclamazione  e  cose  simili  potrebbero,  per  la  loro  pa- 
leografia,  appartenere  agli  Ultimi  tempi  di  Pompei.  Tutti  gli  altri 
programmi,  sia  elettorali  che  gladiatorii,  e  senza  dubbio  anche  l'an- 
nunzio  relativo  alla  cavalla,  sono  piü  antichi,  ed  interessanti  perciö 
anche  dal  lato  paleografico.  I  programmi  poi  non  si  riferiscono  a 
Pompei,  ma  a  Nuceria :  in  uno  dei  programmi  elettorali,  ripe- 
tuto  quattro  volte,  e  in  uno  dei  programmi  gladiatorii  ciö  e  detto 
espressamente,  e  dobbiamo  supporlo  anche  per  gli  altri,  i  cui  nomi 
sono  estranei  ai  programmi,  tanto  numerosi,  di  Pompei.  E  ciö  e 
tanto  piü  interessante,  essendo  scarsissime  le  iscrizioni  di  Nuceria. 
Uno  dei  programmi  gladiatorii  pare  che  si  riferisca  a  Nola. 

Fra  i  programmi  elettorali  uno  e  anteriore  al  monumento  n.  4 ; 
si  trova  due  volte  sul  n.  3,  una  volta  sulla  facciata,  l'altra  sul  lato 
destro,  ove  dopo  l'erezione  dei  n.  4  divenne  iuvisibile: 

1.  L  •  LVSfVM  SATVRN  •  PP  •  VB  oT 

Le  lettere  sono  evanescenti,  ma  dopo  un  esame  spesso  ripetuto  le 
due  P  mi  sembrano  certe  nel  secondo  esemplare,  mentre  le  tracce 
dei  primo  non  contradicono.  L.  Lusio  Saturnino  dunque  sarebbe 
stato  primipilare :  la  menzione  di  una  carica  tenuta  in  antecedenza 
e  estranea  ai  programmi  di  Pompei,  mentre  qui  forse  se  ne  ha 
un  secondo  esempio.  VB  nel  secondo  esemplare  sono  scritte  in  nesso. 
Non  saprei  paragonare  la  paleografia  di  questo  programma  con 
quella  di  alcuno  fra  gli  altri  o  fra  quelli  conosciuti  prima. 

AI  disopra  dei  passaggio  dei  n.  5  sta  scritto  con  grandi  lettere, 
in  modo  da  occupar  l'intera  fronte: 

2.  C-TAMPIVM    SABEINVm 

TRIPLE-V-BO 
V  •  V  •  FACIA 

II  carattere  specialmente  della  prima  riga  ricorda  molto  quello  dei 
programmi  antichissimi  (C.  I.  L.  IV  tav.  I,  1).  Nondimeno  crederei 


SEPOLCRI   DELLA   VIA   NÜCERINA  143 

questo  programma  posteriore  al  precedente,  parte  per  la  conser- 
vazione  molto  migliore,  parte  per  la  considerazione  che  chi  scrisse 
due  volte  il  programma  di  Saturnino  sul  n.  3  probabilmente  non 
avrebbe  risparmiato  il  n.  5,  se  in  quel  tempo  giä  avesse  esistito. 
E  chiaro  che  l'ortografia  Sabeinum  e  doyuta  all'influenza  osca.  A 
ragione,  credo,  il  prof.  Sogliano  {Not.  d.  sc.  1887  p.  38)  rico- 
nosce  nel  tri.  ple.  la  magistratura  urbaaa,  aggiunta  al  nome  del 
candidato  per  meglio  raccomandarlo :  in  appoggio  della  sua  opi- 
nione  si  püö  addurre  il  primus  pilus  della  iscrizione  precedente  (!). 
Sopra  questo  programma,  a  d.,  e  un'altra  volta  sul  monumento 
n.  6  a  d.  della  porta  si  legge : 

3.  C  •  MAGIVM 
CELEREM-4t\B 

Sul  n.  6  la  terza  E  e  piü  piccola  delle  altre  lettere,  e  dopo  Ma- 
gium evvi  un  punto  a  guisa  di  virgola.  E  nuovo  il  segno  che  qui 
indica  la  carica  del  duumviro.  I  due  esemplari  differiscono  fra  loro 
quanto  alla  paleografia:  sul  n.  5  le  lettere  sono  grosse  ed  irre- 
golari,  sul  n.  6  piü  fine  e  di  forme  piü  regolari.  Credo  questo  pro- 
gramma posteriore  al  precedente :  mi  par  certo  cioe  che  sul  n.  5  fu 
posto  tanto  in  alto  perche  la  parte  piü  bassa  era  occupata  appunto 
dal  programma  di  Tampio  Sabino.  D'altra  parte  la  paleografia 
molto  differente  da  quella  dei  programmi  piü  recenti,  ed  il  color 
rosso-scuro,  che  ha  comune  col  precedente,  gli  assegnano  una  certa 
antichitä. 

A  d.  della  porta  del  monumento  n.  6  si  legge  in  lettere  eva- 
nescenti : 

4.  P  •  VITEUe'VM 

AN 
CONSTAN 
CONSTANTl 


(!)  Quest'ultimo  non  era  noto  al  Momrasen,  Staatsr.  III  p.  801  nota  3, 
il  quäle  perciö  cerca  di  spiegare  in  altro  modo  il  tri. ple.  della  nostra  iscrizione. 


144  SCAVI   DI   POMPEI 

fi  anteriore  al  programma  seguente  che  gli  e  sovrapposto: 

5.  L-MVNATIVM 

CAESERNlNVM 

NVCERIAEII-VIR 

QVINQiVB  OT 

L'identico  programma  e  ripetuto  sul  lato  Orientale  dello  stesso 
monumento,  e  la  medesima  candidatura  e  raccomandata  in  tre  altri 
programmi:  uno  sulla  fronte  del  n.  4,  su  ambedue  i  lati  del  pas- 
saggio  (Not.  d.  sc.  1887  p.  35,  4.  36,  12)  e  due  sul  n.  1,  cioe 
sul  lato  E  e  sulla  fronte  a  d.  del  passaggio  (1.  c.  1886  p.  335  a.  d); 
quest'  ultimo  dice: 

L  •  MVNATIVM 

QVINQJ  D  VB  Cf 
N  VCER 

Finalmente  sulla  fronte  del  n.  2,  a  sin.  del  passaggio,  si  legge  in 
lettere  evanescenti: 

6.  NIGRVM  ked 

II  P,  che  nelle    Not.  d.  sc.  1887  p.  35,7  vi  si  premette,  non  fa 
parte  della  stessa  iscrizione. 

Fra  i  programmi  gladiatorii  e  senza  dubbio  il  piü  antico  quello 
scritto  sulla  fronte  del  monumento  n.  3: 

7.  GLADPAR-XX  CuMONNI 
RVFI-PVG-NOIA-K-MAIS-VI 
V-NONAS-MAIAS-ET 
VENATIO 


ERIT 


Nella  seconda  riga  e  difßcile  non  credere  che  sia  indicata  Nola 
come  luogo  dello  spettacolo ;  pare  certo  perö  che  la  linea  orizzon- 
tale  della  L  non  vi  fosse  (cf.  il  frammento  C.  I.  L.  1187,  trovato 
tuori  la  porta  d'Ercolano,  com'e  riprodotto  Diss.  isag.  ad  Hercul. 
vol.  expl.  I  tav.  IX,  1).  Senz'alcun  dubbio  questo  programma  ri- 
sale  almeno  ai  primi  tempi  di  Augusto.  La  paleografia,  con  molti 
nessi,  e  affatto  differente  da  quella  dei  tituli  picli  recentiores  e 
molto  piü  s'accosta  a  quella  dei  programmi  antichissimi. 


SEPOLCRI   DELLA   VIA   NUCERINA  145 

L'altro  programma  gladiatorio  sta  scritto  sulla  parete  in  fondo 
alla  cella  del  monumento  n.  2,  ed  e  del  tenore  seguente: 

8NVMINI 

AVGVSTI 

GLAD  •  PAR  •  XX  •  ET  •  VENATIO  •  DAPOMPEI  ■  FLAMINIS  •  AVGVSTALIS 
PVGNAB-CONSTANT-NVCER-  III  •  PR«  NON 
NONIS  •  VIII  •  EIDVS  •  MAIAS 

NVCERINI  •  OFFICIA  '  MEA  •  CERTO  •  INDIIX 

Gli  Ultimi  segni  sono  poco  chiari.  Nella  3a  riga  non  posso 
leggere  che  DA  POMPEI  (la  D  come  C.  I.  L.  tav.  I,  II  3).  Per 
sapere  chi  fosse  l'Augusto  in  onore  del  quäle  fu  dato  questo  spet- 
tacolo,  non  abbiamo  altro  indizio  che  l'ortografla  eidus,  la  quäle 
consiglia  di  non  ritenere  il  programma  posteriore  a  Tiberio  (1). 
La  paleografia  non  aiuta :  essa  ne  ci  autorizza,  ne  ci  vieta  di  cre- 
derlo  sia  anteriore  sia  posteriore  a  quelli  p.  es.  di  Cn.  Alleio  Nigidio 
Maio(C.  /.  L.  IV,  1177-1180.  Not.  d.  sc.  1879  p.  281),  dei  quali 
del  resto  non  si  e  ancora  potuto  precisare  l'epoca.  II  nome  di 
Comtantia  Nuceria,  ovvio  qui  e  nel  n.  4,  finora  non  si  conosceva, 
che  da  testimonianze  d'epoca  posteriore. 

II  summentovato  avviso  relativo  ad  una  cavalla  e  scritto  sulla 
fronte  del  n.  3,  appena  sopra  le  tre  nicchie,  con  color  rosso  scuro, 
in  lettere  sottili  e  poco  regolari  con  qualche  forma  corsiva  fram- 
mistavi.  Lo  copiai  nel  modo  seguente: 

9-  DECEMBRES 

EQVA'SIQVEI  '  ABERAVIT  •  CVM  •  SEJWVNCIS'HONERATA  A  D-VII-KöL  «//////EMBRES 
CONVENITO-Q_DECIV-Q^L-HILARVJVl,///////////////VM'LI/////HIONEM-CITRA  PONTEM- 

SARNI  • 
FVNDO • 

mamian' 

(l)  La  parola  ricorre  spesso  nelle  iscrizioni  parietarie  di  Pompei;  ma 
eidus  si  legge  soltanto  G.  I.  L.  IV  2437  (37  a.  Cr.),  e  edus  1553  (21  d.  Cr.) 
e  2354  (d'epoca  ignota  ma  con  menzione  del  mese  Augustus).  Gli  Arvali  scri- 
vono  eidus  14  d.  Cr.,  idus  37  (?)  d.  Cr. 


146  SCAVI   DI   POMPEI 

Nella  prima  riga  fu  imperfettamente  cancellato  SEPTEMBRES. 
Nella  seconda  erano   menzionati   due  liberti  dimoranti  nel   fondo 

Mamiano :  aut  L VM  •  L  •  L  • . . .  e  HIONEM :  del  gentile  pare  che 

manchino  quattro  lettere,  e  tre  del  cognome.  DÄla  famiglia  dei 
Mamii,  che  aveva  dato  nome  a  quel  fondo,  conosciamo  la  sacerdo- 
tessa  Mamia  P.  f.  che  eresse  il  tempio  del  genio  d'  Augusto  e  fu 
sepolta  fuori  la  porta  d'Ercolano  (C.  I.  L.  X,  816.  998);  il  nome 
A.  Mamius  era  dipinto  nella  porta  di  Ercolano  (1.  c.  IV,  1222  add.). 
La  parola  semunciae  (piccolo  busto)  s'incontra  qui  per  la  prima 
volta  come  plurale  tantum. 

Pra  le  iscrizioni  che  non  hanno  il  carattere  di  programmi 
sarebbe  di  gran  lunga  la  piü  interessante  quella  dipinta  in  nero  a 
sin.  della  porta  del  n.  6,  se  fosse  meglio  conservata.  La  copia  che 
do  qui  appresso  e  il  risultato  di  lunghi  e  ripetuti  studi,  e  pure 
pochissimo  aggiunge  a  quella  del  prof.  Sogliano  pubblicata  nelle 
Not.  d.  sc.  1887  p.  39  n.  27. 

10.      BAfNEVS  AGRIPP Ag  VgEAT*  2!    T  SO  V 

~  No  TiiQl 

Qi  OICVP|^Ar'TIAVC     LENVS  AV 

PLVRA  •  SCRIP  gSBlfl 

RO^    •    CAfR  VOSg 

h 


> 

i— c 

z 


Delle  altre  di  questo  genere  tre  sono  acclamazioni  a  persone 
del  teatro. 

Sul  n.  4  a  d.  del  passaggio: 

11-  Paris  •  vnio  •  scaenae 

e  a  sin.  del  passaggio : 

12.  PAR///// 

Ca///// 


SEPOLCRI   DELLA    VIA   NÜCERINA  147 

Sul  n.  6.  a  d.  della  porta: 

13.  SCAENae  DOMINE 

VaLE 

Inoltre  sul  principio  della  parete  d.  del  passaggio  del  n.  4 
leggesi: 

14.  MVSICVS 
e  sotto  questa: 

15.  C  VLIVS 
ET  PIVS 

Quanto  alle  iscrizioni  graffite,  fra  cui  comprendo  quelle  trac- 
ciate  con  qualche  pietra  anche  colorata,  e  curioso  che  ne  abbonda 
il  n.  4,  mentre  mancano  quasi  del  tutto  sugli  altri  monumenti. 
Qui  pure  troviamo  alcune  acclamazioni  teatrali.  Incontriamo  prima 
di  tutto  il  giä  noto  pantomimo  Actius  Anicetus  (ad  C.  I.  L.  IV  2155 ; 
Bull.  d.  Inst.  1865  p.  179  sg.,  1874  p.  202)  il  quäle  pare  che  per 
qualche  tempo  avesse  lasciato  Pompei.  Leggiamo  cioe  a  sin.  del- 
l'ingresso al  n.  4: 

1.  ACTI  •  IHM H 

POPVLI  CITO 
REDI  W 

e  a  d.  dell'ingresso,  in  parte  sulla  colonna  angolare: 

2.  ACTI  DOMINVS 
SCAENICORVM 

Senza  dubbio  anche  nella  iscrizione  dipinta  riferita  qui  sopra 
(n.  13)  manca  il  nome  di  Actius.  Non  so  come  spiegare  l'epigrafe 
scritta  a  d.  dell'ingresso: 

3.  ARS  PVRRHICE  •  VA 


148  SC  AVI   DI    POMPEI 

ma  appena  si  puö  dubitare  che  non  si  tratti  di  C.  Cominius  Pyr- 
richus,  membro  appunto  della  compagnia  di  Actius  (C.  I.  L.  L  c). 
Forse  anche  le  iscrizioni  seguenti  si  riferiscono  ad  artisti  del  teatro. 
A  sin.  dell'ingresso : 

4  PHRASTE  VA 

POLE  VA 

Nel  passaggio  a  sin.,  sul  principio: 

5.  AMERINI  VA 

Di  queste  cinque  iscrizioni  le  quattro  prime  sono  scritte  con 
pietre  colorate,  1'ultima,  come  pare,  con  una  pietra  semplice,  o  con 
carbone. 

Sulla  parete  sin.  del  passaggio  si  legge  graffito: 


6. 

AGILIS 

MENSOR 

e  scritto  col  carbone: 

7. 

AGILIS 

e  graffito: 

8. 

PRIMVS 

MEN(sor?) 

Sulla   stessa  parete  sinistra  e  graffito: 

9.  INCLINABILITIIR 

CIIVIINTINABILITIIR 

Avverbi  simili  {amabiliter,  festinabüiterJ  fratrabüiter,  irruma- 
biliter:  C.  I.  L.  IV  659.  1928.  2032.  2374;  Ephem.  I  p.  177, 
n.  271 ;  cf.  C.  I.  L.  IV  2138)  pare  che  fossero  prediletti  a  Pompei. 
Questi  senz'alcun  dubbio  hanno  ambedue  un  significato  osceno ;  il 


SEPOLCRI    PELLA   VIA   NüCERINA  149 

primo  deve  egualmente  leggersi,  e  non  incurabüüer,  nel  graffito 
C.  I.  L.  IV  1322  =  1332  a  =  3034  c. 

Lascio  da  parte  le  rimanenti  iscrizioni  graffite,  essendo  esse 
di  nessun  interesse.  Furono  pubblicate  nelle  Not.  d.  sc.  dal  pro- 
fessore  Sogliano,  alle  cui  copie  nulla  potrei  aggiungere  che  valga 
la  pena. 

Le  scoperte  fatte  nel  fondo  Pacifico  hanno  arricchito  di  par- 
ticolari  interessantissimi  le  nostre  conoscenze  sul  modo  di  seppellire 
e  suU'architettura  dei  monumenti  sepolcrali,  hanno  dato  ricca  messe 
di  quelle  iscrizioni  dipinte  e  grafiite  che  ci  aiutano  tanto  a  render 
piü  vivo  e  presente  quel  quadro  della  vita  antica  che  coi  nostri  studi 
andiamo  formando  e  completando  serapre  maggiormente.  Sarebbe 
sommamente  desiderabile  che  uno  scavo  si  interessante  fosse  con- 
tinuato  e  condotto,  se  e  possibile,  fino  alla  porta  della  cittä.  E  giova 
sperare  che  ciö  sarä  fatto  in  un  avvenire  non  troppo  lontano. 

A.  Mau 


10 


0SSERVAZ10NI  SULL'ARCHITETTURA 
DEL    TEMPIO    DI    GIOVE    CAPITOLINO 


II  tempio  di  Giove  Capitolino,  fra  tutti  i  santuarii  di  Roma 
antica  il  piü  splendido  ed  il  piü  celebre,  ha  sofferto,  come  tutti  sanno, 
una  distruzione  piü  completa  di  quasi  tutti  gli  altri  tempi  prin- 
cipali  della  cittä.  Trent'anni  or  sono  non  poteva  neppure  stabilirsi  con 
certezza  il  luogo  dove  sorgesse ;  mentre  il  problema  topografico  ora 
si  puö  dire  risoluto  in  modo  definitivo  per  le  ricerche  fatte  dal 
eh.  Jordan  {Ann.  dell'Ist.  1876  p.  145  sgg.  colla  relazione  del- 
l'architetto  Schupmann,  p.  147-153;  Topographie  I,  2  p.  67  sgg.) 
e  dal  comm.  Lanciani  {Bull.  arch.  com.  1875,  p.  165  sgg.),  ma  poco 
si  sapeva  ünora  della  sua  decorazione  architettonica.  Le  descrizioni 
degli  autori  antichi,  le  piecole  immagini  dei  rilievi  in  marmo  come 
delle  monete  (Jordan,  Topogr.  I,  2  p.  87  sgg.)  non  danno  che  una 
idea  generale  dello  stile :  e  di  pezzi  originali  anche  negli  seavi  mo- 
derni  non  e  tornato  in  luce  altro  che  un  rocchio  di  colonna  di  marmo 
pentelico  ora  incastrato  nel  muro  di  divisione  fra  il  palazzo  Caffa- 
relli  ed  il  nuovo  Museo  Capitolino,  nonche  un  frammento  di  base 
attica,  ora  posseduto  dal  nostro  Istituto.  Furono  attribuite  inoltre 
per  congettura  del  eh.  dott.  E.  Dressel  {Bull.  dell'Ist.  1882,  p.  228) 
allo  stesso  tempio  quei  pezzi  di  trabeazione  trovati  alla  salita 
delle  tre  pile,  vicino  al  cancello  del  palazzo  Caffarelli  ed  ora  gia- 
centi  lungo  detta  strada. 

Scarse  sono  anche  le  memorie  sopra  ritrovamenti  ivi  fatti  ante- 
riormente.  La  piü  importante  fra  le  medesime  e  quella  di  Fla- 
minio  Vacca  (n.  65  Sehr.) :  ■  Me  ricordo  sopra  il  monte  Tarpeo 
al  pallazzo  dei  Conservatori,  verso  le  Carceri  Tulliane,  esservisi 
cavati  molti  pilastri  di  marmo  statuale,  con  aleuni  capitelli  tanto 
grandi,  che  in  uno  d'essi  io  vi  feci  il  leone  che  mi  fece  fare  Ferdi- 


OSSERVAZIONI   SÜLL'ARCHITETTURA   ECC.  151 

nando  Granduca  di  Toscana  nel  suo  giardino  alla  Trinitä  del  Monte 
Pincio;  e  delli  suddetti  pilastri  il  cardinale  Federico  Cesis  ne 
fece  fare  da  Vincenzo  de  Rossi  tutte  le  statue  et  profeti  che  al 
presente  si  trovano  in  Santa  Maria  della  Pace  alla  sua  capella. 
Si  diceva  essere  il  tempio  di  Giove  Statore.  Non  si  trovö  ne  corni- 
cioni,  ne  altri  segni  di  detto  tempio :  io  fo  giudicio  che  per  essere 
tanto  accosto  alla  rippa  del  detto  monte  si  siano  diruppati  da 
loro  stessi,  overo  dal  furore  de  Goti  precipitati:  puot' essere  ancora, 
per  qualche  accidente  non  fusse  finito  ». 

II  comm.  Lanciani,  aiutato  dalla  perizia  del  eh.  padre  Bruzza, 
ha  riconosciuto  che  le  scolture  mentovate  del  Vacca  sono  infatti 
di  marmo  pentelico,  locche  accerta  che  il  materiale  proviene  dal 
tempio  di  Giove  Capitolino.  Lo  stesso  Lanciani  aggiungendo  un'altra 
notizia  del  secolo  passato,  probabilmente  anch'essa  da  attribuirsi 
al  medesimo  santuario  (l),  non  pote  far  di  meno  di  lamentare  la 
barbarie  colla  quäle  furono  distrutti  si  nobili  avanzi  senza  nem- 
meno  trarne  im  ricordo  in  disegno. 

Vista  tale  scarsezza  di  notizie  non  credo  inutile  di  richia- 
mare  l'attenzione  dei  topografi  ed  architetti  sopra  due  disegni  antichi 
esistenti  nella  ricchissima  collezione  degli  Uffizi  a  Pirenze.  II 
primo  di  mano  di  Antonio  da  Sangallo  il  Giovane  (sched.  1215) 
non  e  che  un  semplice  bozzetto  di  due  linee  e  perciö  non  ho  rite- 
nuto  necessario  di  pubblicarlo  in  facsimile.  Esso  rappresenta  in 
grandezza  naturale  una  baccellatura  di  colonna  con  attiguo  listello. 
Importante  perö  e  la  postilla  autografa  del  Sangallo  che  dice  cos! : 

«  Questa  fu  la  colonna  del  tempio  di  Giove  Olimpico,  ehe 

*  Silla  arrecö  dalla  Grecia,  e  mise  in  Campidoglio,  trovata  da 
«  Ms.  Gio.  Pietro  Caferello  nel  giardino  de'  Conservatori  il  1° 

*  Gennaio  1545  » . 


(l)  Montagnani-Mirabili,  II  Museo  Capitolino  (1820)  vol.  I  p.  6  not. : 
«  Nell'anno  circa  1780,  nel  fabbricarsi  la  casa  in  via  Montanara  n.  13  allora 
appartenente  alla  casa  Lante,  vi  furono  ritrovati  gran  pezzi  di  cornicioni  di 
marmo  lavorati  perfettamente,  e  nel  fregio  erano  ornati  di  festoni  avvinti  a 
teschi  di  bue ;  questi  gran  cornicioni  neppure  furono  disegnati .  e  si  servirono 
per  altro  uso  di  questi  gran  raarrai  che  forse  avranno  appartenuto  allo  stesso 
edificio  citato  dal  Vacca  ».  La  certezza  dell'attribuzione  e  un  poco  minore  in 
questo  caso ;  essendo  il  luogo  del  ritrovamento  alquanto  distante  dall'area 
Capitolina,  ne  avendo  noi  mezzo  di  constatare  la  qualitä  del  marmo. 


152  osservazioni  süll'architettüra 

Sul  disegno  stesso  e  notato :  «  sono  canali  24  larghi  dita  .  .  .  , 

10  regolo  largo  dita  .  .  .  ■ .  II  numero  e  rimasto  in  bianco :  ma 
dal  disegno  stesso  si  deduce  con  facilitä  che  la  larghezza  della 
scanalatura  intera  fosse  di  cent.  24 :  locche  si  discosta  pochissimo 
dalle  misure  dello  Schupmann  (Ann.  Inst.  1.  c.  p.  151)  che  sta- 
bil! per  quel  pezzo  appartenente  al  sommo  scapo  una  scanalatura 
di  mm.  235  (*),  e  che  ha  supposto  essere  24  il  numero  delle  scana- 
lature.  Possiamo  dunque  ritenere  per  certo,  che  le  colonne  trovate 
nel  giardino  Caffarelli  nella  metä  del  Cinquecento  fossero  dello 
stesso  ordine  come  questa  che  oggi  si  vede  nel  cortile  annesso  al 
nuovo  museo,  e  perciö  appartenenti  al  tempio  di  Giove  Capitolino. 

Non  credo  inutile  aggiungere  un'altra  notizia  spettante  alle 
colonne  del  tempio  Capitolino,  giä  citata  dal  Winckelmann  (Osser- 
vazioni sopra  l'architettura  degli  antichi  §  36),  ma  dai  topografi 
moderni  trascurata,  forse  a  cagione  della  fönte  troppo  sospetta  dalla 
quäle  fu  attinta.  Pirro  Ligorio  cioe  nel  volume  XVIII  della  raccolta 
di  Torino  (s.  v.  Tempio)  comincia  la  sua  descrizione  del  tempio 
Capitolino  con  queste  parole :  '  II  tempio  di  Joue  Capitolino  fu 
sopra  al  sasso  Tarpeio,  sopra  una  alta  crepidine  di  colonne  del 
marmo  pentellesio  di  nove  piedi  di  diametro  nell' Hymoscapo  '  (2). 

11  Fea  (nota  al  Winckelmann  1.  c.)  ritiene  come  esagerata  e  falsa 
quella  misura  del  Ligorio :  ed  e  vero  che  essa  supera  ancora  i  due 
metri  stabiliti  dallo  Schupmann  per  il  diametro  inferiore.  Perö  non 
mi  pare  incredibile,  che  la  notizia  del  Ligorio  provenga  dalla  cono- 
scenza  degli  scavi  fatti  all'epoca  del  Vacca. 

La  surriferita  circostanza  viene  ad  accrescere  il  pregio  del  se- 
condo  disegno  (scheda  1614)  attribuito  dal  Ferri  (Indice  topog.  ana- 
litico  p.  195)  per  congettura,  ad  Antonio  da  Sangallo  il  vecchio 
(f  1534).  II  disegno  giä  in  se  stesso  piü  interessante  per  l'oggetto  e 
per  il  modo  piü  esatto  dell'esecuzione,  e  riprodotto  sulla  tavola  V. 
Vi  e  rappresentata  la  prospettiva  di  un  cornicione  di  ordine  corinzio, 

(*)  E  strano  perö,  che  il  disegno  del  Sangallo  dia  al  listello  quasi  la 
meta  della  larghezza  della  baccellatura,  proporzione  irapossibile  in  un  fusto 
di  colonna  di  ordine  Corinzio.  Se  la  ragione  si  debba  cercare  nel  modo  fug- 
gitivo  col  quäle  e  eseguito  il  bozzetto,   non  lo  so. 

(2)  II  Winckelmann  prende  questo  passo  dall'apografo  dell'opera  Ligo- 
riana  esistente  nel  cod.  Ottoboniano  3374:  io  debbo  la  trascrizione  dell'origi- 
nale  alla  cortesia  del  sig.  Comm.  V.  Promis. 


DEL   TEMPIO   DI   GIOVE   OAPITOLINO  153 

ricco  d'ornati,  ma  non  avente  quella  ricchezza  soverchia  ch'e  pro- 
pria  agli  edifizi  del  secondo  e  terzo  secolo  dell'impero. 

Da  una  prima  mano  vi  e  notato :  ■  Questa  chornice  futtro- 
i  vatta  drietto  a  champidolglio  nella  uignja  [di  janpietro:  nome 
abraso]  chaferelglj  » .  Dopo  e  aggiunta,  da  mano  come  mi  sembra 
di  Antonio  da  Sangallo  il  giovane,  una  postilla  quasi  identica  a  quella 
del  n.  1215 :  «  Questa  d  la  chornice  del  tempio  di  Giove  Olimpo  che 
«  Ulla  arechö  ditto   tempio  di  grecia  e  lo  misse  in  capitolio  ». 

Sulla  misura  adoprata  nel  disegno  non  puö  esservi  dubbio. 
Appartiene  cioe  ad  una  serie  (1612-1626)  di  disegni,  eseguiti  tutti 
con  molta  cura  nella  stessa  maniera,  cioe  con  penna  ed  inchiostro. 
Nella  scheda  1617  si  trova  segnato  in  grandezza  naturale  ilpalmo 
col  quäle  sono  misurate  queste  cose :  ed  e  un  palmo  uguale  a 
mm.  223  diviso  in  12  oncie  a  5  minuti  ognuna.  Nello  stesso  di- 
segno l'autore  aggiunge  di  aver  ridotte  sulla  scala  1 : 6  le  misure, 
asserzione  che  si  riconosce  esatta  dall'esame  dei  disegni  originali  (*). 
Possiamo  dunque  calcolare  le  dimensioni  principali  del  cornicione 
nel  modo  seguente : 
Altezza  totale p.  4  m.  36  2/3    m.  1,027 

■  da  capo  al  primo  ovolo      »    1    »      7  2/3      »    0,249 

■  primo  ovolo »29  »    0,107 

»       gocciolatoio ■    48 1/2     »0,176 

»        secondo  ovolo »    37  V»     "0,139 

dentelli »    34»/,      »    8,102 

Sporto  del  gocciolatoio      ...     p.  1  m.  14  »    0,275 

totale »    3    »    30  »    0,78 

»       dal  gocciolatoio  al  fregio      »    1    »    42  »    0,378 

La  trabeazione  intera  alla  quäle  appartenne  questo  cornicione, 
secondo  le  proporzioni  usuali  nello  stile  corinzio-romano,  deve 
avere  avuta  un'altezza  di  metri  tre  incirca. 

Se  il  cornicione  disegnato  dal  Sangallo,  secondo  ogni  proba- 
bilitä  si  puö  credere  aver  appartenuto  al  gran  tempio  Capitolino  (2) , 

(!)  La  nostra  fototipia  per  ragioni  dello  spazio  non  ha  potuto  essere 
riprodotta  alla  grandezza  dell'originale. 

(*)  Che  fra  i  sacrarii  Capitolini  vicini  al  gran  tempio  non  possa  ragione- 
volmente  ammettersene  uno  con  dimensioni  superiori  p.  es.  al  tempio  di  Anto- 
nino  e  Faustina,  oppure  al  Neptunio  di  Piazza  di  Pietra,  credo  verrä  appro- 
vato  da  chiunque  si  ricorda  del  numero   stragrande  di  tali  sacrarii  esistenti 


154  osservazioni  süll'architettura 

sorge  la  questione,  quäle  posto  gli  si  debba  attribuire  neH'archi- 
tettura  intera  del  monumento.  II  Sangallo  credette  che  fosse  il 
cornicione  del  frontispizio :  supposizione  che  oggi  difficilmente  puö 
ammettersi.  ]E  ormai  incontestabile,  che  il  tempio  di  Giove  fosse 
esastilo,  con  colonne  del  diametro  inferiore  di  due  metri  incirca, 
distanti  fra  loro  da  centro  a  centro  m.  9,20,  di  modo  che  la  lun- 
ghezza  dell'architrave  fra  le  colonne  doveva  eccedere  i  7  metri. 
Seeondo  le  proporzioni  usuali,  la  trabeazione  non  poteva  avere 
meno  di  metri  cinque :  misura  che  troppo  si  discosta  da  quelle 
del  frammento  disegnato  dal  Sangallo.  Quindi  bisognerä  supporre 
che  questo  cornicione  abbia  servito  per  ornamento  di  un  altro 
membro  architettonico  del  tempio.  Se  p.  es.  l'interno  delle  celle 
era  ornato  come  i  tempi  della  Concordia  e  di  Vespasiano,  voglio 
dire  con  file  di  colonne  apposte  al  muro,  una  trabeazione  del  genere 
e  delle  dimensioni  come  questa  vi  si  adatterebbe  benissimo. 

II  disegno  Fiorentino  viene  quindi  a  confermare  l'opinione 
emessa  dal  eh.  Jordan  (Top.  1.  c.  p.  86)  che  cioe  il  tempio  Ca- 
pitolino,  anche  dopo  l'ultimo  ristauro  di  Domiziano,  non  avesse 
una  trabeazione  di  marmo.  fi  noto  che  la  pianta  dell'antico  tempio, 
tracciata  seeondo  le  leggi   dell'architettura  etrusca,  fu  religiosa- 


sull'area  Capitolina.  Di  aleuni,  p.  es.  il  santuario  di  Giove  Feretrio  e  di  Giove 
Tonante,  espressamente  ci  viene  attestata  la  piecola  estensione :  altri,  come 
l'edicola  di  Marte  Ultore,  rimangono  esclusi  per  la  lor  forma.  Vi  e  un  tempio 
soltanto  sull'area  Capitolina,  il  quäle  generalmente  e  creduto  di  gran  mole, 
ed  e  il  tempio  di  Giove  Custode  eretto  da  Domiziano.  Confesso  per6  che 
intorno  a  questo  non  posso  esprimere  un'opinione  certa.  Chi  avesse  sott'occhio 
soltanto  le  parole  di  Tacito  (Hist.  3,74) :  Domitianus  prima  inruptione  apud 
aedituum  oecultatus .  .  .  .  apud  Cornelium  Primum  paternum  clientem  iuxta 
Velabrum  delituit.  Ac  potiente  verum  patre  disiecto  aeditui  contubernia 
modicum  sacellum  lovi  Gonservatori  aramque  posuit  casus  suos  in  marmore 
expressam,  mox  imperium  adeptus  lovi  Gustodi  templum  ingens  seque  in 
sinu  dei  sacravit,  facilmente  supporrebbe  che  quel  templum  ingens  fosse  in 
un  luogo  diverso  del  modicum  sacellum  (quest'e  pure  l'opinione  del  Becker 
p.  407,  il  quäle  perb  erra  ponendo  il  sacello  nel  Velabro) ;  ed  allora  il  tempio 
si  dovrebbe  credere  situato  nella  pianura  sotto  il  Campidoglio.  Ma  vi  si  oppone 
l'espressione  ben  chiara  di  Suetonio  (Domit.  5) :  novam  aedem  excitavit  in 
Gapitolio  Gustodi  lovi.  Non  mi  riesce  a  risolvere  questi  dubbi  :  ne  vorrei  dilun- 
garmi  ad  annoverare  altri  edifizi  Capitolini  di  cui  poco  o  nulla  sappiamo,  essendo 
per  me  decisiva  la  circostanza,  che  il  cornicione  fu  trovato,  se  non  nello  stesso 
anno,  almeno  nel  medesimo  luogo  con  quella  colonna  del  tempio  di  Giove. 


DEL   TEMPIO   DI   GIOVE   CAPITOLINO  155 

mente  conservata  in  tutti  i  ristauri  posteriori,  i  quali  si  dovevano 
contentare  di  aumentarne  l'altezza  {altitudinem  aedibus  adicere)  e 
corredarlo  di  materiali  ed  ornati  piü  ricchi.  Quindi  i  colonnati  della 
fronte  conservavano  i  loro  intercolunni  fatti  per  essere  coperti  di 
legno  e  per  conseguenza  di  soverchia  larghezza.  Che  il  tempio 
ristaurato  da  Catulo  (69  a.  C.)  avesse  un'intavolatura  di  legno, 
ci  viene  attestato  espressamente  da  Vitruvio:  e  sebbene  non  si 
possa  negare  che  la  tecnica  fra  l'epoca  sillana  e  quella  dei  Flavii 
abbia  fatto  grandi  progressi,  le  dimensioni  della  intavolatura  sono 
cosi  enormi  che  l'esecuzione  in  marmo  secondo  il  parere  di  molti 
intendenti  sembri  impossibile  ([).  Ora,  abbiamo  veduto  che  giä 
Flaminio  Vacca  riferi,  non  senza  maraviglia,  che  a'  tempi  suoi 
fossero  ritrovati  moltissimi  frammenti  di  colonne,  capitelli,  ecc, 
ma  che  mancassero  affatto  i  cornicioni :  circostanza  strana,  ne  suffi- 
cienteinente  spiegata  dal  eh.  Lanciani  (2).  II  disegno  Fiorentino 
ci  fa  credere  che  nemmeno  nella  metä  del  XV,  quando  fu  seavato 
il  terreno  per  sottofondare  il  palazzo  Caffarelli,  fosse  trovata  la 
menoma  traccia  di  cosi  grandiosa  architettura.  Quindi  non  sembrerä 
improbabile,  che  anche  nell'ultimo  ristauro  dell'epoca  imperiale, 
il  tempio  di  Giove  Capitolino  conservasse  la  sua  intavolatura  di 
legno  more  tuscanico,  corredata  perö  di  piü  splendidi  ornamenti, 
forse  di  bronzo  dorato,  i  quali  insieme  colle  tegole  coperte  d'oro 
facevano  risplendere  anche  da  lungi  Taugusto  sacrario  dell'aureum 
Capitolium. 

Ch.  Huelsen. 


(')  II  eh.  prof.  Durni  nella  sua  pregevole  opera  die  Baukunst  der  Römer 
(p.  44.  45)  ha  ben  rilevato  l'enormitä  dei  restauri  proposti  dal  Canina  e  dai 
suoi  seguaci.  All'opinione  perö  da  lui  emessa  noi  non  possiamo  aderire,  avendo 
egli  trascurato  affatto  i  risultati  delle  scoperte  moderne  tanto  importanti  per 
la  ricostruzione  della  pianta  del  tempio. 

(2)  II  Lanciani  crede  che  i  frammenti  del  cornicione  siano  caduti  nella 
sottoposta  pianura,  «  stante  la  grandezza  del  loro  raggio  di  rotazione  al  mo- 
mento  della  rovina  ».  Se  questo  si  puö  ammettere  per  una  parte,  sarebbe 
sempre  un  caso  stranissimo  che  sull'altura  del  colle  non  fosse  rimasto  il  me- 
nomo  pezzo  di  questi  smisurati  blocchi.  Dei  frammenti  trovati  nel  1780  in 
via  Montanara,  anche  ammesso  che  apparteuessero  al  tempio  di  Giove,  non 
si  puö  sostenere  per  certo  che  superassero  le  dimensioni  del  disegno  Fio- 
rentino oppure  di  quelli  ritrovati  nel  1878. 


SCAVI  DI  GKOSSETO 


(Estratto  di  lettere  del  nostro  socio  sig.  Agostino  Barbini). 


Nel  Maggio  e  Giugno  dell'anno  1886  in  un  podere  dei  sigg.  Ponticelli, 
poco  lontano  da  Grosseto,  furono  praticati  degli  scavi  dai  quali  tornarono  in 
luce  quattro  sepolcri.  Due  di  essi  erano  giä  devastati  ab  antico,  e  non  erano 
omai  che  uno  scomposto  ammasso  delle  solite  pietre  fra  le  quali  si  rinvennero 
avanzi  di  ossa  umane  incombuste  e  pocbi  frammenti  di  vasi  di  argilla  di 
epoca  etrusca. 

La  terza  sepoltura  pure  era  stata  devastata  e  non  conteneva  che  una  quan- 
titä  delle  stesse  pietre,  fra  cui  si  raccolse  un  pezzetto  d'ambra,  di  forma  quasi 
rettangolare,  lungo  3  cent.  e  largo  2 ;  un  pendaglio  per  acconciature  in  vetro 
verde  chiaro,  rotto  in  due  pezzi ;  un  frammento  di  vasetto  di  bronzo  ;  ed  infine 
pochi  avanzi  del  piede  di  un  grande  vaso  dipinto  ed  il  piede  intero  di  altro 
simile  vaso  di  piü  piccole  dimensioni. 

Finalmente  la  tomba  che  fu  scoperta  per  la  quarta  aveva  la  forma  di 
un  pozzo  rotondo  che,  restringendosi  alla  sommitä,  veniva  ad  assumere  l'appa- 
renza  di  un  mezzo  elissoide  di  rivoluzione.  Essa  era  formata  di  pietre  irrego- 
lari,  naturalmente  piü  o  meno  piane,  ed  anche  queste  non  collegate  da  cemento 
ma  semplicemente  sovrapposte  l'una  all'altra.  Le  prime  pietre  che  s'incon- 
trarono  e  che  formavano  il  culmine  esteriore  della  volta,  erano  ad  una  profon- 
ditä  di  cent.  30  dalla  superficie  del  suolo,  mentre  dalla  sommitä  interna  al 
piano  del  sepolcro  si  riscontrö  esistere  una  profonditä  di  m.  4,70;  e  cosi  in 
totale  dalla  superficie  del  suolo  m.  5,70.  Le  pareti  del  sepolcro  avevano,  ove 
piü  ove  meno,  uno  spessore  di  cent.  70  ed  il  vuoto  del  medesimo  un  diametro 
di  m.  1,05. 

Nel  piano  della  sepoltura  si  rinvennero  i  resti  di  un  gran  vaso  di  terra 
rozzo,  lavorato  a  tornio,  la  cui  gola,  all' interno,  ha  un  diametro  di  cent.  48 
ed  all'esterno  di  74.  Idem  di  un  altro  ancor  piü  grande  vaso,  la  gola  del  quäle, 
all' interno,  misura  cent.  59  di  diametro  e  85  all'esterno.  Le  pareti  del  corpo 
di  cotesti  vasi,  de'  quali  si  pote  raccogliere  solo  pochi  frammenti,  misurate  in 


SCAVI   DI   GROSSETO  157 

diversi  punti,  hanno  uno  spessore  che  varia  da  due  a  quattro  centimetri.  Si 
trovarono  nello  stesso  piano  le  ossa  di  un  uomo,  di  un  bue  adulto,  di  un  cavallo 
e  di  due  montoni. 

Per  gentile  concessione  dei  proprietari  del  terreno,  i  surriferiti  oggetti 
vennero  depositati  nel  Museo  Comunale  di  Grosseto. 

n. 

Nella  primavera  dell'anno  corrente  i  signori  Antonio  ed  Angiolo  Guidi, 
proprietari  di  vasti  tenimenti  presso  il  Castello  della  Colonna,  il  quäle  per 
recente  decreto  Keale  ha  nuovamente  assunto  l'antico  e  storico  suo  nome  di 
Vetulonia,  intrapresero  per  proprio  conto  degli  scavi,  che  si  spera  verranno 
continuati.  Ecco  una  descrizione  sommaria  degli  antichi  oggetti  ivi  trovati. 

Terra  cotta:  26  grandi  vasi  ossuari  d'epoca  primitiva,  molti  dei  quali 
tipici  e  graffiti,  altri  di  forma  semi-rotonda,  lisci.  Alcuni  di  essi  contengono 
tuttavia  ossa  comhuste.  —  16  ciottole  di  varie  grandezze,  di  cui  alcune  lavo- 
rate  a  mano.  —  25  vasetti  diversi,  alcuni  dei  quali  lavorati  a  mano  e  fra  questi 
uno  con  raanico  foggiato  a  testa  di  cavallo  e  3  beccucci.  —  21  vasetti  d'epoca 
etrusca,  rozzi.  —  15  vasetti  etrusco-romani  (Campani)  uno  dei  quali  a  ciam- 
bella  e  manico  ad  arco ;  altro  a  scatola,  collo  al  centro  con  heccuccio  ad  orec- 
chie  e  manico.  —  28  tazzette,  piattelli  e  ciottole  della  stessa  epoca.  — 
2  lucerne.  —  Frammento  di  grosso  vaso  romano  su  cui  e  graffito  il  nu- 
mero  CHX.  —  8  frammenti  di  cornicioni  laterizi  lavorati  a  figure  e  disegni 
architettonici.  —  127  fusarole  ed  altri  simili  utensili.  —  Piccolo  medaglione 
su  cui  e  impressa  una  testa  muliehre.  —  Frammenti  di  circa  15  o  20  vasi 
delle  epoche,  forme  e  grandezze  sopra  enunciate,  alcuni  dei  quali  potranno 
essere  ricommessi. 

Pietra :  2  palle  in  pietra  arenaria  di  forma  elittica.  —  20  pietruzze  ovali 
levigatissime  (forse  amuleti  per  fanciulli). 

Bronzo :  148  fibule  ad  arco  semplice  di  dimensioni  diverse.  —  29  simili 
a  mignatta.  —  11  simili  a  serpe  ed  altre  forme.  —  17  simili  a  nastro  e  scu- 
detto,  delle  quali  una  dorata  ed  incisa  a  hulino.  —  6  armille  grandi  di  foggie 
diverse,  alcune  rosse.  —  26  simili  piü  piccole.  —  20  rasoi  lunati,  pochi  di 
essi  completi.  —  Easoio  di  forma  semi-rettangolare.  —  Specchio  con  incisioni 
e  frammenti  di  altri  specchi  lisci.  —  Kesti  di  varie  collane  a  piccole  campa- 
nelle,  e  fuselli  foggiati  a  spirale,  ecc.  —  3  pendagli  a  due  pallottole  traforate 
appese,  con  hreve  catenella,  ad  una  targhetta  con  piccoli  dischi  a  impres- 
sione.  —  10  altri  pendagli  a  campanella,  a  piccoli  hatacchi  ecc.  —  6  anelli 
alcuni  dei  quali  rotti.  —  2  teste  d'aghi  crinali  a  rotella  e  tubetto,  una  delle 
quali  ornata  da  tre  pendagli.  —  Manico  di  striglia,  su  due  punti  del  quäle 
e  impresso  a  stampo  un  cane  che  afferra  altri  animali  in  corsa  ed  in  altro  punto 
punto  vari  uccelli.  —  4  lancie,  una  di  cui  ha  tuttora  una  parte  dell'asta  di 
legno.  —  2  ascie,  una  di  cui  grande  a  lama  sottile  ed  altra  piü  piccola  con 
impressioni  a  dischetti.  —  Una  spada  corta  (cent.  35  tutto  compreso)  tuttora 
entro  la  propria  guaina  pur  di  bronzo  ed  ornata  di  graffiti.  —  Parte  di  una 
fibbia  o  fermaglio  per  bandoliera  militare.  —  Un  idoletto.  —  Omiciattolo 


158  SCAVI   DI   GROSSETO 

(cent.  6)  con  elmo  crestato  ed  in  atto  di  sguainare  la  spada.  —  Vari  altri 
pezzi  in  bronzo  incompleti  e  d'uso  incerto.  —  Frammento  di  piccolo  vasetto.  — 
Altro  piü  grande  foggiato  a  secchietto.  —  Due  piccole  mollette.  —  Un  ago 
da  lavoro.  —  Alcuni  manichi  di  vasi  diversi,  uno  dei  quali  assai  grande  lavo- 
rato  a  bulino  rappresentante  due  teste  d'uccello  ingoianti  ciascuna  una  biscia. 
Esso  e  tuttora  attaccato  ad  una  parte  della  bocca  dell'orciolo  o  secchietto. 

Ferro :  Avanzi  di  due  diversi  tripodi ;  di  7  lancie ;  di  3  zappe  o  ascie. 

Osso,  ambra,  vetro:  Residui  di  collane  a  piccoli  acini  d'ambra;  altri  con 
globuli  grandi  e  di  media  grandezza ;  altri  di  osso ;  altri  in  parte  di  vetro  a 
colori  diversi. 

Gli  oggetti  sopra  annoverati  furono  dai  si  gg.  proprietari  offerti  al  Muni- 
cipio  di  Grosseto,  perche  sieno  depositati  con  riserva  di  proprieta,  nel  rauseo 
cittadino. 


VASENSCHERBEN  AUS  KYME  IN  AEOLIS. 
(Taf.  VI.) 


Die  auf  Tafel  VI  abgebildeten  Vasenscherben  wurden  im 
Deceinber  1880  von  Mr.  Lawson  aus  Smyrna  an  der  Stätte  des 
alten  Kyme  ausgegraben  und  befinden  sich  noch  in  seinem  Privat- 
besitz zu  Smvrna,  wo  1882  Mrs.  A.  M.  Ramsay  ein  farbiges 
Aquarell  nach  dem  Originale  anfertigte.  Dies  Aquarell  hat  uns 
Mr.  W.  M.  Ramsay  gütigst  zur  Veröffentlichung  überlassen ;  es 
wurde  zum  Zweck  der  Vervielfältigung  photographiert,  und  die 
Photographie  dann  von  Herrn  Sehenck  in  den  Farben  schwarz, 
weiss,  grau  copiert,  da  der  gelbe  Grund  für  phototypische  Wieder- 
gabe zu  ungleichmässig  und  dunkel  gewesen  sein  würde ;  nach 
dieser  mechanischen  Umzeichnung  des  Herrn  Sehenck  ist  die  Tafel 
hergestellt  etwa  in  drei  Fünftel  der  Originalgrösse. 

Die  Scherben  gehören  einem  grossen  bauchigen  Mischgefäss 
an  von  der  Form,  welche  hauptsächlich  von  korinthischen  Vasen 
bekannt  und  auch  auf  dem  Hauptbruchstück  unsres  Gefässes  selbst 
dargestellt  ist.  Der  Thongrund  ist  ziemlich  lebhaft  rothgelb,  der 
Firniss  meist  tiefschwarz,  nur  an  einigen  Stellen  der  Horizontal- 
bänder, wo  er  wässriger  aufgetragen  ist,  zeigt   er   eine   grünlich- 

11 


160  VASENSCHERBEN    AUS   KYME    IN    AEOLIS 

braune  Färbung.  Das  Weiss,  mit  welchem  Arme  und  Beine  der 
Maenade  wiedergegeben  sind,  scheint  auf  den  Thongrund  unmit- 
telbar aufgesetzt  zu  sein ;  ausserdem  sind  weiss  die  Tupfen  auf 
dem  Chiton  derselben  Figur,  und  die  Beeren  an  der  Epheuranke. 

Die  Umrisse  der  Figuren  sind  nirgends  eingeritzt,  doch  ist 
für  die  Innenzeichnung  die  Gravierung  sehr  stark  verwendet. 

Die  Hauptdarstellung,  welche  am  vollständigsten  erhalten  ist, 
veranschaulicht  den  Zweck  des  Gefässes.  Von  rechts  eilt  in  ge- 
waltigem Sprunge  ein  Silen  auf  ein  Mischgefäss  zu,  auf  dessen 
Bande  eine  kleine  Oinochoe  steht.  Der  Satyr  hat  einen  zottigen 
Pferdeschwanz,  aber  menschliche  Füsse  und  Ohren.  Auf  dem  Scheitel 
trägt  er  eine  Binde,  am  Hinterkopfe  einen  grossen  Krobylos,  wel- 
cher keine  Schlinge  nach  unten  bildet,  sondern  gleich  steil  vom 
Kopfe  absteht.  Er  trägt  den  archaischen  Vollbart  mit  rasierter 
Oberlippe.  Der  rechte  Arm  ist  hinter  dem  Kücken  nach  abwärts 
gekrümmt,  der  linke  nach  vorn  gestreckt,  am  linken  Vorderarm 
hängt  an  mehreren  Bändern  ein  allerdings  sehr  kurz  gerathenes 
Flötenfutteral,  wenn  man  nicht  vorzieht  an  ein  schlauchförmiges 
Gefäss  zu  denken.  Gegenüber  diesem  Silen  auf  der  andern  Seite 
des  Kraters  befand  sich  ein  zweiter.  Erhalten  ist  nur  das  gebogne 
linke  Knie  und  der  Unterschenkel,  hinter  welchem  die  rechte 
Hand  mit  einer  Oinochoe  sichtbar  wird  und  der  linke  Arm,  wel- 
cher dem  ankommenden  eine  tiefe  fusslose  Schale  entgegenstreckt. 
Dem  erstbeschriebenen  Silen  folgt  gleichfalls  in  eiligem  Schritt 
eine  Maenade  oder  Nymphe.  Sie  ist  mit  einem  schwarzen,  weiss 
getüpfelten  Chiton  bekleidet,  welcher  vorn  in  einem  weiten  Kolpos 
über  den  Gürtel  gezogen  ist.  Die  beiden  Oberarme  stehn  nach 
archaischer  Art  wagrecht  vom  Körpe:  ab,  der  rechte  nach  vorn, 
der  linke  nach  rückwärts ;  der  rechte  Oberarm  ist  erhoben,  der 
linke  gesenkt,  beide  Hände  tragen  einen  Myrthenkranz.  Unmittel- 
bar über  den  Köpfen  beginnt  der  Ansatz  des  niedrigen  Halses. 
Derselbe  war  mit  einer  Epheuranke  mit  Blättern  und  Früchten 
bemalt.  Die  Figuren  stehn  auf  einem  dünnen  schwarzen  Streifen; 
unter  diesem  folgt  ein  dickerer,  welcher  oben  den  Thierstreif  be- 
gränzt.  Erhalten  ist  von  diesem  ein  nach  rechts  schreitender  Löwe, 
ihm  gegenüber  sind  Nacken  und  Gehörn  eines  weidenden  Hirsches 
sichtbar.  Hinter  dem  Löwen  kniet  nach  rechts  ein  nackter  Jüng- 
ling, den  Oberkörper  en  face,  den  Kopf  zurückgewandt,  die  Arme 


VASENSCHERBEN    AUS   KYME    IN    AEOLIS  161 

nach  beiden  Seiten  ausgestreckt.  Links  von  dieser  Figur  ist  ein 
Stück  vom  Schwanz  eines  zweiten  Löwen  erhalten. 

Von  der  Darstellung  der  Kückseite  ist  der  grösste  Theil  eines, 
nach  rechts  springenden,  wie  es  scheint  unbekleideten,  Reiters 
erhalten.  Die  Brust  des  Pferdes  ist  geschmückt  mit  geknotetem 
Riemenwerk  und  Quasten,  ein  Schmuck,  welcher  durch  weissaus- 
gefüllte  Ritzlinien  wiedergegeben  ist.  Unter  dem  Pferde  spriesst 
aus  dem  schwarzen  Streifen,  welcher  den  Boden  vertritt,  eine  Ranke 
mit  einer  stilisierten  Blüthe,  welche  ich  im  Hinblick  auf  die 
Aehnlichkeit  mit  den  rhodischen  Münzwappen  am  ersten  als  Rose 
bezeichnen  möchte. 

Dem  Pferde  gegenüber,  dessen  Vorderhufe  kreuzend,  erblickt 
man  die  Vorderbeine  eines  zweiten  Pferdes ;  hinter  dem  Reiter 
in  der  Luft  zwei  Gegenstände,  von  welchen  der  erste  die  Form 
eines  Flügels  hat,  während  der  andre  das  Ende  eines  Krobylos  zu 
sein  scheint. 

Obwohl  die  Darstellungen  unsrer  Scherben  sich  vollständig 
innerhalb  des  archaischen  Typenvorrats  halten,  und  die  Technik 
zum  Theil  sogar  hocharchaisch  zu  sein  scheint  (weiss  auf  Thon- 
grund),  dürfen  wir  ihnen  doch  kein  zu  hohes  Alter  zuschreiben 
und  können  vielleicht  bis  in  die  Zeit  der  Perserkriege  hinab- 
gehn.  Es  ist  nämlich  ersichtlich  dass  der  Vasenmaler  bereits  viel 
freiere  Darstellungen  kennt,  als  er  selbst  hervorzubringen  vermag. 
Eine  halbe  Rückansicht,  wie  die  des  springenden  Silen,  würde  für 
einen  streng  archaischen  Stil  ein  unerhörtes  Wagniss  sein.  Aller- 
dings ist  der  Uebergang  vom  Rücken  zu  dem  wieder  in  Seiten- 
ansicht dargestellten  Bauche  nicht  gelungen,  obwohl  der  Vasen- 
maler eine  Menge  Querfalten  verschwendet  hat,  ihn  deutlich  zu 
machen  ;  dagehen  sind  die  Beine  nahezu  mit  naturalistischer  Rich- 
tigkeit gezeichnet,  nur  die  Zehen  des  linken  Fusses  sind  gänzlich 
missrathen,  wenn  durch  diese  Verzeichnung  nicht  etwa  ein  Klump- 
fuss  angedeutet  werden  soll.  Die  ganze  Zeichnung  ist  mit  geringer 
Sorgfalt  ausgeführt,  und  auch  dies  spricht  für  späte  Entstehung 
oder  wenigstens  für  eine  bereits  überlebte  Kunstübung,  deren  es 
allerdings  auch  im  sechsten  Jahrhundert  manche  gab.  Die  Hände 
sind  durchweg  wie  einfache  Klumpen  gezeichnet  ohne  jede  Angabe 
der  Finger ;  am  liederlichsten  gezeichnet  ist  der  Körper  des  Reiters. 

Die  Gefässform  legt  zunächst  den  Vergleich  mit  korinthischen 


162  VASENSGHERBEN    AUS    KYME    IN    AE0L1S 

Vasen  nahe.  Ausser  der  Form  scheint  auch  die  Decorationsart 
entlehnt  zu  sein,  der  einfache  Thierstreif  unter  der  figürlichen 
Darstellung  (vgl.  z.  B.  Annali,  1885,  tav.  E  2,  Archaeologisches 
Jahrbuch  1886  Taf.  10,  la),  ja  auch  für  den  Gegenstand  der 
Hauptdarstellung  selbst  könnte  man  korinthischen  Einfluss  ver- 
muthen,  da  die  Zecherscenen  auf  den  korinthischen  Vasen  beson- 
ders beliebt  sind,  wenn  auch  niemals  dabei  Satyrn  mit  thierischen 
Merkmalen  erscheinen. 

Im  übrigen  aber  hat  die  Vase  namentlich  stilistisch  mit  ko- 
rinthischen Vorbildern  gar  nichts  zu  thun,  reiht  sich  vielmehr,  wie 
zu  erwarten  ist,  auf  das  beste  in  die  uns  bekannten  Monumente 
altionischer  (*)  Kunst  ein ;  die  Berührungen  mit  korinthischer 
Kunstübung  dürften  sich  daher  weniger  aus  unmittelbarer  Ab- 
hängigkeit als  aus  gemeinsamer  Quelle  erklären,  welche  natürlich 
in  Kleinasien  zu  suchen  sein  würde.  Ebenso  finden  sich  mit  ver- 
schiedenen andern  Denkmälerclassen  einzelne  überraschende  Ueber- 
einstimmungen,  welche  aber  so  sehr  nach  verschiedenen  Seiten 
gehn  und  sich  im  Ganzen  wieder  so  einheitlich  zusammenfügen, 
dass  weder  von  einer  bestimmten  Abhängigkeit,  noch  etwa  von 
einem  eklektischen  Stile  gesprochen  werden  kann ;  vielmehr  ist 
dies  Zusammentreffen  nur  eine  Bestätigung  dafür,  dass  stilistische 
Eigenheiten,  welche  wir  nur  in  weiter  geographischer  Trennung 
kennen,  ihren  ursprünglichen  Sitz  nahe  bei  einander  hatten,  und 
dass  wir  von  kleinasiatischem  Boden  namentlich  für  die  Vasen- 
kunde noch  viele  fehlende  Mittelglieder  zu  erwarten  haben.  Es  ist 
deshalb  nur  natürlich,  wenn  die  Vergleichung  mehrfach  über  die 
Gränzen  der  kleinasiatischen  Funde  wird  hinausgreifen  müssen. 

Die  nächstliegende  Denkmälergruppe,  welche  sich  zur  Ver- 
gleichung bietet,  sind  die  klazomenischen  Sarkophage,  Mon.  d.  I. 
XI,  53,  54. 

Diese  stellen  eine  Entwicklung  dar,  welche  im  Ganzen  jener 
der  rhodischen  Keramik  parallel  ist  und  erst  in  ihrem  letzten 
Stadium  den  kymaeischen  Scherben  zeitlich  nahe  kommt. 

(*)  Ich  gebrauche  diesen  Ausdruck  nur  der  Kürze  halber  a  potiori,  da 
es  keine  Stammeskünste  gibt,  sondern  nur  Bereiche  verschiedener  Cultur- 
centren,  welche  sich  mit  den  Stammesgränzen  nicht  decken.  In  diesem  Sinne 
sind  die  von  dorischen  Ehodiern  gefertigten  Schalen,  Journal  of  hellenic 
studies,  1884,  T.  4043,  ebenso  gut  ionisch  als  die  chalkidischen  Vasen. 


VASENSCHERBEN   AUS   KYME   IN   AEOLIS  163 

Der  älteste,  nicht  publicierte  dieser  Sarkophage  im  Tschinili- 
Kjösk-Museum  zeigt  unten  einen  Thierfries  in  der  strengen  schönen 
Stilisierung  der  rhodischen  Vasen  mit  rhodischen  Füllornamenten, 
an  den  Langseiten  ein  breites  reichverziertes  Flechtband,  dessen 
Schlingen  auseinander  herauswachsen,  und  dessen  Zwickel  mit 
Blättchen  gefüllt  sind.  Der  zweite  Sarkophag  (a.  a.  0.  T.  53)  zeigt 
an  den  Langseiten  ein  einfaches  Flechtband,  unten  einen  korin- 
thischen Thierstreif;  auch  die  im  Umriss  gezeichneten  behelmten 
Köpfe  sind  korinthisch.  Endlich  der  dritte  Sarkophag  (a.  a.  0. 
T.  54)  zeigt  an  Stelle  des  Thierstreifs  ein  Wagenrennen,  statt 
des  Flechtbandes  eine  Kante  aus  Lotos  und  Palmetten.  Puchstein 
(Annali  1883  S.  182)  erinnert  hier  an  die  Caeretaner  Hydrien 
zu  deren  ständigem  Formenvorrath  dies  Ornament  gehöre.  Das  ist 
richtig,  aber  die  Stilisierung  des  Ornaments  ist  bei  jenen  Vasen 
grundverschieden.  Die  Lotosblüthe  ist  hier  der  Palmette  vollständig 
coordiniert,  oft  durch  so  weiten  Zwischenraum  getrennt,  dass  sie 
die  Palmette  nicht  überwölbt,  sondern  selbständig  neben  ihr  steht. 
Dagegen  dient  auf  dem  klazomenischen  Sarkophage  die  Lotosblüthe 
lediglich  als  Einfassung  der  Palmette.  Dies  ist  aber  die  Stilisie- 
rung der  schwarzfigurigen  attischen  Vasen,  wo  die  Palmette  so 
sehr  im  Vordergrund  steht,  dass  der  Lotos  schliesslich  im  schwarz- 
figurigen und  strengrothfigurigen  Stil  zur  einfassenden  Curve  zu- 
sammenschrumpft (vgl.  z.  B.  Koulez,  Choix  de  peintures,  pl.  1 
und  13)  (!).  Auch  im  übrigen  zeigt  namentlich  der  jüngste  Sar- 
kophag ebensoviel  Berührungen  mit  dem  Stil  der  schwarzfigurigen 
attischen  Vasen  als  Abweichungen  von  jenem  der  korinthischen. 
Hierher  gehört  nicht  nur  das  feine  Maeandernetz,  sondern  na- 
mentlich auch  der  knappe  und  scharfe  Stil  der  Zeichnung.  Na- 
mentlich die  Zeichnung  der  Pferde  uud  der  Sirenen  stimmt  mit 
attischen  Vasenbildern  überein,  ebenso  die  Art  wie  im  Kampfge- 

0)  Die  Stilisierung  der  Caeretaner  Vasen  kommt  allerdings  vor  auf 
einem  etwas  älteren  Thonsarkophag  im  Berliner  Antiquarium,  welcher  den 
klazomenischen  nächstverwandt  ist.  Hier  tragen  die  Längsseiten  noch  das 
einfache  Flechtband.  Am  unteren  Ende  derselben  findet  sich  nach  oben  ge- 
richtet an  beiden  Seiten  ein  kurzes  Stück  eines  kräftigen  Lotos-  und  Pal- 
mettenbandes mit  grossen  Voluten.  Ueber  der  Hauptdarstellung  zeigt  dieser 
Sarkophag  ein  andres  speciell  attisches  Ornament  einen  Fries  aus  horizontal- 
liegenden Palmetten,  welche  durch  Ranken  verbunden  sind. 


164  VASENSCHERBEN   AUS   KYME   IN   AEOLIS 

tümmel  sich  verschiedene  Gestalten  überschneiden ;  endlich  der 
Typus  des  knieenden  sich  umschauenden  Kriegers.  Dass  wir  es  hier 
mit  einer  Vorstufe,  nicht  etwa  mit  attischem  Einfluss  zu  thun 
haben,  geht  allein  aus  dem  Fehlen  der  Ritzlinie  zur  Genüge  hervor. 

Die  Notwendigkeit,  die  Vorbilder  der  attischen  Malerei  nicht 
nur  in  Korinth,  sondern  auch  in  Kleinasien  zu  suchen,  wird  durch 
die  kymaeischen  Scherben  aufs  neue  bestätigt,  welche  gewisser- 
massen  ein  Mittelglied  zwischen  den  Sarkophagen  und  den  attischen 
Vasen  bilden.  Zunächst  stimmt  auf  den  kymaeischen  Scherben  die 
männliche  Haartracht  genau  mit  der  auf  dem  jüngsten  Sarkophag 
überein :  die  Form  des  Krobylos  ist  völlig  die  gleiche.  Dann 
wiederholt  sich  abgesehn  von  der  Gangart  des  Pferdes  der  Typus 
des  Reiters  genau  bis  auf  die  Haltung  der  Arme,  so  dass  mir 
durch  die  Analogie  des  Sarkophags  die  Deutung  des  hinter  dem 
Reiter  auf  der  Scherbe  sichtbaren  Gegenstandes  als  Vogelflügel 
gesichert  verscheint.  Auch  der  Schmuck  an  der  Brust  des  Pferdes 
kehrt  wieder  auf  einem  klazomenischen  Sarkophagfragment  {Jour- 
nal of  hellenic  siudies,  IV,  S.  19).  Dagegen  ist  der  Thierstreif 
von  der  strengen  Stilisierung  der  rhodischen  Vasen,  wie  von  der 
zerfliessenden  Gedehntheit  der  korinthischen  gleich  weit  entfernt 
und  scheint  auf  kleinasiatischem  Boden  keine  Analogie  zu  finden 
Er  hat  dagegen  stilistisch  die  nächste  Analogie  mit  den  Thier- 
streif en  der  sogenannten  tyrrhenischen  Vasen  und  findet  hier  sogar 
stofflich  ein  genaues  Gegenstück  auf  der  bekannten  Troilosvase  bei 
Gerhard,  A.  V.  III,  223.  Ursprünglich  hat  der  zwischen  zwei 
wilden  Thieren  knieende  Mann  sein  Vorbild  in  dem  assyrischen 
knieenden  Daemon,  welcher  zwei  Löwen  an  den  Schwänzen  hält, 
doch  ist  die  Nacktheit  des  Mannes,  sowie  die  vollständige  Auf- 
lösung des  Zusammenhanges  eine  griechische  Umformung  des  un- 
verstandenen Vorbildes,  welche  nur  in  Vorderasien  erfolgt  sein 
kann.  Die  kymaeische  Scherbe  nun  zeigt  uns  eine  Station  auf  dem 
Wege,  welchen  dies  Schema  nach  Athen  gemacht  hat.  Mit  dem 
bekleideten  und  geflügelten  Manne,  welcher  auf  korinthischen 
Vasen  innerhalb  des  Thierstreifens  vorkommt,  hat  dasselbe  nichts 
zu  thun. 

Eine  weitere  Umformung  begegnet  auf  einer  in  Etrurien  ge- 
fundenen Bronze,  dem  Wagenbeschlag  aus  Perugia  (z.  B.  bei  Mi- 
cali,  Storia,  28) ;    hier  kniet  der  Mann   mit  gezogenem  Schwert 


VASENSCHERBEN   AUS   KYME   IN   AEOLIS  165 

zwischen  zwei  gefesselten  Löwen.  Letztere  zeigen  mit  unsrer 
Scherbe  noch  die  auffällige  Uebereinstimmung,  dass  sie  natur- 
widrig zwischen  Kreuz  und  Schwanzansatz  mit  einer  Art  Mähne 
versehen  sind  (!). 

Verwandte  Erscheinungen  fanden  sich  auch  auf  der  von  mir 
im  vorigen  Bande  dieser  Zeitschrift  zusammengestellten  Vasen- 
gruppe, doch  ist  die  Verwandtschaft  zwischen  den  kymaeischen 
Bruchstücken  und  den  tyrrhenischen  Vasen   weitaus   am  engsten. 

Ein  Motiv,  welches  in  der  ionischen  Kunst  sehr  verbreitet 
ist,  ist  die  Blüthenranke  unter  dem  Keiter ;  glockenförmige  Blü- 
then,  welche  von  oben  in  die  Darstellung  hereinwachsen,  finden 
sich  auf  dem  Wagenrennen  des  erwähnten  klazomenischen  Sarko- 
phags. Für  chalkidische  Vasen  gehört  die  Kanke  mit  einer  lotos- 
ähnlichen  Blüthe  geradezu  mit  zu  den  Erkennungszeichen  z.  B. 
Inghirami,  Pitture  dei  vasi  etruschi,  III,  278;  eine  ähnliche  findet 
sich  auf  einer  schwarzfigurigen,  den  attischen  sehr  verwandten  Vase 
mit  Inschriften  in  asiatischer  las  bei  Gerhard  A.  V.  III,  205. 

Auch  die  jüngeren  rhodischen  Schalen  (Journal  of  hellenic 
studies,  1884,  T.  40-43),  die  wahrscheinlich  aus  Naukratis  stam- 
mende Hydria  Micali,  Mon.  ined.  tav.  4,  sowie  die  gleichfalls 
ionische  Phineusschale  zeigen  ähnliche  Banken.  Mit  dem  Palmet- 
tengewächs der  melischen,  korinthischen,  altattischen  und  boeoti- 
schen  Vasen  hat  diese  Kanke  nichts  zu  thun,  ebenso  wenig  mit 
den  riesigen  ganz  anders  stilisierten  Lotosstauden  kyprischer  Vasen 
mit  figürlichen  Darstellungen. 

Im  Stil  der  Darstellung  weicht  unser  kymaeisches  Bruchstück 
sehr  ab  von  der  knappen  Schärfe  und  Magerkeit  der  klazomeni- 
schen Sarkophage  sowie  der  chalkidischen  und  attischen  Vasen. 

Sorgfältige  Berücksichtigung  der  Innenzeichnung  verbindet  sich 
mit  grosser  Sorglosigkeit  gegen  den  äussern  Umriss,  so  dass  die 
Formen  leicht  übervoll  und  massig  werden,  ja  in  einzelnen  Fällen 
wie  bei  dem  Keiter  absolut  fehlerhaft. 

Diese  allgemeine  Richtung  verbunden   mit   einigen  einzelnen 


(J)  Genau  wie  auf  unsrer  Vasenscherbe  kehrt  diese  Borstenmähne  wieder 
bei  einem  Löwen  eines  zweiten  in  Berlin  befindlichen  Terracottasarkophages, 
welcher  im  Stil  noch  nichts  korinthisches,  viel  rhodisches  und  viel  ei- 
genes hat. 


166  VASENSCHERBEN   AUS   KYME   IN   AEOLIS 

Eigenheiten  lassen  unsre  Scherbe  als  nahe  verwandt  erscheinen 
mit  einer  Vasenklasse,  deren  ionischer  Ursprung  jetzt  wol  von 
unbefangenen  Beurtheilern  allgemein  angenommen  wird,  welche 
aber  seit  ihrem  Verdict  durch  Heibig,  Annali,  1865,  S.  210  ff., 
und  Brunn,  Probleme,  §  13  und  15,  zwar  vereinzelte  Rettungen  (!), 
aber  keine  eingehende  Würdigung  gefunden  haben  und  erst  neuer- 
dings wieder  mit  völlig  heterogenen  Vasen  zu  einer  Gruppe  ver- 
einigt werden  konnten  (2),  obwohl  schon  Otto  Jahn  vor  dieser 
Vermischung  gewarnt  hatte  (3).  Es  dürfte  daher  nicht  überflüssig 
sein,  die  Eigenheiten  dieser  Klasse  kurz  zu  erörtern  und  nament- 
lich die  Gründe  für  ihren  griechischen  Ursprung  zusammenzu- 
fassen. Die  letzte  Zusammenstellung  hat  Puchstein,  Annali,  1883, 
S.  183  gegeben. 

Ich  wiederhole  dieselbe  mit  einigen  Ergänzungen,  aber  mit 
dem  Bewusstsein,  auch  von  annähernder  Vollständigkeit  noch  weit 
entfernt  zu  sein. 

I)  Auf  der  Schulter :  Naturalistischer  Myrthenzweig  und  Eber- 
jagd. Hauptbild :  Herakles  würgt  Busiris  und  seine  Schergen, 
Bull.  1865,  S.  139,  Mon.  d.  I.  VIII,  16,  17  jetzt  in  Wien  im 
Kunstgewerbemuseum. 

II)  Herakles  mit  dem  Kerberos,  Eurystheus  im  Fasse,  Cam- 
pana II,  9,  Mon.  d.  L,  VI,  36. 

III)  Am  Mündungsrand  Mäander ,  wechselnd  schwarz  und 
roth  ;  ebenso  am  Hals  vorn  Mäanderkreuz  ;  jederseits  ein  Kreuz, 
dessen  Arme  in  Doppelspiralen  ausgehen.    Ueber  und  unter   dem 


(1)  Vor  allen  Dingen  hat  Heibig  selbst  seine  frühere  Ansicht  zurück- 
genommen, Bullettino  1883,  S.  '4,  das  homerische  Epos  S.  298  (vgl.  Bullet- 
tino  1881  S.  161  ff.).  Für  griechischen  Ursprung  und  Verwandtschaft  mit  den 
chalkidiscben  Vasen  spricht  sich  mehrfach  Furtwängler  aus,  z.  B.  Arch. 
Zeit.  1882,  S.  350,  Anm.  61,  ebenso  Klein  Euphronios2,  S.  93  (« früh- 
archaisch  »).  Aehnlich  scheint  Puchstein  zu  denken  Annali,  1883,  S.  182 
von  Eohden  in  seiner  gründlichen  Uebersicht  über  die  Vasenkunde  in  Bau- 
meisters Denkmälern  S.  1970  äussert  sich:  «Wo  die  Fabrik  zu  suchen  ist, 
wissen  wir  noch  nicht.  Für  wahrscheinlich  halte  auch  ich,  dass  sie  in  einer 
ionischen  Colonie  in  Süditalien  entstanden  sind. » 

(2)  Arndt,  Studien  zur  Va3enkunde,  S.  11  ff. 

(3)  Entführung    der   Europa   (Abhandl.    der    Wiener   Akademie,   1870), 
S.  22,  Anm.  2. 


VASENSCHERBEN    AUS   KYME   IN   AEOI.IS  167 

Figurenstreif  Epheugeflecht,  Blätter  und  Beeren  (weiss)  r.  ge- 
richtet. Unten  Strahlen,  je  zwei  roth,  einer  weiss ;  auf  dem  Fuss 
und  um  die  Henkelansätze  Stabornament.  Hauptdarstellung  wie  II, 
abweichend :  Schlangen  nur  auf  den  zwei  Vorderpfoten  und  den 
drei  Schnauzen  des  Hundes,  dessen  Bauch  unten  weiss  war.  Nur 
seinen  schwarzen  Hals  umschlang  das  von  Herakles  gehaltene 
Band.  Vor  dessen  Brust  sind  die  Löwenbeine  deutlich  mit  einer 
Schnur  verknüpft.  Auch  die  Conturen  sind  theilweise  graviert.  Rev. 
zwei  geflügelte  Pferde,  Bull.  d.  I.  1869,  S.  249.  Sammlung  Ca- 
stellani  an  der  Fontana  Trevi. 

IV)  Am  Mündungsrande  Flechtband,  am  Halse  Bukranien 
und  Wollbinden,  auf  der  Schulter  naturalistisches  Epheugeflecht, 
Hauptdarstellung :  Herakles  greift  in  Begleitung  des  Hermes  den 
Alkyoneus  an.  Rev.  Zwei  Paar  Kämpfer  (Ringer  und  Pankratia- 
sten),  darunter  das,  soviel  ich  weiss,  dieser  ganzen  Gruppe  ausser 
N°  III  VI  XIV  gemeinsame  Band  von  grossen  nach  oben  gerichteten 
Palmetten  und  Lotosblüthen.  Museo  Gregoriano  II,  16,  2a  danach 
Jahn,  Leipziger  Berichte,  1853,  Taf.  VIII,  2. 

V)  Auf  der  Schulter  Eberjagd.  Hauptbild :  Europa  auf  dem 
Stier  im  Meere,  Mon.  d.  I.  VII,  77. 

VI)  Gleich  III  ungebrochen,  gleicher  Grösse,  etwas  schlankerer 
Form ;  das  Weiss  besser  erhalten.  Am  Mündungsrand  Flecht- 
muster r.  s. ;  am  Hals  vorn  Spiralenkreuz  reicher  als  auf  II ;  jeder- 
seits  ein  Mäanderkreuz;  die  zwei  Epheuborten  wie  auf  I,  aber  die 
untere  mit  nach  1.  gerichteten  Blättern  und  Beeren ;  Hauptbild 
Europa  auf  dem  Stier  im  Meere  von  Nike  bekränzt,  am  Vogel 
Hals,  Kopf  und  Schwungfedern  der  Flügel  schwarz,,  der  Rest 
weiss,  ähnlich  die  Flügel  der  Nike.  Weiss  auch  die  kleinen  Fi- 
sche, die  Delphine  schwarz.  Sorgfältig  graviert  der  Stier,  bei  Eu- 
ropa auch  sämmtliche,  bei  Nike  die  meisten  Umrisse.  Rev.  zwei 
Pferde  ungeflügelt,  von  edler  Form  mit  langer  Mähne,  in  elegan- 
tem Galopp  vorn  hoch  sich  hebend.  Bull  d.  I.  1865,  S.  139  f. 
abgebildet  Jahn,  Entführung  der  Europa,  Taf.  Na.  Jetzt  in  der 
Sammlung  Castellani.  Diese  Hydria  hat  ebenso  wie  N°  II  noch 
einen  Deckel  mit  spitzem  Knopf. 

VII)  Hephaistos,  am  verkrüppelten  Fusse  kenntlich,  sprengt 
auf  einem  Maulthiere  nach  1.  auf  den  ruhig  stehenden  Dionysos 
zu,  dahinter  obscoene  Gruppen  von  Silenen  und  Nymphen,  wie  auf 


168  VASENSCHERBEN    AUS   ICYME    IN    AEOLIS 

der  gleichen  Scene  der  Francoisvase,  Bull.  d.  I.  1865,  S.  139  ff. 
Wien,  Kunstgewerbemuseum. 

VIII)  Am  Halse  Maeander-Hakeukreuz  und  Volutenkreuz 
abwechselnd.  Schulter :  reicher  Epheukranz.  Von  der  Hauptdarstel- 
lung ist  jetzt  zu  erkennen  Dionysos  mit  Kantharos  nach  r.  ste- 
hend, auf  ihn  zu  springt  ein  grosser  Hund,  hierauf  folgt  ein  nach 
1.  springendes  Maulthier,  welches  eine  weibliche  (?)  Gestalt,  die 
nach  1.  eilt  zum  Theil  verdeckt ;  hinter  dem  Maulthier  folgt  ein 
flötenblasender  Silen.  Kev.  zwei  Pferde.  Ich  zweifle  nicht,  dass 
die  Hauptdarstellung  mit  jener  der  vorigen  Vase  nahezu  identisch 
war,  da  gerade  die  Mitte  des  Maulthiers  und  Theile  der  dahinter 
sichtbaren  Figur  entweder  auf  einem  modern  ergänzten  Grund 
sitzen  oder  wenigstens  in  der  Malerei  ganz  modern  sind.  Kom, 
Conservatorenpalast. 

IX)  Hermes  nach  dem  Kinderraub  (?).  Eos  und  Kephalos. 
Campana  II,  28,  Mem.  d.  I.  II,  15. 

X)  Kampf  zwischen  Hopliten  und  Kentauren.  Campana,  II,  5 
Annali.  d.  I.  1863,  taf.  E,  F. 

XI)  Zweikämpfe  von  Hopliten.  Heibig,  Bullettino  d.  I. 
1881,  S.  161. 

XII)  Am  Halse  grosse  Kosetten.  Schulter-Bauch :  von  jeder 
Seite  drei  Hopliten  gegeneinander  anstürmend,  Schildzeichen:  Eber- 
protome, Fransenchitone.  Die  Farben  weiss,  roth,  schwarz  sind 
abwechselnd  für  Chiton,  Panzer  und  nackten  Körper  verwandt. 
Rev.  Reiter  mit  Peitschen.  Haartracht :  Krobylos.  Bull.  d.  I. 
1886,  S.  63.  Karlsruhe. 

XIII)  Jagd  auf  einen  Bock.  ßev.  Jüngling  zwischen  zwei 
Pferden.  Zeichnung  im  Archaeologischen  Apparat  des  Berliner  Mu- 
seums. M.  M.  349,  Annali,  1883,  S.  183. 

XIV)  Am  Halse  weibliche  Gestalt  mit  vier  Flügeln  nach  r. 
schreitend.  Schulter :  ein  Stier  ist  nach  1.  in  die  Kniee  gesunken ; 
von  links  ist  ihm  ein  (kleiner  hundeähnlich  gebildeter)  Löwe  auf 
den  Nacken  gesprungen  und  zerfleischt  ihn ;  Bauch  :  vier  Epheben 
nach  r.  stehend  in  halber  Bückansicht,  r.  H.  bis  zur  Mundhöhe 
erhoben  1.  hinten  gesenkt.  Kleidung :  nur  Chlamys  über  dem 
Kreuz,  auf  den  Unterarmen  ruhend.  Haartracht  grosser  stark  ab- 
stehender Krobylos.  Viterbo,  Sammlung  Falcioni. 

Diese  Vasen  sind  sämmtlich  Hydrien  und  stammen   aus  Cae- 


VASENSCHERBEN   AUS   KYME   IN   AEOLIS  169 

retaner  Gräbern  (l).  Die  aufgezählten  Gefässe  sind  stilistisch  so 
eng  verbunden,  dass  sie  jedenfalls  aus  einer  Fabrik  stammen.  Die 
Zeit  dieser  Vasen  ist  durch  XI'  XII  bestimmt,  welche  beide  mit 
sogenannten  tyrrhenischen  Vasen  zusammen  gefunden  wurden,  welche 
wir  jetzt  wol  kaum  später  als  die  Mitte  des  sechsten  Jahrhun- 
derts ansetzen  können.  Damit  ist,  wie  Helbig  sah,  der  etruskische 
Ursprung  endgültig  ausgeschlossen.  Aber  auch  die  Unterschiede 
von  den  bestimmbaren  griechischen  Vasenclassen  sind  beträcht- 
lich. Wenn  sich  manche  zunächst  an  die  chal kidischen  Vasen  ge- 
mahnt fühlen,  so  liegt  dies  mehr  am  allgemeinen  Eindruck,  an 
dem  ausgesprochen  ionischen  Charakter,  welchen  beide  Vasenclassen 
zeigen,  als  am  Stil  im  einzelnen ;  alle  für  die  chalkidischen  Va- 
sen charakteristischen  Ornamente  fehlen  völlig. 

Die  Technik  dieser  grossen,  exact  gearbeiteten  Gefässe  zeugt 
von  sehr  fortgeschrittnem  Können.  Die  Figuren  sind  mitunter  nach- 
lässig hingeworfen  und  neigen  zum  massigen,  stets  aber  ist  die 
häufig  angewandte  Gravierung  sicher  und  schwungvoll.  Das  Weiss 
i  st  auf  Firniss  aufgesetzt ;  die  Falten  in  den  Kleidern  sind  bereits 
angegeben.  Namentlich  die  ältesten  dieser  Hydrien,  wie  es  scheint, 
neigen  sehr  zur  Buntheit,  so  dass  sogar  der  männliche  Körper 
nach  Belieben  schwarz,  weiss  oder  roth  gemalt  wird  (cf.  N°  I, 
IX,  X,  XI,  XII). 

Für  ionischen  Ursprung  der  Classe  spricht  die  durchweg  io- 
nische Tracht,  der  Krobylos  auf  XII,  XIV,  die  ionische  Bildung 
der  Silene,  das  ionischer  Architektur  entlehnte  Ornament  am  Halse 
von  N°  IV,  stofflich  der  Lapithenkampf  auf  X,  welcher  sich  bereits 
auf  der  Francoisvase  findet,  und  welchem  auf  dorischem  Gebiete 
der  Kampf  des  Herakles  gegen  die  Kentauren  entspricht.  Wir 
werden  deshalb  trotz  fortgeschrittner  Technik  unsre  Vasen  nicht 
zu  jung  ansetzen  dürfen,  da  die  ionische  Kunst  entschieden  am 
frühesten  entwickelt  war ;  wir  werden  auch  den  freien  oft  über- 
trieben lebhaften  Vortrag,  sowie  die  Neigung  zur  Ueppigkeit  nicht 
mehr  als  misrathenen  Archaismus,  sondern  als  Aeusserungen  des 
Stammescharakters  ansehn.  Manche  Einzelheit,  welche  man  früher 
für  späten  Ursprung   geltend  machte,   lässt  sich  jetzt  umgekehrt 

(')  Von  IV  ist  der  Fundort  unbekannt,  doch  mit  Sicherheit  Caere  vor- 
auszusetzen. 


170  VASENSCHERBEN   AUS   KYME   IN   AEOLIS 

für  verhältnissmässig  hohes  Alter  verwerten.  So  ist  ganz  eigen- 
artig die  Bildung  der  Kentauren  auf  N°  X.  Die  Vorderfüsse  sind 
menschlich,  laufen  aber  in  Pferdehufen  aus.  Dies  ist  nicht,  wie 
man  gemeint  hat,  eine  Vermischung  der  beiden  üblichen  Typen, 
sondern  nur  ein  Beweis,  dass  der  Kentaurentypus  in  dieser  Fabrik 
aus  dem  des  Silen  herausgebildet  worden  ist,  was  um  so  weniger 
zu  verwundern  ist,  als  über  die  ursprüngliche  Wesensgleichheit 
dieser  Fabelwesen  wol  kein  Zweifel  besteht.  Aller  Zweifel  an  der 
Berechtigung  dieser  Kentaurenbildung  für  alte  Zeit  muss  schwin- 
den, seit  dieselbe  sich  auf  einer  attischen  Vase  des  siebenten 
Jahrhunderts  gefunden  hat :  Archaeol.  Jahrbuch  II,  Tafel  4. 

Ebenso  wenig  darf  es  uns  bedenklich  machen,  wenn  auf  unsrer 
Vasenclasse,  wie  auf  später  zu  besprechenden  verwandten  Denk- 
mälern Herakles  abweichend  vom  üblichen  archaischen  Schema  mit 
der  Keule  bewaffnet  erscheint,  denn  diese  Waffe  ist  jedenfalls  die 
älteste,  und  Peisandros  hat  sie  sicherlich  nicht  erst  erfunden  son- 
dern nur  aus  der  Sage  aufgenommen. 

Die  bisherige  Betrachtung  hat  uns  nur  gelehrt,  dass  die  Hei- 
math unserer  Hydrien  in  einer  ionischen  Stadt  zu  suchen  ist,  und 
dass  dieselben  völlig  selbständig  neben  den  andern  reifarchaischen 
Vasenclassen  stehn.  Etwas  weiter  führt  uns  die  Analyse  der  Or- 
namente und  der  Darstellungen.  Erstere  lehrt,  dass  rhodischer  Ein- 
fluss,  und,  soweit  wir  bis  jetzt  sehen  können,  nur  dieser,  auf  die 
Verfertiger  unsrer  Vasen  eingewirkt  hat.  Unzweifelhaft  rhodisch 
ist  zunächst  das  öfter  wiederkehrende  Halsornament,  das  Maeander- 
hakenkreuz  verbunden  mit  dem  Kreuz,  dessen  Enden  in  zwei  Voluten 
auslaufen.  Da  von  korinthischem  Einfluss  die  ganze  Vasenclasse 
keine  Spur  zeigt,  so  wird  man  auch  das  Flechtband  auf  N°  IV 
von  Khodos  herleiten  müssen ;  ebenso  hat  die  grossblättrige  natu- 
ralistische Epheukante  nur  in  Khodos  ihre  Vorbilder.  Endlich 
dürften  die  grossen  Lotosblüthen  auf  rhodischen  Einfluss  zurück- 
zuführen sein,  und  ebenso  die  noch  nicht  an  feste  Eegel  gebundne 
Verwendung  des  Stabornaments. 

Auf  rhodischen  Schalen  wird  dieses  noch  zur  fächerartigen 
Ausfüllung  von  Kreissegmenten  verwendet,  daneben  schon  am  Fusse 
von  Schalen  nach  aufwärts  gerichtet  (Archaeol.  Jahrbuch,  I, 
S.  143),  und,  wenn  auch  in  flüchtiger  Zeichnung,  an  der  später 
allein  üblichen  Stelle,  dem  Halsansatz  (ebenda  S.  1 40)  von  einem 


VASENSCHERBEN    AUS    KYME    IN    AEOLIS  171 

Streifen  aus  fächerförmig  nach  unten  hängend  findet  es  sich  mit 
grossen  Lotosblüthen  abwechselnd  auf  unpublicierten  rhodischen 
Vasen  in  Berlin  N°  1648,  ganz  ähnlich  den  Palmetten  der  Bu- 
sirisvase. Bei  den  Caeretaner  Vasen  findet  es  sich  innerhalb  des 
Halses,  am  Halsansatz,  rosettenförmig  die  Hänkelansätze  umgebend 
und  am  Fuss. 

Aehnlich  freie  Verwendung  findet  sich  bei  den  gleichfalls 
rhodisch  beeinflussten  kyrenäischen  Vasen  und  bei  einer  wahr- 
scheinlich aus  Naukratis  stammenden  sehr  alten  Hydria  aus  Vulci. 
Micali,  Mon.  ined.  tav.  4. 

Dieser  rhodische  Einfluss  würde  an  sich  nicht  gegen  eine 
griechische  Fabrik  in  Italien  sprechen,  denn  derselbe  Einfluss  ist 
ganz  augenfällig  in  etruskischer  Manufactur,  obwohl  bis  jetzt  nur 
sehr  wenig  rhodischer  Import  nachgewiesen  ist.  Dagegen  ist  ent- 
scheidend gegen  Fabrikation  auf  italischem  Boden  die  genaue 
Vertrautheit  mit  Aegypten,  welche  die  Vasenmaler  verrathen. 

Auf  der  Busirisvase  (I)  ist  der  Kopftypus  der  Aegypter  und 
Neger,  sowie  die  Tracht  Kalasiris  und  Schurz  mit  einer  Richtig- 
keit wiedergegeben,  welche  sich  nur  aus  Autopsie  erklären  lässt. 
Aber  sogar  in  die  griechische  Tracht  sind  aegyptische  Motive  ein- 
gedrungen. Der  Schluss  der  Chlamys  auf  der  Brust  der  Jäger  auf 
N°  I  in  Form  von  zwei  spitzen  Zipfeln  ist  der  aegyptischen  Tracht 
nachgebildet ;  auf  N°  XII  tragen  griechische  Hopliten  einen  ae- 
gyptischen Linnenpanzer  mit  Fransen. 

Auch  der  naturgetreu  gebildete  Affe  auf  N°  V  spricht  für 
Kenntniss  Afrikas,  obwohl  auf  attischen  und  chalkidischen  Vasen  (*), 
sowie  auf  etruskischen  Malereien  Affen  vorkommen.  Endlich  könnte 
man  sogar  geneigt  sein,  die  Gleichgültigkeit  gegen  rechts  und 
links  am  menschlichen  Körper  auf  die  bekannte  aegyptische  Ge- 
wohnheit zurückzuführen,  nach  links  gerichtete  Figuren  nur  un- 
vollkommen von  den  nach  rechts  gerichteten  umzuzeichnen  (vgl. 
Ermann,  Aegypten,  S.  533).  Aehnlich  wie  der  dort  abgebildete 
Prinz  (nach  Lepsius  D.  II,  20,  21)  das  kurze  Scepter  in  unmög- 
licher Weise  mit  der  linken  Hand  horizontal  hinter  dem  rechten 
Oberschenkel  hält,   schwingen    auf  der  Eberjagd  von  I   einzelne 


(*)  Auf  der  chalkidischen  Amphora  in  Florenz,  Journal  of  hellenic  Stu- 
die», VII,  S.  197,  am  Fuss  der  Kline,  auf  der  Abbildung  kaum  zu  erkennen. 


172  VASENSCHERBEN    AUS    KYME    IN    AEOLIS 

Jäger  ihre  Lanze  mit  der  linken  Hand  hinter  dem  rechten,  be- 
ziehungsweise mit  der  rechten  hinter  dem  linken  Ohr  vorbei,  um 
völlige  Symmetrie  zu  wahren.  Gut  verständlich  würde  bei  der 
Bekanntschaft  mit  Afrika  auch  sein,  dass  die  Nike  auf  N°  VI 
genaue  Analogien  auf  kyrenaeischen  Schalen  hat. 

Wegen  dieser  afrikanischen  Beziehungen  schien  mir  um  die 
Mitte  des  sechsten  Jahrhunderts  eine  Fabrik  auf  italischem  Boden 
ausgeschlossen  zu  sein;  am  liebsten  hätte  ich,  wie  ich  dies  Bul- 
lettino,  1886,  S.  64,  ausgesprochen  habe,  eine  ionische  Fabrik 
auf  aegyptischem  Boden  angenommen,  etwa  das  phokaeische  oder 
milesische  Quartier  in  Naukratis.  Es  ist  indess  zuzugeben,  dass 
die  erwähnten  Eigenheiten  sich  auch  in  einer  ionischen  Stadt  mit 
lebhaften  Handelsbeziehungen  zu  Aegypten,  wie  Samos,  entstanden 
denken  liessen ;  am  östlichen  Mittelmeerbecken  ist  indess  mit  Ent- 
schiedenheit festzuhalten. 

Ich  glaube  nun,  dass  diese  Erwägungen  durch  den  kymaei- 
schen  Fund  nicht  unwesentlich  unterstützt  werden.  Die  stilistische 
Verwandtschaft  dieser  Scherben  mit  unsrer  Vasengruppe  ist  augen- 
fällig. Uebereinstimmend  ist  stilistisch  die  grosse  Lebhaftigkeit 
der  Darstellung,  die  laxe  Breite  der  Zeichnung  verbunden  mit 
scharfer  Gravierung;  von  Ornamenten  kehrt  auf  beiden  Seiten  die 
Epheukante  wieder,  die  Tracht  stimmt  bis  ins  einzelnste  überein; 
der  Krobylos  fand  sich  auf  den  Vasen  XII  und  XIV,  der  ionische 
Chiton  der  Nymphe  kehrt  mit  genau  derselben  Musterung  auf 
der  Vase  N°  V  zwei  mal  wieder.  Der  Eeiter  als  Bild  der  Rück- 
seite fand  sich  auf  der  Vase  N°  XII.  Der  freilich  misslungene 
Versuch  einer  Rückansicht  kehrt  auf  den  Vasen  N°  I  und  XIV 
wieder.  Dass  der  Silen  auf  den  kymaeischen  Scherben  seine  Pferde- 
hufen eingebüsst  hat,  ist  Zufall,  wie  dieselben  ja  auch  auf  den 
jüngeren  chalkidischen  Vasen  zum  Theil  fehlen. 

Merkmale  grösserer  Altertümlichkeit  sind  auf  der  kymaeischen 
Scherbe  das  auf  Thongrund  aufgesetzte  Weiss  und  das  völlige 
Fehlen  der  Falten  im  Chiton  der  Nymphe,  natürlich  braucht  deshalb 
diese  nicht  älter  zu  sein   als    die  Masse  der   Caere  tan  er  Gefässe. 

Vollständig  abweichend  ist  der  Thierstreif ;  diesen  vermeiden 
die  Caeretaner  Vasen  so  sehr,  dass  z.  B.  bei  N°  XLI  zwischen 
dem  Lotos-  und  Palmettenband  und  der  Darstellung  lieber  ein 
breiter  thongrundiger  Streifen  leer  gelassen  ist.    Anders  zu  beur- 


VASENSCIIERBEN    AUS   KYME    IN    AEOLIS  173 

theilen  ist  die  selbständige  Darstellung  des  Thierkampfes  auf 
N°  XIV  (')• 

Die  bisher  ermittelten  Bestimmungspunkte  für  die  Caeretaner 
Vasen  waren  folgende :  Export  nach  Caere,  ionischer  Stil,  rhodi- 
sche  Beeinflussung,  Bekanntschaft  mit  Aegyptan,  Vorkommen  eines 
verwandten  Stiles  in  Kyme.  Hinzu  kommt  ein  sechster  Punkt, 
auf  welchen  sogleich  näher  einzugehn  sein  wird.  Die  Caeretaner 
Hydrien  sind  nicht  nur  nach  Etrurien  importiert  worden,  sondern 
sie  haben  auf  die  Kunst  in  Italien  den  weitgehendsten  Einfluss 
geübt  und  werden  fast  unmittelbar  fortgesetzt  durch  eine  ausge- 
dehnte, allerdings  wenig  erquickliche  Vasengattung,  deren  bessere 
Exemplare  noch  aus  dem  Mutterlande  importiert  sein  können, 
deren  grosse  Masse  aber  in  einer  der  Griechenstädte  Unteritaliens 
entstanden  sein  wird. 

Die  Zusammengehörigkeit  dieser  Vasen  mit  den  Caeretaner 
Hydrien  ist  stilistisch  wie  stofflich  deutlich,  nur  dass  sich  in  beiden 
Beziehungen  eine  fortschreitende  Verrohung  verräth. 

Mythisch  interessante  Stoffe  kommen,  abgesehen  von  der  Gi- 
gantomachie,  nicht  mehr  vor ;  einen  sehr  grossen  Raum  nimmt 
dagegen  der  bakchische  Thiasos  ein ;  die  Darstellungen  sind  immer 
üppig,  häufig  obscoen.  Die  Silene  haben  fast  ausnahmslos  den 
ionischen  Typus.  Der  beliebte  Revers  der  Caeretaner  Hydrien,  ein 
Jüngling  zwischen  zwei,  häufig  geflügelten,  Pferden  wird  auch  hier 
beibehalten.  Die  Decoration  ist  arg  heruntergekommen.  Selten  be- 
gegnet das  Stabornament,  das  Bedürfniss  wird  fast  ausschliesslich 
bestritten  durch  verschiedene  Combinationen  einzelner  herzförmiger 
Blätter.  Sehr  beliebt  sind  einzelne  aus  dem  Boden  spriessende 
spitze  Knospen  und  tellerförmige  Blumen,  welche  bei  einer  jungen 
Untergruppe  durch  die   attisch   stilisierte    Weinrebe   mit  runden 


0)  Auch  die  korinthische  Form  der  Vase  ist  abweichend,  aber  nicht 
ohne  Analogie.  Dieselbe  Form  hat  ein  wahrscheinlich  grossgriechisches  Ge- 
fäss  im  Berliner  Antiquarium  N°  2137  (Furtwängler  S.  471),  welches  im  Stil 
den  Caeretaner  Hydrien  sehr  nahe  steht.  An  die  Caeretaner  Gefässe  erinnert 
namentlich  die  lebhafte  und  stilvolle  Gravierung,  speciell  an  die  kymaeischen 
Scherben,  dass  nur  die  Innenzeichnung  graviert  ist.  Auch  die  Darstellung 
reiht  sich  den  Caeretaner  Vasen  I-IV  an:  A.  Herakles  nach  r.  bekämpft  m  it 
der  Keule  den  mächtigen  ins  Knie  gesunkenen  Stier;  i?.  Jüngling  mit  Speer 
nach  r.  hinter  Flügelross.  Dieselbe  Form  und  denselben  wä9srigen  röthlichen 
Firniss  zeigt  das  spätgeometrische  Gefäss  aus  Corneto,  Berlin  1262.  Unmöglich 
ist  es  nicht,  dass  diese  Gefässe  griechisch  sind;  dagegen  sind  die  schmuck- 
und  werthlosen  Berliner  Vasen  N.  2138  und  2142-45,  welche  dieselbe  Form 
zeigen,  wol  sicherlich  nicht  importiert. 


174 


VASENSCHERBEN    AUS    KYME    IN    AEOLIS 


Blättern  ersetzt  werden.  Vereinzelt  kommt  die  einfachste  Form 
des  Maeanders  uid  die  Palmette  vor.  Auch  diese  sind  wol  auf 
fremden  Einfluss  zurückzuführen.  Die  Bewegungen  der  Figuren 
sind  noch  übertriebener  lebhaft  als  auf  den  Caeretaner  Gefässen. 
Während  dort  das  Haar  meist  in  schwerer  Masse  herabhieng  flat- 
tert es  hier  im  Winde  lang  nach,  die  Spitzen  sind  meist  etwas 
aufwärts  gekrümmt.  Die  Musculatur  ist  scharf  graviert,  sogar 
durch  die  weiblichen  Gewänder  hindurch.  Der  Firniss  ist  glänzend 
schwarz,  andre  Farben  ausser  Weiss  sind  nicht  verwandt.  Die 
Tracht  ist  durchweg  ionisch.  Die  nachlässigsten,  wahrscheinlich 
jüngsten  Exemplare,  haben  soviel  fremde  Anregungen  aufgenom- 
men, dass  sie  von  schlechten  Exemplaren  andrer  Vasenclassen 
kaum  zu  unterschieden  sind. 

Um  den  Zusammenhang  dieser  Classe  mit  den  Caeretaner 
Hydrien  zu  veranschaulichen,  bilde  ich  im  Folgenden  einige  hier- 
hergehörige Neapler  Vasen,  deren  Kenntniss  und  Abbildung  ich 
Studniczka  verdanke,  ab,  einige  unpublicierte  Vasen  beschreibe  ich, 
auf  die  publicierten  verweise  ich  kurz. 

1)  Hydria  mit  zweistabigem  Haupthenkel  (Fig.  1)  Neapel 
Inv.  2665,  Canino  369,  Heydemann  2757.  Am  Mundrand  lie- 
gende Kante  aus  Herzblättern.  Auf  der  Schulter :  zwei  nach  aussen 
schreitende  Sphingen  zwischen  den  Henkeln  Pflanzenornamente, 
über  der  Darstellung  Punktreihe  zwischen  gegenständigen  Herz- 
blättern (Fig.  2)  (1).    Hauptdarstellung  am  Bauch  von  links  be- 


-u 


F;* 


(!)  Von  den  doppelten  Contouren    bedeutet    der    stärkere  die  Ritzlinie, 
der  schwächere  die  Grenze  des  Firniss. 


VASENSCHERBEN    AUS    KYME    IN    AEOLIS 


175 


ginnend :   Geflügeltes  Pferd  nach  rechts  springend,  nackter  Jüng- 
ling im  archaischen  Laufschema  nach  r.,  Flügelpferd  nach  1.  sprin- 
gend,   zwei    nach   1.    laufende  nackte 
Jünglinge  (Fig.  3).  Am  Fuss  Stabor- 
nament nach  unten. 

2)  Amphora  (Fig.  4)  Neapel  Inv. 
2626,  Canino  369,  Heydemann  2717. 
Am  Mündungsrande  aussen  gegenstän- 
dige Herzblätter.  Auf  der  Schulter  bei- 
derseitig zwei  nach  links  galoppierende 
geflügelte  Pferde,  dahinter  Sirene,  da- 
rüber breites  Stabornament  mit  Kuge- 
lornament vor  den  Zwickeln  (Fig.  5). 
Am  Bauch  umlaufend  fünf  nach  links 
galoppirende  Rinder.  Zwei  davon  gibt 
Fig.  6. 


12 


176  VASENSCHERBEN   AUS   KYME   IN   AEOLIS 

3)  Oinochoe  plumper  Form  (Fig.  7).  Schulterbild :  Stier  zwi- 
schen zwei  Panthern  (Fig.  8).  Am  Bauch  auf  ausgespartem  Felde 
vier  tanzende  Silene,  dazwischen  Weinreben  (Kopfvignette).  Dass 
diese  Vase  sehr  jung  ist,  beweist  das  Schulterbild,  welches  seine 
stilistischen  Analogieen   auf   apulischen  Vasen   und   etruskischen 

Spiegeln  findet  sowie  die  richtige  In- 
nenzeichnung bei  den  Silenen.  Nächst 
verwandt  ist : 

4)  Hydria.  Inghirami,  Pitture  del 
vasi  elrmchi,  II,  109,  110.  Auf  der 
Schulter  tanzende  Silene.  Auf  dem  Bau- 
che Götterversammlung. 

5)  Amphora.  Micali,  Mon.  ined. 
tav.  37, 1.  Auf  der  Schulter  nur  Blätter 
und  Palmetten,  Hauptdarstellung  am 
Bauch  Gigantomachie  (sechs  Giganten 
gegen  sieben  Götter,  die  Giganten  mit 

Thierfellen  und  Steinen,    die   Götter   als  Hopliten.    Hermes   mit 
hohem  Hut  auf  Viergespann)  (').  Verwandt  ist  die 


C1)  Hierher  gehört  denn  auch  eine  Anzahl  in  Italien  gefundener  Bronze- 
beschläge. Der  beste  derselben  ist  Denkmäler  I,  21  neu  publiciert.  Obwolil 
er  stofflich  mit  unserer  Vasenclasse  sich  am  nächsten  berührt,  steht  er  sti- 
listisch den  Caeretaner  Vasen  noch  nicht  nahe.  So  ist  mir  Hermes  mit  dem 
langen  Chiton  nur  hier  (')  und  auf  Hydria  N.  IV  vorgekommen,  der  aegyp- 


VASENSCHERBEN   AUS   KYME   IN    AEOLIS  177 

6)  Amphora  Würzburg  81  (').  Am  Halse  beiderseits  hüp- 
fende bärtige  Silene,  dazwischen  bartlosen  (erotisch?).  Auf  dem 
Bauch  Zweikämpfe  von  vollgerüsteten  Hopliten.  Dass  die  Giganto- 
machie  gemeint  ist,  sieht  man  aus  der  Anwesenheit  des  Herakles. 
Er  kämpft  mit  geschwungener  Keule  nach  r. ;  der  linke  Arm  ist 
mit  dem  Löwenfell  umwickelt  und  weit  vorgestreckt.  Der  Held 
ist  unbärtig  und  trägt  einen  Panzer,  aber  keine  Beinschienen. 

7)  Hydria.  Micali,  Mon.  ined.  tav.  37,  2.  Schulterbild :  Zwei 
Götter  als  einfache  Hopliten  gebildet,  der  eine  mit  Krobylos,  be- 
kämpfen Typhoeus.  Bauch :  Jüngling  zwischen  zwei  geflügelten 
Pferden. 

8)  Unsichre  Form  (Hydria?).  Micali,  Mon.  ined.  tav.  39. 
Erste  Darstellung  (Bauch  ?)  von  links  beginnend :  Vogel  nach 
rechts,  Jüngling  mit  Flügeln  an  Hüften  und  Fersen  nach  links 
springend.  Vogel  nach  1.  Pferd  mit  Flügeln  an  Schultern  und 
Hufen  nach  1.,  menschenfüssiger  Kentaur  nach  1.  springend.  Vogel 
nach  1.  Dazwischen  Knospen,  Lorbeerzweige  und  Weinreben.  Zweite 
Darstellung  (Schulter?):  Prothesis :  auf  einer  Kline  liegt  der  ver- 
hüllte Tote,  vier  Leidtragende  nach  1.  ;  dahinter  Vogel. 

9)  Amphora.  Micali,  Mon.  ined.  tav,  43,  3.  Schulter :  zwei 
Sphingen  nach  1. ;  Bauch :  Sirenen  mit  Menschenarmen.  Viel  Blätter 
und  Knospen.  Sehr  verwandt  Berlin  2152. 

10)  Amphora  Würzburg  82.  Auf  der  Schulter  Löwe  mit 
Mähne  und  männlichem  Gliede,  aber  mit  strotzenden  Zitzen  nach 
links  schreitend ;  vor  ihm  Vogel  nach  1.  sich  umblickend.  Am 
Körper :  Umlaufender  Fries  von  pferdefüssigen  ithyphallischen  Si- 
lenen  und  nackten  Mänaden.  Aus  dem  Boden  wachsen  spitze 
Knospen  und  Phalloi.  In  der  Luft  grosse  Vögel.  Aehnlich  Berlin 
4024.  Beschreibimg  biehe  Furtwängler. 

11)  Hydria.  Rom,  Museo  Gregoriano.  Schulter:  Eine  grosse 
säugende  Häsin  wird  von  einem  grossen  Hunde  und  zwei  ganz 
kleinen  Mänaern   mit    Lagobolon  verfolgt,   von  welchen  nur  der 


tisirende  Chlamysschluss  nur  hier  (2)  und  auf  Hydria  N.  I.  Dagegen  kehrt 
der  Pferdeschmuck  der  Bronze  auf  Vase  1  und  2  unsrer  Classe  wieder.  Streng 
und  gut  sind  die  Ornamente  der  Bronze,  sie  wird  grossgriechischen  Ur- 
sprungs sein. 

(*)  Notizen  und  Skizzen  aus  Würzburg  verdanke  ich  Böhlau. 


178  VASENSCHERBEN   AUS   KYME   IN    AEOLIS 

vordere  mit  einem  Chiton  bekleidet  ist,  am  Boden  Blumen  unter 
dem  Hunde  ein  kurzbeiniges  kleines  Thier  mit  einem  Kamm  auf 
dem  Rücken,  am  ehesten  ein  Igel.  Am  Körper  drei  Mädchen  mit 
lanofflatterndem  Haar  im  archaischen  Schema  nach  rechts  laufend, 
mit  ionischem  Aermelchiton  bekleidet.  Die  Falten  und  die  Mus- 
culatur  namentlich  am  Knie  sind  sorgfältig  graviert.  Verwandt  ist 

12)  Hydria  abgebildet  bei  Micali,  Storia,  tav.  82,  3.  An 
der  Schulter  nur  Ornamente,  gewelltes  Band  und  Palmetten,  dar- 
unter Kante  aus  horizontalen  Herzblättern  nach  rechts.  Am  Körper 
nach  1.  laufende  männliche  Figuren,  in  der  Hand  eine  Art  Pfeil- 
stab, die  Chlamys  schurzartig  um  die  Hüften  geschlungen,  da- 
zwischen Weinreben. 

Endlich  wies  mir  Wolters  in  der  Sammlung  Fontana  drei 
hierhergehörige  Vasen  nach. 

13)  Eine  kleine  Amphora  kommt  nach  Bonn.  Auf  der  Schulter 
Augen  und  Blätter.  Am  Körper  umlaufend  vier  nach  1.  schreitende 
Sphingen.  Nach  Göttingen  kommt  eine  unbedeutende  Oinochoe, 
welche  nur  mit  Augen,  Eanken  und  Silenmasken  mit  ausge- 
streckter Zunge  decoriert  ist,  genauere  Bekanntschaft  verdient 
indes  der  Becher, 

14)  welcher  nach  Breslau  kommt.  Die  Form  sowohl  des 
Gefässes,  wie  des  hohen  Henkels  ist  bereits  im  Dipylonstil  vor- 
gebildet ;  indessen  weisen  die  zahnartigen  Ansätze  am  Henkelfuss, 
die  schienenartige  Verstärkung  oben  am  Henkel,  der  plastische 
Ring  am  Boden  des  Bechers  und  in  der  Mitte  des  Fusses  auf 
Metallvorbilder  (Fig.  9).  Ornamente  und  Darstellungen  sind  sehr 
altertümlich.  Auf  der  Innenseite  des  Henkels  ist  ein  zweigartiges 
Ornament  gemalt,  am  Rande  ein  einfacher  Mäander,  mit  kleinen 
Quadraten  ausgefüllt.  Auf  dem  Körper  ist  ein  Kampf  zwischen 
drei  unbärtigen  Kentauren  dargestellt.  Alle  drei  sind  mit  mensch- 
lichen Vorderbeinen  gebildet,  und  schwingen  als  Waffe  einen 
hirschgeweihartig  stilisierten  Zweig  wie  jene  auf  der  altattischen 
Vase,  Jahrbuch,  II,  4,  und  der  Chiusiner  Elfenbeinsitula,  Mon. 
d.  I.  X,  39  a.  Der  isoliert  nach  rechts  kämpfende  Kentaur  hat 
ganz  kurzes  punktiertes  Haar  und  menschliche  Ohren,  seine  beiden 
Gegner  haben  einen  langflatternden  Schopf  und  Pferdeohren.  Zu 
beiden  Seiten  des  äusseren  Henkelansatzes  eine  Volutenblüthe. 
Auch  diese  findet  ihre  Analogie  auf  der  erwähnten  Chiusiner  Si- 


VASENSCHERBEN    AUS   KYME   IN    AEOLIS  179 

tula  und  den  verwandten  Strausseneiern,  sowie  auf  den  altatti- 
schen und  den  sehr  alten  melischen  und  korinthischen  Vasen. 
Zwischen  den  Kämpfenden  wächst  aus  dem  Boden  ein  herzförmiges 
Blatt  (Fig.  10). 

Ich  schliesse  hier  die  Uebersicht  über  diese  Vasenclasse, 
deren  Gränze  weder  nach  oben  noch  nach  unten  genau  zu  be- 
stimmen ist,  und  zu  deren  richtiger  Beurtheilung  erst  durch  Aus- 
scheidung der  fremden  Einflüsse  (l)  der  reine  Typus  hergestellt 
werden  müsste,  wozu  umfassendere  sorgfältige  Publicationen  nö- 
thig  wären. 

Unzweifelhaft  ist  der  Zusammenhang  mit  den  Caeretaner 
Vasen,  für  welche  ich  unbedenklich  ostgriechischen  Ursprung  in 
Anspruch  nehme. 

Andrerseits  zeigen  die  gleichfalls  verwandten  Kymaeer  Scher- 
ben, dass  Nachlässigkeit  der  Ausführung  kein  Grund  gegen  grie- 
chischen Ursprung  ist.  Wären  dieselben  in  Caere  gefunden,  so 
würde  man  sie  wol  für  etrurisch  halten. 

Nun  sind  ja  Vasen  der  letztbesprochenen  Classe  zu  be- 
stimmter Zeit  ohne  Zweifel  an  mehreren  Punkten  Italiens,  nur 
nicht  in  Etrurien  gefertigt  worden,  und  werden  sich  danach  später 
noch  Unterabtheilungen  bilden  lassen. 

Wichtiger  aber  als  die  Ausläufer  dieses  Stiles  ist  die  Frage, 
welche  griechische  Stadt  ihn  in  Italien  eingeführt  hat.  Eine  si- 
chere Antwort  lässt  sich  hierauf  noch  nicht  geben,  doch  gebietet 
der  ausgesprochen  ionische  Stil  eine  gewisse  Beschränkung.  Fol- 
gende Hypothesen  werden  allen  bis  jetzt  ermittelten  Thatsachen 
gerecht,  einen  weiteren  Anspruch  erheben  sie  nicht : 

1)  Die  Caeretaner  Vasen  stammen  aus  Phokaea.  Hieraus 
würden  sich  sowohl  die  rhodischen  Elemente  als  auch  die  Vertraut- 
heit mit  Aegypten  durch  die  Theilname  an  der  Colonisation  von 
Naukratis  erklären.  Dann  würden  die  kymaeischen  Scherben  eine 
locale  Differenzierung  dieses  Stiles  darstellen,  die  besprochene  ita- 
lische Gruppe  den  Verfall  desselben  Stiles,  dessen  Uebertragung 
wahrscheinlich  durch  die  Phokaeer  in  Elea  erfolgt  sein  würde. 


(')  Ausser  attischen  Vasen  hat  namentlich  die  von  mir  im  vorigen 
Bande  dieser  Zeitschrift  zusammengestellte  Vasenclasse  Einfluss  geübt  (Sphinx, 
Sirene,  Fussflügel,  Zweige). 


180  VASENSCHERBEN   AUS   KYME   IN   AEOLIS 

2)  Die  kyinaeischen  Scherben  sind  aus  Phokaea  importiert. 
Dann  würden  die  Caeretaner  Hydrien  einen  Aufschwung  desselben 
Stiles  in  der  naukratischen  Colonie  darstellen ;  die  italischen  Vasen 
würden  wie  im  vorigen  Falle  zu  beurtheilen  sein. 

Zwei  schwierige  Aufgaben  sind  für  das  italische  Kunsthand- 
werk noch  zum  grössten  Theil  zu  erledigen :  erstlich  die  genaue 
Sonderung  des  griechischen  Imports  und  der  italischen  Nachbil- 
dungen, zweitens  die  stilistische  Analyse  der  letzteren.  Wenn  nun 
die  italischen  Funde  sowohl  die  sicher  einheimischen  wie  die  noch 
nicht  bestimmbaren  griechischen  ausgesprochen  ionischen  Charakter 
zeigen,  welcher  sich  durch  den  von  Cumae  ausgehenden  chalkidi- 
schen  Einfluss  doch  nur  zum  Theil  erklärt,  so  ist  jedes  authentisch 
kleinasiatische  Denkmal  für  die  italische  Handelsgeschichte  von 
grosser  Wichtigkeit,  und  dieser  Umstand  möge  die  ausführliche 
Besprechung  der  kymaeischen  Scherben  entschuldigen,  wenn  sie  zu 
endgültigen  Resultaten  auch  nicht  geführt  hat. 

Berlin  3.  September  1888. 

Ferdinand  Düemmler. 


SCAV1  DI  POMPEI  1886-88 
Insüla  viii,  2. 

(Tav.  VII). 


Gli  scavi  di  Pompei  negli  anni  suindicati  furono  rivolti  a  due 
punti :  a  quella  fila  di  case  che  sul  margine  meridionale  della  cittä 
si  stende  dal  foro  triangolaie  verso  la  basilica  e  le  case  dette  « di 
Championnet  ■  (is.  VIII,  2)  e  all'  isola  XI,  7  che  sta  ad  Oriente 
della  casa  detta  «  del  Centenario  ■  (ins.  IX,  6).  Parlerö  prima  del- 
l'isola  VIII,  2. 

Cogli  scavi  descritti  Bull.  1884  p.  210  sgg.  si  era  arrivati  fino 
a  quel  punto  ove  la  strada  che  dal  foro  triangolare  conduce  verso  0, 
s'incontra  con  quella  che  dirimpetto  all'  ingresso  laterale  dell*  edi- 
fizio  d'Eumachia  si  dirama  dalla  via  ■  dell'  Abbondanza  ■ .  Ora  ci 
rimane  a  parlare  del  tratto  fra  questo  punto  e  1'  angolo  che  la  strada 
suddetta  forma  con  quella  ■  delle  scuole  ■ ,  ovvero  col  prolungamento 
meridionale  del  foro.  Ne  diamo  sulla  tav.  VII  la  pianta. 

Anche  queste  case  hanno  un  piano  inferiore  che  scende  sul 
margine  della  citta  e  sul  posto  dell'antico  muro  di  cinta,  del  quäle 
su  questo  tratto  non  comparisce  alcuna  traccia ;  ma  siccome  la 
distanza  fra  la  strada  ed  il  margine  qui  e  minore,  cosi  i  piani  infe- 
riori  sono  di  poca  estensione,  ed  e  stato  possibile  indicarli  (sgraf- 
fiati)  sulla  pianta  stessa  delle  case.  Anche  queste  case  furono  ster- 
rate,  incompletamente  perö,  ai  tempi  dei  primi  scavi,  e  poi  ricoperte. 

N.  28. 

La  casa,  meno  forse  il  piano  inferiore,  esisteva,  essenzialmente 
nella  forma  attuale,  fin  dai  tempi  sannitici  ( ■  epoca  del  tufo  ■ ).  Ne 
fanno  fede  alcuni  avanzi  di  quelle  costruzioni  antiche.  Lo  stipite  d. 


182  SC  AVI   DI   POMPEI 

dell'ingresso  e  la  parte  d.  della  facciata ;  le  colonne  di  tufo  intorno 
l'impluvio ;  un  avanzo  di  decorazione  del  primo  stile  sul  muro  d.  del 
tablino ;  i  pavimenti  della  fauce  (b),  delle  ale  e  del  tablino.  La  casa 
fu  poi  ricostruita  con  stipiti  ed  angoli  di  mattoni  alteruati  regolar- 
mente  con  pietre  di  forma  analoga ;  le  parti  inferiori  li  hanno  esclu- 
sivamente  di  tali  pietre.  Le  decorazioni  conservate  mostrano  tutte 
rultimo  stile,  ne  havvi  motivo  alcuno  che  ci  costringa  a  tar  risalire 
la  ricostruzione,  compreso  il  piano  inferiore,  oltre  i  tempi  di  que- 
sto  stile. 

In  generale  fin  da  quando  si  aggiunsero  alle  case  i  peristilii, 
la  vita  domestica  si  ritirö  nelle  parti  posteriori ;  V  atrio,  che  una 
volta  ne  era  il  centro,  divenne  una  sala  d'ingresso,  le  camere  cir- 
coniacenti  erano  locali  trascurati:  dispense,  dormitorii,  servili  ecc.  ([). 
Qui  pero,  ove  mancano  parti  posteriori  di  qualche  rilievo,  1' atrio 
rimase  il  centro  della  casa.  Lo  troviamo  circondato  dai  triclinii  s  g  o, 
dai  cubicoli  i  l  p,  dalla  dispensa  r,  dalla  cucina  e.  E  siccome  1'  atrio 
stesso  non  poteva  servire,  come  al  solito,  da  anticamera,  cosi  questa 
fu  fatta  accanto  al  vestibolo.  La  riconosciamo  con  certezza  in  ö,  che 
ha  appie  del  muro  N  ed  E  un  sedile  di  fabbrica,  coperto  antica- 
mente  d'una  tavola  sia  di  legno  sia  di  marmo.  Per  essa  si  poteva 
passare  nell'atrio  senza  apriro  il  portone.  Servivano  senza  dubbio 
ad  uno  scopo  analogo  i  sedili  murati  nel  vestibolo  della  casa  n.  34 
{Bull.  1886  p.  149)  mentre  nella  casa  «  di  Giuseppe  II »  {Ball.  1887 
p.  121)  e  chiaro  che  Y  atrio  serviva  da  anticamera. 

Sopra  una  soglia  di  lava  senza  porta  s'entra  nel  piccolo  vesti- 
bolo a  con  pavimento  di  Signinum  nel  quäle  sono  irregolarmente 
disposti  pezzetti  di  marmo  ;  le  pareti  sono  rivestite  di  stucco  grezzo. 
A  sinistra  si  passa  nella  giä  mentovata  anticamera  c.  La  porta  delle 
fauces  (1,86  X  3,15)  b  era  fiancheggiata  da  anlepagmenta  in  forma 
di  grossi  pilastri  di  legno,  larghi  almeno  m.  0,36,  sporgenti  avanti 
allo  stucco  del  vestibolo  m.  0,15  almeno.  Era  a  due  battenti ;  sol- 
tanto  il  catenaccio,  a  d.  ha  lasciato  la  sua  traccia  sulla  soglia ; 
l'altro  battente  e  probabile  che  per  lo  piü  rimanesse  chiuso,  e  qui 
il  solito  catenaccio,  che  scorreva  nella  grossezza  della  porta,  era 
raforzato  da  un  altro  applicato  sul  lato  interno  e  del  quäle  pure 
si  vede  il  buco  nella  soglia.  Le  pareti  son  dipinte  nell' ultimo  stile 

(')  Cf.  Nissen  Pompe}.  Studien  p.  632  seg. 


INSVLA  VIII,  2  183 

a  fondo  rosso.  Agli  angoli  verso  l'atrio  non  vi  erano  antepagmenta, 
ma  sono  indicate  dalla  pittura  mediante  una  striscia  verticale  nera 
inclusa  fra  due  strisce  verdi,  che  sullo  spigolo  stesso  (0,16  su 
ciascun  lato)  interrompe  il  disegno  dell'angolo,  fatto  a  guisa  di  pi- 
lastro  ornato  di  rettangoli  concentrici.  II  pavimento,  che  verso  l'in- 
temo  s'inalza  di  m.  0,50,  e  di  Signinum  con  ornati  (squame  e  greca) 
di  pietruzze  bianche.  Fu  rotto  ove  passa  il  condotto  che  dall'im- 
pluvio  porta  l'acqua  sulla  strada  e  rimpiazzato  su  questo  tratto  da 
Signinum  senza  ornati,  uguale,  come  pare,  a  quello  dell'atrio.  Presso 
quest' ultimo  evvi,  piü  a  d.,  un  buco  per  appoggiarvi  la  trave  obli- 
qua  con  la  quäle  si  fermava  la  porta. 

L'  atrio,  grande  m.  8,76  (di  dietro  8,79)  X  12,78  (a  sin. 
12,73)  e  tetrastilo.  Soltanto  in  epoca  posteriore  il  piede  delle  co- 
lonne  dalle  scanalature  ioniche  fu  circondato  da  una  base  rivestita 
di  marmo,  e  furono  fino  am.  1,50  sop:a  questa  base  intonacate 
senza  scanalature  e  dipinte  di  color  giallo  con  strisce  bruDastre 
che  s'incrociano.  Le  ale  q  h  non  si  trovano  al  posto  solito  ma  nel 
centro  di  ciascun  lato,  comep.  es.  nella  casa  di  Epidio  Rufo  (IX,  1, 20) 
ed  in  quasi  tutte  le  case  dell'isola  IX,  4  (vd.  Bull.  1879  p.  23). 
Quella  a  sin. ,  q,  e  meno  profonda  a  causa  della  forma  irregolare 
della  casa ;  in  larghezza  erano  in  origine  uguali :  lo  dimostra  il 
pavimento  ;  nella  ricostruzione  perö  quella  a  d.  fu  fatta  un  po'  piü 
larga  e  furono  tolte  le  ante  che  ne  restringevano  1'  ingresso,  in 
modo  che  ora  una  linea  in  prolungamento  delle  par.ti  laterali  ver- 
rebbe  a  rasentare  dal  lato  interno  le  colonne  dell'impluvio.  E  per 
marcar  meglio  tale  corrispondenza  gli  stipiti  di  quest' ala,  accanto  alle 
antepagmenta  che  ne  rivestivano  l'angolo,  furono  dipinti,  tanto  dalla 
parte  dell'  atrio  che  dell'ala,  nel  modo  stesso,  almeno  nella  parte  in- 
feriore, come  le  colonne.  In  tal  modo  le  due  ale  non  sono  piü  due 
membri  equipollenti,  ma  la  sin.,  piü  stretta  e  piü  profonda,  con  le  ante 
d'ingresso,  e  caratterizzata  come  luogo  da  trattenervisi,  l'altra  come 
prospotto,  quasi  un  secondo  tablino.  Giova  ricordare  la  casa  IX, 
5,  6  ('),  ove  delle  due  ale,  situate  come  qui  in  mezzo  ai  due  lati 
dell'atrio,  una  (la  sin.)  e  molto  piü  alta  dell'altra  ed  in  tal  modo 
prende  quasi  il  carattere  d'un  tablino.  La  decorazione  in  ambedue 
le  ale  e  semplice  a  fondo  bianco,  non   conservata  in  alcun  punto 

(')  Bull.  d.  Inst.  1879  p.  91  sgg.  Overbeck-Mau  Pompeji  4  pag.  289. 


184  SCAVI   DI   POMPEI 

fino  all'altezza  dei  quadri ;  il  pavimento  di  Signinum  con  ornati 
(greca ,  soglia  di  squame)  rimonta  senza  dubbio  all'epoca  del 
primo  stile  decorativo  ed  e  evidentemente  anteriore  a  quello  del- 
l'atrio. 

II  tablino  n  aveva  la  porta  a  quattro  battenti,  come  si  vede 
dagli  incavi  della  soglia  di  travertino ;  essa  si  apriva  dalla  parte 
dell'atrio.  Negli  stipiti  gli  spigoli  rivolti  al  tablino  erano  riveatiti 
di  antepagmenta.  Essendo  distrutte  le  parti  posteriori  dei  muri 
laterali,  non  si  puo  decidere  se  fosse,  come  ho  supposto  nella  pianta, 
in  comunicazione  con  le  stanze  adiacenti.  Della  decorazione  delle 
pareti  e  conservato  soltanto  lo  zoccolo  (fondo  nero);  il  pavimento 
e  composto  di  pezzetti  di  travertino  messi  in  istucco,  di  quel  ge- 
nere  che  si  trova  anche  nella  casa  del  Fauno,  ma  meno  ben  lavo- 
rato.  La  soglia  posteriore  non  e  conservata. 

II  pavimento  dell'atrio  e  Signinum  con  stellette  composte  di 
pietruzze  bianche  e  nere.  Intorno  all'impluvio  e  piü  recente  e  di 
qualitä  inferiore :  fu  tolto  cioe  l'antico  impluvio  di  tufo  per  farne 
uno  di  marmo,  e  siccome  questo  ricevette  un  margine  meno  largo, 
cosi  rimase  una  lacuna  che  fu  riempita  con  quella  massa  meno 
buona.  II  marmo  poi  e  stato  portato  via  negli  scavi  anteriori :  ne 
e  rimasto  un  piccolo  avanzo  all'  angolo  NO  e  le  lastre  che  cuo- 
prono  le  bocche  della  cisterna.  Dali' impluvio  il  solito  canaletto 
portava  le  acque  sulla  strada ;  ha  nella  fauce  uno  sfogatoio  chiuso 
con  una  lastra  tonda  di  tufo.  Nell'ala  ,d.,  appie  delle  pareti  late- 
rali e  a  poca  distanza  dagli  angoli  dell'ingresso,  due  tubi  di  piombo 
(diam.  interno  0,07)  passano  verticalmente  per  il  pavimento,  e  da 
questi  due  punti  due  canaletti  coperti,  posteriori  al  pavimento 
deH'atrio,  che  s'uniscono  presso  lo  stipite  d.  dell'  ala,  con  due  sfo- 
gatoi  arrivano  fino  all'impluvio  (vedi  la  pianta). 

Senza  alcun  dubbio  questi  tubi  provenivano  dal  piano  di  so- 
pra ;  quasi  nascosti  dietro  le  antepagmenta  davano  paco  negli  oc- 
chi.  Ma  non  saprei  indicar  lo  scopo  cui  un  simile  apparecchio  po- 
teva  servire.  Quand'  anche  si  volesse  supporre  che  quella  parte  della 
casa  invece  del  tetto  inclinato  verso  l'interno  fosse  coperta  da  una 
terrazza,  rimarrebbe  sempre  incomprensibile,  perche  le  acque  ca- 
dute  su  tale  terrazza  non  fossero  condotte  sul  tetto  dell'  atrio  e 
quindi  nell' impluvio. 

Un  altro  canaletto  dalT  angolo  SE  dell' impluvio  si  dirige  verso 


INSVLA  VIII,  2  185 

SE  e  quindi  ad  E.  In  k  una  scala  conduce  in  un  locale  sotterra- 
neo,  ed  ivi  nel  lato  0  del  vano  della  scala  si  vede  Timpronta  di 
un  tubo  d'acquedotto  che  vi  discendeva  e  forse  era  collocato  nel  canale 
suddetto,  il  quäle  anch'  esso  e  posteriore  al  pavimento  dell'atrio. 

Tutte  le  porte  intorno  all'atrio  avevano  antepagmenta  fermate 
con  rampini  di  ferro;  solo  in  op  non  n'e  rimasta  traccia,  mancan- 
dovi  lo  stucco  e  le  soglie.  Kivestivano  nelle  ale  gli  angoli,  0,17-0,19 
verso  l'atrio,  0,15-017  verso  l'ala,  nelle  altre  camere  l'intera  pro- 
fonditä  della  porta  e  una  stnscia  di  in.  0,17  dalla  parte  dell'atrio. 

Nell'angolo  NO  dell'atrio  stava  il  larario,  posteriore  alla  de- 
corazione  delle  pareti.  11  basamento,  alto  con  la  lastra  di  marmo 
sovrappostavi  1,16,  grande  1,25  X  0,85,  e  dipinto  ad  imitazione 
di  marmi.  L'edicola  non  e  conservata;  la  sua  facciata  rivolta  a  S 
era  sorretta  da  due  colonnine.  Tre  gradini  rivestiti  di  marmo,  per 
collocarvi  gli  idoletti,  sono  addossati  al  muro  N,  ove  anche  si 
vedono  pochi  avanzi  della  pittura  lararia. 

e  (m.  4,94  X  3,51)  e  la  cucina ;  a  d.,  e  dirisa  da  essa  per 
un  muro  sottile,  evvi  la  scala  del  piano  superiore.  Siccome  vi  e 
questa  sola  scala,  ne  si  puö  credere  che  sul  lato  opposto  non  vi 
fossero  camere  superiori,  ne  che  per  arrivare  a  que^te  si  dovesse 
passare  per  tutte  le  camere  intermedie,  cosi  e  probabile  che  fos- 
sero accessibili  mediante  una  galleria  di  legno  situata  sotto  il  tetto 
dell'atrio.  Accanto  alla  scala  evvi  il  focolare,  con  muricciuolo  sul 
suo  margine  sin.,  ed  il  cesso  /;  tanto  questo  quanto  la  cucina 
avevano  una  finestrina  sulla  strada,  ma  quella  della  cucina  fu  mu- 
rata  anticamente. 

s  e  g  sono  triclinii,  dipinti  ambedue  neu'  ultimo  stile,  s  a 
fondo  nero,  g  a  fondo  rosso.  Le  pitture  sono  senza  valore ;  in  s 
(3,29  [4,0]  X  4,90)  si  vedono  animali  (grifoni,  una  pantera)  nei  cen- 
tri  degli  scompartimenti,  e  qualche  sacello  nello  scompartimento 
medio  del  muro  di  fondo.  In  g  (3,81  X  4,43)  pare  che  simili  fi- 
gure  non  vi  fossero  ;  invece  evvi  nel  pavimento,  che  del  resto  e  della 
medesima  massa  ordinaria  come  in  s,  un  rettangolo  (1,35  X  1,48) 
composto  di  lastre  quadrate  e  triangolari  di  marmo,  non  nel  cen- 
tro,  ne  dirimpetto  alla  porta,  ma  in  un  posto  che  io  non  so  perche 
sia  stato  scelto.  Un  terzo  triclinio  era  o  (3,77  X  6,35) ;  qui  tutto 
il  pavimento  era  composto  di  lastre  quadrate  e  triangolari  di  marmo, 
delle  quali  perö  poco  e  conservato. 


186  SCAVI   DI   POMPEI 

Fra  i  cubicoli  i  (2,84  [3,27]  X  4,10)  conserva  qualche  avanzo 
della  decorazione  nell' ultimo  stile,  p  ha  le  pareti  rozze  e  perciö 
ed  anche  per  le  piccole  dimensioni  (1,90  X  3,80)  puö  credersi  un 
dormitorio  servile.  —  l  (3,70  X  2,62)  mostra  qualche  avanzo  d'  un 
pavimento  in  musaico  bianco  e  nero ;  le  pareti  erano  dipinte  nel- 
1'  ultimo  stile.  I  migliori  pavimenti  in  /  e  o  dimostrano  anche 
qui  la  solita  predilezion3  per  i  locali  posteriori. 

A  sin.  del  tablino  il  corridoio  m  porta  sulla  terrazza  t ;  era 
chiuso  con  una  porta  a  due  battenti  che  s'apriva  verso  1'  interno. 
A  sin.  di  m  evvi  ancora  la  cameretta  k  (2,78  [2,96J  X  2,37)  dalla 
quäle  una  scala  stretta  ed  incomoda  (2  gradini  verso  N,  10  verso  0) 
di  opera  incerta  rivestita  di  stucco  rossastro  per  l'aggiunta  di  pol- 
vere  di  mattoni,  conduce  nel  sotterraneo.  Poteva  essere  chiusa 
con  una  specie  di  coperchio,  del  quäle  si  vede  l'incastro. 

Questa  perö  era  una  discesa  abolita  dagli  antichi  stessi,  i  quali 
discendevano  nei  locali  sotterranei,  sottoposti  alla  terrazza  t  e  sgraf- 
fiati  nella  nostra  pianta,  per  la  scala  u.  Quei  locali  sono,  oltre  i 
vani  di  comunicazione,  una  specie  di  grotta,  che  poträ  chiamarsi 
ninfeo,  e  un  cubicolo  col  proeoeton. 

Dalla  scala  u  s'entra  prima  in  una  specie  di  anticamera  v,  di 
forma  irregolare,  le  cui  due  parti  sono  coperte  ognuna  con  una  volta 
cilindrica.  Le  pareti  son  dipinte  neu'  ultimo  stile,  a  fondo  giallo 
con  zoccolo  rosso,  la  volta  con  stelle  gialle,  verdi  e  rossastre  su 
fondo  bianco.  Nel  muro  S,  grosso  m.  1,20,  evvi  una  grande  fine- 
stra  che  arriva  fino  al  pavimento  (1,35X2,22).  Neil'  angolo  NO 
sta  incastrato  nel  suolo  un  recipiente  cilindrico  di  lava  (diametro 
esterno  1,0,  interno  0,41)  con  incastro  per  un  coperchio;  e  ancora 
pieno  di  cenere. 

Sopra  due  gradini  poi  si  scende  nella  grotta  x,  grande  m.  5,40 
X  3,60,  alta  fino  al  nascimento  della  volta  a  botte  2,55,  fino  alla 
sommitä  4,0,  con  una  grande  finestra  (larga  1,93),  per  la  quäle  si 
godeva  la  vista  di  Stabia,  Sorrento,  Capri,  l'isola  di  Kevigliano  ed 
il  monte  Santangelo.  II  pavimento  e  formato  di  lastre  di  tufo  presso 
a  poco  quadrate  (0,60-0,70)  con  strisce  di  marmo  frappostevi. 
Le  pareti  son  rivestite  fino  a  m.  0,13  di  lastre  di  tufo,  quindi  di 
marmo  bianco,  del  quäle  rimangono  pochi  avanzi ;  soltanto  accanto 
alla  finestra  son  rivestite  di  stucco  bianco,  ed  hanno  alla  distanza 
di  0,7  dagli  angoli  un  rettangolo  nero  largo  m.  0,1  rinchiuso  in 


INSVLA  VIII,   2  187 

linee  iinpressa  nello  stucco  ancora  molle.  La  volta  era  coperta  di 
pezzetti  di  pietra  di  Sarno  con  impronte  di  piante.  Nel  lato  N  una 
nicchia  dal  fondo  semicircolare,  larga  0,95,  profonda  circa  m.  1,0, 
alta  fino  al  nascimento  della  volta  1,23,  fino  alla  soramitä  1,78, 
contiene  una  scaletta  larga  0,325,  rivestita  di  marmo,  destinata  evi- 
dentemente  per  farvi  scorrere  l'acqua ;  ad  ogni  lato  di  essa  rimane 
un  piano  ioclinato  largo  0,30-0,33,  rivestito,  com'anche  le  pareti 
della  nicchia,  di  pezzetti  di  pietra  di  Sarno  con  impronte  di  piante. 
La  superficie  verticale  che  rimane  al  disopra  della  scala  (a.  0,30) 
e  rivestita  di  stucco  rossastro  con  strisce  irregolari  gialle  e  paonazze, 
che  senza  dubbio  debbono  indicare  l'acqua  che  vi  discende,  e  si  tro- 
vano  anche,  con  esecuzione  piü  rozza,  al  di  sotto  della  scala,  sul 
muro  posteriore  della  vasca  che  la  precede.  Nel  cielo  della  nicchia 
(la  cui  decorazione  non  e  conservata)  osservasi  al  di  sopra  della  scala 
il  buco  per  il  quäle  doveva  entrare  il  tubo  dell'acquedotto,  e  due 
piccolissime  aperture  a  guisa  di  finestre  al  disopra  dei  piani  incli- 
nati.  L'apertura  della  nicchia  e  accompagnata,  sul  muro  di  fondo 
della  grotta,  da  una  striscia  di  musaico  a  guisa  delle  note  fontane, 
composta  di  pietre,  smalti  e  poche  conchiglie.  Avanti  a  questa  nic- 
chia stendesi  per  l'intera  larghezza  della  grotta  una  vasca  formata 
mediante  un  podio  parallelo  al  muro  di  fondo;  e  larga  0,45,  ma 
in  tre  punti  viene  ristretta  fino  a  m.  0,22  da  sporgenze  arcuate  del 
podio,  alle  quali  sul  lato  esterno  del  medesimo  corrispondono  incavi 
rettangolari  (0,26  X  0,23).  II  fondo  della  vasca  sta  a  m.  0,25  sopra 
il  pavimento  della  grotta.  Sul  lato  esterno  del  podio  eravi  la  nota 
rappresentanza  dell'inondazione  del  Nilo ;  ne  e  conservato  poco,  ma 
si  riconosce  un  serpente  ureo,  un'anitra  e  qualche  edifizio.  La  su- 
perficie pare  che  fosse  coperta  di  marmo. 

L'  acqua  che  scendeva  per  la  scaletta  fu  in  parte  assorbita, 
alla  metä  dell'altezza,  da  un  tubo  di  piombo  che  la  conduceva  in 
giü  e  la  portava,  passando  sotto  la  vasca,  in  un  canaletto  coperto 
dal  pavimento  della  grotta,  che  la  versava  fuori  della  cittä :  sotto 
la  vasca,  prima  che  fosse  restaurata,  si  vedeva  in  parte  il  tubo 
stesso,  in  parte  la  sua  impronta.  II  rimanente  dell'  acqua  cadeva 
nella  vasca  e  di  lä  fu  portato  per  un  altro  tubo  (di  cui  a  d.  del 
centro  vidi  1' impronta)  nel  medesimo  canaletto. 

Da  v  un  corridoio  stretto  (0,58-0,70),  coperto  a  volta,  w, 
conduce,  passando  dietro  x,  a  y  e  f,   Sopra  tre  gradini  si  discende 


188  SCAVI    DI   POMPEI 

nelprocoetonij  (1,17  [1,75]  X  2,80),  con  decorazione  semplicissima: 
zoccolo  grigio  a.  1,50,  striscia  gialla  a.  0,03,  quindi  intonaeo  bianco; 
pare  che  non  avesse  finestra.  II  cubicolo  g  (2,24  X  2,  15)  era  di- 
pinto  nell' ultimo  stile  a  fondo  azzurro  con  zoccolo  rosso,  aveva  un 
pavimento  di  marmo  e  riceveva  luce  da  una  finestra  nel  muro  S, 
larga  0,95,  discosta  dal  pavimento  1,56. 

In  w,  e  precisamente  dietro  la  nicchia  di  or,  imboccava  una 
volta  il  corridoio  sotterraneo  al  quäle  si  discendeva  in  k.  Ma  l'im- 
boccatura  fu  chiusa  anticamente  con  un  muro  rivestito  di  stucco 
dal  lato  di  k,  senza  stucco  dall'altro.  Fu  giä  menzionata  la  fistola 
di  piombo  che  una  volta  discendeva  nel  vano  della  scala  in  k.  E 
perfettamente  chiaro  che  essa  discendeva  sul  lato  N  della  scala, 
poi  passava  sotto  la  scala  stessa  e  si  dirigeva  verso  w.  In  w  la 
distruzione  del  pavimento  dimostra  che  vi  passava  sotto  per  salire 
poi  al  foro  summentovato  nel  cielo  della  nicchia. 

Un  altro  ramo  del  corridoio  accessibile  da  k  si  dirige  a  NO, 
verso  l'atrio,  ma  finisce  dopo  2  m.:  proseguendo  s'incontrerebbe  con 
la  cisterna.  Sul  principio  s'inalza  dal  pavimento,  in  direzione  obliqua 
verso  SE,  un  tubo  di  piombo,  non  rotto  ma  tagliato.  Pare  adunque 
che  fin  da  principio  finisse  in  questo  modo;  forse  si  tratta  di  un 
apparecchio  per  condurre  l'acqua  nella  cisterna  quando  non  doveva 
scorrere  in  x. 

Nel  muro  S  della  casa,  in  mezzo  fra  la  finestra  di  v  e  l'an- 
golo  SO,  evvi  esternamente  una  nicchia  press'a  poco  quadrata  (0,80), 
che  probabilmente  dovea  contenere  la  statuetta  di  qualche  divinitä; 
a  ciascun  lato  di  essa  una  piccola  parte  del  muro  e  dipinta  nel- 
l'ultimo  stile  a  fondo  verde. 

II  muro  posteriore  della  casa  sta  probabilmente  sul  posto  del 
lato  esterno  del  muro  di  cinta,  sul  pendio  della  roccia  naturale, 
che  sotto  di  essa  in  parte  e  rivestita  di  muratura  senza  stucco,  in 
parte,  ove  sporge  di  piü,  e  rimasta  scoperta. 

Gli  oggetti  raccolti  in  questa  casa,  giä  ricercata  in  altri  tempi, 
furono  del  tutto  insignificanti.  Senonche  in  due  locali  diversi  furono 
trovate  parti  d'una  statua  di  bronzo,  piü  piccola  del  naturale.  In 
k  cioe  i  piedi  posti  sopra  una  base  rettangolare  (0,48  X  0,32)  di 
marmo,  ed  in  r  (cosi  pare)  una  mano  leggermente  contratta  con 
parte  del  braccio  che  nella  sua  estremitä  ha  due  piccoli  fori  dia- 
metralmente  opposti.   Insieme  coi  piedi  trovaronsi  frammenti  di 


INSVLA  VIII,   2  189 

avorio  appartenuti  a  qualche  mobile,  fra  essi  nove  borchie  (diam. 
0,03  -  0,08)  e  dodici  pezzi  cilindrici  finienti  a  campana  (alt.  0,04-0,08); 
79|  globetti  di  ambra ;  im  filo  di  bronzo,  sul  quäle  sei  globetti  di 
cristallo  di  rocca  in  forma  di  pera  e  sei  globetti  rotondi  di  corniola. 
(Not.  d.  Sc.  1886  p.  169;  1887  p.  242). 

N.  26,  27. 

La  casa  seguente  ha  due  ingressi,  di  cui  uno  conduce  nella 
cucina  e  nel  sotterraneo,  1'  altro  nell'  atrio,  il  cui  pavimento  sta 
m.  0,50  sopra  quello  del  n.  28,  m.  1,20  sopra  il  selciato  della 
strada,  che  s'inalza  ancora  fino  all'angolo  della  via  delle  scuole. 

L' atrio  con  le  camere  adiacenti  aveva  essenzialmente  la  stessa 
disposizione  fin  dall'epoca  sannitica,  alla  quäle  rimonta  lo  stipite 
sin.  dell'ingresso,  gli  angoli  iDterni  della  fauce,  l'altro  stipite  di  e, 
uno  stipite  d'ognuna  delle  porte  dipq,  ambedue  di  o,  e  quello  d. 
di  m.  Di  piü  le  soglie  di  travertino  di  tutte  le  porte  intorno  al- 
l'atrio  (meno  r)  ed  anche  quelle  degli  ingressi  meridionali  di  m  n. 
La  casa  perö  fu  ricostruita,  conservando  gli  avanzi  suddetti,  in 
epoca  posteriore :  intorno  all' atrio  gli  stipiti  furono  fatti  di  mattoni 
alternati  regolarmente  con  pietre  di  forma  simile,  in  fghi  (cucina 
e  locali  adiacenti)  di  queste  ultime  pietre  soltanto,  congiunte  con 
l'opera  incerta  in  linea  irregolare,  nel  piano  inferiore  (1-6)  di  si- 
mili  pietre  che  in  parte  s'alternano  in  modo  non  regolare  con  mat- 
toni, e  con  l'opera  incerta  si  congiungono  mediante  sporgenze  rettan- 
golari.  Pare  perö  che  tutto  questo  abbia  ad  ascriversi  ad  uno  stesso 
tempo ;  almeno  il  muro  N  di  /  non  pud  essere  posteriore  alla  scala 
addossatavi,  che  per  il  modo  di  costruire  va  d'accordo  con  fghi 
e  della  quäle  anche  nella  disposizione  di  questi  locali  e  stato  tenuto 
conto.  Se  ciö  e  giusto,  la  ricostruzione  non  e  posteriore  all'  epoca 
del  terzo  stile  decorativo,  nel  quäle  son  dipinti  4,  5,  6,  vale  a  dire 
press'  a  poco  all' anno  50  d.  C. 

Le  fauces  son  precedute  dal  piccolo  vestibolo  «,  il  cui  pavi- 
mento, Signinum  con  ornati  di  pietruzze  bianche,  rimonta  ai  tempi 
sannitici.  Era  chiuso  verso  la  strada  con  una  porta  a  tre  battenti 
preceduta  da  strettissime  antepagmenta  (0,15),  che  non  si  esten- 
devano  fino  agli  angoli.  Gli  stava  a  sin.  la  cameretta  c,  che  serviva 
da  armadio,  con  due  scansie  alle  pareti  sin.  e  di  fondo.  Di  fronte, 


190  SCAVI   DI    POMPEI 

sopra  un'altra  soglia  di  travertino,  che  forma  un  gradino,  s'  entra 
nella  fauce,  chiusa  da  una  seconda  porta  a  due  battenti  fra  due 
ante  che  esteriormente  e  dal  lato  della  porta  erano  rivestite  di 
antepagmenta.  II  pavimento  di  musaico  mostra  su  fondo  bianco  un 
cinghiale  accovacciato  rinchiuso  in  una  greca  nera.  Gli  angoli  verso 
1'  atrio  erano  muniti  di  antepagmenta  sorrette  da  un  basamento 
rivestito  di  marmo  bianco.  In  a  e  b  le  pareti  conservano  avanzi  di 
pitture  nell'  ultimo  stile. 

L'atrio  tuscanico  d  ha  il  pavimento  di  musaico  nero  con  file 
di  pezzetti  di  travertino  e  doppio  margine  bianco,  e  sulle  pareti 
avanzi  della  decorazione  nell'  ultimo  stile  a  fondo  rosso.  II  gran- 
dissimo  impluvio  (3,55  X  5,65),  spogliato  del  suo  rivestimento  di 
marmo,  aveva  nel  centro  un  getto  d'acqua:  ciö  risulta  dalle  tracce 
della  ßstula,  la  quäle ,  proveniente  senza  dubbio  dal  castello  al- 
l'angolo  SO  dell'isola  VIII,  5.  6,  entrava  nella  casa  a  d.  della  porta 
n.  27,  ove  se  ne  vede  l'impronta,  e  passando  sotto  l'angolo  ante- 
riore a  sin.  delT atrio  si  dirigeva  verso  l'angolo  corrispondente  del- 
1' impluvio,  come  si  rileva  dalla  rottura  del  pavimento.  L'impluvio 
e  contorniato  da  un  ornato  in  musaico  raffigurante  un  intreccio,  che 
sul  lato  posteriore  comprende,  con  sporgenza  rettangolare,  una  bocca 
di  cisterna,  sul  lato  anteriore  probabilmente  un  chiusino  del  cana- 
letto  che  portava  l'acqua  sulla  strada. 

Delle  camere  che  circondano l'atrio,  r mn  sono  triclinii,  tutti 
con  decorazione  piü  o  meno  conservata  nell'  ultimo  stile.  II  pavi- 
mento di  r  e  una  specie  di  Signinum  con  ornati  di  pietruzze  bianche 
e  di  pezzi  irregolari  di  marmo ;  m  e  n  l'hanno  di  musaico  bianco 
con  margine  nero.  La  soglia  di  r  non  e  di  quelle  antiche:  e  di 
marmo,  non  e  divisa  in  una  parte  piü  alta  ed  una  piü  bassa ;  ha 
soltanto  due  incavi  rettangolari  per  i  cardini,  ma  ne  quelli  dei 
catenacci  ne  quelli  delle  antepagmenta.  La  porta  dunque  poteva 
chiudersi  soltanto  unendo  fra  loro  i  due  battenti.  Nello  stesso  modo 
son  fatte  le  soglie  delle  porte  che  dall'atrio  conducono  in  m  e  n; 
perö  queste  sono  di  travertino  e  possono  essere  dell'epoca  sannitica. 
Invece  n  (quella  di  m  manca)  ha  dalla  parte  della  terrazza  s  una 
soglia  della  forma  solita,  che  perö  s'apriva  verso  di  fuori :  la  porta  era 
in  origine  larga  piü  di  2  metri,  ma  nella  ricostruzione  fu  ristretta 
a  m.  1,70.  La  forma  suddetta  delle  soglie  si  comprende  quando  si 
riflette  che  le  porte  dei  triclinii  non  era  mai  il  caso  di  chiuderle 


insvla  vnr,  2  101 

dalla  parte  interna,  ma  si  chiudevano  soltanto,  e  precisamente  da 
quella  esterna,  mentre  il  locale  non  si  adoperava. 

dop  sono  cubicoli,  con  pitture  di  nessun  interesse  nell'ul- 
timo  stile.  In  o  eravi  sul  muro  sin.  un  quadro,  ora  aifatto  irrico- 
noscibile  (1.  0,37) ;  in  p  sul  muro  sin.  un  quadro  poco  conservato 
che  sembra  rapprasentare  la  nota  Venere  pescatrice  Heibig  346 
segg.  (a  d.  verso  sin.);  e  largo  0,32,  alta  la  p.  cons.  0,21.  In  e  il 
posto  del  letto,  appie  del  muro  d. ,  e  marcato  per  l'assenza  del 
disegno  in  pietruzze  Manche  nel  pavimento  di  Signinum,  anteriore 
senza  dubbio  alla  ricostruzione,  com'anche  quello  di  p.  Invece  /  ha 
Signinum  piü  recente,  o  musaico  bianco  con  margine  nero.  In  e  manca 
la  soglia :  probabilmente  era  di  marmo  come  in  r  ed  e  stata  tolta. 

In  modo  insolito  e  formato  l'angolo  NOdi  l.  Qui  nella  rico- 
struzione furono  fatti  cambiamenti.  Prima  il  muro  N  di  l  siava 
m.  1,75  piü  verso  S,  e  in  questa  parte  vi  era  un  altro  cubicolo; 
invece  mancava  l'attuale  muro  E  e  la  camera  si  stendeva  fino  al 
muro  E  dell'intera  casa.  Nella  ricostruzione  quell'altro  cubicolo 
fu  abolito  e  lo  spazio  in  parte  fu  occupato  dalla  scala  k,  in  parte  ne 
fu  ingrandito  l.  Perö  dal  lato  dell'atrio  la  ricostruzione  si  attenne 
all'antica  disposizione :  furono  lasciate  le  antiche  porte  con  le  loro 
soglie  di  travertino,  di  maniera  che  i  muri  0  e  N  di  l  non  si  toccarono 
e  rimase  nell'angolo  una  lacuna  che  fu  chiusa  mediante  lo  stucco 
che  rivestiva  le  pareti  di  l. 

I  cubicoli  /  ed  o  si  chiudevano  non  soltanto  coi  soliti  due 
battenti  che  s'aprivano  in  dentro,  ma  avevano  un'altra  chiusura 
esterna.  Nelle  soglie  cioe  si  osservano,  poco  piü  in  dentro  degli 
angoli  anteriori  delle  antepagmenia  e  distanti  da  essi  circa  m.  0,10, 
due  incavi  grandi  0,06X0,015,  profondi  circa  0,02,  di  una  forma 
tale  cioe  che  difficilmente  poteva  entrarvi  altro  che  un  perno  di 
metallo.  E  in  mezzo  fra  questi,  circa  0,02  piü  in  dentro,  evvi  un 
altro  piccolo  incavo  della  stessa  profonditä,  grande  circa  0,015  in 
ogni  lato ;  in  l  avanti  a  quest'ultimo  incavo  un  altro  simile  e  stato 
riempito  di  stucco.  Mi  pare  evidente  che  qui  si  tratta  di  una  porta 
esterna,  i  cui  stipiti  erano  fermati  in  que'primi  incavi,  mentre  quello 
in  mezzo  era  destinato  ad  un  catenaccio;  cf.  Bull.  cl.  Inst.  1886,  p.  152. 

q  era  una  dispensa  o  apotheca:  in  tutte  le  pareti,  rivestite 
di  stucco  bianco,  vedonsi  i  buchi  per  due  scansie.  II  pavimento  e 
opus  Signinum  antico  con  ornati  di  pietruzze  bianche. 

13 


J92  SCAVI  DI  POMPEI 

La  cucina  ed  i  locali  adiacenti  avevano  il  loro  ingresso  sepa- 
rate n.  27.  Dal  quäle  s'entrava  di  fronte  in  g,  nel  passaggio  cioe,  che 
sopra  un  gradino,  poi  con  piano  inclinato  conduce  nel  sotterraneo. 
Pin  da  un  metro  dal  suo  principio  era  coperto  con  un  sofiitto  di  legno, 
di  cui  si  vede  l'impronta  nel  muro  E,  a  m.  0,65  sopra  il  pavimento 
della  cucina.  A  questa,  /",  si  accede  inontando  due  gradini ;  ha  una 
finestra  (1.  0,75)  sulla  strada.  Appie  del  muro  0  evvi  il  grande 
focolare,  il  quäle  presso  la  sua  estremitä  N  ha  un  incavo  (0,57X0,60, 
profondo  0,40)  che  puö  credersi  destinato  per  sedervi ;  il  margine 
S  del  focolare  e  sormontato  da  un  muricciuolo. 

h  non  e  che  un  vano  di  passaggio;  i  crederei  piuttosto  un 
dormitorio  servile  che  una  dispensa :  le  pareti,  rivestite  di  stucco 
di  mattoni  (poco  conservato)  non  mostrano  tracce  di  scansie.  La 
scala  k,  con  10  gradini  verso  E,  quindi  dietro  l,  conduce  al  piano 
superiore. 

n  d  m  erano  preceduti  sulla  terrazza  s  da  un  portico  largo 
m.  5.  A  tale  distanza  cioe  il  pavimento  di  s  finisce  in  linea 
retta,  e  al  margine  e  un  poco  inalzato.  Che  questa  linea  segni  il 
margine  dello  stilobate,  lo  deduco  dal  fatto  seguente.  AI  muro 
posteriore  di  n  d  m  vedonsi  addossate  alcune  sporgenze  rettango- 
lari  rivestite  di  marmo ;  ve  ne  sono  cinque :  negli  angoli,  accanto 
agli  ingressi  di  m  n  sul  lato  dell'atrio,  accanto  agli  ingressi  del- 
l'atrio  dal  lato  del  centro.  Sono  larghe  0,50,  negli  angoli  m.  0,35, 
e  sporgono  m.  0,38;  non  sono  conservate  in  alcun  punto  oltre 
l'altezza  di  m.  0,06,  ma  si  vede  dalla  loro  forma  che  non  erano 
pilastri ;  dovevano  essere  basi  o  qualche  cosa  simile.  Ad  esse  cor- 
rispondono  incavi  di  grandezza  uguale  nel  pavimento,  che  con  un 
lato  toccano  la  linea  suindicata  :  e  chiaro  che  esse  segnano  il  posto 
delle  pietre  maggiori  inserite  nello  stilobate  per  sorreggere  le  co- 
loane.  Non  e  improbabile  che  questo  portico  fosse  coperto  invece 
del  tetto  da  una  terrazza,  la  quäle  poteva  mettere  in  comunica- 
zione  fra  loro  le  camere  superiori   dei  due  lati  dell'atrio. 

Quasi  un'intera  piccola  abitazione  trovasi  nel  piano  inferiore, 
sottoposto  alla  terrazza  s.  Discendendo  per  la  scala,  divisa  in  due 
capi,  s'entra  nel  corridoio  1,  con  grandi  finestre  che  danno  sul 
pendio  fuori  della  cittä.  Abbiamo  a  sin.  prima  la  cucina  2,  con 
piccola  finestra  accanto  alla  porta,  alla  quäle  corrisponde  nel  corridoio 
una  finestra  larga  m.  0,88,  alta  piü  di  1,50,  discosta  dal  pavimento 


INSVLA  VIII,   2  193 

0,60;  nella  soglia  di  marmo  bianco  vedonsi  i  buchi  dei  due  car- 
dini.  Addosso  al  muro  di  fondo  evvi  il  focolare,  a  sin.  due  vani 
coperti  a  volta  sotto  la  scala,  dei  quali  il  primo  contiene  il  cesso. 
Avanti  al  secondo  passa  un  fusorium,  che  poi  mediante  un  foro  nel 
muro  conduce  nel  cesso. 

Segue  la  piccola  esedra  3,  dipinta  nell'  ultimo  stile  a  fondo 
rosso  e  nero.  Avanti  ad  essa  evvi  una  finestra  larga  2,40,  alta 
piü.  di  2,05,  discosta  dal  pavimento  0,50.  Gli  stipiti  sono  obliqui 
verso  0,  e  maggiormente  quello  ad  E,  per  aver  piü  libera  la  vista 
su  Stabia  e  la  costa  di  Sorrento.  Soltanto  la  metä  interiore  dei 
piano  della  finestra  aveva  la  soglia  di  marmo  con  incavi  per  i  car- 
dini.  II  pavimento  e  Signinum  di  epoca  tarda  con  ornati  di  pie- 
truzze  bianche. 

Dietro  3  sta  il  piccolo  cubicolo  4,  con  decorazione  poco  con- 
servata  nell'ultimo  stile.  E  lo  stesso  vale  per  il  cubicolo  5,  dal 
pavimento  di  musaico  bianco  con  margine  nero;  manca  la  soglia. 
La  finestra  incontro  a  5  e  larga  m.  1,48. 

All'estremitä  dei  corridoio  1  s'entra  di  fronte  nel  piü  grande 
compreso  di  questo  piano,  il  triclinio  6,  dipinto  nel  terzo  stile  a 
fondo  nero,  con  ornamenti  scarsamente  distribuiti  ma  graziosi  e 
bene  eseguiti ;  non  vi  e  conservato  alcun  quadro.  La  volta  a  botte 
e  dipinta  su  fondo  nero  con  un  disegno  che  somiglia  alle  moderne 
carte  da  parati  composto  da  linee  gialle,  rosse  e  bianche  che  formano 
piccoli  campi  contenenti  ognuno  un  ornamento  giallo.  II  pavimento 
e  di  una  massa  simile  al  Slg/ü/ium,  nella  quäle  file  di  pietruzze 
bianche  formano  esagoni  e  lozanghe,  quelli  contenenti  ognuno  un 
pezzo  irregolare  di  marmo,  queste  una  stelletta  composta  di  pietruzze 
bianche  e  nere.  Gira  tutto  intorno,  a  m.  0,30  dalle  pareti,  un  mar- 
gine di  musaico  bianco  e  nero;  nel  mezzo  evvi  un  quadrato  (1,40) 
composto  di  musaico  e  di  lastre  di  marmi  colorati.  Nelle  pareti 
laterali  sonvi  gli  incavi  per  i  letti  dei  triclinio,  lunghi  2,75,  quello 
a  d.  discosto  dall'angolo  m.  0,98,  quello  a  sin.  1,46.  Ambedue  do- 
vevano  avere  un  rialzo  sul  margine  dal  lato  dell'ingresso. 

In  tutti  questi  compresi  gli  angoli  rivolti  al  corridoio  1  sono 
rivestiti  di  antepagmenta.  Sono  coperti  di  volte  a  botte  (non  perö 
a  tutto  sesto),  e  alti  m.  3,65  fino  al  nascimento  della  volta,  circa 
m.  5  fino  alla  sommitä.  Sotto  le  finestre  il  pendio,  rivestito  di  stucco, 
e  scavato  per  m.  4,75. 


194  SC  AVI    DI    POMPEI 

La  summentovata  cantina,  accessibile  presso  l'ingresso  n.  27 
per  g,  si  estende  soltanto  sotto  fhi.  fi  un  vano  spazioso,  coperto 
da  volta  a  botte  (N  a  S),  del  quäle  l'estremitä  S  e  divisa  dal 
resto  per  un  muro  e  accessibile  per  una  porta  dirimpetto  a  g.  II 
locale  principale  ha  nel  mezzo  una  bocca  di  cisterna  praticata  in 
una  pietra  quadrata  di  trayertino;  ad  0  presso  la  strada  uno  stretto 
vano  oscuro  che  si  stende  verso  il  vestibolo  a;  dirimpetto,  sotto 
l'ingresso  n.  27,  un  cesso,  che  sta  sopra  una  fossa  profonda  piü  di 
17  metri,  e  accanto,  sotto  g,  un  piccolo  vano  oscuro.  Nell'angolo  N  0 
scende  dall'alto  un  condotto  di  terracotta  (mentre  nella  cucina 
sovrapposta  nulla  si  vede  che  gli  corrisponda)  e  da  quel  punto  un 
condotto  coperto,  scorrendo  appie  del  muro  di  strada,  va  ad  imboc- 
care  nel  cesso  suddetto. 

N.  22-24  (x) 

La  casa  seguente  e  un  piccolo  stabilimento  di  bagni,  composto 
della  palestra  f  con  locali  annessi  g  qr  st,  dell'apoditerio  o,  fri- 
gidario  p,  tepidario  n,  caldario  m,  praefurnium  l,  cesso  k,  e 
finalmente  d'una  piccola  osteria  c de. 

L'editizio  fu  costruito,  certo  non  prima  dei  tempi  imperiali, 
in  opera  incerta  con  stipiti  ed  angoli  parte  di  mattoni,  parte  di 
pietre  tagliate  in  forma  simile,  parte  degli  uni  e  degli  altri  alter- 
nati  regolarmente ;  non  v'e  alcun  avanzo  di  costruzioni  piü  antiche. 
Le camere p qr s furono  tolte  alla  casa  adiacente  (21) :  furono  chiuse 
le  porte  su  quell' atrio  ed  aperte  quelle  che  ora  congiungono  q  r 
con  f  e  s  con  r.  Questi  Ultimi  ingressi  non  hanno  stipiti  regolar- 
mente fatti,  ed  e  chiaro  che  furono  rotti  nel  muro  E  del  n.  21, 
preesistente  alla  costruzione  del  bagno,  come  si  vede  nel'  punto 
ove  i  due  edifizi  s'incontrano.  Non  crederei  che  l'aunessione  delle 
camere  suddette  al  bagno  fosse  posteriore  alla  costruzione  del  me- 
desimo,  giacche  gli  ingressi  di  q  r  sono  marcati  dalla  decorazione 
di  f  (ultimo  stile)  ne  havvi  indizio  alcuno  che  questa  sia  stata  pre- 
ceduta  da  un'  altra.  Se  cid  e  vero,  il  bagno  fu  costruito  nell'epoca 
dell'  ultimo  stile  (dopo  50  d.  C.)  e  posteriormente,  come  vedremo 
in  appresso,  ad  una  ricostruzione  del  n.  21,  la  quäle  da  parte  sua 


(J)  II  n.  23  fu  dato  all'altare  noto  da  raolto  tempo  e  riprodotto  p.  es. 
Mazois  II  pl.  6;  Overbeck-Mau  Pompeji*'  p.  213  fig.  133. 


INSVLA  VIII,   2  195 

non  puö  rimontare  ai  tempi  republicani.  Ma  tutto  ciö  non  e  certo, 
essendo  sernpre  possibile  che  nel  n.  22-24  una  decorazione  piü 
antica  sia  stata  tolta  dai  muri  senza  lasciar  traccia  di  se. 

Addossati  al  muro  di  strada  vedonsi  a  sin.  del  n.  24  e  a  d. 
del  22  sedili  murati,  sui  quali  i  servitori  aspettavano  i  loro  padroni 
bagnanti  (l).  A  ciascun  lato  dell'ingresso  principale  evvi  una  pic- 
cola  base  di  mattoni,  alta  anticamente  m.  0,80,  conservata  finoa 
m.  0,53.  La  facciata  era  rivestita  di  stucco  nero,  i  sedili  e  le  basi 
di  stucco  rosso. 

Era  singulare  la  chiusura  della  porta.  Essa  e  larga  m.  2,06, 
ed  era  a  due  battenti.  Perö  a  m.  1,15  dallo  stipite  d.  vedesi  il 
buco  per  un  grosso  catenaccio  di  circa  m.  0,06  in  ogni  lato.  Dun- 
que  il  battente  d.  arrivava  almeno  fino  a  m.  1,21,  ed  era  molto 
piü  grande  dell'altro,  dei  cui  catenacci  (ne  aveva  due)  vedonsi  i 
buchi  a  m.  0,58  e  0,64  dallo  stipite  sin.,  il  primo  immediata- 
mente  sotto  la  parte  piü  alta  della  soglia,  l'altro  alla  distanza  di 
m.  0,02  da  essa :  eravi  dunque  un  catenaccio  nella  grossezza  della 
porta,  l'altro  applicato  al  lato  interno  di  essa.  Un  terzo  buco,  a 
0,02  dalla  parte  piü  alta  ed  a  0,49  dallo  stipite  sin.,  e  meno  pro- 
fondo.  E  probabile  che  soleva  aprirsi  il  solo  battente  sin.,  e  che 
l'altro  restava  chiuso. 

La  fauce  b,  larga  2,59,  ha  il  pavimento  di  musaico  bianco  con 
inargine  nero,  e  vi  sono  rappresentati  in  nero  due  lottatori  in  pro- 
cinto  di  afferrarsi  (a.  m.  1,00),  che  illustrano  egregiamente  i  celebri 
lottatori,  detti  anche  cursori,  di  Ercolano,  e  toglierebbero  ogni  dubbio, 
se  mai  ve  ne  fosse,  sul  loro  significato. 

S'entra  poi  nella  palestra  /",  di  forma  non  regolare.  Consisteva  in 
origine  in  una  piccola  area  scoperta,  circondata  da  0  e  N  e  su  d'una 
parte  del  lato  E  da  un  portico,  il  cui  stilobate  di  travertino  sta 
ancora  al  posto  sui  lati  0  e  N  ed  e  indicato  nella  nostra  pianta.  Vi 
erano  5  colonne :  2  sul  lato  0  e  4  sul  lato  N,  compresa  l'angolare, 
di  piü  un  pilastro  addossato  al  muro  S  e  probabilmente  un'altro  al- 
l'estremitä  del  muro  E.  Tutto  questo  esisteva  quando  fu  fatta  l'at- 
tuale  decorazione  delle  pareti  e  l'attuale  pavimento  del  portico. 
Piü  tardi  perö  si  tolsero  le  colonne  ed  i  pilastri,  e  fu  messo  nell' an- 
tica area  scoperta  un  pavimento  a  musaico  bianco  con  margine  nero, 

(l)  Cf.  Overbeck-Mau  Pompeji*  p.  201.  214.  224. 


196  SC  AVI   DI   POMPEI 

uguale  a  quello  del  portico,  diventato  area  scoperta  anch'esso.  Fu 
lasciato  al  posto  lo  stilobate  dei  lati  0  e  N,  ed  anche  la  base  di 
una  delle  colonne,  quella  a  sin.  di  chi  entra  dalla  fauce.  Invece 
nel  breve  tratto  fra  l'estremitä  N  del  muro  E  della  palestra  e 
l'angolo  N  E  dell'antica  area  scoperta  le  pietre  dello  stilobate,  che 
prima  seguiva  la  direzione  del  muro  E  —  lo  si  rileva  dalle  distanze 
fra  le  colonne  del  lato  N  —  furono  messe  parallele  al  lato  opposto. 
AI  luogo  della  colonna  angolare  NE  e  del  pilastro  corrispondente 
furono  eretti  due  pilastrini  di  mattoni  di  circa  m.  0,38  in  ogni  lato, 
non  piü  alti  di  0,50,  rivestiti  di  marmo  grigio,  che  formavano  quasi 
un  ingresso  dall'antica  area  scoperta  in  g.  Dopo  questi  cambia- 
menti  fu  fatto  il  pavimento  (bianco  con  margine  nero)  di  g,  e,  se 
non  m'inganno,  anche  quelli  di  btrq,  che  tutti  sono  dello  stesso 
genere  e  tutti  hanno  un  aspetto  un  po'differente  da  quello  dell'antico 
portico,  simile  a  quello  dell'antica  area  scoperta.  Piü  tardi  ancora 
e  contemporaneamente,  cosi  pare,  all'  attuale  decorazione  di  g,  fu 
fatto  il  podio  (a.  1,05  senza  il  marmo  che  ne  copriva  la  superficie), 
fra  g  ed  f. 

La  base  (ionica)  rimasta  al  posto  c'insegna  che  le  colonne 
erano  di  marmo  bianco.  A  ciascun  lato  d'ogni  colonna,  e  cosi  anche 
appie  del  pilastro  S  0,  immediatamente  accanto  alla  base,  vedesi  nello 
stilobate  un  incavo  rettangolare  di  circa  m.  0,11X0,07,  profondo 
circa  0,01 ;  e  di  simili  incavi  ve  ne  sono  altri  due  nell'interco- 
lunnio  incontro  alla  fauce,  e  cosi  anche  nel  primo  del  lato  d.  Uno  nel 
secondo  del  lato  d.  non  appartiene  qui :  e  di  forma  differente,  e  l'in- 
cavo  per  le  antepagmenta,  che  gli  sta  accantov  dimostra  che  quella 
pietra  aveva  servito  prima  come  soglia  d'una  porta.  Questi  incavi 
pare  che  non  abbiano  potuto  servire  ad  altro  che  a  reggere  un 
cancello ;  confesso  perö  di  non  comprendere,  come  questo  potesse 
essere  fermato  in  buchi  di  cosi  poca  profonditä. 

Prima  dei  cambiamenti  suesposti  l'acqua  senza  dubbio  si  rac- 
coglieva  in  un  canaletto  appie  delle  colonne.  Dopo  di  essi  nel  centro 
dello  spazio  che  prima  era  stato  scoperto  fu  fatto  un  foro  verticale 
praticato  in  una  lastra  di  marmo  immessa  nel  pavimento,  che  con- 
duce  in  giü  fino  a  m.  1,20  ed  imbocca  in  un  condotto  sotterraneo. 
Senza  dubbio  nel  medesimo  condotto  corrisponde  un  chiusino  in  g, 
ove  la  profonditä  e  di  m.  1,61  ;  forse  l'acqua  fu  condotta  nel 
cesso  in  k,  che  non  e  ancora  sgombrato,  forse  nella  cisterna  del  n.  26; 


INSVLA  VIII,  2  197 

e  quest'  ultima  ipotesi  e  piü  favorita  dalla  direzione  quäle  risulta 
dai  due  chiusini  ed  anche  dalla  grande  profonditä.  Pare  perö  che  gia 
prima  corresse  sotto  il  portico  0  un  condotto  con  due  chiusini  di 
marmo,  indicato  nella  pianta,  profondo  0,65,  il  cui  sbocco  si  vede 
sotto  il  marciapiede  della  strada;  lo  stato  del  pavimento  intorno 
ai  chiusini  parmi  che  escluda  un'origine  posteriore  di  questi. 

Nell'angolo  SO  dell'atrio  un  rettangolo  grande  1,12  XI, 20  e 
rinchiuso  da  un  muricciuolo  a.  0,30 ;  ivi  cioe  viene  alla  superficie 
il  tubo  dell'acquedotto  che  attraversando  diagonalmente  la  palestra 
portava  l'acqua  al  frigidario  p. 

Nell'angolo  NO  dell'antica  area  scoperta  sporge  dal  pavimento 
un  grosso  tubo  di  piombo  (diam.  circa  0,07). 

Dei  locali  che  circondano  la  palestra  q  e  r,  dipinti  neu' ultimo 
stile,  sono  esedre  per  quelli  che  si  trattenevano  a  guardare  i  giuochi 
ginnastici ;  s  non  ebbe  mai,  mentre  faceva  parte  di  questo  sta- 
bilimento,  decorazione  alcuna,  e  che  non  vi  fosse  neanche  il  pavi- 
mento, lo  provano  gli  avanzi  ivi  visibili  di  pavimenti  (fra  cui  uno 
di  musaico  bianco  con  strisce  nere  che  s'incrociano)  appartenenti 
ad  un'epoca  quando  al  posto  della  palestra  e  della  casa  n.  21  vi 
erano  tutt'altre  costruzioni.  Possiamo  supporre  che  servisse  per 
conservare  attrezzi  e  forse  per  farvi  dormire  qualche  servo. 

Invece  in  g  e  t  si  spogliavano  per  gli  esercizi.  Cid  si  rileva 
con  evidenza  dalle  scansie  che  vi  erano  applicate  alle  pareti :  in  g 
ve  n'erano  tre  sulla  parete  d.  e  di  fondo,  in  t  una  sola,  all'altezza 
di  1,75,  in  tutt'e  tre  le  pareti.  Giä  furono  menzionati  i  chiusini 
di  condotti  owii  in  ambedue  i  locali. 

Sui  pavimenti  della  palestra  e  dei  locali  adiacenti  osservansi 
tracce  di  ferro ;  g  e  traversata  da  5  strisce  (0  ad  E),  una  presso  il 
muro  sin.,  una  corrispondente  all'ingresso  e  tre  dietro  il  podio. 
Deboli  tracce  di  simili  strisce  si  osservano  in  r,  ove  perö  in  un  punto 
appie  del  muro  d.  si  vede  che  quella  traccia  fu  prodotta  da  un 
arnese  pesante :  vi  e  nel  pavimento  un'impressione  larga  0,09.  Presso 
il  muro  E  della  palestra  si  vedono  4  paia  di  macchie  disposte  con 
molta  regolaritä:  tutt'e  quattro  formano  angolo  retto  col  muro;  il 
primo  (distanza  0,17)  e  discosto  dal  secondo  (dist.  0,18)  m.  0,75, 
e  cosi  anche  il  terzo  (0,19)  dal  quarto  (0,17);  il  secondo  dal  terzo 
m.  0,45.  Di  simili  paia  di  macchie  se  ne  vedono  8  in  t,  con  la 
distanza  che  varia  fra  0,15  e  0,23.  —  Nell'antico  portico  vedonsi 


198  SCAVI   DI   POMPEI 

3  raacchie  (fra  cui  una  sopra  un  pezzo  di  piombo  aderente  al  musaico) 
in  una  fila  lunga  0,21,  ed  una  quarta  alla  distanza  di  m.  0,35  in 
modo  che  una  linea  tirata  ad  angolo  retto  su  quella  fila  l'incon- 
trerebbe  in  mezzo  fra  due  di  quelle  tre  macchie. 

Tutti  gli  ingressi  intorno  alla  palestra  avevano  antepagmenta 
di  legno,  che  in  qrt  rivestivano  gli  interi  stipiti  e  poggiavano 
sopra  basamenti  rivestiti  di  marmo  a.  0,10,  mentre  in  bc  e  proba- 
bilmente  anche  in  hg  rivestivano  i  soli  angoli  rivolti  alla  palestra. 
L'ingresso  di  o  pare  che  fosse  tutto  rivestito  di  marmo.  —  qrtg 
non  avevano  porte. 

Le  pitture  delle  pareti  dei  locali  che  circondano  la  palestra 
(tutte  nell' ultimo  stile)  nulla  offrono  di  rimarchevole.  E  degno  di 
nota  perö  che  in  g  e  t  si  e  tenuto  conto  della  destinazione  delle 
camere  e  delle  scansie  applicate  alle  pareti :  in  ambedue  lo  zoccolo 
(nero)  e  molto  basso  (0,35  e  0,30),  ed  al  margine  superiore  degli 
scompartimenti  grandi  che  seguono  sopra  di  esso,  all'altezza  di 
m.  1,90,  sta  in  t  l'unica  scansia,  in  g  la  piü  alta  delle  tre.  In 
ambedue  i  locali  la  parte  superiore  delle  pareti  e  divisa  in  due 
zone,  ambedue  dal  fondo  bianco  coi  soliti  concetti  (cf.  Bull.  1887 
p.  118.  124). 

Piü  importanti  sono  le  pitture  della  palestra,  anch'esse  del- 
l'ultimo  stile.  L'antico  portico  ha  una  decorazione  semplice,  poco 
conservata,  a  fondo  nero  sopra  zoccolo  rosso;  sul  lato  esterno  del 
podio  di  g  son  dipinte  piante  su  fondo  rosso,  delle  quali  pure  pochis- 
simo  e  conservato.  Invece  sulle  due  pareti  dell'antica  area  scoperta  / 
e  abbastanza  ben  conservata  una  decorazione  ricca  ed  interessante. 
Le  intere  pareti  sono  occupate  dalla  rappresentanza  di  architetture 
fantastiche  corredate  di  figure  d'atleti.  Si  vedono  snelle  colonne 
ornate  in  vario  modo,  che  formano  leggieri  padiglioni  ed  altre 
architetture  che  non  si  possono  definire  essendo  distrutta  la  parte 
superiore.  In  quelle  parti  che  debbono  sembrar  vicine  allo  spettatore, 
prevalgono  i  colori  giallo,  verde  e  rosso;  e  Celeste  ciö  che  sta  piü 
in  dietro,  com'anche  lo  sfondo.  Le  colonne  son  congiunte  da  para- 
petti  che  sembrano  di  legno,  in  parte  perö  sono  coronate  da  cornici. 
Sopra  tali  muricciuoli  sta  presso  ogni  estremitä  del  muro  S  una 
maschera  tragica;  perö  soltanto  quella  a  sin.,  coronata  di  edera  e 
dal  viso  variopinto,  e  riconoscibile.  Tutto  questo  e  sorretto  da  uno 
zoccolo  di  forma  architettonica,  di  color  bianco,  con  parti  sporgenti 


INSVLA  VIII,   2  199 

e  rientranti  in   corrispondenza  con  le  architetture   soprastanti,  de- 

corato  di  ornamenti  —  patere,  bucrani,  mostri  marini  —  che  sem- 

brano  dorati,  e  preceduto  da  figure  che  imitano  Statuette  di  bronzo. 

Le  figure  che  compariscono  fra  le  architetture  sono  le  seguenti : 

1-3  sul  muro  E. 
1,  a.  0,92;  disegno  presso 
l'Istituto.  In  un  padiglione  sta 
la  bella  figura  di  un  uomo  ignudo 
che  con  lo  strigile  si  pulisce  la 
fronte;  gli  occhi  sono  rivolti  a 
sin.  Gli  sta  accanto  un  giovinetto 
con  panno  bianco  sulla  spalla 
sin.,  che  nella  d.  regge  un  va- 
setto  sospeso  ad  un  anello  (vd. 

fig-  1). 

Nel  centro  del  muro  E  la 
rappresentanza  architettonica  e 
interrotta.  Qui  cioe  evvi  una  fine- 
stra  (a.  e  1. 0,70)  che  da  luce  a  /. 
A  d.  e  a  sin.  di  essa  e  dipinta 
una  colonna,  ed  esse  erano  con- 
giunte  senza  dubbio  superior- 
mente  in  modo  da  formare  un 
padiglione ,  del  quäle  perö  le 
parti  interne,  a  causa  appunto 
della  finestra,  non  poterono  es- 
sere  eseguite.  Sopra  la  finestra 
non  e  visibile  altro  che  fondo 
rosso;  di  sotto  evvi  il  quadro  seguente,  rinchiuso  in  una  stri- 
scia  rossa: 

2,  a.  0,70,  1.  1,07;  disegno  presso  l'Istituto.  Vittoria  del 
lottatore.  Un  uomo  barbato,  di  forme  robustissime,  ha  steso  l'av- 
versario  bocconi  per  terra  e  gli  sta  sopra,  reggendolo  con  la  sin. 
nella  nuca  e  ritirando  la  d.  per  percuoterlo.  Tiene  le  cosce  del- 
l'avversario  strette  fra  le  sue  e  mette  i  propri  piedi  su  quelli  di 
lui ;  rivolge  la  testa  e  guarda  a  sin.,  indirizzandosi,  cosi  pare,  agli 
spettatori.  Arriva  da  d.  il  giudice  della  lotta  (?),  involto  in  un 
panno  bianco,  e  chinandosi  un  poco  innanzi  gli  porge   con  la   d. 


Tis.  i. 


200 


SCAVI   DI  POMPEI 


im  ramo  di  palma  (verde)  spoglio  delle  foglie,  di  cui  rimangono 
soltanto  in  cima  pochissime. 

3.  a  d.  di  2;  a.  0,85;  disegno  presso  l'Istituto.  In  un  pa- 
diglione  sta  ritto  v.  sin.  un  atleta  vincitore  (o  sarebbe  il  giudice 
delle  lotte  ?).  Ha  avvolta  la  parte  inferiore  del  corpo  in  un  panno 
bianco,  che  passa  sopra  l'avambraccio  sin.,  lasciando  libero  il  petto, 
le  spalle  ed  il  braccio  d.  La  testa  e  cinta  di  foglie  (di  edera, 

come  pare);  regge  nella  sin.  una  tenia 
rossa,  nella  d.  un  ramo  di  palma,  come 
quello  descritto  al  n.  2. 
4-5  sul  muro  S. 

4,  a  sin. ;  a.  0,95 ;  disegno  presso 
l'Istituto.  Altro  apoxyomenos,  che  si  de- 
stringe  il  fianco  d.  (vd.  la  fig.  2).  Sta  in 
un  padiglione  preceduto  da  una  scaletta 
di  cinque  gradini. 

5,  nel  centro ;  altezza  delle  figure 
m.  1,0;  disegno  presso  l'Istituto.  E  rap- 
presentato  un  gran  padiglione  con  quattro 
colonne  nella  fronte.  Gl'intercolunni  a  d. 
ed  a  sin.  son  chiusi  da  un  parapetto  di 
legno,  alto  fino  al  petto  delle  figure,  quello 
medio,  piü  largo,  da  una  porta  di  uguale 
altezza  a  quattro  partite,  di  cui  due  sono 
aperte.  Ed  in  quest'apertura,  preceduta  da 
cinque  gradini,  comparisce  un  atleta  vin- 
citore, accompagnato  dalla  Vittoria.  Egli 
sta  ritto  nel  centro,  con  la  testa  alzata, 
il  piede  sin.  messo  innanzi  in  posizione 
altiera.  Regge  al  braccio  sin.  lo  scudo 
tondo  rosso-scuro  con  margine  turchino, 
e  nella  mano   due  lancie   con  la  punta 

rivolta  in  giü.  Nella  d.,  allontanata  un  poco  dalla  coscia,  tiene 
un  ramo,  che  appoggiato  alla  terra  gli  e  uguale  in  altezza;  non 
e  di  palma,  ne  saprei  dire  che  pianta  sia:  e  una  verga  diritta, 
dalla  quäle  a  distanze  uguali  foglie  lunghe  e  puntute  si  stendono 
quasi  orizzontalmente  da  un  sol  punto  in  tutte  le  direzioni.  Ha  in 
testa  una  grossissima  benda  bianca  con  strisce  rosse  che  s'incro- 


PiflT.  2. 


INSVLA  VIII,   2  201 

ciano,  e  pare  che  gliel'abbia  messa  or  ora  la  Vittoria,  che  gli  sta 
al  fianco  sin.  (a  d.  per  chi  guarda),  alata,  vestita  di  lungo  chitono 
giailo  con  margine  paonazzo,  una  veste  di  color  chiaro,  di  cui 
non  si  vede  che  la  parte  av^olta  al  braccio  sin.,  e  scarpe  gialle. 
11  suo  braccio  d.  e  visibile  sopra  la  spalla  sin.  dell'atleta,  ed  e 
chiaro  che  la  mano  deve  toccargli  la  testa.  Nella  sin.  abbassata 
accanto  alla  coscia  tiene  un  ramo  di  palma  come  quelli  descritti 
ai  nn.  2  e  3,  ma  piu  corto  e  dipinto  di  un  colore  indeciso.  Avanti 
all'atleta  sta  per  terra  un  piccolo  scudo  tondo,  giailo  con  margine 
paonazzo  e  striscia  traversa  che  e  al  suo  margine  paonazza,  interna- 
mente  gialla,  e  a  d.  del  suo  piede  sin.  un'arma  di  color  giailo  che 
rassomiglia  ad  un  gladio,  ma  sembra  piuttosto  di  legno,  ed  e  pro- 
babile  che  vi  si  abbia  a  riconoscere  la  rudis;  sotto  il  manico  evvi 
una  custodia  in  forma  d'un  disco  ro tondo.  Nell'intercolunnio  a  sin. 
e  visibile  sopra  il  parapetto  la  parte  superiore  d'un  uomo  imberbe, 
pienamente  vestito  con  ampio  manto  bianco,  che  ha  in  testa  una 
benda  simile  a  quella  del  vincitore.  Suona  una  lunga  tromba,  che 
regge  con  ambedue  le  mani,  diretta  verso  il  gruppo  principale. 
Senza  dubbio  eravi  una  figura  simile  nell'intercolunnio  a  d.,  ma 
quella  parte  dell'intonaco  non  e  conservata. 

Piü  a  d.  sono  conservate  le  gambe  soltanto  di  una  figura 
corrispondente  e  simile  al  n.  4;  esse  permettono  di  crederla  un 
terzo  apoccyomeiios,  simile  forse  a  quello  del  Braccio  nuovo. 

Delle  pitture  fin  qui  descritte  1,  3,  e  4  son  belle,  4  la  migliore 
di  tutte,  5  mediocre,    2  volgare  e  senza  valore  artistico. 

Le  figure  seguenti  sono  rappresentate  come  Statuette  di  bronzo 
poste  avanti  allo  zoccolo. 

6-7,  sotto  1  e  3 ;  a.  0,48  e  0,46.  Due  ninfe,  vale  a  dire  figure 
femminili  vedute  di  faccia,  che  avanti  al  grembo  reggono  im  reci- 
piente  d'acqua  dipinto  in  modo  da  non  potersene  definire  la  forma. 
Di  sotto  sono  vestite,  di  sopra  nude. 

8,  sotto  2  ;  a.  0,48 ;  disegno  presso  l'Istituto.  Mercurio,  il  dio 
della  palestra,  veduto  di  faccia,  un  poco  da  d.  E  vestito  d'una 
clamide  affibbiata  sulla  spalla  d.  e  raccolta  sul  braccio  sin.,  in 
modo  da  lasciar  nudo  il  fiaaco  e  la  parte  anteriore  del  corpo.  Ha 
in  testa  il  petaso  alato  ed  alza  nella  d.  leggermente  protesa  il 
caduceo. 

9,  all'estremitä  sin.  del  muro  S;  a.  0,60;  disegno  presso  l'Isti- 


202 


SC  AVI   DI   POMPE  I 


tuto.  Discobolo  (vd.  fig.  3)  rappresentato  in  un  momento  inter- 
medio  fra  quello  del  discobolo  vaticano,  che  ha  il  disco  ancora 
nella  sin.,  e  quella  del  discobolo  Massimi,  che  sta  lanciandolo. 

10-11,  a  sin.  e  a  d.  di  5;  a.  0,60.  Due  Amori  (putti  alati), 
che  reggono,  l'uno  al  fianco  d.  l'altro  al  sin.,  un'oca  che  cerca 
di  fuggire.  Ad  ambedue  una  clamide  pende  sul  dorso. 

12,  sotto  5;  a.  0,53;  disegno  presso  l'Istituto.  Uomo  barbato 
seduto  sopra  una  sedia  con  larga  spalliera  curvata  in  avanti.  Ap- 


—7>> 


Fig.  3. 


Figr.  4. 


poggia  il  gomito  d.  sulla  coscia  d.  incrociata  sopra  la  sin.,  e  mette 
la  mano  al  rnento.  L'altro  braccio  sta  sotto  la  veste  che  cuopre 
la  spalla  sin.  e  le  cosce.  Certo  abbiamo  a  riconoscere  qui  un  di- 
rigente  o  sorvegliante  degli   esercizi  palestrici.  Cf.  Heibig  1468. 

13,  aU'estremitä  d.  del  muroS;  a.  0,57;  disegno  presso  l'Isti- 
tuto. Atleta  imbarbe,  che  fa  degli  esercizi  con  un  corto  ^cilindro 
in  ogni  mano;  vd.  fig.  4. 

Passiamo  ora  a  considerare  i  locali  destinati  ai  bagni,  acces- 
sibili  unicamente  per  la  porta  presso  l'angolo  SO  della  palestra. 

o,  non  completamente  sgombrato,  e  l'apoditerio;  del  marmo 
che  rivestiva  le  pareti  nulla  e  conservato.  Un  grosso  masso  della 
volta  a  botte  (N  a  S),  con  avanzi  di  ornati  in  rilievo,  giace  nel 
locale  stesso.  Pare  che  vi  fosse  una  finestra  verso  S.  A  d.  evvi  il 


INSVLA  VIII,   2  203 

frigidario  p;  nell'angolo  NE,  all'altezza  del  gradino  (largo  0,41) 
che  circonda  la  vasca  (profonda  1,35)  imbocca  il  summentovato 
tubo  che  vi  portava  l'acqua  (p.  197),  la  quäle  nell'angolo  stesso, 
al  fondo  della  vasca,  fu  portata  via  per  mezzo  d'un  altro  tubo  di 
piombo,  anch'  esso  nella  direzione  della  diagonale  della  palestra. 
Egli  per  la  profonditä  potrebbe  unirsi  al  canale  che  dal  centro 
dell'area  scoperta  si  dirige  sotto  g,  ma  la  direzione  non  e  quella. 
La  vasca  stessa  era  rivestita  di  stucco,  di  marmo  i  tre  gradini 
per  i  quali  vi  si  discende  da  o,  la  superficie  del  gradino  che  la 
circonda  e  le  pareti  al  disopra  di  questo. 

n,  tepidario.  Nulla  e  rimasto  del  pavimento  sospeso  e  avanzi 
soltanto  dei  pilastrini  quadrati  (0,21),  poggiati  su  tegole,  che  lo 
sostenevano.  Presso  l'angolo  NE  evvi  nel  muro  l'apertura  per  la 
quäle  il  calore  entrava  non  come  di  solito  dal  caldario  adiacente, 
ma  direttamente  dalla  fornace.  Nei  muri  son  conservati  alcuni  dei 
chiodi  coi  quali  erano  fermate  le  tegulae  mammatae.  In  ognuno 
dei  muri  E  ed  0  evvi  una  nicchia  (lunga  ora  2,10,  ma  piü  corta 
mentre  il  muro  aveva  il  suo  rivestimento)  che  poteva  contenere 
una  vasca. 

m  caldario.  ß  evidente  che  nella  parte  piü  stretta  del  locale, 
presso  il  muro  N,  stava  la  vasca.  Nello  stesso  muro  N,  presso 
l'angolo  N  0,  evvi  la  comunicazione  con  la  fornace,  non  solamente 
sotto  il  pavimento,  ma  anche  con  un'apertura  a  volta  corrispondente 
nella  vasca,  per  formare  una  specie  di  speco,  entrando  nel  quäle 
l'acqua  rimaneva  in  contatto  immediato  col  fuoco,  essendone  divisa 
soltanto  per  una  lastra  di  metallo,  conservata  nel  bagno  delle  donne 
nelle  terme  stabiane  (*).  AI  disopra  della  vasca  eravi  nel  muro  N 
una  nicchia  semicircolare,  larga  0,70,  e  nel  muro  E  una  nicchia 
rettangolare  larga  0,65.  Qui  pure  del  pavimento  sospeso  nulla  e 
conservato,  e  dei  pilastrini  soltanto  le  tracce  al  muro:  mancano 
anche  quasi  tutte  le  tegole  sulle  quali  erano  collocati.  Nelle  pareti 
evvi  qualche  chiodo  come  in  n.  La  grande  nicchia  circolare  sul 
lato  E  era  la  schola  labri.  Del  muro  S  nulla  e  conservato,  come 
anche  nel  tepidario  non  ve  ne  rimane  abbastanza  per  decidere  se 
vi  fossero  finestre,  ciö  che  del  resto  e  assai  probabile. 

Tutto  ciö  che  stava  fra  nop  da  una  parte  ed  efgh  del  n.  21 

(»)  Overbeck-Mau  Pompeji*'  p.  230;  cf.  Bull.  d.  Inst.  1877  p.  220. 


204  SCAVI   DI   POMPEI 

(poste  in  livello  piü  basso)  dall'altra,  e  talmente  distrutto,  e  tolto 
a  bella  posta,  cosi  pare,  dagli  antichi  stessi,  da  non  potersene  fare 
un'idea.  Sotto  p  pare  che  vi  fosse  un  piano  inclinato  rivestito  di 
Signinum  e  qualche  canaletto  per  portar  via  acqua,  forse  quella 
dei  tetti. 

/  e  il  praefurnium,  coperto  di  volta  a  botte  (NaS).  Nell'angolo 
S  0  eravi  la  fornace.  Essa,  come  si  vede  sulla  pianta,  aveva  sul  suolo 
quattro  aperture :  una  da  /  per  accendere  il  fuoco,  una  di  faccia  (S, 
larga  0,73)  per  farlo  passare  sotto  il  caldario  m,  una  terza  piü  stretta 
(0,47)  a  d.  (0)  per  comunicare  il  calore,  in  grado  minore,  al  tepi- 
dario  n,  una  quarta  a  sin.  (E)  sotto  il  grande  recipiente  cilindrico 
deH'acqua  tiepida,  del  quäle  si  vede  l'impronta  nella  muratura  ove 
era  incastrato :  aveva  il  diametro  di  m.  1,20,  l'altezza  non  minore 
di  1,60,  ed  era  cinto  presso  la  base  da  due  cerchi  fermati  con 
chiodi.  II  recipiente  deli'acqua  bollente  deve  immaginarsi  sopra  la 
fornace  stessa,  ove  perö  la  muratura,  che  doveva  contenerlo,  non 
e  conservata. 

Sopra  un  breve  piano  inclinato  ed  una  stretta  scala  di  almeno 
7  gradini  (E  ad  0)  si  ascendeva  al  recipiente  deli'acqua  calda,  e 
dal  terzo  gradino  al  bacino  deli'acqua  fredda  situato  nell'angolo  S  E 
(1,42X1,20,  profondo  1,40). 

I  tubi  dell'acquedotto  entravano  nella  casa  presso  l'altare  n.  25. 
Uno,  attraversando  la  palestra,  portava  1' acqua  al  frigidario  p.  Un 
altro  passando  per  k  ed  i  entrava  in  l  ed  imboccava  nel  giä  men- 
zionato  bacino  d' acqua  fredda  per  un  buco  nel  muro  che  lo  pro- 
tegge  dal  lato  di  l.  Dal  fondo  poi  del  recipiente  d'acqua  tiepida 
un  tubo  che  passa  sotto  la  scala  suddetta  raggiungeva  quel  medesimo 
buco,  e  passando  sopra  il  bacino,  e  quindi  per  il  muro  fra  lern 
si  dirigeva  verso  il  labrum :  se  il  recipiente  era  pieno,  la  pressione 
era  abbastanza  forte  per  farvi  salire  l'acqua  a  guisa  di  fontana.  II 
tubo  sul  principio,  ove  scende,  ha  il  diametro  maggiore  di  m.  0,07, 
ma  ove  comincia  a  salire  era  continuato  da  un  altro  di  m.  0,03. 

Un  altro  tubo  piü  grande,  del  quäle  nulla  e  conservato,  ma  se 
ne  vede  l'impronta,  doveva  uscire  dal  fondo  del  recipiente  d'acqua 
bollente,  per  imboccare  in  un  canale  che  sotto  la  scala  sopradetta 
raggiunge  il  muro  E,  poi,  piegando  ad  angolo  retto,  prende  la  dire- 
zione  del  cesso  in  k ;  questo  tubo  e  chiaro  che  serviva  per  vuotare 
il  recipiente.  Quanto  a  quello  delT  acqua  tiepida,  e  probabile  che 


ixsvla  vin,  2  205 

la  stessa  fistula  del  labro,  aprendo  un'altra  cannella,  potesse  anche 
servire  a  vuotarlo. 

Le  pareti  di  /  sono  senza  stueco;  soltanto  il  bacino  d'acqua 
fredda  e  anche  esternamente  rivestito  di  stueco  di  mattoni. 

In  /,  appie  della  scala,  furono  trovati,  il  20  sett.  1887,  gli 
oggetti  di  rnetalli  preziosi  ed  i  libelli  (tavolette  cerate)  sui  quali 
il  prof.  De  Petra  ha  riferito  nelle  Not.  d.  Sc.  1887,  p.  415  sgg. 
e  che  poi  hanno  dato  luogo  a  varie  discussioni. 

/  era  rischiarato  per  mezzo  d'una  finestra  dalla  palestra  /",  ed 
aveva  l'ingresso,  sopra  un  piano  inclinato,  da  t,  che  era,  cosi  pare 
un  cortiletto  scoperto,  e  per  una  finestra,  larga  0,90,  dava  luce 
a  g.  Addosso  al  muro  E  di  i  una  scala  (tre  gradini  di  pietra,  il  resto 
di  legno)  dava  accesso  ad  un  locale,  forse  una  terrazza  soltanto, 
sovrapposto  a  l  e  forse  anche  a  m  n  o.  —  II  cortiletto  i  era  acces- 
sibile  dalla  palestra  per  il  corridoio  h  ed  aveva  a  N  il  cesso  k. 
Le  pareti  in  i  e  k  hanno  stueco  bianco,  il  cesso  stesso  e  rivestito  con 
stueco  di  mattoni.  II  corridoio  h)  dalla  parte  della  palestra  aveva 
due  porte,  una  interna  (verso  h  sulla  parte  piü  bassa  della  soglia, 
con  due  catenacci,  l'altra,  esterna,  senza  catenacci. 

La  porta  n.  22,  a  due  battenti  ma  senza  catenacci,  dava  accesso 
ad  una  scala  di  legno  che  conduceva  al  piano  superiore,  sia  che 
esso  fosse  abitato  dal  proprietario  dello  stabilimento  (che  non  abbiamo 
aleun  motivo  a  credere  pubblico),  sia  affittato  ad  altri.  II  sottoscala, 
senza  porta,  era  accessibile  da  t  ed  aveva  una  finestrina  sulla 
palestra. 

11  n.  24  era  un  piecolo  termopolio,  per  l'uso  specialmente  dei 
bagnanti,  ma  con  apertura  anche  sulla  strada.  Aveva  una  porticina 
nella  palestra  ed  una  finestra  (a.  0,94,  1.  1,05)  sulla  fauce  b.  Ha 
nell'ingresso  il  solito  podio,  e  su  di  esso  a  sin.  cinque  piecoli 
gradini  per  collocarvi  vasi  ed  altri  utensili ;  ali'altra  estremitä  del 
podio  evvi  un  ineavo  a  guisa  di  bacino  (0,65  X  0,30,  profondo  0,35). 
A  sin.  del  locale  principale  sta  la  piecola  eucina  d  col  focolare  e 
(cosi  pare)  una  bocca  di  cisterna,  con  finestrina  sulla  strada,  ed 
il  cubicolo  e  con  pareti  coperte  di  stueco  bianco. 

N.  21. 

Della  casa  seguente  si  parlerä  meglio  quando  sarä  completa- 
mente  seavata.   Per  ora  non  si  puö  dire,  quäle   sia  il   significato 


200  SCAVI   DI    POMPEI 

della  disposizione  singolare  delle  parti  anteriori.  Giä  fu  detto  sopra 
(p.  194)  che  le  fu  tolto  ed  aggiunto  al  n.  22-24  tutto  ciö  che  stava 
a  sin.  delTatrio.  Del  resto  la  forma  attuale  della  casa,  comprese 
le  parti  unite  al  n.  22-24,  rimonta  ad  ima  ricostmzione,  la  quäle 
e  anteriore  alla  costruzione  del  bagno  or  ora  descritto.  Si  riconosce 
la  forma  della  casa  antica,  che  verso  E  pare  che  avesse  la  stessa  esten- 
sione:  l'antica  soglia  del  portone  (piü  ad  E  dell' attuale),  la  camera 
a  sin.  della  fauce,  e  la  prima  e  seconda  a  sin.  dell'atrio,  in  parte 
con  musaici  pregevoli  (in  bianco  e  nero)  sono  ancora  riconoscibiü. 
Nell'atrio  pure  comparisce  l'antico  pavimento  di  musaico  nero.  II 
basso  muro  che  dal  lato  N  s'attacca  a  quello  anteriore  dell'atrio, 
pare  che  formasse  una  vasca,  che  comunica  con  l'atrio  mediante 
una  bassa  apertura  a  volta  nel  muro  stesso. 

La  decorazione  della  casa  e  del  tutto  sparita.  Appena  evvi 
qualche  traccia  del  pavimento  dell'atrio,  sovrapposto  a  quello  antico, 
dello  stucco  del  muro  d.  dell'atrio,  del  marmo  onde  erano  rivestite 
le  pareti  (almeno  lo  zoccolo),  la  soglia  e  probabilmente  il  pavimento 
del  tablino.  Nell'atrio  giaciono  frammenti  di  colonne  e  di  trabea- 
zioni  di  marmo.  Manca  il  rivestimento  dell'impluvio.  Probabilmente 
la  casa  ebbe  a  soffrir  gravi  danni  nell'anno  63,  e  tutta  la  decora- 
zione doveva  essere  rinnovata. 

Anche  il  piano  inferiore  (sgraffiato  nella  pianta)  non  e  com- 
pletamente  scavato :  non  si  vede  neppure,  come  fosse  accessibile. 
abcdefgh  sono  locali  rustici,  fra  cui  h  e  situato  in  livello  piü 
alto,  ne  si  vede  come  vi  si  accedesse ;  era  in  comunicazione  con  una 
camera  sovrapposta  a  g. 

Invece  ik  erano  camere  abitate.  con  pavimenti  a  musaico 
(bianco  con  margine  nero  in  i ;  nero,  cosi  pare,  in  k)  e  le  pareti 
dipinte  nell'ultimo  stile  a  fondo  bianco.  Ambedue  hanno  una  grande 
finestra  verso  S.  Quella  di  i,  larga  1,90,  discosta  dal  pavimento 
0,67,  ha  la  metä  interiore  del  piano  coperta  di  marmo  bianco,  cogli 
incavi  di  due  cardini,  e  lo  stipite  d.  tagliato  obliquamente  per 
poter  meglio  guardare  verso  Stabia  e  la  costa  di  Sorrento.  Quella 
di  k,  meno  larga  (1,45)  arriva  quasi  al  pavimento  (circa  0,30). 
La  pittura  delle  pareti  e  semplicissima  in  k  (zoccolo  rosso),  piü  ricca 
in  i.  Vi  sono  in  i  le  rappresentanze  seguenti: 

1-4  sullo  zoccolo,  fondo  bianco. 

1,  sotto  la  finestra;  a.  0,18,  1.  0,64.   Amore  armato  di  due 


INSVLA.   VIII,   2  207 

giavellotti,  di  cui  alza  uno  per  lanciarlo,  preceduto  da   un  cane, 
fa  la  caccia  a  due  lepri. 

2,  sul  muro  0 ;  a.  0,08,  1.  0,24.  Cane  che  insegue  im  cin- 
ghiale,  v.  d. 

3,  sul  muro  N;  a.  0,14, 1.  0,40.  Due  galli  si  stanno  dirim- 
petto  in  procinto  di  combattere. 

4,  sul  muro  E,  a.  0,08,  1.  0,30.  Due  uccelli  poco  ricono- 
scibili  in  posizione  simile  al  n.  3. 

5,  nel  centro  dello  scompartimento  grande  a.  d.  del  muro 
0;  medaglione;  diam.  0,225;  disegno  presso  l'Istituto.  Due  busti : 
a  sin.  una  giovane  donna  veduta  di  faccia,  che  con  espressione  pen- 
sierosa  guarda  verso  lo  spettatore.  E  vestita  di  una  veste  pao- 
nazza  chiara  ed  alza  la  d.  verso  la  spalla  sin.,  per  afferrare,  credo, 
un  lembo  della  veste.  Le  si  appressa  da  d.  un  uomo,  giovane  an- 
ch'egli,  veduto  di  profilo.  Ha  la  veste  verde ;  la  testa  e  cinta  da 
una  Corona  di  foglie  gialle  oblonghe  (alloro?);  sopra  la  spalla  d. 
comparisce  il  turcasso.  Sembra  dunque  che  egli  sia  Apollo.  Guarda 
negli  occhi   della  donna  e  pare   che  le  parli  con  insistenza. 

6,  nella  parte  superiore. 

6,  sul  muro  0  ad.;  a.  0,37.  Donna  nuda  in  piedi,  veduta 
di  faccia;  porta  al  braccio  d.,  cosi  pare,  un  cerchio,  e  nella  mano 
un  bastone ;  dal  braccio  sin.  pende  una  veste :  non  si  distingue, 
se  regga  qualche  oggetto  nella  mano. 

7,  nel  centro  del  muro  N ;  a.  0,30.  Bacco  (cosi  pare)  seduto 
in  trono,  ignudo,  veduto  di  faccia.  Si  appoggia  sull'avambraccio  sin., 
mentre  nella  d.,  allontanata  dal  corpo,  regge  il  tirso. 

8,  9,  a  d.  e  a  sin.  di  7 ;  a.  0,25.  Due  figure  femminili  in 
veste  corta  (danzatrici?)  che  stanno  ritte  ognuna  sopra  un  ornamento 
a  guisa  di  calice  di  fiore.  Quella  a  sin.  suona  i  cembali  presso  il 
fianco  d.  L'altra  regge  nella  d.  appoggiata  al  fianco  un  oggetto 
a  guisa  di  bastone,  nella  sin.,  se  non  m'inganno,  un  corno  potorio. 

10,  a  d.  di  9;  a.  0,25.  Donna  volante  verso  sin.,  con  veste 
svolazzante  di  color  chiaro,  che  cuopre  soltanto  le  gambe  e  di  cui 
regge  un  lembo  con  la  d.  alzata  sopra  la  spalla. 

A.  Mau, 


14 


IL  SITO  E  LE  ISCRIZIONI 
DELLA  SCHOLA  XANTHA  SUL  FORO  ROMANO 


fi  stabilito  dagli  autori  antichi  come  pure  da  testimonianze 
epigrafiche  -  se  mai  im  fatto  tanto  verosimile  per  se  stesso  ayesse 
bisogno  di  conferma  -  che  i  sommi  magistrati  della  Roma  repub- 
blicana,  ai  quali  spettava  la  cura  delle  finanze  e  degli  archivi,  eb- 
bero  per  la  loro  amministrazione  locali  appositi  presso  al  Foro 
Romano.  Invano  perö  fra  le  rovine  tuttora  esistenti  cerchiamo  le  ve- 
stigia  di  cotali  edifizi:  degli  uffizi  dei  questori,  che  si  dovevano  trovare 
presso  l'erario  ed  il  tempio  di  Saturno,  nulla  v'  e  rimasto ;  l'ar- 
chivio  dei  Censori,  che  fu  Yatrium  Libertatum  e  scomparso  in  modo 
che  siamo  in  dubbio  perfino  sulla  sua  posizione  (1).  Di  un  solo  edi- 
fizio  di  questo  genere  avremmo  potuto  avere  notizia  piü  esatta, 
cioe  della  schola  scribarum  librariorum  et  praeconum  aedilium 
curulium,  se  agli  avanzi  scoperti  durante  il  periodo  dei  rinasci- 
mento  non  fosse  toccata  la  sorte  di  tanti  altri  allora  tornati  alla 
luce. 

Nella  metä  cioe  dei  secolo  XVI,  uno  scavo  fatto  presso  il 
tempio  di  Saturno  mise  al  giorno  un  edifizio  piccolo  ma  suntuoso, 
costruito  tutto  di  marmo  e  di  conservazione  perfettissima.  Un  epi- 
stilio  scritto  da  ambedue  i  lati  accerto  ch'  esso  fosse  la  schola 
dei  detti  impiegati,  e  che  diversi  membri  dei  collegio  lo  restituis- 
sero  con  maggior  splendore  corredandolo  di  sedili  di  bronzo,  di  sta- 

(x)  La  dissertazione  recentissiraa  dei  ch.  Mommsen  (Hermes  XXLT,  p. 
631-633)  scioglie  egregiamente  la  quistione,  che  cosa  s'intendesse  per  Yatrium 
liberlatis  ai  tempi  di  Cassiodoro  ed  Ennodio :  cioe  una  parte  dell'edifizio  de- 
stinato  al  senato,  una  sala  appartenente  alla  Curia. 


IL  SITO  E  LE  ISCRIZIONI  DELLA  SCHOLA  XANTHA  ECC.         209 

tuette  d'argento  e  di  altri  ornamenti  (1).  Perö  gli  stessi  topografi 
contemporanei  a  siffatta  interessante  scoperta  aggiungono  che  gli 
avanzi  ritrovati  furono  subito  distrutti  e  convertiti  in  altri  usi. 

Gli  scrittori  moderni  quindi  si  vedono  limitati  alle  indicazioni 
date  da  quei  pochi  testimoni  oculari:  e  che  queste  per  molti  ri- 
guardi  siano  insufficienti,  risulta  dal  modo  col  quäle  ne  parlano  i 
piü  recenti  autori.  II  Bunsen  (2)  ed  il  Canina  (3)  furono  i  primi 
a  formarsi  una  idea  del  sito  della  schola:  essi  la  riconobbero  in 
quella  fila  di  stanze  sottoposte  al  portico  dei  Dei  consentes  e  sco- 
perte  negli  scavi  del  1832  e  segg.,  con  la  fronte  rivolta  verso  il 
tempio  di  Vespasiano ;  e  questa  opinione  prevalse  presso  quasi  tutti 
a  loro  posteriori  (4).  II  primo  che  vi  si  oppose  fu  il  Nibby  la  cui 
testimonianza,  pregevole  perche  lo  scavo  del  1832  fu  fatto  sotto 


(!)  Siccome  piü  sotto  tratteremo  a  lungo  delle  epigrafi  della  schola,  ba- 
sterä  qui  apporre  il  testo  delle  tre  principali,  secondo  la  restituzione  data 
dall'Henzen  G.  I.  L.  VI,  103. 

Da  un  lato  dell'epistilio  : 

C  •  AVILLIVS  •  LICINIVS  •  TROSIVS  •  CVRATOR 
SCHOLAM  •  DE  •  SVO  •  FECIT 

Bebryx  Aug.  I.  Drusianus  A.  Fabius  Xanthus  cur.  scribis  librariis  et  prae- 
conibus  aedil.  cur.  scholam  |  ab  inchoato  refecerunt,  marmoribus  ornaverunt, 
victoriam  Augustam  et  sedes  aeneas  et  cetera  ornamenta  de  sua pecunia  fa- 
ciunda  curaverunt. 

Dall'altro: 
Bebryx  Aug.  I.  Drusianus,  A.  Fabius  Xanthus  cur.  imagines  argenteas  deo- 
rum  septem  post  dedicationem  scholae  |  et  mutulos  cum  tabella  aenea  de  sua 
pecunia  dederunt. 

Una  quarta  iscrizione  ripete  il  testo  della  seconda  con  poche  varianti 
di  cui  la  piü  importante  e  questa  che  non  il  nome  di  Bebryx,  ma  quello  di 
Fabius  Xanthus  occupa  il  primo  posto. 

(2)  Bull.  delVInst.   1835   p.  76;   Annali   1836   p.   19;  Beschr.  Roms 

m,  2  p.  9. 

(3)  Indicazione  p.  288  ed.  V. 

(4)  Cosi  Becker  Top.  p.  318;  Montiroli  foro  Romano  p.  22;  Beber  Ruinen 
Roms  p.  87 ;  Nichols  Forum  p.  33 ;  Marucchi  il  Foro  n.  104  ;  Middleton  An- 
cient  Rone  p.  216 ;  Dutert  Forum  p.  12.  II  Tocco  (Ripristinazione  del  Foro, 
tavola)  mette  la  schola  sul  lato  ovest  del  tempio  di  Saturno,  senza  perü  darno 
argomenti  nel  testo :  non  occorre  occuparsi  di  questa  congettura  resa  insussi- 
stente  dopo  lo  sgombero  completo  della  Basilica  Giulia. 


210  IL    SITO   E    LE    ISCRIZIONI 

la  sua  direzione,  pare  sia  stata  dimenticata  da  quasi  tutti  coloro 
che  dopo  lui  hanno  trattato  dello  stesso  argomento  (1). 

Mentre  poi  l'Henzen,  pubblicando  nel  Corpus  VI,  103  le 
isciizioni,  si  limitö  a  dire :  num  schola  de  qua  agitur  adhuc  in- 
vestigari  possit  inter  rudera  quae  imum  clivum  Capitolinum 
oecupant,  videant  topograplü,  lo  Jordan  espose  a  lungo  i  suoi 
dubbi  {Sylloge  inscriptionum  Fori  R.,  Eph.  epigr.  III,  p.  268, 
270 ;  Topogr.  I,  2  p.  367  sgg.) ,  ed  osservö  giustamente  come  ne 
il  numero  delle  camere,  che  sono  sette  (2),  ne  lo  stato  dei  rü- 
den, i  quali  mostrano  di  non  aver  mai  avuto  un  epistilio  scritto 
da  ambedue  i  lati,  siano  d'accordo  con  le  notizie  del  Cinquecento: 
e  come  oltracciö  le  taberne  fossero  poco  adatte  a  servire  da  locale 
di  scrittoria,  essendo  affatto  prive  di  luce,  sopratutto  dopo  l'edi- 
ficazione  del  tempio  di  Vespasiano.  Conchiude  perö  lo  Jordan  col 
chiamar  confuse  le  notizie  e  difficilissima  la  distribuzione  delle 
epigrafi,  ne  crede  si  possa  andare  avanti  a  schiarire  un  problema 
a  lui  affatto  oscuro,  se  non  siano  esaminati  con  piü.  esattezza  i  rap- 
porti  dei  contemporanei  della  scoperta. 

Ed  infatti  crediamo  che  mediante  un  esame  attento  di  questi 
rapporti  si  possa  riuscire  a  risolvere  tanto  le  questioni  topografiche 
come  le  epigrafiche.  Cinque  sono  gli  autori  citati  nel  Corpus,  delle 
cui  notizie  si  valse  pure  lo  Jordan ;  siccome  perö  Grio.  Metello  (cod. 
Vat.  6040  f.  8)  da  il  suo  apografo,  importante  per  la  ricostruzione 
del  testo,  senza  indicazione  del  luogo,  cosi  per  la  parte  topografica 
ne  rimangono  i  seguenti: 

1.  Marliani,  topogr aphia  1.  III  c.  X  p.  29  (ed.  1544): 
Sub  Concordiae  autem  tempio  (cosi  egli  nomina  la  ro- 
vina  delle  otto  colonne,  che  oggi  sappiamo  essere  il  tempio  di 
Saturno)  in  capite  fori}  dum  fossores  altius  terram 


(!)  •  Queste  taberne  *,  dice  il  Nibby  (R.  A.  I  p.  546),  '  da  me  furono  trovate 
chiuse  da  muri  informi  de' tempi  bassi,  e  piene  di  macerie  fino  a  due  terzi 
del  pavimento,  e  spogliate  affatto  di  ogni  rivestimento ;  neH'ultimo  tratto  poi 
piü  aderente  al  suolo  erano  state  rierapiute  di  corpi  umani  misti  a  calce  viva, 
indizio  che  avevano  servito  di  sepoltura  in  qualche  circostanza  straordinaria 
e  forse  di  peste '. 

(2)  E  vero  che,  quando  il  Bunsen  scrisse  la  sua  prima  relazione,  n'erano 
scoperte  soltanto  tre,  onde  egli  fu  tratto  di  piü  in  inganno. 


DELLA  SCHOLA  XANTHA  SUL  FORO  ROMANO       211 

moliuntur,  invenere  locum t  cuius  antae  cum  epi- 
styliis  marmoreae  efficiebani  veluti  porticum 
vel  apothecas  treis:  in  quibus  consisterentj  qui 
publica  acta  notarent  ac  publicarent,  ut  ex  titulis 
conicimus  (1). 

2.  Ligorio,  ms.  Napol.  lib.  XXXV,  p.  134:  Poco  di- 
scosto  dall'arco  di  Severo,  nella  testa  del  Foro  di 
Cesare  (2)  da  quel  lato  che  confina  la  via  Sacra  con 
il  clivo  Capitolino,  et  esso  foro,  furono  trovati  molti 
architravi,  la  piü  parte  dei  quali  era  scritta  d'amen- 
due  i  lati,  nella  maniera  qui  dimostrata,  per  la 
quäl  cosa  si  conosce  esser  sta(ta)  parte  et  ornamento 
della  schola  chiamata  Xanta ,  della  quäle  Sesto 
Eufo  fa  mentione  nella  ottava  regione.  Hoggi  non  si 
trovano  piü  per  esser  stati  rotti  et  convertiti  in 
altro   uso  (3). 

3.  Ligorio,  ms.  Parigino,  Fonds  St.  Germain  n.  86  ==  Italic, 
n.  1129,  f.  31  (4):  Essendosi  trovate  accanto  al  Foro  di 


(*)  Dal  Marliani  dipendono  molti  altri  astigrafi  del  sec.  XVI  e  XVII, 
come  il  L.  Fauno  (Ant.  di  Roma  II  c.  10,  f.  49  ed.  1548),  il  quäle  per  aver 
asserito  che  '  sul  capitello  di  marmo,  ch'  era  nell'  entrata  di  questo  luogo 
si  leggevano  dalla  parte  di  dentro  queste  parole ',  incontrö  il  biasimo  del 
Ligorio;  il  Fabricio,  Roma  1550,  p.  137;  il  Mauro,  Antichitä  di  Roma  p.  20 
ed.  1562  (ristampata  nelle  '  Memorie  dell'Aldrovandi '  presso  Fea  Miscellanea 
I  p.  206),  ed  altri.  —  Nella  ristampa  della  topografia  del  Marliani  in  Graevii 
Thesaurus  tom.  III  p.  157,  sono  aggiunte  delle  note  di  un  erudito  del  Cinque- 
cento, creduto,  ma  con  qualche  dubbio,  Fulvio  Orsini  (che  l'autore  sia  Ste- 
fano V.  Pighio  mi  pare  piü  verosimile).  Ivi  e  detto :  in  summa  via  sacra 
(vuol  dire  sulla  pendice  Capitolina  presso  l'arco  di  Severo)  haec  inventa  sunt 
meis  temporibus;  e  queste  parole  diedero  occasione,  a  causa  di  uno  strano 
malinteso,  al  Reber  di  scrivere :  aus  diesen  Inschriften,  welche  jedoch  bald 
nach  dem  Funde  weggenommen  und  später  bei  dem  Triumphbogen  des  Titus 
wiedergefunden  wurden,  geht  hervor,  etc. 

(2)  Secondo  il  Ligorio,  il  foro  di  Cesare  si  stendeva  dall'arco  di  Settimio 
all'arco  di  Tito,  mentre  egli  assegna  al  Foro  Romano  la  vallata  tra  il  Cam- 
pidoglio  ed  il  Palatino. 

(3)  Questo  passo  sembra  sia  scritto  nell'  anno  1546;  vedipiü  sotto  p.  214. 

(4)  Debbo  l'esatta  trascrizione  di  questo  passo  alla  cortesia  del  prof.  0. 
Hirschfeld.  Che  la  notizia  fosse  scritta  dopo  la  pubblicazione  del  libro  del  Fauno, 


212  IL   SITO   E   LE   ISCRIZIONI 

Cesare  poco  discosto  all'arco  di  Severo  et  alla  Via 
Sacra  alcuni  fragmenti  d'una  schola  con  l'archi- 
travi  scritti,  hanno  detto  che  erano  capitelli  e  non 
epistilii,  questi  furono  scayati  dalle  ruine  sotto  il 
magistrato  delle  strade  di  Messer  Jeronimo  Maf(e)o 
et    di   Messer   Raimondo    Capo   di   Ferro. 

4.  Manüzio  cod.  Vat.  5241,  p.  303,  riferisce  le  iscrizioni 
colla  semplice  indicazione :  ' f u  ritrovato  presso  all'arco  di 
Settimio',  e  dice  esistere  il  primo  titolo  '  fuori  dell'archi- 
trave  verso  la   Consolazione  '. 

Gli  autori  moderni,  dal  Canina  e  Bimsen  in  poi,  pare  che 
abbiano  riguardato  unicamente  quel  passo  del  Marliani  che  dice : 
dum  fossores  altius  terram  moliuntur;  per  conseguenza  hanno 
cercato  la  schola  da  quel  lato  del  tempio  di  Saturno  dove  fu  mag- 
giore  accumulazione  di  terra,  cioe  quello  rivolto  al  Campidoglio. 
Questa  supposizione  perö  poco  si  accorda  coH'andamento  generale 
degli  scavi  nella  metä  del  sec.  XVI.  Kisulta  dai  fasti  effossionum 
composti  dallo  Jordan  (Fph.  epigr.  1.  c.p.  242,  243),  ai  quali  si  deb- 
bono  aggiungere  le  pregevoli  notizie  raccolte  dal  eh.  Lanciani 
{Notizie  degli  scavi  1882  p.  216  sgg.),  che  le  ricerche  fatte  in 
quell'epoca  si  limitarono  a  due  zone  del  Foro :  l'una  tra  S.  Maria 
Liberatrice  e  S.  Lorenzo  in  Miranda,  l'altra  vicina  all'arco  di  Severo 
e  la  colonna  di  Foca.  Le  stampe  del  Kock,  del  Duperac  ed  altri 
ci  mostrano  che  l'arco  di  Severo  era  ingombro  da  ruderi  quasi  fino 
alle  imposte  delle  v61te  minori,  e  quindi  il  piano  stradale  era  su- 
periore  al  lastricato  del  Foro  antico  presso  i  Kostri  di  6  a  8  me- 
tri  incirca :  altezza  bastante  per  giustificare  l'espressione  altius. 
II  rialzamento  del  suolo  dalla  parte  del  tabulario  capitolino  era 
tanto  enorme  da  ricoprire  fin  quasi  alla  metä  le  colonne  del  tem- 
pio di  Vespasiano  e  da  impedire  nell'epoca  del  rinaseimento  gli 
scavi  per  ricerca  di  materiali  antichi.  Cosi  venne  risparmiato  non 
soltanto  l'edicola  coli'  ara  dedicata  a  Faustina  (C.  VI,  1019),  ma 


cioe  dopo  il  1548,  risulta  dal  prineipio  del  capitolo  ove  alle  parole  :  '  Deh  quanta 
ignoranza  e  stata  anchora  di  quelli  scrittori  dell'antiquitä,  che  hanno  voluto 
scrivere  essendo  senza  cognitione  aleuna  di  architettura  ' ,  sul  margine  si  trova 
notato:  Contro  al  Fauno. 


DELLA  SCHOLA  XANTHA  SUL  FORO  ROMANO       213 

perfino  le  colonne  della  porticus  deorum  Consentium  sovrapposta 
alla  fila  delle  taberne  la  terizie :  soltanto  gli  scavi  del  secolo  nostro 
li  portarono  alla  luce,  mentre  difficilmente  avrebbero  potuto  sfug- 
gire  alle  ricerche  di  chi  avesse  scoperto  la  cosidetta  schola.  Queste 
considerazioni  dunque  ci  portano  a  credere,  che  il  luogo  della  schola 
si  debba  cercare  non  al  lato  ovest  del  tempio  di  Saturno,  ma  sul 
lato  est,  quello  cioe  rivolto  alla  basilica  Giulia  ed  al  Foro  Komano. 
Infatti  questa  congettura  viene  pienamente  confermata  me- 
diante  un'  osservazione  sfuggita  agli  autori  piü  recenti  (l)  che 
hanno  trattato  intorno  a  quesf  argomento.  II  Marliani  cioe  dopo 
aver  riferite  le  iscrizioni  della  Schola  Xantha  —  ci  serviamo  di 
questo  nome  per  semplice  riguardo  alla  brevitä  —  prosegue  cosi : 
Ibidem  autem  effossus  est  cippus  super  quo  Stiliconis  statuam 
fuisse  innuit  sequens  inscriptio: 

FL  •  STILICHONI  •  V  •  C 
FLAVIO  •  STILICHONI  •  INLVSTRISSIMO  VIRO 

cet. 
(C.LL.YI,  1730,  ora  nel  palazzo  Capranica). 

Di  questa  base  conosciamo  con  esattezza  l'antica  collocazione. 
E  riferita  nel  Corpus  la  pregevole  notizia  dell'Accursio,  il  quäle  la 
dice  (cod.  Ambr.  D.  420,  XVI)  eruta  nobis  praesentibus  anno  1539 
mense  Augusto  ad  latus  arcus  Septimii  ante  aedem  SS.  Sergii 
et  Baechi.  A  questo  si  deve  aggiungere  il  passo  seguente  del  Li- 
gorio  (Neap.  1.  34,  p.  145)  del  quäle  nel  Corpus  non  si  e  tenuto 
conto :  'Questa  base  fu  trovata  non  son  molti 
anni  sotto  il  Campidoglio  vicino  l'arco  di 
Settimio,  verso  il  Poro  Komano,  ove  anchora 
fü  scoperta  gran  parte  d'un  tempietto  di 
marmo  tutto  di  forma  circulare,  che  non  fü 
gua  s  t  o  ma  ricop  e  r  t  o  et  lassato  stare  di  quella 
sorte  che  fü  trovato;    essen do    stato    nibito    da 

(])  La  notizia  intorno  al  ritrovamento  della  base  di  Stilicone  e  citata 
per  es.  dal  Bunsen  il  quäle  perö,  non  conoscendo  l'importante  passo  di  Ac- 
cursio,  non  pote  trarne  le  conseguenze.  Dall'altra  parte,  mancando  nel  Corpus 
(al  n.  1730)  la  citazione  del  Marliani,  si  spiega  facilmente  come  il  vero  stato 
delle  cose  sia  rimasto  sconosciuto  allo   Jordan  e  ad  altri. 


214  IL    SITO    E    LE    ISCRIZIONI 

M.  Ramondo  Capodiferro  et  da  M.  Camillo  di 
Crapania  (sie)  che  allora  furon  Conservadori'  (1). 
II  tempietto  rotondo  mentovato  da  Ligorio  non  puö  essere  altro 
che  la  base  del  milliario  aureo,  scoperto  di  nuovo  nel  secolo  pre- 
presente  (2). 


(*)  L'anno  nel  quäle  furono  scritte  queste  parole,  e  proprio  il  1546 
come  risulta  dalla  nota,  pure  inedita,  che  segue  immediatamente.  'Non  sarä 
in  tutto  fuor  di  proposito  a  dire,  che  dui  anni  fa  nel  gettar 
i  fondamenti  nuovi  di  Sanpietro  ne  la  parte  v'erso  mezzo- 
giorno,  in  quel  luogo  che  si  dice  la  Cappella  del  Ee  di  Fran- 
cia,  che  fa  la  parte  destra  della  croce  de  la  chiesa,  dico 
dal  lato  dell1  ohelisco:  fu  scoperto  un  pilo  grande  di  marmo 
senza  lavori,  il  maggior  lato  era  di  dieci  piedi,  et  il  menore 
di  quattro,  di  huona  misura,  nel  quäle  era  sepolta  Maria 
figlia  del  detto  Stilichone,  et  moglie  di  Honorio  imperadore, 
con  la  quäle  erano  sepolte  molte  gioie,  et  altri  thesori,  che 
si  son  detti  nel  libro  de  sepolchri,  nel  capo  che  tratta  delle 
delitie  che  si  seppellivano  con  i  morti'.  Questo  ritrovamento  ebbe 
luogo  nel  febbraio  del  1544  (Cancellieri  De  secretariis  p.  996). 

(2)  So  il  Ligorio  si  mostra  come  testimonio  esatto  in  questa  circostanza, 
non  mi  pare  lo  stesso  intorno  alla  seconda  base  di  Stilicone  (VI,  1731)  ora 
esistente  in  villa  Medici.  Di  essa  egli  narra  (Neap.  XXXIV,  1.  c,  immediata- 
mente dopo  la  notizia  riferita  nella  nota  1  ;  manca  nel  Corpus  1.  c):  '  f  ü 
trovata  vivente  Clemente  papa  (1523-1534),  la  quäl  e  stata  lo- 
cata  nella  casa  del  cardinal  della  Valle,  ed  il  luogo  appunto 
dove  ella  fü  scavata  e  davanti  la  porta  di  Santa  Maria  delle 
Gratie  in  testa  l'hospidal  della  Consol  atione  :  dove  secondo 
si  puö  giudicare  erano  li  rostri  nuövi  del  popolo  Komano, 
et  chiaramente  per  tanto  ancora  si  puö  comprendere  dove 
fusse  il  Foro  Eomano,  il  quäle  dalli  falsi  scrittori  e 
posto  tra  1'  arco  di  Severo  et  quel  di  Tito  Vespasiano 
controvvenendo  a  tutte  le  autoritä  delli  buoni  e  an- 
tichi  scrittori,  ma  per  la  Dio  gratia  questa  dedica- 
tionechiarisce  dove  era  il  detto  foro,  et  s'afferraa  la 
veritä  contra  il  Marliale'.  Ho  creduto  utile  di  apporre  il  passo 
intero,  che  nell'originale  si  conosce  dalla  diversitä  della  scrittura  e  dell'  in- 
chiostro  come  aggiunto  posteriormente,  per  far  comprendere  quali  ragioni 
consigliassero  al  falsario  di  cambiare  il  vero  luogo  di  questo  ritrovamento. 
Non  mi  par  dubbio  che  a  ragione  tanto  lo  Henzen  {Corpus  1.  c.)  quanto  lo 
Jordan  (Eph.  epigr.  III  p.  292),  abbiano  creduto  non  doversi  separare  questa 
base  dall'altra  n.  1730 ,  essendo  decisiva  l'osservazione  dello  Jordan,  hanc 
ipsam  basim  stetisse  in  rostris. 


DELLA   SCHOLA   XANTHA   SüL   FORO   ROMANO  215 

Ora  basta  dare  un'occhiata  alla  pianta  aggiunta  (tav.  VIII), 
che  comprende  la  zona  tra  il  tempio  di  Saturno  (J),  il  milliario 
aureo  e  l'arco  di  Severo,  per  capire  che  vi  e  un  solo  posto  dispo- 
nible per  la  schola :  ed  e  quello  al  fianco  sud  dei  Rostri,  fra  essi 
e  la  Sacra  Via,  con  la  fronte  rivolta  verso  quest' ultima  (2).  Se  tale 
spazio  potrebbe  sembrare  un  poco  ristretto,  limitandosi  a  metri  18 
di  lunghezza  ed  8  di  larghezza  incirca,  ricordiamo  che  p.  es.  le 
scholae  destinate  ad  uso  di  diversi  corpi  navali  ecc.  che  circondano 
il  Foro  di  Ostia  (Lanciani,  Not.  degli  scavi  1881,  p.  10,  11,  tav.I) 
in  generale  sono  di  una  superficie  di  m.  4  X  5.  Le  iscrizioni  stesse 
della  schola  Xantha  ci  danno  l'idea  che  l'edifizio  fosse  piccolo  si, 
ma  suntuoso;  il  sito  vicino  all'erario  ed  alla  basilica  Giulia  si 
adatta  benissimo  per  l'uffizio  degli  edili  curuli :  e  la  direzione  della 
fronte  verso  la  Via  Sacra  si  accorda  perfettamente  coli'  espres- 
sione  usata  del  Manuzio,  che  chiama  la  parte  di  fuori  quella  rivolta 
verso  la  Consolasione. 

Se  la  quistione  topografica  mi  pare  si  possa  sciogliere  con 
abbastanza  certezza,  siamo  meno  sicuri  della  parte  epigrafica,  dico 
la  disposizione  dei  titoli  sui  pezzi  di  architettura  (3)  e  la  ricosti- 

(*)  Per  tracciare  l'andamento  della  strada  fra  l'arco  di  Severo  e  la  Con- 
solazione  manca  una  pianta  contemporanea,  non  essendo  quella  del  Bufalini  di 
esattezza  geometrica.  La  piü  antica  a  me  conosciuta  e  una  inedita  disegnata 
dal  geometra  Giuseppe  Leoncini  sotto  Alessandro  VII,  che  si  conserva  nella 
Biblioteca  Chigiana  (cod.  P.  VI,  10  f.  94).  Essa  rende  verosimile  che  l'anda- 
rnento  della  strada  non  sia  stato  cambiato  essenzialmente  dal  secolo  XVI 
fino  al  XVIII:  e  lo  stesso  risulta  dal  confronto  delle  vedute  deH'Heemskerk, 
dell'Overbeke  e  di  quella  anonima  dell'a.  1650  riprodotta  da  Parker  (Arch.  I. 
Forum  tav.  1).  Quindi  non  abbiamo  dubitato  di  tracciare  i  limiti  stradali  se- 
condo  la  pianta  di  G.  B.  Nolli  (1748).  Intorno  al  sito  della  chiesa  di  S.  Sergio 
e  Bacco  rimandiamo  alla  nostra  esposizione  Bull,  comun.  1888  p.  153  sg.  con  la 
tavola  X. 

(2)  Proprio  in  questo  luogo  si  riconosce  sulla  pianta  accurata  del  Mid- 
dleton  uno  spazio  privo  affatto  di  ruderi  antichi;  non  vorrei  perö  cercarne  la 
ragione  negli  scavi  del  sec.  XVI,  avendo  servito  lo  stesso  luogo  per  la  sotto- 
fondazione  di  un  pilone  del  ponte  costruito  nel  1851,  ed  essendo  noto  che  allora 
gli  avanzi  antichi,  p.  es.  l'arco  di  Tiberio,  furono  distrutti  sino  ai  fondamenti 
(Ravioli  e  Montiroli  II  Foro  Romano,  p.  11  sg.), 

(3)  II  Ligorio  nel  codice  Napoletano  disegna  le  iscrizioni  sopra  le  fa- 
sce  di  due  architravi:  che  perö  ai  dettagli  si  possa  prestare  poca  fede,  ri- 
sulta giä  dal  semplice  fatto,  che  egli  rappresenta  i  titoli  b  e  d,  stanti  secondo 


216  IL   SITO   E   LE   ISCRIZIONI 

tuzione  dei  testi.  Abbiamo  non  meno  di  quattro  autori  tutti  indi- 
pendenti  l'uno  dall'altro,  e  tre  di  essi,  cioe  il  Marliani,  Ligorio  e 
Metello  sono  contemporanei  alla  scoperta  (!) ;  sembra  perö  che 
vedessero  i  pezzi  dell'epistilio  soltanto  rotti  e  giacenti  sul  suolo  (2). 
Per  conseguenza  aessuno  di  loro  da  il  testo  intero  di  tutte  le 
epigrafi,  ne  puö  essere  convincente  la  distinzione  che  essi  fanno  tra 
il '  lato  di  dentro  '  e  '  di  fuori  \ 

Sarebbe  difficilissimo  il  conciliare  in  modo  plausibile  le  no- 
tizie  dei  diversi  autori,  se  non  ci  venisse  in  aiuto  un  altro  argo- 
mento,  preso  da  una  osservazione  cronologica,  che  a  prima  vista 
poträ  sembrare  strana.  Kitengo  cioe  l'iscrizione  che  parla  della 
riediflcazione  fatta  da  Bebryce  e  Xantho  non  posteriore,  ma  invece 
piü  antica  dell'  altra ,  che  dice  la  sehola  costrutta  per  cura  di 
Avillio  Trosio.  E  ne  traggo  argomento  dalla  forma  dei  nomi. 

Gli  editori  finora  non  hanno  messo  in  dubbio  che  la  prima 
edificazione  della  sehola  spettasse  all'etä  di  Caracalla,  essendo  noto 
dalla  iscrizione   VI,   1068  (vedi  nota  1)  che  lo  stesso  C.  Avillio 


lui  l'uno  a  rovescio  dell'altro,  quasi  fossero  ambedue  interi  dalla  parte  sinistra 
e  mutili  dalla  parte  destra,  ciö  che  non  e  possibile  (una  copia  dei  frammento 
c  tratto  dal  codice  Napoletano,  non  citato  nel  Corpus,  si  trova  nel  cod.  Vat. 
3439,  f.  116').  II  testo  dei  codice  Parigino  conferma  che  la  redazione  sia  po- 
steriore al  Napoletano :  mentre  nell'  ultimo  il  frammento  .  .  .  is  •  librari  .  . 
|  .  .  pecvnia  .  .  .  si  trova  isolato  e  posto  accanto  il  titolo  a,  nel  Parigino 
esso  e  aggiunto  al  titolo  c,  ma  sopprimendo  le  lacune  esistentevi  (v.  p.  220). 
(*)  II  quarto,  Aldo  Manuzio,  essendo  nato  nel  1547,  avrä  tratto  il  suo  apo- 
grafo  da  un  autore  piü  antico.  Che  questo  perö  abbia  copiato  esattamente  il 
titolo,  risulta  p.  es.  da  ciö  che  egli  solo  da  la  vera  lezione  dei  nome  dei  cu- 
ratore  Licinius  Trosius  accertata  dal  titolo  VI,  1068  scoperto  sull'Aventino 
circa  il  1735:  ivi  si  trova  Avillius  come  nell'esemplare  dei  Manuzio,  e  non 
Avilius  come  negli  altri  autori  dei  sec.  XVI.  —  Che  Manuzio  abbia  tratto 
questa  parte  dalle  collettanee  di  Gentile  Delfino,  non  e  certo.  Precedono  iscri- 
zioni  copiate  nel  palazzo  Capodiferro :  e  forse  non  per  caso  Tepigrafe  che  se- 
gue  immediatamente  e  la  nostra,  ritrovata  in  uno  seavo  fatto  durante  il  magi- 
strato  di  un  Capodiferro. 

(2)  'Integros  vidisse  titulos  Mos  Marlianium  Metellumve  equidem  non 
crediderim  '.  Jordan,  Eph.  III,  p.  270.  II  Marliani  ha  omesso  il  titolo  gemello 
a  qoello  che  dice  Bebryx  Aug.  I.  Drusianus  .  .  .  A.  Fabius  Xanthus  .  .  . 
scholam  ab  inchoato  refecerunt,  perche  il  testo  e  quasi  identico,  come  fu  os- 
servato  piü  sopra  (p.  209  not.  1). 


DELLA  SCHOLA  XANTHA  SÜL  FORO  ROMANO       217 

Licinio  Trosio  dedicasse  nel  214  di  C.  una  statua  in  onore  di 
quell'  imperatore.  Quindi  il  ristauro  eseguito  dai  due  altri  merabri 
del  collegio  non  potrebbe  assegnarsi  che  alla  inatä  incirca  del 
terzo  secolo.  '  Neque  cognomen  Drusiani,  dice  l'Henzen,  quo  Be- 
bryx  Augusti  libertus  appellatur_,  ad  Drusos  saeculi  primi  re- 
ferri  polest'. 

Ora  tale  conclusione  si  oppone  a  tutto  ciö  che  sappiamo 
della  nominum  ratio  del  secolo  terzo.  Proverö  nella  nota  aggiunta 
a  questo  articolo,  che  i  nomi  doppi  dei  servi  e  liberti  della  casa 
Augusta  spariscono  dopo  Traiano,  che  non  ce  n'e  esempio  sicuro 
che  ci  conduca  alla  metä  del  secondo  secolo  d.  C.  Quindi  per  me 
rimane  esclusa  la  supposizione  che  il  ristauro  fatto  da  Bebryce 
Drusiano  ed  A.  Fabio  Xantho  appartenga  alla  metä  del  secolo 
terzo.  C.  Avillius  Licinius  Trosius,  la  cui  polionimia  del  resto  si 
adatta  benissimo  all'epoca  di  Caracalla,  non  istitui  dunque  per  il 
prirao,  ma  rifece(1)  gli  uffizi  degli  scribae  librarii;  la  sua  iscri- 
zione  deve  aver  occupato  il  posto  di  un'altra  piü  antica  e  poi  can- 
cellata.  Ne  mi  pare  impossibile  1'  indovinare  quäle  sia  stata  Tiscri- 
zione  originaria. 

E  ben  noto  come  in  monumenti  pubblici  dedicati  da  due 
magistrati  soleasi  comunemente  ripetere  due  volte  l'iscrizione 
dedicatoria.  Soltanto  i  nomi  cambiavano  posto,  e  quello  ch'era  primo 
in  una  iscrizione,  diveniva  secondo  nell'altra.  Mentre  questa  regola 
si  trova  osservata  in  una  delle  coppie  d'iscrizioni  della  schola 
Xantha,  quella  cioe  che  parla  della  ricostruzione  dell'edifizio,  manca 
invece  l'iscrizione  gemella  di  quella  che  si  riferisce  agli  ornamenti 
aggiunti  post  dedicationem :  strana  mancanza  di  simmetria,  giä 
rilevata  dallo  Jordan  {Eph.  epigr.  III,  1.  c).  Mi  sembra  quindi 
molto  probabile,  che  la  fascia  dell'epistilio  occupata  poi  dall'epi- 
grafe  di  Avillio  Licinio  Trosio,  originariamente  portasse  quel  titolo 
gemello;  e  l'ordine  delle  epigrafl,  per  semplice  congettura,  si  ri- 
costituirebbe  cosi : 


(l)  E  da  notarsi  che  l'apografo  accurato  del  Manuzio  nella  seconda  riga 
infatti  legge  refecit,  non  fecit,  ch'e  la  lezione  comune  di  Marliani,  Ligorio 
e  Metello. 


218  IL   SITO   E    LE   ISCRTZIONI 

da  un  lato: 

fascia  superiore: 
A  •  FABIVS  •  XANTHVS  .  BEBRYX  •  AVG  •  L    DRVSIANVS 
ET  MVTVLOS  CVM  TABVLA  AENEA  etc. 

fascia  inferiore: 

b)  BEBRYX  •  AVG  •  L  •  DRVSIANVS  •  A  •  FABIVS  •  XANTHVS 
AB  •  INCHOATO  REFECERVNT  etc. 

dall'altro  lato: 

fascia  superiore: 

c)  A  •  FABIVS  •  XANTHVS  •  BEBRYX  •  AVG  •  L  •  DRVSIANVS 
AB  •  INCHOATO  REFECERVNT  etc. 

fascia  inferiore: 

d)  BEBRYX  •  AVG  •  L  •  DRVSIANVS  •  A  •  FABIVS  •  XANTHVS 
ET  MVTVLOS  CVM  TABVLA  AENEA  etc. 

Rimettiamo  ora  al  posto  del  titolo  primo  da  noi  ideato  quello 
di  Avillio  Trosio  (a)  letto  dagli  autori  del  Cinquecento,  e  parago- 
niamo  l'ordine  allora  risultante  con  le  principali  testimonianze, 
cioe  quelle  chiare  ed  intelligibili  (x)  e  prive  del  sospetto  d'inter- 

(!)  L'apografo  del  Metello,  ch'e  per  la  maggior  parte  in  lettere  corsive, 
contiene  delle  indicazioni  che  saranno  state  chiare  all'  autore  stesso,  il  quäle 
copio  sul  luogo,  ma  che  per  ogni  altro  non  si  prestano  ad  un'interpretazione 
certa.  Non  posso  dispensarmi  di  apporlo  intero  osservando  scrupolosamente 
anche  la  divisione  dei  versi  quäle  si  trova  nel  cod.  Vat.  6040  f.  8'  e  mettendo 
tra  C]  le  parole  cancellate  dallo  scrittore  stesso. 

LICINIVS 

c  •  avilivs  [trosivs]  trosivs  cvra 

SCHOLAiW    DE    SVO    FECIT 
BEBRYX  •  A  •  L  •  DRVSIANVS  •  A  •  FABIVS  •  XANTHVS 

CVR 

«»ueUata  Iwagines  argenteas  deo[r  vn]  a  tergo  epistylii 

Hlecjihi[e.'  ,      RVM  •  SEPTEM    POST    DEDICATIONEM    SCHOLAE 
forse  dötro]t 

ET    MVTVLOS    CVM    TABVLA    AENEA    SVA    PE 

CVNIA    DEDERVNT 

[/'ultima  parola  poi  nuitata  in  fecervnt] 

extra  A.  Fabius  Xanthus  Bebryx  Aug.  1.  Drusianus 

in  eodem  _       * 

cur.  scribis  übraris  [fj^^  et    Pre?on 


DELLA   SCH0LA   XANTHA   NEL   FORO   ROMANO  219 

polazione  (l).  Di  esse  propongo  il  quadro  seguente : 

Marliani  :  uno  epistylio,  parte  interiore j  j1 

extra  yero  in  eodem  epistylio d 

Ligorio  (Neap.):  [architrave  segnato  M] a 

lato  di  dentro  dell'architrave  segnato  M c 

parte  di  fuori  dell'architrave  segnato  D, b 

lato  di  dentro  dell'architrave  segnato  fl d 

Manüzio:    fuori  dell'architrave  verso  la  Consolazione b 

nel  medesimo  di  dentro d 

di  sopra a 

(senza  prescrizione) c 

Quindi  possiamo  supporre  come  certi  due  punti  essenziali: 
1°  che  l'iscrizione   di  Avillio  Licinio  Trosio  occupasse  la 
fascia  superiore; 

2°  che  i  due  titoli  comincianti  col  nome  di  Bebryce  stas- 
sero  da  due  lati  diversi  della  medesima  fascia  dell'epistilio, 
e  questi  due  punti  si  accordano  benissimo  con  la  riordinazione  da 
noi  stabilita  per  semplice  congettura. 

Propongo  in  fine  il  testo  delle  iscrizioni,  con  l'aggiunta  del- 
l'apparato  critico.  come  risulta  dalle  sopra  esposte  ricerche. 


in  alio  latere 
ibus  aedil  cur  scholam   ab  inchoato   re 
fecerunt  marmoribus  ornaverunt  victoriä 
augustä  et  sedes   aenoas   et  cetera  or 
namenta  de 
derunt 
in  alio  Bebryx  Aug.  L.  Drusian1  A.  Fabius  Xanthus 

ab    inchoato    refecerunt    marmoribus    ornaver 
uictoriä  au. 
(!)  Questo  sospetto    cade   specialmente  sul  ms.  Parigino  del  Ligorio,  il 
quäle  certamente  e  posteriore  al  Napoletano,  e  mostra  di  esser  stato  alterato 
nel  modo  usuale  a  quel  falsario.  Ecco  le  sue  indicazioni: 

queste  erano  in  una  parte  deH'epistilio C 

ed  in  altra  parte  queste b 

in  un  altro  fragmento  del  medesimo  epistilio  cosi d 

il  medesimo  di  dentro  con  quest'altra  dichiarazione a 

Mi  pare  piü  prudente  di  non  fare  gran  conto  delle  varianti  fornite  da  questa 
seconda  redazione  Ligoriana. 


220 


IL   SITO   E   LE   ISCRIZIONI 


in  epu 


a)    C  •  AVILLIVS  •  LICIJ 
SCHOLAM  ■ 


b)  BEBRYX  •  AVG  •  L  •  DRVS1ANVS  •  A  •  FABIVS  •  X  ANTH  VS/-  C  tR 

r — 

AB    .    INCHOATO.REFECERVNT    .    MARMORIBVS    .    ORNAVERVNT    .    VICTORIAM    .    AVG  VSTAM     ET.SEDES.AlB 


in  episfi 


c)  A  ■  FABIVS  •  XANjHVS  •  BEBRYX  •  AVG  •  L  •  DRVSIANVS 

AB.  INCHOATO  .  hEFEc/ERVNT    MARMORIBVS  .  ORNAVERVNT  .  VICTORIAM  .  AVGVSTAM  .  ET  .  SEDES  .  AENEA 


d)  BEBRYX  •  AVG  •  L  •  DRVSIANVS  •  A  •  FABIVS  •  XANTHVS  •  CVR  •  IMAGES 

ET     MVTVLOS  .  CVM  .  TABELLA  .  AENEA .  DE     SVA     PECVNIA  .  DEDERVNT  . 


a)  Integram  Marliani  Manutius,  fractam  Metellus  Ligorius.  —  1  avillivs  solus  Man.,  aB 
Marl.  Lig.  Met. —  ex.  cvra  . . .  Met.  —  Interpolavit  Ligorius  (Neap.)  cvrator  •  so  ... 
propter  frustulum  b,  2  hoc  loco  perperam  adiunctum;  cvrator  •  SCRIB  •  libr.  m| 
(Paris).  —  2  refecit  Man. 


b)  Integram  Marliani  Manutius,  qui  variant  in  his:  1  aed  •  Marl.  —  2  mÖnvment  pro 

ORNAMENTA  Man.   —   ex.    FECERVNT   Marl.,   FACIVNDA     CVRAVERVNT    Mail.,  Ujfl 

fortasse  ex  supplemento.  —  Fragmentum  1,  quod  linea  distinxi,  viderunt  Mete  I  ( 
Ligorius,  qui  cum  in  versu  2  non  plura  quam  Metellus  habeat,  versui  prini'ddi 
CVrat  •  (cvr  •  Paris)  scrib  . . .,  ex  interpolatione  omnino.  —  Frustulum  2  sv\yMv- 
solus  exhibet  Lig.  (Neap.),  positum  iuxta  titulum  a:  idem  in  Paris,  adglutinat  iati 
celato  (scribit  v.  1  librariIs,  v.  2  avgvstam  •  pecvnia////)  ad  fragmentum  prj.ffl( 
1  a  •  ante  fabivs  om.  Man. 


mtenore 

SIVS  •  CVRATOR 
•  FECIT 


. 


2 

,  I  B [IJ5   •  LIBR  A R I  I\S  •  ET  •  PRAECONIBVS  •  AEDIL  •  CVR  •  SCHOLAM 

A  .  ORNAMENTA   DE  SVa\    PECUXlA^dederUllt 

exteriore 

IIBIS  •  LIBRARIIS  •  ET  •  PRAECONJIBVS  •  AEDIL  •  CVR  •  SCHOLAM 

iKNAMENTA . DEDERVNT  / 


ENTEAS  •  DEOIRVM  •  SEPTEM  •  POST  •  DEDICATIONEM  •  SCHOLAE 


itegram  Ligorius  Metellus,  fragmenta  1.  2  quae  lineis  distinximus  Manutius,  totum 
titulum  om.  Marliani.  —  1  fab  •  Lig.  (Neap.).  —  libraris  Met.  —  post  praecon  . .  . 
inserit '  in  alio  latere ' ,  fracturam  opinor  significans  Met.  —  2  inchoata  refecit  Man.  — 
Ornament  pro  ornavervnt  Lig.  (Neap.),  om.  id.  (Paris).  —  dedit  Ligor. 

\  itegram  Marliani  Metellus,  mutilam  a  dextra  Ligorius  (Neap.  Paris.)  Manutius.  — 
1  avg  •  Li  A  •  L  •  Met.  —  deo  |rvm  ,  interponens  verba  '  a  tergo  epistylii '  Met.,  deo  . . . 
Lig.  (Neap.),  deo  •  d  •  d  id.  (Paris),  deorvjw  •  s  Manutius,  cuius  auctor  in  fine  potest 
litterarum  dimidiatarum  quaedam  vestigia  dispexisse  a  ceteris  praetermissa.  —  2  in  • 
F-T  pro  et  Man.  —  javtalos  id.  —  tabvla  Met.  Ligor.  —  de]  ex  Man.,  om.  Met.  Lig.  — 
dedervnt  postea  in  fecervnt  mutavit  Met. 

uum  divisionem  servant  in  titulis  omnibus  Marl.  Lig.  (Neap.),  in  a  Met.,  in  b  c  Man. 
omnino  neglegit  Lig.  (Paris). 


222  IL   SITO   E   LE   ISCRIZIONI 


Nota  a  p.  217  sopra  i  nomi  doppl  di  servi  e  liberti 
della  casa  imperiale. 


Trattando  dei  servi  publici  e  la  loro  nomenclatura,  il  Mommsen  (St.  R. 
I3  p.  323)  osserva,  che  essi  portano  ordinariamente  due  nomi,  l'uno  servile, 
ch'e  proprio  individuale ;  l'altro,  un  cognome  in  —  anus,  accenna  al  padrone 
anteriore  ed  e  derivato  usualmente  da  nomi  di  famiglie  nobili.  Tale  nomen- 
clatura doppia,  aggiunge  il  Mommsen,  si  trova  pure  spesso  negli  servi  della 
casa  imperiale,  raramente  in  quelli  dei  municipi  e  delle  famiglie  piü  nobili 
di  Eoma :  sembra  che  essa  indichi  una  posizione  media  tra  liberi  e  schiavi 
effettivi  (i). 

Mentre  i  servi  publici  ebbero  i  cognomi  derivati  sempre  da  gentilizi 
nobili,  gli  schiavi  della  casa  imperiale  li  assnnsero  non  soltanto  da  nomi  di 
questo  genere,  ma  molte  volte  anche  da  nomi  servili.  Siffatti  cognomi  deri- 
vavano  dagli  nutritores  per  gli  alumni,  dai  servi  possedenti  un  peculium 
per  i  loro  vicarii  ecc. 

II  seguente  elenco  degli  esempi  a  me  noti  delle  due  categorie  si  limita 
alla  sola  famiglia  imperiale  (2)  senza  separare  gli  schiavi  dai  liberti,  la  cui 
nomenclatura  e  regolata  secondo  le  medesime  norme.  L'elenco  e  composto  per 
mezzo  di  uno  spoglio  fatto  apposta  dei  volume  VI  dei  Corpus  Inscriptionum 
Latinarum,  il  quäle  naturalmente  contiene  la  maggior  parte  degli  esempi,  e 
coll'aiuto  degli  indici  dei  volumi  III.  V.  IX.  XII.  XIII.  XIV  della  medesima 
opera  (3).  Tale  lavoro  senza  dubbio  sarä  corretto  ed  aumentato  per  la  com- 
pilazione  definitiva  degli  indici  dei  volume  sesto ;  credo  perö  di  potergli  pre- 


(1)  Meno  corretta  e  l'espressione  usata  dal  Marquardt  Privatleben  12  p.  21:  'Kommt  ein 
Sclave  durch  Kauf  oder  Erbschaft  an  einen  neuen  Gewalthaber,  so  wird  ihm  das  cognomen  seines 
früheren  Herren  mit  dem  Suffix  -  anus  beigegeben,  s.  B.  Secundus  Caesaris  nostri  verna  Crescen- 
tianus;  Anna  Liviae  Maecenatiana '.  Questa  regola  non  e  mai  stata  generale  per  la  nomenclatura : 
altrimenti  ne  dovrebbero  abbondare  gli  esempi. 

(2)  Gli  esempi  di  simili  nomi  sono  assai  scarsi  anche  nelle  famiglie  piü  nobili  di  Roma: 
l'unica  che  ne  fornisca  un  maggior  numero,  sono  gli  Statilii  (C.  I.  VI,  6228.  6356  con  le  note  degli 
editori) :  il  che  forse  e  un'altra  prova,  che  gli  Statilii  si  arrogassero  istituzioni  usate  soltanto 
dalla  famiglia  imperiale  (Mommsen  St.  K.  113  p.  824  not.  6).  Di  altri  esempi  noto:  M.  Vipsanius 
Agrippae  l.  Antiochus  Sittianus,  M.  Vipsanius  Agrippae  l.  Troilus  Sittianus  VI,  18269;  Eros 
C.  Sallusti  Crispi  ser.  Metellianus  VI,  5882;  Spendo  Torquatianus  VI,  7303,  Primus  Q.  n.  act. 
Rhodismianus  VI,  7367  (mon.  Volus.) :  tutti  pure  dei  principio  dell'iinpero. 

(3)  I  volumi  II  e  IV  dei  Corpus  non  contengono  nessun  esempio  sicuro  di  tali  nomi :  dei 
volume  XI  non  posso  assicurare  lo  spoglio  completo  a  cagione  della  mancanza  degli  indici.  I  vo- 
lumi I-VI  dell'Ephemeris  epigraphica  non  aggiungono  verun  esempio  a  quei  da  noi  raccolti. 


DELLA   SCHOLA    XANTHA   SUL   FORO   ROMANO  223 

metterc  le  parole  del  Morarasen  nella  sua  dissertazione  de  militum  provin- 
cialium  patriis  (Eph.  epigr.  V,  159):  Ut  dubium  non  est,  quaedam  omissa 
esse  quae  addi  potucrunt  et  debuerunt,  ita  non  multa  confido  desiderari 
eorum  quae  hodie  nota  sunt.  —  Non  molti  sono  i  nomi,  che  ci  lasciano  du- 
bitare,  se  il  cognome,  dal  quäle  sono  derivati,  accenni  ad  un  padrone  nobile,  op- 
pure  libertino,  como  p.  es.  i  Festiani,  Hilariani,  Montaniani :  li  ho  rimessi 
tutti  nella  seconda  categoria.  E  da  osservare,  che  in  questa,  gruppi  molto 
estesi  non  ve  ne  sono  affatto,  ed  invece  della  maggior  parte  non  se  ne  ha 
che  un  solo  eserapio. 

I.  Cognomi  derivati  da  membri  della  famiglia  imperiale,  o 
da  famiglie  nobili  (*). 

Aemiliani :  Diadumenus  Aug.  ser.  A.  VI,  5355. 

C.  Iulius  Bassus  A.  VI,  8688. 
Agrippiniani:  Anthus  Imp.  T.  Caesaris  Aug.  et  Augustae  ser.  A.  VI,  15616. 

Phoebus  Caesaris  n.  Agrippinianus  VI,  24164. 
Agrippiani  (di  M.  Agrippa) : 

Acastus  Caesaris  Aug.  1.  ostiarius  A.  VI,  5849. 

Atticus  A.  Caesaris  disp.  VI,  8820. 

Castor  TL  Caesa(ris)  et  Aug.  1.  A.  VI,  5223  (Codin.  III). 

C.  Iulius  Divi  Aug.  1.  Cozmus  speclariar.  A.  VI,  5202.  5203. 

Philagrus  Divi  Aug.  1.  A.  VI,  8012. 

Philotimus  A.  VI,  4808. 

Princeps  Caesaris  ser.  A.  VI,  5299  (Codin.  III). 
Amyntiani  (forse  di  Amynta,  re  di  Galazia,  morto  nel  729  a.  u.): 

Alexander  A.  VI,  8738  (a.  u.  c.  753). 

Apollonius  A.  VI,  10395  (a.  u.  c.  753). 

Damocrates  A.  VI,  10395  (a.  u.  c.  754). 

Epinicus  Caesaris  ser.  A.  VI,  8894. 

Gaa  A.  VI,  10395  (a.  u.  c.  753). 

M.  Livius  Aug.  1.  Anteros  A.  VI,  4035  (mon.  Liv.). 
Antoniani  (2) :    Antigonus  Liviae  1.  A.  VI,  4018,  cf.  4100  (mon.  Liv.). 

Eros  A.  VI,  10395  (a.  u.  c.  754). 

Lucrio  A.  VI,  10395  (a.  u.  c.  752). 

Diadumenus  Aug.  I.  proc.  Antonianus  Hermes  XVDH,  p.  158  (iscr. 
del  Posilipo,  scritta  nel  65  d.  C). 

Ti.  Claudius  Victor  A.  Divi  Claudi  lib.  VI,  15314. 

T.  Flavius  Aug.  1.  Sedatus  A.  VI,  18203. 

Ti.  Claudius  Aug.  1.  Phoebus  A.  XIV,  2835. 

(1)  Le  sigle  Codin.  I  e  III  indicano  i  monumenti  scoperti  nella  vigna  Codini  nel  1840  (C.  I. 
VI,  p.  926  sgg.)  e  nel  1852  (ib.  p.  939),  le  cui  iscrizioni  appartengono  *utte  alla  prima  raetä  del 
primo  secolo  d.  C. 

(2)  I  primi  tre  appartennero  giä  ad  Antonia  moglie  di  Druso:  degli  altri  e  incerto,  se  aasun- 
sero  il  cognome  dalla  medesima,  o  di  qualche  merabro  della  famiglia  Antonia. 

15 


224  IL   SITO   E   LE    ISCRIZIONI 

Ateiani:  Ateian.  .  .  ?  VI,  4246  (raon.  Liv.). 

Auyustiani  (cf.  il  collegium  Concordiae  Augustianorum  familiac  castrensis 
VI,  8532). 

Iucundus  Aug.  1.  A.  VI,  19746. 

Narcissus  A.  VI,  5206  (forse  passato  poi  nella  famiglia  di  Agrip- 
pina  seniore). 

M.  ülpius  Aug.  lib.  Paris  Augustanus  VI,  8772  (dubbio). 
Aureliani :  Hymnus  A.  VI,  4431  (raon.  Marcell). 
Burriani :  (forse  dal  noto  prefetto  Afranio  Burro). 

T.  Flavius  Aug.  lib.  Crescens  tabularius  B.  VI,  9059. 
Caianus :  Anicetus  Caesaris  Aug.  C.  VI,  11631  (1). 

Cascelliani  (forse  della  famiglia  del  giureconsulto  A.  Cascellio    morto    sotto 
Augusto ' : 

Asia  Liviae  C.  VI,  3952  (mon.  Liv.). 
Censoriniani  (forse  da  un  Marcius  Censorinus): 

Argaeus  gyber(nator)  C.  X,  6638  (fast.  Ant.). 
Claudiani :  Clemens  Caesaris  C.  Fabretti  310,  334   (piü  corretto  die  Reines. 

9,  102,  da  cui  C.  I.  L.  VI,  18816). 
Corneliani :  Hilarus  Liviae  1.  C.  VI,  4062  (mon.  Liv.) 
Cornißciani :  Ti.  Iulius  Aug.  1.  Fuscus  C.  VI,  5245  (Codin.  III). 
Crispiani:  M.  Ulpius  Aug.  lib.  Felix  Cr.  Marini  Vat,  9126  f.  359. 
Domitianiani :  Encolphius  D.  VI,  8532. 
Dolabelliani:  Athictus  D.  VI,  5218  (Codin.  III). 
Drusilliani  (di  Drusilla  sorella  di  Gaio  imperatore) : 

Cinnamus  Ti.  Claudi  Caesaris  Aug.  Gerraanici  disp.  Dr.  VI,  8822-8824. 
Drusiani:  Bebryx  Aug.  1.  D.  VI,  103. 

Amphion  Ti.  Caesaris  Aug.  D.  V,  1067. 

Chryseros  Ti.  Caesaris  D.  XIV,  2420=- XI,  2916. 

Philomusus  Liviae  1.  D.  VI,  4180  (mon.  Liv.). 

Sinnio  Caesaris  corpore  custos  1).  VI,  4437  (raon.  Marc). 
Fabiani :  Felix  Ti.  Claudii  Caesaris  Augusti  dispens.   F.  XIV,  3920. 
Frontoniani :  Faustus  Augusti  et  Augustae  F.  VI  5181  (Codin.  III.). 
Fulviani :  Attalus  F.  X,  6638  (fast.  Antiat). 
Galbiani  (dell'imperatore  Galba) : 

Aepolus  irap.  T.  Aug.  disp.  G.  VI,  8819. 

T.  Flavius  Encolpius  Aug.  1.  G.  VI,  18048. 
Galeriani:  Titurus  G.  VI  8738  (a.  u.  c.  753). 
Germaniciani  (di  Gerraanico  Cesare;  tutti  dal  raonumento  dei  figli  di  Druso): 

Hermeros  Agrippinae  G.  VI,  4387. 

Macer  Germanicianus  Ti.  Caesaris  Germanus  VI,  4339. 

Nereus    nat.    German.    Peucennus   Germanicianus  Neronis  Caesaris 
VI,  4341. 

(1)  Iscrizione  perduta  nell'originale  e  serbata  soltanto  dagli  apografi   di  Ligorio  e  di   Cas- 
siano  del  Pozzo. 


DELLA   SGHOLA   XANTHA    SUL   FORO   ROMANO  225 

Nestor  C.  Caesaris  ser.  G.  VI,  4357. 

Philonicus  Ti.  Caesaris  G.  VI,  4353. 

Valens  Germanus  G.  VI,  4341. 

Xystus  Ti.  Caesaris  ser.  G.  VI,  4400. 
Iuliani :  Antiocus  I.  VI,  5857. 

Faustus  Augusti  ser.  Iulianus  VI,  22670. 

Hermes  I.  VI,  10305  (a.  u.  c.  751). 

Himerus  Caesaris  ministrator  I.  VI,  5751. 

Montanus  I.  VI,  4435  (mon.  Marcellae). 

Phosporus  Aug.  ser.  I.  VI,  5837. 
Lentuliani :  Elenchus  Iuliae  Aug.  ser.  Lentlianus  VI,  4273  (mon.  Liv.), 

Fronto  Ti.  Claudi    Caesaris  Aug.   Germanici   dispesator   Lent[l]ia- 
nus  V,  2386. 
Liciniani :  Hospes  L.  VI,  4305  (mon.  lib.  Drusi). 

Hospes  Ti.  Caesaris  Aug.  L.  VI,  244  (p.  C.  18). 

Natalis  Aug(ustae)  disp.  L.  VI,  3068  (mon.  Liviae). 
Liviani :  Anthus  Caesaris  trierarchus  L.  XII,  257  (insieme  con  un  C.  Iulius). 
Maecenatiani :  Agrypnus  Caesar.  Aug.  M.  VI,  4032  (mon.  Liv.). 

Anna  Liviae  M.  VI,  4005  (mon.  Liv.). 

Buzyges  Augusti  ser.  M.  VI,  22070. 

Cissus  Caesaris  M.  VI,  4016  (mon.  Liv.). 

Parmeno  Liviae  a  purpur.  M.  VI,  4016  (mon.  Liv.). 

C.  Iulius  Divi  Aug.  1.  Delphus  M.  VI,  10026. 
Maeciani:  Euchrus  Caes.  ser.  M.  VI,  11782. 
Maeciliani:  Eros  Augustae  lib.  M.  VI,  4124.  4125  (mon.  Liv.). 
Marcelliani:  Valeria  Nama  Messallaes  1.  M.  VI,  4501  (mon.  Marcell.)  (J). 

Alexander  M.  VI,  8532  (insieme  con  un  Domitianianus). 
Maroniani  (di  Virgilio  Marone,  cf.  vita  Donat.  37 :  heredem  fecit . . .  ex  parte 
quarta  Augustum): 

Mima  l(ibertus)  M.  VI,  4173  (mon.  Liv.). 

Timotheus  Aug(ustae)  1.  M.  VI,  4173. 
Mettiani :  Corinthus  Caesaris  n.  M.  VI,  252  (dedicata  al  genio  di  Traiano). 
Neroniani:  Eutychus  Aug.  lib.  N.  VI,  10172.  10173  (2). 

Blastus  Caesaris  ser.  N.  VI,  15347. 
Octaviani  (di  Octavia  moglie  di  Nerone) : 

Successus  imp.  Vespasiani  Caesaris  ser.  0.  VI,  15557. 
Othoniani  (di  Othone  imperatore): 

T.  Flavius  Aug.  lib.  Phoebus  0.  XIV,  2060. 
Papiriani:  Classicus  P.  VI,  8576. 
Polliani:  Apaes  Iuliae  Aug.  structor  P.  VI,  8011. 


(1)  Questa  appartenne  prima  alla  famiglia  di  Marcella  minore,  e  fu  poi  manumessa  dal  se- 
condo  suo  marito,  M.  Valerio  Messalla  Barbato,  cos.  742.  Cf.  Mommsen  C.  VI,  p.  909. 

(2)  Puö   darsi   che   il   medesimo   sia  nominato   MUT  iscrizione   frammentata   di    Terracina 
X,  6406    .  .  .  ycus  Auf/.  .  .  |  .  .  .  oniamts  et  .  .  etc. 


226  IL   SITO   E   LE   ISCRIZIONI 

Pompeiani:  Diogenes  P.  lectic.  VI,  5865  )  ...  .         i    .     .   _.      .       , 
1  ,  . °_    .  -TT    K„„K  >  titolo  serbato  da  Ligono  solo. 

Iole  P.  tostr.  VI,  5865         )  b 

Poppaeani  (di  Poppaea  moglie  di  Nerone) : 

T.  Flavius  Aug.  1.  Parthenopaeus  P.  VI,  8954. 

Gemellus  Aug.  1.  P.  VI,  99. 
Quinctiliani :  C.  Iulius  Aug.  1.  Lochus  Q.  VI,  20112. 
Rusticiani:  Hermes  Caesaris  ser.  R.  VI,  25997  —  Fabr.  308,  311. 
Sallustiani:  Hagius  Caesaris  Aug.  ser.  S.  VI,  5863. 
Scapliani  o  Scapulani  (x) :  Ti.  Claudius  Aug.  1.  Felix  Scapulanus  VI,  10302. 

Felix  Ti.  Caesaris  Sc.  VI,  9061a  (identico  col  precedente). 

Pelops  Scaplianus  Ti.  Caesaris  tabularius   et   Augustae   VI,    4358 
(mon.  lib.  Drusi). 

Philadelpus    Ti.    Caesaris    Aug.    et    Iuliae    Aug.    ser.    Scaplianus 
VI,  9066. 

Stymphalus  Ti.  Caesaris  Augusti  et  Iuliae  Aug.   ser.  Sc.  VI,  5226 
(Codin.  III). 

Thethis  Antoniae  Drusi  1.  Scapliana  VI,  4402  (mon.  lib.  Drusi). 
Sulleiani :  Cissus  Caesaris  Aug.  tab.  S.  VI,  8781. 
Tadiani :  Ti.  Claudius  Augusti  lib.  Felix  T.  VI,  15062. 
Tertulliani :  Ti.  Claudius  Pardalas  T.  VI,  8534. 
Titiani:  .  .  .  iu]lius  Aug.  1.  [Is]marus  Titianus  VI,  5194  (Codin.  III). 
Tulliani :  Daphnus  Aug.  [1.]  T.  8701  (insieme  con  un  Ulpius  Aug.  1.). 
Turraniani:  Amarantus  Augusti  ministrator  T.  VI,  5873. 
Vedianii:  (di  Vedio  Pollione,  che  mori  nel  739  a.  u.,  t<o  AvyoiatM  rol  xXr^ov 
av%vdv  fisqos  YMxakintäv ;  Dio  54,  23). 

Anteros  marmorarius  V.  VI,  8893. 

Erastus  V.  VI,  5858. 

C.  Iulius  divi  Aug.  1.  Niceros  V.  VI,  5180  (Codin.  HI). 

Lucrio  V.  VI,  10377. 

Mellax  Veidianius.  Not.  degli  scavi  1886,  p.  275. 

Pses  V.  VI,  10395  (a.  u.  c.  754). 
Viniciani:  Ti.  Claudius  Aug.  1.  Thaies  V.  VI,  8938. 
Volusiani :  Hymnus  Caesaris  Aug.  V.  VI,  10267. 

II.  Derivati  da  nomi  servili. 


Acteanus :  Ti.  Claudius  Aug.  lib.  Epictetus  A.  VT,  15027. 
Claudia  Aug.  1.  Pyihias  Acteniana  X,  7980  (*). 


(1)  Non  so  da  qnale  personaggio  nobile  col  cognome  di  Scapula  questi  servi  si  potrebbero 
credere  appellati.  Quel  T.  Qninctio  Scapula,  che  mosse  la  guerra  in  Spagna  contro  Cesare,  sembra 
escluso  per  ragioni  eronologiche :  nemmeno  si  adatta  M.  Ostorio  Scapula  cos.  nel  59  d.  C. 

(2)  Iscrizione  trovata  a  Terranova  in  Sardegna:  il  cognoraa  giustamente  viene  riferito  dal 
Slommsen  all»  liberta  e  '  quasi  uxor  '  di  Nerone,  la  qnale  aveva  dei  latifundj  in  qnesta  isola. 


DELLA   SCHOLA   XANTHA   SUL   FORO   ROMANO  227 

Actianus :  Hermes  Aug.  lib.  A.  VI,  15357  (x). 

Aegestianus :  Successus  Caesar,  n.  ser.  Ae.  XIV,  3396. 

Agathoclianus :  Gamus  Caesaris  A.  VI,  10245  (2). 

Agnianus :  Epaphroditus  Caesaris  ser.  A.  VI,  15615  (raarito  di  Claudia  Thelge). 

Alcimianus:  T.  Flavius  Paederos  Aug.  lib.  A.  VI,  8504. 

Alexandrianus:  Clarus  [Ti.  Cae]saris  Augusti  e[t  Iuljiae  Augustae  [se]rvus 

A.  VI,  5316. 
Alypianus :  Crescens  A.  Imp.  Caesaris  Nervae  Traiani  Aug.  Germ.  Dacici  disp. 
VI,  544.  634. 

Diognetus  Ti.  Aug.  ser.  A.  Not,  degli  scavi  1886  p.  378  n.  165. 
Amarantianus :  Polybius  Aug.  1.  A.  X,  2857. 
Amomianus :  Artema  Caesaris  A.  VI,  12486. 

Amorianus :  M.  Ulpius  Aug.  lib.  Aphrodisius  A.  Mur.  1016,  8  (Roma). 
Amphioni[a]nus  (?):  Auctus  Caesaris  Aug.  1.  A.  VI,  12792. 
Anterotianus :  Atimetus    Pamphili    Ti.  Caesaris  Aug.   1.  1.  Anterotianus  VI 
12652. 

Princeps  Caesaris  ser.  A.  VI,  25033  (v.  Pamfili). 
Antiochianus :  Ascanius  Caesaris  ser.  A.  VI,  8633. 
Aphetianus :  Modestus  Caesaris  ser.  A.  X,  4225. 
Apollonianus :  T.  Fl.  Aug.  lib.  Eutychus  A.  VI,  8920. 
Apsyrtianus :  Aesopus  Caesaris  Augusti  disp.  A.  XIV,  2259. 
Arc(h)elaianus :  Dardanus  Ti.  Caesaris  Aug.  et  Augustae  ser.  A.  VI,  4776. 
Atimetianus :  Abascantus  ser.  A.  XIV,  2657  (sotto  Domiziano). 

Abascantus  Aug.  lib.  A.  VI,  656  (forse  identico  col  precedente). 
Attalianus :  Linus  Augusti  tabularius  A.  VI,  853*  (3). 
Atticiani  (4):  Abascantus  Aug.  a  rat(ionibus)  A.  VI,  8408. 

Fructus  Imp.  Caesaris  Domitiani  Aug.  Germanic.  A.  VI,  8410. 

Alexander  Caesaris  ser.  A.  VI,  11390. 

Epaphra  Aug.  1.  A.  VI,  8451  (etä  di  Claudio). 

T.  Flavius  Aug.  1.  Epaenus  A.  VI,  18049. 
Auctianus:  Eros  A.  Iuliae  Aug.  pedisseq.  VI,  4245  (mon.  Liv.). 
Caenidianus:  (5)  Ti.  Claudius  Aug.  lib.  Hermes  C.  VI,  15110. 

Fl.  Aug.  lib.  Helpis  C.  VI,  18358. 
Candidianus :  Epitynchanus  Caes.  n.  ser.  C.  X,  6977. 
Celadianus:  Ti[t]yr[us]  Ti.  Caesaris  Aug.  ser.  C.  VI,  8909  (6). 

(1)  Insieme  con  nna  Claudia  Afrodisia. 

(2)  Nello  stesso  titolo  si  trova  Prisais  Aug.  I.  Gamianus,  probabilmente  alunno  di  questo. 

(3)  Non  posso  convincermi  che  questo  titolo,  il  quäle  fu  dichiarato  dall'Henzen,  raa  con 
riserva,  come  moderno,  sia  una  falsificazione  Ligoriana:  anzi  la  nomenclatura  mi  sembra  conformi 
la  sua  autenticitä. 

(4)  I  primi  due  sono  liberti  di  Atlicus  Aug.  lib.  a  rationibus  mentovato  nel  titolo  VI,  8410. 

(5)  Nome  derivato,  come  osservö  l'Henzen  (Bull.  dell'Inst.  1864  p.  25)  da  Caenis,  liberta  di 
Antonia  Augusta,  e  poi  concubina  di  Vespasiano  imperatore. 

(6)  II  Dessau  C.  XIV,  3524  giustamente  osserva:  Celadus  Augustae  libertus  fortasse  non 
dirersus  est  a  Celado,  quem  libertum  Augustus  in  honore  et  usu  maximo  habuit  teste  Suetonio 
Aug.  c.  67;  ad  familiam  eins  videtur  pertinuisse  Ti.  Caesaris  servus  C,  huius  Corp.  vol.  VI  n.  8909. 


228  IL    SITO    E    LE    ISCRIZIONI 

Chrestianus :  Epaphroditus  Ch.  X,  6638  (fast.  Antiat). 

Iucundus  Ch.  VI,  24944  =  Or.  4426  (con  un  servo  di  Antonia  Drusi). 
Cosmianus:  Pylades  Imp.  Caes.  Nervae   Traiani  Aug.  Germanici   Dacici  ser. 

C.  VI,  9090. 
Crescentianus :  Secundus   Caesaris   nostri  ser.  Cr.  VI,  8475   (insieme  con  un 

T.  Flavio). 
Damoclianus :  Gamus  Caesaris  D.  VI,  4154  (mon.  Liviae). 
Delphianus  ? :  Nymphius  Del . .  ianus  X,  6638  (fast.  Antiat.). 

Hy]mnus  pedis(se)q(uus)  Delp(hianus)  X,  6638  (fast.  Antiat.). 
Demosthenianus :  Merops  Ti.  et  Augustae  1.  D.  VI,  4173  (mon.  Liv.). 
Diogenianus :  Myrtilus  Caesaris  D.  VI,  3942  (mon.  Liv.). 
Dionysianus :  Dama  Caesaris  D.  VI,  4558  (mon.  Marcell.). 
Drosianus :  T.  Flavius  Aug.  1.  Verecundus  D.  VI,  18242. 
Entellianus :  M.  Ulpius  Aug.  lib.  Cladus  E.  Fabretti  318,  XXXX. 
Epagathianus :  Charito  Caes.  ser.  Ep.  III.  4894  (insieme  con  Flava). 
Epaphroditianus :  Demetrius  Caesaris  n.  ser.  E.  VI,  239. 
Euporianus:  Secundus  E.  X,  6638  (fast.  Antiat.). 
Eutactianus:  Blastus  E.  XIV,  4057  (»). 
Faustiani:  Chryseros  Caesaris  ser.  F.  XII,  117. 

Cinnamus  Ti.  Caesaris  Aug.  F.  VI,  14828. 

Onesimus  Caesaris  n.  ser.  F.  VI,  74  (traditur  Faustinus). 
Festianus :  C.  Asinius  Aug.  lib.  Paramythius  F.  VI,  12533  (2). 
Ephebianus  :  T.  Flavius  Aug.  lib.  Hyginus  E.  =  T.  4>Xaovios  'Yyeivög  VI,  732. 
Gamianus :  Priscus  Aug.  1.  G.  VI,  10245  (insieme  con  Gamus  Agathoclianus, 
di  cui  probabilmente  fu  vicarius). 

Actius  Aug.  Gamianus  VI,  15350  (insieme  con  una  Claudia). 
Gratianus :  Ti.  Claudius  Ianuarius  Gr.  VI,  8933  =  Ianuarius  Gr.  VI,  8934. 
Gugetianus :  Hilarus  Liviae  G.  VI,  3941  (mon.  Liv.). 
Hag  ianus :  Callistus  Aug.  ser.  H.  VI,  8723. 
Herodianus:  Coetus  H.  VI,  9005  (dell'anno  22  d.  C). 
Hilarianus :  Primus  H.  X,  6638  (fast.  Antiat). 

Ilyginianus  :  Epaph[ro]ditus  Imp.  Caesaris.  Nervae  Troiani  Aug.  Germ.  Dacici 
ser.  Yginian(us)  VI,  8865. 

Callistus  Aug.  lib.  Hyginianus  VI,  18358  (insieme  con  una  Caeni- 
diana). 
Ianuar ianus :  T.  Flavius  Aug.  lib.  Myrtilus  I.  VI,   10252. 
Ingenuinianus :  Felix  Cae(saris)  ser.  I.  VI,  4022  (mon.  Liv.). 
Ismarianus :  Amemptus  Aug.  I.  X,  8059,33. 
Isochrysianus :  Onesimus  I.  VI,  10395  (a.  u.  754). 
Iubatianus :  Chius  Aug.  I.  VI,  9046. 
lucundianus :  Porphyrio  Caesar  Aug.  ser.  I.  VI,  15570. 


(1)  Nel  medesimo  titolo  vi  6  un  liberto  di  Giulio  Quadrato,  console  nel  105  d.  C. 

(2)  L'originale  di  questo  cippo  e  stato  ritrovato  dal  ch.  Stevenson,  il  quäle  ce  ne  favori  una 
copia  esatta,  confirmando  la  lezione  del  nome  di  Paramythio.  Cf.  Momrasen  Eph.  epigr.  IV,  p.  109  not.  7. 


DELLA   SCHOLA   XANTHA   SUL   FORO   ROMANO  229 

Iuvencianus :  Primigenius  Imp.  Caesaris  Vespasiani  Aug.  I.  VI,  301. 

Laconianus :  Anteros  Caesaris  L.  Fabr.  343,530  (Roma). 

Laetianus :  Thras . . .  Caes.  n.  ser.  L.  Bruzza  Ann.  1870  p.  135  n.  200-201 

(dell'a.  101-104  d.  C). 
Leonidianus :  Hospes  Divi  Claudi  libertas  tabularius  L.  V,  9060. 
Lesbianus :  T.  Flavius  Aug.  lib.  Chrysogonus  L.  VI,  8438. 
Lucconianus :  Antiochus  Aug.  n.  L.  VI,  8575. 
Lurnesianus :  T.  F.  Diadumenus  L.  praegustator  Augusti  VI,  602. 
Lysenianus:  Seleucus  Iuliae  Aug.  1.  L.  VI,  8727. 
Montanianus :  Eutychus  Imp.  Domitiani  Caesaris.  Aug.  Germanici  ser.  dispen- 

sator  M.  VI,  8831. 
Narcissianus  0) :  T.  Flavius  Aug.  lib.  Firmus  N.  VI,  9035.  9035a. 
Nicandrianus :  Amianthus  N.  VI,  10395  (a.  u.  c.  754). 
Nicomachianus :  Fortunatus  Caesaris  ser.  A.  VI,  18553. 
On[esi]m(ianus) :  Agathopus  O.  X,  6638  (fast.  Ant.). 
Pallantianus :  Carpus  Aug.  lib.  P.  VI,  143.  8170  (2). 
Pamphilianus :   Calamus  Ti.    Claudi   Caesaris   Augusti   Germanici  1.  P.   VI, 

4226.  4226a. 
Panerotianus :  Heliodorus  Aug.  1.  tabula[rius]  P.  VI,  4037  (mon.  Liv.). 
Peplianus :  Epaphroditus  Aug.  lib.  P.  VI,  8439  (insieme  con  Flavii). 
Phaedimianus :  Valens  Aug.  lib.  Ph.  VI,  1884  (dell'epoca  di  Traiano). 
Philote...:  Amphio  Ph.  VI,  10395  (a.  u.  c.  753). 

Salvius  Ph.  VI,  8738. 
Phoebianus :  Onesimus  Imp.  Caesaris  Nervae  Traiani  Aug.  Germ.  ser.  Phoe- 

bianus  VI,  18456. 
Potitianus :  Philadelpus  P.  VI,  4012  (mon.  Liv.). 

Primig enianus :  Gemellus  Neronis  Claudi  Caesaris  Aug.  Germanici  P.  IX,  4977. 
Pylaemenianus :  Alexander  C.  Caesaris  Aug.  Germanici  P.  VI,  5188. 
Romanianus :  Secundus  Caesaris  ser.  E.  (?)  XI,  3762. 
Scurranus :  Musicns  Ti.  Caesaris  Augusti  Sc.  VI,  5197. 
Sebosianus :  Anthus  Caesar.  Aug.  ser.  S.  VI,  4903  (Codin.  I). 
Secundianus :  Chresimus  Aug.  lib.  S.  VI,  594. 

Semnianus :  Zethus  Caesaris  ser.  S.  VI,  20433  (insieme  con  Iulia  Elate). 
Sigerianus :   EncccpQÖtfiTog  Kc.laccgog  ZtytjQiuvog  =  'EnacfoöJiTos  öovXog  2'eiytj- 

Qia*>6g  C.  I.  Gr.  4717  (a.  100  d.  C). 
Sdvanianus :  Martialis  disp.  Aug.  S.  VI,  8836. 
Spendontianus :  Florus  Sp.  VI,  10395  (a.  u.  c.  753). 
Sponsianus  (3) :  Nicodemus  Sp.  VI,  3959  (mon.  Liv.). 

Sp.  ?  VI,  4188  (mon.  Liv.). 

Ingenuus  Augustae  Sp.  VI,  5263. 

(1)  Gli  stessi  titoli  fanno  menzione  di  un  T.  Flavius  Aug.  lib.  Narcissus. 

(2)  II  padrone  si  puö  credere  M.  Antonius  Pallas,  liberto  di  Claudio  ed  Antonia,  cf.  Mommsen 
Ind.  Plin.  p,  401.  Che  la  dedica  del  titolo  VI,  143  draconibus  convenga  bane  all'epoca  di  Nerone 
e  notato  nel  Corpus  1.  c. 

(3)  Cf.  Sponsa  Liviue  VI,  4189.  4190.    ' 


230  IL   SITO   E   LE   ISCRIZIONI 

Stabilianus :  Ti.  Claudius  Aug.  lib.  Limen  St.  VI,  8705. 

Ti.  Iulius  Aug.  lib.  Diocles  St.  VI,  19933. 
Stephanianus :  Philargu(rus)  lecticar(i)us  Octaviae  St.  Not.   degli  scavi  188G 

p.  285  n.  682. 
Terpnianwt :  Hierax  Caesaris  Aug.  ser.  T.  VI,  19456. 
Tertianus:  Epaphroditus  T.  X,  6638  (fast.  Antiat.). 
Thamyrianus :  Hymenaeus  Caesaris  ser.  Th.  VI,  8486  (x). 

Hymenaeus  Caes.  ser.  Th.  III,  563  (insierae  con  una  Claudia  Aug.  1.). 
Thyamidianus  :  Hermeros  Ti.  Claudii  Caisaris  Aug.  Germanici  ser.  T.  XI,  3199. 
Tryphonianus :  Eutyches  Caes.  n.  ser.   Tr.  XIV,  2431  (insieme  con   Claudia 

Prisca). 
Vitalianus :  Secundus  Secundi  Aug.  1.  V.  X,  1732  (insieme  con  liberti  di  Claudio). 
Xanthianus :  Thalamus  Caesaris  Aug.  X.  VI,  1 3850. 
Zmaragdianus :  . . .  i]mp.    Caesaris  Nervae    T[raiani  Augusti    G]erm.  Dacici 

ser.  Z.  VI,  542  (a.  112  d.  C.)  («). 


L'elenco  seguente  composto  secondo  l'ordine  cronologico  serve 
per  indicare  quali  siano  gli  imperatori  alla  cui  famiglia  si  pos- 
sano  attribuire  i  rispettivi  nomi  servili. 


Avgvstvs  :  Agrippiani  —  Amyntiani  —  Archelaiani  —  Attaliani  —  Damo- 
cliani  —  Diogeniani  —  Frontoniani  —  Ingenuiniani  —  Maecena- 
tiani  —  Maroniani  —  Potitiani  —  Vediani. 

(1)  II  eh.  p.  Bruzza  ha  osservato  che  il  nome  di  questo  servo  a  lapicidim's  Carystiis  si  trova 
in  molti  massi  di  cipollino  seavati  nell'antico  emporio  lungo  il  Tevere  (Ann.  dell'Inst.  1870  p.  174 
175  n.  17-24)  '  II  nome  ',  -  dice  egli  1.  c.  p.  142  -  '  e  seinpre  abbreviato  ed  in  nesso,  ma  ora  usa 
quel  d'Hymenaeus  ed  ova  quello  di  Thamyrianns  '.  Questa  opinione,  alla  quäle  aderisce  pure  il 
Mommsen  (St.  R.  I  p.  323  not.)  mi  pare  insussistente,  e  crederei  pinttosto  trattarsi  di  due  servi 
diversi  succedutisi  nella  cura  delle  lapieidine  Caristie,  d'un  Tamiro  (perche  Thamyrus  e  non 
Thamyrianus  si  debbono  sciogliere  le  sigle  delle  iscrizioni  1.  c.  n.  25-38)  ed  un  Imeneo.  II  titolo 
VI,  8486  che  nomina  il  Tamiro  nutricius  optimus  di  Imeneo.  ci  spiega  la  loro  successione  crono-- 
logica,  come  l'origine  del  cognome.  Quanto  all'epoca,  il  Bruzza  credette  di  leggere  in  un  masso 
(n.  14)  il  nome  del  console  Atiliano  del  135,  ma  confessa  egli  stesso  che  il  cattivo  stato  della 
pietra  rende  la  lezione  poco  sicura.  Non  mi  pare  ammissibile  la  spiegazione  eh'egli  da  delle  sigle 
del  masso  22:  llyme(naeus)  Cae(saris)  |  A{ugus(i)  Il(adriani);  le  due  lettere  della  seconda  riga 
saranno  piuttosto  note  numerali  greche. 

(2)  Non  ho  voluto  ricevere  in  questo  elenco  nomi  di  lezione  o  spiegazione  troppo  dubbia, 
come  il  Germanins]  Serran[dianus  ....  J\r]eron[is  Drusi  ff]erm{anici)  Cla[udi  Caesa]ris  del  titolo 
II,  665,  il  . .  .  us  Favon  Titer.  e  parecchi  altri  degli  Fasti  Antiatini  (X  6638),  ne  di  persone  che 
appartennero  probabilmente  si,  ma  non  con  certezza  alla  famiglia  imperiale  (come  il  C.  Julius  Felix 
Hilarianus  XiV,  1149;  C.  Iulius  C.  Philemonis  Hortensiani  lib.  Botrus  XIV,  1138;  C.  Iulius 
Chresti  Antoniani  l.  Secundus  X,  4760).  Ho  escluso  pure  i  cognotni  materialmente  appartenenti  alla 
stessa  categoria,  ma  non  tenninanti  in  -  atius  come  paternus  e  maternus,  che  del  resto  anch'essi 
appartengo:io  tutti  ai  primi  tempi  dell*impero. 


DELLA   SCHOLA   XANTHA   SUL   FORO   ROMANO  231 

Livia  :  Agrippiani  —  Alexandriani  —  Amyntiani  —  Antoniani  —  Archela- 
iani  —  Ateiani  —  Auctiani  —  Augustiani  —  Cascelliani  —  Cor- 
neliani  —  Demostheniani  —  Drusiani  —  Frontoniani  —  Gugetiani 
—  Lentuliani  —  Liciniani  —  Lyseniani  —  Maecenatiani  —  Maeci- 
liani  —  Maroniani  —  Panerotiani  —  Polliani  —  Scapliani  — 
Sponsiani. 

Tiberivs  :  Agrippiani  —  Alexandriani  —  Alypiani  —  Anterotiani  —  Arche- 
laiani  —  Celadiani  —  Cornificiani  —  Demostheniani  —  Drusiani  — 
Faustiani  —  Frontoniani  —  Gerraaniciani  —  Liciniani  —  Sca- 
pliani —  Scurrani  —  Stabiliani. 

Agrippina:  Germaniciani. 

Nero  germanici  :  Germaniciani. 

Antonia  drvsi  :  Scapliani. 

Marcella  minor  :  Aureliani  —  Marcelliani. 

Gaivs  :  Germaniciani  —  Pylaemeniani  —  Quinctiliani. 

Clavdivs  :  Acteani  —  Antoniani  —  Caenidiani  —  Censoriniani  —  Chre- 
stiani  —  Del[ph]iani  —  Drusilliani  —  Euporiani  —  Fabiani  — 
Fulviani  —  Hilariani  —  Lentliani  —  Onesimiani  —  Pamphiliani  — 
Scapliani  —  Tadiani  —  Thyamidiani  —  Viniciani. 

Nero:  Rrimigeniani. 

Octavia:  Stephaniani. 

Vespasianvs  :  Iuvenciani  —  Octaviani. 

Titvs  :  Agrippiniani  —  Galbiani. 

Domitianvs:  Atimetiani  —  Atticiani  —  Montaniani. 

Fla vn  :  Alcimiani  —  Antoniani  —  Apolloniani  —  Atticiani  —  Burriani  — 
Caenidiani  —  Drosiani  —  Ephebiani  —  Galbiani  —  Ianuariani  — 
Lesbiani  —  Lurnesiani  —  Narcissiani  —  Othoniani  —  Poppaeani. 

Nerva  :  — 

Traianvs  :  Alypiani  —  Amoriani  —  Augustani  —  Cosmiani  —  Crispiani  — 
Entelliani  —  Hyginiani  —  Laetiani  —  Mettiani  —  Phaedimiani  — 
Phoebiani  —  Sigeriani  —  Zmaragdiani. 

Che  manchino  esempi  di  tale  nomenclatura  sotto  l'impero  di  Nerva  non 
pu6  recare  maraviglia.  stante  la  grande  raritä  di  iscrizioni  ricordanti  liberti 
di  questo  imperatore:  non  per5  si  poträ  attribuire  al  caso  l'assoluta  mancanza 
di  tali  nomi  dopo  il  regno  di  Traiano.  Non  ho  trovato  che  tre  esempi,  che 
sembrano  contradire  a  questa  regola:  essi  perö  in  veritä  non  appartengono 
alla  categoria  di  cui  ci  occupiamo.  E  sono: 

1)  l'iscrizione  VI,  9031,  che  nel  Corpus  viene  spiegata  M.  Aurelius 
Cocceius  Minie ianus  rationalis  etc....  Eiscontrando  la  lapide  ho  trovato  che 
nella  prima  riga  chiaramente  si  legge  M.  Aurelio,  come  hanno  pure  copiato 
Manuzio  Marini  ed  altri.  Non  e  esatta  poi  l'indicazione  che  di  sotto  vi  siano 
quattro  linee  cancellate :  dopo  la  terza  riga  vi  e  uno  spazio  liscio ;  ma  quando 
la  lapide.  che  ha  l'apparenza  di  essere  frammento  di  una  iscrizione  a  righe 
lunghe,  nell'etä  di  mezzo  fu  adoperata  quäle  sostegno   di  qualche  colonna  o 


232  IL   SITO   E   LE   ISCRIZIONI   ECC. 

pilastro,  come  prova  il  canale  per  l'impiombatura  tuttora  visibile,  fu  distrutto 
con  lo  scalpello  la  cornice  che  originariamente  la  cinse  alla  parte  inferiore.  II 
testo  doveva  darsi  cosi : 


COCCEIVS-MINIC 
RAT  I  O  N  ALIS  •  ET 


cornice  cancellata 


2)  II  Wilmanns  Ex.  Inscr.  ind.  p.  404  annovera  in  questa  categoria 
pure  il  M.  Aurelius  Augg.  üb.  Euhodus  Sabinianus  dell'iscrizione  Anagnina 
X,  5917.  Peru  giä  l'ordine  col  quäle  sono  collocati  i  nomi 


E  v  H  o  D  i 


M  •  AVREL  •  SABINIANO 
AVGG  •  LIB        etC. 


contradice  a  questa  opinione.  II  personaggio  mentovato  si  puo  ritenere  con 
molta  probabilitä  per  il  padre  della  celebre  Marcia,  concubina  di  Commodo. 
Egli  e  pervenuto  all'onore  del  patronato  di  un  municipio  non  mai  ottenuto 
da  altri  libertini,  e  quindi  ha  formato  pure  il  suo  noine  in  un  modo  altrimenti 
riservato  ad  uomini  di  posizione  elevata. 
3)  Resta  l'iscrizione  VI,  9055: 

dis  m| 

p  •  aeli  •  avg-lib'ep 

POLYBIANI  ■  TAB  j 

che  si  potrebbe  leggere  P.  Aeli  Aug.  üb.  Bp[agathi]  Polybiani:  siccome 
perö  essa  e  nota  soltanto  dall'apografo  del  Doni  (Vat.  7113  f.  110),  non  sem- 
bra  escluso  che  il  decrittore  copiasse  male  la  fine  della  seconda  riga,  ov'era 
scritto  liber[to]  ,  con  tutte  le  lettere  come  in  altri  titoli  della  medesima  epoca. 
Possiamo  dunque  ritenere  come  certo,  che  Tuso  dei  cognomi  doppi  spa- 
risce  nella  servitü  della  casa  imperiale  dopo  il  regno  di  Traiano.  E  ciö  viene 
confermato  dal  fatto,  che  i  due  sepolcri  dei  servi  della  famiglia  augusta 
teste  scoperti  a  Cartagine,  i  quali  appartengono  al  principio  ed  alla  metä  del 
II  secolo,  non  ci  forniscono  nessun  esempio  di  tale  nomenclatura. 

Finalmente  non  sarä  superfluo  il  notare  come  il  numero  delle  femine 
con  nomi  doppi  sia  scarsissimo  in  confronto  degli  uominL  Fu  giä  notato  dal 
Mommsen  1.  c.  che  non  esiste  un  solo  esempio  di  una  serva  publica  del  po- 
polo  Romano,  e  pochissime  si  trovano  nei  municipi.  Sara  dunque  vero  che 
questa  nomenclatura  che  assimilava  il  nome  servile  a  quello  dei  liberi  citta- 
dini,  anche  nella  famiglia  imperiale  fosse  prerogativo  degli  uomini  soli. 

Ch.  Huelsen. 


MISCELLEN 


KLEOPHRADES   SOHN   DES   AMASIS. 

Bei  einem  Aufenthalt  von  wenigen  Tagen  in  Paris  hatte  ich  Gelegen- 
heit einige  Vasen  und  Vasenscherhen  aus  der  Sammlung  des  Herzogs  de 
Luynes  näher  anzusehen  und  dabei  die  folgenden  Bemerkungen  zu  machen. 

Die  Inschrift  mit  dem  Namen  des  Kleophrades  ist  von  Luynes  in  dem 
Text  der  Vases  peints  S.  24  ganz  richtig  wiedergegeben  :  das  £  vor  dem  Namen 
des  Töpfers  ist  unverkennbar ;  die  Umrisse  der  oberen  und  unteren  Hasta  und 
die  Begrenzung  der  zweiten  von  unten  rechts  sind  da  und  lassen  keine  an- 
dere Reconstruction  zu.  Zwischen  £  und  dem  Dreipunkt  ist  kein  Raum  für 
einen  anderen  Buchstaben,  so  dass  die  Lesung  AMA$£l$  :  syQCcgfjt^e, 
wie  auch  Brunn  KG.  DI.  S.  657  erkennt,  unzulässig  ist,  also  Amasis  II  aus 
dem  Künstlerverzeichniss  bei  Klein,  Meistersignaturen  EL  149  fortfällt. 

Aus  einer  genauen  Messung  des  am  Vasenfuss  fehlenden  Stückes  und 
der  Vergleichung  mit  den  Abständen  der  anderen  Buchstaben  ergiebt  sich, 
dass  sieben  Zeichen  fehlen,  weshalb  ich 

KUEo(J)KAAES  {  EPOIESEA'  •  AMAS[IOS  i  HVV]S  : 

ergänzen  möchte.  Denn,  wenn  auch  die  älteren  Töpfer  den  Namen  des  Vaters 
in  anderer  Weise  anzugeben  pflegen,  so  wird  doch  das  Beispiel  des  Eu- 
cheiros  bei  Klein,  Meistersig.  S.  72  genügen,  da  die  Lesung  Studniczka's  im 
Jahrbuch  II  S.  144:  KqLxwv  inoirjoev:  Asinovg  i'g,  wegen  des  fehlenden  11 
von  vg,  zu  unsicher  ist,  um  als  Beleg  zu  dienen.  Dagegen  freue  ich  mich 
auf  Dümmlers  Aeusserung  in  diesen  Mittheilungen  1887  S.  190:  dass  der 
angebliche  Amasis  II  der  Sohn  des  bekannten  Amasis  sein  müsste,  verweisen 
zu  können,  um  das  vorausgesetzte  Verhältniss  zwischen  Amasis  und  Kleo- 
phrades zu  empfehlen. 

Meinerseits  darf  ich  aber  auch  darauf  hinweisen,  dass  Amasis  selbst  der 
erste  gewesen  zu  sein  scheint,  welcher  in  gewissem  Sinne  rothfigurig  gemalt 
hat.  Die  eine  Seite  nämlich  der  Amphora  Luynes,  die  mit  Dionysos  und  den 
Bakchen  ist,  wie  man  schon  der  Tafel  III  und  der  Beschreibung  von  Luynes 
S.  2  hätte  entnehmen  können,  ganz  ungewöhnlicher  Technik,  obgleich  die 
andere  Seite  in  gewohnter  Weise  bemalt  ist. 


234  MISCELLEN 

Dionysos  allerdings  ist  ganz  schwarz  gehalten,  und  auch  die  Kleider 
der  Bakchen  unterscheiden  sich  in  nichts  von  denen  anderer  Figuren,  aher 
die  nackten  Körpertheile,  Gesicht,  Arme  und  Füsse  sind  in  Urariss  auf  den 
hell-thonfarbigen  Grund  gezeichnet,  eine  Verbindung  von  dunkler  Farbe  und 
Umrisszeichnung,  welche  sonst,  so  viel  ich  sehe,  nur  aus  den  älteren  Vasen- 
gattungen bekannt  ist,  und  bei  dieser,  wir  dürfen  sagen,  ersten  rothfigurigen 
Malerei  wie  ein  Zurückgreifen  erscheint. 

Freilich  nähert  sich  diese  Technik  ungemein  derjenigen  der  Francois- 
Vase,  unterscheidet  sich  aber  darin,  dass  die  Innenzeichnung  dort  auf  weisse 
Unterlage  gesetzt  ist,  mit  welcher  sie  beinah  ganz  verschwand,  hier  dagegen 
von  Weiss   nichts  zu  sehen  ist. 

Es  ist  auch  zu  bemerken,  dass  der  Kopftypus  der  Bakchen  von  den 
gewöhnlichen  schwarzen  Figuren  und  denen  der  Francois-Vase  abweicht  und 
sich  demjenigen  der  anderen  Kunstübung  nähert.  Ein  besonders  schlagendes 
Beispiel  zur  Vergleichung  bietet  die  im  Journal  of  Hellenic  studies  1887 
pl.  LXXIX  von  E.  A.  Gardener  veröffentlichte  Scherbe  aus  Naukratis. 

Es  dürfte  kaum  mehr  verwegen  sein,  bei  Amasis,  dessen  Name  nach 
Aegypten  weist,  und  der  in  der  Londoner  Amphora  (Klein  N.  2)  so  trefflich 
den  Negertypus  wiedergiebt,  irgend  welche  Beziehung  zu  Naukratis,  wo  die 
ältere  Kunstübung  lange  gepflegt  zu  sein  scheint,  anzunehmen  und  somit  die 
Entstehung  der  attischen  rothfigurigen  Malerei  als  ein  durch  fremden  Ein- 
fluss  veranlasstes  Zurückgreifen  auf  ältere  Gewohnheit  zu  erklären.  Es  knüpft 
dann  Andokides  direkt  an  Amasis  an,  und  die  neue  Technik  bildet  sich  an 
der  Amphora  aus,  bevor  sie  den  neuen  Schalenschmuck  erfindet,  worin  sie  ihr 
Höchstes  leisten  wird. 

J.  SIX. 


DAS  THEATER  VON  TAUROMENION. 

Die  in  Serradifalcos  Antichitä  della  Sicilia  V  Taf.  XXI  ff.  und  S.  38  f. 
enthaltenen  Aufnahmen  und  Beschreibungen  sind  im  Wesentlichen  wieder- 
holt in  Wieselers  Theatergebäude  Taf.  II,  6  und  S.  11,  HI,  15  S.  25.  In  den 
Notizie  degli  scavi  1880  S.  35  ist  ein  Fund  in  der  Cavea  gemeldet,  welcher 
indessen  die  Gesammtauffassung  kaum  beeinflusst.  Die  folgenden  an  einem 
Vormittage  dieses  Sommers  gemachten  Beobachtungen  wollen  nur  zeigen, 
dass  das  Theater  genauerer  Untersuchung  bedarf. 

Nach  Serradifalco  (Cavallari,  vgl.  auch  desselben  leider  kurze  Notiz  in 
den  Annali  e  Bulle ttino  1854  S.  56)  S.  39  wäre  die  an  den  Fels  gelehnte 
Cavea,  die  Orchestra  und  der  Quaderunterbau  der  Skene  griechisch,  die  Ar- 
kaden der  Gallerie  um  die  Cavea  sowie  der  Ziegelbau  der  Skene  römisch. 
Dann  wäre  von  dem  griechischen  Bau  so  gut  wie  nichts  übrig.  Schon  Houel, 
Voyage  pittoresque  II  S.  42  fand  Haustein  nur  in  geringem  Masse  verwandt; 
ich  erinnere  mich  nicht,  ihn  ausser  unter  den  nördlichen  Paraskenien  aussen 


MISCELLEN  235 

gesehen  zu  haben.  Dagegen  unterscheidet  Houel  richtig  griechischen  und  rö- 
mischen Ziegelbau  am  Theater,  wenn  auch  nur  im  Allgemeinen,  ohne  Nach- 
weis im  Einzelnen. 

Von  den  wenigen  83  bis  88  mm.  dicken  Ziegeln  mit  griechischem 
Stempel,  die  ich  in  dem  kleinen  Museo  beim  Theater  sah,  stammt  nach  Aus- 
sage des  Custoden  einer  mit  aionyeioy  •  &  in  oblongem  Stempel  aus  dem 
Theater.  Am  Bau  selbst  habe  ich  vergebens  nach  einem  Ziegel  mit  freilie- 
gendem Stempel  gesucht. 

Deutlich  sind  nun  aber  an  dem  Ziegel-  und  Mörtelbau  des  Theaters 
mehrere  Bauzeiten  und  Umgestaltungen  zu  unterscheiden. 

1.  Der  gedeckte  Umgang  oben  um  die  Cavea  ist  entsprechend  der 
wundervollen  Doppelaussicht  ein  doppelter,  der  eine  nach  innen  gegen  die 
Skene  und  den  Aetna  in  Säulen  sich  öffnend,  der  andere  nach  aussen  durch 
Pfeiler  auf  Calabrien  blickend.  Die  beide  Hallen  trennende  Zwischenmauer 
ist  jeder  der  einstigen  10  Theatertreppen  gegenüber  von  einer  Thür  durch- 
brochen, jede  Thür  von  zwei  flachen  und  darüber  noch  einem  runden  Ent- 
lastungsbogen  überspannt,  deren  unterster  auf  Marmorcapitellen  aufsetzte,  von 
denen  allerdings  nur  eines  nach  aussen  noch  am  Platze  ist.  Die  Mauer  selbst 
ist  aus  dicken  Ziegeln  von  ungleichem  Mass,  auf  der  Theaterseite  oben  mit 
drei  vorkragenden,  abgeschrägten  Ziegellagen,  über  denen  die  Ansätze  des 
Kreuzgewölbes  aus  Gusswerk  erhalten  sind.  Obgleich  die  Ziegel  in  den  Wand- 
lünetten  von  geringerer  Dicke  zu  sein  schienen,  glaubte  ich  doch  nicht,  dass 
hier  einst  eine  flache  Decke  dem  Gewölbe  vorangegangen  wäre,  wie  Canina 
im  Bullettino  1842  S.  191  wohl  nur  vermuthungsweise  äussert. 

Auffallend  ist,  wie  die  Säulen  mit  vergrösserter  Spannung  des  Gewölbes 
auf  die  Aussenkante  des  Sockels  gestellt  sind,  so  dass  nach  innen  ein  Kaum 
von  c.  0.75  Breite  frei  bleibt,  breit  genug  um  hier  unmittelbar  hinter  den 
Säulen  stehen  oder  herumgehen  und  besser  in  die  Cavea  hinabsehen  zu 
können.  Dass  dies  wirklich  die  Bestimmung  der  Verbreiterung  des  Sockels 
war,  zeigen  die  schmalen,  innen  an  den  Sockel  angelegten  Treppen  mit  Auf- 
stieg von  beiden  Seiten  her,  von  denen  im  nördlichen  Theil  der  Halle  Reste 
erhalten  sind,  im  Grundriss  bei  Serradifalco  Taf.  XXI  fehlend,  aber  sichtbar 
im  Querschnitt  auf  Taf.  XXII,  doch  irrigerweise  die  ganze  Breite  der  Halle 
einnehmend,  was  sehr  zum  Nachtheil  der  hier  Wandelnden  gewesen  wäre. 

Hier  im  westlichen  Theil  sind  aber  auch  die  Spuren  einer  späteren 
Aenderung  deutlicher  als  im  östlichen,  nämlich  die  Reste  eines  niedrigen, 
ein  bis  zwei  Meter  über  den  Säulensockel  sich  erhebenden,  Gewölbes  aus 
Gusswerk ;  sei  es  dass  dadurch  die  Säulenhalle  in  zwei  Gänge,  einer  über  dem 
anderen  liegend,  getheilt  werden  sollte,  sei  es  wahrscheinlicher,  dass  man 
damit  die  eingestürzte  Säulenhalle  ersetzen  wollte. 

Gewiss  ist,  dass  die  noch  vorhandenen  Säulenbasen  der  Halle  zum  Theil 
in  den  Resten  dieser  Mörtelgusswerks  stecken,  das  auch  der  gegenüberlie- 
genden Wand  noch  an  manchen  Stellen  anklebt. 

Die  so  entstellte  Halle  wird  in  ihrer  ursprünglichen  Anlage  gewiss  mit 
Recht  in  römische  Kaiserzeit  gesetzt.  Ihr  musste  das  kleine  Heiligthum  wei- 


236  MISCELLEN 

chen,  dessen  Beste,  im  Jahre  1880  gefunden,  leider  zu  dürftig  sind  zu  ge- 
nauerer Bestimmung.  Vermuthlich  hatte  es  eine  Beziehung  zu  dem  Theater 
beschränkteren  Umfangs. 

2.  Die  Skene.  Der  Ziegelbau  der  Skenenwand  mit  Säulen,  den  dann 
Cavallari  nach  Serradifalco  a.  a.  0.  S.  40  und  42  theilweise  restauriert,  dessen 
Grundzüge  aber  auch  Houel  schon  aufgenommen  hat,  ist  augenscheinlich 
später  als  der  darunterliegende  Theil.  Dieser  letztere  weist  Ziegel  grösserer 
Dicke  auf,  deren  gleichmässige  Lagen  durch  den  Mittelbau  und  die  in  rech- 
tem Winkel  abspringenden  Paraskenien  durchgehen.  Von  den  drei  Durch- 
gängen scheint  der  mittlere  auch  in  dem  unteren  Theil  von  Anfang  an  recht- 
winklig die  grade  Frontlinie,  so  wie  heute  durchschnitten  zu  haben.  Dagegen 
ist  bei  den  beiden  jetzigen  Nebeneingängen  trotz  des  späteren  Auf-  und  Ein- 
baus der  Säulenstellung  völlig  deutlich  die  halbkreisförmige  Einziehung  der 
Wand  zu  einer  grossen  Nische.  Die  Curve  (l)  der  Nische  rechts  v.  B.  (d.  i. 
westlich)  ist  an  zwei  Stellen  durch  die  Ecken  des  späteren  Säulenpodiums 
durchschnitten  und  vielleicht  deshalb  weder  von  Houel  noch  von  Cavallari 
bei  Serradifalco  bemerkt.  Die  Oeffnung  im  Hintergrund  dieser  Nischen  habe 
ich  in  ihrer  gegenwärtigen  Gestalt  nicht  für  ursprünglich  gehalten. 

In  der  Uebersicht  über  die  Theater  mit  grader  und  mit  abweichender 
Skenenfront  bei  A.  Müller  im  Philologus  XXII  S.  290  wird  den  griechischen 
Theatern  die  grade  Front  vindiciert,  und  bei  Schönborn,  die  Skene  der  Hel- 
lenen S.  65,  diesen  auch  das  Theater  von  Tauromenion  beigezählt,  dessen 
Skene  ja  lange  als  eine  der  besterhaltenen  gegolten  hat.  Dieselbe  bietet  nun 
aber  grade  in  ihrer  älteren,  ich  stehe  nicht  an  zu  sagen  ältesten  nachweis- 
baren Gestalt  ein  Beispiel  jener  reicheren  Gliederung.  Wie  alt  diese  Skenen- 
anlage,  ob  die  Ziegel  des  älteren  Theils  griechischen  Stempel  tragen,  ob  nur 
einer,  oder  mehrere  Umbauten  stattgefunden  haben,  ob,  wie  wahrscheinlich, 
die  Säulenstellung  der  Skene  mit  den  Hallen  um  die  Cavea  gleichzeitig  ist, 
das  sind  Fragen,  auf  welche  nur  eine  eingehende  technische  Untersuchung, 
welche  diese  Zeilen  anregen  wollten,  zu  finden  vermag.  Ich  füge  nur  das 
Eine  hinzu,  dass  auch  die  zweite  Langmauer  des  Skenengebäudes,  die  mitt- 
lere im  Grundriss  bei  Serradifalco,  in  den  unteren  Theilen  mir  jenen  älteren 
Stücken  der  Skenenfront  gleichzeitig  zu  sein  schien. 

E.  Petersen. 


(1)  Dieselbe  ist  wohl  zu  unterscheiden  von  der  sowohl  bei  Houel  Taf.  XCIV  als  auch  bei 
Serradifalco  Taf.  XXI  sichtbaren  Curve  am  linken  und  rechten  Ende  des  späteren  Ausbaus  der 
Skene  nach  vorne. 


MISCELLEX  237 


RAPPRESENTAZIONE   DI   UN   DOLMEN    IN    PITTURA   DI   POMPEI  (*) 

In  tutta  la  letteratura  classica,  almeno  per  quanto  io  sappia,  non  vi  e 
traccia  che  i  Greci  od  i  Komani  avessero  mai  fatto  attenzione  a  quegli  strani 
monunienti  megalitici  ora  conosciuti  sotto  i  nomi  celtici  di  dolmen  o  di  menhir. 
E  questo  un  fatto  tanto  piü  rimarchevole  in  quanto  che  non  pochi  di  quei 
monunienti  semhrano  fatti  proprio  per  attirare  la  curiosita,  non  dico  de'  dotti, 
ma  di  tutti  (1).  Ma  neppure  di  Stonehenge  o  delle  alttes  di  Carnac  fa  men- 
zione  alcun  autore  antico.  Ed  e  perciö  che  credo  non  inutile  l'osservare  che 
esiste  almeno  una  imitazione  di  un  dolmen  in  pittura  antica. 

Nel  Museo  Nazionale  di  Napoli  (XXXVI,  n.  9042)  si  conserva  la  ben 
nota  pittura  pompeiana  rappresentante  il  castigo  di  Dirce.  Fra  le  varie  pub- 
blicazioni  basta  citare:  Museo  Borbonico,  vol.  XIV,  tav.  4  (2).  Lo  Heibig, 
Wandgemälde  der  vom  Vesuv  verschütteten  Städte  Campaniens,  l'ha  descritto 
sotto  il  n.  1151,  ma  del  paesaggio  che  serve  di  sfondo  al  triste  spettacolo 
non  dice  altro  che  «  im  Hintergrunde  Fels  und  Wald  » .  Ora  la  parte  destra 
di  questo  «  Fels  »  fa  vedere  un  manifesto  dolmen  di  quella  forma  frequen- 
tissima  che  si  compone  di  due  grandi  pietre  talmente  coperte  da  una  terza 
che  il  totale  si  presenta  come  una  porta.  Sarebbe  troppo  ardito  il  congettu- 
rare,  che  Tartista  abbia  voluto  precisamente  rappresentare  un  dolmen,  ma 
senza  dubbio  avrä  veduto  tal  monumento,  e  si  riconosce  almeno  che  quei  biz- 
zarri  avanzi  dei  tempi  preistorici  non  hanno  mancato  di  dare  nell'occhio  anche 
agli  antichi.  Si  sa  che  i  dolmen  si  trovano  non  solamente  nei  paesi  celtici, 
ma,  come  in  molte  altre  parti  del  mondo,  puranche  nella  Grecia  e  neiritalia ; 


(*)  (Mio  dotto  amico  mi  permetterä  di  aggiungere  due  parole.  E  vero  che  nella  pittura  citata 
la  pietra  sovrimposta  non  ha  l'apparenza  di  essere  in  posizione  naturale.  Perö  confrontandosi  altre 
rappresentanze  simili  deve  nascere  il  duhbio,  che  in  tutte  queste  gli  artisti  abbiano  pensato  piuttosto 
a  formazioni  di  natura  selvaggia  ed  incu'.ta  che  a  quelle  opere  umane  di  semplicita  priinitiva  ma 
grandiosa.  Giacche  tale  o  simile  formazione  la  trovo  ove  si  e  voluto  rappresentare  una  scena  solitaria, 
inculta,  orrida,  mansione  di  flere  bestie,  non  di  uomini;  come  p.  e.  nel  musaico  Marefoschi  col  com- 
battimento  di  centauro  e  tigri  (Mon.  ined.  d.  Inst.  IV,  L),  nella  pittura  pompeiana  di  Diana  sorpresa 
da  Atteone  (Zahn  III,  50),  in  un'altra  con  caccia  di  leoni  ed  altre  flere  (Zahn  III,  5).  Ne  da  esse 
si  scosta  la  scena  della  punizione  di  Dirce.  Se  in  quest'ultima  la  parte  superiore  di  quella  riunione 
di  sassi,  anche  piü  che  nelle  altre  pitture  anzimentovate,  si  presta  assai  all'  idea  d'un  vero  dolmen, 
.gli  scogli  ripidi  od  aspri  disotto  se  ne  discostano  molto;  e  quei  sasso  piü  piccolo  appoggiato  contro 
l'altro  fa  nascere  piuttosto  l'idea  di  giuoco  della  natura,  la  quäl  idea  viene  secondata  dalla  posizione 
sbitca  non  orizzontale  della  lastra  sovraposta  nella  prima  delle  pitture  citate,  e  dall'acqua  sottoposta 
nella  seconda  e  dalla  ripetizione  irregolare  della  medesima  formazione  nella  terza.  Anzi  io  mi  sento 
disposto  a  credere  che  anche  una  formazione  alquanto  differente  come  e  quella  grandiosa  porta 
dell'inferno  nella  pittura  dell'Esquilino  (Woermann,  Odysseelandschaf len  Taf  VI)  appartenga  allo 
stesso  genere  di  paesaggio  sassoso.  E.  P.). 

(1)  Gli  autori  dei  libri  sagri  degli  Ebrei  fanno  spesse  volte  inenzione  di  tali  pietre  (v.  Lub- 
bock  Prehistoric  times  p.  115  sg.  della  terza  edizione),  ma  si  sa,  che  gli  Ebrei  avevauo  l'uso  di  eri- 
gerne  ancora  nei  tempi  dei  loro  re. 

(2)  La  fotografia  che  il  Sig.  Sommer  a  Napoli  vende  di  questa  pittura,  non  la  fa  vedere 
intiera.  mancandone  la  parte  superiore,  appunto  quella  che  contiene  il  dolmen. 


238  MISCELLEN 

benche  nell'Italia  non  se  ne  siano  ancora  trovati  che  nelle  isole  di  Sardegna 
e  di  Corsica  e  nella  terra  di  Otranto  (l).  Basti,  in  quanto  aH'ultima,  di  ac- 
cennare  al  monumento  megalitico  di  Minervino,  di  cui  un  bei  modello  si  vede 
esposto  nel  Museo  Kircheriano.  E  pero  un  fatto  not:ssimo,  che  malgrado  lo 
zelo  patriotico  ed  intelligente  col  quäle  gli  archeologi  ed  i  dilettanti  di  quelle 
provincie  studiano  da  parecchi  anni  i  monumenti  dei  loro  antenati,  la  parte 
meridionale  dell'Italia  e  ancora  quasi  terra  vergine  in  quanto  all'archeologia 
preistorica;  si  puö  sperare  dunque  di  vödere  scoperti  ed  esplorati  in  quelle 
parti  molti  altri  monumenti  megalitici  finora  sconosciuti  o  negletti.  In  ogni 
caso  il  numero  di  essi  deve  essere  stato  molto  piü  grande  nei  tempi  antichi 
che  non  e  oggi,  poiche  gli  Italiani  non  meno  che  i  Francesi  per  varii  generi 
di  costruzioni  profane  in  tanti  secoli  avranno  fatto  uso  di  quelle  grandi  pietre 
di  cui  sono  composti  i  dolmen.  Anche  oggidi  non  mancano  mani  vandaliche, 
che  lavorano  a  distruggere  questi  interessantissimi  monumenti  della  vita  degli 
antichi  popoli  italiani  (2). 

Mi  sia  permesso  di  proferire  in  questa  occasione  una  etimologia  del  nome 
truddhu  o  truddu,  finora  non  ancora  spiegato,  che  mi  e  stata  favorita  da  un 
mio  amico.  Secondo  lui  truddhu  sarebbe  la  voce  greca  igovXct  ossia  tqov'/.os 
e  crederei  essere  favorevoli  a  questa  congettura  si  le  leggi  delle  lingue  che 
la  forma  stessa  di  quegli  edifizi  primitivi. 

F.  Röhl. 


(1)  Cf.  Bollettino  di  Paletnologia  italiana,  V,  p.  142  sg. 

(2)  V.  Bollettino  di  Paletnologia  italiana,  V,  p.  143. 


LA  GARA  DI  TAMIKI  CON  LE  MUSE  *. 

(Tav.  IX). 


Questo  bei  vaso  dipinto  della  Collezione  Jatta  fu  pubblicato 
per  la  prima  volta  nel  1865  dall' illustre  archeologo  tedesco  A.  Mi- 
chaelis che  ne  aveva  trovato  un  disegno,  non  del  tutto  esatto, 
nell'apparato  del  Museo  di  Berlino,  senza  notizia  per  altro  ne  del 


(*)  Qucst'  articolo  era  stato  giä  niandato  a  Roma,  quando  il  prof.  Furt- 
wängler,  rendendo  conto  egli  stesso  della  sua  visita  alla  Collezione  Jatta  ha 
riparlato  del  nostro  vaso  nella  Berliner  Philologische  Wochenschrift  (n.  46, 
17  nov.  pag.  1450).  Debbo  questa  notizia  alla  gentilezza  del  eh.  dott.  Petersen, 
perche  non  ancora  ho  potuto  leggere  originalmente  il  discorso  del  signor  Furt- 
wängler. 

Sono  lieto  innanzi  tutto  di  aver  prevenuto  il  desiderio  del  eh.  profes- 
sore  di  Berlino  con  questa  novella  e  piü  esatta  pubblicazione  del  vaso.  E  poi 
verissimo  ciö  che  egli  nota  intorno  alle  linee  indicanti  il  suolo,  le  quali  sono 
leggerissimamente  graffite,  come  e  vero  altresi  che  il  vaso  sia  molto  frammen- 
tato  ed  anche  mancante  in  qualche  punto,  ove  si  e  dovuto  con  pezzi  nuovi 
colmare  le  lacune :  ma  queste  circostanze  sono  ben  messe  in  chiaro  dal  no- 
stro disegno.  (Su  quelle  linee  v.  la  postilla  in  fine  deH'articolo). 

L'autore  persiste  nella  spiegazione  da  lui  giä  proposta  per  il  nostro  di- 
pinto ed  ora  da  me  accettata,  e  segue  a  non  tenere  nessun  conto  dell'epigrafe 
IAO.  Sembra  che  egli  riconosca  che  la  fönte  da  cui  il  pittore  del  vaso  attinse 
la  propria  ispirazione  sia  stata  il  dramma  di  Sofocle,  e  pensa  che  il  vaso  di 
Ruvo  per  lo  meno  c'  insegni  che  l'amore  di  Tamiri  per  le  Muse  non  sia  che 
un  motivo  riveniente  da  Sofocle.  II  pittore  senza  dubbio  coneepr  la  scena  sotto 
1'  impressione  del  dramma  e  quando  la  tragedia  Sofoclea  doveva  esercitare  la 
sua  potenza  sopra  la  fantasia  degli  artisti:  anzi  oso  credere  che,  se  il  dramma 
non  si  fosse  giä  impossessato  dell'  argomento  che  egli  prese  a  trattare,  noi 
forse  non  avremmo  avuto  il  nostro  bei  vaso.   II  gruppo  afrodisiaco  stesso,  a 

IG 


240  LA    GARA   DI   TAMIRI    CON    LE    MUSE 

possessore,  ne  della  patria  del  monumento  (I).  II  chiarissimo  elle- 
nista  italiano  Domenico  Comparetti  nel  1886  riuni  tutti  gli  antichi 
dipinti  relativi  a  Saffo,  e  fra  gli  altri  fece  la  ripubblicazione  del 
nostro  vaso,  riproducendo  perö  lo  stesso  disegno  del  Michaelis  e  con- 
tinuando  ad  ignorare  il  luogo  ove  oggi  il  vaso  si  trova(2). 
Anche  recentemente  ed  anche  come  smarritö  o  perduto  e  riapparso 
il  nostro  dipinto  nei  Monumenti  dell'antichitä  del  Baumeister,  ma 
in  proporzioni  diminuite  sopra  il  disegno  e  la  spiegazione  del 
Michaelis  (3).  Ultimamente  infine  il  eh.  E.  Pottier  nel  quinto  fasci- 
colo  delle  Ceramiques  de  la  Grece,  teste  venuto  in  luce  a  com- 
pimento  del  primo  volume  della  detta  opera,  a  proposito  dell'idria 


mio  credere,  probabilmente  deriva  da  personaggi,  in  parte  almeno,  giä  intro- 
dotti  nel  dramma. 

Mi  rincresce  perö  di  dover  contradire  all'autore  in  ci6  ch'  egli  afferma 
riguardo  alle  epigrafi  del  vaso,  le  quali  crede  completamente  moderne, 
lasciando  nel  dubbio  se  il  restauratore  avesse  seguito  tracce  antiche,  ovvero 
inventato  di  pianta.  Quest'ultima  ipotesi  e  inammessibile,  perche  il  vaso  non 
viene  dal  commercio,  ma  fu  trovato  da  persone  di  famiglia,  che  non  ne  avreb- 
bero  mai  permessa  la  menoma  adulterazione.  Resta  la  prima,  la  quäle  e  pos- 
sibile,  ma  limitatamente,  perche  bisogna  ammettere  che  le  tracce  antiche  do- 
vevano  essere  a  bastanza  visibili  ne'  due  nomi  di  Apollo  e  di  Tamiri,  se  il 
restauratore  ha  potuto  riprodurli  senza  sbagliare,  e  che  forse  il  maggior  guasto 
si  avverava  soltanto  nella  terza  epigrafe. 

Non  nego  che  la  breve  prova,  tentata  con  l'alcool  dall'autore  stesso, 
debba  riputarsi  insufficiente  :  anzi  bench'  io  l'avessi  ripetuta  con  maggiore  in- 
sistenza,  come  ho  dichiarato  (annotaz.  20),  tuttavia  sono  convinto  che  questi 
esperimenti  non  possano  ancora  considerarsi  completi  e  tali  da  permettere  un 
giudizio  sicuro.  Le  condizioni  in  cui  si  trova  il  vaso  non  consentirono  di  eser- 
citarvi  sopra  un  forte  e  continuato  soffregamento,  quanto  sarebbe  stato  neces- 
sario  a  voler  scancellare,  o  attenuare  le  impronte  del  nuovo  colore,  se  mai  vi 
fu  sovrapposto.  La  prova  di  questa  veritä  risulta  poi  dal  fatto  istesso;  giac- 
che,  per  toccare  con  l'alcool  il  I  di  2AO,  si  e  dovuto  fregare  su  quel  pezzo 
che  chiude  la  lacuna  ivi  esistentc  e  che,  essendo  nuovo,  e  certamente  rivestito 
di  nuovo  colore,  senza  che  questo  siasi  menomamente  alterato.  Bisognerebbe, 
per  essere  del  tutto  certi  della  cosa,  scomporre  il  vaso  e  ricomporlo  dopo 
averlo  lasciato  per  parecchi  giorni  in  un  bagno  di  acqua :  ma  per  ora  non  mi 
e  possibile  ricorrere  a  quest'ultimo  e  decisivo  esperimento. 

G.  J. 

(x)  Michaelis  Thamyris  und  Sappho,   Leipzig  1865. 

(2)  Museo  italiano  di  antichitä  classica,  vol.  II,  tav.  III  a  VI,  p.  41-80. 

(3)  Baumeister  Denkm.  des  klass.  Alterthums  p.  1727,  n.  1809. 


LA   GARA   DI   TAMIRI   CON   LE   MUSE  241 

a  figure  rosse  del  Museo  della  Societä  archeologica  di  Atene,  pas- 
sando  in  rassegna  il  lavoro  del  Comparetti,  menziona  anche  il  vaso 
della  Collezione  Jatta,  dont  ort  a  perdu  actaellement  les  traces  (1). 
Eppure  queste  tracce  esistono,  e  si  potevano  trovare  in  piü  d'un 
luogo!  (2). 

Or  mi  e  parso  necessario  il  fare  una  novella  pubblicazione 
del  bei  vaso  che  ha  lasciato  parlar  tanto  di  se,  primieramente 
per  rivendicarne  il  possesso  alla  Collezione  Jatta  ed  in  secondo 
luogo  per  darne  un  piü  esatto  ed  aceurato  disegno  con  indica- 
zione  dei  ristauri  e  fedele  riproduzione  dello  stile.  In  effetto  la 
figura  della  Musa  stante  con  cetra  e  plettro  nelle  mani  presenta 
nel  disegno  del  Michaelis  la  linea  del  naso  e  della  fronte  brutta- 
mente  rilevata  nel  suo  mezzo  ad  angolo  ottuso,  mentre  nell' origi- 
nale e  quasi  grecamente  diritta.  La  stessa  irregolaritä  notasi  nel 
profilo  della  donna  in  piedi  con  il  vezzo  di  perle  fra  le  mani,  che 
sul  vaso  invece  e  bellissimo.  Sul  chitone  della  donna  di  mezzo  al 
gruppo  furono  tralasciate  le  piccole  rosette  o  stellucce,  ricamate 
sopra  lo  stesso,  come  anche  le  corone  di  fronde  sul  capo  di  parecchie 
figure:  ed  altre  inesattezze  potrei  notare,  ma  ciascuno  le  rileverä 
meglio  da  se  nel  confronto  dei  due  disegni.  A  proposito  del  nostro 
avverto  poi  che  in  esso  sono  indicate  con  semplici  linee  le  ricon- 
giunzioni  dei  frammenti  del  vaso  e  con  tratteggio  i  pezzi  mancanti 
e  suppliti  di  nuovo. 


I. 


L' illustre  Michaelis  considera  come  staccato  dalle  rimanenti 
figure  il  gruppo  delle  tre  donne  con  gli  Amorini,  e  fermandosi  su 
questa  circostanza  ravvisa  in  esse  Saffo,  Afrodite  e  Peitho.  Senza 
dubbio  alcuno  il  pittore  ebbe  una  intenzione  neli'aggruppare  insieme 
le  tre  donne  e  nel  distinguerle  in  qualche  modo   dalle  altre,  ma 


(!)  Dumont  et  Chaplain  Les  ce"ramiques  de  la  Grlce  propre,  pl.  VI, 
p.  359  sgg. 

(2)  Jatta  Catalogo  del  Museo  Jatta  (Napoli  1869),  n.  1538,  p.  848-67, 
e  Supplem.  p.  1127;  Bull.  dell'Ist.  1871  p.  224;  Ann.  dell'Ist.  1874  p.  201  ss. ; 
Furtwängler  Eros  p.  33. 


242  LA    GARA   DI   TAMIRI    CON    LE   MUSE 

non  mi  sembra  possibile  che  egli  per  mezzo  di  una  tale  segrega- 
zione  avesse  Toluto  introdurre  nel  quadro  persone  estranee  al  mito 
che  si  proponeva  di  rappresentare.  L'argomento  inoltre  con  cui 
l'archeologo  tedesco  spiega  l'unione  di  Saffo  con  Tamiri  sopra  uno 
stesso  dipinto  non  e  fondato  che  sull'analogia.  Perche,  dice,  Saffo 
talora  e  messa  dalla  tradizione  artistica  e  letteraria  in  relazione, 
ed  anche  in  relazione  di  amore,  con  altri  poeti,  senza  tener  conto 
alcuno  della  cronologia,  per  cid  stesso  ella  nel  nostro  dipinto  po- 
tette  essere  rappresentata  accanto  a  Tamiri.  Passa  quindi  ad  enu- 
merare  le  pretese  relazioni  di  Saffo  con  Alceo,  Anacreonte,  Archiloco 
ed  Ipponatte,  e  benche  soggiunga  di  dubitare  se  il  pittore  del  vaso 
avesse  poi  voluto  fare  allnsione  a  rapporti  di  erotica  natura,  merce 
il  gesto  dell' Eros  sedente  sull'omero  della  poetessa  di  Lesbo,  non 
pertanto  attribuisce  quel  gesto  ad  analoghi  concetti  (!). 

Con  la  riverenza  dovuta  tuttavia  mi  permetto  osservare  che 
questa  riunione  s'intenderebbe  forse,  quando  almeno  fosse  espressa 
in  un  campo  isolato,  come  per  esempio  accade  nel  vaso  su  cui 
appariscono  Alceo  e  Saffo  in  colloquio  fra  loro  e  forniti  entrambi 
della  lira  (2).  Ma  non  si  giunge  a  comprendere  la  introduzione  di 
un  personaggio  storico,  quäle  e  Saffo,  in  una  scena  mitologica  e 
tra  un  numero  non  piccolo  di  figure,  destinate  tutte  ad  esplicare 
il  medesimo  mito.  Oltre  a  cid,  neppure  puö  concepirsi  facilmente 
la  congiunzione  ideale  d'un  personaggio  appartenente  al  ciclo  favo- 
loso,  o  quasi,  con  un  altro  del  periodo  puramente  storico.  Tamiri 
puö  essere  riunito  con  Orfeo,  Marsia,  Olimpo  e  simili,  ma  non  con 
Saffo,  Alceo,  Anacreonte  ed  altri  tali.  Infatti  nella  pittura  di  Po- 
lignoto  alla  Lesche  di  Delfo  il  poeta  di  Tracia  non  vedevasi  che 
in  quella  compagnia,  come  lo  stesso  Michaelis  riconosce  (3),  mentre 
sopra  il  teste  ricordato  vaso  di  Alceo  e  Saffo  il  poeta  e  la  poetessa 
appartengono  allo  stesso  periodo  storico. 

Preoccupato  forse  dalla  serietä  di  queste  obbiezioni  Michaelis 
tentö  anche  mettere  in  dubbio  che  le  rimanenti  donne  del  dipinto 
rappresentassero  le  Muse,  ed  ammise  la  possibilitä  di  vedere  in 
esse  o  suonatrici  e  cantatrici  o  poetesse  raccolte  intorno  a  Tamiri 


(i)  Op.  c.  p.  ll. 

(2)  Comparetti  op.  c.  tav.  IV. 

(3)  Op.  c.  p.  15. 


LA    GARA   DI    TAMIRI    CON    LE    MUSE  243 

e  Saffo.  Yinto  nondimeno  dalla  correttezza  del  proprio  giudizio, 
iinisce  per  accogliere  come  piii  accettabile  la  presenza  delle  Muse, 
caratterizzata  da  quella  di  Apollo  (').  Dimostra  in  seguito  esser 
per  altro  impossibile  conciliare  con  la  gara  delle  Muse  la  presenza 
della  poetessa  di  Lesbo,  la  quäle,  a  suo  dire,  neppure  potrebbe 
far  parte  della  rappresentazione  di  Tarniri  che  tra  le  Muse  intorno 
a  lui  raccolte  canta  in  Delfo  il  peane  in  onore  di  Apollo,  secondo 
la  spiegazione  data  da  PanofKa  ad  un  vaso  vulcente  (2).  Questa 
affermazione  intanto,  non  meno  giusta  che  autorevole  (3),  favorisce 
indirettamente  il  inio  modo  d'iutendere,  secondo  il  quäle  Saffo  dev'es- 
sere  esclusa  dalla  scena  rappresentata  sul  vaso  Jatta. 

Ciö  che  l'autore  discorre  con  uiolta  erudizione  intorno  alle 
relazioni  dei  poeti  con  le  Muse,  ed  il  confronto  da  lui  addotto 
delle  Muse  sul  vaso  di  Napoli  (4),  le  quali  assistono  ad  un  con- 
certo  musicale  di  Marsia  ed  Olimpo,  sono  cose  ben  proprio  a  spie- 
garne  l'assistenza  al  canto  di  Tamiri,  malgrado  che  poscia,  in  altro 
tempo  ed  in  altra  occasione,  gli  fossero  divenute  nemiche,  ma 
niente  provano  a  favore  della  supposta  riunione  del  poeta  trace 
con  la  poetessa  di  Lesbo.  Secondo  Michaelis,  a  rendersi  ragione 
di  questa  riunione  bisogna  prescindere  da  ogni  tradizione  storica, 
o  pseudo-storica,  e  riconoscere  soltanto  che  il  pittore  volle  svilup- 
pare  con  libera  fantasia  artistica  un  concetto  che  nel  campo  pura- 
mente  ideale  riunisce  Tamiri  da  una  parte,  e  Saffo,  Peitho,  Afro- 
dite  e  gli  Amorini  dall' altra,  con  Apollo  e  le  Muse.  Ma  da  questa 
conchiusione  e  facile  avvedersi  che  l'unico  e  vero  argomento  su 
cui  fondasi  la  spiegazione  del  dottissimo  archeologo  e  la  epigrafe 
IAO,  in  cui  non  puö  vedere  altro  che  IA<£>,  e  che,  se  queste  tre 
lettere  non  fossero  esistite,  egli  per  fermo  non  avrebbe  mai  pro- 
posto  una  spiegazione.  di  cui  conosce  tutte  le  difficoltä  e  che  segue 
come  costretto  dalla  necessitä  d'un  nome. 


(!)  Op.  c.  p.  12:  "  ohne  Zweifel  ist  es  c/erathener  in  ihnen  die  Musen 
zu  erkennen ,  denen  ja  auch  die  Anwesenheit  Apollons  besonders  gut 
ansteht  ->. 

(2)  Mon.  delllnst.  II,  23;  Ann.  1835  p.  235. 

(3)  Op.  c.  p.  17. 

(4)  Mon.  ined.  dell'Inst.  II,  37. 


244  LA   GARA   DI   TAMIRI   CON   LE   MUSE 


IL 


II  eh.  Comparetti  (l)  enuncia  il  sospetto  che  la  epigrafe  ZAO 
potesse  appartenere  alla  donna  stante  presso  il  gruppo  con  cetra 
e  plettro  nelle  mani,  ma  poi  subito  lo  depone,  ritenendo  che  la 
pretesa  Saffo  sia  da  ravvisare  in  una  delle  tre  donne  aggruppate. 
Tuttavia  non  segue  l'archeologo  tedesco  nel  riconoscerla  in  eima 
al  gruppo  e  quindi  nella  figura  piü  vicina  all' epigrafe,  come  e  di 
regola,  ma  crede  Afrodite  la  Saffo  e  Saffo  la  Peitho  del  Michae- 
lis. Non  mancano  di  valore  le  considerazioni  dell'autore,  in  forza 
delle  quali  egli  nega  il  posto  di  onore  alla  poetessa  di  Lesbo  (2) : 
ma  nondimeno  e  da  rigettare  l'attribuzione  dell' epigrafe  alla  figura 
di  mezzo,  perche  la  detta  epigrafe  dev'essere  assegnata  senza  alcnn 
dubbio  alla  figura  di  eima,  tanto  piü  che  le  lettere  rimaste  erano 
probabilmente  precedute  da  altre,  ora  mancanti  a  cagione  d'una 
lacuna  nel  vaso,  e  mostrano  ad  ogni  modo  la  intenzione  del  pit- 
tore  di  scrivere  quella  parola,  quäle  sia  stata,  proprio  sulla  testa 
della  donna  che  domina  il  gruppo. 

Dice  il  eh.  Comparetti :  ■  il  canto  di  Tamiri  fra  le  Muse  ed 
Apollo  non  puö  avere  altro  rapporto  con  Saffo,  che  un  rapporto 
simbolico  e  di  significato  generico :  e  chi  guardi  alla  posizione  di 
Saffo  vede  bene  che  Afrodite  col  resto  di  quel  gruppo  ci  e  per 
Saffo  e  non  per  altro.  Percio  a  spiegare  questa  rappresentazione 
conviene,  come  ho  accennato,  partire  dalla  idea  di  Saffo  e  spiegare 
il  resto  come  a  questa  subordinato  ed  esplicativo  di 
questa,  senza  troppo  premere  mitograficamente  la  rappresen- 
tanza  ch'e  di  ragione  tutta  ideale  (3)  ».  Ma  quand'anche  potesse 
ammettersi  la  ipotesi  dell'autore,  come  poi,  senza  rovesciare  i  ca- 
noni  e  le  tradizioni  dell'arte  antica,  rendersi,  secondo  la  stessa, 
ragione  del  posto  assegnato  nella  scena  a  Tamiri,  posto  che  da 
solo  basta  a  designarlo  quäl  protagonista  ? 

L'autore,  chiamando  in  confronto  la  pittura  di  Polignoto,  tenta 


0)  Op.  c.  tav.  V,  pag.  59  ss. 

(2)  Op.  c.  pag.  60. 

(3)  Op.  c.  pag.  63. 


LA   GARA   DI   TAMIRI   CON   LE   MUSE  245 

stabilire  un  contrapposto  che  avrebbe  concepito  l'artista  fra  Tamiri 
audace,  sfidante  le  Muse  e  prossimo  a  ricevere  la  condegna  pena, 
come  varrebbe  a  significare  la  postura  di  Apollo  che  gli  volge  le 
spalle,  e  Saffo  che  placidamente  gode  i  favori  di  Afrodite  e 
di  Eros.  Ma  nella  pittura  di  Polignoto  il  contrapposto  ci  era  ef- 
fettivamente,  mentre  qui  mancherebbe  del  tutto.  Tamiri  era  rap- 
presentato  vinto,  cieco,  abbattuto,  con  la  cetra  infranta  ai  piedi, 
e  quindi  naturalmente  sorgeva  nella  mente  dello  spettatore  la  idea 
del  contrapposto,  vedendo  ivi  stesso  Orfeo  in  atteggiamento  lieto 
e  sereno:  l'unitä  di  luogo  inoltre  riuniva  bene  i  due  dispajati  con- 
cetti,  perche  luogo  comune  dell'azione  erano  i  giardini  di  Perse- 
phone  (1).  In  quäl  guisa  d'altronde  il  contrapposto  immaginato 
dal  eh.  Comparetti  potrebb'essere  inteso  dall'osservatore  del  vaso? 
Supponendo  per  poco  mancanti  quelle  lettere  in  cui  si  vuol  leg- 
gere  il  nome  di  Saffo,  lo  spettatore  non  potrebbe  veder  altro  nel 
quadro,  che  persone  tutte  cospiranti  a  raggiungere  un  fine  unico 
voluto  dall'artista,  o  per  meglio  dire  esplicanti  sotto  varie  forme 
ed  atteggiamenti  particolari  un  solo  generale  concetto. 

II  simbolismo  inoltre  di  natura  non  pure  astratta  ed  ideale, 
ma  anche  indipendente  dalla  tradizione  storica  o  mitologica,  che  si 
pretende  attribuire  a  questi  modesti  prodotti  dell'antica  arte  rigu- 
rativa,  resterebbe  un  fatto  isolato,  per  quanto  almeno  insegna  l'e- 
sperienza.  Ordinariamente  i  pittori  ceramografici  non  ricorrevano 
alla  propria  fantasia  per  trovare  i  personaggi  delle  loro  rappresen- 
tazioni  mitologiche,  ed  in  queste  non  suole  comparire  una  persona 
che  prima  non  fosse  stata  introdotta  nel  mito  dall' originär ia  leg- 
genda,  o  dalla  tradizione  popolare,  o  dai  poeti  drammatici  in  cui 
s'ispiravano.  E  noto  poi  che  i  soggetti  storici  furono  da  essi  rara- 
mente  trattati  (2),  e  ciö  deve  per  lo  meno  renderci  cauti  per  non 
ammettere  facilmente  rappresentazioni  miste  di  personaggi  appar- 
tenenti  a  eieli  diversi. 

Debbo  notare  in  ultimo  che  in  tutti  i  dipinti  relativi  a  Saffo, 
raecolti  e  pubblicati  dal  eh.  Comparetti,  la  poetessa  di  Lesbo,  oltre 
il  nome  proprio,  ha  sempre  qualche  simbolo  valevole  per  se  stesso 
a  caratterizzare  un'alunna  delle  Muse.  Cosi    sul   vaso    Dzialinsky 

0)  Paus.  X,  30. 

(2)  Pottier,  op.  c.  pag.  361,  n.  3. 


246  LA    GARA    DI    TAMIRI    CON   LE   MUSE 

Saffo  suona  la  cetra,  e  su  quello  di  Middleton  ella  ha  in  mano 
un  volume  arrotolato :  sul  vaso  di  Monaco  Alceo  e  Saffo  sono  for- 
niti  entrambi  di  cetre,  e  si  mostrano  in  atto  di  accordarle,  come 
per  un  concerto,  e  finalmente  sul  vaso  ateniese  Saffo  legge  nel 
volume  scritto,  mentre  probabilmente  Erinna  le  porge  la  lira  per 
farla  cantare.  Or  la  pretesa  Saffo  del  vaso  Jatta  sarebbe  la  sola 
in  quella  raccolta  a  non  recare  alcun  distintivo  dell'arte  sua :  nel 
che  poi,  se  e  vero  che  i  giudizi  meno  fallaci  sono  quelli  che  ri- 
posano  sui  criteri  di  comparazione,  noi  abbiamo  una  ragione  di 
piü  per  escludere  la  celebre  poetessa  dalla  scena  dipinta  sul  vaso 
di  Kuvo. 


III. 


Da  quanto  si  e  detto  e  chiaro  che  la  epigrafe  del  vaso  Jatta 
deve  innanzi  tutto  richiamare  la  nostra  attenzione.  Avvertii  giä 
nel  Catalogo  che  le  lettere  IAO  potettero  essere  precedute  da 
altre,  attesa  la  mancanza  di  un  pezzo  innanzi  al  2,  ed  anche  forse 
seguite  da  una  lettera  finale  (1).  II  eh.  Heydemann  pensö  ad  un 
O  finale,  invece  che  ad  un  2,  ed  attestö  l'esistenza  della  traccia 
d'un' ultima  lettera  in  modo  assai  piü  esplicito,  che  io  non  aveva 
osato  (2).  Finalmente  il  eh.  Furtwängler,  aecusato  a  torto  di  leg- 
gerezza  da  Comparetti,  ritenne  anch'egli  che  le  tre  lettere  IAO 
potettero  essere  precedute  e  seguite  da  altre,  lasciando  la  possibi- 
litä  di  parecchi  compimenti,  e  non  seppe  appagarsi  della  spiega- 
zione  del  Michaelis,  fondata  soltanto  sulla  arbitraria  intelligenza 
di  una  iscrizione  (3). 


(*)  Jatta,  op.  c.  pag.  849  e  853.  II  pezzo  mancante  comincia  immedia- 
tamente  dal  2  e  si  estende  a  tutta  la  testa  di  Eros. 

(2)  Bull.  dell'Inst.  1871,  pag.  224. 

(3)  Furtwängler,  Eros  pag.  33.  Questo  dotto  in  una  sua  visita,  onde  ha 
recentemente  onorata  la  collezione  Jatta,  mi  espresse  oralmente  il  sospetto 
che  l'epigrafe  non  fosse  genuina;  ma  avendogli  io  permesso  di  tentare  la 
prova  deH'alcool,  la  impronta  delle  lettere  non  ne  fu  punto  attenuata,  e  anche 
quando,  dopo  la  sua  visita,  la  prova  fu  ripetuta  da  me  e  con  insistenza  mag- 
giore,  l'epigrafe  rimase  qual'era.  Una  sola  certezza  io  acquistai  dopo  l'espe- 
rimento,  ed  e  che  non  esiste  veruna  traccia  d'altra  lettera  dopo  le  tre  che 
rimangono. 


LA   GARA   DI   TAM1RI    CON    LE    MUSE  247 

La  spiegazione  intanto  proposta  dal  Furtwängler  per  la  scena 
dipinta  sul  vaso  Jatta  e  la  piü  plausibile  fra  le  cercate  finora. 
Essa  in  generale  non  discorda  da  quella  del  Catalogo,  perche  Vau- 
tore  vi  riconosce  la  gara  di  Tamiri  con  le  Muse,  e  nell'atteggia- 
mento  di  queste  non  trova  niente  di  amichevole  verso  il cantore, 
come  anche  nella  postura  di  Apollo  vede  espresso,  non  il  favore, 
ma  la  freddezza  e  l'antipatia.  Tali  considerazioni  sono  giuste,  ma 
certamente  giustissimo,  a  mio  parere,  e  quello  che  l'autore  osserva 
a  proposito  della  Musa  che  contempla  la  propria  collana  ('). 

La  differenza  della  spiegazione  del  professore  di  Berlino  da 
quella  del  Catalogo  si  appalesa  nella  diversa  intelligenza  del  gruppo 
con  la  triade  degli  Amorini.  Questo  dotto  infatti  vede  nelle  tre 
donne  aggruppate  con  gli  Eroti  persone  estranee  al  coro  delle  Muse, 
cioe  Afrodite,  Peitho,  Paregoros  con  Eros,  Pothos,  Himeros,  da 
cui  Tamiri  trae  la  sua  ispirazione  di  amore  (2).  La  quäle  conget- 
turä  non  solo  e  probabilissima  per  se  stessa,  perche  trova  il  suo 
fondamento  nel  mito  e  spiega  in  modo  conveniente  le  condizioni 
della  gara,  o  per  meglio  dire  le  aspirazioni  del  poeta  trace  al  pos- 
sesso  corporale  delle  belle  abitatrici  dell'Elicona,  ma  anche  per 
un'altra  causa  mi  attira  a  se  tanto,  che  vi  aderisco  pienamente  (3). 

Avrei  anche  prima  adottata  questa  interpretazione  della  nostra 
pittura,  se  non  mi  avesse  rattenuto  alquanto  il  fatto  delle  corone 
che  circondano  la  testa  di  due  donne  del  gruppo,  le  cui  fronde 
sembrano  di  alloro  e  simili  in  tutto  a  quelle  del  serto  della  donna 
stante  con  cetra  e  plettro  nelle  mani,  certamente  una  Musa.  Tut- 


(!)  Cfr.  Jatta,  op.  c.  pag.  864  s.  a  proposito  di  Polirmia,  ove  poteva 
aggiungersi  il  confronto  della  Musa  in  atto  di  leggere  forse  per  espressione 
del  medesimo  concetto :  Elite  II,  pl.  LXXXVI,  A. 

(2)  L'autore  da  anche  un  significato  nuziale  alla  Corona  che  egli  non 
crede  ricamata  sulla  veste  di  Tamiri,  ma  reale  nella  cintura  di  lui.  In  quanto 
al  senso  della  Corona,  ne  riparlerö  appresso:  in  quanto  poi  all'essere  rica- 
mata e  non  reale,  mi  semhra  messo  fuori  duhbio  dal  fatto  della  mancanza 
totale  delle  dorature  le  quali,  se  fosse  reale,  non  avrebbero  fatto  difetto, 
come  non  lo  fanno,  per  esempio,  sul  serto  che  circonda  la  testa  dello  stesso 
Tamiri. 

(3)  La  riapparizione  di  Paregoros  in  compagnia  di  Afrodite,  Peitho  ed  i 
tre  amori  sopra  un  vaso  Euvestino  potrebbe  infatti  offrire  un  valido  sostegno 
alla  spiegazione  da  me  data  ad  alcune  figure  di  difficilissima  intelligenza  sopra 
un'altra  pittura  vasaria  della  Collezione  Jatta :  op.  c.  n.  1498,  pag.  779. 


248  LA  GARA  DI  TAMIRI  CON  LE  MUSE 

tavia  chi  non  sa  le  difficoltä  che  s'incontrano  nel  voler  distinguere 
le  varie  piante  sopra  i  vasi  dipinti?  D'altronde  per  sostenere  la 
opinione  manifestata  nel  Catalogo  avrei  potuto  addurre  in  confronto 
parecchi  monumenti  che  provano  la  riunione  o  l'aggruppamento 
delle  Muse  con  gli  Amorini  (1).  Malgrado  cid,  ora  sono  tanto  piü 
lieto  di  rinunziare  al  primo  mio  modo  d'intendere  il  gruppo  e  di 
uniformarmi  a  quello  del  Furtwängler,  in  quanto  che  cosi  la  rap- 
presentazione  del  mito  viene  ad  essere  intera  in  ogni  sua  parte, 
e  se  le  Muse  sono  assistite  da  Apollo,  a  Tamiri  non  manca  l'as- 
sistenza  di  Afrodite,  ne  resta  piü  solo  nella  scena,  mentre  il  con- 
cetto  mitologico  raggiunge  la  sua  piena  esplicazione  con  l'aggiunta 
di  personaggi,  che  per  fermo  non  escono  dalla  cerchia  del  mito,  se 
esprimono  appunto  il  movente  psicologico,  sotto  l'impulso  del  quäle 
si  compie  l'azione. 

II  solo  inconveniente  di  questa  spiegazione,  come  anche  del- 
l'altra  da  me  seguita  precedentemente,  e  quello  di  non  rendersi 
ragione  dell'epigrafe  IAO,  che  resta  come  un  enimma  insoluto  in 
cerca  del  suo  Edipo,  e  ciö  forse  la  renderä  meno  gradita  a  chi  vuol 
conto  di  tutto.  Ma  tutto  ciö  che  l'antichitä  figurata  o  scritta  pre- 
senta  al  nostro  sguardo  puö  essere  sempre  e  bene  spiegato?  Se  ci 
fosse  pervenuto  il  Thamyras  di  Sofocle  e  la  commedia  di  Anti- 
fane,  se  ci  fosse  rimasta  qualche  notizia  particolareggiata  del  quadro 
di  Teone,  o  se  almeno  fossimo  sicuri  che  quelle  e  non  altre  sono 
le  lettere  che  volle  scrivere  il  pittore  del  vaso,  cioe  che  le  mede- 
sime  costituiscono  una  parola  intera  e  non  un  frammento  di  parola 
dimezzata,  allora  forse  potremmo  tentare  con  qualche  speranza  di 


(*)  Le  Muse  sono  aggruppate  o  riunite  con  gli  Eroti  piü  o  meno  sicu- 
ramente:  1)  Ann.  dell'Inst.  1874,  tav.  d'agg.  S,  pag.  201 :  2)  Bull,  dell'Inst.  1865, 
pag.  54 :  3)  Elite  II,  pl.  LXXX,  pag.  257 :  per  Furtwängler  sono  donne  mor- 
tali,  Eros  pag.  59:  4)  Heuzey  Les  figur.  de  terre  cuite  pl.  XLI,  1,  pag.  24: 
secondo  l'autore  Aphrodite  au  livre:  5)  Tölcken  Verz.  V.  196  =  Winckelmann 
Descript.  II,  773,  ap.  Gerhard  Acad.  Abhandl.  tav.  LVI,  9 :  6)  Winckelmann 
Descript.  de  pierres  gravis  du  Bar.  Stosch  cl.,  II.  n.  1268 :  7)  Stephani  CR  1868 
(vignetta  pag.  79)  pag.  93:  8)  Mon.  delllnst.  III,  31,  Wieseler  Theatergeb.  VI, 
2;  Schreiber  Kulturhistor .  Bilderatlas  111,1:  9)  Overbeck  Atlas  der  griech. 
Kunstmyth.  XXIV,  26 ;  cfr.  Furtwängler  Beschr.  der  Vasensamml.  zu  Berlin 
n.  2638:  10)  Heydemann  Die  Vasensamml.  des  Museo  Nazionale  zu  Neapel 
n.  3224;  cfr.  Furtwängler  Eros  pag.  36. 


LA    GARA    DI   TAMIRI    CON    LE    MUSE  249 

successo  di  cogliere  il  senso  dell'epigrafe:  ma  nello  stato  presente 
delle  cose  val  meglio  non  tenerne  alcun  conto,  che  lasciarsi  andare 
a  divinazioni  impossibili.  E  non  e  infine  da  passare  inosservato 
che  l'E  finale  del  nome  ©AMYPIE,  trovandosi  sopra  la  linea  che 
ricongiunge  du 3  pezzi  frammentati  del  vaso,  come  si  vede  nel  di- 
segno,  deve  attribuirsi  ad  uno  sbaglio  del  restauratore  che,  seguendo 
delle  tracce  mal  sicure  rimaste  sui  due  frammenti,  converti  ma- 
lamente  in  E  l'originario  I  finale.  Or  se  egli  ha  qui  sbagliato,  come 
avvertii  sin  dalla  pubblicazione  del  Catalogo,  chi  ci  sarä  malle- 
vadore  che  qualche  altro  sbaglio  non  abbia  potuto  commettere, 
ritoccando  forse  qualche  lettera  svanita  della  leggenda  IAO? 


IV. 


A  confermare  sul  vaso  dipinto  della  Collezione  Jatta  la  rap- 
presentazione  mitologica  della  gara  di  Tamiri  con  le  Muse  e  im- 
portante  vedere  se  il  contegno  dei  personaggi  che  compongono  la 
scena  contradica  o  non  contradica  a  questa  spiegazione.  II  eh.  Furt- 
wängler,  come  si  e  accennato,  notö  giä  in  generale  che  il  con- 
tegno di  Apollo  e  delle  Muse  si  mostra  ostile  al  cantore;  ma  io 
farö  un  esame  particolare  e  piü  minuto  di  ogni  persona,  e  quäle 
sia  per  essere  il  valore  dei  miei  giudizi,  non  mancherä  certamente 
ad  essi  ne  il  proposito  di  cercare  schiettamente  il  vero,  ne  al  po- 
stutto  il  merito  di  esser  nati  in  presenza,  non  di  un  disegno  piü 
o  meno  esatto,  ma  dell'originale.  Benche  raramente  sia  dato  di 
poter  leggere  sui  tratti  del  volto  delle  figure  dei  vasi  la  espres- 
sione  dei  sentimenti  dell'animo,  questi  nondimeno  con  maggior  fa- 
cilitä  possono  esser  raecolti  dai  loro  gesti  ed  atteggiamenti. 

Alla  destra  di  Tamiri  sono  tre  Muse  ed  Apollo.  La  prima  ha 
lo  sguardo  rivolto  al  dio  che  evidentemente  dirige  a  lei  la  parola, 
dando  le  spalle  al  cantore.  Or  mi  sembra  fuori  dubbio  che  il  con- 
tegno di  queste  due  figure  debba  giudicarsi  pari  a  quello  di  per- 
sone  che,  indifferenti  o  sprezzanti,  assistono  ad  una  scena  di  cui 
l'animo  loro  poco  si  cura.  La  seconda  in  piedi  e  interamente  as- 
sorta  nella  considerazione  del  vezzo  di  perle,  che  ha  tra  le  mani ; 
laonde,  se  la  conversazione  tra  la  prima  ed  Apollo  non  fu  che  un 
mezzo  per  esprimere  lo  sprezzo  o  l'indifferenza,  l'uno  o  l'altro  di 


250  LA   GARA    DI   TAMIRI    CON    LE    MUSE 

questi  sentimenti  deve  anche  avere  voluto  esprimere  ilpittore  con 
l'atteggiamento  dato  a  quest'altra  Musa.  La  terza,  sedente  come 
la  prima,  e  visibilmente  occupata  ad  udire  con  attenzione,  ma  il 
suo  sguardo  non  e  rivolto  a  Tamiri,  e  dal  suo  viso  non  traspare  al- 
cun  sentimento  sicuro. 

Alla  sinistra  del  poeta,  oltre  il  gruppo,  sodo  altre  due  Muse. 
L'una  stante,  con  cetra  e  plettro  nelle  mani,  fa  un  gesto  con  la 
destra  armata  di  plettro,  che  io  credo  di  sprezzo  o  di  minaccia,  ed 
anche  lo  sguardo  di  lei  sembrami  severamente  fisso  sopra  Tamiri. 
L'altra  sedente  con  un  volume  arrotolato  nella  mano  mostrasi  at- 
tenta  ad  udire,  e  lascia  anch'ella  meglio  indovinare,  che  scorgere 
il  sentimento  dal  quäle  e  agitata. 

Delle  donne  del  gruppo,  Afrodite,  sedente  fra  i  due  Eroti  dei 
quali  tiene  a  se  abbracciato  quello  che  e  privo  delle  ali,  ascolta 
ed  ha  lo  sguardo  rivolto  a  Tamiri.  Delle  due  sue  compagne  quella 
che  occupa  il  mezzo  del  gruppo  (Peitho?)  sembra  non  curarsi  di 
ciö  che  accade  iutorno  a  lei,  perche  mostrasi  in'colloquio  con  Eros 
dalle  cui  mani  e  in  atto  di  prendere  un  uccellino  (!).  II  viso  della 
donna  che  sta  in  cima  al  guppo  (Paregoros  ?)  e  rivolto  ad  Eros  che 
le  siede  sull'omero,  alle  cui  parole  evidentemente  ella  presta  at- 
tenzione, e  pare  certo  che  il  loro  colloquio  si  riferisca  al  canto  od 
alla  cetra  di  Tamiri,  verso  la  quäle  accenna  la  destra  abbassata 
di  Eros. 

Circa  la  figura  di  Tamiri,  alle  cose  giä  notate  nel  Catalogo 
debbo  solo  aggiungere  che  gli  occhi  di  lui  non  sono  diretti  verso 
alcun  punto  della  scena,  ne  verso  alcuna  delle  circostanti  persone, 
ma  sembrano  smarriti  e  quasi  cercanti  qualche  cosa  nel  vuoto. 
L'indeterminazione  del  suo  sguardo  intanto  ci  costringe  a  rimanere 
nel  dubbio  (2),  non  potendo  ravvisare  con  certezza  se  sta  d'innanzi 
a  noi  lo  sfidatore  audace  delle  Muse  e  delle  Sirene  (3),  cioe  della 


(1)  La  piccolezza  del  corpo  impedisce  crederlo  una  colomba,  ma,  per 
mio  giudizio,  e  da  vedere  in  esso  un  rossignuolo,  e  non  deve  escludersi  la 
possibilita  che  il  pittore  abbia  voluto  alludere  alla  tradizione,  secondo  la  quäle 
Taniraa  di  Tamiri  visse  la  vita  di  questo  uccellino  dal  canto  melanconico  e 
soave:  cfr.  Plat.  Rep.  X,  pag.  620,  A. 

(2)  Cfr.  Jatta  op.  c.  pag.  853. 

(3)  Schol.  in  Aristoph.  Ran.  arg.  IV,  pag.  274. 


LA    GARA    DI    TAMIRI    CON    LE   MUSE  251 

piü  alta  espressione  poetica  e  musicale,  in  atto  di  cantare,  inconscio 
del  proprio  destino,  anzi  pieno  di  entusiasmo  e  tiducioso  della  vit- 
toria,  ovvero  lo  sgarato  poeta  che  giä  comincia  a  sentire  in  se  gli 
effetti  della  punizione  divina,  e  mentre  cerca  trarre  i  suoni  dalla 
sua  lira  e  schiudere  la  bocca  al  canto  non  trova  piü  la  solita  arte, 
ne  la  solita  voce.  Lo  sguardo  incerto  e  come  smarrito  di  Tamiri 
potrebbe  significare  tanto  la  ispirazione,  quanto  lo  sgaramento,  ed 
il  contegno  delle  Muse  non  si  oppone  ne  all'una  ne  all'altra  di 
queste  due  intelligenze,  mentre  il  gesto  di  Eros  sedente  suH'omero 
della  compagna  di  Afrodite  sembra  piuttosto  favorire  la  seconda. 
Ma  dev'essere  forse  imputato  a  merito  del  pittore,  se  la  cosa  resta 
appuoto  indecisa.  Egli  infatti  ha  potuto  voler  per  tal  guisa  ottenere 
un  effetto  analogo  a  quello  che  a  ragione  il  eh.  Heydemann  attri- 
buisce  ad  un  solito  artifleio  di  Sofocle,  mediante  il  quäle  questo  sommo 
tragico,  prima  che  avvenisse  la  catastrofe,  lascia  in  qualche  scena 
sperare  per  poco  tempo  un  esito  felice,  nel  fine  di  aecrescere  nel- 
l'animo  degli  spettatori  la  simpatia  per  la  vittima  (l). 


Per  conchiudere  ricorderö  brevemente  qualch'altra  pittura  va- 
saria  in  cui  si  e  creduto  scorgere  la  gara  di  Tamiri  con  le  Muse,  o 
che  presenta  queste  ultime  in  compagnia  del  poeta  trace.  Ma  innanzi 
tutto  il  vaso  su  cui  Schulz  credette  ravvisare  Tamiri  con  quattro 
Muse  (2)  dev'essere,  a  mio  parere,  lasciato  da  parte,  perche  quella 
pittura  rappresenta  piü  probabilmente  Orfeo  tra  le  donne  traci.  E 
lo  stesso  puö  dirsi  d'un  altro  vaso  su  cui  vedesi  un  citaredo  cir- 
condato  da  quattro  donne,  il  quäle  e  fornito  di  barba  e  di  mitra 
frigia,  mentre  le  donne  non  hanno  aleun  distintivo  (3). 

In  quanto  al  vaso  di  Vulci  illustrato  da  Panofka  (4),   tengo 

(!)  Mon.  d.  Inst.  VIII,  43;  Ann.  1867,  pag.  368.  II  mio  dotto  amico  nella 
citata  pittura  vasaria  volle  ravvisare  la  gara  di  Tamiri  con  le  Muse,  la  quäle 
spiegazione  per  altro  io  non  accetto :  ad  ogni  modo,  la  sua  giusta  osservazione 
va  molto  meglio  applicata  al  nostro,  che  ä  quel  dipinto. 

(2)  Bull.  dell'Inst.  1840,  pag.  54. 

(3)  Arch.  Zeitg.  1846,  pag.  286. 

(4)  Mon.  dell'Inst.  H,  23;  Ann.  1835,  pag.  231  ss. 


252  LA  GARA  DI  TAMIRI  CON  LE  MUSE 

che  sia  pienamente  accettabile  la  proposta  di  questo  archeologo, 
secondo  la  quäle  il  dipinto  rappresenterebbe,  non  la  gara  con  le  Muse, 
ma  la  vittoria  che  riportö  Tamiri  per  il  suo  inno  in 
onore  di  Apollo  nelle  feste  musicali  di  Delfo.  Tutta- 
via  la  donna  vecchia,  per  mio  giudizio,  e  da  credere  piuttosto  la  Pizia 
che  Corona  o  premia  il  vincitore,  non  la  madre  delle  Muse;  come  la 
chiamo  Panofka.  Ottimamente  poi  questo  dotto  osservö  che  non  poteva 
avere  un  significato  diverso  il  dipinto  vasario  del  Museo  di  Napoli, 
pubblicato  dopo  quasi  trent'anni  da  Heydemann  (1).  La  donna  vec- 
chia che  ritorna  in  questa  pittura,  e  che  ci  costringe  a  riconoscere 
senza  alcun  dubbio  la  medesima  persona  in  ambedue  le  figure,  dal 
eh.  illustratore  del  vaso  napolitano  e  creduta  Argiope ,  madre  di 
Tamiri.  Ma  l'anziana  anche  qui,  per  mio  credere,  non  e  Mnemo- 
sine,  non  Argiope  e  molto  meno  J6%a  (2),  ma  la  Pizia :  e  le  due 
Muse  possono  bene  alzar  le  mani,  non  per  sdegno  ne  per  sorpresa, 
come  vuole  Heydemann,  ma  per  consenso  ed  acclamazione.  La  Pizia 
simboleggia  non  meno  il  luogo,  che  il  nome  dei  ludi,  e  caratterizza 
la  scena  in  cui  ella  entra  benissimo  quäle  ministra  e  rappresen- 
tante  di  Apollo,  mentre  la  madre  del  poeta  vi  starebbe  a  disagio, 
ed  una  Mnemosine  con  i  capelli  bianchi  torna  dura  al  pensiero. 

Allo  stesso  argomento  sembra  che  debba  riportarsi  un  vaso 
quasi  simile  ai  due  di  Napoli  e  di  Vulci  giä  ricordati,  il  quäle  fa 
parte  del  Museo  deH'Eremitaggio  in  Pietroburgo  (3).  Ne  mi  sov- 
viene  d'altri  vasi  con  soggetti  analoghi,  e  mancami  per  ora  il  tempo 
d'intraprendere  qualche  ricerca.  Ad  ogni  modo,  il  dipinto  della  Col- 
lezione  Jatta,  quand' anche  finora  non  fosse  il  solo  a  rappresentare 
la  gara  di  Tamiri  con  le  Muse,  sarebbe  sempre  il  solo  su  cui  questo 
soggetto  e  trattato  in  un  modo  squisitamente  artistico,  tanto  per 
la  forma  quanto  per  il  concetto.  II  concetto  inoltre  si  esplica  con 
chiarezza,  cosi  nel  complesso  come  ne'  tratti  particolari  della  scena, 
in  guisa  che  questa  mal  si  presterebbe  ad  essere  diversamente 
intesa,  quando  si  tenesse  il  dovuto  conto  d'ogni  mezzo  adoperato 
per  caratterizzarla. 


(!)  Mon.  dell'Inst.  Vm,  43;  Ann.  1867,  pag.  263  ss. 
(3)  Bull.  dell'Inst.  1872,  pag.  70. 

(3)  Stephani  Vas.  der  Kais.  Ermitage  n.  1685 ;  CR  1875  (vignetta  pag.  95), 
pag.  121.  La  vignetta  per  altro  non  riproduce  che  la  sola  figura  del  poeta. 


LA.    GARA   DI    TAMIRI    CON    LE    MUSE  253 

II  giudizioso  pittore  infatti,  ad  escludere  la  possibilitä  che  lo 
spettatore  non  ravvisasse  il  soggetto  ch'ei  volle  rappresentare,  e 
pensasse  invece  alla  vittoria  di  Tamiri  in  Delfo,  la  quäle,  come 
sufficientemente  dimostrano  i  dipinti  di  cui  si  e  discorso,  dovette 
anche  non  rare  volte  esser  presa  a  tema  delle  pitture  vasarie,  si 
valse  massimamente  di  due  mezzi.  Primieramente  introdusse  nella 
scena  il  gruppo  di  Afrodite  con  due  compagne  e  tre  amorini,  il 
quäle  quasi  la  caratterizza,  significando  il  movente  psicologico  di 
Tamiri  nella  gara  ed  in  pari  tempo  la  bellezza  delle  Muse,  ca- 
gione  di  quell' impulso ;  mentre  nella  rappresentazione  della  vittoria 
di  Delfo  il  gruppo  afrodisiaco  non  sarebbe  stato  da  considerare 
altrimenti,  che  come  un  ozioso  o  riempitivo  lusso  di  figure,  non 
racchiudente  in  se  la  espressione  diretta  o  indiretta  di  verun  con- 
concetto  collimante  a  quello  dell'azione  principale  (').  In  secondo 
luogo  il  diligente  pittore  non  trascurö  tra  i  ricami  che  adornano  il 
chitone  di  Tamiri  d'inserire  la  corona  di  alloro  che  il  poeta  avea  gua- 
dagnato  ne'  ludi  pizj,  ed  un  tal  mezzo  gli  servi  efficacemente  a 
dinotare  che  l'azione  presente  si  compie  in  un  tempo  posteriore  a 
quello  della  vittoria  di  Delfo  ed  in  circostanze  di  diversa  natura. 

ßuvo  di  Puglia,  novembre  1888. 

Giov.  Jatta. 


(*)  E  degno  di  ammirazione  il  ritrovato  artistico  di  segregare  il  gruppo 
afrodisiaco  dalla  scena  e  di  non  frammischiare  indifferentemente  Afrodite  e 
le  sue  compagne  agli  altri  personaggi.  Serabra  infatti  che  il  pittore  con  questo 
aggruppamento  isolato  venga  a  render  visibile,  non  meno  agli  occhi  che  allo 
spirito  dell'osservatore,  la  segreta  fönte  da  cui  Tamiri  attinge  la  sua  ispira- 
zione,  e  nel  tempo  stesso  determini  e  caratterizzi  evidentemente  l'azione  che 
si  e  proposto  di  rappresentare. 

Postilla  (cf.  p.  239  ann.).  Le  linee  quasi  invisibili  e  leggerissimamente 
graffite  rappresentano  piü  che  un  suolo  propriamente  detto,  dei  tralci  e  ce- 
spugli  di  edera  con  corimbi  dipinti  di  bianco.  II  pittore  ha  disegnato  con  un 
pungolo  sulla  creta  del  vaso  ancor  tenera  questi  tralci  e  da  ciö  e  dipeso  che 
se  ne  veda  l'impronta  superficialissima  e  coperta  dal  nero  del  fondo ;  ma  deve 
assolutamente  escludersi  l'intenzione  nel  pittore  di  fare  un  ornato  qualsiasi 
graffito. 


LE  ANTICHITA  DELLA  CITTA  DI  ROMA 
DESCRITTE  DA  NICOLAO  MUFFEL 


Nel  1452  Nicoiao  Muffel,  patrizio  norimberghese,  visito  Roma 
nella  scorta  dell'imperatore  Federigo  III,  per  la  cui  incoronazione 
(19  marzo)  egli  apportava  i  gioielli  dell'impero,  in  quei  tempi  de- 
positati  nella  libera  cittä  di  Norimberga  (*).  Egli  stesso  nella  sua 
succinta  autobiografia  ci  racconta  l'onorevole  accoglienza  della  quäle 
fu  degnato  dalla  parte  del  sommo  pontefice  Nicoiao  V  (**).  Es- 
sendo  egli  un  uomo  oltreraodo  divoto,  s'intende  che  volse  i  suoi 
interessi  di  preferenza  sulle  cose  sagre,  di  cui  reca  chiara  testi- 
monianza  il  rapporto  del  suo  viaggio  scritto  da  lui  stesso.  Questa 
«  descrizione  della  cittä  di  Roma  »,  serbata  nel  codice  germ.  n.  1279 
della  biblioteca  di  Monaco,  e  stata  pubblicata  nel  1876  da  W.  Vogt 
nel  volume  CXXVIII  della  Bibliothek  des  litterarischen  Vereins 
in  Stuttgart  (***):  pubblicazione  privata  e  poco  accessibile.  In- 
fatti  quel  volume  ha  trovato  poca  attenzione:  ne  trovo  fatta  men- 
zione  soltanto  dal  fu  barone  di  Reumont  ne\Y  Anzeiger  für  die  Kunde 
der  deutschen  Vorzeit  1877. p.  302,  dall'eruditissimo  sig.  Müntz  {Les 
arts  ä  la  cour  des  papes  I  p.  106.  109),  e  dal  Jordan  (Topogr.  I,  1 
p.  76  not.  1).  Epperö  il  rapporto  e  degno  di  interesse  tanto  a  cagione 
della  descrizione  molto  dettagliata  delle  sette  chiese  principali  (parte 
da  me  lasciata  da  banda),  qnanto  per  le  notizie  intorno  i  piü  rimar- 
chevoli  avanzi  di  antichitä,  composte  massimamente  alla  fine  dell'opu- 


(*)  V.  Hegel  nelle  Chroniken  der  deutschen  Städte  XI,  p.  737  e  segg. 
(**)  L.  c.  p.  748. 

(***)  Nikolaus  Muffels  Beschreibung  der  Stadt  Rom,  herausgegeben  von 
Wilhelm  Vogt.  Tübingen  1876. 


LE    ANTICHITÄ    DELLA    CITTÄ    Dl   ROMA   ECO.  255 

scolo.  L'autore  stesso  comincia  dal  dichiarare  che  egli  racconti  ■  in- 
tomo  alcuni  edifizi  antichi,  miracoli  e  storie  quello  che  con  ogni  dili- 
genza  abbia  esplorato  informandosi  presso  squisita  gente,  e  che  di  poi 
abbia  dimensurato  certi  pezzi  »,  senza  perö  voler  pretendere  di 
aver  veduto  ogni  cosa  degna  di  esser  veduta  (*).  Riguardo  alle 
antichitä  e  interessantissimo  il  confronto  del  trattato  del  patrizio 
oltremontano  con  quello  scritto  due  anni  prima,  ad  occasione  del 
giubileo,  dal  nobile  Fiorentino  Giovanni  Rucellai.  L'interesse  per 
le  chiese  e  per  le  indulgenze  accordate  nei  diversi  luoghi  sagri  e 
lo  stesso  in  ambedue  questi  rappresentanti  di  due  cittä  fiorenti, 
ma,  quanto  alle  antichitä,  il  Fiorentino,  quasi  totalmente  svinco- 
latosi  dalle  tradizioni  medievali,  si  mostra  attinto  del  nuovo  spi- 
rito  dell'epoca,  mirando  coll'occhio  educato  sotto  l'influenza  di  un 
grande  rinascimento  artistico  le  meraviglie  antiche  dell'eterna  cittä, 
laddove  il  senatore  di  Norimberga  e  forse  1' ultimo  semplice  rap- 
presentante  delle  tradizioni  «  mirabiliane  ■  (per  servirmi  d'una  fe- 
lice  espressione  proposta  dal  sommo  de  Rossi),  le  quali  evidente- 
mente,  fino  nelle  piü  sciocche  versioni,  erano  affatto  confacenti  alle 
di  lui  tendenze  prettamente  medievali.  Nientedimeno  anch'egli  non 
pote  restare  pienamente  intatto  da  influenze  occasionali  di  quelle 
dotte  ricerche  le  quali  appunto  in  quegli  anni  cominciavano  a  dis- 
sipare  le  nebbie  che  coprivano  gli  avanzi  dell'antichitä  e  ne  fa- 
cevano  rinascere  il  significato  originale.  E  vero  che  l'autore  stesso 
si  astiene  da  ogni  ricerca  indipendente,  ne  conobbe  la  Roma  in- 
staurata  di  Flavio  Biondo,  ma  mi  sembra  indubitabile  che  egli 
abbia  consultato  il  dialogo  del  Poggio  de  varietate  fortunae  scritto 
pochi  anni  prima  (subito  dopo  1'avvenimento  di  Nicoiao  V,  nel  1447), 
e  segnatamente  la  descrizione  delle  rovine  di  Roma  esposta  nel 
primo  libro.  Imperocche,  come  ognuno  se  ne  puö  convincere  pel 
confronto  agevolato  dalle  mie  annotazioni,  non  di  rado  le  parole 
del  Muffel  sono  di  perfetto,  anzi  quasi  letterale  accordo  colle 
espressioni  del  Poggio.  La  prova  piü  concludente  viene  oiferta  dal 


(*)  P.  5 :  Do  hernach  stet . . .  etlich  alt  gepew  mirackl  und  geschieht, 
die  ick . . .  mit  allem  vteis  von  trefflichen  leuten  ivesucht  (?)  erforst  und  darnach 
etlich  stuck  abgemessen  und  darnach  anschreiben  wye  hernach  stet  wyewol 
an  zweifei  gar  vil  sach  und  stet  noch  do  sind,  do  ich  nye  hin  kam,  davon 
ich  dan  nichts  hau  geschriben. 

17 


256  LE    ANTICHITA    DELLA    CITTA   DI   ROMA 

paragrafo  16,  nel  quäle  il  nostro  autore,  dopo  avere  sulla  scorta 
del  Poggio  parlato  dei  tre  archi  della  basilica  costantiniana,  ag- 
giunge  una  descrizione  di  quattro  archi  ed  una  colonna,  eviden- 
temente  fondata  sopra  autopsia,  senza  avvedersi  della  contraddizione. 

Lo  stilo  del  Muffel  e  rozzo  a  tal  segno  che  talvolta  diffi- 
cilmente  si  presta  ad  un  intendimento  preciso.  La  versione  da  me 
aggiunta,  per  quanto  era  possibile  letterale,  se  ne  risentirä.  Arroge 
che  il  solo  manoscritto  conservatoci  non  e  lo  scritto  originale  del 
Muffel  ma  dall'Hegel  (1.  cit.  p.  739)  viene  qualificato  da  ■  copia 
originale  ■  ( Originalreinschrift),  probabilmente  fatta  per  la  fa- 
miglia  Muffel ;  e  sebbene  egli  sia  scritto  «  nitidissimamente,  senza 
chiose  o  correzioni  ■  (Vogt  p.  4) ,  pure  qua  e  lä  il  copista  pare 
abbia  sbagliato  ovvero  fatto  una  confusione  (v.  le  note  4.6. 17. 46. 49). 
Le  annotazioni  del  primo  editore,  scritte  senza  autopsia  dell'eterna 
cittä,  e  quasi  esclusivamente  cavate  dai  libri  del  Jordan  e  del  Grego- 
rovius,  sono  di  poco  conto ;  le  notole  del  Reumont  danno  soltanto 
i  risultati  piü  ovvii  d'una  rivista  passeggiera.  Nelle  mie  annota- 
zioni, fuori  delle  Mirdbilia,  del  dialngo  del  Poggio  e  della  rela- 
zione  di  Giov.  Rucellai  intorno  il  giubileo  del  1450  (Archivio  d. 
soc.  romana  di  storia  patria  IV,  1881,  p.  563  segg.),  ho  avuto 
riguardo  speciale  alle  antiche  piante  di  Roma  edite  dal  de  Rossi, 
ed  ai  libri  deirAlbertini  (1515),  del  Fulvio  (1527),  e  del  Mar- 
liani  (1534  e  1544),  come  quei  piü  prossimi  all'epoca  del  Muffel; 
non  ignorando  peraltro  che  le  note  e  le  parificazioni  potranno  sen- 
z'altro  facilmente  essere  supplite  o  corrette  in  diversi  punti  da  chi 
dello  stato  medievale  delle  antichitä  di  Roma  ha  fatto  l'oggetto  di 
studi  speciali. 

Strassburg. 

A.  Michaelis. 


DESCRITTE    DA    NICOLAO   MUFFEL 


257 


P.  14  . . .  unten  auf  der  er- 
den (!)  do  stet  gar  ein  gross  eren 
ross  und  ein  paiur  darauf  gar 
meysterlichen  gössen  von  aller 
glidmass,  ist  hol  innen  und  ver- 
gult  gewest:  hat  man  denselben 
pawren  zu  eren  gemacht,  hat 
geheyssen  Septimosephero .  der 
Born  behalten  und  den  konig, 
der  davor  lag,  erschlagen  gen 
Rom  pr 'acht  hat  (2);  und  nit  fern 
davon  do  stet  ein  gross  ern  haupt 
von  einem  aptgot,das  ist  grosser 
dan  ein  saltzscheib  und  dopey 
die  hant  desselben  aptgotz,  hat 
ein  maiestat  apfel  in  yr  begriffen, 
gar  icercklich  gemacht  (3).  — 

P.  19  Item  darnach  stet  in 
der  mit  vor  dem  münster  ein 
erer  knöpf,  geformt  als  ein 
tantzepff,  ist  wol  V  klafter  weyt 
und  ist  mit  künsten  von  den 
posen  geisten   von    Troye  gen 


1.  [Vicino  a  S.  Giovanni  in 
Laterano]  giü  sul  suolo  (l)  stä 
un  grandissimo  cavallo  di  bronzo 
montato  da  un  villano,  fuso  mae- 
strevolmente  di  tutti  i  suoi  mem- 
bri ;  e  vuoto  di  dentro,  ed  e  stato 
dorato.  Egli  fu  fatto  in  onore  di 
quel  villano,  chiamato  Septimo- 
severo,  il  quäle  salvö  Koma  ed, 
ucciso  il  re  che  l'assediava,  lo 
portö  a  Koma  (2).  Non  molto  lon- 
tano  havvi  una  gran  testa  di 
bronzo,  d'un  idolo,  piü  grande 
di  im  lastrone  di  sale,  e  vicino  la 
mano  dello  stesso  idolo  tenente 
un  globo  imperiale,  fatta  molto 
artificiosamente  (3).  — 

2.  Item  appresso  nel  mezzo 
della  facciata  della  cattedrale 
[di  S.  Pietro]  vi  stä  un  pomo  di 
bronzo,  foggiato  come  una  pigna, 
largo  ben  5  tese;  e  con  artifizi 
fu  portato  dai  demonj  da  Troia  a 


(1)  Flara.  Vacca  Notizie  n°.  18:  «  stando  in  terra  molt'anni  »  ecc.  Fulvius 
Antiq.  (1527)  f.  79:  quae  statua  cum  non  satis  digno  loco  constituta  esset, 
a  Sixto  IUI  base  marmorea  honestatur  (negli  anni  1473  e  1474,  cf.  Müntz 
les  arts  III,  1  p.  176.  Stevenson  Bull,  comun.  1888  p.  280  nota  1).  Le  an- 
tiche  piante  di  Roma  per5,  pubblicate  dal  eh.  de  Rossi,  sogliono  mostrare  il 
caballus  Constantini  sopra  bassa  base,  e  Giov.  Rucellai  p.  571  dice :  «  in  sulla 
piazza  della  detta  chiesa  rilevato  da  terra  braccia  quattro  vel  circa  uno  huomo 
armato  a  cavallo  r>  ecc. 

(2)  Mirabilia  c.  17  ed.  Jordan  (15  ed.  Urlichs). 

(3)  Cf.  la  redazione  piü  recente  delle  Mirabilia  presso  Jordan  Topogr.  II 
p.  638  (Urlichs  cod.  topogr.  p.  136).  Rucellai  p.  572:  «Item  in  sulla  piaza 
in  sur  un  pezo  di  colonna  una  testa  di  giogante  di  bronzo  e  uno  braccio  con 
una  palla  di  bronzo  ».  Cf.  Stevenson  Ann.  1877  p.  381.  De  Rossi  Piante  p.  85. 
Nel  1471  questi  bronzi  furono  trasportati  da  Sisto  IV  nel  Museo  capitolino, 
ove  sono  mentovati  giä  dal  «  Prospettivo  Milanese  »  st.  65  e  66  e  dall'Al- 
bertini  Opusc.  f.  61. 


258 


LE    ANTICHITA  DELLA  CITTA  DI   ROMA 


Constanlinopel  und  von  Con- 
stanlinopel gen  Rom  auf  Maria 
rotunda  auf  VI  merblein  seu- 
len  (4),  das  die  zeit  ein  teufel 
[tempelf]  aller  abtgotter  und  da- 
rinnen Diana  die  obirst  ablgottin, 
die  was  gesetzt  worden  auf  das 
loch,  das  in  dieselben  kirehen 
get,  und  ist  darnach  aber  durch 
gebot  eins  heiligen  pabsts  den 
posen  g eisten  gescheen  an  die  stat 
gefurt  und  auf  die  VI  merblein 
seul  gesetzt  worden  und  ist  sunst 
mancherlei/  zir  darumb  gesetzt 
von  eren  pfaben  und  tyeren  da- 
rein gössen  gar  kostlichen.  — 

P.  28 . . .  sand  Peter  ward 
wyder  in  kerker  gefürt  und 
on  einem  andern  tag  gekreutzigt 
auf  einem  perg  zwischen  den 
zweyen  nodellen  (5),  dye  do  sten 
eine  in  der  maur,  do  sand  Paulus 
thor  hinauf  get  (6)  und  Rumulus 
und  Remus  auf  begraben  ligen 


Costantinopoli,  e  da  Costantino- 
poli  a  Roma  sopra  Maria  rotonda 
su  sei  colonne  di  marmo  (^),  che 
era  allora  un  diavolo  [tempio?] 
di  tutti  gli  idoli,  e  fra  essi  di 
Diana  quäl  capo  degli  idoli,  che 
era  posta  sul  buco  che  si  apre 
nella  chiesa ;  e  dopo,  per  ordine 
d'un  santo  papa  fatto  ai  demonj, 
[il  pomo]  fu  per  la  seconda  volta 
condotto  su  quel  posto  e  messo 
sulle  sei  colonne  di  marmo,  e 
tutto  intornovi  sono  posti  varj 
altri  ornamenti,  di  pavoni  di 
bronzo  e  di  animali  fusivi  molto 
eccellentemente.  — 

3. . . .  San  Pietro  fu  ricon- 
dotto  nel  carcere  e  crocifisso  un 
altro  giorno  sopra  un  monte  si- 
tuato  fra  le  due  guglie  (5)  che 
stanno  l'una  nel  muro  ove  sale  (?) 
la  porta  di  San  Paolo  (6),  sopra 
la  quäle  Romolo  e  Remo  sono 
sepolti  per  impedire  che  alcun 


(4)  Cf.  Mirab.  c.  20,  2  (19).  Le  sei  colonne  sono  quelle  che  portavano 
il  tetto  di  bronzo,  ornato  di  pavoni  e  delfini,  che  copriva  la  pigna  (cf.  Ru- 
cellai  p.  567;  v.  il  disegno  pr.  Andr.  d.  Vaccaria  Ornamenti  di  fabriche,  1600, 
tav.  18).  II  «  santo  papa »  sarä  Innocenzo,  cf.  l'anonimo  Magliabecchiano 
p.  162  Url.  (Jordan  II  p.  628  annot).  Cf.  ann.  16.  —  Intorno  ai  «  demonj  » 
cf.  Fulvio  f.  94:  Ne  credant  sobrii  anicularum  fabellam  quae  vulgo  circum- 
fertur  de  hoc  tempio,  quod  a  Cacodaemone  fuerit  conditum  ecc.  —  Potrebbe 
darsi,  come  m'avverte  il  dott.  Hülsen,  che  le  parole  auf  VI  merblein  seulen 
non  fossero  che  una  dittografia  delle  simili  parole  che  ricorrono  piü  giü. 

(5)  E  la  tradizione  medievale  che  San  Pietro  sia  stato  crocifisso  intet 
duas  metas.  Infatti  San  Pietro  in  Montorio  e  situato  esattamente  nel  bei  mezzo 
fra  le  due  localitä  indicate. 

(6)  E  noto  che  la  piramide  di  Cestio  nel  medio  evo  fu  chiamato  sepolcro 
di  Remo,  tradizione  seguita  ancora  dal  «  Prospettivo  Milanese  »  st.  72.  La 
ridicola  cagione  addotta  dal  nostro  autore  per  spiegare  la  forma  insolita  del 


DESCRITTE    DA    NICOLAO    MUFFEL 


259 


in  der  maynung,  das  kein  hunt 
auf  yr  grab  kummen  (P.  29) 
soll  (*) ;  aber  etlich  mein,,  Gajus 
Zesar  lig  darauf,  als  die  puch- 
staben  im  stein  gehauen  bedeut- 
ten,  die  mit  gras  verwachsen 
sind  (7) ;  und  zwischen  der  an- 
dern nodelen,  die  do  steht  zwi- 
schen der  Tyber  prucken  und 
sand  Peter  (8),  do  der  keyser 
innen  lag  (9),  der  sy  von  des 
doners  wegen  gemacht  het  und 


cane  metta  i  piedi  sul  loro  se- 
polcro  (*)  (alcuni  perö  credono 
Gaio  Cesare  esservi  sepolto,  corue 
indicano  le  lettere  scolpite  nella 
pietra  che  sono  coperte  di  er- 
ba)  ("),  e  fra  l'altra  guglia  che 
sta  fra  San  Pietro  ed  il  ponte 
del  Tevere  (8)  nel  quäle  giacque 
l'imperatore  (9)  che  l'avea  fatto 
fare  a  cagione  delle  tempeste, 
e,  benche  vi  giacesse,  pure  fu 
percosso  col  fulmine ;  laonde  an- 


(*)  P.  49:   und  ist  wol  dreyer  (*)  ed   ha  l'altezza  di  tre  piani 

gaden  hoch  von  stein  als  ein  perck      incirca,  essendo  murata  di  pietre  a 
gemaurt.  guisa  d'una  montagna. 


monumento  mi  riesce  nuova;  del  resto  anche  riguardo  la  meto,  Romuli  (an- 
not.  8)  prevalse  l'opinione  che  Romolo  fosse  sepolto  in  cima  di  esso,  v.  Ru- 
cellai  p.  572 :  «  Item  la  meta  di  Eomolo  ...  in  su  che  si  dice  essere  le  ce- 
nere  dell'ossa  del  detto  Romulo  ».  Cf.  la  nota  22.  —  Invece  di  hinauf  sarä 
meglio  di  scrivere  col  dott.  Hülsen  hinaus  («esce»). 

(7)  Confusione  di  Gaio  Cestio  con  Gaio  Cesare.  Poggio:  miror  integro 
adhuc  epigrammate  doctissimum  virum  Fr.  Petrarcam  in  quadarn  epistola 
sua  scribere  id  esse  sepulchrum  Remi;  credo  secutum  vulgi  opinionem  non 
magni  fecisse  epigramma  perquirere  fruticetis  contectum.  Anche  Fulvio  f.  72 
parla  di  aliae  litterae  versus  testaceum  montem,  quae  propter  frutices  et 
putrem  situm  legi  nequeunt.  Cf.  C.  I.  L.  VI,  1374. 

(8)  La  cosidetta  meta  Romuli  o  sia  sepolcro  di  Scipione,  fra  la  chiesa 
di  S.  Pietro  ed  il  Castello  S.  Angelo,  piramide  tolta  da  Alessandro  VI,  la 
cui  immagine  si  vede  nelle  antiche  piante  di  Roma.  Cf.  Mirab.  20,  3.  Ru- 
cellai  p.  572.  «  Prospettivo  Milanese  »  st.  53.  Albertini  f.  68.  Fulvio  f.  72. 
Jordan  Topogr.  II  p.  405. 

(9)  Confusione  colla  guglia  di  San  Pietro  che  fu  chiamata  sepulcrum 
Iulii  Caesaris  ''Jordan  II  p.  182.  Mirab.  20, 1),  ovvero  col  sepolcro  di  Adriano  ? 
Mi  riesce  nuovo  tanto  il  noine  del  ponte  quanto  la  tradizione  veramente  mi- 
rabiliana  connessa  con  esso,  la  quäle  pare  sia  originata  da  un  qualsiasi 
foro  praticato  nel  ponte.  Oppure  potrebbe  pensarsi  agli  avanzi  del  pons  trium- 
phalis  (tonerpruck  ?)  il  cui  stato  ruinoso  poteva  porgere  occasione  ad  una 
tale  leggenda. 


260 


LE    ANTICHITA    DELLA    CITTA    DI    ROMA 


darijn  lag  doch  von  weter  er- 
schlagen ward,  die  heizt  noch 
die  doner  pruck  (*).  — 

P.  42  . . .  sand  Peter  ad 
vincula,  do  ligt  gar  ein  grosser 
gegosner  steiner  trog  und  ein 
aptgot  dapey  (**)■  (10).  — 

P.  42  . . .  sancta  Sabina . . . 
do  unten  herab  ist  gewest  ein 
kostlich  pallacium  Antonini,  do 
man  isund  kostlich  merbelstein 
ausgrebt  (n).  — 

P.  44  . . .  Item  am  herein- 
reitten  (12),  do   ist  die  kirch, 

(*)  P.  49 :  Die  ander  nodel  stet 
pey  der  Tyber  prucken,  die  toner 
prucken  genannt,  die  ein  keyser  für 
das  wetter  machen  Hess,  dem  geweis- 
sagt was,  das  er  von  weter  erschla- 
gen solt  werden,  und  die  hat  ein  loch 
oder  spelunck ;  do  ging  er  eins  tags, 
do  es  ser  heytter  und  schon  am  hy- 
mel  was,  unter  das  loch;  von  stund 
an  erschlug  in  das  weter. 

(**)  P.  50  . . .  und  stet  ein  gro- 
sser kostenlicher  trock  vor  der  kirchen 
von  merbelstein  gehawen  und  gen 
dareyn  pey   Villi  fuder  wassers. 


cora   vien   chiamato   ponte    del 
fulmine  (*). — 

4. . . .  San  Pietro  ad  vin- 
cula :  vi  stä  un  grandissimo  lab- 
bro  fuso  di  pietra,  ed  accanto 
un  simulacro  (**).  (I0).  — 

5. . . .  AI  dissotto  di  Santa 
Sabina  e  stato  un  magnifico 
palazzo  di  Antonino,  ove  adesso 
tti  scavano  marmi  preziosi  (n).  — 

6. . . .  Item  entrando  a  ca- 
vallo  (l2),   vi   e   la   chiesa  ove 

(*)  L' altra  guglia  sta  presso  il 
ponte  del  Tevere  chiamato  il  ponte 
del  fulmine,  il  quäle  un  imperatore 
fece  costruire  contro  le  tempeste,  es- 
sendogli  stato  predetto  che  sarä  per- 
cosso  col  fulmine;  ed  ha  un  foro  o 
sia  spelunca.  Un  giorno  che  il  cielo 
era  molto  chiaro  e  sereno,  egli  entrö 
in  quel  foro,  e  subito  lo  percosse  il 
fulmine. 

(**) . . .  dinnanzi  alla  chiesa  vi  sta 
unlabbro  grande  e  suntuoso,scolpito  di 
marmo,  in  cui  entrano  circa  nove  mi- 
sure  («  carrate  »)  di  acqua. 


(10)  Eucellai  p.  574:  «  La  chiesa  di  sancto  Piero  in  Vincola,  dove  e  di 
fuori  allato  alla  porta  della  chiesa  nno  vaso  di  granito  di  lungheza  di 
braccia  10  et  largho  braccia  quattro  il  vano  et  alto  braccia  quattro,  con  una 
figura  allato  di  porfido  sanza  testo  ».  II  labbro  ricorre  presso  Pulvio  f.  99, 
della  statua  non  trovo  altra  menzione. 

(n)  Sembra  parlare  della  Marmorata,  ove  tanto  nella  pianta  rediana 
(de  Rossi  Piante  tav.  4)  quanto  in  quella  del  Bufalini  sono  indicati  consi- 
derevoli  avanzi.  Cf.  Biondo  Roma  instaur.  I,  20  ubi  nunc  vetustissimos  arcus 
marmoreos  ut  in  calcem  decoquer entur  dolentes  vidimus  a  fundamentis  excidi. 
Fulvio  f.  84. 

(12)  Questo  passo  si  spiega  dalla  p.  17,  ove  l'autore  fa  menzione 
della    «  via  santa  »    {der  heilig  weg,  via  sancta,   cf.  Jordan  II  p.  352),  ov- 


DESCR1TTE    DA   NICOLAO    MUFFEL 


261 


do  sand  Cosmas  und  Damianus 
ligen  und  ist  mit  kupfren  ereyn 
treuen  gemacht,  do  ist  ein  pa- 
last  gewest  des  keysers,  do  sieht 
man  noch  ein  alte  maurJ  das 
ist  an  dem  tempel  gewest  Ru- 
moli  (13),  darnach  ist  der  tempel 
Antonini  gestanden  des  Heusers 
und  Faustina  und  die  seulen 
des  tempels  sten  noch  eins  teyls 
do  (N)  und  ein  schwipogen  stet 
dopeys.  Lorentzn,heist  Tripolis, 
do  man  die  drei  stet  gewanJ  do 
wurd  er  gemacht,  do  sind  vil 
schöner  merbelpild  (15).  — 

P.  46.  Item  Maria  rotunda, 
die  kirch  ist  simbel  und  ganz 
unversert  als  die  heiden  gepaut 
haben  und  hat  XVI  eck  und 
ein  loch  oben  hinein  und  ist  als 


giaciono  santi  Cosma  e  Damiano, 
fatta  con  travi  di  rame  [e]  bron- 
zo :  vi  e  stato  un  palazzo  deli'im- 
peratore ;  ancora  vi  si  vede  un'an- 
tica  muraglia  che  ha  fatto  parte 
del  tempio  di  Romolo  (13).  Piü 
avanti  vi  e  stato  il  tempio  di 
Antonino  imperatore  e  di  Fau- 
stina, e  delle  colonne  del  tempio 
si  e  conservata  una  parte  (N).  Ed 
havvi  un  arco  presso  San  Lo- 
renzo,  chiamato  Tripolis,  perche 
fu  eretto  quando  le  tre  cittä  fu- 
rono  conquistate;  vi  sono  motte 
belle  figure  di  marmo  (15).  — 

7.  Item  la  chiesa  di  Maria 
rotonda  e  tonda  e  pienamente 
intatta  quäle  l'hanno  eretta  i  pa- 
gani ;  ed  ha  sedici  nicchie  ed  un 
bueo  di  sopra,  e  quasi  posa  sopra 


vero  «  via  de1  somari  »  (der  eselweg,  «  perche  nei  tri onfi  vi  si  conducevano 
ogni  sorte  di  somari  muli  ed  altre  bestie  »),  ovvero  «  via  della  vittoria  » 
(weg  des  sigs);  «  e  eiaseun  imperatore,  quando  ha  riportato  una  vittoria  op- 
pure  e  stato  coronato,  deve  cavalcar  per  questa  strada,  siecome  fece  anche 
l'imperatore  Pederigo  ».  La  via  saneta  conduceva  dal  Laterano  al  Coliseo,  e 
di  lä  passava  pel  foro  (Urlichs  cod.  topogr.  p.  79). 

(i3j  Poggio:  Romuli  templum,  cuius  pars  muri  vetustissima  quadrato 
lapide  nunc  quoque  mirandam  speciem  sui  praebet,  hodie  Cosmae  et  Damiano 
martyribus  consecratum. 

(u)  Poggio :  . . .  cuius  porticus  plurimae  marmoreae  columnae  ruinam 
effugerunt. 

(15)  Poggio:  .  . .  eum  (arcum)  qui  est prope  Laurentium  in  Lucina,  ubi 
plura  signa  marmorea  insunt,  vulgo  ob  victoriam  trium  civitatum,  prout 
antiquum  epigramma  seniores  se  legisse  referebant,  Triopolim  hodie  quoque 
arcum  appellant.  La  stessa  interpretazione  del  nome  ricorre  presso  Fulvio 
f.  49  e  presso  Marliani  (1534)  f.  143.  Lo  strano  posto  dal  nostro  autore  as- 
segnato  all'arco  di  Portogallo  forse  si  spiega  da  una  confusione  delle  sue  no- 
tizie  spettanti  a  S.  Lorenzo  in  Lucina  cd  a  S.  Lorenzo  in  Miranda,  cioe  il 
tempio  di  Faustina;  cf.  la  nota  33. 


262 


LE    ANTICHITÄ    DELLA    CITTÄ    DI    ROMA 


auf  Beulen,  und  hat  darzu  vor 
der  thur  kostlicher  (P.  47)  seul 
XVI  gar  gross  mit  küpffren 
palken  und  zwu  thur  von  erein, 
ist  gar  fast  von  gold  als  man 
maint  wol  halb  gold  und  haben 
wol  vierhundert  Zentner  und  auf 
den  XVI  seulen  sind  eren  trem, 
auch  mit  gold  vermuscht  als 
man  meint,  und  in  ydem  eck 
ist  ein  apgot  gestanden,  das  ist 
von  allen  landen  und  zumittelst 
auf  dem  loch  ist  Pantheon  der 
aptgot  des  mers  und  die  apt- 
göttin  Diana,  die  ein  aptgöttin 
des  gaydes  gewest  ist,  gestanden, 
das  ein  teufflin  aller  abtgolter 
gewest  ist  (16),  und  ivelchs  lant 
sich  wyder  die  Romer  setzen  hat 
wollen,  so  hat  sich  desselben 
landts  abtgot  von  derselben  abt- 
gottin  gekert  und  der  oberst 
teufet  gewest  aller  abtgötter  (17) 
und  mit  plei  gedeckt;  und  das 
ern   oder   küpffern   dinck   als 


colonne,  e  di  piü  dinnanzi  alla 
porta  ha  sedici  colonne  magni- 
fiche  e  grandissime,  con  travi  di 
rame  e  con  due  porte  (battenti) 
di  bronzo:  sono  quasi  tutte  di 
oro,  come  si  crede,  circa  la  metä 
d'oro,  e  pesano  circa  400  quin- 
tali;  e  sulle  sedici  colonne  vi 
sono  travi  di  bronzo,  anch'esso 
mescolato  di  oro  come  si  crede. 
Ed  in  ciascuna  nicchia  vi  e  stato 
un  idolo,  cioe  uno  di  ogni  paese, 
e  nel  mezzo  sul  buco  vi  sono  stati 
Pantheon,  dio  del  mare,  e  la  dea 
Diana,  dea  della  caccia,  che  e 
stata  uno  diavolessa  di  tutti  i 
dei  (I6);  e  quando  un  paese  volle 
opporsi  ai  Romani,  l'idolo  di 
questo  paese  si  e  stornato  da 
quella  dea,  ed  e  stato  il  sommo 
diavolo  di  tutti  gli  idoli  (17).  Ed 
e  coperta  [la  chiesa]  di  piom- 
bo;  e  quell'oggetto  di  rame  o 
bronzo  a  guisa  di  pigna  che  sta 
dinnanzi  a  San  Pietro^  si  trovö 


(16)  Mirab.  c.  16:  (Agrippa)  fecit  hoc  templum  et  dedicari  fecit  ad 
honorem  Cibelis  matris  deorum  et  Neptuni  dei  marini  et  omnium  demoniorum 
et  posuit  hoc  templo  nomen  Pantheon .  ad  honorem  cuius  Cibeles  fecit  sta- 
tuam  deauratam,  quam  posuit  in  fastigio  templi  super  foramen  et  copruit 
eam  mirifico  tegimine  ereo  deaurato.  Cf.  annot.  4. 

(n)  Altra  Variante  della  storia  narrata  nelle  Mirab.  c.  18  (16):  unius 
cuiusque  regni  totius  orbis  erat  statua  in  Capiwlio  cum  tintinnabulo  ad 
collum  .  statim  ut  eonabat  tintinnabulum,  cognoscebant  illud  regnum  esse 
rebelle,  ecc.  Le  parole  und  der  oberst  —  abtgötter •  appartengono  piüttosto  piü 
sopra  al  Pantheon  der  aptgot  des  mers.  Forse  quelle  parole  erano  nna  nota 
marginale  del  manoscritto  originale,  inserendo  la  quäle  in  falso  luogo  il  copista 
trasandö  la  menzione  della  chiesa  o  sia  cupola  che  si  dice  coperta  di  piombo. 


DESCRITTE  DA    NICOLAO    MUFFEL 


263 


tanzepfen  so  vor  sand  Peter  stet, 
das  ist  auf  dem  loch  gestan- 
den (18)  und  der  abtgöttin  ligt 
noch  ein  stuck  vor  der  thur  (19), 
ist  ein  fraw  g 210 est  Diana  ge- 
heissen  und  ob  dem  eingang 
gestanden,  stet  nu  ein  creutz . . . 
P.  48.  Item  hinter  dersel- 
ben kirchen  do  sind  die  heid- 
nischen briester  gewessen,  do 
sind  vier  gross  seul,  die  hat 
eine  LXI  span  lanck  und  Villi 
span  preilj  die  der  babst  Ni- 
colaus von  dannen  zu  sand  Peter 
füren  Hess  und  gab  XVI  hun- 
dert dukaten  davon  zu  füren, 
die  er  in  sand  Peters  kor  setzen 
Hess,  do  ich  do  wass  (20).  — 


al  dissopra  del  buco  (18).  Un  fram- 
inento  della  dea  giace  dinnanzi 
alla  porta  (19) ;  e  stata  una  fem- 
mina,  chiamata  Diana,  e  posta 
aldissopra  della  porta,  ove  adesso 
stä  una  croce . . . 

8.  Item  dietro  la  medesima 
chiesa  sono  stati  i  preti  pagani ; 
ivi  sono  quattro  grandi  colonne, 
ciascuna  delle  quali  e  lunga  61 
palmi  e  larga  nove  palmi,  che 
furono  fatte  trasportare  dal  papa 
Nicoiao  a  san  Pietro,  il  trasporto 
costando  1600  ducati,  e  furono 
poste  nel  coro  di  san  Pietro  al- 
lorquando  io  vi  stetti  (20).  — 


(18)  Cf.  paragr.  2. 

(19)  Non  ne  trovo  menzione  altrove.  [La  testa  dell'idolo  si  trova  men- 
zionata  da  G.  Fabricio,  Roma  p.  95  ed.  1567 :  cuius  deae  (Cybeles)  caput 
antiqui  operis  et  ruri  cum  duobus  piscibus  muro  templi  inclusum  adhuc 
cernitur  e  dal  Fanucci,  opere  pie  di  Roma  (1601)  c.  36 :  '  non  e  gran  tempo 
che  la  testa  di  detta  statua  era  in  appresso  alla  cappella  maggiore  gettata 
per  terra,  et  mi  ricordo  quando  era  giovinetto  di  haverla  vista  '.  Cf.  Lanciani 
not.  degli  scavi  1881  p.  267.  Ch.  H.]. 

(20)  Paria  degli  avanzi  delle  Terme  di  Agrippa  nella  via  della  Palom- 
bella.  Fulvio  f.  94 :  eius  templi  (boni  Eventus)  quadrata  atque  oblonga  adhuc 
integra  forma  inter  ruinas  occurrit,  magistris  viarum  excitantibus  novam 
illic  viam  a  platea  nunc  S.  Eustachii  usque  in  plateam  Minervae  peragen- 
dam  inter  proximum  Pantheon  et  amplissimas  quas  nunc  a  fundamentis 
excitat  aedes  et  palatium  magnificus  vir  ac  praedives  D.  Marius  Peruschus, 
fisci  procurator  (Accademia  ecclesiastica  ?)  . . .  Apparent  adhuc  illic  laquea- 
rium  signa  quos  stucchos  vocant,  sicut  in  Pantheo,  et  hyperstylia  columna- 
rum,  quae  iussu  nuper  Nicolai  V  in  Vaticanum  delatae  sunt.  (La  pianta  del 
Bufalini  indica  il  posto  delle  quattro  colonne.)  Un  estratto  dai  conti  della 
camera  per  l'anno  1452  presso  Müntz  Les  arts  I  p.  108  porta :  «  M°  Aristo- 
tile  di  Fioravante  da  Bologna  de  dare  duc.  125  d.  c.  cont.  allui  fino  adi  27 
d'Aprile  per  tanti  n'ebi  da  N.  S....  sono  per  parte  di  d(enari)  debe  avere  per 
condurre  la  cholonna  da  la  Minerva  a  palazo  » ;    una    seconda  colonna  viene 


264 


LE    ANTICHITA    DELLA    CITTA    DI    ROMA 


P.  51.  Item  zu  unser  frawen 
Minerfa . . .  des  alten  tempels 
stet  nur  noch  ein  stuck  (2l).  — 

P.  52.  ...  vor  derselben 
/drehen  [ara  cell]  pey  dem  Ca- 
pitolium,  do  stet  ein  nodel  da- 
rauf ist  ein  gulder  knöpf,,  do 
liegt  Octavianus  in  begraben..^22). 

.  .  .  und  es  sind  in  dem 
Capilolio  in  die  zurstortten  maur 
zwif eltig  pogen  in  das  neu  gepey 
gemacht,  izunt  leckt  man  das 
gemein  saltz  hin  und  in  den 
geschriben  ist  mit  sehr  gar  alten 
puchstaben  und  die  das  saltz 
nahet  aussgessen  hat;  noch  ein 
grab  darein  Gaius  Publius  und 
sein  erben  darein  gelegt  werden, 
das  do  dy  rattherrn   und   das 


9.  Item  alla  nostra  Signora 
Minerva  . . .  dell'antico  tempio 
non  si  e  conservato  che  un  avan- 

zo  (21).  — 

10. . . .  Dinnanzi  a  questa 
chiesa  [ara  celi]  al  Campidoglio 
stassi  una  guglia  con  di  sopra 
una  palla  dorata,  nella  quäle  e 
sepolto  Ottaviano  . . .  (22). 

11.  ...  E  nel  Campidoglio 
nelle  mura  distrutte  vi  sono  arcate 
doppie  incastrate  nel  nuovo  edi- 
fizio  (ora  vi  si  depone  il  sale  del 
comune),  in  cui  havvi  una  iscri- 
zione  con  lettere  oltremodo  an- 
tiche  e  quasi  consumate  dal  sale. 
Ancora  vi  e  una  tomba  nella 
quäle  si  sepeliscono  Gaio  Publio 
ed  i  suoi  eredi,  i'atta  in  quei  tempi 
dai  senatori  e  dal  popolo  in  con- 


mentovata  1451,  23  dec,  e  le  due  altre  1452,  17  giugno.    Le    colonne  dove- 
vano  servire  per  la  tribuna  di  S.  Pietro  che  il  papa  allora  stava  rinnovando. 

(21)  [Cf.  Lanciani  not.  degli  seavi  1882  p.  348  Ch.  H.].  Poggio:  Aedis 
Minervae  portio  conspicitur  ubi  nunc  est  domus  praedicatorum,  unde  et 
loco  Minervae  est  inditum  nomen.  Iucsta  eam  porticus  ingens  ruderibus  op- 
pressa . . .  Una  descrizione  piü  dettagliata  si  trova  presso  Fulvio  f.  93. 

(22)  Vedi  il  disegno  di  Martine-  Heemskerk  pubblicato  dal  ch.  Hülsen 
nel  Bull,  comun.  1888,  tav.  9,  colle  di  lui  spiegazioni  a  p.  157.  Oltre  dal 
Poggio,  l'ohelisco  si  mentova  anche  daU'Anonimo  Magliabecchiano  p.  159  Url., 
dal  Fulvio  f.  71  (in  Capitolio  in  hortis  arae  coeli)  e  dal  Marliani  (1544) 
p.  27 ;  il  suo  trasporto  dall'  «  orto  de'  frati  d'Araceli  «  alla  villa  Mattei  viene 
mentovato  sotto  il  rame  pubblicatone  negli  «  Ornamenti  di  fabriche  »  ecc.  di 
Andrea  della  Vaccaria  (1600).  —  L'opinione  che  Ottaviano  sia  sepolto  nella 
palla  dorata,  ricorre  riguardo  al  sepulcrum  Caesaris,  cioe  la  guglia  di  S.  Pietro, 
cf.  Mirab.  c.  20,  1  (18):  superius  vero  ad  malum  ubi  requiescit;  ed  in  un'altra 
versione  (Jordan  p.  629  annot.):  in  agulia  S.  Petri  una  cum  eo  voluit  reponi 
eadem  palla  superius,  et  ibi  ambo  iacent.  Rucellai  p.  572.  «  Prospettivo  Mi- 
lanese  »  st.  49 :  «  e  v'una  pall'  in  eima  e  cesar  dentro,  Che  vi  fu  posto  finito 
lui  so  guerra  ».  Gamucci  Antich.  di  Roma,  1565,  p.  195. 


DESCRITTE    DA 

volk  schuffen  von  ir  ere  und 
lügend  wegen  (23). 

Item  hinter  dem  Capitolium 
gegen  den  marck  ist  noch  ein 
schöner  ganck  des  tempels  Con- 
cor dia  ein  gottin  des  frids  (24). 

P.  53.  Item  dagegen  ist 
gewesen  templum  telluris,  das 
ist  der  got  des  er t Iridis,  des 
man  nichts  sieht,  nu  heist  mans 
zu  sand  Salvator  in  tellumine 
und  für  tellure  sprechen  sy 
tellumine  (25). 

Item  mer  stet  ein  edel 
gepeu  noch  eins  tempels  Mer- 
curio  ein  got  der  redung  oder 
potschaft,   den  man  nun  sand 


NICOLAO   MUFFEL  265 

siderazione   dell'  onore    e   della 
virtü  loro  (23). 

12.  Item  dietro  il  Campi- 
doglio  verso  il  foro  vi  e  ancora 
un  bei  portico  del  tempio  di 
Concordia  dea  della  pace  (24). 

13.  Item  dirimpetto  e  stato 
templum  Telluris,  cioe  del  dio 
della  terra,  di  cui  non  si  vede 
niente;  ora  viene  chiamato  di 
San  Salvatore  in  tellumine,  per- 
che  invece  di  tellure  dicono  tel- 
lumine (25). 

14.  Item  havvi  ancora  un  no- 
bile editizio  di  un  tempio  di  Mer- 
curio,  dio  della  parola  ovvero  del 
messaggio,  il  quäle  adesso  e  dedi- 


(23)  poggio:  Extant  in  Capitolio  fornices  duplici  ordine  novis  inserti 
aedifieiis,  publici  nunc  salis  reeeptaculum,  in  quibus  sculptum  est  litteris 
vetustissimis  atque  adeo  humore  salis  exesis  Q.  Lutatium  ecc.  (C  I  L.  I, 
592  ■■=■  VI,  1314.  Cf.  Fulvio  f.  19).  Sepulchrum  quoque  Capitolium  iuxta  C. 
Poblicio,  quo  ipse  posterique  eius  inferrentur,  virtutis  honorisque  causa  se- 
natus  consulto  iussuque  populi  datum.  (C.  I.  L.  I,  635  =  VI,  1319). 

(24)  Porticus  octo  columnarum  (Fulvio  f.  18.  69).  Poggio  vide  mettere 
a  calce  il  tempio  stesso  ed  aleune  colonne. 

(25)  Poggio :  Ex  adverso  (aedis  Concordiae)  aedes  erat  Telluris,  cuius 
nulla  extant  vestigia;  Salvatorem  in  Tellumine  (Urlichs:  Tellume)  hodie 
vocant,  pro  tellure  Tellumen  corrupto  vocabulo  dicentes.  (Cf.  Albertini  f.  46 
«  in  tellude  »).  Le  Mirabilia  c.  10  (9)  conoscono  la  stessa  localitä  in  Tel- 
lure id  est  in  canapara,  cioe  sotto  il  monte  Tarpeo,  vicino  a  S.  Maria  della 
Consolazione  (v.  la  pianta  del  Bufalini),  laddove  Marliani  (1534)  f.  54  dice: 
ubi  nunc  ecclesia  S.  Salvator is  in  Tellude,  e  regione  divi  Pelri  in  vineulis 
(S.  Salvatore  ai  Monti).  Cf.  Jordan  Topogr.  II  p.  491.  [Crederei  che  il  Poggio 
abbia  sbagliato  neü'attribuire  il  nome  in  Tellumine  a  quella  Chiesa  di  S.  Sal- 
vatore situata  presso  il  tempio  di  Saturno.  La  chiesa  di  S.  Martina,  situata 
proprio  dirimpetto  ad  esso,  dall'Anonimo  Magliabecchiano  viene  dichiarato 
identica  col  templum  Cereris  et  Telluris:  ed  ivi  presso  esisteva  pure  una  chie- 
setta  dedicata  al  Salvatore  ma  col  vocabolo  de  statera,  oppure  de  aeraria* 
Ch.  H.] 


266 


LE    ANTICHITA    DELLA    CITTA    DI    ROMA 


Michel  geweicht  hat,,  do  man 
izunt  die  fisch  verkauft  (26).  — 

P.  54.  Item  daselbst  [bei 
der  Capelle  des  heil.  Julianus, 
■  nach  der  /drehen  sand  Cri- 
stofls  als  man  zu  sand  Anthoni 
get  pey  Maria  maior  »  ]  sind 
die  zwen  abtgotter  die  man  den 
gensen  gemacht  hat  die  Rom 
behielten,  do  man  eingrub  unter 
dem  Capitolium  (27).  — 

P.  55.  Item  in  der  /drehen 
zu  unser  frawen  Maria  nova  ... 
ligt  eine  heilige  Römerin  heist 
beata  Franisca,  die  hat  grosse 
bunderzeiehen  gethan  und  ire 
kind  leben  noch  und  ist  erst  im 
tausendten  vierhundert  40  jar 
tot  [P.  56]  und  ist  der  tempel 
gewest   Castoris  und  Pollucis, 


cato  a  San  Michele;  ivi  attual- 
mente  si  vendono  i  pesci  (26).  — 

15.  Item  nell'istesso  luogo 
[presso  la  cappella  di  San  Giu- 
liano,  «  dopo  la  chiesa  di  San 
Cristoforo  ove  si  va  a  Santo  An- 
tonio presso  S.  Maria  Maggiore  ■  ] 
vi  sono  due  simulacri  eretti  alle 
oche  che  salvarono  ßoma  quando 
si  seavavano  le  mine  (?)  sotto  il 
Campidoglio  (-7).  — 

16.  Item  nella  chiesa  di 
nostra  Madonna  Maria  Nova  . . . 
giace  una  santa  Romana,  chia- 
mata  beata  Francesca,  che  ha 
fatto  grandi  miracoli ;  vivono  an- 
cora  i  suoi  figli,  non  essendo  essa 
morta  che  nel  1440;  ed  e  stato 
il  tempio  di  Castore  e  di  Pol- 
luce,  dei  della  forza,  nel  quäle 


(26)  Portico  di  Ottavia.  Poggio:  Stat  ad  hanc  diem  nobilis  porticus 
aedis  Mercurii  —  eam  religio  nostra  ad  Angelum  Michaelem  transtulit  — 
ubi  nunc  est  piscatorium  forum.  «  S.  Agiiolo  dove  si  vende  il  pesce  »  dice 
la  pianta  rediana  (de  Rossi  Piante  tav.  4).  Albertini  f.  54  ritiene  il  nome  di 
Mercurio,  Marliani  (1534)  f.  130  =  (1544)  p.  99  dubita,  Fulvio  f.  68  si  astiene 
di  assegnare  all'avanzo  un  nome  antico.  AI  tempo  del  Muffel  il  numero  delle 
colonne  era  assai  piü  grande;  sette  colonne  furono  tolte  per  servire  alla  co- 
struzione  della  gran  loggia  da  Pio  II  eretta  dinnanzi  alla  facciata  di  S.  Pietro 
(de  Rossi  Piante  p.  107).  ^ 

(27)  La  vicinanza  di  S.  Giuliano  mostra  che  sotto  questa  denominazione 
ridicola  si  nascondono  i  cosidetti  trofei  di  Mario.  Fulvio  f.  25 :  ante  templum 
S.  Iuliani  duo  marmorea  trophaea  . . .  quae  fuisse  dieuntur  C.  Marii.  Mar- 
liani (1544)  f.  82 :  Trophoea  Marii  . . .  prope  D.  Iuliani  aedem  extant.  L'ori- 
gine  dell'equivoco  del  Muffel  si  spiega  da  un  passo  del  Rucellai  p.  576: 
«  L'archo  trionfale  di  Mario,  dove  sono  due  flgure  di  marmo  che  si  chiamano 
l'oche  armate  ».  Infatti  nella  copia  urbinate  di  una  pianta  di  Roma  contem- 
poranea  al  nostro  autore  (de  Rossi  Piante  tav.  3)  e  nella  pianta  del  codice 
rediano  (ivi  tav.  4)  i  trofei  hanno  assunto  la  forma  d'uccelli. 


DESCRITTE    DA    NICOLAO    MUFFEL 


267 


das  sind  götter  der  sterck,  do 
man  den  ratt  sammet  vor  seil- 
ten (28).  — 

P.  56.  ...  ob  derselben 
/drehen  [Maria  novo]  stet  der 
tempel  der  ewikeit,  den  Vespa- 
sianus  pauet,  des  sten  nur  drey 
pogen  und  ein  seid  noch  do  (29), 
und  daran  gesehriben  stann: 
das  ist  der  tempel  der  ewikeyt ; 
dann  in  was  geweyssagt,  das 
der  so  lang  besten  soll,  piss  ein 
junckfraw  ein  kint  het,  also  vil 
der  tempel  nyder  an  der  crist- 
nacht  und  noch  elwan  davon 
vellet  an  derselben  nacht  (30) 
und  sind  so  grosse  stuck,  die 
noch  an  einander  hangen  dye 
zweihundert    wegen    nit    zihen 


anticamente  si  radunava  il  se- 
nato  (28).  — 

17.  ...  Aldissopra  della  me- 
desima  chiesa  [S.  Maria  nuova] 
stassi  il  tempio  deH'Eternitä  eret- 
to  da  Vespasiano,  di  cui  restano 
soli  tre  archi  ed  una  colonna  (29), 
e  vi  stava  scritto:  questo  e  il 
tempio  dell'  Eternitä  ;  giacche 
loro  era  stato  predetto  che  egli 
durerä  finche  una  vergine  farä 
un  bambino.  Cosi  il  tempio  crollö 
nella  notte  in  cui  nacque  il  Si- 
gnore,  ed  ancora  ne  suole  cadere 
qualche  pezzo  nella  stessa  not- 
te (30);  e  sono  tanto  grandi  i  pezzi 
ancora  coerenti  fra  loro,  che  du- 
cento  carri  non  basterebbero  per 


(28)  Poggio :  Castoris  et  Pollucis  aedes  contiguae  loco  edito  in  via  sacra, 
altera  occidentem  altera  orientem  versus  {hodie  Mariam  novam  appellant), 
inclytus  quondam  cogendi  senatus  locus,  maiori  ex  parte  collapsae  parvis 
vestigiis  haerent.  E  chiaro  che  parla  del  tempio  doppio  di  Venere  e  di  Roma, 
da  altri  attribuito  ad  Iside  e  Serapide,  ovvero  al  Sole  ed  alla  Lima. 

(29)  Poggio:  Tempil  Pacis.  conspicui  quondam  a  divo  Vespasiano  con- 
structi  tres  tantum  arcus  super  ingentem  reliquorum,  qui  sex  erant,  ruinam 
eminent  ferme  integri ;  ex  pluribus  vero  mirae  magnitudinis  unam  tantum 
stare  vides  marmoream  columnam. 

(30)  Nelle  Mirabilia  c.  8  (7)  la  stessa  leggenda  si  narra  del  palatium 
Romulianum,  altro  nome  del  tempio  della  Pace  cf.  Urlichs  p.  128.  137.  166. 
Essa  ricorre  anche  presso  il  Rucellai  p.  578.  Forse  vi  si  riferiscono  eziandio 
le  stanze  36  e  37  del  «  Prospettico  Milanese  » :  «  Et  ancho  qui  veder  poi  rui- 
nato  Templum  pace,  di  grande  architectura,  Geometrical  per  terra  fracassato. 
Natal'  e  (?)  quel  che  (chel  ?)  gett'  alla  pianura ;  Onde  ho  compassion'  e  gran 
dolore  Vedendo  ruinar  tant'ample  mura».  Conf.  Fulvio  f.  86:  explodenda  est 
vana  illa  opinio  imperitae  multitudinis  quae  de  tempio  Pacis  circumfertur , 
singulis  annis  nocte  natalis  domini  divinitus  particulam  aliquam  vel  frag- 
mentum  ruere,  et  qua  nocte  natus  est  maximam  ruisse  partem,  quod  absur- 
dissimum  satis  esse  constat  cum  templum  ipsum  Pacis  annis  prope  LXXX 
post  natalem  Christi  ab  Vespasiano  Imp.  conditum  fuerit. 


268 


LE    ANTICHITA    DELLA    CITTA   DI    ROMA 


möchten  und  hat  vier  swipögen 
und  ein  köstliche  seul,  der  kunt 
ich  mit  vier  kloffteren  nit  umb- 
klofftern  (3l),  der  sind  vil  gewesi 
und  ist  oben  gespigelt  und  mit 
kostlichen  steinen  versetzt  ge- 
west.  — 

P.  57.  Item  darnach  ist 
sand  Peters  kerker  ...  davor  ligt 
ein  grosser  gehauer  abgot  (32), 
des  köpf  grosser  dan  ein  sah- 
scheib  ist,  und  hat  zbu  schusseln 
von  merbelsteih  vor  im  wol  VII 
klafteren  weit,  und  dozwischen 
und  doneben  auch  davor  pey 
Maria  nova  do  sind  gar  kostlich 
schwipogen  gemacht  und  ge- 
hauen,  der  einer  ob  dreyssick 
tausend  gülden  kost  hat  (33)  und 
etlich  köstlich  seul  die  ein  ganck 


trasportarli.  Bd  ha  quattro  archi 
ed  una  colonna  stupenda,  che  con 
quattro  tese  io  non  potevo  ab- 
bracciare  (3l),  quali  ne  sono  state 
molte;  e  coperto  a  cassettoni,  e 
fu  ornato  di  pietre  preziose.  — 

18.  Item  dopo  viene  il  car- 
cere  di  San  Pietro  . . .  dinnanzi 
al  quäle  giace  un  gran  simulacro 
scolpito  (32),  la  cui  testa  e  piü 
grande  di  un  lastrone  di  sale,  ed 
ha  dinnanzi  a  se  due  conche  di 
marmo  larghe  incirca  sette  tese ; 
e  fra  esse,  ed  accanto,  nonche 
piü  avanti  presso  Maria  nuova, 
vi  sono  fatti  e  scolpiti  sontuosis- 
simi  archi,  ciascuno  dei  quali  ha 
costato  piü  di  trenta  mila  fio- 
reni  (33),  e  varie  coloune  magni- 


(31)  Invece  dei  tre  archi  mentovati  dal  Poggio,  qui  l'autore  parla  di 
quattro  archi,  comprendendo  senz'altro  nel  numero  l'abside  della  basilica. 
E  evidente  che  quest'ultima  parte  e  basata  sopra  autopsia.  Cf.  Marliani  (1534) 
f.  54:  columnis,  quarum  una  ibidem  adhuc  est  erecta  tantae  crassitudinis, 
ut  tribus  ulnis  vix  amplectatur. 

(32)  Eucellai  p.  579 :  «  Una  figura  grande  di  marmo  quasi  a  giacere  che 
si  chiama  Marfuori,  con  uno  vaso  o  vero  concha  appresso».  Non  mi  ricordo 
di  aver  trovata  altra  menzione  dell'una  o  delle  due  conche,  che  nemmeno  si 
vedono  negli  antichi  disegni  dei  Marforio. 

(33)  pare  parii  di  tre  archi,  quello  di  Settimio  Severo  (fra  esse),  quello  di 
Tito  (pr.  Maria  nuova),  ed  un  terzo  (accanto).  Questo  difficilmente  puö  essere 
diverso  da  quell'arco  murato  nella  torre  Frangipani  o  sia  Pallara  (Fulvio  f.  80), 
che  e  visibile  sul  disegno  deH'Heemskerk  (Bull,  comun.  1888  tav.  7),  e  di  cui 
parlarono  Jordan  (TI  p.  506),  de  Eossi  (Bull.  d.  Inst.  1888  p.  95),  Hülsen  (Bull, 
com.  1888  p.  154).  Forse  questo  arco  diede  occasione  aH'equivoco  dei  quäle 
si  parlö  sopra  nella  nota  15.  E  vero  che  Marliani  (1544)  p.  42  mentova  questi 
*  avanzi  dell'arco  Fabiano  »  come  dissotterrati  proximis  annis ,  cioe  dopo 
il  1534,  perche  nell'edizione  di  questo  anno  non  ne  fece  conto.  Considerando 
queste   difficoltä  il  dott.  Hülsen  preferirebbe   di   cancellare   le   parole   und 


DESCRITTE    DA    NICOLAO   MUFFEL 


269 


tragen  haben,  der  ist  ob  vier- 
hundert gewest  aus  dem  pallast 
der  wunderpruck  [purck?~\  pis- 
sin  das  Capitolium  (34)  und  vor 
dem  eussersten  schwipogen,  der 
Tijtus  und  Vespasianus  zu  eren 
gemacht  ist  darynn  die  Über- 
windung Jerusalem  stet,,  do  ist 
der  stein  gemauert  von  sigeln, 
darauf  des  keysers  pull  stund 
und  all  Romer  mussten  von  ir 
holen,  dan  ein  saubrer  alle  fewr 
erlescht  hei  und  kein  stein  kraft 
het  feur  zu  geben  (35). 

Item  darnach  ist  die  simbel 
spiegelpurck ,  darin  man  alle 
hubscheit  und  spil  gelriben  hat 


liehe,  delle  quali  vi  sono  state 
piü  di  quattrocento,  hanno  portato 
un  portico  che  dal  palazzo  della 
rocca  miraculosa  conduceva  lino 
al  Campidoglio  (34).  B  dinnanzi 
all'arco  estremo  eretto  in  onore 
di  Tito  e  di  Vespasiano,  nel  quäle 
e  effigiata  la  conquista  di  Geru- 
salemme,  vi  e  la  pietra  murata 
di  mattoni,  sulla  quäle  stava 
la  ganza  dell'  imperatore ;  tutti  i 
Romani  dovevano  andare  a  pren- 
derne ,  perche  un  mago  aveva 
spento  tutti  i  fuochi  e  nessuna 
selce  era  capace  di  dar  fuoco  (35). 
19.  Item  dopo  vi  e  la  ro- 
tonda  rocca  degli  specchi,  in  cui 
si   esibivano   ogni   sorte  di  va- 


dozwischen,  dimodocche  non  restassero  che  gli  archi  di  Severo  e  di  Tito,  con- 
gettura  assai  probabile. 

(34)  ii  u  palazzo  della  rocca  miraculosa  »  e  il  palatiurn  maius  del  medio 
evo  ovvero  il  Palatino,  sul  quäle  allora  esistevano  considerevoli  avanzi  dello 
stadio  chiamati  Pallara  (Biondo  Rom.  instaur.  I,  76.  Cf.  le  piante  edite  dal 
de  Rossi).  Le  tre  colonne  del  tempio  di  Castore  (v.  la  tela  mantuana  presso 
de  Rossi  Piante  tav.  9)  e  le  tre  altre  del  tempio  di  Vespasiano  si  credevano 
avanzi  del  ponte  di  Caligola,  v.  Poggio.  Albertini  f.  12.  Marliani  (1534) 
f.  50.  61,  laddove  Fulvio  (f.  69)  parla  delle  colonne  senza  allusione  alla  tra- 
dizione  volgare. 

(35)  La  meta  Sudans  si  credeva  avere  portato  in  eima  una  statua  di  Giove 
(Albertini  f.  25.  Fulvio  f.  49.  Marliani,  1534,  f.  106),  che  qui  ha  ceduto  il 
posto  alla  famosa  donna  conosciuta  dalla  leggenda  di  Virgilio  (v.  Comparetti, 
Virg.  nel  medio  evo  II  p.  110.  119).  La  giusta  spiegazione  del  passo  mi  e  stata 
suggerita  dal  dott.  Hülsen.  [La  favola  si  trova  riferita  alla  medesima  localitä 
dal  Boissard,  Topographia  Urbis  Romae  I  p.  29 :  prope  hunc  arcum  (Titi) 
sub  Palatino  ad  dextrum  turris  erigitur  quadrata  (e  indicata  la  cosidetta 
Torre  Cartularia),  quam  vulgus  vocat  Studiolo  di  Vergilio:  fabulanturque 
ridicule  ex  ea  fuisse  poetam  appensum  in  corte  a  quadam  meretricula,  ac 
tota  die  speetaculo  fuisse  populo:  quod  ut  ulcisceretur  Vergilius,  qui  ma- 
gicam  callebat  artem,  e/fecit  ut  ignis  tota  urbe  extingueretur,  cet.  Ch.  H.]. 


270 


LE    ANTICHITA    DELLA    CITTA    Dl    ROMA 


und  auf  den  dechern  zugesehen 
und  ist  drivach  obeinander  gar 
köstlichen  und  ein  spigel  da 
gelegen  darin  man  gesehen  alle 
ding  in  der  werlt  das  Vespa- 
sianus  gemacht  und  Coliseus 
genant  ist,  das  nu  ser  zuprochen 
und  zu  kalk  geprent  ist  (36). 

Item  darnach  ist  ein  swi- 
pogen  gemacht  Conslantinus  , 
do  er  überwunden  het  die 
Etschtz,  Kernten,,  Oesterreich 
und  Kreyn  (37) ;  ist  auch  jar 
kostlich. 

Item  darnach ...  [P.  58]  . . 
do  ist  auch  das  Studium,  darynn 
die  siben  kunst  gefunden  sind, 
und  sind  siben  gaden  von  seulen 
und  sust  gezirt  und  auf  einander 
gesetzt  gar  köstlich  (38)  und  ist 
ein  tempel  gewest  der  göttin 
Vesta . . .  Item  darnach  ist  Gre- 
gorius  /drehen  ...  — 


ghezze  e  di  giuochi,  e  si  spetta- 
vano  dai  tetti,  ed  e  di  tre  ordini 
l'uno  sopra  l'altro,  di  squisita 
bellezza,  e  vi  era  messo  uno 
specchio  in  cui  si  vedevano  tutte 
le  cose  del  mondo;  costruito  da 
Vespasiano  e  chiamato  Coliseo, 
[l'edifizio]  adesso  e  molto  rovina- 
to  e  distrutto  per  farne  calce  (36). 

20.  Item  dopo  vi  e  un  arco 
eretto  in  onore  di  Costantino  al- 
lorquando  aveva  conquistato  l'A- 
dige,  la  Carinzia,  TAustria  e  la 
Carniola  (37) ;  anch'esso  e  molto 
magnifico. 

21.  Item  dopo  ...  vi  e  anche 
lo  studio  in  cui  furono  scoperte 
le  sette  arti,  e  sono  sette  piani 
decorati  di  colonne  ed  altrimenti, 
e  posti  l'uno  sopra  l'altro  magDi- 
ficamente  (38) ,  ed  e  stato  un 
tempio  della  dea  Vesta  . . .  Poi 
viene  la  chiesa  di  S.  Gregorio  . . . 


(36)  Poggio :  . .  Coliseum  vulgo  appellatum  atque  ob  stultitiam  Roma- 
norum maiori  ex  parte  ad  calcem  deletum.  Si  possono  confrontare  le  parole 
del  Rucellai  p.  577 :  « II  culiseo  . . .  dove  si  dice  si  festeggiava  et  dove  il  popolo 
stava  a  vedere  datorno  su  gradi  a  modo  di  scaglioni,  cosa  molto  notabile  et 
dentro  et  di  fuori».  —II  nome  e  la  storia  dello  specchio  rammentano  l'espres- 
sione  usata  nelle  Mirabilia  c.  23  nella  descrizione  delle  bellezze  del  Campi- 
doglio,  ut  esset  speculum  Omnibus  gentibus.  Sarebbe  mai  lo  specchio  una  remi- 
niscenza  di  quella  cupola  di  bronzo  dorato  di  cui  il  medio  evo  fingeva  coperto 
il  Coliseo  (Urlichs  cod.  topogr.  p.  136.  de  Rossi  Piante  tav.  1.  2,  2)? 

(37)  Invenzione  caratteristica  per  Tautore  tedesco. 

(38)  II  Septizonium.  Anon.  Magliab.  p.  167  IM. :  ad  Septem  solia  fuit 
sedes  omnium  Septem  scientiarum.  «  Prospettivo  Milanese  »  st.  96  segg. : 
u.  Erano  septe  scole  all'alto  soma,  De  fin  colonne  alla  circumferentia,  Et  hör 
ve  ne  son  tre  che  aqua  cola.  Ciaschuna  havea  per  se  la  so  scientia  ecc. ». 
Cf.  Jordan  Forma  p.  37  segg.  Hülsen  Das  Septizonium,  Berlino  1886.  Ste- 
venson Bull,  comun.  1888  p.  269  segg. 


DESCRITTE    DA    NICOLAO    MUFFEL 


271 


P.  60.  Item  so  stet  vor  sant 
Ales//  purck  das  steine  pild  das 
den  frawen  die  fing  er  abpissen 
hat,  dy  yr  eer  \ee  ?]  geprochen 
helten  und  sein  haubt  ist  als 
gross  als  ein  iveiuvasspoden  und 
geen  locher  durch  nasen  und 
locher  durch  äugen  (39). 

Item  auf  dem  rossperg  sten 
zioey  hübsche  grosse  sleynne 
ross  und  zwen  Junggesellen  da- 
rauf^) als  die  rysen,  auch  von 
stein,  und  darumb  sten  vier 
seiden  die  sind  von  merbelstein 
gehawen  als  [P.  61]  menschen, 
und  send  abtgotter  gebest  und 
auf  iren  haubten  stet  das  gantz 
zymmer  und  dach,  daryn  man 
zu  gericht  gesessen  ist  (4l). 

Item  döpey  ligen  ziven  gar 
gross  alt  rysen  gehauen  von  stein 
noch  grosser  dan  vor  sand  Pe- 
ters gefenclmus  (42),  also  das  der 
pildimg  von  den  grossen  leiden 


22.  Item  dinnanzi  alla  rocca 
di  S.  Alessio  vi  stä  1'  immagine 
di  pietra  che  soleva  mordere  i 
diti  alle  feramine  adultere;  la 
sua  testa  e  grande  come  il  fondo 
d'una  botte  da  vino,  e  sono  per- 
forati  tanto  il  naso  quanto  gli 
occhi  (3()). 

23.  Item  a  Monte  Cavallo 
stanno  due  belli  grandi  cavalli 
di  pietra,  e  sopra  (40)  di  essi  due 
giovani  grandi  come  giganti,  an- 
ch' essi  di  pietra;  e  tutto  intorno 
vi  stanno  quattro  colonDe  di  mar- 
mo  scolpite  a  guisa  di  uomini, 
che  sono  stati  degli  idoli,  e  sulle 
teste  loro  posa  tutfca  la  sala  col 
tetto,  nella  quäle  hanno  seduto 
a  scranna  (41). 

24.  Item  accanto  giaciono 
due  grandissimi  giganti  antichi, 
scolpiti  di  pietra,  piü  grandi  di 
quello  che  sta  dinnanzi  al  car- 
cere  di  San  Pietro  (42);   dimo- 


(39)  La  «  bocca  della  veritä  n  allora  era  appoggiata  contro  il  muro  este- 
riore  della  chiesa  di  S.  Maria  ad  Scholam  graecam  (in  Cosmedin),  dal  quäle 
posto  fu  trasportata  nel  portico  della  chiesa  nel  1632,  v.  Beschr.  d.  St.  Rom 
HI,  1  p.  381. 

(40)  Slrano  equivoco.  AI  pari  del  Poggio,  Muffel  non  dice  niente  delle  quat- 
Irö  (Biondo  Rom.  instaur.  II,  19)  o  Ire  «  statue  di  Costantino  »  che  allora  erano 
posti  negli  angoli  del  gran  basamento  (cf.  Fulvio  f.  23  bis.  Marliani,  1534,  f.  119). 

(41)  Fulvio  f.  69:  Extant  hodie  huiuscemodi  duo  senum  marmorea  simu- 
lacra  tectum  logiae  sustinentia  in  antiquis  aedibus  D.  Columnensium  sub 
monte  nunc  Gaballo.  Cf.  C.  I.  L.  VI,  1148-1150. 

(42)  Le  statue  del  Nilo  e  del  Tevere,  che  sotto  il  norae  di  Saturno  e  Bacco 
appaiono  nelle  Mirab.  c.  27  (30),  cf.  Biondo  Rom.  instaur.  I,  98.  Rucellai 
p.  577.  «  Prospettivo  Milanese  »  st.  117-119.  Marliani  (1534)  f.  120.  —  Fulvio 
f.  21  e  Marliani  (1544)  p.  26.  88  ne  fanno  menzione  qome  trasportate  sulla 
piazza  del  Campidoglio. 

18 


272 


LE    ANTICHITA    DELLA    CITTA    DI    ROMA 


nur  vier  davon  der  zuslorung 
wegen  uberpliben  sind  und  das 
fünft  vor  sand  Peters ;  und 
unter  allen  messen  oder  metal- 
len pilden  ist  nur  eins  vor  sand 
Johanns,  das  auf  dem  pfert 
reyt ;  also  das  alle  güldene  päd 
erene  und  messene  und  steine 
nur  VI  von  der  grossen  zal  der 
Romer,  die  namhaft  sind  gebest, 
der  man  ydem  eins  zu  gedech- 
nuss  gemacht  hat ,  aber  die 
gülden  und  silbren  haben  s?j 
zuschmeltz  und  die  steinen  all 
zuschlahen  und  vermaurt  und 
zu  kalk  geprent  (43). 

Item  es  sind  auch  drey 
weinkeler  der  ein  ligt  zwischen 
sand  Johanns  und  sand  Peter 
in  vincida,  der  hat  neun  gewelb 
und  ydes  gewelb  So  vil  thür; 
wan  man  darunter  stet  so  sieht 
man  neun  thür  auf  al  ort  als 
hernach  stet  (44)  und  man  mag 
noch  über  das  eingevallen  ist 
ivol  XII  hundert  pfert  stellen, 
darauf  wechst  guter  wein  . . . 


docche  dei  siraulacri  di  quella 
gran  gente  sono  restati  soli  quat- 
tro,  a  cagione  della  destruzione, 
ed  il  quinto  dinnanzi  a  San  Pie- 
tro ;  e  di  tntte  le  immagini  di 
ottone  o  metallo  non  esiste  che 
uno  dinnanzi  a  San  Giovanni, 
che  sta  a  cavallo;  dimodocche  di 
tutti  i  simulacri  di  oro,  bronzo, 
ottone  e  di  pietra  non  esistono 
che  sei,  dal  gran  numero  di  quei 
Roniani  che  sono  stati  famosi,  ed 
in  memoria  di  eiaseuno  dei  quali 
ne  fu  fatto  nno,  ma  le  immagini 
di  oro  e  di  argento  le  hanno 
liquefatte,  e  quelle  di  pietre  spez- 
zate  e  murate  e  messe  a  calce  (43). 
25.  Item  vi  sono  anche  tre 
cantine  da  vino.  L'una  si  trova 
fra  San  Giovanni  e  San  Pietro  in 
vineula,  e  comprende  nove  ma- 
gazzini  a  volta,  e  eiaseun  magaz- 
zino  ha  altrettante  porte.  Stando 
laggiu  si  vedono  nove  porte  in 
eiaseuna  direzione,  in  quella  parte 
che  resta  ('4),  ed  aldissopra  di 
quel  che  e  caduto  possono  porsi 
circa  dodici  centinaia  di  cavalli ; 
vi  ciesce  un  buon  vino  . .  . 


(43)  Poggio :  ex  innumeris  ferme  colossis  statuisque  tum  marmoreis  tum 
aeneis  {nam  argenteas  et  aureas  minime  miror  fuisse  conflatas)  viris  illu- 
stribus  ob  virtulem  positis  .  .  .  marmoreas  quinque  tanturn,  quatuor  in  Con- 
stantini  Thermis  (duas  stantes  pone  equos,  Phidiae  et  Praxitelis  opus,  duas 
reeubantes),  quintam  in  foro  Marti»  statuam  quae  hodie  Martis  fori  nomen 
tenet,  atque  aentam  solam  equestrem  deauratam  quae  est  ad  basilicam  Late- 
ranensem  Septimio  Severo  dicatam,  tanturn  videmus  superesse. 

(u)  Le  «  sette  sale  »,  v.  la  pianta  presso  Marliani  (1544)  p.  81,  il  quäle 
aggiunge:  cum  thermarum  Titi  castelli  concamerationes  sint  novem,  nescio 
qua  ratione  vulgus  septenario  numero  eas  appellet. 


DESCRITTE    DA    NICOLAO    MUFFEL  273 

Item  so  ist  ein  vass  oder  26.  Item  c'e  stata  una  botte 

heier  von  wein  gewest  ist  pey  o  sia  cantina  da  vino,  larga  circa 

hundert  schritten  toeit  und  hat  cento  passi,  ed  ha  dodici  colonne; 

XII  seulen  da  von   man  arme  ne  hanno  dispensato  alla  povera 

leut  gespeist  hat,   ist  im   ein  gente;  vi  e  (?)  una  cappella  di  San 

cappellen  sand  Michels,  und  ist  Michele ;  ed  e  anche  nella  vigna 

auch  in  dem   Weingarten  swi-  fra  Santa  Croce  e  San  Lorenzo(45). 
sehen  dem  heiligen  creutz  und 
sant  Lorentzen  (45). 

Item  darnach  ist  enenthal-  27.   Item  dopo  vi   e  [una 

hen  sand  Maria  maior  und  den  botte  ?]  al  di  lä  di  Santa  Maria 

Termanus  (46),  das  ist  ein  gross  Maggiore  ed  il  Termano  ( '6),  cioe 

(45)  Non  e  affatto  chiaro  se  questo  paragrafo  si  riferisca  ad  una  sola  «  can- 
tina», o  se  l'ultima  parte  («anche»)  indichi  la  terza  delle  tre  cantine  men- 
tovate  nel  precedente  paragrafo.  In  quest'ultimo  caso  la  cantina  descritta  in 
primo  luogo  potrebbe  essere  quella  conserva  d'aeque  la  quäle  la  pianta  del  Bu- 
falini  mostra  sul  monte  Celio  fra  il  Coliseo  e  SS.  Giovanni  e  Paolo  (vedi  la 
pianta  presso  Marliani,  1544,  p.  71,  e  cf.  Rucellai  p.  579  «  una  altra  vigna 
appresso  al  Coliseo  . . .  dove  si  mostra  esservi  stato  una  terme  »);  i  cui  dodici 
compartimenti  potrebbero  indurci  a  congetturare  che  l'autore,  invece  di  «  XII 
seulenri  (12  colonne),  volle  parlare  di  «  XII saelen  »  (12  sale).  Dall'altra  parte 
la  u  vigna  fra  S.  Croce  e  [la  porta  di]  S.  Lorenzo  »  fa  pensare  alle  «  Galluzze  », 
colle  quali  nella  pianta  del  Bufalini  e  connesso  un  edifizio  di  grande  esten- 
sione  ed  ornato  di  molte  colonne,  il  giä  palazzo  liciniano.  lo  crederei  che  tutto 
il  paragrafo  tratta  di  questo  solo  edifizio,  e  che  la  terza  cantina  si  nasconde  nel 
paragrafo  seguente.  La  questione  poträ  essere  sciolta  da  chi  saprä  rintracciare 
la  cappella  di  San  Michele,  che  non  mi  e  riuscito  ritrovare  in  aleuno  di  quei 
siti.  [Mi  pare  indicata  la  piscina  giä  esistente  nella  villa  Conti  tra  S.  Croce 
e  Porta  Maggiore,  Lanciani  Acquedotti  tav.  VIII  flg.  5a  :  ma  non  trovo  veruna 
notizia  di  una  cappella  di  S.  Michele  ivi  eretta  «  se  non  si  puö  credere  la 
chiesaruinata  in  una  vigna  vicinaa  S.  Croce  del  catalogo  delle 
chiese  di  Roma  fatto  sotto  Pio  V,  presso  Armellini  eh.  d.  R.  p.  83  »,  ne 
saprei  spiegare  il  passo  relativo  al  nutrimento  dei  poveri.  Ch.  H.J 

(46)  Fräse  corrotta ;  forse  dopo  ist  era  scritto  ein  vas  (una  botte).  Sembra 
voler  parlare  della  terza  cantina,  la  cosidetta  «  Botte  »  (Rucellai  p.  579)  o  «  Botte 
di  Terme  »  (Marliani,  1544,  p.  81 ;  «  Botte  de  Termine  »  nella  tela  mantuana 
presso  de  Rossi  Piante  tav.  9  e  presso  il  «  Prospettivo  Milanese  »  st.  42)  o  ver/es 
(cioe  veggia)  thermarum  (Fulvio  f.  37),  vuol  dire  la  conserva  delle  Terme  Diocle- 
ziane  giä  situata  dalla  parte  della  stazione  della  strada  ferrata,  cioe  incirca 
verso  S.  Maria  Maggiore,  ed  ora  scomparsa  per  far  posto  alla  stazione.  V.  la 
pianta  del  Bufalini  («  apotecae  aquarum  quae  vocantur  dolia»),  e  quella 
presso  Marliani  p.  87.  II  resto  del  paragrafo  spetta  alle  terme  stesse. 


274 


LE    ANTICHITA    DELLA    CITTA    DI    ROMA 


palast,  hat  fünf  sinibel  thuren 
umbsich  und  ist  wol  als  weit 
umfangen,  als  sweitausent  schrit 
und  gemaurt;  auf  dem  dach 
toass  ich  do  ist  ein  flissender 
prun  und  hat  noch  kostlicher 
seulen  acht  ,  der  ist  ob  XL 
gewest  und  yde  wol  drey  klaf- 
teren gross  und  XII  klafteren 
hoch  ist,  und  in  dem  gewöhn 
sind  auf  al  ort  wasser  roren,  die 
das  wilpad  das  darauf  gewest 
ist  ,  herabgetragen  haben  die 
man  noch  sieht  (47)  und  ist  fast 
köstlich,  daran  die  cristen  ge- 
paut  haben,  nemlich  altag  hun- 
dert und  XL  tausent  cristen,  als 
ym  marlilogio  stet  (48),  des  sy 
keyser  Dioclecianus  [  P.  62  ] 
notet  darzu  und  sol  in  XI  mene- 
ten  gepaut  sein  worden  und 
man  vertröstet  sy  des  lebens ; 
und  do  sy  den  paw  verprachten, 
do  thöt  man  sy  al  zumal. 

Item  es  sten  auch  gar  köst- 
lich seulen  do,  die  tool  II  klafter 
weit  sind  und  pey  LXX  klaf- 
teren hoch  und  inne  hol,  daran 


un  gran  palazzo,  che  ha  tutto 
intorno  cinque  torri  [porte  ?]  ro- 
tonde,  ed  ha  una  circonferenza 
di  2000  passi,  ed  e  murato.  Io 
sono  stato  sul  tetto;  vi  e  una 
fontana  di  acqua  viva  ;  e  re- 
stano  otto  colonne  magnifiche, 
delle  quali  vi  sono  state  piü 
di  quaranta ,  ciascuna  essendo 
larga  circa  tre  tese  ed  alta  do- 
dici  tese ;  e  nelle  volte  da  ogni 
canto  vi  sono  delle  grondaie  che 
hanno  portato  giü  le  acque  calde 
che  erano  aldissopra  (47) ;  ed  e 
una  cosa  veramente  stupenda.  Alla 
quäle  hanno  lavorato  i  cristiani, 
che  erano  ogni  giorno  al  numero 
di  cento  quaranta  mila,  come  sta 
scritto  nel  martirologio  (48);  l'im- 
peratore  Diocleziano  li  costrinse 
a  cotal  lavoro  (si  dice  che  fosse 
compiuto  fra  undici  mesi)  ed  essi 
furono  accertati  della  loro  vita, 
ma  finita  la  costruzione  furono 
ammazzati  tutti  quanti. 

28.  Item  ci  stanno  [duej 
colonne  oltremodo  magnifiche , 
larghe  d,ue  tese  incirca,  ed  alte 
circa    settanta    tese,    vuote    di 


(47)  Biondo  Rom.  imtaur.  II,  2:  Erant  vero  in  thermis  ad  lavandi  usus 
balnea  .  .  .  etiam  pensilia,  quod  facile  adhuc  poterit  intelligere  qui  fuli- 
r/lnosos  fornicum  canales  quibus  cmissa  dcfluebat  aqxia  in  Dioditianis  ther- 
mis inspexerit. 

(48)  Poggio:  Legisse  memini  in  martyrum  libris,  quum  Diocletianae 
(thermae)  fabricarentur,  qui  fuit  fidei  nostrae  hostis  acerrimus,  centum  et 
quadraginta  Christianorum  millia  ad  id  opus  pluribus  annis  in  modum  ser- 
vitutis  addicta.  Cf.  Benndorf  presso  Büdinger,  Untersuchungen  zur  Rom. 
Kaiser gesch.  III  p.  355. 


DESCRITTE    DA    NICOLAO    MUFFEL 


275 


sind  gehauen  die  streit  und 
Überwindung  der  Romer  und 
Troyer  (4<J). 

Item  pey  dem  pallast  den 
Herodes  paut  hat  ist  ein  keler 
hat  hundert  und  LXXV  schrit 
an  der  leng  und  LXXXX  schrit 
nach  der  zwirch,  do  mag  man 
drey hundert  pferd  stellen,  ist 
auch  ein  weingart  an  mauren 
und  ein  vass  gewest  darein  man 
wein  gethun  hat  (50). 

Item  so  ist  ein  grab  vor 
dem  Capitolium,  do  Nero  ein- 
gegraben soll  sein  worden,  stet 
sein  Überschrift  darin  (51),  wo 
er  sich  nit  selbs  ertöt  het,  dan 
er  ist  in  dem  Weingarten  be- 
graben worden,  do  nu  der  altar 
Maria  populi  stet  . . .  (52). 


dentro;  vi  sono  scolpite  le  lotte 
e  conquiste  dei  Romani  e  dei 
Troiani  (49). 

29.  Item  presso  il  palazzo 
edificato  da  Erode  vi  e  una  can- 
tina  che  ha  175  passi  di  lun- 
ghezza  e  90  passi  di  larghezza  ; 
vi  si  possono  dispovre  trecento 
cavalli.  Vi  e  pure  una  vigna  alle 
mura,  e  vi  e  stata  una  botte  per 
mettervi  il  vino  (50). 

30.  Item  dinnanzi  al  Cam- 
pidoglio  havvi  un  sepolcro,  nel 
quäle  dicesi  essere  stato  sepolto 
Nerone  (in  esso  stä  scritto  il  suo 
nome)  (51),  ove  perö  (?)  non  si  ha 
dato  la  morte,  stantecche  e  stato 
sepolto  nella  vigna  ove  adesso  stä 
l'altare  di  Maria  populi  . . .  (52). 


(49)  Le  due  colonne  di  Traiano  e  di  Antonino.  I  «  Troiani »  debbono  la 
loro  origine  alla  pronunzia  volgare  «  colonna  troiana».  —  Pare  sia  accaduto 
un  equivoco  nelle  misure.  II  testo  originale  parla  di  tese,  con  errore  manifesto. 
Probabilmente  si  tratta  di  braccia,  ed  invece  di  II  dovrä  leggersi  YII,  laonde 
risulterebbero  misure  non  giuste  ma  di  tolerabile  inesattezza. 

(50)  II  u  palazzo  di  Erode  »  sembra  a  ragione  essere  riconosciuto  dal 
bar.  de  Reumont  (Anseiger  für  die  Kunde  der  deutschen  Vorzeit  1877  p.  303) 
nel  Mausoleo  d'Augusto ,  a  cagione  della  «  vigna  alle  mura  ».  Cf.  Poggio : 
Mausoleum  a  divo  Augusto,  in  quo  et  conditus  fuit,  inter  Flaminiam  viam 
et  Tiberis  ripam  constructum  .  .  .  disiectum  vineis  occupatur. 

(51)  Albertini  f.  65:  Ante  aedes  Conservatorum  in  lapide  marmoreo : 
Ossa  Neronis  Caes.  Germanici  Caesaris  f.  ecc.  (Marliani,  1534,  f.  34.  C.I.L. 
VI,  887).  Si  tralta  non  dell'imperatore  ma  di  Nerone  figlio  di  Gennanico,  le 
cui  ceneri  furono  portate  a  Roma  dal  suo  fratello  Caligula. 

(52)  Ubi  altare  maius  sanctae  Mariae  de  Populo  dice  Martinelli  Roma 
e.i-  ethn.  sacra  p.  387;  nella  pianta  dei  Bufalini  sta  ascritto  alla  detta  chiesa: 
hie  fuit  sepulcrum  Neronis.  La  tradizione  medievale  cercö  il  sepolcro  di  Ne- 
rone in  una  torrc  vicina  alla  porta  dei  popolo,  il  cosidetto  Trullo,  v.  de  Eossi 
Piante  p.  88  e  tav.  2-4. 12  («  Torre  dove  stette  gran  teinpo  il  spirito  di  Nerone  »). 
Albertini  f.  65 :  Apud  ecclesiam  S.  Mariae  populi  est  moles  quadrata  dispo- 


27« 


LE    ANTICH1TA    DELLA    CITTA    DI    ROMA    ECC. 


Item  bei  dem  Ritter-t huren 
do  ist  ein  grosser  kostlicher 
alter  pau,  das  die  alten  ritter 
inne  gehabt  haben,  die  nymer 
streiten  mochten ;  do  ist  ein 
kostlich  grebnuss  und  pfar  ge- 
pauet  worden,  do  vil  cristen  pey 
ligen  und  vil  cappellen  oben  und 
unten,  ist  nu  als  zustort  und 
verwust  und  im  wer  noch  wol 
m  helfen;  und  sten  pu/fel  und 
esel  darin  die  holtz  und  ander 
nottdorft  hineintragen  (53). 


81.  Item  presso  la  Torre 
delle  Milizie  havvi  un  grande  e 
sontuoso  edifizio  antico,  giä  pos- 
seduto  dai  vecchi  cavalieri  che 
non  valevano  piü  combattere.  Ivi 
e  stato  costruito  un  sontuoso  se- 
polcro  e  presbiterio,  presso  al 
quäle  giaciono  molti  cristiani,  e 
vi  sono  molte  cappelle  al  disso- 
pra  ed  al  dissotto ;  adesso  e  tutto 
gnasto  e  rovinato,  ma  potrebbe 
bene  essere  ristorato;  vi  stanno 
dentro  dei  bufali  e  somari  che 
importano  legna  ed  altri  ge- 
neri  (53). 


liataque  marmoribus  non  lange  ab  Augusta,  vulgo  sepulchrum  matris  Nero- 
nis  .  .  .  Non  longe  ab  ipsa  mole  erat  sepulchrum  Neronis.  Cf.  Fulvio  f.  5. 
C.  L.  Visconti  Bull,  comun.  1877,  195.  -  Fulvio  f.  24  ter  e  Marliani,  1534, 
f.  114(1544,  p.  91)  giustamente  cercarono  il  sepolcro  di  Nerone  sul  nionte  Pincio, 
credendo  di  riconoscerlo  in  certi  avanzi  antichi  vicino  alla  chiesa  distruita 
di  S.  Feiice  in  Pinciis. 

(r<3)  Le  cosid.  balnea  Pauli  (Gamucci  Antich.  di  Roma,  1565,  p.  125),  nel 
medio  evo  chiamate  le  Milizie;  P.  famiüae  Comitum  presso  Bufalini,  cf. 
Biondo  Rom.  instaur.  III,  52.  Rucellai  p.  579  («  dove  sono  sur  un  canto  due 
buone  figure  di  marmo  »).  Fulvio  f.  22  ter.  Marliani,  1534,  f.  119  Turris  Mi- 
litiarum,  cui  milites  Traiani  ibi  stationem  olim  habentes  nomen  fecere.  quo 
in  loco,  inferius  tarnen,  extant  triplici  concameratione  fornices  et  in  hemi- 
cycli  forma  cryptoporticus,  a  fronte  caveam  theatralem  reddentes  ...  Haud 
ita  multo  post  eodem  clivo  Balinea  Pauli  stetisse  ferunt ;  l'edizione  del  1544 
aggiunge:  ubi  nunc  monialium  est  habitaculum,  il  monastero  cioe  delle  Do- 
minicane  di  SS.  Domenico  e  Sisto,  perche  quello  di  S.  Caterina  da  Siena  non 
esisteite  ancora  in  quel  tempo. 


DIE  ARCHAISCHE  ARTEMISSTATUETTE 
AUS  POMPEII  (')• 


Die  grosse  Bereicherung  unseres  Vorrats  an  archaischen  Denk- 
mälern, welche  wir  in  erster  Reihe  den  Ausgrabungen  auf  der 
Akropolis  verdanken,  wird  nicht  verfehlen,  auch  die  Lösung  einer 
wichtigen  alten  Aufgabe  der  Kunstgeschichte  zu  fördern,  die,  wie 
mich  dünkt,  bisher  mehr  als  nötig  vernachlässigt  blieb.  Es  ist 
dies  die  genauere  Classification  der  sehr  verschiedenartigen  Denk- 
mäler, welche  unsere  Handbücher,  auch  die  wissenschaftlich  höchst 
stehenden,  unter  der  einen  Rubrik  der  «  archaistischen,  nur 
scheinbar  altertümlichen  Kunst  ■  vereinigen.  Bei  dem  gegenwär- 
tigen Stande  der  Forschung  wird  es  der  ganzen  Aufgabe  wichtig- 
ster Teil  sein,  solche  Werke  auszusondern  und  an  die  richtige 
Stelle  zu  rücken,  welche  nichts  anderes  sein  wollen,  als  möglichst 
genaue  Nachbildungen  bestimmter  archaischer  Individuen.  Vieles 
und  Wertvolles  ist  ja  auf  diesem  Gebiete  schon  geschehen,  vieles 
aber  wird  sich  noch  leisten  lassen,  besonders  wenn  man,  wie  es 
in  anderen  Abschnitten  der  Kunstgeschichte  öfter  geschieht,  den 
Begriff  der  Copie  etwas  weiter  fasst  und  darunter  nicht  allein 
solche  Nachbildungen  versteht,  welchen  es  gelingt  fast  bis  in  alle 
Einzelheiten  den  Stilcharakter  der  Originale  festzuhalten,  wie  wir 
deren  nicht  mehr  ganz  wenige  besitzen,  z.B.  die  Tyrannenmörder 
in  Neapel  oder  die  Frauenstatue  im  Garten  von  S.  Alessio  auf  dem 
Aventin  (2),  die  sich  nur  in  geringfügigen  Zügen  als  Nichtoriginal 

(0  Der  Hauptinhalt  dieses  Aufsatzes  wurde  in  der  Februarsitzung  der 
Berliner  archaeologischen  Gesellschaft  vorgetragen,  Deutsehe  Litteraturzeitg. 
1888  S.  285,  Wochenschr.  f.  klass.  Philol.  1888  S.  345  f. 

(s)  Bull,  della  comrn.  munic.  1881  IX  Tf.  5,  1 ;  2  Ghirardini  S.  106  ff. 
hält  sie  für  ein  echt  archaisches  Werk.  Meine  abweichende  Ansicht  gedenke 
ich  später  genauer  zu  begründen. 


278         DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII 

verrät.  Wenn  wir  mit  Recht  die  sehr  massigen  Copien  der  Par- 
thenos,  der  Niobiden,  des  Leochareischen  Ganymedas,  der  Antiochia 
Ton  Eutychides  dort  einfügen,  wo  von  den  Urbildern  die  Rede  ist, 
dann  sind  auch  mangelhaftere  Nachbildungen  archaischer  Werke, 
als  die  eben  genannten,  wie  etwa  die  Wiener  Amazone,  die  Dres- 
dener Athena,  die  Athena  und  der  Dionysos  Albani,  unter  An- 
wendung der  nötigen  und  möglichen  Kritik  für  den  Aufbau  der 
ältesten  Kunstgeschichte  zu  verwerten. 

Einen  noch  ungenutzten  Baustein  dieser  Art  glaube  ich  in 
dem  anmutigen  Cultbilde  der  jagenden  Artemis  (Tafel  X)  nach- 
weisen zu  können,  welches  im  Jahre  1760  in  dem  viersäuligen 
Tempelchen  eines  Hauses  zu  Pompeii,  vor  der  rechteckigen  mit 
buntem  Marmor  verkleideten  Basis  liegend  zu  Tage  kam  (3)  und 
schon  durch  seine  vortreffliche  Erhaltung,  besonders  auch  des  Far- 
benschmuckes, von  Anbeginn  die  grösste  Aufmerksamkeit  erregte  (4). 

Die  Figur  ist  1,078  M.  hoch,  aus  weissem  Marmor,  welchen 
Finati  (5)  als  lunensischen  bezeichnet,  während  er  mir  körniger 
griechischer  zu  sein  schien.  Abgesehen  von  dem  Attribut  der 
Linken  und  einigen  Splittern  des  Diadems  fehlt  gegenwärtig  der 
obere  und  untere  Abschluss  des  Köchers.  Beide  Stücke  waren  an 
wohlgearbeiteten  Ansatzflächen  angefügt.  Am  unteren  Ende  des 
Köchers  ist  überdiess  ein  Stückchen  schräg  abgesprengt.  Angestückt 
war  ferner  die  Spitze  des  Gewandzipfels  unter  dem  rechten  Knie, 
und  zwar  mit  zwei  dünnen  Stiften,  von  denen  der  eine  aufwärts  in 
das  gegenwärtig  ausgesprengte  Loch  der  wagrecht  abgeschnittenen 
Ansatzfläche,  der  andere  rückwärts  in  die  Chitonfläche  eingriff. 
Auch  hier  also  finden  wir  Belege  dafür,  dass  der  XCdav  tQyän^ 
und  tQ/ioykvqevc  zugleich  ein  CvyaQfxoaT^g  sein  musste  (c).  — 
Ergänzt  ist  nur  ein  Stück  der  stark  vorspringenden  Falte,  die  von 
der  rechten  Brust  abwärts  geht,  und  Weniges  an  den  Fingern, 
welche  grössten  Teils  aus  mitgefundenen  Bruchstücken  zusammen- 

(3)  Fiorelli,  Pomp,  antiq.  hist.  I  S.  114.  Winckelmann,  Sendschreiben 
von  den  herculan.  Entdeck.  §  46. 

(4)  Die  Litteratur  bei  Friederichs-Wolters,  Berl.  Gipsabg.  Nr.  442. 
Hinzuzufügen  finde  ich  Julius  in  Baumeisters  Denkm.  d.  kl.  Alterth.  I  S.  349, 
Schreiber  in  Roschers  Lex.  d.  Mythol.  I  S.  598  f.,  Collignon  Mythol  fig.  S.  104. 

(5)  Mus.  Borb.  II  zu  Tf.  8. 

(6)  Lukian  kvvnv.  1,  2. 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII  279 

gesetzt  werden  konnten.  Die  in  alter  Weise  rauh  bearbeitete  und 
ziemlich  dicht  um  die  Füsse  ungefähr  oval  abgeschnittene  Plinthe 
ist  mit  Gips  zu  ihrer  jetzigen  rechteckigen  Form  erweitert. 

Die  Trefflichkeit  und  Anmut  dieses  Werkes  hat  fast  aus- 
nahmlos die  grösste  Anerkennung  gefunden,  aber  fast  ebenso  ein- 
stimmig ist  man  neuerdings  in  dem  Urteile,  dass  in  ihm  Ele- 
mente verschiedener  Kunstweisen  zu  einem  «  archaistischen  ■  Gan- 
zen verbunden  sind  (7).  Dagegen  scheint  mir  heute  kein  Zweifel 
daran  bestehen  zu  können,  dass  die  Statue  in  Composition  und 
Stil  die  getreue  Nachbildung  eines  um  die  Zeit  der  Perserkriege 
entstandenen  Werkes  ist,  welche  nur  in  geringen  Mängeln  der 
Ausführuug  die  Hand  eines  der  ersten  Kaiserzeit  angehörenden 
Copisten  verrät. 

Schon  die  Kleinheit  der  Figur,  nur  wenig  über  halbe  Lebens- 
grösse,  passt  zu  einem  Cultbilde  jener  alten  Zeit,  in  deren  Streben 
und  Können  sich  ihre  Auslassung  und  Anlage  ungezwungen  hin- 
einfügt. 

Lebhaft  und  maasvoll  zugleich  schreitet  die  schlanke,  kräftige 
Jägerin  vorwärts,  zur  Erleichterung  der  Bewegimg  mit  de:  Rechten 
den  langen  Chiton  aufhebend.  Der  heite;  und  aufmerksam  in  die 
Ferne  gerichtete  Blick  späht  nach  dem  Wilde,  zu  dessen  Erlegung 
sie  mit  auf  dem  Rücken  hängendem  cylindrischen  Köcher  und  mit 
dem,  wie  sich  zeigen  wird,  in  der  gesenkten  Linken  zu  ergän- 
zenden Bogen  ausgerüstet  ist.  In  ihrem  Gesammtmotiv  schliesst 
sich  diese  Gestalt  der  neuerdings  besonders  durch  Petersens  er- 
gebnissreiche  Untersuchung  bekannt  gewordenen  Keine  von  Nike- 
bildern des  chiotisch-attischen  Archaismus  an,  welche  in  alimählig 
gemilderter  Gewaltsamkeit  der  Bewegung  durch  die  Lüfte  schrei- 
ten, meist  auch  ähnlich  mit  einer  Hand  das  Gewand  aufnehmend  (8). 
Am  nächsten  steht  unserer  Artemis  die  schöne  Marmornike  von 
der  Akropolis  (9),  ebenfalls,  wie  ja  der  Gegenstand  erfordert,  weit 
lebhafter  bewegt,  aber  stilistisch  nur  wenig  altertümlicher.  Zur 
Vergleichung  bieten  sich  ferner   die   anstürmenden  Göttinnen  der 


(7)  Winckelmann  freilich  hielt  sie  für  «  hetrurisch  »,   Braun,  Vorschule 
d.  Kunstmyth.  S.  35  u.  A.  für  ein  echt  altgriechisches  Werk. 

(8)  Mitth.  d.  arch.  Inst.  Athen  1886  XI  Tf.  11  S.  372  ff. 

(9)  A.  a.  0.  Fig.  C.  S.  380  ff. 


280 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII 


Gigantenkämpfe,  besonders  die  zweier  jüngeren  selinuntischen  Me- 
topen,  auch  sie  freilich  noch  etwas  archaischer  als  die  Artemis. 

Doch  auch  kunsimythologisch  steht  sie  in  der  Zeit,  der  wir 
sie  zuweisen,  nicht  ohne  Zusammenhang  da.  Die  herrliche  Gestalt 
der  Artemis  Colonna  und  ihrer  Repliken  lehrt  uns  die  Weiter- 
entwickelung des  Typus  im  vierten  Jahrhundert  kennen    (10),    wo 

er  sich  neben  der  seit  Strongylion  (n) 
üblich  gewordenen  kurzgeschürzten 
Amazonengestalt  der  Göttin  als  ein 
Erbteil  älterer  Tradition  zu  erkennen 
gibt.  Andererseits  beweisen  zwei  seit 
Kurzem  dem  Berliner  Antiquarium 
angehörende  kleine  Denkmäler,  ein 
korinthischer  Aryballos  aus  Rhodos 
mit  nachlässiger  Malerei  (12)  und 
die  hier  abgebildete  Kleinbronze  aus 
Thesprotien,  wahrscheinl;ch  aus  Do- 
dona(13),  dass  bereits  hoch  im  sechs- 
ten Jahrhundert  der  starren  ostgrie- 
chischen  Cultgestalt  der  thierhalten- 
den  Ttorvia  &tjQwv  die  freie  Darstellung  der  fröhlich  durch  ihr  Revier 
dahinschreitenden  Jägerin,  wie  sie  die  Odyssee  schildert,  zur  Seite 
getreten  war.  Die  Bronzestatuette,  welche  hier  für  uns  wichtiger  ist, 
gibt  den  Gegenstand  in  derb  altertümlichem  Stil  und  doch  mit  gros- 
ser Lebendigkeit  wieder.  In  einem  nicht  sehr  langen  altdorischen 
Peplos,  an  dem  vorne  das  kurze  Apoplygma  kenntlich  ist,  schreitet 
sie  mit  straffen  Knien  weit  aus  und  schiesst  mit  vorgehaltenen  Händen 
den — jetzt  sammt  dem  Bogen  fehlenden  —  Pfeil  ab.  Das  Haupt 
zeigt  eine  ähnliche  Haartracht  sowie  in  Haltung  und  Ausdruck 
bereits  dieselbe  heitere  Aufmerksamkeit,  wie  an  der  Marmorstatue, 
welche  ja  sonst  in  ihrer  Zierlichkeit  und    <fa<pQo<rvvrj  von  diesem 


(l0)  Desshalb  mag  sie  Braun,  Vorschule  der  Kunstmythologie  Tf.  53 
und  54,  zusammengestellt  haben. 

(' l)  Imhoof-Blumer  und  Percy  Gardner,  Num.  comm.  on  Paus,.  S.  4 ; 
8,  Journ.  of  hell  stud.  1885  VI  S.  53;  57. 

(12)  Inv.  2955,  abgeb.  Jahrb.  d.  Inst.  1886  I  S.  145  f.  Furtwängler. 

(13)  Inv.  7971,  abgeb.  Jahrb.  d.  Inst.  1887  II  S.  204  Furtwängler.  Die 
Abbildung  durfte  mit  Bewilligung  der  Redaction  oben  wiederholt  werden. 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII  281 

urwüchsigen  Erzeugnisse  weit  entfernt  ist.  Der  Hauptunterschied 
des  Schemas  liegt  in  der  Haltung  der  Hände.  Der  fortgeschrittene 
Künstler  wählte  für  sein  Cultbild  nicht  das  momentane  Motiv 
des  Losschiessens,  sondern  das  stätigere  und  ruhigere  des  schuss- 
bereiten Wandeins,  welches  ihm  gestattete,  die  Brust  mit  dem 
anmutigen  Faltenspiel  des  Obergewandes  frei  zu  lassen  und  den 
zierlichen,  im  reifen  Archaismus  —  auch  in  den  bekannten  Statuen 
von  Delos,  welche  Homolle  und  Andere  mit  zweifelhaftem  Hechte 
zu  den  Dlanae  antiquissimis  simidacris  rechnen  —  so  beliebten 
Zug  der  gewandaufhebenden  Hand  anzubringen.  Nicht  ganz  unähn- 
lich sieht  man  auf  den  noch  etwas  altertümlicheren  Polykrates- 
Münzen  von  Abdera  die  ruhig  schreitende  Göttin  in  der  Linken  den 
Bogen  erheben,  mit  der  Rechten  aber  dem  sie  begleitenden  Reh 
einen  Zweig  oder  Kranz  vorhalten  (I3a).  Dass  neben  solchen  Um- 
gestaltungen jener  alte  Typus  weiterbestand ,  versteht  sich  von 
selbst  und  wird  z.  B.  durch  zwei  Lekythen  aus  der  Mitte  des  fünften 
Jahrhunderts,  eine  attische  und  eine  sicilische,  bezeugt  (14). 

Auch  im  Detail  der  Haltung  kann  ich  an  der  Statue  nichts 
finden,  was  der  Kunststufe  widerspräche,  welcher  die  Composition 
angehört.  Wohl  ist  ■  die  Stellung  der  Füsse  eine  fortgeschrit- 
tene »  (,5),  besonders  die  des  rechten  auswärts  gedrehten  und  mit 
der  Ferse  elastisch  gehobenen.  Aber  Aehnliches  findet  sich  schon 
an  den  Aigineten  und  Tyrannenmördern,  an  gleichartig  bewegten 
Frauengestalten  in  Vasengemälden  gleicher  Zeit,  wie  bei  Duris 
und  Brygos  (,f') ;  auch  die  Artemis  auf  den  erwähnten  etwas  jün- 
geren Vasen  (N)  und  in  der  unerfreulichen  Darstellung  der  Athena- 
geburt  mit  roten  Figuren  mag  man  vergleichen  (,7). 

(13a)  Cat.  Brit.  Mus.  Thrflce  S.  231,  Gardner  Types  of  gr.  coins  Tf.  3,  31 
S.  110,  Beschr.  d.  ant.  Münzen  in  Berlin  I  Tf.  4,  34  S.  105,  03. 

(14)  Benndorf,  Griech.  u.  sicil.  Vasenb.  Tf.  30,  8  (Collignon,  Fla».  (FA- 
thtnes  Nr.  621) ;  ebenda  Tf.  49,  4. 

(15)  Julius  in  Baumeisters  Denkm.  S.  349.  Vgl.  Braun,  Vorschule  der 
Kunstmyth.  S.  33 :  «  Die  Füsse  schreiten  kräftig  auf  und  würden,  für  sich 
allein  betrachtet,  kaum  auf  ein  Werk  so  altertümlicher  Vortragsweise 
schliessen  lassen. » 

(16)  Wiener  Vorlegebl.  Ser.  6  Tf.  7,  wo  auch  der  langbekleidete  Apoll 
hierhergehört;  Ser.  8  Tf.  3. 

(n)  Gerhard,  Auserl.  Vasenb.  I  Tf.  4.  Vgl.  etwa  auch  noch  die  schreitenden 
Niken,  Benndorf,  Griech.  u.  sicil.  Vasenb.    Tf.  19,  3;  36,  9  und  Aehnliches. 


282 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII 


Aber  « in  der  Steifheit  der  Haltung  und  Bewegung,  in  dem 
Starren,  welches  in  der  Linie  liegt,  die  vom  Kopfe  bis  zum  zurück- 
stehenden Fusse  geht,  empfinden  wir  —  nach  Overbeck  —  etwas, 
das  mit  der  fliessenden  und  zierlichen  Schönheit,  mit  der  das 
Nackte  behandelt  ist,  nicht  recht  stimmen  will  und  das  den  Ein- 
druck des  Absichtlichen  hervorbringt »  (18),  und  für  Friederichs 
und  Wolters  ■  ergibt  sich  aus  der  runden  Bildung  des  Nackten, 
dass  die  Figur  nicht  echt-altertümlich  sei  ».  Diese  Beobach- 
tungen könnten  jedoch  nur  beweisen,  dass  der  Copist  die  Formen 


ein  wenig  erweicht  hat,  und  beweisen  auch  das  kaum,  wenn  man 
sich  die  wunderbare  Naturwahrheit  und  Lebensfrische  vor  Augen 
hält,  welche  z.  B.  die  jüngeren  Aigineten  in  der  Wiedergabe  der 
einzelnen  Körperteile  erreichen.  Auch  unter  den  Meisterwerken  des 
Archaismus  auf  der  Akropolis  sind  Hände,  Füsse  und  Arme  zu  sehen, 


(18)  Gesch.  d.  gr.  Plast.  I3  S.  194. 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII  283 

» 

welche  die  der  Artemis  eher  übertreffen  (19).  Dem  gegenüber  zeugt 
auch  bei  ihr  die  Wiedergabe  des  ganzen  Körpers,  in  den  breiten 
Schultern  und  der  unbetonten  Hüfte,  von  noch  mangelhafter  Beob- 
achtung des  charakteristisch  Weiblichen. 

Die  trefflich  gearbeiteten  Ohren,  Wangen  und  Mund,  das 
Kinn  mit  dem  leichten  Grübchen,  welches  schon  Friederichs  als 
echt  altertümlichen  Zug  hervorhob,  die  Proflllinie  von  Stirn  und 
Nase,  alles  ist  im  Wesen  echt  archaisch,  nur  in  der  Ausführung 
hie  und  da  etwas  flau  geraten.  Die  naturgemässere  Bildung  des 
Brauenbogens  tritt  ähnlich  schon  am  Harmodios  und  anderen 
Werken  des  ausgehenden  Archaismus  auf  (20) ;  das  Auge  liegt  noch 
wenig  tief,  und  sein  Schnitt  im  Ganzen  ist  nicht  viel  verschieden 
von  dem  im  aiginetischen  Ostgiebel  herrschenden.  Nur  in  der 
Bildung  des  äusseren  Augenwinkels,  wo  der  Rand  des  oberen  Lides 
richtig  über  das  untere  hinausgeführt  ist,  vermochte  auch  dieser, 
wie  andere  sonst  höchst  gewissenhafte  Nachahmer  archaischer 
Werke  (-'),  sein  besseres  Wissen  nicht  zu  verläugnen. 

Es  darf  als  willkommene  Bestätigung  dieses  Urteils  gelten,  dass 
nach  Franz  Winters  freundlich  zur  Verfügung  gestellten  Messun- 
gen (-)    « auch  die  Proportionen   dazu    beitragen,   der   Figur   zu 

(10)  Zu  Verweisungen  im  Einzelnen  reichen  die  vorhandenen  Abbildungen 
kaum  aus;    unsere  Abbildung  des  Kopfes  wird  winter  verdankt. 

(20)  Vgl.  Winter,  Jahrb.  d.  Inst.  1887  II  S.  225  f. 

(21)  Vgl.  z.  ß.  die  vaticanische  Wettläuferin  und  den  Kopf  in  diesen 
Mitth.  1886  I  Tf.  4  vgl.  1887  II  S.  106  A.  51.  Was  dort  über  die  Augen- 
bildung der  einen  archaischen  Grabstele  im  Conservatorenpalast  gesagt  ist, 
beruht  auf  einem  Versehen. 

(22)  Man  vergleiche  Winters  Darlegung  Jahrb.  d.  Inst.  1887  II  S.  223  ff. 
Nach  der  Tabelle  S.  238  f.  sind  im  Ganzen  auch  die  folgenden  Maasse  ge- 
ordnet. Auf  die  zahlreichen  Gleichungen,  die  sich  darunter  finden,  sei  nur 
im  Allgemeinen  hingewiesen : 

Scheitel  bis  Kinn ri=  0,135 

Nasenwurzel  bis  Hinterkopf ±0,135 

Stirn 0,027 

Stirn  bis  oberen  Augenhöhlenrand     ....  0,019 

Nase 0,034 

Nase  bis  oberen  Augenhöhlenrand 0,041 

Untergesicht 0,041 

Oberer  Band  der  Unterlippe  bis  Kinn    .     .     .  0,028 

Innerer  Augenwinkel  bis  unteren  Nasenansatz  0,028 


284         DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII 

ihrem  alten  Kechte  zu  verhelfen.  Es  sind  zum  Teile  dieselben, 
wie  sie  bei  älteren  attischen  Köpfen  vorkommen,  aber  die  cha- 
rakteristischen Merkmale  für  das  Attische  fehlen  »  (-'3). 

Gut  archaisch  ist  ferner  die  Haartracht.  Im  Nacken  hängt 
ein  Schopf  herab,  dessen  Ende  krobylosähnlich  aufgebogen  und 
zusammengebunden  ist,  ähnlich  wie  etwa  an  dem  Bronzekopfe  aus 
Kythera  im  Berliner  Antiquarium  (24).  Von  ihm  lösen  sich  beider- 
seits hinter  den  Ohren  die  obligaten  zur  Brust  herabfallenden 
Locken,  der  geringen  Länge  des  Haarbeutels  im  Nacken  entspre- 
chend kürzer,  als  sonst  bei   altertümlichen   Frauengestalten,   und 


Innerer  Augenwinkel  bis  Scheitel 0,067 

Innerer  Augenwinkel  bis  Kinn 0,067 

Innerer  Augenwinkel  bis  Haaransatz ....  0,034 

Innerer  Augenwinkel  bis  Mundmitte  ....  0,041 

Haaransatz  bis  Scheitel 0,033 

Haaransatz  bis  unteren  Nasenansatz  ....  0,060 

Nasenwurzel  bis  Ohrläppchen 0,084 

Unterer  Nasenansatz  bis  Ohrläppchen     .     .     .  0,072 

Kinn  bis  Ohrläppchen 0,076 

Mundbreite 0,029 

Innere  Augenweite 0,020 

Aeussere  Augenweitc    ....;....  0,061 

Augenlänge 0,020 

Lichte  Augenhöhe 0,008 

Unterer  Augenrand  bis  Augenbrauen      .     .     .  0,019 

Backenknochenabstand 0,084 

Von  Ohr  zu  Ohr 0,091 

Ohrlänge  links 0,036 

Ohrlänge  rechts 0,037 

Halsbreite 0,076 

Kinn  bis  Gewandansatz  (Halsgrube)  ....  0,073 

Kinn  bis  Höhe  der  Brustwarzen 0,135 

Brustwarzenabstand 0,135 

Brustmitte  bis  Schulter .     =fc  0,135 

Oberarm 0,195 

Unterarm  bis  Handwurzel 0,165  -   0,170 

Fusslänge 0,167 

Höhe  der  ganzen  Figur  (genau  8  Kopf  höhen)  1,078 

(")  Vgl.  Winter  a.  a.  0.  S.  225  f. ;  228. 

(2*)  Arch.  Zeitg.  1876  XXXV  Tf.  3,  2  Brunn.    Vgl.  v.  Sallet,  Zeitschr. 
f.  Numism.  1882  IX  S.  141  ff. 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS   POMPEII  285 

nur  zwei  statt  der  üblichen  drei  oder  vier ;  doch  fehlt  es  auch 
hierfür  nicht  an  archaischen  Beispielen  (25).  Die  nicht  mehr  streng 
schematischen,  freieren  Wellenlinien  dieser  Haarsträhne  finden  sicli 
ähnlich  an  dem  Torso  eines  Kitharoden  aus  der  Sammlung  Mazarin 
in  Paris,  welcher  ungefähr  dem  Apollon  des  thasischen  Nymphen- 
reliefs zu  vergleichen  ist  (25a).  Auch  sie  brauchen  also  nicht,  wie 
Wolters  meinte,  als  Ausnahme  von  der  Treue,  zu  gelten  mit  welcher 
der  Copist  sonst  die  archaische  Stilisierung  des  Haares  wieder  gab, 
wobei  nur  eine  gewisse  Unsicherheit  der  Linienführung  erkennen 
lässt,  dass  er  ängstlich  nachzeichnet,  was  ihm  nicht  vertraut  ist. 
Sehr  treu  nachgebildet  hat  er  die  Umrahmung  des  Gesichts.  Zu- 
nächst geht  von  Ohr  zu  Ohr  eine  Wellenlinie  durch  ;  an  beiden 
Schläfen  liegen  senkrecht  herabgestrichene  ebenso  gewellte  Scheitel, 
wie  sie  an  archaischen  Köpfen  nicht  selten  sind  (2fi),  nur  dass  sie 
sich  dort  meist  deutlicher  von  der  quergewellten  Haarpartie  über 
der  Stirn  absondern,  während  diese  hier,  ähnlich  wie  an  einer 
Statuette  von  der  Akropolis  (2~)  herabhangende  Löekchen  über- 
decken, welche  den  Strähnen  jener  Schläfenscheitel  parallel  sind. 
Für  die  Sorgfalt  der  Haarbehandluag  ist  es  bezeichnend,  dass  der 
ganze  Schopf  auf  dem  Kücken  der  Länge  nach,  und  der  von  dem 
Diadem  verdeckte  Abschnitt  des  Kopfes  in  concentrischen  Wellen- 
linien ebenso  durchgesträhnt  ist,  wie  das  Uebrige. 

Der  breite  Haarring  gleicht  nicht  vollständig  der  ähnlichen 
Binde,  welche  die  grosse  Masse  archaischer  Frauenstatuen  trägt  — 
denn  diese  pflegt  seitlich  und  hinten  viel  tiefer  zu  sitzen  und 
scheint  durch  ihre  Ausbiegung  über  den  Ohren  oder  Schläfen  als 
biegsames  Band  gekennzeichnet  zu  sein  — ,  sie  reiht  sich  vielmehr 


(25)  Zwei  Locken  an  dem  beschildeten  Torso  v.  Sybel,  Katal.  Nr.  5070, 
wohl  einer  Amazone  ;  von  ähnlicher  Kürze  ebenda  Nr.  4567,  Ghirardini  Bull, 
della  comm.  munic.  1881  IX  S.  127. 

(25a)  Ich  kenne  das  merkwürdige  Werk  aus  dem  Abguss  in  der  Sammlung 
der  Wiener  Universität ;  in  der  Litteratur  ist  mir  nicht  ein  Mal  eine  Erwäh- 
nung bekannt. 

(2ü)  Vgl.  z.  B.  den  Kopf  aus  Eleusis  'Ecprüu.  «p/.  1883  Tf.  5,  den  atheni- 
schen ebenda  Tf.  6,  Jahrb.  d.  Inst.  1887  II  Tf.  13,  Khomaidis-Sophulis, 
Museen  Athens  Tf.  13. 

(«)  'E(pruu.  dgx-  1883  Tf.  8  links  Vgl.  auch  den  Kopf  aus  Eleusis. 
Anni.  26. 


286         DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATÜETTE    AUS    POMPEII 

den  steifen  kalathosartigen  Kopfzierden  an,  welche  auch  an  alten 
Artemisidolen  nicht  selten  sind  (28),  meistens  freilich  viel  höher 
und  nach  oben  erbreitert.  Als  Uebergangsform  zu  der  hier  vor- 
liegenden Gestaltung  sei  die  sogenannte  Aphrodite  von  Marseille 
angeführt  (29),  deren  Krone  auch  den  rundlichen  Wulst  am  un- 
teren Rande  hat.  Noch  näher  verwandt  sind  die  Kopfaufsätze  des 
kolossalen  Herakopfes  aus  Mergelkalk  in  Olympia,  der  Sphinx 
von  Spata  und  des  kleinen  archaischen  Köpfchens  vom  Erech- 
theion  (29a)  am  nächsten  meines  Wissens  das  Diadem  an  einem 
noch  nicht  abgebildeten  Statuenbruchstück  aus  den  neuesten  Funden 
auf  der  Akropolis  (3fl)  und  das  der  Artemis  in  der  selinuntischen 
Aktaionmetope.  —  Die  Sphinx  von  Spata  bietet  auch  die  älteste 
griechische  Analogie  zu  den  zehn  Rosetten  an  dem  Reifen  der 
Artemis ;  sie  hatte  deren  drei,  gleichfalls  achtblättrige,  an  der 
Vorderseite  aufgemalt  und,  wie  selbst  auf  der  Photographie  kennt- 
lich, vorgeritzt;  nur  wechselten  sie,  wie  neulich  Winter  festgestellt 
hat,  mit  Lotoskreuzen  ab  (31).  Plastisch  ausgeführte  Rosettenreihen 
finden  sich  an  ähnlichen  Diademen  kvprischer  Köpfe  (31a)  und  an 
der  stärker  ausladenden  Stephane  einer  den  bekannten  korinthischen 
Spiegelstützen  verwandten ,  also  der  Zeit  kurz  vor  Mitte  des 
fünften  Jahrhunderts  zuzuweisenden  Kleinbronze  (32).  Als  Bei- 
spiele eines  gleichartigen  plastischen  Schmuckes  sind  die  sieben 
bronzenen  Lotosknospen  anzuführen,  welche  das  Haarband  der 
Statue  von  Antenor  zierten  (32a);  auch  das  der  Archermosnike  hatte 

(28)  Vgl.  R.  v.  Schneider,  Jahrbuch  der  kunsthistor.  Samml.  des  Kaiser- 
hauses, Wien  1887  V  S.  8. 

(29)  Gas.  arch.  1876  Tf.  31.  Bazin,  V  Aphrodite  Marseillaise,  Paris  1880. 
(29a)  Mitth.  d.  Inst.  Athen  1879  IV  Tf.  6,  1. 

(30)  Mitth.  d.  Inst.  Athen  1887  XII  S.  264  f.  vergleicht  ihn  Wolters 
mit  der  Statue  des  Antenor,  während  er  mir  eher  einer  etwas  jüngeren  Stufe 
derselben  festländischen  Kunst  anzugehören  schien,  deren  Hauptvertreter  das 
eben  erwähnte  phokaeische  Werk  aus  Marseille  ist. 

(3i)  Mitth.  d.  Inst.  Athen  1879  IV  Tf.  5  S.  68  f.  Milchhöfer.  1888 
XIII  S.  131  Winter. 

(3i«)  Z.  B.  Palma  di  Cesnola  Cyprus  S.  350,  Antiq.  of  Cypr.  1878  Tf.  28  r. 

(32)  Fröhner  Coli.  Grtau  Nr.  935  Tf.  27.  [Rayet  Etüde*  d'archiol.  S.  353]. 

(32fl)  Rhomaidis-Kavvadias,  Museen  Athens  Tf.  6.  Jahrb.  d.  Inst.  1887 
II  Tf.  10  S.  139.  Die  ohne  jede  Begründung  hingeworfene  Ableugnung  der 
Zusammengehörigkeit  von  Statue  und  Basis  hat  Wolters,  Mitth.  d.  Inst. 
Athen.  1888  XIII  S.  226  genügend  zurückgewiesen. 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII  287 

derartige  Metallornamente  (33).  Vielleicht  darf  man  auch  hier,  wie 
vor  den  antheraionbemalten  Kopfbinden,  der  fiii-Qai  noXväv^e^ioi 
bei  Anakreon  gedenken  (34). 

Auf  die  archaische  Einfachheit  der  Sandalen  und  ihres  Rie- 
menwerks sei  nur  mit  einem  Worte  hingewiesen. 

Gekleidet  ist  die  Artemis  erstens  in  den  langen  ionischen 
Leinenchiton,  welcher,  wie  von  Alters  her  üblich,  längs  den  Ober- 
armen mit  je  sieben  Knöpfchen  zu  scheinbaren  Aermeln  zusam- 
mengenestelt ist.  An  der  rechten  Seite  wird  zwischen  den  Falten 
des  Obergewandes  die  Gürtung  um  die  Hüften  sichtbar,  die  Gürtel- 
schnur  selbst  verdeckt  der  Bausch.  Die  Stilisierung  dieser  Partien, 
besonders  der  von  den  Knöpfchen  ausstrahlenden  Faltengruppen, 
erhebt  sich  bereits  zu  einer  ähnlichen  Stufe  der  Naturwahrheit,  wie 
sie  die  wohl  nur  wenig  jüngere  ■  Penelope  ■  erreicht  hat.  Altertüm- 
licher sieht  der  die  Beine  umhüllende  Teil  des  Kleides  aus,  wie  denn 
überhaupt  die  Bildung  frei  fallender  Gewandteile  schwerer  und  später 
der  archaischen  Formeln  zu  entraten  vermochte,  als  die  Darstellung 
von  dicht  umhüllten  Körperteilen.  Die  Falten,  welche  diese  Partie 
zeigt,  sind  von  zweierlei  Art:  die  grösseren,  von  der  Haltung  des  um- 
hüllten Körpers  bedingten  Gewandfalten,  und  die  bleibenden  Wel- 
lenfältchen  des  Stoffes.  Die  archaische  Kunst  pflegt  nur  eine  von 
diesen  Gattungen  auszudrücken  und  beide  auf  verschiedene  Teile 
desselben  Kleides  zu  verteilen ;  (34a)  so  z.  B.  haben  Frauenfiguren 
mit  gegürtetem  Chiton  oberhalb  der  Gürtung  nur  die  Stofffalten, 
unterhalb  nur  die  Gewandfalten  (35).  Beiderlei  zu  vereinigen  be- 
müht sich  erst  die  Uebergangszeit,  wie  unter  anderen  die  bis  vor 

(33)  Bull,  de  corr.  hell.  1879  III  Tf.  6  S.  394  Homolle.  Arch.  Ztg. 
1882  XL  S.  324  Furtwängler.  Jahrb.  d.  Inst.  a.  a.  0.  Die  von*Brunn  und 
mir  geäusserten  Zweifel  an  der  Zugehörigkeit  der  Nike  zur  Archermoshasis 
hat  Petersen  Mitth.  d.  Inst.  Athen  1886  XI  S.  385  ff.  beseitigt. 

(34)  Fr.  65  Bgk.  Mitth.  d.  Inst.  Athen  1886  XI  S.  356. 
(34a)  vgl.  zuletzt  Petersen  a.  a.  0.  (s.  Anm.  33)  S.  379. 

(35)  Gute  Beispiele  sind  die  Athena  des  Endoios,  die  Statuen  'EcpTj/*. 
uqX-  1883  I  Tf.  8,  Rhomaidis-Kavvadias,  Museen  Athens  Tf.  5.  An  letzterer 
schliesst  die  Wiederkehr  desselben  gemalten  Musters  (eines  der  üblichen 
Sternblümchen)  ober-  und  unterhalb  der  Gürtung  den  sehr  gewöhnlichen  Irr- 
tum aus,  dass  der  gewellte  Oberteil  eine  besondere  Jacke  sei.  Vgl.  Böhlau, 
Quaest.  de  re  vestiar.  S.  35  ff.  Von  Vasenfiguren  führe  ich  nur  die  Hetaere 
in  der  Eurystheusschale  des  Euphronios  dagegen  an. 

19 


288         DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE   AUS    POMPEII  ' 

Kurzem  Hippodameia  genannte  Gestalt  des  olympischen  West- 
giebels zeigt  (36).  An  ihr  ist  auch  zu  beobachten,  wie  man  gleich- 
zeitig die  schematische  Regelmässigkeit  in  der  Wiedergabe  jener 
Stofffältchen,  welche  der  Archaismus  durch  streng  parallele  Wellen- 
furchen ausdrückte,  zu  lockern  (37),  und  sich  der  wahren  Form 
dieses  krausen  Gefälteis  zu  näher  begann,  die  heute  noch  an  orien- 
talischen Leinen-  und  Baumwollstoffen  zu  beobachten  und  in  Wer- 
ken der  Diadochenzeit,  z.  B.  den  Friesen  von  Pergamon  und  den 
Giebelstatuen  von  Samothrake,  vollendet  nachgebildet  ist.  Dieses 
Bestreben  macht  sich  auch  schon  an  dem  unteren  Teile  des  Chi- 
tons der  Artemis  fühlbar.  Für  die  Anordnung  der  Gewandfalten 
an  dieser  Partie  sind  die  sieben  nach  dem  Schosse  zu  convergie- 
renden  Falten  zwischen  den  Beinen  charakteristisch,  ein  bei  ähn- 
lich bewegten  archaischen  Figuren  gewöhnliches  Motiv  (38).  Minder 
gewöhnlich  ist  die  Linienführung  des  Saumes  an  dieser  Stelle, 
welcher  sonst  häufiger  —  wie  auch  an  der  Rückseite  unserer  Sta- 
tuette —  in  doppelter  Treppenlinie  zu  einer  breiteren  Mittelfalte 
emporzusteigen  pflegt.  Doch  ist  auch  jenes  Schema  im  Wesentli- 
chen zu  belegen ;  man  vergleiche  etwa  die  Seitenpartien  des  Chi- 
tons an  der  kürzlich  von  Löwy  bekannt  gemachten  Sitzfigur  in 
Paros  (39). 

Das  Obergewand,  ein  viereckiger  Mantel,  welcher  etwa  mit 
einem  Fünftel  seiner  Breite  übergeschlagen,  also  grossen  Teils  ge- 
doppelt und  auf  beiden  Schultern  mit  grossen  Knöpfen  zugeheftet 
ist,  gleicht  im  Ganzen  jener  Diplax  oder  Diplois,  die  an  der  Statue 
von  Gabii  in  Paris  und  ihren  Wiederholungen  als  Tracht  der 
Jagdgöttin  und  aus  einer  mit  homerischen  Schilderungen  anhe- 
benden Reihe  von  anderen  Beispielen  als  Kleidung  solcher  Per- 


(36)  Ausgr.  zu  Olymp.  II  Tf.  25;  III  Tf.  11. 

(37)  Ansätze  hiezu  schon  z.  B.  an  der  Athena  des  Eeliefs  Schöne,  Gr. 
Rel.  Tf.  19,  83,  Friederichs-Wolters  Nr.  117,  auf  den  Grabstelen  Brückner, 
Ornam.  u.  Form  d.  att.  Grabsteine  Tf.  2,  1  und  Bull  della  comm.  comun. 
1881  IX  Tf.  14. 

(38)  Vgl.  besonders  die  selinuntischen  Metopen  Tf.  5  und  6  Benndorf, 
die  kleinen  Bronzeniken  Mitth.  d.  Inst.  Athen  1886  XI  Tf.  11  a,  b,  den  Unter- 
rock der  Promachos  'Erpt]/*.  dgx-  1887  V  Tf.  7  und  die  Artemis  der  Münzen 
von  Abdera  Anm.  13a. 

(39)  Arch.-epigr.  Mitth.  aus  Oesterr.  1888  XI  S.  157,  7. 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII  289 

sonen  bekannt  ist,  deren  Beschäftigung  freie  Beweglichkeit  beider 
Arme  erheischt  (40).  Ganz  genau  genommen  ist  die  hier  vorlie- 
gende Abwandlung  des  Motivs  ein  Unicum ;  aber  in  seiner  Stili- 
sierung, auf  die  es  hier  ankommt,  in  der  überaus  zierlichen  An- 
ordnung der  Zickzacksäume  mit  ihren  —  ohne  Zweifel  aus  deco- 
rativen  Rücksichten  —  übertrieben  spitzwinkeligen  Einschnitten, 
schliesst  sie  sich  ganz  der  Gewandbehandlung  der  alten  Spes- 
figuren  in  ionisiertem  Peplos  mit  dem  langzipfeligen  Ucberschlag 
an,  unter  denen  hier  besonders  die  wenigen  zu  vergleichen  sind, 
an  welchen  dieses  Gewand  nicht  die  eine  Brust  frei  lässt,  sondern 
auf  beiden  Schultern  zugeheftet  ist  (41). 

Der  Fortschritt  in  der  Gewandbehandlung  offenbart  sich  frei- 
lich auch  an  diesem  Kleidungsstück,  so  in  der  Art,  wie  sich  die 
Falten  vom  Halse  lösen,  und  wie  sie  die  Körperformen  zum  Aus- 
drucke bringen.  Diess  hat  aber  nichts  gemein  mit  der  archaisti- 
schen lnconsequenz,  welche  etwa  die  Peitho  des  Dodwell'schen 
Puteais  zur  Schau  trägt  (42),  sondern  es  ist  die  organische  Weiter- 
bildung aus  solchen  Leistungen,  wie  die  oben  erwähnte  (9)  Marmor- 
nike von  der  Akropolis,  die  unmittelbare  Vorstufe  von  noch  natu- 
ralistischeren Versuchen ,  wie  die  «  Penelope  ■ .  Ganz  unbillig 
ist  das  Urteil,  dass  « alle  Falten  viel  schematischer  und  steifer 
geordnet »  sind  und  dass  ■  die  Gewandung  der  Zierlichkeit  und 
Sauberkeit  der  wirklich  archaischen  Kunst  entbehrt  ■  (43).  Viel- 
mehr ist  auch  sie  ■  durchaus  mit  dem  Fleisse  behandelt,  der 
an  echt  altertümlichen  Werken  so  wohl  tut »  (44).  Nur  an  we- 
nigen, kaum  sichtbaren  Stellen  hat  sich  der  Copist  von  dieser 
Treue  dispensiert.  Die  dem  Rücken  anliegende  Seite  des  Kö- 
chers ist  nicht  ganz  klar  gestaltet,  das  Wehrgehenke  dort,  wo 
es  von  dem  jetzt  fehlenden  unteren  Abschlüsse  des  Köchers  ver- 
deckt war,  nicht  angegeben,  die  Innenseite  des  Mantels  hinter  dem 
rechten  Arme  etwas  vernachlässigt.  Als  technischer  Notbehelf  dient 

(40)  Vgl.  meine  Beitr.  zur  Gesch.  d.  gr.  Tracht  S.  74  ff.  bes.  78—81. 

(41)  Z.  B.  Ehomaidis-Kavvadias,  Museen  Athens  Tf.  7  und  8 ;  zwei  klei- 
nere ohne  Kopf  unter  den  Funden  von  1882  und  1885 ;  die  Bruchstücke  einer 
grossen  sah  ich  1885  auf  Delos. 

(42)  Journ.  of  hell.  stud.  1885  Tf.  56  S.  48  Michaelis. 

(43)  Julius  in  Baumeisters  Denkm.  d.  kl.  Altert.  I  S.  349. 
(«)  Overbeck,  Gesch.  d.  gr.  Plast.  P  S.  194. 


290         DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII 

der  kümmerliche  gekrümmte  Baumstumpf,  welcher  hinten  Chiton- 
saum und  Plinthe  verbindet  (45),  vorne  nur  als  rauhe  Stütze 
erscheint. 

Mit  dem  bisher  gewonnenen  Urteile  stimmen  die  Reste  der 
Bemalung,  welche  vor  fünfzig  Jahren  Raoul-Rochette  in  der  be- 
kannten Abbildung  nicht  ganz  vollständig,  jedoch  im  Wesentlichen 
richtig,  reconstruiert  hat  (m).  Ihr  System  ist  durchaus  das  der 
archaischen  Plastik,  nur  in  der  Ausführung  gibt  sich  die  Nach- 
ahmung zu  erkennen,  besonders  in  den  Farbstoffen,  welche  von 
den  sonst  in  der  pompeianischen  Plastik  üblichen  nicht  verschieden 
sind  (47) :  ein  wenig  angenehmes,  violettliches  Rosa,  Okergelb, 
Deckweiss,  Hellblau,  Rotbraun  und  Schwarz.  Die  nackten  Teile 
sind  nur  geglättet,  während  das  Gewand  meist  die  Raspelstriche 
erkennen  lässt.  Das  Haar  zeigt  einige  Spuren  von  Oker,  be- 
sonders in  der  Einarbeitung  am  Halse ;  worauf  die  oft  wie- 
derholte Behauptung  beruht ,  dass  es  vergoldet  war ,  ist  mir 
unklar.  In  der  archaischen  Kunst  herrscht  rote  Haarfarbe  vor, 
gelbe  ist  mir  nur  in  vier  Fällen  erinnerlich  (48).  Die  Augensterne 
sind  rotbraun,  die  Pupille,  welche  nicht  genau  in  der  Mitte  sitzt, 
sowie  die  Wimpern  und  Brauen  schwarz.  Am  Diadem  hat  der 
rundliche  untere  Rand  Spuren  von  Rosa ;  das  Gelb  der  Rosetten 
ist  am  besten  an  derjenigen  hinter  dem  linken  Ohre  erhalten.  Der 
Chiton  zeigt  geringe  Reste  von  rosa  Streifen  mit  gelben  Kanten 
an  den  Armlöchern  und  am  unteren  Saume.    Reste  eines  breiten 


(45)  Er  ist  in  der  Abbildung  der  Eückseite  Mus.  Borb.  II  Tf.  8 
weggelassen. 

(«)  Peint.  antiq.  inöd.  Tf.  7  S.  412  ff.  Danach  bei  Walz,  Polychr.  d. 
ant.  Sculpt.  Tf.  I,  1.  Vgl.  die  ältesten  Angaben  in  dem  spanischen  Fund- 
bericht (oben  Anm.  4)  und  bei  Winckelmann,  Kunstgesch.  1,  2,  14 ;  3,  2,  11. 

(47)  Vgl.  Overbeck-Mau,  Pompeii*  S.  535  f. 

(«)  An  dem  Kopfe  der  Statuette  Mitth.  d.  Inst.  Athen  1886  XI  Tf.  9,  2 
S.  356 ;  an  den  Schulterlocken  einer  der  grössten  und  fortgeschrittensten 
Frauenfiguren  der  Akropolis  aus  den  Grabungen  1882-3,  welche  in  dem  Berichte 
von  Mylonas  'Eqp^u.  ttQX-  1883  zu  fehlen  scheint;  an  den  Schulterlocken  einer 
kleinen  kopflosen  Statuette,  wohl  desselben  Fundes,  mit  beide  Schultern  be- 
deckendem Peplos  Cvgl.  Anm.  41) ;  an  dem  kürzlich  gefundenen  Jünglingskopfe, 
der  dem  Apollo  des  olympischen  Westgiebels  so  nahe  verwandt  ist,  Mitth.  d 
Inst.  Athen  1887  XII  S.  266 ;  276  Wolters ;  S.  372 ;  abgeb.  Journ.  of  hell, 
stud.  1888  XI  S.  123  Harrison. 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII  291 

Streifens  in  Rosa  trägt  auch  die  Halskante  des  Mantels.  Am  reich- 
sten verziert  waren  seine  im  Zickzack  verlaufenden  beiden  Säume, 
wie  besonders  an  der  Rückseite  kenntlich  ist.  Neben  5  mm.  breiter 
gelber  Kante  eine  2  cm.  breite  rosa  Borte,  darauf  in  weisser 
Deckfarbe  die  Spuren  eines  —  wohl  nie  mit  besonderer  Sorgfalt 
ausgeführten  —  Ornaments  von  Ranken  und  palmettenartigen 
Gliedern,  dessen  S}rstem  ich  nicht  genau  zu  erkennen  vermochte, 
das  sich  aber  wahrscheinlich  in  der  Längsrichtung  entwickelte. 
An  den  Gewändern  der  archaischen  Marmorstatuen  sind  vegetabi- 
lische Ornamente  weit  seltener  als  textile,  aber  auch  von  jenen 
bietet  die  Akropolis  schöne  Beispiele,  meist  Reihen  von  Palmetten 
und  Lotosblumen,  wie  sie  aus  der'  gleichzeitigen  Vasenmalerei 
bekannt  sind  (4<J).  Bezeichnend  für  die  Copistenarbeit  —  aber 
auch  für  den  echten  Archaismus  des  Vorbildes  —  ist  der  Auftrag 
des  Ornaments  mit  weisser  Deckfarbe  auf  das  Rosa  des  Grund- 
streifens, während  die  archaischen  Verzierungen,  mit  weit  schwie- 
rigerer und  vornehmerer  Technik,  in  der  Farbe  des  Marmors  aus- 
gespart oder  unmittelbar  auf  diesen  aufgemalt  sind.  —  Am  Kö- 
cherbande sah  ich  nur  schwache  Spuren  von  Rosa,  nicht  von  dem 
weissen  Buckelbeschlag,  welchen  Raoul-Rochette  angibt  (45).  Die 
Sohlen  waren  an  den  Schnittkanten  gelb,  an  der  Oberfläche  rosa, 
letzteres  besonders  deutlich  am  linken  Fusse  hinten  zu  erkennen; 
die  Schuhriemen  nach  Winters  Beobachtung  hellblau.  Endlich 
sind  an  der  gerauhten  Oberfläche  der  Plinthe,  an  der  Stütze 
unter  der  linken  Ferse  und  an  dem  kleinen  Tronk  hinten  Reste 
von  schwärzlicher  Färbung  erhalten. 

Das  beste  Zeugniss  für  die  Genauigkeit,  mit  der  unsere  Ar- 
temis ihr  altertümliches  Urbild  wiedergibt,  ist  noch  unerwähnt 
geblieben  :  die  Replik  in  Venedig  (50),  welche  in  ihren  antiken 
Teilen  —  ergänzt  ist  der  Kopf  sammt  Hals,  der  rechte  Arm,  der 
linke  Fuss   und   einiges    Geringere   —   mit   der  pompeianischen 

(49)  Vgl.  an  Denkm.  d.  Inst.  1887  I  2  Tf.  19,  2  CE(FW-  "i>X-  1887  Tf.  9) 
den  Saum  des  Apoptygma,  an  'Ecpr^.  iioX.  1883  Tf.  8  (S.  181  ff.  Mylonas) 
den  ähnlichen  Bund  des  Chitons  am  Halsausschnitt  und  längs  den  Armen. 
Ein  gleichartiges  Ornament  auch  an  der  Anm.  47  an  zweiter  Stelle  er- 
wähnten Statue. 

(50)  Dütschke,  Ant.  Bildw.  in  Oberital.  V  Nr  309.  Friederichs-Wolters 
Nr.  443 ;  die  beste  Abbildung  bei  Clarac,  Mus.  de  sculpt.  IV   Tf.  561,  1196. 


292 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS   POMPEII 


Statue  in  Maassen  und  Motiven  völlig  übereinstimmt  und,  soweit 


der  Abguss   ein    Urteil   gestattet, 
Einzelheiten   kaum   nennenswerte 


auch  in  feineren  stilistischen 
Unterschiede  aufweist,  so  dass 
man  fast  geneigt  sein  könnte, 
beide  Exemplare  derselben 
Werkstatt  zuzuweisen.  Das 
venezianische  stammt  aus 
der  Sammlung  des  Patriar- 
chen Grimani  von  Aquileia, 
welche  sich  aus  Funden  seiner 
Kesidenz  und  aus  stadtrömi- 
schen zusammensetzte  (51);  es 
wird  ohne  Zweifel  der  letzte- 
ren, nicht  der  provinziellen 
Gruppe  zuzuschreiben  sein, 
somit  Zeugniss  dafür  ablegen, 
dass  ihr  Original  auch  in  Rom 
bekannt  und  beliebt  war. 
Durch  andere  Nachbildungen 
wird  diese  Vermutung  zur 
Gewissheit. 

Unter  dem  reichem 
Schatz  an  Wandgemälden , 
welchen  die  Ausgrabung  eines 
Hauses  wahrscheinlich  augu- 
steischer Zeit  im  Garten  der 
Farnesina  ergeben  hat,  befin- 
det sich  auch  die  folgende 
Darstellung  (52).  In  einem 
nicht  näher  kenntlichen  Ge- 
mache, links  neben  einem  in  lässiger  Haltung  linkshin  sitzenden 
Jüngling,  welcher  durch  den  neben  ihm  lehnenden  Schild,  vielleicht 
auch  durch  ein  in  der  Rechten  erhobenes  Schwert,  als  ausruhender 
Krieger  gekennzeichnet  ist,  steht  eine  würdevolle  Frau  in  voller 
Gewandung,  im  Begriffe  mit  erhobenen  Händen  das  auf  niedriger 


(«)  Dütschke  a.  a.  0.  zu  Nr.  65. 
(52)  Mon.  delVInst.  XII  Tf.  29,  1. 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII  293 

viereckiger  Basis  ruhende  Cultbild  zu  bekränzen,  welches  bei- 
stehender Zinkdruck  wiedergibt.  Böhlau  hat  mich  zuerst  darauf 
aufmerksam  gemacht,  dass  es  in  Allem,  was  noch  zu  erkennen 
ist,  unseren  statuarischen  Typus  wiedergibt,  im  Wesentlichen  auch 
der  Grösse  nach,  welche  in  Wirklichkeit  etwas  mehr,  im  Bilde 
etwas  weniger  als  halbe  Lebensgrösse  beträgt.  Vielleicht  wird  eine 
Eevision  des  Originals  noch  genauere  Uebereinstimmungen  im  De- 
tail der  Tracht  ergeben.  [Das  Bild  isl  grün  wie  Bronze.] 

Einen  wichtigen,  schon  oben  S.  279  verwerteten  Beitrag  zur 
Reconstruction  des  Typus  bietet  der  Bogen  in  der  Linken  der  ge- 
malten Replik.  Auch  das  von  einem  Tempelchen  umschlossene 
Artemisbild  auf  einem  Relief  des  Palazzo  Spada  (53),  welches,  wie 
Schreiber  bemerkt  hat  (54),  trotz  abweichender  Gewandanordnung 
im  Wesentlichen  dasselbe  Vorbild  wiedergibt,  bestätigt  diese  Er- 
gänzung. Es  war  also  ein  Irrtum,  der  Statue  eine  Fackel  in  die 
Linke  geben  zu  wollen  (55).  Friederichs  berief  sich  dafür  auf  eine 
Glaspaste  des  Berliner  Antiquariums,  welche  ihm  das  Rundwerk 
nachzubilden  schien.  Nach  Furtwänglers  freundlicher  Mitteilung 
ist  aber  eine  solche  dort  nicht  aufzufinden  (56). 

Dem  Gemälde  verdanken  wir  auch  die  Bestimmung  der 
Zeit,  da  das  Original  in  Rom  Aufmerksamkeit  erregte.  Ihr  dürfen 
wir  nun  auch   unbedenklich  die   beiden   Marmorcopien   zuweisen 


(53)  Braun,  Zwölf  ant.  Basreliefs  Tf.  3,  danach  u.  A.  in  Koscher's  Lex.  d. 
Myth.  I  S.  311.  Matz-Duhn,  Bildw.  in  Rom  III  Nr.  3565,  wo  jedoch  die  An- 
gabe von  der  Ergänzung  des  Oberteils  auf  Irrtum  beruht,  vgl.  Benndorf  bei 
Schneider,  Jahrb.  d.  kunsthist.  Samml.  d.  Kaiserhauses  Wien  1887  V  S.  8 
A.  3.  —  Vgl.  auch  die  von  Schneider  angeführte  Gemme  Stephani,  Compte- 
rendu  1865  Tf.  3,  23a. 

(54)  Eoscher's  Lex.  d.  Myth.  I  S.  599. 

(55)  Friederichs,  Bausteine  Nr.  56,  auch  in  der  Bearbeitung  von  Wol- 
ters Nr.  442  ;  Julius  in  Baumeisters  Denkm.  d.  kl.  Altert.  I  S.  349.  Schrei- 
ber a.  a.  0. 

(56)  Er  fügt  noch  folgendes  hinzu :  «  Nur  einen  Carneol  (Tölken,  Kat. 
ITI  Nr.  823)  finde  ich,  (der  aber  sicher  nicht  gemeint  ist),  welcher  eine  etwas 
archaisierende,  langbekleidete  Artemis  nach  rechts  schreitend  zeigt,  in  der 
R.  Fackel,  in  der  L.  Bogen.  Ob  Fr.  vielleicht  eine  moderne  Paste  im  Auge 
gehabt  hat,  vermag  ich  augenblicklich  nicht  zu  constatieren.  Dass  er  sie 
gar  nicht  näher  beschreibt  ist  bedauerlich ;  vielleicht  citierte  er  nur  nach 
dem  Gedächtnisse  und  ungenau». 


294         DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII 

und  aus  ihnen  entnehmen,  in  welchem  Maasse  die  Augusteische 
Kunst  archaische  Werke  nachzuahmen  verstand.  Der  oben  be- 
schriebene Zusammenhang,  in  welchem  die  Darstellung  das  Arte- 
misbild zeigt,  dürfte  auch  darauf  hinweisen,  dass  der  Typus  mit 
irgend  einem  kriegerischen  Ereigniss,  mit  einem  Siege  in  Bezieh- 
ung gebracht  wurde.  Auch  hierüber  glaube  ich  Genaueres  fest- 
stellen zu  können. 

Auf  Aurei  und  Silberdenaren  des  Augustus  mit  den  Daten 
imp.  viii  21  v.  Chr.,  imp.  ix  19  v.  Chr.,  imp.  xii  10  v.  Chr.  (57) 
und  auf  dem,  fast  gleichzeitig  mit  der  pompeianischen  Statue 
gefundenen,  goldenen  Quaternio  aus  Herculaneum  (58),  einem  Uni- 
cum  der  Sammlung  in  Neapel,  mit  imp.  xv  5  n.  Chr.  (s.  die 
Tafel  X  unten),  wiederholt  sich  dieselbe  jagende  Artemis  von  aus- 
gesprochen archaischem  Stil  —  auch  in  der  Gesichtsbildung,  wie 
besonders  das  Medaillon  erkennen  lässt  — ,  in  der  ich  schon  früher 
gelegentlich  eine  Nachbildung  jenes  statuarischen  Typus  erkannt 
habe  (59).  Entscheidend  dafür  ist  die  Zag  um  Zug  wiederkehrende, 
oben,  besonders  S.  288,  ausführlich  nach  ihrer  zum  Teil  ganz  sin- 
gulären  Eigenart  erörterte  Gewandanordnung.  Auch  das  Diadem 
fehlt  nicht  und  sogar  seine  Rosetten  sind  kenntlich,  wesshalb  es 
von  den  Numismatikern  öfter  als  Turmkrone  aufgefasst  wurde. 
Abweichend  ist  nur  die  Haltung  der  Arme.  Dem  Linken  mit  dem 
Bogen  etwas  mehr  zu  heben  gebot  die  Uebertragung  auf  die  Flä- 
che. Eine  wesentliche  Aenderung  ist  also  nur,  dass  die  rechte 
Hand  in  den  Köcher  greift,  statt  gesenkt  den  Chiton  aufzuheben. 
Das  Motiv  ist  herübergenommen  aus  dem  damals  meistverbreiteten 
Typus  der  dahinstürmenden,  hochgeschürzten  Jägerin  —  seinem 
Einflüsse  ist  auch  die  grössere  Lebhaftigkeit  des  Ausschreitens 
zuzuschreiben  —  vielleicht  mit  der  Absicht,  der  mit  dem  Bogen 


(")  Eckhel,  Doctr.  num.  VI  S.  93  f. ;  S.  101,  S.  110.  Cohen,  M4d. 
imp.  P  S.  87,  171  ff. 

(58)  Eckhel,  Doctr.  num.  VI  S.  116;  Fröhner,  Med.  imp.  S.  5;  Cohen 
a.a.O.  I2  S.77,  177;  Mommsen,  Hist.  de  la  monn.rom.  III2  S.  19;  Kenner, 
Wiener  num.  Zeitschr.  1887  XIX  S.  14.  Das  Gewicht  beträgt  nach  Winters 
Angabe  30,85  Gr.  Unsere  Abbildungen  nach  Abdrücken,  die  ich  der  Güte  der 
Herren  Dressel  und  Imhoof-Blumer  verdanke. 

(59)  Beitr.  z.  Gesch.  d.  gr.  Tracht  S.  80  A.  33.  Ich  hielt  damals  die 
Statuen  noch  für  «archaistisch». 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS   POMPEII  295 

vorgestreckten  Linken  auch  auf  der  anderen  Seite  eine  Fül- 
lung des  Münzfeldes  entgegenzusetzen.  Doch  was  auch  der  Grund 
der  Abweichung  gewesen  sein  mag,  sie  kann  nichts  an  der  Tatsache 
der  Abhängigkeit  des  Münztypus  von  dem  Vorbilde  der  Marmor- 
statuen unl  d:s  Wandgemäldes  ändern. 

Unter  der  Artemis  steht  auf  sämmtlichen  Exemplaren  die 
Inschrift  Sieil.  Ihre  Bedeutung  hat  schon  Eckhel  klar  erkannt  (60). 
Er  beobachtete,  dass  den  Artemismünzen  solche  genau  parallel 
gehen  —  bezeichnet  mit  imp.  viii,  x,  xii  — ,  welche  den  Kitha- 
roden  Apollon  mit  der  Unterschrift  Act.  darstellen  (6I) ;  ihren 
Sinn  verdeutlicht  am  besten  ein  Denar  der  Gens  Antistia  aus  des 
Augustus  neuntem  Imperium  mit  der  gleichen  Darstellung  und 
der  Umschrift  Apollini  Actio  (62).  Iß  Dianae  Siculae  et  Apol- 
linis  Actü  Ujpi  non  sine  causa  per  plures  etiam  annos  sunt  re- 
petiti ;  nam  utrique  numini  suam  Augustus  fortunam  debuit, 
victo  nimirum  apud  Artemisium  Siciliae  prope  Mylas  Sex. 
Pompeio  et  apud  Actium  Apollini  sacrum  M.  Antonio.  Sie  sind 
also  der  bildliche  Ausdruck  des  Gebetes  Phoebe  silvarumque  po- 
tens  Diana,  mit  welchem  das  17  v.  Chr.,  also  mitten  zwischen 
den  Daten  der  verschiedenen  Münzen,  gedichtete  Carmen  Saecu- 
lare  anhebt. 

Es  ist  vielleicht  nicht  Zufall,  dass  der  an  den  sicilischen 
Seesieg  erinnernde  Artemistypus  zum  ersten  Male  in  einem  Jahre 
auftritt,  in  dem  sich  der  Kaiser  in  Sicilien  aufhielt  {imp.  viii 
21  v.  Chr.).  Um  so  näher  scheint  die  Vermutung  zu  liegen,  dass 
er  ein  sicilisches  Cultbild  wiedergibt,  welches  mit  dem  Schlachtort 
in  Beziehung  stand  (f>3).  Man  hat  sogar  geglaubt  den  Kopf  der 
Statue  in  dem  polosgekrönten  Haupte    einer  Münze    von    Syrakus 


(60)  Doctr.  num.  VI  S.  93.  —  Sicher  auf  falschem  Wege  war  Fröhner 
(s.  Anm.  57)  wenn  er,  durch  die  vermeintliche  Mauerkrone  bestimmt,  die 
Figur  für  eine  Localpersonification  der  Sicil{ia)  in  Artemisgestalt  erklärte. 

(61)  Eckhel  a.  a.  0.  Cohen,  M4d.  imp.  I»  S.  86,  162  ff.  Overbeck,  Ber. 
d.  sächs.  Ges.  d.  Wiss.  1886  XXXVIII  Tf.  1,  3;  4  Kunstmythol.  IV  Tf.  5,  43;  44. 

(62) 'Eckhel  VI  S.  107.  Babelon,  Monn.  de  la  rtp.  Rom.  I  S.  15?,  22. 
Cohen,  Med.  imp.  I2  S.  110,  343.  Overbeck,  Ber.  a.  a.  0.  Tf.  1,  1.  Kunst- 
mythol. IV  Tf.  5,  42. 

(G3)  So  auch  [Müllcr-]Wieseler,  Denkm.  d.  a.  Kunst  II  Nr.  157  c. 


296  DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII 

wiedererkennen  zu  dürfen  (64),  gewiss  mit  Unrecht,  schon  weil 
dieses  keine  Spur  von  Archaismus  aufweist.  Und  die  ganze  beste- 
chende Vermutung  wird  durch  eine  andere  Münzenreihe  mit  dem 
Datum  imp.  x  (12  v.  Chr.)  erschüttert,  welche,  obwohl  sie,  wie 
die  Unterschrift  Sicil.  zeigt,  an  dasselbe  Ereigniss  erinnert,  den- 
noch einen  grundverschiedenen  Artemistypus  trägt :  die  hochge- 
schürzte Jägerin  späterer  Zeit,  ruhig  stehend,  in  der  gesenkten 
Linken  den  Bogen,  die  Rechte  hoch  an  die  Lanze  gestützt,  daneben 
meist  der  Hund  stehend  oder  sitzend  (65). 

Gegen  einen  engeren  Zusammenhang  zwischen  diesen  Artemis- 
typen und  dem  sicilischen  Schlachtorte  ist  auch  die  Analogie  der 
Münzen  mit  dem  Kitharoden  und  Act.  anzuführen,  wenn  man  mit 
Eecht  anzunehmen  pflegt,  dass  sie  die  im  palatinischen  Tempel 
geweihte  Statue  des  Skopas  wiedergeben,  welche  höchst  wahr- 
scheinlich aus  dem  Nemesistempel  zu  Rhamnus  entführt  war,  also 
mit  der  Oertlichkeit  von  Actium  nichts  zu  schaffen  hatte  (66).  Es 
würde  zu  weit  führen,  hier  auf  eine  genaue  Prüfung  dieser  Hypo- 
these einzugehen,  und  ich  muss  mich  mit  der  Erklärung  begnügen, 
dass  sie  mir,  auch  nach  Overbecks  gründlichem  Widerlegungs- 
versuche (67),  noch  immer  haltbar  scheint,  wenn  man  nur,  wie 
billig,  allein  die  Münzen  des  Augustus  zum  Ausgangspunkte  nimmt, 
welche  sich  —  die  Freiheit  des  Stempelschneiders  und  die  ver- 
schiedenen Erfordernisse  der  Darstellung  in  Vorder-  und  Seiten- 
ansicht gehörig  in  Anschlag  gebracht  —  doch  auf  einen  und  den- 
selben statuarischen  Typus  zurückführen  lassen  dürften.  Und  diesen 
möchte  ich  in  der  «  Barberinischen  Muse  »  der  Glyptothek  wieder- 
erkennen, deren  Profilansicht  mit  dem  weitaus  sorgfältigsten  unter 
den  Münzbildern  (G8)  auch  in  allen  Details  der  Tracht  genau 
übereinstimmt.  —  Ueberdiess  gab  es  auch  für  den  aktischen  Gott 
keinen  feststehenden  Typus.    Auf  akarnanischen    Münzen   glaubt 


(64)  Ch.  Lenormant,  Tresor  de  num.  et  de  glypt.  Iconogr.  des  emp.  Rom. 
Tf.  7,  12  S.  13. 

(«*)  Eckhel  VI  S.  108 ;  Cohen  12  S.  84,  145 ;  Ch.  Lenormant  a.  a.  0. 
Tf.    7,    11. 

(6«)  Vgl.  Urlichs,  Skopas  S.  67  f. 

(67)  Ber.  d.  sächs.  Ges.  1886  XXXVHI  S.  1  ff.  Kunstmythol.  IV  S.  90  f. 

(68)  Z.  B.  Cohen  I*  S.  86,  162.  Overbeck  Ber.  a.  a.  0.  Tf.  1,  3.  Kunst- 
mythol. IV  Tf.  5. 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII  297 

man  ihn  nackt  und  thronend  dargestellt  (69),  auf  alexandrinischen 
des  Nero  erscheint  sein  lockiges  Haupt  mit  dem  Köcher  in  der 
Umschrift  AnöXXojv  'Axriog  (70). 

Demnach  ist  es  zum  mindesten  unwahrscheinlich,  den  Apollo- 
typus jener  Augusteischen  Münzen  von  dem  Orte  der  Entschei- 
dungsschlacht herzuleiten,  welche  der  Gott  zu  Gunsten  des  Kaisers 
wandte,  und  ebensowenig  Berechtigung  können  wir  der  Annahme 
zugestehen,  dass  unser  Artemistypus  in  der  Nähe  von  Mylai  zu 
Hause  war.  Es  sind  Bilder  dieser  Götter  überhaupt,  durch  deren 
Anbringung  auf  den  Münzen  der  Kaiser  seine  beiden  Schutzpatrone 
und  die  ihrem  Beistande  verdankten  reichbegründenden  Siege 
feierte.  Für  die  Wahl  der  verschiedenen  Typen  konnten  andere 
Bücksichten  maassgebend  sein,  z.B.  die  persönlichen  Beziehungen 
des  Münzherrn  zu  hervorragenden  Kunstwerken,  wie  die  erwähnte 
zu  dem  Apoll  des  Skopas.  Ein  ähnliches  Verhältniss  des  Augustus 
zu  einem  alten  Cultbild  seiner  Schutzgöttin  ist  von  vornherein 
wohl  denkbar  —  bei  der  Vorliebe  für  archaische  Werke,  welche 
jener  Zeit  überhaupt  und  auch  dem  Kaiser  selbst  eigen  war,  der 
ja  bekanntlich  seine  Bauten  mit  Werken  des  Bupalos  und  Athenis 
schmückte  und  die  tegeatische  Athena  des  Endoios  am  Eingange 
seines  Forums  aufstellte  —  und  sie  ist  auch  nachweisbar. 

Pausanias  7,  18,  9  berichtet  folgendes.  Jlaxqsiaiv  dh  6  Av- 
yovüxog  aXXa  xs  xcov  €x  KaXvdwvog  Xatfvqoov  xai  drj  xai  xvfi 
Aaqtqiag  s6(x>xe  xo  dyaX/.ia,  o  (TjJ  xai  8Q  eijis  sxu  iv  xrj  dxqoTtöXsi 
xfj  üaxqt'wv  ei%e  xifläg.  To  fihv  0%rj[jia  xov  dyceX/iaxog  xhr^- 
qsvovöcc  eGxiv,  sXeipavxog  6h  xai  %qvGov  rcsnoirjxai,  NavTiäxrioi 
J*  Mt-vaiftfiog  xai  2öi'6ag  slqydöavxo'  xexf,iaiqovxai  6t  (Hpäg  Ka- 
vd%ov  xov  2ixvu>viov  xai  xov  Alyivijxov  KdXXcovog  ov  tioXXoi  ye- 
ve'a&ai  xivl  fjXixiav  vaxsqovg.  Die  Verfasser  des  trefflichen  nu- 
mismatischen Commentars  zu  der  Periegese  glauben  dieses  Werk 
in  der  Artemisgestalt  nachweisen  zu  können ,  welche  mit  ge- 
ringen Abweichungen   auf  Münzen   der  Colonie   Patrae  von  Nero 


(69)  Imhoof-Blumer,  Wiener  num.  Zeitschr.  X  S.  31  f.  R.  Weil,  Zeitschr. 
für  Num.  1880  VII  S.  126.  Cat.  Brit.  Mus.  Thessaly  to  Aetolia  Tf.  18,  3 
S.  95,  Tf.  27,  2 ;  3  S.  168  ff.  Tf.  30,  1,  S.  193.  Freilich  kommt  auch  der 
Kitharode  auf  akarnanischen  Münzen  vor  vgl.  Overbeck  a.  a.  0. 

(™)  Z.  B.  Mionnet,  Descr.  VI  S.  65,  171,  S.  69,  211. 


298  DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII 

bis  Septimius  Severus  erscheint  und  inschriftlich  als  Diana  La- 
phria  bezeichnet  ist  (71):  ein  Beispiel  gibt  Tafel  X  unten  1.  Trotz  des 
überraschenden  Zusammentreffens  muss  aber  die  Kunstgeschichte 
diese  Vermutung  unbedingt  verwerfen.  Denn  das  auf  den  Münzen 
wiedergegebene  Werk  kann  schlechterdings  nicht  Künstlern  ange- 
hören, welche  die  Quelle  des  Pausanias,  offenbar  nur  auf  Grund 
ihrer  Kunstweise,  in  der  «  Härtescala  »  gleich  nach  Kanachos  und 
Kalon,  also  in  der  Zeit  der  Perserkriege  ansetzte.  Mag  man  auch 
auf  Grund  des  rohen  Reliefs  aus  Asopos,  welches  nach  seiner 
spartanischen  Inschrift  in  die  erste  Hälfte  des  fünften  Jahrhun- 
derts gesetzt  wird  (72),  einräumen,  dass  die  Göttin  so  frühzeitig 
in  Amazonengestalt  dargestellt  wurde,  die  entblöste  rechte  Brust, 
die  Stiefel  und  das  freie  Standmotiv  der  Figur  auf  den  Münzen 
wehrt  uns  gebieterisch  so  frühen  Ansatz.  Den  Ausweg,  dass,  die 
Stempelschneider  eine  so  starke  Modernisierung  des  Urbildes  vor- 
genommen haben  könnten,  schneidet  nicht  allein  die  Ueberein- 
stimmung  aller  Münzen  ab.  Wolters  hat  mir  nachgewiesen,  dass 
wir  den  Typus  auch  in  mehreren  statuarischen  Wiederholungen 
besitzen,  von  denen  eine  sich  bei  Clarac  abgebildet  findet  (73). 
Die  Tracht  in  fast  allen  Einzelheiten,  auch  die  des  Haares,  die 
Haltung  bis  auf  den  (grössten  Teils  ergänzten)  rechten  Arm,  wel- 
cher auf  den  Münzen  in  die  Hüfte  gestemmt  ist,  der  aufblickende 
Hund  neben  dem  rechten  Fusse,  alles  stimmt  so  genau,  als  man 
bei  so  verschiedenartigen  Kunstwerken  nur  erwarten  kann.  Und 
dass  diese  Statue  nicht  auf  Künstler  der  siebziger  Olympiaden 
zurückgehen  kann  bedarf  wohl  keines  Wortes  mehr.  Der  Fall  liegt 
also  ähnlich,  wie  bei  dem  Dionysos  auf  Münzen  von  Tanagra, 
welchen  Imhoof  und  Curtius,  auf  Grund  einer  bestechenden,  aber 
von  Wolters  als  irrig  erwiesenen  Combination,  als  Nachbildung 
des  bei  Pausanias  erwähnten  Werkes  von  Kaiamis  in  Anspruch 
genommen  haben,    während   ihn    seine    stilistische  Beschaffenheit 

(71)  Imhoof-Blumer  und  Percy  Gardner,  Num.  comm.  on  Paus.  S.  76  f. 
Tf.  Q  6—10.  Journ.  of  hell.  stud.  1886  VII  S.  80  f.  Vgl.  Daremberg  und 
Saglio,  Biet,  des  antiq.  3  S.  148. 

(")  Arch.  Zeitg.  1882  XI  Tf.  6,  1  S.  145  ff.  Treu. 

(73)  Mus.  de  sculpt.  IV  Tf.  576,  1241,  gut  lebensgross.  Vgl.  den  etwas 
kleineren  Torso  Mus.  Chiar.  Nr.  651  A.  Friederichs-Wolters,  Bausteine 
Nr.  1532,  auch  Matz-Duhn,  Köm.  Bildw.  I  Nr.  677. 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII  299 

einer  späteren  Zeit  zuweist  (u).  Die  Diana  Laphria  auf  den 
Münzen  wird  das  Cultbild  sein,  welches  der  Tempel  in  Patrai  vor 
der  Schenkung  des  Augustus  besessen  haben  muss. 

Trefflich  dagegen  vertragen  sich  alle  Angaben  des  Pausanias 
mit  dem  Meisterwerke  des  ausgehenden  Archaismus,  dessen  ver- 
schiedenartige Nachbildungen  uns  beschäftigt  haben.  Aus  der  ver- 
gleichenden Analyse  der  pompeianischen  Statue  ergab  sich  für  das 
Original  dieselbe  Zeitbestimmung,  welche  für  Menaichmos  und 
Soidas  überliefert  ist  (75).  Wenn,  wie  mir  scheint,  ihr^evorar^ 
7Tao?xoiitvrj  GxWa  sachlich  viel  wahrscheinlicher  von  dem  Bewe- 
gungsmotiv, als  —  wie  Imhoof  und  Gardner,  sprachlich  gleichfalls 
möglich,  erklären  müssen  —  von  der  Tracht  der  Jägerin  ver- 
standen wird,  dann  ist  das  Werk  der  Naupaktier  die  älteste  Dar- 
stellung dieses  Gegenstandes,  von  der  die  Schriftquellen  melden. 
Das  Urbild  unserer  Statue  aber  ist,  wenigstens  in  der  grossen  Kunst, 
das  älteste  monumental  überlieferte  Beispiel  dafür.  Trotz  ihres  be- 
wegten Schemas  war  die  Artemis  zu  Kalydon  ein  Cultusbild  und 
blieb  es  in  Patrai.  Als  Cultusbild  aber  fand  man  auch  die  Statuette 
zu  Pompeii  in  ihrem  Tempelchen,  und  auch  auf  dem  römischen 
Wandgemälde  erscheint  sie  als  Gegenstand  einer  religiösen 
Handlung. 

Dass  eine  solche  Schöpfung  gerade  in  einer  von  den  Land- 
schaften des  hellenischen  Festlandes  entstand,  wo,  der  allgemeinen 
Culturstufe  entsprechend,  die  Verehrung  der  Jagdgöttin  eine  grosse 
Kolle  spielte,  ist  um  so  glaublicher,  als  die  beiden  ältesten  Dar- 
stellungen derselben,  welche  wir  besitzen  (S.  280),  gleichfalls  dem 
Westen  angehören,  das  Vasenbild  wahrscheinlisch  korinthischer 
Fabrik,  die  Bronzestatuette  aus  Thesprotien  wohl  einer  mittelgriechi- 
schen oder  peloponnesischen.  Und  unter  peloponnesischem  Einflüsse 
muss  die  Heimat  der  Künstler  zunächst  gestanden  haben.  Stili- 
stisch freilich  fanden  wir  an   der  Statue  weit  mehr  Beziehungen 

(74)  "Vgl.  Imhoof-Gardner,  Num.  comm.  on  Paus.  S.  114,  Journ.  of  hell, 
stud.  1887  Viri  S.  10,  wo  die  frühere  Litteratur  angeführt  und  die  oben  er- 
wähnte Vermutung  zurückgenommen  ist.  —  Der  Dionysos  von  Kaiamis  wird 
eher  der  Statuette  Mon.  del  Museo  Torlonia  Tf.  124,  484  ähnlich  ge- 
wesen sein. 

(75)  So  auch  Schreiber  in  Roscher's  Lex.  d.  Mylh.  I  S.  598  f.,  nur  dass 
er  von  dem  Vorbilde  der  «  archaistischen  »  Figur  spricht, 


300         DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII 

zur  nesiotischen  Plastik ;  aber  diese  dürfen  ebensowenig  befrem- 
den, als  das  mächtige  Auftreten  derselben  Kunstschule  in  Boeo- 
tien  —  dem  Lande,  mit  welchem  Lokris  seit  den  Zeiten  des 
Naupaktischen  Epos  in  engem  Culturzusammenhange  stand  —  wo, 
wie  auch  die  Funde  am  ptoischen  Tempel  wieder  deutlich  erkennen 
lassen  (76),  der  Naxier  Alxenor  keine  vereinzelte  Erscheinung  war. 
Auch  in  dem  dazwischenliegenden  Phokis  verrät  u.  A.  das  Weih- 
geschenk der  Söhne  des  Pariers  Charopinos  nesiotische  Einflüsse  (76a). 
Auch  der  negativen  Bestimmung,  welche  S.  283  Winter  aus  den 
Proportionen  des  Kopfes  herleitet,  dass  es  kein  attisches  Werk 
sei,  wird  unsere  Zuteilung  gerecht. 

Die  kleinen  Verhältnisse  der  statuarischen  und  malerischen 
Nachbildungen  würden  zu  dem  Cultbild  in  dem  entlegenen,  un- 
bedeutenden Kalydon  um  so  besser  passen,  als  schon  das  kostbare 
Material  einen  beträchtlichen  Aufwand  mit  sich  brachte.  Spuren 
der  Goldelfenbeintechnik  könnte  man  vielleicht  noch  an  den  beiden 
plastischen  Copien  zu  erkennen  versucht  sein.  Die  Modellierung 
des  Gewandes,  besonders  der  tief  ausgearbeiteten  Falten  am  Halse 
und  zwischen  den  Beinen,  möchte  an  den  Metalltreibestil,  die  der 
ungewöhnlich  feinen  Wellen fältchen  am  unteren  Teile  des  Chitons 
an  Cisellierung,  das  in  der  Bemalung  der  Pompeianischen  Statue 
reichlich  angewandte  Goldgelb  (S.  290)  —  besonders  an  dem  Kopfe 
mit  gelbem  Haar  und  gelben  Eosetten  am  Diadem  —  an  die 
Goldbestandteile  des  Originals  erinnern. 

Dies  Alles  schliesst  sich  also  wohl  zusammen,  um  die  Iden- 
tification der  litterarisch  und  der  monumental  überlieferten  Arte- 
misfigur annehmbar  zu  machen.  Und  die  überlieferte  Beziehung 
des  Augustus  zu  dem  kalydonischen  Cultbilde  dürfte  in  jedem 
Falle  ausreichen,  um  das  Auftreten  von  Nachbildungen  desselben 
in  Rom  und  besonders  auf  den  Münzen  zu  erklären.  Doch  möchte 
ich  mir  gestatten,  die  Vermutung  zu  begründen,  dass  diese  Be- 
ziehung noch  enger  gewesen  sein  kann,  als  die  Nachricht  des 
Pausanias  erkennen  lässt. 

Die  Zeit  der  Einnahme  von  Kalydon,  welche   der   Ausdruck 

(76)  Ebenso  urtheilt  Winter,  Jahrb.  d.  Inst.  1387  II  S.  224.  Man  ver- 
gleiche besonders  den  Frauenkopf  Bull,  de  corr.  hell.  1887  XI  Tf.  7,  wohl 
auch  den  Jüngling  ebenda  Tf.  13;  14  (1886  X  Tf.  6). 

(76a)  Vgl.  zuletzt  Winter,  Mitth.  d.  Inst.  Athen  1888  XIII  S.  128  f. 


DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII  301 

XäqvQcc  voraussetzt,  ist  nicht  überliefert,  aber  Niemand  kann  daran 
zweifeln,  dass  auch  dieses  zu  den  Städten  gehörte,  welche  Agrippa 
vor  dem  Siege  bei  Actium  dem  Gegner  entriss  (77)  oder  nach 
diesem  züchtigte.  Die  Einwohnerschaft  von  Kalydon  sowie  die  der 
meisten  aetolischen  und  akarnanischen  Städte  wurde  mitsammt 
der  Mehrzahl  ihrer  Cultbilder  in  dem  zur  Erinnerung  an  die  Ent- 
scheidungsschlacht nächst  ihrem  Schauplatze  begründeten  Niko- 
polis  vereinigt  (78),  Anderes,  wie  eben  die  Laphria,  gieng  nach 
Patrai.  Aus  dem  Berichte  des  Pausanias  erhält  man  allerdings 
den  Eindruck,  dass  sich  diese  Ereignisse  unmittelbar  nach  Actium 
vollzogen,  aber  es  ist  kaum  glaublich,  dass  Augustus  schon  während 
der  schweren  kriegerischen  und  politischen  Arbeit  dieser  Zeit 
Müsse  fand,  jene  Verhältnisse  zu  ordnen.  In  Patrai  scheint  zwar 
gleich  nach  dem  Siege  ein  Teil  des  entlassenen  Heeres  angesie- 
delt worden  zu  sein  (79),  aber  die  Constituierung  der  Stadt  als 
Colonia  Augusta  Aroe  Patrae  geschah  erst  beträchtlich  später, 
nach  Eusebius  738  der  Stadt,  16  v.  Chr.  Ist  nun  dieser  Act  un- 
streitig der  denkbar  passendste  Anlass  für  die  neue  l'Sqvaic  des  ka- 
lydonischen  Cultbildes  auf  der  Akropolis  von  Patrai,  dann  ergibt 
sich  wenigstens  die  Möglichkeit,  dass  die  Statue  vorher,  gleich 
der  in  demselben  Kriege  erbeuteten  Athena  des  Endoios  (80),  von 
dem  Kaiser  als  Prunkstück  für  den  Triumph  mit  nach  Rom  ge- 
nommen sein  könnte.  Als  er  später  die  von  ihm  mit  Wohltaten 
überhäufte  Stadt  zur  Colonie  erhob  und  ihr  das  Gebiet  von  Ka- 
lydon unterstellte  (81),  lag  es  nicht  eben  fern,  ihr  mit  anderem 
einstigen  Besitze  dieses  Ortes  auch  sein  hervorragendstes  Götter- 
bild zum  Geschenke  zu  machen.  Dass  ein  solcher  Hergang  zur 
Zeit  unseres  Berichterstatters  in  Vergessenheit  geraten  wäre,  hätte 
nichts  Auffallendes. 

Eine  Bestätigung  dieser  Vermutung  wäre  es,  wenn  sich  die 
Annahme  Mommsens  (78)  erweisen  liesse,  das  Gründungsdatum 
bei  Eusebius  beruhe  auf  Irrtum,  und  die  Colonie  sei  vielmehr  in 
den  Jahren  733-735    constituiert,    als    der  Kaiser  sich  zu  Samos 

f»)  Vgl.  Schiller,  Gesch.  d.  röra.  Kaiserz.  I  S.  128. 

(78)  Pausan.  7,  18,  8  ;  Mommsen,  Rom.  Gesch.  V  S.  270  f. 

(70)  Strabon  8,  387  ;  Mommsen,  G.  I.  L.  III  S.  95  f. 

(80)  Pausan.  8,  46,  1. 

(81)  Mommsen,  Rom.  Gesch.  V  S.  238. 


302  DIE    ARCHAISCHE    ARTEMISSTATUETTE    AUS    POMPEII 

aufhielt.  Im  Jahre  733  der  Stadt,  21  v.  Chr.,  tritt  nämlich  unsere 
Artemis  zum  ersten  Male  auf  den  Münzen  auf.  Wenn  Augustus  in 
dem  Augenblicke,  als  es  sich  seines  Besitzes  entäusserte,  das  anmutige 
Werk  der  alten  Meister  zum  Preise  seiner  Schutzgöttin  auf  seinem 
Gepräge  nachbilden  liess,  dann  begreift  man  auch  die  auffallende 
Tatsache,  dass  die  Colonie  Patrae  ihre  Münzen  nicht  mit  diesem 
kostbarsten  und  denkwürdigsten,  sondern  mit  einem  jüngeren  und 
geringeren  Bilde  ihrer  Laphria  schmückte  (70),  welches  sie  vorher 
besessen  haben  musz.  Denn  bei  dem  eigenartigen  rqÖTioq  emxwqioc, 
üvai'ac,  mit  welchem  zu  Patrai  das  Fest  der  Laphrien  begangen 
wurde  (82),  ist  es  nicht  glaublich,  dass  dieser  ganze  Ciiltus  erst 
mit  dem  Werke  des  Menaichmos  und  Soidas  aus  Kalydon  herüber- 
kam. Die  enge  Verbindung  der  Landschaften  dies-  und  jenseits 
der  Meerenge  macht  eine  in  ältere  Zeit  zurückreichende  Cultge- 
meinschaft  wahrscheinlicher.  Hatten  doch  auch  die  Messenier  die 
Laphria  aus  Naupaktos  in  ihre  alte  Heimat  übertragen  (83). 

Die  Möglichkeit  also  und  vielleicht  auch  einige  Wahrschein- 
lichkeit wird  man  der  Vermutung  zugestehen,  das-  das  Werk  des 
Menaichmos  und  Soidas  sich  vor  seinem  Uebergange  nach  Patrai 
vorübergehend  in  Kom  befunden  hatte.  Ich  habe  sie  aufgestellt, 
weil  sich  so  die  verschiedenartigen  Nachbildungen  desselben,  be- 
sonders auch  jene  auf  dem  stadtrömischen  Wandgemälde,  am  be- 
friedigendsten erklären  würden.  Ausreichen  würde  aber  auch  die 
Annahme,  dass  die  kalydonische  Artemis  in  ihrer  Heimat  die  Auf- 
merksamkeit des  Augustus  oder  seiner  Umgebung  erregte  und  in 
hiedurch  veranlassten  Copien  in  Italien  bekannt  wurde.  Wie  dem 
auch  sein  mag,  den  engen  Zusammenhang  zwischen  dem  in  Au- 
gusteischer Zeit  plötzlich  in'  so  vielen  Nachahmungen  auftauchenden 
spätarchaischen  Artemistypus  und  zwischen  dem  gleichzeitig  aus 
dem  obscuren  aetolischen  Flecken  ans  Licht  gezogenen  Werke 
spätarchaischer  Meister  abweisen  zu  wollen,  hiesse  dem  Zufall  ein 
gar  zu  tückisches  Spiel  aufbürden. 

Gerasdorf  bei  Wiener  Neustadt. 
September  1888. 

Franz  Studniczka. 

(82)  Pausan.  7,  18,  11  f. 

(83)  Pausan.  4,  31,  7 ;  vgl.  Preller-ßobert,  Gr.  Mythol.  1*  S.  310. 


tr/" 


Uo^ß.  I 


COMMODO  E  TKITONI      (')• 


Nel  nuovo  Museo  Capitolino  si  vedono  riuniti  in  un  comparti- 
menfco  l'elegantissimo  busto  di  Commodo  e  le  parti  umane  di  due 
Tritoiii  ossiano  giovani  Centauri  marini,  quasi  per  indicare  che 
originarianiente  fossero  connessi  col  detto  busto.  Perö  nel  Bullettino 
della  Comm.  mun.  sono  stati  pubblicati  separatamente,  il  Commodo 
nel  vol.  III  tav.  I,  i  Tritoni  tav.  XIV  XV,  e  sulla  p.  142  il 
eh.  P.  E.  Visconti  suppone  che  fra  questi  Ultimi  un  Nettuno  abbia 
formato  il  centro  del  gruppo.  Ma  di  Nettuno  in  quello  seavo  non  vi 
fu  traccia,  e  fra  le  sculture  venute  alla  luce  nella  villa  Palombara 
nell'istesso  luogo  (v.  Bullettino  della  Comm.  mun.  III  p.  17),  con 
i  Tritoni  certo  non  si  combinano  bene  ne  le  Muse  ne  il  Bacco  gio- 
vane  ne  la  nota  Venere  esquilina  (2)  (Bullettino  della  Comm.  mun. 
III  t.  III  IV).  Resta  il  Commodo,  e  tutto  ci  persuade  ch'egli  fosse 
la  parte  mancante  del  gruppo  originale. 

0)  Vedi  queste  Mittheilungen  vol.  III  (1888)  p.  97. 
(2)  Sopra  una  moneta  di  M.  Aureiio  presso  Cohen  Mödailles  impe'r.  III 
p.  159,  272  si  dice  rapppresentata  una  Venere  in  piedi  fra  due  Tritoni. 

20 


304  COMMODO    E    TRITONI 

II  materiale,  e  vero,  differisce :  poiche  i  Tritoni  sono  di  marmo 
lunense,  quello  del  Commodo  lo  dicono  pentelico,  a  torto  secondo  il 
parere  mio;  ma  sia  greco  o  no,  questo  da  nel  lividastro,  mentre 
quelli  sono  di  un  bianco  piuttosto  giallastro.  E  differente  anche 
la  tecnica,  piü  raffinata  nel  Commodo,  la  cui  pulitura  e  portata 
all'ultimo  grado,  mentre  i  Tritoni  sono  lisci  si  ma  senza  lucentezza. 
Nondimeno  perö  per  il  loro  lavoro  somigliano  al  Commodo  come 
non  vi  somiglia  alcun  altro  pezzo  del  nuovo  Museo  Capitolino  (1). 

Anche  la  capigliatura,  per  le  tracce  manifeste  del  trapano, 
rivela  la  medesima  epoca,  non  ostante  che  chioma  e  barba  del 
Commodo  siano  ripassate  con  lavoro  sottilissimo  della  raspa,  pre- 
ferenza  dovuta  alla  figura  centrale  dell'imperatore  deificato  e  accom- 
pagnato  da  quei  semidei.  E  evidente  cioe  -che  i  due  Tritoni  con 
la  mossa  simmetrica  delle  braccia  (2)  e  delle  teste  fanno  presup- 
porre  qualche  cosa  nel  mezzo  di  loro.  Dall'altra  parte  anche  il 
busto  di  Commodo  pare  debba  l'insolita  sua  forma,  notata  giu- 
stamente  dall'editore  nella  pag.  6  dell'articolo  citato,  allo  scopo 
di  dargli  un'altezza  maggiore.  Pereid,  oltre  che  il  busto  va  quasi 
fino  aH'umbilico,  gli  sono  sottbposte  le  figure  di  donne  amazzoniche 
con  seudo,  corni  d'abbondanza  e  globo,  decorazione  che,  oltre 
questo  scopo  esteriore,  doveva  avere,  come  si  vedrä  in  appresso, 
anche  un  significato  nell'intiera  composizione. 

Ora  appena  fa  d'uopo  ch'io  •  richiami  alla  memoria  i  sarco- 
faghi  sui  quali  si  trovano  riuniti  in  una  sola  composizione  quasi 
i  medesimi  elementi  che  separati  si  scoprirono  nella  villa  Palom- 
bara,  Tritoni    cioe  o  Centauri  marini    col  ritratto  (talvolta  ve  ne 

(!)  Piü  grande  forse  della  differenza  fra  eiaseuno  dei  Tritoni  ed  il  Com- 
modo si  e  la  differenza  fra  i  Tritoni  stessi.  Quello  a  destra  (di  chi  guarda) 
cioe,  che  rassomiglia  assai  da  vicino  ai  belli  Giganti  giovani  dell'ara  perga- 
mena,  mostra  in  quasi  tutte  le  forme,  p.  e.  della  fronte,  degli  occhi,  della  bocca 
e  persino  nelle  pinnette  lussureggianti,  un  lavoro  molto  superiore  e  mVesecu- 
zione  piü  risentita.  I  Tritoni  perö  come  figure  ideali  hanno  gli  occhi  senza 
indieazione  delle  pupille,  mentre  al  ritratto  di  Commodo  queste  non  mancano. 

(2)  II  braccio  alzato  nell'uno  e  nell'altro  era  stato  lavorato  separatamente 
e  attaccato  con  un  grosso  perno,  mentre  il  braccio  abbassato,  tenuto  accanto- 
al  corpo,  vi  si  commetteva  mediante  un  forte  puntello,  il  quäle,  benche  sia  rotta 
la  mano,  ancora  si  vede  nel  Tritone  a  destra ;  l'altro  anticamente  ha  sofferto 
un  ristauro :  dopo  cioe  che  era  rotta  la  mano,  fu  tolto  il  puntello  e  la  mano 
stessa  rimessa  con  un  chiodo. 


COM  MODO    E    TRITONI  305 

sono  due)  del  defunto,  non  a  guisa  di  busto,  ma  per  l'ordinario 
di  mezza  figura  inclusa  in  tm  tondo,  sia  una  conca  sia  im  clipeo, 
con  altre  piceole  figure  sottoposte  (]).  Siffatto  tondo  viene  soste- 
nuto  dai  Tritoni  o  con  ambedue  le  raani  o  con  una  sola,  e  allora 
l'altra  reca  qualche  altro  simbolo  marino:  ancora,  remo  ecc,  affatto 
come  si  e  dovuto  supporre  per  i  Tritoni  capitolini. 

II  clipeo  puö  derivare  dal  trasporto  delle  armi  di  Achille 
fatto  dalle  Nereidi,  ma  simbolo  piü  conveniente  agli  esseri  ma- 
rini  pare  la  conca,  e  tale  veicolo,  come  bene  osservö  lo  Stephani, 
fu  immaginato  in  origine  per  Venere,  raffigurata  poi  sopra  alcuni 
sarcofaghi  come  rappresentante  di  donna  defunta;  da  Venere  fu 
trasferito  a  donne  mortali,  e  da  donne  raramente  anche  ad  uomini  (2). 

Da  questi  sarcofaghi  perö  non  possono  separarsi  quegli  altri 
ove  il  ritratto  del  defunto  si  vede  nelle  mani  di  altri  esseri  mi- 
tici  o  simbolici.  Giacche  tutte  siffatte  rappresentanze,  benche  d'ori- 
gine  diversa,  nell'uso  sepolcrale  sembrano  variazioni  d'un  medesimo 

{l)  Agli  esempi  con  ritratto  di  donna  nolla  conca  citati  dallo  Stephani 
Compte-rendu  1870-71  p.  134, 1  sg.  possono  aggiungersi,  massimamente  dai  ca- 
taloghi  di  Matz-Duhn ,  di  Dütschke ,  di  Benndorf  e  Schoene,  dal  Bullettino 
Comunale,  otto  altri,  poi  otto  con  clipeo  o  con  tavola  d'iscrizione,  non  com- 
]>resi  quelli,  il  cui  centro  vien  occupato  da  maschera  d'Oceano  o  da  tridente 
o  altro  simbolo. 

(2)  Che  Tritoni  in  posizione  simmetrica  fossero  in  certo  modo  impiegati 
a  sostenere  il  trono  di  Apolline  amicleo,  lo  riferisce  Pausania  3,  18,  10,  e 
da  Tritoni  vediamo  sostenuti  i  bracciaiuoli  d'un  trono  sul  monumento  xan- 
tiaco  delle  Arpie.  Nella  grande  opera  di  Scopa  (Plinius  h.  n.  36,  26)  non  pare 
che  i  Tritoni  facessero  parte  del  gruppo  centrale.  Sulla  stele  sepolcrale  pubblicata 
nelle  Athenische  Mittheilungen  XIII  t.  IV  i  due  Tritoni  suonanti  la  ncnia 
invece  delle  Sirene,  benche  in  posizione  simmetrica  mancano  del  centro  co- 
mune,  come  anche  Tritone  e  Tritonessa  d'un  vaso  giä  Castellani  (coli.  AI.  Ca- 
stellani  n  117).  Nella  pittura  pompeiana  (1067  Heibig)  tengono  la  conca  si, 
ma  senza  Venere  o  altra  figura  dentro;  sul  monumento  degli  Iulii  di  S.  Remy. 
(Antike  Denkmäler  herausgeg.  vom  K.  D.  Archaeol.  Inst.  I,  t.  15,  3)  un  clipeo 
vuoto.  Che  1'incompleta  descrizione  che  ci  da  Pausania,  2,  1,  8  della  base  di 
Nettuno  Istmio :  ex  voto  di  Erode  Attico,  possa  riferirsi  con  la  Stephani  (1.,  1. 
p.  143)  a  una  composizione  simile  a  quei  sarcofaghi  marini,  lo  fa  credere  un 
tratto  che  in  essi  non  di  rado  s'incontra:  la  ®üXuaau  «W/ottr«  'JtpQo- 
öit^v  ntäöa,  dallo  Stephani  poco  bene  spiegata,  ci  rammenta  quelle  figure  di 
Amorino  o  di  Tritone  o  di  Scilla  che  sui  sarcofaghi  vediamo  sostenere  la 
conca  (Matz-Duhn  n.  3194,  3198  sgg.  Clarac  pl.  206,  194  e  196,  pl.  224,  82, 
Gori  Inscr.  III  t.  XIII. 


306  COMMODO   E    TRITON1 

concetto:  e  siccome,  anche  ammessa  la  riunione  del  Commodo 
con  i  Tritoni,  resta  pure  a  cercarsi  in  quäl  modo  le  tre  figure 
fossero  collegate  fra  loro,  cosi  non  sarä  inutile  dare  un'occhiata 
a  quelle  variazioni,  per  avere  piü  larga  e  piü  sicura  la  scelta  del 
supplemento. 

Invece  di  Tritoni  dunque  s'incontrano  Satiri  o  Menadi  o  Cen- 
tauri  (•)  che  reggono  il  ritratto,  tutti  appartenenti  al  tiaso  bac- 
chico,  come  Tritoni  e  Nereidi  possono  dirsi  formare  un  tiaso  ma- 
rino.  Due  figure  con  scettro  (Clarac  pl.  127)  e  due  donne  ignude 
(Matz-Duhn  n.  2543)  portatrici  del  ritratto  mancanod'individuazione, 
mentre  le  due  fiaccole  fra  le  quali  si  dice  sospeso  il  clipeo  presso 
Matz-Duhn  n.  2405,  alludono  alle  orgie  bacchiche.  Le  dette  va- 
riazioni perö  sono  rare,  come  sono  eccezionali  pure  i  Dioscuri 
(S.  Bartoli  Sep.  ant.  44)  accanto  alla  tavola  ansata  d'un  altro  sar- 
cofago,  e  la  memoria  del  defunto  vi  e  inserita  nell'unica  forma  di 
clipeo  o  tavola.  All'incontro  sono  spesso  ripetuti  come  reggitori 
del  ritratto,  anche  in  tempi  cristiani  (2),  Amorini  o  Genii  e  Vit- 
torie,  queste  come  quegli  o  volanti  o  ritti  in  piedi.  Siffatte  com- 
posizioni,  originate  in  certo  modo  dallo  stile  araldico  antichissimo 
e  poi  sviluppate  in  modo  diverso  (3),  tornano  ad  essere  neH'ultimo 

(i)  Satiri :  Mon.  ined.  d.  Inst.  VI,  VII  t.  80,  2 ;  Clarac  pl.  124,  346.  — 
Menadi  (invece  del  clipeo  tengono  un  velo)  Clarac  pl.  127,  421.  —  Centauri : 
Michaelis  Ancient  marbles,  Richmond  73  ;  Dütschke  Antike  Bildwerke  in  Ober- 
italien I,  168 ;  Benndorf-Schoene  die  antiken  Bildw  d.  Later.  Mus.  510 ;  Fi- 
nati  Museo  Borb.  I.  154.  163. 

(2)  Nei  cataloghi  di  Matz-Duhn,  di  Dütschke  e  nei  Musei  di  Roma,di  Napoli, 
d'Inghilterra  e  del  Louvre.non  compresi  i  monumenti  cristiani,  fra  130  tali  sarco- 
faghi  ne  ho  contato  98  con  Amoriui,  32  con  Vittorie,  e  di  quei  con  Amorini  40  con 
clipeo  effigiato,  19  con  clipeo  iscritto  o  vuoto,  11  con  tavola,  11  con  Corona 
o  clipeo  cinto  di  Corona,  10  con  velo,  5  con  uno  scudo  portato  da  due  Amo- 
rini fra  altri  simili  ugualmente  occupati  a  fabbricare  o  a  portare  armi,  1  con 
conca,  1  con  farfalla  bruciata  da  due  Amorini;  nei  32  con  Vittorie  queste 
su  12  tenevano  un  clipeo  con  ritratto,  su  13  clipeo  o  tavola  con  o  senza  iscri- 
zione,  su  3  una  Corona,  su  2  un  velo.  Fra  i  sarcofaghi  cristiani  editi  nei  vol.  V 
dell'Arte  cristiana  di  Garrucci  sono  molti  esempi  di  Genii,  alcuni  di  Vittorie, 
uno  o  due  anche  di  esseri  marini. 

(3)  Ecco  pochi  cenni  deH'istoria  di  questi  tipi.  Vittorie  piü  d'una 
e  in  posizione  simmetrica,  da  riferirsi  alla  figura  centrale  del  dio,  si  trovavano 
sul  trono  di  Giove  Fidiaco,  piü  d'una  e  portanti  tra  altre  armi  anche  degli 
tcudi  sulla  balaustrata  cti  Nike  apteros.  Peru  nelle  Athenische  Mittheilungen 


COMMODO    E    TRITONI  307 

stadio  tipi  purameute  araldici.  II  clipeo  con  ritratto  o  con  iscri- 
zione  (se  non  e  rimasto  vuoto),  e  cosi  pure  la  tavola  ansata,  e  data 
egualmente  come  ai  Tritoni  cosi  anche  agli  Amorini  ed  alle  Vit- 
torie;  ma  nelle  mani  di  essi  incontriamo  pure  qualche  volta  una 
corona  che  circonda  sia  il  clipeo  sia  semplicemente  il  ritratto. 
La  conca,  forma  comune  e  forse  la  piü  originale  per  gli  esseri 
marini,  non  s'incontra  quasi  mai  nelle  mani  degli  aligeri;  manca 
invece  a  questi  il  velo  o  parapetasma  che  quelli  non  di  rado  ten- 
gono  steso  dietro  il  busto  o  la  mezza  figura  del  defuuto. 

Ora  ritlettendo  sul  modo  di  ristabilire  il  contatto  fra  i  Tri- 
toni ed  il  Commodo,  il  pensiero  si  volge  in  primo  luogo  a  quelle 
rappresentanze  marine;  bisogna  confessare  perö  che  ne  una  conca 
ne  un  clipeo  si  presterebbe  bene  alla  composizione.  Abbiamo  il 
busto  e  le  piccole  figure  sottopostegli  come  nei  sarcofaghi,  ma 
congiunte  in  modo  da  non  poter  frapporvisi  il  clipeo ;  e  quando 
anche  si  volesse  immaginare  inserita  l'alta  base  in  un  taglio  fatto 


XI  p.  395  ho  congetturato  che  tale  erezione  simmetrica  di  Vittorie  si  fosse 
fatta  giä  in  tempi  molto  piü  antichi  per  donazioni  successive  p.  e.  nel  san- 
tuario  di  Atene  Poliade,  il  cui  simulacro  su  quantitä  di  vasi  panatenaici  del 
secolo  IV  (v.  Mon.  ined.  d.  Inst.  XI  t.  47  d  sgg.)  si  vede  fra  due  colonne 
sormontate  da  Vittorie  che  porgono  corone.  H  quäle  insieme  ci  ricorda  le 
due  aquile  su  colonne  poste  accanto  si  deirumbilico  delfico  (Pindaro  P.  4,  4 
schol.)  che  dell'altare  di  Giove  Liceo  (Pausan.  8,  38,  7)  e  piü  tardi  si  e  imi- 
tato  nell'ara  Lugdunense  sotto  Tiberio  (Donaldson  Architectura  numismatica  44, 
Cohen  M6d.  imp6r.  I  p.  193,  28  sgg.  35),  mentre  accanto  al  Bacco  tanagreo 
sulla  moneta  pubblicata  neWArchaeol  Zeitung  1883  p.  255  similmente  si  ve- 
dono  due  Amorini  sopra  colonne.  Due  Vittorie  con  vari  attributi  e  volanti 
verso  un  centro  comune  havvi  sopra  vasi  del  secolo  V,  p.  e.  Zannoni  Certosa 
tav.  XXVI  (cf.  Mus.  Greg.  II  t.  LX  3  a)  e  LIII  e  XI,  4  (cf.  Mus.  Greg.  II  t.  XXII  2  a) 
poi  del  secolo  IV  p.e.  Stephani,  Vasi  d.  Ermit.  1811,  ove  pure  tali  Amorini, 
0  1813.  Delle  Nactu  tqotkuocpöqoi  che  stavano  agli  angoli  della  camera  sepol- 
crale  di  Alessandro  Magno  (Diod.  18,  26)  si  trovano  imitazioni  nei  monumenti 
sepolcrali  posteriori,  ma  piü  frequenti  vi  sono  Vittorie  (ed  Amorini)  portanti 
festoni.  Altre,  come  quelle  immolanti  untoro,  o  danzanti  accanto  al  Palladio  o 
quelle  a  guisa  di  Cariatidi  della  casa  trasteverina  nei  Mon.  ined.  d.  Inst.  XII, 
28,  s'allontanano  di  piü  dal  nostro  tipo.  Molto  analogo  invece  si  e  il  frontone  d 
Titane  (descritto  da  Pausania  2,  11,8,  mal  inteso  dal  Welcker^4^e  Denkm.I 
p.  4,  2)  con  Ercole  nel  mezzo  e  due  Vittorie  agli  angoli,  monumento  che  po- 
trebbe  restaurarsi  combinando  V  Ercole  del  piccolo  frontone  tiburtino  presso 
Visconti  Mus.  Pio-Clem.  IV,  43  con  le  Vittorie  accanto  alle  archivolte  principali 


308  COMMODO   E   TRIRONI 

nel  clipeo,  sempre  ne  risulterebbe  un  assieme  poco  soddisfacente. 
Inoltre  un  tal  collegamento,  se  mai  vi  fosse  stato,  avrebbe  lasciato 
qualche  traccia  di  perni  o  cosa  simile.  La  medesima  difficoltä 
esclude  anche  la.  Corona,  benche  questa  forse  sia  un  po'  meno  im- 
possibile;  ma  essa  e  aliena  ai  Tritoni  dei  sarcofaghi,  come  e  alieno 
anche  il  parapetasma. 

D'altra  parte  perö  quest' ultimo  non  solamente  poteva  bene 
tenersi  steso  dietro  il  busto  nelle  raani  alzate  dei  Tritoni,  ma  tro- 
verebbe  anche  una  certa  analogia  in  altre  scene  marine. 

I  pittori  e  scultori  antichi  rappresentando  veli  e  panneggia- 
menti,  sul  principio  non  facevano  che  imitarli  dal  vero.  Tali 
imitazioni  sono  i  manti  gonfiati  di  figure  correnti  o  volanti  (cf. 
le  aurae  velificantes)  ed  i  veli  sospesi  nel  fondo  per  indicare 
Tinterno  d'una  casa,  espediente  assai  commodo  e  molto  usato 
nei  rilievi  e  nella  pittura  paretaria.  Ma  ciö  che  prima  era  stato 
una   parte    dei   vero   imitato,  a  poco  a  poco   divenne  un   mezzo 


degli  archi  trionfali  (cf.  il  frontone  dei  cenotafio  di  C.  Calvenzio  presso  Niccolini 
case  di  Pompei  II,  1  ed  il  coperchio  di  sarcofago  in  forma  di  frontone  presso 
Gori  Jnscr.  III  tav.  XL  VI).  Queste  ultime  e  poi  quelle  tenenti  una  tavola  sul- 
l'ingresso  della  colonna  Traiana  (Froehner  pl.  3,  5,  6)  mostrano  giä  in  perfe- 
zione  il  tipo  dei  sarcofaghi,  al  quäle  somigliano  anche  quelle  che  s'incontrano 
sulle  monete  imperiali  da  M.  Aurelio  in  poi. 

Per  gli  A  m  o  r  i  n  i  basta  richiamare  alla  memoria  la  figura  di  Venere  con 
due  Amorini  circumvolanti  la  testa,  adoperata  come  manubrio  di  specchio 
(Archaeol.  Zeitung  1879  tav.  12,  e  p.  100  e  collezione  Aless.  Castellani  n.  265); 
poi  la  medesima  dea  con  quattro  Amorini  nel  vaso  di  Hieron  (Klein  Vas.  mit 
Meistersign.  Hieron  n.  14):  con  due  in  un  vaso  dei  secolo  IV  pubblicato  dallo 
Stephani  C-R.  1861  tav.  V,  1  e  altri  esempi  presso  Furtwängler  Eros  in  d. 
Vasenmal.  p.  28 ;  qaindi  il  bei  vaso  pubblicato  dal  Froehner  les  Musees  de  France 
pl.  21,  la  quäle  composizione,  sia  che  si  voglia  spiegarla  col  Froehner  Annali 
1884  p.  214  sia  col  Robert  Archaeolog.  Märchen  p.  179  e  198)  giä  molto  s'av- 
vicina  al  monumento  Lateranense  descritto  p.  309. 

Vi  sono  poi  altre  fantasie  poetiche  e  rappresentanze  artistiche  non  poche 
affini  in  certo  modo  ai  tipi  in  questione,  come  le  ancelle  di  Efesto  (S  417), 
Ipno  e  Tanato  portatori  di  Sarpedone  ucciso,  le  Nuvole,  se  non  sono  Furie 
assistenti  alla  punizione  d'Issione  Annali  1873  IK  ed  altre ;  e  se  questi  sono  a 
cosi  dire  rami  laterali  dei  tipo  nascente,  non  sono  poche  neanche  le  variazioni 
dei  tipo  perfetto,  come  l'Europa  e  l'Asia  della  tavola  Chigiana  (Jahn  Bilder- 
chroniken p.  65  tav.  VI)  e  molti  rilievi  di  terracotta  (Campana  Op.  in  plast. 
4,  20,  42,  50  sg). 


COMMODO    E    TR1TONI  309 

artistico  non  tanto  per  indicare  la  raossa  o  il  locale,  quanto  per 
dar  un  miglior  rilievo  alle  figure.  Nelle  pitture  poi  un  nuovo 
effetto  si  ottenne  mediante  la  parziale  apertura  del  velo,  in  modo 
che  il  contrasto  della  parte  aperta  e  dell'altra  velata  caratteriz- 
zasse  le  persone  primarie  e  le  secoudarie.  Ed  ove  per  qualche  cir- 
costaDza  erano  esclusi  i  veli  sospesi,  tal  fondo  si  procurava  ad 
una  figura  facendo  tenere  steso  sia  ad  essa  sia  ad  una  compagna 
una  parte  del  proprio  vestimento  (').  E  di  quest' ultimo  genere  di 
velißcare  e  facile  raccogliere  gli  esempi  appunto  nelle  scene  ma- 
rine sia  scolpite  sia  dipinte,  ove  le  Nereidi  assistite  dagli  Amo- 
rini circonvolanti  fanno  gonfiare  le  loro  vesti  dietro  la  propria  fi- 
gura. Mancando  perö  al  Commodo  un  vestimento  a  ciö  adatto,  e 
siccome  questo  non  si  trova  mai  nelle  mani  dei  Tritoni,  cosi  bisogna 
rinunziare  all'idea,  che  prima  mi  arrise  non  poco,  di  supplire  cioe 
il  gruppo  con  un  velo  di  bronzo  dorato  tenuto  come  fondo  del 
busto  dai  Tritoni. 

Escluso  dunque  clipeo,  conca,  Corona,  velo,  altro  non  resta 
che  essere  stato  il  busto  afferrato  direttamente  dai  Tritoni :  compo- 
sizione  prescelta  forse  per  il  motivo  che  le  esuvie  del  leone,  di  cui 
va  adorno  X Hercules  Commodianus,  sembravano  circondarne  la  testa 
in  modo  da  escludere  qualunque  altra  incorniciatura.  Ne  mancano  le 
analogie.  II  Fellows  ha  disegnato  il  rilievo  d'una  porta  sepolcrale, 
ove  due  Vittorie  volanti  portano  nelle  mani  un  busto  non  incluso  in 
qualsiasi  tondo  (2).  Nel  museo  del  Laterano  evvi  un  rilievo  del 
secolo  I  cristiano  (Benndorf  und  Schoene  n.  3),  nel  cui  bei  mezzo 
si  vede  una  grande  testa  di  donna:  gli  omeri  son  toccati  con 
una  mano  da  due  Amorini  volanti  ai  lati.  Finalmente,  per  citare 
anche  un  esempio  del  ciclo  marino,  su  d'un  sarcofago  parigino 
(Clarac  pl.  224,  83)  la  figura  di  Venere  senza  l'accessorio  della 
conca  viene  portata  da  due  Tritoni. 

(!)  Come  il  fondo  parte  velato  parte  aperto  faccia  risaltare  il  contrasto  delle 
figure,  lo  prova  il  quadro  dellTfigenia  Mon.  ined.  d.  I.  VIII  t.  22 ;  delle  Peliadi 
Arch.  Zeitung  1874  1. 13;  poi  quelli  della  casa  trasteverina  Mon.  ined.  d.  I.  XII 
t.  30  e  31,  2.  Come  esempi  di  veli  che  la  figura  fa  dietro  di  se  o  dietro 
quella  d'un  compagno  cito,  in  scultura,  una  Nereide  portata  da  Tritone  nella 
collezione  A.  Castellani  n.  334,  e  la  graziosa  terracotta  669;  fra  le  pitture 
pompeiane  Perseo  ed  Andromeda,  un  Satiro  con  Menade,  Venere  su  Tritone  alla 
quäle  gli  Amorini  rendono  il  medesimo  servigio  come  alla  figurina  Castellani. 

(2)  An  account  of  (Hscoveries  in  Lycia  p.  224. 


310  COMMODO    E    TRITONI 

Dal  disegno  di  F.  Winter  riprodotto  in  fronte  a  questo  articolo  si 
vede  che  il  gruppo  talmente  restituito  (')  entrerebbe  benissimo  in  un 
frontone.  Fu  restituito  senza  Nereidi,  perche  di  queste  nulla  fu  tro- 
vato  e  perche,  se  fossero  state  aggiunte,  i  loro  portatori  come  al 
solito  avrebbero  rivolte  le  teste  verso  di  esse.  Ornamento  di  fron- 
tone erano  pure  quel  rilievo  lateranense  or  ora  descritto  con  testa 
di  donna  e  con  due  Amorini,  l'Ercole  fra  le  due  Vittorie  nel  tempio 
di  Titane  (y.  l'annotazione  9),  ed  i  due  Tritoni  tenenti  un  clipeo 
con  testa  di  Medusa  in  un  sepolcro  {Reisen  in  Lykien  und  Ku- 
rien II  p.  143).  Finalmente  il  monumento  della  villa  Torlonia 
descritto  da  (Matz-)  Duhn  nel  vol.  III  n.  3857  e  per  il  globo 
rappresentatovi  con  zodiaco  e  corni  d'abbondanza  paragonato  dal 
von  Duhn  al  Cornmodo  capitolino  era  anche  esso  un  frontone  di 
edicola,  ove  il  globo  Celeste,  coi  simboli  della  fertilitä  e  con  remo 
da  un  lato  e  ruota  (si  ricordi  il  modo  solito  di  rappresentare  le 
vie)  dali'altro,  sembra  indicare  l'universo. 

Dimostrato  cosi  che  i  Tritoni  e  il  Cornmodo  uniti  in  un 
gruppo  trovano  e  l'uno  e  gli  altri  il  supplemento  di  cui  hanno 
bisogno  e  danno  un  insieme  analogo  alle  rappresen tanze  summen- 
tovate,  non  isfuggirä  al  lettore  che  siffatto  insieme  si  raccomanda 
non  meno  per  l'idea  che  per  la  composizione,  essendo  cosi  riunite 
le  tre  parti  dell'universo :  il  cielo  indicato  dal  globo,  il  mare  dai 
Tritoni,  e  la  terra  dalle  due  figure  amazzoniche.  Imperocche  per 
spiegare  queste  ultime  non  basta  ciö  che  ci  racconta  Lampridio 
di  Cornmodo  chiamato  Amazonius  e  del  suo  amore  coneubinae  sitae 
Marciae,  quam  pictam  in  Amazone  diligebat.  In  numero  di  due, 
e  genuflesse  come  sono  con  le  loro  bipenni,  le  credo  personifica- 
zioni  di  provincie  (2),  quali  quelle  di   alcune  monete  imperiali  o 


C1)  La  grossezza  del  busto,  di  m.  0,40,  supera  un  poco  quella  dei  Tritoni, 
e  manifesto  indizio  dell'essere  posto  il  busto  innanzi  a  qualsiasi  fondo  mi  pare 
la  clava  molto  corta  e  tagliata  immediatamente  dietro  le  spalle.  I  Tritoni 
darebbero  un  raigliore  effetto,  se  la  loro  parte  umana  si  piegasse  un  poco  indie- 
tro.  Siccome  Centauri  marini  in  tali  composizioni  sono  piü  comuni  dei  Tritoni 
cosi  per  il  ristauro  si  prescelse  questa  forma,  piü  adatta  ancbe  per  lo  spazio. 

(2)  V.  P.  Gardner  Journal  of  hellen,  studies  IX  p.  47  sgg.  p.  66  parla 
del  carattere  amazzonico  di  tali  personificazioni  d'origine  asiatica.  I  rilievi 
di  piazza  di  Pietra  v.  Canina  Eiruria  marittima  tav.  III,  Bull.  d.  com.  com. 
1878  p.  13  tav.  II;  cf.  Matz  Duhn  III  n.  3623  sgg. 


COMMODO    E    TRITON!  311 

quelle  poste  una  volta  al  cosi  detto  teuipio  di  Nettuno,  ora  nel 
palazzo  dei  Conservatori.  Con  i  corni  d'abbondanza,  simboli  della 
ricchezza  terrestre,  tenuti  con  una  mano,  sono  rappresentanti  della 
terra.  Un  tale  insieme  di  terra,  mare  e  cielo  richiama  alla  me- 
moria un  altro  genere  di  raffigurazione  dell'universo :  al  disotto 
cioe  delle  Vittorie  e  degli  Amorini  che  nei  sarcofaghi  anzi  mentovati 
portano  per  l'aria  —  all'etere  o  al  cielo  secondo  l'opinione  vul- 
gare espressa  in  tanti  epigrammi  sepolcrali  —  l'effigie  del  defunto, 
non  di  rado  si  vedono  recubanti  le  figure  della  Tellure  e  dell'O- 
ceano  (l).  Perö  queste  ultime  rappresentanze  esprimono,  o  accennano 
almeno,  un'  idea  in  certo  modo  poetica,  l'idea  del  trasporto  e  dell'e- 
levazione  dell'anima  dalla  scena  terrestre  alle  sfere  celesti,  mentre 
per  l'effigie  di  Commodo  deiticato  e  trasportato  dai  demoni  marini 
l'aggiunta  del  globo  Celeste  e  delle  rappresentanti  deWorbis  tcr- 
rarum  non  e  che  un  ornamento  puramente  simbolico. 

E.  Petersen. 


(i)  P.  e.  Matz-Duhn  I  n.  2458  sgg.,  2477,  2481,  2488  sg.  2491  sgg. 


MISCELLANEA  EPIGRAFICA 


(da  lettera  di  T.  Mommsen  a  C.  Hülsen ;  cfr.  Bull.  p.  222). 

La  bella  ed  utile  dimosfcrazione,  che  i  servi  ed  i  liberti  im- 
periali  hanno  cessato  di  essere  binomi  all'epoca  di  Traiano,  trova 
conferma  anche  nella  letteratura  antica.  Scrive  cioe  il  biografo 
di  Adriano  c.  21:  libertos  suos  nee  sciri  voluit  in  publico ; 
vediamo  ora,  che  a  tale  scopo  egli  proibi  il  secondo  cognome, 
che  fin  sotto  Traiano  distinse  gli  uomini  appartenenti  alla  casa 
imperiale  dai  servitori  dei  privati.  Questa  misura  faceva  parte  senza 
dubbio  deirordinamento  generale  degli  uffizi  del  palazzo,  di  cui  ci 
ragguaglia  la  cosi  detta  Epitome  di  Vittore  c.  14 :  officio,  publica 
et  palatina  .  .  .  in  eam  formam  statuit,  quae  paucis  per  Conslan- 
tinum  immutatis  hodie  perseverant. 

Permettete  ch'io  aggiunga  un'altra  osservazione,  pure  epigrafica. 
E  venuta  fuori  ultimamente  dal  eimitero  di  Concordia  la  lapide 
greca  di  un  tal  Aurelio  Marciano,  Siriano  anch'egli  come  gli 
altri  Greci  trovati  costi :  xoö/j,rjg  Q>igüqov  oq{wv)  ^Avxioieoa\\  con  la 
data  ETOYC  B  fl  Y ,  vale  a  dire  dell'anno  482.  II  mio  ottimo 
amico,  ed  anni  fa  guida  e  maestro  fra  quelle  paludi  piene  delle 
memorie  dell'epoca  Attilana,  stampandola  nelle  Notizie  degli  seavi 
1887  p.  305,  ben  si  avvide,  che  1'era  a  cui  appartiene  non  puö 
essere  quella  degli  altri  marmi  di  que'  Siriani,  cioe  la  seleucidiana, 
di  cui  l'anno  482  corrisponde  al  170  dell'era  nostra.  Perciö  ha  voluto 
risuscitare  un  computo  proposto  anni  fa  daH'Usener,  perö  basato  sopra 
una  lezione  oggi  riconosciuta  erronea  dalla  lapide  C.  I.  L.  V,  8731, 
e  cosi  e  arrivato  a  collocare  la  pietra  nuova  nell'anno  482  del- 
l'era siriaca  cesariana,  ossia  dopo  Cristo  434:  perö  confessa  egli  stesso 
ingenuamente,  che  quella  epoca  e  troppo  bassa,  poiehe  tutte  le  altre 


MISCELLANEA    EPIGRAFICA  313 

memorie  non  oltrepassano  il  principio  del  secolo  quinto.  La  soluzione 
peraltro  e  semplice.  Le  cittä  della  Siria  e  specialmente  Apamea 
si  servivano  dell'era  de'  Seleucidi;  ma  questo  Marciano  essendo  An- 
tiocheno  (non  rnilite  giä  come  pensa  il  Bertolini,  ma  senza  meno 
negoziante)  bisogna  attenersi  all'era  antiochena  usata  in  que'  tempi. 
Ora  Euagrio  scrittore  del  secolo  sesto  2,  12  adopera  per  la  data 
del  famoso  tremuoto  antiocheno  l'era  pompeiana  principiante  dal  64 
prima  di  Cristo;  avremo  cosi  l'anno  418  ben  adatto  alle  altre  me- 
morie concordiesi. 

T.    MOMMSEN. 


SITZUNGSPROTOCOLLE 


Pestsitzung  am  7.  December  zur  Geburtstagsfeier  Winckel- 
manns :  nachdem  der  Vorsitzende  in  einleitenden  Worten  den  durch 
so  rasch  erfolgten  abermaligen  Regierungswechsel  im  Deutschen 
Reiche  erweckten  Empfindungen  und  besonders  auch  der  Freude 
über  die  Reise  S.  Majestät  Kaiser  Wilhelms  II  nach  Italien  Aus- 
druck gegeben,  sprach  G.  B.  de  Rossi  über  die  porticus  trium- 
phales. —  Petersen  :  über  verschiedene  Arten  der  Polychromie  an 
römischen  Sculpturen  (Mitth.  später.). 

De  ROSSI :  II  tema  del  discorso  fu  la  mutila  epigrafe  in  belli  caratteri 
del  secolo  primo  imperiale,  edita  dal  prof.  de  Petra  nelle  Notizie  degli  scavi 
ecc.  (Giugno  1887  p.  241)  trovata  in  Baia.  La  quäle  dal  disserente  fu  confron- 
tata  con  la  simile  iscrizione  romana  d'un  porticus  triumphi  (qui)  itu  et  reditu 
octies  semis  ejjßcit  passus  oo ,  (Orelli-Henzen  6600) ;  con  l'aiuto  di  si  luminoso 
confronto  fu  supplita  cosi: 

PORTICVS  •  TRlumphi 
LONG  •  EFFIC  •  ?Ed.  dlvi 
ITVM-ET-RED-PEd.  oo  cxn 

PASS  •  CCXXII  •  semis 
QV I N  QV I E  S  •  ITum.  et.  red. 
E  F  F  I  C  I  T  •  Vkssus 
00  CXII 

Dopo  allegati  gli  esempi  delle  siraili  assai  rare  iscrizioni  e  graffiti  com- 
putanti  i  passi  e  la  lunghezza  di  viali  e  passeggi  itu  et  reditu  una  e  piü  volte, 
dimoströ  che  il  porticus  triumphi  di  Baia  fu  imitazione  o  reminiscenza  d'uno 
del  medesimo  nome  in  Roma,  fino  ad  ora  ignoto  ai  topografi.  Ne  determinö 
il  sito  presso  la  porta  trionfale  circa  il  campo  Flaminio  e  la  Villa  pubblica; 
cd  opino,  che  quel  portico  divenuto  prototipo  di  sontuosi  passeggi  di  ville 
pubbliche  o  private  fuori  di  Roma  fino  dal  secolo  primo  deH'impero,  sia  stato 
parte  delle  magnifiche  fabbriche  erette  da  Agrippa  nelle  Saepta  e  nel  Campo 
Marzio,  a  compimento  dei  disegni  di  Cesare,  dei  quali  Cicerone  scrisse :  rem 
gloriosissimam  faciemus  in  Campo  Martio ;  saepta  . . .  marmorea  sumus  et 


SITZUNGSPROTOCOLLE  315 

tecta  facturi,  eaque  cingemus  excelsa  porticu,  ut  mille  passuum  conficiatur 
(Ad  Att.  IV,  16,  14). 

Zum  Winckelmannstage  wurde  ernannt: 
a  zum  Ehrenmitgliede' 

Herr  Marco  Freiherr  von  Morpurgo  in  Triest, 
b  zum  Correspondenten 

Herr  Enrique  Claudio  Girbal  zu  Gerona  (Spanien.). 

Sitzung  am  14.  December :  Mau  :  über  pompeianische  Wahl- 
programme. —  Hülsen  über  ein  Kelief  von  Terracina. 

HüELSEN :  Neirandrone  del  palazzo  Antonelli  a  Terracina  e  raurato  im 
piccolo  bassorilievo,  che  pochi  anni  fa  dall'illustre  possessore  Sig.  conte  Ago- 
stino  Antonelli  fu  ricuperato  in  una  casa  privata  della  citta,  ove  serviva  per 


316  SITZUNGSPROTOCOLLE 

materiale  da  costruzione.  II  rilievo  alto  m.  0,18  e  lato  0,19,  scoipito  in  pietra 
calcarea  locale,  con  figure  di  poco  risalto  e  di  esecuzione  molto  mediocre,  e 
diviso  in  due  strisce :  sul  quadro  principale  si  vedono  in  alto  tre  teste,  quella 
a  destra  ed  a  sinistra  con  una  Corona  di  raggi,  la  media  con  una  mezza  luna 
al  collo.  Sotto  esse,  nel  mezzo,  sopra  un  tavolino  a  tre  piedi,  sta  un  idolo  poco 
riconoscibile,  ai  cui  lati  si  vedono  due  giovinotti  a  cavallo  vestiti  di  clamide 
svolazzante,  con  la  beretta  frigia  in  testa.  Sotto  i  piedi  dei  cavalli  vi  sono 
due  uomini  sdraiati  per  terra;  due  grandi  serpenti  si  ergono  dietro  le  spalle 
dei  due  cavalieri.  Nella  striscia  inferiore  e  rappresertata  un'ara,  alla  quäle 
s'avvicinano  una  pecora  ed  un  gallo. 

ßappresentanze  simili  si  trovano  nelle  collezioni  glittiche.  Quelle  pub- 
blicate  generalmente  si  nascondono  sotto  l'immensa  farragine  degli  Abraxas; 
somiglianti  sono  p.  es.  una  pietra  giä  dei  gabinetto  Praun  (King  ancient  Geras 
aud  rings  tav.  9  n.  5),  un'altra  pubblicata  dal  Macario  (Abraxas  tav.  XV  n.  62), 
una  terza  dei  Museo  Odescalchi  (M.  0.  II  tav.  31).  Una  quarta  trovata  ad 
Aleppo  e  giä  posseduta  da  Mr.  Rousseau  mostra  sul  rovescio  un  leone  con  la 
parola  mistica  :hayat  (Lajard  recherches  sur  le  culte  de  Venus  tav.  XIV  G 
n.  3).  A  questi  aggiungo  un  cammeo  inedito  gentilmente  indicatomi  dall'amico 
dott.  Dressel,  che  lo  possiede.  Esso  da  un  lato  mostra  una  scena  simile  alla 
nostra  (senonche  i  due  cavalieri  hanno  dietro  di  loro  due  uomini  in  piedi,  e 
che  i  simboli  sulla  striscia  inferiore  sono  poco  riconoscibili),  dall'altro  lato 
un  animale  di  bruttissima  fattura  con  la  leggenda  aggiunta  AetWN.  Un'im- 
pronta  della  collezione  Cades  (vol.  22)  mostra  pure  i  due  cavalieri  con  stelle 
sopra  le  teste,  ma  fra  essi,  invece  deiridolo,  un  enorme  serpente  coronato  da 
una  luna,  e  nella  striscia  inferiore  fra  altri  simboli  un  arco  ed  un  uccello.  Che 
sifatti  monumenti  appartengano  a  qualche  culto  mistico,  pare  fuori  di  dubbio : 
alcuni  particolari  ricordano  i  misteri  di  Mitra,  p.  es.  sul  rilievo  di  Terracina 
le  divinitä  solare  e  lunare  che  appariscono  in  alto,  il  gallo,  animale  sacro  al  Dio 
Persiano,  e  la  pecora,  vittima  nel  sacrificio  dei  criobolium.  II  lione  sul  rovescio 
della  gemma  Dresseliana  potrebbe  bene  alludere  al  grado  quarto  degli  iniziati 
dei  misteri  Mitriaci.  Cosi  pure  un  cammeo  dei  museo  di  Firenze  (Lajard  culte 
de  Mithra  tav.  CII  n.  7)  mostra,  da  un  lato,  il  leone  fra  le  sette  stelle,  e  dal- 
l'altro il  solito  tipo  dei  sacrificio  Mitriaco.  E  giova  ricordare  Topinione  dei 
Lajard  (culte  de  Mithra  p.  197)  che  in  questi  misteri  ad  ogni  grado,  l'iniziato 
invece  di  un  diploma  scritto  ,  ricevesse  un  piccolo  monumento  portatile  con 
rappresentazione  alludente  al  grado  ottenuto.  Un  costume  simile  perö  poteva 
ben  osservarsi  anche  in  altri  culti  mistici  delFepoca  Romana:  ed  il  rilievo  di 
Terracina  si  discosta  troppo  dal  consueto  tipo  dei  Mitriaci.  Vi  manca  tutto 
ciö  che  si  riferisce  al  sacrifizio  dei  toro,  e  sono  invece  le  figure  principali  quei 
due  giovani  cavalcanti  sopra  uomini  sdraiati  per  terra.  Figure  simili  si  tro- 
vano in  un'impronta  antica  di  vetro  dei  museo  di  Berlino  (}).  II  Gerhard  che 


(*)  L'impronta  pubblicata  dal  Gerhard  e  passata  nelia  collezione  di  Ber- 
lino dal  museo  Stoschiano.  Ora,  una  corniola  con  rapprentazione  identica,  pos- 
seduta nel  secolo  XVI  dall'arciduca  Leopoldo  Guglielmo  e  pubblicata  dal  Ma- 


SITZUXGSPROTOCOLLE  317 

l'ha  pubblicato  neWArchaeol.  Zeitung  (VII  p.  60  tav.  VI,  9),  lo  riferisce  al 
culto  dei  Cabiri:  congettura  degnissima  di  attenzione.  In  ogni  caso  avremo 
a  fare  con  un  culto  di  origine  provinciale,  di  cui  flnora  in  Italia  non  abbiamo 
altro  monumento  scultorio  che  il  rilievo  di  Terracina  (*). 

Sitzung  am  21.  December:  Ficker  legt  Photographien  nach 
Zeichnungen  eines  codex  Escorialensis  vor. 

Dei    disegni   del    codice  Escorialense  —  —  II — 7  sui  quali  il  eh.  Iusti 

e 

richiamo  l'attenzione,  dando  le  sue  notizie  relative   a  Eugene   Muntz    (Anti- 

quite's  de  la  ville  de  Rome  au  XIV,  XV  et  XVI  siecles,  p.  157-161,  Revue 

arche'ol.  1887  T.  I  p.  175-179),  due  si  videro  a  Roma  l'anno   passato   in  ri- 

produzioni  fotografiche.  Furono  cioe  presentate  dal  eh.  Muntz    airAccademia 

dei  Lincei  una  veduta  di  Roma  ed  una  del  Foro  romano  (Atti  della  R.  A.  dei 

Lincei,  Rendiconti  1888,  vol.  IV,  1°  sem.,  p.  71-73),  e  di   questa   ultima   ra- 

gionö  anche  il  comm.  de  Rossi  in  un'adunanza  di  questo  Instituto  (Bull.  1888 

p.  94  seg.).  L'illustre  francese  osservando  che  uno  dei  disegni  (39  v.)  contiene, 

inscritta  in  uno  seudo,  fra  decorazioni  grottesche,  la  nota 

Roma 
Mcccclxxx 

XI 

e  che  nella  veduta  f  VII  v.  e  f.  VIII  si  vede  conservata  la  Meta  Romuli  o 
Sepulchrum  Scipionum  presso  il  Castel  S.  Angelo,  monumento  distrutto 
nel  1499,  flssa  l'origine  dei  disegni  nell'ultimo  decennio  del  quattrocento. 

Ma  oltre  che  di  molti  disegni,  p.  es,  di  quelli  detti  di  fra  Giocondo,  e 
incerta  l'attribuzione  e  che  altri  come  piante  prospettiche  riprodueono  un  tipo 


cario  (Abraxas  tav.  XI  n.  45),  si  trova  nel  museo  imperiale  di  Vienna  (Sacken 
e  Kenner  n.  167).  Una  impronta  favoritami  dal  eh.  dott.  R.  v.  Schneider  mostra 
che  ambedue  siano  uguali  fino  alle  lesioni  della  parte  sinistra,  di  modo  che 
forse  l'impronta  di  Berlino  potrebbe  essere  un'imitazione  moderna. 

(!)  Alla  gentilezza  del  eh.  dott.  Robert  v.  Schneider  di  Vienna,  il  quäle 
teste  (Archaeologisck-epigraphiscke  Mittheilungen  aus  OesterreichXI  p.  14. 15) 
ha  pubblicato  due  rilievi  trovati  a  Carnuntum,  con  rappresentazioni  analoghe, 
debbo  la  communieazione  di  una  lunga  serie  di  monumenti  dello  stesso  genere. 
.Essi  sono  conservati  nei  musei  di  Pest,  di  Bucarest  ed  in  parecchie  collezioni 
private  delle  provincie  Danubiane.  Di  quattro  che  furono  ritrovati  a  Thorda,  l'an- 
tica  Potaissa.  si  ha  una  succinta  descrizione  nel  libro  del  Neigebaur  (Dacien 
p.  208  n.  44-57):  una  laminetta  di  bronzo  trovata  a  Virunum  e  pubblicata  dal 
Pichler  (Virunum.  Atlante  tav.  2a).  La  loro  origine  locale  ci  accerta  che  il 
culto  al  quäle  si  riferiscono  sia  di  origine  Dacica.  Non  mancano  elementi 
simili  in  monumenti  di  altre  collezioni ;  si  veda  il  rilievo  di  Berlino  pubbli- 
cato dal  Gerhard,  Archaeol.  Zeitung  1859  tav.  65,  a  cui  rassomiglia  di  molto 
un'altro  conservato  in  Inghilterra  a  Deepdene,  come  osserva  il  eh.  Michaelis 
(Ancient  Marlies  in  Great  Britain  p.  292  n.  42).  Siccome  possiamo  sperare 
che  questi  monumenti  vengano  raecolti  e  commentati  in  qualche  pubblicazione 
speciale,  cosi  per  ora  mi  astengo  da  ulteriori  ricerche. 


318  SITZÜNGSPROTOCOLLE 

tradizionale,  essi  la  maggior  parte  son  fatti  piuttosto  in  modo  significativo 
sono  studi  ossia  vedute  delineate  con  piü  o  meno  di  fantasia  artistica.  Piü 
numerosi  poi  delle  vedute  sono  i  dettagli  misurati  e  le  ricostruzioni  architet- 
toniche.  L'anonimo  escorialense  con  le  sue  vedute  prese  dal  vero,  con  la  sua 
maniera  un  poco  secca  ma  esatta  piü  che  ad  altri  rassomiglia  a  Martino 
Heemskerk,  il  quäle  perö  disegnava  a  Koma  non  prima  dcl  1520,  in  parte 
contemporaneamente  col  pittore  Francesco  d'Olanda.  Non  sembra  abbastanza 
noto,  che  quest'ultimo,  oltre  a  statue  ed  allegorie,  ha  lasciato  nel  suo  libro 
di  disegni,  conservato  nella  Biblioteca  dell'Escoriale,  anche  schizzi  di  monu- 
menti  antichi,  dei  quali  son  degni  di  attenzione  i  seguenti :  (cf.  D.  Francisco 
Maria  Tubino,  El  renacimento  pictörico  en  Portugal  ä  propösito  del  libro 
de  dibujos  del  pintor  Lusitano  Francisco  de  Holanda  que  se  conserva  ine- 
dito  en  la  biblioteca  del  monasterio  de  S.  Lorenzo  del  Escorial,  Museo 
espanol  de  antig  üedades,  T.  VI,  1876,  p.  493  segg.,  p.  515  segg.): 

f.  13  d.  e  14  Affreschi  del  palazzo  di  Nerone; 

f.  19  d.  Circo  romano  ; 

f.  23  Rovine  di  S.  Gregorio,  Settizonio,  Sepulcro  dell'imperatore  Severo; 

f.  24  d.  Rovine  del  Foro; 

f.  41  d.  Tempio  romano; 

f.  48  Tetto  della  casa  aurea  di  Nerone. 
L'anonimo  escorialense,  piü  di  40  anni  prima,  disegnö  la  Roma  di  Ales- 
sandro  VI  e  dei  primi  tempi  di  Bramante,  con  edifizi  siraili  al  palazzo  di 
Venezia.  In  vedute,  prese  da  punti  diversi,  ci  si  presenta  quasi  un  panorama 
della  cittä.  1  (f.  VII  v.  VLTI:  «palazzo  papale  »):  da  un  punto  dietro  la 
porta  di  S.  Angelo;  comprende  la  parte  da  S.  Agostino  fino  al  palazzo  Vati- 
cano;  2  (f.  44  B  v. :  «  ueduta  di  monte  auentino  »):  dalla  torre  del  Campi- 
doglio  fino  al  campanile  di  S.  Agostino ;  vi  si  vede  M.  Caprino,  il  palazzo  di 
Venezia,  le  terme  di  Costantino,  il  Pantheon,  i  ruderi  del  ponte  Sublicio; 
rassomiglia  allo  schizzo  del  Sangallo  nel  cod.  Barberin.  XLIX  33 ;  3  (f.  34  v.: 
«ponte  giudeo  »):  ponte  Quattrocapi,  l'isola  tiberina  col  palazzo  Caetani  (giä 
della  contessa  Matilda),  in  fondo  S.  Maria  in  Cosmedin ;  4  (f.  29  v.  u  ueduta 
dora  celi  »):  foro  di  Nerva  con  la  Torre  de1  Conti,  accanto  grandi  ruderi  delle 
Terme  di  Tito,  Colosseo. 

Fra  i  disegni  spettanti  alle  rovine  antiche  fu  giä  trattata  la  veduta  del 
Foro;  (f.  9  sopra  l'arco  di  Settimio  si  legge:  lutjo  settjmeo  seuero);  mostra 
con  maggiore  esattezza  gli  stessi  monumenti  delle  stampe  del  Cinquecento,  e 
specialmente  queiredifizio  con  avanzo  di  un  arco  presso  il  tempio  di  Faustina, 
ancora  esistente  sull'incisione  dello  Scamozzi  (Antichitä  tav.  II).  A  quel  mo- 
numento  che  si  vede  sotto  l'arco  di  Settimio  sembra  riferirsi  anche  il  disegno 
f.  14  v.  «  achanto  a  santo  Adrjano  »  :  intercolunnio  con  porta,  fiancheggiato 
da  due  colonne  doriche-romane,  architrave,  fregio  con  triglifi,  bucrani  e  pa- 
tere,  cornicione  sormontato  dal  basamento  di  un  altro  piano:  edifizio  dise- 
gnato  tante  volte  da  pittori  ed  architetti  (Monum.  dell'Inst.  XI  tav.  XI,  XII) 
il  nostro  artista  che  ne  vide  ancora  in  piedi  gli  avanzi,  va  d'accordo  con 
Francesco  di  Giorgio.  Ne  risulta,  cosi  pare,  che  il  disegno  del  Sangallo    giä 


SITZÜNGSPROTOCOLLE  319 

presenta  una  ricostruzione  deiredifizio.  Nulla  dunque  ci  obbliga  di  ricostrnirlo 
con  tre  sole  porte  anziehe  con  cinque  o  piü,ne  si  puö,  per  conseguenza,  obiet- 
tare  le  dimensioni  troppo  piecole  a  chi  vuol  riconoscervi  la  Basilica  Emilia- 
F.  18  v.  «  antonino  e  faustina  »  mostra  il  lato  E  del  tempio,  la  cui 
parte  posteriore,  ove  nel  1602  si  edificö  la  chiesa  di  S.  Lorenzo  in  Miranda, 
e  vuota,  mentre  nella  parte  anteriore  si  vedono  le  fabbriche  distinte  nei  pre- 
parativi  per  l'entrata  di  Carlo  V.  Nel  fondo  son  visibili  i  ruderi  del  Foro  di 
Nerva,  con  una  chiesa  oggi  svanita,  tutto  circondato  da  boschi,  come  lo  de. 
scrive  anche  il  Martinelli  (Roma  ricercata  p.  93  :  essendovi  ancora  molti  horti)- 
e  ciö  dimostra  anche  il  dettaglio  dello  stesso  Foro  (f.  45  v.),  preso  dalla  parte 
meridionale.  Del  tempio  di  Minerva  com'anche  del  muro  di  recinto  era  con- 
servato  ai  tempi  dell'anonimo  piü  che  ai  tempi  di  Kock.  Come  qui  i  ruderi 
rimasero  fino  a  Gregorio  XIII,  cosi  fino  a  questo  stesso  papa  si  vedevano  le 
antiche  decorazioni  anche  nel  castel  S.  Angelo  rappresentato  sul  f.  19  («  Cha- 
stello  santagniolo  »  :  cf.  f.  15  veduta  di  fiume  e  i  dettagli  f.  14  e  27,  e  uno 
schizzo  simile  nel  cod.  di  Sangallo  Barb.  XLIX,  33  f.  35),  Tantico  recinto 
quadrato  «  un  avanzo  dell'antica  parete  di  marmo,  nella  quäle  un  gran  pezzo 
di  fregio  con  le  teste  di  bue  et  festoni  col  suo  architrave  »  (Gamucci,  Anti- 
chitä  p.  180),  tutto  ciö  si  vede  nel  disegno  preso  dalla  parte  del  Borgo.  Piü 
in  fondo  la  Porta  Petri,  accanto  una  parete  con  l'arme  di  Nicoiao  V.  Rappre- 
senta  l'artista  la  fortezza  prima  delle  fortifieazioni  di  Paolo  III,  quäle  era 
sotto  Alessandro  VI,  il  quäle  la  circondö  di  fosse  e  costrui  un  altro  adito  al 
ponte.  All'epoca  stessa  di  queste  costruzioni  pare  appartenga  il  disegno  in 
cui  si  vede  innanzi  uno  sterramento;  allo  stesso  tempo  spettano  anche  l'adito 
alla  mole  rotonda  e  il  corridoio.  Fra  i  dettagli  architettonici  e  rimarchevole 
il  sepolcro  di  Bibulo  (f.  37 :  «  sepultura  apresso  a  sanmarcho  du  consolo  ro- 
mano  »),  col  fregio  piü  esatto  che  nel  libro  del  Bramantino.  Evvi  inoltre 
parte  della  decorazione  di  una  parete,  fiancheggiata  da  un  pilastro  e  divisa 
da  altri  piü  piecoli,  al  di  sopra  dei  quali  stendesi  una  stretta  striscia  con 
l'indicazione :  di  pietre  di  pocho  rilieuo;  quindi  un  fregio  ornamentato,  e 
sopra  questo  un  altro  vuoto,  ma  con  la  nota:  Lettere.  In  eima  comincia  un 
arco  con  una  ghirlanda  di  fiori  e  frutta,  e  appie  della  tavola  e  disegnato  un 
assaggio  di  un'altra  ghirlanda  simile:  «  di  musaico  in  fönte  ».  L'indicazione 
principale  deH'oggetto  si  vede  a  sinistra:  «  di  musaico  nella  turpea».  Ne 
della  indieazione  topograflea  «  turpea  »  che  si  ripete  nel  t".  27  sopra  un  sar- 
cofago,  ne  della  architettura  rappresentata  nulla  per  ora  puö  dirsi  di  sicuro. 


INHALT 


A.  Barbini,  Scavi  di  Grosseto  p.  156-158. 

F.  Barnabei,  Di  alcune  iscrizioni  del  territorio  di  Hairia  nel 

Piceno   scoperte  in  monte  Giove  nel  eomune  di  Cermi- 

gnano  p.  3-13. 

F.  Düemmler,    Vasenscherben   aus   Kyme  in  Aeolis   (tav.    VI) 

p.  160-180. 
P.  Hartwig,  Nereide  im   Valican  (tav.  II)  p.  69-75. 
H.  Heydemann,  Osservazioni  sulla  morte  di  Priarno  e  di  Astia- 

natte(tav.  III)  p.  101-112. 
Ch.  Huelsen,  Miscellanea  epigraßca  p.  84-92. 
»  »  Osservasioni  sull'architettura  del  tempio  di  Giove  capitolino 

(tav.  V)  p.  150-155. 
»  •»  II  sito  e  le  iscrizioni   della    Schola   Xantha   sul   Foro 

romano  (tav.  VIII)  p.  208-232. 

G.  Jatta,  La  gara  di  Tamiri  con  le  Muse  (tav.  IX)  p.  239-253. 
A.  Mau,  Scavi  di  Pompei  (tav.  VII)  p.  120-149  e  p.  181-207. 
■  ■  La  basilica  di  Pompei  p.  14-46. 

A.  Michaelis,   Le  antichitä  della  cittä  di  Roma  descritte  da 

Nicoiao  Muffel  p.  254-276. 
T.  Mommsen,   Tre  iscrizioni  puteolane  p.  76-83. 
"  »  Miscellanea  epigraßca  p.  312. 

E.  Petersen,  Das  Theater  von  Tauromenion  p.  234-236. 
»  "  Commodo  e  Tritoni  p.  303-311. 

0.  Rossbach,   Teller  des  Sikanos  (tav.  I)  p.  61-67. 

F.  Rüehl,  Rappresentazione  di  un  dolmen  in  pittura  di  Pompei 

p.  237-238. 
J.  Six,  Kleophrades  Sohn  des  Amasis  p.  233-234. 
F.  Stüdniczka,    Die   archaische   Artemisstatuette  aus   Pompeii 

(tav.  X)  p.  277-302. 
P.  Wolters,    Das    Chalcidicum   der  pompe janischen    Basilica 

p.  47-60. 
»  ■  Beiträge  zur  griechischen  Ikonographie  (tav.  IV)  p.  113-119. 
Sitzüngsprotocolle,  p.  93-100;  314-319. 


IV 


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