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Full text of "Mitteilungen des Kaiserlich Deutschen Archaeologischen Instituts, Roemische Abtheilung = Bullettino dell'Imperiale instituto archeologico germanico, sezione romana"

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EX  LIBRIS 


CAROLI   WÄLDSTEIN 


"PCSOOS 

.y^UrMS    LIBRARY 


JOHNS    HOPKINS    UNIVERSITY 


PRESENTED  BY 


Lady  Walston 


MITTHEILUNGEN 

DES    KAISBBLICH     DEUTSCHEN 

ARCHAEOLOGISCHEN  INSTITUTS 

ROEMISCHE    ABTHEILUNG 
Band    IV. 


BÜLLETTINO 

DELL'    IMPERIALE 

ISTITÜTO  AßCHEOLOGlCO  GEßMANlCO 

SEZIONE   ROMANA 
Vol.  IV. 


ROM 

VERLAG  VON  LOESCHER  &  C.° 

1889 


3lWr  OF  L/ADV    "Wä1.3*üW. 


ßoma  —  Tip.  dclla  R.  Accaderaia  dei  Lincei 


SCAVI  DI  POMPEI  1886-88. 
INSULA  IX,  7. 

(Tav.  I). 


Contemporaneamente  agli  scavi  descritti  Bull.  1888  p.  181  sgg. 
fu  dissotterrata  in  gran  parte  l'isola  ad  E  della  casa  detta  del  Cen- 
tenario  (Bull.  1881  p.  113  sgg.);  le  fu  dato  il  n.  7  nella  regione  IX. 
Ne  diamo  la  pianta  sulla  tav.  I  e  la  descriviamo  cominciando  dal 
lato  N,  procedendo  da  0  ad  E. 

N.  1,  2,  [11]  (cf.  Not.  d.  sc.  1888  p.  514  sg.). 

La  casa  angolare  NO  esisteva  essenzialmente  fin  da  tempi 
antichi  neirestensione  attuale  ;  perö  nella  disposizione  interna  vi 
fu  qualche  cambiamento.  Kimonta  airepoca  del  primo  stile  deco- 
rativo  la  facciata,  il  muro  E  fino  a  tutto  h  ed  il  muro  in  fondo 
ad  a,  ove  perö  la  porta  e  posteriore.  La  decorazione  nello  stile 
suddetto  si  conserva  in  /;  le  puö  essere  contemporanea  la  colonna 
angolare  SO  di  /i,  che  e  di  tufo ;  k-o  sono  d'origine  posteriore,  e 
ferse  da  questo  lato  la  casa  non  ebbe  sempre  la  stessa  estensione. 

Che  fosse  iina  caupona,  me  lo  fanno  credere  la  bottega  con- 
giunta  con  l'atrio  trasformato  in  un  locale  coperto,  ed  i  grandi 
triclinii,  senza  comunicazione  fra  loro  e  semplicissimi,  mentre  in 
case  particolari  triclinii  di  questa  estensione  sogliono  essere  deco- 
rati  con  un  po'  piu  di  cura. 

«,  bottega  spaziosa  (m.  5,52  X  4,36).  Nel  podio  (largo  0,82) 
sono  incastrati  quattro  vasi,  di  cui  quello  ad  0  e  in  parte  co- 
perto dai  cinque  piccoli  gradini  (opera  incerta  rivestita  di  stucco) 
destinati  a  collocarvi  vasetti  ed  altri  utensili.  Nel  muro  d.,  appena 
dietro  il  podio,  e  ricavata   una  nicchia  a  volta,  alta  0,42,  larga 


4  SCAVI   DI    POMPEI 

0,43,  profonda  da  0,17  a  0,21.  —  Manca  la  soglia,  che  era  pro- 
babilmente  di  legno.  II  rialzo  di  materiale  nell'angolo  SO  e  il 
principio  d'una  scala  di  legno,  la  quäle,  addossata  al  muro  d.  si 
iirigeva  verso  N  ed  era  in  origine  accessibile  anche  da  c ;  poi 
qiiell'ingresso  fu  murato  e  avanti  ad  esso,  in  c,  fu  fatto  un  fiiso- 
rium,  vale  a  dire  un  poggiuolo  di  fabbrica  col  margine  rialzato  e 
superficie  inclinata  verso  l'angolo,  ove  un  foro  nel  muro  conduceva 
l'acqua  sulla  strada.  ün  tubo  di  creta  incastrato  nel  muro  sin.  presso 
l'angolo  NE  puö  provenire  dalla  latrina  del  locale  superiore.  a  q  c 
erano  strettamente  uniti  per  mezzo  della  larga  porta,  e  l'atrio  fa- 
ceva  quasi  le  veci  d'una  retrobottega  (^). 

b,  fauce  (1,65  X  4,68)  con  porta  (soglia  di  lava)  postaimuie- 
diatamente  sulla  strada ;  nella  massa  ordinaria  del  pavimento  e 
immessa  una  pietra  di  lava  con  incavo  per  la  trave  obbliqua  che  s'ap- 
poggiava  contro  la  porta  per  fermarla ;  suUe  pareti  da  circa  m.  1,40 
in  SU  intonaco  grezzo  dell'epoca  del  primo  stile,  inieriormente  in- 
tonaco  posteriore  bianco  diviso  in  scompartimenti  da  linee  rosse. 

c  (7,45  X  6,62)  occupa  il  posto  dell'atrio.  Pare  certo  che 
fosse  coperto  e  servisse  agli  usi  della  caupona :  manca  l'impluvio ; 
la  bocca  di  cisterna,  fra  le  porte  di  d  ed  e,  sta  quasi  nel  punto 
piü  alto,  senz'apparecchio  di  sorta  per  farvi  entrar  l'acqua;  il  pa- 
vimento, d'una  massa  non  molto  resistente  e  che  mostra  di  non  es- 
sere  recente,  non  potrebb'essere  cosi  conservato,  se  fosse  stato  a  cielo 
aperto.  SuUe  pareti  stucco  di  mattoni  fino  a  m.  1,32,  quindi  into- 
naco bianco  e  piü  sopra  stucco  grezzo  dell'epoca  del  primo  stile; 
la  parete  d.  e  bianca  del  tutto.  Sul  muro  fra  i?*  e  la  porta  di  a  era 
dipinto  rozzamente  in  color  rossastro  qualche  oggetto  sospeso  con 
una  corda,  forse  un  aniraale  ucciso,  piü  in  su  qualche  altra  cosa, 
pure  irriconoscibile,  in  turchino.  La  scala  addossata  al  mm'O  d.  con- 
duceva con  15  gradini  a  locali  sovrapposti  a  defg;  e  tutta  mu- 
rata,  sorretta  da  tre  volte  (-). 


(1)  Nella  bottega  furono  trovate  2  monete  di  bronzo  (di  Tiberio  e  di 
Galba);  2  tazze  ed  una  lucerna  di  terracotta,  quest'ultima  con  maschera  sce- 
nica  in  rilievo ;  una  bottiglia  di  vetro  ;  framraenti  indefinibili  di  ferro. 

(2)  Sotto  la  piü  alta  di  queste  sta  un  mulino  a  mano  della  forma  bassa, 
a.  0,35  diam.  0,40,  di  lava.  I  due  incavi  per  i  manichi  sono  rivestiti  di  piorabö ; 
mancano  quelli  del  solito  ferro  perforato  nell'apertura  del  catillus,  e  pare  che 


INSDLA   IX,   7  6 

La  porta  di  d  era  in  origine  nell'angolo  SO  di  c,  ed  era  fatta 
a  volta ;  costruendosi  la  scala  si  procurö  di  lasciarla  accessibile. 
Pu  murata  prima  della  decorazione  di  d,  che  h  nel  terzo  stile. 

d  triclinio,  4,15  X  3,38  ;  ha  una  finestra  su  c  ed  un'altra 
sulla  strada,  a.  0,58,  1.  circa  0,37,  discosta  dal  pavimento  2,33, 
con  impronta  del  telaio  di  legno.  Una  porta  che  nell'angolo  SO 
metteva  in  comunicazione  d  e  /",  fu  miirata  anch'essa  prima  che 
si  facesse  la  decorazione  del  terzo  stile  a  fondo  bianco. 

e  triclinio  con  larga  apertura,  3,30  X  3,4G.  Per  formarlo  fu- 
rono  riuniti  (lo  si  conosce  dal  pavimento)  una  camera  (cubicolo  ?) 
e  un  corridoio  (1.  m.  1,0)  a  sin.  di  essa,  e  tale  carabiamento  fu 
seguito  da  una  decorazione  della  pareti  a  fondo  bianco  simile  a 
quella  che  in  d  si  fece  depo  l'abolizione  delle  due  porte :  pare 
adunque  che  nell'epoca  del  terzo  stile  la  casa  fosse  ridotta  a  cau- 
pona  ('). 

Questi  sono  i  locali  aperti  sull'atrio  c.  Per  e,  triclinio  e  pas- 
saggio  nel  tempo  stesso,  qq  (1,94  [2,07]  X  3,90),  che  non  era  altro 
che  un  passaggio,  s'entra  nel  portico  dell'ambiente  che  per  analogia 
'chiameremo  peristilio. 

Centro  della  parte  posteriore  della  casa  e  lo  spazio  aperto  (giar- 
dino  ?)  2,  circondato  dal  portico  h.  Credo  che  nell'estate  qui  pure 
si  trattenessero  i  frequentatori  della  caupona :  vi  e  un  ingresso 
.largo  m.  0,90  dalla  parte  dei  triclinii  ed  un  altro  stretto  dal  lato 
della  cucina.  La  larghezza  del  posticum  (m.  1,73)  lascia  supporre 
che  anch'esso  fosse  un  ingresso  per  gli  avventori.  II  tetto  del  por- 
tico era  sorretto  in  origine  da  colonne  di  tufo  (l'unica  conservata, 
nell'angolo  SO,  e  poligona  nella  parte  superiore,  liscia  probabil- 
mente  nella  parte  piü  bassa  coperta  di  stucco),  piü  tardi   da  pi- 


in  questo  caso  se  ne  facesse  a  meno.  Di  piü  vi  si  trova  un  altaretto  di  tra- 
vertino,  a.  0,18,  largo  0,16  X  0,11  di  sotto,  0,215  X  0,14  di  sopra,  con  incavo 
(diam.  0,055 ;  prof.  0,01)  nel  centro  della  superficie.  —  Fu  raccolta  anche 
neH'atrio,  sul  lato  d.,  una  secchia  di  bronzo  frammentata  e  due  anfore,  fra 
cui  una  con  iscr.  poco  chiara  (Not.  1887  p.  244:  SOHP  ;  ma  mi  sembro 
piuttosto  greca:  «^eHP). 

(})  Ivi  d  e  furono  trovati  fraramenti  indefinibili  di  feiTo,  un  piccolo  un- 
guentario  di  vetro,  16  globetti  forati  di  pasta  vitrea,  una  lucerna  di  terra- 
cotta  con  maschera  scenica  in  rilievo  (Not.  1887  p.  244). 


b  SCAVI   DI   POMPEI 

lastri  oblongi,  di  lunghezza  diversa,  grossi  m.  0,295  senza  lo 
stucco,  coDgiunti  da  un  podio  alto  1,0  siil  lato  0,  0,80  sul  lato  N, 
interrotto  dai  due  passaggi  giä  menzionati.  E  probabile  che  i  pi- 
lastri  si  facessero  tanto  forti  per  poter  sorreggere  un  ambulacro 
siiperiore,  e  m'e  sembrato  di  vedere,  aU'estremitä  S  del  lato  0, 
la  traccia  dell'ultima  delle  sue  travi,  che  stava  m.  0,15  piii  in 
alto  del  soffitto  di  k.  Appie  del  podio  scorre  un  canaletto  rivestito 
di  signinum,  dal  quäle  l'acqua  piovana  scolava,  per  due  tubi  di 
creta,  in  un  piccolo  bacino  nell'angolo  NO  e  quindi,  sotto  il 
pilastro  angolare,  passava  nella  cisterna :  il  puteale  scanalato  di 
travertino  sta  nel  portico  0  presso  l'angolo.  Un  altro  canaletto 
nell'angolo  SO  gira  intorno  la  colonna  angolare  e  passando  sotto 
il  portico  ed  il  muro  conduce  sulla  strada.  AI  lato  N  del  pilastro 
angolare  e  addossato  un  piccolo  focolare  con  tracce  di  fuoco 
(m.  0,86  X  0,49,  alto  0,27) :  anche  questa  una  testimonianza  che 
nel  giardino  si  pranzava,  giacche  spesse  volte  vicino  ai  triclinii 
murati,  che  in  non  pochi  giardini  s'incontrano,  si  vedono  focolari 
simili  ('). 

Nel  muro  0,  corrispondente  alla  metä  del  portico  N,  evvi  la 
nicchia  dei  Lari,  1.  m.  0,40,  pro  f.  0,30,  disc.  dal  pavim.  1,27  ; 
l'altezza  non  e  conservata ;  nel  fondo  avanzi  di  pitture  su  fondo 
bianco,  nel  piano  un  incavo  per  una  statuetta.  Sotto  di  essa  la 
solita  pittura  (1,40  X  0,46) :  a  sin.  il  serpente  fra  plante  con 
fiori  rossi  si  dirige  verso  l'altare,  sul  quäle  si  distingue  l'uovo ;  a 
d.  dell'altare  il  Genio  in  atto  di  libare,  col  corno  d'abbondanza, 
coronato,  vestito  di  toga  bianca  con  largo  orlo  rosso  e  tunica  bianca 
con  larga  striscia  verticale  rossa  sul  lato  d.  del  petto  (a  sin.  e  co- 
perta  dalla  toga) ;  il  panno  rosso  che  cuopre  la  testa  pare  che  non 
faccia  parte  della  toga ;  a  d.  del  Genio  un  giovanetto  coronato,  in 
tunica  bianca  con  le  sollte  due  strisce  verticali  rosse,  che  porta 
sulla  sin.  un  piatto  con  oggetti  non  definibili,  nella  d.  abbassata 
bende  e  fronde.  Piii  a  d.  il  2^0'pa,  coronato,  nuda  la  parte  supe- 
riore  del  corpo,  conduce  il  niaiale  cinto  da  larga  benda  rossa ;  stende 
la  d.  col  coltello  verso  il  piatto  tenuto  dal  giovane,  forse  per  pren- 
derne  la  mola  salsa.  Esecuzione  grossolana.  Del  resto  le  pareti  di  h 
rassomigliano  a  quelle  di  c. 

(1)  Overbeck-Mau  Pompeji  *  p.  305.  Bull.  1884  p.  128  ;  cf.  qui  avanti  p.  11. 


INSÜLA   IX,    7  7 

Nell'angolo  SE  del  portico  N  di  h  sta  un  mucchio  di  calce, 
e  appie  del  prossimo  pilastro  un  mucchio  di  mattoni  o  cocci  pesti : 
materiali  per  fare  un  pavimento  di  opus  signinum. 

Sopra  h  si  apre  il  grande  triclinio  f  (5,54  X  3,51).  La  de- 
corazione  nel  primo  stile  —  che  presuppone  l'estensione  attuale  — 
vi  rimase  fino  agli  ultimi  tempi,  soltanto  lo  zoccolo  fu  rimpiaz- 
zato  d'uno  stucco  rozzamente  dipinto.  Rimane  oscuro  lo  scopo  delle 
due  porte.  Murando  il  passaggio  fra  f  q  d  (nell'angolo  NO  di  f) 
fu  lasciata  la  porta  di  legno,  di  cui  nella  muratura  si  vede  rira- 
pronta.  II  pavimento  e  di  signinum. 

Tutta  la  parte  a  S  di  A  ^  e  di  costruzione  piü  recente :  gli 
stipiti  son  di  mattoni  alternati  regolarmeute  con  pietre  di  forma 
simile,  le  decorazioni  tutte  dell'ultimo  stile. 

La  cucina  ^;  ha  nell'angolo  SE  il  focolare  (1,80  X  0,93,  a 
0,88)  formato  da  tegoloni  posti  sopra  tavole  di  legno  sorrette  da 
due  sostegni  murati  ed  inoltre  con  una  estremitä  incastrate  nel 
muro  E.  L'  angolo  NO  e  occupato  dalla  latrina :  soltanto  qui 
e  sul  lato  E  fino  al  focolare  le  pareti  son  rivestite  di  stucco 
grezzo;  del  resto  son  prive  d'intonaco.  La  cucina  uguagliava 
in  altezza  le  camere  sovrapposte  alle  localitä  adiacenti ;  ha  una 
ünestra  sulla  strada  (circa  0,40  X  0,50)  discosta  dal  pavimento 
ra.  3,00  ('). 

Per  il  passaggio  /,  con  pareti  rozze  e  finestra  su  i  (0,87  X  0,73, 
disc.  dal  suolo  0,93)  si  entra  nel  cuhicolo  m  (3,25  X  2,64),  anch'esso 
con  finestra  su  i  (0,93  X  0,86,  disc.  dal  pavim.  0,87).  La  caraera 
e  alta  2,64 ;  immediatamente  sotto  il  soffitto  evvi  nel  muro  E  una 
piccola  finestra  che  si  restringe  verso  l'esterno :  superflua  per  dar 
luce  ed  aria  essa  non  poteva  avere  altro  scopo  che  di  far  entrare 
il  primo  raggio  del  sole.  In  questa  sola  camera  la  decorazione  e 
quasi  completamente  conservata :  e  fatta  nell' ultimo  stile  a  fondo 
giallo,  con  zoccolo  rosso  ornato  di  plante,  la  parte  superiore  ha  i 
soliti  motivi,  qui  semplicissimi,  su  fondo  bianco.  In  ognuno  degli 
scompartimenti  grandi  del  muro  di  fondo  e  cosi  anche  a  d.  della 


Q)  Vi  si  raccolsero  una  vaschetta,  una  pentola,  una  caldaia  ed  una 
conca  di  bronzo,  un  tripode,  un  rastrello  ed  una  lama  di  coltello  di  ferro 
(Not.  1887  p.  243). 


8  ÖCAVI    DI    POMPEI 

tinestra,  e  dipinto  un  piccione  bianco ;  se  ne  vedono  due,  che  s'im- 
boccano,  in  mezzo  al  muro  d.  (*). 

n  scala  del  piano  di  sopra:  due,  e  piü  in  lä  un  terzo  gra- 
dino  verso  S,  uno  verso  0,  sette  (di  cui  tre  conservati)  verso  N. 
Dal  pianerottolo  fra  il  secondo  ed  il  terzo  gradino  si  scende  sopra 
due  gradini  in  o,  che  credo  un  cubicolo  servile,  con  pareti  rozze 
e  piccola  finestra,  che  esternamente  si  restringe,  nel  muro  E.  In  /  m  o 
mancano  le  soglie,  che  probabilmente  erano  di  legno. 

II  pavimento  dei  locali  superiori  stava  a  m,  3,50  sopra  quello 
di  h  k.  Dalla  scala  n  s'entrava  in  una  camera  sopra  /,  da  questa 
in  una  grande  sopra  in  o,  ambedue  precedute  sul  lato  N  da  una 
loggia  (son  visibili  i  buchi  delle  travi)  larga  0,82,  munita  di  un 
parapetto  muräto,  alto  almeno  0,90,  come  si  vede  sul  muro  E  del 
giardino.  La  loggia  era  accessibile  per  una  porta  larga  1,55  sopra 
m  e  per  un'altra  porta,  di  larghezza  ignota,  sopra  l.  Sopra  m  eravi 
inoltre  una  finestra  larga  1,20  verso  E.  Dal  locale  sopra  /  s'entrava 
ancora  in  uno  sovrapposto  a  k^  cioe  all'estremitä  S  del  portico  0, 
dipinto  nelVultimo  stile  a  fondo  giallo. 

Quanto  al  tetto  della  casa,  non  si  puö  dubitare  che  quello 
della  parte  posteriore,  compresi  forse  d  e,  non  fosse  inclinato  verso  i. 
Quello  ^\  ab  c  poteva  essere  inclinato  verso  la  strada  0  (2). 

Poche  iscrizioni  graffite  si  leggono  sulla  parete  sin.  della 
fauce  b  (cf.  Not.  p.  514). 

1.  CIILIIRVIRTORIV  {Not.  1.  c.  Sil  invece  di  VI). 

2.  a  d.  di  1 :  ALLICI^II  GAR-VMI  (l'ultima  asta  e  forse  casuale). 

3.  sotto  1  :  FAVSTVS 


(1)  In  m  si  trovarono  una  bottiglia  ed  un  balsamario  di  vetro,  una  taz- 
zolina  ed  una  lucerna  di  ten-acotta,  quest'ultima  ornata  d'una  testa  di  Selene 
sormontata  dalla  mezza  luna  (Not.  1887  p.  248). 

(2)  Aggiungo  alcune  misure.  II  muro  di  strada  e  grosso  0,405,  quello  fra 
a  e  h  0,29,  fra  a  e  c  0,39,  quelli  ixa,  d  e  &  fg,  fra  d  e  e  c,  fra  /'  e  g  h  son 
grossi  0,41,  fra  d  eä  e  0,28.  L'ingresso  n.  2  e  largo  1,70,  quello  della  bot- 
tega  a  3,50;  la  porta  fra  ß  e  c  1,66,  quella  murata  ivi  stesso  0,73.  La  porta 
di  d  misura  internamente  1,15,  esternamente  1,08 ;  la  finestra  äi  d  h  larga 
0,74,  la  scala  1,145  col  parapetto. 


INSULA    IX,    7  9 

N.  3-5  (cfr.  Not.  1.  c.  p.  515  sg.). 

La  casa  segiiente  ha  una  bottega  su  ciascun  lato  della  fauce  a, 
n.  4.  Kimonta  all'epoca  sannitica  la  facciata  e  tutto  ciö  che  sta 
avanti  all'atrio,  compreso  lo  stucco  di  «  e  ^,  bucato  per  ricevere 
una  niiova  decorazioue.  L'ingresso  a,  alto  almeno  m.  3,50,  era 
traversato  all'altezza  di  2,30  da  una  trave  ;  la  porta  dunque  non 
poteva  arrivare  ad  un'altezza  maggiore  di  questa,  e  possiamo  sup- 
porre  che  sopra  di  essa  il  vano  fosse  chiuso  da  una  inferriata.  La 
soglia  di  travertino  ha  nella  parte  esterna  e  piü  alta  gli  incavi 
delle  antepagmenta,  nella  parte  interna  e  piü  bassa  quelli  dei 
catenacci,  non  perö  quelli  dei  cardini. 

L'atrio  d  ha  il  medesimo  pavimento  di  signinum  come  la 
fauce,  senza  impluvio,  e  dobbiamo  perciö  crederlo  coperto ;  la  ci- 
sterna  (apertura  in  lava  presso  l'angolo  sin.  della  fauce)  doveva 
ricevere  acqua  dal  peristilio.  Non  lo  credo  un  airium  teüudinatum 
quäle  lo  descrive  Viti-uyio,  non  vedendosi  alle  pareti  le  tracce  degli 
apparecchi  per  portar  via  I acqua  piovana ;  forse  il  tetto  era  incli- 
nato  parte  verso  la  strada  parte  sul  giardino. 

De'  locali  adiacenti  ^  e  la  scala  dei  piano  superiore,  col  sot- 
toscala  che  poteva  chiudersi  e  servire  p.  es.  da  dormitorio  servile. 
/■  (a.  m.  3,0)  poträ  chiamarsi  ala.  A  ?,  con  finestra  e  porta  sul 
giardino,  con  ingresso  senza  porta  (cosi  pare)  dal  lato  dell'atrio, 
poträ  forse  darsi  il  nome  di  tablino.  Gli  sta  accanto  il  triclinio  Ä, 
anch'esso  con  finestra  sul  giardino  ed  accesso  al  piccolo  cubicolo  g. 

La  decorazione  e  semplicissima.  II  lato  d.  deH'atrio  ha  uno 
zoccolo  nero  a.  1,40,  e  sopra  di  esso  lo  stucco  grezzo  dell'epoca 
sannitica  coperto  rozzamente  d'un  tenue  strato  di  color  bianco. 
Posteriori  allo  zoccolo  nero  sono  le  decorazioni  deH'ultimo  stile 
sul  lato  sin.  dell'atrio,  in  ac g h  i.  Nell'atrio  e  nella  fauce  a  (e 
similmente  in  c)  il  fondo  rosso  e  diviso  in  .scompartimenti  per 
mezzo  di  strisce  gialle.  In  f  il  fondo  e  bianco,  meno  lo  zoccolo, 
che  e  rosso :  gli  scompartimenti  grandi  delle  pareti  laterali  con- 
tengono  ognuno  un  uccello,  sul  muro  di  fondo  quello  a  d.  un  qua- 
dretto  con  pesci  (0,35  X  0,18);  quello  a  sin.  non  e  conservato. 
In  i  il  fondo  e  nero  sopra  zoccolo  rosso.  Nel  centro  dei  mui'O  d 
un  quadro  mal  conservato  e  poco  riconoscibile  rappresenta  il  noto 


10  SCAVI   DI   POMPEI 

gruppo  di  Chiron  e  ed  Achille.  Sul  muro  d.  a  d.  e  rappresentato 
un  pezzo  di  carne  cruda  (a.  0,18,  1.  0,30),  sul  muro  sin.  a  sin.  due 
pani  (a.  0,22,  1.  0,38).  In  h  il  fondo  e  rosso.  La  decorazione  e 
rozza,  senza  quadri.  Sul  muro  sin.  e  dipinto  a  sin.  un  cigno  che 
nel  becco  ed  ai  piedi  porta  un  nastro;  sul  muro  d'ingresso  vedonsi 
due  fantastiche  figure  alate,  delle  quali  quella  a  d.  ha  la  testa 
d'un  gatto  e  porta  un  nastro  come  il  cigno,  quella  a  sin.  ha  la 
testa  d'uomo  vecchio  con  cappello,  messa  in  caricatura ;  ambedüe 
hanno  coda  e  piedi  d'uccelli,  a  guisa  di  Sirene,  e  sono  eseguite 
negligentemente  in  giallo.  —  Ä  ha  la  soglia  di  lava  e  si  chiudeva 
con  una  porta  a  due  battenti. 

II  cubicolo  g  ha  le  pareti  rosse  fino  a  m.  1,60,  quindi  blanche. 
Manca  la  soglia.  AU'estremitä  d.  del  muro  di  fondo  evvi  l'incavo 
per  il  lato  corto  d'un  letto,  che  stava  dunque  appie  del  muro  d., 
nel  quäle  si  vedono  due  buchi  per  i  mutuli  di  una  scansia. 

Per  i  si  passa  nel  giardino,  preceduto  da  un  rialzo  largo  1,25, 
k,  rivestito,  come  anche  il  canaletto  che  scorre  appie  di  esso 
(largo  0,75),  di  signinum.  II  canale  e  traversato  incontro  alla 
porta  di  i  da  un  ponticello  formato  da  tegoloni  posti  sopra  punte 
di  anfore,  dal  quäle  sopra  un  gradino  si  scende  nel  viridario.  Sopra 
il  rialzo  k^  protetto  senza  dubbio  dal  tetto  sporgente  della  casa, 
sta  a  sin.  di  chi  esce  dalla  porta  un  gran  puteale  di  terracotta 
(diam.  interno  0,62)  sopra  un  basso  cilindro  murato,  nel  quäle  e 
incastrata  esteriormente  sul  lato  S  una  pietra  di  color  grigio, 
larga  0,23,  con  un  incavo  (0,06  X  0,05,  prof.  0,035)  nella  super- 
ficie  :  forse  qui  era  immesso  qualche  apparecchio  per  tirar  l'acqua; 
nel  puteale  stesso  son  pochissime  le  tracce  delle  corde. 

Nell'estremitä  0  del  muro  di  fondo  (N)  di  k  e  ricavata  una 
nicchia  a  volta,  a.  0,40,  1.  0,40,  profonda  0,12,  probabilmente  il 
larario.  Avanti  ad  essa  giace  sul  suolo  un  cubo  (0,24)  di  traver- 
tino,  che  poteva  servire  da  altare. 

Sul  lato  anteriore  del  giardino  evvi  ancora  a  sin.  una  stanza  l 
con  due  grandi  porte,  evidentemente  un  triclinio,  perö  le  pareti 
son  rivestite  soltanto  di  stucco  di  mattoni,  il  pavimento  di  signinum. 
Un  sedile  murato  sta  a  d.  fuori  dell'ingresso  occidentale.  II  pic- 
colo  vauo  adiacente  m  non  poteva  essere  che  una  specie  di  armadio ; 
vi  sono  nelle  pareti  vari  buchi  come  di  chiodi. 

Nel  giardino  n  troviamo  a  sin.  un  triclinio  murato  ,  rivestito  — 


INSULA    IX,    7  11 

com'anche  la  parte  corrispondente  del  muro  E  —  di  stucco  rosso. 
E  curioso,  ne  saprei  spiegaiio,  che  qui  la  parte  d.  del  triclinio  e 
di  m.  0,40  piü  lunga  dell'altra,  mentre  generalmente  lo  e  la  si- 
nistra,  conformemente  al  modo  corae  si  giaceva  a  tavola.  II  tavo- 
lino  e  coperto  d'una  lastra  di  marrao  bianco.  Dirimpetto,  presso 
il  muro  0,  sta  un  piccolo  altare  murato  (0,43  X  0,37  di  sotto, 
0,58  X  0,61  di  sopra,  ove  stanno  i  piilvini  da  S  a  N)  rivestito  di 
stucco  di  mattoni.  Poco  piü  avanti,  in  un  angolo  formato  dal 
murD,  sta  un  piccolo  focolare,  coperto  a  volta,  internamente  non 
piü  grande  di  0,52  X  0,96. 

Finalmente  evvi  ancom,  in  fondo  al  giardino,  un  piccolo  edi- 
fizio  contenente  la  cucina  o  ed  il  cesso  p.  La  cucina  ha  il  foco- 
lare addossato  al  muro  E,  la  latrina  nell' angolo  NE  ;  nell'angolo  SO 
la  parte  indicata  nella  pianta  (1,70  X  1,90)  e  rinchiusa  in  un 
rialzo  di  stucco  a.  0,12,  e  qui,  nell'angolo  stesso,  giace  un  mucchio 
di  calce.  Accanto  alla  porta  evvi  una  finestra,  discosta  dal  suolo 
m.  1,83.  —  II  cesso  J9,  alto  1,90,  con  finestra  verso  E,  era  sormon- 
tato  da  un  basso  locale  sotto  il  tetto,  anch'esso  con  finestrina 
Yerso  E,  accessibile  soltanto  per  una  porticina  sopra  il  focolare 
di  0,  alla  quäle  si  doveva  ascendere  per  mezzo  d'una  scala  por- 
tatile.  Una  porta  im  o  q  p  fu  murata  anticamente.  Sopra  ambedue 
son  conservati  i  margini  superiore  ed  inferiore  del  tetto  inclinato 
verso  N. 

La  costruzione  di  o  e  ^  e  posteriore  allo  stucco  del  muro  cui 
sono  addossati,  Prescindendo  da  questo  stucco  le  pareti  di  p  non 
hanno  rivestimento  alcuno ;  in  o  il  muro  d'ingresso  ha  stucco  di 
mattoni  fino  all'altezza  di  1,40,  e  la  parte  corrispondente  alla  la- 
trina fino  a  1,10. 

Nel  giardino  n  sono  riconoscibili  i  buchi  che  segnano  i  posti 
delle  plante  (piccoli  alberi,  come  pare),  com'anche  gli  stradelli  ac- 
canto ai  quali  la  teiTa  e  rialzata  un  poco ;  uno  conduceya  a  sin., 
con  curvatura  a  sin.  dietro  il  triclinio,  nel  fondo  della  parte  piü 
stretta  del  giardino,  ove  fu  trovato  qualche  materiale  proveniente 
da  muri  distrutti ;  un  altro  si  dirigeva  dal  focolare  lungo  il  muro  0 
ad  0,  poi  passando  avanti  ad  op  imboccava  in  quel  primo. 

Stanno  appoggiate  ad  op  cinque  anfore  piene  di  calce,  due, 
ed  una  cui  manca  la  parte  superiore,  piene  a  metä,  una  finalmente 
nella   quäle  non    ve  ne    sono  che   tracce ;    e   un'  altra  simile  sta 


12  SCAVI   DI   POMPEI 

nell'angolo  SO  del  giardino.  Due,  che  son  vuote,  stanno  neH'an- 
golo  NO  di  /*:  e  all'angolo  di  j).  Presso  l'angolo  SO  del  giardino 
sta  im  recipiente  cilindrico  di  tufo,  al'o  internamente  0,24,  diara. 
interno  0,24,  esterno  0,35. 

Basta  UDO  sguardo  sulla  pianta  per  convincersi  che  la  parte  E 
del  giardino  deve  aver  appartenuto  una  volta  alla  casa  adiacente 
n.  6-8.  In  fatto  lo  stucco  del  muro  di  fondo  (S)  prosegue  dietro 
il  muro  che  divide  i  due  giardini,  e  similmente  sul  lato  anteriore 
lo  stucco  dell'arcata  che  precede  il  giardino  del  n.  6-8.  Ma  pare 
che  in  quel  tempo  il  giardino  del  n.  6-8  si  estendesse  piü  ancora 
verso  0 :  lo  stesso  stucco  del  muro  di  fondo  comparisce  sui  muri 
cui  op  sono  addossati,  anche  ad  0  di  o,  fino  al  punto  ove  confina 
la  casa  1.2  col  n.  [12.13]  :  quindi  segue  il  miu'o  piü  recente  dei 
locali  posteriori  di  1.2.  Pare  adunque  che  una  volta  il  proprieta- 
rio  di  6-8  abbia  acquistata  tutta  la  parte  posteriore  della  casa 
[12.13],  la  quäle  probabilmente  non  era  sempre  tanto  ristretta, 
e  ne  abbia  fatto  un  gran  giardino,  e  che  poi  ne  abbia  ceduto  una 
parte  (con  una  striscia  del  suo  giardino  antico)  al  n.  3-5.  Ovvero, 
quando  fu  acquistata  la  parte  posteriore  del  n.  [12.13],  le  due  case 
3-5  e  6-8  erano  riunite  in  una  mano,  e  furono  poi  divisi  le  case 
ed  il  giardino  fra  piü  eredi  nel  modo  come  adesso  li  vediamo. 

E  da  osservarsi  ancora  che  dalle  parti  superiori,  sopra  i,  pro- 
vengono,  come  potei  osservare  durante  lo  scavo,  tre  mezze  colonne 
sporgenti  da  pilastri  e  due  colonne,  i  cui  rocchi  ora  stanno  parte 
nell'atrio  parte  nel  vico  ad  0  dell'isola.  Erano  alte  circa  2,15  ;il 
diametro  dei  rocchi  e  fra  0,28  e  0,35  ;  una  delle  colonne  era  piü 
grossa,  ma  l'altezza  e  esattamente  quella  delle  altre.  Sono  di  tufo, 
lavorate  rozzamente  e  rivestite  di  stucco ;  due  delle  mezze  colonne 
erano  congiunte,  a  m.  1,47  sopra  la  base,  da  una  trave. 

La  casa  fin  qui  descritta  si  crede  quella  d'un  chirurgo  a  causa 
d'un  ritrovamento  fatto  il  2  sett.  1887  nell'angolo  SE  delFatrio 
(Not.  1887  p.  413)  (').  Vi  si  trovarono  gli  avanzi  di  una  cassa 
di  legno  totalmente  disfatta  e  gli  oggetti  che  in  essa  erano  stati 
conservati,  enumerati  nelle  Not.  1.  c.  Primeggia  fra  essi  un  gran 

(1)  Si  trovarono  inoltre  neU'atrio  (Not.  d.  sc.  1887,  p.  414  sg.):  pochi 
vasi  ed  un  coperchio  di  casseruola  di  bronzo ;  un  braciere  di  ferro ;  un  peso 
di  piombo ;  16  cerniere  di  osso,  e  nell'angolo  SO  un'anfora  con  iscrizione.  — 
In  e  (1.  c.  p.  564):  una  boccetta  di  vetro;  pochi   vasi   di   terracotta,  fra  cui 


INSULA    IX,    7  13 

* 

numero  di  strumenti  chirurgici :  un  speculum  uteri,  un  forceps, 
pinzette,  tasti,  coltellini,  un  imbiitino  ed  altri  strumenti  non  de- 
finibili,  tutti  di  bronzo  meno  le  lame  dei  coltelli  che  sono  d'ac- 
ciaio  ed  in  parte  mancano.  Di  piü  vi  si  trovarono,  anche  di  bronzo, 
due  calamai  cilindrici.  una  misura  d'un  piede  romano  (0,295),  di- 
viso  sopra  un  *lato  in  16,  sopra  un  altro  in  12  parti,  una  bilancia 
a  due  coppe  coi  pesi  relativi,  che  sono  in  numero  di  cinque,  se- 
gnati  coi  numeri  greci  6  e  q  t  i,  vale  a  dire  4-7,  10,  ed  il  cui 
peso  conduce  ad  una  unitä  fra  gr.  3,50  e  3,60  (i).  Due  altri  pesi, 


un  piatto  aretino  coi  boUo  L  •  N  •  P  in  forma  di  piede  e  coi  numero  XXXX 
grafiStovi  esternaraente.  —  In  i  (1.  c.  p.  414 :  «  a  dr.  del  tablino  ») :  2  orec- 
chini  d'oro,  ognuno  con  un  globetto  di  madreperla ;  2  globetti  di  sottili  la- 
minette  d'argento ;  3  boccette  di  vetro ;  un  vaso  di  alabastro ;  una  lucerna  di 
creta  coi  lucignolo  di  stoppa.  —  In  l  (1.  c.  p.  528) :  una  vaschetta  ed  un 
piede  di  mobile  di  bronzo ;  alcuni  vasetti  di  vetro ;  un  pignattino  e  tre  lu- 
cerne  di  creta,  fra  cui  una  con  testa  muliebre  e  con  la  marca  STrobiL!  ; 
un'antefissa  con  busto  muliebre ;  un'anfora  senza  iscrizione ;  due  frammenti 
di  tegole,  ambedue  coi  bollo  dojwiti  .  alexn  {C.  I.  L  IL  8042,44).  —  In  m : 
un'anfora  con  l'iscrizione  M '  A  •  M.  Nella  parte  anteriore,  forse  nella  fauce 
(1.  c.  p.  411  sg.) :  caraflnette  di  vetro;  9  globetti  neri,  9  bianchi  ed  uno 
giallo  di  pasta  vitrea ;  due  dadi  di  osso.  —  In  n  (1.  c.  p.  528) :  un  vaso  di 
bronzo ;  2  anfore  con  iscrizioni  poco  leggibili ;  un  frammento  di  tegola  coi 
noto  bollo  L  •  SAGINI  •  PRODM.  —  In  Z»  (1.  c.  p.  244) :  un  piccolo  piede  di 
mobile  di  bronzo  in  forma  di  grifo  con  piede  leonino ;  una  bottiglia  di  vetro ; 
un'antefissa  con  testa  muliebre ;  4  monete  di  bronzo.  —  In  c  (1.  c.  p.  412), 
suUa  soglia :  un  piccolo  anello  d'oro  ;  23  cerniere  di  osso ;  una  chiave,  un 
coltello  ed  una  lucerna  di  ferro ;  una  moneta,  un  ago  saccale,  un  pomo  tor- 
nito  e  qualche  ornamento  di  mobile  in  bronzo ;  un  pezzo  informe  di  cristallo 
di  rocca.  Piü  in  dentro :  un  orecchino  d'oro;  un  piccone,  una  chiave,  un  col- 
tellino  di  ferro,  quest'ultimo  (1.  m.  0,11)  con  manico  d'avorio ;  due  borchie 
con  anello,  due  pinzette,  una  pentola  ed  una  casseruola  di  bronzo  ornata  nel 
fondo  di  un  dischetto  d'argento  con  una  testa  poco  conservata  in  rilievo :  vi 
stava  dentro  un  cucchiaio  d'argento ;  due  unguentari  di  vetro,  un  ramo  di 
corallo,  due  monete  di  bronzo  ed  una  d'argento.  Tutti  questi  oggetti  non 
permettono  una  conclusione  sul  genere  del  commercio  che  nella  bottega  si 
esercitava ;  pare  che  vi  si  trovassero  casualmente  e  per  esser  portati  via. 

(')  Vd.  SU  questi  pesi  Sogliano,  Di  alcuni  pesi  recentemente  scoperti  in 
Pompei,  Napoli  1888  (estr.  del  vol.  XIV  degli  Atti  della  E.  Accademia  di 
Archeologia,  Lettere  e  Belle  arti).  Pernice  Galeni  de  ponderibus  et  mensuris 
testimonia,  Bonnae  1888  p.  63  sgg.  Cf.  Hultsch,  Metrologie^  p.  149. 


14  SCAVI   DI   POMPEI 

di  forma  sferica,  sono  segnati  l'imo  con  un  pimto,  l'altro  con  due 
punti  in  argento,  del  peso  di  gr.  27,70  e  56,55  ed  uno  in  marmo 
nero,  non  segnato,  di  gr.  85,02.  Di  ferro  si  trovö  uno  scalpello, 
una  lama  di  coltello  ed  una  forbice;  finalmente  una  cote  di  are- 
naria ed  una  pignatta  di  terracotta  contenente  una  sostanza  non 
determinata.  Che  la  casa  fosse  abitata  da  un  chirurgo,  il  prof.  So- 
gliano  (Not.  1.  c.  p.  516)  lo  trova  confermato,  non  senza  probabi- 
litä,  dalla  summentovata  rappresentanza  di  Chirone. 

N.  6-7. 

Le  moltissime  anfore  vinarie  trovate  in  questa  casa  inducono  a  cre- 
dere  ch'essa  fosse  abitata  da  un  negoziante  di  vini,  il  quäle  nella 
bottega  n.  7,  e  forse  nella  casa  stessa  esercitasse  il  suo  commer- 
cio.  Puö  darsi  che  anche  la  bottega  n.  8  fosse  proprietä  sua  ed 
affittata  a  chi  vi  faceva  un  commercio  simile  :  oltre  oggetti  insi- 
gnificanti  ivi  pure  si  raccolsero  7  anfore,  fra  cui  una  con  iscri- 
zione. 

La  fauce  a  (2,0  X  4,45)  in  origine  era  aperta  sulla  strada 
nell'intera  sua  larghezza :  delle  ante  che  la  restringono  quella  a 
sin.  fu  aggiunta  posteriormente,  mentre  a  d  l'intero  muro  di  strada 
di  h,  che  una  volta  era  una  bottega,  e  d'origine  posteriore ;  sol- 
tanto  lo  stipite  a  d.  dell'antica  bottega,  il  pilastro  fra  6  e  7  ed 
il  muro  da  7  fino  a  tutto  il  muro  divisorio  fra  7  e  8,  rimontano 
all'epoca  sannitica. 

La  porta  stava  immediatamente  alla  strada.  La  soglia  di  lava 
conserva  il  cilindretto  in  ferro  del  cardine  a  d.  ;  a  sin.  manca  il 
pezzo  relative  della  soglia.  I  buchi  dei  catenacci,  l'uno  grande, 
discosto  m.  1,16  dallo  stipite  d.,  l'altro  piü  piccolo,  a  0,74  da 
quelle  sin.,  provano  che  il  battente  d.  era  piü  grande  e  piü  for- 
temente  ferraato  dell'altro.  Senza  dubbio  per  lo  piü  s'apriva  que- 
st' ultimo  soltanto,  ed  in  fatto  e  visibilmente  piü  consumata  la 
parte  corrispondente  del  pavimento.  Apple  del  mura  d.,  a  m.  1,65 
dal  cardine,  e  immesso  nel  pavimento  un  pezzo  lavorato  di  marmo, 
per  appoggiarvi  contro  la  trave  obliqua  con  la  quäle  si  assicurava 
la  porta. 

Nel  muro  sin.  evvi,  immediatamente  alla  porta,  un  buco  con- 
tenente un  tubo  di  terracotta,  mentre  a  d.  nulla  vi  e  di  corrispon- 


INSÜLA   IX,    7  16 

dente.  Pare  adunque  che  in  tempi  piü  antichi  s'adoperasse  la  sera 
e  che  dopo  le  siimmentovate  ricostruzioni  a  d.  vi  rinunziassero, 
contentandosi  della  trave  obliqua. 

Vi  sono  nella  casa  quattro  bocche  di  cisterna :  presso  l'an- 
golo  interiore  a  d.  di  a ;  neU'angolo  corrispondente  deH'atrio  d ; 
nel  corridoio  /";*  neU'angolo  anteriore  a  sin.  del  giardino.  I  puteali 
nell'atrio  ed  in  /  (ambedue  di  travertino)  hanno  molte  tracce  delle 
corde ;  quest' ultimo  h  pure  stato  rovesciato,  e  le  tracce  sono  an- 
cora  piü  forti  nel  margine  che  ora  sta  di  sotto.  Le  due  altre  aper- 
ture  non  hanno  puteali ;  ma  ne  sta  uno  neU'angolo  posteriore  a 
sin.  deH'atrio,  anch'esso  con  tracce  delle  corde.  Perö  non  si  com- 
pr«nde  in  quäl  modo  Tacqua  sia  entrata  nella  cisterna.  Dal  canale 
che  precede  il  giardino  un  canaletto  coperto  si  dirige  sulla  strada, 
passando  sotto  fda,  con  chiusino  presso  la  porta  fra  a  q  c,  senza 
scolo  nella  cisterna.  Soltanto,  nell'apertura  in  f  si  vede  imboccare 
sotto  terra,  dal  lato  SO,  dunque  dalla  parte  del  giardino  n.  3-5, 
un  tubo  foderato  inferiormente  di  metallo  (probabilmente  di  piombo); 
ma  non  si  vede  da  dove  possa  provenire. 

Fra  1  ritrovamenti  fatti  in  d  notansi  tre  lucerne  di  terracotta: 
una  in  forma  di  nave,  a  16  lumi,  che  sono  disposti  nelle  sponde, 
con  due  manubri  ad  anello  nella  superficie;  una  a  tre  lumi,  vale 
a  dire  una  lucerna  piü  grande  sormontata  da  due  piccole ;  final- 
mente  una  lucerna  a  due  lumi.  Siccome  accennano  ad  un^illumina- 
zione  piuttosto  forte,  e  perciö  a  riunioni  serali  di  piü  persone,  cosi 
sembrano  favorire  la  supposizione  che  qui  s'esercitasse  non  soltanto 
il  commercio  del  vino,  ma  anche  una  caupona,  supposizione  che 
dagli  altri  ritrovamenti  non  e  ne  confermata  ne  contraddetta  (^). 

(1)  Vi  si  trovü  di  bronzo ;  un'asta  di  bilancia  e  12  anelletti  diversi  fra 
loro ;  di  terracotta :  un  collo  d'anfora  con  iscrizione  poco  leggibile ;  un'an- 
tefissa  con  testa  muliebre  e  tre  maschere  comiche  per  grondaia ;  di  marmo 
un  mortaio  col  pestello  in  forma  di  dito  piegato  ;  di  pasta  vitrea  98  globetti 
turchini.  In  a  di  bronzo:  12  chiodi  e  una  moneta;  di  vetro  :  due  boccette; 
di  terracotta:  una  lucerna  (Not.  1887  p.  412-414).  —  NeU'angolo  NO  di  d  sta 
un  recipiente  di  lava,  fatto  da  un'antica  meta  di  mulino ;  diam.  interno  al  mar- 
gine 0,53.  L'antefissa  e  le  grondaie  sembrano  indicare  che  l'atrio  d  fosse  sco- 
perto  e  che  verso  di  esso  si  abbassasse  qualche  tetto  ;  non  vorrei  pero  dar 
troppa  importanza  a  simili  ritrovamenti,  visto  che  antefisse  spesso  si  trovano 
anche  in  luoghi  ove  non  potevano  essere  in  opera ;  cosi  p.  es.  nella  bottega 
n.  3  (vd.  sopra  p.  13). 


16  SCAVI   DI    POMPEI 

A  sin.  di  d  eravi  la  scala  del  piano  superiore  (N  a  S,  un 
gradino  di  pietra,  il  resto  di  legno)  ove  forse  abitava  il  proprie- 
tario.  Ivi  si  trovarono  («^  negli  strati  superiori  delle  terre  "  Not. 
1887  p.  452)  7  lucerne  bilychne  e  2  monolychne  ('). 

Sul  miiro  d'ingresso  dell'atrio  copiai   due   iscrizioni  graffite  : 

1.  IVCVNDVS 
VIINVS 

VITALIS  ROV/// 
RE  VT  NOMINII  (2) 

2,  SOtto  1 :  QVOIVS 

LABORE 

Due  camere  ^  e  ^  si  aprono  suH'atrio;  in  h  {cella  penaria'?) 

stanno  ancora  al  posto  almeno  otto  anfore,  e  ne  fu  tolta  un'altra 

con  riscrizione 

T  •  HAD  •  COL     (3) 

Sul  principio  del  muro  sin.  evvi  una  nicchietta  (a.  0,45,  1-  0,41, 
prof.  0,18,  disc.  dal  pavim.  1,27)  dipinta  di  color  bianco  con  mac- 
chie  gialle,  verdi  e  paonazze,  che  sembrano  indicare  fiori:  proba- 
bilmente  la  nicchia  dei  Lari;  nel  muro  di  strada,  a  m.  2,50  dal 
suolo,  una  finestrina  che  esternamente  si  restringe.  Le  pareti  in 
a  b  d  f  hanno  intonaco  grezzo ;  il  pavimento  e  d'una  massa  ordi- 
naria  grigia. 

g  fa  r  impressione  d'una  stanza  per  gli  avventori  della  cau- 

Q)  Fra  le  bilychne  una  ha  il  manico  ad  anello  sormontato  dall'aquila 
con  le  ali  spiegate,  sul  disco  una  Corona  d'alloro  ;  un'altra  ha  in  rilievo  l'a- 
quila  con  le  ali  spiegate  stante  sopra  il  fulmine,  dietro  cui  la  luna  crescente  ; 
qui  pure  sul  disco  Corona  d'alloro  ;  una  terza  mostra  un  fiore  di  loto  in  uno 
scudo  triangolare  sovrapposto  al  manico  ad  anello.  Fra  le  monolychne  una 
ha  sul  disco  un  rosone  ed  il  manico  ad  anello  sormontato  da  scudo  triango- 
lare in  cui  h  a  rilievo  il  busto  radiato  di  Helios  fra  due  comi  d'abbondanza ; 
un'altra  ha  sul  disco  un'anitra  e  sul  fondo  la  lettera  H. 

(2)  L'ultima  riga  non  h  molto  chiara :  la  terza  lettera  h  piuttosto  v  che 
II ;  dell'o  si  vede  soltanto  la  parte  d.,  e  l'ultima  asta  dell'  n  si  confonde  con 
un'altra  linea. 

(3)  II  gentilizio  di  Hadius  si  ha  nel  graffito  Bull.  1878  p.  190.  Forse 
la  persona  qui  indicata  e  identica  col  Columbus  dell'anfora  C.  L  L.  IV  2633. 


INSULA    IX,    7  17 

pona,  per  la  cui  decorazione  si  e  voluto  far  qualche  cosa,  in  modo 
perö  da  spendere  poco:  appie  dello  zoccolo  di  stucco  di  mattoDi  (') 
(a.  1,45)  alcuni  tiori  son  dipinti  rozzamente  in  giallo  ebianco;  di 
sopra  intonaco  grezzo ;  pavimento  di  slf/nmum^  conservato  soltanto 
in  parte.  Una  'finestra  (1.  1,45)  sul  passaggio  h  poteva  dare  poca 
0  nessuna  luce,  ma  era  commoda  per  il  servizio.  Neue  pareti  contai 
le  tracce  di  almeno  12  chiodi. 

Fra  i  ritrovamenti  notiamo  2  anfore  ed  un  coUo  d'anfora  con 
iscrizioni  (cf.  Not.  1887  p.  561): 

1,  in  un  collo   d'anfora  (forma  XII,  dal  collo  lungo),  con 

color  bianco : 

SVRR      FAB 

IMP  •  VESPASIANO  •  II  •  COS  (70  d.  C.) 

cf.  C.  I.  L.  IV  2556-2559 :  quattro  anfore  del  medesimo  viuo  Sor- 
rentino  Fabiano,  ma  dell'a.  72. 

2,  (forma  XI)  in  rosso : 

AR//////// 
C  •  CAESIO  •  RESTITVTO 

Not.  1.  c.  vs.  1 :  AB ;  mi  sembrö  di  vedere  avanzi  che  possono  far 
parte  d'un'A ,  quindi  R  e  tracce  illeggibili. 

3,  (f.  XII)  con  r  inchiostro  : 

O  V 
R  ASL 

cosi  pubblicata  Not.  1.  c. ;  io  non  vidi  che  tracce  incerte.  Gli  altri 
ritrovamenti  (-)  nulla  hanno  di  caratteristico,  ma  non  contradicono 
alla  congettura  suaccennata. 

<?,  bofctega  n.  7 ;  la  porta  che  la  congiunge  con  a  anticamente 
era  situata  piü  in  dentro;  quella  attuale  (a.  1,73,  1.  0,79)  era  a 

{})  Non  sarä  forse  inutile  di  rammentare  che  io  chiamo.  stucco  di  mat- 
toni  uno  stucco  cui  per  Taggiunta  di  mattoni  polverizzati  e  stato  dato  un  color 
giallastro. 

(2)  Di  vetro:  2  vasetti,  di  cui  uno  (a.  0,045),  contiene  della  cordicina ; 
2  boccette  ed  un  unguentario.  Di  ferro :  parte  d'un'asta  di  bilancia.  Di  bronzo : 
un  paio  di  pinzette  ed  un  cucchiaio.  Di  pasta  vitrea :  .5  globetti  violacei  (Not. 
1887  p.  412,  29  ag.  p.  561,  3  nov.). 

2 


18  sc  AVI    DI    POMPEI 

due  battenti,  ferraata  con  catenacci  dalla  parte  di  c.  Neil'  ingresso 
dalla  strada  evvi  la  solita  soglia  delle  botteghe  (Overbeck-Mau 
Pompeji  ^  p.  378).  L'angolo  a  sin.  per  chi  entra,  separate  per  mezzo 
d'un  sottile  tramezzo,  poteva  servire  per  collocarvi  p.  es.  anfore 
vinarie.  Le  pareti  a  sin.,  fino  all'  ingresso  di  e ,  son  rosse  fino  a 
m.  1,80,  a  d.  hanno  stucco  di  mattoni  fino  a  2,10,  di  sopra  son 
bianebe ;  il  pavimento,  di  una  massa  ordinaria  grigia,  e  poco  con- 
servato.  5  file  di  linee  tracciate  col  carbone  sul  muro  di  fondo,  a 
d.  deir  ingresso  di  e ,  evidentemente  significano  conti.  Vi  furono 
trovate  5  anfore,  fra  cui  una  con  iscrizione;  un  piatto  aretino  con 
marca  in  forma  di  piede;  una  moneta  ed  un  piombino  di  bronzo 
(12  sett.  1888);  e  negli  strati  superiori  un  fuso  di  osso  ed  un 
ago  saccale  di  bronzo  (Not.  1887  p.  415). 

^,  spaziosa  retrobottega,  alta  tino  al  nascimento  della  volta 
decorativa  m.  2,72 ;  le  pareti  son  dipinte  assai  modestamente  a 
fondo  bianco,  meglio  perö  che  in  g.  Negli  scompartimenti  son  con- 
servate  le  seguenti  piccole  rappresentanze. 

1 ,  muro  d'  ingresso  a  sin. :  vaso  posto  sopra  una  pietra  qua- 
drangolare,  e  due  giavellotti  appoggiativi. 

2,  muro  sin.  a  sin.:  nel  mezzo  un  tavolino;  a  sin.  due  giavel- 
lotti appoggiati  non  si  sa  bene  dove,  per  terra  una  pietra  cubica ; 
a  d.  un'anfora  cui  e  appoggiato  un  ramo  di  palma. 

3,  nel  centro  del  muro  sin.:  grifone  che  salta  verso  d. 

4,  muro  di  fondo  a  sin. :  tavolino  cui  sono  appoggiati,  non  si 
vede  bene  come,  due  rami  di  palma;  a  sin.  un'anfora. 

5,  muro  d.  a  sin. :  una  palma  sta  inclinata  a  d.  sotto  un  arco ; 
a  sin.  im  ruUo ;  a  d.  un  vaso  panciuto  azzurrognolo  sopra  base  cubica 
rossastra,  un  alto  vaso  rossastro  ad  un  manico,  un  cerchio  verde. 

6,  muro  d.  a  d. :  nel  mezzo  un'anfora  turchina,  che  invece  dei 
manichi  ha  su  ciascun  lato  al  margine  superiore  della  pancia  una 
maschera  barbata ;  a  sin.  due  giavellotti  appoggiati  non  si  sa  a  che 
cosa;  per  terra  una  pietra  cubica;  a  d.  un  grande  scudo  rotondo 
rosso  appoggiato  ad  un  oggetto  poco  ehiaro  che  ha  due  piedi;  vi 
sta  appresso,  appoggiato  non  si  sa  come,  un  ramo  di  palma  ornato 
di  nastri  (^). 


(1)  Non  vidi  sgombrata  la  retrobottega ;  in  uno  strato  alquanto  superiore 
al  pavimento  si  raccolsero  un  vasetto  cilindrico  di  terracotta  dalla  patina  inve- 


INSULA    IX,    7  19 

Torniarao  ora  nell'  interno  della  casa. 

f,  corridoio  che  daU'atrio  si  dirige  verso  le  parti  posteriori  ('), 
ha  a  d.  il  passaggio  h,  con  pareti  rozze;  esse  ci  porta  in  /,  che 
piiö  credersi  uua  dispensa:  tutt'e  qiiattro  le  pareti,  con  stucco  di 
mattoni,  mostrano  tracce  di  tre  scansie,  La  soglia  e  di  lava,  senza 
indizio  di  chiusura.  Vi  sta  per  terra  il  margine  di  un  dolium ;  del 
resto  nuUa  vi  fu  trovato. 

Proseguendo  in  /  troviamo,  anche  a  d.,  k;  non  e  la  ciicina: 
il  rialzo  di  fabbrica  appie  del  muro  di  fondo  e  un  letto  (1,90  X  0,80) 
destinato  forse  per  il  servo  che  custodiva  le  parti  anterior!.  Vi  si 
trovarono  sette  anfore  fra  cui  una  con  1'  iscrizione  dipinta  in  rosso : 

A 
FAL • ARB • CAL 

La  R  non  e  molto  chiara  e  puö  credersi  B ;  invece  la  C  mi  sembrö 
certa  (cf.  Not.  1887  p.  414).  E  chiaro  che  si  tratta  di  vino  falerno, 
mentre  in  ARB  •  CAL  pare  abbreviato  il  nome  del  producente. 

II  portico  m,  che  precede  il  giardino  p,  e  di  una  forma  sin- 
golarmente  irregolare.  II  suo  tetto  era  sorretto  da  pilastri  di  pietra 
di  Sarno  rivestiti  di  stucco, "  di  cui  il  primo  a  d.  e  congiunto  col 
mufo  d.  mediante  un  arco,  mentre  la  congiunzione  col  prossimo 
pilastro  a  sin.,  e  cosi  pure  fra  quest' ultimo  e  Jl'angolo  NO  di  ji , 
ove  un  pilastro  simile  e  incastrato,  era  fatta  per  mezzo  di  archi- 
travi  di  legno.  E  ciö  non  rimonta  a  cambiamenti  posteriori,  ma  e 
chiaro  che,  da  quando  vi  furono  i  pilastri,  e  sempre  stato  cosi. 
E  chiaro  anche,  che  in  tempi  piü  antichi  il  portico  proseguiva  sul 
lato  sin.  (E)  del  giardino :  nel  muro  0  di  no  sono  incastrati,  a 
distanze  uguali  (2,80-2,88),  quattro  pilastri  simili,  fra  cui  due  agli 


triata  con  due  uccelli  ed  un  quadrupede  in  rilievo,  un  vasettino  di  vetro,  un 
martello  di  ferro,  un  frammento  di  mattone  col  bollo  circolare  ACTI  e  nel 
mezzo  S  (Not.  1887  p.  415,  17  seti). 

(')  Vi  furono  trovati  i  frammenti,  fra  cui  uno  piü  considerevole,  d'un 
cerchio  di  legno  dal  diametro  di  m.  0,15  «  ornato  esternamente  di  piastrine 
«  rotonde  di  bronzo,  disposte  a  tre  a  tre  in  serie  verticali,  ad  uguale  distanza 
«  fra  loro.  In  tre  punti  queste  serie  verticali  di  piastrine  sono  divise  da  una 
« doppia  serie  verticale  di  piccole  borchie  di  bronzo  »  (Not.  1887,  p.  414, 
5  sett.).  Non  si  tratta  di  un  tamburino,  come  si  potrebbe  congetturare. 


20  SCAVI    DI    POMPEI 

angoli  NO  e  SO  ;  non  si  piiö  decidere,  se  proseguisse  oltre  il  posto 
ora  occupato  da  ^  o  .  Su  tutto  questo  tratto  il  motivo  dell'arco  non 
era  ripetuto:  pare  che  in  tal  modo  si  sia  voluto  marcare  il  pas- 
saggio  corrispondente  a  /.  L'arco  e  alto  3,30,  l'architrave  di  legno 
stava  all'altezza  di  3,25,  in  modo  che  col  corpo  dell'arco  stesso  da 
una  parte,  e  l'opera  incerta  sovrapposta  all'architrave  dall'altra,  fu 
raggiunta  la  stessa  altezza.  I  pilastri,  disposti  in  maniera  da  cor- 
rispondere  a  /  e  /,  sono  congiunti  da  un  podio  che  incontro  a  l 
e  alto  0,75,  grosso  0,58  ed  ha  nel  mezzo  un  passaggio  largo  0,85, 
mentre  a  d.  ed  a  sin.  e  grosso  0,28,  alto  a  sin.  1,08,  a  d.  1,0  : 
qui  cioe  doveva  restare  al  disotto  dell'altare  addossato  al  muro  d., 
alto  1,13,  ßopra  il  quäle  e  incavata  nel  muro  stesso  la  nicchia  del 
larario  (a.  0,44,  1.  0,40,  prof.  0,18),  rivestita  di  stucco  bianco.  II 
lato  interno  del  podio  e  le  parti  corrispondenti  dei  pilastri  erano 
dipinti  di  color  nero;  esternamente  hanno  fino  alla  stessa  altezza 
strisce  irregolari  yerdastre  e  nere  su  fondo  bianco :  forse  ima  rozza 
indicazione  di  plante. 

In  ognuno  dei  pilastri  e  incavata  dal  lato  interno  una  nic- 
chietta,  a.  0,08,  1.  0,12,  prof.  0,10,  discosta  dal  pavimento  1,47; 
difificilmente  potevano  servire  ad  altro  che  a  mettervi  delle  lucerne, 
e  vi  si  potrebbe  scorgere  un  indizio  che  fin  qui  pure  s'estendesse 
l'esercizio  della  caupona. 

Sulla  parete  in  fondo  al  portico  uno  zoccolo  nero  a.  1,44, 
terminato  da  una  striscia  rossa,  s'estende  fino  ad  un'anta  corrispon- 
dente all'angolo  di  n,  dipinta  semplicemente  con  strisce  rosse  e 
blanche  su  fondo  nero.  Nell'estremitä  del  portico,  corrispondente 
a  w,  com'anche  al  disopra  dello  zoccolo  suddetto,  non  evvi  che 
stucco  grezzo. 

Merita  attenzione  la  porta  fra  f  e  m.  E  larga  1,47,  fra  gli 
incavi  delle  antepagmenta  1,25.  I  cardini  stavano  al  margine  po- 
steriore della  soglia,  la  quäle  e  di  uguale  altezza  in  tutte  le  sue 
parti ;  mancano  gli  incavi  dei  catenacci.  Invece  evvi  quasi  nel 
mezzo,  un  poco  piü  verso  E  (a  m.  0,60  dalle  antepagmenta  ad  0, 
0,57  da  quelle  ad  E)  un  grosso  incavo,  profondo  circa  0,25.  Pare 
dunque  che  qui  era  immessa  una  trave  verticale,  contra  la  quäle 
battevano  le  due  partite  della  porta  e  alla  quäle  furono  fermate. 
E  giova  ricordare  che  in  modo  simile  erano  fatte  le  porte  del 
calcidico  della  basilica  {Bull.  1888  p.  60). 


INSÜLA   IX,   7  21 

II  portico  in  un  tempo  anteriore  era  in  diretta  comunicazione 
coi  locali  adiacenti  del  n.  3-5.  II  muro  divisorio  fu  addossato  al 
pilastro  dell'arco  summentovato  mentre  questo  era  giä  rivestito  di 
stucco,  e  nerameno  esso  fece  una  separazione,  ma  era  interrotto  da 
una  porta  larga  2,20,  che  piü  tardi  soltanto  fu  murata.  Ciö  con- 
ferma  la  congettura  sopra  espressa  (p.  12),  che  cioe  una  volta  le 
due  case  fossero  riunite  in  una  mano. 

Non  pochi  oggetti  furono  trovati  Qel  portico  (').  Preyalgono 
di  gran  lunga  i  vasi  di  terracotta,  fra  i  quali  si  notano  due  urcei 
con  le  iscrizioni 

1.  G  F  SCOMBR 

AB  SCAVRO 

2.  LIQVMEN 

OPTIMVM 

CAMPAN  I 

e  un  corno  potorio  perforato  nella  punta  e  ornato  di  una  figura  di 
Amorino.  Fra  gli  altri  oggetti  notansi  una  bottiglia  e  cinque  boc- 
cettine  di  vetro  e  sette  pesi ;  il  resto  e  insignificante. 


Q)  Not.  1887  p.  562.  Sono,  oltre  i  vasi  sopracitati,  di  terracotta :  Un'an- 
fora  con  iscrizione  non  intelligibile ;  l'orlo  di  una  pelvi  col  bollo  prisci  •  af  | 
DOMiTi ;  una  coppa  contenente  una  sostanza  non  determinata  involta  in  pa- 
glia ;  un  arceo  frammentato  contenente  gusci  di  uova ;  un  piatto  arretino  sopra 
alto  piede  con  animali  in  rilievo  ed  il  bollo  in  forma  di  piede  CN  •  TZ  JR  {CLL. 
X  8055,8),  ed  altri  vasetti  simili;  16  vasi  rustici  ad  un  manico;  6  pignatte; 
2  anforette ;  6  lucerne  ad  un  lume,  fra  cui  una  ha  nel    disco  la  protome  di 
Medusa  e  nel  fondo  la  marca  Sabinvs  |  f  ;   di  argento :  un  piccolo  cucchiaio; 
di  bronzo :  un  ago  saccale,  una  fibula  ed  un  oleare ;  un  colt^llo  con  lama  di 
ferro ;  di  osso :  un  manico  di  coltellino  finiente  a  zampa  di  cavallo  col  piede 
rivestito  di  laminetta  di  bronzo ;  altri  due  manichi,  3  aghi  crinali,  un  listello 
rettangolare  e  varie  cerniere ;    di  ferro :  una  palettina  e  quattro   falcette ;  un 
novo  di  marmo ;  un  ariete  accovacciato  di  pasta  smaltata  egizia.  I  pesi  sono 
4  di  pietra  in  forma  di  cono  tronco,  di  gr.  1086  (3  i  libre  ?) ;  324  ;  303  | ;  298 
due  di  pietra,  rotondi  con  due  facce  piane,  di  gr.  289,2  (con  l'indicazione  .  : . 
un  quinto  forellino  fu  impiombato  anticamente)  e  di  288  1  (libre  poco  esatte, 
corae  anche  i  precedenti  ?  non  so  spiegare  i  4  punti) ;  uno  di  piombo  di  gr.  1918 1 
(6  libre  romane).  Stanno    ancora  al  posto,  negli  angoli  ad  0  del'  portico,  un 
piccolo  dolium  ed  un  altro  vaso  di  creta  pleno  di  calce. 


22  SCAVI    DI    POMPEI 

Sul  portico  si  apre  /,  che  ha  la  forma  d'uno  spazioso  triclinio 
(4,60  X  6,54 ;  a.  tiuo  alla  cornice  4,27),  e  a  tale  uso  probabil- 
mente  fu  fabbricato.  La  pittura  semplice  e  noD  bella,  a  fondo 
nero,  rosso  e  bianco,  e  fatta  negli  Ultimi  tempi  del  terzo  stile ; 
non  la  credo  un'imitazione  di  tempi  posteriori,  come  si  potrebbe 
sospettare.  Di  rappresentanze  non  v'e  che  qualche  uccello  e  qual- 
che  testa  poco  riconoscibile  (sul  muro  di  fondo  una  testa  di  Me- 
dusa) rinchiusa  in  medaglione.  Sul  rauro  sin.  scorgonsi  tracce  non 
dubbie  d'incendio.  II  pavimento,  di  una  massa  ordinaria  grigia, 
e  meglio  conservato,  probabilmente  perche  piü  nuovo,  che  nelle 
altre  parti  della  casa.  Pare  perö  che  la  stanza  non  fosse  adibita, 
negli  Ultimi  tempi,  all' uso  cui  fin  da  principio  era  destinata,  ma 
dovesse  servire  anch'essa  al  commercio  del  vino.  Vi  furono  tro- 
vate  (Not.  1888  p.  527)  9  anfore,  fra  cui  5  con  iscrizioni : 

1  (forma  VIII),  in  rosso:  TI  ■  CL  •  ANTI  (Ti.  Claudi  An- 
ti[ochi?J  trovo  fra  le  mie  Schede  due  anfore,  forme  VIII  e  X 
coll'epigrafe  K .  ANTIOXOY). 

2  (XI),  in  rosso:    TICL-ANTI;  suU'altro   lato  in  nero  ; 

MOL 
LAA 

3  (forma  10,  Bull.  com.  1879  t.  VII.  VIII),  in  rosso: 

>< 

opepi 

4  (VIII),  in  rosso:  P 

5  (urceo  VI):  LIQVAMEN 

OPTIMVM 

Nell'angolo  NO  sta  un  mucchio  di  calce;  e  tutti  sanno  che 
la  calce  fu  adoperata  nella  preparazione  dei  vini  ('). 

Due  camere  n  o  stanno  sul  lato  E  del  viridario,  ove  prima 
si  stendeva  il  portico. 


(1)  Vi  si  trovö  ancora  un  pignattino  ed  8  lucerne  di  terracotta,  fra 
cui  una  con  rappresentanza  di  Giove  con  l'aquila ;  una  boccetta  ed  una  va- 
schetta  di  vetro ;  una  casseruola  e  7  pezzi  di  ornamento  di  mobile  di  bronzo  ; 
un'accelta  di  ferro ;  (S%  globetti  di  pasta  vilrea. 


INSULA   IX,    7  23 

n  (2,66  X  3,03 ;  a.  3,43)  e,  o  era  in  origine,  un  cubicolo 
estivo  ;  ha  ima  tinestra  sul  viridario  (a.  1,31.  1.  1,25,  disc.  dal 
pavim.  0,65)  e  §opra  questa  una  finestrina  quadrangolare.  La  massa 
origia  del  pavimento  e  coperta  d'un  tenue  strato  di  stucco  rosso, 
conservato  in  una  striscia  larga  circa  m.  1,15  liiugo  il  muro  E. 
II  fondo  bianco  delle  pareti  e  diviso  in  scompartimenti  da  linee 
rosse  e  nere. 

Pare  che  qui  si  trovassero  {})  due  boccette  di  vetro,  un'anfora, 
un'anforetta  e  due  urcei  con  le  iscrizioni : 

1.     G      FLOS  2.     MVR 

SEXTILLO 

i  quali  ritrovamenti  sembrano  indicare  che  anche  questa  camera 
serviva  all'industria  del  proprietario.  Nel  muro  N  e  conservato  un 
grosso  chiodo,  uno  piü  piccolo  nel  muro  S,  e  di  altri  si  vedono 
i  buchi. , 

Sopra  ^  non  eravi  alcun  altro  locale.  II  margine  superiore 
del  tetto,  che  s'abbassava  verso  il  viridario,  sta  all'altezza  di  5,05, 
come  anche  quello  del  portico:  senza  dubbio  lo  stesso  tetto  di 
n  copriva  una  volta  quella  parte  del  portico  che  si  estendeva  sul 
lato  E  del  viridario. 

Invece  o  (5,69  X  2,74)  erano  due  locali  sovrapposti  l'uno 
all' altro.  L'inferiore  era  alto  m.  2,20,  la  porta  1,55.  Nel  muro  di 
fondo  e  ricavata  la  latrina  preceduta  da  un  grande  fusorium 
(1,18  X  1,25) ;  una  larga  apertura  la  matte  in  comunicazione  con 
un  canale  sotterraneo.  Nel  tempo  stesso  il  locale  serviva  come 
deposito  di  anfore  vuote,  che  vi  si  trovarono  capovolte  in  numero 
di  24,  fra  cui  11  con  iscrizioni;  di  piü  4  frammenti  ed  un'anfo- 
retta pure  con  iscrizioni.  Accanto  alla  porta  una  finestra  rotonda 
e  formata  da  un'anfora  incastrata  nel  muro  e  rotta  in  ambedue 
le  estremitä.  II  locale  superiore  era  accessibile,  presse  il  muro  S, 
per  un' apertura  nel  pavimento  sorretto  da  travi  rotonde  (E  ad  0) ; 
il  muro  non  fii  ancora  pulito  in  modo  da  poter  vedere  se  vi  fosse 
addossata  una  scala.  II  locale  era  alto  almeno  m.  3  ;  gli  davano 
luce  due  finestre,  una  sul  giardino  (a.  0,90,  1.  1,15),  l'altra,  piccola 

(1)  Not.  d.  sc.  1888  p.  523:  stanzetta  a  dr.  del  viridario. 


24  SCAVI   DI   POMPEI 

e  che  esternamente  si  restringe,  sulla  strada.  Le  pareti  pare  che 
fossero  rozze  in  ambedue  i  locali. 

Le  summentovate  iscrizioni  di  anfore  furono  pubblicate  dal 
prof.  Sogliano  nelle  Not.  d.  Sc.  1888  p.  571  sg.  Ne  rileviamo  le 
seguenti,  scritte,  ove  non  dico  altro,  con  Tinchiostro : 

1  (forma  XI):     MOL 

LCPM 
e  con  color  rosso,  posteriore :  hELVI  •  ZOS 

2  (forma  XI):     MOL 

L-AA 

e  in  rosso :  FELVI  ■  ZOS 

3  (XI):     MOL 

CSA 

e  col  carbone:  CVI,  e  sotto  il  manico:  XII 

4  (XI):     si  5    (XI):     st  6    (XI):    SR 

C  •  S  •  F  C  •  C  •  P  R  CSV// 

e  in  rosso:  Z 

7    (XI):        Sl  8    (XII):     F-C-VITALJ 

S- P -P-  j 

9  (XI):     RVRIANVM 

MMVS 

In  9  non  e  possibile  di  leggere  Alliamcm,  come  si  potrebbe 
congetturare  (Bull.  1877  p.  93). 

10  (XI) :  AFRICANO  (cosi  Not.  d.  Sc.  n.  12 ;  non  veduto  da 
me);  in  rosso:  TEB,  e  col  carbone  FIIII  e  VIII. 

11  (XI):  Q.CP,  e  in  rosso:  QJ»  C;  e  con  carbone  /lll\  e  IIL 

12  (urceo  VI):  HALLEX 

OPTIMA 

In  un'anfora,  senz'altra  iscrizione,  il  nome  FELIX  e  sopra  di 
esso  una  croce  sono  graffiti  nell'argilla  ancora  molle. 

II  viridario  p^  col  posticum  n.  10,  e  preceduto  da  im  cana- 
letto  traversato  da  due  ponticelli  corrispondenti  a  /  ed  o,  dalla  cui 
estremitä  0  l'acqua  piovana  di  mm  fu  portata  sulla  strada  per 
mezzo  d'un  canale  coperto,  che  passa  sotto  fda.  II  canaletto,  come 


INSULA    IX,    7  25 

anche  la  bocca  di  cisterna  nell'angolo  NE,    sono  di  opera  iocerta 
riyestita  di  stucco  di  mattoni. 

Gli  oggetti  trovati  in  p  in  parte  stanno  tuttora  al  posto. 
Presso  l'angolo  NO  sta  im  fornello  rustico,  formato  da  due  anfore, 
di  cui  quella  che  doveva  contenere  il  fuoco,  alta  m.  0,50  senza  la 
punta  che  sta  nella  terra,  e  priva  del  collo  ed  ha  nel  ventre  un 
buco  quadi-angolare,  a.  0,11,  1.  0,15;  all'altra  (a.  0,55),  messa 
sopra  quella  prima  in  modo  che  la  punta  vi  entra  per  m.  0,22,  h 
stata  tolta  tutta  la  parte  superiore  che  si  restringe ;  essa  e  chiusa 
con  un  coperchio.  Ivi  stesso  un  grande  dolium  coperchiato  (a. 
senza  il  coperchio  0,90)  e  fermato  con  muratura  sul  suolo.  Questi 
due  oggetti  stanno  al  posto  loro;  altri  si  vedono  dispersi  nel  giar- 
dino,  alcuni  presso  quell' angolo  stesso,  altri  in  altre  parti;  ma  e 
chiaro  che  vi  stanno  per  caso;  sono  materiali  e  avanzi  di  costruzioni, 
parti  di  mobili  scartati  e  cose  simili  ('). 


(^)  Presso  l'angolo  NO,  di  terracotta:  16  cilindri  (diam.  0,15,  1.  0,54) 
pieni  di  cemento,  che  potevano  fonmar  la  suspensura  d'un  bagno;  un  rozzo 
sostegno  di  tavola,  vale  a  dire  un  cilindro  poco  regolare  (1.  0,45,  diam.  sup. 
0,30)  chiuso  in  una  estremitä  con  una  lastra  quadrata  (0,30);  di  «  traver- 
tino  »  ;  un  sostegno  di  tavola  scanalato,  a.  0,53;  di  lava:  una  meta  d'un  mo- 
lino  ridotta  a  recipiente  cilindrico,  a.  0,55,  diam.  interno  al  margine  0,42 ; 
una  pietra  per  fermarvi  sopra  una  cassa  forte,  rettangolare  (1,30X0,75)  con 
un  incavo  pure  rettangolare  in  ogni  angolo ;  di  marmo  bianco :  un  masso  non 
del  tutto  regolare  (0,33X0^20X0,14).  Nell'angolo  NE:  un  recipiente  di  lava, 
anch'esso  fatto  da  una  meta  (a.  est.  1,0,  int.  0,60,  diam.  int.  0,66)  con  avanzi 
di  calce.  Presso  l'angolo  S  0,  di  terracotta :  un  cilindro  (puteale  V)  a.  0,57, 
diam.  0,32;  una  specie  di  margine,  ovvero  una  lastra  (0,60X0,64,  gross.  0,06) 
sulla  quäle  intorno  ad  un'apertura  (0,43X0,47)  si  alza  un  margine  verticale, 
a.  0,12  e  ripiegato  alla  sommitä  orizzontalmente  verso  l'eöterno,  in  modo  da 
presentar  superiormente  una  superficie  larga  0,055  —  0,07.  Presso  l'angolo  SE, 
di  terracutta:  un  sostegno  di  tavola  a.  0,70;  una  tegola  a  grondaia  che  rapprc- 
senta  la  parte  anteriore  d'un  cane  con  ovoli  e  dentelli  al  margine  superiore, 
6  a  ciascun  lato  del  cane  qualche  cosa  come  una  palmetta ;  h  nuova  e  di  lavoro 
grossolano,  a.  0,25,  1.  0,22,  lunga  0,65.  AI  muro  N  di  5' :  due  grandi  lastre  di 
terracotta  (0,68  X  0,96)  dal  margine  rialzato  (a.  col  margine  0,12)  e  perforato 
in  un  angolo ;  una  grande  tegola  0,98X0,67  che  pare  dovesse  formare  il  mar- 
gine d'un  tetto ;  ha  ai  lati  corti  i  soliti  margini  alzati ;  essi  in  una  estremitä 
(al  lato  superiore,  ove  doveva  sovrapporsi  un'altra  tegola)  non  arrivano  fino 
all'angolo,  neH'altra  estremitä  raggiungono  gli  angoli,  i  quali  invece  non  sono 
raggiunti  da  un  rialzo  che  riveste  il  lato  lungo  adiactnte  —  necessariamente 
r inferiore  —  mentre  quello  opposto  ö    senza  margine;  se  nell'interstizio  fra 


26  SCAVI   DI   POMPEI 

Deve  notarsi  perö,  che  nel  giardino  furono  trovate  almeno  42 
anfore,  fra  cui  26  con  iscrizioni,  pubblicate  nelle  Not.  d.  Sc.  1888 
p.  524  sg.  n.  4-22;  p.   530  n.  49-51.  Ne  rileviamo  le  seguenti : 

1  (anforetta,  forma  XV):  OKTA 

KOKY 
A 

2  (forma  VIII) :  *IA  AY  .  .  .  irOY  :  i  punti  segnano  il  posto 
di  segni  non  leggibili. 

3  (VIII)  in  rosso :  L^'CR,  e  suU'altro  lato,  in  rosso:  CA  •  LV 

IN 

4  (XI)  in  rosso  :  "^  FELVI  ZOS  • 

5  (VII)  (Not.  1.  c.  n.  16) :  iscrizione  di  C.  Hostio  Agatemero; 
cf.  pag.  28. 

6  (XII)  evanescente:  •  SER 

L  E////NENHEL 

SuU'altro  lato  e  grafiito:     CALVI 

IVVIINA 

7  (VTII)  in  rosso:  DAE 

8  Liy/'i/  (Liviae?)  9    (XI)  vIr 
HEMERAES  /V^ 

Pare  che  una  volta  il  muro  0  di  n.o  proseguisse  lungo  tutto 
quel  lato  del  viridario,  e  che  poi  fosse  demolito,  lasciandone  in 
piedi  un  pezzo  all'estremitä  S,  lungo  1,95,  che  e  il  muro  E  di  q; 
questo  cioe  sta  nella  direzione  del  muro  0  di  no,  ed  e  chiaro  che 
alla  sua  estremitä  N  non  e  terminato  ma  rotte  per  forza.  A  poca 
distanza  da  questa  estremitä  evvi  incavata  dal  lato  0  una  nicchia 


i  due  margini  dovevano  entrar  le  anteflsse,  esse  lasciavano  visibili,  in  modo 
insolito,  i  margini  laterali;  —  due  coperchi  di  dolii  (diam.  0,54).  —  Furono 
raccolti  ancora  nel  viridario  —  oltre  qualche  oggetto  del  tutto  insignificante  — 
due  maniglie  di  bronzo  e  due  guarnimenti  di  mobili  pure  di  bronzo,  che  do- 
vevano stare,  come  pare,  intorno  alle  toppe  di  due  serrature.  Fu  trovato  anche 
uno  scheletro  umano  e  vicino  ad  esso  am  bracciale  d'argento,  4  monete  d'är- 
gento  e  2  di  bronzo.  Not.  1888  p.  525. 


INSÜLA   IX,    7  27 

a.  0,45,  1.  0,38,  prof.  0,24,  discosta  dal  suolo  1,65,  nella  quäle 
fu  trovata  una  'fetatuetta  di  terracotta  rappresentante  un  uomo 
dalla  faccia  grossa  col  naso  prominente,  avviluppato  nella  toga 
(a.  0,155). 

A  questo  pezzo  di  muro  dunque  ed  a  quello  in  fondo  al  vi- 
ridario  fu  pol  addossata  una  piccola  fabbrica  q,  coperta  soltanto 
dal  tetto  a  schiena  N  a  S,  senza  soffitto,  grande  m.  3,11  X  3,45 
senza  il  muro  E,  alta  fino  al  margine  del  tetto  2,05,  con  una  porta 
nel  lato  0,  1.  0,81,  a.  1,60,  e  una  finestra,  che  si  restringe  esterna- 
mente  fino  a  0,30  X  0,08,  nel  lato  N".  Non  vidi  sgombrato  l'interno, 
che  e  rivestito  di  stucco  bianco,  ed  ha  nei  muri  tre  nicchie  a  volta : 
una  presso  l'estremitä  S  del  muro  E,  due  nel  muro  N.  Sotto  que- 
ste  ultime  si  vedono  tre  buchi  dei  mutuli  di  una  scansia,  quella 
e  contorniata  da  una  striscia  colorata,  sotto  la  quäle  nel  lato  su- 
periore  son  dipinti  due  festoni  o  tenie.  Nel  mm-o  E  son  conser- 
vati  molti  grossi  chiodi  di  ferro,  fra  cui  quattro  disposti  con  una 
certa  regolaritä  intorno  alla  nicchia :  mi  par  certo  che  questa  ser- 
visse  al  culto  dei  Lari  e  che  a  quei  chiodi  si  appendessero  ghir- 
lande  (cf.  Bull.  1887  p.  114).  —  II  tetto,  conservato  in  modo  da 
potersi  ricostruire,  e  di  pochissima  pendenza;  una  trave  maestra 
ed  una  trave  ad  essa  parallela  nella  metä  di  ogni  lato,  tutte  e 
tre  tonde,  sorreggevano  le  10  e  11  travi  oblique,  tonde  anch'esse, 
sulle  quali  posavano  le  tegole,  fra  cui  una,  presso  l'angolo  SO, 
con  apertura  tonda :  e  piü  che  probabile  che  il  locale  fosse  la 
cucina  —  che  nella  casa  stessa  non  trovammo  —  e  che  questo 
fosse  il  posto  del  focolare.  Si  raccolsero  in  ^,  all'altezza  di  m.  1,20 
dal  pavimento,  tre  vasetti  di  vetro  (Not.  1888  p.  573,  20  luglio). 

N.  8. 

La  bottega  n.  8  coi  locali  annessi  appena  puö  esservi  un 
dubbio  che  non  fosse  auch' essa  una  caupona^  quali  molte  dovevano 
trovarsi  in  questa  frequentissima  strada.  Fra  gli  oggetti  trovativi, 
del  resto  insignificanti,  7  anfore  ed  un  vaso  di  vetro  in  forma  di 
cratere  a.  0,08,  diam.  0,11,  incontrati,  in  uno  dei  locali  poste- 
riori, possono  confermare  tale  supposizione,  fondata  suUa  disposi- 
zione  dei  locali  stessi.  Delle  anfore  una  contoneva  il  vino  che 
il  producente,  C.  Hostio  Agatemero,  chiamava   «  linfa  vecchia  », 


28  SCAVI   DI    POMPEI 

lumpa  vetus  (cf.  Not.  1881  p.  195  sg.  321).  Essa  cioe  porta  l'iscri- 
zione  ('): 

Q_POST 

LYM  VET 

ÄlIIÄ 

LX 
C  HOSTl  AGATHEMERI 

Dalla  strada  si  entra  nella  bottega  a,  con  podio  piegato  ad 
angolo  retto  e  coperto  nella  parte  anteriore  con  lastre  di  marmo 
giallo  e  bianco :  due  fra  quelle  blanche  erano  una  volta  collocate 
in  qiialche  porta  e  mostrano  ancora  gl'incavi  per  i  cUindretti  dei 
cardini.  Manca  la  soglia,  che  forse  era  di  legno,  ne  del  pavimento 
rimane  altro  che  qualche  avanzo.  Nell'angolo  SE  e  addossato  al 
muro  di  fondo  (S)  un  muretto  a.  0,80,  sulla  superficie  del  quäle 
un  canaletto,  traversando  il  muro,  sbocca  sul  vico  E.  —  Le  pareti 
sono  coperte  d'intonaco  grezzo;  soltanto  l'anta  a  d.  dell'ingresso 
di  ^  e  rossa,  e  qui  si  vede   dipinto: 

1.  a.  0,65  :  Mercurio,  con  petaso  alato  ed  ali  ai  piedi,  nudo 
meno  la  clamide  turchina  affibbiata  sulla  spalla  d.  e  avYolta  in- 
torno  al  braccio  sin. ;  cammina  verso  sin.,  reggendo  nella  sin.  il 
caduceo,  nella  d.  alzata  fino  al  gomito  la  borsa  bianca,  con  tre 
punte  al  fondo.  E  preceduto  da  un  gallo  che  apre  il  becco  come 
per  cantare. 

2.  Sul  pilastro  fra  gli  ingressi  di  b  e  c  e  dipinto  rozzamente 
un  eigne  volante. 

3.  Sul  principio  del  muro  sin.,  a  circa  m.  2,0  dal  pavimento, 
sopra  un  ayanzo  d'  intonaco  piü  antico  si  e  conservata  la  parte 
sin.  della  rappresentanza  d'un  combattimento  di  gladiatori  (a  d. 
rintonac<)  e  stato  rimpiazzato  da  stucco  piü  recente) ;  a.  0,60, 1.  0,50  : 
un  oplomachus,  armato  di  grande  elmo,  dello  scudo  grande  qua- 
drangolare  curvato  orizzontalmente,  d'un  gambale  alla  gamba  sin., 
che  non  arriva  fino  al  ginocchio,  e  di  una  cintura  (tutto  questo 
dorato)  ha    nella   d.  il    corto  gladio    con    custodia    che  cuopre  la 

Q)  Cosi  copiata  dal  prof.  Sogliano  (Not.  1887  p.  562);  io  la  vidi  molto 
meno  completa.  Nella  prima  riga,  che  io  non  vidi,  egli  lesse  q_host:  cf. 
pero  Eph.  ep.  I  p.  168  n.  208 ;  Not.  1876  p.  27  =  Bull.  1877  p.  134. 


INSÜLA    IX,    7  29 

mano.  Una  specie_  di  corto  grembiale  gli  pende  sul  ventre ;  corde 
che  finiscono  in  fiocchi  svolazzano  daH'elmo,  altre  corde  presso  il 
braccio  d.  involto  in  bende  indicate  con  linee  traverse  nere ;  iina 
benda  nera  e  avvolta  intorno  alla  garaba  d.,  sopra  il  ginocchio. 
Egli  con  im  gran  passo  mette  avanti  il  piede  sin. ;  protende  lo 
scudo,  abbassandolo  quasi  fino  alla  terra,  ritira  la  d.  col  gladio 
accanto  al  fianco,  come  per  colpire  di  punta,  e  volge  in  dietro  la 
testa,  senza  dubbio  verso  il  pubblico  per  saper  la  sua  decisione 
suUa  Sorte  delVavversario  caduto.  A  sin.  della  sua  testa  e  scritto 
con  lettere  nere,  alte  0,019  : 

//////IC////SVLE  •  XIIX 

II  numero  si  riferisce  ai  combattimenti  sostenuti  dal  vincitore. 

Gli  oggetti  raccolti  nella  bottega  a  sono  registrati  nelleNot.d.sc. 
1887  p.  561.  563,  4.22  nov.  Vi  si  trovö  un  frammento  d'un  ri- 
lievo,  rappresentante  una  figura  muliebre,  vestita  di  chitone  mani- 
cato  cinto  da  una  corda  con  nodi;  e  veduta  di  faccia;  ha  intorno 
al  collo  una  grossa  collana  della  nota  forma  che  finisce  anterior- 
mente  da  ogni  lato  in  un  bottone ;  il  petto  e  molto  abbassato ; 
aveva  le  mani  sul  dorso ;  manca  la  testa  e  parte  delle  gambe ; 
una  benda  cade  sulla  spalla  sin. ;  alt.  m.  0,38  {}). 

La  retrobottega  h  (3,38  X  2,85,  a.  2,85  ;  l'ingresso  1.  1,75), 
h  evidente  che  non  era  abitata  dal  proprietario,  ma  serviva  agli 
avventori  della  caupona  (2).  Le  pareti  son  dipinte  semplicemente 
neir ultimo  stile  a  fondo  rosso  e  giallo,  con  zoccolo  nero  e  la  parte 
superiore  a  fondo  bianco.  Ognuna  delle  pareti  ha  due  scomparti- 
menti ;  quelli  del  muro  di  fondo  e  gli  interni    dei   muri   laterali 


(')  Vi  si  trovö  inoltrc  una  lucerna  di  terracotta  che  ha  sul  disco  la 
testa  radiata  di  Seleno  con  la  luna  falcata ;  una  scodella  arretina  con  la 
marca  in  forma  di  piede  sex  M  {G.I.L.X,  8055,25);  un  frammento  di  tegola 
col  bollo  SAB  R  PI  {CLL.  X,  8042,  98) ;  una  tazza  e  tre  unguentarii  di  ve- 
tro  ;  4  monete  di  bronzo. 

(2)  Vi  si  trovu  di  bronzo:  una  serratura  (ra.  0,11  in  ogni  lato);  una  te- 
stina  ornamentale  di  tigre;  una  casseruola;  una  conca;  di  ferro:  un  martello 
(con  manico  di  legno);  una  paletta ;  una  zappa ;  di  vetro:  un  vaso  in  forma 
di  cratere;  di  terracotta:  7  anfore  (vd.  p.  27).  Not.  1887  p.  561  sg. ;  1888 
p.  523. 


30  SCAVI    DI    POMPEI 

contenevano  ognuno  un  quadro,  gli  anteriori  dei  muri  laterali  ima 
figura  volante.  Dei  quadri  uno  soltanto  e  in  parte  coaservato : 

4,  sul  niuro  di  fondo  a  d.,  a.  e  1.  0,31  :  le  tre  Grazie  (cf. 
Heibig  856-857).  E  riconoscibile  quella  che  sta  nel  mezzo,  veduta 
dalle  spalle,  e  stende  il  braccio  d.  a  d.,  e  quella  a  d.  che  sta 
rivolta  allo  spettatore  ma  volge  la  testa  a  d.  in  modo  da  mostrarla 
di  profilo  ;  mette  la  mano  d.  sulla  spalla  d,,  la  sinistra  sulla  mano  d. 
della  compagna.  Di  queste  due  e  conservata  la  sola  parte  supe- 
riore,  mentre  della  terza  si  vedono  soltanto  i  piedi,  e  questi  in 
modo  assai  indistinto. 

Anche  delle  figure  volanti  una  soltanto  e  conservata. 

5,  sul  muro  sin.  ;  fondo  rosso  ;  a.  0,25  :  Amore  volante  verso  d. 
con  veste  svolazzante  a  guisa  di  sciallo  ;  porta  con  ambedue  le  mani 
im  oggetto  lungo  a  guisa  di  bastone,  dei  resto  non  riconoscibile. 

II  corridoio  cd  conduce  ai  locali  posteriori ;  la  prima  parte  c 
pai-e  che  nel  tempo  stesso  servisse  da  cucina.  Sembra  cioe  che 
fra  il  muro  posteriore  di  a  ed  il  primo  dei  due  corti  muricciuoli 
visibili  sulla  nostra  pianta  vi  fosse  il  focolare  :  nell'angolo  d.  di 
quel  vano  vedonsi  avanzi  di  materiale  e  di  sopra  il  muro  (senza 
intonaco)  e  annerito  dal  fumo  ;  all'altezza  poi  di  circa  m.  2,80 
usciva  il  fumo  per  un'anfora  incastrata  nel  muro  E  e  rotta  in 
ambedue  le  estremitä.  Non  so  che  cosa  fosse  nel  vano  seguente, 
fra  i  due  muricciuoli. 

Segue  a  sin.  di  d  l'uscita  secundaria  n.  9,  al  di  lä  della 
quäle  era  addossata  al  muro  sin.  la  scala  di  legno  per  montare  al 
piano  di  sopra. 

e  (3,0X4,23,  non  sgombrato);  ha  l'aspetto  d'un  triclinio ;  pa- 
reti  con  stucco  di  mattoni ;  nell'angolo  SO  un'anfora.  Eiceveva  luce 
per  una  finestra  larga  1,60  da  K,  che  perciö  avrä  a  credersi  un 
cortiletto  scoperto  e  dava  luce  anche,  per  una  finestra  a.  0,56,  1. 
0,44.  al  cubicolo  g  (intonaco  (?i  mattoni),  ove  poteva  dormire  sia 
il  caupo  sia  il  suo  servo. 

Del  resto  ^\  e  f  g  h  ^\  potrk  forse  giudicar  meglio  quando 
saranno  dei  tutto  sgombrate.  Intanto  osserviamo  che  in  h  nell'an- 
golo NO  sta  UQ  altare  (0,50  X  0,35)  la  cui  altezza  (circa  1,60  sopra 
il  pavimento  di  d)  fa  sospettare  che  il  suolo  fosse  piü  alto  in  h 
che  in  d.  Sul  lato  esterno  dei  muro  E  di  ^  e  dipinto  su  fondo 
bianco  un  serpente  che  fra  plante  si  dirige  verso  sin. 


INSULA    IX,    7  31 

Per  ciö  che  riguarda  le  camere  superiori,  pare  che  dal  pia- 
nerottolo  in  cima  alla  scala  in  d  si  entrasse  di  fronte  in  qualche 
locale  sovrapposto  a  fg,  e  a  sin.  in  una  camera  sovrapposta  ad  e, 
e  da  questa  in  im'altra  sopra  b.  Quanto  alla  bottega  «,  non  vorrei 
ne  negare  ne  affermare  che  sopra  essa  vi  fosse  qualche  camera ;  in 
ogni  modo  a  era  piü  alta  di  ^ ;  e  se  vi  fosse  stata  una  camera 
superiore,  si  aspetterebbe  di  trovare  una  scala  in  uno  dei  locali 
anterior! . 

h  pare  che  fosse  un  cortiletto  scoperto  (vd.  sopra) :  su  questo 
particolare  si  potrebbe  giudicar  meglio,  se  avessimo  un'  idea  chiara 
del  modo  come  l'intera  casa  n.  G-9  era  coperta.  Certo  mi  pare  che 
non  s'abbia  a  pensare  ad  un  tetto  unico,  che  anzi  Vaspetto  della 
casa  —  e  probabilmente  della  maggior  parte  delle  case  pompeiane  — 
dovesse  essere  abbastanza  irregolare. 

I  due  ingressi  laterali  n.  9-10  erano  protetti  ognuno  da  una 
piccola  tettoia  sporgente  dal  mm-o,  e  sotto  di  essa  erano  intisse  nel 
muro,  almeno  sopra  il  n.  9,  due  travi,  un  poco  a  S  degli  stipiti. 
II  loro  scopo  e  ignoto;  non  servivano  a  sorreggere  la  tettoia,  che 
era  fatta  senza  legname  e  consisteva  di  una  sola  fila  di  embrici  e 
tegole  incastrate  nel  muro. 

{sarä  conliruiato) 

A.  Mau. 


BEITRAEGE  ZUR  GRIECHISCHEN  IKONOGRAPHIE. 

(Tafel  II,  III) 


V.    VI.    SELEUKOS    NIKATOR.    PTOLEMAIOS    SOTER. 

Derselben  reichen  Herkulan  ischen  Villa,  welcher  die  Bd.  III 
S.  113  auf  Archidamos  gedeutete  Marmorherme  entstammt,  ver- 
danken wir  auch  die  auf  Tafel  II  abgebildete  Erzbüste.  Die  ältere 
Litteratur  und  eine  gute  Vorderansicht  bietet  das  schon  genannte 
Werk  Yon  Comparetti  und  De  Petra,  La  Villa  Ercolanese 
Taf.  10,  1  S.  264,  19. 

Dass  wir  in  diesem  Bildniss  einen  König  zu  erkennen  haben 
ist  allgemein  zugestanden  und  nicht  wohl  zu  bezweifeln.  Die 
breite  Binde,  welche  das  Haupt  umgiebt,  ist  ein  genügender  Beweis 
für  die  Richtigkeit  jener  Annahme.  Zwar  fehlen  jetzt  die  langen, 
lose  herabfallenden  Enden,  welche  für  die  Königsbinde  charakte- 
ristisch sind ;  wir  werden  aber  annehmen  dürfen,  dass  dieselben 
einst  vorhanden  waren,  wenn  wir  auch  ihre  Bruchstellen  nicht 
mehr  sicher  erkennen  können  (').  Denn-  so  wie  die  Binde  heute 
ohne  irgend  eine  Verknüpfuug  zusammengelegt  erscheint,  so  dass 
das  vom  linken  Ohr  herkommende  Ende  das  andere  bedeckt  und 
weiterhin  unter  dasselbe  gesteckt  ist,  und  in  Folge  davon  beide 
Enden  in  lange  Spitzen  auszulaufen  scheinen,  die  nebeneinander 
liegend  die  Breit3  des  übrigen  Bandes  ausfüllen,  kann  sie  doch 
ursprünglich  nicht  dargestellt  gewesen  sein.  Das  Fehlen  der  langen 
Enden  müssen  wir  also   auf  die   Beschädigungen   und  zum  Theil 

(')  Ueber  diesen  Punkt  verdanke  ich  E.  Petersen  und  K.  Wernicke 
einige  Notizen. 


SELEUKOS   NIKATOR.   PTOLEMAIOS   SOTER  33 

recht  starken  Ausbesserungen  schieben,  welche  diese  Erzwerke  er- 
fahren haben. 

Die  Herkulanischen  Akademiker  hatten  die  Büste  für  Ptole- 
maios  VI  Philometor  erklärt;  E.  Q.  Visconti  {Iconografia  greca 
111  S.  289  der  Mailänder  Ausgabe)  glaubte  vielmehr  den  ersten 
Lagiden,  Ptolemaios  Soter  zu  erkennen,  und  diese  Ansicht  ist  die 
herrschende  geblieben. 

Beide  Deutungen  scheinen  mir  unhaltbar.  Leicht  lässt  sich 
die  erstere  zurückweisen,  seit  J.  Six  ein  authentisches  Bildniss 
des  Philometor  nachgewiesen  hat  (Athenische  Mittheilungen  XII 
^.212).  Aber  auch  die  zweite  ist  nicht  haltbar.  Eecht  wechselnd 
zwar  tritt  uns  das  Bildniss  dieses  Königs  auf  der  langen  Reihe 
der  Aegyptischen  Münzen  entgegen,  oft  mit  einer  fast  karikirten 
üebertreibung  der  charakteristischen  Züge ;  aber  diese  eben  kehren 
immer  wieder  (i).  Die  Stirn  ist  im  unteren  Theil  stark  vorge- 
wölbt, und  auch  die  Nase  ladet  stark  aus,  während  der  verhält- 
nissmässig  kleine  und  etwas  eingefallene  Mund  dieser  gegenüber 
ganz  besonders  tief  liegt  und  das  Kinn,  an  und  für  sich  nicht 
klein,  doch  gegen  Stirn  und  Nase  zurücktritt.  Charakteristisch  sind 
auch  die  weit  aufgerissenen  Augen.  Von  alle  dem  finden  wir  nichts 
in  dem  Broncekopf  der  Herkulanischen  Villa,  während  andererseits 
die  starken  Falten,  welche  seinen  Mund  umgeben,  sich  auf  Münzen 
des  Ptolemaios  nie  zeigen.  Noch  deutlicher  wird  der  Unterschied 
durch  den  Vergleich  mit  dem  auf  Tafel  III  abgebildeten  Kopfe, 
meiner  Meinung  nach  dem  ersten  sicheren  Bildniss  des  Ptolemaios 
Soter.  Die  Büste,  an  welcher  Hals,  Hinterkopf,  die  Ohren  und  die 
Nasenspitze  ergänzt  sind,  von  der  also  nur  das  eigentliche  Gesicht 
und  ein  Stück  Haar  mit  der  Binde  über  der  rechten  Schläfe  alt 
ist,  stammt  nach  ihrer  jetzigen  Aufschrift  (-)  aus  Griechenland 
und  kam  aus  dem  Besitz  des  Bildhauers  Pajou  in  den  Louvre, 
wo  sie  in  der  Salle  du  rjladiateur  steht.  Als  Material  wird  Pa- 
rischer Marmor   angegeben.    Der    Kopf  gilt  jetzt   für  Demetrios 


0)  Vgl.  Poole,  The  Ptolemies.  Head,  Historia  numorum  S.  711  ff. 

f2)  Nach  Conze's  freundlicher  Mittheilung,  der  auch  die  an  gleicher 
Stelle  angehrachten  Angaben  über  die  Ergänzungen,  übereinstimmend  mit 
meinen  früheren  Notizen,  bestätigte  und  die  Aufnahme  der  Photographie  ver- 
mittelte. .Die  Büste  trägt  die  alte  Museumsnuramer  457. 

3 


34 


BEITRAEGE   ZUR   GRIECHISCHEN    IKONOGRAPHIE 


Poliorketes,  früher  für  Otho.  Die  letztere  Benennung  ist  mit  Kecht 
aufgegeben,  wie  ein  Vergleich  mit  dem  steilen  Profil,  das  uns  die 
Münzen  dieses  Kaisers  zeigen,  ohne  weiteres  darthut.  Aber  auch 
mit  den   Münzen    des    Poliorketes    (Irahoof-Blumer,    Porträtköpfe 


Taf.  1,  4.  2,  7.  8)  hat  er  nur  eine  oberflächliche  Aehnlichkeit ; 
grade  der  so  charakteristische  tief  liegende  Mund  kehrt  dort  nicht 
wieder.  Dagegen  finde  ich  alle  die  bezeichnenden  Eigentümlich- 
keiten in  diesem  Antlitz,  welche  ich  soeben  an  den  Münzbildern 
des  Ptolemaios  Soter  hervorhob  ;  die  Wiederholung  des  dem  Mo- 
narchen gleichzeitigen  Goldstaters  (Imhoof-Blumer,  Porträtköpfe 
Taf.  1,  2)  auf  unserer  Tafel  wird  das  anschaulich  machen.  Nur 
in  den  Haaren  scheint  eine  kleine  Verschiedenheit  obzuwalten : 
die  des  Marmors  scheinen  dichter,  gleichmässiger,  die  der  Münzen 


SELEÜKOS   NIKATOR.   PTOLEMAIOS   SOTER  35 

lockerer  und  freier  behandelt.  Einen  Zweifel  an  der  Identität  der 
Person  wird  auf  diese  Aeusserlichkeit  niemand  begründen. 


Die  beiden  bisherigen  Deutungen  des  Herkulanischen  Bronce- 
kopfes  haben  sich  als  unrichtig  herausgestellt;  ich  möchte  an 
ihrer  Stelle  eine  neue  vorschlagen.  Wie  die  Ueberschrift  dieser 
Zeilen  andeutet  glaube  ich  in  ihm  Seleukos  Nikator  zu  erkennen. 

So  viel  ich  weiss,  ist  bisher  nur  einmal  der  Versuch  gemacht 
worden,  ein  Bildniss  des  Seleukos  nachzuweisen.    Die   Herkulani- 


36  BEITRAEGE    ZUR   GRIECHISCHEN    IKONOGRAPHIE 

sehen  Akademiker  haben  ihn  in  einer  Broncestatuette  erkennen 
wollen  (0,  welche  einen  jungen  Mann  darstellt,  der  den  rechten 
Fiiss  auf  einen  ziemlich  hohen  Felsblock  setzt,  den  rechten  Arm 
auf  das  rechte  Knie  legt  und  in  der  Rechten  einen  Gegenstand  ge- 
halten zu  haben  scheint.  Eine  dicke  Chlamys  ist  auf  der  rechten 
Schulter  zusammengesteckt  und  verhüllt  den  Rücken  und  den  in 
die  Seite  gesetzten  linken  Arm ;  die  Füsse  sind  mit  Stiefeln  be- 
kleidet. Die  äussere  Erscheinung  könnte  zuerst  an  Hermes  denken 
lassen,  für  welchen  diese  Stellung  ja  nicht  ungewöhnlich  ist  (^) ; 
in  der  Rechten  würde  man  alsdann  ein  Kerykeion  voraussetzen. 
Aber  gegen  diese  Annahme  sprechen  ausser  dem  Mangel  der  Fuss- 
üügel  die  kleinen  Stierhörner  über  der  Stirn ;  diese  führen  zu- 
nächst auf  ein  Diadochenporträt  (^).  Lange  giebt  der  Statuette 
Jagdspeere  in  die  Hand :  ihr  Motiv  würde  dann  ganz  mit  dem 
Münzbild  von  Segesta  (Poole,  Sicüi/  S.  133.  Gardner,  Types 
Taf.  6,  4.  Head,  Historia  numorum  S.  145)  übereinstimmen,  das 
uns  einen  jungen  rastenden  Jäger  zeigt.  In  einer  solchen  Gestalt 
das  Bild  eines  Diadochen  wiederzufinden  hat  nichts  befremdli- 
ches :  aber  bei  der  Deutung  auf  Seleukos  Nikator  haben  sich  die 
Akademiker  oifenbar  zu  sehr  von  der  Nachricht  leiten  lassen,  dass 
die  Statue  dieses  Königs  Stierhörner  getragen  habe  {^).  Auch 
wenn  diese  Nachricht  verständiger  motivirt  wäre  würden  wir  weder 
folgern,  dass  alle  Statuen  des  Seleukos  gehörnt  gewesen  seien,  noch 
dass  alle  gehörnten  Porträts  diesen  Herrscher  darstellen.  E.  Q.  Vi- 
sconti ist  deshalb  von  dieser  Deutung  abgewichen,  da  er  keine 
genügende  Ärmlichkeit  mit  den  auf  Münzen  überlieferten  Zügen 


(1)  Bronzi  II  Taf.  60.  Clarac  V  Taf.  840,  2113.  E.  Q.  Visconti,  Icono- 
grafia  greca  II  Taf.  3  S.  80  der  Mailänder  Ausgabe.  Müller-Wieseler  I 
Taf.  50,  221  a.  Im  Neapeler  Museum  N.  5026. 

(2)  K.  Lange.  Das  Motiv  des  aufgestützten  Fusses  S.  20. 

(3)  Athen.  Mittheilungen  III  S.  294,  1  erwähnt  Furtwängler  eine  dieser 
Statuette  im  Typus  verwandte  und  eine  zweite,  sitzende,  welche  er  auf  Grund 
der  Stierhörner  für  Diadochenbildnisse  hält.  Vgl.  auch  K.  Lange,  Motiv  des 
aufgestützten  Fusses  S.  30. 

(*)  E.  Q.  Visconti,  Iconografia  greca  II  S.  371  der  Mailänder  Ausgabe. 
Eckhel  D.  N.  III  S.  211.  Appian,  ^IvQtuxTJ  57.  Suidas  u.  2:e"/.svxog.  Georgios 
Kodinos,  JIaQsxßoXcd  S.  27  der  Bonner  Ausgabe  =  Banduri,  Imperium  Orien- 
tale (1729)  S.  110.  Libanios,   \4ynoxix6g  I  S.  301  Reisko. 


SELEUKOS    NIKATOR.    PTOLEMAIOS    SOTER  87 

fand.  Wie  Recht  er  darin  hatte  lässt  sich  durch  eine  weitere  Ver- 
gleichung  zeigen  Vorstehend  S.  35  ist  eine  Marmorherme  (') 
abgebildet,  die  ebenfalls  der  Herkulanischen  Villa  entstammt  und, 
wie  der  Vergleich  mit  dem  gegenüber  wiederholten  Kopf  der  Bron- 
cestatuette  zeigt,  mit  dieser  auf  dasselbe  Original  zurückgeht. 
Die  Herme,  welche  die  Züge  deutlicher  erkennen  lässt,  zeigt  aber 
klar,  dass  an  Seleukos  hier  nicht  gedacht  werden  darf.  Die  Herme 
gilt  ohne  genügenden  Grund  für  Alexander,  die  Statuette  hat 
Visconti  für  Demetrios  Poliorketes  erklärt  {Iconografia  greea  II 
S.  86).  Für  unmöglich  halte  ich  auch  jetzt  noch  diese  Beziehung 
nicht,  obwohl  zugestanden  werden  muss,  dass  die  Aehnlichkeit 
der  Herme  mit  den  Münzen  (Imhoof-Blumer,  Porträtköpfe  Taf.  1 .  4. 
2,  7.  8.  Gardner,  Tupes  Taf.  12, 19)  nicht  grade  schlagend  ist  {% 
und  man  auch  andere  Porträts  zum  Vergleich  heran  ziehen  dürfte, 
etwa  das  des  Antiochos  II  Theos,  allerdings  weniger  das  treuere, 
dem  Vater  so  offenbar  ähnelnde  (Imhoof-Blumer  Taf.  3,  11.  Poole, 
Seleiicid  kings  Taf.  5)  als  das  zum  Hermes  idealisirte  (Poole 
Taf.  5,  2.  Gardner,    Tijpes  Taf.  14,  28)  (3). 


(')  Villa  Ercolanese  Taf.  20,  3.  S.  275,  73. 

(2)  Von  dem  Fragment  einer  Büste  des  Demetrios,  das  0.  Müller, 
Handbuch  §  158,  3  erwähnt,  ist  mir  nichts  genaueres  bekannt. 

(3)  Ich  dalte  daran  fest,  dass  uns  in  der  Herme  und  der  Statuette  Ko- 
pien einer  Porträtstatue  erhalten  sind,  besonders  wegen  der  vielen  gleichar- 
tigen Hermen  der  Herkulanischen  Villa,  in  deren  Gesellschaft  diese  gefunden 
wurde.  Sonst  könnte  die  oben  berührte  Uebereinstimmung  mit  den  Segestaner 
Münzen  zu  einer  ganz  anderen  Deutung  führen  ;  der  jugendliche  Jäger  auf 
diesen  ist  für  den  Flussgott  Krimisos  erklärt  worden  (Head,  Historia  numo- 
rum  S.  144.  145.  Gardner,  Types  S.  125.  Servius  zu  Vergil  V.  30).  Diese 
Deutung  des  Jünglings  ist  höchst  wahrscheinlich,  obwohl  er  nur  mitunter 
kleine  Hörner  zeigt  (Salinas,  Tetradrammi  di  Segesta,  Periodico  di  Numis- 
matica  III  S.  14  ff.) :  gegenüber  dem  ausdrücklichen  Zeugniss  des  Aelian 
(Bunte  Geschichte  II,  33)  und  vor  allem  der  Münzen  wie  etwa  Poole,  Italy 
S.  356,  111.  112  (Aisaros);  S.  370,  1  (Krathis) ;  Gardner,  Types  Taf.  2,  16 
(Hypsas) ;  6,  1  (Selinus)  fällt  das  nicht  ins  Gewicht,  wie  auch  die  sonst  nahe 
liegende  Deutung  auf  den  von  Hunden  umgebenen  (Aelian,  Thiergeschichte 
XI  20)  mit  der  Lanze  bewaffneten  (Plutarch,  Timoleon  12  zu  Ende)  Adranos, 
dessen  Verehrung  in  ganz  Sizilien  Plutarch,  in  Messana  eine  Münze,  in  Ha- 
läsa  eine  Inschrift  {CIG.  HL  5594,  1  Z.  54.  62 ;  vgl.  Kaibel,  De  inscriptione 
Ilalaesina,  Rostock  1882  S.  17)  bezeugt,  durch  den  Umstand  widerlegt  wird, 
dass  Adranos  auf  der  genannten  Münze  der  Mamertiner   behelmt    und  bärtig 


88  BEITRAEGE    ZUR   GRIECHISCHEN    IKONOGRAPHIE 

Wir  kehren  zurück  zu  der  Broncebüste  aus  Herkulaneum. 
Der  Deutung  auf  Seleukos  Nikator  steht  nach  den  obigen  Erörte- 
rungen nichts  im  Wege ;  es  handelt  sich  also  nun  darum,  aufzu- 
suchen, was  für  dieselbe  spricht. 

Wir  kennen  die  Züge  des  Seleukos  (')  von  den  Münzen,  seinen 
eigenen,  denen  des  Antiochos  Soter  und  des  Philetairos  (-).  Das 
beste  Bild  des  Fürsten  bieten  uns  ohne  Zweifel  die  Tetradrachmen 
seines  Sohnes  (Imhoof,  Monnaies  grecques  S.  424) ;  auf  imserer 
Tafel  II  ist  links  von  der  Büste  eine  derselben  abgebildet  {^), 
rechts  zum  Vergleich  eine  der  Pergamenischen  Münzen.  Leider  ist 
die  Stellung  des  Kopfes  auf  den  Münzen  nicht  ganz  in  Ueberein- 
stimmung  mit  der  Büste,  doch  tritt  die  Verwandtschaft  aller  we- 
sentlichen Züge,  wie  ich  meine,  auch  so  hervor.  Eigentümlich 
bestimmend  wirkt  bei  diesem  Bildniss  nächst  der  klaren  Zeich- 
nung des  schön  gewölbten  Hinterkopfs  die  in  ihrem  grösseren  un- 
teren Theile  so  stark  gewölbte  Stirne,  von  welcher  sich  die  feine, 
wenig  gebogene  Nase  deutlich  absetzt,  die  dann  aber   nicht,  wie 


erscheint  (Poole,  Sicily  S.  109.  Vgl.  E.  Q.  Visconti,  Opere  varie  II  S.  197. 
Roscher's  Lexikon  S.  77).  Ist  also  die  Deutung  der  Segestaner  Münze  auf 
den  Flussgott  Krimisos  richtig,  so  könnte  man  versucht  sein  auch  die  Her- 
kulanische Statuette  auf  einen  solchen  zu  deuten,  wozu  die  kleinen  Hörnchen 
trefflich  stimmen  würden.  Dagegen  sprechen  aber  wie  bemerkt  die  Fundum- 
stände der  Herme  sowie  die  Ungewöhnlichkeit  des  Gegenstandes. 

(1)  Die  im  Catalogue  of  engraved  gems  in  the  British  Museum  S.  171, 
152G  verzeichnete  Gemme,  welche  nach  der  Inschrift  2EAE.  doch  wol  Seleukos 
darstellen  soll,  schien  mir  von  zweifelhafter  Echtheit ;  über  den  Künstlernamen 
KAPnOY,  den  sie  trägt  vgl.  Brunn,  G.  G.  K.  II  S.  615. 

(2)  Vgl.  Imhoof-Blumer,  Porträtköpfe  S.  28.  Dynastie  von  Pergamon 
S.  22.  Monnaies  grecques  S.  422.  Gardner,  The  Seleucid  kings  of  Syria. 
Dass  ich  neben  diesen  Veröffentlichungen  eine  ganze  Eeihe  von  Münzab- 
drücken benutzen  konnte  verdanke  ich  der  unermüdlichen  Zuvorkommenheit 
Imhoof  s.  Ich  bemerke  nebenbei,  dass  ich  in  dem  behelmten  Kopfe  auf  Münzen 
des  Seleukos  (Gardner,  Seleucid  kings  Taf.  1,  11-13.  Types  Taf.  14,  8.  9) 
Imhoof  folgend  [Monnaies  S.  424.  Porträtköpfe  S.  5)  kein  Bild  dieses  Für- 
sten sondern  des  Alexander  erkenne;  das  jugendlichste  Bild  des  Seleukos  auf 
dem  Goldstater  [Seleucid  kings  Taf.  1,  6)  stimmt  mit  diesem  jugendlichen 
Kopfe  nicht  genügend  überein. 

(3)  Es  ist  das  aus  der  Sammlung  des  Baron  L.  von  Hirsch  stammende 
Exemplar;  die  zweite  Münze  ist  das  Dynastie  von  Pergamon  Taf.  1,  4  abge- 
bildete Stück. 


SELEÜKOS    NIKATOR.    PTOLEMAIOS    SOTER  39 

etwa  bei  dem  Ptolemaios  Soter  noch  weiter  ausladet,  sondern 
an  der  Wurzel  gegen  die  Stirn  zurückweichend  im  ganzen  dieselbe 
Richtung  zeigt,  wie  die  Stirne.  Auch  das  Kinn  ist  fein  gezeichnet 
und  hebt  sich  sehr  klar  gegen  die  weicheren  Massen  des  ünter- 
gesichts  ab ;  starke  Falten  umgeben  den  Mund,  eine  besonders 
starke  bildet  sich  bei  der  genannten  Absonderung  des  Kinnes. 
Trotzdem  zeigt  sich  in  diesem  Gesicht  keine  Schlaffheit ;  nichts 
ist  matt  an  ihm,  vielmehr  lässt  besonders  das  durchgearbeitete 
Untergesicht  eine  angespannte  geistige  Kraft  sichtbar  werden, 
welche  keine  träge  Ruhe  kennt  noch  kennen  will. 

Ich  habe  früher  den  Versuch  gemacht,  eine  Büste  in  Mün- 
chen als  Bild  des  Antiochos  Soter  nachzuweisen  (') ;  ich  glaube 
auch  jetzt  noch  an  dieser  Deutung  festhalten  zu  dürfen,  trotz  des 
Widerspruches  den  Brunn  (-)  dagegen  erhoben  hat,  und  finde  in 
der  nicht  geringen  Aehnlichkeit  der  Münchener  und  der  Neapeler 
Büste  eine  gegenseitige  Stütze  meiner  Auffassung  derselben. 

Wir  haben  Nachricht  von  einer  ganzen  Zahl  von  Bildnissen 
des  Seleukos.  Bryaxis  (Plinius  43,  73),  Aristodemos  (43,  87)  und 
Lysipp  (Löwy  I.  G.  B.  487)  hatten  ihn  dargestellt ;  ausserdem 
werden  Statuen  von  ihm  in  Athen  (Pausanias  I,  16,  1),  Olympia 
(VI,  11,  1),  Antiochien  (Libanios  I,  S,  301  Reiske  und  Malalas 
S.  276  der  Bonner  Ausgabe)  auch  in  Konstantinopel  (Kodinos, 
üaQexßoXai  S.  27  Bonn)  erwähnt.  Letztere  könnte  mit  einer  der 
anderen  identisch  sein,  auch  die  nach  Künstlern  und  die  nach 
Orten  bekannten  brauchen  nicht  durchaus  verschieden  zu  sein.  Bei 
diesem  Stande  der  Ueberlieferung  bleibt  es  natürlich  ganz  unsi- 
cher, wenn  wir  das  erhaltene  mit  einem  der  erwähnten  Werke  in 
Beziehung  setzen.  Immerhin  ist  eins  zu  beachten.  Die  Nachricht 
über  die  Seleukosstatue  des  Bryaxis  sowohl  als  des  Lysippos  hat 
den  Forschern  Bedenken  erregt  wegen  des  späten  Datums,  das  sie 
für  diese  Künstler  anzunehmen  zwingt.  Aber  die  Ueberlieferung 
scheint  in  diesem  Punkte  wirklich  Recht  zu  haben  (3)  (vgl.  Brunn, 

(1)  Arch.  Ztg.  1884  S.  157. 

(2)  Glyptotheks  S.  226,  172. 

(3)  Aus  dem  Umstand  allerdings,  dass  die  Tyche  von  Antiochien  nicht 
Lysipp  selbst  sondern  seinem  Schüler  übertragen  wurde,  könnte  man  schlios- 
sen,  dass  der  Künstler  die  Gründung  Antiochiens  nicht  mehr,  oder  nicht 
mehr  in  voller  Schaffenskraft  erlebt  habe. 


40  BEITRAEGE   ZUR   GRIECHISCHEN   IKONOGRAPHIE 

G.  G.  K.  1.  S.  251.  383;  Löwy  L  G.  B.  94.  487.  492;  Athen. 
Mittheilungen  X  S.  149);  sicher  ist  es'' für  Bryaxis,  bei  dem  äus- 
serlich  die  Bedenken  am  ersten  begründet  wären.  Aber  da  er  noch 
bei  der  Gründung  Antiochiens  die  Apollostatue  für  das  neu  er- 
richtete Heiligthum  in  Daphne  (')  ausführte,  liegt  kein  Grund  vor, 
ihn  nicht  auch  die  Erhebung  des  Seleukos  zum  König  erleben  zu 
lassen.  Unsere  Büste  stellt  Seleukos  in  einem  Alter  von  minde- 
stens vierzig  Jahren  dar ;  die  Kopfbinde  beweist,  dass  er  schon 
König  war,  als  dies  Bildniss  gemacht  wurde.  Die  Möglichkeit 
dasselbe  Biyaxis  zuzuschreiben  wäre  also  da,  doch  sehe  ich  nichts, 
was  besonders  für  diesen  spräche.  Dagegen  kann  ich  nicht  umhin, 
eine  grosse  Verwandtschaft  der  Büste  mit  dem  Apoxyomenos  her- 
vorzuheben. Es  ist  ja  allerdings  schwer,  ein  Porträt  mit  einer 
Idealfigur,  einen  gealterten  Mann  mit  einem  blühenden  Jüngling 
zu  vergleichen,  aber  trotzdem  finde  ich  in  der  eigentümlichen 
Haltung  des  Kopfes,  der  Bildung  der  Augen,  vor  allem  in  derje- 
nigen der  Haare  eine  so  grosse  Aehnlichkeit,  dass  ich  die  Frage 
aufzuwerfen  wage,  ob  wir  nicht  in  dieser  Büste  eine  Wiederholung 
desselben  Werkes  des  Lysipp  besitzen,  dessen  einst  in  Kom  be- 
findliche zweite  Kopie  uns  durch  die  erhaltene  Inschrift  bekannt 
ist.  Wie  man  aber  auch  hierüber  und  die  versuchte  Benennung 
urteilt,  eines  zeigt  der  Vergleich  mit  dem  Lysippischen  Werke 
klar :  die  Herkulanische  Büste  ist  in  der  That  ein  Königsbildniss 
aus  der  ersten  Diadochenzeit. 
Athen. 

Paul  Wolters. 


(1)  Der  Ausweg,  den  Brunn  vorschlägt,  diese  Statue  schon  aus  Anti- 
gonia  stammen  zu  lassen,  scheint  mir  wegen  des  persönlichen  Verhältnisses 
des  Seleukos  zum  Apollokult  im  allgemeinen  wie  zu  diesem  Heiligthum  im 
besonderen  (0.  Müller,  Kunstarchäologische  Werke  V  S.  43.  Libanios  I  S.  302 
Keiske)  nicht  möglich ;  aber  auch  wenn  wir  ihn  einschlagen,  müssen  wir  die 
Lebenszeit  des  Bryaxis  bis  nahe  an  die  Seleukidenära  ausdehnen.  Klein's 
Leugnung  der  ganzen  Nachricht  (Mittheilungen  aus  Oesterreich  V  S.  96,  30) 
scheint  mir  nicht  berechtigt. 


ANTICHITA  DI  MONTE  CITORIO 


II  monte  Citorio,  dove  sorge  la  grandiosa  fabbrica  della  Curia 
Innocenziana,  ora  palazzo  del  Parlamento,  ha  attirato  l'attenzione 
dei  topografi  fin  dal  secolo  XV  e  XVI.  Molti  lo  credevano  una 
collina  naturale,  altri  rigettando  giustamente  questa  opinione  hanno 
sfoggiato  molta  dottrina  per  spiegarne  la  formazione.  Generalmente 
a  causa  della  denominazione  mons  Citatorius  o  Accepiorius  da- 
tagli  nel  medio  evo  fu  creduto  stare  in  relazione  con  i  comizi  o  i 
septi.  L'unico  avanzo  allora  visibile,  il  tronco  di  una  enorme  co- 
lonna  di  granito  rosse  sporgente  fuori  del  suolo  quasi  sei  metri, 
per  conseguenza  fu  spiegato  come  la  columna  eitatoria  che  avesse 
servito  per  affiggervi  citazioni  giudiziarie  e  bandi  di  magistrati. 
Altri  assurdamente  lo  ritenevano  per  un  argine  fatto  per  repri- 
mere  le  inondazioni  del  Tevere:  infine  nella  bocca  del  volgo  nöl 
XVI  correva  la  favola,  essere  stata  terra  con  cui  Agrippa  empi 
la  Rotonda  per  fabbricarvi  sopra  la  cupola  (Nardini  R.  A.  III  p.  83 
ed.  Nibby). 

Tutte  queste  opinioni  erano  prive  del  fondamento  necessario, 
cioe  di  ricerche  nel  suolo  dell'antica  cittä.  Tali  ricerche  non  fiu'ono 
fatte  nemmeno  nella  prima  metä  del  secolo  XVII,  quando  il  Ber- 
nini cominciö  ad  erigervi  un  suntuoso  palazzo  per  la  famiglia  Ludo- 
visi,  e  furono  corainciate  soltanto  circa  il  1700  sotto  Innocenzo  XII 
e  demente  XI,  quando  si  terminö  il  palazzo  Ludovisi  per  opera 
di  Carlo  Fontana.  Nel  1703  e  1704  fu  sterrata  la  sudetta  colonna 
di  granito  e  ne  fu  scoperto  il  basamento.  I  commenti  perö  fatti 
dagli  scienziati  contemporanei  mirano  piuttosto  a  problemi  anti- 
quari  e  cronologici,  mentre  per  le  questioni  topografiche  le  notizie 
finora  conosciute  erano  assai  scarse.  Ciö  diventa  chiaro  giä  dai 
molti  dubbi,  con  cui  parlano    anche  i  topografi   moderni    dell'an- 


42  ANTICHITA   DI   MONTE   CITORIO 

tico  stato  della  zona  fra  Piazza  Colonna  e  l'obelisco  solare  di 
Aiigusto;  dubbi,  i  quali  almeno  in  parte  saranno  schiariti  dalle 
notizie  pubblicate  nelle  pagine  seguenti. 

1.  La  colonna  del  Divo  Pio. 

Quando  si  constatö  per  gli  scavi  del  1703,  che  sotto  la  co- 
lonna chiamata  citatoria  esisteva  in  uno  stato  abbastanza  ben 
conservato  il  basamento  con  la  sua  iscrizione  e  rilievi  figurati, 
qiiesta  scoperta  inattesa  diede  origine  ad  una  lunga  serie  di  pub- 
blicazioni  (').  Gli  antiquari  del  secolo  XVII  avevano,  da  certi  tipi 
monetär!,  la  conoscenza  di  una  colonna  dedicata  al  Divo  Pio,  ma 
essi  la  ritennero  erroneamente  per  identica  a  quella  tuttora  esi- 
stente  in  piedi:  e  siccome  i  rilievi  di  quest'ultima  raffigurano  i 
fatti  della  guerra  Marcomannica,  cosi  avevano  formato  la  strana 
teoria,  che  la  colonna  di  Piazza  Colonna  fosse  cominciata  in  onore 
del  Divo  Pio,  ma  terminata  soltanto  da  Marco  Aurelio  o  da  Com- 
modo.  AUora  essi  si  videro  costretti  ad  abbandonare  le  loro  teo- 
rie  e  con  molta  erudizione  vollero  constatare  l'identitä  del  mo- 
numento  recentemente  scoperto  con  quello  conosciuto  dalle  mo- 
nete,  e  spiegar  minutamente  i  rilievi  rappresentanti  l'apoteosi  di 
Paustina,  e  le  decursiones  funebres.  Del  ritrovamento  stesso  la 
maggior  parte  dei  libri  pubblicati  park  come  di  una  cosa  abba- 
stanza conosciuta  ed  in  termini  generali. 

Intorno  allo  scoprimento  ed  al  trasporto  della  colonna  si  co- 
nosceva  giä  una  relazione  abbastanza  estesa,  quella  pubblicata  dal 
Cancellieri  (Effemeridi  lett.  di  Roma  II,  1821  p.  214-236):  egli 
la  trasse  dalle  Miscellanea  del  cardinal  Garampi,  e  ne  ritenne 
per  autore    l'abate    Francesco    Valesio,   diligentissimo    ricercatore 


(1)  Fr.  Bianchini  de  Kaiendario  et  cyclo  Caesaris  dissertationes  duae, 
quibus  inseritur  descriptio  et  explanatio  basis  in  Gampo  Martio  nuper  de- 
tectae  sub  Columna  Antonino  Pio  olim  sacra.  Romae,  1703,  fol. ;  Lettera 
del  sig.  Michelagnolo  de  la  Chausse  ....  in  cui  si  fa  parola  della  Colonna 
nuovaniente  trovata  in  Eoma  nel  Campo  Marzo  .  .  .  data  in  luce  da  Niccolö 
Bulifoni,  Napoli  1704  ;  Journal  de  Trevoux  1704  Sett. ;  Seconda  lettera 
del  sig.  M.  A.  de  la  Chausse  .  .  .  Napoli  1705  ;  lo.  Vignoli  de  columna  Im- 
peratoris  Antonini  Pii,  Romae  1705.  4;  Journal  des  Savans  XXXII  (1704) 
p.  542,  XXXm  p.  785  ;  Ap.  Zeno  Giornale  de'  letterati  t.  Vm  p.  12. 


ANTICHITA    DI    MONTE    CITORIO  43 

degli  avvenimonti  romani  del  suo  tempo.  Confrcntando  perö  qnesta 
relazione  pubblicata  con  i  diarii  autografi  del  Valesio  conservati 
neH'archivio  Capitolino,  m'avvisai  presto  che  essa  non  possa  es- 
sere  desunta  da  quegli  Ultimi.  Che  nei  casi  di  discrepanza  la  Ga- 
rampiana  si  debba  considerare  conie  meno  autentica,  giä  si  rico- 
nosce  da  uno  sbaglio  cronologico  grossolano,  e  che  rende  con- 
fuso  tutto  il  racconto :  sono  attribuiti  al  luglio  e  settembre  del- 
l'anno  1704  cose  accadute  nel  1705,  vale  a  dire,  l'autore  racconta 
Toperazione  come  felicemente  riuscita  e  torna  poi  a  descrivere 
minutamente  i  vari  tentativi  fatti  dopo  la  prima  operazione  non 
riuscita.  Vi  sono  altre  ragioni  che  m'inducono  a  ritenere  per  autore 
della  relazione  Garampiana  non  il  Valesio,  ma  uno  dei  concorrenti 
con  gli  architetti  Fontana,  essendo  che  questi  Ultimi  vengono 
giudicati  in  un  modo  assai  sfavorevole,  mentre  tali  tendenze  ostili 
sono  affatto  estranee  alle  notizie  originali  del  Valesio.  Ed  e  da 
notare,  che  quei  passi,  ove  l'autore  della  relazione  stampata  parla 
di  se  stessö  ('),  non  trovano  riscontro  nel  Diario  Capitolino.  Si 
potrebbe  per  mezzo  delle  notizie  di  questo  diario  tessere  l'intera 
storia  di  quell'avvenimento,  che  desto  grandissimo  Interesse  in  tutta 
la  popolazione  di  Koma  e  fuori :  siccome  perö  tale  racconto  oltre- 
passa  i  limiti  del  nostro  BuUettino,  cosi  pubblico  soltanto  per 
darne  un  saggio,  le  prime  notizie,  aggiungendovi  poi  quelle  che  ci 
danno  qualche  particolare  archeologico  intorno  al  monumento. 

La  prima  notizia  si  trova  nel  diario  sotto  la  data  del  25  set- 
tembre 1703: 

Nel  giardino  de  PP.  di  Monte  Citorio  si  vedeva  sopra  terra  eretta 
Testremitä  d'una  gran  colonna  di  granito  Orientale  reputata  da  molti  autori 
falsamente  la  supposta  colonna  citatoria,  nel  passato  pontificato  d'Innocenzo  XII, 
allhora  che  fabric5  ivi  appresso  la  Curia,  si  divulgo  che  sarebbe  stata  cauata 
e  portata  suUa  piazza  della  med*.  Curia,  il  che  non  segui,  hora  S.  B.  la  fa 


(i)  P.  es.  p.  11:  'al  1  di  ottobre  (1705)  essendo  io  stato  introdotto 
per  trascrivere  i  caratteri  greci  che  nella  testa  e  piede  di  detta  colonna  si 
ritrovano  .  .  .  ecc. '  II  diario  Capitolino  sotto  questa  data  riferisce  diversi 
fatti,  senza  accennar  menomaniente  alla  cöpia  dell'iscrizione  greca,  la  quäle 
invece  si  trova  giä  riferita  nel  settembre  del  1704.  Puo  essere  perij  benissimo 
che  il  Garampi  abbia  tratto  questa  relazione  dalle  carte  del  Valesio,  essendo 
noto  come  quest'ultimo,  oltre  a  compilar  lui  stesso  delle  notizie,  fu  anche 
raccoglitore  di  diarii  compilati  d'altrui. 


44  ANTICHITÄ    DI   MONTE    CITORIO 

scoprire  tutta,  ed  b  stata  ritrouata  alta  palmi  67  et  la  base  guasta  posta  al- 
l'istesso  piano  di  Piazza  Colonna  e  disopra  v'e  intagliato  in  lettere  greche 
Traiano  Augusto,  la  base  l'hanno  scoperta  nella  casa  che  h  quasi  a  mezzo 
il  vicolo  che  b  alle  radici  del  Monte  Citorio  che  viene  da  una  banda  for- 
mato  dal  muro  del  monastero  delle  monache  di  Campe  Marzo  (>). 

Segue:  Martedi  4  dicembre  1703. 

Si  h  cessato  di  cavare  la  colonna  dedicata  ad  Antonino  in  Monte  Ci- 
torio, essendo  stato  scoperto  digiä  tutto  il  basamento,  e  si  aspetta  l'ordine 
di  S.-  B.  per  porre  mano  a  cavarla  fuori. 

Dopo  aver  riferito  (1704,  maggio  5,  giugno  23)  di  diversi 
preparativi  relativ!  al  trasporto  della  colonna,  il  Valesio  aggiunge 
(mercoledi  13  agosto): 

E  stato  hoggi  misurato  il  sito  ch'e  dietro  la  fontana  di  Trevi,  medi- 
tando  S.  B.  di  formare  a  quella  acqua  una  sontuosa  facciata  e  porvi  la  gran 
colonna  Antonina  di  Moi\te  Citorio  e  formare  avanti  la  detta  fontana  una 
spaziosa  piazza  con  tirare  quella  addietro  a  filo  della  chiesa  della  Madonna 
de'Crociferi  {^). 

La  stessa  notizia  si  ripete  sotto  il  giorno  28  agosto :  il  giorno 
30  sett.  (martedi)  il  cronista  riferisce: 

Essendosi  compito  il  castello  per  togliere  la  famosa  colonna  Antonina 
di  Monte  Citorio,  in  breve  si  farä  l'operazione  di  calarla,  e  digiä  sono  stati 
fatti  cancelli  dirimpetto  all'offizii  de  notari  del  vicario  allo  spazzo  delle  case 
demolite,  d'onde  deve  uscire  la  colonna  per  rimuovere  il  concorso  del  popolo 
in  tempo  della  operazione. 

(1)  Intorno  al  tempo  della  scoperta  si  veda  Bianchini  de  calendario  et 
cyclo  Caesaris  p.  72:  dum,  huiusce  lucuhrationis  de  calendario  et  cyclo  Gae- 
saris  postrema  folia  pra'elo  subduntur  per  faustam  diera  IX  kal.  Decemhris 
qua  literarii  munusculi  nuncupatio  optima  principi  ojferebatur  natalitii 
titulo  indulgentius  excipienda,  aut  excusanda,  felici  admodum  eventu  con- 
tigit,  ut  e  ruderibus  ad  palmos  quadraginta  cum  solo  egestis  in  lucem  edu- 
catur  antiqua  basis,  columnae  adhuc  supposita.  I  moderni  in  parte  attri- 
buiscono  il  ritrovamento  al  1704  (Canina,  edifizi  III  p.  127),  altri  secondo 
l'autoritä  del  Ficoroni  [Gemmae  ant.  litt.  p.  112)  al  1705. 

(2)  II  Cancellieri  p.  226,  citando  dairAppendice  della  Biblioteca  Fir- 
miana  (Milano  1783  p.  127j  il  passo  seguente:  '  questa  insigne  colonna  .  .  . 
fu  dissotterrata  a  Monte  Citorio  nel  1704,  e  nel  1707  dovevasi  .  .  .  erigere 
nella  Piazza  di  Trevi,  coH'opera  del  celebre  architetto  Francesco  Fontana. 
Ma  ciü  poi  non  succedette,  attesa  la  ristrettezza  in  cui  allora  trovavasi  Ferario 
Pontiflcio  '  aggiunge  :  '  ma  siccome  alla  fontana  di  Trevi  non  v'ha  piazza  capace 
per  esservi  situata,  si  sarä  piuttosto  pensato  di  situarla  sulla  piazza  delle 
terme  Diocleziani,  dal  volgo  chiamato  Piazza  di  Termini '.  La  notizia  del 
Valesio,  oltre  a  rifiutare  i  dubbi  del  Cancellieri,  aggiunge  un  particolare  quasi 
dimenticato  intorno  ai  progetti  edilizi  di  Clcmente  XI. 


ANTICHITA    DI    MONTE    CITORIO  45 

La  prima  operazione,  fatta  i  giomi  15  e  18  ottobre  1704, 
non  riusci,  essendo  il  castello  troppo  debole  per  sostenere  un  peso 
tanto  enorme  (Cancellieri  p.  216).  II  Valesio  aggiunge  in  questa 
occasione  una  descrizione  della  colonna  e  del  basamento,  che  non 
sarä  inutile  di  riprodurre,  essendo  fatto  prima  che  molteplici  ri- 
stauri  fossero  aggiunti  alle  scolture. 

'  P^  qualche  ragguaglio  di  questa  tanto  mentovata  colonna,  e  ella  com- 
composta  di  granito  rosso  Orientale  di  un  sol  pezzo  d'altezza  palmi  66  e 
mezzo,  e  di  grossezza  p.  26  e  3  quarti  con  diametrö  di  palmi  8  e  mezzo.  Un 
frammento  del  capitello  ritrovato  sotto  terra  pare  indichi  essere  stata  d'ordine 
Toscano.  L'iscrizione  che  vi  si  legge  nella  cima  con  lettere  greche  TQuittvog  di- 
mostrano  che  portata  costä  nö  impiegata  dal  medesiino  imperatore  fosse  driz- 
zata  da  M.  Aurelio  e  L.  Vero  ad  Antonino  Pio  dopo  la  consecrazione  deno- 
tando  ciö  l'iscrizione  Divo  Antonino  Aug.  Pio  Antoninus  Augustus  et  Verus 
Augustus  filii.  —  E  verisimile  sia  stata  eretta  prima  dell'altra  nella  quäle 
sono  scolpiti  i  fatti  di  M.  Aurelio,  si  perchö  vi  voleva  del  tempo  per  le  istorie, 
come  perchfe  quella  h  dedicata  dal  solo  M.  Aurelio  e  questa  da  ambidue.  E 
verisimile  questa  essere  quella  scolpita  nella  medaglia  d'Antonino  con  la 
iscrizione  Divo  Pio  essendo  liscia.  La  cimasa  del  piedistallo  h  ornata  di  bel- 
lissimi  fogliami.  Nel  lato  principale  verso  il  mausoleo  d'Augusto  v'ö  l'iscri- 
zione, nell'opposto  v'e  l'apoteosi  con  figure  assai  consumate  e  di  buona  ma- 
niera.  Vedesi  nel  mezzo  un  giovane  alato  con  ali  distese  in  atto  di  volare, 
tiene  con  la  destra  un  panno  svolazzante,  che  gli  serve  di  mantello,  porge 
con  la  sinistra  un  globo  stellato  con  una  mezza  luna  e  la  fascia  traversale 
del  zodiaco  sopra  cui  sono  scolpiti  gli  segni  de'pesci  e  dell'ariete.  Ergesi  un 
serpe  con  tortuosi  giri  intomo  ad  detto  globo,  porta  il  giovane  sulle  spalle 
Antonino  e  Faustina,  quello  con  lo  scettro  in  mano  nella  di  cui  sommitä  h 
un'aquila,  questa  col  velo  in  testa  in  segiio  della  consecrazione.  Veggonsi  in 
alto  due  aquile,  una  per  parte  con  ali  distese,  siede  di  sotto  a  raano  dritta 
Roma  galeata,  e  stende  una  mano  verso  il  giovane  alato  accennando  col  dito 
appoggiato  con  il  sinistro  braccio  ad  uno  scudo  ove  e  effigiata  la  lupa  con 
Romolo  e  Remo,  dall'altra  parte  un  giovane  seminudo  giacente  che  abbraccia 
con  la  sinistra  un'obelisco  e  porge  la  destra  ha  manca,  al  di  fuori  sotto  il 
giovane  alato  scorgonsi  diverse  armi,  elmi  e  faretre,  dalle  due  bände  che 
sono  simili  rappresentasi  qualche  spedizione  o  decursione  del  medesimo  im- 
peratore, sono  le  flgure  assai  maltrattate  da  tempo  e  da  barbari. 

Trascorse  un  anno  intero  prima  che  si  tornasse  a  ripetere  1' opera- 
zione. Avendo  i  piü  celebri  meccanici  dato  il  loro  parere  et  essendo 
secondo  tali  consigli  rinforzate  le  macchine  fu  effettuato  il  tra- 
sferimento  nei  giomi  24  e  25  settembre  1705.  Nei  giorni  seguenti 
sino  alla  fine  dell'ottobre  fu  calata  la  colonna  in  piazza  di  Monte 


46  ANTICHITA   DI   MONTE    CITORIO 

Citorio,  ed  estratto  il  basamento  insigne  per  le  sue  sculture  ('). 
Sopra  alcuni  trovamenti  fatti  in  questa  occasione,  il  Valesio  rife- 
risce  come  segue: 

Sabato  17  ottobre.  Fu  questa  raattina  con  rintervento  di  itiolti  perso- 
naggi  fatta  dal  cav.  Franc.  Fontana  Toperazione  di  tirare  al  piano  della  strada 
il  piedestallo  della  Colonna  Antonina  alla  forma  che  si  legge  descritta  nel- 
l'annessa  relazione,  restando  delusi  coloro  che  credevano  dovervisi  ritrovare 
sotto  qualche  numero  di  medaglie,  se  pure  non  sono  tra  il  medesimo  et  il 
primo  piano  della  platea  di  trevertino  che  attaccato  adesso  con  perni  im- 
piombati  e  venuto  fuori  unito  al  medesimo. 

Venerdi  30  ottobre.  Cavandosi  gli  travertini  che  erano  sottoposti  alla  co- 
lonna Antonina,  fra  il  primo  piano  di  essi  et  il  secondo  vi  si  b  ritrovata,  forse 
acciö  havesse  il  piano  perfetto,  calce  bianca  freschissima,  si  come  tra  il  2°  et 
il  masso  durissimo  del  fondamento  composto  di  scaglie  di  pietra  e  calce  vi 
si  e  ritrovata  quantita  di  pozzolana  fina.  Gli  travertini  vengono  cavati  e  por- 
tati  SU  la  piazza  di  Monte  Citorio. 

Le  vicende  ulteriori  della  colonna,  la  quäle  dopo  essere  stata 
riposta  per  molto  tempo  in  un  angolo  della  strada  presso  la  Curia 
Innocenziana  fu  da  un  incendio  nel  1764  danneggiata  in  modo  che 
i  pezzi  servirono  per  risarcire  l'obelisco  di  Monte  Citorio,  sono 
raccontate  da  altri  e  non  vorrei  ripeterle.  Piü  importante  per  la 
topografia  antica  e  il  definire  esattamente  il  sito  del  monumento 
di  Pio.  Nö  il  Bianchini,  ne  il  Vignoli  hanno  aggiunta  alle  loro 
dissertazioni  una  pianta  icnografica  dei  siti  allora  scoperti.  L'unico 
autore  del  secolo  passato  che  ne  abbia  data  una  e  il  Piranesi.  Egli 
indica  la  '  situazione  antica  della  colonna  dell'Apoteosi  di  Antonino 
e  Faustina  ',  come  pure  la  '  casa  del  sig.  Carlo  Eustachio,  a  tempi 
di  papa  demente  XI  prima  che  fosse  demolita  per  comodo  di  estrar 
questa  colonna  '  (e  quella  casa  che  forma  1' angolo  della  piazza  di 
Monte  Citorio  con  la  via  degli  üffizi,  e  sta  all'incontro  del  palazzo 


(1)  Furono  pubblicate  da  Francesco  Posterla  romano  una  Eelazione  di 
quanto  si  e  operato  per  l'innalzamento  ed  abbassamento  deU'antica  Colonna, 
Antonina  trovata  nel  Campo  Martio  (Roma  1702,  4,  pp.  8),  ed  una  Relazione 
di  quanto  si  h  operato  nel  trasporto  deU'antica  Colonna  Antonina,  e  nell'ele- 
vazione  della  sua  base  e  sottozoccolo  (id  id.).  Di  arabedue  si  trova  un  esem- 
plare  fra  le  collettanee  del  Valesio.  Secondo  il  Cancellieri,  queste  relazioni 
si  trovaTio  ripetute  nella  seconda  edizione  dell'opera  di  Carlo  Fontana,  discorso 
sopra  l'antico  Monte  Citatorio  (Roma  1708,  fol.),  edizione  da  me  invano  ricer- 
cata  nelle  maggiori  biblioteche  di  Roma. 


ANTICHITA    DI   MONTE    CITORIO 


47 


della  Missione).  Nonostante  l'apparente  precisione  quest'indica- 
zione  (')  del  Piranesi  e  affatto  sbagliata:  ciö  che  non  e  superfluo  di 
annotare  espressainente,  perche  aiitori  moderni  (p.  es.  il  Reber,  Ruinen 
Roms  p.  266)  sono  indotti  in  dubbio  dall'autoritä  del  Piranesi, 
il  quäle  d'altronde  non  si  mostra  testimonio  esatto  intorno  a  ritro- 
vamenti  fatti  a  Monte  Citorio.  Rimarrebbe  come  testimonio  unico 
la  grande-veduta  deU'innalzamento  incisa  in  rame  dal  Westerhout 
(Piranesi  Campo  Marzio  tav.  XXXIII)  e  pare  che  di  questa  si  sia 
servito  il  Canina  per  stabilire  il  posto  del  monumento.  Ma  siamo 
in  grado  di  definirne  il  sito  con  molta  piü  precisione  mediante  un 
documento  inedito. 


C\A«/rrf»vwo   (Aw  St<^:  Cow/Cv 


1 1 1 1 1 1 1  r  I  I  II  t"  ''''^- 


II  codice  Chigiano  P,  VI,  10  a  foglio  16  contiene  un  progetto 
per  la  casa  dei  padri  della  Missione  fatto  sotto  Alessandro  VII, 


(})  La  crederei  proveniente  da  questo  passo  del  Nardini :  '  Nella  casa 
del  sig.  Carlo  Eustachi  incontro  al  monastero  di  Monte  Citorio  h  una  gran 
colonna  antica  la  piü  parte  sotterra  '  (Nardini  III  p.  85  ed.  Nibby),  ove  il 
Piranesi  ha  frainteso  la  parola  incontro. 


48  ANTICHITA    DI    MONTE    CITORIO 

riprodotto  qui  appresso  (^)  come  unico  documento  dello  stato  ante- 
riore di  questo  sito,  totalmente  trasformato  per  le  fabbriclie  del 
secolo  XVIII.  II  '  vicolo  incontro  a  S.  Biagio  '  corrisponde  all'at- 
tuale  via  della  Missione  (-) ;  il  '  vicolo  comune  col  cancello  ',  che  ora 
e  chiuso  da  una  casupola,  ancora  si  scorge  sulla  pianta  del  NoUi, 
ove  pure  sono  segnate  le  proprietä  Marescotti  e  Paloinbara.  Met- 
tendo  per  conseguenza  la  colonna  distante  palmi  175  =  m.  39 
dalla  via  della  Missione,  e  palmi  62  =  m.  14  dal  detto  vicolo, 
essa  si  trova  piü  di  40  metri  distante  dal  posto  assegnatogli  dal 
Canina,  e  nel  bei  mezzo  dello  stadio  da  lui  ideato  delle  Equirrie, 
che  ne  si  trova  menzionato  negli  autori  antichi,  ne  puö  avere 
mai  esistito. 

2.  Edifisio   antico  scoperto  nel  17  03 
sotto  la  casa  della  Missione. 

Mentre  la  scoperta  della  colonna  Antonina,  come  abbiamo 
veduto,  ha  dato  luogo  a  molte  pubblicazioni,  un  altro  ritrovamento 
fatto  negli  stessi  dintorni  e  nella  medesima  epoca  e  stato  osser- 
vato  da  pochi  contemporanei,  e  le  notizie  da  loro  prese  rimasero 
sconosciute  a  tutti  i  topografi  della  Roma  antica. 

II  Valesio  in  data  di  mercoledi  29  agosto  1703  riferisce  come 
segue : 

Gli  PP.  della  Missione  nel  cavare  gli  fondamenti  della  nuova  habita- 
tione  che  aggiungono  in  Monte  Citorio  tirandosi  in  dentro  e  slargando  la 
strada  che  cala  dal  detto  monte  verso  il  Campo  Marzo,  oltre  quantitä  di  gran- 
dissimi  travertini  vi  hanno  ritrovati  intieri  gli  stipiti  e  traversa  di  una  gran 
porta  di  marmo  gentile  e  d'esquisito  lavoro,  indizio  certo  che  ivi  fosse  qual- 
che  fabbrica  cospicua. 


(1)  II  presente  schizzo,  in  proporzione  molto  ridotta,  non  affetta  a  dare 
esattamente  i  particolari  dell'architettura  interiore  delle  case  rappresentatevi. 
Invece  del  nome  Bonisi  vi  si  deve  leggere  ßonnesi. 

(2)  La  chiesetta  di  S.  Biagio  (vedasi  Gigli  presso  Cancellieri,  piazza 
Navona  p.  35  not.),  che  scomparve  per  dar  luogo  aH'ingrandiraento  della  Curia 
Innocenziana,  si  trova  indicata  nella  pianta  prospettica  del  Falda  (1670):  da 
ciö  si  scorge  come  stesse  quasi  all'incontro  dei  numeri  moderni  1  A  e  2.  E 
strano  che  il  Bufalini  la  metta  proprio  nel  lat  >  opposto,  a  sinistra  della  Via 
della  Missione. 


ANTICHITÄ    DI    MONTE    CITORIO  40 

Una  seconda  notizia  si  trova  il  martedi   22  gennaio  1704 : 

Cavando  gli  PP.  della  Missione  in  Monte  Citorio  dirimpctto  agli  Offizii 
de  notari  del  Vicario  gli  fondamenti  della  nuova  fabbrica  per  cui  slargano 
la  strada,  hanno  trovata  in  essi  una  lunga  platea  di  gran  trauertini  che  per 
obliquo  passa  sotto  la  strada  verso  gli  offizij  de  Notari,  e  niostra  di  essere 
stata  fabbrica  grande  e  magnifica,  che  faceva  facciata  avanti  la  grau  colonna 
che  meditft  d'inalzare  S.  B.,  e  forse  sono  vestigij  della  Basilica  di  Antonino 
e  gli  detti  Padri  hanno  incominciato  di  giä  a  cavare  detti  travertini. 

Non  puö  esservi  dubbio  che  Topera  della  distruzione  fosse  com- 
piuta  con  la  proutezza  ed  energia  pur  troppo  usuale,  di  modo  che 
presto  si  spense  ogni  memoria  di  tale  ritrovamento.  Ne  basterebbero 
le  scarse  notizie  del  Yalesio  per  darci  un'idea  della  «  fabbrica  cospi- 
cua  " .  Ma  a  tale  difetto  per  Ventura  rimedia  un  documento  da  me 
scoperto  nella  biblioteca  capitolare  di  Verona. 

Fra  i  meccanici  invitati  a  dare  il  loro  consiglio  per  l'estra- 
zione  della  colonna  Antonina,  v'era  pure  il  celebre  Francesco  Bian- 
chini  (').  Egli  profittö  di  quest'occasione  per  prendere  notizie  esatte 
delle  antichitä  ivi  ritrovate,  e  concepi  il  disegno  d'illustrare  in 
un'opera  particolare  le  antichitä  del  Monte  Citorio.  Di  quest'o- 
pera,  che  per  ragioni  a  me  sconosciute  non  e  stata  mai  condotta 
a  termine,  il  codice  Veronese  356  contiene  parecchi  abbozzi  {^). 
L'autore  ha  per  piü  volte  cambiato  il  titolo  e  la  disposizione  del- 
l'opera;  quella  che  ha  l'apparenza  piü  definitiva  e  la  seguente: 

«  De  clivo  Citorio  sive  aggere  Campi  Martii  et  de  columnis  veterum 
memorabilibus  libri  duo.  In  priori  agitur :  De  aggere  seu  tuinulo  (clivo)  Campi 
Martii,  quem  vulgo  Citorium  appellant:  de  ustrino  Caesarum  ac  de  Columna 
Antonini  cognomento  Pii,  inde  nuper  extracta:  et  de  coUectis  atque  litaniis 
Christianorum  hoc  in  loco  institutis  ad  abolendas  ethnicorum    superstitiones. 

«  In  secundo  exponuntur  tria  genera  columnarum  memorabilium  apud 
antiquos  et  cuiusque  generis  origo  usus  conexio  cum  historia  sacra  et  pro- 
phana,  quarti  praesertim  et  quinti  saeculi  aerae  Christianae  ». 


(')  Le  '  considerazioni  teoriche  e  pratiche  intorno  al  trasporto  della  Co- 
lonna d'Antonino  Pio  collocata  in  Monte  Citorio  '  (Roma  1704,  parte  I  e  II, 
pp.  52  in  4,  con  due  tavole)  pubblicate  per  questo  scopo  dal  Bianchini,  non 
si  occupano  dei  ritrovamenti  di  cose  antiche.  Nfe  viene  ad  aumentare  il  nostro 
materiale  il  codice  Veronese  438,  contenente  una  quantita  di  appunti  e  di- 
segni  appartenenti  alle  sudette  '  considerazioni  \ 

(2)  II  codice  Veronese  441  contiene  una  copia  dei  capitoli  3  e  4  del  libro 
primo,  fatta  da  uno  scrivano  abbastanza  imperito ;  essa  manca  oltracciö  di  ogni 
disegno  e  pianta. 

4 


50  ANTICHITA    DI    MONTE    CITORIO 

Capita  libri  Primi. 

I. 

«  De  ornamentis  Campi  Martii,  et  de  superstitiosis  ethnicorum  sacris 
olim  in  eo  peractis  «. 

n. 

«De  indigitamentis  Heroum,  seu  divorum  indigetum  apotheosibus  in 
Campo  Martio,  iuxta  regis  Numae,  aliorumque  veterum  Romanorum  errores ; 
ac  de  loco  Indigetorio,  sive  Indecitorio  nee  non  de  aggestu,  ethymologia  et 
egestione  tumuli,  seu  clivi,  quem  vulgo  Citorium  appellant,  eiusque  topogra- 
phica  descriptione  ». 

m. 

u  De  institutione  Litaniae  et  collectae  Christianorum  in  Campo  Martio, 
ad  titulum  S.  Laurentii  in  Lucina  post  eversas  ethnicorum  superstitiones. 
Kursus  agitur  de  apotheosi  principum  ethnicorum  celebrata  in  hac  parte 
campi :  in  qua  parietinae  ac  rudera  nuper  egesta  ichnographiam  et  orthogra- 
phiam  ustrini  Caesarum  indicabant.  Utraque  figuris  exhibetur,  et  confirmatur 
ex  aliis  veteribus  monumentis  rogi  et  ustrini  ». 

IV. 

«  De  occasione  arrepta  post  obitum  Magni  Theodosii  ex  Gothorum  in- 
cursu  per  ethnicos  ad  tentandum  in  Campo  Martio  restitutionem  superstitionis 
et  de  Providentia  principum  christianorum  in  eisdem  superstitionibus  excin,- 
dendis  n. 

I  difetti  derivanti  dallo  stato  non  compito  dell'Qpera  sono 
manifest! :  vi  si  trovano  ripetizioni,  qiialche  volta  anche  contrad- 
dizioni  sui  particolari,  lo  stile  e  prolisso  e  manca  d'eleganza.  Ed 
appunto  perciö  e  indispensabile  che  qui  si  dia  uno  spoglio  com- 
pleto  delle  notizie  topografiche  ed  antiquarie. 

La  prima  parte  di  tali  notizie  si  trova  negli  abbozzi  del  ca- 
pitolo  11  del  libro  primo.  Ivi  l'autore  dopo  aver  ragionato  sopra 
le  indigitamenta  heroum  da  lui  supposte,  prosegue  cosi: 

(p.  8)  «  Praestat  vero  in  ipsius  loci  vestigio  ethnicae  consecrationis  aream 
contemplari.  In  tumulo  quem  Citorium  hodie  nuncupant  iacta  fuerunt  ante  annos 
ferme  LXXX  (')  Ludovisiani  palatii  magniflca  fundamenta,  quibus  ab  Innocen- 
tio  Xn  coemptis  superstructa  est  curia  iis  magistratibus  incolenda  qui  iuri 

(1)  Quest'asserzione  non  e  esatta,  essendo  cominciata  la  fabbrica  del 
detto  palazzo  dal  principe  Nicolo  Ludovisi  nel  1653,  secondo  la  testimonianza 
del  Gigli  (presso  Cancellieri,  piazza  Navona  p.  38  not.). 


ANTICniTA    DI    MONTE    CITORIO  51 

dicundo  praesunt.  Proximae  autem  aedes,  quae  summam  clivi  seu  tumuli  Citorii 
partein  in  hortulum  explicatum  intra  se  claudunt,  ante  annos  circiter  L  tri- 
butae  fuerunt  sacerdotibus  missionum  munera  eo  instituto  obountibus.  Intra 
hortuli  aream  domestico  sacello  adhaerentem  eminebat  columna  Thebano  seu 
Syenitico  saxo  vulgo  granito  Orientale  dimidia  tantum  parte  st)'li  conspicua ; 
nam  reliqua  portio  ad  imum  scapum  cum  basi  et  stylobate  ad  palmos  sexaginta 
infra  hortuli  superficiem  lafebat.  Licet  vero  eruendam  plerique  censerent  sub 
Innocentio,  ad  ornamentum  proximae  curiae,  attamen  impensae  gravitas  obstitit, 
quominus  educ^retur.  Nam  diruendae  fuissent  aedes  non  paucae,  ut  earundem 
per  laxamenta  moles  adeo  ingens  traheretur  ad  ampliorem  aream  curiae,  quae 
tractu  continuo  producitur  ad  cochlidem  columnam  Antoninianam.  Nonnulli 
etiam  opinabantur  eiusdem  cochlidis  meiern  tanta  anaglyphorum  copia  specta- 
bilem  derogaturam  esse  plurimum  pretio  huius  saxi,  nulla  artis  aut  historiae, 
quod  tunc  quidera  appareret,  (memoria?)  illustris,  ruinis  vero  et  incendio  ita 
vexati  et  corrupti,  ut  areae  dignitati  et  curiae  ornamento  aegre  responsurura 
augurarentur.  « 

"  Verum  ex  terrae  concussione,  qua  infirmiora  urbis  aedificia  paulo  ante 
agitata  labem  contraxerant  ('),  prior  illa  difücultas  expensarum  in  diruendis  pro- 
ximis  domibus  sublata  est.  Proximarum  enim  domuum  portio  cum  coiicidisset, 
admonuerunt  arcbitecti,  ut  aliarum  adhaerentium  ruinis  obviam  iretur;  fun- 
dorum  autem  domini,  ac  praecipue  sacerdotes  missionarii  non  tantum  ruinis 
occurrere,  sed  ex  integro  excitare  solidiores  et  laxiores  aedes  curarent.  Tum 
vero  diligentia  et  Studium  maxime  claruit  111.™'  et  R.™'  Praesulis  D."'  Nicolai 
del  Giudice  Vicarii  Praefecti  (2),  qui  occasione  utendum  ratus  compendia  expen- 
sarum in  egestione  per  aedes  a  dominis  iam  disiectis  dum  novas  moliuntur, 
Beatissimo  Patri  ac  D."°  N."""  Clementi  XI  ita  providenter  indicavit  exposuit, 
ut  a  })rincipe  non  minus  studioso  artium  elegantiorum  quam  publicae  felici- 
tatis  et  ornamenti  facile  impetraverit  monumenti  tamdiu  neglecti  curam  et 
restitutionem.  Actum  feliciter.  Sub  columnae  scapo  reperta  est  basis  e  can- 
dido  marmore,  cui  stylobata  subiacebat  amplissima  palmis  16  quaqua  versus 
expansa,  figuris  quoque  apotheoseos  et  dccursionum  et  epigraphe  quattuor  in 
lateribus  insignita.  Interea  etiam  sacerdotes  missionarii  novarum  aedium  fun- 
damenta  iacientes  centum  et  quinquaginta  circiter  palmis  dissita  a  columna 
et  basis  latere  australi,  detegunt  aedificii  quadrati  vestigium  triplici  constans 
praecinctione  ex  lapidibus  Tiburtinis.  Utraque  fabrica  mirum  in  modum  con- 
tulit  ad  Urbis  veteris  partem  banc  praecipuam  illustrandam.  Ut  enim  columnae 
inscriptio  et  figurae  referunt  consecrationem  Antonini  patris  a  Marco  Antonino 
et  L.  Vero  Augustis  filiis  ibi  peractam :  ita  illius  quadrati  operis  praecinctio 
triplex   indicat   bustum   Augustorum    eadem    forma   quadrata   consignata   in 

(')  Intorno  a  questo  terremuoto,  che  spavento  la  citta  dal  Gennaio  al- 
TAprile  1703,  si  veda  Cancellieri,  piazza  Navona  p.  161.  162. 

(2)  '  I  monsignori  del  Giudice  e  Bianchini  erano  loro  svisceratissimi  amici ' 
dice  l'autore  della  relazione  Garampiana  p.  219.  Cf.  Cancellieri  piazza  Na- 
vona p.  269. 


52 


ANTICHITA    DI    MONTE    CITORIO 


numis  Pii  et  reliquorum  principum  post  Antoninos  Romae  imperantibus. 
Subicienda  tarnen  est  oculis  ichnographia  montis,  ut  vocant,  Citorii,  cum  area 
proxima  columnae  cochlidis  et  cum  vestigio  altorius  columnae  ac  basis  nuper 
dotectac,  ncc  non  proximo  cum  ustrino  seu  busto  imncipum,  quae  omnia.lucem 
sibi  invicem  impertiuntur  n . 


«  A  exhibet  vestigium  novae  curiae  Innocentianae  cum  adiacenti  foro  seu 
area  R.  Litera  B  indicat  aedes  Chisianas  ad  viam  curricularem  sive  Hippo- 
dromum  NQ :  quibus  appositum  forum  M  continet  columnam  cochlidem  M.  An- 
tonini gestis  insculptam,  quam  vocant  columnam  Antonini.  Forum  Antoninianum 
cingunt  aedificia  EDC.  Forum  vero  Innocentianum  R  concluditur  aedibus  CFG. 
Proxima  est  missionariorum  sacerdotum  domus  H,  in  qua  sacellum  domesti- 
cum  c  k  ita  obversum  est,  ut  ea  pars  eins ,  cui  campanula  imminet,  subiecta 
habuerit  fundamenta  anguli  g  d  f  eiformati  a  duobus  lateribus  praecinctionis 
externae  et  quadratae  f  d  g  e,  cuius  noütiam  et  dcscriptionem  hie  tradiraus  ». 


ANTICHITA    DI    MONTE    CITORIO  53 

"  Primum  adnotabo  directionem  parietum  huiusmodi  aedificii  cum  utraque 
columna,  deinde  libramentum  ut  appareat  planities  ad  quam  pertinuitn. 

"  Versorium  magneticum  gradus  singulos  distincte  notans  cum  attulissem, 
exploravi  angulum  quem  bases  columnarum  cochlidis  M  et  Pianae  P  cum  acu(?) 
magnetice  excitata  constituebant.  Eeperi  latus  a  b  columnae  Pii  et  latus  h  i 
columnae  Marci  esse  parallela.  Utrumque  enim  cum  versorio  constituit  angu- 
lum graduum  septem  ad  easdem  partes.  Declinat  magiies  hoc  anno  gradus  9 

a Borea  versus  magislrale  seu Quam  [ob  rem]  latera  columnarum  a  b,  hi 

constituunt  angulum  grad.  16  cum  linea  meridiana.  Hisce  lateribus  parallelae 
erant  facies  d  f,  g  e  praecinctionum,  quae  detectae  sunt  in  fundamentis  domus 
missionariorum  hoc  anno  excavatis  et  eodem  anno  exploratis.  Quae  ad  eandem 
aream  pertinuisse  olim  videntur  ex  laterum  parallelismo.  Accedit  observatio 
complanationis  soll  columnae  P  et  praecinctionum  S ,  quam  peritus  magister 
fabrum  a  missionariis  adhibitus  ad  cavandum  et  probandum  opus  novae 
constructionis  aedium  in  loco  g  m,  quae  modo  perficiuntur,  acute  collegit  ex 
aquae  libramento  in  proximis  puteis  conspecto.  Narrabat  enim  se  studiose  me- 
titum  fuisse  depressionem  aquae  infra  planum  basis  columnae  P  ex  proximo 
puteo  et  eodem  libramento  explorasse  superficiem  plani  marmorei  praecinctio- 
num g  f  insistentium  lapidibus  Tiburtinis,  quo  loco  ex  architecturae  legibus 
complanatio  areae  cum  aedificio  apparebat,  quibus  in  vicem  collatis  apparuit 
ad  idem  planum  horizontale  pertinuisse  infimam  basim  columnae  et  infimam 
basira  praecinctionum;  unde  colligitur  referri  ad  invicem  columnam  P  et  prae- 
cinctionem  140  palmis  ab  illa  distantem  et  in  eadem  area  constitutam:  prae- 
sertim  cum  linea  ex  ceniro  columnae  P  ducta  ad  rectos  angulos  cum  proxime 
obverso  latere  praecinctionis  g  d  medium  ipsius  lateris  teneat " . 

II  resto  del  capitolo  non  conti  ene  notizie  utili  al  nostro 
scopo:  ma  il  Bianchini  ritorna  sopra  lo  stesso  argomento  nel  ca- 
pitolo terzo. 

(p.  19)  «Summa  sive  acclivitas  tumuli  Citoriani  aedibus  iisdera  includitur 
proxime  adiacentibus  columnae  nuper  efFossae  in  loco  P  superioris  figurae,  quam 
Antonino  Pio  ab  Augusiis  fratribus  Marco  et  Lucio  positam  post  eiusdem  prin- 
cipis  consecrationem  aperte  docent  litterae  lateri  basis  insculptae  (C.  /.  L. 
VI,  1005): 

DIVO  •  ANTONINO  •  AVG  •  PIO 
ANTONINVS  •  AVGVSTVS  •  ET 
VERVS'AVGVSTVS-FILlI 

"  Praeter  litteras  ita  consignatas  in  ea  superficie  basis  quae  respicit  Au- 
gusti  mausoleum  facies  adversa  ad  australem  et  orientalem  plagam  posita 
continent  anaglyphico  opera  expressam  apotheosim  Divi  Pii  et  Faustinae  eins 
coniugis.  Huic  vero  lateri  ad  ausfrum  praeponitur  quadrata  praecinctio  triplex: 
quae  ad  bustum  principum  pertinere  intelligitur,  si  eiusdem  ichnographia  con- 
feratur  cum  nummis  antiquis  consecrationem  Pii  referentibus  et  aliorum  qui 
post  Pium  imperaverunt.  Expandebatur  enim  aequis  lateribus  quadratura  vesti- 
gium  operis   basi    columnae    parallclum    et  ad  eandem  superficiem  et  aream 


ANTICHITA    DI    MONTE    CITORIO 


n  n  n  f]  fiV| 


antiquitus  complanatum :  cuius   centrurn   S  a   centro  columnae  P  palmis  cir- 
citer  centenis  et  octuagenis  distabat». 

"  Interior  praecinciio  quadrati  huius  vestigii  S  latera  singula  extendebat 
palmis  quinquagenis  (sie).  Intervallum  praecinctionis  intimae  ad  mcdiam  definie- 
batur  palmis  quindecim  cuius  distaniiae  modo  a 
secunda  ad  extemam  intercapedü  constabat.  Verum 
externae  praecinctionis  diversa  erat  structura.  Nam 
paegmata  quadrilatera  ex  lapide  Tiburtino  latus 
eiüsdem  constituebant,  stereobate  infra  supposito  ex 
lapide  Albanensi  nuUa  maceria  suffulto.  At  secundi 
ac  tertii  ambitus  latera  multo  erant  solidiora.  Ti- 
burtino enim  saxo  ad  areae  infimam  partem  e  fun- 
damentis  assurgenti  imposita  fuerant  marmora  ex 
iis  quae  Graeca  dicimus  et  in  parietem  solidum 
connexa  ita  elevari  videbantur  ut  tecto  carerent('). 
Nam  saxa  eiusdem  molis  disiecta  iacebant,  quae  Corona  superius  omata  de- 
finitionem  culminis  indicabant  ex  proiectura  et  sectione  fastigii,  qualia  ferme 
visuntur  (2)  in  rogo  Faustinae  minoris  expresso  in  tabula  Capitolina  (olim  in 
arcu  Portugalliae  dicto  ad  Hippodromum)  cum  eiusdem  Augustae  apotheosi. 
Paulo  rudior  siructura  est  ustrini  ad  viam  Appiam  quinto  ab  urbe  lapide  a 
Roraanarum  antiquitatum  consultissimo  Raph.  abb.  Fabretto  fideliter  explo- 
rata  ac  deliniata  ueterum  inscriptionum  cap.  3°  pag.  231.  [Seguono  schissi 
del  rilievo  Capitolino  e  del  muro  di  cinta  deWustrino  sulla  via  Appia,  che 
sarebbe  inutile  di  riprodurre]  «  cuius  area  quidem  est  amplior,  forma  tamen 
et  materies  non  dissimilis  a  secunda  ex  bis  praecinctionibus  ante  columnam 
detectis:  cuius  latera  singula  palmis  centum  extendebantur.  Intima  praecin- 
ctio  sexaginta  palmis  quaquaversum  patens  nihil 
aliud  habenda  est  quam  fulchrum  sive  basis  cui 
pyra  seu  rogus  in  apotheosi  superstrueretur,  cuius 
flguram  a  se  conspectam  in  consecratione  Severi 
describit  Herodianus  ". 

Segue  un'estratto  lungo  del  passo  di 
Erodiano  lib.  IV  cap.  1  (vedi  sotto  p.  63  not). 
«  Quatemis  igitur  aut  quinis    plerumque 
tabulatis  constabat  rogus,  ut  historicus  et  nummi 
testantur,  quorum  secundo    cum   lectus   funebris 
esset  ab  equitibus   Eomanis   inferendus   per  eam 
anuam  quam  numismata  in  eodem  ostendunt  constructam,  colliguntur  eaedem 
fere  mensurae  quae  ichnographiae  harum  praecinctionum  respondent  n. 


(1)  A  questo  periodo  b  annotato  sul  margine  con  lettere  assai  dubbie: 
"  [hoc  ita]  esse  cognoscimus  ex  canaliculo  sive  excavatione  et  ex  foramine  me- 
dio  in  singulis  [lapid]ibus  insculpto  ». 

(2)  Sul  margine:  in  plcrisque  basibus  aniiquis. 


ANTICHITÄ    DI    MONTE    CITORIO  55 

«  Ita  enim  distributum  videnms  singularum  partium  modum,  ut  extima 
praecinctio  prismatibus  ad  perpendiculum  erectis  imitetur  periphragina  (ita 
a  Strabone  dictum  in  busto  Octaviani  Augusti),  quod  ferreis  repagulis  arcebat 
ab  interiori  peribolo  accedentes  (').  Interiorem  praecinctionem  palmis  centum 
extensam  per  lat«ra  singula,    formatam  ad  auertendum  incendium  in  succen- 


sione  rogi,  referendam  puto  ad  ustrinum :  cuius  medium  tenebat  minor  parastata 
quadrato  vestigio  assurgens  palmorum  circiter  sexaginta.  Huic  vero  pyram  seu 
rogum  superstructum  arbitror  mensuris  aptissime  respondentibus  ad  sustinenda 
quattuor  aut  quinque  tabulata,  quae  ab  inferiori  et  latiori  fulcro  palmorum  cir- 
citer 60  sensim  ascendebat  in  angustiorem  suggestum  :  et  in  secundo  continere 
poterat  lectum  funebrem  ab  equitibus  Eomaiiis  illatum,  cum  palmis  circiter  qua- 
dragenis  aut  quinquagenis  idera  suggestus  patere  posset,  ut  constat  ex  propor- 
tione  ianuae  et  ex  infima  basi  in  nummis  expressa :  donec  ad  supremum  et 
contractius  tabulatum  perveniretur ;  in  quo  cum  videamus  quadrigam  aliquando 
collocatam,  ut  iidem  nummi  demonstrant,  necesse  est  palmis  saltem  vicenis 
quaquaversum  fuisse  explicatum.  Ex  busti  Caesarei  descriptione  quam  Strabo- 
nis  liber  quintus  exponit,  scio  eiusdem  structuram  plerisque  videri  circulari 
forma  praeditam :  nee  inflcior  ustrinum  Augusti  ita  conformari  potuisse,  ut 
Mausolei  figuram  imitaretur.  (p.  22)  Alia  tamen  forma  electa  videtur  ab  Anto- 
ninis,  quorum  ex  aetate  rogus  quadrata  basi  semper  assurgens  in  nummis 
conspicitur,  qualem  describunt  historici  qui  interfuerunt  apotheosi  principum 
Romanorum  Dio  et  Herodianus.  Talis  etiam  observatur  in  rogo  Faustinae 
minoris  a  marito  Marco  inter  divas  relatae :  quem  in  marmorea  tabula  ex  arcu 
ad  Hippodromum  translata  in  aedes  Capitolinas  antiquitus  expressum  videmus. 
Succensis  enim  tabulatis  ac  trabibus  quadrato  eins  molis,  quam  ex  Herodiano 
ac  Dione  paulo  ante  descripsimus  ut  ex  pyra  in  bustum  redigeretur,  prae- 
cinctio intima  ex  pluribus  ordinibus  iunctorum  lapidum  constans  et  coronidem 
superne  referens,  regula   sima    cymatio proiecturis    dislinctam, 


Q)  Strabo  V,  3,  8  p.  236:  eV  jueau)  tTe  t(J  nsdio)  u  irjg  y.avaxQag  av- 
xov  neQißoXog,  xal  oviog  XiHov  '/.evxov,  xix^u)  jxtv  nsQixs'fiSPoy  t^ay  aiörjQovv 
nsQi(fQC()'(j((.  ifTog  rf'  tdyHQoig  xarüipvTog. 


56 


ANTICHITA   Dl    MONTE    CITORIO 


inferne  autem  ornaraentura  basis  ex  regula   sima   inversa,  torulo,  et  plintho, 
ingentis  arae  speciem  praeferebat,  ut  figura  exhibet  eiusdem  anaglyphi  n. 

«  Busti  uero  Antoniniani  ornamenta  perquam  similia  uisuntur  in  fra- 
gmentis  lapidum  ex  graeco  marmore  ibidem  repertis  quorum  alia  ad  coroni- 
dem  pertinentia  distinguimus  figura  A,  reliqua  vero  ad  basim  referenda  exhibe- 
mus  in  figure  B  (').  Addendum  est  etiam  nonnulla  ex  iis  marmoribus  quae  coro- 
nidem  constituebant  sub  coronae  proiectura  ornari  denticulis,  alia  uero  iisdem 
carere :  praeterca  etiam  supercilium  ostii  sive  superliminare  ibidem  reper- 
tura  :  et  quidem  utrimque  laboratum,  ut  constet  utriraque  fuisse  spectabile : 
quod  puto  impositum  ostio  secundae  praecinctionis  sive  ustrini,  unde  scilicet 
aditus  pateret  in  tertium  peribolum  busto  seu  rogo  deputatum,  quibus  ex  indi- 


ciis  et  reliquiis  colligere  possumus  praecinctionem  secundam  ac  tertiam  coro- 
nide  simili  superne  fastigiatam :  sed  in  secundae  coronide  zophorum  et  epi- 
stylium  ab  ostii  membris  enatum  propagari  debuisse  circa  perimetrum  ustrini, 
interius  uero  undam  sive  cymatium  inversum  ut  speciem  redderet  appositi 
schematismi, 

u  Eepertum  etiam  demonstrant  tympanum  breuius  impositum  (ut  vide- 
tur)  loculamento,  in  parietibus  ustrini  forsitan  excavato  ad  continenda  Anto- 
ninorum  aut  aliorum  principum  simulacra  iuxta  mensuras  in  figura  diligenter 
servatas  cuius  tympani  diameter  est  pal.  7.  {^)  ». 


(')  In  un  foglio  non  numerato,  verso  la  fine  del  codice,  se  ne  trova 
un'altro  disegno  che  offre  poche  varianti,  e  perciö  si  e  riprodotto  qui  a"^- 
presso. 

(2)  Oltre  agli  schizzi  dei  dettagli  apposti  al  margine  del  teste,  se  ne 
Irovano  altri  neH'originale  in  un  foglio,  ora  il  28"  del    codice,  fuori  del  co- 


ANTICHITA    DI   MONTE   CITORIO 


57 


«  Erat  igitur  intra  periphragma  externum  quadrata  praecinctio  in  modum 
fani  absque  tecto,  qualis  apud  antiquos  etiam  Latinos  templa  olim  extitisse  ex 
eo  quod  superest  ad  lacum  Gabinum  vidimus  cmn  felicis  recordationis  praesule 
Joanne  Ciampino  pag.  4  to.  1°  veterum  raonuraentorum  (•).  Intra  quam  tertia 
praecinctio  eleuata  pyram  seu  rogum  in  consecrationibus  continens  prae  se 
ferebat  incenso  busto  specimcn  ingentis  arae :  qualem  substrucüo  illa  imitatur 
Faustinae  rogura  repraesentans  in  anaglypho  Capitolino.  Ceterum  aras  eiusmodi 
mira  altitudine  sublimes ....  slalui  iubet  Vilruvius  lovi  et  Diis  superis 


[Sull'originale  di  questa  figura  si  trovano  le  postille  seguenti : 
Praecinctio  prima  sive  periphragma  —  praec.  secunda  sive  ustrinum  — 
praec.  tertia  seu  bustum,  ubi  rogus   excitahatur  —  sectio  verticalis  ustrini 
le  quali,  dovendo  rimpiccolire    la   misura   del   disegno,  abbiamo  preferito  di 
perle  sotto  il  medesimo]. 


nesso  e  questi  ultimi  sono  riprodotti  sulla  pag.  58.  Nello  stesso  foglio  28 
h  pure  nolato :  in  angulo  novae  domus  missionarium  fundando  50  pal.  ex- 
cavato  solo  fundamenta  reperta  fuerunt  super  triplicis  generis  materie  erecta 
et  inter  spatium  palm.  45  per  longum  stratis  veluti  distincti. 

(^)  II  Ciampini  infatti  asserisce  di  aver  visitato  quel  fano  insieme  con 
Emanuele  Schelstrate,  Raifaele  Fabretti  e  Francesco  Bianchini:  siccome  i 
primi  due  erano  morti  prima  del  1700,  questo  passo  basterebbe  per  togliere 
ogni  dubbiü  sopra  l'autore  della  dissertazione. 


58 


ANTICHITA    DI    MONTE    CITORIO 


amjolo 


travertini  dello 
2"  recinto 


travertini  dello 
3°  recinto 

similes  cuniculi  prominentes 

visuntur  in  opere  aed.  H.  . . . 

in  cellis  vinariis  Quintiliorum, 

quod  videtur  fuisse  Basi- 

lica.  (v.  p.  62  not). 


ff 

f  i 


11' 


piombo  squagliato  con 
perno  di  ferro 


sopraliminare  lavorato  da  due 
facciate,  da  urea  con  la  gola, 
dalValtro  con  frerjio 


~D— 0-D~D- 


Vacqua  era   bassa  sotto  il  travsr- 
tino  palmi  13  con  i  pozzi    vicini 


ANTICHITA    DI    MONTE    CITORIO 


59 


II  resto  del  capitolo  e  quasi  interamente  occupato  da  una 
lunga  digressione  intorno  a  questi  altaii,  specialmente  a  quello  di 
Olimpia.  Sulla  fine  il  Bianchiui  pronuncia  il  suo  parere  intorao 
aH'origine  del  Monte  Citono: 

«  Intelligimus  etiam  causam  aggerandi  eius  clivi  supra  inducitoriam 
hanc  partem  campi,  quam  frustra  peteremus  aliunde,  nisi  referendam  ducere- 
mus  ad  sanctorum  pontificuiu  studia  et  christianorum  principum  leges  abo- 
lendis  ethnicorum  superstitionibus  maxime  intentas,  post  impioa  ausus  pri- 
mura  desertoris  luliani  Augusti,  qui  abolitam  superstitionem  restituerat,  deinde 
gentilium  magistratuum,  qui  potestate  publica  abusi  sub  Honorio  Augusto 
annum  aetatis  vigesimum  nondum  egresso  ludos  seculares  in  campo  Martio 
et  Sacra  deorum  instaurare  in  foris  curaverant  ab  anno  aerae  Christi  400 
ad  420. 

La  dissertazione  contiene  tutti  gli  elementi  necessari  per  rico- 
ßtruire  la  pianta  e  lo  spaccato  dell'edifizio  (^):  siccome  perö  gli 


(1)  E  vero  che  per  alcuni  particolari  vi  sono  incertezze  oppure  contra- 
dizioni.  II  lato  del  recinio  int«riore  una  volta  viene  indicato  con  palmi  50  in- 
vece  di  60;  il  lato  del  recinto  raedio  si  calcola  dalle  distanze  delle  mura  e 
dalle  liro  grossezze   a   palmi    104   invece   dclla  cifra  tonda   di    palmi  100; 


60 


ANTICHITA    DI   MONTE    CITORIO 


schizzi  aggiunti  al  codice  Veronese  non  hanno  che  un  valore  dimo- 
strativo,  cosi  ne  proponiamo  una  ricostruzione  in  scala  metrica. 


3! 


■üe-  ^'r  ■4r- 


I   I  '1  r 


La  relazione  del  Bianchini  in  prirao  luogo  ci  conduce  ad  un 
risultato  importante  sebbene  negative.  Vuol  dire  che  ci  libera  defi- 
nitivamente  da  certe  fantasie  che  dal  secolo  passato  in  poi  sono 
State  sostenute  dai  topografi.  II  Piranesi  secondo  l'asserzione  di 
un  soprastante  alla  fabbrica  della  Missione  che  «  sotto  la  fab- 
brica  della  Curia  Innocenziana,  alla  profonditä  di  cento  palmi, 
come  pure  nelle  fondamenta  della  casa  dei  PP.  Missionari  alla 
profonditä  di  80  palmi  sotto  il  livello  attuale,  fossero  scoperti 
avanzi  di  alcuni  sedili  circolari  »  ,  yi  collocö  l'anflteatro  di  Statilio 
Tauro  (Ant.  Korn.  I,  10).  A  questa  supposizione,  accettata  dal  Venuti, 
dal  Nibby  ed  anche  da  altri  fino  ai  giorni  nostri,  combattuta  invece 
dal  Becker  (Topogr.  p.  642.  681)  con  ragioni  convincenti,  il  Canina 


cosi  pure  la  niisura  coniplessiva  di  pal.  140  del  recinto  esterno,  rende  neoes- 
saria  una  piccola  correzione  per  la  distanza  iudicata  delle  stipiti  del  mede-, 
simo.  Abbiamo  sopposto  che  sopra  la  cornice  del  secondo  recinto  vi  corresse 
un  attico,  essendo  impossibile  di  far  sporgere  11  fastigio  della  porta  sopra  il 
perimetro  delle  mura.  Basta  indicare  qui  brevemente  tali  contraddizioni,  es- 
sendo che  la  relazione  da  noi  completamente  ripetnta,  permette  ad  ogni  in- 
tendente  di  esaminare  la  ricostruzione  da  noi  tentata. 


ANTICHITA    DI    MONTE    CITORIO  61 

ne  sostitui  un'  altra,  anch'  essa  poco  felice.  Egli  cioe  vi  credette 
situato  uno  stadio  destinato  al  giuoco  delle  Equirria,  edifizio  non 
inai  esistito.  Credo  che  le  memorie  da  noi  raccolte,  oltre  a  distrug- 
gere  definitivamente  queste  congetture,  ci  spieghino  pure  l'origine 
della  vaga  supposizione  intorno  ai  '  sedili  di  marmo  ' :  chiunque 
osservi  la  forma  delle  pbtre  del  '  secondo  e  terzo  recinto  '  (sopra 
p.  58)  si  accorgerä  della  somiglianza  tra  esse  ed  i  sedili  dei  veri 
teatri  Romani. 

Dunque  invece  di  im  edifizio  destinato  a  spettacoli  e  giuochi 
abbiamo  una  fila  di  monumenti  onorari  per  la  casa  imperiale  degli 
Antonini.  Con  ragione  il  Bianchini  attribiii  un'  importanza  speciale 
all'identitä  della  orientazione  e  della  livellazione,  che  fu  constatata 
fra  la  colonna  di  Antonino  Pio,  quella  di  Marco  Aurelio,  ed  il  monu- 
mento  dei  tre  recinti.  Ne  contraddicono  le  scarse  notizie  intorno  a 
ritrovamenti  fattivi  in  tempi  posteriori.  Primeggia  fra  essi  la  sco- 
perta  della  casa  di  Adrasto,  custode  della  colonna  centenaria  di 
M.  Aurelio  (')  avvenuta  nel  1777:  pure  in  quell'anno  furono  ritro- 
vati,  sulla  piazza  stessa  di  Monte  Citorio,  gli  avanzi  di  un  por- 
tico  (-).  A  quäle  edifizio  appartenesse  questo  portico,  non  si  puö 
sapere  con  precisione:  certo  e,  che  la  zona  da  esso  occupata  non 
poteva  estendersi  di  molto  verso  sud,  perche  in  una  distanza  di 
appena  50  metri  si  trova  il  muro  di  cinta  del  Porticiis  Ärgonau- 
tarum   sotto  il  palazzo  Cini  (3).   II  sig.  Middleton  recentemente 


(1)  Se  ne  vedano  le  iscrizioni  G.  I.  L.  VI,  1598.  Esse  furono  trovate, 
dice  il  Fea  (Diss.  sulle  rovine  di  Eoma,  p.  351  not.),  nella  parte  della  piazza 
di  monte  Citorio  in  mezzo  fra  la  casa  di  Monsignor  Vicegerente,  Taltra  casa 
accanto  e  il  piedestallo  della  Colonna  d'Antonino  Pio  posto  in  mezzo  alla 
piazza;  e  furono  trovate  al  loro  luogo  cogli  avanzi  della  casa  di  Adrasto,  alla 
profonditä  per  lo  meno  di  dieci  in  dodici  palmi  dal  piano  della  piazza  suddetta. 

(2)  Fea,  integritä  del  Panteon  p.  3:  'nel  1777  scavando  sulla  piazza 
dalla  parte  di  ponente  in  linea  parallela  al  palazzo  fu  trovato  sotto  il  piano 
attuale  un  portico  assai  profondo,  in  gran  parte  conservato  e  lasciatovi  '. 
II  Fea  erroneamente  lo  attribuisce  alla  fronte  dei  Septi. 

(3)  Sopra  questi  si  veda  la  dotta  dissertazione  del  Lanciani,  Bull.  comm. 
VI  (1878)  p.  25  sgg.  Alle  memorie  da  lui  raccolte  si  puö  aggiungere  la  se- 
guente  inedita,  che  traggo  dallo  stesso  codice  Veronese  356  del  Bianchini. 
Ivi  a  foglio  28  si  trova  Tabbozzo  di  un  pezzo  di  cornicione  intagliato  con 
ovolo  e  fusarola,  non  perö  corrispondonte  a  quelli  pezzi  pubblicati  dal  Lan- 
ciani 1.  c.  tav.  III,  con  l'indicazione  '  nei  marmi  del  tig.  avv.  Quintili;  e  la 


62  ANTICHITÄ    NI    MONTE    CITORIO 

{Aneient  Rome  p.  385)  dice  di  aver  scoperto  gli  avanzi  di  grandi 
massi  ed  arcate  di  travertini  sotto  vari  palazzi  moderni  a  Monte 
Citorio,  i  qiiali  avanzi  egli  e  disposto  ad  attribuire  al  tempio  del 


Divo  Marco.  Ed  e  vero  che  sono  molto  deboli  le  ragioni  addotte 
dal  Canina  per  provar  che  questo  tempio  fosse  situato  sotto  il  pa- 
lazzo  Chigi;  specialmente  l'esistenza  della  casa  di  Adrasto  al  lato 


misura  di  un  paliiio  '  (lunghezza),  e  la  postilla  seguente  :  *  a  d.  10  aprile  1704 
il  sig.  avv.  Quintili  mi  ha  detto  che  i  marmi  grechi  ritrovati  nella  sua  can- 
tina,  posti  da  noi  in  opera  alle  terme  Diocleziane  nella  linea  [vuol  dire  la 
meridiana  posta  per  cura  del  Bianchini  nella  chiesa  di  S.  Maria  degli  Angeli] 
erano  collocati  fuori  del  sito  ma  prossinii  a  '  cementi  della  gran  fabbrica, 
che  aveva  la  pianta  di  sotto  le  case  prossime  della  sua  isola  e  sotto  al  pa- 
lazzo  de'  sig.  Ferrini  [e  questa  casa  posta  sulFangolo  della  via  in  Aquirc, 
accanto  al  Teatro  Capranica;  v.  la  pianta  topografica  annessa  alla  disserta- 


ANTICHITÄ    DI    MONTE    CITORIO  63 

ovest  di  piazza  Colonna  non  esclude  affatto  l'esistenza  del  terapio 
nel  lato  medesimo.  La  casetta  del  ciistode  della  colonna  centenaria 
difficilmente  poteva  star  isolata  in  mezzo  di  una  grande  piazza, 
invece  e  molto  probabile  che  fosse  adossata  a  qualche  altra  fab- 
brica  piii  cospicua  (•). 

Piü  diflßcile  si  e  il  dire,  quäle  destinazione  avesse  in  quel 
complesso  di  edifizi  dedicati  al  ciilto  della  casa  imperiale  degli 
Antonini,  il  mopiumento  dei  tre  recinti.  Merita  attenzione  la  ipo- 
tesi  del  Bianchini,  che  cioe  in  esso  si  abbia  Tustrioo  di  quei  pria- 
cipi.  Che  la  cremazione  solenne  in  quell'epoca  si  eseguisse  nel 
Campo  Marzo,  e  proprio  nella  siia  parte  piü  larga,  viene  espres- 
samente  affermato  dalle  parole  di  Erodiano  (2).  Quindi,  data  l'esi- 
stenza di  un  edifizio  destinato  a  tal  uopo,  non  potremo  cercarlo  ne 
a  nord  del  Mausoleo  di  Augusto,  perche  ivi  le  elevazioni  del  ter- 
reno  si  avvicinano  al  fiume,  ne  al  sud  di  piazza  Colonna,  essende 
questa  zona  occupata  da  terme  ed  altri  edifizi  pubblici.  Ne  puö  es- 
sere  casuale  che  su  quel  lato  della  base  della  colonna  di  Pio  vicino 
ai  tre  recinti  fosse  effigiata  l'apoteosi  deU'imperatore  e  dell'impe- 


zione  del  Fontana,  sul  Monte  Citorio  ed.  1694].  Un  angolo  di  questo  rivolto 
verso  il  Seminario  Eomano  dovendosi  rifondaro  per  tema  di  ruina  in  tempo 
di  Alessandro  VII,  furono  scavati  quei  due  bassi  rilievi  che  stanno  ora  a  mezzo 
le  Scale  del  palazzo  ove  abitava  il  sig.  Card.  Chigi  incontro  SS.  Apostoli,  che 
rappresentano  due  provincie,  ma  per  base  alle  quali  furono  scavati  alcuni  si- 

mili  sotto  la  chiesa  degli  Orfanelli  in  tempo  di III  come  racconta 

il  Vacca  al  n.  20.  II  sig.  Avvocato  dice  che  sotto  la  cappella  di  piazza  di 
Pietra  ove  prima  fu  la  chiesa  di  S.  Giuliano  in  tempo  di  Alessandro  VIT 
gittata  a   terra,    si    scavarono    grandissime    e   bellissime  pietre.  Dove  e  ora 

S.  Ignazio  era  la  chiesa  della  Nunziatella in  un   cantina  della  casa 

Quintili  verso  gli  Orfanelli  vi  h  la  muraglia  maestra  della  fabbrica  che  scorre 
verso  gli  Orfanelli.  Ora  la  tiene  l'orefice  '  [il  sito  della  casa  Quintili  corri- 
sponde  al  palazzo  Cini,  come  si  puö  vedere  sullo  schizzo  sopra  p.  52  e  sulla 
suddetta  pianta  del  Fontana]. 

(1)  Questa  e  pure  l'opinione  del  eh.  Richter,  il  quäle  nella  sua  topo- 
grafla  testö  pubblicata,  p.  148  dice :  (der  Tempel)  lag  unziveifelhaft  an  der 
Westseite  des  Platzes,  mit  der  Front  nach  der  Via  Lata  zu.  Daselbst  befand 

sich  auch  ein  Häuschen  für  den  procurator  columnae  centenariae  Divi  Marci. 

(2)  IV,  1...  xuxeaxsvaatut  eV  tw  nhcrvtätio  xov  {"AQsog)  nediov  totjo) 
rexQÜyiayöv  Ti  xcd  laönXsvQov ,  üXXrjg  ^ey  vXtjg  oiUhuiug  usje/oy ,  ix  ^uöyijg 
de  avjH7i7']Sf(og  ^»'Aw»/  fAtyiariüy  ig  ff//;^«  oixr'juurog. 


64  ANTICHITA    DI    MONTE    CITORIO 

ralrice.  rinalmente  il  rilievo  dell'arco  chiamato  di  Portogallo  rap^ 
presentante  l'apoteosi  di  Faiistina,  äccresce  la  probabilitä,  che  il 
luogo  della  consecrazione  -  se  anche  non  si  puö  credere  strettamente 
attiguo  al  lato  ovest  dell'arco,  essendovi  il  grandiose  monumento 
dell'Ara  Pacis  -  non  fosse  molto  lontano.  —  Si  potrebbe  contrap- 
porre  all'opinione  del  Bianchini,  che  le  parole  seguenti  di  Erodiano 
'  non  vi  e  altra  materia  che  il  legno  ' ,  non  si  addattano  al  nostro 
ediflzio  di  costruzione  solida.  Perö,  lo  storico  parla  della  costru- 
zione  del  rogo  da-  farsi  apposta  per  ogni  consecrazione :  il  luogo 
stesso  delFustrino  senza  diibbio  aveva  un  recinto  monumentale. 
Giä  viene  attestato  espressamente  che  l'ustrino  di  Augusto  fosse 
cinto  di  un  muro  di  marmo  con  cancelli  di  ferro  (Strabo  6 , 
8,  9  p,  236) :  tanto  meno  puö  recare  maraviglia  che  una  tale 
cinta  neir  epoca  degli  Antonini  assumesse  una  forma  architet- 
tonica  piü  suntuosa.  E  sebbene  io  non  vorrei  attribuire  troppo 
peso  alla  somiglianza  fra  l'architettura  dei  recinti  coU'ara  efiögiata 
sul  rilievo  dell'apoteosi  di  Faustina,  non  sarebbe  giusto  il  disprez- 
zare  la  testimonianza  del  Bianchini,  osservatore  esperto  e  coscien- 
zioso  dell'antica  architettura  Komana.  Sarebbe  perö  da  desiderare 
che  ricerche  locali  venissero  a  confermare  o  a  correggere  le  sue 
asserzioni,  e  cosi  schiarirci  delinitivamente  sopra  uno  dei  piü  sin- 
golari  monumenti  dell'antico  Campo  Marzo. 

Ch.  Hülsen. 


HERA  VON  ALKAMENES. 


In  Overbecks  Kunstmythologie  III  S.  461  n.  5 — 12  sind  die 
in  verschiedenen  Museen  vorhandenen  Copien  eines  hervorra- 
genden statuarischen  Typus  zusammengestellt  und  vergleichend  be- 
sprochen ('). 

Die  Grundzüge  dieses  T^pus  sind  die  folgenden.  Eine  Frauen- 
gestalt steht  aufgerichtet,  vom  r.  Bein  getragen,  während  das  1. 
mit  eingebogenem  Knie  zurücksteht.  Die  seitlich  hoch  gehobene 
Linke  denkt  man  am  natürlichsten  von  einem  Scepter  gestützt ; 
die  etwas  nach  vorn  gehobene  Rechte  mochte  eine  Opferschale 
halten.  Die  Kleidung  ist  ein  ärmelloser  beiderseits  geschlossener 
Chiton  mit  Kolpos    und    Ueberschlag  {-),    dazu    ein    .Mäntelchen, 


(*)  Vgl.  daselbst  S.  11 T**  und  S.  428.  Gewiss  werden  sich  noch  andere 
Copien  finden.  Eine  wenig  sorgfältige  ist  vielleicht  die  rechts  vom  Asklepios 
vornan  in  der  Villa  Borghese  (s.  ßeschr.  Roms  III,  3  S.  207)  aufgestellte 
arg  geflickte  und  etwas  unnahbare  Statue.  Näher  kommt  die-'J/wse'  des  Louvre 
(Frochuer  iVotice  n.  395,  Clarac  Musee  pl.  321,  996.  Die  'sacerdotessa'  Overb. 
n.  10  ist  kaum  noch  als  zugehörig  zu  erkennen  :  die  Faltenmassen  des  Chi- 
tons um  die  Beine  sind  nach  hellenistischem  Geschmack  (s.  unten  S.  72,  A.  2) 
umgestaltet.  Dass  das  Madrider  Exemplar  (n.  11)  und  das  der  vatikanischen 
Rotonde  (n.  12)  enger  zusammengehören,  lässt  die  Abbildung  jener  nicht 
erkennen.  Ueber  die  letztere  s.  die  folgenden  Anmerkungen.  Auch  ich  habe 
im  Text  vorzüglich  das  capitolinische  Exemplar  berücksichtigt.  Die  Lands- 
downesche Tyche  (Michaelis  Anc.  marbles  n.  33;  Clarac,  Musee  pl.  454,  839  B 
ist  aus  unserem  Typus  abgeleitet. 

(2)  Die  vaticanische  Statue  n.  12  hat  den  Chiton  ohne  Kolpos  und  über 
dem  Ueberschlag  gegürtet,  und  zwar  ist  der  Chiton  oben  nur  an  ihrer  1. 
Seite  bis  dicht  unter  die  Achsel  geschlossen,  an  der  rechten  dagegen  unge- 
näht  und  nur  durch  Vorziehn  des  den  Rücken  deckenden  Theiles  geschlossen. 
Der  starkgekrümmte  untere  Rand   des  üeberschlags    findet   sich  so  auf  Va- 


66  HERA    VON    ALKAMENES 

welches,  gedoppelt  mit  einem  Zipfel  über  jede  Schulter  nach  vorn 
gezogen,  hinten  die  seitlichen  wie  den  unteren  Saum  doppelt  sehen 
lässt  (').  Es  ist  eine  Traclit  die  wir  vom  sechsten  Jahrhundert 
neben  anderen  sich  allmählich  entwickeln  sehen,  mit  zunehmender 
Mässigung  einzelner  anfangs  überschwänglicher  Theile. 

Auf  attischen  Werken  der  zweiten  Hälfte  des  fünften  Jahr- 
hunderts, auf  den  Friesen  des  Parthenons,  des  Niketempels  und 
Erechtheions  erscheinen  göttliche  und  sterbliche  Frauen  und  Mäd- 
chen in  dieser  Tracht  mit  dem  Mäntelchen,  häufiger  noch  ohne 
dasselbe. 

Die  Formen  des  Körpers  sind  an  unserem  Statuentypus  weder 
von  jungfräulicher  Zartheit,  noch  von  mütterlicher  Fülle ;  der  Kopf 
etwas  nach  links  v.  B.  geneigt,  reif  und  würdevoll,  doch  nicht 
herbe  von  Bildung  und  Ausdruck.  Der  Schädel  ist  lang  und  oben 
flach,  gewölbt,  das  gescheitelte  Haar  geht  anfangs  nur  ganz  wenig, 
dann  breiter  auseinander.  Ueber  den  Schläfen  zurückgenommen, 
kräuselt  es  sich  in  charakteristisch  grossen  Wellenlinien,  hinten  in 
einen  Kekrjphalos  gefasst,  zu  welchem  man  das  nur  vorn  sichtbar 
das  Haar  durchziehende  Band  in  Beziehung  setzen  muss.  Jeden- 
falls war  aber  über  diesem  Bande  auch  ein  Kopfschmuck,  Diadem 
oder  Stephane,  angebracht.  An  dem  capitolinischen  Exemplar  (1) 
nämlich  ist  auf  jenem  Bande  mitten  über  der  Stirn  ein  auch  in 
der  Abbildung  bei  Overbeck,  Taf.  XV,  20  deutlicher  als  13,  sicht- 
bares Zapfenloch,  dazu  zwei  kleinere  Bohrlöcher  da,  wo  das  Band 
seitlich  im  Haar  verschwindet.  Ausserdem  ist  das  Band  selbst 
durch  seine  Abplattung  oben  zur  Auflagerung  eines  Gegenstandes 
hergerichtet.    Auch  an  dem  vatikanischen  Exemplar  (12)   sind  in 


senbildern  häufiger  als  an  Statuen,  bei  denen  auch  der  breite  Gürtel  nicht 
üblich  ist,  vielleicht  von  der  feierlichen  Kitharodentracht  herstammt.  Ist  die 
ganze  Haltung  strenger,  die  Fältelung  sowohl  unter  als  über  dem  Gürtel  ein- 
facher, die  Haarbehandlung,  von  der  nicht  feinen  Ausführung  abgesehen, 
Pheidiassischem  Stile  näherstehend,  so  wird  man  dies  neben  der  übrigen  Ue- 
bereinstimmung  mit  dem  besprochenen  Typus  doch  gewiss  eher  aus  einer 
Umbildung  etwa  in  Augusteischer  Zeit  erklären,  als  mit  der  Annahme,  dass 
hier  die  treue  Nachbildung  eines  älteren  Typus  vorliege,  aus  welchem  das 
jüngere  Original  der  zahlreicheren  Copien  abgeleitet  wäre. 

(1)  An  dem  vatikanischen  Exemplar   läuft,  wenn  ich  recht  gesehen,  so- 
gar eine  dreifache  Kante  quer,  was  ich  nicht  verstehe. 


HERA    VON    ALKAMENES  67 

dem  Kopfbaad  rechts  und  links  zwei  fiusgebrochene  Löcher  zu 
bemerken,  welche  nur  gleichem  Zwecke  gedient  haben  können. 

An  dem  von  Overbeck  mit  Recht  vorangestellten  capitolini- 
schen  Exemplar  wird  der  Eindruck  des  Antlitzes  nicht  allein  durch 
die  ergänzte  Nasenspitze,  sondern  auch  die  bestossene  Oberlippe 
hereinträchtigt.  Allgemein  denkt  man  als  das  Original  ein  Werk 
des  fünften  Jahrhunderts,  genauer  der  zweiten  Hälfte  oder  gegen 
das  Ende  desselben  ('). 

Die  verschiedenen  Exemplare  sind  verschieden  gedeutet  und 
ergänzt,  vorwiegend  als  Demeter  oder  Hera.  Letztere  Benennung 
glaubt  Overbeck  a.  a.  0.  durch  den  Vergleich  mit  der  Demeter  des 
eleusinischen  Reliefs  -^  das  ist  die  Figur  links  —  erhärtet  zu 
haben.  Aber  die  Kleidung  ist  wie  bemerkt  nicht  charakteristisch 
genug,  auch  das  Scepter  natürlich  nicht  ausschlaggebend  für  De- 
meter, zumal  dessen  Haltung  bei  der  Relieffigur  bescheidener  ist 
als  bei  den  Statuen.  Die  Anordnung  des  Haares  dagegen  ist  an 
diesen  durchaus  verschieden  von  der  Demeter  des  Reliefs,  an  wel- 
cher es  weder  zurückgestrichen,  noch  in  einen  Kekryphalos  ge- 
sammelt, noch  mit  einer  Stirnkroue  geschmückt  ist.  Dass  dies  alles 
bei  anderen  Demeterfiguren  nachweisbar  ist,  kann  für  den  vorlie- 
genden Typus  nichts  beweisen  —  namentlich  dann  nicht,  wenn  wir 
Darstellungen,  welche  nicht  blos  den  einen  oder  den  anderen  Theil 
der  angeführten  Züge  sondern  sie  alle  zusammen  enthalten,  nicht 
Demeter  sondern  anders  zu  benennen  genöthigt  sind. 

Eine  solche  war  die  schon  von  Overbeck  a.  a.  0.  S.  428,  1 
angeführte  Relieffigur,  welche,  mit  Athena  durch  Handschlag  ver- 
bunden, über  einer  Urkunde  der   rafiiai  r.  L  XQ-  ^V^  'AO^rivaiag 


(1)  Die  von  befreundeter  Seite  mir  geäusserte  Meinung,  dass  ein  schöner 
Kopf  des  unteren  Belvedere  in  Wien,  Sacken  und  Kenner  n.40  (cf.  v.  Sacken, 
die  antiken  Sculpturen  u.  s.  w.  T.  XII,  3  als  Hygieia  bezeichnet,  welcher  als 
'wohl  identisch  mit  dem  Berliner  Kopf  (Katalog  n.  608,  L.  Mitchell  history 
of  ancient  sculpt.  zu  S.  320)  erklärt  wird,  dass  dieser  Kopf  mit  denen  des 
fraglichen  Typus  zusammenstimme,  scheint  mir  nicht  richtig.  Ich  finde  den 
Schädel,  welcher  allerdings  fast  gleiche  Länge  mit  demjenigen  der  capitoli- 
nischen  Statue  hat  (jener  0.29,  dieser  0.30)  in  der  Vorderansicht  minder 
breit,  das  Gesichtsoval  länglicher,  die  Umrahmung  der  Stirn  wie  auch  die 
von  ihr  abgehenden  Haarmassen  anders  gezeichnet,  die  Lippen,  ebenso  die 
Wangen  gerundeter. 


68 


HERA    VON    ALKAMENES 


xal  io)v  aXXon'  d^ewv  aus  Olympiade  95,  1  steht  ('),  beistehend 
nach  Photographie  gezeichnet  und  zineographiert.  Hatten  andere 
diese  Figur  als  Darstellung  dei-  Polis  oder  des  CoUegiums  der 
Schatzmeister,  oder  des  Rathes  oder  sonstwie  verstanden,  so  dachte 
Schoene  a.  a.  0.  S.  30  richtig  an  eine  Vertreterin  der  anderen 
Götter  und  zwar  zunächst  an  Hera,  zog  aber  dann  wegen  der  Ue- 
bereinstimmung  mit  der  Figur  des  eleusinischen  Keliefs   Demeter 

vor.  Jetzt  ist  es  leicht  einzusehen, 
dass  die  Statuen  und  das  Relief 
nicht  mit  der  eleusinischen  Figur, 
von  Avelcher  sie  beide  in  densel- 
ben Punkten  abweichen,  sondern 
miteinander  Gemeinschaft  haben, 
und  dass  Schoenes  erste  Ansicht 
richtig  war,  beweist  das  Relief 
einer  zweiten  fünf  Jahre  früher, 
Ol.  95, 1,  abgefassten  Urkunde,  wel- 
ches im  Deltion  1888  S.  124  abge- 
bildet ist  und  hier  nach  Photogra- 
phie gezeichnet  jenem  gegenüber- 
steht. Offenbar  von  demselben 
Steinmetzen  sind  hier,  Zug  für 
Zug  übereinstimmend  ,  dieselben 
zwei  Gestalten  der  Athena  und 
einer  anderen  Göttin  in  gleicher  Weise  verbunden  dargestellt.  Hier 
nun  ist  durch  den  Inhalt  der  Urkunde  —  es  ist  ein  Beschluss  der 
athenischen  Gemeinde  zu  Ehren  derjenigen  Samier  oaoi  [ificc  tov 
StjjLiov  TOV  'Ai^rivaiwr  fykvovxo  —  Hera  als  Vertreterin  von  Samos 
gesichert.  Man  wird  sich  nicht  verwundern,  dass  der  athenische 
Steinmetz  der  Hera  nicht  die  dem  Archäologen  aus  samischen 
Münzbildern  (s.  Overbeck  K.  M.  III,  Münztafel  I)  wohlbekannte 
Form  des  altheiligen  und  stets  in  Ehren  gebliebenen  Bjildes  von 
Smilis  gegeben  hat,  sondern  sie  in  einem,  wie  die  erste  Urkunde 
beweist,  ihm  geläufigen  attischen  Typus  des  hohen  Stils  dargestellt 
hat.  Sieht  man  schon  den  Reliefs  an,  dass  es  ein  Cultbild  sein 
muss,  so  wird  das  durch  die  Statuen  bestätigt. 


(1)  Vgl.  Scboeae  Griech.  Rcliefa  T.  X,  54.  Corp.  inscr.  att.  II,  2,  n.  643. 


HERA   VON    ALKAMENES  69 

Eine  athenische  Statue  der  Hera  aus  der  zweiten  Hälfte  des 
fünften  Jahrhunderts  :  wer  dächte  da  nicht  an  Pheidias  und  seine 
Schule,  und  wer  fühlte  sich  nicht  versucht  zu  fragen,  was  mr  von 


KH*!50^ANPA1AHIEY 


Herabildern  jener  Zeit  in  Athen  wissen.  In  der  That  ist  kaum 
mehr  als  eines  sicher  bezeugt,  und  dass  dies  kein  Zufall  ist,  be- 
weist der 'gänzliche  Mangel  von  inschriftlichen  Weihungen  au  Hera. 
Natürlich  haben  die  Athener  unter  den  Zwölf  Göttern  Hera  ein- 
begriffen, haben  zu  ihr  gebetet  (Aristoph.  Thesmoph.  973  mit 
Schol.),  und  bei  ihr  geschworen,  und  hat  in  den  Göttervereinen 
des  Pheidias  und  seiner  Schule  wie  in  denen  der  Vasenmalerei 
Hera  ihren  Platz,  aber  dies  alles  lässt  sich  auf  Homer  und  die 
nationale  Mythologie  zurückführen.  Cultstätten  dagegen  sind  für 
Hera  in  Attika  sicher  bezeugt  nur    eine    aedes    in  Eleusis   unge- 


70  HERA   VON    ALK AMEN ES 

wissen  Alters  bei  Servius  zu  Vergils  Aeneis  4,  58  und  ein  Tempel 
an  der  Strasse  von  Phaleron  nach  Athen,  mit  welchem  die  "Hga 
*Vx-  {Corp.  inscr.  att.  I,  194)  füglich  identisch  sein  kann. 

Von  dem  Tempel  an  der  phalerischen  Strasse  sagt  Pausa- 
nias  I,  1  folgendes  :  tßn  dt  xard  rrjv  oSov  rijv  eg  'A^rjvag  ix 
OaXrjQov  vaoq  "Hgag  ovts  -O-vgag  s'xmv  ovts  OQO(fov.  Maqööviöv 
(facTiv  athov  ei.inqrj(Sai  xbv  FcoßQVov,  to  6i  ayaXiia  ro  vvv  6ri 
xaO^a  XiyovGiv  "Akxaf.u'vovg  sütIv  eqyov  ovx  av  rovid  ys  6  MrjSog 
tl'r]  XeXwßrji^uvog.  Pausanias  also  oder  sein  Gewährsmann  —  er 
beruft  sich  ja  auf  andere  —  fand  einen  Widerspruch  zwischen  der 
Ueberlieferung  vom  Urheber  des  Brandes  und  derjenigen  vom  Ur- 
heber des  Bildes,  einen  Widerspruch,  der  nicht  vorhanden  gewesen 
wäre,  wenn  es  einen  älteren,  einen  so  alten  Alkamenes  gegeben 
hätte,  dass  er  vor  480,  wahrscheinlicher  vor  490  oder  kaum  nach 
500  hätte  eine  Statue  der  Hera  arbeiten  können.  Die  schon  wie- 
derholt (1)  aus  anderen  Gründen  angenommene  Scheidung  eines  älte- 
ren und  eines  jüngeren  Alkamenes  kann  meines  Erachtens  an  die?er 
Stelle  des  Pausanias  keine  Stütze  finden,  weil  der  zeitliche  Abstand 
einer  vorpersischen  Hera  von  dem  Westgiebel  in  Olympia  kaum 
minder  gross  wäre  als  derjenige  des  jüngsten  dem  Alkamenes  zu- 
geschriebenen Werkes  von  dem  Werke  in  Olympia,  so  dass  man 
zu  dem  zweiten  wohl  auch  einen  dritten  Alkamenes  anzunehmen 
sich  entschliessen  müsste.  Weit  gerathener  scheint  es  mir,  den 
Widerspruch  mit  Pausanias  und  wahrscheinlich  seiner  Quelle  an- 
zuerkennen und  eine  der  beinen  unvereinbaren  Ueberlieferungen  zu 
verwerfen,  entweder  den  Mardonios  oder  den  Alkamenes  fallen  zu 
lassen.  Pausanias  freilich  —  dies  dürfen  wir  nur  ihm  zuschreiben 
—  hat  das  Unvereinbare  zu  vereinen  verstanden :  er  verwirft  weder 
die  Verwüstung  durch  Mardonios,  denn  auch  X,  35,  2  zählt  er 
den  Tempel  an  der  phalerischen  Strasse  zu  den  von  den  Persern 
verbrannten  Heiligthümern,  noch  äussert  er  einen  Zweifel  an  Al- 
kamenes' Urheberschaft,  das  zeigt  ro  vvv  6ij.  Er  nimmt  vielmehr 


(1)  Zuletzt  Loeschcke,  Die  westliche  Giebelgruppe  des  Zeustempels  in 
Olympia  S.  7.  Ist  aber  schon  Eoberts  (Archäol.  Märchen  S.  43)  Scheidung 
einer  doppelten  Ueberlieferung  von  Alkamenes  wohl  zu  scharf,  so  ist  die 
darauf  gegründete  Scheidung  zweier  Personen  noch  gewagter,  von  Robert  auch 
keineswegs  angenommen  (Deutsch.  Litt.  Zeitung  1888  S.  603). 


HERA    VON    ALKAMENES  71 

an  dass  das  vorhandene  Bild  später  aufgestellt  und  bei  andi-er  Ge- 
legenheit beschädigt  worden  sei.  Für  uns  ist  dieses  unannehmbar, 
da  die  Athener  natürlich  in  ein  zerstörtes  und  absichtlich  nicht 
wieder  hergestelltes  Heiligthum  nicht  ein  neues  Bild  von  einem 
der  ersten  Meister  stellten.  Ich  irre  mich  nun  vielleicht,  wenn  ich 
aus  den  Worten  des  Pausanias,  namentlich  jenen  ovx  av  tovtö  ys 
«so  hat  dies  wenigstens  nicht  der  Meder  beschädigt",  (i)  her- 
aushöre, dass  der  Gewährsmann  des  Pausanias  eher  den  Mardonios 
preiszugeben  geneigt  war.  Jedenfalls  kann  man  einen  Zweifel  an 
der  Arbeit  des  Alkamenes  darin  nicht  finden.  Ist  aber  die  Wahl 
uns  selbst  überlassen,  so  kann  es  schwerlich  zweifelhaft  sein,  dass 
wir  eher  den  Perserbrand  als  die  Thätigkeit  des  Alkamenes  der 
Legendenbildung  zuzuschreiben  haben. 

Die  Seltenheit  von  Herabildern  in  Attika  legt  es  nun  aber 
nahe,  die  in  einer  Urkunde  der  raf^uai  tmv  äXXan'  ^eöiv  C.  I.  A. 
I,  194,  11  genannte  "H^a  syx—  mit  jener  von  der  phalerischen 
Strasse  zu  identificiren.  Müsste  man  in  der  Lücke  den  Namen  eines 
der  beiden  mit  X  begennenden  Demen :  Cholargos  oder  Cholleidai 
ergänzen,  so  wäre  die  Identificierung  allerdings  misslich,  da  nach 
freundlicher  Mittheilung  Milchhöfers  keiner  der  beiden  zwischen 
Phaleron  und  der  Stadt  gelegen  zu  haben  scheint.  Die  Buchstaben 
£yx  lassen  ja  aber  auch  mehr  als  eine  Ergänzung,  sei  es  eines 
Beinamens  der  Göttin,  sei  es  einer  Oertlichkeit  zu. 

Ist  es  nun  gewagt  dieses  einzige  in  oder  bei  Athen  nach- 
weisbare Cultbild  der  Hera  aus  der  Schule  des  Pheidias  für  das- 
jenige zu  halten,  welches  ein  Steinmetz,  der  nach  den  Zeitverhält- 
nissen gar  wohl  in  der  Werkstatt  des  Alkamenes  gearbeitet  haben 
könnte,  zweimal  nachgebildet  hat  ?  Dass  der  von  ihm  wiedergege- 
bene Typus  durchaus  das  Gepräge  Pheidiassischer  Schule  hat,  braucht 
nicht  weiter  nachgewiesen  zu  werden.  Sehen  wir  uns  jedoch  nach 
dem  um  was  von  vorhandenen  Werken  mit  dem  Namen  des  Al- 
kamenes in  Verbindung  gebracht  werden  kann.  Trotz  aller  Ein- 
wendungen wird  dazu  immer  auch  noch  der  Westgiebel  von  Olym- 


(1)  Overbeck  Kunstmythologie  III  S.  192,  31,  welcher  vielmehr  die  Tra- 
dition des  Alkamenes  verwirft,  billigt  die  Erklärung  Brunns  G.  Gr.  K.  I 
S.  235,  welche  dem  ys  nicht  gerecht  wird.  Uebrigens  verwarf  Brunn  vielmehr 
die  andere  Tradition. 


72  HERA    YON    ALKAMENES 

pia  gehören.  Eine  Figur,  vielleicht  die  älteste,  welche  die  an 
unserem  Heratypus  wahrgenommene  Tracht  hat,  die  Hippodaraeia 
oder  nach  Studniczka  besser  Sterope,  stand  allerdings  nicht  im 
Westgiebel  des  Alkamenes  sondern  im  Ostgiebel  des  Paionios  ('). 
In  gleichem  oder  noch  etwas  grösserem  Abstände  sodann,  wie 
vom  Ostgiebel  die  Nike  des  Paionios,  steht  vom  Westgiebel  der 
von  Furtwängler  (Roschers  Lexicon  S.  412  für  Alkamenes'  Aphro- 
dite er  xrjrroig  in  Anspruch  genommene  schöne  in  zahlreichen 
Wiederholungen  erhaltene  Typus  (^).  Derselbe  hat  nicht  nur  einer- 
seits mit  der  Nike  von  Olympia  in  der  Behandlung  und  Darstel- 
lung der  weiblichen  Köpferformen,  in  der  Entblössung  der  einen 
Brust,  in  der  Bewegung  der  Arme,  in  der  Zeichnung  und  Falten- 
gebung  des  anliegenden  Gewandes  ausgesprochene  Verwandtschaft, 
sondern  kommt  andrerseits  auch  unserem  Heratj^pus  nahe  durch 
die  Neigung  des  Kopfes,  auch  die,  freilich  wieder  anders  motivierte 
Bewegung  der  Arme,  die  Anordnung  des  Haares,  sowohl  mit  der 
anfangs  nur  wenig  über  der  Stirn    sich   öffnenden  Scheitelung  als 


(1)  Boehlaus  (Quaestiones  de  re  vestiaria  Graecorum  S.  61)  Scheidung 
zwischen  dieser  Trachtgestaltung  und  der  attischen  vermag  ich  nicht  anzu- 
erkennen. Unter  den  Herkulanerinnen  scheinen  mir  z.B.  diejenigen  welche 
bei  Comparetti  und  De  Petra,  La  Villa  Ercolanense  Taf.  XIV,  3  und  6  ab- 
gebildet sind  die  Verbindung  beider  Gruppen  herzustellen. 

(2)  Vgl.  Bernouilli,  Aphrodite  S.  92.  Dass  diesen  Typus  auf  die  Venus 
genetrix  des  Arkesilaos  zurückzuführen  kein  Grund  vorliegt,  scheint  mir 
VQu  Wissowa,  de  Veneris  simulacris  romanis  S.  23  ff.  nach  ReiflFerscheids  Vor- 
gang dargethan  zu  sein.  Waldsteins  {J^he  American  Journal  of  archaeology 
III  PI.  I  S.  1  ff.)  Zusammenstellung  des  besten  Exemplars  mit  der  'Elektra' 
der  Neapler  Gruppe  lässt  Aehnlichkeiten  sehen.  Aber  diese  Aehnlichkeiten 
erklären  sich  daraus,  dass  der  stilmischende  Urheber  der  Gruppe  von  jenem 
Statuentypus  Einiges  entlehnt  hat.  Ist  er  dabei  in  manchem,  wie  der  Bildung 
des  Xopfes,  der  mageren  Schulter,  den  schmalen  Hüften  auf  noch  älteren 
Formenbrauch  zurückgegangen,  so  hat  er,  von  dem  Hüftengürtel  abgesehen, 
in  der  Nabelsenkung,  in  den  in  hellenistischer  Zeit  beliebten  drei  Falten- 
gruppen neben  und  zwischen  den  Beinen  —  und  die  letztere  wie  gewöhnlich 
einheitlich,  nicht  zweigetheilt  wie  an  dem  Aphroditetypus  —  spätere  Dinge 
beigemischt.  Von  solcher  Miscl^img  ist  die  Aphrodite  rein.  Die  dem  Körper 
anliegenden  Gewandmassen,  zu  denen  die  Aphrodite  im  Ostgiebel  des  Parthe- 
non, die  Nike  des  Paionios  und  manche  Gestalten  der  Nikebalustrade  zeit- 
nahe Beispiele  liefern,  sind  in  ihrer  kunstgeschichtlichen  Bedeutung  von 
Bjundorf  erfasst  (Archaeolog.  Untersuchungen  auf  Samothrake  II  S.  71  ff.). 


HERA   VON    ALKAMENES  73 

auch  mit  Haarband  und  Keki^phalos  oder  Netz,  endlich  auch  der 
Tracht,  deren  wesentliche  Abweichungen :  der  fehlende  Gürtel, 
die  eine  entblösste  Brust,  das  zierliche  Anfassen  des  Mäntelchens 
über  der  r.  Schulter,  alle  der  Charakteristik  Aphrodites  dienen  (*). 


Q)  Für  diejenigen  welche  in  der  Lage  sind  einen  echten  und  guten 
Kopf  dieser  Aphrodite  zu  vergleichen  gehe  ich  ein  par  Masse  der  capitolini- 
schen  Hera  in  Millimetern: 

Scheitel  bis  Kinn    286 

Stirn  bis  ob.  Augenhöhlenrand 67 

Von  da  bis  unt.  Nasenende 80 

Untergesicht 80 

Inn.  Augenwinkel  bis  unt.  Nasenflügelrand  .  59 

Mundbreite 54 

Ohrlänge  (oben  bedeckt) c.  59 

Innere  Augenweite 35 

Aeussere        »             (incl.  Lider) 121 

Augenlänge 40 

Augenhöhe 16 

Unteres  Lid  bis  Braue 30 


74  HERA   VON    ALKAMENES 

Endlich  die  Hekate.  Es  giebt  bekanntlich  zahlreiche  kleine 
Bilder  der  Trimorphos,  vorzüglich  athenischen  Fundorts,  welche  die 
aus  der  Epipyrgidia  des  Alkamenes  abgeleiteten  Grundzüge  mit 
einer  mehr  oder  weniger  starken  archaistischen  Färbung  wieder- 
geben. Dass  diese  Archaistik  nicht,  wie  man  gemeint  hatte,  dem 
Alkamenes  selbst  zuzuschreiben  ist,  glaube  ich  in  meiner  Arbeit 
über  die  dreigestaltige  Hekate  bewiesen  zu  haben  (').  Ich  kann  jetzt 
ein  Hekataion,  welches,  im  Bereiche  der  Sallustischen  Gärten  ge- 
funden ist,  und  welches  Herr  Spithöver  mir  zu  schenken  die  Güte 
hatte,  bekannt  machen  in  vorstehender  Ansicht.  Vollständig  einst 
etwa  0.35  hoch,  misst  es  jetzt  nur  noch  0.22  und  trug  den  Kopf 
wohl  nicht  durch  ursprüngliche  Stückung  sondern  durch  nachträg- 
liche Ergänzung  mit  einem  Nagel  angeheftet.  Schulterlocken  in 
der  archaischen  Weise  waren  nicht  vorhanden.  Stand  und  Tracht 
sind  frei  und  dem  besprocheneu  Heratypus  völlig  entsprechend. 
Denn  dass  vom  Ueberschlag  ein  Kolpos  nicht  gesondert  ist,  kann 
bei  der  Kleinheit  des  Bildes  und  der  ünfeinheit  der  Arbeit  un- 
möglich ins  Gewicht  fallen.  Trotz  dieser  stilistischen  Abweichung 
kann  nicht  im  mindesten  zweifelhaft  sein,  dass  diese  Nachbildung 
in  die  von  mir  aufgestellte  erste  Klasse  gehört,  und  dass  wir 
die  fehlenden  Attribute  nach  dieser  zu  ergänzen  haben.  Die  Ober- 
arme heben  sich  etwa  wie  beim  Metternichschen  Hekataion  (a.a.O. 
Taf.  III),  doch  lässt  sich  die  immerhin  nothwendige  Scheidung  der 
je  zwei  aneinanderliegenden  Arme  nicht  mehr  erkennen.  Da  keine 
Spur  eines  Ansatzes  unterwärts  sichtbar  ist,  scheinen  mir  nur 
Fackel  und  Schale,  weniger  die  Kanne  möglich,  also  etwa  der 
a.  a.  0.  S.  150  C  bezeichnete  Typus,  oder  in  jeder  Hand  die  Fackel. 
Wie  zu  diesem  Hekataion  die  grosse  Masse  der  übrigen  der  ersten 
Classe,  so  stellt  sich  in  mancher  Beziehung  zu  der  dem  Alkamenes 
zugeschriebenen  Hera  derjenige  Statuentypus,  welchen  Overbeck 
K.  M.  III  S.  119  unter  denen  mit  Schleier  vorangestellt  hat. 

Petersen. 


(1)  Archaeol.-epigraph.  Mittheill.  aus  Oesterr.  IV  S.  140  und  V  S.  1. 


SITZUNGSPROTOCOLLE 


4.  Januar :  Ficker  setzt  seinen  Bericht  über  die  Zeichnungen 
des  cod.  Escor ialeiisis  fort.  —  Petersen  über  einen  statuarischen 
Typus  der  Hera  (s.  S.  65).  —  Hülsen  :  das  m.  a.  Lowenbild  im 
Senatorenpalast. 

Ficker  r  Di  sarcofaghi  antichi  oltre  quello  giä  riprodotto  in  fotografia 
col  giudizio  di  Paride  (f.  VIII  v°,  segnato  '  A  sancta  maria  a  monterene  in 
roma')  e  an  altro  f.  27  '  nella  turpea'  con  Eroti  e  la  testa  della  Medusa  nel 
mezzo :  TAnonimo  Escorialense  ha  disegnato  i  seguenti : 

1.  f.  V  V.:  Nereidi  sedute  sopra  Tritoni,  Amoretti  con  delfini  (Clarac  (11) 
pl.  206  n.  192)  nel  Museo  del  Louvre;  il  disegno  sta  segnato  'in  san  fran- 
cescho  in  testeverj  '. 

2.  f.  28  V.  Trionfo  indico  di  Bacco,  ora  nella  villa  Medici  (Matz-Duhn 
(II)  n.  2272),  con  la  nota  topografica  non  abbastanza  chiara  '  in  chasa  el  can- 
polino '. 

3.  Altrettanto  e  nuova  Tindieazione  della  provenienza  per  la  rappresen- 
tanza  della  caduta  di  Faetonte  nella  Galleria  degli  UfiSzj  a  Firenze  (Gori  III, 
XXXVII;  Dütschke  n.  145):  ara  ceU  (f.  29). 

4.  f.  32  A.  Ratto  di  Proserpina,  a  Londra,  Soane  Museum  (Overbeck, 
Kunstmyth.  Atlas  XVII,  33;  Michaelis,  Ancient  Marlies  p.  477  n.  26). 

5.  Anche  per  il  sarcofago  del  Museo  Kircheriaoo  conla  fucina  di  Eruti, 
f.  33  V.  (Heydemann,  Berichte  der  Sachs.  Ges.  d.  W.  1878  S.  133)  e  nuova 
rindicazione  '  santa  cicilia  '. 

6.  II  codice  (f.  33  v.)  esibisce  la  sola  meta  sinistra  della  parte  anteriore 
del  sarcofago  di  Filottet«,  oggi  a  Firenze  in  uno  stato  di  assoluta  distruzione 
(Dütschke  n.  405).  E  indicato  *  in  santa  maria  in  tristeveri '. 

7.  Sarcofago  con  combattimento  di  Amazzoni,  della  cui  parte  anteriore 
un  frammento  si  conserva  nel  palazzo  Salviati  (Matz-Duhn  (II)  n.  2221);  le 
parti  laterali  nel  Museo  Chiaramonti :  disegno  a  f.  44  A.  '  san  chosimo  e 
damjano '. 

8.  f.  25.  Coperchio  di  sarcofago :  quattro  Amazzoni  sedenti,  che  con  una 
mano  s'appoggiano  suUa  ten-a,  coIFaltra  tengono  la  pelta.  La  mano  seconda 


76  SITZUNGSPROTOCOLLE 

del  manoscritto  aggiunge :  '  fregio  del  choperchio  delamazone '  e  sotto  il  di- 
segno  '  freso  optimus  adüte  '. 

Per  Tarcheologia  cristiana  sono  di  graiide  importanza  i  disegni  f.  IV  r.  e  v., 
spettanti  aH'arte  musiva.  Nel  primo  (dichiarato  *  musaicho ')  si  vede  un  pastore 
in  clamide  e  penula  appoggiato  sul  pedo  con  le  gambe  crociate,  tra  buoi; 
nella  seconda  zona  un  aviarium  o  oQyi&oxQocpelov,  al  fine  un  pastore  che  acca- 
rezza  due  pecore :  sono  questi  i  motivi  principali  della  decorazione  noll'abside 
sinistra  in  SS.  Euflna  e  Seconda,  ripetuti  nel  musaico  di  S.  demente  (De 
Rossi,  Musaici  crist.  V-VI  f.  1-2).  II  disegno  conferma  la  congettura  del  De 
Eossi  intorno  ai  disegni  del  Cod.  Vat,  5407,  e,  d'accordo  con  le  notizie  di 
Panvinio  {De  jpraecipuis  basilicis  Urbis  p.  158),  fornisce  il  materiale  per  la 
restituzione  del  musaico,  dimostrando  che  i  pastori  si  vedevano  nella  zona 
principale. 

L'altro,  segnato  '  tutto  musaicho  in  santa  ghostan9a ',  da  piena  luce  sul 
celebre  ciclo  di  musaici  di  S.  Costanza:  vi  erano  tre  zone  fra  cui  due  con  scene 
storiche,  le  inferiori  del  vecchio,  le  superiori  del  nuovo  testamento.  Qui  pure, 
confrontando  i  disegni  di  Francesco  d'Olanda,  di  Sangallo  e  altri,  si  possono 
restituire  quasi  interamente  la  decorazione  e  le  singole  scene.  (De  Rossi,  Mu- 
saici crist.  XVII-XVIII  f.  5  segg.). 

Fra  gli  altri  disegni  due  rappresentano  oggetti  che  ebbero  qualche  In- 
fluenza sugli  artisti  del  rinascimento : 

f.  17 :  frammento  del  sarcofago  Bartoli,  Admiranda  82,  ora  a  Firenze 
negli  Uffizj  (Dütschke  n.  6  contro  Crowe  e  Cavalcaselle,  Raffael  II,  p.  244), 
che  fu  il  modello  per  il  sagriflzio  di  Listra. 

f.  IX  V. :  composizione  somigliante  alle  Nozze  Aldobrandine  ed  alle  pit- 
ture  del  Sodoma  e  di  Raffaello  rappresentanti  le  nozze  di  Alessandro  con 
Roxane,  copia  probabilmente  d'una  pittura  antica,  rappresentante  forse  Marte 
e  Venere  sorpresi  dal  Sole. 

Hülsen:  La  silloge  epigrafica  di  Nicola  Signorili,  compilata  sotto 
gli  auspizi  del  tribuno  Cola  di  Rienzi,  fra  le  antiche  iscrizioni  del  Carapido- 
glio  e  del  Tabulario,  riferiscc  la  seguente  del  medio  evo 

IRATVS    RECOLE    QVOD    NOBILIS    IRA    LEONIS 
IN    SIBI     PROSTRATOS    SE    NEGAT    ESSE     FERAM 

aggiungendo  la  postilla : '  in  ingressu  secundae  portae  Capitolii  et  in  limite 
scriptum,  et  fertur  de  more  ostendi  cuilibet  senatori  cum  ofjßcium  intrabat: 
et  erat  leo  depictus  feroci  aspectu  ex  alto  catulum  inspicicns  humiliter  ante 
eum  iacentem  \  Di  questa  singulare  pittura,  memorabile  anche  perchö  entra 
nella  storia  delle  ultime  vicende  tragiche  del  tribuno  (Gregorovius  Gesch.  der 
Stadt  Rom  6,  p.  356 :  Camillo  Re,  Bull,  comun.  1882  p.  105)  finora  non  si  avevano 
notizie  piü  esatte,  se  non  che  il  Comm.  de  Rossi  ha  dimostrato  (gli  Studi  in 
Italia  IV,  2,  1881  p.  231)  esser  stata  quest'imagine  una  imitazione  di  un'altra 
piü  antica  esistente  presso  il  Laterano  giä  dall'epoca  di  Urbano  II  (1088-1099). 
Merita  dunque  attenzione  un  disegno  conservato  nella  raccolta  degli  Uffizi  di 


SITZÜNGSPROTOCOLLE  77 

Firenze,  appartenente  al  libro  (sched.  3275-3381)  di  Pier  Giacomo  Catani  Sa- 
nfise.  L'autore  ad  uno  dei  fogli  ascrive  la  data  del  1533:  ma  probabilmente 
egli  copiö  molti  disegni  piü  antichi,  in  parte  forse  del  suo  compatriota  Fran- 
cesco di  Giorgio  Martini.  La  maggior  parte  dei  disegni  sono  di  ornamenti  e 
di  fortificazioni :  non  mancano  pero  allri  che  si  riferiscono  aH'antichitä.  Sul 
foglio  3280  vi  f^  un  disegno  della  basc  della  colonna  Traiana  e  due  fogli  dopo 
il  disegno  di  un  lione ,  guardante  un  cagnolino  che  gli  sta  appiedi:  rappre- 
seotanza  affatto  identica  con  la  descrizione  del  Signorili,  di  modo  che,  sebbene 
non  vi  sia  indicazione  di  luogo,  non  esiterei  di  riconoscervi  un  ricordo  della 
curiosa  pittura  del  Campidoglio,  perita  probabilmente  nei  restauri  del  Cin- 
quecento. 

11.  Januar:  Mau  über  antike  Mühlen  von  Pompeji  (s.  Mit- 
theill.  später).  —  Petersen  über  eine  Gruppe  des  Neuen  Capitc- 
linischen  Museums,  zwei  Satyrn  im  Kampfe  mit  einem  Giganten 
darstellend  (s.  Bullett.  della  commiss.  archeol.  comun.  1889  Tav.  I-II 
und  S.  17). 

18.  Januar:  Mau  über  antike  Handmühleu  (s.  Mitth.  später)  — 
Ficker:  die  christlichen  Sarkophage  Spaniens. 

FiCKER :  I  scguenti  rilievi  dei  primi  secoli  cristiani  sono  sconosciuti 
fuori  di  Spagna;  ne  furono  riprodotti  alcuni  in  modo  insufficiente,  gli  altri 
sono  affatto  ignoti. 

1.  Sarcofago,  trovato  nel  1846  nelle  rovinc  di  Empotion,  oggi  Ampurias, 
ora  nel  Museo  provinciale  di  Gerona:  Eroti  che  simboleggiano  le  stagioni, 
tra  loro  il  Pastore  Buono,  imberbe ;  sul  coperchio  vendemmia  e  raccolta  delle 
olive,  fabbricazione  dell'olio  e  del  vino.  Cfr.  Noticia  historica  y  arqueojögica 
de  la  antigua  ciudad  de  Emporion  por  D.  Foaquin  Botes  y  Gisö,  Madrid  1879 
p.  118  sg.  Nell'istessa  opera  p.  122  e  menzionato,  come  proveniente  dalle 
stesse  rovine, 

2.  un  frammento  di  sarcofago  strigillato  con  il  monogramnia  tra  «  e  to, 
circondato  da  una  Corona.  Si  conserva  presso  il  luogo  del  ritrovamento. 

3.  Tra  la  coUezione  nella  chiesa  di  S.  Feiice  a  Gerona:  un  sarcofago 
strigillato  con  la  donna  orante  in  piccole  proporzioni  in  mezzo;  agli  angoli 
un  Pastor  Buono  imberbe;  quasi  identico  con  un  rilievo  che  il  Garrucci  at- 
tribuisce  a  Pisa  (375,  2). 

4.  Sopra  la  porta  destra  della  cattedrale  di  Tarragona  sta  niurata  la 
parte  anteriore  di  un  sarcofago,  replica  di  un  prototipo  piü  volte  ripetuto 
(Le  Blant,  Sarcoph.  de  la  Gaule  p.  63);  la  buona  conservazione  permette  di 
correggere  i  ristauri  dell'esemplare  Lateranense  (Garr.  314,5)  e  stabilire  che 
a  sinistra  dell'entrata  a  Gerusalemme  vi  fu  la  vocazione  di  Zaccheo. 

5.  Non  abbastanza  certa  e  l'origine  cristiana  di  un  sarcofago  di  lavoro 
grossolano  nel  Museo  provinciale  di  Tarragona,  con  strigille  ritte,  pilastri  agli 
angoli,  nel  mezzo  uno  scudo,  ai  lati  del  quäle  vedonsi  due  delfini  rivolti  uno 


78  SITZÜNGSPROTOCOLLE 

verso  l'altro.  L'iscrizione,  pubblicata  insufficieuteraente  da  manoscritti  nel  CLL. 
II  n.  4518,  dice: 

D  M 

CL  SATVRNI 

NO  CL  FELI 

CISSIMVS  AFR 

S  /  /AXO  FAB 

M  B  •  M  F 

G.  Anche  le  due  figure  nella  Puerta  del  Sol  a  Toledo,  emgma  per  i  cro- 
nisti,  non  sono  che  un  gruppo  preso  da  un  sarcofago:  Gesü  Cristo  annun- 
ziando  la  negazione  a  Pietro. 

7.  I  nn.  1-6  appartengono  a  Hispania  Tarraconensis.  Uno  solo  viene  dalla 
Lusitania.  E  un  sarcofago,  trovato  sul  terreno  dell'antica  Ilurbida,  presso  Ta- 
lavera  la  Reina,  oggi  nel  Museo  arquoologico  nacional  a  Madrid:  Gesü  Cristo 
seduto  fra  i  dodici  apostoli  indicati  con  i  loro  nomi,  in  parte  ancora  esistenti. 
(Cfr.  Guerra  y  Orbe  nel  Museo  espanol  de  antif/g.  T.  VI  p.  591  e  599.  Fidel 
Fita,  Bolettn  de  la  R.  Acad.  de  la  ff  ist.  T.  IL  Cuad.  IV,  1883  p.  287  sg.). 

8.  Nell'anno  1886  si  trovo  a  Ecija  in  Andalusia  un  sepolcro  cristiano, 
contenente  un  sarcofago  con  bassirilievi  del  VII.  secolo :  il  Pastore  Buono,  sa- 
crifizio  d'Isaacco,  Daniele  tra  i  leoni ;  a  tutte  e  tre  le  scene  sono  apposte  in- 
dicazioni  greche :  ABPAA  eiCAK  nvMH  n  AANmA{Fits,,Bolet{n  de  la  R.Acad. 
de  la  Eist.  T.  X,  1887  p.  267  sg.). 

9.  Trovato  presso  Jaen  nella  Baetica,  ora  nel  Museo  arq.  nac.  a  Madrid 
di  Stile  affine  al  n.  8 :  La  risurrezione  di  Lazaro,  il  Pastore  difendendo  le  pe- 
core,  la  presa  del  nostro  Signore  con  l'episodio  di  Pietro  che  taglia  rorecchio 
a  Marco.  E  evidente  la  somiglianza  con  gli  aflfreschi  della  Reichenau  e  altre 
opere  dell'epoca  carolingo-ottonica,  e  cosi  anche  questi  monumenti  fanno  testi- 
monianza  di  uno  sviluppo  storico  e  artistico  non  interrotto  dai  primi  secoli 
cristiani  fino  al  medio  evo. 

25.  Januar:  Hülsen  über  die  Titusthermen  und  die  Por- 
ticus  Liviae. 

Hülsen  :  Intomo  l'architettura  delle  terme  di  Tito  avevamo  finora  due 
documenti  d'importanza  speciale,  la  pianta  rilevata  da  Andrea  Palladio,  ed  il 
frammento  109  della  Forma  Urbis  Romae.  Peru  il  primo  non  e  esente  di  ristauri 
arbitrarj,  ed  il  eecondo  non  abbraccia  che  una  parte  del  recinto  esteriore  Nord, 
con  una  piccola  porzione  deH'ediflzio  centrale.  Vengono  a  compiere  questa  la- 
cuna  due  plante  inedite,  della  raccolta  Destailleur,  ora  del  Museo  di  Berlino : 
esse  rilevate  da  un  architetto  esperto  e  corredate  di  misure  esattissime  danno 
correzioni  ed  aggiunte  preziose  non  soltanto  per  la  ricostruzione  dell'edifizio 
principale  ma  specialmente  per  la  parte  centrale  del  recinto  nord.  Quest'ultima, 
quasi  completamente  distrutta  al  tempo  del  Palladio,  fu  veduta  dall'anonimo 
in  uno  stato  di  conservazione  abbastanza  buono,  e  si  riconosce  come  ingresso 


SITZÜNGSPROTOCOLLE  79 

monumentale  alle  Terme.  I  frammenti  dalla  Forma  Urbis  11  e  109  sagacemente 
ricongiunti  dal  eh.  Lanciani  (Bull,  comun.  1886  p.  272)  ci  fanno  vedere  che  que- 
sto  ingresso  si  apriva  sopra  una  plazzetta  triangolare  confinante  verso  Nord  col 
portico  di  Livia.  Intorno  alla  situazione  di  questo  portico  il  eh.  Gatti  (1.  c.  p.  274) 
non  ha  espresso  un'opinione  positiva,  limitandosi  a  dire  che  doveva  estendersi 
sull'altopiano  compreso  fra  il  lato  nord-est  delle  Terme  di  Tito,  e  la  chiesa  di 
S.  Lucia  in  Selci :  vale  a  dire  proprio  in  quel  luogo,  ove  il  Pailadio  ha  rilevato 
la  pianta  di  un  complesso  di  rovine,  chiamate  da  lui  «  Terme  di  Vespasiano 
Imperatoren;  i  moderni  cambiando  soltanto  il  nome  di  Vespasiano  in  quello  di 
Traiano  non  hanno  dubitato  che  si  trattasse  di  una  Terme,  mentre  in  veritä 
l'icnografia  si  mostra  poco  adatta  a  tale  scopo.  Un  confronto  fra  l'icnografia  Se- 
veriana  e  la  pianta  del  Pailadio  mostra  somiglianze  cosi  caratteristiche,  che  non 
esiterei  di  attribuire  al  complesso  di  rovine,  finora  credute  le  tenne  di  Traiano 
il  nome  del  Portico  di  Livia  (i).  Stabilito  questo,  siamo  pure  in  grado  di  risol- 
vere  il  problema  agitatissimo  dell'orientazione  della  Forma  Urbis:  i  frammenti 
ricongiunti  11 -h  109  ci  danno  per  la  prima  volta:  1)  un  edifizio  di  sito  cono- 
sciuto;  2)  una  iscrizione;  3)  una  commettitura  anticadi  laslre.  Quest'ultimo  par- 
ticolare  non  si  scorge  nella  pubblicazione  dello  Jordan,  ma  invece  in  quella 
nei  raonumenti  dell'Inst.  VIII  tav.  XLVIII A.  come  nella  fotografia  Parkeriana 
Archeology  of  Rome  11=  Forum  Romanum  tav.  XLIV.  Ne  risulta  che  l'icno- 
grafia Severiana  aveva  in  alto  il  SOvest,  di  modo  che  la  via  Appia  ed  il  Circo 
Massimo  stavano  in  direzione  perpendicolare.  Quest'argomento,  come  la  ricom- 
posizione  della  Forma  Urbis,  spero  di  poterlo  svolgere  ampiamente  in  altra 
occasione. 

1.  Februar:  G.  B.  De  Kossi:  Die  Mosaiken  von  S.  Costanza.  — 
Petersen:  Antike  Yorkehrungen  zum  Schutze,  von  Tempeln  und 
Bildwerken  gegen  Vögel  (s.  Athen.  Mittheill.  1889). 

De  EiOSSI  esibisce  un  disegno  fatto  sotto  la  sua  direzione  per  rico- 
struire  secondo  la  forma  primitiva  tutta  la  decorazione  interna  a  musaico  ed 
a  lavoro  di  tarsia  marmorea  {opus  sectile  marmoreum)  del  mausoleo  costan- 
tiniano  della  via  Nomentana,  appellato  di  S.  Costanza.  Gli  elementi  della 
restituzione  sono  stati  presi  da  disegni  varii  e  schizzi  editi  ed  inediti  degli 
architetti  del  secolo  XV  e  del  XVI ;  specialmente  da  quelli  di  un  codice  del- 
l'Escuriale  della  fine  del  secolo  XV  fotografati  nel  passato  anno  1888  dal 
sig.  dott.  Ficker. 

8.  Februar:  Winnefeld:  die  Alterthümer  von  Alatri  (s.  Mitth. 
später),  —  Petersen  über  einen  Typus  des  Herakles,  der  bisher 
für  Ares  gehalten  ist  (s.  Mitth.  später). 

(1)  Dalla  pianta  aggiunta  alla  Topographie  von  Rom  del  eh.  0.  Richter, 
(Noerdlingen  1889)  giuntami  dopo  che  questo  discorso  era  compiuto,  rilevo, 
che  il  mio  dotto  amico  abbia  approvata  questa  congettura,  comunicatagli  fin 
dall'anno  passato. 


80  SITZÜNGSPROTOCOLLE 

15.  Februar :  Keisch  legt  zwei  Oesterreichische  Publicationen 
vor,  den  IL  Band  der  Reisen  im  SW.  Kleinasien  und  den  ersten 
Theil  der  im  Jahrbuch  der  kunsthistorischen  Sammlungen  des  Al- 
lerhöchsten Kaiserhauses  von  Benndorf  herausgegebenen  Reliefs  von 
Gjölbaschi.  —  Lignana:  eine  oskische  Inschrift. 

LiGNANA :  A  Capua  vetere  nel  foiido  Patturelli,  onde  giä  sono  venuti 
fuori  negli  anni  precedenti  monumenti  insigni  di  epigrafla  Osca,  furono  rinve- 
nute  nelle  scorse  settimane  altre  iscrizioni  Osclie.  II  sen.  Fiorelli,  direttore 
generale  degli  scavi  e  musei  nel  regno,  ha  voluto  con  singulare  cortesia  comu- 
nicarmene  i  calchi,  e  ai  19  del  corrente  luese  di  febbraiu  per  corrispondere  il 
meglio  che  per  nie  si  putesse  alla  cortesia  usatanii  ho  coniunicato  al  sen.  Fio- 
relli le  niie  osservazioni.  Ora,  se  i  colleghi  dellTstituto  me  lo  perniettono, 
coniunichero  luro  le  iscrizioni  come  le  ho  leite,  sogginngendo  brevi  osservazioni. 

La  prima  iscrizione  che  mi  fu  comunicata  e  la  segtiente : 

W  VI  t  M  3I>  IT  •  M1N>IMVI< 
mN>IIMIVWI4iV>l>,/r'l^Vll>N>l 

T^^t^^ji  •  >i  vii'r^i:i> 

Mettendo  adunque  assieuie  i  segni  che  sono  ancora  manifesti  ed  evidenti 

si  legge  facilmente  :  diuvilam  .  tirentium  .  ...lagiium lum  .  muinikam 

siais  .  eiduis  .  luisarifs rvist .  iiuk  .  destrst. 

L'alfabeto  di  questa  iscrizione  non  distingue  ancora  I,  V  da  h,  V. 

Diuvilam  e  acc.  sing.  La  parola  occorre  spesso  nella  epigrafia  Osca,  p.  e. 
ek{o)  diuvil{o)  al  nora.  sing,  nella  iscrizione  pubblicata  dal  Büchelcr  (nel  museo 
Renano  XXXIX  p.  316),  e  al  nom.  plur.  nella  iscrizione  pubblicata  la  prima 
volta  dal  Minervini  ekas  iuvilas  luvet  Flagiui.  Con  questa  parola  dev'essere 
indicata  qualche  cosa  o  qualche  dono  che  spetta  a  Giove,  e  rimane  quindi 
esclusa  la  spiegazione  che  ne  da  il  Corssen,  e  quella  pure  del  Minervini  che 
vorrebbe  vedervi  una  cosa  preziosa,  cioe  un  gioiello. 

Seguono  tre  genitivi  plurali,  che  quando  siano  di  nomi  proprii,  non  pos- 
sono  appunto  per  la  forma  plurale  essere  nomi  individuali  ma  collettivi.  Ec- 
cettuato  il  primo  tirentium  gli  altri  due  sono  guasti  nelle  lettere  onde  inco- 
minciano.  Prolungando  il  primo  segno  che  rimane  del  secondo  nome  cio6  v 
in  m  risulterebbe  magiium,  ma  quando  si  consideri  che  il  g  intervocale  nel- 
rOsco  diventa  h,  oppure  scompare,  il  risultato  difficilmente  poträ  persuadere, 
quando  non  si  voglia  ammettere  como  ancora  non  esistente  l'accennata  trasfor- 
mazione  fonetica  deirOsco  II  terzo  nome  presenta  ancora  maggiori  difficoltä. 
L'ultima  sillaba  lum,  e  se  non  erriamo,  Klum  suggerisce  subito  la  combina- 
zione  Paklum,  raa  la  linea  piegata  della  prima  lettera  piuttosto  che  p  fa 
supporre  s. 

Si  potrebbe  supporre  che  non  si   tratti   di    nomi   individuali    e   leggere 


SITZUNGSPROTOCOLLE  81 

quindi  siklum  —  seculorum,  oppure  saklum-sacellorum,  oppure  supporre  nomi 
di  tre  popoli,  tirentium,  tlatiium,  siklum,  cio^  Tarentini,  Latini  e  Siculi.  In 
qaesto  caso  nel  secondo  nome  il  segno  che  ci  h  parso  g  sarebbe  invece  t. 

Muinikam  acc.  singolare  che  si  accorda    con   diuvilam  occorre  spesso 
e  non  ha  bisogno  di  spiegazione. 

Supplisco  siais  della  terza  linea  coii  fasiuis  —  fastis  potrebbe  anche  essere 
fesiais  e  allora  sarebbe  il  latino  feriis,  o  con  altro  sufiRsso  fes-tis. 

Eiduis  —  idibus. 

Luisarifs.  Una  prima  supposizione  sarebbe  che  fosse  un  abl.  plur.  cor- 
rispondente  al  latino  ludificis.  La  iscrizione  di  Luceria  ha  loucarid  invece  di 
loucod.  Allo  stesso  modo  invece  di  ludus,  lusus  potremmo  avere  lus  col  suf- 
fisso  ari,  quindi  l'Osco  luisari ;  fs  sarebbe  per  f{iki)s,  e  cadute  le  vocali  f{k)s. 
Siccome  poi  nella  lingua  Osca  il  gruppo  ks  diventa  spesso  s  p.  e.  meddis  per 
mediks  c'osi  luisarifs  per  luisarifks  sarebbe  spiegato.  Ma  contro  questa  spie- 
gazione  prima  di  tutto  e  da  osservare  che  la  lingua  Osca  non  ama  le  compo- 
sizioni  e  il  solo  esempio  che  occorre  nella  iscrizione  di  Pietrabbondante  üvfri- 
künüss  e  si  supplisce  con  lüvfrfkunüss  e  si  Iraduce  liberigenos  non  va  apcora 
esente  d'ogni  difßcoltä.  Inoltre  la  vocale  i  non  manca  mai  nei  dativi  ed  abla- 
tivi  plurali  deU'Osco. 

Proporrei  quindi  di  vedere  in  luisarifs  una  formaverbale.  Se  nella  nostra 
iscrizione  non  mancasse  il  soggetto  o  per  meglio  dire  i  soggeiti,  onde  dipende 
il  verbo,  la  cosa  sarebbe  stata  certa  a  prima  vista.  Ma  alle  altre  si  aggiunge 
pure  questa  diflBcoltä. 

Nelle  iscrizioni  latine  di  Capua  occorre  spesso  la '  formola  loidos  fece- 
runt.  Sono  i  raembri  del  collegio  cioe  i  magistri  per  lo  piu  in  numero  di  do- 
dici,  i  quali  nell'entrare  in  ufißcio  celebrano  i  giuochi.  II  nostro  luisarifs  che 
nel  senso  corrisponde  certamente  al  loidos  fecerunt  dev'essere  spiegato  come 
una  forma  verbale  perifrastica  ?  Luisarifs  sarä  per  luisarif\eken)s  ?  Quando  si 
ricorda  il  proffs  della  iscrizione  pubblicata  dal  Minervini  e  dal  Bücheier,  che 
sta  per  prof(at)t{en)s  —  probaverunt  la  cosa  diventa  verosimile.  Ma  nell'Osco 
la  reduplicazione,  che  qui  sarebbe  caduta,  si  mantiene.  Sarebbe  quindi  meglio 
spiegare  luisarifs  come  derivato  da  un  verbo  denominativo  p.  e.  lusaria-re 
e  allora  avremmo  un  perfetto  indicativo  luisarif(en)s  o  un  perfetto  congiun- 
tivo  luisarif{in)s  —  luserunt  oppure  luserint. 

rvist  della  quarta  linea  dev' essere  supplito  sakruvist:  v  h  inorganico, 
ciofe  si  sviluppa  neH'Osco  fra  due  vocali,  quindi  sakruvist  —  sacra  est.  E  tale 
a  mio  avviso  dev'essere  la  forma  della  iscrizione  pubblicata  dal  Minervini 
e  dal  Bücheier.  Sakruvit  non  h  come  vorrebbe  il  Bücheier,  una  forma  come 
plovit,  staluit,  ma  semplicemente  sakruvist  —  ist  gev:eiht,  tralasciata  la  sibi- 
lante.  Da  approvarsi  e  la  congettura  del  Bücheier  che  nella  prt'detta  iscrizione 
al  postrei  soggiunge  iuklei. 

iiuk  —  ea  nom.  sing.  fem. 

destrst  —  dextera  est,  il  che  equivale  propitia  est;  e  cosi  pure  in  greco 
il  deitöf  significa  qualche  volta  lo  stesso  che  adaiog  come  Od.  XV  16.  dsciog 
oQvig,  ne  punto  differiscono  nel  Sanscrito  däksa  e  ddksina. 


82  SITZÜNGSPROTOCOLLE 

Premesse  queste  osservazioni  non  posso  per  ora  riassumere  altriraenti  il 
risultato  che  nel  seguente  modo : 

Rem  ad  lovem  spectantem  Tirentium 

iorum lorum  communem 

Fastis  idibus  luserunt 
Sacra  est  ea,  propitia  est. 

22.  Februar:  LiGNANA  über  eine  zweite  oskische  Inschrift. — 
Winter:  über  die  kunstgeschichtliche  Bedeutung  der  zusammen 
gefundenen  herculanischen  Bilder:  Cheiron ,  Marsyas,  Theseus, 
Telephos  und  besonders  der  Medea.  —  Hülsen:  der  Meilenstein 
von  Mesa. 

Lignana:  L'altra  iscriziono  Osca  trovata  nello  stesso  fondo  Patturelli 
h  la  seguente: 

II 'mm  wiiH'iiiiiiii 
////mv>i-<itN<]s-w//////////  , 

////7//T^3->IINIVH1-/7////// 

//////•mvn- ^iNUNS 

<in-^Nn-^//////NN3F 
N1TT<I^H1NW-/////IN 
NUN<1>IN^T3^ -^1 

S  V  S  •  I  N  I  >l  >l  1 51 51 

La  prima  parola  della  seconda  linea  essendo  un  gen.  sing,  rende  proba- 
bile,  che  la  prima  linea  in  gran  parte  perduta  contenesse  un  nome,  che  accor- 
dandosi  colla  terminazione  che  e  rimasta  al  principio  della  terza  linea  fosse 
un  nominativo  neutro.  Ritenendo  adunque  che  le  tre  lettere  delle  quali  ap- 
paiono  ancora  le  traccie  siano  da  leggersi  a,  k,  l,  si  potrebbe  supplire 
Sakai'^aklom. 

La  parola,  di  cui  una  sillaba,  cioe  me  si  legge  in  fine  della  seconda 
linea  e  la  cui  flessione  in  principio  della  terza  potrebbe  essere  memnim, 
che  occorre  nella  lamina  di  piombo  trovata  nel  1857.  Non  tralascio  tutta- 
via  di  notare  che  l'intervallo  che  precede  quella  che  noi  chiamiamo  la  fles- 
sione m,  non  pare  sufSciente  a  contenere  tre  lettere.  La  combinazione  quindi 
h  incerta. 

Quäle  sia  la  origine  e  la  significazione  della  prima  parola  della  seconda 
linea  non  sappiamo,  solamente  la  flessioiie  che  e  di  genitivo  singulare,  h  chiara. 

fratr.  —  fratrum. 

Dubbia  mi  e  la  lettura  dei  segni  che  seguono;  nia  nel  caso  che  si  deb- 


SITZÜNGSPROTOCOLLE  83 

bano  leggere  Kom  e  forse  Komb,  si  potrebbe  sapporre  assieme  colle  lettere 
scomparse  al  principio  della  quarta  linea  uiia  abbreviazionc  di  Kombennieis 
0  Kombenniei. 

Moinik.  sta  per  moinikom  —  commune. 

est  —■  est. 

In  fine  di  questa  quarta  liuea  forse  iiianca  uiia  parola,  che  potrebbe 
essere  eiduis,  che  occorre  nella  precedente  iscrizione  accouipagnafa  con  fa- 
siais  —  fastis. 

pom  —  quum.  ed  anche  in  fine  di  questa  quinta  linea  nianca  una  pa^ 
rula,  e  se  non  erriamo  la  piü  iniportante  per  intendere  la  seconda  parte  della 
iscrizione  e  a  cui  si  dovrebbero  riferire  i  pronoiui  pas,  ias  che  vengono  in  se- 
guito. 

heriajlljlj' s  sebbene  lo  spazio  fra  a  e  s  possa  contenere  non  nna  sola, 
raa  anche  due  lettere  leggianio  tuttavia  herians  terza  persona  plur.  del  con- 
giuntivo ;  herians  —  velint. 

pas  —  quae.  nom.  fem.  plur. 

II  calco  guasto  e  lacero  non  ci  lascia  discernerc  della  parola  che  la 
prima  sillaba  pra,  o  prai. 

Mamerttiais  —  Martiis. 

set  —  sunt. 

sakras  —  sacrce. 

ias  —  ülce 

L.  Pettieis  —  Lucii  Pettii. 

Meddikkiai  loc.  sing. 

fufens  —  fuerunt. 

Premesse  queste  osservazioni  proponiamo  la  seguente  spiegazione. 

Sacellum  eii  monumentum,  fratruni  conventus  commune  est.  Fastis 

quum  velint,  quae  pr  Martiis  sunt,  sacrae  illae  Lucii  Pettii  in  magistratura 
fuerunt. 

Hülsen  :  Nel  1872  il  eh.  Brizio  richiamö  l'attenzione  degli  epigrafisti 
ad  una  colonna  miliaria  conservata  nel  palazzo  postale  di  Mesa,  l'antica  sta- 
zione  ad  Medias  nelle  Paludi  Pontine.  II  suo  apografo  [Eph.  epigr.  II  p.  209) 
fu  poi  riveduto  e  corretto  dallo  Stevenson,  dal  Dressel  e  dal  de  la  Blanchere 
(Bibliotheque  des  4coles  Francaises  t.  34  p.  188).  Secondo  Vapografo  del  Dressel, 
fu  pubblicato  neWauctarium  addendorum  del  vol.  X  del  Corpus,  n.  6838  p.  1019, 
nel  modo  seguente: 

P  •  CLAVDIO  •  Ap.  f 
I  FOVRIO  •//■ 

AIDIL  es 
fac.  CO  ER 

II  Mommsen  riconobbe  nel  priore  dei  due  magistrati  P.  Claudio  Pulcro,  con- 
sole  nel  505/249,  famoso  per  la  sua  partecipazione  alla  prima  guerra  Punica. 
Quindi  la  colonna  di  Mesa  sarebbe  il  piü  antico  miliario  non  soltanto  dell'Ap- 
pia,  ma  dell'intero  mondo  Romano.  Volendo  la  Direzione  dell'Imp.  Museo  postale 


84 


SITZÜNGSPROTOCOLLE 


di  Berlino  arricchire  le  sue  collezioni  di  una  copia  in  gesso  di  tal  insigne 
monumento,  io  esaminai  diligentemente  l'originale,  il  quäle  essendo  ripulito 
con  cura,  moströ  in  alcuni  punti  difl'crenze  cunsiderevoli  coU'apografo    sopra 

proposto.  II  facsimile  aggiunto  fa 
vedere  come  neU'iscrizione  princi- 
pale,  cioe  quella  incisa  sulla  super- 
ficie  piana  della  colonna,  non  vi 
sia  una  riga  quarta,  ma  che  le  parti 
inferiori  delle  lettere  E5,  ritenute 
erroneamente  per  le  estremitä  su- 
periori  di  queste  er,  fecero  sospet- 
tarvi  l'esistenza  della  formula  fa- 
c{'nmdum)  cocr{averu)it) ,  poco 
adatta  all'alta  antichitä  delFepi- 
grafe.  Qnanto  ai  due  inagislrati, 
riconosceremo  nel  secondo  C.  Furio 
Pacilo  consolc  nel  503  la  edilitä 
ch'egli  sostenne  con  Claudio  Pulcro 
dovrä  ascriversi  aU'ultimo  decennio 
del  secolo  quinto  della  ciltä.  Per  la 
paleografia  e  interessante  la  forma 
dell'R  che  trova  nelle  inscriptiones 
antiquissimae  un  solo  riscontro, 
vale  a  dire  il  terminone  dell'agro 
^  Falerno  (C.  /.  X  4719).  E   singc- 

lare  poi   che   il  numero   X  abbia 
accanto  una  linea,  certaniente  an- 
tica,  sul  cui  significato  nulla  saprei  dire,  essendo  poco  verosimile  che  vi   sia 
indicato  il  numero  millenario. 

8.  März :  Lignana  über  oskische  Ziegelinschriften.  —  Maü 
über  eine  pompejanische  Amphoreninschrift  K  Gestio  L.  Antestio 
c\^os]  aus  dem  Jahre  55  n.  Chr.  —  Gercke  :  Porträtbüste  repu- 
blikanischer Zeit  —  Bethe  weist  die  allmähliche  Umbildung  der 
zum  Palladion  laufenden  Kassandra  in  die  knieende  nach. 

Lignana  :  Nel  bullettino  dell'anno  1876  p.  171  il  nostro  collega  F.  von 
Duhn  ha  pubblicato  una  dotta  ed  importante  dissertazione  sulla  necropoli  e  il  san- 
tuario  di  Capua,  e  per  la  prossimitä  di  questo  con  quella  ha  congetturato.  che  il 
santuario  potesse  essere  dedicato  a  una divinitä  avente  relazione  col  culto  dei morti. 

II  santuario  non  e  veramente,  come  scrive  il  Duhn,  nel  bei  mezzo  della 
necropoli  Capuana,  ma,  come  osserva  il  prof.  Beloch  nel  suo  libro  sulla  Cam- 
pania  1879  p.  356,  dista  solaraente  una  cinquantina  di  metri  dalle  mura  della 
cittä.  II  sito  adunque  del  santuario  non  basterebbe  per  rendere  certa  la  sua 
relazione  colla  necropoli,  e  la  sua  dedicazione  a  una  misteriosa  Dea  della  morte. 


SITZUNGSPROTOCOLLE 


85 


Ma  che  il  santuario  fosse  dedicato  non  a  un  Dio,  ma  a  una  üea  risulta 
dalla  statua  di  marmo  e  dalle  altre  d^  tufo,  che  vi  furono  trovate  e  rappre- 
sentano  tutte  una  Dea  avente  fra  le  braccia  uno  o  piü  figliuoletti.  II  fram- 
raento  di  iscrizione  trovato  in  questo  sito  al  tempo  che  il  Dnhn  fu  a  Capua, 
e  la  cui  terza  linea  incomincia  deiv  — ,  proverebbe  a  mio  avviso  la  stessa 
cosa,  ed  io  vi  leggo  un  dativo  singulare  cioe  deivai. 

Quäle  fosse  questa  Dea  h  per  ora  raolto  diflScile  il  decidere;  il  Duhn, 
come  abbiamo  giä  detto,  suppone  una  Dea  che  ha  relazione  col  culto  dei  inorti : 
il  Beloch  invece,  e  a  nostro  avviso  con  niaggiore  probabilitä  una  Dea  geni- 
trice.  Se  si  dovesse  ritenere  come  certa  questa  seconda  ipotesi  si  potrebbe  al 
dativo  deivai,  come  noi  leggiarao,  aggiungere  genetai;  il  che  ci  e  suggerito 
dalla  tavola  di  Agnone. 

Ma  comunque  sia  nello  esaminare  le  brevi  e  mutile  iscrizioni  osche  dei 
mattoni  trovati  recentemente  presso  il  santuario  ci  e  oiFerta  una  occasione  di 
esprimere  una  terza  ipotesi  sul  nome  della  Dea. 

Giä  nel  1876  erano  stati  trovati  altri  mattoni;  e  di  quelli  un  frammento 
fu  regalato  dal  Patturelli  al  prof.  Duhn,  e  si  trova  ora  al  museo  di  Berlino. 
II  frammento  incomincia  colle  seguenti  sillabe  mame 

Se  non  erriamo,  i  mattoni  recentemente  scoperti  ci  pongono  in  grado 
di  supplire  ciö  che  manca.  In  un  frammento  di  questi  mattoni  si  legge: 


V  5)  I  3 
VNkMJVU 


Per  noi  e  evidente  che  si  deve  supplire  eiduis  mamerttiais-Idibus  martiis, 
e  quindi  le  due  sillabe  mame —  dei  mattone  regalato  al  prof.  Duhn  vanno 
completate  mamertiais  taciuto  il  sostantivo  eiduis. 

II  rovescio  dei  nostro  mattone  e  pure  scritto,  cioe  SS.  Non  e  facile  il 
^roporre  una  congettura  e  quindi  se  coi  due  f  f  non  e  iudicata  una  qualche 
forma  dei  verbo  facere  o  fingere  non  sapremmo  che  dire. 

In  un  altro  mattone  si  legge : 


Nfl 


Se  nel  prirao  erano  indicati  gli  idi  di  Marzo,  in  questo  secondo  pu'>  es- 
sere  indicato  il  mese  di  Gennaio. 

In  un  terzo  frammento  di  mattone  si  legge: 


$)M 


Senza  dubbio  un  abl.  sing:  e  l'ultima  sillaba  di  sakrid,  come  h  indicato 
chiararaente  dal  quarto : 


H 

Jll<>lr< 

86 


SITZÜNGSPROTOCOLLE 


cioe  rs  {s)akrid.  Dunque  sacro,  ed  in  r  s  genitivo  singulare  potrebbe  essere 
accennato  il  nome  della  Dea  cui  era  dedicato  il  santuario.  Proponiamo,  senza 
volere  escludere  altre  combinazioni,  che  polrebbero  in  seguito  parere  piii 
probabili,  di  supplire  entras  che  6  il  nome  di  una  Dea  nominata  nel  bronzo 
di  Agnone. 

15.  März:  Petersen  über  eine  archaische  Auiazonendarstel- 
lung ;  Athena  unter  den  neun  Musen  im  Fries  des  Nervaforuras.  — 
Hülsen  :  Eeconstruction  der  Regia  mit  den  Consular-  und  Trium- 
phalfasten. 

Petersen  presenta  con  gentile  permesso  del  eh.  C.  L.  Visconti  le  fo- 
tografie  riprodotte  qui  giü  di  una  statua  greca  del  secolo  VI,  trovata  nella 
Villa  Ludovisi.  Lo  stile  arcaico  della  figura  e  l'avere  essa  servito  di  decora- 
zione  archiMtgnica  fu  riconosciuto  bene  nel  BuUett.  coraun.  1888  p.  417.  Le 


forme  verginali,  il  vestinfento  con  la  punta  pendente  del  berretto  frigio  visi- 
bile  sulla  chioma  ondeggiante  e  finalmente  Tarmatura  fanno  conoscere  l'A- 
mazzone.  Sulla  coscia  s.  cioe  un  incavo  di  0,10  e  0,13  col  foro  di  penio  dentro 
ha  servito  per  fissarvi  il  turcasso  lavorato  separatamente.  Anche  l'atteggia- 
mento  della  persona  desta  subito  l'idea  di  un  arciere.  La  figura  perö  non 
stava  tirando  l'arco  come  fanno  tre  flgure  dei  frontoni  di  Egina,  opponendosi 
a  tale  azione  la  tenuta  delle  braccia.  L'avambraccio  d.  ha  lasciato  persino  il  suo 


SITZÜNGSPROTOCOLLE 


87 


puntello  sul  ginocchio  sinistro.  Monete  di  Tebe  (v.  Catalogue  of  greek  coins  in 
the  Brit.  Mus.  Central  Greece  pl.  XII)  rappresentano  Ercole  giovane  olire  nel- 
l'iitto  di  tirare,  anche  in  quello  d'incordare  l'arco,  tanto 
ritto  in  piedi  (n.  5)  quanto  inginocchiato  (n.  2  riprodotta 
qui  accanto,  e  3).  Qui  il  manteniniento  delle  braccia  h 
tale  quäle  si  deve  ristaurare  nella  nostra  statua,  se  non 
che  TErcole  sta  ripiegato  piü  addiefro,  nientre  TAmaz- 
zone  rassomiglia  piü  alla  figura  di  uno  Scita  sul  vaso 
di  argento  raffigurato  nelle  Antiquites  du  Bosphore  Cim- 
m^rien  Tav.  XXXI,  ove  nel  testo  b  detto  che  tal  ma- 
niera  d'incordare  l'arco  esiste  ancora  presse  i  Tatari. 
L'una  estremiiä  .dell'arco  sempre  preme  la  coscia  deslra 
lä  ove  nella  nostra  statua  si  trova  un  forame  di  0,01 
diam.  e  0,015  profonditä,  perduto  disgraziatamente  nella  zincografia.  L'altra 
estremitä  poteva  essere  tenuta  o  con  la  mano  destra  come  fa  l'Ercole,  o  con  la 
sinistra  —  il  braccio  s.  como  fa  vedere  la  fig.  2,  era  lavorato  separatamente  — 
come  fa  lo  ScitiV.  E  questo  ultimo  io  proferisco  perche  sul  ginocchio  s.  avanti 
quel  puntello  un  sottilissimo  perno  di  bronzo  pare  indichi  la  direzione  della 
corda.  * 


La  figura  ha  nel  dorso  sotto  la  chioma  un  incavo  quadrato  di  0,10  X  0,10, 
nel  cui  mezzo  vi  h  un  altrp  incavo  quadrato  di  0,05  X  0,06.  Quello  piü  grande 


88  SITZÜNGSPROTOCOLLE 

tagliato  a  sghembo,  meutre  a  destra  e  profondo  0,0,  a  sinisfra  lo  h,  0,035  e 
l'incavo  piccolo  vi  aggiunge  altri  0,035.  Se  questo  incavo,  molto  simile  a  quelli 
ovvii  nelle  figure  frontonali  di  Olimpia,  serv\,  come  credo,  ad  attaccare  la 
figara  ad  un  fondo  architettönico,  questa  per  l'obliquitä  dellMncavo  doveva  pre- 
sentarsi  come  nella  fig.  1.  Ed  6  questa  relazione  con  l'architettura,  che  in- 
sieme  con  lo  stile  ed  il  soggetto  rammenta  quello  che  Plinio  n.  h.  36,12  ri- 
ferisce  intomo  agli  scultori  di  Chic  Bupalo  ed  Atenide,  figli  di  Archermo: 
Romae  eorum  signa  sunt  in  Palatina  aede  Apollinis  in  fastigio  et  omnibus 
fere  (il  Loeschcke  observ.  archaeol.  1880  p.  4  volle  correggere  eo!  manubiis 
fere)  quae  fecit  divus  Augustus.  — 

Sul  fregio  del  portico  di  Nerva  (v.  Monum.  ined.  d.  Inst.  X  t.  XL  sg.)  certi 
personaggi  non  sono  stati  riconosciuti  se  non  due  volte  Minerva  D^  20  sg.,  ove 
sta  castigando  Aracne  e  H  57  ove  di  nuovo  si  crede  seduta  frammezzo  di  donne 
lavoranti.  Ma  non  ostante  la  composizione  simmetrica  di  tutta  questa  parte, 
le  figure  48-58  sono  divise  dalle  fig.  59-61  si  per  il  locale  che  per  le  occu- 
pazioni  diverse.  Quelle  priori,  che  stanno  tutte  rivolte  vcrso  Minerva  con  cer- 
tezza  si  riconoscono  come  le  Muse  per  il  numero,  per  il  loro  carattere  gene- 
rale come  per  la  grande  somiglianza  di  53  e  52  con  notissimi  tipi  di  Muse  (i), 
e  finalmente  per  la  lira  a  bastanza  visibile  di  49.  Altri  simboli  o  sirumenli 
musici  pare  non  mancassero  alle  figure  45,  50,  56,  58,  e  se  fosse  difficile  di 
supplire  maschere  o  globo,  siiFatta  mancanza  non  proverebbe  altro  che  Fan- 
"^tichitä  dei  tipi  riprodotti  {^).  Siccome  la  base  di  Alicarnasso  e  la  tavola  di 
Archeiao  ed  ultimamente  i  rilievi  di  Mantinea  (^j,  cosl  anche  le  Muse  del 
fregio  romano  sembrano  copiate  da  tipi  statuarii,  con  questa  differenza  peio 
che  negli  altri  rilievi  in  primo  luogo  sono  caratterizzate  le  singole  figure, 
mentre  per  il  nostro  artista  la  cosa  principale  era  l'assieme  di  tutte  le  so- 
relle.  Questa  unione  in  primo  luogo  nasce  dalla  presenza  di  Minerva,  la 
quäle  dea  qui  ^  l'Atene  musica,  come  nell'altra  parte  e  TErgane,  in  secondo 
luogo  6  prodotta  per  la  raffigurazione  del  paesaggio.  Questo  e  l'EIicone,  il 
quäle  personato  si  vede  a  sinistra  molto  rassomigliante  alla  figura  del  Caucaso 
nella  composizione  pergamena  felicemente  restituito  dal  Milchhöfer  (*),  e  forse 
non  e  troppo  ardito  pensare  che  l'artista,  il  quäle  cvidentemente  ha  studiato 
modelli  ellenistici,  con  quelle  due  rocce  opposte  abbia  voluto  rappresentare 
la  valle  Eliconia. 

22.  März :  Petersen  :  der  ursprüngliche  Zusammenhang  der 
Trajanischen  Reliefmedaillons  am  Constantinsbogen  (s.  Mitth.  spä- 
ter). —  Mau  :  Büsten  der  Livia  (s.  Mitth.  später).  —  Hülsen:  über 
ein  Relief  von  Terracina. 


(1)  L'Euterpe  vaticana  (Visconti,  Mus.  Pie-CUm.  I,  17  addubitata  dal 
Bie  (v.  la  nota  2)  p.  89)  per  il  confronto  del  fregio  e  del  rilievo  di  Mantinea 
e  confermata  essere  una  Musa. 

(2)  V.  Trendelenburg,  der  Musenchor  p.  II  e  Bie,  die  Musen  in  der 
antiken  Kunst  p.  29,  49,  53;  Fougeres,  Bulletin  de  corr.  hell.  1888  p.  125. 

(3)  Bulletin  de  corresn.  hellten  1888  pl.  II  III,  cf.  Overbeck  nelle  Be- 
richte der  K.  süchs.  Ges.  d.  Wiss.  1888  p.  284  sgg.  Con  queste  Muse  di  Man- 
tinea quelle  del  nostro  fregio  .stanno  in  piü  stretta  relazione  che  con  le  Muse 
di  Alicarnasso  e  di  Archeiao.  Si  confronti  II,  1  (da  sin.)  e  54,  2  e  51,  3  e  55, 
m  1  e  56,  2  e  53,  3  e  52. 

(*)  Die  Befreiung  des  Prometheus  p.  3. 


IL  MATRIMONIO  ITALICO. 

Discorso  letto  dal  comm.  G.  F.  Gamurrini 

nella  seduta  solenne  del  Natale  di  Roma 

ü  12  aprüe  1889. 

(Tav.  IV) 


Molto  si  addice  alla  ricorrenza  solenne  del  natale  di  Roma, 
che  qui  si  festeggia,  il  monumento,  nel  quäle  si  figura  il  matrimonio 
italico  nel  suo  vetiisto  rito.  Che  la  origine  di  ciascuna  cittä  com- 
ponendosi  dell'aggregazione  delle  famiglie,  conviene,  che  queste,  per 
formare  la  societä  e  1'  ins  civitatis^  da  legittime  nozze  derivino :  e 
tali  non  possono  divenire,  se  un  rito  non  le  consacri  o  almeno 
iin  costume  non  le  sancisca.  Ora  il  rito,  che  si  presenta,  sebbene 
espresso  in  un  monumento  tratto  da  una  tomba  di  Chiusi  (^), 
e  scolpito  nel  periodo  piü  antico  dell'arte  etrusca,  pure  in  tutto  si 
conforma  a  quanto  ci  e  dato  di  sapere,  si  usasse  nei  primitivi  tempi 
di  Roma:  e  ci  conduce  a  quella  civiltä  italica,  non  ben  definita, 
che  si  spandeva  nell'Italia  centrale,  ed  unificava  nel  costume  e 
forse  anche  nella  lingua  l'Etruria  col  Lazio:  onde  mi  pare,  eome 
si  vedrä  meglio,  di  non  essermi  male  apposto  dando  al  soggetto 
tigm-ato  il  titolo  di  matrimonio  italico.  Se  poi  considero,  che  la 
maestä  di  Roma,  l'impero,  e  la  sapiente  costituzione  perirono,  ed 
il  tempo  va  consumando  le  vestigia  dell'arte  ammirabile;  e  che 
solo  il  dritte  privato,  vero  monumento  del  senno  romano,  ha  supe- 
rato  i  lunghi  secoli,  e  diede  e  da  lume  alle  genti,  a  ragione  mi 
congratulo,  che  oggi  qui  si  esponga  un  argomento,  che  tocca  le 
origini  della  civile  e  familiäre  convivenza  di  Roma. 

E  un  cippo  quadrangolare  foggiato  a  modo  di  casa  col  tetto 

(1)  II  monumento  si  conserva  oggi  nel  pubblico  museo  di  Chiusi. 

7 


90  IL   MATRIMONIO   ITALICO 

a  doppio  piovente,  e  si  assomiglia  ad  alcune  urne  sepolcrali,  che 
rinvengonsi  nell'Etruria.  Tre  dei  siioi  lati  si  adornano  di  figure  a 
rilievo  bassissimo,  e  quasi  piano,  e  nel  quarto  fu  incavato  il  pro- 
spetto  di  una  porta.  Contrassegna  una  grande  antichitä  quel  modo 
di  rilevare;  e  dati  i  confronti  coli' arte  greca,  che  alquanto  prima 
dell'etrusca  si  svolse  per  essere  piü  prossima  alle  rive  asiatiche, 
e  da  stimare,  che  l'etrusco  monumento,  come  non  preceda  il  se- 
colo  sesto,  cosi  non  succeda  al  quinto.  Allorche  stava  integro  ed 
al  posto  suo  entro  la  tomba,  fu  segato  orizzontalmente  per  mezzo 
dagli  etruschi  stessi;  e  volle  fortuna,  che  a  noi  fosse  serbata  la 
metä  superiore  delle  figure,  onde  ci  e  dato  ragionare  dell'argo- 
mento.  Vigeva  nel  territorio  chiusino  (che  altrove  non  mi  fu  dato 
osservare)  la  pietosa,  ma  agli  occhi  nostri  barbara,  costumanza  di 
segare  e  torre  via  dei  pezzi  di  tali  cippi  scolpiti  in  pietra  tenera, 
e  collocati  nei  sepolcri  i  piü  antichi :  o  questo  fosse  per  ricordo 
e  venerazione  in  famiglia,  o  per  cagione  di  partenza  inaltre  regioni: 
sta  il  fatto  che  di  rado  avviene,  che  interi  si  riscontrino,  veggen- 
done  invece  in  piü  parti  accuratamente  segati,  ben  poco  quella 
gente  badando,  che  le  figure  scolpitevi  restassero  offese  e  sformate. 
Or  cominciando  ä  descrivere  il  lato,  che  apparisce  il  piü  nobile 
per  il  soggetto,  per  il  numero  delle  figure,  e  per  l'esecuzione,  osser- 
viamo  nel  gruppo  principale  di  desfcra  due  donne,  Tuna  (a  d.)  di 
aspetto  ansiano,  con  tunica  senza  maniche  ed  aperta  sotto  l'ascella, 
l'altra  pure  con  tunica  sopra  la  stola  affibbiata  all'omero  sinistro, 
che  sorreggono  con  ambe  le  mani  in  alto  un  drappo  orlato  a  cor- 
doncini  (1),  col  quäle  coprono  alle  tre  persone,  che  vi  stanno  sotto 
tutta  la  testa  fino  al  petto.  La  prima  di  queste  si  distingue  per  uomo 
dal  mantello  (paenula) ,  soprapposto  alla  tunica,  che  afferra  l'altra 
per  il  di  dietro  dell'abbondante  veste,  e  come  a  se  la  traesse.  Mentre 
fa  tale  atto  di  violenza  colla  sinistra  mano,  rimane  poi  quieto  e 
composto  della  persona.  Quella  che  viene  tratta,  si  involge  e  si 
chiude  nel  manto  cosi,  che  nulla  di  lei  si  scorge.  La  terza,  che 
le  sta  di  fronte,  tiene  pure  come  la  prima  il  mantello,  e  pare  che 
accenni  coll'indice  della  mano  destra  quasi  a  significare,  che  debba 
partire  con  colui,  che  a  se  la  tragge ;  o  la  spinge  anch'esso  verso 

(1)  Probabilmente  quel  drappo  altro  non  era  che  una  coperta  da  letto, 
stragulum,  peristroma. 


IL   MATRIMONIO   ITALICO  91 

di  quello,  il  che  per  lo  scopo  dell'azione  varrebbe  lo  stesso.  Ma  per 
la  forma  allungata  del  dito,  la  quäle  non  si  addice  al  poUice  (di 
cui  abbiamo  nel  quadro  stesso  gli  esempi),  conviene  preferire  la  spie- 
gazione  del  comando  coll'indice.  Separatamente  fuori  del  descritto 
gruppo  tre  giovani  addimostrano  l'esser  prooti  alVaccompagaaraento 
festivo.  II  piü  prossimo  tiene  un  ramoscello,  che  sembra  per  la 
forma  delle  foglie  essere  di  alloro,  e  si  volge  verso  di  quei,  che 
stanno  sotto  il  drappo,  aspettando  desideroso,  che  la  loro  cerimonia 
si  compia.  11  secondo,  quel  di  mezzo,  pure  dritto  reggendo  lo  stesso 
ramoscello  e  nella  mano  sinistra  stringeado  un  involto,  che  per 
la  rottura  della  pietra  non  si  puö  vedere  che  cosa  sia,  si  distingue  per 
il  pileo  0  tutolo  sacerdotale,  che  ha  in  testa,  e  colla  sua  presenza 
rende  il  rito  sacro  e  solenne.  II  terzo,  che  va  innanzi  a  tutti,  e  il 
tibicine,  che  giä  suona  la  dobbia  tibia,  e  si  avvia.  Da  ci6  s'in- 
duce,  che  la  cerimonia  dei  tre,  che  stanno  sotto  il  drappo,  deve 
essere  breve  e  disciogliersi  per  seguire  la  lieta  comitiva.  E  anche 
noi,  prima  di  procedere  ad  osservare  gli  altri  tre  lati  del  monu- 
mento,  ci  fermeremo  alquanto  alla  dichiarazione  di  quello. 

Come  preparazione  a  meglio  intendere  il  soggetto  rappresen- 
tato  giovano  quegli  scarsi  ricordi,  che  ci  furono  trasmessi  delle 
vetuste  costumanze  del  matrimonio  romano.  Delle  quali,  perche 
note  ed  ampiamente  trattate  da  uomini  dottisbimi,  non  trarrö  che 
quanto  si  riferisca  e  coufaccia  all'argomento  della  simulazione  del 
ratto,  aggiungendovi  alcuna  nuova  osservazione.  Sappiamo,  che  nei 
tempi  della  repubblica  le  iustae  nuptiae  si  contraevano  dai  romani 
0  usUj  0  coemptioiie^  o  eonfarreatione.  L'uso  non  interrotto  di  un  anno 
coll'uomo  rendeva  la  donna  usu  capta,  e  moglie  legittima,  e  quell a 
coutinuitä  era  dalle  dodici  tavole  prescritta.  I^a  quäle  forma  di  ma- 
trimonio apparisce  a  giudizio  d'illustri  giureconsulti  essere  stata 
antichissima,  quasi  che  legittimasse  il  ratto  per  l'uso  e  la  potestä 
sopra  la  donna  e  per  la  sopravveniente  famiglia;  e  se  ne  richia- 
mava  in  Roma  il  fortunato  esempio  del  ratto  delle  Sabine,  popolarc 
leggenda,  che  si  connette  a  quell' uso,  o  ne  deriva.  Quando  per  coem- 
ptioiiem  la  donna  passava  a  marito  [in  viri  manum-  corweniebat)  si 
simulava  la  vendita  per  la  quäle  era  ella  comprata  dall'uomo  colla 
bilancia  in  mano  e  alla  presenza  dei  testimoni,  e  d'allora  addive- 
niva  mater  familias  in  marlli  manu  mancipioque :  sebbene  poi 
in  fatto  la  legge  ed  il  costume  non  la  riguardasse  di  condizione 


92  IL   MATRIMONIO   ITALICO 

servile.  II  rito  della  confarreatio  consisteva  in  un  solenne  sacri- 
fizio  a  GioYe,  nel  quäle  si  forniya  dalla  sposa  il  pane  di  farro  {farreum 
libum),  e  si  esprimevano  le  formule  del  mutuo  consenso  innanzi  a 
dieci  testimoni.  Questi  in  sostanza  i  modi  piü  'antichi  del  matri- 
monio,  che  ci  porgono  Timmagine  dei  tre  stadi,  per  cui  esso  tra- 
scorse  per  eifetto  ed  ordine  di  civiltä  nelle  genti  latine.  II  primo 
il  ratto,  legittimato  dall'uso,  che  corris;)Dade  a  quel  vivere  rapto 
ricordato  da  Virgilio:  l'altro  della  vendita,  che  il  padre  faceva 
della  figlia,  trasmettendo  cosi  al  marito  la  sua  potestä :  il  terzo  del 
mutuo  consenso  e  del  convivium  (da  cui  convivere),  mangiando 
insieme  il  farro :  contratto  reso  perpetuo  e  sacro  dal  rito  religioso. 
Ma  si  tenga  conto,  che  in  tutti  questi  tre  modi,  allorche  la  sposa 
{sponsa  da  spondendo,  onde  sponsalia)  doveva  uscire  della  casa  pa- 
terna,  fingevasi  che  l'uomo  la  rapisse,  e  fosse  veramente  manu  capta, 
cioe  mancipium:  per  la  quäl  cosa  si  rileva,  che  il  ratto  sia  stato  in 
Italia  la  prima  forma  e  l'origine  del  connubio,  e  quindi  la  donna  sia 
-stata  considerata  (quäle  presso  molti  popoli  barbari)  come  la  serva 
dell'uomo  (del  vir  da  vis) ;  e  a  tal  proposito  si  addice  la  testimonianza 
di  Livio  (34,  2, 11) :  u- Maiores  vestri —  feminas  volue- 
runt  in  manu  esse  parentum,  fratrum^  virorum  ».. 
Essendo  appunto  questo,  che  conviene  porre  in  chiaro  (quan- 
tunque  sia  in  qualche  modo  da  altri  scritto  od  accennato),  giova 
richiamare  le  prove,  e  considerarne  la  resultanza.  Fingeva  lo  sposo  di 
fare  violenza  alla  vergine  per  trarla  fuori  di  casa;  e  rapivala  dalle 
braccia  della  prossima  parente  {}).  Come  di  ciö  non  si  potesse  fare 
a  meno,  e  il  legittimo  imeneo  consistesse  non  solo  nel  consenso, 
ma  ancora  nell'atto  del  possesso  violento  (^).  Cosi  rapita  la  vergine 
si  conduceva  alla  casa  dello  sposo;  e  la  simulazione  ripetevasi, 
al  giungervi,  che  non  doveva  essa  toccare  col  piede  la  soglia  della 
casa,  ma  era  levata  su  di  peso,  e  v'entrava,  come  fosse  rapita  (^). 

(1)  Macr.  Sat.  I,  15 :  Nuptiae  in  quibus  vis  fieri  virgini  videtur.  Festus 
p,  289  M. :  Eapi  simulatur  virgo  ex  gremio  matris,  aut  si  ea  non  est  ex 
proxima  necessitudine,  cum  ad  virum  trahitur. 

(2)  Virg.  Aen.  X,  79:  Ft  gremiis  abducere  pactas.  Catull.  Epith.  61,3: 
Qui  rapis  teneram  ad  virum  virginem,  o  Hymenaee.  E  altri  passi  raccolti 
dal  Be  la  Gerda  in  Virgilio,  e  da  Marquardt  Privatleben  I  p.  53. 

(3)  Plut.  Quaest.  Kom.  29 :  //t«  xi  rrlv  yccfxovfxevriv  ovx  swaiv  cwrrjv  vnsQ- 
ßrjvai  TOP  oväov  rijg  oix'iag,  aXX'  vneQcÜQovdiV  ol  ngons^nofTsg ;  nötegov  ort 
Tccg  TiQMTug  yvyatxccg  agnuaccyrss,    otJrwf   eigrjveyxav,    avxccl  6s  ovx   eigij'^^ov; 


IL    MATRIMONIO   ITALICO  93 

Senza  ricordare  il  rapimento  delle  faci  neU'accompagnameiito 
degli  sposi,  dandosi  loro  dagli  antichi  vario  significato,  e  che  allu- 
dessero  al  presidio  della  vita,  non  e  affatto  dubbio,  che  nelle  nozze 
chiaramente  serbavasi  Vapparenza  del  ratto,  per  quellamore,  che 
ritiene  gli  uoraini  alle  antiche  usanze,  e  per  la  credulitä,  che  col 
distaccarsene,  il  rito  e  l'atto  solenne  perdano  di  loro  legittimitä  e 
valore.  Lo  si  riconosce  nella  forma,  che  piü  risente  dell'origine  sua, 
quando  ci  volgiamo  ad  esaminare  il  modo,  con  cui  si  creavano  le 
vestali.  Il  pontefice  massimo  entrato  nella  casa  della  vergine  coUa 
mano  afferravala,  e  la  toglieva  dal  padre,  o  da  colui,  che  l'avea 
in  potestä,  come  fosse  presa  in  guerra  (•).  E  la  formula,  che  in 
qiiell'atto  pronunziava  il  pontefice,  trasmessa  da  Fabio  Pittore,  e  ser- 
bata  da  Gellio,  finiva  con  le parole :  «■  iia  te  amata  capio  ^  (^). 
Per  dar  ragione  di  quella  voce  am  ata  rivolta  alla  vergine,  che 
nella  bocca  del  pontefice  non  aveva  significato,  anzi  era  inoppor- 
tuna  e  sconvenevole,  gli  antichi  non  rinvennero  altra  spiegazione, 
se  non  che  la  vergine,  che  fu  tolta  per  prima,  avesse  quel  nome  {^). 
Ma  se  noi  riconosciamo  nel  ratto  della  vergine  la  primitiva  forma 
del  matrimonio,  vi  discoprireriio  essere  stata  quella  la  formula  stessa, 
che  si  ripeteva  nell'antichissimo  rito  dell'elezione  della  vestale. 
Allorche  lo  sposo  traeva  a  se  la  vergine  in  un  modo  simigliante 
a  quello  scolpito  nel  monumento  di  Chiusi,  ad  esprimere  la  vio- 
lenza  amorosa,  e  compiere  l'atto  del  possesso,  gli  erano  bene  ac- 
conce  le  lusinghiere  parole:  >t  ita  te,  am  ata,  capio  i>.  Onde 
possiamo  affermare,  che  il  pontefice  massimo  faceva  le  veci  dello 
sposo,  e  serbava  colla  vergine  la  costumanza  di  farla  manueapta 
nella  sua  formula  tradizionale. 

Kisalendo  pertanto  alle  origini,  le  vergini  spose  furono  ra'ptae, 
e  poi  mamicaptae  con  i  modi  prescritti  dalla  legge,  e  dalla  reli- 
gione.  II  rapimento  delle  Sabine  fu  compiuto  con  barbara  ed  oltrag- 

(})  Gell.  Noct.  Att.  I,  c.  12 :  Capi  autem  virgo  propterea  dici  videtur, 
quia  pontifici  maximo  manu  prehensa,  ab  eo  parente,  in  cuius  potestate  est, 
veluti  hello  capta,  abducitur. 

(*)  GeU.  1.  c. :  Sacerdotem  VestaUm,  quae  sacra  faciat,  quae  ious  siet, 
sacerdotem  vestalem  facere  pro  populo  Romano  Quiritium,  utei  quae  optuma 
lege  fouit,  ita  te,  amata,  capio. 

(3)  Gell.  1.  c. :  Amata  inter  capiendum  a  pontifice  maximo  appellatur, 
quoniam  quae  prima  capta  est,  hoc  fuisse  nomine  traditum  est. 


94  TL   MATRIMONIO   ITALICO 

giosa  violenza,  onde  disse  bene  Virgilio :  raptas  sine  more  Sabinas, 
vale  a  dire,  siae  more  maiorum,  e  senza  ü  convenuto  rito.  E  qui 
non  sfiigga,  che  la  leggenda  delle  Sabine  ha  voluto  adornare  in 
modo  poetico  e  glorioso  per  Roma  la  prima  e  selvaggia  forma  del 
matrimonio  italico.  Se  si  da  ascolto  a  Dionigi  di  Alicarnasso  ('), 
Romolo  confortö  le  rapite  vergini  dicendo,  che  quel  ratto  non 
volgevasi  a  loro  contumelia,  ma  risguardava  il  giusto  conniibio, 
mostrando  essere  im  simile  costume  assai  vetusto  fra  i  Greci  ed 
arrecare  grandissimo  compiacimento  ed  onore  alle  desiderate  donne: 
11  che,  se  vero  fosse,  ci  farebbe  pensare  ai  Pelasgi,  che  con  piü 
oneste  forme  l'aA^essero  introdotto  in  Italia. 

Ne  conviene  di  omettere,  che  mentre  gli  sposi  si  conducevano 
a  casa,  si  gridava  dalla  lieta  comitiva :  Talassio,  Talassio! 
come  i  greci,  Imeneo.  Sopra  il  quäl  nome  due  versioni  si  arrecano 
dagli  antichi :  l'una  che  Talassio  fosse  il  canestro  della  lana  da 
filare,  segno  dell'opera  assidua  addetta  aUa  novella  sposa;  l'altra, 
e  piü  accettata,  che  Talassio  fosse  il  nome  di  un  giovane  romano, 
il  quäle  rapita  fra  le  Sabine  una  vergine  di  rara  bellezza,  felici 
gli  riuscirono  le  nozze,  quindi  la  sua  invocazione  di  buono  augurio. 
Ma  se  SaXäaaiog^  come  ben  si  estima,  e  il  greco  appellativo  di 
Nettuno  {OaXdaaiog  Iloasidwv) ,  conviene  ricercare,  quäle  relazione 
egli  possa  avere  avuto  col  momento,  che  la  sposa  viene  alla  casa  del 
giovane  condotta.  E  non  distaccandosi  dalla  leggenda  del  ratto  delle 
Sabine,  quivi  la  ritroviamo,  essendo  quelle  avvenuto,  allorche  si 
celebravano  con  grande  freguenza  di  popolo  le  feste  al  dio  Conso, 
consiliorum^  secretorumque  deo,  id  est,  Nepiuno  (^).  Ma  quan- 
tunque  apparisca  strano,  pure  bisogna  teuer  conto,  che  in  quelle 
origini  di  Roma,  per  stabilire  le  prime  famiglie,  la  vetusta  tradi- 
zione  abbia  trasmesso  il  nome  di  Nettuno,  ed  in  un  tempo,  che 
Roma  era  del  tutto  estranea  al  mare,  ed  al  commercio  marino. 
Come  per  le  lunghe  etä  costantemente  si  proseguisse  ad  invocarlo 
col  nome  greco  di  Talassio,  quasi  che  il  rito  nuziale  avesse  avuto 
una  greca  origine  {^).  Come  dai  latini  si  considerasse  il  Neptuniis 

(')  Archaeol.  2,  30  :  wg  ovx  icp  '  vßgei  xrjg  uQuayflg,  uX'l '  enl  ydfia)  ys- 
vofyieytjg,    EXkrjyixoy  rs  xtd  ccQ^aToy  anorpcäviav  xo  e&og. 

(2)  Ascon.  Ped.  in  Cic.  Verr.  I.  (Vedi  Preller  Römische  Mythologie  p.  289, 
e  347). 

(3)  Catull.  61,  31:  Luhet  iam  servire  Thalassio. 


IL    MATRIMONIO    ITALICO  95 

noD  solo  il  nume  delle  acque,  ma  Consus  (da  cui  consüium  e 
consul)^  il  quäle  s'invocava  nei  supremi  atti  della  vita  pubblica 
e  privata :  ed  in  qiiesto  aspetto  si  puö  intendere,  che  il  suo  culto 
fosse  congiunto  alle  nozze,  donde  la  vita  nuova  e  la  famiglia  deri- 
vano.  Mä  non  e  ancora  improbabile,  che  nella  mente  e  nella  reli- 
gione  dei  popoli  italici,  il  Nettuno,  nel  senso  di  Talassio  dio  delle 
acque,  abbia  avuto  un  intimo  rapporto  coUe  nozze  e  colla  feconda- 
zione.  Sebbene  la  filologia  latina  non  possa  concedere,  che  il  nome  di 
Neptunus  discenda  per  fonetici  cangiamenti  da  Nuptimus  (e  pie- 
namente  ne  convengo  (0  )  ■>  P^re  per  le  fatte  osservazioni,  ricompare 
in  lui  non  solo  la  potenza  virile  attiva,  quäle  fu  considerato  dai 
greci  nel  primitive  concetto  di  IloaeiSwv ,  ma  ancora  la  idea  cosmo- 
gonica  della  virtü  dell'acqua  fecondante  la  terra.  E  che  questo  fosse 
stato  il  profondo  simbolo,  che  dell'acqua  e  del  suo  nume  tennero 
gl' italici,  il  rito  manifestato  dal  monumento  di  Chiusi  ce  lo  comprova. 
Due  donne  stendono  in  alto  un  drappo  o  larga  coperta  ornata 
di  frange  sopra  le  tre  persone,  per  le  quali  le  nuptiae  divengono 
.  iustae^  lo  sposo,  la  sposa,  cd  il  padre.  Sono  le  pronube,  le  para- 
ninfe  dei  greci,  le  quali  coprono  (nubunt)  e  in  qualche  modo  ascon- 
dono  l'atto  solenne,  ed  il  mistero  dell'origine  della  famiglia.  II  nu- 
bere  ebbe  il  significato  di  tegere  e  operire,  precisamente  dalla 
nubes,  che  vela  la  serenitä,  del  cielo,  e  prepara  la  feconda  pioggia. 
Formano  le  pronube  col  disteso  panno  una  nubes  sopra  di  loro, 
che  cosi  addivengono  i  nupti,  cioe  i  coperti.  Da  qui  penso,  che 
tragga  l'origine  la  voce  conubium,  la  quäle  chiaramente  indica, 
che  non  solo  la  sposa,  ma  anche  lo  sposo,  con  qualche  rito  finora 
ignorato,  venivano  coperti.  Sebbene  fino  dallo  Scaligero  siasi  affer- 
mato,  che  il  verbo  nubere,  non  si  appropria  che  alle  donne,  pure 
il  Barth  nei  suoi  Advermria  lo  rivendicö  anche  ai  maschi  citando 
le  parole  di  Lucilio  e  di  Nonio,  «he  ripoi-ta  il  passö  del  comico 
Pomponio,  ed  aiferma,  che  nella  lingua  italica  volgarg  esso  serbava 
il  significato  allusivo  ad  ambadue  gli  sposi  (^).  Ciö  accertato,   si 

(1)  Oltre  non  amraettersi  la  mutazione  nei  radicali  dell'  w  lunga  in  e ,  il 
nome  italico  di  iVejofMWMS  si  riscontra  in  Nethuns,  etrusCo.  Amobio  {Adv.  Gent. 
1.  ni),  (copiando  ferse  qualche  antico)  non  ebbe  scrupolo  di  scrivere:  Quod 
aqua  nubat  terram,  appellatus  est  cognominatusque  Neptunus. 

(2)  Adversaria  1.  VI.  cap.  14.  Lucil.  Satur.  XVII,  fragm.  4  ed.  Dousa : 
Nupturum  te  nupta  negas,  quod  vivere  Ulixem  speras-,  Non.  pag.  143  Merc. 


96  IL    MATRIMONIO    ITALICO 

possono  allora  comprendere  le  modiflcazioni,  che  arrecö  il  tempo 
nel  rito  primitivo,  e  la  ragione,  perche  nel  matrimonio  del  fla- 
mine  colla  flaminica  fossero  ambedue  collocati  a  sedere  insieme,  e  si 
gettasse  sopra  del  loro  capo  la  pelle  dell'aniraale  immolato  per  la 
celebrazione  delle  nozze  (Serv.  ad  Aen.  4,  374) :  ut  ibi  iiubentes  vela- 
tis  capitibus  in  confarreatione  flamen  et  ßaminiea  residerent. 

Le  pronube  dai  romani  elette  fra  quelle,  che  semel  nwpserunt, 
coUo  stendere  11  panno  simboleggiavano  la  mistica  nubes,  la  quäle, 
come  si  e  detto,  rispondeva  a  quanto  avviene  in  cielo,  dove  l'aria  in 
nuvola  si  raccoglie,  ed  e  la  prima  causa  della  fecondazione  della 
terra :  in  tal  guisa  nel  rito  nuziale  la  nube  stessa  diviene  la  Celeste 
pronuba.  Ne  consegue  da  ciö,  che  Giunone,  la  quäle  nell'originario 
concetto  non  fu  che  l'aria  stessa,  e  la  umida  sostanza,  che  solle- 
vata,  mossa,  e  compressa  dal  calore  luminoso,  cioe  da  Jupiter 
(il  padre  della  luce)  forma  il  velo,  e  gli  si  oppone,  contiene  la 
suprema  virtü  generativa,  ed  a  ragione  si  appella  pronuba,  e  quindi 
Lucina  nel  parto:  ella,  che  rende  legittime  le  nozze,  e  fecondo 
il  matrimonio  (^).  E  naturalmente  si  doveva  in  tale  riguardo  con- 
fondere  il  culto  di  Giunone  con  quelle  di  Diana  e  della  Luna,  in 
speciale  presse  gli  italici  per  la  etimologia  e  rassomiglianza  del  nome. 
L'ideapertanto  dell'acqua,  che  in  maniera  nascosta  e  misteriosa  col 
Yario  umore  infonde  la  vita  nel  mondo  porse  occasione  a  comporre  la 
nube  nel  rito  delle  nozze :  onde  non  farä  meraviglia  che  il  suo  nome 
s'invocasse  coU'epiteto  di  Talassio  nel  tragitto  nuziale :  se  non  che 
i  romani  col  progredire  della  civiltä  e  del  dominio  nella  terra  e 
nel  mare  perderono  di  lui  il  concetto  ed  il  simbolo  primitivo. 

Lo  sposo  sotto  quel  drappo  fa  l'atto  del  rapimento,  traendo 
a  se  la  vergine,  la  quäle  gli  Yolge  le  spalle,  rimanendo  dinanzi 
al  padre.  Questo  e  il  momento,  in  cui  egli  esprimeva  la  formula, 
che,  come  si  e  Yeduto,  presso  gli  antichissimi  romani  terminava: 
ita  te,  am  ata,  capto .  A  quel  atto  il  padre  presta  il  consenso 
ed  alla  manucapta  ordina,  coU'espressione  del  dito  indice,  di  par- 


Nubere  veteres  non  solum  mulieres  sed  eziam  viros  dicebant,  ita  ut  nunc 
itali.  Pompon.  Pannuceatis :  Sed  meus  frater  maior,  postquam  vidit  me  inde 
eiectum  domo,  nupsit  posterius  dotatae  vetulae,  varicosae,  afrae. 

(1)  Virg.  Aen.  IV,  59:  Junoni  ante  omnes,  cui  vincla  iugalia  curae.  Owidi. 
Heroid.  6, 43 :  Non  ego  sum  furto  tibi  cognita,  pronuba  Juno  affuit. 


IL   MATRIMONIO    ITALICO  97 

tire  e  di  passare  dalla  siia  potestä  in  quella  del  marito.  Spettava 
al  padre  promettere  e  coUocare  la  figlia,  onde  udiamo  nei  versi 
di  Ennio  questo  lamento :  Iiiiuria  abs  te  adflcior  indigna  pater .... 
Cur  me  locabas  nuptui  «  ?  Cosi  presse  i  greci,  della  quäl  cosa, 
come  naturale  e  ben  nota  sarebbe  fastidioso  Taddurre  i  relativi 
testi.  Compiuta  l'apparente  violenza  dal  giovane,  e  dato  l'ordine 
dal  padre,  la  vergine,  fatta  di  quello  mancipium,  addiyiene  forse 
p)er  coemptionem  la  Caia,  e  la  domina  della  noveUa  casa.  In  quäl 
modo  sia  qui  acconciata  non  si  puö  ben  dire:  si  vede  soltanto, 
che  un  manto  tutta  l'avvolge,  e  forse  coprivale  anche  il  capo,  onde 
ne  venne  il  ßammeum  non  mai  lasciato  dalle  spose  nell'atto  so- 
lenne (').  E  ne  consegui,  che  essendo  da  quello  coperte  o  nuptae, 
ar  loro  soltanto  si  applicasse  il  verbo  nubere  e  da  loro  fossero  dette 
le  nuptiae;  delle  quali  e  del  conubium  abbiamo  esposto  quali 
ne  siano  stati  l'origine  ed  il  significato. 

Or  mentre  il  rito  nuziale  si  celebra  sotto  la  sacra  nube,  una 
festiva  schiera  aspetta  gli  sposi.  II  primo  col  ramoscello  proba- 
biknente  di  lauro  si  volge  indietro  quasi  impaziente  a  vederli.  II  se- 
condo  tenendo  nella  destra  lo  stesso  ramoscello  si  distingue  dal 
pileo,  che  ha  in  testa,  per  il  sacerdote :  onde  le  nozze  furono  cer- 
tamente  augurate  da  un  sacrifizio  (2).  Precede  tutti  il  tibicine,  che 
giä  suona,  e  si  muove:  similmente  nel  rito  nuziale  dei  romani, 
praecedebat  sponsam  frequenti  comitatu  stipatam  tibicen :  o  anche 
come  ci  narra  Plutarco,  piü  suonatori  di  tibia  andavano  innanzi, 
con  quello  che  esclamava  Talassio. 

Molto  difficile  sarebbe  Tinvestigare.  se  il  rito  stesso  nuziale 
sia  provenuto  dall' Oriente,  o  introdotto  dai  contrastati  Pelasgi  o  dai 
Dori :  sebbene  non  e  a  tacersi,  che  altre  cerimonie,  che  si  usavano 
nelle  nozze,  indicano  una  antichissima  comunanza  civile  dei  greci 
con  gl'italici.  Ci  trasmette  Varrone  (3),  che  i  personaggi  piü  cospicui 
di  Etruria  (cioe  la  casta  patrizia)  nel  contrarre  matrimonio  immo- 
lavano  un  porcello,   ed  aggiunge:   Prisci  quoque  Latini  et  etiam 


(1)  Come  si  acconci  la  sposa  etrusca  innanzi  al  rito  del  connubio  vedesi 
in  un  monumento  di  Chiusi :  Micali,  Monumenti  etc.  tav.  LVIII.  ;  Museo  Chiu- 
sino  P.  I.  tav.  LVI. 

(2)  Juven.  10.  334:  Veniet  cum  signatoribus  auspex. 

(3)  De  r.  rust.  2,  4,  9. 


98  IL    MATRIMONIO    ITALICO 

Graeci  idem  factitasse  videntur.  La  grande  idea  Orientale  dell'ele- 
mento  umido  fecondante  le  cose  tutte,  che  dava  origine  al  rito  ita- 
lico,  e  lo  informava,  comunicö  alla  Grecia  la  Giunone  Lucina,  che 
secondo  Omero  commove  il  fecondo  aere:  onde  divenne  yufirih'a 
e  tsXeia ,  e  pronuha,  e  si  confonde  per  questo  con  Venere  Afrodite, 
che  sorge  dalle  onde  marine,  allorche  donarono  il  voluttuoso  bacio 
alla  terra.  Ancora  nel  culto  italico  quelle  due  divinitä  si  riguar- 
davano  come  promoventi  la  fecondazione,  e  si  sparse  e  si  adorö  nei 
seni  del  mare  e  le  copiose  sorgenti  il  nome  di  Feronia  e  di  Cupra. 
Ricorderemo  forse  le  ninfe,  leggiadra  personificazione  dell'elemento 
umido,  col  cui  nome  si  chiamarono  in  Grecia  le  stesse  nozze?  Ne 
piii  m'inoltro  in  tale  argomento  nel  timore,  che  dovendomi  atte- 
nere  alla  forma  concisa,  gli  stessi  pensieri  perdano  della  loro  evi- 
denza.  Anche  nella  Laconia  simulavasi  il  ratto  della  vergine,  de- 
scrivendoci  Plutarco  quello  che  si  costumava  nelle  nozze  spar- 
tane:  ma  se  ne  dovevano  avere  piü  o  meno  precisi  ricordi  in 
tutta  la  Grecia,  se  Dionigi  lo  fa  affermare  come  colä  vetustissimo 
per  bocca  di  Roraolo.  Si  rappresentö  ancora  nell'arfce,  ne  e  raro 
vedere  nei  vasi  dipinti  espresso  tanto  il  ratto  violento  quanto  l'amo- 
revole  ed  il  tranquillo  nella  fanciulla  dinanzi  a  persona  di  dignitä, 
che  raffigura  il  padre  consenziente.  Accennate  le  relazioni,  che  iden- 
tificano  il  matrimonio  etrusco  con  il  latino,  al  quäle  si  puö  sicu- 
ramente  apporre  il  nome  di  italico;  e  come  questo  nel  concatto 
originario  e  religioso  non  differisce  dal  greco,  proseguirö  a  dichia- 
rare  le  altre  parti  del  monumento. 

Nel  lato  sinistro  vediamo  effigiata  la  fronte  di  una  casa,  coUa 
sua  trabeazione,  e  nel  mezzo  la  porta.  Si  partono  dal  trave  del 
culmine  (culmen)  del  tetto  i  due  cavalloni  (asseres),  che  posano  sui 
travi  laterali  {mutuli) ,  tra  i  quali  corre  la  corda  {trabicula) ,  for- 
mando  cosi  il  triangolo  del  fastigio  o  timpano,  dal  quäle  al  modo 
primitivo  la  casa  riceveva  la  luce.  AI  di  sotto  la  porta  col  suo  archi- 
trave  {Urnen  robusticm),  i  cui  stipiti  (postes)  tendono  ad  allargarsi 
verso  la  base  al  modo  arcaico  etrusco  od  Orientale.  CoH'incavarla 
ed  approfondirla  si  e  Toluto  fare  scorgere  anche  l'interno  vestibolo 
'  dipinto  in  rosso,  che  in  questa  festa  si  ornava  di  verdi  rami,  onde 
Catullo  (64,  294) :  Vestibulum  ut  molli  velatum  fronde  vireret  ('). 

(1)  Juven.  Scvt.  VI:  Ornentur  postes  et  grandi  ianua  lauro. 


IL    MATRIMONIO   ITALICO  99 

Nel  terzo  lato  osserviamo  im  uomo,  distinto  dalla  barba,  il 
quäle  e  vestito  egualmente  allo  sposo  nella  rappresentanza  delle 
nozze,  coUa  tunica,  e  sopra  il  mantello,  che  dalle  spalle  gli  sceude 
a  pieghe  aperto  dinanzi.  Egli  sta  fra  diie  donne,  avvantaggiandole 
assai  di  altezza.  Qiiella  a  destra,  che  si  riconosce  per  la  pronuba 
ansiana  gli  tiene  alto  il  braccio  sinistro,  sorreggendö  il  gomito,  come 
ciö  debba  essere  di  rito.  L'altra  di  aspetto  giovenile  gli  porge  colla 
mano  sinistra  presse  al  volto  una  piccola  cosa,  perche  la  gusti, 
ovvero  bene  la  vegga,  un  frutto  come  un  fico,  o  un  sacchetto :  nel 
tempo  stesso  riceve  da  lui  nella  destra  una  moneta,  come  pare  che 
le  paghi  dall'attitudine  delle  dita  della  piegata  mano.  La  scena 
manifesta  quanto  far  si  doveva  prima  della  solennitä  delle  nozze, 
ed  ap^unto  l'artefice  l'ha  scolpito  da  questo  lato,  come  dall'altro 
ha  effigiata  la  porta  della  casa  dello  sposo.  Niun  dubbio,  che  tale 
matrimonio  etrusco  e  stato  fatto  per  coemptionem.  Le  parole  di 
Servio,  che  commentano  il  verso  virgiliano  (Georg.  I,  31):  Teiiue 
sibi  generum  Thetys  emat  omnibus  undis:  bastano  per  dichiarare 
il  soggetto  qui  rappresentato.  «  Emat  ad  aniüiuum  nuptiarum 
ritum  ....  quo  se  maritus  et  uxor  invicem  emebant,  dcut  habe- 
mus  in  iure  "  (').  La  sposa  mentre  riceve  il  prezzo  dallo  sposo,  che 
k  compra,  gli  mostra  il  sacchetto,  dove  stanno  tre  assi,  o  almeno 
un  asse :  essende  che  fosse  per  la  vicendevole  coemptio  il  costume, 
che  dalle  romane  donne  si  tenesse  un  asse  in  mano  per  darlo  al 
marito  compratore,  e  un  altro  nel  piede,  ed  il  terzo  in  un  sacchetto  (2). 
In  tal  modo  il  matrimonio  etrusco  coll'antichissirao  romano  si  con- 
fronta,  onde  ancora  la  forma  della  coemptio  si  deve  giudicare 
italica. 

Nel  quarto  lato  corrispondente  alla  fronte  si  raffigura  una  caccia 
in  una  selva,  veggendosi  tre  alberi  probabilmente  di  pino:  fra  le 
plante  tre  uomini  si  affaticano  ad  uccidere  una  belva,  della  quäle 


(1)  Lo  stesso  ripete  Servio  in  Aen.  IV,  103 :  Coemptio  enim  est,  ubi 
libra  atque  aes  adhibetur,  et  mulier  alque  vir  in{ter)  se  quasi  emptionem 
faciunt. 

(*)  Da  Varrone  citato  da  Nonio  Marcello  p.  531  M. :  Asses  tres  ad  ma- 
ritum  nubentes  deferebant,  quorum  unum,  quem  in  manu  tenebant,  tamquam 
emendi  causa  marito  dare,  alium,  quem  in  pede  haberent,  in  foco  Larium 
familiarium  ponere,  tertium  quem  in  sacciperio  condidissent,  compito  vi' 
cinali  solere  resonare. 


100  IL   MATRIMONIO   ITALICO 

non  si  puö  scorgere  che  un  orecchio,  presse  il  tronco  di  una  pianta, 
essendo  perita  tutta  la  parte  inferiore  del  monumento.  Quello  a 
destra  coperto  della  sola  tiinica  tira  della  lancia,  l'altro  di  mezzo 
col  camiciotto  aperto  alle  ascelle,  e  con  un  panno  avvolto  alla  vita, 
vibra  im  colpo  di  scure :  il  terzo  colla  clamide,  che  gli  lascia  nudo 
e  libero  il  destro  braccio  si  piega  in  basso,  e  pare  che  egli  pure 
abbia  la  lancia.  Richiama  l'attenzione  il  modo,  come  la  scure 
(di  cui  il  taglio  e  rotto)  e  applicata  al  manico  di  legno  ritorto, 
non  avendo  l'occhio,  ma  l'incastro,  con  una  legatura  forse  di  cuoio 
piü  in  basso.  Non  sfuggirä  poi  come  il  bosco  si  distingua  per  le 
sole  plante  di  pino;  che  puö  darsi  che  l'artista  l'abbia  prescelte 
nell'essere  quello  sacro  per  gl'imenei  (•).  Ne  importerä  cercare 
la  ragione,  onde  qui  siasi  figurata  la  caccia,  la  quäle  poteva  mo- 
strare tanto  il  valore  del  giovine  sposo,  quanto  la  preparazione 
al  nuziale  banchetto.  A  chi  talenti  di  scorgervi  la  caccia  al  cignale 
Caledonio,  non  contrasto.  Sarebbe  allora  Meleagro,  che  col  colpo 
della  scure  uccide  la  belva,  aiutato  dai  suoi  compagni  armati  di 
lancia.  Molto  a  proposito  e  sovente  alludevano  gli  antichi  a  Melea- 
gro in  argomento  nuziale.  Ricorderö  soltanto  uno  specchio  etrusco  (-) 
nel  quäle  egli  colla  testa  del  cignale  in  spalla  trae  a  se  Atalanta 
alla  presenza  del  padre.  Ma  poco  omai  cureremo  di  tali  frondi, 
avuta  la  sorte  di  cogliere  il  fiore  in  questo  egregio  monumento  di 
Chiusi,  che  ci  ha  per  la  prima  volta  disvelato  il  rito  del  matri- 
monio  italico. 


(1)  Catullo  61,  15:  Pineam  quate  taedam.  Yirg.  Ciris  439:  Pronuba  nee 
castos  incendit  pinus  amores. 

(2)  Gerhard  etrusk.  Spiegel  CCCLIV,  2. 


SCAVI  DI  POMPEI  1886-88. 
INSULA  IX,  7. 
(Continuazione) 


N.  [12.13] 


Passiamo  ora  sul  lato  0  dell'  isola,  per  occuparci  della  piccola 
casa  che  confina  col  lato  posteriore  del  n.  1.2,  e  alla  qnale,  perche 
non  ha  ancora  la  sua  numerazione  i;fficiale,  abbiamo  qÜfite:  i'nijanto 
i  nn.  [12.133.  ^  probabile  che  una  volta  fosse  piü  grande,  e  che  ue 
sia  stata  tolta  una  parte  per  formare  il  grande  giardino  diviso  poi 
fra  le  case  3-5  e  6-8.  I]  possibile  anche  che  in  qiiel  tempo  ciö  che 
rimane  tuttora  fosse  la  parte  posteriore,  il  peristilio,  e  1'  ingresso 
attuale  il  posticum.  Checche  ne  sia  di  ciö,  negli  ultimi  tempi  di 
Pompei  la  casa  non  aveva  che  due  ingressi  dal  lato  0,  di  cui  l'uno 
[12]  conduce  al  piano  di  sopra,  il  quäle  non  avendo  comunicazione 
col  pian  terreno,  deve  credersi  affittato  separataniente.  La  scala 
raggiungeva  l'altezza  di  ra.  3,45 :  delle  camere  del  pian  terreno 
la  piü  alta  e  ha  le  pareti  a.  m.  3,  e  con  la  volta  decorativa  po- 
teva  arrivare  a  quella  stessa  altezza.  In  cima  alla  scala  si  entrava 
prima  in  un  locale  situato  sopra  <?,  al  cui  muro  E  la  scala  si  avvicinava 
tanto  che  e  quasi  inevitabile  di  supporre  incontro  ad  essa  una  porta 
nel  muro  stesso.  Per  conseguenza  il  piano  snperiore  si  estendeva 
anche  sopra  w,  mentre  e  certo,  come  vedremo  in  appresso,  che 
non  lo  era  sopra  l:  corrispondeva  dunque  a  cmaefg.  Non  si  esten- 
deva sopra  h  (a.  3,90)  ed  ?,  giacche  camere  ivi  situate  non  potevano 
essere  accessibili  da  questa  casa. 

Nell'altra  porta  [13]  risulta  dagli  incavi  dei  catenacci  nella 
soglia  di  travertino,  che  il  battente  d.  era  piii  grande  del  sin.  (0,71 


102  SCAVI   DI   POMPEI 

contro  0,61),  e  da  qiielli  delle  antepagmenta  che  esistevano  solo 
sul  lafo  sin. ;  avremo  a  supporre  che  ordinariamente  si  apriva  il 
solo  battente  sin.  (^).  Negli  stipiti  osservansi  i  buchi  per  la  sera 
(a.  e  1.  0,17),  che  come  al  solito  non  stanno  in  altezza  uguale: 
quello  a  d.  a  1,20,  l'altro  a  1,28  dal  pavimento. 

Dalla  fauce  a  si  scende  sopra  un  gradino  di  lava  in  d,  che 
puö  chiamarsi  atrio  corintio,  ma,  come  giä  fu  detto,  forse  non  e  altro 
che  un  antico  peristilio.  Ciö  che  puö  chiamarsi  impluvio,  inalzato 
di  m.  0,15-0,30  sopra  i  portici,  ha  il  pavimento  di  signinum  con 
pendenza  verso  S  0  ed  e  circöndato  dal  pilastro  angolare  S  0  (vd. 
la  pianta),  da  4  colonne  e  dal  muro  0  della  cucina  k,  nel  cui  an- 
golo  S  0  e  incastrata  una  quinta  colonna.  Le  colonne  ed  il  pilastro 
son  congiunti  da  un  podio,  alto  esternamente  0,55-0,75,  rivestito 
sulla  superficie  di  signinum^  del  resto  di  stucco  di  mattoni. 

La  stessa  nostra  pianta  mostra,  che  le  due  colonne  del 
lato  N  non  corrispondono  a  quelle  del  lato  S,  e  non  stanno 
neanche  in  una  linea  con  1' angolare  NO.  In  fatto  sono  d'ori- 
gin^  posteriore.  Del  portico  piü  antico  facevano  parte  tutte  le 
altre"  colonne,  compresa  quella  incastrata  nell'angolo  della  cucina, 
e  forse  il  pilastro  angolare  SO.  In  un  tempo  posteriore  poi  il 
portico  N  fu  occupato  da  altre  costruzioni :  e  gli  avanzi  d'un  muro 
che  dalla  colonna  angolare  N  0  si  stendeva  verso  N  (indicati  sulla 
pianta)  ne  fanno  testimonianza ;  esso  fece  conservare  la  colonna 
stessa,  che  vi  fu  inclusa,  mentre  le  altre  due  del  lato  N  furono 
tolte.  E  probabile  che  contemporaneamente  nel  portico  E  (ovvero 
nell'angolo  SE  dell'area  scoperta)  fosse  fabricata  la  cucina  /r,  con- 
servando  nel  modo  stesso  la  colonna  angolare  SE.  In  quel  tempo 
fu  fatto  anche  il  podio  (a.  0,55)  del  lato  S,  lasciando  libero  il 
passaggio  alla  cucina  A",  e  quello  del  lato  0  dal  pilastro  angolare 
S  0  fino  al  puteale  che  occupa  il  centro  di  quel  lato.  Quindi  le 
colonne  rimaste  in  piedi  ricevettero  il  loro  rivestimento  di  stucco, 
la  cui  dipintura,  per  la  corrispondenza  con  quella  conservata  al- 
Testremitä  0  del  portico  S,  si  riconosce  appartenere  ai  tempi  del 
terzo  Stile.  In  una  terza  epoca  finalmente  furono  demolite  le  costru- 


(1)  E  sbagliato  quanto  a  pag.  14  scrissi  sulla  porta  n.  6;  mi  era  sfug- 
gito  un  buco  per  un  catenaccio,  corrispondente  a  quello  sin. :  cosi  ve  ne  sono 
tre,  e  la  porta  era  a  tre  battenti. 


INSÜLA  IX,   7  103 

zioni  ora  mentovate  nel  portico  N,  e  furono  licostruite  le  due  co- 
lonne  di  qiiel  lato  (non  perö  ai  posti  antichi,  che  senza  dubbio  coni- 
spondevano  a  quelle  del  lato  opposto)  e  fu  fatto  il  pilastro  sporgente 
dal  muro  E.  L'area  scoperta  fu  inalzata  e  ricevette  il  suo  rivesti- 
mento  di  opus  signimim,  con  pendenza  verso  SO  e  due  scoli  per 
l'acqua :  uno  in  un  canaletto  che  passando  sotto  l'angolo  S  0  del 
portico  e  appie  del  muro  S  di  fg  sbocca  suUa  strada,  l'altro  nella 
cisterna  presso  il  puteale  sul  lato  0;  quest'ultimo  sta  in  un  li- 
vello  un  poco  piü  alto,  in  modo  che  l'acqua  vi  entrava  piü  pura. 
Fu  fatto  flnalmente  il  podio  del  lato  N,  a.  0,75,  prima  che  le  co- 
lonne  nuove  fossero  rivestite  di  stucco;  pare  anzi  che  non  riceves- 
sero  mai  tale  rivestimento. 

Presso  il  passaggio  alla  cucina  sta  una  seconda  bocca  di  ci- 
sterna, fatta  in  una  pietra  di  lava.  Ivi  stesso  sull'estremitä  del  po- 
dio sta  una  piccola  vasca,  mm'ata,  come  pare,  e  rivestita  di  stucco 
di  mattoni^  col  fondo*  formato  da  una  lastra  di  lavagna  cui  ad  0 
e  aggiunta  una  lastra  di  marmo  biänco  (m.  0,öO  X  0,33  al  mar- 
gine,  0,42X0,13  al  fondo,  prof.  0,15);  ha  uno  scolo  verso  N. 

Le  colonne  sono  alte  m.  2,48.  II  margine  inferiore,  del  tetto 
del  portico  era  alto  m.  2,65,  il  superiore  3,50 ;  il  tetto  poi  con 
la  stessa  pendenza  era  continuato  sul  lato  N  da  quelle  di  /,  il 
cui  margine  superiore  e  visibile  dal  giardino  della  casa  n.  3-5: 
dunque  il  piano  superiore  non  poteva  esteudersi  sopra  l.  —  L'estre- 
mitä  E  del  portico  S,  aocanto  a  k,  aveva  il  soflßtto  piano  (a.  2,70) 
ed  era  sormontata  da  un  locale  superiore  con  finestrina  verso  E. 
Tanto  di  sotto  che  di  sopra  eravi  nel  muro  E  una  nicchia  pro- 
fonda  m.  0,49:  di  sotto  e  a.  1,66, 1.  1,38,  discosta  dal  pavimento 
0,42;  di  sopra  arrivava  fino  al  pavimento  ed  e  alquanto  piü  stretta; 
l'altezza  ivi  non  si  conosce. 

Pra  le  porte  di  /  e  w  sta  la  nicchia  del  larario,  a.  0,30,  1. 
0,28,  prof.  0,20  disc.  dal  pavim.  1,38,  incorniciata  fra  due  mezze 
colonnette  ed  un  timpano,  il  quäle  su  fondo  turchino  contiene  una 
patera. 

Nel  peristilio  furono  trovati  vari  vasi  di  bronzo  e  vetro  ed 
altri  oggetti  (').  Fra  essi  rileviamo  20  anfore,  delle  quali  10  con 

(')  Di  bronzo :  5  vasi  di  varie  forme ;  un  tasto  chirurgico ;  una  piccolis 
sima  stadera;  una  pinzetta;  un  coperchio  di  calamaio;  3  battenti  di  serratura; 


104  SCAVI   DI   POMPEI 

iscrizioni.  Quattro  di  queste  iscrizioni  contengono  il  nome  di  Caesia 
Ilelpis,  ed  una  quinta  la  indica  con  le  iniziali:  nome  nuovo  nel- 
l'epigrafia  pompeiana.  Non  sarä  troppo  ardita  la  congettura  che 
Cesia  Elpide  avesse  qualche  relazione  speciale  con  la  casa:  forse 
ne  era  la  proprietaria ;  forse  era  moglie  di  Q.  Nolano  Primo  o  di 
C.  Sulpicio  Rufo,  dei  quali  in  /  furono  trovati  i  suggelli.  La  fa- 
miglia  dei  Cesii  e  ben  nota  a  Pompei:  ricordo  il  centiirione  M. 
Cesio  Blando  che  abitö  la  casa  VII,  1,40  (Fiorelli  Descr.  p.  172. 
C.  I.  L.  IV  1711.  1717.  1719.  1733),  Cesia  Optata,  alla  quäle 
Cecilio  Giocondo  fece  una  vendita  (De  Petra,  Tavolette  cerate  p.  40 
n.  24)  ed  il  sepolcro  d'una  famiglia  di  Cesii  incontrato  probabil- 
mente  sulla  via  Nucerina  (Bull.  1888  p.  132).  In  un'  anfora  ab- 
biamo  trovato  (sopra  p.  17)  Cesio  Restituto,  e  fu  trovato  prima 
M.  Cesio  Celere  {C.  I.  L.  IV,  2629).  —  Le  iscrizioni  delle  anfore 
trovate  in  quest'atrio  sono  le  seguenti,  scritte,  ove  non  dico  altro, 
con  inchiostro  (cf.  Not.  d.  sc.  1887,  p.  244;  1888,  p.  527-529): 
1  (forma  IX)  cf.  Not.  1887  p.  244  ß: 

!•  Villi 
^  FLx  !»viiii 

CaESIAE  •  HELPID 

:         2  (in  rosso)  3  (X.  XI) :  CAESIAE  •  HELPIDJS 
sopra  3  suU'altro  lato  in  rosso,  evanescente:  CAC 

4  (XI),  in  rosso :  CAESIAE  ■  hELPIDI 

a  questa  iscrizione  fu  sovrapposta  posteriormente  un'altra,    scritta 
con  inchiostro:  VIR 

TOLM 
suU'altro  lato  con  carbone:  IIAIX  ' 

5  Not.  1888  p.  529,  45  (XI) :  C  •  H 

ßBVIBIA 
Vibia,    che   regalö  quest'anfora    col   contenuto   a    Cesia    Elpide, 
potrebb'essere  quella  che  col   suo  marito    di   nome  poco   chiaro 


4  borchie  con  anelli,  ornamenti  di  mobilio ;  una  piccola  borchia  con  fallo  nel 
centro;  una  mascheretta;  un  palettino;  una  moneta.  Di  vetro:  16  fra  bottiglie 
ed  altri  recipienti.  Di  ferro:  una  paletta;  2  tripodi;  una  chiave.  Di  terracotta: 
3  lucerne ;  un  calamaio ;  un  vasellino ;  un  piatto  aretino  con  bollo.  (Not.  d. 
sc.  1887,  244;  1888,  528.529). 


INSULA  IX,   7  105 

(AMBRIAEVS)  tenne  probabilmente  ima  bottega  sul  lato  N  della 
casa  «  del  Centenario  «,  e  in  iin'iscrizione  dipinta  accanto  alla  bot- 
tega stessa  (Not.  d.  sc.  1879  p.  281,  16)  raccoraandö  un  candidato 
all'edilitä. 

6  (X),  in  rosso:    C-POPPAEI 

APOLLONI 

7  (XII):  IP-C- 
suiraltro  lato,  con  pietra  gialla :  M  •  ö^  •  V 

8  (XI);  cf.  Not.  1887  p.  244^»:    S  "^ 

CLP 
a  d.  in  rosso  con  lettere  grandi :  C  •  HIN 
siiU'altro  lato  con  pietra  gialla:  HVM 
sul  coUo  graffito  nell'argilla  molle:  X 

9  (XI):  M  NIMI 

cosi  publicata  Not.  1887  p.  244  d?;  io  non  vidi  che  tracce  incerte. 

10  (XII)  trovata  col  coperchio  il  28  maggio  1888:  non  vidi 
che  avanzi  non  intelligibili. 

Sul  muro  d'ingresso  dell'atrio,  a  d.  per  chi  entra,  e  graffito: 
PIERIS  All 
e  a  d. :  PIE,  e  sotto  la  prima  iscrizione :  PIERIS.  Varie  iscrizioni 
analogbe  non  lasciano  dubbio  che  con  All  non  sia  iudicata  la 
somma  di  2  assi  che  la  meretrice  Pieride  esigeva  per  i  suoi  favori 
(cf.  C.  L  L.  IV  1751.  1969.  2028 ;  Bull.  1877  p.  131 ;  1881  p.  32 ; 
1883  p.  149  n.  3). 

Rivolgendoci  ora  ai  locali  che  circondano  l'atrio  e  la  fauce, 
troviamo  in  h  la  latrina  che  per  mezzo  d'un  tubo  di  creta  (verso  0) 
comunica  con  una  cloaca,  in  c  una  camera  di  forma  irregolare,  che 
ha  la  forma  e  la  grandezza  di  un  cubicolo  e  per  la  rozzezza  della 
pittura  delle  pareti  (fondo  bianco)  si  crederebbe  abitata  piuttosto 
da  un  servo  che  da  un  membro  della  famiglia.  Fra  gli  oggetti 
raccoltivi,  del  resto  insignificanti  ('),  merita   menzione  un  picco- 


(1)  Di  bronzo :  uu  piccolo  ramaiuolo  e  2  aghi  saccali ;  di  ferro:  una 
scure,  una  martellina,  una  chiave,  un  piombino  ed  un  anello  «  portante  nel 
castone  un'agata  con  l'incisione  d'un'aquila  dalle  ali  spiegate  staute  sopra 
un  globo  ri  ;  di  vetro  :  2  bottiglie  e  10  unguentarii;  di  terracotta:  una  lucerna 
ad  un  lume  e  due  vasetti ;  di  avorio :  un  cassettino  con  coperchio  scorritoio  e 

8 


106  SCAVI   DI   POMPEI 

lissimo  idolo,  a.  m.  0,039  di  Igia,  «  coronata  e  seduta  io  trono, 
la  quäle,  poggiando  i  piedi  sul  suppedaneo,  tiene  nella  sin.  un 
ramoscello  e  nella  d.  una  patera,  nella  quäle  mangia  un  serpente 
che  le  poggia  sulle  ginocchia  ;  ai  lati  del  trono  due  alberetti  in- 
torno  a  ciascuno  dei  quali  si  avvolge  un  serpente  "  (Not.  d.  sc.  1887 
p.  41). 

Segue  m  (2,15  X  2,40)  di  carattere  simile  ;  ha  le  pareti  rive^- 
stite  fino  a  ni.  1,42  di  stucco  di  mattoni  con  strisce  nere  e  rosse, 
quindi  blanche,  con  avanzi  di  qualche  rozza  pittura  (i). 

Invece  /  (2,40  X  2,50,  a.  fino  al  nascimento  della  volta  de- 
corativa  2,85,  fino  alla  sommitä  3,15)  potrebbe  credersi  il  cubi- 
colo  del  proprietario.  Eiceve  luce  per  una  finestra  accanto  della 
porta  (a.  1,04,  1.  0,69,  disc.-d.  pavim.  0,62);  una  finestrina  tonda 
poi  nel  muro  E,  che  sta.a  metä  nella  lunetta e  si  restringe  ester- 
namente  (diam.  0,20-0,70)  non  poteva  avere  altro  scopo  che  di 
lasciar  entrare  il  primo  raggio  del  sole,  nel  modo  stesso  come 
l'abbiamo  osservato  nel  cubicolo  m  del  n.  1-2  (p.  7).  La  porta 
era  a  due  battenti,  senza  catenacci.  II  pavimento  e  di  una  massa 
ordinariä ;  su  tre  pareti  —  a  d.,  a  sin.  ed  in  piccola  parte  sul 
muro  d'ingresso  —  e  conservata  una  decorazione  del  terzo  stilc, 
la  quäle  nella  composizione  (l'esecuzione  ed  i  dettagli  sono  molto 
inferior!)  rassomiglia  ad  una  bella  parete  della  domus  M.  Spurt 
Mesoris  (2),  con  la  diiferenza  perö  che  qui  il  padiglione  nel  mezzo 
d'ognuna  parete  contiene  un  piccolo  quadro  soltanto,  e  che  le 
leggiere  architetture  arrivano  fino  al  margine  superiore  e  sembrano 
appoggiare  il  sofiitto.  Nel  fregio  nero  degli  scompartimenti  late- 
rali  son  rappresentati  uccelli :  sulla  parete  sin.  a  sin.  due  pavoni, 
a  d.  due  piccioni  che  s'imboccano,  sulla  parete  d.  a  sin.  due  gal- 
line  di  Faraone  (?)  a  d.  due  piccioni.   In  ognuno  degli  scompar- 


squadri  di  bronzo  agli  angoli,  frammentato  (0,10  X  0,05  X  0,03) :  vi  fu  anche 
la  piccola  serratura,  lunga  m.  0,003  ;  una  piccola  pietra  bianca  ellittica  (0,01) 
con  incisione  d'un  cavallo  che  galoppa  a  sin. ;  un  globetto  forato  di  cristallo 
di  rocca  (Not.  1887  p.  41.242). 

(1)  Vi  si  trovü  un    candelabro  ed  una    serratura  di  bronzo ;  un  vasetto 
aretino  frammentato  :  Not.  1887  p.  41. 

(2)  Mau  Gesch.  d.  decor.   Wandm.  in  Pompeji  tav.  12. 


INSÜLA  IX,   7  107 

timenti  laterali  un  piccolo  campo  nero  in  forma  di  segmento 
di  circolo  (a.  0,11,  1.  0,34),  di  ciii  l'arco  e  accompagnato  in- 
ternamente  da  una  ghirlanda  di  foglie,  contiene  un  capriuolo 
con  un  capriuoletto  in  vari  atteggiamenti.  Vi  sono  pol  i  quadri 
seguenti : 

1,  uel  centro  del  muro  sin. ;  a.  0,43,  1.  0,40  col  margine ; 
disegno  presso  l'Istituto :  A  d.  siede  per  terra  sDpra  una  veste  (?) 
biancastra  un  uomo  ignudo,  rivolto  a  sin.  e  neH'interno  del  quadro. 
La  Corona  che  gli  cinge  la  testa  e  gialla ;  ma  ciö  dipende  forse 
dal  modo  come  e  dipinto  il  quadro,  con  la  massima  economia 
cioe  di  colori,  in  modo  da  farlo  comparire  quasi  monocromo.  In 
tal  caso  potrebbe  essere  una  Corona  di  pino,  con  la  quäle  l'uomo 
sarebbe  caratterizzato  da  Satire ;  e  vero  che  le  orecchie  non  sem- 
brano  aguzze ;  ma  ciö  non  e  abbastanza  chiaro.  Volge  la  testa  a 
sin.  verso  un  gran  cane,  che  lecca  per  terra  ciö  che  egli  con  la  d. 
versa  da  un  vasetto  dal  collo  stretto  ad  un  manico,  mentre  si  ap- 
poggia  suUa  sin.  Due  altri  cani  stanno  piü  in  dietro :  uno  (v.  sin.) 
a  d.  del  giovane,  in  parte  nascosto  dietro  di  lui,  l'altro  (di  faccia), 
piü  a  sin.,  montato  sopra  alcune  pietre;  quest' ultimo  guarda  atten- 
tamente  il  giovane.  Ambedue  portano  coUari,  e  sono  di  quella  razza 
che  rassomiglia  ai  lupi,  il  primo  giallo,  gli  altri  bianchi.  Nello 
sfondo  pietre  e  montagne  nude. 

2,  nel  centro  del  muro  d. ;  a.  0,42,  1.  0,40 ;  disegno  presso 
l'Istituto:  Vittoria  che  fa  un  trofeo.  II  trofeo  e  composto  di  tu- 
nica,  corazza,  scudo,  elmo  e  gladio ;  giacciono  appie  di  esso  un  altro 
scudo  ed  una  corazza ;  la  Vittoria  con  la  sin.  vi  mette  una  lancia. 
Ella,  con  grandi  ali  verdi,  e  vestita  di  tunica  cinta  biancastra, 
che  scivola  giü  dalla  spalla  d.,  d'una  clamide  paonazza  guarnita 
di  frange,  che  pare  fermata  suUa  spalla  sin.  e  lasciando  libera 
la  parte  superiore  del  corpo  cuopre  le  gambe,  e  di  scarpe  gialle. 
Kegge  nella  d.  abbassata  un  oggetto  irriconoscibile,  che  puö  essere 
un  gladio  tenuto  per  il  manico.  Lo  sfondo  e  Celeste. 

3,  sopra  1,  dipinto  con  pochi  colori  biancastri  sul  fondo  rosso ; 
a.  0,16,  1.  0,32 :  Amore  che  guida  un  carro  a  due  ruote  tirato  da 
due  cigni. 

4,  sopra  2,  grandezza  e  maniera  come  3 :  Amore  che  casca 
in  dietro  dal  medesimo  carro  (che  qui  perö  e  verde),  mentre  i 
cigni  fuggono  spaventati. 


108  SCAVI   DI   POMPEI 

Si  trovarono  in  ^  4  anfore  ed  un  urceo  con  iscrizioni.  Sopra 
una  delle  anfore  (')  e  scritto  con  color  bianco: 

TI  •  CLAVDIO  Chili 1 111^ 

i.'y\TEiiiii/ili 

GAVR 

I  consoli  sono  del  43  o  del  47  d.  C. ;  il  vino  pare  che  fosse 
del  Monte  Gauro  (').  Le  tracce  poco  cMare  suU'urceo  (Not.  1887 
p.  243,  31  genn.)  mi  sembravano  accennare  al  nome  VALERI 
Ueliadis.  Certo  tali  ritrovamenti  non  confermano  la  suaccennata 
congettura,  che  cioe  qui  dormisse  il  padron  di  casa,  perö  mi  pare 
che  non  la  escludano. 

Sul  lato  0  dell'atrio,  a  d.  dslla  fauce,  troviamo  e,  che  la 
porta  larga  (2,33),  le  dimensioni  della  camera  stessa  (4,15  X  3,47) 
nonche  il  solito  incavo  per  il  lectus  medius  neH'estremitä  poste- 
riore del  muro  sin.  caratterizzano  come  triclinio.  E  alto  3,0  fino 
al  nascimento  della  volta  decorativa  (che  si  puö  supporre  ma  non 
e  visibile).  Gli  stipiti  dell'ingresso  avevano  gli  spigoli  estemi 
rivestiti  di  antepagmenta ;  appie  d'ognuno  di  essi  sta  nel  pavi- 
niento  (di  massa  ordinaria)  una  lastra  di  marmo,  ma  soltanto  a 
sin.  trovai  la  traccia  del  cardine.  Nel  pavimento  e  formato  con 
pietruzze  blanche  un  rettangolo  largo  0,11,  che  a  m.  0,35  dalla 
soglia  attraversa  1'  intera  camera ;  quindi  piü  in  dentro  un  fallo 
diretto  verso  l'interno  (1.  0,38)  e  nel  centro  della  camera  un  or- 
namento  circolare.  Pare  che  non  vi  fossero  finestre.  Non  trovo  no- 
tizia  di  oggetti  raccoltivi. 

Le  pareti  son  dipinte  nel  terzo  stile  a  fondo  rosso  meno  lo 
zoccolo,  che  e  nero  con  ornamenti  lineari.  II  centro  d'ognuna  pa- 
rete  e  occupato  da  un  gran  quadro  rinchiuso  nel  noto  padiglione. 
Nella  parte  media  (contando  verticalmente)  delle  pareti  lunghe  ciö 
che  rimane  a  ciascun  lato  del  padiglione  e  diviso  in  due  scomparti- 
menti  mediante  una  striscia  verticale  nera  contenente  un  candelabro 
dipinto  in  colori  biancastri.  Sulla  parete  di  fondo  evvi  al  posto  corri- 

(1)  Le  altre,  non  intelligibili  vd.  Not.  d.  sc.  1887  p.  41.  —  Vi  si  trova- 
rono inoltre  una  conca  ed  una  lagena  di  bronzo ;  un  piccone,  una  chiave  ed 
una  martellina  di  ferro. 

(2)  Celebre  per  i  suoi  vini :  Marquardt  Privatleben  der  Römer  ^  p.  451 
nota  14. 


INSULA    IX,    7  109 

spondente,  sul  fondo  rosso,  in  color  bianco-azziirrognolo  con  pochi  or- 
namenti  policromi,  un  tripode  di  forme  fantastiche  :  sopra  una  base 
tonda  stanno  tre  erme,  dalle  cui  teste  s'inalzano  bastoni  sottilis- 
simi,  congiimti  a  circa  un  quarto  della  loro  altezza  da  due  dischi 
e  sormontati  da  un  piattino  (o  cerchio?),  sull'orlo  del  quäle  stanno 
tre  calici  color  d'oro.  Nella  parte  superiore  evvi  al  di  sopra  d'ognuno 
dei  grandi  quadri  un  semplice  prospetto  architettonico ;  sopra  i 
candelabri  e  tripodi  stanno  i  quadri  da  descriversi  (n.  7.  8.  9.  10) 
rinchiusi  entro  due  strisce  ornamentali  verticali  congiunte  da  un 
architrave  ornamentato  nella  maniera  di  questo  stile.  Sopra  ogni 
estremitä  dei  suddetti  padiglioni  contenenti  i  quadri  grandi  sta 
una  Sirene  (con  ali,  coda  e  gambe  d'uccello),  che  sul  muro  sin., 
ove  una  sola  e  conservata,  regge  lira  e  plettro,  sul  muro  di  fondo 
un  ramo  con  foglie,  che  serve  di  ornaraento  alla  parete.  Kami  cioe 
con  foglie,  fiori  e  frutta,  e  cose  simili,  riempiono  nella  parte  su- 
periore gli  spazi  vuoti  rimasti  fra  i  motivi  suddetti. 

Vi  sono  le  rappresentanze  seguenti : 

5,  nel  centro  del  muro  sin. ;  a.  1,37,  1.  1,06  ;  disegno  presso 
ristituto.  Si  vede  l'interno  d'un  sacro  recinto ;  e  se  tale  recinto 
contiene  un  tempio,  ci  troviamo  avanti  ad  esso,  rivolti  verso  il  muro 
di  ciüta  di  color  paonazzo  chiaro,  sormontato  da  epistilio,  fregio  e 
cornice  a  dentelli,  dalla  quäle  pendono  ghirlande,  con  la  porta  d'in- 
gresso  (color  biancastro  ,  massiccia  nella  parte  inferiore,  mentre  di 
sopra  e  formata  a  guisa  di  cancello.  E  aperto  il  battente  d.,  e  vi 
entra  da  sin.  un  asino  bianco  con  la  testa  abbassata  e  la  lingua  fuori 
dalla  bocca.  Piü  vicino  allo  spettatore  sta  su  ciascun  lato  un'edicola 
che  tocca  il  margine  del  quadro ;  non  sono  addossate  al  muro  di  cinta : 
ciö  si  rileva  dall'ombra  che  quella  a  sin.  getta  su  di  esso.  Sono  sor- 
rette  sul  loro  lato  anteriore  (verso  il  centro  del  quadro)  da  due  co- 
lonne  ioniche,  mentre  agli  angoli  posteriori  stanno  due  pilastri ; 
hanno  pareti  sul  lato  posteriore  e  su  quello  opposto  allo  spettatore ; 
sul  lato  rivolto  allo  spettatore  la  colonna  ed  il  pilastro  sono  con- 
giunti  soltanto  da  un  basso  muro  (a.  0,31).  Essi  portano  l'epistilio 
bianco  (con  appesovi  un  bucranio),  il  fregio  paonazzo  chiaro  con  orna- 
menti  bianchi,  ed  il  cornicione;  e  visibile  anche  il  tetto  di  color 
giallo.  Le  due  statue  femminili  poste  nelle  edicole  (rivolte  verso  il 
centro  del  quadro)  pur  troppo  sono  poco  riconoscibili.  Quella  a  sin.  ha 
i  capelli  biondi  cinti  da  foglie  verdi ;  il  naso  e  aquilino  ;  appoggia 


110  SCAVI   DI   POMPEI 

la  d.  alzata  ad  un  lungo  scettro  e  regge  suUa  sin.  protesa  un 
oggetto  che  puö  sembrare  un  frutto.  L'altra  ha  la  testa  cinta  da 
foglie  (?)  gialle ;  pare  che  nel  braccio  sin.  porti  una  cornucopia ; 
la  d.  protesa  regge  qualche  oggetto  affatto  irriconoscibile.  Nel 
primo  piano  sta  nel  bei  mezzo  un  altare,  di  forma  poco  chiara, 
e  mi  par  certo  che  sopra  di  esso  arde  una  fiamma.  A  sin.,  e  ri- 
volta  all'altare,  sta  ritta  la  figura  d'un  uomo  (a.  0,29)  nudo  o 
poco  vestito,  che  pare  sopra  una  mano  protesa  regga  un  piatto.  II 
confronto  del  quadro  seguente  lascia  appena  un  dubbio  che  sull'altro 
lato  deir  altare  non  fosse  rappresentata  la  divinitä  alla  quäle  qui  si 
sacrifica  ;  ma  ne  e  rimasta  soltanto  qualche  traccia  incerta.  —  Dietro 
il  muro  di  cinta  e  le  edicole  sorgono  plante  con  flori  rossi,  che 
riempiono  quasi  tutto  lo  sfondo.  Fra  esse  ergesi  una  colonna  ionica 
sorraontata  da  una  tavola  (0,13  X  0,26)  con  la  rappresentanza  mo- 
nocroma  di  Amore  che  lotta  con  Pane.  Le  parti  inferiori  delle 
plante  e  della  colonna  dovrebbero  comparire  nella  porta  aperta ; 
ma  ciö  non  si  verifica :  vi  comparisce  il  cielo  ed  una  pianta  iso- 
lata  che  nulla  ha  che  fare  con  quelle. 

6,  nel  centro  del  muro  di  fondo ;  a.  1,36,  1.  0,985  ;  disegno 
presse  l'Istituto.  Qui  pure  si  vede  l'interno  di  un   sacro  recinto ; 

10  spettatore  si  trova  di  faccia  al  tempio  prostilo  tetrastilo,  il 
quäle  nel  bei  mezzo  del  quadro  sta  addossato  al  muro  di  cinta. 
Esso  sorge  sopra  un  basamento  (a.  0,15)  preceduto  da  due  gradini, 
ed  e  accessibile  (benche  ciö  sia  poco  chiaro)  per  una  scala  che  in 
larghezza  non  oltrepassa  le  due  colonne  medie.  Gli  intercolunnii 
laterali  son  chiusi  da  un  parapetto  giallo ;  le  colonne  sorreggono 
l'epistilio,  con  ghirlande  appesevi,  il  fregio  diviso  per  mezzo  di 
mensole  (cosi  pare)  in  scompartimenti  nei  quali  s'alternano  bu- 
cranii  e  patere,  dipinte  in  bianco,  com'anche  l'ornamento  (irrico- 
noscibile) del  fastigio.  II  tetto  e  giallo,  con  antefisse  tutt'intorno. 

11  fondo  del  pronao  e  rosso,  giallo  l'architraye  della  porta  (gli 
stipiti  non  sono  visibili)  per  la  quäle  si  vede  nella  cella  l'idolo 
giallo  in  veste  lunga,  posto  sopra  una  bassissima  base  in  posa  ri- 
gida,  con  le  avambraccia  alzate  obliquamente  e  allontanate  dal 
corpo  nella  nota  guisa  delle  divinitä  che  portano  fiaccole.  A  cia- 
scun  lato  poi  del  tempio  evvi  la  rappresentanza  identica  di  una 
parte  d'un  altro  edifizio,  cioe  del  lato  corto  rivolto  al  tempio  e  di 
una  parte  del  lato  lungo,  uguale  in  lunghezza  press'a  poco  al  lato 


INSULA    IX,    7  111 

corto.  Questi  edifizi,  preceduti  in  ambedue  i  lati  da  tre  gradini, 
sono  a  tre  piani.  II  pian  terreno  ha  verso  il  tempio  la  porta,  dal- 
l'altro  lato  due  finestre ;  la  porta  h  protetta  da  un  tetto  sporgente 
dal  muro,  che  perö  sta  all'altezza  del  secondo  piano,  il  quäle  ha 
una  grande  finestra  sul  lato  lungo  e  tre  feritoie  al  disopra  di  quel  tetto. 
Qui  con  epistilio,  fregio,  cornicione  ed  un  bassissimo  muro  sor- 
montato  da  una  specie  di  merli  finisce  ciö  che  propriamente  puö 
dirsi  il  corpo  dell'edifizio.  Segue  una  costruzione  leggiera,  dipinta 
in  bianco,  cioe  una  specie  di  pergolato,  coperto  con  soffitto  piano, 
chiuso  soltanto  siü  lato  lungo  rivolto  allo  spettatore  con  un  muro 
evidentemente  sottile  e  interrotto  da  una  finestra,  mentre  sul  lato 
opposto  e  aperto  e  protetto  da  un  parapetto  a  guisa  di  cancello ; 
e  aperto  anche  sul  lato  corto ;  non  dubito  di  riconoscere  qui  ciö 
che  intendono  gli  antichi  quando  chiamano  pergula  una  parte  alta 
della  casa  (i).  Fra  questi  edifizi  ed  il  tempio  e  visibile  il  muro  di 
cinta  sormontato  da  bassi  merli  ed  interrotto  in  ognuno  dei  due  in- 
terstizi  da  un'alta  finestra  a  volta.  Presso  l'angolo  d.  del  tempio 
siede  sopra  un  sedile  non  riconoscibile  una  figura  virile  (mal  con- 
servata),  veduta  di  faccia,  di  forme  robuste.  La  parte  superiore 
del  corpo  e  nuda,  le  gambe  sono  avvolte  d'una  veste,  visibili  perö 
i  piedi ;  uno  scettro  std  appoggiato  al  sedile  accanto  alla  spälla 
sin.  Avanti  al  tempio  sta,  nel  mezzo  del  primo  piano  del  quadro, 
un'altare,  tondo  a  quanto  pare  (e  mal  conservato),  e  presso  l'edifizio 
a  sin.  una  figura  femminile  in  piedi,  con  veste  chiara  che  cuopre 
anche  la  testa ;  regge  nella  sin.  protesa  un  oggetto  irriconoscibile, 
che  perö  e  rotondo  e  potrebb'essere  un  frutto.  Non  v'e  dubbio 
che  in  quella  prima  figura  non  s'abbia  a  riconoscere  una  divi- 
nitä,  probabilmente  Giove,  e  nella  seconda  un'adorante.  Qui  come 
nel  n.  5  sorgono  dietro  il  muro  di  cinta  varie  piante  e  fra  essi 
un  altro  edifizio,  cioe  un  breve  portico,  chiuso  in  ambedue  i  lati 
con  4  colonne  congiunte  da  un  parapetto;  non  si  vede,  come  sia 
accessibile.  Le  colonne  ioniche  sono  sormontate  da  trabeazione  do- 
rica  con  triglifl,  ciö  che  non  farä  meraviglia  a  chiunque  conosca 
le  architetture  pompeiane. 

7,  8,  nella  parte  superiore  della  parete  sin.  a  sin.,  e  rap- 
{tresentanza  quasi  identica  dirimpetto  suUa  parete  d. ;  a.  0,57, 
1.  0,52 ;  disegno  presso   l'Istituto.  Architetture.    Due  corpi  d'edi- 

(1)  Cf.  Bull.  1887  p.  219. 


112  SCAVI   DI   POMPEI 

fizio  quadrangolari,  con  porta  e  finestra  sopra  di  essa  tanto  nel 
lato  rivolto  allo  spettatore  quanto  in  quello  rivolto  al  centro  del 
quadro,  sono  congiunti  nel  fondo  da  un  muro  (paonazzo),  nel  quäle 
si  apre  una  larga  porta  a  due  battenti  (gialla)  dei  quali  quello 
a  sin.  e  aperto,  e  vi  entra  una  figura  che  soltanto  sul  muro  d.  e 
abbastanza  conservata  per  riconoscervi  una  donna  che  con  le  avam- 
braccia  protese  si  dirige  verso  sin.  Ciascuno  degli  edifizi  quadran- 
golari e  sormontato  da  un  portico  di  quattro  colonne  (comprese  le 
angolari),  che  ha  aperta  l'estremitä  rivolta  allo  spettatore  ;  all'altra 
estremitä  i  due  portici  sono  congiunti  per  mezzo  d'un  terzo  al 
disopra  della  summentovata  porta,  il  quäle  ha  otto  colonne,  com- 
prese le  angolari,  ed  e  sorretto,  cosi  pare,  da  travi  oblique.  I  due 
portici  laterali  son  preceduti  ognuno  da  una  galleria  munita  d'un 
parapetto  (giallo),  il  cui  margine  superiore  sta  al  livello  delle 
basi  delle  colonne,  mentre  un  altro  parapetto  si  stende  imme- 
diatamente  avanti  alle  colonne  del  portico  in  fondo,  ed  allo  stesso 
lofo  livello :  cosi  almeno  mi  pare  di  dover  spiegare  la  disposi- 
zione  non  troppo  chiara.  II  portico  in  fondo  e  sormontato  da  un 
altro  breve  portico  che,  col  suo  fastigio,  ha  la  forma  del  pronao 
di  un  tempio  prostilo  esastilo,  mentre  i  portici  laterali  son  sor- 
montati,  sulle  estremitä  rivolte  allo  spettatore,  ciascimo  d'un  an- 
golo  di  fastigio.  In  tutti  questi  portici  stanno  figure  blanche  in 
vari  atteggiamenti,  nelle  quali  senz'alcun  dubbio  abbiamo  a  rico- 
noscere  statue.  Sul  muro  sin.  se  ne  contano  10,  e  pare  che  qual- 
cuna  sia  svaniti,  6  sul  muro  d.,  ove  quella  parte  non  e  completa. 
Dietro  agli  edifizi  descritti  sorgono  alberi,  dei  quali  qui  pure 
nella  porta  aperta  nulla  si  vede,  ma  vi  comparisce  il  cielo. 

9,  nella  parte  superiore  del  muro  di  fondo,  a  sin. ;  a.  0,485, 
1.  0,61  ;  disegno  presso  l'Istituto.  Architetture.  A  sin.  un  edifizio 
rettangolare,  veduto  dall'angolo  anteriore  a  d.  II  lato  corto  rivolto 
allo  spettatore  e  aperto ;  il  lato  d.  consiste  di  6  colonne  poste 
sopra  un  basso  podio ;  quello  posteriore  (corto)  e  addossato  all' edi- 
fizio seguente,  quello  sin.  chiuso  ma  ha  una  porta,  nella  quäle 
sta  un  piccione  bianco ;  il  tetto  h  fatto  a  due  pioventi.  L'edifizio 
seguente  e  a  contatto  col  primo,  ma  sporge  verso  d. ;  e  press'a  poco 
quadrato,  a  due  piani,  col  tetto  a  schiena ;  il  pian  terreno  ha  a 
d.  la  porta,  quello  superiore  nessun'apertura  nei  due  lati  visibili, 
ciö  che  forse  dipende  dalla  cattiva  conservazione.  Da  quest' edifizio 
£no  al  margine  d.  si  stende  un  muro  in+errotto  da  un   passaggio 


INSÜLA    IX,    7  113 

a  volta ;  al  disopra  del  rauro  comparisce  al  margine   stesso  parte 
d'un  ediflzio  alto,  di  cui  perö  non  si  distingue  alcun   particolare. 

10,  iyi  stesso  a  d.  Quasi  identica  rappresentanza,  ma  in  di- 
rezione  opposta.  Nel  primo  ediflzio  (a  d.)  le  colonne  sono  congiunte 
a  V3  dell'altezza  mediante  due  sottili  travicelle  bianche ;  i  parti- 
colari  del  tetto  e  della  trabeazione  sono  meglio  conservate.  L'edifizio 
a  due  piani  ha  il  piano  superiore  aperto  v.  sin.  con  sei  colonne. 

11,  sopra  1  ;  a.  0,09,  1.  0,19;  fondo  nero.  Amore  (mancano 
perö  le  ali)  che  con  una  lancia  s'avventa  contro  una  pantera. 

12,  sopra  2  ;  a.  0,16,  1.  0,33.  Tavola  con  margine  sporgente 
quäle  spesso  si  osserva  fra  le  architetture  delle  pareti  pompeiane. 
Contiene  su  fondo  scuro  due  maschere :  a  sin.  un  vecchio  con 
faccia  rossa,  barba  e  capelli  bianchi,  veduto  di  profilo  v.  d. ;  a 
sin.  una  donna  veduta  di  faccia,  di  espressione  seria,  coi  capelli 
che  scendono  da  ambedue  i  lati. 

Accanto  a  e  stanno  le  due  camerette  f  g^  le  quali,  almeno 
secondo  la  loro  originaria  destinazione  possono  credersi  un  cubi- 
colo  col  procoeton ;  questo  perö  pare  che  negli  ultimi  tempi  ser- 
visse  per  conservarvi  ogni  sorta  d'oggetti. 

/  e  grande  2,13  X  2,62,  a.  2,30  tino  al  nascimento,  circa  2,70 
fino  alla  sommitä  della  volta  decorativa.  E  accessibile  dal  portico 
per  due  porte  (2,25  X  0,63  e  1,93  X0,70);  nel  muro  S  evvi  una 
porta  raurata  (1,78  X  0,83)  che  la  congiungeva  con  la  camera  e 
della  casa  adiacente,  la  quäle  camera  dunque  un  tempo  fece  parte 
di  questa  casa.  E  ciö  fu  ai  tempi  del  secondo  stile  decorativo, 
nel  quäle  ambedue  le  camere,  ed  anche  g,  son  dipinte.  Ib.  f  q  g 
la  decorazione  rappresenta  un'incrostazione  di  marmo,  in  /  di  pre- 
ferenza  in  giallo,  in  ^  a  fondo  bianco.  g  e  grande  2,47  X  2,15, 
alta  come  /.  Apple  del  muro  S  di  ambedue  le  camere  un  gradino; 
a.  0,22  contiene  il  condotto  che  dall'impluvio  conduce  sulla  strada. 

Nell'angolo  NO  di  /  sta  per  terra  un  mucchio  di  mattoni 
polverizzati,  coperto  di  tre  tegole.  Non  pochi  oggetti  vi  furono 
raccolti,  fra  cui  due  suggelli  di  bronzo : 

1.  Q  •  NOLANI  (')  2.  C  •  SVLPICI 

PRIMI  RVFI 

(0  Sopra   gentilizi   come   Nolanus   vd.  Bor^hesi    Oeuvres   IV  p.  31 
Hübner  Eph.  epigr.  II  p.  30. 


114 


SCAVI   DI   POMPEI 


Gli  altri  oggetti  sono  insignificanti  e  senza  importanza,  tutt'al  piü 
UDO  specchio  (rettangolare)  ed  un  nettaorecchie,  ambedue  di  bronzo, 
potrebbero  dirsi  non  disadatti  a  stare  nel  procoeton  (').  Pare  che 
in  g  si  trovasse  (Not.  1888  p.  527,  3  apr.)  un  vaso  ed  una  lucer- 
uina,  ambed^ie  di  bronzo. 

Sul  lato  S  deU'atrio  il  cubicolo  h  ha  le  pareti  dipinte  nel 
terzo  Stile  :  zoccolo  nero  con  ornamenti  lineari  ;  grandi  scompar- 
timenti  rossi  sormontati  da  un  fregio  nero  (con  uccelli  che  man- 
giano)  rinchiuso  fra  due  strisce  ornamentali  biancastre;  nel  noto  pa- 
diglione  in  mezzo  ad  ognuna  parete :  fondo  nero,  traversato  da  due 
strisce  gialle,  e  nel  centro  un  piccolo  quadro,  conservato  sul  muro  d. 
(a  sin.  tracce  incerte);  negli  scompartimenti  laterali  su  i  muri  d. 

e  sin.  medaglioni,  sul  mu- 
ro di  fondo  piccoli  campi 
a  lozanga,  tutti  con  teste. 
La  parte  superiore  ha  su 
fondo  bianco  piccole  archi- 
tetture,  riempite  in  parte 
con  color  rosso,  giallo  e 
turchino.  Son  conservate  le 
rappresentanze  seguenti : 
13,  nel  centro  del  mu- 
ro d. ;  fondo  nero ,  senza 
margine;  a.  0,47,  1.  0,36  ; 
disegno  presse  1'  Istituto. 
Avanti  ad  un'alta  base  gri- 
gio-verdastra  (fatta  unica- 
mente  per  servir  di  fondo 
alla  figura)  sta  ritto  un  bei 
-    giovane  nudo  meno  un  ber- 


(1)  Vi  si  trovarono  inoltre  di  bronzo  :  8  vasi  di  varie  forme,  una  cam- 
panella,  una  moneta;  di  ferro:  2  verghe,  3  chiavi,  una  lucema,  una  scure, 
un  martello ;  di  terracotta :  2  scodelle  aretine  con  le  marche  Lee  mom, 
una  pignatta  con  materia  bituminosa,  «  un  vasetto  dal  cui  fondo  internamente 
si  eleva  un  piuolo  in  terracotta,  il  quäle  h  immesso  in  un  oggetto  elissoide 
vuoto,  anche  di  terracotta,  che  scorre  ma  non  puo  togliersi  dal  detto  piuolo  »  . 
di  vetro :  un  unguentario ;  di  marmo  :  un  piccolo  mortaio  col  pestello,  un  peso 
(Not.  d.  sc.  1887  p.  245-379). 


INSÜLA    IX,    7  115 

retto  frigio  turchino-chiaro,  i  cui  lembi  cadono  sulle  spalle,  ed  una 
clamide  dello  stesso  colore  che  pende  dalla  spalla  sin.  ed  e  avvolta 
intorno  a  quel  braccio.  La  sin.  abbassata  regge  l'arco,  la  d.  sta 
avanti  al  petto,  pronta  a  cavar  la  freccia  dal  turcasso  che  gll  pende 
al  lianco  sin.,  sorretto  da  im  nastro  che  traversa  il  petto.  La  testa 
e  rivolta  a  sin.,  e  guarda  attentamente  da  quella  parte,  senza  dub- 
bio  verso  l'oggetto  che  vuol  prender  di  mira.  Non  isbaglieremo  dan- 
dogli  il  nome  di  Paride.  Dal  piede  d.,  messo  un  poco  in  dietro, 
una  striscia  giallastra  si  stende  verso  sin.  in  su ;  credo  che  essa 
non  significhi  altro  che  l'ombra.  E  vero  che  sta  in  contradizione 
con  la  luce  che  cade  sul  corpo  del  giovane ;  ma  forse  fu  fatta 
in  corrispondenza  con  la  porta  della  camera. 

14,  nel  centro  del  miiro  sin. ;  son  conservate  tracce  della  sola 
parte  d. ;  a.  0,32,  1.  la  p.  cons.  0,25  ;  disegno  presso  l'Istituto. 
Sopra  una  sedia  sta  seduia  una  figura  nuda  o  poco  vestita  (uomo  ?) 
V.  sin.,  che  alza  anibedue  le  mani  verso  la  testa  (all'altezza  delle 
orecchie) ;  pare  che  un  pedum  stia  appoggiato  al  sedile. 

15,  sul  muro  di  fondo,  a  sin. ;  a.  0,155,  1.  0,125  ;  disegno 
presso  l'Istituto.  In  lozanga  a  fondo  nero :  busto  di  donna,  di  fiso- 
nomia  molto  individuale,  non  bella,  con  ricchi  capelli  biondi  che 
cadono  sulle  spalle ;  ha  gi-andi  pendenti  nelle  orecchie  ed  e  vestita 
di  una  veste  paonazza. 

16,  sul  medesimo  muro  a  d.,  come  15  ;  disegno  presso  l'Isti- 
tute.  Busto  di  uomo  imberbe  di  forme  individuali,  dai  capelli 
biondi  e  ricciuti. 

Nella  parte  superiore  in  campi  bianchi :  16,  sopra  13  :  un 
basso  canestro  con  tralci  di  verdura,  una  siringe  ed  un  rhyton. 

17,  sopra  14 :  lo  stesso  canestro,  rhyton  e  cantaro  ;  siringe, 
rhyton  e  cantaro  sono  ornati  ognuno  d'una  tenia. 

18,  sul  muro  d.  a  sin.  maschera  gialla  coronata  di  edera ; 
a  d.  un  tamburino,  a  sin.  una  pantera. 

19,  sul  muro  d.  a  d. ;  due  maschere  coronate  di  foglie : 
quella  a  sin.,  di  facl;ia,  femminile  con  lunghi  capelli,  l'altra,  di 
profllo,  virile,  gialla,  cui  non  so  che  cosa  si  rizza  sulla  fronte  a 
guisa  d'una  Corona  dentata ;  a  d.  un  basso  canestro,  a  sin.  una 
siringe. 

20,  sul  muro  sin.  a  sin. :  due  maschere,  quella  a  sin.  barbata, 
l'altra  gialla  ed   imberbe,  ambedue  di  faccia,  coronate  di   foglie; 


116  SCAVI    DI   POMPEI 

a  sin.  qualche    oggetto   poco   riconoscibile,  a  d.  iiüa  statuetta  di 
Priapo  sopra  una  base. 

21,  sul  muro  sin.  a  d. :  due  maschere  poco  riconoscibili ;  a 
sin.  un  lirso. 

i  e  un  triclinio,  dipinto  nel  terzo  stile  a  fondo  nero,  con  strisce 
rosse  fra  gli  scompartimenti  della  parte  media  ed  uno  scompartimento 
rosso  con  margine  nero  nel  centro  d'ogni  parete.  Non  vi  sono  rap- 
presentanze  figurate ;  soltanto  nel  centro  d'ogni  parete  era  rappre- 
ssntato  un  uccello  (sul  muro  sin.  un  cigno  volante  che  porta  nel 
becco  e  coi  piedi  un  nastro  giallo  con.piccoli  pendagli  puntuti),  in 
ognuno  degli  altri  scompartimenti  un  vaso. 

k  e  la  cucina,  coperta  d'un  tetto  che  s'abbassa  verso  N,  sor- 
retto  da  travi  tonde  che  con  l'estremitä  inferiore  riposano  sul 
muro  N,  con  quella  superiore  sopra  una  grossa  traye  tonda  paral- 
lela  al  muro  S.  Una  delle  tegole  ha  un'apertura  tonda  dal  dia- 
metro  di  m.  0,22.  Accanto  alla  porta  evvi  una  finestra  a.  0,38, 
1.  0,40. 

22,  La  pittura  lararia  e  distribuita  sul  muro  d'ingresso  e  sul 
muro  sin.  Su  quello  il  Genio  vestito  di  tunica  bianca  con  striscia 
rossa  al  coUo  e  due  strisce  verticali,  pure  rosse,  sul  petto,  d'una 
toga  biancastra,  della  quäle  non  e  certo  che  faccia  parte  il  panno 
che  cuopre  la  testa,  e  di  stivali.  Ha  il  corno  d'abbondanza  alla 
spalla  sin.  ed  e  in  atto  di  libare  con  la  d.  sull'altarecol  fuoco 
acceso,  che  sta  a  sin.  Di  sopra  bende  rosse,  verdi  e  gialle,  di  sotto 
piante.  Sul  muro  sin.,  avanti  al  focolare,  nel  mezzo  un  altare, 
giallo  ad  imitazione  di  marmo,  col  fuoco  e  a  d.  un  uoyo  ;  vi  si 
attortiglia  un  serpe  crestato  che  alza  la  testa  sopra  il  fuoco.  A  d.  e  a 
sin.  i  due  Lari,  coronati  di  foglie,  con  corta  tunica,  che  ha  nel  mezzo 
una  larga  striscia  verticale  rossa  mentre  e  gialla  nella  metä  ri- 
volta  all' altare,  turchina  nell'altra.  Hanno  intorno  ad  ambedue  le 
braccia  una  veste  rossastra  a  guisa  di  sciallo  e  stanno  nel  solito 
atteggiamento  con  rhyton  e  situla ;  fra  ciascuno  di  essi  e  l'altare 
un  alberetto.  Di  sotto  due  serpenti  che  fra  piante  si  dirigono 
verso  l'altare  su  cui  stanno  il  fuoco  acceso  e  due  uova. 

23,  suUo  stesso  muro  sin.  accanto  al  focolare.  Di  sotto  nel 
mezzo  una  pignatta  sul  fuoco,  a  d.  un  vaso  poco  riconoscibile ;  piü 
sopra  a  sin.  un'anguilla  allo  spiedo,  a  d.  carne  (costole  ?)  pure 
allo    spiedo ;    piu  sopra    ancora    nel    mezzo    una   grande  testa  di 


INSDLA    IX,    7  117 

maiale,  a  sin.  due  salsicce,  a  d.  5  uccelletti  a  una  corda  legata  con 
le  due  estremitä  ad  un  bastone. 

24,  sul  lato  anteriore  del  focolare  stesso :  un  presciutto.  Tutto 
questo  e  dipinto  rozzamente  con  color  paonazzo  su  fondo  bianco. 

N.  [14]. 

Parleremo  brevemente  soltanto  della  casa  seguente,  non  ancora 
completamente  scavata. 

a  fauce,  h  atrio,  nel  quäle  Xopm  ügainum  di  epoca  tarda 
cuopre  anche  l'impluvio ;  a  d.  di  quest' ultimo  una  bocca  di  ci- 
sterna  in  lava,  senza  puteale ;  nell'angolo  d  un  armadio  murato. 
L'atrio  e  dipinto  neH'ultimo  stile  a  fondo  nero,  il  cubicolo  a  (con 
tinestra  a.  0,86  1.  0,67  sulla  strada)  a  fondo  bianco.  Invece  nel 
triclinio  e  e  conservata  la  decorazione  nel  secondo  stile,  che  imita 
un'incrostazione  di  marmo ;  era  in  origine  un  grande  triclinio,  ma 
negli  Ultimi  tempi  era  diviso  in  due  parti  per  mezzo  d'un  muro 
traverso  (N  a  S).  II  tablino  /  e  dipinto  nell'ultimo  stile  a  fondo 
rosso ;  il  pavimento  e  di  signinum  con  disegno  di  pietruzze  bian- 
che.  Seguono  due  camere  non  scavate :  a  d.  del  tablino,  e  l'ultima 
a  d.  deir atrio.  II  cubicolo  g  e  dipinto  nell'  ultimo  stile  a  fondo 
bianco ;  nel  pavimento  di  signinum  un  rozzo  disegno  di  pietruzze 
blanche  forma  un  rettangolo  corrispondente  alla  porta.  —  h  scala 
del  piano  superiore;  sotto  di  essa  in  ?,  presso  il  mm*o  di  strada, 
la  latrina.  —  k  era  in  origine  un  triclinio,  dipinto  nel  terzo  stile  a 
fondo  rosso ;  piü  tardi  perö  fu  addossato  al  muro  sin.  (S)  un  rialzo 
di  materiale  a.  0,53,  1.  1,10,  nel  quäle,  presso  1' estremitä  0,  era 
immessa  una  grande  caldaia  con  apparecchio  per  scaldarla  di  sotto. 

Sülle  pareti  son  conservate  le  rappresentanze  seguenti : 

1  e  2  neir atrio ;  1,  sul  muro  E  di  ö?  sul  fondo  bianco ;  a. 
0,48,  1.  0,70  ;  poco  conservato :  *due  gladiatori.  Ambedue  hanno 
il  grande  scudo  giallo  ed  elmo  dorato,  quello  a  d.  un  gambale 
alla  gamba  sin.,  l'altro  in  ambedue.  Quello  a  d.  ha  una  benda 
(cosi  pare)  intorno  al  ginocchio  d.  e  qualche  cosa  dorata  al  malleolo 
d.  (manca  il  piede).  Pare  che  quello  a  sin.  avesse  un  corto  tri- 
dente.  Altri  particolari  non  si  distinguono. 

2,  sul  muro  sin.  a  d.  della  porta  di  ^ ;  a.  0,95 ;  poco  con- 
servato :  gladiatore  v.  d.  dipinto   in   rosso   sul    fondo   bianco.  Si 


118  sc  AVI   DI   POMPEI 

distingue  la  gamba  sin.  messa  avanti ;  il  piede  sta  piü  alto  del 
d.  ed  e  raunito  d'un  gran  gambale  che  s'inalza  sopra  il  ginocchio 
e  presso  al  quäle  si  vede  una  corda.  La  mano  sin.  (cosi  pare),  col 
braccio  involto,  e  stesa  in  dietro  accanto  alla  coscia  e  regge  oriz- 
zontalmente  un'asta :  la  lunga  linea  rossa  si  vede  per  m.  0,85. 

3-6  in  c ; .  3-5  :  quadretti  incorniciati  ma  dipinti  sul  fondo 
bianco  della  parete;  a.  0,17,  1.  0,25. 

3,  muro  sin.,  P  scompartimento :  putto  seduto  v.  d.  che  con 
ambedue  le  mani  regge  un  uccello. 

4,  muro  d.,  2*  scomp. :  putto  v.  d.  che  tiene  un  porchetto 
mettendogli  le  mani  sul  dorso. 

5,  muro  d'ingresso,  a  d. :  putto  che  messosi  in  un  ginocchio 
regge  con  ambedue  le  mani  un  lepre.  —  Tutti  e  tre  sono  nudi  meno 
una  clamide  verde  che  svolazza  in  dietro, 

6,  sul  fondo  bianco  senza  cornice ;  sul  muro  di  fondo  a  d. ; 
a.  0,23,  1.  0,33  :  cigno  volante,  sopra  il  quäle  s'inarca  un  diadema 
dentato  giallo,  munito  di  nastri  per  legarlo  sotto  l'occipite. 

7  e  8  in  /;  7  sul  muro  di  fondo,  a.  0,50  1.  0,47  ;  disegno 
presso  ristituto :  Venere  pescatrice ;  siede  v.  sin  sullo  scoglio,  ap- 
poggiandovisi  con  la  sin.,  ed  ha  la  verga  nella  d. ;  e  nuda  meno 
la  veste  gialla  che  avvolge  le  gambe;  ha  braccialetti  ai  polsi  ed 
alla  parte  superiore  del  braccio,  e  nastri  (o  catene)  che  s'incrociano 
sul  petto.  Amore  le  sta  incontro  ritto  sopra  un  altro  scoglio,  nella 
d.  un  cestino,  la  verga  nella  sin.  protesa.  Nello  sfondo  il  mare. 

8,  sul  muro  d.,  a.  0,50,  1.  0,45 ;  disegno  presso  l'Tstituto  ; 
Narcisso,  seduto  (le  gambe  a  sin.)  sopra  un  sedile  cubiforme,  sul 
quäle  giace  una  veste  rossa  che  gli  cuopre  anche  le  cosce,  appog- 
giandovi  la  sin.;  la  d.  regge  la  lancia  con  la  punta  in  giü.  La 
testa  e  coronata ;  guarda  con  mesta  espressione  a  d.  e  in  giü,  non 
verso  l'immagine  visibile  sotto  il  sedile.  Dietro  il  sedile  sta  ritto 
un  Amore  (quasi  di  faccia),  che^guardando  Narcisso  alza  con  am- 
bedue le  mani  v.  d.  una  tiaccola.  A  sin.  un  albero. 

In  h  sulle  pareti  sin.  e  di  fondo  son  dipinti  trascuratamente 
sacelli  rustici. 

Delle  case  [15-17]  piccole  parti  soltanto  furono  scavate.  II 
n.  [17]  era  l'abitazione  di  Emilio  Celere,  scrittore  di  programmi. 
I  suoi  programmi  si  trovarono  finora  esclusivarnente  in  questo  vico, 
e  sono  i  seguenti : 


INSÜLA   IX,    7  119 

1.  II  grande  programma  gladiatorio  (ora  caduto  dal  muro) 
Not.  .d.  Sc.  1880  p.  299,  appartenente  agli  ultimi  anni  di  Claudio 
Cesare. 

2.  II  programma  elettorale  Not.  d.  Sc.  1887  p.  40,  nel  quäle 
Ti.  Claudio  Vero,  il  proprietario  della  casa  del  Centenario  (1.  c.  1880 
p.  148),  che  forma  il  lato  0  di  questo  vico,  e  raccomandato  al 
duumvirato  dai  vicini. 

3.  ün  programma  ora  scoperto  sul  lato  0  del  vico,  press'a 
poco  incontro  al  n.  [17]  (Not.  1888  p.  522): 

L  STATIVMRECEPTVM 

II  •  VIR  •  I  •  D  OV  •  F  •  VICINI  •  DIG  • 
SCR  /  AEMILIVS-CELER-VIC- ITuV-^e"; 

AEGROTES 

Numerose  iscrizioni  dipinte  e  graffite  indicano  l'abitazione  di 
Emilio  Celere,  e  specialmente  la  seguente,  dipinta  in  nero  a  d. 
del  n.  [17J: 

A CELER  HiC  HABITAT 

V.  INAVOSCIYDIIDE  .  .  .  DHQHIE 

verticalmente  sotto  la  fiue  della  seconda  riga,  che  sembra  conte- 
uer  lettere  senza  senso:  AENEIA  NVTRIX  (Virg.  En.  VII,  1),  e  sotto 
il  principio  della  riga  prima :  IN  •  ERVM  • 

Piü  in  SU,  anche  a  d.  della  porta,  e  dipinto  in  nero  : 
P  •  AEMILIVS  •  CELER ,  e  sotto  questa  a  d. :  ///,''  AILIVS •  CELER • 

Anche  fra  i  graffiti  s'incontra  questo  nome  :  CELER  si  legge 
due  volte  a  d.  e  una  volta  a  sin.  della  porta;  fra  [12]  e  [13]: 
AEMILIO-CELERI,  e  piü  a  d. :  AEMILI  CELERIS,  e  sotto  que- 
sta: AEMILIVS- 

Vi  sono  inoltre  nel  vico  stesso  le  seguenti  iscrizioni  dipinte 
(cf.  Not.  1888  p.  517  sgg):  1-14  lato  E. 

1.  presse  l'angolo  NE  dell'isola  IX,  7,  visibile  da  piü  anni : 

M-SAMELLIVM 
MODESTVM  AED  oT 

2,  a  d.  del  n.  [13],  evanescente  e  nella  parte  inferiore  co- 
perto  di  stucco  posteriore :  ////7  TVIVM  •  AED.  Si  tratta  di  L.  Nae- 


120  SCAVI    DI    POMPEI 

vius  Rufus,  di  cui  si  conosceva  un  solo  programma,  CLL.  IV  475, 
anch'esso  evidentemente  di  data  antica;  fu  letto  a  poca  distanza 
sul  lato  N  della  via  Nolana. 

3,  sullo  zoccolo  sotto  2,  evanescente :  MVNATIO  •  FELICITER 

4,  fra  i  nn.  [13]  e  [14]  (Not.  1880  p.  299,  2):  NEPOTE  •  AED . 
Si  conosceva  un  solo  programma  di  Nepote,  di  gentilizio  ignoto, 
letto  a  poca  distanza  {C.  L.  L.  IV  401). 

Segne,  a  d.  di  4,  il  programma  gladiatorio  Not.  d.  Sc.  1880 
p.  299,3. 

5,  piü  a  d. :     PRO  SALVTE  NER 

INTERR 
11  prof.  Sogliano  (Not.  d.  Sc.  1888  p.  547)  supplisce  Pro  salute 
Neronis  in  terrae  motu  e  pensa  al  fatto  raccontato  da  Tacito  {Ann. 
XV  34),  e  Svetonio  (Ner.  20),  che  cioe  a  Napoli,  nell'anno  64  d.  C, 
sia  crollato  il  teatro  ove  Nerone  avea  cantato.  Forse  egli  ha  ra- 
gione ;  bisogna  notare  perö,  che  Tacito  non  fa  menzione  del  terre- 
moto,  mentre  Svetonio  racconta  cose  incredibili. 

6,  a  d.  di  5:  VITELL //'//// 

Segne  a  d.  del  n.  [14]  il  programma  di  Claudio  Vero. 

7,  fra  i  nn.  [14]  e  15] :  ATTI VM  •  AMPLV//// 

DRP  AED  •  MO  •  V? 
Veniamo  qui  a  conoscere  il  gentilizio  di  Amplo,  noto  dal  solo  pro- 
gramma Eph.  ep.  I  p.  53  n.  165,  scritto  a  poca  distanza  suU'aU' 
golo  SO  dell'isola  IX,  5. 

8,  a  sin.  del  n.  [15]  sopra  intonaco  piü  antico:  L  •  RV 

9,  fra  i  n.  [15]  e  [16],  in  lettere  grandi :  PmROS 

manca  niente  (') ;  cf.  n.  5. 

10,  sotto  9  :  MVNA  ;  manca  niente. 

11,  sotto  10  :  PROS  ;  manca  niente. 

12,  a  d.  di  11  :  CELER 

e  a  sin.  in  direzione  obliqua :  INT////CHR  •  DELECTA 

MECVM  •  CANE 


(1)  II  prof.  Sogliano  Not.  1888  p,  517  </ riferisce  ancora  un'iscrizione  di- 
pinta  in  rosso  :  pro  salwTE  NEroww,  da  me  non  veduta,  e  confronta  C.  L  L. 
IV  1197  sg.  3053.  Le  iscr.  surriferite  pare  che  per  lo  piü  siano  esercizi  per 
programmi  da  eseguirsi  altrove. 


INSÜLA    IX,    7  121 

13,  a  d.  del  n.  [17] :  A  •  R^/  STIVM 

14,  a  d.  di  13:  AR;  probabilmente  ambedue  riferibili  ad 
A.  Riistio  Yero,  noto  candidato  all'edilitä  ed  al  duumvirato. 

15  e  16  sul  lato  0.  SuU'aQgolo  stesso,  incontro  ad  1  sta  il  pro- 
gramma  di  N.  Erennio  Celso  Not.  d.  Sc.  1880  p.  299,  1. 

15,  incontro  al  n.  [16J,  evanescente : 

OI///';7"TIVM  •  BALBVW2 

//////////////////////// 
^n'MIGENIA  KOgat 
/'7'///7A     ET 
M     AERA  (^) 

16,  a  d.  della  prima  porta  contando  da  N,  suU'angolo  di  un 
angiportus  poscia  abolito,  sta  addossato  al  muro  un  altare  (0,70 
X0,55,  a.  1,05),  la  cui  superficie  e  stata  allargata  per  mezzo  di 
una  nicchia  a  volta  incavata  nel  mui'o  (a.  0,37).  Sopra  l'altare  e 
intorno  alla  niccbia  evvi  sul  muro  un  rettangolo  di  stucco  fino  e 
bianco  (0,74X0,70),  sul  quäle  son  dipinti  sotto  il  margine  supe- 
riore  una  ghirlanda  (in  verde,  rosso  e  giallo)  e  piü  in  basso  due 
corni  d'abbondanza  (in  verde  e  giallo).  Sotto  la  ghirlanda  e  scritto 
con  color  paonazzo,  in  lettere  a.  0,02:  SALVTIS.  Questa  pittura 
non  appartiene  agli  Ultimi  tempi  di  Pompei :  le  erano  stati  sovra- 
posti  successivamente  non  pochi  sottilissimi  strati  di  stucco  bianco, 
e  SU  questi  eseguite  altre  pitture,  di  cui  non  rimasero  che  avanzi 
irriconoscibili.  D'altra  parte  la  pittura  sudescritta  evidentemente 
ne  ha  rimpiazzato  una  piü  antica.  Intorno  ad  essa  cioe  una  striscia 
larga  0,12 — 0,20  e  dealbata,  e  su  questa  striscia,  sopra  la  pit- 
tura, si  legge  in  lettere  sottili  di  color  paonazzo: 

S  A  L  V  T  E  I 
SACRVM 

Perö  delle  lettere  delle  2"^  riga  manca  la  metä  inferiore,  ed  e  evi- 
dente che  questa  parte  andö  perduta  appunto  quando  fu  messo  lo 

(*)  Not.  loc.  cit.  p.  521:  C  •  rvstivm;  ma  e  noto  Q.  Bruttio  Balbo, 
mentre  C.  Rustio  Balbo  sarebbe  nuovo.  Tolgo  dalle  Not.  il  vs.  2,  ove  man- 
cano  invece  le  tracce  vs.  3.  Vs.  4  :  afra  Not. ;  infatti  la  lettera  rassomiglia  piü 
a  F  ,  cf.  perö  Eph.  ep.  I  p.  152  n,  163. 

9 


122  SCAVI   DI    POMPEI 

stucco  fino  per  la  pittura  sopradescritta.  L'iscrizione  dunque  si  ri- 
ferisce  ad  una  pittura  anteriore.  Ognuno  vede  che  essa  non  e  di- 
sposta  simmetricaraente:  la  prima  riga  supera  la  seconda  nel  princi- 
pio  di  m.  0,10,  nella  fine  di  m.  0,01 ;  siccome  perö  la  parola  Salutei 
sta  proprio  in  mezzo  a  quella  striscia  dealbata,  cosi  non  credo  che 
dopo  essa  (ove  h  caduto  quelle  strato  su  cui  l'iscrizione  e  dipinta) 
manchino  altre  lettere. 

Segue  finalraente  il  surriferito  programma  di  Stazio  Kecepto. 

Fra  le  iscrizioni  graffite  (cf.  Not.  1.  c.)  rileviamo  le  seguenti : 

1,  sullo  stipite  d.  del  u.  [13],  letta  dal  prof.  Sogliano  1.  c. 
da  me  non  veduta:  ARM.  VIR 

2,  fra  [13]  e  [14]:  VilSTITVS 

3,  a  d.  di  2  :  C\  RVSTIVS 

VFC  CvwiX 
Carustius  =  Carystius  ?  Nella  riga  2^"  CVMX  pare  scritto  da 
altra  mano.  Le  altre  tre  lettere  mi  sembrö  certo  che  non  dicessero  hie. 

4,  a  d.  di  3  :  MNHAIO 

5,  a  d.  di  4:  SVCCESSVS 

5,  piü  a  d. :  lANVARIVS 

6,  fra  [14]  e  [15] :  SECVNDVS 

7,  piü  in  giü :  SVCCESS 

8,  a  d.  di  7  :  CnOPOC 

9,  sotto  8,  a  d. :  NliRV 

7,  fra  [15]  e  [16]  :  SVCCESSVS  HIC 

8,  a  d.  del  n.  [15]  AVCTVS  IVL  XXX"-  II  prof.  Sogliano, 
citando  a  confronto  C.I.L.IY  1170.  1173.  1182.  2508,  ha  giu- 
stamente  riconosciuto  trattarsi  d'un  gladiatore  iulianus  col  numero 
delle  sue  vittorie. 

9,    sotto  7^  -<~HAR  AVCTVS 

10,  a  sin.  del  n.  [16]:  M  VAFER 

11,  ivi  stesso  :  AVREVS  EST  DANAE  . 

Pare  che  qui  si  abbia  un  ricordo  poco  esatto  del  verso  di 
Ovidio  met.  6,113:  Aureus  et  Danaen,  Äsopida  luserit  ignis 
{Jupiter). 

12,  Sul  muro  d.  dell'  ingresso  n.  [16] : 

O  VTINAM-  LICIIAT  ■  COLLO  •  COMPLIIXA  TIINIIRII  •  BRACIOLA-  IIT  'TIINIIRIS 
OSCVLA-  FIIRRII  •  LABELIS  •  i  NVNC  •  VIINTIS  •  TVA  •  GAVDIA  •  PVPVLA  •  CRllDII 
CRIIDII  •  MIHI   •   LIIVIS  •    IIST    NATVRA  '  VIRORVM  •  SAllPll   *    IIGO  •  CVMIIDIA 


INSULA   IX,    7  123 

VIGILARII     •     PIIRDITA     •     NOCTII     •    HAlIC  •   JWIICVM    •    MIIDITAS    •    JWVLTOS 
FORTVNA    •    QVOS  •  SVPSTVLIT  "  ALTII    •  HOS  MODO  •   PROIIICTOS  SVBITO  • 
PRAllCIPITIISQVll     •    PRIIMIT    •    SIC    •    VlINVS     •    VT     •     SVBITO    •    COIVNXIT 
CORPORA    •    AMANTVIW    •    DIVIDIT    •     LVX    ||T  •  Sil 
AARIIIIS    QVID    •    A  A  M 

il  inutile  l'aggiungere  che  mi  rimane  inintelligibile  l'ultima 
riga  e  la  fine  della  penultima ;  pare  che  all'  autrice  non  proce- 
desse  piü  la  composizione  della  sua  quasi-poesia. 

13,  sotto  12  :  C  R  O  C I N I    V^  • 

ISMARE  •  V\- 

14,  a  sin.  di  13:  ISMARVS 

CROCINEN  SVAE 
SAL 

15,  fra  13  e  14 :  DEVRONYM  (i.  e.  Ssvqo  w>  . . .) 

Nel  muro  d.  dell'  ingresso  [17]  e  a  d.  di  esso  son  tracciati  col 
carbone  non  pochi  segni  nuraerali  ed  alcune  date  (Not.  1.  c.  520,  v.). 

18,   a  d.  del  n.  [17]  :  VI  •  K  •  APR 
A  XII 

Nel  piano  siiperiore  della  casa  di  Emilio  Celere  furono  tro- 
vate  7  anfore  con  iscrizioni  (Not-  1888  p.  526  n.  23-29).  Due 
(forma  VII)  contenevano  la  lumpa  veius  di  M.  Valerio  Eliade, 
una  terza  (X)  vino  del  medesimo  negoziante  o  produttore,  indicato 
con  le  iniziali,  la  qiiarta  lu{mpa  vetus?)  d'un  altro  produttore  di 
nome  non  leggibile,  la  quarta  vino  di  Filampelo,  nome  che  accenna 
ad  una  famiglia  di  viticoltori;  le  due  ultime  portano  numeri  e 
segni  non  intelligibili.  Le  iscrizioni  intelligibili  sono  le  seguenti : 

f 

1.  LMVF  ^£•  53 

ÄIIIIA  ^ 

V  c^ 

VALERI  HELIADIS      ^ 

2.  come  1,  soltanto  vs.  3  VIII  preceduto  da  un  segno  che  puö 
es'sere  P  . 

3.  M  •  V  •  H 


124 

SCAVI   DI   POMPEI 

4. 

LV 

AiiiiA 

XX 

^\!II/IIIIICKE1IIIIH    (Not.  1.  c.  M  L..,) 

5. 

<I>IAÖ^MnGAOY 

U) 

0e       ö. 

Nel  n.  [16]  fu  trovata  un'anfora  con  l'epigrafe  in  rosso: 
M  A)  \£' 

Delle  isole  situate  sul  lato  N  della  via  Nolana  incontro  a 
quella  cui  appartengono  le  case  fin  qui  descritte  ed  alla  casa  detta 
del  Centenario,  furono  scavate  soltanto  le  parti  anteriori;  se  ne 
parlerä  meglio  quando  le  case  saranno  ridate  interaraente  alla  luce. 
Intanto  notiamo  che  vi  furono  trovate  quattro  anfore  con  iscrizioni 
(cf.  Not.  d.  sc.  1887  p.  243) : 

1  (forma  XII) :     N  •  CESTIo 

L   ANTISTIO      ^^ 

E  probabile  che  questi  consoli  appartengano  all'a.  55  d.  C. 
e  che  N.  Gestio  sia  stato  sostituito  a  Nerone,  che  tenne  il  conso- 
lato  soli  due  mesi  (Svet.  Nero  14). 

2  (X):  nAOYTOC 

3  (VIII) :  OINoC     ^lo  Nvtf  \Ov 

4  (XI):       MOL 

C  A  N  ;  cosi  Not.  1.  c.  lo  della  riga  seconda 
non  vidi  che  tracce  della  C  • 

Vi  fu  trovato  pure  (V,  4,  7)  uno  dei  noti   sigilli  dj  bronzo : 

SPATALI •  SER 
CORJSELI  •  ZOSlM 

Finalmente  voglio  menzionare  una  replica  della  nota  compo- 
sizione  di  Teseo  che  abbandona  Arianna  (Heibig  1217  sgg.  Sogliano 
531  sgg.),  assai  mal  conservata,  venuta  alla  luce  in  una  casa  sca- 
vata  soltanto  in  piccola  parte  a  S  della  casa  del  Centenario,  col- 
V  ingresso  da  E.  E  a.  0,90.  1.  1,0.  A  sin.  Arianna  irriconoscibile. 


INSÜLA   IX,    7  125 

A  d.  Teseo,  con  la  spada  al  fianco,  la  lancia  nella  sin. ,  Tavam- 
braccio  sin.  avvolto  nella  clamide,  mette  il  piede  sin.  sul  ponte 
ehe  conduce  sulla  nave,  rivolgendo  la  testa  ed  afferrando  con  la  d. 
la  mano  sin.  del  compagno  barbato,  vestito  di  esomide  biancastra, 
che  lo  riceve  e  lo  aiuta  a  montare.  A  d.  sopra  iino  scoglio  com- 
parisce  Pallade  librata  in  aria,  che  nella  sin.  insieme  con  lo  scudo 
regge  la  lancia  e  con  la  d.  alza  sopra  la  spalia  un  lembo  della 
veste. 

A.  Mau. 


ANTICHITA  DI  ALATRI. 

(Tav.  V.  VI). 


Alatri,  l'antico  Aletriiim,  cittä  degli  Ernici,  a  tre  ore  incirca 
dalla  stazione  di  Frosinone  sulla  linea  ßoma-Napoli,  e  nota  come 
grandiose  esempio  di  fortificazione  preromana.  Negli  Ultimi  anni 
perö  l'attenzione  degli  archeologi  vi  fu  attratta  piuttosto  dall'iscri- 
zione  (appresso  riportata)  in  onore  di  Lucio  Betilieno,  la  quäle  fra 
le  altre  opere  fatte  fare  da  questo  benemerito  cittadino  corame- 
mora  anche  una  condottura  forzata  a  trecento  piedi  di  elevazione. 
Sopra  questa  il  P.  Secchi  scrisse  una  memoria  fin  dal  1865.  II 
Mommsen  poi  per  il  volume  X  del  Corpus  tnscr.  lat.  diede  im- 
pulso  ad  una  nuova  ricerca,  di  cui  furono  incaricati  i  signori  Di 
Tucci  italiano  e  Bassel  prussiano.  In  quell'  occasione,  aprendosi 
una  trincea  per  rintracciare  l'andamento  dell'acquedotto,  si  scoper- 
sero  gli  avanzi  di  un  tempio  fra  quali  lastre  ed  antefisse  di  ter- 
racotta,  che  ne  avevano  formato  l'ornamento.  Lo  scavo  di  questo 
tempio,  sin  dal  primo  momento  progettato  dall'Istituto,  fu  effet- 
tuato,  sul  principio  di  questo  anno,  dalla  R.  Direzione  delle  an- 
tichitä,  che  perö  cortesemente  invitö  l'Istituto  a  partecipare  al 
lavoro,  per  lasciargli  poi  liberalmente  la  pubblicazione  dei  risul- 
tati.  Siccome  il  tempio  risultö  di  dimensioni  piccolissime  e  di  pes- 
sima  conservazione,  cosi  lo  scavo  fu  presto  finito.  Esso  perö  diede 
occasione  ad  un  nuovo  esame  delle  altre  antichitä  di  Alatri,  e  fummo 
lieti  nel  vedere  manifestarsi  e  durare  nelle  relazioni  seguenti  l'unione 
di  lavoro  e  di  studio,  che  in  mezzo  i  monumenti  stessi  collegö  i  si- 
gnori conte  Cozza,  R.  Ispettore  dello  scavo,  ed  il  nostro  dott.  Winne- 
feld.  Ne  vuolsi  tacere  la  solerte  cura  del  soprastante  sig.  Tomassini. 

P. 


A"NTICHITA    DI    ALATRI  127 


I. 

La  cittä  ö  situata  sopra  ima  collina  in  fondo  ad  un  fertile  ter- 
reno  ondiilato  percorso  dal  fiume  Cosa,  in  modo  da  dominare  questa 
diramazione  della  valle  del  Sacco  e  nel  tempo  stesso  l'ingresso 
alla  stretta  vallata  che  rinchlude  il  Cosa  nel  suo  corso  superiore. 

Per  due  gioghi  alti  circa  m.  440  la  collina  della  cittä  ö 
congiunta  verso  0  e  N  con  le  alture  circostanti,  alle  quali  essa 
sovrasta  considerevolmente  con  le  sue  due  vette,  la  piü  bassa,  a. 
m.  485,  sul  margine  N,  e  la  rocca  dell'arce,  a.  ra.  502,  nel  centro 
della  cittä.  Sul  lato  S  e  piü  ancora  sul  lato  E  il  declivio  verso 
la  valle  e  scosceso.  Da  queste  condizioni  natural!  risulta  la  posi- 
zione  della  cittä  sul  colle.  Per  renderla  possibilmente  inaccessibile 
dalla  parte  del  giogo  settentrionale,  il  muro  di  cinta  su  questo 
lato  fu  condotto  in  alto  quanto  era  possibile,  e  l'intera  cittä  dalla 
punta  di  questa  vetta  si  stende  verso  S,  in  modo  che  il  punto 
piü  distante  della  cinta  presso  il  ripido  declivio  del  lato  S  rimane 
a  m.  80  sotto  il  punto  piü  alto  del  lato  N.  La  troppa  ripidezza 
del  pendio  Orientale  non  permise  di  fare  altrettanto  dirimpetto  al 
giogo  0,  estendendo  la  cittä  verso  il  lato  opposto  della  montagna; 
di  piü  al  giogo  suddetto  non  corrisponde,  come  sul  lato  N,  un 
rialzo  della  collina,  ma  l'abbassamento  fra  la  vetta  N  e  la  rocca. 
Cosi  alla  cittä  fu  data  la  forma  d'un  oblungo  che  in  generale 
s'abbassa  fortemente  verso  S,  con  l'asse  maggiore  che  passa  per 
i  punti  piü  alti  della  cittä ;  la  cinta  retrocede  sensibilmente 
soltanto  sul  lato  0  incontro  all'accesso  piü  pericoloso,  per  non 
far  scendere  troppo  il  muro  in  quell' abbassamento. 

L'antico  muro  di  cinta,  cosi  descritto  nelle  sue  linee  fonda- 
mentali,  lungo  circa  km.  4,  oltre  l'odierna  cittä  di  Alatri,  di 
5500  abitanti,  della  quäle  poche  case  soltanto  (in  origine  torri 
e  rinforzi  di  porte  medievali)  sporgono  fuori  del  muro,  rinchiude, 
fra  orti  e  terreno  non  coltivato  sull'altipiano  dell'arce,  una  super- 
fiele  press'a  poco  uguale  a  quella  coperta  d'edifizi.  Se  una  pro- 
porzione  simile  abbia  avuto  luogo  anche  nell'antichitä,  ovvero  se 
l'intera  superücie  fosse  abitata,  non  posso  stabilirlo :  gli  avanzi 
di  antichi  muri  di  sostegno,  visibili  in  ogni  dove,  nulla  decidono. 


128  ANTICHITA   DI   ALATRI 

II  sito  degli  accessi  principali  e  indicato  dalla  natura  stessa: 
sul  lato  0  (neirabbassamento)  e  sul  lato  N  due  porte  corrispon- 
denti  ai  due  gioghi  suddetti  (porta  S.  Francesco  e  porta  S.  Pietro). 
Nonostante  la  minore  altezza  di  quella  prima,  l'altra  fin  dall'anti- 
chitä  dovrebb'essere  stata  la  piü  importante,  essendoche  sul  giogo 
N  si  puö  salire  piü  direttamente  dalla  pianura,  mentre  quello  0 
dal  lato  della  pianura  sovrasta  con  rapido  pendio  ad  una  stretta 
vallata  che  ivi  si  dirama,  ed  e  veramente  accessibile  soltanto  dal 
lato  della  montagna.  Oltre  a  queste  puö  dimustrarsi  che  ve  n'era 
una  anche  nell'antichitä  al  posto  deH'odierna  porta  Portati,  sul- 
l'angolo  NE  della  cittä.  Che  poi  al  posto  e  nella  direzione  del- 
l'odierna  porta  S.  Niccolö,  nel  SE,  vi  fosse  una  porta  antica,  lo 
rende  quasi  certo  la  direzione  delle  strade  al  margine  della  cittä, 
spiegabile  soltanto  quando  si  suppone  che  essa  dipenda  da  fonda- 
menta  antiche  utilizzate  nelle  costruzioni,  ed  inoltre  la  considera- 
zione  che  altrimenti  piü  che  la  metä  della  cinta  sarebbe  stata  senza 
un'uscita  maggiore.  AU'incontro  che  anche  l'ultima  e  la  meno  im- 
portante fra  le  cinque  porte  moderne,  porta  Dini,  nell'O,  stia  al 
posto  d'una  porta  antica,  tutt'al  piü  potrebbe  dedursi  dall'analogia 
delle  altre  quattro  ('). 

Uno  sguardo  sulla  pianta  tav.  V.  (2),  dimostra  che  il  muro 
di  cinta  in  generale  segue  la  direzione  delle  curve  altimetriche, 
e  perciö,  conformemente  all'uso  delle  fortificazioni  della  regione 
«  etrusco-latina  " ,  e  per  lo  piü  muro  di  sostegno,  appoggiato  dalla 
parte  di  dietro  al  terreno  che  s'inalza  e  sormontato  probabilmente 
da  parapetti.  Quäle  sia  stata,  su  questi  tratti,  l'altezza  del  muro, 
e  flno  a  quanta  profonditä,  forse  sotto  l'infimo  strato,  la  roccia  sia 
stata  fatta  artificialmente  scoscesa,  non  puö  essere  determinato, 
essendo  ignote  le  alterazioni  subite  dal  terreno  dietroposto,  ed  es- 
sendosi  accumulati  appie  del  muro  grandi  massi  di  rottami.  Forse 

(1)  In  Alatri  h  diffusa  l'opinione  che  una  porta  antica  si  trovi  nella 
cantina  d'olio  del  convento  della  SS.  Annunziata,  ove  di  fatto  era  una  porta 
medievale ;  perö  da  un  accurato  esame  risulto  che  su  questo  punto  l'antico 
muro  proseguiva  senza  interruzione. 

(*)  L'andamento  del  muro  e  iudicato  con  doppia  linea  punteggiata  ove 
risulta  con  evidenza  da  pochi  avanzi  e  dalla  direzione  di  parti  adiacenti  meglio 
conservate,  con  linea  punteggiata  semplice  ove  fu  dedotto  dalla  conformazione 
del  terreno  e  dalla  direzione  delle  strade  odierne. 


ANTICHITA   DI    ALATRI 


129 


perö  qualche  cosa  puö  concludersi,  per  analogia,  dall'altezza  di 
quei  tratti  del  muro  che  stavano  liberi,  benche  anche  questa  non 
possa  stabilirsi  con  piena  certezza. 

Non  mancano  cioe  tali  tratti,  di  estensione  considerevole  ed 
in  parte  ben  conservati,  almeno  sul  lato  esterno.  Erano  necessari 
ove  il  muro  traversava  ad  angolo  approssimativamente  retto  le 
eurve  altimetriche,  vale  a  dire  sull'intero  lato  N,  ove  passa  sopra 
la  vetta  N  invece  di  seguirne  il  pendio ;  di  piü  fra  porta  S.  Fran- 
cesco e  porta  Dini,  ove  scendendo  per  il  ripido  declivio  s'avanza 
verso  0;  finalmente  nella  prossimitä  di  porta  S.  Francesco,  ove 
traversa  l'abbassamento  che  da  0  si  stende  in  alto, 

Nel  tratto  raffigurato  fig,  1,  che  da  0  s'attacca  a  porta  S.  Pietro, 
forse  il  meglio  conservato,  credo  si  possa  determinare  ad  un  dipresso 


Fig.  1. 


l'altezza  del  muro.  E  coronato  cioe  da  due  strati  di  massi  lunghi 
e  bassi,  i  quali  per  la  loro  altezza  press'a  poeo  uguale  e  per  la 
loro  direzione,  corrispondente  all'iRclinazione  del  piano,  scavato 
nella  roccia,  deH'infirao  strato,  si  distinguono  essenzialmente  dal 
resto  del  muro ;  misurano  insieme  circa  1  m.  in  altezza  e  stanno 
a  m.  5,60  sopra  la  roccia.  Che  essi  siano  l'antico  coronamento 
del  muro,  o  un  membro  ad  esso  sottoposto,  e  un  pensiero  che  tanto 


130  ANTICHITA   DI    ALATRI 

piü  spontaneamente  si  offre,  inquantoche  avanzi  simili  si  osser- 
vano  ■  anche  in  altri  tratti  del  muro  N,  esclusivamente  perö  in 
quelli  conservati  fino  ad  un'altezza  considerevole,  mai  in  parti 
piü  basse.  Ora  il  margine  della  roccia  naturale  nel  punto  raffi- 
gurato  sta  tutt'al  piü  a  1  m.  sopra  la  soglia  della  vicina  porta 
S.  Pietro ;  la  roccia  dunque  sotto  il  muro  puö  essere  stata  resa  ad 
arte  scoscesa  per  un'altezza  non  superiore  ad  1  m.  E  risulta  cosi 
un'altezza  massima  della  fortificazione  in  questo  punto  fra  m.  8,50 
e  9,50,  secondo  Faltezza  del  membro  che  puö  credersi  sovraposto 
a  que'  due  strati  paralleli. 

Pur  troppo  non  era  possibile  formarci  un  giudizio  sicuro  sulla 
grossezza  e  con  ciö  sulla  costruzione  interna  di  queste  parti  del 
muro :  i  massi  isolati  che  nell'interno  delle  case  situate  dielro  il 
muro  compariscono  qua  e  lä  sotto  intonachi  e  murature  moderne, 
non  oflfrono  un  materiale  abbastanza  sicuro ;  e  dalla  grossezza  del 
muro  accanto  alle  porte,  che  a  porta  S.  Pancrazio  e  di  m.  3,80 
almeno,  nulla  puö  dedursi  per  altre  parti,  trattandovisi  di  costru- 
zioni  piü  complicate.  All'incontro  la  struttura  delle  parti  fatte 
essenzialmente  a  guisa  di  muro  di  sostegno  puö  osservarsi  esatta- 
mente  nel  punto  piü  basso  della  circonvallazione,  ove  le  acque  di 
liltrazione  hanno  spinto  in  fuori  un  pezzo  di  muro.  I  massi  della 
facciata  combaciano  esattamente  e  stanno  con  la  loro  lunghezza 
nella  direzione  del  muro ;  dietro  a  loro  stanno  massi  non  lavorati, 
press'a  poco  delle  stesse  dimensioni,  con  l'asse  longitudinale  ad 
angolo  retto  sulla  facciata;  i  loro  interstizi  son  riempiti  di  piccole 
pietre  e  rottami,  e  dietro  di  essi  piccole  schegge  fanno  quasi  la 
transizione  alla  terra  vegetale. 

II  lato  esterno  del  muro,  meno  un'eccezione  da  menzionarsi 
or  ora,  mostra  in  tutfco  il  circuito  essenzialmente  il  medesimo 
carattere:  massi  poligoni,  per  la  maggior  parte  piü  lunghi  che 
alti,  rare  volte  eccedenti  la  misura  di  m.  2  in  una  direzione  qua- 
lunque,  per  lo  piü  di  dimensioni  non  poco  minori,  diligentemehte 
lisciati  tanto  sul  lato  di  fronte  quanto  nelle  commessure,  inca- 
strati  fra  loro  esattamente,  approfittando  spesso  di  angoli  rientranti, 
di  modo  che  quasi  in  nessun  punto  e  occorso  riempir  le.  lacune  con 
pietre  piccole.  Massi  piü  piccoli  fra  i  grandi  non  sono  affatto  rari, 
ma  sono  lavorati  e  adoperati  precisamente  come  quelli :  sono  riusciti 
piü  piccoli  nella  caya,  ma  non  servono  mai  coMe  espediente,  qualora, 


ANTICHITA    DI    ALATRI  131 

per  färe  una  congiunzione  esatta,  non  fossero  bastati  i  massi  grandi. 
La  collocazione  delle  pietre  e  di  preferenza  orizzontale,  senza  perö 
che  si  possa  parlare  di  strati  che  si  stendono  per  tratti  piü  lunghi. 
Presse  le  porte  ed  agli  angoli  la  collocazione  orizzontale,  unita  ad 
una  maggiore  grandezza  dei  singoli  massi,  raggiunge  un  tal  grado 
di  regolaritä,  da  rammentar  qualche  volta  una  costruzione  di  pietre 
quadre.  Pietre  disposte  a  guisa  di  volta  non  ne  vidi  che  in  un 
piccolo  tratto  a  S  di  porta  S.  Francesco. 

Per  quanto  tale  costruzione  sia  costantemente  uniforme,  grande 
pure  e  la  differenza  nell'aspetto  esterno  fra  il  muro  N  (tin  oltre 
porta  S.  Francesco  sul  lato  NO)  da  un  lato,  e  le  parti  rimanenti 
sui  lati  0  e  S  (del  lato  E  quasi  nulla  e  conservato)  dall'altro. 
Ivi  il  bei  muro  liscio,  con  combaciamenti  esatti,  qui  apparente- 
mente  una  rozza  costruzione  di  massi  appena  lavorati  che  non 
combaciano,  e  di  una  quantita  di  piccole  pietre  frapposte  da  per 
tutto  fra  gli  angoli  e  spigoli  dei  massi  grandi.  Per  altro  tutto  ciö 
e  effetto  parte  del  vento  di  scirocco,  cui  questi  tratti  sono  esposti, 
parte  del  terreno  retrostante  con  le  acque  che  vi  si  raccolgono : 
la  superficie  delle  pietre  e  corrosa,  sbricciolati  gli  angoli  e  gli 
spigoli ;  ma  chi  guarda  da  vicino  s'accorge  che  le  varie  parti  della 
superficie  retrocedono  in  grado  diverse  dietro  la  facciata  originaria, 
mentre  in  una  costruzione  di  pietre  non  lavorate  queste  dovreb- 
bero  sporgere  in  grado  diverse  avanti  ad  una  superficie  ideale ; 
s'accorge  pure,  che  nell' interne  le  commessure  mostrano  tuttora  lo 
stesso  lavoro  esatto  come  nelle  parti  rivolte  verso  N  e  non  appog- 
giate  ad  un  teiTcno  umido,  II  non  tener  conto  di  simili  differenze 
di  conservazione,  che  dipendono  da  condizioni  fisiche,  ha  prodotto 
varie  teorie  artificiose  ed  impossibili ;  p.  es.  che  in  Norba  sui  tratti 
del  muro  sovraposti  ai  piü  scoscesi  declivii  i  massi  non  fossero 
lisciati,  perche  non  visibili  da  vicino  (');  mentre  in  realtä  quelle 
parti  piü  alte  sono  rivolte  appunto  verso  0  e  SO,  e  appunto  su 
questi  tratti  una  maggiore  quantita  di  acqua  deve  raccogliersi  nel 
terreno  posto  dietro  al  muro.  Cosi  si  e  detto  che  in  Cori  il  muro 
piü  antico  sia  l'inferiore,  quindi  venire  quelle  di  mezzo  ed  in 
ultimo  quelle    dell'arce  (*),  mentre  il  muro  inferiore,  che  si  dice 

(1)  Gerhard,  Ann.  d.  Inst.  1829  p.  68. 

(2)  Nibby,  Dintorni  di  Roma  I  p.  506,  ripetuto  in  Fonteanive,  Monu- 
menti  ciclopichi  nella  provincia  romana  p.  133. 


132 


ANTICHITA    DI    ALATRI 


uguale  a  quello  di  Tiryns,  mostra  e  vero  esternamente  massi  che 
non  combaciano  e  fra  essi  franturai  di  pietre  scomposte,  ma  in 
parti  piü  riparate  ha  commessiire  ben  lisciate  e  che  combaciano 
non  mono  esattamente  che  in  qualunque  altro  muro  poligonale. 

Una  Vera  e  reale  diiferenza  nei  muri  d'Alatri  si  osserva  sol- 
tanto  suirangolo  SE.  Qui  le  commessure  inferiori  e  superiori  di 
tutte  le  pietre  sono  orizzontali ;  si  osservano  strati  che  continuano 
per  un  tratto  piü  lungo ;  manca  soltanto  un  piccolo  passo  per  giun- 
gere  ad  una  costruzione  di  pietre  quadre  (vd.  fig.  2).  Qui  senz'alcun 


Fig.  2. 

dubbio  trattasi  d'una  costruzione  piü  recente,  la  cui  presenza  fa- 
cilmente  si  spiega.  E  questo  il  punto  dell'intero  circuito  piü  sas- 
soso  e  meno  accessibile  ed  e  probabile  che  qui  in  origine  la  roccia 
naturale,  resa  forse  piü  scoscesa  ad  arte,  bastasse  da  se  senz'altra 
fortificazione.  Piü  tardi  le  fu  sovrimposto  un  muro,  la  cui  base 
sta  per  conseguenza  considerevolmente  piü  in  alto  di  quella  degli 
avanzi,  superstiti  in  ambedue  i  lati,  del  muro  piü  antico. 

Delle  porte  soltanto  le  due  ai  posti  delle  odierne  porte  di 
S.  Francesco  e  Portati  sono  piuttosto  conservate  (^).  Ambedue  hanno 
una  disposizione  singolare. 


(')  Di  porta  S.  Pietro  non  potei  pivi  constatare  tutto  cio  che  fu  rilevato 
da  Marianna  Candidi-Dionigi ,  Viaggi  in  alcune  cittä  del  Lazio  tav.  29, 
secondo  la  quäle  due  pareti  laterali  convergenti,  di  cui  quella  a  d.  delVag- 
gressore  avrebbe  avuto  doppia  lunghezza  deU'altra,  avrebbero  condotto  ad 
un  passaggio  piü  stretto  con  pareti  parallele.  Fonteanive,  1.  c.  p.  110  s.,  fon- 
dandosi  sulla  tavola  della   Dionigi,   descrive  la  porta  con   la  torre  d'origine 


ANTICHITA    DI    ALATRl 


133 


La  facciata  di  porta  S.  Trancesco  (fig.  3)  sta  m.  1,70  dietro 
quella  del  muro;  a  sin.  di  chi   entra  il  miiro   retrocede  di  tanto 

in  direzione  obliqua,  a  d.  ad 

angolo  retto.   Non  puö  essere 

determinata  ne  la  larghezza 

originaria  della  porta,  ne  l'al- 

tezza,  ne  se  e  come  fosse  co- 

perta;   la  profonditä  non  ol- 

trepassava  m.  2,20.  Per  essa 

s'entrava  in  un  cortile  di  circa 

m.  7X11,  nel  cui  lato  oppo- 

sto  sta  la  seconda  porta  larga 

m.  4,20,  fiancheggiata  a  sin.  da 

un  semplice  pilastro  che  sporge 

dal  muro  laterale  m.  1,50  ed 

Fig.  3.  e  largo  m.  0,74  soltanto,  a  d. 

da  un  membro  simile  di  spor- 

genza  uguale,  ma  largo  m.  3,30 :  dunque  anche  nella  disposizione 

dolla  porta  interna  si  e  voluto  profittare  del  lato  destro  scoperto 

dell'aggressore  ('). 

Pur  troppo  molto  meno  conservata 
e  porta  Portati  (fig.  4),  della  quäle  sol- 
tanto il  lato  d.  e  antico,  e  neanche  questo 
completo  nella  pianta.  Anch'essa  aveva  un 
cortile,  ma  siccome  era  situata  immedia- 
h         ^M^  tamente  presse  F  angolo  NE  del  mm-o,  cosi 

""""^         ^^^^"^^    la  parete  sin.  del  cortile  doveva  esser  for- 
mata  dal  muro  stesso,  il  cui  lato  esterno, 
Fig.  4.  stante  la  ripidezza  di  quel   declivio,   era 


^ 


tarda  che  una  volta  stava  a  sin.  di  chi  entra,  ma  ora  e  stata  demolita,  e  con 
l'arco  della  porta,  d'origine  recente,  che  fa  tolto  in  occasione  della  visita  di 
Pio  IX  nell'anno  1863.  Ho  potuto  vedere  solo  quelle  pareti  convergenti,  nuUa 
del  passaggio  ne  degli  angoli  sporgenti  ch'esso  faceva  con  quelle.  Anche  la 
decomposizione  dei  rilievi  in  alto  suUa  parete  a  sin.  di  chi  entra,  poco  vi- 
sibili  giä  ai  tempi  della  Dionigi,  ha  fatto  progressi  considerevoli. 

(')  Fuori  porta  S.  Francesco  tuttora  la  strada  di  Ferentino  per  un  pezzo 
e  sorretta  da  antiche  sostruzioni  di  massi  poligoni  con  un  passaggio  per 
l'acqua. 


134  ANTICHITA    DI   ALATRI 

quasi  al  sicuro  di  ogni  assalto.  II  pilastro  d.  della  porta  esterna, 
la  cui  faccia  forma  un  piccolo  angolo  con  l'asse  dell'edifizio  della 
porta,  e  grosso  m.  2,50,  e  col  suo  lato  interno  sporge  di  m.  1,20 
avanti  alla  parete  d.  del  cortile.  Alla  distanza  di  soll  2  m.  un 
pilastro  largo  0,60  sporge  m.  0,87  da  questa  stessa  parete:  egli 
non  puö  aver  servito  che  per  applicarvi  una  seconda  chiusura. 
Dal  suo  lato  interno  la  parete  del  cortile  prosegue  oggi  per  altri 
8  m. ;  e  siccome  una  tale  continuazione  entro  la  porta  interna  sa- 
rebbe priva  di  senso,  e  sarebbe  troppo  piccolo  un  cortile  di  2  m. 
in  lunghezza,  cosi  bisogna  supporre  che  piü  in  dentro  vi  fosse 
ancora  una  terza  chiusura.  La  disposizione  dunque  e  in  massima 
quella  stessa  di  porta  S.  Francesco,  modificata  perö  come  lo  ri- 
chiedeva  la  posizione  speciale  e  la  minore  sicurezza  di  una  delle 
pareti  del  cortile. 

Molto  piü  semplici  sono  le  posterle,  le  quali,  se  non  ci  trae 
in  inganno  la  poca  conservazione  dei  muri,  furono  fatte  in  quei 
punti  oye  la  conformazione  del  terreno  ne  permetteva  ne  rendeva 
desiderabile  una  porta,  mentre  nell'interesse  della  difesa,  essendo 
troppo  distanti  fra  loro  le  porte,  era  richiesta  una  comunicazione  fra 
l'interno  e  l'estemo.  Si  trovano  ben  conservate  al  punto  a  nel  N  e 
al  punto  b  nel  S,  e  sono  aperture  alte  m.  2,  larghe  fra  m.  0,90 
e  0,95,  che  per  conseguenza  facilmente  potevano  chiudersi  con  pietre, 
ma  la  cui  sicurezza  speciale  consisteva  in  ciö  che  stavano  tanto  al 
disopra  del  livello  del  suolo  da  non  essere  accessibili  che  per 
mezzo  di  scale.  L'altezza  della  soglia  della  posterla  meridionale 
non  pote  esser  constatata  a  causa  dei  rottami  accumulativi  sotto, 
ai  quali  essa  sovrasta  di  un  metro  soltanto.  Invece  quella  setten- 
trionale  tuttora  si  trova  a  m.  2,32  sopra  il  suolo,  e  si  puö  ritener 
per  certo  che  questo  nell'antichitä   era  molto  piü  basso  ancora. 

Di  uguale  natura  pare  che  fosse  un'apertura  presso  l'angolo 
sporgente  NO  (<?),  pur  troppo  quasi  tutta  coperta  da  una  torre 
medievale  non  accessibile.  A  giudicarne  dalla  sua  posizione  non 
puö  essere  stata  una  vera  porta ;  probabilmente  essa  serviva  per 
prendere  di  fianco  il  nemico  che  assaliva  porta  S.  Francesco. 
L'uscita  pare  che  fosse  alquanto  piü  grande  che  nelle  altre  due 
posterle,  ma  le  condizioni  del  luogo  non  ci  permisero  di  misurare 
esattamente  neanche  la  parte  Yisibile. 

Le  fortificazioni   della   cittä   debbono  aver  servito  come  tali 


ANTICHITA    DI    ALATRI  135 

anche  nel  medio  evo  ed  in  tempi  moderni ;  lo  dimostrano  le  torri 
costruitevi  innanzi,  da  porta  S.  Pietro  fino  a  porta  S.  Francesco, 
le  quali  oggi  servono  come  abitazioni  e  ad  altri  usi ;  lo  dimostrano 
le  costruzioni  sporgenti  a  guisa  di  bastioni  presso  porta  S.  France- 
sco, porta  Portati  e  porta  S.  Niccolö,  com' anche  lo  stato  di  porta 
S.  Pietro  quäle  si  rileva  dalle  tavole  28-30  della  Dionigi. 

Un'  immagine  molto  piü  completa  possiamo  formarci  della 
rocca,  le  cui  grandiose  mura  sono  la  gloria  speciale  di  Alatri.  La 
si  sgombrö  completamente  in  occasione  d'una  visita  di  Gregorio  XVI ; 
.lUora  fu  reintegrato  l'antico  altipiano  con  un  parapetto,  furono 
resi  praticabili  gli  antichi  accessi  e  fatta  una  strada  che  gira  in- 
torno  al  piede  della  fortificazione  e  porta  il  nome  di  quel  papa. 
E  cosi  la  rocca,  quasi  tutta  coperta  di  rottami  al  tempo  della  Dio- 
nigi, divenne  fra  i  monumenti  di  questo  genere  il  piü  interessante 
ed  il  piü  facile  a  studiarsi  (v.  tav.  VI). 

Quasi  nel  centro  della  cittä,  ma  con  l'asse  longitudinale  da 
0  ad  E,  alzasi  la  collina  dell'arce,  in  origine  una  vetta  che  dalle 
altre  simili  non  si  distingueva  che  per  l'altezza  maggiore  e  forse 
per  il  pendio  un  poco  piü  rapido.  La  piü  antica  fortificazione,  che 
consisteva  di  massi  oblunghi  rozzaraente  lavorati,  sovrapposti  fra 
loro  senza  combaciamento  esatto,  con  le  testate  in  fuori,  pare  che 
abbia  circondato  la  vetta  quasi  alla  stessa  altezza  ove  piü  tardi 
cominciavano  le  grandiose  sostruzioni  dell' altipiano  artificiale,  alla 
stessa  altezza  dell'odierna  via  Gregoriana.  Se  ne  riconoscono  avanzi 
nell'angolo  rientrante  sul  lato  S  ed  in  quelle  parti  del  muro, 
che  presso  Tangolo  NE  stanno  fuori  dell'attuale  recinto  e  seguono 
una  rampa  naturale  che  s'avauza  sotto  di  esso,  e  forse  anche  nei 
massi  rozzi  nelle  pareti  interne  della  porta  meridionale  (vd.  fig.  8). 
Questa  fortificazione  non  avendo  cambiato  la  forma  del  monte,  cosi 
anche  il  piü  antico  edifizio  che  lo  coronö  pare  che  non  abbia  in 
alcun  modo  alterata  la  vetta,  Non  se  ne  riconosce  che  un  pezzo 
di  muro,  di  costruzione  identica  alla  suddetta,  sotto  la  parte  occi- 
dentale  del  muro  N  dei  locali  addossati  al  lato  N  della  cattedrale, 
e  un  piano  incliriato,  lavorato  nella  roccia,  visibile  ad  E  di  quegli 
avanzi,  che  sembra  indicare  il  posto  d'un  antico  accesso,  ne  puö 
in  alcun  modo  mettersi  in  relazione  cogli  edifizi  eretti  piü  tardi 
in  questo  luogo.  Pare  adunque  che  quell' edifizio  occupasse  press'a 


136 


ANTICHITA    DI    ALATRI 


poco  il  posto  deH'odierna  cattedrale  e  fosse  accessibile  dal  lato  N 
per  mezzo  di  una  rampa  tagliata  nella  roccia. 

Piü  grandios!  furono  i  mezzi  e  le  intenzioni  io  una  seconda 
epoca,'  nella  quäle  si  procedette  interamente  nel  senso  della  terza, 
cui  si  deve  l'attuale  forma  della  rocca.  Quäle  fosse  la  forma  di 
questa  seconda  fortificazione,  non  puö  stabilirsi ;  e  certo  perö 
che  sul  lato  E  tenne  esattamente  la  direzione  di  quella  attuale,  cui 
per  un  lungo   tratto   serve  di  base  (fig.  5).  Essa  dunque  sul  lato 


Fig.  5. 

N  retrocedeva  dietro  la  fortificazione  antica  —  e  a  tale  scopo  dev'es- 
sere  stata  tolta  una  parte  della  roccia  naturale  — ,  mentre  sul  lato  S 
oltrepassava  non  poco  1' antica  linea,  la  quäle  pare  che  in  una 
curva  a  poco  sesto  si  stendesse  fra  i  ruderi  conservati :  qui  dunque 
necessitavano  gi'andi  sostruzioni.  La  costruzione  e  essenzialmente 
uguale  a  quella  della  prima  epoca,  ma  il  combaciamento  e  piü 
esatto,  i  massi   alquanto   piü   grandi.  Ne  e  conservato  un  tratto, 


ANTICHITA   DI    ALA.TRI  137 

interrotto  da  una  lacuna  riempita  di  muratura  moderna,  sopra  la 
roccia  sporgente  presso  l'angolo  NE ;  quindi  gli  avanzi  s'abbas- 
sano  verso  S,  seguendo  rinclinazione  della  superficie  della  spor- 
genza,  per  sparire  poi  del  tutto  e  riapparire  sull'intera  metä  me- 
ridionale  del  lato  E  nell'altezza  uguale  di  m.  3  sotto  il  muro  piü 
recente.  Sugli  altri  lati  della  cinta  non  si  vedono  muri  di  questa 
costruzione ;  ma  le  corrispondono  evidenteraente  gli  avanzi  che 
in  ciina  alla  rocca  stanno  a  N  della  cattedrale :  racchiudono  quel- 
l'antico  piano  inclinato  e  verso  0  si  estendono  sotto  il  muro  N 
del  giardino  vescovile  molto  oltre  il  puntp  piü  alto  della  vetta, 
occupato  dalla  navata  lunga  della  cattedrale. 

La  terza  fortificazione  diede  alla  rocca  quella  forma  nella 
quäle  oggi  la  vediamo.  A  giudicarne  dal  modo  di  costruire  sembra 
quasi  contemporanea  al  muro  di  cinta,  forse  un  poco  piü  recente. 
In  poche  linee  dritte  essa  circonda  un  altipiano,  la  cui  superficie 
fu  formata  parte  spianando  la  roccia  fino  ad  un  certo  livello, 
parte  per  mezzo  di  grandi  terrapieni.  Soltanto  ove  erano  stati  i 
summenzionati  edifizi  delle  epoche  anteriori,  la  roccia  fu  lasciata 
an'che  sopra  il  livello  dell' altipiano,  per  servir  da  fondamento  ad 
una  nuova  fabbrica.  Di  questo  terzo  editizio  un  gran  tratto  di  muro 
e  visibile  nel  muro  N  della  cattedrale :  riposa  in  parte  sul  muro,  in 
parte  suUa  rampa  della  prima  epoca;  con  es^o  fanno  angolo  retto 
due  muri  dello  stesso  genere,  di  cui  abbiamo  trovato  gli  avanzi 
nei  locali  contenuti  nelle  sostruzioni  della  navata  trasversale  della 
cattedrale,  in  parte  altre  volte  serviti  da  prigioni.  Inutili  erano 
le  nostre  ricerche  di  altri  avanzi,  giacche  le  parti  rimanenti  della 
chiesa  ed  il  palazzo  vescovile  stanno  immediatamente  sul  suolo 
naturale.  Prescindendo  dal  fondo  degli  edifizi  e  da  una  leggera 
pendenza  dell'angolo  NE  verso  la  salita,  1' altipiano  e  esattamente 
orizzontale,  e  recentemente  e  stato  di  nuovo  munito  di  un  parapetto 
che  puö  credersi  poco  piü  basso  di  quelle  che  deve  supporsi  esistente 
nell'antica  fortificazione.  Sulla  pianta  della  rocca  nei  punti  piü  im- 
portanti  e  iudicata  Taltezza  dallo  spigolo  superiore  del  parapetto 
moderne  fino  alla  via  Gregoriana,  il  cui  livello  corrisponde  in  ge- 
nerale a  quelle  ove  il  muro  della  rocca  riposa  suUa  pietra  naturale. 

II  margine  dell' altipiano  su  tratti  piü  brevi,  ove  retrocede 
dietro  il  decliyio  originario  del  monte,  e  formato  dalla  roccia  stessa 
lavorata  a  picco,  del  resto  da  poderosi  muri  a  scarpa,  ma  di  poca 

10 


138 


ANTICHITA   DI    ALATRI 


prominenza,  rimpiazzati  qua  e  la  da  muratura  moderna.  II  muro  e 
composto  di  massi  in  parte  enormi,  lunghi  fino  a  3  e  4  m.,  alti 
2  m.  e  piü,  di  forma  poligonale,  ben  lisciati  sulla  faccia  e  con 
combaciamenti  esatti  (')  (fig.  5).  La  disposizione  dei  massi  in  ge- 
nerale e  del  tutto  arbitraria  e  casuale ;  soltanto  siil  lato  N  pare 
non  possa  disconoscersi  la  tendenza  di  coUocarli  a  guisa  di  arco 
(il  pezzo   piü   caratteristico  e  abbozzato  fig.  6)  ed  agli  angoli  le 


].._- 


Fig.  6. 


commessure  inferiori  e  superiori  sono  essenzialmente  orizzontali, 
anche  le  altezze  delle  pietre  relativamente  uguali.  Quanto  bene  e 
fermamente  le  pietre  fossero  incastrate  fra  loro,  lo  dimostra  l'an-. 
golo  SE  (a.  m.  16,62),  staccato  da  un  fulmine  attraverso  i  massi, 
ncl  quäle,  le  pietre  non  si  sono  quasi  messe  dalla  loro  originaria 
disposizione. 

Un  muro  del  quäle  rimangono  gli  avanzi  e  che  in  continua- 
zione  del  muro  0  della  rocca  si  dirigeva  verso  S  e  quindi,  pie- 
gando  verso  E,  andava  quasi  parallelo,  alla  distanza  di  circa  m.  16, 
al  muro  S,  stava  in  contatto  immediato  con  la  fortiflcazione  della 
rocca  —  lo  dimostra  lo  stato  dell'infimo  masso  dell'angolo  SO  di 
quest'ultima  —  ma  non  sembra  avere  avuto  scopo  di  fortiflcazione  ; 
pare  che  servisse  come  muro  di  sostegno  del.  terreno  molto  declive. 


(1)  In  un  punto  del  lato  E  si  ö  cominciato  a  lisciare  anche  i  massi 
della  fortiflcazione  anteriore,  congiunta  ivi  con  questo  muro  :  in  alcune  pietre 
täl  lavoro  fu  finito;  altre  rimasero  col  solo  margine  lavoKito,  la  piu  gran 
parte  non  fu  neanche  toccata. 


ANTICHITA   DI   ALATRI 


139 


Non  e  facile  indövinare  il  significato  delle  tre  nicchio  poste 
iina  accanto  all'altra  sul  lato  S  vicino  a  quel  punto  ove  il  muro 
della  rocca  rientra  ad  angolo  retto.   Queste  nicchie,  di  cui  rorien- 

tale  e  ritratta  nella  fig.  7,  sono 
profonde  circa  m.  0,90,  larghe  fra 
1,61  e  1,75,  alte  circa  2,20  (i). 
La  collocazione  delle  pietre  di- 
mostra  che  sono  originarie,  non 
fatte  posteriormente.  Per  la  di- 
fesa  sono  affatto  inutili,  anzi  piut- 
tosto  nocevoli,  giacche  indeboli- 
scono  il  muro  e  potevano  dar  ri- 
coYero  a  qnalche  nemico  avyici- 
natosi  di  soppiatto  (2). 

L'unico  cambiamento  di  ri- 
lievo  che  la  fortificazione  del- 
l'arce  ha  subito  in  tempi  antichi, 
concerne  gli  accessi.  In  epoca 
piü  tarda,  come  anche  oggi,  una 
larga  rampa  nella  metä  Orientale 
del  lato  N  serviva  alla  comuni- 
cazione  fra  la  cittä  e  la  rocca, 
accesso  che  per  la  difficoltä  della 
difesa  toglie   addirittura  alla  rocca  il  carattere  di  fortezza,  e  sta 


Fig.  7. 


(')  Quella  media  ora  h  a.  3,25,  perö  Tarchitrave  sta  al  raedesimo  livello 
di  quelli  delle  altre  nicchie,  ed  il  livello  piü  basso  del  piano  pare  dipenda 
da  danneggiaraenti  posteriori. 

(2J  Una  spiegazione  assai  ipotetica  sarebbe  la  seguente.  Essendo  esclusa 
ridea  di  tombe,  sia  per  la  posizione  neH'interno  della  citta,  sia  per  Torigi- 
narietä  della  costruzione,  pare  debbano  mettersi  in  relazione  con  santuarii 
esistiti  qui  a  S  della  rocca.  Probabilmente  essi  stavano  fuori  della  sua  piü 
antica  fortificazione,  sul  cui  andaraento  in  questo  punto  c'informa  la  parte 
conservata  che  le  sta  accanto.  Facendosi  poi  la  fortificazione  rettilinea,  si 
dovette  con  essa  occupare  una  parte  del  suolo  sacro,  e  ciö  si  volle  in  certo 
modo  compensare  mettendo  il  muro  stesso  al  servizio  del  santuario,  per  mezzo 
delle  nicchie  destinate  a  contenere  immagini  di  divinitä  e  cose  simili.  In 
tal  caso  quei  muri  di  sostegno  rappresenterebbero  il  confine  di  santuarii  nuo- 
vamente  istituiti  sul  lato  S  della  rocca  in  connessione  con  la  nuova  fortifi- 
cazione. 


140 


ANTICHITA   DI    ALATRI 


in  aperta  contradizione  con  la  straordinaria  somma  di  lavoro  e  di 
arte  impiegata  nel  fare  i  due  celebri  accessi  primitivi. 

Di  essi  il  piü  grande  e  quello  anch'oggi  molto  praticato  da  S 
(porta  di  Civita),  del  quäle  un'immagine  sufficiente  e  data  siille 
tavole  di  Fonttanive  sotto  il  n.  2,  benche  ivi  le  tracce  dello  scom- 
ponimento  appariscano  troppo  nella  fototipia;  Ja  nostra  fig.  8  offre 


X 


Fig.  8. 


un  taglio  longitudinale  per  il  passaggio  ('),  A  2  m.  sopra  il  piede 
del  muro  sta  la  soglia  (a.  0,25)  della  porta,  alta  3,75,  larga  2,42. 
L'enorme  masso  deH'architrave  ha  piü  che  m.  5  di  lunghezza,  1,60 
di  altezza,  1,75  di  grossezza ;  al  margine  esterno  del  suo  lato 
inferiore  evvi  una  sporgenza  alta  0,07,  larga  0,20  contro  la  quäle 
doveva  battere  la  porta  ;  dietro  di  essa  si  vedono  in  ambedue  i  lati 
gli  incavi  per  i  cardini,  cui  corrispondono  incavi  simili  nella  soglia. 
Adesso  una  larga  scala  scoperta  conduce  fino  alla  soglia  della 
porta ;  nell'antichitä,  almeno  finche  si  ebbe  cura  di  poter  difen- 
dere  la  rocca,  puö  credersi  che  avanti  alla  porta  vi  fosse  una  co- 
struzione  di  legno,  facilmente  araovibile  nel  caso  di  un  assalto. 
Dalla  soglia  la  strada  con  una  pendenza  media  di  1 : 4  ascende 
sul  livello  dell'altipiano,  accompagnata  in  ambedue  i  lati  per 
12-13  m.  dalle  antiche  pareti  della  porta,  e  almeno  per  i  primi 
m.  4,67  coperta  tuttora   dai  massi  antichi,  dei  quali  il  secondo, 


(>)  Per   errore  in  questo   disegno  non  furono   indicati  i  singoli   massi 
della  porla. 


ANTICHITA  DI   ALATRI 


141 


di  m.  1,40  di  profonditä,  sta  al  livello  dell'architrave,  il  terzo 
(ora  Tultimo)  di  m.  0,50  piü  in  alto ;  il  quarto  stava  nuovaraente 
di  0,90  ed  il  quinto  di  altri  m.  0,40  piü  in  su.  Pin  dove  arrivasse 
l'antica  copertura,  non  puö  determinarsi.  La  costruzione  delle  pa- 
reti  laterali  della  porta  rassomiglia  in  ji^enerale  a  quella  del  muro 
esterao ;  e  notevole  perö  che  in  ambedue  i  lati  presso  Testremitä 
interna  della  parte  conservata  i  massi  furono  lasciati  rozzi  e  s'avan- 
zano  molto  avanti  la  linea  del  muro  regolarmente  lavorato.  Giä 
fu  accennato  sopra,  che  qui  si  potrebbero  riconoscere  avanzi  della 
prima  fortificazione,  il  cui  andamento  non  contradirebbe ;  ma  sembra 
troppo  esatto  il  combaciamento  nell'interno  delle  commessure  la- 
terali, e  difficilmente  si  spiegherebbe  come  sul  lato  d.  un  masso  del 
tutto  simile  a  quei  posteriori  (cf.  fig.  8)  sia  venuto  a  stare  sotto 
gli  avanzi  del  muro  antico.  NuUadimeno  quella  supposizione  mi 
sembra  la  piü  verosimile.' 

La  fig.  9  presenta  la  veduta  dell'ingresso  della  piü  piocola  sa- 
lita  N,  ora,  che  vi  e  la  comoda  rampa,  appena  praticata,  la  fig.  10  il 
taglio  longitudinale.  La  porta  e  alta  m.  2,12,  larga  1,26,  l'archi- 
trave  lungo  3,35,  alto  0,87,  gi'osso  1,15;  sulla  sua  facciata  erano 


JWW 


Fig.  9. 


scolpiti  in  alto  rilievo  tre  falli  affrontati  fra  loro,  due  orizzon- 
talmente,  uno  verticalmente.  Qui  pure  come  nella  porta  S  si  os- 
serva  la  sporgenza  contro  la  quäle  batteva  la  porta  e  gli  incavi 
dei  cardini.  La  maggiore  facilitä  di  difendere  una  porta  tanto  pic- 


142 


ANTICHITA   DI   ALaTRI 


cola  e  la  circostanza  che  la  sua  soglia  si  trova  al  livello  del 
piede  del  muro,  probabilmente  stanno  in  connessione  fra  loro. 
NeU'interno  evvi  ed  eravi  evidentemente  fin  dall'origine  un  pic- 
colo  piano  orizzontale  di  2  m.  di  lunghezza ;   quindi  comincia  la 


Fig.  10. 


scala,  la  quäle  in  tre  capi  supera  l'ascensione  di  circa  1:1,15. 
Che  ciö  corrisponda  esattamente  allo  stato  antico  (la  scala  pare 
tutta  moderna),  "lo  dimostrano  le  gradazioni  dell'antica  copertura, 
qui  tiitta  conservata  e  formata  da  grandi  travi  di  pietra,  la  cui  varia  e 
crescente  altezza  evidentemente  ha  determinato  la  disposizione  della 
scala  moderna.  I  massi  delle  pareti  della  scala  soltanto  presse  l'in- 
gresso  somigliano  del  tutto  a  quelli  del  lato  esterno ;  piü  in  su 
sono  piü  piccoli  e  disposti  in  generale  orizzontalmente  :  conseguenza 
naturale  del  problema,  proposto  dalle  circostanze,  di  salire  ugual- 
mente  e  fortemente  in  uno  spazio  ristretto  (0- 

Che  la  grande  rampa  del  lato  N  non  possa  essere  contempo- 
ranea  a  questi  due  accessi,  fu  giä  accennato  sopra  ed  e  general- 
mente  riconosciuto.    Per  lo  piü  non  si  crede   nemmeno  antica ;  e 

(1)  La  Dionigi  indica  a  sin.  due  piccoli  vani,  uno  aH'estreniitä  inferiore, 
Taltro  a  quella  superiore  della  scala ;  ora  arabedue  sono  murati  e  nh  dalle 
indicazioni  della  Dionigi,  nä  da  quelle  di  persone  che  dicono  di  esservi  ancora 
anträte,  puo  rilevarsi  alcun  chh  di  preciso. 


ANTtCHITA   DI   ALATRI  143 

eiö  sarä  vero  quantö  alla  sua  forma  attuale :  essa  ora  e  sorretta 
parte  da  muri  del  tutto  moderni,  parte  da  pietre  provenienti  dal 
muro  della  rocca  e  rozzamente  ammassate  in  tempi  recenti.  Perö 
fin  dalla  fine  del  2°  secolo  a.  Cr.  dev'esservi  stata  una  salita  nel 
medesimo  luogo,  nella  medesima  direzione  e  con  la  stessa  pen- 
denza ;  perche  il  porticus  qua  in  arcem  eitur  di  Betilieno,  di  cui 
piü  avanti  a7remo  a  parlare,  e  parallele  al  muro  della  rocca,  al 
quäle  e  addossata  la  rampa,  ed  ha  la  medesima  pendenza  di  essa 
(1:10)  ed  inoltre  non  puö  esser  messe  in  relazione  con  alcuno  dei 
due  altri  ingressi.  Esso  dunque  presuppone  l'esistenza  di  una  sa- 
lita corrispondente  esattamente  all'odierna,  sia  che  questa  vi  fosse 
fin  da  tempi  anteriori,  sia,  ciö  che  pare  piü  probabile,  che  fosse  fatta 
contemporaneamente  alla  costruzione  del  portico ;  giacche  il  titolo 
onorario  di  Betilieno  {C.  I.  L.  X  5807)  prima  di  tutti  gli  altri 
suoi  meriti  dice  che  egli  fece  semitas  in  oppido  omnes. 


n. 

II  tempio  il  cui  scaro  fii  il  centro  della  nostra  attivitä  in 
Alatri,  e  situato  poco  piü  di  un  chilometro  a  N  di  porta  S.  Pietro, 
fra  le  due  strade,  l'antica  e  la  nuova,  che  conducono  a  Guarcino, 
sopra  un  piano  inclinato,  sorretto  da  un  basso  muro  poligonale, 
sopra  la  yalle  nella  quäle  Bassel  ed  altri  vogliono  riconoscere  il 
campum  ubei  ludunt  (0-  Bassel  credeva  la  fronte  del  tempio  ri- 
volta  a  questa  valle,  mentre  in  veritä  ad  essa  e  rivolto  un  lato 
lungo,  e  la  fronte  guarda  la  cittä.  Avanti  al  centro  della  fronte 
evvi  una  piccola  fossa  per  i  sacrifizi,  cinta  di  muratura  in  pietra 
calcare,  mentre  il  fondo  e  composto  di  schegge  di  peperino.  A  d. 
del  tempio  vi  sono  gli  avanzi,  traversati  dalla  fossa  d'esplorazione 
del  Bassel,  d'una  casa  di  due  camere  con  focolare  in  ognuna ;  se 
auch' essa  appartenesse  al  santuario,  non  puö  decidersi,  ma  non  e 
improbabile  ;  vi  si  trovarono  terrecotte  architettoniche  e  votive  pro- 
venienti dal  tempio. 

JE  stato  un  santuario  piccolo  e  di  poca  importanza,  e  alle  pic- 
cole  dimensioni  corrisponde  il  poco  valore  del  materiale,  la  negligenza 

(^)  Cf.lo  schizzo  del  Bassel,  Centralblatt  der  Bauverwaltung,  1886  p.  197. 


144 


ANTICHITA   DI   ALATRI 


del  lavoro  nei  dettagli  e  la  pessima  fondazione,  tre  circostanze  le  quali, 
stante  la  quasi  completa  distruzione,  che  lasciö  in  piedi  pochissimo 


r> 


vi,ej.    s 


^ 


n 


Fig.  11. 


di  quanto  s'ergeva  sopra  il  suolo  antico,  rendono  assai  difficile  la 
ricostruzioBe.  Le  parti  superstiti  sono  indicate  suUa  pianta  fig.  11, 


ANTICHITA   Dl   ALATRI  145 

II  tempio,  orientato  a  S  con  una  diflferenza  di  13°  48'  verso  E, 
era  diviso  in  pronao  e  cella,  di  profonditä,  a  quanto  pare,  appros- 
simativamente  uguale,  almeno  se  abbiamo  a  ragione  riconosciuto 
un  avanzo  del  miiro  posteriore  in  una  pietra  che  sporge  un  poco  so- 
pra  il  livello  del  pavimento  presse  l'estremitä  della  parte  conser- 
vata  del  muro  N,  a  m.  14,40  dallo  spigolo  della  soglia;  altrimenti 
di  quest' ultimo  non  rimane  traccia  alcuna.  Ne  molto  piü  esatta- 
mente  puö  stabilirsi  la  larghezza  del  tempio,  essende  gli  avanzi 
del  muro  S  della  cella  troppo  meschini  per  farne  il  punto  di 
partenza  della  misurazione,  mentre  il  pronao  non  aveva  fondamenta 
all'infuori  dei  due  angoli  che  portavano  le  colonne,  e  queste  fon- 
damenta parziali  erano  di  natura  tale  che  depo  la  distruzione  dif- 
ficilmente  potevano  restare  al  loro  posto  originario.  L'attuale  di- 
stanza  dei  due  angoli  del  pronao  e  di  m.  7,975. 

L'unico  Interesse  che  offra  la  pianta,  consiste  nella  forma  del 
pronao.  E  profondo  m.  6,79  ;  fino  alla  metä  dei  lati  lunghi  son 
continuate  le  pareti  della  cella,  che  finiscono  in  ante  di  pianta 
pressoche  quadrata.  Ad  esse  corrispondono  le  colonne  poste  sugli 
angoli.  Nel  pronao  poi,  sull'asse  longitudinale,  e  discosta  dalla  fronte 
d'un  terzo  incirca  della  profonditä  del  pronao  stesso,  sta  ima  base  che 
difficilmente  puö  aver  sorretto  altro  che  un  altare.  Fra  questo  e  l'anta 
d.  evvi  un  canale  di  destinazione  incerta,  profondo  0,18,  largo  0,12, 
che  in  ambedue  le  estremitä  finisce  nel  pavimento  senza  continuazione 
di  sorta.  La  disposizione,  affatto  diiferente  dalle  plante  di  templi 
greci,  corrisponde  esattamente  ai  precetti  vitruviani  sul  tempio  tosca- 
nico,  trasferendo  cioe  le  sue  parole,  che  riguardano  templi  a  tre 
Celle,  a  quelle  ad  una  cella.  II  passo  molto  commentato  (IV  7,  2) 
dice :  Spatium  quod  erit  ante  cellas  in  pronao,  ita  coiumnis  de- 
signetur  ut  angulares  contra  antas  parietum  extremorum  e  regione, 
conlocentur ,  diiae  mediae  e  regione  parietum  qui  inter  antas  et 
median  aedem  fuerint,  ita  diürihuaniur ,  et  inter  antas  et 
columnas  priores  per  medium  isdem  regionibus  alterae  dispo- 
.nantur.  Avanti  alle  ante  del  muro  della  cella  debbono  collocarsi 
le  colonne  angolari ;  e  evidente  che  in  un  tempietto,  che  nella 
fronte  ha  due  soll  sostegni,  non  si  poteva  sui  lati  lunghi  del  pronao 
aggiiingerne  un  terzo,  una  colonna  cioe  frapposta  fra  l'anta  e  la 
colonna  angolare. 

Della  costruzione,   staute  il  triste  stato  della  conservazione, 


146  ANTICHITA    DI    ALATRI 

poco  si  puö  dire,  fiiorche  delle  terrecotte  servite  per  rivestire  la 
trabeazione  (^).  II  tempio,  le  cui  fondamenta  son  composte  di  pietre 
calcaree  non  lavorate,  stava  immediatamente  sul  livello  del  suolo, 
dal  quäle  le  pareti  s'  innalzavano  senza  zoccolo,  mentre  il  pavi- 
mento  del  pronao  era  preceduto  da  un  basso  gradiuo.  II  pavi- 
mento  ha  l'istessa  altezza  nel  pronao  e  nella  cella  ed  e  formato 
di  piccoli  frantumi  triturati  di  pietra  calcare  {^).  L'edifizio  stesso 
consisteya  di  muratura  in  pietra  calcare  rivestita  di  stucco,  il  quäle 
suU'anta  era  scanalato  e  inferiormente  formato  a  guisa  di  zoc- 
colo (^).  Siccome  il  gradino  del  pronao  non  era  che  uno  stretto 
orlo  di  pietre  intorno  al  pavimento,  cosi  le  basi  delle  colonne  non 
potevano  stare  su  di  esso,  ma  dovevano  esser  collocate  immedia- 
tamente sulle  pietre  del  fondamento  (v.  il  prospetto  del  lato  E 
fig.  12).  Conformemente  a  ciö  esse  consistono  in  un  alto  cilindro, 


immesso  per  due  terzi  nel  pavimento,  sul  quäle  superiormente  il 
toro  della  base,  nel  senso  piü  stretto  della  parola,  e  scolpito  nella 
pietra  stessa.  La  parte  del  cilindro  che  sporge  dal  suolo  corrisponde 
in  certo  modo  ai  plinti  tondi  di  Vitruvio  (IV  7,  3),  mentre  del 
resto  le  misure  di  queste  basi  non  possono  mettersi  d'accordo  coi 
precetti  vitruviani  intorno  al  tempio  toscanico.  II  diametro  del 
«  plinto  "  e  di  1,118,  la  sua  elevazione  sopra  il  pavimento  0,09, 
il  diametro  del  toro  1,095,  la  sua   altezza  0,155    (cf.    il   profilo 

(1)  Speriamo  di  pubblicare  nel  prossimo  fascicolo  una  importante  me- 
moria del  sig.  conte  Cozza  sulle  terrecotte  sudette. 

(2)  II  limite  del  pavimento  conservato  e  indicato  sulla  pianta  con  linea 
punteggiata. 

(*)  Lo  stucco  conservato  sui  diversi  lati  deve  rimontare  a  diverse  epoche, 
perche  le  scanalature  del  lato  interno  discendono  fino  ad  un  livello  al  quäle, 
e  ancora  piü   sopra,    dovrebbe   aspettarsi,    in    analogia   del    lato   esterno,  lo 

ZOGCOlo. 


ANTICHITA   DI   ALATRI 


147 


fig.  13).  II  diametro  inferiore  della  colonna  era  di  m.  0,76 ;  man- 
cando  ogni  traccia  d'un  perno,  e  siccome  per  la  larghezza  deH'in- 
tercolunnio  la  trabeazione  doveva  necessariamente  essere  di  legno, 
cosi  si  sarebbe  disposti  ad  ammettere  che  fossero  di  legno  anche 
le  colonne  ('). 


Fig.  13. 


Fig.  13a. 


Lo  zoccolo  dell'altare  e  profilato  ed  immesso  nel  pavimento 
in  modo  simile  come  le  basi  delle  colonne,  ma  senza  fondamento 
sottoposto.  E  singolare  che  esso,  come  il  fondo  della  fossa  avanti 
alla  facciata,  consista  di  peperino,  mentre  del  resto  non  fu  ado- 
perata  per  il  tempio  che  pietra  calcare,  meno  in  una  parte  evi- 
dentemente  restaiirata,  ove  sono  frammischiati  anche  alcuni  mattoni. 


(1)  Sarebbe  interessante  se  si  potesse  portare  a  certezza  la  conghiet- 
tura,  che  la  pietra  profilata  rafBgurata  qui  appresso  nella  metä  dello  spaccato, 
la  quäle  adoperata  una  volta  come  pietra  di  molino  ora  giace  rotta  nel  cortile, 
d'una  casa  vicina  al  tempio,  fosse  un  capitello  del  tempio  stesso.  Materiale, 
grandezza  e  lavoro,  per  quanto  la  cattiva  conservazione  permetta  un  giu- 
dizio,  ben  vi  si  adatterebbero. 


148  ANTICHITA   DI   ALATRI 


III. 


L  •  BETILIENVS  •  L  •  F  •  VAARVS 
•  HAEC  •  QVAE  •  INFER A  •  SCRIPTA 

SONT  •  DE  •  SENATV  •  SENTENTIA 
FACIENDA  •  COIRAVIT  •  SEMITAS 
IN-OPPIDOOMNIS-PORTICVM- QVA 
IN  •  ARCEM  •  EITVR  •  CAMPVM  •  VBEI 
LVDVNT-HOROLOGIVMMACELVm 
BASILICAM  •  CALECANDAM  •  SEEDES 
MCVM-BALINEARIVM-LACVM-AD  ' 
J9  ORTAM-AQVAM-IN-OPIDVM-ADOV 
ARDVOM-PEDES-CCCXO'FORNICESCL. 
FECIT  •  FISTVLAS  •  SOLEDAS  •  FECIT 
OB-HASCERES-CENSOREM-FECERE  BIS 
SENATVS  •  FILIO  •  STIPENDIA  •  MERETA 
ESE  •  lOVSIT  •  POPVLVSQVE  •  STATVAM 
DONAVITCENSORINO 

L'iscrizione  e  dell'epoca  dei  Gracchi  aU'incirca;  fra  i  laTori 
enumerativi,  fatti  per  ordine  di  Betilieno,  l'acquedotto  ad  alta  pres- 
sione  e  senza  alcun  dubbio  il  piü  interessante.  Ma  nell'esplora- 
zione  di  esso  soltanto  im  tecnico  potrebbe,  in  circostanze  favore- 
voli,  aggiungere  qualche  nuovo  risultato  a  quanto  fu  stabilito 
dalle  ricerche  del  P.  Secchi  (*),  del  Di  Tucci  (2)  e  del  Bassel  {^). 
Invece  si  offri  appunto  adesso  l'occasione  di  esaminare  accurata- 
mente  il  lacus  ad  poriam,  descritto  giä  dal  P.  Secchi  (p.  27). 
Dovendosi  cioe  fare  iina  strada  da  porta  S.  Pietro  a  porta  S.  Fran- 
cesco fu  tagliato  il  bacino,  e  le  parti  cosi  tornate  alla  luce  insienie 
con  quelle  visibili  da  lungo  tempo  ed   alcune  altre  esplorate  con 


(1)  Intorno  ad  alcuni  avanzi  di  opere  idrauliche  antiche  rinvenuti  nella 
cittä  di  Alatri.  Roma  1865. 

(2)  Not.  d.  scavi  1879  p.  269. 

(3)  Centralblatt   d.  Bauverwaltung    1881    p.  121,   134;   Ann.   d.   Inst. 
1881  p.  20i  tav.  d'agg.  0;  cf.  Not.  d.  sc.  1882  p.  417. 


ANTICHITA    DI    ALATRI 


149 


piccoli  tasti  permisero  di  rilevarne  una  pianta  esatta  che  si  pub- 
bUca  fig.  14  ('). 


Fig.  14. 

La  costruzione  di  Betilieno  —  e  che  con  essa  abbiamo  da  fare, 
non  permettono  di  dubitarne  la  posizione  presso  porta  S.  Ple- 
tro,  la  qualitä  del  tnateriale,  le  monete  repubblicane  trovate  nei 
lavori  per  la  strada  (-),  —  era  un  bacino  scoperto,  lungo  m.  42,25, 
largo  15,57;  il  suo  fondo  ö  grosso  circa  0,70  e  consiste  in  uno 
Strato  di  cemento  grosso  0,10,  che  poggia  sopra  uno  strato  com- 
patto  di  piccole  pietre;  sotto  questo  evvi  ancora  im  altro  strato 
simile  ma  meno  compatto.  II  muro  che  lo  circonda  e  grosso  m.  2; 
il  suo  nucleo  e  composto  di  pietre  messe  in  calcina;  il  lato  in- 
terne (quelle  esterno  non  trovammo  conservato  in  alcun  punto)  h 
rivestito  di  mattoni  triangolari,  che  da  parte  loro  erano  coperti 
d'uno  strato  di  stucco. 

Piü  tardi  sembrö  necessario  coprire  il  bacino.  A  tale  scopo 
fu  diviso,  permezzo  di  due  file  di  pilastri  lunghi  3,76,  larghi  0,90, 
in  tre  navate,  e  su  queste  furono  condotte  delle  volte,  11  cui  na- 
scimento  sta  all'altezza  di  m.  1,30;  una  parte  d'una  volta  ca- 
duta  illesa  sul  fondo,  dalla  corda  di  2,20  e  dall'altezza  di   0,lö 


(1)  Le  parti  visibili  quando  fu  rilevata  la  pianta  sono  indicate  con 
tinta  piü  scura,  con  nero  la  costruzione  originaria,  con  graffiatura  Ic  ag- 
giunte  posteriori. 

(2)  Ne  vidi  tre,  fra  cu;  una  di  vanie:  A  testa  di  Giano,  R  prora,  con 
iscj:.   Q^   TITI, 


150 


ANTICHITA   DI   ALATRI 


permette  di  presentare  il  taglio  fig.  15.  I  pilastri  consistono  di 
un  nucleo  simile  a  quello  del  muro  circondante,  ma  piü  grosso- 
lano,  e  rivestito  anch'esso  di  mattoni  triangolari,  che  da  quelli 
del  muro  si  distinguono  per  ima  tinta  piü  scura;   uno    strato  di 


Fig.  15. 


stucco  grosso  0,04  cuopre  il  tutto.  Non  hanno  altre  fondamenta 
air  infuori  d'un  semplice  strato  di  mattoni  quadrangolari  (0,44X0.43 
X0,039);  ove  sui  lati  stretti  del  bacino  sono  addossati  al  muro  che 
lo  cinge,  ne  toccano  il  rivestimento  di  mattoni  in  maniera  da  non 
lasciare  alcun  dubbio  sulla  loro  posterioritä.  Pur  troppo  i  mattoni 
son  privi  di  bolli,  tanto  quelli  del  muro  quanto  quelli  dei  pilastri, 
ed  e  impossibile  perciö  di  precisare  l'epoca  di  questi  ultimi.  La 
volta  e  composta  del  medesimo  materiale  come  i  nuclei  dei  pila- 
stri, ma  senza  rivestimento  di  mattoni  e  semplicemente  coperta  di 
stucco.  In  mezzo  ai  rottami  della  volta  fu  trovato  un  tubo  di  ter- 
racotta,  di  lavoro  straordinariamente  buono  e  fermo,  con  incastro 
in  una  estremitä  e  la  corrispondente  parte  piü  stretta  nell'altra, 
delle  dimensioni  seguenti:  lunghezza  totale  0,34;  diametro  0,14- 
0,155;  grossezza  delle  pareti  0,04;  diametro  dell'incastro  al  mar- 
gine  (si  restringe  internamente)  0,125;  profonditä  del  medesimo 
0,05;  lunghezza  della  parte  piü  stretta  all'altra  estremitä  0,045. 
Lo  scopo  cui  serviva  pur  troppo  non  risulta  con  precisione  dalle 
circostanze  del  ritrovamento.  Siccome  perö  stava  vicinissimo  alla 
parete  rivolta  alla  cittä,  cosi  e  probabile  che  abbia  fatto  parte 
di  uno  di  quei  condotti  che  portavano  nella  cittä  l'acqua  raccolta 
nel  bacino. 

Come  il  lacus  ad  portam  sta  in  relazione  con  l'acquedotto, 
cosi  lo  e  il  porticus  qua  in  arcem  eitur  con  la  sistemazione 
delle  strade  (vd.  sopra  p.  143).  Dei  suoi  avanzi  una  gran  parte  e 
scomparsa  per  i  recenti  lavori  stradali ;  e  demolendosi  recentemente 


ANTICHITA   DI   ALATRI 


151 


una  casa  ne  fu  trovata  un'altra  parte,  che  sembra  essere  l'estremitä 
occideütale.  Perö  dai  tenui  avanzi  poco  aH'infuori  della  piantasi 
pud  rilevare   (fig.  16).    Era   un   passaggio   largo    4,12,    che   con 


j-^SM-jl-^tiJ'&a^Q  J  <   O-^^l'^  ^ir^^l'^  Rl'/j 


^ 


di 


Fig.  16. 

l'ascensione  di  1,10  [saliva  limgo  il  lato  N  della  rocca.  Deve  re- 
stare  indeciso,  se  gli  avanzi  tuttora  esistenti  del  muro  di  fondo, 
di  ordinaria  muratura  in  pietra  calcare,  con  varie  nicchie,  rimon- 
tino  alla  costruzione  originaria ;  la  loro  facciata  nella  continuazione 
non  conservata  del  portico  rimarrebbe  ad  una  distanza  di  circa 
m.  0,90  dal  muro  della  rocca,  il  quäle  dunque  non  avrebbe  formato 
egli  stesso  la  parete  di  fondo  del  portico,  ma  sarebbe  stato  rivestito 
di  muratura  in  pietra  calcare.  Con  piena  certezza  invece  puö  ascri- 
versi  alla  costruzione  di  Betilieno  la  soglia  dello  stilobate,  alta  0,33, 
coi  posti  affondati  per  un  ordine  di  sostegni,  i  quali  dobbiamo  la- 
sciare  indeciso  se  fossero  pilastri  quadrati  ovvero  colonne  su  plinti 
quadrati.  La  distanza  delle  assi  era  di  circa  m.  2,52  (').  Con  ciö 
s'accorda  un  masso  d'un  fregio  di  triglifi,  adoperato  come  materiale 
nella  casa  ora  demolita,  che  comprende  due  metope  e  un  triglifo  e 
mezzo  con  le  relative  gocciole :  egli  e  grosso  m.  0,50,  ciö  che  cor- 
risponde  esattamente  alla  larghezza  dei  posti  per  i  sostegni,  e  la  di- 
stanza fra  un  centro  di  triglifo  all'altro  e  di  m.  0,63,  di  modo  che 
quattro  metope  con  i  relativi  triglifi  corrispondono    alla   distanza 


(')  Le  singole  distanze  non  possono   misurarsi   con   esaüezza;   per    la 
divisione  della  somma  di  otto  distanze  risulta  una  media  di  2,5275. 


152  ANTICHITA   DI   ALATRI 

fra  le  assi  di  due  sostegüi.  Purtroppo  la  forte  decomposizione  non 
permette  di  prendere  raisure  tanto  esatte  da  poter  constatare  con 
certezza  negli  angoli  una  differenza  dall'angolo  retto  corrispondente 
all^,  pendenza  di  1:10.  Nel  lato  posteriore  del  masso   alto   0,565 


UJ 


h  1 1 1  i ! 


Fig.  17. 

sono  incavati  al  margine  superiore  due  buchi  per  travi,  press'a 
poco  cubici,  profondi  circa  0,16,  con  una  distanza  fra  le  assi  di 
0,6125,  ciö  che.  tenendo  conto  del  lavoro  trascurato,  deve  consi- 
derarsi  come  corrispondente  alla  distanza  dei  triglifi  di  m.  0,63. 
Pare  che  verso  0  il  portico  fosse  continuato  da  alcuni  gra- 
dini;  appie  della  soglia  dello  stilobate  scorre  un  canaletto  com- 
posto  di  massi  di  varia  grandezza,  che  accanto  al  penultimo  so- 
stegno  piega  verso  d.  Fra  il  settimo  e  l'ottavo  sostegno  esso  e  in- 
terrotto  per  un  canale  che  si  dirama  lateralmente  e  nel  quäle, 
come  sembrano  dimostrare  alcuni  incavi  fatti  in  questo  punto  nello 
stilobate,  furono  condotte  le  acque  piovane  cadute  dal  tetto.  Quanto 
ad  una  soglia  coi  posti  di  due  pilastri,  che  sta  a  qualche  distanza 
dallo  stilobate  e  forma  con  esso  angolo  retto,  pare  piü  che  dubbioso 
che  essa  stia  al  posto  suo,  perche  in  tutt'altro  modo  che  la  soglia 
dello  stilobate  si  sovrappone  ai  massi  del  canaletto,  ed  e  impossibile 
spiegare  in  modo  probabile  la  sua  presenza  in  questo  punto. 


H.   WiNNEFELD. 


zu  DEN  ATTISCHEN  KLEINMEISTERN. 

(Taf.  VII). 


Bei  einer  Durchmustei-ung  des  römischen  Apparates  des  Ar- 
chaeologischeu  Institutes  fand  ich  eine  Durchzeichnung  der  bisher 
unedirten  grossen  Schale  des  Glaukytes,  welche  Klein  MS.  S.  78 
als  nach  England  gelangt  bezeichnet  und  die  ich  1885  im  British 
Museum  sec.  vas.  room.  case  hl  sah  (gegenwärtig,  wie  Mr.  Cecil 
Smith  mir  gütigst  mitteilt,  n.  B  364).  Sie  ist  vielfach  restaurirt, 
doch  sind  die  Ergänzungen  ohne  gründliche  Eeinigung  nicht  anzu- 
geben. Diese  Zeichnung  der  1846  in  Vulci  (')  gefundenen  Schale 
hat  wohl  der  mangelhaften  Beschreibung  im  Bullettino  1847  S.  124 
und  der  verbesserten  in  Brunns  Künstlergeschichte  S.  691  zu 
Grunde  gelegen:  eine  neue  zu  geben  (Tf.  VII)  bin  ich  durch  das 
freundliche  Entgegenkommen  des  Herrn  Murray,  dem  dafür  der 
schuldige  Dank  ausgesprochen  werde,  im  Stande.  Der  Figuren- 
reichthum  erheischt  eine  kurze  Beschreibung. 

A)  Von  1.  stürmt  ein  Viergespann  vorwärts,  dessen  Lenker 
barhäuptig  mit  Haarschopf  den  Stab  hält.  Daneben  verfolgt  ein 
Panhoplit  mit  Schild  und  Speer  einen  gleichbewaffneten,  umblickend 
nach  r.  Fliehenden.  Unter  dem  Viergespann,  das  Gesicht  zu  Boden 
gekehrt,  liegt  ein  Gefallener,  neben  dem  zwei  Vollbewaffnete  mit 
gezückten  Lanzen  gegen  einen  aufs  Knie  Gesunkenen  vordringen, 
den  ein  zurückgewendeter  Flüchtiger  mit  dem  Schilde  deckt.  Da- 
hinter schwingt  ein  behelmter,  nackter  Bärtiger  mit  schuppigem 
Schilde  den  Speer  gegen  einen  gewappneten  (?)  Behelmten,  mit 
rothem  Schild,  der  vorgebeugt  gegen  einen  auf  dem  Rücken  lie- 
genden Panhopliten  steht.  Hinter  dem  Angreifer  eilt  nach  r.  ein 
Krieger  auf  einem  Viergespann,  dessen  Handpferd  gestürzt  ist, 
gegen   einen   Speerwerfer  in   Schuppenpanzer.    Vor   dem  Gespann 

(')  vgl.  C.  I.  G.  8144  mit  der  Litteratur  daselbst. 

11 


154  zu    DEN    ATTISCHEN    KLEINMEISTERN 

steht  ein  langgelockter  mit  Speer,  Panzer,  Beinschienen  und  Schild 
bewehrter,  sonst  nackter  Lanzner,  neben  dem  ein  Nackter  mit 
Schild  gegen  einen  zappelnd  am  Boden  Liegenden  vordringt,  dessen 
Arm  noch  im  Schild  steckt,  ohne  dass  er  sich  desselben  zu  be- 
dienen vermag.  Zum  Schutze  stürmt  ein  Panhoplit  mit  Lanze 
herbei,  hinter  dem  ein  Viergespann  ansprengt,  gezügelt  von  einem 
langgewandeten  bärtigen  Lenker  mit  Schild.  Diesseits  des  Gespannes 
verfolgt  ein  bärtiger  Panhoplit  einen  gleichbewaffneten  Bärtigen, 
der  umblickend,  mit  geschwungener  Lanze  entweicht. 

Kechts  schliesst  ein  Fliehender  in  gleichem  Schema  das  Bild 
ab.  Unter  den  Henkeln  steht  L  HIPOKPITOS  KAUISTO$(i) 
r.  AUAVKVTESEPOIESEH  (2). 

B)  Links  schreitet  ein  bärtiger  Krieger  mit  Schild  und  Speer 
nach  r.  neben  einem  Bärtigen  mit  Pilos,  gesticktem,  über  den 
Knieen  gefaltetem,  herabhängendem  Gewand,  dessen  1.  Arm  vor 
dem  Oberkörper  erscheint,  während  der  rechte  nach  der  Hüfte 
greift.  Vor  ihnen  sprengt  ein  bärtiger  Lanzner  mit  Pilos,  Mantel 
und  Schurz,  mit  einem  Handpferd.  Vor  ihm  stürzt  ein  Panhoplit 
kopfüber  zu  Boden.  Ihn  deckt  mit  dem  Schilde  ein  Gleichbewaff- 
neter, dem  ein  Viergespann  folgt,  dessen  unbärtiger,  langgewan- 
deter  Lenker,  den  Schild  auf  dem  Kücken,  mit  beiden  Händen  die 
Zügel  führt.  Jenseits  des  Gespannes  verfolgt  ein  Panhoplit  lanzen- 
schwingend einen  im  Fliehen  umblickenden,  speertragenden  Gleich- 
bewaffneten. Es  folgen  zwei  Gewappnete,  die  Speere  gezückt  über 
einem  auf  den  Rücken  Gefallenen  gegen  einen  Panhopliten  mit 
Lanze  gestellt.  Dahinter  stürmt  auf  einem  Viergespann  ein  bärtiger, 
langgewandeter  Lenker  mit  Pilos  und  Schild  nach  rechts.  Daneben 
ficht  ein  Panhoplit  mit .  Schuppenschild  und  Lanze  gegen  einen 
Entsprechenden  im  Schuppenpanzer.  Vor  den  Pferden  stürmt  ein 
Panhoplit  mit  Schuppenschild  und  Lanze  nach  rechts  ;  vor  ihm 
sinkt,  den  Schild  vorhaltend,  mit  geschwungenem  Speer  ein  Flie- 
hender ins  Knie,   dem  von  r.  zwei  Panhopliten    zu   Hilfe   eilen. 

(1)  Zu  Hippokritos  als  Lieblingsnatnen  vgl.  Jahn,  Arch.  Aufs.  139;  Wel- 
cker  Rhein.  Mus.  VI,  1848,  395;Roulez,  Acad.  d.  sciences  de  Bruxelles  Tf.  IX,  1; 
MÜ.  arch.  IV,  4 ;  leider  stehen  mir  beide  Publicationen  nicht  zur  Verfü- 
gung ;  citirt  nach  C.  I.  G.  1^21^. 

(")  Zu  Glaukytes  vgl.  The  classical  Revieic,  Jane  1888  p.  188  im 
Akropolismuseum  AUAVKUEE5KAU05. 


zu    DEN    ATTISCHEN   KLEINMEISTERN  155 

Hinter  ihnen  sprengt  ein  barhäuptiger,  speertragender  Knappe  mit 
Handpferd.  Ein  nach  1.  gewendeter,  speerwerfender  Panhoplit 
schliesst  r.  das  Bild  ab. 

Ein  figiirenreiches,  vielbewegtes  Schlachtenbild  stellt  sich  uns 
dar,  keineswegs  « wenig  übersichtlich "  oder  im  Detail  kaum  mehr 
verständlich,  vielmehr  jeder  Figur  ihr  Recht  wahrend,  inhaltlich 
sowohl,  wie  in  der  sorglich  abgewogenen  Composition  (•)  den  bei- 
den übrigen  grossen  figurengeschmückten  Schalen  entsprechend, 
welche  wir  dem  Glaukytes  zuschreiben  dürfen.  Zweifellos  ist  er 
der  Maler  der  aus  der  Töpferei  des  Archikles  hervorgegangenen 
raünchener  Schale  (^),  wie  der  aus  Vulci  stammenden  Berliner 
(1799)  (5),  die  durch  den  Stil,  den  mit  der  unseren  übereinstim- 
menden Lieblingsnamen  und  den  lediglich  unserem  Maler  eigen- 
thümlichen  Superlativ  der  Schönheitspreisung  ihm  zugewiesen 
wird,  wenn  auch  die  Stelle  unter  dem  Henkel,  welche  die  Trägerin 
der  Signatur  zu  sein  pflegt,  weggebrochen  ist  (^). 

Der  Darstellungskreis  ist  für  die  Aussenbilder  der  in  der  sf. 
Malerei  beliebten  Heldensage  entnommen.  Die  mythologisch  inter- 
essante Eberjagd  erinnert  an  die  Dodwellvase,  mit  der  sie  die 
Schwierigkeit  der  Namensbeischriften  theilt,  das  Minotaurosaben- 
teuer  mit  seinem  Chor  an  die  Pran9oisvase  ;  zur  Gigantomachie 
giebt  Meyer  Gigantomachie  S.  282  die  Parallelen  au.  Ebenso  ist 
der  Heldenkampf,  besonders  unter  Anwendung  des  Streitwagens 
uns  aus  früher  Kunstübung  vertraut.  Auch  der  Typus  der  Hasen- 
jagd (^),  der  sich  in  den  unteren  Schalenabschnitt  gerettet  hat, 
weist  an  dieser  untergeordneten  Stelle  zurück  auf  eine  lange  Kunst- 
übung, in  welcher  er,  wie  Löschcke  (^)  darthut,  den  Ehrenplatz 
behauptet  hatte. 


(*)  Welche  schon  Brunn  betonte,  K.-G.  a.  a.  0. 

(«)  München  333.  Gerhard  A.  V.  235,  36.  M.  d.  I.  IV,  59. 

(3)  Gerhard  A.  V.  61,  62. 

(*)  Eine  ganz  ähnlich  decorirte,  allerdings  flachere  Schale  befindet  sich 
bei  Herrn  Castellani  in  Rom ;  sie  hat  Einfassung  und  Behandlung  des  Innen- 
bildes und  der  langen  schmalen  Streifen  der  Aussenseite  mit  den  Glaukytes- 
schalen  gemein.  Eine  directe  Verknüpfung  lässt  sie  nicht  zu.  Vgl.  auch 
München  1035. 

(5)  Vgl.  Arch.  Zeit.  1881,  Tf.  V. 

(«)  Arch.  Zeit.  1881,  S.275;  vgl.  Arch.  Zeit.  1869,  S.  34,  2;  1883,  X,  2. 


156  zu    DEN    ATTISCHEN    KLEINMEISTERN 

Die  Wahl  der  Stoffe,  Jagd  und  Feldschlacht,  erklärt  hinrei- 
chend die  Lebhaftigkeit  der  Darstellungen.  Denn  gegen  den  Vor- 
wurf, Glaukytes  habe  nur  durch  carrikirte  Lebhaftigkeit  wirken 
wollen  ('),  verwahrt  ihn  der  Gegensatz  in  der  Minotaurosscene. 
Man  kann  sich  keine  ruhigere  Darstellung  denken,  als  diese,  welche 
in  die  Mitte  den  bewegten  Typus  zweier  Figuren,  und  diesen  selbst 
massig  bewegt,  setzt  und  daran  fast  identische  Schemata  anreiht, 
welche  ihre  Teilnahme  an  der  Handlung  nur  durch  einen  Arm- 
gestus  andeuten. 

Die  Anregung  zur  Bevorzugung  bewegter  Scenen  gab  unserem 
Meister  die  Lust  am  Erfinden  neuer  Schemata,  die  sich  in  der 
Mannigfaltigkeit  offenbart,  die  neben  Verwendung  altgeprägter 
Typen,  bei  Darstellung  der  Gefallenen  auf  der  Londoner  Schale  er- 
strebt wird  und  die  in  der  gutbeobachteten  Zeichnung  des  ge- 
stürzten Pferdes,  bes.  seiner  Hinterbeine  hervortritt. 

In  der  Composition  herrscht  die  symmetrische  Gebundenheit 
der  archaischen  Kunst,  welche  wenigstens  in  den  Hauptfiguren, 
gleichsam  in  den  rhythmischen  Incisionen  beide  Seiten  sich  ent- 
sprechen lässt.  Bei  der  Londoner  Schale  zeigen  dies  die  Seiten  in 
sich  und  in  ihrer  Gesammtheit.  R.  und  1.  schliesst  auf  der  einen 
Seite  ein  Reiter  mit  Handpferd  nach  innen  sprengend,  r.  u.  1.  ist 
je  ein  Viergespann,  die  Kampfgruppe  in  der  Mitte  angeordnet: 
Dem  entspricht  die  Gegenseite :  die  Wagen  als  äusserer  Abschluss, 
dift  Kampfscene  in  der  Mitte,  rechts  davon  das  nach  aussen  ge- 
wendete Viergespann ;  nur  der  ihm  entsprechende  schwere  Takttheil 
ist  aufgelöst  um,  wie  die  aufgelöste  Länge  den  klappernden  Takt, 
so  das  langweilige  Einerlei  zu  verhindern. 

Dasselbe  Princip  zeigt  formell  Berlin  1997,  wo  jedesmal 
zwei  Viergespanne  die  isolirte  Haupthandlung  einschliessen,  inhalt- 
lich die  Münchener  Schale,  wo  jedesmal  der  Kampf  mit  einem 
Ungeheuer,  hier  kalydonischer  Eber,  dort  Minotauros  den  Mittel- 
punkt bildet. 

Unterstützt  wird  diese  Compositionsmethode  durch  die  in 
archaischer  Kunst  gewöhnliche  Erscheinung,  dass  trotz  aller  Be- 
wegtheit der  Darstellung ,  die  Teilnahme  der  Figuren  an  den 
Enden    erlischt   und   dann   durch  eine   etwas  mehr  teilnehmende 

(i)  Klein,' Euphronios  S.  32.'  -   -     :  • 


zu   DEN    ATTISCHEN   KLEINMEISTERN  157 

Einzelfignr  wieder  aufgenommen  wird.  So  traten  im  Londoner  Bild 
die  Knappen  mit  Handpferden,  actionslos  selbst  wo  sie  angegriffen 
werden,  an  die  Stelle,  welche  ihnen  ein  langer  Gebrauch  typisch 
zugewiesen  hatte  ;  ähnliches  zeigen  die  Typenwiederholungen  bei 
der  Eberjagd  und  im  Chor  des  Minotaurosbildes.  Die  inneren 
Gründe  hierfür  habe  ich  an  anderer  Stelle  darzulegen  gesucht  ('). 
Eine  besondere  Begünstigung  brachte  in  unseren  Fällen  die  Länge 
des  Bildstreifens,  welche  das  Typenmaterial  des  Malers  sehr  in 
Anspruch  nahm,  so  dass  er  nicht  eine  ausreichende  Menge  feiner 
Varianten  an  sich  ähnlicher  Stellungen  aufzubieten  vermochte.  Zur 
Befriedigung  dieses  Bedürfnisses  des  langen,  niedren  Streifens  die- 
nen die  vier  um  die  Henkel  gruppirten  Sphingen  (-).  Dass  er 
diese  consequent  S  (t)  I  +  5  statt  5  0 1.A  +  S  schreibt  wird  sich  daraus 
erklären,  dass  Glaukytes  zu  der  immer  mehr  wachsenden  Reihe  der 
uns  bekannten,  in  Attika  arbeitenden,  Nichtattiker  gehört  (3).  Der 
Gebrauch  der  persönlich  redenden  Inschrift  mit  f/**'  oder  /if, 
welcher  in  der  rf.  Malerei  verschwindet  (^),  bietet  eine  Handhabe 
zur  chronologischen  Einordnung,  Er  teilt  ihn  mit  Exekias  und 
Nikosthenes  ebenso  wie  seine  Vorliebe  für  figurenreiche,,  epische 
Darstellungen  (^). 

Die  grosse  Schale  mit  figurenreicher  Decoration  der  Aussen- 
seite  verdankt,  wie  schon  mehrfach  erinnert  worden  ist  (^),  ihren 
Schmuck  orientalischen  Metallvorbildern.  Auf  welchem  Wege  dieser . 
Einfluss  vermittelt  wurde,  scheint  uns  die  Decorationsmethode  des 
Inneubildes  zu  verrathen.  Freilich  entbehren  diese  Schalen  meist 
eines  solchen,  allein  das  der  Berliner  ist  charakteristisch  genug. 
Es  ist  dort  kein  Versuch  gemacht,  das  ßund  durch  ein  für  diesen 
Raum  geschaffenes  Figurenschema  zu  füllen,  vielmehr  ist  durch 
eine  Basislinie  ein  Segment  abgeschnitten  worden,  welches  als 
selbständige  Fläche  durch  die  Hasenjagd  ornamentirt  ist,  während 
ein  Viergespann  en  face,  zu  dessen  Seiten  je  eine  kleine  nackte, 

(')  Troischer  Sagenkreis  S.  187,  10 ;  188,  11  u.  sonst. 

(2)  Ebenso  zeigt  die  rf.  Schale  Neapel  2614    den   bewegten  Typus  der 
Mitte  von  unbeteiligten  Figuren  umgeben,  abgeschlossen  mit  Sphingen. 
.  (3)  Arfldt,  Studien  zur  Vasenkunde,.  S.  123. 

{*)  Klein,  MS.  S.  13. 
:         (5)  Auch  kehrt  das  eingelegte  Weiss  an  der  Münchener  Schale  wieder. 

(6)  Klein,  Euphronios  S.  31. 


158  zu   DEN   ATTISCHEN   KLEINMEISTERN 

männliche  Figur  tritt,  die  obere  Hälfte  einnimmt,  das  Kund  nur 
durch  die  Figurenverkleinerungen  mühsam  überwindend. 

Dies  Verfahren,  schon  in  der  rhodischen  Kunst  gebräuchlich  (•), 
ist  stehend  in  der  kyrenischen  Schalenmalerei  {^).  Auch  tritt  schon 
dort  gerade  die  Hasenjagd  in  den  unteren  Kreisabschnitt.  Nun  ist 
für  diese  Gefässklasse  orientalischer  Einfluss  wahrscheinlich  ge- 
macht worden  {^).  Der  phönikische  Silberteller  des  Mus.  Kircheriano, 
M.  d.  I.  X.  31  welcher  ganz  dieselbe  Ornamentirungsart  zeigt,  be- 
stätigt dies.  Die  schwarzfiguren  Malerei  nimmt  dies  Verfahren  auf ; 
ich  erinnere  nur  an  Ga^.  arch.  1887  pl.  14, 1,  Brit.  Mus.  412  B  ('*) 
und  den  aus  Konstantinopel  Ftaramenden  Teller  im  Wiener  Industrie- 
museum (^).  Dass  es  sich  längere  Zeit  erhielt,  beweist  ein  flüchtig 
gemalter  Teller  in  Bologna  {^).  Freilich  hätte  die  compositioncUe 
Schwierigkeit  zur  selbständigen  Erfindung  führen  können,  mittels 
Anwendung  der  Sehne  eine  Basis  zu  gewinnen.  So  stellt  eine  rf. 
Schale  im  Museo  Civico  zu  Verona  eine  Liebesverfolgung  auf  eine 
breite  Basisborte,  aber  sie  lässt  den  Abschnitt  leer.  Die  schöne 
Ei-gotimos-Aristophanesschale  trägt  im  unteren  Abschnitt  nur  die 
Signatur.  Spätere  Schalen  erfüllen  ihn,  wie  El.  cer.  II,  V  und  VIT, 
mit  Terrainandeutung. 

Eine  genaue  Controle  unserer  Vermutung  scheint  somit  not- 
wendig. Wenden  wir  uns  daher  der  Vasenform  und  deren  Schöpfer 
Archikles  zu,  dem  Genossen  des  Glaukytes.  Dass  die  Herstellung 
der  Gefässe  sein  Hauptverdienst  war,  geht  nicht  nur  aus  der  Dop- 
pelsignatur der  Münchener  Schale  333  hervor,  sondern  auch  dar- 
aus, dass  Berlin  1761  und  die  Candelorischen  Fragmente  nur  den 
Namen  des  Archikles,  die  nolaner  Schale  des  Britischen  Museums 
nur  ein  Innenbild,  die  Castellanische  ausser  der  Inschrift  nur  zwei 

(')  z.  B.  Salzmann  53  (wiederholt  im  letzten  Heft  des  Ehein.  Mus.  mit 
verbesserter  Erklärung,  Kekulö)  49.  55.  54. 

(2)  z.  B.  A.  Z.  1881,  S.  227,  Tf.  XII,  XIII;  Overbeck  H.  G.  XXXI,  4; 
Urlichs  Beitr.  X. 

(3)  Puchstein,  Arch.  Zeit.  1881  S.  227. 

(*)  Oberhalb  der  bärtige,  leierspielende  Apollon  zwischen  zwei  Satyrn. 
Unten  Dionysos  mit  Trinkhorn  zwischen  zwei  Satyrn  gelagert. 

(5)  Oben  Herakles  mit  dem  Stier,  im  Feld  ßebzweige.  Unten  zwei  Fi- 
sche gegenständig. 

(^)  Oben  zweimal  die  Gruppe  eines  Mannes,  der  ein  Thier  anbinden 
will,  unten  vier  Figuren. 


Zu   DEN   ATTISCHEN   KLEINMEISTERN  159 

kleine  Thierbilder  trägt.  Stets  liefert  er  tiefe  Schalen  auf  hohem 
Fiiss.  Ihre  Eigenthümlichkeit  liegt  in  der  Dreiteiligkeit,  welche 
die  Schalenriindung,  einen  niedren  Seiten  streifen,  an  den  die  Henkel 
ansetzen,  und  den  Schalenrand  von  einander  abhebt.  Dies  entspricht 
abor  wieder  aufs  genaueste  der  Methode  der  kyrenischen  Schalen. 

Eine  Art  Prototyp  hierzu  glaube  ich  in,  einem  Gefäss  der 
Sammlung  der  Evang.  Schule  in  Smyrna  zu  erkennen.  Dieses  trägt 
auf  dem  Fuss  ein  ganz  flaches  Schalenrund,  an  welches  senkrecht 
ein  hoher  Rand  geradlinig  ansetzt.  Derselbe  ist  durch  eine  hori- 
zontale Linie  getheilt;  beide  Streifen  sind  getrennt  mit  abwechselnd 
verticalen  Streifen  und  geometrischen  Figuren  ornamentu't.  An  den 
unteren  Streifen  setzen  die  Henkel  an.  Dies  Gefäss  stammt  aber 
aus  Kypros,  darf  also  auf  ähnliche  Einflüsse,  wie  die  kyrenischen 
zurückgeführt  werden,  nämlich  auf  phönikische  oder  doch  durch 
Phöniker  vermittelte.  In  Kypros  würde  aber  der  Ausfall  des  Na- 
sals in  S  (J)  I  +  S  nicht  auffallen.  Selbstverständlich  ist  es  unstatthaft, 
bei  den  zahlreichen  Berührungen,  welche  vor  Alters  die  phöniki- 
sche Cultur  mit  der  hellenischen  innerhalb  und  ausserhalb  des 
Stammlandes  hatte,  und  bei  der  Verbreitung,  welche  die  erwähnte 
Decorationsmethode  nachweislich  in  Athen  gefunden  hat,  Vermu- 
tungen über  die  Herkunft  unserer  Meister  aufzustellen,  wohl  aber 
glaube  ich  für  die  ihres  Stils  aus  den  dargelegten  Beobachtungen 
Schlüsse  ziehen  zu  dürfen. 

Bei  Ueberwindung  der  compositionellen  Schwierigkeiten,  wel- 
che die  tektonische  Gliederung  des  Schalenrandes  unserer  Gefäss- 
gruppe  bietet,  schliessen  sich  Archikles  und  Glaukytes  noch  eng 
an  die  Decorationsprincipien  ihrer  Vorbilder  an.  Diese  bezeichnen 
durch  das  Verticalornament  (^)  die  zwischen  den  Henkeln  lie- 
gende Fläche  als  die  sog.  todte,  d.  h.  als  die  zu  bildlicher  Aus- 
schmückung geeignete.  Glaukytes  fühlt  sich  dadurch  an  die  aus- 
gesparte Bildfläche  der  Amphora  erinnert,  daher  sind  seine  stoff- 
lichen Vorlagen  meist  dem  Repertoire  der  grossen  Amphoren  mit 
langem  Streifen  entlehnt,  da  der,  im  Verhältniss  zur  Höhe  sehr 
lange,  Streifen  bei  der  Theilung  des  Schalenrundes  eine  Einschrän- 
kung durch  Augen  nicht  duldete.  Archikles  andrerseits  übernimmt 
von  der  kyrenischen   Schale    die   von   den  Henkeln    ausgehenden 

(»)  A.  Z.  1881,  X,  2 ;  Urlichs  Beiträge  X  u.  s.  w. 


160  zu   DEN    ATTISCHEN   KLEINMEISTERN 

Palmetten,  und  setzt  an  Stelle  des  Verticalornaments  einfach  Buch- 
staben und  erhält  so  das  denkbar  günstigste  Spruchband. 

Selten  verbindet  er  damit  ein  anspmchloses  lunenbild  (^). 
Der  Eeiter,  dessen  Ross  mit  Vorderbeinen  und  Schweif  in  das 
Schuppenornament  des  Randes  übergreift,  findet  zahlreiche  Analo- 
gien z.  B.  üdichs,  Beiträge  VII.  Sollte  der  Aussenseite  ausser  der 
Inschrift  bildlicher  Schmuck  verliehen  werden,  so  wird  der  obere 
Randstreifen  mit  einer  Thierfigur  versehen.  Es  ist  möglich,  dass  das 
Thierbild  durch  die  grossen,  figürlichen  Darstellungen  vom  Mittel- 
streif aus  dorthin  verdrängt  worden  ist,  wie  z.  B.  Gerhard  Trink- 
schalen II/III  zu  zeigen  scheint,  das  gleichsam  des  Glaukytes 
Manier  mit  der  des  Archikles  verbindet. 

So  selbstverständlich  diese  Decorationsmethode  erscheint,  so 
ist  sie  doch  keineswegs  allgemein  gefunden  worden. 

Das  Bewusstsein,  dass  der  Schalenrand  ursprünglich  ein 
Ganzes,  nur  durch  eine  Linie,  nicht  durch  eine  tektonische  Glie- 
derung geteilt  war,  war  wohl  der  Grund,  dass  man  die  Figuren 
durch  beide  Streifen  hindurch  zog.  Dies  zeigt  Polytechnion  3060 
an  einer  figurenreichen  Gruppe  C^);  eine  Schale  sorgfältigen  sf.  Stils 
von  gleicher  Form  im  Museo  Gregoriano  bei  einer  Einzelfigur,  die 
geflügelt,  umblickend  nach  rechts  eilt.  Dieselbe  Erscheinung,  bietet 
Polytechnion  2009  in  der  laufenden  Meduse  der  Aussenseite,  wäh- 
rend die  des  Mittelbildes  den  üebergang  vom  blossen  Medusen- 
haupt zur  ganzen  Figur,  zeigt.  Auch  die  Aussenseite  bietet  den 
üebergang,  indem  der  obere  Streifen  die  Sonderdecoration  von  zwei 
Fischen  zeigt.  Durch  einen  Kunstgriff  sucht  die  Londoner  Schale 
Blacas  VI  den  missglückten  Versuch  der  einen  Seite,  beide  Rand- 
streifen mit  vertical  durchgehenden  Figuren  zu  schmücken,  dadurch 
zu  verbessern,  dafs  sie  die  Figuren  liegend  auf  dem  oberen  Strei- 
fen unterbringt,  während  Kline  und  Esstisch  den  unteren  einnehmen. 
Diese  Beispiele  mögen  genügen  darzuthun,  wie  wenig  man  alige- 
mein die  Bedürfnisse  des  zu  decorirenden  Gefässes  verstand.  Xeno- 
kles,  der  sich  in  der  stilgerechten  bildlichen  Decoration  des  Ober- 
streifens und  Anwendung  des  Spruchbandes  im  unteren  mit  Ar- 
chikles triift  (3),  zeigt  im  Innenbild  die  gleiche   Unfähigkeit  wie 

(')  Brit.  Mus.  Blacas  XYl,  1,  2  aus  Nola. 

(2)  vgl.  Polytechnion  3966.  3716. 

(3)  Trinkschalen  I,  6,  Blacas  XIX. 


zu   DEN   ATTISCHEN   KLEINMEISTERN  161 

Glaukytes,  das  Rund  zu  füllen,  das  ihn  zur  Figui-enverkleinerung 
und  Verunstaltung  treibt  (')  und  ihn  die  Basislinie  beibehalten 
lässt. 

Zur  Beurtheilung  der  Darstellungsweise  des  Archikles  können 
die  Thierfiguren  einer  0,11  hohen  Schale  Augusto  Castellanis  (^), 
deren  Durchmesser  0,156  beti'ägt,  dienen,  welche  den  oberen  Rand- 
streif •  schmücken,  während  der  untere  zwischen  Palmetten  die  Si- 


M  O.ir    0»,'f' 


gnatur  A-KUE^:n^lESN  u.  A  •  KUES  :  P^l  ESN  trägt,  an  der 
die  wiederholte  Elision  des  E  in  der  Verbalendung  auffällt.  Die 
Darstellung  weidenden  Hochwilds,  schon  dem  geometrischen  Stil 
bekannt,  ist  besonders  heimisch  in  der  rhodischen  Malerei  und 
kehrt  bei  den  sog.  protokorinthischen  Gefässen  wieder  (^). 

Die  Thierfigur  unserer  Vasenklasse  hebt  sich  deutlich  ab 
durch  die  zierlich:-,  fast  übertriebene  Schlankheit  der  Extremitäten, 
die  Eleganz  der  Stellungen,  die  an  Erzeugnisse  eines  eigenartigen, 
manieiirten,  auf  spielende  Niedlichkeit  gerichteten  Stils  denken 
lassen  könnten  {*),  ja,  an  den  in  unserem  Stil  gehaltenen  Thier- 
figuren des  Exekias  fällt  ein  bestimmter  Gegensatz  zu  seinen  son- 
stigen kräftigen  Figuren  auf  (^).  Dass  diese  Behandlungs weise 
jedoch  einer  ganz  naturgemässen  Entwicklung  entspringt,  dass 
solche  scheinbare  Stilinconsequenzen  keineswegs  aus  der  Liebhaberei 
des  einzelnen  Malers  abzuleiten  sind,  sondern  sich  nach  ganz  be- 
stimmten, handwerklichen  Gesetzen  vollziehen,  unserem  Stilgefühl, 

(')  Overbeck,  Hcroengallerie  IX,  2. 

(2)  Klein  M.  S.  76,  3  aus  Caere. 

(3)  z.  B.  Syracus  Inv.  2409. 

•  {*)  vgl.  Neapel  2500 ;  Athen,  Polytechn.  704. 
(5)  vgl.  Wiener  A^orlegebl.  1888,  6. 


162  zu   DEN   ATTISCHEN   KLEINMEISTERN 

das  wir  von  der  Arbeitsweise  gewisser  Epochen  zu  haben  vermeinen, 
zum  Trotz,  mag  die  historische  Betrachtung  der  Entwickelung 
eines  solchen  Thierschemas  zeigen. 

Die  Amphora  im  Polytechnion  3749  zeigt  die  eigenthümliche 
Erfindung  eines  Hirsches  mit  hohem  Gabelgeweih,  der  den  Kopf 
zurückbiegend,  sich  mit  dem  Hinter-huf  an  der  Schnauze  reibt. 
Auf  grosser  Malfläche  steht  er  in  kräftiger,  breiter  Ausführung. 
Dieses  Schema  wird  auf  das  Schalenrund  übertragen,  wobei  die 
Vorderfüsse  aus  Kaummangel  verkrüppeln.  Noch  ist  die  Zeichnung 
von  alter  Breite,  wie  Brit.  Mus.  sec.  vase-room  case  20  (1885) 
Blacas  VI  zeigt.  Die  Schale  wird  kleiner,  mit  ihr  die  Thierfigur, 
das  Schema  bleibt  in  allen  Einzelnheiten  gleich,  aber  eben  deshalb 
werden  diese  zierlicher  und  feiner  vgl.  Blacas,  XVI,  4.  Die  letzte 
Phase  der  Entwickelung  giebt  die  noch  kleinere  Schale  Louvre 
3251,  wo  die  Extremitäten  zur  äussersten  Dünne  gelangt  sind. 
Welcher  Contrast  hier  zwischen  Zierlichkeit  der  Ausführung  und 
Ungeschick  der  Composition :  das  Schema  erbt  fort,  aber  das  Ge- 
fäss  erzwingt  in  der  Zeichnung  einen  seinen  Verhältnissen  ange- 
passten  Stil. 

Für  gleichfalls  technisch,  nicht  stilistisch  bedingt,  halte  ich 
eine  zweite  Erscheinung,  welche  durch  die  sf.  Amphora  Museo 
Gregoriano  IX  mit  der  soeben  besprochenen  Stilgattung  verbunden 
wird.  Dort  erscheint  die  Gruppe  von  zwei  Panthern  ('),  welche  ein 
ganz  im  Stile  unserer  Schalen  gehaltenes  Reh  zerreissen,  neben 
einem  Bauchbild,  dessen  Eiguren  die  übertrieben  schlanken  Pro- 
portionen zeigen,  welche  man  als  stilistische  Eigenthümlichkeit 
einer  späten,  Altes  imitirenden  Kunstübung  anzusehen  geneigt  ist. 
Nun  hat  schon  Brunn  Probleme  S.  125  mit  Recht  darauf  hinge- 
wiesen, dass  mit  dem  Hals  der  Grabvasen  die  Figuren  wachsen. 
Wir  können  dies  jetzt  für  alle  Prothesisvasen  aussprechen,  welche 
nach  Art  der  Marmoramphoren  und  Lekythen  mit  langgezogenem 
Hals  und  Henkel,  monumental  wirken  sollen.  Dies  zeigt  gut  sf. 
Polytechnion  6  u.  84 ;  streng  rf.  Polytechn.  663,  Berlin  2372; 
später  Polytechn.  1316;  ganz  spät  Polyt.  3022  u.  24.  Somit  ist 
diese  Beobachtung  auf  die  ganze  Vasenmalerei  zu  verallgemeinern, 

(*)  Zahmes  Hochwild  von  stilisirten  Raubthieren  zerrissen  gibt  z.  B.  ein 
etwa  0,30  D.  haltende  Schale  des  Louvre,  ferner  Polytechnion  965, 


zu   DEN    ATTISCHEN   KLEmMEISTERN  163 

ja  schon  in  dem  Gegensatz  bestätigt,  welchen  im  geometrischen 
Stil  die  am  schlanken  Hals  gestreckten  Vögel  zu  den  gedrungenen 
des  Fusses  bilden  ('). 

Wo  diese  Dehnung  bis  zur  vollen  Unmöglichkeit  stattfindet, 
wie  an  den  immer  wachsenden  Untersätzen  z.  B.  Polytechnion  1386 
wird  man  ohne  weiteres  einen  äusseren  Anlass  als  massgebend 
zugestehn.  Anders  bei  unsern  Gefässen,  die  sich  meist  durch  sehr 
sorgsame  Ausführung  auszeichnen.  Und  doch  ist  hier  derselbe  Vor- 
gang feszustellen.  Meist  sind  es  Amphoren,  deren  einzelne  Teile 
eine  grosse  Ausdehnung  gewonnen  haben  z.  B.  Würzburg  306,  338  (2), 
München  156,  610,  vorzugsweise  Amphoren  ohne  markirten  Hals- 
absatz, wie  München  74,  79,  316,  696,  ferner  ins  Schlanke  dif- 
ferenzirte,  sog.  Peliken,  wofür  die  Sammlung  in  Florenz  zwei,  die 
zu  Bologna  ein  Beispiel  giebt,  bei  denen  gleichfalls  die  Figuren 
auf  den  Hals  übergreifen.  Wir  dürfen  uns  also  bei  unseren  Thier- 
figuren  weder  durch  ihre  Verbindung  mit  den  sog.  langgezogenen 
Figuren  noch  durch  ihre  Zierlichkeit  abhalten  lassen,  sie  an  das 
Ende  der  archaischen,  schwarzfigurigen  Malerei  zu  stellen,  viel- 
mehr ihre  Abweichung  vom  Ueblichen  als  handwerklich  bedingt 
erkennen.  Dies  bestätigt  die  Verbindung,  in  welche  Thierfiguren 
unseres  Stils  mit  denen  des  Exekias  treten.  Dass  dieser  auch  der 
Decorationsweise  nach  mit  Archikles  eng  verbunden  ist  zeigt  z.  B. 
Polytechn.  3757.  Seine  kunstgeschichtliche  Stellung  habe  ich  an 
anderer  Stelle  darzulegen  gesucht. 

Eine  noch  genauere  Datierung  des  Archikles  kann  uns  seine 
nahe  Verwandtschaft  mit  Tleson  verschaffen. 

Um  diesen  selbst  kunstgeschichtlich  genauer  bestimmen  zu 
können,  möchte  ich  ein  Gefäss  heranziehen,  welches  schon  Heyde- 
mann  in  seinem  Neapler  Vasenkatalog  N.  2627  ihm  zuteilte,  während 
Klein  im  Euphronios  S.  104  und  den  Meistersignaturen  S.  75 
Anm.  dies  ablehnte.  Da,  wie  Herr  Prof.  Klein  so  freundlich  war 
mir  brieflich  mitzutheilen,  lediglich  die  "  Sinnlosigkeit »  der  Buch- 
staben seine  Ansicht  bestimmt  hat,  so  glaube  ich  das  Gefäss, 
von  dessen  Zeichnung  mir  freundlichst  gestattet  wurde  eine  Durch- 
zeichnung zu  nehmen,   erneuter  Prüfung  unterbreiten  zu  dürfen. 

(1)  z.  B.  Stackeiberg,  Gräber  IX,  1.    . 
(«)  vgl.  bes.  Urlichs  Beitr.  Tf.  V, 


164 


Zü   DEN   ATTISCHEN   KLEINMEISTERN 


In  der  That  ist  die  Inschrift  nicht  ohne  Mängel,  doch  ist 
T  U  E  5  O  N  wie  E  P  O I E  5  E  N ,  wie  ich  glaube,  mit  voller  Sicher- 
heit zu  lesen.  Von  dem  üblichen  HONEAPXO  könnten  die 
beiden  ersten  Buchstaben  gemeint,  bez.  leicht  verschrieben  sein. 
Das  N  des  Anfangs  des  Patronyms  und  das  O  der  Endung  ist 
in  Ordnung,  die  Mitte  des  Namens  freilich  sehr  verstümmelt. 
Wenn  wir  aber  sehen,  dass  auf  Schale   2532  derselben  Samm- 


lung neben  der  correcten  Signatur  der  Gegenseite  NEAPAPXO 
und  auf  der  0,165  hohen,  0,195  im  Durchmesser  haltenden  Schale 
des  Mus.  Greg.  T"AjNHONEAP  geschrieben  ist  ('),  so.  wer- 
den wir  um  so  weniger  ein  ähnliches  Versehen  in  der  Schrei- 
bung unserer  Signatur  abweisen,  als  z.  B.  die  bei  Tleson  häufige  f 
ähnliche  Bildung  des  P  im  Verbum  wiederkehrt  {-).  Eine  so  ge- 
naue Kenntniss  der  Schreibweise  —  läge  sp.ä,tere  Aufschrift  vor —- 


(')  vgl.  München  V.  Tf.  in,  7. 

(2)  vgl.  u.  a.  Sammlung  Bourguignon  D.  0,22  ;  A.  Hahn,  B.  H^nne. 


zu    DEN    ATTISCHEN    KLEINMEISTERN  1G5 

hätte  sich  nicht  mit  dem  Fehler  im  Patronym  verbunden ;  auch 
hätte  zur  Zeit  des  Bekanntwerdens  dieser  Schale  Niemand  gewagt, 
den  Namen  des  Tleson  mit  einem  rf.  Bilde  des  Stils  unserer 
Schale  zu  verbinden. 

Der  Stil  verweist  uns  mit  Bestimmtheit  in  den  sog.  Epikte- 
tischen Kreis,  dem  laufende,  unbekleidete  Jünglinge  in  ßücken- 
ansicht  zu  geläufig  sind,  als  dass  es  der  Anführung  von  Bei- 
spielen bedürfte. 

Somit  wird  ein  neues  Band  geknüpft,  welches  uns  erlaubt, 
Tleson,  und  somit  auch  seinen  Bruder,  mit  den  Führern  der  roth- 
figurigen  Schalenmalerei  zu  verknüpfen,  ihn  etwa  Nikosthenes  zu 
coordiniren  ('). 

Archikles  steht  ihnen  stilistisch  sehr  nahe ;  an  ihn  knüpft 
sich  die  Schale  mit  Spruchband,  sei  es  Künstlerinschrift,  sei  es 
ein  Liebesgruss,  oder  ein  guter  Wunsch  zum  Trunk,  schliesslich 
selbst  eine  sinnlose  Buchstabenreihe,  welche  den  Schmuck  des 
Gcfässes  ausmacht. 

Glaukytes,  dessen  Compositionsweise  auf  etwas  frühere  Kunst- 
übung ebenso  wie  seine  redenden  Inschriften  hinzuweisen  scheint, 
wird  sein  älterer  Genosse  gewesen  sein. 

Arthur  Schneider. 


(1)  Bolte,  de  mon.fid  Odysseam  pert.  p.  57  setzt  Nikosthenes  noch  nach 
den  Perserkriegen  an. 


BßONZI  DI  EPIDAUEO 


Sul  principio  dell'anno  scorso  ebbi  occasione  di  vedere  in  Roma 
alcuni  bronzi  di  proprietä  privata,  interessanti  non  soltanto  per  lo 
stile,  ma  specialmente  perche  si  dissero  scavati  in  Grecia,  nel  suolo 
dell'antico  Epidauro.  Mi  fu  permesso  dal  possessore,  per  gentile  me- 
diazione  del  eh.  Heibig,  di  farne  prendere  fotografie  riprodotte  qui 
appresso  in  zinco.  Ora  fanno  parte  della  collezione  del  conte  Michele 
Tyskiewicz  a  Parigi ;  due  di  essi  furono  mostrati  dall'Helbig  all' Acca- 
demia  dei  Lincei  nelle  sedute  del  22  gennaio  e  19  febbraio  1888  con 
poche  parole  le  quali  non  rendono  superflua  una  nuova  discussione. 

La  piü  arcaica  (') 
delle  tre  figurine  mo- 
stra  un  tipo  piü  ita- 
lico  che  greco.  II  la- 
voro  assai  grossolano 
rammenta  i  noti  grup^ 
pi  delle  eiste  prene- 
stine  e  le  Statuette 
poste  in  cima  di  can- 
delabri  etruschi.  E 
fiior  di  dubbio  del  re- 
sto,  che  anche  la  no- 
stra  figurina  apparte- 
neva  a  qualche  arne- 
se,perciocche  ha  posto 
i  piedi  sulle  due  estre- 
mitä  d'un  bastone  bi- 
lorcato.  Anche  i  chio- 
di  ribaditi,  i  cui  avanzi 
sono  rimasti  nelle  ma- 
ni  distese,  sembrano 
accennare  che  la  figu- 


(')  AUezza  0,115. 


BRONZI   DI   EPIDAÜRO  167 

ra  fosse  attaccata  con  la  concavitä  che  si  osserva  nella  parte  infe- 
riore del  lato  dinanzi  alla  pancia  di  un  bacile  rotondo:  con  la 
parte  superiore  sovrastava  all'orlo,  mentre  con  le  mani  reggevasi 
al  margine  stesso.  II  bastone  siiddetto  poi  accenna  ad  un  tripode 
di  bronzo  corae  p.  e.  Mus.  Greg.  I  tav.  56.  La  figura  e  muliebre ; 
il  suo  abito  consiste  in  una  tunica  lunga,  che  perö  non  cuopre  i 
piedi,  ed  una  giubba  a  maniche  corte  senza  cintura.  I  capelli 
spartiti  nel  mezzo  sono  quasi  interamente  coperti  da  una  specie 
di  cuffia  che  finisce  in  un  pizzo  ripiegato.  Tali  cuffie  ci  sono 
note  principalmente  dal  costume  etrusco;  ma  l'Helbig  (')  ha  di- 
mostrato,  che  erano  portate  da  tutti  i  popoli  del  mediterraneo 
come  segno  d'uomo  libero.  Anche  la  giubba  trova  le  sue  analogie 
fra  i  raonumenti  etruschi,  benche  non  me  ne  sia  noto  un  esempio 
del  tutto  corrispondente.  Neanche  il  volto  della  figura  ha  alcun 
che  di  greco ;  gli  occhi  grandi  e  spalancati,  la  forma  barbarica  del 
naso,  la  bocca  senza  grazia  con  le  labbra^, grosse  e  volgari,  tutto  ciö 
e  estraneo  ai  tipi  greci  anche  del  periodo  arcaico.  Dunque,  se  dav- 
vero  il  bronzo  viene  da  Epidauro  {^),  abbiamo  un  nuovo  prodotto 
di  arte  italica  proveniente  dal  suolo  greco  e  che  richiama  alla  me- 
moria p.  e.  il  satiro  di  Dodona  (3). 

La  seconda  statuetta  (^),  benche  anche  essa  lavorata  in  uno 
Stile  assai  trascurato,  rivela  al  primo  sguardo  la  fabbrica  pelopon- 
nesiaca.  Un  guerriero  ignudo  procede  a  grande  passo ;  la  mano  si- 
nistra  protesa  teneva  uno  scudo  ora  mancante ;  manca  ßure  l'arma 
brandita  dalla  d.  con  parte  delle  dita :  credo  che  fosse  un'  asta, 
perchö  una  spada  o  una  clava  richiederebbe  un'altra  posizione  del 
cubito  e  della  mano  {^).  La  forma  quasi  quadrata  della  testa  e 
molto  caratteristica ;  i  capelli  corti  sono  cinti  da  una  benda,  la 
barba  che  consiste  tutta   di  piccoli  ricciolini,   segue  talmente  le 


(1)  Über  den  Pileus  der^  alten  Italiker.  Sitzungsber.  d.  bayer.  Akad. 
d.   Wissensch.  1880,  p.  527  ss.  Homer.  Epos^  p.  221  ss. 

(*)  Cosi  disse  il  mercante  Ateniese  dal  quäle  lo  comprö  il  conte  Tys- 
kiewicz ;  ma  nessuno  s'illude  sul  valore  di  simili  asserzioni. 

(3)  Gaz.  archiol.  1877,  pl.  20;  trattato   dal  Brunn,  Certosa,  p.  5  seg. 

(4)  Altezza  0,17.  Cf.  Atti  dei  Lincei  1888,  p.  59. 

(5)  Certamente  la  mossa  h  simile  a  quella  notissima  di  Ercole  (cf.  Koscher 
Lexicon  p.  2141),  ma  tutto  il  tipo  del  viso  e  della  figura  non  meno  che  la 
lancia  da  noi  supposta  proibiscono  di  ravvisarvelo. 


168 


BRONZI    DI   EPIDAURO 


forme  del  mento  e  delle  guance,  che  al  primo  sguardo  non  com- 
parisce  affatto.  La  tigura  sta  sur  una  lastra  di  forma  irregolare 
destinata   ad  esser  incastrata  in  un'altra  lastra   sia  di  mia  base 


piü  regolare,  sia  di  qualche  arnese.  A  tale  scopo  ha  servito  un  biico 
tondo  fra  i  piedi  del  guerriero;  fatto  prima  che  s'incidesse  l'iscrizione 


^^^T^ 
^^/O 


percbe  le  lettere  *  e  c  del  nome  proprio  sarebbero  piü  awicinate 
se  non  l'avesse  impedito  il  buco.giä  esistente.   Le  lettere  ineise 


BRONZI    DI    EPIDAURO  169 

a  colpi  leggieri  d'un  istrumento  aguzzo  mostrano  forme  molto  antiche, 
La  c  e  composta  di  tre  linee ;  la  /f  ha  gli  angoli  acuti ;  lo  spirito  aspro 
e  espresso  nella  scrittnra ;  vi  e  anche  il  vau.  II  dialetto  del  nome 
proprio  'YßgfCTag  (')  e  dorico,  ed  e  quelle  di  un  corsaro  lacedemo- 
iiio  (2) ;  il  nostro  bronzo  dunque  potrebbe  credersi  opera  d'un  artista 
lacedemonio.  Che  non  e  di  Epidauro,  lo  dimostra  la  FI  con  le  aste 
verticali  di  uguale  lunghezza,  forma  estranea,  a  quanto  pare,  all'alfa- 
beto  argolico :  l'hanno  soltanto  le  iscrizioni  d'  un  tempo  molto  piü 
recente ;  tutte  le  altre  hanno  P ,  anche  quella  del  cuoco  Callistrato  (^), 
la  piii  antica  di  tutte,  sebbene  piü  recente  del  nostro  bronzo.  D'altra 
parte,  siecome  gli  antichissimi  monumenti  laconici  (^)  hanno  lo 
spirito  aspro  fra  due  vocali  invece  dell'  ü  regolare  o  del  vau  degli 
altri  dialetti,  cosi  dovremmo  aspettare  sTiofrJ  ossia  (come  in  qualche 
iscrizione  argolica)  inoifr^e.  E  perciö  dalla  fonna  delle  lettere  e 
dal  dialetto  non  si  puö  dedurre  altro  che  la  provenienza  dorica. 
La  superficie  e  piuttosto  ben  conservata;*i  numerosi  buchi  hanno  l'ap- 
parenza  d'essersi  formati  depo  il  getto,  per  rottura  di  qualche  boUa. 
La  testa  mostra  il  tipo  quasi  quadrato  generalmente  chiamato  pelo- 
ponnesiaco;  ma  in  ispecial  modo  somiglia  alle  teste  dei  frontoni 
d' Olimpia,  p.  es.  ai  cosidetti  Apolline  e  Cladeo:  non  solamente 
l'acconciatura  dei  capelli  e  la  stessa,  ma  rassomiglia  anche  il  trat- 
tamento  un  po'  mollicello  del  viso.  Perö  e  chiaro  che  il  bronzo 
dev'essere  molto  piü  antico  di  quei  frontoni:  le  forme  schematiche 
del  petto  e  del  ventre,  a  parer  mio,  non  trovano  analogia  che  fra 
i  vasi  a  figure  rosse  dello  stile  severo,  al  quäle  paragone  non  con- 
tradice  il  lavoro  meno  cattivo  delle  gambe  e  delle  braccia.  Pos- 
siamo  dunque  assegnarlo  all'epoca  di  quello  stile,  vale  a  dire  alla 
metä  0  alla  fine  del  sesto  secolo. 


(1)  Lo  Heibig  (1.  c.)  legge  'YßQiaaTcis ;  ma  la  traccia  leggiera  che  egli 
prende  per  l'avanzo  deU'A,  non  e  che  una  lesione  accidentale  della  superficie. 

(*)  Liv.  37. 13.  Infestum  id  [sc.  Cephalleniam}  latrocinio  Lacedaemonius 
Ilybristas  cum  iuventute  Gephallenum  faciebat,  clausumque  iam  mare  com- 
meatibus  Italicis  erat.  Un  Variante  dello  stesso  nome, '  YßQearag ,  b  ovvia  in 
iscrizioni  tessaliche,  v.  Athen.  Mitth.  1882  p.  67  (iscr.  di  Larisa) ;  ib.  1883 
p.  103  (Phalanna),  p.  124  n.  54  (Larisa). 

(3)  'Eiprjfiegis  uQx^ioXoyix^  1885,  p.  198,  n.  101.  Kirchhoff  Alphabet*, 
p.  161. 

{*)  V.  Röhl  Inscr.  antiquissimae  n.  79.  80.  88.  85-88. 

12 


170 


BRONZI   DI    EPIDAURO 


La  terza  figurina  (i),  un  Satiro  ignudo  e  barbato,  ci  conduce 
in  un  altro  periodo  dell'arte.  Sta  in  piedi  con  gamba  destra  posta 
in  dietro,  col  braccio  sin.  appoggiato  al  fianco.  II  braccio  d.  e  alzato, 
come  per  esprimere  Testrema  meraviglia.  Non  e  chiara,  dal  tronco 
del  braccio,  la  movenza  della  mano  destra,  dalla  quäle  pui-e  dipende 
il  giudizio  suU'espressione  dell'intera  figiira.  Lo  Heibig  dubita,  se  il 
Satiro  si  prepari  a  ballare  ovvero  versi  da  un  supposto  vasetto  il 
liquore  nella  bocca  d'  una  pantera,  che  sarebbe  stata  aggiunta  suUa 
base  ora  mancante. 


Altre  probabilitä  ed  altre  supposizioni  ancora  potrebbero  farsi. 
L'affinitä  generale  col  celebre  Satiro  di  Mirone  e  il  solo  piinto  si- 
curo.  Ma  questo  tipo  nei  tempi  posteriori  ha  servito  per  esprimere 
azioni  assai  differenti.  E  giusta  l'osservaziono  del  Furtwaengler  (-) 
che  tanto  l'Atteone  del  Museo  Britannico  (^),  quanto  la  statuetta 
berlinese  d'un  Satiro  che  si  difende  contro  un  qualsiasi  nemico  sono 

(1)  Altezza  0,115.  V.  Atti  dei  Lincei  1888,  p.  166. 

(2)  Der  Satyr  aus  Pergamon  p.  8  s. 

(3)  Anc.  Marbl.  II  45.  Friederichs-Wolters  n.  457. 


BRONZI   DI   EPIDAÜRO  171 

deriyati  dallo  stesso  tipo.  Ad  essi  possiamo  aggiungere  una  serie 
di  pitture  vascolari,  rappresentanti  il  litorno  di  Proserpina  o,  se- 
condo  una  spiegazione  recente,  l'origine  d'una  fönte  (*).  Tutti  questi 
raoniimenti  esprimono  lo  stupore  e  lo  spavento  prodotti  da  un'  appa- 
rizione  improvvisa.  Non  ballano  (2)  i  Satiii,  ed  il  movimento  natu- 
rale solo  domina  nelle  loro  membra.  Airincontro  la  mossa  del  Satiro 
di  Epidauro  e  molto  piü  tranquilla :  facendo  un  piccolo  passo  indietro, 
egli  sembra  piü  attento  che  attonito.  E  daU'attenzione  mi  pare  che 
sia  prodotta  anche  l'azione  del  braccio  destro :  per  osseryare  atten- 
tamente  egli  alza  la  mano  sopra  le  ciglia  riparando  gli  occhi  dall' In- 
fluenza immediata  della  luce  —  unoüxoTisvfi.  Quanto  a  ciö  che  at- 
tira  la  sua  attenzione  sarebbe  inutile  perdersi  in  futili  congetture.  II 
lavoro  della  figura  non  e  molto  grazioso;  perö  possiamo  assegnarla 
ancora  all'epoca  ellenistica. 

Evvi  finalmente  fra  i  bronzi  del  conte  Tyskiewicz,  un  fram- 
mento  d'una  corazza,  la  parte  inferiore  cioe  della  metä  destra  d'  una 
pettabotta.  SuU'orlo  ripiegato  al  disotto  e  incisa  l'iscrizione  seguente 


'^  b 


\ 


^^  ^^K^An^ 


vale  a  dire  6  Seiva  ävs'JO^rjxs  Ji  Kqoviwvi  . . .  Era  poetica  senza 
dubbio,  e  stando  all'interpunzione  dopo  ^exs,  questa  era  la  fine 
d'  im  esaraetro  e  Jl  Kqoviwn  il  principio  del  pentametro  o  d'un 
secondo  esametro: 

—  uy  —  uu  —  wo  —  uo  ^ —  dvsO-rjxe 

Jl  Kqovicovi  o oü  —  [jSexärrjvJ^ 

La  scrittm-a,  priva  di  carattere  locale,  e  del  principio  del  se- 
colo  quinto ;  era  un  voto  come  p.  e.  l'elmo  di  Gerone  {^). 
Berlino. 

CORRADO   WeRNICKE. 

(1)  V.  Annali  dell'Ist.  1884,  tav.  d'agg.  M.  N.  p.  205  ss.  (Froehner).  Robert, 
Archaeol.  Maerchen  p.  179  ss.  tav.  II-V. 

(2)  Neanche  al  suono  del  flauto,  come  vuole  il  Petersen,  Arch.  Zeit.  1880, 
p.  25,  il  flauto  essendo  giä  gettato  al  suolo ;  poi  non  si  balla  cosi  barcollando 
indietro. 

(3;  Roehl,  1.  c,  n.  510. 


MISCELLANEA  EPIGRAPICA        * 


I. 


La  tessera  gladiatoria  pubblicata  dal  nostro  Gatti  iiel  Bul- 
lettino  comunale  del  1887  p.  188  : 

MODERATVS 

LVCCEI 
SPIIINON-OCT 
LMINIC-L-PLOTIO 

recentemente  e  entrata  nel  museo  Britannico,  e  la  comunicazione 
gentilissima  che  me  ne  fece  il  sig.  Miirray  mi  fu  occasione  di 
studiarla  di  nuovo.  Ricorderö  con  brevi  parole  ciö  che  fu  giä 
esposto  ottimamente  dal  Gatti,  non  per  contradirlo,  ma  per  ag- 
giungervi  un  supplemento. 

Egli  la  giudica  deH'anno  88.  Gli  ordinari  di  questo  anno 
furono  l'imperatore  Domiziano  per  la  quartadecima  volta  ed  un 
Minucio  Rufo.  II  prenome  di  questo  e  contrastato ;  Lucio  lo  chiama 
Censorino ;  la  pietra  urbana  C.  VI,  541  e  di  lezione  dubbia  (L  •  C 
Marini,  Q_Hübner);  il  frammento  Arvalico  C.  VI,  2065,  ii  65 
del  15  Apr.  88,  disgraziatamente  perduto,  nominando  i  consoli  del 
primo  quadrimestre  di  questo  anno  probabilmente  lo  nominö  pure 
ed  in  primo  luogo,  e  l'avanzo  che  fu  copiato  cosi:  LV|  avrä  dato 
come  pare  piuttosto  L  •  m|.  II  secondo  console,  se  pure  questa  tessera 
appartiene  all' anno  indicato,  viene  nominato  nel  medesimo  fram- 
mento Arvalico  sotto  il  15  Aprile;  il  prenome  che  vi  manca  per 
essere  rotta  la  tavola,  ora  viene  supplito  dalla  tessera  nostra. 

Tutto  questo  fu  esposto  dal  Gatti  assai  bene,  ed  io  non  m'op- 
pongo.  Resta  perö  una  difficoltä  abbastanza  seria. 

La  tessera  poteva  nominare  o  i  consoli  del  primo  gennaio  o 
quelli  in  esercizio;  in  questa  epoca  di  transizione  e  l'uno  e  l'altro  puö 


MISCELLANEA   EPIGRAFICA  173 

ammettersi  con  nguale  probabilitä.  Ma  la  seconda  eveutualitä  rimane 
esclusa  per  la  data  del  5  Ottobre,  essendo  certissimo  che  Plotio 
Gripo  era  in  carica  il  15  Aprile  88,  ne  potendosi  ammettere,  in 
questa  epoca  dei  nundini  consolari  quadrimestri  {Staatsrecht  2^ 
p.  85),  che  gli  istessi  consoli  siano  stati  in  carica  al  15  Aprile  ed  al 
5  Ottobre.  Ordinario  di  questo  anno  e  bensi  Minicio,  ma  non  Plotio. 
Dunque  di  due  cose  l'una :  o  si  tratta  di  consoli  suffetti  scono- 
sciuti  affatto,  e  la  tessera  non  appartiene  all'anno  88 ;  o,  se  vi  ap- 
partiene,  e  scritta  dopo  la  catastrofe  di  Domiziano  e  dovendosi 
sopprimerne  il  nome,  ciö  si  fece  in  guisa  che  se  gli  sostitui  il 
successore  nei  fasci,  quasi  come  ordinario.  Similmente  nel  celebre 
bronzo  sardo  C.  I.  L.  X,  7852  al  15  Marzo  si  appose  la  data  ne 
secondo  i  consoli  in  carica  a  quel  giorno,  ne  secondo  il  corfsole 
del  1  Gennaio,  l'imperatore  Galba,  ma  invece  di  lui  si  nominö  il 
prossimo  successore  imp.  Othone  Caesare  Aug.  III. 

Se  questa  spiegazione  e  la  vera,  come  lo  credo,  ne  ricaveremo, 
che  le  tessere  gladiatorie  potevano  incidersi  parecchi  anni  dopo  la 
data  che  portano;  che  alcune  nominano  giomi  interregnali  colla  data 
del  console  entrante  dopo  l'interreguo,  Tho  giä  osservato  altrove  {Her- 
mes 21,  275) 

IL 

ün  vasetto  di  terra  cotta  rossa,  di  provenienza  incerta,  acqui- 
stato  anni  sono  dal  museo  Britann ico  da  un  certo  Doubleday  nego- 
ziante  di  anticaglie  londinese,  ma  esposto  soltanto  recentemente,  porta 
sulla  pancia  la  seguenie  iscrizione  tracciata  con  punta  acuta  prima 
della  cottura : 


v:^- 


fTMfJv\C)\\^E 


174  MISCELLANEA   EPIGRAFICA 

li'autenticitä  della  iscrizione  e  indubitabile.  Le  lettere  sono  le 
sollte  deU'impero,  inclinanti  ad  angolo  acuto  perche  l'argilla  meglio 
vi  si  presta. 

L'interpretazione  in  gran  parte  e  arbitraria,  tanto  piü  che 
l'ultima  riga  mostra  ad  evidenza,  che  vi  e  corso  anche  errore ; 
Chi  vi  omise  l'A  avanti  il  numero  o  lo  cambiö  in  X  e  scrisse 
QVIXIT  in  luogo  di  QVI  VIXIT,  ha  probabilmente  pure  storpiato 
la  terza  riga.  Tuttavia  m'azzardo  di  proporre  la  lezione  seguente: 
I){is)  m{anibus)  et  memoriae  piae  d\_e]d{icata)  Ulp{i)  Balbi[ß\i 
Sditis  (?)  s{u2')ra)  s{cripti)  —  ossia  8{criptae)  —  conl{iberti)  vic- 
tim{a)  ord{inaria)  —  ossia  vicim{is)  ord{i?iariis)  —  rä{e)  expia- 
t{is).  Q\ui^  vixit  [«.]  XXXX  Villi.  Pare  che  lo  scrittore  si  rife- 
risca  ad  altra  urna  giä  coUocata  prossima  a  questa.  Vexpiatio  sarä 
ciö  che  Cicerone  {de  leg.  2,  22,  57)  chiama  iusta  facta  et  porcus 
eaesus.  Non  conosco  monumenti  simili. 

Th.  Mommsen. 


IL  CESTO  DEl  PüGILI  ANTICHI. 


Non  sono  rari  i  monumenti  antichi  riferibili  al  pugilato,  sia 
che  rappresentino  la  lotta  stessa,  sia  singoli  atleti  prima  o  dopo 
il  combattimento.  Ma  la  maggior  parte  di  questi  monumenti  — 
vasi  dipinti,  specchi,  lucerne  di  terracotta  —  sebbene  ci  danno 
un'idea  abbastanza  chiara  del  modo  di  combattere,  non  perö  fanno 
conoscere  un  particolare  interessante,  l'armatura  delle  braccia  col 
cesto,  essende  o  di  dimensioni  troppo  piccole,  o  di  esecuzione  tra- 
scurata.  Ne  piü  ci  giovano  per  questi  particolari  i  rilievi  dei  sar- 
cofagi,  sui  quali  sono  raffigurati  dei  pugili,  talvolta  sotto  la  forma  di 
eroti.  Le  statue  poi  che  rappresentano,  o  si  credono  rappresentare 
atleti  di  tal  genere,  per  la  maggior  parte  mancano  di  autenticitä, 
essende  in  quasi  tutti  le  braccia  con  il  cesto  di  ristauro  moderne  ('). 
Fra  le  opere  conservateci  nell'origiDale  aveva  il  primo  posto  il 
celebre  rilievo  Lateranense  (Benndorf  e  Schoene  p.  8  n.  13),  chia- 


(*)  Cosi  sono  interamente  moderne  le  braccia  di  due  statue  del  Louvre 
(Clarac  tav.  270  n.  2187 ;  tav.  327  n.  2042),  di  due  conservate  a  Londra, 
Lansdowne  House  (l'una  Michaelis  ancient  marbles  in  Great  Britain  438,  3  = 
Clarac  tav.  851  n.  2180  A;  l'altra  ivi  446,  37  =  Clarac  tav.  856  n.  2180  ;  Cava- 
ceppi  raccolta  1,21)  ed  una  di  Dresda  (Augusteum  190  =  Clarac  tav.  858 
n.  2181) ;  e  lo  erano  pure  quelle  di  una  statua  in  basalto  nero,  conservata  giä 
alla  villa  Negroni  (Guattani  mon.  ant.  1788  tav.  I),  passata  poi  nella  colle- 
zione  del  conte  Fries  a  Vienna  (Clarac  tav.  856  n.  2182),  la  quäle  ignoro 
ove  attualmente  esista.  I  cesti  sono  conservati  soltanto  in  parte  (v.  p.  180)  nella 
statua  giä  nel  palazzo  Gentili,  ora  del  Drago  (Clarac  tav.  858  D  n.  2187 ; 
Matz  e  Duhn  antike  Bildwerke  in  Rom  n.  1097).  Questi  ristauri  moderni 
(cf.  anche  Clarac  11.  cc.)  sono  ritenuti  come  autentici  anche  in  opere  recenti. 
Pare  servisse  di  modello  a  quasi  tutti  la  incisione  del  rilievo  Lateranense  data 
dal  Du  Choul,  De' bagni  ed  esercitii  dei  antichi  (Lione  1559)  p.  34  (ripetula 
dal  Fabretti  col.  Trai.  p.  260  e  dal  Montfaucon  nnt.  expl.  toni.  III,  2  p.  169). 


176  IL    CESTO   DEI   PUGILI   ANTICHI 

mato  giä  «  Darete  ed  Eatello  » .  Oltracciö  alcuni  disegni  secondo 
original!  ora  parduti  si  trovano  nell'opera  di  ßaffaele  Fabretti 
de  columna  Traiana  (Roma  1683,  j).  261);  ma  qiieste  iucisioni  in 
legno,  le  quali,  nonostante  la  rozzezza  dell'esecuzione,  sono  le  piü 
istruttive  (i),  pare  che  siano  sfuggite  all'attenzione  di  quasi  tutti 
gli  scrittori  moderni  che  hanno  trattato  della  ginnastica  degli 
antichi. 

Ora,  essende  in  questi  ultimi  anni  venuti  alla  luce  due  mo- 
numenti  relativi,  che  per  importanza  superano  di  gran  lunga  tutti 
i  finora  conosciuti,  non  credo  inutile  offrirne  agli  studiosi  disegni 
esatti,  poiche  da  essi  possiamo  farci  un'  idea  piü  chiara  degli  stru- 
menti  destinati  a  quella  lotta  sanguinosa,  la  quäle,  comune  in  Gre- 
cia  giä  fin  dall'epoca  eroica,  e  in  progresso  di  tempo  resa  viep- 
piü  terribile,  fece  le  delizie  della  plebaglia  Romana  ai  tempi  di 
Orazio. 

II  primo  dei  due  monumenti  e  la  statua  di  atleta  trovata 
nelle  fondamenta  del  nuovo  teatro  drammatico  Nazionale,  ed  ora 
conservata  nelle  terme  Diocleziane.  Siccome  la  pubblicazione  di 
questa  statua  {Antike  Denkmaeler  I  tav.  4)  non  e  destinata  a  dar 
un'  idea  anche  di  tali  particolari,  cosi  il  sig.  dott.  Winter  gentil- 

(1)  Sono  questi :  a)  una  figura  di  pugile,  con  la  sinistra  alzata,  nella 
destra  un  gran  ramo  di  palma:  sub  flore  capituli  compositi,  ut  vocant,  in- 
gentis  magnitudinis,  in  hortis  pontißcis  Quirinalibus ;  b)  due  braccia :  ex 
hortis  Estensihus  Tiburtinis  et  signo  marmoreo  Pollucis ;  c)  mano  sinistra 
con  cesto :  ex  museo  Puteano  fragmentum ;  d)  braccio  destro :  ex  eodemmet 
museo,  olim  a  Claudio  Menetreio  Sequano-Burgundo  habitum  ;  e)  mano 
destra:  ex  eodem  museo  a  Francisco  Soncino  lapicida  habitum.  Osservö 
bene  il  Tabretti  che  i  cesti  descritti  o  disegnati  da  Aldo  Manuzio  giuniore 
{de  quaesitis  per  epistolam  VIII)  e  da  Girolamo  Mercuriale  {de  arte  gymnastica 
1.  II  cap.  9)  secondo  comunicazioni  di  Pirro  Ligorio,  sono  semplice  fantasie 
del  famoso  impostore.  Non  posso  indicare  finora,  se  nei  volumi  Napoletani  o 
Torinesi  si  trovino  disegni  corrispondenti  a  quelle  di  Mercuriale :  invece  nel 
libro  39  del  manoscritto  di  Napoli  ho  trovato  una  curiosa  relazione  sopra  la 
scoperta  di  un  cimetero  cristiano  presso  il  *  tempio  del  Dio  Eediculo ',  che 
spero  di  pubblicare  altrove,  ove  in  un  sepolcro  dice  essere  ritrovati  parecchi 
arnesi  atletici,  che  pare  gli  abbiano  dato  occasione  ad  ideare  queH'armatura. 
Dal  resto,  il  Fabretti  egli  stesso  sbagliö,  credendo  di  vedere  i  cesti  anche  nel 
rilievo  del  gladiatore  M.  Antonius  Exochus  (C.  I.  L.  VI,  10194)  malamente 
interpretando  le  linee  7.  8:  tir{ö)  cum  Araxe  caest{ario)  miss{us),  invece  di 
tir{o)  cum  Araxe  Cae{saris)  st{ans)  missus. 


IL    CESTO   DEl    PUGILI    ANTICHI 


177 


mente  si  h  incaricato  di  disegnare  esattaraente  da  ambedue  le  parti 
la  mano  destra  col  cesto. 

La  parte  principale  della  terribile  armatura  consiste  in  tre 
sti'isce  poste  l'ima  dietro  l'altra,  in  modo  da  avvolgere  le  prime  fa- 
langi  delle  dita.  11  materiale  h  certamente  cuoio ,  la  grossezza 
di  Cent.  1  '/g  in  circa  ed  altrettanto  la  larghezza.  Sono  legate  in- 
sieme  cou  quattro  grappe  dopple  di  metallo,  due  nelle  estremitä 
della  mano  e  due  nell'intermezzo.  Queste  grappe,  oltre  a  stringere 


insieme  i  tre  cuoi,  aecrescevano  di  molto  l'effetto  dell'armatura 
portando  suUa  parte  di  fuori  due  o  tre  borchie,  pure  di  metallo. 
Le  tre  strisce,  conforme  al  loro  scopo  di  arma  oifensiva,  erano 
di  cuoio  piuttosto  duro;  la  loro  parte  inferiore  riposa  sopra  una 
specie  di  cuscino  di  stoffa  piü  molle,  frapposto  fra  esse  ed  il  guanto, 
parte  seconda  dell'armatura.  Di  siffatto  guanto  i  monumenti  finora 
conosciuti  non  davano  un'  idea  ben  sicura :  di  modo  che  anche  i 
dotti   editori   della    statua  di  cui  discorriamo   pare   non   si  siano 


178  IL   CESTO   DEI   PUGILI   ANTICHI 

accorti  della  sua  esistenza  {^).  II  guanto,  di  cuoio  sottile  e  ade- 
rente  strettamente  alla  pelle,  copre  l'avambraccio  dal  gomito  in 
giü,  lasciando  perö  libere  le  estremitä  delle  dita :  il  verismo  nel 
rappresentare  i  dettagli  e  spinto  dall'artista  a  tal  grado  che  si 
distinguono,  sulle  parti  meglio  conservate,  con  tutta  chiarezza  i 
punti  indicanti  le  cuciture  del  cuoio,  e  ciö  neH'interno  della  mano, 
che  difficilmente  poteva  essere  veduto  da  chi  osservava  la  statua. 
Nella  parte  interna  dell'avambraccio  il  guanto  pare  sia  fermato  in 
due  punti,  non  si  puö  sapere  se  per  mezzo  di  lacci  o  bottoni,  rima- 
nendo  coperti  questi  punti  dalle  correggiuole.  Sulla  parte  esteriore 
del  braccio  si  vede  un  incavo  stretto,  lungo  c.  3,  segno  di  un  difetto  di 
fusione  poi  riparato,  ed  un  altro  simile  piü  sopra  presso  al  gomito  {^). 

1  •        • 

(1)  Heibig  1.  c. :  «  Die  in  stärkster  Schwellung  aus  den  Gesten  hervor- 
quellenden Handrücken  ",  mentre  invece  il  dorso  della  mano  rimane  affatto 
coperto  dal  guanto. 

(2)  L'osservazione  del  eh.  Studniczka,  che  gli  incavi  visibili  sulla  super- 
ficie  del  bronzo  significhino  fenditure  della  pelle  per  colpi  di  pugno  ricevuti, 
h  giustissima  per  quanto  si  riferisce  agli  incavi  esistenti  suirorecchio  destro, 
e  forse  anche  sotto  gli  occhi,  sulle  guance.  Tali  incavi,  con  quel  verismo 
che  distingue  tutta  la  statua,  sono  caratterizzati  come  lesioni  della  pelle : 
essi,  larghi  nel  mezzo,  finiscoho  a  punta,  e  la  pelle  scalfita  si  ripiega  insu: 
sull'orecchio  sono  finanche  indicate  le  gocce  di  sangue  stillanti  dalla  ferita. 
Non  h  cosi  per  gli  incavi  visibili  sul  braccio  e  sulla  spalla :  essi  sono  come 
tagliati  dalla  superficie  del  bronzo,  senza  i  margini  ripiegati,  e  finiscono  in 
linee  dritte  o  leggermente  curve ;  forma  che  non  potrebbe  mai  assumere 
una  ferita  cagionata  da  un  colpo  di  cesto.  Oltracciö,  esaminando  la  statua 
attentamente  con  un  distinto  artista,  il  sig.  A.  Sommer,  la  cui  perizia  per 
la  scultura  in  bronzo  e  incontestabile,  ci  accorgevamo,  che  simili  rattoppa- 
menti,  nei  quali  perö  rimangono  ancora  le  riempiture,  si  trovano  in  parecchie 
parti  della  statua,  p.  es.  sul  collo,  sulla  gamba  sinistra,  sul  ginocchio  destro. 
Tutti  sono  fatti  in  maniera  simile  e  ben  si  distinguono  dai  restauri  modemi ; 
essendo  perö  la  superficie  del  bronzo  cesellata  e  ripulita  con  somraa  cura,  cosi  nh 
la  pubblicazione,  ne  una  riproduzione  in  gesso  possono  farceli  vedere.  Quindi  non 
posso  credere  che  tali  incavi,  riempiti  con  qualche  materia  di  colore  rosso,  abbiano 
servito  per  accrescere  il  naturalismo  neH'effigiare  la  pelle  lacerata  dai  colpi,  come 
credette  il  eh.  Heibig.  Anehe  per  la  formazione  della  bocca  non  potemmo  ac- 
cordarci  interamente  eol  eh.  editore.  Se  fosse  vero,  come  sostiene'egli,  che  al- 
l'atleta  mancassero  i  denti  superiori  infrantigli  in  una  lotta  precedente,  il  lab- 
bro  superiore  con  i  baffi  caderebbe  indietro  in  ben  altra  maniera.  La  diflferenza 
nella  posizione  del  labbro  superiore  e  quello  inferiore  ö  incontestabile  :  ma  la 
ragione  h  questa,  che  l'atleta  spinge  avanti  il  mento,  segno  di  ferocitä  vera- 
mente  selvaggia,  e  che  contribuisce  molto  ad  accrescerne  l'espressione  brutale. 


JL    CESTO    DEI    PUGILI    ANTICHI  179 

Nella  parte  superiore,  il  guanto  finisce  con  un  intiluppo  di 
pelle  villosa,  stretto  da  due  cordoni  piuttosto  sottili,  il  quäle  copre 
pure  il  principio  di  quell'  allacciamento  di  correggiuole  (larghi 
cm.  0,5  incirca),  che  stringe  il  guanto  al  braccio.  Le  correggiuole 
sono  due :  esse  si  avvolgono  due  Yolte  aH'avauibraccio,  circondano 
la  parte  media  della  mano,  e  ridiscendono  al  punto  di  partenza. 
Sul  polso,  luogo  piü  esposto  ai  colpi  deH'avversario,  si  intrecciano 


con  altre  correggiuole,  destinate  a  fermare  le  suddette  striscie  di 
cuoio  e  che  si  rannodano  neirinterno  della  mano.  I  disegni  esatti 
del  sig.  Winter  per  altro  mi  dispensano  dal  darne  una  descrizione 
piü  dettagliata. 

L' altro  braccio  disegnato  qui  sopra  appartiene  alla  statua  mar- 
morea  di  pugile  vincitore  scoperta  nel  1888  a  Sorrento,  memo- 
rabile  per  l'iscrizione  dell'artefice  ^A(fQodtGitvc  Kif^ßka\yoc  ti^yü- 


180  IL    CESTO    DEl   PUGILI    ANTICHU 

dato  (').  I  disegni  della  mano  destra,  l'unica  rimasta  —  essendo 
mancante  tutto  l'avambraccio  sinistro  —  sono  dovuti  alla  cortesia 
del  sig.  dott.  Winnefeld.  L'esecuzione  e  buona,  sebbene  non  arriva 
alla  scrupolosa '  esattezza  della  prima :  inoltre  il  modo  corae  e  rap- 
presentata  la  mano,  cioe  con  le  dita  ripiegate  insieme,  non  fa 
vedere  i  singoli  particolari  con  la  stessa  chiarezza.  Perö  anche 
qui  si  scorgono  abbastanza  chiaramente  le  tre  parti  deH'armatiira : 
in  primo  luogo  le  tre  strisce  di  cuoio  duro,  messe  insieme  con 
spranghe  e  riposanti  sopra  un  cuscino  molto  piü  spiccante  di  quello 
della  statua  romana.  SuUe  spranghe  non  v'e  traccia  di  borchie  me- 
talliche;  e  l'inviluppo  della  mano  e  del  braccio  non  assiime  le  forme 
precise  di  un  guanto :  pare  invece  che  si  limiti  ad  una  serie  di 
strisce  larghe  incirca  m.  0,02,  sovrapposte  l'una  all'altra.  Certa- 
mente  le  dita  non  portano  rivestim^nto  di  sorta,  essendo  le  unghie 
indicate  abbastanza  chiaramente  sul  pollice,  mentre  suUe  altre  dita 
piü  corrose  dal  tempo  non  se  ne  scorge  traccia.  L'inviluppo  piü 
semplice  si  puö  paragonare  con  quello  visibile  p.  es.  in  un  sarco- 
fago  del  Louvre  (Clarac  tav.  200  n.  221)  e  col  capitello  di  colonna 
pubblicato  dal  Fabretti :  in  questi  Ultimi  sembra  che  un  pezzo 
di  pelle  copra  l'avambraccio  dal  gomito  sino  al  polso,  e  vi  sia 
stretto  con  corregge  abbastanza  larghe.  Sopra,  presso  il  gomito, 
anche  in  questa  statua  si  vede  un  inviluppo  di  pelle  villosa,  la  quäle 
sembra  non  circondi  interamente  il  braccio.  Un  simile  sistema  si 
vede  adoperato  sulla  statua  Del  Drago,  ove  il  pezzo  di  pelle,  largo 
m.  0,08,  copre  soltanto  il  lato  esteriore  del  braccio,  mentre  dal- 
l'altro  e  fermato  per  mezzo  di  tre  correggiuole.  Per  stringere 
vieppiü  l'armatura  dell'avambraccio  e  legare  insieme  le  tre  strisce, 
serve  nella  statua  sorrentina  pm'e  un  allacciamento  di  correggiuole 
piü  sottili :  ma  sono  in  numero  di  tre  (conformi  al  frammento  pubbli- 
cato dal  Fabretti  p.  261  ex  museo  Puteano  e  della  statua  Del 
Drago),  ne  si  puö,  a  cagione  della  minore  esattezza  del  lavoro,  se- 
guime  l'intreccio  con  la  stessa  chiarezza  come  sulla  statua  romana. 
Quanto  alla  cronologia  dei  monumenti  di  cui  abbiamo  parlato, 
l'atleta  di  bronzo  del  Quirinale  viene  ritenuto  dal  eh.  Heibig  opera 


(1)  Si  vedano  intorno  a  questa  statua  le  dissertazioni  del  senatore  Bar- 
racco,  Not.  degli  scavi  1888  p.  289  e  del  prof.  Sogliano,  Atti  deiraccademia 
dl  Napoli  1889  p.  35-43. 


IL    CESTO   DEl    PÜGILI   ANTICHI  181 

originale  piuttosto  dell'epoca  ellenistica  che  dell'etä  romana ;  la 
statua  di  Sorrento,  secondo  il  eh.  Sogliano,  e  da  attribuirsi  al  primo 
secolo  depo  Cristo,  ma  forse  imitata  da  un  originale  piü  antico ; 
di  epoca  molto  piü  bassa  sarä  il  rilievo  del  sarcofago  nel  Louvre, 
come  pure  la  scoltura  del  capitello  conservato  giä  negli  orti  pon- 
tifici  quirinali.  Supponendo  che  quest'ultimo  sia  stato  ritrovato  non 
lontano  dal  luogo,  ove  si  conserrava  nel  seicento,  con  molta  proba- 
bilitä  avrä  appartenuto  alla  decorazione  architettonica  delle  terme 
di  Costantino. 

Ch.  Hüi.skn. 


NOTE  DI  EPIGRAFIA 


(Iscr.  di  Roma,  Sepino,  Sardegna) 

I.  In  UDO  dei  priini  fascicoli  del  BuUettino  della  Commissione 
archeologica  comunale  (Die.  1872-Febbr.  1873  p.  71)  e  stata  pub- 
blicata  dal  eh.  Lanciani,  seeondo  l'apografo  di  persona  poeo  perita 
di  epigrafia,  la  seguente  iscrizioncella,  trovata  il  9  ottobre  1872 
nelle  fondazioni  di  una  nuova  casa  spettante  al  prineipe  Barberini, 
sull'angolo  della  via  di  s.  Niccolö  di  Tolentino : 

SEXCOCCEIO 

VERIANO  XVR 

PROC  PA 

Questa  iscrizione,  a  primo  aspetto  priva  di  ogni  importauza 
e,  qiianto  alla  seconda  metä,  anche  di  significato,  riceve  luce  da 
una  lapide  rinvenuta  nella  lontana  Africa.  Esiste  ivi  in  una  casa 
del  villaggio  di  Telmin,  in  Tunisia^  una  lapide,  vista  da  diversi 
viaggiatori  ed  ultimamente  dal  Wilmanns  (Corp.  Inscr.  Lat.  VIII, 
84)  coH'iscrizione : 

SEX  COCCEIO  VIPIANO 
PROCOS  PROVINCIAE  AF 
PATRONO  MDD  PP 

E  chiaro  che  qui  si  tratta  dello  stesso  personaggio,  e  che  nell'i- 
scrizione  romana  i  caratteri  PROC  PA  debbono  spiegarsi  procon- 
suli  provinciae  Äfricae.  Quanto  alle  lettere  XVR  mi  e  agevole 
credere  che  in  questo  luogo  la  copia  non  fosse  esatta  o  piuttosto 


NOTE    DI   EPIGRAFIA  183 

non  completa,  e  che  vi  fosse  una  abbreviazione  del  titolo  sacerdo- 
tale  XV  VIR  SACRIS  FACIVNDIS.  Sarebbe  da  desiderare  che  si 
ritrovasse  1' originale  deH'iscrizione  passata,  qiianto  abbiamo  potuto 
sapere,  in  proprietä  private,  per  poter  verificare  la  lezione  dell'in- 
tera  seconda  riga,  tanto  di  quelle  lettere  XVR,  quanto  del  cognorae 
del  proconsole  Cocceio,  il  quäle,  secondo  l'iscrizione  africana  non 
fu  Verlano  ma  Vibiam. 

IL  Nel  1884  venne  alla  luce  a  Sepino  fra  i  ruderi  di  un  grande 
edifizio  pubblico  il  seguente  frammento  d'  iscrizione,  pubblicato 
nelle  Notizie  degli  scavi  di  quell'anno  p.  243: 

IVI  NERVA 
D  AVG  •  PONTI 


T-XIIII*COS 
RCELLVS  COS 

Appartiene  ad  un  monumento  posto  a  qualche  imperatore  della  di- 
scendenza  di  Nerva  da  un  console  Marcello  (v.  4),  il  quäle  certa- 
mente  non  fu  diverso  da  L.  Neratio  Marcello,  fratello  del  giurecon- 
sulto  L.  Nerazio  Prisco,  governatore  della  Britannia  sotto  Traiano 
e  console  due  volte  (la  seconda  volta  nell'a.  129),  nativo  di  Sepino, 
dove  esiste  una  iscrizione  posta  a  lui  per  ordine  supremo  della 
moglie,  Corp.  Inscr.  Lat.  IX,  2456  (ved.  anche  Borghesi,  Annali 
1852  pag.  20  =  opere  t.  5  p.  359).  L'iraperatore,  al  quäle  il  mo- 
numento era  dedicato,  non  e  Traiano  (nella  seconda  riga  non  sono 
i  titoli  di  Germanico,  Dacico  ecc),  ma  Adriano,  rivestito  allora 
della  tribunicia  potestas  per  la  decimaquarta  volta ;  appartiene 
dunque  l'iscrizione  all'a.  130. 

III.  Nelle  vicinanze  di  Cagliari,  nel  villaggio  di  Elmas,  il 
eh.  Nissardi  osservö  nel  1878  une  iscrizione,  della  quäle  pote  de- 
eifrare  queste  parole  (Notizie  degli  scavi  1878  pag.  273): 

HERENNIAE 
M-F-HIMOIN 
MM  .  .  .  \  \  .  . 
CLAVDIPROCVL 

O  KARALITA 

NORVM 


184  NOTE   DI   EPIGRAFIA 

Tre  anni  piü  tardi,  il  nostro  Giovanni  Schmidt,  andato  snl 
luogo,  sottomise  l'iscrizione  ad  un  nuovo  esarae,  nel  quäle  riusci 
di  riconoscere  nella  seconda  riga  il  nome  di  Ilelvidia ;  nella  quarta 
invece  di  Procul.,  lesse  proeur.  Nel  1886  gli  scavi  di  Tivoli  ci 
hanno  fatto  conoscere  il  nome  completo  delle  persone  ricordate  nel- 
riscrizione  sarda,  inoltre  il  loro  alto  grado,  cioe  appartenenti  a  fa- 
miglia  consolare.  Venne  a  luee  in  questi  scavi  un  piedistallo  posto 
Heremiiae  M.  f.  Helvidiae  Aemüianae,  L.  Claudi  Proculi  Cor- 
neliani  cos.  (cioe  uxori)  (Gatti,  Notizie  degli  scavi  1886  p.  276 ; 
C.  I.  L.  XIV,  4239).  Non  dubito  che,  applicando  all'iscrizione  di 
Elmas  nuovi  studj,  si  riuscirä  di  costatare  che  vi  furono  gli  stessi 
nomi  di  Herennia  M.  f.  Elvidia  Emiliana  e  del  console  L.  Claudio 
Proculo  (^). 

H.  Dessau. 

{sarä  continwato) 


{})  JE  dunque  erroneo  quel  che  dissi  in  una  nota  aH'iscrizione  tiburtina 
C.  I.  L.  XIV^,  4239 :  '  Tarn  Herennia  Helvidia  Aemiliana  quam  L.  Claudius 
ProciUus  Cornelianus  ex  hoc  primum  titulo  innotescunt  \ 


SITZUNGSPROTOCOLLE 


29,  März.  Mau  :  eine  römische  Poi-trätbüste  in  Besitz  des 
Hrn.  Prof.  J.  Kopf.  —  Hülsen  :  zur  Topographie  der  Kaiserpa- 
läste auf  dem  Palatin. 

Mau  :  La  testa  di  raarmo  posseduta  dal  prof.  Kopf,  di  buonissimo  la- 
voro  e  perfetta  conservazione,  non  puo,  come  crede  il  proprietario,  rappre- 
sentare  M.  Bruto,  l'uccisore  di  Cesare,  mancandole  i  Iratti  caratteristici,  ed 
in  ispecie  la  forma  quadrata  del  cranio,  che  si  rilevano  dalle  sue  monete. 
Trattasi  perö  di  persona  conosciuta :  lo  provano  due  repliche,  l'una  trovata 
nei  Prati  di  Castello  (C.  L.  Visconti  Bull.  comm.  18S5  p.  25.  355  n.  21),  ed 
ora  esposta  nella  sala  ottagona  del  palazzo  dei  Conservatori  (questa  di  lavoro 
molto  inferiore),  l'altra  trovasi  nel  museo  Torlonia,  la  cui  esistenza  fu  indi- 
cata  al  rif.  dal  prof.  Haie. 

Hülsen  :  Nel  1883  il  eh.  Lanciani  pubblicando  alcuni  disegni  inediti 
deH'architetto  Gio.  Ant.  Dosio  (Firenze,  Uffizi  2039)  che  rappresentano  cor- 
nicioni  di  finissimo  lavoro,  ritrovati  sul  monte  Palatino,  sospettö  che  essi 
stessero  in  relazione  col  sacrario  Palatino  di  Vesta,  dedicato  secondo  i  calen- 
dari  il  giorno  28  Aprile  742  :  e  dello  stesso  tempietto  rotondo  egli  credette 
ritrovare  la  pianta  nel  noto  codice  Orsiniano-Vaticano  3439.  Perö  i  disegni 
del  Dosio  (dei  quali  il  rif.  propose  copie  in  grandezza  originale)  mostrano  nello 
stile  grandissima  somiglianza  con  la  decorazione  della  cosi  detta  Domus  Flavia  : 
e  le  dimensioni,  che  si  rilevano  dalle  numerose  misure  segnate  sull'originale, 
sono  tali,  che  queste  cornici,  invece  di  un  porticQ  circondante  un  tempietto, 
potevano  bene  decorare  una  delle  sale  maggiori  del  palazzo.  Con  ciö  sta  d'ac- 
cordo  quel  poco  che  sappiamo  dell'andamento  degli  scavi  Palatini  del  Cinque- 
cento. La  pianta  inserita  nel  libro  del  Panvinio  de  ludis  circensibus  segna  il 
templum  Apollinis  Palatini ,  di  forma  rotonda  ed  avente  attiguo  verso  oc- 
cidente  un  «  atrio  »  pure  di  forma  rotonda."  Che  aH'icnografia  di  quest'ul- 
timo  abbiano  servito  come  modello  le  due  nicchie  dei'ninfei  attigui  alla  cosi 
detta  Jovis  Coenatio,  diventa  chiaro  dal  confronto  delle  piante.  Quindi  gli 
scavi  del  Cinquecento  si  sono  spinti  da  questa  sala  piü  verso  Oriente,  e  pro- 
babilraente  in  questo  stesso  posto,  nel  peristilio  del  palazzo,  forono  trovate  le 


186  SITZUNGSPROTOCOLLE 

cornici  disegnate  dal  Dosio.  Quanto  alla  pianta  del  codice  Vaticano  3439,  essa 
appartiene  alla  serie  dei  terapj  rotondi,  piena  di  fantasie  Ligoriane,  della  quäle 
e  raeglio  astenersi  parlare,  se  non  vengono  in  aiuto  altri  documenti.  Dai  di- 
segni  architettonici  del  Cinquecento  non  possiamo  dunque  ricavare  alcuna  cer- 
tezza  sopra  il  sito  del  tempietto  di  Vesta  Palatina. 

Coloro  poi  volessero  ritornare  aH'opinione  del  Tlion  e  del  Canina,  che  cioe 
il  tempio  fosse  situato  sotto  la  villa  Mills,  dietro  la  cosi  detta  loggia  imperiale 
del  Circo  Massimo,  ne  sono  impediti  da  un  documento,  il  cui  valore  topografico 
finora  non  si  pote  giustamente  apprezzare.  II  frammento  della  F.  U.  R.  163 
Jord.  (conservato  soltanto  in  un  disegno  Vaticano)  e  luesso  dallo  Jordan  fra 
le  fragmenta  operum  puhlicorum  incerta  rappresenta  quella  parte  della 
cosidetta  casa  di  Augusto,  che  confina  con  le  due  sale  absidate  comunemente 
chiamate  Accademie.  A  questo  frammento  si  aggiunge  un  altro  conservato 
nell'originale  (144  J.),  che  rappresenta  la  parte  Orientale  delPistesso  peristilio. 
La  figura  aggiunta  che  niette  i  due  frammenti  riuniti  in  confronto  con  la  bella 
pianta  che  il  sig.  Deglane  um  al  suo  lavoro  sul. Palatino  {Gazette  archeo- 
logique  1888  tav.  36)  mi  dispensa  di  esporne  a  lungo  :  osservo  soltanto  :  1)  che 
la  composizione  dei  due  frammenti  giustifica  l'opinione  dello  Jordan  circa  il 
modulo  adoperato  dal  disegnatore  del  Vat.  3439 ;  e  2)  che  il  confronto  delle 
misure  della  forma  Urbis  con  quelle  delle  rovine  esistenti  anche  qui  ben  si 
adatta  alla  supposizione,  che  la  forma  fosse  eseguita  nella  relazione  di  1 :  250 
del  vero. 

4.  April.  Barnabei  :  Grabfund  von  Gabii  (s.  Notüie  degli 
scavi  1889.  S.  83).  —  Petersen  über  einen  Kopf  in  Villa  Medici 
das  Original  des  vatikanischen  Meleagros.  —  Ehrhard  über  die 
christliche  Epigraphik  von  Constantinopel. 

Ehrhard  :  La  epigrafia  cristiana  di  Costantinopoli  non  comiucia  prima 
del  trasferimento  della  residenza  imperiale  a  Bisanzio  :  le  poche  iscrizioni 
che  potrebbero  attribuirsi  al  secolo  terzo  (C.  /.  Gr.  9445,  9446.  Dethier  u, 
Mordtmann  Epigraphik  von  Byzanz  n.  34.  56,  J^exiforoi  sniyQucpcd  Bv^ayrlov 
tav.  1  n.  2  nel  IvXXoyog  eX'krjv.  q)ikoX.  iv  KwanöXei.  Huquqx.  t  Tofi.  ig  1885) 
0  sono  di  epoca  posteriore,  o  non  provengono  da  Costantinopoli :  Tultima  delle 
sopra  citate  che  nomina  un  coUegio  nov  veojv  si  riconosce  dal  confronto  con 
altre  iscrizioni  simili  (C.  /.  Gr.  4945,  4946  ;  Conze  Reise  auf  Leshos  p.  32  ecc.) 
come  affatto  priva  di  carattere  cristiano.  —  Poche  sono  pure  le  epigrafi  del- 
l'etä  Costantiniana  conservateci  nell'originale,  mentre  di  un  maggior  numero 
abbiamo  copie  piii  o  meno  esatte  negli  storici  (Eusebio,  Giorgio  Codino,  Ce- 
dreno,  Zonara).  All'  incontro  le  enitvfjßia  di  Costantino  e  di  altri  imperatori 
bizantini  nelle  antologie  poetiche  (Cramer  Anecd.  Paris.  4,  309  sgg. ;  Ch.  Graux 
catal.  des  manuscr.  de  Copenhague  p.  77  non  sono  proprio  iscrizioni).  — 
Assai  notevole  per  l'epigrafia  di  Costantinopoli  h  il  regno  di  Giustiniano  primo  : 
titoli  di  monumenti  pubblici  ed  iscrizioni  onorarie  ai  reggenti  sono  in  gran 
numero    inserite    nell'Antologia  Palatina,  alla  quäle    somministrano    un    sup- 


SITZÜNOSPROTOCOLLE 


187 


^44- 


Frammcnti  della  Forma  C'i'bis  Romae. 


Parte  degli  tdifizi  Palatini  secondo  Degluiie. 


188  SITZUNGSPROTOCOLLE 

plemento  altre  antologie  (p.  es.  quelle  pubblicate  dal  Gramer,  1,  c,  e  dal  Bois- 
sonnade  Anecdota  Gracca  I-IV) ;  ed  a  queste  si  possono  aggiungere  altre  ine- 
dite,  come  quella  di  Firenze  menzionata  dallo  Schneidewin  {progymnastica  in 
antholog.  Graecam,  Götting.  1855  e  dal  Dilthey,  c?e  epigr.  graecorum  syllogis 
quibicsdam  minoribus  Götting.  1887),  come  pure  quelle  dei  codici  Ottobon. 
Gr.  309 ;  Vallicell.  E.  26 ;  Pakt.  Gr.  141 ;  Bibl  Nationale  Paris  suppl. 
Grec.  392.  Di  un  centinaio  d'iscrizioni  sopra  pitture,  immagini  e  musaici  di 
chiese  di  Costantinopoli  sono  consei-vate  le  copie  dagli  scrittori,  essendo  stati 
distrutti  gli  originali  al  tempo  degli  iconoclasti.  Fra  essi,  Tepigramma  sulla 
chiesa  di  S.  Polieuto  a  torto  viene  considerato  dal  Banduri,  dal  Bayet,  dal 
De  Eossi  come  una  semplice  descrizione,  poiche  un  lemma  del  codice  Pa- 
latino indica  esattamente  il  luogo  dove  si  trovavano  i  singoli  versi.  Quanto 
alle  iscrizioni  sepolcrali  di  quest'epoca,  sono  scarse  anch'esse.  Una  fu  pub- 
blicata  nel  G.  I.  Gr.  n.  9447,  un'altra,  conservata  nel  museo  di  S.  Irene,  nella 
Revue  archeologique  1868  p.  261  ;  una  terza  inedita  mi  fu  communicata 
daH'illustre  De  Eossi.  A  questi  si  possono  aggiungere  quelle  poche  pubblicate 
nel  ^vXXoyog  1.  c.  n.  8555  t.  2  p.  83  e  nella  Revue  archöologique  1886,  11 
p.  85).  —  Nel  terzo  periodo  dell'epigrafia  di  Costantinopoli,  che  si  puö  chia- 
mare  propriamente  bizantina  (sec.  7-15),  lo  sviluppo  delFepigrafia  fu  impedito 
tanto  dalle  lotte  degli  iconoclasti,  quanto  dalle  guerre  dei  crociati,  i  quali  o 
distrussero  o  portarono  via  molti  monumenti  cristiani,  dispersi  poi  in  tutta 
TEuropa  occidentale.  Tra  le  iscrizioni  conservate  primeggiano  quelle  delle 
fortificazioni :  di  esse  possiamo  sperare  una  nuova  pubblicazione.  Per  le 
perdute,  un  materiale  assai  ricco  ci  viene  fornito  delle  opere  di  Teodoro 
Studita,  l'Alcuino  dell'Oriente,  di  Giorgio  Pisida,  Michele  Psello,  Cristoforo 
Patrizio  ed  altri  anteriori  al  secolo  decimoterzo.  Dopo  il  sacco  di  Costanti- 
nopoli nel  1204  non  era  piü  possibile  una  nuova  efflorescenza  deirepigrafia,  e 
quindi  non  e  da  meravigliarsi  che  le  poesie  di  Massimo  Planude  mostrino 
la  totale  decadenza  dell'epigrafia  metrica :  e  presentano  lo  stesso  carattere 
forse  le  ultime  iscrizioni  metriche  anteriori  alla  caduta  di  Costantinopoli,  cioe 
le  due  eniTvfißoa  pubblicate  dal  Sakkelion  nell'  'EiptjfJSQig  aQ/aioi.oyiy.i]  1886 
p.  236  e  dal  Papadopoulos  Kerameus  nel  IvkXoyog  Ilagagr.  x  Tofi.  IE'  1888 
p.  103. 

12.  April.  Festsitzung  zum  Gedächtniss  der  Gründung  Borns: 
Gamürrini  über  die  italische  Ehe  (vgl.  S.  8Ö).  —  Mau:  Por- 
traits  des  M.  Marcellus. 


HERAKLES  DES  SKOPAS  UND  VERWANDTES. 
(Taf.  VIII.  IX) 


Von  einem  in  vielen  Wiederholungen  verbreiteten,  mit  einem 
Pappelkranze  geschmückten  Jünglingskopf,  in  welchem  Visconti 
{Museo  Pio-CL  VJ,  S.  93)  auf  Grund  eben  dieses  Kranzes  einen 
jugendlichen  Herakles  erkannte,  hat  Wolters  im  Jahrbuch  des 
Archäologischen  Instituts  I,  Tf.  V,  Nr.  2  das  besterhaltene  Exem- 
plar veröffentlicht;  dasselbe  stammt  aus  Genzano  und  befindet  sich 
im  British  Museum.  Wolters  glaubte  (a.  a.  0.  S.  55)  in  diesem 
Heraklestypus  ein  Werk  Praxitelischer  Kunst  zu  erkennen,  und 
man   wird  gewiss  zugeben  müssen,  dass   damit  Zeit  und  Stil,  so 

13 


190  HERAKLES   DES    SKOPAS    UND   VERWANDTES 

weit  dies  gegenüber  einer  späten  und  trotz  ihrer  äusseren  Sorgfalt 
doch  nicht  sehr  guten  Copie  möglich  ist,  richtig  umschrieben  sind. 
So  hat  denn  auch  Furtwängler  in  Roschers  Mythol.  Lexicon  S.  2166 
zugestimmt.  Aber  die  Betrachtung  von  besseren  Repliken,  welche 
Wolters  nicht  oder  nur  in  ungenügenden  Abbildungen  bekannt  sein 
konnten,  ermöglicht  es,  einen  Schritt  weiter  in  der  Erkenntniss  der 
kunstgeschichtlichen  Stellung  dieses  Typus  zu  kommen. 

Eine  dieser  Repliken  ist  auf  Taf.  VIII  und  vorstehend  in  Zink- 
druck abgebildet.  Die  Herme  ist  aus  grobkörnigem,  vielleicht  pa- 
rischem  Marmor,  und  befindet  sich  im  Capitolinischen  Museum. 
Ergänzt  ist  die  Nase  und  Teile  der  Unterlippe.  Da  die  von 
Wolters  erwähnte  Abbildung  im  Museo  Ca])itollm  Bd.  I,  Taf.  87 
die  Güte  des  Originals  nicht  erkennen  lässt,  schien  es  angemessen, 
dasselbe  in  Lichtdruck  zu  veröffentlichen;  dieser  ist  leider  wegen 
der  grellen  einseitigen  Beleuchtung,  unter  der  die  Aufnahme  ge- 
schehen musste,  für  den  Gesammteindruck  nicht  günstig.  Da  er  aber 
einige  wichtige  Einzelheiten  besonders  scharf  wiedergiebt,  so  erschien 
er  gerade  für  die  folgende  Untersuchung  zu  wertvoll,  um  ver- 
worfen zu  werden ;  zu  seiner  Ergänzung  mag  der  obige  Zinkdruck 
dienen. 

Der  Kopf  zeigt  sich  dem  von  Genzano  in  jeder  Hinsicht  über- 
legen. Letzterer,  wie  man  auf  der  Photographie  (Photographien  des 
ßrit.  Museum  Nr.  830)  besser  als  auf  der  Tafel  des  Jahrbuches 
erkennen  kann,  ist  etwas  schematisch  und  trocken  gearbeitet.  In 
der  Vorderansicht  fallen  die  scharfen  Kanten  an  Mund  und  Augen- 
höhlenrand und  dessen  Uebergang  zur  Nase  so  wie  die  kleinliche 
Regelmässigkeit  in  der  Haarbehandlung  ungünstig  auf.  In  jeuer 
Schärfe  und  Trockenheit  etwa  die  besser  bewahrten  Eigentümlich- 
keiten eines  Bronzeoriginales  zu  suchen,  muss  uns  der  Vergleich 
mit  unserem  Kopfe  verhindern,  welcher  bei  gleicher  Bestimmtheit 
aller  Formen  durchweg  weicher  behandelt,  reicher  und  lebensvoller 
modellirt  ist.  Die  Umgebung  des  Auges,  wie  sie  sich  auf  unserer 
Tafel  darstellt,  ist  davon  ausreichender  Beweis.  Ausschlaggebend 
aber  ist  ein  zweiter  Kopf,  zu  dessen  Betrachtung  wir  uns  nun 
wenden. 

Auf  Tafel  IX  wird  zum  ersten  Male  eine  Herme  veröffent- 
licht, welche  sich  im  neuen  Capitolinischen  Museum  (Conservato- 
renpalast)  befindet,  nach  Bullettino  Municipale  IV  (1876)  S.  217.  9 


HERAKLES    DES   SKOPAS    UND   VERWANDTES  191 

im  Jahre  1876  auf  dem  Quirinal  gefunden.  Der  Marmor  ist  etwas 
grobkörnig,  doch  scheint  er  kein  griechischer  Inselmarmor  zu  sein. 
Die  Nasenspitze  und  ein  Teil  der  Flügel  sind  ergänzt;  an  der  r. 
Seite  fehlt  ein  Stück  des  Hinterkopfes,  welches,  wie  es  scheint, 
angestückt  war.  Ueber  der  1.  Schläfe  befinden  sich  im  Haare  zwei 
Eisenstifte,  wohl  eine  absichtliche  Verletzung. 

Dass  wir  eine  Wiederholung  desselben  Typus  mit  entgegen- 
gesetzter Kopfhaltung  zu  erkennen  haben,  lehrt  der  Augenschein. 
Nicht  nur  der  eigentümliche  Schmuck  des  Kopfes  mit  Pappelkranz 
und  Tänie  mit  hängenden  Enden  führt  darauf,  sondern  der  Ver- 
gleich der  Kopf-  und  Gesichtsform,  der  Gesichtsteile  im  Einzelnen 
zeigt  es,  die  Gleichheit  der  Maasse  bestätigt  es. 

Hier  die  wesentlichsten  Maasse  unserer  Köpfe  in  Millimetern, 
denen  einige  des  Kopfes  Corsini  und  des  Florentiner  Kopfes  aus 
den  Ufiizien  (vgl.  die  folgende  Liste  Nr.  8  und  14)  beigefügt  sind : 

Capit.        Conserv.        Oors.        UfF. 

Kopfhöhe ca.  255  ca.  245 

Kopftiefe  (Nasenwurzel-Hinterkopf )     .  ca.  240 

Schläfenbreite ca.  143               142                        140 

Gesichtslänge  (Haaransatz-Kinn)     .     ,  188  ca.  195 

Nasenflügel-Ohrläppchen r.     110               111                        107 

Haaransatz-Unterrand  der  Nase.     .     .  117               123                        129 

Kinn-Innerer  Augenwinkel 125               123          120        124 

Haaransatz-Innerer  Augenwinkel     .     .  72 

^    r       75  75 

Innerer  Augenwinkel-Mund    •    •    •     ]    i'      70  73  ^^  ^^ 

Nase  (bis  zum  Augenhöhlenrand)  .     .  72  73  74 

Untergesicht 72  73  75 

Stirn 47  52  53          54 

Innerer  Augenwinkel- Unterrand  d.  Nase  54  52  53          53 

Kinn 54  52  51          54 

Mundbreite 48  44  48          50 

Innere  Augenweite 38  38  34 

Augenlänge 33  34  36 

Augentiefe  (vom  Nasenrücken)  ...  33  34  38 

Ohrlänge 60  55 

Nasenflügelbreite 37        ca     44  43 

Die  einzige  wesentliche  Verschiedenheit  bieten  die  vom  Haar- 
ansatz an  genommenen  Maasoe ;  dies  hängt  aber  aufs  engste  mit 
der  Haarbehandlung  zusammen,  denn  es  ist  klar,  dass  die  durch- 
weg mit  Hülfe  des  Bohrers  stark   vertieften    Einschnitte,   welche 


192  HERAKLES    DES   SKOPAS    UND   VERWANDTES 

bei  dem  kapitolinischen  Kopfe  die  Locker!  von  einander  trennen, 
etwas  mehr  von  der  Höhe  der  Stirn  wegnehmen  raussten,  als  dies 
bei  der  flacheren  Arbeit  des  anderen  Kopfes  der  Fall  war.  Es  fragt 
sich,  ob  diese  Verschiedenheit  im  Verein  mit  der  verschiedenen 
Haltung  ein  Hindernis  sein  kann,  unsere  Köpfe  auf  ein  und  das- 
selbe Original  zurückzuführen.  Die  Betrachtung  der  übrigen  Wieder- 
holungen, welche  fast  alle  üebergangsstadien  zwischen  beiden 
Kopfhaltungen  zeigen,  lässt  diese  Frage  verneinen.  Besonders 
wichtig  sind  aber  drei  Wiederholungen,  von  welchen  zwei  die  Hal- 
tung der  einen  mit  der  Haarbehandlung  der  anderen  Herme  vereinen, 
nämlich  der  schon  erwähnte  Kopf  Corsini  und  der  in  den  üffizien 
(Nr.  9  in  der  folgenden  Liste)  während  der  dritte,  der  Kopf  Chia- 
ramonti  (Nr.  4)  die  Haltung  des  anderen  mit  der  Haarbehandlung 
des  ersten  verbindet. 

Ich  zähle  daher  zunächst  die  mir  bekannt  gewordenen  Wie- 
derholungen unseres  Typus  auf.  Freilich  ist  namentlich  bei  schlechten 
Exemplaren  nicht  in  jedem  einzelnen  Falle  mit  Sicherheit  zu  ent- 
scheiden, ob  man  es  noch  mit  einer  strengeren  oder  freieren  Wieder- 
holung des  Originals  oder  einer  Umbildung  zu  tun  hat.  Der  Kopf 
war  im  x\.lterfcum,  wie  es  scheint,  so  beliebt,  dass  er  eine  gewisse 
maassgebende  Bedeutung  für  die  Bildung  des  jugendlichen  Herakles 
erlangte.  Der  Kopfschmuck  ist  kein  untrügliches  Kennzeichen,  da 
sich  noch  ziemlich  genaue  Wiederholungen  ohne  denselben  finden  ('). 
Es  mag  sich  also  in  der  folgenden  Liste  einiges  finden,  was  Andere 
lieber  ausgeschieden  haben  möchten,  wie  andererseits  auch  manche 
gute  Wiederholung  mir  unbekannt  geblieben  sein  wird.  Die  Eeihen- 
folge  will  die  Exemplare  ähnlicher  Kopfhaltung  zusammenstellen 
und  unter  sich  einigermassen  nach  ihrem  Werte  und  ihrer  Treue 
gruppiren   (-). 


(•)  Furtwängler  schloss  aus  diesem  Umstand  (Roschers  Lexicon  S.  21()7) 
und  aus  dem  Wechsel  des  Schmuckes,  dass  das  Original  schmucklos  gewesen 
sei.  Doch  haben  die  meisten  und  besten  Wiederholungen  Kranz  und  Binde, 
und  der  Kranz  ist  wieder  meistens  sicher  ein  Pappelkranz. 

(2j  Aus  Rom  sind  im  ganzen  15  Wiederholungen  aufgezählt.  Furt- 
wängler in  Roschers  Lexicon  S.  2166  erwähnt  12,  unter  Verweisung  auf 
seine  nachfolgenden  Worte  aus  Annaü  delVIst.  \S11,  S.  245  zu  einer  kleinen 
Bronzebüste  des  Herakles  in  Dresden  {Mon.  d.  I.  X,  Taf.  45j:  Ueroe  i  ancora 
giovane  e  Vespressione  del  viso  rivolto  un  jöo'  a  sinistra,  ha  un  che  di  molle 


HERAKLES    DES    SKOPAS    UND    VERWANDTES 

1.  Die  Herme  des  Conservatorenpalastes  (Taf.  IX). 

2.  Die  Herme  des  Miiseo  Capitolino  (Taf.  VIII  u.  Vign.). 

Etwa  die  Haltung  von  Nr.  1  haben: 

3.  Paris,  Louvre.  Heraklesstatue. 


193 


e  di  dolce  che  pare  contrario  al  suo  carattere.  Tuttavia  giova  ricordarsi 
che  cV  una  classe  di  teste  d'Ercole  giovane  in  marmo  (tutte  appartenenti 
come  pare  ad  erme)  le  quali  rivelano  ancora  pih  questo  carattere  di  certo 
cotal  vago  e  molle  desiderio.  Mi  spiace  che  lo  spazio  troppo  ristretto  non 
mi    conceda   di   spiegarmi  meglio ;  ma  mi  riserbo  di  ritornare   su   questo 


194        HERAKLES  DES  SKOPAS  UND  VERWANDTES 

Aus  Villa  Borghese.  Clarac,  PL  301,  1968.  Vorstehend  nach 
einer  Photographie  abgebildet,  welche  Herr  Heron  de  Villefosse  so 
freundlich  war  zu  besorgen.  Demselben  verdanke  ich  auch  die 
Nachricht,  dass  der  Kopf  nie  von  dem  Rumpfe  getrennt  war,  und  die 
Angabe  der  folgenden  Ergänzungen :  Unterarme,  ein  Teil  des  1. 
Beines  mit  dem  Knie,  der  obere  Teil  der  Keule,  Teile  des  Löwen- 
felles und  des  Baumstamms,  fast  die  ganze  Plinthe.  Am  Kopf: 
Nase,  Teile  des  1.  Auges,  Teil  der  Oberlippe,  des  Kinnes,  des  r. 
Ohres  und  des  r.  Tänienendes.  Dass  der  Kopf  dem  Typus  nach 
hierher  gehöre  erkannte  Herr  Professor  W.  Klein,  welcher  auf  meine 
Bitte  so  freundlich  war  die  Statue  zu  untersuchen.  Doch  scheint,  so 
weit  man  nach  der  Photographie  urteilen  kann,  schon  eine  ziemlich 
starke  Umbildung  vorzuliegen ;  namentlich  der  Mund  ist  recht  ab- 
weichend, und  die  Gesichtsteile  scheinen  überhaupt  verhältnismässig 
kleiner  zu  sein. 

4.  Rom,  Vatikan,  Museo  Chiaramonti  693,  Kopf. 

Abgeb.  Pistolesi,  Vaticaiio,  IV,  55,  3  (von  Wolters  a.  a.  0. 
als  im  Braccio  Nuovo  befindlich  angeführt)  und  Mus.  Chiaramonti 
I,  43.  Vgl.  S.  331.  Der  Kranz  wird  vom  Herausgeber  wohl  mit 
Recht  für  einen  Pappelkranz  erklärt ;  die  Blätter  sehen  zwar  eher 
denen  der  Eiche  gleich,  doch  fehlen  die  bei  Eichenkränzen  üblichen 
Eicheln. 

5.  Palermo,  Museum,  Nr.  736.  Kleiner  Kopf,  auf  Büstenfuss 
gesetzt. 

Laubkranz,  dessen  Blätter  aufwärts  gerichtet  sind.  Im  Nacken 
scheinen  die  Bindenansätze  abgebrochen  zu  sein.  Sehr  schlecht. 
Scheint  trotz  des  geschlossenen  Mundes  noch  hierherzugehören. 
Haltung  etwa  wie  der  Kopf  Chiaramonti. 

6.  Rom,  Villa  Albani,  Vorhalle  des  Casino,  N.  52.  Herme. 
Kurzes  Haar,  ohne  Binde  und  ohne  Kranz.  Kopf  noch  etwas 

weniger  nach  1.  gewendet   und  geneigt  als  der  vorige.    Ist   eine 


argomento  urCaltra  voUa ;  per  ora  basti  dire  che  di  qtiesta  classe  di  teste, 
fino  ad  oggi  poco  osservata,  soltanto  in  Roma  ho  contato  io  stesso  da  ben 
dodici  esemplari.  Vgl.  dazu  die  Note :  Qualche  volta  venivano  scambiate  per 
Bacco., —  Un  esemplare  e  stato  pubblicato  da  Visconti,  Pio-Cl.  VI,  12.  Zur 
Identification  fehlen  nähere  Angaben.  Einige  dieser  Köpfe  scheint  auch  Dilthey 
Bull  deirist.  1869  S.  134  zu  meinen. 


HERAKLES    DES    SKOPAS    UND    VERWANDTES 


195 


sehr  vergröberte  Wiederholung-,  hat  aber  eine  gewisse  unten  zu  bespre- 
chende Eigentümlichkeit  der  Augenbildung,  die  die  meisten  Repliken 
vollständig  aufgegeben  haben,  bewahrt  und  etwas  übertrieben. 

In  der  Haltung  stellen  sich  zu  Nr.  2. 

7.  London,  British  Museum,  Herme. 

Abgeb.  Spec.  of  Anc.  Sculpt.  I,  60  ;  Ancient  Marbl.  II,  46  ; 
Ellis,  Townley  Gallery,  I,  326 ;  Guide  to  Graeco-roman  scul- 
ptures,  I  (1879),  S.  199,  105 ;  Jahrbuch  des  Archäol.  Inst.  I, 
Taf.  5.  Ebenda  S.  55  die  näheren  Angaben. 

8.  Rom,  Palazzo  Corsini,  II.  Zimmer,  Kopf. 


Matz-Duhn,  138.  Vorstehend  abgebildet.  Der  Marmor  ist  zwar 
etwas  grosskörnig,  ich  kann   ihn  aber  nicht  für  'parisch'  halten. 


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196  HERAKLES    DES    SKOPAS    UND    VERWANDTES 

Pappelkranz,  Binde,  Pankratiastenohren.  Im  übrigen  ist  der  Kopf 
im  Marmor,  der  Haarbehandlung  und  dem  allgemeinen  Eindruck 
dem  Kopf  aus  dem  Conservatorenpalast  am  ähnlichsten  und  das 
beste  Exemplar  nächst  den  beiden  abgebildeten  in  Rom.  Nun  ist 
aber  die  Kopfhaltung  und  Kopfform  gerade  die  des  capitolinischen 
Kopfes  (vielleicht  ein  wenig  mehr  n.  r.  geneigt).  Der  Mund  ist 
geöffnet,  aber  ohne  Zähne.  Besonders  schön  ist  der  erhaltene  Teil 
der  Nase.  Es  ist  noch  eine  Andeutung  jener  vor  dem  inneren  Au- 
genwinkel liegenden  Erhöhung  erhalten,  von  welcher  unten  die 
Rede  sein  wird.  Das  Kinn  ist  etwas  verkürzt  (vgl.  die  Maasse  in 
der  obigen  Tabelle). 

9.  Venedig,  Museo  Archeologico,  IV.  Saal.  Kopf. 
Dütschke,  V,  334.  Abgeb.  Zanetti,  Delle  antiche  slatue,  etc.  I,  2. 

Erwähnt  von  Wolters.  Haltung  wie  beim  capitol.  Kopfe.  Die 
drei  grossen  Blätter  des  Kranzes  sind  nach  Mitteilung  Winnefelds 
ergänzt  nach  einem  über  dem  1.  Ohr  knapp  am  Kopfe  anliegend 
erhaltenen.  Von  den  Eicheln  ist  die  Mehrzahl  ganz  antik.  Von 
den  vom  Kranz  niederfallenden  Bändern  sind  wenigstens  die  An- 
sätze erhalten. 

10.  Rom,  Villa  Martinori.  Statue. 

Matz-Duhn,  100.  Abgeb.  Clarac,  PI.  802  E,  2007  B  als  im 
Pal.  Altemps  befindlich.  Den  Kopf  hält  Clarac  für  modern  ;  Matz, 
der  aber  die  Statue  auch  nicht  genau  untersuchen  konnte,  sieht 
nur  ein  modernes  Zwischenstück  im  Hals  und  hält  den  Kopf  für 
'wahrscheinlich  zugehörig.'  Ich  habe  das  Stück  auch  nicht  ge- 
nauer untersuchen,  sondern  mich  nur  überzeugen  können,  dass 
der,  wie  Matz  beschrieben,  aufgesetzte  Kopf  hierher  gehört,  einen 
Pappelkranz  trägt,  dem  die  Tänienenden  fehlen,  und  dass  die  Nase 
ergänzt  ist. 

11.  Rom,  Vatikan,  Gall.  geografica.  Herme. 


(1)  Die  von  Dütschke  mit  diesem  Kopfe  verglichene  Büste  der  Uffizien 
(Ant.  Bildw.  in  Oberitalien  III  Nr.  9)  gehört  nicht  hierher;  der  eigentümliche 
und  schöne  Kopf  gehört  eher  dem  Kreise  Lysippischer  Kunst  an.  Am  nächsten 
steht  er  ei)iem  Kopfe  des  Vatikans  (Sala  dei  Busti  338),  welcher  eine  Binde  um 
das  Haar  und  Löcher  zum  Einsetzen  von  Hörnern  hat.  Aehnlich  der  Kopf 
im  Lateran,  VIII.  Zimmer  Nr.  512  (Benndorf-Schöne  Nr.  265)  Dass  der  va- 
tikanische Kopf  mit  dem  Kopfe  auf  der  Münze  des  Lysimachos  (Imhoof-Blumer, 
Porträtköpfe,  Taf.  II,  14  und  S.  17)  übereinstimmt,  hat  Wolters  gesehen. 


HERAKLES    DES    SKOPAS    UND    VERWANDTES  197 

Visconti,  Museo  Pio-Cl.  VJ,  12,  wo  die  Deiitun<(  auf  Hora- 
kles  ausgesprochen  ist.  Ich  habe  das  Stück  nicht  gesehen. 

12.  Rom,  Museo  Capitolino,  St.  d.  Filosofi,  Nr.  17.  Herme. 
'  Hieron.'  Abgeb.  Museo  Capitolino,  I,  38.  Vom  Kopf  ist  im  we- 
sentlichen nur  das  Gesicht  alt,  von  der  gedrehten  Binde  im  Haar 
ein  Stück  an  der  r.  Seite  des  Kopfes.  Die  Haltung  stimmt  mit 
dem  auf  Taf.  VIII  abgebildeten  Kopfe.  Der  Kopf  ist  etwas  roh 
decorativ  gearbeitet  und  übertreibt  manche  Formen,  indem  er 
namentlich  alle  Einsenkungen  zu  stark  betont,  vor  allem  ist 
neben  dem  äusseren  Augenwinkel  ein  tiefes  scharfkantiges  Loch, 
aber  die  Uebereinstimmung  ist  sonst  unzweifelhaft.  Der  Kopf  ist 
lehrreich  für  die  Kraft  des  Ausdrucks,  welche  selbst  in  der  schlechten 
Abbildung  dieser  schlechten  Replik  nicht  erloschen  ist. 

13.  Rom,  Studio  Canova.  Kopf. 

Aussen  über  der  Tür  in  Via  delle  Colonnette  eingemauert, 
fehlt  bei  Matz-Duhn  III,  S.  302.  Der  Kopf  ist  nm*  mit  der  gedrehten 
Binde  geschmückt,  also  wie  der  vorige,  mit  dem  er  auch  in  der 
Haltung  übereinstimmt.  Die  Arbeit  scheint  ziemlich  gering  zu  sein. 

14.  Florenz,  üffizien.  Kopf. 

Dütschke,  III,  19.  Athletenohren,  im  Haar  nur  eine  schmale 
Binde.  Der  Kopfsteht  dem  Kopf  Corsini  (Nr.  8)  am  nächsten,  wenn 
auch  die  Arbeit  noch  äusserlicher  ist  als  bei  diesem.  Er  hat  auch 
die  flache  Behandlung  der  Haare;  die  einzelnen  Löckchen  ringeln 
sich  nicht  wie  beim  capitolinischen  Kopfe,  sondern  biegen  sich 
nur  etwas  um  wie  bei  Nr.  1  u.  8.  Obgleich  der  Kranz  fehlt,  ist 
doch  die  Anordnung  der  Haare,  die  sich  über  der  Stirn  zu  einem 
grösseren  Bausche  auftürmen,  bewahrt,  auch  ist  die  kleine  Teilung 
in  den  Haaren  an  derselben  Stelle  wie  beim  capitolinischen 
Kopfe  augedeutet.  Bewahrt  ist  auch  die  starke  Ausbildung  des 
Muskels  vor  dem  inneren  Augenwinkel  wie  bei  Nr.  1  u.  8.  Im 
Auge  sind  die  Tränendrüsen  angedeutet,  im  Mund  ganz  in  der 
Tiefe  die  Zähne  nur  in  der  später  üblichen  Manier  schematisch 
gebildet.  Die  Winkel  sind  etwas  herabgezogen. 

15.  Rom,  Museo  Capitolino.  Herme. 

Abgeb.  Mus.  Capit.  I,  Taf.  84.  Von  Wolters  noch  hierher- 
gezogen ;  hat  einen,  wenn  auch  anders  angeordneten,  Pappelkranz 
ohne  Binde.  Im  übrigen  ist  der  Typus  fast  bis  zur  Unkenntlichkeit 
entstellt. 


198        HERAKLES  DES  SKOPAS  UND  VERWANDTES 

In  geraderer  Haltung. 

16.  Brocklesby-Park,  Herme. 

Michaelis,  Anc.  Marbl.  S.  232,  Nr.  33.  Abgeb.  Mus.  Worsl. 
Cl.  II,  5  {PI.  13,  1).  (Ich  habe  nur  die  Mailänder  Ausgabe  ein- 
sehen können).  Nach  Michaelis  a.  a.  0.  ist  der  Kopf  mit  Epheu 
bekränzt,  Tänienenden  hängen  herab.  Die  abweichende  Angabe 
Mus.  Worsl.  S.  47  mit  der  die  daselbst  gegebene  Abbildung 
übereinstimmt,  scheint  auf  falscher  Ergänzung  zu  beruhen.  Die 
Kopfhaltung  scheint  ziemlich  gerade. 

17.  Rom,  Lateran.  Herme. 

Benndorf-Schöne,  Nr.  395.  Schlechte  Zeichnung  im  Apparat 
des  Archäol.  Instituts  I,  42.  Mit  Tänie,  allenfalls  noch  hierher- 
gehörig. 

18.  Eom,  Museo  Torlonia  ('),  53.  Herme. 

Abgeb.  (rcdl.  Torlonia,  Taf.  XIV.  Tänie  mit  Enden  ohne 
Kranz.  Kopf  leise  n.  r.  geneigt.  Geschlossener  Mund. 

19.  Rom,  Museo  Torlonia,  57.  Kopf. 

Abgeb.  Gall.  Torlonia,  Taf.  XV.  Tänie  mit  Enden  ohne 
Kranz.  Kopf  leise  n.  1.  geneigt.  Dem  Typus  nach  noch  allenfalls 
hierhergehörig. 

20.  Rom,  Museo  Torlonia,  186.  Herme. 

Abgeb.  Gall.  Torlonia,  Taf.  XLVII.  Kopf  leise  n.  r.  geneigt. 
Binde  mit  Enden.  Sehr  schlechte  Replik  des  Kopfes. 

21.  Rom,  Museo  Torlonia,  263. 
Sehr  schlechte  Replik  des  Kopfes. 

23.  Athen,  Nation almuseum.  Herakleskopf  mit  Löwenfell,  h.0,29. 

Inventar  der  Arch.  Gesellschaft  '■Aitfira  2146.  Gefunden  im 
Februar  1873  beim  Dipylon.  Vgl.  nQuxiixit  1872/73,  S.  19.  un- 
terer weisser  pentelischer  Marmor  nach  der  Bestimmung  von  Prof. 
Lepsius.  Nachstehend  nach  einer  Photographie  in  Zinkdruck  abgebil- 
det. Die  Arbeit  ist  garing  und  handwerksmässig ;  ausserdem  ent- 
stellen die  eingehauenen  Huchstaben  (die  doch  wohl  O  A  zu  lesen 
sind)  den  Kopf.  Er  ist  an  beiden  Seiten  sehr  verschieden  gear- 
beitet: das  1.  Auge  sitzt  viel  höher  als   das   rechte,   zugleich  ist 


(•)  Diese  vier  Exemplare  habe  ich  nur  bei  flüchtigem  Besuche  des  Museo 
Torlonia  notirt,  ohne  sie  näher  uijtersuchen  zu  können. 


HERAKLES    DES    SKOPAS    UND   VERWANDTES  199 

nur  am  lechten  der   charakteristische   Wulst   über   dem    Oberlid. 
Denselben  Unterschied  zeigen  auch  die  beiden  Augen  des  Löwen- 


kopfes, Die  Uebereinstimmung  mit  unserem  Typus  ist  unverkenn- 
bar ;  die  Haltung  des  Kopfes  ist  die  des  capitolinischen. 

23.  Athen,  Nationalmuseum,  N.  4204.  Heraklesstatuette,  h.  0,55. 

Unterer  weisser  pentelischer  Marmor  (Lepsius).  Ums  lebend 
abgebildet.  Die  Kopfhaltung  ist  die  des  capitolinischen  Kopfes. 
Die  Uebereinstimmung  mit  unserem  Typus,  wenn  auch  die  Zähne 
nicht  angedeutet  sind,  vollständig. 


Wir  kehren  zu  unseren  beiden  Köpfen  zurück :    die   übrigen 
Wiederholungen  haben  den  Dienst  getan,  uns  zu  zeigen,   dass  es 


200 


HERAKLES    DES    SKOPAS    UND    VERWANDTES 


sich  in  der  Tat  um  ein  gemeinsames  Original  handelt,  Ueber  den 
stilistischen  Charakter  dieses  Originals  können  sie  gegenüber  jenen 
beiden  besten  nichts  lehren.  Dass  von  diesen  beiden  der  Kopf  des 


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Conservatorenpalastes  in  einigen  Teilen  der  bessere  ist,  wie  in 
dem  lebendigeren  Mund,  dem  feineren  Uebergang  vom  Auge  zur 
Schläfe,  der  besser  ausgebildeten  Muskulatur  des  Halses,  ist  ohne 
weiteres   klar ;   doch    muss    die   endgiltige  Entscheidung  darüber, 


HERAKLES   DES    SKOPAS    UND   VERWANDTES  201 

welcher  von  beiden  dem  Original  am  nächsten  kommt,  vorerst 
verschoben  werden,  und  wir  halten  uns  zunächst  an  beide,  um 
durch  ihre  gemeinsame  Zergliederung  eine  Vorstellung  von  dem 
künstlerischen  Charakter  desselben  zu  gewinnen.  Dabei  soll  zu- 
gleich zu  erweisen  versucht  werden,  dass  dieser  bei  mancher 
üebereinstimmung  doch  ein  von  Praxitelischer  Weise  verschie- 
dener ist. 

Ich  verbinde  also  mit  einer  eingehenden  Betrachtung  unserer 
Köpfe  die  Vergleichung  mit  dem  Hermes  des  Praxiteles.  Der 
naheliegenden  Gefahr,  die  Unterschiede  zwischen  einem  Original- 
werk und  einer  Copie  für  solche  der  Kunstrichtung  zu  halten,  bin 
ich  mir  dabei  wohl  bewusst,  doch  bieten  die  übrigen  mit  Wahr- 
scheinlichkeit dem  Praxiteles  zugeschriebenen  Werke,  welche  ja 
auch  nur  in  Copien  erhalten  sind,  eine  Controlle  für  den  Vergleich, 
und  bestätigen  in  den  Punkten  auf  die  es  hier  hauptsächlich  an- 
kommt lediglich  die  am  Hermes  gemachten  Beobachtungen. 

In  der  allgemeinen  Erscheinung  Praxitelischer  Werke  ver- 
bindet sich  mit  der  vornehmen  Ruhe  der  Haltung  die  feine 
Durchbildung  der  Formen.  Zu  der  leisen  Neigung  des  Kopfes,  mit 
welcher  der  Hermes  ja  nicht  allein  steht,  gesellt  sich  die  milde 
Freundlichkeit  seines  Ausdrucks,  der  fast  ein  Zug  wie  von  Träu- 
merei beigemischt  ist.  Anders  der  Herakles:  seine  Formen  sind 
bei  aller  Jugendlichkeit  derber;  waches  Leben  liegt  in  seinen 
Zügen,  namentlich  in  dem  etwas  aufwärts  und  wie  in  die  Ferne 
gerichteten  Blick.  Die  Schädel  Praxitelischer  Köpfe  zeigen  in  der 
Seitenansicht  jene  besonders  harmonische  Rundung.  Vom  Nacken 
steigt  es  in  schlanker  concaver  Krümmung  zum  Hinterkopfe  an, 
der  dann  ganz  allmählig  in  den  schöngewölbten  Oberkopf  übergeht. 
Dem  entspricht  in  der  Vorderansicht  das  feine  Oval,  das  sich 
nach  unten  ziemlich  stark  verjüngt.  In  fast  überall  gleicher  Stärke 
decken  die  Haare  den  Schädel  und  lassen  so  das  Ebenmaass  der 
Form  für  jede  Ansicht  gleich  deutlich  erscheinen.  Der  Schädel  des 
Herakles,  wie  die  Seitenansicht  des  Kopfes  aus  Genzano  (Jahrbuch  I, 
Taf.  5),  mit  welcher  die  anderen  übereinstimmen,  erkennen  lässt, 
ist  oben  flach ;  der  Hinterkopt  bildet  beinahe  eine  Ecke ;  seine 
weiteste  Ausladung  sitzt  viel  dichter  über  dem  Nacken.  Der  ganze 
Schädel  erscheint  im  Verhältnis  zum  Gesicht  kleiner,  darum  liegt 
auch  das  Ohr  weiter  zurück.  Breiter  und  kürzer  ist  die  Form  des 


202  HERAKLES    DES    SKOPAS    UND    VERWANDTES 

Gesichtes,  durch  den  kräfiigeren  Bau  von  Unterkiefer,  Backenkno- 
chen und  Stirnbein  im  wesentlichen  bedingt. 

Lässt  sich  die  Formgebung  des  Hermes  weit  hinauf  in  die 
attische  Kunst  verfolgen  ('),  so  möchte  man  den  Herakles 
eher  mit  Typen  peloponnesischer  Kunstübung  vergleichen. 
Als  Beispiel  diene  die  von  Comparetti  und  De  Petra,  La  Villa 
Ercolanese,  Tafel  XXI,  Nr.  3  abgebildete  Herme  Polykletischen 
Kunstcharakters,  auf  welche  wir  noch  öfter  zurückkommen  werden, 
xiuch  das  Haar  des  Herakles,  an  Ober-  und  Hinterkopf  noch  glatt 
anliegend,  baut  sich  in  Verbindung  mit  Kranz  und  Tänie  hoch 
über  der  Stirne  auf,  ladet  an  beiden  Seiten  stark  aus  und  giebt  so 
dem  Umrisse  des  Kopfes  in  der  Vorderansicht  auch  äusserlich 
etwas  von  jener  grösseren  Bewegung,  auf  deren  Vorhandensein  im 
Inneren  der  Ausdruck  des  Gesichts  schliessen  liess.  Innerhalb 
seiner  fein  umschriebenen  Form  ist  das  Gesicht  des  Hermes  in 
allen  Teilen  und  Einzelheiten  mit  gleicher  Sorgfalt  durchgebildet : 
die  Wangen  zum  Beispiel  spielen  nicht  nur  um  Mund  und  Augen 
in  feinen  Zügen,  sondern  sind  auch  in  sich  noch  belebt;  die  reiche 
Modellirung  der  Stirn  ist  oft  hervorgehoben.  Ganz  anders  ist  der 
Herakleskopf  construirt :  wie  im  Bau  die  Hauptpunkte  stark  be- 
tont iAnd,  so  concentrirt  sich  auch  die  Einzelausführung  nur  um 
gewisse  Stellen,  nämlich  Augen,  Mund  und  etwa  die  Nase.  Den 
Mund  athmend,  die  Augen  intensiv  blickend  darzustellen,  also 
den  Ausdruck  regen  Lebens  in  den  Kopf  zu  bringen,  darauf  ist 
alles  gerichtet,  dem  werden  Einzelheiten  geopfert.  Die  Wangen 
sind  leer,  die  Stirn,  wenn  auch  nach  einem  verwandten  Schema, 
wie  beim  Hermes,  eingeteilt,  ist  doch  viel  einfacher.  Es  ist  haupt- 
sächlich ein  Teil  der  Unterstirn  stark  vortretend  gebildet  und» 
während  diese  Partie  beim  Hermes  sowohl  vom  Nasenansatz  als 
seitlich  von  dem  Augenbogen  deutlich  durch  feine  Einsenkungen 
geschieden  ist,  lastet  sie  beim  Herakles  fast  auf  den  Nasenansatz 
herab  und  geht  seitlich  allmählig  zum  Augenbogen  über,  so  dass 
man  den  Eindruck  gewinnt,  als  ob  die  ganze  Stirn  dieser  Schwel- 
lung zustrebe.  Zugleich  wird  damit  erzielt,  dass  die  Umgebung  des 
Auges  am  inneren  Winkel  einheitlicher  und  stärker  hervortritt, 
als  dies  beim  Hermes  der  Fall  ist.    Etwas  ähnliches  ist   für  den 

(')  Vgl.  Kekuld,  Der  Kopf  des  Praxitelischen  Hermes  S.  11. 


HERAKLES    DES    SKOPAS    UND    VERWANDTES  203 

äusseren  Winkel  durch  besonders  starke  Bildung  des  Augenknochens 
geleistet.  So  liegen  also  die  besonders  gross  geöffneten  Augen 
stark  beschattet  von  einer  fast  gleichmässig  über  ihnen  vor- 
springenden, dort  am  kräftigsten  entwickelten  Stirn.  Aber  dies  ge- 
nügt noch  nicht.  Jener  Teil  des  Stirnbeins,  welcher  sich  bis  über 
den  äusseren  Augenwinkel  fortsetzt,  tritt  so  weit  vor,  dass  er  mit 
den  unter  ihm  vorquellenden  weicheren  Teilen  das  obere  Augenlid 
für  die  Seitenansicht  völlig  verdeckt,  das  äussere  Ende  desselben 
sogar  auch  in  der  Vorderansicht,  da  es  überhaupt  gar  nicht  be- 
sonders ausgearbeitet  ist,  sondern  die  Kante  des  Lides  sich  ganz 
in  den  Umriss  jener  vortretenden  Augenknochenpartie  verläuft. 
Diese  charakteristische  Eigenheit  ist  von  Durchschnittscopisten 
stets  vernachlässigt  worden,  so  dass  sie  den  meisten  übrigen  Wieder- 
holungen des  Herakles  fehlt.  Es  erschien  wohl  zu  fehlerhaft  —  wie 
es  ja  auch  ein  bewusstes  Abweichen  von  der  Natur  ist  —  und 
man  glaubte  seine  Vorlage  zu  verbessern,  wenn  man  das  obere 
Augenlid  in  seinem  ganzen  Verlaufe  sichtbar  bildete.  Auch  beim 
Hermes  ist  zwar  für  die  Seitenansicht  das  Oberlid  nicht  in  seinem 
ganzen  Verlaufe  frei;  es  ist  aber  doch  vollkommen  bis  zu  Ende 
ausgearbeitet,  und  weder  ist  das  Vortreten  des  Knochens  darüber, 
noch  das  Vorquellen  der  weicheren  Gewebe  annährend  so  stark 
und  autfallend  gebildet.  Bei  dem  Herakleskopfe  wird  aber  nun 
weiter  dadurch  bewirkt,  dass  auch  neben  dem  äusseren  Augen- 
winkel zwischen  Stirn-  und  Backenknochen  eine  tiefe  Einsenkung 
entsteht,  schon  etwa  ähnlich  wie  beim  Kopfe  des  Apoxyomenos.  Denn 
auch  unterhalb  des  Auges  treten  die  Massen  wieder  stark  vor.  Der 
Muskel,  welcher  .sich  von  der  Nase  schräg  herab  zur  Wange  zieht, 
fäUt  nicht,  wie  beim  Hermes,  so  steil  herab,  dass  unterhalb  des 
Auges  eine  Stelle  bleibt,  wo  die  Wange  flach  ist;  sondern  unmittelbar 
unter  dem  Auge  ist  alles  gleich  stark  vorgebaut,  wie  der  capito- 
linische  Kopf  (Taf,  VIII)  gut  erkennen  lässt;  und  bei  dem  anderen 
Kopfe  endlich  sieht  man  wie  jener  Muskel  ganz  oben  mit  einem 
kleinen  Wulst  ansetzt,  der  sich  vor  den  inneren  Augenwinkel  legt. 
So  ist  also  alles  dazu  getan,  das  Auge  mit  einem  Wall  zu  um- 
geben, der  es  bei  jeder  Beleuchtung  wie  tief  in  einer  beschatteten 
Höhle  liegend  erscheinen  lässt.  Die  Bildung  im  Auge  selbst  ent- 
spricht dieser  Tendenz.  Die  Augenlider  sind  dick,  die  ünterfläche 
des  Oberlides  ist  breiter  als  die  Vorderansicht,  durch    eine  kleine 


204  HERAKLES    DES   SKOPAS    UND   VERWANTDES 

Uüterschneiduug  ist  der  Augapfel  davon  gelöst;  dies  ist  besonders 
gut  am  capitolinischen  Kopfe  zu  beobachten,  aber  auch  an  dem 
anderen,  namentlich  im  r.  äusseren  Augenwinkel.  Das  Unterlid  ist 
zwar  bei  beiden  Köpfen  stark  verscheuert;  doch  erkennt  man  noch 
deutlich,  dass  seine  obere  breite  Fläche  durch  eine  scharfe  Furche 
vom  Augapfel  getrennt  ist.  So  ist  also  wieder  dafür  gesorgt,  dass 
der  Augapfel  gegen  die  Lider  zurücktrete,  und  um  dies  aufs  letzte 
zu  steigern,  fehlt  die  Tränendrüse,  so  dass  im  inneren  Winkel 
an  ihrer  Stelle  ein  tiefes  Loch  entsteht,  und  der  Winkel  ganz 
unnatürlich  tief  in  den  Kopf  hineingeht.  Dies  ist  namentlich  an 
dem  Kopfe  aus  dem  Conservatorenpalast  stark  übertrieben ;  es 
sieht  schon  fast  so  aus,  als  ob  der  innere  Winkel  tiefer  als  der 
äussere  läge,  während  er  doch  in  Wirklichkeit  weit  vor  denselben 
vortreten  muss. 

Von  dem  allen  ist  beim  Hermes  nicht  die  Rede,  ja  den 
zuletzt  ausgeführten  üebertreibungen  widerstreitet  eine  oft  beob- 
achtete Eigentümlichkeit  seiner  Augenbildung  geradezu.  Der  Aug- 
apfel ist  nicht  von  den  Lidern  gelöst,  im  Gegenteil  das  Unterlid 
ist  so  gebildet,  als  ob  es  gegen  den  Augapfel  zu  ganz  dünn  würde, 
und  geht  daher  für  die  Betrachtung  aus  nächster  Nähe  fast  un- 
merklich in  diesen  über ;  die  Grenze  zwischen  beiden  ist  kaum 
genau  zu  finden;  erst  bei  Betrachtung  aus  der  nötigen  Entfernung 
sieht  man,  dass  der  Künstler  trotz  des  fliessenden  üebergangs  die 
Stelle  der  Grenze  richtig  empfunden  und  genügend  angedeutet  hat. 
Und  wenn  auch  das  Lid  nicht,  wie  bei  dem  kleinen  Kopfe  der 
Knidierin  in  Olympia,  noch  ausserdem  hochgezogen  ist,  um  das 
Auge  nur  schmalgeötfnet  erscheinen  zu  lassen,  so  kann  man  doch 
andererseits  auch  nicht  eigentlich  behaupten,  dass  die  Augen  des 
Hermes  weitgeöffnet  seien.  Auch  daa^  Oberlid,  wenn  auch  weit 
über  den  Apfel  vorspringend,  setzt  doch  weich  ohne  eine  scharfe 
Kante  von  ihm  ab  (').  Also  auch  hier  ein  bewusstes  Abweichen 
von  der  natürlichen  Form  zu  Gunsten  einer,  wenn  man  will,  ma- 

(')  Jener  Mangel  scharfer  Umrisse,  welchen  man  auch  immer  wieder 
beobachten  kann,  wenn  man  die  Ausdehnung  irgend  eines  Muskels  am  Körper 
des  Hermes  genau  verfolgen  will,  kann  ja  geradezu  als  ein  Geheimniss 
Praxitelischer  Kunst  gellen:  weich  in  allen  Uebergängen  zu  sein,  aber  nie 
verschwommen,  weil  doch  jede  Form  bestimmt  angelegt  und  richtig  ver- 
standen ist. 


HERAKLES  DES   SKOPAS   UND   VERWANDTES  205 

lerischen  Wirkung,  aber  gerade  in  einem  dem  Herakles  entgegen- 
gesetzten Sinne. 

Für  die  Nase  des  Herakles  fehlt  mir  leider  die  eigene  An- 
schauung des  einzigen  Exemplars  an  dem  sie  vollständig  ist,  des 
Kopfes  aus  Genzano,  aber  die  Abbildungen,  namentlich  die  Seiten- 
ansicht bei  Wolters  a.a.O.  genügen  um  zu  sehen,  dass,  bei  einer 
im  Grossen  und  Ganzen  der  des  Hermes  sehr  verwandten  Anlage, 
die  des  Herakles  doch  etwas  kürzer  und  breiter  ist.  Namentlich 
ist  die  Spitze  nicht  so  weit  ausgezogen  und  fein  ausgebildet  wie 
beim  Hermes.  Noch  bezeichnender  aber  ist,  dass  gegenüber  den 
feinen,  anliegenden  und  kleinen  Nasenflügeln,  die  der  Hermes  mit 
den  meisten  attischen  Werken  gemein  hat,  der  Herakles  die  leicht 
gehobenen  etwas  breiten  Nüstern  desAthmenden  zeigt ;  nament- 
lich das  Exemplar  des  Conservatorenpalastes,  bei  welchem  dieser 
Teil  ganz  erhalten  ist,  lässt  dies  erkennen.  Die  Bildung  ist  ähnlich 
der  des  oben  erwähnten  Neapler  Polykletischen  Kopfes,  und  findet 
sich  in  den  olympischen  Köpfen  bereits  angedeutet.  Am  stärksten 
nun  endlich  ist  im  Munde  danach  gestrebt  das  Athmen  und  ener- 
gisches Leben  zur  Geltung  zu  bringen ;  er  ist  so  weit  geöffnet, 
dass  die  Oberzähne  bis  zu  ihrer  ünterkante  erscheinen ;  diese 
Unterkante  ist  tief  unterschnitten,  so  dass  ein  dunkeler  Schatten  sie 
begrenzt.  Letztere  Eigentümlichkeit  hat  nur  der  Kopf  im  Conser- 
vatorenpalast,  während  bei  dem  anderen  zwar  die  Zähne  angedeutet 
sind,  aber  durchaus  in  der  später  allgemein  üblichen  Weise. 
Ausser  dieser  Oeffnung  des  Mundes  aber,  welche  durch  Abwärts- 
bewegen des  Unterkiefers  geschieht,  ist  auch  noch,  wiederum  wie 
beim  Einathmen,  die  Oberlippe  gehoben,  und  eben  dadurch  wird 
die  Zahnreihe  so  weit  sichtbar.  Der  Vergleich  des  Mundes  am  Po- 
lykletischen Kopfe  mit  dem  nur  leise  geöffneten  Munde  des  Hermes, 
dessen  Oberlippe  in  voller  Euhe  geblieben  ist,  macht  auch  hier 
den  Unterschied   besonders  deutlich. 

Eine  analoge  Bildung  des  Mundes  ist  auch  in  älterer  Zeit 
der  griechischen  Plastik  nicht  fremd;  doch  ist  sie  da  nur  ver- 
wendet, wenn  es  sich  darum  handelte,  das  Letzte  an  leidenschaft- 
lichem Ausdruck  zu  veranschaulichen  und  tritt  demgemäss  nur  da 
auf,  wo  auch  die  übrigen  Züge  einen  solchen  bekunden,  wie  z.  B. 
in  den  Metopen  des  Parthenon.  Dieses  Mittel  aber  anzuwenden, 
lediglich  um  inneres  Leben  in  äusserlich  unbewegten  Mienen  aus- 

14 


206  HERAKLES    DES    SKOPAS    UND   VERWANDTES 

zudrücken,  miiss  schon  beinahe  als  gesuchte  üebertreibung  gelten. 
Man  überblicke  die  stufenweise  Belebung  des  Mundes.  Zunächst 
sind  in  der  ältesten  Kunst  die  Lippen  festgeschlossen;  schon  früh 
beginnen  sie  sich  leise  zu  lüften,  dann  endlich  löst  man  sie 
so  weit  von  einander,  dass  ein  wirklicher  Spalt  entsteht ;  dann 
erscheinen  in  diesem  Spalte  die  Zähne  einfach  als  Kückwand  des- 
selben. Auf  dieser  Stufe  steht  der  Hermes,  um  zwei  Elemente  ist 
dies  im  Herakles  überboten,  um  das  ünterschneiden  der  Zahnreihe 
und  um  das  Heben  der  Oberlippe. 

Verschieden  an  Hermes  und  Herakles  ist  auch  das  Ohr : 
zunächst  ist  seine  Stellung  beim  Hermes  nahezu  aufrecht,  während 
es  beim  Herakles  weit  hinten  überliegt  wie  bei  Polykletischen 
Köpfen.  Ferner  ist  die  Muschel  beim  Hermes  schlank  und  nicht 
breit,  die  Höhlung  gross  und  der  innere  Knorpel  schmal,  kaum 
viel  breiter  als  der  aufgebogene  ßand  der  Muschel ;  das  Läppchen 
schliesst  sich  in  sanftem  üebergang  an,  ist  gross  und  schön  ge- 
rundet und  so  gestaltet,  als  ob  es  auch  mit  seiner  Vorderkante 
ganz  losgelöst  wäre.  Das  Ohr  des  Herakles  hat  eine  breite  Muschel, 
die  Höhlung  ist  klein,  die  innere  Knorpelfläche  gross,  das  l^äppchen 
setzt  sich  von  dem  unteren  Rand  der  Muschel  in  einem  starken 
Höcker  ab,  der  auf  Taf.  IX  sehr  deutlich  sichtbar  ist ;  ebenda  sieht 
man,  dass  eine  tiefe  Furche  sich  bis  weit  auf  das  Läppchen  erstreckt  • 
Letzteres  ist  verhältnissmässig  klein  und  vorne  nicht  ganz  losgelösi;, 
sondern  angewachsen,  wie  es  nach  einem  in  Deutschland  verbrei- 
teten Aberglauben  bei  unmusikalischen  Menschen  sein  soll. 

lieber  die  Behandluüg  der  Haare  endlich  ist  bei  der  Ver- 
schiedenheit unserer  beiden  Köpfe  vorläufig  nicht  zu  urteilen,  aber 
in  der  Anordnung  derselben  ist  ausser  der  anfangs  gemachten  Be- 
merkung noch  ein  kleiner  Unterschied  zu  betonen.  Beim  Hermes 
fallen  die  vorderen  kurzen  Haare  in  die  Stirn,  wie  dies  ja  bei  der 
grossen  Mehrzahl  griechischer  Köpfe  der  Fall  ist.  Beim  Herakles 
sind  sie  über  der  Stirn  in  die  Höhe  gerichtet,  so  dass  diese  in 
ihrer  ganzen  Ausdehnung  nach  oben  frei  wird,  und  man  den  wirk- 
lichen Haaransatz  sieht,  eine  namentlich  in  älterer  Zeit  durchaus 
nicht  häufige  Anordnung. 

Ich  bin  weit  entfernt  davon  zu  glauben,  dass  die  aufgeführten 
Unterschiede  zwischen  dem  Hermes  und  unserem  Herakleskopfe 
sämmtlich  gleich  wesentlich  seien,  und  mit  gleichmässiger  Wahr- 


HERAKLES   DES   SKOPAS   UND   VERWANDTES  207 

scheinlichkeit  zur  Annahme  verschiedener  Künstler  drängten.  Man- 
ches könnte  sich  ja  aus  der  Verschiedenheit  des  künstlerischen 
Vorwurfes  ('),  manches  aus  einer  anderen  Entwickelungsstufe  des 
Künstlers  erklären  lassen.  Auch  das  Urteil  darüber,  welcher  Art 
von  Verschiedenheiten  die  meiste  Beweiskraft  zukomme,  wird  ver- 
schieden sein:  der  Eine  wird  geneigt  sein,  dem  allgemeinen  Ein- 
druck, der  Andere ,  der  einzelnen  Form  mehr  Gewicht  beizulegen. 
Immerhin  aber  muss  die  Gesamtheit  dieser  Unterschiede  und  die 
Spuren  eines  ganz  anders  gearteten  künstlerischen  Strebens,  wel- 
ches sich  als  ihre  Hauptursache  ergeben  hat,  uns  zu  der  Annahme 
drängen,  der  Herakles  sei  nicht  von  Praxiteles.  Und  so  raüssten 
wir  urteilen,  selbst  wenn  es  keine  anderen  Monumente  gäbe,  an 
die  wir  ihn  stilistisch  anreihen  könnten. 

Es  giebt  aber  solche  Monumente,  und  das  sind  die  Köpfe 
aus  dem  Giebel  des  Tempels  der  Athena  Alea  zu  Tegea.  Sie  zeigen 
im  Ganzen  und  im  Einzelnen  dieselbe  Kunstweise,  wie  der  Hera- 

(1)  Abgesehen  davon,  dass  ja  auch  schon  die  Wahl  des  Stoffes  für  den 
Künstler  bezeichnend  ist,  lässt  sich  auch  noch  auf  andere  Weise  einem  der- 
artigen Einwände  begegnen :  Furtwängler  hat  auf  den  Herakles  der  Gemme 
des  Gnaios  (Jahrbuch  III,  Taf.  10,  Nr.  6)  als  Praxitelisch  hingewiesen. 
(Roschers  Mythol.  Lex.  S.  2167  und  Jahrb.  III,  S.  315).  In  der  Tat  scheint 
dieser  Kopf  im  Typus  Praxiteles  recht  nahe  zu  stehen.  Und  wenn  auch  ein 
Teil  des  Ober-  und  Hinterkoi^fes  ergänzt  ist,  so  steht  doch,  wie  aus  der  Füh- 
rung der  Nackenlinie  zu  schliessen  ist,  die  Kopfform  der  des  Hermes  recht 
nahe.  Mit  unserm  Typus  hat  die  Gemme  nichts  als  die  Jugendlichkeit  ge- 
mein. Furtwängler  freilich  will  auch  diesen  Kopf  zum  unsrigen  stellen  und 
für  Wiedergewinnung  seiner  ursprünglichen  Gestalt  verwenden.  Nun  stimmt 
in  der  Haltung  der  ge3chulterten  Keule  mit  der  Gemme  genau  überein  die 
Heraklesstatue  in  Sammulang  Lansdowne  (abgab.  Specimens  of  Anc.  Sculpt.I, 
PL  40  und  danach  Clarac  788,  1973),  in  deren  Kopf  Furtwängler  wiederum 
(Roschers  Lex.  S.  2171)  Praxitelischen  Stil  erkennt;  und  so  weit  man  aus 
der  unzureichenden  Abbildung  schliessen  kann,  könnte  das  der  Fall  sein, 
auch  die  Verhältnisse  des  Körpers  und  seine  Stellung  mit  ausgebogener 
Hüfte  würden  das  nur  befürworten.  Eine  Wiederholung  dieser  Statue  in  klei- 
ncrem Maasstabe  befindet  sich  nach  Matz-Uuhn  (Nr.  95)  in  R  )m  im  Palazzo 
Barberini.  Endlich  gehört  vielleicht  der  von  Wolters  im  Jahrbuch  I,  Taf.  5, 
Nr.  1  veröffentlichte  Praxitelische  Kopf  hierher.  Danach  muss  die  Möglich- 
keit offen  gehalten  werden,  dass  es  einen  Typus  für  den  jugendlichen  Hera- 
kles gab,  welcher  sich  innerhalb  der  uns  bisher  bekannten  Grenzen  Praxite- 
lischer  Kunst  hielt.  Um  so  mehr  Gewicht  werden  wir  auf  die  bei  unserem 
Typus  hervortretenden  Abweichungen  legen  dürfen. 


208  HERAKLES   DES   SKOPAS   UND   VERWANDTES 

kies,  und  stimmen  in  allen  den  Punkten  mit  ihm  überein,  in 
welchen  er  sich  vom  Hermes  scheidet.  Treu  hat  in  dem  vierten 
Abschnitt  seines  Aufsatzes  über  die  Köpfe  aus  Tegea  (Athen. 
Mitteil.  VI,  S.  405  ff.)  dieselben  einer  eingehenden  stilistischen 
Analyse  unterzogen  und  auch  gerade  das  wesentliche  dieser  Kunst- 
weise an  dem  Vergleich  mit  Praxiteles  entwickelt.  Die  Zusammen- 
stellung unserer  Beobachtungen  an  den  Heraklesköpfen  mit  den 
Ausführungen  Treu's  könnte  an  sich  genügen  die  obige  Behau- 
tung  zu  beweisen,  so  vielfach  berühren  sich  beide.  Mehr  der 
Vollständigkeit  der  Beweisführung  wegen  sollen  daher  die  Te- 
geaköpfe  im  Folgenden  noch  einer  kurzen  vergleichenden  Betrachp- 
tung  im  Verhältniss  zum  Herakles  unterzogen  werden.  Leider 
macht  der  traurige  Erhaltungszustand  dieser  Werke  das  Gelin- 
gen einer  mechanischen  Abbildung  unmöglich.  Sie  nach  den  Pu- 
blicationen  eingehend  zu  studiren  ist  daher  recht  mühevoll.  Der 
Kopf  Nr.  68  (Kavvadias)  verliert  am  meisten ;  er  ist  auf  der 
Tafel  in  Brunn's  Denkmälern  Nr.  44  unkenntlich;  macht  aber 
auch  auf  der  nach  Abgüssen  hergestellten  Tafel  35  der  Antiken 
Denkmäler  Band  I  einen  vom  Originale  recht  verschiedenen  Ein- 
druck. Für  ihn  ist  Gillierons  vorzüglich  gelungene  Zeichnung 
(Athen.  Mitteil.  VI,  Taf.  14)  unentbehrlich,  aber  auch  für  den 
Kopf  Kavv.  09  muss  man  die  nach  desselben  Künstlers  Zeichnung 
hergestellte  Tafel  der  ^Etpr^iieqlg  dqxmoloyixrj  (1886  T.  2)  mit 
zu  Kate  zu  ziehen.  Ausserdem  sind  recht  gelungene  Photographien 
der  Köpfe  von  Moraitis  in  Athen  im  Handel.  Die  folgenden  Beob- 
achtungen sind  vor  den  Originalen  aufgezeichnet,  und  der  daneben 
aufgestellte  Abguss  des  Hermes  erleichterte  es  die  wesentlichen  Ab- 
weichungen von  dessen  Formgebung  herauszufinden.  Der  dekorative 
Zweck  und  Charakter  dieser  Bruchstücke,  ihr  Erhaltungszustand, 
endlich  die  Darstellung  einer  bestimmten  Handlung,  für  welche 
sie  gearbeitet  waren,  verbieten  es,  subtil  in  der  Vergleichung  zu 
sein;  es  kann  sich  hier  nur  um  Hauptpunkte  handeln.  Aber  auch 
von  diesen  müssen  wir  für  einen,  die  Schädelbildung,  auf  Be- 
lehrung verzichten;  beide  Köpfe  sind  oberhalb  abgemeisselt,  und 
gerade  der  unbehelmte  Kopf  ist  in  einer  gewaltsamen  Stellung 
gebildet,  welche  fast  eine  Verzerrung  der  Form  hervorgerufen  hat  ('). 

(1)  Man  kann  höchstens  im  allgemeinen  erkennen,  dass  die  Tiefe  der 
Schädel  verhältnissmässig  gross  ist,  wie  dies  L.  E.  Famell,  Journal  of  h.  st. 
Vn,  S.  115  hervorhebt.  Und  dies  ist  ja  auch  bei  unserem  Herakles  der  Fall. 


HERAKLES   DES   SKOPAS   UND   VERWANDTES  209 

Für  den  allgemeinen  Eindruck  ist  dieser  Kopf  gleichwohl  und  trotz 
seiner  schlechten  Erhaltung  fast  wichtiger  als  der  andere ;  der 
ganze  Kopf  ist,  wie  beim  Herakles,  von  einem  intensiven  Ausdruck 
stark  erfüllt,  die  Augen  blicken  Leben  und  Leidenschaft.  Die 
kürzere  und  breitere  Gesichtsform  des  Herakles  finden  wir  in  den 
Tegeaköpfen  wieder,  wie'  auch  die  stärkere  Betonung  des  Knochen- 
baus. Auffallend  ist  die  Breite  an  den  Schläfen  des  unbehelmten 
Kopffes,  der  Fortsatz  des  Stirnbeins  über  den  Augen,  die  Backen- 
knochen, das  Kinn  sind  unter  den  deckenden  Muskel-  und  Haut- 
massen als  kräftig  entwickelt  empfunden  und  in  der  Formgebung 
stark  betont,  noch  stärker  als  bei  dem  behelmten  Kopfe,  der 
seinerseits  wieder  den  Unterkiefer  besonders  breit  und  kräftig 
entwickelt  hat,  wie  der  Herakles  in  dem  Conservatorenpalast  (i).  Für 
die  Betrachtung  der  Einzelheiten  muss  wesentlich  der  besser  er- 
haltene behelmte  Kopf  herhalten.  Die  Stirn  ist  wieder  wesentlich 
darauf  angelegt  nach  unten  stark  auszuladen  (gut  auf  der  Tafel 
der  A.  Denkmäler  zu  sehen),  und  wieder  sinkt  die  ungegliederte 
vortretende  Masse  tief  zum  Nasenansatz  herab.  Der  unbehelmte 
Kopf  übertreibt  dies  so  weit,  dass  der  (noch  gerade  erhaltene) 
Nasenansatz  hier  eigentlich  durch  gar  keine  Einsenkung  markirt 
wird  (vgl.  die  A.  D.).  So  hat  nun  auch  der  Augenhöhlenrand  nicht 

(')  Hier  einige  Maasse  der  beiden  tegeatischen  Köpfe,  um  sie  mit  denen 
des  Herakles  zu  vergleichen;  dass  erstere  als  decorative  Arbeiten  nicht  so  genau 
proportionirt  sind  wie  dieser,  kann  nicht  auifallen. 

Nr.  68        Nr.  69 

Schläfenbreite 126  132 

Haaransatz-Kinn 160 

Haaransatz  (o.  Helmrand)-Unterrand  der  Nase  101  111 

Kinn-Innerer  Augenwinkel 108 

Nase  (bis  zum  Augenhöhlenrand) 57  67 

Uutergesicht 58 

Stirn 43 

Kinn 41 

r.      47 


Innere  Augenwinkel-Unterrand  der  Nase.       .  ,        ,  „  __ 

\  J.       45  oz 

Mundbreite 38       ca.    46 

Innere  Augenweite 35 

Augenlänge 25  31 

Augentiefe 25  29 

Ohrlänge 63 


210  HERAKLES    DES    SKOPAS    UND    VERWANDTES 

den  schönen  Schwung  welcher  beim  Hermes  dadurch  entsteht,  dass 
die  schräge  Vertiefung,  welche  die  Erhebung  der  ünterstirn  ab- 
gränzt  (vgl.  Kekule,  Kopf  des  Prai.  Hermes,  S.  9  u.  11)  hier 
einschneidet,  sondern  dieser  Teil  der  ünterstirn  geht  fast  un- 
merklich beiderseits  zu  den  Wülsten  über,  welche  an  der  Seite 
über  dem  Augenlid  liegen.  Der  unbehelmte  Kopf  lässt  nur  gerade 
noch  erkennen,  dass  das  Oberlid  in  bekannter  Weise  unter  dem 
Wulst  vollkommen  verschwindet,  bei  dem  anderen  Kopfe  lässt  sich 
Dank  der  trefflichen  Erhaltung  die  Arbeit  bis  ins  einzelne  ver- 
folgen :  wieder  das  charakteristische  vollständige  seitliche  Ver- 
schwinden des  Oberlides  unter  dem  überhängenden  Wulst,  das 
Auge  ist  so  weit  geöffnet,  dass  von  dem  Lid  selbst  die  sichtbare 
VorderÜäche  nicht  einmal  so  breit  ist  wie  die  Unterfläche.  Das  Lid 
ist  scharfkantig  gearbeitet  und  durch  eine  leichte  Unterschneidung 
vom  Augapfel  gelöst.  Das  Unterlid  ist  nicht  ganz  so  gut  er- 
halten; es  ist  nicht  ganz  so  breit,  aber  auch  durch  eine  kleine 
Furche  gegen  den  Augapfel  abgesetzt.  (Dies  alles  ist  auf  der 
Tafel  in  Brunn' s  Denkmälern  gut  zu  beobachten).  Die  Augen- 
bildung des  capitolinischen  Herakles  stimmt  also  bis  ins  ein- 
zelnste überein.  Unterhalb  des  inneren  Winkels  liegt  wieder  der 
derbe  von  der  Nase  schräg  abwärtsgehende  Wulst  (leider  in 
keiner  einzigen  Abbildung  ganz  deutlich),  von  da  bis  zum  Backen- 
knochen tritt  die  ganze  Partie  gleichmässig  stark  vor.  Es  ist  also 
durch  genau  dieselben  Mittel  das  Tiefliegen  des  grossgeöffneten 
Auges  erreicht  wie  beim  Herakles.  Es  sei  noch  bemerkt,  dass  auch 
bei  dem  Eberkopfe  das  Auge  analog  gebildet  ist,  und  hier  findet 
sich  auch  jenes  starke  Zurücktreten  des  Apfels  im  inneren  Winkel 
gegen  die  nach  vorne  ausbiegenden  Lidränder.  Die  tiefe  Ein- 
senkung  neben  dem  äusseren  Augenwinkel,  da  wo  der  obere  Wulst 
mit  der  Backenknochenpartie  zusammenstösst,  kehrt  auch  bei  den 
Köpfen  der  Jünglinge  wieder.  Von  den  Nasen  ist  genug  erhalten, 
um  zu  sehen,  dass  auch  hier  die  Flügel  breit  und  etwas  geschwellt 
waren.  Der  Mund  des  unbehelmten  Kopfes  ist  leicht  geöffnet,  die 
Oberlippe  angehoben  (vgl.  Gillieron's  Zeichnung);  die  Zähne  werden 
sichtbar,  wenn  sie  auch  freilich  nicht  stark  unterschnitten  gewesen 
sein  können.  Um  so  mehr  sind  sie  dies  bei  dem  anderen  Kopfe, 
dessen  Mund  auch  durch  seine  starkgeschwungene  Oberlippe  dem 
unseres  Kopfes  aus  dem  Conservatorenpalast  sehr  ähnlich  ist.    Es 


HERAKLES    DES    SKOI'AS    UND   VERWANDTES  211 

kommt  noch  eine  auffallende  Beziehung  hinzu:  beide  Köpfe  haben 
die  Mundwinkel  abwärts  gezogen,  der  eine  wenig,  der  behelmte 
stark.  Man  ist  geneigt  das  lediglich  für  ein  die  Situation  betref- 
fendes Ausdrucksmittel  zu  halten.  Aber  auch  der  Mund  der  He- 
raklesköpfe ist  derselbe,  wiewohl  die  einzelnen  Exemplare  in  dem 
übrigen  der  Mundbildung  etwas  von  einander  abweichen.  Ver- 
gleicht man  nun  diese  Art  der  Mundbildung  mit  der  oft  er- 
wähnten Neapler  Polykletischen  Herme  einerseits  und  dem  Hermes 
anderseits,  so  wird  man  geneigt  sein,  darin  eine  künstlerische 
Eigentümlichkeit  zu  sehen,  die  gegenüber  dem  mildfreundlichen 
attischen  Munde  eine  Reminiscenz  an  peloponnesische  Herbigkeit 
bewahrt  hat. 

Das  etwas  schräg  nach  hinten  liegende  Ohr  mit  dem  an- 
gewachsenen Läppchen  und  der  Furche  darauf  zeigt  wenigstens  der 
behelmte  Kopf;  bei  dem  anderen  ist  die  Stellung  gerade  entgegen- 
gesetzt, aber  wegen  der  eigentümlichen  Haltung  nicht  maass- 
gebend.  lieber  die  Anordnung  der  Haare  lässt  sich  bei  dem  un- 
behelmten Kopf  noch  gerade  so  viel  mit  Sicherheit  erkennen,  dass 
kurze  Löckchen  von  der  Stirn  in  die  Höhe  steigen.  Also  auch  hier 
üebereinstimmung,  und  zwar,  was  die  Arbeit  der  nur  im  all- 
gemeinen angelegten,  durch  geringe  Vertiefungen  belebten  und 
gegliederten  Haarmasse  angeht,  grössere  üebereinstimmung  mit 
dem  Kopfe  des  Conservatorenpalastes. 

Wenn  nun  Robert  (Phil.  Unters.  X,  S.  49),  methodisch,  wie 
mir  scheint,  mit  vollem  Recht,  zur  Vorsicht  in  der  Verwertung  der 
Tegeafragmente  für  die  Erkenntniss  der  Kunstweise  des  Skopas 
mahnt,  so  glaube  ich  doch,  dass  der  Nachweis  eines  im  Altertum 
berühmten  Werkes  von  eigenartiger  Schönheit,  welches  stilistisch 
das  Gepräge  der  durch  jene  Skulpturen  bisher  allein  vertretenen 
Kunstweise  trägt,  geeignet  ist  das  Vertrauen  zu  den  letzteren  zu 
steigern.  Sie  stützen  sich  gegenseitig,  und  es  darf  also  wohl  als 
höchst  wahrscheinlich  angesehen  werden ,  dass  mr  in  unserem 
Herakles  die  vielverbreiteten  Wiederholungen  eines  Werkes  des 
Skopas  besitzen. 

Ehe  ich  einige  Monumente  anreihe  welche  von  der  Seite  der 
"stilistischen  Betrachtung  diese  Zuteilung  empfehlen  können,  sind 
noch  einige  Fragen  zu  besprechen  welche  sich  unmittelbar  an  un- 
seren Herakles  selbst  anschliessen. 


212        HERAKLES  DES  SKOPAS  UND  VERWANDTES 

Zunächst  hat  bereits  Wolters  (Jahrbuch  I,  S.  55)  aus  der 
bewegten  und  wechselnden  Kopfhaltung  der  verschiedenen  Wieder- 
holungen geschlossen,  dass  das  Original  nicht  als  Herme,  sondern 
als  Statue  componirt  war.  Diese  Statue  ist  unter  dem  vorhandenen 
Vorrat  von  Heraklesstatuen  zu  suchen.  Von  unseren  Köpfen  be- 
finden sich  nun  nur  zwei  als  sicher  zugehörig  auf  Statuen,  denn 
die  Zugehörigkeit  von  Nr.  11  zu  seinem  Rumpfe  muss  für  mehr 
als  zweifelhaft  gelten.  Es  bleiben  Nr.  3  und  Nr.  23,  welche  in 
der  Körperhaltung  übereinstimmen,  in  der  Kopfhaltung  die  beiden 
Extreme  vertreten.  Da  die  Statuette  Nr.  23  schon  durch  das  Lö- 
wenfell sich  als  nicht  mehr  strenge  Wiederholung  kennzeichnet,  so 
möchte  man  ohne  weiteres  geneigt  sein,  in  der  Pariser  Statue  Nr.  3 
die  sichere  Wiederholung  der  Originalcomposition  zu  erkennen, 
zumal  sie  auch  in  der  Kopfhaltung  mit  der  Herme  aus  dem  Con- 
servatorenpalast,  die  sich  ja  in  mancher  Beziehung  als  die  treuere 
Replik  erwiesen  hat,  übereinstimmt.  Nun  ist  aber  gerade  bei  dieser 
Statue  nicht  nur  der  Kopf  schon  von  den  übrigen  ziemlich  abwei- 
chend, sondern  auch  der  Körper  zeigt  eine  gewisse  Uebertreibung 
der  Formen,  namentlich  an  dem  Ansatz  der  Hüften,  welche  man 
ungern  dem  Anfang  des  vierten  Jahrhunderts  zutrauen  möchte. 
Man  wird  also  wie  in  den  Formen  so  auch  in  der  Stellung  schon 
eine  Umbildung  gewärtigen  müssen.  Dazu  kommt  noch,  dass  die 
Kopfhaltung  der  capitolinischen  Herme,  welche  ja  die  bei  weitem 
häufigere  ist,  auch  ihre  Erklärung  verlangt.  Es  scheint  also  das 
Zeugniss  der  Pariser  Statue   allein  nicht  zu  genügen  ('). 

Nun  wird  von  Pausanias  (II,  10,  1)  ein  Herakles  des  Skopas 
im  Gymnasium  zu  Sikyon  aus  Marmor  erwähnt,  und  die  Verfasser 
des  Numismatic  commentary  of  Pausanias  haben  eine  Nachbildung 

(')  Wiederholungen  dieser  Statue,  so  weit  man  das  nach  den  Abbil- 
dungen beurteilen  kann,  sind  ausser  der  im  Motiv  übereinstimmenden  athe- 
nischen Statuette,  ein  überlebensgrosser  ziemlich  guter  Torso  im  Capitolini- 
schen Museum,  im  unteren  Gang  Nr.  2  (die  Bewegung  des  Eumpfes  und  des 
erhaltenen  Ansatzes  des  1.  Oberarms  stimmt  genau  mit  der  athenischen  Sta- 
tuette und  der  Statue  im  Louvre;  dass  die  Kopfhaltung  dieselbe  war  wie  bei 
der  letzteren,  geht  aus  dem  Ansätze  der  Halsmuskeln  noch  gerade  hervor. 
Auf  den  Achseln  liegen  die  Enden  der  Tänien);  ferner  die  Statuen  Clarac^ 
PI  788  Nr.  1975,  Matz  Duhn  102  und  Clarac  PI  784,  Nr.  1964  A,  beide  mit 
ergänztem  Kopfe;  endlich  die  Bronze  aus  Byblos  im  Brit.  Museum,  Clarac 
PI  785  Nr.  1966. 


HERAKLES   DES   SKOPAS   UND   VERWANDTES  213 

desselben  mit  grosser  Wahrscheinlichkeit  auf  einer  sikyonischen 
Kupfermünze  des  Geta  {Catalogue  of  greek  coins,  Peloponnesos 
S.  56  Nr.  246.  Taf.  IX,  21)  erkannt  {Journal  of.  hellen  st.  VI 
S.  70;  Taf.  LIII  Nr.  11).  Es  muss  wenigstens  die  Frage  aufge- 
worfen werden,  ob  dieses  die  gesuchte  Statue  sei.  Leider  ist  das 
bisher  einzige  Exemplar  dieser  Münze  so  schlecht  erhalten,  dass 
man  nicht  eben  viel  darauf  erkennen  kann.  Ja,  über  die  wichtigste 
Frage,  ob  der  Kopf  bärtig  oder  unbärtig  ist,  kann  man  der  Ab- 
bildung gegenüber  zweifeln :  Imhoof-Blumer  und  Gardner  erklären 
ihn  für  unbärtig,  Furtwängler  (bei  Röscher  S.  2171)  für  bärtig, 
womit  natürlich  jede  Beziehung  zu  unserm  Typus  fortfiele.  Doch 
bestätigt  eine  von  Herrn  Cecil  Smith  freundlichst  erteilte  Aus- 
kunft die  Angaben  von  Imhoof  und  Gardner ;  derselbe  schreibt 
nämlich :  '  /  have  examined  the  coin  to  which  you  refer,  and,  as 
far  as  the  bad  condition  of  the  surfaee  enable  me  to  judge,  I 
find  that  the  Herakles  is  certainly  beardless,  has  long  hair, 
and  seems  to  wear  a  wreath  '  und  hat  mir  durch  Uebersendung 
eines  Abdruckes  Gelegenheit  gegeben,  den  Thatbestand  nachzu- 
prüfen, danach  kann  die  Bartlosigkeit  nicht  bezweifelt  werden. 
Wenn  nun  C.  Smith  von  langem  Haar  spricht,  und  in  der  That 
etwas  Gewelltes  vom  Hinterkopf  auf  die  Achsel  herab  fällt,  so 
wird  man  bei  dem  Mangel  anderer  Heraklestypen  mit  langem 
wallendem  Haupthaar,  hier  das  Ende  einer  Tänie  erkennen.  Es  ist 
also  durchaus  möglich,  dass  der  Kopf  mit  unserem  Heraklestypus 
übereinstimmt. 

Der  1.  Arm  ist  auf  der  Münze  gebogen;  auf  dem  Unterarm 
hängt  das  Löwenfell,  welches  deutlich  zu  erkennen  ist ;  in  der 
Hand  möchte  man,  der  ganzen  Stellung  nach  die  Hesperiden- 
äpfel  vermuten.  Der  r.  Arm  ist  in  sehr  ähnlicher  Haltung  wie 
bei  der  Pariser  Statue,  wo  er  zwar  zum  Teil  ergänzt  aber  durch 
den  erhaltenen  Oberarm  in  seiner  Richtung  bedingt  ist.  So  würden 
also  Körperstellung  und  Kopftypus  übereinstimmen  können,  Kopf- 
haltung und  Verteilung  der  Attribute  abweichen.  In  den  beiden 
letzteren  Punkten  kommt  nun  der  Bronzekoloss  aus  der  Rotunde 
des  Vatikans  der  Münze  ausserordentlich  nahe  (abgeb  Mon.  i.  d.  I. 
VIII  50).  Hier  ist  die  Haltung  des  Kopfes  mit  der  capitoli- 
nischen  Herme  identisch,  und  dem  Kopftypus  gegenüber  wird  man 
trotz  aller  seiner  Rohheit  nicht  ableugnen   können,    dass    er   aus 


214  HERAKLES    DES    SKOPAS    UND   VERWANDTES 

dem  unserer  Köpfe  entwickelt  sei.  Es  ergiebt  sich  demnach  viel- 
leicht die  Nötigung,  in  diesem  unerfreulichen  Werke  die  letzte 
Spur  der  Statue  des  Skopas  suchen  zu  müssen  {^).  Eine  Entschei- 
dung ist  mit  dem  vorliegenden  Material  noch  nicht  zu  fällen  (2) ; 
jedenfalls  bleibt  die  Möglichkeit  uasern  Typus  auf  die  sikyonische 
Statue  zurückzuführen.  Und  diese  giebt  noch  zu  einer  weiteren 
Auseinandersetzung  Anlass. 

Treu  hat  für  die    tegeatischen     Skulpturen    den    stilistischen 
Zusammenhang  mit  peloponnesischer  Art  und  Kunst  nachgewiesen 


(')  Ein  gleiches  oder  ähnliches  Stellungsmotiv  zeigen  folgende  bei  Clarac 
abgebildete  Statuen : 

PL  802  A  Nr.  1999  B    Samml.  Mattei. 
»    302        ^     1967,      Louvre  Nr.  505. 
r^    786        "     1964,      Florenz. 
«    802  D    ^     1964  B    Eom  Villa  Pamfili. 
Ferner  scheinen  etwa  nach    der   Beschreibung   hierherzugehören    Matz-Duhn 
Nr.  99.  103.  112. 

(2)  Um  wenigstens  eine  Reihe  von  Typen  als  sicher  nicht  in  Betracht 
kommend  auszuschliessen,  und  damit  zu  einem  Skopasischen  und  einem  Pra- 
xitelischen  Typus  ein  Lysippischer  nicht  fehle,  sei  hier  angeführt,  dass  sich 
zu  der  Heraklesstatuette  in  Villa  Ludovisi,  Schreiber  Nr.  45,  welcher  im 
Kopftypus  und  'in  den  Proportionen  durchaus  Lysippischen  Stil  bekundet, 
wie  Furtwängler  (bei  Koscher  S.  2172)  bemerkt,  ausser  der  von  demselben 
herangezogenen  Bronze  im  Brit.  Mus.  (Spec.  of  anc.  sculpt.  II.  29  =  Clarac 
785,  1966)  und  der  von  Schreiber  verglichenen  Figur  auf  der  Neapler  Brunnen- 
mündung  (A/useo  Borb.  I.  49)  noch  die  Bronzestatue  im  Conservatorenpalast 
(Clarac  802  E  1969  B),  eine  Statuette  im  Palazzo  Torlonia  (Matz-Duhn  98) 
und  wahrscheinlich  der  Herakles  aus  Aequura  stellt  (Oesterr.  Mitth.  IX  Taf.  1 
Vgl.  S.  55,  wo  in  eingehender  Analyse  R.  von  Schneider  den  Lysippischen 
Stil  hervorhebt).  Kopfhaltung  und  der  Rest  der  Hand  mit  der  Keule  scheinen 
dafür  zu  sprechen.  Lysippischen  Einfluss  erkennt  Duhn  auch  in  der  Kolossal- 
statue des  Herakles  im  Mus.  Torlonia  Nr.  401  (Matz-Duhn  97).  Nun  sind  aber 
vom  Kopfe  alle  den  Gesichtstypus  bedingenden  Teile  aus  Gyps,  nämlich  die 
Unterstirn  mit  Augenhöhlenrand,  Nasenansatz  und  die  ganze  Nase,  ausserdem 
das  Kinn.  Ob  der  Kopf  überhaupt  zugehört,  konnte  ich  nicht  untersuchen; 
die  Wahrscheinlichkeit  spricht  ja  in  diesem  Museum  nicht  dafür.  Von  der 
übrigen  Figur  ist  ausser  zwei  Wadenstücken  und  einem  Fussmittelteil,  welche 
antik  scheinen,  nur  der  Torso  sicher  alt ,  und  dieser  ist  stilistisch  mit 
den  olympischen  Skulpturen  identisch.  Dies  zeigt  namentlich  die  sehr  charakte- 
ristische Bildung  des  unteren  Randes  des  Brustkorbes,  ausserdem  sind  auch 
die  Schaamhaare  archaisch.  Das  Stück  ist  also  auch  aus  der  Liste  der  He- 
raklesstatuen zu  streichen. 


HERAKLES   DES    SKOPAS    UND   VERWANDTES  215 

(Athen.  Mitth.  VI.  S.  407).  Aehnlich  ist  im  Verlaufe  der  Betrach- 
tung des  Herakleskopfes  mehr  als  einmal  auf  die  Neapler  Herme  (Z« 
Villa  ercolanense  Taf.  XXI  Nr,  3)  hingewiesen  worden.  Von  dieser 
Herme  sind  mir  noch  zwei  Wiederholungen  bekannt,  eine  im  Late- 
ran (Benndorf-Schöne  491),  und  eine  sehr  schlechte  im  Museo  Chia- 
ramonti  (Nr.  139):  der  Binde  fehlen  hier  die  herabhängenden  En- 
den. Dass  der  Typus  Polykletisch  sei,  ist  von  Benndorf-Schöne  a.  a.  0. 
erkannt.  Wenn  er  daselbst  als  eine  '  verfeinerte  Bildung '  des  Dory- 
phorostypus  bezeichnet  ist,  so  liegt  das  wohl  an  einer  gewissen  fla- 
chen Weichheit,  die  das  nicht  besonders  gute  Exemplar  des  Lateran 
aufweist.  Das  Neapler  Exemplar  ist  gerade  im  Gegenteil  beson- 
ders kräftig  gebildet,  und  wenn  auch  dieses  als  eine  ziemlich  rohe 
Arbeit  bezeichnet  werden  muss,  so  ist  es  doch  so  charakteristisch 
in  allen  Formen,  der  mächtigen  Stirn,  den  grossen  Augen,  den 
schwellenden  Lippen  und  dem  kräftigen  Kinn,  so  wirksam  durch 
den  Ausdruck  von  Leben  und  Kraft,  dass  man  nicht  zweifeln 
wird,  hier  dem  Originale  am  nächsten  zu  sein.  Nun  scheint  die 
gewundene  Binde  mit  den  hängenden  Enden  eher  einem  Gotte  als 
etwa  einem  menschlichen  Sieger  zuzukommen,  der  Charakter  des 
Kopfes  sich  für  einen  Herakles  wohl  zu  schicken.  Unter  diesen 
Umständen  darf  wenigstens  die  Vermutung  ausgesprochen  werden, 
dass  die  Beziehungen,  welche  unser  Herakles  zu  diesem  Kopfe 
hat,  und  welche  sich  mir  immer  und  immer  wieder  bei  der  Be- 
trachtung desselben  aufdrängten,  vielleicht  aus  einer  bewussten 
Anlehnung  an  diesen  Typus  zu  erklären  seien.  Wenn  Skopas  einen 
Herakles  für  die  Vaterstadt  Polyklets  schuf,  so  lag  es  für  ihn  ja 
eigentlich  nahe,  an  ein  Werk  desselben  anzuknüpfen. 

Wie  dem  allem  nun  auch  sei,  die  Berechtigung  aus  stilisti- 
schen Gründen  imseren  Herakles  dem  Skopas  zuruschreiben,  wird 
durch  die  Entscheidung  über  die  an  die  Statue  sich  knüpfenden 
Fragen  in  keiner  Weise  berührt.  Es  erübrigt  jetzt  noch,  der  oben 
gegebenen  Ankündigung  gemäss,  anzuführen,  was  zu  dieser  stili- 
stischen Betrachtung  bestätigend  hinzutreten  kann.  Es  wird  nämlich 
das  Vertrauen  zu  der  Autorität  der  tegeatischen  Köpfe  und  zu  der 
Richtigkeit  der  vorgenommenen  Vergleichung  noch  erhöht  da- 
durch, dass  der  Herakles  nicht  das  einzige  Werk  ist,  welches  sich 
auf  diese  Weise  Skopasischer  Kunst  zuschreiben  lässt,  sondern 
dass  die  bisher  beobachteten   Merkmale,  und   zwar   stets  wieder 


216        HERAKLES  DES  SKOPAS  UND  VERWANDTES 

alle  vereint,  sich  noch  bei  einer  Reihe  anderer  Werke  finden,  die 
demnach,  mit  ähnlichen  Mitteln  ähnliche  Wirkungen  hervorbrin- 
gend, sich  auch  unter  einander  nahe  zusammenschliessen,  wie  sie 
denn  auch,  gleich  dem  Herakles,  bisher  meist  als  Praxitelisch 
angesprochen  worden  sind.  Ich  führe  nur  einige  der  am  meisten 
ins  Auge  fallenden  Beispiele  an. 

Im  Nationalmuseum  zu  Athen  steht  neben  den  Köpfen  aus  Te- 
gea  der  Athenische  Mittheilungen  I  Taf.  XIII  abgebildete  Frauen- 
kopf vom  Südabhang  der  Akropolis.  Julius  ebda.  S.  271  erkannte  in 
ihm  die  '  originale  Arbeit  eines  bedeutenden  Künstlers  '  und  dachte, 
freilich  damals  noch  vor  Auffindung  des  Hermes,  im  allgemeinen 
an  die  Richtung  des  Praxiteles;  dasselbe  tat  auch  nachher  noch 
Wolters  (Berliner  Abgüsse  Nr.  1277).  Aber  die  ausserordentliche 
Aehnlichkeit,  welche  dieser  Kopf  *mit  den  Köpfen  aus  Tegea  hat, 
springt  bei  der  jetzigen  Aufstellung  fast  von  selbst  in  die  Augen, 
und  Wolters  selbst  war  der  Erste,  der  mich  darauf  aufmerksam  ge- 
macht und  dabei  zugleich  auf  Einzelheiten,  wie  die  ]<^orm  der  Ohren, 
die  Behandlung  von  Augen  und  Mund,  hingewiesen  hat.  Dass  der 
Kopf  der  Skopasi  sehen  Kunstrichtung  angehöre,  hat  Waldstein, 
mehr  auf  Grund  allgemeiner  Erwägungen,  wie  es  scheint,  in  einer 
Sitzung  des  Amerikanischen  Instituts  in  Athen  im  Januar  1889 
ausgesprochen,  und  durch  die  Vergleichung  mit  den  Köpfen  aus 
Tegea  kommt  zu  demselben  Resultat  Treu  im  Text  zu  den  Antiken 
Denkmälern  (Bd.  I  Taf.  XXXV  S.  22).  Dass  wir  uns  nicht  bei  der 
allgemeinen  Zuteilung  dieses  Kopfes  zur  Skopasischen  Richtung 
zu  begnügen  brauchen,  sondern  in  diesem  Werke  wahrscheinlich 
geradezu  eine  Originalarbeit  des  Skopas  besitzen,  ist  Wolters' 
Ansicht  (i),  für  welche  die  Vorzüglichkeit  der  Arbeit  zu  sprechen 
scheint,  welcher  man  an  dem  Vergleich  mit  der  Berliner  Wieder- 
holung (Athen.  Mitth.  I  Taf.  XIV)  erst  recht  inne  wird,  und  die 
Julius  a.  a.  0.  gebührend  gewürdigt  hat.  Die  Arbeit  ist  auch  nicht 
nur  im  Allgemeinen  vorzüglich,  sondern  sie  zeigt  einige  Eigen- 
tümlichkeiten, welche  Originalen  eignen,  an  Copien  sich  wol  kaum 
finden  dürften.  Ich  meine  die  verschiedene  Bearbeitung  der  Mar- 
moroberfläche an  verschiedenen  Stellen,   je  nach  der  beabsichtigten 

(1)  Ein  bedeutendes  Originalwerk  sieht  auch  Furtwängler  in  unserem 
Kopfe,  nur  hält  er  noch  an  der  alten  Ansicht,  dass  der  Stil  der '_ des  Praxiteles 
sei,  fest  (Berliner  philologische  Wochenschrift  1888  S.  1482). 


HERAKLES   DES   SKOPAS   UND   VERWANDTES  217 

Wirkung,  und  die  Vernachlässigung  von  Nebensachen.  So  ist 
die  Oberfläche  des  Marmors  überall  ganz  ungewöhnlich  fein  be- 
handelt. Ohne  eigentlich  polirt  zu  sein,  ist  sie  doch  so  weit 
geglättet,  dass  sie  einen  eigentümlichen  milden  Glanz  besitzt, 
dessen  Schönheit  noch  durch  den  Keiz  des  parischen  Marmors 
erhöht  wird.  Dagegen  ist  die,  schon  durch  ihre  Breite  auffallende, 
Unterfläche  des  oberen  Augenlides  rauh  geblieben,  und  es  liegt 
nahe,  daran  zu  denken,  dass  hier  die  Augenwimpern  gemalt  waren : 
sie  sollten  möglichst  lang  erscheinen.  Die  Fläche  ist  breiter  als 
das  was  in  der  Ansicht  überhaupt  vom  Lide  sichtbar  wird,  um 
so  das  tief  liegende  Auge  noch  besonders  zu  beschatten.  Es  ist 
also  durch  ein  ganz  anderes  Mittel  etwas  ähnliches,  wie  in  der  ar- 
chaischen Kunst  durch  die  schirmartig  vortretenden  Lider,  erreicht. 
Können  wir  also  diese  seltsame  Bildung  nur  als  bewussten  Kunst- 
griff auffassen,  so  muss  man  anderseits  die  eckig  und  flüchtig  ge- 
machten Tränenwinkel  als  Nachlässigkeit  ansehen.  Ebenso  ist  das 
Haar  hinten  und  oben  auf  dem  Kopfe  ganz  vernachlässigt,  während 
es  vorne  in  Strähnen  gebildet  ist,  die  füi*  die  Färbung  rauh  ge- 
lassen sind. 

Das  Wichtige  an  dem  Kopfe  für  unsere  Frage  ist  nun  aber 
seine  überraschende  Aehnlichkeit  mit  dem  Herakles.  Sie  tritt  na- 
mentlich hervor  an  der  im  Handel  befindlichen  Photographie,  welche 
ihn  in  derselben  Ansicht,  mit  derselben  Kopfwendung  zeigt,  wie 
der  Herakles  auf  unserer  Tafel  IX.  Abgesehen  von  den  geringen 
Veränderungen  und  Milderungen  der  Form,  welche  füi*  einen  weib- 
lichen Typus  nötig  waren,  ist  die  üebereinstimmung  eine  voll- 
kommene. Und  dass  diese  sich  zwischen  zwei  verschiedenen,  von 
verschiedener  Seite  mit  einem  dritten  verglichenen  Werken  findet, 
darf  als  Probe  auf  die  Richtigkeit  des  angestellten  Vergleiches 
gelten.  Uebrigens  ist  von  diesem  Kopfe  zu  dem  der  melischen 
Aphrodite  der  Weg  nicht  eben  weit. 

Der  Athletenkopf  aus  Olympia  (Ausgrab.  V  20)  gilt  im  all- 
gemeinen (auch  in  Keschers  Lexicon  S.  2166)  füi*  Praxitelischer 
Weise  nahe  stehend.  Es  genügt  aber  ein  Blick  auf  Gillieron's 
Zeichnung  des  unbehelmten  Kopfes  aus  Tegea  und  einer  auf  un- 
seren Herakles,  um  ihn  in  den  Kreis  Skopasischer  Kunst  zu  rücken. 
In  der  Tat  finden  sich  bis  auf  eine  solche  Aeusserlichkeit  wie  die 
emporstrebenden  Haai'e  alle  bisher  erörterten  Merkmale  wieder. 


218  HERAKLES    ÜES    SKOPAS    UND    VERWANDTES 

Ferner  finde  ich  diese  Merkmale  zu  einer  gleichen  Wirkung 
vereinigt,  wenn  auch  vielleicht  schon  mit  einer,  späterem  Geschma- 
cke  entsprechenden,  Steigerung  an  einem  weiblichen  Überlebens- 
grossen,  meist  als  Hera  erklärten,  Kopfe  des  capitolinischen  Mu- 
seums, welcher  in  der  oberen  '  Galleria '  steht  und  die  Nr.  49  trägt. 
Die  grossen  Augen  waren  bei  diesem  Kopfe  aus  anderem  Material 
eingesetzt.  Eine  Abbildung  ist  mir  nicht  bekannt,  gute  Photogra- 
phien sind  im  Handel. 

Endlich  muss  hier  noch  die  besonders  durch  die  vatikanische 
Eeplik  bekannte  Statue  des  Meleager  angereiht  werden,  seitdem 
der  originale  oder  dem  Original  nahe  kommende  Kopf  in  der  Villa 
Medici  aufgefunden  ist  (Vgl.  Eöm.  Mitth.  IV  S.  186).  Derselbe 
wird  in  dem  bevorstehenden  Heft  der  Antiken  Denkmäler  veröflent- 
licht  werden. 

Dass  er  in  Beziehung  zu  Skopas  zu  setzen  sei,  ist  von  allen 
denen,  die  Gelegenheit  hatten,  den  Kopf  im  Original  oder  in 
Abbildungen  zu  sehen,  erkannt  worden.  Ehe  wir  näher  hierauf 
eingehen,  stelle  ich  zunächst,  so  weit  sie  mir  bekannt  geworden 
sind,  die  Wiederholungen  der  Gruppe  zusammen.  Freiere  Nach- 
bildungen, zu  denen  bereits  die  Statuette  in  Neapel  (Clarac  PI.  805 
Nr.  2022)  und  die  beiden  von  Kekule  Arch.  Ztg.  23  S.  15  ge- 
nannten Statuen  in  Villa  Albani  und  im  Capitol  gehören,  sind  bei 
Seite  gelassen.  Unterschiede  in  der  Anordnung  der  Chlamys,  ja 
auch  deren  gänzliches  Fehlen,  scheinen  jedoch  bei  sonstiger  üeber- 
einstimmung  nicht  dagegen  zu  sprechen,  dass  es  sich  noch  um  eine 
wirkliche  Wiederholung  handelt.  Voran  stehen  die  Statuen  und 
Torsen,  es  folgen  die  Köpfe.  In  den  genaueren  Angaben  über  die 
verschiedenen  Stücke  ist  nach  Gleichmässigkeit  nicht  gestrebt, 
sondern  sie  sind  je  nach  der  Möglichkeit  genauerer  Untersuchung 
oder  der  Wichtigkeit  eines  Stückes  gemacht  (*). 

(')  Die  Litteratur  über  den  Meleager  ist  in  Benndorf-Schönes  Lateran- 
katalog S.  32  angegeben.  Auf  die  Berühmtheit  der  Gruppe  hat  hingewiesen 
Kekule  Arch.  Ztg.  23  (1865)  S.  15;  daselbst  sind  auch  einige  Monumente 
anderer  Art  zusammengestellt,  welche  den  Einfluss  jenes  Werkes  zeigen.  Zu 
dem  daselbst  angeführten  Sarkophagrelief  aus  Palazzo  Doria  (Braun  Antike 
Marmorwerke  II.  6j  kommt,  wie  mir  Herr  Professor  Robert  freundlichst  mit- 
teilt, noch  ein  jetzt  verschollener  Säulensarkophag  hinzu,  welcher  von  del  Pozzo 
(Windsor  II  53)  gezeichnet  ist.  Meleager  steht  hier  im  Mittelfelde  die  r.  Hand 


HERAKLES   DES   SKOPAS   UND   VERWANDTES  219 

1.  Die  vatikanische  Statue. 

2.  Holkham  Hall. 

Michaelis  Nr.  20  Clarac  PL  807,  2022  A.  Dies  scheint  ausser 
dem  vorigen  das  einzige  Exemplar  zu  sein,  welches  noch  einen 
antiken  zugehörigen  Kopf  trägt.  Die  Chlamys  fehlt. 

3.  Kom,  Vatikan.    • 

Clarac  PL  805,  2020.  Vermutlich  stark  ergänzt.  Ich  habe 
das  Stück  nicht  wieder  auflinden  können.  Die  Chlamys  stimmt  im 
Beginn  ihres  Verlaufes  mit  Nr.  1. 

4.  Rom,  Pal.  Barberini. 

Matz-Duhn  1104:  '  Die  Figur  hat  r.  Standbein,  das  sich  an 
einen  Baumstamm  anlehnt;  der  r.  mehrfach  gebrochene  Arm  ist 
auf  den  Rücken  gelegt.  In  der  Hand  des  1.  gesenkten  Armes  ruht 
die  Lanze.  Neben  derselben  und  um  sie  zu  unterstützen  ein  riesi- 
ger Eberkopf.  Neben  dem  Tronk  ein  sitzender  in  die  Höhe  blicken- 
der Hund,  Modern  sind  an  der  Statue  Kopf  und  Hals  '.  Modern 
ist  auch  der  1.  Arm.  Die  Arbeit  ist  sehr  schlecht.  Die  einzige 
Abweichung  von  der  vatikanischen  Gruppe  besteht  darin,  dass 
die  Chlamys  vollständig  fehlt. 

5.  Versailles,  Park. 

Clarac  PL  806,  2020  A.  Vermutlich  ist  der  anders  gestellte 
Kopf  —  Clarac  sagt  es  nicht  —  nicht  zugehörig.  Die  Chlamys 
ist  nicht  in  der  eigentümlichen  Weise  der  vatik.  Gruppe  von 
aussen  kommend  einmal  ganz  um  den  Arm  geschlimgeu,  sondern 
fällt  zwischen  Brust  und  Arm  herab  und  ist  dann  über  den  letz- 
teren gelegt;  ausserdem  ist  die  Schulter  bedeckt,  wie  bei  den 
Dioskuren  vom  Capitol.  Im  übrigen  sagt  Clarac  ausdrücklich :  'ce  Me- 
Uagre  ressemble  'peut-etre plus  quaucim  autre  ä  celui  du  Vaiican  '. 

6.  Neapel  6077.''  Dommano'  angeblich  aus  Rom. 

Der  mit  Ausnahme  des  1.  Armes  ganz  erhaltene  Köi-per  ist 
eine  genaue  Wiederholung  des  Meleager,  auch  der  Tronk  fehlt 
nicht,  und  neben  demselben  befindet  sich  noch  ein  Klotz,  den  man 
für  einen  Rest  des  Hundes  halten  könnte.  Die  Chlamys  lässt  die 
Schulter  frei. 


auf  dem  Rücken,  die  linke  gesenkt  an  dem  Speer,  auf  welchen  er  sich  stützt; 
r.  von  ihm  der  aufblickende  Hund;  die  Abhängigkeit  von  der  Gruppe  ist 
evident. 


220  HERAKLES   DES    SKOPAS    UND   VERWANDTES 

7.  Korn,  Villa  Borghese. 

Abgeb.  Amiali  d.  I.  1843  Tav.  I.  Vgl.  S.  255  ff.  Feuerbach. 

8.  Kom,  Palazzo  Corsini. 

Matz-Duhn  1048  (nicht  erkannt).  Der  antike  Teil  ist  ein 
Meleagertorso,  der  r.  Arm  ist  erhalten,  der  1.  fehlt;  das  r.  Bein 
ist  bis  kurz  über  dem  Knie  erhalten,  daneben  noch  ein  Stück  des 
Baumstammes;  vom  1.  Bein  ist  nur  ein  Stück  des  Oberschenkels 
erhalten.  Die  Anordnung  der  Chlamys,  soweit  sie  auf  die  Brust 
fällt,  stimmt  mit  dem  vatikanischen  Meleager;  ebenso  sieht  man 
zwischen  Brust  und  Arm  noch  ein  altes  Stück ;  dann  aber  ist,  wie 
bei  Nr.  4,  die  Schulter  bedeckt.  Ich  habe  nicht  untersuchen 
können,  ob  dieses  Stück  modern  ist.  Den  Kopf  hielt  Matz  für 
zugehörig,  mir  schien  der  Marmor  wesentlich  gelber  als  am  Torso. 

Dieser  Torso  ist  in  so  fern  wertvoll,  als  er  trotz  einer  gewissen 
Kohheit  der  Arbeit  sehr  viel  reicheres  Detail  der  Modellirung 
namentlich  in  der  Gegend  der  Hüften  bietet,  als  der  Körper  der 
vatikanischen  Statue. 

9.  Berlin,  Kgl.  Museum,  Torso. 

Abgeb.  Mon.  i.  d.  L  III,  Taf.  58.  Im  übrigen  vgl.  Königl.  Mu- 
seen zu  Berlin,  Verzeichnis  der  antiken  Skulpturen  Nr.  215.  Die 
Chlamys  fehlt.  Dies  Exemplar  gilt  als  das  beste. 

10.  Eom,  Lateran.     Torso. 

Benndorf-Schöne  Nr.  49.  Die  Chlamys  ist  etwas  anders  an- 
geordnet. 

11.  Verona,  Museum  Lapidarium. 

Abgeb.  Maffei  Mus.  Veron.  CLXVII,  5  Die  Chlamys  lässt 
zwar  die  1.  Schulter  frei,  kommt"  aber  von  innen  an  den  Arm. 

12.  Rom,  Pal.  Barberini. 

Clarac  PL  812  B,  2022  C,  fehlt  bei  Matz-Duhn.  Clarac  giebt 
keine  Ergänzungen  an.  Ich  habe  das  Stück  nicht  gesehen. 

13.  Der  Kopf  Medici. 
Matz-Duhn  I,  215. 

14.  Rom,  Museum  der  Diocletiansthermen.     Kopf. 

Aus  '  parischem '  Marmor.  Die  Oberfläche  ist  corrodirt ,  die 
Augenknochen  sind  verletzt,  die  Nase  ergänzt.  Es  ist  der  beste 
nächst  dem  vorigen. 

15.  Neapel,  Museo  Nazionale. 


HERAKLES    DES    SKOPAS    UND    VERWANDTES  221 

Kopf  des  Aristogeiton.  Vgl.  Friedrichs- Wolters  S.  66.  Es 
wäre  nicht  unmöglich,  dass  er  mit  der  Statue  Nr.  5  ursprünglich 
zusammengehörte:  die  Farbe  des  Marmors  ist  sehr  ähnlich.  Die 
üebereinstimmung  mit   dem   Meleagerkopf  ist   eine  vollständige. 

16.  Rom,  Vatikan.     Museo  Chiaramonti  Nr.  509. 

Nase  und  Oberlippe  ergänzt.  Das  Untergesicht  ist  ein  wenig 
schmaler,  imd  dadurch  macht  das  ganze  Gesicht  einen  etwas  läng- 
licheren Eindruck,  dies  ist  aber  nur  ein  zufälliger  Fehler  des  Co- 
pisten,  der  etwas  zu  viel  Marmor  abgearbeitet  hat.  Im  übrigen  ist 
der  Kopf  eine  genaue  und  noch  ganz  leidliche  Wiederholung,  die  von 
dem  eigentümlichen  Charakter  immerhin  mehr  bewahrt  hat,  als  der 
glatte  Kopf  der  vatikanischen  Grappe. 

17.  Rom,  Villa  Ludovisi. 

Kopf  des  ausruhenden  Kriegers  Nr.  55.  Schreiber  Nr.  118. 

Dies  ist  die  schlechteste  und  wohl  auch  späteste  Wiederholung 
des  Meleagerkopfes.  Im  Auge  ist  der  Umriss  der  Iris  eingeritzt 
und  die  Pupille  vertieft.  Der  Mund  ist  ganz  geschlossen,  nur  eine 
roh  gemachte  Furche  trennt  die  Lippen  von  einander.  Im  Haar 
sind  in  roher  Weise  die  Bohrgänge  stehen  geblieben.  Zwar  kann 
man  im  Haar  nicht  mehr  ganz  genau  die  einzelnen  Locken  verfolgen 
und  vergleichen ,  doch  ist  im  wesentlichen  die  Anordnung  dieselbe, 
wie  die  des  Meleagerkopfes,  namentlich  sind  die  charakteristischen 
stärker  heraustretenden  Locken  übereinstimmend  vorhanden,  Schä- 
delform, Ohrform,  auch  die  Maasse,  alles  stimmt  genau;  man  sieht 
wie  weit  ein  schlechter  Copist  einen  schönen  Typus  entstellen 
kann. 

Schreiber  a.  a.  0.  S.  140  entscheidet  sich  zwar  des  verschie- 
denen Marmors  und  der  schlechteren  Arbeit  wegen,  für  die  Un- 
zugehörigkeit  des  Kopfes,  aber  seine  Worte :  '  Der  aufgesetzte,  dem 
mit  dem  Rumpf  zusammenhängenden  Hals  auch  in  der  Wendung 
n.  r.  genau  anpassende  Kopf '  könnten  doch  Zweifel  dagegen  wach 
rufen.  Dieses  genaue  Anpassen  ist  aber  künstlich  hergestellt :  mit 
dem  Meleager  verglichen  zeigt  der  Hals  dieses  Kopfes  sich  als 
dünner  und  weniger  bewegt,  der  Grund  iot  der,  dass  er  hinten 
und  beiderseits  sehr  sauber  abgearbeitet  ist.  Die  abgearbeiteten 
Stellen  sind  weiss,  während  der  Marmor  sonst  einen  bräunlichen 
Ton  hat ;  hier  allein  sieht  man  auch,  dass  der  Marmor  des  Kopfes 
ein  etwas  grösseres   Korn   hat.    üebrigens  hat  der  dichte  etwas 

15 


222  HERAKLES    DES    SKOPAS    UND    VERWANDTES 

geäderte  Marmor  der  Statue  in  semer  äusseren  Erscheinung  mit 
pentelischem  nichts  zu  tun. 

18.  Rom,  Villa  Albani,  Vorhalle  des  Casino,  N.  57. 
Herme.  An  der  r.  Seite  oben  absichtlich  beschädigt,  ausserdem 

einzelne  Hiebe  im  ganzen  Gesicht,  dazu  ist  der  Kopf  durch  eine 
sehr  schlechte  moderne  Nase  entstellt.  In  den  Augen  sind  die  Pu- 
pillen einfach  als  kleine  kreisförmige  Vertiefungen  angedeutet,  wohl 
auch  eine  spätere  Verletzung.  Trotzdem  ist  der  Kopf  noch  als 
Wiederholung  des  Meleager  kenntlich,  wozu  auch  seine  Wendung 
stimmt. 

19.  Rom,  Museo  Torlonia. 

Kopf,  welcher  der  Statue  Nr.  473  aufgesetzt  ist.  Bestossen 
und  geflickt,  aber  unverkennbar. 

Der  Kopf  Medici,  dessen  Identität  mit  dem  Meleager  die  Zu- 
sammenstellung im  nächsten  Hefte  der  Denkmäler  lehren  wird, 
zeigt  sich,  trotzdem  seine  Oberfläche  stellenweise  stark  gelit- 
ten hat,  allen  übrigen  Köpfen  an  unmittelbarer  Frische  der  Ar- 
beit, an  Schönheit,  Leben  und  Ausdruck  so  weit  überlegen,  dass 
man  daran  gedacht  hat,  in  ihm  das  Original  zu  besitzen  (').  Jeden- 
falls können  diesem  Kopfe  gegenüber   für  die  kunstgeschichtliche 


(1)  Einigen  Maassen  des  Kopfes  Medici,  die  ich  leider  nur  am  Abguss 
genommen  habe,  stelle  ich  die  des  vatikanischen  Kopfes  nach  Winters  Messung 
gegenüber.  Von  den  übrigen  Repliken  habe  ich  mich  bei  dem  Kopfe  der  Dio- 
kletiansthermen (Nr.  14)  und  dem  der  Villa  Ludovisi  (Nr.  17)  überzeugt,  dass 
einige  Hauptmaasse,  so  wie  die  wesentlichsten  Gleichungen  übereinstimmen. 

Kopf  Medici.    Meleager, 

Höhe  des  Kopfes .  260 

Tiefe  (d.  h.  Naswiwurzel-Hinterkopf) , .     .  2.50 

Ohr-Ohr 160            156 

Kinn-Halsansatz 53              53 

Nasenflügel-Ohrläppchen 122 

Haaransatz -Kinn 185            185 

(Hierbei  ist  die  durchgehende  Haargrenze  genommen  und 

die  eine  tiefer  ins  Gesicht  fallende  Locke  ausser  Acht 

gelassen) 

Haaransatz-Unterrand   der  Nase 119            117 

r.  117 
Innerer  Augenwinkel-Kinn 119        ihq 

1.      11t/ 


HERAKLES   DES   SKOPAS   UND   VERWANDTES  223 

Würdigung  die  Kepliken  kaum  in  Betracht  kommen,  und,  da  wir 
bei  der  Vergleichung  der  Meleagergruppe  mit  den  Bruchstücken 
aus  Tegea  für  die  Behandlung  der  Formen  des  menschlichen  Kör- 
pers und  der  Tiere  ein  sehr  geringes,  für  die  des  Gewandes  gar 
kein  Material  haben,  so  sind  wir  wieder  lediglich  auf  die  Betrach- 
tung der  Köpfe  angewiesen. 

Eine  Reihe  der  offenbarsten  Berührungspunkte  fällt  in  die 
Augen,  am  besten  wieder,  wenn  man  die  Tafel  XIV  der  Athen. 
Mitth.  zu  Grunde  legt,  auf  welcher  der  unbehelmte  Kopf  aus  Te- 
gea in  sehr  ähnlicher  Haltimg  abgebildet  ist,  wie  die  Vorderan- 
sicht des  Meleager  auf  der  Denkmälertafel. 

Der  lebhafte  Blick  der  weitgeöffneten,  etwas  nach  oben  ge- 
richteten Augen,  der  Ausdruck  des  Athmens  in  Nase  und  Mund 
findet  sich  ebenso  wieder  wie  der  kräftige  Bau  und  die  breite  'Form 
des  Gesichtes,  ja  die  üebereinstimmung  des  ünterkieferumrisses 
ist  geradezu  überraschend.  Das  charakteristische  Verkriechen  des 
Oberlides  (welches  vollständig  keine  der  übrigen  Wiederholungen 
wiedergiebt)  ist  hier  zwar  nur  an  der  rechten  Seite  ausgeführt,  da 
der  Kopf  ja  für  diese  Ansicht  berechnet  war,  aber  ganz  kurz  ist 
auch  das  linke  Oberlid  gebildet.  Ebenso  wird  man  auch  leicht  in 
dem  geöffneten  Munde  mit  den  etwas  herab  gezogenen  Winkeln 
die  Aehnlichkeit  erkennen. 

Es  sind  aber  innerhalb  dieser  grossen  üebereinstimmung 
auch  einige  Abweichungen    zu  bemerken,  namentlich  wenn  man 


Kopf  Medici.     Meleager. 

Untergesicht 70  68 

Nase,  bis  zum  Augenhöhlenrand  gemessen 70  68 

Oberrand  der  Unterlippe-Kinn 47  47 

r   49 
Innerer  Augenwinkel  —  Unterrand  der  Nase ,'    „ 

Stimhöhe 48  47 

Mundbreite 48  45 

Augenlänge 35  34 

Innere  Augenweite    , 35  35 

Augentiefe  (vom  Nasenrücken  gemessen) 30 

Augenhöhe 16 

Nasenflügelbreite •        40  38 

Ohrlänge 67  l'    f! 

1.     61 


224  HERAKLES    DES    SKOPAS    UND   VERWANDTES 

sich  nicht  nur  an  den  einen  tegeatischen  Kopf  hält,  sondern  auch 
den  anderen  in  Betracht  zieht ,  Abweichungen,  die  ihn  in  gleicher 
Weise  auch  von  der  einheitlichen  Gruppe  der  bisher  aufgezählten 
Monumente  unterscheiden.  Es  ist  vor  allem  ein  grösseres  Maass 
einer  gewissen  äusserlichen  Eleganz,  das  mir  diesem  Kopf  anzu- 
haften scheint,  selbst  nach  Abstreifung  jeder  peinlichen  Erinnerung 
an  die  vatikanische  Statue.  Das  liegt  zum  grossen  Teil  an  den 
mit  geflissentlicher  Sorgfalt  angeordneten  und  behandelten  Haaren. 

Das  Haar  schmiegt  sich  keineswegs  mehr  als  einheitliche 
Masse  der  Form  des  Schädels  an,  sondern  ist  in  einzelne  sich 
stark  abhebende,  durch  tiefe  Einsenkungen  von  einander  getrennte 
Partien  von  ungleicher  Erhebung  aufgelöst,  welche  dem  Umriss 
des  Kopfes  eine  unruhigere  und  unregelmässigere  Form  geben. 
Hierdurch  ist  es  auch  möglich  in  zweifelhaften  Fällen  eine  Wieder- 
holung des  Meleager  daran  zu  erkennen,  dass  man  dem  Haar  '  Locke 
für  Locke '  nachgehend  die  Uebereinstimmung  feststellen  kann, 
während  wir  gesehen  hatten,  dass  die  Heraklesköpfe  diese  Ueber- 
einstimmung nicht  zeigen;  und  die  Behandlung  des  Haares  an 
dem  tegeatischen  Kopfe,  so  wie  die  anspruchslose,  mehr  auf  die 
Gesammtwirkung  berechnete,  an  dem  Kopfe  vom  Südabhang  der 
Akropolis  scheint  dafür  zu  sprechen,  in  jener,  gesuchtere  Eleganz 
und  grössere  Bewegtheit  gleichmässig  erstrebenden,  Arbeit  das  Re- 
sultat einer  weiter  geschrittenen  Entwickelung  zu  sehen. 

Einem  ähnlichen  Geschmack  entspricht  die  starke  Einsattelung 
beim  Nasenansatz,  die  grösste  formelle  Abweichung  von  den  Te- 
geaköpfen,  welche,  gewiss  zum  Vorteil  des  dadurch  viel  feiner  und 
reicher  bewegten  Profiles,  doch  den  Eindruck  der  Tiefe  in  den 
Augen  wesentlich  abschwächt ;  ferner  fehlen  dem  Munde  die 
Zähne  ('),  so  dass  man  nur  in  einen  tiefen  dunkeln  Spalt  hinein- 


(1)  Der  einzige  Kopf,  bei  welchem  die  Zähne  angegeben  sind,  ist  grade 
der  vatikanische,  dort  aber  in  einer  ganz  schematischen  Weise  als  eine  die 
Oberlippe  nicht  überschreitende  Kante,  welche  also  den  tiefen  Spalt  in  seiner 
Wirkung  keineswegs  beeinträchtigt.  Diese  Art  hat  mit  der  oben  charakteri- 
sirten  nichts  zu  tun,  sie  findet  sich  gerade  bei  mittelmässigen  Copieen  sehr 
liäufig,  und  scheint  also  in  einer  gewissen  Zeit  die  gewohnte  Weise,  den  Mund 
zu  bilden  gewesen  zu  sein,  die  dann  unterschiedslos  auf  alle  W^erke  angewendet 
wurde,  z.  B.  auch  für  den  sonst  so  altertümlichen  Kopf  der  Neapler  '  Venus 
Genetrix '. 


HERAKLES   DES   SKOPAS   UND   VERWANDTES  225 

sieht ,   gewissermaassen   eine   mehr    decorativ-einfache   Wirkung. 
Noch  giebt  die  Arbeit  in  den  Augen  zu  einigen  Bemerkungen  An- 
lass :  zwar  die  ungeschickte  Art,  wie  jetzt  das  rechte  Oberlid  von 
dem  Wulst  bedeckt  erscheint,  liegt  wesentlich  daran,  dass  das  Lid 
gerade  an  der  Stelle ,   wo   es  sich  zu  verkriechen  beginnt,  etwas 
ausgebrochen  ist,   immerhin  fügt  sich  der  Wulst  nicht  in  so  ge- 
schmeidiger Weise  der  Linie  des  Lides   an,   wie   bei  den  tegea- 
tischen  Köpfen.  Auffallend  aber  ist  das  Fehlen  jeglicher  Andeutung 
des  inneren  Thränenwinkels,  die  beiden  Lidränder  stossen  einfach  in 
einem  etwas  abgerundeten  Winkel  auf  einander  im  Gegensatz  zu 
der  sehr  deutlichen  Ausbiegung  für  die  Drüse  am  behelmten  Kopf 
aus  Tegea  und  den  übrigen  oben  besprochenen  Köpfeu.   (Hier  hat 
sich  der  Copist  des  vatikanischen  wenigstens  für  das  rechte  Unterlid 
eine  Correctur  erlaubt).    Auch  sind  die  Lider  nicht  so  besonders 
scharf,  sondern  etwas  unbestimmt  gegen  den  Augapfel  abgesetzt; 
das  Eigentümliche  des  Blickes  wird  vielmehr  dadurch  hervorge- 
bracht, dass  der  gewölbte  Augapfel  —  wie  namentlich  die  Seiten- 
ansicht erkennen  lässt  —  nach  oben  weit  hinter   den  Vorderrand 
des  Oberlides  zurücktritt.   Also  auch  hier  ist  gegenüber  dem  Sy- 
stem zusammenwirkender  Feinheiten  beim  Tegeakopf  und  dem  He- 
rakles, die  Wirkung  mehr  im  Grossen  und  Allgemeinen  angestrebt. 
Der  Vollständigkeit  wegen  sei  erwähnt,  dass  auch  die  Form  des 
Ohres  etwas  abweicht. 

Es  wäre  vermessen,  einem  Künstler  gegenüber,  dem  man  eben 
erst  beginnt  etwas  näher  zu  treten,  sich  bereits  eine  abgeschlos- 
sene Meinung  über  die  Grenzen  seiner  Vielseitigkeit  bilden  zu 
wollen ;  aber  wenn  die  aufgeführten  Abweichungen  wenigstens  zum 
Teil  mit  Recht  als  Beweise  einer  geringeren  originalen  Kraft  an- 
gesehen werden  können,  so  scheinen  wir  vor  der  Alternative  zu 
stehen,  dass  der  Meleager  entweder  auf  Skopas  zurückzuführen  sei, 
dann  aber  selbst  in  dem  schönen  Kopf  der  Villa  Medici  noch  nicht 
im  Original  vorliege,  oder  dass  dieser  Kopf  ein  Original,  dann  aber 
nicht  mehr  von  Skopas  selbst,  sondern  von  einem  ihm  ausserordent- 
lich nahe  stehenden  Künstler  sei,  der  aber  bereits  eine  etwas  spä- 
tere Entwickelung  verkörpert.  Auf  einer  solchen  Entwickelungs- 
stufe  steht  ungefähr  der  von  Farneil  {Journal  of  h.  st.  VII  S.  114) 
abgebildete  und   auf  Grund  eingehender  Analyse  der  Schule  des 


226  HERAKLES   DES   SKOPAS   UND   VERWANDTES 

Skopas  mit  Kecht  zugeschriebene  Terracottakopf  aus  Oxford ;  er  ist 
dem  Meleager  recht  verwandt. 

Wohin  diese  Entwickelung  strebt,  mag  etwa  der  Steinhäu- 
sersche  Apollokopf,  namentlich  in  der  durch  Kekule  {Arch.  Ztg. 
36  Taf.  2)  veröffentlichten  Abbildung  des  noch  unrestaurirten  Ab- 
gusses, veranschaulichen. 

Kom,  im  September  1889., 

Botho  Graef. 


JAHRESBERICHT 

ÜEBER  NEUE  FUNDE  UND  FORSCHUNGEN 

ZUR  TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM 

1887-1889. 


Der  folgende  Bericht,  welcher  alljährlich  fortgesetzt  werden  soll,  heah- 
sichtigt  einerseits  über  die  in  Rom  gemachten  und  für  die  Topographie  der 
antiken  Stadt  wichtigen  Funde,  andrerseits  über  die  neuen  Forschungen, 
welche  bereits  bekannte  Monumente  betreifen,  eine  Uebersicht  zu  geben.  Mein 
hauptsächlicher  Zweck  war  für  beides  aus  eigener  Anschauung  zu  referiren :  wo 
sich  dann  den  publizierten  Berichten  über  neue  Ausgrabungen  etwas  hinzu- 
fügen liess,  oder  wo  die  Nachprüfung  einer  neueren  Arbeit  vor  den  Monu- 
menten selbst  Gelegenheit  bot  die  Untersuchung  weiterzuführen,  habe  ich  dies 
nicht  unterlassen  wollen,  sehe  aber  namentlich  in  letzterem  nicht  den  Zweck 
dieser  hauptsächlich  referirenden  Arbeit.  Eben  so  wenig  kann  Vollständigkeit 
in  der  Aufführung  aller  Einzelfunde  von  Kunstwerken  oder  Privatbauten 
angestrebt  werden,  vielmehr  muss  dies  den  Notizie  degli  scavi  und  dem 
Bullettino  della  commissione  archeologica  comunale  überlassen  bleiben.  Der 
offiziellen  Berichterstattung,  wie  sie  in  den  genannten  Organen  namentlich  von 
Larciani,  Gatti,  Borsari  in  verdienstlicher  Weise  geboten  wird,  durch  erste 
Bekanntmachung  neuer  Funde  vorzugreifen,  liegt  natürlich  diesen  über  längere 
Zeitabschnitte  rückblickenden  Berichten  fern.  Systematische  Behandlungen  der 
Topographie,  welche  im  Wesentlichen  mit  bekanntem  Material  operiren,  können 
hier  im  Ganzen  nur  kurz,  im  Detail  nur  an  Punkten  erwähnt  werden,  wo  sie 
sachlich  neues  bieten. 

Der  Epigraphik  ist  insofern  ein  erheblicher  Raum  gegönnt,  als  In- 
schriften, welche,  wie  z.  B.  Dedicationen  von  Gebäuden,  Wichtigkeit  für 
die  Topographie  haben,  mit  möglichster  Vollständigkeit  aufgenommen  sind ; 
dagegen  würde  eine  Aufführung  der  in  den  letzten  zwei  Jahren  gefundenen 
Inschriften  von  rein  historischem  oder  sprachlichem  Interesse  die  Grenzen 
dieser  Blätter  weit  überschreiten. 


228  JAHRESBERICHT  UEBER 

Der  vorliegende  erste  Bericht  erstreckt  sich  vom  Oktober  1887,  von  wo 
ab  mir  meine  Rückkehr  nach  Rom  verstattete  von  Neufunden  als  Augen- 
zeuge Kenntniss  zu  nehmen,  bis  April  1889.  Nur  ausnahmsweise  habe  ich 
diese  Grenzen  überschritten :  so  schien  es  hinsichtlich  der  in  der  zweiten 
Hälfte  des  laufenden  Jahres  veröffentlichten  Arbeiten  nicht  angemessen  z.B. 
Deglane's  Aufsatz  über  das  palatinische  Stadium  oder  Richters  Rekonstruktion 
der  Ostseite  des  Forums  auszuschliessen,  den  ersteren  wegen  seiner  Gleichar- 
tigkeit mit  Sturms  Programm,  letztere  weil  sie  die  Ausführung  mancher  in 
besprochenen  Aufsätzen  desselben  Vf.  angedeuteten  Gedanken  giebt.  Auf  Ent- 
deckungen und  Arbeiten  aus  der  ersten  Hälfte  des  Jahres  1887  habe  ich 
namentlich  dann  zurückgegriflFen,  wenn  dieselben  in  Richters  Topographie  (1889 : 
s.  u.  S.  231)  keine  Berücksichtigung  gefunden  hatten  und  doch  allgemeiner 
bekannt  zu  werden  verdienten. 

Dass  über  die  in  diesen  Mitteilungen  selbst  erschienenen  Arbeiten  mit 
möglichster  Kürze  berichtet  ist,  wird  man  natürlich  finden  :  einige  Ungleich- 
heiten in  der  Behandlung  hoffe  ich  in  der  Folge  vermeiden  zu  können.  Ebenso 
soll  versucht  werden,  den  Bericht  auch  auf  die  nähere  Umgebung  Roms 
(Gräberstrassen  u.  dgl.)  auszudehnen,  wovon  für  diesmal  aus  äusseren  Gründen 
hat  abgesehen  werden  müssen. 


I.  Quellen  der  römischen  Topographie. 
Neue   Fragmente    ^lqx   Forma  urbis  Romae. 

Beim  Niederreissen  einer  vor  etwa  200  Jahren  aufgeführten  Mauer  im 
Vicolo  del  Polverone  hinter  Palazzo  Farnese  im  Sommer  1888  stellte  sich 
heraus,  dass  dieselbe  grossenteils  aus  Bruchstücken  des  antiken  Stadtplans 
erbaut  war.  Nicht  weniger  als  hundertachtundachtzig  Fragmente  kommen  zu 
den  bisher  bekannten  hinzu  [Not.  1888  p.  392.  437.  569;  Bull.  com.  1888 
p.  386).  Allerdings  ist  der  Wert  derselben  vorläufig  schwer  zu  bestimmen, 
da  die  meisten  unbedeutende,  oft  nur  handgrosse  Splitter  sind,  wenige  die 
Grösse  von  20X20  cm.  übersteigen.  Unter  den  Stücken,  welche  ich  zu  sehen 
Gelegenheit  hatte,  namentlich  den  mit  Inschriften  versehenen,  war  keines  mit 
einem  der  seit  Bellori  als  verloren  geltenden,  in  den  Zeichnungen  des  Vat.  3439 
erhaltenen  identificirbar.  Die  neuen  Fragmente  zeigen,  was  die  im  Kapitol 
eingemauerten  Stücke  nicht  erkennen  lassen,  dass  die  Stärke  der  Platten 
wechselnd  gewesen  ist.  Dies  Kriterium  würde,  namentlich  wenn  sich  die 
Herausnahme  jener  Stücke  aus  der  Wand  ermöglichen  Hesse,  die  Zusammen- 
setzung des  ganzen  Plans  wesentlich  erleichtern. 

Ein  auf  dem  Forum  beim  Tempel  des  Divus  Antoninus  gefundenes 
Fragment  zeigt  zwei  im  spitzen  Winkel  aufeinander  stossende  Strassen,  und 
an  ihrem  Kreuzungspunkte  drei  runde  Basen  oder  Altäre  {Not.  1888  p.  728). 
Man  könnte  an  den  auf  der  kapitolinischen  Basis  in  der  zweiten  Region 
genannten  vicus  trium  ararum  (vgl.  C.  I.  L.  VI,  452)  denken. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  229 

Betreffs  der  Orientirung  der  Forma  habe  ich  in  diesen  Mit- 
teilungen S.  79  den  Beweis  beigebracht,  dass  Südosten  oben  war,  der  Circus 
Maximus  und  Via  Appia  senkrecht  standen.  —  Ueber  Fragm.  163  und  144 
Jord.  s.u.  S.  259. 


Mittelalterliche    Quellen    zur    römischen 
.  Topographie. 

Die  lange  erwartete  Fortsetzung  von  De  Rossi's  Ins  er  ip  t  i  o  ne  s 
Christianae  hat  zu  erscheinen  begonnen:  der  erste  Teil  des  zweiten  Bandes, 
ein  stattlicher  Foliant  von  über  500  Seiten,  führt  den  Separattitel:  series  codicum 
in  quibus  veteres  inscriptiones  Christianae  praesertim  urbis  Romas  sive 
solae  sive  ethnicis  admixtae  descriptae  sunt  ante  saeculum  XVI.  Eine  aus- 
führliche Besprechung  des  Gewinns,  den  die  antike  Topographie  aus  De 
Eossis  neuster  Arbeit  ziehen  kann,  würde  die  Grenzen  dieses  Berichtes  weit 
überschreiten,  ich  hoffe  sie  an  anderer  Stelle  geben  zu  können ;  hier  genüge 
es,  die  mit  gewohnter  Meisterschaft  ausgeführte  Behandlung  des  Anonymus 
Finsidlensis  und   der  alten   Beschreibungen   des    Vaticanischen  Gebietes    zu 


Mirabilia  Urbis  Romas.  The  marvels  of  Rome,  or  a  picture  of  the  goldsn 
city.  An  English  vsrsion  of  the  medieval  guide-book  with  a  Supplement 
of  illustrative  matter  and  notes  by  Francis  Morgan  Nichoi.s.  London 
u.  Rom,  1889.  XXXIII  u.  205  pp.  8,  2  Illustrationen, 
giebt  ausser   der  englischen   Uebersetzung  Noten,  welche   gut  und  bequem 
über  das  durch  De  Rossi,  Jordan  und  Urlichs  für  die  Textconstitution  und 
Erklärung  der  Mirabilia  geleistete   orientiren.     Die  Beigaben  {Mirabiliana) 
sind:  1.  the  marvels  of  Roman  churches,  A.D.  1375  (aus  dem  Vatic.  4265); 
2.  Beschreibung  Roms  von  Benjamin  v.  Tudela  (nach  der  latein.  Uebersetzung 
in   Urlichs   codex   topographicus);     3.  Ordo  Romanus   von    1143;    4.  Drei 
Urkunden:  Bulle  Anaclet  II  von  1130,  Innocenz  III  von  1199,  Tabula  Lats- 
ranensis ;  5.  Plan  des  mittelalterlichen  Rom   (nach  cod.    Paris.    4802).    Ein 
Titelbild  nach  Filaretes  Bronzethüre  von  S.  Peter  schmückt  das  elegant  aus- 
gestattete Buch,  ein  sorgfältiges  Register  erleichtert  die  Benutzung. 

Auf  die  Abbildung  Roms  auf  Ciniabues  Fresko  in  der  Oberkirche 
von  S.  Francesco  d'Assisi  hat  Strzygowski  Mitteil.  1887  S.  62  hinge- 
wiesen; seiner  Hypothese  über  Cimabue  als  Urheber  des  mittelalterlichen  Stadt- 
planes (weiter  ausgeführt  in  des  Vf.  Cimabue  u.  Rom,  Wien  1888)  kann  ich  mich 
ebensowenig  anschliessen  wie  die  meisten  Beurteiler  des  genannten  Werkes. 
Dem  Stadtbilde  in  Assisi  hat  De  ßossi  (Mitteil.  a.  a.  0.  S.  63)  vollkommen 
richtig  seinen  Platz  an  der  Spitze  der  bisher  mit  der  Bulle  Ludwigs  des 
Baiern  (1328)  beginnenden  Serie  angewiesen,  und  daran  ändert  auch  der 
Nachweis,  dass  der  Künstler  1272  in  Rom  gewesen  sei,  nichts. 


230-  JAHRESBERICHT   UEBER 

Die  bisher  nur  im  128.  Bande  der  Bibliothek  des  Stuttgarter  litte- 
rarischen Vereins  gedruckte  Beschreibung  Roms  von  Nicolaus 
Muffel  (1452)  hat  Michaelis  in  diesen  Mitteilungen  (1888  p.  254-276),  soweit 
sie  sich  auf  antikes  bezieht,  mit  italienischer  Uebersetzung  und  erläuternden 
Noten  neu  veröffentlicht.  Als  Quellen  werden  die  Mirabilia  und  Poggio  de  varie- 
tate  fortunae  nachgewiesen.  Hinzuzufügen  ist  die  bei  Parthey  Mirabilia  S.  47-62 
abgedruckte  Beschreibung  Roms  aus  Vat.  4265,  welche,  verfasst  für  den  Ge- 
brauch der  Pilger  im  Jubeljahr  1375,  vermutlich  in  Muffels  Händen  gewe- 
sen ist.  Wenigstens  bietet  nur  sie  Parallelen  zu  zwei  sonst  vereinzelt 
stehenden  Notizen  bei  Muffel :  erstens  zu  Muffels  n.  15  die  entsprechende 
Erklärung  der  Trofei  di  Mario  (Parthey  p.  56  §  68) :  in  eadem  via  (von 
S.  Prassede  nach  S.  Sisto)  est  memoriale  anserum,  qui  Romanos  de  sompno 
excitaverunt  et  de  captivitate  liberaverunt ;  ferner  (Parthey  p.  59  §85)  den 
Passus:  iuxta  illud  {templum  S.  Grucis  in  Hierusalem)  est  cisterna  cuiusdam 
imperatoris,  quam  semper  plenam  habuit  vino,  et  nunc  est  ecclesia  ibi  Sancti 
Angeli,  wodurch  die  vergebens  gesuchte  Kapelle  S.  Michael  bei  Muffel  n.  27 
nachgewiesen,  und  die  Beziehung  des  Paragraphen  auf  die  Piscina  in  Villa 
Conti  gesichert  wird.  Eine  Vergleichung  des  mir  hier  nicht  zugänglichen 
deutschen  Originals  auch  für  die  Notizen  über  Kirchen  und  Reliquien  würde 
das  Quellenverhältniss  wohl  zur  Evidenz  bringen. 

Handzeiehnungen-Codices   der  Renaissance. 

Der  codex  Escorialensis  —  II,  7,  gezeichnet  zwischen  1490 
und  1510,  auf  den  in  neuerer  Zeit  zuerst  eine  kurze  Notiz  Garrucci's  {Sto- 
ria  delTarte  IV  p.  7),  aufmerksam  gemacht  hatte,  war  von  E.  Müntz  nach 
Justi's  Mitteilungen  summarisch  beschrieben  {Rev.  archeol.  1887, 1  S.  175-179; 
vgl.  noch  G.  Boissier,  un  plan  de  Rome  et  une  vue  du  Forum  ä  la  fin  du  XV. 
siScle,  Compte-rendu  de  Vacad.  des  inscr.  4, 15, 1887).  Im  vorigen  Jahre  wurden 
sodann  zwei  Blätter  in  photographischer  Reproduktion  in  Rom  vorgelegt 
(Müntz  Rendiconti  dei  Lincei  1888  S.  71-73;  De  Rossi  Mitteilungen  des 
Instituts  1888  S.  94).  Photographien  einer  grössern  Anzahl  von  Blättern 
werden  Hrn.  J.  Ficker  verdankt ,  welcher  in  diesen  Mitteilungen  ( 1888 
S.  317  ff'.;  1889  S.  75)  über  die  für  antike  und  christliche  Kunst  wichtigen 
Blätter  berichtet  hat(i).  Die  Forumsansicht  ist  unten  S.  237  wiedergegeben. 
Die  Zeichnungen  des  Escorialensis  haben  ausser  für  die  antiken  Reste  noch  einen 
ganz  einzigen  Wert,  da  sie  von  der  Stadt  vor  den  grossen  baulichen  Verän- 
derungen Julius  II  und  Leo  X  eine  bessere  Vorstellung  geben  als  sonst  irgend 
eine  Quelle.  Eine  würdige  Veröffentlichung  wäre  sehr  zu  wünschen.  —  lieber 
einige  Zeichnungen  M.  Heemskerks  (früher  Sammlung  Destailleur,  jetzt  im 
Kupferstichkabinet  zu  Berlin)  vgl.  unten  S.  236.  237. 

(1)  [Die  Redaction  trägt  bei  dieser  Gelegenheit  auf  Wunsch  des  Hrn. 
Ficker  nach,  dass  die  Identiflcationen  der  Sarkophage  Mitt.  1889  p.  75.  76 
gütiger  Mitteilung  des  Hrn.  Robert  verdankt  werden]. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  231 


II.  Darstellende  Werke.  Baugeschichte  der  Stadt 
IM  Allgemeinen. 

0.  Richter,  Topographie  der  Stadt  Rom  (Sep.-Abdr.  aus  Iwan  Müllers  Hand- 
buch der  klassischen  Altertumswissenschaft,  Bd.  III).  Nördlingen  1889, 
8.  206  SS.  4  Pläne.     ' 

Dem  Buche  liegt  der  vom  Vf.  in  Baumeisters  Denkmälern  S.  1436-1535 
publiziert«  Artikel  'Rom'  zu  Grunde,  jedoch  an  vielen  Stellen  verbessert  und 
erweitert,  nicht  nur  durch  einen  einleitenden  Abschnitt  (Quellen,  Litteratur, 
Stadtpläne),  einen  Abdruck  der  Konstantinischen  Regionsbeschreibung  und 
einen  Index,  sondern  vor  allem  durch  die  Angabe  der  Litt<'ratur  zu  jedem 
einzelnen  Paragraphen.  Ausser  der  knappen  und  klaren  Darstellung  des  auf 
diesem  Gebiete  hauptsächlich  wissenswerten  bietet  es  nunmelTr  auch  einen 
Führer  zu  gründlicher  Beschäftigung  mit  dem  alten  Rom,  und  wird  hoffentlich 
zur  Belebung  und  Verbreitung  der  topographischen  Studien  in  Deutschland 
einen  nachhaltigen  Anstoss  geben.  Eine  Besprechung  im  Einzelnen  kann  hier 
nicht  beabsichtigt  werden :  die  wenigen  Bemerkungen,  die  unten  S.  234.  256. 
268.  269  gemacht  werden,  möge  man  als  Beiträge  für  eine  zweite  Auflage,  die 
dem  Buche  nicht  fehlen  wird,  betrachten. 

R.  Lanciani,  Ancient  Rome  in  ihe  light  of  recent  discoveries.  London  1888, 
8.  XXIX  u.  329  SS.  100  Illustrationen. 

Eine  gründliche,  wenn  auch  gedrängte  Uebersicht  über  die  grossen 
Fortschritte,  die  unsere  Kenntniss  des  alten  Roms  dank  den  Ausgrabungen 
der  letzten  zwanzig  Jahre  gemacht  hat,  zu  geben,  dieses  Ziel  hat  sich  der  Vf., 
der  betreiFs  jener  Errungenschaften  mit  Recht  sagen  könnte  quorum pars  magna 
fui,  in  diesem  Werke  noch  nicht  gesteckt.  Sein  Buch,  entstanden  aus  einem 
Cyklus  von  Vorträgen ,  die  L.  auf  einer  Reise  durch  Amerika  gehalten 
hat,  verläugnet  diesen  Ursprung  nicht.  Die  Ueberschriften  der  elf  Ka- 
pitel {the  renaissance  of  archaeological  studies ;  the  fundation  and  pre- 
historic  life  of  Rome ;  the  sanitary  condition  of  ancient  Rome ;  public 
places  of  resort ;  the  palace  of  the  Caesars;  the  house  of  the  Vestals;  the 
public  libraries  of  ancient  and  medioeval  Rome;  the  police  and  fire  de- 
partment  of  ancient  Rome ;  the  Tiber  and  the  Claudian  harbor ;  the  Gam- 
pagna ;  the  disappearance  of  works  of  art  and  their  discovery  in  recent 
years)  zeigen,  dass  die  gewählten  Themata  zum  Teil  mit  der  eigentlichen 
hauptstädtischen  Topographie  nur  in  loser  Verbindung  stehen,  während 
andrerseits  grosse  Gebiete  derselben  gar  nicht  gestreift  werden.  Die  Dar- 
stellung ist  stets  anziehend ;  aus  der  Fülle  der  ihm  zu  Gebote  stehenden  De- 
tails wählt  L.  mit  grossem  Geschick  aus:  besonders  operirt  er  mit  Rücksicht  auf 
sein  Publicum  gern  mit  Zahlen  und   statistischen  Angaben,  deren  Sicherheit 


ä32  JAHRESBERICHT    ÜEBER 

freilich  manchmal  bedenklich  ist.  Wenn  auch  die  Absicht  des  Vf.  nicht  war 
wissenschaftlich  neues  zu  bieten,  hätte  doch  stellenweise  etwas  weniger  con- 
servativ  verfahren  werden,  und  z.  B.  die  als  verfehlt  nachgewiesene  Eecon- 
struction  des  Vestatempels  nicht  wiederholt  werden  sollen. 

J.  H.  MiDDLETON,  Ancient  Rone  in  1888  (Edinburgh  1888) 
ist  nur  das  mit  neuem  Titel  imd  Register  versehene,  sowie  durch  ein 
Schlusskapitel  discoveries  1885-1888  erweiterte  Buch  desselben  Vf.  Ancient 
Rome  in  1885.  Das  Schlusskapitel  giebt  auf  11  Seiten  einige  Notizen  über 
neue  Funde,  aber  weder  vollständig  noch  eingehend :  z.  B.  wird  die  für  die 
Grenzbestimmung  der  dritten  und  fünften  Region  so  wichtige  Entdeckung 
des  Tempels  der  Minerva  Medica  nicht  einmal  erwähnt,  ebenso  wenig  die 
des  Pons  Agrippae.  Entbehrlich  wäre  dagegen  die  ganz  ungenaue  Copie  der 
Inschrift  des  Mausoleums  des  Lucilius  Paetus  und  die  ästhetischen  Betra- 
chtungen über  die  am  Quirinal  gefundenen  Bronzestatuen  (der  Faustkämpfer 
ist  dem  Vf.  zufolge  of  very  dijferent  and  inferior  s'yle  als  der  stehende 
Athlet,  a  characteristic  exemple  of  purely  Roman  art).  Die  beigegebene, 
Pläne  und  Karten  sind  natürlich  auf  dem  Standpunkt  von  1885  geblieben. 

A.  Mayerhoefer,  Geschichtlich-topographische   Studien  über   das  alte  Rom 

(München  1887) 
behandelt  in  drei  Kapiteln:  1.  Die  Bedeutung  des  Wortes  Pontifex ;  Stel- 
lung des  Janiculum  in  der  Königszeit;  neue  Beiträge  zur  Brückenfrage;  — 
2.  Wandlungen  der  Strassenverhältnisse  auf  dem  rechten  Tiberufer ;  —  3.  Die 
Thore  der  aurelianischen  Mauer  an  der  Flussseite  nebst  den  Veränderungen 
welche  die  spätere  politische  Entwicklung  im  Gefolge  hatte.  —  Der  Vf.  sagt 
selbst  S.  65,  er  beschäftige  sich  mit  Fragen  deren  Beantwortung  sich  nicht 
ausgraben  lasse,  hoffe  aber  dadurch,  dass  das  Untersuchungsgebiet  einen 
Zuwachs  an  neuen  Gesichtspunkten  erhalte,  der  Forschung  einigen  Dienst  zu 
erweisen.  Ich  bedaure  in  der  breiten  und  oft  verworrenen  Darstellung  diese 
neuen  Gesichtspunkte  nicht  finden  zu  können ;  dass  Vf.  durch  die  Annahme 
u.  A.  eines  zweiten  Pons  Aemilius-Neronianus  in  das  Brückenverzeichnis 
Ordnung  zu  bringen  glaubt,  war  aus  seinen  früheren  Schriften  bekannt.  In 
das  dunkle  Gebiet  der  Topographie  des  mittelalterlichen  Rom,  auf  welchem 
sich  die  Erörterungen  M.'s  über  die  Thore  an  der  Engelsburg  grossenteils 
bewegen,  wird  vielleicht  noch  an  vielen  Punkten  Licht  zu  bringen  sein  —  dazu 
gehört  aber  sehr  viel  mehr  Methode  und  Monumentenkenntnis  als  der  Vf.  besilzt, 
dem  es  z.  B.  passirt,  dass  er  (S.  103)  seine  Ansicht  über  das  Thor  an  der 
Engelsbrücke  erläutert  mit  Hülfe  des  kleinen  Holzschnitts  aus  Marlianis 
Topographie  (1588).  Letzterer  ist  natürlich  dem  grösseren  Stiche  Du  Peracs 
nachgezeichnet  und  neben  diesem  wertlos ;  .  das  Original  zeigt  deutlich,  dass 
die  von  M.  als  frühmittelalterlich  angesprochenen  Partien  den  Bauten  der 
Sangallo  angehören. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  233 

Lage,  Boden,  Klima. 

Tommasi-Crudeli,  Alcune  riflessioni  sul  clima  delVantica  Roma  (Mitteilun- 
gen 1887  p.  76-89). 
handelt  über  den  Einfluss  der  Malaria  auf  den  menschlichen  und  thierischen 
Organismus,  über  die  antikeYi  Schutzmittel  gegen  dieselbe  (Drainage,  eigen- 
tümliche Einrichtung  der  Campagnahäuser),  endlich  über  die  Malaria  im  Mit- 
telalter und  der  Neuzeit. 

Fr.  Olck,  Flcckeisen  und  Masius  Jahrb.  Bd.  135  S.  465-475. 
behandelt  die  Frage:    hat  sich  das   Klima  Italiens   seit  dem  Altertum  geän- 
dert? mit  negativem  Ergebnis  —  wobei  auch  die  bekannten  Stellen  über  Tem- 
peraturverhältnisse der  Hauptstadt  zur  Sprache  kommen. 

Genannt  werden  muss  hier  noch  das  Kapitel  aus  Lanciani's  S.  231 
angeführten  Buch :  sanitary  conditions  of  ancient  Rome,  welches  sowohl 
durch  des  Vf.  genaue  Kenntnis  der  antiken  Stadt  als  auch  durch  die  Paral- 
lelen aus  dem  modernen  Rom  einen  besonderen  Wert  erhält. 

Stadt-  und  Bau  geschieh  te  im  Allgemeinen. 

Der  Aufsatz  von  Studemund,  die  sacraArgeorum  (Philologus 
N.  F.  I  S.  168-177)  versucht  auf  die  berühmte  Varrostelle  neues  Licht  zu 
werfen  dadurch,  dass  die  Lage  der  sacraria  Argeorum  mit  dem  Schema 
des  Auguraltemplums  und  zwar  eines  solchen,  dessen  vier  Hauptteile  durch 
analoge  Teilung  zu  einer  im  Ganzen  16  Quadrate  enthaltenden  Figur  ge- 
staltet sind,  in  Einklang  gebracht  wird  (i).  Nimmt  man  diese  freilich  nirgends 
ausdrücklich  überlieferte  Prämisse  an,  so  kann  man  nicht  umhin  auch  der  wei- 
teren mit  mathematischer  Strenge  geführten  Deduction  beizustimmen.  In  dem 
Einleitungspassus  bei  Varro  wird  statt  des  überlieferten  Argeorum  sacraria  in 
Septem  et  viginti  partis  urbi  sunt  disposita  vorgeschlagen  wird  A.  s.  septem  et 
viginti  in  quattuor  partis  urbis  s.  d;  die  Zahl  der  27  sacraria  wird  erklärt 
durch  die  Annahme  von  9  sacraria  für  die  ursprüngliche  regio  Palatina  und 
je  6  für  die  drei  später  hinzugekommenen.  Dass  die  Lage  des  Sacrariums  apud 
aedem  dii  Fidii  {collis  Mucialis  quinticeps),  welches  durch  die  vom  Vf.  noch 
nicht  berücksichtigten  Ausgrabungen  (u.  S.  274)  sich  ziemlich  genau  localisiren 
lässt,  in  das  System  hineinpasst,  darf  als  Stütze  für  dasselbe  angeführt  werden. 

Mein  Aufsatz :  das  Pomerium  Roms  in  der  Kaiserzeit 
(Hermes  XXH,  1887,  S.  615-626)  berichtigt  Jordans  Aufstellungen  Top.  I,  1, 

(1)  Die  Möglichkeit,  auf  einer  solchen  Figur  27  statt  25  auf  den  Schnitt- 
punkten liegende  sacraria  anzunehmen,  wird  durch  die  doppelte  Zählung 
zweier  Punkte,  diese  wiederum  durch  die  Zweiteilung  der  Prozession  auf  den 
16*«"  und  n^^n  März  begründet. 


284  JAHRESBERICHT    UEBER 

S.  324-333.  Es  wird  nachgewiesen,  dass  die  claudische  Termination  den 
grössten  Teil  der  Regio  IX  zwar  aus-,  dagegen  den  Aventin  (R.  XII  und  XIII) 
einschloss ;  dass  die  späteren  Terminationen  von  dieser  abwichen  und  die 
Steine  weder  conlinuirliche  Bezifferung  noch  gleichen  Abstand  hatten  ;  dass 
die  Termination  des  Claudius  im  Süden  begann,  die  des  Vespasian  im  Norden  ; 
endlich  dass  die  Hadrianische  Termination  ex  senatus  consuUo  erfolgte. 

L.  BoRSARt,  Le  mura  e  forte  di  Servio  {Bull,  comun.  1888  p.  12-22), 

zählt  die  seit  1881  gefundenen  Stücke  der  Serviusmauer  auf,  giebt  von 
zweien  (in  Via  di  Marforio  n.  73-75  und  in  via  delle  Finanze)  Pläne  und 
Durchschnitte  und  trägt  zu  mehreren  schon  länger  bekannten  auf  dem  Qui- 
rinal  die  Notizen  aus  der  Monographie  des  Gio.  Lucio  (cod.  Vat.  9137 ;  de 
Rossi  plante  di  Borna  p.  117)  nach  (i).  Den  beiden  letzten  Jahren  gehört 
nur  ein  im  Garten  der  Suore  di  S.  Vincenzo  gemachter  Fund  an,  dessen  Zu- 
gehörigkeit zur  Befestigung  mir  fraglich  ist  (s.  u.  S.  260). 

Besondere  Erwähnung  verdient  die  dem  Aufsatze  eingefügte  Beschreibung 
eines  antiken  Steinbruchs  (Tuff)  in  der  Vigna  Querini  (1872  entdeckt; 
vgl.  Lanciani  Bull,  comun.  1872  p.  6),  von  dem  Plan  und  Durchschnitte 
(bisher  unedirt)  gegeben  werden. 

J.  H.  MiDDLETON,    On  the  chief  methods  of  construction  used  in  ancient 
Rome.  {Archaeologia  tom.  LI,  pari  1,  p.  41-60). 

Der  Verfasser,  an  dessen  Ancient  Rome  in  1885  die  auf  umfassender 
Monumentenkenntnis  beruhende  Berücksichtigung  des  Technischen  besonders 
zu  loben  war,  handelt  über  Quader-  und  Gusswerkbau.  Namentlich  dem  letz- 
teren wird  eine  durch  3  Tafeln  (Wände  vom  Palatin,  den  Caracallathermen 
u.  A.  nach  eigenen  Aufnahmen)  erläuterte  ausführliche  Besprechung  gewidmet, 
und  seine  constructive  Bedeutung  gegenüber  den  nur  zur  Verkleidung  die- 
nenden Ziegelwänden  hervorgehoben.  Einzelheiten  sind  zu  berichtigen :  so 
z.  B.  sind  die  unteren  Kammern  der  grossen  Exedra  des  Traiansforums  bei 
Magnanapoli  nicht  Ziegelrohbau  gewesen  (p.  58),  sondern  auf  Steinbelag 
berechnet.  Ueber  seine  Vorgänger  urteilt  Vf.  sehr  absprechend ;  nicht  nur 
Canina's  sondern  auch  Choisy's  Buch  ist  ein  simply  toork  of  imagination 
and  worse  than  useless  to  the  real  Student  (p.  41  not.)  Der  Vorwurf  über- 
triebener Eleganz,  welcher  Choisy's  Zeichnungen  gemacht  worden  ist,  wird 
die  des  Vfs.  nicht  treffen :  ob  sie  dafür  durch  absolute  Zuverlässigkeit  ent- 
schädigen, mögen  Fachmänner  entscheiden.    Von    den  Facsimile's  der  Stein- 

(1)  Der  Lauf  der  Servianischen  Befestigung  auf  Richters  Plan  (o.  S.  231) 
ist  an  mehreren  Stellen  nicht  correct  angegeben :  so  sind  auf  dem  Esquilin 
die  Reste  auf  Piazza  Fanti  gar  nicht  berücksichtigt,  die  bei  der  Station  nicht 
richtig  eingezeichnet.  Merklicher  noch  ist  die  Abweichung  beim  Quirinal,  wo 
die  Mauer,  statt  dem  Hügelrande  folgend  von  der  Höhe  bei  Magnanapoli  nach 
der  Arx  zu  laufen,  im  Thale  (Hof  von  Palazzo  Colonna  und  Piazza  SS.  Apo- 
stoli)  gezeichnet  ist. 


TOPOGRAPHIE   DER   STADT   ROM 


235 


metzzeichen   auf  dem    Palatin   und   der   Serviusmauer   lässt   es   sich   nicht 
behaupten. 

Eine  mehr  technische  als  topographische  Frage  behandehi  T.  Homolle 
und  H.  P.  NiNOT  in  ihrem  Essai  de  restitution  de  V  amp  h  i. 
thöatre  de  Gurion  (Gazette  arch6ologique,  1889  p.  11-16).  Es  wird 
der  durch  Zeichnungen  (Tf.  -3.  4)  erläuterte  Nachweis  der  Möglichkeit  einer 
Construction  wie  sie  Plinius  36,  117,120  beschreibt,  gegeben,  allerdings  mit 
Verwerfung  der  Lesart  des  Bambergensis:  jiost  primos  dies  etiam  sedentibus 
aliquis  und  Kückkehr  zum  'texte  de  nos  pires' :  postremo  iam  die  disceden- 
tibus  tabulis. 

Für  die  Geschichte  der  städtischen  Wasserleitungen  interes- 
sant ist  die  Auffindung  einer  eigentümlichen  sehr  alten  und  in  bedeutender 
Tiefe  liegenden  Leitung  in  Villa  Wolkonsky  {Notizie  1888  p.  59  ;  Bull.  com. 
1888  p.  400 ;  Narducci  sulla  fognatura  di  Roma  p.  30).  Durchbohrte 
Tuifblöcke  (wie  untenstehende  Figur,  nach  einer  von  mir  in  V.  Wolkonsky 
genommenen  Skizze,  zeigt)  stellten  eine  Kohrleitung  von  bedeutender  Wand- 
stärke her;  die  Verbindung  der  einzelnen  Stücke  war  durch  er.  6  cm.  vorsprin- 
gende MuflFen  und  entsprechende  Vertiefungen  am  anderen  Ende  bewirkt.    Im 


Inneren  hatte  das  Wasser  Kalkablagerungen  bis  zur  Stärke  von  3  und  mehr 
cm.  hinterlassen.  Aehnliche  Funde  waren  1886  auf  dem  Caelius  gemacht 
{Bull.  com.  1886  p.  406),  welche  insgesamt  die  Leitung  fast  2000  m.  weit 
zu  verfolgen  gestatten :  Lanciani  [rendiconti  delVaccad.  de'  Lincei  1888 
p.  301)   erkennt  darin  den    von  Frontin  de  aq.  19  beschriebenen  rivm  Her- 

culaneus  der  Aqua  Marcia.    Kichtung  (Anfang  post  hortos  Pallantianos 

dann  per  Gaelium  ductus finitur  supra  portam  Gapenam)  und  Nivelle- 
ment {ipsius  montis  usibus  nihil,  ut  inferior,  subministrans)  stimmen. 


236  JAHRESBERICHT    UEBER 

PiETRO  Narducci  Sulltt  fognatura  della  cittä  dl  Roma,  descrizione  tecnica. 
Eom  1889.  124  p.  gr.  8°.  Atlas  von  14  Tf.  in  gr.  q.  fol. 

Der  Vf.,  welcher  als  Chefingenieur  der  römischen  Canalisation  seit 
langen  Jahren  auch  den  antiken  Kloakenanlagen  seine  Aufmerksamkeit  ge- 
widmet hat,  giebt  nach  einer  kurzen  historischen  Einleitung  eine  Beschreibung 
der  jetzt  functionirenden  Kloakenstränge  Roms,  unter  denen  folgende  zum 
grösseren  oder  geringeren  Teil  antik  sind :  N.  3,  chiavicone  di  Schiavonia, 
vom  Pincio  beim  Mausoleum  des  Augustus  vorbei  an  der  Eipetta  in  den 
Fluss  mündend.  —  N.  4,  chiavicone  di  Trevi,  antik  der  obere  Teil  bei  Via 
del  Bufalo,  die  weitere  Leitung  bis  zur  Mündung  unterhalb  des  ponte  di  Ri- 
petta  Werk  des  siebzehnten  und  achtzehnten  Jahrhdts.  —  N.  11,  chiavica  della 
Giuditta,  früher  chiavica  della  Rotonda  genannt,  weitverzweigt,  einen  grossen 
Teil  des  Marsfeldes  von  Monte  Citorio  ab  entwässernd,  mündet  in  den  Fluss 
gegenüber  der  Insel.  —  N.  12,  chiavicone  deWOlmo,  für  welchen  antike  Entwäs- 
serungsbauten des  Circus  Flaminius  benutzt  sind,  mündet  bei  Ponte  Quattro 
capi.  —  N.  13,  Gloaca  maxima.  Ausser  dem  bekannten  Stück  im  Forumsthal 
wird  die  Zuleitung  aus  den  oberen  Stadtteilen  {chiavicone  delle  terme  Dio- 
cleziane)  beschrieben;  ferner  ein  System  von  unterirdischen  Gängen  im  Tuff 
des  Quirinal  bei  S.  Vitale,  seit  1876  verschüttet.  —  Auf  dem  rechten  Tiber- 
ufer ist  nur  der  fognone  di  Borgo  (n.  14)  vielleicht  ein  Werk  der  Kaiserzeit; 
im  eigentlichen  Trastevere  finden  sich  römische  Kloaken  nicht.  Sonderbar  ist 
es  freilich  wenn  der  Vf.  p.  56  behauptet:  per  quanto  si  e  indagato  nei  molli 
autori  delVantichitä  non  fu  rinvenuta  una  notizia,  una  descrizione  di  fabbri- 
cati  nella  regione  trastiberina  da  poterla  cosl  riguardare  come  parte 
abitata.  —  Ein  parte  seconda :  delle  antiche  cloache  di  Roma  überschrie- 
bener  Abschnitt  behandelt  besonders  die  Wasserableitung  des  Colosseums ; 
aus  der  parte  terza  ist  hervorzuheben  die  tavola  sinottica  delle  piazze,  vie, 
vicoli  ecc.  con  Valtimetria  stradale  e  delle  fogne  (S.  73-117),  welche  für 
hunderte  von  Punkten  des  modernen  Eoms  exacte  Höhenangaben  liefert.  — 
Der  Atlas  enthält,  ausser  einem  Uebersiclitsplan  des  Kloakennetzes  von  Rom, 
14  Tafeln  meist  mit  Querschnitten,  unter  welchen  die  beiden  letzten  (Ent- 
wässerungsanlagen des  Colosseums)  ein  besonderes  Interesse  haben. 


III.  Topographische  Rundschau.  < 
Forum  Romanum. 

Ueber  den  Zustand  des  ganzen  Forums  im  15'^°  u.  16**"  Jahr- 
hundert geben  einige  kürzlich  bekannt  gewordene  Zeichnungen  neue  Aus- 
kunft. Den  ersten  Platz  nimmt  unter  diesen  die  Zeichnung  im  cod.  Escoria- 
lensis  ein,  über  welche  Müntz  (s.  u.),  De  Rossi  (Mitteilungen  des  Instituts 
1888   S.   94),   Nichols   (ebda.    S.   98),    Richter    (Jahrb.    des   Instituts    1889 


TOPOGRAPHIE    DER   STADT    ROM 


237 


S.    158)   gehandelt  haben,  und  von  welcher  beistehende  nach  einer  von  Hrn. 
Dr.  Ficker   genommenen  Photographie  verkleinerte   Skizze   eine  Vorstellung 


geben'mag.  Dass  die  Zeichnung  älter  sein  muss  als  1503/04   zeigt  die  Wie- 
dergabe der  in  diesem  Jahre  zerstörten  Eeste  der  Basilica  Aemilia  (s.  u.  S.  242), 

Zwei  Zeichnungen  aus  dem  Berliner  Skizzenbuch  Martin  Heemskerks 
(um  1535),  von  mir  publicirt  Bull.  com.  1888  p.  153,  tav.  VII.  VIII,  stellen 
das  Forum  einmal  vom  Kapitol,  das  andere  mal  vom  Palatin  gesehen  dar. 
Die  letztere  gibt  endlich  Aufklärung  über  die  Lage  der  vielgesuchten,  zur 
Zeit  Pius  IV  (1559-65)  zerstörten  Kirche  S.  Sergio  e  Bacco,  an  die  sich 
die  Localisirung  zweier  antiken  Monumente,  des  umbilicus  urbis  Romae  und 
der  sog.  Schola  Xantha,  knüpft  (s.  u.  S.  240).  Die  Kirche  kehrte  ihre  Front  nicht, 
wie  Jordan  (Top.  H  S.  451-57;  I,  2  S.  249)  und  C.  Ee  [Bull.  com.  X,  1882, 
p.  94-129)  annahmen,  dem  Kapitol,  sondern  dem  Forum  zu :  ihr  Standort  ist 
noch  heut  gekennzeichnet  durch  das  Stück  alten  Basaltpflasters,  welches 
durch  die  Vorzüglichkeit  seiner  Arbeit  gegenüber  den  sonstigen  frühmittel- 
alterlichen Pflasterungen  des  Forums  sofort  auffällt,  und  für  dessen  ganz 
singulare  Erhaltung  bisher  keine  Erklärung  möglich  war. 

Westseite  des  Forums. 


Von  der  Westseite  des  Forum  Romanum  nach  ihrer  Gestaltung  in 
früherer  Kaiserzeit  entwirft  0.  Richter  am  Schlüsse  seines  unten  zu  bespre- 
chenden Aufsatzes  (Jahrb.  1889  S.  137-162)  ein  Gesamtbild,  an  welchem  als 

16 


238  JAHRESBERICHT    ÜEBER 

neu  hervorzuheben  ist  die  Annahme  eines  Triumphbogens  des  Drusus  nörd- 
lich von  der  Rednerbühne,  entsprechend  dem  südlichen  Bogen  des  Tiberius. 
Die  Existenz  eines  derartigen  Bogens  wird  gefolgert  einzig  aus  der  Dar- 
stellung einer  Münze,  welche  wegen  ihrer  abweichenden  Details  mit  dem 
gewöhnlich  so  genannten  Drususbogen  über  der  Via  Appia  nichts  zu  thun 
haben  könne :  sie  steht  und  fällt  also  mit  der  (m.  Er.  verfehlten)  Theorie 
über  die  Genauigkeit  der  Münzbilder.  Ferner  wird  die  Stellang  des  Tiberius- 
bogens  da,  wo  ihn  die  bisherigen  Forumspläne  nach  dem  Fundbericht  von 
Eavioli  (1851)  hinsetzen,  bezweifelt ;  wie  mir  scheint  ohne  genügenden  Grund, 
da  die  Spuren  desselben  bei  der  sehr  starken  Restauration  der  Nordwestecke 
der  Basilica  Julia  verschwunden  sein  dürften,  und  der  Bogen  doch  gewiss 
über  der  sacra  via,  nicht  daneben  gestanden  hat.  Das  Bild,  welches  Richter 
von  der  schön  durchdachten  Harmonie  der  Forumsbauten  des  Augustus  ent- 
wirft, ist  ansprechend,  aber  sehr  hypothetisch ;  wenn  z.  B.  behauptet  wird, 
dass  erst  Septimius  Severus  durch  das  an  Stelle  des  (vermutheten)  Drusus- 
bogens  errichtete  Triumphthor  den  Gesammteindruck  unheilbar  zerstört  habe, 
so  bleiben  dabei  Denkmäler  wie  das  des  Hadrian  (C  /.  L.  VI,  974)  und  das 
von  Mommsen  {R.  G.  D.  A.  pag.  128)  zweifelnd  dem  Vespasian  zugeschriebene 
ganz  unberücksichtigt,  deren  Stellung  am  Clivus  durch  die  Fundumstände 
höchst  wahrscheinlich  ist. 

0.  Richter,  Die  römische  Rednerbühne    (Jahrb.  des  Instituts  1889    S.  1-17) 

berichtigt  zunächst  eine  frühere  Ansicht  des  Verfassers  über  den  sog.  locus 
inferior  der  Rostra.  Die  Existenz  eines  Sprechplatzes  zweiten  Ranges  hatte 
Mommsen  aus  der  Stelle  Cic.  ad  Att.  II,  24,  3  vermuthet,  Richter  hatte 
dann  (Berl.  Phil.  Wochenschr.  1887  S.  895,  und  bei  Mommsen  St.  R.  III, 
S.  383  Anm.  5,  S.  XII  Anm.  1)  diese  Hypothese  durch  bauliche  Gründe  zu 
stützen  und  den  Nachweis  anzutreten  versucht,  dass  u.  A.  die  ganze  Dreitei- 
lung der  Rostra-Fassade  auf  die  Existenz  eines  tiefer  liegenden  Sprechplatzes 
in  der  Mitte  hinwiese.  Er  nimmt  jetzt  diese  Ansicht  sowohl  aus  philologi- 
schen wie  tektonischen  Gründen  zurück  und  bietet  in  fünf  Abschnitten  (die 
Fassade  —  die  Schiffsschnäbel  —  die  Seitenfassaden  —  der  Aufgang  —  die 
Ehrendenkmäler  auf  den  Rostra)  wesentliche  Berichtigungen  und  Ergänzungen 
seiner  früheren  Arbeit.  Als  gesichert  oder  sehr  wahrscheinlich  darf  gelten, 
dass  die  Fassade  kein  besonders  architektonisch  hervorgehobenes  Mittelstück 
hatte;  dass  die  ganz  gleichmässigen  Schiffsschnäbel  nicht  wirkliche  vom 
Feinde  erbeutete,  sondern  eigens  zu  diesem  Zwecke  gearbeitete  waren;  dass 
die  sanft  ansteigende  cordonata  nicht  die  ganze  Breite  der  Rückseite,  son- 
dern nur  die  Mitte  derselben  eingenommen  hat;  dass  endlich  die  massigen 
Einbauten  aus  Gusswerk  und  Ziegeln,  welche  früher  für  mittelalterlich  gehal- 
ten wurden,  den  Zweck  gehabt  haben,  der  Platform,  welche  durch  Aufstellung 
immer  zahlreicherer  und  kolossalerer  Denkmäler  (deren  Dimensionen  vermit- 
telst der  Stilichobasis  in  Villa  Medici  und  der  Abbildung  auf  dem  Constan- 
tinsbogen  erörtert  werden)  gefährdet  schien,  eine  sichere  Stütze  zu  bieten. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  239 

Gegen  andere  Aufstellungen  aber  erheben  sich  Bedenken  ;  so  z.  B.  gegen 
das  was  S.  7  über  den  nördlich  an  die  Quadermauer  stossenden  Backsteinbau 
gesagt  wird.  Derselbe  soll  ein  in  später  Zeit  gemachter  Anbau  zur  Redner- 
bühne, und  gleich  der  Hauptfront  mit  Schiffsschnäbeln  geschmückt  gewesen 
sein.  Zum  Beweise  werden  angeführt  die  durch  die  ganze  Wandstärke  hin- 
durchgehenden, in  Stellung  und  Entfernung  den  Zapfenlöchern  für  die 
Schiffsschnäbel  entsprechendep  Löcher  in  der  Vordermauer.  Solche  finden  sich 
an  mehreren  Stellen,  und  zwar  entspricht  eins  an  der  Vorder-  und  zwei  an 
der  Rückseite  (letztere  auf  der  Figur  S.  5  nicht  sichtbar)  in  der  Höhe  und 
in  der  Entfernung  den  Zapfenlöchern  der  unteren  Schiffsschnäbelreihe.  Aber 
gleichartige  sind  weder  an  allen  Stellen,  wo  man  sie  vermuten  muss,  vor- 
handen, noch  fehlen  sie  da,  wo  sicher  keine  Schiffsschnäbel  befestigt  gewesen 
sind  (z.  B.  eines  er.  '/a  m.  vom  Pflaster,  unter  dem  grossen  Wandloch). 
,  Ueberhaupt  ist  der  Zustand  des  ganzen  Mauerrestes,  der  seiner  Zeit  in  die 
Fundamente  des  ponte  della  Consolazione  hineingezogen,  daher  vielfach 
modern  geflickt  und  überscbmiert  ist,  von  der  Art,  dass  ich  nicht  wagen 
würde  aus  so  unsicheren  Spuren  Schlüsse  auf  die  Decoration  zu  ziehen.  Dass 
der  Ablauf  an  der  Ostseite  den  Rostra  entnommen  sei,  ist  richtig,  kann  aber 
bei  dem  späten  Ursprung  nicht  befremden.  —  Die  Frage  nach  der  Befestigung 
der  Schiffsschnäbel  wird  durch  eine  von  Hrn.  F.  0.  Schulze  gemachte  Beob- 
achtung in  einem  von  Richter  etwas  abweichenden  Sinne  gelöst.  Nach  R.  waren 
an  die  kurzen  starken  Zapfen  derselben  (deren  Construction  durch  die  Abbildung 
auf  dem  Bogen  von  Orange  erläutert  wird)  eiserne  Stangen  angeschmiedet 
welche,  sowohl  durch  die  Tuffmauer  wie  durch  die  Travertinpfeiler  hindurch- 
gehend, an  der  Rückseite  verankert  waren.  Nun  gehen  allerdings  die  Bohrlö- 
cher durch  die  ganze  Stärke  der  Tuffwand,  und  zwar  etwas  abwärts  geneigt; 
wo  die  Theilung  auf  den  hinten  stehenden  Travertinpfeiler  trifft,  gehen  sie 
auch  noch  durch  diesen  (so  am  zweiten  Pfeiler  von  der  N.  Ecke  gerechnet); 
wo  das  Bohrloch  gerade  auf  die  Kante  trifft,  wie  am  ersten  Pfeiler  (von  N.), 
geht  es  nicht  durch,  sondern  nimmt  nur  so  viel  von  der  Kante  heraus,  dass 
man  behufs  der  Befestigung  dem  Loche  im  Tuff  beikommen  konnte.  Die  Ver- 
festigung geschah  durch  einfache  Verbleiung,  wie  ein  noch  mit  Metall  ge- 
fülltes Bohrloch  nahe  der  Nordecke  zeigt.  Die  ganze  Rückwand  wurde  dann 
verputzt,  wie  an  dem  bis  zur  3'"»  Quaderlage  herauf  erhaltenem  Stück  an 
der  Nordecke  noch  zu  sehen  ist.  Dies  Verfahren  war  gewiss  für  die  Last  der 
wahrscheinlich  nicht  einmal  originalen,  sondern  eigens  angefertigten  Rostra 
vollkommen  genügend. 

L.  Cantarelli,  Osservazioni  sulle  scene  storiche  rappresentate  nei  due  bas- 

sorilievi  marmorei  del  Foro  Romano  {Bull.  com.  1889  p.  99-115). 
kehrt  im  Gegensatze  zu  Henzens  Brizios  Jordans  und  Bormanns  Ansicht,  dass 
auf  den  beiden  1872  gefunden  Reliefs  zwei  Staatsacte  des  Trajan  (resp.  Hadrian) 
dargestellt  seien  (die  institutio  alimentaria  und  der  Erlass  der  rückständigen 
Erbschaftssteuer),  zu  der  Erklärung  C.  L.  Viscontis  zurück,  der  dargestellte 
Kaiser  sei  Domitian  und  die  beiden  Acte  die  Proclamation  des  Edicts  gegen  die 


240  JAHRESBERICHT    UEBER 

Entmannung,  sowie  die  Verbrennung  der  libelli  famosi.  Richtig  ist  die  Be- 
merkung gegen  Bormann,  der  wegen  der  Barttracht  der  Lictoren  das  Relief 
unter  die  Trajanische  Zeit  herabrücken  wollte,  dass  auf  sicher  trajanischen 
Monumenten  (Säule,  Bogen  von  Benevent)  Leute  mit  Bart  unter  dem  kaiser- 
lichen Gefolge  nicht  fehlen.  In  der  Hauptsache  dagegen  hat  mich  C.'s  Dar- 
legung nicht  überzeugt,  vielmehr  erledigt  sich  m.  Er.  die  ganze  Frage  da- 
durch, dass  auf  dem  zweiten  Relief  nicht  Bücher,  sondern  Diptychen  oder 
Triptychen,  d.  h.  Urkunden  verbrannt  werden.  Der  Versuch  p.  113  zu  bewei- 
sen, dass  auch  diese  letzteren  zur  Darstellung  von  libelli  vulgo  edita  hätten 
dienen  können,  ist  nicht  besser  als  wenn  jemand  behaupten  wollte,  der  mo- 
derne Künstler  könne  Buch  und  Brief  beliebig  eins  für  das  andere  darstellen, 
weil  unter  Umständen  auch  Bücher  unter  Couvert  verschickt  würden.  Ob  es 
glaublich  sei,  dass  ein  Monument  Domitians,  eines  Kaisers  bei  dem  die  me- 
moriae  damnatio  so  energisch  durchgeführt  scheint,  wie  kaum  bei  einem  . 
anderen  —  wir  haben  von  ihm  aus  Stadt  und  Umgegend  nicht  eine  einzige 
Ehreninschrift  mit  ungetilgtem  Namen!  —  an  der  hervorragendsten  und 
zugänglichsten  Stelle  des  Forums  unbehelligt  weiter  existiren  konnte,  diese 
Frage  scheint  sich  C.  nicht  vorgelegt  zu  haben. 

Ueber  ein  der  Rednerbühne  benachbartes  Gebäude,  die  schola  scribarum 
Ubrariorum  aedilium  curulium  (gewöhnlich  Schola  X  anth  a  genannt) 
habe  ich  in  diesen  Mitteilungen  1888  S.  208-232  gehandelt  und  mit  Hülfe  der 
Fundberichte  des  16*®"  Jahrdts.  den  Beweis  zu  führen  gesucht,  dass  das  Ge- 
bäude nicht  zwischen  Saturntempel  und  Tabularium,  unterhalb  der  porticus 
deorum  consentium,  sondern  westlich  vom  Saturatempel  am  Clivus,  zwischen 
Tiberiusbogen  und  Rostra  gelegen  habe.  Entscheidend  ist  es,  dass  Funde,  wel- 
che zusammen  mit  denen  der  Reste  der  Schola  gemacht  sind,  genannt  werden 
ante  aedem  S.  Sergii  et  Bacchi.  Die  chronologische  Ansetzung  der  Bau- 
inschriften, deren  eine  die  Gründung,  die  zweite  die  Erneuerung  zu  nennen 
scheint,  ist  bisher  nicht  richtig  getroffen :  die  scheinbare  Restaurationsinschrift 
ist  vielmehr  die  ältere,  wie  aus  onomatologi sehen  Gründen  in  der  dem  Aufsatz 
angehängten  Nota  sopra  i  nomi  doppi  di  servi  e  liberti  della  casa  imperiale 
gezeigt  wird. 

Nordseite  des  Forums. 

Th.  Mommsen  giebt  Hermes  XXIII  S.  631-633  mit  Hülfe  mehrerer 
Stellen  aus  Cassiodor  und  Ennodius  den  Nachweis,  dass  im  sechsten  Jhdt.  die 
Bezeichnung  Atrium  Libertat  is  für  einen  Teil  der  Curie  gebräuchlich 
gewesen  sei,  womit  die  Bedenken  Jordans  (Top.  I,  2  S.  460)  erledigt  werden.  Zu 
den  beiden  mit  Recht  herangezogenen  Inschriften  C.  I.  L.  VI,  1794  (S.  Adriano) 
u.  VI,  470  (S.  Martina)  hätte  wohl  auch  noch  VI,  472:  Libertati  ab  imp.  Nerva 
Ga[es\aii^e'\  Aug.  anno  ab  urbe  condita  DCCCXXXIIX  Xini[K.}  öc[f].  resti- 
tut^ae]  s.p.  q.  R.  hinzugefügt  werden  können.  Dieselbe  steht  beim  Anonymus 
Einsidlensis  (C.  /.  VI  p.  XII  n.  39)  mit  der  Ortsangabe  'in  Gapitolio\  d.  h.  der- 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  241 

selben  welche  die  Inschriften  der  drei  Tempel  am  Clivus,  der  unmittelbar 
vorhergehende  Bogen  des  Marc  Aurel  neben  dem  Concordientempel  [G.  Z  L. 
VI,  1014;  vgl.  praef.  p.  XII  n.  38)  und  die  bald  darauf  (n.  43)  folgende  Inschrift 
der  curatores  tabulariorum  (C.  I.  L.  VI,  916)  haben.  Ich  möchte  sie  daher 
statt  einem  unbekannten  Libertas-Heiligtum  auf  dem  Kapitol,  einem  der- 
selben Gottheit  geweihten  Monument  bei  der  Curie  zuteilen.  Die  Inschrift 
CLL.  VI,  470  könnte  nach  den  Massen  der  Buchstaben  wohl  als  Dedications- 
inschrift  einer  aedicula  mit  dem  Bilde  der  Liberias  gedient  haben.  Sollte 
sich  das  von  Mommsen  mit  Kecht  als  aufEallig  hervorgehobene  vielfache 
Vorkommen  des  atrium  Libertatis  in  der  allerspätesten  römischen  Zeit, 
nachdem  vom  ersten  bis  fünften  Jahrhundert  fast  nie  von  dem  Gebäude  die 
Rede  ist,  in  der  Weise  erklären,  dass  man  nach  Entfernung  der  alten  Schutz- 
göttin der  Curie,  der  Victoria,  geflissentlich  die  benachbarte  Libertas  in  den 
Vordergrund  stellte  ?  —  Hinsichtlich  dess  Stadtplanfragments  Jord.  25  mit 
LIBERTATIS  ist  nach  dem  oben  S.  229  bemerkten  sicher,  dass  es  die  nach 
Quirinal,  nicht  die  nach  dem  Kapitol  zu  gelegene  Apsis  des  Trajansforums 
vorstellt :  damit  schwindet  m.  Er.  die  Möglichkeit,  es  mit  dem  alten  atrium 
Libertatis  in  Verbindung  zu  bringen.  Was  die  Inschrift  (deren  Parallelisirung 
mit  VI,  470  sich  von  selbst  erledigt,  da  an  letzterem  Ort  der  Dativ  steht) 
bedeutet,  ist  schwer  auszumachen ;  ob  Trajan  ein  sacellum  Libertatis  auf 
seinem  neuen  Forum  nach  Muster  des  alten  errichtete  ?  die  von  Früheren 
versuchte  Beziehung  der  Stelle  Plin.  Panegyr.  36 :  eodem  foro  utuntur  prin- 
cipatus  et  libertas  ist  freilich  chronologisch  unmöglich. 

Einen  anderen  Beitrag  zur  Forumstopographie  der  spätesten  Zeit 
bietet  De  Rossi's  Aufsatz  il  luo  g  o  app  ellato  ad  p  almam  e  suo 
emiciclo  nel  for  o  Romano  {Bull.  com.  1887  p.  63-66).  Er  fügt  den 
von  Jordan  (Top.  1,  2  S.  259,  Anm.  91)  gesammelten  Belegen  aus  Cassiodor, 
dem  Anonymus  Valesii  etc.  zwei  neue  hinzu.  Erstens  ist  der  Beiname  der 
römischen  Synode  von  502,  synodus  palmaris,  nicht,  wie  früher  angenommen, 
von  der  porticus  ad  palmata  beim  Vatikan  abzuleiten,  sondern  von  dem  Orte  ad 
palmam  bei  der  Curie,  wo  die  kirchlichen  Abgeordneten  mit  dem  Senat  ver- 
handelten. Die  zweite  ältere  Belegstelle  findet  sich  in  den  Gesta  promulga- 
tionis  codicis  Theodosiani  von  438,  wo  der  Palast  des  praefectus  praetorio 
Anicius  Acilius  Glabrio  Faustus  gesetzt  wird  ad  palmam  {^). 


(')  Einen  Nachtrag  geben  De  Eossi  und  Gatti  in  dem  soeben  erschienen 
Heft  7.  8  des  Bullettino  municipale  (p.  363):  die  Basis  C.  I.  L.  VI  1767. 
von  dem  genannten  Anicius  Glabrio  seinem  Schwiegervater  Tarrutenius  Maxi- 
milianus  geweiht,  und  gefunden  in  Campo  vaccino,  hat  vielleicht  zum  Schmuck 
der  domus  palmata  (der  Dedicant  nennt  sich  ornator  huius  loci)  gehört. 
Ferner  wird  vermutet,  dass  das  Atrium  Libertatis  der  auf  Peruzzi's  Plan 
(bei  Lanciani  Vaula  e  gli  ußzi  del  Senato  tav.  I)  ersichtliche  saalartige  Raum 
zwischen  Curie  {S.  Adriano)  und  Secretarium  (ß.  Martina)  sei. 


242  JAHRESBERICHT    ÜEBER 

Da  die  im  Zusammenhang  mit  den  neuen  Strassenanlagen  geplante 
Freilegung  der  Nordseite  des  Forums  zwischen  S.  Adriano  und  S.  Lorenzo 
in  Miranda  in  diesem  Jahre  noch  keine  Verwirklichung  gefunden  hat,  so 
sind  wir  über  das  wichtigste  dort  gelegene  Gebäude,  die  Basilica  Aemi- 
1  i  a ,  nach  wie  vor  auf  Vermutungen  beschränkt.  Eine  solche  zuerst  von 
Jordan  (Top.  I,  2  S.  219.  393)  ausgesprochene,  dass  nämlich  die  nur  aus 
architektonischen  Aufnahmen  des  15*®"  u.  16*®"  Jhdts.  bekannte  Ruine  bei 
S.  Adriano  (von  den  San  Gallo  'Foro  boario'  genannt ;  von  Lanciani  als 
'Janustempel'  publiziert ;  vgl.  meinen  Aufsatz  Annali  1884  p.  323  ff.)  in 
Wahrheit  eine  Seitenfront  der  Basilica  Aemilia  gewesen  sei,  erhält  eine  ge- 
wichtige Stütze  durch  die  neu  aufgefundene  Zeichnung  aus  dem  Codex  Esco- 
rialensis  (s.  o.  S.  237),  welche  den  Bau  durch  den  einen  Seitenbogen  des  Arcus 
Severi  sehen  lässt,  womit  das  bisher  vermisste  genaue  Zeugnis  über  die  Lage 
der  Ruine  erbracht  ist.  Ich  habe  dies  in  der  Sitzung  des  Instituts  vom  27*®"  Ja- 
nuar 1888  erörtert,  und  hinzugefügt,  dass  ein  1885  am  Nordrand  des  Forums 
gefundenes  Triglyphon  mit  Bukranium,  in  der  Gliederungenfolge  nnd  einzelnen 
Maassen  zu  den  Zeichnungen  San  Gallos  und  Fra  Giocondo's  stimmend,  das 
einzige  z.  Z.  nachweisbare  Fragment  dieses  Baues  ist.  —  Eine  weitere  Diskussion 
über  die  Basilica  Aemilia  wurde  in  der  Institutssitzung  vom  3*®"  Februar  1888 
geführt  (Mitteilungen  1888  S.  95 ;  vgl.  röm.  Quartalschrift  1888  p.  407).  Die 
von  Lan  ciani  aufs  neue  verfochtene  Ansicht,  dass  die  Pavonazzetto-Säulen  von 
S.  Paolo  fuori  le  mura  aus  der  B.  Aemilia  stammten,  fand  Widerspruch,  sowohl 
weil  diese  Säulen  den  aufgemalten  Namen  der  Julia  Sabina  (d.  h.  der  Gemahlin 
des  Hadrian)  tragen,  als  auch  weil  das  Fortbestehen  der  Basilica  Aemilia  noch 
ein  halbes  Jahrhundert  nach  Erbauung  von  S.  Paolo  bezeugt  wird  durch  den 
laterculus  des  Polemius  Silvius. 

Mitte  des  Forums. 

lieber  die  Phokassäule  hat  F.  M.  Nichols  in  der  Sitzung  des 
Instituts  vom  13*®"  April  1888  (Mitt.  1888  S.  99)  die  Vermutung  geäussert, 
dass  sie  nicht  ursprünglich  für  den  Usurpator  aufgerichtet,  sondern  aus  einem 
älteren  Monument,  vielleicht  einem  ursprünglich  Theodosius  d.  Gr.  geweihten 
zurecht  gemacht  sei.  Die  Profilirung  der  Basis  sei  für  das  beginnende 
7*®  Jhdt.  zu  elegant,  und  die  Inschrift  stehe  auf  Rasur.  —  Ich  kann  mich 
diesen  Ausführungen  nicht  anschliessen :  so  sicher  es  ist,  dass,  wie  die  Säule 
selbst,  so  auch  die  Blöcke  der  Basis  schon  einmal  verwendet  waren,  so  giebt 
doch  die  Beschaffenheit  der  Inschriftfläche  keinen  Beweis  dafür,  dass  die 
Dedication  an  Phokas  nach  Tilgung  einer  älteren  eingetragen  sei.  Die 
Stufenpyramide  als  späteren  Zusatz  zu  betrachten  ist  unmöglich,  wie  sich 
jeder,  dem  die  genaue  Valadiersche  Aufnahme  vorliegt,  leicht  überzeugen 
wird.  Die  Errichtung  eines  Monuments  aber,  welches  den  ganzen  Eindruck 
der  Nordfront  des  Forums  so  verdarb  wie  die  Säule  mit  ihrer  Stufenbasis, 
wird  man  dem  vierten  Jahrhundert  noch  nicht  zutrauen  dürfen. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  243 

Für  das  mehrfach  (von  Henzen,  Brizio,  Jordan")  behandelte  Fragment 
einer  M  o  n  u  m  e  n  t  a  1  i  n  s  c  h  r  i  f  t  {C.  T.  L.  VI,  3747),  welches  man  anfangs 
der  Basis  Domitiani,  dann  einem  Denkmal  des  Augustus  zuwies,  habe  ich  nach 
erneuter  Untersuchung  des  Steines  die  sichere  Ergänzung  auf  Vespasian  vor- 
schlagen können  (Mitt.  1888  S.  90).  Welcher  Art  das  Denkmal,  das  sehr 
bedeutende  Dimensionen  gehabt  haben  muss,  gewesen  sei,  ist  bisher  nicht 
auszumachen. 

Ostseite  des  Forums.  . 

0.  Richter,  Der  Tempel  des  Divus  Julius  und  der  Bogen  des  Augustus  auf 
dem  Forum  Romanum.  (Alte  Denkmäler  Ip.  14.15;  Taf,  27.  28). 
—  —  Die  Augustusbauten  auf  dem  Forum  Romanum.  Jahrbuch  des  Instituts 
1889  p.  137-162). 
Es  sind  vornehmlich  die  im  März  und  April  vergangenen  Jahres  unter 
Richters  Leitung  am  Caesartempel  gemachten  Ausgrabungen  (vgl.  Notizie 
1888  p.  226;  Bull.  com.  1888  p.  167;  Mitteilungen  1888  S.  99-100),  deren 
Resultate  die  vorstehend  genannten  sich  ergänzenden  Arbeiten  bringen.  Für 
den  Tempel  des  Divus  Julius  haben  dieselben  eine  vollständige  Reconstruc- 
tion  ermöglicht,  welche  die  Aufriss-und  Grundrisszeichnungen  F.  0.  Schulze's 
(Jahrb.  S.  140. 141)  geben.  Die  Grenzen  des  Tempels  nach  Norden,  Süden  und 
Osten  sind  durch  Aufdeckung  der  Grundmauern  genauer  bestimmt,  wobei  sich 
zeigte  dass  an  der  Nordseite  Reste  älterer  Bauten  (Caesarische  Rostra  ?)  in  die 
Fundamente  aufgenommen  sind.  Die  seit  Rosa  allgemein  angenommen  An- 
sicht, dass  gewisse  in  2,95  m.  (=  10  Fuss  röm.)  Abstand  von  einander  lie- 
gende Travertinblöcke  an  der  Südseite  die  Stereobaten  einer  umlaufenden 
Säulenhalle  gewesen  seien,  ist  widerlegt.  Die  Entfernung  der  Schuttmassen 
aus  dem  Kern  des  Unterbaues  hat  sichere  Ansätze  für  die  Cella  ergeben. 
Der  Tempel  war  demzufolge  ein  Prostylos  mit  sechs  Säulen  in  der  Front,  die 
Cella  auffallend  breit  aber  wenig  tief,  die  Säulenordnung  wahrscheinlich 
komposit.  —  Für  die  Nische  in  der  Mitte  der  Vorderfront  vermutet  Richter 
sie  habe  zur  Aufbahrung  der  verstorbenen  Mitglieder  des  Kaiserhauses  gedient, 
welchen,  vielleicht  nach  einer  ausdrücklichen  Bestimmung  des  Augustus, 
hier  die  laudationes  funebres  gehalten  wurden.  Dagegen  lässt  sich  ein- 
wenden nicht  nur,  dass  die  rostra  ad  divi  Julii  wenigstens  noch  im  Jahre 
745/9  für  Gesetzvorschläge  dienten  (Frontin  de  aq.  102),  sondern  vor  allem, 
dass  eine  solche  Einrichtung  für  den  ersten  Bau  von  718  unmöglich 
ist :  von  einem  eingreifenden  Umbau  in  früherer  Augustischer  Zeit  spricht 
aber  R.  in  der  «  Geschichte  des  Caesartempels  »  nicht. 

Die  Fortsetzung  der  Ausgrabung  südlich  nach  dem  Castortempel  zu 
führte  sodann  zur  Aufdeckung  der  Fundamente  eines  in  der  Queraxe  des 
Caesartempels  stehenden  Triumphbogens.  Derselbe  hat  drei  Durchgänge,  die 
mittleren  Pfeiler  sind  erheblich  breiter  als  die  äusseren.  An  den  südlichen 
Mittelpfeiler  ist  in  spätester  Zeit  ein  Steinring  (Brunnenumfriedigung?)  lie- 
derlich angelegt,  den  man  bisher  Lacus  Juturnae  oder  Puteal  Libonis  betitelt 


244  JAHRESBERICHT   UEBER 

hat.  Die  Steine  desselben  sind  vielleicht  vom  Bogen  selbst  genommen,  der 
im  übrigen  gründlich  zerstört  worden  ist,  da  sich  sicher  ihm  zugehörige 
Architekturstücke  bisher  nicht  gefunden  haben.  Eichter  versucht  daher 
eine  Wiederherstellung  des  Bogens  wie  der  ganzen  Ostfront  mit  Hülfe  der 
Schriftstellernachrichten  und  der  Münzbilder.  Wir  erfahren  aus  den  Histori- 
kern von  zwei  Bogen  des  Augustus,  einem  nach  dem  aktischen  Triumph  und 
einem  nach  der  Rückgabe  der  an  die  Parther  verlorenen  Feldzeichen  er- 
richteten ;  Darstellungen  dreithoriger  Triumphbögen  finden  sich  auf  zwei 
Münzen  der  augustischen  Zeit,  einem  Denar  von  18/17  v.  Chr.  (Eckhel  VI,  101 ; 
Cohen  Aug.  82)  und  einem  des  L.  Vinicius  (Eckhel  VI,  106 ;  Cohen  Aug. 
544).  Richter  folgt  nun  der  Ansicht  von  P.  Graef,  dass  beide  Münzen  ver- 
schiedene Triumphbögen  darstellen,  und  dass  die  Darstellung  des  Partherbo- 
gens  auf  der  Münze  von  18/17  die  Möglichkeit  ausschliesse,  als  gehörten 
die  gefundenen  Fundamente  diesem  Bogen  an;  mithin  hätten  wir  uns  den 
Tempel  des  Divus  Julius  flankirt  zu  denken  auf  der  Südseite  vom  aktischen, 
auf  der  Nordseite  vom  Partherbogen,  und  besässen  für  die  architektonische 
Reconstruction  des  ersteren  einen  Anhalt  in  der  Münze  des  Vinicius.  Mit  dem 
Partherbogen  werden,  wenn  auch  zweifelnd,  einige  an  der  Nordseite  des 
Caesartempels  gefundene  Grundmauern  in  Verbindung  gebracht;  ferner  wird 
die  Vermutung  geäussert,  dass  er  noch  im  15'«°  Jhrdt.  existirt  habe.  Es  soll 
nämlich  der  sowohl  auf  die  Escorialzeichnung  (oben  S.  237),  wie  auf  dem  Fresko 
Sodomas  in  Monte  Oliveto  vor  der  Südwestecke  des  Faustinentempels  sicht- 
bare, in  ein  mittelalterliches  festungsartiges  Haus  eingebaute  Quaderbogen 
nichts  anderes  sein,  als  der  bis  an  die  Kämpferansätze  verschüttete  Parther- 
bogen. Diese  Vermutung  scheint  mir  durch  die  Niveauverhältnisse  ausge- 
schlossen: ein  Bogen,  dessen  Kämpferansatz  nach  der  Reconstruction  bei 
Richter  kaum  5  m.  über  dem  antiken  Planum  gelegen  hat,  kann  nicht  so  in 
das  —  m.  Er.  durchaus  mittelalterliche  —  Gebäude  eingebaut  gewesen  sein, 
welches  auf  der  Eskurialzeichnung  mit  seinem  Giebeldach  die  Säulenhalle 
des  Faustinentempels  fast  ganz  verdeckt.  Die  Benutzung  der  Münzbilder  scheint 
mir  wenig  glücklich :  eine  durchgeführte  Vergleichung  der  Abbildungen  be- 
kannter Gebäude  mit  den  Bauwerken  selbst  würde  entgegen  den  von  Graef  aufge- 
stellten Prinzipien  zeigen,  dass  eine  Ableitung  tektonischer  Eigentümlichkeiten, 
wie  sie  zur  Unterscheidung  des  aktischen  Bogens  und  des  Partherbogens  von  Gr. 
versucht  sind,  nicht  thunlich  ist.  Auch  bleibt  zu  erwägen,  ob  ein  dreithoriger 
Bogen,  wie  ihn  Graef  an  der  Nordseite  des  Caesartempels  annimmt,  nicht  mit 
der  Basilica  Aemilia  in  Collision  kommen  würde.  Hierüber  können  nur  fort- 
gesetzte Ausgrabungen  Klarheit  verschaffen :  die  geringen  an  und  unter  der 
Nordmauer  des  Tempels  gefundenen  Reste  sind ,  wie  der  Verfasser  selbst 
zugiebt,  ungewisser  Deutung. 

Für  das  Bestehen  eines  Aichungsamts  am  Castortempel  sind 
die  Zeugnisse  von  Jordan,  Top.  I,  2,  p.  374,  Anm.  83  zusammengestellt.  Es 
kommt  dazu  ein  neues  (Eev.  arch.  1888, 1,  p.  422),  welches  hier  erwähnt  werden 
mag,  da  es  vom  Herausgeber  missverstanden  ist.  In  Brimeux  (Departement  Pas 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  245 

de  Calais)  ist  ein  Satz  von  sieben  Bronzegewichten,  in  der  Form  von  inein- 
anderpassenden Cylindern,  gefunden,  welche  die  in  Silberbuchstaben  einge- 
legten Inschriften  tragen :  1)  ex  ad  I  CAS ;  2)  ex  a  S  CAS  ;  3)  ex  a  :: 
CAS ;  4)  EX  A  *.•  CAS  ;  5)  EX  A  •  •  CA  ;  6  fehlt ,  7  ist  unleserlich.  Eine 
in  der  Form  nach  entsprechende  Serie,  aber  beginnend  mis  dem  Zehnpfund- 
gewichte und  heruntergehend  bis  zum  quadrans  (die  kleineren  fehlen)  befindet 
sich  im  Museum  der  Brera  in  Mailand  (C.  /.  L.  V,  8119,  4).  Es  verdient 
bemerkt  zu  werden,  dass  sämtliche  Exemplare  mit  der  Bezeichnung  des 
Aichungsamts  am  Castortempel  von  Bronze,  sämtliche  Gewichte  mit  der 
Legende  exactum  ad  Articuleianum  (Gatti  u.  de  Rossi  Annali  1881  p.  181  ff.) 
von  Stein  sind. 


Hans  Auer,  Der  Tempel  der  Vesta  und  das  Haus  der  Vestalinnen  am  Forum 
Eomanum  (22  S.,  8  Tfif.  gr.  4:  aus  dem  XXXVI.  Bande  der  Denkschrif- 
ten der  philosophisch-historischen  Klasse  der  kaiserl.  Akademie  der 
Wissenschaften  in  Wien,  1888  S.  209-228), 
untersucht  zunächst  das  Vestalenhaus  auf  seine  Baugeschichte  eingehender, 
als  dies  Jordan  und  Lanciani  gethan  hatten,  und  kommt  zur  Unterschei- 
dung von  wenigstens  drei  Bauperioien :  1)  der  Osttract,  sog.  Tablinum 
mit  den  sechs  Zellen  und  austossendem  Wirtschaftshof  —  cella  penaria  bei 
Jordan  — ;  2)  der  Südflügel,  in  welchem  die  Mühle  und  andere  Wirtschafts- 
räume, weiter  Wohnzimmer  und  ein  Saal  mit  ehemals  prächtiger  Marmordeco- 
ration; 3)  Nordflügel  samt  dem  alle  Teile  zu  einer  Einheit  verbindenden 
grossen  Säulenhof.  Den  ersten  Teil  setzt  der  Verfasser  ins  erste  Jhdt.  n.  Chr., 
den  zweiten  in  die  hadrianische,  den  dritten  in  die  nachseverische  Epoche, 
oder  vielleicht  noch  später.  —  Ueber  den  Tempel  der  Vesta  wird  mit  Hülfe 
sehr  exacter  Messungen  namentlich  der  Kassettendecke,  deren  Steine  in  radia- 
len Fugen  gelagert  waren,  so  dass  je  zwei  Platten  die  dazwischenliegende 
trugen,  sowie  aus  den  Dimensionen  des  Unterbaues,  der  Beweis  erbracht,  dass 
die  Halle  20  Säulen  (welche  Zahl  auch  Schulze,  statt  der  18  von  Lanciani 
vermuteten  annahm)  gehabt  habe.  Die  Kassettenplatten  sind  von  ungewöhn- 
licher Stärke,  und  offenbar  bestimmt,  Cellawand  und  Säulenreihe  zu  einer 
gemeinsamen  Stütze  für  das  Gewölbe  zu  vereinigen,  wesshalb  Wand  und 
Säulen  einzeln  verhältnissmässig  schwach  gehalten  werden  konnten.  Für  die 
Rekonstruktion  des  Inneren  wird  aus  einem  Architravstücke,  welches  beider- 
seitig bearbeitet  ist.  Gewissheit  über  die  Höhe  des  Gewölbeansatzes  ge- 
wonnen, eine  Dreiviertelsäule  (besonders  genau  gemessen  Tf.  VI)  der  Thüröff- 
nung  in  der  Cellamauer  zugewiesen ;  endlich  die  bisher  falsch  gedeuteten 
Stege  an  einigen  Säulenfragmenten  als  Kerne  und  Stützen  von  Thürgewänden 
erklärt.  Für  die  äussere  Form  des  Daches  ist  der  flachen  Wölbung  in 
Schulzes  Reconstruction  ein  kegelförmiges  Zeltdach  als  wahrscheinlicher 
vorgezogen.  In  dem  ganzen  Bau  ist  das  Vielfache  des  römischen  Masses 
(aber  des  Fusses  von  0,295,  nicht  dessen  Viertel,  des  palmus,  wie  der  Vf.  S.  8 
und  19  annimmt)  nachzuweisen. 


246  JAHRESBERICHT   ÜEBER 

Die  baugeschichtlichen  Eesultate  sind  ein  bedeutender  Fortschritt  Ober 
die  bisherigen  Arbeiten,  wenn  auch  im  Einzelnen  für  Zweifel  Raum  bleibt. 
So  z.  B,  ist  der  Einwand  des  Vf.  gegen  die  bisher  beliebte  Annahme 
einer  zweistöckigen  Säulenhalle  gewiss  insofern  begründet,  als  weder  die 
Cipollin-  noch  die  Breccia-Schäfte  einer  Stockwerkshöhe  von  S*/»  m.,  wie  die 
des  Südtracts  ist,  entsprechen  können.  Aber  ebensowenig  ist  seine  Ansicht 
plausibel,  dass  wir  uns  nur  « eine  relativ  ziemlich  niedrige,  weitgesäulte 
Halle  um  den  Hof  vorstellen  dürfen,  deren  schräg  geneigtes  Dach  an  die 
Umfassungsmauer  ziemlich  unterhalb  der  Fenster  des  Obergeschosses  an- 
gelehnt gewesen  sei».  Auer  hat  selbst  mit  Eecht  hervorgehoben,  dass  das 
Peristyl  seiner  Anlage  nach  mit  dem  Nord(und  West)tract  zusammenhängt. 
Sollte  nicht  hier,  worauf  schon  die  geringere  Mauerstärke  schliessen  lässt,  auch 
die  Stockwerkshöhe  in  der  That  geringer,  etwa  7  m.  gewesen  und  die  Säu- 
lenhalle in  zwei  Stockwerken,  deren  Höhe  sich  nach  dem  Westtract  richtete 
angelegt  sein,  um  die  ungleichmässigen  Höhenverhältnisse  der  verschiedenen 
Bauteile  zu  verdecken?  (').  —  Die  Zweckbestimmung  der  einzelnen  Räume 
unterliegt  natürlich  grossen  Bedenken,  namentlich  möchte  ich  Einspruch 
erheben  gegen  die  wie  es  scheint  allgemein  werdende  Ansicht,  als  hätten 
wir  im  Osttract  « den  Saal  und  die  Schlafzimmer  der  Vestalischen  Jung- 
frauen n  vor  uns.  Wohnräume  dürfte  das  ganze  Erdgeschoss  nicht  enthalten 
haben,  dieselben  vielmehr,  gerade  wie  heutzutage  in  Rom,  in  die  oberen 
Stockwerke  gelegt  worden  sein.  Der  Vf.  spricht  sich  am  Schluss  (S.  24)  gegen 
Jordan  dahin  aus  "  dass  die  Wohnung  der  sechs  Jungfrauen  nicht  so  gesund- 
heitsgefährlich und  weit  davon  entfernt  war,  den  bedenklichen  Eindruck  zu 
machen,  den  jetzt  die  grünüberzogenen,  durchnässten  Mauern,  die  ein  Jahrtau- 
send in  der  Erde  steckten,  hervorrufen.»  Ich  glaube  nicht,  dass  Jordan,  der 
Klima  und  Gesundheitsverhältnisse  von  Rom  aus  jahrelanger  Erfahrung  kannte, 
seine  Ansicht  auf  eine  solche  Anschauung  begründet  hatte.  Die  sechs  Zellen, 
schlecht  beleuchtet  (trotz  der  Ausführungen  des  Vf.),  nicht  unterkellert  und  vor 
der  Bodenfeuchtigkeit  durch  eine  Amphorenschicht  notdürftig  geschützt,  wären 
heutzutage  wahre  Fieberlöcher,  und  können  auch  im  Altertum  nie  gesund  ge- 


(1)  Der  Westtract  ist  bei  Auer  gar  nicht  behandelt,  auch  auf  dem 
Plan  I  aus  den  Notizie  1882  weniger  genau  gegeben  als  bei  Jordan  Tf.  1. 
In  einer  der  Mauern  fand  ich,  sicher  an  ursprünglicher  Stelle,  nämlich  in 
einem  Bogen,  einen  Ziegel  mit  dem  Stempel 

O  O    D    EX    PR    -DOKmlu^VEK    CL    Q_V 

ANT    IUI      -E  VER    II 

COS  P-  C.  145 

(Marini  503  =  C.  L  L.  XV.  1072^«),  welcher  den  von  Drossel  und  Jordan 
{Bull.  delVIst.  1884  p.  99  ff.)  gesammelten  hinzuzufügen  ist,  und  gleichfalls 
für  den  nachhadrianischen  Ursprung  dieses  Teiles  spricht. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  247 

Wesen  sein;  das  ist  nicht  nur  im  Winter,  sondern  erst  recht  wenn  die  Julisonne  auf 
den  (nicht  mehr  grünüberzogenen)  Mauerresten  brennt,  augenfällig.  Weiter 
sagt  Auer  a.  a.  0.  «  Andrerseits  kann  ich  aber  auch  die  Begeisterung 
nicht  theilen,  in  die  der  genannte  Gelehrte  gerät,  indem  er  sich  im  Geiste 
in  den  weiten  mit  Marmorsäulen  und  Statuen  geschmückten  Hof  versetzt.  » 
Als  Gründe  werden  angeführt  u.  A.  « das  dünne  Plattenwerk  der  Ver- 
kleidung n  (durch  das  der  Beschauer  doch  nicht  auf  den  Ziegelkern  durch- 
sehen konnte;  dass  überhaupt  die  römische  Bauweise  in  Ziegelwerk  mit 
Plattenbelag  statt  in  Quadern  aus  Haustein  keineswegs  durch  Sparsamkeit, 
sondern  durch  klimatische  Rücksichten  bedingt  ist,  hat  z.  B.  Viollet  le  Duo 
durchaus  treffend  ausgeführt) ;  die  aneinander  gestückelte  Fussbodenpflasterung 
(ist  frühmittelalterlich);  der  über  dem  Peristyl  nicht  in  den  Axen,  sondern 
seitlich  aufragende  Osttract  (wird  im  Vergleich  mit  den  Palatinischen  Bauten 
nicht  sehr  ins  Auge  gefallen  sein) ;  die  verschieden  gruppirten  Teile  des 
Nord-  und  Südflügels  —  «  welches  alles  zusammen  vielleicht  eine  malerische 
Wirkung  gemacht  habe,  gewiss  aber  längst  nicht  mehr  den  Eindruck  herab- 
gekommener Grösse  verbergen  konnte.  »  Ich  glaube  Vf.  tliut  dem  Gebäude 
ebenso  Unrecht,  wie  der  Zeit  des  Severus.  Doch  können  diese  Nebendinge 
wie  einige  andere,  wo  Vf.  auf  das  philologische  Gebiet  übergeht  (*)  dem 
Verdienste  der  trefflichen  Arbeit  keinen  Abbruch  thun.  • 


Die  Kaiser fora. 

Die  Freilegung  der  südlichen  Hälfte  des  Augustusforums,  welche 
seit  December  1888  von  der  Commissione  archeologica  comunale  mit  an- 
erkennenswerter Energie  und  erheblichem  Kostenaufwand  durchgeführt  ist, 
hat  den  daran  geknüpften  Erwartungen  bisher  nur  in  beschränktem  Masse 
entsprochen.  Das  Pflaster  des  Forums  liegt  mehr  als  sechs  Meter  unter  dem 
jetzigen  Strassenplanum,  Reste  des  kostbaren  Marmorpaviments  und  Architek- 
turstücke von  vollendeter  Technik .  sind  gefunden.  Von  den  Augustischen 
Elegien  sind  bisher  nur  unbedeutende  Trümmer  zu  Tage  gekommen :  das 
lehrreichste   ist   das   von   Lanciani   (Not.  1889  p.  16-33;   Bull.   com.    1889 


(1)  so  z.  B.  S.  18,  wo  «der  Ansicht  entgegengetreten  wird,  dass  in 
diesem  Tempel...  auch  Heiligtümer  und  Reliquien...  aufbewahrt  waren » ; 
vielmehr  sei  « die  Aufstellung  irgend  welcher  anderer  Objecte  im  Inneren 
des  Tempels  ausgeschlossen. »  Die  Ansicht  stammt  nicht  von  Jordan,  der 
citirt  wird,  sondern  aus  Varro  und  Veranius,  an  deren  deutlicher  Angabe  penus 
vocatur  locus  Intimus  in  aede  Vestae  durch  Interpretationskünste  nicht 
vorbeizukommen  ist.  Auch  die  Ableitung  des  Namens  'Atrium  Vestae^  von 
dem  Osttract  « in  welchem  die  einst  hölzerne  Decke  dem  Gewölbe  gewichen 
sei  Ti  wird  angesichts  der  mannigfachen  Verwendung  des  Namens  atrium 
(Jordan  Top.  I,  533),  für  welche  ein  einheitlicher  baulicher  Typus  ebenso- 
wenig zu  statuiren  ist,  wie  für  das  deutsche  von  J.  zur  Uebersetzung  von 
atrium  mit  Vorliebe  gebrauchte  'Hof,'  schwerlich  überzeugen. 


248 


JAHRESBERICHT   ÜEBER 


p.  78)  mit  Hülfe  des  Arretiner  Exemplars   {C.  I.  L.  I   p.   287   n.   XXVIII) 
zusammengesetzte  des  Appius  Claudius  Caecus : 


appius   Claudius 

c.  /.  caecus 

censor    coif.  bis   dict.   interrex   iii 

pr.  ii.  aed.   cur.   ii.   q.   tr.   mil.   iii 


complurlA  •  o  P  ?  \  d  a   de   samnitibus.   cepit 
sabinoru\iA  '  ET  '  Tvslcorum   exercitum  fuditX 
pacem.  fie\K\ -cwfm  pyrrho  rege  prohibuit 
in   censura   viam   appiam  stravit  e{i'\Ciuama 
in   urbem   adduxit   aedem  bellon\KE-'P^]ßit\ 


Also  wenigstens  ein  Teil  der  Elogien  war  auf  zwei  nebeneinander  stehenden 
Tafeln,  jede  mit  besonderer  Umrandung,  eingehauen.  Die  gleiche  Anord- 
nung zeigen  C.VI,  1311  =  I  p.  278  elog.  n.  V.VI;  C.  VI,  1283=1  p.  279 
elog.  IX.  X  (1),  wo  aber  die  Zweiteilung  durch  die  Doppelzahl  der  Personen 
motivirt  ist.  Diese  auf  grosse  Platten  {^)  eingehauenen  Inschriften  befanden 
sich  wahrscheinlich  unter  den  Nischen  in  der  Umfassungsmauer  des  Forums. 
Eine  andere  Serie  besteht  aus  wirklichen  Statuenbasen  (Vorderfläche  0,88 
X0,87 ;  Dicke  0,37) :  dazu  gehören 


und 


FELIX 


die  letztere  von  Lanciani  ergänzt  l.  Cornelius  l.  f.  sulla]  felix  nict. 
Derselben  Serie  lassen  sich  mit  ziemlicher  Sicherheit  zuweisen  C.  VI,  1279. 
1310,  vielleicht  auch  C.VI,  1271.  1273.  Charakteristisch  ist  für  beide  Serien 
die  Angabe  der  Collegen,  mit  denen  zusammen  die  Dargestellten  die  höchsten 
Würden  bekleidet  hatten.  Zahlreiche  Fragmente  von  Elogien,  meist  nur 
wenige  Buchstaben  umfassend,  harren  noch  der  Zusammensetzung  und  Pu- 
blication  {Not.  1889  p.  69).  —  Von  anderen  inschriftlichen  Funden  sind  zu 
nennen:  1)  kleine  Marmorbasis  mit  Zapfenlöchern  auf  der  Oberfläche:  Imp. 
Caesari  \  Augusto  p.p.  \  Hispania  ulterior  \   Baetica  quod  |  beneficio  eius 

(1)  Ein  Bruchstück  dieses  seit  dem  17.  lahrhundert  als  verloren  gelten- 
den Steines,  die  Worte...  eneficis  pr  ....  |  ....  cum  M.  Perperna  enthaltend,  ist 
1879  bei  S.  Martino  a'  Monti  wiedergefunden  und  veröflfentlicht  Bull.  com.  1880 
p.  318,  wo  aber  die  Zugehörigkeit  nicht  erkannt  ist. 

(2)  Das  von  Lanciani  in  seinem  ersten  Aufsatz  geäusserten  Bedenken 
gegen  die  Zugehörigkeit  des  Elogiums  des  L.  Albinius  [C.  VI  n.  1272  =1  p.  285 
n.  XXIV)  erledigt  sich  damit ;  dagegen  ist  das  angebliche  des  L.  Furius  Ca- 
millus  auszuscheiden,  s.  C  I.  L.  VI,  895. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  249 

et  I  perpetua  cura  \  provincia  pacata  \  est.  Auri  \  p{ondo)  c{entum)  ('). 
2)  Piedestal,  aus  dem  Fragment  eines  geriefelten  Kindersarkophags  roh 
zurechtgearbeitet :  Divo  \  Nigriniano  \  nepoti  Gari  \  Geminius  Festus  v.  d.  \ 
rationalis.  Die  erste  bezeugt  die  Teilung  Spaniens  schon  unter  Augustus 
(Mommsen  Res  gestae  D.  A.  p.  222),  die  zweite  klärt  über  die  Verwandt- 
schaftsverhältnisse des  bisher  nur  aus  Münzen  bekannten  Nigrinianus  (Eckhel 
Vn,  520)  auf. 

Auf  dem  Fries  des  Nervaforums  hatte  man  die  Darstellung  der 
Minerva  als  Ergane  und  die  Züchtigung  der  Arachne  längst  erkannt.  Pe- 
tersen (Mitteil.  ob.  S.  88)  giebt  nunmehr  auch  die  Deutung  der  Figuren  des 
westlichsten  Stückes  (n.  48-57  auf  Monum.  ined.  X,  t.  XLI*).  Es  sind  dort  zwei- 
fellos die  neun  Musen,  Minerva  und  eine  Berggottheit,  wahrscheinlich  der 
Helikon,  zu  erkennen. 

Kapitol. 

Ueber  die  Massverhältnisse  des  Kapitolinischen  Jupiter- 
tempels hat  kürzlich  L.  Holzapfel  (Hermes  XXm,  1888  S.  477)  die  Vermu- 
tung ausgesprochen,  dass  dieselben  auf  den  oskischen  Fuss  von  0,275  zurück- 
gengen.  Die  Gründe,  die  dafür  angeführt  werden  (die  Seitenlänge  des  Tempels 
des  Jupiter  Feretrius,  nach  Dionys.  2,  34  eXärxovag  ij  neyje  no(fwy  xtd  Ssxa  r«? 
fieiCovg  nXevQag  s^oy.  eine  Dimension  «  welche  in  auffallender  Weise  mit  der  zwi- 
schen der  Länge  und  der  Breite  des  grossen  Jupitertempels  bestehenden  Dif- 
ferenz übereinstimmt  n  sei  wahrscheinlich  16  X  0,275  =  4,21  m.  =  14,86  Fuss 
römisch-attischen  Masses  von  0,296  gewesen ;  durch  analoge  Anwendung  auf  den 
grossen  Tempel  erhalte  man  208  und  192  Fuss:  ein  Verhältniss  von  12:  13, 
wie  solches  aus  Gründen  der  Symmetrie  wahrscheinlich  sei)  sind  so  schwach, 
dass  man  sich  billig  wundern  darf,  die  Verwendung  des  oskischen  Fusses  in 
Eom  als  eine  keinem  Zweifel  mehr  unterliegende  Thatsache  ausgesprochen 
zu  hören.  Bei  dem  Zustande  der  Trümmer  und  den  sich  nur  als  ungefähre 
gebenden  Zahlen  des  Dionysios  ist  es  m.  Er.  überhaupt  vergebene  Mühe  da- 
rüber zu  debattiren,  ob  von  zwei  nur  drei  Millimeter  von  einander  abweichen- 
den Fussmassen  das  eine  oder  das  andere  beim  Bau  zu  Grunde  gelegt  sei, 
und  nachdem  Mommsen  (Hermes  1886  S.  421)  und  Richter  (Hermes  1887  S.  17) 
die  Möglichkeit  bewiesen  haben,  den  römischen  Fuss  mit  den  Zahlen  des  Dio- 
nysius  und  den  Trümmern  in  Einklang  zu  bringen,  sollte  man  sich  bei  dieser 
Annahme  beruhigen. 

In  meinem  Aufsatz  Osservazioni  s  o  pr  a  Varchitettura 
del   tempio   di  Giove    Gap  itolino  (Mitt.  1888   p.  150-155)  habe 

(1)  zwischen  est  und  auri  fehlt  nichts ;  auch  z.  B.  die  Inschriften  der 
Weihgeschenke  aus  dem  Concordientempel  (C.  VI,  91-94)  haben  die  einfache 
Gewichtsangabe  ohne  Praeposition. 


250  ■  JAHRESBERICHT    ÜEBER 

ich  über  zwei  in  den  Uffizj  in  Florenz  befindliche  San  Gallosche  Handzeich- 
nungen berichtet,  deren  eine  die  Maasse  eines  kolossalen  im  Garten  Caffarelli 
1540  gefundenen  Säulenstumpfes,  die  andere  (reproduzirt  auf  Tf.  V)  ein  eben- 
dort  gefundenes  Gesimsfragment  wiedergiebt.  Letzteres  wird  zwar  zum  Gebäude 
gehört  haben,  kann  aber  nicht  das  Hauptgesims  gewesen  sein.  Ueberhaupt 
lässt  der  Umstand,  dass  von  einem  Hauptgesims,  dessen  Dimensionen  ganz 
kolossale  (7  m.  freitragender  Architrav)  sein  raussten,  sich  niemals  die  ge- 
ringste Spur  gefunden  hat,  es  glaublich  erscheinen,  dass  auch  der  domi- 
tianische  Bau,  gleich  den  früheren,  ein  hölzernes  Epistyl  trug. 

A.  AuDOLLENT,  Desseiu  inedit  dfun  fronton  du  temple  de  Jupiter  Gapitolin 

{Müanges  de  VEcole  franQaise  de  Rone,  IX,  1889,  p.  120-123. 
publizirt  aus  dem  Skizzenbuche  eines  französischen  Künstlers  {un  scul- 
pteur  de  Reims  fort  connu  dans  son  pays),  der  um  1576  Italien  bereiste, 
eine  Zeichnung  nach  dem  Relief  mit  der  Darstellung  des  Kapitolinischen 
Tempels,  welches  bisher  nur  aus  dem  ungenauen  Stiche  Piranesis  {della  ma- 
gnificenza  ed  architettura  de'Romani,  p.  198,  'ex  schemate  veteris  anaglyphi 
quod  adservatur  in  bibliotheca  Vaticana')  und  dem  Codex  Coburgensis  (publ. 
von  E.  Schulze,  archäol.  Zeitung,  1872,  Tf.  1)  bekannt  war:  und  zwar  mit 
der  (bisher  unbekannten)  Ortsangabe  in  Campidoglio.  Der  Herausgeber  hat 
die  Zusammengehörigkeit  dieser  Zeichnungen  erkannt,  und  auch  das  Original 
des  Piranesischen  Stiches  in  dem  bekannten  Ursinianus  Vaticanus  3439  f.  83 
nachgewiesen.  Letzteres  Blatt  (reproduziert  auf  S.  251)  ist  von  besonderem  Wert, 
da  es  nicht  nur,  wie  die  Zeichnungen  des  Coburgensis  und  des  Bildhauers 
von  Rheims,  das  Giebelfeld,  sondern  das  vollständige  Relief  darstellt,  und  so 
die  Identificirung  des  seit  dem  sechzehnten  Jahrhundert  als  verschollen  gel- 
tenden Marmororiginals  ermöglicht.  Die  Opferdarstellung  ist  nämlich  keine 
andere  als  das  in  den  Louvre  gelangte,  bei  Clarac  tav.  151,  n.  300  abgebil- 
dete Relief.  AudoUent  hat  letzteres  gekannt,  leugnet  aber  die  Identität,  car 
le  fronton  manque  au  temple  repr^sentS  par  ce  has-relief,  et  ne  semhle  pas 
avoir  jamais  existö.  Diese  Schwierigkeit  löst  sich  m.  Er.  sehr  einfach :  als 
das  Relief  aus  dem  Kapitolinischen  Besitz  an  die  Borghese  kam,  wurde  es 
zum  Einmauern  in  die  Ostfassade  des  Kasinos  bestimmt,  und  zwar  als  Pen- 
dant (1)  zu  dem  gleichfalls  jetzt  im  Louvre  befindlichen  Clarac  tav.  195  n.  311. 
Da  letzteres  sehr  viel  geringere  Höhe  hatte,  schnitt  man  von  ersterem  den 
beschädigten  Oberteil  mit  dem  Giebelrelief  kurzweg  ab  (die  jetzigen  Höhen- 
masse sind  nach  Clarac  für  das  früher  Kapitolinische  m.  1,968,  für  das  zweite 
m.  1,663).  Auch  die  Köpfe  der  Figuren,  —  mit  Ausnahme  des  auf  dem  Re- 
liefgrund haftenden  Jünglings  mit  dem  Apex  —  dürften  damals  ergänzt  worden 


(1)  Montelatici  V.  Borghese  (1700)  p.  171 :  {la  prima  tavola) ...  rap- 
presenta  sei  ßgure  in  hahito  consolare,  che  stando  d'avanti  ad  un  ara  ras- 
sembrano  d''assistere  a  qualche  sacrificio :  et  a  questo  basso  rilievo  si  puö 
dire  che  corrisponda  Vultimo...  nel  quäle  fra  malte  altre  figure  si  vede  un 
toro  steso  supino  in  terra  u.  s.  w. 


TOPOGRAPHIE    DER    STADT    ROM 


251 


252  JAHRESBERICHT    ÜEBER 

sein.  Die  drei  Zeichnungen  der  Giebelgruppe  —  da  Piranesis  ungenaue 
Kopie  wegfUüt  (i)  —  stimmen  in  einer  Weise  überein,  dass  fast  sämmtliche 
bei  E.  Schulze  a.  a.  0.  bemerkten  Widersprüche  verschwinden.  Die  Weglassung 
des  einen  Pferdes  vor  dem  Wagen  der  Luna  kommt  auf  Rechnung  des  Vati- 
kanischen Zeichners,  der  auch  in  der  Angabe  des  Thrones  hinter  den  Göttinen 
weniger  genau  scheint.  Dagegen  hat  er  allein  die  Angabe  des  Adlers  über 
der  Ecksäule :  das  Relief  im  Louvre  scheint  auf  dieser  Stelle  jetzt  über- 
arbeitet zu  sein. 

Zu  den  im  ersten  Bande  des  C  I.  L.  unter  n.  587-589  zusammenge- 
stellten Inschriften  von  Weihgeschenken  lykischer  Gemeinden 
nach  dem  ersten  mithridatischen  Kriege  sind  in  den  letzten  Jahren  neue 
Stücke  gefunden,  welche  von  Mommsen  in  Sallets  Zeitschrift  für  Numismatik  XV 
(1887)  S.  207-219  erörtert,  sind.  Topographisch  bieten  sie  ein  Interesse,  weil 
sie  sich  nach  dem  Fundorte  in  zwei  Serien  scheiden,  von  denen  die  eine  auf 
dem  Capitol,  die  andere  auf  dem  Quirinal  beim  Capitolium  vetus  unweit 
Palazzo  Barberini  ihren  Platz  hatte.  Mommsen  hat  diesen  von  ihm  selbst 
zuerst  {Ann.  delVIst.  1858  p.  206 ;  C.  I.  L.  I  p.  170)  hervorgehobenen  Ge- 
sichtspunkt in  seiner  neuesten  Behandlung  fallen  lassen ;  und  da  auch 
ausserdem  seit  1887  einiges  nachzutragen  bleibt,  gebe  ich  die  Texte  hier 
vollständig,  und  zwar  zunächst  die  Kapitolinische  Gruppe  (die  Quirinalische 
s.  u.  S.  276).  Die  Inschriften  stehen  sämmtlich  auf  grossen  Blöcken  von  Tra- 
vertin,  welche  0,45  dick,  0,95  hoch  und  am  oberen  Rande  mit  einer  kleinen 
0,13  hohen  und  etwa  0,01  vorspringenden  Randleiste  geschmückt  sind. 

1.  {Notizie  1886  p.  452;  1887  p.  110;  Bull.  com.  1886  p.  403j. 


rex  metradates  pilopator  et  pil  ADELPVS  -regvs- JsijBrflJADATi-F 
populum  romanum  amicitiai  e|T-sociETATis-ERGo\Q/vAE-iAiw 

inter  ipsum  etromanos?  ojo^m.ET-LEGATi-coiRAVERVNT 

nemanes  ne  man  ei  f.  etma  i-ies  •  mahei-f 

ßaaiXevg  fxid-Qaddrrjg  (pikpTl\TCi?  KAI   *IAAAEA<I>05: 


OY    TON    AHMON    TON 
Z  Y  JW  M  A  X  O  N   A  Y  T  O  Y 
ENEKEN  THZ  EI2   AYTON 


rov    ßcca  iXs  (ag    /utO-gadfir 
xüi  V  Q  w  fi  a  i  (0  f  cp  iX  o  v  x  al 
svvoirc  g  xai  sveQyealag 
n  Q  ea  ßeva  ävx  <av     »/«t^/VNOYZ   TOY    nAIMANOYZ 
fjit'covrovfiaov  I 

Der  Block  hat  links  antike  Stossfläche    und  ist,   zugerechnet  das  auch 
auf  ihm  stehende  griechische  Fragment  2a  0,80m  lang.  Als  ich  den  Stein  im 


(1)  Es  erklärt  sich  andrerseits  aus  der  Orsini'schen  Zeichnung  sehr  wohl, 
wie  bei  Piranesi  aus  der  Schmiedegruppe  r.  ein  Mann  unter  einem  Baum 
werden,  und  wie  die  Luna  auf  dem  Giebel  r.  ihre  verkehrte  Stellung  sitzend, 
den  Rü^en  halb  den  Pferden  zugekehrt,  erhalten  konnte. 


TOPOGRAPHIE    DER    STADT    ROM 


253 


Mai  1888  im  Garten  Moroni  in  Via  Leopardi  sah,  war  er  in  zwei  Stücke 
gebrochen  und  dadurch  wenige  Buchstaben  der  beiden  ersten  Zeilen  verloren 
gegangen.  Die  Ergänzungen  sind  von  Mommsen,  welcher  die  Beziehung  auf 
einen  König  der  paphlagonischen  Dynastie  begründet  hat. 

«.  a.  Not.  1.  c;  Bull.  1.  c—  ö.  Not.  1887  p.  110;  Bull.  1887  p.  125; 
1888  p.  138.  —  c.  Not.  1888  p.  189  ;  Bull.  1888  p.  138. 


0\\TJ  fl  O 


s/D     TABHNSüN 


VO?     K:  AI    CYJWMAXO  C 
fi  ß  töiJ  N 


P  ( 


T  O  Y  F 


>   P  V  L 


P  C)  P  V  Li 


Der  Stein  b  hat  eine  Länge  von  0,80  m.  und  zwei  Stossflächen;  der  von 
Gatli  vorgeschlagenen,  von  Mommsen  gebilligten  Zusammenstellung  mit 
CLL.  I,  587  =  VI,  394  kann  ich  sowohl  wegen  des  verschiedenen  Fundorts  als 
wegen  der  Massverhältnisse  nicht  beistimmen.  —  Gatli  selbst  hat  seine  frühere 
Lesung  Zeile  1,  (^.^^.^abhnwn  (danach  Mommsen  1.  c.  p.  218)  in  Not.  1888 
p.  134  und  Bull.  com.  1888  p.  139  berichtigt,  und  bemerkt  dass  die  Dedicanten 
die  Einwohner  der  Stadt  Tabae  in  Karien  sind.  Stück  c  habe  ich  nicht  ge- 
sehen :  nach  Gatti's  Angabe  hatte  es  beiderseits  antike  Flächen. 

:«.  Not.  1887  p.  16.  112;  Bull.  com.  1887  p.  14.  124;  Mitteilungen  1887 
p.  59.  146. 

r\EX  •  ARIOB' arsanes 


T  RFniNiA/  athenais 


•I.  Not.  1887  p.  110;  Bull.  1887  p.  125. 


Grosser   Block,    1,10  m.  lang,   zwei   Stossflächen,    wohl   vom   rechten    Ende 
des  Monuments. 


17 


254  JAHRESBERICHT    ÜEBER 

Dazu  kommen  noch  zwei  im  IG'«"»  resp.  Anfang  des  17*«"*  Jhdts.  in  Ca- 
pitolio  abgeschriebene,  seitdem  verschollene  Stücke : 
5.  C.  I.  Gr.  5880 ;  G.  I.  L.  I,  589  =  VI,  372. 

ab  cojmuni  restitutei  in  maiorum  leibert[atem 
Lucei]  Eomam  Jovei  Capitolino  et  poplo  Eoraano  v[irtatis 
benivolentiae  beneficique  causa  erga  Lucios  ab  comu[ni. 

Avxitav  x6  xoivov  xofiiacc/nevov  x-^v  nÜTQiov  &f]fio- 
XQuxiav  xijy  'Poiy,rjv  Jd  KanerwXlwi  xal  xcSt,  6rjfxu)i  rcJ[t] 
PoDfXfdoiv  UQBtfjg  Epsxev  xcd  svvoiag  xfd  evEoyeaiccg 
xrjg  Eig  xo  xoivov  xwv  Avxicov. 

«.  C.  I.  Gr.  5882  =  G.  I.  L.  I  p.  169. 

[i;  noXig  rj  .  .  ^mv  Evegyexrjd^sTacc  r«  [xiyLaxa  vno  xov  örj^ov 
[toi  'Pco^uaiwv  g)iX]ov  ovxog  xal  avfifiä^ov  )ruQiairjQia  Jd  Kanetio- 
Xi(oi  nQs]<fß6v<fc(vx(ov  Bax/iov  xov  Ak^uttqIov 
....  xov  Jijovvaiov ,  ^alSQov  xov  Ilavaccviov. 

Die  Zusammengehörigkeit  von  6  mit  der  neuerdings  auf  dem  Quirinal 
gefundenen  (unten  S.  276),  welche  Mommsen  S.  211  annimmt,  ist  mir  nicht 
wahrscheinlich.  Ueber  die  bauliche  Gestaltung  des  Monuments  lässt  sich 
aus  den  Fragmenten  2abc  entnehmen,  dass  die  Basis  aus  abwechselnd 
schmalen  und  breiten  Quadern  (Läufern  und  Bindern  ?)  bestand.  Da  weder  4 
an  2,  noch  eins  der  beiden  im  Original  verlorenen  Stücke  sich  an  2  oder  4 
anschliessen  lässt,  so  erhalten  wir,  selbst  ohne  das  Fragment  3  (dessen 
Schriftcharakter  ein  von  dem  übrigen  etwas  verschiedener  ist ;  Gatti  bei 
Mommsen  S.  213)  zu  rechnen,  eine  lineare  Gesamtlänge  von  über  10  m.  Ob 
sämmtliche  Dedicationen  in  einer  Eeihe  standen,  oder  auf  verschiedenen 
Seiten  eines  grossen  quadratischen  Unterbaus,  kann  gefragt  werden,  doch 
haben  mich  verschiedene  Combinationsversuche  zu  keinem  bestimmten  Re- 
sultat geführt. 

Die  grossartigen  Arbeiten  für  das  Monument  König  Victor  Emanuels  auf  der 
Höhe  von  Araceli,  der  alten  Arx,  haben  für  die  Topographie  nur  geringe 
Ergebnisse  geliefert,  und  aufs  neue  erkennen  lassen,  dass  die  Zerstörung  auf 
der  nördlichen  Kuppe  des  Kapitolinischen  Hügels  nicht  minder  weit  gegangen 
ist  als  auf  der  südlichen.  An  der  Ostseite  ist  eine  Mauer  aus  4-5  Lagen 
Tuffquadern  freigelegt  {Not.  1887  p.  113;  Bull.  com.  1887  p.  175.  220), 
welche  aber  eher  Substruction  eines  Gebäudes  aus  der  Kaiserzeit  als  uralte 
Hügelbefestigung  ist:  dieselbe  war  auch  bereits  auf  Nollis  Plan  (1748)  ein- 
getragen. Wirklich  zur  ältesten  Befestigung  gehört  dagegen  die  in  Via  della 
Pedacchia  hinter  dem  ehemaligen  Palazzo  di  Pietro  da  Cortona  constatirte 
künstliche  Abschroffung  des  Felsens  [Bull.  com.  1887  p.  275).  Wenig  westlich 
davon,  hinter  der  Kirche  der  Beata  Kita,  ziehen  sich  Privatbauten  in  mehre- 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  255 

ren  Stockwerken,  entsprechend  den  von  Bunsen  und  Urlichs  (Beschr.  Koms  3, 
1  S.  34)  und  Reber  (Ruinen  Roms^  p.  201)  beschriebenen  am  Berg  hinauf, 
bis  fast  an  die  Fundamentmauern  von  Araceli;  ausser  Resten  von  Marmor- 
pflaster  und  Wandbekleidung  (beschrieben  Not.  degli  scavi  1889  p.  68)  haben 
sie  jedoch  keine  Funde  geliefert.  Im  Inneren  des  Berges  ist  ein  weitver- 
zweigtes System  von  Gängen  teils  antiken  teils  mittelalterlichen  Ursprungs 
constatirt:  eine  Beschreibung  der  in  mehreren  Stockwerken  übereinanderlau- 
fenden  Stollen  und  Schachte  ist  ohne  einen  detaillirten  Plan,  dessen  Aufnahme 
die  Bauverwaltung  sich  angelegen  sein  lässt,  nicht  zu  geben.  Die  Arbeiten 
dauern  fort. 

Gelegentliche  Funde  unter  der  von  Piazza  del  Campidoglio  .nach  der 
Seitenfront  von  S.  M.  in  Araceli  führenden  Treppe  haben  Reste  von  Privat- 
gebäuden, welche,  wie  namentlich  aus  der  Beschreibung  des  Sturms  der 
Vitellianer  bei  Tacitus  bekannt  war,  die  ganze  mittlere  Einsattelung  des 
Kapitolinischen  Hügels  einnahmen,  zu  Tage  gebracht.  Wertvolles  Marmor- 
pflaster bedeckte  den  Fussboden  eines  saalartigen  Raums.  Die  Mauern  wie 
die  gefundenen  Hausgeräthe  trugen  Spuren  der  Beschädigung  durch  Feuer 
(Not.  1888  p.  497 ;  Bull.  com.  1888  p.  331). 

Die  berühmte  mittelalterliche  Haupttreppe  von  Araceli,  das  einzige  mo- 
numentale Werk  aus  der  Zeit  des  Avignoneser  Exils,  ist  im  Jahre  1887  einer 
Reparatur  unterworfen,  indem  die  vielfach  schadhaften  Marmorstufen  grossen- 
teils  durch  solche  aus  Travertin  ersetzt  wurden.  Die  Hoffnung  bei  dieser 
Gelegenheit  wertvolle  antike  Reste  zu  finden,  ist  nicht  in  Erfüllung  ge- 
gangen :  fast  alle  beschriebenen  oder  sculpirten  Marmorquadern  stammten  von 
antiken  oder  mittelalterlichen  Grabmonumenten  {Not.  1887  p.  234.  276 ; 
Bull.  com.  1887  p.  173).  Insbesondere  ist  die  von  Pomponius  Laetus  in  Curs 
gesetzte  Behauptung,  dass  die  Trümmer  des  Quirinustempels  auf  dem  Quirinal 
zu  der  Treppe  das  Material  hätten  liefern  müssen  —  der  schon  Gregorovius 
(Gesch.  d.  St.  Rom  VI,  370.  791)  energisch  widersprochen  hat  —  nunmehr 
auch  durch  die  Thatbestand  der  Funde  widerlegt. 

Palatin. 

Der  palatinische  Hügel  ist  durch  Ausgrabungen  in  den  letzten  Jahren 
so  gut  wie  gar  nicht  berührt  worden :  dagegen  sind  mehrere  wertvolle  Ar- 
beiten über  die  Ruinen  der  Kaiserpaläste  zu  verzeichnen. 

H.  Deglane,  le  palais  des  C4sars  au  Mont  Palatin.  Gazette  arch^ologique 
1888  p.  124-130.  145-163.  211-244. 

Der  Verfasser  konnte  ausser  eigenen  Aufnahmen  auch  solche  von 
Clerget  (1838),  Arthur  und  F.  Dutert  (1868. 1871),  Pascal  (1870),  von  Vespi- 
gnani  und  Scellier  de  Gisors  benützen  und  auf  Grund  dieses  Materials  eine 
Reconstruction  des  sog.  Flavier-  und  d«s  Augustuspalastes  unternehmen.  Der 
Text  ist,  so  weit  er  historisches  behandelt,  wesentlich  abhängig  von  Lanciani. 


256  JAHRESBERICHT    ÜEBER 

Die  eigenen  Torschungen  des  Vfs.  betreffen  namentlich  den  südöstlichen  Teil 
des  Berges.  In  den  bisher  ungenügend  bekannten  Ruinen  unter  S.  Bonaven- 
tura sucht  D.  die  Bibliothek  des  Palatinischen  Apollotempels  nachzuweisen : 
in  der  That  ist  der  imposante  im  Grundriss  ein  griechisches  Kreuz  bil- 
dende Saal,  den  er  nach  den  vorhandenen  und  in  älteren  Quellen  gezeich- 
neten Eesten  construirt,  wohl  geeignet  zu  diesem  Zwecke  wie  zu  Senats- 
versammlungen und  Aufstellung  einer  Colossalstatue  zu  dienen.  Hingegen 
kann  ich  der  Gleichheit  in  der  Construction  mit  der  sog.  Domus  Augustana  ('). 
kein  entscheidendes  Gewicht  beilegen,  da  der  augustische  Ursprung  dieses 
Complexes  keinesweges  als  sicher  gelten  darf.  Die  ausführliche  Beschreibung 
der  Reste  unter  S.  Bonaventura  und  in  den  anliegenden  Vignen  in  den  von 


(1)  Richter  bezeichnet  Top.  p.  108  die  Reste  unter  Villa  Mills  als 
sicher  domitianisch,  «  nach  der  Bauart,  den  dort  gefundenen  Ziegelstempeln 
und  Bleiröhren,  n  Die  beiden  letzten  Argumente  sind  nicht  beweiskräftig  da 
Wasseranlagen,  die  gewiss  einer  häufiger  Erneuerung  bedurften,  nicht  notwen- 
dig dem  ersten  Bau  anzugehören  brauchen.  Das  sog.  Haus  der  Livia  setzt 
doch  auch  Richter  nicht  in  domitianische  Zeit,  obwohl  die  dort  gefun- 
denen Röhren  den  Stempel  dieses  Kaisers  —  überhaupt  auf  römischen 
Bleiröhren  einen  der  häufigsten  —  tragen.  Betreffs  der  Ziegelstempel,  mit 
denen  R.  in  seiner  Geschichte  des  Palatins  vielfach  operirt,  wäre  wohl  der 
Hinweis  am  Platze  gewesen,  dass  wir  Stempel  aus  augustischer  Zeit,  wie  über- 
haupt mit  Namen  oder  Consulaten  aus  der  ersten  Kaiserdynastie,  in  Rom 
nicht  haben.  —  Auch  einer  zweiten  von  Richter  mehrmals  und  mit  Nachdruck 
ausgesprochenen  Behauptung  muss  ich  widersprechen.  Er  sagt  (Top.  p.  107, 
Anm.  1):  «  Gewöhnlich  nimmt  man  an,  es  seien  auf  dem  Palatin  mehrere 
Kaiserpaläste  zu  unterscheiden.  Dem  steht  vor  allem  der  Sprachgebrauch 
entgegen,  dass  man  immer  nur  von  dem  Palatium  redet,  resp.  gleichlautende 
Bezeichnungen  braucht.  Trotz  der  vielen  Erweiterungen  der  kaiserlichen  Re- 
sidenz bleibt  doch  immer  ihre  Einheit  gewahrt,  etwa  wie  beispielsweise 
der  Vatikan,  der  zu  verschiedenen  Zeiten  entstanden,  verschiedenartige  Bauten 
in  sich  schliesst,  aber  doch  immer  als  ein  Ganzes  gilt,  dessen  einzelne  Teile 
nur  gelegentlich  nach  ihren  Urhebern  bezeichnet  werden  ».  Er  setzt  demge- 
mäss  auf  seinem  Plane  den  Nomen  '  Palatium '  dorthin,  wo  Visconti  u.  a.  die 
'Domus  Flavia'  annehmen.  Aber  den  Sprachgebrauch  lernen  wir  doch  am 
besten  aus  offiziellen  Schriftstücken  kennen,  und  hier  entscheidet  schon  die 
Notitia,  die  freilich  keine  Domus  Caligulae,  Commodi  u.  dgl.  kennt,  wohl 
aber  unzweideutig  nennt  domum  'Augustianam  et  Tiberianam.  Ferner  über- 
sieht Richter  ganz  die  Inschriften  der  kaiserlichen  Hausbedienten,  in  denen 
der  Ausdruck  Palatium  nicht  vorkommt  (denn  das  colleyium  cocorum  Aug. 
n.  quod  consistit  in  Palatio  C.  I.  L.  VI,  7458.  8750  ist  etwas  anderes),  son- 
dern stets  domu{u)m  oder  domus  Palatinarum  (Plural!)  resp.  die  Teilbezeich- 
nungen domus  August{i)ana  und  domus  Tiberiana:  beide  häufig  und  nicht 
nur  im  ersten  Jhdt.  sondern  auch  in  trajanischer  und  antoninischer  Zeit 
(C.  /.  L.  VI,  8640-8661).  Auch  der  Vatikan  ist  als  Beispiel  nicht  glücklich 
gewählt:  wie  die  Existenz  von  Sonderbezeichnungen  sich  mit  der  eines  Ge- 
sammtnamens  wohl  verträgt,  zeigt  z.  B.  das  Heidelberger  Schloss.  Es  ist  daran 
festzuhalten,  dass  Palatium  im  urkundlichen  Sprachgebrauch  noch  bis  ins  4'® 
Jhdt.  den  ganzen  Berg ,  die  domus  templa  und  sonstigen  Baulichkeiten 
zusammengenommen,  bezeichnet;  wenn  die  Schriftsteller  der  Wort  für  die 
Kaiserburg  gebrauchen,  se  ist  das  eine  Uebertragung,  gerade  wie  der  Gebrauch 
des  Namens  Quirinale  im  modernen  Italiänischen. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  257 

De  Rossi  publizirteii  note  di  ruderi  e  monumenti  antichi  per   la  pianta  di 
G.  B.  Nolli  (Rom  1884)  hätte  erwähnt  zu  werden  verdient. 

Für  den  sog.  Flavierpalast  benutzt  der  Vf.  die  Originalaufnahme  Du- 
terts,  aus  welcher  Einzelnheiten  genauer  gegeben  werden  als  in  der  stark 
verkleinerten  Publication  [Revue  afchMogique  1873).  Besonders  erwähnei.- 
werth  ist  der  Grundriss  des  «  Triclinium  du  palais  de  Domitien  n  mit  den 
beiden  anstossenden  NjTnpheen,  von  denen  das  südliche  unter  Villa  Mills  un- 
zugänglich ist  und  bisher  nicht  aufgenommen  war.  Ausser  mehreren  Textil- 
lustrationen sind  vier  Tafeln  beigegeben,  darunter  Tf.  23  ^tat  acluel  des 
fouilles,  30  plan  restaur^,  beide  in  eleganter  und  detaillirter  Ausführung 
einen  wesentlichen  Fortschritt  auch  über  die  neuesten  Arbeiten  (Lanciani- 
Visconti,  Middlcton)  bezeichnend.  Auf  dem  restaurirten  Plan  has  Vf.  für  die 
durch  Ausgrabungen  weniger  berührten  Gebiete  seiner  Phantasie  manchmal 
etwas  stark  die  Zügel  schiessen  lassen:  das  sacrum  Vestae  sammt  anliegendem 
atrium  und  lucus  hätte  lieber  wegbleiben  sollen ;  über  die  Lage  des  Apollc- 
tempels  bleiben  Zweifel,  und  in  dem  Garten  des  Klosters  S.  Sebastiane  wird 
man,  statt  der  nirgends  bezeugten  grossen  Kaserne,  mit  Rücksicht  auf  dortige 
ältere  Funde  (Bartoli  Mem.  6.  7  ;  pianta  del  Nolli  p.  68.  69)  lieber  die  pracht- 
vollen Gartenanlagen  der  Adonaea  setzen. 

Eine  zweite  Arbeit  desselben  Verfassers  in  den  MÜanges  de  V^cole 
frangaise  IX  (1889)  p.  184-229  behandelt  das  palatinische  Stadium, 
doch  wird  einleitungsweise  der  die  Augustusbauten  betreffende  Abschnitt  des 
vorgenannten  Aufsatzes,  meist  in  wörtlichem  Abdruck  gegeben.  Die  etwas 
grössere  Wiedergabe  des  Plans  der  Reste  bei  S.  Bonaventura  {Bibliotheca 
Apollinis),  welche  in  der  Gazette  arch^ologique  sehr  stark  verkleinert  war, 
ist  dankenswert.  Der  das  Stadium  behandelnde  Hauptteil  (p.  205-229)  ist  na- 
türlich erheblich  erweitert.  Drei  Lichtdrucktafeln  geben  den  Zustand  der 
Ruinen  und  die  Restauration  sowohl  im  Grundriss  wie  im  Durchschnitt.  De- 
glane  unterscheidet  zwischen  dem  ursprünglichen  Bau  der  Domitianischen 
und  den  Neubauten  der  Antoninischen-Severischen  Epoche.  Zum  ersten  Bau 
gehört,  wie  er  gegen  Lanciani  ausführt,  auch  die  grosse  Exedra  (tribune 
imperiale),  wenigstens  in  ihren  unteren  Teilen,  während  in  den  oberen  spä- 
tere Ausbesserungen  anzunehmen  sind.  Auch  die  Porticus  —  eingeschossig 
mit  flachem  Dach  für  die  Zuschauer  —  gehört  dem  Plane  nach  schon  in 
den  ursprünglichen  Bau,  während  die  jetzigen  Reste  einer  Reconstruction, 
vielleicht  unter  Septimius  Severus,  ihre  Gestalt  verdanken :  der  frühere  Bau 
wurde  bei  dieser  Gelegenheit  durch  Wandpfeiler  verstärkt,  welche  die  Ein- 
gänge zu  den  Sälen  unterhalb  der  kaiserlichen  Loge  zum  Teil  schliessen. — 
Weiter  wird  die  Arena  (i)    und   die    anschliessenden    Thermen   beschrieben ; 


(1)  Zu  dem  figürlichen  Schmuck  der  Arena  rechnet  Deglane  p.  194-227 
(ebenso  Sturm  S.  41)  die  von  Flaminio  Vacca  mem.  78  genannte  dieciotto  o 
venu  torsi  di  statue  di  Amazzoni  poco  maggiori  del  naturale,  welche  ge- 
funden  seien  in  der  vigna  del  Ronconr,  quäle  ?  inclusa  neue  ruine  del  pa- 


258  JAHRESBERICHT   UEBER 

letztere  sollen  unter  Augustus  erbaut  und  unter  Hadrian  wiederhergestellt 
sein.  Eine  Fortsetzung  der  Ausgrabungen,  welche  wir  mit  dem  Vf.  wünschen, 
könnte  über  diesen  interessanten  Complex  neues  Licht  verschaffen. 

Neben  dieser  besonders  durch  ihre  technische  Untersuchungen  und  das 
reiche  Material  an  Plänen  ausgezeichneten  Arbeit  bleibt  auch  der  kurz  vor  ihr 
erschienenen  Schrift  von  J.  Sturm :  das  kaiserliche  Stadium  auf  dem 
Palatin  (Progr.  des  königlichen  neuen  Gymnasiums  zu  Würzburg,  1888.  62 
SS.  8,  1  Plan)  das  Lob  ungeschmälert,  welches  ihr  0.  Kichter  (Berl.  philol. 
Wochenschrift  1889  p.  600)  zu  Teil  werden  lässt :  dass  sie  durch  klare  und 
ruhige  Erörterung  ausgezeichnet,  in  jeder  Hinsicht  ein  wertvoller  Beitrag 
zur  Geschichte  des  Palatin  sei.  Das  historische  Material  findet  sich  bei  Sturm 
vollständiger  und  kritischer  zusammengestellt  als  bei  Deglane :  schätzenswert 
sind  die  Bemerkungen  über  den  Süden  des  Palatin  im  Mittelalter  (S.  14. 15), 
wo  der  Vf.  die  unzweifelhaft  richtige  Erklärung  des  rätselhaften  Porticus 
qui  vocatur  ^(a^QÜfxvbDyy  supra  Septem  solia  (Urkunde  von  975),  als  porticus 
Materniani  (Urkunde  bei  MitarelU  Ann.  Cam.  4,  337),  aufweiche  auch  Stevenson 
gekommen  ist,  selbständig  gefunden  hat.  Gegen  einige  Annahmen  Sturms 
z.  B.  seine  Benutzung  der  Acta  S.  Sebast'iani,  der  älteren  Stadtpläne,  der 
Beschreibung  des  Palatius  aus  der  Hschr.  von  Farfa  hat  Kichter  Bedenken 
geäussert,  denen  ich  mich  anschliessen  muss.  Auch  für  das  rein  bauliche 
behauptet  Sturms  Aufsatz  einen  selbständigen  Wert  neben  Deglane  durch  die 
Berücksichtigung  der  späten  Einbauten  aus  dem  IV/V  Jahrhundert. 

Ausgrabungen  welche  im  Frühjahr  1889  an  der  Stelle  des  Septizoniums 
gemacht  sind,  haben  keine  nennenswerten  Funde  geliefert;  dagegen  bietet 
eine  wertvolle  aus  älteren  Quellen  geschöpfte  Bereicherung  unserer  Kenntniss 
der  Aufsatz  von  E.  Stevenson  :  il  settisonio  Severiano  e  la  distruzione  dei 
suoi  avanzi  sotto  Sisto  V  {Bull.  com.  1888  p.  269-298).  Eine  von  ihm  in 
dem  Codex  IV,  149  der  Marciana  in  Venedig  aufgefundene  Zeichnung    giebt 


lazzo  maggiore.  Deglane  identificirt  diese  vigna  Ronconi  ohne  weiteres  mit 
den  auf  Nolli's  Plan  verzeichneten  orti  Roncioni,  welche  die  Stelle  des  Sta- 
diums einnehmen.  Dies  ist  schwerlich  richtig.  Die  Bemerkung,  welche  Bian- 
chini  an  den  Fund  der  von  ihm  mit  den  Danaiden  im  Vörhof  des  Apolln- 
tempels  identificirten  amazzoni  knüpft  {essendomi  finalmente  riuscito  di 
rilevare  ove  in  tempo  del  Vacca  il  Ronconi  tenesse  la  vigna)  wäre  absurd, 
wenn  er  den  zu  seiner  Zeit  existirenden  Garten  des  conte  Eoncioni  {iVote  per 
la  pianta  del  Nolli  p.  68)  gemeint  hätte.  Es  ist  aber  auch  nicht  richtig 
wenn  Lanciani  sagt  {Bull.  com.  1883  p.  192):  nel  corso  deWopera  il  Bian- 
chini  non  rwela  altrimenti  il  segreto  della  sua  scoperta,  und  darauf  be- 
hauptet, der  Garten  Ronconi  sei  identisch  mit  Villa  Mills.  Vielmehr  besagt 
die  Legende  zu  Tafel  XVIII  des  Bianchinischen  Werkes  ausdrücklich  vinea 
Ronconi  ubi  postea  coenohium  S.  Bonaventurae  constructum  est,  und  ähnlich 
Tf.  VIII.  Von  einer  Zuteilung  dieses  merkwürdigen  Statuenfundes  an  ein  be- 
stimmtes  Gebäude  auf  dem  Palatin  wird  man  also  lieber  vorläufig  absehen. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  259 

nicht  nur  die  Masse  des  unteren,  sondern  auch  der  beiden  Oberstockwerke. 
Genaue  Angaben  über  diese  letzteren  fehlten  in  allen  bisher  bekannten  Zeich- 
nungen, und  geben  dem  Blatte  des  Marcianus  einen  besonderen  Wert ;  Steven- 
son erörtert  sachkundig  und  eingehend  die  Berichtigungen,  welche  sich  zu  der 
von  P.  Graef  und  mir  (im  Winkelinannsprogramm  der  Berliner  archäologischen 
Gesellschaft  von  1886)  versuchten  Reconstruction  ergeben.  Ich  bin  sogar  ge- 
neigt, die  Zuverlässigkeit  der  Marciana-Zeichnung  in  einem  Punkte  noch  höher 
anzuschlagen,  als  Stevenson,  nämlich  betreifs  der  Dimensionen  des  Oberstocks. 
Die  genannte  Reconstruction  nahm  über  zwei  Hauptgeschossen  ein  niedrigeres 
Obergeschoss  an,  wegen  der  perspektivischen  Zeichnung  San  Gallos  und 
unter  Verwerfung  der  Angabe  Serlio's,  dass  die  Stockwerke  nach  oben  zu 
um  ein  Viertel  ihrer  Höhe  abnahmen.  Letztere  Angabe  wird  nun  aber 
bewahrheitet  durch  die  detailHrten  Masse  des  Marcianus,  aus  welchen  auch  eine 
etwas  grössere  Gesamlhöhe  als  die  a.  a.  0.  angenommene  hervorgeht.  Dass 
die  cubische  Berechnung  der  beim  Abbruch  gewonnenen  Materialien,  wie  sie 
Stevenson  nach  Fontanas  Papieren  anstellt,  für  die  geringere  Höhe  zu  sprechen 
seheint,  ist  kein  entscheidender  Einwand,  da  die  Hintermauer  des  Gebäudes 
nicht  an  allen  Stellen  gleich  hoch  erhalten  gewesen  sein  wird.  Die  Bau- 
rechnungen Sixtus  V  im  Vatikanischen  Archiv  zeigen  ferner,  dass  die  Zer- 
störung des  Gebäudes  Ende  d.  J.  1588  begonnen  und  bis  zum  15*®"  Mai  1589 
vollendet  war;  die  gewonnenen  Säulen  und  Quadern  sind  verbraucht  für  die 
Basis  des  Obelisken  auf  Piazza  del  Popolo,  die  Restaurirung  der  Colonna 
Antonina,  für  die  Kapelle  Sixtus  V  in  S.  Maria  Maggiore,  das  Hauptportal 
der  Oancelleria,  die  Fabrikanlagen  des  Papstes  in  den  Diocletiansihermen, 
den  lateranischen  Palast.  Die  genauen  Massangaben  Fontanas  gestatten  Rück- 
schlüsse auch  auf  die  ursprüngliche  Gestalt  des  Gebäudes  ,  besonders  über 
den  Stylobaten  und  die  Fundamente.  Betreffs  der  Schicksale  des  Septizoniums 
im  Mittelalter  wird  die  rätselhafte  porticus  ftwdQwnfiayy  in  der  Urkunde 
von  975  überzeugend  erklärt,  eine  unbeachtete  Urkunde  von  1067  nachge- 
wiesen, endlich  die  ungenaue  Angabe  Zaccagnis,  dass  die  Kirche  S.  Lucia  in 
Septisolio  erst  von  Sixtus  V  zerstört  sei,  berichtigt. 

Auf  die  Künstler  Bupalos  und  Athenis,  deren  Werke  nach  Plinius  von 
Augustus  zum  Schmuck  des  Palatinischen  Apollotempels  verwandt 
waren,  führt  Petersen  (Mitteilungen  1889  S.  88)  einen  jüngst  in  Villa  Lu- 
Ludovisi  gefundenen  Amazonentypus  zurück. 

Dass  die  von  Lanciani  auf  das  palatiuische  Sacrarium  der  Vesta  bezo- 
genen Zeichnungen  des  Dosio  und  Panvinius  wahrscheinlich  auf  Ausgrabungen 
im  Flavierpalast  zurückgehen,  habe  ich  oben  S.  185  gezeigt ;  ebendort,  dass 
die  beiden  zusammengehörigen  Stücke  163  und  144  (i)  der  forma  Urbis  Romae 

(*)  Letzteres  ist,  was  ich  a.  a.  0.  übersehen  habe  (auch  in  Jordans 
Ausgabe  fehlt  der  Hinweis)  schon  von  Thon  {palazzo  de'Cesari  tav.  I  n.  X) 
ganz  richtig  als  Fragment  der  '  casa  di  Augusto '  erkannt. 


260  JAHRESBERICHT   UEBER 

einen  Teil  der  sog.  domus  Augustana  samt  den  anstossenden  Eäumen  des 
Flavierpalastes  darstellen. 

Die   südlichen    Stadtteile 

haben  wenig  erwähnenswerten  Funde  geliefert.  Die  seit  Jahrhunderten  so  oft 
durchwühlten  Gräberstrassen  zwischen  Appia  und  Latina  beim  Grabe  der 
Scipionen  hat  man  im  letzten  Jahre  aufs  neue  zu  durchsuchen  begonnen,  aber 
mit  sehr  dürftigem  Eesultat  {Not.  1889  p.  31.  65).  —  Der  Aventin  ist 
von  Ausgrabungen  ziemlich  unberührt  geblieben.  Ausgrabungen  am  östli- 
chen Abhänge  beim  jüdischen  Begräbnisplatze  haben  die  Westgrenze  des 
Circus  maxiraus  constatirt.  Ueber  den  Fund  von  Sitz  stufen  mit  Inschrift 
(wenige  Buchstaben  unsicherer  Deutung)  ebenda  berichten  Notisie  degli  scavi 
1888  S.  191.  227.  —  An  der  Westseite,  nach  dem  Forum  Boarium  zu,  wur- 
den Ende  Oktober  1887  auf  dem  Grundstücke  der  suore  della  caritädiS.  Vin- 
cenzo  di  Paolo  Beste  einer  gewaltigen  Mauer  aus  Tuffquadern,  etwa  rechtwin- 
kelig auf  den  Tiber  zulaufend  gefunden.  Von  den  mehr  als  10  Quaderschichten, 
welche  gefunden  sein  sollen,  sah  ich  am  21'*"  Oktober  1887  nur  noch  die 
untersten  in  situ,  da  die  oberen  für  Durchführung  der  neuen  Kanalisation  hatten 
entfernt  werden  müssen :  ebensowenig  habe  ich  den  wohlerhaltenen  Quader- 
bogen (3,  30m.  Weite)  gesehen,  welcher  nach  Borsari's  Vermutung  {Bull.  com. 
1888  p.  21)  der  porta  Trigemina  angehören  sollte :  letzteres  allerdings  nach 
dem  was  wir  über  den  Lauf  der  Serviusmauer  wissen,  wenig  wahrscheinlich.  — 
Für  die  Strassennamen  des  Aventin  bietet  neues  Material  der  Aufsalz 
von  De  Eossi  :  collari  di  servi  fuggitivi  con  indicazioni  topografiche  delle 
regioni  XII  e  XIII  {Ball.  com.  1887  p.  286-296).  Es  sind  folgende  Halsband- 
inschriften :  1)  die  schon  Bull.  arch.  crist.  1879  p.  165  tav.  XI  publicirte : 
Hilarionis  \  so{=sum),  tene  me  et  revo\ca  me  quia  fugi  de  r{egione)  XII 
a  balin{eum)  Scrib\oniolum  Borne.  A.  i2.  Dieselbe  ist  gefunden  in  Grottafer- 
rata,  vielleicht  im  Gebiet  der  Tusculaner  Villa  der  Scribonii  Libones. 
2)  unedirt,  gefunden  in  einem  Grabe  bei  Frascati,  noch  um  den  Hals  eines 
Skelettes  geschlossen  und  verlöthet :  tene  me  et  reboca  me  Aproniano  pala- 
tino  ad  mappa  aurea  in  Abentino  quia  fugi ;  3)  aus  der  Gegend  von  To- 
lentino  in  Picenum  {Not.  degli  scavi  1884  p.  220):  fugiti\bus  so,  revo\ca 
me  in  Aben\tino  in  domu  \  Potiti  v.  c.  |  ad  Decia\nas.  Die  Mappa  aurea, 
bereits  bekannt  aus  der  Not.  reg.  XII,  muss  eine  Strasse  auf  der  Nordseite 
des  Berges  gewesen  sein,  über  den  carceres  des  Circus  Maximus  nach  der 
Seite  des  Velabrum  und  Forum  Boarium  zu :  vielleicht  sind  Eeste  derselben 
1881  zwischen  S.  Alessio  und  S.  Maria  del  Priorato  entdeckt  {Not.  degli 
scavi  1881  p.  138).  Die  domus  Potiti  ist  sonst  nicht  bekannt;  vielleicht 
ist  der  Mann  identisch  mit  dem  vicarius  Urbis,  welcher  im  Cod.  Theodo- 
sianus  zwischen  379  und  381  öfter  genannt  wird,  und  auf  den  sich  Symma- 
chus  Ep.  1,  19  bezieht. 


TOPOGRAPHIE    DER   STADT    ROM 


2^1 


Caelius. 

Die  Basilica  S.  Giovanni  e  Paolo  ist  der  Tradition  zufolge  erbaut  an 
der  Stelle,  wo  auf  Befehl  des  Kaisers  Julian  zwei  hohe  Hofbeamte,  Johannes 
und  Paulus,  in  ihrem  eigenen  Palaste  den  Märtyrertod  erlitten.  Seit  1887 
hatte  einer  der  Passionisten  des  Klosters,  P.  Germano,  in  den  Räumen  unter 
der  Kirche  Nachforschungen  anstellen  lassen,  welche  zur  Entdeckung  eines 
altrömischen  Hauses  mit  heidnischen  und  christlichen  Wandmalereien  führten 
iNot.  degli  scavi  1887  p.  532;  Bull.  comm.  1887  p.  321).  Bisher  ist  nur  ein  Teil 
der  mit  Schutt  gänzlich  ausgefüllten  Räume  gereinigt,  und  auch  dieser 
noch  nicht  ganz  veröffentlicht  (Rom.  Quartalschrift  1888  p.  137-147;  322-32G; 
404-405 ;  Tf.  XII);  der  beigefügten  Planskizze,  auf  welcher  dies  antike  schwarz, 
die  heutige  Basilika  im  Umriss  eingetragen  ist,  liegt  eine  vom  Leiter  der  Aus- 


grabungen überlassene  Copie  der  vollständigen  Original-Aufnahme  zu  Grunde. 
Soviel  lässt  sich  bereits  erkennen,  dass  der  Grundriss  nicht  dem  Typus  des 
altern  römischen  Atrienhauses,  sondern  den  Plänen  auf  der  Forma  Urbis  Romae 
entspriecht.  Von  der  gewöhnlich  mit  dem  Clivus  Scauri  identifizierten  Via  dei 
SS.  Giovani  e  Paolo  führen  sechs  jetzt  vermauerte  Bogenthüren  auf  ebensoviele 
rechteckige  Gemächer,  Eine  zweite  und  dritte  hinter  diesen  liegende  Flucht  von 
Zimmern  zeigt  weniger  regelmässige  Anlage,  da  die  Hinterwand  mit  Rücksicht 
auf  die  Lage  am  Abhänge  des  Hügels  sich  stumpfwinkelig  mit  den  Seiten- 
wänden schneidet.  Die  Säle  der  dritten  Reihe  haben  von  der  älteren  Dekora- 
tion die  bedeutendsten  Reste.  Ein  besonders  wohlerhaltener  Saal  (a),  vom 
Entdecker   tahlinum   genannt,   ist    an    den  Wänden  mit  einer   Marmorbelag 


^62  JAHRESBERICHT   UEBER 

nachahmenden  Malerei  geschmückt;  die  Wölbung  zeigt,  ausser  den  üblichen 
Meerwesen,  Blumen  und  Masken,  auch  drei  christliche  Darstellungen  (Moses 
am  Horeb,  derselbe  die  Gesetztafeln  empfangend,  eine  Orantin).  Dem  Stil  nach 
kann  die  Decoration  dem  4'en-5*«"  Jhdt.  angehören.  Ein  anderer  Raum  (b) 
hat  einen  etwa  2,5  m.  über  dem  Boden  laufenden  Fries  :  auf  weissem  Grunde 
nackte  Genien  in  halber  Lebensgrösse,  hinter  deren  Schultern  sich  Blumen- 
gewinde hinziehen ;  zwischen  ihnen  auf  dem  Boden  Vögel.  Ausführung  und 
Farbengebung  sind  geschickt,  ob  die  Malereien  dem  dritten  Jahrhundert  oder 
einer  früheren  Zeit  angehören,  ist  bei  dem  Mangel  an  Vergleichsmaterial  für 
Rom  schwer  zu  sagen,  jedenfalls  sind  sie  die  ältesten  und  künstlerisch  vollen- 
detsten des  Hauses.  Der  gänzliche  Mangel  an  Fenstern  lässt  für  diesen  Raum  wie 
für  das  sog.  Tablinum  Beleuchtung  durch  Oberlicht  notwendig  voraussetzen ; 
mithin  kann  das  Gebäude  an  dieser  Stelle  kein  oberes  Stockwerk  gehabt  haben. 
Für  andere  Teile  wird  die  Existenz  eines  solchen  (in  dessen  Höhe  die  jetzige 
Kirche  liegt)  verbürgt  durch  die  Erhaltung  der  Aussenmauer  an  der  Nordseite 
(Höhe  bis  15  m.)  und  die  Spuren  alter  Treppen.  Hinter  der  Gruppe  von 
Zimmern,  welcher  a  und  b  angehören,  liegen  nach  dem  Hügelrande  und  den 
Bögen  der  Neronischen  Wasserleitung  zu  einige  kleine  Gemächer,  welche  der 
Entdecker  als  Bäder  und  Küche  bezeichnet.  Wasserröhren  (?)  aus  Terracotta  sind 
daselbst  gefunden:  von  einer  Fortsetzung  der  Ausgrabung  darf  man  auch  über 
den  Lauf  der  Aqua  Claudia  Aufschlüsse  erwarten.  Die  ursprüngliche  Anlage 
ist  bisher  nicht  nur  wegen  der  Unvollständigkeit  der  Aufdeckung  und  der 
Lichtlosigkeit  sämtlicher  Räume  schwer  zu  erkennen,  sondern  namentlich  weil 
das  antike  Haus  bereits  in  frühchristlicher  Zeit  zu  einer  Stätte  der  Verehrung 
für  die  Märtyrer  Johannes  und  Paulus  umgewandelt  wurde.  Mancherlei  Ein- 
bauten mit  Fresken,  die  frühesten  nach  dem  Urteil  der  Herausgeber  aus  dem 
Ende  des  4*^°  oder  Anfang  des  5'®°  Jhdts,,  spätere  bis  ins  12'®  Jahrhundert 
zu  datiren ,  verdanken  diesen  Aenderungen  ihre  Entstehung.  Erst  Fort- 
setzung der  Ausgrabung,  zu  der  hoffentlich  die  Mittel  nicht  mangeln  werden, 
wird  ein  klareres  Urteil  über  die  Einzelnheiten  der  ursprünglichen  Anlage 
ermöglichen. 

Beim  Bau  eines  Kanals  in  der  Via  Annia  auf  dem  Caelius,  unweit 
SS.  Quattro  Coronati,  ist  folgendes  für  die  Stadteinteilung  vor  Augustus 
interessante  Fragment  gefunden : 


MAG  •         HEi 

SVFFRAGIO  •  PAG  •    PRI-M 
LVDOS    •    FECERW 


Das  Material  ist  griechischer  Marmor,  die  Schrift  gut  und  wohl  der  cicero- 
nischen  Zeit  angehörig.  Zeile  1  wird  zu  ergänzen  sein  mag{istri)  He[rculani\ ; 
das  sujfragio  pag{i)  prim[i  facti]  bringt  Mommsen  (bei  Gatti  Bull.  com. 
1888  p.  326)  mit  der  Wiederherstellung  der  690  unterdrückten,  696  durch 
die  lex  Clodia  wiederhergestellten  ludi  compitalicii  zusammen. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  263 

Das  Marsfeld. 

Nördlicher  Teil.  Bei  einem  Neubau  in  Via  dei  Banchi  recchi 
unweit  des  Vicolo  del  Pavone  fanden  sich  Bleiröhren,  darunter  eine  mit  der 
Aufschrift  /acTiONis  •  prasinae-  Der  Herausgeber  Gatti  {Bull.  com.  1886 
p.  393;  1887  p.  10)  bemerkt  die  Wichtigkeit  für  die  Ansetzung  der  in  der 
Regionsbeschreibung  genannten  stabula  quattuor  factionum  und  namentlich 
der  prasina,  von  welcher  die  Kirche  S.  Lorenzo  in  Damaso  auch  den  Bei- 
namen in  prasino  führt. 

Bei  Piazza  della  Chiesa  Nuova  sind  Reste  eines  grossen  monumentalen 
Gebäudes  5  m.  unter  dem  jetzigen  Strassenplanum  aufgedeckt  (Not.  degli  scavi 
1887  p.  180;  Bull.  com.  1887  p.  276.  277).  Unter  den  Fundstücken  ver- 
dienen besondere  Aufmerksamkeit  zwei  Blöcke  (Länge  2,50,  Durchmesser 
0.80)  von  den  pulvini  eines  grossartigen  Altares  (im  Bull.  1.  c.  falsch  als 
«  Säulen  »  beschrieben).  Die  Arbeit,  Blattornamente,  Mäander,  an  der  Kopf- 
seite Rosette,  ist  äusserst  fein ;  da  das  Mäanderband,  welches  die  Mitte  des 
Stückes  ausmachte,  erhalten  ist,  lässt  sich  die  Gesamtlänge  auf  3,40  m.  be- 
rechnen. Eine  eingehende  Erläuterung  des  für  die  Topographie  des  Marsfeldes 
wichtigen  Monuments  ist  demnächst  von  Hrn.  Lanciani  zu  erwarten. 

Dass  in  der  Gegend  zwischen  Chiesa  Nuova,  Piazza  Navona  und  Piazza 
Nicosia  in  antiker  Zeit  viele  Steinmetzwerkstätten  lagen,  lehren  frühere  Funde 
(Flam.  Vacca  Mem.  32  Schreiber ;  P.  S.  Bartoli  Memorie  68-70  bei  Fea 
Miscdl.  1,  239;  Ficoroni  Mem.  n.  100  bei  Fea  1,  146;  Urlichs  Beschr. 
Roms  III,  3  S.  82 ;  NotÄzie  1883  p.  14).  Die  Entdeckung  einer  grossen 
Granitsäule  unter  der  Kirche  S.  Antonio  de' Portoghesi  melden  die  No- 
tizie  degli  scavi  1889  S.  391.  Ich  erwähne  bei  dieser  Gelegenheit  einer 
ähnlichen,  welche,  obwohl  zu  den  grössten  in  Rom  existirenden  gehörig, 
selbst  dem  fleissigen  Sammler  Faustino  Corsi  unbekannt  geblieben  ist :  die 
Nachweisung  verdanke  ich  Hm.  Cav.  A.  G.  Spinelli.  Im  Keller  des  Hauses 
Via  del  Governo  vecchio  99  liegt  etwa  4  m.  unter  dem  Niveau  der  heutigen 
Strasse  ein  Granitschaft  von  'dem  kolossalen  Durchmesser  von  er.  2,30  m. 
Er  ist  oifenbar  nie  zur  Verwendung  gekommen,  hat  am  einen  Ende  eine 
umlaufende  0,06  m.  vorspringende  Leiste  von  0,77  Breite,  und  an  der  einen 
Endfläche  (die  andere  ist  gebrochen)  noch  die  Einkerbungen  für  die  Holzbalken 
des  Gerüsts,  in  welches  er  zum  Zweck  des  Transportes  eingespannt  war.  Die 
Gesamtlänge  ist  nicht  sicher  zu  konstatiren,  da  die  Fundamente  des  Hauses 
(das  seiner  Bauart  nach  dem  15'*"  oder  Anfang  des  lö'^^Jhdt.  angehört)  quer 
über  die  Säule  weggehen,  und  ein  Stück  sogar  noch  im  Keller  des  Neben- 
hauses sichtbar  wird :  sie  war  aber  nicht  geringer  als  7  m. 

Die  von  mir  in  den  Mittheilungen  des  Instituts  1889  p.  41-64  ver- 
öffentlichtan  Berichte  von  Fr.  Valesio  und  Fr.  Bianchini  über  Ausgrabungen 
auf  Monte  Citorio  1703  und  1704  ermöglichen  eine  genauere  Localisirung 


264 


JAHRESBERICHT   ÜEBER 


der  Säule  des  Antoninus  Pius,  und  bezeugen  ferner  die  Aufdeckung  eines 
bisher  gänzlich  unbekannt  gebliebenen  antiken  Monuments  (um  eine  quadra- 
tische Basis  von  13  m,  Seitenlänge  doppelter  Mauergürtel,  äussere  Seiten- 
länge 30  m.),  dessen  Beziehungen  zu  den  benachbarten  Denkmälern  (Säulen 
des  Pius  und  Marcus)  durch  Höhenverhältnisse  und  Orientirung  ausser  Zweifel 
steht.  Von  Bianchini  ist  es  nicht  unwahrscheinlich  für  das  ustrinum  der 
Kaiser  des  Antoninischen  Hauses  erklärt.  Die  immer  noch  auftauchende 
Vermutung  über  die  Existenz  eines  Schaugebäudes  (Amphitheater  des  Sta- 
tilius  Taurus  nach  Piranesi ;  stadio  delle  Equirrie  nach  Canina)  wird  damit 
definitiv  beseitigt. 

Südlicher  Teil.  Circus  Flaminius,  Theater  u.  s.  w.  Geringe 
Ausbeute  hat  die  Niederlegung  des  Ghetto  zwischen  dem  Fluss  und  der 
Porti  cus    Octaviae   gebracht.    Die  Dedicationsinschrift  der  letzteren, 


if».   ÄRA    VI 
ASCL 
2.  f.  Ca/Uj}  a    Coütii/naAA. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  265 

seit  dem  14'°"*  Jhdt.  oft,  aber  stets  mit  einer  Lücke  im  Anfang  der  Zeilen 
abgeschrieben  (C.  /.  L.  VI,  1034)  ist  vollständig  frei  gelegt  {Notizie  degli 
scavi  1887  p.  448;  Bull.  com.  1887  p..332},  doch  bestätigt  das  nun  zu  Tage 
gekommene  lediglich  die  im  Corpus  a.  a.  0.  gegebenen  Supplemente.  Ueber 
die  zur  Sicherung  des  Freigelegten  und  zur  weiteren  Erforschung  des  Ter- 
rains in  Aussicht  genommenen  Massregeln  berichtet  das  Bull.  com.  1888 
p.  132-134. 

In  via  de'Chiavari,  gegenüber  dem  Seiteneingang  zur  Kirche  S.  Andrea 
della  Valle,  fanden  sich  5,50  m.  unter  dem  jetzigen  Niveau  Reste  eines  mit 
Travertin  gepflasterten  Platzes,  südlich  davon  eine  Strasse  mit  Basaltpflaster. 
Letztere  wird  die  dem  modernen  Corso  Vittorio  Emanuele  fast  parallel  lau- 
fende sein,  welche  die  Bauten  des  Agrippa  und  des  Pompeius  schied. 
Daselbst  fanden  sich  Gebälkstücke  mit  Relief  (Opferdarstellung,  beschrieben 
von  Visconti  Bull.  com.  1888  p.  420) ;  Fragment  eines  kolossalen  Hoch- 
reliefs (Barbarenstatue,  ;9onä!  anassiridi  e  calzari:  Notizie  1888  p.  569); 
Fragment  eines  grossen  bogenförmigen  Architravs  (lg.  m.  1,48,  hoch  0,68). 
Die  Zugehörigkeit  des  letzteren  zum  Pompeiustheater  oder  zum  Hekatostylon 
an  dessen  auf  der  Forma  Urbis  verzeichnete  halbkreisförmige  Nischen  man 
zunächst  denkt,  ist  zweifelhaft  wegen  des  Fundortes  wie  des  Stiles  (s.  Vi- 
sconti Bull.  1888  p.  478);  dagegen  mag  man  an  einen  fast  genau  an  derselben 
Stelle  gemachten  Fund  erinnern,  von  dem  Flaminio  Vacca  Mem.  2  erzählt 
(vgl.  Lanciani  Ann.  1883  p.  15.  J6). 

Aus  dem  Gebiet  der  pompejanischen  Bauten  stammt  eine  Kolossal- 
statue ,  gefunden  in  Via  Tata  Giovanni  [Not.  degli  scavi  1889  p.  34 ; 
Bull.  com.  1889  p.  93) ;  die  Reste  einer  monumentalen  Treppe  bei  S.  Carlo 
a'  Catinari  {Not.  degli  scavi  1889  p.  34)  ;eine  in  den  Fundamenten  des  Palastes 
Santacroce  bei  S.  Carlo  a'  Catinari  verbaut  gefundene  Basis,  welche  eine  (verlo- 
rene) Büste  des  Antinoos  als  Hermes  trug,  wie  die  Inschrift  besagt  {Not. 
1889  p.  17) : 

'ASQiuyrj  avyodög  ae  veov  d-eov  \  'EQfxdwfa  \ 
arriaa^sv,  nl^öfxspoi  top  |  xccXav  ^Jvtivoou 

Nixiov  l^Qvauviog,  oy  ciQrjTfJQa  |  &Efxeaftci  \ 

(SSV  fidxKQog  ßioxrjv  TTQsaßvy  |  vnoa^oueyoy. 

Die  Zufahrtstrasse  zu  dem  im  vorigen  Jahre  vollendeten  Ponte  Gari- 
baldi, Via  Arenula,  durchschneidet  das  Gebiet  westlich  der  Bauten  des  Pora- 
pejus.  Bei  Anlage  derselben  fand  sich,  kaum  100  m.  vom  Flussufer,  an  der 
Kreuzungsstelle  der  früheren  Strassen  V.  della  Mortella  und  di  S.  Bar- 
tolomeo  de'  Vaccinari,  8  Meter  unter  dem  modernen  Boden  {Notizie  degli 
scavi  1888  p.  498;  Bull,  cornun.  1888  p.  327.  379;  1889  p.  69-72),  noch  am 
ursprünglichen  Platz  auf  einem  Basament  von  Travertinblöcken  mit  der 
Inschrift  macisTKX  vici  aescleti  anni  vmi  ein  M  arm  oral  tar  mit  fol- 
genden Weihinschriften : 


266 


(Vorderseite) 


JAHRESBERICHT    UEBER 
LAKj^J-    AVGVST, 

r-e-S-pVS  -C-N/ 

MAG  •  viel  •  ANNI    NONI 


(Eechte  Nebenseite) 


(Linke  Nebenseite) 


P  •    CLODIVS  •  p  •    L> 


/S  •  L  •  L  •    SALVIVS 


Die  Inschrift  gehört  wahrscheinlich  (aber  nicht  sicher,  vgl.  Henzen  zu 
C.  I.  L.  VI,  454)  ins  Jahr  2  n.  Chr.  Der  Name  des  vicus  Aescleti  ist  neu : 
die  Lokalität  hat  vielleicht  zu  thun  mit   dem  von  Varro   L.  L.  5,  152  und 


TOPOGRAPHIE    DER   STADT    ROM 


267 


Plinius  N.  H.  16,  37  {Q.  Hortensius  dictator  cum  plebs  secessüset  in  lani- 
culum,  legem  in  Aesculeto  tulit,  ut  quod  ea  iussisset  omnis  Quirites  teneret) 
genannten  Hain.   Der  Eeliefschmuck  der  Ära  ist   den   beiden  bekannten  im 


Vatikan  {Sala  delle  Muse)  und  in  den  UflBzien  ähnlich,  nur  dass  die  auf  den 
genius  Caesaris  bezüglichen  Darstellungen  fehlen.  Die  linke  nicht  abgebil- 
dete Seite  zeigt  einen  Lar  von  entsprechendem  Typus,  die  stark  beschädigte 
Rückseite  das  Unterteil  einer  corona  lemniscata  (i). 

Im  Zuge  derselben  Strasse,  unweit  piazza  de'  Cenci,  sind  Reste  eines 
grossen  Gebäudes  aus  Travertin,  etwa  5  m.   unter   dem   heutigen  Boden,  ge- 

(})  Technischer  Schwierigkeiten  halber  hat  die  erste  Quader  der  Fun- 
damentinschrift nicht  herausgehoben  werden  können,  so  dass  die  von  Gatti 
{Bull.  com.  1888  p.  330)  copirten  Buchstaben  vor  /tri  an  dem  jetzt  im 
kapitolinischen  Museum  befindlichen  Original  fehlen.  —  Am  Altar  selbst  ist 
der  grössere  Teil  der  Bekrönung,  in  der  Vorderseite  das  Stück  links  über 
dem  Lictor,  rechts  über  noni  in  Stack  ergänzt. 


268  JAHRESBERICHT    ÜEBER 

funden  worden.  Zwei  Säulen  standen  noch  aufrecht  {Not.  1888  p.  135). 
Andre  Reste  bedeutender  Ziegelbauten  bei  Via  de'  Falegnami  erwähnen  Not. 
1888  p.  277. 

Die  rüstig  fortschreitenden  Arbeiten  der  Tiberregulirun g  haben  mehrere 
Monumepte  von  hohem  topographischem  Wert  ans  Licht  gefördert.  Hinter 
der  kleinen  Kirche  dl  S.  Biagio  della  Pagnotta  in  Via  Giulia,  660  Meter 
nördlich  von  ponte  Sisto,  fand  man  im  Sommer  1887,  noch  an  seinem  alten 
Platze,  einen  Travertincippus  mit  der  Inschrift :  Paullus  Fabius  Persi[cus\ 
C.  Eggius  Maruü[us]  L.  Sergius  Paullus  C.  Obellius  Rulfus]  L.  Scribo- 
niu[s  Libo]  curatore\ß  riparum]  et  alv[ei  Tiberis]  ex  auctorit[ate'\  Ti.  Claudi 
Caesaris  Aug.  Germanicli]  principis  s....  ripam  cippis  pos[itis]  termina- 
verunt  a  tr[ig']ar{io)  ad  pontem  Agrippae.  Das  trigarium,  aus  der  Regions- 
beschreibung und  der  Inschrift  C.  I.  L.  VI,  8461  bekannt,  wird  dadurch 
nicht  näher  lokalisirt  {}),  ausser  dass  es  stromaufwärts  gelegen  haben  muss. 
(Ueber  den  Pons  Agrippae  s.  unten  S.  285). 

Eine  1887  gefundene  Inschrift  von  Bajä,  dem  Schriftcliarakter  nach 
aus  Augustischer  Zeit  stammend,  ist  von  G.  B.  De  Rossi  [Not.  1888  p.  709-714) 
scharfsinnig  ergänzt  worden :  ^orizcMS  tri[umphi]  long.  effic{it)  pe\_d.  DLVI}, 
itum  et  red{itum)  pe[d.  MCXII'],  pass{us)  GGXXII  [semis] ;  quinquies 
it[um  et  red{itum)\  eßcit  pa\ssus\  MCXII.  Zwei  Inschriften,  die  eine  gefun- 
den vor  porta  Metrovia  (Orelli  660Q),  die  andere  in  der  Villa  Hadriana  (C.  /.  L. 
XIV,  3695^),  sichern  die  Supplemente  und  bezeugen  die  Existenz  von  porticus 
triumphales  wie  in  Bajä  so  auch  in  der  Nähe  von  Rom.  Alle  drei  sind  Nachah- 
mungen der  für  die  pompa  triumphalis  im  Marsfelde  bestimmten,  deren  Lage 
zwar  durch  kein  directes  Zeugniss  gesichert,  aber  höchst  wahrscheinlich  in 
der  Nähe  des  Circus  Flaminius  und  der  Villa  Publica  zu  vermuten  ist.  De 
Iiossi  glaubt,  dass  ursprünglich  ein  Teil  der  Porticus  der  Saepta  oder  der  Villa 
Publica  triumphalis  geheissen  habe,  dieser  Name  aber  durch  die  glänzenden 
Umbauten  der  späteren  Kaiserzeit  in  Vergessenheit  geraten  sei  (2). 

(1)  Der  von  Richter  p.  144  (vgl.  den  Plan  von  Rom)  ausgesprochenen 
Vermutung,  es  habe  zwischen  Ponte  S.  Angelo  und  S.  Giovanni  de'Fiorentini 
gelegen  kann  ich  mich  nicht  anschliessen.  Dieses  Gebiet  scheint  in  der 
Kaiserzeit  von  Privatbauten  so  eingenommen  gewesen  zu  sein  dass  für  einen 
ronog  onov  l'nnoL  yvfxyä^ovTca  schwerlich  Raum  blieb  :  in  nachaugustischer 
Zeit  durchschnitten  es  mindestens  zwei  grosse  Strassen,  die  auf  den  Pons 
Aelius  und  Pons  triumphalis  zuführenden.  Wahrscheinlicher  ist  die  Lage 
nördlich  von  Piazza  Navona,  in  Verbindung  mit  dem  Stadium  Domitiani 
und  den  stabula  IUI  factionum. 

(2)  Einen  Nachtrag  zu  obigem  Aufsatz  giebt  De  Rossi  Bull,  comun.  1889 
p.  355,  wo  die  von  Lanciani  Bull,  comun.  1885  p.  100  n.  1019  publizierte 
Inschrift  einer  unweit  Ponte  Sisto  gefundenen  Priapusherme :  s~\patia  X  in 
ci\r]cuitu  effic\i\unt  passu[s']  mille  pedes  [v]  angeführt,  und  zu  der  aus  Villa 
Hadriana  (welche  nur  auf  einer  Abschrift  Ficoroni's  steht)  folgende  Ergänzung 
Bortolotti's  mitgeteilt  wird:  porticlus  triumphi?^  circuitum,  hab\et^  ped. 
MCCCCL;  hoc  niießcit]  passius)  MMXX(X]. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  269 

Die  Seite  rechts  von  ViaFlaminia.  Das  templum  Solis 
Aureliaui  localisirt  Urlichs  (Mittheilungen  des  Instituts  1888  p.  38)  überzeu- 
gend in  der  Gegend  von  S.  Silvestro  in  Capite.  Abgesehen  von  den  Berichten 
über  Säulen-  und  Mauerfunde  in  dieser  Gegend  beweist  dafür  die  Inschrift 
C.  I.  L.  VI,  1785  (Tarif  über  Transport  u.  s.  w,  der  Weine  vom  Tiberhafen  ad 
templum,  gefunden  1787  unter  dem  Kloster  von  S.  Silvestro  in  Capite)  in 
Verbindung  mjt  der  Notiz  Vita  Aureliani  c.  48:  in  porticibus  templi  Solis 
fiscalia  vina  ponuntur. 

Bei  den  Erweiterungsarbeiten  für  Palazzo  Sciarra  sind  vier  wohlerhal- 
tene Bögen  der  A  q  u  a  Virgo  (Tuif  mit  Schlusssteinen  und  Gesims  in  Tra- 
vertin)  gefunden  worden,  welche  die  Vermutung  Lancianis  über  den  Lauf  der 
Leitung  in  ihrem  letzten  Teil  [Bull.  com,.  1881,  p.  21)  bestätigen :  nicht 
rechtwinkelig  auf  den  Corso,  sondern  mit  geringer  Ausbiegung  nach  Nordost  (}). 
Bei  Publication  dieses  Fundes  {Bull.  com.  1888  p.  61-67)  weist  Gatti  darauf 
hin,  dass  die  bisher  in  den  Worten  Frontins  {aq.  1,  20:  arcus  Virginis 
initium  habent  sub  hortis  Luculianis,  finiuntur  in  Campo  Marlio  secundum 
frontem  Septorum;  und  1,  10:  opere  arcuato  passuum  septingentorum) 
gesuchte  Schwierigkeit  in  der  That  nicht  existirt.  Man  hat  finiuntur  in 
Campo  Martio  secundum  frontem  Septorum  nicht  zu  übersetzen :  « sie 
endigen  neben  der  Front  der  Septa, »  sondern  «  sie  endigen,  längs  der  Front 
der  Septa  entlang  gehend,  im  Campus  Martius.  n  Letzterer  ist  der  durch 
cippi  eingegrenzte  Campus  minor  (C.  I.  L.  VI,  874 ;  Lanciani  in  Bull.  com. 
1883  p.  11).  Die  Leitung  der  Aqua  Virgo  endigte  etwa  in  der  Gegend  von 
Palazzo  Serlupi ;  so  wird  auch  die  Angabe  Frontins  über  die  700  passus 
betragende  Länge  der  Bogenreihe  gerechtfertigt. 

Collis  hortorum. 

Die  seit  1808  geschlossene  Porta  Pinciana  (2)  ist  im  vergangenen 
Jahre  aufs  Neue  geöffnet.  Dabei  ist  constatirt,  dass  für  den  Belisarischen 
Bau  derselben,  wie  von  Porta  Flarainia  und  Porta   Salaria  längst   bekannt 


(1)  Die  ungefähr  an  derselben  Stelle  1885  zu  Tage  gekommenen  Eeste 
(Zicgelmauern,  Porticus  mit  Cipollinsäulen)  gehörten  keineswegs  einem  mo- 
numentalen Gebäude  aus  früher  Kaiserzeit,  wie  Richter  Top.  p.  149  aus  dem 
Berichte  Not.  degli  scavi  1885  p.  70.  250  zu  folgern  scheint,  sondern  einem 
späten  Privathaus  an.  Borsaris  Widerspruch  (Mitteil.  d.  Instituts  1886  p.  61) 
gegen  die  von  Manzi  geäusserte  ganz  haltlose  Vermutung  (Castell  der  Aqua 
Virgo)  kann  ich  mich  als  Augenzeuge  der  damaligen  Ausgrabung  durchaus 
anschliesseu. 

(2)  Den  Namen  Pincius  bezeichnet  Eichter  Top.  S.  151  als  unerklärt : 
m.  Er.  ist  die  schon  von  früheren  aufgestellte  Ableitung  von  der  Gens  Pincia 
zweifellos  richtig.  Allerdings  kommt  das  Gentilicium  nur  einmal  in  einer 
Inschrift  aus  dem  Jahre  395  n.  Chr.  (VI,  1754  :  Aniciae  Faltoniae  Probae 
Amnios  Pincios  Aniciosque  decoranti  etc.)  vor ;  aber  es  scheint  bisher  über- 
sehen, dass  der  Pincio  im  4'«"  Jhdt.  im  Besitz  des  Gemahles  der  Anicia  Faltonia, 

18 


270  JAHRESBERICHT    ÜEBER 

war,  ältere  Gräber  Material  hatten  beisteuern  müssen.  Die  Schwelle  war  ge- 
bildet durch  ein  Grabepistyl  aus  Travertin  mit  der  Inschrift  erotidJj  in 
grossen  und  schönen  Buchstaben   {Not.  1888  p.  60;  Bull.  com.  1888  p.  41). 

Unweit  des  Thores,  nördlich  vom  Casino  deWAurora  der  ehemaligen 
Villa  Ludovisi  (Via  Lombardia)  ist  eine  Reihe  von  Ziegelpilastern  mit  Be- 
krönung  von  Travertin  gefunden  worden  {Not.  1888  p.  729),  vielleicht  einer 
auf  das  Thor  zuführenden  Porticus  angehörend  (Richter  Top.  151) :  doch  ist 
letzteres  nicht  sicher. 

Gleichfalls  aus  der  Nähe  von  Porta  Pinciana  stammt  eine  Votivinschrift 
(Not.  degli  scavi  1887  p.  275  ;  Bull.  com.  1887  p.  223) :  numini  domius) 
Aug{ustae)  |  T.  Marius  Processus  |  signum  Bei  Silvan\i'\  |  ...  (zwei  aus- 
radirte  Zeilen)  ...  |  aedem  ipsius  marlmoratam  a  solo  su  a  pecunia  fecit 
[e]t  I  templum  marmoris  (sie)  |  stravit  idemq{ue)  dedic[avit).  Der  Herausgeber 
nimmt  templum  als  den  weiteren  {tutta  Vq.rea  destinata  a  luogo  sacro), 
aedes  als  den  engeren  Begriff.  Die  Ausführungen  Jordans  (Hermes  XIV, 
p.  571  ff.)  über  den  Sprachgebrauch  aedes,  aedicula  u.  s.  w.  sind  dabei  nicht 
berücksichtigt :  unter  den  von  J.  angeführten  Inschriften  berührt  sich  mit  der 
neugefundenen  besonders  nahe  die  der  cultores  Silvani  von  Philippi  [CLL. 
III,  633),  in  welcher  zuerst,  unter  mehreren  bedeutenden  Spenden,  tegulae 
GGGC  tectae  ad  templum  tegendum  (dies  der  grössere  Bau),  und  dann  die 
statua  aerea  Silvani  cum  aede  (das  ist  also  die  kleinere  Kapelle  im  Inneren) 
verzeichnet  werden.  Auch  in  der  städtischen  Inschrift  wird  also  wohl  aedes 
marmorata  nur  die  Nische  für  das  Götterbild  sein.  —  Dass  zahlreiche  Funde 
im  Gebiet  der  Villa  Ludovisi  {G.  I.  L.  583.  640 ;  Bull.  com.  1887  p.  223. 
224;  1888  p.  402;  Not.  degli  scavi  1888  p.  267)  ein  dort  befindliches 
Heiligtum  des  Silvan  bezeugen ,  hat  Gatti  {Bull.  1888  p.  402)  richtig- 
bemerkt. 

Der  Aufsatz  Lanciani's  'la  Venus  hortorum  Sallust  ianorum'  {Bull. 

com.  1888  S.  3-11), 
geht  aus  von  der  Memoria  58  des  Flaminio  Vacca,  in  welcher  der  Fund 
eines  Rundgebändes  mit  prächtigem  Marmorschmuck  in  der  Vigna  des  Ga- 
briele Vacca  bei  Porta  Salara  erzählt  wird.  Nicht  bekannt  war  bisher,  da^  s  von 
demselben  Gebäude  ein  Plan  im  Vaticanus  3439  enthalten  ist,  der,  von  Pan- 
vinius  Hand  mit  erläuternder  Beischrift  versehen,  die  Angaben  Vaccas  teils 
bestätigt  teils  ergänzt.  Die  Combination  ist  höchst  ansprechend  und  interessant ; 
dagegen  kann  ich  mich  den   weiteren  von  Lanciani    gezogenen    Folgerungen 


des  Petronius  Probus,  gewesen  ist  (Inschr.  G.  I.  L.  VI,  1751,  gefunden  bei 
Trinitä  dei  Monti).  Es  mag  ihm  das  Palatium  Pincianum  von  seiner  Gattin 
als  Erbin  der  Pincii  zugebracht  sein. 


TOPOGRAPHIE    DER   STADT    ROM  271 

nicht  anschliessen  (i).  Er  erklärt  nämlich  das  Gebäude  für  den  Tempel  der 
Venus  in  hortis  Sallustianis,  welcher  mit  dem  der  Venus  Erycina  ad  portam 
ColUnam  identisch  sein  soll:  eine  Annahme,  welche  bei  genauerer  Prüfung 
des  Grundrisses  unzulässig  scheint. 

Lanciani  nennt  hier  wie  in  früheren  Arbeiten  die  architektonischen 
Zeichnungen  des  Vat.  3439  disegni  del  Ligorio  posiülati  dal  Panvinio. 
Dies  ist  nicht  richtig ,  der  Codex  enthält,  soweit  er  sich  auf  römische 
Baureste  bezieht,  überhanpt  keine  Ligorianischen  Autographen,  und  ist  zum 
grössten  Teil  nur  ein  von  Panvinius  für  seinen  Privatgebrauch  geraachter 
Auszug  aus  noch  ex'istirenden  Büchern  des  Ligorius,  daher  mit  wenigen  Aus- 
nahmen ohne  selbständigen  Wert.  Die  Grabgrundrisse  finden  ihre  Vorlagen 
im  49'*°  Buche  des  Neapolitanus,  die  Tempelzeichnungen  teils  im  Bodleianus 
(vgl.  Ann.  delVInst.  1884  p.  327),  teils,  und  dies  ist  der  Fall  für  die  Venus 
hortorum  Sallustianorum,  im  Parisinus  {fonds  St.  Germain  86) :  eine  Ab- 
schrift des  bezüglichen  Passus  verdanke  ich  Hrn.  Prof.  W.  Klein.  Es  heisst 
in  dieser  Hschr.  fol.  309 : 

In  una  testa  della  piazza  o  vogliamo  dire  foro  Sallustiano  (^j  fu  un 
tempio  di  cinquanta  dui  piedi  diametro  con  tutto  il  perittero  o  circuitioni 
di  colonne.  Le  quali  erano  di  dui  piedi  grosse,  del  marmo  caristio  giallo 
svenate  di  alcune  macchie  rosse .  erano  striate  .  il  portico  era  di  vano  sei 
piedi,  i  muri  dentro  del  tempio  erano  grossi  tre  piedi  senza  la  parastate 
a  incontro  delle  colonne,  che  sportavano  infuori  un  quarto  di  palmo.  Le 
spire  delle  colonne  cioh  basi  non  hanno  il  plinto  o  vogliamo  dire  socco, 
erano  alte  impiede  senza  intagli,  deWordine  composito  cioi  (?)  i  capitelli 
i  quali  erano  alti  dui  piedi  un  quarto,  i  fusti  delle  colonne  piedi  deciotto 
manco  vn  quarto  di  piede.  I  nichi  di  fori  erano  larghi  tre  piedi  e  mezzo, 
quelli  di  dentro  al  tempio  piedi  due  e  mezzo.  Questi  erano  ornate  di  co- 
lonnette  picciole  picciole,  due  terzi  di  piede,  del  marmo  alabastrino  che 
posavano  sopra  a  certi  modelleti  [che]  ornavano  essi  nicchi,  de'  quali  non 
havemo  demostrate  altezza  alcuna,per  esser  stati  giärovinati  per  gli  tempi 


(1)  Ebenso  scheint  mir  die  von  L.  versuchte  Beziehung  von  Bartoli 
Mem.  33  auf  denselben  Fund  durch  die  Verschiedenheit  von  Zeit  und  Ort 
ausgeschlossen. 

(2)  zur  topographischen  Fixirung  diene  folgender  Passus  aus  Ligorius 
Taur.  15  =  Ottobon.  3374  p.  265  :  Forvm  salvstii  era  una  piazza  nel 
fondo  dein  Horti  Salustiani,  opera  giä  di  Salustio  Grispo  incominciata,  ma 
per  essere  luogo  hello,  et  uario  fu  dalli  imperatori  sempre  mantenuto,  et 
ornato,  et  haueano  gV  horti  attorno  per  portico  un  deambulatorio  di  mille 
colonne,  come  scriue  Philone.  Vi  furono  templi,  bagni,  et  alberghi  uarij,  et 
innumerabili  statue,  et  la  cui  uarietä  hauemo  dissegnata  et  rappresentata 
nella  Roma  stampata  (die  Eßgies  Romae  des  L.  setzt  das  forum  Sallustii 
in  dieVl'halsenkung,  welche  spätere  Topographen  Circo  di  Flora  zu  nennen 

pflegen) oue  sono   hoggidl  motte  uigne,  trä  le  quali  i  quella  delli 

uenerandi  Padri  di  S.  Saluatore  del  lav.ro,  la  vigna  del  vescouo  Mutti,  quella 
delvescouo  di  Pauia,  del  vescouo  Colotio,  et  di  Francesco  SiliUa,  et  di  uenti 
altri  padroni. . 


272  JAHRESBERICHT    ÜEBER 

passati,  e  quel  che  era  rimasto  sotto  delle  rovine  ci  ha  insegnato  la  forma 
di  quanto  ho  scritto  c  demostrato  in  questa  pianta  circolare.  Era  di  dentro 
e  di  fuori  incrostato  con  tavole  sottili  di  alabastro,  di  porphidi,  serpentini 
ei  altri  niarmi ,  come  anche  era  fatto  il  suo  (?)  piano  del  pavimento  suo 
di  fuori  e  di  dentro  del  tempio,  in  cui  s'ascendeva  per  se  (')  gradi  que  (?) 
attorno  tutto  il  circuivano.  Certamente  opera  picciola,  ma  di  grandissima 

spesa  et  di  vaghezza  mirabile L'architravi  e  le  cornici  sue  tutte  per  altri 

tempi  ftirono  portati  via.  Fu  trovata  una  inscrizione  che  diceva  veneri  • 

HORTORVM  •  SALLVSTIANORVM  •  C  •  SALLVSTIVS  •  DVRDVS  •  AEDITVVS  ■  D  •  D 

e  furono  gli  horti  prima  fatti  da  Sallustio  che  scrisse  le  cose  di  Catilina, 
e  dopo  dalla  fameglia  mantenuti  et  nobilitati  dalV  imperatori  (2). 

Es  folgen  ein  Plan ,  dem  von  Lanciani  publizierten  (3)  entsprechend ; 
eingetragen  sind  folgende  Masse :  piedi  XXX  il  vano  del  tempio;  zwischen 
der  äusseren  Säulenstellung  und  der  Cellawand  piedi  6 ;  als  Intercolumnium 
piedi  8  ;  als  Masse  der  Nische  3  */2  und  2  V2 .  Ferner  Zeichnung  von  Säulen 
und  Gebälk. 

Auf  Grund  dieser  Angaben  ist  beifolgende  Skizze  nach  metrischem  Masse 
aufgetragen  (*) :  sie  lässt  keinen  Zweifel,  dass  wir  es  nicht  mit  einem  ve<ag 
ahöXoyog  sondern  mit  einem  kostbar  ausgestatteten  Pavillon  der  Sallustischen 
Gärten  zu  thun  haben.     Wahrscheinlich  war  er  in  Verbindung    mit  Wasser- 


(1)  So  in  der  mir  übersandten  Abschrift ;  im  Original  wahrscheinlich  tre. 
■  (2)  Der  Vollständigkeit  halber  mag  auch  noch  die  das  templum  Veneris 
hortorum  Sallustianorum  betreffende  Stelle  aus  Taur.  vol.  15  Platz  finden,  obwohl 
die  Zuverlässigkeit  dieser  späteren  Eecension  gering  scheint :  fu  ancora  esso 
picciolo  tempio,  ma  ornatissimo,  tutto  del  marmo  pario  con  colonne  striate 
bianchissime,  deWordine  Corintio,  di  forma  rotonaa  con  peryptero  attorno, 
cioi  circondato  di  portico,  come  havemo  posto  nei  disegni  degli  Horti  Sal- 
lustiali,  lo  quäle  era  in  un  poggio  soprastante  al  foro  Sallustiano,  incirca 
della  valle  verso  V Oriente,  dove  appunto  havemo  veduto  cavare  delle  sue 
rovine  pretiosissime,  et  d'ammirabile  diligentia  lavorate,  et  quivi  incirca 
fu  trovata  questa  dedicatione,  la  quäle  hebbe  Mr.  Angelo  Uolotio  (C.  VI 
n.  122). 

(3)  'Auf  dem  Holzschnitt  Bull.  com.  a.  a.  0.  S.  4  ist  aus  Vat.  3439  nach- 
zutragen das  Mass  zwischen  Säulen  und  Cellawand  p{iedi)  6;  statt  des  unver- 
ständlichen L*^  PALMi  zu  berichtigen  d"'  palmi.  Die  von  Lanciani  nur  zum 
Teil  entzifferten,  freilich  auch  schwer  lesbaren  Beischriften  des  Panvinius 
(welche  ich  wiederhole  um  das  Verhältnis  zwischen  Original  und  Excerpt 
deutlich  zu  machen)  besagen :  T{emplum)  Veneris  Salustianae  in  capite  fori 
Sallustii.  Columnae  e  marmore  caristio  hialo,  svenate  di  alcune  macchie 
rosse,  striate ;  spirae  basium  sine  plinto  vel  zoccolo  alte  p.  1,  sine  intalio, 
ordo  co{m)positus,  capitula  alta  p.  2  et  un  4.^°  Columnae  p.  18  minus  4." pedis. 
Columellae  (ein  Stern  auf  der  Zeichnung  beweist,  dass  P.  damit  die  inneren 
meint)  e  marmore  alabastrico:  incrustata  tabulis  alabastrinis  porphyrcticis 
serpentinis.  Etiam  solum .  a  pavimento  ascensus  tribus  gradibus  circum  circa. 

(■*)  Lanciani  scheint  das  gar  nicht  versucht  zu  haben,  es  wären  ihm 
sonst  die  Wiedersprüche  in  Panvinius  Massangaben,  besonders  das  unmögliche 
vano  del  tempio  piedi  20  (eine  Tempelcella  von  6  m.  Durchmesser!)  auf- 
gefallen. 


TOPOGRAPHIE   DER   STADT   ROM 


273 


künsten,  wenn  nicht  überhaupt  eine  Badeaulage,  worauf  trotz  Lanciaui's 
Widerspruch  die  von  Vacca  erwähnten  marmorgetäfelten  Gänge  und  Leitungs- 
röhren am  ehesten  führen.    Ich  verweise  z,  B.  auf  die  Aehnlichkeit  mit  dem 


#   I    • 


'liiij  nur 


4^. 


als  lavacrum  bezeichneten  Grundriss  forma  U.  R.  fr.  59  lord.,  welcher  vier 
Eingänge  und  Stufen  im  Inneren  hat,  gerade  wie  Vacca  von  unserem  Gebäude 
zagt :  detto  ovato  aveva  quatlro  scale  che  scendevano  in  esso  al  pavimento 
fatto  di  mischio.  Uebrigens  melden  die  Notizie  degli  scavi  1888  p.  497  den 
Fund  vortrefflicher  Marmorfriese,  die  ihrer  Decoration  nach  für  ein  Nympheum 
der  Sallustischen  Gärten  wohl  passen  würden,  an  der  Ecke  von  Via  Buoncom- 
pagni  und  via  Quintino  Sella,  also  gerade  im  Bereich  der  Vigna  Vacca.  — 
Für  die  Gestaltung  des  Inneren  hat  Ligorio  wahrscheinlich  seine  Phantasie 
walten  lassen,  und  wie  häufig,  durch  Zuthat  von  Nischen  und  Säulchen 
den  Grundriss  zu  beleben  gesucht  (vgl.  Lanciani  bei  Henzen  Scavi  nel  bosco 
degli  Arvali  p.  105.  106). 

Der  von  Lanciani  am  Schluss  seines  Artikels  versprochenen  Behandlung 
einer  Eeihe  von  topographischen  Fragen  sehen  wir  mit  Interesse  entgegen, 
ohne  auf  das  Einzelne  vorläufig  einzugehen.  Nur  mag  bemerkt  werden  dass 


274 


JAHRESBERICHT   UEBER 


die  Ansetzung  des  Monumentum  libertorum  Q.  Sallustii  [C  I.  L.  VI  p.  1100- 
1102)  in  der  Nähe  der  porta  Salaria  trotz  des  Fundes  zweier  Grabschriften 
von  Freigelassenen  der  ens  Sallustia  nicht  mehr  ist  als  eine  recht  unsichere 
Vermutung. 

Quirinal. 


Beim  Bau  des  Teatro  drammatico  in  Via  Nazionale,  hinter  Pal.  Colonna 
sind  Bleiröhren  mit  der  Inschrift  dec  sacerdotivm  videntalivm  gefunden. 
Diese  bidentales  sind,  wie  Gatti  Bull.  com.  1887  p.  8  ff  (vgl.  Not.  degli  scavi  1887 
p.  15)  ricthig  bemerkt,  eine  in  dem  alten  Heiligtume  des  Serao  Sancus 
auf  dem  Collis  Mucialis  fungirende  Priesterschaft,  welche  auch  vorkommen  auf 
einer  im  16'^"»  Jahrhundert  ganz  in  der  Nähe,  im  Garten  der  Kirche  S.  Silveslro, 
gefundenen  Dedication  an  den  Sancus  (C  /.  //.  VI,  568).  Möglicherweise  gehören 
dem  Unterbau  des  Tempels  die  1878  fra  il  casino  Rospigliosi  deW Aurora  e 
la  porta  dHngresso  delle  stalle  del  Bernini  aufgedeckten  Beste  eines  Guss- 
werkkernes   an,    der  Not.  1878  p.  92  (vgl.  auch  1879  p.  39)    irrtümlich   als 


y\A  \  aä>ua«w 


\^'\^^^^-- — I 


tempio  del  Sole  (s.  oben  p.  269)  bezeichnet  wurde.  Jedenfalls  passen  Lage 
und  Dimensionen  dieser  Reste  besser  auf  das  Heiligtum  des  Sancus,  als  die 
von  Lanciani  [Bull,  comun.  1880  p.  5)  vermutungsweise  auf  die  aedes  Sanci 
bezogenen  Bauten  unter  dem  Refectoriura  von  S.  Silvestro  (drei  Fundamente, 
das  grösste  6X12  m.,  wohl  eher  Basen  oder  Altäre  als  Tempelchen).  —  In 
unmittelbarer  Nähe  des  Heiligtums  lag  bekanntlich  die  Porta  Sanqualis :  von 
ihr  herab  auf  das  Marsfeld  führte  eine  Strasse,  deren  oberer  Lauf  durch  das 
zuletzt  von  Lanciani  {Bull,  munic.  1876  p.  126)  beschriebene  aus   republika- 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  275 

nischer  Zeit  stammende  Grab  der  Sempronii  bestimmt  wird.  Die  Lage  des 
Grabes  ist  auf  unserer  Skizze  nach  freundlicher  Mitteilung  Lanciani's  ange- 
geben (1).  Auf  diese  Weise  ist  die  Lage  der  Porta  selbst  bis  auf  einen 
Spielraum  von  wenigen  Metern  bestimmt. 

Auf  der  entgegengesetzten  Seite  der  Via  Nazionale,  zwischen  der  Strasse 
und  der  kleinen  Kirche  S.  Maria  del  Carmine  sind  unter  anderen  antiken 
Resten  auch  mehrere  Travertinsäulen  in  situ  gefunden.  Gatti  {Bull,  comun. 
1889  p.  84)  erinnert  an  die  10  Jahre  früher  an  der  anderen  Sirassenseite 
ausgegrabenen  [Not.  degli  scavi  1879  p.  14.  39).  Damals  fanden  sich  in  be- 
deutender Tiefe  dorische  Säulen  von  Travertin  und  Peperin  ;  wenn  diese  wirk- 
lich ihrer  Grösse  und  ihrem  Stil  nach  einem  Monumentalbau  aus  republika- 
nischer Zeit  angehört  haben  —  ich  habe  sie  nicht  gesehen  — ,  so  könnte  man  sie 
vielleicht  der  porticus  ab  porta  Fontinali  ad  Afartis  aram  zuweisen,  welche 
in  der  für  Eoms  Baugeschichte  so  wichtigen  Aedilität  des  Aemilius  Lepidus 
und  Aemilius  Paulus  (193  v.  Chr.)  aufgeführt  wurde.  Mit  dieser  Porticus 
können  jedoch  die  neu  gefundenen  Baureste  nichts  zu  thun  haben,  tragen 
vielmehr  den  Charakter  der  Kaiserzeit. 

Beim  Bau  eines  der  Amministrazione  della  R.  Casa  gehörigen  Hauses  in 
via  Venti  Settembre,  südwestlich  von  der  Rundkirche  S.  Andrea  in  Quirinale 
fand  man  etwa  3  m.  unter  dem  Strassenplanum  einen  mit  Travertin  gepflaster- 
ten Platz;  in  der  Mitte  erhebt  sich,  umgeben  von  grossen  pyramidal  auslaufenden 
cippi  aus  Travertin,  der  Kern  eines  grossen  Altares  aus  dem  gleichen  Material, 
dessen  Marmorbekleidung  grossentheils  zerstört  ist.  Das  Monument,  zunächst 
für  die  Ära  Quirini  {Bull,  comun.  1888  p.  300),  dann  für  eine  ara  compita- 
licia  {Not.  1888  p.  493)  erklärt,  ist  neuerdings  von  Lanciani  {Rendiconti  del- 
Vaccademia  dei  Lincei  1889  p.  264)  durch  die  überzeugende  Corabination  mit 
der  an  gleicher  Stelle  im  17*^"  Jahrhundert  gefundenen  Inschrift  C.  I.  L.  VI^ 
826  (cf.  add.  p.  839)  als  einer  der  zum  Andenken  an  den  Neroni- 
schen Brand  errichteten  Altäre,  bei  welchen  an  den  Volca- 
nalien  ein  Sühnofer  gebracht  wurde,  6rka,nnt  worden.  Eine  Publikation  des 
Fundes  ist  demnächst  von  Lanciani  zu  erwarten.  (2). 

Auf  demselben  Terrain,  etwas  weiter  östlich,  fanden  sich  grosse  Traver- 
tinpfeiler,  welche  zum  Teil  noch  die  rot  aufgemalte  Steinbruchsmarke  11 
( einmal  /R )  in  fast  meterhohen  Buchstaben  trugen.  Dieser  Marke  ist  zweimal 
das  Datum  ///.  K .  Afr  .  (in  Ligatur),  einmal  der  Name  totil  in  fast  cursiver 
Schrift  hinzugefügt ;  letz  terer  weist  in  die  Periode  der  Gothenherrschaft 
im  6'«°  Jhdt.  n.  Chr.  {Not.  degli  scavi  1888  p.  187  ;  Bull,  cbmun.  1888  p.  108). 


(1)  Im  Text  des  Bull.  ist.  a.  a.  0.  statt :  nelVangolo  sud-est  del  cortile 
deito  di  S.  Feiice  zu  lesen  nelVangolo  nord-est. 

(2)  Dieselbe  ist  inzwischen  im  7.  Heft  des  Bull.  Comunale  1889  p.  331- 
339  erfolgt. 


276  JAHRESBERICHT    UEBER 

Etwas  weiter  südlich,  neben  der  Kirche  S.  Vitale  und  dem  Kunstaus- 
stellungspalast, sind  zahlreiche  Reste  von  Privatgebäuden  aus  früherer  Kaiser- 
zeit, und  darin  allerlei  kloine  Kunstwerke  und  Hausgeräte  gefunden  worden. 
Eine  Bleiröhre  nennt  den  Namen  der  Besitzerin  aemilia  pavlina  asiatice. 
Spuren  der  Zerstörung  durch  Brand  sind  mehrfach  constatirt  {Not.  1887  p.  275. 
321.  374.  400.  446.  1888  p.  225.  275.  390;  Bull,  comun.  1887  p.  222.  253. 
283.  320.  329.     1888  p.  173). 

Bei  Niederreissung  einer  modernen  Mauer  im  Garten  des  Kapuziner- 
klosters S.  M.  della  Concezione  (i)  ist,  unter  anderen  antiken  Fragmenten, 
folgende  Inschrift  verbaut  gefunden  worden  {Not.  degli  scavi  1887  p.  321  ; 
Bull,  comun.  1887  p.  251): 

OIWANVM   .    COGNATVM   -    AMICVM-    SOCIv\ 
lAEI  •    BENEFICIQVE  -    ERGA  -    LVCIOS  -    IN  -    COM\\ 

Das  Material  ist  Travertin  (nicht  wie  Bull,  comun.  1.  c.  angegeben  wird, 
Marmor),  Länge  m.  0.62  (beiderseits  Stossfläche),  Höhe  0.16,  wovon  0.12  auf 
die  O.Ol  vorspringende  Randleiste  kommen,  welche  die  Inschrift  trägt.  Es  gehört, 
wie  Gatti  a.  a.  0.  richtig  auseinandergesetzt  hat,  der  auf  dem  Capitolium 
vetus  aufgestellten  zweiten  Reihe  von  Weihgeschenken  kleinasiati- 
scher Gemeinden  nach  dem  Mithridatischen  Krieg  an,  von  deren  kapitoli- 
nischer Serie  oben  (S.  252)  die  Rede  war.  Die  Inschrift  entspricht  etwa  der 
n.  5  der  kapitolinischen  Serie.  Die  Ergänzung  von  Z.  2  Anfang  macht  Schwie- 
rigkeiten, da  aller  Wahrscheinlichkeit  nach  ein  Steinmetzfehler  vorliegt.  Doch 

empfiehlt  sich  die  nächstliegende  Ergänzung populum  R\omanum  cognatum 

amicum  sociu\m  honoris  causa  erga  se  et  benevolent]iae  beneficique  erga 
Lucios  in  comu[ne  immer  noch  am  meisten.  Die  beiden  bisher  bekannten 
derselben  Serie,  gefunden  1637  unter  Palazzo  Barberini,  jetzt  im  Vatikan,  siehe 
C.  I.  L.  VI,  373  (Weihung  der  Ephesier)  und  374  (Block  von  0,75X0,55,  Weihung 
der  Laodicener).  Beide  haben  die  charakteristische  0.12  m.  hohe  Leiste  am 
oberen  Rande ;  die  auf  dem  zweiten  links  neben  dem  griechischen  Text  sicht- 
baren Buchstabenreste  S  |  N  |  N  können  nicht  als  Schluss  der  letzten  Zeilen 
des  kapitolinischen  Fragments  2,c  betrachtet  werden  (s.  o.  S.  253),  eben- 
sowenig als  Rest  einer  älteren  radirten  Inschrift.  Eigentümlich  ist,  dass  sie 
(wie  auch  auf  Ritschis  Tafel  P.  L.  M.  LXXII.  B  angedeutet  und  wie  ich  bei  einer 
mit  der  Leiter  angestellten  Untersuchung  verificiren  konnte)  auf  einer  etwas 
erhöhten  und  umrandeten  Fläche  stehen,  wofür  ich  keine  Erklärung  weiss. 

Von  den  älteren  Bauten,  welche  Diocletian  bei  Anlage  seiner 
Thermen  {coemptis  aedificiis  pro  tanti  operis  magnitudine:  C.  I.  L.  VI,  1130) 
demolirte,  haben  sich  zu  verschiedenen  Zeiten  ansehnliche  Reste  gefunden : 
so  auch  1888  bei  Anlage  der  neuen  Fontäne  auf  Piazza  Termini,  gegenüber 

(')  Nicht  wie  Zeitschr.  für  Numismatik  XV  S.  211  angegeben  ist,  als 
Schwelle  verbaut  im  Palast  Ludovisi. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  277 

der  Kirche  S.  Maria  degli  Angeli  in  der  Axe  der  Via  Nazionale  {Not.  1888 
p.  60;  Bull,  comun.  1888  p.  ?jQ).  —  Die  Niederreissung  des  Hauptpalastes 
der  ehemaligen  Villa  Massirao  an  Piazza  Termini  hat  zur  Aufdeckung  einer 
der  grossen  Nischen  der  Umfassungsmauer  der  Thermen  geführt  {Not.  1888 
p.  627 ;  Bull,  comun.  1888  p.  414) ;  dass  dieselbe  einen  Hauptteil  der  Fun- 
damente des  1580  von  Domenico  Fontana  erbauten  Palastes  bildete,  war  u.  A. 
schon  aus  NoUi's  Plan  (1748)  ersichtlich. 

Aus  dem  Gebiete  der  Castra  praetoria  kommen  einige  epigra- 
phische Funde :  eine  sehr  verstümmelte  grosse  Ehreninschrift,  vielleicht  an 
Severus  und  Caracalla  {Not.  1888  p.  188  ;  Bull,  comun.  1888  p.  109) ;  ein  der 
Dea  Fortuna  Restitutrix  geweihter  Altar,  dessen  Inschrift  schon  im  Altertum 
zum  Teil  getilgt  war ;  ferner  Eeste  des  Mosaiks  eines  Atrium,  in  der  Nord- 
westecke des  Lagers  {Not.  1888  a.  a.  0.).  Gleichfalls  aus  dem  Prätorianerlager 
stammt  ein  Inschriftenfragment,  welches  Gatti  im  Pflaster  des  Umgangs  der 
Kirche  S.  Vitale  auf  dem  "Quirinal  gefunden  und  durch  glückliche  Conjectur 
mit  einem  seit  über  100  Jahren  im  Vatikan  befindlichen  {C.  I.  L.  VI,  16)  wie 
folgt  vereinigt  hat  {Bull,  comun.  1888  p.  140) : 


NVJWINI    SANCTI    DEI    \AESC 


V  i\ap 


S1^DRINAE    REG    •    PHJIL  I  PP  O  PO  L  I  Ua 
NAE  •  AVR  •  MVCIANvfs  •  SACERDOS    •  MI  ^ 
l    COH  •  X    PR  •  P  •  V  •  G^iRDIANAE    J  S^  v\e 
5         rVS  •  VOTVM    QVODfsVSCEPERAT    LIBEN 
S    SOLVIT  •  CVM    CIVI  BVS    •     ET    COMMIL 
iTONIBVS    •    SVIS   •  vi-   IDVS    MAI   •  IMP  •  G 
OZ-DIANO   •   AVG/U     -ETPOMPE 
i  A  N  c/       •         C  O  S 

Der  Herausgeber  bringt  auch  mit  Recht  die  in  Z.  1.  2  genannte  Gottheit 
zusammen  mit  dem  Asclepius  Zimidrenus  der  Inschrift  C  I.  L.  VI,  2799  (vom 
J.  227  n.  Chr.),  unter  dessen  Verehrern  sich  auch  ein  Prätorianer  der  10*«°  Co- 
horte  M.  Aarelius  Mucianus  civis  PhiUppopolitanus  findet.  In  Zeile  4  hatte  der 
Steinmetz  zuerst  geschrieben  gordiae  r  SVV,  dann  corrigirt  in  gordianae  • 
7  SEV ,  dagegen  das  falsche  vs  für  i  im  Anfang  von  Z.  5  stehen  lassen. 

Ausserhalb  der  Mauern  nicht  weit  von  der  Nordostecke  des  Prätoria- 
nerlagers,  fanden  sich  Reste  umfangreicher  und  glänzender  Privatbauten  aus 
früher  Kaiserzeit,  darunter  besonders  zwei  Säle  mit  wohlerhaltenem  Marmor- 
fussboden.  {Not.  1888  p.  735;  Bull,  comun.  1889  p.  89).  Die  Fortsetzung  der 
Erdarbeiten  für  die  grosse  dort  zu  erbauende  Poliklinik  wird  voraussichtlich 
weitere  Funde  zu  Tage  fördern. 


278 


JAHRESBERICHT    UEBER 


Esquilin. 

Nur  kurz  Erwähnung  gethan  sei  der  Funde  archaischer  Gräber 
in  Via  dello  Statute,  Via  S.  Martino,  Piazza  Vittorio  Emanuele  (i),  welche 
den  städtischen  Sammlungen  Zuwachs  an  den  üblichen  namentlich  bronze- 
nen Grabgeräten,  jedoch  ohne  hervorragende  einzelne  Stücke,  gebracht  haben. 
Für  die  wichtigen  Anfang  1887  gemachten  Funde  von  Votiv-Terracotten  zwi- 
schen den  Titusthermen  und  Via  Merulana ,  welche  die  Localisirung  des  be- 
rühmten Tempels  der  Minerva  Medica  ermöglichen  {Not.  1887 
p.  179.  446;  1888  p.  133;  Bull,  comun.  1887  p.  151.  327;  1888  p.  125  fF. 
699),  wie  für  die  ebendort  gefundene  Weihinschrift  der  magistri  et  flamines 
Montan{orum)  montis  Oppi  (2)  {Not.  1887  p.  177;  ßull.  comun.  1887  p.  156) 
kann  auf  Richters  Referat  (Topogr.  p.  184)  verwiesen  werden. 


(1)  Notizie  1887  p.  372.  373.  534.  1888  p.  59.  132.  699 ;  Bull,  comun. 
1887  p.  278.  328. 

(2)  Ich  bemerke  nur,  dass  das  Original  des  Steines  bestätigt,  was  das 
Facsimile  {Bull,  comun.  1887  tav.  VIII)  vermuten  lässt,  das  nämlich  der 
Schriftcharakter  keineswegs  ein  besonders  altertümlicher  ist :  ständen  nicht 
innere  Gründe  im  Wege,  so  würde  man  geneigt  sein,  unter  die  von  Mommsen 
St.  R.  HI,  1  p.  Vni  vermutungsweise  gegebene  Ansetzung  auf  ciceronische 
Zeit  um  ein  halbes  Jahrhundert  herunter  zu  gehen. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  279 

Im  Gebiet  der  Villa  Wolkonsky  sind  bei  Durchlegung  einer  neuen 
Strasse  östlich  von  Via  Emanuele  Filiberto,  etwa  100  m.  nördlich  vom 
Aquaeduct  der  Aqua  Claudia  antike  Gräber  aus  dem  Beginn  der  Kai- 
serzeit, an  der  zum  Teil  mit  ihrem  Pflaster  wohl  erhaltenen  Via  L  a  b  i- 
cana  {Not.  degli  scavi  1888  S,  624.  679;  1889  p.  12)  gefunden.  Eins  der- 
selben, aus  Tuffquadern  erbaut,  im  Inneren  2,65  m.  im  Quadrat  messend,  zeigte 
noch  Reste  seiner  Decoration :  die  Thür  mit  0.65  weiter  Oeffnung  hatte  zwei 
Pfosten  aus  Travertin  von  40X40  cm. ;  das  Thürgewände  (einfach  profilirle 
Leiste),  der  Sturz  (mit  Ohren)  bewahrten  ihren  Ueberzug  mit  feinem  weissem 
Stuck,  auf  welchen  zwei  hellrote  und  eine  gelbe  Linie  dem  Laufe  der  Profile 
fjlgten.  Die  Wand  dem  Eingang  gegenüber  hatte  auf  weissem  Stuck  sehr 
verloschene  Malereien :  einen  Mittelbau  mit  Giebel,  daneben  r.  u.  1.  in  halber 
Höhe  zwei  rechteckige  Felder  mit  Delphinen.  Ein  anderer  Grab  aus  grossen 
Tuffblöcken,  zeigte  dorische  Architektur,  Thürpfosten  und  Oberschwelle  aus  Tra- 
vertin, letztere  mit  der  Inschrift  in  •  fronte  •  p  •  xxvm  •  in  •  agro  •  p  •  xx 
{N'ot.  1888  p.  624,  von  mir  nur  zum  Teil  gesehen).  Die  Gräber  haben  wegen  ihrer 
tiefen  Lage,  mehr  als  5  m.  unter  dem  Niveau  der  Villa  Wolkonsky ,  wie- 
der verschüttet  werden  müssen.  Unter  den  gefundenen  Inschriften  bietet  topo 
graphisches  Interesse  die  eines  1/.  Octavius  M.  l.  Attalus  centonar(ius)  a 
turre  Mamilia.  Der  Mamilierturm  in  der  Subura  war  bisher  nur  aus  der 
berühmten  Stelle  des  Festus  (p.  178)  über  die  Opferung  des  Oktoberrosses 
bekannt.  —  lieber  die  Reste  einer  sehr  alten  hier  gefundenen  Wasserleitung 
8.  0.  S.  235. 

Zu  den  früher  in  der  Gegend  der  Scala  Santa  gefundenen  Denkmälern 
der  e  qui  t  e  s  s  in  g  ul  ar  e  s,  durch  welche  die  Lage  der  Kaserne  dieser 
Truppe  flxirt  wird,  tritt  folgendes  neue,  aus  der  früheren  Villa  Giustiniani  bei 
Via  Merulana  {Ä''ot.  1889  p.  66;  Bull  comun.  1889  p.  145):  pro  salute  \  eq. 
sing.  I  genio  turmes  |  Herculi  sancto  \  Aur.  Hermogenes  \  et  {V'\ibius  Sali- 
nus  I  et  Aur.  Maximianus  \  tec[t]ores  n.  s.  s.  f.  \  Maximi  ex  votum  |  tu[r]- 
malibus  bene  \  mer[e]ntes  animo  |  animo  (sie)  pleno  \  posuerunt  \  columna  et  | 
lucerna  aenea  \  Decio  Aug.  \  II  et  Grato  cos.  Z.  8.  9  liest  der  Herausgeber 
Gatti  tec[t]ores  n{umeri)  s{upra)  s{cripti)  lt]iurma)  Maximi,  und  macht  auf 
den  befremdlichen  Umstamd  aufmerksam,  dass  tectores  als  militärische  Charge 
bisher  in  ächten  Inschriften  nicht  nachzuweisen  waren,  wohl  aber  in  mehreren 
Ligorianischen  Fälschungen  {C.  I.  L.  VI,  688*.  1788*.  X,  73*;  XIV,  104*) 
vorkommen.  Es  ist  wohl  möglich,  dass  Ligorius  zu  diesen  Erfindungen  durch 
eine  ihm  bekannte,  jetzt  nicht  mehr  nachzuweisende  Inschrift  veranlasst  wurde. 

Das  Isis-Heiligtum,  welches  der  dritten  augustischen  Region  den 
Namen  gegeben  hat  Q),  ist  schon  von  Frühern  unweit  der  Kirche  SS.  Pietro 

(^)  Parisotti  ricerche  sul  cullo  cflside  e  Serapide  in  Roma  (studj  e 
documenti  di  storia  e  diritto  1888  p.  43-55)  geht  auf  die  topographischen 
Fr.igen  nicht  näher  ein. 


280  JAHRESBERICHT    ÜEBER 

e  Marcellino  gesucht  worden;  eine  neue  Stütze  erhält  diese  Ansicht  durch 
Statuen-  und  Inschriftenfunde.  Beim  Abreissen  einer  fast  ganz  aus  antiken 
Marmorbruchstücken  gebauten  mittelalterlichen  Mauer  zwischen  den  Titus- 
thermen  und  der  genannten  Kirche,  etwa  200  m.  von  letzterer,  fand  man  zahl- 
reiche Fragmente,  welche  nach  Stil  und  Darstellung  aus  dem  Isis-Heiligtume 
stammen  müssen,  darunter  nicht  weniger  als  vier  Isisköpfe  und  einen  Sera- 
piskopf [Not.  1887  p.  140;  C.  L.  Visconti  Bull,  comun.  1887  p.  132  ff.).  Die 
meisten  Fragmente,  z.  Z.  im  sogen.  Auditorio  di  Me:enate  aufbewahrt,  er- 
warten noch  ihre  Zusammensetzung.  —  Aus  derselben  Gegend  kommt  eine 
Weihinschrift,  gefunden  beim  Anlegen  der  Kloake  der  neuen  Via  Labicana : 
hidi  Lydiae  \  educatrici  \  valvas  cum  \  Anubi  et  ara  \  Mucianus  Aug  \  üb.» 
proc.  {Not.  1888  p.  626 ;  Bull.  1889  p.  37.  38). 

Beste  eines  grossen  Gebäudes,  u.  A.  eine  grosse  Treppe  mit  Marmor- 
stufen  in  2  Läufen,  fand  man  bei  Fortsetzung  der  Via  Galilei  westlich  von 
Via  Merulana  {Not.  1888  p.  222). 

Der  im  16**"  Jahrhundert  neben  S.  Lucia  in  Selci  erhaltene,  von  Pal- 
ladio  im  Grundriss  aufgenommene,  jetzt  fast  verschwundene  Euinencomplex , 
den  die  neueren  Topographen  als  Trajansthermen  bezeichnen  ist,  wie  ich 
in  der  Sitzung  des  Instituts  vom  25*®"^  Januar  1889  dargethan  habe,  vielmehr 
PorticusLiviae  zu  benennen  (s.  o.  S.  78.  79).  Die  a.  a.  0.  erwähnten 
Grundrisse  der  esquilinischen  Thermen  aus  der  Sammlung  Destailleur  hoffe 
ich  bald  an  anderer  Stelle  zu  publizieren ;  über  die  Consequenzen  für  Orien- 
tirung  der  Forma  Urbis  Romae  s.  o.  S.  229. 

In  via  S.  Martine  ai  Monti,  ungefähr  gegenüber  der  Apsis  der  Kirche, 
wurde  bei  der  Fundamentirung  eines  Hauses  etwa,  3  m.  unter  dem  modernen 
Strassenplanum  ein  wohlerhaltenes  Compitalsacellum  aufgefunden 
{Not.  1888  p.  224.  225 ;  Bull:  1888  p.  149).  Gatti,  welcher  über  den  Fund 
ausführlich  Bull.  1888  p.  221-239  gehandelt  hat,  unterscheidet  zwei  Bau- 
schichten :  zu  der  jüngeren  aus  augustischer  Zeit  gehört  eine  Marmorbasis  mit 
der  Inschrift :  Imp.  Caes[ar\  Divi  f.  August{us)  \  pontif.  maccimus  cos.  XI  \ 
tribunicia  potest.  XIIII  |  ex  stipe  quam  populus  Romanus  \  k.  lanuariis 
apsenti  ei  contulit  \  lullo  Antonio  (i)  Africano  Fabio  cos.  \  Mercurio  sacrum. 
Die  Inschrift  reiht  sich  den  früher  auf  dem  Forum  gefundenen  G.  I.  Z.  VI,  456-458 
an :  betreffs  der  Weihung  an  Mercur  erinnert  der  Herausgeber  mit  Recht  an 
den  vicus  sobrius  auf  dem  Esquilin,  in  welchem  dieser  Gott  verehrt  wurde 
(Festus.  p.  397 ;  C.  I.  L.  VI,  9714).  Die  Basis  stand  wie  es  scheint  unter 
freiem  Himmel :  Säulen  und  Gebälkreste,  die  in  der  Nähe  gefunden  sind,  ge- 


(ij  Ueber  diese  für  die  Horazüberlieferung  nicht  unwichtige  Constatirung 
der  wahren  Namensform  des  Sohnes  des  Triumvirn  vgl.  meine  Bemerkungen 
in  der  Berl.  philol.  Wochenschrift  1888  p.  667  ;  Mommsen  Hermes  1888  p.  155; 
Bücheier  Rhein.  Museum  1889  p.  317-319. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  281 

hören  zu  benachbarten  Privatgebäuden.  Die  Basis  ruht  auf  einem  ehemals 
mit  Marmor  verkleideten  Unterbau  aus  grossen  TufFblöcken ;  die  Orientirung 
ist  genau  nach  Süden ;  das  wohlerhaltene  Strassenpflaster  vorn  und  seitlich 
zeigt,  dass  es  sich  in  der  That  um  ein  compitum,  eine  Kreuzung  mehrerer 
Strassen  handelt,  an  deren  Schnittpunkt  sich  ein  ziemlich  geräumiger  Platz 
bildete  (i).  —  Die  Basis  lehnt  sich  rückwärts  an  einen  älteren  Bau  aus  Tra- 
vertinquadern,  dessen  vorderer  Sockel  bei  Aufstellung  des  Augustusmonuments 
durchschnitten  wurde.  Gatti  findet  darin  einen  Kest  des  alten  Argeerheilig- 
tums,  des  sexticeps  der  zweiten  Region  cpud  aedem  lunonis  Lucinae,  ubi 
aeditimus  habere  solet. 

Von  dem  Larenkult  in  derselben  Gegend  legt  auch  eine  an  der  Nord- 
ecke des  Klosters  S.  Lucia  in  Selci  gefundene  sehr  fragmentarische  Inschrift 
Zeugnis  ab,  welche  von  der  Erbauung  oder  Wiederherstellung  eines  den  lares 
Augusti  geweihten  Monuments  durch  Severus  und  Caracalla  203  p.  C.  spricht 
{Not.  1888  p.  389 ;  Bull.  1888  p.  211).  Ebendaher  kommt  ein  Kalenderfrag- 
ment (Apr.  1-3.  18-29.  Mai  1-4),  welches  nach  Gatti's  sehr  wahrscheinlicher 
Vermutung  zu  demselben  Exemplar  gehört  wie  die  nur  aus  Sammlungen  des 
15/16  Jdts.  bekannten,  gleichfalls  bei  S.  Martin  o  ai  Monti  abgeschriebenen 
sog.  Fasti  Esquilini  [C.  I.  L.  vol.  I  p.  310  n.  VII;  vol.  VI  n.  2206). 

Von  der  Compitalcapelle  nur  durch  Strassenbreite  getrennt  liegt  die 
mittelalterliche  Torre  Cantarelli :  neben  dieser  wurden  1888  sehr  alte  Sub- 
structionen  aus  grossen  TufFquadem  aufgedeckt  {Bull,  comun.  1888  p.  394),  und 
weiter  westlich  eine  Mauer  aus  kleinen  rechtwinkligen  Tuffsteinen,  deren  einer 
die  eingeritzte  Inschrift  trägt 

I 

K    •    MA 
•  C  •  VAL    DAT 

Gatti  {Not.  1889  p.  13 ;  Bull.  1889  p.  40)  bezieht  diese  auf  ein  VTeihge- 
schenk  in  dem  berühmten,  am  1*^"  März    dedicirten    Tempel    derluno 

(1)  Auf  die  Regulirung  dieses  Platzes-  bezieht  Gatti  eine  gleichzeitig 
gefundene  Inschrift  (Travertincippus,  am  ursprünglichen  Orte),  welche  er  mit 
Hülfe  von  C.  I.  L.  VI,  1262  wie  folgt  ergänzt : 

imp.  Caesar  augustus 
ex  privKVo  in  publicum 

RESTITVI« 
IN    PARTEM    SINISTRAM    REC^Ö 
5  REGIONE    AD    PROXIM    CIPPMm 

PED    CXLIVS 

et  in  partEiA  •  dextram  recta  regione 

AD  •  PROXIM  •  cippwm 

PED  •  LXXVI 


282  JAHRESBERICHT    ÜKBER 

L  u  f  i  n  a  auf  dem  Esquilin.  Die  Combination  ist  ansprechend,  wenn  auch 
die  Art  der  Anbringung  der  Inschrift  aufiallig  bleibt,  und  die  Annahme  der 
Vermutung  zu  der  Folgerung  führen  muss,  die  bekannte  Inschrift  C.  I.  L.  VI, 
358  (gefunden  etwa  200  m.  davon  auf  der  anderen  Seite  der  Via  S.  Lucia  in 
Selci,  beim  Bau  des  Klosters  der  Oblate  di  S.  Francesco  di  Paola  1763)  sei 
in  einiger  Entfernung  von  ihrem  ursprünglichen  Standorte  zu  Tage  gekommen. 
Gewissheit  kann  erst  die  Fortsetzung  der  Ausgrabungen  bringen. 

Bei  Durchlegung  der  Via  Cavour,  zwischen  den  Kirchen  S.  Francesco 
di  Paola  und  S.  M.  dei  Monti,  fand  man  folgende  in  zwei  Stücke  gebro- 
chene Inschrift :  Flavius  Phüippus  v.  c.  praef.  urbi  \  nymphium  sordium 
squalorem  (sie)  |  foedatum  et  marmorum  nuditate  defor\mem  ad  cultum  pri- 
stinum  revocavit.  Von  derselben  sind  mehrere  Exemplare  bekannt  {C.  VI 
1728  ab) ;  da  eins  derselben  im  16*«"  Jhdt.  unweit  des  Trajansforums,  bei  dem 
Spolia  Christi  genannten  Ort,  abgeschrieben  ist,  vermutet  Gatti  (Not.  1887 
p.  445;  Bull,  comun.  1887  p.  333-335)  die  Lage  des  N'y  mp  h  a  e  um  Phi- 
lipp i  an  der  Südseite  des  Quirinals,  zwischen  piazza  del  Grillo  und  via 
S.  Agata  de'  Goti. 

Die  in  der  Gegend  von  S.  Lorenzo  in  Panisperna  gefundenen  Eeste  von 
Privatbauten  (Badezimmer  mit  Mosaiken,  zum  Teil  von  "künstlerischem  Wert : 
Notizie  1888  p.  437.  492.  728;  Bull,  comun.  1888  p.  263)  haben  kein  allge- 
meineres topographisches  Interesse.  Die  von  Gatti  N'ot.  1888  p.  437  mit  aller 
Reserve  versuchte  Beziehung  auf  die  Thermae  Olympiadis  ist  nicht  eben  wahr- 
scheinlich. 

Der  Tiber  und   die   Brücken. 

Da  der  Flussarm  westlich  der  Insel  erheblich  verbreitert  wird  (von  48 
auf  er.  76  m.),  so  muss  der  Pons  Cestius  (S.  Bartoloraeo)  vollständig  um- 
gebaut werden,  und  ist  die  Abtragung  bis  zum  Wasserspiegel  bereits  vollendet. 
Die  neue  Brücke  wird,  statt  des  einen  Bogens  mit  seinen  zwei  kleinen  Sei- 
tendurchlässen, drei  grosse  Bögen  von  fast  gleicher  Spannung  erhalten.'  Der 
Ingenieur  P.  Bonato,  welcher  in-  den  Annali  della  Societä  degli  ingegneri  e 
degli  architetti  Italiani  [tom.  IV  fasc.  2,  Eom  1889  S.  139-152  und  Taf.  VI- 
VIII,  wonach  unsere  Figuren)  einen  interessanten  Bericht  über  diese  Ar- 
beiten geliefert  hat,  beklagt  die  auf  Veranlassung  der  archäologischen  Com- 
mission  getroffene  Entscheidung,  dass  der  Neubau  des  Mittelbogens  in  den 
alten  Formen  und  mit  dem  alten  Material  erfolgen  solle.  Kaum  ein  Drittel 
der  Bogenquadern  sind  so  erhalten,  dass  sie  beim  Wiederaufbau  verwendet 
werden  können.  Viel  Schuld  trägt  die  von  den  antiken  Architekten  be- 
liebte Construction,  welche,  sei  es  in  der  Absicht  die  Wölbung  im  höchsten 
Grade  zu  sichern,  oder  um  die  Gerüste  für  die  Brückenbogen  während  des 
Baus  möglichst  zu  entlasten,  die  einzelnen  Quadern  durch  ein  complicirtes 
System  bleivergossener  Eisenklammern  verbunden  hatten  (s.  S.  284):  der  Erfolg 


TOPOGRAPHIE    DER    STADT    ROM 


283 


ist  kein  günstiger  gewisen,  da  die  vielen  Löcher  die  Zerstörung  durch  atmo- 
sphärische Einflüsse  begünstigten,  und  die  Last  der  Verbindungen  die  Stabi- 
lität der  Wölbungen  beeinträchtigte,  lieber  die  Fundirung  der  Pfeiler  sind 
Aufschlüsse  gewonnen,  welche,  wie  zu  erwarten  war,  Piranesis  Zeichnung  (Ant. 
di  Roma  tom.  IV  tav.  23.  24)  als  gänzlich  phantastisch  erweisen.  Während 
nach  ihm  die  Pfeiler  auf  einem  Fundament  von  kolossalen  Travertinblöckeil, 
diese  wieder  auf  einem  Pfahlrost  —  der  nicht  weniger  als  26  m.  unter  dem 
Flussbette  läge  —  ruhen,  haben  sich  jetzt  die  Fundamente  schon  in  einer 
Tiefe  von  1,52  unter  Niederwasser  (3,48  ü.  M.)  zu  zeigen  begonnen.  Sie  be- 
stehen aus  Gusswerk,  welches  von  einem  doppelten  Gürtel  (etwa  1,10  m.  breit) 


eingerammter  Eichenpfähle  umgeben  ist:  unmittelbar  darüber  beginnt  die 
Construction  in  Travertin.  Zwischen  den  Quadern  fand  sich  Mörtel  an  kei- 
ner Stelle  verwendet.  Aus  dem  Umstände,  dass  sich  Löcher  zum  Einlassen  von 
Rüstbalken  in  den  Pfeilern  0,70  unter  dem  jetzigen  (durchschnittlichen)  Nie- 
derwasser finden,  schliesst  der  Vf.  auf  eine  (unbedeutende)  Aufhöhung  des 
Flussbetts  seit  der  römischen  Zeit. 

Es  hat  sich  herausgestellt,  dass  die  Restauration  der  Brücke  unter  Gra- 
tian  eine  äusserst  tumultuarische  gewesen  ist.  Unter  den  damals  zum  Aus- 
flicken verwendeten  Materialien  haben  sich  gefunden:  Architekturstücke,  welche 
Lanciani  aus  stilistischen  Gründen  dem  Marcellustheater  rcsp.  den  anschlies- 


286 


JAHRESBERICHT   üEBER 


ist  der  des  ponte  Sisto  nicht  parallel,  sondern  weicht  um  etwa  20°  nach 
Norden  ab,  was  auf  eine  Aenderung  des  Tiberlaufes,  der  früher  weiter  nach 
der  Seite  des  Marsfeldes  ausbog,  schliessen  lässt.  In  der  That  haben  die  Arbei- 
ten für  die  Quaimauern  in  dieser  Gegend  keine  Eeste  von  antiken  Gebäuden 


i^ccax    c^  n.e^.c^/n  ijx/n^  i£>-e.v-^,t^. 


c/fCowi^^'CaJ'  J4^  cCce  "^^/tc^ 


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auf  dem  linken  Ufer,  sondern  nur  Anschwemmungen  von  Flusssand  constatirt : 
Palazzo  Falconieri  und  die  benachbarten  Häuser  sind  deshalb  auf  Ffahlrosten 
erbaut. 

Von  den  sonstigen  in  den  letzten  lahren   zum  Vorschein    gekommenen 
Grenzsteinen  des  Tiberufers  beansprucht  ein  besonderes  Interesse 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  2S7 

der  Not.  degli  scavi  1886  p.  363  und  Bull,  comun.  1887  p.  15  publizirte  : 
[ex  auctoritate  Imp.  Gaes.  Vespasiani  Aug.  ;?.]  m.  tr.  p.  {iiii]  imp.  X  p.p. 
COS.  an  desig.  V  censor  . . .  Dillius  Aponianus  curator  riparum  et  alvei 
Tiberis  [terminajvit  rip.  Veimt.  \r.  r.  prox.  cipp.]  p.  CCCXXXVI,  durch 
die  hier  zum  ersten  Mal  ausgeschriebene  {})  Bezeichnung  des  rechten  Tiber- 
ufers als  ripa  Veientana  (*). 

Die  Verbreiterung  des  Flusses  bei  Ponte  S.  Angelo  würde,  nach  dem 
ministeriellen  Entwurf,  teilweise  Abtragung  und  Neubau  der  Brücke  und 
Demolirung  eines  Teiles  des  Unterbaus  der  Moles  Hadriana  zur  Folge 
haben.  Die  archäologische  Commission  des  Municipiums  hat  sich  gegen 
dieses  Project  ausgesprochen  [Bull,  comun.  1888  S.  129-131),  und  es  bleibt  zu 
hoffen,  dass  es  gelingen  wird,  den  technischen  Ansprüchen  zu  genügen,  ohne 
die  einzige  noch  ziemlich  erhaltene  antike  Brücke  Koms  in  ihrem  Bestände 
zu  gefährden. 

Das  rechte  Tiberufer. 

Auf  den  früheren  Pr  ati  d  i  Gast  e  Ho  haben  die  Erdarbeiten  für 
den  neuen  Justizpalast  begonnen ;  über  die  dort  gemachten  Funde  und  den 
Bauzustand  der  Gegend  im  Allgemeinen  berichtet  Lanciani  Bull,  comun.  1889 
S.  173  ff..  Demzufolge  bezeichnet  eine  Linie  in  der  Axe  des  neuen  Palastes 
annähernd  die  Grenze  zwischen  den  kaiserlichen  Bauten  {horti  Domitiae)  welche 
sich  hinter  der  Moles  Hadriani  erstreckten ,  und  den  Privatvillen.    Auf  dem 


(1)  Wahrscheinlich  ist  sie  auch  zu  verstehen  auf  dem  früher,  gleichfalls 
unterhalb  des  Gartens  der  Farnesina,  gefundenen  Cippus  {Not.  degli  scavi  1880 
p.  142)  des  Severus  und  Caracalla  (des  einzigen  von  dieser  Termination  erhal- 
tenen) wo  es  heisst :  terminos  vestustate  dilapsos  exaltavit  et  restituit  r{ipa) 
V(eientana) . .  lius  Valerius  Macedo  curator  alvei  Tiberis  et  riparum  et  ctoa- 
car.  urbis. 

C)  Die  Thatsache,  dass  im  ersten  und  zweiten  Jahrhundert  n.  Chr.  das 
rechte  Tiberufer  «  der  Vejantaner  Quai »  hiess,  fällt  vielleicht  ins  Gewicht 
für  die  Erklärung  der  bekannten  Horazstelle  I,  2,  6:  Vidimus  flavum  Tibe- 
rim  retortis  litore  Etrusco  violenter  undis  ire  deiectum  monumenta  regis 
templaque  Vestae.  Die  meisten  Ausleger  verstehen  litus  Etruscum  von  der  Mee- 
resküste und  retortis  undis  von  dem  Eückstau  an  der  Mündung.  Ganz  abge- 
sehen davon,  ob  letztere  Theorie  möglich  ist  (Nissen  Italische  Landeskunde 
1,  322),  darf  man  wohl  fragen :  werden  die  Wasser  des  Tiber  litore  zurück- 
geworfen, wenn  sie  bei  starkem  Scirocco  nur  langsam  sich  ins  Meer  ergiessen 
können  ?  ist  es  richtig  an  der  Tibermündung  von  litus  Etruscum  zu  reden  ?  und 
vor  allem  wird  der  Zuschauer,  der  beim  Hochwasser  die  Tiberwellen  am  rechten 
Ufer  anschlagen  sieht,  und  gewärtig  sein  muss,  sie  baldigst  an  den  gefahr- 
detsten  Stellen  —  zu  Horaz  Zeiten  am  Forum,  heut  beim  Pantheon  und  der 
Ripetta  —  sich  in  die  Stadt  ergiessen  zu  sehen,  dabei  an  die  hydrographi- 
schen Verhältnisse  der  meilenweit  entfernten  Mündung  denken  ?  Mir  ist  diese 
Auffassung  immer  äusserst  unpoetisch  vorgekommen,  während  andrerseits  der 
Gebrauch  von  litus  stalt  ripa  nicht  mehr  als  eine  dem  Dichter  gestattete 
Freiheit  sein  dürfte. 


288  JAHRESBERICHT   UEBER 

erstgenannten  Terrain  finden  sich  ausgedehnte  einheitliche  Anlagen  in  Eeti- 
culat  mit  kostbaren  Marmorresten ;  das  letztere  zeigt  Bauten  aus  später  Zeit  in 
viel  schlechterer  Ausführung.  Eine  Bleiröhre  {Bull,  comun.  1889  p.  212)  trägt 
den  Namen  des  Crispus  Passienus,  wohl  des  Gemahls  der  Domitia,  der  Vaters- 
schwester Neros.  Im  ganzen  Bereich  des  neuen  Quartiers  der  Prati  sind  weder 
gepflasterte  antike  Strassen,  noch  Cloaken,  noch  Eeste  von  städtischen  Wohn- 
gebäuden gefunden.  —  Am  10.  Mai  1889  wurden,  8  ra.  unter  dem  jetzigen 
Boden,  zwei  antike  Sarkophage,  in  die  Erde  eingesenkt  ohne  jegliche  Spur 
eines  oberirdischen  Denkmals,  ausgegraben.  Der  eine  hat  am  Kopfende  die 
Inschrift,  in  sehr  schlechten  ungleichmässig  tiefen  Buchstaben  D  m  |  e  L  0 
CREPEREi*  ö  EVHOD*  ß  (Gcnetiv  aus  Dativ  corrigirt),  der  andere  auf  der  einen 
Schmalseite  des  Deckels,  mit  etwas  besseren  Buchstaben,  den  Namen  e  cre- 
PEREIA  CS  TRYPHAENA ,  darunter  ein  sehr  roh  gearbeitetes  Relief  (die  Todte 
mit  zwei  Trauernden,  wohl  den  Eltern).  Der  Sarkophag  enthielt  den  Goldschmuck 
der  Verstorbenen  (Kranz;  drei  Fingerringe,  davon  einer  mit  dem  Namen 
FILETVS,  einer  mit  zwei  verschlungenen  Händen;  zwei  Ohrringe;  eine  Gürtel- 
schnalle mit  Amethystgemme :  Greif  eine  Hirschkuh  verfolgend ;  eine  Halskette), 
ferner  eine  Puppe  aus  Eichenholz,  30  cm.  hoch,  von  guter  Arbeit,  mit  zwei 
Miniatur-Fingerringen,  die  Haartracht  etwa  die  der  älteren  Faustina  (vgl.  Lan- 
ciani  u.  Castellani  im  Bull,  comun.  1889  S.  173-180,  wo  auf  Tf.  VIII  diese  und 
noch  einige  weniger  bedeutende  Objecte  in  Lichtdruck  wiedergegeben  sind). 

Zwischen  Ponte  di  Ripetta  und  Via  Reale  wurden  im  Mai  1888  Reste 
einer  Villa  aus  guter  Zeit  (Reticulat),  u.  a.  ein  Saal  mit  schönem  Marmorfuss- 
boden  aufgedeckt;  doch  gestattete  dier  Ortlichkeit  und  der  hohe  Wasserstand 
keine  Fortsetzung  der  Ausgrabung.  Unter  den  gefundenen  Kunstwerken  ver- 
dient eine  weibliche  Figur  in  halber  Lebensgrösse  (Haltung  der  sog.  Pudi- 
citia)  wegen  der  wotlerhaltenen  Bemalung  (roter  Mantel  mit  violettem  clavus) 
erwähnt  zu  werden.  (Bull,  comun.  1889  p.  174;  Beschreibung  mit  Plan  von 
D.  Marchetti  in  den  Notizie  degli  scavi  1889  p.  188-189). 

Am  laniculum  ist  zwischen  Palazzo  Salviati  und  Salita  S.  Onofrio 
ein  Grab  aufgedeckt,  nach  der  Beschreibung  Not.  1888  S.  499  aus  später  Zeit. 
Die  Ziegelstempel  (Marini  459  vom  J.  130 ;  Mar.  335.  388  vom  J.  123)  lehren 
über  die  Zeit  nichts. 


Im  eigentlichen  Trastevere  sind  die  Funde,  trotz  der  grossen  Erd- 
bewegungen bei  Anlage  der  neuen  Quartiere,  spärlich.  An  der  Ecke  von 
Piazza  S.  Callisto  und  Vicolo  della  Cistema  wurde  eine  sehr  zerstörte  Inschrift 
gefunden,  welche  in  26  Zeilen  das  Statut  eines  Handwerkercollegiums  enthält, 
aber  nicht,  wie  der  Herausgeber  Borsari  (Not.  1887  p.  17;  Bull  1887  p.  3-7) 
gelesen  hat,  der  Gerber  und  Citronenhändler,  corariorum  et  citriariorwn, 
sondern  der  Elfenbeinarbeiter  und  Kunsttischler,   eborariorum   et   citriario. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  289 

rum  (1).  Damit  fällt  die  von  B.  aufgestellte  Corabination  mit  den  im  Cu- 
riosnm  genannten  coraria  Septimiana  der  14**"  Region.  Gleichzeitig  zu  Tage 
gekommen  sind  Architekturreste  (Kapitelle,  Gesimse,  Säulenfragmente),  viel- 
leicht von  dem  in  der  Urkunde  öfter  genannten  tetrastylum. 

Eine  in  der  Campagna,  15  Miglien  vor  Porta  del  Popolo  an  der  Via 
Clodia  gefundene  Inschrift  muss  hier  erwähnt  werden  wegen  der  in  ihr  ge- 
nannten Anlagen  des  Augustus  in  Trastevere.  Der  Stein,  in  eine  spätere  Was- 
serleitung verbaut  und  auf  allen  Seiten  unvollständig,  besagt : 


fc 


'  AVGVSTVS 
O  N  T  I  F    •      MAX 
JVIAM  •  MENTIS  •  ATTRIB 
IVO  •  AQVAE  •  AVGVSTAE 
VAE    PERVENIT    •    IN 
N  EMVS  •   CAESAR VM 
EX  •  EO  •  RIVALIBVS  •  QVI 
VCCINAM-ACCIPIEB 


Das  nemus  Caesarum,  bekannt  aus  Mon.  Ancyr.  4,  44  (vgl.  Moramsen 
Res  Gestae  D.  A.]^.  95),  Sueton  Aug.  43,  Tacit.  Ann.  14,  15  (2),  umgab  die 
Naumachie  des  Augustus  bei  S.  Francesco  a  Ripa ;  stadtrömische  Inschriften 
hatten  sie  bisher  nicht  erwähnt.  Auf  die  Ergänzung  der  Inschrift  im  Einzelnen 
kann  nicht  eingegangen  werden ;  für  den  Schluss  hat  Barnabeis  {Not.  degli 
scavi  1887  p.  186)  Ergänzung  et]  ex  eo  rivalibus  qui  [jper  h]uccinam  acci- 
pieb\ant  aquam  perennem  dedit]  d.  h.  statt  stundenweiser  Zumessung  dauernde 
Gewährung,  den  Sinn  wohl  getroffen  (obschon  die  Orthographie  buccina  auf- 
fallig ist),  doch  müssen  die  Lücken  zu  Anfang  und  Ende  der  Zeilen  erheblich 
grösser  gewesen  sein.  Dass  (Z.  1.  2)  Augustns  in  einer  öffentlichen  Inschrift 
einzig  den  Titel  pontif.  maximus  geführt  habe,  wie  B.  annimt,  ist  schwer 
glaublich :  eher  könnte  der  Pontifikat  (was  sehr  selten,  aber  nicht  beispiellos 
ist ;  Mommsen  St.  R.  11*  p.  783  Ann.)  in  der  Titelreihe  nicht  die  erste 
Stelle  eingenommen  haben.  Auch  Z.  5.  6  scheint  quae  pervenit  in  ne- 
mus Caesarum  ohne  Erwähnung  der  Stadt  oder  der  Naumachie  bedenklich, 


(1)  Bekannt  sind  als  Luxusmöbel  die  monopodia  mit  Citrusplatte  und 
Fuss  aus  Elfenbein  :  Friedlaender  zu  Martial  2,43.  Eine  Publikation  des  in- 
teressanten Dokuments  nach  berichtigter  Lesung  ist  in  der  Zeitschrift  für 
geschichtliche  Rechtswissenschaft  zu  erwarten. 

(2)  Die  von  Mommsen  a.  a.  0.  citirte  Stelle  Strabo  13,  1,  19  p.  590 
wird  nicht  hierhergehören,  da  sie  zwar  von  der  Aufstellung  eines  Lysippischen 
Werkes  cV  tw  aXaei  rw  fisxa^v  xijg  Ufxprjg  xal  rov  si'qltjov  spricht ,  aber 
durch  Agrippa,  also  mindestens  10  lahre  vor  Einrichtung  der  Naumachie. 


288  JAHRESBERICHT   UEBER 

erstgenannten  Terrain  finden  sich  ausgedehnte  einheitliche  Anlagen  in  Eeti- 
culat  mit  kostbaren  Marmorresten ;  das  letztere  zeigt  Bauten  aus  später  Zeit  in 
viel  schlechterer  Ausführung.  Eine  Bleiröhre  {ßull.  comun.  1889  p.  212)  trägt 
den  Namen  des  Crispus  Passienus,  wohl  des  Gemahls  der  Domitia,  der  Vaters- 
schwester Neros.  Im  ganzen  Bereich  des  neuen  Quartiers  der  Prati  sind  weder 
gepflasterte  antike  Strassen,  noch  Cloaken,  noch  Reste  von  städtischen  Wohn- 
gebäuden gefunden.  —  Am  10.  Mai  1889  wurden,  8  m.  unter  dem  jetzigen 
Boden,  zwei  antike  Sarkophage,  in  die  Erde  eingesenkt  ohne  jegliche  Spur 
eines  oberirdischen  Denkmals,  ausgegraben.  Der  eine  hat  am  Kopfende  die 
Inschrift,  in  sehr  schlechten  ungleichmässig  tiefen  Buchstaben  D  M  |  ts  l  e 
CREPEREi*  o  EVHOD*  es  (Genetiv  aus  Dativ  corrigirt),  der  andere  auf  der  einen 
Schmalseite  des  Deckels,  mit  etwas  besseren  Buchstaben,  den  Namen  e  cre- 
PEREIA  ß  tryphaena  ,  darunter  ein  sehr  roh  gearbeitetes  Relief  (die  Todte 
mit  zwei  Trauernden,  wohl  den  Eltern).  Der  Sarkophag  enthielt  den  Goldschmuck 
der  Verstorbenen  (Kranz;  drei  Fingerringe,  davon  einer  mit  dem  Namen 
FILETVS,  einer  mit  zwei  verschlungenen  Händen;  zwei  Ohrringe;  eine  Gürtel- 
schnalle mit  Amethystgemme :  Greif  eine  Hirschkuh  verfolgend ;  eine  Halskette), 
ferner  eine  Puppe  aus  Eichenholz,  30  cm.  hoch,  von  guter  Arbeit,  mit  zwei 
Miniatur-Fingerringen,  die  Haartracht  etwa  die  der  älteren  Faustina  (vgl.  Lan- 
ciani  u.  Castellani  im  ßull.  comun.  1889  S.  173-180,  wo  auf  Tf.  VIII  diese  und 
noch  einige  weniger  bedeutende  Objecte  in  Lichtdruck  wiedergegeben  sind). 

Zwischen  Ponte  di  Ripetta  und  Via  Reale  wurden  im  Mai  1888  Reste 
einer  Villa  aus  guter  Zeit  (Reticulat),  u.  a.  ein  Saal  mit  schönem  Marmorfuss- 
boden  aufgedeckt;  doch  gestattete  dier  Ortlichkeit  und  der  hohe  Wasserstand 
keine  Fortsetzung  der  Ausgrabung.  Unter  den  gefundenen  Kunstwerken  ver- 
dient eine  weibliche  Figur  in  halber  Lebensgrösse  (Haltung  der  sog.  Pudi- 
citia)  wegen  der  wotlerhaltenen  Bemalung  (roter  Mantel  mit  violettem  clavus) 
erwähnt  zu  werden.  {Bull,  comun.  1889  p.  174;  Beschreibung  mit  Plan  von 
D.  Marchetti  in  den  Notizie  degli  scavi  1889  p.  188-189). 

Am  laniculum  ist  zwischen  Palazzo  Salviati  und  Salita  S.  Onofrio 
ein  Grab  aufgedeckt,  nach  der  Beschreibung  Not.  1888  S.  499  aus  später  Zeit. 
Die  Ziegelstempel  (Marini  459  vom  J.  130;  Mar.  335.  388  vom  J.  123)  lehren 
über  die  Zeit  nichts. 


Im  eigentlichen  Trastevere  sind  die  Funde,  trotz  der  grossen  Erd- 
bewegungen bei  Anlage  der  neuen  Quartiere,  spärlich.  An  der  Ecke  von 
Piazza  S.  Callisto  und  Vicolo  della  Cistema  wurde  eine  sehr  zerstörte  Inschrift 
gefunden,  welche  in  26  Zeilen  das  Statut  eines  Handwerkercollegiums  enthält, 
aber  nicht,  wie  der  Herausgeber  Borsari  (Not.  1887  p.  17;  Bull.  1887  p.  3-7) 
gelesen  hat,  der  Gerber  und  Citronenhändler,  corariorum  et  citriariorum, 
sondern  der  Elfenbeinarbeiter  und  Kunsttischler,   eborariorum   et   citriario. 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  289 

rum  {}).  Damit  fällt  die  von  B,  aufgestellte  Corabination  mit  den  im  Cu- 
riosum  genannten  coraria  Septimiana  der  14**"  Region.  Gleichzeitig  zu  Tage 
gekommen  sind  Architekturreste  (Kapitelle,  Gesimse,  Säulenfragmente),  viel- 
leicht von  dem  in  der  Urkunde  öfter  genannten  tetrastylum. 

Eine  in  der  Campagna,  15  Miglien  vor  Porta  del  Popolo  an  der  Via 
Clodia  gefundene  Inschrift  muss  hier  erwähnt  werden  wegen  der  in  ihr  ge- 
nannten Anlagen  des  Augustus  in  Trastevere.  Der  Stein,  in  eine  spätere  Was- 
serleitung verbaut  und  auf  allen  Seiten  unvollständig,  besagt : 


fc 


'  AVGVSTVS 
O  N  T  I  F    •      MAX 


IVO  •  AQVAE  •  AVGVSTAE 
VAE    PERVENIT    •    IN 
N  EMVS  •   CAESAR VM 
EX  •  EO  •  RIVALIBVS  •  QVl 
VCCINAM'ACCIPIEB 


Das  nemus  Caesarum,  bekannt  aus  Mon.  Ancyr.  4,  44  (vgl.  Moramsen 
Res  Gestae  D.  A.  p.  95),  Sueton  Aug.  43,  Tacit.  Ann.  14,  15  (2),  umgab  die 
Naumachie  des  Augustus  bei  S.  Francesco  a  Ripa ;  stadtrömische  Inschriften 
hatten  sie  bisher  nicht  erwähnt.  Auf  die  Ergänzung  der  Inschrift  im  Einzelnen 
kann  nicht  eingegangen  werden ;  für  den  Schluss  hat  Barnabeis  [Not.  degli 
scavi  1887  p.  186)  Ergänzung  et]  ex  eo  rivalibus  qui  [jper  b]uccinam  acci- 
pieh\ant  aquam  perennem  dedit]  d.  h.  statt  stundenweiser  Zumessung  dauernde 
Gewährung,  den  Sinn  wohl  getroffen  (obschon  die  Orthographie  buccina  auf- 
fällig ist),  doch  müssen  die  Lücken  zu  Anfang  und  Ende  der  Zeilen  erheblich 
grösser  gewesen  sein.  Dass  (Z.  1.  2)  Augustus  in  einer  öffentlichen  Inschrift 
einzig  den  Titel  pontif.  maximus  geführt  habe,  wie  B.  annimt,  ist  schwer 
glaublich :  eher  könnte  der  Pontifikat  (was  sehr  selten,  aber  nicht  beispiellos 
ist ;  Moramsen  St.  R.  11'  p.  783  Ann.)  in  der  Titelreihe  nicht  die  erste 
Stelle  eingenommen  haben.  Auch  Z.  5.  6  scheint  quae  pervenit  in  ne- 
mus Caesarum  ohne  Erwähnung  der  Stadt  oder  der  Naumachie  bedenklich, 


(1)  Bekannt  sind  als  Luxusmöbel  die  monopodia  mit  Citrusplatte  und 
Fuss  aus  Elfenbein  :  Friedlaender  zu  Martial  2,43.  Eine  Publikation  des  in- 
teressanten Dokuments  nach  berichtigter  Lesung  ist  in  der  Zeitschrift  für 
geschichtliche  Rechtswissenschaft  zu  erwarten. 

(2)  Die  von  Mommsen  a.  a.  0.  citirte  Stelle  Strabo  13,  1,  19  p.  590 
wird  nicht  hierhergehören,  da  sie  zwar  von  der  Aufstellung  eines  Lysippischen 
Werkes  eV  tw  uXaei,  rw  (xetu^v  xrjg  Xifxvrjg  xai  rov  svqinov  spricht ,  aber 
durch  Agrippa,  also  mindestens  10  lahre  vor  Einrichtung  der  Naumachie. 


290  JAHRESBERICHT    UEBER 

und  Z.  3.  4  formam  mentis  attrib'uit)  in  rivo   aquae  Augustae  bleibt  mir 
trotz  des  Citats  aus  Vitruv  (4,  3,  6  mentum  =  Hängeplatte)  dunkel. 

Die  Anlage  der  neuen  Eisenbahnstation  in  Trastevere  samt  ihrer  der 
Via  Portuensis  folgenden  Zufahrtslinie  hat  eine  Anzahl  von  Funden  her- 
beigeführt, welche  hier  erwähnt  werden  mögen,  obwohl  sie  eigentlich  schon 
über  die  Grenzen  dieses  Berichtes  hinausgreifen.  Dass  in  dem  Gebiet  dier 
horti  Caesaris  (Vigna  Bonelli)  Kultusstätten  für  orientalische  Lichtgot- 
theiten (Belus ;  Juppiter  Beellefarus)  sich  befanden,  war  aus  früheren  Funden 
bekannt  (vgl.  Marucchi  Bull.  com.  1886  S.  124  ff.).  Dazu  kommt  jetzt  ein 
neues  ebenda  gefundenes  Fragment : 

^I     V     L      1     V     S( 
V    I    C    E    T    V    S 

TO  •  SVSCEPTOi 
PRIMAM  PORTICV/ 
OLIS  •  CVM  •  MARJWORIbI 
OPERE  NOVO  •  AMPLIa/ 
NTIS  •  INCHOATIs  •  SV 
A  •  A  SOLO  •  RESTITVIT 
^    ATORVJA    PONTIFICV 


Über  welcher  Borsari  {Notizie  1887  p.  144;  Bull,  comun.  1887  S.  90-95) 
handelt.  Er  bemerkt  treffend,  dass  dies  Fragment  zusammenzusetzen  sei  mit 
dem  C.  I.  L.  VI,  2185  gedruckten,  ferner  dass  der  Z.  1.  2  genannte  Julius 
Anicetus  aller  Wahrscheinlichkeit  nach  identisch  ist  mit  dem  C.  1.  L.  VI,  709 
als  Dedicant  einer  Basis  an  den  Sol  Divinus  verkommenden:  er  ergänzt 
denmach  Z.  5  Anf.  cellam  oder  aram  S]oUs.  Mit  ziemlicher  Sicherheit  lassen 
sich  auf  dasselbe  Heiligtum  beziehen  die  Inschriften  C.  I.  L.  VI,  708.  709. 
712.  755.  2269,  deren  Provenienz  zwar  nicht  genauer  bekannt,  die  aber  sämtlich 
zuerst  in  Trastevere  abgeschrieben  sind. 

In  der  Pozzo  Pantaleo  genannten  Gegend  sind  antike  Puzzolangruben 
und  Gräber  aus  der  Kaiserzeit  entdeckt  {Not.  1888  S.  136):  nach  Lanciani 
{Not.  1889  S.  72)  ist  wahrscheinlich  das  ganze  Thal  ein  künstlicher,  durch 
die  sehr  ausgedehnten  Puzzolangruben  bewirkter  Einschnitt. 

Ein  von  Helbig  {Notizie  1888  p.  229)  bekannt  gemachter  Fund  kleiner 
Bronzen  beansprucht  ein  topographisches  Interesse,  welches  noch  höher  sein 
würde  wenn  die  Stelle  des  Fundes  genau  bekannt  wäre.  Es  tauchten  Ende 
des  Jahres  1887  im  römischen  Kunsthandel  zahlreiche  Votivstatuetten  aus 
Bronze  auf,  unter  welchen  Helbig,  der  28  Stück  davon  genau  untersucht  hat, 


TOPOGRAPHIE  DER  STADT  ROM  291 

zwei  verschiedene  Typen  unterscheidet.  Sämtliche  Figuren  sind  männlich.  Die 
einen,  offenbar  griechischer  Import,  ähneln  archaischen  Apollofiguren ;  andere 
einheimischer  Fabrik  tragen  als  charakteristisches  Abzeichen  den  pileus.  Ueber 
die  Provenienz  war  nur  zu  erfahren,  dass  sie  vor  Porta  Portese  gefunden  seien, 
was  auch  durch  die  anhaftenden  Erdspuren  bestätigt  sein  soll.  Heibig  ist 
geneigt,  diese  Figürchen  für  Votive  der  Arvalbrüder  zu  halten,  da  es  unwahr- 
scheinlich sei,  dass  z.  B.  der  Fortuna  nur  Weihgeschenke  von  Männern  ge- 
widmet seien.  Es  darf  aber  wohl  daran  erinnert  werden,  dass  die  Fortuna  an 
der  Via  Portuensis  so  recht  die  Göttin  der  Sklaven  war :  führte  doch  auch 
die  Tradition  die  Gründung  des  Heiligtums  auf  den  guten  König  Servius 
zurück  (Ovid  Fasti  VI,  772  und  die  Ausleger  z.  d.  St.).  Es  wäre  wohl  möglich 
dass  diese  ärmlichen  Votive  von  Sklaven  zum  Dank  für  die  Freilassung  ge- 
stiftet waren :  teils  —  vielleicht  anfänglich  —  bediente  man  sich  beliebiger 
männlicher  Figuren  griechischen  Imports,  dann  fand  sich  auch  die  einheimische 
Kunst  im  Stande,  ähnliche,  und  zwar  mit  dem  charakteristischen  Abzeichen 
der  Freiheit,  dem  pileus,  herzustellen. 

Eom,  August  1889. 

Ch.  Hülsen. 


BIBLIOGEAFIA  POMPEIANA. 


1.  lieber  antike  Steinmetciseichen,  fünfundvierügstes  Programm 
zum  Winckelmanns feste  der  Ärchaeologischen  Gesellschaft  zu 
Berlin^,  von  Otto  Richter,  mit  drei  Tafeln.  Berlin,  Gr.  Rei- 
mer 1885. 

L'autore  tratta  degli  antichi  segni  di  scarpellino  in  sei  capitoli :  1,  dif- 
fusione  dei  segni  suddetti ;  2,  Roma ;  3,  Pompei ;  4,  Perugia  ;  5,  origine  e 
significato  dei  segni ;  6,  la  fortificazione  di  Erice.  A  Pompei  si  riferiscono  i 
capitoli  3  e  5. 

Nel  cap.  3  Tantore  da  Telenco  dei  segni  di  scarpellino  esistenti  a  Pompei, 
divisi  in  tre  classi :  1,  quelli  nel  rauro  di  cinta;  2,  quelli  dei  massi  di  tnfo 
negli  ediflzi  dell'epoca  «  sannitica  »  ;  3,  quelli  dei  marciapiedi.  Soltanto  dei 
primi  alcuni  si  trovano  in  pietra  calcare,  gli  altri  tutti  esclusivamente  nel 
tufo.  La  prima  classe  e  indubitatamente  molto  piü  antica  delle  altre.  Eimane 
ancora  a  studiarsi  il  rapporto  cronologico  fra  la  seconda  e  la  terza :  ambedue 
contengono  segni  desunti  dall'alfabeto  osco  (58.  68a),  e  degli  altri  alcuni  (46. 
47  =  65.  51  =  63.  57.  55  =  58)  ricorrono,  con  esecuzione  un  po'  diversa,  in 
ambedue  le  classi ;  il  n.  50  =  66  non  si  trova  in  alcun  edifizio  che  indubita- 
tamente appartenga  a  quell'epoca. 

La  minore  grandezza  e  profonditä  dei  segni  nei  marciapiedi  non  di- 
pende,  come  crede  l'a.,  dalla  maggiore  durezza  di  quelle  pietre :  una  tale  dif- 
ferenza  non  esiste;  nö  pu6  sostenersi  che  in  tutti  i  casi  di  segni  piü  grandi 
anche  nei  marciapiedi  (68a.  50)  la  pietra  sia  piü  moUe.  Dipende  invece 
dalla  minor  cura  che  si  aveva  nel  lavorar  queste  pietre,  e  forse  i  massi  con 
segni  piü  grandi  e  piü  profondamente  incisi  erano  in  origine  destinati  per 
edifizi.  In  fatto  il  carattere  di  tali  segni  h  quello  della  classe  2%  ed  fe 
perfetta  l'analogia  fra  53  (nli)  e  68a  (rnk),  Si  noti  ancora,  che  il  marciapiede 
sul  lato  0  dei  vico  delle  Terme  h  composto  dei  massi  dei  cornicione  dell'an- 
tico  portico  dei  foro.  Uno  di  essi  ha  i  due  segni  57h,  11  primo  (con  qualche 
aggiunta)  lateralmente,  l'altro  sulla  superficie.  E  quest'ultimo  ö  inciso  anche 
in  un  masso  dei  portico  superiore  dei  foro,  ora  nella  basilica. 


BIBLIOÖRAPIA   POMPEIANA  293 

Poco  potrei  aggiungere  all'elenco  (cap.  3)  dei  segni  esistenti  a  Pompei. 
Dopo  3  deve  inserirsi  un  segno  simile  a  K,  con  qualche  distanza  fra  le  linee 
oblique  (VI  is.  occid.  13,  due  volte,  una  volta  col  segno  17).  Nel  23b  il  segno 
riprodotto  con  linee  sottili  h  moderno.  Del  47  evvi  nel  tempio  di  ApoUino 
un  esemplare  soltanto ;  l'altro  ö  IX.  II  n.  53  ö  assai  rozzamente  inciso ;  un 
segno  simile,  (la  linea  obliqua  ascende  verso  d.;  invece  della  linea  sovraposta 
due  lineette  verticali  sopra  la  superiore  obliqua)  b  inciso  bene  in  uno  dei  massi 
della  trabeazione  dell'adiacente  atrio  n.  21.  II  n.  46  s'incontra  tre  volte  nei 
marciapiedi  (VII,  10  lato  E,  VII,  11  lato  0  e  S),  47  ancbe  in  uno  dei  gradini 
dei  tempio  di  Giove,  55  anche  in  un  capitello  dei  Capitolium  («  tempio  di 
Esculapio  »). 

A  ragione  l'a.  sostiene  (cap.  5)  che  non  sono  segni  di  richiamo  per  la 
coUocazione,  ma  marche  della  cava  o  dello  scarpellino.  Ciö  dimostra  la  stessa 
loro  distribuzione,  e  lo  conferma  il  fatto  che  i  segni  sono  diversi  secondo  lo 
qualitä  della  pietra.  Quest'ultima  osservazione  puö  essere  completata.  L'a.  nc 
parla  a  pag.  33  sg.  E  evidente  che  i  segni  incisi  nella  pietra  calcare  sono 
diflferenti  da  quelli  owii  nel  tufo.  Quanto  a  quest'ultimo,  le  accurate  notizie 
dei  Dressel,  su  cui  si  fonda  l'a.,  non  furono  fatte  con  l'intenzione  di  classi- 
ficare  le  varie  qualitä  di  tufo,  e  perciö  quelle  descrizioni  non  si  escludono  a 
vicenda.  Inoltre,  chi  vuol  classificare  non  deve  teuer  conto  della  differenza 
nei  colori,  giacche  non  mancano  massi  di  cui  una  parte  h  chiara  e  giallastra, 
l'altra  piü  scura  ed  azzurrognola;  e  lo  stesso  vale  per  il  piü  o  raeno  di  cruma. 
Esaminando  attentamente  le  pietre  dei  tratto  di  muro  visibile  incontro  alla 
strada  di  Mercurio,  non  ho  potuto  distinguere  con  qualche  certezza  che  due 
specie  di  tufo.  l'una  con  pezzi  piü  grandi,  l'altra  con  pezzi  piccoli  di  cruma. 
Di  quella  e  composta  la  parte  superiore,  di  questa  l'inferiore ;  s'incontrano 
nel  sesto  strato,  contando  da  sopra.  Ora  i  segni  20.  25.  26.  27.  29.  30.  32  si 
trovano  esclusivamente  nella  prima,  i  nn.  21.  22.  23.  24  esclusivaraente  nella 
seconda ;  e  si  noti  che  fra  questi  undici  segni  son  compresi  tutti  quelli  di  cui 
vi  sono  molti  esemplari.  Per  gli  altri  non  sono  arrivato  ad  un  risultato  ben 
chiaro. 

NuUa  di  simile  ho  potuto  osservare  nei  massi  degli  edifizi.  Riguardo 
poi  ai  marciapiedi,  h  degno  di  nota  che  dei  due  segni  che  per  il  numero 
degli  esemplari  superano  di  gran  lunga  tutti  gli  altri,  l'uno  (57)  h  inciso  quasi 
sempre  in  un  tufo  che  da  un  poco  nell'azzurrognolo,  l'altro  (58)  in  un  tufo 
piü  giallastro. 

L'a.  nulla  sa  dirci  di  ben  sicuro  o  di  molto  probabile  intorno  a  quei 
massi  che  portano  piü  d'un  segno.  (p.  41  seg.)  Rigetta  l'opinione  che  i  pic- 
coli segni  (specialmente  il  n.  17)  siano  quelli  della  cava,  quei  piü  grandi,  ai 
quali  sono  aggiunti,  quelli  dei  singoli  lavoranti  ivi  occupati,  perchö,  dice  egli, 
i  segni  aggiunti  s'incontrano  indistintamente  su  tutte  le  specie  di  tufo.  Debbo 
osservare  perö,  che  incontro  alla  strada  di  Mercurio  il  segno  17  si  trova 
quasi  esclusivamente  au  pietre  della  seconda  specie  e  congiunto  coi  segni  di 
essa.  Una  sola  volta  (n.  26)  si  trova  con  un  segno  della  prima  specie.  Ciö 
contradice,  mi  pare,  all'ipotesi  accennata  dall'autore  (p.  42),  che  cioh   questi 


294  BIBLIOGRAPIA   POMPEIANA 

segni  aggiunti  siano  marche  di  controUo,  apposte  alle  pietre  consegnate  sul 
luogo  della  fabbrica,  e  fa  supporre  che  anch'essi  appartengano  alla  cava. 
Qnanto  perö  al  loro  significato,  non  so  indovinarlo  neppure  io. 

2.  W.  Deecke.  Bemerkungen  über  Bau  und  Pflastermaterial  in 
Pompeji  (in  Mittheilungen  des  naturwiss.  Vereines  für  Neu- 
vorpommern und  Rügen  zu  Greif swaldj  1886  p.  61  sgg.). 

L'autore,  figlio  del  noto  indagatore  della  lingua  etrusca,  h  geologo  e 
dobbiamo  essergli  grati  di  avere  intrapreso  una  ricerca  di  interesse  esclusi- 
vamente  archeologico. 

Paria  delle  pietre  adoperate  in  Pompei,  ed  in  primo  luogo  della  lava. 
Dice  che  nei  muri  lava  compatta  non  si  trova  che  sporadicamente.  Ciö  che 
nelle  descrizioni  degli  edifizi  (basilica,  teatri)  si  chiama  lava,  non  essere  che 
scoria,  presa  dagli  strati  superiori  e  meno  compatti  delle  lave :  i  Pompeiani 
cioh,  secondo  l'a.,  per  fondare  gli  edifizi  sulla  lava  compatta,  rimovevano  prima 
la  scoria  e  se  ne  servivano  per  le  costruzioni  stesse. 

Non  credo  che  i  Pompeiani  avessero  tanta  cura  delle  fondamenta.  Dietro 
la  basilica  son  visibili,  in  un  cavo  modemo,  quelle  di  un  grosso  muro  (pa- 
rallelo  all'attuale  museo) :  non  ostante  la  straordinaria  profonditä  di  circa 
m.  3,20  distano  ancora  circa  m.  0,80  dalla  scoria.  Quelle  della  basilica,  per 
poggiare  su  d'essa,  dovrebbero  aver  la  profonditä  affatto  incredibile  di  m.  5 
airincirca.  Lo  strato  di  terra  che  cuopre  la  lava  h  tenue  sul  declivio,  presso 
i  teatri,  ma  ciö  nuUa  prova  per  il  rimanente,  ove  non  v'ö  occasione  di  veri- 
ficarne  l'altezza.  Quanto  al  fatto  stesso,  che  cioö  il  materiale  p.  es.  della  ba- 
silica, duro,  compatto  e  pesante,  sia  scoria,  confesso  di  non  esser  pienamente 
convinto,  e  vorrei  che  fosse  nuovamente  esarainato  sia  dall'autore  stesso,  sia 
da  altri  esperti.  —  Oltre  la  pompeiana  l'a.  distingue  tre  altre  varietä  di  scoria, 
secondo  il  prevalere  dell'augite  o  del  leucite. 

Della  lava  compatta  egli  distingue  sei  specie  vesuviane,  ma  non  prove- 
nienti  dalla  collina  stessa  di  Pompei :  1,  quella  del  selciato ;  2,  quella  dello 
zoccolo  del  tempio  di  Giove ;  3,  quella  della  scala  addossata  all'angolo  SE 
della  basilica ;  4,  quella  delle  soglie  e  delle  lastre  che  portano  i  puteali ; 
5,  una  lava  che  sembra  macchiata  a  causa  dei  molti  (e  grandi)  augiti ;  6,  quelle 
dei  molini  (piü  recenti). 

Non  posso  permettermi  un  giudizio  sulla  giustezza  di  tali  distinzioni. 
Mi  par  certo  perö  che  il  n.  2  sia  o  scoria  pompeiana,  quäle  si  vede  sotto  il  foro 
triangolare,  o  lava  d'uno  strato  vicinissimo  ad  essa.  Le  diflferenze  fra  le  lave 
1,  3  e  4  sfuggono  all'occhio  mio,  e  vedo  che  non  le  distingue  neanche  il 
comm.  M.  Ruggiero,  il  quäle  prima  del  Deecke  ha  parlato  —  pur  troppo  in  modo 
assai  succinto  —  delle  lave  di  Pompei  (i):  egli  ritiene  che  le  lave  1.  3  e  4  siano 

{})  Della  eruzione  del  Vesuvio  nell'anno  79,  nel  libro :  Pompei  e  la  re- 
gione  sotterrata  dal  Vesuvio  nell'a.  79  a.  C,  Napoli  1879,  pag.  5  segg. 


BIBLIOGRAFIA   POMPEIANA  295 

quella  compalta  della  coUina  di  Pompei,  quäle  6  visibile  nel  teatro  minore ; 
ed  in  fatto,  l'aspetto  esterno  h,  per  l'occhio  mio,  identico.  Certezza  non  potra 
aversi  che  da  esarai  microscopici,  che  il  sig.  Deecke  non  ha  potuto  fare.  In- 
tanto  Credo  utile  di  indicar  brevemente,  in  quäl  modo  le  lave  di  Porapei  si 
presentano  a  chi  non  h  deirarte  :  cio  poträ  servire  come  punto  di  partenza  per 
le  ricerche  dei  geologi. 

1. L'epoca  antichissima(i)  pare  che  non  conosca lave  all'infuori  della scoria 
pompeiana  (rossastra,  qualche  volta  macchiata  di  bianco  per  i  grandi  leuciti) 
dispersa  qua  e  lä  fra  la  pietra  calcare  di  Sarno,  che  h  il  materiale  di  quel 
tempo. 

2.  Fin  dalla  seconda  epoca,  nelle  facciafe  e  per  le  colonne  in  tofo  (2), 
comparisce  la  lava  che  chiamerö  « lava  comune»,  la  piü  diffusa  cioh  negli 
edifizi  di  Pompei,  il  materiale  prediletto  di  quell'epoca,  e  ancora  dei  primi 
tempi  della  colonia  romana  (basilica,  terapio  di  Giove,  teatri,  anfiteatro,  Ca- 
pitolium  (3),  terme  minori).  Di  essa  furono  lästricate  le  strade  e  fatte,  le  soglie 
e  le  scale.  Piü  volte  questa  pietra,  molto  solida,  fu  adoperata  soltanto  nelle 
parti  piü  basse  dei  muri ;  cosi  nelle  terme  stabiane  ed  in  epoca  piü  tarda 
nel  macello  {*).  Consiste  di  una  massa  grigia  che  da  un  poco  nel  paonazzo, 
con  molti  cristalli  di  leucite  ed  augite,  ma  non  grandi,  assai  ugualmente  di- 
stribuiti ;  a  causa  degli  Ultimi  la  pietra  mostra  molte  piccole  macchie  nere ; 
pochi  sono  i  cristalli  di  olivino.  L'aspetto  estemo  h  quello  della  lava  com- 
patta  di  Pompei  quäle  h  visibile  nel  teatro  minore,  e  tale  la  giudica  il  Rug- 
giero  1.  c. 

3,  Accanto  a  questa  s'incontra,  ma  in  quantitä  piccola,  una  lava  che  chia- 
merö «  lava  macchiata  "  con  grandi  augiti,  i  quali  nella  massa  grigia,  che  qualche 
volta  da  nel  paonazzo,  compariscono  come  grandi  macchie  nere;  pochi  leuciti, 
pochissimi  olivini  {^).  Essa  si  trova  nel  muro  di  cinta  a  d.  di  chi  esce  dalla 
porta  d'Ercolano,  e  qua  e  lä  per  le  case ;  in  quantitä  piü  grande  nella  casa 
VI,  1?,  13,  specialmente  nel  muro  0 ,  accanto  al  posticum  n.  18  («). 

(1)  Fiorelli  Gli  scavi  di  Pompei  dal  1861  al  1872,  pag.  78-83,  tav.  14-19. 
Nissen  Pompej.  Studien  pag.  397  segg.  Mau  Pompej.  Beiträge  pag.  47  segg. 
Overbeck-Mau  Pompeji  *  pag.  499  segg. 

(2)  Fiorelli  1.  c.  pag.  83-85. 

(3)  Overbeck-Mau  Pompeji  *  pag.  110  segg.  con  la  nota  49. 

(4)  Mau  Pompej.  Beitr.  pag.  118.  258. 

(5)  Nella  casa  VI,  8,  22,  nel  muro  dei  corridoio  che  sul  lato  sin.  della 
casa  porta  nelle  parti  posteriori,  vicino  ad  un  pezzo  come  sopra  ve  n'ö  un 
altro  che  per  la  perfetta  uguaglianza  della  massa  grigia  si  potrebbe  credere  della 
medesima  specie,  ma  con  molti  piü  leuciti,  molti  ma  piü  piccoli  augiti,  pochi 
olivini. 

(ö)  Nel  muro  posteriore  dei  giardino  della  villa  di  Diomede;  nel  muro 
di  fondo  della  bottega  VII,  5,  26  (terme  minori);  nella  casa  VI,  14,  6;  una 
pietra  nella  facciata  dei  tempio  di  Giove,  a  d.  in  alto;  non  poca  nel  selciato 
dei  vico  dietro  il  macello ;  un  gran  masso  nella  bottega  VII,  4,  63 ;  un  altro 
nel  pavimento  della  bottega  V,  2,  1 ;  una  meta  d'un  molino  a  mano  VI,  9,  6, 
Camera  a  d.  deiringresso ;  due  recipienti  nel  locale  anteriore  d''un  pistrino  sul 
lato  N  dell'isola  VH,  12.  


296  BIBLIOGRAPIA   POMPEIANA 

Conteraporaneamente  perö  anche  la  scoria  pompeiana  (o  ifiia  lava  molto 
somigliante)  fu  piü  di  prima  adoperata  nelle  costruzioni.  Nel  tempio  di  Giove 
essa  s'incontra  in  grandi  lastroni  nello  zoccolo,  accanto  all'ingresso  e  accanto 
alla  scala  che  porta  sopra  le  tre  celle,  che  pure  sono  fatte  della  stessa  pietra. 
In  essa  b  costruita  la  domus  Cornelia  (VIII,  4,  15) ;  gran  quantitä  se  ne 
trova  nelle  case  del  Fauno,  di  Pansa,  della  parete  nera,  intorno  al  serbatoio 
d'acqua  presse  l'angolo  NO  delle  terme  stabiane.  Di  parallelepipedi  di  pietra 
simile  h  anche  composto  un  tratto  di  muro  sul  lato  N  dell'isola  VI,  14,  del 
quäle  non  si  pu5  definir  l'epoca  (i).  Negli  ultimi  tempi  si  ritornö  alla  pietra 
di  Samo,  che  prevale  di  gran  lunga  nelle  costruzioni  dell'epoca  imperiale. 

Alcune  altre  lave  furono  adoperate  per  usi  speciali. 

4.  La  lava  dei  molini  piü  antichi  (2)  differisce  dalla  lava  comune  per  la 
maggiore  durezza  e  porositä  della  massa  grigia,  la  quäle,  com'anche  nella 
lava  comune,  prende  un  colore  scuro  ove  sta  al  cpntatto  deH'aria  (3). 

5.  La  lava  di  un  piccolo  molino  nella  casa  VII,  12,  22  e  23.  La  massa 
grigia,  che  da  nel  paonazzo,  quasi  nera  al  contatto  dell'aria,  h  di  grana  fina 
con  molti  piccoli  vuoti ;  molti  leuciti  piccoli,  pochi  piü  grandi,  pochi  olivini ; 
non  vidi  augiti. 

6.  La  lava  dei  molini  piü  recenti.  La  massa  grigia  pallida,  con  molti 
piccoli  vuoti,  sembra  quasi  verdastra  vedendola  accanto  ai  molini  antichi; 
molti  grandi  leuciti,  spesso  uniti  in  massi  dal  diametro  di  2  ctm.  e  piü  ;  au- 
giti piccoli  e  che  non  danno  neH'occhio ;  olivini  non  ne  vidi,  ma  furono  con- 
statati  dal  sig.  Deecke,  il  quäle  rileva  come  questa  pietra  fosse  adattissima 
all'uso  cui  era  destinata.  Egli  ritiene  per  certo  che  sia  una  lava  del  monte 
Sorama :  tutt'al  piü  egli  ammetterebbe  come  possibile  la  provenienza  dai  laghi 
di  Bracciano  e  di  Vico,  poco  probabile  in  s5  stessa.  Invece  secondo  il  Rug- 
giero  h  lava  dei  vulcani  di  Roccamonfina ;  e  dice  che  pietra  similissima  ancor 
oggi  si  Cava  a  Valogno  neirantico  territorio  di  Suessa  Aurunca. 

7.  La  lava  del  trapeto  esistente  nella  casa  VI,  10,  6  (*):  massa  grigia 
durissima  con  grandi  vuoti ;  leuciti  molti,  di  forma,  come  pare,  non  regolare; 
non  vidi  altri  cristalli.  II  Ruggiero  la  dice  dissimile  affatto  dalle  rocce  finora 
conosciute  del  Vesuvio,  e  lascia  indeciso  se  provenga  da  qualche  cava  ora 
smarrita  ovvero  da  paese  lontano. 

8.  La  lava  di  una  base  non  finita  e  di  alcuni  massi  quadri  che  stanno  sul 


(1)  Nissen  Pompej.  Stud.  pag.  6;  Mau  Pomp.  Beitr.  pag.  46. 

(2)  Pariert  fra  breve  in  questo  Bullettino  dei  molini  di  Pompei  e  della 
difi'erenza  fra  i  piü  antichi  e  quelli  degli  ultimi  tempi. 

(3)  II  Ruggiero  dice  che  fra  i  molini  alcuni  sono  di  lava  pompeiana, 
alcuni  di  lava  di  Cisterna;  non  so  se  egli  abbia  voluto  indicare  questi  ed  il 
seguente  (5).  Della  lava  dei  molini  antichi  mi  pare  che  siano  fatti  il  sommo 
gradino  ad  E  della  terrazza  avanti  alla  domus  Epidi  Ruß  (IX,  1,  20),  una 
pietra  con  buco  quadrato  nell'atrio  della  casa  stessa,  un  massiccio  puteale  nella 
casa  del  Toro  (V,  1,  7);  in  quest'ultimo  i  cristalli  sono  piü  grandi  che  nella 
lava  comune,  piü  numerosi  e  piü  grandi  anche  gli  olivini. 

(*)  Ruggiero  1.  c.  pag.  7;  tav.  3  n.  1. 


BIBLIOGRAFIA   POMPEIANA  ^  297 

lato  N  della  strada  della  Marina ;  b  durissima  e  di  grana  molto  fina ;  mol- 
tissimi  piccoli  leuciti,  che  perö  a  causa  del  color  chiaro  della  massa  grigia 
danno  poco  nell'occhio ;  augiti  compariscono  soltanto  come  puntini.  Della 
stessa  pietra,  o  di  una  molto  simile,  b  fatto  il  basamento  del  sepolcro  di 
Naevoleia  Tyche  (^). 

L'autore  parla  poi  delle  due  qualitä  di  tufo,  il  grigio  ed  il  giallo.  Pare 
che  il  tufo  grigio  adoperato  a  Pompei  egli  lo  creda  proveniente  dalle  parti  del 
Gragnano,  mentre  suppone  che  la  pietra  di  Nocera  sia  una  pietra  somigliante 
al  piperno  dei  campi  flegrei.  Ma  secondo  quelli  che  a  Pompei  si  occupano  di 
queste  cose,  appunto  il  tufo  grigio  di  cui  h  tanto  esteso  l'uso  per  facciate, 
portici  ecc.  b  in  generale  tufo  di  Nocera  e  solo  eccezionalmente  di  Gragnano. 
Quanto  al  tufo  giallo,  l'autore  ci  dice  che  non  si  trova  piü  vicino  di  20  chi- 
lometri  da  Pompei  (fra  Poggio  Reale  e  Pizzofalcone) ;  e  quindi  egli  spiega 
l'uso  scarso  che  ne  fu  fatto.  Perö  h  affatto  incredibile  che  i  Pompeiani  siano 
andati  tanto  lontano  a  prendere  quantitä  relativamente  piccole  di  un  materiale 
assai  mediocre  e  per  il  quäle  evidenteraente  non  avevano  predilezione  alcuna; 
e  mi  si  assicura  che  anche  oggi  il  tufo  giallo  si  cava  a  Nocera. 

Intorno  alla  pietra  calcare  di  Sarno  l'a.  nulla  ci  dice  di  nuovo.  Si  me- 
raviglia  della  raritä  negli  edifizi  pompeiani  della  pietra  calcare  grigia  delle 
vicine  montagne  ;  ma  la  pietra  di  Sarno,  cavata  in  luoghi  molto  piü  vicini, 
fu  creduta  un  materiale  sufficiente. 

I  mattoni  di  Pompei,  il  sig.  Deecke  non  li  crede  fatti  di  argilla  pura, 
di  cui  non  si  trovano  colä  strati  maggiori,  ma  della  pozzuolana  dei  campi 
flegrei  con  poca  argilla  aggiuntavi :  ciö  risulta,  dice  egli,  dalla  stessa  strut- 
tura  del  materiale.  Debbo  osservare  perö,  che  oltre  ai  mattoni  di  materiale 
arenoso  ve  ne  sono  anche  di  argilla  piü  o  meno  pura.  Tali  sono  i  pochi  mat- 
toni adoperati  nell'epoca  preromana,  p.  es.  nella  basilica.  Nei  primi  tempi 
romani  poi,  almeno  flno  alla  fine  della  repubblica,  prevale  il  materiale  are- 
noso, mentre  nell'epoca  imperiale  h  prediletta  l'argilla  pura  ;  ambedue  i  ge- 
neri  si  trovano  p.  es.  nel  macello  :  questo  nelle  parti  piü  recenti,  cioe  in  quasi 
tutto  l'edifizio,  quello  nelle  parti  piü  antiche. 


3.  F.  PoüQüE  Sur  les  materiaux  de  construction  employes  ä 
Pompei  (in  Association  frangaise  pour  V avancement  des 
Sciences,  Compte-rendu  de  la  15^  Session,  Nancy  1886.  Paris 
au  secrHariat  de  l'association). 

L'a.  parla  della  lava,  del  tufo  e  dell'argilla.  Oltre  la  scoria  adoperata 
secondo  lui  nelle  volte  delle  fogne  e  degli  acquedotti  (?)  egli  distingue  tre 
specie  di  lava,  fra  cui  due  provenienti  dalla  corrente  sulla  quäle  e  fondata 

(})  Credo  che  di  questa  stessa  lava  parla  lo  Schöne  nelle  Pompej.  Stud. 
del  Nissen  p.  6. 


298  BIBLIOGRAFIA    POMPEIANA 

Pompei :  1,  quella  delle  cave  (moderne)  presso  Tanfiteatro  :  leucotefrite  all'oli- 
vino,  simile  alle  lave  recenti  del  Vesuvio  (=  2  sopra  p.  295) ;  2,  massi  neri 
0  giallo-rossastri  cavati  nel  suolo  della  cittä  stessa  (=  1  sopra  p.  295)  o  lava 
da  strati  vicini ;  3,  quella  dei  molini  (piü  recenti),  proveniente  o  dalla  base 
del  monte  Somma  o  dai  massi  vulcanici  di  Eoccamonfina  (=  6  sopra  p.  296). 

Oltre  al  tufo  grigio  e  giallo,  ambedue  andesitici  ed  anteriori  al  Vesuvio, 
che  egli  non  dice  ove  fossero  cavati,  l'a.  distingue  un  tufo  leucitico  d'origine 
pivi  recente,  adoperato  (egli  non  dice  dove)  sporadicamente,  cavato  in  riva  al 
mare  presso  Pompei. 

Dice  i  mattoni  esser  formati  di  eleraenti  vulcanici,  andesitici  e  leucote- 
fritici,  e  fabbricati,  a  causa  di  questi  ultimi,  al  piede  del  Vesuvio,  probabil- 
mente  dalla  parte  di  Napoli.  Invece  il  materiale  delle  tegole  e  delle  anfore 
essere  di  grana  piü  fina  e  d'origine  sedimentaria ;  la  massa  argillosa  essere 
ferruginosa ;  non  osservarvisi  altri  cristalli  che  lamelle  di  mica  e  numerosi 
fraramenti  di  quartzo.  Secondo  l'a.  questi  manufatti  o  sono  fabbricati  sul  ter- 
reno  argilloso-calcare  del  Sarno,  o  importati. 

Non  h  esatto  che  con  l'occupazione  romana  alla  costruzione  in  pietra 
calcarea  con  argilla  sia  succeduta  quella  in  materiali  vulcanici  con  cemento 
a  base  di  calce  (vd.  sopra  p.  297),  nfe  che  1'  introduzione  del  tufo  abbia  cagio- 
nato  l'abandono  della  pietra  calcarea :  sono  note  le  facciate  (preromane)  com- 
poste  di  lastroni  di  tufo,  mentre  per  i  muri  interni  non  fu  adoperato  che  spo- 
radicamente. 


4.  Les  eleetions  municipales  ä  Pompei,  par  P.  Willems.  Paris, 
Thorin,  1887.  8,  142  pagg. 

E  uno  studio  dettagliato  e  diligente  sui  programmi  elettorali  dipinti  sui 
muri  delle  strade  di  Pompei.  II  dotto  autore  da  un  quadro  vivace  di  quelle 
elezioni  municipali ;  raduna  quanto  si  puö  sapere  intorno  ai  candidati  e  le 
loro  famiglie ;  mostra  come  trovarono  aderenti  chi  in  una  chi  in  un'altra  re- 
gione,  come  furono  appoggiati  dai  loro  vicini,  come  presero  parte  alla  lotta 
le  associazioni  religiöse  e  quelle  dei  commercianti  ed  artigiani  e  non  se  ne 
astenevano  neanche  le  donne.  Tratta  poi  in  otto  paragrafi  di  öclaircisaements 
(p.  79-142)  alcune  questioni  relative  alle  antichitä  pompeiane.  E  qui  in  vari 
punti  non  sono  d'accordo  con  lui. 

§  1.  L'autore  crede  che  i  programmi  con  ro.^.  cup.  e  forraole  siraili  siano 
anteriori  alla  professio  dei  candidati  e  destinati  ad  incoraggiarli  a  presen- 
tarsi,  posteriori  quelli  con  facit,  perch^  in  essi  chi  scrive  dichiara  di  votare 
per  11  candidato :  distinzione,  a  raio  awiso,  priva  di  fondamento.  Per  lo  piü 
dicono  semplicemente  p.  es.  Casellium  aed.  ovvero  Casellium  aed.  ovf  (i.  e. 
oro  vos  faciatis).  Qualche  volta  rog.  o  prende  il  posto  di  ovf  {Marcellum 
aed.  rog.)  o  vi  si  aggiunge  {Paquium  Ilvir.i.d.d.r.p.o.v.f.  rog.  IV  366; 
cf.  706).  II  nome  poi  di  chi  raccomanda,  con  rog.,  o  s'aggiunge  a  ovf  {Mar- 
cellum aed.  ovfcognatus  rog.)  o  ne  prende  il  posto  {Marcellum  aed.  agrico- 


BIBLIOGRAFIA   POMPEIANA  299 

lae  rog.).  Tutti  questi  programmi,  ed  anche  quelli  che  al  posto  di  rog.  hanno 
qualche  sinonimo  (cupit,  volunt,  fieri  rog.)  dicono  in  modo  poco  diverso  una 
stessa  cosa,  nh  evvi  ragione  alcuna  per  far  distinzioni  quanto  alla  situazione 
cui  si  riferiscono.  liO  stesso  vale  per  i  programmi  con  facit{ .  .  .  Ilvir.  i.  d. 
Baibus  facit)  o  fecit  ( . . .  aed.  Baibus  fecit) :  chi  vuol  raccoraandare  un  tale, 
puö  pregare  gli  altri  di  votare  per  lui,  puö,  se  crede  di  aver  qualche  autoritä, 
dichiarare  di  votare  o  di  aver  votato  per  lui  egli  stesso,  puö  finalmente  far 
l'uno  e  l'altro  (IV  699  . . .  rogat  et  facit).  Del  resto  facere  significa  fare  eleg- 
gere,  sia  col  voto,  sia  facendo  valere  la  propria  influenza,  e  possono  perciö 
facere  anche  le  donne  (IV  425.  457.  923),  e  si  puö  dire  Firmum  aed.  ovf 
Capella  facit,  nel  quäl  caso  facit  h  evidentemente  sinonimo  di  rogat.  Non 
sono  in  alcun  modo  stringenti  le  ragioni  che  l'a.  adduce  in  contrario.  Nä  mi 
pare  che  sarebbe  stato  logico  di  dipingere  sui  muri  ciö  che  doveva  incorag- 
giare  una  singola  persona. 

§  2.  I  forenses  (IV  783),  Salinienses  (128j  e  Campanienses  (470.  480) 
sono,  secondo  l'autore,  gli  abitanti  di  tre  sezioni  elettorali  {tribus  o  curiae) 
intorno  al  foro,  presso  la  porta  d'Ercolano  e  quella  di  Nola.  Ma  non  e  atfatto 
probabile  che  i  candidati  fossero  raecomandati  da  sezioni  elettorali,  la  cui  vo- 
lontä  era  un'ignota  fino  all'atto  della  votazione. 

I  Salinienses  certo  non  erano  nö  locatari  nö  operai  delle  saline,  nh  ven- 
ditori  di  sale,  ma  probabilmente  gli  abitanti  di  un  villaggio  (pagus  o  vicus) 
formatosi  presso  le  saline.  Cosi,  il  fullo  Crescens  poteva  distinguerli  dai  Pom- 
peiani,  scrivendo  sulle  colonne  d'un  peristilio  deirisola  V,  2  i  suoi  saluti  ai 
Sorrentini,  Stabiani,  Pompeiani  e  Salinesibus  (Not.  d.  sc.  1884  p.  50  sg.)  ('): 
Avevano  un  conventus  (*);  se  poi  formassero  una  circoscrizione  elettorale,  non 
lo  sappiamo.  Venendo  a  Pompei  entravano  per  la  porta  d'Ercolano,  ed  era  na- 
turale perciö  che  ivi  stasse  il  loro  programma.  E  giova  ricordare  il  veru  sa- 
rinu  delle  note  iscrizioni  dipinte  osche,  che  difficilmente  puö  essere  altro  se  non 
la  porta  d'Ercolano,  e  che  il  Nissen  propose  di  tradurre  porta  Saliniensis  {^). 

I  Campanienses  non  s'incontrano  che  nei  due  sopracitati  programmi.  Ma 
in  due  iscrizioni  graffite  (IV  1216.  2353)  sono  acclamati  i  Campani,  e  secondo 
una  terza  nella  nota  rissa  soccombettero  coi  Nucerini  anche  i  Campani  (1293- 
Campani  victoria  una  cum  Nucerinis  peristis).  E  poco  probabile  che  vi  fos- 
sero in  quelle  parti  due  classi  ben  distinte  di  persone  chiamate  Campani  e 
Campanienses.  E  se  vi  era  li  vicino  un  luogo  i  cui  abitanti  (in  origine  Ca- 
puani)  si  chiamavano  Campani,  e  avevano  simpatia  per  i  Nucerini,  e  forse  in 
quella  rissa  presero  la  loro  parte,  e  se  questo  luogo  si  chiamava  p.  es.  vicus 
0  pagus  Campanus,  allora  quei  Campani  potevano  anche  chiamarsi,  con  un 


(1)  Cf.  IV  1611  Salinesibus  feliciter;  e  poco  probabile  che  simili  accla- 
mazioni  s'indirizzassero  ad  una  semplice  circoscrizione  elettorale. 

(2)  Not.  d.  Sc.  1880  p.  185  d-,  cf.  anche  Bull.  d.  Inst.  1874  p.  201. 

(3)  Zvetaieff  Inscr.  Italiae  mediae  dialecticae  pag.  56  n.  160.  161 ;  cf. 
Nissen  Pompej.  Studien  pag.  497  segg.,  specialmente  pag.  504 ;  Overbeck-Mau 
Pompeji  *  p.  56. 


300  BIBLIOGRAFIA    POMPEIANA 

nome  derivato  da  quello  del  luogo,  Gompanienses  (i).  I  programmi  dei  Cam- 
panienses  furono  letti  verso  la  porta  di  Nola :  possiamo  dunque  sospettare  che 
fuori  di  questa  fossc  situato  il  luogo  da  loro  abitato. 

Chi  fossero  i  forenses,  non  lo  sappiaino.  II  Nissen  {Pomp.  St.  p.  268)  li 
crede  i  negozianti  autorizzati  a  commerciare  sul  foro ;  e  mi  pare  che  cio  sia 
xneno  improbabile  che  l'opinione  del  W.,  per  lo  stesso  motivo  addotto  sopra  a 
proposito  dei  Salinienses  e  Campanienses. 

§§  3.  4-  5.  6.  L'a.  crede  di  poter  dedurre  dai  programmi  —  che  egli  a  ra- 
gione  dimostra  (§  4}  essere  in  generale  posteriori  al  terremoto  delFa.  63  — 
chi  fossero  i  candidati  dell'a.  79  e  con  probabilitä  anche  quelli  degli  anni  pre- 
cedenti  fin  dal  74.  Dispone  cioö  i  candidati  alFedilitä,  e  cosi  anche  quelli  al 
duumvirato,  in  una  serie  ordinata  secondo  il  numero  dei  programmi  di  ognuno. 
Prendendo  poi  per  base  la  serie  delle  candidature  edilizie  ne  attribuisce  aH'ul- 
timo  anno  quelle  che  hanno  il  maggior  numero  di  raccomandazioni,  e  le  altre 
agli  anni  precedenti,  sempre  secondo  il  numero  dei  programmi,  unendo  per6 
fra  loro  quelle  la  cui  contemporaneitä  risulta  da  iscrizioni  contenenti  piü  nomi. 
Assegna  quindi  ai  singoli  anni  i  candidati  al  duumvirato  parte  sulla  testimo- 
nianza  dei  programmi  che  li  nominano  unitamente  agli  edili,  i  rimanenti  an- 
ch'essi  secondo  il  numero  delle  raccomandazioni. 

La  ricerca  h  fatta  con  somma  diligenza,  ma  il  metodo  stesso  non  ha 
base  sicura.  Se  l'avesse  ,  dovrebbe  risultarne  una  serie  di  candidature  duum- 
virali  ordinata  anch'essa  secondo  il  numero  dei  programmi.  Invece  nella  lista 
del  W. 

quelle  del  79  hanno  57,  48,  30,  22  programmi 
«         n     78      ^       22,  17,  16,  12  « 

"     77      r,       50,  26,     8,  12  w 

"         "     76      "        24,     6,     3  » 

Vale  a  dire  che  i  due  criterii  non  danno  aifatto  risultati  identici. 

In  fatto,  quello  del  numero  delle  raccomandazioni  ä  assai  fallace,  e  non 
fe  sicuro  nemmeno  quello  dei  programmi  in  favore  di  piü  candidati.  Un  nu- 
mero piccolo  puö  dipendere  dal  poco  favore  incontrato  dal  candidato.  E  quando 
ve  ne  sono  molti,  egli  puö  avere  ambito  piü  volte  la  medesima  carica.  E  per 
questo  stesso  motivo,  quando  lo  troviamo  unito  in  comuni  programmi  ora  con 
uno  ora  con  un  altro  candidato,  non  possiamo  dedurne  con  sicurezza  che  anche 

(1)  Cosi  a  Koma  gli  abitanti  del  vico  Tusco  in  principio  erano  Tusci, 
ma  piü  tardi  non  meritavano  piü  questo  nome,  mentre  nulla  avrebbe  impedito 
di  chiamarli  Tuscienses.  Forse  il  questore  0.  Campanio,  che  fece  fare  il  pa- 
vimento  del  tempio  d' Apolline  (Bull.  d.  Inst.  1882  pag.  223;  Overbeck-Mau 
Pompeji  *  p.  636  nota  40)  era  oriundo  del  pagus  Gampanus.  Lo  Henzen  cre- 
dette  che  Campanienses  fossero  Gampani  vel  cives  Capuani  Pompeiorum  in- 
colae,  ma  a  ragione  osserva  il  W.  che  nh  cosi  si  spiega  il  nome,  ne  e  proba- 
bile  che  questi,  come  tali,  si  siauo  immischiati  nella  lotta  elettorale.  II  W. 
pensa  che  la  parte  della  cittä  assegnata  agli  antichi  abitanti  quando  fu  de- 
dotta  la  colonia  romana,  sia  stata  chiamata  curia  o  tribus  Gampaniensis :  ma 
non  h  probabile  che  le  sia  stato  dato  un  nome  che  ricordasse  l'antica  auto- 
nomia. 


BIBLIOGRAFIA   POMPEIANA  301 

queste  candidature  siano  fra  loro  contemporanee.  Infine  ci  sfuggono  le  circo- 
stanze  che  potevano  in  un  anno  determinare  una  lotta  piü  vivace  che  in  un 
altro,  0  contribuire  in  qualche  caso  a  conservare  un  nuraero  maggiore  di  pro- 
grammi  d'una  candidatura  piü  antica. 

Anche  per  la  lista ,  proposta  dal  W.,  dei  candidati  nel  79  appena  puu 
ammettersi  una  certa  probahilitä.  Che  le  due  coppie 

edili:  L.  Cuspius  Pansa 

L.  Popidius  Secundus 
Ilviri:  M.  Holconius  Priscus 
C.  Gavius  Eufus 

fossero  fra  loro  contemporanee,  egli  lo  deduce  da  un  sol  programma  che  unisce 
Olconio  e  Pansa.  Ma  quest'ultimo  puö  avere  ambito  l'edilitä  due  volte,  una 
volta  con  Popidio,  un'altra  con  altri  competitori  e  mentre  Olconio  e  Gavio 
Eufo  ambivano  il  duumvirato.  E  viceversa  Olconio  poteva  arabire  il  duumvi- 
rato  una  volta  con  Gavio  Enfo,  un'altra  con  altri  e  mentre  Pansa  e  Popidio 
ambivan  l'edilitä. 

A  queste  due  coppie  il  W.  aggiunge: 

edili:  Cn.  Helvius  Sabinus 
Ilviri :  C.  Calventius  Sittius  Magnus 
L.  Ceius  Secundus 

Elvio  cioe  e  Sittio  Magno  si  trovano  uniti  ognuno  in  un  programma  con  Ol- 
conio, e  si  trovano  anche  uniti  fra  loro  (i),  e  Elvio  con  Pansa;  Ceio  e  rac- 
comandato  una  volta  con  Elvio,  un'altra  con  Pansa:  sono  dunque  contempo- 
ranei  a  Olconio  Ilviro  e  Pansa  edile.  Ma  siccome  ognuna  di  queste  due  can- 
didature puö  essere  stata  posta  piü  volte,  cosi  nulla  impedisce  di  distribuire 
le  sette  candidature  su  tre  anni: 

1.  Ilviri:  Olconio,  Sittio  Magno,  Ceio;  edili:  Elvio,  Pansa. 

2.  Ilviri:  Olconio  e  Eufo. 

3.  edili:  Pansa  e  Popidio. 

E  possibile,  ma  non  necessario,  che  i  gruppi  1,2  o  1,3  o  2,3  o  infine  1,2,3 
siano  contemporanei. 

Nessun  legame  evvi  fra  questi  sette  e  gli  altri  tre  candidati  all'edilitä 
che  il  W.  ascrive  al  medesimo  anno: 

M.  Casellius  Marcellus 

L.  Albucius  Celsus 

M.  Cerrinius  Vatia 

Sono  incertissime  le  congetture  con  le  quali  egli  vorrebbe  veder  congiunti  in 
alcuni  prograrami  Casellio  e  Albucio  con  Olconio,  Albucio  con  Ceio,  Marcello 
con  Ceio,  Cerrinio  con  Sittio  e  con  Albucio. 

(1)  G.J.  L.  IV  843;  Not.  d.  Sc.  1879  pag.  45  n.  8.  9:  questi  due  numeri 
in  fatto  formano  un  sol  programma,  mentre  ne  h  diviso  quelle  di  Olconio  n.  7. 

20 


302  BIBLIOGRAFIA   POMPEIANA 

E  dunque  tutt'altro  che  sicuro  che  le  dieci  candidature  si  riferiscano 
ad  un  medesimo  anno.  Per  tatte  il  gran  numero  dei  programrai  accenna  agli 
Ultimi  tempi,  ma  piü  di  questo  non  oserei  dire.  Quanto  agli  anni  anterior! 
al  79,  sono  persuaso  che  l'a.  stesso  non  s'illuda  sul  grado  di  probabilitä  della 
sua  lista.  Qui  non  possiamo  fare  altro  che  riunire  gruppi  di  candidature  con- 
temporanee,  e  aspettare  che  ulteriori  scoperte ,  specialmente  di  programmi 
sovrapposti  uno  aH'altro,  ci  mettano  in  grado  di  stabilir  fra  essi ,  poco  per 
volta,  una  cronologia  relativa. 

§  7.  A  ragione,  credo,  l'a.  sostiene  che  non  vi  sia  differenza  fra  gli  edili 
V.  a.  s.  p.p.  (chiamati  anche  II v.  v.  a.  s.p.p.)  e  gU  edili  semplicemente  detti.  Tutti 
quelli  che  in  qualche  programma  isolato  si  raccomandano  per  l'edilitä  v.  a.  s. 
p.  p.,  sono  noti  come  candidati  all'edilitä ;  ricorrono  le  stesse  coppie  (Casellio 
e  Albucio,  Q.  Mario  Rufo  e  M.  Epidio  Sabine).  Qualche  volta  poi  quelle  let- 
tere  son  divise  da  aed.  e  stanno  fra  le  formole  di  raccomandazione  (C.  Cuspium 
Pansam  aed.  d.  r.  p.  v.  a.  s.  p.  p.  iuvenem  probum  ovf)  ciö  che  sarebbe  im- 
possibile,  se  aed.  non  bastasse  a  indicar  la  carica.  Un  programma  in  ottima 
forma  (IV  222)  congiunge  i  duumviri  e  gli  edili  s.  v.  a.  p.  p.  Le  lapidi  non  con- 
tradicono:  in  esse  di  edili  non  v'e  esempio  sicuro  anteriore  all'epoca  nero- 
niana  (i);  prima  si  dicono  Ilviri  (X  819)  o,  unitamente  ai  duumviri  i.  d., 
Illlviri  (X  800.  938).  In  quelle  poi  relative  al  culto  d'Augusto,  e  in  X  803, 
che  non  sappiamo  se  avesse  un  tale  significato,  troviamo  i  d.  v.  v.  a.  s.p.p.,  cui 
fin  dall'epoca  neroniana  si  sostituiscono  gli  edili  (826.  827).  Forse  quest'ultimo 
titolo,  nsato  al  tempo  dell'autonomia,  fu  soppresso  appunto  perciö  nella  colonia 
romana.  Rimase  perö  nell'uso  non  uflficiale  (programmi  antichissimi)  e  piü  tardi 
fu  riammesso  anche  nelle  iscrizioni  pubbliche.  —  II  supplemento  v{iis)  a{edi- 
bus)  s(acris)  p{ublicis)  p{rocurandis)  non  manca  di  probabilitä. 

§  8.  L'a.  rileva  come  anche  a  Pompei  si  distingueva  i  figli  per  il  co- 
gnome,  preso  spesso,  per  il  secondo  ed  i  seguenti,  dalla  famiglia  materna,  e 
come  in  modo  speciale  si  costumava,  nelle  grandi  faraiglie,  di  aggiungere  al 
prenome  e  gentilizio  del  padre  gentilizio  (omesso  nell'uso  non  ufificiale)  e  co- 
gnome  della  famiglia  materna  o  d'altra  famiglia  congiunta,  p.  es.  D.  Lucretius 
(Satrius)  Valens.  E  curioso  il  fatto  del  figlio  del  noto  banchiere  L.  Cecilio 
Giocondo,  che  si  chiamö  Metello,  assumendo  un  cognome  della  celebre  famiglia 
dei  Cecilii:  l'a.  lo  deduce  bene  dall'iscrizione  d'un'anforetta  (Caecilio  Jucundo 
ab  Sexsto  Metello)  trovata  in  una  bottega  della  casa  stessa  ove  abitavano,  come 
si  rileva  da  un  programma,  Q.  S.  Caecili  lucundi. 

Voglio  rettiflcare  ancora  un  malinteso  dell'a.  (p.  4).  I  programmi  anti- 
chissimi non  sono  punto  anterior!  all'uso  di  rivestire  i  muri  di  stucco,  ma 
soltanto  a  quelle  del  dealbare. 

(1)  Certo  l'edilitä  di  L.  AUeio  Luccio  Libella  (X  1036)  era  anteriore 
all'a.  26  d.  C.  (X  896),  ma  l'iscrizione  fu  posta  dopo  la  sua  morte.  Ignoriamo 
l'etä  di  T.  Terentio  Feiice  (X  1019)  e  di  P.  Sextilio  Rufo  (X  1273);  quest'ul- 
tima,  a  causa  dell'ortografia  aid.  puö  credersi  piü  antica;  ma  uu  titolo  sepol- 
crale  poteva  bene  scostarsi  dal  linguaggio  ufSciale,  specialmente  essendo  posto 
in  altra  cittä  (Nola). 


BIBLIOGRAFIA   POMPEIANA  303 

5.  Römisches  Staatsrecht  von  Theodor  Mommsen.  Dritter  Band, 
Leipzig  1887. 

L'illustre  autore  a  pag.  349-351  parla  dei  prograrami  elettorali  di 
Pompei.  Egli  h  d'opinione  che  essi  non  facciano  testiraonianza  di  vere  ed 
effettive  elezioni  popolari ;  non  crede  che,  aboliti  i  comizii  elettorali  di  Koma, 
abbiano  potuto  sopravivere  quelli  dei  municipii.  E  ciö  gli  pare  confermato 
dal  silenzio  deir  epigrafia  municipale  —  le  poche  iscrizioni  con  menzione  di 
comizii  (C  /.  L.  X  7023 ;  XIV  375.  2410)  sembra  che  parlino  di  fatti  ecce- 
zionali  —  e  dagli  stessi  programmi  di  Pompei,  nei  quali  non  compariscono 
le  sezioni  elettorali.  Giacchö  l'a.  rigetta  l'opinione  dei  Willems  (sopra  p.  299) 
intorno  ai  Campanienses  ecc.  Crede  dunque  che,  come  in  Eoma  al  senato, 
cosi  nei  municipii  le  elezioni  fossero  trasferite  all'öriio  dei  decurioni,  e  che 
ai  comizii  non  rimanesse  che  la  facoltä  dell'acclamazione.  Quanto  alle  dispo- 
sizioni  della  legge  di  Malaga,  data  da  Domiziano,  ritiene  possibile  che  simili 
leggi  fossero  date  secondo  l'antico  sistema,  mentre  l'applicazione  degli  ordi- 
namenti  contenutivi  dipendesse,  per  disposizione  imperiale,  dall'iniziativa  del- 
Vordo  0  dal  permesso  dei  preside  della  provincia;  crede  possibile  anche  che 
i  comizii  municipali  continuassero  nelle  province,  sotto  la  sorveglianza  dei 
presidi,  non  perö  in  Italia,  ove  mancava  un  tale  controUo.  I  programmi 
dunque  o  s'indirizzerebbero  all'ör^o,  o  non  sarebbero  che  complimenti  ai 
candidati  da  questo  designati. 

La  questione  oltrepassa  i  limiti  d'una  bibliografia  pompeiana;  nö  io 
sarei  competente  a  discutere  le  considerazioni  su  cui  si  fonda  l'autore. 

Mi  limito  dunque  ad  osservare  che,  se  la  grande  maggioranza  dei  pro- 
grammi (anche  quelli  con  facit:  vd.  sopra  p.  298)  non  si  oppone  ad  una  tale 
supposizione,  ve  ne  sono  perö  alcuni  che  poco  vi  si  prestano.  Dico  quelli  che 
s'indirizzano  ai  caupones,  pomarii  ecc.  {caupones  facite) :  non  so  spiegarmeli 
se  quelle  persone  dovevano  soltanto  a,cclamare  fra  la  folla.  Quanto  poi  alle 
sezioni  elettorali,  non  so  se  l'argomento  ex  silentio  sia  stringente.  Non  trat- 
tandosi  di  eleggere  un  rappresentante  per  ogni  sezione,  nö  riferendosi  queste 
ad  altro  che  al  modo  di  votare,  non  era  forse  impossibile  che  l'agitazione  si 
facesse  in  comune,  senza  teuer  conto  delle  sezioni.  Ciö  poteva  dipendere  da 
abitudini,  da  circostanze  infine  che  si  sottraggono  alla  nostra  investigazione. 


6.  Memorie  storiche  dell'antica  Valle  di  Pompei.,  per  Ludovico 
Pepe.  Valle  di  Pompei,  scuola  tipografica  editrice  Bartolo 
Longo  1887.  152  pagg.  e  8  tavv. 

L'amtore  narra  la  storia,  con  la  scorta  dei  documenti,  dell'abitato  che 
col  nome  di  Valle  sorse  nella  pianura  sottostante  alla  sepolta  Pompei.  Tombe 
pagane  (vd.  p.  18)  attestano  che  fin  da  tempi  antichi  quel  sito  era  di  nuovo 


304  BIBLIOGRAFIA   POMPEIANA 

abitato.  Fin  dal  1093  poi  si  conosce  la  chiesa  di  S.  Salvatore  di  Valle,  fin 
dal  1327  si  fa  menzione  del  "  casale  »  di  Valle,  e  fin  dal  1511  si  conosce 
la  parocchia.  Valle  dal  1093  al  1323  dipendeva  dal  convento  di  S.  Lorenzo 
in  Aversa;  divenne  poi  feudo  dei  Caracciolo  e,  dopo  esser  passato  per  varie 
mani,  dei  Piccolomini  (discendenti  dei  duchi  d'Amalfi),  che  fin  dal  1647  por- 
tavano  il  titolo  di  prineipi  di  Valle.  Essi,  costruendo  palizzate  nel  Sarno, 
resero  malsana  la  regione,  ciö  che  ebbe  per  conseguenza  l'abandono  di  Valle : 
nel  1662  fu  tolta  la  parocchia,  che  solo  nel  1842  potö  essere  ripristinata, 
essendosi  verificato,  fin  dalla  seconda  metä  del  secolo  passato,  un  aumento 
di  popolazione,  dovuto  agli  scavi  di  Pompei.  Oggi  intorno  alla  nuova  chiesa 
del  Eosario,  cominciata  a  costruirsi  fin  dal  1880,  si  sta  formando  un  villaggio 
di  popolazione  sempre  crescente. 

Tutto  ciö  sia  qui  accennato  brevemente.  Agli  studi   nostri  si  riferisce: 

1.  La  relazione  sopra  uno  scavo,  fatto  sotto  la  direzione  e  sorve- 
glianza  dell'a.  nel  podere  De  Fusco  dal  10  die.  1886  fino  al  6  maggio  1887 
(p.  13-17,  tav.  I),  ristampata  dal  giomale  II  Kosario  e  la  nuova  Pompei,  fasc. 
15,  giugno  1887  p.  356  sgg. 

2.  L'appendice  (p.  135-146):  La  Pompei  dei  superstiti  dopo  l'anno 
LXXIX. 

Intorno  a  quello  scavo  una  relazione  piü  estesa  e  piü  dettagliata  del 
prof.  Sogliano  si  trova  nelle  Not.  d.  sc.  1887  p.  246-251.  Si  tratta  di  una 
fabbrica  rustica  coiitenente  un  opificio  industriale,  che  l'a.,  senza  ragioni 
sufficienti,  sospetta  che  possa  essere  una  fuUonica.  L'unica  pittura  incontra- 
tavi  mostra  il  genio  sacrificante  fra  i  due  Lari  ed  in  ogni  estremitä  un  Pane. 
Fra  le  tombe  posteriori  al  79  merita  menzione  una,  la  quäle,  lunga  1,40, 
composta  di  quadroni  ed  assicurata  con  cemento,  col  tetto  a  capanna,  aveva 
perpendicolarmente  situato  sul  comignolo  un  condotto  formato  da  tre  tubi  in 
terracotta  (p.  17).  Certo  si  tratta  d'un  apparecchio  per  le  libazioni:  cf.  Bull. 
1888  p.  120  sgg.  La  tomba  conteneva,  oltre  i  resti  umani  combusti,  due 
unguentarii  di  vetro,  una  lucerna  fittile  con  un  gallo  in  rilievo,  e  parec- 
chi  chiodi,  serviti  senza  dubbio  per  la  costruzione  del  rogo  (cf.  Bull.  1888 
p.  141). 

Nell'appendice  l'a.  ristampa  un  suo  opuscolo  pubblicato  anteriormente 
intorno  al  noto  passo  di  Martino  monaco  (pressö  Borgia,  Mem.  stör,  di  Bene- 
vento  1  Q):  in  Pompio  campo  qui  a  Pompeia  urbe  Campaniae  nunc  deserta 
nomen  accepit.  Egli  si  oppone  aH'opinione  del  Fiorelli,  seguita  dal  Breton 
e  dal  Beul^,  che  cio^  quel  passo  si  riferisca  ad  una  nuova  Pompei,  sorta 
dopo  il  79,  6  che  avanzi  di  questa  fossero  trovati  con  certi  scavi  fatti  a 
Boscoreale.  In  fatto  deserta  puö  credersi  un'espressione  impropria  per  «  di- 
strutta,  sepolta  »,  e  quegli  scavi  incontrarono  edifizi  anteriori  al  79 ;  le  ra- 
gioni dell'a.  sono  buone,  ma  potevano  esporsi  in  modo  piü  breve  e  con  pole- 
mica  meno  vivace,  sia  per  l'importanza  non  grandissima  del  soggetto,  sia  per 
i  meriti  di  chi  aveva  sostenuto  un'opinione  diversa,  pienamente  riconosciuti 
dall'autore  nel  libro  seguente: 


BIBLIOQRAFIA   POMPEIANA  305 

7.  Gli  scavi  di  Pompei^  notüie  tratte  dai  documenti  originali, 

per  LuDOvico  Pepe.  Valle  di  Pompei,  tipografia  editrice  del- 
l'avv.  Bartolo  Longo  1887.  8°  40  pagine. 

E  una  breve  storia  degli  scavi  di  Pompei,  composta  sulla  base  dei  docu- 
menti pubblicati  dal  Fiorelli.  L'autore  non  si  h  prefisso  uno  scopo  scientifico; 
il  suo  libro  sarä  letto  con  piacere  da  chi,  senza  studi  speciali,  vorrä  infor- 
marsi  suU'andamento  e  suUe  vicende  di  quegli  scavi. 

8.  Le  case  ed  i  monumenti  di  Pompei  disegnati  e  descritti  (Nic- 

coLiNi).  Napoli. 

Finita  la  parte  sistematica  Fa.  seguita  a  pubblicare  T«  Appendice  »,  ed 
e  amvato  al  fascicolo  95.  I  fascicoli  si  succedono  a  brevi  intervalli  e  sono 
privi  di  valore  sia  artistico  sia  scientifico.  Sarebbe  terapo  che  gli  associati  si 
mettessero  d'accordo  per  por  fine  ad  una  speculazione  fondata  sul  desiderio, 
specialmente  delle  biblioteche,  di  non  restare  con  esemplari  incompleti. 

(Sarä  continuato). 

A.  Mau. 


DUE  MONÜMENTI  DELL'ITALIA  MERIDIONALE. 
(Tavv.  X  e  XI). 


1.  '^qIY Archaeologischer  Aiiseiger  1867  p.  110  sgg.  comunicai 
come  i  due  frammenti  della  «  base  di  Sorrento  « ,  tolti  dal  posto  ove 
stavano  murati,  erano  stati  riiiniLi  con  altre  antichitä  sorrentine, 
tin  allora  disperse,  in  un  piccolo  Museo  miinicipale.  Scoperto  in  tal 
modo  il  terzo  lato  (<?)  del  frammento  maggiore  (I)  lo  feci  dise- 
gnare  da  im  artista  napoletano.  Ma  quel  disegno  non  riusci  sod- 
disfacente,  e  se  ora  si  pubblica  la  base  completa,  lo  si  deve  al 
mio  chiarissimo  amico  sig.  Otto  Donner  von  Richter,  il  quäle  sog- 
giornando,  anni  sono,  a  Sorrento,  ne  feee  un  nuovo  disegno  e  lo 
mise,  con  la  sua  solita  cortesia,  a  mia  disposizione.  Lo  pubblico 
piü  tardi  che  non  ayrei  voluto,  riferendomi  alle  circostanze  sopra 
esposte  e  rinnovando  all' artista  amico  i  miei  ringraziamenti.  Ripe- 
tendosi  qui  le  altre  rappresentanze  della  base,  aggiungo  poche  pa- 
role  di  spiegazione  tolte  dai  miei  appunti. 

I  due  frammenti  disuguali,  se  non  combaciano  piü  esattamente, 
pure  stante  1'  identitä  del  marmo,  la  conformitä  del  lavoro,  degli 
ornamenti  e  della  grandezza  d.-lle  tigm-e  non  si  puö  in  alcun  modo 
dubitare  che  non  facessero  parte  d'uno  stesso  monumento.  Cf.  la 
pianta  della  base  e  le  figure  sulla  tav.  X. 

Ib:  riprodotto  Gerhard  Antike  Bildiv.  tav.  22.  —  Müller- 
Wieseler  Deakm.  d.  a.  K.  II  63,  810. 
la:  riprod.  Gerhard  tav.  21. 

I  c :  riprod.  per  la  prima  volta  dietro  il  disegno  del  Donner. 

II  d :  riprod.  Gerhard  tav.  24.  —  Baumeister  Benkm.  klass. 
AUerth.  III  n.  2173;  qui  dietro  un  nuovo  disegno  del  Donner. 

II(?:  riprod.  Gerhard  tav.  23. 

21 


308  DÜE    MONUMENTI    DELL'iTALIA    MERIDIONALE 

Era  la  base  di  forma  quadrangolare  bislimga  ed  aveva  la  lun- 
ghezza  di  circa  m.  1,36  {d  0,57  piü  c  0,69 ;  lacuna  in  mezzo  non 
piü  di  0,10),  il  lato  corto  di  m.  0,82  senza  la  cornice,  ora  in  gran 
parte  smussata,  con  essa  di  circa  0,94,  l'altezza  di  1,18:  misure 
che  la  dimostrano  destinata  per  una  figura  seduta  grande  press'  a 
poco  al  vero,  sul  genere  del  Menandro  vaticano  {^)  e  di  statue  simili. 
Un  gruppo  di  diie  statue  in  piedi  una  accanto  all'altra,  non  sa- 
rebbe compatibile  con  la  composizione  dei  lati  lunghi  della  base, 
in  ciascuno  de'  quali  le  divinitä  sedenti  son  dirette  verso  il  lato 
corto  e  come  lato  di  fronte.  Verso  questo  stesso  lato  dunque  do- 
veva  essere  rivolta  la  figura  seduta.  Di  quäl  genere  essa  fosse, 
forse  le  rappresentanze  della  base  possono  aiutarci  ad  indagarlo, 
dovendosi  ammettere,  a  quanto  pare  secondo  analogie  antiche,  una 
relazione  piü  o  meno  stretta  fra  la  statua  e  le  tigure  ond'  e  adorna 
la  base. 

Nel  bei  mezzo  del  lato  principale,  di  cui  pur  troppo  non  ri- 
mane  che  la  metä,  siede,  avanti  alla  facciata  d'un  tempio  ionico  (^), 
una  divinitä,  virile  a  giudicarne  dal  corto  chitone,  che  sul  grembo 
e  nella  sinistra  regge  una  grande  cornucopia.  Le  corregge  dei  san- 
dali  (non  indicate  sul  disegno)  arrivano  fino  ad  una  certa  altezza. 
Avanti  a  lui  sta  un  duce  armato  che  alza  la  d.  in  atto  di  ado- 
razione  ;  il  fanciullo  nudo  che  gli  sta  accanto  pare  che  l'abbia 
condotto  qui  e  che  con  la  d.  lo  additi.  Sopra  la  divinitä  una  Co- 
rona di  foglie  e  tenuta  da  un  putto  alato  (Erote),  cui  nella  metä 
perduta  corrispondeva  una  figura  simile.  Dietro  la  divinitä  poteva 
stare  un  guerriero,  qualcuno  del  seguito  del  duce,  o  un  seguace 
ossia  inserviente  della  divinitä,  in  ogni  modo  una  figura,  senza 
che  si  possa  dire  alcun  che  di  piü  preciso. 

Sul  lato  stretto  opposto  i  figli  di  Leto  si  riconoscono  a  prima 
vista;  Apollo  citaredo  fra  Artemide  con  la  face  e  Leto  con  lo 
scettro.  Apollo,  in  lungo  chitone,  epiblema  e  mantello,  con  cin- 
tura  e  nastri  che  s  incrociano  sul  petto  (sie)  sta  li  tranquillamente, 
seduto  di  faccia,  poggiato  sul  piede  sin.,  reggendo  nella  sin.  la 
lira,  nella  d.  probabilmente  il  plettro :  figm'a  che  rimonta  ad  un 


(1)  Le  misure  del  plinto  di  questo  sono :  larghezza  posteriore,  0,73,  an- 
teriore 0,95;  lunghezza  1,0;  cf.  Fürster  Arch.  Ztg  1884  p.  100, 

(2)  L' indicazione  degli  strati  delle  pietre  e  aggiunta  posteriore. 


DÜE   MONÜMENTI   DELL'ITALIA   MERIDIONALE  309 

bell' originale  —  si  confronti  p.  es.,  la  nota  statua  di  Monaco  di 
Baviera,  che  ne  differisce  soltanto  nella  posizione  delle  gambe  — 
e  deve  aggiungersi  alle  rappresentanze  di  Apollo  vestito  con  la 
cetra  enumerate  dall'Overbeck  Kunstmyth,  Apollon  p.  270  n.  25. 
Dietro  il  dio  s'erge  un  gran  tripode.  A  d.,  rivolta  al  fratello,  sta 
ritta  Artemide  con  la  gamba  sin.  incrociata,  con  la  d.  poggiata 
nel  fianco  menfcre  con  la  sin.  tiene  aiferrata  ima  lunga  face  pog- 
giata per  terra ;  e  vestita  di  lungo  chitone  ed  epiblema  con  nastri 
che  s'  incrociano  sul  petto.  Sall'altro  lato  stä  Leto,  in  chitone  e 
mantello  che  le  cuopre  l'occipite ;  per  lo  scettro  cf.  p.  es.  la  Leto 
ax^Ttvqov  exovda  di  Scopa  (Strahl  p.  640).  Avanti  ai  suoi  piedi 
sta  seduta  per  terra  una  donna  in  veste  lunga,  con  mantello  che 
le  cuopre  l'occipite  ;  il  chitone,  scivolando  dalla  spalla  d.,  lascia  sco- 
perto  il  petto  {sie) ;  il  capo  chino  e  la  d.,  che  pende  fiacca  sulle 
ginocchia  dimostrano  grande  tristezza ;  la  mano  sin.,  abbassata  mi 
sembrava  che  riposasse  sopra  un  vaso.  La  spiegazione  fin  qui  ac- 
cettata  (proposta  da  Gerhard  Prodromus  p.  269  ('),  che  cioe  essa 
sia  la  tebana  Manto,  e  priva  di  fondamento ;  potrebb'  essere  p.  es. 
Pythia :  il  vaso  che  credetti  di  dover  ravvisare  conterrebbe  allora 
sia  oracoli  sia  l'acqua  santa  della  fönte  Castalia.  Ovvero  —  e  allora 
l'evidente  tristezza  sarebbe  meglio  giustificata  —  la  donna  rappre- 
senta  una  provincia  vinta ;  il  yaso  potrebb'  essere  un  simbolo,  un 
attributo  della  provincia  stessa,  sul  cui  significato  perö  non  saprei 
proporre  nulla  di  soddisfacente. 

Piü  agevole  riesce  1'  interpretazione  dei  lati  lunghi,  di  cui  uno 
{d-\-  e)  e  completo.  Cinque  figure  di  donne  {-)  in  lungo  chitone 
e  manto  che  nel  maggior  numero  cuopre  loro  anche  l'occipite,  in  at- 
teggiamento  solenne  (con  le  braccia  aderenti  ai  corpi)  e  in  mossa 
sostenuta  s'avvicinano  ad  una  donna  in  trono,  che  accogliendole 
stende  loro  incontro  la  destra;  l'avambraccio  sin.,  che  stava  tran- 
quillo  e  aderente  al  corpo,  e  rotte.  La  dignitä  e  nobiltä  della  fi- 
gura  e  accresciuta  dal  bei  panneggiamento,  che  rileva  le  forme, 
del  chitone  e  dell'ampio  mantello  che  cuopre  la  testa  e  la  parte 
inferiore  del  corpo,  dallo  scabello  e  dalla  spalliera  riccamente  or- 


(1)  Cosi  anche  Otfr.  Müller  Handbuch^  p.  692  §  412,  3 ;  Overbeck,  Sa- 
genkr.    p.  162,4;  Panofka  Arch.  Ztg  1848  Beilage  p.  74*;  ecc. 

(2)  Baumeister  1.  c.  senza  ragione  alcuna  vi  riconosce  Vestali. 


310  DÜE    MONUMENTI    DELL'iTALIA    MERIDIONALE 

nata  del  trono.  Ad  analogia  dell'altro  lato  lungo  possiamo  ricono- 
scere  qui  forse  una  divinitä,,  forse  una  sacerdotessa  che  tiene  il 
luogo  della  divinitä  stessa.  Due  donne  leggermente  vestite,  che 
possono  credersi  sue  compagne  o  inservienti,  stanno  una  ad  ogni 
lato  di  lei ;  l'una  raette  il  braccio  sin.  sul  petto  e  china  la  testa 
sulla  mano  d.  alzata,  mentre  l'altra  con  la  d.  tira  su  il  raantello 
all'altezza  della  spalla.Tutte  le  figure  femminili  provengono  anch'esse 
da  egregi  modelli  riprodotti  piü  o  meno  esattamente.  11  fondo  die- 
tro  di  esse  e  chiuso  con  tappeti  sospesi,  al  di  sopra  dei  quali  com- 
pariscono  qua  e  lä  colonne  ioniche  del  peribolo  d'un  tempio.  Sopra 
e  dietro  la  figura  in  trono  vedönsi  tre  doni  votivi  coUocati  su  pi- 
lastri  alti  e  larghi :  avanti  alle  para'^ietasmata  due  aniraali  con 
le  teste  alzate  che  io  notai  come  vacca  o  toro  e  vitello,  aggiun- 
gendo  perö  non  esser  sicura  quest'  ultima  denominazione ;  fra  essi, 
dietro  e  sopra  il  tappeto,  comparisce  un  piccolo  simulacro  di  Atene, 
caratterizzata  in  modo  indubitabile  dal  grande  scudo  nella  sin., 
alzata;  pare  che  la  testa  sia  coperta  dall'elmo  e  che  la  d.  afferä 
la  lancia  poggiata  per  terra.  Per  quanto  la  figurina  stia  in  alto 
e  per  quanto  sia  piccola,  pure  avremo  a  ravvisarvi  la  statua  del 
tempio,  del  quäle  sopra  di  essa,  che  sta  fra  due  colonne,  e  accen- 
nato  il  tetto;  l'altezza  e  le  piccole  dimensioni  dipendono  dal  de- 
siderio  di  mostrar  completo  l'idolo  non  ostante  il  parapetasma. 
Cosi  la  donna  in  trono  potrebb'  essere  la  sacerdotessa  d' Atene,  in 
atto  di  accogliere  avanti  al  sacrario  della  dea^  circondata  dalle  sue 
inservienti,  una  schiera  di  donne  supplicanti. 

ün  soggetto  simile  era  forse  rappresentata  sull'altro  lato  lungo, 
del  quäle  per  disgrazia  rimane  soltanto  una  metä  {b).  Sopra  un 
trono  pomposamente  ornato  ('),  con  sgabello  per  i  piedi  {sie)  siede 
riccamente  vestita  Cibele  (o  ßhea)  ovvero  la  sua  sacerdotessa;  le 
sta  accanto  il  leone  accoccolato.  Dietro  il  trono  due  altre  figure: 
prima  un  Curete  o  Coribante  in  elmo,  esomide  e  balteo,  che  dan- 
zando  alza  nella  sin.,  lo  scudo  (-)  (l'intero  braccio  d.  e  rotto); 
sul  quäle  si  riconosce  1'  insegna  di  due  galli   combattenti.  Quindi 


(1)  II  bracciuolo  visibile  parc  ornato  d'una  testa  di  Medusa;  ravvisarvi 
un  timpano  (Gerhard)  h  impossibile. 

(*)  E  piuttosto  uno  scudo  che  un  timpano,  al  quäle  pure  si  potrebbe 
pensare. 


DUE    MONUMENTI    DELL'iTALIA   MERIDIONALE  311 

una  nobile  figura  di  donna  (*)  in  chitone  e  liingo  mantello  che  le 
cuopre  anche  l'occipite ;  tiene  la  mano  d.  sul  ventre  e  con  la  sin. 
tira  sopra  il  mantello  press'  a  poco  all'altezza  della  spalla  (sie) :  non  • 
si  puö  disconoscere  la  rassomiglianza,  nel  vestire  e  nell'atteggia- 
mento,  con  quella  donna  che  suU'altro  lato  lungo  (c)  sta  anch'  essa 
airestremitä  della  rappresentanza  accanto  (dietro)  alla  donna  in 
trono ;  soltanto  le  messe  delle  mani  e  dei  piedi  sono  inverse.  Se  tale 
rassomiglianza  sia  casuale  ovvero  debba  indicare  1'  identitä  delle 
due  figure,  non  saprei  deciderlo ;  si  potrebbe  pensare  ad  una  donna 
(o  alla  regione  personificata)  messa  sotto  la  protezione  qui  di  Ci- 
bele,  lä  di  Atene.  Con  piü  sicurezza  si  puö  supporre  suUa  parte 
mancante  avanti  a  Cibele  una  processione  di  donne  adoranti  ac- 
colte  dalla  dea  come  suU'altro  lato  lungo  dalla  supposta  sacerdo- 
tessa  d'Atene. 

Abbiamo  finito  la  descrizione  di  quanto  e  conservato  e  rap- 
presentato.  senz'aver  potuto  proporre,  quanto  alla  interpretazione 
di  tutto  r  insieme  e  delle  particolaritä,  altro  che  congetture.  Forse  ci 
avviciniamo  alla  veritä  riconoscendo  sul  lato  di  fronte  (e)  il  duce 
vittorioso,  la  cui  statua  consolare  stava  sulla  base,  nel  tempio  di 
quella  divinitä  cui  egli  maggiormente  si  sentiva  obbligato,  mentre 
gli  altri  tre  lati  ci  mostrano  la  provincia  vinta,  o  amministrata, 
nella  tutela  di  tre  divinitä,  e  in  atto  di  adorarle  :  Rhea-Cibele  {b), 
Atene  (de)  ed  i  Letoidi.  Non  m'avventuro  a  dir  di  piü ;  forse  un 
altro  sarä  piü  ardito  e  piü  felice. 

Rimane  a  dir  qualche  parola  sul  lavoro  e  sull'epoca  dell'opera 
in  discorso.  Per  quanto  sia  cousunta  la  superficie,  traspira  per  tutto 
l'originaria  bellezza ;  greco,  come  il  marmo,  mi  sembra  anche  il 
lavoro.  Puö  appartenere  al  primo  secolo  avanti  Cristo  ;  in  ogni  modo 
la  base  di  Sorrento,  per  quanto  incompleta  e  logora,  nuUadimeno 
e  uno  dei  piü  belli  monumenti  antichi  che  possegga  l'Italia  me- 
ridionale,  ed  e  perciö  giustificato  che  qui  di  nuovo  si  richiami  su 
di  essa  l'attenzione  degli  archeologi. 

2.  In  Ruvo,  mentre  vasi  dipinti  adesso  come  per  il  passato 
si  trovano  in  abbondanza,  sono  estremamente  rare  le  antichitä  di 
altro  genere.  Ciö  m'  induce  a  pubblicare  una  piccola  statuetta  in 
bronzo  di  Mercurio,  scavata  l'anno  passato  in  Ruvo  ed  ora  conser- 

(1)  Gerhard  1.  c.  qui  pure  riconosce  «  Manto  ». 


312  DUE    MONÜMENTI   DELL'iTALIA    MERIDIONALE 

vata  nella  bella  collezione  del  mio  venerato  amico  Jatta.  AUa  sua 
gentilezza  si  deve  il  disegno  che  qui  si  pubblica,  alla  sua  dottrina 
l'esatta  descrizione  nelle  Not.  d.  scavi  1888  p.  533,  alla  quäle  vo- 
lentieri  mi  riferisco. 

La  piccola  figura  e  discretamente  conservata :  non  manca  che 
la  mano  d.,  con  l'attributo  che  una  volta  portava.  Pur  troppo  la 
superficie  ha  sofferto  molto  per  l'ossido,  in  modo  che  le  particolaritä  in 
parte  possono  esser  indovinate  soltanto.  L'altezza  e  di  m.  0,09.  II 
figlio  di  Mala  e  rappresentato  non  come  l'ellenico  messaggero  degli 
dei  e  preside  della  palestra,  ma  come  il  dio  romano  del  commer- 
cio,  quäle  spesso  lo  rappresentano,  ed  in  modo  simile,  i  piccoli 
bronzi,  parte  serviti  da  doni  votiyi,  parte  coUocati  nei  lararii,  che 
in  gran  numero  si  trovano  nei  musei ;  cf.  p.  es.  Ant.  di  Ercol.  VI 
33.34;  Sacken   Wien.  Broten  X  4;  XII,  3;  XVII  8;  ecc. 

Mercurio  sta  li  poggiato  sulla  gamba  d.,  con  la  clamide  sulla 
spalla  e  sul  braccio  sin.;  ha  la  testa  cinta  da  una  Corona  di  fo- 
glie  ('),  i  cui  nastri  cadono  lunghi  sulle  spalle;  regge  nella  sin. 
il  grande  caduceo;  nella  d.  protesa  ora  mancante,  deve  supporsi 
con  assoluta  certezza  la  borsa,  il  quäle,  insieme  col  caduceo,  e 
nei  tempi  romani  il  piü  frequente  attributo  del  dio.  Accanto  al  piede 
d.  sta  un  piccolo  ariete,  che  spesso  lo  accompagna  (cf.  p.  es.  Paus. 
II  3,  4;  Ann.  d.  Inst.  1863  tav.  Q  1;  Sacken  1.  c.  tav.  20;  ecc), 
fin  dai  tempi  piü  antichi  il  dio  e  noto  nei  mito  e  nell'arte  come 
xQiotfoQoc,  ed  ancora  nei  rilievi  panteistici  di  provenienza  gallica 
e  germanica  (-)  non  di  rado  Variete  si  vede  in  compagnia  di  Mer- 
curio come  simbolo  della  tutela  degli  ai'menti. 

L'epoca  cui  appartiene  la  figurina  puö  essere  determinata  sol- 
tanto approssimativamente :  puö  ascriversi  non  meno  bene  al  primo 
che  al  terzo  secolo  d.  C.  Con  maggior  precisione  possiamo  giudi- 
care  suU'epoca  dell' originale  al  quäle  in  ultima  istanza  rimonta  il 
Mercurio  di  Ruvo.  II  messaggero  degli  dei  sta  li  tranquillo  «  la 
gamba  su  cui  poggia  il  corpo  vista  di  profilo,  di  faccia  l'altra,  il 
cui  piede  tocca  il  suolo  non  con  1'  intiera  pianta  ma  con  la  parte 


(1)  Cf.  ora  Wieseler,  Archäol.  Beitr.  II  p.  21  sgg.  {Abh.  d.  Ges.  d.  Wiss. 
zu  Göttingen,  vol.  XXXV). 

(*)  Benndorf,  Arch.  epigr.  Mitth.  Oestr.  II  1  sgg.;  10.  Hall.  Progr. 
Nota  130. 


DÜE   MONÜMENTI   DELL'iTALIA   MERIDIONALE  313 

anteriore  soltanto;  la  gamba  sgrayata  del  peso  del  corpo  non  h 
piegata  nel  ginocchio,  ma  stesa  lateralmente  con  mossa  leggera. 
II  fianco  corrispondente  alla  gamba  che  sorregge  il  corpo  sporge 
infuori,  con  che  e  ottenuto  l'eftetto  di  riposo  completo  ».  Tale  po- 
sizione  di  figure  che  stanno  ritte  tranquillamente  i\  Winter  {Jung, 
att.  Vasen  p.  8  sgg.),  a  ragione  come  pare,  fa  rimontare  a  Fidia, 
e  cosi  la  figura  originale  che  fu  il  modello  del  Mercurio  Jatta  e 
delle  sue  repliche,  appartiene  circa  alla  metä  del  quinto  secolo 
a.  Cr,  Naturalmente  non  e  ne,  necessario  ne  probabile  che  quest' ori- 
ginale sia  stato  im  Hermes. 

H.  Heydemann. 


Non  molto  dopo  questo  articolo  ci  giunse  la  triste  notizia  della  morte 
prematura  del  suo  autore,  nostro  socio  benetnerito.  La  lunga  serie  di  dotti  la- 
vori  di  cui  egli  ha  arricchito  le  pubblicazioni  deH'Istituto  fin  daH'anno  1867 
si  chiude  con  queste  osservazioni,  la  prima  delle  quali  si  avrebbe  voluto  in 
onore  del  defunto  corredare  di  una  migliore  riproduzione  del  monumento, 
poichö  la  litografla  del  sig.  Mariani  (tav.  X)  non  ä  potuto  eseguirsi  sui  di- 
segni  originali,  non  esistenti  piü,  ma  su  lavori  di  altro  litografo.  Non  riu- 
scimmo  pero  ad  averne  una  fotografia. 

La  Red. 


I  RILIEVI  TONDI  DELL'ARCO  DI  COSTANTINO  ('). 

(Tav.  XII). 


Tutti  sanno  che  l'arco  di  Costantino  e  stato  ediflcato  con  ma- 
teriali  di  costruzioni  anterior!,  nia  Topinione  comune,  che  cioe  tutte 
quelle  parti  che  non  mostrano  il  rozzo  lavoro  dell'epoca  costanti- 
niana,  appartengano  ai  tempi  di  Traiano,  e  falsa  senz'altro  (-).  La 
parte  costantiniana  si  riconosce  facilraente ;  ma,  tolta  questa,  non 
tutto  il  rimanente  puö  attribuirsi  a  Traiano.  Gli  si  attribuiscono  (^) 
le  colonne  con  i  pilastri,  a  parer  mio  senza  ragione.  Le  mezze  co- 
lonne  ed  i  trequarti  di  colonne  degli  archi  traianei  d'Italia,  di  Be- 
nevento  cioe  e  di  Ancona,  conformi  tra  loro,  hanno  la  base  e  la 
scanalatura  differenti  dalle  nostre,  e  per  quanto  queste,  fusti  e  ca- 
pitelli,  siano  superiori  per  la  scultura  a  quelle  dell'epoca  costan- 
tiniana, pure  non  possono  paragonarsi  al  cornicione  e  all'unico  pi- 
lastro  che  ha  conservato  almeno  la  parte  superiore  col  capitello, 
degno  dell'epoca  traianea,  voglio  dire  il  primo  da  sinistra  sul  lato 
Nord,  l'unico,  se  non  m'  inganno,  di  giallo  antico.  Degli  altri  cre- 
derei  antichi  i  soll  capitelli;  ma  questi  sono  di  esecuzione  assai 
diversa,  benche  di  disegno  simile.  Di  piü  il  monumento  traianeo 
spogliato  da  Costantino  pare  sia  stato  senza  colonne,  non  giä 
perche  gli   archi  di  Traiano   sufBcientemente   conosciuti  non  ave- 

(1)  V.  sopra  p.  88,  Sitzung sprotocolle  dei  22  marzo. 

(2)  II  Nibby,  Borna  etc.  parte  I  ant.  p.  445,  volendo  distinguere  una 
terza  parte,  ha  commesso  il  grosso  eiTore  di  attribuire  l'una  metä  del  magni- 
fico  rilievo  quadripartito  a  Traiano,  l'altra  ai  Gordiani.  Acconsenti  p.  e.  Dj'er, 
city  of  Rome  p.  312. 

(3)  Rossini,  Gli  archi  p.  11 ;  Graef  in  Baumeister  Denkmäler  p.  1881;  Mid- 
dleton,  Rome  p.  270. 


I   RILIEVI   TONDI    DELL'aRCO    DI    COSTANTINO  815 

vano  che  mezze  colonne  (^),  sibbene  perche  il  cornicione  non  aveya 
fia  dalla  sua  origine  le  sporgenze  corrispondenti,  o  alnieno  non  le 
aveva  sporgenti  abbastanza  per  colonne. 

L'epistüio  col  fregio,  essendo  di  epoca  posteriore,  non  prova 
nuUa ;  ma  del  cornicione,  che  si  e  soliti  a  dire  sommariamente  del 
tempo  di  Traiano,  non  sono  di  lavoro  originario  che  le  parti  diritte, 
mentre  i  membri  sporgenti  posti  sulle  colonne  sono  di  un'  esecuzione 
molto  inferiore,  e  debbono  senz'  altro  ascriversi  alla  fabbrica  attiiale. 
Inoltre  si  noti  che  ciascimo  degli  otto  membri  sporgenti  non  consiste 
di  im  pezzo  solo,  come  la  parte  sottoposta  della  trabeazione,  bensi 
di  tre  pezzi,  di  cui  sempre  uno  forma  il  lato  maggiore  del  rettan- 
golo  scolpito  da  tre  lati,  e  meglio  scolpito  sulla  fronte  che  sui 
iianchi,  mentre  gli  altri  due  formano  gli  angoli  rientranti  con  le  parti 
attigue  piü  o  meno  grandi  del  cornicione  diritto  (-).  Questo  dunque, 
se  per  l'assenza  di  parti  sporgenti  non  poteva  avere  colonne  ap- 
plicate,  per  un'altra  ragione  non  poteva  nemmeno  esser  sorretto 
da  colonne  libere,  per  la  diversa  lunghezza  cioe  dei  singoli  pezzi : 
essendone  due  di  30  e  33  dentelli,  due  di  21  ^  e  22,  dieci  di 
11  a  15,  sei  di  7  a  9  i.  Ne  sono  congiunti  perö  sei  da  formare 
tre  pezzi  angolari  di  11  e  7  l'uno,  di  14  ^  e  7  l'altro  e  di  33  e  7  il 
terzo.  Salta  nell'occhio  una  proporzione  delle  quattro  grandezze 
prese  in  media  di 


a 

71 

(  6  esemplari)  ==    n 

b 

13 

(10        «        )  =  2n 

c 

22 

(2        "        )  =  ^n 

d 

3U 

(.2         ^       )  =  4n 

Potrebbe  credersi  che  siffatta  differenza  di  lunghezza  facil- 
mente  si  spieghi  dalla  pianta  di  archi  come  quegli  eretti  a  Traiano 

(1)  Rossini,  Gli  archi  ecc.  Tav.  XXXVIII  sgg.  XLIV  sgg.  Graef.  1.  c. 
p.  1881  sgg. 

(2)  Contando  da  mano  sinistra  sul  lato  Nord  si  troverä  di  aggiunta  po- 
steriore a  sinistra  della  prima  sporgenza  nessun  dentello,  a  destra  5,  a  sin. 
della  seconda  5,  a  d.  2  |,  a  sin.  della  terza  8,  a  d.  3,  a  sin.  della  quarta  3, 
a  d.  nessuno  ;  sul  lato  Sud  a  sin.  della  prima  5,  a  d.  4  ;  a  sin.  della  seconda  3, 
a  d.  5;  a  sin.  della  terza  3,  a  d.  2  |  ;,a  sin.  della  quarta  2  ^ :  a  d.  nuUa  si 
puö  aifermare,  essendo  tutto  quell'angolo  di  ristauro  moderno  ;  ma  per  cou- 
gettura  suppongo  nel  mio  calcolo  che  esso  abbia  rimpiazzato  un  pezzo  angolare 
antico.  Si  vede  inoltre  che  i  pezzi  antichi  sono  commessi  sonza  esattezza  alcuna 


316  I   RILIEVI   TONDI 

in  Ancona  ed  in  Benevento ;  ma  ne  a  questi  ne  a  quello  che  for- 
mava  l'ingresso  al  foro  di  Traiano  mancavano  parti  sporgenti  della 
trabeazione. 

Ne  questo  e  l'unico  argomento  contrario  all'opinione  general- 
mente  adottata,  che  cioe  l'arco  di  Costantino  sia  stato  costruito  e 
ornato  soltanto  con  materiali  d'un  arco  di  Traiano ;  anche  quel 
magnifico  rilievo  rappresentante  le  vittorie  e  il  ritorno  di  Traiano  non 
trova  posto,  per  la  sua  grandezza,  in  un  arco.  Prima  del  Rossini, 
il  quäle  pare  ne  meni  vanto,  il  Bellori  ed  il  Santa  Bartoli  (')  rico- 
nobbero  che  i  quattro  rilievi  ora  occupanti  i  lati  corti  dell'attico 
ed  i  lati  destro  e  sinistro  del  passaggio  principale  sono  parti  di 
im  sol  fregio  grandiose,  non  segato  in  quattro,  come  stranamente 
dicono  alcuni  (-),  ma  soltanto  scomposto,  essende  anzi  ciascuna 
delle  quattro  parti  formata  da  due  lastre  invece  d'una  sola.  Ri- 
composte,  le  otto  lastre  danno  un  bassorilievo  lungo  di  quasi  45 
piedi  0  metri  15,  e  tale  dimensione,  giä  per  se  troppo  grande  in 
qualunque  arco,  manca  nel  caso  nostro  ancora  di  qualche  parte.  I 
rilievi  stessi  (meglio  che  i  disegni  pubblicati  dal  Rossini  1.  c. 
tav.  70  e  dal  Bellori  tav.  42  e  45)  fanno  vedere  che  a  sinistra  {^) 
come  a  destra  doveva  continuare  la  rappresentanza,  dimodocche  ai 
45  piedi  di  lunghezza  se  ne  aggiungono  almeno  altri  11. 

Anche  le  statue  dei  prigionieri  barbari,  poste  suUe  colonne, 
mancano  di  analogia  negli  archi  di  Traiano,  mentre  figure  simili 
furono  trovate  negli  scavi  del  suo  foro.  Ma  io  lascio  ad  altri  il 
giudicare,  se  il  racconto  di  Ammiano  Marcellino  XVI  10,  15,  essere 
stato  Costanzio  stupefatto  dalla  magnificenza  del  foro  di  Traiano,  o 
altra  cosa  (^)  impedisca  veramente  di  credere  spogliata  in  quel  tempo 
anche  una  parte  di  questo  foro.  Certo  e  che,  se  alcune  parti,  delle 
quali  abbiamo  parlato  o  parleremo  in  appresso,  potevano  provenire 
da  un  arco  di  Traiano,  ve  ne  sono  altre  di  arte  traianea  si,  ma  non 
poste  nella  loro  origine  in  un  arco. 

(1)  Rossini,  Gli  archi  ecc.  p.  11,  Bellori,  Veteres  arcus  ecc.  tav.  45 
haec  et  antecedentes  tres  unam  olim  conficiehant  tahulam  in  arcu  vel  in 
aedificiis  fori  Trajani  ecc. 

(2)  Come  Reber,  Ruinen  p.  425;  Burn,  1.  c.  p.  171  e  Middleton,  1.  c.  p.  278. 

(3)  A  sinistra  quelle  figure  che  troppo  chiaramente  accusavano  come 
incompleto  il  rilievo  furono  rozzamente  abrase. 

(4)  Cf.  Jordan,  Topogr.  I,  2  p.  457. 


DELL'aRCO   DI   COSTANTINO  317 

Vi  e  poi  una  terza  parte,  che  benissimo  puö  attribuirsi  ad 
un  arco  piü  anti'co,  ma  certo  non  di  Traiano,  benche  queste  rap- 
presentanze  —  sono  i  rilievi  dell'attico  sui  lati  lunghi  —  da  tutti  (') 
dopo  il  Bellori  siano  stati  riferiti  alla  vita  di  Traiano.  Mostrano 
qiiesti  rilievi  in  piü  d'una  parte  imitazione  manifesta  di  opere 
traianee,  ma  per  lo  stile,  per  l'esecuzione,  e  per  essere  quasi 
tutti  i  maschi  di  etä  virile,  soldati,  ufficiali  e  le  persone  del  cor- 
teggio  imperiale  barbati,  hanno  da  ascriversi  all'epoca  degli  An- 
tonini. Anzi,  le  dimensioni  delle  singole  tavole  e  la  loro  incor- 
niciatura  le  dimostrano  compagne  di  quelle  quattro  che  dalla  chiesa 
di  S.  Martino  furono  traslocate  al  palazzo  dei  Conservatori,  ma 
che  non  si  sa  donde  venissero  a  S.  Martina.  Molti  li  pongono 
a  raffronto  con  i  due  rilievi  in  cima  della  scala  del  palazzo  dei  Conser- 
vatori e  con  un  terzo  nel  palazzo  Torlonia  a  piazza  di  Venezia, 
i  quali  si  sa  aver  fatto  parte  della  decorazione  dell'arco  di  M.  Au- 
relio  e  Lucio  Vero  presso  il  palazzo  Fiano.  Ma  questi,  benche  di 
Stile  simile,  sono  di  un'esecuzione  forse  un  po'  migliore  e  certo  di 
dimensioni  differenti,  e  mancano  della  cornice.  II  fatto  stesso  che 
queste  rappresentanze  furono  spiegate  dalla  vita  di  Traiano,  le  di- 
mostra  non  riferibili  ad  una  determinata  individualitä.  Di  fatto 
pompa  ed  ingresso  nella  cittä,  sagrifizio,  allocuzione,  giudizio  di 
prigionieri  supplichevoli  o  scene  simili  dovevano  ripetersi  nella  vita 
di  vari  imperatori.  Egualmente  difiicile  poi,  per  non  dire  impossi- 
bile,  riesce  il  volerle  disporre  tanto  secondo  le  linee  e  la  simmetria 
delle  composizioni,  quanto  secondo  il  loro  significato. 

Da  quanto  abbiamo  esposto  si  rileva  che  piü  d'un  monu- 
mento  anteriore  ha  dovuto  fornire  materiali  per  la  fabbrica  co- 
stantiniana,  e  che  appunto  per  questa  mescolanza  di  elementi  ete- 
rogenei,  scelti  e  disposti  arbitrariamente,  sarebbe  ardito  il  voler 
precisare  natura  e  forma  dei  monumenti  spogliati.  Vi  e  perö 
una  certa  serie  di  rilievi  che  per  argomenti  intrinseci  lasciano 
travedere  un  po'  piü  della  loro  disposizione  e  del  loro  numero  ori- 
ginario,  e  questi  appartengono  alla  parte  migliore,  voglio  dire  traia- 


(1)  Non  vi  si  oppose  nerameno  lo  Zoega,  BR.  I  p.  147.  Di  altri  v.  Venuti, 
Descriz.  topogr.  I»  p.  22 ;  Beschr.  Roms  III,  1  S.  316 ;  Braun,  H.  u.  M.  p.  7. 
Reber  1.  c.  p.  428.  Graef.  1.  c.  p.  1881 ;  Burgess,  Topogr.  I  p.  258.  Burn, 
Rome  p.  172.  Dyer,  city  of  R.  p.  112 ;  Middleton  1.  c.  p.  278,  280. 


318  I   RILIEVI   TONDI 

nea,  dell'opera,  cioe  gli  otto  tondi  o  medaglioni  dei  lati  hmghi. 
Essi  si  vedono  riprodotti  in  eliotipie  piü  grandi  e  secondo  l'ordine 
attuale  nelle  Antike  Denkmäler  herausgegeben  vom  K.  D.  Ar- 
chaeologischen  Institut,  vol.  I  tav.  XLII  (lato  Nord)  XLIII  (lato 
Sud);  riprodotti  sulla  nostra  tav.  XII  in  eliotipie  piü  piccole  e 
secondo  l'ordine  che  nelle  seguenti  osservazioni  si  vorrebbe  provare 
essere  stato  l'origina'rio  ('). 

E  prima  d'ogni  altro  il  fatto  che  ai  lati  corti  si  do vettere 
aggiungere  due  simili  tondi  di  lavoro  contemporaneo  porta  a  de- 
durre  che  il  monumento  spogliato  ne  fornisse  solo  otto,  a  meno 
che  non  si  voglia  credere  l'architetto  dell'arco  tanto  invaghito 
dell'idea  di  rappresentare  1' Oriente  sul  lato  Est  e  l'Occidente  sul 
lato  Ovest,  da  rinunziare  piuttosto  al  materiale  pronto  che  alla 
sua  idea.  Ma  gli  otto  tondi  traianei,  benche  scomposti  e  nuova- 
mente  aggruppati  dall'architetto  costantiniano,  formano  precisamente 
quattro  paia.  e  questo  e  un  altro  argomento,  ch'  essi  non  fiirono 
mai  in  numero  maggiore  (2). 

Ora  e  manifesto  che  anche  la  disposizione  attuale  non  e  for- 
tuita,  ma  secondo  un  concetto.  Ai  commentatori  non  sfuggi  che  i 
medaglioni  sono  disposti  in  modo  da  esibire  un  alternarsi  regolare 
di  cacce  e  di  sagrifizi.  E  certo  perö  che  questo  ordine,  il  cui 
Schema  sarebbe  a  b  a  b,  h  tutt' altro  che  originario.  Siccome  un 
arco  trionfale  doveva  essere  disposto  simmetricamente,  sia  nell'ar- 
chitettura  stessa  che  nelle  figure  che  vi  erano  sovrapposte,  cosi 
s'intende  che  anche  i  tondi  dovevano  essere  ordinati  simmetrica- 
mente a  sin.  e  a  d.  del  passaggio,  non  secondo  la  formola  ab  ab, 
ma  piuttosto  secondo  quell'altra  abba  ovvero  baab.  E  questa 
legge  di  composizione  non  era  ignota  all'architetto  di  Costantino; 
lo  dimostrano  le  rozze  figure  di  Vittorie  sugli  zoccoli  delle  co- 
lonne,  disposte  tutte  verso  il  passaggio  centrale,  come  anche  le 
Vittorie  voianti  nei  sesti  della  volta  grande  e  le  figure  di  fiumi 
nei  sesti  di  quelle  piccole  (3).  Se  niente  di  meno  per  il  riordina- 

(1)  Sull'arco  di  Costantino  si  trovano  verso  Nord  da  sin.  a  d.  i  nostri 
nn.  3.  1.  7.  8,  sul  lato  Sud  parimente  da  sin.  a  d.  i  nostri  nn.  2.  5.  6.  4. 

(2)  Tre  delle  paja  furono  riconosciute  giä  dal  Fabretti,  de  columna  Trajana 
p.  171,  seguito  dal  Montfaucon,  Ant.  expl.  II  p.  200. 

(3)  II  vedere  i  Daci  prigionieri  al  di  sopra  delle  colonne  posanti  tutti 
ugualmente  sulla  gamba  sinistra,  forse  sarä  un  altro  motivo  per  non  crederli 


DELL'aRCO   DI   COSTANTINO  319 

mento  dei  tondi  hanno  trascurato  questa  legge,  la  causa  dev'  es- 
sere  che,  dimenticata  o  confusa  la  disposizione  primitiva,  si  h 
seguito  piuttosto  un  calcolo  alla  buona  che  un  sentimento  arti- 
stico.  Lascio  in  sospeso  per  ora  se  l'intenzione  di  riui  ire  nel  lato 
Nord  i  tondi,  ove  la  figura  principale  e  adorna  del  nimbo,  sia 
stata  una  ragione  della  disposizione  attuale ;  il  nimbo  perö  in  dne 
tondi  pare  sia  di  aggiunta  posteriore,  nel  primo  cioe  e  nel  terzo 
da  sinistra :  sopra  questa  particolaritä  e  suUo  stato  attuale  dei 
rilievi,  come  suUe  deformazioni  che  i  tondi  hanno  soiferto  per  la 
traslocazione,  ed  anche  suUa  loro  policromia,  si  troveranno  le  indi- 
cazioni  necessarie  nel  testo  delle  Antike  Denkmäler  (I  tav.  XLII). 
ove  sono  pure  accennate  le  interpolazioni  del  Sante  Bartoli  (*),  in 
parte,  ma  non  tutte,  rigettate  dal  Rossini.  In  questo  luogo  invece, 
prima  di  poter  ricercare  la  disposizione  originaria  di  tutti,  bisogna 
accertare  ciö  che  e  rappresentato  nei  singoli  tondi,  non  seguendo 
l'ordine  attuale,   ma  riaccoppiandoli   secondo  indizi  manifesti. 

Ed  e  rimasta  inseparata  almeno  uno  coppia,  quella  a  destra 
cioe  del  lato  Nord  (XII,  7  e  8).  Vi  si  vede  nel  tondo  a  sin.  la  caccia 
finita:  un  gran  leone  ucciso  giace  prostrato  ai  piedi  dei  cacciatori, 
i  quali,  per  guardare  piü  da  vicino  la  belva,  sono  scesi  dai  ca- 
valli,  tenuti  per  le  briglie  da  due  giovanetti.  L'imperatore  imberbe, 
con  fattezze  non  troppo  somiglianti  ai  ben  noti  ritratti  di  Traiano, 
mentre  pare  non  possa  essere  altro  che  lui,  e,  come  sempre  (^),  di 
statura  un  poco  piü  alta  delle  altre  persone,  e  adorno  del  nimbo 
(v.  Denkmäler  1.  c).  Egli  sta  sopra  la  parte  anteriore  del  lione,  rivol- 
gendosi  con  un  gesto  della  sinistra  al  compagno,  uomo  di  aspetto 
dignitoso,  forse  per  offrirgli  qualche  cosa.  ün  altro  barbato,  che 
sta  fra  loro,  rassomiglia  un  poco  ad  Adriane  (3). 


coUocati  originariamente  in  un  arco.  Le  vergini  xöqcu  che  sorreggono  il  tetto 
della  piccola  Tigöaraoig  ngog  rw  KexQon'uo  deirEretteo  di  Atene,  posano 
le  tre  a  man  sinistra  sulla  coscia  destra,  le  tre  a  destra  sulla  coscia  sinistra. 

(1)  AI  sig.  0.  Kern  debbo  alcune  notizie  sui  disegni  del  Dal  Pozzo  con- 
servati  a  Windsor.  Ne  risulta  che  quesi  disegni  sono  senza  interpolazioni. 
Forse  uno  dei  nostri  coUeghi  inglesi  farä  un  confronto  della  nostra  tavola  col 
Codice  di  Windsor,  per  mettere  in  evidenza  lo  stato  nel  quäle  si  trovano  i 
rilievi  in  quel  tempo. 

(*)  Sulla  colonna  traiana  questa  legge  talvolta  non  e  stata  osservata. 

(')  Piü  rassomigliante  serabra  a  una   bella   testa   del  Museo  capitolino 


320  I   RILIEVI   TONDI 

Nel  tondo  compagno  a  destra  si  vedono  quattro  cacciatori, 
caratterizzati  come  tali  dagli  spiedi  con  vesti  cittadine.  II  prin- 
cipe, col  capo  coperto  del  manto,  sta  libando  sopra  un  altare 
dinnanzi  l'idolo  d'un  Ercole  giovane  (del  quäle  parlerö  piii  oltre) 
seduto  in  alto  sopra  la  sua  pelle  leonina.  Qui  certamente  egli 
non  e  Traiano.  Non  ostante  il  naso  rotto  si  riconosce  con  perfetta 
chiarezza  un  personaggio  piü  vecchio,  con  molte  rughe  nella  fronte, 
con  chioma  e  barba  molto  corte.  Anche  i  suoi  eompagni,  almeno 
quanti  hanno  la  testa  conservata,  tanto  quello  che  gli  sta  din- 
nanzi dall'altra  parte  dell'altare,  quanto  il  giovane  a  sinistra,  pos- 
sono  dirsi  con  certezza  differenti  da  quelli  del  primo  tondo,  raentre 
con  uguale  certezza  si  riconosceranno  in  qualche  altro.  Ma  la  pelle  (') 
d'un  lione  colossale,  sospesa  come  un  ex  voto  alla  base  dell'idolo  (-) 
unisce  questo  medaglione  a  quell' altro,  da  non  lasciare  alcun  dubbio. 

Un  secondo  paio  (XII,  3.  4),  disunito,  essendo  un  medaglione  il 
primo  a  sinistra  sul  lato  Nord,  1' altro  il  primo  a  destra  sul  lato  Sud, 
mostrano  quello  la  caccia  del  cinghiale  (3),  questo  un  idolo  di 
Diana  cui  viene  offerto  un  sagrifizio  di  ringraziamento  per  l'uccisione 
d'un  cinghiale,  la  cui  testa  si  vede  collocata  sull'albero  al  disopra 
della  dea.  Anche  qui  debbono  intendersi  due  cacce  al  cinghiale 
diverse  fra  loro,  essendo  differenti,  secondo  tutta  l'apparenza,  i  cac- 
ciatori della  prima  scena  dai  sagrificanti  della  seconda,  meno 
forse  l'imperatore,  il  quäle  nel  sagrifizio  ha  il  viso  tanto  logoro 
da   potersi   affermare    soltanto   possibile    l'identitä   di  persona  in 


(galleria  n.  32)  falsamente  spiegato  Domizio  Enobarbo.  Nei  rilievi  della  co- 
lonna  Trajana,  ove  tante  volte  rafBgurato  si  vede  Trajano  coi  eompagni,  fra 
questi  non  ho  mai  potuto  riconoscere  un  solo  personaggio  dei  nostri  medaglioni. 

(1)  Anthol.  Palat.  VI,  57  la  pelle  di  un  leone  sospesa  su  di  un  pino  si 
dedica  a  Pane.  Cf.  anche  VI,  262  e  263.  Ad  Ercole  s'indirizza  VI,  114  con 
dedicazione  di  una  pelle  di  toro  con  le  coma  posta  ilyu  nQonvXoy,  come  112 
tre  teste  di  cervo  si  dicono  fissate  vn  ai&ovatjoii'  di  Apolline,  mentre  in  altri 
epigrammi  simili  doni  vengono  attaccati  con  chiodi  agli  alberi  (VI,  96,  110, 
112,  255),  0  semplicemente  sospesi  sui  rami  (VI,  35,  57,  106). 

(*)  Una  strana  spiegazione  di  questo  rilievo  si  trova  presso  Middleton* 
p.  278 :  '  in  the  sky  among  clouds  is  a  figure  of  Jupiter  and  by  him  a 
small  figure  of  Minerva  \ 

(=<)  Cf.  la  caccia  d'un  cinghiale  su  moneta  di  Adriane,  Cohen  502,  d'un 
lione  Coramodo  867,  di  una  pantera  Commodo  957,  ove  sempre  l'imperatore 
a  cavallo  insegue  la  belva  fuggente. 


DELL'aRCO    DI    COSTANTINO  321 

ambedue  le  scene.  Invece  nell'altro  tondo  la  testa  e  assai  bene 
conservata,  e  qui  si  osservano  meglio  le  specialitä  dei  ritratti 
di  Traiano.  Gli  altri  due  cacciatori  a  cavallo  credo  riconoscerli 
nella  scena  del  lione  ucciso,  ove  pure  di  quelli  che  assistono  al 
sagrifizio  sembrano  ricorrere  i  due  airestrema  destra  e  sinistra, 
mentre  l'uomo  robusto  a  sin.  dell'altare,  che  tiene  la  spada  nel  fo- 
dero  con  la  sin.,  si  riconosee  nella  caccia  all'orso  a  sinistra  del 
principe.  II  simulacro  di  Diana  sopra  base  tonda,  ombreggiata  —  non 
molto  perö  —  da  due  alberi  (fogliame  e  frutti  paiono  di  lauro)  e 
graziosissimo.  Nel  chitone  succinto  credo  ravvisare  quella  stoffa  a 
pieghe  fine,  prediletta  dall'arte  greca  arcaica  e  tornata  di  moda, 
se  non  m'inganno,  fin  dalla  fine  del  secolo  quarto.  E  cinta  da  una 
cordicella  non  molto  sotto  le  mammelle;  la  dea  inoltre  si  e  av- 
volta  la  vita  con  un  panno  affaldato,  la  cui  estremitä  pende  din- 
nanzi  alFornero  sinistro.  Dietro  l'omero  destro  apparisce  il  tur- 
casso;  sul  rilievo  stesso  ho  creduto  riconoscere  una  parte  dell'arco 
nella  manca  abbassata;  la  destra  alzata  teneva  la  lunga  fiaccola, 
di  cui  la  parte  inferiore  si  e  conservata.  Ove  Sante  Bartoli  ha 
disegnato  una  piccola  luna  sulla  fronte  della  dea,  io  non  riconosco 
che  due  ricci  della  chioma  raccolta  da  un  nastro.  La  testa  del  cin- 
ghiale  ucciso  e  propria  di  Diana  (II IX,  548),  e  corae  qui  si  vede 
consecrata  suU'albero,  cosi  in  altro  rilievo  un  cacciatore  l'ha  at- 
taccata  alla  cappella  (i).  L'altare  e  coperto  di  varie  frutta,  con 
una  grande  pigna  in  ciraa,  sopra  legni  incrociati  non  ancora  ac- 
cesi.  L'imperatore  sta  per  consacrarle  con  la  destra,  mentre  nella 
sinistra  reggeva  l'asta. 

II  terzo  paio  (XII,  5.  6)  e  dedicato  alla  caccia  dell'orso;  i  meda- 
glioni  compagni  sono  divisi,  benche  non  molto,  e  si  vedono  sul  lato 
Sud,quello  con  la  caccia  stessa  a  destra  del  passaggio  principale,quello 


(1)  Sul  bei  rilievo  Spada,  con  Adonide  (?)  ferito,  in  Guattani  Mon.  ined. 
tav.  XXX,  'Qmnn,  XII  Basreliefs  T.  II;  Schreiber,  Relief bilder  IN.  Cf.  Guat- 
tani XXXIV,  Braun  III,  Schreiber  V.  NeH'Antologia  Palatina  VI,  111  un  certo 
Licorma  ha  ucciso  un  cervo,  deQfia  de  xcd  dixeocuof...  xov^cc  d-rjxE  ticcq', 
'Jygöndi.  Alla  stessa  Artemis  spettano  forse  i  palchi  attaccati  a  un  pino  nel 
n.  110;  mentre  la  pelle  di  un  cinghiale  nel  n.  168  si  dedica  a  Pane.  Cf.  p.  322 
annot.  1  e  Filostrato,  Imagg.  1,  28  xcd  xrjv  \4yQotEQ(ip  ngogiäyrss  uaovxuv  vm<; 
yccQ  rig  avz^s  fxc?  x(d  (cya^/uu  Xeiof  vno  zov  ^QÖyov  xcd  aviov  xecpa'Acd  xcd 
aqxtcov. 


322  I   RILIEVI   TONDI 

col  sagrifizio  a  sinistra.  La  composizione  della  caccia  e  quasi  iden- 
tica  quella  del  cinghiale :  tre  cacciatori  perseguono  la  belva  verso 
destra:  perö  per  variare  qui  si  e  dato  all'imperatore  non  il  posto  piü 
innanzi,  ma  quello  piü  verso  chi  guarda,  e  perciö  egli  e  posto  piü 
nel  mezzo,  e  lascia  indietro  il  giovanetto.  L'imperatore  non  e  piü 
riconoscibile ;  il  suo  compagno  a  destra  fu  giä  raifrontato  con  l'as- 
sistente  al  sagrifizio  di  Diana.  L'orso,  molto  piccolo,  non  e  forse 
la  parte  men  lodevole  della  composizione;  giacche  il  cavaliere 
piü  avanzato,  il  cui  cavallo,  troppo  gracile,  sembra  correre  per 
aria,  ha  la  gamba  destra  d'una  liinghezza  eccessiva,  e  simile 
sproporzione  del  cavallo  e  del  cavaliere  si  osserva  nell' ultimo.  II  me- 
daglione  compagno  si  riconosce  dalla  pelle  con  la  testa  colossale, 
sospesa  sull'albero  accanto  al  simulacro.  La  pelle,  di  cui  anche 
una  gamba  si  vede  pendente,  non  fu  riconosciuta  ne  dal  Bellori 
ne  dal  Rossini,  e  la  testa  nei  loro  disegni  ha  piuttosto  l'apparenza 
di  leone.  Eppure  e  un  orso  evidente  (riconosciuto  giä  da  Fabretti 
p.  170,  ove  rafligura  il  tondo  non  interpolato);  e  ciö  vien  confermato  dal 
nume  al  quäle  e  stato  consecrato  Q).  Divinitä  barbuta  di  forme  erculee, 
perö  non  e  Ercole,  non  solamente  perche  un  Ercole  giä  l'abbiamo 
trovato  in  un  altro  medaglione,  raa  eziandio  per  l'acconciatura  dei 
capelli,  per  la  pelle  piena  di  frutta  sorretta  dall'omero  o  braccio 
sinistro,  pelle  non  di  leone  ma  di  capra,  finalmente  per  un  piü 
antico  ex  voto  di  una  siringa  {-)  sospesa  all'albero  sagro,  il 
quäle  ora  porta  anche  il  nuovo  dono  della  pelle  d'orso.  Tutto 
ciö   accenna  manifestamente  al  dio    Silvano  {^),  dio  venerato  dal 

(1)  A  Silvano  si  fa  una  dedicazione  ob  aprum  eximiae  formae  captum ; 
Corp.  inscr.  lat.  VII,  451,  e  Silvano  corrisponde  al  greco  dio  Pane,  piü  di 
ogni  altro  nume  venerato  dai  cacciatori.  A  Pane  si  dedica  testa  o  pelle  di 
cervo   nell'Antol.  Palat.  VI,  255,  di  lupo  106,  di  cinghiale  168,  di  leone  57. 

(2)  La  siringa  viene  sospesa  come  ex  voto  di  Pane  Antol.  Pal.  VI,  177. 
Pr^sso  Silvano  si  vede  Bötticher,  Baumkultus  fig.  16, 19.  Cf.  Tibull  II,  5,  29. 

(3)  Vd.  Preller-Jordan,  Rom.  Mythologie  I  p.  392,  Keifferscheid,  An- 
nali 1866  p.  219.  Nella  nota  1  p.  225  quest'ultimo  dice  riguardo  alla  nostra 
figura  '  certo  e  che  non  sia  ne  Ercole  ne  Silvano  '.  Invece  egli  lo  crede  Fauno. 
Ma  non  aveva  riconosciuto  bene  i  particolari  del  rilievo,  perche  parla  di  una 
testa  di  pecora  pendente  dall'albero  e  di  un  pedum  nella  raano  del  dio.  Per 
Silvano  l'aveva  spiegato  il  Bellori,  al  quäle  si  oppose  il  Rossini,  e  lo  chiamo 
Ercole,  non  basandosi  che  su  interpolazioni  del  Sante  Bartoli,  sulla  clava 
cioe ;  ma   non    vi    esiste    oggetto  che  somigli  ad  una  clava  o  ad  un  pedum, 


DELL'ARCO   DI   COSTANTINO  323 

cacciatori,  e  specialmente  da  Traiano  (').  Il  vero  che  mancano  alcuni 
dei  soliti  attributi  del  niime  silvestre :  manca  il  cane  e  man- 
cano gli  stivali,  attributi  non  indispensabili.  Indispensabile  invece 
e  il  coltello,  il  quäle  non  manca  che  per  difetto  deiravambraccio 
destro :  due  puntelli,  l'uno  per  la  raano,  l'altro  un  po'  addietro,  in- 
dicano  un  oggetto  tenuto  orizzontalmente  dalla  mano  stessa,  appunto 
come  sarebbe  tenuto  il  coltello.  Se  finalmente  e  o  sembra  almeno 
privo  di  Corona,  gli  e  certamente  perche,  mentre  l'Augusto  si  ap- 
presta  al  sagrifizio  dinnanzi  alla  statua,  uno  dei  compagni  da  dietro 
sta  per  incoronarlo.  Dall'essere  quest' ultimo  scalzo  e  vestito  d'eso- 
mide,  e  dalla  sua  stessa  movenza  di  protendere  il  pie  destro  ed 
alzarsi(2),  afferrando  con  la  mano  sinistra  un  ramo  dell'albero  per 
poter  giungere  alla  testa  della  statua,  si  riconosce  non  essere  egli 
un  personaggio  del  seguito  dell'imperatore,  neppure  un  paggio, 
bensi  un  servo,  quäle  altrove  non  abbiamo  trovato,  ma  che  qui  e 
richiesto  dal  concetto  della  rappresentazione.  Neil' imperatore,  beu- 
che ora  sia  perduta  tutta  la  parte  superiore  del  corpo,  pure  la  fi- 
gura  e  la  movenza  richiamano  piuttosto  Traiano  che  quel  vecchio 
dalla  chioma  corta ;  e  nell'uomo  posto  dietro  di  lui,  di  statura  un 
po'  pesante  e  dal  collo  robusto,  non  ostante  l'assenza  della  testa 
credo  ravvisare  quelle  ovvio  nelle  scene  del  leone  e  del  cinghiale. 
Anche  il  giovane  che  con  la  destra  alzata  sta  adorando  il  nume 
potrebbe  identificarsi  con  qualche  figura  delle  scene  prelodate. 

Kestano  due  medaglioni,  l'uno  (XII,  2)  il  primo  da  sin.sul  lato 
Sud,  l'altro  (XII,  1)  il  secondo  da  sin.  sul  lato  Nord;  e  questi  due  s'ac- 
coppiano  appunto  per  un  motivo  opposto  a  quello  che  unisce  le  altre 
coppie:  lä  i  medaglioni  con  la  caccia  ad  una  bestia  del  medesimo  ge- 
nere  hanno  per  riscontro  medaglioni  con  la  bestia  uccisa  che  si  con- 
sacra  al  nume  cui  e  prediletta ;  qui  nel  primo  si  presenta  non  la  caccia 


suUa  pelle    leonina,  che  invece  h  caprina,  sui  pomi  delle  esperidi,  che 
sono  frutta  semplici.  Per  Silvano  fu  riconosciuto  anche  dal  Braun  R.  u.  M.  p.  8. 

(1)  V.  Fabretti,  1.  c.  p.  172;  Keifferscheid,  1.  c.  p.  223.  Silvano  sull'arco 
di  Benevento  presso  Rossini,  1.  c.  Tav.  XLI. 

(2)  E  raolto  simile  per  l'azione  la  figura  di  un  compagno  d'Ippolito,  il 
quäle  sul  sarcofogo  di  Costantinopoli  pubblicato  nel  Bulletin  de  corresp.  hel- 
lenique  1889,  pl.  V,  sta  per  attaccare  i  palchi  di  un  cervo  al  terapietto  di 
Artemis.  Nella  tragedia  conservata  di  Euripide  Ippolito  stesso  incorona  11  si- 
mulacro  della  dea.  Cf.  l'annot.  1  p.  321. 

22 


324  I    RILIEVI   TONDl 

ma  la  partenza  per  la  caccia,  l'uscita  dalla  porta ;  nell'altro  un'ado- 
razione  ossia  sagrifizio,  ma  senza  alciina  preda.  Anzi  visto  la  mo- 
venza  della  persona  incontro  al  principe,  che  sta  per  allontanarsi 
piuttosto  che  per  assistere  alla  solennitä,  si  penserä  non  giä  ad  im 
sagrifizio  di  ringraziamento,  ma  ad  uno  di  preghiera,  fatto  nel  pas- 
sare,  come  prescrive  Senofonte  Cyneg.  6,  12  avrov  6i  tag  xvvag 
XaßovTa  Uvai  ngog  rrjv  vrrayoyyrjv  rov  xvvr^ytaioi^  xal  ev^ccfisvov 
TO)  'AtiÖXXmyi  xal  Tji  'Agrefudi  rfj  'AyQorsQa  {.israSovrai  rrjg  ^r^gag 
Xvaai  lAiav  xvva  ecc.  L'Apollo  al  quäle  qui  si  fa  la  preghiera  non 
e  Y arcitenens^  ma,  guardato  dal  suo  grifone  alla  destra,  con  la 
sinistra  afferra  la  cetra  posta  sul  tripode  allungato,  nel  quäle  si 
torce  il  serpente;  la  destra  pendente  teneva  senz'altro  il  plcttro. 
L'imperatore  col  nimbo  non  e  Traiano,  ma  lo  stesso  vecchio  con 
capelli  e  barba  tonsi  che  abbiamo  veduto  sagrificare  ad  Ercole; 
e  anche  dinnanzi  a  lui  si  ripete  il  medesimo  personaggio ;  l'altro 
compagno  che  sta  addietro,  nel  sagrifizio  d' Ercole  era  senza  testa; 
qui  all'incontro  l'ha  conservata  molto  bene,  ed  e  quelle  che  ab- 
biamo raffrontato  ad  Adriano  nella  scena  del  leone  ucciso.  Nella 
scena  di  partenza  l'imperatore  ed  il  suo  compagno  principale 
non  hanno  piü  la  testa ;  ch'  essi  per  altro  siano  diversi  da  quei 
che  stavano  a  d.  e  a  s.  dell' Apollo,  lo  credo,  parte  perche  nelle 
altre  coppie  vi  era  piuttosto  diversitä  che  identitä  di  persone, 
parte  perche  i  due  giovani,  che  sono  assai  riconoscibili  nella  scena 
anteriore,  per  certo  mancano  nella  seconda.  E  di  questi  giovani  quello 
che  sta  sotto  la  porta  forse  si  ritrova  nella  scena  del  leone  ucciso 
a  sinistra  o  dinnanzi  a  Silvano.  L'altro,  come  venne  osservato  a 
proposito  dal  Bellori,  rassomiglia  ad  Antinoo. 

Essendo  cosi  le  persone  delle  due  scene  compagne  assoluta- 
mente  diverse,  potrebbe  credersi  troppo  debole  il  legame,  per  cosi 
dire  negativo,  che  consiste  nell'assenza  di  una  belva  uccisa  e  con- 
sacrata.  Ma  qnesto  non  e  l'unico  legame.  Vi  si  aggiunge  un  altro 
positive,  Tessere  in  ambedue  riuniti  i  medesimi  concetti,  della 
sortita  cioe  e  della  preghiera  :  nella  seconda,  al  santuario  d' Apollo, 
prevale  l'adorazione  del  nume,  ma  l'amico  del  principe,  appena 
fermatosi,  giä  continua  il  cammino.  Nelprimo  tutti  s'avanzano,  e 
non  si  vede  alcun  santuario ;  che  perö  esso  sia  vicino,  lo  si  puö 
conchiudere  dal  fatto  che  l'imperatore  va  a  piedi  condiicendo  egli 
stesso  il  suo  cavallo  per  le  briglie,  ciö  che  certo  non  farebbe  se 


DELL  ARCO   DI    COSTANTINO  325 

fosse  aucora  lontano.  Lo  credo  dunque  sceso  or  ora  vicino  ad  im 
santuario,  entrato  nel  quäle  lascerä  la  cura  del  cavallo  ad  iino 
dei  compagni. 

Ma  perche  troviamo  nelle  scene  accoppiate  diversitä  di  per- 
sone?  Forse  perche  si  vollero  celebrare  non  quattro  cacce  sole  ma 
otto,  due  cioe  al  cinghiale,  diie  al  leone  ecc.  In  ogni  caso  la  di- 
versitä di  persona  non  puö  contradire  all'accoppiamento  proposto, 
il  quäle  viene  approvato  anche  per  la  disposizione  tradizionale,  no- 
nostante  la  parziale  scomposizione.  Confrontando  cioe  l'accoppia- 
mento  attuale  con  l'originario,  si  troverä  l'uno  dall'altro  meno  di- 
vergente che  non  si  crederebbe ;  e  ciö  salterä  negli  occhi  metten- 
doli  in  lila  tutti  ed  otto  e  unendo  con  spranghe  di  sopra  le  coppie 
attuali,  con  spranghe  disotto  le  coppie  primitive: 

Lato  Nord  Lato  Sud 

cinghiale    Apollo    Lione     Ercole     sortita   Silvano    Orso    Diana  (cinghiale) 


Basta  ritirare  la  sortita  di  due  o  tre  posti  per  avere  unite 
le  quattro  paia.  Nasce  perö  subito  una  nuova  quostione,  se  cioe 
nelle  rispettive  coppie  i  singoli  medaglioni  abbiano  conservato  il 
loro  posto  a  sinistra  o  a  destra,  e  se  le  coppie  abbiano  mantenuto 
il  loro  ordine  originario  o  no.  Ciö  che  spicca  subito  si  e  che,  come 
i  medaglioni  si  accoppiano,  cosi  anche  le  quattro  coppie  fanno  due 
quaderne :  Apollo  si  unisce  con  la  sorella  ed  Ercole  con  Silvano  (^), 
e  nella  fila  sopra  proposta  ancora  si  travede  come  stavano  insieme. 
Ora  confrontando  le  due  quaterne: 

Cinghiale-Diana ;  sortita-Apollo 
Orso-Silvano ;  lione-Ercole, 

delle  quattro  scene  di  caccia  due,  una  di  ciascuna  quaderna,  ci 
rappresontano  la  caccia  stessa  (cinghiale  e  orso)  in  forma  quasi 
identica;  le  altre  due,  anch'esse  per  consegueuza  una  in  ciascuna 
quaderna,  ci  presentano  l'una  un  momento  prima  della  caccia 
(sortita)  l'altra   un   momento   dopo   la  caccia   (leone   ucciso),   di 

(i)  Sull'unionc  di  Ercole  a  Silvano  v.  Preller-Jordan,  Rom.  Mythol.  II 
p.  282.  Keiffersclieid,  1.  c.  p.  219. 


326  I   RILIEVI   TONDI 

modo  che  un  certo  progresso  si  fa  sentire  dal  principio  della  caccia 
alla  fine. 

Osservando  poi  nei  singoli  medaglioni  la  direzione  nella  quäle 
le  figure,  o  tutte,  o  le  principali  e  la  maggior  parte,  si  muovono,  per 
il  cinghiale  e  l'orso  senz'alcun  dubbio  si  puö  affermare  che  vanno 
a  destra  (»-^),  benche  non  ei  sfugga  come  l'artista,  per  contenere, 
la  composizione  nel  tondo,  abbia  piegato  verso  chi  guarda  la  mossa 
di  qualche  figura.  Negli  altri  due  prevale  la  tendenza  verso  sinistra. 
Ponendoli  dunque  provvisoriamente  in  fila,  secondo  il  progresso  so- 
praccennato,  e  ordinandoli,  com'e  il  piü  naturale,  da  sin.  a  destra, 
e  con  rispetto  ai  quaterne  giä  costituite,  abbiamo  tale  Schema : 

I  II  III  IT 

sortita        cinghiale         orso         lione 

^        '■"^  /f/r       ^  mi        ^  ^        WS. 

Che  qui  non  ci  lasciamo  ingannare  da  qualche  caso,  lo  si  vede 
subito,  rivolgendoci  ora  ai  quattro  medaglioni  compagni,  quelli 
cioe  con  i  sagrifizi.  E  vero  che  non  vi  e  mai  una  tendenza  cosi 
forte  e  dominante  ne  verso  sinistra  ne  verso  destra  come  nella 
caccia  del  cinghiale  o  dell'orso.  Ma  vi  e  sempre  la  figura  princi- 
pale,  il  principe  che  fa  il  sagrifizio ;  e  desso  con  tutta  la  certezza 
si  puö  affermare  due  volte  dirigersi  a  sinistra,  due  altre  a  destra, 
ed  essere  la  sua  direzione  sempre  contraria  a  quella  che  egli  ha 
nei  medaglioni  compagni :  se  cioe  nella  caccia  va  a  destra,  nel 
sagrifizio  si  volge  a  sinistra  o  viceversa,  come  lo  mostra  lo  Schema 
seguente,  confrontato  con  quelle  sopraproposto. 

I  II  III  IV 

Apollo  Diana        Silvano        Ercole. 

Che  questi  contrapposti  non  siano  Teffetto  di  un  caso,  si  vede 
meglio  ancora  quando  si  osserva  che  in  ciascuna  quaderna  l'impe- 
ratore  si  dirige  in  una  caccia  a  sinistra,  nell'altra  a  destra  e  rela- 
tivamente  nelle  scene  compagne  una  volta  a  destra,  l'altra  a  si- 
nistra, come  fa  vedere  lo  schema  seguente  nel  quäle  l'insieme,  senza 
pregiudizio  dell'ordine  originario,  si  ritiene  come  sopra: 

sortita- Apolline ;  cinghiale-Diana;  orso-Silvano ;  lione-Ercole. 

^        ^nV"»  mr'      ^  fiir       ^  ^■'   '  VlTv  mr       ^         ^"     W*\  ^        V.Tv         mt        ^ 


dell'arco  DI  costantino  327 

Da  ciö  si  deduce  con  sufficiente  probabilitä,  che  i  modaglioni 
accoppiati  originariamente,  messi  a  sinistra  e  a  destra  di  un  co- 
raune  centro,  erano  disposti  per  equilibrarsi  a  due  a  due  secondo 
la  formola  abb  a  ovvero  b  aab ,  e  che  per  conseguenza  le  due 
quaderne  ornavano  non  una  ma  due  diverse  facqate  d'un  medesimo 
monumento.  La  quäle  supposizione  inoltre  vien  raccomandata  da 
altri  momenti,  da  certe  somiglianze  cioe  delle  scene  corrispon- 
denti.  Apollo  e  Diana,  adorati  nella  prima  quaterna,  riposano 
e  vero,  tutti  e  due  suUa  garaba  destra,  ma  del  resto  tutte  le  parti 
del  corpo  si  fanno  riscontro :  l'uno  lascia  pendere  la  man  destra 
ed  alza  la  sinistra  alla  cetra  posta  sul  tripode ;  l'altra  abbassa  Ja 
sin.  ed  alza  la  destra  con  la  fiaccola;  ambedue  volgono  la  testa 
verso  l'imperatore  adorante,  ma  siccome  questo  si  accosta  al  simu- 
lacro  di  Apollo  dalla  parte  sinistra,  a  Diana  dalla  destra,  cosi 
questa  guarda  a  destra,  quello  a  sinistra.  L'uno  perö  come  l'altra 
sta  fra  mezzo  di  due  alberi  ossiano  due  rami  d'un  medesimo 
tronco  (1),  e  stanno  ambedue  nel  bei  mezzo  del  tondo.  L'ApoUo 
essende,  come  fu  detto,  privo  di  selvaggina  consacrata,  e  accom- 
pagnato,  in  compenso  della  testa  di  cinghiale,  dal  serpente  e  dal 
grifone,  mentre  a  Diana  manca  e  cane  e  cervo. 

I  simulacri  dell'altra  quaderna,  (Silvano,  Ercole)  mancano  di 
una  corrispondenza  tanto  dettagliata.  La  causa  n'  e  manifesta. 
L'ApoUo  e  la  Diana  nell'insieme  ci  presentano  tipi  ben  noti,  ma 
le  particolaritä  sono  accomodaie  per  la  simmetria  e  per  l'antitesi  dei 
medaglioni  e  delle  coppie.  Per  conseguenza  e  piuttosto  un  caso, 
se  nei  musei  si  trova  una  statua  completamente  identica  {^).  Lo 
stesso  potrebbe  concedersi  riguardo  al  Silvano ;  ma  1' Ercole,  come 
vedremo  in  appresso,  e  un  tipo  speciale  e  perciö  meno  degli  altri 
idoli  e  stato  accomodato  alla  composizione,  e  la  sua  forma  pro- 
pria  poco  corrisponde  alla  figura  del  Silvano;  perö  i  posti  che 
occupano  nel  tondo,  non  giä  nel  mezzo  come  i  figli  di  Latona, 
ma  piü  da  un  lato,    si   corrispondono    affatto :    Silvano,  al  quäle 


(})  Nel  tondo  della  Diana  i  due  tronchi  si  vedono  a  destra  come  a  si- 
nistra della  base  cilindrica  e  assai  stretta;  nell'altro  tondo  la  base  quadrata 
e  molto  piü  larga  non  lascia  vedere  tronco  nö  a  sin,  ne  a  destra. 

(2)  Eassomigliano  assai  all'Apollo  e  alla  Diana  due  figure  del  dipinto 
pompeiano  Mus.  Borb.  X  tav.  XX. 


328  I   RILIEVI    TONDI 

l'imperatore  s'avvicina  dalla  parte  destra,  stassi  a  sinistra;  il  con- 
trario si  verifica  nell'Ercole.  La  pelle  sospesa  della  belva  si  vede 
in  ambedue.  Questa  somiglianza  antitetica  fra  loro  e  dissomiglianza 
dagli  altri  due  basterebbe  a  parer  mio  a  provare  che  le  coppie 
dl  Apollo  e  Diana,  nel  monumento  traianeo  stavano  in  contrap- 
posto  e  miravansi  insieme,  ma  separate  dalle  altre  due  con  Ercole 
e  Silvano. 

Ma  la  separazione  delle  quaterne  viene  confermata  anclie  da 
un'osservazione  di  natura  opposta,  da  somigiianze  cioe  fra  le  due 
quaderne,  le  quali,  siccome  invece  di  antitesi  mostrano  paral- 
lelismo  o  ripetizione,  cosi  rendono  probabile  che  fossero  disgiunti 
piuttosto  che  uniti.  La  caccia  all'orso  e  pur  troppo  simile  a  quella 
al  cinghiale;  ma  anche  il  leone  ucciso  e  l'uscita  concordano  nel 
prevalere  la  direzione  a  sinistra  e  nell'essere  tutte  le  figiire  in  piedi. 

Pare  adunque  che  la  disposizione  originaria  dei  medaglioni 
non  fosse  tanto  diversa  dall'attuale,  e  che  per  essi  almeno  si 
debba  pensare  ad  un  arco  di  Traiano  spogliato  da  Costantino,  come 
hanno  pensato  tutti.  Fra  gli  archi  eretti  a  Traiano  quello  di  An- 
cona  (Kossini,  tav.  XLIV  sg,  Graef  Taf.  LXXXIV)  non  offre  analogie; 
le  oifre  invece  quello  di  Benevento  (Rossini  tav.  XXXVIII  sgg.), 
sebbene  i  molti  suoi  rilievi  hanno  tutti  la  forma  bislunga,  e  sono, 
essendo  l'arco  a  itn  passaggio  solo,  posti  a  sinistra  e  a  destra, 
non  a  coppie  ma  l'uno  sopra  l'altro.  I  rilievi  corrispondenti  perö 
contrastano  sempre  per  lä  figura  deH'imperatore,  il  quäle  a  sinistra 
sempre  si  volge  verso  la  destra,  a  destra  sempre  verso  la  sinistra : 
la  loro  composizione  dunque,  come  il  loro  ordinamento,  sta  in 
relazione  col  centro.  L'arco  piü  grande  poi  che  faceva  ingresso  al 
Foro  di  Traiano,  come  e  stato  copiato  suUe  monete,  era  adorno  di 
tondi,  due  a  sinistra,  due  a  destra  del  passaggio  principale,  e  uno 
centrale  sopra  quest' ultimo. 

Ora  depo  aver  riconosciuto  gli  olto  medaglioni  aver  formato 
due  quaterne,  coUocate  sulle  due  facciate  di  un  arco  e  disposte  a 
raffronto,  sorge  la  domanda,  se  sia  possibile  indagare  anche  il  posto 
preciso  di  ciascun  medaglione.  Non  si  puö  rispondere,  s'intende, 
con  certezza,  ma  per  farlo  con  qualche  probabilitä  ci  possono  aiu- 
tare  i  quattro  argomenti  seguenti:  V  la  tradizione  ossia  l'ordine 
attuale;  2°  la  simmetria  e  l'equilibrio  dei  medaglioni  riguardo 
all'azione  caccia  o  sagrifizio) ;  3°  la  simmetria  dei  medaglioni 


DELL'aRCO   DI   COSTANTINO  329 

corrispondenti  riguardo  alla  direzione  della  figiira  principale  ;  4°  il 
progresso  che  si  e  potuto  osservare  nelle  scene  di  caccia :  1  sor- 
tita,  2  caccia,  3  caccia,  4  caccia  terminata,  ovo  la  ripetizione  della 
seconda  azione  parmi  che  sia  un  niiovo  indizio  della  ripartizione  su 
diie  lati  diversi.  Tale  progresso,  siccome  secondo  l'uso  greco  e 
romano  andrebbe  dalla  sinistra  alla  destra  ('),  cosi  ci  aiiita  anche 
esso  a  ricostituire  l'ordine  originario.  üna  disposizione  raccomandata 
concordemente  da  tutti  questi  argomenti  sarebbe  quasi  certa;  ma 
tale  disposizione  non  esiste. 

Imperciocche  quella  che  qiianto  piü  e  possibile  ritiene  l'or- 
dine attuale :  I.  Diana-cinghiale ;  IL  sortita-Apollo ;  III.  leone- 
Ercole ;  IV.  Silvano-orso,  (essendo  A  B  le  due  facciate  d'nn  arco) 

.  ,  B         IV       III 
''''  A        1 if 

ha  contro  se  gli  argomenti  2  e  4  ed  in  parte  anche  il  primo. 
Offende  cioe  la  simmetria  dell'azione  (2),  essendo  fatto  sul  lato  A 
secondo  la  formola  b  aa  b  ,  siiH'altro  secondo  quella  ab  b  a ,  e  fa 
sparire  il  progresso  (4). 

Sulla  nostra  tavola  XII  si  vedono  disposte  ^osi :  I.  Apollo- 
sortita; II.  cinghiale-Diana ;  III.  Silvano-orso;  IV.  lione-Ercole, 

.  .  B        IV        III 
''''  A        1 II 

II  progresso  (4)  va  bene;  la  simmetria  dell'azione  (2)  e  completa, 
ambedue  le  quaterne  essendo  disposte  secondo  la  formola  b  aab;\B, 
simmetria  della  direzione  (3),  e  vero,  nel  lato  B  e  opposta  a  quella 

del  lato  A  (A  B  )  e 

l'ordine  tradizionale  (1)  e  invertito  quanto  alle  coppie,  mentre  per 
i  singoli  medaglioni  delle  coppie  III  IV  e  ritenuto.  AI  difetto  di 

(1)  A  meno  che  non  sia  richiesto  un'altro  ordine  dalla  natura  dell'edi- 
fizio.  Cosi  p.  e.  i  grandi  rilievi  nell'arco  di  Tito  hanno  Tuno  la  direzione  a 
sin.,  l'altro  a  destra,  perchö  ambedue,  rappresentanti  l'entrata  dei  vincitori, 
sono  diretti  verso  la  eitta  e  il  Campidoglio.  L'ha  imitato  l'architelto  di  Co- 
stantino,  quando,  quadripartito  il  gran  fregio  di  Traiano,  scelse  le  due  parti 
per  ornare  il  passaggio  principale  del  suo  arco :  e  nell'uno  e  nell'altro  si  vede 
Timperatore  diretto  verso  la  cittä. 


330  I   RILIEVI    TONDI 

simmetria  si  potrebbe  supplire  contrasposizione  delle  coppie  III  e  IV, 
ma  a  costo  del  progresso  e  con  rinunzia  completa  alla  tradizione. 

Credo  dunque  che  la  disposizione  da  me  preferita  soddisfi 
piü  d'ogni  altra  i  quisiti  proposti.  Inoltre  pare  ragionevole  di  met- 
tere  le  scene  di  sagrifizio,  come  posteriori,  verso  la  parte  esterna, 
le  cacce,  come  anteriori,  verso  il  centro.  La  '  sortita ',  poi,  fa- 
cendo  vedere  un  arco  dal  quäle  escono  l'Augusto  col  corteo  vol- 
gendosi  a  sinistra,  pare  esiga  un  posto  a  sinistra  del  passaggio 
principale  (^) ;  e  ciö  ammesso  si  vorrä  anche  ammettere  che  con  la 
sua  quaderna  doveva  occapare  il  lato  davanti  o  di  fuori,  mentre 
l'altro  con  Silvano  ed  Ercole,  con  le  cacce  piü  pericolose  stava 
sul  lato  interno,  che  si  guardava  dopo.  — 

Tra  i  simulacri  adorati  ve  n'era  uno  che  meno  degli  altri  si 
prestava  alla  simmetria,  e  perciö  piü  degli  altri  doyeva  ritenersi 
per  un  tipo  individuale:  l'Ercole  cioe,  solo  di  tutti  e  quattro  se- 
duto,  solo  senza  base,  solo  rappresentato  come  posto  dentro  un 
tempio,  adorno  di  festoni.  Ed  essere  questo  tipo  di  Ercole  pur  troppo 
individuale  ed  insolito,  ce  lo  prova  il  fatto  che  fin  dai  tempi  di  Sante 
Bartoli  e  del  Bellori  quasi  {-)  tutti  l'hanno  preso  piuttosto  per  un 
Marte  che  per  un  Ercole  ;  per  lo  piü  segnende  lo  Stark  {^)  il  quäle 
non  dubitö  identificarlo  col  Mars  ....  sedens  colossiaeus  eiusdem 
(Scopae)  manu  in  tempio  Bruti  Callaeci  apud  circum  {Flaminium) 
di  Plinio  h.  n.  36,  26,  benche,  quand'anche  fosse  Marte,  non  altra 
congruenza  vi  sarebbe  che  quella  dello  star  seduto,  mentre  la  statua 
del  medaglione  certo  e  tutt'altro-  che  colossale.  Ma  non  e  punto 
Marte.  L'asta  fuuna  interpolazione  del  S.  Bartoli,  rifiutata  dal  Rossini 
nella  tavola,  ritenuta  perö  nel  teste.  Un'asta,  aiferrata  come  nella  ta- 
vola  del  Bellori,  non  avrebbe  potuto  fare  a  meno  di  lasciare  qualche 
traccia  come  le  tante  aste  dei  cacciatori,  lavorate  tutte  nel  marmo 
stesso  con  puntelli  qua  e  lä.  Invece  l'avambraccio  d.  del  giovane 
dio   seduto  nel   tondo    faceva   aggetto,    appoggiandosi  su  qualche 


(1)  Sarebbe  questa  una  relazione  fra  la  rappresentanza  ed  il  monumento 
che  ne  h  adorno,  come  nel  fregio  del  Partenone  e  stata  osservata  in  piü 
luoghi:  vd.  Petersen,  Kunst  des  Pheidias  p.  199.  302. 

(2)  II  Reber,  Ruinen  giustamente  l'ha  detto  Hercules  victor  e  cosi  Mar- 
chetti  nelle  Notizie  d.  scavi,  agosto  1889  p.  244. 

(3)  Philologus  XXI  p,  435  ;  Overbeck,  Gesch.  der  griech.  Plastik  n»  p.  13. 


DELL'aRCO  DI   COSTANTINO  331 

attributo,  di  cui  ora  resta  solo  un  puntello  sulla  corazza  alla  sua 
destra.  Le  corazze,  essendo  due,  sono  attributi  del  dio,  non  nel 
senso  che  egli  ne  facesse  uso,  ma  come  trofei ;  anzi  pare  un  dio 
senz'arrnatura  egli  stesso,  vincitore  di  nemici  armati.  Di  Marte 
dunque  manca  ogni  indizio :  aU'incontro  la  teniä,  la  pelle  leonina 
di  cui  e  coperto  il  suo  sedile,  e  di  cui  si  vede  la  testa  sulla  co- 
razza a  destra,  piü  signiflcativa  poi  l'altra  spoglia,  consecrata  dal 
principe  cacciatore,  e  perfino  le  forme  del  corpo  e  della  testa,  tutto 
ciö  indica  piuttosto  Ercole.  E  come  mai  Marte  farebbe  riscontro 
a  Silvano,  adorato  come  questo  da  cacciatori? 

Fu  una  bella  scoperta  di  C.  L.  Visconti,  esposta  nel  Bullet- 
tino  comunale  1887  p.  299  con  tavola  XVII  sg.,  di  riconoscere  il  me- 
desimo  tipo  di  Ercole  —  da  lui  perö  con  gli  altri  creduto  Marte  — 
nei  frammenti  di  tre  Statuette :  la  piü  bella  (1.  c.  fig.  1,  2)  tro- 
vata  non  molto  fa  in  via  Leonina ;  un'altra  da  molto  tempo  con- 
servata  nella  Galleria  lapidaria  del  Vaticano  {Beschreibung  Roms  11 
p.  32,  14  ;  1.  c.  fig.  3) ;  la  terza  posseduta  dal  Visconti.(l.  c.  fig.  4). 
Se  ne  puö  aggiungere  una  quarta  esistente  a  Liverpool  (vd.  A.  Mi- 
chaelis Ancient  marbles  in  Great  Brilain  p.  423,  2).  Quest'ultima 
sola,  che  e  di  lavoro  meschino,  ha  conservato  la  parte  superiore  del 
corpo  meno  le  braccia,  come  si  vede  nella  fig.  1  riprodotta  da  una 
fotografia  favoritami  dal  sig,  Entwistle  per  mediazione  del  Michaelis 
e  senza  confronto  fu  riconosciuta  per  Ercole.  Come  tale  e  designato 
neir  iscrizione  della  base,  pubblicata  giä,  come  vide  Michaelis,  nel 
Corpus  inscr.  lat.  VI,  1,  322  (ristretta  in  due  righe)  ed  il  cui 
teste:  Ilerculi  Invicio\sacrum\M.  Claudius  Esychus  d.d.  sulla 
fotografia  si  rintraccia  quasi  completamente.  Una  statua  simile,  ri- 
conosciuta sempre  per  Ercole,  e  quella  del  palazzo  Altemps,  de- 
scritta  Matz-Duhn  I,  123,  pubblicata  dal  Clarac  802  F,  1988  A. 
Nonostante  le  dimensioni  colossali  e  la  mancanza  dei  trofei  ed  un 
cambiamento  di  r^ovimento  che  hanno  subito  le  braccia  essa  pure 
mostra  affinitä  certissima,  come  si  rileva  dalla  zincografia  fig.  2. 
Si  osservi  la  larga  roccia,  coperta  dalla  pelle  leonina,  la  cui  testa 
tanto  cospicua  si  alza  a  destra  ,per  dare  appoggio  a  qualche  at- 
tributo. I  piedi  hanno  conservato  la  posizione,  avanzato  il  destro, 
ritirato  il  sinistro  (col  ginocchio  di  rozzo  ristauro)  mentre  quella 
delle  braccia  e  cambiata,  essendo  alzato  il  sinistro  (non  di  ristauro) 
invece  del  destro,  e  protesa   la   destra  (la  mano  oggi  di  ristauro) 


332 


I   RILIEVI   TONDI 


invece  della  sinistra.  L'attributo  principale  trovandosi  nella  mano 
protesa  come  nelle  altre  repliche,  e  la  testa  rivolgendosi  ad  essa, 
il  cambiamento  delle  braccia  produsse  anche  un'altro  movimento 
della  testa.  La  te«ta  stessa  perö,  rotta,  raa  senza  ristauro,  con  la 
siia  benda  e  con  le  forme  alquanto  simili  a  quelle  trattate  dal  Graef 
suUa  p.  189  sgg.,  ma  piü  arcaiche,  piii  di  ogni  altra  parte  con- 
ferma  l'identitä  del  tipo  (')• 


Fig.  1. 


In  questo  tipo  dunque  l'eroe  o  dio,  tntto  ignudo,  sta  seduto  con  il 
piede  desti-o  piü  in  avanti,  col  sinistro  piü  indietro  sulla  roccia  coperta 


(1)  Si  confronti  la  statuetta  trovata  negli  orti  di  Cesare  a  deslra  della 
via  Portuense,  anch'essa  divergente  in  piir  d'un  punto.  Notizie  d.  sc.  1889 
p.  245 ;  finalmonte  una  della  collezione  Decpdenc  19  (Michaelis,  Anc.  marhles  in 
Gr.  Br.  p.  286;  Clarac  730  B,  1755)  la  quäle  per  la  testa  rimessasi  dice  un 
Sileno. 


DELL  ARCO    DI    COSTANTINO 


333 


dalla  pelle  ('),  la  cni  testa,  a  destra  di  chi  guarda,  molto  elevata, 
porta  le  tracce  di  qiialche  oggetto  postovi  sopra.  Diie  corazze  stanno 
appoggiate  contro  la  roccia,  a  destra  e  a  sinistra  di  Ercolö  (-),  il  cui 
piede  sinistro  calca  uno  scudo  (nn.  1  3  e  4,  una  galea  n.  2);  e  altri 
scudi  di  varia  forma  si  vedono  ai  fianchi  e  addietro,  special- 
niente  nella  statua  di  via  Leonina.  Tiitto  questo  particolare  corri- 
sponde  esattamente  alla  figura  del  medaglione,  e  mentre  questo  ci 


Fig.  2. 

fa  comprendere  le  tracce  sulla  testa  del  leone  nelle  Statuette,  quelle 
all'incontro  ci  aiutano  a  riconoscere  nel  medaglione  lo  scudo  sotto 
11  piede  sinistro. 


(^)  Nel  secondo  e  quarto  esomplare,  e  forse  ncl  primo,  uiia  gamba  dclla 
pelle  era  gettata  sulla  coscia  destra  del  dio. 

(*)  Nel  n.  4  non  sembra  essere  che  una,  e  di  altre  armi  vi  si  riconosce 
un  arco  e  im  turcasso,  forse  un'  interpolazionc  nata  por  errore  del  copista. 


334  I   RILIEVI   TONDI 

Ma  per  ristaurare  gli  attributi  delle  mani  era  necessario 
un  altro  dato,  che  fortunatamente  ci  ha  somministrato  l'accor- 
tezza  del  Dressel,  il  quäle  partendo  1' ultima  volta  da  Eoma  a  noi 
lasciö  le  impronte  d'una  moneta  di  Adriano  e  di  un'altra  diAn- 
tonino,  del  Museo  di  Berlino,  tutte  e  due  riprodotte  qui  in  zinco- 
grafia,  figg.  3  e  4.  AI  primo  sguardo  si  scorge  la  loro  perfetta  con- 


Fig.  3.  Fig.  4. 

cordanza  con  il  tipo  di  cui  stiamo  ragionando.  Si  conferma  la  di- 
sposizione  della  pelle  con  una  gamba  gettata  sulla  coscia  destra 
dell'eroe.  La  Vittoria  a  destra  non  apparisce  che  nel  bronzo  di 
Adriano,  e  neanche  ivi  con  troppa  chiarezza,  in  modo  da  lasciare 
dubbio  se  stia  librata  nell'aria  ovvero,  contro  ogni  usanza,  poggiata 
sul  braccio  di  Ercole :  giacche  per  stare  sulla  testa  del  leone  sembra 
essere  troppo  elevata.  E  certo  perö  che  qui,  come  nel  tondo,  non 
sta  sulla  mano.  La  mano  sinistra  cioe  tiene  fermo  un  altro  og- 
getto,  piü  chiaro  nel  bronzo  d'Antonino.  Ma  bisogna  confrontare 
anche  altre  monete  descritte  nell'opera  del  Cohen  vol.  II :  Adriano 
n.  329-332  di  argento,  1081  sg.  di  oro,  di  bronzo  nessuno  ;  An- 
tonino  215  (pare  il  nostro  di  fig.  4)  (^)  di  bronzo  e  933  d' argento. 
Di  queste  descrizioni  importa  soltanto  1' essere  raffigurato  Ercole 
tre  0  quattre  volte  di  faccia  (1081,  1082,  215,  933),  tre  volte 
verso  la  destra  (330  sgg.),  una  volta  a  sinistra  (329)  (-)  come  anche 


Q)  Anche  presso  Froehner,  Les  m4daillons  de  Vefnpire  romain  p.  57. 
(2)  La  Vittoria  non  e  menzionata  che  ad  Adriano   332,  e  per  un  errore 
molto  spiegabile  vi  h  posta  nella  mano  dell'eroe. 


DELL'ARCO   DI   COSTANTINO  335 

le  Statuette  con  le  armi  raffigurati  ai  fianchi  e  nella  fig.  4  persino  ad- 
dietro,  provano  l'originale  fatto  da  essere  veduto  da  ogni  lato.  L'at- 
tributo  dell'una  mano  (non  si  dice  di  quäle,  ma  sarä  la  destra  corae 
figg.  3  e  4)  e  sempre  la  clava.  Quello  della  siuistra  quasi  sempre 
si  dice  des  fleches,  anche  al  n.  214,  ove  perö  l'oggetto  rafligurato 
corrisponderebbe  piuttosto  alla  descrizione  del  n.  1082  wie  que- 
nouille.  Non  occorre  dire  che  il  fuso  in  mano  di  questo  Ercole 
e  tanto  impossibile  quanto  le  frecce  senza  l'arco  sono  improbabili ; 
e  sulla  nostra  moneta  fig.  4,  molto  bene  conservata,  per  certo  non 
e  ne  l'uno  ne  l'altro,  ma  pare  piuttosto  un  acrostolio,  di  modo 
che  r  Ercole  si  mostri  vincitore  o  porgitore  di  vittorie  non  soltanto 
in  terra  ma  anche  in  mare. 

E  perche  fu  prescelto  questo  tipo  di  Ercole,  ove  non  preda  bellica, 
ma  di  caccia  si  consecra  ?  lo  credo,  anzi  tutto  perche  egli  rappre- 
senta  un  culto  stabilito  da  Traiano,  caduto  depo  i  primi  succes- 
sori  di  lui.  Imperocche  tutte  le  copie  accennate  ripetono  un  solo  e 
medesimo  originale  ed  appartengono  tutte,  come  credo,  alla  prima 
metä  del  secolo  secondo ;  la  piü  antica  pare  sia  quella  nel  me- 
daglione  dell'arco.  L'originale  e  nato  dalla  fusione  di  certi  tipi 
piü  antichi  di  Ercole  seduto  con  un  tipo  di  figura  sedente  su  di 
armi.  Belli  tipi  di  Ercole  seduto  (-)  con  in  mano  la  clava  e  il 
boccale,  simboli  quella  delle  fatiche,  questo  del  dolce  riposo,  si  ve- 
dono  SU  monete  di  Taranto,  Crotone  Eraclea ;  per  la  clava  appog- 
giata  sul  suolo  si  avviciuano  un  po'  piii  del  nostro  tipo  una  di 
Antioco  {Catalogue  Seleucid.  IFI,  2,  Coins  37,  14)  e  un' altra 
di  Allaria  in  Greta  {Coins  43,  28);  piü  ancora  una  di  Agatocle 
{Coins  39,  27)  ma  piü  di  tutte  Y01KI2TA2  di  Croton  {Coins 
25,  19 ;  Gardner,  Types  V,  2  Head,  H.  n.  p.  81)  seduto  su  d'una 
roccia  coperta  della  pelle  d'innanzi  ad  un  altare,  con  un  ramo- 
scello  nella  destra,  e  la  sinistra  appoggiata  sulla  clava  posta  sulla 
roccia;  ma  niente  di  armi  tranne  l'arco  col  turcasso  dietro  la  sede. 
Con  armature  di  nemici  vinti  si  vede  su  monete  dei  tiranni  Timoteo 


(1)  Non  hanno  nessuna  relazione  con  questo  tipo  le  rai)presentanze  di 
Ercole  divinizzato  e  condotto  al  cielo  al  di  sopra  della  pira  sulla  quäle  s'ab- 
brucciano  le  armi  dell'eroe.  V.  Ghirardini,  Kiv.  di  fllologia  1880  p.  20 
e  Furtwängler  in  Röscher.  Lexicon  p.  2240. 

(2)  Ved.  l'articolo  *  Herakles '  in  Koscher,  Lexicoii  p.  2160. 


336  I    RILIEVI    TONDI 

e  Dionisio,  e  si  crede  voler  erigere  un  trofeo  (');  Portatore  d'un 
trofeo  si  vede  su  monete  di  C.  Antiiis  (').  L'Ercole  onXoifida'^  su 
monete  di  Smirne  (3)  si  spiega  altrimeiiti ;  e  veramente  al  tipo 
di  cui  ragioniamo  il  soprannome  di  d/iXo(fvXa^  non  potrebbe  appli- 
carsi  che  per  iino  scherze.  Inoltre  la  testa  deH'oTrAo^jU«^  e  barbata. 
II  sedere  sopra  o  frammezzo  di  armi  conquistate,  che  nelle 
tante  rappresentanze  di  Ercole  non  si  trova  prima  di  Traiano  o 
Adriane,  si  usava  molto  prima  per  altre  divinitä  o  personificazioni. 
La  piü  antica  ferse  e  im  Apollo  (?)  su  monete  di  Marathus,  ignudo, 
seduto  a  sin.  sopra  degli  scudi,  con  acrostolio  e  palma  nelle 
mani  (^).  Meno  soggetta  a  dubbii  e  l'Etolia  che  sulle  monete  della 
confederazione  etolica  (dal  279  al  168)  suole  raffigurarsi  sediita, 
con  un  petaso,  con  la  destra  sull'asta  e  una  Vittoria  nella  sinistra, 
circondata  di  armi,  massimamente  scudi,  ma  talvolta  anche  con 
una  tuba  ai  piedi  (Head  h.  n.  p.  284 ;  Coins  42,  14  sg.  Catalogiie, 
Thessaly  XXX,  3  sgg. ;  Gardner  Journal  of  hellenic  studies  IX 
p.  ^ß).  E  quasi  necessasio  ravvisare  in  questa  figura  la  copia  di 
una  statua  e  nelle  armi  soltanto  una  piccola  parte  di  quelle  che 
si  vedevano  accumulate  sotto  l'originale.  Che  questa  perö  fosse  la 
statua  descritta  da  Pausania  9,  18,  7  tQonciiöv  rs  xal  yvvaixoq 
ayaXfia  MTtXidfibvr^c,  come  vorrebbe  lo  Head  1.  c,  non  lo  credo, 
perche  le  armi  sul  suolo  non  sono  un  xQÖnaiov,  ed  escludono  anche 
una  tale  aggiunta.  Presse  un  trofeo  invece  di  una  figura  seduta 
meglio  ne  starebbe  una  ritta  in  piedi,  la  quäle  anche  potrebbe  dirsi 
piü  adattata  per  essere  dedicata  nell'estero,  come  una  seduta  piü 
adattata  al  proprio  paese.  Credo  dunque  nelle  monete  essere  co- 
piata  piuttosto  una  statua  posta  p.  e.  a  Thermen,  capoluogo  del- 
l'Etolia  stessa.  Certo  si  e  che  i  ßomani,  imitando,  come  solevano, 
tipi  greci  per  la  loro  dea  Roma,  hanno  adoperato  quei  due  tipi, 
l'uno  ritte  in  piedi  presse  un  trofeo,  per  il  quäle  basta  citare  lo 
Zoega  B.  R.  I  p.  146,  l'altro  seduto  su  d'un  mucchio  d'armi. 
Quest' ultimo,  ovvio  giä  nell' ultimo  secolo  della  repubblica  su  mo- 


(1)  Mionnet  II  p.  444,  179  e  181  Su.  V  p.  70.  359  Head,  H.  n.  p.  442 
Gardner,  Types  XIII,  6.  Coins  29,  25.  Conf.  Cohen,  Med.  imp.  III  Commodus  913. 

(2)  Babelon,  Monnaies  de  la  rep.  rom.  I  p.  155. 

(3)  Vd.  Eckhel,  D.  n.  II  p.  543.  Mionnet  3  p.  209,  1149  sg. 
{*)  Head,  //.  n.  p.  670.  Gardner,  Types  XIV,  13. 


DELL'aRCO   DI    COSTANTINO  337 

nete  delle  genti  Carisia  e  Cecilia  e  Poblicia  e  Vibia  (v.  Babelon 
Monnaies  de  la  republiqiie  rom.),  fii  poi  ripetuto  innumerevoli 
volte  da  Nerone  fino  a  Marco  Aiirelio :  una  virago  armata,  il 
ciii  sedile  e  stipato  di  corazze  e  scudi,  mentre  ella  con  un  piede 
talVolta  calca  un  elmo.  Spesso  anche  una  Vittoria  le  vien  data 
in  mano,  ed  e  forse  degno  di  nota  che  una  Roma  siifatta  su  d'una 
moneta  di  Domiziano  presso  Cohen  vol.  I  728  sta  per  essere  inco- 
ronata  da  Ercole  (').  La  Virtü  poi  in  monete  di  Adriano  Cohen  714, 
di  Marco  Aurelio  1006  e  Commodo  964,  e  la  Vittoria  in  quelle  di 
Marco  Aurelio  356  e  Commodo  483,  l'una  e  l'altra  assisa  sopra 
armatura,  non  sono  che  varianti  della  dea  Roma.  Questo  concetto 
e  stato  trasferito  anche  agli  imperatori  stessi,  come  a  Claudio 
seduto  sopra  sedia  curule  con  armi  tutto  intorno  presse  Cohen  I 
p.  221  e  similmente  Tito  n.  399.  Finalmente  il  mucchio  d'armi 
si  rappresenta  solo  (M.  Aurelio  154,  173.  Commodo  89,  95,  103). 
II  tipo  di  Ercole  di  cui  ragiono  nel  titolo  aggiunto  alla  sta- 
tuetta  di  Liverpool  e  designato  come  Hercules  Imictus.  Lo  stesso 
cognome,  ossia  Victor,  insigniva  Ercole  a  Tibur  e  a  Roma  presso 
la  porta  Trigemina,  ma  sopra  tutto  quelle  venerato  al  famosissimo 
santuario  dell'ara  massima,  al  quäle  era  uso  romano  di  dedicare 
la  decima.  Lo  Henzen  nel  BuUettino  1845  p.  74  e  76  sg.  ed 
il  Mommsen  nel  Corpus  iascr.  lat.  I,  540  p.  149  hanno  dimo- 
strato  come  prima  di  ogni  altro  guadagno  era  del  bottino  di 
guerra,  che  i  generali  vincitori  e  trionfanti  dedicavano  la  decima. 
II  simulacro  piü  antico  era  quello  dedicato  da  Evandro  raffigu- 
rato  con  la  testa  coperta  dalla  pelle  leonina  (Serv.  Aen.  8,  288). 
ün  altro  tipo,  Ercole  cioe  tutto  ignudo,  ci  presenta  la  statua 
capitolina  (-),  trovata  nelle  rovine  dioWlaedes  rotunda  Ilerculis  in 
foro  boario  (Livio  10,  23),  tempio  che  esisteva  fino  al  secolo  XV 
ed  e  stato  illustrato  dal  de  Rossi  negli  Annali  1854  p.  29  sgg. 
Non  vi  era  quindi  un  tipo  solo  sagro  ed  inalterabile  dell'/Zer- 


(^)  In  modo  simile  e  rafBgurata  anche  in  qualche  rilievo,  como  in  quello 
della  villa  Albani  presso  Zoega  I  tav.  XXXI ;  e  nel  raonumento  degli  Aterii 
Mon.  Ined.  d.  I.  V  t.  VII  come  statua  posta  nel  passaggio  dell'arcMS  in  sacra 
via  summa  (v.  Ann.  1849  p.  10).  Nella  statua  posta  nel  cortile  del  palazzo 
de'Conservatori  in  fondo  le  armi  appoggiate  contro  il  trono  sono  di  ristauro. 

(2)  V.  Itighetti  I  tav.  36. 


338  I   RILIEVI    TONDI 

cules^  come  nemmeno  il  suo  cognome  era  uno  ed  immutabile. 
Secondo  l'uso  antico  cioe  generali  ed  imperatori  trionfanti,  quando 
consagravano  la  decima  del  bottino,  non  potevano  fare  a  meno  di 
dedicarla  qualche  volta  sotto  la  forma  di  un  simulacro  coii  o  seoza 
tempio  od  edicola  ('),  come  1'  iscrizione  conservata  {Corp.  inscr.  lat. 
I,  540)  c'  insegna  aver  fatto  L.  Miimmio ;  o  quäle  era  probabilmente 
anche  (^\Q\Yaedes  rotunda,  che  si  e  voluto  identificare  con  la  Mum- 
miana;  e  come  finalmente  secondo  la  tradizione  favolosa  di  Masu- 
rio  Sabino  presso  Macrobio  III,  6,  11  aveva  fatto  M.  Octavius 
Ilerrenus.  Un  tale  ex  voto  credo  dunque  anche  1' originale  del  quäle 
abbiamo  riconosciuto  le  copie  nelle  statue  e  Statuette,  tutte  di  pro- 
venienza  romana,  e  nel  medaglione  trajaneo,  e  la  dedica  di  questo 
originale  per  congettura  l'attribuisco  a  Trajano.  Le  armi  accumulate 
attorno  alla  sede  del  nume  sono  forse  la  decima  piü  naturale  del 
bottino  bellico,  come  anche  il  tributo  piü  significativo  che  si  po- 
tesse  offrire  al  vietor  o  invictus,  massimamente  se  s'  immaginano 
arme  reali,  non  raffigurate,  addossate  al  sedile  del  nume  di  mar- 
mo  ovvero  di  bronzo.  Siffatte  armi,  se  si  suppongono  dedicate  si- 
multaneamente  col  simulacro,  dovevano  presto  diventare  parte 
essenziale  del  simulacro,  nonostante  la  loro  natura  diversa;  di  modo 
che  si  copiassero  come  parte  di  essa  con  piü  o  meno  esattezza,  ma  tal- 
volta  anche  si  omettessero  come  nella  statua  Altemps  (-).  Anche  la  pic- 
cola  Vittoria  pare  essere  un'  aggiunta  posteriore,  fatta  per  carat- 
terizzare  meglio  il  Victor,  ma  poco  conveniente  al  sentimento  dei 
Greci,  i  quali  anzi  raffiguravano  l'eroe  divinizzato  condotto  all'Olimpo 
da  Atene  o  da  Nike.  L'ultima  di  queste  aggiunte,  fatte  per  acco- 
modare  al  culto  romano  un  simulacro  greco  piü  antico,  sarebbe 
l'acrostolio,  se  a  ragione  fu  riconosciuto  come  tale.  E  questo  po- 
trebbe  spiegarsi  dalla  storiella  di  Masurio  Sabino,  la  quäle  puö 
ammettersi  creduta  dai  Romani,  benche  fosse  composta,  a  giudizio 
del  Mommsen,  per  spiegare  l'uso  delle  decime,  comune  a  soldati  e 
mercanti.  Ercole,  il  quäle  in  tutta  la  sua  mitologia  greca  poco  si 
presta  ad  essere  adorato  come  nume  potente  anche  sul  mare,  da 
meritare  spoglia  navali,  in  quella  istoriella  almeno  tale  si  mani- 


(1)  V.  Preller-Jordan,  Rom.  Mythol.  II  p.  205. 

(2)  Quelle  altre  potrebbero  credersi  dedicate  da  soldati,  quest' ultima  da 
un  mercaute  o  quando  si  faceva  il  voto  o  dai  voti  compotes. 


DELL'aRCO   DI   COSTANTINO  339 

festö  a  Octaoius  Herrenus.  Esso  cioe  navigans a  praedonibm 

circiimventus  fortissime  repugnavit  et  vietor  recessit  per  l'assi- 
stenza  di  Ercole,  come  questo  gli  rivelö  in  un  sogno. 

ün'altra  concordanza  fra  l'Ercole  dell'ara  massima  e  il  simu- 
lacro  del  medaglione  ci  e  data  da  quel  passo  di  Ateneo  45,  65, 
tanto  importante  per  l'uso  della  decima,  e  che  ci  fa  sapere  che 
C.  Marius  dedicö  all' Ercole  invitto  anche  preda  di  caccia,  cioe 
qualche  pelle  di  mostruose  belve  dell'Africa. 

Era  falsa  l'opinione  che  Marte  fosse  raffigurato  nel  medaglione, 
ma  per  falsa  che  sia,  pure  conferma  in  certo  quäl  modo  la  spie- 
gazione  giusta,  perche  l'Ercole  Victor  o  Invietus  e  quasi  un'altro 
Marte,  o  Marte  un'altro  Ercole,  äXXoq  ovrog  '^HQaxXr-g,  quäle  era  il 
nome  di  una  Menippea  di  Varrone  (•)  üi  qua  cum  de  Invicto  Hercule 
loqueretur  eundem  esse  ac  Martern  probavit. 

E.  Petersen 

(1)  V.  Macrobio  III  12,  6,  corretto  dal  Mommsen. 


POSTILLA  ALIA  PAG.  168. 

L'iscrizione  sulla  p.  168,   che   per  errore   fu  rovesciata,  qui   si   ripete 
corretta : 


£rf 


Q\^^ 


23 


SITZÜNGSPEOTOCOLLE 


Festsitzung  am  13.  Dezember  zur  Geburtstagsfeier  Win- 
ckelmanns.  —  Lumbroso  :  Pomponius  Laetus  und  der  piemonte- 
sische  Graf  Ludovico  Tizzone.  —  Petersen  :  Ausgrabung  eines 
ionischen  Tempels  im  alten  Lokri  epizephyrii. 

Lumbroso  :  Pariare  in  questo  luogo,  in  questo  giorno,  di  uno  dei  padri 
delFepigrafia  e  topografia  romana,  e  delle  romane  umanistiche  adunanze  solenni, 
quäle  fu  Pomponio  Leto,  h  cosa  tanto  naturale  che  mi  permette  di  entrar  subito 
in  raateria  quasi  senza  esordio. 

Pomponio  Leto  non  fece,  non  pare  abbia  fatto,  una  Silloge  epigraflca 
propriaraente  detta.  Forse  l'indirizzo  de'  suoi  studi,  nei  quali  Tepigrafia  veniva 
ad  essere  soprattutto  come  un  sussidio  allarinascentee  cara  filologia,  fors'altri 
motivi  che  mi  sfuggono  lo  tennero  lontano  dall'impresa  di  un  Corpus  quäle 
si  fosse.  Ma  fatto  sta  che  amö  singolarmente,  ricercö,  trascrisse,  adoperö  le 
antiche  iscrizioni, 

Della  sua  attivitä  in  questo  campo  abbiamo  varie  testimonianze  dirette 
ed  indirette.  C'fe,  prima  di  tutto,  un  suo  taccuino  epigrafico,  segnalato  dal 
De  Rossi,  nella  Vaticana  (i).  Cb  qualche  altro  suo  notamento  dello  stesso 
genere,  accennato  per  le  stampe  dal  signor  De  Nolhac,  ed  a  me  privatamente 
dal  signor  dott.  Huelsen,  in  quella  niedesima  biblioteca  (^).  C'e  il  rauseo  la- 
pidario  della  sua  casetta  sul  Quirinale,  non  molti  anni  dopo  la  morte  di  lui 
ricordato,  fragli  altri,  dall'Albertiui  {^),  e  pubblicato  nella  raccolta  Mazochi  (■*). 
Ci  sono  sue  lettere  piene  di  ghiottornie  epigrafiche,  al  Sabellico,  al  Poli- 
ziano  {^).  Ch  l'uso  ch'egli  fa  nel  suo  storico  compendio  dei  ritrovamenti  epi- 
grafici  di  Roma  e  d'Italia  dei  suo  tempo  {^),  Ci  sono  le  raccolte  d'iscrizioni 

(1)  Cod.  3311,  f.  172-180:  cf.  De  Rossi,  Inscr.  II,  1888,  p.  401. 

(2)  Cod.  3233,  in  principio:  cf.  De  Nolhac,  La  Bibl.  de  Fulvio  Orsini, 
1887,  p.  198  sgg. 

(3)  De  mirabilib.  Romae,  1509,  f.  XLII. 

(*)  Epigrammata  antiquae  Urbis  1521,  f.  XLII,  sgg. 
(5)  Opera  M.  A.  Sabellici,  1502,  f.  W;Politiani,  1539, 1,  p.  20,  24.  Cf.  De 
Rossi,  Fasti  di  Venosa,  1853,  p.  16;  Mommsen,  in  G.  I.  L.  I,  p.  300. 
(«)  Opera  Pomp.  Laeti,  1515,  f.  IX'. 


SITZUNGSPROTOCOLLE  341 

di  Fra  Giocondo,  di  Pietro  Sabino  (i),  di  un  Anonimo  marciano  (2),  e  soprat- 
tutto  del  bolognese  Tommaso  Gammaro  (3),nelle  qualiegli  ebbe  tanta  parte.  C'ö 
il  ricordo  di  una  passeggiata  e  conversazione  epigrafica  fra  le  rovine  di  Roma, 
fatta  in  compagnia  di  lui  dall'Alessandri,  l'autore  dei  «  Dies  Geniales »  {*) 
Tutto  cib  h  noto  ed  acquisito  alla  scienza.  Ma  non  vedo  segnalate  in  alcun 
luogo  le  due  notizie  ch'io  ricavo  da  un  Codice  dell'Universitä  di  Torino  (I, 
111.  13,  giä  L.  IV.  22)  e  comunico  quest'oggi  all'Istituto. 

II  codice  nel  suo  insieme,  e  Tautore  di  esso,  un  personaggio  piemontese 
di  quel  tempo,  Ludovico  Tizzone,  conte  di  Desana  nel  Vercellese,  il  quäle 
copiö  nel  grosso  volume  membranaceo  tutto  ciö  di  cui  gli  piacque  conservare 
0  tramandare  memoria,  sono  stati  sufficentemente  descritti  ed  illustrati  dal 
Gazzera  {^).  Ludovico  Tizzone,  unitamente  a  Benvenuto  di  s.  Giorgio,  e  ad  An- 
drea Novello  vescoTO  di  Alba,  fu  dal  marchese  Bonifacio  di  Monferrato  in- 
viato  a  Eoma  coll'incarico  di  prestare  la  sua  obbedienza  al  nuovo  pontefice 
Alessandro  VI.  u  Recatisi  al  Vaticano,  vi  comparvero,  scrive  il  Gazzera,  con 
tale  maestosa  e  prestante  dignitä,  e  con  tanto  sfoggio  di  rieche  e  preziose 
vesti  e  livree,  da  trarre  lo  sguardo  ed  eccitare  l'ammirazione  di  una  Corte  usa 
pur  troppo  in  que'  tempi,  allo  sfarzo  ed  allo  scialacquo  delle  ricchezze,  ed  al 
piü  intemperante  lusso». 

Probabilmente  fin  dal  giorno  di  quel  ricevimento  e  di  quell'orazione  mon- 
ferina,  il  conte  di  Desana  ebbe  occasione  di  conoscere  Pomponio  Leto  (^). 
Ma  io  lascio  stare  le  congetture  e  vengo  dritte  dritte  al  f.  107  del  codice,  dove 
in  proposito  di  certa  operetta  che  trascrive,  il  nobil  uomo  dice  cosl :  «  Opus 
apud  praeclarissimum  poetam  Poraponium  Laetura  in  Urbe:  in  eius  biblio- 
theca  per  me  visum:  dum  apud  Alexandrum  sextum  hispanum  Pontificem 
Maximum  pro  eo  salutando :  pro  Bonifacio  Paleologo  Marchione  Montisferrati 
legationis  munere  fungor.  Is  ut  erat  natura  mitis:  perliberalis :  ac  penitus 
humanus:  videns  me  eodem  opusculo  oblectari:  non  solum  videndi  copiam: 
sed  eo  me  donavit:  in  quo  nonnulla  monumenta  antiqua:  tum  ex  triumpha- 
libus  arcubus :  ac  Aquaeductibus :  tum  ex  vetustissimis  Marmoribus  ac  sepulcris : 
et  ex  Urbe :  et  ex  tota  Italia  excerpta  (erat  enira  Is  reverende  vetustatis  ob- 
servator  maximus):  quorum  nonnulla..  hoc  meo  libro  annotabuntur  » :  il  che 
egli  fa,  dopo  trascritta  l'operetta,  dal  f.  11?""  al  f.  120'". 

AI  f.  poi  327'"  di  questo  stesso  codice  trovasi  copia  di  una  lettera  del 
Tizzone,  da  Desana  1506,  al  segretario  dell'imperatore  Massimiliano,  Giovanni 
Collavero,  giureconsulto  e  insieme  «  venerande  antiquitatis  sectator  maximus : 
ac  amator  affectatus  »  ;  nella  quäle  gli  dice :  «  Libellum   multarum    antiqui- 


(1)  Henzen  in  C.  L  L.  VI,  1,  p.  XLIII. 

(2)  De  Rossi,  Note  di  topogr.  rom.  ecc.  Roma,  1882. 

i"^)  Mommsen   in  Monatsber  der  k.  Akad.  der  Wiss.  zu   Berlin,   1866, 
p.  372  sgg. 

(4)  Lib.  I,  Gap.  XVI. 

(5)  Memorie  storiche  dei  Tizzoni,  Torino,  1842,  p.  22  sg.  Ne  aveva  giä 
parlato  il  Peyron  nella  Notitia  librorum   Valp.  Calus.,  Lipsia,  1820,  p.  85. 

(6)  Cf.  Petri  Carae  Orationes  Torino,  1520,  p.  19-20. 


342  SITZUNGSPROTOCOLLE 

tatum  refertum  tibi  dono  mitto :  quas  dum  apud  Alexandrum  Pontificem  max. 
pro  Bonifacio  etc. :  Pomponio  duce  viro  litteratissimo  ac  reverende  antiquitatis 
observantissimo :  a  sepulcris:  a  vetustorum  marraorum  fragmentis:  ab  aquae- 
ductibus:  a  triumphalibus  arcubus  propriis  manibus  excerpti.  De  nonnuUis 
etiam  Pompouius  mihi  copiam  feeit:  quas  e  Sicilia:  et  ab  aliis  Italiae  ur- 
bibus  (ut  summus  antiquitatis  investigator  erat)  conquisierat  ». 

In  somma  o  l'erudizione  dei  piü  competenti  in  materia  di  latine  iscri- 
zioni  mi  tradisce,  o  noi  abbiamo  qui  una  fönte  nuova  di  notizie  intorno  agli 
studi  epigrafici  di  Pomponio  Leto.  Ond'io  faccio  voto,  non  oso  dire  che  si 
cerchi  in  Germania  il  «  libellus  multarura  antiquitatum  refertus  »  donato  al 
segretario  di  Massimiliano,  ma  che  sia  chiesto  intanto  a  Torino  e  studiato 
in  Roma  il  duplicato  conservatone  nel  codice  del  Tizzone. 

Petersen  :  riferi  come  nell'estate  1889,  condotto  sul  luogo  dal  cav.  E 
Candida  sindaco  di  Gerace,  trovö  sul  sito  dell'antica  Locri  epizefirii  a  tre 
chiloraetri  da  Gerace  gli  avanzi  d'un  tempio  ionico  (^),  di  cui,  da  una  base 
di  colonna,  subito  si  riconobbe  l'afiSnitä  col  tempio  di  Giunone  Samia. 

II  govemo  italiano  (il  quäle,  come  si  seppe  piu  tardi,  ebbe  da  parecchi 
anni  prima  impedito  la  spogliazione  giä  molto  avanzata  del  monumento),  aderi 
presto  airidea  di  una  esplorazione,  e  ne  diede  l'incarico  al  R.  Ispettore  dott.  P. 
Orsi,  invitando  cortesemente  l'Istituto  di  mandare  un  suo  rappresentante  per 
assistervi  e  per  studiare  il  tempio.  Lo  scavo  incominciato  al  principio  del  no- 
vembre  diede  finora  i  risultati  seguenti.  II  tempio  ionico,  eretto  sui  soliti  tre 
gradini,  era  esastilo  con  diciasette  colonne  ai  lati  lunghi,  con  pronao  ed  opi- 
stodomo  in  antis,  sul  sommo  gradino  lungo  metri  17.34,  largo  poco  piü  di 
metri  43  e  mezzo.  La  costruzione  solida  ed  esatta  dello  stereobata  e  stilobata 
occidentale,  soli  rimasti  in  situ,  indica  la  migliore  epoca  greca.  Le  colonne 
di  cui  non  furono  trovati  che  scarsi  frammenti,  pare  fossero  composte  ciascuna 
di  quattro  tamburi  di  quasi  uguale  altezza,  e  rassomigliano  per  la  forma  della 
base  a  quelle  dell'anzidetto  tempio  di  Samo,  per  l'anthemion  sotto  il  capi- 
tello  alle  colonne  dell'Eretteo  di  Atene,  ma  piü  ancora  a  certi  frammenti  del 
tempio  arcaico  di  Naucratis ;  ed  anche  il  capitello  locrese  per  due  singolaritä 
non  trova  riscontro  piü  esatto  che  in  un  capitello  di  Samo.  La  base  della 
colonna  con  un  plinto  tondo  ed  un  toro,  di  misure  proporzionali,  alti  cio5 
quello  m.  0.  350  ine,  questo  0.175  ine.  pare  dia  la  chiave  del  sistema  me- 
trologico,  ed  essere  la  larghezza  il  centuplo  della  priore  misura  o  il  cinquan- 
tuplo  della  seconda  (2) 

Dell'epistilio  come  del  fregio  e  del  cornicione  non  fu  trovato  quasi  niente, 
della  grondaia  e  dei  tegoloni  diversi  frammenti,  di  cui  pochi  con  segni  di 
scalpellino,  l'unico  scritto  che  si  sia  scoperto. 

(1)  H  tempio  ionico  era  stato  riconosciuto  anche  dal  benemerito  fu  ispet- 
tore di  Eeggio,  ora  vescovo  di  Mileto  monsig.  de  Lorenzo.  Nella  pianta  di  cui 
h  corredata  l'utile  opera  di  P.  Scaglione,  Storie  di  Locri  e  Gerace  Napoli  1856 
il  tempio  non  si  trova  indicato,  se  non  fosse  al  n.  7,  il  quäle  allora  per  isbaglio 
sarebbe  messo  all'Est  del  muro  vicino  invece  aU'Ovest. 

(*)  V.  la  relazione  seconda  p.  345. 


SITZÜNGSPROTOCOLLE  343 

Dinnanzi  alla  fronte  Ovest  poi  si  scavö  un  gruppo  di  marmo  pario  di- 
scretamente  conservato :  un  giovane  accanto  al  suo  cavallo,  e  con  esso  sop- 
portato  da  un  tritone,  quasicchö  da  questo  venissero  trasportati  pel  mare. 
Questa  scoltura  pier  lo  stile  a  pena  puö  essere  anteriore  al  400,  mentre  per 
la  figura  del  Tritone  e  per  il  sistema  di  difesa  contro  gli  uccelli  (')  richiama 
alla  memoria  le  metope  del  tempio  di  Giove  in  Olimpia,  e  per  questo  appa- 
recchio  si  mostra  parte  della  decorazione  architettonica.  Prima  si  dubitava, 
se  fosse  an  acroterio,  ovvero  parte  di  un  gruppo  frontonale ;  m_a  vinse  la  se- 
conda  opinione,  quando  piü  tardi  piü  a  destra  si  trovarono  pochi  ma  indu- 
bitabili  frammenti  di  un  gruppo  corrispondente,  mosso  verso  la  sinistra  di  chi 
guarda,  come  quelle  prima  trovato  era  mosso  verso  la  destra.  Simili  sculture 
si  potevano  supporre  avere  ornato  anche  la  fronte  Orientale,  ma  nelle  trincee 
fatte  per  indagarle  non  se  ne  ritrovo  niente. 

Invece  vi  vennero  alla  luce  avanzi  di  un  tempio  molto  arcaico,  prede- 
cessore  dell'iönico,  di  orientazione  un  po'  differente,  di  dimensioni  simili,  di 
larghezza  cioö  quasi  identica,  ma  di  lunghezza  alquanto  minore,  anch'esso  in 
antis,  esastilo  e  peristilo,  benchö  una  certa  diiferenza  di  costruzione  e  di  ma- 
teriale  facesse  dubitare  se  questo  peristilio  non  fosse  un'  aggiunta  posteriore. 
Due  pezzi  di  tamburi  di  colonne  e  due  frammenti  di  lastre  di  terracotta  con 
ornamenti  dipinti  pare  appartenessero  a  questo  tempio  anteriore.  —  Per  de- 
finire  il  nume  culto  in  questo  santuario  finora  mancano  i  mezzi. 

Zum  Palilienfest  waren  ernannt  worden : 

ö)  zum  Ehrenmitgliede : 

S.  Exe.  der  Kaiserlich  deutsche  Botschafter  in  Constantinopel, 
Herr  von  Radowitz ; 

b)  zu  ordentlichen  Mitgliedern  die  Herren  Conte  Agostino  Antonelli  in 

Eom,  Ed.  Brizio  in  Bologna,  A.  von  Domaszewski  in  Heidelberg, 
Percy  Gardner  in  Oxford,  Ernest  Gardner  in  Athen,  Fr.  Koepp 
in  Berlin,  G.  Kieseritzky  in  Petersburg,  P.  Narducci  in  Eom, 
A.  Sogliano  in  Neapel,  Charles  Waldstein  in  Athen,  Franz  Win- 
ter in  Charlottenburg ; 

c)  zu  correspondierenden  Mitgliedern   die  Herren   Julius  Centerwall  in 

Söderhamm  (Schweden),  Botho  Graef  in  Berlin,  Joh.  Ficker  in 
Leipzig,  G.  Kawerau  in  Athen,  Iphikratis  Kokkides  in  Athen, 
Alexander  Kontoleon  in  Smyrna,  Fr.  Pichler  in  Graz,  Arthur 
Schneider  in  Leipzig,  Cecil  Smith  in  London,  H.  Winnefeld  z. 
Z.  in  Rom. 

Zum  Winckelmannstage  wurden  ernannt: 

a)  zu  ordentlichen  Mitgliedern  die  Herren  Dr.  Richard  Bohn  in  Nien- 
burg, Richard  Borrmann  und  L  A.  Kaupert  in  Berlin,  Robert 
Koldewey  in  Hamburg,  Dr.  Adolf  Trendelenburg  in  Berlin,  Dr. 
Lindenschmit  in  Mainz,  Eugöne  Müntz  in  Paris,  Dr.  Karl 
Schuchhardt  in  Hannover; 

(»)  V.  Athen.  Mittheilungen  1889  p.  233. 


344  SITZÜNGSPROTOCOLLE 

b)  zu  Gojrrespondenten  die  Herren  Ernest  Babelon,  B.  Haussoullier  Ed- 
mond  Pottier  und  Salomon  Keinach  in  Paris. 

20  Dezember.  Mau  :  Inschrift  von  Scafati.  —  Huelsen  :  Der 
Fundort  des  Apollon  vom  Belvedere. 

Mau  :  Facendosi  certi  lavori  presse  la  chiesa  parocchiale  di  Scafati  fu 
trovata  incisa  in  una  lastra  di  marmo  bianco  con  lettere  buone,  alte  m.  0,067, 
riscr.  seguent.e,  copiata  dal  rif.  in  casa  del  sig.  dott.  Morlicchio  a  Scafati: 


J-,IVl/ö<-^l-lii  1  L  O  ivi  V  b 
MAG-PAGI  •  FELICIS   . 
SVBVRBANI  •  EX  •  TESTAM 

ARBITRATV 
RVFIONIS  •  L  •  F+S  CClOD 

La  prima  riga  facilmente  si  supplisce  liO'C-l-philomvso 
Nel  principio  h  probabile  che  sia  stato  corretto  Livs  in  Lio,  non  viceversa, 
sia  perchö  il  dativo  e  piü  usitato  in  iscrizioni  di  questo  genere,  sia  perchfe 
col  nominativo  la  riga  diventerebbe  soverchiamente  lunga ;  forse  il  motivo 
della  correzione  era  appunto  questo  che  il  nome  di  Filomuso  oltrepassava  lo 
spazio  assegnatogli  e  che,  invece  di  aggiungere  altre  due  lettere  al  cognome, 
si  preferi  di  correggere  il  gentilizio.  Quest'ultimo  dev'essere  stato  lungo :  altri- 
menti,  anche  adoperando  un  carattere  piü  grande  per  la  prima  riga,  pure  si 
sarebbe  procurato  di  farvelo  entrar  tutto.  Fra  i  gentilizi  pompeiani  finora 
conosciuti  solo  quello  di  Rusticelius  vi  si  adatta.  L'iscrizione  dimostra  che 
il  pagus  Augustus  Felix  non  ebbe  fin  da  principio  il  nome  di  Augustus. 
Questo  nome  probabilmente  gli  fu  dato  quando  vi  fu  istituito  il  culto  di 
Augusto  nell'a,  7.  a.  C,  nel  quäle  anno  entrarono  in  ufScio  i  primi  ministri 
pagi  Augusti  Felicis  suburbani  {C.  I.  L.  X  924).  Che  il  pago  stesso  fosse 
piü  antico,  fondato  da  Silla  forse  coi  Pompeiani  espulsi  per  far  posto  ai  co- 
loni  romani,  lo  si  era  dedotto  dal  cognome  di  Felix :,  prova  insufficiente, 
essendo  stato  portato  quel  cognome  anche  da  colonie  non  fondate  da  Silla 
(Capua,  Nola,  Benevento).  La  nova  iscrizione  prova  almeno  l'esistenza  del 
pago  prima  della  istituzione  del  culto  d' Augusto.  La  paleografia  non  contrad- 
dice  ai  primi  tempi  augustei. 

Huelsen  :  L'opinione  adottata  da  quasi  tutti  gli  archeologi  moderni, 
l'ApoUo  di  Belvedere  essere  stato  trovato  fra  le  rovine  della  villa  Neroniana 
in  Anzio,  si  fonda  principalmente  sopra  l'autoritä  di  Pirro  Ligorio,  scrittore 
posteriore  di  molto  al  ritrovamento,  e  di  fede,  come  tutti  sanno,  sospettissima. 
La  vera  provenienza  della  statua  pare  la  riveli  una  notizia  nel  codice  Ambro- 
siano  di  Bartolomeo  Suardi  (tav.  VI  ed.  Mongeri) :  secondo  questa  l'ApoUo 
sarebbe  stato  trovato  in  una  tenuta  del  cardinale  della  Rovere  situata  nel 
tenitorio  Tusculano. 


SITZDNGSPROTOCOLLE  345 

10  Januar.  Petersen  legt  die  Mr.  Entwistle  in  Liverpool  ver- 
dankten Photographien  einer  vierten  Replik  des  von  C.  L.  Visconti 
(Bull,  comun.  1887  p.  299)  erläuterten  Statuentypus  vor  (S.  oben 
S.  331).  —  Derselbe:  zweiter  Bericht  über  die  Ausgrabung  in 
Lokri  (S.  Sitzung  vom  13  Dez.  1889).  —  Mau  :  pompejanische 
Gladiatoreninschriften  (S.  Mittheill.  unten.). 

Petersen  immediatamente  dt>po  l'adunanza  solenne  era  tornato  a 
Gerace,  ove  Tispettore  Orsi  nel  frattempo  aveva  sostenuto  solo  il  lavoro  cori 
molto  disfavore  del  tempo.  Dai  17  ai  21  vi  si  ebbe  anche  la  pregevole  assistenzadel 
collega  Dörpfeld,  venuto  dopo  l'invito  del  riferente  secondato  dalla  direzione 
centrale.  La  sera  del  23,  allorquando  i  lavori  necessarii  parevano  essere  ter- 
minati,  anche  il  riferente  lasciö  Gerace.  La  pianta  del  tempio  come  era  stata 
esposta  nella  prima  relazione  in  tutti  i  punti  essenziali  fu  approvata  dal 
Dörpfeld,  il  quäle  perö  con  la  solita  prontezza  ne  levö  una  nuova  piü  di  arte, 
da  pubblicarsi  nel  Bullettino.  Anche  la  quistione  metrologica  dall'egregio  col- 
lega fu  posta  in  piena  luce.  Egli  riconobbe  cioö  che  si  avesse  a  unire  le  due 
parti  della  base  di  colonna  e  che  sommati  cosi  i  millimetri  525  ovvero  528 
rendessero  appunto  la  differenza  delle  distanze  assiali  delle  colonne  laterali  e 
delle  frontali,  essendo  distanti  i  centri  di  queste  m.  3.17  e  di  quelle  2.64,  e 
che  quest'ultima  misura  fosse  il  quintuplo  come  quella  priore  il  sestuplo  della 
raedesima  misura.  E  questa  misura  egli  si  ricordö  essere  il  braccio  samio  pa- 
ragonato  da  Erodoto  al  braccio  egizio,  il  quäle  dal  Lepsius  era  stato  calco- 
lato  di  m.  0.525.  Di  questi  bracci  sami  dunque  secondo  il  Dörpfeld  il  tempio 
ionico  locrese  misurava  36  di  larghezza  (suirinfimo  gradinetto)  Ö6  di  lun- 
ghezza,  30  e  80  di  distanza  assiale  delle  colonne  angolari,  18  di  larghezza 
del  naos,  9  di  larghezza  dei  portici  laterali  ecc.  Del  gi'uppo  creduto  frontonale 
ovest  il  eh.  Orsi  aveva  trovato  il  piede  di  una  figura  centrale  come  pare. 
AI  fronte  est  ancora  niente  di  simile. 

Anche  pel  tempio  arcaico  si  ebbe  qualche  complemento  :  parte  del  fon 
damento  del  peristilio  ovest,  la  cui  distanza  dalla  fronte  del  naos  e  soltanto 
la  metä  incirca  della  corrispontente  distanza  sul  lato  opposto  (i),  (e  questa 
fronte  ovest  si  mostro  senza  propileo  in  antis);  poi  parte  del  muro  est  della 
cella.  Nell'angolo  Sud-Ovest  finalmente  di  questa  cella  si  scopri  un  basamento 
che  per  la  sua  posizione  puo  credersi  aver  sorretto  l'aitare  della  cella  nuova, 
come  un'altra  pietra  poco  distante  il  simulacro  della  cella  arcaica. 

(1)  Dopo  la  raia  partenza  perö  l'ispettore  Orsi  fece  un  ultimo  sforzo  per 
ritrovare  l'augolo  Nord-Ovest  di  questo  peristilio  che  si  poteva  supporre  na- 
sc3sto  sotterra,  per  andar  fuori  dell'area  del  tempio  nuovo,  e  con  ottimo  suc- 
cesso.  La  filata  Ovest  pero,  secondo  mi  scrisse  il  eh.  Orsi  sporge  di  m.  3.86 
SU  quel  pezzo  trovato  prirai.  Dal  quäle  fatto  pare  risulti  uua  doppia  colon- 
nata  alle  fronti. 


INHALT 


H.  Dessau,  Note  di  epigrafia  S.  182-184. 

G.  F.  Gamürrini,  //  matrimonio  italico  (Taf.  IV)  S.  89-100 

B.  Graef,  Herakles  des  Skopas   und  Verwandtes  (Taf.  VIII,  IX) 

S.  189-226. 

H.  Heydemann,  Dm  monumenti  dell'Italia  meridionale  (Taf.  X, 
XI)  S.  307-313. 

Ch.  Huelsen,  Antiehitä  di  monte  Citorio  S.  41-64. 

«  11  II  cesto  dei  pugili  antichi  S.  175-181. 

»  »  Jahresbericht  über  Funde  und  Forschungen  zur  To- 

pographie der  Stadt  Rom  1887-1889  S.  227-291. 

A.  Mau,  Scavi  di  Pompei  (Taf.  I)  S.  3-31  und  101-125. 

»        »      Bibliografia  pompeiana  p.  292-305. 

Th.  Mommsen,  Miscellanea  epigraphica  S.  172-174. 

E.  Petersen,  Hera  von  Alkamenes  S.  65-74. 

»  »  /  rilievi  tondi   dell'arco  di  Costantino  (Taf.  XII) 

S.  314-339. 

A.  Schneider,  Zu  den  attischen  Kleinmeistern  (Taf.  VII)  S.  153-165. 

C.  Wernicke,  Bromi  di  Epidauro  S.  166-171  (vgl.  S.  339). 
H.  VP'innefeld,  Antiehitä  di  Alatri  (Taf.  V,  VI)  S.  126-152. 
SiTZüNGSPROTOCOLLE,  S.  75-88,  185-188,  340-345. 


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